Guardatevi dall'alto delle stelle

di Jordan Hemingway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Guardatevi dall’alto delle stelle

Mi è addosso di nuovo lo sforzo feroce di predire il vero, a raffiche, scosse.
Ecco le note di inizio, assurde note.
Eschilo, Agamennone


Le stelle.
Ho sempre pensato che fosse la mia natura inseguirle per catturarne il potere e carpire i loro segreti. Anche ora, guardando l’universo che si estende intorno alla mia nave, non riesco a fare a meno di catalogare quello che vedo, classificando ogni punto luminoso per potenza, intensità e per la quantità di energia con la quale potrei alimentare la mia magia.
Il sibilare delle porte scorrevoli mi avvisa che non sono più solo nella sala comandi.
“Hai deciso la rotta?” Mi chiede Athena. Il suo tono è irritato: è impaziente di partire.
“Non ancora.”
“Perché?” Si affianca a me. “Stai solo ritardando la partenza della flotta. Zeus non approverà.”
“Lascia che aspetti; il risultato della guerra non cambierà per così poco.”
I primi coloni umani, ingannati dal nostro aspetto, ci credevano immuni da ogni sentimento: si sono ricreduti in fretta.
Athena emette un suono rabbioso: so che non è d’accordo, per lei la strategia è una scienza che si basa su calcoli precisi. Vorrebbe partire subito e raggiungere il fronte per frenare l’avanzata della ribellione, per schiacciare Elena e Paride e le loro truppe.
Io però voglio continuare a guardare le stelle ancora per un poco.
“Credi di risolvere qualcosa restando indietro?” Ora Athena mi sta scrutando con quel suo sguardo terso per il quale è famosa tra umani e non umani. “Sai che non avresti potuto fare nulla.”
Sono parole rischiose da pronunciare e da ascoltare.
“La Prova ha regole ben precise. Non ho mai avuto intenzione di intervenire.”
Ci misuriamo in silenzio, io e Athena: è una battaglia che nessuno di noi vuole combattere, non adesso.
“Potrai avere ingannato Zeus e gli altri,” replica lei alla fine, “ma non puoi ingannare me.”
“Non credo tu possa capire.”
“Al contrario, Apollo,” mi risponde, uscendo, “è proprio perché capisco che non ho fatto nulla. Finora.”
Torno a guardare fuori dalla nave.
Osservare le stelle è come tornare indietro nel tempo: alcune sono così distanti che la loro luce impiega anni ad arrivare fino a me.
Vorrei poter riavvolgere il tempo percorrendo il cammino di quella luce.
Chiudo gli occhi.


Stavano attraversando una tempesta magnetica e tutto quello a cui riusciva a pensare era che il suo raggio schermante era rimasto in un armadio all’Accademia, assieme all’uniforme, quindi se la navetta si fosse schiantata da qualche parte nel deserto di lei sarebbero rimaste solo le ossa, sbiancate dalle radiazioni del sole.
Se Eleno ed Ettore lo avessero scoperto l’avrebbero spedita a calci dal Capitano più vicino: dimenticare il proprio raggio schermante lì, su Lykaios, significava mettere in pericolo non solo se stessi ma anche tutta la propria squadra.
Era stata la prima lezione che avevano avuto, subito prima di atterrare sul pianeta: un Capitano aveva spiegato a tutti loro che sebbene il sole di Lykaios sembrasse meno luminoso di quello della maggior parte dei sistemi colonizzati, emetteva delle radiazioni così potenti da permettere a una sola forma di vita di sopravvivere.
Una specie che aveva il potere di trasformare in vita quei raggi mortali.
Per chiarire il concetto aveva abbassato le calotte esterne della sala comandi: Lykaios era davanti a loro, enorme e dorato, in orbita attorno a una stella di dimensioni modeste. Alcune reclute si erano subito avvicinate ai pannelli di visione, come bambini in visita a un acquario; il Capitano aveva premuto un pulsante, riducendo di pochissimo l’intensità dello scudo schermante: subito le reclute erano saltate indietro, alcuni con le mani coperte di vesciche bluastre.
“Le radiazioni sono il vero pericolo. Non la luce, non le tempeste magnetiche: il campo radioattivo rende Lykaios inabitabile per chiunque. Tranne che per chi ci è nato.”
Non aveva avuto bisogno di dare ulteriori spiegazioni.
Eppure, anni dopo, eccola lì, senza raggio e senza tuta, nel mezzo della tempesta magnetica peggiore che si fosse vista da parecchio tempo.
“Hai paura di quello che potrebbe succedere?” La voce proveniva allo stesso tempo da un punto alle sue spalle e da dentro la sua mente.
Scosse la testa. “No.”
Era la verità, in fin dei conti: non aveva paura della tempesta, o della Prova che la stava aspettando proprio al suo centro.
Accanto a lei ora c’era un uomo – almeno, quello era l’aspetto che aveva deciso di assumere – che fissava le spirali di sabbia e luce che si intrecciavano nel cielo attorno alla navetta.
“Quando sarà tutto finito potremo andarcene da questo pianeta.” La sua voce era melodiosa ma fredda, distaccata. “Andremo a Espero. Lì avranno bisogno del potere che stai per ottenere.”
“Lo dici come se fossi sicuro che passerò la Prova.”
“Lo dico perché lo so.” Apollo si girò a guardarla. “Ti ho vista di fronte all’Assemblea, forte e con il mondo ai tuoi piedi, allungare le mani per reclamare il dono che hai guadagnato.” Le posò le mani sulle spalle, sorridendo. “Tu sei una mia creatura: non aver paura di quello che potresti diventare.”
Era esattamente quello di cui aveva paura, pensò Cassandra, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
Di quello e di Apollo stesso, ma lui non lo sapeva ancora.
Un’ironia crudele, se si considerava che tutto quello che aveva desiderato un tempo era affrontare la Prova con lui accanto.


“Cassandra!” Eleno le batté una mano sulla spalla. “Tocca a te.”
La ragazza si riscosse e abbassò gli occhi: il sole di Lykaios era interessante da osservare attraverso i filtri schermanti, ma mai quanto l’esame che stava per affrontare.
L’arena era stata costruita all’aperto, per permettere a Reclute e Allievi di sperimentare sulla propria uniforme il clima del pianeta. Gli scudi solari erano alzati tutt’intorno, ma Cassandra era certa che se anche uno solo avesse perso intensità, tutti loro si sarebbero trovati nei guai nonostante il tessuto schermante delle loro divise.
Avanzò tranquilla, il casco ben abbassato sulla sua testa. Aveva già scelto la sua arma: un arpione dal manico abbastanza lungo da permetterle di tenere l’avversario a distanza ma non così tanto da ostacolare i suoi movimenti.
Achille era già lì, ai margini dell’arena; stava soppesando due teaser sonici con aria pensosa ma si interruppe per lanciarle un ghigno cameratesco. “Pronta a perdere?”
“Pronta a vincere, volevi dire?”
“Ti piacerebbe.” Il ragazzo scosse la testa e si decise per il più pesante dei due teaser. “Quando mai sei riuscita a battermi?”
“Beh, la scorsa volta, se tu non avessi…”
“Allievi: in posizione.” Il Capitano controllò il timer inserito nel suo braccio bionico. “Trenta secondi.”
Entrambi si portarono al centro dell’arena.
Cassandra espirò lentamente attraverso il casco: era vero, non era mai riuscita a battere Achille in un esame. Era in buona compagnia: pochi erano in grado di affrontare l’allievo modello dell’Accademia.
Ma forse questa volta sarebbe stato diverso.
Al suono del timer saltò in alto, schivando il colpo del teaser di Achille, e usando l’arpione si portò sopra una delle rocce dalla superficie irregolare che costellavano l’arena. Da lì tentò un colpo di lama sonica contro Achille, ma l’altro era già sparito.
I punti vincenti di Achille, oltre alla forza fisica, erano la strategia e la costanza: quando decideva di vincere si impegnava fino a che non riusciva a portare a casa la vittoria. Imitava le mosse degli avversari, spiazzandoli e oltrepassando le loro difese, per poi impegnarli in un corpo a corpo dove lui aveva la meglio.
Cassandra scivolò tra le rocce: di solito evitava di cercare uno scontro diretto, ma aveva bisogno di trovarsi davanti a Achille per quello che voleva fare.
Fece appena in tempo a rotolare a terra: il raggio del teaser passò sopra di lei mentre Achille, senza perdere nemmeno un istante, la raggiungeva evitando i colpi del suo arpione e puntava di nuovo l’arma verso la sua testa.
Perfetto.
L’arpione si conficcò nella terra nera e arida, il manico rivolto verso il sole allo zenit. La mano sinistra di Cassandra rimase sull’arma mentre posava la destra sul suolo a palmo in su.
Sentì l’arpione arroventarsi velocemente e il calore trasmettersi alla mano e al resto del corpo, fino a fluire nella destra e scaricare il grosso dell’energia a terra, il tutto in pochi istanti.
La ragazza alzò la destra davanti a sé, afferrando il piede di Achille e spingendo quel che rimaneva dell’energia che era fluita in lei.
Achille, che aveva già alzato di nuovo il teaser, si bloccò, irrigidendo tutto il corpo. Cassandra ne approfittò per estrarre l’arpione, usarlo per far cadere l’avversario e puntare la lama sonica alla sua gola. Avrebbe volentieri aggiunto un colpo o due, ma non voleva esagerare davanti ai Capitani Istruttori.
“Fine dell’incontro.” Il Capitano alzò il braccio per assegnare la vittoria a Cassandra.
Con ogni probabilità quello significava aver passato l’esame con il massimo dei voti: la ragazza si concesse un sogghigno all’interno del casco. Accanto a lei Achille si stava rialzando, incespicando sulla gamba. “Che cosa… Che cosa mi hai fatto?” Chiese in tono d’accusa.
Lei si strinse nelle spalle. “Sono stata più veloce, ecco che cosa ho fatto.”
Achille però non accennava a muoversi. “La mia gamba: è stata come una scossa elettrica. Come hai fatto?”
“Sicuro non fosse un crampo?”
“Allievi, spostatevi dal campo.” Il Capitano indicò loro l’esterno dell’arena.
Cassandra voltò le spalle ad Achille e se ne andò senza più badare alle sue domande.
Del resto, nemmeno lei sapeva come o cosa avesse fatto. Sapeva solo che durante un allenamento con Ettore ed Eleno si era accorta che le proprie armi sembravano raccogliere il calore del sole più velocemente del normale, e che il suo corpo sembrava reagire diventando un cavo elettrico e scaricando l’energia sulle rocce che toccava.
Impossibile ma utile, come aveva dimostrato lo scontro: non si era fidata a testare il fenomeno su quei due, ma Achille… Beh, poteva permettersi di perdere Achille, se la scarica fosse stata troppo forte.
Quando rientrò tra i ranghi del gruppo di Allievi fu accolta da una pacca sulla spalla – Ettore – e da un’espressione incredula – Eleno.
“Come hai fatto?” Il ragazzo scosse la testa. “Assurdo.”
“Avevi scommesso qualcosa?” Sogghignò Cassandra. “Spero su di me.”
“No, ma se l’avessi saputo mi sarei giocato anche quello che non ho.”
Ridendo, Cassandra alzò la testa: si accorse allora di un’ombra luminosa che si stagliava contro il sole, lì sulle colline spezzate sotto le quali era stata scavata l’Accademia.
“Oggi abbiamo visite importanti,” commentò Ettore, seguendo il suo sguardo. “Gli dèi sono scesi tra noi.”
Cassandra non rispose, continuando a fissare la sagoma fino a che gli occhi iniziarono a bruciarle nonostante i filtri schermanti.
Quando li riaprì non c’era più nessuno sulle colline; ma lampi di luce simili a serpenti dorati continuarono a danzarle nelle palpebre anche dopo che furono di nuovo al sicuro dentro l’Accademia.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Guardatevi dall’alto delle stelle




Simili a formiche andiamo dentro a ogni fuoco. Ogni acqua. Ogni fiume di sangue. Solo per non dover vedere. Che cosa? Noi.
Christa Wolf, Cassandra

 


Ovviamente non erano dèi.
Erano stati i primi coloni a ribattezzarli così, dopo averli visti per la prima volta: gli unici esseri a vivere in quella remota galassia. Corpi che potevano mutare da uno stato all’altro, assumendo le sembianze che preferivano ed estraendo energia direttamente dalle stelle con processi di sintesi che la neo-scienza non era mai riuscita a spiegare perché non si trattava né di sintesi né di scienza.
Per loro era qualcosa di naturale: il simbolo della loro origine sovrannaturale, il legame con il cuore delle stelle e dell’universo stesso.
Magia, pura e semplice.
Questo spiegava perché i primi coloni, invece di iniziare le solite guerre di conquista, avessero gettato le armi a terra e si fossero arresi, sottomettendosi alla Dominazione Olimpica e diventando parte del loro esercito. Un’armata invincibile di cui anche Cassandra avrebbe fatto parte alla fine del suo addestramento.
Continuava a vedere quei serpenti di luce, forse un effetto collaterale di quello che aveva fatto all’arena.
Sapeva che avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, prima o dopo: non si aspettava però di essere convocata appena rientrata dagli esami.
“Che vorrà da te il Comandante?” Fece in tempo a sibilarle Eleno all’orecchio, prima che un Capitano la scortasse via.
Forse dopotutto si erano accorti di quel che aveva fatto. Finalmente.
Non la portarono nei quartieri degli ufficiali: il Capitano si fermò davanti alle stanze personali del Comandante e bussò alla porta.
Quando Cassandra entrò, vide un uomo che non conosceva e che non portava la divisa dell’esercito.
“E’ lei,” disse l’uomo con tono calmo e distaccato, innaturale. Fu dalla voce che comprese di fronte a chi si trovava: le gambe le tremavano, ma si mantenne dritta con la schiena mentre portava entrambe le mani al petto nel saluto riservato ai capi della Dominazione Olimpica.
“Possa la luce splendere in eterno.”
Il viso di Apollo era senza espressione. “Ti ho visto combattere.” Le sue labbra non si mossero mentre si avvicinava a lei, eppure ogni parola risuonava nella sua mente. “E ti ho visto vincere.”
Lei rimase in silenzio.
“Sai quello che hai fatto?” Le chiese Apollo.
“Ho sconfitto il mio avversario,” replicò lei. Espirò lentamente: “Con un aiuto,” aggiunse.
“Hai usato la magia del nexus.” Poteva sentire la presenza dell’alieno farsi strada ai margini della propria consapevolezza come un’onda di emozioni che la sua forma umana non riusciva a riprodurre: curiosità, turbamento e aspettativa. “Non molti della tua specie ne sono capaci.”
Cassandra si domandò se lui l’avrebbe punita oppure se l’avrebbe legata a un tavolo dei Laboratori per aprirla e cercare di capire che cosa in lei le aveva permesso di fare quel che aveva fatto.
Immaginò le mani del dio sfiorarla con la lama sottile del bisturi, dall’incavo del collo e sempre più in basso, senza poter fare nulla per fermarlo.
Si chiese se avrebbe urlato.
“Hai paura.”
“Ho motivo di non averne?”
“Forse.” Le porse una mano, immacolata e perfetta. “Dipende da quello che sceglierai.”
Il contatto tra Dominazione Olimpica e uomini era raro: avveniva solo in determinate circostanze e con persone in grado di sopportare la natura aliena abbastanza da non rimanerne succubi. Era uno dei grandi divieti della società coloniale: Cassandra esitò, consapevole che Apollo stava assistendo allo scontro tra quello che le era stato insegnato e quello che le veniva ordinato.
Alzò gli occhi e incrociò lo sguardo del dio: lentamente allungò le proprie dita per toccare le sue.
Fu come essere catapultati nello spazio profondo: attorno a lei tutto divenne oscuro, un brusio assordante le riempì la testa eliminando ogni altro pensiero. A tratti, lampi di immagini sfocate le passavano davanti, troppo distanti perché lei potesse capirne il senso, e andavano a unirsi ai serpenti di luce che strisciavano nei suoi occhi chiusi.
L’unica certezza erano le dita di Apollo, il calore intenso che sprigionavano contro la sua pelle: si aggrappò a quella sensazione mentre il resto di lei precipitava nel vuoto.
Questo è quel che si prova usando la magia?
Il contatto si interruppe.
Cassandra si ritrovò sul pavimento, tremante e con lo stomaco contratto. Riuscì a voltare la testa prima di vomitare.
Sentiva ancora la presenza di Apollo nella sua mente ma molto più fioca, come se anche il dio avesse compiuto uno sforzo notevole. Quando ebbe il coraggio di guardarlo di nuovo vide che lui la fissava senza emozioni come sempre. Qualcosa però era cambiato nel modo in cui lui la stava percependo: soddisfazione.
“Che cos’era?” Riuscì a chiedergli, con voce roca dalla bile. “Che cosa mi hai fatto?”
“Ti ho mostrato delle strade.” Questa volta lui le rispose con la sua voce umana e distaccata. “Le possibilità che esse si realizzino. E tu sei stata capace di vederle.”
“Ma non di capirle.”
“Questo verrà con il tempo.” La domanda implicita era chiara, le conseguenze della sua risposta lo erano altrettanto.
Apollo parlò ancora. “Il potere che acquisterai sarà immenso: sarai la mia allieva e un giorno comanderai eserciti in mio nome. Con le tue visioni potremo cambiare il corso dell’universo.”
Ansimando, Cassandra si rialzò: “Insegnami.”


Erano nel cuore della tempesta: la navetta si lasciò alle spalle il muro di sabbia e vento per entrare in un’area circolare dove anche il tempo sembrava immobile.
L’aria era calda, stantia senza i filtri dell’elmetto. La luce non riusciva a penetrare del tutto la massa di nuvole: la semi oscurità era la stessa di quando, una vita prima, si era immersa nell’oceano del suo pianeta natale e aveva osservato il sole da sott’acqua, domandandosi come fosse possibile la vita nelle grandi profondità.
Il lato positivo era che non avrebbe avuto bisogno di raggi schermanti: i dati indicavano che quel muro di nubi sembrava funzionare come uno scudo anti-radiazioni.
Un’altra magia, un altro atto di fede.
“La Prova inizierà non appena entrerai nel cerchio del Proskénion.” La voce di Apollo risuonava in lei forte e sicura. “Io sarò assieme agli altri della mia specie provenienti da ogni angolo di questa galassia. Non mi è permesso di aiutarti in alcun modo.”
Lo sapeva già. Avevano passato notti a studiare i possibili contenuti della Prova: durante il suo apprendistato Cassandra aveva imparato a risolvere enigmi e a distruggere ostacoli lasciando che la luce le scorresse nelle vene per combattere e vedere più in là di ogni nemico. Questa volta però Apollo non sarebbe stato con lei: la sua presenza non l’avrebbe salvata se avesse fatto un passo falso e la sua mente avesse ceduto.
Era il rischio da affrontare per ricevere il pieno controllo sul suo nexus.
Apollo svanì – non c’erano altri modi per descrivere il modo in cui gli dèi si spostavano piegando lo spazio – e lei rimase sola.
Inspirò profondamente.
L’oscurità della tempesta era indispensabile per far emergere il pieno potere della magia che le ribolliva nel sangue. Se la sua mente fosse stata giudicata adatta gli dèi l’avrebbero resa in grado di raccogliere enormi quantità di energia solare e trasformarle in un sentiero che le avrebbe permesso di vedere dipanate ai suoi piedi tutte le strade del futuro, ascendendo più in alto delle stelle.
Sarebbe stata in grado di portare un esercito alla vittoria semplicemente chiudendo gli occhi.
Ma in cambio avrebbe dovuto cedere ad Apollo la sua volontà.
Coloro che portavano il marchio del nexus dovevano essere vincolati a una delle divinità per sopravvivere a quel potere.
Posò una mano sul pannello di controllo della navetta: la porta si aprì sibilando sul paesaggio immobile nel ventre della tempesta. A poca distanza, una serie di colonne metalliche dall’aria antica indicavano la posizione del Proskénion.
Un passo dopo l’altro, Cassandra si avviò in quella direzione.


Erano passate solo poche settimane ma già desiderava che Apollo prendesse se stesso e tutta la sua luminosità e andasse a gettarsi in una catena solare.
Possibilmente lasciando un messaggio di scuse.
Sentì la presenza dell’alieno – del dio – stringersi attorno alla propria coscienza, in parte severo, in parte quasi divertito da quei pensieri.
“La luce è magia, è potere.” Eppure, mentre continuava a parlarle, la sua espressione restava immota, come quella di una maschera. “A un livello elementare il portatore di nexus la può incanalare e usare come farebbe un qualsiasi strumento meccanico.” Che cosa si provava a non poterla mai togliere? “A un livello più alto dona la possibilità di vedere quello che potrebbe essere.”
“Chiaroveggenza.”
“Una parola del vostro linguaggio che è simile ma non uguale a quello che noi intendiamo. La luce rende il portatore in grado di vedere tutte le infinite possibilità e di scegliere tra di esse quelle più adatte.”
Cassandra rallentò il passo. Si trovavano negli appartamenti privati riservati ai membri della Dominazione Olimpica in visita ufficiale: gli scudi solari erano ridotti, le finestre più ampie e cortili fiancheggiati da giardini di rocce collegavano una stanza all’altra. La ragazza indossava la propria tuta schermante tutto il giorno come una seconda pelle tanto che la sera, quando tornava nella nuova stanza che le avevano assegnato – non più camerate rumorose per lei, a volte dimenticava di toglierla e crollava sul letto esausta.
“Se le possibilità sono infinite come è possibile scegliere?” Domandò fissando una roccia che le tempeste di Lykaios avevano cesellato fino a formare un arco irregolare. Le ricordava un pesce.
“La luce ti guiderà, se glielo permetterai.”
“Significa che chi controlla il nexus può influenzare il futuro?”
“Solo nei limiti di quel che permette la luce: ci sono futuri tra cui è possibile scegliere e altri che sono punti fissi nel tempo. Un animale feroce e affamato attaccherà in qualunque scenario.”
“Però… potrei decidere che un animale è pericoloso e sparare per costringerlo ad attaccare, provando che è pericoloso.” Si fermò, confusa per non essere riuscita a spiegarsi meglio.
Questa volta la presenza di Apollo in lei rideva. “Un esempio rozzo ma appropriato” concordò. Accanto a lei, l’alieno - il dio - dal viso di pietra sembrava parte del giardino. “Serve una dimostrazione.” Raccolse una roccia appuntita da terra. “Sto per colpirti?” La domanda era priva di inflessione. “Sto per ucciderti o la lascerò cadere  a terra? La getterò contro la finestra?”
Il suo sguardo era limpido e imperscrutabile.
Cassandra rabbrividì: “Come posso deciderlo?”
“Non sta a te farlo. Chiudi gli occhi e guarda.”
La ragazza alzò la testa verso l’alto: il sole splendeva allo zenit, poteva sentire il calore dei suoi raggi sopra la tuta. Lentamente, ma con meno fatica rispetto alle prime volte, ne assorbì la luce fino a quando non le sembrò che tutto il proprio corpo ne fosse intriso.
Serrò le palpebre e incanalò l’energia in un punto preciso della fronte.
Di nuovo quei serpenti luminosi che strisciavano a velocità folle. Li seguì fino a quando rallentarono per dividersi in figure su figure, immagini dell’Accademia e del cortile, di una tempesta che si abbatteva sulla parte esterna dell’edificio, di Apollo che scagliava la pietra contro di lei uccidendola, di lei che si opponeva al lancio con la forza della luce che aveva assorbito.
Come poteva scegliere? Che cosa rendeva un futuro più plausibile di un altro?
Avvertì la frustrazione crescere: Apollo era con lei – era sempre con lei quando usava la Vista – ma non interveniva.
I serpenti si intrecciarono di nuovo, immaginando altre possibilità. Uno di loro però le strisciò accanto, ai piedi della sua coscienza: sembrava indicarle un’altra immagine, una conseguenza che avrebbe richiesto una determinata azione che ora le sembrava chiarissima.
“Che cosa si prova a essere condannati a esprimere solo la verità?” Chiese con voce calma mentre riapriva gli occhi. “Che cosa significa vedere esseri come me capaci di mentire quando voi non ne siete in grado?”
Sentì il dio in lei, pur consapevole di quel che stava per succedere, irrigidire le proprie emozioni. La roccia, che prima puntava contro la testa di Cassandra, finì contro la finestra alle sue spalle, frantumando il cristallo in una cascata di schegge taglienti.
Lei si era spostata prima che questo accadesse.
Apollo la scrutò a lungo. “Hai imparato velocemente.”
“Sono la migliore allieva di questa Accademia.”
“Avresti potuto scegliere il futuro in cui ti spostavi. O quello in cui io lasciavo cadere la pietra. Ma la luce ti ha consigliato di provocarmi.”
“Era la scelta sbagliata?” Ora Cassandra era preoccupata, ma Apollo scosse la testa. “Non esattamente… Ma a volte mi chiedo se non sia meglio temere la luce…” Si interruppe. La sua presenza in Cassandra si affievolì e scomparve. “Per oggi abbiamo finito con la teoria: torna ai tuoi allenamenti.”


Erano tutti lì: gli dèi, i capi della Dominazione Olimpica, la stavano aspettando nel semicerchio di roccia spezzata nel cuore della tempesta.
Cassandra riconobbe il profilo aquilino di Zeus, gli occhi penetranti di Athena: accanto a loro il viso di Apollo sembrava più immutabile del solito.
Espirò lentamente.
Alzando la testa parlò con voce chiara: “Io, Cassandra, figlia di carne umana, membro della Flotta Imperiale, discepola di Apollo, chiedo di tentare la Prova per essere accettata come figlia di Lykaios.”
Fu Athena a risponderle: “Figlia della carne, sei consapevole di quello che comporta la tua richiesta? Sei disposta a cambiare il sangue in fuoco e la carne in luce?”
“Ne sono consapevole.”
“Sai anche che, se sarai giudicata non adatta, il prezzo sarà la tua vita?”
“Sono pronta a rischiare.”
Athena annuì, fissandola con occhi che le leggevano fino nel fondo dell’anima. Tutti gli dèi alzarono le braccia verso il cielo coperto: Cassandra guardò verso Apollo, ma il dio non ricambiò lo sguardo.
“Che inizi la Prova.”

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Capitolo 3
*** 3 ***


Guardatevi dall’alto delle stelle



Ma amavo dall’alto./Da sopra la vita./Dal futuro./Dove è sempre vuoto/e da dove nulla è più facile del vedere la morte.
[…]
Vivevano nella vita. Permeati da un grande vento./Con sorti già decise./Fin dalla loro nascita in corpi da commiato./ Ma c’era in loro un’umida speranza,/una fiammella nutrita dal proprio luccichio.
Wisława Szymborska, Monologo per Cassandra




Quello non era il primo combattimento a cui Cassandra partecipava: i cadetti venivano mandati sul campo dopo tre anni di addestramento, ufficialmente come osservatori, ma spesso erano assegnati come supporto nelle retrovie e, a volte, anche nei combattimenti di seconda linea.

Era però la prima volta che si trovava a prendervi parte da lassù, dalla navetta di controllo riservata allo stato maggiore.
Guardando ogni cosa dall’alto delle stelle.
“Hai fatto carriera.” Ricordò le parole di Eleno, che qualche settimana prima era stato promosso alla fanteria assieme a tutti gli altri cadetti della sua squadra: l’apprendistato con Apollo non le aveva impedito di andare a salutarli prima della partenza per il fronte.
Con grande imbarazzo di Cassandra, Ettore le aveva rivolto il saluto riservato alla Dominazione. “Cerca di prevedere ogni mossa dei ribelli e di farci tornare qui vivi.”
“Al massimo puoi sacrificare Achille” aggiunse Eleno, guadagnandosi una gomitata da Ettore.
Cassandra li aveva guardati imbarcarsi sulle navette che li avrebbero portati nel quadrante ovest del pianeta, dove i ribelli avevano le loro basi, ed era rimasta a fissare la linea di roccia e sabbia dove erano spariti per molto tempo: se non fosse stata scelta da Apollo il suo destino sarebbe stato con loro, come aveva sempre immaginato.
Si riscosse dai ricordi.
Apollo spiccava tra gli alti ufficiali della Flotta che lo attorniavano e Cassandra, in piedi sul fondo della sala comandi, poteva osservare le loro espressioni: alcuni facevano sfoggio di cortesia tanto estrema da poter essere considerata un insulto, altri restavano rigidi e si esprimevano a monosillabi, come se volessero imitare l’aria di calma imperturbabile del dio.
Naturalmente erano ridicoli, tutti loro.
Spostò lo sguardo di nuovo verso Apollo: il profilo perfetto, gli occhi luminosi e penetranti. Al confronto gli umani, lei compresa, sembravano bambole di fango. La stretta al cuore divenne più intensa: mancava ancora molto alla fine del suo apprendistato. Solo allora sarebbe potuta diventare una portatrice completa ed essere in unione perfetta con Apollo. Lui l’avrebbe usata come tramite personale alla potenza del sole e delle stelle e l’avrebbe tenuta accanto a sé per sempre.
Era quello che desiderava di più nell’universo.
Certo, conosceva le storie, quelle che parlavano degli umani che prima di lei erano riusciti a diventare portatori di nexus e tramiti per gli dèi. Come Io, comandante della Flotta nel quadrante meridionale: dopo aver superato la prova era stata vincolata da Zeus, il più importante tra gli abitanti di Lykaios, e aveva ricevuto tanta magia da bruciare le stelle. Ma Zeus, che collezionava un nexus dopo l’altro, aveva attinto ogni goccia di potere da lei giorno dopo giorno fino a quando le ceneri di Io, bianche come una pozza di latte, si erano dissolte nello spazio.
Non sarebbe successo: Apollo teneva a lei. Lo sapeva, lo sentiva, lo provava dentro di sé ogni volta che la addestrava a fissare lo sguardo nella luce del futuro.
Cassandra non sarebbe stata un semplice tramite.
Si riscosse sentendo chiamare il suo nome. “Allieva Priamides.” Uno dei generali le stava facendo cenno di avvicinarsi con aria impaziente. Lei aspettò il cenno di assenso di Apollo per avanzare nel cerchio dello stato maggiore.
“Generale.”
“Sappiamo dei tuoi successi come apprendista portatrice.” Lo disse nello stesso tono con cui un acquirente avrebbe cercato di trattare sul prezzo ai mercati della stazione spaziale di Ilio. “Il tuo augusto maestro ti concede di sperimentare il tuo potenziale su questo campo di battaglia.”
Ovvero, tradusse Cassandra, state avendo difficoltà e volete che sia io a togliervi dai guai ma senza farla sembrare un’ammissione di incapacità.
Sentì all’improvviso la risata di Apollo risuonare dentro di lei. Arrossì.
Ti avrei comunque chiesto di provare. La voce del dio era nella sua mente. Sei arrivata a un punto nell’addestramento in cui è indispensabile metterti alla prova in situazioni reali.
Annuì e alzò il mento con decisione. “Ringrazio per questa occasione.”
“Le truppe della Flotta sono in stallo.” Il generale indicò l’enorme visore posto su tutta la parete della sala comandi. “E’ necessario prendere il controllo di questo quadrante prima dell’attacco alla Lega Norrena, ma a causa dei Ribelli l’azione è stata rallentata.”
Già, i Ribelli. Umani che non avevano accettato la Dominazione: bande di folli guidati da una coppia di idealisti. Erano destinati a perdere, prima o dopo.
“Le truppe di Elena e Paride sono specializzate nelle azioni di guerriglia,” si inserì un comandante, “per questo è difficile avere la meglio su di loro. Conoscono questo pianeta e sanno dove nascondersi.”
“Non possiamo permetterci di perdere altro tempo: Zeus e la Dominazione Olimpica hanno programmato l’attacco contro Odino, dobbiamo essere pronti. Dobbiamo sapere quale mossa è meglio intraprendere.”
Cassandra guardò lo schermo. “Sapete meglio di me che i miei progressi non sono ancora sufficienti a permettermi una visione così nitida nel futuro.”
“Qualunque cosa è meglio di nulla.” Sopra le loro teste le lastre di metallo del soffitto scivolarono l’una sotto l’altra fino a scoprire una porzione perfettamente circolare di cristallo trasparente, dalla quale i raggi del sole scendevano come una cascata d’oro. Cassandra tuttavia esitava ancora.
Apollo si limitava a guardarla in silenzio.
Lentamente, la ragazza alzò tutti i suoi scudi e si portò al centro della pozza di luce.
Chiuse gli occhi: percepì la sensazione familiare di calore, come un nucleo al proprio interno che era reso incandescente dall’energia dei raggi che la colpivano. Le scintille divennero scie di luce, poi serpenti dorati, infine immagini che si moltiplicavano in infinite direzioni.
Per un momento Cassandra temette di essere sul punto di perdere se stessa; avvertì subito la presenza di Apollo, più forte del solito. L’alieno – il dio – la pervadeva proprio come facevano i raggi del sole, ma al contrario di questi la sua energia contribuiva a rafforzare la sua mente.
Ora Cassandra poteva vedere i vari sentieri del futuro, tutte le possibilità che la battaglia contro i Ribelli conteneva. Come ogni volta, lasciò che la luce la guidasse tra gli scenari: serpenti di luce strisciarono lungo tutte le visioni, che avevano in comune lo stesso risultato.
Un responso di morte: le squadre della Flotta si lanciavano in un attacco suicida per distruggere le forze ribelli. Vide morire i suoi compagni uno dopo l’altro in ogni scenario. Si trovava davanti a un punto fisso.
Non può essere.
Cercò di concentrarsi su possibilità dall’esito diverso ma i serpenti si attorcigliarono attorno alla sua coscienza, dentro alla quale Apollo non faceva nulla per opporsi a quel vaticinio.
Non può essere fisso. Cassandra provò a ribellarsi. Deve esserci un modo per cambiare tutto questo.
Nessuno aveva mai cambiato un punto fisso: così le aveva insegnato Apollo. Era la verità?
Apollo non rispose.
I serpenti di luce sibilarono quando la consapevolezza dell’alieno si affiancò a loro. Sembravano temerlo e al tempo stesso accettarlo come uno di loro. Apollo guardò con lei le visioni e per un attimo sembrò voler entrare in una di esse, allargarne le maglie e fare… cosa? L’immagine divenne più sfocata, ora sembrava che Eleno e gli altri potessero sopravvivere, ma dietro di loro le ombre dei ribelli si estendevano fino a ricoprire tutto il pianeta.
Tu puoi cambiarlo. In quel momento Cassandra se ne rese conto: Apollo, o chiunque degli dèi, erano capaci di cambiare l’esito di quegli oracoli. Ne erano sempre stati capaci.
Non avevano mai voluto farlo.
Nemmeno adesso: Apollo aveva lasciato la presa sulla visione. I ribelli scomparvero da Lykaios.
Questa scelta li ucciderà tutti: Achille, Eleno, tutti i miei compagni… Non posso tornare con questo vaticinio.
La luce si strinse attorno a lei facendole pulsare la mente, ogni battito una fitta di dolore.
E’ necessario, sentiva Apollo dirle attraverso la sua stessa bocca, è necessario, è necessario, è necessario…
Tornò alla realtà urlando: aprì gli occhi sul visore dell’astronave, dove una linea rossa indicava il punto dove le squadre della Flotta Stellare aveva ricevuto ordine di attaccare. Sopra quei punti si alzava una grossa nube grigia.
Lo stato maggiore se ne era andato. Solo Apollo era ancora lì e la fissava con la solita espressione immutabile.
“Era necessario.” Le tese una mano.
Per un lungo momento Cassandra fissò le nubi delle esplosioni suicide che avevano permesso la vittoria della Flotta – a quale prezzo? – poi distolse lo sguardo e posò le dita su quelle di Apollo.
“Era necessario” ripeté.
Il potere era sempre necessario.



Gli dèi alzarono le mani verso lo spiraglio di cielo sgombro da nubi, come se volessero invocare la benedizione del sole di Lykaios.
Un unico raggio di luce scese fino al Proskénion, inglobandolo rapidamente. I volti degli dèi divennero troppo splendenti per poterli fissare. Cassandra trattenne l’impulso di alzare una mano per coprire gli occhi.
Il cerchio luminoso divenne una sfera dalla quale si alzavano fiamme incandescenti: alcune di esse si unirono fino a formare una creatura possente, pura energia dagli artigli di fuoco e luce.  
La creatura si scagliò su Cassandra, pronta a consumarla e a renderla cenere.
La ragazza rimase immobile e si lasciò divorare.
L’onda di magia che la investì era così potente che senza volerlo Cassandra urlò dal dolore: era come se i suoi sensi fossero stati potenziati all’ennesima potenza e l’avessero infilata in una fornace.
Cercò in tutti i modi di assorbire quella forza che però continuava ad aumentare: tentò di incanalarla e scaricarla a terra, come durante gli allenamenti, ma era troppa, davvero troppa.
La sua mente sovraccarica lanciava urla di dolore, di quel passo sarebbe stata consumata e di lei sarebbero rimaste solo ceneri nella sabbia.
Sapeva che gli dèi la stavano guardando, che Apollo la stava guardando fallire.
Si sforzò di tenere assieme la propria consapevolezza: chiuse gli occhi e lasciò che il muro di luce la penetrasse in ogni angolo di se stessa.
Serpenti d’oro comparvero di nuovo ai margini della sua coscienza e strisciarono oltre quel muro.
Lentamente, come chi cammina contro una tempesta, Cassandra li seguì.
Non sapeva se stava camminando veramente o se era un’altra proiezione mentale: la luce si scindeva in infiniti riflessi, più luminosa e abbagliante di qualsiasi altra visione che avesse mai avuto. Poteva vedere il suo passato, perfino il momento stesso in cui le sue cellule si erano unite nel grembo di sua madre. Poteva tornare sempre più indietro, prima dell’Esodo, quando gli umani costruivano città, quando erano solo una delle tante specie che popolavano un pianeta ormai morto.
Poteva vedere il futuro.
Non i frammenti sfocati a cui era abituata: immagini chiare e precise nei minimi dettagli, impossibili da mettere in dubbio, complete in ogni passaggio. Riusciva a distinguerle tutte, era come se lei stessa fosse diventata infinito.
Vide se stessa completare la Prova. Si vide assurgere al rango degli dèi, più in alto di loro, oltre le stelle stesse. Osservò se stessa fallire la Prova e cadere nell’oblio.
Questa volta i serpenti di luce non le indicavano la scelta corretta: le cedevano il passo piegando le lunghe spire lucenti come se fosse una regina. Come se spettasse a lei scegliere il futuro di tutto l’universo.
In quel momento Cassandra era immortale.
Le visioni la chiamavano: poteva scegliere quella che preferiva, poteva modificarla per cambiare il futuro.
Ormai poteva farlo. La magia l’aveva scelta come nexus.
Rimaneva solo da tornare indietro nel presente dove gli dèi la aspettavano per completare il rituale che le avrebbe consentito l’accesso perpetuo al potere tramite il dio al quale si era consacrata.
Sempre e solo tramite Apollo.
Attorno a lei i serpenti di luce tremavano.
L’alieno che lei aveva amato ancora prima di essere scelta da lui. Il dio che aveva lasciato morire Eleno e gli altri per un bene superiore.
Per il bene di chi?
Le visioni danzavano in ogni direzione: in ognuna di esse, in ogni infinita possibilità, gli dèi governavano la specie umana, a volte conducendola alla prosperità, a volte alla distruzione.
In ognuna di esse Apollo usava Cassandra come nexus fino a consumarla, attendendo poi di scoprire un nuovo nexus da addestrare.
In nessuna di esse gli dèi ricordavano che cosa era stata la specie umana. In nessuna di esse Apollo ricordava chi era stata Cassandra prima di bruciare.
Era solo una dei tanti strumenti che gli dèi – no, gli alieni – utilizzavano per la loro conquista dell’universo.
Per il bene di chi?
I serpenti emisero un sibilo che sembrò penetrare al di là del tempo.



La luce si affievolì e si spense.
Al centro di quel che era stato il raggio Cassandra stava in piedi, la schiena dritta e le mani chiuse a pugno. Ansimava leggermente ma teneva la testa alta e gli occhi rivolti verso gli abitanti di Lykaios.
“Hai superato la Prova.”
Apollo avanzò verso di lei ed era come se riuscisse a vedere lui e i suoi compagni per la prima volta: l’apparenza esteriore così simile a quella umana, creata – ora lo capiva – non per essere come gli umani bensì per affermare più chiaramente la loro superiorità su di loro; quello che si celava all’interno di quella forma, esseri il cui potenziale era legato all’esistenza di un nexus che conducesse a loro l’energia a cui non potevano attingere liberamente.
Che cosa altro erano gli dèi se non prigionieri affamati a cui era stata saldata la bocca con punti d’acciaio prima di partecipare a un banchetto?
La magia bruciava ancora nelle vene di Cassandra illuminando ogni giudizio.
Ma Apollo continuò a camminare fino a raggiungerla: le tese una mano. “Cassandra, mia nexus: accetta il mio vincolo e resta al mio fianco, fedele in vita e in morte.”
Quella era la formula, quello era il suo destino: gli dèi – gli alieni – dovevano saldare il nexus tra lei e la magia se voleva mantenere il potere di cambiare l’universo che ora era in lei.
Cassandra alzò a sua volta la destra: “Ho sognato per anni questo vincolo,” la sua voce era bassa ma ferma, “ho lavorato più duramente di chiunque nella speranza di arrivare a questo momento anche solo un secondo prima.”
Da dietro si levò la voce di Zeus: “Nessuno mette in dubbio il tuo impegno. Accogli il premio che ti è stato promesso.”
Ignorandolo, la ragazza continuò a fissare gli occhi in quelli di Apollo, come se gli stesse leggendo dentro.
“Ma il premio promesso era una menzogna.”
Per la prima volta le sembrò di vedere qualcosa nell’espressione dell’altro.
Paura.
“Nonostante le vostre parole, siamo solo strumenti nelle vostre mani avide. Avremmo dovuto combattervi, invece ci siamo lasciati ingannare dalle vostre promesse di potere. Ci avete usato per le vostre guerre fratricide, condannandoci a morire per il vostro onore. Questo finirà oggi.”
“Stai rifiutando il vincolo…” Apollo la guardava impassibile, ma le sue emozioni… era come se non riuscisse a comprenderla, e forse era proprio così. “L’energia che ora è dentro di te spezzerà la tua mente senza di esso. Sarà peggiore della morte.”
Poteva essere preoccupato per lei?
Impossibile.
“Sciocca ragazza. Credi forse di essere unica? Troveremo altri portatori per sostituirti, come abbiamo sempre fatto” la derise Zeus.
Senza staccare gli occhi da quelli di Apollo, Cassandra parlò: “Un tempo credevo di essere unica: sbagliavo, non ero la prima. Ma,” distese le labbra in un sorriso, “posso essere l’ultima.”
Nessun vincolo, mai più.
Alzò le mani, liberando tutta l’energia che, senza un vincolo fissato, stava crescendo senza sosta dentro di lei e, prima che chiunque potesse rendersi conto delle sue intenzioni, con le ultime forze rimaste tornò all’interno della stanza degli infiniti futuri.
Per un momento fu come se le visioni e la realtà collimassero: i serpenti di luce e gli occhi di Apollo erano gli uni negli altri e non poteva più distinguere presente e futuro.
Una mano tesa per l’ultima volta.
Infine implose.



Apro gli occhi.
Buio, è buio – ma la luce era così intensa – non capisco dove sono.
So chi non sono, ma non sono chi dovrei essere.
Serpenti danzano nei miei occhi, schegge di luce, il ricordo di qualcosa che non riesco più a comprendere.
“E’ ancora viva.”
Una voce dietro di me: solo ora capisco di non essere sola, non sto più vagando nelle tenebre, qualcuno mi sta sollevando con cura. Ha mani forti, sento odore di sabbia e sudore.
Mi porto le mani agli occhi per togliere la benda ma mi viene impedito.
“Da dove vieni?” Un’altra voce, più severa.
Non so da dove vengo, non so dove vado. So solo quello che sarà.
“Sta per succedere” sussurrò così piano che nemmeno io sono sicura di averlo detto. “Sta per succedere, stanno per cadere: una dopo l’altra le Dominazioni cadranno e sarà la fine.”
Le voci tacciono ma io devo continuare.
Sento ancora la sua presenza in me, cresce e si espande, come quando mi insegnava a vedere più distante di chiunque altro.
L’unico che non posso dimenticare.
“Le Dominazioni cadranno e gli umani con loro. Sarà la fine della specie umana.”
Lui mi cerca: anche se il vincolo non è mai stato stabilito, anche se la stanza dei futuri è perduta per sempre così come la capacità di tutte le Dominazioni di stipulare un nexus, una parte di Apollo è rimasta dentro di me.
Una mano tesa per l’ultima volta.
Per questo posso ancora vedere frammenti di quel che sarà.
“Sta delirando.”
“E’ pazza.”
Altre voci, impaurite. Mi credono pazza: non sanno quanto si sbagliano.
La luce era così forte, così forte, così forte…
Le mani slegano la benda che avevo sugli occhi: sbatto le palpebre e riesco a distinguere un viso.
Umano, cicatrici gli segnano un volto che un tempo deve essere stato bello, occhi duri.
“Credo di sapere chi tu sia.” A parlare non è lui: mi volto e trattengo il respiro.
Questa donna che si rivolge a me, la sua bellezza non ha nulla di umano: non faccio in tempo a preoccuparmi che il suo viso si piega in una smorfia di rabbia. “E chi ti ha fatto questo.” Si rivolge al resto delle persone radunate attorno a lei: sono soldati sporchi e feriti, le armi abbandonate a terra nella sabbia.
I ribelli che la Dominazione crede di avere sconfitto.
Quindi l’uomo che mi ha liberato deve essere Paride e la donna dal viso di dea deve essere Elena.
I capi della rivolta.
La magia si srotola dentro di me; so che se chiuderò gli occhi potrò vedere ancora quei serpenti di luce guidarmi verso un futuro di morte. Verso Apollo.
Ricaccio l’impulso dentro di me.
Non ora, non ora, non ora.
Morte, aspetta ancora un poco.
“Verrai con noi.” Elena mi porge una mano dura e callosa. “Le tue profezie possono essere cambiate. La tua mente può salvarci e noi,” torna a rivolgersi alle truppe stanche, “possiamo salvare il resto della specie umana.”
La luce mi avvolge di nuovo e cado nell’oblio del sonno.
Per la prima volta in molto tempo sogno il mio pianeta d’origine, osservo dall’alto le sue distese d’acqua e il riflesso di stelle remote sulle onde. Allungo una mano come se bastasse toccarle per tornare indietro nel tempo ma appena tocco la superficie sento la pelle bruciare.
Guardatevi dalla luce delle stelle.
Da qualche parte, nel profondo dello spazio, Apollo sta sognando con me.




Note: Grazie per aver letto fin qui! Questa storia è stata scritta per il contest di Fiore di Cenere (leggete anche le altre storie perché meritano).
L’obbligo prevedeva di inserire in un AU una missing moment dell’opera originale: ho pensato di descrivere il processo di “apprendistato” di Cassandra, su cui non si sa praticamente nulla – se non che al termine di esso ha rifiutato Apollo – e di farlo in un AU di fantascienza/fantasy. Gli dèi quindi sono diventati alieni che sfruttano gli umani per ottenere magia dall’energia delle stelle. Gli umani sono l’equivalente della carne da macello nelle loro battaglie con altri dèi.
Il nome del pianeta, Lykaios, deriva da un epiteto di Apollo. Secondo alcune versioni del mito, prima di diventare sacerdotessa di Apollo Cassandra era una guerriera, per cui qui è diventata un’allieva dell’esercito. In altre versioni diventa consacrata ad Apollo dopo che lei e suo fratello Eleno si addormentano in un tempio di Apollo e dei serpenti leccano loro le orecchie: quindi ho tenuto sia i riferimenti ai serpenti che il personaggio di Eleno.
Il titolo è una frase del Monologo per Cassandra, di cui ho usato una citazione anche al capitolo tre: il testo originale usa un termine che significa (grazie Google Translator) “guardare qualcosa dall’alto”, ma in italiano “Guardarsi da” significa anche “Fare attenzione/Temere” e la cosa mi piaceva, quindi ho cercato di far riferimento a tutto ciò nel testo (spero sia meno caotico di quel che sembra dalle note).
Mi sono divertita parecchio a scriverla, nonostante l'angst di fondo, spero che sia piaciuta anche a voi. ^^

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