Guardatevi dall'alto delle stelle di Jordan Hemingway (/viewuser.php?uid=664958)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Guardatevi
dall’alto delle stelle
Mi
è addosso di nuovo
lo sforzo feroce di predire il vero, a raffiche, scosse.
Ecco le note di inizio, assurde note.
Eschilo, Agamennone
Le stelle.
Ho sempre pensato che
fosse la mia natura inseguirle per catturarne il potere e
carpire i loro segreti. Anche ora, guardando l’universo che
si estende intorno
alla mia nave, non riesco a fare a meno di catalogare quello che vedo,
classificando ogni punto luminoso per potenza, intensità e
per la quantità di
energia con la quale potrei alimentare la mia magia.
Il sibilare delle
porte scorrevoli mi avvisa che non sono più solo nella sala
comandi.
“Hai deciso
la rotta?” Mi chiede Athena. Il suo tono è
irritato: è impaziente
di partire.
“Non
ancora.”
“Perché?”
Si affianca a me. “Stai solo ritardando la partenza della
flotta.
Zeus non approverà.”
“Lascia che
aspetti; il risultato della guerra non cambierà per
così poco.”
I primi coloni umani,
ingannati dal nostro aspetto, ci credevano immuni da ogni
sentimento: si sono ricreduti in fretta.
Athena emette un suono
rabbioso: so che non è d’accordo, per lei la
strategia è
una scienza che si basa su calcoli precisi. Vorrebbe partire subito e
raggiungere il fronte per frenare l’avanzata della
ribellione, per schiacciare
Elena e Paride e le loro truppe.
Io però
voglio continuare a guardare le stelle ancora per un poco.
“Credi di
risolvere qualcosa restando indietro?” Ora Athena mi sta
scrutando
con quel suo sguardo terso per il quale è famosa tra umani e
non umani. “Sai
che non avresti potuto fare nulla.”
Sono parole rischiose
da pronunciare e da ascoltare.
“La Prova ha
regole ben precise. Non ho mai avuto intenzione di
intervenire.”
Ci misuriamo in
silenzio, io e Athena: è una battaglia che nessuno di noi
vuole
combattere, non adesso.
“Potrai
avere ingannato Zeus e gli altri,” replica lei alla fine,
“ma non puoi
ingannare me.”
“Non credo
tu possa capire.”
“Al
contrario, Apollo,” mi risponde, uscendo,
“è proprio perché capisco che non
ho fatto nulla. Finora.”
Torno a guardare fuori
dalla nave.
Osservare le stelle
è come tornare indietro nel tempo: alcune sono
così
distanti che la loro luce impiega anni ad arrivare fino a me.
Vorrei poter
riavvolgere il tempo percorrendo il cammino di quella luce.
Chiudo gli occhi.
Stavano attraversando
una tempesta magnetica e tutto quello a cui riusciva a
pensare era che il suo raggio schermante era rimasto in un armadio
all’Accademia, assieme all’uniforme, quindi se la
navetta si fosse schiantata
da qualche parte nel deserto di lei sarebbero rimaste solo le ossa,
sbiancate
dalle radiazioni del sole.
Se Eleno ed Ettore lo
avessero scoperto l’avrebbero spedita a calci dal
Capitano più vicino: dimenticare il proprio raggio
schermante lì, su Lykaios,
significava mettere in pericolo non solo se stessi ma anche tutta la
propria
squadra.
Era stata la prima
lezione che avevano avuto, subito prima di atterrare sul
pianeta: un Capitano aveva spiegato a tutti loro che sebbene il sole di
Lykaios
sembrasse meno luminoso di quello della maggior parte dei sistemi
colonizzati,
emetteva delle radiazioni così potenti da permettere a una
sola forma di vita
di sopravvivere.
Una specie che aveva
il potere di trasformare in vita quei raggi mortali.
Per chiarire il
concetto aveva abbassato le calotte esterne della sala comandi:
Lykaios era davanti a loro, enorme e dorato, in orbita attorno a una
stella di
dimensioni modeste. Alcune reclute si erano subito avvicinate ai
pannelli di
visione, come bambini in visita a un acquario; il Capitano aveva
premuto un
pulsante, riducendo di pochissimo l’intensità
dello scudo schermante: subito le
reclute erano saltate indietro, alcuni con le mani coperte di vesciche
bluastre.
“Le
radiazioni sono il vero pericolo. Non la luce, non le tempeste
magnetiche:
il campo radioattivo rende Lykaios inabitabile per chiunque. Tranne che
per chi
ci è nato.”
Non aveva avuto
bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
Eppure, anni dopo,
eccola lì, senza raggio e senza tuta, nel mezzo della
tempesta magnetica peggiore che si fosse vista da parecchio tempo.
“Hai paura
di quello che potrebbe succedere?” La voce proveniva allo
stesso
tempo da un punto alle sue spalle e da dentro la sua mente.
Scosse la testa.
“No.”
Era la
verità, in fin dei conti: non aveva paura della tempesta, o
della Prova
che la stava aspettando proprio al suo centro.
Accanto a lei ora
c’era un uomo – almeno, quello era
l’aspetto che aveva deciso
di assumere – che fissava le spirali di sabbia e luce che si
intrecciavano nel
cielo attorno alla navetta.
“Quando
sarà tutto finito potremo andarcene da questo
pianeta.” La sua voce era
melodiosa ma fredda, distaccata. “Andremo a Espero.
Lì avranno bisogno del
potere che stai per ottenere.”
“Lo dici
come se fossi sicuro che passerò la Prova.”
“Lo dico
perché lo so.” Apollo si girò a
guardarla. “Ti ho vista di fronte
all’Assemblea, forte e con il mondo ai tuoi piedi, allungare
le mani per
reclamare il dono che hai guadagnato.” Le posò le
mani sulle spalle,
sorridendo. “Tu sei una mia creatura: non aver paura di
quello che potresti
diventare.”
Era esattamente quello
di cui aveva paura, pensò Cassandra, senza riuscire a
staccare gli occhi dai suoi.
Di quello e di Apollo
stesso, ma lui non lo sapeva ancora.
Un’ironia
crudele, se si considerava che tutto quello che aveva desiderato un
tempo era affrontare la Prova con lui accanto.
“Cassandra!”
Eleno le batté una mano sulla spalla. “Tocca a
te.”
La ragazza si riscosse
e abbassò gli occhi: il sole di Lykaios era interessante
da osservare attraverso i filtri schermanti, ma mai quanto
l’esame che stava
per affrontare.
L’arena era
stata costruita all’aperto, per permettere a Reclute e
Allievi di
sperimentare sulla propria uniforme il clima del pianeta. Gli scudi
solari
erano alzati tutt’intorno, ma Cassandra era certa che se
anche uno solo avesse
perso intensità, tutti loro si sarebbero trovati nei guai
nonostante il tessuto
schermante delle loro divise.
Avanzò
tranquilla, il casco ben abbassato sulla sua testa. Aveva
già scelto la
sua arma: un arpione dal manico abbastanza lungo da permetterle di
tenere
l’avversario a distanza ma non così tanto da
ostacolare i suoi movimenti.
Achille era
già lì, ai margini dell’arena; stava
soppesando due teaser sonici
con aria pensosa ma si interruppe per lanciarle un ghigno cameratesco.
“Pronta
a perdere?”
“Pronta a
vincere, volevi dire?”
“Ti
piacerebbe.” Il ragazzo scosse la testa e si decise per il
più pesante dei
due teaser. “Quando mai sei riuscita a battermi?”
“Beh, la
scorsa volta, se tu non avessi…”
“Allievi: in
posizione.” Il Capitano controllò il timer
inserito nel suo
braccio bionico. “Trenta secondi.”
Entrambi si portarono
al centro dell’arena.
Cassandra
espirò lentamente attraverso il casco: era vero, non era mai
riuscita
a battere Achille in un esame. Era in buona compagnia: pochi erano in
grado di affrontare
l’allievo modello dell’Accademia.
Ma forse questa volta
sarebbe stato diverso.
Al suono del timer
saltò in alto, schivando il colpo del teaser di Achille, e
usando l’arpione si portò sopra una delle rocce
dalla superficie irregolare che
costellavano l’arena. Da lì tentò un
colpo di lama sonica contro Achille, ma
l’altro era già sparito.
I punti vincenti di
Achille, oltre alla forza fisica, erano la strategia e la
costanza: quando decideva di vincere si impegnava fino a che non
riusciva a
portare a casa la vittoria. Imitava le mosse degli avversari,
spiazzandoli e
oltrepassando le loro difese, per poi impegnarli in un corpo a corpo
dove lui
aveva la meglio.
Cassandra
scivolò tra le rocce: di solito evitava di cercare uno
scontro
diretto, ma aveva bisogno di trovarsi davanti a Achille per quello che
voleva
fare.
Fece appena in tempo a
rotolare a terra: il raggio del teaser passò sopra di
lei mentre Achille, senza perdere nemmeno un istante, la raggiungeva
evitando i
colpi del suo arpione e puntava di nuovo l’arma verso la sua
testa.
Perfetto.
L’arpione si
conficcò nella terra nera e arida, il manico rivolto verso
il sole
allo zenit. La mano sinistra di Cassandra rimase sull’arma
mentre posava la
destra sul suolo a palmo in su.
Sentì
l’arpione arroventarsi velocemente e il calore trasmettersi
alla mano e
al resto del corpo, fino a fluire nella destra e scaricare il grosso
dell’energia a terra, il tutto in pochi istanti.
La ragazza
alzò la destra davanti a sé, afferrando il piede
di Achille e
spingendo quel che rimaneva dell’energia che era fluita in
lei.
Achille, che aveva
già alzato di nuovo il teaser, si bloccò,
irrigidendo tutto
il corpo. Cassandra ne approfittò per estrarre
l’arpione, usarlo per far cadere
l’avversario e puntare la lama sonica alla sua gola. Avrebbe
volentieri
aggiunto un colpo o due, ma non voleva esagerare davanti ai Capitani
Istruttori.
“Fine
dell’incontro.” Il Capitano alzò il
braccio per assegnare la vittoria a
Cassandra.
Con ogni
probabilità quello significava aver passato
l’esame con il massimo dei
voti: la ragazza si concesse un sogghigno all’interno del
casco. Accanto a lei
Achille si stava rialzando, incespicando sulla gamba. “Che
cosa… Che cosa mi
hai fatto?” Chiese in tono d’accusa.
Lei si strinse nelle
spalle. “Sono stata più veloce, ecco che cosa ho
fatto.”
Achille
però non accennava a muoversi. “La mia gamba:
è stata come una scossa
elettrica. Come hai fatto?”
“Sicuro non
fosse un crampo?”
“Allievi,
spostatevi dal campo.” Il Capitano indicò loro
l’esterno dell’arena.
Cassandra
voltò le spalle ad Achille e se ne andò senza
più badare alle sue
domande.
Del resto, nemmeno lei
sapeva come o cosa avesse fatto. Sapeva solo che durante
un allenamento con Ettore ed Eleno si era accorta che le proprie armi
sembravano raccogliere il calore del sole più velocemente
del normale, e che il
suo corpo sembrava reagire diventando un cavo elettrico e scaricando
l’energia
sulle rocce che toccava.
Impossibile ma utile,
come aveva dimostrato lo scontro: non si era fidata a testare
il fenomeno su quei due, ma Achille… Beh, poteva permettersi
di perdere
Achille, se la scarica fosse stata troppo forte.
Quando
rientrò tra i ranghi del gruppo di Allievi fu accolta da una
pacca sulla
spalla – Ettore – e da un’espressione
incredula – Eleno.
“Come hai
fatto?” Il ragazzo scosse la testa.
“Assurdo.”
“Avevi
scommesso qualcosa?” Sogghignò Cassandra.
“Spero su di me.”
“No, ma se
l’avessi saputo mi sarei giocato anche quello che non
ho.”
Ridendo, Cassandra
alzò la testa: si accorse allora di un’ombra
luminosa che si
stagliava contro il sole, lì sulle colline spezzate sotto le
quali era stata
scavata l’Accademia.
“Oggi
abbiamo visite importanti,” commentò Ettore,
seguendo il suo sguardo.
“Gli dèi sono scesi tra noi.”
Cassandra non rispose,
continuando a fissare la sagoma fino a che gli occhi
iniziarono a bruciarle nonostante i filtri schermanti.
Quando li
riaprì non c’era più nessuno sulle
colline; ma lampi di luce simili a
serpenti dorati continuarono a danzarle nelle palpebre anche dopo che
furono di
nuovo al sicuro dentro l’Accademia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2 ***
Guardatevi
dall’alto delle stelle
Simili
a formiche
andiamo dentro a ogni fuoco. Ogni acqua. Ogni fiume di sangue. Solo per
non
dover vedere. Che cosa? Noi.
Christa Wolf, Cassandra
Ovviamente non erano
dèi.
Erano stati i primi
coloni a ribattezzarli così, dopo averli visti per la prima
volta: gli unici esseri a vivere in quella remota galassia. Corpi che
potevano
mutare da uno stato all’altro, assumendo le sembianze che
preferivano ed
estraendo energia direttamente dalle stelle con processi di sintesi che
la
neo-scienza non era mai riuscita a spiegare perché non si
trattava né di
sintesi né di scienza.
Per loro era qualcosa
di naturale: il simbolo della loro origine
sovrannaturale, il legame con il cuore delle stelle e
dell’universo stesso.
Magia, pura e
semplice.
Questo spiegava
perché i primi coloni, invece di iniziare le solite guerre
di
conquista, avessero gettato le armi a terra e si fossero arresi,
sottomettendosi alla Dominazione Olimpica e diventando parte del loro
esercito.
Un’armata invincibile di cui anche Cassandra avrebbe fatto
parte alla fine del
suo addestramento.
Continuava a vedere
quei serpenti di luce, forse un effetto collaterale di
quello che aveva fatto all’arena.
Sapeva che avrebbe
dovuto parlarne con qualcuno, prima o dopo: non si aspettava
però di essere convocata appena rientrata dagli esami.
“Che
vorrà da te il Comandante?” Fece in tempo a
sibilarle Eleno all’orecchio,
prima che un Capitano la scortasse via.
Forse dopotutto si
erano accorti di quel che aveva fatto. Finalmente.
Non la portarono nei
quartieri degli ufficiali: il Capitano si fermò davanti
alle stanze personali del Comandante e bussò alla porta.
Quando Cassandra
entrò, vide un uomo che non conosceva e che non portava la
divisa dell’esercito.
“E’
lei,” disse l’uomo con tono calmo e distaccato,
innaturale. Fu dalla voce
che comprese di fronte a chi si trovava: le gambe le tremavano, ma si
mantenne
dritta con la schiena mentre portava entrambe le mani al petto nel
saluto riservato
ai capi della Dominazione Olimpica.
“Possa la
luce splendere in eterno.”
Il viso di Apollo era
senza espressione. “Ti ho visto combattere.” Le sue
labbra non si mossero mentre si avvicinava a lei, eppure ogni parola
risuonava
nella sua mente. “E ti ho visto vincere.”
Lei rimase in silenzio.
“Sai quello
che hai fatto?” Le chiese Apollo.
“Ho
sconfitto il mio avversario,” replicò lei.
Espirò lentamente: “Con un aiuto,”
aggiunse.
“Hai usato
la magia del nexus.” Poteva sentire la presenza
dell’alieno farsi
strada ai margini della propria consapevolezza come un’onda
di emozioni che la
sua forma umana non riusciva a riprodurre: curiosità,
turbamento e aspettativa.
“Non molti della tua specie ne sono capaci.”
Cassandra si
domandò se lui l’avrebbe punita oppure se
l’avrebbe legata a un
tavolo dei Laboratori per aprirla e cercare di capire che cosa in lei
le aveva
permesso di fare quel che aveva fatto.
Immaginò le
mani del dio sfiorarla con la lama sottile del bisturi,
dall’incavo
del collo e sempre più in basso, senza poter fare nulla per
fermarlo.
Si chiese se avrebbe
urlato.
“Hai
paura.”
“Ho motivo
di non averne?”
“Forse.”
Le porse una mano, immacolata e perfetta. “Dipende da quello
che
sceglierai.”
Il contatto tra
Dominazione Olimpica e uomini era raro: avveniva solo in
determinate circostanze e con persone in grado di sopportare la natura
aliena
abbastanza da non rimanerne succubi. Era uno dei grandi divieti della
società
coloniale: Cassandra esitò, consapevole che Apollo stava
assistendo allo
scontro tra quello che le era stato insegnato e quello che le veniva
ordinato.
Alzò gli
occhi e incrociò lo sguardo del dio: lentamente
allungò le proprie
dita per toccare le sue.
Fu come essere
catapultati nello spazio profondo: attorno a lei tutto divenne
oscuro, un brusio assordante le riempì la testa eliminando
ogni altro pensiero.
A tratti, lampi di immagini sfocate le passavano davanti, troppo
distanti perché
lei potesse capirne il senso, e andavano a unirsi ai serpenti di luce
che
strisciavano nei suoi occhi chiusi.
L’unica
certezza erano le dita di Apollo, il calore intenso che sprigionavano
contro la sua pelle: si aggrappò a quella sensazione mentre
il resto di lei
precipitava nel vuoto.
Questo è quel
che si prova usando la
magia?
Il contatto si
interruppe.
Cassandra si
ritrovò sul pavimento, tremante e con lo stomaco contratto.
Riuscì
a voltare la testa prima di vomitare.
Sentiva ancora la
presenza di Apollo nella sua mente ma molto più fioca, come
se anche il dio avesse compiuto uno sforzo notevole. Quando ebbe il
coraggio di
guardarlo di nuovo vide che lui la fissava senza emozioni come sempre.
Qualcosa
però era cambiato nel modo in cui lui la stava percependo:
soddisfazione.
“Che
cos’era?” Riuscì a chiedergli, con voce
roca dalla bile. “Che cosa mi hai
fatto?”
“Ti ho
mostrato delle strade.” Questa volta lui le rispose con la
sua voce
umana e distaccata. “Le possibilità che esse si
realizzino. E tu sei stata
capace di vederle.”
“Ma non di
capirle.”
“Questo
verrà con il tempo.” La domanda implicita era
chiara, le conseguenze
della sua risposta lo erano altrettanto.
Apollo
parlò ancora. “Il potere che acquisterai
sarà immenso: sarai la mia allieva
e un giorno comanderai eserciti in mio nome. Con le tue visioni potremo
cambiare il corso dell’universo.”
Ansimando, Cassandra
si rialzò: “Insegnami.”
Erano nel cuore della
tempesta: la navetta si lasciò alle spalle il muro di
sabbia e vento per entrare in un’area circolare dove anche il
tempo sembrava
immobile.
L’aria era
calda, stantia senza i filtri dell’elmetto. La luce non
riusciva a
penetrare del tutto la massa di nuvole: la semi oscurità era
la stessa di
quando, una vita prima, si era immersa nell’oceano del suo
pianeta natale e
aveva osservato il sole da sott’acqua, domandandosi come
fosse possibile la
vita nelle grandi profondità.
Il lato positivo era
che non avrebbe avuto bisogno di raggi schermanti: i dati
indicavano che quel muro di nubi sembrava funzionare come uno scudo
anti-radiazioni.
Un’altra
magia, un altro atto di fede.
“La Prova
inizierà non appena entrerai nel cerchio del
Proskénion.” La voce di
Apollo risuonava in lei forte e sicura. “Io sarò
assieme agli altri della mia
specie provenienti da ogni angolo di questa galassia. Non mi
è permesso di aiutarti
in alcun modo.”
Lo sapeva
già. Avevano passato notti a studiare i possibili contenuti
della
Prova: durante il suo apprendistato Cassandra aveva imparato a
risolvere enigmi
e a distruggere ostacoli lasciando che la luce le scorresse nelle vene
per combattere
e vedere più in là di ogni nemico. Questa volta
però Apollo non sarebbe stato
con lei: la sua presenza non l’avrebbe salvata se avesse
fatto un passo falso e
la sua mente avesse ceduto.
Era il rischio da
affrontare per ricevere il pieno controllo sul suo nexus.
Apollo
svanì – non c’erano altri modi per
descrivere il modo in cui gli dèi si
spostavano piegando lo spazio – e lei rimase sola.
Inspirò
profondamente.
L’oscurità
della tempesta era indispensabile per far emergere il pieno potere
della magia che le ribolliva nel sangue. Se la sua mente fosse stata
giudicata
adatta gli dèi l’avrebbero resa in grado di
raccogliere enormi quantità di
energia solare e trasformarle in un sentiero che le avrebbe permesso di
vedere
dipanate ai suoi piedi tutte le strade del futuro, ascendendo
più in alto delle
stelle.
Sarebbe stata in grado
di portare un esercito alla vittoria semplicemente
chiudendo gli occhi.
Ma in cambio avrebbe
dovuto cedere ad Apollo la sua volontà.
Coloro che portavano
il marchio del nexus dovevano essere vincolati a una delle
divinità per sopravvivere a quel potere.
Posò una
mano sul pannello di controllo della navetta: la porta si
aprì
sibilando sul paesaggio immobile nel ventre della tempesta. A poca
distanza,
una serie di colonne metalliche dall’aria antica indicavano
la posizione del
Proskénion.
Un passo dopo
l’altro, Cassandra si avviò in quella direzione.
Erano passate solo
poche settimane ma già desiderava che Apollo prendesse se
stesso e tutta la sua luminosità e andasse a gettarsi in una
catena solare.
Possibilmente
lasciando un messaggio di scuse.
Sentì la
presenza dell’alieno – del dio –
stringersi attorno alla propria
coscienza, in parte severo, in parte quasi divertito da quei pensieri.
“La luce
è magia, è potere.” Eppure, mentre
continuava a parlarle, la sua
espressione restava immota, come quella di una maschera. “A
un livello
elementare il portatore di nexus la può incanalare e usare
come farebbe un
qualsiasi strumento meccanico.” Che cosa si provava a non
poterla mai togliere?
“A un livello più alto dona la
possibilità di vedere quello che potrebbe essere.”
“Chiaroveggenza.”
“Una parola
del vostro linguaggio che è simile ma non uguale a quello
che noi
intendiamo. La luce rende il portatore in grado di vedere tutte le
infinite
possibilità e di scegliere tra di esse quelle più
adatte.”
Cassandra
rallentò il passo. Si trovavano negli appartamenti privati
riservati
ai membri della Dominazione Olimpica in visita ufficiale: gli scudi
solari
erano ridotti, le finestre più ampie e cortili fiancheggiati
da giardini di
rocce collegavano una stanza all’altra. La ragazza indossava
la propria tuta
schermante tutto il giorno come una seconda pelle tanto che la sera,
quando
tornava nella nuova stanza che le avevano assegnato – non
più camerate rumorose
per lei, a volte dimenticava di toglierla e crollava sul letto esausta.
“Se le
possibilità sono infinite come è possibile
scegliere?” Domandò fissando
una roccia che le tempeste di Lykaios avevano cesellato fino a formare
un arco
irregolare. Le ricordava un pesce.
“La luce ti
guiderà, se glielo permetterai.”
“Significa
che chi controlla il nexus può influenzare il
futuro?”
“Solo nei
limiti di quel che permette la luce: ci sono futuri tra cui
è
possibile scegliere e altri che sono punti fissi nel tempo. Un animale
feroce e
affamato attaccherà in qualunque scenario.”
“Però…
potrei decidere che un animale è pericoloso e sparare per
costringerlo
ad attaccare, provando che è pericoloso.” Si
fermò, confusa per non essere
riuscita a spiegarsi meglio.
Questa volta la
presenza di Apollo in lei rideva. “Un esempio rozzo ma
appropriato” concordò. Accanto a lei,
l’alieno - il
dio - dal
viso di pietra sembrava parte del giardino. “Serve una
dimostrazione.” Raccolse una roccia appuntita da terra.
“Sto per colpirti?” La
domanda era priva di inflessione. “Sto per ucciderti o la
lascerò cadere a terra? La getterò
contro la finestra?”
Il suo sguardo era
limpido e imperscrutabile.
Cassandra
rabbrividì: “Come posso deciderlo?”
“Non sta a
te farlo. Chiudi gli occhi e guarda.”
La ragazza
alzò la testa verso l’alto: il sole splendeva allo
zenit, poteva
sentire il calore dei suoi raggi sopra la tuta. Lentamente, ma con meno
fatica
rispetto alle prime volte, ne assorbì la luce fino a quando
non le sembrò che
tutto il proprio corpo ne fosse intriso.
Serrò le
palpebre e incanalò l’energia in un punto preciso
della fronte.
Di nuovo quei serpenti
luminosi che strisciavano a velocità folle. Li
seguì
fino a quando rallentarono per dividersi in figure su figure, immagini
dell’Accademia e del cortile, di una tempesta che si
abbatteva sulla parte
esterna dell’edificio, di Apollo che scagliava la pietra
contro di lei
uccidendola, di lei che si opponeva al lancio con la forza della luce
che aveva
assorbito.
Come poteva scegliere?
Che cosa rendeva un futuro più plausibile di un altro?
Avvertì la
frustrazione crescere: Apollo era con lei – era sempre con
lei quando
usava la Vista – ma non interveniva.
I serpenti si
intrecciarono di nuovo, immaginando altre possibilità. Uno
di
loro però le strisciò accanto, ai piedi della sua
coscienza: sembrava indicarle
un’altra immagine, una conseguenza che avrebbe richiesto una
determinata azione
che ora le sembrava chiarissima.
“Che cosa si
prova a essere condannati a esprimere solo la
verità?” Chiese con
voce calma mentre riapriva gli occhi. “Che cosa significa
vedere esseri come me
capaci di mentire quando voi non ne siete in grado?”
Sentì il
dio in lei, pur consapevole di quel che stava per succedere,
irrigidire le proprie emozioni. La roccia, che prima puntava contro la
testa di
Cassandra, finì contro la finestra alle sue spalle,
frantumando il cristallo in
una cascata di schegge taglienti.
Lei si era spostata
prima che questo accadesse.
Apollo la
scrutò a lungo. “Hai imparato
velocemente.”
“Sono la
migliore allieva di questa Accademia.”
“Avresti
potuto scegliere il futuro in cui ti spostavi. O quello in cui io
lasciavo cadere la pietra. Ma la luce ti ha consigliato di
provocarmi.”
“Era la
scelta sbagliata?” Ora Cassandra era preoccupata, ma Apollo
scosse la
testa. “Non esattamente… Ma a volte mi chiedo se
non sia meglio temere la luce…”
Si interruppe. La sua presenza in Cassandra si affievolì e
scomparve. “Per oggi
abbiamo finito con la teoria: torna ai tuoi allenamenti.”
Erano tutti
lì: gli dèi, i capi della Dominazione Olimpica,
la stavano
aspettando nel semicerchio di roccia spezzata nel cuore della tempesta.
Cassandra riconobbe il
profilo aquilino di Zeus, gli occhi penetranti di
Athena: accanto a loro il viso di Apollo sembrava più
immutabile del solito.
Espirò
lentamente.
Alzando la testa
parlò con voce chiara: “Io, Cassandra, figlia di
carne umana,
membro della Flotta Imperiale, discepola di Apollo, chiedo di tentare
la Prova
per essere accettata come figlia di Lykaios.”
Fu Athena a
risponderle: “Figlia della carne, sei consapevole di quello
che
comporta la tua richiesta? Sei disposta a cambiare il sangue in fuoco e
la
carne in luce?”
“Ne sono
consapevole.”
“Sai anche
che, se sarai giudicata non adatta, il prezzo sarà la tua
vita?”
“Sono pronta
a rischiare.”
Athena
annuì, fissandola con occhi che le leggevano fino nel fondo
dell’anima.
Tutti gli dèi alzarono le braccia verso il cielo coperto:
Cassandra guardò
verso Apollo, ma il dio non ricambiò lo sguardo.
“Che inizi
la Prova.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3 ***
Guardatevi
dall’alto delle stelle
Ma amavo
dall’alto./Da sopra la vita./Dal futuro./Dove è
sempre vuoto/e da dove nulla è più facile del
vedere la morte.
[…]
Vivevano nella vita. Permeati
da un grande vento./Con sorti già decise./Fin dalla loro
nascita in corpi da commiato./ Ma c’era in loro
un’umida speranza,/una fiammella nutrita dal proprio
luccichio.
Wisława Szymborska, Monologo
per Cassandra
Quello non era il primo combattimento a cui Cassandra partecipava: i
cadetti venivano mandati sul campo dopo tre anni di addestramento,
ufficialmente come osservatori, ma spesso erano assegnati come supporto
nelle retrovie e, a volte, anche nei combattimenti di seconda linea.
Era però la
prima volta che si trovava a prendervi parte da lassù, dalla
navetta di controllo riservata allo stato maggiore.
Guardando ogni cosa
dall’alto delle stelle.
“Hai fatto
carriera.” Ricordò le parole di Eleno, che qualche
settimana prima era stato promosso alla fanteria assieme a tutti gli
altri cadetti della sua squadra: l’apprendistato con Apollo
non le aveva impedito di andare a salutarli prima della partenza per il
fronte.
Con grande imbarazzo
di Cassandra, Ettore le aveva rivolto il saluto riservato alla
Dominazione. “Cerca di prevedere ogni mossa dei ribelli e di
farci tornare qui vivi.”
“Al massimo
puoi sacrificare Achille” aggiunse Eleno, guadagnandosi una
gomitata da Ettore.
Cassandra li aveva
guardati imbarcarsi sulle navette che li avrebbero portati nel
quadrante ovest del pianeta, dove i ribelli avevano le loro basi, ed
era rimasta a fissare la linea di roccia e sabbia dove erano spariti
per molto tempo: se non fosse stata scelta da Apollo il suo destino
sarebbe stato con loro, come aveva sempre immaginato.
Si riscosse dai
ricordi.
Apollo spiccava tra
gli alti ufficiali della Flotta che lo attorniavano e Cassandra, in
piedi sul fondo della sala comandi, poteva osservare le loro
espressioni: alcuni facevano sfoggio di cortesia tanto estrema da poter
essere considerata un insulto, altri restavano rigidi e si esprimevano
a monosillabi, come se volessero imitare l’aria di calma
imperturbabile del dio.
Naturalmente erano
ridicoli, tutti loro.
Spostò lo
sguardo di nuovo verso Apollo: il profilo perfetto, gli occhi luminosi
e penetranti. Al confronto gli umani, lei compresa, sembravano bambole
di fango. La stretta al cuore divenne più intensa: mancava
ancora molto alla fine del suo apprendistato. Solo allora sarebbe
potuta diventare una portatrice completa ed essere in unione perfetta
con Apollo. Lui l’avrebbe usata come tramite personale alla
potenza del sole e delle stelle e l’avrebbe tenuta accanto a
sé per sempre.
Era quello che
desiderava di più nell’universo.
Certo, conosceva le
storie, quelle che parlavano degli umani che prima di lei erano
riusciti a diventare portatori di nexus e tramiti per gli
dèi. Come Io, comandante della Flotta nel quadrante
meridionale: dopo aver superato la prova era stata vincolata da Zeus,
il più importante tra gli abitanti di Lykaios, e aveva
ricevuto tanta magia da bruciare le stelle. Ma Zeus, che collezionava
un nexus dopo l’altro, aveva attinto ogni goccia di potere da
lei giorno dopo giorno fino a quando le ceneri di Io, bianche come una
pozza di latte, si erano dissolte nello spazio.
Non sarebbe successo:
Apollo teneva a lei. Lo sapeva, lo sentiva, lo provava dentro di
sé ogni volta che la addestrava a fissare lo sguardo nella
luce del futuro.
Cassandra non sarebbe
stata un semplice tramite.
Si riscosse sentendo
chiamare il suo nome. “Allieva Priamides.” Uno dei
generali le stava facendo cenno di avvicinarsi con aria impaziente. Lei
aspettò il cenno di assenso di Apollo per avanzare nel
cerchio dello stato maggiore.
“Generale.”
“Sappiamo
dei tuoi successi come apprendista portatrice.” Lo disse
nello stesso tono con cui un acquirente avrebbe cercato di trattare sul
prezzo ai mercati della stazione spaziale di Ilio. “Il tuo
augusto maestro ti concede di sperimentare il tuo potenziale su questo
campo di battaglia.”
Ovvero, tradusse
Cassandra, state avendo difficoltà e volete che sia io a
togliervi dai guai ma senza farla sembrare un’ammissione di
incapacità.
Sentì
all’improvviso la risata di Apollo risuonare dentro di lei.
Arrossì.
Ti avrei comunque
chiesto di provare. La voce del dio era nella sua mente. Sei arrivata a
un punto nell’addestramento in cui è
indispensabile metterti alla prova in situazioni reali.
Annuì e
alzò il mento con decisione. “Ringrazio per questa
occasione.”
“Le truppe
della Flotta sono in stallo.” Il generale indicò
l’enorme visore posto su tutta la parete della sala comandi.
“E’ necessario prendere il controllo di questo
quadrante prima dell’attacco alla Lega Norrena, ma a causa
dei Ribelli l’azione è stata rallentata.”
Già, i
Ribelli. Umani che non avevano accettato la Dominazione: bande di folli
guidati da una coppia di idealisti. Erano destinati a perdere, prima o
dopo.
“Le truppe
di Elena e Paride sono specializzate nelle azioni di
guerriglia,” si inserì un comandante,
“per questo è difficile avere la meglio su di
loro. Conoscono questo pianeta e sanno dove nascondersi.”
“Non
possiamo permetterci di perdere altro tempo: Zeus e la Dominazione
Olimpica hanno programmato l’attacco contro Odino, dobbiamo
essere pronti. Dobbiamo sapere quale mossa è meglio
intraprendere.”
Cassandra
guardò lo schermo. “Sapete meglio di me che i miei
progressi non sono ancora sufficienti a permettermi una visione
così nitida nel futuro.”
“Qualunque
cosa è meglio di nulla.” Sopra le loro teste le
lastre di metallo del soffitto scivolarono l’una sotto
l’altra fino a scoprire una porzione perfettamente circolare
di cristallo trasparente, dalla quale i raggi del sole scendevano come
una cascata d’oro. Cassandra tuttavia esitava ancora.
Apollo si limitava a
guardarla in silenzio.
Lentamente, la ragazza
alzò tutti i suoi scudi e si portò al centro
della pozza di luce.
Chiuse gli occhi:
percepì la sensazione familiare di calore, come un nucleo al
proprio interno che era reso incandescente dall’energia dei
raggi che la colpivano. Le scintille divennero scie di luce, poi
serpenti dorati, infine immagini che si moltiplicavano in infinite
direzioni.
Per un momento
Cassandra temette di essere sul punto di perdere se stessa;
avvertì subito la presenza di Apollo, più forte
del solito. L’alieno – il dio – la
pervadeva proprio come facevano i raggi del sole, ma al contrario di
questi la sua energia contribuiva a rafforzare la sua mente.
Ora Cassandra poteva
vedere i vari sentieri del futuro, tutte le possibilità che
la battaglia contro i Ribelli conteneva. Come ogni volta,
lasciò che la luce la guidasse tra gli scenari: serpenti di
luce strisciarono lungo tutte le visioni, che avevano in comune lo
stesso risultato.
Un responso di morte:
le squadre della Flotta si lanciavano in un attacco suicida per
distruggere le forze ribelli. Vide morire i suoi compagni uno dopo
l’altro in ogni scenario. Si trovava davanti a un punto fisso.
Non può
essere.
Cercò di
concentrarsi su possibilità dall’esito diverso ma
i serpenti si attorcigliarono attorno alla sua coscienza, dentro alla
quale Apollo non faceva nulla per opporsi a quel vaticinio.
Non può
essere fisso. Cassandra provò a ribellarsi. Deve esserci un
modo per cambiare tutto questo.
Nessuno aveva mai
cambiato un punto fisso: così le aveva insegnato Apollo. Era
la verità?
Apollo non rispose.
I serpenti di luce
sibilarono quando la consapevolezza dell’alieno si
affiancò a loro. Sembravano temerlo e al tempo stesso
accettarlo come uno di loro. Apollo guardò con lei le
visioni e per un attimo sembrò voler entrare in una di esse,
allargarne le maglie e fare… cosa? L’immagine
divenne più sfocata, ora sembrava che Eleno e gli altri
potessero sopravvivere, ma dietro di loro le ombre dei ribelli si
estendevano fino a ricoprire tutto il pianeta.
Tu puoi cambiarlo. In
quel momento Cassandra se ne rese conto: Apollo, o chiunque degli
dèi, erano capaci di cambiare l’esito di quegli
oracoli. Ne erano sempre stati capaci.
Non avevano mai voluto
farlo.
Nemmeno adesso: Apollo
aveva lasciato la presa sulla visione. I ribelli scomparvero da Lykaios.
Questa scelta li
ucciderà tutti: Achille, Eleno, tutti i miei
compagni… Non posso tornare con questo vaticinio.
La luce si strinse
attorno a lei facendole pulsare la mente, ogni battito una fitta di
dolore.
E’
necessario, sentiva Apollo dirle attraverso la sua stessa bocca,
è necessario, è necessario, è
necessario…
Tornò alla
realtà urlando: aprì gli occhi sul visore
dell’astronave, dove una linea rossa indicava il punto dove
le squadre della Flotta Stellare aveva ricevuto ordine di attaccare.
Sopra quei punti si alzava una grossa nube grigia.
Lo stato maggiore se
ne era andato. Solo Apollo era ancora lì e la fissava con la
solita espressione immutabile.
“Era
necessario.” Le tese una mano.
Per un lungo momento
Cassandra fissò le nubi delle esplosioni suicide che avevano
permesso la vittoria della Flotta – a quale prezzo?
– poi distolse lo sguardo e posò le dita su quelle
di Apollo.
“Era
necessario” ripeté.
Il potere era sempre
necessario.
Gli dèi
alzarono le mani verso lo spiraglio di cielo sgombro da nubi, come se
volessero invocare la benedizione del sole di Lykaios.
Un unico raggio di
luce scese fino al Proskénion, inglobandolo rapidamente. I
volti degli dèi divennero troppo splendenti per poterli
fissare. Cassandra trattenne l’impulso di alzare una mano per
coprire gli occhi.
Il cerchio luminoso
divenne una sfera dalla quale si alzavano fiamme incandescenti: alcune
di esse si unirono fino a formare una creatura possente, pura energia
dagli artigli di fuoco e luce.
La creatura si
scagliò su Cassandra, pronta a consumarla e a renderla
cenere.
La ragazza rimase
immobile e si lasciò divorare.
L’onda di
magia che la investì era così potente che senza
volerlo Cassandra urlò dal dolore: era come se i suoi sensi
fossero stati potenziati all’ennesima potenza e
l’avessero infilata in una fornace.
Cercò in
tutti i modi di assorbire quella forza che però continuava
ad aumentare: tentò di incanalarla e scaricarla a terra,
come durante gli allenamenti, ma era troppa, davvero troppa.
La sua mente
sovraccarica lanciava urla di dolore, di quel passo sarebbe stata
consumata e di lei sarebbero rimaste solo ceneri nella sabbia.
Sapeva che gli
dèi la stavano guardando, che Apollo la stava guardando
fallire.
Si sforzò
di tenere assieme la propria consapevolezza: chiuse gli occhi e
lasciò che il muro di luce la penetrasse in ogni angolo di
se stessa.
Serpenti
d’oro comparvero di nuovo ai margini della sua coscienza e
strisciarono oltre quel muro.
Lentamente, come chi
cammina contro una tempesta, Cassandra li seguì.
Non sapeva se stava
camminando veramente o se era un’altra proiezione mentale: la
luce si scindeva in infiniti riflessi, più luminosa e
abbagliante di qualsiasi altra visione che avesse mai avuto. Poteva
vedere il suo passato, perfino il momento stesso in cui le sue cellule
si erano unite nel grembo di sua madre. Poteva tornare sempre
più indietro, prima dell’Esodo, quando gli umani
costruivano città, quando erano solo una delle tante specie
che popolavano un pianeta ormai morto.
Poteva vedere il
futuro.
Non i frammenti
sfocati a cui era abituata: immagini chiare e precise nei minimi
dettagli, impossibili da mettere in dubbio, complete in ogni passaggio.
Riusciva a distinguerle tutte, era come se lei stessa fosse diventata
infinito.
Vide se stessa
completare la Prova. Si vide assurgere al rango degli dèi,
più in alto di loro, oltre le stelle stesse.
Osservò se stessa fallire la Prova e cadere
nell’oblio.
Questa volta i
serpenti di luce non le indicavano la scelta corretta: le cedevano il
passo piegando le lunghe spire lucenti come se fosse una regina. Come
se spettasse a lei scegliere il futuro di tutto l’universo.
In quel momento
Cassandra era immortale.
Le visioni la
chiamavano: poteva scegliere quella che preferiva, poteva modificarla
per cambiare il futuro.
Ormai poteva farlo. La
magia l’aveva scelta come nexus.
Rimaneva solo da
tornare indietro nel presente dove gli dèi la aspettavano
per completare il rituale che le avrebbe consentito l’accesso
perpetuo al potere tramite il dio al quale si era consacrata.
Sempre e solo tramite
Apollo.
Attorno a lei i
serpenti di luce tremavano.
L’alieno che
lei aveva amato ancora prima di essere scelta da lui. Il dio che aveva
lasciato morire Eleno e gli altri per un bene superiore.
Per il bene di chi?
Le visioni danzavano
in ogni direzione: in ognuna di esse, in ogni infinita
possibilità, gli dèi governavano la specie umana,
a volte conducendola alla prosperità, a volte alla
distruzione.
In ognuna di esse
Apollo usava Cassandra come nexus fino a consumarla, attendendo poi di
scoprire un nuovo nexus da addestrare.
In nessuna di esse gli
dèi ricordavano che cosa era stata la specie umana. In
nessuna di esse Apollo ricordava chi era stata Cassandra prima di
bruciare.
Era solo una dei tanti
strumenti che gli dèi – no, gli alieni –
utilizzavano per la loro conquista dell’universo.
Per il bene di chi?
I serpenti emisero un
sibilo che sembrò penetrare al di là del tempo.
La luce si
affievolì e si spense.
Al centro di quel che
era stato il raggio Cassandra stava in piedi, la schiena dritta e le
mani chiuse a pugno. Ansimava leggermente ma teneva la testa alta e gli
occhi rivolti verso gli abitanti di Lykaios.
“Hai
superato la Prova.”
Apollo
avanzò verso di lei ed era come se riuscisse a vedere lui e
i suoi compagni per la prima volta: l’apparenza esteriore
così simile a quella umana, creata – ora lo capiva
– non per essere come gli umani bensì per
affermare più chiaramente la loro superiorità su
di loro; quello che si celava all’interno di quella forma,
esseri il cui potenziale era legato all’esistenza di un nexus
che conducesse a loro l’energia a cui non potevano attingere
liberamente.
Che cosa altro erano
gli dèi se non prigionieri affamati a cui era stata saldata
la bocca con punti d’acciaio prima di partecipare a un
banchetto?
La magia bruciava
ancora nelle vene di Cassandra illuminando ogni giudizio.
Ma Apollo
continuò a camminare fino a raggiungerla: le tese una mano.
“Cassandra, mia nexus: accetta il mio vincolo e resta al mio
fianco, fedele in vita e in morte.”
Quella era la formula,
quello era il suo destino: gli dèi – gli alieni
– dovevano saldare il nexus tra lei e la magia se voleva
mantenere il potere di cambiare l’universo che ora era in lei.
Cassandra
alzò a sua volta la destra: “Ho sognato per anni
questo vincolo,” la sua voce era bassa ma ferma,
“ho lavorato più duramente di chiunque nella
speranza di arrivare a questo momento anche solo un secondo
prima.”
Da dietro si
levò la voce di Zeus: “Nessuno mette in dubbio il
tuo impegno. Accogli il premio che ti è stato
promesso.”
Ignorandolo, la
ragazza continuò a fissare gli occhi in quelli di Apollo,
come se gli stesse leggendo dentro.
“Ma il
premio promesso era una menzogna.”
Per la prima volta le
sembrò di vedere qualcosa nell’espressione
dell’altro.
Paura.
“Nonostante
le vostre parole, siamo solo strumenti nelle vostre mani avide. Avremmo
dovuto combattervi, invece ci siamo lasciati ingannare dalle vostre
promesse di potere. Ci avete usato per le vostre guerre fratricide,
condannandoci a morire per il vostro onore. Questo finirà
oggi.”
“Stai
rifiutando il vincolo…” Apollo la guardava
impassibile, ma le sue emozioni… era come se non riuscisse a
comprenderla, e forse era proprio così.
“L’energia che ora è dentro di te
spezzerà la tua mente senza di esso. Sarà
peggiore della morte.”
Poteva essere
preoccupato per lei?
Impossibile.
“Sciocca
ragazza. Credi forse di essere unica? Troveremo altri portatori per
sostituirti, come abbiamo sempre fatto” la derise Zeus.
Senza staccare gli
occhi da quelli di Apollo, Cassandra parlò: “Un
tempo credevo di essere unica: sbagliavo, non ero la prima.
Ma,” distese le labbra in un sorriso, “posso essere
l’ultima.”
Nessun vincolo, mai
più.
Alzò le
mani, liberando tutta l’energia che, senza un vincolo
fissato, stava crescendo senza sosta dentro di lei e, prima che
chiunque potesse rendersi conto delle sue intenzioni, con le ultime
forze rimaste tornò all’interno della stanza degli
infiniti futuri.
Per un momento fu come
se le visioni e la realtà collimassero: i serpenti di luce e
gli occhi di Apollo erano gli uni negli altri e non poteva
più distinguere presente e futuro.
Una mano tesa per
l’ultima volta.
Infine implose.
Apro gli occhi.
Buio, è
buio – ma la luce era così intensa – non
capisco dove sono.
So chi non sono, ma
non sono chi dovrei essere.
Serpenti danzano nei
miei occhi, schegge di luce, il ricordo di qualcosa che non riesco
più a comprendere.
“E’
ancora viva.”
Una voce dietro di me:
solo ora capisco di non essere sola, non sto più vagando
nelle tenebre, qualcuno mi sta sollevando con cura. Ha mani forti,
sento odore di sabbia e sudore.
Mi porto le mani agli
occhi per togliere la benda ma mi viene impedito.
“Da dove
vieni?” Un’altra voce, più severa.
Non so da dove vengo,
non so dove vado. So solo quello che sarà.
“Sta per
succedere” sussurrò così piano che
nemmeno io sono sicura di averlo detto. “Sta per succedere,
stanno per cadere: una dopo l’altra le Dominazioni cadranno e
sarà la fine.”
Le voci tacciono ma io
devo continuare.
Sento ancora la sua
presenza in me, cresce e si espande, come quando mi insegnava a vedere
più distante di chiunque altro.
L’unico che
non posso dimenticare.
“Le
Dominazioni cadranno e gli umani con loro. Sarà la fine
della specie umana.”
Lui mi cerca: anche se
il vincolo non è mai stato stabilito, anche se la stanza dei
futuri è perduta per sempre così come la
capacità di tutte le Dominazioni di stipulare un nexus, una
parte di Apollo è rimasta dentro di me.
Una mano tesa per
l’ultima volta.
Per questo posso
ancora vedere frammenti di quel che sarà.
“Sta
delirando.”
“E’
pazza.”
Altre voci, impaurite.
Mi credono pazza: non sanno quanto si sbagliano.
La luce era
così forte, così forte, così
forte…
Le mani slegano la
benda che avevo sugli occhi: sbatto le palpebre e riesco a distinguere
un viso.
Umano, cicatrici gli
segnano un volto che un tempo deve essere stato bello, occhi duri.
“Credo di
sapere chi tu sia.” A parlare non è lui: mi volto
e trattengo il respiro.
Questa donna che si
rivolge a me, la sua bellezza non ha nulla di umano: non faccio in
tempo a preoccuparmi che il suo viso si piega in una smorfia di rabbia.
“E chi ti ha fatto questo.” Si rivolge al resto
delle persone radunate attorno a lei: sono soldati sporchi e feriti, le
armi abbandonate a terra nella sabbia.
I ribelli che la
Dominazione crede di avere sconfitto.
Quindi
l’uomo che mi ha liberato deve essere Paride e la donna dal
viso di dea deve essere Elena.
I capi della rivolta.
La magia si srotola
dentro di me; so che se chiuderò gli occhi potrò
vedere ancora quei serpenti di luce guidarmi verso un futuro di morte.
Verso Apollo.
Ricaccio
l’impulso dentro di me.
Non ora, non ora, non
ora.
Morte, aspetta ancora
un poco.
“Verrai con
noi.” Elena mi porge una mano dura e callosa. “Le
tue profezie possono essere cambiate. La tua mente può
salvarci e noi,” torna a rivolgersi alle truppe stanche,
“possiamo salvare il resto della specie umana.”
La luce mi avvolge di
nuovo e cado nell’oblio del sonno.
Per la prima volta in
molto tempo sogno il mio pianeta d’origine, osservo
dall’alto le sue distese d’acqua e il riflesso di
stelle remote sulle onde. Allungo una mano come se bastasse toccarle
per tornare indietro nel tempo ma appena tocco la superficie sento la
pelle bruciare.
Guardatevi dalla luce
delle stelle.
Da qualche parte, nel
profondo dello spazio, Apollo sta sognando con me.
Note: Grazie per aver
letto fin qui! Questa storia è stata scritta per il contest
di Fiore di Cenere (leggete anche le altre storie perché
meritano).
L’obbligo
prevedeva di inserire in un AU una missing moment dell’opera
originale: ho pensato di descrivere il processo di
“apprendistato” di Cassandra, su cui non si sa
praticamente nulla – se non che al termine di esso ha
rifiutato Apollo – e di farlo in un AU di
fantascienza/fantasy. Gli dèi quindi sono diventati alieni
che sfruttano gli umani per ottenere magia dall’energia delle
stelle. Gli umani sono l’equivalente della carne da macello
nelle loro battaglie con altri dèi.
Il nome del pianeta,
Lykaios, deriva da un epiteto di Apollo. Secondo alcune versioni del
mito, prima di diventare sacerdotessa di Apollo Cassandra era una
guerriera, per cui qui è diventata un’allieva
dell’esercito. In altre versioni diventa consacrata ad Apollo
dopo che lei e suo fratello Eleno si addormentano in un tempio di
Apollo e dei serpenti leccano loro le orecchie: quindi ho tenuto sia i
riferimenti ai serpenti che il personaggio di Eleno.
Il titolo è
una frase del Monologo per Cassandra, di cui ho usato una citazione
anche al capitolo tre: il testo originale usa un termine che significa
(grazie Google Translator) “guardare qualcosa
dall’alto”, ma in italiano “Guardarsi
da” significa anche “Fare
attenzione/Temere” e la cosa mi piaceva, quindi ho cercato di
far riferimento a tutto ciò nel testo (spero sia meno
caotico di quel che sembra dalle note).
Mi sono divertita
parecchio a scriverla, nonostante l'angst di fondo, spero che sia
piaciuta anche a voi. ^^
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3925628
|