Heart of the Ocean

di _ A r i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Attack ***
Capitolo 2: *** Fear ***
Capitolo 3: *** Landing ***
Capitolo 4: *** Challenges ***
Capitolo 5: *** Treasure ***
Capitolo 6: *** Epilogue – Sea ***



Capitolo 1
*** Attack ***


pirates

Il sole era alto nel cielo, mentre la chiglia filava liscia come l'olio tra i flutti di un mare particolarmente calmo.
La Royal stava viaggiando in aperto oceano, una brezza calda che soffiava leggera in direzione di navigazione e gonfiava con eleganza le vele.
Quel giorno l’equipaggio sembrava essere di ottimo umore. David, il capitano in seconda, continuava ad inseguire Joe, l’addetto all’artiglieria, lungo il ponte. Il primo pareva lamentarsi di qualcosa, il secondo fingeva di ascoltarlo.
Tutto questo osservava, comodamente appollaiato sul cassero, il capitano. La camicia candida e leggera che indossava fluttuava in quella giornata d’estate, mentre un sorriso faceva capolino su suo volto.
Per lunghi anni la Royal aveva imposto la sua egemonia su ciascuno dei sette mari. La nave pirata più temuta, più ammirata e, inevitabilmente, anche la più ricca. Nel corso delle loro innumerevoli scorribande avevano accumulato un bottino così considerevole che avrebbero potuto fermarsi su un’isola qualsiasi e vivere per sempre un’esistenza nello sfarzo e nel lusso più sfrenato.
Il capitano, tuttavia, probabilmente non ci sarebbe mai riuscito.
Jude, questo il nome di quel giovane uomo che, appena ventenne, guidava il più noto equipaggio pirata della storia, non aveva mai preso in considerazione l’idea di abbandonare quella vita di scorribande e razzie. Toccare terra lo innervosiva, ed era solito farlo solo se costretto.
Voleva viaggiare. Voleva visitare ogni angolo esplorabile del mondo. Sentire il vento tra i capelli lo faceva sentire vivo, potente.
Ed era per lui l’unica cosa che contasse.
Il morale dell’equipaggio continuava ad essere alto, mentre uno dei pirati trasportava un barile colmo di pregiato rum delle Antille. La navigazione procedeva verso sud senza nessun intoppo.
Cosa sarebbe potuto mai succedere, in fin dei conti?



Un boato, nel cuore della notte.
Jude si era ritrovato a sobbalzare nel suo stesso letto, svegliandosi di colpo.
Per un momento aveva quasi creduto di esserselo immaginato. Un istante dopo, tuttavia, grida ferine erano giunte alle sue orecchie, assieme al sibilo di cime lanciate in aria e assi di legno che venivano spostate.
Un assalto?
“Impossibile”, aveva subito pensato il capitano. Nessuno si sarebbe mai sognato di assaltare la Royal. Chiunque, perfino un principiante che aveva varato la propria barca in mare da pochi giorni, era a conoscenza della forza e della pericolosità del suo equipaggio, motivo per cui qualsiasi flotta si era sempre tenuta a debita distanza da loro. Avrebbero anche potuto provare ad assaltarli e, con buona fortuna, uscirne indenni, tuttavia nessuno avrebbe dubitato che l’equipaggio della Royal non avrebbe esitato a fargliela pagare nel peggiore dei modi.
Ecco perché l’idea di un assalto gli appariva così folle.
Jude s’era rivestito in tutta fretta, afferrando la spada e lanciandosi fuori dalla sua camera, percorrendo furiosamente i corridoi. Lungo di essi aveva trovato il più totale trambusto: i suoi uomini stavano correndo in ogni direzione, apparentemente in difficoltà, senza nessuna idea su come muoversi.
Impossibile, semplicemente impossibile che un’altra flotta fosse riuscita a metterli così tanto in difficoltà.
Salendo lungo le scale che portavano al ponte, tuttavia, Jude si era reso conto che c’era qualcosa che non andava. Un problema profondo, orribile si annidava in tutta quella situazione: alcuni dei suoi uomini, infatti, avevano almeno i vestiti in parte bruciati. Chi era ridotto peggio riportava ustioni profonde, altri invece avevano ancora qualcosa in fiamme.
Fuoco.
La situazione sul ponte non era migliore: alcune zone erano state incendiate – con frecce infuocate, aveva dedotto in fretta Jude – e molti uomini erano impegnati nel tentativo di domare le fiamme. Considerando gli altri membri dell’equipaggio costretti sottocoperta a causa delle ustioni riportate, a cercare di respingere l’assalto restava un contingente irrisorio.
Dannazione.
«Capitano!» Nel caos generale, Jude aveva udito la voce di David andargli incontro. «La situazione è critica! Continuano a portare avanti i rostri per assaltarci! Di questo passo a breve non saremo più in grado di respingerli…»
«Com’è stata possibile una cosa del genere? Perché nessuno mi ha avvisato?», aveva sbottato Jude. Sapeva di dover mantenere la calma per cercare di risolvere la situazione, tuttavia faticava a nascondere la stizza.
«Perché nessuno si era accorto della nave in avvicinamento.» La voce profonda di Joe aveva subito fatto voltare sia Jude che David. «Si sono accostati di soppiatto, senza luci di segnalazione. All’inizio pensavamo si trattasse di una piccola imbarcazione, solo dopo ci siamo resi conto delle reali dimensioni del vascello…»
Gli occhi di Jude si erano ridotti a due piccole fessure. Faticava a comprendere come degli uomini così esperti fossero caduti in una tale sottovalutazione.
«Danni alla nave?», aveva domandato, gelido.
«Alcune vele sono state bruciate», aveva risposto David. «Ma il danno più ingente è la falla nello scafo. Saranno circa quattro metri, ed è solo questione di tempo prima di iniziare ad imbarcare acqua…»
Jude aveva trattenuto a stento un’imprecazione tra i denti, mentre un verso gutturale gli era salito lungo la gola. Non sarebbe riuscito ad immaginare uno scenario peggiore di quello nemmeno volendolo.
Oltretutto, alcuni membri dell’equipaggio che li aveva assaltati stavano riuscendo a salire sulla loro nave, i rostri che avevano reso le due imbarcazioni ormai incollate. I suoi uomini stavano facendo del loro meglio per respingerli, tuttavia al momento si trovavano in svantaggio numerico e questo giocava decisamente a loro sfavore.
Uno dei pirati prese a correre nella loro direzione, la spada sguainata ben stretta tra le mani. Jude, il primo ad accorgersene, non aveva esitato un momento ad estrarre la propria sciabola dal fodero. Un solo, singolo fendente dopo, la carotide del pirata avversario era stata tranciata di netto, lasciandolo moribondo a terra.
I tre archiviarono in fretta quel maldestro tentativo d’attacco, tornando a concentrarsi su ben altro.
«Come ci muoviamo?», aveva chiesto David.
«Dobbiamo cercare di limitare i danni», era stata la pronta risposta di Jude, mentre prendevano ad avvicinarsi al parapetto. «Blocchiamoli quanti più possiamo. E trovatemi il capitano dell’altra nave, voglio vederlo in faccia.»
«Signorsì!», avevano esclamato in coro Joe e David, scattando in avanti. Si erano subito ritrovati circondati da avversari, e lo stesso destino era toccato anche a Jude. L’avevano accerchiato in tre, ma era evidente che si trattasse di pesci piccoli: si muovevano con goffaggine, tradendo la loro inesperienza. Il primo dei tre si era lanciato nella sua direzione, mirando alla faccia. Pessima mossa, considerando che così stava lasciando scoperta la guardia.
Jude gli aveva rifilato un unico colpo ben piazzato all’inguine, e quello s’era ritrovato a terra, rantolante in una pozza di sangue.
Gli altri due, rendendosi conto che non si trovavano davanti ad un pirata qualsiasi, erano indietreggiati, di colpo dubbiosi all’idea di attaccare. Peccato che Jude non fosse dell’idea di dimostrarsi caritatevole: così ora era lui a farsi avanti, costringendo i due ad arretrare. Il primo aveva cercato di parare i suoi affondi, ma inutilmente: una ferita profonda al costato aveva messo al tappeto anche lui.
Era rimasto un solo uomo a fronteggiarlo. Per un momento erano rimasti ad osservarsi, l’uno con gli occhi fissi in quelli dell’altro, come se stessero aspettando il momento giusto per attaccare. Poi, d’improvviso, erano scattati.
Si erano mossi in contemporanea. Le spade avevano cozzato l’una contro l’altra, tutto sommato il suo avversario lo stava affrontando degnamente, parando e respingendo i suoi colpi, tentando qualche attacco di tanto in tanto.
Jude non faticava affatto. Respingeva ogni affondo senza alcuno sforzo, e continuava a muoversi in avanti, costringendo il suo avversario ad arretrare.
Aveva una strategia precisa in mente. E, con ogni probabilità, il suo avversario se ne sarebbe reso conto quando ormai per lui sarebbe stato troppo tardi.
In effetti era andata esattamente così. Il membro dell’equipaggio nemico, che fino ad allora aveva continuato a fronteggiarlo con un sorriso trionfante dipinto in volto, di colpo era divenuto mortalmente serio: un altro passo indietro, infatti, e sarebbe finito in mare, in pasto agli squali.
Avevano raggiunto infatti un fianco dell’imbarcazione, in un punto dove il parapetto era stato tranciato di netto. Nulla l’avrebbe salvato dalla caduta verso l’oceano, tranne un buon equilibrio e una dose sfacciata di fortuna.
Prima che il suo avversario potesse capire come trovare il primo o essere travolto dalla seconda, tuttavia, Jude aveva lanciato un fendente nella sua direzione, provocandogli una profonda ferita alla gola. Il pirata era sembrato sorpreso, al punto che s’era portato una mano all’altezza della lacerazione, ma Jude non aveva esitato: con la punta della spada aveva premuto appena all’altezza del petto dell’uomo, spingendolo in avanti. A quel punto non c’era stata più via di scampo per lui: era precipitato giù, verso il mare e gli squali.
Il sorrisetto che aveva soggiornato sul volto dell’altro pirata per tutto il tempo sembrava essere ora passato sul viso di Jude. Forse il suo avversario aveva intuito chi fosse e, per una folle frazione di secondo, aveva persino pensato di poterlo sopraffare.
Peccato che, nello scontro corpo a corpo, nessuno fosse mai riuscito a batterlo.
Jude s’era voltato, tornando ad osservare il ponte della nave. Sembrava che, dopo averlo visto arrivare, i suoi uomini avessero preso coraggio e avessero cominciato a contrastare gli avversari con maggiore impeto. Per di più, apparentemente l’equipaggio nemico aveva cominciato a battere in ritirata: ora era circondato quasi prevalentemente dalla sua ciurma, e pochi assalitori rimanevano ancora a combattere.
Era strano, considerando che c’era mancato poco prima che riuscissero a sopraffarli. A meno che…
Un dubbio martellante aveva preso a tormentare la mente di Jude. Prima che potesse darsi una risposta, tuttavia, un altro colpo aveva riempito l’aria.
Se il primo era stato innegabilmente quello di un cannone, quello che aveva aperto la voragine nel loro scafo – e che, assieme alla vicinanza degli scafi provocata dai rostri, aveva comportato per loro l’impossibilità di utilizzare l’artiglieria a loro volta a causa dei danni che avevano riportato –, il secondo era stato un colpo di pistola, sparato verso il cielo. Jude aveva intuito che doveva trattarsi di un segnale, e a giudicare dal modo in cui tutti i nemici avevano preso a correre verso il loro vascello, doveva significare che era il momento di battere in ritirata.
Per quale ragione, tuttavia, ritirarsi, quando si sta per sopraffare l’equipaggio avversario? A Jude venivano in mente due possibilità: la prima era che quello era stato solo un tentativo volto a dimostrare qualcosa – ma cosa, poi? Che esisteva un equipaggio in grado di mettere in difficoltà l’invincibile Royal? O era piuttosto una prova destinata a lui, come se qualcuno volesse accertarsi della sua forza, considerando che avevano deciso di ritirarsi dopo che si era liberato dei suoi avversari? –; la seconda, invece, era decisamente più probabile, nonché quella che lo spaventava maggiormente.
Non era sopraffarli ciò a cui puntavano, quanto piuttosto…
Jude era corso al parapetto, affacciandosi oltre di esso. Lo squarcio profondo che compariva ora sul fianco della sua nave, come temeva, si trovava in un punto ben preciso.
La stiva dei tesori.
Un grosso baule era stato sottratto dalle loro proprietà. Jude lo aveva riconosciuto senza troppi sforzi: era un forziere dalle dimensioni discrete, verniciato di blu. Il capitano della Royal si era sentito pervadere da una rabbia cieca. Com’era possibile che fossero andati a colpo sicuro, che sapessero che quella cassa si trovasse proprio lì…?
Jude aveva spostato lo sguardo sulla nave nemica, le vele che si muovevano con veemenza. E lì, tra gli altri corsari, intravide quello che intuì essere il loro capitano: un vistoso cappello nero gli cadeva sul capo, mentre i capelli color dell’oro erano legati in una coda bassa.
La furia che s’era impossessata di Jude fu quasi sul punto di spingerlo in avanti. Ma cosa avrebbe potuto fare, in fin dei conti? Il vascello era danneggiato e buona parte dell’equipaggio gravemente ferita. Da solo sarebbe stato in grado di fronteggiare tre, quattro, forse cinque uomini, non di certo le diverse dozzine che lo attendevano dalla parte opposta.
Era un capitano, in fin dei conti e, per quanto certe volte fosse difficile sostenere il peso della sua responsabilità, che così presto s’era sobbarcato, doveva pensare anzitutto al bene del suo equipaggio. Contrattaccare equivaleva a un suicidio di massa, lo sapeva bene.
Era rimasto quindi ad osservare il vascello che li aveva attaccati sparire nella notte, avvolto dalla nebbia che saliva dal mare, l’ultima cosa che i suoi occhi erano riusciti a intravedere era la polena della nave, un uomo dalla folta barba e con una corona posata sul capo.




▬ notes

E... sorpresa! No, okay, non più di tanto visto che avevo mezzo spoilerato la cosa nelle note di diwk, considerando però che nessuno legge quella storia immagino si tratti di una sorpresa ahah.
Aehm. Non so bene da dove partire.
Circa un anno fa ho cominciato a plottare la trama per una pirate!au, senza tuttavia cominciare mai a scriverla, perché mi ripetevo che non ero nel mood adatto e tutte le solite paranoie che sapete mi faccio quando si tratta di scrivere storie. Visto che ormai quest'anno mi sono decisa a cercare di abbattere questi muri che mi costruisco da sola, nel giro di una settimana ho iniziato e finito questa long, che tra l'altro si è rivelata più complessa di quanto avessi inizialmente immaginato. Ho dei problemi, lo so.
Lo "sprone" che mi ha aiutata a mettermi sotto con la scrittura è stato il contest In Another Life, In Another World di fantaysytrash sul forum di efp (andate a darci un'occhiata, è stupendo e la giudice è super competente!), a cui la storia avrebbe dovuto originariamente partecipare. Sfortunatamente, però, visto che mamma m'ha fatta logorroica ho sforato di 10.000 parole il limite massimo di parole consentite, per cui per me niente contest, rip. In compenso, ormai la storia l'ho finita, per cui ve la beccate.
E cosa c'è di più rinfrescante in estate di una bella storia sui pirati? Forse un gelato o un bagno al mare, non lo so, fatto sta che non posso permettermi nessuno dei due, per cui pirati, pirati a stecca, pirati come se non ci fosse un domani. Così quest'anno, oltre a diwk, vi beccate anche anche questa storia, per un totale di altri cinque aggiornamenti una volta ogni cinque giorni fino al 30 agosto. Di là abbiamo il sette, qui il cinque. Alcuni capitoli saranno lunghetti proprio perché volevo portare avanti questo gioco scemo del cinque, e di questo mi scuso fin da ora, però mi rassicura il fatto che alla fine nessuno leggerà questa storia, per cui uh-uh, chi mai dovrebbe accorgersene o esserne infastidito?
Spero che questa storia di pirati vi piaccia, vi tenga compagnia e soprattutto sappia rinfrescarvi in queste giornate torride. Per ora è tutto, ci rivediamo presto con un nuovo aggiornamento e... buon viaggio, ciurma!

Aria

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Capitolo 2
*** Fear ***


pirates

All’alba fu tempo di contare i danni.
Jude era poggiato con la schiena all’albero di trinchetto, il jolly roger che sventolava sopra di lui. Teneva il braccio sinistro stretto al corpo, indolenzito dopo gli scontri della notte precedente. Aveva riportato solo poche ferite superficiali, ma nonostante ci avesse gettato sopra dell’alcool continuavano a bruciare come infuocate.
Già, il fuoco. A Jude sembrava ancora di vederlo danzare davanti ai suoi occhi, nonostante le fiamme fossero state ormai domate ed estinte.
Joe e David si stavano lentamente avvicinando a lui. Jude li intravide in lontananza, mentre la brezza fresca gli faceva sbattere la casacca blu contro il torace. Avevano la testa china, e Jude sapeva che si sentivano in colpa per quanto era accaduto la notte precedente.
Quando lo raggiunsero, il primo a prendere parola fu David.
«Capitano», aveva cominciato «sono rammaricato per gli ultimi eventi. Continuo a sentirmi così in colpa per quanto è successo, non riesco a comprendere come sia potuta sfuggirmi una cosa del genere…»
Jude aveva sospirato lentamente. La verità era che il primo a sentirsi in colpa era proprio lui. Lui era il capitano, lui doveva garantire la sicurezza del suo equipaggio. E non l’aveva fatto.
Dov’era lui, quando la nave era stata attaccata? Sotto coperta, nelle sue stanze. Così s’impegnava a tutelare gli uomini che avevano deciso di seguirlo?
«No, David.» Jude s’era passato distrattamente una mano tra i capelli. «Avrei dovuto essere con voi fin dal primo momento, e non è stato così.»
«Beh», s’era intromesso Joe. «Immagino che adesso dovremo cercare il porto più vicino in cui attraccare. Ho consultato alcune mappe di navigazione, e da quello che mi è parso di capire Black Dust‒»
Jude s’era discostato con foga dall’albero di trinchetto, incamminandosi in avanti.
«Non se ne parla. È fuor di discussione.»
David era sobbalzato sul posto. «M-Ma… Jude…», aveva provato ad obiettare.
«Dovendo cercare un’altra isola, la più vicina si troverebbe quantomeno a una settimana di navigazione da qui», aveva protestato Joe, in maniera più risoluta. «Continuando ad imbarcare acqua a questa velocità, non ci arriveremo nemmeno…»
Jude si era voltato di scatto nella loro direzione, la sciabola che era appesa alla cintura di seta che teneva annodata in vita aveva ondeggiato violentemente.
«Davvero state fingendo di non sapere cosa significherebbe questo?», li aveva incalzati Jude. «Equivarrebbe a tornare con la coda tra le gambe. Sarebbe la dimostrazione della nostra incapacità di stare in mare aperto, di fronteggiare un nemico. Volete ammettere così platealmente di essere stati sconfitti
Furia. Jude la percepiva così nitidamente nella propria voce. Da quando l’aveva sentita montare in petto la notte precedente, probabilmente non aveva mai abbandonato il suo corpo.
Quella sarebbe stata un’ammissione di colpevolezza. E no, Jude non era pronto a mettere da parte il proprio orgoglio.
«Ascolta, Jude.» Joe s’era avvicinato a lui, abbassando di un poco il tono della voce. «Tornare a Black Dust è una sconfitta per tutti, ma quali altre possibilità abbiamo? Morire nel bel mezzo dell’oceano? Non credo che sia un’alternativa meno umiliante. In ogni caso abbiamo già informato il timoniere della nuova destinazione, per cui ci dirigeremo lì con o senza il tuo benestare.»
Jude lo aveva fissato, stizzito. Cos’era quello, una sorta di ammutinamento?
Era vero, stava pestando i piedi come un bambino viziato, ma la verità era che tornare a Black Dust significava riaprire una ferita del suo passato.
Una ferita che non era mai riuscito a sanare.
«Perfetto», aveva sibilato. «Allora fate pure come volete, tanto mi sembra che sia stato già tutto deciso.»
David aveva fatto per aggiungere qualcosa, Jude tuttavia non gliene aveva dato la possibilità, voltandosi di scatto e sparendo poco dopo sottocoperta.


Jude aveva lanciato via con furia le pergamene srotolate sulla sua scrivania.
Follia. Quella era, senza ombra di dubbio, un’enorme follia.
Non era sempre stato il capitano della Royal. Prima di salpare con un equipaggio tutto suo, era stato il vice della Black Dust.
La Black Dust era stata ciò che ora era la Royal, ma in maniera decisamente maggiore. Non esisteva uomo che avesse solcato il mare che non ne conoscesse il nome, e che non nutrisse un terrore cieco al solo sentirlo nominare.
Lui, David e Joe erano stati parte di quell’equipaggio che si era fatto la fama del più temibile dei sette mari, lasciandosi alle spalle solo una scia di morte e distruzione.
A dir la verità, la quasi totalità dell’equipaggio della Royal aveva fatto parte della Black Dust, e questo ne spiegava lo strapotere fisico.
Venne un momento, tuttavia, in cui il capitano della Black Dust aveva deciso di fermarsi. La nave che nessuno aveva mai avuto il coraggio di attaccare aveva accumulare così tante ricchezze nel corso dei suoi innumerevoli anni di navigazione da permettersi di colonizzare un’intera isola, che prevedibilmente aveva preso il nome del veliero stesso.
All’inizio l’idea era stata esaltante, tanto più che Jude s’era ritrovato circondato da privilegi, vista la sua importanza all’interno della flotta. Quei profumi inebrianti, però, avevano finito ben presto per soffocarlo.
Gli mancava il mare aperto. Le rive dell’isola erano costantemente lambite dall’oceano, ma ciò non bastava a sostituire l’adrenalina dell’avventura o la salsedine tra i capelli – l’odore della libertà, per Jude.
Sapeva, tuttavia, di non star raccontandosi tutta la verità.
C’era un altro motivo, infatti, che lo aveva spinto ad allontanarsi da Black Dust.
Jude si era lasciato cadere a terra, seduto tra le carte di navigazione ormai irrimediabilmente sparse sulle travi lignee del pavimento. Ricordi che credeva ormai dimenticati presero a fluire nella sua mente, come veleno che colava da una fiala: memorie di lingue intrecciate, di mani che percorrevano avidamente il suo corpo e di notti di passione, che credeva di aver ormai abbandonato nelle notti d’estate di diversi anni prima.
Tornare a Black Dust, tuttavia, significava lasciarle riemergere dal dimenticatoio in cui così a lungo le aveva gettate, e Jude non era certo di essere pronto per questo.
Lo sguardo di Jude si era posato sull’ampia vetrata che riempiva di luce la sua stanza. Sotto di lui, le onde continuavano a scontrarsi furiosamente contro la chiglia.





▬ notes

Fa troppo caldo per editare, sigh. Così finisco sempre per ridurmi all'ultimo e mi stresso il doppio. Una condotta lungimirante, oserei definirla.
Comunque! Oggi ho poche cose da dire, quindi cercherò di metterle in ordine per andare più in fretta.
Anzitutto: ho inserito un banner ad inizio capitolo ora provo anche a metterlo nel prologo, pregate per me. Non è come sarebbe dovuto venire nella mia testa, perché volevo aggiungere anche una fanart di Kidou ma non ho trovato una che soddisfacesse tutte le mie necessità (pg voltato di lato, no occhialini, camicia bianca indosso etc) e l'unica che più o meno ci si avvicinava era di un* fanartist che vieta il repost. Un tempo non ci avrei dato peso, ma twitter mi ha cambiata e ora sono una persona nuova, per cui nada, ci teniamo un banner più semplice (sulla linea di quelli per dn e diwk) e amen.
Poi, il capitolo: più rileggo queste parti iniziali mentre le edito e più mi rendo conto di quanto sembrino "rushate". Un po' è perché all'inizio volevo tenermi sintetica per rientrare nei limiti del contest, un po' è anche per via della mia paura di bloccarmi di nuovo per... giorni? Mesi? Anni?, su una long, per cui ho cercato il più possibile di sbrigarmi, perché avevo fretta di finirla, ecco perché poi l'ho conclusa in una settimana. Modificarla adesso non mi sarebbe in grado, perché ho sempre paura di rovinare quello che ho già scritto oltre al fatto che non saprei esattamente cosa aggiungere, per cui mi sa che anche questo ce lo teniamo così, lol. Tra l'altro questo è quasi un capitolo di passaggio (andiamo bene, cominciamo già con i capitoli di passaggio al secondo aggiornamento)... ma i prossimi tre saranno letteralmente pieni di cose, per cui dai, forse sono perdonata ahah.
Infine volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto il prologo, e in particolare chi ci ha tenuto a esprimermi il proprio apprezzamento. Non me l'aspettavo, sinceramente, per cui grazie, non immaginate nemmeno lontanamente quanto io ve ne sia grata <3
Bien, per oggi ho detto tutto, ci vediamo presto, ossia tra cinque giorni, per il prossimo aggiornamento. Io, intanto, finalmente domani me ne vado AMMARE, yaaay **
See ya,
Aria

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Capitolo 3
*** Landing ***


pirates

Avevano visto terra a prua dopo circa tre giorni di navigazione.
Forse la Royal sarebbe potuta filare ancor più rapidamente tra le onde, avendo vento in poppa, ma i danni allo scafo avevano comportato una maggiore prudenza e, pertanto, Jude aveva chiesto al timoniere di procedere con maggiore cautela.
Da un lato aveva sperato che questo potesse dargli più tempo per prepararsi a ciò che lo avrebbe atteso una volta arrivato, dall’altro tuttavia non aveva fatto altro che prolungare l’agonia.
David si era affacciato oltre il parapetto che circondava la prua, quasi a sfiorare la polena – una figura femminile dalle forme sinuose, Anfitrite, moglie di Poseidone, il dio del mare; da questa valenza regale nasceva il nome Royal –, osservando con espressione estatica le sabbie nere della spiaggia di Black Dust, che li attendevano ormai a pochi minuti di distanza. La schiuma biancastra del mare schizzava sul suo volto e sui vestiti, ma il ragazzo non sembrava curarsene più di tanto.
A volte Jude pensava che David fosse quello che aveva maggiormente sofferto la partenza da Black Dust. Lui, in fin dei conti, sull’isola aveva trovato tutto ciò che cercava: circondato dalle persone che amava – e da Joe – gli era sembrato che non gli mancasse niente. E allora perché era ripartito assieme a Jude? Semplice: per via dell’amicizia che li legava.
Quando a Jude era toccato scegliere il suo equipaggio, era stato chiaro: nessuno doveva sentirsi obbligato a partire. Lui aveva indicato coloro che, a suo giudizio, rappresentavano gli uomini più esperti e fedeli, quelli con cui aveva avuto modo di legare di più durante gli anni di viaggio con la Black Dust. Secondo lui, un buon equipaggio doveva essere composto da persone a cui avresti affidato la tua vita ciecamente, senza esitazione.
David aveva accettato di essere il suo vicecapitano senza battere ciglio, così come Joe, una volta saputo che David aveva deciso di far parte dell’equipaggio, si era unito a loro in un baleno. E Jude non era sorpreso che, nonostante tutto, quei due si fossero rivelati i suoi compagni più fedeli.
Jude sapeva di avere, in quel momento, gli occhi di Joe puntati addosso. Lui sapeva, tutti sapevano cosa simboleggiasse Black Dust per lui. Poteva continuare a negare fino alla morte, ma le voci avrebbero continuato a rincorrersi, di porto in porto.
La Royal aveva toccato la sponda dell’isola, e subito i suoi uomini avevano gettato l’ancora. In molti si erano affrettati a scendere dal vascello, stiracchiandosi visibilmente e toccando quasi con incredulità quella terra che tanto a lungo era mancata da sotto ai loro piedi. C’era una generale sensazione di gioia che serpeggiava tra i vari membri dell’equipaggio, e non era difficile intuirne il motivo.
A lungo andare, fermarsi in un porto può diventare una necessità. Jude aveva sempre faticato a sentirla, perché per lui ciò che contava veramente era viaggiare, esplorare, scoprire – e soprattutto tenere lontani i ricordi della terraferma –, tuttavia capiva chi si sentisse gratificato dal fermarsi, dal cambiare visuale per una volta e non essere circondati unicamente dal mare.
Forse un tempo era stato così anche per lui, solo che ormai faticava a ricordarlo – o forse preferiva non farlo.
Degli uomini erano accorsi dalle strade dell’isola, ricolme di abitazioni. Jude aveva immaginato che volessero aiutarli nell’approdo, tuttavia s’era dovuto ricredere in fretta quando si era ritrovato la punta di una sciabola premuta contro la gola.
«Chi siete voi?», gli aveva domandato rudemente un giovane, un ciuffo di capelli castani che gli pendeva sopra il capo.
Jude lo aveva fissato, non senza tradire la propria irritazione. Quella era anche casa sua, in fin dei conti.
L’equipaggio della Royal aveva preso a mormorare pericolosamente fra di loro, e Jude non dubitava che alcuni di loro fossero già pronti a mettere mano alle spade. Lui stesso aveva avvicinato il proprio palmo al fodero, pronto a contrattaccare all’istante, se ce ne fosse stato il bisogno. Era certo che non ci avrebbe messo più di qualche secondo a liberarsi di quel tipo.
Non ce ne fu bisogno.
«Ti sembra questo il modo di accogliere degli ospiti, Caleb?»
Il capo di tutti i presenti si era voltato verso il punto da cui era provenuta quella voce.
Era stato allora che Jude l’aveva visto.
Erano passati anni dall’ultima volta in cui si erano incontrati, tuttavia non gli sembrava essere cambiato di una virgola.
Il clima mite e soleggiato dell’isola rendeva la sua pelle ancor più bronzea, mentre vestiti scuri di seta pregiata fasciavano con eleganza il suo corpo. La vecchia spada affilata risiedeva ancora al solito posto, un fodero in cuoio che pendeva dal fianco sinistro.
Incontrandolo, gli occhi di Jude cedettero di aver avuto una visione.
«Comandante‒» Il ragazzo che l’aveva attaccato – Caleb, per quel che Jude aveva intuito – si era voltato con reverenza verso l’uomo che li aveva raggiunti. «Questi uomini sono approdati all’improvviso. Non eravamo stati avvisati di arrivi imminenti, per questo ho pensato che si trattasse di invasori‒»
«Hai pensato male», aveva tagliato corto l’altro uomo. Ora non aveva tempo di curarsi di quelle sciocchezze.
Jude sentiva due occhi piccoli e neri fissi sul suo corpo, ed era consapevole di essere a sua volta incapace di smettere di fissarlo.
«Jude…»
Il capitano della Black Dust si era ritrovato a sobbalzare sul posto. Era sempre così strano, il modo in cui riusciva a far rotolare ogni lettera del suo nome tra la lingua e il palato, come se ne stesse degustando ogni curva, ogni sapore, al pari di un vino pregiato.
«Ray», aveva replicato lui, seccamente.
Sia l’equipaggio della Royal sia gli uomini di Black Dust avevano preso a mormorare nuovamente tra loro. Da sempre, Jude era stato l’unico a cui fosse concesso chiamarlo per nome, e non era difficile immaginarne il motivo.
«È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti…» gli aveva fatto notare Ray, e Jude non avrebbe saputo dire se quello fosse un rimprovero. «Ti chiedo di perdonare questa spiacevole accoglienza. Non attendevamo visite.»
«Beh, è stata una situazione un po’ improvvisa anche per noi.» Jude si era stretto nelle spalle.
«Ad ogni modo» Ray gli aveva sorriso calorosamente, «qual buon vento vi porta da queste parti?»
«Lo squarcio nello scafo, credo.»
Ray lo aveva fissato, confuso. Si era poi avviato lungo l’arena, seguito a pochi passi di distanza da Jude.
Il volto dell’uomo era apparso contratto come mai dall’inizio della loro conversazione non appena si era ritrovato davanti al danno subito dal vascello. Quella, per Jude, era stata la conferma che si trattava di un problema serio.
«Siamo stati attaccati», si era affrettato a chiarire.
«Attaccati?», aveva ripetuto Ray, incredulo. «Da chi?»
«Non ne ho idea», aveva ammesso Jude, con aria affranta.
Ray gli aveva rivolto un sorriso, cercando di consolarlo. Poco dopo, aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita.
«Avremo tempo per parlarne, ragazzo mio», gli aveva assicurato. Mentre parlava, si era voltato, trascinando con gentilezza con sé anche Jude, per poi iniziare ad indirizzare entrambi verso il cuore dell’isola. «Ora vieni con me. Penseremo noi alla nave e a procurarvi tutto ciò di cui possiate aver bisogno, non temere.»


Black Dust aveva una struttura piramidale. In basso c’erano le abitazioni più umili, di chi nel corso degli anni s’era arricchito meno e, man mano che si saliva, si trovavano ambienti sempre più sfarzosi, le residenze dei pirati che avevano accumulato grandi ricchezze.
Tutte le case, però, erano sormontate da un palazzo imponente.
Ed era lì che si trovavano ora.
Erano passati mesi dall’ultima volta in cui gli occhi dell’equipaggio della Royal si erano posati su un pasto così ricco. Lunghe tavole imbandite erano state disposte per loro, e pietanze d’ogni tipo continuavano a circolare da un capo all’altro del grande salone in cui li stavano ospitando.
Gli occhi di David scintillavano davanti all’arrosto che era stato appena poggiato accanto a lui, e lo stesso entusiasmo sembrava aver contagiato anche Joe.
Mentre osservava i loro volti felici, un sorriso triste aveva fatto capolino sul volto di Jude.
Spesso pensava che non sarebbe mai stato in grado di offrire un pasto luculliano come quello ai suoi compagni. La cosa lo metteva a disagio, forse non era un capitano poi così capace come credeva di essere, per loro…
Ray aveva insistito che si accomodasse accanto a lui. Per loro era stato riservato un tavolo unico, posto sopra una pedana, che offriva una buona visuale su entrambi gli equipaggi, impegnati a nutrirsi in abbondanza.
Jude, al contrario, non aveva toccato cibo.
Aveva la mente ingombra di pensieri, che gli impedivano di godersi quella cena come avrebbe voluto. Teneva tra le dita un calice di vino, lasciandosi inebriare dal profumo della bevanda e sperando che, almeno questa, riuscisse per un poco ad ottenebrargli la mente.
Sfortunatamente, però, non stava funzionando.
La vicinanza a Ray lo mandava in confusione. Continuava a pensare a quei ricordi, che lo tormentavano da prima ancora di approdare, senza lasciargli scampo.
Jude aveva sospirato pesantemente, posando il calice sulla tavola. Non poteva continuare a crogiolarsi così, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
Si era alzato dalla tavola, senza dire una parola. Era uscito dalla stanza, lasciandosi alle spalle il vociare allegro e confuso degli altri pirati.


L’aria fresca del balcone sembrò rigenerargli istantaneamente le membra.
Jude aveva chiuso gli occhi, sospirando di piacere nel sentire il vento notturno carezzargli la pelle. In lontananza gli sembrava di sentire il profumo di fiori deliziosi.
Non era mai stato facile, con Ray. Jude ricordava ancora quando lo aveva conosciuto, anni prima. Allora non era che un bambino che si divertiva a correre per le strade della sua isola, eppure già a quel tempo Ray aveva intravisto in lui del potenziale.
Gli isolani parlavano. Quando la Black Dust si fermava nel porto dell’isola era sempre un evento. Gli abitanti si erano sempre dimostrati ospitali, temendo altrimenti terribili ripercussioni, e per questo spesso il vascello si fermava lì per rifornirsi di viveri. Ogni volta che succedeva, diventava l’evento più importante della giornata: la notizia volava di bocca in bocca, e presto non v’era abitante che non fosse al corrente dell’arrivo della nave.
Jude era sempre stato affascinato da quegli uomini. Ricordava di come si nascondesse dietro al muro di qualche vecchia casa, giù al porto, e li osservasse a lungo, studiando ogni loro mossa.
Un giorno, però, Ray si era accorto di lui.
Lo aveva sorpreso alle spalle, prima che se ne potesse accorgere. Quando aveva sentito la sua voce, non aveva potuto fare a meno di trasalire.
«Trovi che la mia flotta sia così interessante?», si era sentito chiedere di colpo.
Jude s’era girato, esitante, immaginando di trovarsi di fronte quel capitano così minaccioso che aveva intravisto nei giorni precedenti.
Invece no. Lo sguardo che si era puntato su di lui sembrava essere divertito.
«Se vuoi diventare un pirata, prima dovresti imparare ad usare una spada», aveva commentato l’uomo, impassibile.
Pochi giorni dopo, si era ripresentato da lui con un manichino e una spada di legno. Jude aveva fatto pratica per anni, ed era certo che, se adesso era uno dei migliori spadaccini dei sette mari, lo doveva in gran parte a quegli anni di allenamento.
Quello era un ricordo che Jude richiamava sempre alla mente con un sorriso sulle labbra.
Quando era stato grande abbastanza, era salpato assieme alla Black Dust. Durante le innumerevoli scorribande del veliero aveva avuto modo di perfezionare sempre di più la sua abilità con la spada.
Se ripensava agli anni come vice, tuttavia, qualcosa in lui cominciava a vacillare.
Era sempre stato chiaro a tutti che Dark nutrisse per lui una particolare simpatia. Ray Dark era il pirata più temibile della storia, ed era così paradossale immaginarlo a crescere un ragazzino.
Jude sapeva che l’aveva fatto perché in tutta la sua vita non aveva mai trovato qualcuno che reputasse alla sua altezza. Eppure, col tempo, aveva scoperto che dietro a quelle attenzioni si celava anche dell’altro.
«La cena non era di tuo gradimento?»
Come nel loro primo incontro, Jude s’era ritrovato a sussultare. E, come allora, l’aveva nuovamente raggiunto alle spalle, di soppiatto.
Ray aveva la schiena premuta contro lo stipite di una grande finestra e le braccia incrociate al petto, mentre gli occhi non volevano saperne di staccarsi dalla figura del ragazzo.
Jude s’era voltato piano, cercando di riprendere fiato con circospezione, senza farsi notare. Doveva aspettarsi che sarebbe andato a cercarlo e forse, in fondo, non l’aveva mai del tutto escluso.
«No», aveva risposto, seccamente. «Lo sai che non è per quello che mi sono allontanato.»
Ray aveva sogghignato nella penombra, come se Jude fosse appena caduto in una delle sue invisibili trappole.
Per l’ennesima volta.
«E allora per cosa?», gli aveva domandato, cominciato ad avvicinarsi piano. «Perché a volte ho come l’impressione di non riuscire più a comprenderti, Jude. Credevo che ti trovassi bene qui, e invece mi hai chiesto di partire. Io te l’ho lasciato fare, perché altrimenti mi sarebbe sembrato di tarparti le ali, e adesso sei di nuovo qui.»
«Oh, andiamo, se non fosse stato per lo scafo…»
«Vuoi forse farmi credere che se non vi avessero attaccati non saresti tornato qui?» Ray si era fermato a pochi passi da lui. «Che non ti mancasse questo posto?»
Jude aveva sbuffato, trattenendo una risata nervosa tra i denti. «Vuoi dirmi che mi avresti visto bene a vivere qui tutti assieme, come una famiglia felice?»
Ray lo aveva ignorato. «Che non ti mancassi, Jude?», aveva domandato piano, avvicinandosi al suo collo.
L’aveva detto, finalmente. Jude aveva intuito quale sarebbe stato il punto di quella conversazione prima che cominciasse.
«Scommetto quello che vuoi che avrai provato in tutti i modi a trovare qualsiasi altro posto dove attraccare piuttosto che approdare su quest’isola.»
Colpito.
Ray aveva sogghignato, divertito dal suo silenzio. Sapeva di avere ragione, come sempre, e Jude si era maledetto, perché mai come allora aveva sentito di non essere cresciuto rispetto a quel bambino con la spada di legno.
«Ho ragione io» aveva sussurrato Ray, trionfante. «Chissà perché, poi… siamo sempre stati una bella squadra, io e te… e in questi anni non c’è stato un attimo in cui la tua mancanza non mi abbia tormentato…»
Jude non era riuscito a fare a meno di tremare.
«Per me non è stato così», aveva tentato di mentire.
Troppo facile. Per Ray non esistevano bugie semplici da stanare come quelle di Jude.
«Non ci credo.» Ray aveva leccato la pelle nuda e tremante del collo del ragazzo. «Vuoi che te lo dimostri?»


Gli aveva sfilato la camicia, lasciando che cadesse in un punto imprecisato della stanza, come un cirro leggero che viene mosso dal vento all’orizzonte.
Con una mano aveva operato una leggera pressione sul suo petto, spingendolo a distendersi all’indietro. Un secondo dopo, era di nuovo sopra di lui.
Jude gli aveva preso il volto tra le mani e lo aveva baciato con passione. Aveva perso il conto dell’ultima volta in cui era stato suo, e il fatto che fosse passato così tanto tempo rendeva entrambi ancor più affamati.
Ray gli aveva accarezzato tutto il petto, godendo di ogni sospiro, di ogni fremito. Aveva spinto con maggiore forza il corpo del ragazzo contro il materasso sotto di loro, tremando non appena i gemiti di Jude gli erano giunti alle orecchie.
«N-Non volevo… che andasse a finire così…», aveva obiettato il ragazzo.
Ray aveva roteato gli occhi. Pazientemente aveva calato i calzoni morbidi del giovane, avvicinando senza esitazioni la mano all’inguine già compromesso dall’eccitazione.
«Ti aspetti davvero che ci creda?», gli aveva domandato.
Jude aveva gemuto di nuovo, e Ray ne aveva approfittato per scendere a lasciare nuovi baci sul suo collo, perché voleva continuare a sentire la voce del ragazzo che lo pregava, lo supplicava.
Non vedeva l’ora di renderlo suo ancora una volta.


Non riusciva a dormire.
I raggi del sole dell’alba gli colpivano il volto, ma non era questo a tenerlo sveglio.
La felicità di cui i momenti trascorsi con Ray lo riempivano era effimera. Lo era sempre stata, anche quando avevano continuato a viaggiare nello stesso equipaggio.
Chiunque sulla Black Dust era a conoscenza della loro relazione, per quanto non ne avessero mai fatto mostra alla luce del sole. Tutti, però, avevano sentito Jude gemere, nelle stanze di Ray, ogni singola notte di navigazione. Non era difficile immaginare cosa succedesse tra le lenzuola di quel letto, considerando anche la complicità che da sempre correva tra quei due.
S’erano dati il primo bacio quasi per sbaglio. Jude era appena tornato da un assalto, entusiasta per il risultato positivo conseguito, ed era corso tra le braccia di Ray, premendo le labbra contro le sue senza pensarci.
Quando se n’era reso conto s’era allontanato in tutta fretta, certo che Ray non avrebbe più voluto saperne nulla di lui.
Il suo capitano, invece, l’aveva guardato con una luce scintillante negli occhi, come se gli fosse appena capitata la cosa più bella della sua vita.
Solo in seguito gli aveva rivelato che da anni ormai aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi, e a nutrire per lui una passione sempre maggiore.
Da quel momento in poi erano stati risucchiati in una spirale torbida di passione, che li aveva trascinati sempre di più verso il fondo.
Era per questo che non riuscivano a starsi lontani. Era per questo che, ogni volta che s’incontravano, finivano per essere ancora una volta l’uno dell’altro.
Jude aveva sospirato piano. Non aveva mai voluto stringere con qualcuno un legame sentimentale così forte, perché fin dall’inizio aveva immaginato che sarebbe stato un deterrente che, in una situazione di pericolo, non gli avrebbe lasciato la lucidità necessaria per reagire.
Eppure appartenergli era così bello… come se solo in quel momento si sentisse davvero completo, come se l’oceano finalmente lo colmasse.
Jude era scivolato di lato, alzandosi in piedi e cominciando a recuperare i propri indumenti.
Doveva ritrovare la nave che li aveva attaccati. Dovevano pagare per quello che avevano fatto.
«Scappi via come un ladro?», aveva mormorato la voce di Ray, di colpo sveglio.
Jude s’era immobilizzato sul posto, mordendosi un labbro.
Il ragazzo aveva mosso il capo di lato, perché sapeva che non sarebbe riuscito a sostenere lo sguardo di Ray.
Perché scappava? Era una risposta complessa, la sua.
Iniziava a temere di avere paura della felicità, perlomeno se quest’ultima comprendeva anche Ray. Finché si limitava a viaggiare in mare aperto sentiva quasi di essere felice, ma la verità era che la Royal era un pretesto per non pensare alle questioni in sospeso che aveva lasciato.
E, guarda caso, queste ultime si trovavano tutte a Black Dust.
Accanto a Ray si sentiva finalmente vivo, poteva essere davvero se stesso. Ma quanto poteva durare? Si sarebbe stancato di nuovo della staticità della vita sull’isola, presto o tardi, e sarebbe stato di nuovo costretto a partire?
Era per questo che voleva andarsene. Prima o poi sarebbe dovuto succedere, per questo voleva di nuovo tagliare i ponti in fretta, perché più fosse rimasto più avrebbe fatto male.
Ray aveva ragione: stava scappando. E quella consapevolezza, forse, era perfino più dolorosa di tutta la loro situazione.
Jude si era ritrovato a fissare il panorama che la finestra della camera di Ray offriva: una vista ampia su Black Dust, la città che si preparava ad accogliere un nuovo giorno in un brulichio di vita, che serpeggiava tra i viottoli dell’isola.
Sarebbe stato bello se quello fosse stato anche il suo mondo.
«Devo trovare la nave che ci ha attaccati», aveva ammesso. «Non possono passarla liscia.»
«Uhm, a tal proposito…» Ray si era tirato meglio a sedere tra le coperte e, suo malgrado, Jude si era ritrovato a voltarsi a fissarlo. «Credo di sapere il nome del vascello che vi ha attaccati.»
Jude aveva inarcato un sopracciglio. «Che vuoi dire?», aveva domandato, confuso.
«La polena», era stata la replica di Ray. «Quando mi hai parlato di quello che eri riuscito a vedere del vascello prima che scomparisse, ieri, mi è tornata alla mente una cosa. Qualche mese fa si è fermata a Black Dust una ciurma di formazione piuttosto recente. Sono rimasti per qualche giorno per rifornirsi di provviste, e ricordo che la loro imbarcazione aveva come polena la figura di un uomo anziano, con una folta barba e una corona posata sul capo.»
Jude aveva incrociato le braccia al petto.
«All’inizio avevo pensato che si trattasse di Poseidone, per via della corona – sai, no, il re del mare…», aveva continuato Ray. «Ma mi ero sbagliato. Si trattava di un altro re, quello del cielo. Ne ho avuto la conferma quando ho saputo il nome del vascello: la Zeus.»
Eccola, l’informazione che cercava. Jude era riuscito a trattenersi a stento dal saltellare sul posto: finalmente aveva scoperto il nome della nave che li aveva attaccati.
«Non è tutto», aveva ripreso Ray. «Da quello che mi è parso di capire, il capitano, Byron, era intenzionato a dirigersi verso le Azzorre dopo la sosta qui a Black Dust…»
Gli occhi di Jude erano stati attraversati da una scintilla di eccitazione. Sì, finalmente sapeva quale direzione avrebbero dovuto prendere.
«Non c’è tempo da perdere, allora.» Jude aveva cominciato ad avviarsi in fretta verso la porta della stanza. «Devo subito avvisare la ciurma del nuovo piano di navigazione…»
«Jude, aspetta…» Ray si era alzato repentinamente dal letto, scattando verso il ragazzo e circondando piano il suo polso con le dita.
Jude si era voltato nella sua direzione, un’espressione interrogativa dipinta sul volto.
«Lasciami venire con te», aveva proposto Ray. «Siamo ancora un’ottima squadra, io e te, possiamo fare grandi cose insieme…»
Jude aveva scosso il capo lentamente. «Non se ne parla», aveva replicato. «Se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai.»
«Beh, lo stesso vale anche per me!», aveva insistito Ray. «E poi lo vedi che non riusciamo a restarci distanti? Se ti seguissi saremmo sempre a contatto, niente più sacrifici per entrambi…»
La voce di Ray adesso era più bassa, suadente. Jude sapeva che stava cercando ancora una volta di soggiogarlo, ma al tempo stesso non riusciva a dargli torto. Se la staticità dell’isola lo tormentava, l’idea di provare sia la libertà che viaggiare in mare gli faceva provare sia il brivido e l’eccitazione di poter avere ancora una volta Ray al proprio fianco era impagabile.
Sarebbe stata la soluzione perfetta, lo sapevano entrambi. Eppure Jude tremava al pensiero di lasciarsi persuadere. Troppe volte aveva accarezzato quella felicità, salvo poi dovervi rinunciare.
«E Black Dust?», aveva domandato.
Ray gli aveva sorriso. Si era avvicinato lentamente, circondando il corpo del ragazzo con le braccia. Jude ci si era abbandonato contro, come per una vecchia abitudine, e Ray gli aveva accarezzato i capelli.
«Ho uomini fedeli che non esiterebbero un istante prima di accettare l’incarico di occuparsi di quest’isola», gli aveva confidato. «Ti prego, Jude, lasciati convincere… nulla per me vale tanto quanto te…»
Il ragazzo aveva sospirato. Aveva paura, paura che quella felicità meravigliosa potesse frantumarsi tra le sue mani da un momento all’altro, prima ancora che potesse rendersi conto che s’era incrinata.
Era però altrettanto ottenebrato dal desiderio di viverla, la felicità. La bramava più di ogni altra cosa al mondo, più di migliaia di forzieri pieni di preziosi, più della gloria. Avere Ray ancora una volta al suo fianco, navigare assieme attraverso acque cristalline… era una prospettiva troppo allettante per potervi dire no.
Jude aveva alzato lo sguardo e si era ritrovato con gli occhi di Ray nei suoi. L’uomo gli aveva sorriso, e le sue labbra si erano piegate come specchiandosi in quell’espressione.
«E va bene», aveva acconsentito.




▬ notes

Allora, anzitutto: buon ferragosto a tutti!
Sì, lo so, è abbastanza folle pubblicare oggi e forse sono l'unica a farlo, ma ci sono pur sempre le mie stupide scalette da rispettare, per cui eccomi qui, a lavorare anche quando gli altri non lo fanno, lol.
Passando alla cosa che invece personalmente mi "preme" del capitolo: sì, ho messo la mia otp anche qui. Mi dispiace, sono una brutta personcina, lo so
– ma guardate il lato positivo, almeno qui Jude ha circa vent'anni !!!
Non so esattamente cosa dovrei dire. Forse inizialmente la storia doveva fermarsi qui, perché il prompt che avevo messo su twitter [ qui ] in realtà si fermava a Jude che ripensava a ciò che aveva lasciato a Black Dust, cioè quello che più o meno ho spiegato in quest'ultimo capitolo. Poi okay, come mi pare di aver accennato in passato nel corso dell'ultimo anno l'idea ha preso forma nella mia testa con maggiore chiarezza, si sono aggiunte altre scene e quella che doveva essere una os si è tramutata ben presto in una long, ma okay, dettagli.
Per esempio, l'aneddoto di Jude bambino con la spada giocattolo in legno inizialmente non l'avevo minimamente immaginato, l'avevo scritto molto alla buona rielabolando le scene che avevo abbozzato su twitter
– potete trovarle sotto al tweet che vi ho linkato prima –, e forse per un po' ho pensato anche di toglierlo, però adesso rileggendo mi ha fatto tenerezza e quindi nulla, è rimasto lì dove sta ahahah. Forse può sembrare un po' strano che Kageyama vada in giro a regalare spade finte a bambini incontrati per strada, ma alla fine è Kags, forse da lui posso aspettarmi questo e altro.
Tornando a Ray switcho a caso tra i nomi originali e quelli dell'adattamento, sì, lo so, gomen in questa storia il suo personaggio sarà fondamentale, e non solo per la relazione con Jude. Per cui sono ancor più contenta che ci sia, yay ma d'altronde da me dovevate aspettarvi questo e altro
Non dovevo dire molto per questo capitolo ma sento di star dilungandomi inutilmente, per cui penso che la chiuderò qui. Spero che la storia vi piaccia ancora, e che deciderete di seguirla lo stesso, nonostante le ship.
A presto,
Aria

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Capitolo 4
*** Challenges ***


pirates

Vedere Ray camminare di nuovo lungo il ponte di una nave gli faceva battere il cuore in un modo così bizzarro.
Si sentiva talmente leggero che temeva che avrebbe potuto prendere il volo da un momento all’altro.
L’uomo si era voltato nella sua direzione, le lunghe code della giacca che indossava che dondolavano con lui, e si era ritrovato a sorridere non appena aveva incontrato l’espressione entusiasta del ragazzo.
«Che c’è? Trovi che abbia ancora dimestichezza nel camminare su queste assi?», gli aveva domandato.
Jude aveva ridacchiato, cominciando ad avviarsi nella sua direzione.
«Secondo me non hai mai perso quest’attitudine», aveva replicato. «Forse certe cose non si dimenticano mai, oppure è sempre stata dentro di te.»
Si erano ritrovati a pochi passi di distanza. Ray gli aveva circondato in fretta la vita con un braccio, attirandolo a sé, e Jude era scoppiato di nuovo a ridere.
Era così bello vederlo felice. Ray non avrebbe mai voluto vedere quel sorriso sparire dal suo volto.
Gli ultimi preparativi prima della partenza stavano per terminare. Quello che li attendeva si prospettava un viaggio lunghissimo, e per questo la stiva di entrambe le navi era stata riempita fino all’orlo.
Già, entrambe. Assieme alla Royal sarebbe salpata anche la Pearl, un veliero di dimensioni assai più modeste, ma che ospitava un discreto numero di pirati, tra cui Caleb, che era stato incaricato da Ray di occuparsi delle questioni di bordo. Se la Zeus era riuscita da sola a mettere in seria difficoltà la Royal, avrebbero avuto necessariamente bisogno di alcuni rinforzi se volevano sopraffarla.
Era un piano di Ray, su cui Jude s’era ritrovato a concordare. Insieme avevano programmato anche la strategia di offesa da attuare contro la Zeus, ma prima di tutto dovevano occuparsi di rintracciare la nave che cercavano.
Per fare questo, sarebbero dovuti salpare a loro volta in direzione delle Azzorre. Lungo la strada pianificavano di tanto in tanto di fermarsi, presso alcuni lidi strategici, per chiedere se qualcuno avesse informazioni sulla rotta seguita dalla Zeus.
Ray aveva inoltre ottenuto il compromesso da parte di Jude di poter viaggiare assieme a lui sulla Royal, e Jude era stato ben lieto di concederglielo. La loro relazione continuava a non essere esplicita, eppure entrambi sapevano che le voci sul loro conto si rincorressero di bocca in bocca, e gesti come quello di poco prima non facevano altro che farle aumentare.
Sfortunatamente, però, ai due non interessava più niente di tutto questo.
Potevano stare di nuovo assieme. Non dovevano più temere di essere separati, di non vedersi per anni.
E questo era tutto ciò che contava, davvero.


La notte lo sciabordio delle onde che s’infrangevano contro lo scafo della nave era il rumore più rilassante che Jude riuscisse ad immaginare.
La presenza di Ray nella sua stanza la rendeva magicamente più luminosa. Le candele scintillavano sulla scrivania traboccante di carte di navigazione, mentre la luna faceva capolino attraverso la grande vetrata.
Le dita di Ray gli accarezzavano le labbra, e Jude, tra le sue braccia, si sentiva così in pace, così libero.
Così felice.
Il ragazzo aveva sospirato stancamente, strofinando il capo contro il petto dell’amante.
«Detesto darti ragione, ma… avevi ragione», aveva ammesso. «Tutto l’oro del mondo non potrebbe mai valere tanto quanto la quiete che provo in questo momento.»
Ray aveva sogghignato. «La verità è che sei troppo orgoglioso per ammetterlo», gli aveva fatto notare.
Jude si era sollevato, solo per poter soffiare sulle labbra dell’altro. «Da qualcuno dovrò pur aver preso», aveva replicato.
Ray lo aveva attirato a sé, baciandolo ancora una volta. Jude non poteva fare a meno di lui, ma quel discorso valeva anche per se stesso e lo sapeva fin troppo bene.
Il ragazzo aveva strofinato la punta del naso contro la sua. Improvvisamente una strana luce era comparsa nei suoi occhi.
«C’è una cosa che non ti ho detto», aveva ammesso.
«Uhm?» Ray gli aveva rivolto un’espressione confusa.
Per tutta risposta, Jude s’era alzato dal letto. Aveva percorso la stanza a piedi nudi, solo un lenzuolo a coprirgli il corpo.
«Poche settimane prima dell’assalto», aveva cominciato «abbiamo fatto scalo in un piccolo porto. Mentre eravamo lì ho sentito alcune informazioni interessanti circa la mappa del tesoro fantasma…»
Ray aveva roteato gli occhi. Quando era il capitano della Black Dust, quella mappa era diventata la sua ossessione, e Jude lo sapeva bene. Per anni aveva letteralmente inseguito una chimera, muovendosi di porto in porto nella speranza di trovare informazioni utili per la sua ricerca.
Ovviamente, nessuna di esse si era rivelata essere utile. All’epoca quella ricerca era divenuta motivo di scontro tra lui e Jude: il ragazzo lo aveva pregato più e più volte di abbandonarla, perché temeva che lo avrebbe condotto alla pazzia. Alla fine, se aveva deciso di abbandonare la pirateria e di fermarsi su un’isola, era stato soprattutto per cercare di dimenticarsi di quella storia.
C’era riuscito, fino a quel momento. Ray non capiva perché fosse stato proprio Jude a tirare di nuovo fuori quel discorso, lui che così a lungo aveva insistito affinché se ne dimenticasse, tuttavia proprio per questo era preoccupato: temeva, infatti, che la sua stessa ossessione avesse finito per contagiare il ragazzo che amava.
Ray aveva sospirato, mentre un lieve sorriso si formava sul suo volto. «Già, un tesoro fantasma, qualcosa che nessuno ha mai visto, l’hai sempre detto anche tu. Qualcosa che non c’è, dunque.»
«E se non fosse così?»
Ray aveva sollevato il capo.
«E se in realtà quel tesoro esistesse?», aveva insistito Jude. «E se in realtà ci fosse un modo per trovarlo?»
«Jude…»
«C’è qualcosa che non va nelle mappe, Ray», aveva esclamato il ragazzo. L’uomo si era alzato pazientemente in piedi, raggiungendo il giovane presso la scrivania a cui si era seduto.
«Beh, questa era una teoria già diffusa parecchi anni fa…», aveva ammesso Ray.
«Non è solo una teoria!», aveva insistito Jude. «Guarda! Queste sono due mappe dello stesso identico posto e, come vedi, la rappresentazione è assai diversa!»
Jude gli aveva porto le mappe, e Ray si era ritrovato ad osservarle attentamente.
Conosceva bene quella zona, ci si era ritrovato a passare davanti decine di volte. E, in effetti, una delle due mappe presentava un’imprecisione: in essa, infatti, non erano rappresentate diverse insenature della costa.
«Cosa può voler dire questo, secondo te?», aveva domandato Ray.
«Probabilmente le mappe in circolazione non riportano la presenza del luogo in cui è nascosto il tesoro», era stata la risposta. «Dev’esserci un’unica mappa giusta, che indichi quale sia la strada giusta da percorrere. Il problema è che non ho la più pallida idea di dove sia.»
Ray aveva carezzato con apprensione il capo di Jude. Il suo sguardo si era perso all’esterno, oltre la vetrata, nel buio della notte, tra onde bianche di spuma che si rincorrevano e la luna che, in cielo, brillava come una pietra preziosa.
«E come la troverai?», aveva domandato.
«Non lo so», aveva risposto Jude. «Ma ho come la sensazione che sia più vicina di quanto possa immaginare.»


Byron Love aveva sempre cercato di essere un buon capitano.
Decidendo di salpare con la Zeus, si era ripromesso di affrontare quella nuova avventura al meglio delle sue possibilità, circondato da uomini che gli avevano sempre dimostrato la sua lealtà.
Dopo la sosta a Black Dust si erano riforniti di provviste a sufficienza per mesi, e l’attacco alla Royal era stata la loro più grande fortuna.
Solo a ripensarci, non poteva fare a meno di domandarsi se fosse successo davvero.
Avevano assaltato la nave più forte di tutti i tempi ed erano riusciti a sottrarre al suo equipaggio un forziere pieno d’oro.
Avrebbero potuto sostentarsi per anni solo grazie a quello.
Per questo aveva deciso che avrebbero potuto muoversi con calma d’ora in avanti. Si erano fermati in una piccola cala per la notte, protetti dalle correnti oceaniche grazie alle alte falesie all’ingresso della baia.
Era una notte tranquilla, con vento pressoché assente e la luna, calante nel cielo, che illuminava appena il paesaggio.
La maggior parte dell’equipaggio era sottocoperta, a riposarsi per la notte. Byron si sentiva piuttosto stanco, per cui quasi certamente avrebbe a breve raggiunto a sua volta la propria stanza. Stava giusto ultimando un controllo sul ponte, i pochi uomini presenti intenti a sorseggiare liquore e a giocare a carte.
Era allora che era successo.
Una nave piccola, quasi invisibile aveva fatto ingresso all’interno della cala. Byron aveva inizialmente creduto di essersela sognata, infatti aveva dovuto battere le palpebre e strizzarle diverse volte prima di essere certo di non avere avuto un miraggio.
«Ehi», aveva richiamato in fretta uno dei suoi uomini, che gli si era subito avvicinato. «La vedi anche tu?»
«Affermativo», gli aveva risposto Jeff Iron, quello il nome del membro che l’aveva raggiunto. «Sembra un’imbarcazione piuttosto piccola, però.»
Byron si era leccato nervosamente le labbra. «C’è qualcosa di strano», aveva commentato. «Non hanno nemmeno mezza fiaccola accesa, come fanno a navigare senza? E poi si muovono così lentamente…»
«Che facciamo, allora?», aveva domandato Jeff, passandosi nervosamente una mano tra i capelli violetti.
«Aspettiamo», era stata la conclusione di Byron.
E avevano atteso. La nave in effetti si muoveva con particolare lentezza, come se a spingerla fossero soltanto le scarse correnti che dall’oceano penetravano nella cala.
Nel frattempo, sul fianco della Zeus volto in direzione della piccola barca s’era formato un capannello: tutti gli uomini presenti sul ponte, infatti, s’erano radunati attorno a Byron che, le dita serrate attorno al parapetto, valutava il da farsi.
C’era qualcosa che non gli tornava, in tutta quella questione. Era come se una sensazione macabra avesse cominciato a martellargli le ossa, ma non aveva alcuna idea del perché.
Forse si stava solo lasciando suggestionare troppo. Di recente stava andando tutto per il verso giusto, per cui aveva cominciato a temere di poter compiere un passo falso da un momento all’altro.
Così, aveva cercato di scacciare quel pensiero dalla sua mente.
Nel frattempo, la nave s’era avvicinata sempre di più.
«Prendete i rostri», aveva ordinato Byron.
Subito, nel ricevere il suo ordine, due uomini s’erano mossi, raggiungendo di nuovo poco dopo il parapetto trasportando le grandi travi. Avevano agganciato senza difficoltà l’altra nave, avvicinandosi ad essa.
Una volta che le due fiancate s’erano ritrovate a collidere l’una contro l’altra, tuttavia, il senso di inquietudine di Byron non aveva fatto altro che accrescere.
Il ponte, infatti, era deserto. Nessun uomo sembrava essere presente, né lì né in nessun altro punto della nave.
Una porta si era aperta, e dall’interno della nave era riemerso Henry House, il suo vice.
«Capitano», l’aveva chiamato. «Ho sentito dei rumori e mi sono affrettato a raggiungervi. Che cosa succede?»
Byron aveva scosso la testa. «Non lo so nemmeno io», aveva ammesso. «Questa nave ha fatto ingresso nella cala molto lentamente e…»
Un sibilo.
Subito dopo, il rumore secco di un colpo che andava a segno.
Byron aveva sollevato lo sguardo, il terrore più puro negli occhi.
Una freccia infuocata aveva colpito la vela maestra della nave.
Nel momento esatto in cui aveva reclinato il capo verso l’alto, inoltre, una seconda freccia li aveva raggiunti.
E, d’improvviso, tutto era stato chiaro.
«Un’imboscata!», aveva gridato. «Dobbiamo subito andare via da…»
Troppo tardi.
Una nuova nave era già comparsa all’ingresso della cala.
«Rostri», aveva ordinato Jude, impassibile.
In piedi a prua della nave, osservava la disfatta della Zeus non senza una certa soddisfazione.
In fin dei conti, il merito di quel piano era anche suo.
In cima alle falesie, Caleb e Herman avevano scagliato le frecce infuocate. Ma il vero colpo di genio era stato lasciar entrare nella cala la Pearl senza equipaggio a bordo, sfruttando solamente le correnti oceaniche esterne. Era stato Ray, che ben conosceva i moti di quella zona, a dargli l’idea.
E Jude non avrebbe potuto esserne più elettrizzato.
David e Joe erano corsi verso il parapetto, rostri alla mano.
«È andato tutto secondo i nostri piani.»
Jude aveva sentito Ray avvicinarsi lentamente, e non aveva potuto fare a meno di sorridere.
«Dovresti esserne fiero», aveva replicato.
Ray lo aveva stretto a sé, poggiandogli le labbra sul collo. «Sono fiero di te», aveva precisato.
L’equipaggio della Royal, nel frattempo, aveva aggirato la Pearl, agganciando coi rostri la Zeus.
Byron e i suoi uomini, tuttavia, sembravano ben lontani dall’arrendersi. Una feroce battaglia era già scoppiata tra le due parti, sebbene la Royal, in netta superiorità numerica assieme all’equipaggio della Pearl, fosse già sul punto di sopraffarli.
Byron aveva serrato i pugni, fumante di rabbia.
«Henry!», aveva gridato. «Corri ad aiutare‒»
La punta di una sciabola era stata premuta contro la sua gola.
«Un buon capitano lotta assieme ai suoi uomini.»
Un brivido aveva percorso la schiena di Byron.
Davanti a lui, in tutta la sua terrorizzante potenza, Jude Sharp sembrava volerlo incenerire col solo sguardo.
Byron aveva deglutito a vuoto, posando la mano sulla propria spada, ancora riposta nel fodero.
«Sarebbe stato sciocco non aspettarsi un contrattacco da parte vostra», aveva commentato.
Byron aveva sfoderato la spada e subito aveva eseguito un affondo ben piazzato in direzione di Jude. Sfortunatamente, però, il colpo era andato a vuoto.
Era così cominciato uno scambio serrato. Jude aveva subito contrattaccato, e ogni suo fendente finiva per andare a colpo. Byron riusciva a pararsi a fatica, per quanto se la cavasse bene anche lui con la spada non avrebbe mai potuto trovarsi sullo stesso livello di Jude. Ogni attacco che il capitano della Zeus sferrava finiva per andare a vuoto, o per essere elegantemente parato dall’altro.
Le spade avevano cozzato di nuovo, e in quel momento s’era reso conto che Jude l’aveva messo ancora una volta in trappola.
Il capitano della Royal l’aveva disarmato senza sforzi, facendo volare la sua spada in mare. Byron, invece, si era ritrovato ad inciampare sugli scalini che conducevano al castello di prua, finendo per cadere rovinosamente a terra.
Non aveva avuto nemmeno il tempo di sollevare lo sguardo che s’era ritrovato la sciabola di Jude ancora una volta puntata al volto.
«Tutto qui?», aveva domandato il capitano della Royal, un sorrisetto sbeffeggiante sul volto.


Sopraffare la Zeus era stata questione di pochi minuti.
Disarmati i loro avversari, i ragazzi della Royal erano scesi sottocoperta, razziando ciascuno dei beni più preziosi all’interno del vascello.
Jude era rimasto sul ponte, le braccia conserte, intento ad osservare la distruzione che aveva creato.
La voce improvvisa di David, tuttavia, aveva richiamato la sua attenzione.
«Capitano!», aveva esclamato infatti. «Guarda qui!»
Jude si era accigliato. Il suo vice gli stava correndo incontro, con fare concitato, tenendo un foglio tra le mani.
Non appena glielo aveva consegnato, Jude aveva capito subito che non si trattava di una semplice mappa.
«Ray», aveva chiamato.
Dark si era voltato nella sua direzione con espressione interrogativa, cominciando tuttavia a raggiungerlo nel mentre.
Non appena l’uomo era stato al suo fianco, Jude gli aveva porto la pergamena con estrema attenzione.
Nel momento esatto in cui gli occhi di Ray si erano posati sul piano di navigazione, lo sgomento più totale era comparso sul suo volto.
«Non ci posso credere…», aveva mormorato, esterrefatto.
Jude s’era voltato in direzione di Byron. «Come avete avuto questa mappa?», aveva domandato.
Byron aveva sbuffato, sorridendo sprezzante. «Non avete idea dei tesori incommensurabili che si trovano in certi mercati indiani.»
Jude s’era irrigidito. Se aveva veramente tra le mani ciò che pensava…
Avrebbe voluto prendere in disparte Ray e parlarne immediatamente. Il suo dovere di capitano, tuttavia, gli imponeva di restare lì, almeno fino a quando la situazione con la nave nemica non si fosse risolta.
Così tanti pensieri avevano preso ad affollargli la mente, in quel momento…
«Devo avvisarvi di una cosa, però.»
La voce di Byron aveva richiamato in fretta Jude alla realtà. Il ragazzo, tuttavia, era sorpreso: credeva che il capitano della Zeus non avesse altro da dirgli.
«Meno di un mese fa siamo entrati in collisione con un altro vascello. Ora, non avevo mai visto quest’imbarcazione, per cui devono aver iniziato a solcare i mari da poco. Fatto sta che uno dei loro uomini è riuscito ad entrare sottocoperta e, nella foga dell’assalto, nessuno di noi se ne è accorto. Quando è uscito, aveva un foglio con sé. Non appena l’ho visto ho temuto che si trattasse della mappa, ma una volta che siamo riusciti a respingerli sono sceso a controllare e l’ho trovata dove l’avevo lasciata. Il che mi ha fatto pensare che forse quel tipo, nel poco tempo in cui è rimasto là sotto, sia riuscito a segnarsi una copia del percorso.»
Jude aveva sogghignato tra sé: se fosse andata diversamente, le cose per lui sarebbero state fin troppo facili.
«Perché me lo stai dicendo?», aveva domandato. «Tu che ci guadagneresti da tutta questa questione?»
«Niente.» Byron, le mani legate dietro la schiena da una corda resistente, aveva scrollato le spalle. «Ma non mi piacciono i topi che se ne vanno in giro per le navi altrui a prendere copie delle mappe. Se li troverete lungo il vostro percorso, e sono quasi sicuro che sarà così, vi auguro di annientarli nel peggiore dei modi.»
Jude aveva sbuffato. Quella storia lo preoccupava solo in parte: si sarebbero trovati degli avversari contro? D’accordo, non era la prima volta che succedeva né certamente l’ultima. Se ne sarebbero occupati e li avrebbero sconfitti, come in qualsiasi altra occasione.
«Sai dirmi qualcosa di questa nave?», gli aveva chiesto ancora.
«Non molto», aveva ammesso Byron. «Però una cosa la ricordo: la polena della loro nave era un uomo con lo sguardo rivolto alle proprie spalle. Ed è strano, perché di solito le polene guardano sempre in avanti…»
Jude si era voltato in direzione di Ray.
«Mi viene in mente Orfeo», gli aveva confessato. «Dopo la morte della sua amata, Euridice, era sceso nell’Ade per riportarla indietro, e gli era stato concesso un compromesso: avrebbe potuto ricondurre Euridice nel mondo dei vivi, ma durante il tragitto non si sarebbe dovuto mai voltare indietro. Lui, però, non seppe resistere: si voltò, e la sua amata svanì nel nulla.»
Jude aveva scrollato le spalle. «Beh», aveva commentato. «Almeno adesso sappiamo chi avremo contro di noi.»
Jude s’era voltato, intenzionato a fare ritorno sulla Royal. Aveva scoperto troppe cose nuove tutte assieme, aveva bisogno di tempo per riordinarle e cercare di arrivare a una conclusione.
David, tuttavia, l’aveva chiamato ancora una volta.
«Capitano, di questi che cosa ne facciamo?», gli aveva domandato infatti.
Le persone a cui il suo vice si riferiva erano i membri dell’equipaggio della Zeus che avevano fatto prigionieri, Jude lo sapeva bene. In un’altra occasione, forse, colpito dall’onestà di Byron li avrebbe lasciati tutti andare.
Jude si era voltato in direzione di Ray.
L’uomo lo stava osservando attentamente. Aveva un’espressione imperscrutabile in volto.
La Zeus aveva attaccato la Royal, e Jude aveva giurato a se stesso che gliel’avrebbe fatta pagare per questo. C’era qualcosa di più personale, tuttavia, Jude lo sapeva bene.
Era il desiderio, insito in lui, di non deludere le aspettative di Ray.
Fin da quando aveva cominciato a viaggiare per mare con una flotta tutta sua, Jude s’era impegnato a guadagnarsi la fama di pirata più temibile di tutti i tempi, la stessa che in precedenza era stata attribuita a Ray.
Non aveva mai voluto essere da meno rispetto al suo mentore. E voleva dimostrargli, inoltre, che il valore che tanti anni prima aveva intravisto in lui non era stato un miraggio.
«Gettateli in mare», aveva concluso.
Jude era tornato sulla Royal, lasciandosi le grida dei prigionieri della Zeus alle spalle.


Jude non riusciva a smettere di camminare nervosamente attraverso la sua stanza.
«Se veramente questa mappa… questa mappa…», aveva farfugliato.
Erano rientrati nella camera del ragazzo poco prima. Da allora, Jude non era riuscito a smettere di muoversi freneticamente, idee e rabbia che continuavano ad affollargli la mente.
Ray, la schiena poggiata a una delle colonne del baldacchino, non aveva mai smesso di fissarlo, nemmeno per un secondo.
Il ragazzo non ci aveva dato peso. Si era lanciato in direzione della scrivania, confrontando le carte che aveva in mano con altre che aveva lì impilate.
Identiche, almeno in apparenza.
La mappa che avevano ritrovato sulla Zeus, invece, riportava alcuni elementi che Jude non aveva mai visto da nessun’altra parte, prima d’ora. Era per questo che si sentiva così agitato, così confuso, così disperatamente bisognoso di riuscire a comprendere ciò che ora si trovava davanti ai suoi occhi.
Ray, al contrario, non poteva che sentirsi preoccupato. Avrebbe voluto poter strappare Jude da quella sua frenesia, perché più i minuti passavano e più il ragazzo gli sembrava lontano, distante.
Stai davvero diventando come me, Jude?
Ray aveva sospirato pesantemente, e ancora una volta Jude aveva continuato a ignorarlo. Allora l’uomo si era mosso in avanti, cominciando ad annullare lentamente la distanza che li separava.
«Jude», l’aveva chiamato piano, con dolcezza, una volta che si era ritrovato dietro di lui.
Aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, e il modo in cui Jude s’era subito irrigidito aveva fatto sorridere Ray. Gli aveva posato un bacio tra i capelli, cercando di distrarlo.
«Non pensarci, adesso», gli aveva consigliato. «Impazzire su queste carte non ti servirà a niente. Avrai la soluzione chiara davanti agli occhi quando meno te l’aspetterai…»
Jude aveva scosso il capo, testardo.
«Non posso», aveva insistito. «Devo cercare di capire perché nelle mie mappe quel percorso non fosse mai stato riportato…»
«Shh…» Ray era sceso a baciargli il collo, lasciando scivolare una mano sotto la camicia del ragazzo e cominciando a carezzargli il petto con calma. «Hai bisogno di riposarti…»
Le labbra di Jude s’erano dischiuse in un fremito, lasciando sfuggire un sospiro incantato. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi, sensazioni piacevoli che subito l’avevano invaso.
In quel momento ogni cosa era diventata offuscata e priva di utilità. Jude riusciva solo a percepire lo sciabordio delle onde, fuori, e il fruscio dei vestiti, dentro.
E andava bene anche così.



Aveva perso il conto dei giorni in cui non c’era stato altro che mare.
Avevano navigato senza sosta per settimane, mesi quasi. Adesso, però, era venuto il momento di fermarsi.
Erano approdati nel porto di una ridente cittadina, e Jude l’aveva intuito dall’aria che respirava lì. La salsedine del mare si mischiava ai colori dorati delle spiagge e al bianco e alle tonalità chiare dei muri delle case.
La gente sembrava così felice. Jude non riusciva a capire tutto quello che dicevano, ma avevano un tono così allegro, così caldo…
David s’era seduto sulle assi di legno del molo con un sospiro stanco.
«Ah, ogni tanto mi dimentico di quale sensazione si provi a stare sulla terraferma…», aveva commentato.
Jude non lo biasimava. Era buffo per lui non avere i piedi su una superficie instabile, come quella della nave mossa dalle onde.
Joe aveva ignorato il vice della Royal. «Che facciamo, capitano?», aveva domandato, voltandosi verso Jude.
«Voi fate rifornimento di tutto quello che ci serve dai mercanti del porto», aveva ordinato.
Joe aveva sollevato un sopracciglio. «Noi?», aveva ripetuto, confuso.
«Sì», aveva confermato Jude. «Io voglio addentrarmi un momento all’interno della città. Chiederò alcune informazioni in giro, cercando di apparire quanto meno sospetto possibile, riguardo alla nostra meta. Conto di metterci meno di un’ora»
Joe aveva annuito, comprensivo.
Jude s’era incamminato verso il centro della cittadina. No, non avrebbe aspettato Ray. Ultimamente l’uomo sembrava volergli mettere i bastoni fra le ruote per quanto riguardava la sua ricerca, ed era buffo, considerando che un tempo era stato lui ad esserne ossessionato.
No, s’era detto Jude. Avrebbe potuto cavarsela benissimo da solo. Era stato da sempre così, anche nel momento in cui era salpato con la Royal e Ray era rimasto a Black Dust.
Poteva farcela. Dopotutto, cosa sarebbe potuto andare storto?


Le strade della città erano affollate di persone. Ognuno si muoveva lungo il proprio percorso, chi vagava in cerca di stoffe pregiate tra i banchi dei mercati, chi trasportava casse traboccanti di frutta esotica.
E poi c’era Jude.
Teneva la mappa del tesoro fantasma gelosamente custodita tra le dita, come temendo che qualcuno potesse strappargliela da un momento all’altro.
Oh, avrebbero potuto, in effetti. Jude non stentava a credere che ci fossero uomini pronti a uccidere qualcuno pur di impossessarsi di quel pezzo di carta, se solo avessero saputo di che cosa si trattava.
Uomini che si trovavano anche in quell’isola, con ogni probabilità.
Jude non riusciva a biasimarli. Era certo che anche lui, se si fosse trovato al loro posto, avrebbe agito esattamente nello stesso modo. A volte stentava ancora a credere alla fortuna che gli era capitata, si era letteralmente ritrovato per caso tra le mani la più preziosa carta di navigazione che fosse mai esistita nella storia dei…
Un’ombra.
Un movimento repentino aveva attirato l’attenzione di Jude. Era stato così fulmineo che, per un momento, aveva creduto di esserselo immaginato.
Poi, però, era successo di nuovo.
Si era spostato. Prima gli era letteralmente passato davanti agli occhi, poi si era mosso di lato, a destra, tra i banconi del mercato.
C’era qualcosa di strano. Jude aveva iniziato a percepire una strana sensazione di pericolo, e probabilmente avrebbe fatto meglio a fuggire via di lì a gambe levate.
C’era qualcosa, però, che lo attirava, lo costringeva a restare, a seguire quell’ombra.
L’aveva vista saettare di nuovo, questa volta in avanti. Così, prima ancora che potesse rendersene conto, aveva iniziato a rincorrerla, i piedi che battevano senza sosta sui ciottoli della strada.
L’ombra l’aveva condotto fuori dal centro cittadino, e la cosa aveva preoccupato non poco Jude. Più si allontanava e più quella gli sembrava una trappola bella e buona, considerando soprattutto che si stavano ormai addentrando in viottoli labirintici, pieni di casupole tutte identiche, le mura che, colpite dal sole, sembravano essere violacee.
Jude s’era ritrovato a domandarsi se sarebbe mai riuscito ad uscire da lì.
Sentiva i propri passi rincorrersi uno dietro l’altro, frenetici, mentre aveva ormai perso il senso dell’orientamento. L’ombra prendeva senza esitazioni una svolta, poi un’altra e subito dopo un’altra ancora, senza sosta, come se sapesse esattamente dove stesse andando, a differenza di Jude.
Questo non faceva altro che spaventare ancora di più il capitano della Royal.
Poi, di colpo, l’ombra aveva svoltato ancora.
Di nuovo, Jude l’aveva seguita, ritrovandosi allibito tuttavia una volta resosi conto del luogo in cui ora si trovava.
Un vicolo cieco.
Oh, davvero? Aveva fatto tutta quella strada solo per rimanere intrappolato?
Il ragazzo lo aveva percorso, il proprio respiro affannoso che non aveva smesso nemmeno per un momento di rimbombargli nelle orecchie. Cosa significava tutto questo? Si era sognato tutto? Forse aveva ragione Ray, ultimamente aveva accumulato una dose immane di stress e forse avrebbe fatto meglio a riposare un po’.
Dell’ombra non sembrava esserci più nessuna traccia.
«Cercavi me?»
Jude era sobbalzato sul posto, preso di soprassalto.
La voce che aveva sentito era giunta da dietro di lui, così s’era voltato. Assurdo, quando era entrato nel vicolo era certo che non ci fosse nessuno alle sue spalle…
Adesso, invece, un ragazzo che non aveva mai visto prima di allora lo stava fissando, le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata contro un muro.
Aveva un sorriso scaltro dipinto in volto, e una zazzera di disordinati capelli castani che gli ricadevano sul viso. Una morbida camicia turchina avvolgeva il suo busto, e un cappello da corsaro era posato sul suo capo.
«Sono certo che non ci siamo mai incontrati prima d’ora…», aveva obiettato Jude.
Il sorriso sul volto dell’altro sembrava essersi accentuato.
«Beh, io però ho sentito a lungo parlare di te», aveva continuato lo sconosciuto. «D’altronde chi non ha mai sentito nominare le gesta del grande capitano Jude Sharp?»
Jude non era particolarmente impressionato. Sapeva bene che le storie sul suo conto circolassero da tempo, di nave in nave, da un oceano all’altro.
Il capitano della Royal aveva incrociato le braccia al petto.
«E con ciò?», aveva domandato.
L’altro ragazzo s’era avvicinato a lui come un fulmine.
«Scommettiamo che so esattamente dove stai andando?», l’aveva provocato. Ora che s’era avvicinato, Jude riusciva a vederlo meglio: aveva occhi blu, della stessa tonalità del mare.
Jude aveva inarcato un sopracciglio, le proprie labbra che avevano preso la stressa piega di quelle dell’altro ragazzo, come se ne fosse diventato improvvisamente il riflesso.
«Non mi piace scommettere con gli sconosciuti», aveva replicato, senza riuscire a nascondere un pizzico di seccatura nella voce.
Il ragazzo dagli occhi azzurri aveva sogghignato, come se si fosse appena ritrovato davanti ad un artefatto raro e prezioso, perduto da secoli.
«Non c’è molto da sapere su di me», aveva sviato l’argomento l’altro. «Sono solo un umile viaggiatore in cerca di avventure, tutto qui.»
Jude non se l’era bevuta. Questa volta aveva sogghignato lui, incrociando le braccia al petto.
«Impossibile», aveva sentenziato. «Sono anni che navigo per mare e non ti ho mai visto prima.»
Il ragazzo sconosciuto s’era mosso di lato, con un movimento morbido. «Se t’interessa così tanto, allora sappi che sono partito da Venezia.»
Jude aveva subito memorizzato l’informazione. Una delle repubbliche marinare, il che voleva dire senza ombra di dubbio un ottimo navigatore…
«Beh, se ti trovi qui però significa che sei parecchio lontano da casa, no?», gli aveva domandato.
L’altro si era limitato a stringersi nelle spalle. «Te l’ho detto, sono un viaggiatore. Mi piace muovermi molto, tutto qui», s’era giustificato.
Jude non sembrava essere stato particolarmente persuaso da quella spiegazione, il suo interlocutore tuttavia era sembrato ben poco intenzionato a concedergli del tempo per riflettere.
«Ad ogni modo», aveva ripreso infatti «sei abbastanza temerario da avventurarti in un’impresa così rischiosa come la ricerca del tesoro fantasma ma non da accettare una semplice scommessa?»
Jude s’era come immobilizzato sul posto. Com’era possibile che quel ragazzo sapesse che erano partiti alla ricerca del tesoro…? Jude era certo di non averne fatto menzione con nessuno.
«C-Cosa…», aveva balbettato, incredulo.
«Oh, le voci corrono più in fretta di quello che immagini, capitano», aveva ripreso l’altro, senza perdere quel cipiglio divertito che l’aveva accompagnato fin dall’inizio della conversazione. «Ad ogni modo, ero passato solo per avvertirti che non avrai vita facile e…»
Il ragazzo s’era fermato di colpo. Jude non ne aveva compreso da subito il motivo, almeno finché dei rumori erano giunti anche alle sue orecchie.
Erano passi, e si susseguivano rapidi lungo il selciato.
Poi era arrivata anche una voce.
«Jude, sei qui?», aveva domandato qualcuno, che Jude aveva riconosciuto subito essere quella di Ray.
Gli occhi azzurri dell’altro ragazzo sembravano essersi ora riempiti di scintille.
«Questa deve essere la mia giornata fortunata», aveva mormorato, troppo piano perché Jude potesse sentirlo.
Un battito di ciglia dopo, Ray era comparso all’entrata del vicolo.
«Eccoti, finalmente! Mi chiedevo dove fossi finito…», aveva commentato entusiasta, in riferimento al capitano della Royal, nel momento in cui aveva posato gli occhi sulla sua figura. Ben presto, però, aveva notato anche la presenza dell’altro ragazzo.
Prima che Ray potesse prendere di nuovo parola, il ragazzo dagli occhi azzurri si era mosso nella sua direzione, con un’espressione estatica in volto.
«Allora è vero quello che si dice», aveva constatato. «Il più grande pirata di tutti i tempi ha ripreso il largo assieme alla Royal! Che immensa fortuna!»
A Jude non piaceva nulla di tutta quella situazione. Non piaceva il modo in cui quello sconosciuto l’aveva attirato nel vicolo, non piaceva come gli parlava e, soprattutto, adesso non gli piaceva affatto il modo in cui ronzava attorno a Ray. Non aveva idea di quale divinità l’avesse trattenuto fino a quel momento, fermandolo dal passarlo a fil di spada, di colpo però tutto l’autocontrollo di Jude stava andando pericolosamente a farsi benedire. Finché si trattava solo di lui poteva anche tollerarlo, ma il modo in cui quello sconosciuto si stava rivolgendo e avvicinando a Ray lo mandava fuori di senno. Chi era? Che diavolo voleva?
Ray, di per sé, sembrava piuttosto spiazzato. Osservava quel ragazzo che non aveva mai visto, cercando di trovare in lui anche solo un vago indizio ma, evidentemente, senza riuscirci.
«Uhm, sarei curioso di sapere con chi ho il piacere di parlare…», aveva ammesso, infatti.
Lo sconosciuto s’era arrestato sul posto.
«Il mio nome?», aveva ripetuto. «Oh, fidatevi, non è poi così importante…»
Il giovane era scivolato di lato ancora una volta, passando oltre Ray.
«… ma non temete, ci rivedremo molto prima di quanto possiate immaginare», aveva concluso.
Un secondo dopo, era uscito dal vicolo, svanendo nel nulla.
Ray si era voltato in direzione di Jude, con un’espressione interrogativa dipinta in viso.
Negli occhi del ragazzo, tuttavia, non aveva trovato nient’altro che rabbia.


Avevano ripreso la navigazione in serata.
Jude s’era rifugiato nei suoi appartamenti, rifiutando di parlare pressoché con chiunque. Ray era l’unico che era riuscito a seguirlo, ma, nonostante ciò, Jude non sembrava intenzionato a lasciargli proferire parola.
«È inaccettabile», aveva esordito, aprendo furiosamente la porta della sua stanza. «Quel tipo non avrebbe dovuto permettersi…!»
Ray si era affacciato oltre la soglia della porta, quasi timoroso di avere a che fare col capitano della Royal in quelle condizioni.
«Oh, non esagerare, adesso», aveva commentato, con tono conciliante. «Con ogni probabilità non lo vedremo mai più in vita nostra…»
Jude s’era fermato al centro della stanza, serrando i pugni con rabbia. «N-Non è così!», aveva obiettato. «Hai sentito anche tu quello che ha detto, no? “Ci rivedremo molto prima di quanto possiate immaginare”… non mi pare che sia una frase che lascia aperte molte prospettive…!»
Ray gli aveva sorriso, cercando di rassicurarlo.
«Beh, sai, a volte certe cose si dicono così, a titolo di minaccia, forse però voleva solo spaventarti e basta, non intendeva mettersi davvero sulle tracce della Royal…», aveva tentato ancora.
Jude l’aveva fissato. Per un momento sembrava essersi calmato, l’istante successivo tuttavia s’era voltato nuovamente, fumante d’ira.
«N-Non è solo questo!», aveva insistito infatti. «Pensi che non abbia visto il modo in cui ti guardava? Sembrava volerti saltare addosso da un momento all’altro!»
Ray aveva trattenuto a stento una risata. Certo che Jude era davvero buffo quando si arrabbiava.
L’uomo, avendo compreso ormai cosa avesse scatenato tanta rabbia nel ragazzo, aveva preso coraggio, cominciando ad avvicinarsi a lui. Non appena si era ritrovato alle sue spalle, gli aveva circondato la vita con le braccia, come per una vecchia abitudine.
«Certo che a volte sei proprio uno sciocco», aveva commentato, affondando il volto tra i suoi capelli.
Jude s’era mosso tra le braccia dell’uomo, fino a che non s’era ritrovato faccia a faccia con lui.
«Non sottovalutarmi, Ray», aveva protestato, indignato. «Sono pur sempre il capitano di questa nave e…»
Ray gli aveva premuto l’indice contro le labbra, con premura.
«… e ti sei fatto prendere dalla gelosia», aveva concluso. «Shh. Davvero credi che i toni suadenti di un perfetto sconosciuto possano adularmi? Il mio cuore l’ha già rapito un pirata dagli occhi rossi, anni fa, e non esiste nei sette mari qualcuno che possa sperare di riuscirci a sua volta»
Le mani di Ray gli avevano circondato il volto e, sotto quel tocco gentile, la sicurezza di Jude aveva vacillato.
Si sentiva così stupido per aver dubitato di lui. Ray gli aveva chiesto di seguirlo in quel nuovo viaggio per non restare lontano da lui, come poteva ora Jude credere che un ragazzo che non avevano mai visto prima avrebbe potuto portarglielo via tanto facilmente?
Jude aveva sospirato pesantemente, lasciandosi cadere col capo contro il petto di Ray.
«Scusami», lo aveva pregato. «Non so cosa mi sia successo, ho lasciato che l’impulsività avesse la meglio su di me e…»
Era vero. Jude non era mai stato impulsivo. Era risoluto, quando si trattava di dover adottare in fretta decisioni per proteggere la Royal e il resto dell’equipaggio, ma nessuna delle sue scelte venivano prese senza essere state prima attentamente ponderate. In fatto di sentimenti, però, era davvero una frana, così di solito finiva per reagire d’istinto, col rischio di combinare dei disastri.
Ray gli aveva posato un bacio tra i capelli. «Sta’ tranquillo», lo aveva rassicurato. «Continuo a dire che avresti solo bisogno di riposarti, niente di più.»
Jude aveva scosso piano la testa. «Non posso, devo controllare la rotta sulla mappa e…»
«No.» Ray gli aveva preso di nuovo il volto tra le mani, deciso. «Adesso io e te ci mettiamo nel letto, restiamo vicini e io veglio su di te finché non ti addormenti. Non puoi pensare di riuscire a condurre in modo efficace i tuoi uomini senza darti un po’ di tregua. Come potresti prendere decisioni importanti se non sei lucido?»
Jude gli aveva rivolto il proprio sguardo, un accenno di sorriso sul volto. Era grato a Ray per così tante cose, e sapeva che, in fondo, aveva ragione anche quella volta.
Dormire tra le sue braccia, in fin dei conti, non avrebbe potuto essere un’idea malvagia. Per la verità, Jude non riusciva ad immaginare nulla di più rilassante.
Così aveva posato la propria mano in quella di Ray e gli aveva permesso di condurlo verso il letto, anche se da lui si sarebbe lasciato portare ovunque.


La notte si era rivelata più burrascosa del previsto.
Erano in pieno autunno, e le tempeste erano all’ordine del giorno. Onde altissime avevano preso in ostaggio la nave e, per quanto Jude si fosse aggrappato saldamente alla camicia di Ray, continuava ugualmente a sentirsi sballottato con violenza.
C’era qualcosa che non gli tornava. Dopo l’incontro con quel ragazzo aveva continuato a percepire una strana sensazione e, per quanto Ray cercasse di tranquillizzarlo, entrambi sapevano fin troppo bene che il suo sesto senso difficilmente falliva.
Jude s’era tirato a sedere sul letto, facendo attenzione a non svegliare Ray. Il ragazzo faticava a prendere sonno: continuava a pensare allo strano incontro con quello sconosciuto che aveva avuto nel pomeriggio, senza riuscire a darsi pace. Come faceva a sapere che erano sulle tracce del tesoro fantasma? Cosa voleva da loro?
Il capitano della Royal aveva scosso il capo. Sapeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, troppi i pensieri che gli affollavano la mente. Così si era lasciato scivolare di lato e, continuando a fare attenzione a non svegliare Ray, era uscito dalla stanza.
Come aveva intravisto lanciando uno sguardo in direzione della vetrata, fuori il buio regnava ancora sovrano, il che significava che doveva essere notte fonda.
Nei corridoi della nave, in effetti, aleggiava il silenzio più assoluto. Gli uomini che non erano di guardia dovevano star dormendo profondamente, di un giusto e meritato riposo.
Jude s’era incamminato lungo le assi lignee del pavimento, che così bene conosceva, attento a calibrare ogni scricchiolio. Era difficile, considerando che il mare in burrasca continuava a spostare con violenza la nave da una parte all’altra, anni di navigazione tuttavia gli avevano insegnato a non perdere l’equilibrio in una situazione del genere.
Una volta dischiusa la porta che conduceva al ponte, s’era reso conto che la situazione era più complessa di quel che aveva immaginato.
Una pioggia battente e intensa continuava a colpire impietosa la Royal, mentre l’equipaggio faceva del suo meglio per non cadere in mare. Un uomo era affacciato oltre il parapetto e probabilmente stava vomitando, un altro era stretto ad un barile di rum e stava rotolando assieme ad esso.
Jude li avrebbe ripresi tutti, condannandoli per la loro superficialità, se solo lui stesso non si fosse reso conto che quella che stavano affrontando era una tempesta di dimensioni eccezionali.
Il capitato nella Royal aveva spostato lo sguardo di lato e, sebbene la pioggia che continuava a colpirgli il volto gli rendesse difficile vedere, era riuscito ad individuare la figura di David. Il suo vice era aggrappato al parapetto del cassero, e sembrava l’unico che riuscisse a mantenere una certa stabilità, oltre a non soffrire troppo per via delle onde.
Jude non ne era affatto sorpreso. David, d’altronde, aveva diversi anni di navigazione alle spalle, pertanto aveva esperienza in fatto di tempeste.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sorriso, dopodiché aveva cominciato a salire su per le scalette che conducevano al cassero di poppa.
David l’aveva notato quasi subito e, nonostante la pioggia, Jude lo aveva visto ricambiare il suo sorriso.
«Capitano!», l’aveva salutato subito. «Non mi aspettavo di vederti da queste parti!»
«Fatico a prendere sonno», gli aveva confessato Jude. «Piuttosto, qui sul ponte non mi sembrate messi bene…»
David s’era portato una mano dietro alla nuca, come a disagio.
«Una tempesta coi fiocchi», aveva commentato.
«Già», aveva convenuto Jude. «Eppure non riesco a togliermi la sensazione che ci sia qualcosa di strano in tutto ciò…»
«Che intendi?» David aveva urlato per farsi sentire sopra al ruggito del vento. «Quando siamo ripartiti eravamo consapevoli di star andando incontro a una tempesta…»
«Lo so...», aveva confermato il capitano. «Ma ho un brutto presentimento…»
Jude era stato costretto a lasciare la frase in sospeso. Uno scatto improvviso, infatti, aveva portato lui e David a voltare il capo di lato.
Prima che potessero rendersi conto di cosa stesse succedendo, tuttavia, qualcosa di grosso aveva impattato contro la Royal, facendoli cadere all’indietro.
Erano stati fortunati a non cadere oltre i limiti del vascello, c’era mancato davvero poco. In compenso, la caduta era stata rovinosa, e adesso Jude si sentiva piuttosto indolenzito.
Il ragazzo aveva riaperto lentamente gli occhi rubizzi, trattenendo tra i denti un ringhio di dolore. Aveva battuto la schiena con così tanta violenza da ritrovarsi col fiato mozzato, era un miracolo che non avesse perso i sensi…
S’era reso conto in fretta, tuttavia, che non aveva tempo per pensare al dolore. Un altro vascello era sfilato loro di lato, sfruttando le onde furenti della tempesta. Quando s’era ritrovata fianco a fianco con la Royal, però, aveva colliso nuovamente contro quest’ultima, e per Jude era stato fin troppo chiaro che non s’era trattato di un errore dovuto alla tempesta indomabile, ma di una manovra volutamente eseguita.
Il capitano della Royal aveva stretto con rabbia l’elsa della propria spada tra le dita, dopodiché s’era lanciato di corsa giù dalle scale del cassero di poppa. Ogni tanto avrebbe voluto sbagliarsi, invece, a quanto pareva, il suo sesto senso non voleva saperne di smettere di essere infallibile.
La porta che dava sull’interno del vascello – nonché la stessa da cui era acceduto al ponte poco prima – si era aperta nel momento in cui vi era passato accanto. Jude s’era sentito afferrare per il polso, e aveva saputo di chi si trattasse prima ancora di sentirne la voce.
«Jude!», l’aveva chiamato infatti la voce concitata di Ray. «Che sta succedendo?»
«Siamo sotto attacco!», aveva tagliato corto il ragazzo. «Non so da dove sia uscita fuori questa nave…»
Jude s’era interrotto nel momento in cui aveva incontrato l’espressione terrea che s’era formata sul volto di Ray.
«Jude, guarda la polena!», aveva urlato l’uomo.
Il capitano s’era voltato e, non appena i suoi occhi avevano individuato la polena della nave che s’era ormai affiancata alla Royal, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Un uomo, lo sguardo rivolto alle proprie spalle.
Lo sguardo di Jude era volato verso il ponte di quell’imbarcazione, e lì aveva individuato qualcosa che l’aveva allarmato ancor di più.
«No, tu guarda il ponte!», aveva gridato di rimando.
Ray aveva seguito obbedientemente la sua indicazione, e il volto dell’uomo non aveva potuto che diventare ancor più terrorizzato.
Un ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli castani li fissava, un sorriso beffardo sul volto.
Il giovane dell’isola.
Come aveva fatto a raggiungerli? Li aveva seguiti fin da quando erano salpati?
No, non era il momento di preoccuparsi per questo. Lui e la sua ciurma, infatti, tenevano strette tra le mani delle cime, che avevano legato alla trave che sosteneva la vela di mezzo. Non era difficile immaginare cosa avessero intenzione di fare.
L’istante successivo, infatti, il ragazzo che avevano incontrato sull’isola aveva fatto un cenno in direzione dei suoi uomini, e quelli si erano subito lanciati in avanti, atterrando sul ponte della Royal.
Jude non era riuscito a trattenere la rabbia oltre. S’era liberato con forza dalla stretta di Ray, per poi lanciarsi in avanti, sguainando la spada nel mentre.
Aveva individuato subito il suo obiettivo. Il problema, tuttavia, era che il ragazzo si aspettava esattamente una mossa del genere. Aveva sorriso nella sua direzione, facendo infuriare ancora di più Jude e, nel momento in cui il capitano della Royal gli era stato davanti, aveva già sfoderato a sua volta la spada, parandosi dall’assalto senza sforzo.
Il ghigno soddisfatto non si era tolto nemmeno allora dal volto del suo avversario, e Jude aveva ringhiato di rabbia e frustrazione, del tutto intenzionato a strapparglielo via.
«Beh, avresti dovuto immaginare che vi avremmo raggiunti, capitano», lo aveva schernito l’altro.
Jude aveva digrignato i denti con maggiore intensità, e aveva spinto ancor di più la propria spada contro quella dell’altro.
Intorno a loro aveva già cominciato ad infuriare la battaglia, ma né Jude né il suo avversario se ne stavano curando. Erano così concentrati nella loro lotta personale che nulla avrebbe potuto distrarli.
Jude s’era reso conto subito di essersi trovato ad affrontare un avversario fuori dal comune. Ogni fendente che sferrava veniva puntualmente parato dal suo avversario, che continuava a schivarlo con facilità ed eleganza.
Questo, però, non faceva che farlo infuriare ancor di più. Si muoveva veloce, troppo veloce, talmente tanto che probabilmente aveva lasciato la guardia scoperta un’infinità di volte, ma non riusciva a curarsene, troppo impegnato a sferrare attacchi a raffica, uno dietro l’altro.
La loro era una battaglia che sembrava più simile a una danza ipnotica. I passi del suo avversario erano precisi, calibrati, come se conoscesse alla perfezione ogni centimetro della Royal.
Questo, però, non faceva che innervosire ancor di più Jude, al punto che cominciava ad avvertire la propria vista offuscarsi.
No. Non avrebbe risolto niente, così. Doveva concentrarsi.
Jude aveva osservato i piedi del suo avversario. Se solo fosse riuscito a fargliene mettere uno in fallo…
«Mi hai chiesto il mio nome, oggi pomeriggio», l’aveva infastidito l’altro – forse aveva intuito il suo piano e stava cercando di distrarlo. «Ebbene, ora posso dirtelo. Mi chiamo Paolo Bianchi, e sono il capitano della nave che stanotte vi sconfiggerà, la Orpheus!»
Gli occhi di Jude si erano ridotte a due fessure.
«Non credo proprio!», aveva replicato.
Le loro spade avevano cozzato nuovamente e, questa volta, Jude era riuscito a sopraffare il colpo. La sciabola di Paolo era volata in alto, attraversando tutto il ponte, per poi cadere dalla parte opposta a quella in cui i due si trovavano.
Paolo aveva alzato le mani, ma un sorriso beffardo aveva continuato a campeggiare sul suo volto.
«A quanto pare ho vinto io», aveva commentato Jude, trionfante.
«Tu dici?», gli aveva domandato Paolo. «Strano, perché sembra che qualcuno laggiù sia in difficoltà…»
Jude s’era voltato senza nemmeno pensarci. L’istante successivo si era ammonito, perché quello avrebbe potuto essere tranquillamente un bluff di Paolo…
Invece ciò che aveva visto lo aveva fatto congelare per la paura.
Ray era di spalle, nei pressi del castello di poppa. Un membro dell’equipaggio della Orpheus, però, si stava avvicinando a lui in tutta fretta, stringendo un pugnale tra le mani.
Ray non avrebbe mai fatto in tempo ad accorgersene.
L’avrebbe colpito.
«Ray…», aveva mormorato Jude.
L’istante successivo, prima ancora che potesse rendersene conto, il capitano della Royal era scattato in avanti, in un’ultima, disperata azione.
«No!», aveva gridato, un momento prima di intromettersi tra Ray e la lama.
Solo allora Ray s’era voltato, rendendosi conto di ciò che stava succedendo alle sue spalle.
Lo spettacolo che gli s’era parato davanti, tuttavia, si era rivelato essere a dir poco raccapricciante.
Un pirata teneva stretto tra le un pugnale insanguinato, mentre fissava entrambi con un sorriso crudele.
Jude, davanti a lui, si teneva una mano sul fianco sinistro, dolorante, cercando di fermare il sangue, che continuava a sgorgare a fiotti.
«Jude!», aveva urlato a sua volta, accorrendo in avanti.
Le gambe del ragazzo avevano ceduto e lui s’era ritrovato a rovinare verso terra, salvo poi essere afferrato da Ray un attimo prima che le sue ginocchia potessero battere violentemente contro le assi di legno.
Nel giro di pochi secondi, tutto intorno a Jude aveva iniziato a vorticare vertiginosamente.
L’ultima cosa che ricordava era il sorriso vittorioso di Paolo, che ordinava ai suoi uomini la ritirata. Aveva ragione, aveva vinto lui.
Poi, il buio.


Caldo. Tanto, tanto caldo. E dolore.
All’improvviso tutto intorno a Jude era diventato sfocato. Sapeva di non essere più sul ponte, lo sentiva, perché adesso avvertiva una superficie morbida sotto di sé.
Un liquido era stato versato sulla sua pelle, e le fiamme lo avevano avvolto ancora una volta.
«Capitano…»
La voce di David. Era un mormorio basso, sussurrato, eppure a Jude era sembrato di sentirlo rotto dalle lacrime.
Perché piangeva?
«Coraggio, capitano! Tieni duro!»
Una voce più decisa. Joe, senza dubbio.
Che stava… succedendo…
«Jude…»
Ray…
Ancora fiamme, ancora dolore. Dopo, tenebre ancora una volta.



Jude aveva perso cognizione dello scorrere del tempo.
Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasto privo di coscienza. L’unica cosa che i suoi occhi chiusi riuscivano a vedere era buio, come di notte fonda, e spesso continuava ad avvertire il proprio corpo dilaniato dalle fiamme.
Se fosse stato sveglio, avrebbe saputo che era nella propria camera da letto, intento ad agitarsi freneticamente tra le lenzuola e vittima di una febbre alta che non gli lasciava tregua.
La ferita al fianco era assai profonda, e sebbene fosse stato prontamente soccorso da David e gli altri adesso la ciurma era come sospesa, in attesa che il loro capitano si riprendesse.
Ce l’avrebbe fatta. Aveva la tempra giusta.
Ray non si era mai mosso dal suo capezzale. Gli era rimasto accanto, giorno e notte. Voleva esserci quando si sarebbe svegliato – era certo che si sarebbe ripreso –, e non aveva intenzione di farsi trovare assente se Jude avesse avuto bisogno di lui.
Una notte, in preda ai deliri, il ragazzo aveva preso ad agitarsi sempre di più, mormorando nel mentre il nome dell’uomo.
Quando se ne era reso conto, Ray si era avvicinato con cautela, attento a non svegliarlo.
«R-Ray…», aveva biascicato ancora una volta Jude.
Subito il capitano aveva avvertito un peso aggiungersi accanto a lui, come se qualcuno gli si fosse inginocchiato vicino sul materasso. Due mani avevano avvolto la sua, calda e tremante, col proprio tocco.
«Sono qui…», gli era parso di sentirsi sussurrare.
Jude aveva mosso il capo sul cuscino, agitato.
«N-Non mi lasciare, ti prego… non mi lasciare…», aveva mormorato ancora.
Ray si era chinato piano sul cuscino, posando un bacio sulla fronte del ragazzo. Era bollente.
Quelli dovevano essere deliri dovuti alla febbre, nulla di più. Le dita di Ray avevano accarezzato le guance caldissime di Jude, ed erano sembrate quasi gelide al contatto con la pelle del ragazzo.
«No che non ti lascio», gli aveva assicurato Ray.
Il volto di Jude era parso rilassarsi per un momento, diventare sorridente quasi, ben presto tuttavia uno spasmo di dolore l’aveva costretto a contrarsi di nuovo.
«N-Non mi lasciare…», aveva ripetuto, la voce sul punto di essere rotta dalle lacrime.
Prima che potesse rendersene conto, il mondo era tornato ad essere una spirale confusa di tenebra e fiamme.





▬ notes

Vi chiedo perdono fin da subito, ma non ho molta voglia di parlare.
Ve l'avevo detto che i capitoli lunghi sarebbero arrivati. Questo conta più di 8.000 parole, ma me lo sono letteralmente bevuto. Non so se sia un bene o un male.
Rispetto al prompt originale, adesso si potrebbe dire che io stia vagando un po' alla cieca. L'anno scorso la mia mente aveva progettato solo fino a Black Dust diciamocelo, a me premeva che Jude e Ray si riunissero. Poi, nel mentre, altre idee si sono aggiunte. Parlando della Orpheus, inizialmente non doveva essere affatto presente nella storia, ma tanto ormai il limite di 12.000 parole del contest l'avevo superato, e allora tanto valeva aggiungere anche questo.
Già, perché i nostri amati protagonisti non fanno in tempo a liberarsi di un problema che subito ne spunta fuori un altro.
L'idea per l'assalto alla Zeus viene da Game of Thrones, lo ammetto. Inizialmente doveva essere un richiamo totale alla Battaglia delle Acque Nere, quindi la Pearl sarebbe dovuta esplodere senza altofuoco però, rip. Visto che però senza la nave secondaria non avrei saputo dove infilare gli uomini che da Black Dust decidono di seguire Ray, alla fine ho optato per la più democratica e meno distruttiva imboscata dalle falesie.
Comunque sì, sistemata la Zeus è tempo di vedersela con la Orpheus. Sfortunatamente, però, Jude, sebbene fosse riuscito ad avere la meglio contro Paolo, finisce per rimanere ferito salvando Ray da un attacco alle spalle. Adesso non possiamo far altro che pregare per il nostro povero capitano, sigh.
Abbiamo inoltre scoperto ciò a cui la Royal sta puntando, ossia questo tesoro fantasma. Ora che hanno la mappa in mano dovrebbe essere tutto più facile, ma, come abbiamo visto, le insidie sono dietro l'angolo.
Mi scuso ancora una volta per l'eccessiva lunghezza di questo capitolo. Purtroppo ho uno schema di pubblicazione ben preciso nella mia mente, e se volevo rispettarlo non potevo fare altrimenti.
A presto
– sperando che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia e che non sia stato troppo spaventato dal muro di testo dell'aggiornamento di oggi
Aria

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Capitolo 5
*** Treasure ***


pirates

I raggi chiari dell’alba gli avevano colpito il volto, costringendolo ad aprire gli occhi.
Sollevare appena le palpebre gli era costato uno sforzo immane. La luce sembrava volergli ferire gli occhi, e Jude s’era sentito costretto a riabbassarle subito.
Alcuni mugolii di disapprovazione erano scivolati fuori dalle sue labbra, mentre si tirava le lenzuola fin sopra il capo.
Il profumo del cotone fresco lo aveva avvolto, e Jude lo aveva trovato incredibilmente piacevole. Jude aveva provato a riaprire gli occhi, e questa volta era stato circondato dal bianco.
Era una percezione decisamente migliore, rispetto a quella di poco prima.
Già, a proposito di percezioni… Jude era consapevole di non essere stato in ottima forma, negli ultimi… oh, neppure lui sapeva quanti giorni avesse trascorso privo di coscienza.
Come se l’era cavata il suo equipaggio nel mentre? Si stavano avvicinando alla loro meta?
D’improvviso una scarica d’adrenalina lo aveva attraversato. Doveva correre ad accertarsi dello stato di navigazione.
Jude aveva mugolato nuovamente, cominciando a disfarsi delle lenzuola, ma sentendo di colpo una voce s’era arrestato di colpo.
«Jude? Sei sveglio…?»
Ray.
Jude aveva avvertito il cuore sobbalzargli in petto. Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui l’aveva visto? Oh, gli era mancato così tanto…
Il ragazzo aveva fatto capolino da sotto le lenzuola, i capelli così tremendamente arruffati a causa del lungo periodo trascorso tra le coperte e un lieve sorriso sul volto.
«C-Ciao, Ray…», lo aveva salutato, mordendosi un labbro.
Ray era seduto sull’unica, vecchia sedia presente nella stanza, vicino all’ampia vetrata. Non appena Jude aveva cercato di muoversi nuovamente, l’uomo era subito scattato in avanti.
«Ehi, piano…», aveva mormorato, una volta raggiunto il letto, tenendo fermo il ragazzo con una mano, così che rimanesse disteso. «Non puoi ancora muoverti, non sei abbastanza in forze…»
Jude non riusciva a dargli torto. Sentiva la pelle, all’altezza del fianco, tirare dolorosamente, e questo aveva subito fatto comparire una smorfia sul suo volto.
Ray gli aveva sorriso, una luce serena che aveva preso a danzare nei suoi piccoli occhi neri. «Sono così felice che tu ti sia svegliato…», gli aveva confessato. «La ferita era molto profonda, abbiamo tutti temuto il peggio…»
«Mh», aveva mugolato di nuovo Jude, il volto ancora contratto. «Sono rimasto a lungo privo di coscienza?»
«Circa cinque giorni», gli aveva comunicato Ray.
«C-Cinque giorni?», aveva ripetuto Jude, per poco non strozzandosi col proprio respiro. «Ma… è tantissimo! Devo subito andare a confrontare con David il piano di navigazione‒»
Jude s’era tirato a sedere sul letto, e Ray l’aveva subito fermato premendo una mano contro la sua spalla. Una fitta di dolore si era propagata a partire dal fianco lungo tutto il suo corpo, e Jude era stato costretto a stringere gli occhi, trattenendo tra i denti un’imprecazione.
«Tu non andrai da nessuna parte», aveva replicato Ray, intransigente. «Hai rischiato di morire, ti sei appena risvegliato dopo essere stato privo di coscienza per giorni, sei ancora dolorante e pensi che io possa lasciarti andare in giro per la nave come se niente fosse? Devi essere impazzito.»
Jude aveva sospirato pesantemente. «Oh, andiamo, Ray, dobbiamo arrivare su quell’isola prima che‒»
Il ragazzo s’era interrotto non appena Ray gli aveva preso il volto tra le mani. Era incredibile come ogni volta che ripeteva quel gesto sembrasse la prima, la sensazione di vertigini che Jude provava era sempre la stessa.
«Come pensi che mi sia sentito in questi giorni?», gli aveva domandato. C’era qualcosa di disperato nel suo sguardo. «Credi che non abbia capito che ti sia preso quella pugnalata per salvare me? Hai idea di come sarei potuto stare se tu non ti fossi ripreso? Mi hai salvato la vita, Jude, ora voglio solo tenerti al sicuro…»
Jude aveva premuto una guancia contro la sua mano. «Era la cosa giusta da fare, Ray. Avresti fatto anche tu lo stesso per me», gli aveva fatto notare. «E comunque è andato tutto per il meglio, non dovresti continuare a preoccuparti.»
«Non avresti dovuto correre un rischio del genere…»
«Sì, invece. E lo rifarei altre mille volte, se solo avessi la certezza di salvarti ancora…», aveva insistito il ragazzo.
Ray aveva appoggiato la fronte contro quella di Jude. I due erano rimasti a fissarsi, e Jude aveva sentito un sorriso formarsi sulle sue labbra.
Ray s’era chinato in avanti, lasciandogli un bacio leggero ma intenso.
Gli era mancato così tanto…
Quando le loro labbra si erano separate, erano rimasti con i volti vicinissimi, incapaci di restare ancora troppo lontani l’uno dall’altro.
«Accompagnami sul ponte. Ti prego…», lo aveva scongiurato Jude.
E Ray aveva saputo che non sarebbe stato in grado di dire no a quella richiesta.


Ray aveva insistito affinché Jude tenesse poggiata sulle spalle la sua giacca da capitano.
Di solito Jude non la indossava mai. La riteneva un orpello inutile, inoltre solo con la camicia si sentiva decisamente più agile nei movimenti.
«Non voglio che tu prenda freddo», aveva ribadito Ray.
Jude aveva mosso un altro passo lungo i corridoi della Royal, il braccio di Ray stretto attorno alla vita che lo sosteneva mentre l’uomo lo aiutava a camminare.
«Ray, fuori il sole è alto e questa ha tutta l’aria di essere una giornata calda», gli aveva ripetuto ancora una volta Jude.
L’ex capitano della Black Dust aveva agitato freneticamente una mano a mezz’aria. «D’accordo, ma non puoi mai saperlo per certo…», aveva replicato.
Ray aveva aperto in fretta la porta che dava sul ponte.
«Secondo me ti stai preoccupando troppo», aveva commentato Jude.
«Preoccupando troppo? Dopo quello che ti è successo la mia preoccupazione dovrebbe essere perfino maggiore…», l’aveva smentito.
Il loro battibecco aveva attirato subito l’attenzione di tutti i presenti. David, vedendoli, era corso loro incontro, scendendo giù dal cassero di poppa.
«Capitano!», l’aveva chiamato, la voce allegra e squillante. «Ma… che ci fai in piedi? Dovresti riposare!»
«Oh, non dirlo a me…», aveva bofonchiato Ray.
Jude aveva deciso di ignorarlo. «Non preoccuparti, David, sto meglio», aveva tagliato corto. «Piuttosto, a che punto siamo con la rotta?»
David si era morso un labbro. «Beh, in questi giorni mi sono consultato con il Comandante Dark e…»
«… abbiamo deciso di rallentare la velocità di navigazione», aveva concluso Ray, togliendo il vice della Royal dall’imbarazzo.
«Prego?», aveva sibilato Jude. «Forse non vi è chiaro, ma la Orpheus è diretta verso la nostra stessa meta, e se arrivassimo dopo di loro‒»
«Jude, non potevamo rischiare che la Royal si danneggiasse irreparabilmente», aveva constatato Ray.
Un pensiero improvviso aveva attraversato la mente di Jude, facendolo raggelare sul posto.
«La nave… l’attacco dell’altra notte l’ha compromessa in maniera grave?», aveva domandato. La Royal era una delle cose più preziose al mondo, per lui, non avrebbe sopportato di perderla a causa di quello sciocco assalto. Avrebbe dovuto essere il suo primo pensiero…
«Fortunatamente no, ma c’è mancato poco…», l’aveva rassicurato David.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sospiro di sollievo. «E della Pearl, invece? Che mi dite?», aveva chiesto ancora.
Era vero. Dopo aver incontrato Paolo su quell’isola Jude s’era solo curato di ripartire il più in fretta possibile, quasi senza considerare che adesso, assieme alla Royal, viaggiava anche un’altra nave.
«Ci hanno raggiunti poco dopo l’assalto. Hanno visto anche loro la Orpheus, ma si è limitata a sfrecciargli accanto, considerando che il vero obiettivo eravamo noi», gli aveva spiegato il suo vice.
Jude aveva annuito, in segno di comprensione.
«Dobbiamo arrivare lì prima di loro», aveva sentenziato Jude. «Io e il loro capitano abbiamo un conto in sospeso…»
Ray lo aveva osservato senza parlare, in apprensione.
A volte temeva che Jude potesse lasciarsi sopraffare dalla ricerca del tesoro, o dal desiderio di vendetta nei confronti della Orpheus, e questo non doveva succedere.
Aveva bisogno che il suo ragazzo rimanesse vigile, se volevano davvero raggiungere i loro obiettivi.


La mattina aveva i toni grigi dell’inverno.
Nella parte del mondo in cui si trovavano, in realtà, il freddo non era che un lontano ricordo, ma la mente di Jude s’era persa comunque ad accarezzare quella possibilità.
Il sole non era ancora sorto e sul ponte gli uomini scarseggiavano. Era il limbo tra il giorno e la notte, un momento sospeso in cui il tempo sembrava aver smesso di scorrere. Il mare s’infrangeva con pacatezza contro lo scafo della nave. Non c’erano onde né vento che potesse sollevarle, e quello sciabordio pacato era quasi rilassante.
Jude era seduto sulla polena della Royal. Non avrebbe dovuto spingersi tanto all’esterno rispetto ai confini della nave, lo sapeva, eppure sentire la salsedine così vicina, che si scontrava contro il suo corpo, i vestiti e i capelli faceva correre nel suo corpo una sensazione adrenalinica, che gli permetteva di sentirsi vivo.
Di solito per lui quella percezione era motivo di gioia. Quel giorno, tuttavia, nessun sorriso era comparso sul suo volto.
Erano ormai in prossimità della loro meta, e quello voleva dire solo una cosa: guai.
Nei precedenti giorni di navigazione, non avevano trovato nessuna traccia della Orpheus neppure viaggiando più velocemente. Era come se la nave che li aveva attaccati pochi giorni prima si fosse volatilizzata nel nulla.
Jude non riusciva a trovare un senso in tutta quella faccenda. Se, come aveva detto Paolo, il loro intento era distruggerli, allora dove erano finiti?
L’unica spiegazione che Jude riusciva a darsi era che, ormai vicini all’isola, avessero deciso di dare la precedenza al tesoro. Peccato che, seppur procedendo lungo il percorso, non li avessero mai incrociati.
Jude voleva vendicarsi di quell’assalto tanto quanto desiderava trovare il tesoro. Forse avevano ragione i membri dell’equipaggio che avevano cominciato a lanciargli occhiate oblique, stava impazzendo. La verità era che Jude aveva intravisto una strategia precisa dietro l’attacco di quella notte e, se ci aveva visto giusto, questo bastava e avanzava a motivarlo ancora di più a cercare quella vendetta.
Una nebbia sottile saliva dall’oceano, mentre piccoli schizzi colpivano la Royal.
Si stavano avvicinando, Jude lo sentiva.


Avevano raggiunto l’isola col sole ormai alto all’orizzonte.
L’atmosfera era permeata da un caldo asfissiante, che l’umidità lasciava incollare ai vestiti.
La prua della Royal s’era arenata sulla piccola spiaggia che avevano trovato davanti a loro, seguita a poca distanza dalla Pearl. Non c’erano altre tracce di navi in vista.
Era strano. Sembrava veramente che la Orpheus fosse svanita nel nulla, ma Jude si rifiutava di credere a quell’ipotesi. Paolo non gli era sembrato il tipo da gettare tutto all’aria senza un valido motivo. Il suo sesto senso, inoltre, negli ultimi giorni non l’aveva mai lasciato in pace, e ora d’improvviso aveva cominciato a tormentarlo ancor di più.
Jude s’era ripetuto ancora una volta che quello non era il momento di pensarci. Avevano finalmente raggiunto l’isola su cui per anni avevano agognato di approdare, e forse tra poche ore il tesoro più ricco di tutti i tempi sarebbe stato nelle sue mani. Non poteva mostrarsi insicuro davanti ai suoi uomini adesso, se già nei giorni precedenti avevano cominciato a nutrire dei dubbi su di lui esitare avrebbe comportato, probabilmente, la perdita di appoggio da parte dell’equipaggio.
In una fase così delicata come quella in cui si trovavano adesso, era l’ultima cosa che Jude potesse permettersi.
Una volta scesi a terra, dunque, s’era occupato anzitutto di fornire disposizioni ai suoi uomini.
«Un piccolo contingente sarà in carico di addentrarsi nell’isola», li aveva informati. «Gli altri rimarranno qui a controllare che nessuno si avvicini.»
Gli equipaggi avevano accolto il piano con fiducia. Così, scelti gli uomini da portare con sé – solo coloro di cui si fidava maggiormente –, Jude s’era addentrato nella foresta dell’isola.
Vegetazione lussureggiante li circondava. Ovunque posassero lo sguardo non v’erano che palme altissime, liane e giungle di mangrovie. Fiori enormi, esotici e dai colori vistosi e variopinti sembravano volerli attrarre con la loro bellezza, e proprio per questo Jude aveva intimato ai suoi uomini di tenersi alla larga da questi ultimi. Tutto quel fascino tradiva una elevata dose di veleno mortale, senza ombra di dubbio.
In alcuni punti, Jude e il suo equipaggio erano stati costretti a farsi strada con l’utilizzo delle spade, talmente fitti erano i rami che ostruivano loro la strada.
Per tutto il tempo, Jude era rimasto a capo del contingente, che guidava con solerzia, lo sguardo puntato sulla mappa. Tutt’intorno a loro si alzava dal suolo e dagli alberi un brulichio di vita, segno che centinaia di specie animali li circondavano. Scimmie, serpenti, e chissà quali insetti… senza contare che, se come temeva qualcuno li aveva davvero preceduti, potevano aver piazzato delle trappole lungo tutto il percorso.
Stranamente, tuttavia, neppure sull’isola sembrava esserci traccia di Paolo, né del resto della Orpheus.
Ciò non faceva altro che mettere ancor più in allarme Jude. Era come se tutti i suoi sensi fossero tesi, in allerta, in attesa dell’ennesima imboscata.
Ray era alle sue spalle. L’uomo aveva aumentato un poco il passo, giusto quel che bastava per raggiungerlo.
«Jude», l’aveva richiamato. «Sembra che parlarti sia impossibile, oggi.»
«Perdonami, Ray, sono solo molto concentrato», aveva cercato di rassicurarlo, senza staccare gli occhi dalla mappa.
Ray aveva stretto le labbra, preoccupato. «E immagino che sia per concentrarti meglio se hai deciso di portare con te una pistola», aveva constatato.
Per un momento, Jude s’era fermato sul posto, sollevando lo sguardo per fulminare l’uomo. Era vero: prima di sbarcare dalla Royal, s’era preso una pistola. Jude non aveva mai apprezzato quell’arma, preferendo di gran lunga combattere con la spada, e questo di sicuro doveva aver messo in allarme Ray.
«Che diavolo‒», aveva farfugliato il ragazzo.
Ray aveva indicato la sua vita. «Se non volevi che si notasse avresti dovuto nasconderla meglio», aveva commentato.
Jude aveva abbassato lo sguardo. La giacca, camminando, si sollevava, lasciando visibile il proprio interno, dove, in una delle tasche, era stata sistemata l’arma.
Il ragazzo s’era stretto maggiormente la giacca al corpo, rabbia che scintillava nei suoi occhi. Avrebbe dovuto essere più cauto, tuttavia l’idea che qualcuno l’avesse scoperto lo faceva infuriare.
A maggior ragione se quel qualcuno era Ray.
«È solo una precauzione», aveva bofonchiato.
L’uomo aveva inarcato un sopracciglio. «Una precauzione contro quale evenienza, Jude?», aveva insistito.
Il capitano della Royal aveva roteato gli occhi, per poi rimettersi in cammino.
«Non lo so», aveva risposto, con tono evasivo. Adesso teneva lo sguardo fisso davanti a sé, evitando di incontrare gli occhi di Ray, mentre tagliava di netto una liana con la spada. «È solo il solito sesto senso…»
«Già, peccato che non fallisca mai», aveva commentato Ray. «In ogni caso, avresti dovuto avvertire gli altri…»
«Così da dare loro un motivo in più per dubitare di me? No, grazie», aveva tagliato corto Jude. «Tra noi due sei tu quello che non ha mai faticato a guadagnarsi il loro rispetto, Ray. E ci sta, è comprensibile: dopotutto sei stato il capitano di uno dei vascelli pirata più forti di sempre, e buona parte del mio equipaggio ha servito anche te, all’epoca, ha senso che ti siano ancora fedeli. Nell’ultimo periodo, però, io ho perso un po’ della mia credibilità: prima ho lasciato che la Zeus ci danneggiasse, poi non sono riuscito a respingere l’assalto della Orpheus e infine sono stato ferito. Se adesso lasciassi trapelare che temo un’imboscata, e che non so se riusciremmo a salvarci in quel caso, come pensi che la prenderebbero? Siamo nel bel mezzo di un’isola sconosciuta, non posso correre il rischio di ritrovarmi a dovermela cavare da solo.»
Ray s’era stretto nelle spalle. Comprendeva il ragionamento di Jude, e sapeva che il capitano di un vascello si sarebbe comportato esattamente in quel modo.
Non era riuscito a fare a meno di domandarsi, tuttavia, se anche lui al suo posto avrebbe agito concordemente.
«Forse dovresti imparare a fidarti di più dei tuoi uomini, Jude», l’aveva rimproverato.
Jude s’era voltato nella sua direzione, fulminandolo con lo sguardo. Senza aspettare che Ray potesse infierire ulteriormente, aveva ripreso a camminare in fretta, davanti a lui. Sotto strati di vestiti, sentiva ancora la ferita pulsare, protetta appena dalla fasciatura che David gli aveva avvolto attorno al petto.
Ray aveva continuato a seguirlo, in silenzio, senza riuscire ad aggiungere nient’altro.


Ore di cammino dopo, si erano ritrovati davanti a una fenditura nella roccia, esattamente la stessa che Jude aveva notato la prima volta che aveva osservato la mappa.
Una formazione rocciosa si ergeva nel bel mezzo dell’isola, se non fosse che quell’ingresso pareva simile all’entrata di un cunicolo, o di un tunnel.
Jude esitava. Entrare là dentro era la scelta giusta? Certo, se quel sentiero era l’ultimo tratto che lo separava dal tesoro. Eppure c’erano tante incognite da tenere in considerazione, prima fra tutte il fatto che non avessero la più pallida idea di dove conducesse quel percorso.
David s’era appoggiato alla parete esterna, sbirciando appena oltre l’ingresso: era buio pesto, non si vedeva a un palmo dal proprio naso e nessun rumore sembrava provenire da là dentro.
«Non so voi, ma tutta questa situazione mi mette i brividi…», aveva commentato.
Jude non riusciva a dargli torto. Ora che erano giunti lì quella sensazione di allerta che l’aveva accompagnato per tutto il tragitto s’era fatta ancora più intensa. Riusciva quasi a sentirla mormorare nella sua testa, implorarlo di darle ascolto, di fare attenzione.
Era troppo tardi, ormai.
«Dobbiamo procurarci qualcosa con cui farci luce», aveva affermato.
Caleb era sembrato il più propositivo, in quel caso. «Beh, siamo in una foresta», aveva commentato. «Basterà rimediare dei bastoni e accendere un fuoco da uno dei capi, no?»
Jude aveva annuito. Delle torce avrebbero fatto esattamente al caso loro. Così Caleb e Herman avevano cominciato a dare un’occhiata in giro nella piccola radura erbosa, tornando poco dopo tenendo tra le braccia un numero di rami sufficienti da essere sfruttati come torce da ciascuno di loro. Erano di legno piuttosto robusto, inoltre, il che avrebbe consentito loro di maneggiarli senza problemi e la fiamma sarebbe durata a lungo.
Una volta accese le torce, il piccolo gruppo s’era addentrato tra quei cunicoli oscuri.
La prima cosa che Jude aveva notato, camminando tra i corridoi scavati nella roccia, era il rigagnolo d’acqua che stagnava ai loro piedi. Sembrava provenire dalla direzione verso cui si stavano dirigendo, e doveva essere lì da molto tempo, considerando che il terreno sotto di loro appariva eroso proprio in corrispondenza di quel flusso. Questo comportava una leggera pendenza nel mezzo del percorso e, ovviamente, anche una superficie più viscida da calpestare.
Più proseguivano, più l’acqua aumentava. Jude s’era spostato di lato, accarezzando un fianco del tunnel, e le sue dita l’avevano trovato sorprendentemente umido.
L’eco dei loro passi nel corso d’acqua si rincorreva lungo le pareti di roccia e, assieme ai respiri affannati dei membri dell’equipaggio, era l’unico rumore che li accompagnasse in quella loro traversata.
Ray era sempre rimasto al suo fianco. Dopo l’incidente con la Orpheus, Jude cominciava a sospettare che temesse che potesse farsi male ancora una volta.
La preoccupazione di Jude, al contrario, era volta unicamente nei confronti di Ray.
Ricordava i discorsi a Black Dust, in cui entrambi s’erano detti incapaci di perdonarsi qualora fosse accaduto qualcosa all’altro, e Jude sapeva bene che, ora più che mai, quelle parole erano valide. Aveva permesso a Ray di seguirlo sulla Royal perché riteneva insopportabile l’idea di rimanergli lontano, ma egualmente non tollerava il pensiero che qualcosa di male potesse accadergli ora che aveva seguito lui. Ecco perché non riusciva a perdonarsi che quella notte fosse stato così vicino a perderlo, ecco perché aveva portato con sé quella pistola.
La voce di David l’aveva sottratto ai suoi pensieri.
«Capitano!», l’aveva richiamato infatti.
Non c’era stato bisogno di aggiungere altro. Jude aveva guardato fisso di fronte a sé, e tutto era stato chiaro.
In fondo al tunnel che stavano percorrendo, infatti, proveniva una luce.
Jude non riusciva a comprendere di che cosa si trattasse. Aveva fatto cenno ai suoi uomini di continuare ad avvicinarsi, ma sempre con cautela.
Il ragazzo aveva avvertito una mano stringersi attorno alla sua. Aveva ricambiato la presa, consapevole si trattasse di Ray, e gli era stato grato per quel contatto, poiché era stato in grado di placare almeno un poco l’angoscia che avvertiva al momento.
Il suo sesto senso, tuttavia, si rifiutava ancora di lasciarlo in pace.
Quando si furono avvicinati a quella fonte di luce, a Jude fu chiara la sua provenienza.
Quella che all’esterno sembrava una montagna, infatti, internamente si presentava in maniera ben diversa. Il centro della roccia era scavato, dal fondo fino alla cima, dove compariva un’apertura circolare, che permetteva alla luce del sole di penetrare lì dentro. L’acqua che li aveva accompagnati fin dal loro ingresso, inoltre, si presentava ora come un lago, dal fondo basso e pieno di ciottoli, o quantomeno un acquitrino che raccoglieva l’acqua piovana, che dal foro in alto giungeva fin lì.
Al centro del lago, inoltre, sorgeva uno sperone roccioso. E, sopra di esso…
«Il tesoro!», aveva esclamato Joe.
Jude aveva faticato a tenere sotto controllo il battito del proprio cuore. Ciò che si trovava ora sotto i suoi occhi sembrava un sogno.
Era un forziere enorme, di legno scuro e all’apparenza pesante. Il coperchio era sollevato, e oltre di esso si intravedeva ogni genere di ricchezze: oro, perle, pietre preziose…
Jude si sentiva così irrimediabilmente attratto da quel forziere. Lo avevano cercato per anni e, adesso, era finalmente davanti a loro.
Prima ancora di rendersene conto stava già correndo in direzione dello sperone. Non gli importava nemmeno più dell’acqua, i suoi stivali avevano cominciato a sguazzarci dentro.
«Jude!», l’aveva richiamato David, invano.
Ray lo aveva seguito. Gli era rimasto a pochi passi di distanza, e si muoveva più lentamente rispetto a lui, ma Jude sapeva bene che non aveva alcuna intenzione di perderlo di vista.
A Jude stava bene. In fin dei conti, anche Ray aveva inseguito per anni quel tesoro, per cui era giusto, dal punto di vista del ragazzo, che si trovasse al suo fianco in quel momento. Inoltre, era la persona che amava, per cui non sarebbe potuto essere più sensato di così.
Attorno allo sperone ruotava quella che pareva essere una spirale, dotata di piccoli gradini. Jude aveva preso ad arrampicarsi su di essi, seguito a breve distanza da Ray, finché entrambi non si erano ritrovati davanti al forziere.
L’oro rifulgeva d’una luce così brillante che, per un momento, Jude aveva temuto che potesse accecarlo. Il ragazzo aveva affondato le mani tra quei tesori, e un sorriso vittorioso si era dipinto sul suo volto.
Avevano vinto. Erano i pirati più potenti dei sette mari. Avevano trovato il forziere fantasma, erano ricchi…
In quel momento, tuttavia, i mormorii del suo sesto senso avevano raggiunto il culmine, tramutandosi in un sibilo.
E Jude aveva compreso appena in tempo che quest’ultimo non si trovasse nella sua mente.
«A terra!», aveva gridato.
Era riuscito ad afferrare Ray appena in tempo, prima che una daga saettasse sopra le loro teste.
Il pugnale era atterrato alle loro spalle, il clangore metallico che annunciava l’impatto contro i ciottoli a terra. Si erano chinati appena in tempo verso il basso, altrimenti sarebbero stati colpiti in pieno.
La grotta s’era riempita di grida, e Jude aveva compreso che altri li avevano raggiunti.
Subito l’equipaggio della Royal aveva sguainato le spade, preparandosi a difendere dall’assalto degli avversari, e il rumore delle lame che cozzavano l’una contro l’altra s’era diffuso ovunque intorno a loro, complice la roccia che ne amplificava il suono.
Jude s’era sporto appena col capo oltre lo sperone, che era ora diventato il nascondiglio che difendeva lui e Ray, e i suoi occhi s’erano riempiti d’odio non appena si erano posati sulla figura che era appena sbucata dal fondo del cunicolo.
Paolo Bianchi lo fissava col solito sorriso in volto, vittorioso, trionfante.
«Davvero pensavi che ti avrei lasciato vincere così facilmente, capitano?», l’aveva provocato.
Jude aveva ringhiato tra i denti, facendo per afferrare l’elsa della sua spada. Ray, tuttavia, lo aveva afferrato per un polso.
«Aspetta un momento!», aveva sussurrato.
«Non posso lasciare i miei uomini in mezzo a una carneficina, Ray!», aveva sbottato di rimando il ragazzo.
«Sì, ma non puoi nemmeno lanciarti là senza avere uno straccio di piano», gli aveva fatto notare l’uomo. «Oltretutto, sei ancora convalescente dopo l’ultimo attacco…»
Jude aveva tamburellato nervosamente le dita sul proprio ginocchio. «Che cosa proponi di fare, allora?», aveva domandato.
Sul volto di Ray era comparso un ghigno. «Ma è semplice, ragazzo mio», aveva replicato infatti. «La risolveremo come ai vecchi tempi.»
Sul volto di Jude s’era disegnata un’espressione confusa, ma s’era dissipata subito nel momento esatto in cui aveva compreso le parole di Ray. A quel punto, un sorriso scaltro l’aveva rimpiazzata.
«Insieme?», aveva domandato Ray.
«Insieme», aveva confermato Jude.
Era stata questione di secondi: s’erano rialzati in piedi e avevano estratto le spade dal fodero, sistemandosi schiena contro schiena. Subito gli uomini di Paolo erano corsi nella loro direzione, con l’intenzione di accerchiarli.
Jude s’era ritrovato almeno cinque pirati a fronteggiarlo, e probabilmente a Ray erano toccati altrettanti. Non aveva idea di come stesse andando la situazione per il resto del suo equipaggio, ma al momento non poteva curarsene. C’erano solo lui, e quegli uomini.
Battersi a duello con così tanti avversari contemporaneamente non era affatto una passeggiata, soprattutto se erano anche degli abili spadaccini come in quel caso. Per di più, Jude doveva tener conto anche della sua ferita al fianco, che era tutto fuorché guarita.
Inoltre, la Royal era in svantaggio numerico rispetto alla Orpheus. Aveva lasciato la maggior parte del suo equipaggio nei pressi del vascello poiché, non trovando nessun’altra nave in vista, aveva ipotizzato che i loro avversari non fossero ancora giunti. Data l’abbondanza di uomini, qualora la Orpheus fosse approdata dopo di loro aveva sperato così di metterli in difficoltà, o quantomeno di rallentarli.
Qualcosa, tuttavia, doveva essere andato storto. Ora, però, non aveva tempo per pensarci.
Gli uomini di Paolo si muovevano con grande agilità. Erano veloci, per di più, e Jude faticava a stare dietro a tutti i loro movimenti. Attaccandolo in contemporanea lo stavano mettendo in difficoltà, ma Jude stava provando comunque ad individuare il punto debole di ciascuno.
Quattro lo attaccavano lateralmente, due a destra e due a sinistra, infine uno lo fronteggiava faccia a faccia.
Jude aveva deciso di lasciarselo per ultimo.
Il ragazzo aveva sollevato la spada sopra il suo capo, e l’uomo che nella formazione si trovava al centro aveva fatto altrettanto, cercando di pararsi da un eventuale fendente. Jude, tuttavia, aveva spinto con tutto il suo peso corporeo in avanti. L’avversario, preso alla sprovvista, si era ritrovato a barcollare all’indietro, concedendo così un po’ di terreno a Jude.
Bene. Aveva guadagnato qualche secondo. Ora poteva occuparsi degli altri.
Era stato fortunato. Sotto di loro si trovava il bacino d’acqua pluviale, ottimo modo per liberarsi degli avversari.
Facendo attenzione a mantenere la guardia coperta, Jude aveva tentato un affondo in avanti. La punta della spada s’era infilzata all’altezza dello stomaco, e subito sul volto del suo avversario era comparsa un’espressione di dolore. S’era piegato su se stesso, rantolando per il dolore, tuttavia, ormai giunto sull’orlo dello sperone roccioso, aveva perso l’equilibrio, cadendo all’indietro nell’acquitrino.
Il secondo, compresa la sorte del proprio compagno, s’era lasciato prendere dalla rabbia. Si era lanciato in avanti, tenendo la spada tesa di fronte a sé. Jude aveva sferrato il colpo successivo facendo roteare la propria arma dal basso verso l’alto, colpendo così il piatto della lama dell’avversario. L’impatto era stato così violento che la spada era volata via dalle mani del suo avversario, cadendo da qualche parte, in lontananza, tra le pietre. Il volto del membro della Orpheus s’era subito contratto in un’espressione terrorizzata. Jude s’era limitato ad affondare in avanti, colpendolo al petto. Poco dopo, anche il suo secondo avversario era volato verso il basso, esanime.
Per occuparsi dei due uomini successivi, Jude aveva effettuato una piccola piroetta su se stesso. Quando s’era arrestato, la sua spada aveva cozzato contro quella del suo avversario successivo.
Era riuscito a fermare il colpo appena in tempo. Tenendo stretta l’elsa tra le mani, aveva respinto la lama avversaria, creando un momentaneo varco nella sua guardia. Jude l’aveva sfruttato senza esitazioni: aveva mirato alla carotide, tranciandola di netto. L’uomo s’era subito accasciato al suolo, rotolando giù dalla pietra.
Rimanevano solo due avversari. Cercavano di danzargli intorno in maniera ipnotica, ma Jude non sembrava particolarmente persuaso.
Il primo dei due si era lanciato in avanti, tenendo la spada sollevata sopra il capo e preparandosi a sferzare un fendente laterale. Jude, intuendo la traiettoria, aveva mirato nella direzione opposta, ferendolo ad una gamba. Il suo avversario aveva indugiato, inciampando nei propri passi, e Jude ne aveva subito approfittato per colpirlo: una stoccata dritta al fianco, per poi spingerlo nel bacino sottostante con un calcio in pieno petto.
Solo un uomo, il primo che s’era lanciato contro di lui, era rimasto in piedi. Ora che Jude s’era lasciato una scia di morte intorno, lo fissava con fare guardingo, indugiando nell’attaccarlo.
Il capitano della Royal, invece, non aveva alcuna inibizione. Combattere fianco a fianco con Ray l’aveva riportato indietro di anni, quando assieme navigavano attraverso i mari con la Black Dust. Allora nessun avversario era riuscito a sconfiggerli, e sapere che nonostante fosse passato del tempo la loro invincibilità era rimasta invariata aveva riempito Jude d’energia. Il ragazzo s’era scagliato contro il suo avversario prima che quest’ultimo potesse rendersene conto, la lama della spada che gli aveva trafitto la gola da parte a parte. L’uomo l’aveva fissato, esterrefatto, mentre la vita lo abbandonava. Continuando a tenerlo infilzato per la gola, Jude gli aveva sollevato il corpo, finché non s’era ritrovato sopra il bacino d’acqua. A quel punto, il capitano della Royal aveva inclinato appena la propria lama, lasciando che l’ultimo cadavere affondasse nell’acquitrino.
Liberatosi finalmente dei suoi assalitori, Jude s’era voltato: alle sue spalle, Ray era circondato dai corpi privi di vita degli uomini che lo avevano attaccato. Come aveva immaginato, l’ex capitano della Black Dust non aveva perso la sua destrezza nel duello.
«Ottimo lavoro», aveva commentato Ray, soddisfatto.
Jude aveva sorriso orgoglioso, le gote che s’erano imporporate appena. Si era poi voltato, osservando la situazione nel resto della grotta.
L’equipaggio della Royal, seppure in inferiorità numerica, se l’era cavata alla grande contro la Orpheus. La ciurma di Jude, infatti, era riuscita a respingere l’attacco senza alcuna difficoltà. L’unico a sembrare ferito era David, ma si trattava di un taglio al braccio per nulla profondo o grave, visto che il suo vice continuava a muoversi agilmente e privo d’affanno.
Dei nemici, l’unico ad essere ancora in piedi era Paolo. Guardava attorno la disfatta del suo equipaggio, senza riuscire a capacitarsene.
«Non è possibile!», aveva gridato, disperato.
Prima che Ray riuscisse a fermarlo, Jude era corso giù dallo sperone del tesoro, la spada sguainata.
Paolo aveva estratto la propria appena in tempo, quando ormai Jude gli era arrivato davanti. Le lame s’erano scontrate con violenza inaudita, lanciando scintille tutt’intorno.
«Non ho mai conosciuto qualcuno vigliacco quanto te», l’aveva deriso Jude. «Combatterai anche al fianco dei tuoi uomini, ma ti lanci contro qualcuno solo se sai di essere in superiorità numerica.»
Il ragazzo gli aveva rivolto una smorfia beffarda. «Non ci vedo nulla di male», aveva replicato. «Dopotutto, a chi non piace vincere?»
Jude aveva trattenuto un ringhio tra i denti. «Quando mi hai attratto nel vicolo devi aver capito che il mio punto debole era Ray», aveva continuato. «Non so come, ma ci sei arrivato. Così, pur di mettermi alle strette, hai cercato di ucciderlo, consapevole che avrei fatto di tutto pur di salvarlo, compreso prendermi il colpo al posto suo.»
Le lame s’erano separate, e i due capitani avevano cominciato a girarsi attorno, entrambi concentrati e famelici.
«Un modo valeva l’altro», aveva ribattuto Paolo ancora una volta. «Non ho mai voluto mettere in pericolo la vita di Dark, ma se questo significava arrivare a te non avevo alternative.»
«Una cosa però non mi è chiara», aveva ripreso Jude. «Quando siamo arrivati non abbiamo trovato traccia da nessuna parte della Orpheus. Perché?»
Paolo aveva sogghignato, scaltro. «Dopo essere approdati ho chiesto ai miei uomini di circumnavigare l’isola», aveva spiegato. «Sapevo che si trattava solo di una questione di tempo prima che ci raggiungeste. Non avremmo mai fatto in tempo a portare via il tesoro prima del vostro arrivo, così ci siamo nascosti, in agguato. Abbiamo atteso che arrivaste, dopodiché vi abbiamo seguiti fin qui, senza che ve ne accorgeste.»
Sul volto di Jude era comparsa un’espressione compiaciuta. «Un buon piano, te lo concedo», aveva ammesso. «Peccato che tu non abbia tenuto conto di una cosa.»
«Di cosa?», aveva domandato Paolo, inarcando un sopracciglio.
Prima che potesse rendersene conto, Jude era scattato fino a raggiungerlo, i volti che per poco non si sfioravano.
«Del mio risentimento.»
La spada di Jude aveva colpito la sua, sfruttando a proprio vantaggio l’improvviso abbassamento della guardia di Paolo, confuso dal movimento repentino, e questa era volata via, lontano.
Jude aveva sogghignato, vittorioso. Era la seconda volta che lo disarmava.
Il capitano della Orpheus era caduto in ginocchio, inerme.
Jude aveva estratto la pistola dal fodero della giacca, stringendola con forza tra le dita.
«N‒No! Aspetta, non farlo, posso ancora tornarvi utile come alleato!», l’aveva scongiurato Paolo.
Un sogghigno era comparso sul volto di Jude. «Ancora non l’hai capito?», aveva domandato, il volto che tornava mortalmente serio. «Io non me ne faccio niente di te.»
Uno sparo.
Poi, il silenzio.
Il corpo di Paolo Bianchi era caduto all’indietro, nell’acqua, mentre sangue copioso sgorgava dal suo cadavere.





▬ notes

Ah, sono stanca. Sono due giorni che giro come una trottolina e mi sto concedendo del tempo per editare soltanto adesso. Com'è che avevo detto? "Nono voglio più procrastinare"?
Comunque, ah. Questo capitolo mi dà soddisfazione. Non so bene perché, forse credo di aver reso bene la scena del combattimento. Giuro, è da tutta la vita che faccio pena nelle descrizioni con un po' più di "azione", eppure tra la storia dei maghi e questa ho avuto modo di scrivere spesso spezzoni del genere, di recente. E non so, forse sto migliorando nel fare qualcosa, potrei essere un pochino proud di me.
Questo era l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, e anche qui di cose ne sono successe. Anzitutto ovviamente Jude si è salvato, non che ci fossero molti dubbi ma il nostro caro ragazzo è riuscito comunque a farci stare un poco in apprensione, dai, ammettiamolo.
Lui e Ray che bisticciano sul ponte della Royal come la old married couple quale sono, inoltre, mi fanno letteralmente schizzare cuoricini da tutti i pori (?)
Aehm. Serietà.
Finalmente i nostri eroi hanno trovato anche il tanto agognato tesoro, ma, nel momento esatto in cui sono finalmente sul punto di gioire per aver raggiunto la meta che per lunghi anni avevano cercato, la Orpheus li raggiunge. Sì, c'era da aspettarselo in effetti.
E vorrei dire di essere dispiaciuta per la fine di Paolo, ma sinceramente la cosa non mi ha toccata più di tanto. Anzi, vorrei quasi dire di essermi divertita a scrivere della sua morte visto che aveva causato guai ripetutamente ai miei bimbi, ma eviterò di farlo per non essere linciata.
Ad ogni modo, per questo capitolo credo di avervi detto tutto, per cui ci vediamo domenica con l'epilogo tranquilli, sarà decisamente più breve dei precedenti aggiornamenti. Sniff, ma ci rendiamo conto? Questa sarà la seconda storia che porto a termine nel 2020 in teoria ho finito prima diwk ma vbb #Ariaproud
See ya,
Aria

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Capitolo 6
*** Epilogue – Sea ***


pirates

Il cielo terso sembrava essersi fuso con il mare.
Non c’erano onde né vento a ostacolare la loro navigazione, e gli uomini a bordo si muovevano con solerzia, ma al tempo stesso con tranquillità.
Jude non ricordava di aver mai visto una mattina limpida come quella. In piedi a prua della nave, le braccia conserte, osservava l’oceano cristallino che si lasciavano alle spalle e quello che li attendeva ancora davanti.
Ce l’aveva fatta. A soli vent’anni, era diventato il capitano del vascello più potente del globo intero.
Il ritrovamento del tesoro fantasma, ora gelosamente custodito nella stiva della Royal, era il coronamento di un sogno, ma altresì la dimostrazione di essere riuscito in tutto ciò in cui i suoi predecessori avevano fallito.
Jude aveva chiuso gli occhi. Aveva inspirato una profonda boccata d’ossigeno, riempiendosi i polmoni del profumo del mare. Era così delizioso che un sorriso era genuinamente comparso sul suo volto.
«Ti godi il successo?»
Jude aveva avvertito i passi alle sue spalle, così come le braccia che, poco dopo, gli avevano cinto la vita, ma non aveva comunque sollevato le palpebre, continuando a godersi la brezza fresca del mare sulla pelle.
«Sai qual è la cosa più gratificante, in tutto questo?», aveva domandato il capitano della Royal, strofinando il capo contro il petto della persona alle sue spalle.
«Uhm, non saprei, che sei diventato il capitano di una nave pirata più temuto di tutti i tempi, superandomi?», aveva chiesto Ray. Le sue dita si erano intrecciate tra i capelli castano dorati del ragazzo, accarezzandone con premura le ciocche.
«No.» Jude aveva riaperto gli occhi, voltandosi verso l’uomo. «Che sei al mio fianco.»
Ray aveva sogghignato. La mano era scesa dai capelli al volto di Jude, cominciando a carezzargli una guancia.
«E sentiamo, quali sono adesso i tuoi piani, capitano?», gli aveva domandato ancora, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi di Jude, di quel rosso così magnetico e ipnotizzante.
Jude aveva sorriso, abbandonandosi alle sue carezze.
«Beh… per prima cosa faremo rotta su Black Dust», aveva spiegato il ragazzo. «Il tesoro fantasma sarà decisamente più al sicuro nelle inespugnabili casseforti nei sotterranei del tuo palazzo. Con la fortuna che abbiamo trovato sia la flotta che l’isola saranno in grado di sostentarsi per molto tempo. Dopodiché… non penso che mi fermerò per molto. Il tempo di riposare, sia io che la ciurma, e di sistemare la nave nei punti in cui è stata danneggiata, per poi riprendere il mare. Sarebbe bello riuscire finalmente a fermarsi, godersi la quiete della vita sulla terraferma… ma la verità è che comincio a pensare che per me sia impossibile. Non riesco a stare troppo a lungo lontano dall’acqua, è un richiamo troppo forte per me… e poi voglio viaggiare, scoprire, arrivare dove nessuno è ancora approdato…»
Gli occhi di Jude si erano persi nell’orizzonte davanti a loro. Una coppia di gabbiani era sfrecciata accanto alla Royal, per poi volare altrove, lontano. L’acqua limpida s’infrangeva contro lo scafo della nave, mentre una brezza leggera gli faceva ondeggiare i vestiti contro il corpo.
E Jude ne aveva avuto la certezza: era quella la vita che avrebbe voluto condurre per il resto dei suoi giorni, e non ne sarebbe mai potuta esistere un’altra diversa.
Ray gli aveva accarezzato il collo, godendosi il sussulto che era stato in grado di suscitare in lui.
«Mh… e io dove mi collocherei in questo splendido disegno?», aveva chiesto.
Jude s’era morso un labbro. «Questo devi dirmelo tu, in realtà», aveva commentato. «Non posso scegliere per te, Ray. Se il tuo desiderio sarà quello di fermarti nuovamente a Black Dust, io non potrò far altro che assecondarlo.»
Lo aveva messo in conto, ovviamente. Rinunciare a svegliarsi ogni mattina e trovare Ray al proprio fianco era per Jude un sacrificio, ma sarebbe stato disposto a sopportarlo, se solo questo avesse significato la serenità dell’uomo che amava. Anni addietro si era fermato su quell’isola, a cui aveva dato lo stesso nome del suo veliero, perché aveva scelto di mettere la parola fine alla propria attività di pirata. Jude era ripartito, incapace di sopportare la lontananza dall’avventura, ma quando era tornato Ray l’aveva seguito, perché entrambi avevano scoperto che separarsi era divenuta una tortura. Jude, però, aveva sempre pensato che Ray l’avrebbe seguito solo in quell’ultima avventura, il tempo di vendicarsi della Zeus per poi tornarsene alla vita tranquilla e pacifica dell’isola. Quello con la Orpheus, in realtà, era stato un incidente che aveva prolungato la loro navigazione, ma adesso che era tutto finito e che stavano tornando a Black Dust nel migliore dei modi, ovvero con il più ricco dei tesori a bordo, avrebbe avuto senso continuare a viaggiare? Ray sarebbe rimasto con lui?
Jude continuava a chiederselo da quando avevano ripreso a navigare. Più ci pensava, e più non riusciva a darsi pace.
Non voleva restare di nuovo lontano da Ray, ma non voleva neppure che si sentisse costretto ad assecondare i suoi sciocchi capricci.
Ray l’aveva fissato. Sembrava aver letto qualcosa, in quei suoi occhi rosso sangue – forse, dopo aver passato così tanto tempo insieme, riusciva ormai a leggergli nel pensiero, aveva ipotizzato Jude.
«E così», aveva commentato l’uomo, prendendogli il volto tra le mani «pensi davvero che, dopo tutte le avventure che abbiamo affrontato insieme, io possa continuare a restare lontano da te, eh, Jude?»
«Beh, ecco io‒»
Ray aveva posato un indice sulle sue labbra. «Ascolta. Se ti ho seguito è perché voglio stare con te. E non c’è motivo per cui io possa smettere di desiderarlo. Ti seguirò anche in capo al mondo, se solo così potrò assicurarmi di restarti accanto.»
Un calore rassicurante s’era divampato nel petto di Jude.
«Ray…»
«Shh.»
Ray s’era chinato sulle sue labbra. Era stato un bacio dolcissimo, e il cuore nel petto di Jude aveva preso a battere all’impazzata nel momento in cui si era reso conto che quella era la prima volta che lo baciava in presenza di altri elementi della ciurma.
A Jude non importava. Non voleva più nascondersi. Tutto ciò che desiderava era poter restare al fianco di Ray, per sempre.
Ray s’era allontanato appena da lui, solo per permettere ad entrambi di riprendere fiato.
«Mostrami la strada, capitano», l’aveva pregato.
Jude aveva chiuso gli occhi, sorridendo beato. Chissà se era mai stato tanto felice come in quel momento.
Davanti a loro, una distesa di mare limpido li attendeva, pronto per essere esplorato.





▬ notes

E anche quest'avventura, così come l'estate, giunge al termine, signori.
Sono felicissima di aver cercato di tenervi un po' di compagnia lungo questi mesi torridi, e adesso non riesco a fare a meno di essere un po' malinconica. Mi ricordo dei giorni caldi di luglio, passati a scrivere questa storia, col ventilatore usb rigorosamente collegato al pc e puntato addosso a me per non morire di caldo.
È stato faticoso in alcuni momenti, lo ammetto. Pubblicare sia Do I Wanna Know che Heart of the Ocean in contemporanea ha comportato un po' di stress, soprattutto quando mi sono ritrovata  aggiornameni ravvicinati e separati giusto da un paio di giorni, dove il tempo per editare era poco ma i capitoli... beh, mi conoscete, quelli ovviamente erano lunghi ^^
Ad ogni modo, le avventure dei nostri amati personaggi si concludono qui. Tuuto è bene quel che finisce bene, mentre davanti a loro si prospetta un futuro ricco di amore e avventure.
E le nostre di avventure, invece? Beh, non c'è molto da dire: mi mancano gli ultimi tre aggiornamenti di diwk, che mi terranno occupata per tutto settembre – sebbene per fortuna con un po' più di respiro, finalmente –, dopodiché... oh, in realtà non lo so. Forse mi prenderò una pausa chi lo sa. In ogni caso, il futuro è imprevedibile, mai farsi troppi piani.
Prima di salutarvi, volevo ringraziare chiunque abbia seguito questa storia. Spero che vi sia piaciuta, che non vi abbia delusi e soprattutto che sia riuscita ad intrattenervi, almeno un po'.
Bene, credo che adesso sia finalmente giunto il momento di andare. Ma ricordate, ciurma, siate sempre pronti a spiegare le vostre vele al sopraggiungere di un vento favorevole, e non smettete mai di cercare nuove avventure!
Ancora grazie
Aria

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