Not Gonna Die

di Nebula216
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Recluta ***
Capitolo 2: *** Equilibrio ***
Capitolo 3: *** Movimento ***
Capitolo 4: *** Doma ***



Capitolo 1
*** Recluta ***


 

Not Gonna Die”

 

1. Recluta

 

 

- Ehi dannato!-

 

- Signore!-

 

- Tu dannato, dimmi chi sei!-

 

Si erano presentati veramente in tanti al reclutamento, così tanti che non pensava di riuscire a resistere fra il caldo del sole e la folla di coetanei che la circondava.

Prese un respiro profondo, ascoltando il ragazzo biondo rispondere con voce decisa ma terrorizzata al loro maestro. Un uomo alto, con occhi glaciali e fin troppo simili a quelli di un falco in piena frenesia della caccia, contraddistinto dal capo pelato e dalla presenza, sulla sua mandibola, di un pizzetto mefistofelico.

Avrebbe fatto di tutto per un briciolo di ombra, pensò mentre il dialogo fra l’istruttore e Armin, così aveva detto di chiamarsi il ragazzo, procedeva.

 

- E ora dimmi! Per quale motivo sei venuto qui?!-

 

- Per dare il mio contributo alla nostra vittoria!-

 

Belle parole… se si fosse dimostrato più convinto e meno timoroso forse avrebbe evitato di essere rigirato come una bottiglia malmessa su uno scaffale di un bar.

Keith Shadis, l’uomo dallo sguardo ferino nonché loro futuro mentore, avanzò verso altri ragazzi, sputando loro addosso quanta più paura e cattiveria potesse avere il suo corpo: urlava quanto fossero deboli, quanto la loro vita avesse meno valore di un animale in cattività e altre carinerie simili.

Sospirò profondamente, rendendosi conto di quanto la luce del giorno le stesse causando non pochi problemi agli occhi: non aveva chiesto di nascere “stramba”, purtroppo le era capitato.

Ricevette una gomitata da un’altra ragazza, notando come la fila precedente alla sua stesse facendo dietrofront: era arrivato il turno di essere macellati a parole.

 

- Se ti vede così ad occhi chiusi cosa penserà?-

 

Sbuffò irritata, ricordandosi solo in quel momento, grazie alla fitta improvvisa, di quanto ancora le facesse male la mandibola: avrebbe tanto voluto spedire nell’aldilà a calci nel culo chi l’aveva costretta ad allontanarsi e dimenticare la sua vita precedente.

Vide il pelato saltare alcuni ragazzi, limitandosi a osservarli senza proferir parola: forse loro erano stati diretti testimoni della ferocia dei giganti, non poteva esserci altro motivo per evitarli così.

Osservò i cadetti che la precedevano, notando il copione ripetersi con un ragazzo: doveva essere alto all’incirca un metro e settantacinque, con capelli castani chiari, rasati nella parte inferiore della nuca e occhi quasi del colore dei topazi.

Aveva eseguito un saluto perfetto e si stava preparando a rispondere.

 

- Sono Jean Kirschtein, del distretto di Trost!-

 

- E perché sei venuto qui, dannato?!-

 

Sapeva che, quella sera, avrebbe faticato a prendere sonno per due motivi: l’insolazione e il mal di testa che avrebbe fatto il suo ingresso galoppante di lì a poco.

Tornò a guardare la scena, notando il ragazzo fare un mezzo sorrisetto convinto.

 

- L’ho fatto per poter vivere… nei territori interni, signore.-

 

Beh, almeno poteva considerarlo sincero e senza peli sulla lingua.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Shadis rispose.

 

- … Ho capito… e così tu vorresti vivere nei territori interni!-

 

Per quanto sembrasse una risposta innocua, sentiva che qualcosa sarebbe andato storto.

Kirschtein annuì convinto.

 

- Sì.-

 

La testata che gli arrivò dritto in fronte risuonò per tutta l’arena e, per quell’attimo, fu seriamente tentata di scappare. Pochi ragazzi la separavano da quel pazzo furioso, cosa avrebbe risposto?

Perché era lì, in mezzo a tutti quei coetanei pronti a dare la vita per quella lotta?

Alla fine, se ci pensava bene, prima di tutto quel casino la sua vita era tranquilla e non aveva mai avuto la sfortuna di vedere quegli esseri antropofagi da vicino: allora perché era lì?

Sospirò, percependo Keith insistere su Jean, inginocchiato per terra e dolorante.

 

- Chi ti ha detto di metterti a cuccia?! O pensi davvero che chi si arrende così facilmente possa entrare nel corpo di Gendarmeria?!-

 

La risposta, alla fine, era banale.

Si trovava lì semplicemente perché qualsiasi altra strada le andava bene, perché non voleva essere più un soggetto del valore di 1800 monete.

Si fissò i polsi, concentrandosi sulle bende che aveva cambiato quella mattina stessa, ascoltando la voce del mentore farsi sempre più vicina: doveva stare calma e giocarsi bene le sue carte.

Doveva pensare come rispondere ed evitare di crollare.

Lo sentì dire a un ragazzo, un certo Marco Bodt, che al re non sarebbe interessato niente del suo sacrificio per quanto questa risposta gli facesse onore.

Infine, lo vide arrivare.

La squadrò da capo a piedi, facendola sentire molto simile a un povero topolino ormai spacciato: lei, poco più che un metro e cinquantasei, si ritrovava a dover fronteggiare un militare del calibro di Keith Shadis, una iella discreta.

Vide che si soffermò sui capelli, sugli occhi e sulla pelle diafana, poi la voce giunse come una stilettata.

 

- Tu dannata! Chi sei?!-

 

Si piantò il pugno destro sul petto, all’altezza del cuore, ricordandosi di non mostrarsi debole.

 

- Mi chiamo Karissa Jones, signore. Vengo da un piccolo villaggio fra il distretto di Trost e Karanes.-

 

- E perché sei qui, dannata?!-

 

Avrebbe voluto rispondere che qualsiasi vita le andava bene pur di dimenticare quello che aveva visto prima di essere salvata, ma come avrebbe reagito l’istruttore?

Decise di provare: non sarebbero stati certo gli ultimi colpi che la attendevano in quel campo.

 

- Perché non ho altro posto dove andare, signore… e voglio rendermi utile alla causa.-

 

Keith rimase in silenzio, afferrandole senza alcun timore la chioma candida e strattonandola appena in avanti.

Karissa provò a non urlare, si impegnò a stringere quanto più possibile i denti, ma ogni muscolo della sua bocca faceva male, col risultato che le cadde della bava sulla sabbia.

Shadis le rispose canzonatorio.

 

- E come ti renderesti utile, eh dannata albina?!-

 

Chiuse gli occhi con forza: era pesante essere derisa per il suo aspetto, giudicato da sempre strambo e inquietante. Non era stata una sua scelta nascere albina, non era colpa sua se sembrava uno scherzo della natura. Purtroppo le era capitato e, per quanto provasse ad essere forte, ogni volta faceva male come la prima.

Non staccò il braccio destro dal cuore e il sinistro dalla sua schiena, deglutì quella poca saliva che era riuscita a produrre e rispose, percependo la voce rotta dall’arsura del calore e dal dolore della mandibola ancora indolenzita.

 

- In qualsiasi modo, signore! Sul campo, come esca, va bene tutto!-

 

Una ciocca di capelli scivolò dalla presa dello chignon, ricadendole sul collo in tutta la sua lunghezza e sfiorandole per un attimo la zona lombare della schiena.

Shadis la fissò, mollandola con violenza per terra e riportando le braccia conserte dietro la schiena.

 

- Non ti rende più onorevole degli altri! Sei poco più di un escremento! Alzati!-

 

Aveva già fatto l’idea a insulti di ogni genere, fin da quando quella faccia da psicopatico aveva fatto il suo ingresso nell’arena, tuttavia non si era resa conto di quanto fosse difficile mandarle giù.

Piantò le mani nella terra arida, ignorando i sassi che premevano sui suoi palmi e tirandosi su, trattenendosi quando sentì la pelle dei polsi bruciare: le erbe mediche stavano ancora facendo effetto.

Trattenne uno sbuffo e tornò in piedi, vedendo il cadetto successivo, un certo Connie Springer, sbagliare il saluto.

La ragazza vicina a lei sbiancò.

 

- Oh no...-

 

Keith non fece molti discorsi: afferrò il cadetto per la testa e lo issò con una facilità tale da farlo sembrare poco più che un moscerino.

Se ci pensava bene, alla fine, loro erano poco più che minuscoli insetti pronti per essere schiacciati, non importava se da Shadis o chi altro… in quel momento non avevano molte possibilità di controbattere.

Sistemò la ciocca di capelli che le era sfuggita, avvolgendola intorno allo chignon e bloccandola con una piccola forcina: avrebbe corretto tutto quanto prima di cena.

Ascoltò le parole dure del maestro riguardo al saluto errato di Connie, mentre con lo sguardo iniziò a vagare fra le file dei ragazzi: quanti di loro sarebbero rimasti?

Chi avrebbe tirato fuori veramente il carattere da soldato?

Non lo sapeva e non sapeva se lei sarebbe stata fra i fortunati.

All’ improvviso la voce dell’insegnante si bloccò e, nel silenzio più totale, l’unico rumore che riuscì a percepire fu quello della masticazione.

Confusa, guardò alla sua destra, vedendo una ragazza mangiare, senza alcuna vergogna, una patata.

Perché non si fermava?

 

- Ehi dannata… che cosa stai facendo?-

 

Keith partì all’attacco, con la voce talmente bassa da sembrare più simile ad un ringhio.

La ragazza della patata, scostando lo sguardo in più direzioni, continuò a pasteggiare, mentre il maestro si avvicinava sempre di più.

Fino a quando non la sovrastò con la sua stazza e la sua ira.

 

- È CON TE CHE STO PARLANDO DANNATA! DIMMI IMMEDIATAMENTE CHI SEI!-

 

Karissa percepì la ragazza deglutire ed eseguire immediatamente il saluto, tenendo sempre la patata ben stretta nella mano destra.

 

- Sono Sasha Blouse, del villaggio di Dauper, nel distretto di Wall Rose!-

 

- Sasha Blouse, eh? E sentiamo un po'… che cos’hai nella mano destra?-

 

Karissa vide tutti quanti restare in silenzio, pronti per vedere gli sviluppi di quell’ennesimo siparietto: cosa avrebbe fatto adesso Shadis?

Non osava immaginarlo.

Scosse la testa, vedendo poco più in là rispetto all’arena una scuderia: alcuni cadetti stavano portando dei nuovi cavalli al suo interno e alcuni esemplari, ad occhio, non ne sembravano così entusiasti.

Tornò a concentrarsi sul maestro quando sentì la risposta della ragazza incriminata: aveva praticamente rubato quella patata dalle cucine, ma cosa le diceva la testa? Soprattutto per mettersi a mangiarla in una situazione del genere qualcosa non doveva funzionare poi tanto bene.

Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale nessun cadetto si azzardò nemmeno a fiatare, specie quando Sasha staccò un pezzo della patata e la offrì al militare.

Keith prese la metà offerta, fissandolo quasi come se stesse per pianificare un massacro.

 

- Metà… a me?-

 

Domandò con voce piatta, facendo ben percepire agli altri ragazzi che, per quel gesto, avrebbe pagato con il sudore.

Karissa scosse il capo, tornando con lo sguardo alla scuderia e ascoltando i nitriti dei cavalli pronti per la razione di cibo.

Chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni, riuscendo a distinguere l’odore del fieno e della biada, del cuoio pulito delle selle e del manto dei destrieri, quasi sorridendo anche quando percepì le noti forti dello sterco.

Per un momento, anche se breve, le sembrò di essere a casa.

Fu costretta a tornare alla realtà quando sentì Keith urlare a Sasha di iniziare a correre fino al calar del sole e di evitare, per il suo atto, la cena.

Non era come casa, ma avrebbe dovuto farsela andare bene.


Angolo Autrice: Buonasera a tutti quanti!
Approdo anche io (con immeno ritardo, ma non sono mai stata puntuale nella mia vita xD) nel fandom di AoT.
La storia seguirà le vicende della povera sciagurata  mia oc Karissa Jones, spero che vi piaccia!
Al prossimo capitolo!

Bacioni!
Nebula216 <3

 

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Capitolo 2
*** Equilibrio ***


2. Equilibrio

 

 

Quando Shadis fece rompere le righe per Karissa fu un grosso sollievo: avrebbe potuto finalmente placare la sua pelle con dell’acqua fresca e levarsi quella divisa che l’aveva cotta come la patata divorata da Sasha.

Camminò in silenzio, evitando per quanto possibile di farsi vedere: sapeva di essere già stata notata per il suo essere diversa e per questo voleva sottrarsi a domande inopportune.

Camminò con sguardo basso verso il suo alloggio, salendo le scalette e rintanandosi nella sua camerata: fin dal suo arrivo aveva scelto come letto il più nascosto da sguardi troppo curiosi.

Si levò la giacca, la camicia e i pantaloni bianchi, vedendo dalla finestra un carro pieno di ragazzi ritirati dall’addestramento, destinati a dissodare i terreni: se pensava che era solo il primo giorno non poteva che sentirsi quasi una superstite.

Avvertì qualcuno schiarirsi la gola e, quando si girò coprendo adeguatamente dalla vita in giù, vide una ragazza più bassa di lei, con capelli corvini raccolti in due codini. La guardava con un grosso sorriso, come se si stesse rivolgendo a una sua cara amica.

 

- Ciao! Io sono Mina Carolina! Ti ho vista prima tenere testa all’istruttore Shadis e… beh, posso dirti che sei forte?-

 

Karissa la guardò, non capendo cosa ci fosse di forte nel farsi tirare i capelli e crollare al tappeto.

Prese un altro telo dalla sua postazione, percependo lo sguardo dell’altra sui polsi bendati.

 

- Oddio, che ti è successo?-

 

- Niente… e prima non ho tenuto testa proprio a nessuno.-

 

Si limitò a risponderle, prima di dileguarsi nella stanza predisposta per il bagno: non voleva certo raccontare al primo cadetto cosa le era successo, preferiva tenerselo per sé.

Sciolse con calma le bende intorno ai polsi, vedendo come le erbe che aveva preparato la mattina stessa si fossero seccate sopra la pelle scorticata: almeno le ferite stavano reagendo positivamente.

Prese un lungo respiro, iniziando a versare l’acqua nella vasca e immergendosi con non poco timore: sapeva perfettamente che, nonostante la temperatura gradevole, per lei sarebbe stato alla stregua di uno shock termico dopo una giornata del genere.

Si sedette con l’acqua fino al seno, concedendosi quel momento di riposo e sciogliendo i capelli dallo chignon.

Sua madre aveva sempre detto che erano meravigliosi, luminosi come la luna e sottili come la seta più pregiata che si potesse sentire, eppure a lei non erano mai piaciuti a causa degli insulti che contornavano la sua vita.

Se pensava a quante volte aveva provato a tingerli con le erbe per sentirsi finalmente una persona comune, ottenendo solo delle disturbanti sfumature azzurrine, le scappava quasi da ridere in modo amaro: perfino quella chioma si rifiutava di adeguarsi alla gente comune.

Sbuffò, lavandoli e districandoli con cura, pensando che forse sarebbe stato meglio tagliarli: quando erano sciolti arrivavano fino alla zona lombare e, probabilmente, nel combattimento le avrebbero dato fastidio; eppure, per quanto li odiasse, restavano il suo unico legame col passato.

Reciderli significava tagliare tutto quanto.

Scosse la testa.

 

- Non posso farlo...-

 

Si lavò con cura e, per una volta, ringraziò l’aria cocente: non avrebbe dovuto stare davanti al camino per fare asciugare la chioma.

Si coprì con il telo, rimosse l’acqua dalla vasca lignea ed uscì, permettendo ad un’altra ragazza di entrare e rilassarsi.

Tornò al suo letto, sedendosi e asciugandosi alla svelta il corpo, scegliendo da una sacca degli abiti comuni: non ne aveva molti, ma quelli le sarebbero bastati per il tempo che avrebbe passato all’accampamento.

Scelse un paio di pantaloni non così diversi, per modello, a quelli usati dal corpo militare, di un nero così forte da sembrare tenebra pura, abbinandoli a una camicia di un tessuto morbido color vino e, molto probabilmente, leggermente più grande per il suo busto.

Indossò tutto senza esitare, completando con un paio di stivali di cuoio morbido, più bassi di quelli tenuti fino a poco prima.

Strinse quanto più possibile i lacci sopra il seno della camicia, constatando effettivamente quanto lo scollo non le avrebbe evitato almeno una spalla scoperta: se solo avesse avuto ago e filo si sarebbe evitata anche gli sguardi dei ragazzi.

Sospirò, preparandosi psicologicamente a quello che l’avrebbe attesa, raccogliendo i capelli in una treccia, ad eccezione di due ciocche poste ai lati del viso, e avvolgendo quest’ultima su sé stessa, formando nuovamente uno chignon. Lo fissò con un filo di cuoio e un pezzo di stoffa, fermandolo con una quantità di forcine esorbitante: capelli sottili ma numerosi.

Finita la vestizione prese delle erbe mediche da una scarsella color testa di moro, iniziando a masticarle con non poco schifo e dolore: non aveva con sé un mortaio, doveva arrangiarsi.

Al contempo preparò delle bende pulite, sputando poi il composto sui polsi e fasciandoseli immediatamente: sperava almeno che la cena avesse un sapore migliore di quella sbobba.

Poteva considerarsi pronta.

Si alzò ed uscì dal suo dormitorio, vedendo come Sasha stesse arrancando per la fatica e alcuni cadetti stessero parlando tranquillamente, come se fossero di ritorno da una giornata al mercato.

Mentre stava osservando Marco e Connie parlare con Armin e un ragazzetto moro, il tutto ben a distanza, percepì il nitrito sofferente di un cavallo, girandosi immediatamente verso le scuderie: il suo istinto le diceva di andare a vedere, di correre e verificare la natura di quel dolore e lo avrebbe fatto se non fosse suonata la campana del rancio.

Prese un respiro, promettendosi di andare a dare un occhio dopo il pasto.

Seguì altri cadetti, vedendo già la formazione di alcuni gruppetti: le bastava sedersi in uno spazio vuoto, nulla di più.

Sedersi e mangiare.

Camminò fra i tavoli, sentendosi trattenere per il braccio da Marco Bodt.

Lo vide sorriderle, un gesto sincero e privo di malizia.

 

- Ciao, Karissa giusto? C’è un posto qui se vuoi.-

 

La ragazza guardò, annuendo appena col capo e sedendosi accanto al ragazzo con le lentiggini.

 

- Grazie...-

 

Si limitò a dire, vedendo altri soldati servire la cena in alcune scodelle di metallo: zuppa di verdure con del pane, un pasto frugale e non molto distante da quello che era abituata a mangiare.

Marco le diede un colpetto con il gomito, indicandole con una luce di curiosità negli occhi il ragazzo moro che aveva visto prima con loro e Armin.

 

- Lui è Eren Jaeger. Viene da Shiganshina, era lì quel giorno.-

 

Karissa rimase in silenzio, percependo qualcuno accanto a lei sbuffare e iniziare a mangiare.

Jean Kirschtein.

Non fece domande, decidendo di imitarlo o, quantomeno, di provarci.

Vide tanti ragazzi e ragazze alzarsi e andare intorno ad Eren, il quale raccontò cosa avesse visto il giorno in cui la vita di tutti quanti era stata scombussolata.

 

- Sì, era proprio davanti ai miei occhi.-

 

- Dici sul serio!?-

 

- E racconta, quanto era grosso?!-

 

Non sapeva spiegarsi perché quasi tutti avessero questa malsana curiosità e si domandò, di conseguenza, se avesse dovuto averla anche lei.

Fissò il brodo, mentre le voci continuarono a diffondersi nella stanza: presto o tardi si sarebbe trovata faccia a faccia con un gigante e, per quanto al momento non le facesse né caldo né freddo, sapeva che bastava uno schiocco di dita per cambiare tutto.

Mangiò un altro boccone di zuppa, vedendo altri due ragazzi seduti davanti a lei in religioso silenzio: uno dei due, il moro, era decisamente più alto di lei e i suoi occhi grigio-verdi le trasmettevano tranquillità. Non si poteva dire lo stesso dell’altro: leggermente più basso del suo compagno ma più possente di muscolatura, con il volto dai tratti squadrati e due occhi seri, sempre concentrati, come se dovesse aspettarsi un attacco da un momento all’altro.

Scostò lo sguardo, tornando al suo piatto e sentendo Marco avviarsi verso il gruppo che si era radunato intorno a Eren: parlavano di voci messe in giro dalla gente, su come il gigante avesse scavalcato con un balzo le mura, di come fosse enorme, tutte cose che il ragazzo corresse, almeno fino a quando non gli fu domandato come si presentava un gigante considerato normale.

Karissa vide perfettamente il cucchiaio di Jaeger cadere nella zuppa, in un silenzio che non lasciava presagire ricordi felici: era meglio smetterla.

Marco prese la parola.

 

- Per favore, adesso basta con queste domande. Forse sono cose che non vuole ricordare.-

 

Connie lo seguì a ruota.

 

- Scusa, non ti chiederemo nient’altro.-

 

- Avete frainteso.-

 

Karissa si fermò per la risposta decisa che Eren diede loro: lo vide mordere il pane e proseguire, con sguardo deciso e incattivito.

 

- Guardate che anche i giganti si possono sconfiggere. Quando riusciremo ad utilizzare al meglio il movimento tridimensionale allora… allora saremo noi in vantaggio. Qui ho finalmente la possibilità di addestrarmi, prima mi sono fatto prendere dall’emozione ma presto… io entrerò nel corpo di ricerca… e annienterò tutti i giganti. Li ammazzerò tutti dal primo all’ultimo.-

 

La ragazza rimase in silenzio, vedendo Jean ascoltare il tutto accanto a lei con il viso appoggiato ad una mano.

Lui chiuse gli occhi, con un sorrisetto divertito sulla faccia, prendendo parola.

 

- Bravo il nostro eroe.-

 

Eren si voltò verso di lui e, se Karissa doveva essere onesta, prevedeva guai.

Jean proseguì.

 

- E così, se ho capito bene, tu vorresti entrare nel corpo di ricerca.-

 

La ragazza scosse la testa senza farsi notare troppo, cosa fattibile dato che Kirschtein le stava dando le spalle, concentrandosi sulla sua cena. Non aveva tempo da perdere, doveva andare a controllare quel cavallo: la paura che avesse qualcosa di serio le stava attanagliando lo stomaco.

Inzuppò del pane nel brodo di verdure, mangiandolo lentamente per i dolori alla bocca e ascoltando la discussione apparentemente pacifica dei due.

 

- È quello che ho detto. So che tu invece vuoi entrare nel corpo di gendarmeria e avere la vita facile.-

 

No, non sarebbe finita affatto bene: due teste calde o due caratteri forti avrebbero sempre fatto scintille.

 

- Esatto, perché io sono sincero con me stesso. Sì, questo a differenza di chi si atteggia a eroe coraggioso, quando invece dentro di sé se la fa sotto dalla paura.-

 

Non le fu facile evitare di roteare gli occhi: perché i maschi, o almeno la gran parte di loro e di qualsiasi fascia d’età, dovevano sempre finire a fare i bambini della situazione?

Non lo avrebbe mai capito.

Eren si alzò, facendo smuovere Jean dalla sua posizione di comodo uditore.

 

- Ti stai riferendo a me?-

 

Marco sbiancò, cercando di placare gli animi, mentre sul viso di Kirschtein si dipinse un mezzo sorriso divertito.

Karissa lo vide alzarsi e si domandò, in quel momento, se avesse dovuto fermarlo per un braccio: lo sentì ridere sommessamente e riprendere il discorso.

 

- Io dicevo solo così, per dire.-

 

I due interessati si fronteggiarono con lo sguardo, mentre tutti gli altri cadetti osservavano la scena senza fiatare, nervosi per i possibili sviluppi che avrebbe potuto prendere quella situazione.

La ragazza si sbrigò a finire la zuppa, prese la mezza pagnotta che le era avanzata e si alzò, constatando che quello scontro non avrebbe avuto un proseguo per quella serata: le campane del coprifuoco presero a suonare.

Doveva sbrigarsi se voleva evitare una lavata di capo, o peggio, da Shadis.

Jean sospirò.

 

- Ascolta, ti domando scusa. Io non volevo assolutamente mettere in dubbio il tuo coraggio.-

 

Lo vide porgere la mano destra a Eren, proseguendo il suo discorso.

 

- Vogliamo chiudere qui la discussione?-

 

Karissa li guardò dalla porta, vedendo il moro dagli occhi verdi prendere un piccolo respiro e fare un lieve cenno del capo.

 

- D’accordo. Scusami anche tu.-

 

Nonostante sembrasse sincero, la ragazza percepì ancora un lieve astio nella sua voce e, infatti, capì che la cosa non era passata quando la mano di Jaeger colpì quella di Jean.

Ne avrebbe viste delle belle fra quei due.

Si bloccò quando vide Kirschtein fissare, con occhi pieni di meraviglia, la ragazza che era arrivata con il moretto deciso a voler entrare nel corpo di ricerca: pelle candida, lunghi capelli corvini e uno sguardo tranquillo ma, allo stesso tempo, distaccato.

Mikasa Ackerman, l’unica ragazza del trio di Shiganshina.

Scosse la testa: non era il tempo per i pensieri da ragazzina, ormai doveva aver imparato che quelle come lei interessavano solo in certi casi.

Con il favore della notte uscì dalla mensa, correndo di soppiatto verso le scuderie: era l’ora di darsi da fare, non poteva stare a distrarsi con delle cavolate simili. Entrò lentamente nella stalla, sorridendo quando vide i primi musi farsi avanti dalle loro poste, occupati a masticare un cumulo di fieno e biada.

 

- Ciao belli. Chi di voi sta male?-

 

Sussurrò con voce calma, carezzando il muso di un bellissimo baio occupato a masticare la sua razione: non poteva esser lui.

Guardò lungo il corridoio e, finalmente, percepì i nitriti sofferenti del purosangue. Camminò veloce, cercandolo fra le postazioni, fino a quando non vide un esemplare baio scuro starsene in un angolo, con le orecchie rivolte indietro.

Lo guardò attentamente, notando un gonfiore dovuto ad una frustata data in malo modo.

Irritata, aprì il chiavistello della porta, catturando su di sé lo sguardo curioso del cavallo.

Sorrise, offrendogli il pane avanzato per farlo stare tranquillo.

 

- Ehi piccolo… posso vedere?-

 

Si avvicinò piano, lasciando che la annusasse e iniziasse a mangiare con calma il pane offerto.

Controllò lo stato del gonfiore, constatando che nelle ore precedenti aveva anche perso sangue: chi poteva fare una cosa del genere?

Carezzò il collo dell’animale con dolcezza, sentendo i muscoli tesi per la paura sotto la sua mano.

 

- Tranquillo, non ti farò del male...-

 

Gli permise di mangiare il pane con calma e, approfittando della sua distrazione, uscì dalla posta in direzione della stanza degli unguenti e dei finimenti. Controllò sulle varie mensole, trovando infine le erbe giuste per quel tipo di medicazione e addirittura un mortaio di granito: se lo avesse saputo prima si sarebbe evitata quella sbobba in bocca.

Iniziò a pestare le erbe con decisione, mischiando al contempo dell’acqua per ottenere la giusta consistenza e, quando finalmente ci riuscì, non poté fare a meno di sorridere.

Sorriso, il suo, che venne interrotto da una voce.

 

- Karissa, che stai facendo?! È l’ora del coprifuoco, non dovresti essere qui!-

 

Si voltò, vedendo Marco fissarla spaventato per una possibile punizione di Shadis.

La ragazza strinse il contenitore, fissando il cavallo ferito nella sua posta e decidendo di rispondere al ragazzo con sincerità.

 

- Lo vedi quel cavallo? Nitrisce da prima di cena. È ferito, qualcuno lo ha frustato per punirlo. Ti prego Marco, coprimi le spalle, sarò… sarò velocissima! Te lo prometto, non ci vedrà nessuno!-

 

Bodt la fissò per un attimo, ancora intimorito, poi sospirò.

 

- Fai veloce.-

 

Karissa sorrise e, lesta come un furetto, tornò dal baio scuro, spalmandogli con dolcezza l’unguento ottenuto: almeno l’infezione poteva considerarla evitata.

 

- Ecco qua, va meglio vero?-

 

La testata di riconoscenza che ricevette fu così decisa e dolce che, per poco, non le fece scappare una risata divertita: per quanto volesse restare ancora in quel posto accogliente sapeva perfettamente di non potere.

Carezzò il muso del cavallo, baciandogli la zona morbida tra le froge e uscendo, richiudendo con grazia la porta.

Marco la guardò sorridendo, indicando l’altra uscita della stalla.

 

- Andiamo. La via è libera.-

 

Corsero ai loro rispettivi dormitori, vedendo Connie urlare spaventato verso Jean, ridotto in quel momento a uno stato catatonico.

Karissa li fissò, vedendo Marco avvicinarsi all’amico castano.

 

- Jean, ehi tutto bene?-

 

Connie rispose al posto suo, irritato per chissà quale gesto.

 

- SPERO PER TE CHE QUELLA FOSSE DAVVERO ACQUA!-

 

La ragazza scosse la testa, accennando un lieve sorriso per l’espressione buffa assunta da Springer.

Marco scosse Kirschtein per le spalle, il quale si riprese appena; Connie infine si concentrò su di lei, causandole non poco timore per la domanda che stava per porle.

Il ragazzo sorrise furbescamente, fissando Bodt con malizia e dandogli una leggera gomitata sul braccio destro.

 

- E voi due invece? Dove eravate?-

 

Se prima si sentiva tranquilla e divertita, quelle emozioni ben presto si congelarono e diventarono acuminate come lame.

 

Dove eri con quella rarità?”

 

Per quanto volesse evitare di sembrare astiosa, in quel momento non riuscì ad evitare le parole intrise di rabbia.

 

- Non sono affari tuoi, Springer… e, sinceramente, questa tua uscita potevi risparmiartela.-

 

I tre rimasero in silenzio, raggelati per lo sguardo iracondo che le sue iridi avevano assunto: occhi che, fino a quel momento, erano sembrati semplicemente distaccati e poco interessati, addirittura timidi e paurosi.

Prima che Marco potesse provare a rimediare, Karissa girò sui tacchi, dileguandosi nel suo dormitorio e camminando spedita verso il letto: avrebbe dovuto combattere contro qualcosa che era sempre stato, fino a quel momento, peggio di qualsiasi gigante o umano.

Il problema è che nessuno lì dentro avrebbe saputo capirla.

Quando le campane suonarono la levata non era ancora sorto il sole.

Per quanto si fosse sforzata, Karissa non era riuscita a chiudere occhio: si era rigirata da ogni parte nel letto, cercando in ogni modo di non pensare, di scivolare nell’oblio del sonno, inutilmente.

Sospirò, alzandosi e prendendo senza troppe esitazioni i vestiti da cadetto: non avrebbe risolto niente stando sotto le coperte e, per quanto facesse fatica al pensiero di dover affrontare nuovamente i ragazzi, sapeva che c’era una cosa positiva in tutto quel casino.

 

- Devo vedere come sta.-

 

Una volta agganciate tutte le cinghie sopra i vestiti, si sistemò i capelli nella solita treccia avvolta su sé stessa, uscendo come altri cadetti dai dormitori: non erano ammessi ritardi di alcun genere.

Keith Shadis, torvo in volto come suo solito, li osservava quasi schifato vicino a dei pali robusti disposti su tre lati, dotati di un sistema di carrucole che avrebbe decretato un’ulteriore scrematura: simulazione del movimento tridimensionale.

Karissa fissò con non poco timore quelle strutture, conscia che sarebbe stato un ostacolo ben più aspro delle parole dell’istruttore: non esistevano mezze misure, o avevi successo o potevi andartene.

Deglutì, percependo alle sue spalle una presenza familiare.

Scostò appena lo sguardo, vedendo Marco guardarla imbarazzato.

 

- Karissa, mi dispiace per ieri sera. Connie ha parlato senza pensare, lo fa spesso e… scusa.-

 

Sapeva che Bodt non aveva colpe e il fatto che lui stesso si sentisse responsabile le faceva stringere il cuore: la sua reazione era stata esagerata e lui non meritava quel trattamento.

Sospirò, guardandolo con dispiacere.

 

- No, scusami tu Marco… ho avuto una reazione esagerata e… tu e Jean non la meritavate, forse anche con Connie ho...-

 

- Ah grazie, ora potete far silenzio?-

 

Kirschtein si intromise nel suo discorso, causandole una lieve irritazione: era necessario interromperla?

Lo fissò dritto negli occhi.

 

- Non avevo finito, Kirschtein.-

 

- Karissa “nana” Jones, Shadis sta per parlare e non penso ti convenga iniziare a discutere con me.-

 

- COME MI HAI…?!-

 

La mano di Jean scattò rapida sulla sua bocca, bloccando ogni suo tentativo di ripicca.

Keith avanzò fino alla carrucola centrale, fissandoli con le braccia ben serrate dietro la schiena.

 

- Oggi voglio vedere le vostre capacità e chi fallisce non sarà usato neanche come esca, ma finirà a dissodare i terreni!-

 

Non voleva andarsene, non voleva tornare a quello che era prima.

Fissò preoccupata le strutture che avrebbero dovuto verificare l’idoneità per il movimento tridimensionale, ricordandosi solo in quel momento che Kirschtein aveva ancora la mano sulla sua bocca.

Inarcò un sopracciglio, guardandolo quanto bastava per cercare di catturare la sua attenzione e rammentargli che poteva benissimo levarle il palmo.

Il ragazzo continuò a fissare davanti a sé, forse per la concentrazione o più facilmente per dispetto, con un sorrisetto abbozzato, mentre i primi candidati si fecero avanti e furono issati su.

Glielo avrebbe fatto passare lei il divertimento.

Velocemente e senza alcun pensiero, gli regalò un morso al pollice, sorridendo quando lo vide evitare di urlare per cercare di non catturare l’attenzione del mentore.

Nonostante la stesse fulminando, Karissa non riuscì proprio trattenere una sghignazzata soddisfatta.

 

- Questa me la paghi, Jones.-

 

- AVANTI IL PROSSIMO GRUPPO!-

 

La soddisfazione guadagnata poco prima non fu sufficiente per salvarla dal brivido della voce di Shadis: c’era lei in quel gruppo.

Guardò con preoccupazione le strutture, sentendo Kirschtein ridacchiare e prenderle le spalle.

 

- Su, vai Jones. Non mordono mica.-

 

La prossima volta sarebbe passata alle testate, sicuramente non si sarebbe limitata a una semplice morsicatura.

Scrollò le spalle per staccarselo di dosso, fissandolo infastidita.

 

- Buona fortuna, Kirschtein… non perdere cose preziose con l’imbracatura.-

 

Avanzò verso un collega di Shadis, consentendogli di fissarle due cavi ai lati della cintura.

L’uomo, vedendola preoccupata, le accennò un sorriso sereno.

 

- Tranquilla. Basta capire come funziona.-

 

Il problema era proprio quello, pensò sconsolata e pronta a fare una figuraccia davanti a tutti.

Sarebbe finita con il viso contro il terreno, Jean si sarebbe divertito a vederla fallire e sarebbe partita con il carro della sera, destinata a chissà quale cava o luogo.

Deglutì, cercando di farsi coraggio, di pensare a come controllarsi e, in quel momento, un ricordo le tornò alla mente.

 

- Papà, ho paura. Non voglio mettermi in piedi sulla sua groppa! È troppo alto!-

 

- Tranquilla piccola, è tutta una questione di equilibrio. Non cadrai, ci sono io qui.-”

 

Non si rese conto del soldato che la issò e, per un pelo, non perse l’equilibrio in avanti.

Si riprese quanto bastava per non cadere come un mela dall’albero, prendendo dei respiri profondi e cercando di non farsi prendere dal panico: aveva fatto cose ben più pericolose di quella prova, perché avrebbe dovuto fallire?

Se veramente bastava capire come funzionava, lei doveva quantomeno provarci.

Deglutì ed espirò profondamente, controllando tutte le sue forze e cercando di diminuire le oscillazioni, concentrandosi su quello che era richiesto da quella prova: non era solo l’equilibrio a farla da padrone, ma anche la forza fisica, la percezione dello spazio e l’autocontrollo.

Doveva riuscire a resistere, almeno fino al cambio col gruppo successivo.

Vide Shadis avanzare e fissarli impassibile, studiandoli con la stessa espressione iraconda, quasi schifata e impossibile da decifrare; guardò Karissa, l’ultima della fila, con attenzione, alzando infine una mano.

 

- Fate scendere questi salami. IL PROSSIMO GRUPPO!-


Angolo Autrice: ed ecco qua anche il secondo capitolo! So che l'impaginazione è strana, purtroppo mi ritrovo a lavorare con due pc diversi e il risultato è questo... vedrò di porvi rimedio <3.
Il titolo della storia (mi sono dimenticata di precisarlo nel capitolo precedente) è ripreso da una canzone degli Skillet che, a parer mio, calza decisamente a pennello con il mondo di AoT.
Spero vi piaccia!
Al prossimo capitolo!
Bacioni!

Nebula216 <3

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Capitolo 3
*** Movimento ***


3. Movimento

 

Quella sera, a cena, tutti parlavano del fallimento di Eren Jaeger.

A Karissa non erano mai interessati i pettegolezzi, tantomeno quando erano finalizzati a farsi beffe di una persona e per questo, come tante altre volte, si limitò a fare orecchie da mercante.

Mangiò la zuppa in silenzio, limitandosi a dialogare con Marco, l’unico a non curarsi così tanto per la sfortuna del superstite di Shiganshina: anche lui, quel giorno, aveva superato la prova del movimento tridimensionale e, euforico come non lo era mai stato, iniziava a fare progetti per quando sarebbe entrato nel corpo di gendarmeria. La ragazza bevve un sorso d’acqua, accennando un sorriso: Bodt era davvero un bravo ragazzo, sincero, puro e pronto a dare una mano.

Sicuramente lui era uno dei più meritevoli per entrare nella sezione dei territori interni.

 

- E quando sarò là vorrei avere una famiglia.-

 

Karissa sorrise, mangiando un altro cucchiaio di verdure.

 

- Desiderio legittimo, oltretutto entrare in gendarmeria equivale ad esser più tranquillo, giusto?-

 

- Esatto.-

 

Rispose prontamente il ragazzo, bevendo un lungo sorso di acqua fresca e continuando a parlare di come si immaginava la sua vita: una casa accogliente, grande quanto bastava per una moglie e tre o quattro bambini. Gli sarebbe piaciuto avere una donna forte ma dolce al suo fianco, pronta per sostenerlo nei momenti peggiori… un quadretto felice che Karissa poteva e voleva solo immaginare.

Jean sbadigliò, lanciando ogni tanto occhiate cariche di rancore verso di lei: non doveva essergli ancora passata la storia del morso, pensò fra sé e sé l’albina.

Sospirò, fissando il castano stanca.

 

- Andiamo Kirschtein, non ti ha mica morso un gigante.-

 

- Ma quanto siamo spiritose stasera, Jones. Non ti credevo capace di fare battute.-

 

Karissa scrollò le spalle, finendo la cena e prendendo la mezza pagnotta avanzata, un gesto che, per quanto veloce, non sfuggì a Jean.

Il ragazzo la studiò, accennando un sorriso alquanto furbo e sinistro.

 

- Dove vai con quel pane?-

 

Marco provò ad intervenire, venendo tuttavia preceduto dalla ragazza.

 

- Affari miei, penso di aver visto fin troppo la tua faccia per oggi. Vado a finirmi il rancio in un luogo più tranquillo.-

 

Camminò velocemente fuori dal refettorio, prima che potesse sentire l’amico di Marco replicare: ma perché si comportava così? Capiva il non avere peli sulla lingua e anzi, se doveva essere sincera, lo apprezzava, tuttavia l’essere schietti differiva parecchio dall’essere punzecchianti. Inutile pensarci così tanto: sapeva perfettamente dove andare per trovare la serenità di cui aveva bisogno.

Come la sera precedente entrò nelle scuderie, andando verso il suo amico baio scuro e sorridendo quando lo vide affacciarsi ancor prima che arrivasse alla sua posta.

Gli diede un boccone di pane, carezzando la ganascia in movimento.

 

- Ehi ciao, come ti senti stasera? Posso vedere?-

 

Entrò con calma e senza spaventarlo, vedendo con gioia che la ferita stava guarendo: il rischio infezione era scongiurato.

Sorrise, regalandogli un altro pezzo di pane e grattando con energia e affetto il muso dritto.

 

- Stai decisamente meglio, bravo! Ora preparo l’impacco e ti lascio mangiare, purtroppo oggi abbiamo fatto più tardi e non posso trattenermi… le regole, sai?-

 

Sentirlo sbuffare fu strano e simpatico allo stesso tempo e, per quanto preoccupata per queste sue incursioni nella stalla, sapeva di fare la cosa giusta. Tornò nella selleria e preparò nuovamente il misto di erbe, riducendo la quantità di alcune di esse e iniziando a pestare con energia: doveva fare veloce. Una volta raggiunta la consistenza, tornò dal suo amico a quattro zampe e spalmò con cura l’impasto sulla ferita, lasciando la pagnotta nel secchio pieno di biada: non aveva più tempo.

Carezzò il collo possente del purosangue, sorridendo e pulendo con uno straccio il mortaio, pronta solo per dileguarsi nel suo dormitorio.

Una volta controllata la zona, uscì stringendosi le braccia intorno al corpo, pensando soltanto al tepore del letto che la aspettava: non era certo la branda più comoda del mondo e nemmeno la più sfarzosa, ma preferiva la semplicità e la scomodità visto quello su cui aveva dormito.

Si fermò al pensiero, scacciandolo con una poderosa scossa del volto e toccandosi, di riflesso, il lato sinistro del pube.

 

- Ma cosa vado a pensare? Meglio dorm...-

 

Il rumore di un ramo spezzato le fece morire le parole in gola: non era sola.

Deglutì a forza un groppo di saliva, cercando di camminare con apparente tranquillità e senza dare troppo nell’occhio. Continuò, tuttavia la presenza alle sue spalle non accennava a svanire e questo la costrinse ad accelerare, sempre di più, fino a correre a perdifiato. Perché il dormitorio le sembrava così distante?!

Avanzò nella terra arida, ignorando la camicia che le stava scivolando sulle spalle e i capelli liberarsi dalla presa dello chignon; proseguì con tutta la velocità che le sue gambe riuscivano a sostenere, venendo tuttavia presa per un braccio e tirata dietro a un vicolo: chi diavolo era?!

Sapeva come sarebbe andata a finire, lo aveva già vissuto sulla sua pelle e non voleva assolutamente ripetere tutto quanto: aveva scelto quella vita per ripartire da zero, per avere un riscatto.

Non per ripiombare nell’incubo.

Si agitò, provò a difendersi calciando e tirando gomitate a vuoto e, prima che potesse urlare, l’aggressore le tappò la bocca e la girò verso di sé, stringendola in modo tale che non potesse tirargli alcun colpo con le braccia. Tenne gli occhi chiusi, cercando di capire cosa poteva fare per liberarsi e, cosa più importante, di non tremare: non doveva avere paura, non doveva ricordare, non doveva lasciarsi sopraffare.

Percepì la stretta allentarsi appena e questo le permise di aprire appena gli occhi: la paura diventò rabbia e il sangue le ribollì nelle vene, con così tanta energia da tramutarsi in parole.

 

- Kirschtein! Che diavolo vuoi?!-

 

Jean rimase in silenzio, inarcando un sopracciglio colto sicuramente da qualche dubbio; lo vide sorridere, per poi lasciarla e studiarla furbescamente. Incrociò le braccia che prima la tenevano talmente stretta da farla quasi soffocare, prendendo la parola nonostante il momento di perplessità.

 

- Dove eri, Jones?-

 

- Non ti riguarda. Piuttosto, perché non sei a letto?-

 

Il ragazzo ridacchiò, rispondendole quasi canzonatorio.

 

- Non ti riguarda. Oggi non sei stata carina a mordermi, sai? E dire che ti ho salvata da una possibile punizione di Shadis.-

 

Karissa roteò lo sguardo verso l’alto, incrociando le braccia con ben poca pazienza: se non la lasciava andare il castigo sarebbe ricaduto su entrambi, quindi perché tutta quella scenata?

Perché trattenerla dietro uno dei dormitori?

Sospirò, fissandolo decisa negli occhi.

 

- Vuoi che ti chiedo scusa? E va bene… scusami Kirschtein per il morso.-

 

- E per l’augurio di perdere “cose preziose”.-

 

Aggiunse il cadetto, divertendosi quando la vide provare a contenere la sua rabbia.

Karissa si morse una guancia, riaccendendo il dolore alla bocca che fino a quel momento era rimasto quieto e portandosi, per questo, una mano alla mandibola.

Jean la guardò, attendendo ansiosamente.

 

- E scusa per averti augurato di perdere “cose preziose”. Soddisfatto adesso? Sì? Bene ciao.-

 

Non rimase un secondo di più, camminando quanto più velocemente possibile nella sua camerata, pregando che non si fosse accorto della sua fitta, delle bende ai polsi ma soprattutto della sua paura quasi sfociata nel panico di rivivere un qualcosa che pensava di aver dimenticato.

Non si curò di non disturbare le sue compagne: voleva solo dormire e scordarsi di quei momenti.

Mina aprì appena gli occhi, guardandola ancora assonnata.

 

- Karissa, che succede?-

 

La ragazza la guardò, cercando di apparire il più tranquilla possibile.

 

- Niente, sto bene. Meglio dormire adesso, domani si riparte.-

 

Le ore trascorsero veloci e le campane, purtroppo, decretarono la levata di qualsiasi camerata presente.

Quel giorno Eren avrebbe nuovamente affrontato la prova del movimento tridimensionale e, in seguito, tutti quelli ritenuti idonei avrebbero fatto pratica nell’arena costruita per prendere dimestichezza con l’attrezzatura. Karissa camminò, vedendo già un cumulo di cadetti pronti ad osservare Jaeger: aveva una medicazione sulla tempia destra ed osservava, con la decisione che lo aveva fatto spiccare fin dalla prima sera, il maestro Shadis.

L’uomo lo fissò serio.

 

- Eren Jaeger, ti senti pronto?-

 

- Sì signore!-

 

L’albina guardò il commilitone venire issato su e, in barba ai tentativi andati male il giorno prima, riuscire a controllarsi. Le venne da sorridere: non sarebbe andato a dissodare terreni, questa era una sicurezza.

All’improvviso, nel chiasso dei cadetti euforici, Eren crollò all’indietro, interrompendo quella magia a lungo cercata. Keith rimase in silenzio, osservando attentamente il ragazzo prossimo alla disperazione: fissava il vuoto davanti a sé, incapace di credere a quel successo mancato.

Marco si avvicinò a Karissa.

 

- Ehi...-

 

- Mh? Ciao Marco...-

 

Il moro la guardò, notando dalle occhiaie che non doveva aver dormito granché bene.

Incrociò le braccia dietro la schiena, guardando il maestro ordinare a Wagner di sostituire l’imbracatura di Eren.

 

- Stai bene?-

 

Avrebbe voluto raccontargli di Jean, ma le era impossibile senza toccare anche quello che era successo prima del suo presente: voleva cambiare tutto, voleva dimenticare certe cose del suo passato. Si limitò quindi ad annuire, senza staccare gli occhi dal ragazzo sotto esame pronto per esser nuovamente tirato su.

 

- Ho dormito male, tranquillo Marco. Ormai sono abituata.-

 

Vedere Jaeger mantenere il controllo della situazione fu una sorpresa per tutti: come mai adesso era praticamente perfetto?

Cosa era andato storto?

Shadis fissò le giunture della precedente imbracatura, rispondendo a quella domanda che tutti stavano pensando.

 

- L’altra era difettosa. Ho notato che i raccordi metallici si erano allentati per l’usura. Non pensavo che si potessero ridurre in questo stato. Sarà necessario stare più attenti alla manutenzione.-

 

Marco sorrise, felice che anche Eren fosse riuscito a superare la prova, mentre tutto il resto dei cadetti si interrogava su come fosse riuscito a stare in equilibrio con le cinghie di sostegno difettose.

Karissa non si interrogò più di molto: il desiderio di quel ragazzo superava qualsiasi ostacolo e la sua decisione, la sua testardaggine, gli avrebbero permesso di fare molte cose… a patto che non gli reprimessero la lucidità.

Una volta dichiarato promosso l’ultimo cadetto, Keith si rivolse agli altri.

 

- Andate a prepararvi. Oggi metterete in pratica il movimento tridimensionale. Avanti, scattare!-

 

Karissa si avviò verso la struttura nella quale avrebbero trovato dei dispositivi per la manovra, seguita da Bodt, ancora titubante sulle sua reali condizioni fisiche: per quanto aveva capito, la ragazza aveva solo svelato il luogo di origine, ma sulla sua vita non aveva detto praticamente niente.

Oltretutto, era l’unica fra tutti loro ad essere arrivata già con delle ferite: era arrivata silenziosa, anonima, con i polsi bendati e un modo di parlare quasi affaticato dal dolore; si riconosceva bene nella folla per la sua chioma bianca e il fisico magrolino, leggermente sottopeso per la sua altezza, che la faceva passare per una malata.

Marco la guardò pensieroso, decidendo infine di capire di più su di lei e rendersi conto, per lo meno, se poteva aiutarla in qualche modo.

Fece un piccolo scatto verso la ragazza, fermandola delicatamente per una mano.

 

- Karissa, sicura che vada tutto bene?-

 

Cosa dirgli?

Cosa dire e fino a che punto?

Prese un respiro, guardandolo negli occhi e cercando di rispondergli senza scendere nel dettaglio.

 

- Ecco… ieri sera stavo rientrando dalle scuderie e… Jean mi ha tirata in un vicolo fra due camerate. Mi ha fatto paura, tutto qua. Inizio a pensare che mi detesti...-

 

Marco la guardò, sorridendo appena e dandole un buffetto leggero sulla guancia.

 

- Tranquilla, ci parlo io con Jean. Detestarti? Non penso. Siamo tutti nervosi e in ansia, magari si comporta così per… scaricare la tensione.-

 

Certo, comprendeva perfettamente l’ansia di fallire e la paura del futuro, tuttavia non capiva perché fare così.

Si limitò ad annuire, seguendo l’amico nella struttura e aspettando in fila la consegna del suo dispositivo di manovra. Portò una mano sopra le sopracciglia quasi invisibili, tentando di riparare gli occhi delicati dal sole che, come al solito, picchiava cocente: come si sarebbe comportata se fosse riuscita ad andare avanti nel suo addestramento? Oltre a stare perennemente coperta per tutto il giorno, non sapeva come poter aiutare le sue povere iridi già abbastanza provate.

Le vennero consegnati i contenitori delle lame, il dispositivo dal quale sarebbe uscito il gas, la cosiddetta scatola nera se non ricordava male, i congegni contenenti gli arpioni e i manici delle lame: tanti pezzi che avrebbero consentito loro di volare e combattere.

Marco si sistemò tutti i componenti, vedendo arrivare Jean già pronto per la prova.

 

- Sei pronto Jean?-

 

Il castano sorrise, roteando le spalle per riscaldamento.

 

- Sono più che pronto. E tu, nana Jones?-

 

Soltanto perché era bassa ed esile non significava che poteva farsi beffe di lei.

Sospirò, controllando le cinghie cosciali e stringendone una allentata, passando successivamente a quelle poste sul torace.

 

- Sono pronta per vederti fare la figura del salame, Kirschtein.-

 

- Beh, vedrai poco se il sole ti dà fastidio.-

 

Per quanto lo odiasse, Karissa sapeva che tutti torti non li aveva: la sua sensibilità, o per meglio dire la sua fotofobia, la rendeva un soggetto debole e sacrificabile; qualsiasi fonte di luce, che fosse del sole diretto o riflesso sull’acqua, le avrebbe procurato non pochi guai.

Marco interruppe il flusso dei suoi pensieri.

 

- Avanti Jean, non potresti trattarla meglio? Non sei delicato con queste usc...-

 

- No, va bene così Marco.-

 

La sua risposta sorprese sia l’amico che Kirschtein, i quali la fissarono con occhi sgranati e in un silenzio quasi religioso.

Controllò un’ultima volta che tutti i componenti del dispositivo di manovra fossero ben saldi e posizionati correttamente, decidendo infine di continuare il suo discorso.

 

- Non ho scelto una strada facile ed è inutile addolcire la pillola. Kirschtein è diretto, non ha peli sulla lingua e se pensa questo è perché è la realtà dei fatti. Non sono l’esempio del soldato elitario, anzi sono… più simile al reietto della società...-

 

Strinse le bende attorno ai suoi polsi, rivolgendosi infine ai due ancora attoniti.

 

- Ma finché avrò la forza e la volontà va bene, no? Guardate Jaeger, è rimasto in equilibrio con dei raccordi difettosi… possono farcela tutti, basta volerlo. Se non sarà sufficiente… beh, gioirai nel vedermi in bocca a un gigante, Kirschtein.-

 

Non andò oltre, dirigendosi verso altri cadetti già pronti per sperimentare lo slancio per il movimento. Shadis salì su un purosangue baio, fissando il gruppetto e spiegando, a gran voce, il funzionamento delle manopole.

Ascoltò attentamente le istruzioni date dal maestro, ignorando tutti gli altri cadetti e annullando ogni pensiero possibile: non voleva distrazioni, non per quell’esercitazione.

Keith frenò il cavallo davanti a lei e ad altri ragazzi, fissandoli con il suo solito sguardo arcigno.

 

- Tutto chiaro, Jones?-

 

- Sì signore!-

 

Sapeva dove l’uomo volesse andare a parare: essendo lei il primo anello debole dell’intero squadrone, voleva rendersi conto di come riusciva a controllarsi in pieno campo aperto.

Shadis indicò un terreno non molto stabile all’apparenza, con alcuni pali dalle dimensioni notevoli ai quali, molto probabilmente, avrebbero dovuto agganciarsi.

Karissa rimase in silenzio, stringendo con non poco nervosismo i manici delle lame: non sapeva quanti tentativi le fossero concessi, ma era certa che non avrebbe esitato un istante a riprovare fino a che il suo corpo glielo avesse consentito.

Osservò il terreno sottostante ai tronchi, constatando che anche quello avrebbe potuto ostacolarla: a tratti talmente arido da darle l’impressione di crollarle sotto i piedi al minimo tocco, in altre zone si presentava talmente motoso da darle l’idea di avere a che fare con delle sabbie mobili.

Respirò profondamente: non era da lei arrendersi. Fece un paio di passi indietro, vedendo con la coda dell’occhio Jean alla sua sinistra: sorrideva, come era solito fare, pronto per gustarsi un suo possibile fallimento.

Non gli avrebbe dato questa soddisfazione, non quel giorno.

Prese un respiro profondo, concentrandosi solo su sé stessa, isolandosi da tutto quello che la circondava: c’erano solo lei e il suo obiettivo.

Il resto non contava.

Quando riaprì gli occhi, corse con foga e fece scattare i dardi, vedendoli conficcarsi ben in alto su uno dei pali a destra e, quando i cavi si riavvolsero, la scarica di adrenalina che le arrivò per il rinculo la fece quasi ridere. Controllò il movimento con qualche difficoltà, scattando immediatamente alla struttura successiva e balzando agile come un felino: se volare significava questo avrebbe potuto farlo a vita. Strinse appena gli occhi quando notò una pozzanghera riflettere la luce solare e, purtroppo, si realizzò quello che aveva ipotizzato: chiuse gli occhi e il capitombolo non fu uno dei più piacevoli. Roteò sul terreno per quattro volte e si costrinse, suo malgrado, a non urlare, cercando di tirarsi su il prima possibile. Marco osservò preoccupato, vedendo Shadis sempre più disgustato per quella prova: l’avrebbe mandata a dissodare terreni?

Karissa si rialzò, sputando della saliva mista a terra e cercando di capire come poter contrastare il sole, i suoi riflessi e la sua condizione: doveva esserci un modo. Si toccò la nuca, sentendo come le forcine le avessero graffiato la cute: così non andava. Bruciante di nuova decisione e furiosa con sé stessa, iniziò a levarsi dallo chignon le forcine e le sistemò in una delle tasche dei pantaloni, lasciando che la treccia ricadesse lungo la sua schiena.

Shadis prese la parola.

 

- Vogliamo eseguire il movimento tridimensionale, dannata?!-

 

La ragazza sputò nuovamente un groppo di terra, correndo verso una parete rocciosa e azionando ancora una volta i dardi: il rinculo non fu così inaspettato come la prima volta, ma la spinta ricevuta fu come la manifestazione della sua volontà di non mollare. Scattò verso una struttura costruita per simulare una casa e, per un pelo, non si dimenticò di azionare i rampini: quel volo fu più basso dei precedenti, tanto da farla scivolare con gli stivali sul terreno, ma nonostante tutto le permise lo stesso di compiere un salto e schizzare in alto con un avvitamento, continuando quella danza aerea che nemmeno lontanamente poteva immaginare.

Roteò su sé stessa, in avanti e indietro, perdendo la concezione di tutto: non se ne sarebbe andata da quel posto, forse aveva effettivamente una chance e una via di fuga.

Le venne da sorridere quando i rampini si sganciarono per l’ennesima volta, quando si ritrovò a fare una capriola per aria e a rilanciare i dardi, in una danza apparentemente senza fine.

Keith, impassibile, prese la parola.

 

- Jones, basta così!-

 

Karissa si fermò abbarbicata su uno sperone di roccia, guardando l’istruttore con un grande sorriso dipinto sul volto: da quanto non sorrideva veramente?

Da quanto non si sentiva così felice e completa?

Deglutì della saliva per lubrificare la gola secca, osservando l’uomo a cavallo.

 

- Qual è la valutazione, signore?-

 

Ci fu un attimo di silenzio, poi Shadis parlò.

 

- Penso che non ti serva un percorso finto, Jones. Preparati per l’esterna!-



Angolo Autrice: perdonate l'inattività di questo periodo, ma non sono stati mesi felici e le feste di Natale non sono state proprio da ricordare a causa di un lutto in famiglia.
Spero che questo capitolo vi piaccia.
Un bacione!
Nebula216 <3

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Capitolo 4
*** Doma ***


4. Doma

 

Consumò la colazione in silenzio, ascoltando con un sorriso appena accennato Marco ancora esaltato per le varie uscite esterne con il movimento tridimensionale.

Se ci ripensava, effettivamente, poteva ancora sentire il vento schiaffeggiarle la faccia e la potenza del gas mandarla in aria con una velocità tale da farle credere di essere un falco pellegrino: era stato un momento che non avrebbe dimenticato tanto facilmente.

La natura, gli alberi, i giochi di luci ed ombre… tutto era sembrato magico e, in quei giorni, aveva avuto modo di non pensare a niente: un toccasana.

Bevve l’infuso di erbe, vedendo poi gli occhi del ragazzo concentrarsi, curioso, su di lei, mentre Jean sbuffava quasi disgustato.

 

- Sei stata in gamba nell’esterna.-

 

La ragazza quasi si strozzò con il sorso di tisana, vedendo Kirschtein trattenersi dalle risate: dio se lo odiava, avrebbe tanto voluto che si soffocasse con quello che rimaneva della sua colazione.

Si schiarì la voce.

 

- Grazie Marco… penso fortuna...-

 

- Non credo, sai? Hai una predisposizione, un po' come Jean.-

 

Il castano, sentendosi chiamato in causa, lo fissò severamente e masticò l’ultimo boccone del suo rancio molto lentamente.

 

- Ci stai paragonando?-

 

Karissa sospirò, guardandolo con occhi falsamente dolci.

 

- Oh, povero Kirschtein, ti sta paragonando a una nana.-

 

Marco sorrise, prendendo le sue scodelle e alzandosi, una specie di segnale per gli altri due che si affrettarono a finire la colazione: la campana avrebbe suonato e Shadis non avrebbe gradito alcun tipo di ritardo.

Sia lei che Jean si alzarono, vedendo tuttavia Sasha entrare bianca e con passi piuttosto lenti: non era da lei, specie dopo un’abbondante colazione come aveva appena fatto.

Karissa inarcò un sopracciglio, avvicinandosi ancora con i tegami nelle mani.

 

- Sasha, ehi tutto...-

 

- NO AFFATTO!-

 

L’albina sobbalzò: sì, decisamente qualcosa non andava.

Marco e Jean si avvicinarono, vedendo la ragazza tenersi la testa e tremare, sussurrando parole poco comprensibili. Connie si avvicinò a loro, non capendo cosa stesse accadendo all’amica: si inginocchiò vicino a lei, appoggiandole una mano sulla spalla.

 

- Sasha, ehi...-

 

- I CAVALLI! OGGI! No, non posso!-

 

Quella frase, seppur priva di senso, ebbe lo stesso effetto del primo rinculo avuto con l’attrezzatura del movimento: una scarica di brividi le percorse il corpo e i suoi occhi si illuminarono.

Shadis aveva veramente organizzato l’addestramento equestre?

Sorrise, lasciando bicchiere, scodella e posate al lavaggio e correndo fuori, ricomponendosi nello stesso momento lo chignon: finalmente qualcosa in cui poteva dimostrare di essere sé stessa, di rivivere quello che era, di…

 

- Mi raccomando, i cavalli sono sensibili ai cambiamenti. Sii l’equilibrio, la dolcezza e la loro guida. Se li tratterai come meritano, loro sapranno come aiutarti, sempre.-”

 

Ricordare.

Si bloccò all’improvviso, fissando la terra sotto i suoi piedi per un tempo quasi interminabile: non poteva ricordare, non doveva assolutamente.

Strinse con forza i pugni, guardando davanti a sé i soldati sottoposti di Shadis preparare alcuni cavalli per la prova: perché doveva essere tutto così dannatamente difficile?

Sospirò, vedendo Marco affiancarla dopo una corsa e Jean, non molto distante, con il solito sguardo annoiato.

Il moro con le lentiggini le sorrise, guardando a sua volta i purosangue pronti per la prova del giorno.

 

- Sei euforica. Sarai la migliore e non negarlo.-

 

Karissa guardò l’amico, pensando a come fosse possibile che una persona gentile come lui avesse deciso di arruolarsi e rischiare la vita.

Sospirò.

 

- Ne sei...-

 

- Sicuro? Ho visto come ti prendi cura dei cavalli… credimi, è il tuo campo.-

 

Provò a convincersi che Marco avesse ragione, che quella sarebbe stata una giornata all’insegna di quello che sapeva fare di più.

Annuì, guardando gli occhi castani scuri dell’amico e accennando un sorriso, un po' timido e alla ricerca di una sicurezza, un gesto che fece arrossire appena il ragazzo.

 

- Grazie Marco.-

 

- M-ma di che? È la verità, non serve...-

 

- Shh, arriva Shadis.-

 

Sebbene odiasse Kirschtein purtroppo doveva dargli ragione: il mentore non voleva sentire alcun tipo di discorso.

Si sistemarono con le braccia conserte dietro la schiena, salutando quando l’istruttore si fermò al centro del recinto, ignorando i cavalli agitare le code e sbuffare per scacciare le mosche.

Keith li fissò con il solito sguardo schifato e severo, salvo poi parlare.

 

- Come ben sapete, dannati, il cavallo è il miglior compagno del soldato. Specie di chi, dopo l’addestramento, sceglierà il corpo di ricerca. Quindi saper stare in sella, saper schizzare via da essa al momento opportuno è di vitale importanza. Fatevi coraggio, prendete dei finimenti e preparate un dannato cavallo!-

 

Karissa prese un respiro profondo, avvicinandosi a un destriero sauro intento a masticare del fieno con tranquillità. Gli carezzò il collo a sinistra, vedendo la sua testa caratterizzata da un’ampia lista centrale al muso girarsi verso di lei e annusarla, un gesto che la fece sorridere.

 

- Ciao piccolo. Sono Karissa e… beh, sì parlo con i cavalli. Tanti dicono che non sia sano ma… a me piace.-

 

Pulì il pelo con una spazzola e controllò lo stato degli zoccoli, assicurandosi che non ci fossero sassolini incastrati nel fettone o nel ferro: considerato quello che aveva visto nel baio scuro non si sarebbe stupita se avesse trovato gli zoccoli con la terra indurita.

Una volta verificata la salute della sua cavalcatura, sistemò il sottosella e la sella sulla groppa, evitando che fosse posizionata male e generasse fiaccature dolorose; in aggiunta sistemò il pettorale che avrebbe impedito ulteriori scivolamenti scomodi dei finimenti. Strinse il sottopancia con gentilezza e verificò la lunghezza delle staffe, constatando solo in quel momento quanto fossero indietro gli altri suoi commilitoni. Carezzò il cavallo, concludendo la bardatura con la testiera e percependo alle sue spalle l’istruttore avvicinarsi silenzioso.

Deglutì e si voltò, carezzando per ottenere sicurezza la ganascia destra del sauro.

 

- Signore...-

 

- Sei veloce, Jones. Quindi, sarai tu ad aprire le danze.-

 

Aprire le danze.

Di nuovo la prima.

Lanciò uno sguardo a Marco, vedendolo ricambiare con un sorriso sicuro: poteva farcela, alla fine era la cosa in cui riusciva meglio. Prese le redini della cavalcatura e schioccò appena la lingua, avanzando nel recinto e fermandosi poco lontano dalla staccionata. Appena controllò la lunghezza delle staffe non poté evitare di constatare la curiosità degli altri ragazzi: per quanto avesse fatto tutto il possibile non era riuscita a tenere un basso profilo.

Inspirò profondamente, mettendo il piede sinistro nella relativa staffa e salendo in sella.

 

- Papà è bellissimo quassù!-”

- Vero? Ascolta il movimento del cavallo, segui i suoi muscoli...-”

 

 

Strinse le gambe attorno al costato del cavallo, facendolo avanzare nel recinto al passo e annullando tutto quello che la circondava.

C’erano solo lei e il cavallo.

Diede un leggero colpo di talloni, assecondando il trotto preso dal suo nuovo amico quadrupede e avanzando lungo tutta la lunghezza del campo, almeno fino a quando un ordine di Shadis non la fece partire al galoppo. Si lasciò trasportare dal ritmo incalzante dell’andatura, iniziando a prenderci gusto e a tornare quella che era un tempo. Ridusse e aumentò la velocità, fece cambi di galoppo al volo e girate strette, utili per un dietrofront improvviso.

In seguito, si abbassò sul collo del cavallo, accennando un sorriso sbarazzino e felice: sembravano passati secoli da quando aveva provato delle emozioni così forti e positive, quindi perché non approfittarne?

 

- Che dici? Alziamo il livello?-

 

Lo sbuffo e una leggera sgroppata giocosa del sauro le fece intendere che, forse, anche lui si stesse divertendo.

Accorciò le redini e, appena si trovò in posizione, scattò lungo il rettilineo centrale, abbandonando le staffe e scendendo rapidamente, senza mai lasciare le redini. Si dette una leggera spinta al suolo, scavalcando come un grillo la schiena del cavallo e ripetendo nuovamente dal lato opposto, tornando seduta sul seggio di cuoio e girando per tornare indietro.

Quando sentì il cavallo ripartire a gran velocità si levò solo una staffa, scivolando lungo tutto il lato destro dell’animale e restando appesa parallela al terreno, salvo poi tornare dritta in pochi secondi.

Shadis osservò attentamente e in silenzio, mentre i suoi compagni iniziavano a esultare per quelle acrobazie forse mai viste.

Poi parlò.

 

- Jones, unisci il movimento tridimensionale.-

 

La ragazza guardò il mentore stralunata, ben intuendo che quella non fosse una richiesta.

Non sapeva se ci sarebbe riuscita, ma non poteva sottrarsi a un ordine. Dopo qualche tempo di trotto, chiese al destriero di allungare la falcata e, quando sentì il ritmo giusto, si girò con lo sguardo rivolto ai posteriori del cavallo e si alzò lentamente, traballando un poco per la cadenza incalzante del galoppo.

Aprì un poco le braccia per non perdere l’equilibrio, poi portò le mani sui manipoli e azionò il dispositivo di manovra tridimensionale, schizzando in aria con velocità e immaginandosi di avere davanti a lei un gigante. Volò intorno, tenendo d’occhio il cavallo sotto di lei galoppare ancora nel recinto e solo quando si ritrovò in traiettoria atterrò al suolo, qualche metro davanti al sauro. Prese pomello e arcione della sella, correndo al suo fianco e saltando su, accucciata per lo sbalzo datosi.

Afferrò le redini al volo e frenò davanti alla recinzione, mentre tutti i suoi compagni le riempirono le orecchie con un boato di gioia.

Keith carezzò appena il muso del sauro, fissandola senza tradire alcuna emozione.

 

- Notevole Jones… ora scendi da questa bestia e sistemala.-

 

Si limitò ad annuire e ad eseguire l’ordine impartito, non calcolando tuttavia la reazione degli altri camerati. Marco, euforico, la strinse e la sollevò in aria, cogliendola impreparata e facendole fare la figura del sacco di patate. Connie, Thomas e Mina andarono lì con occhi colmi di esaltazione, sorpresi per tutto quello che avevano visto.

Aveva fatto così tanto colpo da avvicinare persino quei taciturni di Berthold e Reiner.

 

- MARCO!-

 

- Io lo dicevo che oggi avresti lasciato il segno!-

 

- Cavolo, questo sì che è andare a cavallo!-

 

Esclamò Springer, incapace di contenersi per l’adrenalina. Thomas annuì subito dopo, guardandosi le mani tremanti.

 

- Sarebbe bello poter fare queste cose. Dove hai imparato?-

 

Karissa li guardò, sempre in braccio all’amico moro, non sapendo cosa rispondere.

Deglutì, un po' per il dubbio e un po' per l’arsura, poi rispose.

 

- Io… a casa mia...-

 

- Davvero notevole Karissa.-

 

La voce decisa di Reiner fu una vera sorpresa, dato che fino a quel momento il biondo non si era minimamente esposto con lei.

La ragazza lo guardò, vedendolo sorridere soddisfatto e in modo amichevole.

Marco la mise giù, permettendole di ricomporsi e rispondere a tutte quelle lusinghe alle quali, visto il suo imbarazzo, non era abituata. Karissa si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, scostando lo sguardo per quella miriade di complimenti che stava ricevendo: adesso sarebbe stato veramente difficile mantenere un profilo basso.

 

- Grazie Reiner… non è niente di così… beh, eclatante...-

 

- Spero tu stia scherzando! Trovami qualcun altro che sa fare queste cose!-

 

Esplose Connie quasi infuriato, causando negli altri una risata di pura allegria per la faccia buffa che aveva assunto. Nonostante il divertimento, Karissa avrebbe saputo cosa rispondere al commilitone: un paio di persone più brave di lei le conosceva. Scosse energicamente la testa, rammentandosi che non era il tempo per ricordare.

Dissellò il cavallo e lo sistemò, cercando di ringraziare e, forse, anche sminuirsi un poco davanti a quella miriade di elogi. Mentre si stava levando tutta la strumentazione per il movimento tridimensionale, Marco le si avvicinò con un baio rossastro al suo fianco, dandole un leggero tocco sulla spalla sinistra.

 

- Non sarò bravo come te, ma ce la metterò tutta.-

 

L’albina accennò un sorriso, lasciando il cavallo libero di brucare in un recinto apposito.

 

- Non azzardare, Marco. Son mosse belle da vedere, ma quando le fai il rischio di rompersi il collo è elevato. Per ora limitati alle cose basilari, poi vi insegnerò qualche trucco.-

 

Vide il ragazzo porgerle la mano, il classico gesto usato per suggellare un patto.

 

- Promesso?-

 

Karissa strinse la mano dell’amico, annuendo vigorosamente.

 

- Prom...-

 

Prima che potesse finire, le sue orecchie captarono un nitrito così acuto da sembrare uno strillo demoniaco. Ogni singolo pelo reagì a quel suono, ogni singolo muscolo si contrasse per il terrore: li aveva sentiti tante volte nel suo passato e, nonostante tutto, ancora non era riuscita a controllare la pelle d’oca.

Guardò verso le scuderie, vedendo uno stallone morello, imbrigliato e con la sella storta, uscire al gran galoppo e travolgere alcuni soldati e cadetti.

Rivolse i suoi occhi chiari lungo la traiettoria del cavallo, vedendo Jean distratto di spalle: non sarebbe riuscito a scansarsi in tempo.

Le sue gambe agirono più velocemente del suo cervello, correndo così lestamente da farle credere di star volando ancora, ignorando le urla dei compagni che, invece, fecero voltare Kirschtein. Karissa gli dette una spallata per spingerlo via, non riuscendo tuttavia ad evitare la carica del morello.

Afferrò le redini in una frazione di secondo, ignorando la terra sotto il suo corpo che la stava graffiando: se avesse continuato a fare il pazzo si sarebbe fatto seriamente male o addirittura ammazzato.

Non poteva permetterlo.

Provò a rialzarsi, correndo zoppicante a fianco del purosangue e cercando qualcosa dentro alla camicia. Estrasse un piccolo pugnale, un oggetto che non pensava potesse tornarle nuovamente comodo, e recise con decisione i ganci del sottopancia, evitando che la sella la colpisse in pieno viso. Poi, per quanto dolorante, gli balzò sulla schiena, resistendo a malapena alla sgroppata data dall’equino: scivolò di lato e si tenne con entrambe le braccia al collo del cavallo, tirandosi su con un colpo di reni e preparandosi alla seconda ribellione stringendo il costato con tutta la forza rimasta nelle gambe.

Il cavallo smontonò furiosamente più volte, non riuscendo tuttavia a scollarsela dalla groppa: era il momento.

Karissa afferrò correttamente le redini e decise di farlo sgambare, anche se questo l’avrebbe fatta rischiare di più. Assecondò per un primo momento la velocità, prevedendo le sgroppate e preparandosi a non cadere rovinosamente, poi iniziò a mettere l’animale in circolo, giocando con le redini e, di conseguenza, con l’imboccatura. Il morello provò a ribellarsi, arrivando a fare un’impennata a candela che fece urlare le ragazze più sensibili.

Jean guardò la scena pallido e riuscì a tirarsi su solo per l’aiuto di Marco, mentre Connie decise di incoraggiare la ragazza.

 

- RESISTI KARISSA! NON MOLLARE!-

 

Non era facile.

Le ginocchia presero a tremarle, come ogni singolo muscolo delle sue gambe: non poteva mollare, ma tutto le faceva credere di esserci dannatamente vicina.

Si strinse al collo del cavallo e, quando questo tornò su tutte e quattro le zampe, seguì nuovamente il galoppo, riducendo il diametro del circolo e facendogli fare girate strette.

La testa, la spalla sinistra e le labbra le stavano pulsando dall’inizio di quello spettacolo, segno che probabilmente si era procurata delle abrasioni o peggio. Finalmente, dopo un tempo apparentemente illimitato, lo stallone rallentò l’andatura, passando al trotto e infine fermandosi sfinito.

Karissa, tremante per lo sforzo, gli carezzò il collo e scivolò giù dal fianco sinistro, venendo presa in tempo da Marco e Reiner.

Il moro la guardò pallido.

 

- Karissa, stai bene?!-

 

Non sapeva in che condizioni avesse la faccia, ma il sapore di ferro in bocca le fece ben capire che il taglio sulle labbra non se lo era risparmiato. Annuì appena, prendendo volentieri la borraccia che le stava porgendo Braun e bevendone avidamente il contenuto. Guardò nuovamente il cavallo, staccandosi dai due ragazzi e carezzandogli il muso: cosa lo aveva spaventato?

Lo stallone, precedentemente considerato pericoloso, si fece lisciare con tranquillità e solo in quel momento Karissa si rese conto delle abrasioni: i vestiti erano praticamente da buttare, visto il tessuto liso sul lato sinistro e la sua pelle, già delicata, avrebbe fatto fatica a guarire senza lasciare cicatrici. Per fortuna, almeno così sperava, soltanto il taglio al labbro sembrava più profondo e questo, anche se minimo, la rassicurava: non avrebbe portato troppi bendaggi strani nel viso.

Controllò gli arti del cavallo, constatando con sollievo che non si era fatto male: avrebbe potuto sentirsi in colpa per anni.

 

- Grandi, grossi e fifoni, eh?-

 

Sorrise, vedendo Connie e Jean affiancare Marco e Reiner.

 

- Cavolo Karissa! Devi farti medicare! Sicura di stare bene?!-

 

Esordì pallido Springer, mentre Kirschtein la stava guardando ancora scosso per quello che aveva rischiato: non doveva essere bello vedersi passare tutta la vita davanti.

Karissa annuì sorridendo, ignorando i dolori che avevano preso a farsi sentire e i capelli scomposti davanti al viso.

Lei che salvava la vita a quell’odioso di Jean… doveva essere impazzita.

 

- Mai stata meglio, Connie. Tu Kirschtein? Tutto bene?-

 

Il ragazzo si riscosse, annuendo appena e guardandola in faccia, per una volta riconoscente.

 

- Sì, io… grazie, Jones.-

 

La ragazza annuì appena, prendendo le redini del cavallo morello e sorridendo, come se non le fosse successo assolutamente nulla.

 

- Prego, Kirschtein.-

 

Schioccò appena la lingua, conducendo zoppicante il morello nelle scuderie e prendendosi carico della sua cura. Verificò che non avesse alcun tipo di disturbo muscolare, che tutti i denti fossero sani e che non avesse strani ascessi in bocca; poi, una volta finito, fece degli impacchi ai quattro arti dell’animale, non riuscendo ad evitare gli sguardi di Shadis e degli addetti alle scuderie.

Li guardò.

 

- Creta. Gli eviterà gonfiori agli arti. Domani andrà sciacquata e...-

 

- Vai a farti medicare, Jones.-

 

L’ordine dell’istruttore, per quanto ragionevole, le sembrò simile a una stilettata in pieno petto.

Lo guardò e tentò di replicare, venendo preceduta dal superiore.

 

- Al cavallo ci penseranno i soldati addetti. Penso che tu abbia già fatto abbastanza per oggi. Mi hai stupito: abile in sella, certo, ma con una propensione a salvaguardare la propria unità e i propri compagni… insomma, solo un soldato pronto a sacrificarsi o un pazzo avrebbe fatto un gesto come il tuo. Questo ti fa onore, tuttavia la strada è lunga.. non montarti la testa. Ti verranno dati degli abiti nuovi.-

 

Per quanto Shadis le facesse paura, quella volta non sentiva nelle sue parole alcun tipo di astio.

Lo guardò, alzandosi con difficoltà da terra e annuendo: non era tipa da montarsi la testa, non lo aveva mai fatto e non avrebbe certo iniziato in quel momento.

Fece il saluto militare e uscì zoppicante dalla scuderia, venendo immediatamente sorretta da Marco: sì, forse doveva veramente farsi curare.

 

- Ce la fai a camminare?-

 

Prima che potesse rispondere il ragazzo la prese in braccio, facendola arrossire per l’imbarazzo, soprattutto quando notò Connie e Thomas ridacchiare furbescamente.

 

- Marco! Ce la faccio, mettimi giù!-

 

- Bugia. Avanti, ti porto dal medico.-

 

Inutile controbattere: per quel genere di cose quel ragazzo era più testardo di un mulo.

Sospirò, lasciando che l’amico la portasse nella struttura riservata alle medicazioni, fortunatamente non molto distante dall’arena equestre: non era raro che qualche cadetto venisse disarcionato o restasse staffato, per questo e non solo era stata attivata una struttura medica.

Sentì la testa pulsarle sempre più forte e, per un attimo, vide tutto sdoppiato: non poteva aver picchiato anche la testa, non le era sembrato fino a poco prima.

Si portò una mano nei capelli e iniziò a cercare una qualsiasi ferita, vedendo Marco fermarla con una stretta tranquilla.

 

- Non hai ferite alla testa, per fortuna. Il medico adesso verificherà eventuali traumi non visibili e ti curerà le abrasioni.-

 

Prima che potesse annuire, la ragazza realizzò che il dottore avrebbe dovuto spogliarla.

Si irrigidì, controllandosi meglio e con il terrore negli occhi il fianco sinistro, constatando con enorme sollievo che almeno nella zona del pube i pantaloni erano rimasti integri: non poteva rischiare che tutti gli altri compagni vedessero, non poteva rivelare niente.

Marco la guardò, stringendola appena e aprendo la porta senza esitazioni, iniziando a raccontare al medico tutto quello che era successo. L’anziano la osservò, permettendo al giovane di farla stendere su un lettino e verificando che la vista fosse a posto. Iniziò a muovere un dito a destra e sinistra, constatando che non vi erano danni agli occhi, salvo poi passare alle ferite evidenti e guardare il ragazzo.

 

- Figliolo, esci adesso. Devo spogliarla. Ti chiamerò quando avrò finito di medicarla.-

 

Karissa guardò il ragazzo provare a ribattere o, almeno, pensare a come evitare di lasciarla sola, salvo poi sospirare e annuire.

 

- Va bene… grazie dottore.-

 

Guardò la ragazza, abbassandosi appena e sorridendole serenamente.

 

- Ci vediamo dopo. Non fare l’eroina, mh?-

 

- Va bene… grazie Marco...-

 

Quando lo vide uscire, quando capì di essere rimasta sola con il medico, pregò che la sua mente non le facesse scherzi strani, che non si divertisse a farla impazzire.

L’anziano si avvicinò, controllando delicatamente le escoriazioni sul corpo, non potendo non notare la tensione che stava dominando ogni suo muscolo; la guardò negli occhi, non capendo cosa le stesse accadendo.

 

- Ragazza, stai tranquilla. Non farà male...-

 

Forse non avrebbe fatto male fisicamente, ma tutto quello che c’era dietro… quello sì.

Guardò l’anziano, vedendolo iniziare a tagliare, con l’aiuto di un paio di forbici, il tessuto già liso dei pantaloni e della camicia. Le si raggelò il sangue e, prima che se ne rendesse conto, saettò più lontana dalle mani del medico, tirandogli quasi un calcio in pieno viso.

 

- Ragazza, non posso curarti se fai così. Andrà tutto bene, tranquilla.-

 

Tornò a levarle i rimasugli di tessuto, notando sulla zona pubica della ragazza un simbolo impresso a fuoco sulla sua povera pelle candida: una lupa rampante, un segno che fece fermare l’uomo. La osservò in silenzio, bloccandosi ad un solo pensiero e chiudendo appena gli occhi, evidentemente dispiaciuto. Karissa lo guardò, pregandolo con le iridi intrise di lacrime di tacere. Deglutì un groppo di saliva e la voce, per quanto cercasse di controllarla, le uscì con un flebile tremolio.

 

- Dottore...-

 

- Non dirò niente, ragazza… adesso lasciati medicare.-

 

Karissa non reagì, lasciò che l’uomo le levasse i vestiti e le medicasse le abrasioni, evitando di guardare troppo ciò che lei voleva celare al mondo. Le bendò il braccio e la gamba, facendola sedere in seguito e avvolgendo anche il fianco, passando infine ai punti sul lato sinistro della bocca.

 

- Ho finito. Chiederò all’istruttore Shadis di non sfiancarti, devi riposare e rimetterti. Le ferite non sono gravi, ma meglio non prenderle alla leggera.-

 

La ragazza annuì, scendendo lentamente dal lettino e coprendosi con il lenzuolo, guardando l’uomo in attesa degli abiti di ricambio. L’anziano annuì, dandole le spalle e recuperando da una mensola alcune parti della divisa. Karissa, in silenzio, osservò il pavimento, tenendosi la testa e dandosi dei leggeri colpi alla tempia destra per non ricordare, per non cadere in quell’incubo continuo che già non le consentiva di dormire adeguatamente: non poteva, non doveva!

Strinse i denti, bloccandosi quando percepì la mano del medico posarsi sulla sua testa con fare comprensivo.

 

- Ragazza… ne ho viste tante come te. Mi dispiace per quello che ti è successo, ma devi pensare diversamente: tu stai uscendo da quel ruolo che ti volevano imporre, dalla vita che ti stavano obbligando a seguire. Hai trovato… uno scopo e dovresti esserne fiera. Starò zitto, tranquilla.-

 

Karissa abbassò lo sguardo: sapeva che non avrebbe detto a nessuno del marchio, ma chi avrebbe detto al suo passato di non rifarsi vivo?

Purtroppo quello era un compito esclusivamente suo.

Si infilò come prima cosa i pantaloni bianchi, imponendosi di ignorare il dolore e tornare dai suoi amici. Si strappò la fasciatura al seno, prendendo nel silenzio più totale delle bende pulite e iniziando ad avvolgerle intorno al petto, salvo poi indossare una camicia scura e il giubbotto dei cadetti.

Guardò nuovamente l’anziano medico, mostrando il pugnale con il quale aveva staccato i finimenti dal morello.

 

- Sa cos’è questo, signore?-

 

L’uomo fu preso in contropiede, iniziando a pensare dove volesse andare a parare la ragazza.

 

- Beh, sembra un pugnale...-

 

L’albina rimase in silenzio, fissando la lama fine e affilata con occhi velati.

 

- Così appare… per me è stata la mia unica salvezza. Non sarei qui se non fosse stato per questo piccolo.-

 

Si sistemò le cinghie per il movimento tridimensionale e gli stivali, mentre la sua mente vagava nei ricordi del passato. Ruotò veloce la lama, piantandola nella parete e conficcandola quasi fino all’elsa, proseguendo con il discorso.

 

- Dicono che l’omicidio porti alla dannazione eterna, giusto? Anche se questo è eseguito per legittima difesa? Mi risponda dottore, perché se così fosse...-

 

Si fermò, tirando via il coltello dal legno e riponendolo con cura nella fasciatura del seno, rivolgendosi infine all’uomo ammutolito. Poi proseguì.

 

- Mi ritroverei molto vicina all’origine dell’inferno. Grazie per le cure...-

 

Non attese replica, si limitò a varcare la porta e a trattenere le lacrime: non aveva avuto modo, non le era stata data alcuna scelta se non quella di agire per avere salva la vita. Marco le corse incontro insieme a Connie, Jean e Reiner, bloccandosi appena la vide asciugarsi le lacrime.

 

- Karissa...-

 

- Sto bene… per favore, andiamo al dormitorio. Devo riposare...-

 

Il moro annuì e si fece avanti, prendendola sulle spalle per evitarle ulteriori affaticamenti. Karissa non si oppose, non si divincolò come prima, anzi accettò il tutto con una leggera apatia negli occhi cerulei, inerzia che non passò inosservata a Jean.

In silenzio tornarono tutti al dormitorio e, una volta raggiunta la camerata femminile, la ragazza scese dalla schiena di Bodt, trattenendo delle smorfie causate dal dolore, arrivando ad alzare una mano per non ricevere alcun aiuto dai ragazzi. Connie prese parola.

 

- Karissa, sei sicura di farcela?-

 

- Sono solo quattro scalini Connie… se mi fermo per delle escoriazioni cosa farò quando mi ritroverò davanti ad un gigante?-

 

- Devi pensarci proprio ora?-

 

Domandò con un tono leggermente seccato Kirschtein, non riuscendo tuttavia a celare una leggera vena di preoccupazione. L’albina lo guardò, percependo perfettamente il terrore che quelle creature causassero a lui e a tutti gli altri commilitoni: poteva comprenderlo, poteva capire che la paura di essere divorati potesse essere così presente, quasi palpabile e non riusciva a dar loro torto.

Il castano proseguì.

 

- Sembra quasi che tu non abbia paura di loro.-

 

Un mezzo sorriso amaro si dipinse sulle labbra candide ed escoriate della giovane, costringendola a fermarsi per non riaprire i punti di sutura.

 

- Credimi, ho paura… ma quando vedi altri appetiti… e compi certe azioni per un solo fine… credimi, riesci a riflettere il tutto anche su quei mostri.-

 

Reiner, confuso, la guardò a braccia conserte, cercando di capire come tutti gli altri il senso del suo discorso.

 

- Che intendi, Karissa?-

 

Avrebbe voluto spiegare tutto, ma era meglio per lei, per tutti loro, mantenere il silenzio più totale.

Scosse la testa e si lasciò scappare un sorriso sincero ma carico di rabbia, di terrore; gesto che le costò tuttavia un punto e causò in Marco ulteriore preoccupazione.

 

- Attenta i...-

 

Leccò il sangue velocemente, ignorando le facce dei ragazzi a metà fra lo spaventato e lo stregato: inutile preoccuparsi per delle cuciture, non sarebbero state certamente le ultime.

Salutò con un cenno della mano e salì i gradini, cercando di non sovraccaricare troppo la gamba ferita e imponendosi, nonostante il dolore, di non chiedere aiuto: la botta era stata discreta, avrebbe impiegato dei giorni a rimettersi del tutto e questo, purtroppo, significava restare indietro con gli allenamenti. Strinse con forza il corrimano ligneo, dandosi la spinta anche con le braccia per concludere la salita ed entrare nel dormitorio dove, una volta chiusa la porta, si lasciò andare ad un lungo sospiro, interrotto da qualche inspirazione guidata dall’ansia. Si toccò le labbra con la mano destra e osservò il sangue che iniziò a scivolare dai polpastrelli fino al polso, costringendola a correre, come meglio poteva, verso il suo letto e cercare un panno per pulire il tutto.

 

- KARISSA SCAPPA!-”

- NON FERMARTI TESORO! CORRI!-”

 

Tremò vistosamente e si costrinse, per non crollare rovinosamente a terra, ad appoggiarsi alla parete e scivolare lungo essa, mentre gli occhi iniziarono a liberare lacrime a lungo trattenute.

 

- Di questa che ne facciamo, capo?-”

- Tranquilli… so io dove poterla vendere.-”

 

Si tenne la testa e premette così tanto che, se ne avesse avuto la forza, probabilmente si sarebbe fatta scoppiare il cranio. Supplicò di smetterla, cercò di convincersi a non ricordare, tentò in ogni modo di sopprimere quelle voci, quelle immagini, ma ogni tentativo risultò vano. Il corpo iniziò a tremare vistosamente, il respiro a farsi sempre più corto e i battiti del cuore ancor più veloci, poi tutto si trasformò in un urlo carico di ogni sentimento negativo: rabbia, dolore, terrore.

Non si rese conto del tonfo della porta, non riconobbe Marco e Jean correrle incontro e accucciarsi di fronte a lei, non sentì le loro voci preoccupate: era tutto così confuso, cosa volevano?

Marco le prese le spalle e, non curante della forza che lei stava mettendo per svicolarsi da quella stretta, la portò al suo petto e la strinse piano, non riuscendo tuttavia a farla smettere di urlare: voleva scappare, voleva allontanarsi da lui.

 

- Karissa, Karissa sono Marco! Calmati...-

 

Jean guardò, decidendo infine di separare l’amico dalla ragazza: ricordava come lei avesse reagito quella sera, fuori dalle scuderie, con la costante presenza di una paura a loro nascosta e sentiva che, ad agire in quel modo, non avrebbero fatto meglio. Il moro lo guardò, concentrandosi nuovamente sull’amica rannicchiata nell’angolo fra il muro e il suo letto: come potevano lasciarla in quello stato?

Guardò Kirschtein quasi irato.

 

- Jean, non possiamo lasciarla così!-

 

- Lo so Marco… ma stringendola, almeno adesso, peggioriamo la situazione invece che migliorarla.-

 

Rimasero in silenzio, capaci soltanto di attendere che il picco di quella crisi calasse. Dopo qualche minuto, i singulti divennero sempre meno evidenti e il pianto, prima carico di odio e dolore, scemò in un flebile singhiozzare. Fu solo allora che Jean, sempre con movimenti lenti, decise di prenderla in braccio, guardando l’amico con occhi decisi.

 

- Non può dormire qui. Le altre ragazze inizieranno a farle domande e lei potrebbe ricadere in questo scempio.-

 

Marco sospirò, guardando Karissa intenta a fissare il vuoto, con occhi rossi per il pianto e velati per il dolore appena provato; nel punto dove le era saltata la sutura poteva vedere il sangue raggrumato, spalmato in alcuni punti del mento a causa dello sfregamento con i vestiti.

Sospirò, guardando deciso Jean.

 

- Cosa proponi?-

 

- Che dorma in un posto più tranquillo. Noi faremo la guardia a ore alterne, per poi riportarla nella camerata prima del suono della campana.-

 

Il moro annuì, identificando subito un luogo dove la ragazza avrebbe potuto dormire in tranquillità. Prese la coperta dal suo letto e precedette l’amico verso l’uscita, controllando che non ci fossero altre ragazze nei dintorni e camminando con passo spedito verso le scuderie, seguito con altrettanta fretta dal castano. Kirschtein si guardò intorno, concentrandosi ogni tanto sulla ragazza: sembrava essersi calmata, quasi come se quella crisi le avesse completamente prosciugato ogni energia, rendendola molto più simile a un burattino che ad una persona.

Sospirò e decise di parlarle a bassa voce.

 

- Jones, non so cosa ti stia accadendo… ma tu non sei così. Non dico che tu sia perfetta, non dico che tu sia inscalfibile, ma diavolo piangere come una bambina? Proprio tu che mi tieni testa? Quando mai, eh? Avanti, hai dimostrato di essere tutto fuorché una donzella in pericolo… stai persino superando la tua difficoltà fisica.-

 

Rimase un attimo in silenzio, cercando di capire se ci fosse un qualche cenno di ripresa da parte sua, poi proseguì.

 

- Ti invidio. Sinceramente pensavo che gettassi la spugna prima, che non arrivassi a questo punto, eppure guarda, sei una delle più promettenti qui dentro.-

 

Marco aprì la porta delle stalle e permise all’altro di superarlo, chiudendo immediatamente il tutto e cercando un posto dove poterla far riposare. Scrutò ogni posta, trovandone una libera e iniziando a buttarci della paglia pulita per evitarle di dormire sul terreno duro, il tutto mentre Jean continuava a tenerla in braccio e a parlare, sempre in un sussurro appena percettibile.

 

- Sai, credo che tu piaccia a Marco. Dovevi sentirlo durante la tua prova a cavallo: o non fiatava o non faceva che commentare quanto fossi brava e a tuo agio sulla sella. Per non parlare di quella del movimento tridimensionale: io aspettavo solo una sequela di cadute, lui invece non faceva che incitarti a non mollare...-

 

Accennò un sorriso, proseguendo quello che ormai era diventato un monologo.

 

- Non mi sei simpatica, lo ammetto, ma… penso che combattere con te sarebbe una sicurezza in più. Non so se accadrà, io voglio entrare nel corpo di gendarmeria e tu… beh, lo sappiamo quanto tu sia pazza, sceglieresti l’armata ricognitiva. Però una cosa posso dirla e questa volta ti parlo con sincerità. Chi ti avrà accanto, sul campo di battaglia, può ritenersi fortunato.-

 

- Ho fatto Jean.-

 

Il ragazzo annuì e si avvicinò al letto di paglia, sistemando la ragazza al meglio ed accorgendosi che, nel mentre, aveva chiuso gli occhi. Marco sorrise in modo mesto, coprendola e pensando a come fare per il rancio: solitamente lo consumavano tutti insieme nella mensa, ma quella volta cosa avrebbero potuto dire?

Jean si girò, incamminandosi verso l’uscita.

 

- Jean, dove vai?-

 

Domandò il moro confuso, ricevendo come risposta un cenno non curante della mano.

 

- Pensa a Karissa. Torno con la cena.-


Angolo Autrice: Ed ecco il quarto capitolo! Finalmente Karissa affronta una prova più nelle sue corde e, finalmente, la vediamo sorridere un po' di più. Nonostante tutto continuano ad esserci tante domande sul suo passato.. che le sarà successo?
Per aiutarvi con alcune acrobazie effettuate a cavallo vi lascio un video di uno stuntman a cui mi sono ispirata per la stesura della parte.
Al prossimo capitolo!
Bacioni!


Nebula216 <3

https://www.youtube.com/watch?v=1c7gAMZi6Po

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