Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura

di Hiraedd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** 01. Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** 02. Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** 03. Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** 04. Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** 05. Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** 06. Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** 07. Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** 08. Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** 09. Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** 10. Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** 11. Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** 12. Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** 13. Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** 14. Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** 15. Capitolo 15 (prima parte) ***
Capitolo 17: *** 15. Capitolo 15 (seconda parte) ***
Capitolo 18: *** 16. Capitolo 16 ***
Capitolo 19: *** 17. Capitolo 17 ***
Capitolo 20: *** Parte Seconda. 18. Capitolo 18 ***
Capitolo 21: *** 19. Capitolo 19 ***
Capitolo 22: *** 20. Capitolo 20 ***
Capitolo 23: *** 21. Capitolo 21 ***
Capitolo 24: *** 22. Capitolo 22 ***
Capitolo 25: *** 23. Capitolo 23 ***
Capitolo 26: *** 24. Capitolo 24 ***
Capitolo 27: *** 25. Capitolo 25 ***
Capitolo 28: *** 26. Capitolo 26 (prima parte) ***
Capitolo 29: *** 26. Capitolo 26 (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


NOTE SULLA REVISIONE, 07/04/2013:
 
La gentilissima highwaytohell_ sta svolgendo un lavoro splendido nel dare una sistemata a questa storiella. Dopo aver messo insieme le mie correzioni e le sue, inizio ad inserire i capitoli betati.
 
Questo prologo è quindi stato betato da highwaytohell_, che ringrazio sentitamente.
 
 




PARTE PRIMA
Distanti



 

A volte, l'ultima persona sulla terra con la quale vorresti avere a che fare
è l'unica di cui non puoi fare a meno
(Jane Austen)

 



Dorcas Meadowes è il tipo di persona che non degneresti mai di un secondo sguardo.
Capelli biondi sempre legati, occhi verdi sempre puntati al pavimento o tra le pagine di qualche tomo preso in prestito in biblioteca.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona con cui non può che scapparti un sorriso.
Capelli rossi sparati in aria e occhi azzurri come il cielo d’estate, ti basta guardarli durante una lezione di storia della magia per riprendere un po’ di brio e scacciare la stanchezza.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona capace di preferire il calore della sala comune e la discrezione di un libro ad un uscita con i compagni a Hogsmeade.
Dita lunghe da pianista sempre celate tra le pagine di carta vergate in bella grafia, polpastrelli macchiati sempre e comunque dall’inchiostro dei compiti.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona  che proprio non tollera l’inattività.
Ha gambe nervose in perenne movimento, sia per una passeggiata durante l’intervallo delle lezioni, sia durante divinazione, seduto su un pouf, e dita lunghe che tamburellano agitate la superficie del tavolino da tè.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona che si veste sempre con i soliti vestiti dei soliti colori.
Ha gambe lunghe e piene fasciate dai soliti jeans lisi e porta camice di una taglia più grande, dietro le quali si sente al sicuro e nasconde qualche chilo di troppo.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che si veste a seconda dell’umore.
Calzini perennemente spaiati, per poter indossare due colori in una volta sola, vesti da mago lunghe e variopinte, fatte a mano dalla sorella maggiore.
 

Dorcas Meadowes è il tipo di persona che la vita la scrive.
Vive delle frasi con cui si racconta la giornata; si fida del foglio che non interpreta le sue parole, ma le assorbe nero su bianco, esattamente come lei le intende.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che la vita se la gode fino in fondo.
Quando ride lo fa sguaiatamente, affinchè tutti quelli attorno possano sentire come si diverte e gioire con lui, quando si arrabbia diventa rosso e inveisce a piena voce, perché tutti possano capire che devono stargli alla larga.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona che non fa amicizia facilmente.
Le sue compagne di stanza le sorridono, la salutano, e poi tornano ai loro affari, ai loro ragazzi e alla loro vita. I ragazzi la guardano e scontrano quel vetro che lei frappone tra se stessa e il mondo, così che nessuno possa raggiungerla; dopo un’alzata di spalle voltano il proprio sguardo su qualcun’altra.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che farebbe amicizia anche con i sassi.
Tira tardi la sera in sala comune, insieme ai migliori amici e al gemello. Le ragazze ammiccano ai suoi occhi color del cielo, i ragazzi vorrebbero tutti essere suoi amici.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona che il destino ce l’ha scritto in faccia.
Se ti fosse capitato di vederla il primo giorno del suo primo anno ad Hogwarts, avresti detto senza ombra di dubbio che sarebbe diventata Corvonero. E ci avresti preso.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che il destino ce l’ha scritto nel carattere.
Se ti fosse capitato di vederlo a due anni giocare ai pirati con suo fratello, avresti detto senza ombra di dubbio che sarebbe diventato Grifondoro. E ci avresti preso.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona per cui non è mai esistita una casa.
Tra le sue mura Babbane scriveva di magia, tra le mura di Hogwarts si sente discriminata. È una straniera un po’ ovunque.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che ha sempre saputo sentirsi a suo agio ovunque.
Nel calore di casa sua, tra le braccia della madre e della sorella maggiore o tra le mura di Hogwarts, costruita per ospitare il suo talento. Per lui tutto il mondo è paese, per così dire.

 
Dorcas Meadowes è il tipo di persona che con uno sguardo ti giudica secondo i suoi criteri.
Uno sguardo alla tua espressione, ascoltando quello che dici, guardando i gesti delle tue mani. Ti osserva e capisce chi sei, e allora sa di conoscerti, anche se magari non le hai mai parlato e non la degneresti di un secondo sguardo.
 
Fabian Prewett è il tipo di persona che nelle uggiose serate in dormitorio si diverte a dare voti alle ragazze.
Gambe lunghe e stacco di coscia, una E. Sorriso sbarazzino e risata allegra, O. Acne e pustole su tutto il viso, decisamente T.
 

Dorcas Meadowes è una S.
 
Fabian Prewett è uno che gesticola molto e ha il vizio di torturarsi la ciocca dietro all’orecchio destro quando è nervoso, sbatte le palpebre più volte in un secondo e la cosa lo fa assomigliare ad un gufo, ride, porta la primavera con un sorriso e ti fa sentire più leggera.
 

Dorcas Meadowes non ha mai degnato di uno sguardo Fabian Prewett.

Fabian Prewett conosce a malapena il nome di Dorcas Meadowes.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE ORIGINALI:
avevo voglia di scrivere qualcosa di leggero che uscisse facilmente, e quindi mi è venuta l’ispirazione per questa storia.
Non ho ancora deciso se farla durare tanto o poco, questa ff. Ho solo pensato di entrare un po’ di più in due personaggi che più avanti saranno molto presenti nella mia ff principale, “L’amore ai tempi del caos”.
Spero davvero che qualcuno legga questo inizio, e quindi di trovare qualche recensione.
Ringrazio in anticipo,
come sempre buona lettura,
Hir.
 

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Capitolo 2
*** 01. Capitolo 1 ***


NOTA DI REVISIONE: Questo capitolo è stato betato da highwaytohell_

Sulla punteggiatura all'interno dei dialoghi: dal momento che sono profondamente ignorante sull'argomento (devono averla insegnata anche a me tra le elementari e le medie, ne sono sicura, ma credo di averlo rimosso) non ho mai creato un discorso diretto scritto correttamente. Dal momento che questo cosa mi è stata segnalata in un contest a cui ho partecipato, ho tutta l'intenzione di correggere anche questo punto da questo capitolo in avanti. 
 



 

Capitolo 01

 
 
 
 
 
 
 
<< Primo anno! Primo anno da questa parte >>.

La prima cosa che la ragazza udì dopo aver spalancato le porte del treno fu il tuonare di un vocione ben conosciuto che invitava diversi studenti, tanto piccoli quanto agitati, a seguirlo.

Passando accanto al mezzogigante, come sempre, Dorcas abbassò lo sguardo quasi intimorita da tanta mole.

Ignorò quei pochi ragazzi che al suo passaggio la fissavano con un misto di compassione e pena nello sguardo, ringraziando mentalmente quelli, molto più numerosi, che ignari del suo nome e della sua vita non la degnavano di un’occhiata, come sempre.

Cosa avrebbe dato pur di tornare alla fine di giugno e riprendersi, con il proprio anonimato, anche la propria vita!

<< Sei un idiota, Gid >> una voce brusca ed infuriata la fece sobbalzare << Guarda che hai fatto, sei proprio un cretino. Mi hai fatto cadere dalle mani la gabbia di Erroll >>.

<< Io? Sarei io il cretino? Senti chi parla! Chi è che ha le mani di burro, qui? >>.

<< E chi è che ha la voce stressante, qui? >>.

<< La mia voce e la tua sono identiche >>.

Dorcas alzò gli occhi per trovarsi davanti due identiche figure che le davano le spalle.

Riconobbe all’istante i gemelli Prewett. Di un anno più grandi di lei, assegnati dal cappello parlante a Grifondoro, non esisteva persona ad Hogwarts che non li conoscesse: rossi di capelli e con due identiche espressioni monelle sul viso, quando erano arrivati a scuola dovevano aver stampata in fronte la propria appartenenza alla casa rosso-oro ancora prima dello Smistamento.

<< Ma, insomma, state già litigando?>> una voce calda e rassicurante li interruppe mentre due figure, entrambe atletiche, si affiancavano a quelle dei gemelli.

<< Non siamo nemmeno saliti sulle carrozze >> s’intromise la seconda voce, allegra e scherzosa << Lo avevo detto io che non avreste resistito fino al portone. Paga, King >>.

Sentì la voce rassicurante di Kingsley Shacklebolt ridere alla battuta dell’amico Corvonero, subito seguito dai due gemelli, che ormai parevano aver accantonato la discussione.

“Già, nemmeno alle carrozze” pensò sospirando la ragazza.

Quell’anno sarebbe stato duro, questo era certo. Tutto ciò che rimaneva da accertare era se lei sarebbe stata dura abbastanza da superarlo.

 

*

 
 
E così la litigata era bella che archiviata.

Succedeva sempre così, tra lui e suo fratello: il momento prima l’umore nero li portava a pensare ad improbabili insulti, quello dopo avrebbero dato la vita l’uno per l’altro.

Le carrozze, mosse come al solito da zampe invisibili, sfilavano lente davanti al piccolo gruppetto.

<< Notizie da quest’estate? >> chiese Gideon rivolto a Sturgis, l’unico che ancora non aveva avuto modo di stressare sull’espresso. Podmore infatti era un prefetto Corvonero << Immagino saprai già che il capoccia quassù è diventato Caposcuola >>.

Fabian vide Kingsley scuotere la testa al nomignolo datogli dal ragazzo.

<< Già, adesso ci mette tutti in riga come soldatini >> pensò bene di dar manforte al fratello, dal momento che torturare il loro compagno di stanza era la cosa che li faceva più felici.

<< Questa carrozza è vuota >> fece notare Shacklebolt indirizzando il piccolo gruppo ad un veicolo nero ed anonimo quanto gli altri.

<< Avete saputo dell’attacco di quest’estate? >> chiese nel bel mezzo del silenzio Gideon << A quanto pare la ragazza che ha trovato il corpo frequenta Hogwarts, una certa Mearthowes mi pa… >>.

Ad una spallata di Kingsley, Gideon tacque, troppo impegnato a massaggiarsi la spalla contusa e ad inveire mentalmente contro il compagno di stanza per far caso ad altro; Fabian però vide benissimo l’occhiata che passò tra Kingsley e Sturgis. Quest’ultimo, interdetto, si guardò attorno un po’ spaesato.

Un attimo dopo Fabian Prewett vide il viso dell’amico Corvonero incupirsi lievemente, mentre osservava qualcosa alle sue spalle.
 
 

*

 
 
Facevano maledettamente male tutti quei commenti nonostante fosse già passato del tempo dall’avvenire dei fatti.

Il dolore, però, con il passare del tempo era cambiato.

Prima ardente, quasi fossero pezzi di carne invece che di dolore quelli che le venivano strappati via di dosso. Poi, via via, sempre meno bruciante, anche se mai totalmente assente.

Due mesi di lotte interne per una sopravvivenza muta ad un dolore fin troppo pressante, ancora così vicino alla superficie da minacciare di tornare a galla anche solo per poche parole.

<< Dorcas, che piacere rivederti >>.

Solo quando il suo compagno di casa le rivolse la parola lei si accorse di essere al centro dell’attenzione del piccolo gruppetto che prima la precedeva.

Alzò gli occhi per incontrare quelli azzurro cielo di due ragazzi identici, poi quelli verdi di Sturgis e, infine, quelli scuri e caldi di Kingsley Shacklebolt, nuovo Caposcuola di Hogwarts.

<< Il piacere è mio, Sturgis >> rispose educatamente la ragazza, fermandosi davanti al quartetto che, disposto a semicerchio, le ostruiva il passaggio.

<< Come va? >>.

La ragazza scosse automaticamente le spalle, preparandosi a dare la risposta di rito a quelle domande scontate.

<< Bene, grazie >> rispose infatti scuotendo la testa << Mi potreste fare passare? Vorrei arrivare alle carrozze >>.

Il tono apatico della ragazza indusse i quattro a farsi da parte, per far spazio a lei e al suo baule.

<< Meadowes, io… >>.

La frase di Sturgis restò per un attimo appena sospesa nell’aria, troncata bruscamente dall’evidente mancanza di parole –perché non ci sono mai parole, per un dolore così grande, per una pena così grande-.
 
Dorcas si fermò per ascoltare il resto. Sentendo Sturgis esitare, si voltò e alzò sul proprio compagno di casa due occhi un po’ arrossati ma perfettamente asciutti.

<< Si? >> chiese dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato.

<< Mi dispiace, davvero. Condoglianze per il tuo lutto >>.

Dorcas inclinò il capo, giusto per non mostrare quella lacrima che minacciava di scendere.

<< Grazie >> rispose dopo poco, in automatico.

<< Prendi con noi la carrozza? >> la domanda arrivava da Kingsley.

Dorcas scosse il capo prima ancora di capirla appieno.

<< No, grazie, non ce n’è bisogno >> sussurrò.

Quando si voltò di nuovo, coprendosi il volto con una mano per un secondo appena, poté sentire distintamente il suono di uno scappellotto sulla nuca dato con forza, seguito da un lamento rauco.

<< Te l’avevo detto che sei un idiota >> esclamò la voce di uno dei due gemelli rivolto a quello a cui aveva appena tirato la sberla.

In modo del tutto naturale, tanto naturale quanto inaspettato, a Dorcas Meadowes nacque un piccolo sorriso divertito sulle labbra che la portò a voltarsi verso la piccola comitiva.

Vide Sturgis e Kingsley indaffarati a sistemare i bagagli sulla carrozza, uno dei due gemelli massaggiarsi la nuca e il secondo, pensieroso, con lo sguardo fisso su di lei.

 

*

 
 
<< È della tua casa? >> chiese ad un certo punto Gideon Prewett, interrompendo l’accalorata discussione tra Sturgis e suo fratello sulla coppa del Quidditch.

Il prefetto Corvonero, ancora preso dalla conversazione precedente, ci mise qualche secondo a capire che il gemello rivolgeva a lui la propria domanda.

<< Come scusa? >> domandò dopo qualche attimo << Chi? >>.

<< Quella ragazza >> rispose il ragazzo indicando con un cenno del mento la stazione dell’Espresso, ormai piuttosto lontana.

Sturgis parve fare mente locale.

<< Oh, Dorcas? Si, è Corvonero, è di un anno indietro rispetto a noi >>.

Gideon annuì, continuando a scrutare fuori dal finestrino della vettura.

<< Spero che non se la sia presa per i miei commenti >> disse alla fine, cercando un tono disinvolto con cui intavolare una frase del genere.

Sturgis, in risposta, ridacchiò appena, subito incenerito da un’occhiata ammonitrice di Kingsley.

<< Nah, la Meadowes non se la prende mai per nulla >> dichiarò scuotendo una mano come ad accantonare l’idea << Da quando è a Hogwarts avrà detto si e no tre parole, e tutte in risposta a qualche domanda dei professori >>.

<< Non l’avevo mai notata >> intervenne Fabian, incuriosito.

Sturgis replicò quell’accenno di risa che prima si era solo intuito, e anche questa volta venne fulminato da uno sguardo raggelante da parte del caposcuola Grifondoro.

<< Eddai, King, non dirmi che non lo pensi anche tu! >> esclamò alla fine il Corvonero dando una pacca giocosa sulla spalla dell’amico.

<< Non è gentile fare commenti su… >> provò a rispondere questi a tono.

<< …ah, a volte sei proprio noioso >> lo interruppe Sturgis, alzando gli occhi al cielo.

I due gemelli, interdetti, si scambiarono uno sguardo.

<< Cosa…? >>.

<< No, niente, è che penso che nessuno l’abbia mai notata, la Meadowes… escluso Fenwick, ma si sa che quello è strano, Merlino li fa e poi li accoppia >> commentò alla fine il Corvonero, cercando di aggiustare un po’ il tiro, poi, esasperato dalle occhiatacce dell’amico caposcuola  << Cioè, non sarebbe nemmeno una brutta ragazza se si curasse un po’ di più, ma sta sempre un po’ sulle sue, non da confidenza a nessuno… non fa mai nemmeno copiare i compiti! Caradoc mi ha detto che l’anno scorso ha anche rifiutato di andare con lui a Hogsmeade e… cioè, insomma… >>.

<< Ah, beh, certamente se qualcuna non cede al dubbio fascino di un Dearborn sicuramente è matta da legare! >> lo prese in giro Kingsley mettendolo a tacere.

<< Ma che le è successo? >> chiese Fabian rivolto a suo fratello.

Gideon lo guardò con occhi increduli.

<< Ma dico, non hai aperto un giornale per tutta l’estate? >> domandò poi scuotendo la testa << Tu non sei mio fratello, te lo dico io, sei troppo scemo >>.

Fabian storse il naso trattenendosi dal replicare.

<< è successo appena dopo la fine della scuola >> iniziò a spiegare gentilmente Kingsley << Suo padre era solo in casa, a quanto riportava la Gazzetta; lei era uscita, per fortuna. Quando è tornata ha visto il Marchio Nero e… beh, ha scoperto quello che c’era da scoprire, immagino >>.

Nella carrozza scese il silenzio, che si protrasse fino a quando, con uno scossone, la vettura si fermò.
 
La discussione venne abbandonata in favore di argomenti ben più lieti, e fu solo dopo aver assistito allo smistamento e aver partecipato all’abbondante banchetto di inizio anno che, Fabian Prewett, sotto le coperte porpora ricamate d’oro nella torre est del castello, ripensò a quella strana ragazza e a quello sguardo così basso che, a detta di Sturgis, non notava mai nessuno.

E si chiese, al caldo nella sua stanza, tra quelle pareti che l’avevano sempre protetto, quanto ci sarebbe voluto prima che quella guerra che si preannunciava in silenzio mietesse vittime che un giorno sarebbero state chiamate eroi.
 
 
 
 
 
NOTE:
prima puntata di questa storia. A dire la verità, visto che non si conosce praticamente nulla dei gemelli Prewett, di Dorcas, Sturgis, Caradoc e Benjy, ho lavorato un po' di fantasia, e spero che questo non disturbi nessuno. Per quanto riguarda Kingsley, invece, è uno dei miei personaggi preferiti, per cui non potevo non metterlo!
Grazie per le recensioni, spero di risentirvi anche se per ora questa storia è solo all'inizio!
Buona lettura,
Hir



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Capitolo 3
*** 02. Capitolo 2 ***


NOTA DI REVISIONE: Anche questo capitolo è stato betato da highwaytohell_, gentilissima nel prendersi il disturbo di correggere le mie castronerie, che ringrazio tantissimo!
 
 


Capitolo 02

 



 
Dorcas alzò gli occhi su Benjy, lì davanti, chino a leggere sul suo libro di pozioni.
 
In realtà, nessuno dei due sapeva esattamente come fosse successo, come due come loro avessero potuto diventare amici.
 
In realtà, nessuno dei due poteva dire di essere amico dell’altro, o che l’altro fosse suo amico.
 
Era una strana amicizia, la loro.
 
Era iniziata in un’invernale mattinata di domenica, in biblioteca: si erano seduti lo stesso giorno allo stesso tavolo, facendo gli stessi compiti.
 
Lei Corvonero, lui Serpeverde. Erano entrambi al terzo anno.
 
Si erano ignorati per tutto il tempo, lei troppo presa tra quelle parole scritte in una bella grafia obliqua e sinuosa, lui tra quelle lettere in cui la pancia della a era più lunga del trattino e la r assomigliava così tanto ad una n al contrario.
 
Per tutto il tempo non avevano quasi alzato gli occhi, quelli verdi di lei persi tra gli svolazzi della penna, quelli blu di lui socchiusi per mantenere la concentrazione.
 
All’ora di pranzo, lei aveva tirato fuori una mela dalla borsa colma di libri e lui aveva scartato un tovagliolo con, all’interno, un muffin al cioccolato. E avevano continuato ad ignorarsi, continuando a badare ai propri compiti.
 
Erano rimasti così, con davanti un libro aperto, per il resto del pomeriggio, ignari o forse indifferenti allo scorrere del tempo, al lento cammino del sole che, dopo essere arrivato al suo zenit, ridiscendeva il cielo per andarsene un'altra volta.
 
Poi, quando la sera era arrivata con la puntualità di Mrs. Purr ai piedi di un guaio, lei si era alzata, aveva riposto le sue cose nella borsa e si era voltata per andarsene. Solo allora lui aveva alzato i suoi occhi su di lei e l’aveva guardata andare via come si guarda andare via un sogno incomprensibile alle prime luci del mattino.
 
In seguito, era successo ad entrambi di dirigersi allo stesso tavolo, magari in momenti diversi, e, seduti in quella sala, ripensare a quella domenica in cui, complici l’uno del silenzio dell’altra, si erano tenuti compagnia.
 
Qualche volta c’erano entrambi, seduti a quel tavolo, qualche volta ce n’era uno solo, qualche volta non c’era nessuno dei due. Non parlavano mai, ma avevano imparato ormai a convivere in quel metro quadrato ingombro di libri e di inchiostro, a respirare la stessa aria per ore e ore.
 
Benjy Fenwick, in effetti, non era esattamente la persona più loquace di Hogwarts. Il suo essere introverso per natura, pacato di carattere e in generale molto silenzioso lo aveva aiutato a confondersi tra quella marea di studenti che vagava per la scuola. Il suo essere Serpeverde, poi, aveva allontanato le attenzioni indesiderate degli allievi delle altre case facendo si che gli unici contatti veri e propri del ragazzo avvenissero all’interno della Sala Comune, e senza mai troppa confidenza con i suoi interlocutori. Si mostrava gentile, ma era fermo e distante nei commenti, e le persone non sapevano mai quanto potersi spingere oltre, con lui. Così, dopo un po’, avevano smesso di provare a capire quel ragazzo timido e schivo che non mostrava di voler in alcun modo la compagnia di nessuno.
 
Si erano rivolti la parola per la prima volta quando, nel bel mezzo della biblioteca, infrangendo il silenzio, un libro di Benjy era caduto a terra come a voler svegliare il mondo da quell’immobilità inaccettabile. Di riflesso, era stata Dorcas a chinarsi per raccoglierlo, e quando glielo aveva reso con mano ferma si era sentita rispondere un “grazie” appena sussurrato.
 
Lei, con un sorriso asciutto e sincero, aveva risposto un semplice “prego” dall’aria piuttosto dimessa.
 
È incredibile come non si riesca, durante la propria vita, a indicare i punti di svolta se non molto tempo dopo averli vissuti. In quel momento, una conversazione durata due parole segnò il punto di svolta di quell’amicizia dall’aria così strana.
 
La domenica successiva, allo stesso tavolo, Dorcas Meadowes aveva tirato fuori, per pranzo, due mele verdi e Benjy Fenwick, in risposta, aveva scartato un tovagliolo contenente due muffin.
 
Era l’aprile del loro terzo anno, quando avevano diviso un pranzo e alcune parole appena accennate, domande di cortesia alle quali avevano fatto seguito talvolta sorrisi talvolta sospiri.
 
Nei successivi giorni, poi diventati mesi, e ormai anni, il loro rapporto era cambiato rimanendo però quasi esattamente lo stesso. Era questo, di tutto quello che avevano in quella scuola, che piaceva tanto ai due ragazzi: stavano vicini anche senza parlare perché, si sa, le cose migliori si gustano in silenzio; si scambiavano i libri, se Dorcas portava Erbologia Benjy portava Pozioni, evitandosi l’un l’altro atroci mal di spalle e torcicollo insensati.
 
Al passaggio di stormi di ragazzine ridacchianti Benjy replicava con un sospiro, quando incrociavano qualche ragazzo intento a svolgere magie al di sopra della propria portata per farsi bello agli occhi di qualcuna Dorcas scuoteva appena il capo.
 
Passavano gran parte del tempo in silenzio, ma alla fine Benjy sapeva esattamente la storia di Dorcas, della sua famiglia Babbana, della madre che se n’era andata disgustata all’idea di avere un mostro come figlia e del padre scrittore che la ragazza tanto adorava. Sapeva che Dorcas non faceva  ricadere su sua madre le colpe derivanti dall’aver abbandonato una figlia “speciale”, sapeva che aveva imparato a soffrire in silenzio e che, qualche volta, ancora ripensava senza rancore a quella donna.
 
E Dorcas, Dorcas sapeva esattamente la storia della famiglia purosangue di Fenwick, conosceva i tratti regolari e antichi che si ripresentavano in ogni nuova generazione e conosceva anche quelle idee un po’ particolari che stavano iniziando a prendere piede tra la classe più alta del mondo della magia, quelle idee che la vedevano come un abominio da eliminare o, alla meglio, evitare come la peste. E sapeva che Benjy non le condivideva affatto.
 
Per cui, con una storia un po’ strana alle spalle, quest’amicizia si era fatta strada tra i corridoi di Hogwarts aumentando le voci, tra quei pochi individui che avevano notato Dorcas Meadowes o Benjy Fenwick, secondo cui i due ragazzi fossero ormai una coppia consolidata. Nessuno dei due si prese mai la briga di smentirla, sapendo fin troppo bene quanto il suono dimesso della loro voce fosse ben poco udibile tra i toni starnazzanti dei pettegoli e delle comari della scuola.
 
Due anni e mezzo dopo quel pasto condiviso in biblioteca, quindi, Dorcas Meadowes alzò gli occhi su Benjy Fenwick, chino a leggere sul suo libro di pozioni.
 

*
 

 
<< E poi alla fine ho deciso che forse è meglio spostare gli allenamenti della squadra il martedì all’una e mezza invece che alle due così non… >>
 
<< Non puoi spostare gli allenamenti all’una e mezza, Dearborn, le lezioni finiscono all’una! >> si lamentò una voce esasperata in risposta alla prima, saccente.
 
<< Ritieniti fortunato, Stur, che io non li abbia fissati per l’una e un quarto, ti lascio addirittura il tempo di pranzare con un panino se… >>
 
<< Oh come sei magnanimo, signor Capitano, davvero non credo di meritarlo! >>.
 
<< Podmore, Dearborn, tacete un po’, questa è una biblioteca, non la vostra Sala Comune >> li rimbrottò la bibliotecaria, un’arcigna donna dalla vocetta querula.
 
<< E poi li ho prolungati fino alle sei e mezza perché a quanto pare…>> continuò indisturbato il primo << Il capitano Serpeverde è in infermeria a causa di un’indigestione, hanno preso l’idiota nelle cucine ad abbuffarsi di marshmallow e… >>
 
<< Dall’una e mezza alle sei e mezza in sella alla scopa? >> esclamò sempre più esagitato il Prefetto Corvonero.
 
<< Certo, non possiamo fare di più perché poi domani sera ho appuntamento con Mandy di Tassorosso, perciò prima mi devo preparare >>.
 
I due presero ad aggirarsi per la biblioteca dedicando a malapena uno sguardo agli studenti attorno intenti a studiare. Scartarono con decisione il reparto “Storia antica dei Goblin” e dedicarono una smorfia buffa a “L’erbologia del medio ed estremo oriente”. Alla fine si fermarono vicino a quello “pozioni A-N”, continuando a parlottare tra loro anche se più a bassa voce.
 
<< Prendi quello…>> sussurrò Caradoc Dearborn rivolto all’amico << E quello lì, anche quello potrebbe essere utile e mi pare… si, anche lì c’è qualcosa che ci potrà aiutare, mi pare di averlo già sfogliato. No, quello no, è troppo prolisso e di parte per poter essere affidabile e… >>
 
<< Di parte? >> chiese Podmore storcendo le labbra << Come si può essere di parte in un libro di Pozioni? >>.
 
<< Dettagli >> scosse la testa in risposta l’amico.
 
Il Prefetto Corvonero scosse la testa con fare esasperato, prendendo tra le mani tutti i libri che l’amico si degnava d’indicargli, senza tra l’altro muovere un muscolo per aiutarlo.
 
<< Senti un po’, com’è la storia di questa Mandy? >> gli chiese dopo qualche attimo di silenzio, curioso come solo Podmore sapeva essere.
 
<< Oh, beh, io ero lì, lei era lì… >> mormorò Dearborn sventolando una mano con occhi socchiusi per la concentrazione.
 
<< Insomma, eravate lì >> concluse per lui il Prefetto.
 
L’amico sorrise felice che Sturgis avesse capito, e gli tirò una manata sulla spalla che per poco non gli fece rivoltare l’intero scaffale di libri.
 
<< Ne sono certo, lei è quella giusta! >> esclamò alla fine Caradoc Dearborn con un sorriso da orecchio ad orecchio.
 
Fu allora che, non per la prima volta da che si conoscevano, Sturgis Podmore alzò gli occhi al cielo e si mise a pregare.
 

*


 
Succedeva più o meno ogni due settimane:
quando Caradoc Dearborn si innamorava Sturgis annotava nome, casa e data di nascita della fortunella tenendo così una lista completa di quelle giuste.
La lista contava, ormai, più di quaranta giovini donzelle che, per un motivo o per l’altro, non è che fossero diventate quelle sbagliate, ma non si sa perché o per come non erano più quelle giuste.
 
Che poi, conoscendo Caradoc, le ragazze si innamoravano del fisico atletico e del famoso “ciuffo alla Dearborn” quanto dei grandi occhi ambrati e innocenti come quelli di un bambino. E per quanto in giro per Hogwarts volasse la voce che Dearborn fosse un bastardo vanesio a cui non fregava nulla delle ragazze cui rivolgeva le sue attenzioni, la realtà era ben diversa, e Sturgis la conosceva fin troppo bene.
 
Succedeva più o meno ogni due settimane:
quando Caradoc Dearborn si innamorava non ce n’era più per nessuno, e sicuramente non ce n’era più per Sturgis Podmore.
 

*


Benjy alzò gli occhi dal proprio tomo per poter osservare serenamente il profilo nitido di Dorcas.
 
-hai per caso…-
 
-Meadowes, che piacere incrociarti qui- esclamò una voce poco lontana da loro, proveniente dal reparto di Pozioni –ti cerco da due o tre giorni, ma non mi è capitato di vederti in giro-.
 
Benjy aveva avuto modo di incrociare Sturgis Podmore e Caradoc Dearborn per quasi sei anni, ad Hogwarts. Il primo, poté notare con facilità, era seppellito sotto ad una montagna di libri di varie forme e dimensioni riguardanti pozioni che ancora loro non avevano studiato, essendo un anno indietro, il secondo seguiva invece l’amico.
 
Vide Dorcas rivolgere al Prefetto Corvonero uno sguardo che molti avrebbero giudicato distaccato. Anzi, tutti. Lui, invece, che conosceva bene l’amica e sapeva da una semplice occhiata tirare le somme sull’umore della ragazza, vide dipinti in quello sguardo una discreta dose di curiosità e di interessamento, misti al sordo dolore che ormai pareva accompagnare Dorcas Meadowes in ogni suo passo.
 
<< Posso sapere cosa…? >>.
 
La voce roca ma sicura della ragazza venne interrotta da un chiacchiericcio decisamente fuori luogo all’ingresso della biblioteca.
 
<< Gid, cosa…? >>.
<< Non è terribile come pensavo… >>
<< …Credevo fosse più buia… >>
<< …Si, e guarda l’assistente bibliotecaria, King, non ci avevi detto che era così carina! >>
<< Volete stare un po’ zitti? >>.
 
Due voci identiche inframmezzate di quando in quando da una più profonda e posata si fecero largo nella stanza. L’assistente bibliotecaria in questione, Barbra Terency, arrossì come un pomodoro con un sorriso compiaciuto a decorarle le labbra, mentre uno dei due gemelli, Gideon Prewett, le riservava uno sguardo esaltato.
 
<< E voi tre che ci fate qui? >> chiese Dearborn arricciando il naso in modo buffo << Non avevate gli allenamenti? Ci avete fregato il campo, razza di… >>
 
<< Che peccato, davvero una tragedia >> lo interruppe Podmore alzando gli occhi al cielo << Non potersi allenare anche oggi pomeriggio, avendolo già fatto stamattina, è proprio un terribile… >>.
 
<< Podmore, voli da schifo e sei pure antipatico, mi dici per quale assurdo motivo dovrei tenerti nella squadra? >> lo rimbeccò Dearborn.
 
<< Perché senza di me negli ultimi quattro anno i Tassorosso ti avrebbero mangiato in testa, signor capitano >> gli rispose a tono l’amico.
 
<< Abbiamo finito l’allenamento prima e ci eravamo chiesti dove foste finiti >> rispose allora Kingsley alla precedente domanda di Caradoc << Avevo pensato foste venuti in biblioteca per la ricerca di Lumacorno sugli influssi della luna nelle pozioni e… >>
 
<< E così ci ha trascinato qui per la prima volta in vita nostra >> terminò per lui uno dei due fratelli Prewett.
 
Benjy vide Dorcas trattenere un sorriso. Anche lì, nessuno se ne era accorto. Solo lui, e solo perché la conosceva meglio di quanto lei stessa non supponesse.
 
Vide l’amica alzarsi, chiudere con delicatezza un libro di Erbologia alto almeno dieci centimetri prestando particolare attenzione ai vari esemplari di pianta che la ragazza aveva l’abitudine di pressare tra le sue pagine, per poi riporlo nella borsa con molta accuratezza.
 
<< Sturgis, stavi dicendo? >> chiese ancora la Corvonero mettendo la borsa a tracolla e richiamando su di se un’attenzione che avrebbe preferito lasciare ad altri.
 
I ragazzi si interruppero per lanciarle occhiate chi diffidenti –Dearborn- chi curiose –i gemelli- chi palesemente preoccupate –Kingsley Shacklebolt-.
 
<< Dorcas, come stai? >> le chiese quest’ultimo, rivolgendole lo stesso sguardo un po’ impensierito e un po’ curioso che si rivolge ad un animale selvatico che si incrocia nel bosco. Come a volerle arrivare più vicino, senza però spaventarla.
 
Benjy vide un’ombra passare negli occhi dell’amica. Si accorse, con la stessa velocità con cui si accorgeva di tutto, che quell’improvviso incupirsi era stato notato anche dagli altri. Si trattenne dall’alzare lo sguardo al cielo, pensando al particolare modo di affrontare il dolore che aveva l’amica: se non ne parlavi, nulla di tutto quello che era accaduto compariva nel suo sguardo. L’accenno di dolore si vedeva solo quando, qualcuno, si disturbava a portarlo a galla. Quello che si chiedeva, Benjy Fenwick, era quanto la ragazza potesse resistere senza scoppiare. Quanto questo dolore la stesse logorando dall’interno.
 
<< Meglio, grazie >>.
 
Dal tono, il Serpeverde capì che la risposta era stata istantanea. Dorcas si era assuefatta talmente tanto, ormai, alla solitudine, da non voler nemmeno dare un’occhiata fuori da quel guscio protettivo che si era costruita attorno.
 
<< Prima che arrivaste voi buzzurri ad interrompermi, comunque >> riprese Sturgis gesticolando ampiamente in direzione dei suoi amici, ossia i buzzurri in questione << Stavo parlando a Dorcas di una cosa importante. Ho letto in bacheca che sei interessata al Club dei Duellanti e… >>.
 
Il ragazzo si interruppe quando Benjy Fenwick diede in un lungo sospiro. Dorcas non fece nemmeno cenno di averlo notato e, quando il Serpeverde si alzò dalla sedia per riporre le proprie cose, non gli rivolse lo sguardo.
 
-devo andare, è tardi e sta per scattare il coprifuoco. È stato un piacere incontrarvi- si congedò educatamente Benjy con un cenno del capo prima di uscire.
 
Alle sue spalle, tra il gruppo di ragazzi, Caradoc Dearborn e i due gemelli storsero appena il naso in una smorfia.
 
<< Serpeverde! >> mormorò uno dei due.
 
Dorcas rivolse a quello che aveva parlato un lungo sguardo inquisitore, di quelli che non rivolgeva quasi mai, attento e leggermente infastidito, un po’ altezzoso.
 
<< Si, Serpeverde >> mormorò alla fine la ragazza senza particolari enfasi, rivolgendosi poi a Sturgis << Dicevi? >>.
 
<< Per il Club, giusto! Dicevo che quest’anno abbiamo deciso di suddividere il Club in tre gruppi, i principianti, i capaci e gli esperti, così da inoltrarci un po’ di più nelle tecniche. Ora, tu non hai mai fatto parte del Club ma a sentire Vitious si direbbe che… >>.
 
<< Me la cavo, negli incantesimi >> assentì la ragazza senza un minimo di presunzione. Era semplicemente un dato di fatto, la constatazione di qualcosa che non poteva che essere così.
 
Sturgis le rivolse un lungo sguardo.
 
<< Lui mi ha consigliato di includerti negli esperti, in realtà >> disse alla fine, esitando un attimo << Tuttavia non saprei come… >>
 
<< Dimmi quand’è lo smistamento nei tre gruppi, Podmore >> concluse Dorcas al suo posto, con un’espressione tirata in viso. Se da una parte il fatto che le persone non avessero abbastanza confidenza con lei da poterle parlare con famigliarità le andava bene e, anzi, le forniva un vantaggio, dall’altra le faceva perdere un mucchio di tempo.
 
<< Mercoledì prossimo alle tre, nella sala degli insegnanti >>.
 
Dorcas annuì, come sovrappensiero, poi chiuse la borsa con uno scatto e si diresse alla porta con un cenno di saluto.
 
<< Meadowes >> la interruppe la voce del caposcuola Shacklebolt, inducendola a voltarsi.
 
<< Si? >>.
 
Guardandolo, si accorse di una nota profonda e triste in fondo a quegli occhi scuri e rassicuranti. Vicino a lui, la figura slanciata di uno dei due gemelli –Dorcas era sicura fosse Fabian- incrociò le braccia all’altezza del petto.
 
<< La vendetta è un piatto avvelenato >> mormorò alla fine il ragazzo più grande, stupendo tutti i presenti.
 
La ragazza scosse le spalle e le raddrizzò, quasi avesse un peso eccessivo addosso e non volesse mostrarlo.
 
<< Meglio >> mormorò guardandolo negli occhi e poi voltandosi, per nascondere uno sguardo vitreo a quel gruppo di persone che nulla aveva da spartire con lei << Magari tutto finirà più in fretta >>.
 




NOTE:

purtroppo la mia chiavetta internet è diventata allergica al mio computer, quindi non ho più spesso la connessione disponibile. Mi scuso quindi di tutto il tempo che vi faccio aspettare tra un aggiornamento e l'altro sia di questa che dell'altra mia storia, L'amore ai tempi del caos =)
Spero che il capitolo vi piaccia,
buona lettura
Hir


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Capitolo 4
*** 03. Capitolo 3 ***


NOTE DI REVISIONE: questo capitolo è stato betato da Higwaytohell_ a cui va un grazie particolare
 


Capitolo 03




<< Adesso capisco perché non siamo diventati Corvonero >> commentò Fabian sconfitto.
 
Da diversi minuti, in compagnia del fratello e del Caposcuola Shacklebolt, era bloccato davanti all’ingresso alla Sala Comune di Corvonero, intento a risolvere l’indovinello del battente a forma di corvo.
 
<< Come sono presuntuosi, non potevano avere una parola d’ordine come tutti gli altri? Sono proprio come Caradoc, vogliono farti pesare il fatto di essere più intelligenti di te >>.
 
Anche Kingsley rise della frase afflitta di Gideon, che incrociò piuttosto irritato le braccia al petto. Il Caposcuola Grifondoro si sporse per tornare a picchiare il battente alla porta nera.
 
<< Dove finiscono i Corvonero quando servono? >> domandò scocciato Fabian.
 

 
Con esse puoi scrivere e toccare,
dipinger, far di conto e la lana filare.
Con le piume della seconda puoi un cuscino imbottire
Per poter tranquillamente riposare.
Delle mie origini ti puoi nutrire
E nelle mie foglie un profumo esotico inspirare,
or che ti ho aiutato a capire
puoi forse il mio nome enunciare?

 
<< Ci tengo a precisare >> dichiarò sconfitto Fabian con tono saputo verso il battente << Che oggi ho scoperto cosa vuol dire odiare, e quindi per me in un certo posto te ne puoi anche andare, a farti… >>
 
<< Fabian, ti prego, risparmiaci! >> lo interruppe la voce di Kingsley, che dal sorriso in viso stava evidentemente trattenendo una risata.
 
<< Quel maledetto corvo è… >> sbottò irritato rivolto al battente << Maledetto, io…! >>
 
<< Posso aiutarvi? >>.
 
La voce gentile di Dorcas Meadowes li sorprese facendoli sussultare. La ragazza li osservava appoggiata ad una colonna del corridoio, le braccia morbidamente adagiate lungo i fianchi e i capelli lunghi lasciati liberi a cadere sulle spalle e oltre la schiena.
 
<< Dorcas >> la salutò Kingsley con un cenno del capo educato << Sai se Caradoc e Sturgis sono in sala comune? >>.
 
Dorcas si prese qualche secondo per lasciar vagare lo sguardo dal Caposcuola ai suoi fidi compari, prima di scuotere la testa.
 
<< Podmore e la Jones erano in biblioteca, ma non ho visto Dearborn, quindi probabilmente è in sala comune >> disse la Corvonero muovendo qualche passo verso la porta e indicando il battente << Posso? >>.
 
I ragazzi si fecero da parte ben volentieri, senza risparmiare un’occhiata scocciata al corvo.

 
 Con esse puoi scrivere e toccare,
dipinger, far di conto e la lana filare.
Con le piume della seconda puoi un cuscino imbottire
Per poter tranquillamente riposare.
Delle mie origini ti puoi nutrire
E nelle mie foglie un profumo esotico inspirare,
or che ti ho aiutato a capire
puoi forse il mio nome enunciare?
 
 
Le labbra di Dorcas si mossero immediatamente, formulando quella risposta che i ragazzi avevano faticato così tanto a cercare.
 
<< Manioca >> mormorò la ragazza in risposta al battente, sorridendo gentilmente in direzione del corvo quando lo sentì gracchiare un “ottima risposta”.
 
I ragazzi, stupiti, osservarono l’anta scura aprirsi e rivelare la luminosa sala comune di Corvonero, il soffitto stellato rischiarato dalla calda luce dell’ultimo sole estivo che penetrava dalle grandi vetrate affacciate sulle montagne.
 
<< Come… manioca? >> balbettò Gideon incuriosito << Come sei riuscita a capirlo? >>.
 
La ragazza si volse con un espressione seria in volto, sollevando lo sguardo e fissandolo negli occhi ora di uno, ora dell’altro gemello.
 
<< è una sciarada >> rispose dopo un attimo di esitazione << Analizzando separatamente i versi e le frasi dell’indovinello si riesce ad estrapolare alcune parole che, messe insieme, formano la risposta >>.
 
L’espressione curiosa prima dipinta solamente sul viso di un fratello, contagiò velocemente anche Fabian e Kingsley, che dischiuse le labbra leggermente interdetto.
 
<< E tu sei arrivata a “manioca” perché… >>
 
Dorcas sorrise gentilmente, tenendo comunque la porta aperta in modo da far passare con lei anche gli altri tre.
 
<< Con esse puoi scrivere e toccare, dipinger, far di conto e la lana filare, sono le mani, ovviamente >> commentò voltandosi verso le finestre e guardando le montagne << Con le piume della seconda puoi un cuscino imbottire, per poter comodamente riposare. Con la seconda ci si riferisce alla seconda parte della risposta, ossia l’oca. Gli ultimi quattro versi si riferiscono alla risposta in generale. La manioca è una pianta che cresce nei paesi tropicali, ci si nutre delle radici, ossia delle origini, e il profumo esotico si riferisce ai paesi lontani da cui questa pianta proviene. Risposta, manioca >>.
 
La risposta di Dorcas lasciò i ragazzi definitivamente a bocca aperta. Capire che quella ragazza, ad un primo sguardo così poco particolare, nascondesse una mente tanto brillante era qualcosa di assolutamente inaspettato.
 
Kingsley Shacklebolt, Gideon Prewett e suo fratello Fabian non avevano mai nemmeno immaginato quanto quella ragazza sapesse destreggiarsi con le parole, abilità che, loro non sapevano, aveva ereditato dal padre. Non avevano idea, quei tre impavidi Grifondoro, di tutte le pagine scritte in una minuscola grafia obliqua ed elegante a cui la ragazza aveva confidato la propria vita, sera dopo sera, lettera dopo lettera, fino a perdersi in racconti inventati eppure terribilmente veri, che erano scaturiti dalla sua penna e dalla sua mente.
 
<< Dearborn è lì, vicino alla libreria dalla finestra >> li riscosse lei indicando il ragazzo in questione, seduto su uno dei comodi divani blu notte. Poi, con un lieve cenno del capo e lo sguardo nuovamente basso, si allontanò senza dire altro.
 
<< Ah, i Corvonero sono troppo intelligenti >> esclamò storcendo il naso Gideon Prewett, semi disgustato, prima di fiondarsi su un Caradoc Dearborn decisamente infastidito all’idea di avere tre piccioni in sala comune.
 

 
*
 

<< Sai che non sono d’accordo, Dor >> mormorò in risposta all’occhiata dell’amica il giovane Serpeverde, puntando il proprio sguardo sul baccello verde e grosso tra le sue mani, nella serra di Erbologia.
 
<< Non ti ho mai chiesto se sei d’accordo, Ben. Ti ho chiesto se mi accompagnerai >>.
 
Se Benjy Fenwick fosse stato qualsiasi altra persona, Dorcas ci si sarebbe giocata una mano, avrebbe sbuffato e alzato gli occhi al cielo, per poi scuotere la testa con aria rassegnata. Cioè, non che Dorcas avesse tutta quest’esperienza in fatto di persone, ma in genere questo era quello che succedeva nei racconti che tanto le piaceva leggere, e di riflesso anche in quelli che tanto le piaceva scrivere.
 
Invece Benjy non fece nulla di tutto questo. Non alzò gli occhi al cielo, non sbuffò o scosse la testa con aria rassegnata. Perché Benjy era Benjy, e fosse anche crollato il cielo, quello non sarebbe mai cambiato. Fenwick, invece di sbuffare, alzare gli occhi al cielo o scuotere la testa con aria rassegnata, alzò lo sguardo per puntarlo in quello dell’amica.
 
<< Sai che lo farò >> rispose solamente, prima di porgere alla Meadowes il proprio coltello con la lama d’argento per schiacciare i baccelli. La ragazza, guardandosi attorno leggermente spaesata, si accorse di aver dimenticato il suo in dormitorio. Sorrise appena, di un sorriso tutto particolare, pensando a come Benjy fosse sempre due passi davanti a lei.
 

 
*
 

Benjy Fenwick non era stato per nulla soddisfatto nel constatare lo stupido modo in cui l’amica aveva deciso di sfogare il proprio dolore. Aveva validi motivi, per non esserne soddisfatto.
 
Per prima cosa, non voleva dover accompagnare l’amica in infermeria ogni settimana dopo ogni singolo incontro con il Club, con braccia o gambe tutte rotte, e magari anche qualche costola incrinata. Non perché avesse qualcosa contro l’infermeria, assolutamente, il problema era più collegato a Dorcas, in infermeria, che non all’infermeria o all’infermiera stessa. Benché fosse assolutamente a conoscenza delle capacità un poco fuori del normale della sua migliore nonché unica amica, era a conoscenza anche dell’insindacabile mancanza di coscienza dei ragazzi più grandi di lei, soprattutto Serpeverde, che non si sarebbero fatti alcun problema nel falciarla nonostante fosse una donna e fosse più piccola.
 
In secondo luogo, odiava assistere impotente ogni qualvolta Dorcas veniva presa di mira da qualcuno. Soprattutto dai suoi compagni, Dolohov in primis, che non si faceva mai sfuggire occasione di insultarla e sbeffeggiarla davanti a tutti, essendo Dolohov un Purosangue.
 
Per ultima cosa, ma non certo per importanza, il ragazzo voleva assolutamente che Dorcas restasse nell’ombra.
 
Lui non era un Grifondoro, impavido e coraggioso, ma sapeva voler bene quanto e più di loro. E Dorcas era l’unica persona, l’unica anima solitaria –forse sulla faccia della terra, ma sicuramente in tutta Hogwarts- su cui si era permesso di riversare tutto il suo affetto e la sua attenzione. Non come avrebbero fatto tutti gli altri ragazzi della scuola con una ragazza. Più come una sorella, a dire la verità, come qualcosa di incredibilmente prezioso da tenere al sicuro. Ed era questo, quello che voleva fare: tenerla al sicuro. Durante l’estate aveva visto più volte il nome Meadowes comparire sulle testate dei giornali, non solo della Gazzetta del Profeta o del settimanale delle streghe, ed ogni volta una stilla di rabbia gli era nata nel cuore, pura come il miglior Distillato della Morte Vivente. Ognuno di quei giornalisti, ogni singola persona, aveva contribuito a mantenere la sua migliore amica al centro del mirino. Scampata una volta ad un assalto in casa sua, di cui l’unica vittima era risultato essere il padre, Benjy temeva che non sarebbe stata così fortunata da sfuggire una seconda volta a quella guerra che stava nascendo dalle ceneri di un odio razziale decisamente fuori luogo, ma pur sempre pericoloso.
 
Benjy non era un Grifondoro, era un Serpeverde. Non era coraggioso, non era impavido. Era spaventato, però, dall’eventualità che all’unica persona –forse sulla faccia della terra, ma sicuramente in tutta Hogwarts- a cui avesse mai tenuto veramente, capitasse qualcosa di irreversibile. Non lo avrebbe sopportato. E sapeva che sfidare fuori dai denti persone come Dolohov, che se ancora non erano “mangiamorte” poco ci mancava, era uno dei modi migliori per catalizzare l’attenzione di tutti su di lei.
 
Benjy Fenwick non era uno stupido, e aveva provato a parlarne a Dorcas in un modo tutto loro, come avevano imparato a fare in quegli anni di particolare amicizia. Ovviamente, non era servito a nulla.
 
Per questo motivo il Serpeverde aveva deciso di tentare il tutto per tutto, ingoiando l’irritazione causata dall’avere un’amica tanto testarda e dal doversi rivolgere, senza possibilità di fuga, alle persone che meno sopportava in tutta Hogwarts.
 
<< Podmore, Shacklebolt >> li richiamò quindi quando, finita un’amichevole a Quidditch in uno degli ultimi dorati pomeriggi estivi, il gruppetto di amici e quei due in primo luogo erano scesi dalle scope con l’intento di dirigersi a cena.
 
Il gruppetto del settimo era formato, niente popò di meno, che da cinque dei più irritanti personaggi di Hogwarts.
 
In prima fila i due gemelli Prewett lo guardavano ad occhi spalancati lanciandosi occhiate stupite e sdegnate a vicenda. Il capo della combricola, Kingsley Shacklebolt, con quella sua flemma tanto particolare e quel seccante sorriso calmo in viso, si era fermato colto dallo stupore solo poco dietro ai due fratelli. Per ultimi, c’erano Sturgis Podmore e la sua simpatia particolarmente snervante insieme a Caradoc Dearborn e il suo ego gigantesco. Insomma, la patria dei bellocci era proprio tutta lì, mancavano solo la Jones con quel suo sorrisetto da primadonna e quei due imbranati dei Bones, Tassorosso.
 
I cinque, esclusa qualche occhiata lievemente disgustata verso il Serpeverde, parevano tranquillamente rilassati, tanto da tenersi i propri commenti sulla sua casa per loro.
 
<< Fenwick >> rispose con un sorriso calmo il Caposcuola Grifondoro, seguito da un cenno del capo del Prefetto Corvonero suo amico. Sturgis Podmore era l’unico di quella combriccola che Benjy non trovasse poi così irritante.
 
<< Vi occupate voi del Club dei duellanti, mi è sembrato di capire >> buttò lì Fenwick, serio e composto come sempre.
 
<< Me ne occupo io >> rispose Sturgis con uno sguardo a metà tra l’incuriosito e il soddisfatto. Aveva scritta a chiare lettere in fronte tutta la soddisfazione per il ruolo a lui assegnato. Benjy vide i gemelli scambiarsi un’occhiata divertita, e Dearborn sogghignare non troppo velatamente << Perché? >>.
 
<< Si tratta di Dorcas. Se te ne occupi tu, ti prego di escluderla dal Club >>.
 
Se i cinque ragazzi si erano dimostrati stupiti dall’essere avvicinati da un Serpeverde –da quel Serpeverde più di tutti- lo stupore non potè che aumentare davanti a quella che, a tutti gli effetti, pareva una preghiera.
 
<< Emh, io… emh >> Sturgis, avendo amici come Caradoc Dearborn, credeva di averle già viste tutte, ma evidentemente questa gli mancava << Non capisco perché… >>
 
<< Non credo che si possa fare, Benjy >> si intromise Kingsley, vedendo l’amico a corto di parole. Si volse quindi verso il Serpeverde, un sorriso gentile appena accennato e, negli occhi, la consapevolezza di cosa esattamente spingesse il ragazzo a fare una richiesta, se non una preghiera, del genere << Anche se potrei essere d’accordo con te, non sarebbe corretto da parte nostra impedire a Dorcas di partecipare >>
 
<< Ah, correttezza, lealtà! >> lo interruppe agitatamente il Serpeverde scuotendo la testa  << è tutto così pateticamente Grifondoro, per voi?>>.
 
Quella reazione così veemente fu così poco da Benjy Fenwick che i ragazzi impiegarono qualche istante a rispondere, sbigottiti.
 
<< Fenwick, se per te è così importante che la Meadowes non partecipi al Club, perché non ne discuti con lei? >>
 
Benjy tornò ad essere mortalmente serio, qualsiasi traccia di irritazione e scocciatura scomparve dal suo volto.
 
<< Non vuole ascoltarmi >> ammise controvoglia << Perlomeno, non farla entrare nel gruppo esperti >>.
 
Benché nessuno dei cinque conoscesse così bene Benjy Fenwick, tutti i ragazzi intuirono la frustrazione dietro a quelle parole dette con tono depresso.
 
<< Magari lei vuole soltanto… >> tentò Podmore.
 
<< Lei vuole soltanto un motivo per  umiliare davanti a quante più persone possibili Dolohov e la sua banda, ma loro non sono come voi, quando li batterà… >>.
 
<< Senti, Fenwick, non vedo dove sia tutto questo problema. Secondo King e, a quanto pare, secondo te, la Meadowes è in cerca di una vendetta che, comunque, non troverebbe nel Club dei duellanti. Insomma, lei è un sesto anno Corvonero, e, onestamente, Dolohov è un settimo anno Serpeverde, se permetti non so quanto possa sperare di batterlo o umiliarlo. Non che questo mi piaccia, ma… >> lo interruppe un Fabian Prewett con tanto di sorriso canzonatorio.
 
Benjy Fenwick non si arrabbiava mai con grande furia, così come non mostrava mai una passione incontenibile. Più semplicemente, si raffreddava fino a raggiungere la temperatura di una nottata invernale scozzese, e perfino gli occhi blu diventavano gelidi come pezzi di ghiaccio. Fu quello che successe in quel momento quando, con un sorriso derisorio, Benjy Fenwick puntò il suo sguardo in quello più sereno di Fabian Prewett.
 
<< Sai, Prewett, io conosco Dorcas Meadowes molto meglio di quanto tu conosca il tuo stesso fratello, e puoi credermi se ti dico che, se i tuoi amici permetteranno a Dorcas di partecipare al Club, lei batterà Dolohov o chi per lui. Perfino te, se ti ci metterai >>.
 
Nessuno, guardando la posa sicura di Fenwick, si sentì di mettere in discussione le sue parole.
 
<< Non ho mai visto la Meadowes come una creatura tanto agguerrita >> rispose dopo un po’ Gideon Prewett, forse in un maldestro tentativo di spalleggiare il fratello.
 
<< Tu non hai mai visto la Meadowes, Prewett >> gli concesse Benjy con un sorriso che tutto era fuorché amichevole.
 
<< Comunque, se come dici Dorcas batterà Dolohov o uno della sua banda, tutto si sistemerà, allora >> fece Dearborn ragionevole.
 
A Benjamin occorse tutto l’autocontrollo che possedeva per non storcere il naso.
 
<< In effetti, i Serpeverde sono famosi per lasciare impunita un’umiliazione >> rispose a tono.
 
<< Tu temi non tanto quello che le potrebbe succedere durante le riunioni del club, allora >> capì Kingsley incrociando le braccia al petto.
 
<< Faccia a faccia con uno studente avversario, Dor ha tutte le carte in regola per fargli mangiare la polvere. Ma, suvvia, passate la vostra vita a prendervela con noi Serpeverde per la vigliaccheria e la slealtà che dimostriamo, e adesso vi devo spiegare cosa accadrebbe magari in un corridoio, o nel parco, o nella strada per Hogsmeade?- ribatté alla fine mostrando un lieve fastidio –non è un mistero che fuori di qua, Dolohov miri ad unirsi alla causa di Riddle*. Non avrebbe il minimo scrupolo ad attaccarla alle spalle con qualche maledizione, soprattutto visto il suo stato di nata babbana. E io non posso seguirla ovunque, facendolo insulterei l’intelligenza di Dorcas e, comunque, me lo impedirebbe-.
 
Fu quello, più che qualsiasi altra cosa, che convinse Kingsley Shacklebolt che Serpeverde non voleva dire per forza nemico. Il tono assolutamente innocuo, per non dire benevolo, con cui un Purosangue Serpeverde come Benjy Fenwick disse le parole “Nata Babbana”. Non sanguesporco, non mezzosangue. Nata babbana, un termine che, nonostante la modernità dei tempi, la maggior parte dei maghi faticava ad inserire nel proprio vocabolario.
 
Il Caposcuola sorrise preso da una sincera simpatia.
 
<< Ascoltami, Benjy, hai assolutamente ragione >> gli disse poi annuendo << Ma questo non cambia che non si può proibire a Dorcas di partecipare. Non sarebbe giusto, anche facendo così insulteresti la sua intelligenza. L’unico modo è starle vicini, e sperare che sia abbastanza >>.
 
Fu nel momento in cui Benjy incontrò gli occhi di Kingsley Shacklebolt che il Serpeverde decise che forse, e solo forse, almeno il capo del gruppo dei bellocci poteva essere degno di stima. Nonostante tutto, sembrava avere a cuore veramente il bene di Dorcas.
 

 
*
 
 
<< Vi ringrazio per essere venuti tutti qui, voi interessati al Club dei Duellanti >> dichiarò Sturgis Podmore in qualità di Prefetto-Ufficialmente-Intortato-Sul-Club-Dei-Duellanti, nomina che gli era stata gentilmente assegnata da Kingsley Shacklebolt.
 
Quest’ultimo poteva anche sembrare ad una prima occhiata uno di quei ragazzi tutti posati e puntigliosi, sempre entusiasti di assumersi incarichi di comando, ma in realtà poco aveva voglia, durante l’anno dei M.A.G.O., di passare le proprie giornate a discutere con studentelli attaccabrighe contestatori dell’arbitro; aveva quindi sbolognato, in qualità di Caposcuola, il compito a qualcun altro. Sturgis Podmore, per l’appunto.
 
Nella sala degli insegnanti una piccola folla di circa venticinque persone attendeva carica d’aspettativa lo svolgersi degli eventi, seminata alla rinfusa attorno alla pedana da duello, montata per l’occasione dai Prefetti e dai Caposcuola.
 
<< Come abbiamo già provveduto ad informarvi, io e i Prefetti delle vostre case, quest’anno abbiamo deciso di provare a separare in tre diversi gruppi tutti i partecipanti al Club. Per il primo anno è obbligatoria l’adesione al gruppo “principianti”, il secondo e il terzo anno possono invece provare la selezione per il gruppo “capaci”. Dal quarto anno in su, si può provare ad entrare nel gruppo degli esperti. Le selezioni si svolgeranno così: dopo esservi divisi nei tre gruppi, due Prefetti faranno da arbitri, vi divideranno in coppie e proverete a duellare. Per il gruppo dei principianti, la selezione non escluderà nessuno, sarà solo un modo per capire i livelli di ognuno di voi. Per il gruppo dei capaci, è vietato salire oltre la soglia degli incantesimi di ostacolo, chiunque sarà beccato a formulare schiantesimi o quant’altro verrà automaticamente retrocesso a Principiante. Per gli “esperti”, invece, tutto è lecito escluse le maledizioni. Chiunque formulasse una maledizione ai danni del proprio o di un altro avversario, verrà accompagnato nell’ufficio del preside >>.
 
Dal fondo della stanza, un Caradoc Dearborn sommamente divertito diede di gomito a Fabian Prewett.
 
<< Ehi, dì >> esclamò indicando con un cenno del capo il Prefetto sulla pedana, intento a spiegare le regole del Club << Sembra proprio che gli piaccia, dettare le regole. King dovrebbe lasciarcelo un po’ più spesso >>.
 
Prewett rise in risposta.
 
<< Per carità divina, ti ricordi cosa ha combinato quando gli abbiamo lasciato l’organizzazione della festa dopo i G.U.F.O.? Mi sorprende anzi che King gli abbia lasciato tanto potere in mano dopo quella catastrofe! >>.
 
<< Sono passati due anni ormai! >> s’intromise il Caposcuola, lì accanto, con aria rassegnata.
 
<< Appunto, solo due anni. Io ne avrei fatto passare come minimo trenta >>.
 
Il piccolo gruppetto scoppiò a ridere. Lo scoppio d’ilarità sul fondo della sala coincise con la fine del discorso del Prefetto Corvonero, che sommamente soddisfatto diede a tutti il via libera dirigendosi verso i suoi amici. Scoccò loro un’occhiata a metà tra l’irritazione e il divertimento intuendo, da come lo guardavano, di essere l’oggetto di tante risate. Vide Kingsley aprire la bocca per parlare, ma lo precedette.
 
<< Nah, non voglio saperne niente, sono già discretamente impegnato senza dover anche assumermi il compito di cruciarvi per essere dei pessimi amici. Se voleste degnarvi ora di alzare quegli splendidi deretani pesanti che vi ritrovate, e voleste così partecipare anche voi allo scopo di questo Club, vi pregherei di unirvi a noi senza fare complimenti >>.
 
Fabian sogghignò divertito.
 
<< Certamente Messere, vi faremo questo incredibile onore >>.
 

 
*
 
 
Quando Podmore finì di parlare Dorcas sfoderò la bacchetta e si diresse verso il punto d’incontro del gruppo “esperti”, lasciando Benjy a sostenere il muro, fingendo di non notare la rigidità con cui le labbra di Ben erano tirate.
 
<< Dorcas, che piacere vederti >> la sorprese alle spalle la voce di Kingsley Shacklebolt.
 
La Corvonero, stupita, si voltò per rivolgere al bel ragazzo dalla pelle scura un sorriso appena accennato, chiedendosi perché mai, con tutte le persone lì vicine, dovesse rivolgere la parola proprio a lei, la ragazza con cui, probabilmente, aveva parlato meno in tutta la scuola.
 
<< Alla fine hai deciso di prender parte al gruppo degli esperti! >> esclamò Sturgis con un sorrisetto.
 
La ragazza annuì.
 
<< Molto bene, adesso che siamo tutti qui e che… >>
 
<< Taglia, Podmore, e vedi di muoverti >> lo interruppe la Carrow, una piccoletta sesto anno Serpeverde che più che a una persona assomigliava ad una botte.
 
<< Carrow, hai sbagliato gruppo, quello dei principianti e più in là >> ribatté allegramente una bella ragazza alta e mora, con i capelli raccolti in una treccia laterale lunga oltre il gomito e le guance rosee  << Strano che tu non lo abbia riconosciuto, sono tutti alti come te >>.
 
Un paio di risate fece seguito alle sue parole, e anche Dorcas si lasciò sfuggire un sorriso divertito, che subito si spense quando i suoi occhi incrociarono quelli castani e caldi della ragazza che aveva appena parlato.
 
<< Hestia >> la riprese con un sorrisetto divertito Sturgis, che poi riprese a parlare << Bene. Ora che siamo tutti qui io e King vi divideremo a coppie, ogni coppia duellerà quando sarà il suo turno sotto lo sguardo mio o di Kingsley, che arbitreremo il duello. Il vincitore rimarrà nel gruppo degli esperti, se vincerà senza trucchi sleali, per quanto riguarda il perdente, invece, sarà a discrezione mia e di King. Qualcuno ha qualcosa da dire? >>.
 
<< Sei un cretino, Podmore >> la Carrow, a quanto pareva, non aveva intenzione di scoraggiarsi.
 
<< Detto da te, Alecto, è un complimento. Qualcuno ha qualcosa da dire di sensato e pertinente? >> riprese Podmore senza lasciarsi abbattere e, anzi, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
 
Tutto tacque. Con un sorriso più largo Kingsley Shacklebolt si fece avanti e prese la parola.
 
<< Dunque, le coppie sono queste: Prewett uno in coppia con la Carrow, Prewett due, in coppia con la Meadowes. Jones e Rosier, Peakes e Carrow maschio, Scabior e Malfoy, Dearborn e Dolohov, McMillan e Bones, McLaggen e Coote. Tutti quelli che ho nominato fino a Carrow maschio duelleranno sotto lo sguardo di Stur, gli altri con me >>.
 
Appoggiato al muro, Benjy Fenwick storse le labbra in un sorriso malcelato. Ora gli toccava solo sperare ardentemente che Dorcas non passasse la selezione. Non appena la vide uscire dalla stanza dietro a Podmore, la bacchetta ben salda in mano, capì che era una speranza vana.
 

 
*
 
 
<< Prewett, Carrow, inizierete voi. Tutti gli altri, appoggiati al muro >>.
 
I duellanti si misero l’uno di fronte all’altro non appena Sturgis si fece da parte.
 
La ragazza aveva un sorrisetto in volto e le mani sui fianchi; Una posa che chiaramente intendeva essere minacciosa senza però riuscirci pienamente. Il ragazzo aveva un’espressione seria e la mano destra stretta a pugno, unico segno d’ansia.
 
<< Bene, inchinatevi >> dichiarò Podmore alzando la bacchetta.
 
Prewett e la Carrow si inchinarono leggermente, il primo rigidamente con un veloce movimento del collo, la seconda con decisione tenendo gli occhi ben puntati sul ragazzo.
 
<< Al mio tre si inizia. Uno… >>
 
Entrambi i duellanti sguainarono le bacchette, portandole rigidamente davanti al volto.
 
<< Due >>.
 
Come prima di ogni evento degno di nota, tutto il pubblico trattenne il fiato.
 
<< Tre >>.
 
La Carrow assunse la posizione di attacco, Prewett quella di difesa.
 
<< Petrificus totalus >>
 
<< Protego >>
 
Alecto Carrow sibilò irritata quando vide il proprio incantesimo rimbalzare sullo scudo e svanire sulla parete al suo fianco.
 
<< Rictusempra >>
 
Il colpo di Prewett costrinse la Serpeverde a qualche fare qualche passo indietro per schivare l’incantesimo.
 
Dorcas Meadowes, che assisteva al duello dal fondo della sala, sorrise appena notando con quanta facilità Alecto cedette terreno all’avversario.
 
<< Scommesse su chi vincerà? >> la voce divertita dell’altro Prewett la fece trasalire. Assorbita com’era dal duello appena iniziato non lo aveva notato, ma il ragazzo stava appoggiato al muro a pochi passi da lei, con un sorriso calcolatore sulle labbra e le braccia incrociate sul petto.
 
Dorcas si chiese a chi stesse parlando: sembrava rivolto a lei, poiché attorno non c’era nessuno di abbastanza vicino da sentirlo, eppure loro non avevano così tanta confidenza da scambiare chiacchiere da soli nel bel mezzo del silenzio.
 
<< Sai, per lealtà familiare sarei costretto a puntare su mio fratello vincente… >> continuò il ragazzo eliminando completamente tutti i dubbi di Dorcas con un’occhiata divertita indirizzata proprio a lei.
 
<< Faresti bene, allora >> gli rispose la ragazza, muovendo appena le labbra, l’attenzione completamente rivolta ai duellanti << Vincerà lui >>.
 
<< Everte Statim >>
 
Abbaiando l’incantesimo la Carrow roteò il polso in direzione di Prewett.
  
<< Tarantallegra >> esclamò il duellante in risposta, velocemente, senza lasciarsi scoraggiare e anzi, riprendendo velocemente l’equilibrio e il territorio perso.
 
 Dorcas vide la Carrow fare un salto indietro, sfuggendo l’incantesimo, per poi vedere lo stesso il lampo colorato rimbalzare sul pavimento e colpirle una caviglia. L’incantesimo, in parte diminuito della sua energia, fece poco effetto limitandosi a far danzare quelle caviglie particolarmente tarchiate per due o tre secondi, un tempo di cui Prewett non seppe o non volle approfittare. Con un sorrisetto, Dorcas si disse che era più probabile la seconda opzione.
 
<< Pietrificus >>
 
<< Protego >>.

 I duellanti si squadrarono da una parte all’altra della sala.
 
 
*
 
 
Dorcas sentì per l’ennesima volta Prewett, accanto a lei, tendersi e agitarsi.
 
<< Stai tranquillo >> gli disse allora << Se Gideon Prewett è solo la metà furbo quanto lo descrivono, riuscirà a batterla nel giro di tre o quattro colpi >>.
 
Fabian si mosse, forse a disagio per essere stato colto in ansia per suo fratello.
 
<< Si, beh, non… >>
 
<< Lei si muove troppo, lui è molto più bravo e padrone di se stesso. Lui ha riacquistato subito il terreno perso dopo il primo colpo, lei invece non è tornata avanti dei due passi che ha perso per la tarantallegra. E poi lui ha più fantasia, usa incantesimi che non sono in molti a lanciare durante i duelli. È più difficile pensare ad una strategia di difesa, così >>.
 
Dorcas Meadowes non aveva la minima idea del perché stesse parlando così tanto al solo scopo di rassicurare Fabian Prewett, ossia qualcuno con cui aveva scambiato si e no tre parole in sei anni di scuola, e tutte nel giro delle due settimane precedenti.
 
Comunque vide il ragazzo rilassarsi e, quando le rivolse un sorriso ingentilito dai limpidi occhi azzurri, capì di essere riuscita nel suo intento e tornò a rivolgere completamente la sua attenzione al duello.
 
Fabian Prewett distese le spalle e si appoggiò più comodamente al muro.
 
Qualsiasi cosa volesse fare, quella strana ragazza, rivolgendogli la parola con tanta decisione, pareva credere veramente alle sue stesse parole. Ci credeva, in effetti, con così tanta convinzione da obbligare pure lui, in un certo senso, a sentirsene rassicurato. Quando la Meadowes gli fece presente il fatto del terreno perso e mai riacquistato, effettivamente, lui si disse che avrebbe dovuto pensarci prima, perché era talmente evidente, questa pecca nella difesa della Carrow, che non poteva che essere notata con facilità. Quando Dorcas gli disse che suo fratello, con la sua fantasia, creava una propria tattica di attacco, anche Fabian dovette convenire che, anche se probabilmente Gideon lo faceva solo per divertirsi e senza un ragionamento impostato dietro, era un’ottima idea. Si chiese se far notare l’ovvio fosse la dote nascosta di quella ragazza dallo sguardo basso e la voce dimessa eppure sicura. Spalancò gli occhi quando si rese conto che, probabilmente, era proprio così.
 
Dorcas si vide costretta a rivolgere di nuovo la propria attenzione al ragazzo affianco a lei quando, vedendolo spalancare gli occhi di scatto, si rese conto che era tornato ad irrigidirsi nuovamente.
 
<< Come hai… >>
 
Dorcas, sempre più interdetta, inarcò un sopracciglio fine e biondo scuro.
 
<< Cosa? >>.
 
<< Come fai a sapere che lui è Gideon? >>.
 
Alla ragazza scappò, involontariamente, un sorriso divertito, che ben presto si mutò in una risata sommessa.
 
Dorcas Meadowes che ride è uno di quegli spettacoli che non ci si aspetterebbe mai di vedere, e per cui, quindi, si è sempre totalmente impreparati. Fabian guardò la ragazza dapprima con sguardo sconcertato e poi, via via che la risata si distendeva, non poté fare a meno di unirsi ad essa. Rideva come fosse l’ultima cosa da fare, nella vita: prendendosi tutto il tempo del mondo e con un gusto ed un suono talmente limpido per quanto sommesso da far credere che nulla del genere sarebbe mai uscito dalle labbra di una ragazza così poco particolare.
 
<< Stupeficium! >> gridò Gideon.
 
L’urlo del ragazzo li costrinse immediatamente a smettere di ridere.
 
L'incantesimo colpì l'avversaria in pieno petto e la fece crollare a terra, svenuta. Subito i suoi compagni di Casa accorsero per rianimarla, mentre la sala echeggiava delle urla di vittoria dei Grifondoro.
 
Sturgis Podmore impiegò ben più di qualche minuto per richiamare l’attenzione di tutti.

<< Prewett, passi di diritto nel gruppo degli esperti. Anche tu Carrow, ti sei battuta bene e piuttosto lealmente, per essere una serpe. I prossimi sono Hestia Jones e Cinthia Rosier, sulla pedana prego >>.
 
Le due ragazze, una Corvonero e una Serpeverde, si fecero avanti entrambe serie in volto.
 
Hestia Jones era una bella ragazza, secondo l’opinione di Dorcas Meadowes, ma abbastanza irritante a causa dell’ostinato orgoglio che avrebbe forse dovuto condurla più sulle scogliere dei Grifoni che non nelle brughiere con i Corvi. Girava sempre in compagnia di Podmore e Dearborn, ma qualche volta la si poteva incrociare anche con Edgar e Amelia Bones. Era una delle ragazze più intelligenti di Corvonero, a detta di molti.
 
Cinthia  Rosier era la più bella ragazza di Hogwarts, a parere di Dorcas Meadowes e anche di tutti gli altri. Aveva lunghissimi capelli biondo miele, grandi occhi di un azzurro intenso e un sorrisetto sempre in viso, accompagnato da quel nasino alla francese perennemente troppo in alto. Non parlava mai, quasi a nessuno, se non con la Carrow, sua fida compare.
 
Le due ragazze, l’una davanti all’altra, si guardarono negli occhi fino a quando Sturgis Podmore non riprese la parola.
 
<< Inchinatevi, al mio tre di inizia >>.
 
Il rituale dell’inchino si ripeté, anche se questa volta i movimenti erano più sciolti e disinvolti.

<< Uno, due… tre! >>.
 
La Jones in posizione di attacco, la Rosier in quella di difesa.
 
<< Dismundo >>.
 
La Rosier, presa in contro piede, venne centrata in pieno dall’incantesimo senza alcuna possibilità di difesa. Il suo Densaugeo, lanciato in risposta all’incantesimo precedente, rimbalzò sul muro e si dissolse nell’aria.
 
<< Exculcero >>
 
<< Protego >>.
 
Riacquistata la concentrazione, la Rosier bloccò la fattura pungente rispedendola al mittente. Quando fu chiaro che la fattura rilanciata aveva centrato al braccio il proprio obbiettivo, un boato vittorioso scaturì dai Serpeverde.
 
<< Incendio >>
 
Con un movimento veloce del braccio ferito la Jones rispose con quello che doveva essere un incantesimo non verbale, proprio mentre la pietra attorno a lei si illuminava di fiamme color campanula. L’incantesimo Freddifiamma mutò il colore del fuoco generato dalla Rosier in un caldo giallo aranciato.
 
<< Aguamenti >>.
 
Il getto d’acqua investì prepotentemente la Serpeverde e tutti i suoi compagni poco distanti da lei. Un urlo vittorioso si alzò questa volta da alcuni ragazzi e, soprattutto, dai due gemelli accanto a Dorcas Meadowes.
 
Un colpo non verbale venne respinto dalla Jones.
 
<< Dimmi, Dorcas >> pretese l’attenzione uno dei due gemelli << Sai dire anche questa volta chi vincerà? Prima hai indovinato >>.
 
Dorcas distolse lo sguardo dalle due ragazze prese dal loro duello per puntarlo sulle due figure identiche accanto a se.


<< La Rosier >> annuì in risposta la Corvonero << Anche se sono molto brave entrambe, vincerà la Rosier >>.
 
Le due ragazze al centro dell’attenzione non parevano intenzionate a darla vinta all’avversaria tanto facilmente. Dorcas Meadowes si accorse quasi con sorpresa che il duello, tra le due, pareva aver oltrepassato i confini di semplice sfida per diventare una lotta vera e propria: si squadravano l’un l’altra quasi con disprezzo.
 
<< Glacius >>
 
<< Fuocondro >>.

L’orlo della gonna di Hestia Jones prese fuoco e all’urlo disperato della ragazza Sturgis Podmore accorse talmente preoccupato da dimenticarsi di decretare la fine del duello. L’urlo estatico dei Serpeverde, comunque, fu un annuncio decisamente sufficiente.
 
Il panico tra i Corvonero si spense velocemente assieme al fuoco, che venne messo a tacere da un aguamenti brillantemente eseguito.
 
<< Rosier, passi di diritto nel gruppo degli esperti. Jones, ti sei battuta bene, anche tu negli esperti. I prossimi sono Dorcas Meadowes e Fabian Prewett >>.





 

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Capitolo 5
*** 04. Capitolo 4 ***


NOTA DI REVISIONE: questo capitolo è stato betato da highwaytohell_, che ringrazio.



 CAPITOLO 4
 


Essere Hestia Jones non era facile.
 
Era la Corvonero a cui mancava tanto così per essere un'ottima Grifondoro, la ragazza del Prefetto, quella con il sorriso perennemente sulle labbra e le guance rosee per l'allegria quasi perpetua, la lunga treccia da una parte e la lingua tagliente.
 
Per tutti questi motivi, e molti altri di secondaria importanza, Hestia Jones non doveva mostrarsi toccata dalla sconfitta.
 
Certo, quella era la teoria... la pratica avrebbe potuto essere un po' più difficile.
 
 Sturgis le passò accanto facendole l’occhiolino, e se normalmente ciò sarebbe bastato a farla sorridere dolcemente in quel momento riuscì a strapparle poco più che una smorfia avvilita.
 
<< Dai, Jones, ti rifarai! >> la sorprese alle spalle Gideon Prewett consolandola con una pacca sulla spalla << Ti sei battuta benissimo >>.
 
<< La fai facile tu, hai vinto contro quel maialino arrosto della Carrow >> scrollò le spalle e cercò di mascherare malamente il tono indispettito.
 
<< In realtà era distratta dalla mia bellezza >> precisò il ragazzo con un sorrisetto divertito << Un'arma che tu non potevi usare con la Rosier >>.
 
La Jones storse ancora le labbra, poco convinta.
 
<< Spero che tuo fratello non conti di distrarre la Meadowes come tu sostieni di aver fatto con la Carrow... >>
 
<< Dor non è esattamente il tipo di persona che si lascia distrarre da un bel sorriso >> li interruppe una voce da dietro, facendoli sobbalzare entrambi  << Soprattutto non se c'è in gioco così tanto >>.
 
Gideon Prewett si voltò verso Benjy Fenwick. Il Serpeverde teneva lo sguardo fisso intensamente sulla ragazza dai capelli biondi che, al centro della stanza, si stava inchinando d'innanzi al suo avversario.
 
<< Ti pare che in gioco ci sia tanto? >> gli chiese in risposta Prewett indicando i duellanti.
 
<< Non per me, forse. Ma per lei... >>
 
Era incredibile, pensò Hestia, come quel ragazzo riuscisse a mettere così poca enfasi nelle proprie parole. Le faceva apparire disinteressate, come messe l'una dietro l'altra per puro caso.
 
Non le era mai andato a genio, quel Serpeverde.
 
Cioè, in linea di massima non le andavano a genio i Serpeverde, ma quello in particolare aveva qualcosa di così inquietante da metterla in soggezione. Le dava l'idea, Benjy Fenwick, di essere come uno di quei serpenti rinchiusi in teca in uno di quei serpentari Babbani, quelli che pensi non ti potrebbero mai attaccare.
 
Eppure, si diceva Hestia, doveva pur avere qualcosa di Serpeverde in quella testolina sempre chiusa, oltre quello sguardo così scuro da sembrare nero, altrimenti non sarebbe finito nella casa delle serpi. Doveva pur esserci, un motivo. E il fatto che questo motivo fosse nascosto, che non fosse sbandierato ai quattro venti come nel resto dei rappresentanti della sua casa -l'assoluta bastardaggine di Dolohov, la cattiveria intrinseca nella Carrow, il menefreghismo da gatta tipico della Rosier-, le metteva ancora più paura.
 
<< Fenwick, sei venuto a vedere la tua ragazza fatta a pezzi da un Grifondoro? >>.
 
A sua discolpa andava detto che non aveva intenzione di metterla giù così cattiva. La verità era che quel ragazzo le dava sui nervi. Troppo calmo, posato, ma non della placida tranquillità tipica di Kingsley.
 
Fenwick era come una casa senza porta*... e questo era decisamente irritante.

 
*

 
Dorcas impugnò la bacchetta quando Sturgis disse "due", di qualche secondo appena preceduta da Fabian Prewett.
 
Al "tre" vide Fabian esitare riguardo alla posizione da prendere nei suoi confronti: lasciare che lei attaccasse per prima e assumersi il ruolo di cavaliere oppure mandare al diavolo ogni cortesia e attaccarla per primo, per arrivare più in fretta al cuore del duello e del divertimento?
 
Con un sorriso quasi divertito assunse una posizione di difesa.
 
<< Everte Statim >>.
 
Con un leggero colpo di bacchetta, un Protego non verbale, respinse il colpo preparandosi ad attaccare.

 
*

 
Quando vide Dorcas Meadowes ritrarsi in posizione di difesa, il ragazzo quasi non riuscì a celare il sorriso di divertita accettazione che minacciò di incurvargli le labbra.
 
Era così tipicamente da Meadowes lasciare all'avversario il vantaggio del primo attacco! Fabian non riuscì a capacitarsi di aver creduto veramente alle parole di Fenwick, che guardandolo negli occhi gli aveva assicurato la sconfitta.
 
Gli facevano pena entrambi, la ragazza sempre silenziosa e ancora in lutto e il ragazzo solitario dal sorriso distante.
 
Fabian assunse la posizione di attacco, lasciando passare solamente qualche secondo prima di lanciare l'incantesimo che avrebbe sancito l'inizio del duello.
 
<< Everte statim >>.
 
Il vento non fece nemmeno in tempo a levarsi che uno scudo piuttosto potente si frappose fra lui e la ragazza, evocato velocemente da Dorcas con un leggero colpo di bacchetta. Un semplice colpetto con il polso, Fabian lo vide, e potè avvertire lo scudo ritrarsi.
 
Ma gli incantesimi non verbali non sono programma del sesto anno?
 
Questo pensiero bastò per mandarlo a gambe all'aria.
 
Evidentemente, o il programma di Difesa Contro le Arti Oscure è cambiato, o nella Meadowes c'è ben più di quel che appare.

 
*

 
Gideon  guardò suo fratello rialzarsi, gli occhi chiari ridotti in due fessure penetranti.
 
Con il primo attacco Dorcas aveva mandato Fabian a gambe all'aria insieme a tutti i suoi sogni di una vittoria facile.
 
Gideon aveva passato i successivi minuti dopo quella prima caduta con lo sguardo ben puntato su entrambi i duellanti, e aveva visto sul viso di Fabian passare dapprima lo sconcerto, poi una muta curiosità e solo infine, mentre si stava rialzando, la rassegnazione.
 
<< Expulso >>.
 
La sala assistette con il fiato sospeso alla lieve scossa elettrica che percorse la Corvonero. Gideon potè distintamente sentire il brusco sussulto di Fenwick, alle proprie spalle, quando la ragazza piegò le ginocchia per ammortizzare il colpo.
 
<< Lo sai >> disse in tono discorsivo rivolto al Serpeverde << Non dovresti prenderla così sul personale >>.
 
Benjy gli rivolse uno sguardo disinteressato, tornando con gli occhi ben puntati su Dorcas nel tempo di appena un battito di ciglia. In quello sguardo, Hestia lesse la voglia di rendersi imperturbabile e il fastidio di non riuscirci del tutto. Si stupì di trovarlo tanto in ansia.
 
<< Ma gli incantesimi non verbali non dovreste averli appena iniziati? >> domandò in tono quieto la ragazza, riportando l'attenzione al duello.
 
<< Dorcas riesce particolarmente bene in un paio di materie >> mormorò Benjy distrattamente.
 
Un secondo lampo dalla bacchetta di Dorcas, ma nemmeno una parola dalle sue labbra. Dal proprio punto di vista, Hestia poteva vedere tranquillamente l'espressione concentrata sul viso di Dorcas, attenta e vigile come quella di una gazzella che si senta minacciata dal leone.
 
*
 
 
Benjy Fenwick si chiese, e non per la prima volta da quando aveva stretto amicizia con Dorcas, chi mai glielo facesse fare, di supportarla ovunque.
 
Maledì per l'ennesima volta Podmore, Shacklebolt e i loro cosiddetti equi principi.
 
Sussultò sommessamente quando vide l'amica rimanere colpita dall'incantesimo di Prewett, un confringo di debole potenza puntato ai suoi piedi che le fece perdere l'equilibrio.
                                                                                                         
La vide a terra con una mano appoggiata al pavimento, come sostegno, e sentì le risate e gli sbeffeggiamenti del pubblico.
 
Vide Dorcas rialzarsi con dignità. La vide distogliere per un attimo lo sguardo dal proprio avversario, fissarlo sul gruppetto di persone che si era messa a ridere e trattenere un piccolo sorriso. Era davvero un sorriso autoironico, quello?
 
Benjy, stupito, scosse la testa trattenendone uno in risposta. Più di una volta in passato avrebbe scommesso la bacchetta di conoscere Dorcas Meadowes come le sue tasche. Se lo avesse fatto, spesso l'avrebbe persa.
 
<< Languelingua >>
 
Vide il lampo chiaro partire dalla bacchetta della sua migliore amica e capì, ancora prima di vederlo colpire Prewett, che sarebbe andato a segno.

 
*
 
 
Fabian capì di avere perso prima ancora di avere la lingua incollata al palato.
 
Lo capì non appena sentì la voce della ragazza, quella che per tutto il duello aveva rifiutato di usare.
 
<< Expelliarmus >>
 
A differenza dei duelli precedenti, nessuno esultò. Si spensero i risolini che prima avevano così inopportunamente ingombrato l'aria, calarono i commenti e tacquero le malelingue.
 
Benjamin Fenwick, dal suo posto accanto a Gideon e Hestia, scosse la testa rassegnato.


 
*

 
<< Quindi l'Amortentia genera in chi ne inala l'odore un senso diffuso di benessere. Per ogni individuo l'odore muta, corrispondendo a ciò che ama di più... >>
 
<< No, l'odore corrisponde a ciò che più ci attrae, non a ciò che amiamo >> la corresse Kingsley fermando per un attimo la propria Penna Prendiappunti.
 
<< Quanto sei puntiglioso, King, avresti dovuto finire tra i Corvonero >> si intromise Fabian, un sorriso divertito a schiarirgli il viso << O in un altro gruppo, magari con Stur e Gid >>.
 
<< Io sono Corvonero e non sono puntiglioso >> dichiarò Dearborn con quell'aria saputa che gli riusciva tanto bene  << e muoviamoci, tra due ore ho appuntamento con Martha Aiwarth >>
 
<< Un'altra? >> domandò Fabian << Sono quasi invidioso del tuo successo con le donne >>.
 
Kingsley soffocò un sorriso.
 
<< Che vuoi che ti dica, nessuna è mai riuscita a resistermi >>
 
<< Veramente, a quanto dice Sturgis, qualcuna l'ha fatto >> mormorò maliziosa la Jones, indicando con uno sguardo divertito il tavolo, insolitamente vuoto, di norma occupato dai due più famosi asociali di Hogwarts.
 
Caradoc aggrottò la fronte e guardò il tavolo incriminato con sguardo cupo.
 
<< Questo solo perchè è troppo impegnata con Fenwick. Ma se fossi arrivato prima io… >>
 
Fabian storse le labbra. Dal giorno del duello, la Meadowes compariva nei suoi pensieri un minuto si e l'altro anche.
 
Era strana, quella ragazza.
 
Aveva un sorriso diverso, sembrava quasi un incantesimo: lo vedevi soltanto quando era rivolto esclusivamente a te, proprio come una settimana e mezzo prima, in quella sala, quando porgendogli la mano la ragazza gliene aveva rivolto uno breve ma splendente.
 
<< Veramente non credo sia impegnata con qualcuno >> lo corresse la Jones.
 
<< Cosa? >> domandò Fabian preso alla sprovvista << Ma se sono sempre insieme! >>.
 
Hestia scoppiò a ridere.
 
<< Oh, questo non vuol dire assolutamente nulla! >>.
 
<< E tu come fai a dirlo? >>.
 
La ragazza scrollò le spalle.
 
<< Queste cose una donna le capisce >> rispose semplicemente << E quei due non stanno insieme, Fabian, più di quanto non ce la intendiamo io e te, te lo posso garantire >>.
 
<< Allora sta con qualcun altro >> asserì sicuro Caradoc, riprendendo a sfogliare svogliatamente il libro di pozioni << Altrimenti non si spiega perchè mi avrebbe dovuto rifiutare... non che mi importi, certo, gliel'ho chiesto per di più perchè mi fa pena, ecco, è così innocente... >>
 
Una risata dalla ragazza, un sorrisetto da Fabian e un'occhiataccia da Kingsley furono le reazioni che ottenne dagli amici.
 
<< Fossi in te non ne avrei tanta pena, Dorcas è tutto fuorchè ingenua >>.
 
Tutti e quattro sobbalzarono trovandosi davanti, sbucato fuori da dietro lo scaffale più vicino, Benjy Fenwick.
 
<< Non è leale, Fenwick, origliare le conversazioni private >> lo rimbeccò la Jones, profondamente irritata.
 
Il ragazzo si limitò ad un sorriso sardonico.
 
<< Serpeverde, ricordi? >> le chiese enigmatico << La lealtà è una questione di punti di vista >>.
 
Schivo ed elegante, il Serpeverde andò quindi ad accomodarsi al solito tavolo.
 
<< E comunque, non credo si possano definire totalmente private le conversazioni delle quali sei uno dei soggetti principali, Jones, correggimi se sbaglio >>.
 
Con queste parole Benjy sfoderò uno dei libri che teneva nella borsa e si chinò sul tavolo a leggerlo, come a voler tagliare fuori i presenti.
 
 << Alla fine avevi ragione, Fenwick >> lo sorprese dopo un po' la voce chiara e allegra di Fabian Prewett.
 
L'interessato, stupito, aggrottò appena la fronte.
 
<< La tua ragazza mi ha battuto; e lo ha fatto anche molto bene, non sembrava nemmeno troppo compiaciuta, è stata gentile >>.
 
Benjy inclinò appena il capo, come pensieroso, poi socchiuse gli occhi, scuri nella penombra, e diede in quello che aveva tutta l'aria di essere un sorriso spontaneo.
 
<< Ha detto che hai duellato molto bene, che è stato interessante e ha vinto solo per un colpo di fortuna >> rispose riportando lo sguardo al libro.
 
<< Non è vero, ha vinto per... beh, per un sacco di motivi, in realtà, ma il succo è che è stata davvero brava, e mi ha battuto lealmente. Avevi ragione, quando dicevi che ha le carte in regola per far mangiare polvere a... >> Fabian si interruppe, pensando per qualche attimo  << ...a loro >>.
 
Benjy si limitò ad annuire, il sorriso sostituito da un cupo sospetto nello sguardo.
 
In risposta a tutto ciò prese piede nella stanza il silenzio per almeno una decina di minuti. I due Corvonero e i due Grifondoro ripresero le proprie ricerche, il Serpeverde continuò a leggere il suo libro di pozioni.
 
<< Quindi è vero, alla fine >> esclamò stizzito Caradoc Dearborn, chiudendo il libro con un tonfo.
 
Benjy Fenwick alzò gli occhi dal tomo aperto sul suo tavolo, lo sguardo puntato in quello chiaro del Capitano Corvonero.
 
<< Prego? >> chiese educatamente, un po' stupito dal suo nervosismo.
 
Dearborn parve vergognarsi un poco della propria uscita, e tacque. Hestia sorrise in risposta.
 
<< Vuole sapere se tu e la Meadowes state insieme. Sai, le ragazze sono solite pensare che Caradoc sia un buon partito, e lui non riesce proprio a spiegarsi il rifiuto della M... di Dorcas >>.
 
Benjy rispose con un'occhiata stupita, poi sempre più consapevole.
 
Alla fine fece qualcosa che nessuno si aspettava: non lì dentro, non loro. La cosa che fece, fu ridere come non faceva da tempo davanti a qualcuno che non fosse Dorcas.

 
*
 
 
Caradoc Dearborn sgranò gli occhi davanti ad un tale spettacolo.
 
Perchè non si poteva che parlare di spettacolo, davanti ad una risata di Benjamin Fenwick. Il Serpeverde più posato di Hogwarts, e in generale la creatura più posata del mondo, rideva di una risata che dovevi sforzarti di non seguire.
 
Aveva una splendida risata, Benjy Fenwick, di quelle che una volta che ti si attaccano addosso non te le scrolli più. E puoi passare una vita a cercarle, ma così non ne trovi. Hanno un mare di segreti, quelle risate, che le custodisce come il più prezioso dei tesori.
 
La risata di Benjy Fenwick era intessuta di divertimento e allegria, e insieme stupore e un certo affetto che non guastava. E, cosa più importante, era talmente rara da presentarsi nuova a tutti, e quindi ancora più benvoluta.
 
Lo fissavano, i due Grifondoro e i due Corvonero, come se non avessero mai visto nulla del genere... e, a ben pensarci, non avevano mai visto niente del genere veramente.
 
*

 
Alla fine, quando ebbe finito di ridere e si accorse dello sguardo di tutti puntato su di se, quasi arrossì.
 
Quasi.
 
Con ancora la traccia di un sorriso sulle labbra scosse la testa, lo sguardo non più puntato al banco o al libro, ma direttamente in quello del Capitano Corvonero, che aveva ancora una po' di vergogna sulle guance tinte di un debole rossore.
 
<< Lo sai, sono anni che circolano voci su voi due, e non vi ho mai sentito smentirle >> disse alla fine Kingsley, sinceramente interessato << Vi limitate a fare orecchie da mercante e... >>
 
Kingsley si accorse subito dello sguardo di Fenwick, saettato improvvisamente verso la porta, e poi del suo sorriso strano. Per primo fra i quattro ragazzi, il Caposcuola si volse all'ingresso, sapendo già chi probabilmente vi avrebbe trovato.
 
E infatti la trovò: ad un primo sguardo Dorcas Meadowes aveva l'aspetto ordinario di una qualunque diciassettenne -o sedicenne, Kingsley non sapeva esattamente la sua età-, un viso morbido ma banale contornato da lisci capelli biondo sporco, due occhi verde muschio e una figura piuttosto tornita.
 
Quello che non si vedeva ad un primo sguardo era la viva intelligenza nei suoi occhi, la linea morbida e decisa del mento, la dolcezza quasi improbabile di quel sorriso così particolare, le fossette sulle guance e le sopracciglia delicatamente arcuate, di un tono più scuro rispetto ai capelli.
 
Vide il sorriso accentuarsi quando la ragazza si accorse di Benjy, e poi farsi lievemente perplesso alla vista di quelle che erano le persone più distanti da lei in tutta la scuola. Allo stesso tempo, però, si accorse di essere l'unico ad aver notato quel leggero smarrimento provocato dalla propria presenza, e capì: nessuno vedeva mai la vera Dorcas Meadowes.
 
<< Dimmi, Shacklebolt >> interruppe quindi i suoi pensieri Benjy, riportando su di lui quello sguardo scuro e profondo << Credi che qualcuno la sentirebbe, in questa scuola, la nostra voce? >>.
 
Si rivolse a Dearborn e lo guardò attentamente esitando con sguardo serio sul suo volto
 
<< No, Dearborn, il motivo per cui ti ha rifiutato non sono io >>.
 
 
 
 
 
 
 
*citazione da Jacqueline Carey, non ricordo esattamente in quale libro della trilogia di Imriel. "è come una casa senza porta" è la frase con cui Dorelei Mab Breidaia descrive la principessa Sidonie de la Courcell.
 

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Capitolo 6
*** 05. Capitolo 5 ***


NOTE DI REVISIONE: anche questo capitolo è stato betato dalla gentilissima highwaytohell_ a cui va un grazie grande grande.

 

Capitolo 05
 




Il 2 ottobre di quell’anno iniziò esattamente come era iniziato quello dell’anno prima e, probabilmente, come sarebbe iniziato quello dell’anno dopo.
 
Niente era diverso. Non il nodo nel legno della quinta asse a partire da sinistra sul soffitto del baldacchino; non l’incisione sull’angolo est in corrispondenza della colonna; non le tende lievemente tirate del solito colore blu, acceso di riflessi bronzei.
 
E per un solo secondo, quando aprì gli occhi, Dorcas Meadowes si sentì esattamente come si era sentita il 2 ottobre dell’anno prima, e come avrebbe pagato per sentirsi anche quello dopo.
 
Felice.
 
Era un’illusa.
 
Niente era diverso, ma tutto era cambiato.
 
 
*
 
 
<< Ricordami perché ci siamo alzati alle sei di sabato mattina >> chiese un assonnato Sturgis Podmore all’amico al suo fianco soffocando uno sbadiglio.
 
La Sala Grande di Hogwarts, vuota, sembrava più grande del solito, con i cinque tavoli già apparecchiati per la colazione.
 
Caradoc Dearborn sorrise imburrando tranquillamente la sua fetta di pane tostato.
 
<< Quidditch >> si limitò a rispondere con l’aria di chi pregusta qualcosa di eccezionale. Guardò fuori dalle vetrate, verso il campo.
 
Sturgis strinse i denti. Tra quelle belle vetrate e il campo di Quidditch, una bufera di neve rendeva tutto molto meno eccezionale di com’era dipinto nello sguardo di Dearborn.
 
-ricordami perché non ti ho schiantato appena mi hai proposto questa pazzia- chiese con un sorriso stentato rivolgendo uno sguardo schifato all’amico, ora intento ad ingoiare l’ennesimo boccone di bacon e salsiccia accompagnato da un pezzo del pane imburrato in precedenza –Per Nimue, ma come diavolo fai a mangiare così tanto e a mantenere la linea?-.
 
Il sorriso sul volto dell’amico si trasformò in una smorfia beffarda.
 
<< Che vuoi che ti dica, ho i miei segreti >> mormorò quindi il Capitano della squadra corvonero, con fare da cospiratore << Te li rivelerei, ma poi dovrei ucciderti. Mi dispiacerebbe perdere uno dei miei seguaci >>.
 
<< Non ti fidi nemmeno del presidente del tuo fan-club? >>.
 
<< Le persone belle e famose hanno un fan-club; io sono bello, famoso e nobile, quindi ho dei seguaci e fedeli sudditi, pronti a tutto per me >> scosse la mano come a liquidare la faccenda, e seguitò imperterrito a dire << Non mi hai schiantato per due motivi: il primo è che sono troppo bello, avresti arrecato un danno alla comunità magica; il secondo è che Vitious ti avrebbe beccato e ti avrebbe messo in punizione per tutta la mattinata.  Non saresti potuto andare ad Hogsmeade con Hestia, che si sarebbe arrabbiata come una vipera e ti avrebbe lasciato. Tu saresti tornato in lacrime da me, intento a rimediare i danni, piagnucolando come una femminuccia circa la rottura del tuo rapporto con l’unica ragazza che si sia mai degnata di amarti. In poche parole, saresti rimasto solo e senza amici com’eri prima di conoscere lo splendore di ragazzo che hai qui davanti e quella povera martire che si ostina a chiamarti “amore”. Tutto chiaro? >>.
 
Sturgis scosse la testa, inebetito da tante parole.
 
<< Sai, se mettessi nel Quidditch la metà dell’impegno che metti nell’autoelogiarti, avremo avuto la Coppa del Quidditch in tasca negli scorsi cinque anni >>.
 
 
*
 

Quando Fabian Prewett salì gli ultimi scalini della Guferia, il 2 ottobre di quell’anno, a Hogwarts nevicava fittamente.
 
Il cielo era appena rischiarato dalla soffusa luce dell’alba, e spessi fiocchi di neve cadevano dal cielo con la grazia di petali di margherita. La neve, scivolando sui gradini, restava intatta a contatto con la pietra gelida dei pavimenti, formando un soffice tappeto candido e spesso un dito. Da guardare, molto grazioso. Volendo essere un po’ più pratici, tutta quella graziosità sarebbe potuta costare l’osso del collo a qualcuno.
 
Tutti gli scalini, sul lato sinistro, presentavano l’impronta di una scarpa. 

Dopo aver dedicato un’occhiata distratta alle scale, e aver verificato che nessun tipo di impronte segnalasse che l’individuo che lo aveva preceduto avesse poi ridisceso le scale per andarsene, si sporse verso l’entrata e la voliera da cui i gufi, liberi, potevano entrare ed uscire come volevano.
 
Non lo sorprese poi molto, quindi, vedere una figura mediamente alta ritta in piedi accanto ad una delle arcate della parete rivolta a sud, volta a dargli le spalle.
 
<< Mead… >> mormorò riconoscendola, in segno di saluto << Dorcas, tutto bene? >>.
 
Per qualche istante la ragazza non diede alcun segno di aver sentito le sue parole, o il suono dei suoi passi quand’era entrato nella stanza. Poi, con calma, la giovane si voltò, i capelli raccolti in una coda laterale lievemente scarmigliata e gli occhi un poco arrossati, come di chi abbia dormito poco.
Lo sguardo lontano si fece più sveglio non appena riconobbe il proprio interlocutore.
 
<< Fabian… >> lo salutò in risposta, soprassedendo al sussulto del giovane, probabilmente di nuovo colpito dal rapido riconoscimento. Nemmeno la madre riusciva a distinguerlo con tanta facilità dal gemello << Tutto come al solito, grazie. Tu? >>.
 
Il tono fermo e gentile, un po’ roco nelle note finali, pareva più adatto ad un salotto da ricevimento che ad una guferia all’alba. Preso alla sprovvista, Fabian scrollò le spalle.
 
<< Si, non… >> esitò, lottando contro un imbarazzo crescente che normalmente gli era estraneo << …non mi lamento >>.
 
Incredibile la soggezione che quella ragazza ispirava in lui, soprattutto dal duello di ormai quasi tre settimane prima.
 
Non gli pesava poi molto essere stato sconfitto –non era persona da portare rancore, lui, non a una come Dorcas- ma comunque si sentiva a disagio davanti a quell’enorme punto di domanda che per lui rappresentava una ragazza come Dorcas. Con il carattere che si ritrovava, non faceva certo fatica a fare amicizia con qualcuno: e Merlino gli era testimone che nel corso della vita aveva conosciuto persone parecchio strane, Dearborn in primis.
 
<< è in anticipo >> esclamò dal nulla non appena si accorse del silenzio dilagante. Dorcas pareva non farci caso, ma alle sue parole arricciò la fronte in una muta domanda. Fabian scosse la mano, ad indicare il panorama << La neve. È in anticipo di almeno un mese, quest’anno >>.
 
La ragazza annuì, computa.
 
<< Si, credo ci aspetti un inverno piuttosto freddo >> continuò lui, sbalordito dal muto annuire della ragazza, che pareva non sforzarsi minimamente per interrompere il silenzio.
 
In una domanda che fu come un lampo, nella sua mente, il ragazzo si chiese se per caso non la divertisse, vederlo così imbarazzato. Lei sembrava molto più a suo agio, in silenzio.
 
Restarono immobili per quella che parve ad entrambi una piccola eternità, loro due in piedi in guferia con un mondo di neve a turbinargli attorno, candidi fiocchi mulinanti nell’aria fredda dell’inverno.
 
<< Dove hai imparato ad usare così gli incantesimi non verbali? >> chiese alla fine Fabian, un po’ turbato dal silenzio e dall’immobilità della situazione.
 
Fu strano, per lui, vederla sorridere come divertita. Non seppe dirsi se a divertirla fosse stata la sua domanda o qualcos’altro, però, e quando la ragazza parlò non ci fu più tempo per chiederselo.
 
<< Dove? >> chiese fissandolo per un attimo stranita << A incantesimi, mi pare ovvio >>.
 
Fabian scosse il capo, paziente.
 
<< Beh, io… intendevo, così bene… >> esitò per un attimo, incerto << Non è comune per una del sesto anno utilizzarli con tanta efficacia dopo così poco tempo dall’averli appresi. La scuola è iniziata da nemmeno un mese e… >>
 
Questa volta si disse sicuro che a farla sorridere nuovamente fosse il proprio commento.
 
<< Sono piuttosto dotata in un paio di materie scolastiche, tra cui incantesimi >> mormorò alla fine scuotendo il capo in segno di modestia << Non ne ho alcun merito, sono solo piuttosto brava >>.
 
Di nuovo il silenzio, interrotto questa volta dal bubbolio di qualche gufo. Dorcas tornò di nuovo a dare le spalle al ragazzo, rivolgendosi ancora alle montagne scozzesi con lo sguardo appannato.
 
Si strinse le braccia al petto e inclinò la testa verso destra, forse persa tra qualche ricordo, forse tra qualche pensiero. Fabian restò a guardarla quel tanto necessario per accorgersi di quanto la luce dell’alba –per quanto soffusa- riusciva a mettere in evidenza la curva morbida della schiena, quella un po’ insicura delle spalle, i riflessi biondo miele dei capelli.
 
Poi, sempre più a disagio, si avvicinò ad uno dei trespoli lì posti per farvi accomodare i gufi e rivolse la propria attenzione ad uno degli esemplari più anziani, non particolarmente bello ma piuttosto forte.
 
Impiegò sei minuti interi per legare alla zampina del gufo la pergamena accuratamente ripiegata, imprecando sottovoce contro le proprie dita tremolanti. Sapeva di non essere controllato a vista dalla ragazza, che gli dava invece le spalle, ma la cosa, incredibilmente, non lo rassicurava. Sentiva come un’aura attenta provenire da Dorcas, e dovette concentrarsi per non alzare gli occhi su di lei per vedere che non lo stesse controllando.
 
Non che avesse qualcosa da nascondere, per carità divina! Eppure… no, non lo stava guardando, anzi… sembrava completamente distratta, intenta a seguire con lo sguardo il profilo di cose visibili solo a lei.
 
Merlino, quell’anno avrebbe compiuto diciotto anni. Non poteva forse affermare di avere sempre sottobraccio una ragazza diversa, ma negli ultimi tre anni di certo si era ritrovato in compagnia di un discreto numero di ragazze, spesso da solo. E mai, mai in vita sua si era sentito tanto nervoso.
 
Alla fine, dopo aver legato il messaggio alla zampa del gufo con una gassa sommaria, si raddrizzò è condusse l’animale all’arcata che dava sul lago nero. Gettò un’occhiata preoccupata alla tormenta infuriante, poi squadrò con un po’ di ansia il gufo, e si rassegnò a tornare indietro.
 
<< Sono addestrati a volare anche in situazioni del genere >> lo sorprese con voce roca la Meadowes, ancora ferma all’arcata alle sue spalle, lo sguardo ancora rivolto alle montagne. Si guardò attorno, Fabian, chiedendosi se per caso non stesse parlando con qualcun altro << Non ti preoccupare per la sua incolumità, l’unica cosa che può ferirla davvero è l’attacco di qualche animale. E poi, guarda, la neve scende ora più lentamente… tra qualche minuto cesserà completamente di nevicare >>.
 
<< Ferirla? >> chiese guardando il gufo artigliato al proprio pugno.
 
Dorcas si voltò, lo sguardo ora più lucido di prima.
 
<< è una femmina >> rivelò indicandola con un cenno del mento, e sorridendo in modo blando << Asterope, o almeno io la chiamo così. È affidabile, io la usavo spesso >>.
 
Rassicurato, Fabian tornò a voltarsi verso il lago nero, e protese il braccio con il pugno chiuso per far cenno al rapace di volare. Restò a guardarla fino a quando la foschia e la neve all’esterno non occultarono completamente il piccolo puntino che era diventato il gufo contro il cielo mattutino.
 
<< E perché non la usi più? >> chiese ad un certo punto, Fabian, interdetto.
 
Dorcas attese qualche minuto prima di rispondere. Il tempo passò lentamente, scandendo ogni secondo, e il ragazzo arrivò a pensare che la giovane si fosse dimenticata la domanda.
 
<< E a chi dovrei scrivere, oramai? >> gli domandò in risposta Dorcas, guardandolo negli occhi con quello sguardo sicuro che poche volte mostrava a chiunque non fosse Benjy. Lo chiese in un tono che non era triste, o rassegnato. Ma semplice, diretto, consapevole. E non ispirava alcuna pena << Avevo promesso a Benjy che avrei fatto colazione con lui, alle otto. Ci si vede in giro, Fabian >>.
 
<< …Dorcas? >> la richiamò giusto prima che ella scomparisse oltre la soglia.
 
La ragazza si fermò.
 
<< Si? >> chiese con gentilezza, tornando a voltarsi.
 
<< Ma…>> si ritrovò ad esitare il ragazzo << Un giorno mi dirai come fai a distinguermi così facilmente da Gideon? >>.
 
La ragazza sorrise, incrociando i suoi occhi con il proprio sguardo.
 
Sorrise con le labbra, gli angoli appena arcuati all’insù, e con gli occhi, splendenti e lucidi. Uno di quei sorrisi speciali, segno che l’aveva colta di sorpresa.
 
<< Forse, un giorno >>.
 
Annuì, Fabian, incapace di muoversi sotto a quello sguardo limpido e innocente. Restò fermo per i successivi minuti, anche quando il suono dei passi venne inghiottito dalla distanza e la figura di Dorcas nascosta dalle pareti, sulla via per la sala grande.
 
Solo alla fine gli venne in mente una domanda più intelligente.
 
Se non scrivi a nessuno, cosa ci fai in guferia alle sette di sabato mattina?
 
Se Dorcas Meadowes aveva un talento innato, si disse, era certamente quello di stupirlo con ogni singola mossa.
 
 
*
 
 
<< Ti odio! >> esclamò a viva voce Sturgis rientrando in sala grande, lo sguardo irritato posato alla metà del tavolo corvonero, dove la sua ragazza e altri suoi amici lo stavano aspettando ridendo e scherzando tra di loro.
 
<< Pienamente ricambiato >> ribattè altezzoso Caradoc, alle spalle del proprio migliore amico di sempre, escluso che di quel momento in particolare << E, tanto perché tu lo sappia, avrei vinto io se tu non avessi barato >>.
 
<< Barato? >> strepitò Podmore voltandosi infuriato e fermandosi così velocemente che Dearborn quasi rischiò di travolgerlo, nella sua corsa verso il resto dei propri amici << Io avrei barato? Caradoc, non è barare fare punto calciando la pluffa con il piede! >>.
 
La tormenta di neve che aveva infuriato solo fino ad un’ora prima –ancora visibile sulle vesti umide dei due-, aveva lasciato il posto ad un cielo plumbeo e un tappeto di neve alto quindici centimetri, poco agevole per camminarvi su ma che non aveva impedito ai due di allenarsi per almeno un’ora prima della tanto attesa uscita ad Hogsmeade.
 
<< Il portiere era assente! >> esclamò punto sul vivo Caradoc, accomodandosi con l’aria di un re tra Gideon Prewett e Edgar Bones. Li scrutò per un attimo, accigliato, prima di ricordare una cosa importante << Voi non siete Corvonero! >>.
 
<< Assente! >> ribattè Sturgis rifiutando di cambiar discorso, sedendosi accanto ad Hestia e salutandola con un bacio prima di riprendere ad inveire contro Caradoc << Il portiere stava flirtando spudoratamente con Miranda Hopkirk! >>.
 
La frase ebbe il potere di mettere a tacere per un attimo il Capitano della squadra Corvonero, in difesa del quale va anche detto che ricopriva il ruolo di portiere per il sesto anno consecutivo.
 
Per un attimo, appunto.
 
<< Era Miranda Hopkirk che stava flirtando spudoratamente con il portiere! >> si difese strenuamente, mani sul cuore << Sennò perché sarebbe venuta al campo con la neve e tutto? >>.
 
<< Perché essendo Caposcuola teniamo a turno le chiavi degli spogliatoi del campo, e stamani le aveva lei? >> chiese in risposta Kingsley, l’aria di chi la sa lunga dipinta a chiare pennellate nello sguardo scuro.
 
Caradoc scosse il capo.
 
<< Quello era solo un pretesto, tutti sanno che mi viene dietro da sempre… lo dice anche Hes! >>.
 
<< Veramente io te l’ho detto al terzo anno, quando ho scoperto il tuo nome scarabocchiato sulla sua agendina prendiappunti con vicino un cuore. Sono passati tre anni e mezzo, da allora! >>.
 
Sturgis scosse la testa.
 
<< Tranquilla, amore, sappiamo che Caradoc non era serio… è solo che considera tempo sprecato ogni singolo minuto in cui non si fa dei complimenti da solo >>.
 
Hestia rivolse un sorriso distratto al continuo battibeccare dei due. Chiunque conoscesse un minimo Caradoc e Sturgis, aveva avvisato Hestia di stare attenta: era evidente come quei due fossero fatti l’uno per l’altro. Lei rispondeva sempre che nel caso avesse mai beccato Sturgis nel letto di Caradoc, non avrebbe nemmeno dovuto sporcarsi le mani di sangue: sarebbe bastato sedersi comodi e attendere il loro scannarsi a vicenda in poco tempo.
 
Mentre quindi il suo ragazzo e il suo amico impiegavano il tempo della colazione a litigare su chi dei due avesse barato e come si potesse definire lo sbavare di Caradoc dietro a Miranda Hopkirk, lei lasciò vagare lo sguardo sui restanti quattro tavoli della sala.
 
Al tavolo dei professori la professoressa Sprite era intenta a parlare di qualcosa di apparentemente molto divertente con il professor Kettleburn, che da due anni era sprovvisto di una mano, a causa di un brusco incidente con un Avvincino del lago nero. Il resto della tavolata era vuoto, parzialmente sparecchiato.
 
Il tavolo Grifondoro era stato preso d’assalto da ragazze del terzo anno –a parere di Hestia- tutte riunite attorno alla classifica degli Scapoli D’oro migliori della Londra Magica, rubrica che usciva una volta al mese. I Tassorosso erano quasi completamente assenti, e gli unici due degni di nota si trovavano accanto a lei.
 
I serpeverde erano calmi, nessuno sberleffo e nessun fischio da parte di nessuno diretto a qualche ragazza timida o a qualche giovanotto imbranato. Beh, comprensibile, erano le otto del sabato mattina anche per loro.
 
<< Ehi, Hes, allora ci vediamo ai Tre Manici come al solito, verso le undici? >> le chiese Amelia, seduta al suo fianco, i capelli scuri raccolti in una coda alta e le guance rubizze riempite da un sorriso fraterno. Voltando lo sguardo verso i ragazzi, Hestia vide che adesso erano tutti presi da una conversazione sulle Vespe di Wimbourne, squadra da cui circa quindici giorni prima Caradoc aveva ricevuto una convocazione l’estate successiva.
 
<< Se vuoi anche prima, dopo quattro anni che ci si va, Hogsmeade perde gran parte del proprio fascino >> mormora in risposta all’amica, scrollando le spalle << Certo però, che potremmo fare qualcosa di più divertente del solito… magari un po’ diverso, invece che rintanarci subito al tre manici di scopa >>.
 
 
*
 
 
Per Benjy, la locanda “La Testa di Porco” aveva un nonsoché di rassicurante. Per prima cosa, non era frequentata da nessuno studente di Hogwarts, e per lui e Dorcas, quindi, passarne la soglia equivaleva ad entrare in un territorio neutro in cui essere privi della dicitura impolverata di “secchioni noiosi”. In secondo luogo, poi, ogni qualvolta entrava alla Testa di Porco seguito dalla sua migliore amica, poteva vederle il viso schiarirsi e, quando proprio era fortunato, anche un sorriso nascere sulle sue labbra. A pensarci bene, Dorcas in passato aveva sorriso più in quel Pub che in qualsiasi altro luogo sulla faccia della terra, magico o babbano che fosse, esclusa forse casa propria.
 
Non era esattamente un segreto la simpatia che provava per il vecchio barista, che sembrava ricordarle un bravo nonno, così come non era un segreto il fatto che la simpatia fosse pienamente ricambiata.
 
Certo, non erano in molti a farci caso, e d’altronde, Aberforth Silente non è che lo facesse capire con grandi sorrisi e abbracci stritolaossa. Era più che altro il guizzo che aveva sulle labbra oltre la barba bianca, quando vedeva la ragazza e il suo amico entrare nel suo pub.
 
<< Ab >> salutò non appena entrata, Dorcas, con uno dei suoi rari sorrisi << Come stai? >>.
 
L’uomo, nonostante l’età ancora ben piantato, grugnì malamente in risposta. Poi, accortosi dei due ragazzi, fece un secondo suono dall’aria meno scortese, ma comunque ben lontano dall’essere amichevole.
 
<< Ah, Cas, che ci fate qui?>> chiese come ogni volta, chinandosi a prendere due bicchieri sudici da uno dei ripiani bassi ancora più sudicio << Sai che non è consigliato agli studenti di venire qui da me >>.
 
<< è proprio per questo che ci veniamo, Ab >> gli rispose Benjy con un lungo sguardo ai bicchieri, recitando il copione come sempre << Io un idromele, grazie >>.
 
<< Succo di zucca >> ordinò per se Dorcas, avviandosi al solito tavolo che occupavano quelle poche volte in cui aderivano alle uscite ad Hogsmeade.
 
Ovviamente il locale era mezzo vuoto: qualche individuo ammantato nel nero, una strega dal volto rugoso e gli occhi storti e un uomo sulla cinquantina con i capelli lunghi legati in una coda. Ogni persona era seduta ad un tavolo diverso, il che ne lasciava vuoto solo uno oltre al loro.
 
Per qualche minuto, mentre Ab si dava da fare a preparare le loro ordinazioni, Dorcas e Benjy stettero seduti a guardarsi negli occhi o a segnare con dita annoiate la superficie sgraziata del tavolo di legno.
 
<< è inutile che mi tieni il muso, Dor >> scosse alla fine il capo Benjy, che con due dita cercava di eliminare le schegge più pericolose dalla tavola << Non ti avrei mai lasciato ad Hogwarts per una giornata come questa >>.
 
Dorcas inarcò il sopracciglio, preparandosi a ribattere con le stesse identiche parole che aveva usato sulla strada verso il villaggio.
 
<< è una giornata esattamente come tutte le altre >>.
 
Benjy alzò gli occhi al cielo, con l’aria di chi ha sentito per un milione di volte quelle stesse parole, dette esattamente con lo stesso tono di voce.
 
<< No, oggi è il 2 ottobre, che ti piaccia oppure no >> replicò convinto.
 
<< Ma… >>
 
<< Pochi discorsi, ragazzina >> la interruppe il barista portando al tavolo i due bicchieri da loro ordinati, e una piccola teglia della misura di un palmo di mano, con dentro un dolce che grondava cioccolato.
 
<< Ti sei dato alla cucina, Ab? >> scherzò Ben, cercando di trattenere un sorrisetto. Erano anni ormai che Dorcas non si stupiva più di quanto, in quel locale, Benjy riuscisse ad essere se stesso in modo molto più completo che ad Hogwarts.
 
<< Taci un po’, Fenwick >> lo rimbrottò scortesemente Aberforth, salvo poi posare con una delicatezza inusuale il bicchiere colmo di idromele davanti a lui << Vedi di non prenderti troppa confidenza, ragazzo, e metti un po’ di carne su queste ossa, che sennò le ragazze non ti guardano. Allora, come vi va a scuola? Mi sono arrivate voci interessanti su un certo club dei duellanti, Cas. >>
 
Con un sorriso mezzo accennato sulle labbra screpolate, Dorcas scosse il capo.
 
<< Voci interessanti che riguardano me? >> chiese alla fine dedicando il proprio sguardo alla tortina al cioccolato << Ne sei proprio sicuro? >>.
 
La porta si aprì ancora, e Aberforth si voltò giusto per gettare un’occhiata al nuovo arrivato.
 
Erano più di uno: la compagnia era formata da sei ragazzi e due ragazze, queste ultime particolarmente infreddolite e rinchiuse saldamente nei loro mantelli.
 
In testa c’erano i due gemelli Prewett, bardati con calde sciarpe di lana intrecciata, un cappello dello stesso tessuto ben calato sui capelli rossi e il viso lentigginoso provato dall’aria fredda dell’esterno. Accanto a loro, la pelle scura di Kingsley risaltava come caffè vicino al latte, un braccio forte sulle spalle della piccola Amelia, l’unica ragazza del sesto anno in mezzo a quei bruti del settimo. In mezzo al gruppo, Edgar Bones si guardava attorno con gli occhi buoni luccicanti d’aspettativa. Alle spalle dei cinque, infine, Hestia Jones e Sturgis Podmore si tenevano rispettivamente al fianco sinistro e destro di un individuo singolarmente bello, i tratti fini e nobili e i capelli acconciati in un ciuffo dall’aspetto quasi teatrale.
 
Caradoc Dearborn, tanto per rimanere fedele al proprio nome e alla propria reputazione, si stava lamentando in tono smorzato e indolente.
 
 
*
 
 
<< Cioè, fammi capire, che Merlino avete contro I Tre Manici di Scopa? >> chiese Caradoc per l’ennesima volta quando si infilarono nel vicolo stretto e poco popolato da cui si aveva accesso alla Testa di Porco.
 
<< Non avevi detto che dopo aver lasciato Rosmerta tra voi c’era un po’ di tensione? >> gli chiese in risposta Hestia << Vedi, non vogliamo rovinarti la giornata >>.
 
<< Credo di preferire la tensione e la rabbia di ‘Smer alla possibilità di prendermi il colera, grazie >> commentò sdegnato << E poi, credo che sia rimasta a Hogwarts, a quanto ho capito doveva studiare >>.
 
<< Non l’ho vista in Sala Comune >> si intromise Gideon facendo cenno alla porta << Allora, entriamo? >>.
 
Caradoc gettò un’occhiata all’insegna. Era sangue, quello?
 
<< E questa sarebbe la vostra idea per rendere un po’ più avventurosa la nostra uscita ad Hogsmeade? >> chiese << Di chi è stata questa brillante idea? >>.
 
<< Hes, sai che Rosmerta non le sta molto simpatica- gli disse Sturgis, indicando la ragazza.
 
<< Tu disonori i Corvonero, Jones. Non mi sembra per niente una scelta ponderata quella di entrare in questo Pub >> la riprese Caradoc con sguardo accigliato << Sempre detto, io, che dovevi entrare in Grifondoro >>.
 
<< Oh, taci Dearborn >> esclamò in risposta la ragazza, alzando gli occhi al cielo << Ti lamenti peggio di un bambino >>.
 
L’interno del locale rispecchiava l’esterno.
 
Era poco luminoso, dall’aria dimessa e fatiscente, con una decina di tavoli lunghi poco curati e avventori ancor meno invitanti. Il bancone, al momento, era vuoto, le varie bottiglie sul muro avevano l’aria sporca e sul ripiano del bar stava abbandonato uno straccio dall’aria sudicia.
 
<< Ehi, niente studenti, qui >> esclamò il barista, che a quanto pare non era assente ma semplicemente impegnato a servire alcuni avventori.
 
Hestia sentì Caradoc smettere di lamentarsi e, contemporaneamente, sporgersi verso di lei.
 
<< Ma quello non è Fenwick? >> le chiese sottovoce.
 
<< Si >> rispose con lo stesso tono << Ma perché sussurri? >>.
 
Il ragazzo ci pensò appena qualche secondo.
 
<< Mi pareva adatto alla situazione, ecco tutto >> aggiunse alla fine, rivolgendosi poi al barista, un tizio poco raccomandabile con la barba e i capelli piuttosto lunghi << Anche loro sono studenti >>.
 
<< Qui il barista sono… >>
 
Hestia vide Fenwick sporgersi verso l’uomo, e mormorargli qualcosa indicando loro con un cenno. Il barista sembrò  per un attimo scettico ma poi, dopo uno sguardo prolungato, scuotere le spalle e tornare verso il bancone.
 
<< Io prendo un’acquaviola >> dichiarò quindi in direzione dell’uomo.
 
 
*
 
 
Come avesse finito per festeggiare il proprio diciassettesimo compleanno in compagnia delle persone più lontane mentalmente e caratterialmente da lei, Dorcas Meadowes non riuscì proprio a capirlo, quel giorno.
 
Quando, di ritorno dalla Guferia, aveva trovato Benjy ad aspettarla esattamente ai piedi delle scale che portavano solo in quella torre, Dorcas non si era stupita poi granché. Il suo migliore amico la conosceva ormai bene, e doveva aver immaginato dove sarebbe andata a riflettere quel mattino in particolare, il primo compleanno che passava senza alcuna lettera del padre a tenerle compagnia.
 
Un anno prima, in quello stesso giorno, Ben l’aveva aspettata in sala grande, avevano fatto colazione insieme, erano andati ad Hogsmeade a fare un giro da Mielandia e poi dritti da Ab, che brontolando e grugnendo la propria disapprovazione le aveva fatto trovare un tortino con cioccolata fondente pronto per festeggiare. Tornando al castello, per le due del pomeriggio, era andata in camera e aveva trovato sul suo letto l’ennesimo regalo di suo padre, e una lettera legata ordinatamente alla zampina di Asterope.
 
<< Ciao, Dorcas >> la salutò con un sorriso dolcissimo la piccola Amelia.
 
Amelia aveva la sua età, ma per una qualche ragione non meglio identificata dimostrava decisamente qualche anno in meno. Non nel fisico: si, era piccolina, ma aveva il fisico di una donna e non più quello di una bambina. Erano quei sorrisi dolcissimi, gli occhi grandi e grigi e la risata allegra che pareva il trillo di una campanella.
 
<< Amelia >> ricambiò il sorriso con uno lievemente più chiuso la ragazza.
 
<< Ecco allora dove andavate a infilarvi voi due nelle gite ad Hogsmeade >> esclamò Hestia sedendosi accanto a Dorcas. Il tavolo in cui si erano seduti all’inizio lei e Ben, che prima pareva tanto grande, scompariva letteralmente se circondato da dieci persone << Me lo sono chiesta spesso, non vedendovi >>.
 
Dorcas diede in un sorriso piuttosto muto, e rivolse uno sguardo incolore all’amico.
 
<< Io e Dorcas non veniamo spesso a Hogsmeade, forse è per questo che non ci vedi mai. Per il resto delle volte, comunque, siamo qui >>.
 
Il ragazzo –che per Dorcas aveva chiaramente incisa a fuoco in fronte l’irritazione per dover passare la propria giornata con loro- era affiancato da una parte da Edgar Bones, e dall’altra da Caradoc Dearborn.
 
Sarebbe stata una giornata piuttosto lunga.
 
  




NOTE:
 
avevo promesso che avrei aggiornato L’amore ai tempi dell’odio, ma non ci sono riuscita. Dal momento che stava passando troppo tempo dall’aggiornamento di questa ff, invece, ho deciso di postare un nuovo capitolo.
L’aggiornamento dell’amore ai tempi dell’odio slitta a sabato prossimo, ma se ci riesco provo venerdì. Non prometto nulla. I P.o.V saranno, alla fine, Frank/James/Mary, Alice sarà in quello dopo.
Mi scuso per eventuali orrori di italiano in questo capitolo, spero di sentire qualche parere in più da parte vostra!
buona lettura!
Hir
 

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Capitolo 7
*** 06. Capitolo 6 ***


 Capitolo 6



 
-Dorcas, per caso ti ricordi il titolo del tema per Lumacorno?-.
 
Amelia Bones era una bella ragazza, a modo suo: alta poco meno del metro e cinquanta, aveva un viso da bambola con un sorriso dolcissimo, e due splendide fossette sulle guance. Non era nota per la sua grande intelligenza, benchè sapesse distinguersi di tanto in tanto a lezione per le brillanti risposte, né per il suo immenso coraggio, essendo una Tassorosso.
 
Non faceva parte fissa di nessuna compagnia: non era, come erroneamente pensavano gli altri studenti, parte attiva del gruppo “Prewett-Podmore-Dearborn-Shacklebolt-Jones e Bones” –in cui il Bones in questione stava a simboleggiare il fratello, per essere precisi-, ma aveva amici un po’ ovunque e, cosa strana per quel tempo, non destava particolare antipatia nemmeno nei Serpeverde.
 
Era una ragazza come tante altre, con problemi come quelli di tante altre adolescenti. E, in più, aveva un bel sorriso.
 
-Gli influssi del Gelsomino nell’Amortentia- le rispose Dorcas, un sorriso più riservato a sagomarle le labbra lievemente screpolate.
 
-vedi, Lumacorno e la McGrannitt sono gli unici abbastanza furbi da cambiare di anno in anno gli argomenti di temi e compiti- esclamò Hestia rivolta alle due ragazze, guadagnandosi un cenno d’assenso anche da parte del proprio ragazzo, seduto accanto a lei –la Sprite non lo fa mai-.
 
Fabian Prewett diede in un sorriso divertito.
 
-questo spiega il motivo per cui Meli ha i tuoi stessi voti di Erbologia, Hes- le disse in risposta scuotendo il capo –e meno male che una delle caratteristiche fondamentali dei Tassorosso dovrebbe essere la lealtà-.
 
Amelia Bones si limitò a scrollare il capo, lasciando ondeggiare i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo sulla nuca.
 
-la lealtà è una questione di  punti di vista, Prewett- dichiarò alla fine, con uno sguardo dolce come il miele negli occhi e una punta di sarcasmo sulla lingua.
 
-ehi, tu e Fenwick vi passate le battute, per caso?- intervenne Dearborn con quell’espressione da cane bastonato che sfoggiava tanto volentieri nelle occasioni in cui i suoi amici lo mettevano con le spalle al muro. Non se l’era tolta dal muso sin da che lo avevano spinto –assolutamente controvoglia- dentro a quella locanda malfamata –non dicesti ad Hes qualcosa di simile, in biblioteca, Fenwick?-.
 
Benjy scrutò Caradoc con sguardo scettico.
 
-non passo il mio tempo a registrare a mente la mia voce per il puro piacere di riascoltarla, Dearborn- lo freddò alla fine, sempre con quel tono cortese che impediva di prenderlo a schiaffi pubblicamente anche quando, soprattutto quando, se lo meritava veramente –non ricordo cosa ho detto, in biblioteca-.
 
Dorcas levò gli occhi sul suo migliore amico in uno sguardo di fuoco. Non aveva mai sentito Benjy parlare in modo così gentilmente scortese ad anima viva, o morta, su tutta la terra.
 
Lui le rispose con uno sguardo incolore venato di un rammarico falso quanto una moneta da sei falci, nel bel mezzo del silenzio che circondava ora la tavola. Shacklebolt si poteva dire sorpreso, i Prewett vagamente indignati, Podmore decisamente sbalordito e la Jones soddisfatta per aver avuto la conferma che, in fondo in fondo, quel Fenwick qualcosa di guasto ce lo aveva per essere finito a Serpeverde.
Caradoc aggrottò la fronte, perplesso.
 
I Bones furono gli unici a non dare troppo peso alle parole del ragazzo.
 
-non era negli intenti di Benjy offendere nessuno- disse alla fine, sempre al centro del silenzio, la Meadowes –è solo particolarmente di cattivo umore, stamani-.
 
Caradoc Dearborn si limitò a rivolgere un lungo sguardo alla ragazza.
 
A Dorcas, Caradoc piaceva immensamente.
 
Non come ragazzo, no. Era stato uno dei motivi principali per cui, l’anno prima, aveva rifiutato il suo invito ad Hogwarts. Non le interessava quel ragazzo dai tratti talmente belli da far perdere la testa a più di una ragazza, non le interessava il suo tanto decantato ciuffo e nemmeno i suoi tanto lodati occhi ambrati.
 
Era qualcos’altro.
 
Era, probabilmente, il fatto di poter riconoscere che oltre quella maschera si celava il ragazzo forse più intelligente con cui avesse mai avuto l’onore di trascorrere del tempo.
 
Perché non era per caso che sette anni prima Caradoc Dearborn era stato smistato a Corvonero, a parer suo.
 
La ragazza, quindi, incrociando quello sguardo tanto lodato, non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso rassicurante, subito scomparso nel levare gli occhi verso i suoi compagni di tavola, verso la cappa di silenzio persistente che continuava ad aleggiare su tutta la combriccola.
 
-vi va un pezzo di torta al cioccolato?- chiese indicando la piccola tortina in mezzo a loro, in un tono disinvolto che mai prima di allora le era appartenuto –Ab è uno cuoco davvero stupefacente, e non ho mai assaggiato una torta migliore di questa-.
 
 
*
 
 
-quindi tu non sei mai salita su una scopa?- chiese sbalordito, circa una mezzora dopo, Sturgis Podmore.
 
Essendo loro decisamente in troppi per condurre una sola conversazione, la tavola si era naturalmente divisa in due sottogruppi. Hestia, Sturgis, Fabian, Edgar e Dorcas parlavano di qualsiasi cosa capitasse a tiro, da eventi assolutamente trascurabili accaduti il natale scorso alla facilità di manovrabilità delle moderne scope da corsa. In realtà, i primi quattro parlavano ridendo e scherzando tra loro, rievocando ricordi divertenti e passandosi la parola a vicenda, mentre Dorcas si limitava ad ascoltare con un mezzo sorriso divertito sulle labbra.
 
Solo con quell’ultima domanda, l’attenzione dei quattro si focalizzò pienamente su di lei.
 
Intimidita da tanto interesse, si ritrasse lievemente sulla sedia imporporandosi appena sulle gote.
 
-beh, io non…- esitò un attimo, scuotendo la testa –se si escludono le prime lezioni di volo, no-.
 
Se fosse stata una persona diversa, sarebbe scoppiata a ridere di fronte all’espressione di totale sbalordimento dipinta sul viso dei tre ragazzi. Vide la Jones scuotere la testa e dare una gomitata al suo ragazzo.
 
-Merlino, Dor, perdona questi trogloditi- le disse con fare cameratesco, pestando sonoramente il piede a Sturgis per ridestarlo dallo stato di catatonico stupore in cui pareva esser precipitato –sai, sono troppo stupidi per capire che ci sono cose più interessanti del volo, al mondo-.
 
Nuovamente, il sorriso fece capolino sul volto della ragazza.
 
-no, davvero, non capisco- esclamò Edgar scuotendo il capo –perché no? Insomma, a tutti piace volare!-.
 
Dorcas scosse il capo.
 
-no, mi dispiace- mormorò cercando per un secondo ancora di fuggire tanta attenzione. Dal momento che nessuno dei tre pareva voler volgere ad altro il proprio interesse, si sentì in dovere di continuare –preferisco tenere i piedi per terra, ci sono meno rischi di cadere-.
 
-come, sei caduta dalla scopa?- chiese allora Fabian, interdetto.
 
-quella fu solo colpa di quel bastardo di Malfoy- dichiarò Amelia, infiltrandosi nella conversazione. Fino ad allora, era rimasta ad ascoltare in parte i discorsi di Caradoc, Kingsley e Gideon sui M.A.G.O. e in parte quelli dei cinque ragazzi –è sempre stato un’idiota, ha fatto cadere anche la Boot. Siete compagne di dormitorio, non è vero, Dorcas? Tu ti sei rotta un braccio, e lui l’ha passata liscia-.
 
Dorcas annuì, a testimoniare che Morag Boot occupava il letto accanto al suo, per quanto la cosa le fosse mai interessata. Avevano scambiato si e no tre parole, dall’inizio di quell’anno.
 
Tornando con lo sguardo sul resto della compagnia, la ragazza incrociò il profilo di Fenwick. Ben era intento ad ascoltare le parole di Kingsley, che ora era occupato a descrivere il suo personale esame di Difesa Contro le Arti Oscure, ai G.U.F.O.
 
-…alla fine si è trattato solo di un Molliccio, ed è stato piuttosto semplice. Non credo che quest’anno gli esami saranno così poco impegnativi e…-
 
-parla per te, King, poco impegnativi! Studiavamo sei ore al giorno nel mese precedente i G.U.F.O.- si intromise Fabian, vedendo che l’attenzione della Meadowes era stata attratta dalle parole del Caposcuola –spero davvero che ti conterrai, quest’anno, e non ci farai studiare dalle dieci alle dodici ore come minacci fin dall’inizio di settembre-.
 
-Fab, sono serio quando dico che dovremmo impegnarci-
 
-anche io sono serio quando dico che giorno dopo giorno assomigli sempre di più a Docco- ribattè il ragazzo, indicando quello che, Dorcas l’aveva capito più o meno dieci frecciatine prima, doveva essere un po’ il buffone e un po’ il collante del gruppo –ancora un po’, e dovremmo sopportarne due che straparlano e fanno la ruota come dei pavoni-.
 
-io, non faccio la ruota come un pavone- puntualizzò sentendosi chiamato in causa il capitano corvonero, l’indice sfoderato ad ammonire il gemello incriminato –e poi, la tua è tutta invidia-.
 
Il rumore di una sedia scostata interruppe la diatriba in corso.
 
-scusate- mormorò Benjy alzandosi e scostando il proprio boccale di idromele –porto la torta ad Ab-.
 
Dorcas fu tentata di alzare gli occhi al cielo, ritrovandosi poi costretta a piantarli sul nodo del legno al centro della tavola.
 
Lasciò che il proprio migliore amico prendesse la piccola teglia e si dirigesse al bancone, a fare compagnia al burbero barista, e per un attimo lasciò che il silenzio solidificasse la tensione. Alla fine, rassegnata, alzò gli occhi.
 
-sembra davvero di malumore- mormorò per primo Sturgis, indicando con un cenno Benjy.
 
Dorcas scosse la testa, cercando una spiegazione che fosse più cortese del “sopporta assai poco l’ego gigantesco di Caradoc Dearborn”.
 
Alla fine scosse le spalle.
 
-gli passerà- mormorò svogliatamente in risposta.
 
-beh, per essere un serpeverde non è male- la consolò con un sorriso Gideon.
 
 
*
 
 
Benjy Fenwick sapeva di essere una persona dal carattere particolare. Jodie Fenwick, sua sorella, ossia una delle poche persone che potevano vantare con lui una qualche forma di confidenza, era abituata a ripetergli spessissime volte quanto lui fosse una persona strana. Qualche volta aggiungeva che era difficile credersi davvero sua sorella, alla luce dei fatti.
 
Non che Jodie non gli volesse un gran bene, anzi. Era l’unica persona con cui ormai intratteneva una qualche forma di corrispondenza puntuale al di fuori di Hogwarts, se si escludevano i genitori. Ma, proprio perché gli voleva un gran bene, sentiva il dovere di essere schietta e sincera.
 
Benjy era strano, introverso, talvolta timido e sicuramente molto riservato. Era anche piuttosto bello, decisamente intelligente, astuto e privo di una qual si voglia forma di scrupoli nei confronti di coloro che non conosceva a menadito: di quest’ultima categoria facevano parte tutti gli abitanti della terra escluse quattro persone. Sua madre, suo padre, Jodie e Dorcas.
 
Al contrario di quanto era uso pensare ad Hogwarts, fra quei pochi che facevano caso a lui, aveva uno spiccato senso dell’umorismo. Strano, forse, bislacco e un po’ perverso. Ma lo aveva.
 
Per questo si sarebbe messo a ridere sfacciatamente alla prospettiva di dover passare un indecente numero di minuti –se non di ore- a così stretto contatto con una persona come Caradoc Dearborn, se solo non fosse stato un comportamento disdicevole da tenere in pubblico, per non dire decisamente di cattivo gusto.
 
Caradoc Dearborn era, agli occhi della maggior parte di Hogwarts, una di quelle persone da non lasciarsi sfuggire. MAI, in nessuna occasione. Ottimo partito sia come fidanzato che come amico: bellissimo ragazzo, eccezionale giocatore di quidditch, capitano della squadra di Corvonero, che solo lo scorso anno era arrivata ad un soffio dalla coppa,  studente brillante e sagace, amico leale, Purosangue da almeno cinquanta generazioni, convenientemente ricco e ben istruito, nonché oltremodo educato. Aveva un bellissimo sorriso e uno splendido sguardo ambrato, cose che attiravano le donzelle almeno quanto il suo conto in banca.
 
Di tutta la patria dei bellocci, era quello che Fenwick sopportava meno. Non che avesse qualcosa contro il quidditch o quelli con un bel sorriso: il problema era l’ego spropositato del ragazzo in questione.
 
Caradoc Dearborn aveva la bocca così piena d’arroganza che di tanto in tanto, Ben, si ritrovava a chiedersi come potesse parlare senza soffocare. Aveva un ego talmente grande da richiedere, sempre a parere del serpeverde, almeno venti metri vuoti attorno a lui per potersi muovere senza fare danni.
 
Quando lo aveva sentito lamentarsi, con quella voce piena e intensa che si ritrovava, fuori dalla porta del suo piccolo paradiso personale, il giorno del compleanno della sua migliore amica, Benjy Fenwick aveva capito di non doversi aspettare un granché, dalla giornata. Poi lo aveva visto sedersi svogliato accanto a se, e aveva compreso che sarebbe stata proprio una di quelle giornate che, avendo diritto di scelta, si avrebbe preferito non vivere.
 
Insieme a Dearborn era entrata tutta l’allegra compagnia.
 
Ma c’era una cosa che aveva potere su Benjy Fenwick. Non era tanto la persona, Dorcas Meadowes, e nemmeno l’occasione, il suo compleanno.
Era più l’aver visto un pallido sorriso nascente sulle sue labbra allo scorgere la sagoma dei Prewett, che parevano divertirla in modo così inspiegabile.
 
L’unica cosa che aveva spinto Ben a chiedere ad Ab di sopportare la combriccola intera, era il desiderio di saperla felice.
 
-ti posso servire ancora qualcosa, Fenwick?- chiese burbero Ab irrompendo nei pensieri del ragazzo –tipo un biglietto da visita ai Tre Manici di Scopa, per esempio? È una bella locanda, sulla via principale del villaggio, dovresti provarla… e magari portarci i tuoi amichetti-.
 
Ben soppresse un sorriso acido, rivolgendo invece un cenno alla torta.
 
-Dor si è premurata di lasciartene un pezzo, dal momento che non ti sei degnato di raggiungerci, prima-.
 
-sto lavorando, io,  Fenwick- lo rimbrottò occhieggiando il quadratino di torta rimasto nella teglia. Con un’espressione svogliata che non avrebbe ingannato nemmeno quell’idiota di Dearborn –caso mai si fosse degnato di guardare da quella parte, il principe-, si allungò sul bancone per afferrare il pezzo di dolce. Con un sorriso appena accennato nascosto dietro a quella sudicia massa di barba, alzò gli occhi verso il tavolo, rivolto a Dorcas. La ragazza, con una mano attorno al suo bicchiere di succo di zucca, alzò gli occhi a ricambiare quello sguardo –mica come voialtri nullafacenti, che vi rigirate nella bambagia-.
 
Vide da lontano la ragazza sorridergli, e prima di portarsi alle labbra il pezzo di torta lo alzò come si userebbe fare con un calice per proporre un brindisi.
 
-a proposito di gente che vive nella bambagia- riprese a parlare con lo stesso tono, non appena ebbe finito di mangiare il dolce, mettendosi a rimestare sotto al bancone –è arrivato circa dieci minuti fa, ma non volevo interrompere nulla. Sia mai che decidiate di andarvene in anticipo, tu e i tuoi amichetti-.
 
Ancora una volta, Ben ingoiò commento, risposta e risata. Sapeva che poche cose davano ad Aberforth una soddisfazione grande quanto il vedere qualcuno raccogliere una provocazione.
 
-da dove è arrivato, oggi?- chiese invece interessato, prendendo ciò che il vecchio gli porgeva –l’ultima volta che l’ho sentita era tra gli aborigeni australiani, una settimana fa, e cercava in non so quale modo di convincerli a farle incontrare il loro sciamano. Prima o poi ci rimette il collo, secondo me-.
 
-è commovente il sentimento che trapela dalla tua voce, si vede che ti preoccupi per il destino di tua sorella- mormorò in risposta il vecchio, scrollando le spalle –la posta è arrivata con un Grifone del Bengala. Animali resistenti, quelli. Direi India, quindi-.
 
 
*
 
 
Hestia aveva osservato con attenzione Dorcas fin da quando, entrata nel malandato Pub, aveva ordinato un’acquaviola accompagnata dai brontolii di uno stizzito Caradoc Dearborn.
 
Si, era proprio Fenwick, quello seduto al tavolo. E si, era proprio la Meadowes, quella che gli faceva compagnia con un sorriso più morto che vivo in volto e l’espressione… scompigliata, quasi. Come di chi si sia trattenuto sveglio per tutta la notte precedente, con l’unica occupazione di osservare il soffitto e pensare ai malspesi.
 
Anche ora, quasi due ore dopo, continuava a guardarla. La vide alzarsi –d’altronde era seduta accanto a lei, come non notarlo?-, fare un cenno con il capo al barista e dirigersi verso una porta interna dall’aspetto malmesso come il resto del locale.
 
Fenwick era nuovamente seduto al suo posto, schiacciato tra un Caradoc improvvisamente silente e Edgar, che con la sua allegria riusciva a smontare un po’ la tensione accumulata dai suoi vicini. La busta in cui era contenuta lettera che Benjy aveva appena portato a Dorcas faceva bella mostra di se sul tavolo, con il sigillo di cera rossa venato e la pergamena di grana fine lievemente accartocciata sul risvolto esterno.
 
-non sapevo avessi una sorella, Fenwick- esclamò Hestia all’ennesimo sospiro di Kingsley, che sembrava arrovellarsi il cervello per trovare un modo per spezzare la ritrovata tensione –è da molto tempo che è in India?-.
 
Se c’era una cosa incomprensibile dall’esterno, nel rapporto tra Benjy e Dorcas, era il loro strano modo di comunicarsi le cose. Quando aveva preso tra le dita quella busta e aveva scartato la lettera, Dorcas si era limitata ad aggrottare la fronte con fare perplesso e ad emettere una sola parola.
 
-Oriente?- aveva chiesto stupita.
 
-India, secondo Ab- aveva risposto Benjy, come al solito imperscrutabile.
 
Sporgendosi leggermente verso la ragazza con la lettera in mano, era riuscita a sbirciare la firma del mittente.
 
Cordialmente tua, Jodie Odelia Fenwick.
 
-non più di qualche giorno, ne sono convinto- rispose Fenwick strappandola dai suoi pensieri con quella voce incolore che sempre usava per rispondere –solo una settimana fa era in Australia-.
 
Scettica, Hestia scosse il capo.
 
-viaggia molto?- chiese interessata.
 
-più di quanto piaccia ammettere a nostra madre- mormorò in risposta il ragazzo, allungando la mano per riprendere la busta ormai vuota; il resto della lettera se lo era infatti tenuto Dorcas nella sua spedizione chissà dove al piano di sopra del malandato pub –ma Jodie lo chiama lavoro-.
 
-lavoro?- domandò interessato Kingsley, rasserenato dalla momentanea mancanza di tensione nell’aria –è una ricercatrice?-.
 
-qualcosa del genere, si- annuì Ben in risposta –è antropologa dei simboli e dell’occulto, gira per il mondo per ricercare le origini della magia nelle tribù più antiche… o qualcosa del genere, non saprei esattamente descrivere ciò che fa-.
 
 Alla fine il silenzio calò ancora, e forse ancor più pesante di prima.
 
 
*
 
 
-noi… Dorcas!- l’aveva richiamata indietro, alla fine, la Jones, quando tutti insieme erano usciti dal Pub, nel primo pomeriggio. Al suono della voce di Hestia, Dorcas si era voltata perplessa.
 
-si?- aveva chiesto con quella voce roca che sempre si ritrovava quando doveva parlare con chiunque non fosse Ben. Poco avanti rispetto a lei, Fenwick si era fermato, una figura solitaria avvolto in un mantello, silente.
 
-noi…- aveva di nuovo esitato la ragazza, con gli amici alle sue spalle incuriositi da quello che avrebbe detto. Non c’era nessuna figura solitaria, tra di loro, solo una massa di persone unite e amiche -…io e Meli di solito studiamo insieme in biblioteca, dopo le lezioni, oppure sotto il faggio accanto al lago, se è bel tempo e non è troppo freddo. Ti va di unirti a noi, lunedì, dopo le lezioni?-.
 
Lo stupore di Dorcas doveva essere visibile a tutti, a giudicare dal silenzio che seguì tali parole.
 
-si, certo- aveva annuito alla fine, lo sguardo più imperscrutabile e il volto di nuovo disteso e impassibile –volentieri… Buona giornata-.
 
Prima che il disagio si rendesse visibile, aveva voltato la schiena a quella strana gente così diversa da lei e si era trascinata con Ben da Mielandia, più desiderosa che mai che quella giornata decisamente fuori dagli schemi giungesse al termine.
 
 
*
 
 
Alla fine il due di ottobre era passato, lasciandosi alle spalle qualche confuso ma piacevole ricordo di una compagnia per nulla usuale.
 
-secondo me dovresti andarci- esordì Fenwick quel lunedì mattina, non appena Lumacorno lasciò loro campo libero sulle pozioni.
 
-loro non ti piacciono- gli ricordò Dorcas, guardandolo stupita.
 
Benjy scosse il capo, come a liquidare la faccenda.
 
-non devono piacere a me. E poi, non è vero che non mi piacciono, Dor. Trovo solo molto irritanti i modi di fare di Dearborn, sai come la penso su di lui-.
 
-non farò finta di capire perché tu non riesca a vedere dietro ai modi di Dearborn, Ben, perché proprio non lo capisco- mormorò Dorcas mentre si sporgeva per lasciar cadere nel calderone una foglia di Aconito, sotto lo sguardo attento del serpeverde, che con il suo occhio acuto supervisionava il suo lavoro –normalmente non fatichi per nulla a vedere oltre le maschere-.
 
Benjy alzò un attimo lo sguardo dal calderone –cosa che faceva assai raramente, quando occupava il banco in compagnia di Dorcas, perché chiunque la conosceva un minimo sapeva quanto la ragazza fosse negata per le pozioni. I suoi voti erano soprattutto merito della vicinanza di Ben-.
 
-c’è poco da vedere, oltre Caradoc Dearborn- rispose in un sussurro il serpeverde, prendendo con mano ferma una boccetta di sangue di salamandra –mi chiedo piuttosto cosa ci veda tu, in quegli occhi così belli-.
 
Per caso stai meditando di cadere ai suoi piedi? Quella, la domanda che Dorcas lesse nelle parole del proprio migliore amico.
 
Non parlavano mai di ragazzi, né tantomeno di ragazze. E di certo non parlavano mai di Caradoc.
 
-non fanno per me, anche se oggettivamente esistono poche altre persone al mondo ad avere occhi tanto degni di nota. Sembrano quelli di un puma- disse Dorcas, scrollando le spalle e guardando la pozione bollire come da manuale. Alla fine, dopo qualche minuto, alzò gli occhi verso quelli del proprio migliore amico –sai, Ben, ho sempre pensato una cosa, riguardante Caradoc-.
 
Fenwick socchiuse gli occhi, mostrandosi vagamente interessato.
 
-è un bellissimo ragazzo, purosangue, con la battuta sempre pronta e ottimi voti. Passa tanto di quel tempo a convincerti di essere un idiota, che ben presto inizi a dimenticare che tra quelle due belle orecchie sta una testa che è stata smistata a Corvonero, e non per il suo conto in banca o per il ciuffo. Ora, una persona del genere, deve essere o irrimediabilmente stupida o incommensurabilmente intelligente. Il fatto che si comporti da stupido mi ha convinto di avere a che fare con una delle persone più intelligenti che io abbia mai conosciuto-.
 
Benjy storse le labbra in un sorriso amarognolo.
 
-quello che vuoi dirmi è che dovrei chiedergli scusa?- chiese lievemente sorpreso, in tono volutamente ironico.
 
La sua migliore amica, in risposta, diede in un sorriso innocente.
 
-veramente, quello lo hai detto tu-.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
so che come capitolo non è un granchè, così come so di essere in ritardo, sia con questa che con L’amore ai Tempi dell’Odio. Chiedo scusa, ma in questi giorni ho talmente tanti pensieri per la testa e tante cose da fare che quando alla sera cado sul letto non ho nemmeno la forza di sognare, figurarsi di scrivere. Mi sono strappata ognuna di queste frasi con immensa fatica, e immagino che il risultato pessimo sia ben visibile.
 
Sul capitolo non ho nulla da dire, risponderò a tutte le recensioni appena la linea internet smetterà di fare i capricci, giuro!
 
Ho cambiato il titolo. “Primavera non bussa, lei entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura” è un verso di una canzone di De Andrè, “Un chimico”. Erano anni che non la ascoltavo, ma quando ho sentito questa frase non ho potuto non collegarla a Dorcas…
 
Ancora mi scuso per tutto ritardi e mediocrità del capitolo,
spero che vi piaccia comunque,
Hir



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Capitolo 8
*** 07. Capitolo 7 ***


NOTE:
 
non avevo alcuna intenzione di aggiornare questa storia prima di aver aggiornato “l’amore ai tempi dell’odio”, cosa che non faccio da quasi un mese. Ma poi, l'ispirazione, l'immaginazione, l'ossessione che comincio a sviluppare per questa storia... Visto che sono in partenza, prometto che aggiornerò quella storia fra due settimane, quando tornerò dalle vacanze.
 
In questo periodo non avevo proprio voglia di scrivere, ma stasera mi è venuta l’ispirazione per questa storia, e ho deciso di pubblicare questo capitolo. Non è niente di che, ma mi serve come introduzione per i prossimi capitoli.
 
Tra l’altro, dopo aver scritto nello scorso capitolo di Jodie Fenwick e aver constatato che come personaggio a qualcuno piace, anticipo che alla fine di questa ff ne scriverò una su di lei, anche se sarà –temo- una di quelle storie che ricevono meno letture del bugiardino della medicina più scadente. Amen. Ho già iniziato a scriverla e la pubblicherò alla fine di questa.
 
Ora vi lascio al capitolo,
buona lettura,
Hir
 
 

 Capitolo 7
 

 
 
 
 

-è stupefacente. Ma se uno vi montasse insieme, voi due, otterrebbe un matto unico e perfetto.
Secondo me Dio è ancora lì, col grande puzzle sotto il naso,
a chiedersi dove son finiti quei due pezzi che andavano così bene insieme-.
-cos’è un puzzle?- chiese Bartleboom nello stesso istante in cui Plasson domandava
-cos’è un puzzle?-.
[…]
Due pezzi di puzzle. Fatti l’uno per l’altro.
Da qualche parte del cielo un vecchio Signore, in quell’istante, li aveva finalmente ritrovati.
-Diavolo! Lo dicevo io che non potevano essere scomparsi-.*
 

 
 
 
-Signorina Meadowes?-.
 
La voce seriosa della Professoressa distolse per qualche attimo l’attenzione di Dorcas dal libro che stava leggendo.
 
Allo scoccare dell’ora di pranzo la Sala Grande si era riempita con la velocità di un calderone sotto il getto di una cascata, ma nonostante il tumulto di gente che si assiepava a prendere posto tra un tavolo e l’altro, la ragazza distinse perfettamente la sagoma dritta come un fuso di Minerva McGrannitt che, con il suo passo deciso e l’immancabile crocchia, si dirigeva verso di lei.
 
Nel tavolo opposto rispetto al suo, quello attorno a cui erano riuniti gli studenti Serpeverde, Benjy Fenwick alzò gli occhi con fare disinteressato, incrociando per un solo attimo lo sguardo lievemente corrugato dell’amica.
 
-signorina Meadowes, mi vuole seguire, per cortesia?- chiese la McGrannitt, una volta raggiunta Dorcas.
 
La ragazza si limitò ad un assenso, rapido e sicuro, poi ripose il libro nella borsa e si alzò per seguire la professoressa. Attorno alle due figure, voci concitate di ragazzini intimoriti si affannavano a cercare una risposta ad una richiesta di colloquio così strano.
 
Da che mondo era mondo, Dorcas Meadowes non veniva considerata quasi mai, se non da quel suo amico strampalato e, nelle ultime settimane, qualche volta dal gruppo Grifondoro e Corvonero del settimo anno. Certo, i professori notavano gli splendidi voti della ragazza –la cui media veniva abbassata esclusivamente dall’unico Oltre Ogni Previsione di Pozioni-, ma l’unico che di tanto in tanto spendeva parole per lei pareva essere Vitious.
 
E poi, si sapeva benissimo che la McGrannitt chiamava nel suo ufficio la gente esclusivamente per assegnare punizioni o impartire prediche severe.
 
Immune ai pettegolezzi come lo era da quando era entrata in quella scuola, Dorcas Meadowes percorse l’intero corridoio tra il tavolo Corvonero e quello Tassorosso con lo sguardo puntato all’orlo inferiore della veste color smeraldo della Professoressa, che non aveva in alcun modo cambiato espressione o andatura.
 
Arrivata al portone della Sala Grande, Dorcas incrociò sulla soglia lo sguardo di Hestia, rimasta basita ad osservare prima la Professoressa dinnanzi alla Corvonero, poi la Corvonero stessa.
 
Durante l’intervallo della mattinata, la Jones l’aveva cercata appositamente per informarla che lei e Amelia si sarebbero viste in biblioteca per le quattro. Con un sorriso sincero, Dorcas aveva assicurato la sua presenza, sentendo accanto a se Benjy annuire impercettibilmente, e distendere le labbra in un sorrisetto  compiaciuto.
 
Passando al fianco della Jones le rivolse uno sguardo ingentilito da un singolo sorriso gentile, come a comunicare che il motivo della convocazione non era nulla di preoccupante.
 
-chiuda pure la porta, Signorina Meadowes- disse alle fine la McGrannitt quando giunsero nel suo studio, il tono posato seppur serio –gradisce uno zenzerotto?-.
 
-no, la ringrazio- mormorò in risposta la ragazza, lo sguardo impassibile posato sulla scrivania.
 
-si sieda, la prego, non le ruberò molto tempo- annuì allora sedendosi a sua volta all’altro lato della scrivania.
 
Con attenzione Dorcas accolse l’invito, sedendosi sulla poltroncina a lei indicata e rivolgendo la sua attenzione alla Professoressa.
 
-volevo comunicarle di aver esaminato la sua richiesta pervenutami l’anno scorso, poco prima degli esami del G.U.F.O.- iniziò a spiegare la professoressa, un sorriso fermo sulle labbra –quanto da lei richiesto non poteva essere preso in considerazione… almeno, non qualche mese fa. Ne ho parlato con il Professor Silente, che si è detto d’accordo, e ho avuto modo di ascoltare l’opinione che ha di lei l’intero corpo insegnanti, specialmente il Professor Vitious. Nella mia materia, devo ammettere di aver di rado incontrato allievi con la sua costanza e il suo impegno, e anche una qualche forma di talento, se di questo vogliamo parlare. Il Professor Vitious ha di lei la massima stima-.
 
Dorcas sorrise appena sentendo le parole della Professoressa.
 
-completamente ricambiata, Professoressa- mormorò infatti con voce gentile. Aveva sospettato che il motivo della convocazione potesse essere proprio la richiesta da lei inoltrata a fine maggio dell’anno precedente.
 
-dopo… gli avvenimenti dell’ultimo periodo- esitò la McGrannitt, con uno sguardo gentile e lievemente più morbido dipinto negli occhi –vorrei sapere se la sua intenzione permane o se debbo considerare nulla la sua richiesta-.
 
-non ho cambiato idea in alcun modo. La mia richiesta è ancora valida-.
 
Un lieve cenno di assenso da parte della Professoressa le fece capire di averle dato la risposta che si aspettava. Per alcuni secondi il silenzio si protrasse, mentre la donna davanti a lei si limitava a cercare con mani sicure una sola carta tra i fogli ordinatamente impilati sul lato destro della propria scrivania. Alla fine, con uno sguardo fermo, Minerva McGrannitt porse a Dorcas una singola pergamena vergata con mano sicura.
 
-questi sono titoli di letture che le consiglio per approfondire l’argomento in fase iniziale- disse alla fine rivolgendole uno sguardo serioso –ho potuto osservarla con attenzione, quest’anno e quelli precedenti, e così anche durante i G.U.F.O. Per questo motivo mi sento sicura nell’appoggiarla nella sua decisione, signorina Meadowes, dal momento che, se non sbaglio, da ieri lei è diventata maggiorenne. Nessuna legge ora le vieta di studiare questa specifica branca della magia. Devo tuttavia avvisarla che quello in cui intende inoltrarsi è un campo vario e molto espanso della magia, un campo che non sono in molti a voler affrontare. È complicato fare quello che intende fare, al punto che pochi di noi si sono sentiti in grado di attuare questi particolari incantesimi. Io, naturalmente, sono a sua completa disposizione, e la pregherei per qualsiasi cosa di venire a chiedere a me come sia meglio procedere. Non cerchi di fare di testa sua, questa è magia molto avanzata e assolutamente pericolosa se ci si avvicina privi di qualsivoglia forma di coscienza-.
 
-naturalmente, Professoressa, non oserei mai provare qualcosa del genere da sola- le assicurò Dorcas annuendo –è per questo che le ho inoltrato quella richiesta-.
 
Con un sorriso soddisfatto, Minerva McGrannitt annuì in risposta.
 
-vorrei ancora essere sicura che questo studio, facoltativo e del tutto separato dalle faccende scolastiche, non le prendesse troppo tempo, costringendola così a rubare tempo allo studio o ad altri impegni scolastici presi precedentemente. Il Professor Vitious, in particolare, mi ha comunicato che fai parte del Club dei Duellanti. So, inoltre, che per voi del sesto anno inizieranno a breve le lezioni del Corso di Materializzazione, e immagino lei voglia partecipare-.
 
-non trascurerò alcun impegno, Professoressa, sono sicura di poter garantire su questo-.
 
-molto bene, credo allora di averle detto tutto- annuì infine la Professoressa, tornando al sorriso gentile di poco prima –sono certa di potermi fidare di lei e della sua parola. Si dedichi alla lista di letture che le ho consigliato, e quando le avrà terminate torni da me. Dietro a quella pergamena ho firmato un permesso per prendere alcuni libri dal reparto proibito, la Bibliotecaria è stata informata della sua particolare situazione, come tutto lo Staff e il corpo docente, e non farà problemi-.
 
-grazie, le sono grata per l’opportunità- mormorò Dorcas sinceramente toccata da tanto interessamento. Quando aveva pensato a quella opzione era ancora al terzo anno, eppure aveva sempre pensato che, una volta arrivato il momento giusto, avrebbe trovato una forte opposizione.
 
-Buon pranzo, Signorina Meadowes- le rispose gentile la McGrannitt, facendole chiaramente intendere la fine del colloquio. Dorcas si alzò e si voltò verso la porta, salvo poi essere richiamata indietro da una lieve esitazione della Professoressa –e… Dorcas?-.
 
-si?- domandò gentile tornando a voltarsi.
 
-auguri per ieri, anche da parte del Professor Silente-.
 
Annuendo, Dorcas ingoiò l’amaro sapore di ricordi più felici.
 
-grazie. Buon pranzo, Professoressa-.
 
 

*

 
 
-scusatemi scusatemi scusatemi-.
 
Amelia Bones entrò in biblioteca all’alba delle quattro e quarantacinque. Nell’ordine, prima di arrivare al tavolo attorno a cui Dorcas e Hestia erano intente a studiare, travolse un ragazzetto del primo anno Tassorosso, scontrò uno scaffale facendo cadere cinque libri e scansò per un pelo una colonna di pietra, scontro che avrebbe determinato un suo ricovero di almeno una notte in infermeria sotto le amorevoli cure della madama infermiera.
 
-scusatemi scusatemi scusatemi- ripeté ancora abbassando progressivamente la voce sotto le occhiate malevole della bibliotecaria –scusatemi!-.
 
Hestia Jones sollevò lo sguardo divertito in una buffa imitazione dell’espressione più sprezzante del repertorio di Caradoc Dearborn, rivolgendo un’occhiata distratta all’orologio che teneva al polso sinistro.
 
-sei quasi in anticipo, rispetto i tuoi soliti standard- replicò alla fine lanciando un’occhiata esasperata a Dorcas, che in risposta le dedicò un sorrisetto divertito –scommetto che questa delicatezza la si deve alla tua presenza. Di solito mi lascia ad aspettare per minimo un’ora e mezza-.
 
-concordo con Caradoc quando dice che a forza di stare con Sturgis ti stai ammalando della sua pedanteria- replicò secca Amelia, con quel sorriso da bambola, accomodandosi e prendendo una pergamena e una piuma dalla borsa.
 
-sentire Caradoc parlare di pedanteria rivolto ad altri è come sentire Grindelwald scandalizzarsi per l’omicidio di un gatto- le rispose a tono Hestia, scrollando la piuma.
 
Amelia soffocò una risatina, rivolgendosi poi a Dorcas.
 
-ho sentito che sei stata convocata dalla McGrannitt… è successo qualcosa di grave?-.
 
Dorcas negò con un sorriso gentile.
 
-letture supplementari di trasfigurazione- mormorò scrollando il capo –gliele avevo chieste tempo fa-.
 
Con un sorriso, la Tassorosso annuì.
 
-beh, c’era da aspettarselo, sei la migliore del corso- esclamò tutta giuliva.
 
Hestia Jones si limitò invece a scrutare la Meadowes con uno sguardo serio dal suo posto, dall’altra parte del tavolo. Quando incrociò lo sguardo della ragazza, infine, sorrise inaspettatamente e si chinò ancora sul proprio compito.
 
-che scusa hai questa volta per il ritardo?- chiese all’amica Tassorosso con tono lieve.
 
-Miranda ha lasciato Tom, e adesso è distrutta-.
 
Hestia alzò gli occhi al cielo.
 
-e allora perché lo ha lasciato?-.
 
La domanda veniva da parte di Dorcas. Discretamente curiosa per natura, checché ne dicesse chiunque non la conoscesse bene, non si rese conto di aver posto la domanda fino a quando non vide lo scintillio malizioso negli occhi di Amelia Bones, che come tutte le sedicenni che si rispettino era anche un po’ pettegola.
 
-vedi, tra i Tassorosso non è esattamente un segreto che Tom Abbott sia innamorato di Greta Mac Gregor più o meno da sempre. Miranda si era semplicemente stufata di non essere ricambiata, ma a lei Tom piace veramente-.
 
-beh, Ed ha sempre avuto un debole per Miranda, magari riesce a… confortarla- disse sorridendo appena la Jones, deponendo la piuma dopo aver messo l’ultimo punto al compito.
 
-Merlino benedetto, non ho mai conosciuto qualcuno più imbranato di mio fratello in campo di ragazze. L’unica donna a cui riesce a concedere la propria attenzione senza fare figure ridicole è la pluffa, e talvolta non ci riesce nemmeno troppo bene- esclamò in risposta Amelia, scuotendo il capo sbarazzina con un sorrisetto divertito.
 
Dorcas non riuscì a soffocare una risata, sentendo Amelia parlare così di Edgar.
 
-Meli, non dovresti parlare così di tuo fratello!- la rimproverò Hestia, guardandola seriamente –Edgar è un uomo d’altri tempi, sei tu che non lo capisci!-.
 
-si, io e tutto il resto del mondo- la prese in giro la Tassorosso, facendole una linguaccia –dovrei pensare forse che ti sei innamorata di mio fratello? Non so proprio il povero Sturgis come la prenderà-.
 
Un lampo affettuoso negli occhi di Hestia, un lieve imbarazzo sulle sua guance, ora rossissime.
 
-oh, guarda Dorcas, è arrossita!- esclamò impietosa Amelia, indicandole la Jones –chissà che hanno combinato fino a poco fa lei e Podmore!-.
 
-Amelia!- scattò la Jones cercando di riprendersi il suo contegno, fuggito chissà dove al sopraggiungere del rossore.
 
-è sempre più rossa- commentò la Bones con sguardo critico –ora sulle sue guance si può cuocere un uovo. Beh, certo, Podmore ha un bel sedere, non si può dire che…-
 
-Amelia Briony Bones! Stai zitta, o mi costringerai a raccontare alla povera Dorcas tutto su di te e un certo Paul Vance-.
 
Fu con sommo divertimento che Dorcas ammirò la più giovane dei Bones avvampare sotto l’ondata di imbarazzo.
 
 

*

 
 
Era una persona molto emotiva, Hestia Jones: per un nonnulla le guance le si chiazzavano di rosso e gli occhi le diventavano lucidi, spesso sentiva il magone invaderle la gola o una risata nascere spontanea.
 
Ricordava ancora il primo appuntamento che aveva avuto con Sturgis, tre anni prima: aveva assunto un tiepido color porpora al mattino e non lo aveva abbandonato fino alla sera, quando dopo il primo bacio era rimasta indecisa se ridere istericamente o piangere di felicità.
 
Era fatta così, l’emotività era parte del pacchetto, Stur lo diceva sempre. Adorava vederla arrossire di botto, ogni qualvolta le sussurrava un “sei bellissima” all’orecchio, amava quei suoi occhi caldi che nei momenti più felici e impensati si riempivano di lacrime per la commozione.
 
Il resto del mondo arrossiva normalmente, se messo in imbarazzo. Hestia invece prendeva fuoco, come dicevano sempre i gemelli Prewett per prenderla in giro, diventando di un colore assurdamente simile ai loro capelli. E a niente valevano le prese in giro, i commenti, le risate e le rassicurazioni, anzi.
 
L’unico modo per spegnare l’incendio era semplicemente lasciarlo ardere.
 
 

*

 
 
Checché ne dicesse la sorella, Edgar Bones si riteneva, come lo definiva gentilmente Hestia Jones, un uomo d’altri tempi.
 
Era una di quelle persone che preferivano non vedere il marcio del mondo, limitandosi con un sorriso sulle labbra a viverne la parte buona. Bonaccione, così lo chiamavano i suoi amici.
 
Beh, come diceva quello scrittore babbano, “l’ottimista è un imbecille felice, il pessimista un imbecille infelice”… quindi, tanto valeva godersela con un sorriso, diceva lui.
 
Essendo lui, per l’appunto, un uomo d’altri tempi, di solito tendeva ad isolarsi nel sentire Caradoc Dearborn iniziare uno dei suoi tanti discorsi sul particolare esemplare di fauna femminile di Hogwarts che, per quella settimana, avrebbe rivestito il ruolo di “donna della sua vita”.
 
-…e infatti, alla fine, abbiamo deciso di studiare insieme domani. Quasi quasi potrei chiedere ad Hagrid se ci porta dalle Acromantule, a quanto dicono le sue amiche lei ama l’avventura. Ah, Sturgis, ne sono certo, Zoe Riles è la donna della mia vita-.
 
Edgar soffocò una risata sul nascere quando vide, al suo fianco destro, Sturgis Podmore alzare gli occhi al cielo. Al suo fianco sinistro, Caradoc Dearborn gli scoccò un’occhiata incuriosita.
 
-non convieni con me, Ed?-.
 
-ora, donna… Zoe Riles non è la grifondoro quarto anno tutta trine e merletti?- domandò con un sorriso scrollando le spalle, come a discolparsi.
 
-non è tutta tri…-
 
-ma quello non è Fenwick?- domandò Sturgis richiamando a se l’attenzione dei due, indirizzandola con un cenno del capo al limitare della foresta che circondava quel lato del parco di Hogwarts –non l’ho mai visto comportarsi così-.
 
Edgar volse lo sguardo verso il punto indicato da Sturgis. Era l’ingresso ad una piccola radura, ed il luogo era deserto se si escludeva la figura di Fenwick, stranamente mingherlina se paragonata alla grande ombra degli ormai secolari sicomori che lo circondavano.
 
-non che io presti molto spesso attenzione a Fenwick, ma…- iniziò Caradoc con quel sorriso un po’ beffardo stampato sulle labbra, alzando lo sguardo anch’egli verso il punto in cui Fenwick protendeva una mano al vuoto. Ingoiando un singulto abilmente trasformato in un colpo di tosse, Dearborn lasciò cadere la frase, limitandosi a fissare ad occhi sgranati il serpeverde.
 
-che sta facendo?- domandò allora Edgar, sentendosi in diritto di chiederlo dal momento che uno dei suoi compagni pareva sotto incantesimo della pastoia e l’altro, scettico, aggrottava la fronte.
 
-non saprei proprio, forse tenta di incantare un albero- mormorò alla fine Podmore, scrollando le spalle –Docco, secondo te che fa? Sei il più intelligente, qui-.
 
Dearborn era immobile come una statua di sale. Con gli occhi seguiva i movimenti del serpeverde, attento.
 
-Caradoc?- domandò ancora Sturgis, spostando lo sguardo sull’amico quando si accorse di non aver ancora ricevuto risposta.
 
Fu come una scossa elettrica, lieve ma presente, quella che fece rinvenire Dearborn. Il ragazzo voltò lo sguardo, incrociò gli occhi verdi del Prefetto corvonero e abbozzò un’espressione annoiata.
 
-e perché mai io dovrei sapere cosa fa Fenwick?- chiese con il suo miglior tono sprezzante. Alla fine indicò la capanna del guardiacaccia, ormai poco lontana da loro –andiamo da Hagrid, devo chiedergli se per le Acromantule si può fare qualcosa-.
 
 

*

 
 
Entrando in Sala Grande per la cena, Dorcas Meadowes pensò di non aver mai studiato così poco in un pomeriggio.
 
Quella mattina si era svegliata sapendo ben poco delle Pozioni Rallegranti, e ben poco sapeva ancora adesso mentre, con lo sguardo puntato al tavolo dei Corvonero, scorgeva Benjy intento ad aspettarla.
 
Il pomeriggio in biblioteca era volato, con l’allegra compagnia della risata trillante di Amelia e gli sguardi incuriositi della Jones. Checché ne dicesse Hestia, Dorcas pensò che Dearborn aveva ragione nell’affermare che più tempo la corvonero passava con Podmore, più rischiava di assomigliargli.
 
-allora, com’è andato il pomeriggio?- domandò Fenwick con quella sua solita espressione imperscrutabile per chiunque, tranne che per la propria migliore amica.
 
Un vago cenno di interessamento costrinse Dorcas a stare sull’attenti. Sapeva bene dove il  migliore amico voleva andare a parare.
 
-mai studiato così poco- mormorò in risposta sedendosi prima di rivolgergli un’occhiata attenta –ora perché non mi chiedi quello che ti interessa veramente?-.
 
Ben si concesse un lieve sorriso divertito.
 
-se sai cosa mi interessa, perché non me ne parli spontaneamente?-.
 
Invece di rispondere, Dorcas rovistò dentro la tracolla per estrarne un pesante foglio in pergamena scritto su ambedue i lati. Senza sprecare fiato, lo porse al proprio migliore amico aggrottando la fronte.
 
-“Trasfigurazione umana per eccellenti trasfiguranti”, “TrasfiguranTrasfigurati, l’arte del saper mutare forma”- lesse in un sussurro Fenwick –“metamorfomagus, mutaforma e altre creature: trasfigurazione senza bacchetta, impara a conoscerla”. Interessante-.
 
Dorcas scrollò le spalle con disinvoltura.
 
-l’ho pensato anche io- mormorò portandosi alle labbra un cucchiaio di zuppa. Gettò uno sguardo incuriosito al proprio amico, ancora intento a leggere i titoli dei libri.
 
Alla fine lo vide posare sul tavolo la pergamena, portarsi una mano alla tempia destra come a reprimere un feroce mal di testa e alzare gli occhi su di lei.
 
-Morgana benedetta, Dor, perché vai a cercare il male come i Guaritori?-.
 
Dorcas s’irrigidì, notando che a qualche metro sulla sua destra un gruppo di ragazzine del secondo anno aveva smesso di parlare vedendoli così in tensione.
 
-non so di cosa stai parlando- tagliò corto tornando a tuffare il cucchiaio nel resto della zuppa –sono solo libri-.
 
-fammi la cortesia di non prendermi per scemo- sussurrò secco lanciandole un’occhiata gelida.
 
-e allora tu non comportarti come tale- gli rispose a tono la Meadowes, confusa. Non avevano mai litigato, e la sola idea di discutere con Fenwick era…
 
…non riusciva nemmeno a immaginarsela.
 
-disturbiamo?-.
 
La voce musicale di Hestia s’intromise giusto in tempo per bloccare la risposta di Benjy, che chiuse le labbra con uno sguardo contrariato.
 
-no, certo che no- mormorò invece Dorcas rivolgendole un sorriso gentile, indicandole il posto vuoto accanto a lei.
 
Il sorriso di Dorcas si estese ai gemelli Prewett e a Caradoc, alle spalle della Corvonero del settimo anno.
 
-non credevo che alle Serpi piacesse mangiare alla tavola Corvonero- esclamò Gideon Prewett sedendosi ad un lato di Fenwick.
 
-lo stesso si potrebbe dire per i Grifoni, Prewett- rispose secco Benjy.
 
Prewett parve pensarci qualche attimo, prima di tornare a voltarsi verso Fenwick.
 
-touché- ribadì gioviale, tendendogli la mano con fare amichevole.
 
Benjy finse di non notare né la mano né il fare amichevole. Poi vide l’occhiata di biasimo di Dorcas, e tese la mano in risposta.
 
-beh, Dorcas, alla fine oggi non si è studiato molto- esclamò Hestia in un visibile tentativo di sollevare la tensione –ma non è sempre così, davvero. Meli in questi giorni è un po’ agitata, ma normalmente è piuttosto studiosa-.
 
Dire che non avevano studiato molto era usare un eufemismo.
 
Certo, Dorcas non si sentiva di dover dare tutta la colpa alle altre due, quando lei per prima si era lasciata coinvolgere dai racconti di Amelia, e poi dalle battute di Hestia, che per tre quarti del suo tempo aveva parlato di Sturgis, e per l’altro quarto si era rimproverata perché “siamo qui per studiare, Meli, non per spettegolare come delle suocere!”
 
-credo che ci voglia ben più di Amelia Bones per far calare a picco l’ottima media di Dorcas Meadowes, a quanto dicono- esclamò dal suo posto Caradoc, seduto accanto a Hestia e davanti a Fabian.
 
Fu una sorpresa per tutti, lì, sentire Benjy Fenwick sospirare. Anche per Benjy stesso.
 
Quando i presenti alzarono lo sguardo su di lui, prese a mangiare come se nulla fosse, lo sguardo fisso sulla tovaglia quasi della stessa curiosa sfumatura dei suoi occhi, e bordata di tela bronzata.
 
-è questa la lista che ti ha dato la McGrannitt?- domandò Hestia trovando nel foglio di pergamena abbandonata un qualcosa su cui spezzare la momentanea tensione. Quando sentì il successivo irrigidimento provenire dalla zona Fenwick capì di aver scelto il ceppo sbagliato su cui spaccare la legna.
 
E la cosa iniziò, ai suoi occhi, a farsi interessante.
 
A sentire Sturgis, quando Fenwick gli aveva chiesto di eliminare Dorcas dal Club dei Duellanti era stato teso e rigido, in qualche modo contrario dalla scelta dell’amica. L’occhiata indecifrabile che rivolse al pezzo di pergamena, ora, la incuriosì.
 
Cosa mai poteva aver inventato, quella mente brillante che era Dorcas Meadowes, che riscontrasse nel proprio migliore amico così poco entusiasmo?
 
Senza attendere oltre afferrò tra le dita il foglio sul tavolo, trovandosi davanti un permesso firmato dalla Professoressa McGrannitt per il Reparto Proibito della Biblioteca.
 
Lì per lì, non trovò nulla di strano, a parer suo. Di tanto in tanto i professori concedevano agli studenti più meritevoli qualche permesso per il consulto di alcuni libri nella sezione proibita.
 
Voltando la pergamena lesse velocemente un elenco di sette o otto libri, vergati dalla calligrafia decisa di Minerva McGrannitt.
 
-sono pochi quelli che ci sono riusciti, sai?- domandò a bruciapelo Hestia.
 
-sono pochi quelli che ci hanno provato- rispose con un sorriso sicuro Dorcas, continuando a mangiare con tranquillità.
 
 
 
 
 

*la citazione è presa dal capolavoro di Baricco (e dove sarebbe la novità?) Oceano Mare.




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Capitolo 9
*** 08. Capitolo 8 ***


NOTE: 
avevo detto che non avrei pubblicato niente fino alla fine di Agosto, ma dal momento che mi hanno ritardato la partenza per la Scozia, ho avuto tempo di scrivere questo capitolo. Dateci una letta, e se vi va fatemi sapere qualcosa!
Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, ora vado a rispondere=)
sperando che vi piaccia,
buona lettura!!






Capitolo 08





Il Club dei Duellanti attirava sguardi e interesse di quasi ogni studente all’interno di Hogwarts.
 
Le riunioni, organizzate e portate avanti dal corpo dei Prefetti e dei Capiscuola, si svolgevano si tra un gruppo ristretto di allievi –quelli che si erano presentati alle selezioni, tanto per restringere il campo- ma potevano essere guardate da chi lo desiderava, motivo per cui la sala insegnanti risultava il più delle volte addirittura quasi troppo piena.
 
I tre diversi gruppi si radunavano in diversi momenti della settimana, in concordanza con i numerosi allenamenti di quidditch di quattro squadre distinte e le lezioni, motivo per cui l’intero corpo docenti si era spesse volte congratulato con gli organizzatori per l’efficienza con cui il Club andava avanti.
 
Il lunedì pomeriggio dalle tre e mezza alle cinque v’era l’incontro principianti, il mercoledì dalle sei alle otto quello dei capaci, e il giovedì dalle sette alle nove quello per gli esperti, riunione a cui era permesso assistere esclusivamente dal quinto anno in su, a causa dell’orario tardo.
 
Da quando Dorcas aveva passato la selezione per il gruppo degli esperti mandando letteralmente a gambe all’aria uno dei gemelli Prewett –Benjy non sapeva con certezza chi dei due fosse stato-, Fenwick passava le proprie serate, al giovedì, all’interno della sala insegnanti, la schiena appoggiata al muro e gli occhi spesso incollati alla figura della propria migliore amica.
 
-non ti dovresti preoccupare, Ben- mormorò quel giovedì sera, ben un mese dopo le selezioni, Dorcas, percorrendo l’ultimo tratto del corridoio che portava alla sala insegnanti –davvero, c’è sempre un sacco di gente a quelle riunioni, puoi anche andartene a dormire, se vuoi-.
 
-sai che non lo farò, Dor, quindi risparmia il fiato- le rispose il ragazzo seguendo i suoi passi, sperando di non risultare troppo ansioso –anche se devo ammettere che sono realmente stupito di quanto ti sia intestardita su questo Club. Non ti è mai importato nulla dei duelli-.
 
-le cose cambiano, Ben- ribattè la ragazza con uno sguardo più duro negli occhi.
 
Si chiese come fosse possibile ripetere lo stesso dialogo ogni giovedì sera, precisamente alle sette meno un quarto, ricalcando esattamente le stesse parole e gli stessi  passi, nel medesimo corridoio. Era la quinta volta che facevano quel discorso.
 
-sia come vuoi, la vita è tua-.
 
A quel punto Ben si morsicava la lingua per trovare il modo di stare zitto e Dorcas voltava la testa con uno scatto quasi irato, benchè fosse abituata a non arrabbiarsi mai.
 
Poi arrivavano davanti alla porta giusta, Dorcas protendeva una mano per bussare, e dopo aver udito le sue stesse nocche battere sul legno dell’anta stavano immobili ad aspettare che qualcuno li facesse entrare.
 
Normalmente era Sturgis ad aprire la porta, dal momento che in qualità di Prefetto incaricato del tutto viveva praticamente parte della sua vita in quell’aula, a quanto aveva capito Dorcas dai discorsi di Hestia, con cui aveva studiato almeno due volte a settimana nell’ultimo periodo.
 
-ciao Dorcas!- esclamò la ragazza del Prefetto, aprendo la porta e attendendo sulla soglia che la ragazza e il di lei amico entrassero -Fenwick-.
 
Benchè i rapporti tra Dorcas e Hestia fossero migliorati di moltissimo da quando studiavano insieme, talvolta insieme ad Amelia, la Jones e Fenwick continuavano a scambiarsi a malapena un cenno di saluto, e solo se messi con le spalle al muro. Ben continuava a considerare Hestia una primadonna dal sorriso lezioso e Hestia continuava a classificare Ben come serpeverde inquietante e nascosto.
 
-Dorcas, sei sempre la prima ad arrivare!- dichiarò Sturgis facendole l’occhiolino mentre riponeva una sedia impilata sulle altre, in uno degli angoli della stanza.
 
-e io chi sono, il figlio del vicino?- si lamentò Caradoc rivolgendo alla Meadowes un buffo accenno di sorriso sornione, contrapposto ad una smorfia irritata rivolta al proprio migliore amico –guarda te che ingrato! Mi scapicollo da una parte all’altra del castello appena terminata la punizione con Vitious, non ceno nemmeno per venire a darti una mano, e questo è il ringraziamento?-.
 
-non è che tu mi stia esattamente dando chissà quale mano, standotene mezzo sdraiato su quella sedia a contemplare il vuoto- ribatté l’amico facendogli giustamente notare il proprio modo di stare seduto.
 
-com’è che sei finito in punizione, comunque?- chiese interessata Hestia, aggrottando la fronte e richiudendo la porta –e con Vitious, poi, che ti adora…-
 
-si, beh… potrebbe essere che mi abbia beccato fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco- confessò Caradoc in tono lieve, quasi invitasse a non prenderlo troppo sul serio.
 
-sei davvero uscito dal dormitorio di notte? solo tu sei così scemo- rise Hestia, decisamente poco incline a perdonare chi infrangeva le regole.
 
-ti sei davvero fatto beccare? Solo tu sei così scemo- esclamò all’unisono con la sua ragazza Sturgis, che invece di regole ne infrangeva parecchie.
 
Dearborn, ben lungi dallo stupirsi della casualità che vedeva i suoi migliori amici esprimersi in modi così simili, inarcò appena un sopracciglio rivolgendo loro uno sguardo saputo. Sentendo ancora una volta bussare alla porta, Benjy si diresse verso la soglia.
 
-io l’ho sempre detto che passate troppo tempo insieme, voi due- ghignò indicando Dorcas e ridendo –e la Meadowes ha la faccia di pensarla proprio come me, ma di essere troppo gentile per dirvelo-.
 
-Dorcas è gentile, a differenza tua- esclamò Kingsley entrando nella stanza con un sorriso sulle labbra –la gentilezza è probabilmente l’unica donna di Hogwarts a non essere mai entrata in camera tua-.
 
-esclusa la McGrannitt, spero- concluse alle sue spalle Gideon Prewett, in parte divertito e in parte impressionato –in caso così non fosse, non me lo dire, ti prego. Non riuscirei più a guardarla negli occhi, sennò-.
 
La replica di Dearborn venne soffocata dalle risate generali.
 
 
*
 
 
Quando i suoi due migliori amici si erano messi insieme, Caradoc Dearborn non l’aveva presa esattamente molto bene.
 
Insomma, si può anche capire, quando qualcuno abituato a stare al centro dell’attenzione come lui si ritrova d’improvviso messo da parte, relegato al semplice ruolo di spettatore in seconda fila, le cose iniziano sempre ad andare per il verso sbagliato.
 
Era stato allora che aveva intuito il fascino che i suoi occhi esercitavano su più o meno qualunque esemplare di fauna femminile –e anche su qualche maschietto, a dirla tutta- di Hogwarts.
Aveva deciso di iniziare a interessarsi a qualcosa che non fosse unicamente la sua immagine riflessa allo specchio, o i molteplici problemi che questo suo attaccamento alla vanità mirava ad occultare.
 
Aveva quattordici anni, un bel sorriso e una mente acuta, e due migliori amici impegnati a fare qualsiasi altra cosa non fosse preoccuparsi per lui.
 
All’inizio aveva cominciato a dileguarsi non appena si ritrovavano tutti e tre insieme, trovando in qualche modo insopportabile il modo delizioso di sorridere che Hestia usava con Sturgis, ragazzo che fino ad allora aveva considerato ne più ne meno di quanto non considerasse Edgar Bones. Aveva poi progredito nel suo cammino verso il totale isolamento iniziando a studiare da solo, a mangiare in tutta fretta e ad arrivare in ritardo alle lezioni con l’unico scopo di sedersi ad un banco da solo, lasciando Hes e Stur l’uno vicino all’altra.
 
Lui non aveva mai considerato le ragazze come tali, relegandole più che altro al ruolo di amiche, e Hestia meno che mai… ma l’idea di avere qualcuna che sorridesse a lui come la sua migliore amica sorrideva a Sturgis aveva iniziato a stuzzicarlo.
 
Quando i due avevano iniziato ad insospettirsi, ritrovandosi da soli molto più spesso del solito e osservando in Caradoc uno strano comportamento, avevano intuito il principio e avevano fatto a chi tirava su la paglia più corta.
 
Il giorno successivo, Hestia aveva trovato Caradoc in guferia, in uno dei suoi rari attacchi di misantropia, intento ad accarezzare un gufo all’attaccatura delle ali, cosa molto strana di per se, dal momento che Dearborn pareva considerare ogni volatile come un “pulcioso piumoso coso infetto e sporco”.
 
Ciò che era uscito da quella conversazione era cosa ormai nota solo ai pochi prescelti, ossia a quella che Benjy Fenwick aveva definito La Patria dei Bellocci.
 
Non se ne faceva mai parola, e piano piano la reputazione di ragazzo vanesio e rubacuori aveva avvolto quel sottile animo d’acciaio che era in realtà Dearborn, lasciandolo lentamente scivolare lontano dagli occhi e dalla mente di chi gli stava attorno.
 
-Dearborn, credo si stiano rivolgendo a te-.
 
La voce stentorea di Fenwick lo fece sobbalzare dalla sorpresa. Sentendosi chiamare, si voltò di scatto alzandosi dalla sedia in cui ancora sedeva.
 
-scusa?-.
 
-credo chiamino te, i tuoi amici- disse ancora Fenwick, aggrottando appena la fronte e rivolgendogli uno sguardo severo.
 
Aveva già guardato negli occhi Benjy Fenwick, in passato. Aveva lo sguardo del blu più strano che conoscesse. Sua madre, vedendoli, avrebbe detto Blu Pavone, essendo lei una pittrice ed intendendosene di cose simili.  
 
Era un po’ il colore degli zaffiri Australiani, quelli dal colore più saturo.
 
Ed era tutto tranne che uno sguardo limpido.
 
-si, immagino di si- riuscì a scollarsi dal palato evitando di fare la figura del completo idiota e rivolgendogli appena un cenno di ringraziamento con la testa. Sturgis e Fabian lo stavano guardando, richiamandolo con grandi movimenti delle braccia dal capo opposto della sala.
 
-che cosa volete?- domandò arrivando impettito, con un tono di voce molto diverso rispetto a quello che usava normalmente. Aveva un che di infastidito, e lontano.
 
Un tono che dissuase i suoi amici dallo scherzare sulla sua testa tra le nuvole come avrebbero fatto abitualmente.
 
-oggi stai te in coppia con la Meadowes- lo ragguagliò Fabian, indicando con un cenno del capo la ragazza, ora vicino ad Hestia.
 
-sai, tra un po’ se ne accorgerà- rispose Caradoc alzando lo sguardo su Dorcas –insomma, prima o poi si accorgerà che Stur la assegna a chiunque non sia Antonin o uno dei suoi. E prima o poi, le persone a disposizione finiranno-.
 
-e che problema c’è? Quando se ne accorgerà, se la prenderà con Fenwick- ribattè Sturgis indicando il ragazzo alle spalle di Dearborn, che non aveva mosso un muscolo dalla posizione in cui lo aveva lasciato –e comunque, credo lo abbia capito da un pezzo, ormai. È una ragazza intelligente, la Meadowes-.
 
 
*
 
 
Quando Sturgis Podmore annunciò le coppie, le labbra di Fenwick si storsero in quello che con molta fantasia poteva passare per un sorriso sinceramente divertito.
 
Sorriso che sparì, in ogni caso, non appena la sua migliore amica si voltò con la fronte aggrottata verso di lui, come a chiedere qualcosa. Fenwick rispose con la sua miglior faccia sconvolta.
 
Dall’occhiata successiva, si accorse di come Dorcas non se la fosse bevuta per niente.
 
Ben aveva già visto Dearborn combattere: il giorno delle selezioni, più di un mese prima, ormai, quando Podmore aveva diviso il gruppo degli esperti in due sezioni e ne aveva esaminata una personalmente in un’altra aula, lui si era attardato un po’ nella sala insegnanti incuriosito da come Shacklebolt avrebbe condotto il suo gruppo.
 
Il primo duello a cui aveva assistito, quindi, era stato quello tra Dolohov e Dearborn, duello senza esclusione di colpi, che era durato un tempo eternamente lungo, facendogli quasi temere la possibilità di perdersi il duello di prova della propria migliore amica.
 
Da uno come Dearborn, ci si sarebbe aspettato che usasse la bacchetta con la stessa fluida eleganza con cui il Beau Brummel aveva usato il suo bastone da passeggio. Era bastato uno sguardo, tuttavia, al movimento del polso del ragazzo quando per primo aveva scagliato il primo incantesimo.
 
Più che elegante, era parso istintivo. La lotta spontanea di un ragazzo che usa la propria arma più come un prolungamento del suo corpo che come un reale aiuto dall’esterno.
 
Conoscendo Dearborn come lo conosceva –cioè poco e male, grazie a Salazar- Fenwick avrebbe scommesso di vederlo combattere con grazia e ferocia quasi al solo scopo di preservare intatta quell’aria di indolente perfezione che si era costruito attorno con gli anni. Con il senno di poi, guardandolo adesso sorridere a Dorcas con una traccia di gentilezza e genuinità nello sguardo, Benjy si rese conto che probabilmente non era agli altri, che Dearborn cercava di mantenere chiara la propria immagine. Forse, l’aura di scanzonato splendore di cui il ragazzo si circondava, serviva più per nascondersi a se stesso.
 
-credo proprio che sarà un bel duello, quello tra Dorcas e Caradoc- lo sorprese una voce accanto a lui, calma e profonda.
 
Con sua immensa costernazione –sensazione che cercò di non far trasparire per nulla dal successivo sguardo incolore che rivolse a Kingsley- si accorse di essersi soffermato con lo sguardo su Caradoc Dearborn più di quanto non gli sarebbe piaciuto ammettere.
 
 
*
 
 
Quando, durante l’anno precedente, Caradoc aveva invitato la Meadowes ad andare ad Hogsmeade insieme a lui, non lo aveva fatto esattamente perché la ragazza gli faceva pena.
 
Cioè, si, vero che, vedendola sempre da parte con l’unica compagnia di quel Serpeverde tanto gelido quanto ambiguo, un po’ di pena la provava pure lui.
 
Il bello, era che Dorcas Meadowes era una ragazza banale come tutte le altre, di cui sapere qualcosa era però completamente impossibile. Non aveva amiche, che conoscessero i suoi segreti o le sue aspirazioni, non aveva un ragazzo, che la facesse sorridere sia con gli occhi che con il cuore.
 
In poche parole, era uno di quegli enigmi quasi impossibili da risolvere.
 
Alla fine, lo aveva stupito sentirsi rifiutato, e forse anche un po’ offeso. Ma il modo in cui lei lo aveva fatto, il tono di voce con cui si era scusata, lo sguardo gentile e gli occhi sicuri, non lo aveva indisposto come sarebbe accaduto con altre ragazze.
 
In poche parole, a Caradoc Dorcas piaceva abbastanza. No, non ci voleva più uscire insieme, ma si, aveva continuato a trattarla con gentilezza e a concordare con quelle voci che la etichettavano come una delle ragazze più intelligenti e con la media più alta di tutta la scuola.
 
-allora, Meadowes, pronta?- le chiese giulivo andandole vicino, e sorridendole allegramente.
 
La ragazza rispose con uno dei suoi soliti sorrisi compassati.
 
-c’è chi dice che non si è mai pronti abbastanza-.
 
Caradoc ridacchiò, facendole cenno verso la pedana. Dal lato opposto della sala, proprio dove lo aveva lasciato almeno una decina di minuti prima, Fenwick era intento a parlare con Kingsley, anche se sarebbe stato più giusto affermare il contrario. Vide che di tanto in tanto il Serpeverde gettava qualche sguardo verso di lui. Più probabilmente verso la Meadowes, appoggiata al muro al suo fianco in attesa che arrivasse il loro momento.
 
-perché Fenwick continua a guardarci?- domandò però rivolto alla sua avversaria distogliendo lo sguardo dal ragazzo e puntandolo in quello curioso di Dorcas.
 
-probabile che mamma chioccia si preoccupi- mormorò lei in risposta, più a se stessa che a Dearborn.
 
Benchè la definizione di Dorcas non calasse a pennello sull’immagine che Caradoc aveva di Benjy, la frase lo fece ridere.
 
-non sei gentile, lui si preoccupa per te- le rispose sentendosi in dovere di difendere quel ragazzo che, tra tutti, pareva sopportarlo di meno. In fondo, forse, un lato Grifondoro ce lo aveva anche Dearborn.
A queste parole, Dorcas riappuntò lo sguardo sugli occhi di Caradoc, guardandolo con un sopracciglio inarcato e le orecchie tese, quasi stesse cercando di captare parole confuse.
 
-immagino di si- mormorò alla fine indicando con un cenno Sturgis, che li stava richiamando insieme ad altre due coppie –credo che dovremmo andare, no?-.
 
Guardando la ragazza voltargli le spalle e raggiungere Podmore, Caradoc non potè fare a meno di chiedersi che cosa avesse sentito tra le sue parole.
 
 
*
 
 
Alla fine, Fabian Prewett aveva lasciato la sala degli insegnanti alle nove e due minuti. Alle sue spalle, intenti a rimettere tutto in ordine, Caradoc e Sturgis che come al solito si prendevano a male parole, tanto per passare un po’ il tempo.
 
I partecipanti al Club avevano, ovviamente, il diritto all’estensione del coprifuoco per le serate del giovedì, permesso che sarebbe durato fino alla fine degli incontri. Praticamente per tutto l’anno scolastico. Era un’immensa soddisfazione, per Fabian, sbattere il permesso in faccia a Gazza ogni santa volta in cui l’arcigno custode e la sua ancora più arcigna gatta lo sorprendevano in giro per la scuola il giovedì sera dopo le nove.
 
Certo, non poteva avvantaggiarsene per molto. Il permesso durava fino alle nove e mezza, quindi non gli era poi così possibile sgattaiolare in giro per i corridoi per andare chissà dove. Spesso riusciva, tuttavia, a raggiugere le cucine.
 
Dalla prima volta aveva calcolato i tempi: impiegava sette minuti per scendere alle cucine, tre e mezzo per radunare i viveri e fare quattro chiacchiere con gli elfi e nove e mezzo per tornare al suo dormitorio.
 
Quindi, quella sera, era uscito dalle cucine che erano solo le nove e tredici.
 
Con particolare attenzione alla borsa –perché per esperienza sapeva che il succo di zucca sbatacchiato non era buono come il succo di zucca non sbatacchiato- e il passo disinvolto di chi aveva già percorso quei corridoi centinaia di volte, si era diretto verso la torre grifondoro.
 
Fu alle nove e sedici precise che si accorse di un paio di voci totalmente fuori luogo, a poca distanza dalla sua posizione, che battibeccavano tra loro. La prima voce, calma e posata, era poco più che un mormorio. La seconda era lievemente più alta e decisamente seria.
 
Fermandosi appena prima di imboccare l’angolo e quindi ritrovarsi, con ogni probabilità, faccia a faccia con i due interlocutori, si domandò mentalmente chi fosse in giro per la scuola a quell’ora. Da quel che gli risultava, solo i partecipanti al Club erano in possesso dell’autorizzazione, e quando aveva lasciato la sala ormai si erano già diretti tutti ai propri dormitori.
 
-Ben, non ho mai preteso che tu condividessi le mie scelte- mormorò una voce, proprio a quel punto–mi è sempre bastato sapere che capisci cosa mi spinge a farle-.
 
Così vicino, riuscì a distinguere la voce della Meadowes, quel tono che solo, in tutta Hogwarts, riusciva a mettergli soggezione.
 
-un’insensata voglia di mettere fine alla tua vita?- domandò in risposta la voce chiara e severa di Fenwick.
 
Mentre la Meadowes pareva aver riguardo per l’ora, sussurrando con quel suo solito tono appena un poco più alto di un normale mormorio, Fenwick si esprimeva invece con il suo tono più espressivo –il che, considerando il personaggio, voleva significare un tono monocorde e quasi atono-.
 
-pur criticandolo apertamente, a volte non riesci proprio a non cadere nella melodrammaticità tipica di Dearborn- gli rispose la Meadowes, con una traccia di scherno nella voce –non è mai morto nessuno per qualcosa del genere… e poi, sono sotto stretto controllo della McGrannitt-.
 
Prewett si sporse lievemente, tentando di restare comunque il più nascosto possibile. I due ragazzi, in piedi l’una accanto all’altro, erano lontani nemmeno tre metri da lui, e molto vicini tra loro. Erano estremamente presi dalla propria conversazione, tanto da non fare neppure caso alla possibile interferenza di un terzo elemento.
 
-sai che non mi riferisco solo a questo, Dor- le disse quasi subito Fenwick, scuotendo il capo e rivolgendole uno sguardo duro –non sei più te stessa da quest’estate. Non mi hai neppure detto di aver risentito tua madre! L’ho scoperto in una lettera di Jodie-.
 
-Jodie non doveva…-
 
-Jodie era preoccupata. Sai com’è fatta, si preoccupa per chiunque esclusa se stessa. E, se si tratta di te, lo faccio anche io. Per Salazar, Dorcas, sai che se potesse farti stare meglio mi taglierei entrambe le braccia. Di poche cose ero sicuro, e tu eri una di queste. So che ormai sei maggiorenne e puoi fare quello che vuoi, incluso decidere di immolarti per la causa, ma il fatto che io lo sappia non vuol dire che debba piacermi per forza-.
 
-non provo alcun desiderio di immolarmi per la causa-.
 
-non si direbbe, credimi. Quest’assurda vendetta…-
 
-Ben, se tuo padre fosse stato massacrato come lo è stato il mio avresti battuto il castello palmo a palmo pur di scovare i seguaci bastardi di quell’idiota folle e farla pagare ad ognuno di loro nel peggiore dei modi- lo interruppe la Meadowes. Il tono, questa volta, metteva i brividi –quindi non venirmi a dire che quella che tu chiami vendetta è assurda. Non me ne frega niente della vendetta. Quello che voglio è far vedere a quegli esseri degeneri che non mi nasconderò, e che il giorno in cui ci ritroveremo faccia a faccia in un campo vero, fuori da qui…  Mentre loro trasfiguravano un ditale in una blatta io invocavo un incanto patronus corporeo, e voglio che loro lo sappiano. Che sono più strega io di tutto il sangue puro che scorre loro nelle vene-.
 
Fabian assottigliò lo sguardo, cercando di vedere oltre l’oscurità del corridoio il viso della Meadowes. Era solcato di lacrime, probabilmente di rabbia, e gli occhi scuri parevano perle di petrolio nella penombra del luogo. Tirava profondi respiri, per calmarsi, e pareva quasi spaventata dal modo in cui aveva perso la calma.
 
Fenwick, in risposta, sospirò appoggiando le spalle al muro e portandosi al viso una mano.
 
-hai ragione, io… naturalmente, hai ragione- mormorò alla fine il ragazzo, vinto.
 
La ragazza sorrise in risposta, fra le lacrime.
 
-forse, o forse no. Forse sono davvero una stupida. Ma non mi importa, ormai ho perso troppo per rinunciare-.
 
 
*
 
 
Dorcas guardò dritto negli occhi il proprio migliore amico, cercando di non calcare l’attenzione sulle lacrime che ancora le bagnavano le guance. Sentirsi perdere il controllo così non era stato facile, ma riacquistarlo pareva in quel momento ancora più difficile.
 
Gli occhi scuri di Ben erano come al solito inflessibili, e assolutamente imperscrutabili.
 
-sai, Ben, forse è meglio se torni nei sotterranei. Sei stanco, si vede, e devi credermi se ti dico che posso ritrovare la strada per la torre anche senza il tuo aiuto. D’altronde, ci vivo ormai da sei anni-.
 
Ora, gli occhi di Benjy esprimevano certamente incredulità e scherno in egual misura.
 
-e se ci fosse qualche problema? Se per esempio…-
 
-fossi attaccata da un elfo domestico?- chiese la ragazza tentando un sorrisetto divertito –credo di non avere Eccezionale sia in Difesa che in Incantesimi solo per i miei begli occhi verdi, Ben-.
 
Inclinando il capo, Benjy capì che più che una richiesta, quello di tornare ai dormitori era un ordine. Scosse il capo, forse a volte si preoccupava davvero troppo, e con un sorriso stanco annuì.
 
-come preferisci, Dorcas. Buonanotte- le augurò con la solita gentilezza che sempre le riservava. A lei e a poche persone –e salutami gli elfi, se ne vedi-.
 
-in caso si mettesse male, ricordati che i miei fiori preferiti sono le magnolie bianche e le camelie- mormorò con quell’umorismo macabro che aveva sviluppato negli ultimi mesi, dalla morte di suo padre.
 
Sentì Benjy gelarsi sul posto, come ogni volta quando se ne usciva con una battuta del genere.
 
La verità era che da qualche mese, Dorcas aveva iniziato a farsi una ragione di tutto quello che l’attacco a casa sua aveva voluto significare. Non si era rassegnata, non sarebbe stato giusto metterla in questi termini, ma aveva capito.
 
Che ci sarebbe stato un giorno, prima o poi, che per lei non avrebbe avuto domani.
 
Semplice, concisa. Non perdeva tempo a pensarci su, né a fantasticarci sopra. Semplicemente ne prendeva atto, perché quando una tragedia del genere ti sfiora, ti tocca e ti ferisce a tal punto… è semplicemente impossibile non arrendersi all’evidenza.
 
Benjy no, non ci aveva pensato. O meglio, ci aveva pensato su parecchio, ma non aveva mai voluto soffermarcisi troppo. Se ci aveva pensato, era per far si che non accadesse.
 
-non è divertente, Dorcas- sibilò gelido spostando lo sguardo sulla pietra fredda che aveva davanti, oltre le spalle della sua migliore amica –per niente-.
 
Dorcas sospirò, lasciandosi andare ad una tale espressione di umanità. Dopotutto, erano le nove e venti di una sera impegnativa anche per lei.
 
-scusami, Ben, sono solo stanca- mormorò in risposta allungandosi sulle punte, per raggiungere l’altezza di Ben e lasciargli un bacio sulla guancia. Nonostante normalmente nessuno dei due apprezzasse troppo il contatto fisico, in quel momento aiutò a stemperare la tensione –buonanotte-.
 
 
*
 
 
Quell’ultimo commento della Meadowes aveva semplicemente ghiacciato sul posto anche Fabian.
 
Lì per lì, detta da chiunque e rivolta a chiunque altro, avrebbe avuto semplicemente il peso di una battuta come tutte le altre, ma il tono della Meadowes e la successiva reazione di Fenwick erano state…
 
Con un brivido che con il freddo non aveva nulla a che fare, Fabian osservò Fenwick tirare dritto per il corridoio e dirigersi ai sotterranei.  A pochi passi da lui, Dorcas guardava ferma davanti a se, respirando appena, e seguendo con lo sguardo le pietre della parete.
 
-immagino tu possa uscire, adesso- mormorò alla fine sempre rivolta contro la parete, la mano destra infilata nella tasca dei jeans.
 
Fabian ci mise qualche secondo a capire che si stava rivolgendo a lui. Lo intuì quando vide la Meadowes voltare lo sguardo verso di lui.
 
-come sapevi che…?-.
 
-ti ho sentito trattenere il respiro, circa un minuto fa- gli rispose Dorcas accennando un sorrisino stanco. Aveva gli occhi ancora lucidi e i capelli sciolti lievemente scarmagliati, ma le guance erano ormai quasi asciutte e la voce più ferma di prima –non ti chiederò da quanto tempo sei lì dietro, perché non mi interessa. Solo, non parlarne con nessuno. Non sono affari tuoi-.
 
Il tono di Dorcas non mirava ad offenderlo, pareva semplicemente troppo stanca per tentare un approccio meno sincero e più elegante. Fabian, sentendosi stranamente impotente, annuì in risposta.
 
-ti va se ti accompagno?- chiese quando vide la Meadowes cercare di congedarsi con un cenno. Era strano, forse, ma non aveva per niente voglia di lasciarla andare così, con ancora la traccia di lacrime salate sulle guance e quello sguardo perso dipinto negli occhi.
 
-tutti con questa mania di non lasciarmi sola, eh?- domandò la ragazza con nella voce una traccia di sarcasmo ben udibile. Alla fine, però, scosse le spalle come a far capire che non le importava veramente –come preferisci-.
 
Nonostante il tono di scherno, lo sguardo che la Meadowes aveva negli occhi pareva quasi liquido. Fabian si chiese se piangere le facesse quell’effetto. Vista così, alla penombra del corridoio e con la stanchezza di una giornata piena sulle spalle, sembrava quasi una bambina sperduta.
 
-hai duellato bene con Docco, stasera- si complimentò affiancandola, quando lei iniziò a camminare –mi è capitato raramente di assistere ad un duello del genere. È stato…-
 
-Caradoc Dearborn è veramente bravo- mormorò Dorcas con un sorriso ora più terreno –non mi era mai capitato di scontrarmi con qualcuno che usasse la magia in un modo così… istintivo, direi-.
 
-si, è il migliore del nostro anno, nonostante faccia di tutto per farsi passare per un idiota conclamato- annuì Fabian gettando uno sguardo alla propria borsa –gradisci qualcosa da mangiare? Ho praticamente ogni cosa: chiedi e ti sarà dato!-.
 
Dorcas parve per qualche istante trattenere una risata, e Prewett sorrise in risposta vedendole scomparire quasi ogni traccia del pianto precedente dal volto.
 
-hai qualcosa all’anice?- domandò alla fine incuriosita.
 
Prewett si accigliò guardando dentro la borsa con sguardo scettico. Solo la Meadowes poteva avere gusti così particolari. Tra tutte le cose che avrebbe potuto chiedere, proprio l’anice? C’era qualunque cosa, in quella borsa!
 
Com’è che continuava nonostante tutto a ritenerla una ragazza come tutte le altre?
 
-oh, si, guarda!- esclamò tutto ringalluzzito estraendo dalla borsa una saccoccia di biscotti secchi –qui dentro ce ne dovrebbe essere anche qualcuno al liquore all’anice-.
 
Prendendo con un sorriso sorpreso i tre biscotti che Fabian le porgeva –non ci aveva creduto più di tanto, la Meadowes, che avesse davvero qualsiasi cosa in quella borsa-, ne addentò uno sussultando sorpresa.
 
-ce n’è parecchio, qui, di liquore- mormorò sentendo la gola bruciare di un piacevole calore –devono essere quelli che vanno a finire nella riserva personale di Vitious, so che li adora-.
 
-fantastico, faccio anche ubriacare una minorenne, adesso- scherzò sorridendo.
 
La Meadowes gli rivolse uno sguardo strano.
 
-non sono minorenne, Fabian- scrollò alla fine il capo, tornando a dedicarsi al suo biscotto.
 
-oh, credevo…- il ragazzo impiegò qualche istante a ragionare, a causa della stanchezza –quando li hai compiuti?-.
 
Con un candore impressionante, scrollando le dita per eliminare le ultime briciole del primo biscotto come avrebbe fatto una bambina, Dorcas sorrise.
 
-il due ottobre- mormorò con quel suo tono strano, indicando il battente nero e lucido dell’entrata al proprio dormitorio –ci vediamo, Fabian, grazie per i biscotti-.
 
Se non è prima ma è ora
Se non è lì ma è qui,
dove sono stato un dì?*
 
Prima ancora che Fabian riuscisse a capire il significato della frase detta dal battente a forma di corvo, o addirittura delle parole con cui lo aveva congedato la ragazza, Dorcas aveva risposto e si era già lasciata scivolare di nuovo la porta alle spalle.
 
Tralasciò la risposta della ragazza all’indovinello, “da nessuna parte”, che comunque non sarebbe riuscito a capire in una vita intera.
 
Il due ottobre? Era passato pochissimo tempo. Nemmeno tre settimane, in realtà.
 
Che aveva fatto lui il due ottobre? Fece due rapidi calcoli mentali.
 
Merlino, possibile che fossero stati tanto scemi da non accorgersi di nulla?
 
 
 
 
 
 



 
 
*sciarada inventata da me, che tra l’altro fa anche piuttosto schifo. La sciarada a cui faccio riferimento è un  gioco di parole inglese:  NOW+HERE= NOWHERE   ossia  ORA+QUI= DA NESSUNA PARTE.

P.S. il motivo per cui descrivo Dorcas come una strega molto potente è soprattutto perchè me la sono sempre immaginata come uno dei cardini dell'Ordine della Fenice. So che la Rowling di lei non ci dice neanche il colore dei capelli, ma il fatto che sia stata uccisa da Voldemort in persona mi ha sempre fatto pensare a lei come ad una delle "chiavi di volta", come nemmeno James e Lily potevano essere. Un po' come Amelia Bones nel 6 libro di HP, cosa mai potrà aver fatto per avere scomodato addirittura colui che tutto può eccetera eccetera? Almeno James e Lily avevano partorito il suo peggior tormento, il perchè era spiegato. Così, vi ho annoiato con questo p.s. tanto per ribadire che non ho creato questa Dorcas per renderla perfetta in ogni cosa e depositaria di ogni conoscenza magica, tanto è che fino ad ora non se la caga quasi nessuno, ma solo perchè mi sembrava più papabile possibile. Ok, ora basta, vi lascio!
Spero di sentire comunque i vostri pareri,
Hir!


 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 09. Capitolo 9 ***


NOTE:
Sebbene questo capitolo non sia assolutamente il più importante della storia, ma semplicemente uno dei tanti, è in assoluto quello che preferisco fra tutti quelli che ho scritto. Non solo di questa storia, ma in generale.
Se vi piace, magari battete un colpo. Se non vi piace, battete un colpo lo stesso. Tengo particolarmente a questa storia, e a questo capitolo soprattutto. Vi ripeto, non è particolare, ma è particolarmente mio.
Detto questo, ci vediamo-sentiamo alla fine, quando lo avrete letto e potrete decidere voi cosa pensarne.
Buona lettura.
 
 
 
 
Lascio di rado delle dediche, ma.
 

Dedico questo capitolo d’amicizia a un ragazzo
che se ne è andato quattro anni fa tra dieci giorni
e si è lasciato dietro un sacco di amici.
Un abbraccio, Riki, ovunque tu sia,
 da qualcuno che non ti conosceva come meritavi.
 

 
 
 
 

09. Capitolo 9

 
 
 
 
 
Da quando Caradoc Dearborn, due anni prima, era diventato Capitano della squadra di quidditch, le partite più attese dell’anno non erano più Serpeverde contro Grifondoro.
 
Almeno dalla parte femminile di Hogwarts, la rivalità tra case era stata abbandonata con una gioia e una celerità che avrebbe reso il Cappello Parlante fiero dei messaggi subliminali delle proprie canzoni. Tutto in favore di un aperto favoritismo nei confronti del ragazzo-emblema della casa di Priscilla, che simboleggiava della donna non solo l’intelletto, ma anche la bellezza.
 
-non c’è mai così tanto fermento quando ci prepariamo a giocare noi- borbottò infastidito Fabian Prewett, indicando un gruppetto di giovani tassorosso vestite di giallo e nero, che più che studentesse parevano api, sghignazzanti. Caradoc li aveva appena salutati, all’incrocio tra i due corridoi, per andare ad Aritmanzia insieme a Gideon.
 
-si vede che come Capitano Caradoc ispira più di te- gli rispose divertita Hestia, mano nella mano con Sturgis.
 
-ah, certo, deve essere proprio amore per il quidditch- ribattè a tono Kingsley, in uno scatto irritato che ben poche volte mostrava in pubblico. La popolarità di Caradoc rodeva, chi più chi meno, a tutti.
 
-è vergognoso, comunque- si intromise Amelia raggiungendoli con passo veloce e scoccando alle ragazzette della sua stessa casa uno sguardo a metà tra lo schifato e il furioso –Tosca si sta rivoltando nella tomba, parola mia, e tutta colpa di Dearborn. Si comportano così solo perché non ci hanno mai avuto a che fare. Dodicenni!-.
 
-che ci fai tu qui?- domandò Edgar scoccando uno sguardo stupito alla sorella, che si inserì tra lui e Kingsley come niente fosse. Visti da vicino, Amelia e Kingsley potevano quasi sembrare gli estremi dell’essere umano. Lei, viso eburneo da bambola e grandi occhi grigi, gli arrivava appena al petto. Lui, scuro, con gli occhi nerissimi e la figura statuaria, pareva vegliarla dall’alto, buio come il cielo notturno.
 
-non riesco proprio a capire perché papà e la mamma usino Berserkr per inviare lettere anche a te- si lamentò la sorella sfilando dal mantello la lettera in questione, e infilandogliela tra le mani con poco entusiasmo –secondo te quali concetti non capiscono in “Berserkr è il mio gufo e non quello di Edgar”?-.
 
Hestia sorrise, avendola già sentito fare un discorso simile più di una volta.
 
-non so cosa non capiscano loro, ma so quello che non capisco io. Che fastidio ti da se uso il tuo gufo per scrivere a…-
 
-punto primo, se il gufo è mio ci sarà un motivo- si inalberò Amelia con quel tono che solitamente usava per litigare con il fratello –punto secondo, serve a me come messaggero, tutta la tua corrispondenza mi porta via un sacco di tempo. Punto terzo…-
 
-tempo? Merlino benedetto, ti prego non dirmi che c’entra ancora Paul Vance- esclamò infatti Edgar portandosi le mani alle tempie, strepitando –pensavo che ormai…-
 
-non pensare, Ed, i risultati sono migliori- ribatté a tono la ragazza, guardando il fratello da sotto in su –e poi, non mi risulta siano affari tuoi-.
 
-sei mia sorella-.
 
-appunto, non il tuo braccio, né la tua gamba. Non mi devi controllare- borbottò aggiustandosi la borsa e poi indicando la rampa di scale a cui erano arrivati –io scendo ai sotterranei, ho due ore di Pozioni. Buona vita a tutti, gen…-
 
-Meli, aspetta un attimo!- esclamò ad un tratto Fabian, ricordando all’improvviso che la rete di amicizie di Amelia Bones si districava ugualmente in tutte e quattro le case –ho incontrato la McGrannitt dopo pranzo. Tu parli anche con i serpeverde, potresti far arrivare questo a Warrington? Sono gli orari degli allenamenti della prossima settimana, campo prenotato e tutto il resto-.
 
La ragazza, un po’ alterata, si erse in tutti i suoi centoquaranta sette centimetri di statura.
 
-Fabian Prewett, ti sembro un gufo?-.
 
Fabian soffocò una risata vedendola piantata in mezzo al corridoio con le mani sui fianchi.
 
-in questo momento più che altro assomigli a Molly- scherzò, cercando poi di correggere il tiro all’occhiataccia dell’amica –ma ti giuro, se tu fossi un gufo saresti il più carino mai visto sulla faccia della terra. Vero?-.
 
La gomitata, alla ricerca di approvazione, raggiunse le costole di Kingsley, che si affrettò a sorridere.
 
-il più bello in assoluto- assentì convinto, con un sorriso a cinquantaquattro denti bianchissimi.
 
Amelia tentennò.
 
-dai… ti prego! Pensa, così mi eviti un sacco di insulti e pure una punizione!- la pregò Fabian –se lo fai, per una settimana Kingsley presta il suo gufo a tuo fratello, così Ed non dovrà più usare Berserkr-.
 
-carino che tu mi abbia chiesto il permesso- lo prese in giro il Caposcuola, commosso da tanto rispetto –lo fai abitudinariamente? Intendo promettere al posto mio, ovvio-.
 
-solo con Meli, lei se lo merita. Ci sopporta da una vita e non siamo nemmeno suoi compagni di corso- gli fece notare Fabian portandosi una mano al cuore, in segno di promessa –allora, Meli?-.
 
La ragazza alzò gli occhi al cielo, prese il foglio che l’amico le porgeva e iniziò a scendere le scale senza salutare.
 
-tua sorella è fantastica. Dovremmo farle un monumento, dico davvero- dichiarò convinto Fabian mentre insieme agli amici si dirigeva al parco per trascorrervi un’ora buca –ma davvero si vede ancora con Vance?-.
 
Edgar alzò gli occhi al cielo.
 
-no, vedersi no. Lui è in Polonia, lo hanno trasferito là per un corso Auror specializzato in non mi importa cosa. Però si sentono ancora. Io non ho niente contro di lui, sia chiaro. Ma se tocca mia sorella lo ammazzo- esclamò decisamente alterato il solitamente bonaccione Edgar Bones.
 
Con un sorriso, mentre l’amico continuava a discorrere delle sue sfortune e di quelle che invece sarebbero capitate a Vance se solo si fosse avvicinato ad Amelia, Fabian si voltò verso Kingsley.
 
Il sorriso divertito si accentuò vedendo la paura negli occhi del Caposcuola.
 
-…e poi una cruciatus non ci starebbe affatto male, secondo me, se…-
 
Vide il proprio migliore amico deglutire e farsi pallido sotto la pelle scura, cercando in ogni modo di eludere il suo sguardo. Invitandolo a non preoccuparsi, si portò l’indice alle labbra in una promessa di discrezione.
 
 

*

 
 
-come stanno andando le letture che ti ha dato la McGrannitt?-.
 
La domanda di Hestia, rivolta alla compagna di studi di ormai due pomeriggi alla settimana, spezzò il silenzio quasi totale della biblioteca. Gli unici rumori, prima, erano stati il lieve sfogliare delle pagine dei libri e dai loro respiri quieti.
 
Dorcas alzò lo sguardo dalla propria traduzione di Rune Antiche per puntarlo in quello castano e caldo della ragazza più grande, intenta a guardarla attentamente, la piuma ancora in mano.
 
-beh, io…- sussurrò Dorcas in risposta cercando di turbare il meno possibile il silenzio dell’ambiente –credo bene… si, insomma, bene. Sono solo letture. Non sono molto complicate, in effetti-.
 
Hestia annuì lievemente, senza tuttavia manifestare in alcun modo l’intenzione di riprendere a scrivere il proprio tema di Astronomia.
 
-sicura? Cioè, volevo dire…- esitò un solo attimo, dando in un lieve sorriso –se vuoi, posso aiutarti. Non ne so molto, è vero, ma se c’è qualcosa che non capisci bene forse potrei saperla io, sono un anno più grande e magari…-
 
Il sorriso di Dorcas, da pura gentilezza variò d’intensità.
 
Hestia pensò subito di esserselo immaginato, quel lieve tremolare. Insomma, non è normale misurare il vigore dei sorrisi, ma era come una sensazione. Quasi che prima quello della ragazza fosse solo un sorriso di circostanza, un modo per impiegare in qualche modo le labbra. Poi non più.
 
Forse furono i suoi occhi, lievemente più grandi, o più lucidi, magari.
 
Oppure la curva della bocca, sempre la stessa, certo, ma più intensa. Più vera.
 
Non ci furono più solo le labbra, in quel sorriso. Ci furono gli occhi, e due piccole fossette proprio tra il mento e le guance, e un lieve imbarazzo nello sguardo calato all’improvviso.
 
-grazie, in effetti…-
 
Hestia sorrise in risposta, sentendosi per la prima volta parte di qualcosa di più che un pomeriggio di studio con quella ragazza così particolare.
 
-quello che vuoi, Dorcas- la incoraggiò lieta.
 
Era proprio come conquistarsi la fiducia di un qualche animale selvatico. Doveva essere lenta e misurata, e non doveva spaventarla.
 
-in effetti non riesco a capire una cosa, fino ad ora non è stata ben spiegata. Mi spiego meglio.- esitò la ragazza più piccola con un sospiro –è una cosa difficile da far capire, ho il concetto ben presente in mente ma porre la domanda a parole potrebbe non essere facilissimo-.
 
Hestia ridacchiò appena.
 
-si, capita spesso anche a me una cosa del genere- rispose empaticamente, togliendo a Dorcas una grossa fetta di disagio.
 
La ragazza più giovane, infatti, sorrise un po’ rassicurata.
 
-mi chiedevo soprattutto una cosa. Insomma, con una bacchetta in mano è possibile praticare la Trasfigurazione umana. In linea prettamente teorica intendo, io proprio non saprei farlo, abbiamo iniziato appena una settimana fa a trasfigurarci le sopracciglia a vicenda, con la McGrannitt-.
 
-si- rispose Hestia seguendo il filo del discorso –più è potente il mago in questione, meglio riesce la magia. Un po’ come per tutti gli incantesimi-.
 
-allora, pensavo, se è possibile trasfigurare un porcospino in un coniglio, o un occhio nero in un occhio azzurro, devono essere anche stati inventati incantesimi che permettano di trasfigurare un porcospino in un uomo, o una donna in un coniglio-.
 
-non so dirti di uomini e porcospini- scosse la testa Hes –ma sono sicura che un incantesimo per trasfigurare gli umani in animali esista. Non viene insegnato in questa scuola, magari però fuori da Hogwarts, in qualche accademia come quella degli auror si-.
 
-ok, adesso che abbiamo chiarito questo punto cercherò di farmi capire al meglio. Noi, con la McGrannitt, abbiamo iniziato a trasfigurarci sopracciglia a vicenda. Nel senso, io cambio il colore delle sopracciglia di Ben, e Ben il mio. Si può fare anche autonomamente, vero?-.
 
Hestia ci pensò qualche secondo, poi annuì.
 
-a patto di assumersi il rischio di vedersele scomparire o crescere a dismisura, direi di si- ammise alla fine.
 
-quindi, seguendo questo ragionamento, così come è possibile trasfigurare una seconda persona in animale, ci si può trasfigurare anche da soli- continuò Dorcas.
 
-comporta un notevole grado di rischio, però immagino che si possa- sorrise dandole ragione.
 
-certo, il rischio c’è, ma è comunque meno elevato che provare a diventare Animagus. Quello che voglio dire, è che quando si sente parlare di Animagus, il tutto viene descritto come una pratica molto pericolosa, al punto che chi tenta viene perfino tenuto d’occhio ed è obbligato ad iscriversi, pena pesanti sanzioni, ad un registro apposito-.
 
-è vero, viene descritta come una pratica ad altissimo rischio-.
 
-beh, quello che mi chiedevo è: a che pro tentare una cosa tanto rischiosa quando ci si può trasfigurare da soli? Cioè, se sei un mago tanto potente da riuscire a diventare Animagus, sei sicuramente in grado di trasfigurarti da solo in un animale a tuo piacimento. Tanto più che non puoi decidere, da Animagus, in che animale trasformarti. È quello più vicino alla tua indole, punto. È un rischio, e se poi ti ritrovi a essere, che so io, un pinguino?-.
 
Hestia soffocò un sorriso, trovando però un senso assolutamente logico nella domanda della ragazza davanti a lei.
 
-beh, immagino che a questa domanda possa rispondere solo tu. Non hai forse chiesto tu alla McGrannitt di cercare di diventare Animagus?-.
 
-si, ma io l’ho fatto per amore di conoscenza- scrollò le spalle Dorcas, guadagnandosi uno sguardo stupito da parte della ragazza –tutto il sapere merita di essere appreso*, secondo me. Più che altro, voglio imparare per esserne capace, è una specie di “sete di erudizione”, la mia. Quindi, anche se alla fine dovessi scoprirmi un leone o, che so io, un orso polare, non mi importerebbe più di tanto-.
 
-capisco- annuì Hestia sempre più sorpresa. Vedeva davvero il mondo da una prospettiva diversa, quella ragazza –beh, allora forse anche per quelle altre poche persone è così. O forse lo si fa per comodità: insomma, con una trasfigurazione puoi diventare l’animale che vuoi, o anche una poltrona, in caso ti servisse. Però ti serve una bacchetta. L’incanto degli Animagus, invece, lo si fa una volta sola. Da lì in poi, per quanto ne so io, puoi trasformarti quando e dove vuoi, senza l’ausilio di una bacchetta. In effetti, credo che come tipologia di sortilegio sia molto più simile ad una magia senza bacchetta, o ad una magia accidentale. È qualcosa che non ha bisogno di essere potenziato dal nucleo di una bacchetta, ma che nasce da dentro. Io sono convinta che serva una sorta di predisposizione-.
 
-predisposizione?- chiese Dorcas assottigliando lo sguardo, perplessa.
 
-si, che non basti semplicemente essere potenti. Altrimenti non mi spiego perché maghi grandi e potenti come ad esempio Grindelwald, o Silente, non ci abbiano provato. O magari ci hanno provato, ma non ci sono riusciti. Insomma, fatto sta che sui registri della Gran Bretagna non ci sono, ho fatto ricerche un po’ più approfondite degli altri al terzo anno, quando abbiamo studiato gli Animagus. Su Grindelwald ho cercato nei registri di Germania, Serbia, Bulgaria, Ungheria e Ucraina. E comunque, se Grindelwald fosse un Animagus, decisamente si saprebbe in giro-.
 
Dorcas annuì, soprappensiero.
 
-si, vista così ha un senso. Non ci avevo mai pensato, in realtà- mormorò con un sorriso lontano.
 
Hestia spese qualche secondo a guardarla, e poi scosse la testa.
 
-beh, potente sei potente, Dorcas. Non avevo mai assistito ad un duello come quello che hai avuto con Caradoc, giovedì scorso. È stato davvero mozzafiato, e Caradoc è davvero un mago eccellente. Il fatto che tu sia riuscita a tenergli testa per quasi un quarto d’ora, e che ti abbia battuto quasi unicamente per caso, fa di te un’eccellente strega. Tanto più che sei di un anno più piccola di noi. Da non crederci, davvero-.
 
Dorcas scosse il capo, schermendosi con un lieve sorriso imbarazzato.
 
-beh, sono pessima in altre cose, che compensano quelle in cui vado bene- sussurrò quasi ingenua.
 
Hestia si ricordò all’improvviso di una cosa, e questa volta fu lei a dare in un sorriso imbarazzato.
 
-oh, tra le altre cose credo di doverti delle scuse- mormorò arricciando le labbra in una deliziosa smorfia contrita.
 
-scuse?- domandò Dorcas prendendo il fazzoletto di stoffa che usava per ripulire la piuma dai residui di inchiostro secchi. Era quasi ora di andare a cena, ormai, non avrebbero trascorso ancora molto in biblioteca.
 
-si, io… insomma, venerdì scorso Fabian mi ha detto che il due di ottobre tu hai compiuto gli anni- sussurrò un po’ imbarazzata –è terribile pensare di aver trascorso tutta la mattinata insieme alla Testa di Porco senza essersene accorti. È stata una grave mancanza da parte nostra, mia soprattutto, dovevo essere più attenta e meno invischiata nei miei pensieri. Mi dispiace così tanto! Insomma, è un anniversario importante, sei diventata maggiorenne, e di… quanti, sette?... che eravamo nessuno ha notato nulla. Immagino che Fenwick lo sapesse e…-
 
-davvero, non ti preoccupare- mormorò la Meadowes, deglutendo.
 
-doveva essere una giornata speciale!- si afflisse con un tono dispiaciuto, la Jones, seriamente seccata all’idea di essersi dimostrata una tale superficiale.
 
-non…- Dorcas voltò lo sguardo verso la finestra, poi riprese a parlare –non l’avrei presa bene, Hestia, se voi l’aveste notato. Non è stata una bella giornata e… cioè, si, mi è piaciuta la vostra compagnia, ma come ricorrenza… è stata dolorosa, e avrei preferito non vederla arrivare. Preferirei che il due di ottobre non arrivasse mai più-.
 
Calato il silenzio, Hestia lasciò vagare lo sguardo sul volto di Dorcas, bagnato dalla luce del sole ormai quasi al tramonto.
 
Vedendo l’acceso riflesso di dolore negli occhi della compagna, per un attimo desiderò non avere mai parlato. Emotiva com’era, come odiava essere, Hes dovette bloccare il magone che si ritrovò in gola, sforzandosi di non cedere all’istinto di piangere.
 
-mi dispiace, Dorcas- mormorò alla fine, sfiorando la mano della ragazza con due dita della mano destra –mi dispiace per tutto. E davvero, vorrei che tu capissi che, se vuoi, con me puoi parlarne. So che hai sicuramente persone migliori accanto, che ti conoscono meglio, ma… non lo faccio per prendermi gioco di te-.
 
Ancora silenzio, e quell’assurda sensazione tangibile di aver sbagliato tutto. Un morso alla lingua, per bloccare le lacrime, l’idea certa di aver rovinato ogni cosa. E l’odio, perché sentiva ogni singola emozione rotolarle sulle spalle ed arrivarle al cuore, in un pianto implicito ma non meno potente.
 
Merlino, quanto si odiava. Se Dorcas era un animale selvatico da avvicinare con cautela, lei le era corsa incontro travolgendola e ferendola.
 
Vide la ragazza alzarsi e aspettarla, in piedi, prima di dirigersi verso la porta. Insieme, lei qualche passo indietro, si incamminarono verso la Sala Grande, puntuali per la cena come non lo erano mai state.
 
Ad un certo punto, Dorcas si fermò, così, all’improvviso. Nel bel mezzo di un corridoio vuoto tra il terzo piano e le scale che conducevano al secondo, e per qualche istante rimase ferma.
 
-grazie- mormorò con quel tono di voce roco che metteva soggezione a molti –grazie, davvero-.
 
Era talmente basso, il tono, da essere quasi inudibile anche se a mormorarlo era ad un passo di distanza da lei.
 
Hestia alzò lo sguardo e si accorse che Dorcas la stava fissando, e aveva gli occhi colmi di lacrime e qualcosa che subito non riconobbe. Gratitudine.
 
La Meadowes riprese a camminare, velocemente, quasi a voler ricacciare nel fondo del corridoio quell’attimo di profonda commozione che aveva mostrato. Hestia soffocò un sorriso, celato dietro le due dita con cui si asciugò le guance.
 
Arrivarono davanti al portone della Sala Grande con il passo spedito e le gote asciutte, entrambe, e sulla soglia si fermarono un attimo.
 
-non ti ho mai vista al campo da quidditch, ad assistere una partita- mormorò Hestia quasi a lasciar cadere il discorso.
 
Con una naturalezza impressionante, Dorcas lo afferrò appena prima che cadesse nel vuoto.
 
-non ci sono mai stata, infatti-.
 
Due frasi buttate lì quasi per caso.
 
-perché non venite con noi, tu e Fenwick? Andremo a vedere Caradoc e Sturgis, ovviamente. Non devi tenere per forza per loro, se ti stanno antipatici- disse poi a scanso di equivoci –ma Corvonero non è anche la tua casa? E poi, mi farà piacere avere una compagnia diversa da tre ragazzi che strepitano ad ogni santissimo tiro di pluffa-.
 
Dorcas sorrise di quel suo sorriso discreto, che racchiudeva un mondo in una semplice curva.
 
-ehi, ragazze, è andato bene il vostro pomeriggio di studio?- proruppe la voce naturalmente allegra di Sturgis, che si stava accingendo ad entrare in sala accompagnato da Kingsley e i due Prewett.
 
Hestia guardò ancora un attimo Dorcas, quasi a chiedere una risposta ad entrambe le domande ancora nell’aria.
 
-volentieri- mormorò infatti la Meadowes annuendo con un piccolo cenno del capo, e poi voltarsi verso i nuovi arrivi –si, bene-.
 
-meglio del solito- annuì infatti in coda la Jones, con l’assurda idea di aver appena combinato qualcosa di buono nella vita.
 
-io vado a cena, Ben mi starà aspettando- salutò alla fine Dorcas, dopo qualche altro attimo di silenzio –buona cena-.
 
Con un cenno del capo, come un sol uomo, i quattro ragazzi risposero al saluto. Hestia le concesse un sorriso sentito.
 
-ehi, amore, hai pianto?- le chiese la voce vagamente preoccupata di Sturgis, forse notando gli occhi rossi.
 
-chi, io?- sorrise lei sentendosi piacevolmente circondata dal calore delle braccia del proprio ragazzo. Tagliò via la domanda con una risata e un bacio a fior di labbra –sai che sono troppo emotiva-.
 
-si, sei bellissima- le sussurrò all’orecchio Podmore, tra gli sbuffi dei migliori amici che si ritrovavano alle spalle.
 
Prevedibilmente, le guance di Hestia s’infiammarono all’inverosimile.
 
Gli sbuffi degli amici si trasformarono in risate divertite, perché davvero, Hestia Jones era proprio impagabile.
 
 

*

 
 
A volte succedevano delle cose, nella vita di Caradoc Dearborn, che lui proprio non riusciva a capire. Ci metteva un buon impegno, ci rifletteva parecchio. Ma il punto, quel punto proprio gli sfuggiva.
 
Insomma, un po’ come quando Vitious lo aveva beccato in giro per i corridoi, nella notte di un settimana prima. Lo aveva trovato solo perché, passando accanto ad un’armatura, insonnolito e perso tra i pensieri e gli incubi che nonostante tutto lo tenevano sveglio, aveva scontrato un’alabarda.
 
L’alabarda dell’armatura –non dovrebbero poi essere incantate, quelle cose?- era caduta di un niente, quasi aspettasse quel gomito da quando l’avevano messa lì. Cadendo, era stata bloccata da un muro, e sarebbe quasi stata una fortuna se solo su quel muro non fosse stato appeso il quadro della veditrice di frutta. Ora, mentre la venditrice di frutta era rimasta dormiente a ronfare nella stessa posizione di sempre –una mano nel cesto delle pere, ed una a sorreggersi il mento, con il gomito appoggiato al tavolo ingombro di cibarie-, il fato o chi per lui aveva deciso di far scontrare la picca dell’alabarda contro il cesto di vimini che conteneva le mele.
 
Una mela, a quel punto, era caduta con un tonfo sul pavimento del quadro, e rotolando aveva passato il confine della cornice stuccata, ricadendo così sulla testa del maiale protagonista del quadra attiguo, attraverso la cui cornice la mela di prima era andata a sbucare.
 
Insomma, il maiale, intento a dormire e colpito all’improvviso in testa da una mela, si era sentito in dovere di far udire a tutto il quarto piano di Hogwarts il proprio scontento per essere stato svegliato in modo così brusco nel bel mezzo della notte.
 
Alla fine dei conti, lui era finito in punizione per colpa di un maiale, di una mela e di un alabarda. Se l’alabarda fosse caduta poco più in là, avrebbe colpito forse con la picca il pavimento del quadro, risolvendo il tutto in un niente che avrebbe evitato al Corvonero più di un rimprovero e di un’occhiata delusa da parte del proprio mentore. Se la mela fosse caduta, invece, dall’altro lato nel quadro, si sarebbe ritrovata a rotolare sul prato del quadro delle Muse, che non si sarebbero svegliate e non avrebbero gridato l’allarme, come invece aveva pensato bene di fare il maiale.
 
Si ritrovava quindi spesso, Dearborn, a pensare alle curiose coincidenze che, giorno dopo giorno, scrivono la nostra vita tirando ai dadi con il destino, senza peraltro interpellarci.
 
Insomma, a pensarci mesi dopo, Dearborn si sarebbe detto che era stata una coincidenza, un sincronismo assurdo, a veder bene, quello che lo aveva visto svegliarsi quasi al termine di una notte di fine ottobre, sei giorni prima di una partita, vittima di uno dei suoi soliti incubi.
 
Era una cosa che odiava, svegliarsi appena prima dell’alba. Come a tutti gli altri, anche a Dearborn piaceva l’idea di poltrire tra le lenzuola nei rimasugli del sonno, pensando, preda di un egoismo pazzesco, che anche vendere i propri migliori amici sarebbe stato un giusto prezzo da pagare per avere quei pochi minuti di calma totale.
 
Poi si svegliava del tutto e si sentiva un pochino in colpa, forse, per aver pensato di vendere Sturgis e Hestia per così poco, ma in fondo si sentiva più dispiaciuto all’idea di non essere in grado di passare ancora qualche minuto a letto. D’altronde, gli avrebbero voluto bene anche se si fosse dimostrato egoista, si diceva.
 
-che c’..ai ‘ià in pie…di?- quella mattina in particolare, Sturgis Podmore, che occupava il letto accanto al suo, pareva avere il sonno più leggero del solito.
 
-niente, lascia perdere- mormorò Caradoc rivolgendo un’occhiata distratta a quel cumulo di coperte che in fondo era anche una delle poche persone al mondo che lo sopportava da troppo tempo –continua a dormire, ci vediamo a colazione-.
 
-..ui..zione- sbiascicò il Prefetto rigirandosi e guardandolo da sotto le ciglia scure, con uno sguardo che trasudava poca pietà e molto sonno.
 
-punizione?- chiese scrollando le spalle –starò attento a non farmi beccare-.
 
-o di..i emp…re…- borbottò ancora Sturgis mangiandosi ben più di una lettera. Caradoc, passandogli accanto, gli posò una mano sulla spalla.
 
-dormi bene, Stur, a dopo- gli augurò di tutto cuore perché, se non poteva dormire lui, tanto vale che lo facesse almeno qualcuno, in quel maledetto castello.
 
Uscire dal dormitorio era stato semplice.
 
Esclusa una ragazzina del secondo anno, addormentata sulla poltrona accanto allo scaffale più vicino alla porta, la sala comune era deserta. Oltre le vetrate, e oltre le montagne, il cielo già stava cominciando a schiarirsi. Mancava ancora più di un’ora, comunque, all’alba.
 
Quello che nessuno si sarebbe mai immaginato, in un castello come Hogwarts con regole severe come il coprifuoco con chiusura di ogni via sull’esterno, era l’ora in cui la scuola riprendeva a vivere. Molto prima dell’alba.
 
Mentre alla sera i portoni chiudevano alle nove in punto, come per magia, al mattino erano già aperti da prima delle cinque. Il Capitano della squadra corvonero aveva stimato che aprissero all’incirca tra le quattro e quarantacinque e le cinque, dal momento che le poche volte in cui si svegliava prima delle quattro e mezza trovava perennemente i portoni sprangati.
 
Succedeva spesso, comunque. Si svegliava sempre entro le sette, quasi sempre prima delle sei. Forse li apriva Hagrid, che con il compito di custode e di guardiacaccia poteva essere impegnato anche prima dell’alba a causa dei propri lavori. Oppure era Gazza, sperando una mattina o l’altra di poter sbattere fuori, oltre alla polvere dell’ingresso, anche quel demonio di Pix.
 
Fatto sta, che trovava i portoni puntualmente aperti. E lui, puntualmente, usciva.
 
 

*

 
 

Londra,
22 ottobre 1968

 
Caro Ben,
sarai rimasto sorpreso leggendo il luogo da cui ti scrivo questa mia.
Sono rientrata dall’India quasi una settimana fa, e ho passato qualche giorno a casa in compagnia di mamma e papà.
Sono così abituata a lavarmi nelle polle e nei ruscelli, a svegliarmi a contatto con il pavimento e a rivestirmi nel buio della tenda, che anche il solo fatto di poter posare i piedi su un tappeto persiano è per me un lusso inconcepibile.
Sono così tanti anni che giro per il mondo, che anche la sola idea di chiamare casa la dimora dei nostri genitori basta a scombussolarmi. Da troppo tempo non ho una casa.
Ti starai domandando il motivo del mio improvviso rientro in Inghilterra.
Non ti preoccupare, ti prego, ti conosco e so che subito penserai a motivi di salute. Al contrario di quanto la maggior parte di chi mi conosce –te compreso- possa credere, il mio non è un lavoro più pericoloso del mestiere degli Auror, ma so bene che spiegarlo a parole non è possibile. Dal momento che sono sana come un pesce da più di cinque anni, se si escludono il morso dell’Acromantula in Sabah, le beccate dello struzzo in Congo, i vari scontri con i Troll in diverse parti del globo e quel morso di serpente, lo scorso anno in Sud America, posso assicurarti che il motivo per cui sono stata richiamata a Londra non è sicuramente la salute.
Da ciò che mi ha fatto capire il Signor Swift, che ho incontrato due giorni fa, vorrebbero aggiungere un membro esperto di magizoologia alla nostra squadra di ricerca. In realtà, più che una richiesta, mi sembrava un obbligo. Credo che se io avessi detto che non ero assolutamente d’accordo, mi avrebbero comunque spedito in Algeria con al seguito il nuovo giunto.
In realtà, dall’inizio questa proposta non mi ha entusiasmato granchè. Come bene capirai, da persona eccezionalmente brillante quale in effetti sei, turbare l’equilibrio di una squadra come la nostra con l’aggiunta di un’altra figura, potrebbe dare risultati disastrosi. Poche cose servono per affrontare una vita come quella che conduco io: spirito avventuriero, poche pretese e la compagnia giusta. Condividere questo tipo di vita con persone malaccette o che mal si adattano, potrebbe davvero risultare, semplicemente, troppo.
Ma ora basta parlare di me. A Hogwarts come procede? Mamma continua a parlare dei tuoi G.U.F.O, di quanto è fiera di te per tutte quelle E. Non ci crederai, ma è quasi rimasta delusa constatando che mi avevi già comunicato per lettera i risultati, credo avesse pensato di dovermeli dire lei faccia a faccia.
Cas trascorrerà le vacanze di Natale qui con noi? Cerca di convincerla, e di non farle passare le vacanze natalizie in solitudine ad Hogwarts. Sarebbe bello vedervi entrambi.
La mamma insiste preoccupata affinchè ti chieda –senza che tu sappia che mi ha detto lei di domandartelo- se c’è qualche fiamma in vista che ha rubato il cuore del suo prezioso figlio più piccolo. Stai all’erta Ben, credo voglia farti conoscere la figlia di qualche sua amica. Si capisce, ha perso le speranze con me, quindi ora i suoi adorati nipotini li vuole da te.
Con questa nota dolente finisco di tediarti, sperando che la tua risposta sia questa volta un po’ più lunga della precedente, che raggiungeva si e no il pugno di frasi.
Come ogni volta di saluto e ti abbraccio,

la tua affezionatissima
Jodie.**

 
 
Benjy Fenwick non violava mai le regole. Può darsi che di quando in quando le aggirasse, ma violare, mai.
 
Certo, era fissata un’ora precisa per il coprifuoco. Ma niente era scritto nel regolamento a proposito della sveglia.
 
Dorcas teneva la sveglia per le sette e mezza: prima delle otto meno un quarto non scendeva mai in Sala Grande, a meno che non fosse per qualche strana ricorrenza e, per quanto ne sapeva Benjy, non aveva mai gironzolato per il castello di notte.
 
Fenwick si, qualche volta. Poi non si era più riaddormentato, quindi tecnicamente non era uscito dal dormitorio di notte, ma aveva semplicemente messo la sveglia alle tre in punto.
 
Per i primi tempi si era limitato a girare per i corridoi della scuola, e per le aule in disuso. A volte andava in guferia o, più spesso, sulla torre di Astronomia. Poi, piano piano, si era allargato. Aveva visto dall’alto della torre Hagrid aprire i portoni, alle quattro e cinquanta di un mattino di aprile, l’anno prima, e aveva capito che Hogwarts si svegliava, in generale, molto prima di loro.
 
Nel buio sarebbe stato facile confondersi con le ombre, peccato non avere il coraggio di uscire nell’oscurità. Benjy aspettava sempre le prime luci dell’alba, per uscire all’aria aperta oltre il castello.
 
Di solito, raggiungeva il limitare della foresta proibita, sul retro della Capanna di Hagrid, e lì attendeva seduto su uno dei grossi ceppi per spaccare la legna appena fuori dalla porta. I giri mattutini di Hagrid, ormai li conosceva a memoria, includevano un viaggio al nido di Acromantule all’interno della Foresta Proibita, un giro fino alle rive paludose del lago nero alla ricerca di dugbog addomesticati e una capatina agli alberi degli Asticelli, con rifornimenti di uova di fata fresche.
 
Quando tornava indietro, all’incirca alle sei e quarantacinque, Hagrid lo ritrovava seduto esattamente sul secondo ceppo partendo da destra, almeno una volta a settimana. Lo guardava da sotto le sopracciglia folte, con quello sguardo scuro e le braccia incrociate sul largo petto, poi sospirava e lo faceva entrare.
 
Il fatto era che Benjy Fenwick riceveva, a scadenza più o meno regolare, notizie di sua sorella.
 
Le lettere –che fossero vergate su pregiata pergamena come in quel caso o su un foglio di papiro sporco raffazzonato nel bel mezzo del nulla Egiziano- normalmente contavano almeno due pagine scritte fittamente in quella grafia minuscola e tondeggiante che contraddistingueva ai suoi occhi la sorella maggiore.
 
Non arrivavano mai con la posta del mattino –Ben aveva espressamente chiesto alla sorella di mandarglieli in modi alternativi, dopo aver visto quale effetto poteva fare un avvoltoio che planava sul tavolo di Serpeverde la mattina alle sette e mezza-, ma durante la giornata e, ormai, sempre alla capanna del guardiacaccia Hagrid.
 
Nutrendo lui una passione sviscerale per qualsiasi bestia dal ghigno spaventoso, il guardiacaccia aveva accettato fin da subito di custodire le spesse lettere, a patto di poter per qualche ora occuparsi di quei particolari animali esotici. In cambio, Ben poteva leggere le sue lettere al mattino presto, in casa di Hagrid o fuori al limitare della foresta proibita, senza essere denunciato ai professori a causa dell’infrazione di qualche decina di regole.
 
-lo sai, Fenwick, che da quando ci fai visita tu, a questi bricconi, devo stare attento a quello che ci do da mangiare?- chiese allegramente Hagrid raggiungendo l’albero sotto cui stava seduto Ben.
 
Quella particolare mattina, dato il clima mite e il cielo stranamente sereno, Ben stava accomodato seduto su un tronco tagliato ai piedi di un sicomoro. Vicino al ginocchio destro, una saccoccia di carne sanguinolenta e dall’odore nauseabondo giaceva aperta, di tanto in tanto sfiorata dalla mano destra del Serpeverde.
 
-sono a dieta?- chiese scherzando rivolto al mezzogigante, indicando il grande animale a cui la saccoccia è destinata.
 
-Kettleburn ha paura che sennò ingrassano troppo, e poi non riescono più a volare-.
 
Il giovane rise, ironico.
 
-sono cavalli schelettrici, Hagrid- lo prese in giro indicando il Thestral poco distante che, afferrato il brano di carne, si accingeva a mangiarlo a qualche metro di distanza –e questi sono solo due bocconi in più a settimana-.
 
Il custode grugnì.
 
-bah, ordini del professore- borbottò poi afferrando un secchio di ferro pieno di brandelli di materia non meglio identificata –devo ancora andare da Haragog. Rimani qui, tu, o rientri?-.
 
Ben si guardò attorno e poi scosse la testa.
 
-rimango qui ancora un po’. Tra mezz’ora vado a colazione-
 
 
 
 
 
*   ”tutta la conoscenza merita di essere appresa” oppure “non c’è nulla che non valga la pena conoscere” sono i motti degli abitanti del Siovale, provincia dell’angelo Shemhazai nella serie di libri di Jacqueline Carey denominata Serie di Kushiel o Serie degli Angeline. Libera citazione dei miei libri preferiti, nonché base su cui vivo la mia vita, praticamente. Tutta la conoscenza esclusa la matematica, per conto mio.
 
** esattamente da questa lettera inizierà lo spin-off di questa storia, che si chiamerà “Destinazione…mondo!”. Parlerà della vita di Jodie Fenwick, la sorella maggiore di Benjy, in giro per il globo, nell’Africa più nera o nel bel mezzo della taiga Siberiana, in compagnia di una… persona particolare. Forse non la leggerà nessuno, ma non mi importa un granchè, io scrivo per scrivere, in genere. Ho già iniziato a scriverla, inizierò a pubblicarla subito dopo aver finito questa storia. Comunque avremo modo di conoscere Jodie anche qui, più avanti.
 
 
 
 
 
NOTE 2, LA VENDETTA:
 
eccomi! Innanzitutto grazie mille per le recensioni, fantastiche e tutte lette quasi con le lacrime agli occhi. Io adoro questa storia e questi personaggi, e non può che farmi un immenso piacere vedere che c’è chi li ama quanto me.
Per quanto riguarda i discorsi tra Hestia e Dorcas sugli Animagus e la Trasfigurazione –informazioni sugli Animagus se ne trovano pochissime, per cui più o meno tutto quello che dirò sarà farina del mio sacco-, tutte domande mie, mentre le Asticelli, dugbog eccetera sono parte del mondi di Harry Potter.
Sul capitolo non ho nient’altro da dire, se volete dire qualcosa voi sentitevi liberi di farlo, io non aspetto altro.
Sperando che vi sia piaciuto,
Hir

Ah, una piccola puntualizzazione sulle date. E' verità nota e universalmente rinosciuta che sono una scarpa in tutto ciò che contenga numeri o calcoli. Ogni volta che cerco di calcolare date indietro nel tempo sbaglio clamorosamente, quindi sicuramente ho sbagliato anche questa. Fate finta di non vedere i numeri, sappiate solo che questa storia si svolge l'anno precedente all'arrivo a Hogwarts di James, Lily, Sirius, Lène e compagnia cantante, in caso non si fosse capito. 
 
 

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Capitolo 11
*** 10. Capitolo 10 ***


Capitolo 10

 
 

Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera:
e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera,
grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola,
di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.
(Friedrich Nietzsche)

 
 
 
-perché mai vieni qua a leggere la posta?-.
 
Caradoc Dearborn aveva percorso gli ultimi duecento metri arrovellandosi il cervello nel trovare un modo per distogliere i propri pensieri dall’incubo che lo aveva costretto a schiodarsi dal letto con un anticipo di più di un’ora sulla sveglia.
 
Giunto esattamente a metà strada tra il portone di Hogwarts e la Capanna di Hagrid, dopo aver aggirato il parco passando per il limitare della foresta così da non essere visto in caso qualche professore avesse deciso di guardare alla finestra, aveva scovato con lo sguardo ancora un po’ assonnato il fulcro perfetto su cui focalizzare tutte le proprie attenzioni.
 
Normalmente lo avrebbe evitato come la peste, dato il disagio che quello sguardo blu notte gli provocava e soprattutto l’antipatia praticamente inspiegabile che Fenwick pareva nutrire nei suoi confronti. Insomma, non che lui trovasse Fenwick la compagnia ideale, ma non lo aveva nemmeno in odio come invece pareva essere da parte del Serpeverde.
 
Semplicemente, era una persona molto diversa da lui. Era Serpeverde, era silenzioso, solitario e piuttosto misantropo.
 
Amen. Su sei miliardi e mezzo di persone al mondo, poteva anche capitare che Fenwick non lo sopportasse. La terra non avrebbe smesso di girare così come il sole non avrebbe smesso di tramontare, rendendo tutti più felici con un’altra notte da dormire.
 
Però, per quanto cercasse di metterla a tacere, sentiva qualcosa in mezzo allo stomaco, come un senso di insoddisfazione latente. Insomma, quel bastardo arrogante di un Serpeverde non lo aveva mai nemmeno salutato, come si permetteva di giudicarlo mediocre senza nemmeno conoscerlo un pochino?
 
Era un colpo bello e buono all’orgoglio. E Caradoc Dearborn ci sguazzava allegramente, nel proprio orgoglio.
 
Quel giorno, quindi, per tenere occupata la mente dai ricordi spiacevoli del sogno interrotto, decise di dirigersi dritto verso l’unica persona in tutto il parco di Hogwarts ad essere colpevole di aver infranto le regole della scuola oltre a lui.
 
Fenwick, che al momento stava leggendo una lettera e accarezzando contemporaneamente il muso di un Thestral, alzò lo sguardo quasi non fosse per niente sorpreso di ritrovarsi alle sette del mattino Dearborn tra i piedi, in pigiama e tutto sommato piuttosto scarmigliato.
 
-sai, Dearborn, i babbani sono stupendi. Nonostante non abbiano la magia con cui indorarsi la vita, inventano cose meravigliose- disse ben udibile con quel suo solito tono monocorde –i modi di dire, tipo. Ci hanno sorpassato anche in quello, da brave volpi. Chi si fa gli affari suoi campa cent’anni, ad esempio, lo hai mai sentito dire?-.
 
Decisamente stupito dalla risposta del ragazzo, Dearborn non trovò di meglio da fare che aggrottare la fronte con quella che sapeva essere un’espressione piuttosto ebete. Dopotutto, lui, come la maggior parte delle persone sulla faccia della terra, necessitava di almeno due ore e quattro caffè, dopo la sveglia, per riprendere a pieno tutte le proprie funzioni vitali.
 
Nemmeno il tono gentile con cui il ragazzo gli aveva rifilato le parole più maleducate che gli fossero state rivolte negli ultimi sei mesi ebbe il potere di risvegliarlo del tutto.
 
-sei sempre così loquace, alla mattina alle sette?- domandò invece portandosi una mano davanti alla bocca per soffocare uno sbadiglio, e dedicando appena uno sguardo veloce al Thestral accanto a Fenwick.
 
Quegli animali gli mettevano i brividi. In realtà, più o meno ogni cosa in relazione alla morte gli metteva i brividi. Ogni volta che li scorgeva, quindi, da un sacco di anni a questa parte, si limitava a far finta di non vedere nulla e andava avanti per la sua strada.
 
Di solito funzionava.
 
-no, devo ammettere di no- rispose Benjy Fenwick scoccandogli un’occhiata irritata –è proprio per questo che vengo qui, dietro alla capanna di Hagrid, quando nessuno a parte lui sa che ci sono, prima ancora che suoni la sveglia di tutti gli studenti. Così non sono obbligato a parlare con nessuno-.
 
Sedendosi su uno dei ceppi alla destra di Fenwick, e palesando così l’intenzione di rimanere a parlare, Caradoc arricciò le labbra, pensoso.
 
-bravo, fai bene- concordò poi con un tono totalmente diverso da quello con cui usava esprimersi durante il giorno. Non era petulante o presuntuoso, ma aveva una bizzarra ironia di sottofondo che raramente utilizzava.
 
 

*

 
 
A quel punto della conversazione fu Benjy Fenwick a dover aggrottare la fronte.
 
Dearborn lo stava forse prendendo in giro? Il tono che aveva utilizzato per quell’ultima ammissione non glielo aveva mai sentito, in bocca. In effetti, pareva non essere esattamente un comportamento da Caradoc Dearborn quello che il Corvonero aveva ostentato fino ad ora.
 
-Dearborn, non ti preoccupi per le occhiaie che deturperanno il tuo bel viso se non dormirai le tue nove ore e mezza di sonno a notte?- domandò quindi piuttosto incuriosito, abbassando la lettera e afferrando un pezzo della carne che ancora rimaneva nella sacca accanto a lui per darla all’animale che gli stava di fianco.
 
Beh, non era decisamente da Dearborn vagare per il parco di Hogwarts alle sette del mattino con un paio di pantaloni slargati e una felpa che aveva visto decisamente tempi migliori addosso, e i capelli ritti in testa come aculei. Erano pantofole quelle che calzava ai piedi? Ormai erano tutte bagnate di brina mattutina, ma decisamente parevano essere pantofole.
 
-aumentano il fascino- mormorò svogliato il ragazzo più grande, scrollando le spalle, senza tuttavia recuperare nemmeno un briciolo del Dearborn che ogni giorno si aggirava tra le mura della scuola facendo strage di cuori al suo passaggio.
 
-Dearborn, sei sicuro di stare bene?- chiese a quel punto Fenwick riprendendo ad accarezzare attentamente il muso scheletrico del cavallo accanto a lui. Riteneva ormai doveroso far luce sulla faccenda, sebbene la cosa non gli importasse più di tanto, in fondo. Molto in fondo, si accorse con una punta di stupore.
 
-eh?- domandò in risposta Caradoc scrollando la testa e fissando il proprio sguardo in quello del Serpeverde –si, certo-.
 
Fenwick annuì lentamente, prima di infilare la lettera con una mano nella tasca del mantello.
 
-erano…- sembrava esprimersi con difficoltà, Dearborn, tutto accartocciato sul ciocco di legna che gli faceva da sedile. Stava con le gambe incrociate e premute al petto, circondate dalle braccia quasi avesse intenzione di tenersi così più caldo –erano buone notizie, nella lettera?-.
 
Fenwick annuì ancora, questa volta più guardingo. A quanto pareva, mostrarsi gentilmente scortese con quel ragazzo non aveva alcun effetto. Forse lui aveva ragione e Dearborn era matto. Si sa, i matti vanno assecondati.
 
-le solite- scosse il capo Fenwick –oltre ai miei genitori, scrivo soltanto a Jodie, e quando può mi risponde-.
 
Dearborn parve non avere bisogno di più di qualche secondo per mettere in ordine tutti i pezzi, nella propria mente.
 
-tua sorella, vero? Hai detto che sta in giro per il mondo, no?-.
 
Adesso sembrava di nuovo normale. No, non il normale Caradoc Dearborn, ma un normale ragazzo intento a discorrere di cose relativamente importanti con un normale amico. Normale, insomma. Se solo non fosse stato Dearborn e lui non fosse stato Fenwick.
 
-in realtà, adesso è a Londra- si ritrovò ad ammettere quasi controvoglia.
 
-ma non cerca per lavoro l’origine della magia nei luoghi più sperduti del pianeta, scusa?- domandò Dearborn tentando un piccolo sorriso divertito, nel non capire le implicazioni della risposta dell’interlocutore –a Londra, non c’è poi molto da cercare-.
 
Fenwick aveva stretto gli occhi, incuriosito da quel ragazzo che, decisamente, in stranezza lo superava. Di gran lunga, anche.
 
-a Londra c’è il Ministero, da cui la squadra di Jodie dipende- spiegò cercando di scollarsi quell’assurda sensazione di dosso. Quasi si trovasse in un sogno, il sogno più strano mai fatto in vita propria –a quanto pare vogliono… aggiungere un membro alla squadra, per questo l’hanno richiamata a Londra-.
 
Non sapeva per quale motivo lo stesse assecondando, ma il sorrisetto di Dearborn, che nonostante tutto persisteva, pareva suggerirgli che stava facendo la cosa giusta.
 
-capisco- mormorò annuendo –i tuoi devono essere persone dalla mentalità estremamente aperta, per essere Purosangue. Non conosco nessuno che permetterebbe alla figlia primogenita di viaggiare tanto, e anche in modo pericoloso, immagino. Insomma, la maggior parte delle ragazze Purosangue è chiamata a formarsi una famiglia-.
 
-si, beh, sono…- gli ci volle tutto l’autocontrollo che possedeva per non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione –siamo una famiglia un po’ fuori dal normale, nell’ambito dei Purosangue. Mamma e papà sono diversi dal archetipo di genitori Purosangue. E Jodie è… beh, una forza della natura. Non la si può fermare, se si mette in testa qualcosa-.
 
Dearborn si acquietò per un istante, lui e le sue domande scomode a cui però era così facile rispondere.
 
Alla fine, il silenzio venne interrotto dallo sbuffare del cavallo scheletrico, che richiedeva altra carne da mettere tra le fauci. Prendendosi tutto il tempo del mondo, Fenwick gliela pose ad una manciata di centimetri dal muso.
 
-avete molti anni di differenza?- tornò alla carica Dearborn, interessato –non sembrate molto vicini, per età. In genere, tra fratelli vicini si ha un attaccamento più morboso. Guarda Amelia e Edgar, se uno dei due iniziasse ad andare per i fatti propri in giro per il mondo per l’altro sarebbe un colpo al cuore. Gideon e Fabian, poi, non ne parliamo-.
 
-lei ha la sua vita, io ho la mia- disse Ben liquidando la faccenda con un semplice cenno del capo –lei ha sette anni più di me. Si è diplomata l’anno prima che io arrivassi ad Hogwarts. In effetti, quando lei era al settimo tu dovevi essere al primo-.
 
Dearborn alzò gli occhi al cielo, come cercando di ricordare.
 
-non mi ricordo nessuna Fenwick con i capelli scuri e gli occhi blu, mi spiace. Era a Serpeverde?- chiese sinceramente curioso. Sembrava quasi un bambino, con gli occhi socchiusi per ricordare, tutto appallottolato su se stesso.
 
Fenwick annuì, meditabondo.
 
-non mi assomiglia molto, in realtà, per i colori- scosse il capo –ha i capelli rossi e gli occhi grigi, e un sacco di lentiggini. È anche più bassa di me, veramente-.
 
Dearborn non diede in alcun modo segno di riconoscere nessuno nella descrizione del ragazzo.
 
-è in giro per il mondo da allora?-.
 
-no, per un anno è stata in Stage in uno degli uffici della Collaborazione internazionale tra i Ministeri della Magia. Poi ha trovato un vecchio archeologo pazzo che ha iniziato a trascinarla in giro per il mondo facendole fare una sorta di Tirocinio nella sua squadra di lavoro, e due anni dopo, quando lui è andato in pensione, lei ha preso il suo posto a capo della squadra. Ha leggermente cambiato ambito, a quanto ne so, perché prima la squadra si occupava della ricerca nei siti archeologici babbani, mentre ora è a contatto con tribù molto legate alle tradizioni del passato. Ma non conosco esattamente tutto quello che fa, quindi non saprei descriverlo meglio-.
 
Ok, doveva allontanarsi da lì. Con qualsiasi mezzo, trovando qualsiasi pretesto. Ma doveva farlo subito, prima di iniziare ad usare la doppia personalità di Dearborn come diario segreto.
 
Per Salazar, non era mica una Grifondoro del terzo anno, lui!
 
-bene, io devo…- mormorò sentendo il cavallo affianco a lui sbuffare  e dargli musate sul braccio come a richiedere altra carne. Scocciato, il Serpeverde afferrò l’ultimo brano di carne per gettarlo con impazienza all’animale. Solo allora si rese conto di qualcosa a cui prima non aveva assolutamente fatto caso –Dearborn, tu vedi i Thestral?-.
 
Il ragazzo, sentendosi interpellato, si riscosse.
 
-scusa?- domandò computo.
 
-vedi i Thestral?- chiese di nuovo, indicando più chiaramente l’animale al suo fianco.
 
Caradoc Dearborn sussultò, fissando per la prima volta veramente lo sguardo su quella creatura che, sul serio, pareva terrorizzarlo.
 
-io li vedo, in realtà- mormorò, alzandosi velocemente e distogliendo lo sguardo in fretta –ma preferisco non badare troppo a loro. Scusami, adesso devo andare, mi aspettano in Sala Grande per la colazione. Ho una certa reputazione, io, da mantenere, e tardare agli appuntamenti non aiuterebbe di certo-.
 
Se la bizzarria dell’iniziale comportamento di Dearborn l’aveva spiazzato, vedersi liquidare così velocemente con quel tono lo scombussolò completamente. In meno di un respiro era tornato ad essere il Dearborn di tutti i giorni, quello che adesso si stava, a dieci passi da lui, aggiustando i capelli con un colpo elegante e distratto della mano. Lo stesso Dearborn che, fatti altri cinque passi, si disilluse con un colpo di bacchetta, probabilmente per evitare che qualcuno lo vedesse conciato in quel modo dentro le mura di Hogwarts.
 
Chi diavolo era Caradoc Dearborn?
 
 

*

 
 
Fabian Prewett era una di quelle persone che, di norma, se non dormivano quelle loro sane nove ore di sonno il mattino dopo si svegliavano di malumore.
 
Questo, Gideon lo sapeva per certo.
 
Avendo lui vissuto più o meno ogni secondo della propria vita in compagnia del suddetto Prewett, poteva distinguere da un solo sguardo –o magari, nemmeno rivolgendogli quello, a volte lo capiva a pelle- lo stato dell’umore del fratello.
 
-Gid, hai visto le mie scarpe?- domandò proprio in quell’istante il fratello, irritato –questa è la tua cravatta, vuoi tenerla sul tuo letto, per favore?-.
 
-non me le sono tolteio, le tue scarpe- gli rispose a tono, evidenziando come il fratello le parti salienti del discorso con un tono volutamente petulante –e puoi anche evitare di lamentarti per la mia cravatta, quando tu spargi la tua roba in giro per la stanza una sera si e l’altra anche!-
 
-senti chi parla!- ribattè Fabian incenerendolo con uno sguardo decisamente malevolo –Mister “ordine e perfezione” Gideon Prewett, che va in giro perennemente con i calzini spaiati!-.
 
-ragazzi, non…-.
 
Il tentativo di chetare le acque messo in atto dal Caposcuola Shacklebolt, che con la sua calma proverbiale stava ora aspettando appoggiato ad una delle colonne del baldacchino, venne messo a tacere da due sibili identici, rivolti verso tutti e nessuno in particolare.
 
-anche tu vai in giro con i calzini spaiati, Fabian!- gli fece giustamente notare Gideon, sottolineando l’incontrovertibilità della sua affermazione puntando il dito verso i piedi del fratello, avvolti in due diversi calzini.
 
-si, ma io lo faccio perché mi piace avere due colori diversi addosso, tu lo fai perché non riesci mai a trovarne due uguali!- rispose il ragazzo beffardamente –chi ha ragione, King? Non è vero che lui è più disordinato di me?-.
 
-oh, ma per favore! King, fagli capire anche tu che questa sua idea di appaiare calzini spaiati è assurda! Fa solo ridere, ha il gusto estetico di Molly!-.
 
Kingsley Shacklebolt sapeva, ormai, per esperienza, che dare il proprio parere se chiamato in causa in una discussione tra gemelli voleva dire non solo firmare la propria condanna a morte, ma sancire anche un lungo percorso di tortura ad opera del gemello che sarebbe risultato in torto.
 
Dava ragione a Fabian? Gideon si sarebbe lamentato per tutto il giorno e poi si sarebbe offeso per il resto della settimana.
 
Dare ragione a Gideon? Fabian gli avrebbe fatto notare che “mica sei Merlino, che decidi qual è la verità e quale no. Chi ti credi di essere, con i tuoi giudizi? Io continuo a lamentarmi quanto mi pare e piace!”
 
Risultato: un mal di testa atroce per lui e uno sguardo riprovevole da Dearborn, che alla prima lezione gli avrebbe fatto notare che “potevi anche provare a metterli d’accordo, è difficile sopportarli quando litigano. Non riesco a concentrarmi”.
 
-senti tu che mi tocca sentire! Gideon, te ne capisci di moda quanto Pix di politica, quindi facci il favore di stare zitto. E non insultare Molly, se non ti regalasse uno dei suoi maglioni ogni anno moriresti di freddo, perché sei troppo stupido per farteli da solo-.
 
-ma che hai stamattina?- domandò allora Gideon, lanciandogli le sue scarpe –sembri la versione mestruata di Caradoc! Ah, tra parentesi, erano sotto il mio letto, le tue scarpe-.
 
Kingsley voleva bene ai suoi amici.
 
Davvero, li aveva conosciuti sul treno per Hogwarts, la prima volta che lo aveva preso, pieno di meraviglia per quel mondo per lui totalmente nuovo, ed era rimasto subito affascinato da quei due cosetti buffi –alti all’incirca la metà di lui, con i capelli color carota sparati in tutte le direzioni e la lingua sempre pronta a controbattere ad attacchi verbali-.
 
Ma se fino a quel giorno sull’espresso aveva pensato a quanto avrebbe voluto anche lui avere un gemello, ossia un alter-ego da schiavizzare e mostrare come un soprammobile senziente, si era ben presto accorto che no, non ci sono solo lati positivi, nell’avere un gemello.
 
Per usare le parole con cui era solito descrivere Gideon la loro situazione, avere un gemello e doverci vivere assieme è come prendere il parente più rompicoglioni che hai, attaccartelo al collo con guinzaglio e collare per sentirti dire che qualsiasi cosa tu faccia, lui la farebbe comunque meglio.
 
Ormai si era abituato così tanto alle loro litigate, che durante l’estate quasi si era sentito sperduto senza quel diavoletto e quell’angioletto che dalla sua spalla duellavano a colpi di parole usando spesso il suo stesso corpo come campo di battaglia.
 
-…non ce le ho messe io, sicuramente sei tu che hai fatto qualche casino e…-.
 
Dal tono pericolosamente alto della voce di Prewett, Kingsley si rese conto di come probabilmente Fabian avesse deciso di rinunciare ai due secondi di religioso silenzio in cui era sprofondato dopo che il fratello gli aveva tirato le scarpe, per immergersi in una dettagliata spiegazione del perché e del percome Gideon fosse solito ridurre la sua parte della camera in un ammasso di roba vagante senza un posto proprio.
 
Portandosi una mano alle tempie e usando la schiena per tenere aperta la porta e far passare così i propri amici, Kingsley si limitò a sussurrare qualche parola a fior di labbra.
 
Kingsley, vuoi bene ai tuoi amici. Vuoi bene ai tuoi amici.
 
Più che semplici frasi, avevano assunto il solenne ritmo di un mantra.
 
Aveva inizio un’altra splendida giornata.
 
 

*

 
 
-hai la faccia sconvolta, Docco- esclamò Hestia vedendolo accomodarsi con uno sbuffo teatrale al tavolo, occupando quel pochissimo spazio tra lei e Sturgis e ricavandosi, a suo di gomitate, uno posto sufficiente per il proprio –splendido- deretano.
 
-fascino dell’uomo vissuto- ribattè lui con fare da cospiratore, fregando dal piatto del proprio migliore amico una salsiccia e portandosela alle labbra con aria indolente –il modello della bellezza sta cambiando, anche se io resto sempre in testa-.
 
Vide Hestia trattenere una risata e versagli un abbondante bicchiere di succo di zucca.
 
-beva, Messere, non vorremmo mai che il nostro Capitano morisse di sete a pochi giorni di distanza dalla partita- mormorò sussiegosa osservando divertita il ragazzo rubargli con nonchalance una fetta di bacon e una di pane imburrato –Docco, in caso non lo avessi notato, i piatti di portata stanno davanti a te. Puoi prendere le stesse identiche cosa senza marchiarti della fama di ladro-.
 
Caradoc storse le labbra in un ghigno divertito.
 
-e dove sarebbe il divertimento? E comunque, a quanto pare, le ragazze sono attratte anche dai belli e dannati. Bello lo sono già, quindi…- lasciò cadere la frase con uno svolazzo della mano, alzando per un secondo lo sguardo sul tavolo Serpeverde –alla partita tiferete per me, non è vero, Madonna Hestia?-.
 
-vai da qualcun altro ad elemosinare attenzioni, Dearborn- s’intromise fintamente scocciato Sturgis, tirando indietro il ragazzo con una spallata e sporgendosi verso Hestia per reclamare un bacio –Madonna Hestia è perdutamente innamorata del suo cavaliere dall’armatura splendente-.
 
-Merlino, chiudetevi in camera per fare certe cose- esclamò scioccato Caradoc, portandosi una mano alle tempie e serrando gli occhi come a ricacciare una terribile visione –risparmiatemi-.
 
Sturgis si lasciò andare ad un sorriso divertito.
 
-hai visto di peggio, sicuramente- mormorò ingaggiando una lotta con le forchette con Caradoc, nel proprio piatto, per riprendersi una delle salsicce che il proprio migliore amico gli stava rubando –che cosa abbiamo alla prima ora?-.
 
-tipico, è quasi Natale e tu non ricordi ancora l’orario- lo prese in giro Dearborn pungendogli il dorso della mano con la propria forchetta nell’intento di fargli abbandonare la battaglia.
 
-due ore di Erbologia, serra numero 3- cinguettò Hestia Jones, pregustando due ore della propria materia preferita.
 
-e sai questo cosa vuol dire, Docco?- gli chiese Sturgis con un sorrisetto decisamente divertito e beffardo, riuscendo infine a infilzare la salsiccia contesa e a mettersela in bocca.
 
-due ore nel fango fino ai gomiti- dichiarò evidentemente sconfitto Dearborn, alzando le mani in segno di resa. Il ragazzo soffocò un brontolio scontento quando vide il proprio migliore amico pretendere dalla sua ragazza il bacio della vittoria –dovreste impararedavvero a trattenervi, dico sul serio. Io starei facendo colazione-.
 
Alzando gli occhi al cielo, Dearborn incrociò per un secondo lo sguardo di Fenwick, arrivato in sala in compagnia della onnipresente Meadowes e diretto adesso al tavolo Serpeverde. L’occhiata che gli lanciò il ragazzo più giovane, completamente incolore, gli diede da pensare per il resto della mattinata.
 
 

*

 
 
-Docco, mi passi il secchio che hai vicino?- chiese Hestia indicando all’amico un secchio di metallo dall’aria piuttosto sudicia.
 
L’occhiata raggelante che il ragazzo rivolse all’innocuo contenitore avrebbe fatto paura anche ad un lupo mannaro.
 
-io, quel coso, non lo tocco- rispose con una smorfia disgustata, alzando le mani.
 
-ma hai i guanti!- esclamò irritata Hestia, che aveva le mani infilate fino ai gomiti nel terriccio fresco della pianta che stava concimando.
 
-sono di vera pelle di drago- ribattè stizzito Dearborn, alzando gli occhi al cielo ma protendendosi verso il secchio indicato per afferrarlo, con estrema attenzione –vera, finissima pelle di drago-.
 
-senti, signor pelle di drago- lo prese bonariamente in giro Fabian, sporgendosi sul tavolo per prendere le cesoie da potatura –se non vuoi che in pasto questo cavolo carnivoro abbia vera e finissima pelle di Dearborn, dagli due o tre di quelle cavallette quando io lo convinco ad aprire le fauci-.
 
Sempre più schifato, Dearborn prese per le ali rinsecchite due o tre di quelle cavallette morte che Fabian gli aveva indicato.
 
-Merlino, Docco, decisamente mi sfugge il motivo per cui ti sei iscritto a Erbologia anche dopo i G.U.F.O.-
 
-se è per questo sfugge anche a me- borbottò in risposta ad Hestia il ragazzo, alzandosi sulle punte dei piedi per riuscire a guardare dall’alto una delle trappole del cavolo carnivoro cinese che stavano accudendo –dev’essere stato Vitious, ad intortarmi in qualche modo. Quando me ne sono accorto non potevo più lasciare-.
 
-se ti può consolare- si intromise Kingsley, seduto al tavolo accanto al loro in compagnia degli altri tre illustri personaggi della loro combriccola, recidendo con attenzione una trappola ormai secca dalla pianta –non credo che il risultato che avrai ai M.A.G.O. per questa materia ti interesserà più di tanto. Non serve saper curare un Cavolo Carnivoro Cinese se passi la tua vita a giocare a Quidditch-.
 
Caradoc sorrise, soddisfatto, dopo aver lasciato cadere le ultime cavallette nella trappola più piccola della pianta carnivora.
 
-adoro la mia vita- mormorò estasiato al pensiero di non dover, una volta uscito dalla scuola, toccare uno di quegli arbusti nemmeno in sogno.
 
-oh, a proposito di Quidditch- esclamò Hestia attirando l’attenzione del piccolo gruppetto accanto al loro tavolo, oltre che di Fabian e Caradoc stesso.
 
Normalmente Hestia parlava di Quidditch solamente per sgridare Caradoc per il fatto di tener impegnato Sturgis un indecente numero di ore a settimana.
 
-ah, no, eh! Non guardare me!- si lamentò infatti Caradoc alzando le mani come a dichiararsi innocente –i patti erano che lo avrei lasciato più libero durante le settimane vuote per impegnarlo di più a pochi giorni dalle partite!-.
 
-idiota, non volevo parlare di questo- lo prese in giro bonaria, soffocando un sorriso ed arrossendo un po’ sulle guance –in realtà, volevo soltanto informarvi che ho invitato la Meadowes ad assistere alla partita… ovviamente verrà anche Fenwick, naturale-.
 
Il silenzio successivo all’affermazione la costrinse ad alzare lo sguardo sui suoi compagnia, che la guardavano chi stupito –Dearborn e i Prewett- chi incuriosito –Bones- e chi decisamente benevolo –Kingsley e Podmore-.
 
-oh, toglietevi quelle facce di dosso, ok?- esclamò stizzita posando sul tavolo con un po’ troppa irruenza il secchio del concime. Alzò la testa giusto per assicurarsi che il rumore non avesse attirato lo sguardo della Professoressa –Dorcas è molto simpatica, e stiamo diventando amiche… cioè, insomma, credo che sia più o meno così, anche se lei non parla mai di se e più che altro ascolta quello che dico io-.
 
Kingsley sorrise convinto, annuendo con gentilezza.
 
-beh, direi che hai fatto bene- la rassicurò tornando ad occuparsi della pianta a loro assegnata –non ha fatto bene, Stur?-.
 
-assolutamente- gli diede man forte Podmore, facendo l’occhiolino alla propria ragazza con un sorriso smagliante in volto.
 
-ma scusami- si intromise Edgar, attirandosi le occhiate perplesse di quasi tutti –la Meadowes non è quella che odia volare?-.
 
-e beh? Odia volare, ma se non ci fai salire lei, su una scopa, va tutto bene- scrollò le spalle Hestia indicando con un cenno il campo da quidditch –comunque, ha accettato. Non è mai stata ad una partita, ha detto, e quindi…-
 
-non è mai stata ad una partita?- questa volta la domanda, posta con lo stesso identico tono, proveniva dai due gemelli –cioè, in pratica non conosce il quidditch?-
 
-beh, non è nemmeno troppo inusuale. È figlia di babbani, no?- domandò Kingsley minimizzando –da noi, le scope le usi soltanto per pulire per terra-.
 
-sarà, ma non puoi negare che la Meadowes sia strana- borbottò Gideon incrociando le braccia, rispondendo all’occhiata di Kingsley con un solo sopracciglio inarcato –e non sono l’unico a dirlo-.
 
Hestia rispose con un sospiro.
 
-non è strana. È solo chiusa. Molto chiusa- ammise alla fine, con un sorrisetto –però non è male, è molto intelligente. E soffre ancora in modo straziante per la morte di suo padre-.
 
-deve essere stato terribile, quello che ha passato- replicò empatico Dearborn, in uno degli slanci sinceri che si permetteva unicamente quando, nelle vicinanze, c’erano solo i suoi amici. E quella mattina in compagnia di Fenwick, ma quella era un’altra storia. Non aveva la più pallida idea di che cosa gli fosse preso, per mostrarsi così davanti ad un Serpeverde.
 
Il prossimo passo quale sarebbe stato, giocare a Mazzobum con Dolohov?
 
 
 
 
NOTE:
 
Non abbiamo notizie dello stato di sangue di Kingsley, ma io me lo sono sempre immaginata come nato babbano. D’altronde, la Rowling ci dice che zio Vernon sembra sentirsi particolarmente a suo agio con Kingsley per il suo modo così normale di comportarsi, quindi ho fatto due calcoli e ho tirato le mie somme.
 
Per seconda cosa, Fabian e Gideon.
Io adoro la Rowling, io come la maggior parte delle persone sulla faccia della terra.
Però anche amando molto la sua versione di gemelli Fred e George, li ho sempre reputati poco realistici. La Rowling ha descritto soprattutto la parte bella dell’avere un gemello, e ha tralasciato completamente i contro, a mio parere. Su questo argomento posso dire di avere una discreta esperienza, dal momento che le mie migliori amiche e coinquiline sono gemelle omozigoti, e io le adoro, davvero. Ma la realtà è ben diversa da come la descrive la Rowling, e te ne accorgi già dopo aver passato due ore in loro compagnia e averle sentite litigare su seicentocinquanta cose diverse. Il corollario, poi, è quando dormendo tutte in una stessa stanza ti svegliano con i loro litigi alle tre di notte per bisticciarsi una coperta.
Davvero, secondo me, ormai abituata a convivere giornalmente con le mie migliori amiche, avere un gemello non ha solo lati positivi. Una delle due è solita descriversi proprio con le parole che ho attribuito a Gideon:
 
Per usare le parole con cui era solito descrivere Gideon la loro situazione, avere un gemello e doverci vivere assieme è come prendere il parente più rompicoglioni che hai, attaccartelo al collo con guinzaglio e collare per sentirti dire che qualsiasi cosa tu faccia, lui la farebbe comunque meglio.
 
Che poi la cosa abbia anche lati positivi, non lo metto assolutamente in dubbio.
 
Per il resto, io sul capitolo non ho altro da dire,
spero che vi piaccia,
Hir
 
 

 

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Capitolo 12
*** 11. Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 
 
 

Quando Dectera riprese a parlare, la sua voce era dolce e triste
-i ricordi sono come spine: si attraversa la vita portandoli tra le mani
e per quanto si tenti di gettarli via non si può farlo,
perché sono conficcati troppo in profondità-
[…]
Accorgendosi che Dectera stava vagando nella propria mente,
Emer accostò il proprio volto a quello di lei per attirare di nuovo la sua attenzione
e tentare un’ultima supplica disperata.
-quale nome non hai mai rivelato a Sualtim?[…]-
Dectera era al limite di una nebbia argentea, dalle cui profondità scaturiva
una luce opalescente che lei ricordava di aver visto, molto tempo prima.
Ancora un passo e si sarebbe definitivamente perduta tra la nebbia.
Aveva sempre saputo che la nebbia la stava aspettando
[…]
Dectera glielo disse, e poi scivolò perennemente, silenziosa e felice,
nella nebbia che l’attendeva*
 

 
 
 
A Dorcas il volo non piaceva.
 
Aveva detto sul serio alla Testa di Porco, quando Sturgis le aveva chiesto della sua paura di volare.
 
Non sopportava la velocità, l’aria fredda e sferzante sul volto, i vestiti che venivano battuti dal vento, i capelli che si agitavano come quelli di una gorgone inferocita, le lacrime agli occhi e la punta del naso che si arrossava.
 
Non sopportava non vederci con chiarezza, essere in bilico a metri da terra, non sentire il suolo duro e rassicurante sotto i piedi e rischiare di cadere ogni due per tre.
 
Essere completamente in balia di una scopa, un essere senza una mente e una coscienza.
 
No, decisamente volare non faceva al caso suo. E si, c’entrava anche quell’idiota di Malfoy, con il suo scherzo al primo anno e le sue fantastiche e sadiche idee.
 
Non piacendole il volo, di riflesso non l’aveva mai entusiasmata nemmeno il quidditch. Non era certo il tipo di persona, Dorcas Meadowes, da mettersi a strillare seduta in tribuna facendo il tifo per l’una o l’altra delle squadre della scuola, sventolando magari una sciarpa dei suoi colori.
 
Per quello che la riguardava, quindi, al posto del Campo di Quidditch di Hogwarts avrebbero potuto mettere una grande pista di pattinaggio o una voliera per Thestral.
 
La cosa che più di tutti l’aveva sorpresa, quando aveva comunicato a Benjy che avrebbe assistito ad una partita e che si sarebbe trascinata dietro pure lui, volente o nolente, era stato il tiepido sorriso di risposta che aveva avuto dal proprio migliore amico.
 
Per prima cosa, Ben era una di quelle persone che raramente si permettevano sorrisi che non fossero anche profondamente beffardi. Se a questo si aggiungevano i nomi “Prewett, Shacklebolt e Jones” si poteva ragionevolmente supporre di non vederlo sorridere mai più.
 
In secondo luogo, Benjy odiava che si prendessero impegni a suo nome. Era una cosa a cui, sul momento, Dorcas non aveva minimamente pensato, ma ragionandoci, con il passare del tempo, era giunta alla conclusione di dover attraversare parecchi momenti di criptico e testardo silenzio riprovevole prima di andare alla partita. Insieme.
 
Quando Ben si arrabbiava –a differenza di quanto si pensasse in giro, Benjamin Fenwick si arrabbiava molto di rado, anche se qualche volta vederlo preoccupato avrebbe potuto trarre in inganno- lo faceva senza grandi fiammate d’ira. Aveva un modo di farti capire la sua profonda inquietudine che metteva estremamente sottopressione.
 
-non so una regola di Quidditch, Ben- constatò mentre scendevano al campo, uno di fianco all’altra, Dorcas. Avvolta nel suo mantello più pesante, con i capelli legati in una lunga treccia e la gola riparata da una sciarpa dei colori di Corvonero, camminava tranquilla come sempre diretta verso il suo ignoto personale.
 
Se la cultura di Dorcas Meadowes in alcuni campi sconfinava quasi nell’impossibile, in materia di Quidditch non raggiungeva nemmeno i requisiti minimi. Tutto quello che sapeva di Quidditch era che si giocava a cavallo di una scopa –attrezzi infernali, a parere suo- e che consisteva in due squadre avversarie che rincorrevano varie palle di diverse dimensioni. Stop.
 
Forse Benjy provò a soffocare quella risata quasi inconsulta nata da una battuta che di certo non voleva essere divertente, fatto sta che non ci riuscì a sufficienza. Accortasene, Dorcas gli rivolse un’occhiataccia decisamente poco tollerante e tornò a puntare lo sguardo sui tre anelli che adesso si trovavano a poco meno di duecento metri da loro.
 
-esulta quando lo fanno i nostri… accompagnatori, e vedrai che renderai tutti felici- borbottò il ragazzo simulando un’aria seria e stringendosi la sciarpa attorno al collo –e poi, tranquilla, il Quidditch è un gioco avvincente, ti sentirai coinvolta subito-.
 
Con un sopracciglio inarcato, scorgendo con lo sguardo il piccolo gruppo dei loro accompagnatori –come li aveva soprannominati Ben-, mostrò lo scetticismo di risposta alla frase di Fenwick.
 
Il più alto di tutti era Kingsley, che con la sua muscolosa corporatura sfiorava sicuramente il metro e novanta. Accanto a lui, comodamente seduta su uno dei gradini che portavano alle tribune, Hestia era intenta a rabbrividire di freddo e –pensò Fenwick rivolgendole uno sguardo vagamente divertito- a maledire il proprio ragazzo per essersi fatto incastrare da uno sport da giocarsi all’esterno. La sala delle Gobbiglie era perfettamente riscaldata, secondo le sue fonti. I gemelli Prewett completavano l’allegro quadretto, sfoggiando espressioni decisamente insonnolite indice di chi, alzatosi da poco, non vedeva l’ora di tornare a letto.
 
 

*

 
 
Il fischio di inizio non era arrivato a spezzare l’immobilità, come invece avrebbe fatto nemmeno un mese prima con una compagnia del genere.
 
Fin da quando aveva avvistato i due ragazzi, Hestia Jones si era prodigata per trovare argomenti di conversazione stimolanti per tutti, quasi ne andasse della sua stessa vita.
 
Avevano così impiegato i primi dieci minuti a spezzare il ghiaccio parlando di scuola e di fatti più o meno conosciuti: il banchetto atteso per Halloween, il Club dei Duelli, il non tanto desiderato appuntamento con il Lumaclub -di cui facevano parte sia Kingsley che Fenwick- per il martedì successivo.
 
-tu, Benjy, sembri gallese- aveva poi esclamato Shacklebolt quando erano giunti alle tribune corvonero, lasciando spaziare lo sguardo verso le tribune Tassorosso per individuare la figura piccola ma ben visibile di Amelia Bones. Quando l’aveva trovata –l’unica vestita normalmente in quell’alveare operoso che erano gli spalti dei Tassi- l’aveva salutata con un gesto della mano, presto seguito anche dai Prewett e da Hestia.
 
-si, abitiamo nella periferia di Holyhead- annuì il ragazzo sedendosi vicino al parapetto. In questo modo, si accorse troppo tardi, era separato da Dorcas dall’intera comitiva, che occupava una panca dalla cima al fondo.
 
-Le Holyhead Harpies sono di li, vero?- domandò Gideon, che dava le spalle al campo per poter più agevolmente parlare con loro, lasciando ancora per qualche minuto il proprio posto vuoto.
 
-mia sorella è una loro fan-assentì infatti –il loro campo d’allenamento non è troppo distante da casa nostra-.
 
-tu non tifi le Harpies?-.
 
La domanda arrivava da Hestia, seduta tra quello che sarebbe stato il posto di Gideon e quello in cui era già accomodato Fabian. Oltre Fabian, prima del parapetto successivo, Ben vide Dorcas rivolgere uno sguardo imperscrutabile al campo sotto di loro.
 
-no, io…- scosse il capo rivolgendo ancora un’occhiata a Dorcas. Tutto sommato sembrava piuttosto a suo agio, con vicino Prewett –tifo per i Montrose, come mia madre. Hanno un gioco più dinamico, è più divertente starli a guardare-.
 
-ed è sicuramente la squadra più forte della Scozia- gli diede manforte Kingsley, annuendo –io preferisco i Wanderers, ed ho assistito ad una loro partita contro i Montrose. È stata spettacolare, davvero-.
 
-sei scozzese? Dall’accento non si direbbe- osservò Fenwick scrollando le spalle. Se ad una prima occhiata Shacklebolt poteva sembrare tanto calmo da risultare snervante, era rilassante, alla fine, constatare quella calma in ogni situazione.
 
-inglese, in realtà. Ma ci siamo trasferiti a Fort William a causa del lavoro di mio padre quando avevo dieci anni. Io non ho minimamente preso l’accento, ci vivo solo tre mesi all’anno, ma nei miei genitori si sente di più-.
 
-Fort William? Dorcas abita non troppo distante da quella città- fece mente locale Benjy, socchiudendo appena gli occhi e indicando la ragazza, ora intenta a parlare con Prewett.
 
-davvero? Dorcas, sei scozzese?-.
 
La domanda di Kingsley costrinse Dorcas a rivolgere uno sguardo al resto della combriccola. Relegata in un angolo, intenta a guardare il campo come se non ne avesse mai visto uno –cosa altamente probabile, tra l’altro, si disse Kingsley- aveva l’aria di qualcosa di totalmente fuori posto.
 
-per metà, si- annuì la ragazza con voce rauca, lievemente a disagio.
 
-di dove?- chiese la Jones interessata.
 
La domanda di Hestia cadde nel vuoto quando, proprio prima che la Meadowes si decidesse a rispondere, le squadre entrarono in campo.
 
 

*

 
 
Per primo, con la sua fedele e nuovissima Nimbus 1000 che aveva fatto arrossire d’invidia sia Sturgis che Edgar, procedeva in testa il Capitano più ammirato di Hogwarts.
 
Subito dietro di lui, in qualità di battitori, Sturgis Podmore e Reginald Cattermole –quinto anno- sfoggiavano le loro tranquille Scopalinda, molto meno appariscenti della scopa di Dearborn ma tutto sommato abbastanza fedeli.
 
Le tre cacciatrici, tre ragazze del terzo anno che solo l’anno prima avevano provato la selezione insieme, venivano alla coda delle due scopalinda, brandendo chi una Tornado 1 –Penelope Kirke-, chi le sempre adorate Comet 180 –Elinor Stebbins e Odette Reynolds-. Per ultimo, con la tipica corporatura sottile e agile, Max McKinnon chiudeva la fila in qualità di cercatore, settimo anno Corvonero nonché uno dei compagni di stanza di Caradoc Dearborn. E unico a condividerne il modello di scopa.
 
Per Podmore doveva essere una vera e propria tortura avere in stanza ben due Nimbus 1000 e non poterne usare nemmeno una.
 
Dal lato opposto del campo, stavano intanto entrando i Tassorosso.
 
Capitanati dall’impeccabile Edgar Bones, che nello stringere la mano a Dearborn quasi gliela staccò –perché si, era uno dei suoi migliori amici ma il quidditch, diamine, è pur sempre quidditch-, la fila continuava con una battitrice dai capelli rossi –Sophie Baddock, quarto anno, secondo il cronista- e un lui che occupava la stessa carica, tale Terence Midgen del settimo.
 
I cacciatori, le sorelle Zeller e Adam Wilkes, precedevano infine la cercatrice –piccola nuova risorsa del secondo anno- Amanda Higgs.
 
Due squadra talentuose, aveva detto il cronista, per una partita che sarebbe rimasta nei ricordi di tutti.
 
Il cronista, a parere di Dorcas Meadowes, parlava un po’ troppo la lingua del quidditch e un po’ troppo poco la sua, dal momento che di ogni minima frase riusciva si e no a centrare due parole su cinque.
 
Si maledisse all’improvviso per aver accettato l’invito di Hestia. Erano solo alla presentazione delle due squadre e lei si era già persa, maledetto quidditch.
 
Vide Edgar e Caradoc stringersi la mano, impiegando decisamente più tempo del previsto.
 
-quegli idioti- mormorò Hestia dandosi una pacca lieve sulla fronte, come a compatire i propri amici –stanno cercando di vedere chi prima dei due perderà la mano?-.
 
Gideon rise.
 
-io dico Caradoc- azzardò dando di gomito a Kingsley –è tutta apparenza, la sua. Non ha uno straccio di muscoli-.
 
-speriamo tu non abbia ragione- rispose Fabian a tono, ribattendo al fratello quasi istintivamente –altrimenti sai quanto si lamenterà poi? Siamo noi a doverlo sopportare. Edgar almeno parla di meno-.
 
Mentre i due fratelli ridevano, Hestia si alzò per vedere meglio.
 
Alla fine, solo alla minaccia di Madama Bumb di espellerli ancora prima del fischio d’inizio, i due si ripresero ognuno la propria mano per iniziare a giocare.
 
 

*

 
 
Dorcas Meadowes era nel panico più totale.
 
Non che lo desse a vedere in qualche modo, no. Stava seduta composta nel suo piccolo angolo di panca, con accanto Fabian Prewett e davanti uno sport di cui conosceva a stento una manciata di regole elementari.
 
Seduta a quattro persone di distanza da Benjy, la sua unica ancora di salvataggio in quello e in molti altri casi, si convinse presto di essere spacciata.
 
Il fischio d’inizio, era arrivato puntuale con lo scoccare delle undici e trenta, come da copione.
 
Visti dall’alto, i giocatori sembravano più strani insetti che persone in carne ed ossa.
 
-ma quella ragazza non è troppo piccola per giocare?- chiese sussurrando verso Fabian, indicando la più piccola giocatrice in campo, per dimensione come anche per età, probabilmente. Era tassorosso, ma Dorcas già non ricordava più in che ruolo giocasse, colpa della sua scarsa cultura in materia di Quidditch.
 
-non c’è una vera e propria età limite per il Quidditch- le rispose gentilmente il ragazzo, scostando lo sguardo dalla partita per puntarlo su di lei, vagamente divertito –in genere, i più piccoli non giocano nelle squadre a Hogwarts semplicemente perché ragazzi o ragazze più grandi sono più bravi. A volte, però, è completamente diverso per quel che riguarda i cercatori-.
 
Cercatrice. Ecco qual era il ruolo della ragazza.
 
Fabian si interruppe un attimo, per volgere lo sguardo al campo giusto in tempo per vedere Podmore colpire una palla animata con una mazza.
 
-Dio santo, ma è legale?-
 
Dorcas non riescì a trattenersi vedendo la palla animata, che prima si era diretta come impazzita verso Podmore con l’esplicito intento di disarcionarlo, volare ora velocemente contro uno dei giocatori avversari.
 
Fabian scoppiò a ridere, attirandosi uno sguardo stupito da parte di Dorcas. Dopo giusto un battito di ciglia, il ragazzo si ricompose, battendosi una mano sulla fronte.
 
-non sei mai stata ad una partita, vero?- fece mente locale ricordando la precedente conversazione con Hestia –si, è decisamente legale-.
 
 

*

 
 
Come ogni volta, aveva decisamente sbagliato a giudicare Dorcas Meadowes.
 
Ormai era quasi un’abitudine. Puntualmente, forse spinto dal suo aspetto così dannatamente ordinario, lui la prendeva per una ragazza fin troppo banale e, puntualmente, lei gli dimostrava quanto precisamente lui si sbagliasse con quella sua idea tanto scontata.
 
Voltandosi ancora verso il campo, indicò la pluffa di cuoio rossa che ora si trovava tra le mani di Edgar.
 
-ogni squadra ha sette giocatori, anche se questo, in fondo, puoi vederlo da sola- le disse tornando a sedersi al suo posto, dal quale si era alzato vedendo Sturgis quasi colpito dal bolide –i portieri stanno davanti agli anelli, a parare i tiri dei cacciatori. I tre cacciatori devono passarsi la pluffa, la palla rossa, e lanciarla oltre gli anelli, per fare punto-.
 
-beh, fino a qua sembra un gioco civile- scrollò le spalle Dorcas, vedendo un sorrisetto divertito sfiorare le labbra del ragazzo.
 
-i due battitori, con le mazze, hanno la funzione di tenere sotto controllo i bolidi-
 
-ah, mai nome fu più azzeccato-.
 
Effettivamente, si accorse Fabian trattenendo una piccola risata, era vero quello che aveva affermato Hestia fin dall’inizio della sua conoscenza con la ragazza in questione. La Meadowes aveva un senso dell’umorismo sottile, percepibile solamente frequentandola da vicino, ma ce l’aveva. Non era affatto noiosa.
 
-non è troppo pericoloso, in realtà- le spiegò indicandole Sturgis –il suo compito, è quello di indirizzare i bolidi verso i giocatori avversari, e di proteggere quelli della propria squadra. In genere, i più colpiti sono i Portieri, per ovvi motivi, e i Cercatori-.
 
-perché i Cercatori?- chiese la ragazza istintivamente. La incuriosiva, sotto sotto, quello stupido gioco. Insomma, lo riteneva comunque un modo stupido di rischiare la vita, però aveva… un suo fascino, tutto sommato. Come tutto, nella magia, se provenivi da una famiglia di Babbani.
 
-il Cercatore ha il compito di trovare il Boccino d’oro, una pallina grande come un uovo di quaglia che vola velocissima- disse indicando McKinnon, che volava poco sopra alla linea dei loro occhi, ed era perfettamente visibile stagliato contro il cielo grigio –la cattura del boccino vale centocinquanta punti, e mette fine alla partita. Normalmente, la squadra che prende il boccino è quella che vince, poiché raramente si ha un distacco di punti tanto alto-.
 
-e se qualcuno che non è il Cercatore prende il boccino?-.
 
-è fallo- scrollò il capo Prewett, modulando una risata –in realtà, i falli a quidditch sono tantissimi, più di settecento. Non li conosco tutti, ovvio, ma quello è uno dei più conosciuti-.
 
Con gli occhi attenti, Dorcas tornò a seguire la partita. Era particolarmente attenta ai movimenti di Sturgis, che aveva appena tentato di disarcionare Edgar Bones.
 
-ma non sono amici?- chiese interdetta, restando per un attimo a fissare un Bones piuttosto riottoso, intento a maledire a parole uno dei propri migliori amici.
 
-il Quidditch è il Quidditch. Una volta Sturgis ha disarcionato anche me, in una partita contro Corvonero. Doveva essere due anni fa, più o meno. Ci ho messo due mesi, per tornare a rivolgergli la parola, ma alla fine non me la sono presa più di tanto-.
 
-non gli hai parlato per più di due mesi, e dici di non essertela presa?- chiese Dorcas con un guizzo ilare nello sguardo –parola mia, non vorrei mai esserti nemica. C’è da chiedersi come tu reagisca quando ti arrabbi-.
 
Proprio in quel momento, una splendida Penelope Kirke, pluffa alla mano, si dirigeva sicura e decisa verso Edgar Bones, che capì di essere fregato ancora prima di vedere la palla lasciare le dita della cacciatrice avversaria. L’urlo dei Corvonero, che ad una sola voce si alzò dalle tribune di bronzo e blu, liberò la tensione nell’aria.
 
Dorcas sentì appena il cronista, per cui aveva già sviluppato una sottospecie di antipatia, dichiarare il punteggio.
 
-tu in che ruolo giochi?- chiese voltandosi ancora verso Fabian, quasi dimentica della partita. Prewett parlava con termini più semplici di quelli del cronista, e anche una negata come lei poteva così seguire la partita.
 
-per i primi due anni ho giocato come battitore, con Gideon come compagno- spiegò scrollando il capo rassegnato –poi, quando abbiamo iniziato a lasciar perdere i bolidi e a tirarci le mazze a vicenda sono diventato cacciatore-.
 
 

*

 
 
Hestia Jones da tempo si era rassegnata alla passione che il suo ragazzo nutriva nei confronti del quidditch.
 
Non ne era mai stata gelosa -anche se sentirsi spiattellare tutte le tecniche da gioco che avrebbero usato nella partita successiva proprio durante un momento romantico tra le braccia del suo lui non era proprio il massimo- ma spesse volte si era spazientita.
 
Dopo tre anni di intensivi sforzi, proprio per l’ultimo che avrebbe passato ad Hogwarts, era riuscita a trovare un accordo con Dearborn, che quando era sul campo di Quidditch cambiava completamente volto e da sciocco vanesio diventata il gemello cattivo di Grindelwald: il suo ragazzo sarebbe stato impegnato solo una sera a settimana nei periodi in cui non erano previste partite, mentre alla vigilia di partite importanti –ossia tutte- aveva allenamento tre sere su cinque.
 
Quello che le piaceva, nel vedere Sturgis giocare a quidditch, era scoprirlo totalmente felice, in mezzo al nulla con il niente sotto ai piedi ed una mazza in mano.
 
Lei non giocava affatto a Quidditch: l’unica volta che Sturgis le aveva dato in mano la mazza da Battitore, era quasi riuscita nel mirabolante obbiettivo di far cadere a Caradoc Dearborn tutti e otto i denti davanti. Impresa che le era costata il muso lungo del ragazzo in questione per tutto il mese successivo e una punizione non indifferente con la McGrannitt, donna che di punizioni se ne intendeva.
 
Alla sua destra, Gideon teneva gli occhi fissi sulla pluffa, rispondendo appena alle poche precisazioni che Kingsley era intento a fare più che altro a se stesso –Shacklebolt, quando vedeva gli altri giocare, non era proprio capace di rimanere zitto-.
 
Tuttavia, il moro, dovette ricordarsi piuttosto alla svelta della poca pazienza che i Prewett provavano nei confronti di chi parlava loro durante un incontro di quidditch: potevi disturbarli anche davanti a Merlino in persona, che ti avrebbero prestato tutta l’attenzione del mondo, ma le partite di quidditch erano sacrosante e intoccabili, per quei due gemelli. Dovevano essere seguite in religioso silenzio, analizzate mentalmente in ogni piccola parte e poi discusse al termine della partita quasi fossero un esercizio di comprensione del testo.
 
Si stupì e non poco, quindi, quando vide notò l’espressione stupita dipinta sul volto di Kingsley. Aveva lo sguardo puntato oltre lei, fisso sul secondo ragazzo Prewett.
 
Voltandosi, lo vide tutto intento a parlottare con la Meadowes, forse così sottovoce ispirato dal tono rauco della ragazza o magari per non disturbare gli altri presenti, ma per il resto quasi completamente dimentico della partita.
 
Da quando in qua Fabian parlava nel pieno svolgimento della partita, se non per avvisarti che lo stavi disturbando chiacchierando come una gallina?
 
La sua attenzione venne calamitata dall’urlo di Gideon, alla sua destra, e dal sospiro brusco tirato quasi all’unisono da Kingsley e Fenwick, che nonostante tutto pareva capire di Quidditch ben più di quanto non si sarebbe detto ad una prima occhiata.
 
Hestia si voltò in modo talmente veloce da dover soffocare una smorfia di dolore per la fitta che gli era saltata al collo.
 
Niente che facesse sussultare così Fenwick poteva passare inosservato a tutti gli altri.
 

*

 

Mentre la pluffa era a centro campo, diretta agli anelli Tassorosso nelle abili mani della Reynolds, al lato opposto Sturgis Podmore volava basso a pochi metri dal suo Capitano.
 
-Stur, prendi di mira quella Baddock e vedi di toglierle quella mazza dalle mani, sta arrivando fin troppo vicina a Max. Per poco prima non l’ha buttato giù da quella scopa-.
 
-ha messo su una bella squadra, Ed- gli gridò in risposta, alzando la voce per farsi sentire nonostante il vento che gli soffiava nelle orecchie –vedrò cosa posso fare-.
 
-non la mollare un secondo, quella ha capito come si gioca- si sentì rispondere dalle parti di Caradoc, intento a scrutare con pessimismo il resto dei giocatori, che stavano ora tornando dalla loro parte del campo.
 
Una delle sorelle Zeller –riuscire a riconoscerle bardate da giocatrici era una cosa particolarmente difficile, viste l’identica corporatura e i capelli uguali raccolti nella stessa coda di cavallo- conduceva la partita con la testa abbassata verso di loro, quasi fosse un ariete. Dietro di lei, Reginald Cattermole brandiva minaccioso la mazza di ferro, in attesa del fortuito bolide che gli avrebbe permesso di disarcionare la cacciatrice e far riprendere il gioco ai Corvonero.
 
All’arrivo del bolide, la mazza oscillò nelle mani di Cattermole, che però sbagliò il tiro sfiorando appena la Tassorosso. La Zeller, presa alla sprovvista poco sopra al polso sinistro, fu costretta a lasciar cadere la pluffa, aggirando il bolide ora diretto contro la Baddock.
 
Questa, munita di mazza e con le conoscenze adeguate per usarla al meglio, fece la cosa più istintiva del mondo.
 
Rilanciò. E il pensate bolide, puntuale come la McGrannitt quando chiedeva i compiti, centrò in mezzo al petto Caradoc Dearborn.
 
 

*

 
 
-Santo Merlino, è ancora vivo?-.
 
In qualsiasi altro contesto, se posta da chiunque altro, la domanda non avrebbe attratto tanti curiosi. Tuttavia, sentire la voce di Fenwick con un tale tono, doveva essere uno shock bello e buono.
 
Caradoc Dearborn, dopo essere stato centrato in pieno petto da un bolide , era precipitato per quelli che ad occhio e croce potevano sembrare circa diciassette metri. Aveva passato l’anello centrale con il corpo, malamente aggrappato alla sua Nimbus, e quando il bolide era tornato indietro, di riflesso, lo aveva colpito poco sopra alla gamba.
 
A quel punto, tutti gli sforzi della squadra per riprendere il Capitano poco prima che cadesse erano stati vani. Solo Podmore, volando quasi avesse Tom Riddle alle calcagna, era riuscito ad abbrancare Dearborn per la maglia, azione quasi del tutto inutile dal momento che la maglia si era strappata e Dearborn era caduto lo stesso sulla sabbia ai piedi degli anelli.
 
Per un attimo, oltre al sussulto globale degli spettatori, nessuno aveva fiatato.
 
Solo Madama Bumb, probabilmente abituata da anni a incidenti del genere, era scattata in piedi aiutata da due studenti e, evocando una barella, aveva portato quel che restava di Dearborn a bordo campo.  
 
Quando, in mezzo ad un sospiro collettivo, Caradoc Dearborn si era effettivamente mosso, risvegliandosi dal colpo che doveva aver preso, l’intero stadio aveva tirato un sospiro collettivo.
 
E Tassorosso –ormai non più molto preoccupato- aveva segnato il suo terzo punto.
 
 

*

 
 
Con quella che a tutti gli effetti era stata una caduta dalla scopa con i fiocchi, la partita era degenerata nello strazio più totale.
 
Sebbene decisamente versati nel gioco, i componenti della squadra Corvonero non erano stati capaci di far fronte ad una tattica che prevedeva la totale assenza del portiere, e in meno di dieci minuti si erano ritrovati sotto di più di centottanta punti.
 
A porre fine a quel massacro legittimato altrimenti detto partita, Max McKinnon di Corvonero aveva afferrato il boccino nell’esatto istante in cui Tassorosso segnava il proprio trecento ventesimo punto, sancendo la fine della battaglia con un punteggio pari a trecentoventi a duecentodieci.
 
I vincitori, sorprendentemente, erano risultati essere i Tassi, con grande gioia di Edgar Bones per la sua prima vittoria a capo della squadra in questione. Certo, la grande gioia veniva in realtà offuscata dal sapere il proprio migliore amico steso sul letto in infermeria con più ossa rotte che dita nelle mani, ma per quanto il bonaccione Bones tentasse di sentirsi in colpa, non riusciva a soffocare quel piccolo sorriso che gli curvava le labbra al pensiero della vittoria.
 
A quanto aveva capito Benjy dai discorsi successivi di Dorcas, i Corvonero avevano passato il pomeriggio a consolare uno sconvolto Dearborn, facendo a gomitate con le duemila ammiratrici del Capitano e con un’infuriata infermiera, che aveva tentato di tutto per farsi valere fino a riuscire a spingerli fuori dalla stanza.
 
-Signor Fenwick, lei adesso ha lezione di Antiche Rune, se la memoria non mi inganna-.
 
Il ragazzo interpellato dovette sforzarsi per non alzare gli occhi al cielo, notando il tono usato dal suo Capocasa nel sottolineare qualcosa di così irrilevante. Ovviamente la domanda doveva celare l’inghippo, si disse.
 
-si, Professore- mormorò alla fine trovandosi costretto ad assentire, chiedendosi cosa mai potesse volere Lumacorno da uno dei suoi allievi prediletti, nonché più abili pozionisti.
 
-immagino che non ti dispiaccia, Benjamin, passare allora in infermeria per lasciare queste fiale di Pozione a Poppy**- sorrise Lumacorno di quel suo sorriso un po’ untuoso, indicando un ammasso di sei o sette ampolle piene di liquido colorato –sai, Ossofast e altri piccoli rimedi-.
 
Ingoiando una risposta decisamente poco lusinghiera Ben si limitò ad annuire, prendendo in mano la folta varietà di ampolle e dirigendosi all’ingresso.
 
Due minuti dopo, salendo le scale che portavano all’infermeria con una gran quantità di fiale tra le braccia e la borsa che pesava più di un macigno in bilico attaccata ad una spalla, Benjy Fenwick si ritrovò a maledire indistintamente sia Lumacorno che Dearborn –perché era ovvio che l’ossofast fosse per lui, dal momento che si era rotto talmente tante ossa che nemmeno a contarle sarebbe stato capace-.
 
L’infermeria, una grande sala al primo piano, connessa all’ufficio della Madama Infermiera, rimaneva giusto alla fine di un corridoio lungo ben illuminato da torce appese alle pareti. Arrivando giusto all’inizio del corridoio, Fenwick si stupì di sentire alcune voci tonanti provenire dall’infermeria, luogo in cui normalmente vigeva il più mortale dei silenzi.
 
-non ti azzardare a parlare con questo tono a tua madre, ragazzo-.
 
Quella frase, in quel particolare contesto, in quel luogo e a quell’ora, non avrebbe potuto suonare più strana. La voce, quella evidentemente di un uomo adulto, era ben più alta del normale tono da conversazione, ed era dura e fredda come il metallo.
 
-non potete chiedermi…-
 
Quella, invece, era certo che fosse la voce di Dearborn. Suonava scontenta, delusa come non l’aveva mai sentita, e sofferente più di quanto non si sarebbe mai aspettato. Ma era certamente Dearborn.
 
-basta- esclamò in risposta l’uomo, interrompendo il ragazzo con un tono ancora più brusco del precedente –fino a che vivrai sotto il nostro tetto, Caradoc, farai esattamente ciò che ci si aspetta da te. Non accetto discussioni su questo punto, e sono certo che non ce ne saranno. Smettila con queste stupidaggini, pensa alla tua vita-.
 
-la mia vita è questa, papà- rispose la voce di Dearborn, con una tale stoccata da indurre Fenwick ad avvicinarsi incuriosito. Non voleva essere sorpreso ad origliare, ma c’era anche da dire che i due non stavano esattamente conversando come due pacifiche persone all’ora del tè –non potete chiedermi di lasciare la squadra solo perché…-
 
-Caradoc, sei caduto da diciassette metri di altezza- si intromise la voce inaspettata di una donna. Lieve, nulla più che un fruscio, un sussurro rauco e sorprendentemente vuoto. Era così basso che Benjy dovette avvicinarsi ancora per ascoltarlo. Se davvero quella era la madre di Dearborn, Fenwick si sorprese a pensare che tutto poteva avere, fuorché il tono di una madre. Sembrava parlare da una grande distanza, senza imprimere troppo peso sulle proprie parole.
 
-succede!- esclamò Dearborn in risposta, e questa volta il tono era fortemente esasperato –possono capitare disgrazie del genere, possono…-
 
-no, non se ne parla- sentenziò alla fine l’uomo, tornando a prendere il sopravvento –parlerò io stesso con Filius, e tu lascerai la squadra. Non voglio essere richiamato il mese prossimo perché un altro bolide ti avrà disarcionato, non voglio che tua madre sia costretta a rivivere l’ansia e la preoccupazione, non sono sentimenti che si adattino al suo stato-.
 
-sono maggiorenne!-.
 
-maggiorenne? Ma sentilo, l’uomo navigato- l’ironia e la scontrosità del tono erano decisamente fuori luogo, quasi agghiaccianti –senza di noi tu non vai da nessuna parte. Finchè dipenderai da noi, ragazzino, le cose andranno come decidiamo io e tua madre. Devo tornare al lavoro, se hai domande serie mandami un gufo-.
 
Paralizzato dalla curiosità, e inchiodato da ciò che aveva udito, Ben non fu abbastanza lesto da nascondersi. Quando le due persone uscirono dall’infermeria –il Signore e la Signora Dearborn, immaginava-, ebbe appena il tempo di riprendere a camminare come se non fosse stato fermo ad ascoltare la conversazione ma avesse, al contrario, una gran fretta.
 
Il Signor Dearborn era più vecchio di quanto Ben non supponesse. Doveva ormai essere sulla soglia dei cinquantacinque, ma dimostrava comunque un’età più avanzata. Aveva gli stessi occhi del figlio, ma uno sguardo più duro, e i capelli un tempo neri erano ora screziati di grigio sulle tempie e alla radice. Sul volto, rughe precise gli segnavano il contorno di occhi e labbra.
 
-buongiorno-.
 
Completamente rilassato, l’uomo sorrise glaciale a Benjy salutandolo cortesemente. Stupito, il Serpeverde non poté far altro che annuire in risposta, mentre con lo sguardo raggiungeva la Signora Dearborn.
 
Era bella. Era da lei, più che dall’uomo, che Caradoc doveva aver ereditato i lineamenti avvenenti.
 
Aveva i capelli dello stesso castano chiaro del figlio, lasciati cadere sciolti oltre le spalle. Con uno sguardo attento, Ben notò che li portava lunghi a più di due spanne dalla vita, mossi e fluenti. La figura dritta, snella e nobile, era fasciata da una veste da strega di un pallido azzurro, che ben si intonava con il colore chiaro dei grandi occhi sgranati.
 
Ma aveva qualcosa di strano, quella donna. Era come se avesse perso il contatto con la realtà. Sguardo completamente trasognato, con un braccio si accompagnava al marito, e da lui si faceva completamente guidare.
 
Era forse cieca?
 
No, pareva sapere esattamente dove andare.
 
Forse era semplicemente pazza.
 
 

*

 
 
Caradoc Dearborn aveva moltissimi ricordi belli della propria infanzia.
 
I suoi genitori, entrambi purosangue, venivano da generazioni ricchissime di maghi molto in vista –sua madre era infatti una Burke***-. Si erano sposati a soli vent’anni, una delle poche coppie della loro generazione ad amarsi di vero amore, quasi senza alcun interesse pecuniario.
 
Per i primi anni della sua vita, Dearborn era cresciuto nella bambagia più completa, così come si conveniva ai rampolli dell’alta società inglese.
 
Più o meno fino agli otto anni, era stato esattamente quello che avrebbe dovuto essere, e che ancora adesso era, agli occhi di tutti: un bambino felice, stupido e felice.
 
Erano passati anni, tuttavia, dall’ultimo sorriso spensierato. Dall’ultimo abbraccio della mamma.
 
Aveva affrontato molte cose, e molte sapeva di doverle ancora vedere. In fondo al cuore, sperava alcune di non doverle vivere mai, nell’arco della sua intera esistenza.
 
Talvolta si divertiva ad immaginare il suo futuro, e si ritrovava a pregare segretamente una qualche ingombrante potenza di non farlo assomigliare mai al cinismo di suo padre, o all’eterno dolore di sua madre. Pregava una qualunque grande presenza di non concedergli mai un tale peso da portare, non era certo in cuor suo di saperlo affrontare. Temeva di perdersi, così come avevano fatto i suoi genitori, così come era successo alla sua infanzia.
 
Qualche istante dopo aver visto le figure dei genitori uscire dall’infermeria –il passo marziale che ormai caratterizzava suo padre accompagnato dal peso piuma della moglie-, aveva sentito l’uomo salutare qualcuno con voce freddamente cortese. Insomma, la voce che usava con chiunque per… com’era, la solfa? Ah, si, salvare le apparenze.
 
D’altronde, immaginò, forse le risposte tonanti di suo padre non erano passate inosservate in quell’angolo di castello che più degli altri si avvolgeva nel silenzio quasi perpetuo.
 
Poco male, chiunque fosse ad aver sentito, presto si sarebbe dimenticato tutto, specialmente se lui stesso avesse fatto per primo finta di niente. Era una cosa che gli riusciva sempre piuttosto bene, fare orecchie da mercante.
 
-vogliono che lasci il Quidditch?-.
 
Ecco, quello che non si era per niente aspettato era un attacco così diretto da qualcuno che solitamente di diretto non prendeva nemmeno la strada per andare a lezione.
 
In caso non fosse bastata la voce, così atona, a rivelargli l’identità dell’interlocutore, alzò appena gli occhi dal rotolo di pergamena che stava leggendo.
 
-Fenwick, non dovresti essere a lezione?- sorvolò esibendosi in quella commedia che era ormai la sua vita agli occhi dei più. Nascondendo un sorrisetto, si fece i complimenti da solo.
 
Il ragazzo scosse le spalle come a segnalare l’idiozia di una tale puntualizzazione. Ovvio che avrebbe dovuto essere a lezione.
 
-garantisce Lumacorno- mormorò svogliato –vogliono che lasci il Quidditch?-.
 
Dearborn quasi scoppiò a ridere, divertito dalla tattica assunta dal Serpeverde. Ripetere a ruota la domanda fino ad ottenere una risposta era una tecnica infallibile, se usata contro le persone giuste.
 
-vogliono tante cose- si scoprì a mormorare, scrollando le spalle –la maggior parte solo per soddisfare se stessi-.
 
Fenwick si fece più freddo, in un atteggiamento che forse stava ad indicare stupore.
 
-si preoccupano solo per te-.
 
Questa volta, la risata da parte di Dearborn fu decisamente tonante, ma non troppo divertita. Sarebbe stato davvero squallido, ridere delle proprie disgrazie.
 
-oh, che si preoccupino è più che chiaro- sussurrò in un tono più aspro del dovuto –ma credo sia più egoistico, il sentimento. Si preoccupano per se stessi-.
 
Lo stupore, negli occhi di Fenwick, ora non era per niente travestito da gelo, ma semplice e puro come quello di un bambino.
 
-sai, Fenwick- si sentì mormorare, e davvero, doveva mettere fine a quella confessione a ruota libera. Non era semplicemente normale, provare quella voglia assurda di riversare tutto su un’altra persona, specie se si parlava di Benjy Fenwick. Non era normale, e non era astuto –perdere un figlio è disgrazia, perderne due è negligenza-.
 
Gli ci volle molta più forza di quanto non avrebbe mai creduto, per muovere la propria bacchetta verso il paravento. Con uno scatto secco, lo portò tra se e il ragazzo –ancora inchiodato dallo stupore- fermo all’ingresso dell’infermeria. Si dovesse fermare un attimo per riprendere quel fiato che una fitta al fianco, dolce ricordo della partita, gli aveva spezzato.
 
-Madama Chips è nel suo ufficio- borbottò poi voltando le spalle al punto esatto in cui Fenwick doveva ancora trovarsi e a quel paravento che aveva preferito porre tra se e tutto il resto. Un sipario calato a chiudere quella commedia di cui forse era il protagonista, ma di certo non l’attore consumato che mostrava al resto del mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Morgan Llywelyn, I guerrieri del Ramo Rosso. Non so quanti di voi abbiano letto questo libro, comunque, in poche parole, è tratto dal Ciclo dell’Ulster, forse il ciclo di mitologia irlandese più famoso insieme a quello su Fionn Mac Cumail. Deichtine, o Dectera che dir si voglia, è la madre di Cu Chulain, il Mastino dell’Ulster. Deichtine è pazza, lo è diventata dopo aver partorito il figlio del Dio Lugh. La pazzia della signora Dearborn non è generata dalla stessa causa, ma fin da quando ho pensato per la prima volta al suo personaggio me la sono immaginata esattamente come Dectera, dalla mente annebbiata, sempre ad un passo dall’oblio.
 
**la Rowling non ci ha detto quando Poppy Chips diventa infermiera ad Hogwarts, e per semplice comodità preferisco farla comparire anche in questa storia.
 
***con l’apertura della seconda parte della Camera dei Segreti, su Pottermore, si sono svelati parecchi altarini. Uno fra tutti, quello dei Purosangue. In poche parole, ho sempre immaginato tutto sbagliato. Gli Shacklebolt fanno parte dei “Sacri Ventotto” ossia le ventotto famiglie più purosangue eccetera eccetera, come i Malfoy, i Nott e altre venticinque famigliole più o meno felici. Amen, nella mia ff Kingsley continuerà ad essere nato babbano, cambiare tutti i piani a questo punto non mi piacerebbe nemmeno un po’. I Burke –da cui discende la madre di Caradoc- sono una di queste famiglie.
 
 
 
 
NOTE: non ho nulla di importante da dire, su questo capitolo, oltre a ciò che è scritto sopra. Ora vado a rispondere alle recensioni, spero di risentirvi. Conto di pubblicare lunedì prossimo, se non domenica.
Buona lettura,
Hir
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** 12. Capitolo 12 ***


Capitolo 12

 
 
 

Per il sentiero del sogno
Senza allentare il passo
Sempre vengo a trovarti;
eppure mai è eguale
allo scambio fuggevole
di sguardi ad occhi aperti
(Ono no Komachi)

 


 
Amelia non frequentava in senso stretto nessun componente della cosiddetta patria dei Bellocci, esclusa Hestia.
 
Quella con suo fratello non poteva essere catalogata esattamente come “frequentazione”. Erano nati a quindici mesi precisi l’uno dall’altra, facevano parte della stessa casa ad Hogwarts e in estate dividevano la medesima stanza. Edgar aveva imparato a non sbuffare quando la sorellina, più piccola di lui, si svegliava preda di qualche incubo e Amelia aveva alla fine accantonato quella gelosia un po’ infantile di cui era preda ogni volta che un’amica esprimeva un parere un po’ troppo gentile nei confronti del suo fratellone.
 
Il fatto che quella gelosia fosse del tutto ricambiata, invece, la mandava in bestie. E, diciamocelo, non è che Edgar lesinasse con le critiche sugli spasimanti di Amelia, anzi, ne elargiva anche di gratuite.
 
Anthony Gallagher aveva il naso troppo grosso (quando annuisce a tavola affetta il pane, quello, Amelia);
 
la voce di Jacob Wilson sembrava quella di una femminuccia (ah, ha la voce peggiore che io abbia mai sentito. Perfino peggio di quella Bertha Jorkins, la primo anno grifondoro cotta persa di Caradoc);
 
Stephen Mason non indossava le scarpe adatte (sembrano quelle di un pagliaccio, Meli!);
 
in Paul Vance era il lavoro, il problema (sta studiando per diventare Auror, Ami! In Polonia, che non è esattamente dietro l’angolo).
 
Ad ogni critica conseguiva una risposta della piccola Amelia, che ci teneva a far capire chelei, proprio piccola non era. Ad ogni risposta ne derivava un’altra, e alla fine quella che era iniziata come una semplice conversazione sfociava nel litigio più truce.
 
Tutto sommato, però, erano piuttosto uniti. Per questo Amelia aveva tanta familiarità con gli amici di suo fratello, pur non frequentandoli troppo in prima persona.
 
-ehi, uomo del momento- trillò allegra entrando in infermeria con un sacchetto di Scarafaggi a grappolo in una mano e una lettera di pergamena fine nell’altra. Vedendo, seduto su una sedia, Kingsley Shacklebolt, sorrise istintivamente rallegrata. Dopo qualche attimo, si voltò verso Dearborn –ti avevo portato una ventata di allegria e un sacchetto di dolci, ma vedo che hai già sia la compagnia che… una quantità indecente di dolciumi, direi. Quando uscirai di qui con le gambe apposto, ci dovrai rientrare per il livello di zuccheri nel sangue, secondo me-.
 
I commenti di Amelia erano pienamente giustificati dai cumuli di ogni tipo di leccornie, magiche e non, stipati nel piccolo armadietto che avrebbe dovuto fungere da comodino.
 
-tranquilla, di allegria e dolci non ne ho mai abbastanza- scherzò Caradoc sbattendo le palpebre con fare civettuolo. Merlino, solo lui fra i suoi conoscenti era in grado di fare il cretino senza sembrarlo affatto.
 
-tu non dovresti essere a lezione?- chiese incuriosito Kingsley, senza riuscire a trattenere un sorriso di fronte all’espressione così fanciullesca della bella ragazza.
 
Amelia alzò gli occhi al cielo, con espressione angelica.
 
-dovevo assolutamente andare in infermeria- cinguettò con grazia prima di sentire Dearborn scoppiare a ridere.
 
-oh, cara, se volevi solamente vedermi bastava dire la verità- rispose il ragazzo sullo stesso tono, raccattando dal vicino comodino una cioccorana e scartandola con attenzione –secondo me ti avrebbero creduto-.
 
Kingsley, accanto all’amico, alzò gli occhi al cielo, per poi puntare lo sguardo in quello sinceramente divertito di Amelia.
 
-chiedo scusa, tesoro- stette al gioco lei, smielosa. Scostando lo sguardo da quello di Shacklebolt, sorrise in direzione del Corvonero mezzo seduto sul lettino –ho già trovato il mio lui ideale-.
 
Non c’era persona ad Hogwarts –e questo Amelia lo sapeva decisamente bene- più pettegola di Caradoc Dearborn.
 
-vuoi dire che Paul Vance è davvero così importante?- domandò con uno scintillio malizioso negli occhi e quel tono da vecchia comare che lo distingueva da un sacco di anni a quella parte –tuo fratello potrebbe avere qualcosa da ridire-.
 
Amelia scoppiò a ridere, divertita, aprendo con entusiasmo il pacchetto di Scarafaggi a grappolo che aveva portato in regalo a Caradoc, e prendendone uno per cacciarselo in bocca.
 
-ma cosa hai capito?- esclamò ridendo di gusto –parlavo di Puzzako, il mio Diricawl di peluche! Pensa, è l’unico di cui Edgar si fidi. Incondizionatamente!-.
 
Anche Caradoc e Kingsley si unirono alla risata, e con un sospiro a stento trattenuto Amelia potè finalmente riportare lo sguardo sul Caposcuola Grifondoro.
 
Era più forte di lei, quella paura folle e completamente insensata di cui era preda ogni volta che, con lui nelle vicinanze, se ne usciva con battute sui ragazzi. Prima di farle, ogni santa volta, si obbligava a distogliere lo sguardo dalla zona occupata da Kingsley.
 
Il fatto, era che Kingsley non era semplicemente un ragazzo. Per quello che la riguardava, Kingsley erail ragazzo.
 
Era stato appena l’anno prima, proprio di quel periodo, che si era accorta che no, non c’era Paul Vance o Jacob Wilson che tenessero, quando li si paragonava a Kingsley Shacklebolt. Non c’era assolutamente nessuno, al mondo, che si potesse paragonare a lui.
 
Allora aveva iniziato a sentirsi in imbarazzo, a straparlare con lui nelle vicinanze, ad essere sempre così maledettamente chiacchierona e amichevole. E aveva iniziato a distogliere lo sguardo.
 
Cioè, insieme alla consapevolezza che, no, Kingsley per lei non era esattamente un fratellone, era arrivata anche la certezza che, si, per lui era solo una sorellina.  E se c’era, in qualche modo, sempre presente la tentazione di fare qualche battuta arguta sui ragazzi per studiare la reazione di King –perché magari si sbagliava, insomma, era una bella ragazza, lei- c’era anche l’assoluta necessità di distogliere lo sguardo, proprio in quei momenti, perché forse non sapere era decisamente meglio.
 
Finché non sai puoi sperare, si diceva. E, in fondo, lei era una tassorosso: non era obbligata ad essere coraggiosa per soddisfare le aspettative della propria casa.
 
-ehi, ma quelle non erano per me?- chiese all’improvviso Caradoc oltraggiato, indicando il pacchetto di caramelle che lei aveva istintivamente rivolto verso Kingsley, ignorando completamente il degente.
 
-cosa?- domandò lei allontanandosi da quella zona dei propri pensieri decisamente troppo pericolosa, e ridacchiando appena –io non l’ho mai detto, in realtà-.
 
Con un sorrisone sulle labbra, si godette appieno lo scoppio d’ilarità di Shacklebolt, che proprio non riuscì a frenare le risate, e la smorfia per metà offesa e per metà divertita di Dearborn.
 
-senti, com’è che non sei finita a Serpeverde?- domandò alla fine alzando il mento in un’espressione superba e orgogliosa e prendendosi uno dei calderotti che qualche ammiratrice doveva avergli portato.
 
Amelia sospirò, affranta.
 
-e poi chi avrebbe badato a Edgar?- esclamò teatrale portandosi una mano alla fronte –beato spirito di sacrificio-.
 
-Edgar è più grande di te- le fece notare Kingsley, decisamente divertito.
 
-dai, non ci credi nemmeno tu- rispose lei con quell’aria di cameratismo che odiava ma che assumeva istintivamente, pur di proteggere qualsiasi fosse la parte di se da tutelare da una rivelazione che avrebbe potuto fare troppo male –e, a voler essere proprio sinceri, è maggiore solo anagraficamente. Ah, che sbadata, prima di dimenticarlo, una tua ammiratrice mi ha detto di darti questo-.
 
Caradoc, con un sorriso di vittoria sul volto, prese la pergamena che la ragazza gli porse.
 
-per piacere- aggiunse Amelia arricciando le labbra abbastanza disgustata –aspetta almeno che io sia uscita, per aprire quel vasetto di miele. Odio la roba troppo dolce-.
 
-è questo il ringraziamento per averti fatto saltare lezione?- chiese offeso Dearborn, riponendo la busta sopra alla montagna di dolciumi sul comodino.
 
-ringraziamento?- questa volta il tono di Amelia è seriamente ilare –hai reso un servizio al mondo, caro, dovrebbero darti una medaglia. Avevo Pozioni. La volta scorsa per poco non ho fatto la pelle a Miranda-.
 
-ah, è per questo che i suoi capelli erano così blu quando è uscita dall’infermeria?- chiese Kingsley incuriosito.
 
-non è colpa mia!- giurò la ragazza portandosi le dita incrociate alle labbra, e guardando con gli occhi spalancati il Caposcuola Grifondoro –giuro. È che, c’erano quei mazzettini di lavanda così carini, li ho buttati nel calderone per vedere quale sarebbe stato il risultato. Poi però c’erano anche gli occhi di pesce palla e, tu non puoi capire, Kingsley! Mi chiedevano di utilizzarli, erano così mogi tutti da soli su quel grande bancone!-.
 
-occhi di pesce palla e lavanda?- chiese stralunato il ragazzo, in risposta –Dio, Meli, è come buttare una scatola di petardi nella stufa! È una fortuna che non sia cresciuto un terzo braccio a te, che sicuramente eri più vicina!-.
 
-eh, si, adesso lo so anche io, Caposcuola Shacklebolt!- gli fece notare un po’ lusingata dal vederlo un po’ preoccupato.
 
-Meli, guarda che fare pozioni non è come cucinare- si intromise Caradoc ragionevole, ma in parte divertito dall’esperimento umano che sembrava essere quella ragazza. Davvero, non ne esistevano altre, che lui sapesse –non puoi aggiungere un po’ di polvere di corno di bicorno solo per vedere come ve…-
 
-ah, quante storie- borbottò in risposta Amelia, alzando gli occhi al cielo –l’ho fatto solo una volta, e ha solo preso fuoco il libro!-.
 
-per fortuna oggi non ci sei andata- concluse Kingsley ritrovando il sorriso, e scrollando il capo –adesso dobbiamo solo farti saltare tutte le lezioni fino ai M.A.G.O. dell’anno prossimo, così non attenterai più alla vita di nessuno-.
 
 

*

 
 
-sai, dovresti proprio invitarla ad Hogsmeade-.
 
La voce di Caradoc Dearborn, inaspettatamente seria come lo era solo con i suoi amici attorno, ruppe il silenzio che si era formato con lo sfumare del rumore dei passi di Amelia Bones nel corridoio attiguo.
 
Kingsley Shacklebolt, a cui tale perla di saggezza era destinata, sbuffò incerto se prenderla sul ridere o fare finta di niente.
 
-no, dico davvero- continuò dedicandosi all’apertura e alla lettura della pergamena che Amelia gli aveva lasciato, dedicando un solo sguardo saputo a Kingsley.
 
-è la sorella di Edgar, Docco- gli fece notare con quel tono tanto ragionevole Shacklebolt –se solo Ed capisse che… Merlino, mi ucciderebbe-.
 
Dearborn diede in un sospiro a metà tra l’ironico e lo scocciato.
 
-secondo me sottovaluti Ed- fece presente con tutta la grazia di cui era capace –vede Amelia come una bambina, ma non lo è più già da un po’. Meglio te che chiunque altro, dico io-.
 
Kingsley Shacklebolt alzò gli occhi al cielo, rifiutando di farsi sconfiggere dalla semplice dialettica di Caradoc Dearborn.
 
Perché, fra lui e i Prewett, non lo lasciavano in pace? Era già abbastanza difficile convivere con i propri sentimenti giornalmente, senza dover anche fare attenzione che uno dei tre non parlasse troppo in presenza di Edgar, o di qualsiasi altra persona sulla faccia della terra.
 
-in più, ho quasi pensato ti fosse venuto un infarto prima che lei specificasse del Diricawl. Sul serio, caro, ormai hai una certa età- commentò il corvonero sinceramente preoccupato per la salute del suo amico.
 
-piantala, Dearborn, pensa alla tua lettera, piuttosto- borbottò stranamente scontroso Shacklebolt.
 
-ah, è uguale a tante altre- tagliò corto con il cambio di argomento, guardandolo adesso parecchio divertito –non mi dire che hai paura!-.
 
Kingsley gli rivolse uno sguardo decisamente poco comunicativo. Quando si apriva questo discorso, in genere, gli veniva voglia di sbattere la testa contro il primo spigolo disponibile e di farsi uscire dalla mente tutti quei pensieri che no, proprio non erano da lui.
 
Merlino Benedetto, Amelia era Amelia! La dolce, piccola, furba Meli che lo considerava un fratellone con cui giocare a sparaschiocco a tempo perso!
 
-sono come un fratello, per lei, Docco! Certo che ho paura!- esclamò decisamente convinto.
 
-sarà, ma non l’ho mai vista rivolgere certe occhiate ad Edgar, per fortuna- aggiunse ragionevolmente scioccato, con un sorrisetto ironico –dovresti davvero invitarla ad Hogsmeade, sai? La prossima uscita è tra due settimane…-
 
-so quand’è la prossima uscita ad Hogsmeade- brontolò scettico Kingsley, alzandosi dalla sedia su cui era rimasto seduto per l’intera ora e dirigendosi all’uscita –e ci andrò con Olave Danes-.
 
-ah, io proprio non ti capisco- alzò la voce vedendo il proprio amico lasciare l’infermeria senza nemmeno salutarlo –se bacia bene è perché gliel’ho insegnato io, l’anno scorso!-.
 
 

*

 
 
Dio, con tutto quello che aveva da fare ci mancavano anche gli amici che lo prendevano in giro per la sua pseudo-cotta per Amelia. Che poi tanto pseudo non era.
 
Se Edgar lo avesse anche solo intuito, lo avrebbe ucciso. E, no, non ingigantiva le cose, lui.
 
Aveva ben sentito parlare il suo amico tassorosso della sorte che sarebbe toccata a chiunque avesse avuto l’ardire di pensare a Meli in termini non esattamente fraterni. C’era stato quello… com’è che si chiamava? Anthony qualcosa.
 
Amelia era rimasta particolarmente scossa dalla fine di quella relazione, un anno prima. Edgar aveva smesso di maledire il nome di quello screanzato solo quando aveva capito che un altro screanzato doveva aver preso il suo posto. Ed era arrivato Paul Vance, bello, solitario e con le spalle di un pallanuotista. Edgar aveva riiniziato a farsi uscire il fumo dalle orecchie, ma a bassa voce, perché quello era grosso il doppio di lui e più grande di un anno.
 
Era stato più o meno a quel punto lì, che Kingsley aveva capito con sorprendente chiarezza cosa c’era di sbagliato nei ragazzi che, di tanto in tanto, sfarfallavano intorno ad Amelia.
 
Santo cielo, non potevano andare a girare attorno alla Rosier, come faceva la maggior parte di loro?
 
Meno ulcere per Edgar, e tutto sommato anche per lui.
 
E si, lo sapeva benissimo di essere un egoista, perché lui non avrebbe mai detto niente alla cara Meli, ma non sopportava ugualmente chi la guardava come fosse l’unica fiamma nel raggio di dieci miglia di tundra fredda. Se la mangiavano con gli occhi, e se a lei non dava affatto fastidio, ci pensava lui a farsi corrodere lo stomaco dalla rabbia.
 
 

*

 
 
-che cosa ci fa qui Prewett, secondo te?-.
 
Dorcas Meadowes sollevò lo sguardo dal libro quel tanto che bastava per puntarlo in quello scuro e imperscrutabile di Fenwick. Evitando di voltarsi verso il sopraccitato Prewett –perché perfino lei, un fallimento in ogni relazione umana, sapeva che fissarlo avrebbe messo il ragazzo in allarme- inarcò delicatamente le sopracciglia.
 
-quante cose si possono fare in biblioteca, Ben?- domandò in risposta, stupita.
 
Erano seduti allo stesso tavolo di sempre, una davanti all’altro. Mentre Fenwick si dedicava alla stesura di un tema di Babbanologia, che lei non seguiva, Dorcas sfogliava un libro del reparto proibito sulla trasfigurazione umana, prendendo diligentemente appunti da una parte.
 
-sono tredici minuti che fissa quasi ininterrottamente da questa parte. E prima ancora lo ha…-
 
-probabilmente cerca un pretesto qualsiasi per non studiare- lo mise a tacere la ragazza con un tono lieve–molte persone normali fanno così-.
 
Un sorrisetto ironico sfumò sulle labbra del giovane, vagamente divertito.
 
-sei diventata un’esperta da quando ti vedi con la Jones?- domandò lieve, intingendo nell’inchiostro la piuma d’aquila che teneva serrata tra le dita.
 
-se la vuoi mettere in questo modo- Dorcas scrollò le spalle, tornando a concentrarsi sul libro che aveva davanti. Dopo qualche minuto di silenzio, interrotto solo dal lieve grattare della piuma sulla pergamena, tornò di nuovo ad alzare lo sguardo, sentendosi fissata dal proprio migliore amico.
 
-lo sta facendo di nuovo- brontolò Benjamin sospirando piano e posando la piuma, questa volta definitivamente –sono quasi quaranta minuti che non sfoglia nemmeno una pagina di quel libro. Se non ha voglia di studiare perché viene in biblioteca?-.
 
Questa volta, Dorcas Meadowes si costrinse a ingoiare una risata.
 
-Ben, perché ti importa tanto di lui?- chiese divertita.
 
-ti guarda come se…-
 
-non guarda me- lo corresse con pazienza, appuntando le ultime cose su un foglio e terminando gli appunti con un paio di precisazioni al margine della pergamena –magari ha pensieri per la testa e ha solo voglia di stare un po’ in pace-.
 
-avevi ragione su Dearborn, sai?-.
 
L’ultima affermazione ebbe il potere di lasciare la ragazza fortemente perplessa.
 
-scusa, non riesco a starti dietro- dichiarò soffiando delicatamente sulla pergamena, per permettere all’inchiostro ancora brillante di asciugare in fretta –da quando i tuoi pensieri vanno in tante direzioni?-.
 
Ben scrollò il capo, facendo un cenno lieve con la mano come a liquidare l’ultima parte della frase.
 
-lascia perdere- mormorò asciugando la punta della piuma con un colpo di bacchetta e riponendo tutto nella tracolla scura che si portava dietro ovunque andasse –ti aspetto qui-.
 
Dorcas annuì appena e, afferrando il permesso firmato dalla McGrannitt, si diresse al banco della bibliotecaria per prendere in presto alcuni libri dal Reparto Proibito.
 
Benjy restò a guardarla, seduto, con la testa appoggiata alla mano e il gomito puntellato sulla superficie lucida del tavolo di legno. Quando Dorcas, seguendo la Madama, sparì oltre gli scaffali dedicati alla Storia della Magia, Fenwick scorse con la coda dell’occhio Prewett alzarsi.
 
-posso fare qualcosa per te?- domandò freddamente cortese rivolto al ragazzo, quando raggiunse il tavolo e si sedette alla sedia accanto a quella che prima era stata di Dorcas.
 
-qualsiasi cosa, pur di non essere costretti a finire il tema per Vitious- borbottò il ragazzo con un sorrisetto sulle labbra, cercando di mostrarsi amichevole. Fenwick non lo sembrava affatto, ma quando mai quello strano Serpeverde si mostrava amichevole con qualcuno che non fosse Dorcas Meadowes? Con un cenno del capo indicò il banco della bibliotecaria –che cosa vi serve nel Reparto Proibito?-.
 
Benjy, il volto imperscrutabile e gli occhi quasi socchiusi, scrollò il capo come a liquidare la faccenda.
 
-un po’ di questo, un po’ di quello- mormorò svogliato, seguendo con lo sguardo il punto indicato da Prewett.
 
-che è anche un modo come un altro per dirmi che non sono affari miei- terminò trattenendo una risata il ragazzo più grande, senza distogliere lo sguardo da quello più scuro e più freddo di Fenwick –è mia abitudine parlar chiaro, con le persone. Non sono il tipo che fa troppi giri di parole-.
 
-già, mi era parso di capirlo- ammise Ben con quella flemma particolare che faceva tanto venir voglia di prenderlo a schiaffi. Il ragazzo vide infatti Prewett distendere la mano, quasi a trattenersi, e diede in un sorrisetto beffardo –quindi, magari, ti va di dirmi perché sei qui. Seduto al tavolo che io, probabilmente la persona che meno sopporti in tutta Hogwarts, e Dorcas, che deve essere la ragazza che in tutta la tua vita hai degnato di meno attenzione, condividiamo quasi ogni pomeriggio. Ti ascolto-.
 
Il fatto che entrambi i Prewett avessero praticamente sempre il sorriso sulle labbra –escluso quando litigavano tra di loro, ma quello era normale- non avrebbe dovuto fargli presumere la totale incapacità ad arrabbiarsi contro gli altri. Vedendo lo sguardo di Prewett, fino ad allora amichevole e sereno, indurirsi all’improvviso, Fenwick si disse che forse aveva sbagliato a giudicare quel particolare ragazzo –e anche suo fratello, dal momento che non aveva la minima idea di quale dei due avesse davanti-.
 
Prewett sospirò.
 
-sai, Fenwick, forse è vero quello che dice Hestia di te. Sei scontroso, egoista e antipatico. E anche pericoloso, se lo vuoi. Ma io posso essere più scontroso, più egoista e più antipatico di te. E almeno dieci volte più pericoloso, se mi insulti. Domani sera è giovedì-.
 
-però, sei anche più intelligente- bofonchiò Benjamin seriamente divertito. Finalmente quel ragazzo stava mostrando un po’ di polso, forse non era poi così male.
 
-non farmi sprecare insulti che non ti meriti- esasperato, Prewett alzò gli occhi al cielo –c’è il club. Ora, Docco è in infermeria e ci resterà per almeno tutta la settimana, ma prima della partita aveva avuto un’idea per… diciamo realizzare una serata un po’ diversa dalle altre riunioni-.
 
Non capendo in alcun modo dove il ragazzo volesse andare a parare, Ben si mostrò lievemente stupito.
 
-allora aspettate che esca dall’infermeria e…-.
 
Prewett gli rivolse un’occhiata fortemente ironica. Quasi a non capacitarsi di tanta stranezza.
 
-Fenwick, domani sera è Halloween-.
 
Ah. Una di quelle feste stupide che lui personalmente odiava. Era anche vero che le uniche due feste che riusciva di buon grado a sopportare erano il Natale e il Capodanno.
 
-ovviamente non sarà niente di particolare, ma sarà una lezione leggermente diversa, so che Sturgis la sta organizzando con Mathison- spiegò Prewett scostando lo sguardo nuovamente verso il banco della bibliotecaria –io… in realtà, presumo che ci sarà un molliccio. Chiunque sa che nell’armadio della sala professori ce n’è uno, quindi non vedo perché non dovrebbero usarlo, soprattutto durante la notte di Halloween-.
 
Rivolse un altro sguardo a Prewett, non capendo ancora il maledetto punto che il ragazzo voleva raggiungere. Per essere uno che non giocava con le parole ce ne stava mettendo, di tempo.
 
Prewett, in cambio, sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
 
-senti, io non conosco la Meadowes. Ma credo sia il tipo di persona che, in un momento come questo, così vicina ad un lutto, tutto vorrebbe affrontare esclusa la sua più grande paura. Anche perché un conto è una mantide religiosa gigante che ti attacca, un altro è il cadavere di tuo padre. E la Meadowes non mi sembra il tipo da mantide religiosa-.
 
Nel corso del suo discorso, Prewett aveva tenuto gli occhi fissi sulla superficie lucida del tavolo. Solo alla fine, sentendo solo silenzio dalle parti di Fenwick, si convinse ad alzare lo sguardo.
 
Benjy aveva l’aria di uno a cui hanno appena detto qualcosa di sconvolgente. Lo vide mettere insieme i pezzi, Fabian, e sorrise quasi vittorioso.
 
-a quanto pare ti sei sbagliato, Fenwick. Forse sei una delle persone che sopporto di meno, ad Hogwarts- mormorò divertito voltando appena la testa quando, al banco centrale, Dorcas ricomparve in compagnia di due o tre libri dall’aria losca –ma non pensare di sapere a chi concedo o no la mia attenzione. Non mi conosci, Fenwick-.
 
Il ragazzo tornò a voltarsi verso la ragazza proprio quando quella arrivò a qualche passo dai due. Entrambi, uno rosso e chiaro nello sguardo e uno scuro e buio come la notte, le sorrisero gentili.
 
-Fabian…- salutò con voce roca la ragazza, un sorriso gentile ad incurvarle le labbra screpolate -…ti… serviva qualcosa?-.
 
Fabian scosse il capo.
 
-no, Dorcas, non…- rispose lievemente in soggezione -…in realtà ho invitato Benjy a giocare un’amichevole a quidditch con me e gli altri, domenica pomeriggio, nel parco. Lo facciamo più che altro per allenarci, e sabato Madama Chips dovrebbe dimettere Caradoc dall’infermeria-.
 
Dorcas annuì stupita volgendosi verso Benjy per un attimo. Stranamente, il Serpeverde le parve stupito, oltre quei veli di niente che sempre si cacciava sul volto quando voleva rendersi illeggibile.
 
-oh, ovviamente l’invito è esteso anche a te!- esclamò all’improvviso quasi illuminandosi, con un sorriso –ci saranno anche Meli e Hes, e non giocheranno, puoi tener loro compagnia e…-
 
-mi dispiace, ma domenica pomeriggio sarò impegnata probabilmente fino a tardi. Magari vi raggiungo appena ho finito con…- mormorò Dorcas in risposta, arricciando lievemente le labbra –non importa, sono certa però che Ben potrà…-.
 
Benjy Fenwick le rivolse uno sguardo quasi omicida, al quale lei rispose con un semplice battito di ciglia. Fabian di tutto quello colse a malapena il ringhio seguente di Fenwick.
 
-certamente, sarà un piacere- borbottò quello infatti, di malavoglia. Raccogliendo la propria tracolla, si diresse all’uscita della biblioteca –siamo in ritardo per la cena-.
 
Con uno sguardo di scuse rivolto a Prewett, ed un saluto sussurrato, Dorcas si affrettò a seguire il proprio migliore amico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
leggermente in ritardo, ma ho ritenuto fosse doveroso da parte mia passare il compleanno lontana da Internet, con la mia famiglia. Per questo motivo, ritarderò di nuovo anche con la pubblicazione dell’amore ai tempi dell’odio, credo arriverà entro venerdì/sabato.
 
Riguardo al capitolo, ho assai poco da dire.
 
Qualche approfondimento su Amelia e Kingsley, e i primi segni di interesse da parte di Fabian. Se volete farmi sapere come la pensate, sono qui giusto giusto per ascoltarvi.

Nel prossimo capitolo, approfondimento sotto il punto di vista del povero Fabian Prewett, prometto. Mi sembrava che qui ci stesse male, un suo parere in più. 
 
Sperando che vi sia piaciuto,
Hir!




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Capitolo 14
*** 13. Capitolo 13 ***




Capitolo 13.








Passare una settimana in infermeria si stava rivelando un inferno.
 
Certo, non si era mai illuso che sarebbe stato addirittura divertente –dal momento che passava la maggior parte del tempo in solitudine-, ma di certo non aveva mai immaginato uno strazio tale da fargli chiedere a gran voce di poter riprendere le lezioni –addirittura Erbologia- pur di uscire di lì.
 
Madama Chips gli aveva più volte detto di far riposare le gambe, per aiutare la ricostruzione delle ossa e per facilitare il compito di sostenere nuovamente il peso del corpo senza provocare ulteriori danni.
 
Di quando in quando, tuttavia, lontano dagli occhi severi dell’infermiera, Dearborn provava ad alzarsi e a fare un rapido giro per la stanza.
 
Era un modo come un altro per spezzare i momenti di noia, un diversivo ingenuo per ingannare il tempo.
 
Quando Madama Chips, la mattina del giovedì, uscì dalla stanza dopo averlo informato di dover andare a comunicare a Lumacorno la mancanza di qualche scorta, Caradoc si alzò in piedi lentamente.
 
A lui le gambe non facevano quasi più male; solo, di tanto in tanto, sentiva una particolare pressione alle anche,  in corrispondenza delle spine iliache.
 
-non dovresti stare seduto, o sdraiato?- domandò una voce dal tono monocorde, all’improvviso.
 
Per quanto il tono non fosse decisamente alto, né squillante o quant’altro, l’inaspettato rumore ebbe il risultato di spaventare Caradoc, che si trovò a ricadere sul letto con un gemito di dolore per il movimento improvviso.
 
Sulla soglia dell’infermeria, lontano sei letti e sette comodini, Benjy Fenwick lo guardava con quel suo sguardo inquietante, una mano stretta al petto e l’espressione lievemente dolorante dipinta in viso.
 
Il primo pensiero, del tutto irrazionale, di Caradoc alla vista del Serpeverde, fu che se solo avesse saputo del suo arrivo si sarebbe finto dormiente.
 
Mica per altro, si disse, il problema era che non sapeva minimamente come trattare con quel ragazzo.
 
Si sentiva a disagio, sotto quello sguardo blu pavone, e questo non era semplicemente tollerabile, avendo lui passato una buona metà della propria vita a costruirsi attorno un’immagine calibrata unicamente per farlo sentire ovunque a proprio agio.
 
In più, si ricordò, Fenwick lo sopportava a malapena. Anzi, spesso non faceva nemmeno lo sforzo di essere educato.
 
-che cosa ci fai, qui?- domandò scortesemente portandosi una mano al fianco che più gli doleva dopo il sobbalzo improvviso –non dovresti essere a lezione?-.
 
Fenwick, imperscrutabile, si limitò semplicemente ad alzare la mano dolorante.
 
-che hai fatto?- gli chiese incuriosito.
 
Fenwick scosse il capo, avvicinandosi di qualche letto e continuando ad esaminarlo con quello sguardo che –diamine!- aveva solo lui.
 
-ho sentito uno dei Prewett dire a Bones che dovresti stare seduto il più possibile, se vuoi che sabato Madama Chips ti dimetta- disse quasi saccente Fenwick, ignorando completamente la sua domanda.
 
-oh, certo che voglio che Madama Chips mi dimetta. Stare qui dentro è più tedioso di qualsiasi altra cosa io abbia mai fatto-.
 
Fenwick si concesse un sorrisetto quasi divertito.
 
-immagino- mormorò alla fine, guardandosi attorno –la Madama?-.
 
Caradoc scosse il capo.
 
-da Lumacorno a chiedere scorte- borbottò portando di nuovo una mano alla sbarra del letto per riprovare ad alzarsi –di solito non torna prima di venti, venticinque minuti-.
 
Fenwick annuì, guardandolo alzarsi con sguardo scettico.
 
-allora, che è successo alla tua mano?-.
 
Se c’era anche una sola cosa più debilitate del parlare con Benjamin Fenwick, probabilmente era stare in silenzio con lui. Situazione che Caradoc voleva evitare a, più o meno, qualsiasi costo.
 
-solo un incidente a Pozioni- minimizzò il Serpeverde, rivolgendo uno sguardo alla propria mano –la Bones se la cava peggio di Dorcas in quella materia. E credimi, non lo ritenevo possibile-.
 
Suo malgrado, Dearborn si ritrovò a rispondere con un sorrisetto divertito. Con attenzione, tentò qualche passo in direzione della finestra.
 
-non riesco a capire come abbia fatto a prendere un G.U.F.O. in quella materia, davvero- rispose Caradoc memore della discussione con Meli e Kingsley di solo qualche giorno prima –avrebbero dovuto impedirle di continuare anche ai M.A.G.O.-.
 
Il Corvonero poté leggere, scritto a chiare lettere negli occhi di Fenwick, il consenso del ragazzo sulla sua ultima affermazione.
 
 

*

 
 
Fenwick non era proprio convinto di fare la cosa giusta.
 
Invece che sedersi su uno dei lettini disponibili, forse sarebbe stato più saggio andare in dormitorio e tornare più tardi, quando fosse stato certo di trovare la Madama.
Intavolare una discussione con Dearborn non era saggio, proprio per niente.
 
Soprattutto perché Ben non sapeva come comportarsi, e la cosa non gli piaceva neanche un po’.
 
Lui sapeva sempre cosa fare. Trattava le persone con fredda cortesia –pur ammettendo di non essersi quasi mai comportato così con Dearborn-, le invogliava quasi sempre a non rivolgergli più la parola e a girare alla larga da lui, preferendo magari la compagnia di qualcun altro.
 
Dopo gli ultimi avvenimenti, però, non pensava di poter fare così anche con Caradoc.
 
Cioè, non è che fosse successo niente di notevole, in effetti. Una chiacchierata innocente e decisamente strana al limitare della foresta proibita, qualche nuova considerazione da parte sua, una discussione origliata e una scoperta nemmeno troppo eccezionale sul passato di Dearborn –argomento che, tra l’altro, non l’aveva mai nemmeno interessato-.
 
Si, alla fine aveva anche ammesso di essersi sbagliato nel giudicarlo troppo frettolosamente.
 
Magari l’ego gigantesco del Corvonero servivaeffettivamente, come aveva ipotizzato Dorcas, a nascondere qualcosa di più profondo.
 
Una volta appurato questo, però, rimaneva il punto chelui non aveva alcun interesse nello scoprire cosa fosse, quel qualcosa di più profondo.
 
Davvero, Dearborn rimaneva comunque il bastardo vanesio di sempre.
 
-ti fanno male le gambe?-.
 
In realtà non gli importava nemmeno troppo. Ma se c’era una cosa più pericolosa che passare del tempo con Caradoc Dearborn –perché diavolo non si era dileguato appena saputo che la Madama non sarebbe stata disponibile a breve?- era passare con lui del tempo in silenzio.
 
Era decisamente più saggio iniziare a parlare. E se le domande iniziava a farle lui, allora era perfino meglio.
 
-non molto- borbottò Dearborn in risposta.
 
Guardava, con quegli occhi così particolari, l’ammasso di cioccorane ancora intatte posate piuttosto disordinatamente su quello che doveva essere il suo comodino. Le scrutava come se non fossero state l’una identica all’altra, e alla fine, allungando la mano, ne prese due accuratamente scelte dal mucchio.
 
Del tutto stupito, Fenwick si ritrovò a prendere al volo quella che Dearborn gli aveva lanciato dopo uno sguardo incuriosito.
 
-è stata una caduta piuttosto spettacolare- lasciò cadere Benjy, iniziando a scartare il dolce.
 
Si aspettava una risposta tipicamente alla Dearborn, indice di una personalità che passava il proprio tempo ad elogiare se stessa.
 
Dearborn scoppiò a ridere e quasi la diede, quella risposta. Poi, facendosi serio e guardando Benjamin negli occhi, sembrò ripensarci. Scosse la testa come ad accantonare il discorso.
 
-signor Fenwick, il professore mi ha detto che era venuto a cercarmi-.
 
La voce querula dell’infermiera giunse quasi ad infastidire. Il ragazzo si voltò, alzandosi dall’angolo del letto vuoto su cui si era accomodato, e diede in un sorriso cortese rivolto ad una delle poche persone per cui provava vera stima ad Hogwarts. Con una smorfia, fu costretto a lasciare intatto il dolce.
 
Con Poppy pugno-di-ferro Chips non si scherzava.
 
Annuendo, il ragazzo mostrò il palmo della mano, che fino a quel momento aveva tenuto contro il petto. Alcune ustioni correvano su tutto il palmo e sulle dita, fino ai polpastrelli, non troppo gravi ma sicuramente abbastanza dolorose, nell’insieme.
 
-che cosa hai fatto, ragazzo?- chiese burbera la donna, che infondo ricambiava quella strana simpatia –Signor Dearborn, lei cosa diamine ci fa in piedi? Non avevo forse insistito per il suo riposo?-.
 
Dearborn alzò il mento in un’espressione straordinariamente superba.
 
-le gambe mi reggono. Sono giorni che riposo-. A testimonianza delle proprie parole, azzardò qualche passo verso il corridoio centrale formato dai letti. La Madama arricciò le labbra e, quando il ragazzo fu arrivato quasi dalla soglia, gli indicò il letto con il volto di un sergente contrariato.
 
-aculei di porcospino, mi sono caduti nella rigenerante- scrollò le spalle il Serpeverde, distogliendo l’attenzione dell’infermiera dal Capitano della squadra di Quidditch corvonero.
 
Che Dearborn facesse un po’ quello che voleva, con le sue gambe.
 
-aculei di porcospino? Nella rigenerante?- domandò scettica l’infermiera –essì che la descrivono come il miglior pozionista della scuola, Fenwick. Almeno era una piccola quantità, non può aver causato alcun danno serio. Vado a prendere l’unguento. Dearborn, lei si sieda. Non può scorrazzarsene in giro per la sala con le gambe in quelle condizioni-.
 
-le mie gambe mi reggono- si lamentò nuovamente Caradoc.
 
Alla fine, il Corvonero si voltò verso Fenwick.
 
-sei stato gentile a coprire Meli, la disattenzione degli aculei le sarebbe valsa come minimo una punizione-.
 
Per un attimo Fenwick non rispose.
 
-se io parlassi la Bones non prenderebbe un M.A.G.O. in pozioni nei prossimi quattrodici anni, come minimo- mormorò alla fine, scuotendo il capo –non che non se lo meriterebbe, ma la cattiveria gratuita non fa al caso mio. E ora è in debito con me-.
 
-sempre più Serpeverde- ribattè Dearborn con un sorrisetto divertito –sai, Hestia dice che non riesce ad inquadrarti. Non sa se sei il Serpeverde riuscito peggio nella storia di Hogwarts, o il Corvonero riuscito meglio-.
 
Benjy si lasciò andare ad un sorriso.
 
-ecco, signor Fenwick- esclamò la Madama rientrando, con una mano sul fianco e l’indice destro pericolosamente puntato ad ammonirlo dinnanzi al volto –metti l’unguento sulle piaghe tre volte al giorno, non esporlo troppo al sole, entro due giorni la tua mano dovrebbe tornare come nuova-.
 
-la ringrazio, Madama- mormorò freddamente cortese il Serpeverde, recuperando la serietà.
 
-torna qui quando ti sembrerà guarita, ci darò ancora un’occhiata- disse alla fine la donna, dopo una lunga occhiata. Poi spostò lo sguardo su Caradoc –Dearborn, lei deve stare seduto-.
 
-ma le gambe reggono!- si lamentò ancora in risposta il ragazzo –non voglio certo che mi si atrofizzino i muscoli, rendendomi le gambe simili a due stecchini da denti. Quale ragazza mi guarderebbe più, poi?-.
 
-allora resti pure in piedi, e vediamo quante ragazze la guarderanno ancora quando sarò costretta ad amputargliele, le gambe- lo seccò la Madama, lasciando la sala con un tono irritato.
 
-ampu… amput… quella cosa che fanno i babbani!? Ma lei non può!- esclamò scioccato Dearborn alle spalle dell’infermiera. Alla fine, spaventato, si voltò verso Ben –non può, vero?-.
 
Ben scosse le spalle, come ad indicare che non ne aveva idea. Caradoc lo sguardò impaurito, e poi lanciò un’occhiata al letto.
 
-aiutami, Fernwick- brontolò alla fine, indicandogli le coperte –non sono sicuro di voler restare senza gambe-.
 
Lo aveva preso per una tenera crocerossina Tassorosso?
 
No, sul serio, perché diamine non se ne era andato in Dormitorio fregandosene altamente della propria mano, dell’infermeria e di Dearborn, che adesso lo guardava con quello sguardo così normale –e Merlino, ce ne voleva di coraggio per appioppare a Caradoc Dearborn una definizione del genere-?
 
Se Dearborn, in quel momento, non fosse stato parato in tutto il suo metro e settantacinque di statura contro la porta dell’infermeria, Benjamin Fenwick avrebbe conquistato l’uscita con qualche facile mossa.
 
 

*

 
 
Caradoc Dearborn non era completamente scemo, nonostante cercasse di non farlo trasparire davanti agli altri. Come diceva suo padre, la cosa importante era salvare le apparenze.
 
Proprio per questo, lui, che non era completamente idiota, aveva sempre intuito l’effetto che faceva alle persone. Se lo consideravano scemo, era perché era quello che voleva lui per primo.
 
Con Fenwick non era andata esattamente così. Aveva iniziato a stargli antipatico senza fare assolutamente nulla per esserlo –insomma, lui era Caradoc Dearborn, non poteva stare antipatico a qualcuno!- e ancora adesso non era proprio del tutto sicuro di risultargli un po’ più simpatico.
 
Ma una cosa la sapeva. Lo aveva confuso.
 
Glielo poteva leggere negli occhi: confusione e un buon grado di fastidio.
 
-allora?-.
 
Era quello che aveva intenzione di dire, l’esortazione che usava sempre per farsi obbedire all’istante.
 
Lo avrebbe chiesto con quel tono un po’ frignone un po’ indolente con cui era abituato a chiedere tutto. Ma sapeva che non avrebbe funzionato, con Fenwick.
 
-ti do tutte le mie cioccorane se mi aiuti- fu tutto quello che disse, con il sospiro di un bambino.
 
Ben scoppiò a ridere divertito come lo aveva visto fare solo in biblioteca, più di un mese prima.
 
 

*

 
 
-sai, dovremmo mandare in infermeria Caradoc più spesso-.
 
Hestia Jones, seduta sulla poltrona dinnanzi alle vetrate della Sala Comune Corvonero, dichiarò il suo parere con la leggerezza con cui avrebbe attestato la presenza delle nubi in cielo. Il suo tono di voce era talmente colloquiale che, in un primo momento, Podmore non si rese nemmeno conto di quello che la sua ragazza aveva appena detto.
 
-e io che credevo che gli volessi bene- mormorò appena il Prefetto, inarcando la schiena come un gatto che ricerchi le carezze del padrone quando, con la mano destra, la Jones gli raggiunse i capelli. Con un sorriso, la ragazza si limitò per un attimo ad osservare il proprio ragazzo seduto ai piedi della poltrona.
 
-certo che gliene voglio- scosse le spalle, lieve –ma devi ammettere che abbiamo passato più tempo insieme in questi quattro giorni che negli ultimi tre anni, se non si contano le estati. Sai, non devono essere per forza cose gravi: magari un veleno ad azione lenta, quel tanto che basta a potergli infilare un bezoar in bocca e spedirlo dalla Madama. O un incidente per le scale, un po’ di Ossofast e torna come nuovo-.
 
Il ragazzo sorrise appena.
 
-farò finta di non aver sentito dei tuoi progetti per attentare alla vita del mio Capitano- dichiarò alla fine annuendo appena, e aprendo gli occhi per scrutarla da sotto le ciglia, sornione proprio come un gatto –anche se magari potrei essere d’accordo-.
 
Questa volta, a ridere toccò ad Hestia.
 
-…bada bene, se interrogato negherò ogni cosa!- sottolineò il ragazzo con aria cospiratoria.
 
Con un sospiro, Sturgis Podmore appoggiò la testa tra le ginocchia della giovane, rimanendo a gustarsi le coccole della ragazza, seduto ai piedi della poltrona su cui lei stava accomodata.
 
Conoscendola, nessuno avrebbe preso sul serio le sue parole.
 
Il legame che univa Hestia Jones a Caradoc Dearborn poteva anche sembrare controverso, ma aveva radici profonde.
 
Era vero che nessuno, al mondo, litigava con la frequenza con cui parevano farlo loro due –esclusi i Prewett, si intende- ma era anche vero che nessuno riconosceva con la velocità della ragazza gli stati d’animo che Dearborn celava dietro alla propria maschera. Allo stesso modo, Caradoc sapeva esattamente che non c’era alcun limite alle cose che poteva confessare alla Jones. Se si fosse trovato sull’orlo di un precipizio e Hestia gli avesse detto di saltare, lui non avrebbe esitato a farlo.
 
-domani studi con la Meadowes?- domandò Sturgis dopo qualche attimo di silenzio, incuriosito –sai, quella ragazza mi piace. Sapevi che è andata a trovare Caradoc, tre giorni fa?-
 
-si, ultimamente studiamo insieme di giovedì. Forse viene anche Meli, e quindi probabilmente in realtà non studieremo affatto. È sorprendente quanto quella ragazza si impegni nel cercare argomenti che esulino completamente dalle materie scolastiche- scherzò Hestia addolcendosi e annuendo –davvero? No, non lo sapevo. Aspetta è… è stata lei a portare il mughetto?-.
 
Sturgis annuì, e la ragazza si perse per qualche attimo a scrutarlo con attenzione.
 
Era bello, il suo ragazzo. Certo, non aveva la bellezza sfacciata ed elegante di Caradoc, che di lineamenti era quasi perfetto, né la bellezza quasi androgina di Fenwick, dal fascino ambiguo quanto il suo carattere.
 
No, era una bellezza più classica e che probabilmente lei notava più degli altri, essendo coinvolta sentimentalmente in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
 
Sturgis aveva i capelli quasi ricci lasciati crescere sulle spalle con disinvoltura, e quegli occhi quasi castani che serbavano tracce di simpatico verde. Aveva l’indole ciarliera e amichevole che caratterizzava anche i suoi fratelli maggiori –Hestia ormai li conosceva bene- e lo scintillio nello sguardo che portava la gente ad obbedirgli in modo spontaneo.
 
Incrociando lo sguardo decisamente divertito del proprio ragazzo, che probabilmente si era accorto di quell’esame e si sentiva più un pezzo di carne che una persona, arrossì furiosamente.
 
-per domani sera alla fine avete organizzato qualcosa?- domandò glissando abilmente sulla domanda che, anche voltata verso le vetrate, poteva quasi sentire nell’aria –hai chiesto aiuto a Mathison, no?-.
 
Il ragazzo annuì, esaltato.
 
-si, si è subito detto disponibile ad aiutarci. Ha detto che quando era studente era lui ad occuparsi del Club dei Duellanti. E che la serata di Halloween gli sembra perfetta per un incrocio con una lezione di Difesa Contro le Arti Oscure. Vedrai, amore, ti divertirai-.
 
Hestia, vedendo l’entusiasmo dipinto a chiare lettere nello sguardo del proprio ragazzo, non se la sentì di smontarlo così bruscamente.
 
Lei odiava Difesa Contro le Arti Oscure almeno quanto Difesa Contro le Arti Oscure odiava lei.
 
 

*

 
 
Quel giovedì sera Sturgis Podmore non stava nella pelle dall’aspettativa. Escluso Caradoc non mancava assolutamente nessuno, sebbene Hestia Jones portasse scritta in volto a chiare lettere la riluttanza a partecipare ad una simile riunione e l’espressione di Fabian Prewett fosse molto più adatta ad un funerale che alla serata di Halloween.
 
Davvero, Fabian Prewett non era mai stato così scontento di vedere Dorcas Meadowes.
 
Per i mutandoni a strisce di Merlino, ma Fenwick non aveva capito proprio un accidenti?
 
Fu solo vedendo il ragazzo un passo dietro alla Corvonero, che si accorse dello sguardo truce che aveva negli occhi. Dovevano aver discusso, Fenwick e la Meadowes, per quella che probabilmente era la diciassettesima volta in una manciata di settimane.
 
-non capisco perché ti prema tanto- borbottò Gideon al suo fianco, seguendo il corso del suo sguardo e, sicuramente, anche dei suoi pensieri.
 
Com’è che aveva avuto la brillante idea di dire a suo fratello che avrebbero dovuto avvertire la Meadowes del programma di quella sera? A Gideon, Dorcas non stava simpatica. Cioè, non gli stava nemmeno antipatica. Era un discorso complicato.
 
-non mi preme tanto- commentò lui sottovoce, incrociando le braccia al petto –ho provato a farlo per lei come lo avrei fatto per chiunque nella sua situazione-.
 
-dev’essere un bel po’ testarda- ammise Gideon, scrollando le spalle –o magari aveva paura di come l’avrebbero presa in giro i Serpeverde se non si fosse presentata. Ho sentito dire che la Carrow, quando vuole, si accanisce su di lei particolarmente. Magari le dava fastidio che qualcuno la ritenesse troppo debole e paurosa-.
 
Fabian alzò gli occhi verso il fratello, lo sguardo decisamente scettico.
 
-la Meadowes che tiene conto di quel che si dice di lei? Davvero, questa sarebbe una novità- mormorò Fabian scrollando le spalle –ma allora perché…?-
 
-Merlino, Fab, se ti interessa così tanto perché non vai a chiederlo a Fenwick, o a lei direttamente?- sbuffò contrariato il fratello, rivolgendogli un’occhiataccia.
 
-io non…!- brontolò di malumore, stupito dal tono del fratello –non mi interessa così tanto!-.
 
All’occhiata scettica che ricevette in risposta, scrollò nuovamente le spalle. Dopo qualche attimo di silenzio, in cui vide Gideon guardarsi attorno, avvertì il fratello allontanarsi in direzione di Hestia e Kingsley, intenti a parlare.
 
Diceva la verità, per Merlino! A lui non interessavacosì tanto.
 
…oh, al diavolo!
 
Dorcas Meadowes, dopo aver messo a tacere il proprio migliore amico, si diresse con il solito passo anonimo –possibile che pure i suoi passi fossero tanto banali? Talmente banali da stupire- verso il lato opposto della sala. Nel farlo, portò uno sguardo singolarmente pensoso su di lui, guardandolo negli occhi per quello che poteva anche essere un tempo maledettamente lungo. Quando alla fine la Corvonero si volse al fondo della stanza, lui sospirò un fiato che non si era accorto di aver trattenuto.
 
-Fenwick, non sei riuscito a….-
 
-no- tagliò corto il ragazzo guardandolo con quegli occhi maledettamente scuri e pieni di incognite. Alla fine, sospirando, Ben si fece leggermente più stizzito –non vuole sentire ragioni. Dice che proprio perché sarà una riunione diversa dalle altre non può mancare-.
 
Fabian sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
 
-le hai fatto presente il molliccio?- chiese voltandosi con lo sguardo verso l’armadio che, a memoria di studente, conteneva una di quelle creature.
 
-non la preoccupa minimamente- brontolò Fenwick seguendo il suo sguardo –quando li abbiamo affrontati al terzo anno il suo molliccio era un topo delle dimensioni di un drago adulto. Magari è ancora così, e la tua preoccupazione è totalmente superflua-.
 
-magari si-.
 
Se c’era una cosa che davvero aveva il potere di sconvolgere Fabian Prewett, era il vedersi accanto a Benjamin Fenwick, d’accordo con lui su qualcosa, intenti a fare comunella.
 
Ancora più sconvolgente fu il pensiero, veloce come il lampo e altrettanto illuminante, di trovarlo addirittura vagamente simpatico.
 
 
 







NOTE: 

mi scuso per il ritardo. Sul capitolo non ho nulla da dire, sono un po' di fretta e risponderò alle recensioni quando tornerò a casa. 
Spero che il capitolo piaccia,
Hir!
 
 
 

 

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Capitolo 15
*** 14. Capitolo 14 ***


NOTE:
 
dunque, mi devo scusare innanzitutto per questo mese e più di silenzio in questa storia. Devo ammettere che la colpa è proprio di questo capitolo. È stata una Via Crucis, tra i dubbi su come scriverlo e il computer che ad un certo punto si è rotto e mi ha abbandonato al mio destino. Non sono proprio sicurissima di questo capitolo, devo ammetterlo, ma alla fine ho deciso di pubblicarlo così anche se non mi entusiasma. Cioè, alcune parti mi piacciono, altre avrei preferito scriverle in altri modi, ma non mi venivano quindi alla fine ho optato per lasciare tutto così.
Comunque sia, vi aspetto in fondo con qualche altra piccola precisazione.
 
 
 
 
 

Capitolo 14

 
 
 

Lui conobbe lei e se stesso,
perché in verità non s'era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa,
perché pur essendosi saputa sempre,
mai s'era potuta riconoscere così*
 
 
C’è una dignità immensa, nella gente,
quando si porta addosso le proprie paure**
 
 

 
 
Hestia Jones deglutì per l’ennesima volta, in quella orrenda serata, cercando di far trasparire il proprio stato d’animo il meno possibile.
 
Fingeva per due motivi, principalmente: un po’ perché non voleva offendere Sturgis, felice come un bambino che attenda il Natale, e un po’ per non giocarsi la reputazione da dura dal cuore d’oro che si era costruita attorno negli anni.
 
-ehi, Hes, non ti agitare così- esclamò Kingsley con un sorriso bonario, appoggiato al muro dietro di lei –sarai fantastica come al solito-.
 
Kingsley Shacklebolt aveva il fantastico pregio di farti sentire unica e invincibile con quei suoi complimenti casuali. Erano più che altro considerazioni di cui ti metteva a parte nel suo tono inimitabile, calmo e profondo e… rilassante. Sebbene amasse il proprio ragazzo con un’intensità da non sottovalutare, Hestia spesso aveva dovuto ammettere che i complimenti di Shacklebolt proprio non avevano prezzo.
 
Non stentava a credere che Meli si potesse essere innamorata di un ragazzo del genere.
 
-dopo la figura che ho fatto con la Rosier alle selezioni, mi manca proprio uno spettacolino umiliante. Se stasera qualcosa va male mi seppellirò dalla vergogna in qualche buco pulcioso e non mi farò mai più vedere in giro- brontolò la ragazza assottigliando lo sguardo pericolosamente –e come al solito Meli è in ritardo. Aveva detto che sarebbe venuta a darmi un po’ di sostegno morale-.
 
Kingsley rispose con un sorriso enigmatico, di quelli che forse non avrebbe voluto far trapelare davanti a qualcun altro.
 
-Amelia è sempre in ritardo- rispose –una volta appurato ciò, perché non gli hai dato appuntamento qui per le cinque? Magari sarebbe arrivata puntuale, per la prima volta in vita sua-.
 
-quella ragazza è astuta quanto Salazar- Hestia scrollò le spalle rassegnata –non puoi cercare di farla a una come lei e pensare di uscirne vincitrice. È la vita, Shacklebolt-.
 
-credo che…-
 
-di che andate discorrendo, miei cari?- esclamò Gideon Prewett circondando le spalle dei migliori amici con le braccia e piazzandosi proprio nel mezzo, tra i due, con un sorriso in volto e l’aria densa di aspettative –emozionati?-.
 
Lo sguardo di Hestia, colmo di tedio, rispose per lei.
 
-che ha Fabian?- chiese invece Kingsley, glissando abilmente la domanda dell’amico –sembra pensieroso e…-
 
-in realtà sembra la versione antipatica di Dearborn- specificò allegro il ragazzo in risposta, facendo un cenno con la mano che implicava a non prendere la cosa troppo sul serio –la versione antipatica in menopausa di Caradoc Dearborn, per l’esattezza. C’entra qualcosa la Meadowes, ma non mi è dato saperne di più-.
 
-Dorcas?- domandò Hestia sentendosi tirata in causa. Ultimamente, si sentiva un po’ come il ponte di collegamento di quella ragazza con il resto del mondo, e soprattutto con i propri amici.
 
Dorcas non frequentava i Prewett e gli altri, ma la Jones aveva captato una sorta di curiosità nella ragazza rivolta alla compagnia del settimo anno. Curiosità pienamente ricambiata, tra l’altro, dai ragazzi, che vedevano la giovane come un’esemplare anomalo di strega.
 
Gideon rivolse uno sguardo scettico all’altro lato della sala, dove Benjamin Fenwick e Fabian Prewett erano intenti a parlare in maniera amichevole.
 
-credo tema la sua reazione di fronte al molliccio- spiegò Gideon scrollando il capo –e in effetti posso anche capirlo. Insomma, se di ritorno a casa avessi trovato il cadavere di mio padre con sopra il marchio nero, immagino che avrei terrore di…-
 
-secondo me, tra tutti, sottovalutate un po’ troppo Dorcas- lo interruppe Hestia con un sorrisetto di compatimento, indicando la figura della giovane, ora appoggiata ad uno dei pilastri del caminetto, intenta a rimirarsi le mani –potete anche non crederci, ma la Meadowes è forte. Davvero, non lo dico per difenderla. Dorcas non ha bisogno di qualcuno che la difenda, lo fa benissimo da sola. E, sai… secondo me, vi sbagliate, sul molliccio. Dorcas è una persona complicata, non giudicherei lei e le sue paure prima che ci mostri quello che sa fare-.
 
-e se fossi te a sopravvalutarla?- domandò Kingsley incuriosito. Dallo sguardo, pareva in parte d’accordo con Hestia; tuttavia conservava quella riserbatezza che lo contraddistingueva quando non aveva ancora chiara in mente l’immagine vera di qualcuno. Per anni aveva continuato a scrutare Caradoc cercando di saggiare i confini oltre la maschera che portava sul volto, e solo alla fine, quando si era convinto di conoscerlo veramente, aveva allentato il controllo.
 
-non credo- scosse il capo la ragazza con un sorriso sicuro sul volto –altrimenti perché la McGrannitt avrebbe deciso di darle fiducia nel…-.
 
Si era bloccata appena in tempo, proprio nel momento in cui, continuando a guardare Dorcas, l’aveva vista alzare lo sguardo per incrociare il suo.
 
-cosa ha fatto la cara Minerva?- domandò con interesse Gideon.
 
Hestia scosse il capo, silenziosa.
 
-non sono affari nostri- tagliò corto scrollando le spalle –non dovevo accennare a questo, mi dispiace. Se Dorcas vorrà dirvelo, lo farà lei. Ma, credimi Gid, non è debole come sembra. Perfino Fenwick lo sa, anche se fa di tutto per proteggerla. Se c’è una cosa di cui Dorcas Meadowes non ha per niente bisogno, sono cavalieri dall’armatura scintillante pronti a ficcare il naso nelle sue cose. Vado a salutarla, vi spiace?-.
 
 

*

 
 
Se Benjamin Fenwick avesse avuto sottomano quello smisurato idiota che era a tutti gli effetti Caradoc Dearborn –checché ne dicesse Dorcas della questione- probabilmente avrebbe evitato di estrarre la bacchetta con il solo scopo di dargliele di santa ragione alla babbana.
 
Perché se era vero quello che il giorno prima aveva asserito Fabian Prewett in biblioteca –cioè che l’idea iniziale di tutta quella buffonata era stata partorita dalla mente bacata del Capitano Corvonero- allora davvero, Dearborn questa volta non l’avrebbe scampata nemmeno invocando Merlino e Circe.
 
La riunione al Club era iniziata da dieci minuti e, in via del tutto eccezionale, il Professor Mathison aveva permesso di partecipare anche a chi si era presentato con l’esclusiva intenzione di assistere. Obbligato sarebbe stata una scelta dei termini più corretta.
 
-come va la mano, Fenwick?- domandò allegra trillando come una campanella la Bones, gioviale come sempre, in coppia con Shacklebolt.
 
 Ben si domandò come il Caposcuola Grifondoro potesse non accorgersi della cotta per niente velata che Amelia si era presa per lui. Insomma, non che Fenwick fosse una cima in campo di donne, e di certo non poteva permettersi di giudicare dal momento che la sua esperienza rasentava ridicolmente lo zero, però quella era palese. Insomma, più che camminare sembrava fluttuare dalla felicità ad un metro da terra!
 
-credo di potermi ritenere fortunato vista la triste fine fatta dal mio libro- rispose con un tono lievemente divertito –io me la sono cavata con appena qualche bruciatura, alla fine-.
 
La Bones mise su una faccia totalmente desolata.
 
-prometto che te lo comprerò nuovo- giurò portandosi gli indici incrociati alla bocca per sigillare la promessa –guarda, domattina scriverò al Ghirigoro e…-
 
Scrollando il capo la mise a tacere.
 
-in realtà credo che mia sorella abbia ancora la sua vecchia copia di Pozioni Avanzate, Lumacorno non  cambia mai i libri, di anno in anno. Mi farò spedire quella da mia madre, entro la prossima settimana- spiegò rivolgendo uno sguardo alla propria partner di quella sera.
 
Per quanto poco esperto in materia di ragazze potesse essere, perfino Benjamin Fenwick faceva fatica a deglutire in presenza di Cinthia Rosier.
 
Era la ragazza più bella di Hogwarts, e contemporaneamente anche la più stronza.
 
-Fenwick, a quanto pare stasera tocca a noi- mormorò passandogli accanto con un sorriso accattivante sulle belle labbra. Perfino con i capelli raccolti in una crocchia alta e severa, riusciva ad essere sensuale. Una ciocca, un’unica ciocca del colore del miele, scendeva sul collo e poi più giù, a seguire il tratto lieve ed elegante della clavicola.

Finiva così, ad uno sbuffo dalla scollatura modesta, come per caso.
 
La Rosier non era solo bella. Era un’ottima stratega, del tipo che non si fa alcuno scrupolo, nata senza il beneficio di una coscienza. Bellissima e letale, come una tempesta di sabbia.
 
-a quanto pare è così- annuì computo Ben, voltando di nuovo lo sguardo su Amelia.
 
-Amelia- lo sorprese la Rosier, con un tono incredibilmente innocuo rispetto a quello che usava per rivolgersi anche al più piccolo degli studenti. Normalmente aveva un potere enorme, sulle persone con cui parlava, e sfruttava il proprio tono per far cadere il malcapitato di turno ai propri piedi. Di solito ci riusciva. –non ti ho mai vista ad assistere alle riunioni. È la prima volta che vieni qui, quest’anno?-
 
Domanda completamente superflua, eppure pareva seriamente un tentativo di instaurare una conversazione civile. Amelia sorrise di quei suoi sorrisi atipici, quelli che la rendevano confidente di tutti e amica di nessuno.
 
-non potevo proprio perdermela, a sentire gli altri- mormorò in tono dolce, parandosi di fronte a Kingsley e sguainando la bacchetta. Benjamin la vide trattenere un sorriso divertito quando Shacklebolt arricciò le labbra nel tentativo di ignorare la Rosier. Se c’era un essere umano di sesso maschile in tutta Hogwarts che proprio non sopportava i modi di fare della Rosier –e la Rosier stessa, a ben vedere- quello era proprio il Caposcuola Grifondoro.
 
-leggendo tra le righe, quindi, sei qui in supporto alla Jones- rispose Cinthia Rosier lasciando vagare lo sguardo sulla ragazza del Prefetto Corvonero, in coppia per l’occasione con Fabian Prewett.
 
Anche i muri, a Hogwarts, conoscevano l’acida rivalità che corrodeva il rapporto già esiguo di Hestia Jones e di Cinthia Rosier. Erano entrambe belle –sebbene la Rosier fosse comunque un passo davanti alla Jones-, entrambe purosangue, entrambe capaci e di buona compagnia, quando lo desideravano. Erano famose, intelligenti.
 
Ma se Hestia Jones risultava decisamente emotiva, con le sue guance rosee, gli occhi morbidi e castani e la tendenza a scoppiare a ridere e a piangere senza troppi filtri, la Rosier pareva quasi una regina dei ghiacci, con gli occhi di un azzurro intenso e penetrante e quei modi freddi e strafottenti di schiacciare gli avversari.
 
-Rosier, cosa…-
 
-venite avanti, vi prego- li richiamò proprio in quel momento Mathison, affiancato da Sturgis –la prima cosa che faremo, oggi, sarà…-
 
Fenwick vide chiaramente la Bones sporgersi verso Shacklebolt per accecarlo con un sorriso innamoratissimo. Come facesse il Caposcuola Grifondoro a non accorgersene rimaneva un mistero.
 
 

*

 
 
-non credevo che esistesse sulla faccia della terra qualcuno in grado di far arrabbiare Kingsley Shacklebolt, devo ammetterlo- mormorò Amelia, un braccio posato su quello del Caposcuola in una posa quasi settecentesca.
 
Il gruppo intero si era rivelato, per una sera, decisamente troppo numeroso per poter esercitarsi tutti insieme allo stesso momento. Sturgis aveva quindi proposto una scissione, due gruppi di sette coppie ciascuno che si sarebbero alternati per affrontare questa o quella creatura, o per battersi l’uno contro l’altro a seconda dell’esercizio svolto.
 
Con una fortuna sfacciata, sottolineata brillantemente da un sorriso un poco ironico della Jones, Amelia si era vista mettere in coppia proprio con Kingsley. Aveva per un attimo pensato di dover raggiungere Hestia per approfondire il significato di quel sorrisetto –la Jones non doveva assolutamente sapere nulla di tutta la tempesta ormonale dalla quale si sentiva scuotere ogni volta che si nominava Shacklebolt-, poi però ogni buon proposito era andato a farsi friggere nello stesso medesimo istante in cui si era trovata a fissare il sorriso bianchissimo di Kingsley, che l’aveva raggiunta decisamente allegro. Ah, Hestia e i suoi sospetti avrebbero potuto aspettare almeno l’indomani mattina.
 
Sturgis e il Professor Mathison avevano fatto proprio le cose per bene, rendendo una semplice riunione al club dei duellanti un’entusiasmante rievocazione delle migliori lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure, cosa che aveva tenuto la maggior parte dei partecipanti al Club con lo sguardo puntato negli occhi dell’avversario e la bacchetta ben salda in mano.
 
Alcuni esercizi prevedevano semplicemente l’apprendimento di incantesimi strani e divertenti con cui sbalordire l’avversario, incantesimi che non avessero poi con il tempo strascichi imbarazzanti. Il Professore li aveva considerati come appartenenti alla stessa categoria di incantesimi ben conosciuti -il singhiozzante, il tarantallegra, il languelingua- e ne aveva insegnati loro una quantità di nuovi quasi strabiliante –il soprasotto, che faceva perdere l’orientamento nello spazio e i punti di equilibrio, il salterino e il piumosarto, che trasfigurata gli arti dell’avversario in appendici ricoperte di piume, fornendo un diversivo efficace per la battuta successiva-.
 
C’erano stati, poi, berretti rossi, folletti della cornovaglia e marciotti, che erano poi le stesse creature che il docente utilizzava nelle proprie lezioni. In quel caso, dovevano coordinarsi e le coppie di duellanti diventavano coppie di partner, in cui pensare invece che alla propria salvezza, all’incolumità della squadra formata.
 
Nel bel mezzo della riunione, c’era stato poi il pezzo forte della serata, ossia il molliccio.
 
Era una cosa che piaceva: l’idea di affrontare la propria peggior paura, la sera di Halloween, davanti a tutti gli altri, faceva crescere l’entusiasmo e l’idea –sempre presente, in un  branco di diciassettenni allo sbaraglio- di essere assolutamente invincibili.
 
-non mi pareva fosse un mistero- le rispose Kingsley strizzando gli occhi e incrociando lo sguardo della Rosier, accanto a Fenwick, al lato opposto della stanza –non mi piace, Cinthia-.
 
-è la ragazza più bella di Hogwarts- obbiettò la Bones, ragionevolmente stupita –può permettersi di essere stronza-.
 
Kingsley diede in uno sbuffo divertito, guardandola dall’alto in basso come se non credesse alle proprie orecchie.
 
-tu sei molto carina, ma non ti prendi le libertà che si prende la Rosier con qualsiasi essere di sesso maschile si ritrovi sotto le scarpe-.
 
Amelia si voltò, sbalordita, incrociando lo sguardo un po’ sorpreso e un po’ pentito di Shacklebolt. Ignorò con la tempra di un’eroina il crepitare derivante da qualsiasicosacifosseinmezzoalpetto –perché pensare al cuore le avrebbe distrutto istantaneamente ogni più futile speranza-, e sorrise incoraggiante, pronta a recitare per l’ennesima volta la parte della sorellina.
 
-essere molto carina non è essere bella come una dea- glissò elegantemente indicando la ragazza in questione. Aveva lasciato il fianco di Fenwick per avvicinarsi per prima al’armadio che conteneva il molliccio.
 
-molto bene, Miss Rosier- esclamò il Professor Mathison facendo cenno a tutti i partecipanti del Club di disporsi in fila dietro alla Serpeverde –abbiamo trovato chi romperà il ghiaccio, stasera!-.
 
-ti sta simpatica, vero?- domandò Kingsley facendo cenno ad Amelia di precederlo nella fila. Dietro di se, la ragazza poteva sentire la presenza rassicurante del Caposcuola Grifondoro, che la superava in altezza di trentacinque centimetri buoni –Merlino solo sa il perché-.
 
Amelia alzò appena lo sguardo.
 
-è una bella ragazza, sa essere simpatica quando vuole e, si, hai ragione, non si fa scrupoli a usare tutte le armi che ha per ottenere quello che vuole. La natura le ha dato i mezzi per primeggiare, e lei li usa. Non ci vedo nulla di male, in questo-.
 
Una risposta dal sapore agrodolce, che sul finale aveva assunto un tono quasi aspro. Il commento di poco prima, se associato allo sguardo pentito che ne era seguito, risultavano di difficile digestione. Certo, lei sapeva che… ma Merlino! aveva proprio avuto ragione fino a quel momento, a non volersi fare avanti. Kingsley la vedeva proprio come una sorellina, e non voleva darle false speranze. Forse sapeva da tempo, ormai, della sua cotta per lui, e gentile come sempre cercava di fare di tutto per non incoraggiarla a farsi del male da sola.
 
-cosa…?-
 
Un tiepido brusio aveva invaso la sala e la Rosier, normalmente calma e attenta in ogni gesto, indietreggiò rapida e pallida come non la si era mai vista. Un nugulo di formiche minuscole, un brulicare inquietante, spuntava da un formicaio grande quanto un pugno e si dirigeva verso di lei, avanzando sempre più velocemente. Un battito di ciglia dopo, i formicai erano due, ad un metro di distanza l’uno dall’altro, e le formiche ormai raddoppiate erano arrivate a nemmeno mezzo metro dalla Serpeverde.
 
-ricorda, Miss Rosier, per sconfiggere un molliccio servono…-
 
-riddikulus-
 
Al posto di uno dei due formicai, dal pavimento sgorgava allegro a fiotti succo di zucca. Il secondo formicaio era invece mutato in una fontana naturale di burro birra speziata.
 
Ai complimenti di Mathison, la Rosier rispose con un sorrisetto saputo, scostandosi per fare spazio a Fenwick, dietro di lei.
 
Il molliccio si prese qualche manciata di secondi per raggiungere la forma della paura più grande di Benjamin Fenwick. Alla fine, però, avvenne tutto piuttosto velocemente.
La creatura prese la forma di un’onda anomala alta almeno quattro metri, e il fragore del mare ebbe il potere di spaventare chi si stava abituando al silenzio curioso della stanza. Con un gesto veloce della mano, come a difendersi con uno scudo, Fenwick urlò l’incantesimo difensivo, e l’onda d’acqua si tramutò in un’esplosione di luce e coriandoli.
 
-c’è da dire che Serpeverde stasera ha aperto i giochi in maniera spettacolare - commentò a bassa voce Amelia, alzando la mano a sfiorare un coriandolo colorato e qualche scintilla di luce, divertita.
 
-le più grandi aspettative sono puntate in casa Corvonero, comunque- scrollò il capo Kingsley, indicando la quarta persona in testa alla fila.
 
-Corvonero?- domandò Amelia aggrottando la fronte –non c’è nemmeno Caradoc, che è quello un po’ più interessante di tutta la…-
 
-veramente, parlavo della Meadowes. Prima Gideon e Hestia discutevano della preoccupazione di Fabian. Sembra che abbia cercato di dissuadere la Meadowes dal partecipare a questa riunione…-
 
-e perché mai?-.
 
-beh, sai, è…- Kingsley abbassò il tono di voce con gentilezza –è ancora in lutto e…-
 
-senti, se la Meadowes pensa di farcela non vedo perché dovreste guardarla come un esperimento alchemico. È una ragazza responsabile, conosce i suoi limiti. Ed è… forte- insistette Amelia bloccando Kingsley semplicemente con un gesto della mano. Davanti a quella mano che sicuramente era grande meno della metà della propria, Shacklebolt rinunciò a ribattere per ascoltare cosa aveva da dire la Bones –comunque, guarda, lei è la prossima. Tutte le vostre domande e i vostri dubbi troveranno una risposta, così…-.
 
Dorcas Meadowes era davvero il prossimo studente che avrebbe dovuto affrontare il molliccio.
 
La creatura si stava proprio in quel momento trasformando in un clown babbano dal naso grande e rosso, in risposta all’incantesimo urlato da Tricia Beauchamp. I soliti applausi si levarono dal gruppo di studenti già disposti lungo le pareti e, lievemente in ritardo, anche da quelli ancora ordinati in fila.
 
-Miss Meadowes, venga avanti, prego- la invitò Mathison, con un largo sorriso dipinto sul volto.
 
La Meadowes si fece avanti, con la stessa noncuranza con cui faceva anche tutto il resto in quella scuola. Parve accorgersi perfino lei del livello di aspettativa con cui il club intero attendeva la trasformazione del molliccio, perché si volse verso gli altri allievi con la fronte corrugata e l’aria perplessa.
 
Un forte suono, però, attirò ancora la sua attenzione al molliccio, che aveva già mutato forma.
 
-vedi, non c’era niente di cui preoccup…-
 
Amelia Bones, fortemente confusa, si bloccò quando scorse il pinnipede di media grandezza proprio al centro della sala, poco prima dell’armadio.
 
-una foca?-.
 
 

*

 
 
Seguendo le indicazioni di Fenwick, l’aveva trovata in Guferia.
 
Che strana ragazza era la Meadowes. Con la temperatura più fredda di tutto l’autunno fino a quel momento, con una pioggia torrenziale che scrosciava oltre le arcate di pietra sul parco di Hogwarts, Dorcas sceglieva di riflettere proprio nel punto meno riparato di tutta la scuola, esclusa forse la Torre di Astronomia.
 
Scompigliata e infreddolita stava ritta in piedi come un fuso, stagliata contro le arcate e coperta a malapena da quei vestiti di foggia babbana che indossava ogni secondo in cui non doveva vestire la divisa. Sembrava quasi una paladina della notte, intenta a vagliare il cielo con sguardo scuro e insondabile.
 
-Fenwick ha detto che saresti stata qui- borbottò rabbrividendo e facendo un passo nella stanzetta. La maggior parte dei gufi era assente, probabilmente per consegnare la posta e poterne recapitare la risposta con l’arrivo del mattino.
 
-Ben dovrebbe imparare a tacere, qualche volta- gli rispose la ragazza senza alcuna inflessione nel tono. Detta da chiunque altro, la frase avrebbe potuto assumere un che di scortese e stizzito; detta da lei, pareva una semplice considerazione. Sapeva di ovvietà, come tutto in Dorcas Meadowes.
 
-si preoccupa per te…- le fece notare lui muovendosi in modo che la pioggia, picchiettando il pavimento all’interno della sala esposta, non gli raggiungesse che l’orlo della tunica.
 
-già, sembrano farlo tutti-.
 
Dorcas scosse il capo, voltandosi. Aveva il volto molto pallido, quasi esangue, e in quella pelle talmente chiara da sapere quasi di malessere giacevano incastonati due occhi così scuri da sembrare onice nella penombra malata della notte.
 
Scorgendo un tratto di pavimento asciutto, Fabian si sedette sulla pietra gelida e aspettò che anche lei facesse lo stesso. Si sentì scrutare da capo a piedi, all’inizio, poi il tonfo attutito dei passi sul pavimento lo raggiunse, e la ragazza si raggomitolò accanto a lui.
 
Doveva avere freddo. Aveva un paio di jeans chiari e lievemente strappati, e una camicia a quadri rossi di taglio quasi maschile indossata sopra ad una maglietta completamente nera. Apriva e chiudeva le mani in spasmi quasi involontari, come a trattenersi dall’iniziare a tremare tutta, e aveva le labbra più chiare di quanto non le avesse di solito.
 
Non che Fabian Prewett si fosse mai soffermato a guardare troppo le labbra di Dorcas Meadowes.
 
Dopo qualche minuto di un silenzio quasi oppressivo, reso ancora più greve dal ritmico cadere della pioggia all’esterno, quelle labbra si mossero.
 
-mia madre è rimasta incinta quando aveva solo diciassette anni. Era di famiglia benestante, viveva nel centro di Londra. Mio padre aveva dieci anni più di lei e radici ben piantate in un’isola poco popolosa della Scozia. Era un campagnolo che per vivere si era improvvisato scrittore, riscontrando un certo successo, ma non aveva grandi disponibilità economiche. Mia madre però lo amava… certo, dell’amore sciocco di una diciassettenne ricca e viziata che a causa di una lite con i genitori per una gravidanza indesiderata è costretta a rifugiarsi nel cottage isolato di un uomo più vecchio. Però lo amava, a modo suo-.
 
Dorcas lo guardava negli occhi, con quello sguardo che metteva soggezione e una ruga di precisione disegnata proprio in mezzo alla fronte. Aveva uno strano sorriso disegnato sulle labbra, e pareva non avere più freddo.
 
Quando la ragazza si interruppe, forse per riflettere, Fabian si sporse verso la borsa che si era trascinato dietro fin dalla sala professori.
 
-non ho più molto, solo uno zenzerotto stantio- le mormorò quasi all’orecchio porgendoglielo –sembra una storia degna di essere ascoltata sgranocchiando qualcosa, non credi?-. 
 
Inclinando appena il capo, Dorcas lo guardò per qualche attimo.
 
Invece di prenderlo, alla fine, alzò la bacchetta e la mosse sul biscotto con un movimento veloce del polso. Il dolce si divise in due metà perfette, e lei ne afferrò una.
 
-è rimasta a Kerrera dai diciotto ai ventinove anni. Un’eternità. A covare una bambina che si è rivelata anormale e ad amare di amore malato un uomo più vecchio che non avrebbe mai fatto ciò che lei fece per lui: abbandonare tutto per seguirla. Alla fine, è stato semplicemente troppo- sussurrò fermandosi ancora una volta. Dopo aver sbocconcellato un’estremità del biscotto, puntò lo sguardo sul muretto di fronte a lei –una figlia e un marito non erano abbastanza se sul piatto opposto della bilancia c’era la vita di una donna che avrebbe preferito essere ovunque, ovunque, piuttosto che in quel cottage di pietra seppellito nelle Ebridi. Non le ho mai serbato rancore, per questo. Se ne è andata con il primo battello per Oban, una mattina come tante altre, e quando mi sono svegliata non c’era già più. Il giorno prima avevamo ricevuto la visita di un uomo che diceva di essere un mago. Non poteva sopportare anche questo, capisci?-.
 
Fabian scosse la testa. No, non capiva.
 
-tutto questo spiega la tua paura per le foche?- chiese il ragazzo, riflettendo ad alta voce.
 
In qualunque altro contesto, tutto ciò sarebbe sembrato bizzarro. E lo avrebbe fatto ridere, parecchio. E fu strano sentir ridere lei, di una risata calda e rauca. Bizzarra. Con uno sguardo curioso la Meadowes si portò il resto del biscotto alle labbra, ma riprese a parlare solo una volta finito di masticare.
 
-credo che sia per…- esitò tornando a guardare il muretto lì davanti. Sembrava fissarsi sulle gocce che dall’esterno riuscivano, passando oltre l’arcata, a rompersi sul pavimento vicino a loro, bagnandolo di pioggia –le selkie. Sono donne che, spogliandosi della loro pelle di foca, vivono con i mortali per anni. Donne bellissime. L’uomo deve seppellire la pelle da qualche parte, perché se la donna la ritrova probabilmente tornerà da dove è venuta, lasciandolo. È una leggenda delle mie parti, e mio padre la usava per fuggire le domande che gli facevo sulla mamma, nei primi tempi. Avevo finito per credergli-.
 
-che tua madre fosse una foca?-.
 
Fabian Prewett avrebbe volentieri battuto ripetutamente la testa sul pavimento. Come aveva potuto essere così privo di tatto da porre una domanda del genere? Avrebbe dovuto iniziare a ragionare, un giorno o l’altro, prima di fare domande. E se la Meadowes si fosse offesa?
 
-che mia madre fosse una selkie- lo corresse con un sorriso beffardo sulle labbra. Pareva rivolto più che altro a se stessa, quasi a prendersi in giro da sola –cerca di capire, avevo appena scoperto che gli unicorni e le fate esistevano veramente, perché non poteva essere così anche per le selkie?-.
 
-beh, probabilmente esistono- annuì allora Fabian, chiedendosi d’altronde perché non dovesse essere vero –le leggende babbane in genere si aggrappano a cose realmente esistenti-.
 
Questa volta Dorcas rise più a lungo, scrollando le spalle e portandosi una mano alla fronte e agli occhi, quasi imponendosi di non ridere troppo.
 
-probabile. Ma mia madre non è una di loro, e l’ho capito quando ho riconosciuto il timbro delle poste babbane di New York, e non quello degli abissi del Mar d’Irlanda, nella lettera che mi ha scritto quest’estate-.
 
La sua risata si spense nell’aria, mentre Fabian Prewett, accanto a quella strana ragazza, ancora faticava a capire perché mai una foca dovesse terrorizzarla.
 
Dorcas aveva ripreso un po’ di colore, forse per merito del biscotto o della conversazione che avevano intrapreso, ed ora sembrava avere di nuovo freddo. Non che lo mostrasse apertamente, quello no, ma si morse le labbra come per riscaldarsele e incrociò le braccia al petto, in un gesto quasi casuale.
 
-oh, aspetta…- borbottò cercandosi a tentoni addosso la bacchetta  -è naturale che tu abbia freddo, probabilmente siamo di appena qualche grado sopra lo zero. Hestia fa sempre…-
 
Brandì vittorioso la bacchetta, spostandosi di qualche spanna per creare un breve spazio tra se e la ragazza, che adesso lo osservava perplessa.
 
-cosa…?-
 
-… non so come si chiami in realtà, ma è molto utile se riesci ad evocarlo prima che ti si congelino le dita- replicò con un sorrisone divertito in volto, provando con uno svolazzo di bacchetta. Al terzo tentativo gli riuscì di evocare un fuocherello grande quanto il palmo di una mano, di un azzurro brillante e con splendidi riflessi violacei tra le fiammelle –scalda ma non brucia, prova a toccarlo-.
 
Avvicinandosi quanto più possibile al fuoco per accaparrarsi un po’ del calore, la ragazza tese le dita fino a sfiorare le fiamme. Erano calde, ma di un tepore sopportabile che dava un po’ il solletico sui polpastrelli.
 
-quindi hai ripreso i contatti con tua madre?-.
 
 

*

 
 
Dorcas Meadowes proprio non riusciva a capire come fosse finita in Guferia a raccontare a Fabian Prewett cose che probabilmente al ragazzo non interessavano nemmeno.
 
Alla fine della riunione, quando tutti avevano cominciato ad andarsene commentando in modo più o meno entusiasta ciò a cui avevano appena assistito, lei aveva a malapena gettato uno sguardo su Benjy ed era scivolata oltre la porta. Aveva camminato con il suo solito passo spedito e alla fine si era ritrovata esattamente dove voleva essere, senza nemmeno sapere che era diretta lì.
 
Si era ritrovata il ragazzo alle spalle, soprappensiero com’era non lo aveva nemmeno sentito entrare, e lo aveva visto sedersi per terra nell’unico spazio non bagnato sul pavimento. Sembrava realmente intenzionato a tenerle compagnia, e Dorcas aveva pensato che sarebbe stato scortese andarsene o cacciarlo malamente, soprattutto dal momento che non poteva vantare alcuna pretesa su un luogo pubblico come la Guferia. D’altronde, lui si stava dimostrando gentile.
 
-ci siamo scambiate solo un paio di lettere, in realtà- scosse il capo in risposta alla precedente domanda di lui –lei vive a New York con la sua… scusami, so che non ti interessa veramente. Forse parlo troppo-.
 
Questa volta fu il turno di Fabian, di ridere decisamente divertito.
 
-tu parli troppo? In realtà credo sia la prima volta che ti sento mettere in fila più di quattro parole per risposta. Scusa, non intendevo essere maleducato- si scusò poi più serio, conservando comunque un accenno di sorriso sulle labbra –se non mi interessasse non sarei qui, ti pare?-.
 
Fabian Prewett aveva un modo di fare diretto e conciso, e questo a Dorcas piacque proprio nell’istante in cui lo capì, lì su quella torre. Niente svolazzi, niente finzioni. Niente discorsi complicati o modi di dire su cui scervellarsi. Riassumeva tutto in poche parole, grandi sorrisi e sguardi divertiti.
 
-sei stato tu che hai detto a Ben del molliccio, vero?- chiese quindi con un sorrisetto curioso –di tutta la serata, intendo. Ieri, in biblioteca-.
 
Fabian si limitò ad annuire.
 
-quindi l’invito per domenica pomeriggio era solo una copertura?-.
 
La ragazza vide Prewett fermarsi dall’annuire solo per iniziare a scuotere la testa in senso opposto, come a rassicurarla sull’autenticità dell’invito.
 
-assolutamente no- rispose leggermente infastidito dal pensiero che la ragazza lo potesse catalogare come uno di quei buzzurri che si rimangia le cose –ci farebbe davvero piacere avervi con noi. Tu sei sempre…?-
 
-purtroppo si, ho un impegno che proprio non posso rimandare. Vi raggiungerò quando avrò finito, se sarete ancora al parco- lanciò un’occhiata al cielo, ancora carico di pioggia –sempre se il tempo lo permetterà, naturalmente-.
 
Nel silenzio che seguì, Dorcas si limitò a gustare il calore del fuocherello vispo che Fabian aveva acceso e che era anche l’unica fonte di luce della stanzetta. La pioggia aveva diminuito l’intensità e anche il vento, che fino a poco prima fischiava forte, sembrava pronto a cessare quasi del tutto.
 
Trovarsi lì con lui era davvero strano, ma per nulla sgradevole.
 
Il silenzio era piacevole, colmo di pensieri e quasi rilassante, e la sensazione del corpo accanto a lei, oltre il fuocherello, era del tutto nuova. Non aveva mai avuto quella percezione acuta che quasi le causava brividi lungo la spina dorsale: aveva come l’impressione di poter mappare la stanza pietra dopo pietra, segnando dove esattamente stava lui e dove invece c’era quel vuoto verso cui non aveva più alcun interesse. Non si era mai sentita così, con Ben. Forse era a causa del buio.
 
-alla prossima partita di Quidditch noi Grifondoro giocheremo contro i Serpeverde- buttò lì alla fine Fabian, tornando con lo sguardo su di lei –verrai a vederci?-.
 
Stranita, Dorcas esitò per un attimo. Doveva ancora fare i conti con quelle strane percezioni, ed ecco una domanda alla quale non sapeva proprio come rispondere. L’ennesima.
 
-forse non ti conviene- scherzò alla fine con un sorriso –l’unica partita cui ho assistito in sei anni qui dentro, uno dei tuoi migliori amici ha rischiato l’osso del collo. Magari porto sfortuna-.
 
-oh, se è per quello, Caradoc ha rischiato l’osso del collo talmente tante volte da non saperle più contare. Certo, questa è stata pesante, ma non credo nella sfortuna, in questi casi- mormorò alzandosi all’improvviso –però… so che non ti piace il volo, in generale, quindi non ti preoccupare, se non vuoi non…-
 
-mi farebbe piacere, invece- lo interruppe Dorcas, guardandolo dal basso in alto con gli occhi illuminati dal riflesso azzurrognolo del fuoco –ora ci capisco anche qualcosa, non vedo perché dovrei rifiutarmi-.
 
Il sorriso che ebbe in risposta fu quasi più luminoso del fuocherello. Alla fine, dopo qualche attimo, si vide tendere una mano.
 
-è quasi mezzanotte, dovremmo tornare ai dormitori. Ti accompagno alla sala comune, ti va?-.
 
Nemmeno in quella richiesta, Dorcas vide un motivo plausibile per rifiutare. Quindi, ricambiando il sorriso, accettò la sua mano.
 
 

*

 
 
Camminavano silenziosi uno accanto all’altra.
 
La Meadowes aveva il solito passo calmo, come se il timore di essere sorpresa a mezzanotte a infrangere il coprifuoco non la sfiorasse neppure, e passeggiava con lo sguardo fisso al pavimento e il volto atteggiato in un’espressione seria, severa.
 
Fabian, che aveva iniziato il percorso camminando più deciso verso la propria meta, si era dovuto arrestare dopo circa dieci passi per aspettare la ragazza. L’aveva guardata, aveva constatato l’improvvisa calma della Meadowes, e si era chiesto se per caso la giovane non fosse divertita da quella situazione stramba. Alla fine aveva deciso di allentare il passo e di accodarsi al suo, decisamente più lento.
 
-ti fanno paura le bugie?-
 
Dorcas sembrò quasi scrollarsi di dosso alcuni pensieri per riportare l’attenzione sul Grifondoro. Aveva gli occhi appannati dalla stanchezza, ma in qualche modo sempre attenti. Occhi banalmente verdi, non troppo grandi, non troppo belli.
 
-come dici, scusa?- domandò in risposta, raggiungendo con il suo sguardo quello del ragazzo. Si era fermato davanti ad un quadro che rappresentava un paesaggio esotico, una giungla, e l’improvviso arresto aveva colto Dorcas completamente di sorpresa.
 
-il molliccio, giù nella sala professori- spiegò meglio Fabian, inclinando curioso il capo proprio come un bambino –hai detto che la leggenda delle foche era quella che ti raccontava tuo padre per spiegare l’abbandono di tua madre, vero? Ed era una bugia…-
 
Dorcas sembrava vagamente impressionata.
 
Riflettendoci bene, Fabian si accorse che era la prima volta, da quando l’aveva notata all’inizio dell’anno, che la vedeva veramente stupita da qualcosa, o da qualcuno. Pensò che pure stupendosi, la Meadowes riusciva a stupirlo.
 
Dorcas riprese a camminare con passo più svelto, come animata da un’improvvisa voglia di ritornare nella propria Sala Comune, nel proprio Dormitorio, nel proprio letto, nel proprio terreno. Sembrava ansiosa di scrollarsi di dosso quella sensazione –qualunque essa fosse- che l’aveva colta proprio lì, nel bel mezzo del corridoio, in compagnia di qualcuno a cui di lei, probabilmente, non importava assolutamente nulla.
 
-Dorcas…- la inseguì Prewett velocizzando il passo –Dorcas, aspetta. Cosa…?-
 
I capelli della ragazza, sciolti e lunghi, ricadevanocasualmente a creare una cortina tra lei e il resto del mondo. Come il drappeggio di un sipario, che chiude fuori dalle scene gli spettatori  alla chiusura dello spettacolo.
 
Era forse un modo per dirgli che qualunque cosa fosse successa quella sera, era finita nell’istante esatto in cui lui aveva posto la domanda? Eppure era sembrata così innocua.
 
Alla fine, quasi correndo, erano arrivati alle rampe di scale centrali. Entrambi avevano il fiatone per quella strana corsa per il castello e nessuno dei due ricordava più di prestare attenzione alle ronde notturne dei professori.  Fabian Prewett era ancora così intento a spremersi le meningi per cercare di ricordare in cosa aveva sbagliato che, non facendo caso al quarto gradino della scala del ritratto di Balfour Blane, capitombolò a terra soffocando un grido spaventato.
 
Stralunato, cedette all’istinto primordiale che ogni qualvolta che cadeva lo coglieva impreparato. Ansioso, si guardò attorno senza nemmeno pensare al dolore per assicurarsi che nessuno, esclusi i quadri, avesse notato quella pessima figura. Ovviamente trovò, a guardarlo dall’alto del sesto gradino, lo sguardo inquisitore di Dorcas Meadowes, che si era fermata sentendo il tonfo sordo della caduta.
 
-ti sei fatto male?- domandò la ragazza mostrando un riflesso vagamente preoccupato nello sguardo.
 
-niente di grave- rispose lui sottovoce, cercando di distogliere l’attenzione da se. Si alzò velocemente, spolverandosi la veste da mago e guardandosi ancora attorno –sarà meglio toglierci di qua, il rumore avrà attirato l’attenzione di Gazza-.
 
Con più calma, fianco a fianco, i due ragazzi ripresero a salire le scale. Alla fine, arrivati proprio davanti alla lucida porta nera, si fermarono di colpo.
 
-hai ragione- ammise alla fine Dorcas Meadowes, fissando davanti a se il battente come se non lo vedesse neppure –quando mio padre è morto mi sono ritrovata sola al mondo. Benjy lo è venuto a sapere con i giornali, due giorni dopo, ma… tutto quello che mi era rimasto, della mia vita, era una leggenda. Una leggenda falsa, per di più. Non lo augurerei a nessuno, sai? Quando proprio ti ritrovi da solo, senza niente in mano e qualche morto alle spalle, ti accorgi che la persona che per te contava di più al mondo ti aveva raccontato una menzogna sapendo che tu ci avresti creduto, rendendoti ridicolo ai tuoi stessi occhi. Sono sopravvissuta una volta, non so se lo rifarei-.
 
Fabian tacque per qualche istante, poi allungò la mano e mosse il battente a forma di corvo.

 
Negli occhi non si vede
Nel cuore non si sente
Il diavolo ne ha una
terrore e pericolo non ne hanno nessuna
È la testa di ali e la coda di dita
E due sono nella partita.

 
Fabian poteva quasi sentire il ronzio della mente di Dorcas, mentre la ragazza si attardava nel cercare la soluzione. Sapeva di doverle lasciare un po’ di tempo, per tutto. Hestia l’aveva descritta proprio come un animale esotico e selvatico, qualcuno da avvicinare con delicatezza estrema.
 
Fu investito all’improvviso dalla portata dei discorsi di quella sera, Fabian. E lì, davanti alla lustra porta di corvonero, mentre ancora poteva sentire nell’aria l’eco delle parole del corvo, dovette concentrarsi per non restare tramortito da tutto quel fiume di confidenze che Dorcas, in un momento di debolezza, aveva semplicemente gettato al vento.
 
Capì che per lei, abituata a non raccontarsi e, anzi, a nascondersi volontariamente, doveva essere stato uno shock capire quanto oltre si fosse spinta rispetto ai normali confini che quasi involontariamente, da sola, si poneva. Quanto, di se, gli avesse mostrato quella sera.
 
-non dirò nulla a nessuno, Dorcas. Sarà… un segreto-.
 
Sperò davvero di poterla rassicurare, con quelle parole.
 
Dorcas, sorprendentemente, sorrise. Di un sorriso triste, disincantato. Ma pur sempre un sorriso.
 
-un segreto non è più tale quando lo conosce più di una persona- mormorò lentamente, scrollando le spalle. Concedeva sguardi con il contagocce, la Meadowes –la lettera A-.
 
Con un rumore soffocato la porta si aprì; così Fabian osservò Dorcas sparire con la netta, spiacevole sensazione che, il mattino dopo, tutto sarebbe tornato come prima.
 
E con la certezza di aver perso un pezzo, di se stesso, tra gli occhi e il sorriso di quella strana ragazza.
 
 
 
 
 




 
*Italo Calvino, Il Barone Rampante
**Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia
 
 
 
NOTE BIS:
 
Dunque. Questo capitolo avrebbe dovuto comprendere anche il racconto del pomeriggio della domenica con la Patria dei Bellocci, ma veniva davvero troppo lungo e dispersivo, quindi ho optato per dividere le due parti. Si approfondisce la conoscenza tra Fabian e Dorcas, il capitolo è praticamente dedicato a loro.
Per chi si aspettava delle parti tra Caradoc e Benjy, il prossimo capitolo sarà decisamente Carenjicentrico; quei due mi piacciono troppo, poche palle.
 
Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento dell’Amore ai tempi dell’odio, si dovrà aspettare sicuramente fino a domenica.
 
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
…me lo lasciate qualche commentino? Piccino piccino picciò? Come faccio a sapere se la storia piace e cosa c’è da migliorare, altrimenti?
 
Un abbraccio,
Hir
 

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Capitolo 16
*** 15. Capitolo 15 (prima parte) ***


NOTE:
 
ho deciso che d’ora in poi le metterò all’inizio.
Dunque. Come ho più o meno spiegato nel capitolo avviso appena pubblicato ne “l’amore ai tempi dell’odio” ho avuto ultimamente qualche blocco sia su questa sia su quella storia.
Avevo promesso un capitolo Carenjicentrico. Ad un certo punto però mi sono accorta che il capitolo diventava davvero troppo lungo, quindi l’ho diviso in due parti. Ovviamente questa è la prima.
Questo capitolo ruota effettivamente intorno a Dearborn e Fenwick, anche se le cose vanno un po’ più lente rispetto a come mi ero immaginata andassero. Comunque, vanno.
Vi lascio alla prima metà, mi scuso per il ritardo e vado a rispondere alle recensioni del capitolo scorso.
Buona lettura,
Hir
 

 
 
 



Capitolo 15

 
 
 
 
Nonostante le accorate preghiere rivolte da Benjamin Fenwick a qualsiasi divinità esistente, il sole era sorto, quella domenica mattina, ad illuminare un cielo straordinariamente sereno.
 
Nei giorni precedenti non si era nemmeno preoccupato più di tanto: quante possibilità c’erano che proprio quella domenica lì il clima fosse clemente? Insomma, erano in Scozia, a Novembre!
 
Arrivato sano e salvo al primo pomeriggio, si appuntò mentalmente di non scommettere mai, in nessun caso, su qualcosa di grosso.
 
Seduto sotto al grande faggio in riva al Lago Nero, alle due e tre minuti, era ancora intento a meditare sulle proprie sfortune quando, con la coda dell’occhio, vide Dearborn, Podmore e la Jones avvicinarsi.
 
Il Capitano Corvonero camminava sulle proprie gambe con l’eleganza solita di chi è abituato a farlo, senza nessuna traccia dell’incidente addosso, intento a lanciare occhiatacce ai propri migliori amici, che passeggiavano accanto a lui mano nella mano.
 
-Fenwick- lo salutò amichevolmente Sturgis, rivolgendogli un sorriso da orecchio ad orecchio e scrollando il capo -gli altri sono in ritardo? Non si smentiscono mai-.
 
Ben, non capendo se la domanda –dall’ovvia risposta- meritasse un vero e proprio commento, si limitò a dare in un sorriso anonimo.
 
-figurati, con Amelia al seguito, poi- lo salvò dall’impaccio Hestia, alzando gli occhi al cielo –sarebbe già una grossa vittoria se arrivassero prima del tramonto-.
 
Probabilmente la Jones era seria, e Ben lo dedusse vedendola accomodarsi tranquillamente a un passo da lui. Seduta a pochi passi dal lago, batté con il palmo sull’erba per convincere anche Podmore a mettersi comodo.  Dearborn li seguì poco dopo, piuttosto silenzioso.
 
-Dorcas è già andata?- domandò gentilmente la ragazza chiudendo gli occhi per gustarsi, sul viso, il poco calore di quel sole invernale.
 
-era attesa per le due, e lei è sempre puntuale- scosse le spalle Fenwick, afferrando un ciottolo lì vicino e lanciandolo sulla superficie del lago, di piatto.
 
La pietra fece due saltelli, poi venne inghiottita dalle acque scure.
 
-secondo voi esiste sul serio la Piovra Gigante?- domandò la Jones in un tentativo di far andare oltre le semplici frasi di cortesia una conversazione che forse avrebbe anche potuto rimpiangere. Fare discorsi con Benjamin Fenwick non era esattamente il suo ideale modo per passare il pomeriggio –voglio dire, in sette anni non l’ho mai vista!-.
 
Fenwick soffocò un sorriso per l’assurdità della domanda.
 
-nemmeno io, ma non posso dire di essermene interessato più di tanto. Non sono mai andato a cercarla- concordò Dearborn, scrollando il capo –Hagrid dice di si, però-.
 
-certo che esiste- annuì invece Podmore, voltando lo sguardo su Fenwick e indicandolo amichevolmente –Benjy di certo l’ha vista-.
 
-ti interessano le creature magiche, Fenwick?- chiese curiosa la Jones, attirandosi anche il consenso di Dearborn, rimasto ugualmente stupito dall’affermazione di Sturgis.
 
-non in particolare, no. Ma normalmente la vedo almeno una volta al giorno- rispose voltandosi verso il Prefetto Corvonero e scrutandolo interessato –e tu come fai a saperlo? Normalmente è uno dei tanti segreti che Serpeverde mantiene con cura-.
 
Podmore accentuò il sorriso, tramutandolo in un ghigno sarcastico.
 
-non sono tutti discreti come te- dichiarò –c’è chi parla per il semplice piacere di ascoltare…-
 
-…la propria voce, si- terminò per lui Ben, annuendo vagamente divertito –immagino tu stia parlando di Alecto-.
 
-che cosa dice la Carrow?-.
 
Sia Caradoc che Hestia sembravano ora, da bravi Corvonero assetati di nozioni, incuriositi dalla piega presa dal discorso.
 
-in linea di massima parla tanto senza dire assolutamente nulla- borbottò Fenwick scrollando una mano, lieve.
 
Dearborn diede in un sorrisetto e Podmore scoppiò a ridere. Perfino la Jones, vagamente divertita, sorrise lievemente.
 
-la Sala Comune Serpeverde si trova nei sotterranei, sotto al Lago Nero- mormorò Fenwick puntando lo sguardo verso il castello ed indicando il punto più vicino al lago con un gesto della mano –all’incirca lì sotto. Anche se è sotto al livello dell’acqua, abbiamo una grande vetrata che dà sull’interno del Lago, e spesso vediamo passare i Maridi, oltre che la Piovra e numerosi Avvincini-.
 
Hestia Jones, fra tutti, fu quella più stupita dalla notizia.
 
-non ho mai visto un Maride dal vero- scosse il capo, entusiasta come una bambina.
 
-non ti sei mai persa nulla- ribattè ridendo appena Fenwick.
 
La ragazza inclinò appena il capo, come seguendo il filo di un particolare ragionamento, poi strinse le labbra a trattenere un sorriso lieve.
 
Il ritrovato silenzio, questa volta, non destabilizzò particolarmente nessuno dei presenti. La Jones continuava ad osservare il lago come se da un momento all’altro un Maride ne potesse uscire camminando sulla coda, Podmore osservava la propria ragazza divertito e stregato insieme, in un miscuglio totalmente folle d’adorazione e compiacimento.
 
Fenwick raccolse un altro sasso, più piccolo del precedente ma ugualmente piatto, e prendendo alla bell’e meglio la mira lo scagliò sul pelo dell’acqua con noncuranza. Quello fece quattro saltelli e venne inghiottito dalle profondità del Lago, lasciando come unica traccia del suo passaggio qualche increspatura ad ingrandirsi sulla superficie.
 
-perché non hai mai fatto i provini per giocare a Quidditch?- domandò Hestia quando il silenzio si fu protratto per un periodo di tempo sufficiente da poter considerare abbandonato completamente il precedente discorso –da come ne parlavi alla partita, sembri saperne parecchio sull’argomento-.
 
Benjamin aggrottò appena la fronte, domandandosi quando quelli fossero diventati i discorsi da fare per mantenere viva una conversazione amichevole eppure non intima. Lui non si considerava certo il centro della vita sociale di Hogwarts, eppure l’ultima volta che gli era capitato di fare conversazione con qualcuno di semisconosciuto ricordò d’aver parlato del tempo e di frivolezze simili.
 
-non sopporterei l’arroganza di Lucius anche negli spogliatoi e in campo; dividere il dormitorio con lui basta e avanza- rispose palesemente sarcastico.
 
-credo di essere messo peggio di te- gli rispose decisamente divertito Sturgis, inclinando il capo verso il proprio migliore amico e compagno di squadra -nemmeno Malfoy può essere peggio di Caradoc, credimi-.
 
 

*

 
 
Normalmente, sentendo il suo nome pronunciato in modo improprio, Caradoc Dearborn sarebbe saltato su come una pulce con il solito tono lamentoso, pronto a borbottare contro Sturgis Podmore e tutti quelli come lui.
 
Seduto in riva al Lago, sotto al secolare Faggio piantato secondo la leggenda da Priscilla Corvonero in persona, il diciassettenne alzò a malapena gli occhi sentendosi preso in giro dal proprio migliore amico.
 
Vide Podmore rivolgergli un sorrisetto saputo e, accanto a lui, Fenwick tentare di nascondere un lampo d’ilarità nello sguardo.
 
Senza nemmeno badare a ciò che aveva appena detto Sturgis, prese in mano un ciottolo simile a quello che Ben si stava rigirando tra le dita da ormai un paio di minuti. In un impeto di desolazione lo scagliò con forza verso il lago, guardandolo sprofondare appena dopo il primo balzo sul pelo dell’acqua.
 
Sbuffò, passandosi nervoso una mano tra i capelli.
 
-Docco, è successo qualcosa?-.
 
Dearborn alzò lo sguardo chiaro sui tre compari, stranito. Aveva completamente rimosso la loro presenza.
 
Nel cercare una risposta esitò un attimo di troppo.
 
-evita di rabbonirci come se fossimo una di quelle sciacquette che ti porti dietro per sentirti grande- lo riprese secca Hestia non appena lo vide aprire la bocca –se vuoi riempirci di palle risparmiaci, piuttosto dicci chiaramente che non sono affari nostri-.
 
Gelato come da una doccia fredda, Caradoc spostò lo sguardo dalla Jones per vedere Fenwick decisamente stupito. Per quanto il Serpeverde provasse a calarsi sul volto la sua solita maschera d’imperturbabilità aveva dipinto a chiare lettere negli occhi quanto fosse incuriosito e insieme imbarazzato dalla situazione che si era venuta a creare.
 
Passandosi nuovamente le dita tra i capelli, il Capitano Corvonero sospirò ancora.
 
-non…- esitò ancora qualche istante –in realtà sono affari vostri, o per lo meno di Stur-.
 
Podmore sgranò gli occhi, stupito.
 
Hestia aveva usato un tono parecchio duro per rivolgersi a Caradoc, ma entrambi sapevano che relazionarsi con Dearborn al di fuori del piccolo e frivolo mondo dorato che egli mostrava a tutti significava anche e soprattutto abbandonare ogni pretesa di far finta di nulla. La serietà andava affrontata con la serietà.
 
Lo stupore stava nel vedere Caradoc affrontare discorsi simili anche in presenza di Benjamin Fenwick, quando anche dopo anni aveva difficoltà a scoprirsi davanti ad amici più stretti come i Prewett o Bones.
 
Dearborn intercettò lo sguardo stupito di Sturgis, rivolto al Serpeverde, e scrollò le spalle come ad invitarlo a lasciar perdere.
 
-ho discusso con mio padre-.
 
Podmore alzò gli occhi al cielo.
 
-onestamente non vedo la novità-.
 
-Stur!- s’intromise la Jones riprendendolo come scottata.
 
-ho discusso con mio padre e insieme abbiamo pensato sia meglio che io lasci la squadra-.
 
Questa volta fu il turno per Fenwick di essere stupito.
 
Alzò lo sguardo verso Dearborn per osservarlo attentamente: stava seduto a terra con le ginocchia tirate sul petto e il mento appoggiato alle braccia, ma era serio. Aveva gli occhi fissi sulle montagne e a causa del sole dritto in faccia le iridi chiare sembravano più dorate del solito.
 
Ad essere del tutto onesto, Fenwick aveva sentito Dearborn Senior comunicare al figlio con quel tono di voce prepotente che non avrebbe più giocato: se qualcuno davvero aveva pensato fosse meglio per Caradoc non giocare più, quel qualcuno non era certamente stato il ragazzo che aveva vicino.
 
Podmore diede in uno sbuffo amaro.
 
-insieme, certo!- borbottò aspramente il Prefetto Corvonero –quando mai tu e tuo padre avete fatto qualcosa insieme?-.
 
-Sturgis!-.
 
L’urlo della Jones questa volta era decisamente scioccato. Non aveva mai sentito il proprio ragazzo parlare così ad anima viva: Sturgis era quello con il sorriso perenne sulle labbra, quello dolce con tutti, giusto, equo e mai troppo duro.
 
Podmore si alzò all’improvviso, furioso, senza badare alle occhiate furenti di Hestia ne a quelle più pacate ma comunque ferite di Dearborn. Fenwick osservava senza perdersi una virgola di nulla.
 
-fammi almeno la cortesia di non prendermi per il culo, Caradoc. Se lasci la squadra non è perché credi sia meglio così, ma perché non hai le palle per opporti a quel piantagrane di tuo padre-.
 
-Sturgis, abbassa la…-
 
-col cazzo che abbasso la voce- sbottò alla volta di Hestia dando uno scatto con la testa verso Caradoc –è ora che inizi a prendersi le proprie responsabilità, che tiri la testa fuori dalla sabbia. Il mondo non sarà per sempre ai tuoi piedi, Caradoc, quindi è meglio se la smetti di fare il principino del cazzo e se affronti la realtà così com’è-.
 
-e com’è? Com’è, la realtà così com’è?-.
 
Dearborn più che essere arrabbiato sembrava solo decisamente stanco. Gli occhi di un trent’enne sul volto di un diciassettenne.
 
-guardati per una volta allo specchio senza tutte le tue maschere e tutti quei ninnoli del cazzo che fai vedere in giro- ribattè Podmore scrollandosi il terriccio dal mantello –perché lo sappiamo tutti che l’unica persona che davvero vuoi prendere per il culo sei tu-.
 
Detto questo se ne andò velocemente, camminando a passo svelto senza però correre in modo deciso. Nonostante il sole non si fosse mosso di un millimetro, tutti e tre i ragazzi rimasti sentirono all’improvviso decisamente più freddo, quasi fosse sopraggiunta una nuvola inaspettata.
 
Caradoc Dearborn, sempre seduto a terra, si lasciò cadere all’indietro di schiena, aprendo gli occhi su un cielo azzurro e sereno.
 
-vagli dietro, Hes- mormorò scrollando il capo e chiudendo gli occhi. Sorrise tristemente quando sentì una lieve brezza sfiorargli il volto, delicata. Represse un brivido e tornò a ripetersi –vai da lui. Se incroci gli altri dì loro che oggi pomeriggio non si gioca-.
 
Ancora un po’ intontita dalla reazione decisamente inaspettata del proprio ragazzo, Hestia si alzò lentamente ed esitò un attimo.
 
-sei sicuro che…-
 
Dearborn socchiuse gli occhi per guardarla da sotto le ciglia. Accentuò per un attimo il sorriso, dolcemente.
 
-vai. Tornerà quando si sarà sfogato. Torna sempre-.
 
 

*

 
 
-direi che siamo a buon punto, Signorina Meadowes- le sorrise incoraggiante la Professoressa McGranitt tendendole un’ultima lista di libri –questi sono gli ultimi quattro libri che sia io che il Professor Silente riteniamo indispensabili al fine di prepararla al meglio su questo tipo di magia. Crede di poter completare le letture entro la fine del mese?-.
 
Dorcas scorse con sguardo attento i pochi titoli scritti sulla pergamena, annuendo.
 
-non dovrei avere problemi-.
 
La McGranitt annuì concorde.
 
-perfetto, dunque. L’ultimo fine settimana di Novembre ci sarà un’uscita ad Hogsmeade, se per lei non è un problema rinunciare alla visita al villaggio potremmo iniziare a parlare un po’ più seriamente di questa sua sperimentazione-.
 
-certamente, Professoressa, nessun problema-.
 
-credo allora che potrebbe raggiungermi qui nel mio ufficio verso le dieci, in modo da occupare un paio d’ore prima di pranzo con qualche esercizio di concentrazione. È un lavoro lungo e faticoso, ma non dubito che con la giusta dose d’impegno e con il suo talento arriverà sicuramente a raggiungere l’obbiettivo finale senza dilungarsi troppo-.
 
La Meadowes sorrise lievemente.
 
-la ringrazio, sarò puntuale-.
 
Dopo un ultimo saluto Dorcas si diresse alla porta, richiudendosela alle spalle una volta uscita dall’ufficio.
 
Scorse ancora una volta con lo sguardo i pochi titoli della lista, alzando lo sguardo verso le scale una volta che fu arrivata nel corridoio centrale.
 
All’esterno il clima prometteva decisamente bene, e forse se fosse scesa subito nel Parco avrebbe trovato tutti gli altri ancora intenti a giocare; se fosse andata in Biblioteca, invece, avrebbe potuto subito mettersi a leggere con tranquillità senza sentire in sottofondo il rumore degli sbuffi di Ben, che solitamente impegnava il proprio tempo per farle capire chiaramente quanto poco fosse d’accordo con la sua idea di diventare Animagus.
 
Dopo un ultimo sguardo alle scale decise di scendere verso il Parco, sorridendo appena al ricordo del sincero dispiacere della Jones nell’apprendere che non sarebbe potuta essere presente al pomeriggio di svago.
 
Arrivata sulla soglia, però, vide Hestia venirle incontro con l’espressione un po’ scombussolata.
 
-va tutto bene?- chiese lievemente preoccupata per lo sguardo rannuvolato della ragazza.
 
Dietro di sé sentì giungere i passi di un piccolo gruppetto di ragazzi. Amelia Bones –in ritardo di almeno quarantacinque minuti sull’orario dell’appuntamento- sopraggiungeva in compagnia dei Prewett, di Shacklebolt e di suo fratello.
 
-Hestia?- domandò Kingsley.
 
La Jones diede in un sorriso un po’ impacciato.
 
-Caradoc ha avuto una ricaduta alle gambe, Sturgis lo ha accompagnato in camera- spiegò indicando con un cenno la porta della Sala Grande –perché non stiamo un po’ tutti in Sala Grande? Potremmo giocare a Mazzobum per ingannare il tempo-.
 
-ma…- fece Gideon per protestare, indicando l’esterno con un sospiro.
 
Hestia lo incenerì con lo sguardo.
 
-una partita ogni tanto fa bene! Vado a vedere se Sturgis vuole scendere con noi, voi intanto precedetemi al tavolo. Forza-.
 
 
*
 
 
Dopo quella che gli parve una piccola eternità, Fenwick vide Dearborn riaprire gli occhi.
 
-ti ho rovinato il pomeriggio, Fenwick- si scusò sinceramente dispiaciuto –ti avevamo promesso una partita a Quidditch-.
 
Benjamin si lasciò scappare un sorrisetto ironico.
 
-si, sono davvero offeso, ho contato i minuti per tutta la settimana!-.
 
Caradoc sorrise appena, lasciandosi poi andare in un vero sorriso e mano a mano in una risata quasi contagiosa. Tempo mezzo minuto, e si ritrovò a ridere come non faceva da tempo, steso sulla riva a guardare il cielo.
 
Niente in quello strano pomeriggio aveva stupito Fenwick quanto vedere Caradoc Dearborn lasciarsi andare tanto serenamente. Lo guardò ridere, divertito come un bambino, con gli occhi puntati al cielo. Per il tempo di qualche minuto sembrò togliersi dalle spalle un peso quasi enorme –o forse semplicemente tutte le maschere di cui Podmore aveva parlato solo qualche tempo prima-: se lo scrollò via di dosso come fosse stato un abito impolverato, restando semplicemente un ragazzo senza troppi pensieri sdraiato sotto un albero.
 
-Hestia aveva detto che Fabian ti ha incastrato per oggi pomeriggio, ma non pensavo te la fossi presa tanto- mormorò alla fine di tutto Dearborn.
 
Che poi,tutto cosa? Si era solo fatto una risata. Una bella risata.
 
Scocciato dai propri pensieri Fenwick scrollò il capo.
 
-beh, non me la sono presa poi tanto. Sono qui, no?-.
 
Ancora sdraiato, Caradoc lo guardò negli occhi. Senza nessuna maschera sembrava quasi un ragazzo normale.
 
-si- annuì.
 
E Merlino solo sapeva perché.
 
 

*
 

 
Amelia Bones aveva ovviamente fiutato qualcosa nelle giustificazioni di Hestia, dal momento che la Corvonero –dacché mondo era mondo- faceva schifo nel raccontare bugie.
 
Le gambe di Dearborn stavano benissimo, probabilmente.
 
Il vantaggio del non essere parte della Patria dei Bellocci era, a suo parere, la possibilità di non entrare nelle dinamiche interne che talvolta scaturivano nei rapporti di quella compagnia di amici.
 
Conosceva, ad esempio, la sottile gelosia che pervadeva Gideon Prewett ogniqualvolta Kingsley decideva di fare gruppo con Fabian anziché con lui; conosceva lo scetticismo di Edgar su Caradoc, sapeva esattamente quanto suo fratello si ritenesse in disaccordo con Dearborn e perché; conosceva anche l’idea che Sturgis aveva sul padre –e in generale sulla famiglia- di Caradoc, sapeva che quello era l’unico vero argomento in grado di scatenare tensioni all’interno del rapporto tra Podmore e Dearborn.
 
Era a conoscenza di tutto, ma il suo distacco dall’intero gruppo le permetteva di rimanere un vero e proprio territorio neutrale. Aveva opinioni su tutto e su niente, e nella maggior parte dei casi preferiva farsi gli affari propri.
 
-Benjamin è riuscito a farsi spedire il libro di Pozioni da casa?- domandò a Dorcas mentre questa rimescolava le carte, al termine dell’ennesima partita a Mazzobum. Assunse un’espressione colpevole e poi diede in un sorrisino –vorrei per lo meno ricomprarglielo, se proprio non riuscirà ad averne un altro dalla sua famiglia. Non volevo davvero bruciarglielo-.
 
Dorcas soffocò un sorriso, seriamente divertita.
 
-Benjamin è abituato ad avere a che fare con me, che non sono certo l’alunna migliore in Pozioni, non lo hai sconvolto più di tanto- la tranquillizzò annuendo –ha già scritto a casa, ma probabilmente dovrà aspettare che Jodie torni dall’Algeria; il libro è il suo, e ci sono buone possibilità che non lo si riesca a trovare senza il suo aiuto-.
 
-Algeria?- domandò interessato Kingsley –viaggia davvero molto. Dev’essere un lavoro davvero interessante-.
 
Dorcas sorrise appena.
 
-certamente interessante, ma forse costa più di quel che vale-.
 
Kingsley assottigliò appena lo sguardo, pensoso.
 
-perché dici così?-.
 
La loro conversazione aveva attirato lo sguardo anche dei Prewett e di Edgar, che adesso la guardavano interessati. Dorcas esitò, in soggezione.
 
-beh, Jodie…- mormorò in imbarazzo. Amelia sorrise, e la Corvonero prese coraggio –Jodie è in viaggio da cinque anni, ormai. Non sono mai viaggi semplici, sono logoranti sia fisicamente che mentalmente. Ha sacrificato tanto di se stessa per fare il lavoro che fa-.
 
Edgar annuì.
 
-casa, famiglia, amici. Tu non lo faresti?-.
 
Dorcas arricciò appena le labbra, pensosa.
 
-io e Jodie siamo le persone più diverse sulla faccia della terra, paragonarla a me non dà risultati molto soddisfacenti. Jodie ha alle spalle una realtà molto solida, e non ha nemmeno venticinque anni.  Non si è mai preoccupata per il futuro, lei ha qualcosa da cui partire, una base su cui costruire. Per questo, credo, si è appassionata a questo lavoro che in fin dei conti prima o poi finirà. È interessante, certo, ma una volta che si sarà stancata di viaggiare, quando la curiosità si sarà spenta, che cosa farà? Questa domanda non la terrorizza, come invece farebbe con me-
 
Fabian inclinò appena il capo, incuriosito.
 
-Erbologia, Pozioni, Incantesimi. Vuoi entrare al San Mungo una volta uscita da Hogwarts?-.
 
Dorcas scrollò le spalle, sempre più imbarazzata.
 
-forse-.
 
 

*

 
 
Fu in una clima di calma piatta che Caradoc Dearborn scoppiò nuovamente a ridere.
 
Dopo il precedente scambio di battute, Dearborn e Fenwick non si erano mossi di una virgola dalle loro posizioni iniziali: il Corvonero era rimasto semidisteso sull’erba, mentre lo studente più giovane era tornato a guardare il Lago, seduto con la solita imperturbabilità che sempre lo caratterizzava.
 
Erano rimasti così, nel silenzio più assoluto e quieto, per un tempo indefinitamente lungo, attimi scanditi da una strana tensione nell’aria. Non si erano più guardati, non si erano più mossi.
 
Erano rimasti come intrappolati nella loro stessa quiete.
 
Infine, improvvisamente, Dearborn era scoppiato a ridere per la seconda volta dacché Hestia Jones aveva deciso di seguire il proprio fidanzato.
 
Fenwick, sorpreso da un tale inaspettato suono, sobbalzò prima di voltarsi.
 
-che cosa…?- ancora una volta era rimasto senza parole, fissando con sguardo sorpreso lo strano compare.
 
Dearborn si ricompose, si rialzò con la schiena e rimase per un attimo seduto con le ginocchia tirate al petto, ricambiando ancora divertito lo sguardo di Benjamin.
 
-pensavo che è ironico che tu, il cui molliccio si trasforma in un’onda altissima, sia finito nell’unica Casa di Hogwarts con i dormitori sotto il Lago-.
 
Fenwick borbottò qualcosa tra i denti, arricciando irritato le labbra.
 
Ci aveva pensato spesso anche lui: l’acqua lo terrorizzava al punto che, per tutta la durata del primo anno scolastico a Hogwarts, entrando in Sala Comune, era stato costretto a soffocare l’inizio di stupide crisi di panico alla sola vista della grande vetrata.
 
-e tu come fai a sapere in cosa di trasforma il mio molliccio?-.
 
Dearborn diede in un sorriso dal retrogusto fanciullesco.
 
-mi sono informato- esclamò divertito, intrecciando le dita con aria assorta –l’intera serata è stata una mia idea, non me la sarei mai persa completamente-.
 
-è stata una pessima idea- borbottò contrariato.
 
Trattenendo una risata che fece comunque capolino dagli occhi, Dearborn scrollò le spalle.
 
-lo considero un complimento, detto da te- mormorò Caradoc arricciando le labbra.
 
Fenwick diede in un sorrisetto ironico.
 
-e per quale motivo?-.
 
Dearborn esitò un solo secondo.
 
-scommetto che odi le feste, non riesci mai a trovarti a tuo agio con il divertimento e la compagnia, odi le persone che ridono troppo perché non ti rispecchi in loro e le trovi decisamente volgari, stai sempre attento a non risultare troppo originale, perché di solito l’originalità è sinonimo di stravaganza-.
                                                   
Benjamin inarcò le sopracciglia, scettico.
 
-non…-
 
–scommetto che porti lo stesso taglio di capelli da prima di arrivare ad Hogwarts, che hai letto almeno otto volte “Storia di Hogwarts” e che in Pozioni segui sempre dettagliatamente le istruzioni del libro, senza mai provare a sbizzarrirti-.
 
Dearborn adesso lo guardava con occhi seri, arrabbiati. Sembrava irritato, in una certa misura, ma sempre perfettamente controllato. Pareva voler ferire , Merlino solo sapeva perché, ma sembrava incapace di lasciarsi completamente possedere dall’ira.
 
-sembri proprio quel tipo di persona tetra e triste che odia tutte le cose divertenti- continuò -e che si rintana in un angolo passando il tempo a brontolare su quanto sia sciocca la gente che invece riesce a entusiasmarsi con poco-.
 
 

*

 
 
Benjamin Fenwick non era stato nemmeno un po’ contento all’idea di dover andare al Parco, quel pomeriggio, per giocare a Quidditch, da solo, insieme all’intera Patria dei Bellocci.
 
Aveva sospirato, sbuffato, strepitato –non che fosse una persona particolarmente chiassosa, ma lo aveva fatto a modo suo- e alla fine, persa ogni speranza, aveva ceduto e si era diretto al Faggio, senza Dorcas e con il morale particolarmente basso.
 
La sola idea di passare l’intero pomeriggio della Domenica in compagnia di nientemeno che Caradoc Dearborn, solo qualche giorno prima lo avrebbe schifato.
 
Come gli era potuto succedere, quindi, di ritrovarsi invischiato in una situazione simile?
 
Nonostante nulla di quanto detto da Dearborn fosse molto lontano dalla verità, sentirselo sbattere in faccia con uno spregio simile, proprio come un insulto, lo frustrò profondamente.
 
Aveva perso un pomeriggio, e fino a qualche minuto prima la cosa non gli era nemmeno pesata. Aveva perfino pensato, ad un certo punto, di aver fatto bene a non mancare all’appuntamento.
 
Si sentiva preso in giro e umiliato dal tono e dalle parole del Corvonero.
 
-e tu sembri esattamente quel tipo di persona che non sa trovare niente nella propria vita e nutre quindi il costante bisogno di riempirla di cose frivole- mormorò alla fine in risposta, con tono tagliente.
 
Dearborn sgranò gli occhi, senza distogliere lo sguardo.
 
Fenwick lo guardava. Per un solo secondo al Corvonero parve di leggere una sfumatura delusa nello sguardo del più piccolo, come se si stesse chiedendo per quale motivo erano passati a insultarsi se solo una manciata di secondi prima stavano ancora parlando di mollicci.
 
Ad una prima occhiata Benjamin poteva anche sembrare impassibile, ma lo sguardo lucido e lievemente sgranato, il colore appena rosato delle guance e la linea dura delle labbra svelavano ad un osservatore più attento l’arrabbiatura che il giovane tentava di mascherare.
 
Senza aggiungere altro, il Serpeverde distolse lo sguardo, si alzò e si diresse al castello.
 
 

*

 
 
Il brivido che aveva seguito l’uscita di scena di Podmore era nulla in confronto al vero e proprio gelo lasciato dalla scia di Fenwick.
 
Caradoc richiuse la bocca –non si era nemmeno accorto di aver socchiuso le labbra dalla sorpresa alle parole di Benjamin-.
 
All’inizio quella di Dearborn intendeva essere una battuta, qualcosa su cui ridere.
 
Fenwick era sempre così posato, così controllato. Si era chiesto se ci fosse, da qualche parte, un modo per incendiarlo.
 
 Aveva bisogno di allontanare i propri pensieri dal precedente litigio con Sturgis, dal dolore sordo e dall’inquietudine pressante.
 
Detestava litigare con Sturgis, che era il suo migliore amico. Per un sacco di tempo era stato anche l’unico.
 
E pensare che al primo anno ad Hogwarts lui e Sturgis non si parlavano neanche: per il serio e controllato Dearborn, il giovane Podmore era sempre troppo contento, troppo vivace. Rideva molto, rideva troppo.
 
“odi le persone che ridono troppo perché non ti rispecchi in loro e le trovi decisamente volgari”
 
Quel ragazzetto fin troppo simpatico aveva la mania di mettersi a canticchiare sotto la doccia, di fischiettare la mattina appena sveglio e di schioccare la lingua quando invece era irritato da qualcosa. Era una di quelle persone entusiaste della vita, che per vivere si devono far sentire.
 
Era stato quasi automatico, per Caradoc, odiarlo.
 
Podmore faceva sempre coppia con McKinnon. Insieme a Max aveva provato a fare le selezioni per il Quidditch, il primo anno, e Caradoc li aveva visti dalle tribune sbagliare quasi tutti i tiri, e ridere.
 
Sembrava impossibile togliergli la risata di bocca. Rideva di tutti, soprattutto di se stesso.
 
Una volta, quando la squadra di Corvonero aveva vinto la partita contro Grifondoro, Caradoc si era ritrovato nel mezzo della prima vera festa della sua vita. Non era niente di simile a ciò che succedeva a casa sua in quelle imbarazzanti cene di gala date dai suoi per mascherare il gelo intrinseco nella sua famiglia. Era caotica, rumorosa, affollata. Non gli era piaciuta.
 
Poi aveva visto quell’idiota di Podmore in piedi su un tavolo, mentre cantava allegramente in compagnia di qualche altro simpatico ragazzo, e quella festa l’aveva odiata.
 
Sentendosi solo come un cane, si era ritirato in un angolo e aveva passato la serata a guardare il cielo da dietro alle vetrate.
 
“scommetto che odi le feste, non riesci mai a trovarti a tuo agio con il divertimento e la compagnia”.
 
Durante il secondo anno ad Hogwarts erano diventati invece davvero amici. Era successo in punizione, mentre entrambi imprecavano contro Gazza e sfregavano il pavimento del bagno con forza. Mal comune mezzo gaudio.
 
Tifavano squadre diverse, preferivano materie diverse, avevano caratteri diametralmente opposti, arrivavano da ambienti diversi, eppure c’era un solo argomento in grado di dividerli veramente.
 
Perché tuo padre non ti guarda neanche quando ti parla?
 
Quella era stata la prima domanda che Sturgis gli aveva posto su suo padre, quando aveva preso un po’ più di confidenza con lui. Era l’inizio del quarto anno ad Hogwarts, la domanda era arrivata dopo un complimento gentile rivolto alla Jones, perché Podmore adorava imbarazzarla e vederla arrossire di botto.
 
Vedendo Sturgis imbambolarsi davanti allo sguardo dolce di Hestia, Caradoc aveva eluso la domanda. Podmore aveva presto capito che parlare del Signor Dearborn rendeva l’amico decisamente taciturno.
 
Proprio in quel periodo Hestia aveva iniziato a sbocciare. Prima era una ragazzina da prendere garbatamente in giro, poi era diventata una ragazza capace di ridurre al silenzio adorante con un solo sguardo.
 
Quando Sturgis l’aveva invitata ad uscire, con quel modo un po’ scanzonato e un po’ scodinzolante tipico di Podmore, Caradoc aveva tentato di capire perché si sentisse come vuoto. Una volta che ebbe capito come riempire il vuoto che aveva dentro, aveva iniziato con l’invitare a Hogsmeade Miranda Jenkins, che poi era diventata Amy Reichs, che poi aveva lasciato il posto a Jane, e a Rose, e a Harriet.
 
“e tu sembri esattamente quel tipo di persona che non sa trovare niente nella propria vita e nutre quindi il costante bisogno di riempirla di cose frivole”.
 
-Fenwick!- lo richiamò indietro alzandosi di scatto.
 
Sotto quell’albero adesso c’era troppo freddo, forse per l’ora un po’ tarda o perché, per l’ennesima volta, era rimasto davvero solo.





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Capitolo 17
*** 15. Capitolo 15 (seconda parte) ***


NOTE:
 
ecco la seconda parte del quindicesimo capitolo. Sto iniziando ad odiare Caradoc e Benjy (solo un po’), ho trovato un po’ difficile manovrare i due personaggi senza risultare troppo meccanica: spero di esserci riuscita quel tanto, per lo meno, da non rendere noiosa la lettura. Non so, ditemi voi, davvero non riesco a capire quanto mi piaccia quello che ho scritto. La trama mi soddisfa, era esattamente così che volevo andassero le cose, ma quando leggo quello che ho scritto non riesco a sentirmi totalmente coinvolta. Poi non so se è perché sono io che sono assuefatta oppure se è proprio uno schifo quello che ho scritto. Boh, ditemi voi.
Nel prossimo capitolo scordatevi Ben e Caradoc, perché altrimenti io muoio. Sono tipetti difficili da trattare.
Stasera risponderò alle splendide recensioni che avete lasciato, un bacione a tutti!
 
Comunicazione importante: la storia è in fase di revisione. La gentilissima highwaytohell_ ha accettato di prendersene cura, quindi tra stasera e domani postero i primi capitoli revisionati e corretti da tutti gli strafalcioni che sono solita piazzare qua e là.
 
Buona lettura,
Hir
 
P.S. Ah, si, lo so, il fluff ci sommergerà tutti.
 
 
 
 
 
 

Capitolo 15
(seconda parte)

 
 
 
 
 
 
-io lo odio quando fa così-.
 
Comodamente seduta sul letto del proprio fidanzato, Hestia Jones sorrise intenerita.
 
Lo aveva cercato in Sala Comune e alla fine si era diretta a passo sicuro verso il dormitorio Corvonero del settimo anno, quello stesso dormitorio che il ragazzo divideva, tra gli altri, anche con Dearborn, sicura di trovare Podmore intento a rimuginare.
 
Sturgis le dava le spalle, rivolto con lo sguardo verso la finestra più vicina. Aveva gli occhi lucidi, completamente seri, e per il nervosismo era intento a mordersi il labbro inferiore.
 
-no che non lo odi- si prese delicatamente il disturbo di correggerlo –credo sia, a conti fatti, la persona a cui tieni di più al mondo, se escludiamo la tua famiglia-.
 
Il ragazzo diede un sibilo tra i denti.
 
-lo odio- ribadì.
 
Quando sette anni prima Sturgis Podmore aveva avuto l’onore di fare la conoscenza di Caradoc Dearborn,  al tavolo dei Corvonero, una sola cosa aveva pensato: quel bambino aveva l’aria di sentirsi un po’ perso.
 
Se ne stava per conto proprio guardandosi di tanto in tanto attorno un po’ spaurito, con quegli occhi enormi color topazio piantati proprio sotto la fronte, lucidi e chiari. A tratti prendeva sicurezza in se stesso, puntava lo sguardo addosso a qualcuno e affilava l’occhiata, passandola addosso alle persone come se fosse stata un rasoio. Poi tornava a chiedersi, probabilmente, cosa ci faceva lì.
 
Lui era seduto tra Max McKinnon e una ragazza del secondo anno, e a quel ragazzino lì non ci aveva fatto caso più di tanto, a dire la verità. Era troppo serio, per lui.
 
Nei giorni successivi lo aveva osservato parecchio, invece: lo aveva visto alzare la mano ad ogni singola domanda rivolta da un professore qualunque al resto della classe, lo aveva visto richiamare a sé la scopa con maestria alla prima lezione di volo, lo aveva visto risolvere tutti gli indovinelli del battente a forma di corvo, lo aveva visto assistere alle selezioni per il Quidditch con l’aria smaniosa di chi vorrebbe parteciparvi, ma non ne ha il coraggio. In dormitorio non rivolgeva praticamente la parola a nessuno, se non per salutare e scambiare qualche frase di circostanza. Aveva fatto amicizia con una sola ragazzina, del loro stesso anno e della loro stessa casa, Hestia dai codini buffi.
 
Sembrava lo studente perfetto. Sembrava un bambino timido.
 
All’inizio del secondo anno erano finiti in coppia ad una lezione di Trasfigurazione. Per sbaglio, a causa di due incantesimi andati storti, i capelli della Professoressa McGranitt avevano assunto un’acconciatura stramba e parecchio imbarazzante, acconciatura davanti a cui tutta la classe era scoppiata a ridere, perfino loro.
 
Davanti alla prospettiva di controllare le bacchette dei due alunni per decidere chi dei due bastonare per primo, la cara Minerva aveva optato per una soluzione sicuramente più semplice ed efficace. Aveva tolto venticinque punti per testa colpevole a Corvonero e poi li aveva messi tutti e due a strigliare senza magia il pavimento di tutti i magazzini nei sotterranei.
 
Parlare era parso ad entrambi un buon modo di passare il tempo.
 
Era proprio lì, tra una scopa e uno straccio sudicio, che era iniziata la storia di un’amicizia fraterna che, a tratti, poteva anche sembrare banale.
 
-non è il Quidditch, la parte centrale della storia. Vuole smettere di giocare? Bene - mormorò Podmore dopo lunghi attimi di silenzio, senza voltarsi –ma lui in realtà non vuole smettere. Merlino, è l’unica cosa che lo rende veramente felice!-.
 
Hestia sospirò appena. Tentare di ricondurre Sturgis alla calma semplicemente ribattendo qualcosa su quanto Caradoc in realtà tenesse alla propria famiglia sarebbe stato totalmente inutile.
 
Si alzò lentamente, raggiunse Podmore e lo abbracciò alle spalle, restando semplicemente zitta contro la sua schiena. Il ragazzo, leggermente più alto di lei, inclinò il capo all’indietro per appoggiarlo alla sua testa.
 
C’era poco da fare: da qualsiasi lato si toccassero, sembrava quasi che i loro corpi fossero stati fatti con l’unico obbiettivo di combaciare perfettamente.
 
-vorrei che con lui la vita fosse stata più gentile- mormorò alla fine il Prefetto, sconfitto.
 
 Vederlo così serio, intristito, era qualcosa di molto strano. Eppure non v’era argomento migliore della famiglia Dearborn, o di quello che ne rimaneva, per trasformare l’essere più simpatico e sorridente sulla faccia della terra nel pessimista cronico e deluso a cui adesso Hestia Jones era abbracciata.
 
-lo vorremmo un po’ tutti- mormorò alla fine la ragazza, lasciandogli un lieve bacio sulla spalla –purtroppo volere non è potere.  Credo comunque che in questo caso tu abbia ragione-.
 
-come…?-.
 
-sei stato un po’ troppo brusco, forse. Ma Caradoc ormai ha quasi diciotto anni, credo sia abbastanza cresciuto da essere messo davanti alla cruda verità che nemmeno rinunciare al suo più grande sogno gli farà ottenere l’attenzione di suo padre. È una cosa brutta, è vero, ma se il Signor Dearborn e sua moglie non sono stati in grado di superare il dolore, non vuol dire che il loro unico figlio ancora in vita debba seguire le loro orme. Non sono stati forti, e reggendo loro il gioco non faremmo di certo il bene di Docco-.
 
Sturgis si voltò delicato. Era sempre delicato, quando in ballo c’era Hestia. Quando teneva lei tra le braccia, sembrava quasi maneggiare un fiore di vetro.
 
-sono sopravvissuti al dolore più grande che due genitori possano affrontare, credo. Sono stati forti- la corresse Podmore. Lo fece storcendo la bocca in un ghigno poco piacevole, come se ammetterlo lo disgustasse. Provava veramente poca stima nei confronti dei genitori del proprio migliore amico, bisognava ammetterlo, ma sperava davvero di non doversi mai ritrovare ad affrontare fantasmi simili nella propria vita.
 
Hestia arricciò le labbra, in risposta, poco convinta.
 
-hai detto bene, si sono limitati a sopravvivere- borbottò –sono dieci anni ormai che Caradoc vive all’ombra di quello che sarebbe potuto diventare suo fratello. E lo fa sentendosi colpevole in maniera inaccettabile, cercando l’approvazione del padrone come farebbe un elfo domestico. Caradoc è…-
 
-ti stai per lanciare in un’appassionata dichiarazione d’amore a Dearborn? Perché sai, potrei esserne geloso- la prese bonariamente in giro Sturgis, recuperando in parte il sorriso.
 
Hestia, ancora intenta a parlare, scoppiò a ridere di gusto: stava tornando ilsuo Podmore, sorridente e scanzonato.
 
Pretese un bacio a fior di labbra, senza staccare gli occhi dai suoi.
 
-certo che sto per farlo. In realtà in tutti questi anni sono stata con te per fare breccia nel suo cuore, spero che tu non me ne voglia per questo- rispose garbatamente sfacciata –Caradoc è bellissimo, intelligente, brillante e affascinante. È uno dei migliori studenti di questa scuola e ha una spiccata personalità che sa attrarre a se persone di tutte le età e di tutti i gusti. Ha una sua personale visione della vita, talvolta anche troppo pessimistica, ma sa conciliare le sue idee con quelle degli altri. Ha un grandissimo potenziale, ed in qualità di suoi migliori amici noi abbiamo il dovere di fargli notare tutte queste belle caratteristiche-.
 
Nonostante nelle prime parole il tono civettuolo di Hestia suggerisse probabilmente il continuo delle battute precedenti, mano a mano che la ragazza si dilungò nell’osservazione del carattere di Dearborn divenne anche decisamente seria.
 
Sturgis restò per un attimo appena a guardare la propria ragazza con occhi lucenti.
 
-sei la cosa migliore che mi sia capitata nella vita, sai?- sussurrò appena, come stupefatto da tanta fortuna –sono poche le persone che hanno l’onore di avere una meraviglia del genere vicino. E non mi riferisco a quanto sei bella fuori-.
 
Siccome Hestia Jones era, per l’appunto, l’irrimediabilmente sensibile Hestia Jones –che si emoziona di niente e si commuove per tutto-, sentì le lacrime salire sincere e quasi irrefrenabili. Con una mano tentò di coprirsi gli occhi per non rendersi ridicola davanti a Podmore, almeno non più del necessario. Il ragazzo, però, anziché restare fermo le bloccò la mano, senza distogliere lo sguardo dal suo.
 
-bastardo. Ti diverte vedermi così- lo accusò.
 
Sturgis si morse la lingua, tentando di trattenere una risata. Le accarezzò una guancia, dolce.
 
-mi piace vederti felice- ammise alzando gli occhi al cielo per la seconda volta e cambiando discorso all’improvviso, per buona pace della sua ragazza –senti, ma riguardo tutte quelle buone qualità di Dearborn di cui parlavi prima, credi sia proprio necessario fargliele notare tutte? No, perché, in caso tu non lo avessi notato, non stiamo esattamente parlando della persona più modesta del mondo, sai…-
 
Hestia Jones soffocò le proteste di Podmore con l’ennesimo bacio.
 
 

*

 
 
Caradoc Dearborn era un essere vanesio, narcisista, egocentrico e deludente.
Anzi, era l’essere più vanesio, narcisista, egocentrico, deludente e bastardo sulla faccia della terra.
 
Le convinzioni di Benjamin Fenwick –ferree ed avvalorate da tesi decisamente insindacabili- non avrebbero potuto basarsi su fondamenta più solide.
 
Chi diavolo si credesse di essere Dearborn per insultarlo in modo tanto umiliante in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere di divertimento totale lo poteva sapere soltanto lui.
 
Andare al Parco quel pomeriggio con un gruppo di ragazzi che lui, di sua spontanea volontà, non avrebbe neanche guardato per sbaglio, poteva essere tranquillamente catalogata come la peggior idea avuta da un mago negli ultimi seicento anni. Una pessima idea, come lo era stato allo stesso modo fermarsi in infermeria a parlare con Dearborn, giorni prima, o permettere alla propria migliore amica di partecipare ad un Club dei Duellanti tenuto in piedi dal sopraccitato Dearborn e compagnia cantante.
 
-Fenwick!-.
 
Caradoc Dearborn sarebbe stato la sua rovina, Ben ne era più che certo mentre camminava senza fretta verso il portone principale del castello di Hogwarts. 
 
Arrivato all’ingresso si diresse verso le scale che lo avrebbero portato ai sotterranei ma una volta arrivato in fondo alla scalinata svoltò verso le aule di Pozioni. Era così nervoso e amareggiato che, se fosse andato direttamente in Sala Comune e avesse per caso incrociato Dolohov o Malfoy –sempre così prodighi nel fargli notare quanto sbagliate fossero le sue amicizie- avrebbe rischiato di fare semplicemente danno.
 
Merlino, erano anni che non perdeva la calma in quel modo! L’ultima volta che lo aveva fatto era stato quando, nell’estate dei suoi tredici anni, Jodie aveva rovesciato a terra la prima boccetta d’essenza di Purvincolo che lui era riuscito a distillare da solo.
 
Arrivato nelle immediate vicinanze dei laboratori di Pozioni si infilò nella prima aula che trovò, quella usata normalmente da Lumacorno. Si guardò attorno più volte, passando lo sguardo dalle file di calderoni all’armadio delle scorte, e poi chiuse la porta con uno scatto, muovendo la bacchetta per bloccarla dall’interno.
 
Alle lezioni di Pozioni, le sue preferite in assoluto in quella scuola, Benjamin Fenwick sedeva sempre in seconda fila: non così vicino al Professore da risultare un tirapiedi –non che ne avesse bisogno- né così lontano da sembrare disinteressato. A metà, nella media.
 
Anche se lui era, in quella materia, parecchio sopra alla media, modestia a parte.
 
Fuori dalla porta si sentì un rumore di passi.
 
-Fenwick-.
 
Il Serpeverde alzò appena gli occhi dal calderone che stava fissando. Se aveva chiuso la porta non era certo perché pensava che Dearborn lo avrebbe seguito, ma per non essere disturbato da insulsi studentelli che ancora si perdevano per la scuola, dopo ben due mesi di lezioni.
 
Al fatto che Dearborn avrebbe potuto seguirlo non aveva pensato per niente.
 
Scrollando le spalle si diresse all’armadio delle scorte.
 
Radici di bardana in polvere, artigli di drago, bile di armadillo.
 
Scostò appena una bottiglietta contenente del Dittamo e la scatolina dei Bezoar per cercare sul fondo del primo ripiano.
 
Ortiche secche e aculei di Porcospino. In una ciotola, nel ripiano sottostante, stavano sminuzzati quelli che avevano tutta l’aria di essere aghi di Rosmarino.
 
-Fenwick, sei lì dentro e lo sappiamo entrambi- disse dall’esterno della stanza la voce di Dearborn. Non sembrava particolarmente adombrata, nemmeno fosse stato normale ritrovarsi in una situazione del genere.
 
-e mi domando cosa te ne fai tu di un simile sapere- borbottò sottovoce Benjamin, afferrando due o tre ingredienti a caso e portandoli al suo solito posto. Con uno svolazzo della bacchetta accese il fuoco sotto al paiolo e lo riempì d’acqua.
 
L’attenzione del ragazzo si fissò immediatamente sugli ingredienti che aveva rimediato. Avrebbe potuto preparare un rimedio contro l’influenza invernale: di solito in quel periodo dell’anno risultava utile anche a lui. Tenere le mani occupate, poi, l’avrebbe aiutato a distendere i nervi.
 
-sai, le prime volte in cui sono stato costretto a scendere nei sotterranei, il primo anno qui ad Hogwarts, li odiavo. C’è sempre puzza di chiuso, l’aria è viziata e di primo acchito potrebbe sembrare anche fredda. In più è buio, non trovi una finestra neanche a pagarla e la penombra mi faceva venire male agli occhi, a forza di strizzarli. C’era una di Tassorosso, Marjorie Batkins, che aveva talmente paura da sobbalzare ogni volta che Lumacorno le faceva una domanda. Incredibile. Ci sono anche uscito… con Marjorie Batkins, intendo, non certo con Lumacorno…-.
 
Benjamin sospirò a fondo. Bastava semplicemente fare finta che non ci fosse nessuno, oltre quella porta.
 
Fai finta di niente. Distendi la mente, non pensare a Dearborn.
 
E nel mentre il Corvonero fuori dalla porta continuava a parlare.
 
-…non che mi interessi, per carità divina. Però credo che a perderci sia lui, non io. Insomma, sai quanto si alzerebbe il livello del Lumaclub se io ne facessi parte? Certo, ho modi più interessanti per passare le mie serate. Tu ne fai parte, vero?-.
 
Dentro alla stanza, Fenwick si ritrovò stupidamente ad annuire alle parole di Dearborn. Merlino, com’era?
 
Fai finta di niente.
 
Con attenzione pestò i primi artigli di drago, ricavandone la polvere finissima indicata nella ricetta. La Pepata era stata la prima vera pozione che aveva imparato, e ormai ne conosceva le istruzioni a memoria.
 
Con il misurino raccolse la polvere e la gettò nell’acqua, guardandola con un sospiro diventare di un delicato rosa cipria. Contò fino a tredici, diligentemente, poi iniziò a mescolare tre volte in senso antiorario e cinque in senso orario. Il liquido nel calderone si scurì di un tono.
 
-…che poi, io sono stato nella Sala Comune dei Tassorosso soltanto una volta, due anni fa. È molto calda e accogliente, ma assomiglia troppo ad un alveare per piacermi veramente. A parer mio rispecchia particolarmente bene l’indole di Amelia, non so se sai che…-
 
Il Serpeverde alzò gli occhi al cielo, decisamente scocciato.
 
Se Dearborn contava di prenderlo per stanchezza, di certo avrebbe perso. C’era una sola persona al mondo capace di far perdere del tutto la pazienza a Benjamin Fenwick, e per grazia di Merlino e Morgana al momento quella persona si trovava a troppi chilometri da lì, in Algeria, Siberia o Burundi che fosse.
 
Alzando gli occhi al cielo tornò con lo sguardo serio sulla pozione. Non era certo quello il momento di distrarsi.
 
Selezionò con cura cinque occhi di Pesce Palla da una delle ampolle sul banco e li fece cadere, uno dopo l’altro, all’interno del calderone. Mescolò ancora tre volte in senso antiorario, poi strinse lievemente gli occhi per riflettere sul bollore del liquido, che andava accrescendo rapidamente.
 
-…tutto il mondo sa che Kingsley è cotto di Meli dall’alba dei tempi. Credo, in realtà, che gli unici a non sapere quanto si piacciano quei due siano loro due stessi. Oh, anche Edgar non lo sospetta, ma che vuoi farci, i fratelli non sono sempre i migliori osservatori del…-
 
Il Serpeverde all’interno della stanza abbassò lo sguardo sulla propria mano, accorgendosi di aver appena ridotto in poltiglia tra le dita una manciata di bacche di vischio. Innervosito dall’inconveniente, causato della distrazione dovuta alla voce di Dearborn, si ripulì con un incantesimo appena sussurrato. Afferrò ancora una volta una piccola manciata di bacche e, dopo averle accuratamente contate, le lasciò cadere nel calderone.
 
-… e così le ha regalato un lupo giocattolo con gli occhi che cambiano colore a seconda del cambiamento d’umore del proprietario, che a questo punto sarebbe stata Hestia. Solo che alla fine Hes lo trovava troppo inquietante e…-
 
Benjamin Fenwick trattenne un’imprecazione piuttosto volgare all’indirizzo di tutti i Dearborn. Tirò qualche respiro profondo per calmarsi.
 
-… non si sono parlate per undici giorni, un vero dramma. Perfino Kingsley alla fine non poteva più sopportare quel silenzio nervoso in cui piombavamo ogni volta che c’erano entrambe, e credimi se ti dico che per far perdere la pazienza a Shacklebolt…-
 
 Alla  fine, preda di un’irritazione da cui di rado si lasciava possedere, Benjamin Fenwick batté adirato sul tavolo la mano in cui impugnava la boccetta d’acqua del fiume Lete.
 
 

*

 
 
Caradoc Dearborn sapeva che nemmeno Benjamin Fenwick avrebbe potuto ignorarlo per tutto il pomeriggio.
 
 Edgar Bones diceva sempre che non v’era nessuno, in tutto il mondo, capace di ridurre all’osso la pazienza delle persone meglio del Capitano della squadra di Quidditch di Corvonero; Caradoc ne ebbe conferma quando, dopo aver udito un tonfo piuttosto sordo provenire dall’interno della stanza, sentì un rumore di passi in direzione della porta.
 
Dearborn si trovò inconsapevolmente a sorridere, divertito.
 
Fenwick aveva aperto la porta quel tanto sufficiente a mostrare appena gli occhi scuri e severi, le labbra arricciate dal disappunto e le sopracciglia lievemente corrugate. La postura delle spalle esprimeva un’insolita nota di nervosismo.
 
Doveva proprio averlo scocciato interrompere qualunque cosa stesse combinando là dentro per venirgli ad aprire la porta.
 
Per qualche secondo Benjamin parve sul punto di dire qualcosa, poi indietreggiò mordendosi il labbro inferiore e lasciando la porta socchiusa.
 
L’aula era più buia del solito e, quasi completamente vuota com’era, sembrava anche più grande. Oltre ad un paio di fiaccole accese, l’unica fonte di calore e di luce pareva essere il fuocherello piuttosto timido che brillava sotto ad un calderone, vicino a Fenwick.
 
-ti serve qualcosa dall’armadio delle scorte?- chiese in un pallido tentativo di spezzare la tensione quando passò davanti al mobile pieno di scatoline ed ampolle.
 
Benjy gettò qualcosa nel paiolo prestandovi la massima attenzione, dopodiché si volse verso di lui e scosse le spalle.
 
-guarda se trovi delle radici di valeriana- mormorò senza particolare enfasi –migliorano il sapore della Pozione e inducono una lieve sonnolenza, che aiuta a prendere sonno-.
 
-che cosa prepari?-.
 
-qualcosa per tenere occupate le mani-.
 
Caradoc fece il giro del tavolo a cui stava lavorando Fenwick per sedersi nel posto dirimpetto a lui, dando le spalle alla cattedra di Lumacorno. Con delicatezza posò un pezzo di radice di valeriana non ancora tritata accanto al tagliere del più giovane, sentendosi improvvisamente a disagio in mezzo a quel silenzio che, nuovamente, s’era andato a condensare nell’aria.
 
Benjamin lavorava con precisione, muovendosi con sicurezza tra i coltelli, gli ingredienti e il mortaio. Dearborn notò che non fissava quasi mai la pozione, se non nei momenti chiave della preparazione, limitandosi a tenere lo sguardo fisso sul movimento delle proprie mani.
 
-hai mai ballato un valzer?- chiese all’improvviso il Corvonero, aggrottando la fronte.
 
Benjy sollevò lo sguardo chiaramente stupito, lasciando per un attimo perdere la pozione. Squadrò Dearborn con occhio critico, indeciso se prenderlo sul serio o rimandare i ragionamenti sulle numerose stranezze dell’individuo, poi gettò un’occhiata all’intruglio nel calderone che, proprio in quel momento, iniziò a bollire più intensamente del necessario. Con uno svolazzo della bacchetta mise a tacere le bolle.
 
-la mia domanda era seria- sottolineò Caradoc con un sorrisetto –hai mai ballato un valzer?-.
 
-mai- mormorò il ragazzo fingendosi distratto. Da sotto le ciglia gettò un’occhiata al più grande, poi come se nulla fosse prese a rimestare la propria Pozione.
 
Caradoc sospirò, tornando ad osservare i movimenti delle sue mani.
 
-io si. Avevo un’insegnante un po’ bacchettona, come la McGranitt, che si portava sempre dietro un bastone da passeggio smaltato di nero. Ogni volta che vedeva che danzavo guardandomi i piedi per capire dove metterli, me lo picchiava poco severamente su una spalla-.
 
Benjy posò il coltello, con il quale stava affettando le milze di pipistrello, e alzò lo sguardo perplesso sul ragazzo di fronte a se.
 
-mi… dispiace per lei?- chiese interdetto, non afferrando al volo il concetto.
 
-per la mia insegnante?- domandò Dearborn, stranito.
 
-per la tua spalla-.
 
Il Corvonero diede in un sorrisetto, poi si spiegò.
 
-diceva che guardarsi i piedi mentre si danza toglie eleganza al movimento. Sfortunatamente per lei e per mia madre, che insistette tanto per farmi prendere lezioni di valzer, in materia non ne ho mai capito abbastanza per decidere se lei avesse ragione o meno-.
 
Questa volta fu Fenwick a mostrarsi stupito.
 
-com’è che sei finito a pensare al valzer?- domandò incuriosito, tornando a lavorare sulle milze ancora sul tagliere.
 
Caradoc scrollò le spalle, seguendo un pensiero forse tutto suo, poi sorrise ancora. Esitò per un momento, aprì la bocca per dire qualcosa e poi la richiuse. La aprì una seconda volta, fiducioso che forse qualcosa prima o poi ne sarebbe uscito. Sembrava essersi intimidito all’improvviso.
 
-ti muovi attorno a quel calderone come se stessi danzando-.
 
Lui, in realtà, quella frase l’aveva pensata in maniera un po’ diversa da come gli era uscita. Aveva pensato a qualcosa di molto più pratico, molto meno poetico. Qualcosa che non lo avrebbe fatto sembrare una timida Tassorosso del secondo anno.
 
Benjy, mentre il Corvonero impattava contro le possibili sfumature della frase, ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi.
 
-cioè, volevo dire che è armonioso il modo in cui ti muovi e sminuzzi gli ingredienti, anche se guardi raramente la pozione e non sposti mai lo sguardo dalle tue mani. Sai perfettamente cosa fare, si vede, e lo fai come se sentissi solo tu una melodia di fondo. È come… è come… lascia perdere- sbuffò alla fine, chiedendosi perché mai si fosse andato volontariamente ad impelagare in un discorso simile. Fenwick non era Sturgis, abituato a dargli corda nei suoi ragionamenti senza capo ne coda.
 
Il Serpeverde sembrò per qualche minuto seguire il suo consiglio, continuando imperterrito a tagliuzzare milze di pipistrello. Alla fine, però, dopo averle gettate nel calderone, tornò con lo sguardo su Dearborn, squadrandolo incuriosito.
 
-credi davvero che… com’era? Guardarsi i piedi mentre si balla un valzer tolga eleganza al movimento?- domandò stranito.
 
Caradoc rise brevemente, poi alzò su di lui due occhi sommamente divertiti. Con un movimento buffo delle spalle liquidò il discorso.
 
-veramente a crederlo era la mia insegnante. Non mi ritengo un ballerino abbastanza bravo da poter parlare coscientemente dell’eleganza del valzer. Sulle pozioni invece ne so un po’ di più: sembri davvero bravo come ti dipingono-.
 
Questa volta toccò a Fenwick scrollare le spalle. Sembrava che la cosa non gli interessasse poi così tanto.
 
-non era mia intenzione insultarti, prima- tentò di scusarsi Dearborn, continuando con il precedente tono disinvolto –niente di quanto ho detto voleva ferirti-.
 
 

*
 

 
L’irritazione e il nervosismo che lo avevano colto nel Parco, sotto al grande faggio, erano mano a mano scemati fin da quando Caradoc Dearborn aveva iniziato quel suo strano discorso sul valzer.
Quello che prima era stato un silenzio teso si era decisamente rilassato, lasciando il posto ad una quiete quasi per niente scomoda. Tenere le mani impegnate lo aveva sempre aiutato a distendere i nervi, a far tornare la pace in quelle rare volte in cui si lasciava turbare consapevolmente da qualcosa. Questa volta, al posto della pace, arrivò però uno strano e insolito senso di aspettativa.
 
 Le ultime parole del Corvonero lo avevano condotto poi a sorridere lievemente, ironico.
 
-non è che tu abbia mai avuto seriamente torto, nel descrivermi- mormorò prendendo tra le mani la radice di valeriana procuratagli da Dearborn. Avrebbe dovuto iniziare ad affettarla finemente con il coltello e poi a pestarla nel mortaio se non avesse voluto far esplodere tutto.
 
Sentendosi addosso lo sguardo perplesso del ragazzo, Fenwick sbuffò alzando gli occhi al cielo.
 
-conosco il mio carattere, Dearborn. Non mi trovo a mio agio con il divertimento e la compagnia, odio le feste, non sopporto le persone che ridono troppo, o che parlano troppo, o chevivono troppo. Amo la normalità, mi piace la banalità del silenzio e ci sono poche persone al mondo con cui considero un vantaggio parlare-.
 
Caradoc lo fissava attentamente, i gomiti sul banco al di là del calderone e il mento sorretto dalle mani. Sembrava sinceramente incuriosito dalle parole di Benjamin. Il Serpeverde tagliò in due pezzi più piccoli la radice di valeriana, poi cominciò con prudenza a sminuzzarla sul tagliere, senza mai smettere di parlare.
 
-porto lo stesso taglio di capelli da che ho memoria e“Storia di Hogwarts” l’ho letto almeno dieci volte, questo solamente da quando frequento questa scuola. Io…- il ragazzo si interruppe appena per trasferire i resti della radice all’interno del mortaio e iniziare a triturarli con forza –non provo nessun fastidio quando qualcuno mi dice a chiare lettere cosa pensa di me. Il fastidio arriva quando qualcuno mi insulta semplicemente per sentirsi migliore di me-.
 
-non ricapiterà più, Benjamin- annuì il Corvonero, con una semplicità e una chiarezza che raramente gli appartenevano.
 
Fenwick non seppe spiegarsi il perché, e lì per lì non lo notò nemmeno troppo, ma sentire quelle parole uscire dalla bocca del ragazzo più grande lo fece sentire in qualche modo un po’ più tranquillo. Si lasciò andare ad un sorriso più rilassato, posò il pestello sul banco da lavoro e si accinse a gettare una manciata di radice tritata di valeriana nella pozione ormai quasi ultimata.
 
L’intruglio all’interno del calderone era di un colore piuttosto caldo, una tonalità a metà strada tra l’ambra e il rosa tenue. Nonostante lo stato di agitazione in cui il ragazzo versava poco meno di un’ora prima, la pozione pareva essere riuscita perfettamente, esattamente come tutte quelle fatte in precedenza. Non ne sbagliava mai una, Fenwick.
 
…E che in Pozioni segui sempre dettagliatamente le istruzioni del libro, senza mai provare a sbizzarrirti. Sembri proprio quel tipo di persona tetra e triste che odia tutte le cose divertenti.
 
Si fermò alla distanza di un palmo dal calderone, la mano quasi aperta per lasciar cadere il pugno di polvere di valeriana che stringeva tra le dita.
 
Senza mai provare a sbizzarrirti.
 
Forse, se non fosse stato evidentemente provato dalle ultime ore trascorse in compagnia di Dearborn –davvero erano trascorse ore? Alla fine, erano passate piuttosto velocemente- Benjy Fenwick non avrebbe mai nemmeno pensato di provare a fare una cosa così totalmente fuori dai propri schemi.
 
Senza nemmeno accorgersene tornò a sorridere ironicamente.
 
-sai, Dearborn, su una cosa ti sei sbagliato- mormorò lasciando cadere nel calderone gli ultimi rimasugli di valeriana. Una parte di sé non riusciva a non pensare alle deboli immagini che, per un attimo, gli erano balenate in testa con una chiarezza quasi estrema. Non era proprio da lui pensare di fare una cosa del genere.
 
-su cosa?-.
 
-non è vero che seguo sempre le istruzioni del libro senza mai… com’era?... provare a sbizzarrirmi-.
 
-no?- questa volta il Corvonero pareva seriamente stupito –quando esattamente non lo avresti fatto?-.
 
Bastò uno sguardo agli occhi scuri di Fenwick per far capire a Dearborn quello che il più giovane intendeva fare.
 
Con lo sguardo illuminato da qualcosa che mai Caradoc avrebbe pensato di poterci vedere dentro –malizia?- Benjy pareva la copia dichiaratamente Serpeverde di Amelia Bones, mentre con un movimento veloce prendeva da una ciotola parzialmente vuota una manciata di bacche di vischio e le gettava nel calderone.
 
 

*

 
 
Il Capitano della squadra di Quidditch di Corvonero aveva spesso sentito Hestia Jones inveire contro il genere maschile accusandolo di essere generalmente incapace di fare due cose nello stesso tempo.
 
Per questo, a detta di quella fenomenale creatura che era la Jones, gli uomini parevano essere incapaci –ad esempio- di ragionare e parlare insieme. O di mangiare e riflettere. O di correre e pensare.
 
Correndo per uno dei tanti corridoi bui in compagnia di Benjamin, quel tardo pomeriggio, Caradoc Dearborn dovette ammettere che forse, la Jones, un po’ di ragione l’aveva. Mentre correva non riusciva proprio a spiegarsi l’azione assolutamente folle di Fenwick. Vagava annaspando in cerca di spiegazioni, troppo stupito, con il cervello in blocco e la bocca semiaperta dalla sorpresa.
 
Il calderone, esplodendo, aveva sporcato l’intera stanza con rimasugli di una strana sostanza verdognola simile a gelatina, rimasugli che erano ovviamente restati appiccicati anche ai loro vestiti. Erano stranamente densi ed emanavano un fetore a dir poco nauseabondo.
 
-che diamine stavi cercando di fare, Fenwick?- gli urlò dietro mentre ancora correvano nel corridoio, alla ricerca di uno sgabuzzino che li avrebbe protetti dall’ira sicuramente prossima del Custode –Priscilla benedetta, quanto puzza questa roba! Volevi creare della Puzzalinfa artificiale?-.
 
Ben arrivò infondo al corridoio, svoltò verso destra e si fermò davanti alla porta di uno dei tanti stanzini per le scope.
 
-non mi sembra una splendida idea, considerando che Gazza verrà qui per cercare qualcosa con cui rimediare al disastro che hai comb…-.
 
Senza tante cerimonie, spalancando la porta, Fenwick trascinò Dearborn nello sgabuzzino.
 
-…che hai combinato-.
 
Caradoc tacque.
 
Appoggiato al muro opposto alla porta, con i capelli sporchi di gelatina verde e il volto colorito dallo sforzo della corsa, Fenwick era lievemente piegato su se stesso per riprendere fiato. Aveva gli occhi brillanti e divertiti, e di tanto in tanto sbuffava fuori l’accenno di una risata.
 
Dearborn trattenne il respiro quasi inconsapevolmente, prima di portarsi una mano alla testa per esaminare i danni fatti dalla gelatina e lasciarsi andare nel riprendere fiato.
 
-Salazar, tu sei completamente matto!- mormorò alla fine.
 
Lo disse con quel tono un po’ meravigliato e un po’ divertito con cui, di solito, accoglieva la notizia di una nuova tattica infallibile studiata apposta per vincere la fatidica partita contro i Grifondoro.
 
Fenwick alzò gli occhi su di lui, sorridendo sornione: senza nessun filtro a selezionare nel suo sguardo le emozioni appropriate da quelle che non lo erano, pareva un bambino colto con le mani nel vasetto della marmellata.
 
Uno strano silenzio sembrò condensarsi nell’aria, a poco a poco. Non era particolarmente teso, o spiacevole. Era semplicemente strano: quel genere di stranezza che dà la sensazione di sapere indicare con precisione ogni sfumatura del sorriso dell’altro, o il movimento delle sue mani, o l’idea delle sue spalle contro il muro. Quella stranezza che rende la mente più leggera e le gambe fin troppo pesanti.
 
Caradoc deglutì, sorpreso. Forse era semplicemente la penombra, o il sorrisetto che entrambi avevano specularmente dipinto in volto, ma c’era qualcosa nell’aria che sembrava protrarre quel silenzio in modo quasi straniante. Sarebbe bastata una parola per spezzarlo; sebbene Dearborn si fosse confermato, in più occasioni, abilissimo nel padroneggiare la nobile arte della conversazione, chiuso in quello stanzino dall’aria umida si scoprì incapace nell’emettere anche una sola sillaba.
 
Per un istante riuscì semplicemente a pensare –con una chiarezza strabiliante- a come non fosse totalmente strano ritrovarsi lì, in quello sgabuzzino, con Fenwick. Risalendo gli ultimi eventi con il pensiero, in effetti, gli sembrò quasi la cosa più naturale del mondo alzare lo sguardo sul volto di Benjamin per puntare i propri occhi in quelli sgranati del Serpeverde.
 
Sembravano ancora quelli di un bambino, scuri e brillanti.
 
Quando parlò, però, Fenwick lo fece con una freddezza impassibile.
 
-credo che dovremmo renderci presentabili prima che Gazza decida di ripulire tutto e ci trovi qui ancora conciati in questo modo spiacevole-.
 
A Dearborn sembrò quasi d’essere stato investito da una scopa in corsa, tanto fu scioccante l’impatto con la freddezza manifesta nel tono di Benjy. Annaspò per qualche secondo, cercando il modo giusto di reagire a tutto quello che aveva appena pensato: immagini vivide che si accavallavano le une sulle altre cercando una via di fuga.
 
-non è stata una grande idea restare nei sotterranei- glissò alla fine simulando la stessa freddezza che aveva mostrato Fenwick e fallendo miseramente –se Gazza dovesse arrivare adesso per pulire…-
 
Benjamin si scrutò attorno con attenzione, rigido.
 
-Gazza è troppo stupido per pensare subito a ripulire. Prima vorrà cercare di prendere i colpevoli, quindi andrà di sopra e si metterà a cercare ai primi piani. Poi se ne farà una ragione e andrà da Lumacorno a lamentarsi-.
 
Caradoc annuì, muovendo velocemente la bacchetta per ripulire entrambi dai rimasugli di gelatina rimasti impigliati tra i capelli e nei vestiti. Quando le tracce di pozione svanirono vide Benjy aggiustarsi con le mani il maglione che aveva indosso, rimboccandosi con attenzione le maniche sui polsi, dove presentavano bruciature.
 
-torni in dormitorio?- domandò passandosi una mano tra i capelli con noncuranza. Per fortuna lui non aveva altri segni dell’accaduto addosso se non qualche piega strana sulla maglietta.
 
-passo dall’aula per pulire- mormorò Fenwick dopo averlo scrutato di sottecchi per qualche attimo –quella a cui stavo lavorando è la mia postazione anche durante le lezioni di Lumacorno. Il professore sa che di tanto in tanto mi esercito nell’aula, quando gli altri non ci sono. Credo sappia fare due più due-.
 
Dearborn arricciò le labbra, aprendo la porta dello sgabuzzino. Una volta accertatosi che il corridoio fosse completamente vuoto, uscì e si guardò alle spalle. Per una volta Fenwick sembrava a corto di parole e in imbarazzo tanto quanto lui, sebbene fosse evidente il suo provare a nasconderlo.
 
Come si saluta qualcuno con cui non sei in confidenza pur avendoci  passato un intero pomeriggio insieme? Un pomeriggio come quello, poi.
 
Caradoc aveva come la sensazione di essere stato spettatore inconsapevole di uno spettacolo estremamente raro. Non dovevano essere molte le volte in cui Fenwick si lasciava andare.
 
Si sarebbe anche offerto per dare un aiuto a pulire se solo Benjy non avesse avuto scolpita negli occhi l’intenzione di restare da solo.
 
-credo che… insomma, devo proprio andare- mormorò alla fine il Corvonero, indicando con le dita la direzione in cui presumibilmente si trovavano le scale. Incredibile come fosse difficile, a quel punto, fare anche solo un pensiero di senso compiuto.
 
Benjamin annuì, quasi distratto, poi si volse e senza nessun cenno di saluto iniziò a ripercorrere a ritroso il corridoio da cui, pochi minuti prima, erano arrivati insieme, ansanti.
 
Nonostante ciò che aveva detto precedentemente, Dearborn ci mise più di dieci minuti a schiodarsi da quel posto per tornare in dormitorio.
 
 
 
 

 

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Capitolo 18
*** 16. Capitolo 16 ***


Chi le ha sputato nel piatto di fagioli?*
 
 
 
CAPITOLO 16
 
 
 
 
<< Adesso vomito >>.
 
Demian Frazer, per il quarto anno consecutivo cacciatore per la squadra di Quidditch di Grifondoro a Hogwarts, seguì con lo sguardo la direzione indicata da Gideon Prewett, validissimo battitore del settimo anno. Il più grande impugnava la propria scopa come se dovesse strozzarne il manico e teneva gli occhi fissi sui primi gradini delle tribune, dritti di fronte a se.
 
<< L’allenamento non è ancora cominciato? Credevo di aver accumulato un po’ di ritardo, ero in punizione con la Sprite… >>.
 
Prewett gli rispose con un ringhio feroce malamente sopito, continuando ad incenerire con sguardo feroce le tribune.
 
Sui primi gradini, in effetti, Demian vide sedute tre ragazze e due ragazzi, intenti a tenere banco tra chiacchiere e risa con due dei membri più importanti della squadra, il Capitano Prewett e il Caposcuola Shacklebolt.
 
<< Ah, c’è Amelia! La Bones distrae sempre un po’ Kingsley, lo hai notato? >> domandò Frazer con curiosità. In quattro anni, la squadra aveva imparato a conoscerlo come una personalità allegra e un po’ invadente, quei tipi di persone a volte quasi urtante per la mania di avere sempre il sorriso sulle labbra a rispendere come un sole perenne << L’altra chi è? Quella vicina alla Jones, non credo di averla mai vista >>.
 
<< La Meadowes sta sempre per conto suo, non mi stupisce che tu non l’abbia mai notata. Non è il tuo genere di persona, Dem. Nemmeno il nostro, se devo essere sincero, non so per quale assurdo motivo Fabian si interessi tanto a lei. Non è nemmeno così bella, poi >>.
 
Demian arricciò le labbra in una smorfia contemplativa.
 
<< Con un’opportuna aggiustata, forse… bah, c’è di meglio in giro >>.
 
Frazer non potè non notare, stupito, che Fabian Prewett, sporto sulla tribuna verso la ragazza, pareva pensarla del tutto diversamente. Aveva, poteva vederlo benissimo anche da quella distanza, lo sguardo acceso dall’interesse mentre chiacchierava a ridacchiava insieme alla Meadowes, un po’ in disparte rispetto al resto del gruppetto.
 
<< Ad onor del vero Fabian sembra molto preso da lei. Chissà, magari è una di quelle ragazze >>.
 
Gideon scostò lo sguardo dal proprio fratello per puntarlo mezzo scettico in quello allegro e senza un’ombra di Demian Frazer.
 
<< Quali ragazze? >>.
 
Frazer ridacchiò scrollando una mano per aria.
 
<< Oh, sai, quelle che poi non ti riesci più a toglierti dalla testa. Quelle ragazze. Quelle che sembrano normali, sai che potresti benissimo vivere senza di loro, sembrano quasi inutili. Poi però ti accorgi che è tutto diverso. Quelle, no? >>.
 
Prewett lo guardò ancora per qualche secondo prima di tentare una risata, cercando di farla apparire convinta. Quelle.
 
<< La Meadowes? Stai parlando sul serio? No, non la conosci. Merlino santo, la Meadowes una di quelle. Mphmh >>.
 
Vedendolo ridere Demian scrollò le spalle.
 
<< Come vuoi >>.
 
Gideon smise di ridere sentendosi all’improvviso la gola secca.
 
Non era questione su cui scherzare, quella sottospecie di ossessione di suo fratello per la Meadowes. Era incomprensibile la fissazione di Fabian. Per cosa, poi? Quella ragazza aveva perfino un che di inquietante. Non era particolarmente divertente, o particolarmente dolce, o particolarmente simpatica.
 
 Andava avanti anche da troppo tempo, per quanto lo riguardava. Si mosse prima ancora di rendersene conto.
 
<< I nostri allenamenti sono a porte chiuse >> annunciò rivolto alle gradinate del campo di Quidditch.
 
<< E da quando? >>.
 
<< Ehi, aspetta! Sono io il Capitano, Gid, lo decido io se i nostri allenamenti sono o non sono a porte chiuse >>.
 
Senza scostarsi di un millimetro dalla propria posizione, per nulla intimidito dalle parole del fratello, Gideon gli rivolse un’occhiata sprezzante.
 
<< Ma dai! Te lo sei ricordato di essere il Capitano? Ho pensato che qualcuno dovesse fare il tuo lavoro, dal momento che sembravi estremamente impegnato a tubare con la Meadowes! >>
 
Cinque paia di occhi stupiti si voltarono a guardare i visi ora paonazzi dei due imputati; Fabian, sul volto l’espressione di un bambino colto a rovistare nel barattolo delle caramelle, aprì e chiuse la bocca più volte come un pesce rosso, incredulo. Dorcas Meadowes, quasi mortificata, si limitò a deglutire.
 
La cattiveria con cui Gideon aveva sputato il suo cognome all’indirizzo del fratello, pronunciandolo quasi come lei non fosse lì, pareva aver sconvolto anche i loro comuni amici spettatori.
 
<< Io credo che Gideon volesse dire… >>.
 
Il tentativo di Shacklebolt di rimediare alle parole sgarbate dell’amico venne stroncato proprio da quest’ultimo, che questa volta incenerì anche lui con lo sguardo.
 
<< Volevo dire che l’allenamento doveva inziare venti minuti fa ma qui non si vede ancora nessuno volare perché tra te e Fabian non so chi sia più impegnato a fare il tacchino con le ragazze. Tra pochi giorni giochiamo contro Serpeverde, cosa ne dite se invece di corteggiare ragazze provassimo a giocare una partita decente? Tra parentesi, è metà novembre, c’è un freddo del diavolo e un vento che porta via, che diamine ci fate voi ragazze a spasso nel campo di Quidditch? Amelia, puoi anche fare la carina con Kingsley stasera in Sala Grande e lasciarci giocare, adesso. Grazie >>.
 
Così come era arrivato, voltò le spalle agli astanti e se ne andò.
 
Amelia Bones, con lo sguardo basso e le labbra congelate in una linea dura, si aggiustò la sciarpa a righe gialle e nere. Quando, dopo qualche secondo, riuscì a riacquistare sufficiente padronanza di se, alzò lo sguardo fino ad incrociare quello di Dorcas Meadowes e le fece cenno di andare con lei.
 
Senza nemmeno salutare, le due si diressero al castello circondate da un amaro silenzio.
 
 
*
 
 
<< Sei sicuro di non volerci ancora qualche biscotto, Benjy? >>.
 
Con quanta più possibile nonchalance Fenwick fece scivolare il terzo biscotto roccioso offertogli da Hagrid sotto la frangia della sciarpa, e da lì in una delle tasche del mantello.
 
<< Sarebbe il quarto, Hagrid, e tra una mezz’ora scarsa è ora di cena. Non voglio rovinarmi l’appetito, davvero >>.
 
<< Certo, ti capisco. Le cene di Hogwarts sono le più buone che ci sono, è vero. Non vuoi mai perdertene una. E come sta Dorcas, Ben? Ultimamente non ci vediamo quasi più >>.
 
<< Sta bene, ma ha iniziato l’anno con molti impegni. Studia moltissimo e poi partecipa al Club dei Duellanti, non so se lo sai >>.
 
Hagrid annuisce portandosi un biscotto alla bocca. Per un attimo Ben può quasi sentir scricchiolare i denti e deve reprimere un brivido al pensiero.
 
<< Si, me lo hanno detto Caradoc e Sturgis. Proprio forti quei due, sono come fodero e bacchetta. Non si separano mai. Mi vengono a cercare, quei due, con in testa le loro idee strampalate. Proprio forti. L’altra volta volevano che ce ne andavamo tutti e tre insieme dalle acromantule. Dico, sono più matti di me. Ma sono simpatici, se capisci quello che voglio dire >>.
 
Benjamin si bloccò nell’atto di sistemarsi il mantello. Deglutendo, si alzò dallo sgabello e si mise a posto la sciarpa dei colori di Serpeverde.
 
<< Acromantule? Non ce li avrai portati, no? >>.
 
Dearborn è così scemo che ce lo vedo proprio a volerne accarezzare una.
 
<< Figurati, non ci penso proprio a portare qualcuno da Aragog. Va a finire che si offende, è un po’ permaloso. E quei due ci hanno la lingua lunga >>.
 
Un ragno gigante con un veleno che paralizza non vorrei mai incontrarlo. Figuriamoci poi se è pure permaloso.
 
<< Devo proprio andare, Hagrid. Tra un po’ servono la cena, e io devo andare a cambiarmi il mantello prima di andare in Sala Grande. Questo è ancora umido per la pioggia del primo pomeriggio >>.
 
<< Ci vediamo, Benjamin. Salutami Dorcas, mi raccomando >>.
 
Quando fu sicuro di aver ben chiuso la porta della capanna del Guardiacaccia, si cacciò le mani nelle tasche del mantello per tirarne fuori tre biscotti dall’aspetto poco rassicurante.
 
Non era mai riuscito a morderne uno, e al suo terzo anno, quando per la prima volta era stato ospite per il tè dal Custode, ci aveva quasi rimesso due denti davanti. Non era mai più riuscito a morderne uno, in realtà, perché non ci aveva mai più provato, probabilmente.
 
<< Benjamin >>.
 
<< Fenwick >>
 
Per un momento credette che Hagrid avesse riaperto la porta, poi si diede dello stupido riconoscendo le voci di Amelia Bones e di Dorcas, di ritorno al castello da una passeggiata al campo di Quidditch, probabilmente. Dorcas, di per se già molto silenziosa, si limitò ad affiancarlo in rigoroso mutismo e a camminare affianco a lui.
 
A stupirlo fu invece il silenzio profondo che arrivò dalle parti di Amelia, conosciuta in tutta Hogwarts per i modi sempre allegri e le risate frizzanti.
 
<< Dorcas, Amelia. Sono appena stato da Hagrid per il tè. Volete un biscotto? >>.
 
Dorcas declinò con un gentile cenno del capo, conscia di ciò a cui sarebbe andata incontro accettando l’offerta. Amelia invece afferrò uno dei biscotti e se lo portò alle labbra. Il conseguente mugugno offeso causò negli altri due brevi sorrisi quasi gentili.
 
Per qualche minuto, camminando verso il castello, stettero insieme in silenzio ascoltando i tenui rumori della notte al limitare della Foresta Proibita.
 
<< Dorcas, alla fine questo fine settimana non verrai ad Hogsmeade, vero? >>.
 
La Corvonero parve pensarci per qualche istante, poi scosse la testa.
 
<< Sabato non posso, ho promesso alla McGrannitt che sarei rimasta ad Hogwarts. Sai perché. Tu andrai al villaggio? >>.
 
Benjamin sospirò, sconfitto.
 
<< Devo, per forza. Martedì prossimo sarà il compleanno di Jodie, devo assolutamente trovarle un regalo altrimenti mi rinfaccerà la mancanza per i prossimi due anni >>.
 
Amelia Bones, riprendendosi per un attimo dallo stato catatonico in cui pareva caduta, si rivolse al ragazzo.
 
<< è il compleanno di tua sorella? Quanti anni fa? >>.
 
<< Ventiquattro anni. Non ho la più pallida idea di cosa regalarle. Speravo per questo nella compagnia di Dorcas, che è più brava di me nel fare i regali >>.
 
<< Io non credo che andrò ad Hogsmeade, questo fine settimana. Però, sicuramente, ad Hestia e agli altri farà piacere aiutarti. Caradoc e Edgar sono particolarmente ingegnosi nel fare regali, potresti andare con… >>.
 
<< Scusami, ma il pomeriggio passato con Dearborn due domeniche fa è ancora troppo fresco nella memoria. Mi basta per i prossimi sei anni, ne sono quasi sicuro >>.
 
Il tono brusco di Fenwick fece alzare uno sguardo stupito ad Amelia Bones, riscuotendola definitivamente dallo stato catatonico per farla tornare il normale animale curioso che era abituata ad essere.
 
<< Che vuoi dire con… >>
 
<< Dio del cielo, Ben, quanto la fai lunga con questa storia! >> si intromise Dorcas spazientita, interrompendo Amelia senza nemmeno accorgersene << A quanto mi hai raccontato di quel pomeriggio non è stato così male, né così lungo! Hai detto che Dearborn ti ha lasciato solo non appena Sturgis e Hestia se ne sono andati, quanto tempo avrai potuto passare insieme a lui? Addirittura quindici minuti? A volte sei melodrammatico in modo esasperante! >>.
 
Benjamin Fenwick avvertì distintamente due sensazioni, quando la sua migliore amica finì la propria invettiva per dirigersi con passo più veloce al portone del castello adesso davanti a loro.
 
La prima, fu una stretta un po’ colpevole e un po’ vergognosa allo stomaco. Nel raccontare a Dorcas di quel pomeriggio aveva mentito senza nemmeno accorgersene, e quando poi quella bugia aveva lasciato le sua labbra non c’era più stato modo o tempo di ritrattare.
 
La seconda cosa che sentì, chiaramente e a lungo, fu lo sguardo di Amelia Bones fissarlo interrogativa e sicuramente sorpresa dalla testa ai piedi e poi dai piedi alla testa. Probabilmente Dearborn, raccontando di quel pomeriggio –se mai lo aveva raccontato- aveva detto qualcosa di diverso. La domanda che sentiva irradiarsi da Amelia era una, e coincideva poi –a voler essere sinceri- con la stessa che lui medesimo si era posto un attimo dopo aver raccontato una bugia a Dorcas.
 
Perché aveva mentito?
 
 
*
 
 
<< Sembri distrutto >> borbottò Edgar Bones quando il Capitano della squadra di Quidditch dei Corvonero uscì finalmente dall’ufficio del Professor Vitious.
 
Il Tassorosso sapeva di non assomigliare per niente a persone come Caradoc Dearborn: non aveva né l’eleganza che il Corvonero ostentava perfino starnutendo nè la bellezza degna di nota che faceva voltare stormi di ragazze al suo passaggio.
 
In realtà non esistevano probabilmente al mondo due persone più diverse di Dearborn e Bones: se il primo godeva della propria maschera di principe superficiale il secondo si crogiolava nel suo essere uno spontaneo e pratico gentiluomo. 
 
Nonostante questo –o forse proprio per questo- all’alba del loro quarto anno i due avevano stretto amicizia.
 
<< Sono distrutto >>.
 
Edgar si costrinse a non ridere quando Caradoc gli rivolse un lungo sguardo da cucciolo bastonato. Camminava curvo come un vecchietto, il Corvonero, e pareva tenere il peso del mondo sulle spalle.
 
<< Ha reagito così male? >>.
 
Dearborn arricciò le labbra, cominciando a scendere le scale per raggiungere la Sala Grande in tempo per la cena.
 
<< Mi ha detto che è una mia scelta decidere di ritirarmi, però si notava che non era per niente d’accordo. Comunque la carica passerà a Max, ovviamente, perché Sturgis essendo Prefetto è troppo impegnato per essere anche Capitano >>.
 
Bones, riflettendo, tacque.
 
Aveva sempre un po’ invidiato il rapporto che legava Caradoc al professore di Incantesimi, che andava oltre la reciproca stima –per quanto un professore potesse stimare uno studente, si intende-. Dearborn pareva aver trovato in Vitious una figura a metà tra quella di un mentore e quella di un padre.
 
<< Sturgis sembra averla presa piuttosto male >> mormorò Bones alla fine di quel breve silenzio.
 
Osservò Caradoc sospirare, quasi vinto.
 
Se c’era una cosa in Dearborn che aveva avuto il privilegio di sorprendere Edgar fin dall’inizio di quell’amicizia era stata la complessa struttura di migliaia di maschere che parevano avvolgere il Corvonero come un bozzolo protettivo, o come le sbarre di una prigione.
 
Edgar si era fatto un’idea, con il passare degli anni, di come dovesse essere il vero Dearborn; Caradoc doveva essere così fragile, all’interno, che la sola idea di essere guardato davvero avrebbe potuto infrangerlo in mille pezzi.
 
Bones non lo invidiava per niente e, soprattutto, non gli somigliava per niente –per grazia di Merlino e Morgana- ma proprio per merito delle profonde differenze che li dividevano poteva capirlo senza giudicarlo troppo.
 
<< Quindi che cosa farai, ti iscriverai agli scacchi? >> domandò alla fine in tono più lieve, arrivati ormai quasi in Sala Grande.
 
Caradoc storse le labbra in un sorrisetto amaro, apprezzando evidentemente lo sforzo dell’amico nel provare a cambiare discorso.
 
<< Pensavo più alle gobbiglie >> stette al gioco << Ma potrei anche fare entrambe le cose e poi… >>.
 
Bones tornò a voltarsi verso di lui quando lo sentì interrompersi all’improvviso. Per un istante appena riuscì a vedergli dipinta sul volto un’espressione indecisa, di quelle che raramente lasciava trapelare -e solo davanti ad una traduzione di Antiche Rune-, poi Caradoc si accorse di essere osservato e si scostò il ciuffo dal viso con un gesto disinvolto.
 
<< è proprio buono questo profumo. Secondo me stasera c’è il Rostbeef >>.
 
Il Tassorosso seguì la direzione dello sguardo precedente di Caradoc, e si ritrovò inconsapevolmente a sorridere. Cosa poteva attrarre lo sguardo di Dearborn e ridurlo al mutismo meglio di una ragazza? E se quella ragazza era Cinthia Rosier, il sospetto non poteva che diventare certezza. La Serpeverde, in compagnia di qualcuno che Edgar di spalle non riusciva a riconoscere, era appena spuntata dalle scale per i sotterranei.
 
Bones si fermò vicino all’amico e gli diede di gomito.
 
<< Sarà la peggior serpe del mondo, ma è una bellissima ragazza >> mormorò << Potresti invitarla ad Hogsmeade. Mia sorella dice di averci parlato un paio di volte, e a quanto pare è anche una persona interessante. Se riesci a prenderla dal verso giusto, si intende >>.
 
<< Non so di cosa tu stia parlando, non mi avvicinerei ad una vipera come la Rosier nemmeno armato della Bacchetta di Sambuco >>.
 
Edgar spostò lo sguardo verso Caradoc. Lo riportò sulla Serpeverde giusto in tempo per vederla sorridere contenta e sporgersi per lasciare un delicato bacio sulla guancia al proprio accompagnatore. Bones proprio non riuscì ad impedire alla sua bocca di spalancarsi per la sorpresa quando riconobbe la figura che prima, di spalle, non aveva visto con chiarezza.
 
<< A quanto pare Fenwick ci si avvicina eccome alla Rosier >> sospirò alla fine << Andiamo a mangiare? Il Rostbeef attende >>.
 
 
*
 
 
<< Dorcas! Aspetta, per favore. Dorcas! >>.
 
Fabian Prewett aveva la voce roca e preoccupata, anche se Dorcas Meadowes non avrebbe proprio saputo spiegarsi il perché.
 
Stava scendendo a cena dopo aver lasciato il mantello e la sciarpa in dormitorio, e facendo due rapidi conti si chiese se l’allenamento di Grifondoro fosse già finito.
 
<< Fabian, è successo qualcosa? >> chiese vedendosi raggiungere da lui proprio davanti alla porta per la Sala Comune Corvonero.
 
Il ragazzo sembrava non essersi cambiato dopo l’allenamento e impugnava ancora la scopa. Doveva averla raggiunta direttamente dopo aver lasciato il campo, e doveva averlo fatto anche di gran fretta a giudicare dal colore vivo delle guance e dal modo in cui sbuffava cercando di recuperare il fiato.
 
<< Oh… beh io… volevo… >>.
 
Vedendolo annaspare s’inquietò anch’ella. Perché mai sarebbe dovuto venire a cercarla così di corsa se non per qualcosa di grave?
 
<< è successo qualcosa al campo, Fabian? Stai bene, gli altri stanno bene? >>.
 
Prewett le rivolse uno sguardo sbalordito, portandosi una mano alla testa per aggiustarsi i capelli in una posa meditabonda.
 
<< Chi? Gli altri? Certo che stanno bene. Benissimo, in realtà. L’allenamento è appena finito >>.
 
<< Ah, capisco >>.
 
No, in realtà ce la stava mettendo tutta, ma proprio non riusciva a capire.
 
<< E allora che cosa… ? >>.
 
<< Mi dispiace per quello che è successo. Al campo, prima. Quando Gideon ha detto quelle cose a te e a Meli, non so proprio cosa gli abbia preso. Non è stato per niente gentile, mi dispiace davvero se ti ha offeso in qualche modo>>.
 
Dorcas odiava non sapere dove le persone volessero andare a parare con le loro parole. In un’altra situazione avrebbe semplicemente tirato dritto e si sarebbe accontentata di buon grado di passare per una grande maleducata. Ma quello davanti a lei era Fabian Prewett, non poteva semplicemente abbandonarlo dopo tutta la corsa che aveva fatto dal campo all’ingresso della torre dei Corvonero, senza nemmeno lasciare la scopa in camera o cambiarsi dopo l’allenamento.
 
Perché lo aveva fatto?
 
<< Scusami, Fabian, davvero non capisco perché sei qui >>.
 
Aveva sentito dire che la sincerità pagasse, di quando in quando. Fabian, cadendo visibilmente dalle nuvole, assunse un’espressione ancora più pensierosa.
 
<< Cosa vuol… Sono qui per chiederti scusa! Per quello che è successo al campo >>.
 
La ragazza sgranò gli occhi, stupita.
 
<< Ti ringrazio, davvero >> mormorò poi stupita << Ma io non… insomma, tu non mi hai fatto niente. Non sono arrabbiata con te. Non mi è nemmeno passato per la testa il fatto che tu mi dovessi delle scuse. Non credo che qualcuno me ne debba, d’altronde >>.
 
<< Ma Gideon non è stato per niente gentile >>.
 
Ripensando alla scena di un’ora prima, al campo, Dorcas annuì. Poi però si fece ancora più perplessa.
 
<< Ma tu non sei Gideon >>.
 
 
*
 
 
Fabian si riteneva in generale una persona estroversa e amichevole. Aveva tanti amici, qualcuno che era davvero importante per lui e molti che lo erano decisamente meno: in linea di massima non aveva mai avuto problemi a rapportarsi con le persone. Nella sua esperienza di vita, i silenzi imbarazzati e gli sguardi bassi si potevano contare sulle dita di una mano.
 
Erano stati tutti collezionati in compagnia di Dorcas Meadowes, comunque, e tutti negli ultimi due mesi. Questo momento d’imbarazzo era soltanto uno in più da aggiungere alla lista.
 
<< Io… credo che tu abbia ragione, in effetti >> mormorò inseguendo i propri pensieri, con il rischio di rendersi ancora più ridicolo di quanto già non avesse fatto << è che sono così abituato a chiedere scusa agli altri da parte sua… ci vedono un po’ come un’entità unica e… scusami, sto blaterando >>.
 
Dallo sguardo educatamente composto con cui Dorcas Meadowes stava assistendo alla scena si rese conto che probabilmente la ragazza non aveva proprio capito cosa lui ci facesse lì. Si era sentito talmente ribollire di rabbia dal modo in cui Gideon aveva trattato e offeso Dorcas da volerle chiedere scusa al più presto, anche a costo di interrompere l’allenamento dieci minuti prima per poterla andare a cercare.
 
Insomma, qualsiasi ragazza di Hogwarts non gli avrebbe probabilmente più rivolto la parola dopo essere stata velatamente insultata e così sfacciatamente ignorata davanti a tutti da niente meno che suo fratello. E lui era rimasto tanto scioccato dall’atteggiamento di Gideon da non difenderla neppure!
 
<< Comunque, accetta le mie scuse, mi farebbe stare meglio >>.
 
Un sorriso gentile curvò appena le labbra sottili di Dorcas, che continuò a guardarlo per qualche secondo.
 
<< Certamente, accetto le scuse. Ora scusami, ma dovrei andare a cena e forse tu vorresti andarti a cambiare >>.
 
<< Oh… si, certo, la cena >> mormorò imbarazzato abbassando lo sguardo sul proprio corpo. Indossava ancora la tuta d’allenamento, e impugnava ancora la scopa. E piazzato lì fermo in corridoio probabilmente aveva l’aria dello stupido, a giudicare da come lo guardavano i pochi Corvonero che già si dirigevano in Sala Grande.
 
Dorcas lo salutò con un cenno riprendendo a camminare verso le scale.
 
<< Aspetta, Dorcas! >>.
 
La ragazza si fermò di nuovo, ricambiando il suo sguardo con un’occhiata cauta.
 
<< Si? >>.
 
<< Ti andrebbe di venire ad Hogsmeade con me, questo sabato? >>.
 
Dorcas si irrigidì all’improvviso, e in un modo o nell’altro Fabian capì di aver detto qualcosa di sbagliato. Seppe che gli avrebbe risposto di no senza alcuna ombra di dubbio.
 
<< Fabian, parliamo chiaro, ok? Tuo fratello mi ha offeso, pazienza, non è il primo e non sarà l’ultimo. Non c’è bisogno che mi inviti ad Hogsmeade per la tua assurda idea di farti perdonare per non ho ben capito quale motivo, grazie. Ora, se vuoi scusarmi… >>.
 
<< No! Non voglio invitarti ad Hogsmeade per… non l’ho fatto assolutamente… ti stai sbagliando, ok? >>.
 
Lo sguardo della ragazza lo percorse tutto, da capo a piedi e ritorno, come a volerlo osservare con cura. Raramente si era sentito osservato così, Prewett, ed era una cosa che non c’entrava proprio nulla con la malizia femminile tipica di Amelia o l’apprezzamento critico che gli avrebbe riservato Hestia. Era più uno sguardo alla McGrannitt, che guardava per vedere qualcosa.
 
Fabian fu certo di non aver passato l’esame.
 
<< Ascolta, Dorcas, ti sto invitando ad Hogsmeade perché voglio venire ad Hogsmeade con te. Sabato. Questo sabato, possibilmente. Gideon non c’entra assolutamente nulla e, ti prego, non facciamolo più entrare nel discorso. Ha già fatto abbastanza danni >>.
 
Pensierosa, la ragazza si appoggiò alla balaustra delle scale continuando a guardarlo con attenzione.
 
<< Questo sabato non posso, mi dispiace. Sono già impegnata >>.
 
Prewett inspirò bruscamente, poi deglutì.
 
Non è la fine del mondo, dai. Sei già stato bidonato nella tua vita.
 
Le altre volte avevano bruciato di meno, forse. 
 
Tutto quello che serviva, adesso, era una vanga con cui iniziare a scavare una fossa abbastanza profonda per seppellircisi. E possibilmente portare con se quell’idiota di suo fratello.
 
<< Volevo dire che ho già un impegno qui ad Hogwarts >> chiarì la Meadowes vedendolo annaspare << Ma se l’invito per venirvi a vedere giocare contro Serpeverde è ancora valido potrei venire al campo domenica mattina e… >>.
 
Gli scappò la scopa di mano, andando a schiantarsi al suolo. Il rumore improvviso nel corridoio più o meno silenzioso fece sobbalzare la Meadowes, che iniziò a guardarsi attorno cercando una via d’uscita. Sembrò trovarla nelle scale, perché gettò loro un’occhiata quasi bramosa prima di iniziare a scenderle mostrando un po’ di agitazione.
 
<< Dorcas, aspetta, non abbiamo ancora… >>.
 
<< Va bene così, ok? Ci vediamo in giro, Fabian >>.
 
Il minuto dopo era scomparsa oltre l’angolo, diretta alla Sala Grande.
 
Fabian Prewett continuò a guardare le scale senza sapere come doversi sentire. Raggiunse con lo sguardo la scopa, colpevole di tutto, e desiderò con tutto il cuore incenerirla.
 
Maledetta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Nonna fa, in Mulan 
 
 
NOTE:
qualcuno si ricorda ancora di me? Si, lo so, sono una persona terribile.
In questo capitolo ci sono i veri e propri primi sviluppi Fabian/Dorcas. Visto che leggendo i commenti mi sono resa conto che qualcuno vorrebbe che gli sviluppi tra questi due andassero un po’ più rapidi, avviso che non sarà affatto così. Fabian e Dorcas sono, in tutta la storia, quelli che andranno più lenti.
Questo capitolo è un po’ così, il prossimo è già in parte scritto e decisamente Carenji-centrico. Molto Carenjicentrico, oltre che il mio capitolo. Arriverà a breve, se ci riuscite ancora credetemi.
Mi scuso davvero tanto per il silenzio stampa di questi mesi, ho passato momenti davvero tesi e scrivere era proprio l’ultima cosa che mi riusciva.
 
In caso vi interessasse, vi segnalo una One-shot che ho pubblicato qui qualche settimana fa, nella sezione Originali (si, sono arrivata ad impestare anche gli Originali). Mi va di segnalarla perché è forse la storia più bella che sento di avere mai scritto, quindi, se vi va…
Il titolo è Vorrei che tu aprissi gli occhi
 
Per il resto buona lettura,
Hir
 
 

 

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Capitolo 19
*** 17. Capitolo 17 ***


CAPITOLO 17
 

 
 
<< E fu così che rimasero in tre. La gita ad Hogsmeade più triste della storia >> sbuffò Caradoc Dearborn appoggiandosi allo scaffale dei lecca lecca di Mielandia con aria affranta.
 
<< Sai, Dearborn, non è che la cosa entusiasmi nemmeno noi, a dire la verità >>.
 
Fabian Prewett, forse addirittura più triste del compagno, tuffò le mani nel contenitore delle Cioccorane, prendendone una manciata e aggiungendola al cestello delle compere.
 
<< Già, Docco! Cerca di metterti nei panni di Fabian >> esclamò in risposta un allegro Edgar Bones << Bidonato dalla Meadowes. Il che, mi fa pensare, mi rende l’unico della nostra odierna compagnia a non aver mai chiesto a Dorcas di uscire >>.
 
<< Io non sono stato bidonato da nessuno >>.
 
Lo sguardo che Bones rivolse al Grifondoro mentre si dirigeva alla cassa per pagare sapeva di tenerezza e compassione.
 
<< Tranquillo, Caradoc ti capisce. Secondo me in questo rigetto di Dorcas ad accettare gli inviti ad uscire c’entra Fenwick. Insomma, anche se quei due si ostinano a negare, secondo me non ce la raccontano giusta! Stanno sempre insieme, e poi… >>.
 
Prewett, con un sorrisetto ringalluzzito ben stampato sul volto, interruppe le vuote ciance dell’amico per indicare qualcosa oltre la vicina vetrata.
 
<< Beh, non so la Meadowes, ma Fenwick a quanto pare parlava seriamente quando diceva che tra lui e Dorcas non c’è niente >>.
 
<< Cosa…? Non ci credo! >>.
 
Lo stupore espresso da Edgar dovette essere talmente marcato nel tono da incuriosire perfino Dearborn, impegnato com’era a giocherellare con gli scarafaggi di liquirizia  in una ciotola vicino al bancone.
 
Il ragazzo, infatti, aggrottando la fronte distolse l’attenzione dagli animaletti di caramella puntandolo sullo scorcio di strada visibile oltre il vetro.
 
<< Credo che questo faccia di Fenwick il nuovo Caradoc Dearborn di Hogwarts >>.
 
La contestazione, espressa da uno sbalordito Fabian Prewett, attirò l’attenzione di tutti gli studenti assiepati attorno al bancone di Mielandia. Fra quelli in attesa di pagare e quelli intenti a scegliere la merce, si potevano contare almeno una quindicina di persone con lo sguardo ora puntato oltre il vetro.
 
<< Che cosa avete tutti da guardare? Fatevi gli affari vostri! >>.
 
All’abbaio prepotente di Dearborn tutti tornarono alle proprie compere, senza potersi impedire però qualche occhiata curiosa alla coppia oltre il vetro.
 
Fenwick sembrava quasi un normale ragazzo di sedici anni con quel sorriso amichevole stampato in volto e un braccio a sorreggere la mano di Cinthia Rosier.
 
<< Ecco perché due o tre sere fa lei lo ha baciato! >> mormorò Bones rifilando una non troppo gentile gomitata a Caradoc.
 
<< Avete visto la Rosier e Fenwick baciarsi e non avete detto niente? >>.
 
Dearborn arricciò le labbra in una strana smorfia poco gentile, senza distogliere lo sguardo dal vetro.
 
<< Non si stavano baciando! >>.
 
 
*
 
 
Lei sorrideva inclinando il capo verso di lui, che le tendeva il braccio conversando con disinvoltura. Il delicato sorriso che incurvava a lei le labbra arrivava perfino a farle brillare gli occhi, un luccichio ravvivato dal colore roseo delle guance.
 
Sembravano proprio una coppia d’altri tempi, quei due.
 
Edgar lo pensò sul serio, guardandoli.
 
<< Sono proprio una bella coppia, insieme >>.
 
Lo schiocco di una lingua Corvonero, accanto a lui, lo face voltare incuriosito. Caradoc aveva, dipinta negli occhi, una strana espressione che lui non gli aveva mai vista addosso.
 
<< Cos’è, sei geloso? >> lo canzonò ridacchiando << Non eri tu quello che non si sarebbe avvicinato alla Rosier nemmeno armato di Bacchetta di Sambuco? >>.
 
Per la prima volta da che era cominciata la sua amicizia con Dearborn, Edgar ebbe quasi l’impressione di averlo colto di sorpresa. Fu una fugace espressione che gli passò sul viso, una volta che Bones ebbe finito di prenderlo garbatamente in giro, a mettere il Tassorosso in allarme. Un istante, e di nuovo il bel volto del Corvonero era tornato insondabile, al punto che il ragazzo si chiese se non se lo fosse solo immaginato.
 
<< E continuo a sostenerlo, se è per questo. Solo un pazzo si avvicinerebbe volontariamente a Cinthia Rosier… >>.
 
<< Scusate, tornando alla questione del bacio >> si intromise Prewett senza staccare lo sguardo dalla coppia felice << li avete colti sul fatto? Quando? >>.
 
Caradoc Dearborn mise su una smorfia schifata.
 
<< Per Salazar, Fab, da quando sei diventato una vecchia pettegola? >>.
 
Stranito, il Grifondoro abbandonò per un attimo con lo sguardo la coppia oltre il vetro. Caradoc aveva parlato con un tono acido che poco gli si addiceva. Dall’occhiata guardinga che scambiò con Edgar capì di non essere l’unico sorpreso dalla reazione dell’amico. Stampandosi in volto un sorriso sornione batté a Caradoc una pacca giocosa sulla spalla.
 
<< Stai tranquillo, Fenwick ti ha solo battuto sul tempo. Ci sono tante altre belle ragazze a Hogwarts, molto più simpatiche di Cinthia. E comunque, quando Fenwick capirà con che razza di vipera ha a che fare sicuramente cambierà idea e… >>.
 
Prewett si accorse solo in un secondo momento del fatto che ad ascoltarlo fosse rimasto soltanto Bones. Caradoc, nuovamente disinvolto, aveva voltato le spalle alla vetrata e si era avvicinato alla cassa per pagare. Edgar approfittò della distanza tra loro e il Corvonero per rivolgere un cenno del mento a Fabian.
 
<< Non capisco perché si ostini a negare questo interesse per la Rosier. Ultimamente reagisce così male che è evidente in modo quasi imbarazzante >>.
 
 
*
 
 
<< Posso aiutarvi, ragazzi? >>.
 
La voce gentile dell’unico commesso del negozietto di Statchy and Sons, a Hogsmeade, li accolse non appena i due si richiusero la porta della bottega alle spalle.
 
Benjamin vide Cinthia, accanto a sé, lanciare uno sguardo di sufficienza sulla merce esposta. La osservò arricciare il naso e poi ricomporsi, rivolgendo la propria attenzione al ragazzo che aveva loro rivolto la parola.
 
<< Stiamo cercando qualcosa da regalare ad una ragazza per il suo ventiquattresimo compleanno >>.
 
Il commesso, un ragazzo dai capelli rossi e la pelle lentigginosa che non doveva avere più di venticinque anni, annuì con un atteggiamento esuberante ed entusiasta che da solo bastò a far quasi saltare i nervi a Benjamin.
 
<< Avete preferenze sul tipo di indumento da regalarle? >>.
 
Fenwick rifletté per qualche attimo ma, prima che potesse aprire bocca, la sua accompagnatrice intervenne.
 
<< Benjamin preferisce regalarle qualcosa di utile, ha detto. Quindi un mantello, suppongo. Oppure qualche accessorio tipo sciarpe o manicotti. Escluderei le vesti, per il momento, e opterei per qualcosa di elegante e di buona fattura, tessuto ricco ma non sfarzoso, niente di pacchiano con strass o colori imbarazzanti quale il rosa intenso o il verde oliva. Grazie >>.
 
La ragazza aveva parlato nel tono disinvolto e fermo di chi è abituato a dare ordini, iniziando nel frattempo a guardare con più attenzione alcuni abiti esposti all’interno del negozietto. Era davvero piccolo, formato dall’ingresso e da una sala grande la metà della capanna di Hagrid, e dalle occhiate che Cinthia stava rivolgendo alla merce Benjamin riuscì a intuirne la scarsa qualità.
 
Era per quello che, quando giorni prima Dorcas gli aveva annunciato di essere impegnata per il sabato e che quindi non avrebbe potuto accompagnarlo a comprare il regalo di Jodie, lui aveva chiesto all’unica altra persona di Hogwarts che pensava di poter sopportare, di accompagnarlo nell’uscita per essere aiutato con l’arduo compito.
 
Di regali per donne non si intendeva minimamente e non aveva voglia di sopportare il broncio offeso di sua sorella quando sarebbe stato a casa per Natale. Cinthia gli era parsa quindi la scelta migliore.
 
Cinthia Rosier era vista dalla maggior parte dei ragazzi di Hogwarts come una bellissima ma velenosissima ragazza, punto di vista, il secondo, che Benjamin non condivideva totalmente. Certo, Cinthia di rado concedeva qualcosa di più che un sorriso gelido e una frase tagliente, eppure con lui era sempre stata gentile. Aveva pure sentito mormorare da Alecto Carrow –miglior amica della Rosier- voci riguardanti una possibile cotta e lui stesso.
 
Quando aveva proposto quell’uscita a Cinthia lo aveva fatto senza altre intenzioni oltre quella di trovare un regalo per sua sorella. D’altronde, era cosa universalmente nota che le donne amassero, in linea generale, fare compere.
 
Aveva posto una sola condizione all’acquisto del regalo: doveva essere qualcosa di utile, che sua sorella potesse usare anche nei lunghi periodi di ricerca di campo che svolgeva con la squadra in giro per il mondo. E dal momento che in quel periodo Jodie stava eseguendo le sue ricerche in Siberia, cosa di meglio di un mantello o una sciarpa?
 
Quando le aveva espresso le sue ragioni, Cinthia aveva arricciato le labbra poco contenta, ma aveva annuito e insieme si erano diretti in quel negozietto.
 
Cominciava a chiedersi, dopo solo un’ora dall’inizio dell’uscita, se fosse stata una buona idea chiedere a Cinthia di accompagnarlo.
 
<< Benedetto Salazar, hanno delle chincaglierie davvero orribili qui dentro! >>.
 
Il commento della ragazza riportò i pensieri di Benjamin al negozio, dove Cinthia si stava aggirando con sguardo sempre più disgustato tra una stampella e un manichino. Il commesso, probabilmente spinto dalle richieste della Serpeverde alla ricerca di qualcosa di meglio, era scomparso nel magazzino adiacente alla sala, lasciandoli soli nell’angusto spazio.
 
<< Sono così pessimi? >>.
 
Dallo sguardo condiscendente che si vide rivolgere, Benjamin seppe di aver mostrato tutto il suo poco gusto con un solo commento.
 
Vide Cinthia affondare la mano all’interno di una grossa cesta di vimini piena di quelle che sembravano marionette. In realtà quelle marionette erano guanti, e lo si evinceva unicamente dal cartello appeso al cesto che recitava “guanti famosi a soli cinque falci l’uno. Forma la tua coppia”. La ragazza ne prese uno sollevandolo ad altezza occhi per poterlo meglio osservare.
 
<< Bontà del cielo, questa dovrebbe essere Priscilla Corvonero in tutta la sua proverbiale bellezza? Che cosa rozza. E poi toccalo, questa è lana scadente. Non ci infilerei una mano dentro nemmeno se pagassero in galeoni il mio peso! >>
 
A lui non sembravano così male. Però, lui di cose del genere non si intendeva per niente.
 
<< Vedo che ha notato i nostri guanti famosi! >> esclamò il commesso di ritorno dal magazzino, le braccia ingombre di merce e un sorriso divertito sul volto << Sono molto simpatici, non è vero? Vanno a ruba tra i ragazzini di Hogwarts, i più piccoli. Ci sono anche diversi professori di Hogwarts, il Preside, il Ministro della Magia e alcuni giocatori di Quidditch >>.
 
Con una smorfia chiaramente schifata Cinthia lasciò ricadere il guanto che teneva in mano nella cesta, evitando poi di dire alcunché.
 
<< Dunque, abbiamo queste sciarpe di lana intrecciata molto calde in diverse tonalità pastello, guanti a diversa lunghezza in camoscio e manicotti di pelliccia d’ermellino. In pendant con questo manicotto abbiamo anche il mantello, di velluto nero bordato anch’esso di pelliccia e… >>
 
Il campanello posto all’ingresso per segnalare l’entrata di nuovi clienti trillò deciso, costringendo il commesso e i due ragazzi a voltarsi verso la porta.
 
Benjamin non era mai stato più contento di vedere Prewett, Bones e Dearborn in vita sua.
 
 
*
 
 
<< Già che siamo qui vorrei entrare un attimo da Stratchy and Sons. Mi serve un nuovo paio di guanti, visto che il gatto di Peter mi ha mangiato quelli vecchi>>.
 
Edgar puntò deciso verso il negozio nominato, trascinandosi dietro Fabian Prewett per l’angolo del mantello. Caradoc, sovrappensiero, li seguì stranamente docile.
 
<< Il gatto di Peter Callaghan? È quello brutto con le zampe corte, vero? >>.
 
Bones aprì la porta del negozio con un sorrisetto saputo in volto, annuendo.
 
<< Fenwick, Rosier! Anche voi qui? >>.
 
Benjamin Fenwick, di poche parole come sempre, li salutò con un cenno del capo; la ragazza, imperturbabile, rivolse ai tre nuovi arrivati un lungo sguardo e, senza degnarli di una maggiore considerazione, tornò a rivolgersi al commesso del negozio.
 
La bottega non era molto grande ma tutto sommato dignitosa, decise Fabian.
 
Allungò una mano per raggiungere il mantello di velluto che vestiva il primo manichino sulla destra, e per un attimo ne godette il contatto. Poi, temendo di rovinarlo, si allontanò di nuovo.
 
Un giorno avrebbe potuto permettersi un mantello come quello. Lo avrebbe regalato a Molly, perchè con quel colore così scuro non avrebbe stonato con i suoi capelli e le avrebbe anzi fatto risaltare gli occhi.
 
All’improvviso la sua attenzione e quella dei suoi compari, anch’essi impegnati a guardarsi attorno, venne attratta dallo sbuffo spazientito di Cinthia
 
<< Ah, non puoi regalare a tua sorella uno scialle di lana così scadente, Benjamin! >> sbottò strattonando appena un ampio scialle azzurro senza particolari fronzoli.
 
<< Il commesso ha detto che è Cachemire, non credo sia così scadente >>.
 
Il secondo sbuffo di Cinthia proruppe addirittura più forte del primo.
 
<< Costa solo sette galeoni, a tua sorella dovresti fare un regalo più prezioso. Se regalassero a me una cosa del genere probabilmente la brucerei. Mi sorprende, per questo prezzo, che questa lana non puzzi ancora di pecora >>.
 
L’uscita infelice della ragazza venne incassata in modo magistrale dal commesso, che non perse il sorriso nemmeno quando lei lasciò cadere su uno degli scaffali lo scialle senza ripiegarlo, come schifata.
 
<< Mi faccia sentire se almeno la pelliccia di quel manicotto è sufficientemente morbida… come credevo, grezza come fosse fatta di setole di maiale, infatti! Non è vero, Benjamin? >>.
 
Cercando di far buon viso a cattivo gioco, il commesso le porse l’ennesimo articolo, un mantello.
 
Mentre la ragazza saggiava con mani decise la morbidezza del velluto Fabian notò che l’acidità di Cinthia pareva mettere in imbarazzo il suo accompagnatore. Non aveva mai visto Fenwick in imbarazzo, anche se a voler essere proprio onesti non è che lo avesse guardato molto nei cinque anni precedenti.
 
<< Siete alla ricerca di un regalo per tua sorella, Benjy? >>.
 
Edgar, che doveva essersi accorto parimenti del disagio in cui versava il ragazzo, doveva aver deciso di impicciarsi negli affari dei due Serpeverde per provare a smuovere la tensione palpabile nel negozio.
 
Bones aveva sempre avuto buon cuore, d’altronde.
 
Fabian no; d’altronde era stato Fenwick stesso a decidere di uscire con la Rosier, il cui orribile carattere non era certo cosa tenuta nascosta.
 
Se esci con una vipera non puoi certo sorprenderti se inizia a mordere.
 
Fenwick sembrò improvvisamente molto sollevato del fatto che qualcuno che non fosse Cinthia gli avesse rivolto la parola. Fu celere quindi a rispondere.
 
<< Martedì è il suo compleanno, si >>.
 
<< E quanti anni compie? È più grande di noi, giusto? >>.
 
<< Ne compie ventiquattro, Bones, è stata Prefetto Serpeverde durante il nostro primo anno >> si intromise Cinthia annuendo in direzione del commesso porgendogli indietro il mantello << Questo può andare. Non è il miglior velluto che mi sia capitato di vedere in vita mia ma a quanto pare qui dentro bisogna accontentarsi >>.
 
Caradoc, che da quando avevano lasciato Hogwarts aveva si e no biascicato un paio di frasi, al commento scettico della ragazza arricciò le labbra.
 
<< Quello è un ottimo velluto, dovresti smettere di parlare con il solo scopo di dare aria alla bocca, Rosier >>.
 
Fabian e Edgar non poterono fare a meno di lasciarsi sopraffare dallo stupore. Non accadeva spesso che Dearborn si rivolgesse a qualcuno con un tono così tagliente, non il vanesio e sciocco Caradoc Dearborn che a Hogwarts tutti conoscevano.
 
<< Il corvo che fa notare al merlo quanto è nero >> ribattè sullo stesso tono la ragazza, guardandolo negli occhi con aria perfida.
 
Il Dearborn parve non sentire neanche la provocazione, poiché diede le spalle a tutti e si concentrò su una cesta piena di quelle che a Fabian, ad un primo sguardo, parvero marionette. Erano guanti, in realtà, lo diceva un cartello appeso alla cesta con su scritto “guanti famosi a soli cinque falci l’uno. Forma la tua coppia”.
 
<< Sai >> le si rivolse il ragazzo selezionando accuratamente due marionette e tornando a voltarsi << Non potevi scegliere un regalo più banale di quel pezzo di velluto >>.
 
<< Non capisco, Dearborn. Prima mi rimproveri per la mia obiezione sulla qualità del tessuto e poi mi dici che comunque è orribile? Non si direbbe tu sia di gusti così complicati >>.
 
Caradoc scrollò le spalle, porgendo al commesso i guanti da lui scelti e una manciata di monete.
 
<< Non ho detto che non mi piace il mantello, ho detto che il regalo è banale. Quando ricevo qualcosa in regalo mi piace pensare che chi me lo ha regalato abbia pensato innanzitutto a me, prima che a se stesso e ai soldi che poteva spendere. Quando si dice “basta il pensiero”… per quanto riguarda i miei gusti, invece, qualcosa di oggettivamente bello non è detto debba piacere per forza >> mormorò guardando la ragazza e inclinando il capo, come ad ispezionarla attentamente << Ti posso assicurare, anzi, che anche la bellezza può stomacare >>.
 
Il commesso e gli altri presenti assistevano alla discussione come fossero ad una partita di Quidditch. La pluffa passava da una parte all’altra indecisa su quale fosse l’anello giusto in cui segnare il punto.
 
Prewett non aveva mai visto il proprio amico così preso da una discussione. Caradoc sprecava di rado il proprio tempo per discutere con qualcuno, eppure lì la situazione era diversa.
 
Sembrava quasi una sfida.
 
Quasi volesse mettere un maledetto punto da qualche parte per affossare la Rosier. Strano. Nei mesi e negli anni precedenti Caradoc non aveva mai dimostrato di essere infatuato della Rosier, ma nemmeno di non sopportarla.
 
Cinthia parve incassare con eleganza l’ultimo commento. Sorrise beffarda all’indirizzo dell’acquisto di Caradoc.
 
<< Hai davvero comprato quegli orribili mostriciattoli? Più che guanti sembrano calzini spaiati. Chi dovrebbero rappresentare? >>.
 
Infilando i guanti nelle mani Dearborn li mostrò alla ragazza.
 
<< Ovviamente sono Silente e la McGrannitt, chi ti sembrano? Ho sempre tifato per loro… >>
 
<< Benedetto Salazar, tu regaleresti davvero una tale oscenità a un tuo parente? >>.
 
Non erano così brutti, anzi. Fabian Prewett sorrise appena guardando il cappello da strega della marionetta McGrannitt stare ritto sulla punta delle dita del suo amico. In attesa di poter regalare un mantello lussuoso a Molly, per Natale avrebbe potuto regalarle una coppia di quei guanti.
 
<< Mi parrebbe un regalo più mirato e meno banale del mantello >> annuì Caradoc osservando tutto soddisfatto i suoi guanti << Forse potrebbero essere adatti alla Jodie che mi ha descritto Benjamin tempo fa >>.
 
Fenwick, muto spettatore del battibecco tra i due contendenti, aggirò Jodie e il commesso per prendere uno dei guanti dalla cesta e rimirarlo. Era rimasto sorpreso, si vedeva, dalla svolta presa dagli eventi. Eppure non parevano dispiacergli, anzi, tutt’altro. Non aveva quella luce di interesse negli occhi, poco prima, quando aveva visto il mantello.
 
Cinthia si irrigidì ulteriormente vedendo il proprio accompagnatore non fare quasi più caso a lei. Caradoc la guardò in volto sfacciato.
 
<< Si, decisamente le regalerei questi >>
 
<< Per fortuna per Jodie non riceverà niente di così orribile. Il suo regalo non è un problema che ti riguardi. Si vede che sei proprio negato ad occuparti di cose simili. Hai già ampiamente dimostrato di essere totalmente incapace di prenderti cura di un fratello, non è vero, Caradoc? >>.
 
Prewett vide distintamente le mani di Caradoc uscire dai guanti e correre verso la tasca in cui teneva la bacchetta. Per fortuna Edgar, più sveglio di lui o forse più lungimirante, sembrava pronto.
 
Bones afferrò Dearborn per una spalla con una mossa gentile ma ferma. Pareva calmo, Edgar, ma quando puntò il suo sguardo su Cinthia non aveva proprio nulla del gentile Tassorosso che era abitualmente. Caradoc deglutì un paio di volte, si scrollò via dalla spalla la mano dell’amico e uscì velocemente dal negozio.
 


 
******
 


 
Quando quello stupido Club dei Duellanti era stato messo in piedi, Benjamin aveva maledetto diverse volte il nome di ogni singolo membro della Patria dei Bellocci.
 
Riunione dopo riunione il Serpeverde aveva avuto però modo, se non di ricredersi completamente, di ammettere per lo meno a se stesso gli effetti positivi che quegli incontri avevano su Dorcas.
 
Quando alla fine di giugno era capitato quel che era capitato al padre di Dorcas, uno dei più grandi timori di Benjamin era stato quello di vedere la propria migliore amica ritrarsi ancor più lontana dal mondo, isolata nella propria ancor più serrata solitudine.
 
Fenwick era rimasto piacevolmente stupito, quindi, dal fatto che nei due mesi trascorsi dall’inizio della scuola Dorcas fosse riuscita a fare ciò in cui aveva mancato in cinque anni di scuola ad Hogwarts: instaurare legami di pur debole complicità con altre persone oltre a lui. In altre parole, fare amicizia e socializzare.
 
Quel giovedì sera, guardando Dorcas impegnata in una fitta conversazione con il Caposcuola Grifondoro, Benjamin Fenwick dovette definitivamente ammettere di aver peccato di superficialità giudicando il Club dei Duellanti come un semplice capriccio di Podmore, Shacklebolt e compagnia cantante.
 
<< Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto, ma a quanto pare stai sorridendo vedendo Kingsley parlare con Dorcas. Pensavo non ti facesse piacere saperla amica della… come è che la chiami? La Patria dei Bellini? >>.
 
Il Serpeverde sobbalzò quando una voce gentile si intrufolò tra i suoi pensieri. Voltandosi incontrò con lo sguardo il volto di Amelia Bones.
 
<< Credevo non ti piacessero Kingsley e gli altri >> puntualizzò la ragazza quando Benjamin non diede segno di voler rispondere alla prima domanda.
 
Tutto quello che ottenne fu un secondo sguardo da parte del giovane, che riportò l’attenzione sulla Meadowes.
 
Tuttavia Amelia pareva proprio aver voglia di conversare, poiché non si diede per vinta.
 
<< Cinthia Rosier ti ha lanciato diverse occhiate di fuoco, stasera, te ne sei accorto? No, non il fuoco della lussuria; quello dell’ira, piuttosto. Peccato, mi eravate sembrati una bella coppia >>.
 
<< Mai stati una coppia >>.
 
Il tono indolente fece sorridere la Tassorosso, con l’atteggiamento di un gatto davanti ad un topolino.
 
<< Tutto quel camminare a braccetto per Hogsmeade, ridacchiando come due innamorati, facendo morire verdi di invidia metà dei ragazzi di Hogwarts che avrebbero voluto essere al tuo posto dice il contrario! >>
 
<< Sei stata gentile a far intendere sottilmente, senza tuttavia dirlo chiaramente, che mentre tutti i ragazzi mi invidiavano per essere a braccetto con lei nessuna ragazza invidiava lei per avere me accanto >>.
 
Il sorriso di Amelia si arricchì di una sfumatura sorniona.
 
<< Andiamo, Fenwick! Sai benissimo di avere un carattere orribile senza che te lo dica io. Come, per altro, sai benissimo che a Hogwarts chiunque ti trova inquietante >>.
 
In segno di ironica riconoscenza Benjamin chinò lievemente il capo.
 
<< Comunque devi averla davvero fatta grossa per indisporre in quel modo Cinthia. Di solito reagisce come una regina dei ghiacci. L’ultima volta che l’ho vista tanto arrabbiata Pix le aveva rovesciato in testa tre boccette di inchiostro per scherzo >>.
 
Il ragazzo cercò con lo sguardo Cinthia Rosier nella sala, ma prevedibilmente doveva essersene andata velocemente quando, pochi minuti prima, la riunione era stata sciolta. Gli aveva parlato di quanto detestasse la confusione giusto il sabato precedente mentre insieme si incamminavano per Hogsmeade.
 
<< Ha fatto tutto da sola >> chiuse la questione monotono, riportando lo sguardo su Amelia.
 
La ragazza sospirò.
 
<< Ad ogni modo torniamo al discorso di prima. Sembri giudicare positivamente il fatto che Dorcas si stia inserendo nel gruppo dei Bellini >>.
 
Un sorriso divertito dispiegò le labbra del Serpeverde.
 
<< Patria dei Bellocci, Bones. Se tu e Dorcas volete ridere alle mie spalle, curatevi almeno di farlo in modo appropriato. Non vedo comunque perché non dovrebbe farmi piacere vederla fare amicizia con voi. Se lei è felice a me va bene >>.
 
Il sorriso sornione che Amelia aveva adagiato sulle labbra mutò in un atteggiamento serio che nell’immaginario di Fenwick poco si adeguava alla spensierata ragazza Tassorosso. Il cambiamento fu repentino e Benjamin le rivolse ancora una lunga occhiata prima si seguire con gli occhi la direzione del suo sguardo.
 
<< Dorcas è una strega brillante e un’ottima persona. Mi sono pentita di non essermi avvicinata prima a lei >> la sentì mormorare. Dopo un attimo di silenzio riprese il suo atteggiamento malizioso << Comunque era davvero scocciata che tu andassi a Hogsmeade con Cinthia, sai? Non so dirti se abbia funzionato come mossa per farla ingelosire, ma… >>.
 
<< Di che diamine stai parlando, Bones? Per quale motivo dovrei fare ingelosire Dorcas? >>.
 
Sentì Amelia osservarlo intensamente, ma la sua attenzione venne velocemente attratta da qualcun altro.
 
<< Circola la voce secondo la quale tu e Dorcas avreste… >>
 
<< La maggior parte delle volte le voci non sono altro che voci, Bones >> la interruppe distrattamente << Adesso sono stanco e voglio andare a dormire >>.
La ragazza sembrò sorpresa dal suo comportamento.
 
<< Ma non stavi aspettando Dorcas? >> domandò perplessa, indicando la Corvonero ancora impegnata in una conversazione con Kingsley. Benjamin, che aveva già iniziato a muoversi in direzione della porta, si voltò disinvolto.
 
<< E per quale motivo dovrei aspettarla? Sa arrivarci da sola fino alla torre. Buonanotte, Bones >>.
 
 
*
 

Il giovedì era davvero una giornata terribile, per lo meno nella settimana standard di Caradoc Dearborn.
 
La mattinata iniziava con due ore di Erbologia seguite da due Incantesimi mentre le lezioni del pomeriggio continuavano con Aritmanzia e, per finire con qualcosa di molto leggero, Rune Antiche. Normalmente, finite le lezioni e prima di cena, avrebbe potuto schiarirsi la mente da tutto quello studio volando nell’allenamento della squadra di Quidditch, ma a causa delle lamentele di suo padre quell’appuntamento era saltato. Per rimpiazzare quell’ora buca in cui avrebbe potuto semplicemente stendersi sul letto a guardare il soffitto, Hestia aveva insistito sui benefici dello studio in biblioteca per completare i compiti della giornata.
 
A cena, quella sera, era entrato in Sala Grande praticamente strisciando sui gomiti.
 
<< Dearborn, aspetta >>.
 
<< Fottuto Salazar >>.
 
Quando era stanco, aveva scoperto di recente, diventava scurrile. E visto che a chiamarlo era Benjamin Fenwick –a giudicare dal tono monotono- sentiva di avere tutto il diritto di imprecare a suo piacimento.
 
<< Ho detto aspetta, Dear… >>.
 
<< Ti ho sentito, Fenwick! >>  brontolò continuando a camminare e sperando di poterlo seminare << Ma sono stanco, ho avuto una giornata pesante a coronare una settimana ancora più pesante e il coprifuoco ormai è passato. Qualunque cosa tu debba dirmi, sono abbastanza sicuro che possa aspettare domani >>.
 
C’era soltanto una cosa che poteva collegare lui a Benjamin Fenwick, e cioè quello che era successo ad Hogsmeade il sabato precedente tra lui e Cinthia.
 
Non aveva voglia di parlare di quello. Non con Fabian, o Edgar, o Sturgis. Con nessuno. E soprattutto, non con Fenwick.
 
<< Potrebbe, immagino, ma non… Oh, maledizione, Caradoc fermati! >>.
 
Si fermò.
 
Qualunque cosa spingesse Fenwick a sbraitare in un corridoio di notte, imprecando e chiamandolo per nome forse valeva la pena di essere ascoltata.
 
<< Che c’è? >>.
 
Quando si voltò notò che Fenwick aveva avuto il buongusto di mostrarsi vagamente imbarazzato.
 
Il percorso verso la torre di Corvonero li aveva portati in un corridoio meno buio del resto della scuola, schiarito dalla luce della luna che penetrava da una delle vetrate.
 
<< Volevo chiederti scusa per quello che è successo da Stratchy and Sons, Sabato. Cinthia si è mostrata gratuitamente cattiva e… >>
 
A Caradoc venne da ridere. Istericamente, di quelle risate che sanno a metà di lacrime e a metà di pazzia. Era per questo che non aveva voluto parlarne con nessuno.
 
<< Punto primo, non capisco perché ti stai scusando, dal momento che qualsiasi cosa sia stata detta tra me e Cinthia tu non hai praticamente aperto bocca. In secondo luogo, davvero ti stupisce che la Rosier sia stata… come hai detto? Gratuitamente cattiva? Credo sia la cosa che le riesce meglio dopo spellare cuccioli di foca vivi per trarne pellicce. Non mi stupisce, la cosa, e ti posso assicurare che sentirla parlare così non mi ha sorpreso. Punto terzo, complimenti per la celerità con cui mi vieni a chiedere scusa al posto della tua sposina, proprio come si addice ad un perfetto gentiluomo purosangue. Felicitazioni per il lieto evento, spero che tu sappia con che razza di vipera hai a che fare. Auguri e figli maschi >>.
 
Si era fermato, si era voltato e aveva parlato guardandolo negli occhi con quello che sperava risultasse uno sguardo rabbioso e risoluto.
 
Era arrabbiato, ma lo era sempre quando qualcuno che non aveva assolutamente il diritto di farlo tirava in ballo la sua vita privata, come aveva fatto il sabato precedente Cinthia Rosier a Hogsmeade. E per quale motivo, poi? Ne aveva parlato con un tale sprezzo e un tale odio che per un attimo, per un singolo attimo era tornato ad avere otto anni, terrorizzato e dolorante. Era talmente arrabbiato che ancora dopo cinque giorni non riusciva a pensarci senza tremare d’ira.
 
Vide Fenwick sospirare e poi alzare le mani quasi come se lo stesse minacciando con una bacchetta.
 
<< Deponiamo le armi, ti va? D’altronde, se come hai detto io non ho niente di cui scusarmi tu non hai nulla di cui accusarmi >>.
 
Dearborn ci ragionò su per qualche istante.
 
<< Questa è logica spicciola e io sono stanco e voglio andare a dormire, quindi tagliamo corto. Buonanotte >>.
 
<< Aspetta, Dearborn. Non era di questo che volevo parlare >> lo bloccò nuovamente Fenwick abbassando le mani e frugandosi nelle tasche della divisa.
 
Alla fine ne estrasse un paio di fogli spiegazzati. Mentre Caradoc ancora si chiedeva, con la mente connessa più al materasso del baldacchino che lo attendeva che non alle bizze di Fenwick, che cosa diavolo volesse il Serpeverde, Benjamin gliene tese uno.
 
<< Ho mandato il regalo a mia sorella. Il suo compleanno è stato martedì e stamattina mi è arrivata la risposta. Il regalo le è piaciuto davvero, ma ha capito che non è stata tutta farina del mio sacco, perché a quanto pare è il primo anno che azzecco un regalo per lei. Mi ha chiesto di ringraziare chiunque mi abbia suggerito quei guanti, dice che non se ne separerà mai più >>.
 
 
*
 
 
Benjamin vide Dearborn deglutire nella penombra vicino alla vetrata. Sembrava davvero stanco, Caradoc, e per un attimo Fenwick pensò che avrebbe anche potuto parlargli il giorno successivo con tutta calma, quando era più riposato, invece che inseguirlo per il castello a tarda serata quando l’altro ragazzo sembrava desiderare solo un ripiano orizzontale su cui abbandonarsi al sonno.
 
Poi il Corvonero allungò la mano per prendere il foglio che lui stesso gli aveva teso.
L’immagine che vi era stampata sopra non aveva la migliore definizione del mondo, ma gli aveva strappato un sorriso quando quella mattina, aprendo la lettera, se l’era ritrovata in mano. Nella foto sua sorella sorrideva davanti alla macchina fotografica dell’accampamento con le mani infilate in due guanti a muffola particolari: quello di destra raffigurava niente meno che Albus Silente e quello di sinistra la Professoressa McGranitt. Jodie li muoveva come marionette avanti e indietro nella foto, corredando il tutto di sorrisi maliziosi. A mano, in basso sulla foto, stava scritto “anche io tifo per loro”.
 
Dearborn, prima solo mezzo addormentato, guardava adesso la fotografia con un sorriso stranito dipinto sulla faccia. Aveva ancora tracce di sonno sul volto, ma ora pareva mettere a fuoco ciò che vedeva.
 
Alla fine Benjamin decise che qualcuno doveva parlare per spezzare quello strano silenzio.
 
<< Io non ho capito quello che vi siete detti tu e Cinthia. O forse farei meglio a dire che ho capito di cosa parlavate ma non conosco i dettagli >> ritrattò cercando le parole giuste. Probabilmente non esistevano: il dolore atroce che aveva visto guizzare sul volto di Caradoc alle parole di Cinthia non se lo sarebbe dimenticato mai, e per sempre sarebbe stato indescrivibile << Non so perché abbia detto quella cosa orribile sul fatto che tu sia incapace di prenderti cura di un fratello, ma quella foto testimonia che non è vero. Jodie non avrebbe mai reagito così davanti al mantello che mi aveva consigliato Cinthia >>.
 
Dearborn continuava a guardare quella fotografia con attenzione quasi maniacale, e Benjy capì di doverlo chiarire, come si fa con un bambino.
 
<< è merito tuo se a Jodie è piaciuto il regalo, grazie >>.
 
Il Corvonero alzò lo sguardo ma, a causa della poca luce, non riuscì a vedervi niente riflesso. Non sapeva nemmeno lui cosa aspettarsi, in realtà, quando gli aveva teso quella foto. Andò nel panico improvvisamente, Benjy, perché a quello non aveva pensato.
 
Un sorriso? Un grazie?
 
E invece fu un abbraccio, ma quello lo capì solo dopo.
 
Dearborn era più basso di lui di qualche centimetro ma più spesso, in qualche modo. Le spalle più larghe, le braccia più forti. Si irrigidì all’improvviso, perché non era abituato a nessun tipo di contatto fisico, figurarsi quello con un ragazzo maschio della sua età.
 
<< Grazie >> sentì sussurrare Caradoc.
 
<< Ma… io ho solo… non so nemmeno cosa… >>.
 
Benjamin non seppe far altro che rimanere lì, immobile, a balbettare. Perché davvero non sapeva di cosa parlavano effettivamente Cinthia e Caradoc in quel negozio, sapeva solo che quelle battute avevano fatto male a Dearborn e gli era sembrato ingiusto assistere al dolore del ragazzo schiacciato dalla lingua biforcuta della Rosier, ingiustificatamente crudele.
 
Sentì Dearborn annuire e poi lo vide allontanarsi. All’improvviso ebbe freddo, quando Caradoc mise un metro di spazio tra se e lui.
 
<< Lo so che non sai. Proprio per questo, grazie >>.
 
Mentre lui stava lì fermo, quasi schiantato dallo stupore e da quel brivido, Dearborn si era girato e se ne era andato, in silenzio.
 
Ancora immobile, lo guardò lasciare il corridoio fino a quando il rumore dei suoi passi si spense e la sua figura non si confuse nel buio.
 
 
FINE PRIMA PARTE
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
so di essere terribile ad aggiornare, con attese di mesi tra un capitolo e l’altro e che giustamente mi odierete. Mi dispiace davvero, prometto che cercherò di trasformare l’attesa di mesi in attesa di settimane. Purtroppo di più non posso fare.
 
Questo capitolo segna la fine della prima parte; il giorno in cui pubblicherò il nuovo capitolo pubblicherò anche l’introduzione alla seconda parte che dovrebbe essere di non più di quindici capitoli (non vorrei superare i dieci capitoli in realtà, ma non si sa mai). Alla fine ci sarà l’epilogo.
 
Questa, come le altre storie collegate a questa, non rimarrà incompiuta. Sono cosciente di avere tempi biblici, ma non ho alcuna intenzione, in ogni caso, di smettere di pubblicare. Se vorrete continuare a leggere mi farà piacere, ma capirò nel caso in cui non riusciste più a tenere il filo del racconto, proprio a causa dei miei tempi.
 
Per quanto riguarda questo capitolo ero indecisa se fare dell’ultima parte un capitolo a se stante, ma poi ho deciso di lasciarla incorporata a questa. Spero di aver scelto bene =)
 
Grazie a tutti quelli che pazientemente seguono, recensiscono, preferiscono e ricordano e anche a chi continua a leggere in silenzio. Grazie anche a quelli che hanno lasciato questa storia a causa dei miei tempi per avermi comunque seguito fino a qui.
 
Buona lettura,
Hir
 

 

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Capitolo 20
*** Parte Seconda. 18. Capitolo 18 ***



NOTE 1:
 
Ciao a tutti, a chi mi ricorda ancora e a chi invece si è dimenticato di aver mai letto questo storia.
Queste note saranno abbastanza lunghe e siete assolutamente liberi di saltarle, perché non porteranno grandi rivelazioni, ma adesso, in questo momento (non so ancora quando pubblicherò questo capitolo) sento il bisogno fisico e mentale di scrivere tutto ciò. Se qualcuno vuole leggere, bene, altrimenti bene lo stesso.
Ho iniziato a scrivere questa raccolta di storie anni fa, ed ero un’altra persona. Se mi guardo alle spalle stento a riconoscermi come anche quando leggo i primi capitoli di queste storie, specie dell’Amore ai Tempi del caos. Negli ultimi due anni la mia presenza su EFP è stata estremamente centellinata e questa è una cosa di cui mi vergogno molto, perché so cosa vuole dire aspettare aggiornamenti che tardano ad arrivare di mesi e addirittura di anni, ma per quanto io mi sforzassi in passato di scrivere pur di aggiornare non riuscivo a buttare giù niente che secondo me valesse la pena leggere, quindi rimandavo: c’erano tante altre cose da fare e nei momenti in cui tutto questo mi tornava in mente cercavo di ricacciare in fondo allo stomaco il senso di colpa e di andare avanti.
Oggi ho deciso di sedermi davanti al computer e fare un serio punto della situazione per quel che riguarda queste storie e questi personaggi. Io scrivo le loro storie e le prendo sul serio, sono entrate nella mia vita come qualcosa di molto importante e tangibile e ormai quando cerco di ignorarle queste si rifiutano di essere ignorate. Questo punto della situazione lo devo a voi e a me stessa, perché se è vero come dicevo prima che anni fa, quando iniziai a scrivere, ero una persona diversa, è anche vero che anche queste storie in gran parte hanno contribuito a farmi diventare quella che sono oggi.
Negli ultimi mesi ho partecipato ad un contest molto interessante, ho aperto la pagina e il tema del contest  mi ha quasi strappato via dalle mani una storia, facendomi tornare a scrivere e a capire quanto per me scrivere sia importante. Tuttavia sento di non poter portare avanti tutte queste storie insieme (non in questo momento per lo meno, se riuscirò a riprendere stabilmente con questa credo sarà poi una strada abbastanza in discesa, e dovrei riprendere anche con l'altra) per cui ho scelto di dare precedenza a questa, che è la mia preferita. Ieri sono tornata a rileggerla: ho iniziato a rileggere la storia e le recensioni che voi avete lasciato. Sono rimasta basita, direi, e commossa, per lo più: non ricordavo di aver ricevuto tante belle parole e tanti complimenti per questa storia, per questi personaggi a cui sono immensamente affezionata e che non avrei mai dovuto abbandonare. Voglio finire questa storia, per voi che l’avete seguita, per loro che ne fanno parte e per me, che ho sempre sentito con tutti questi personaggi un’affinità particolare.
Non tornerò a pubblicare una volta a settimana, sia chiaro: non ne ho la possibilità, a causa dei troppi impegni, dei diversi interessi che ho ormai imparato a nutrire negli ultimi anni e delle responsabilità che, volente o nolente, mi ritrovo sulle spalle.
Ho sempre notato che con me le cose funzionano fino a che mi impongo delle scadenze rigide, quindi voglio provarci seriamente anche qui. Una volta al mese, direi, proviamo. Non voglio dare speranze vane a nessuno, ma voglio provarci.
Per le note al capitolo, in fondo alla pagina.
Buona lettura,
Hir
 







SECONDA PARTE
D’istanti
 
 
Crepita, la vita, brucia istanti feroci
 e negli occhi di chi passa anche solo a venti metri da lì
non è che un’immagine come un’altra,
senza suono e senza storia
(Alessandro Baricco)
 
 
 
 
CAPITOLO 18





 
 
 
 
La Sala Grande era affollata, come ogni mattina nell’ora della colazione. Il tintinnio metallico delle posate faceva da sottofondo alle placide chiacchiere mattutine di studenti ed insegnanti e il finto cielo della sala mostrava una volta rannuvolata di un cupo e smorto grigio cenere. Una mattina come tante altre, in poche parole.
 
Le lezioni sarebbero iniziate da lì a mezz’ora quindi gran parte degli studenti era intenta a ingozzarsi per finire di mangiare ed aver tempo di passare in dormitorio a sistemare i libri; al tavolo di Serpeverde, Lucius Malfoy teneva banco con chiacchiere futili nel bel mezzo di un gruppetto di studenti più piccoli e Benjamin Fenwick, seduto a due passi da lui, osservava il piatto della colazione ancora intonso con l’aria di essere preda di un feroce mal di testa.
 
<< Questo posto è occupato? >>.
 
La voce limpida di Cinthia Rosier strappò Benjamin dai suoi cupi pensieri. Il Serpeverde la guardò, vagamente stupito dal fatto che proprio lei si fosse abbassata a chiedere il permesso per fare qualcosa che normalmente avrebbe preteso come un diritto.
 
<< No >>.
 
Da un paio di settimane a quella parte le loro interazioni avevano subito un drastico calo, il che equivale a dire che si erano praticamente spente del tutto dal momento che già prima non è che fossero esattamente compagni d’avventura. Per quelle due settimane, dal disastroso epilogo di quell’uscita ad Hogsmeade, Cinthia si era limitata a fare finta che Benjamin non esistesse quelle poche volte in cui si ritrovavano a condividere uno spazio chiuso.
 
<< Posso sedermi? >>.
 
Ancora più stupito, Benjamin scivolò verso il fondo della panca per fare ulteriore spazio a sedere davanti al posto vuoto al suo fianco.
 
<< Prego >>.
 
Cinthia si accomodò con tutta calma. Quasi come fosse abituata a mangiare al suo fianco tutte le mattine, appoggiò sulla panca tra lei e il ragazzo la borsa con i libri, si portò una ciocca di capelli biondi dietro alle orecchie e poi si sporse verso la caraffa di succo di zucca per versarsene un calice.
 
<< Dunque >> esordì la ragazza una volta che si fu servita due uova e qualche fetta di bacon sottile e croccante << Quali lezioni segui, stamattina, Benji? >>.
 
Senza dare nell’occhio, Benjamin si guardò attorno. In tutta la sua carriera scolastica non aveva mai dimenticato di essere a Serpeverde: se Cinthia si comportava in quel modo dopo Hogsmeade probabilmente era perché aveva in mente una ritorsione crudele che l’avrebbe messo in imbarazzo davanti a qualcuno di importante. Tuttavia, studiandosi attorno, Benjamin non notò nessuna figura sospetta intenta ad aspettarsi qualcosa, anzi. Era circondato da studenti più piccoli, se si escludeva Malfoy, e le abituali compari della Rosier al momento non si vedevano da nessuna parte.
 
<< Incantesimi e Babbanologia >> rispose una volta appurato di essere più o meno al sicuro.
 
Cinthia non faceva comunella con gli studenti più piccoli, solo con la Carrow e la Black, e non sopportava molto il biondo e arrogante Malfoy: sembrava potesse stare tranquillo, almeno per il momento.
 
Cinthia fermò la forchetta con il bacon a due centimetri dalla bocca, alzando un sopracciglio con fare scettico.
 
<< Babbanologia? Scelta singolare, Fenwick >>.
 
Riprese a mangiare e la pausa che aveva seguito la frase era apparsa a Benjamin come un punto, come se Cinthia fosse certa di non voler proseguire quel discorso. Infatti, una volta bevuto un sorso di succo di zucca dal calice, la ragazza cambiò argomento.
 
<< Non mangi, Fenwick? Il tuo piatto è lindo come quando è uscito dalla cucina >>.
 
Il Serpeverde spostò lo sguardo dalla ragazza al piatto, e poi dal piatto ad un punto fisso davanti a se.
 
<< Non ho molta fame, al momento. Devo aver mangiato troppo ieri a cena >>.
 
Più che vederlo, dal momento che stava guardando davanti a se i tavoli mezzi apparecchiati delle altre Case, sentì da parte di Cinthia un lungo sguardo attento toccargli il volto. Doveva essere scettica.
 
<< Come vuoi >> annuì alla fine la ragazza mangiando un altro po’ di bacon e iniziando a mangiare le uova.
 
Un denso silenzio calò su entrambi, spezzato solo dal tintinnio del coltello di Cinthia sul piatto mentre con attenzione la ragazza imburrava il pane.
 
<< Domenica ti ho visto sugli spalti, alla partita >> disse la ragazza in tono lieve << Non pensavo ti piacesse il Quidditch, non ti avevo mai visto alle partite >>.
 
<< Preferisco il Quidditch di alto livello. Ma è stata una bella partita, non me ne sono pentito >>.
 
Cinthia lo guardò, incontrando i suoi occhi con un’occhiata sbieca.
 
<< Abbiamo perso. E tu non eri sugli spalti di Serpeverde, se ben ricordo >>.
 
Benjamin annuì tranquillo.
 
<< Vero. I miei accompagnatori non erano Serpeverde, sarebbe stato maleducato da parte mia abbandonarli per salire sugli spalti della mia Casa >>.
 
<< Sarebbe stato tuo dovere farlo, per la tua Casa. E poi da quando Benjamin Fenwick si preoccupa di essere maleducato? D’altronde, tu sei un Serpeverde >>.
 
<< E i miei amici no >> tagliò corto bruscamente.
 
Fu solo il lungo sguardo che sentì rivolgersi da parte della Rosier, però, a sottolineare nella sua mente il modo in cui si era espresso. Si era recato a vedere la partita in compagnia di Dorcas e qualcun altro della Patria dei Bellocci; li aveva appena definiti amici. La cosa che più di tutte lo lasciò perplesso fu non trovare la cosa strana, per lo meno non più di tanto.
 
Resse lo sguardo di Cinthia per qualche attimo prima di spostarlo, svogliato, verso gli altri tavoli della sala. Al tavolo di Corvonero Dorcas stava facendo colazione in compagnia di Hestia, Sturgis e Caradoc, e i quattro insieme stavano discutendo animatamente ridendo di quando in quando. La Jones, seduta davanti a Dorcas e vicino al suo fidanzato, allungò una mano per dare una carezza lieve alla ragazza sul braccio, forse un segno di complicità, poi si rivolse a Dearborn per prenderlo sonoramente in giro su qualcosa che fece ridere anche gli altri commensali. Dorcas sembrava completamente a suo agio.
 
 
 
***
 
 
 
<< Sappi che non puoi continuare ad avercela con me in eterno >>.
 
Fabian Prewett, alla provocazione del fratello, interruppe il movimento del coltello con cui stava spezzettando i petali di Dittamo e strinse appena gli occhi. Fece due respiri profondi, poi riprese a tagliuzzare ignorando il gemello.
 
<< Seriamente, sono passate due settimane! Diglielo King >>.
 
Kingsley Shacklebolt, che completava il terzetto al banco di Pozioni, alzò lo sguardo passandolo da un fratello all’altro. Non si poteva mai dire quando i due sarebbero finiti a litigare violentemente, questo era quello che aveva imparato in sei anni e mezzo di approfondita conoscenza. Un’altra fra le cose che aveva imparato, sempre in quei sei anni e mezzo, era che al minimo sentore di tempesta tra i due lui doveva diventare la Svizzera.
 
<< Hai insultato Dorcas, ad alta voce e davanti a lei. Sei stato maleducato e non hai ancora chiesto scusa, né a lei né a me! >> obbiettò con forza Fabian quando i petali di Dittamo furono ormai diventati pastella tra le sue mani.
 
<< Magari il mio modo di esprimermi non è stato il migliore del mondo, lo ammetto, ma fatto sta che noi avevamo un importantissimo allenamento e tu, il Capitano della squadra, stavi in gradinata a ridere come uno scemo a tutto quello che diceva la Meadowes >>.
 
<< Ecco, vedi? La chiami “la Meadowes” con quel tono tutto così, come se fosse… >>.
 
<< Fabian, ma stai bene? È da quando l’abbiamo conosciuta, mesi fa, che la chiamiamo “la Meadowes”, non lo faccio solo io. Lo fa anche Kingsley >>.
 
Shacklebolt scosse la testa.
 
<< Io la chiamo Dorcas, in realtà >>.
 
Gideon spostò lo sguardo dal fratello per rifilare un’occhiata tradita all’amico.
 
Ecco, lo aveva fatto. Forse, dovette ricredersi Kingsley, non erano bastati sei anni e mezzo per imparare a non intromettersi nelle faccende dei Prewett. Ogni volta riuscivano a fregarlo e lui, come una pigna, cadeva nel tranello puntualmente.
 
Ma, ora che ci pensava…
 
<< E comunque >> chiarì, ormai che era nei guai, afferrando il contenitore dei pungiglioni di Billywig e aprendolo << Quella volta hai insultato anche Amelia, non solo Dorcas. Forse Fabian ha ragione, dovresti davvero chiedere scusa alle ragazze >>.
 
Gideon mostrò una faccia stupita, poi arricciò la fronte scettico.
 
<< Oh, quindi adesso parliamo di te e di Amelia >>.
 
Kingsley chiuse gli occhi, stringendo in mano più forte del dovuto i pungiglioni di Billywig e facendosi male. Meno male che quei cosi almeno erano morti, ormai.
 
<< No, non ne parliamo >> borbottò alla fine, sperando di tagliar corto la discussione << Parliamo del modo in cui ti sei rivolto a due nostre amiche che… >>
 
<< Oh, dai, da quando siamo amici della Mead… di Dorcas? >>
 
<< …due nostre amiche, stavo dicendo >> alzò la voce Kingsley per arrivare a coprire quella del ragazzo, assicurandosi che Lumacorno fosse lontano << Due nostre amiche che non ti avevano fatto assolutamente nulla di male e alle quali tu ancora non hai chiesto scusa. E questo è tutto >>.
 
Gideon si chiuse in un silenzio ostinato, armandosi di coltello per tagliare i propri petali di Dittamo e farne uscire meglio la linfa. Il calderone di Kingsley, quello più avanti con il procedimento per creare la pozione, iniziò ad emanare un denso fumo azzurro prima che Fabian riprendesse a parlare.
 
Il fatto era che Kingsley non si esponeva quasi mai, quindi le poche volte che lo faceva metteva sempre un po’ di soggezione, anche in loro due che erano i suoi migliori amici.
 
<< Quindi sei sicuro di non voler parlare di Amelia >>.
 
Era stata una constatazione. Dal momento che Shacklebolt era, appunto, uno dei suoi migliori amici, poteva dire di conoscerlo molto bene: Kingsley era quel tipo di persona che se interrogata si chiude a riccio. Negli anni, lui e suo fratello avevano elaborato una strategia che alla lunga si era rivelata vincente e che consisteva nel portare l’amico ad esporsi e a rispondere senza porre delle vere e proprie domande.
 
<< Tu vuoi parlare di Dorcas? >>.
 
Come previsto, niente domanda e prima esposizione: Kingsley aveva appena ammesso che per lui Amelia era il corrispettivo di quello che Dorcas stava iniziando ad essere per Fabian. Eccetto che Fabian non aveva paura di dare un nome a quella cosa.
 
<< Dorcas mi piace >> ammise Fabian senza vergogna << Non è una ragazza qualunque. Inizio a pensare che non si debba essere persone qualunque per attirare la sua attenzione… e indovina? Io ho intenzione di non essere uno qualunque, con buona pace di Gideon >>.
 
L’altro Prewett sospirò rivolgendo un’occhiata saputa al fratello, come a dirgli che di quello dovevano ancora discutere. Poi, però, indovinando il tentativo di Fabian nel far parlare l’amico, gli resse il gioco.
 
D’altronde tra loro andavano così, le cose.
 
<< Nemmeno Amelia è una persona come tutte le altre >> buttò lì, casualmente.
 
Kingsley nascose il volto oltre il fumo azzurro della pozione, ma non fece cadere l’argomento.
 
<< è incredibile il modo in cui riesce a non farsi delle antipatie in una scuola come questa, in cui la competizione è all’ordine del giorno >> mormorò alla fine, quando quasi i gemelli iniziavano a perdere la speranza.
 
<< Beh, si, è uno dei suoi lati positivi. È anche molto carina >> annuì Fabian dal suo posto, gettando i pungiglioni di Billywig nella pozione.
 
<
< Non assomiglia per niente a Edgar, hanno caratteri quasi opposti >> s’infiltrò ancora Gideon << E sembra sempre felice di stare in nostra compagnia >>.
 
Anche dal calderone dei gemelli, a poca distanza l’uno dall’altro, si sprigionò un fumo denso e azzurro, anche se di tonalità leggermente diverse tra loro.
 
<< Ho sentito che ha problemi in Pozioni, sai King? La sua media è appesa ad un filo. Visto che è di norma piuttosto felice di stare con noi e che tu sei un bravo pozionista, dovresti offrirti per darle una mano >>.
 
Quando il fumo azzurro si diradò, svelò ai gemelli un Kingsley Shacklebolt a sguardo basso, vagamente indeciso.
 
<< Si, sono sicuro che accetterebbe >> rincarò la dose Gideon, facendo seguito alle parole del fratello << Ha sempre avuto un po’ di problemi con Pozioni, ma credo che ultimamente sia peggiorata. Hai visto il braccio di Fenwick, no? >>.
 
<< Già >> annuì Fabian << E questa è la… terza? Si, la terza volta in un mese. Rischia una sospensione >>.
 
Shacklebolt si morse un labbro, cercando di mascherare l’imbarazzo dedicando la sua attenzione alla pozione in modo quasi ossessivo mentre aggiungeva la foglia di alloro.
 
<< Caradoc non si è offerta di aiutarla? >> chiese ostentando una disinvoltura che palesemente non possedeva << Lui è migliore di me, in pozioni >>.
 
<< Ah, Caradoc. Caradoc è troppo impegnato ultimamente. E sembra che non abbia più nemmeno la testa sul collo, nelle ultime settimane >>.
 
Alle asserzioni dei gemelli, fatte ad alta voce in tono palesemente rassicurante, il Corvonero impegnato nella sua pozione nel tavolo affianco, occupato anche da Hestia, scoccò la lingua irritato ma non smentì, mangiando la foglia.
 
<< Troppo occupato, direi. Voglio bene a Meli, ovvio, ma c’è questa Penny Gerard, di Corvonero… >> esclamò scrollando il capo, come a fare cenno a Kingsley di rassegnarsi.
 
Kingsley spense il fuoco sotto il calderone, alzò lo sguardo e incrociò le braccia al petto, guardandoli uno per uno vagamente divertito.
 
<< Credete che io sia così scemo? >> esclamò un po’ esasperato << So benissimo cosa state cercando di fare >>.
 
Fabian si morse un labbro.
 
<< E ci stiamo riuscendo? >>.
 
Shacklebolt riempì di pozione una fiala e non rispose.
 
Pensò solo che, per fortuna, Edgar aveva abbandonato Pozioni dopo i GUFO.
 
 
 
***
 
 
 
<< Quindi, Fenwick, sei contento di essere in coppia con me per il progetto di Babbanologia? >>.
 
Benjamin alzò gli occhi dal libro su cui stava cercando notizie sui metodi di vacanza babbani per puntare uno sguardo divertito negli occhi di Amelia Bones.
 
<< Lo sarò di più se dimostrerai di cavartela meglio che in Pozioni >> rispose tornando a sfogliare il libro con pazienza, soffocando un sorrisetto sornione.
 
La Bones non era male come compagnia. Sapeva quando stare zitta e quando parlare alleviando l’atmosfera e sapeva ridere, facendo sorridere anche lui. Non era una cosa da tutti, questa.
 
Alla sua battuta, Amelia si prese la libertà di schiaffeggiarlo in modo scherzoso su una spalla, fingendo di offendersi.
 
<< Guarda che il nostro ultimo incidente a Pozioni è stato un caso isolato, come potevo sapere che mischiando gli aghi di porcospino all’infuso di calendula il calderone sarebbe scoppiato? >>
 
<< Beh, ad esempio potevi ascoltare quando, due secondi prima che tu aggiungessi gli aghi di porcospino all’infuso di calendula, Lumacorno ha detto che non si dovevano aggiungere gli aghi di porcospino all’infuso di calendula >>.
 
Amelia trattenne a malapena una risata accentuando il finto broncio offeso.
 
<< Nelle istruzioni per la pozione c’era scritto, cito testuali parole: “mescolare quattro volte in senso antiorario l’infuso di calendula, aggiungere due foglie di menta verde marina e venti aghi di porcospino” >> ribatté sfoderando l’indice con puntiglio << Lo dicevano le istruzioni, Fenwick! >>.
 
<< l’infuso di calendula è fatto con acqua e foglie essiccate di calendula. Se tu ci aggiungi la menta, non è più infuso di calendula, e allora puoi aggiungere gli aghi di porcospino. Se ti dimentichi le foglie di menta quello che ottieni è questo! >> scosse la testa Benjamin, divertito, mostrandogli l’avambraccio sinistro fasciato << Ma guarda il lato positivo, pianificare una vacanza sulla strada secondo i modi babbani non prevede esplosioni di sorta, per cui almeno da questa biblioteca avrò la possibilità di uscire con il braccio e mezzo che ancora mi resta >>.
 
Amelia scoppiò definitivamente a ridere, zittendosi quando l’occhiata oltraggiata della bibliotecaria la raggiunse.
 
<< Le pozioni non sono il mio forte >> ammise alla fine iniziando a sfogliare un libro e seguendo con l’indice curato il sommario con attenzione.
 
Benjamin fece un cenno con la testa, come a dire che se ne era accorto, e accolse il silenzio chinando nuovamente la testa sul libro e riprendendo a leggere.
 
La sezione di Babbanologia della Biblioteca ad Hogwarts consisteva in uno sparuto insieme di libri, non più di un centinaio, raccolti in pochi scaffali giusto vicino all’entrata. I due occupavano il tavolo di legno proprio davanti a quegli scaffali.
 
<< Lo sai, Fenwick? In questi giorni sei strano >> mormorò alla fine di un lungo silenzio la Tassorosso, in tono leggero.
 
Benjamin rispose con lo stesso tono lieve.
 
<< E questo lo dici sulla base della tua approfondita conoscenza con me? >>.
 
La Bones gli rivolse uno sguardo piccato, arricciando la fronte.
 
<< Lo dice Dorcas a causa della sua approfondita conoscenza con te. E io le credo. Quella ragazza ha gli occhi di un falco, se dice che sei strano vuol dire che sei strano. Insomma, più del solito intendo >>.
 
Fenwick la guardò divertito: ci voleva talento ad essere irriverente ma amichevole, capace di prendere in giro con un sorriso da bambola di porcellana.
 
<< Grazie Bones >> rispose alla fine.
 
<< Dovere. Comunque, stavamo dicendo. Sei strano. C’entra la Rosier? Due settimane fa ti guardava come se le avessi fregato tutti i regali di Natale da sotto l’albero e stamattina tubavate come piccioni in amore, a colazione >>.
 
<< Chi tubava come piccioni in amore con chi, Meli? >>.
 
Sturgis Podmore, uno dei Prewett e Caradoc Dearborn erano comparsi all’improvviso nell’ingresso della biblioteca, l’ultimo dei tre con diversi tomi alla mano presi probabilmente dal reparto di Aritmanzia vista la direzione da cui provenivano i tre.
 
<< Podmore, prima o poi a forza di origliare sentirai qualcosa di spiacevole. Quel giorno, non venire a piangere da me perché ti riderò in faccia >>
  esclamò con puntiglio Amelia salutando i tre con un sorriso lezioso e affrettandosi a sgomberare il tavolo.
 
Benjamin constatò come a quanto pareva il loro pomeriggio di studi di Babbanologia fosse appena giunto al termine.
 
<< Bones, ti avrò pescato ad origliare conversazioni altrui almeno una ventina di volte dall’inizio di quest’anno. Dai, dimmi chi è che tubava con chi! >>.
 
<< Hestia Jones e Trevor Taylor, di Tassorosso >> si intromise Benjamin velocemente, richiudendo un tomo pesante e alzando uno sguardo soddisfatto sul Prefetto Tassorosso.
 
Prewett e Caradoc, ugualmente divertiti, guardarono il proprio amico aprire e richiudere la bocca in un silenzio oltraggiato mentre Fenwick riponeva nella borsa le ultime cose. Alla fine Podmore chiuse la bocca e strizzò gli occhi in direzione del Serpeverde.
 
<< Non c’è nessun Trevor Taylor a Tassorosso, vero? >>.
 
Fenwick alzò le spalle, aggiustandosi la borsa a tracolla.
 
 
 
***
 
 
 
Mentre gli altri lo precedevano fuori dalla biblioteca tutti insieme Dearborn si rivolse alla ragazza al banco per segnalare il prestito.
 
<< Jennifer, hai messo gli occhiali, intrigante! Ti stanno bene >>la salutò con un sorriso galante.
 
La ragazza, Jennifer Thomson, lo guardò da dietro le lenti rettangolari rispondendo con un sorrisetto divertito e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
<< Ci abbiamo già provato, Caradoc. Non ha funzionato >> scosse la testa divertita.
 
Erano usciti insieme, lui e la Tassorosso del settimo anno, l’anno prima.
 
<< Già, proprio un peccato >> annuì mentre la ragazza prendeva i libri uno per uno per segnarli con un tocco di bacchetta.
 
<< Senti, a questo proposito… conosci quel bel ragazzo che è uscito con i tuoi amici? >>.
 
Jennifer indicò con un cenno della testa la porta d’ingresso alla biblioteca, oltre la quale il gruppetto di ragazzi era ancora parzialmente visibile. Sturgis e Amelia stavano ancora battibeccando e Gideon e Fenwick facevano da spettatori.
 
<< Credevo conoscessi Gideon >>.
 
Il sorrisetto della ragazza si allargò, ricordando vagamente a Caradoc un gatto intento a guardare un topolino.  Si chiese se anche lui di tanto in tanto, quando puntava una ragazza, facesse quell’espressione.
 
Agghiacciante.
 
<< Non c’è persona in tutto il castello che non conosca i Prewett, Caradoc. Intendevo l’altro. È un Serpeverde? Ho iniziato a stare al banco qui in biblioteca da un paio di settimane, e l’ho visto spesso >>.
 
Fenwick in quel momento si voltò verso di loro e, sorprendendo entrambi i giovani con gli occhi puntati su di lui assottigliò lo sguardo come a chiedere se andasse tutto bene. Caradoc gli fece un cenno tranquillo, voltandosi verso Jennifer.
 
<< Si, è Serpeverde >> mormorò brevemente riprendendo i libri in una mano e facendo attenzione a impilarli nella borsa. Alla fine sorrise verso la ragazza, sospirando << Proverò a mettere una buona parola per te, nei prossimi giorni >>.
 
Il sorriso solare di Jennifer gli riportò alla mente perché l’anno prima aveva provato a corteggiarla. Era una ragazza per bene, tranquilla e allegra.
 
Fenwick non l’avrebbe degnata di uno sguardo, si disse.
 
 
 
***
 
 
 
<< Ehi, ma quella non era Jennifer? >> domandò Sturgis non appena il suo migliore amico raggiunse il gruppo << Mi piaceva Jennifer! Com’è che è finita tra voi? >>.
 
Dearborn gli rivolse appena uno sguardo, scrollando le spalle come se non gliene importasse nulla.
 
<< Scusatemi, io e Max dobbiamo andare da Vitious perché firmi il passaggio di ruolo tra capitani e sono già in ritardo. Ci vediamo a cena >>.
 
Senza nemmeno aspettare che gli altri ricambiassero il saluto o avessero modo di dire una qualsiasi cosa, Dearborn scomparve dietro l’angolo e in breve tempo lo fece anche il rumore dei suoi passi. Sturgis, vicino ad Amelia, si adombrò sembrando d’un tratto perdere la voglia di scherzare mentre Gideon, dall’altro lato, sbuffò.
 
<< Avete capito cosa ha? Sembra una donna mestruata in questi giorni >> borbottò Prewett, facendo poi spallucce << Più del solito. Varia dall’esaltazione all’apatia più totale in meno di un attimo >>.
 
Amelia trattenne una risata.
 
<< Magari è il cambio di stagione. So per certo che più di una persona in questo periodo è strana >>.
 
Sturgis e Gideon la guardarono sospettosi, poi si voltarono verso Benjamin quando si schiarì la gola.
 
<< Io dovrei tornare in Sala Comune prima di cena, comunque. Buona serata >>.
 
La fuga di Fenwick costrinse Podmore e Prewett a scambiarsi un’occhiata stranita prima di tornare con lo sguardo su Amelia, che invece sembrava non aver notato nulla di strano.
 
<< Non capirò mai perché quei due si sopportino così poco >> disse Gideon.
 
Il sorriso della Bones, nascosto sotto la cortina di capelli castani, si fece sornione.
 
 
 
***
 
 
 
La riva del Lago Nero era prevedibilmente deserta visto il forte vento gelido che soffiava da Nord da qualche giorno, ormai, rendendo quasi impraticabili tutti i giardini di Hogwarts. Perfino per dirigersi alle Serre, per la lezione di Erbologia, gli studenti erano obbligati a bardarsi come tanti uomini delle nevi.
 
Il vento del Nord a Dorcas piaceva per tanti motivi, primo fra tutti proprio perché contribuiva a rendere i giardini praticamente deserti.
 
Nata e cresciuta in Scozia, ci voleva ben più di qualche sferzata di vento per farla desistere dall’uscire dal castello.
 
<< Ehi, tu! Non dovresti essere qui, con questo vento. Ti prenderai un malanno! >>.
 
A quanto pareva il vento gelido del Nord non scoraggiava proprio tutti.
 
Dorcas si voltò; coperta dal mantello più caldo che aveva e da una sciarpa di lana spessa non era stupita che i due non l’avessero riconosciuta. Kingsley Shacklebolt e uno dei Prewett, anche loro bardati da caldi mantelli ma chiaramente riconoscibili, avevano l’aria di ambire il posto più caldo della Sala Comune e una tazza di tisana tra le mani mentre si allontanavano dal campo di Quidditch per ritornare al castello.
 
<< Kingsley, Fabian. Non vale la stessa cosa per voi? >> chiese Dorcas abbassando lievemente il cappuccio del mantello per farsi riconoscere. Si trovò costretta ad alzare la voce per farsi udire al di sopra del sibilo del vento << Credevo che gli allenamenti di Quidditch fossero stati cancellati a causa del clima! >>.
 
I due, sorpresi, le sorrisero in segno di saluto quando la riconobbero.
 
<< Dorcas! >> la salutò Kingsley, stringendosi nel mantello e alzando il tono di voce << Si, è vero, gli allenamenti sono sospesi fino a data da destinarsi, per decisione del Preside. Questa settimana ho io la responsabilità del campo, dovevo controllare che non ci fossero danni ingenti a causa della tempesta di questa notte. Fabian mi ha accompagnato >>.
 
<< Tu che ci fai qui? >> chiese incuriosito Fabian.
 
<< Prendo una boccata d’aria >> sorrise indicandosi attorno, alludendo al clima che li circondava.
 
Sia Kingsley che Fabian ridacchiarono. Poi Prewett rivolse una lunga occhiata al Caposcuola, che sbattè le palpebre un po’ stupito e indicò il castello.
 
<< Scusate, non sopporto il freddo. Devo proprio rientrare. Si io devo… proprio rientrare. Ci vediamo >>.
 
Andò via continuando a borbottare, ma il suono delle sue parole si perse nel vento scomparendo quando si allontanò dai due rimasti. Dorcas non dava cenno di volersi muovere e Fabian aveva abbassato lo sguardo quando Kingsley li aveva lasciati soli.
 
<< Allora, tu alla fine sei… >>
 
< < La partita di domenica scorsa è stata... >>.
 
Silenzio. Un imbarazzato silenzio da parte di entrambi. Fabian sorrise e alzò lo sguardo in un impeto di coraggio.
 
<< Prima le signore! Cosa stavi dicendo? >>.
 
Dorcas, il volto parzialmente nascosto dal cappuccio scuro, si morse un labbro per trattenere un sorriso.
 
<< La partita è stata interessante, Domenica scorsa. Sono contenta che abbiate vinto, anche se Benji non è della stessa idea >>.
 
<< No, lo immaginavo >> rispose ridendo Fabian << La partita è stata impegnativa ma la vittoria è stata meritata. Ma so di non essere imparziale nel dirlo, quindi non farci caso. Come capitano mi sento in dovere di coccolare la mia squadra quando si comporta bene! >>.
 
<< Non è quello che fanno tutti i buoni capitani? >>.
 
L’ultimo sorriso Fabian lo soffocò nella sciarpa che gli avvolgeva il collo, stranamente timido. Le cose più inaspettate le faceva sempre con quella ragazza vicina, ormai, e non si sorprendeva nemmeno più della cosa.
 
<< Hai freddo alle mani? Dovrei avere un paio di guanti, da qualche parte >>.
 
La domanda del ragazzo colse la Corvonero proprio nell’atto di sfregarsi le mani indolenzite dal freddo.
 
<< Oh, non fa niente, io ho dimenticato i miei in camera >>.
 
<< Prendili. Tienili pure, avere un paio di guanti in più di questa stagione non fa mai male>>.
 
Erano un semplice paio di guanti azzurro cielo che Fabian aveva tirato fuori da una delle tasche del mantello, in fretta.
 
<< E a te restano solo quelli che indossi? >>.
 
<< Oh, non ti preoccupare. Ne ho decine di paia, Molly me ne invia praticamente uno diverso ogni settimana >> scrollò le spalle << Molly è mia sorella. Lavora a maglia, tantissimo. Del tipo che se volesse potrebbe vestire tutta Hogwarts con tutti i pezzi di vestiario che fa. Li regala a tutti quelli che conosce… credo anzi che suo marito lo abbia conquistato proprio così, a colpi di ferri da maglia >>.
 
Le risate dei sue si spensero poco dopo nel vento, e di nuovo quel silenzio un po’ imbarazzato di poco prima calò su di loro a poco a poco.
 
Dorcas teneva lo sguardo fisso sul lago, seguendo con gli occhi le increspature che il vento forte causava sulla sua superficie e che andavano ad infrangersi sui pochi massi e sulla riva. Ogni tanto, senza farsi notare, spostava lo sguardo sulle mani guantate.
 
<< è bello? >> mormorò alla fine, incerta. Probabilmente Fabian non l’avrebbe sentita. Non era in effetti del tutto sicura di aver voluto che Fabian sentisse.
 
<< Il panorama? >>.
 
Alla fine aveva sentito, allora. Dorcas esitò, prima di scrollare la testa e continuare.
 
<< Avere una sorella >>.
 
Fabian stette un attimo in silenzio e se Dorcas avesse osato alzare lo sguardo certamente si sarebbe accorta di essere oggetto di una minuziosa occhiata incuriosita.
 
<< Si, è bello. Sono molto legato a Molly anche se non ci vediamo più molto. Non è troppo più grande di noi, non c’è molta differenza d’età. È diverso da… non so, avere un’amica. Anche Gideon, ad esempio. Non è mio amico. È qualcuno che, volente o nolente, mi troverò a dover sopportare per sempre. È una presenza costante, anche se non costantemente presente. Non so se mi spiego, in realtà. Credo di averti confuso, più che altro, scusami >>.
 
<< No, no. Io credo di aver capito. Deve essere bello, non essere mai veramente sola >>.
 
Lo sguardo di Fabian adesso pesava con tutto il suo carico, Dorcas poteva quasi sentirlo puntato su di se, per questo alzò gli occhi. Come aveva previsto, quelli azzurrissimi di Prewett la stavano osservando con attenzione e dolcezza, e oltre l’imbarazzo inevitabile la ragazza sentì quasi calore sotto quello sguardo pacato.
 
<< Tu non lo sei. Sola, intendo >>.
 
Fabian si era espresso senza alcuna pietà nel tono di voce, con una tenerezza che Dorcas non era abituata a sentirsi più rivolgere da un pezzo. Sembrava quasi che gli importasse.
 
<< Credo che dovrei rientrare >> tagliò corto la ragazza scuotendo la testa, come a scacciare via quei pensieri un po’ molesti << Altrimenti mi prenderò davvero un malanno >>.
 
<< Dorcas, aspetta >>.
 
Uno strano calore alla mano, Dorcas impiegò alcuni secondi per realizzare a pieno la cosa. Si fermò dopo alcuni passi fatti in direzione del castello e capì che qualcosa l’aveva intercettata. Dimenticandosi del vento, del freddo e di tutto il resto, fissò per qualche attimo la sua mano destra, bloccata tra le mani di Fabian in una morbida stretta protettrice. Alzò gli occhi quando il vento gli fece cadere il cappuccio del mantello, esponendo il suo volto a gelide sferzate impietose.
 
Deglutì, abbassò lo sguardo e quasi si spaventò quando la mano sinistra del ragazzo lasciò la sua per arrivarle all’altezza degli occhi. Il Grifondoro le alzò di nuovo il cappuccio sulla testa, coprendole il capo e indugiando per qualche istante vicino alla sua tempia destra, una ciocca di capelli tra le dita.
 
<< Devo… davvero rientrare >> si sottrasse con gentilezza, cercando di recuperare il fiato che Fabian le aveva sottratto con quel semplice gesto << Scusami >>.
 
A passi veloci si diresse verso il castello ma non aveva compiuto che una decina di metri quando si accorse che il ragazzo la stava seguendo. Per un attimo temette che lui avrebbe insistito, con che cosa bene non lo sapeva, che avrebbe voluto parlare ancora o fermarla o chissà che. Invece Prewett si limitò a seguirla, qualche passo dietro di lei in una sorta di reverenziale rispetto. Silenzioso, ma presente.
 
Quando entrarono nel castello Dorcas si preparò a sentire il viso gelido pizzicare a causa della differenza di temperatura tra esterno ed interno. Quando non sentì nulla del genere, solo un piacevole calore, tolse un guanto e si passo le mani ora calde sul viso.
 
Scottava sulle guance. Era arrossita.
 
Davanti alla Sala Grande si fermarono entrambi; Dorcas si voltò verso di lui per salutarlo cercando di celare il rossore mantenendo il capo chino.
 
<< Buona serata >> mormorò.
 
Fabian esitò un attimo ancora, poi portando due dita sotto il suo mento le alzò il volto fino a quando con gli occhi non incontrò i suoi. Fece un sorriso felice, e lei si sentì arrossire ancora di più.
 
<< Anche a te >>.
 
Restò ferma a guardarlo andare via, imbarazzata, il volto ancora in fiamme.
 
In cosa era andata a cacciarsi?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE 2:
 
un anno fa, più o meno, il mio pc da un giorno all’altro è andato in un posto migliore, lasciandomi in braghe di tela. Grazie a un magnifico tecnico del computer sono riuscita a recuperare buona parte di quello che c’era dentro, compresa la cartella di questa storia, mettendo il tutto in un disco esterno così da scongiurare la possibilità di perderlo se si fosse fuso un altro computer. Ovviamente a fondersi è stato invece il disco esterno, a febbraio di quest’anno, e io ho perso tutto. Dovrebbe esserci una chiavetta voltante a casa mia con ancora salvato qualcosa ma non sono riuscita ancora a trovarla. In quella famosa cartella c’era un file di una pagina intitolato “corsi” in cui mi ero appuntata i diversi corsi che ogni studente di questa scuola seguiva, tanto per non fare confusione, ma ovviamente non me li ricordo a memoria e ora che l’ho perso sono certa che farò confusione. Tutto questo per dire che se notate incongruenze (tipo che Edgar prima seguiva pozioni e adesso non la segue più, ecc) è colpa del mio pessimo rapporto con la tecnologia, quindi mi scuso già in anticipo. Ricreerò il file quando decreterò definitivamente dispersa anche la chiavetta di cui sopra.
Dunque, come dicevo sopra, provo a darmi la scadenza di un mese a partire da oggi per pubblicare il capitolo successivo. Se la data del 19 Ottobre dovesse passare senza una mia pubblicazione, vi prego di prendermi a male parole via messaggio personale, senza farvi problemi, perché me lo meriterei.
Grazie mille per l’attenzione a chi è arrivato fino a qui,
Hir

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Capitolo 21
*** 19. Capitolo 19 ***


CAPITOLO 19
 
 
 
 
La solitudine ha, a volte, colori e sfumature inattesi, sorprendenti.
È una stanza vuota dove risuona la propria anima, la propria sensibilità.
(Paolo Crepet)
 
 
 
Sala Grande
 
<< Il succo di zucca ha un colore felice, non credi? >>.
 
Sturgis Podmore dedicò al proprio migliore amico, seduto davanti a lui dall’altra parte del tavolo, una lunga occhiata scettica.
 
<< Che c’è, non sei d’accordo? >> insistette Caradoc, portandosi una generosa porzione di bacon alla bocca.
 
Hestia, accanto al proprio ragazzo, decise di intervenire prima che Sturgis –ancora annebbiato dal sonno- compisse qualcosa di irreparabile.
 
<< Ma il tuo stomaco non ce l’ha un fondo? Giuro, Caradoc, in dieci minuti sei riuscito a spazzolare più di quanto io e Sturgis riusciremmo a mangiare in un’ora >>.
 
Podmore diede in un gemito sofferto.
 
<< E avevi detto di non avere nemmeno tanta fame >>.
 
Il ragazzo sotto esame, la bocca piena di uova, smise per un attimo appena di masticare. Parve riflettere attentamente, come incerto se rispondere a parole oppure no, poi fece spallucce.
 
<< Dunque, adesso ci aspettano due ore di lezione >> disse alla fine deglutendo il boccone e pulendosi la bocca con il tovagliolo << Come ve la cavate con l’incanto Estensivo Irriconoscibile? >>.
 
Hestia prese un ultimo sorso di succo di zucca prima di alzarsi.
 
<< Non so come tu faccia ad essere così di buon umore a quest’ora del mattino. Vado a prendere la relazione per Vitious, l’ho dimenticata in camera, ci vediamo direttamente a lezione >>.
 
Caradoc e Sturgis guardarono la ragazza andare via, poi si voltarono verso l’unica presenza che ancora non aveva spiaccicato parola.
 
<< Dunque, Dorcas, che si dice di bello tra voi del sesto anno? >>.
 
La ragazza, compassata, finì di masticare il boccone che aveva in bocca e lo accompagnò con un sorso di tè caldo. Faceva colazione con loro, al mattino, ormai da quasi un mese ed era stata sorprendente la velocità e la naturalezza con cui si era introdotta in quella routine.
 
<< Niente che non si dica anche tra quelli del settimo. Avete notato che Benjamin non sta mangiando nulla a colazione? >>.
 
Podmore alzò lo sguardo per puntarlo al tavolo dei Serpeverde mentre Dearborn voltò la testa per osservare il ragazzo in lontananza. Fenwick alzò lo sguardo dal piatto semivuoto su cui stava rimestando un pezzo di bacon con la forchetta, li osservò guardarlo incuriositi e si infilò di prepotenza in bocca il bacon, come per metterli a tacere, roteando gli occhi. Poi tornò a farsi gli affari propri.
 
<<  Non avrà fame >> mormorò Dearborn tornando a fissarsi sul proprio piatto. Tagliò una salsiccia con l’ausilio del coltello e se ne portò un pezzo alla bocca, tornando ciarliero << Avete assaggiato queste salsiccie? Sono così buone! >>.
 
Sturgis spostò lo sguardo da Benjamin per puntarlo su Caradoc, schifato.
 
<< Non è solo oggi >> disse invece Dorcas, bevendo gli ultimi sorsi di tè << Sono giorni che non mangia nulla a colazione >>.
 
Dearborn fece spallucce guardandola alzarsi. La vide rivolgere un’ultima occhiata perplessa al tavolo dei Serpeverde e poi prendere la borsa. Si congedò con un cenno gentile del capo, dirigendosi a passo svelto verso la porta della sala.
 
Podmore uscì finalmente dal proprio solito mutismo pre-colazione. Aveva sempre avuto bisogno di un paio di uova e qualche salsiccia per carburare abbastanza da sostenere un’intera conversazione.
 
<< Sono contento che la Meadowes si stia sciogliendo un po’ >>.
 
<< Offre interessanti spunti di conversazione, in effetti >> annuì Caradoc << Ho pensato che potremmo dire a lei e a Fenwick di unirsi a noi per la festa di compleanno di Ed >>.
 
Sturgis inghiottì il boccone quasi strozzandosi per trattenere una risata.
 
<< Non vedo l’ora di vedere Benjamin alle prese con un mucchio di ex Tassorosso ed ex Grifondoro. Quando è con tutti noi ha sempre quell’espressione così... come se gli costasse fatica e dolore fisico non appenderci tutti al muro >>.
 
Questa volta la risata soffocata fu quella dell’amico.
 
<< Comunque Dorcas ha ragione, non ha mangiato praticamente niente >> continuò Sturgis aggiustandosi la tracolla della borsa sulla spalla e alzandosi dalla panca << Andiamo a lezione? >>.
 
Caradoc inforcò l’ennesimo pezzo di salsiccia e se lo infilò in bocca.
 
<< Ho ancora un po’ fame >> si scusò roteando la forchetta vuota e deglutendo il boccone << Precedimi, ti dispiace? >>.
 
 
***
 
 
Benjamin guardò Sturgis, in piedi vicino al tavolo di Corvonero, rivolgere un’occhiata scettica a Dearborn e poi dirigersi verso la porta della sala continuando ogni due o tre passi a voltare la testa per lanciare occhiate stranite al ragazzo ancora seduto.
 
Appena la sagoma di Podmore scomparve oltre la porta Caradoc Dearborn lasciò andare la forchetta con un gemito talmente forte da poter essere udito anche dal tavolo dei Serpeverde. Benjamin, dal canto suo, bevve un ultimo sorso di tè. Si alzò, si sistemò lo spallaccio della borsa con attenzione e poi circumnavigò il lungo tavolo di Serpeverde così da ritrovarsi, per poter uscire dalla stanza, a dover passare alle spalle di Dearborn.
 
Il Corvonero aveva il volto sofferente mentre allontanava da sé il piatto ancora ricolmo di cibo con uno sguardo dolente.
 
<< Ti sentirai male, un giorno di questi >> borbottò raggiungendolo alle spalle, e fermandosi ad aggiustarsi con finti movimenti distratti la cravatta.
 
Dearborn gli rivolse uno sguardo pigro.
 
<< La Meadowes si è accorta che non stai mangiando nulla >>.
 
Benjamin fece spallucce.
 
<< Mi sarei sorpreso del contrario, mi inventerò qualcosa. Tu invece mangi come uno struzzo, complimenti >>.
 
Senza dire altro, il Serpeverde staccò le mani dalla cravatta e riprese a camminare. Non uno sguardo in più, né una parola. Perfino ad un occhio attento i loro sarebbero risultati soltanto convenevoli.
 
Caradoc, dietro di lui, nascose la testa tra le braccia incrociate sul tavolo.
 
Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa, decise, altrimenti sarebbe finito in infermeria prima o poi.
 
Non era del tutto certo ne sarebbe valsa la pena.
 
 
***
 
 
Guferia
 
Amelia Bones non era esattamente la persona più sportiva di Hogwarts e per la maggior parte del tempo la cosa non era nemmeno un problema: la cosa più simile ad uno sport che avesse mai praticato era il volo e, dai, non è che ci volessero esattamente gli addominali di ferro per reggersi in groppa ad una scopa.
 
<< Mi puoi dire per quale motivo la guferia sta in cima ad una dannata torre? I gufi non hanno mica bisogno di prendere la rincorsa per spiccare il volo>>.
 
Miranda, sua compagna di dormitorio e migliore amica, faticava dietro di lei ansimando pesantemente a causa della fatica.
 
<< Quello che ci frega è che il nostro dormitorio è nei sotterranei, quindi ogni volta è come scalare il Ben Nevis partendo dal livello del mare >>.
 
Miranda le diede una pacca sulla spalla, indicando la cima della torre ancora distante sopra di loro.
 
<< Zitta e sali, che mancano ancora tre rampe di scale >>.
 
Avrebbero davvero dovuto fare sport, altro che scacchi magici in cui non dovevi nemmeno fare lo sforzo di muovere i pezzi.
 
L’aria di fine Novembre era talmente fredda da gelare l’apparato respiratorio anche soltanto inspirando ma il cielo terso di quel giorno bastava a mettere di buon umore la maggior parte degli studenti, per troppo tempo costretti al confinamento a causa del clima della settimana precedente.
 
<< Davvero gli allenamenti di Quidditch sono ripresi? >> domandò Miranda quando arrivarono in cima alla torre; la stanza in cui erano appollaiati i gufi era grande e per tre lati circondata da finestre prive di vetrate, per permettere agli animali di entrare ed uscire a piacimento.
 
<< Valli a capire, i giocatori di Quidditch. Fossi una scopa mi rifiuterei di alzarmi in volo >> rispose Amelia avvicinandosi ad una delle finestre e guardando l’esterno.
 
Salire tanto in alto poteva anche essere una faticaccia, ma il panorama ne valeva la pena. I prati del parco di Hogwarts risplendevano sotto la pallida luce del sole autunnale di un verde acceso e gli alti Sicomori della Foresta Proibita delineavano con i loro colori autunnali il profilo dei rilievi montuosi. In fondo, ad incontrare i prati e i boschi, la macchia scura del lago nero riluceva al sole con bagliori argentei la cui limpidezza bastava a ferire gli occhi di un osservatore troppo attento.
 
<< Domani si allenano i Grifondoro, vuoi che ti accompagni ai loro allenamenti? >>.
 
La domanda di Miranda era stata gentile ma procurò ad Amelia uno scatto nervoso.
 
<< Non ho alcuna intenzione di andare a vedere i Grifondoro >>.
 
Le bruciava ancora troppo il ricordo di come l’aveva trattata Gideon davanti a tutti all’ultimo allenamento a cui era andata ad assistere. Non le aveva nemmeno chiesto scusa, poi. E da allora Kingsley sembrava sempre in imbarazzo quando lei era nelle vicinanze.
 
<< Non capirò mai questo tuo assurdo comportamento >> mormorò Miranda in risposta, senza far caso al suo nervosismo << Sembri provare piacere nel farti del male >>.
 
<< Non capisco di cosa stai parlando >>.
 
<< Io credo invece che tu lo capisca perfino troppo bene >>.
 
Ed era vero, Miranda era l’unica a sapere tutto, e non perché lei le avesse mai svelato qualcosa. La qualità più grande e meravigliosa di Miranda era la capacità di scovare l’introvabile, di capire l’incomprensibile.
 
E la discrezione, ovviamente.
 
Senza quella seconda qualità la prima l’avrebbe messa nei guai e resa antipatica a tutti.
 
Amelia si voltò dando le spalle alla finestra e guardando con calma la sua migliore amica negli occhi.
 
<< Devo lasciarlo andare >>.
 
Fu doloroso dirlo, ma anche immensamente liberatorio. Non si permetteva mai di parlarne con qualcuno che non fosse Miranda e, diamine, chi poteva saperlo che innamorarsi a sedici anni potesse fare così male?
 
Si chiese per quale motivo gli adulti prendessero in giro la profondità dei sentimenti degli adolescenti. Non c’era proprio niente da ridere in quello che sentiva.
 
<< Oppure puoi dirglielo >> fece spallucce Miranda. Si azzittì un secondo e poi scosse il capo << Quello che non puoi fare è continuare su questa strada. Melia, dici di sapere che tra di voi non può esserci nulla, dici di esserti rassegnata, ma non ti rassegnerai mai se continuerai a sperare >>.
 
Ogni dannata parola faceva male, e lo faceva perché in fondo era la verità. Lei lo sapeva.
 
<< Quindi smetto di sperare? >>.
 
Lo disse con la voce ridotta a un filo. Non voleva fare la figura della frignona, davvero, ma non poté impedire ai suoi occhi di diventare lucidi.
 
<< Melia, cosa…? >>.
 
<< Sono una stupida >> scoppiò in singhiozzi all’improvviso. Si coprì il volto con le mani per attutirne il rumore e nascondere quelle lacrime infami alla vista, ma presto sentì le gelide punte delle dita di Mirando intrufolarsi tra le sue per liberarle il viso. La ragazza le asciugò le lacrime con uno sguardo dispiaciuto ma dolce sul volto e poi le passò le braccia attorno alle spalle, per attirarla in un lungo abbraccio con tanto di dondolio sul posto.
 
<< Paul non mi ha più risposto >> singhiozzò Amelia tirando sonoramente su col naso e nascondendo il volto nell’incavo del collo dell’amica << Gli ho scritto una settimana fa e non mi ha più risposto e non so come mai. Hestia adesso parla sempre di Dorcas e alla fine dell’ultima partita di Quidditch di Grifondoro Kingsley e Olave tubavano come piccioncini. E poi c’è quel dannato Club dei Duellanti, sono tutti iscritti lì e quando non sono impegnati fisicamente non fanno altro che parlarne. E Gideon quando siamo tutti insieme fa sempre queste battutine orribili, tanto lo so che ormai Kingsley lo ha capito e chissà quanto mi prendono in giro tutti insieme >>.
 
 
***
 
 
Quando la maggior parte degli studenti guardava Amelia Bones, sempre sorridente e allegra e vivace, vedeva una ragazza ottimista sempre con il sorriso sulle labbra che non se la prendeva mai con nessuno e stava in pace anche con se stessa.
 
Andava d’accordo con il più sbruffone dei Grifondoro come con il più saputello dei Corvonero, con il Prefetto di Tassorosso come con Cinthia la vipera di Serpeverde. Non si negava mai, e anche se non eccelleva in nessuna materia scolastica aveva talmente tanta voglia di mettersi alla prova e di riuscire nei suoi compiti da essersi accattivata le simpatie di tutti i professori.
 
Era una colonna all’interno di ogni struttura di cui faceva parte, ma non aveva veri e propri rapporti di salda amicizia con nessuno fuorché Miranda.
 
Amelia Bones raggiungeva a stento il metro e mezzo di statura e tuttavia nessuno sembrava mai notarlo.
 
Perfino quelle come lei avevano bisogno di cedere, di tanto in tanto.
 
<< Shacklebolt non mi sembra proprio il tipo da prendere in giro qualcuno, qualunque sia il motivo. E poi quel ragazzo ti adora >> esordì alla fine Miranda, quando Amelia smise di piangere e insieme si sedettero sul pavimento lercio della guferia. Miranda alzò la voce per sovrastare l’inizio della replica dell’amica << …e si, magari non nel modo in cui vorresti essere adorata da lui, lo so, ma è meglio di niente, no? Hestia non ti sta mettendo da parte solo perché adesso ha conosciuto Dorcas Meadowes. Certo, studiano insieme molte volte, ma spesso sei anche tu con loro e non mi pare che prima della Meadowes vi vedeste di più. Sei frustrata dalla situazione, sei nervosa e vedi solo il lato più negativo di ogni cosa. Sei umana, Melia, è normale. Sei una meravigliosa umana, tra l’altro; e se Shacklebolt preferisce tubare con la Danes che con te allora forse è davvero un idiota e noi lo avevamo sopravvalutato >>.
 
<< Oh, ti prego, non attaccare con la solfa del “se non ha notato quanto sei meravigliosa allora non ti merita”, è così banale >>.
 
Miranda le rivolse un lungo sguardo offeso.
 
<< Non è banale, è semplice. E vero, profondamente vero: chi non si prende il disturbo di conoscerti in profondità non merita nemmeno un tuo sorriso, figurati se merita una tua lacrima. Tu sei una persona meravigliosa, Meli. E per quel che riguarda Vance, non ho intenzione di esprimermi >>.
 
Amelia Bones a Hogwarts occupava uno spazio tutto suo, vicino a tutti ma insieme a nessuno.
 
Doveva essere frustrante essere lei.
 
 
***
 
 
Torre di Corvonero, Sala Comune
 
Caradoc alzò gli occhi su Hestia, rannicchiata a leggere un libro nella poltrona accanto alla sua.
 
Il pallido sole invernale, in quel tardo pomeriggio di inizio dicembre, attraverso le grandi vetrate della Sala Comune di Corvonero disegnava il profilo della ragazza con delicati riflessi d’oro. A volte, quando la vedeva così, Caradoc riusciva quasi a capire l’amore folle e totale che sembrava muovere ogni azione del proprio migliore amico.
 
<< Non capirò mai come tu faccia a concentrarti sulla lettura in quella posa scomoda >> la canzonò chiudendo il libro di pozioni che aveva tra le mani e accarezzandone la copertina con il palmo destro.
 
La ragazza distolse l’attenzione dal libro, puntando lo sguardo in quello di Caradoc, e diede in un lieve sorriso divertito.
 
<< Se io dovessi fare una lista di tutte le cose di te che non capisco, non so nemmeno se finirei in tempo per l’inizio delle lezioni di domani mattina >>.
 
<< Esagerata >>.
 
Il libro a cui la ragazza si stava dedicando non doveva essere molto entusiasmante poiché normalmente, quando Hestia leggeva, non permetteva a nessuno di interromperla. Quando Caradoc replicò, invece, chiuse il libro e lo mise da parte, in bilico su uno dei braccioli della poltrona.
 
<< Mutare forma ma non sostanza >> lesse Caradoc ad alta voce, inclinando la testa per seguire l’andamento del titolo << Non sapevo ti interessasse questa branca della magia >>.
 
La ragazza arricciò le labbra.
 
<< Non credo che mi interesserà mai, infatti. Ma non c’è niente di male nel tenersi informati, giusto? >>.
 
Caradoc scrollò le spalle, mettendo anch’egli il proprio libro da parte e rivolgendo uno sguardo alle grandi vetrate d’innanzi a se.
 
<< È bello che sia tornato ancora un po’ il sole in questi giorni. Dopo il clima della settimana scorsa mi ero quasi rassegnato a passare tutto il tempo prima delle vacanze di Natale all’interno del castello >>.
 
Il forte vento della settimana precedente, infatti, aveva lasciato spazio ad un chiaro cielo sereno e ad un pallido e freddo sole, più unico che raro generalmente nell’autunno scozzese.
 
<< Quindi era questo che ti era preso nei giorni scorsi? >>.
 
La ragazza, che aveva posto la domanda con disinvoltura, si vide riservare in risposta una lunga occhiata incolore.
 
<< Che c’è? >> domandò quindi con un sorrisetto << Non vorrai mica dirmi che mi sono immaginata tutto! Non sono stata l’unica a notarlo, comunque. Sembra che l’aver dovuto passare una settimana al chiuso ti abbia un po’ abbacchiato >>.
 
<< Abbacchiato >> ripeté Caradoc scettico.
 
<< Si, sai… gli altri hanno pensato che fosse per il Quidditch, e un po’ l’ho pensato anche io, se devo essere sincera. Ma nella scorsa settimana gli allenamenti erano sospesi, e tu eri truce più che mai. E adesso, che gli allenamenti sono ripresi regolarmente da tre giorni, sei tranquillo. Quindi, non è il Quidditch >>.
 
<< Però, mai pensato di fare l’Auror? >>.
 
Hestia arricciò le labbra in una smorfia divertita.
 
<< Preferisco la carriera diplomatica. Sai, ho all’attivo anni di mediazione tra te e Sturgis >>.
 
Caradoc ridacchiò, poi inaspettatamente riprese l’argomento.
 
<< Quindi secondo te cosa ho? >>.
 
Hestia Jones si raddrizzò sulla poltrona per osservarlo meglio.
 
Si vantava di conoscere bene i suoi amici, e Caradoc più di chiunque tra di loro –insomma, per quanto uno come Dearborn potesse essere conosciuto-. In quegli anni aveva imparato che girare intorno ad un argomento con Caradoc non serviva a niente: se voleva parlartene, lo faceva spontaneamente. Se non lo faceva, a nulla servivano i raggiri, le torture e i musi lunghi.
 
Quando invece era lui a girare intorno alle cose, tutto era un po’ più complicato. I suoi sacri segreti finivano sempre per trascinarlo in infermeria, oppure sull’orlo di una grandissima crisi di nervi che prima o poi sarebbe scoppiata mandandolo in pezzi.
 
<< Non sono ancora giunta ad una conclusione soddisfacente >> mormorò alzandosi dalla poltrona e dirigendosi verso le vetrate. Da lì guardò fuori, il profilo delle montagne e gli alberi in parte spogli. << Quello che ho capito fino ad ora è che, qualunque cosa sia, accade al mattino >>.
 
<< Ma davvero? >>.
 
<< Si, davvero. A colazione sei entusiasta e pimpante come un bambino la mattina di Natale, poi via via che il giorno passa diventi sempre più distratto e a volte irascibile. Fino ad arrivare alla sera, in cui sembri quasi febbrile… come se aspettassi con ansia qualcosa >>.
 
Caradoc durante tutto il discorso aveva arricciato la fronte.
 
<< Sei davvero sveglia >>.
 
<< Cosa sarebbe quel tono stupito? >> si finse offesa buttando la cosa sul ridere.
 
Poi si accorse che Caradoc non stava ridendo affatto. Guardava con occhi chiari e limpidi le vetrate che davano sulle montagne, la linea del collo dritta a mantenere la testa alta e le labbra piene distese in una morbida curva. Stava sorridendo, ma non a lei. Né al loro discorso.
 
Alla fine si schiarì la voce, Hestia, capendo di aver perso totalmente l’attenzione dell’amico da un pezzo.
 
<>
 
Dearborn si voltò verso di lei dopo qualche attimo ancora. Il sorriso si ingentilì e gli occhi attenti trovarono il suo sguardo.
 
<< Dimmi >>.
 
<< Mi prometti che starai attento a non farti male? >>.
 
Questa volta il ragazzo parve stupito da una tale domanda.
 
<< Perché pensi che potrei farmi male? >>.
 
Domanda legittima, quella.
 
Tra tutti i loro amici, lei era sicuramente quella che aveva più affinità con Caradoc Dearborn.
 
In primo luogo, erano amici da più tempo di tutti gli altri –la qual cosa doveva pur contare, in fondo-. Secondo punto, Hestia Jones da che mondo era mondo aveva nel loro piccolo gruppo il ruolo di diario segreto e saper comprendere le persone era un po’ la sua qualità. Infine, la loro amicizia non era nata da un momento di complicità, come quella tra Caradoc e Sturgis, né dalla familiarità con cui si erano avvicinati i Prewett, a forza di frequentarli per vie trasverse. No. Hestia Jones e Caradoc Dearborn si erano seduti vicini alla prima lezione di Incantesimi e da quel tavolo, per così dire, non si erano mai più alzati. Non lo avevano fatto in sei anni, e non lo avrebbero fatto in tutta la vita che restava loro. Perché trovarsi in quel modo è un debito che non si finisce mai di ripagare.
 
<< Perché non ti ho mai visto così. Un po’ mi spaventa, questo. Ma se sei felice anche io lo sono con te >>.
 
La lunga occhiata che si sentì riservare la fece sentire fortemente studiata. Caradoc non sorrideva più, e sembrava pensare a qualcosa in modo molto intenso.
 
<< Un giorno ne riparleremo >>.
 
Detta in quel modo aveva tutta l’aria d’un’amara previsione.
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
 
Direi che la cosa della scadenza ha funzionato più o meno a dovere, quindi proviamo a mantenerla. Il capitolo è un po’ corto rispetto ai precedenti, lo so, e avrebbe compreso un altro breve paragrafo… ma ho sentito che in realtà sarebbe stato come forzarlo, quindi ho preferito traslare l’ultimo paragrafo al capitolo successivo, che uscirà entro il 19 novembre. Avrei dovuto pubblicare ieri ma è morto internet a casa nostra, quindi niente.
Buona lettura a presto,
Hir.

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Capitolo 22
*** 20. Capitolo 20 ***


NOTE:
chi passa ancora per queste lande desolate?
Non posso credere di aver finalmente trovato il modo di aggiungere qualcosa a questa storia. È passato così tanto tempo.
Non so se c’è ancora qualcuno interessato alle avventure di questo manipolo di personaggi veramente poco conosciuti e considerati, ma in caso ci fosse, questo nuovo capitolo (e quelli che verranno) sono tutti vostri.
In questi anni ho pensato spessissimo a questa storia, e questi personaggi sono diventati un po’ i miei amici immaginari, quindi tornare a scrivere per loro sembra un po’ un ritorno a casa tanto atteso. Ho sempre pensato che non avrei mai voluto lasciare incompiuta questa storia, e ora eccomi qua ad aggiornare! In questi anni, qualche persona si è fatta sentire, tramite messaggi vari, ed è soprattutto queste persone che vorrei ringraziare perché mi hanno fatto capire che forse questi personaggi non sono poi solo i miei amici immaginari. Per essere sicura di continuare a pubblicare (non ho la più pallida idea della cadenza che terrò nella pubblicazione, questo capitolo l’ho scritto in qualche giorno, quelli futuri onestamente non so) ho deciso di fare una cosa: prima di pubblicare il capitolo starò attenta di essere arrivata a scrivere completamente almeno la prima metà del capitolo successivo, così da avere la sicurezza di avere già qualcosa di pronto dopo e da tenere avvisate le persone che vorranno continuare con la lettura.
Ovviamente ho deciso di rimettermi a scrivere proprio alla fine della quarantena, ora riinizio a lavorare e contemporaneamente a scrivere la tesi (ora sto solo scrivendo la tesi), quindi non so esattamente quali saranno i miei ritmi.
Un paio di precisazioni sulla storia:
-questa storia è iniziata una vita fa e sono anni che mi immagino come possa essere andata a finire senza quasi rileggere quello che avevo scritto nel passato: morale della favola, non mi ricordo esattamente tutti i dettagli che avevo menzionato quindi potrebbero esserci delle discordanze. Non me ne vogliate se prima Dorcas non seguiva erbologia e adesso invece la segue (non lo so, faccio un esempio, sono proprio i dettagli che non mi ricordo). Se ne notate, fatemeli pure notare ma, vi prego, non prendetela troppo sul personale.
-un paio di persone mi hanno chiesto più volte di scrivere loro, giusto per non lasciare in sospeso tutto in caso non si finisse con la scrittura della storia, il finale che avevo immaginato. Non sono troppo d’accordo a farlo ma ho pensato fosse giusto chiedere a chi – se qualcuno è rimasto – fosse affezionato a questa storia. Chi vuole sapere all’incirca come si svolge la storia mi scriva, posso inviare lo specchietto dei personaggi con le storie singole che mi ero scritta tipo traccia e delle altre storie collegate che avevo e in parte mi piacerebbe ancora scrivere!
 
A voi, buona lettura!





 
CAPITOLO 20
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Se dovessi decidere così su due piedi, dove ti piacerebbe andare? >>.
 
Amelia sembrava aver preso i compiti di Babbanologia molto sul serio: era seduta a metà del lungo tavolo di Tassorosso, in Sala Grande, e aveva diversi tomi accanto distribuiti strategicamente così da fermare, disteso sul tavolo, un vecchio planisfero ingiallito. Accanto alla cartina, in una scatolina di legno aperta, stavano diverse bandierine rosse e verdi attaccate a piccoli spilli appuntiti.
 
<< Quei libri li hai presi in biblioteca? >> chiese Benji ignorando la domanda iniziale e fissando la propria attenzione sui grandi tomi. Alcuni erano vecchi, altri più nuovi, nessuno aveva un aspetto particolarmente invitante.
 
<< E dove, altrimenti? >> rispose a tono la ragazza. Poi, arricciando le labbra un po’ scocciata, chiese di nuovo: <>.
 
<< India >>.
 
Nonostante il sangue che gli scorreva nelle vene, Benjamin Fenwick non amava davvero viaggiare. Del viaggio, fin dalla nascita, aveva conosciuto proprio tutto: suo padre, Edward Fenwick, lavorava da sempre nel mondo della medimagia e botanica, esperto di piante tropicali e pozionista di grande fama. Da giovane scapolo aveva passato anni in giro per il mondo, immerso in foreste pluviali e giungle sconosciute, alla ricerca dei più strani ingredienti per pozioni che potesse trovare e introdurre nel mercato occidentale. Aveva conosciuto Celestia, l’amore della sua vita, proprio in uno di questi viaggi, quando, particolarmente intrigato dalle foreste di mangrovie del luogo, si era fermato per quattro mesi nelle Isole Aru in Papuasia. Celestia era allora una giovane ricercatrice di archivistica magica, impegnata in un giro per le comunità magiche più importanti attorno al mondo con l’intenzione di studiare i sistemi di catalogazione di informazioni più importanti esistenti. L’idea del viaggio non aveva mai davvero abbandonato la loro mente e anche con due bambini piccoli, probabilmente unica famiglia del genere nella costellazione di pompose famiglie purosangue inglesi a cui appartenevano, Celestia e Edward avevano continuato a viaggiare il più possibile: in fondo, Jodie – antropologa extraordinarie – da qualche parte doveva pure essere uscita. Benjy era l’unico, nella loro piccola e atipica famiglia, a non afferrare del tutto quell’ossessione per essere in movimento il più possibile. Lui amava la sua bella, calda casa a Holyhead, in Galles.
 
Amelia, affacciata sulla vecchia mappa, mosse uno dei tomi per liberare l’Asia e osservare per bene l’India.
 
<< Non ci sono mai stata >> sentenziò infine, un po’ titubante.
 
<< Dove sei stata, allora? Se preferisci, possiamo… >>
 
<< Non sono mai uscita dalla Gran Bretagna >> scosse la testa divertita << Dubito che una ricerca di come arrivare da Londra a Birmingham sia esattamente quello che la Professoressa vorrebbe vedere >>.
 
Sorridendo, Benjamin posò la borsa sulla panca e si sporse sulla mappa.
 
<< Dove hai trovato questo planisfero? >> domandò sopprimendo una risata divertita << è così vecchio che è ancora indicato l’Impero Ottomano… guarda, Istanbul si chiama ancora Costantinopoli >>.
 
Amelia lo guardò di sottecchi come a chiedergli se fosse serio.
 
<< Il mondo è fatto sempre allo stesso modo, no? Sempre tondo uguale >> lo rimbrottò alla fine << E comunque, se vuoi andare in India il problema di Costantinopoli non ci riguarda >>.
 
Con fare critico, Benjamin prese le bandierine.
 
<< Come diamine sei riuscita a convincere la bibliotecaria a prestarti una mappa così vecchia quando hai intenzione di bucherellarla ovunque piantandoci queste bandierine? >>.
 
Amelia alzò gli occhi al cielo con fare innocente.
 
<< La bibliotecaria potrebbe non essere al corrente delle nostre intenzioni >> sentenziò alla fine, gesticolando con la mano destra come ad indicargli di lasciar perdere la questione.
 
Sopprimendo una seconda risata, Benjy rivolse lo sguardo al planisfero. Nel corso degli ultimi tempi la ragazza era salita nella sua scala personale di apprezzamento fino a guadagnarsi un posto sul podio. Il primo posto, ovviamente, era riservato a Dorcas e, per il resto… beh, non è che Amelia avesse uno stuolo di rivali con cui contendersi il titolo: fra tutta la gente che frequentava Hogwarts, Benjamin poteva contare le sue amicizie sulle dita di una mano sola, e certamente gli sarebbero avanzate anche un paio di dita.
 
<< Quindi >> sentenziò Amelia alla fine di un breve silenzio, sfregandosi le mani con fare volenteroso << Andremo in India >>.
 
 
*
 
 
Alla fine della fiera, andare in India organizzando il viaggio esclusivamente alla babbana non era così semplice, a quanto sembrava.
 
Specialmente per due giovani maghi appartenenti a famiglie purosangue che usavano la bacchetta anche per soffiarsi il naso.
 
<< Come si prenota un biglietto aereo alla babbana? >> sbuffò irritata Amelia sbattendo un tomo a caso sul tavolo, in preda alla frustrazione.
 
Accanto a lei, Benjamin alzò lo sguardo scanzonato.
 
<< Se fosse facile non sarebbe un lavoro da fare a coppie >> la prese in giro bonariamente << Credo che questo sia proprio lo scopo del compito >>.
 
Amelia lo fissò spazientita.
 
<< Non mi serve sentire le tue spiegazioni razionali! >> si lamentò ancora esasperata << Caro Fenwick, so che non mi conosci ancora bene ma quando mi lamento in questo modo non è certo per essere rabbonita. È per essere… >>
 
<< …compatita, ovviamente >> concluse Benjamin con un sorrisetto.
 
Amelia Bones non sapeva se ad assegnarle come compagno di studi di Babbanologia Benjamin Fenwick fosse stato il caso o Merlino in persona, fatto sta che ci si trovava decisamente bene.
 
Non c’era nessuno, nel suo circolo di conoscenze, che potesse essere paragonato al Serpeverde: Benjy aveva un tipo di umorismo tutto suo, e un modo di ascoltare che – se inizialmente poteva sembrare un po’ inquietante – era tutto particolare. Normalmente minimamente affetto dalla compagnia degli altri, anche semplicemente attirare la sua attenzione poteva essere definito un traguardo importante. Una volta superato l’esame attento, e per l’appunto un po’ inquietante, di quegli occhi scuri e vigili, la strada era però tutta in discesa.
 
<< Credo, comunque, che questi libri siano troppo datati per poter essere affidabili >> sentenziò infine il Serpeverde aprendo uno dei tomi più nuovi sul tavolo e sfogliandone le prime pagine.
 
<< In che senso? >>.
 
Benjamin indicò la data di stampa sul fondo di una pagina ingiallita. Era datato 1857.
 
<< Dorcas dice che le scoperte nel mondo babbano hanno un ritmo diverso da quello magico, per quello che ne sappiamo i modi di viaggiare potrebbero essere cambiati molto negli ultimi cento anni. Dovremmo chiedere a qualche nato babbano per sapere esattamente come funziona, non credo che in questo caso i libri della biblioteca ci aiuteranno molto >>.
 
Amelia lo guardò con uno sguardo eccitato.
 
<< Potremmo fare un giro di interviste a tutti i nati babbani della scuola! >>.
 
Benjamin arricciò le labbra maledicendosi per aver contribuito a far nascere un’idea dai risvolti potenzialmente catastrofici: lui non era conosciuto in giro come un gran chiacchierone.
 
<< Sai che da quando sono in questa scuola avrò parlato al massimo con quindici persone in tutto, vero? >> tentò di smorzarla debolmente.
 
<< Il che ti rende il candidato perfetto per questo genere di iniziativa >> rincarò Amelia con un sorriso entusiasta, partita ormai per la tangente << Vedrai, ci divertiremo un sacco. Dunque, come si procede in questo caso? Tua sorella è un’antropologa, sicuramente ci potrebbe dare dei consigli utili! >>.
 
Consapevole di non poter vincere la battaglia, il Serpeverde diede in un sospiro rassegnato.
 
<< Passami quella pergamena, dobbiamo scriverle adesso così che ci possa rispondere in tempo utile >>.
 
 
 
*
 
 
Le giornate frizzanti dell’ultimo periodo, che si presentavano con il cielo terso e la brezza fredda, erano quelle che Caradoc preferiva. L’inverno era ormai talmente vicino da poter essere afferrato, e si manifestava negli alberi ormai completamente spogli e nel profumo di gelo nell’aria.
 
Aveva accompagnato Edgar fino alle serre di Erbologia, dove il Tassorosso era atteso per un colloquio individuale, e nel tornare indietro aveva deciso di allungare il percorso fino alle rive del Lago Nero. Era all’incirca l’ora in cui la squadra di Corvonero rientrava alla fine dell’allenamento, e non aveva davvero voglia di ritrovarsi davanti tutti i suoi amici con scopa alla mano.
 
Raggiunta la linea della riva trovò un grosso masso e si sedette.
 
Nei sette anni spesi in quella scuola aveva avuto modo di spendere diverso tempo sulla riva del lago e, in una scuola caotica come Hogwarts, ritagliarsi posti da gustarsi da soli era una delle prerogative necessarie a sopravvivere al meglio: lo aveva scoperto proprio all’inizio, quando l’unica persona che sentiva di poter definire amica era Hestia mentre, ancora, Sturgis passava tutto il suo tempo insieme a Max McKinnon.
 
Sospirando ripensò a quanto solo si fosse sentito in quei giorni, vedendo tutti gli altri intorno a sé funzionare nella propria vita senza problemi e chiedendosi cosa invece ci fosse di sbagliato in lui. Era passato un sacco di tempo, e per anni le cose erano state diverse. Si poteva perfino dire fossero andate bene. Come era, allora, che si ritrovava al punto di partenza quando era così vicino alla fine di quei sette anni?
 
All’improvviso aver trovato un momento per rimanere da solo non gli pareva più un’idea così rassicurante: era nella sua solitudine che si annidavano le ombre, le incertezze. L’ansia era negli scarni rami senza più foglie degli alberi ai confini con la foresta proibita, ad appena qualche metro da lui, nelle piccole onde del lago e nel loro quieto mormorio; l’angoscia era nel cielo troppo azzurro che si stagliava dietro alle scure colline scozzesi, nella brezza fredda che soffiava e negli insetti che si muovevano negli scarni arbusti. In momenti come quelli, quando forse le maschere che indossava normalmente potevano essergli più di aiuto, mancava la forza per allontanare i pensieri che meno gli piacevano.
 
Rimase seduto in silenzio per quelle che parvero ore, combattendo contro la propria mente mentre attorno tutto assisteva placidamente. Quando succedeva così, lui ci provava a non lasciarsi prendere dallo sconforto: conscio di cosa sarebbe successo, cercava di afferrare con forza quei pensieri che, più facilmente, avevano la forza di farlo restare a galla. Eppure, quando la sua mente funzionava in quel modo, sembrava non importare davvero a cosa si aggrappasse: anche quei pensieri che normalmente trovava luminosi si tingevano di scuro e, in poco tempo, venivano risucchiati nell’oscurità. Come una catena.
 
Pensò al Quidditch, a come per anni era stato sentirsi parte di qualcosa di più grande e alla sensazione di completezza che provava a cavallo di una scopa: era stato talmente bravo da arrivare al vertice della squadra, e forse poteva sembrare una cosa da nulla ma immaginò a quanto sarebbe stato felice quel piccolo ragazzino di undici anni – troppo timido perfino per fare amicizia con i suoi compagni di dormitorio – nel sapere che sarebbe diventato la punta di diamante della squadra. Poi però si ricordò che, no, non era più capitano della squadra. Aveva ceduto ai rimbrotti di suo padre e aveva litigato con il suo migliore amico. Se all’inizio Sturgis aveva reagito male alle sue dimissioni da capitano della squadra, anche quando il litigio era finito e la situazione sembrava essere tornata quella di prima una sorta di gelo permaneva: forse il loro allontanamento era dovuto al fatto che ora che lui non faceva più parte della squadra, il tempo che prima passava insieme a Sturgis era di fatto quasi dimezzato. O, più probabilmente, le cose non erano davvero tornate come erano prima, e davvero tra lui e Podmore c’era un gelo inaspettato che aveva paralizzato tutto, da un lato vergogna e dall’altro una velata accusa. Quindi, ricapitolando, niente Quidditch, suo padre aveva rimesso mano nella sua vita e nelle sue decisioni e Sturgis gli teneva il broncio. Almeno gli altri non avevano dato segno di accorgersi di nulla di strano.
 
Tranne Hestia, pensò chinando la testa per appoggiare una guancia sulle ginocchia rannicchiate al petto.
 
Hestia si era accorta che qualcosa non andava. Dopo l’ultima conversazione che avevano avuto in Sala Comune Caradoc si sentiva tenuto d’occhio. Ed era stato lui, con le sue mezze frasi smozzicate, a metterla in allarme.
 
Un rumore lo distolse da quel vortice di pensieri, facendolo sobbalzare.
 
<< Caradoc >>.
 
Dorcas Meadows, mantello allacciato stretto e guanti azzurri a proteggerla dall’aria fredda, era a qualche passo di distanza, un sorriso accennato sulle labbra.
 
<< Dorcas >> ricambiò il ragazzo.
 
La guardò arrivare fino alla riva del lago e poi voltarsi incuriosita verso di lui. 
 
<< Stavi aspettando qualcuno? >> chiese alla fine, come intimorita di averlo disturbato.
 
<< No, stavo solo cercando di evitare Sturgis >> rispose Caradoc francamente, dando in un sospiro lento.
 
Se la franchezza del ragazzo l’aveva sorpresa, Dorcas fece attenzione a non mostrarne segni in volto. Invece di chiedere spiegazioni, arretrò dalla riva fino ad arrivare a poco meno di due passi dal compagno di scuola, mosse con un piede un sasso piatto grande un paio di palmi e ci si sedette sopra.
 
<< Tu per quale motivo invece non sei a cena? >> chiese incuriosito il ragazzo dopo qualche minuto di silenzio.
 
Nel tempo passato in riva al lago non se ne era accorto ma ormai stava scendendo la sera, e il lungo tramonto scozzese ne era la prova. In una mezz’ora sarebbe stato troppo buio per continuare a stare fuori.
 
<< Ho passato il pomeriggio a studiare con Hestia e più tardi abbiamo raggiunto Benjamin e Amelia in Sala Grande >> rispose la ragazza continuando ad osservare il lago. Poi aggiunse, dando in un sorriso divertito: << Avevo davvero bisogno di un po’ di silenzio >>.
 
Caradoc sbuffò una risata accennata.
 
<< Mi dispiace rovinarti i piani >>.
 
Dorcas scosse la testa.
 
<< Va bene così >>.
 
Forse aveva dell’incredibile che, nonostante una manciata di minuti prima Caradoc Dearborn si fosse trovato sulla soglia di un attacco d’ansia, in quell’esatto momento si sentisse invece tranquillo e rilassato.
 
Forse Dorcas aveva ragione, si disse. Forse, in fin dei conti, andava davvero bene così.
 
 
*
 
 
Dorcas Meadowes era sicura di aver interrotto qualcosa con il suo arrivo inaspettato, ma non era sicura che Caradoc ne fosse risentito. Sembrava preso nei propri pensieri, il volto inespressivo rivolto verso il lago e gli occhi chiari e grandi che seguivano con sguardo distratto il profilo della riva.
 
Quello in cui erano immersi non era un silenzio imbarazzato, e questo era una sorpresa. L’unica persona con cui fosse mai riuscita davvero a godersi un silenzio era Benjy, e Caradoc Dearborn era la persona più diversa da Benjy Fenwick che Dorcas avesse probabilmente mai conosciuto. Eppure il silenzio era dello stesso tipo: confortevole, in qualche modo. Era la consapevolezza di non dover riempire ogni secondo di parole vuote.
 
Stettero seduti sulla riva del lago fino a quando la luce del pallido sole invernale ormai oltre le montagne non iniziò a scemare del tutto. Ad un certo punto, quando l’oscurità rese difficile distinguere la riva opposta del lago, Caradoc si alzò e si sistemò il mantello. Poi si voltò verso di lei, le tese una mano e le fece un sorriso rilassato.
 
Dorcas ricambiò il sorriso, afferrò la sua mano e si alzò in piedi. Insieme si incamminarono verso il castello.
 
 
*
 
 
Quando era uscita dalla Sala Grande, libri sottobraccio e quella stanchezza addosso che era segno positivo di aver portato quasi a termine una giornata produttiva, si era diretta a passo tranquillo verso la propria Sala Comune. Aveva intenzione di posare i libri in camera, darsi una rinfrescata prima dell’ora di cena e poi scendere in Sala Grande ad aspettare Miranda.
 
Era stato un pomeriggio produttivo e colmo di entusiasmo, almeno per Amelia. Benjamin Fenwick, suo sventurato compagni di studi, probabilmente non la pensava così: alla prospettiva di dover interrogare mezza scuola per un compito di Babbanologia aveva perso il sorriso e quando alla fine del pomeriggio aveva lasciato la Sala Grande per riportare i libri in Biblioteca lo aveva fatto con uno sguardo mortalmente infelice negli occhi.
 
Solo a ripensarci le veniva da ridacchiare: tempo un paio di mesi di amicizia e avrebbe trasformato quel lunatico ragazzo in un secchiello di arcobaleni, decise. Oppure in un assassino, di cui lei sarebbe stata la vittima. Valeva comunque la pena provare.
 
Stava camminando sovrappensiero quando, a metà della rampa di scale e per un pelo, evitò di travolgere qualcuno. Alzando gli occhi si rese conto che, quando quel qualcuno era un metro e novanta di Caposcuola Grifondoro, le possibilità che lei – dall’alto del suo metro e quarantasette – potesse arrecare alcun danno erano alquanto ridotte. Probabilmente, sarebbe successo il contrario.
 
<< Meli >> la salutò gioviale Kingsley, fermandosi sul posto come intenzionato a parlarle.
 
<< Kingsley >>.
 
Ora, non è che il suo sorriso fosse all’improvviso divenuto gelido: lei era Amelia Bones, e chiunque a Hogwarts sapeva della sua tendenza ad essere gentile con tutti. Quindi, diventare fredda e scostante all’improvviso sarebbe stato come andare contro tutto ciò che Amelia Bones, alla fin fine, era: una mediatrice nata.
 
Ma negli ultimi tempi aveva avuto modo di ripensare molto attentamente a tutta la situazione con Kingsley, a quello che era successo qualche tempo prima al campo da quidditch con Dorcas e Gideon e alla questione Shacklebolt in generale. Parlare con Miranda l’aveva aiutata a rimettere le cose in prospettiva.
 
<< Meli, hai un attimo di tempo da dedicarmi? >> le chiese cortesemente il Grifondoro.
 
Amelia si morse il labbro, indecisa. Se doveva iniziare a mettere un po’ di distanza tra sé e Kingsley, sarebbe stato meglio inventarsi una scusa qualunque e abbandonarlo a sé stesso sulle scale.
 
<< Veramente… >> iniziò a dire guardandosi attorno.
 
Doveva evitare di guardarlo negli occhi, sarebbe stata la fine: non era certa di potergli negare qualcosa di semplice come il proprio tempo se la guardava con quello sguardo gentile.
 
<< Solo un attimo, davvero >> rispose Kingsley, e stava sorridendo. In piedi come erano su scalini diversi, Amelia non dovette nemmeno sforzarsi di alzare lo sguardo più di tanto per guardarlo in volto.
 
Debole, si disse beffarda.
 
<< Dimmi pure >> capitolò infine.
 
Il sorriso del ragazzo si fece contento.
 
<< Qualche giorno fa Lumacorno mi ha accordato il permesso di utilizzare la sua aula, nei momenti liberi quando non è occupata, per esercitarmi sulle Pozioni che mi riescono peggio >>.
 
Perfetto, Kingsley Shacklebolt e Pozioni, i due argomenti più capaci al mondo di metterla in difficoltà. Avrebbe dovuto scappare quando ancora ne aveva l’occasione. L’espressione che aveva in volto doveva essere indicativa di come si sentiva dentro, perché il ragazzo si mise a ridacchiare e le sfiorò il braccio con la mano come per confortarla.
 
<< Stavo pensando >> continuò Kingsley, e se notò il fatto che al suo tocco lei era avvampata non ne mostrò cenno << Ti andrebbe di farmi compagnia? Ultimamente ti ho sentito spesso parlare dei problemi che stai avendo con la materia, e pensavo che magari, se ti andava, potessi esercitarti con me >>.
 
Amelia seppe di essere fregata nel momento stesso in cui il ragazzo avanzò la proposta, sempre con quel sorriso gentile sulle labbra.
 
Merlino, quanto era patetica. 
 
 
*
 
 
Quando Dorcas e Caradoc varcarono il portone del castello il vociare tipico dell’ora di cena li circondò, sostituendo il silenzio che li aveva avvolti fino a quel momento. Il ragazzo si voltò verso la Corvonero con un sorriso gentile.
 
<< Cosa stavi studiando insieme a Hestia questo pomeriggio? >>.
 
<< Sto facendo alcuni approfondimenti di trasfigurazione con la Professoressa McGrannitt >> rispose la ragazza scrollando le spalle.
 
<< Che tipo di trasfigurazione? >>.
 
<< Umana >>.
 
La risposta riportò alla mente di Caradoc un paio di particolari che aveva notato negli ultimi tempi. Si fermò sui propri passi e rivolse uno sguardo stupito a Dorcas.
 
<< Priscilla benedetta, Dorcas, vuoi diventare Animagus! Per questo Hestia è improvvisamente così curiosa riguardo a metamorfosi e cambiamenti di forma. Ultimamente sta leggendo libri a riguardo, ma non riuscivo assolutamente a capirne il motivo dal momento che non mi risulta sia mai stata interessata a cose del genere >> si spiegò arricciando le labbra. Poi, all’improvviso, scoppiò in una risata divertita, aggiungendo: << per Merlino, è una branca della magia difficilissima e pericolosa. A Ben saranno venuti i vermi al solo pensiero >>.
 
Dorcas nascose un sorriso dietro ad una mano mentre con le dita si toglieva da davanti al viso i capelli spettinati.
 
<< Benjy si preoccupa troppo >>.
 
Caradoc sembrò voler ribattere con qualcosa di divertito, poi si morse il labbro inferiore e scrollò le spalle.
 
<< Immagino che se hai deciso di procedere per questa strada, per di più con l’aiuto della Professoressa, tu sappia cosa stai facendo. Ben se ne farà una ragione, d’altronde devi capirlo… non ti preoccuperesti anche tu, per lui, se fosse nella tua situazione? >>.
 
Stava quasi per riprendere a camminare quando Dorcas gli posò una mano ancora guantata sull’avambraccio per richiamare la sua attenzione. Aveva in volto uno sguardo più intenso, a metà tra il serio e il perplesso.
 
<< Posso chiederti una cosa? >>.
 
Il tono aveva un’incertezza strana. Caradoc all’improvviso si sentì come in bilico sul bordo di un dirupo: aveva la sensazione che da quella domanda, e dalla risposta che avrebbe dato, sarebbe dipeso il giudizio che Dorcas si sarebbe fatta su di lui a lungo andare.
 
Non rispose a voce, ma sentendo tornare un po’ dell’ansia che l’aveva colto precedentemente sulla riva del lago fece un cenno d’assenso con il capo.
 
Erano ancora fermi nell’androne d’ingresso, ai piedi delle scale che portavano alla Sala Grande e intorno a loro gli studenti si affrettavano verso la cena. Lo sguardo di Dorcas era ancora incerto ma alla fine, come prendendo una decisione, la ragazza lo guardò con occhi limpidi.
 
<< Potresti stare attento? Con Benjamin, intendo. Di norma, non gli piacciono le persone. Insomma, ormai lo conosci un po’ anche tu, normalmente non le considera neanche. Ma tu… >> sembrò cercare le parole, Dorcas Meadowes, e per un attimo sembrò vagliare diverse opzioni. Alla fine, scelse quella più diretta: << Non so cosa ci sia tra di voi, e nemmeno mi interessa. Sono affari vostri. Ma Benjamin non è come le altre persone che frequenti >>.
 
Caradoc la guardò stranito, avvampando.
 
<< Come…? >>.
 
Lo sguardo di Dorcas diventò gentile e il volto le si illuminò in un sorriso caldo.
 
<< Lo hai chiamato Ben, due volte >> rispose con leggerezza, scuotendo il capo << So che fate colazione insieme, la mattina, fuori. Sono contenta se Benjy passa del tempo con qualcuno che non sono io e, soprattutto, dopo anni in cui siamo solo io e lui, so notare la differenza. E va bene così, non mi interessa altro. Solo… stai attento, va bene? >>.
 
Caradoc deglutì, l’ansia come acqua alla gola, il viso paonazzo. Colto alla sprovvista, come un bambino.
 
Alla fine, incerto, annuì al sorriso di Dorcas.
 
<< Ti ha detto lui della colazione? >> chiese.
 
Era importante capirlo. Ci sarebbe stato tempo, poi, per pensare. Ora doveva solo capire.
 
Dorcas sbuffò una risata, divertita.
 
<< E quando mai Benjamin parla di cosa gli succede? >> chiese ironica << Ho gli occhi anche io, per vostra informazione. Benjamin non mangia niente a colazione in Sala Grande mentre tu, per mantenere le apparenze forse, mangi due volte tanto, e poi salti pranzo. Non passate inosservati quanto vorreste >>.
 
Questo era qualcosa su cui avrebbe dovuto ragionare.


 

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Capitolo 23
*** 21. Capitolo 21 ***


NOTE:
Sono davvero felice di vedere il riscontro positivo avuto dallo scorso capitolo! Mi ha davvero emozionato sapere quante persone erano e sono tutt’ora affezionate a questa storia, e sono felice che nuovi lettori si siano aggiunti. Non scherzavo la volta scorsa quando ho scritto che questi personaggi, che ci crediate o meno, sono rimasti con me per tutti questi anni un po’ come amici immaginari, credo sia per questo che appena ho iniziato a scrivere lo scorso capitolo si è come sollevato un coperchio. La storia si sta un po’ scrivendo da sola sulla base di quello che per anni ho continuato a immaginare, quindi sono già alla fine del prossimo capitolo! Tuttavia, anche se a scrivere procedo molto velocemente (per gli standard cui ero abituata), ho deciso che aggiornerò una volta a settimana, il giovedì. Per adesso, infatti, anche con la ripresa del lavoro e la tesi riesco a ritagliarmi il tempo per scrivere.
Dunque, qualche spiegazione tecnica per procedere alla lettura del seguente capitolo: ci sono numerosissimi flashback e pur non anticipandovi niente della sostanza vi dico che rimandano ai Capitoli 15, 17 e 18. È una sorta di recap di tutto quello che è successo in questo periodo tra Caradoc e Benjy e i flashback procedono in ordine cronologico. Le parti scritte in corsivo sono, per l’appunto, questi flashback, quelle scritte normali sono invece collocate cronologicamente nel capitolo 21, dopo la conversazione di Caradoc e Dorcas.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 21
 
 
 
 
 
And if you have a minute, why don’t we go,
Talk about it somewhere only we know?*
 
 
 
 
 
L’alba era ormai passata da un pezzo e la casa del Guardiacaccia era vuota. Appena arrivato, Benjamin si era guardato bene intorno per cercare di capire se Hagrid fosse nelle vicinanze ma, una volta assicuratosi di non scorgere la presenza del mezzogigante, si sedette sul tronco abbattuto a poca distanza dalla porta d’ingresso, quello che era ormai diventato il suo solito posto.
 
Nelle ultime due settimane quella, per lui, era diventata una routine: era entrato talmente nell’ottica di iniziare le sue giornate in quel modo che, nei giorni della settimana precedente in cui a causa del clima era stato quasi possibile uscire dal castello, era rimasto di umore intrattabile fino almeno a metà pomeriggio.
 
Generalmente scendeva alla capanna di Hagrid per assicurarsi di non aver ricevuto posta da sua sorella – che la inviava sempre tramite i più strani volatili e che quindi avrebbe, in Sala Grande, attirato troppa attenzione. L’ultima lettera che aveva scritto a Jodie, però, risaliva solo alla giornata precedente: seduto al solito posto, sul suo pezzo di tronco abbattuto, si chiese se le ragioni che lo avevano trascinato giù dal letto quella mattina così presto fossero altre. scuotendo il capo come a togliersi dalla testa quei pensieri molesti, Fenwick alzò lo sguardo verso il castello dove vide esattamente chi che stava aspettando camminare verso di lui con, in mano, un piccolo cesto.
 
<< Sai >> lo salutò Caradoc arrivato a pochi passi da lui, sistemandosi seduto su una delle zucche giganti che Hagrid teneva sul prato e mettendo il cesto a metà strada tra sé stesso e il Serpeverde << Dal momento che il dormitorio della tua casa si trova nei sotterranei e il mio in cima ad una delle torri, sarebbe davvero tutto più facile se dalle cucine ci passassi tu >>.
 
 
*
 
 
Benjamin Fenwick era sempre stato curioso nei confronti di Caradoc Dearborn.
 
A posteriori doveva ammettere che, nonostante l’antipatia che aveva sempre provato a livello istintivo nei suoi confronti, il Corvonero – tra tutti i suoi nuovi conoscenti – era stato quello più capace ad attirare la sua attenzione.
 
Se, facendo mente locale, avesse provato a strizzarsi le meningi, il Serpeverde avrebbe potuto vedere le radici di quella nuova routine che insieme avevano instaurato risalire fino a quel pomeriggio che avevano passato insieme nell’aula di Pozioni. Se doveva essere totalmente sincero, però, forse addirittura a qualche tempo prima.
 
Eppure era stato quel pomeriggio che aveva cambiato qualcosa. Se ne era accorto praticamente subito.
 
Dopo che erano usciti dallo sgabuzzino in cui si erano rifugiati per fuggire l’ira funesta del custode della scuola, Benjamin si era allontanato a passo spedito e aveva lasciato Dearborn piantato come un sasso in mezzo al corridoio del sotterraneo, recandosi nuovamente nell’aula di Pozioni.
 
Mentre si allontanava nel corridoio scuro e poi per buona parte del rimanente pomeriggio, Benjy si era sentito seguito dallo sguardo del ragazzo, lo stomaco attorcigliato da una strana sensazione in risposta alla tensione che aveva dominato i suoi ultimi momenti con il Corvonero.
 
Quello era stato un pomeriggio strano, decise, come non ne aveva mai passati prima.
 
Rientrato nell’aula di Pozioni constatò con uno sguardo abbattuto che i risultati dell’incidente – se così lo si voleva chiamare – erano ancora tutti lì, sul bancone che aveva utilizzato e sul pavimento della stanza, in forma di una strana, viscida sostanza verde.
 
Benchè avesse fin dall’inizio temuto il peggio, provò ugualmente a pulire il tutto con uno svolazzo di bacchetta e un incantesimo pulitore ben piazzato. Come aveva sospettato, però, la strana sostanza non diede cenno di sparire e, rassegnato, Benjamin si costrinse ad invocare gli attrezzi necessari a riordinare.
 
Pulire alla babbana il mezzo macello di cui era colpevole non era certo divertente, ma gli fornì il tempo necessario a ripensare e metabolizzare ciò che era successo nel pomeriggio e, più in generale, nell’ultimo periodo. Mentre sfregava la pietra del pavimento con uno straccio inumidito, quindi, si ritrovò a fare i conti anche, tra una cosa e l’altra, con quell’ultimo paio d’ore che aveva passato in solitudine con Caradoc Dearborn.
 
E, di conseguenza, con quella mezza cosa attorcigliata che sentiva di avere in mezzo allo stomaco al suo solo pensiero.
 
 
*
 
 
Alla sera, quando aveva finito di pulire e si era recato a cena, era rimasto quasi stranito dal suono del chiacchiericcio di altri esseri viventi nel castello.
 
Era una cosa che gli capitava spesso, quando passava tanto tempo in silenzio: si abituava così tanto al suono unico dei propri pensieri da rimanere sbalordito – e vagamente infastidito, se doveva essere sincero – nel rendersi conto che attorno a lui coabitava un intero sistema di suoni e persone. Specialmente quel tardo pomeriggio, poi, i pensieri che sentiva di aver avuto in mente erano talmente assordanti e confusi da sentire la testa scoppiare solo al pensiero di rivolgere la parola a qualcun altro.
 
Per un attimo accarezzò l’idea di saltare la cena e rintanarsi in camera per mettersi a dormire, ma un gorgoglìo imbarazzante da parte del suo stomaco vuoto lo costrinse a dirigersi in sala grande.
 
Non era sicuro di essere pronto al contatto con il mondo, però. Soprattutto, sapeva che prima o poi si sarebbe imbattuto in…
 
<< Benjy! >> lo sorprese alle spalle la voce di Dorcas << Ti ho cercato tutto il pomeriggio. Dove sei stato? >>.
 
Per l’appunto, proprio la persona che sperava di evitare.
 
Era un pensiero strano, sperare di evitare ancora per un po’ la propria migliore, e probabilmente unica, amica. Non che ne fosse sorpreso, Benjamin Fenwick, dal momento che quella pareva essere la giornata deputata ai pensieri strani.
 
<< Dorcas, stai salendo a cena? >> chiese tentando di glissare elegantemente sulla domanda.
 
<< Si, visto che non ti ho trovato fuori ho pensato dovessi essere già andato a cena >>.
 
Il fatto che rimarcasse sottilmente l’aver speso tempo a cercarlo fece capire a Benjamin che Dorcas non avrebbe mollato la presa sulla questione.
 
Si chiese come spiegare l’andamento del proprio pomeriggio alla ragazza senza sembrare pazzo.
 
<< Sono stato tutto il tempo in dormitorio a riposarmi >>.
 
A quanto pareva, aveva deciso di non spiegare proprio niente.
 
 
*
 
 
Nel corso della settimana successiva si rese conto che la cosa stava diventando ridicola: non poteva camminare in giro per la scuola senza vedere Dearborn ovunque, a quanto pareva.
 
Quando andava in biblioteca se lo trovava davanti impegnato a sfogliare un libro, seduto proprio al solito tavolo che normalmente ospitava lui e Dorcas; a pranzo e a cena, ogni volta che ci prestava attenzione, poteva notare che Dearborn era sempre seduto alla sua stessa altezza – anche se a un tavolo diverso – ma di fronte a lui, impegnato a ridere e scherzare con la Jones e a riempirsi come un tacchino. Perfino il sabato mattina successivo, mentre stava aspettando Cinthia nel posto in cui si erano dati appuntamento per andare insieme a Hogsmeade, si era visto Dearborn e compagnia cantante sfilargli davanti in tutta tranquillità.   
 
Durante quella gita ad Hogsmeade, poi, tutto era degenerato. Non sapeva cosa fosse stato a spingere Cinthia a rivolgersi al Corvonero in modo così cattivo: la Rosier aveva fama di non essere docile, certo, ma il tono soddisfatto con cui si era rivolta al ragazzo pareva celare più di una semplice antipatia. Mentre era lì, però, invischiato in quella tensione così densa da poter essere tagliata con il coltello, gli sembrò ingiusto assistere a tanta cattiveria gratuita, e quando alla fine il Corvonero, spinto e protetto dai suoi due amici, uscì velocemente dal negozio, anche Benjamin sentì l’inspiegabile voglia di voltarsi contro la Rosier e difendere Dearborn che Prewett e Bones avevano dipinta nello sguardo.
 
<< Perché tanto rancore? >> le chiese mentre i tre, catapultatisi fuori dal negozio, lasciavano la via principale per sparire in uno dei tanti vicoletti.
 
La domanda doveva essergli uscita pregna del dispiacere e della rabbia che lui stesso provava, perché Cinthia lo guardò stupita. Il commesso, nel silenzio generale, si allontanò verso il fondo del negozio, con stampata in volto la poca voglia di restare invischiato in una seconda scomoda conversazione nel giro di cinque minuti.
 
<< Come prego? >> sibilò Cinthia, inarcando un sopracciglio.
 
Se fosse stato più furbo, forse, avrebbe evitato di rispondere e se ne sarebbe andato piantandola così, su due piedi. L’umiliazione gratuita che aveva visto dipinta sul volto del ragazzo più grande, tuttavia, lo costrinse incomprensibilmente ad esporsi in un modo che non gli era mai stato proprio.
 
<< Che bisogno c’era di tirare in ballo suo fratello? >>.
 
La ragazza storse le labbra in un ghigno beffardo.
 
<< Stai scherzando, vero? >> replicò quasi divertita << Hai visto anche tu come mi ha trattata da quando è entrato nel negozio! E poi, quello che è successo con Aidan Dearborn… >>
 
<< Non mi interessa cosa sia successo a Aidan Dearborn >> la interruppe alzando la voce di un tono, quasi furioso << Non ne avevi il diritto, e tirare in ballo una cosa tanto privata è gratuita cattiveria. E la cattiveria, Rosier, è l’ultima risorsa dei deboli >>.
 
L’aumento dei toni aveva richiamato di nuovo l’attenzione del commesso, che pareva però restio ad avvicinarsi. Non esattamente un leone di coraggio, quel ragazzo. Per toglierlo dall’imbarazzo, e accorgendosi di aver messo in piedi una sorta di scenata che non valeva la pena continuare, Benjamin prese due guanti dal cesto che era stato oggetto della contesa fino a poco prima e li mostrò al commesso. Poi, dalla tasca del mantello estrasse una manciata di monete.
 
<< Il resto è mancia >> gli disse appoggiando i soldi su un ripiano lì vicino.
 
Riservò un ultimo sguardo deluso alla ragazza, poi uscì dal negozio e la lasciò sola.
 
 
*
 
 
<< … ed è in seguito a ciò, che abbiamo capito che ci si poteva passare messaggi attraverso i quadri >> stava spiegando Caradoc Dearborn con un sorriso saputo in volto, come a sottolineare la furbizia dell’iniziativa.
 
<< Quindi stai dicendo che al terzo anno tu e Podmore avete inventato un modo all’interno del castello per comunicare senza gufi rendendo complici tutti i quadri delle vostre malefatte? >>.
 
Lo scetticismo nel tono di Benjamin era palpabile.
 
<< Cosa vorresti dire con quel tono? >> chiese Caradoc fingendosi offeso << Siamo Corvonero, noi due. Siamo persone sveglie! E poi, no, non abbiamo coinvolto tutti i quadri, solo quelli con lo sfondo sui toni del rosa >>.
 
L’altro ragazzo inarcò le sopracciglia.
 
Il Corvonero diede in un altro sorrisetto soddisfatto.
 
<< Il rosa è un colore particolarmente sensibile alla luce, con le giuste considerazioni abbiamo convinto i protagonisti dei quadri ad aiutarci >>.
 
<< Quello che intendi dire con questo è che li avete minacciati con un lumos solem di danneggiare una parte del quadro se non vi avessero aiutato. Molto Serpeverde da parte vostra >> commentò infine Benjamin sporgendosi per prendere un altro pezzo di toast dal cesto.
 
Caradoc schioccò la lingua ma non replicò alla frase, limitandosi ad osservare il Serpeverde mangiare di gusto la propria colazione.
 
Era una cosa strana in cui trovarsi invischiato, decise. Erano due settimane ormai che, tempo permettendo, faceva colazione in compagnia di Benjamin.
 
Vagamente si chiese, a ripensarci, da quando il Serpeverde avesse smesso di essere Fenwick per diventare Benjamin. Non c’era da stupirsi che Dorcas se ne fosse accorta, era una grande osservatrice quella ragazza.
 
 
*
 
 
Dopo che Fenwick gli aveva mostrato, con quel tono così sottilmente orgoglioso, la foto in cui Jodie sorrideva felice per il regalo stupido che lui stesso aveva consigliato, Caradoc Dearborn non era riuscito ad addormentarsi.
 
Aveva la stanchezza di un giorno pesante addosso, arrivato al termine di una settimana infernale, e se possibile l’abbraccio istintivo che aveva condiviso con il Serpeverde sembrava aver accentuato il tutto. Di conseguenza, abbandonando le speranze per un sonno profondo che aveva nutrito appena prima del dialogo con Fenwick nei corridoi bui della scuola, Caradoc si era rigirato nel letto per tutta la notte.
 
La mattina successiva, stanco come ricordava di essersi sentito di rado in vita propria, appena fuori dalla finestra vide albeggiare si alzò dal letto e, allacciato il mantello sopra al pigiama alla bell’e meglio, uscì dal dormitorio.
 
Arrivò al portone principale del cancello e lo trovò già aperto. Lontano, stagliata lungo il profilo della Foresta Proibita, poteva vedere la casa del Guardiacaccia bagnata dalla luce del sole: fu solo quando ormai aveva abbondantemente attraversato il portone, ormai a metà strada in direzione della meta, che si ricordò di cosa fosse successo – e soprattutto chi avesse incontrato – l’ultima volta che si era recato al mattino così preso a cercare Hagrid.
 
Se c’era una persona in tutta Hogwarts che davvero non voleva incontrare quel primo mattino agli inizi di novembre, quella persona era proprio Benjamin Fenwick.
 
Non era colpa di quel patetico teatrino inscenato dalla Rosier qualche giorno prima, e nemmeno dell’istintiva antipatia che aveva provato precedentemente verso il Serpeverde. Vedere la foto di Jodie, tutta felice con i suoi guanti nuovi, gli aveva davvero fatto piacere, come d’altronde sapere che Fenwick si fosse disturbato – nonostante chiaramente la sopramenzionata antipatia fosse ricambiata – a spendere un po’ del proprio tempo nel fare sentire meglio Caradoc.
 
Dearborn era giunto pateticamente ad una conclusione durante la nottata passata in bianco: il problema con Benjamin Fenwick era proprio Benjamin Fenwick. Caradoc proprio non sapeva come inquadrarlo. Ogni volta che gli rivolgeva la parola era come parlare con una persona diversa: una volta stizzito, quella dopo gentile, quella ancora successiva inespressivo e rigido. Chi diamine era Benjamin Fenwick per tenere lui, la persona più complessa e nascosta di Hogwarts, sul filo del rasoio?
 
Quando arrivò abbastanza vicino alla casa di Hagrid da poter osservarne con attenzione i dintorni Caradoc vide che, purtroppo, aveva avuto ragione: Benjamin Fenwick, vestito per la giornata di tutto punto, era seduto sul tronco su cui era stato seduto nel cortile ed era intento ad imbustare un foglio di pergamena. Accanto, questa volta, aveva un bellissimo uccello bianco, le piume lucenti, quasi brillanti di luce propria.
 
Stette per un attimo fermo sul posto, combattendo diviso tra l’idea di fare marcia indietro e quella di andare a sedersi proprio sul pezzo di tronco libero vicino al Serpeverde. Alla fine, incuriosito dall’animale e – a voler proprio essere onesti – anche dal ragazzo, si avvicinò lentamente ai due.
 
 
*
 
 
Se la prima mattina era stata un caso, e la seconda poteva essere stata una coincidenza, dalla terza in poi si poteva definire una routine.
 
Era iniziata quindi così, per caso, ed esattamente per caso quella terza mattina nello scendere dalla torre di Corvonero fino al portone della scuola, Dearborn doveva avere pensato fosse una buona idea fare una deviazione fino alle cucine.
 
Da quel giorno in poi si incontravano per fare colazione fuori dalla capanna di Hagrid, a volte soli, a volte con il mezzogigante nelle vicinanze, che apprezzava sempre la compagnia.
 
<< Che lezione hai stamattina? >> chiese Benjamin scrollandosi di dosso le briciole della colazione.
 
<> rispose il Corvonero con una smorfia.
 
<< Fammi indovinare, troppo sporca come materia per piacerti >> sorrise Benjamin divertito.
 
Caradoc sbuffò sarcastico, ma poi annuì imbarazzato. Con un tono querulo aggiunse:
 
<< Non mi piace infilare le mani nella terra, grazie tante >>.
 
Una cosa che Fenwick era arrivato a capire di Dearborn dopo il tempo che avevano trascorso insieme, era che se la prima cosa a lasciarlo interdetto rispetto al ragazzo era stata la fugacità delle versioni di sé con cui egli si presentava, la realtà non era così semplice. Facendo attenzione, si poteva scorgere, se si era abbastanza interessati, un unico filo conduttore tra le mille maschere con cui il ragazzo si circondava.
 
Quindi non esisteva un Caradoc Dearborn vanesio ed egocentrico e uno distante e fragile. Ne esisteva uno solo, che era tutte quelle cose messe insieme e in perenne lotta l’una contro l’altra. Quindi la maschera “da principino del cazzo” – come l’aveva chiamata Podmore quel pomeriggio al lago di quasi un mese prima – era poi qualcosa di molto diverso da una maschera.
 
Da parte sua, che si trattasse di mille maschere o di una catena perfetta di sfaccettature, era arrivato a capire – non sapeva come e meno che mai il perché – che il motivo per cui Caradoc Dearborn lo incuriosiva tanto, fin dall’inizio, era che anche solo con uno sguardo sprezzante, anche quando si conoscevano appena, quel ragazzo sembrava capace di sfiorare le sue corde più sensibili. Solo con Dorcas, forse, era successa una cosa del genere.
 
Faceva paura il fatto che questa idea non lo spaventasse quanto probabilmente avrebbe dovuto.
 
 
*
 
 
Avevano appena iniziato quella strana routine e all’improvviso, a causa del clima, per giorni non avevano potuto mettere il naso fuori dal castello.
 
Non era poi una cosa così terribile, si era detto Benjamin. D’altronde, forse, se avesse smesso di alzarsi così presto per un motivo che lui per primo si sentiva ancora incapace di afferrare, forse sarebbe stato più riposato durante il giorno e non sarebbe crollato dal sonno ad un orario ridicolo alla sera.
 
Tuttavia, erano bastati anche solo un paio di giorni di tempesta perché il ragazzo iniziasse a mostrare un comportamento quasi febbrile e del tutto nuovo per lui: non era mai stato tipo da amare visceralmente il tempo trascorso all’aria aperta, né da sentirne così tanto la mancanza. Alla fine se ne era accorta anche Dorcas che, dopo averlo guardato per un intero pomeriggio scrutare il cielo plumbeo fuori da una delle finestre della biblioteca, lo aveva richiamato più volte e alla fine, sentendosi inascoltata, l’aveva perfino calciato sotto al tavolo.
 
<< Che diamine hai in questi giorni? >> gli aveva chiesto con tono incolore.
 
Davvero, quella era una domanda a cui Fenwick non aveva una risposta soddisfacente.
 
 
*
 
 
La mattina seguente la fine della tempesta si era alzato indeciso e, titubante, si era diretto in Sala Comune. Era da quando quel ciclo di tempeste era iniziato che sentiva la mancanza di una finestra nel proprio dormitorio; vedere il colore del cielo da un dormitorio piazzato sotto al lago nero quasi per intero era decisamente impossibile. Avvolgendosi in diversi strati per, eventualmente, proteggersi dal freddo esterno, si era diretto verso l’uscita del dormitorio e, da lì, verso la scalinata che portava all’ingresso del castello. Quando vide che il portone era aperto e il cielo oltre di esso era rischiarato dalle prime luci dell’alba un sorriso quasi spontaneo gli inarcò le labbra.
 
Per tutto il cammino fino alla casa del Guardiacaccia si disse di stare uscendo dal castello solo e unicamente per accertarsi di non avere ricevuto posta da Jodie: a causa del clima pessimo, era ormai quasi una settimana che non controllava se strani volatili fossero planati nel cortile di Hagrid, e proprio quando le tempeste erano iniziate stava aspettando una risposta da Jodie.
 
Non si stava dirigendo fuori dalla scuola come prima cosa al mattino con l’intento di vedere nessuno in particolare, decise.
 
D’altronde, erano passati diversi giorni dall’ultima volta che aveva casualmente incrociato Caradoc Dearborn in uno dei suoi pellegrinaggi mattutini in giardino e Fenwick seriamente dubitava che il Corvonero avrebbe ripreso questo genere di visite dopo gli ultimi giorni.
 
D’altronde, anche se per quasi una settimana avevano fatto colazione insieme, non voleva dire che fossero amici. Quando si incrociavano nei corridoi della scuola si rivolgevano a malapena un saluto.
 
Quando quella mattina, dopo ben cinque giorni di assenza, arrivò davanti alla capanna di Hagrid – infagottato nel mantello e intento a discutere animatamente con i mille dubbi che gli circolavano in mente – fu una mezza sorpresa vedere la sagoma del Corvonero vicino a quella più grande del Guardiacaccia, in mezzo al cortile.
 
Non ne era per niente sollevato, o almeno così si disse il ragazzo.
 
 
*
 
 
Prima che iniziassero ad incontrarsi all’alba per fare colazione insieme, Benjamin avrebbe scommesso tutto quello che aveva che lui e Caradoc Dearborn non avessero poi molte cose da dirsi: erano le due persone più diverse sulla faccia della terra, d’altronde, avevano interessi e personalità diverse.
 
E a voler ben vedere aveva ragione: non è che, effettivamente, avessero molte cose in comune, lui e Caradoc.
 
Lui, Serpeverde del sesto anno, cresciuto in una casa fatta quasi perennemente di viaggi, allegria e affetto e un Corvonero cresciuto, per quel che ne sapeva lui, all’interno di una prigione di cristallo sorvegliato a vista da un carceriere e una donna pazza.
 
Un po’ diversa, la loro concezione di famiglia. Ma non era solo quello: Caradoc era quasi sempre rumoroso, estroverso, famoso e galante dove Benjamin invece si mostrava ritroso, silenzioso quando non timido e impacciato. Erano davvero diversi come il giorno dalla notte, loro due.
 
All’inizio di quella loro routine parlavano soprattutto di persone e fatti che entrambi conoscevano: come Amelia riuscisse ad essere conoscente di tutti e amica di nessuno, come Kingsley fosse riuscito a nascondere ad uno dei suoi migliori amici di avere una cotta per la di lui sorella, il particolare rapporto che avevano i Prewett, tra litigi e lealtà assoluta. Poi si erano mossi su territori più personali: i loro anni a Hogwarts, quello che la scuola significava per loro e come la loro vita era cambiata in tutti quegli anni.
 
Dopo due settimane di conversazioni, alla fine, Benjamin aveva iniziato a raccontare di Jodie.
 
Quella mattina, Caradoc sembrava molto interessato al genere di lavoro che faceva la sorella di Benjamin.
 
<< Non lo vorremmo tutti, qualche volta, abbandonare quello che conosciamo e andarcene verso l’ignoto? >> chiese il Corvonero quando, incuriosito, Benjamin gli domandò per quale motivo trovava il lavoro di Jodie così interessante << Sturgis vuole diventare uno Spezzaincantesimi dopo la scuola. Suona un sacco avventuroso, ma dicono che in realtà sia molto più inerente le beghe della Gringott che altro >>.
 
Benjamin aveva un’idea molto chiara di ciò che viaggiare per vivere comportava.
 
<< Non sono sicuro di essere interessato a quel tipo di avventure >> rispose scuotendo la testa << Viaggiare non mi ha mai convinto troppo, è scomodo e richiede un’elasticità mentale che non credo di avere. Ci metto troppo ad ambientarmi e affezionarmi a cose e persone, una vita in viaggio con un carattere come il mio sarebbe troppo solitaria >>.
 
Anche riflettendoci, Benjamin Fenwick non riusciva a ricordare di aver mai pronunciato tante parole tanto personali in presenza di Caradoc. Eppure, seduti lì, colazione finita e sguardo puntato sull’altro, non riusciva a pensare a una ragione che fosse una per fermarsi. Non si era mai sentito così a suo agio con nessuno che non facesse parte della sua famiglia o che non fosse Dorcas Meadowes.
 
<< Sembri parlare per esperienza >> mormorò l’altro ragazzo.
 
Erano partiti come ogni altro mattino seduti a distanza di un paio di metri l’uno dall’altro, lui seduto sul suo solito tronco e Caradoc seduto sulla zucca che occupava in genere in quelle occasioni. Ad un certo punto però – e Ben era stupito di non ricordarsi quando – Caradoc si era probabilmente avvicinato al punto da essere ormai seduto vicino a lui sulla porzione di tronco restante. Si rese conto, il Serpeverde, che ormai stavano parlottando così da diversi minuti probabilmente, e che presto sarebbe stata l’ora di rientrare nel castello.
 
Non ci fece troppo caso.
 
<< La mia famiglia viaggia un sacco >> raccontò quindi << I miei si sono conosciuti perché entrambi erano ricercatori… un po’ come Jodie, in realtà. Hanno smesso di viaggiare poco prima di sposarsi. Quando si sono sposati, mia madre è diventata direttrice dell’archivio magico nazionale e quindi hanno deciso di stabilirsi definitivamente in Galles, la famiglia di mia madre è di lì. Mio padre insegna all’Accademia di Medimagia, adesso. Però anche quando io e Jodie eravamo piccoli abbiamo continuato a viaggiare spesso, con vari pretesti >>.
 
Caradoc sorrise.
 
<< Cosa vuoi ricercare tu? >> chiese incuriosito.
 
Benjamin scosse la testa.
 
<< Non ne ho la più pallida idea >> rispose facendo spallucce << Sto seguendo corsi abbastanza vaghi da poter tenere aperte la maggior parte delle possibilità. E tu? >>.
 
Vide Caradoc deglutire e acquistare un po’ di rigidità nel modo in cui stava seduto. Si chiese se per caso avesse fatto la domanda sbagliata, ma poi vide il ragazzo inclinare il capo, come a pensare alla risposta più adatta.
 
<< Il mio sogno è sempre stato il Quidditch >> mormorò alla fine, facendo cadere la risposta nel vuoto.
 
Benjamin si chiese cosa dovesse fare di quella risposta. Sapeva, dal pomeriggio in cui aveva assistito alla mezza lite del Corvonero con Sturgis Podmore, che quel tasto era con tutta probabilità particolarmente dolente. E lui, fra tutti, era proprio la persona meno appropriata per affrontare quel tipo di discorso.
 
<< Beh >> tentò di sdrammatizzare alla fine << Almeno sappiamo che non vuoi diventare Professore di Erbologia. È già qualcosa che puoi togliere dalla lista in caso stessi pensando a un piano B >>.
 
Sorpreso, Caradoc scoppiò a ridere divertito.
 
<< Grazie >> disse dopo qualche minuto di silenzio il Corvonero, cogliendo Benjamin di sorpresa. Il suo stupore doveva essere chiaramente scritto a grandi lettere sul suo volto perché Caradoc, con un sorriso triste, spiegò: << Ultimamente tutti mi dicono cosa dovrei fare e non fare per far funzionare la mia vita. Sai, si suppone che l’ultimo anno di scuola sia importante nella vita di una persona, decidi come impiegare il resto della tua vita, seguire le tue passioni, come guadagnarti da vivere. Credo di averle sentite tutte, ultimamente. È bello ogni tanto poter parlare con qualcuno che non cerca di farti fare quello che vuole lui >>.
 
Il sorriso nacque spontaneo sulle labbra del Serpeverde.
 
<< Quando vuoi >> rispose, e la sincerità con cui lo disse colpì lui per primo.
 
Caradoc ricambiò il sorriso, poi sospirò e si alzò.
 
<< Meglio rientrare, adesso, è quasi ora di scendere in Sala Grande >> disse aggiustandosi il mantello e muovendo qualche passo in direzione del castello. All’improvviso si fermò e lo richiamò: << Benjamin? >>.
 
Fenwick attese, ricambiando lo sguardo.
 
<< Ci vediamo domani? >>.
 
Il Serpeverde sorrise, poi annuì. Era la prima volta che Benjamin lo ammetteva, per lo meno a sé stesso: non erano le lettere di Jodie a trascinarlo giù dal letto a quell’ora del mattino. Non più.
 
 
 
This could be the end of everything
So why don’t we go,
Somewhere only we know?*
 
 
 
 
 
 
 
* “Somewhere only we know”, canzone dei Keane.
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** 22. Capitolo 22 ***


NOTE:
 
Questo capitolo è un po’ di passaggio, il prossimo sarà meno introspettivo e un po’ particolare. Ci sono talmente tante dinamiche in corso da esplorare che evitare la parte introspettiva di ogni personaggio toglierebbe profondità al loro carattere, e forse dopo tanto distacco ho anche bisogno di riscriverli a tutto tondo!
Il prossimo capitolo arriverà venerdì prossimo e non giovedì, perché so già che quel giorno al lavoro sarà tostissimo e smonterò di turno tardi.
Buona lettura!
 
 
 
CAPITOLO 22
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< No >>.
 
La risposta di Benjamin Fenwick era stata categorica.
 
Erano seduti in biblioteca, l’uno di fronte all’altra, diversi fogli di pergamena stesi tra di loro. Jodie sembrava aver preso la cosa dannatamente sul serio, e in risposta alla sua lettera di qualche giorno prima aveva inviato quella che aveva l’aria di essere una lunghissima spiegazione sulle migliori metodologie da impiegare nella ricerca antropologica.
 
Amelia sembrava intenta a leggere qualcuno dei fogli, le sopracciglia inarcate. Sembrava molto più difficile di quanto non avesse pensato all’inizio. Comunque, i due non stavano parlando del progetto di Babbanologia che avevano in campo, ma di tutt’altro: qualcosa che sembrava avere la forza di spaventare il Serpeverde molto più dell’idea di intervistare mezza scuola.
 
<< Non hai scelta >> lo rabbonì Amelia, posando i fogli che aveva in mano in mezzo agli altri già stesi sul tavolo e rivolgendogli uno sguardo colmo di compatimento << Dorcas ha già detto di sì >>.
 
Benjamin sbuffò, esterrefatto.
 
<< E io invece dico di no >> ribatté stizzito << Al contrario di quello che crede la maggior parte della scuola, Dorcas Meadowes non decide tutto della mia vita >>.
 
Amelia sbuffò fuori una risata.
 
<< Non hai scelta, Ben. E poi, mio fratello ci terrebbe molto >>.
 
L’espressione di Benjamin da scocciata divenne pesantemente sarcastica.
 
<< Non puoi saperlo, tuo fratello nemmeno sa della festa! >> esclamò esterrefatto.
 
<< Esatto! >> esultò Amelia come se, finalmente, dopo la lunga discussione, Benjamin avesse afferrato il punto << Il che è lo scopo di una festa a sorpresa! E tu ci aiuterai ad organizzarla >>.
 
Benjamin avvertì distintamente la frustrazione tipica di chi si accorge di star girando in tondo senza arrivare ad un’effettiva soluzione. Era la terza volta, da ché la discussione era cominciata, che Amelia affermava una cosa del genere.
 
Il Serpeverde si portò le mani a massaggiarsi le tempie e poi sospirò. Si chinò sul tavolo e prese tra le sue le mani della Tassorosso, come a tentare di ricondurla alla ragione.
 
<< Amelia, ascoltami bene >> riiniziò il tutto per la quarta volta << Non c’è universo in cui io, Serpeverde, solitario e inquietante possa essere parte di una festa organizzata dalle persone più estroverse e conosciute della scuola per il compleanno del Capitano della squadra di Quidditch di Tassorosso, con cui peraltro avrò parlato tre volte in tutta la mia esistenza. Non può essere. Merlino, sono l’unico a cui la sola idea appaia così ridicola? >>.
 
La domanda – se la prima, la seconda e la terza volta era stata mirata ad Amelia – quell’ultima volta voleva suonare retorica. Invece una voce lo raggiunse in risposta, divertita.
 
<< Dorcas ha già detto che ci sarete entrambi! >>.
 
Dall’ingresso della Biblioteca si stavano avvicinando Sturgis Podmore e Caradoc Dearborn, due diversi sorrisi sulle labbra. A parlare era stato Podmore, che avvicinandosi sventolò una pergamena bene in vista.
 
<< Mi ha anche detto di chiederti di scrivere al locandiere della Testa di Porco. Ha detto che potremmo festeggiare lì >>.
 
Benjamin davvero non sapeva se ridere sarcastico o piangere disperato. Nel dubbio, diede in una risata un po’ disperata.
 
<< Non ho intenzione di chiedere ad Aberfort proprio niente >> esalò alla fine, scuotendo la testa come a togliersi dalla mente i rimbrotti del locandiere in questione << Non ci darà mai il via libera, lui odia gli studenti di questa scuola >>.  
 
Le due nuove aggiunte diedero in una risata tonante, come aspettandosi una risposta del genere.
 
<< Dorcas ha detto che l’avresti detto >> spiegò infatti un divertito Caradoc Dearborn << Ma ha anche detto di usare quel famoso favore >>.
 
Amelia e Podmore inarcarono le sopracciglia.
 
<< Che frase criptica >> rispose alla fine il Prefetto Corvonero << Che vuol dire? >>.
 
Caradoc fece spallucce, ignaro.
 
Benjamin Fenwick, dal canto suo, si dovette trattenere per non sbattere la testa sul tavolo in maniera frustrata.
 
<< Non ho alcuna intenzione di giocarmi quel favore in questo modo >> sentenziò.
 
 
*
 
 
Amelia osservò divertita Benjamin sbuffare e tirare fuori, di malavoglia, penna e pergamena dalla propria borsa a tracolla. Quando quella mattina Dorcas aveva parlato della possibilità di organizzare la festa di compleanno a sorpresa di Edgar alla Testa di Porco, davvero la Bones non avrebbe immaginato quanto facile sarebbe stato far cooperare Benjamin Fenwick nell’organizzazione.
 
Certo, il Serpeverde si era mostrato restio inizialmente ma – e ormai Amelia ne era certa – la sua era tutta scena. Alla fine, non avevano dovuto nemmeno sfoderare le bacchette per farlo capitolare, e questa lei era decisa a considerarla una piccola vittoria.
Dall’altro capo del tavolo rispetto a lei e Benjamin, invece, si stava svolgendo quella che da giorni le sembrava ormai una patetica sconfitta: Caradoc Dearborn e Sturgis Podmore, seduti vicini ma con i pensieri visibilmente lontanissimi, erano in crisi totale.
 
Se ne erano accorti tutti: ultimamente gli scambi di battute tra i due erano forzati, alcuni argomenti evitati come la peste e, quando i due erano presenti insieme, c’era più silenzio e tensione nell’atmosfera di quanto generalmente non fosse sopportabile.
 
 
*
 
 
Dopo aver convinto Benjamin a scrivere la lettera, Sturgis Podmore e Caradoc Dearborn si erano seduti al tavolo della biblioteca, vicini come lo erano stati tante volte da quando avevano fatto amicizia fino a quel momento.
 
Per chi li osservava da fuori le cose non dovevano essere cambiate poi tanto, pensò Sturgis.
 
 
Si vedevano spesso in giro per i corridoi insieme, discutevano delle solite inutili cose con il solito tono lamentoso o sarcastico. La mattina facevano colazione insieme e durante le pause tra le lezioni si facevano compagnia. A volte, nel pomeriggio, se non era troppo freddo, facevano una capatina nei giardini per prendere un po’ d’aria o per andare a fare una visita ad Hagrid.
 
Però alla mattina, quando Sturgis si svegliava e voltava lo sguardo dalla parte opposta della loro stanza in dormitorio, il letto di Caradoc era vuoto e il ragazzo non si vedeva da nessuna parte. Quando ricompariva, era tutto arruffato dopo aver chiaramente passato del tempo fuori dal castello. I silenzi, quando erano insieme, erano più lunghi e densi e le battute non uscivano più con la stessa facilità di prima.
 
Ma sicuramente non se ne era accorto nessuno. Davanti agli altri andava tutto bene. Anche tra di loro, in teoria, andava tutto bene. Non ne parlavano mai.
 
Era passato ormai quasi un mese dalla mezza litigata che avevano avuto e in quel lasso di tempo, sul piano pratico, un po’ di cose erano cambiate: Caradoc non era più il Capitano della squadra di quidditch di Corvonero, tanto per dirne una.
 
Sturgis non si era mai reso conto di quanto unici fossero diventati i loro allenamenti di quidditch da quando Caradoc era diventato il Capitano della squadra di Corvonero: se si escludeva il solito gruppetto di ragazzine che sembrava seguire Dearborn più o meno ovunque andasse, sempre offrendo un sottofondo di risolini e occhiate languide, mancava comunque qualcosa all’atmosfera degli allenamenti della squadra ora che Caradoc aveva passato il testimone a Max MacKinnon.
 
Con Caradoc, il livello di drammaticità era sempre alle stelle: che si trattasse di semplici tiri in porta o di una partita di prova titolari contro riserve, gli allenamenti negli anni erano sempre corredati da urla di vittoria o imprecazioni a segnalare gli errori e l’eventuale sconfitta; quando si avvicinavano le partite, gli allenamenti diventavano quasi insostenibili, ma Caradoc era sempre il primo a tuffarsi con entusiasmo in quei training all’ultima goccia di sudore. Pioggia, vento o neve, gli allenamenti erano sacrosanti.
 
Non che Max MacKinnon fosse una cattiva persona, tutt’altro. O un cattivo capitano. Solo, e quella era l’opinione del modestissimo Sturgis Podmore, non era il Capitano. E non lo sarebbe mai stato, lui lo sapeva, perché talenti come quello di Caradoc non nascevano sugli alberi.
 
Un’altra cosa che era cambiata nell’ultimo mese erano le compagnie di cui si circondava il Corvonero quando pensava di essere invisibile.
 
Cioè, già il fatto che Caradoc pensasse di poter essere invisibile o passare inosservato era una cosa che – in altre circostanze – avrebbe fatto rotolare Podmore dalle risate. Una personalità come quella di Caradoc, con il non-indifferente ego che si tirava dietro ovunque andasse, non avrebbe potuto passare inosservata nemmeno sotto il mantello dell’invisibilità.
 
Tanto per cominciare, non c’era più una ragazza nuova ogni paio di giorni. Esclusa Hestia, l’unica altra ragazza a fare da accompagnatrice occasionale a Caradoc ormai era Dorcas Meadowes, e quando i due si vedevano camminare in giro per la scuola – non molto spesso, se Sturgis doveva essere sincero – di solito erano intenti a parlottare in un modo che sembrava poco consono a entrambe le loro reputazioni. 
 
Sturgis Podmore davvero non sapeva come comportarsi.
 
Sapeva, istintivamente, che l’amicizia che c’era tra di loro si era sviluppata in maniera talmente profonda che avrebbe sicuramente superato quell’apatico momento: non si immaginava una vita senza Caradoc, e sapeva che per Dearborn era lo stesso. Nello stesso tempo, però, la loro amicizia era nata platealmente e di certe cose, loro due, non avevano mai parlato. Avevano passato anni, ormai, parlando di stupidate e lamentandosi a vicenda di quanto noiosa fosse la controparte. Non avevano quasi mai parlato di cose serie.
 
Seduti a quel tavolo, adesso, vicini fisicamente ma lontanissimi in realtà, ognuno perso nei propri pensieri, era difficile trovare un argomento neutro di cui parlare. Ogni volta in cui pensava a cosa dire, Sturgis apriva la bocca come a dare fiato al proprio pensiero. Poi il momento passava e lui tornava a richiuderla.
 
<< Sembri un pesce >> si intromise con la grazia di un elefante in una cristalleria Amelia Bones.
 
Sturgis aveva dimenticato che c’erano altri intorno a lui.
 
<< Grazie cara >> si riprese cercando di non mostrare la propria sorpresa << Mi solleva sempre il cuore sapere cosa pensi di me >>.
 
Amelia gli rivolse uno sguardo intenso, poi scrollò le spalle come a decidere che quella non era la propria battaglia.
 
Forse Sturgis si era sbagliato a pensare che nessuno aveva notato nulla. Seduto di fronte ad Amelia, ancora intento a scrivere la propria lettera, Fenwick si era fermato con la piuma a mezz’aria per scrutare i tre brevemente. Al cenno di Amelia, riprese a scrivere.
 
<< Comunque, cosa ci fate voi due in biblioteca insieme? >> chiese incuriosito.
 
Benjamin, concentrato sulla lettera, non rispose.
 
<< Un compito di Babbanologia >> rispose la ragazza con un sorriso entusiasta << Abbiamo deciso di intervistare i Nati Babbani della scuola per integrare le ricerche nei libri, visto che secondo Benjamin sono troppo vecchi per essere affidabili >>.
 
<< Abbiamo deciso? >> domandò il ragazzo Serpeverde con tono altamente ironico, continuando a scrivere la sua lettera.
 
Accanto a Sturgis, Caradoc diede in una risata divertita. Amelia, dal canto suo, alzò gli occhi al cielo.
 
<< Come la fai lunga, Benjamin >> lo riprese fingendosi spazientita. Poi si volse verso di loro << Non credete sia una tecnica interessante quella di raccogliere interviste dal vivo? E poi, onestamente, non riesco a immaginare un duo migliore di noi per farlo. Io conosco tutti e Benjamin, tramite sua sorella e le sue esperienze di viaggio, ci può fornire un sacco di spunti interessanti su come gestire i dati >>.
 
Benjamin, che aveva scostato lo sguardo dalla lettera per puntarlo dritto su Amelia Bones, aveva l’aria di aver già avuto quella spiegazione un sacco di volte. E di non esserne tutt’ora completamente convinto. Sturgis concordava pienamente con il ragazzo.
 
<< Questa potrebbe essere la peggiore idea che tu abbia avuto da quando ti conosco, Meli >> si sentì quindi in dovere di enunciare.
 
Se le cose tra lui e Caradoc fossero state normali, il suo migliore amico sarebbe intervenuto proprio adesso per raccontare quali secondo lui erano state le peggiori idee avute da Amelia da quando entrambi la conoscevano: sarebbero state storie divertenti, raccontate da Dearborn con il suo solito tono altezzoso ma con un retrogusto dolce, come a lamentarsi delle marachelle di una sorellina fastidiosa ma, alla fin fine, amata.
 
Invece da parte di Caradoc ci fu solo un silenzio denso, al punto che nuovamente Amelia rivolse loro uno strano sguardo intenso.
 
<< Comunque >> cambiò discorso, alla fine, la ragazza << Cosa avevate intenzione di fare in biblioteca, oltre agli uccelli del malaugurio? >>.
 
Caradoc arricciò le labbra, prendendo una pergamena spiegazzata dalla borsa.
 
<< Io e Sturgis siamo in carica per decidere il tema e i dettagli della festa di Edgar. Siamo a un punto morto >>.
 
 
*
 
 
Benjamin finì di scrivere la sua lettera apponendo un saluto gentile alla fine di poche righe, poi alzò lo sguardo sul biglietto mostrato dal Corvonero. Era un pezzo di pergamena spiegazzato con diverse macchie d’inchiostro sopra e poche frasi senza un apparente senso logico scritte in una calligrafia elegante.
 
Stamberga e Spiriti (?)
Facciamogli fare indigestione da Mielandia!!!
Qualcosa sulla via dal castello
Pirati (?)
 
Benjamin Fenwick dovette rileggere l’ultima un paio di volte per assicurarsi di aver letto giusto, ma comunque cercasse di rigirare la parola per lui nulla di ciò che era scritto aveva senso.
 
<< Cosa intendete per tema? >> chiese incuriosito.
 
Doveva essere qualcosa ad ampio spettro, perché davvero non riusciva a spiegarsi come Facciamogli fare indigestione da Mielandia!!! e la parola Pirati (?) potessero essere collegati.
 
<< Vedi >> spiegò Amelia strappando il foglio dalle mani di Caradoc e scrutandolo con sguardo critico << L’usanza per queste feste a sorpresa è di ambientarle, creare qualche sorta di scherzo o gara da far vivere al festeggiato per poi alla fine chiudere in bellezza con un vero e proprio momento di festa >>.
 
Quella spiegazione suppliva qualche informazione, doveva ammettere Benjamin, ma comunque Pirati (?) continuava a non avere senso. Amelia aveva l’aria di pensarla allo stesso modo.
 
<< Pirati? >> domandò pensierosa << Non sono sicura di voler sapere cosa intendete >>.
 
Caradoc scosse la testa, ugualmente pensieroso.
 
<< Non credo che tu voglia, credimi. Dovremmo trasfigurare una delle gambe di Edgar in una stampella di legno dal ginocchio in giù e più ci penso più mi sembra un’opzione impraticabile >>.
 
A quelle parole, le sopracciglia di Benjamin gli schizzarono quasi all’attaccatura dei capelli.
 
<< Io non sono sicuro di voler venire a questa festa, ora che ci penso >> mormorò.
 
Sturgis, da parte sua, si limitò a scrutarlo per un po’. Poi, con fare convinto, gli puntò un indice pericolosamente vicino al naso.
 
<< Credo che tu ci possa aiutare >>.
 
Il Serpeverde non avrebbe saputo dire come. Non aveva mai avuto in vita sua l’occasione di organizzare una festa a sorpresa per chicchessia. Caradoc e Amelia, invece, lo stavano scrutando come se Sturgis avesse tutte le ragioni del mondo a credere una cosa del genere.
 
<< In che senso? >> si premurò di chiedere, aggiungendo poi un po’ stizzito: << Pensavo di aver già fatto la mia parte scrivendo a Aberfort >>.
 
Amelia scosse il capo.
 
<< Sturgis ha ragione! Noi abbiamo già organizzato un numero infinitamente alto di compleanni in passato, tu sei come una ventata d’aria nuova! >>.
 
Lo sguardo apatico negli occhi di Benjamin dovette muovere qualcosa in Sturgis Podmore, che gli afferrò le mani guardandolo con un fervore negli occhi che pareva suggerire tutto dipendesse da lui.
 
<< Pensaci, Fenwick. Ti viene in mente qualcosa da far fare a Edgar di divertente o potenzialmente pericoloso? >>.
 
<< Non troppo pericoloso >> si intromise Amelia.
 
<< La giusta dose >> si intromise Caradoc.
 
Guardando fisso il modo speranzoso in cui i tre si stavano aggrappando all’idea che lui potesse aiutarli, Benjamin si sentì quasi intenerito.
 
<< Cosa piace a Edgar? >> chiese, sperando di farsi venire un’idea qualunque.
 
<< Il mistero e i pirati. Dice sempre che in una vita passata era sicuramente un pirata gentiluomo >>.
 
Ecco spiegata l’ultima opzione, si disse Benjamin. Poi ripensò a quanto appena detto da Amelia e guardò i ragazzi con fare sconcertato.
 
<< A Edgar piace il mistero e voi non avete mai pensato di usare i passaggi segreti? >>.
 
I tre ragazzi sgranarono gli occhi, tutti insieme.
 
<< Ci sono dei passaggi segreti? >>.
 
 
*
 
 
<< Semplicemente non capisco il motivo per cui adesso dobbiamo ritrovarceli intorno per ogni minima cosa >> stava spiegando Gideon Prewett con aria concentrata ad una perplessa Hestia Jones.
 
<< Ad essere onesta non capisco che fastidio ti dia la loro presenza >> rispose la ragazza facendo spallucce.
 
Gideon Prewett era, tendenzialmente, una brava persona: leale e coraggioso, viveva la propria vita a carte scoperte, mettendo in mostra l’allegria che gli era propria e valutando cose quali l’amicizia e la famiglia al di sopra di tutto. Da ché lo aveva incontrato, Hestia non l’aveva mai visto arrabbiato se non per qualche litigio stupido con il fratello o a causa di un risultato di Quidditch: quindi davvero per lei era un mistero l’intensa avversione del Grifondoro alle persone di Dorcas Meadowes e Benjy Fenwick.
 
<< Perché dobbiamo invitarli ad ogni occasione? >> chiese senza fornire una vera e propria risposta alla domanda precedente.
 
Hestia si chiese se davvero valesse la pena inoltrarsi in quel momento in una discussione del genere. A volte era stancante vestire il ruolo di deputato diario segreto di tutta la banda. E lei, chi era il suo diario segreto? Alla fine della favola, anche lei era una diciassettenne alle prese con vari problemi.
 
<< Ascolta, Gideon >> sospirò alla fine dopo un po’ di silenzio << Non posso aiutarti a farti andare a genio Dorcas e Fenwick. Non funziona in questo modo. Posso solo invitarti a riflettere sul fatto che non li hai mai frequentati. Non li conosci, non puoi conoscerli. Forse, se concedessi loro un po’ del tuo tempo, impareresti a vederli sotto una luce diversa >>.
 
<< Non mi interessa vedere la Meadowes come la vede Fabian, grazie tante >>.
 
A quelle parole, Hestia alzò gli occhi al cielo e non rispose. Quello che poteva fare l’aveva fatto, al resto avrebbe dovuto arrivarci da solo.
 
Sospirando, cambiò argomento:
 
<< Quindi, chi abbiamo deciso di invitare, alla fine? >>.
 
 
*
 
 
Dal momento in cui era stata inglobata in quello strano gruppo che Benjamin Fenwick chiamava, non troppo amorevolmente, la Patria dei Bellocci, Dorcas Meadowes aveva capito che con quei ragazzi le cose funzionavano in maniera un po’ atipica, specialmente se comparate alle proprie consuetudini.
 
Lei, per esempio, aveva l’abitudine di consumare al mattino una colazione leggera in tutta tranquillità, magari con un libro sottomano, senza spiccicare parola. Da quando aveva preso il giro di fare colazione con i Corvonero del settimo anno, però, le sue colazioni in tutti i modi si potevano descrivere fuorché tranquille: ultimamente, le sue colazioni erano condite dalle risate di Hestia, i lamenti di Dearborn e i rimbrotti che Podmore faceva a quest’ultimo. Con lo sguardo, mentre mangiava di gusto e rideva alle battute di Sturgis ai danni di Caradoc, teneva sotto controllo Benjamin che, dall’altra parte della sala, non mangiava niente.
 
Un’altra cosa diversa nella sua routine giornaliera negli ultimi tempi erano le pause tra le lezioni: se prima lei e Benjamin erano gli unici protagonisti della sua giornata – talvolta passando ore senza vedersi a causa del fatto che seguivano lezioni diverse – ora Amelia era diventata una presenza fissa e impossibile da ignorare a praticamente qualsiasi ora del giorno: seguivano insieme Difesa Contro le Arti Oscure e Storia della Magia, Erbologia e Pozioni. Passavano insieme un buon numero di pomeriggi alla settimana, a volte con Hestia e a volte senza di lei.
 
L’ultima cosa che era cambiata, forse la più importante, era l’interesse che, senza capire il perché, doveva aver suscitato in Fabian Prewett: per qualche strano motivo Fabian era spesso a portata di sguardo, con i suoi amici o senza di loro. Aveva quel luccichio allegro nello sguardo tipico di chi vive la propria vita come un’eterna battuta che soltanto lui è in grado di capire appieno, e la salutava sempre con quel tono genuinamente felice che ormai lo distingueva ai suoi occhi da chiunque altro.
 
Non era abituata ad essere il focus di attenzioni del genere, Dorcas Meadowes. L’unica persona che la avesse mai veramente considerata, Benjamin, non aveva davvero nulla in comune con Prewett né come persona né con il suo atteggiamento scanzonato nei confronti della vita. Avere accanto Benjamin era come avere sempre qualcosa a cui appoggiarsi per riprendere un po’ di fiato, avere accanto Fabian era invece l’esatto opposto: era trovarsi all’improvviso capovolti a testa in giù senza capire come ci si poteva essere finiti.
 
Non era abituata a sensazioni del genere, vero, ma non le dispiacevano.
 
Senza sapersi spiegare come, né perché, aveva iniziato ad aspettare quei momenti passati con il Grifondoro come non aveva mai aspettato nulla, nella sua vita. Era diverso, ma non in modo negativo.
 
<< Come sapevi che avrebbe detto di sì? >> chiese Fabian all’improvviso.
 
Erano seduti insieme sotto uno degli archi del cortile centrale della scuola, in teoria per organizzare la logistica della festa di Edgar. In pratica, non potevano poi fare molto senza i dettagli di cui dovevano occuparsi Caradoc e Sturgis, e Fabian sembrava deciso a scambiare qualche parola con lei. Il ragazzo, mantello spesso e sciarpa Grifondoro a tenerlo al caldo, aveva posto la domanda in tono stupito.
 
Dorcas fece spallucce.
 
<< Ho riposto fiducia sia nel messaggio che nel messaggero >> rispose criptica.
 
Quando aveva istruito Caradoc Dearborn sulle esatte parole da usare per indurre Benjamin a mandare la lettera, la ragazza sapeva esattamente quello che stava facendo. Fabian, come il resto della Patria dei Bellocci, non sembrava invece essersi accorto di nulla.
 
<< Che vuoi dire? >> domandò infatti il Grifondoro.
 
La ragazza fece spallucce, ignorando la domanda e cambiando discorso.
 
<< Sarà una festa affollata? >>.
 
Conoscendo la Patria del Bellocci, come la chiamava Benjamin, quel po’ che la conosceva, Dorcas si era fatta un’idea ben precisa di festa di compleanno a sorpresa: se la immaginava caotica, piena di gente e di risate. Il tipo di festa in cui lei sarebbe rimasta in disparte fino a trovare un motivo per andarsene di soppiatto. Non se ne sarebbe accorto nessuno, pensava, e per fortuna avrebbe avuto Benjamin a darle manforte.
 
<< Non davvero, no >> rispose invece a sorpresa il Grifondoro << Quando tutta la tradizione delle feste a sorpresa è iniziata c’era qualche persona in più nel gruppo, qui a Hogwarts. Ma il nostro gruppo è più o meno consolidato da quando eravamo al quarto anno, gli altri sono una sorta di aggiunta. Qualche volta, a seconda del festeggiato, invitiamo un paio di persone diverse >>.
 
<< Per esempio? >> domandò la ragazza, già pensando a quanto diversa fosse probabilmente la locuzione “un paio di persone” secondo lei e secondo Fabian Prewett.
 
<< Ad esempio, Edgar aveva un paio di amici più grandi di lui a Tassorosso, quindi probabilmente Hestia e Gideon inviteranno qualcuno di loro. Ma davvero, non devi immaginarti una fiumana di gente >> aggiunse Fabian con un sorriso, appoggiandole una mano sul braccio come a cercare di rassicurarla << Questo genere di festa è una tradizione per noi, e le tradizioni non si assaporano come si deve se c’è troppa gente che non capisce >>.
 
Fabian ebbe appena il tempo di finire di parlare prima di accorgersi del fatto che, preso dall’entusiasmo del momento, si era preso la libertà di toccarle un braccio. Dorcas, dal canto suo, fece del suo meglio per non irrigidirsi o mostrarsi seccata: non era mai stata abituata a quel tipo di intimità, forse nemmeno con Benjy, eppure l’accettò di buon grado.
 
<< Non riesco a immaginarmi come possano essere andate le feste passate, se devo essere onesta >> mormorò alla fine Dorcas, sperando di non risultare scettica.
 
Fabian sembrò pensarci un attimo, contando più volte sulle dita in una mano guantata i compleanni passati.
 
<< Caradoc è nato a Luglio, quindi non siamo a scuola in quel periodo, come d’altronde Sturgis e Amelia sono di Agosto. Io e Gideon siamo nati a metà Aprile, e insieme a Hestia, che è di Settembre, e a Edgar, siamo gli unici che festeggiano il compleanno durante il periodo scolastico. Il compleanno di Kingsley è il ventisette dicembre, quindi generalmente nel mezzo delle vacanze invernali >>.
 
Fabian contò di nuovo velocemente.
 
<< Ripensandoci >> aggiunse alla fine << Il compleanno di Amelia e quello di Sturgis lo festeggiamo insieme, di solito. Sono nati ad un paio di giorni di distanza >>.
 
<< Come festeggiate quando non siete a Hogwarts? >>.
 
Il Grifondoro ridacchiò.
 
<< Dipende. Prima, quando avevamo ancora addosso la traccia perché eravamo minorenni non potevamo fare granché >> spiegò il ragazzo << E considerando che abbiamo iniziato questa tradizione quando ormai eravamo davvero tutti amici, al nostro quinto anno, solo l’anno scorso è stato davvero divertente. Ad oggi, direi che la festa di compleanno per i diciassette anni di Caradoc è stata la più divertente: avrai capito ormai che organizziamo ogni festa con un tema diverso, e visto che Caradoc non è molto coraggioso gli abbiamo organizzato una caccia al tesoro in tutta la Gran Bretagna alla ricerca dei fantasmi più sanguinari della nazione. Ad ogni tappa doveva bere un bicchiere di qualsiasi cosa gli offrissero, e credimi, è stato uno spasso. Davvero, ormai l’unico limite è la nostra immaginazione >> ammiccò alla fine.
 
Dorcas rise quietamente.
 
<< Ho come l’idea che per quel che riguarda il vostro gruppo di amici, l’immaginazione sia l’unico limite in un sacco di questioni >>.
 
A quella frase, Fabian accentuò il sorriso.
 
<< Si fa quel che si può. Vedrai, ci divertiremo. Per lo più a spese di Edgar >>.
 
E quella aveva tutta l’aria di essere una promessa.
 
 
*
 
 
Le feste a sorpresa erano un po’ la marca del loro piccolo e disfunzionale gruppo. Con il passare degli anni da ché il gruppo si era formato, il rituale era andato consolidandosi al punto che ormai potevano vantare piccoli sottogruppi di lavoro e una dinamica organizzativa praticamente eccellente. La sfida stava, ogni anno, nel trovare nuovi modi per sorprendere e non annoiare il povero malcapitato che, per un paio d’ore, veniva di norma torturato in vari modi.
 
Non importava il mese o il giorno in cui cadeva il compleanno di ciascuno di loro: che fosse estate o inverno, a Hogwarts o in diversi punti della Gran Bretagna, ad ogni compleanno il gruppo si riuniva selezionando un manipolo di invitati per l’occasione, un tema interessante che potesse essere declinato in modo divertente, e una logistica organizzata in maniera impeccabile. Quell’anno, poi, l’aggiunta di Dorcas e Benjamin aveva voluto significare nuove possibilità.
 
<< Non posso credere che non abbiamo mai festeggiato un compleanno ad Hogsmeade>> disse alla fine di un breve silenzio Fabian Prewett. Rispolverare i dettagli della festa di Caradoc lo aveva fatto pensare a tutte le altre feste, e al termine di quel piccolo viaggio nei ricordi era giunto all’amara conclusione che mai, nemmeno una volta, avevano festeggiato una festa di compleanno a Hogsmeade. << Siamo qui da quanti… sette anni? abbiamo iniziato questa tradizione almeno da tre, e cioè… sono almeno quattordici compleanni! E non ci è mai venuto in mente di festeggiarne uno a Hogsmeade! >>.
 
<< Certo dovete essere pieni di inventiva, per trovare qualcosa di diverso ad ogni occasione >>.
 
Fabian si trovò costretto ad annuire.
 
<< Sta diventando sempre più difficile, ad ogni nuovo compleanno. Probabilmente, avere te e Fenwick ci potrà servire a trovare nuove idee… >>.
 
Il Grifondoro non fece in tempo a concludere la frase che dovette bloccarsi quando Dorcas scoppiò in una risata piena. Sentì uno strano orgoglio ringalluzzente nel pensare che – anche se non ne aveva ben capito il motivo – lui era stata la persona responsabile di farla ridere. E in realtà, anche se normalmente Dorcas era piuttosto parsimoniosa con qualsiasi segno di allegria, da quando si erano seduti in cortile la ragazza aveva riso in modo più o meno aperto almeno un paio di volte.
 
Dorcas dovette accorgersi di aver attirato l’attenzione del ragazzo con la sua risata, perché smise di ridere ma mantenne un sorriso stranamente divertito.
 
<< Se davvero pensi che Benjamin possa avere un qualche stralcio di fantasia per cose del genere, davvero non lo conosci >> spiegò scrollando il capo bonariamente.
 
Fabian si unì alla risata, allora, immaginando lo sguardo inespressivo tipico del ragazzo in questione.
 
<< Avrei voluto essere lì quando Amelia gli ha detto della lettera >> sghignazzò. Poi si chiese se dovesse sentirsi in colpa a ridere in quel modo del Serpeverde.
 
Dorcas, da parte sua, quando scoppiò nuovamente a ridere non sembrò avere nessuna remora. Dopo avergli rivolto uno sguardo intenso, però, scosse la testa.
 
<< Non ti devi sentire in colpa a ridere di Ben >> disse tranquillamente.
 
Il Grifondoro, questa volta, non riuscì a rimangiarsi la frase che per molto tempo – ogni volta che la ragazza se ne usciva con frasi del genere – si era sentito sulla punta della lingua.
 
<< Com’è che sembri sempre sapere cosa sto pensando? >> chiese meravigliato << Sembri una Legilimens! >>.
 
Dorcas ridacchiò di nuovo.
 
<< Non so di cosa tu stia parlando >> disse poi con fare fintamente misterioso.
 
Fabian Prewett ci aveva provato, negli ultimi tempi, a chiedersi cosa diamine avesse la Meadowes di così diverso da chiunque altro. No, non qualunque altra ragazza, ma qualunque altra persona.
 
<< Non ho mai conosciuto qualcuno come te >> si lasciò scappare quasi senza rendersene conto, sull’onda dei propri pensieri << E si che sono circondato da persone particolari! >>.
 
Se Dorcas fu stupita da quello slancio di onestà lo diede a vedere solo nello sguardo lievemente stupito.
 
<< Particolare. Deciderò di prenderlo come un complimento >> mormorò dopo un po’, con un sorriso insolitamente compiaciuto.
 
Lui annuì, continuando a guardarla negli occhi.
 
<< Lo è >> rispose sinceramente.
 
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** 23. Capitolo 23 ***


CAPITOLO 23




 



Tra il giovedì e il venerdì della settimana precedente la festa di Edgar
 
 
La manifestazione pacifica* era iniziata appena dopo pranzo: il corteo aveva iniziato la marcia da St James park e si era diretto a Trafalgar Square per poi finire davanti a Westminster.
 
Tra gli organizzatori, una ragazza dai corti capelli biondissimi finì di parlare e lasciò il microfono allo speaker successivo: la folla era in delirio e da alcune parti della piazza, di tanto in tanto, si alzavano cori di slogan più o meno immediati contro il razzismo. La ragazza, vestita con una lunga veste variopinta nei toni del giallo e del viola, si immerse nuovamente tra la folla. Intanto, al termine del suo intervento, un lungo applauso e lunghi ululati di giubilio si levarono dal pubblico.
 
<< Allora, che ne pensi? >> mormorò la ragazza nel raggiungere il proprio fidanzato.
 
Il ragazzo a cui si era rivolto la guardò con un sorriso brillante di denti bianchissimi. Visto da vicino, il contrasto fra i due era davvero impressionante: lei era alta, con corti capelli biondissimi e pelle nivea spruzzata di lentiggini, gli occhi di un chiaro azzurro slavato. Lui aveva la pelle scurissima e i capelli neri, legati in piccole treccioline e raccolti in un codino sulla nuca. Si guardavano a vicenda con una luce negli occhi che sembrava suggerire un mondo che conoscevano solo loro.
 
<< Sei stata meravigliosa >> esclamò il ragazzo a voce abbastanza alta da poter essere udibile oltre il rumore della folla << Dovremmo convincere anche i nostri a fare cose del genere >>.
 
La ragazza piantò uno sguardo deciso sul volto dell’altro ragazzo, cercando di immaginarsi il mondo magico in rivolta. Le venne quasi da ridere, poi quasi da piangere.
 
<< Mi sono confusa, o è davvero arrivato un gufo mentre stavo parlando? >>.
 
Il ragazzo fece un cenno verso un albero nelle vicinanze, quello in cui probabilmente era svanito il gufo per andare a riposarsi. Tra le sue mani, come per magia, apparve una busta in pergamena chiusa da un sigillo nero in ceralacca. I destinatari erano scritti in una calligrafia tondeggiante su un lato della busta.
 
A J e Zaak.
 
 
*
 
 
La vita di Tory Thompson era abbastanza ordinaria, e contemporaneamente totalmente straordinaria.
 
Usciva di casa – se così si poteva chiamare l’appartamento all’ultimo piano del numero quindici di Canning Street, a Liverpool, in cui tornava a dormire ogni notte da un anno – ogni mattina alle sette in punto e non vi rientrava la sera prima delle nove. Di solito, per cena, comprava qualcosa tornando a piedi dalla stazione di materializzazione più vicina a Canning Street e mangiava seduta al basso tavolino nel salotto dell’appartamento mentre compilava il rapporto sulla giornata lavorativa che avrebbe poi consegnato insieme agli altri al termine della settimana.
 
Chiunque aveva notato quella strana ragazza, nei dintorni: era sempre vestita elegantemente, viveva in uno dei loft più prestigiosi della città, passava pochissimo tempo a casa e lavorava moltissimo. Strano, per una donna.
 
Quella sera, si era smaterializzata dal Ministero della Magia londinese perfettamente in orario per materializzarsi alla solita ora presso la stazione di materializzazione di Canning Street. Mentre con passo veloce si dirigeva verso il suo deli indiano preferito, un’ombra planò gentile davanti a lei. Il rumore e l’ombra improvvisa, nel silenzio della sera, spaventò la ragazza facendola sobbalzare vistosamente.
 
<< Piccolino! >> mormorò ridacchiando quando, una volta ripresasi dallo spavento, si accorse dell’arrivo di un gufo << Mi hai spaventato >>.
 
Il gufo non sembrava appartenere al Ministero, e nel constatare ciò la ragazza tirò un sospiro di sollievo. Amava il suo lavoro, ma davvero non aveva voglia di girare i tacchi e tornare indietro.
 
Il gufo aveva tra le zampe una lettera di pergamena.
 
A Tory.
 
 
*
 
 
A Sully Abbott alla mattina piaceva dormire.
 
Ancora si ricordava quanto aveva patito, mentre era studente a Hogwarts, doversi svegliare ogni mattino in tempo per la colazione e i corsi di studio, dover sopportare il vociare intenso della Sala Grande e non poter rispondere male ai professori quando pretendevano di avere risposte ragionevoli a quell’ora assurda del mattino, quando lui non riusciva a connettere le sinapsi in modo decente se non dopo mezzogiorno.
 
Era un animale notturno, lui. Non di quelli che spendevano fino all’ultimo centesimo della loro notte in qualche pub o locale a ballare o a bere, ma di quelli che preferivano la quiete e la tranquillità del buio per fare cose ordinarie e l’unico modo in cui incrociavano la prima luce del mattino era al rovescio, dopo una notte insonne passata a fare altro.
 
Quindi, quando era uscito da Hogwarts con un numero piuttosto modesto di MAGO ma un’attività di famiglia già avviata e solida che lui, personalmente, adorava, aveva deciso che mai e poi mai si sarebbe di nuovo svegliato presto al mattino.
 
E infatti, quando i suoi genitori avevano deciso di assumerlo al loro Accessori per Quidditch di Qualità, sito in Diagon Alley e sempre pieno di gente, gli avevano fatto la grazia di assegnarlo agli orari serali, quelli che a loro stessi pesavano maggiormente. Inoltre, memori della sua passione per il Quidditch – che dopo anni di amicizia con Ludo Bagman era ormai sfociata in una sorta di ossessione – gli avevano affidato anche la parte di ricerca della migliore merce, compresa la contrattazione con i fornitori e con le squadre della lega per la fornitura di gadget ufficiali.
 
Praticamente poteva dire, a vent’anni, di vivere il proprio sogno in tutto e per tutto.
 
Quella mattina, quando alle undici e cinquantatré si alzò dal letto e si diresse in cucina per prepararsi il caffè, sul tavolo del suo monolocale da scapolo trovò una lettera indirizzata A SullyTally. Si ricordò che periodo dell’anno era e scoppiò a ridere.
 
 
*
 
 
Ludo Bagman giocava con le Vespe di Winbourne come Battitore titolare da due anni e sei mesi. Prima di diventare titolare, era stato la prima riserva di Thomas Crawford per quindici mesi.
 
Amava il Quidditch e, addirittura più del gioco in sé, amava fare parte di una squadra. Era come avere un’altra famiglia, c’era un cameratismo tutto particolare nel vivere con quegli altri sei screanzati e con le rispettive riserve momenti importanti durante gli allenamenti, le partite e le uscite per celebrare vittorie o annegare nell’alcool le sconfitte. Oltre agli altri membri della squadra, c’era tutto un sistema di lavoratori che ruotava attorno a lui che lo faceva sentire protetto, in qualche modo. Ogni volta che ne parlava ai propri amici si rendeva conto di quanto fortunato fosse a lavorare in un ambiente del genere: alcuni di loro nemmeno avevano dei colleghi.
 
La cosa che amava più di tutto, però, erano gli allenamenti in solitaria con la propria allenatrice: Margareth “Retha” Travers era una donna eccezionale, che dopo anni di conoscenza era per lui diventata una figura a metà strada tra un’eroina e una madre. Era una donna alta e giunonica, dai corti capelli biondo cenere e un’età imprecisata che doveva avvicinarsi però alla sessantina.
 
<< Forza Ludovic, devi colpire quei bolidi come se fossero la faccia di Scott! >> gli disse quella mattina per l’ennesima volta tuonando con vocione forte.
 
Andy Scott, Grifondoro del suo stesso anno ai tempi in cui erano stati studenti ad Hogwarts, era diventato il cercatore del Puddlemore United quando lui era entrato nelle Vespe e giusto l’anno prima aveva fregato loro il titolo nella lega di Quidditch nazionale proprio schivando un bolide lanciatogli da Ludo.
 
Perdere per quel motivo era stato un colpo basso, Ludo doveva ammettere. Sentirselo rinfacciare ora da Retha, al termine di un allenamento singolo durato tre ore e pericolosamente vicino all’ora di pranzo, era un colpo infimo.
 
<< Sono tre ore che mi tiri contro bolidi, Retha. Ho fame >> si lamentò infatti a gran voce.
 
La donna fece per replicare piccata, poi incrociò le braccia al petto e scosse la testa.
 
<< Hai quarantacinque minuti di pausa pranzo >> concesse alla fine << Però questo pomeriggio in allenamento mi aspetto di veder schizzare quei bolidi in giro come se avessero dei draghi alle calcagna, mi sono spiegata? >>.
 
La donna non aspettò una risposta, non attese nemmeno di vederlo planare a terra e scendere dalla scopa, ma si diresse al limitare del campo verso gli uffici della squadra. Arrivata dagli spalti, mentre ancora Ludo era impegnato a massaggiarsi i muscoli delle braccia, si voltò.
 
<< E chiedi alle tue fan di indirizzarti i gufi all’apposito indirizzo di raccolta per i giocatori, o se sono private fattele arrivare a casa. Non voglio gufi sul mio campo di Quidditch >>.
 
La cosa più bella di Retha era che non te le mandava a dire, certe cose.
 
Ludo alzò la mano a segnalare che aveva capito, e puntò lo sguardo sul gufo scuro che si era appena posato su una delle panche a bordo campo. Quando gli si avvicinò, Bagman vide che la lettera era indirizzata a lui e riconobbe al volo la calligrafia al lato della busta.
 
A Ludo.
 
 
***


Nel Weekend della festa

 
<< Si vede che non sei di queste parti >> annunciò la sua fidanzata con voce divertita.
 
<< Lo dici solo perché sono nero >> rispose a tono, scherzando, Zaakis, aggiustandosi il codino sulla nuca.
 
Jael rise di cuore alla risposta del fidanzato.
 
Da quando stavano insieme era diventata una cosa tutta loro, prendersi in giro per le loro differenze: Zaaki moriva sempre dal ridere ogni volta che vedeva quella sua pelle così bianca arrossire, causandole così addirittura più imbarazzo, e lei ribatteva a tono che con quella sua mania di intrecciarsi i cappelli in modo così complicato lui aveva il vizio di passare in bagno molto più tempo di lei.
 
<< No, idiota >> disse allora lei con tono affettuoso << Ti guardi in giro come se non avessi mai visto un villaggio magico in vita tua! >>.
 
<< Certo che ho visto un villaggio magico >> sbuffò di rimando il ragazzo << Ne ho visto più di uno, a voler essere sinceri. Vicino a Uagadou ci sono solo villaggi magici! Ma questo è diverso! E poi, ti ho sentito così spesso parlare di Hogwarts e Hogsmeade… >>.
 
Zaakis aveva un accento che lo faceva parlare per punti esclamativi, e quella cosa lo faceva stare simpatico più o meno a chiunque fin dal primo incontro. Era simpatico perfino nel modo di camminare, molleggiandosi sulle ginocchia con una cadenza che faceva sembrare avesse una musica esotica nel sangue. E aveva lo sguardo gentile: era di quello, soprattutto, che Jael si era innamorata quando lo aveva conosciuto.
 
<< Goditi Hogsmeade, perché non ti porterò a Hogwarts >> lo avvisò facendogli un cenno verso il villaggio << Sai com’è, competizione tra scuole >>.
 
Il ragazzo rise, senza prenderla sul personale.
 
<< Qui in Gran Bretagna sembra tutto una competizione >> disse. Poi, come incantato, si fermò davanti a una vetrina << Sono dolci, quelli? >>.
 
Jael alzò lo sguardo e vide che si trovavano già davanti a Mielandia: il villaggio, che al terzo anno le era sembrato così grande e fino al settimo aveva costituito una parte importante della sua geografia personale, dopo anni sembrava essersi rimpicciolito.
 
<< Vieni, dobbiamo essere lì prima che i ragazzi arrivino! >> aprendo la porta del negozio prese il suo ragazzo per mano e lo trascinò all’interno, già circondata da quell’invitante odore di dolce che richiamava così tanti ricordi << Sbrigati! >>.
 
 
*
 
 
Edgar Bones non era esattamente certo di quanto ciò fosse esplicativo di quello che la sua vita era diventata negli ultimi anni, ma essere svegliato con un sacco di iuta sulla testa e legato come un salame quel sabato mattina non lo scioccò in modo particolare. Se fosse stato una qualunque altra persona in quella scuola, essere trascinato in giro per il castello in quel modo, sfilando in mezzo a un sacco di studenti, lo avrebbe imbarazzato a vita. Per fortuna – o purtroppo, non aveva ancora deciso – lui faceva parte della cosiddetta Patria dei Bellocci e ciò significava che di cose imbarazzanti, nella sua vita, ne capitavano a scadenza più o meno regolare.
 
Quando un incantesimo gli tolse dalla testa il sacco di iuta che i suoi amici avevano usato come ausilio nel rapimento, Edgar si rese conto di essere solo, piazzato davanti alla statua della strega orba al terzo piano del castello e senza la minima idea di cosa fare. Era in pigiama, aveva un mantello non suo legato attorno al collo e un berretto di lana – con tutta certezza di marca Prewett – infilato nella tasca della giacca del pigiama. Era arancione fluorescente e, se aveva capito bene l’indizio, significava che ad un certo punto di quella giornata particolare sarebbe dovuto uscire all’esterno del castello, dove – a giudicare dal panorama fuori dalle finestre – in quel momento stava imperversando una mezza bufera di neve.
 
<< Ricordati che ami i tuoi amici >> si disse ad alta voce, cercandosi ancora nelle tasche. Niente bacchetta. Vicino a lui, la strega orba sembrava sogghignare.
 
Si guardò attorno, cercando di mettere in ordine i pensieri: se non gli avevano lasciato nulla, probabilmente era perché doveva dedurre qualcosa dall’ambiente circostante. Considerando la tradizione delle feste a sorpresa, di norma le feste erano di due tipi: una sfida, che invitava a fare qualcosa di incredibilmente stupido o ad oltrepassare qualche limite, o una caccia al tesoro, che aveva lo scopo di intrattenere sé stesso o – più probabilmente – gli altri. Fortunatamente, lui aveva un debole per la caccia al tesoro.
 
Vedendo che attorno a lui non c’era nulla di sospetto ricominciò a tastarsi le braccia e il busto. Quando prese il cappello di uno dei Prewett, ancora nella tasca del pigiama, si rese conto che infilato all’interno di esso c’era qualcosa di appallottolato. La pallina di pergamena che tirò fuori e spianò attentamente con le dita aveva gli angoli bruciacchiati e un messaggio scritto da una calligrafia elegante. Recitava:
 
Alla cortese attenzione del Capitano Pirata Gentiluomo Edgar Arthorius Bones.
La vostra ciurma ha bisogno di Voi, e in fretta!
Qualcosa di molto prezioso è stato rubato a Sua Signoria la Principessa Barbuta dei Pirati dal Malvagio Malefico Pirata Mestifero.
Solo i più acuti della ciurma sono a conoscenza dell’operazione Sorpresa, per cui i Vostri servigi sono richiesti immantinente.  Il Malvagio Malefico Pirata Mestifero si è intrufolato nella camera di Sua Signoria la Principessa Barbuta dei Pirati questa mattina all’alba, rubando il grande diamante che non deve, assolutamente, cadere nelle mani del nemico. Presto!
Trovate la Vostra fedele arma addosso alla megera e con un Dissendium ben assestato passatele alla schiena.

Capitano, Confidiamo in Voi.
 
Leggendo la lettera il Tassorosso sogghignò. Con la melodrammaticità che questa caccia al tesoro sembrava trasudare, doveva averla organizzata sicuramente Caradoc.
 
Edgar si guardò attorno ancora una volta e rilesse attentamente la lettera. L’unica megera nelle vicinanze sembrava essere la strega orba; con attenzione, controllando che non ci fosse nessuno a vederlo tastare in modo che poteva sembrare perverso la statua di una vecchia strega, controllò attentamente dove potesse essere nascosta la sua bacchetta.
 
Trovatala, si lasciò andare ad un ghigno di compiacimento: non era un Corvonero, forse, ma non era stupido.
 
La afferrò e rilesse l’ultima parte della lettera. Cosa diamine era un Dissendium? Non pensava di aver mai sentito dell’esistenza di tale incantesimo, e per un attimo sperò che usarlo non lo avrebbe fatto diventare completamente blu o qualcosa di ancora più imbarazzante.
 
Si avvicinò alla strega orba e, dritto alla schiena della megera, ordinò Dissendium.
 
 
*
 
 
Jael Morrison, Nata Babbana, ricordava benissimo la sensazione di meravigliato stupore che aveva provato la prima volta in cui – all’inizio del suo terzo anno a Hogwarts – aveva scoperto che ad appena una camminata dalla scuola viveva l’unico villaggio interamente magico della Gran Bretagna.
 
Non era qualcosa che era stata in grado di immaginarsi facilmente, quel modo di vivere: l’aveva stregata fin dal primo momento e ogni occasione era buona, anche adesso, per tornare a Hogsmeade e girovagare per le sue piccole strade, di tanto in tanto.
 
Della collezione di negozi magici che il piccolo villaggio offriva – non troppo vasta, in fin dei conti – Mielandia era sempre stato quello che Jael preferiva. Era divertente, per qualcuno cresciuto mangiando caramelle babbane, paragonarvi le varianti magiche; alla fine del suo quinto anno, insieme alla sua migliore amica (che invece era una Purosangue nel midollo) aveva stilato una lunga lista delle migliori caramelle dei due mondi: non ricordava quali varietà fossero arrivate prima in quella famosa lista, ma in compenso né lei né Tory si sarebbero mai potute dimenticare di essere finite in infermeria con un assurdo mal di pancia a causa della quantità di zuccheri ingeriti.
 
<< Da come ne parlate tu e Tory, sembra sempre che gli amici che ti fai a Hogwarts siano poi gli amici che avrai per il resto della tua vita >> la prendeva sempre in giro Zaak ogni volta che se ne usciva con un qualche racconto sul tempo passato a scuola. Zaak era diverso, e della sua scuola raccontava pochissimo.
 
Adesso, seduti all’interno del magazzino di Mielandia, in attesa di unirsi alla festa di Edgar, erano intenti a gustarsi due lunghe e delicate piume di zucchero al gusto lampone.
 
<< Sai, nonostante ormai vi conosca da diverso tempo non riesco ancora a capire come sia possibile che siate tutti amici >> le rivelò Zaakis osservando la propria piuma di zucchero con aria perplessa << Nella mia scuola, la relazione tra i diversi anni non è molto valorizzata. Abbiamo un approccio di tipo più orizzontale che verticale, distribuita su gruppi della stessa fascia d’età che vivono e lavorano a stretto contatto >>.
 
Jael staccò con un piccolo morso la punta della propria piuma di zucchero e riflettè su cosa dire. Era raro per Zaak raccontare qualcosa di Uagadou: era più facile arrivare a carpire i segreti di un posto misterioso come la Gringott piuttosto che convincere Zaak a rivelare qualcosa della propria scuola**. Di Uagadou Jael non sapeva quasi nulla, escluso che dall’idea che se ne era fatta dopo anni di relazione con Zaakis, in quella scuola sicuramente sapevano instillare il concetto di segretezza nei propri studenti.
 
<< Noi siamo divisi in quattro Case, e ogni Casa ha studenti di ogni anno >> replicò sorridendo. Poi, riflettendoci, aggiunse: << Nei dormitori siamo divisi in base all’anno che frequentiamo, questo è vero. E le lezioni si frequentano in base all’anno, ovviamente. Però comunque nei vari club e squadre della scuola, l’interazione tra studenti di anni diversi è abbastanza stimolata >>.
 
Zaak annuì in risposta, ma non fece in tempo a replicare alcunché perché dalla botola sul pavimento, poco vicino a dove stavano seduti, arrivarono rumori concitati e improvvisi.
 
<< Come diamine… >> disse una voce maschile frustrata.
<< Quello è il mio braccio, Fabian! >> una ragazza esclamò.
<< Questi passaggi segreti sono angusti e sporchi! >> si levò in tono lamentoso.
<< L’idea è buona ma pecchiamo nell’esecuzione >> aggiunse qualcuno puntigliosamente.
<< … Come facciamo a essere certi che Bones non si giri e se ne torni a dormire? >> chiese qualcuno con tono annoiato.
<< Guarda Ben che, anche se non lo sembra, mio fratello è curioso come un gatto! E adora le feste a sorpresa >> rispose allegramente un’altra ragazza.
<< E i pirati >> s’intromise qualcun altro.
<< E i pirati >> assentì la ragazza.
 

 
*
 
 
Un gruppo nutrito di ragazzi e ragazze era uscito dalla botola continuando a borbottare e brontolare. Zaakis, che tramite Jael nei due anni precedenti aveva conosciuto diversi dei ragazzi e delle ragazze presenti, sorrise alla ventata di caotica allegria che il gruppo si portava come al solito dietro.
 
Una volta scambiati i saluti principali ed eseguite le dovute presentazioni, Sturgis – che qualcuno doveva aver nominato il master del gioco – obbligò tutti al silenzio e costrinse Jael a piazzarsi davanti alla botola insieme a Zaakis, diverse piume di zucchero in mano, tutti gli altri dietro a godersi lo spettacolo. In un mare di piume di zucchero, Edgar avrebbe dovuto trovare quella finta, in realtà uno zellino trasfigurato. Il trucco del giochetto, aveva capito Jael, era che Edgar avrebbe potuto indagare soltanto tramite il senso del gusto, anche a costo di mangiarle tutte.
 
<< Quindi, quale è la storia alla base della caccia al tesoro? >> chiese Jael. Non era la prima festa del gruppo a cui partecipava, quindi conosceva abbastanza quella strampalata tradizione da sapere cosa poteva aspettarsi << Nell’invito che ci avete mandato c’era solo scritto l’orario e il luogo in cui ci saremmo dovuti presentare >>.
 
Sturgis era sempre in posizione di sorvegliante rivolto verso la botola.
 
<< Lui è un pirata, deve recuperare il tesoro della principessa barbuta dalle grinfie del Malvagio Malefico Pirata Mestifero >> spiegò brevemente.
 
Amelia si intromise scettica.
 
<< …che poi non ho capito, perché un pirata? Non c’entra niente con Hogsmeade >>.
 
Jael aveva sulla punta della lingua proprio la stessa domanda.
 
<< Colpa del cervello di Dearborn >> rispose poco impressionato uno dei due presenti che lei non aveva mai incontrato. Era un ragazzo alto e scuro di capelli, dai lineamenti quasi androgini e a modo loro avvenenti. Il ragazzo sembrò rendersi conto all’improvviso di aver parlato ad alta voce, vedendosi fissare in modo più o meno divertito del resto della compagnia. Scrollando le spalle, fece un’espressione innocente come a dire che quella era l’unica risposta che lui stesso fosse riuscito a darsi.
 
Jael conosceva Caradoc abbastanza bene, e si aspettava l’esclamazione oltraggiata di quest’ultimo.
 
<< Non starlo ad ascoltare, Jael >> si lamentò indignato Dearborn << Benjamin non sa quello che dice, è un Serpeverde >>.
 
La ragazza ridacchiò.
 
<< Mi sembra invece che abbia le idee molto chiare >> lo prese invece in giro di rimando.
 
Uno dei due Prewett si intromise.
 
<< Vergogna, Morrison, allearsi con il Serpeverde del gruppo appena dopo averlo conosciuto! Sei uscita da Hogwarts da abbastanza tempo da dimenticarti che una volta eri una degna Grifondoro? >>.
 
Merlino santissimo, poco importava fosse stata loro Prefetto per due anni e la Caposcuola per l’ultimo prima di uscire da Hogwarts, non sarebbe mai riuscita a distinguere i due gemelli Prewett.
 
<< Caro mio, >> si schermì con sguardo falsamente offeso << Grifondoro una volta, Grifondoro tutta la vita >>.
 
Vide Prewett aprire la bocca per rispondere, quando il gruppo venne sorpreso da un saluto entusiasta che proveniva dalla botola.
 
<< Jael! Zaak! >> ululò felice Edgar Bones catapultandosi fuori dal passaggio segreto e tuffandosi ad abbracciarli felicemente.
 
Sturgis, che suo malgrado era stato avviluppato nelle chiacchiere, si era completamente dimenticato di tenere sorvegliata la botola.
 
<< Ecco, Caradoc, è tutta colpa tua >> sentenziò puntiglioso.
 
Certe cose non cambiano mai, si disse Jael.
 
 
*
 
 
Sullivan Abbott era seduto mezzo addormentato su uno degli scalini davanti a Mondo Mago, avvolto nel suo mantello e intento ad osservarsi intorno con aria assonnata ma, almeno in parte, divertita.
 
Il villaggio era pieno di studenti di Hogwarts e, se chiudeva gli occhi, effettivamente gli sembrava di non essere mai andato via da scuola. Non era passato così tanto tempo, d’altronde: si era diplomato appena due anni prima.
 
Attirato da un nugolo di voci che pareva farsi strada verso di lui, il ragazzo puntò lo sguardo sulla strada principale che tagliava in due il piccolo villaggio.
 
<< Vi odio, mi siete costati i due denti davanti >>.
 
A parlare, vestito di quello che era chiaramente un pigiama e con un orrido berretto di lana – altrettanto chiaramente marca Prewett – ben calato sulla testa, era stato il festeggiato. Edgar Bones, che stava sfilando in mezzo al villaggio con tutta la dignità che sembrava riuscire a racimolare, non pareva particolarmente contento della situazione.
 
<< E noi cosa ne potevamo sapere che l’avresti morsa con così tanto impeto? >> gli chiese divertita la voce querula della sorellina minore.
 
Nel suo cuore di orgoglioso Tassorosso, i Bones avevano sempre avuto un posto un po’ speciale: erano, fratello e sorella, due persone allegre e divertenti, che non prendevano quasi niente nel verso sbagliato e riuscivano a sfogare anche la più forte competizione con amichevoli pacche sulla spalla. Li aveva sempre considerati un po’ gli studenti emblema della Casa Tassorosso.
 
<< E io invece vi odio per aver organizzato questa festa a quest’ora del mattino. Ma vi sembra un orario degno di una festa a sorpresa? >> attirò l’attenzione del gruppo parlando in tono scorbutico.
 
Quando Edgar lo vide osservarli divertito dal gradino su cui se ne stava seduto, tirò un lungo fischio.
 
<< Messer Abbott! >> lo salutò con tono canzonatorio, porgendogli poi una moneta << L’ultimo indizio diceva che dovrei pagare un arguto marinaio trovato sulla strada affinchè mi indirizzi nella giusta direzione, quindi immagino che questa sia Sua >>.
 
Lui, sbadigliando, afferrò la moneta e si fece da parte lasciando libero l’ingresso verso il negozio.
 
<< Vada dentro, Capitano, e trovi ciò che sta cercando >>.
 
Mentre Edgar, poco soddisfatto dalla risposta e dal saluto spicciolo, si dirigeva all’interno del negozio cercando di capire cosa diamine dovesse farci, il nuovo arrivato salutò con un sorriso rilassato tutti i presenti, conosciuti e sconosciuti. Amelia, con quel suo sorriso allegro ad illuminarle il viso, gli si lanciò contro per stringerlo in un abbraccio stritola ossa.
 
<< SullyTally, è così bello vederti >> esclamò felice << Mi dispiace che tu ti sia perso Edgar fare praticamente indigestione di piume di zucchero >>.
 
Sully, non completamente certo della preziosità dello spettacolo in questione, fece spallucce e indicò ai presenti la porta del negozio oltre cui era appena passato Edgar.
 
<< Ho segnato gli strumenti che mi avete nominato con un pezzo di pergamena. Esattamente cosa starebbero a significare quei bigliettini? >>.
 
<< Le iniziali del nome degli strumenti segnati con il bigliettino, se anagrammate, rivelano il nome della prossima tappa >>.
 
A parlare era stato Sturgis Podmore, con lo sguardo fisso sulla porta del negozio, attento a sorvegliare ogni movimento di Edgar in modo che il gioco non si rovinasse. Sully conosceva Sturgis abbastanza bene da sapere che in casi come quello, quando era posto a capo dell’organizzazione di qualcosa, diventava talmente pignolo da essere quasi intrattabile.
 
<< La cosa è parecchio contorta >> si intromise uno dei Prewett.
 
<< Come la mente di Sturgis >> rispose l’altro.
 
Sully non aveva mai davvero capito fino in fondo quella tradizione strampalata delle feste a sorpresa con sfida inclusa: per lui, una festa a sorpresa era una festa come tutte le altre con la semplice aggiunta di essere una sorpresa. Lui, tra l’altro, in mezzo a quella tradizione ci si era ritrovato un po’ per sbaglio due anni prima, per il compleanno di Meli, quindi davvero non aveva nemmeno assistito al nascere di tutto. Vi si era accodato, semplicemente… frequentando un po’ il loro gruppo di amici, comunque, si era reso conto che erano in tanti quelli che si accodavano a loro, per un motivo o per l’altro, senza poi lasciarli più.
 
 
*
 
 
Tory Thompson aveva sempre adorato l’odore forte dell’inchiostro che si poteva respirare da Scrivenshaft.
 
Quando era stata studentessa ad Hogwarts, anni prima, aveva colto ogni occasione possibile per uscire dal castello e rifugiarsi nel piccolo negozietto: le piaceva passare i polpastrelli sulle costole dei libri lì conservati, osservare i giochi di luce che i raggi del timido sole scozzese, penetrando dalla finestra, riflettevano sulle piume in esposizione. Aveva passato ore della propria vita a catalogare con lo sguardo i diversi colori delle boccette d’inchiostro regolarmente esposte nello scaffale in piedi vicino all’entrata: aveva passato talmente tanto tempo lì dentro che ormai, anche dopo anni da quando si era diplomata, il Signor Scrivenshaft ancora la ricordava per nome, salutandola calorosamente ogni qualvolta decideva di passare a salutare.
 
<< Signor Scrivenshaft, è tutto pronto allora? >> chiese al termine dei saluti convenzionali.
 
Lei adorava quelle feste a sorpresa che ormai da anni associava a quel gruppo di screanzati, e dato anche il suo lavoro si poteva dire che lei, di misteri, se ne intendesse.
 
<< Tutto come mi hai chiesto per lettera >> rispose il proprietario della cartoleria indicando un angolo della bottega dove, in uno scaffale a vetri, stavano custoditi libri manoscritti << Sei sicura che mi posso fidare di questo ragazzo? Sai, è amico dei Prewett, e Merlino mi sia testimone non lascerei mai i miei libri in mano a quei due >>.
 
Tory, memore degli anni passati come Capitano della squadra di quidditch di Grifondoro a cercare di dividere i due ad ogni singola litigata, poteva ammettere senza problemi di essere d’accordo con il negoziante: dopo anni di conoscenza reputava Fabian e Gideon un po’ come suoi piccoli fratellini, ma non per questo non riconosceva loro il carattere irruento e poco adatto a toccare manoscritti rari.
 
<< Stia tranquillo >> lo rassicurò lei, sorridendo << Edgar è un Tassorosso >>.
 
Il negoziante, visibilmente rassicurato, annuì seriamente.
 
Nonostante gli anni passati la divertiva ancora come, a Hogwarts e nei suoi dintorni, l’appartenenza ad una casa piuttosto che un’altra fosse praticamente tutto quello che importava: non condivideva appieno la cosa ma non si risentiva neanche e, forse, il suo non giudicarla pesantemente derivava proprio dal fatto che lei, arguta Grifondoro, non aveva mai dovuto subire in prima persona le maldicenze relative alla propria Casa. Per un qualsiasi studente Serpeverde, probabilmente, trascinarsi dietro una reputazione malvagia per il semplice fatto di essere stato smistato in una casa con un’alta incidenza di maghi oscuri doveva avere tutt’altro significato.
 
Dalla porta del negozio, alle sue spalle, all’improvviso entrò un più che agitato Sturgis Podmore. Beato ragazzo, quando organizzava qualcosa diventava preciso e pignolo all’inverosimile.
 
<< Tutto pronto, vero? >> praticamente la assaltò con uno sguardo un po’ maniaco negli occhi.
 
Dietro di lui, lo sguardo rassegnato, fece capolino il sorriso dolce di Hestia Jones.
 
<< Tutto a posto, Sturgis, stai tranquillo >> rispose Tory con un sorriso comprensivo rivolto alla ragazza. D’altronde, tutti si ricordavano l’epico fallimento che era stata la festa per il GUFO che il ragazzo aveva organizzato quasi due anni prima e che si era risolta in una mezza disgrazia. Soffocando un risolino al mero ricordo, Tory si avvicinò al Prefetto Corvonero e lo afferrò saldamente per le spalle, facendogli segno di respirare.
 
<< Si, si, lo so, un due tre dentro, un due tre fuori >> mormorò il ragazzo accompagnando le proprie parole con gesti scomposti delle mani << Sono tranquillissimo >>.
 
Hestia, dietro di lui, alzò gli occhi al cielo.
 
 
*
 
 
Edgar Bones aveva sempre avuto una passione più o meno segreta per gli intrighi e i misteri.
 
Due anni prima, quando era giunta la voce nel bel mezzo dell’estate tra il suo quarto e quinto anno che Tory Thompson, ex Capitano di Grifondoro, era stata assunta all’ufficio Misteri per iniziare l’addestramento come Indicibile la cosa – forse per un qualche strano meccanismo di gloria riflessa – gli aveva fatto sviluppare una cotta stratosferica per la ragazza.
 
Lui all’epoca era ancora un quindicenne con l’acne e un sacco di amici imbarazzanti, ed era divertente pensare che anche se l’aveva conosciuta a scuola anni prima, solo una volta diplomata lei aveva iniziato a stuzzicare un qualsiasi interesse sentimentale da parte sua. Una sorta di trasferimento emotivo, così l’aveva chiamato Tory quando – da adulta quale era – lo aveva preso da parte durante un week end a Hogsmeade in cui era passata a trovarli. Aveva affrontato la questione con atteggiamento quasi chirurgico, spiegandogli gentilmente ma con tono distaccato che tra di loro non ci sarebbe mai stato nulla di quel genere. A te interessa quello che faccio nella vita, Ed, non ti sono mai interessata io, gli aveva spiegato pazientemente.
 
Da quel giorno, paradossalmente, i due erano diventati più amici di prima. Condividendo quella loro strana passione per il mistero e il fatto che come persone – anche se ognuno a modo suo – erano entrambi lontani anni luce dalla classica idea di detective che si poteva avere, avevano legato scambiandosi consigli su interessanti romanzi del genere e scommettendo su chi per primo avrebbe trovato la risposta ai complicati indovinelli che di volta in volta si mandavano via lettera a vicenda.
 
Quando era entrato da Scrivenshaft, l’anagramma precedente scritto su un ritaglio di pergamena, si era aspettato di trovarci Tory, con il suo bel sorriso e lo sguardo soddisfatto di chi sa di star per proporre la sfida della vita al suo acerrimo rivale.
 
<< Se riesco a risolverlo in meno di cinque minuti >> squadernò l’indice in modo cattedratico rivolto alla ragazza << Sappi che mi dovrai offrire da bere >>.
 
La ragazza, appoggiata al bancone, accentuò il sorriso.
 
<< Se sarai in grado di decifrare questo in meno di cinque minuti, ti offrirò più che da bere >> ribattè sicura indicandole con un cenno l’armadio a vetrina in fondo al negozio, dove diversi libri antichi facevano mostra di sé << Ti offrirò un lavoro >>.
 
 
*
 
 
Quando si vide pararsi davanti entrambi i fratelli Prewett, accompagnati da Kingsley e da una ragazza bionda che lui davvero non ricordava di avere mai visto prima, Ludovic Bagman esplose in un saluto allegro pieno del brio che di solito lo caratterizzava. Dietro di loro, il resto del gruppo procedeva alla volta di Zonko.
 
Lui aveva conosciuto quella strana compagnia ben dopo i suoi anni a Hogwarts, proprio quando tramite Molly e Arthur Weasley – suoi amici dei tempi di Hogwarts –, Kingsley Shacklebolt lo aveva contattato per organizzare la festa a sorpresa più a tema “quidditch” che tu possa immaginare, Bagman.
 
Lui, per tutta risposta, aveva organizzato una partita informale con alcuni suoi compagni di squadra e altri giocatori della lega che gli dovevano un paio di favori. Era stata una giornata da ricordare per entrambi i Prewett, se ne erano accorti tutti, e per Ludo aveva segnato l’accesso a quello strano modo di fare amicizia che avevano quei due ragazzi, che sembrava non lasciare indietro nessuno.
 
<< Eddai, non solo non avete invitato nemmeno un Corvonero, avete riportato in zona il peggio di Tassorosso! >> esclamò la voce ironica di Caradoc Dearborn.
 
<< Ho sempre saputo che temevi la concorrenza, Dearborn >> ribattè lui di getto, sorridendo.
 
Sebbene la festa che aveva organizzato insieme a Kingsley Shacklebolt anni prima fosse stata destinata ai Prewett, Ludo aveva capito nel momento stesso in cui gli amici erano arrivati al campo quel pomeriggio di due anni prima che la vera stella del quidditch, in quella banda scatenata di ragazzini, era proprio Caradoc Dearborn. Era stato lui stesso, proprio in seguito a quella festa, a segnalarne il talento a Retha e ad attirare le attenzioni di una squadra della lega sul ragazzo che all’epoca era appena sedicenne. Solo successivamente si era reso conto di che persona straordinariamente orgogliosa fosse Dearborn.
 
<< Ti piacerebbe >> gli rispose infatti il ragazzo, salutandolo con una pacca sulla spalla << Sei pronto a vedere l’umiliazione finale di Edgar? >>.
 
Il più grande, che non aveva alcuna idea di cosa stesse parlando il Corvonero, si voltò verso Edgar Bones e lo guardò incuriosito.
 
Bones, almeno per quello che ne sapeva lui, non era il tipo da imbarazzo facile. Viveva secondo una filosofia di vita che gli faceva accogliere tutto con un sorriso sulle labbra, cosa che gli era valso l’epiteto di bonaccione all’interno del gruppetto di amici: certo, non era il giullare del gruppo – ruolo che spettava a Caradoc, che lo rivestiva con la giusta disinvoltura quasi sempre – eppure era quasi sempre quello che stemperava la tensione.
 
E infatti, più che semplicemente imbarazzato, lo sguardo del Capitano Tassorosso poteva dirsi rassegnato. Era in fondo al gruppo, vicino a una Tory Thompson decisamente troppo divertita, e reggeva in mano un biglietto di pergamena su cui erano scritte un po’ di frasi in rima.
 
Complimenti Capitano
Le mie tracce hai scovato
se il tesoro vuoi in mano
il tuo cercar non è finito.
 
Trova pur la tua barbuta regnante
Di verde vestita e di buon cuore
Sulle labbra dalle un bacio e da distante
Canta urlando il tuo straziante amore.
 
Proprio lì ti sta aspettando
Davanti ai gradini di Zonko seduta
E dopo che il tuo amore andrai cantando
Potrai concludere tutto con il tuo regalo e una bella bevuta.
 
<< In che senso barbuta regnante? >> chiese Ludo voltandosi verso Caradoc.
 
Un tremendo sospetto stava iniziando a farsi strada nella sua testa. L’unico barbuto della compagnia era lui, ed era vestito proprio di verde.
 
Edgar sbuffò e, appallottolata la pergamena, la lasciò cadere a terra.
 
<< Morgana benedetta, quanto mi costa esservi amico! >> sbraitò dirigendosi verso di lui con passo di guerra.
 
Ludo Bagman non era una persona pudica, ma davvero non avrebbe mai immaginato che si sarebbe ritrovato a baciare Edgar Bones davanti a mezza Hogwarts. il bacio, che aveva scatenato l’ilarità di chiunque attorno a loro, durò appena qualche secondo e poi, con sguardo melodrammaticamente afflitto, Edgar Bones si inginocchiò davanti a lui.
 
<< O mia signora, che siete bella come il sole, vi canto qui inginocchiato la potenza del mio amore >>.
 
Ludo si passò una mano sulla fronte: quei bastardi gli avevano solo detto che si sarebbero visti per un’allegra bevuta al pub. Sperava almeno che il barista sarebbe stato solidale e gli avrebbe passato qualche bicchierino extra senza farglielo pagare.
 
 
*
 
 
Aberforth non era per niente contento, e sicuramente non si sentiva solidale con nessuno.
 
Si era ritrovato infatti il locale pieno zeppo di studenti a malapena maggiorenni e decisamente troppo caotici per i suoi gusti. Appena erano arrivati, mentre Dorcas tatticamente lo distraeva salutandolo e scambiando con lui un paio di parole, alcuni di quei ragazzi si erano presi la libertà di risistemare i suoi tavoli, cianciando e ridendo sguaiatamente, all’interno del suo pub, senza un minimo di riguardo.
 
D’altronde, Aberforth Silente sapeva dal momento in cui aveva acconsentito a quella mezza pazzia che se ne sarebbe pentito prima di subito.
 
Invece, quello che davvero non si era aspettato – specialmente memore dell’ultima volta in cui i ragazzi erano stati al locale – era di vedere quanto in quei due mesi sia Benjamin che Dorcas, ognuno a modo proprio, si fossero ambientati in quella strana compagnia.
 
L’ultima volta, un paio di mesi prima in occasione del compleanno di Dorcas, era stato lampante come i due ragazzi e la compagnia che si era aggiunta successivamente fossero ancora due gruppi basilarmente separati. Li aveva osservati per tutto il tempo approcciarsi a vicenda con atteggiamento curioso ma guardingo, quando non totalmente ostile. Ricordava persino di averne scherzato con Fenwick, mentre il ragazzo lamentandosi aveva dimostrato quando non fosse positivamente impressionato dalla presenza di quella banda caotica.
 
Ora, sebbene fossero passati soltanto un paio di mesi, la situazione sembrava essere cambiata. Era chiaro dal modo in cui Dorcas sembrava inserirsi nelle discussioni con voce posata, seppur mantenendo un atteggiamento calmo e dimesso, o da come rideva con occhi e volto alle battute che uno dei due gemelli sembrava rivolgere esclusivamente a lei.
 
Era stato però soprattutto il comportamento di Benjamin, ragazzo difficile da capire a prima vista, a stupirlo maggiormente. Pareva a suo modo rilassato come Aberforth non lo aveva mai visto, e aveva passato gli ultimi dieci minuti raccontando, insieme a Bagman, una storia su sua sorella a tutta la tavolata.
 
<< Non sapevo che conoscessi Jodie così bene >> aveva poi finito per dire, con tono più cortese di quanto ci si sarebbe mai potuti aspettare da lui, conoscendolo, rivolto verso il famoso giocatore di Quidditch.
 
Il più grande, ridendo, aveva affermato con tono gioviale:
 
<< Scherzi!? Avevo una cotta stratosferica per tua sorella ai tempi della scuola >>.
 
A quelle parole, perfino dal suo punto di vista dietro al bancone il barista aveva potuto vedere Benjamin Fenwick tossire fuori dall’imbarazzo la burrobirra che stava bevendo. Seduto accanto a lui, il ragazzo che si lamentava sempre con tono indolente gli aveva battuto con forza una mano in mezzo alla schiena per aiutarlo a riprendersi.  
 
Aberforth Silente poteva essere un uomo di mezz’età burbero e scorbutico, che tendeva a frequentare solo persone votate a farsi gli affari propri, eppure fu stranamente soddisfatto di vedere quei due ragazzi calmi e riflessivi, dalle tendenze solitarie, aprirsi al resto del mondo in modo nuovo. Anche se ciò voleva dire vedersi piombare quindici ragazzetti entusiasti nel locale a turbarne la quiete.
 
 
*
 
 
<< Fenwick >> salutò in tono burbero il barista quando suddetto ragazzo si avvicinò al bancone, mentre ancora quella strana festa imperversava ai tavoli << Sia chiaro, questa è la prima e ultima volta che succede >>.
 
Il ragazzo, una pila di boccali sporchi tra le mani, si voltò per guardare il resto della sala. Anche se secondo il suo modesto punto di vista nella locanda c’erano decisamente troppe persone, Benjy doveva ammettere che – per essere una festa organizzata dalla Patria dei Bellocci – i numeri erano abbastanza contenuti. Per chiunque si definisse una persona medialmente socievole, quindici persone non erano poi tante.
 
Certo, la definizione di persona medialmente socievole non si applicava granchè né a lui e né ad Aberfort. In ogni caso sorrise, porgendogli i bicchieri sporchi e aspettando il giro successivo.
 
<< A voler essere sinceri, la colpa è di Dorcas >>.
 
Il barista gli rifilò un’occhiata di sbieco, poi si voltò verso il retro del bancone.
 
<< Fenwick! >> urlò Ludo Bagman dall’altra parte del locale, attirando l’attenzione di Benjamin. Quando ci si metteva, aveva capito il Serpeverde, Ludo poteva essere un giullare niente male << Ho cambiato idea, mi serve del Whisky >>.
 
Dopo averci passato insieme qualche ora, Benjamin aveva ormai chiaro il motivo per cui Jodie non aveva mai filato troppo Bagman. Decisamente troppo rumoroso.
 
Aberforth, voltandosi nuovamente verso di lui e scrutandolo con interesse, iniziò a riempire dei nuovi boccali.
 
<< Sai, Fenwick >> disse pensoso prendendo un bicchiere che doveva avere visto giorni migliori e iniziando a versarvi dentro il whisky chiesto da Bagman << Siete passati, tu e Dorcas, dall’essere solo voi due ad essere circondati da gente di ogni tipo in pochissimo tempo >>.
 
Non sembrava asserire la cosa come a contestarla: anzi, Aberfort aveva ora puntato su Dorcas uno sguardo stranamente soddisfatto. La ragazza, seduta al tavolo principale, stava parlando e ridendo con Jael e Zaakis. Seduto accanto a lei, uno dei Prewett la stava guardando praticamente pendendo dalle sue labbra.
 
<< Non credo di averla mai vista così, sai? >> mormorò Benjamin, sovrappensiero.
 
Era strano trovarsi ad ammettere che tutto sommato quello che era accaduto negli ultimi mesi aveva avuto un impatto positivo sulla vita della ragazza, che lei era davvero più felice.
 
Lo siamo entrambi, se devo essere onesto.
 
E lui, di norma non si raccontava palle.
 
<< Credo si possa dire di entrambi >> disse il barista, seguendo a ruota il suo stesso ragionamento. Con un brontolio, Aberforth gli indicò i bicchieri riempiti di fresco << Comunque non lo dicevo in modo negativo. È una bella cosa, vedervi felici >>.
 
Senza dire altro, il barista si allontanò con uno straccio sporco a rimestare i tavoli liberi. 
 
Voltandosi verso il lungo tavolo che tutti insieme avevano occupato, Benjamin si lasciò cullare per un attimo dall’entusiasmo e l’allegria che, insolitamente, avevano invaso il locale insieme a loro: Sturgis aveva afferrato quell’orrendo berretto di lana arancione che Edgar si era tenuto in testa tutto il tempo e uno dei Prewett, fingendosi indispettito, aveva preso a rincorrerlo. Amelia e Kingsley stavano tubando in un angolo senza probabilmente nemmeno accorgersene, mentre Hestia, la ragazza Indicibile e Sullivan Abbott stavano parlando e ridendo tra loro. Bagman, dal suo lato del tavolo, stava intrattenendo tutti gli altri, spiegando ad alta voce alcune delle proprie azioni della partita giocata la settimana precedente.
 
Solo alla fine di quella piccola ricognizione si rese conto che Caradoc, seduto vicino al suo posto vuoto e a poca distanza da Bagman, era l’unico che sembrava non essere particolarmente interessato all’eroico racconto del battitore delle Vespe. Al contrario, aveva lo sguardo insolitamente basso e, con l’indice della mano destra, sembrava invece interessato ad un nodo sul legno del tavolo.
 
Non seppe per quanto rimase a fissare quella scena, il Serpeverde. Alla fine, quando Caradoc – probabilmente sentendosi fissato – alzò lo sguardo e di rimando puntò quegli occhi color topazio fissi nei suoi, si riscosse e diede in un sorriso piuttosto muto. Il Corvonero, da lontano, ricambiò.
 
È una bella cosa vedervi felici.
 
In fondo, in silenzio e per lo più di nascosto, lo pensava alla fine anche lui. 
 
 
 
 
 
 
 
*negli anni in cui si svolge questa storia, le manifestazioni contro il razzismo in Gran Bretagna erano molto in voga specialmente perché in pieni anni di decolonizzazione, quindi ho pensato di inserire la cosa (legata a Jael e Zaakis) perché anche storicamente ci stava. Zaakis in particolare tornerà, quindi non è l’ultima volta che lo vediamo, ma come sicuramente avrete capito è stato uno studente di Uagadou. Lui è ghanese e di lui si saprà presto di più.
 
** Di Uagadou, a quanto mi è sembrato di capire, si sa molto poco ed è una scuola circondata di mistero. Quindi tutto quello che verrà detto di quella scuola in questa storia, escluse le due o tre info reperibili su internet, sarà chiaramente inventato.
 
NOTE:
questa volta ho deciso di metterle in fondo per fare alcune precisazioni senza lasciare spoiler.
I personaggi qui introdotti faranno qualche capatina in futuro: in particolare ognuno di loro è collegato alla storyline di alcuni dei personaggi principali (se vi concentrate potreste anche capire chi per chi, ci sono alcuni indizi). Ho pensato di scrivere questo capitolo soprattutto dal loro punto di vista perché mi sembrava interessante vedere come potessero essere i protagonisti visti da fuori, e spero che anche a voi abbia fatto piacere e che non vi siate annoiati. D’altronde, penso che ormai abbiate capito quanto mi diverto ad inventare nuovi personaggi interessanti, anche semplici comparse. Ovviamente, tutto lo svolgimento della festa sarebbe stato molto lungo da scrivere (già il capitolo è più lungo del normale), ma se tutto va secondo i piani, potrebbe esserci una storia singola in futuro che parte proprio da questa festa quindi, mai dire mai. Spero comunque che questo non vi abbia deluso!
Grazie per il sostegno, le recensioni e i messaggi che mi mandate, davvero mi entusiasma vedere l’affetto di molti di voi a questa storia!

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Capitolo 26
*** 24. Capitolo 24 ***


 
CAPITOLO 24
 
 
 
 
 
Necessità:
condizione di impossibilità a fare diversamente,
esigenza assoluta,
bisogno.
 
 
 
 
 
<< Ho pensato una cosa >> mormorò ad un certo punto, il martedì mattina dopo la festa di Edgar, Benjamin Fenwick.
 
Da parte di Caradoc, seduto sulla solita zucca, giunse un borbottio astratto.
 
Il fatto era che, se all’inizio Benjamin si era affidato a quella loro nuova abitudine in modo parzialmente titubante e parzialmente entusiasta, per tutto il tempo – e ormai era passato più di un mese – lo aveva fatto cercando di fingere un’indifferenza che giorno dopo giorno sembrava perdere significato: era quasi metà dicembre e in tutto il castello – ma probabilmente in tutta la Gran Bretagna – loro due dovevano essere le uniche anime abbastanza stupide da avventurarsi all’aria aperta così presto al mattino quando ormai era talmente freddo da riuscire a malapena a respirare. E, certo, Fenwick poteva fingere quell’indifferenza quanto voleva, poteva continuare a ripetersi a vuoto che a spingerlo fuori dal letto ad un orario infame non fosse la necessità di fare colazione con Caradoc. Eppure, come si ripeteva più volte al giorno, lui non era solito mentire a sé stesso. E fare colazione con Caradoc, in qualunque modo cercasse di raccontarsi la cosa, chiaramente era ormai diventata una necessità.
 
Il perché Caradoc scendesse così presto al mattino non gli era ancora del tutto chiaro – a voler essere sincero, Ben forse aveva addirittura paura di chiederselo – eppure da parte sua ad un certo punto aveva dovuto ammetterlo: forse saliva dai dormitori ogni mattina, avvolto nel suo mantello che stava progressivamente diventando troppo leggero per il freddo sempre più pungente dell’inverno, non solo perché voleva farlo. Il fatto, forse, è che non riusciva ad impedirselo. 
 
<< Presto sarà troppo freddo per venire qua fuori >> sussurrò.
 
Le parole gli lasciarono le labbra con un tono sommesso, quasi a sperare di non essere udite. Perché dopo, quando non ci sarà più un qua fuori, come sarà? Eppure non si poteva fare orecchie da mercante ancora per molto, aveva pensato. Il freddo era troppo acuto al mattino e, mentre parlavano, ormai dovevano visibilmente trattenere i brividi.
 
Caradoc, da parte sua, rimase silenzioso per un momento molto lungo, uno di quei silenzi che ultimamente si succedevano spesso nelle ore che passavano insieme al mattino. Un silenzio riflessivo, che non annullava le presenze e non accentuava le mancanze.
 
<< Potremmo andare nella torre di Astronomia >> rispose dopo lunghi minuti il Corvonero.
 
<< La torre di Astronomia? >> domandò Benjamin, la voce di nuovo un mormorio basso.
 
La torre di Astronomia era un posto strano nel castello di Hogwarts, che di posti strani ne aveva parecchi. Era teatro di lezioni di Astronomia – da cui prendeva l’ovvio nome – ma anche di incontri furtivi. Se c’era qualcosa da fare che volevi nessuno sapesse, qualcuno da incontrare che volevi tenere segreto, era in cima alla torre di Astronomia che dovevi andare, e questo lo sapevano tutti ad Hogwarts.
 
All’improvviso, e per la prima volta in vita propria, Benjamin Fenwick si sentì un po’ galeotto: aveva sempre vissuto impudentemente qualsiasi situazione della propria vita, senza sentirsi in difetto, senza voler mai nascondere nulla: erano gli altri a non vederlo, non di certo lui a nascondersi, uno semisconosciuto qualunque in quella scuola.
 
<< La torre di Astronomia >> ripeté Caradoc.
 
Avrebbe potuto dire tante cose, Benjamin. Avrebbe potuto dirlo ad alta voce, avrebbe potuto voltare lo sguardo – che ora teneva basso e fisso sulle proprie scarpe – sul Corvonero accanto a sé, vedere se avesse disegnate sul volto le stesse cose che sentiva averci disegnate lui. 
 
Ma non lo fece. Non voleva sapere cosa fosse per lui, quella necessità. Non voleva chiedersi cosa fosse per l’altro, quell’abitudine. E davvero non voleva chiedersi cosa volesse dire, il fatto che tutti gli altri continuassero a non sapere.
 
Annuì.
 
Voleva solo continuare.
 
 
*
 
 
<< Va tutto bene, Hestia? >>.
 
Dorcas Meadowes, nel bel mezzo di un martedì pomeriggio d’inizio inverno, le pose quella domanda quasi all’improvviso, mentre erano entrambe sedute nella Sala Comune di Corvonero.
 
Hestia Jones non si era mai reputata una persona sola: al suo primo anno aveva iniziato sedendosi accanto ad un ragazzino timido e posato e, con il passare del tempo, il giro delle sue amicizie non aveva fatto altro che aumentare.
 
Adesso, dopo qualche mese dall’inizio del suo ultimo anno di scuola, il suo gruppo di amici si era allargato fino a comprendere persone di quasi tutte le Case, di diversa età anagrafica e status sociale, al punto che era difficile per lei ritagliarsi un momento libero da godersi in solitudine.
 
Eppure era davvero un sacco di tempo che qualcuno non le poneva con quel tono interessato una domanda tanto semplice.
 
Certo, lei aveva sempre il suo bel daffare perennemente circondata da diciassettenni in crisi – per un motivo o per l’altro. E lei, deputato diario segreto di un gran numero di studenti del settimo anno di tre Case diverse, non ci prestava particolare attenzione, al fatto che anche lei era una diciassettenne e magari, talvolta, pure in crisi.
 
<< Sai, è davvero passato un sacco di tempo dall’ultima volta che qualcuno mi ha chiesto questo genere di domanda, qualcuno davvero interessato a conoscere la risposta >>.
 
Dorcas, seduta sulla poltrona accanto a quella in cui era seduta lei, la guardò con un sottile sorriso sulle labbra. Sembrava sapere perfettamente.
 
<< E quale sarebbe la tua risposta? >> chiese infatti la ragazza.
 
Hestia si prese un momento per riflettere, poi si accigliò.
 
<< Dipende a quale parte della mia vita ti riferisci >> disse alla fine, pesando attentamente ogni sillaba.
 
C’erano diverse cose estremamente apprezzabili in Dorcas Meadowes, aveva deciso Hestia a mano a mano che la conosceva. Era una persona affidabile, seria, posata. Era un’osservatrice acuta, ma non una pettegola: quando notava qualcosa – e sembrava sempre notare qualcosa – si limitava ad esporla a poche persone scelte e a non giudicare mai.
 
Hestia si rese conto, per la prima volta in vita propria, che non aveva mai avuto una vera e propria amica femmina: perfino Amelia, che era la piccola del gruppo e comunque si era sempre mantenuta al di sopra di ogni dinamica, le pareva più una sorella che una vera e propria amica. Quando si era immaginata le proprie amicizie ad Hogwarts, un’undicenne Hestia Jones si era probabilmente immaginata molte più Dorcas Meadowes di quanto in realtà non ne avesse realmente incontrate: oggi, sette anni dopo, ne aveva finalmente una vicina. Non che non apprezzasse il fatto di essere immersa in un costante bagno di testosterone, i suoi amici erano tutto per lei. Ma ogni tanto faceva piacere, avere anche una Meadowes.
 
<< Beh, mi sembra che con lo studio tu sia perfettamente a posto, e so che al Club dei duellanti te la cavi piuttosto bene >> mormorò Dorcas, un luccichio divertito negli occhi << Non voglio farmi gli affari tuoi, Hes. Ho solo notato che, per lo meno da quando ti conosco, sei molto indaffarata a preoccuparti per gli altri ragazzi del gruppo. Non ho visto nessuno preoccuparsi per te in particolare >>.
 
E la schiettezza era forse la parte più interessante di quella strana ragazza.
 
<< Ti ringrazio >> si sentì in dovere di dirle, poi aggiunse << Al momento credo che la mia preoccupazione più grande siano proprio i miei amici. Lo hai notato anche tu? Ultimamente, sembrano tutti sotto il controllo di un confundus di potenza impressionante >>.
 
Dorcas sorrise in modo un po’ enigmatico, ed Hestia si chiese di quanti di loro si fosse già resa conto.
 
<< Ho sentito dire che è difficile avere diciassette anni >> scherzò la ragazza in risposta.
 
Una grande osservatrice, davvero.
 
 
*
 
 
Edgar Bones, un’alta pila di libri appoggiati al tavolo e gli occhi talmente stanchi che la vista stava iniziando a calare, si maledisse spontaneamente per aver scelto di perseguire un MAGO in una materia inutile come Aritmanzia.
 
La biblioteca della scuola, se si escludevano lui, Sturgis e Caradoc, era quasi completamente vuota e nell’aria aleggiava un silenzio teso. Era stato così tutto il pomeriggio, e l’ansia di fare da cuscinetto tra i due – ultimamente non proprio in ottimi rapporti – sommata alla stanchezza derivante da un intenso pomeriggio di studio lo stavano rendendo pericolosamente isterico.
 
<< Aritmanzia è una materia inutile >> sputò fuori alla fine con tono irritato, lasciando cadere il libro che aveva in mano sul tavolo con un tonfo sordo << Praticamente è una versione più astrusa e difficile di Divinazione! >>.
 
Caradoc, che aveva alzato lo sguardo dai propri compiti allo scoppio d’irritazione dell’amico, inarcò le sopracciglia con fare sarcastico.
 
<< È un modo come un altro di descrivere la materia, te lo concedo. Anche se rendersene conto dopo così tanti anni che segui questo corso ti fa apparire un po’ poco sveglio >>.
 
<< Non ci hai preso anche un GUFO? >> rispose Sturgis con un sorriso divertito, come ad iniziare uno dei suoi soliti scambi di battute con Caradoc. Poi sembrò come ricordarsi qualcosa di spiacevole e strinse le labbra. Dearborn, da parte sua, lasciò cadere la domanda nel vuoto.
 
<< Si, si, prendetemi pure in giro >> cercò di alleviare la tensione Edgar << Magari invece potrei diventare un grande Aritman… Aritmet… insomma, uno che di numeri e futuro se ne capisce un sacco, uno famosissimo. Come la mettereste, allora? >>.
 
<< Farei finta di non conoscerti >> rispose Caradoc in tono conciso.
 
Sturgis soffocò una risata, e da parte sua Edgar dovette costringersi a fare lo stesso. Il silenzio, ora, era lievemente più disteso, quindi Edgar decise di provare a tirare un po’ la corda.
 
<< Settimana prossima giocate contro i Grifondoro >> disse tentando un tono leggero.
 
L’irrigidimento di Caradoc e Sturgis fu immediato e avvenne quasi all’unisono. Dearborn, seduto alla destra di Edgar, sfogliò il libro che aveva sottomano con rinnovato interesse e Edgar decise che non ce la faceva più. Quella situazione avrebbe dovuto sbloccarsi, in un modo o nell’altro, e dal momento che tutti si erano accorti del momentaneo gelo calato sulla coppia normalmente inseparabile di amici, era solo una questione di tempo prima che qualcuno tentasse di approcciare il problema. Avrebbe potuto farlo Hestia, con la delicatezza che le era propria, oppure avrebbe potuto pensarci lui, la cui delicatezza talvolta sembrava quella con cui l’Espresso per Hogwarts normalmente transitava sul Viadotto di Glenfinnan.
 
Sturgis, da parte sua, si limitò a premere più forte sulla pergamena con la punta della piuma che stava usando per scrivere il proprio tema di Storia della Magia.
 
E treno sia, si disse.
 
<< Voi due dovete piantarla, state facendo girare le palle a mezza scuola >> esordì senza mezzi termini. Non si definiva mica un gentiluomo così, per caso.
 
<< Non ho voglia di parlarne >> mormorò Dearborn continuando nella lettura del suo libro.
 
Podmore, dall’altro lato, sbuffò.
 
<< Questa si che è una cosa strana >>.
 
Quella frase, sibilata in tono sarcastico, fece abbassare il libro a Caradoc e gli fece puntare lo sguardo chiaro dritto in faccia al suo Prefetto.
 
<< Scusa? >>
 
Sturgis scattò velocemente, quasi si fosse morso la lingua tutto il pomeriggio pur di trattenersi.
 
<< Sei un maledetto vigliacco, e no, non ti scuso >> lo apostrofò mormorando con un tono aspro che Edgar non gli aveva mai sentito. D’altronde, era pur sempre un Corvonero in biblioteca, le regole in quel luogo per lui erano abbastanza sacre. Comunque, sempre mormorando, si voltò verso il suo compagno di casa e, piccato, aggiunse: << Non hai avuto nemmeno le palle per venire ad assistere agli allenamenti da quando hai abbandonato la squadra, fregandotene di tutto >>.
 
Da parte sua, Caradoc non si fece attendere.
 
<< Grazie per averci elargito ancora una delle tue meravigliose opinioni non richieste >> ritorse con la medesima asprezza.
 
Edgar se lo aspettava, doveva essere onesto. Aveva visto montare quella rabbia per tutto il mese precedente, incomprensione dopo incomprensione, silenzio dopo silenzio. Da parte sua cercava sempre di non mettersi in mezzo a questioni troppo private – d’altronde non aveva con Caradoc la stessa confidenza che aveva con i Prewett, o con sua sorella – eppure quella sorta di can can tra i due Corvonero lo aveva portato a riflettere diverse volte nel tempo passato dalla loro prima – e per quanto ne sapeva lui unica – litigata di quell’anno: le persone normali litigavano e non si scambiavano più la parola, mettendosi il muso a vicenda e ignorandosi. Dearborn e Podmore, che in molti modi lui avrebbe descritto tranne che normali, invece facevano a modo loro. Crescevano distanti. All’apparenza insieme, vicini; eppure, chiunque aveva notato il fatto che Caradoc fosse sempre più con la testa fra le nuvole, e Sturgis sempre più rancoroso. Un confronto era la cosa che fra loro mancava.
 
<< Innanzi tutto le persone a modo non si insultano >> li redarguì con il tono calmo ma fermo di un arbitro nel bel mezzo di una finale della Coppa del Mondo << E, inoltre, argomentano le proprie opinioni illustrando per quale motivo la pensano in quel modo >>.
 
Attorno a loro la biblioteca era silenziosa e quasi vuota e, fuori dalle grandi vetrate, il cielo buio della tarda serata sembrava acuire la gravità del momento. Momentaneamente, pareva sparita anche l’assistente bibliotecaria.
 
E nonostante tutto i due stavano ancora soffiandosi addosso come serpenti.
 
 
*
 
 
Sturgis Podmore era arrivato al limite.
 
Gli allenamenti andavano male, quel diamine di tema di Storia della Magia era troppo noioso e ancora estremamente lontano dal vedere una fine e il suo migliore amico, che non solo lo aveva abbandonato nonostante i pronostici li dessero perdenti contro Grifondoro con un distacco di almeno centosettanta punti, gli nascondeva pure le cose.
 
Caradoc sembrava aver iniziato a vivere in un mondo tutto suo, e sembrava aver revocato l’accesso a Sturgis.
 
E ora ci mancava solo Edgar.
 
<< Argomentare? >> sussurrò retorico. La biblioteca era quasi deserta, ma lì il silenzio era sacro e di tutto aveva voglia fuorché di fare una scenata in pubblico: Merlino solo sapeva quanto quella scuola fosse piena di pettegoli. << Dunque, vediamo: il tuo migliore amico non ha il coraggio di opporsi a suo padre, di mandare al diavolo tutti, di decidere cosa vuole nella sua vita. Non ha nemmeno il coraggio di affrontarti, tra l’altro, scappa al mattino presto e va dormire prima alla sera per avere il pretesto per evitarti. Come lo chiameresti tu uno così? È un vigliacco, c’è poco da dire! >>.
 
Il luccichio nello sguardo di Caradoc, seduto dal lato opposto di Edgar, cambiò riflesso diverse volte; prima rabbia, poi sconcerto, poi sorpresa. Poi scherno.
 
<< Evitarti? Pensi davvero che sia quello che sto facendo? >> domandò Caradoc, sempre sussurrando.
 
<< Caradoc? >> una voce gentile, squillante e davvero fuori luogo si intromise da un punto imprecisato della biblioteca.
 
I tre ragazzi voltarono lo sguardo, le bocche mezze aperte – chi a causa della sorpresa, chi di una risposta bloccata sulla punta della lingua. Da dietro uno scaffale spuntò una ragazza alta con i capelli scuri raccolti in una coda e gli occhiali.
 
Era l’assistente bibliotecaria di quell’anno, si ricordò Sturgis. L’anno prima Caradoc ci era perfino uscito insieme per un paio di settimane: se non ricordava male, si chiamava Jennifer ed era una Tassorosso. Ricordò che a suo tempo gli era perfino stata simpatica: ora, però, il momento che aveva scelto per flirtare con Caradoc non era dei migliori.
 
La ragazza non sembrò accorgersene, comunque, o in ogni caso fece in modo di ignorare l’aria carica di tensione e le espressioni sorprese e contrariate dei tre.
 
<< Caradoc, scusa se ti disturbo >> riprese con tono civettuolo.
 
<< Jennifer >> mormorò il Corvonero, e sembrò trattenere il tono scocciato che aveva usato per rivolgersi a Sturgis optando invece per uno incolore.
 
Jennifer si aggiustò gli occhiali rettangolari sul viso, con un sorriso sbarazzino.
 
<< Scusa se ti disturbo, ma non ti ho più visto ultimamente. Volevo chiederti come era andata quella cosa là di cui avevamo parlato… >>.
 
Sturgis voltò lo sguardo su Caradoc per trovarvi un’espressione spaesata. Era palese che, qualsiasi cosa volesse intendere la Tassorosso, Caradoc l’avesse completamente dimenticata.
 
<< Scusa, non… >> mormorò il Corvonero scuotendo il capo.
 
<< Sai, il tuo amico Serpeverde… >> disse la ragazza << Avevi detto che potevi mettere una buona parola per me, ti ricordi? Sai, si stanno avvicinando le vacanze natalizie >>.
 
Caradoc sembrò acquistare a poco a poco coscienza di ciò di cui Jennifer stava parlando. Dopodichè, fece una cosa stranissima: Sturgis lo conosceva bene, ormai, dopo sei anni di solidissima amicizia, e non l’aveva mai visto irrigidirsi a quel modo davanti a qualcuno con cui non era in confidenza. Caradoc viveva mascherato perennemente da ragazzo vanesio e narcisista, e sembrava vivere davanti agli altri con una rilassatezza e un’indolenza che, quasi, davano sui nervi a qualunque attento osservatore. Di norma, le uniche persone con cui si permetteva di mostrarsi scioccato, o rigido, o piccato, erano i suoi amici più stretti.
 
Dopo un attimo parve riprendersi, mettendo su la solita facciata impertinente.
 
<< Mi ricordo benissimo, mia cara >> celiò con quel tono galante che gli usciva così bene con tutte le ragazze << E te ne chiedo scusa, me lo ero proprio dimenticato. Ti dirò di più, provvedo subito >>.
 
Detto questo si alzò e chiuse il libro che aveva sfogliato fino a poco prima, riponendolo sul tavolo. Prima di andarsene, passò dietro lo schienale della sedia di Edgar e, sotto lo sguardo incredulo di entrambi i suoi amici, si chinò su Sturgis.
 
<< Non tutto ruota intorno a te, Stur. E forse, nel momento in cui potrei avere più bisogno del mio migliore amico, l’ultima cosa che voglio è dover essere all’altezza anche delle tue aspettative >>.
 
Sturgis deglutì, guardandolo andare via.
 
Di solito, quando litigavano, Caradoc non si scomponeva mai. Aveva sempre capito, Caradoc Dearborn, cosa mandava Sturgis così ferocemente in bestia del suo rapporto con la sua famiglia: di solito lo lasciava sfogare, capendo che il motivo per cui lui si preoccupava aveva a che fare con l’affetto che provava in realtà, e gli dava il tempo di calmarsi e poi tornare.
 
Era sempre Sturgis quello che dalle loro litigate se ne andava furibondo.
 
Cosa c’è di diverso, adesso?
 
 
*
 
 
Il problema di incontrarsi sulla Torre di Astronomia invece che nei giardini era che, di notte, il castello era dominio incontrastato del Custode e del suo famiglio, e quindi c’era sempre la possibilità di essere scoperti. Se all’esterno avevano avuto la compiacenza di Hagrid, forse incapace di mantenere i segreti ma bene o male avvezzo a non infilare il naso in questioni che non lo riguardavano, all’interno del castello sarebbero stati soli.
 
Se a Caradoc Dearborn avessero chiesto, quel passato primo Settembre, come si immaginasse il suo ultimo anno a scuola, di certo non gli sarebbe mai venuto in mente di descrivere la situazione in cui si trovava in quel momento: avrebbe detto di desiderare di trionfare nel torneo annuale di quidditch come Capitano di Corvonero, di saldare all’estremo le amicizie che si era creato all’interno di quella scuola cosicché potessero avere tutte le carte in regola per continuare anche una volta che diplomato, o – nel peggiore dei casi – si sarebbe accontentato di passare una grande percentuale del proprio tempo a studiare a causa dell’ansia che i MAGO gli procuravano, insieme a tutto ciò che quegli esami significavano.
 
Di certo, non avrebbe pensato che avrebbe passato ogni mattina ad ingegnarsi su come spendere il proprio tempo in compagnia di Benjamin Fenwick. A quel passato primo settembre, se doveva essere sincero, Caradoc Dearborn sapeva a stento che Benjamin Fenwick esisteva.
 
Invece, adesso, seduto dietro alle merlature della torre di Astronomia, non era il Capitano della squadra, era in crisi con i propri amici più stretti e da quando aveva messo piede al castello non aveva ancora rivolto un pensiero serio a studiare in attesa dei MAGO. E Benjamin Fenwick era l’unica parte della propria giornata che aveva imparato ad aspettare con qualcosa di spaventosamente simile alla trepidazione.
 
Quante cose erano cambiate in pochi mesi. Per la prima volta da settimane, però, il pensiero non sembrava trascinarsi dietro nessun alone negativo.
 
<< Fammi capire bene, ci ingegniamo per trovare un posto in cui non morire di freddo e tu comunque decidi di stare nella parte della torre sprovvista di un tetto? >>.
 
La voce di Benjamin lo raggiunse alle spalle, il tono a suo modo carico di ironia. Caradoc si voltò, per controllare con lo sguardo che fosse proprio lui.
 
Non ci aveva creduto più di tanto, che quella loro abitudine continuasse. Forse era quello il motivo per cui, appena arrivato, si era posizionato seduto dietro alle merlature della torre, ad osservare con sguardo assorto il panorama ancora celato dal buio che precedeva l’alba.
 
<< Cercavo di scappare a quel malefico gatto >> rispose nel suo solito tono indolente.
 
Benjamin lo guardò con quel suo sguardo serio, e Caradoc – non per la prima volta dacché avevano preso quella strana abitudine di fare colazione insieme – sentì di essere visto
 
Aveva imparato che non era così difficile capire Benjamin Fenwick. Era un processo lento, perché il Serpeverde aveva bisogno di tempo per ambientarsi e lasciarsi andare, ma non era difficile. Era intrigante.
 
Erano complementari, in un modo o nell’altro: Caradoc con la sua maschera da sciocco vanesio e Benjamin con la sua aura di inscalfibile serietà. Caradoc, dopo un po’ di tempo, aveva imparato a non stupirsi che proprio loro due fossero finiti ad incontrarsi in quel modo: sul ciglio tra la notte e il giorno, in sordina e di nascosto da tutto e da tutti.
 
Vide Benjamin scrollare le spalle, riconoscendo probabilmente di aver visto più di quanto Caradoc non avesse inteso mostrare ma come a non voler davvero approfondire la questione, poi il ragazzo alzò la mano destra e mise in bella mostra un cesto.
 
<< Colazione >> si limitò a dire, rientrando.
 
La torre di Astronomia era davvero un posto particolare. Era teatro inconsapevole di moltissime cose che esulavano dalle lezioni di suddetta materia: coppie clandestine, affari loschi, incontri improbabili; un sacco di avvenimenti si svolgevano tra le mura della torre più alta del castello, da cui tra l’altro si poteva godere di un paesaggio mozzafiato.
 
Caradoc osservò il Serpeverde sedersi vicino alla parete nella parte della torre più protetta, lo sguardo rivolto all’esterno e le mani già intente a frugare nel cesto che si era portato dietro. Si morse un labbro, il Corvonero. In quale delle precedenti categorie ricadevano loro due? Nell’intento di scrollarsi dalla mente quella domanda scomoda, si sedette accanto all’altro ragazzo e cercò qualcosa da dire.
 
<< Come sta andando la ricerca con Amelia? >>.
 
Fenwick sbuffò, interrompendosi nell’atto di mordere un pezzo di toast.
 
<< Hai una minima idea del numero di Nati Babbani presenti in questa scuola? >> domandò retorico il Serpeverde.
 
Caradoc ne approfittò per rispondere con una battuta.
 
<< Sapevo che prima o poi sarebbe uscito il Serpeverde purosangue che è in te >>.
 
Suddetto Serpeverde rise, sorpreso.
 
<< Idiota >> lo riprese con tono bonario << Non intendevo in quel senso. È solo che si tratta di un numero davvero alto di interviste >>.
 
Caradoc ridacchiò, prendendo una mela tra le mani ed osservandone la lucentezza prima di addentarla soddisfatto.
 
<< Ancora non ho capito come ha fatto Amelia ad intortarti. Lo rimpiangerai per il resto della tua vita >> lo prese in giro di rimando.
 
<< Almeno quanto lo rimpiangerà lei una volta che si sarà davvero resa conto di quanto divento odioso quando costretto a interagire con altri esseri senzienti >>.
 
Quando avevano iniziato a prendere confidenza, Caradoc aveva pensato di sapere cosa aspettarsi dall’altro ragazzo. Neanche a dirlo, si era sbagliato in pieno. Benjamin aveva un acuto senso dell’umorismo, e questa era una di quelle cose che da qualcuno normalmente serio come era lui non ci si sarebbe aspettati assolutamente. Aveva una pungente ironia che non risultava mai offensiva e, cosa interessante, sapeva ridere anche di sé stesso.
 
Caradoc lasciò cadere il discorso con una risata, adagiandosi in quel silenzio che era un po’ diventato il marchio di momenti come quelli e in cui, sorprendentemente, si trovava così a suo agio.
 
<< Resterai ad Hogwarts per le vacanze invernali? >> chiese ad un certo punto Benjamin.
 
<< Nah, il compleanno di mio padre è a fine dicembre e ogni anno organizza uno di quei lunghissimi ricevimenti pieni di gente e tartine ammuffite. Hai presente? >>.
 
<< Davvero no >>.
 
<< Beata ignoranza >> mormorò Caradoc << Comunque rimanere a Hogwarts per Natale non è mai stata un’opzione, per me. Tu? Torni dai tuoi? >>.
 
Benjamin aveva il tipo di famiglia da cui tornare, Caradoc se ne era accorto subito, addirittura prima che quella loro abitudine si consolidasse realmente. Ne parlava con l’espressione annoiata di chi prende tante cose per scontato ma il suo tono aveva un calore particolare quando la voce scivolava sui particolari relativi ai viaggi di Jodie, o alla passione del padre per le piante più strane.
 
<< Si, quest’anno Jodie riesce ad essere a casa per Natale >> mormorò infatti, proprio con quel tono, il Serpeverde << Anche Dorcas verrà con me, al di fuori di noi non le è rimasto nessuno, e in un modo o nell’altro è entrata a far parte della famiglia >>.
 
<< Che tipo di Natale passerete? >> chiese Caradoc, curioso.
 
<< Caotico il giusto. Mio padre e Jodie sono molto… espansivi, diciamo così. Probabilmente finiranno a cantare intorno al piano mezzi ubriachi come al solito >> rispose Benjamin scrollando le spalle << Tu, invece, tartine ammuffite? >>.
 
<< Probabile >> rise il Corvonero.
 
Quell’ultima risposta di Caradoc aleggiò nell’aria per diversi attimi, mentre il Serpeverde da parte sua sembrava concentrato sull’ultimo pezzo di toast che aveva tra le mani. La linea chiara dell’alba creava una tenue penombra intorno a loro e disegnava il profilo del ragazzo accanto a Caradoc in modo netto ma, in qualche modo, dolce. Mentre lo osservava, a Dearborn venne in mente la conversazione avuta nel pomeriggio precedente con Sturgis e Edgar.
 
Sei un maledetto vigliacco.
 
Il tono di Sturgis gli rimbombò nelle orecchie insieme a quello strano miscuglio di ansia che gli aveva provocato sul momento ad attanagliargli le viscere.
 
<< Ben, hai presente Jennifer? >> mormorò alla fine.
 
<< Jennifer? >>.
 
Dal tono, il Serpeverde davvero sembrava non avere idea di chi stesse parlando. Aveva smesso di mangiare – non mangiava mai molto, Benjamin, e comunque si limitava a spizzicare cose salate – e ora stava giocherellando con dita veloci con il bordo liso del mantello.
 
<< L’assistente bibliotecaria, quella che sta sempre al bancone davanti al tavolo che di solito occupi per studiare con Meli >>.
 
Benjamin non sembrò preoccuparsi troppo di ricordare.
 
<< Non ho la minima idea di chi tu stia parlando >> rispose infatti alla fine di qualche attimo di silenzio, il tono leggero.
 
<< Passi la tua vita in biblioteca! >> lo prese in giro Caradoc garbatamente.
 
Benjamin per un attimo sembrò scioccato.
 
<< Per studiare, mica per guardare l’assistente bibliotecaria! Anzi, ora che mi ci fai pensare, nemmeno avevo notato esistesse la carica di assistente bibliotecaria >>.
 
Caradoc rise scuotendo il capo davanti alla tranquilla ammissione dell’altro.
 
<< Beh, Jennifer sembra trovarti interessante. Mi ha chiesto di mettere una buona parola con te >>.
 
Benjamin, che fino ad allora aveva giochicchiato con l’orlo del mantello muovendo le dita svelte della mano destra a tirare i fili lisi, parve bloccarsi un secondo con lo sguardo basso. A Caradoc, che in quelle loro mattine passate insieme ormai era diventato abbastanza ricettivo all’umore del compagno di scuola, parve quasi si fosse per un attimo come spento. Poi lo vide alzare la testa ed era di nuovo quello di prima, lo sguardo tranquillo e il tono della voce leggero, quasi non stesse prestando minimamente attenzione alla conversazione ma si limitasse a portarla avanti per gentilezza.
 
<< Dubito servirebbe a qualcosa >> mormorò alla fine il Serpeverde, voltandosi verso di lui e guardandolo con occhi scuri e seri << D’altronde, fino ad ora non l’ho nemmeno notata >>.
 
Sotto il peso di quello sguardo scuro e calmo, Caradoc si sentì come rimpicciolire. La sensazione ansiosa che gli aveva attanagliato le viscere nel pomeriggio, quando aveva discusso con Sturgis ed Edgar, sembrò tornare tutta d’un colpo. Questa volta, sotto quello sguardo, si scoprì incapace di scacciarla via.
 
<< Jennifer è una ragazza simpatica >> sussurrò un po’ contro voglia. Come avrebbe descritto Jennifer a qualcuno che non la conosceva? << Un po’ ridanciana, ma non troppo. È… allegra. Ride facilmente. È un po’ chiassosa. Semplice, ma carina >>.
 
Benjamin non sembrò minimamente toccato dalla descrizione. Quando si concesse un attimo per pensare, Caradoc capì che tutto quello che aveva detto fino a quel momento non doveva suonare particolarmente invitante alle orecchie del Serpeverde.
 
Possibile che tutte le cose che gli venivano alla mente fossero, ora che ci pensava, piccoli o grandi difetti?
 
<< Davvero, è una brava ragazza >> concluse alla fine, le labbra tirate in un sorriso stranamente difficile << Potresti prestarle attenzione, la prossima volta? Magari ti piacerà >>.
 
Benjamin lo studiò ancora per qualche secondo, poi fece spallucce.
 
Non era una vera e propria risposta, si disse il Corvonero. Quel pensiero lo lasciò stranamente confortato, anche se preferì non chiedersi il perché.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
Quando ho pensato il capitolo, la parte di Hestia e Dorcas doveva essere moooolto più lunga, però poi mi sono accorta che da quando sono tornata a scrivere non le ho più scritte insieme e quindi mi serviva un po’ per riabituarmi: risultato, il prossimo capitolo sarà in larga parte su di loro, questo piccolo stralcio era per riprenderci un po’ la mano.
Mi sono resa conto che, anche per il lavoro, trovo più comodo aggiornare questa storia durante il week end (in cui lavoro un giorno solo a turno, quindi l’altro è più libero per pensare a correggere il capitolo!), quindi vi do appuntamento al prossimo fine settimana. Grazie mille per recensioni e messaggi, e in generale per il vostro supporto a questa storia!

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Capitolo 27
*** 25. Capitolo 25 ***


NOTE:
Scusate il ritardo, questo capitolo è stato molto difficile da scrivere e tra lavoro, tesi e vita privata ho avuto bisogno di una maggiore concentrazione perché l’ho scritto circa quattro volte ma mancava sempre qualcosa. La versione finale è molto diversa da come l’avevo pensata all’inizio, ma tutto sommato, comunque, questa versione mi piace molto, quindi spero possa piacere anche a voi. 
Il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare nei tempi canonici della settimana. Grazie mille per ogni recensione e messaggio, sono davvero apprezzati così come consigli e spunti!
Buona lettura!
 
 
 
 
 
CAPITOLO 25
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Quindi tu ci abbandoni qui? >> chiese Dorcas ad Amelia all’uscita della Sala Grande.
 
Avevano appena finito di cenare e tutto il gruppo del settimo anno al completo, più Dorcas, si stava dirigendo a passo tranquillo verso l’ultimo incontro che il Club dei Duellanti avrebbe tenuto prima di Natale. Caradoc era il primo del gruppo, in testa al piccolo gregge, accompagnato a poca distanza dai due gemelli Prewett che – cosa per niente strana per loro – stavano discutendo animatamente riguardo a qualcosa che Fabian aveva detto ma che Gideon aveva pensato prima di lui. Dietro di loro, Sturgis e Kingsley chiacchieravano tranquillamente con Edgar. Ultime, Hestia e Dorcas si fermarono per salutare Amelia ai piedi della scalinata che portava ai piani superiori.
 
<< Devo ancora finire il tema di Erbologia da consegnare domani >> si scusò la ragazza con un sorriso malandrino << E poi, Benjy ha detto che non ci sarà nemmeno lui, e se non posso passare il tempo della riunione a torturare lui mi annoio, lo sapete benissimo >>.
 
Dorcas e Hestia ridacchiarono divertite.
 
<< Povero Benjamin >> disse Dorcas scuotendo la testa con fare rassegnato << Credo proprio che sia giunto al colmo del tempo che può passare con te >>.
 
Amelia e Benjamin, infatti, ormai erano insieme quasi ovunque: frequentavano insieme un sacco di lezioni e, in aggiunta, a causa del compito di Babbanologia che stavano preparando, passavano insieme anche un sacco di pomeriggi.
 
<< Io invece non posso lamentarmi, lui è una delizia da avere accanto >> ribatté Amelia con fare divertito.
 
Avevano stretto una strana sorta di amicizia, quei due, e infatti – per quanto divertita – Amelia non era stata sarcastica nella sua battuta: trovava seriamente divertente passare così tanto tempo con il Serpeverde. Era un bel cambiamento, rispetto alle solite persone da cui era circondata normalmente.
 
<< Ragazze, dobbiamo davvero andare >> si fermò ad avvisarle uno dei gemelli Prewett, più avanti, interrompendo momentaneamente la discussione con il fratello per avvicinarsi alle tre e avvertirle dell’orario.
 
<< Arriviamo! >> rispose Dorcas.
 
Amelia aspettò che la Corvonero – momentaneamente distratta da Fabian – tornasse a dedicarle la dovuta attenzione, poi le rivolse un sorriso sornione.
 
<< Quindi che sta succedendo qui? >> domandò con quel sottile tono pettegolo che usava spesso per parlottare con le altre ragazze di Tassorosso.
 
Dorcas, da parte sua, avvampò. Dalla parte opposta, Hestia le rivolse uno sguardo oltraggiato, come se non si fosse aspettata tanta sfrontatezza – nemmeno non l’avesse mai conosciuta! -, e poi le intimò di tacere con una gomitata ben assestata nelle costole.
 
<< Arriviamo >> si intromise alla fine la Corvonero più grande, rivolta a Fabian. Poi si voltò verso di loro e, come se non fosse successo nulla, la salutò in maniera spedita << Adesso dobbiamo andare, Meli. Ci vediamo domani >>.
 
Amelia dovette trattenere le risate vedendo un’imbarazzata Dorcas Meadowes venire trascinata via da una speditissima Hestia Jones.
 
 
*
 
 
<< Non sono sicura che questa riunione del club mi piaccia >> disse in tono convinto Hestia Jones, bacchetta dimenticata nella tasca del mantello.
 
Era seduta praticamente in equilibrio sul bordo di una delle molte sedie disposte in giro per la stanza, e aveva davanti Dorcas, seduta su un’altra sedia a un metro di distanza da lei e altrettanto in tensione.
 
<< Non mi stupisce la cosa, è stata un’idea di Kingsley >> ribattè Caradoc Dearborn, seduto alle sue spalle su una sedia posizionata invece di fronte a Fabian.
 
La stanza era cosparsa di sedie disposte a coppie – una di fronte all’altra – in modo che gli occupanti potessero guardarsi in faccia. Nessuno tra i presenti aveva la bacchetta in mano e, mentre qualche studente stava cercando di concentrarsi per tentare l’esercizio illustrato precedentemente da Kingsley e Sturgis, la stragrande maggioranza degli occupanti era impegnata a lamentarsi dell’inutilità del tempo speso in quel modo.
 
<< Quanto ancora dovremo guardarci romanticamente negli occhi a vicenda? >> chiese infatti Edgar con quel tono che sempre usava quando voleva farti capire che era l’ora di finirla, ma senza risultare scortese. Sembrava averne l’anima piena di quell’esercizio.
 
<< Non è che io stia esattamente facendo i salti dall’entusiasmo, Bones >> rispose stizzita Cinthia Rosier, che era seduta nella sedia dirimpetto a quella di Edgar e che aveva una smorfia delusa dipinta sul volto avvenente.
 
Kingsley Shacklebolt era una persona naturalmente ottimista, ma questa volta dovette proprio ammettere di aver sbagliato target con un esercizio del genere. Sturgis, di cui va detto essere addirittura più ottimista di lui, stava ancora cercando vanamente di spronare gli studenti a tentare di portare a termine l’esercizio. Certo, aveva notato Shacklebolt, perfino Sturgis sembrava essersi rassegnato all’idea di evitare le coppie composte da Serpeverde, che lo avevano già mandato al diavolo un paio di volte con termini davvero poco gentili.
 
Quando Sturgis, un po’ abbattuto dal fallimento dell’esercizio, si avvicinò alla propria ragazza e a Dorcas, Kingsley vide Hestia dare in un sorriso dispiaciuto.
 
<< Non è che sia un esercizio inutile >> la sentì giustificarsi con tono gentile << Ma è difficile capire se si stanno compiendo passi in avanti quando il tuo avversario non testa la tua resistenza con la bacchetta! >>.
 
Kingsley poteva dire di aver capito il punto.
 
Insieme a Sturgis, e stimolati da diverse richieste di vari membri del Club, avevano deciso di approcciare come tema da portare avanti per parte dell’anno la Legilimanzia e l’Occlumanzia. Insieme al Professor Mathison, che insegnava Difesa contro le Arti Oscure, avevano elaborato un piano per gli incontri in modo da approcciare il tema gradualmente e sotto la supervisione di qualcuno che ne sapeva più di loro.
 
Questo detto, sebbene il tema avesse inizialmente suscitato grande entusiasmo – specie dal momento che due branche della magia avanzate quando lo erano la Legilimanzia e l’Occlumanzia non venivano insegnate a scuola – dopo aver tentato qualche esercizio di concentrazione, la maggioranza degli studenti aveva iniziato a lamentarsi più o meno a gran voce a causa della mancanza dell’azione tipica degli incontri del Club dei Duellanti.
 
Quindi adesso si trovavano a quel punto, con molti studenti annoiati e l’entusiasmo di tutti sotto zero.
 
<< Ti prego, King >> sentì sbuffare Gideon da un punto imprecisato alle sue spalle << Fai finire questa tortura >>.
 
Quando si voltò, lo vide seduto di fronte a Antonin Dolohov e con, alle spalle, Thorfinn Rowle. Sconsolato, Kingsley si voltò e prese posto più o meno al centro dell’aula.
 
<< Bene, diciamo che questo esercizio può essere finito qui per questa riunione. Ricordatevi però che è un esercizio importante in vista degli incontri del Club dopo Natale, quindi durante le vacanze cercate di ritagliarvi del tempo a casa per esercitarvi >> un gran coro sarcastico si levò specialmente dalla parte Serpeverde dell’aula. Kingsley fece finta di nulla << Adesso, mantenendo le coppie che abbiamo deciso per quest’incontro, ci eserciteremo sull’incantesimo scudo in maniera non verbale. Cinque coppie a turno, ogni turno durerà cinque minuti e Sturgis terrà il tempo >>.
 
Nell’aula si sentì tirare un sospiro generale, e in men che non si dica le sedie vennero spostate e impilate in un angolo.
 
Ci sarebbe stato da lavorare.
 
 
*
 
 
<< Questo secondo me lo sbaglia >> mormorò Sturgis, seduto accanto a Hestia vicino al caminetto.
 
<< Si, questo si >> gli diede manforte Edgar, seduto lì vicino accanto a lui.
 
<< Si deve concentrare, c’è poco da fare >> disse allora Fabian, in piedi vicino a Dorcas.
 
<< Ci riuscirebbe, a concentrarsi >> esclamò Caradoc Dearborn stizzito, voltandosi verso di loro con fare inviperito << Se solo chiudeste quelle bocche larghe che vi ritrovate! >>.
 
Proprio in quel momento, mentre era voltato verso il gruppo intento a maledirli, fu investito da un incantesimo di ostacolo che lo fece inciampare su sé stesso e finire a terra. Dal momento che diverse coppie si stavano allenando nello stesso momento, la cosa finì per passare quasi inosservata. Quando si rialzò, non li degnò di uno sguardo e si voltò con tutta la grazia possibile verso il proprio sfidante. Trevor Williams era un Tassorosso del sesto anno, e al momento lo stava guardando con un sorriso impacciato, come a scusarsi.
 
Hestia Jones, seduta sul pavimento e con la schiena al muro tra il suo fidanzato e Dorcas Meadowes, ormai era abituata a quei simpatici siparietti all’interno del gruppo.
 
La festa di Edgar, decise, aveva aiutato a ridistendere l’atmosfera che – negli ultimi tempi – si era fatta un po’ pesante. C’era ancora qualcosa di irrisolto tra Sturgis e Caradoc ma, nel corso dell’ultima settimana, i momenti come quello appena passato – in cui tutti insieme ridevano e spesso ai danni di Caradoc, che si prestava un po’ come giullare – erano almeno ripresi.
 
<< Dobbiamo vederci, durante le vacanze natalizie >> disse la ragazza rivolta verso Dorcas, approfittando del fatto che Sturgis fosse occupato a chiacchierare con gli altri e che nessuno stesse prestando loro attenzione.
 
Dorcas sorrise in modo incerto.
 
<< In realtà… >> mormorò abbassando lo sguardo. Poi solo un silenzio imbarazzato.
 
Hestia si voltò ad osservarla, stupita da quell’improvvisa incertezza. Al contrario di ciò che si sarebbe pensato di primo acchito, Dorcas non era una persona timida. Le cose le faceva e le pensava in silenzio, senza sbandierare niente troppo in giro, eppure aveva sempre una certa sicurezza, ad accompagnare ogni gesto misurato.
 
Quell’incertezza fu un segnale di allarme.
 
<< Se non vuoi non dobbiamo per forza >> le disse allora, cercando di non mostrare segni di sconforto.
 
Aveva altri amici, d’altronde. Certo, ci aveva sperato, era inutile negarlo, ma non poteva pretendere che dopo pochi mesi l’altra ragazza – che di fama si sapeva essere solitaria e poco incline alla compagnia – l’accettasse senza remore. Forse non sarebbero mai nemmeno arrivate a quel livello, si disse. Non avrebbe dovuto prendersela, nel caso.
 
Si accorse però che non prenderla sul personale non le riusciva così naturalmente.
 
<< Hestia, amore, va tutto bene? >> chiese Sturgis voltandosi dopo aver detto qualcosa a Edgar.
 
Lei si voltò verso il suo ragazzo e si stampò un sorriso in volto.
 
<< Certo >> esclamò.
 
Hestia sentì che Dorcas, vicino a lei, si era irrigidita. Quasi cedette nel voltarsi verso l’altra ragazza, ma all’improvviso Kingsley, che aveva passato il tempo girovagando per controllare i duelli, alzò la voce.
 
<< Bene basta così, questo turno è finito, il prossimo >>.
 
 
*
 
 
Negli ultimi mesi per Fabian gli incontri del Club dei Duellanti erano diventati uno degli appuntamenti preferiti di tutta la settimana. L’altro era l’allenamento di Quidditch della sua squadra perché, ehi, il Quidditch difficilmente si batte.
 
All’inizio, si era iscritto al Club dei Duellanti principalmente a causa degli inviti di Sturgis, che il Club lo organizzava, e per l’idea in sé di prendere familiarità con i duelli prima di tentare l’entrata nell’Accademia Auror. Con il passare delle riunioni, però, incontro dopo incontro si era lui stesso reso conto che oltre a concedergli una modalità di sfogo dallo stress settimanale, l’appuntamento gli dava un’ottima occasione di studio di una persona in particolare.
 
Guardò Dorcas Meadowes prendere posto davanti a Hestia per l’esercitazione nell’incantesimo scudo non verbale, la bacchetta ben salda alla mano. La ragazza aveva qualcosa di strano, decise Fabian: notò infatti la postura particolarmente rigida e ne osservò il profilo attento quando la vide spostare l’attenzione su Hestia per indirizzarle un cenno con il capo.
 
Dorcas aveva un modo tutto suo di guardarti, e nel periodo trascorso più o meno insieme nei mesi precedenti – un periodo fatto di casuali incontri nei corridoi e piccoli momenti ritagliati quasi per coincidenza dopo pranzo – Fabian si era reso conto che nessuno sguardo della Meadowes era mai distratto. Dorcas guardava invece di parlare, e il suo era uno sguardo da cui non ci si poteva – e nello specifico lui non voleva mai – sottrarsi.
 
Adesso, però, davanti a Hestia in attesa del duello, la ragazza più giovane sembrava intenzionata a non rivolgere lo sguardo all’amica se non per brevi istanti, tenendolo fisso quasi ininterrottamente sul pavimento
 
<< Hestia è strana >> gli disse, vicino a lui in piedi, Sturgis.
 
Si accorse subito che anche quello era vero: non c’era persona più trasparente di Hestia Jones nei confronti delle proprie emozioni, e questo lo sapevano tutti a Hogwarts. E in quel momento, bacchetta alla mano, Hestia Jones era il ritratto più o meno sputato dello sconforto.
 
<< Sai se è successo qualcosa? Di norma vanno molto d’accordo >> rispose lui, indicando le due ragazze.
 
Sturgis sbuffò.
 
<< Molto d’accordo? Sono come mano e bacchetta, quelle due, ormai >>.
 
Fabian ridacchiò, voltandosi a guardare l’amico.
 
<< Non sarà mica gelosia, quella che sento! >>.
 
Podmore si unì alla risata, che si dissolse poi in un lungo silenzio interessato. Nella stanza, il nuovo turno dei duelli ormai era iniziato e i due seguirono interessati i primi tentativi delle due ragazze. Essendo un’esercitazione sugli incantesimi non verbali, come duello il loro non era esattamente entusiasmante da seguire.
 
<< Sono contento, comunque >> mormorò alla fine il Corvonero, spezzando il silenzio.
 
Fabian si voltò nuovamente a guardare Sturgis, perplesso.
 
<< Contento che Hestia sia strana? >> domandò. Allo sguardo divertito di Sturgis rispose alzando gli occhi al cielo: si, lui era piuttosto lento con questo genere di ragionamenti. Non è che potevano essere tutti cervelloni, in quella scuola.
 
<< Nah, i problemi se li risolverà. Hestia è una forte >> minimizzò Sturgis << Sono contento che abbia Dorcas, con lei. Era l’ora che trovasse qualcuno del genere >>.
 
<< Immagino di si >> mormorò in risposta.
 
<< E lei è una brava ragazza >>.
 
Fabian assottigliò gli occhi rivolgendo all’amico uno sguardo di tralice.
 
<< Certo che lo è >> rispose come guardingo.
 
<< Intelligente, anche >>.
 
<< Mhphm >>.
 
<< Ha anche un buon senso dell’umorismo, è simpatica >>.
 
Vide Sturgis strizzare le labbra, quasi a reprimere un sorriso. Poi si rese conto, come in un lampo, che l’amico lo stava prendendo in giro.
 
<< Stai cercando di farmi capire che approvi? >> domandò stuzzicato.
 
Sturgis a quel punto voltò la testa per guardarsi alle spalle. Appoggiato al muro, insieme a Caradoc, anche Gideon stava assistendo al duello di Hestia e Dorcas, e non sembrava particolarmente impressionato.
 
<< Certo che approvo, la Meadowes è una forte >> rispose alla fine Sturgis, voltandosi di nuovo verso di lui << Vedrai che prima o poi ce ne renderemo conto proprio tutti >>.
 
 
*
 
 
Quando Kingsley Shacklebolt decretò la fine di quella strana riunione del Club dei duellanti, Dorcas si voltò verso Hestia, nuovamente seduta vicino a lei.
 
<< Andiamo insieme alla torre? >> chiese senza mezze parole.
 
Hestia Jones vestiva le proprie emozioni con lo stesso orgoglio con cui vestiva la sua uniforme Corvonero. Quando a metà dell’incontro del Club Dorcas aveva esitato a rispondere al suo invito, la ragazza si era accorta subito di aver ferito – per quanto involontariamente – l’amica.
 
E ora sapeva di dover risolvere il problema. Anche se, e si era stupita lei per prima nel constatarlo, era la prima volta in vita sua in cui si trovava a risolvere un problema del genere: non ricordava di aver mai offeso nessuno, volontariamente o no. E la diceva lunga su di lei, in effetti: per offendere chicchessia in quel modo, si doveva avere con quel qualcuno un certo tipo di confidenza.  
 
<< Ho promesso a Sturgis che lo avrei aiutato >> mormorò infatti in risposta Hestia con una rigidità che non le era propria.
 
<< Per favore, ho bisogno di parlarti >>.
 
 
*
 
 
Dorcas non aveva un tono di voce particolarmente trasparente dal punto di vista emotivo: la sua voce non era mai particolarmente timida, o triste, o entusiasta. Hestia Jones non l’aveva mai sentita alzare la voce in modo irritato, per esempio.
 
In quel momento, per la prima volta da che la conosceva, Hestia mentalmente la detestò un po’ per quello. Lei era imbarazzata, innervosita e perfino intristita, perché lo sapeva benissimo che era uno dei suoi difetti principali quello di gettarsi a capofitto nelle relazioni – qualsiasi tipo di relazione – e adesso, per la prima volta in vita propria, aveva preso una facciata. Razionalmente lei sapeva che poteva capitare, che prima o poi nel suo entusiasmarsi per tutto avrebbe trovato un muro.
 
Però pensava di avere almeno il diritto ad uno ritirata strategica, che non le avrebbe fatto perdere la faccia. E in quel genere di linguaggio – regole sociali non scritte – Dorcas Meadowes, che viveva in modo attento e profondo ogni cosa con l’ausilio di pochissimi ed estremamente selezionati compagni di avventura, era inesperta. L’aveva rifiutata, e ora non capiva che insistere ad affrontare il discorso avrebbe solo aumentato l’umiliazione di Hestia e non avrebbe risolto nulla: per alcune cose l’unico rimedio era una studiata nonchalance.
 
<< Ascolta, Dorcas >> decise di mettere in chiaro lei, attirandola da un lato della stanza e approfittando del chiacchiericcio dei presenti per mascherare la loro conversazione << Va bene. Non sono offesa. Quello di affezionarmi facilmente è un mio difetto, l’ho sempre saputo, ed è una cosa che dipende da me. Ultimamente passiamo moltissimo tempo insieme e mi piace la tua compagnia, quindi non ho pensato che magari questo attaccamento può soffocare. Specialmente chi come te è abituato ad altri tipi di compagnia. Non te ne faccio una colpa, è stato un mio fraintendimento >>.
 
<< No >>.
 
Alla risposta chiara e concisa della ragazza più giovane, Hestia s’irrigidì.
 
<< No >> riprese Dorcas incrociando le braccia al petto. E il suo tono, che non era mai colorito, fu ferreo << Torna con me al dormitorio, per favore, e parliamone >>.
 
Fu probabilmente proprio per il tono fermo, più che per la prospettiva di parlarne, che Hestia alla fine la seguì.
 
Furono tra le prima ad uscire dall’aula, quindi, mentre il resto degli studenti approfittava della scusa del Club dei Duellanti per strappare ancora dieci minuti di libertà al coprifuoco.
 
I corridoi erano rischiarati dalle torce ancora accese, e le grandi vetrate che davano verso l’esterno riflettevano nel buio caldi giochi di luce aranciata. Le due ragazze camminarono in silenzio per qualche minuto.
 
<< Vorrei passare del tempo con te nelle vacanze natalizie >> disse ad un certo punto Dorcas, fermandosi a metà di un corridoio. Erano ormai vicine alla scalinata centrale, quindi più o meno a metà strada per raggiungere il dormitorio.
 
<< Non devi per forza, lo sai? >> domandò Hestia, arricciando le labbra << Ti prometto che non cambierà niente. Va bene, se pensi che non siamo ancora a quel momento della nostra amicizia >>.
 
A sorpresa, Dorcas scoppiò a ridere, in una di quelle sue risate basse e un po’ rauche.
 
<< Ti dirò, non ho la più pallida idea di cosa intendi quando ti riferisci a “quel momento nella nostra amicizia”. Non so se hai ben chiara la cosa, ma l’unico amico che ho è Benjy e fra di noi… beh, è stato sicuramente molto diverso >>.
 
Hestia, ferma davanti alla ragazza più giovane, le sorrise un po’ imbarazzata.
 
<< Forse questo è proprio il punto, Dorcas >> mormorò poi dolcemente << Forse non dovrebbe essere un discorso di livelli da superare, no? Forse ogni amicizia ha i suoi passi da compiere, e quali sono quelli giusti per noi dovremmo capirlo insieme. D’altronde, nonostante io sia costantemente circondata da amici, questa particolare amicizia è sicuramente un’altra cosa >>.
 
Da parte sua, Dorcas ricambiò il sorriso. Poi, lentamente, tornò ad indossare quello sguardo incerto che le aveva rivolto un’ora prima, e da cui era nata tutta quella loro conversazione.
 
<< Il fatto è che vorrei chiederti una cosa da qualche tempo, ma forse nemmeno io so se siamo “a quel momento della nostra amicizia” >> sussurrò dopo qualche attimo di silenzio.
 
<< Puoi chiedermi quello che vuoi, sempre, a qualsiasi momento della nostra amicizia >>.
 
A quel punto, e inaspettatamente, gli occhi di Dorcas si riempirono di lacrime. Con tutta la dignità del mondo, quella strana ragazza speciale che in poco tempo era riuscita a sgusciare nella vita di tutti, fece finta di nulla e tentò un sorriso.
 
<< C’è una cosa che devo fare durante le vacanze natalizie >> disse lentamente, come racimolando le idee. Si fermò, fece un respiro profondo, e riprese: << Devo tornare a Kerrera, a casa mia. Quella dove… >>.
 
Hestia sapeva come finiva quella frase, e vedendo lo sconforto e il terrore fare capolino nello sguardo dell’amica, tentò un sorriso gentile.
 
<< Quella dove hai vissuto con tuo padre >> concluse.
 
Dorcas annuì, lentamente.
 
<< Non ci sono più tornata, da quel giorno >> mormorò << Ci sono… cose, da fare. Riordinare, per lo più. La casa è mia, in teoria, ma io... non lo so. Non so cosa voglio fare >>.
 
<< Va bene non sapere >> cercò di tranquillizzarla Hestia <>.
 
Dorcas annuì di nuovo.
 
<< Chiederei a Ben, ma sua sorella tornerà a casa solo per pochi giorni e so che mi accompagnerebbe lui, ma so anche che gli costerebbe moltissimo non spendere almeno quei pochi giorni insieme a Jodie. Non voglio chiederglielo. Mi chiedevo se… se potessi accompagnarmi tu >>.
 
Hestia sapeva di essere trasparente, nello slancio di qualsiasi emozione provasse. In questo momento, impietrita dalla sincerità della ragazza e nell’amaro dolore che sentiva provenire da lei, l’unica cosa che gli venne in mente fu avvicinarsi di slanciò ed abbracciarla gentilmente. Dorcas s’irrigidì lievemente – probabilmente non abituata a quel tipo di contatto fisico – ma poi alzò le braccia a ricambiare l’abbraccio. Dall’umidità improvvisa alla spalla, Hestia si rese conto che l’amica si stava finalmente lasciando andare, non trattenendo più le lacrime e perdendo un po’ del controllo che le era tipico.
 
Per buona misura, le ripeté dolcemente all’orecchio: << Qualsiasi cosa, sempre, e in qualunque momento >>.
 
Non ne era mai stata così sicura.
 

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Capitolo 28
*** 26. Capitolo 26 (prima parte) ***


Note: questo capitolo è diviso in due parti perché davvero, arrivata a metà mi sono accorta che sarebbe diventato immenso!
Grazie mille a tutti quelli che con recensioni e messaggi mi fanno sapere il proprio parere, alla prossima settimana con la parte 2!
Buona lettura!
 
 
 
 
 
CAPITOLO 26
 
 
 
 
 
 
 
 
Amelia non era il tipo di persona generalmente interessata al Quidditch: da buona Tassorosso, tifava per la propria squadra e ne seguiva – in linea generale – le partite. Insieme alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch – cui aveva assistito insieme al resto della sua famiglia – le partite di Hogwarts erano tutto ciò che poteva vantare come conoscenza in materia di Quidditch.
 
Una cosa che però aveva capito, specialmente anche grazie all’esperienza di avere un fratello Capitano, era che ogni giocatore di Quidditch – come probabilmente quelli di tanti altri sport – aveva i propri rituali: cose da dire o non dire alla mattina prima di una partita, cose da indossare sotto l’uniforme della squadra o gesti da non fare per non scongiurare la possibilità di vittoria. Suo fratello, mente malata che non era altro, aveva perfino una lista di alimenti da non mangiare a colazione prima di scendere in campo: le uova portano sfortuna, Meli!
 
Generalmente, questi rituali non la coinvolgevano mai direttamente. D’altronde, lei non era il tipo di persona generalmente interessata al Quidditch ma, specialmente, non era il tipo da farsi tirare dentro a trip mentali senza opporre una resistenza particolarmente vocale. L’unica volta, infatti, in cui il fratello aveva provato a non sedersi vicino a lei a colazione prima di una partita di Quidditch perché Amelia, hai i calzini verdi stamattina, tutta la scuola l’aveva sentita urlare furiosa in risposta.
 
L’unico fenomeno che finiva per coinvolgerla che si poteva categorizzare come uno di questi rituali, la toccava nei pre-partita in cui a giocare era Corvonero contro Grifondoro: il loro strambo gruppo, infatti, era fortemente sbilanciato verso le due squadre e quando – per forze di causa maggiore – le due Case si trovavano in aperto antagonismo, la regola d’oro era quella di non interagire assolutamente. Prima di quelle occasioni, infatti, si trattasse di partite di Quidditch o dell’assegnamento della Coppa delle Case a fine anno, i confini tra i tavoli diventavano rigidi e ognuno aveva il compito di pensare alla propria Casa senza mischiarsi con le altre.
 
Quella mattina, quindi, si ritrovò a fare colazione insieme a suo fratello per forza di cose.
 
<< Oggi si decide il destino delle nostre vacanze natalizie, Amelia >> la accolse Edgar in Sala Grande con espressione solenne, mentre masticava un boccone di uova sbattute seduto a metà circa del tavolo di Tassorosso.
 
Amelia alzò gli occhi al cielo.
 
<< E io che pensavo che questa partita sarebbe stata diversa >> commentò sedendosi davanti al ragazzo e servendosi un bicchiere di succo di zucca.
 
Suo fratello la guardò stralunato.
 
<< E perché dovrebbe? >>.
 
<< Perché stiamo crescendo, e quindi in teoria nella vita adulta certe bieche rivalità dovrebbero essere sorpassate, o perché Caradoc non è più un giocatore di Quidditch e lui è quello che ha sempre tenuto maggiormente a queste fandonie. Decidilo tu, il perché >>.
 
Questa volta fu il turno del fratello di alzare gli occhi al cielo, prima di riprendere a mangiare in silenzio.
 
<< Hai visto scendere Benjamin? Devo riestituirgli un libro prima delle vacanze >> chiese dopo un po’ Amelia << Passami il burro, ti va? >>.
 
Il fratello la guardò, gli occhi sgranati.
 
<< Ma come…? Lo sai che non puoi! >>.
 
Amelia ci mise un po’ a capire lo stupore del fratello. Quando capì che si riferiva a quella stupida tradizione, alzò di nuovo gli occhi al cielo.
 
<< Ma Ben è un Serpeverde, non c’entra nulla! >> esclamò veemente.
 
Il fratello scosse la testa, quasi spaventeto.
 
<< Un Serpeverde, non un Tassorosso. La regola vale anche per lui! >>.
 
<< E qualcuno a lui lo ha fatto presente? >> chiese Amelia, lo sguardo rivolto verso il portone della Sala Grande.
 
Proprio in quel momento, infatti, Benjamin Fenwick stava entrando, esattamente come ogni altra mattina, in compagnia di Dorcas Meadowes. La Corvonero, probabilmente altrettanto ignara della tradizione del gruppo, stava spiegando in modo tranquillo qualcosa al suo migliore amico.
 
Quando spostò nuovamente lo sguardo su Edgar, Amelia vide il fratello guardarsi alle spalle – rivolto ai due ragazzi e al resto della sala – con sguardo impietrito.
 
<< Se li vedono i Prewett li uccidono. Per non parlare di Sturgis e Caradoc, tra l’altro >> mormorò il ragazzo scuotendo il capo.
 
<< Dobbiamo andare ad avvisarli del fatto che rischiano in questo modo di attirarsi le ire di tutti? >> chiese Amelia.
 
Edgar si voltò di nuovo verso di lei.
 
<< Meli, giri con noi da quanti… tre anni? E non hai ancora capito che la questione è seria? Nessuno di loro due è un Tassorosso >>.
 
Amelia Bones, a quel punto, rivolse uno sguardo irritato al fratello. Poi, ricordandosi che a lei non interessava particolarmente il Quidditch e ancora meno quella specifica tradizione, si alzò in piedi armata di tanto coraggio.
 
<< Amelia! >> la rimbrottò suo fratello, lasciando perdere la colazione.
 
Sembrava davvero preoccupato, l’idiota.
 
 
*
 
 
<< Che cosa diamine pensa di fare Amelia Bones! >>
 
L’attenzione di Kingsley Shacklebolt venne attirata dal tono duro di Gideon Prewett, che fino a poco prima era impegnato a dissezionare con tutta calma la propria porzione di uova strapazzate. Fabian, seduto al fianco del fratello, alzò a sua volta lo sguardo dal piatto e cercò preoccupato la piccola figura di Amelia muoversi tra la folla della colazione in Sala Grande.
 
<< Dove sta andando? >> domandò incuriosito, guardandola alzarsi dal tavolo sotto lo sguardo preoccupato di Edgar.
 
Kingsley, da parte sua, si spalmò una mano sulla fronte in maniera quasi rassegnata.
 
<< Dimmi che non sta facendo quello che credo stia facendo >>.
 
<< Credo proprio che lo stia facendo >> sussurrò impallidendo Fabian.
 
Gideon, dopo aver attirato l’attenzione di tutti sulla questione, non aveva più parlato. Adesso, forchetta a mezz’aria ed espressione scocciata dipinta in volto, si voltò a lanciare un’occhiata disturbata al fratello.
 
<< Ti prego, dimmi che almeno hai detto alla Meadowes di parlare solo con i Corvonero prima della partita >>.
 
Fabian sgranò gli occhi. Gideon si infiammò.
 
<< Merlino benedetto, Fabian! >> strepitò rivolto verso il fratello e, di conseguenza, anche verso l’amico << Quella ci manda all’aria tutta la partita! >>.
 
Di conseguenza, Fabian si infiammò in risposta.
 
<< Quella ha un nome, razza di bifolco >> sbraitò in risposta.
 
Ora, Kingsley Shacklebolt attribuiva al Quidditch – nella sua esperienza scolastica – un’importanza molto elevata: da Nato Babbano quale era, al suo arrivo a scuola era stato incredibile scoprire che esisteva uno sport giocato a cavallo di scope volanti ed a distanza di anni era ancora più incredibile ricordarsi di avere un posto da titolare nella squadra della sua Casa. Nel mondo in cui era vissuto per undici anni della sua vita, cose del genere non capitavano.
 
Quando viveva nel mondo dei Babbani si divertiva a giocare a Basket. Ma il Quidditch era qualcosa di più, per lui. E quando, al terzo anno, aveva passato le selezioni ed era entrato in squadra, aveva iniziato più o meno consapevolmente a sviluppare una lunga lista di tradizioni e gesti scaramantici da completare prima di ogni partita. Per questo, al collo teneva sempre il ciondolo che un tempo era appartenuto alla sua bisnonna, mangiava a colazione senza rivolgere la parola quasi a nessuno – se non ai propri migliori amici e solo quando era proprio necessario – e mangiava sempre e solo pane da toast e caffè senza zucchero. Nei momenti di tensione tra Grifondoro e Corvonero, inoltre, dati i precari equilibri nel proprio gruppo di amici, non rivolgeva la parola a nessuno che non appartenesse alla sua stessa Casa. Erano regole semplici, procedimenti che mantenevano il suo ordine mentale e – secondo la sua mania di sportivo – anche un po’ di ordine nel mondo.
 
E Amelia Bones stava per fare scoppiare un casino di proporzioni epiche. Perché tra le sue regole, targate Kingsley Shacklebolt e seguite pedissequamente prima di ogni partita, c’era anche quella di evitare a qualsiasi costo i litigi tra Gideon e Fabian, che notoriamente potevano rovinare l’umore della squadra intera.
 
<< Smettetela, adesso >> si fece infatti sentire con tono tranquillo ma severo. Sapeva, infatti, che gli amici capivano benissimo. Sperava che comprendere sarebbe stato sufficiente, per loro << Risolverete la questione Dorcas durante le vacanze di Natale, anche perché sta andando avanti da troppo tempo >>.
 
<< Io non ho… >>.
 
Il tentativo di risposta di Gideon, polemico come era il suo solito, venne bloccata da uno sguardo feroce di Kingsley.
 
<< Nelle vacanze di Natale >> ribadì, la voce calma ma dura.
 
<< Ma… >> provò Fabian in seconda battuta.
 
<< Natale >> rispose ferocemente il Caposcuola << Ora muovetevi a mangiare che dobbiamo scendere al campo >>.
 
D’altronde, non c’era soluzione. Né Amelia, né tanto meno Dorcas e Benjamin, erano Grifondoro. La questione non era nelle loro mani, e in questo modo Fabian e Gideon non avrebbero disturbato.
 
Non si scherza con il Quidditch.
 
 
*
 
 
Hestia Jones era entrata in Sala Grande giusto in tempo per accorgersi che qualcosa non andava.
 
<< Amelia, pensa bene a quello che stai facendo! >> strepitò all’improvviso Edgar Bones, alzandosi dal tavolo di Tassorosso e attirando su di sé l’attenzione di una buona parte della Sala Grande.
 
Amelia Bones, ignorando in modo palese il fratello, sembrava procedere spedita verso Dorcas e Benjamin, intenti a parlare tranquillamente nel corridoio tra il tavolo di Corvonero e quello di Serpeverde.
 
Ops.
 
A lei il Quidditch non interessava per nulla, e seguiva le partite di Corvonero solo ed esclusivamente perché nel manuale della buona fidanzata c’era probabilmente scritto che era un po’ il suo dovere sostenere – o per lo meno tentare di sostenere – il suo fidanzato nelle proprie passioni. Per questo, e perché così Sturgis aveva l’obbligo morale di assistere al periodico torneo a cui lei partecipava in quando membro del Club degli scacchi magici della scuola.
 
Quindi lei, per riassumere, di Quidditch capiva pochissimo. C’era solo una cosa che capiva meno del Quidditch, e quella cosa erano i rituali ad esso connessi la mattina prima di ogni partita.
 
Nel manuale della buona fidanzata c’era scritto di sostenere la propria metà nelle sue passioni, certo, ma secondo la sua modesta opinione questi rituali andavano oltre. E poi, chissà chi lo aveva scritto, il manuale della buona fidanzata, e a che titolo.
 
Comunque, proprio perché a lei il Quidditch non interessava per nulla, ritenne di potersi tirare fuori dalla questione nel momento in cui capì che non stava scritto da nessuna parte che proprio lei dovesse spiegare ai due nuovi componenti del loro strambo gruppo quell’idiotico rituale che i maniaci del Quidditch avevano imposto.
 
Gideon Prewett, uno dei primi pensatori di suddetto idiotico rituale, balzò in piedi irritatamente dal tavolo dei Grifondoro. Sembrava voler dire qualcosa. Hestia lo vide mordersi la lingua, sedersi, poi alzarsi di nuovo come appena avuto un lampo di genio.
 
<< Fabian, cosa starà facendo Amelia? >>.
 
<< Non lo so, Gideon >> rispose Fabian Prewett, prontamente urlando e alzandosi in piedi per attirare l’attenzione << Tuttavia spero seriamente in cuor mio che non stia facendo quello che credo stia facendo. Se stesse facendo ciò che penso stia facendo, metterebbe a rischio equilibri cosmici e, soprattutto, spezzerebbe il cuore di quasi tutti i suoi più intimi amici >>.
 
E fu in quel momento che Hestia Jones si rese conto che ad essere idiotico non era solo il rituale, ma anche e soprattutto i suoi amici.
 
 
*
 
 
Caradoc Dearborn amava follemente il Quidditch, e ne seguiva i rituali con l’ossessione di chi ne capiva la logica e perciò nutriva fede cieca nei suoi risultati.
 
La mattina precedente, quindi, aveva annunciato che prima della partita non sarebbe andato alla torre di Astronomia come ogni altra mattina. Fenwick non aveva fatto domande e, se non aveva probabilmente idea dei suoi rituali strani, sembrava per lo meno aver captato la straordinarietà della giornata che Caradoc si stava preparando a vivere: la prima partita di Corvonero in sei anni a cui lui non avrebbe partecipato.
 
E si, forse Dearborn era una persona momentaneamente in crisi, che stava vivendo un periodo della sua vita in cui si era trovato per cause di forza maggiore ad isolarsi dai propri amici e a trovarne di nuovi, ignaro di cosa avrebbe fatto in futuro e spiazzato dal vedere quel futuro farsi sempre più vicino, eppure era sempre Dearborn e quindi continuava ad amare follemente il Quidditch. Quindi, poco importava la lite con Sturgis, decise. Quella mattina, come ogni mattina di ogni partita degli ultimi sei anni, avrebbe fatto colazione con il proprio migliore amico e non avrebbe rivolto la parola ai Serpeverde – a tutti loro in generale e ad uno in particolare – per non mettere a rischio le sorti della partita.
 
<< Buongiorno >> salutò quindi, tentando il buon umore, mentre prendeva posto al tavolo di Corvonero davanti a Sturgis.
 
Sturgis alzò gli occhi dal piatto, sorpreso.
 
<< Hestia? >> chiese Caradoc inforcando una salsiccia.
 
<< Dovrebbe scendere >>.
 
Continuarono a conversare tentativamente per qualche tempo. Di tanto in tanto, Sturgis lo scrutava riflessivamente, smettendo di mangiare per qualche momento, poi faceva spallucce e riprendeva la sua colazione: sembrava stesse avendo una qualche complicata conversazione con se stesso. Ad un certo punto, probabilmente finita suddetta conversazione, decise di esporre con piglio deciso le proprie conclusioni.
 
<< Quindi lei non è una Corvonero >>.
 
Caradoc, che generalmente ci teneva a dimostrarsi sveglio e attento, inarcò le sopracciglia come a chiedere spiegazioni.
 
<< La ragazza con cui fai colazione di solito >>.
 
Lui si irrigidì.
 
<< Faccio colazione qua ogni mattina, con te >> disse con voce tesa.
 
<< Anche >> terminò Sturgis, ringalluzzito, riprendendo a mangiare di buon gusto.
 
Caradoc sopportò il silenzio per qualche minuto, poi si rese conto che non poteva davvero lasciare l’ultima parola a Sturgis.
 
<< Non c’è nessuna ragazza >> sbottò alla fine.
 
Sturgis lo guardò da sotto in su, una forchettata piena di uova diretta alla bocca.
 
<< C’è sempre una ragazza, con te >> mormorò Podmore dopo aver masticato lentamente << Se fosse come le altre, però, ce ne avresti parlato. Questa deve essere diversa >>.
 
Caradoc si stupì dell’intuitività del proprio migliore amico. Pensava di essersi mosso al di fuori di ogni sospetto e che Sturgis, che normalmente non era una volpe nel notare cose del genere, stesse prestando ancora meno attenzione del solito. D’altronde, ultimamente le cose erano più fredde tra di loro, quindi perché prestare tanta attenzione?
 
<< Lo so che ultimamente noi… >> tentò Sturgis alla fine, bloccandosi. Loro, in genere, non parlavano mai di cose profonde. Sturgis provò nuovamente << Ho riflettuto su quello che hai detto in biblioteca. Ed hai ragione, non ruota tutto intorno a me. Con questo non intendo dire che sono d’accordo con il modo in cui vuoi sempre essere all’altezza delle aspettative di tuo padre, anche sacrificando cose per te importanti. Ma hai ragione, in momenti del genere dovresti poter contare sul tuo migliore amico, e non temere la possibilità di deludere anche me >>.
 
Caradoc sorrise, in quello che sentì essere il primo vero sorriso condiviso con il suo migliore amico in un mese. Poi, però, visto che di cose profonde loro in genere non parlavano, replicò con il suo solito tono viziato.
 
<< Non credere che non riesca a vedere lo zampino di Hestia in questa conversazione >> azzardò in maniera scherzosa.
 
Sturgis, come da copione, scoppiò a ridere.
 
<< In realtà, spero che ti ricorderai di questo mi sia costata questa conversazione quando vedrai giocare il nuovo portiere, è una schiappa. Non prendertela con me >> disse con tono limpido, strizzandogli un occhiolino.
 
<< Di Caradoc Dearborn ce n’è uno solo >>.
 
In quel momento, scoppiò un mezzo inferno.
 
<< Amelia, pensa bene a quello che stai facendo! >> urlò all’improvviso Edgar.
 
<< Fabian, cosa starà facendo Amelia? >> gridò Gideon dal tavolo dei Grifondoro.
 
<< Non lo so, Gideon >> rispose Fabian << Tuttavia spero seriamente in cuor mio che non stia facendo quello che credo stia facendo. Se stesse facendo ciò che penso stia facendo, metterebbe a rischio equilibri cosmici e, soprattutto, spezzerebbe il cuore di quasi tutti i suoi più intimi amici >>.
 
Caradoc ebbe a malapena il tempo di vedere con la coda dell’occhio Amelia raggiungere le figure di Dorcas Meadowes e Benjamin Fenwick e rivolgere loro la parola. Ci mise un po’ ad afferrare il perché del tono di Edgar e dei Prewett, poi fece mente locale.
 
<< Sacrilegio! >>.
 
 
*
 
 
E fu così che Benjamin Fenwick si ritrovò a fare da spettatore ad una partita in cui, teoricamente, non aveva nessun interesse, in solitaria sugli spalti assegnati alla propria Casa. La Patria del Bellocci era proprio strana, decise.
 
<< E adesso vediamo di nuovo il Prewett battitore tentare di disarcionare Podmore. Certo, dei due non so chi sia il peggiore, ma d’altronde questo è quello che le due squadre hanno da offrire, quindi c’è poco da lamentarsi. Nel frattempo, Ridley trova la pluffa, la passa a Howard che la perde. La Pluffa torna a Corvonero >>.
 
Benjamin sapeva di essere un Serpeverde atipico ma, nel grande schema delle cose, provava un certo affetto per la propria Casa di appartenenza. E una delle cose che si godeva maggiormente, in genere, era proprio la cronaca della partita quando a giocare non erano i Serpeverde: Octavia Pucey, Serpeverde del quinto anno, già dall’anno precedente aveva dato prova di avere un grande talento nel discutere le strategie impiegate dalle squadre e sapeva farsi apprezzare. Detta in parole povere, provava poco rimorso a prendere in giro indiscriminatamente qualsiasi squadra non fosse quella di Serpeverde e quindi era capace di una certa imparzialità.
 
<< Strano vederti tra di noi >> lo sorprese alle spalle una voce tranquilla.
 
Voltandosi, Benjamin incontrò lo sguardo interessato di Cinthia Rosier, in piedi poco dietro di lui. Era coperta dal mantello regolamentare, e aveva il cappuccio tirato su a coprirle solo metà capo.
 
<< Cinthia >> la salutò cercando di non mostrarsi troppo guardingo << Non pensavo ti interessasse questa partita. D’altronde, la nostra Casa nemmeno gioca >>.
 
<< Mi piace il Quidditch, a qualsiasi livello. Anche se non mi coinvolge personalmente, mi… interessa il gioco >>.
 
Dopo la gita a Hogwarts le cose fra di loro erano tornare su binari civili in modo decisamente più veloce e indolore di quanto lui non si sarebbe aspettato inizialmente, ma comunque il tipo di relazione tra loro era rimasta ad un livello molto superficiale.
 
<< Grifondoro torna in possesso di Pluffa, grazie ad una scattante Terry Howard. La pluffa passa a Prewett, che la passa a Ridley che vola in direzione dell’anello centrale della squadra avversaria. Come sarà questo nuovo portiere di Corvonero? Uh, un bolide fulmineo di Cattermole per poco non lo fa fuori. Cosa fai, Cattermole? Quello è il vostro portiere! Ne avete già accoppato uno quest’anno. Reynold ha la Pluffa, il gioco si sposta velocemente sui Corvonero >>.
 
<< Credo che Octavia ci abbia preso gusto >>.
 
Benjy fu stupito di sentirsi rivolgere nuovamente parola dalla Rosier, e in tono così tranquillo.
 
<< Stavo giusto riflettendo sui suoi metodi di cronista >> rispose il ragazzo piegando le labbra in un sorriso vago << Ne avevo sentito parlare, ma non mi era mai capitato prima di assistere ad una partita raccontata da lei. È… particolare >>.
 
Una voce gli strisciò nei pensieri, ricordo di una conversazione avuta non troppe mattine prima durante colazione sulla torre di Astronomia: è tollerabile, suppongo, per essere una Serpeverde, aveva detto Caradoc acquisendo all’improvviso quel tono sarcastico che usava di tanto in tanto per prenderlo in giro bonariamente. Specialmente sulla sua Casa di appartenenza.
 
La curva Grifondoro scoppiò all’improvviso in un boato esultante e il Serpeverde si riscosse dai propri pensieri. Dagli spalti vicino ai professori, Octavia Pucey si stava lamentando a gran voce.
 
<< Ma dove lo avete trovato questo portiere, Corvonero? Quello di prima almeno sapeva più o meno dove fossero gli anelli, e poi era una delizia per gli occhi! Comunque, ci tocca prendere atto del fatto che i Grifondoro siano in vantaggio di dieci a zero >>.
 
Il tono della cronista era ridicolmente rassegnato e Benjamin si rese conto di avere un sorriso divertito sulle labbra. Vicino a lui, anche Cinthia sembrava divertita e, con uno sguardo un po’ più umano negli occhi, sembrava molto meno inarrivabile del solito. Gli sembrò talmente vicina e reale, ad un certo punto, che proprio non riuscì ad impedirsi di rivolgerle la parola. Ricordandosi che fino a qualche mese prima era solito fuggire qualsiasi tipo di conversazione futile neanche fosse velenosa, attribuì la colpa della sua neonata loquacità alla Patria del Bellocci.
 
<< Tornerai a casa per Natale? >> le chiese mentre osservava Sturgis Podmore tenersi in equilibrio a cavallo della scopa a pochi metri di distanza da loro, all’incirca alla loro stessa altezza. La partita era appena iniziata, ma il solitamente ottimista Podmore aveva uno sguardo di sconforto dipinto negli occhi.
 
<< Certamente, le festività di passano in famiglia >>.
 
<< Interessante tattica dei Corvonero, quella di cercare di farsi fuori a vicenda con i bolidi. Probabilmente, hanno capito che il nuovo portiere non sa nemmeno quali delle due schiere di anelli in campo siano quelli che dovrebbe controllare perché… Prewett ha la pluffa, passa a Howard, ripassa a Prewett, Stebbins ruba e passa a Kirke, Kirke ha la pluffa. Kirke passa a Reynolds che… viene colpita da un bolide di Pulse al braccio, ahi che male >>.
 
<< Non ho mai visto i Corvonero giocare così >> prese la parola Cinthia, riservando uno sguardo critico a Odette Reynolds, cacciatrice Corvonero colpita da un bolide.
 
<< Non hanno ancora trovato un equilibrio con il nuovo portiere, quel Peterson >> rispose Benjamin.
 
Il tono con cui Cinthia parlò aveva tutta l’aria di essere volutamente neutro.
 
<< Si sente troppo la mancanza di Dearborn >>.
 
Benjamin le rispose rimanendo in silenzio, ma rivolgendole un’occhiata sarcastica che probabilmente parlava da sola. Al punto che Cinthia rispose, in tono quasi stizzito.
 
<< Dearborn può anche non piacermi, ma ho l’onestà intellettuale di ammettere che è un talento raro a Quidditch >>.
A quelle parole, Benjamin fu assalito improvvisamente da un dubbio che, se doveva essere sincero, gli era frullato in testa anche un mese e mezzo prima, durante quella strana uscita a Hogsmeade, quando aveva notato quanto strano fosse per una persona normalmente gelida come Cinthia prendere una litigata tanto a cuore.
 
<< Toglimi una curiosità, perché non ti piace? >>.
 
 
*
 
 
<< Ti vedo inquieto >>.
 
Le parole di Dorcas furono pronunciate con tentata gentilezza.
 
<< Vedi >> intervenne Hestia con tono tranquillo << E tu non volevi venire alla partita perché dicevi che non ti sarebbe piaciuto assistere. Ora nemmeno riesci a staccare lo sguardo dal gioco >>.
 
Caradoc Dearborn ignorò i commenti delle ragazze – entrambi indirizzati a lui – e puntò un dito accusatore verso il centro del campo, dove la pluffa stava momentaneamente passando da Odette Reynolds a Penny Kirke mentre entrambi i battitori lasciavano scoperte le cacciatrici, possibili prede di attacchi avversari.
 
<< Io Sturgis lo ammazzo quando rimette piede a terra >> sibilò, incarognito il ragazzo << Ho giocato in quella squadra per sei anni, e per l’ultimo anno e mezzo ne sono stato il Capitano. Come Merlino hanno fatto a distruggere tutto nel giro di un mese? E poi Amelia, non so se gliela perdonerò tanto facilmente, questa! >>.
 
Osservando lo scintillio maniacale che Caradoc aveva negli occhi, Hestia si chiese – e non per la prima volta da che era iniziata la partita – se dovesse preoccuparsi per la salute del suo fidanzato. Caradoc, infatti, stava ripetendo la stessa frase in diverse varianti, più o meno ininterrottamente, dal fischio di inizio. E sì che, quando si erano scagliati contro Amelia durante la colazione, Sturgis e Caradoc sembravano aver ritrovato la perfetta armonia della loro solita amicizia.
 
Caradoc, totalmente frastornato da come stava andando avanti la partita, non si era nemmeno gonfiato come un pavone quando Octavia Pucey, la cronista, aveva detto, in uno strano miscuglio di insulti, che lo trovava attraente. Strano, queste cose di solito su Dearborn avevano una certa presa
 
<< Magari è una strategia di gioco >> tentò Dorcas da parte sua, il tono lieve.
 
<< Se lo è, è la peggiore a cui io abbia mai assistito. Chiunque l’ha elaborata deve essere caduto ed aver battuto la testa. Ripetutamente. >> rispose Caradoc strabiliato. Poi all’improvviso si passò le mani nei capelli, frustrato, e chiuse gli occhi << Per Morgana, non ce la faccio a guardare. Ditemi quando segnano >>.
 
In quello stesso momento, Fabian Prewett centrò con un tiro perfetto l’anello laterale destro segnando altri dieci punti per Grifondoro. Quando il boato esplose dalla curva opposta alla loro, Caradoc si lasciò sedere sulla panca dietro di loro, sconsolato.
 
<< Io Sturgis lo strozzo >>.
 
 
*
 
 
Dorcas aveva assistito nei giorni precedenti ad una sorta di rituale ballerino in cui, a cadenza intermittente, Caradoc aveva informato lei ed Hestia che “si, penso che verrò alla partita” e poi che “no, ho deciso che non verrò alla partita”.
 
Alla fine, senza sorprendere assolutamente nessuno, lo avevano scortato loro due fuori dal portone del castello mentre si tormentava le mani dal nervosismo, sciarpa con i colori Corvonero ben stretta al collo e sguardo un po’ allucinato.
 
Andiamo a vedere sta benedetta partita, aveva detto, e il tono era stato a metà tra quello di qualcuno che si prepara ad andare ad un funerale e chi si prepara a scendere in guerra.
 
Guardandolo adesso seduto sulla panca, le spalle incurvate e i palmi delle mani ben premuti sugli occhi, fu all’improvviso raggiunta da un’ondata di pietà. Visto che comunque lei era Dorcas Meadowes – ossia versata nell’arte della socialità e della compassione tanto quanto un’Acromantula nell’essere un animale da compagnia – tutto quello che potè fare fu sedersi accanto a lui e dargli un paio di pacche dal sapore pseudo rassicurante sulla spalla, sperando fosse abbastanza.
 
<< Dorcas, non sai quanto sei fortunata a non capire niente di Quidditch >> le disse l’ex Capitano Corvonero in un moto di sconsolata onestà << è proprio un dolore quasi fisico, vederli comportarsi da idioti in questo modo! >>.
 
Dorcas vide Hestia alzare gli occhi al cielo.
 
<< Come farò a sostenere l’onta? >> continuò a lamentarsi Dearborn << E i Prewett! Sanno essere insopportabili quando ci si mettono. E parlano sempre in due, completandosi le frasi a vicenda! Fabian dice Abbiamo vinto e Gideon risponde con E quindi voi avete perso. Li odio. Non scenderò dal dormitorio per il prossimo mese >>.
 
Individuando uno spiraglio per poter consolare il ragazzo, Dorcas ci si mise di buona volontà, replicando la pacca sulla spalla di prima.
 
<< Guarda il lato positivo, Caradoc >> gli disse infatti << Domani lasciamo la scuola per le vacanze di Natale, al ritorno tutti se lo saranno dimenticati >>.
 
Caradoc sospirò.
 
<< Dorcas, tesoro, beata ingenuità! Nessuno dimentica queste sconfitte >> scosse la testa Caradoc << I Prewett mi scriveranno. Eccome se mi scriveranno. Lettere diverse, ovviamente, nemmeno la grazia di mandarmi una lettera sola da parte di entrambi. Comunque è anche colpa di Amelia. Com’è che coltiviamo amicizie del genere? >>.
 
Sia Dorcas che Hestia si misero a ridere.
 
Intorno a loro, tra gli altri Corvonero impegnati a guardare la partita, l’atmosfera si irrigidì improvvisamente. Qualcuno scattò anche in piedi.
 
<< Attenzione, sembrerebbe che McKinnon abbia avvistato il boccino. Speriamo sia un cercatore migliore del Capitano che si è rivelato! Dove lo hai trovato il portiere, McKinnon? Lo hai comprato da Zonko!? Anche Georgia Thorn si è accorta del boccino, e ora Corvonero e Grifondoro si stanno giocando la possibilità per il Corvonero di non finire ultimo in Classifica e di essere ricordata come la squadra passata dalle stelle alle stalle in pochi mesi! >>.
 
Dorcas pensò che se Caradoc davvero avesse prestato ascolto alle parole della cronista forse si sarebbe un po’ ravvivato all’idea dei complimenti nascosti da insulti che Octavia Pucey gli aveva rivolto per tutta la durata della partita. O forse no. Dearborn era difficile da capire in queste situazioni. Comunque, Caradoc aveva evidentemente chiuso le orecchie a qualsiasi interferenza esterna dal momento in cui aveva afferrato con gli occhi la figura magra di Max McKinnon volare spedita dietro ad un baluginio dorato.  
 
<< Immaginati se Max non prende il boccino >> le disse Hestia scherzando, probabilmente approfittandosi del fatto che Caradoc non le stava palesemente ascoltando.
 
Se solo l’avesse sentita dire una cosa del genere, Dorcas era pronta a scommetterci la bacchetta, Caradoc l’avrebbe fatta volare giù dagli spalti.
 
 



 

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Capitolo 29
*** 26. Capitolo 26 (seconda parte) ***


NOTE:
Ecco la seconda parte del capitolo. È più corta di quanto non pensassi, avevo scritto un’intera parte in più che ho però poi deciso di far slittare in qualche modo al prossimo capitolo, visto che nel risultato finale ci stava un po’ come i cavoli a merenda. Quindi, questa parte è un po’ più corta del previsto ma molto, molto densa. Tra l’altro, sono davvero soddisfatta di come questo capitolo tutto insieme sia alla fine uscito fuori, quindi spero piaccia anche a voi! Per il prossimo capitolo, però, ho sicuramente bisogno di due settimane almeno… sarà infatti un capitolo molto particolare con tanto di sorpresa allegata, se tutto va come dico io!
Volevo ringraziare di cuore tutte le persone che seguono in qualche modo questa storia e in particolare, mi sono resa conto che in questo momento le recensioni alla storia ammontano a novantanove. Quando ho iniziato a scrivere questa storia, annissimi fa, pensavo che non sarebbe stata letta da nessuno, meno che mai pensavo che qualcuno avrebbe perso un po’ del proprio tempo a recensirla… i personaggi trattati da questa storia sono appena dei nomi nella saga di Harry Potter e quindi ero sicurissima che nessuno avrebbe voluto perdere tempo con loro. Pensare che – nonostante gli anni di attesa – si sia quasi arrivati a cento recensioni, che lettori vecchi e nuovi continuano a leggere e a seguire e a mostrare il proprio supporto, quindi, è un po’ assurdo e un po’ meraviglioso insieme! Vi ringrazio tanto!
Quindi ci vediamo fra due settimane, nel frattempo vi auguro buona lettura!
 
 
 
 
 
CAPITOLO 26
Parte Seconda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Toglimi una curiosità >> aveva detto Fenwick con quel suo solito tono monocolore << Perché non ti piace? >>.
 
Non era semplice rispondere ad una domanda del genere.
 
Una vita passata a non farsi piacere la gente, quella di Cinthia Rosier. Lo sapeva benissimo, lei, di essere stata educata secondo canoni rigidissimi che la maggior parte della famiglie magiche, anche di quelle Purosangue, riteneva ormai sorpassati. E secondo quei canoni, gli altri erano semplicemente altri e non qualcosa da farsi piacere.
 
<< Perché dovrebbe piacermi? >> domandò lei in risposta.
 
Cinthia guardò Benjamin Fenwick osservarla silenziosamente per qualche momento. Attorno a loro il caos della partita imperversava, eppure lo sguardo di Fenwick bastava da solo – quando era fisso nel suo – a tirarla fuori da quell’atmosfera competitiva.
 
Cinthia Rosier era abituata ad essere guardata: dai suoi genitori – con quello sguardo in cui le ambizioni della propria famiglia pesavano sopra a qualsiasi pretesa di individualità –, dal resto degli studenti – con invidia o ammirazione –, da una gran parte dei ragazzi più grandi della scuola – con desiderio –.
 
Fenwick invece, fin dalla prima volta in cui l’aveva guardata con quello sguardo scuro e serio, sembrava soppesarla. Non come una Rosier che dovesse dimostrarsi all’altezza del nome che portava, né come una Purosangue, o una Serpeverde, o una ragazza.
 
L’aveva guardata, aveva capito Cinthia dopo aver passato tempo a rifletterci su, come si guarderebbe una persona senza etichette attaccate addosso, qualcuno da cui non si sa cosa aspettarsi e a cui si dà quindi la possibilità di, semplicemente, essere. E quello non era un modo in cui Cinthia Rosier si fosse mai sentita guardata, in vita propria.
 
E la cosa la atterriva.
 
Agli altri sguardi, in fondo, era abituata. Sotto quello sguardo, invece, si era spesso trovata impreparata. Non che potesse mai darlo a vedere: era una Rosier, in fondo, ed a mostrarsi impreparati i Rosier erano probabilmente incapaci a livello dinastico.
 
<< Questo è il genere di cose che dovresti dirmi tu. Non posso dirti io le ragioni per fartelo piacere >> mormorò Fenwick, alla fine di quella lunga occhiata, facendo spallucce e tornando a godersi la partita.
 
Per un po’ rimasero in silenzio. Nello stadio, il volume degli urli di vittoria e degli sbuffi di sconfitta si alternavano in ripetizioni più o meno ricorrenti. Guardarono Max McKinnon vedere il boccino, iniziare l’inseguimento e venir tallonato dalla controparte Grifondoro, una scricciolo di ragazzina che – probabilmente cercando di distrarre l’avversario – sembrava darsi un gran daffare nell’urlargli dietro. Un bolide di Prewett, improvviso, passò ad un soffio dal naso di McKinnon, costringendolo a bloccare il volo con una brusca frenata che impedì anche a Georgia Thorn di afferrare la piccola pallina dorata. Il boccino sparì, tra le urla costernate di entrambe le squadre, e i due Cercatori si misero nuovamente a sorvolare il campo aguzzando la vista.
 
<< Anche McKinnon ci delude, quindi. E si che, dall’abbandono di Dearborn, tutte le aspettative di chi vuole vedere i Grifondoro annegare sul fondo della classifica si erano riversate su di lui. Ma poi, perché stupirsi. Lui è il nuovo Capitano Corvonero, è lui che ha scelto quella rovina di Portiere che hanno deciso di trascinarsi dietro in partita! >>.
 
<< Siete molto diversi, tu e Dearborn >> intervenne nuovamente Cinthia, riaccendendo la conversazione e spostando di nuovo lo sguardo per fissarlo sul Serpeverde. Il ragazzo diede in un sorriso muto, quasi di cortesia.
 
Alecto aveva detto, quando lei le aveva rivelato di aver accettato un invito di Fenwick ad andare ad Hogsmeade insieme, che se lo era aspettato. Hai sempre degnato Fenwick di più attenzioni di quando non ne concedi a tanti altri, erano state le testuali parole della Carrow, ho sempre pensato che in fondo ti piacesse. Sai, come un ragazzo.
 
Ma Cinthia era una Rosier, e aveva sempre avuto ben chiaro in mente che le persone sono altri e, in quanto tale, non qualcosa da farsi piacere. Non importa se qualcuno ti piace, importa se ti può essere utile.  
 
Alecto l’aveva guardata arricciando le labbra. Parli come tua madre, le aveva detto, Fenwick è un figo, e un Purosangue. Certo, è un po’ strano.
 
E Benjamin Fenwick era bello davvero, quello Cinthia poteva ammetterlo. Aveva capelli e occhi scuri, naso dritto e labbra generose, che davano alla sua bocca un aspetto androgino. Per quanto riguardava l’essere strano, beh, Cinthia poteva capire: Fenwick si isolava, era pignolo nelle scelte e si portava dietro un’aura da intoccabile, quasi fosse al di sopra degli altri. Avevano molto in comune, lui e la Rosier.
 
Vedendo che il ragazzo non pareva avere intenzione di rispondere, continuò.
 
<< Fra tutti gli studenti di questa scuola, con tutti avrei detto potessi stringere amicizia fuorché, forse, proprio con lui >>.
 
Quello dovette toccare un qualche tasto in Benjamin, inconsapevolmente, perché il solito sguardo imperscrutabile si accese di un interesse malcelato.
 
<< Devi conoscerlo bene, per poter dire una cosa del genere >>.
 
Cinthia si accorse che per la prima volta dall’inizio di quella conversazione era riuscita a catturare la completa attenzione del ragazzo.
 
<< Dearborn è una delle persone più rumorose della scuola. Non lo conoscono forse tutti? >> domandò lei.
 
E in quel momento, con quelle parole, si rese conto di aver perso quel fuggevole momento di interesse. In quella frase, si accorse Cinthia, doveva esserci stato qualcosa di sbagliato, forse, perché lo sguardo di Benjamin Fenwick tornò scuro e serio e il ragazzo ricominciò a prestare attenzione alla partita.
 
<< Forse >> sussurrò alla fine il ragazzo, il tono nuovamente incolore << Eppure, a tutti piace. E da qui, ritorna la mia domanda iniziale. Perché a te lui non piace? >>
 
<< Prewett in possesso di pluffa, passa a Howard, che passa di nuovo a Prewett e… bolide di Podmore! La pluffa torna ai Corvonero, Reynolds vola verso gli anelli, trova Kirke e… Shacklebolt para! Siamo ancora settanta a zero per i Grifondoro, che hanno purtroppo un Portiere vero al contrario di quella mandragora impagliata di Corvonero >>.
 
Cinthia guardò Fenwick mordersi un labbro seguendo la partita. Avrebbe quasi potuto definirlo nervoso, forse, ma la cosa non aveva il minimo senso. Perché dovrebbe interessargli una vittoria di Corvonero al punto di prenderla tanto a cuore?
 
<< Potresti dirmi perché piace a te >> commentò con attenzione, cercando di riconquistare quel guizzo di interesse che aveva scorto prima nello sguardo del ragazzo.
 
In parte ci riuscì, si rese subito conto, perché Fenwick si irrigidì. Poi, però, il ragazzo non distolse lo sguardo dal campo e rispose con una voce glaciale.
 
<< Oppure potremmo stare in silenzio >>.
 
Mordendosi la lingua per la curiosità di un comportamento tanto strano, Cinthia dovette prendere atto del fatto che la conversazione fosse terminata.
 
 
*
 
 
<< Non riesco a capire cosa sta facendo Sturgis >> mormorò Amelia guardando la partita con aria spaesata.
 
Al momento, il Prefetto Corvonero era impegnato a soppesare la mazza da Battitore che aveva tra le mani, il volto – generalmente inguaribilmente ottimista – segnato da una smorfia scontenta.
 
<< Di tutto per perdere la partita, sembrerebbe >> rispose Edgar con lo stesso spaesamento della sorella nello sguardo << Come il resto dei Corvonero, d’altronde. Eccetto per le tre Cacciatrici, gli altri sembrano non provarci neanche! >>.
 
Amelia sghignazzò.
 
<< Non vorrei essere Dorcas e Hestia in questo momento >> disse.
 
Entrambi si voltarono, praticamente insieme, verso gli spalti occupati dai Corvonero: a differenza degli spalti mezzi vuoti di Tassorosso – che non giocava e quindi non aveva attirato l’attenzione di un nutrito gruppo di studenti – quelli di Corvonero erano pieni di gente dalla faccia scontenta e, di tanto in tanto, dalle prime file – occupate dai seguaci più accaniti – si levavano cori di urla scontente. In prima fila, da una parte Dorcas e dall’altra Hestia, Caradoc Dearborn sedeva al suo posto con i palmi delle mani saldamente premuti sugli occhi.
 
<< Mi sembra di poter sentire il tono di voce lamentoso fino da qui >> disse affettuosamente Amelia.
 
<< Ci toccherà sentirlo per tutto il viaggio in treno, domani >> sbuffò Edgar in risposta.
 
<< Beh, magari Corvonero fa ancora in tempo a vincere la partita! >>.
 
Amelia non aveva nemmeno finito di parlare quando l’ennesimo urlo scontento si sollevò dagli spalti Corvonero. Hestia e Dorcas avevano adesso uno sguardo che verteva quasi sul ridere mentre Caradoc aveva alzato le mani al cielo aprendo gli occhi ed era scattato in piedi per aggrapparsi al parapetto, gli occhi enormi ora spalancati dallo sconforto.
 
<< E Grifondoro segna il suo tredicesimo punto! Congratulazioni ancora una volta, Corvonero, per aver scelto di portare in partita il Portiere più inetto della storia! >>.
 
Da lì in poi era stata una tragedia unica. Certo, non che fino a quel punto fosse andata così bene.
 
 
*
 
 
Sturgis sapeva che avrebbero perso dall’ultimo allenamento che avevano fatto durante quella settimana, prima della partita.
 
Caradoc era entrato in squadra insieme a lui, al loro secondo anno in quella scuola, e ne era diventato il Capitano al quinto: il Capitano più giovane della squadra in settantatré anni. E se c’era una cosa su cui Caradoc aveva sempre insistito, fin da quando aveva ricevuto quella lettera all’inizio di due anni prima che diceva che a lui sarebbe stato affidato il destino di quella squadra, era che una squadra prima ancora di giocare insieme, doveva pensare, insieme.
 
Pensa a una ragnatela, Stur aveva iniziato a dire l’amico ogni volta che se ne presentava l’occasione, non si può strappare un filo senza che tutta la struttura ne risenta. Ecco, noi dobbiamo essere come quella ragnatela.
 
Che poi chissà cosa ne sapeva uno come Caradoc Dearborn di ragni, lui che era sempre il primo ad urlare terrorizzato quando ne vedeva uno.
 
Comunque sia, Sturgis doveva ammettere che quella cazzata della ragnatela stava, più o meno, in piedi, se ci si pensava. Era logico che un gioco dinamico potesse essere soltanto il risultato di una squadra unita, una squadra i cui componenti combaciassero nel gruppo senza perdere le proprie individualità.
 
E quello che era stato chiaro a Sturgis, durante l’ultimo allenamento, era che la loro ragnatela si era rotta: quando Caradoc aveva lasciato la squadra, tutta la struttura ne aveva risentito e no, non bastava prendere un ragazzino a caso che in allenamento parava quattro pluffe su cinque e sperare che tutto andasse bene.
 
Un’altra cosa che Caradoc gli aveva insegnato come Capitano, e non come amico, era a conoscere l’avversario: il primo mese seguente la sua nomina a Capitano, Dearborn aveva mandato tutta la squadra in ricognizione, vagamente in incognito, a spiare non solo le strategie negli allenamenti delle altre squadre, ma anche a vedere come i singoli componenti si comportavano gli uni con gli altri nei normali giorni scolastici.
 
Conosci il tuo nemico, Sturgis gli aveva replicato con piglio battagliero quando lui aveva osato lamentarsi e chiedere spiegazioni.
 
E quindi non c’era davvero da stupirsi del fatto che avessero perso. E benchè se lo aspettasse, pensandoci razionalmente, quando posò il primo piede a terra per scendere dalla scopa al centro del campo – vedendo i Grifondoro festeggiare – Sturgis Podmore ebbe come l’impressione di aver perso molto più che una stupida partita di Quidditch.
 
<< Ci rifaremo la prossima volta >> stava dicendo con tranquillità Max al resto della squadra. Penelope Kirke e Odette Reynolds, da parte loro, cercavano di calmare un piangente Barry Stewart – il ragazzino del terzo anno che aveva preso il posto di Caradoc in porta – che, per tutta la durata della partita, era stato praticamente bullizzato dalla cronista.
 
Sturgis non aveva voglia di sentire frasi fatte di quel genere: tutto quello che voleva era farsi una doccia e rimettersi a letto. Aveva talmente poca voglia di scambiare qualsivoglia frase di circostanza con altre persone che, invece che dirigersi verso gli spogliatoi come alla fine di ogni partita, imbracciò la scopa dalla quale era appena sceso e si diresse a lunghi passi in direzione del castello. I dormitori, per ovvie ragioni, al momento erano vuoti ed erano probabilmente il modo migliore di evitare qualunque distrazione.
 
Quando arrivò alla torre di Corvonero, infatti, un vuoto tranquillo lo accolse e, in solitudine, ebbe il tempo di fare una doccia calda molto veloce. La soddisfazione di avere qualche minuto per sé – che all’interno di una scuola come la loro era merce decisamente rara – svanì tuttavia nel momento in cui rientrò dal bagno al dormitorio per trovare Caradoc seduto sul proprio letto.
 
Sturgis si guardò attorno, cercando di capire chi avesse accompagnato Caradoc a cercarlo: d’altronde, era da quando avevano discusso che Dearborn sembrava trovare qualsiasi scusa per non spendere troppo tempo da solo con lui. L’amico, tuttavia, scrollò il capo. Per un po’ rimasero in silenzio, poi Caradoc sospirò.
 
<< Mi dispiace >> mormorò, la voce sconfitta e gli occhi bassi.
 
Sturgis non rispose nulla, perché d’altronde non c’erano molte cose che potesse dirgli che non gli aveva già urlato contro.
 
Caradoc si stava guardando le mani.
 
<< Hai ragione nel dire che il Quidditch è l’unico futuro in cui mi riconosco. E hai ragione anche a dire che è stato mio padre a volere questo, per me. Che lasciassi, intendo. Però non ce la faccio, adesso, ad oppormi >>.
 
Sturgis annuì, sedendosi sul proprio letto, di fronte al suo, e guardando l’amico con uno sguardo a metà tra l’attesa e lo sconforto.
 
<< Vedere perdere la partita è stato terribile >> mormorò dopo un po’ Caradoc. Sembrava tentarle, le frasi, mettendole una dopo l’altra senza un apparente filo logico.
 
<< Non tanto terribile quanto giocarla, credimi >> rispose Sturgis, tentando di fare ironia ma finendo con una piega amara delle labbra. Ci pensò un attimo su, poi chiese: << E lo sai quale è stata la cosa peggiore? >>.
 
Caradoc, da parte sua, sorrise.
 
<< Poter elencare punto per punto dove avete sbagliato e come avreste potuto fare meglio? >> chiese.
 
Sturgis annuì.
 
Caradoc annuì.
 
Rimasero in silenzio ancora per un po’, senza spezzare quell’immobile equilibrio in cui si trovavano dopo quasi due mesi di tensione. Incredibile, entrambi avevano quasi perso le speranze di poterlo ritrovare, quell’equilibrio. Ritrovarcisi immersi, Sturgis pensò, era inaspettato. Sapeva che avrebbero perso la partita, Sturgis Podmore, e aveva pensato che quello potesse essere il colpo di grazia alla sua amicizia con Caradoc nel periodo critico che stavano attraversando: non aver saputo mantenere integra la struttura della ragnatela.
 
Dopo un po’ Caradoc parlò di nuovo.
 
<< Come è che dice Hestia di solito? Che io e te condividiamo la mente… >>.
 
<< Il cervello >> lo corresse Sturgis, ridendo << Dice che condividiamo il cervello. Non è un complimento, di solito. Dice che non si sa mai chi dei due ce l’abbia al momento >>.
 
Caradoc sorrise.
 
<< Non posso dire che abbia torto >> mormorò il ragazzo.
 
Sturgis scosse il capo, pensieroso. Rendendosi conto che raramente insieme al suo migliore amico aveva avuto discussioni così profonde, si sentì per un attimo timoroso.
 
<< Penso che abbia ragione, sai? Non nel senso dispregiativo del termine ma… >> domandò ad un certo punto, lanciandosi un po’ nel vuoto e cercando le parole esatte. Ripensò alla fine della partita, e aggiunse a mo’ di spiegazione: << Quando sono sceso a terra, prima, ho pensato che tu saresti stato l’unico in grado di capire come mi sentivo >>.
 
Il sorriso di Caradoc era stato immediato.
 
<< Lo capisco ancora. Anche se non sono più il tuo Capitano, sono ancora il tuo migliore amico. Il Quidditch è ancora una cosa nostra >>.
 
Per la prima volta da settimane, Sturgis sentì come un grande peso sollevarglisi dalle spalle. Aveva recriminato a Caradoc il suo non essere più il Capitano, ma forse la mancanza che aveva sentito di più era stata proprio quella dell’amico. Sapere di non averlo perso davvero, pensò Sturgis guardandolo, leniva addirittura un po’ del dispiacere causato dall’aver subito una sconfitta a Quidditch.
 
Forse, quello era il punto da cui iniziare a costruire di nuovo.
 
 
 

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