Dark Circus

di Lacus Clyne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II. prima parte ***
Capitolo 4: *** II. seconda parte ***
Capitolo 5: *** II. terza parte ***
Capitolo 6: *** III ***
Capitolo 7: *** IV. prima parte ***
Capitolo 8: *** IV. seconda parte ***
Capitolo 9: *** V. prima parte ***
Capitolo 10: *** V. seconda parte ***
Capitolo 11: *** VI. prima parte ***
Capitolo 12: *** VI. seconda parte ***
Capitolo 13: *** VI. terza parte ***
Capitolo 14: *** VII. prima parte ***
Capitolo 15: *** VII. seconda parte ***
Capitolo 16: *** VIII. prima parte ***
Capitolo 17: *** VIII. seconda parte ***
Capitolo 18: *** IX. prima parte ***
Capitolo 19: *** IX. seconda parte ***
Capitolo 20: *** X. prima parte ***
Capitolo 21: *** X. seconda parte ***
Capitolo 22: *** X. terza parte ***
Capitolo 23: *** X. quarta parte ***
Capitolo 24: *** XI. prima parte ***
Capitolo 25: *** XI. seconda parte ***
Capitolo 26: *** XI. terza parte ***
Capitolo 27: *** XI. quarta parte ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO◊

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarebbe stato un inverno particolarmente nevoso quello dell’ultimo anno. Non che la neve non mi piacesse, anzi, sin da quand’ero bambina, la attendevo con trepidazione. Coperte in pile e cioccolata bollente con un signor ciuffo di panna montata. La mamma che addobbava il grande albero nel salotto di casa, incerta sull’abbinamento giusto di colori. Rosso o dorato? Magari il blu ci sta anche. No, quest’anno sono solo fiocchi. Bianchi. Era divertente vederla alle prese con scelte di importanza vitale, come le definiva papà. Ed era altrettanto piacevole pensare a quanto mio padre chiudesse ogni rapporto lavorativo con la tecnologia per dedicarsi soltanto alla sua famiglia, durante le feste natalizie. Già, i miei genitori erano sempre stati particolarmente attenti a questo genere di cose. E così, nel corso degli anni, mi ero ritrovata a vivere l’arrivo dell’inverno con la consapevolezza che con esso arrivava quel meraviglioso momento di serenità e condivisione familiare.

Quell’anno, tuttavia, sarebbe stato diverso. Progettavo di tornare a casa una volta concluso il semestre e per questo avrei dovuto attendere ancora qualche mese. Per di più, il mio appartamento era troppo piccolo per ospitare un’intera famiglia e cosa ancora più importante, era già abbastanza popolato. Ma non quella sera. Lucy si era messa in testa di festeggiare la conclusione della mia ultima tranche di esami. A essere più precisi, la mia matta coinquilina e migliore amica (a giorni alterni), aveva ben pensato, assieme al mio (da un anno e mezzo) un po’ meno pazzo fidanzato, Trevor, di trascinarmi fuori casa, di trascorrere la serata – parte prima – a mangiare al sushi bar e – parte seconda – , di aspettare la mezzanotte a suon di shottini.

D’altro canto, dopo un mese di segregazione da studio, pizza e caffè, l’idea di uscire non era affatto male. Un po’ meno gradito era il gelo pungente che Lucy aveva pensato di combattere a suon di Tequila Bum Bum o Jagermeister. Per fortuna, Trevor, per quanto complice di Lucy, aveva raziocinio a sufficienza per impedirci di ubriacarci. E se dopo il primo giro la mia amica era ancora in grado di intendere e di volere, tre giri più tardi, aveva spifferato a Trevor che la prima volta che avevo incrociato il suo sguardo, durante un concerto di Katy Perry, gli avevo dato del maniaco. A distanza.

– E con questo si chiude un’amicizia, Lucinda Garner. – la minacciai, trangugiando velocemente il mio terzo bicchierino lasciando che il calore dell’alcool scendesse in gola.

Pochi secondi e non mi ricordai nemmeno cos’avevo appena detto.

Lucy e io ci scambiammo uno sguardo a occhi sgranati e pupille dilatate. Nei suoi occhi cervoni, bordati da ciglia scurissime, arcuate ed eye-liner verde smeraldo, intravidi i miei color azzurro. La sua espressione era la mia. Sollevammo entrambe la mano sinistra, la sua recante un piccolo tatuaggio floreale in corrispondenza del polso, poi le portammo ai capelli. Quelli di Lucy erano cortissimi e sbarazzini, più neri della pece causa tintura recente. Ci studiammo. Osservai attentamente il modo in cui le dita affusolate carezzavano il ciuffo ribelle che le era sceso appena sulla fronte. Nello stesso momento, le mie dita sfiorarono la ciocca di capelli castano cioccolato leggermente mossi che portavo molto lunghi sin da quand’ero bambina. Lucy aggrottò le sopracciglia. Io feci lo stesso. Con un sospiro di rassegnazione, Trevor aspettava la nostra prossima mossa. Ci capimmo a volo. Con le mani libere, Lucy afferrò la bottiglia di Jagermeister, io il bicchierino vuoto, subito riempito. Lo porsi a Trevor, che alzò le braccia in segno di resa.

– Scordatevelo. Sono io quello che ha la responsabilità di portarvi a casa incolumi, signorine. E per il bene dei vostri stomaci e delle mie orecchie, sarà meglio che questo sia stato l’ultimo giro. – sentenziò.

Dio, giuro che lo amavo. Sì. Io amavo Trevor Lynch. Nonostante avessi pensato che poteva essere un maniaco. Ma non lo era. Era il ragazzo più dolce e perfetto del mondo. Tranne che quando lasciava i suoi abiti in giro per la stanza dopo aver trascorso la notte insieme. Scoppiai a ridere e posai il bicchierino, poi gli avvolsi le braccia al collo. Ero brilla, il freddo era un lontano ricordo, stavo festeggiando in anticipo l’ultimo Natale al college prima di essere scaraventata nel mondo del lavoro e mentre la mia pazza amica sogghignava, cercavo di focalizzare l’attenzione su quanto, anche a distanza da casa, dalla mia famiglia, fossi felice.

Gli occhi verde scuro di Trevor erano divertiti, a volte sorpresi dalla mia intraprendenza. Sorrisi, avvicinandomi al suo viso. Non si era rasato quel giorno. La ruvidezza della sua guancia a contatto con le mie labbra mi mandò su di giri. Senza pensarci due volte, trovai le sue labbra carnose e ci ritrovammo piuttosto impegnati in un bacio. Per un attimo mi ritrovai a pensare che era un gran peccato essere fuori casa proprio in quel momento. E a giudicare dal modo in cui Trevor aveva risposto doveva star pensando la stessa cosa. Lucy, da parte sua, si limitò a qualche colpetto di tosse per richiamarci all’ordine. Non che stessimo dando spettacolo, considerando che la gente nel locale seguiva la tv o parlottava. A ognuno il suo.

Ci ritrovammo fuori nell’arco di una decina di minuti. Il freddo si era fatto risentire pungente e aveva ricominciato a nevicare. Non che mi dispiacesse, in quel momento preciso, visto che mi era servito a recuperare un po’ di lucidità. L’orologio digitale nella piazzetta squadrata, costellata di alberi innevati e addobbati da luci soffuse, indicava le 00:05 del 22 dicembre.

– Torniamo a casa? – proposi, prendendoli entrambi sottobraccio.

Lucy arricciò le labbra color corallo, rivolgendoci uno sguardo eloquente. Quando faceva così, aveva qualcosa in mente.

– Ah no. Non ho alcuna intenzione di sorbirmi voi due piccioncini. Quindi, Lynch, ora voi due accompagnate me a casa, e ve ne andate da te. Ah, Kate, a proposito. Non svegliarmi di nuovo presto come l’ultima volta. Ricordati le chiavi, eh? – si lamentò.

Ridacchiai, pensando a quante volte ci eravamo ritrovate nella medesima situazione nell’ultimo anno. Trevor, calcando sulla testa bionda e riccia il berretto di lana nero, assentì.

– Ora che non hai altre preoccupazioni potresti passare qualche giorno da me. Che ne dici? – mi chiese.

Sollevai lo sguardo fino a incrociare il suo. Dovevo ammettere che avere un ragazzo che già lavorava e poteva permettersi un appartamento tutto per sé era comodo, ma l’idea di trascorrere qualche giorno di relax sotto le feste assieme alla persona amata era anche migliore. Lucy dopotutto, aveva già preventivato di tornare a casa per Natale, quindi non avrei avuto sensi di colpa da abbandono. Annuii, strappandogli un sorriso entusiasta, trovando anche l’approvazione della mia migliore amica, che mi scoccò un bacio, gelato, sulla guancia. A decisione presa, accompagnammo Lucy a casa, a pochi isolati di distanza dal nostro locale preferito e dopo aver ascoltato le sue raccomandazioni sul non voler diventare zia a soli ventitré anni, ci avviammo verso il condominio in cui viveva Trevor. Era da un po’ che non stavamo da soli, pertanto decidemmo di goderci a pieno il resto di quella notte e i giorni che sarebbero seguiti.

Per strada, abbracciati l’uno all’altra, mentre la neve continuava a cadere e gli irriducibili della notte se la spassavano, ci ritrovammo a progettare di future vacanze una volta conseguita la laurea. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto vedere tutta la East Coast, mentre Trevor avanzò proposte per l’Europa. Nessuno di noi due ci era stato. A pensarci non sarebbe stato male, ma dal momento che il mio traguardo era più vicino delle sue ferie, avrei potuto spuntarla più facilmente. Passeggiavamo osservando luci e vetrine, in pieno centro. Poi la sua attenzione venne catturata dalla locandina di un circo che sarebbe venuto in città per il Capodanno.

– Ti andrebbe di farci un salto? – chiese, indicando la figura ammantata che a occhio e croce doveva rappresentare un mago nero stampata sulla locandina.

Mi strinsi più forte nel suo abbraccio. Il circo in realtà mi aveva sempre messa a disagio. Sin da quand’ero bambina. Mi ci avevano portata una volta, ma l’odore dei fumi colorati misto a quello degli animali, mi infastidiva. E la vita da nomadi dei circensi mi faceva un po’ impressione. Era come se fossero quelle persone di cui non potersi fidare. Preferivo di gran lunga la stabilità.

– No, non mi interessa. – tagliai corto, sperando che non insistesse. Non mi andava di spiegargli che razza di pensieri sicuramente irrazionali, ma che di certo mi provocavano sensazioni di profondo disagio, stavano attraversando la mia mente in quel momento.

Trevor assentì, facendo spallucce. – Ok, ci ho provato. – rispose con un sorrisetto sbilenco, prima di baciarmi.

Il contatto con le sue labbra fredde mi fece rabbrividire e gli proposi di affrettarci a rientrare, quando il suo cellulare squillò. Un’imprecazione sottovoce mi fece sorridere più del dovuto, soprattutto quando realizzò che si trattava di Lucy.

– Perché non ha chiamato te? – domandò, mentre si apprestava a rispondere.

Svelta, controllai il mio telefono, colpevolmente scarico. Eravamo vicini alla via di casa di Trevor, piuttosto trafficata, tanto che si dovette allontanare di qualche passo protestando perché non riusciva a capire cosa stesse dicendo Lucy. Infilai le mani nel montgomery, in attesa, e mossi i piedi per scaldarmi. Nell’aria notturna, il fiato non era vaporizzato, ma decisamente congelato. Mi voltai un paio di volte verso Trevor, notando la sua figura alta e slanciata, chiusa nel Peuterey blu scuro, mentre agitava il braccio a mezz’aria. Chissà che voleva Lucy. Sospirai ancora, rivolgendo lo sguardo alle persone che continuavano a camminare in ogni direzione. La città non dormiva mai. Al contrario, io cominciavo ad aver sonno. Nel mezzo di uno sbadiglio, mi accorsi di un particolare stonato. Un’ombra scura, al di là della strada, qualcosa di rosso che catturò la mia attenzione. Non feci in tempo a insospettirmi, che ebbi un sussulto al cuore. L’ombra stava trascinando qualcosa con sé. Dannazione, nessuno se ne accorge? pensai, sentendo il respiro insolitamente accelerato scandire attimi preziosi. Non mi voltai ad avvertire Trevor né ascoltai la voce del buonsenso che da qualche parte avrebbe detto che avevo preso un abbaglio e che comunque, avrei dovuto pensare ai fatti miei e attraversai. Mi feci largo attraverso gente ignota. Nella testa il pensiero di dover far presto. Nel cuore il terrore. I passi diventarono più veloci, quando raggiunsi la traversa scarsamente illuminata. Tremavo, per il freddo, per una paura che non riuscivo a spiegarmi. Avevo studiato diversi casi di psicologia criminale, per il mio ultimo esame. Voci di corridoio avevano parlato di rapimenti di bambini e di ritrovamenti atroci da parte delle forze dell’ordine. Ma potevo sempre sbagliarmi. In realtà lo volevo. Dovevo essermi confusa, non potevo certo ritrovarmi alle prese con qualcosa del genere, in un giorno che era stato così felice. Non vidi granché, all’inizio. Dalla strada principale, arrivava soltanto rumore.

– C’è nessuno?! – urlai, con la voce che mi sembrò quasi estranea, nelle mie stesse orecchie. Terrore. Misto a dannato bisogno di saperne di più. Mossi un paio di passi sul selciato appena coperto dalla neve che si era posata. Prestai orecchio, cercando di isolare i rumori da eventuali suoni che potessero risultarmi utili. E di certo, il galoppo del mio cuore non lo era. Chiusi per un attimo gli occhi, imponendo a me stessa di concentrarmi. E sentii. Il suono di qualcosa che armeggiava, che veniva strappato, forse. Rantolii. Respiro concitato. Il mio? No, non era il mio. Un gorgoglio strozzato. Riaprii gli occhi, abituatisi alla poca luce. Vidi l’ombra scura sollevarsi, imponente, a pochi metri da me. Un po’ come quella del mago stampato sulla locandina pubblicitaria del circo. Deglutii senza saliva. Il mio corpo era diventato mostruosamente rigido. Intravidi il brillio di una lama, probabilmente. Un taglierino, forse. Non sapevo stabilirlo. Sollevò a mezz’aria il braccio. Un’ombra nera. Totalmente impenetrabile. Portò la mano libera al volto, che portava in parte coperto. Ebbi la sinistra sensazione che stesse sorridendo. Il diavolo sorrideva?

– C-Che cos’hai fatto?! – urlai.

Mi rivolse un inchino, prima di scostarsi.

Sgranai gli occhi, sentendomi mancare, quando vidi un corpicino a terra. Il respiro mi si mozzò in gola. – Mio Dio… – feci appena in tempo a sussurrare, mentre lo shock si impadroniva del resto del mio corpo. Non mi resi nemmeno del rischio che stavo correndo. Ricoprii quei pochi metri in un attimo, ritrovandomi a fissare con orrore quel corpicino la cui vita stava sfiorendo velocemente. Una bambina. Tre anni circa. Il cappottino rosso era aperto e si intonava bene con i lunghi codini scuri ormai sfatti. Mi sentivo mancare. Perché? Perché lei? Una bambina, Dio. Una bambina innocente. Crollai sulle ginocchia, cercando di richiamare alla mente anche solo una qualsiasi conoscenza base di primo soccorso. Ferite, ovunque. Sangue, tutto intorno. E il suo visino pallido stava per cristallizzarsi per sempre. Raccolsi la manina gelata, ancor di più della mia, stringendola forte.

– Ti prego… ti prego, non morire… non morire… resta con me, piccola… – continuavo a ripetere, nonostante fossi perfettamente cosciente che non sarebbe stato possibile, in ogni caso. Il diavolo alle mie spalle avrebbe potuto tranquillamente rivolgere la sua arma anche contro di me. Ma non lo fece. Al contrario, sentii un sussurro roco, proprio nel mio orecchio, così cantilenante e osceno da farmi quasi venire voglia di vomitare.

– Buon Natale. –

Scomparve così, nell’oscurità, lasciandomi sola con una bambina ormai morta, totalmente distrutta, a urlare nella notte che cambiò per sempre la mia vita.

 

 

 

 

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NDA: Salve a tutti! Eccomi tornata dopo un bel po' di anni su EFP, con una storia originale. Dark Circus, che cercherò di pubblicare a cadenza regolare, è una storia a cui sono molto legata e che ha significato il cimentarmi con un genere differente dal fantasy, per certi versi molto più maturo rispetto ad Underworld, il cui rating è decisamente T. Attraverso gli occhi e i pensieri di Kate, spero che questa storia entri nel cuore di chi la leggerà così come lo è nel mio, dal primo momento in cui ho cominciato a scrivere. Invito a lasciare qualche pensiero, se vi va e... buona lettura a tutti.

 

Edit: Come per Underworld, anche per Dark Circus ho disegnato i personaggi, sebbene soltanto Kate e Alexander (poca ispirazione XD). Spero possano aiutare a visualizzare meglio.  

 

 

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Capitolo 2
*** I ***


I ◊

 

 

 

 

 

 

Non riuscivo a ricordare lucidamente cosa fosse accaduto dopo né quanto tempo fosse trascorso. Fissavo la bambina. Poi la voce di Trevor che imprecava, chiamando a gran voce il mio nome. Dovevo avergli urlato di muoversi, probabilmente. Ancora il volto della bambina, mentre Trevor cercava di farmi scostare. Le sirene del 911. Luce e oscurità. Le labbra violacee della piccola. Il sangue ormai ghiacciato misto alla neve. Pensai solo che non era giusto. Qualcuno mi mise una coperta addosso. Qualcun altro coprì quel corpicino senza vita. Poi alcuni agenti, alle prese con i rilievi del caso. Trevor che parlava con uno di loro. Si avvicinò a me, con la preoccupazione dipinta nei suoi begli occhi. Avevo sempre pensato che erano belli. Vivi. Attenti e curiosi. Trevor era sempre stato un tipo attento e curioso. Gli occhi della bambina erano chiusi per sempre.

– Katherine Hastings? Sono il detective Maximilian Wheeler. Riesce a capirmi, signorina? – l’uomo con cui Trevor stava parlando poco prima. Annuii. La bambina non avrebbe più parlato. Dovevo farmi carico della sua voce. – C-Come si chiamava? – domandai.

Maximilian Wheeler aggrottò le sopracciglia scure, perplesso. – Prego? – mi fece eco.

Lo guardai. Doveva essere nella trentina, a occhio e croce. Soprabito classico nero pesante, sciarpa grigia al collo, capelli scuri con riga laterale perfettamente ordinati e barba curata, sguardo concentrato.

– La bambina. Come si chiamava? – completai la mia domanda. Trevor mi aiutò ad alzarmi, tenendomi stretta a sé. Ne avevo bisogno, considerando i crampi che mi attanagliarono le gambe. Eppure dovevano essere stati nulla rispetto a quello che aveva provato quella povera piccola. Quanto aveva sofferto?

Il detective Wheeler, che coordinava le operazioni, sospirò.

– Daisy. Daisy Ross. Era scomparsa due giorni fa. – mi informò, cautamente. Daisy Ross. Daisy. Un nome gentile. Pensai ai suoi genitori, che non avrebbero più potuto chiamarla per nome senza morire di dolore.

– Signorina Hastings? La prego, sembra che sia la sola persona in grado di aiutarci, al momento. Ho bisogno di farle alcune domande. – continuò. Doveva esserci abituato. Al contrario di Trevor, che sbottò. – Non vede che sta male? Diamine, ha appena visto morire una bambina! Al posto di fare domande, perché non inseguite quel pezzo di merda, eh?! –

Sussultai. Quel mostro doveva essere già lontano. A godersi la sua vittoria. Passata l’eccitazione del momento, sarebbe stato al sicuro, crogiolandosi della sua dannata impresa. Portai la mano su quella di Trevor. Non poteva averla vinta.

– Detective Wheeler. Sono pronta. – dissi, ottenendo in risposta un mugugno di disapprovazione da parte del mio preoccupato fidanzato.

Wheeler annuì. – La ringrazio. – rispose soltanto, per poi ordinare ai suoi uomini di affrettarsi coi rilievi.

Raggiungemmo la centrale a notte fonda ormai. C’erano cinque agenti in attività in quel momento. Alcuni chiacchieravano, altri erano davanti ai monitor. Quando entrammo, salutarono il capo mettendosi sull’attenti. Soltanto uno rimase davanti al pc, concentrato nella sua attività. Era un ragazzo, probabilmente della stessa età di Trevor, ma diversamente dal mio infreddolito e nervoso fidanzato, sembrava perfettamente a suo agio con addosso soltanto una felpa verde. A giudicare dalla massa scompigliata di capelli castano chiaro, non doveva avere bisogno di cappelli, una volta uscito dalla centrale.

– Norton. – esclamò Wheeler con voce secca, mentre toglieva il cappotto e lo riponeva ordinatamente sulla sedia. Il ragazzo si interruppe, sollevando le braccia a mezz’aria. Al polso destro portava un grosso bracciale di cuoio chiuso da cordicelle. Nonostante avesse una poltrona girevole, inarcò la schiena all’indietro. Quando reclinò la testa, i capelli mi sembrarono ancora più disordinati. Batté le palpebre un paio di volte, poi si decise a voltarsi e tirò su le gambe, sedendosi all’indiana. Aveva un viso più giovane dell’età anagrafica, un’espressione a metà tra quella di chi si era appena risvegliato e la curiosità, dipinta negli occhi marroni.

– Bentornato, capo. Che è successo? – domandò, ottenendo in risposta un mugugno da parte di Trevor e un’occhiata seccata da parte di Wheeler.

– Ci è scappato. Di nuovo. – rispose il detective.

Ci è scappato. Di nuovo. Da quanto tempo erano dietro al caso? Il ragazzo sospirò, tamburellando con le dita sul ginocchio. Stanca da morire, ma determinata ad andare fino in fondo, chiesi maggiori informazioni a riguardo, suscitando l’interesse di Norton.

– Siete fidanzati voi due? – chiese, invece. Trevor ridusse gli occhi a due fessure. Dal modo in cui mi strinse il braccio, mi ricordai di quanto potesse essere geloso.

– Da un anno e mezzo. Felicemente. – rispose, assicurandosi di porre per bene l’accento sull’avverbio. Quella sua reazione mi fece sorridere, per un attimo. Norton storse la bocca.

– Peccato, mi saresti piaciuto. Sono gay. – Confessò, tramutando l’espressione in un sogghigno che fece stupire alquanto Trevor e protestare Wheeler. Solo dopo essersi compiaciuto della riuscita dell’impresa ci sorrise e mi tese la mano. – Jackson Norton. Ma mi chiamano tutti Jace. Piacere di conoscervi. Ehm… –

– Katherine. Katherine Hastings. Ma mi chiamano tutti Kate. – risposi di rimando, stringendogli la mano e benedicendo mentalmente il calore della sua pelle a contatto con la mia. A dispetto di quanto aveva affermato poco prima, mi rivolse un baciamano, provocando un’ulteriore ondata di stupore e di mugugni da parte di Trevor.

– Kate. Mi piace. Molto nobile. A proposito, non è vero che sono gay. Ma sono single, questo sì. Se mai dovessi lasciare quel pinguino, sappi che sono disp--

Non finì di parlare che una nuova, profonda e polemica voce maschile si aggiunse al coro.

– Piantala di flirtare, Jace. – Ci voltammo verso l’uomo che aveva appena varcato la soglia della centrale. Nel vedere l’alta figura vestita di nero sobbalzai.

– Kate? – la voce di Trevor. Eppure, non riuscivo a smettere di fissarlo. Il maledetto assassino della piccola Daisy continuava a tornarmi in mente. Il modo in cui aveva sollevato il braccio. L’inchino, così perfetto. La sua voce roca all’orecchio che mi augurava buon Natale. Un impeto di rabbia e di vergogna per la mia impotenza prese forma nelle lacrime che avevo represso fino a quel momento.

– Signorina Hastings? – la voce del detective Wheeler.

L’uomo si fermò a poco più di un metro da noi. Portai la mano al cuore, che aveva ripreso a correre con forza e cercai di calmarmi, recuperando un po’ di lucidità, quanto bastava per rendermi conto di aver preso un grosso abbaglio. Fu in quell’occasione che feci la conoscenza di Alexander Graham. Doveva essere coetaneo di Wheeler, immaginai, nonostante l’aspetto più trascurato e particolarmente stanco. Aveva l’aria di chi non dormiva abbastanza. Passò la mano tra i folti capelli castani, scrollando di dosso i fiocchi di neve, poi aprì il soprabito nero. Quando i suoi occhi, del colore della notte, incrociarono i miei, mi sentii studiata. L’espressione di quell’uomo era impaziente. Grondava di voglia di sapere e di rabbia, in un certo senso. Come l’avevo capito? Dovevo avere lo stesso sguardo soltanto qualche ora prima.

– È tardi. – La voce di Wheeler aveva assunto una sfumatura di colpevolezza che non avevo notato prima. Quei due dovevano avere dei trascorsi. E considerando la smorfia sul volto del nuovo arrivato, la notizia dell’ennesimo fallimento doveva essere più sconfortante del solito. Puntò l’indice verso il collega, senza curarsi di noi. – Questo è perché hai voluto fare di testa tua. Potevamo prenderlo, Maximilian. Potevo prenderlo! Se soltanto tu--

– Se soltanto tu, maledetta spina nel fianco, non ti fossi lasciato prendere la mano allora avrei fatto volentieri affidamento su di te, invece che farti rimuovere. Ed è meglio per te che tenga a freno la lingua se non vuoi che ti faccia sbattere direttamente fuori, non soltanto da questa indagine, Alexander! –

Il silenzio calò di botto mentre l’alterco tra quei due passava dal verbale al mimico, quando ormai esausta, mi ritrovai a sbottare contro entrambi.

– Sentite. Non me ne frega un accidente di chi ha esautorato chi e di chi è la colpa se quello stronzo è scappato! So soltanto che dei genitori stanotte e per tutte le notti a seguire da oggi in poi piangeranno una bambina che non potranno più stringere e uno squilibrato è a piede libero! Quindi piantatela con questa solfa e fate qualcosa, dannazione! –

Qualcosa nel tono con cui avevo sbroccato dovette aver fatto centro, perché riuscii in un colpo solo ad azzittire tutti. Persino Trevor, abituato ai miei scatti d’ira, mi guardò come se fossi un’aliena. Jace fischiettò, rivolgendomi un pollice recto.

– E questa ragazza chi è? – domandò Graham, con un tono piuttosto seccato. Prima che il detective Wheeler o Jace potessero rispondere, feci le presentazioni da me.

– Mi chiamo Katherine Hastings e sembra che al momento sia la sola persona che possa aiutarvi a identificare quel bastardo dal momento che l’ho visto. –

Un sussulto tra le sopracciglia scure di Graham mi fece intendere di esser riuscita a catturarne l’attenzione. Si rivolse a Wheeler e a Jace con l’aria di chi aveva preso a elucubrare. – Ha cambiato il modus operandi. È la prima volta che si mostra. –

Wheeler annuì. – È per questo motivo che ho chiesto alla signorina Hastings di essere interrogata. Con un po’ di fortuna, questa volta lo prendiamo. –

Strinsi il pugno, al pensiero di quanto quell’essere dovesse essere considerato pericoloso. E per la prima volta in vita mia, mi ritrovai a pensare a quanto poco sicure potessero essere le nostre vite, in un mondo sempre meno abituato a tutelare la vita. Ma per fortuna, c’era qualcuno che aveva deciso di votare la sua stessa esistenza a questa missione e per quanto possibile, volevo poter fare anch’io la mia parte. Per Daisy. Mentre Wheeler e Graham passavano in rassegna gli ultimi sviluppi, Jace ricevette una chiamata e ci informò che l’autopsia sul corpo della piccola era cominciata. Sentii una morsa alla bocca dello stomaco, al pensiero che qualcuno dovesse metter mano su quel corpicino inerme, ma Trevor mi ricordò che era la prassi in quei casi.

– C’è da avvertire la famiglia. Dannazione, odio questo genere di incombenze. – aggiunse ancora Jace. – È la parte brutta del nostro lavoro. Dover dare brutte notizie alla gente. Poi sotto Natale… –

Mi accorsi di una timida occhiata verso Graham, che sospirò.

– Verrò io con te, Norton. Quanto a noi, signorina Hastings, signor Lynch, se volete seguirmi... – esordì Wheeler.

– Lascia stare, Maximilian. Me ne occupo io. Vai con Jace. La famiglia è più importante adesso. – disse Graham.

– Mi scusi, ma lei non era stato esautorato? – fece eco Trevor, beccandosi un’occhiataccia in risposta.

Wheeler sospirò, riprendendo il cappotto. – Niente cose strane. Limitati alle domande. Per come siamo messi in questo momento non posso fare altro. Con permesso. – concluse, congedandosi da noi.

Trevor e io salutammo, mentre Jace, dopo aver inforcato un paio di grossi occhiali da vista rossi, corse a prendere il giubbino. – È stato un piacere conoscervi. Kate, fidanzato senza nome, spero di rivedervi, magari non in circostanze buie come questa. Alla prossima e buon Natale! – esclamò con un sorriso, prima di correre, seguito da due agenti, al seguito di Wheeler. Era davvero un tipo strano, soprattutto nel modo in cui si era rivolto a Trevor, ma quantomeno, il suo augurio di buon Natale era stato sincero e ben accetto, diversamente da quello dell’assassino di Daisy. Quando rimanemmo soli, Graham ordinò a uno degli agenti di portare tre caffè, poi ci fece strada, fino al suo ufficio. Scarno ed essenziale, proprio come sembrava lui. Tolse la giacca, che aveva tenuto fino a quel momento e la gettò senza troppa cura sul divanetto di pelle a lato della stanzetta. Per il resto, c’erano soltanto una scrivania mezza vuota su cui spiccava la targhetta “Capt. Alexander Graham”, tre sedie in ferro e un armadietto. Quando prese posto, dopo averci invitati a sedere, finalmente cominciò.

– Dimentichi tutto fino a quel momento. Non voglio sapere né cosa stava facendo né perché si trovava nel luogo in cui Daisy è stata ritrovata. Lei è lì. Non c’è niente intorno. Soltanto lei e Daisy. –

Chiusi gli occhi, concentrandomi sulle sue parole. Niente e nessuno. Soltanto io e Daisy. Buio intorno. Freddo. Trevor e Lucy, ci eravamo divertiti prima. La voce di Graham che continuava a dirmi di restare concentrata. Dovevo escluderli. Daisy. I codini neri e lunghi. La sentì ridere. Doveva essere stata felice. Natale era un periodo felice per i bambini. – Lei e Daisy. Nessun altro. –

Era sbagliato. C’era qualcuno. Cominciai a sentire freddo, tanto che sfregai velocemente le mani, inutilmente. Non era dovuto alla temperatura. Era terrore. Cercai di rimanere concentrata, per visualizzare qualcosa di utile. L’assassino era totalmente coperto, per quello che credevo, a causa della scarsa illuminazione del vicolo. Eppure mi sembrava di aver visto in qualche modo il suo sorriso. Dovevo concentrarmi sui particolari. – Rimanga calma. Ascolti la mia voce. – ripeté Graham, senza scomporsi.

Inspirai. Daisy. Tra le mie braccia. Non respirava più. Mi morsi le labbra fino a farle sanguinare.

– Kate! – la voce di Trevor.

Daisy. I suoi genitori che chiamavano il suo nome. Il sorriso del killer. Lo scintillio della lama nella sua mano sinistra.

– La mia voce. – la sua voce all’orecchio.

– Non era del posto. Aveva un accento strano. Sebbene cercasse di mascherarlo, sono sicura che non fosse americano. – dissi.

– Torni là. Cos’ha fatto? –

Potevo solo immaginare, viste le ferite sul corpicino della bambina. Sentii di nuovo la morsa alla bocca dello stomaco e quella sensazione di voler vomitare tornò prepotente a ricordarmi quanto quel mostro fosse stato inumano. Lo vidi infliggere un colpo dopo l’altro, incurante dei lamenti della piccola. Doveva averle premuto la mano sulla bocca, per non farla urlare. – Portava dei guanti neri. – Un particolare, nel buio. Che strano, non ci avevo fatto caso a prima vista. – Uno sfregio. O forse un tatuaggio, non ne sono sicura. Qualcosa di prominente, sul polso sinistro. Era mancino. –

Il suo sorriso. Me l’ero già chiesta. Poteva il diavolo sorridere in quel modo? Non era un ghigno. Era più che altro ebbrezza. Come un bambino che ha appena ricevuto un bel regalo. – Era felice. – Ebbi un conato di vomito seguito da un disperato bisogno di respirare nell’arco di pochi istanti.

– Kate! – Trevor si alzò di botto, cercando di aiutarmi, ma quando le sue mani trovarono le mie braccia urlai, riaprendo gli occhi di colpo. Mi scostai immediatamente dalla sua presa, il tempo di riprendere il controllo della mia mente e del mio stesso corpo. Mi ero estraniata in un modo che mai avevo provato in vita mia, al punto che mi stupii persino di avere le lacrime agli occhi.

– S-Scusate… io… non so che mi sia preso… – balbettai, imbarazzata e frustrata. Stranamente, l’odore del caffè che nel frattempo l’agente aveva portato, servì a tranquillizzarmi. Ne avevo sempre bevuto tanto, persino quand’ero in ansia. Ero il tipo di persona a cui faceva l’effetto del calmante, cosa che stupiva alquanto mia madre. A quel pensiero, mi feci animo, riprendendo fiato.

– Trevor, mi dispiace, non volevo reagire in quel modo, credimi… – continuai poi, sentendomi orribilmente in colpa per quella reazione così spropositata. Trevor, sospirando, tornò a sedersi, poi annuì.

Ebbi l’impressione che non sarebbe finita là, ma quando finalmente mi rivolsi al detective Graham, capii che doveva aver collegato i pezzi, in qualche modo e sperai di non dover andare avanti. Rilassò per un attimo la postura, appoggiandosi allo schienale, poi mi guardò senza proferire parola per un lunghissimo istante. Quell’uomo mi metteva ufficialmente in soggezione.

– Sa perché le ho chiesto di ripensare a quel momento? – domandò, facendo segno di bere il caffè. Trevor e io obbedimmo, sebbene inizialmente ebbi qualche difficoltà a prendere in mano il bicchiere, causa tremore. Scossi la testa. Per esperienza, sapevo che con certa gente era meglio tacere per evitare una brutta figura. Graham prese il suo bicchiere e prima di sorseggiare il caffè bollente mi allungò la sua bustina di zucchero. O si era reso conto che ero sulla buona strada per lo svenimento o non ne voleva. Considerando che non mi conosceva, doveva essere più plausibile la prima ipotesi. Presi la bustina e la aggiunsi alla mia, felice di tanti zuccheri. Graham, per quanto potesse sembrare rigido e scorbutico, mi sembrò quasi un uomo schiacciato dal peso degli eventi. Mi chiesi da quanto tempo non dormisse decentemente. Stare dietro a casi così difficili doveva mettere a dura prova chiunque. Ad ogni modo, dopo che ebbe trangugiato il caffè, tornò a guardarmi. Stavolta, probabilmente complice il clima leggermente meno asfissiante, non mi sentii in soggezione col suo sguardo addosso.

– Lei è determinata. E osserva. Cosa che oggigiorno nessuno fa più. –

– Kate studia Psicologia, sa? Ed è sempre stata piuttosto arguta. Non le sfugge niente. – puntualizzò Trevor. Purtroppo, al posto di farmi sentire felice, nonostante capissi perfettamente le sue intenzioni, mi ritrovai ad arrossire come una ragazzina.

– Trevor! N-Non gli dia retta! Non sono così… –

Un brillio attraversò gli occhi di Graham, che si alzò. – Abbiamo finito. La ringrazio per la disponibilità, signorina Hastings. –

– D-Di già? Non mi ha praticamente chiesto nulla di più… – confessai, alzandomi insieme a Trevor. Graham ci raggiunse, facendo strada. – Ho già ciò che mi serve. –

Annuii, quando me lo ritrovai davanti. Era più alto di Trevor, decisamente più maturo e, pensai, di quei tipi che ridono molto poco. Doveva essere il tipo di uomo per cui il lavoro veniva prima di ogni cosa. Mi chiesi se avesse famiglia, nonostante la giovane età.

– Detective Graham, per favore… faccia in modo che nessun genitore debba più piangere la morte di un figlio. – dissi, ottenendo in risposta un fremito tra le sue labbra. Non rispose, ma si limitò ad assentire.

– Troveremo quel bastardo. A qualunque costo. –

Mi sentii rincuorata nell’udire quelle parole. Istintivamente, gli sorrisi. Daisy avrebbe avuto giustizia, lo sentivo.

– Buon Natale, detective Graham. –

Dissi. Alexander Graham esitò.

– Arrivederci, signor Lynch, signorina Hastings. –

Quando ci congedammo, una volta fuori dalla centrale, era ancora buio. La temperatura era calata ulteriormente, a causa della neve. Una ventata gelida mi fece rabbrividire e cercai l’abbraccio di Trevor che, del canto suo, rimase in silenzio. Non avevamo bisogno di parlare. Avremmo avuto tempo per quello. Mi strinse forte, mentre ci recavamo alla fermata del primo bus del mattino, per tornare a casa. Chissà come stava andando al detective Wheeler. Pensai ai genitori di Daisy e alla loro vita distrutta. Pensai a quanto dovesse essere difficile per lui dare la notizia che nessun genitore vorrebbe mai ricevere. Pensai a Jace, così solare eppure così preoccupato all’idea di dover avere a che fare con i parenti delle vittime. Già, la tragedia di chi resta. Non c’era cosa più difficile che doversi relazionare con il dolore altrui. E capii. Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore.

 

 

 

 

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Primo capitolo up!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** II. prima parte ***


Buonasera! Ecco la prima parte del secondo capitolo. In genere i capitoli sono molto lunghi, pertanto, li dividerò per agevolare la lettura. Tra primo e secondo c'è un timeskip e Kate è finalmente approdata in Dipartimento. In più, nuovi personaggi in arrivo. Spero di poter leggere qualche opinione in merito alla storia. Buona lettura!



II ◊

 

 

 

 

 

 

Il primo giorno di lavoro è qualcosa di sacro. Sancisce un momento fondamentale nella vita. Via le incertezze. Da quel momento in poi scenderai a patti con quello che comunemente si definisce “senso di responsabilità” e per questo motivo, non dovrai avere esitazioni d’alcun tipo. O almeno, quelle erano state le parole di mio padre quando gli avevo annunciato che avrei preso servizio due giorni più tardi. Controllai ancora una volta il mio badge nuovo di zecca, recante i miei dati personali e professionali:

 

 

Dott.ssa Katherine Hastings

V Dipartimento

Data di nascita: 21/05/1994

Residente a: Boston

Professione: Psicologa

ID: 788-5D-00091

 

 

 

Presi un bel respiro, ripensando all’in bocca al lupo di Lucy, che mi aveva calorosamente raccomandato di spaccare il mondo, e di Trevor, che causa conferenza di lavoro, si trovava a New York, e che un po’ più realista, mi aveva ricordato di fare attenzione. D’altro canto, tra noi due era quello che aveva preso peggio la mia decisione di entrare in Polizia. Nonostante l’avessi rassicurato sul fatto che il mio lavoro sarebbe stato d’ufficio, fondamentalmente, il fatto che potessi avere a che fare ancora una volta con un mondo da cui aveva cercato di tenermi lontana, era di per sé una grande preoccupazione. Dopo la notte in cui Daisy Ross fu uccisa, rimasi in allerta nell’attesa della notizia della cattura del suo assassino. Ma quella notizia non arrivò mai. E decisa più che mai a fare giustizia, una volta conseguita la specializzazione in Psicologia Criminale, scelsi la strada dell’investigazione. Trevor si era opposto, inizialmente, considerando la mia indole ostinata e consapevole dei rischi che sarebbero derivati dalla mia scelta, che pensò bene di elencarmi al culmine di una discussione conclusasi con un “Va’ al diavolo” da parte della sottoscritta e un “Se prendi quella strada sarai tu ad andarci per prima” da parte sua e una settimana di muso lungo per entrambi. Alla fine, comunque, avevo deciso per me, e così, dopo studio e apprendistato, ero giunta davanti alla vecchia centrale in mattoni del V Dipartimento, pronta ad affrontare il mio primo giorno di lavoro.

Quando varcai la soglia, imponendo al mio cuore ballerino di starsene al suo posto, fui investita dai ricordi della notte in cui mi ci recai per la prima volta. Quattro scrivanie piene di fascicoli, alcune con effetti personali, foto per la maggiore, di agenti che avevano famiglia, librerie a muro e attaccapanni, al piano basso. Poi sette scalini e un piano rialzato. Sulla destra, la scrivania estremamente personalizzata di Jackson Norton. Salutai i tre agenti in servizio in quel momento. Un uomo di circa quarant’anni, dallo sguardo curioso, Daniel Jones. Una donna a occhio e croce non ancora nella trentina, capelli color rame, mossi e raccolti in un alto chignon laterale, Alexis Williams. Un’altra donna, più grande, all’incirca sui trentadue o trentatré anni, lunghi capelli di un nero brillante e occhi ambrati dalle ciglia ben messe in evidenza da un generoso strato di mascara, che si voltò verso di me con un sorrisetto divertito sulle labbra carminio. A giudicare dal fatto che non indossava un’uniforme, ma camicia beige e pantalone nero, non era una degli operativi.

– Tu sei? – chiese, agitando il foglio che aveva tra le mani come fosse un ventaglio. Feci per presentarmi, ma fui interrotta.

– Kate! –

Mi voltai di colpo verso la voce familiare e incredibilmente su di giri, proveniente dal piano sopraelevato, sorridendo nel riconoscere Jace. Era trascorso poco più di un anno da quando l’avevo conosciuto e non era affatto cambiato, fatto salvo che per un modo di vestire un po’ meno da ragazzino e più adatto alla sua età, tra gilet e pantaloni neri con la piega. Per il resto, era sempre il solito.

– Jace Norton! – esclamai, felice. Jace scese di corsa fermandosi a un passo da me, con aria incuriosita.

– Ma tu guarda! Quindi sei tu la nuova strizzacervelli… chi l’avrebbe mai detto! Ora che ci penso, avevo letto il tuo nome, ma non lo associavo al cognome… sai, ho una buona memoria fotografica, ma non sono bravo a ricordare nomi e cognomi. Allora, sei ancora fidanzata? – disse, tutto d’un fiato.

Quel ragazzo era davvero divertente. Ed era quello che mi ci voleva per stemperare la tensione. Annuii, picchettando le dita sul suo braccio.

– E tu sei ancora single. –

– Ahimè. Non mi vuole nessuno. Nemmeno Alexis, renditi conto. Sono condannato a passare la mia vita solo, confinato davanti a un PC, sottopagato e soprattutto, alle dipendenze di quello schiavista mascherato da bel tenebroso. – riprese, per poi voltarsi verso la donna a cui stavo per presentarmi poco prima. – Dici che lei può compiere il miracolo? – domandò. La donna si mise a ridere, poi ci raggiunse. Era piuttosto alta, anche escludendo i tacchi. Deglutii nel sentire il suo sguardo addosso, così cercai di sviare il discorso.

– Il bel tenebroso schiavista sarebbe il detective Wheeler, vero? – chiesi. Entrambi si scambiarono uno sguardo dubbioso, mentre Jones e Alexis ridacchiarono sotto ai baffi. Perfetto, avevo ufficialmente cominciato a inanellare figuracce. La donna mi posò la mano, curatissima e fresca di manicure, sopra la spalla, poi si voltò verso il palchetto.

– Alexander! Sembra che Maximilian rimanga più impresso di te. –

Raggelai, sollevando lo sguardo verso il palchetto. Alexander Graham, mani appoggiate alla balaustra di legno, maglione a collo alto grigio scuro, pantalone nero ed espressione perennemente compassata, ci stava osservando. Non riuscivo a descrivere le sensazioni che provavo in quel momento. Solitamente non ero tipo da provare particolare soggezione. Non che riuscissi a eluderla, certo, ma ero piuttosto brava a rigirare le situazioni in mio favore se volevo. Ma Graham sembrava quel tipo di persona capace di scrutarti nell’anima con un solo sguardo. Anzi, no. In quel momento era quel tipo di persona capace di farti sentire un’idiota anche solo con uno sguardo. Il che non era decisamente una bella cosa. Ero rimasta piuttosto colpita la notte in cui l’avevo visto per la prima volta. Aveva l’aria di un uomo più grande dell’età effettiva, fissato col lavoro e i suoi metodi non erano esattamente ortodossi, tanto che, ricordai, era stato estromesso dall’indagine in corso per insubordinazione. Era piuttosto strano immaginarlo sbroccare, dal momento che non sembrava affatto il tipo di persona che lasciava trasparire le proprie emozioni.

– Lo sta fissando… – sussurrò Jace, costringendomi a riprenderlo.

– Niente affatto! S-Salve, detective Graham. Sono Katherine Hastings e da oggi prendo servizio. – dissi, sperando di risultare convincente. Dannazione, dovevo farmi prendere dall’emozione proprio in quel momento? Graham assentì.

– Benvenuta. Come vedi siamo alle strette, per cui dovrai arrangiarti a dividere un ufficio. –

Annuii, mentre Jace si sfregò le mani con aria compiaciuta.

– Stai con m--

– Con me. Tu hai bisogno di compagnia, io di qualcuno che lavori. Vieni, Hastings. – riprese Graham, stroncando il povero Jace che si ritrovò ben presto a rivolgergli muso e occhiataccia. Gli detti una pacca sulla spalla. – Devo preoccuparmi? – chiesi. Jace mi guardò di nuovo, poi sospirò.

– Katie, se riesci a sopportarlo anche solo una giornata, sappi che avrai tutta la mia simpatia. – disse, convinto.

– Pensavo di avercela già. – borbottai, nel congedarmi per raggiungere Graham, che mi aspettava nell’ufficio, mentre Jace e la donna ancora senza nome tornavano a parlottare. Alle mie spalle, puntualizzai mentalmente.

Quando fui da Graham, ritrovando in quell’ufficio la stessa essenzialità di un anno prima, con l’esclusione, stavolta di un paio di piante da sala vicino al divanetto in pelle e delle sedie nere lucide, al posto delle vecchie in ferro. Tolsi il mio Woolrich Lafayette blu scuro, tenendolo tra le braccia, in attesa. Graham raggruppò i fascicoli sulla sua scrivania, liberandola.

– Si sta spostando? Perché se è così non ce n’è bisogno… –

Graham inarcò il sopracciglio. – Sto facendo un po’ d’ordine. Dovevo sistemare queste pratiche, ma non ho avuto ancora il tempo di farlo. – rispose.

Sbuffai, pensando che era già la seconda volta che fraintendevo le sue intenzioni. E per fortuna che dovevo essere in grado di capire i pensieri della gente.

– Ha bisogno d’aiuto? – domandai.

Senza farsi troppi problemi, Graham si affacciò nuovamente alla porta.

– Jace. Porta qui una scrivania e quando hai finito, cataloga questi fascicoli. – ordinò.

Schiavista. Deglutii nuovamente, quando si voltò verso a guardarmi. In lontananza, i mugugni di protesta di Jace mi fecero capire che doveva esserci abituato. Graham mi passò un documento. Posai il cappotto sul divanetto e lo raccolsi.

– Devo catalogarlo? – domandai, perplessa, suscitandone altrettanta perplessità.

– No, Hastings. È il tuo primo caso. Ho bisogno di un profilo. – rispose.

Rimasi qualche istante a riflettere sulle parole che Jace mi aveva rivolto pochi istanti prima. Sopportare Graham. Il punto non era tanto se fossi io in grado di sopportare Graham, ma quanto sarei stata in grado di sopportare la mia incapacità di comprendere quell’uomo.

– Hastings? –

Stampai in faccia il sorriso più cordiale che avevo in quel momento, per quanto possibile e annuii.

– Provvedo immediatamente. –

Graham annuì di rimando, per poi tornare alla sua scrivania, mentre io, prendendo posto sul divanetto, mi accinsi alla lettura del fascicolo. In quel momento, la donna di cui ancora non conoscevo il nome, fece capolino, agitando la mano a mezz’aria. Mi sorrise divertita, augurandomi un in bocca al lupo senza voce, poi si rivolse a Graham.

– Lex, hai un secondo per me? –

A guardarli, pensai che dovessero essere coetanei. E per giunta, dovevo riconoscere che sembravano belli insieme. Considerando poi che lei lo chiamava per diminutivo, dovevano avere trascorsi di qualche tipo.

– Veloce, Selina. –

Selina. Quel nome mi ricordò immediatamente Cat Woman. Trattenni una risatina pensando a quando avrei raccontato a Trevor, grande fan della trilogia di Nolan, che avevo conosciuto una donna con il nome della gatta ladra.

– Ho l’esito che mi avevi chiesto. –

Graham alzò gli occhi verso Selina. Improvvisamente, in quello sguardo vidi la stessa scintilla che avevo scorto tre anni prima. Il cuore mi batté più forte.

– Penso possa essere il Mago. –

Il Mago. Rabbrividii al sol sentirlo. Graham mi lanciò un’occhiata veloce, per poi guardare nuovamente Selina.

– Ma è confidenziale. Non fare di testa tua stavolta. E tratta bene la nostra nuova ragazza. – disse, cambiando tono nel rivolgersi a me, che concentrata com’ero su quella rivelazione, mi sentii a disagio. Ci lasciò nel vedere Jace, aiutato da Jones, pronto a far entrare la mia nuova scrivania. Incrociai gli occhi di Graham e mi resi conto di cosa intendesse Trevor quando mi diceva di fare attenzione. Doveva averlo intuito molto prima di me. Ad avere a che fare con l’inferno, prima o poi ci si finisce dentro. E doveva essere proprio quello che era accaduto ad Alexander Graham.

Trascorsi buona parte della mattina immersa nello studio del caso che Graham mi aveva affidato. Niente di particolarmente speciale, considerando il materiale che avevano raccolto. Un rapinatore seriale abile nella fuga, al punto da averla fatta franca in almeno cinque occasioni. Prendeva di mira piccole botteghe nella circoscrizione di pertinenza del V Dipartimento perlopiù, caratterizzate dall’assenza di sistemi di sorveglianza video. A giudicare dalla padronanza di movimento, doveva essere un residente della zona e considerando il fatto che i furti erano di entità modesta, avevo ipotizzato che fosse più interessato a mettere da parte un gruzzoletto, forse per procurarsi qualcos’altro. Però era troppo attento alla pianificazione per fare abuso d’alcool o di droghe.

Mentre prendevo appunti, Jace ci comunicò la presenza di tafferugli studenteschi degenerati a pochi isolati da noi. Immaginai che per qualcosa del genere non ci sarebbe stato bisogno di intervenire, ma Graham, sollevando gli occhi dal laptop, fu di diverso avviso.

– Mocciosi perdigiorno. Non sanno nemmeno protestare senza spaccarsi la testa. – borbottò, lasciando perdere la sua momentanea occupazione per richiamare la squadra. Mi alzai quando lo vidi passare. – Non c’è bisogno che venga anche tu. Piuttosto, hai finito con quel profilo? – domandò, indossando un pesante trench nero.

– Non ancora. Ho bisogno di qualche altro elemento. – risposi. Non che morissi dalla voglia di vedere un’orda di studenti intenti a fare casino, evento al quale peraltro avevo assistito in occasione di una festa finita male durante il mio primo anno di università, ma dovevo ammettere che ero curiosa di vedere il signor schiavista mascherato da bel tenebroso alle prese con quei ragazzi. Purtroppo, il capo aveva sentenziato e a fargli compagnia sarebbero stati soltanto Alexis e Jones.

Quando furono andati via, ne approfittai per raggiungere Jace, impegnato a catalogare al pc le pratiche, così come gli era stato ordinato da Graham.

– Schiavista, eh? Io ci avrei aggiunto anche esaurito. – dissi, osservando il pc. Jace ridacchiò sotto ai baffi, apprestandosi a concludere.

– Benvenuta a bordo, Kate. Eh sì, è decisamente un esaurito. – mi fece eco, archiviando il file creato e voltandosi verso di me. Il sorriso divertito sul suo volto era decisamente l’ideale in quel momento. Avevo davvero bisogno di rilassarmi per qualche momento prima di riprendere il filo del discorso.

– Raccontami di questo posto. Della squadra… ora che ci penso, non ho visto il detective Wheeler. Non è di turno oggi? – chiesi, stiracchiandomi, non senza aver notato un momentaneo tremolio tra le sue sopracciglia seminascoste dalla frangia.

– A dire il vero, Wheeler non è più dei nostri. – rispose, con una leggera nota di biasimo. Immaginai di dover star zitta, ma in realtà, considerando i trascorsi burrascosi tra lui e Graham, la faccenda mi incuriosiva.

– Non mi dire, lui e Graham non andavano d’accordo. E questo l’avevo capito. –

Jace fece spallucce. – Sei davvero sicura di voler sapere tutto? Perché una volta ascoltato quello che avrò da dirti, non potrai più tornare indietro. – disse, incupendosi tutto d’un tratto.

Deglutii. – Detto così sembra che tu abbia intenzione di raccontare un horror scabroso. –

– Non sto scherzando. Quel che è accaduto tra quei due è una faccenda seria. Drammatica per certi versi. Di sicuro, neanch’io potrei scherzare su una cosa del genere. –

Il fatto che il suo tono fosse assolutamente fermo e compunto, completamente diverso dal modo in cui la nostra conversazione era cominciata, mi fece intendere che fosse sincero. Mi avvicinai, annuendo. – Ti ascolto. Raccontami tutto. –

Jace strinse gli occhi. Sentivo l’ansia dell’attesa mista alla curiosità. Che diavolo poteva essere successo? Forse il caso a cui stavano dietro aveva la sua parte di importanza. Magari avevano avuto talmente tanti scontri che non potevano più lavorare insieme. Attesi ancora. Jace prese un sospiro, poi mi scoccò le dita sulla fronte, recuperando in un attimo l’aria giocosa e scoppiando a ridere. – Accidenti, Kate! Sei davvero una credulona, eh? –

Avvampai, punta nell’orgoglio. – N-Non ho detto niente! – mi giustificai di rimando mentre il mio stupido collega continuava a sghignazzare.

– No, ma il tuo atteggiamento era quello di chi si sarebbe bevuto qualunque cosa. Quindi ho preferito non insistere. –

Affilai lo sguardo, rendendomi conto che aveva ragione. – Ti hanno mai detto che potresti darti alla recitazione, Jace Norton? –

Smise di ridere, ma mi fece l’occhiolino. – Tesoro, avrei potuto fare mille cose nella mia vita, ma ho deciso di fare quella più strana. E comunque non è male. –

Scossi la testa, pensando a quanto fosse strano quel ragazzo. – Torno al mio profilo. Non vorrei mai che qualcuno pensasse che ho battuto la fiacca. – annunciai, tornando verso l’ufficio.

Jace sorrise, poi mi richiamò. – Ah, Katie. Comunque siamo una squadra di matti, ma ci vogliamo bene. Non dirlo al capo, però, non gli piace sentirsi parte di un gruppo. E in ogni caso, è meglio se eviti di nominare Wheeler in sua presenza. Diventa di pessimo umore. –

– Più di quanto lo sia di solito? – Sospirai, perplessa. – Neanche gli avesse rubato la ragazza. – borbottai.

A giudicare dall’espressione sorpresa, stavolta dovevo averci preso. – Gli ha rubato la ragazza? Davvero? –

Capii di aver ragione quando si voltò dandomi le spalle e sollevando le braccia. – Io non ho detto niente, eh? E comunque, fuochino. La prossima volta ti do un altro indizio, detective. –

Feci spallucce. – Tirchio. – lo apostrofai, tornando al mio lavoro, più curiosa che mai.

 

 

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Capitolo 4
*** II. seconda parte ***


Buonasera! Seconda parte del secondo capitolo, piuttosto breve! Un grazie a chi sta seguendo la storia con la lettura, spero in qualche parere! :) 

 

 

 

 

 

 

Elaborai il profilo entro la fine del mio turno. Né Graham né gli altri si erano ancora visti. Lasciai tutto sulla scrivania e approfittando della momentanea assenza di Jace, ne approfittai per studiare l’ambiente. Dovevo ammetterlo: nonostante fossi consapevole della prima regola, ovvero, mai stilare profili sui colleghi, i miei nuovi compagni di squadra mi sembravano perfetti per essere analizzati. Legati alla famiglia, come l’agente Jones. Appassionati di hair styling, come Alexis. Matti probabilmente per scelta, come Jace. Poi c’era la misteriosa Selina, che conosceva bene il detective Graham. E infine lui. L’essenzialità di quell’ufficio rispecchiava a pieno la personalità brusca e incisiva di quell’uomo. E per quanto mi costasse ammetterlo, gli enigmi mi avevano sempre intrigato particolarmente. Detti un’occhiata all’orologio, che segnava le 14:20. Il mio turno era finito da cinque minuti, anche se la voglia di avere notizie sulla storia dei tafferugli era forte, a momenti più della fame. Mi detti ancora un quarto d’ora, riprendendo il report che avevo elaborato per passare il tempo. D’altro canto, non potevo nemmeno contattare Trevor senza sperare di disturbarlo, impegnato com’era nella sua presentazione. Mi rendeva felice e orgogliosa anche il solo pensare a quanto entrambi ci stessimo impegnando a realizzare le nostre aspirazioni. Anche se mi mancava averlo accanto. Probabilmente se ci fosse stato avremmo impegnato il tempo in un appuntamento al chiosco, mangiando il miglior hot dog di tutta Boston e chiacchierando di quanto Jace fosse divertente, mentre lui protestava per la sua capacità di flirtare spudoratamente. Sorrisi a quel pensiero, mentre rileggevo il report.

Il sospettato, probabilmente residente nella zona per via della conoscenza del posto, prendeva di mira le botteghe non sorvegliate nel raggio di tre chilometri per piccoli furti. Era abile nella fuga, dunque doveva essere piuttosto giovane o quantomeno abbastanza agile da non farsi prendere. Tornai ai furti, pensando alle motivazioni. L’entità modesta mi aveva fatto inizialmente pensare alla sua volontà di metter da parte un gruzzoletto. Avevo chiesto a Jace di verificare se ci fossero stati acquisti di un certo spessore da parte di personaggi inattesi. Stando a quello che mi aveva detto, non si erano presi la briga di controllare, ma insieme, avevamo scoperto che di recente, c’erano stati acquisti di materiale, in tempi differenti, utilizzato per creare bombe carta. Dunque non metteva da parte, ma utilizzava il denaro rubato per acquistare i pezzi che gli servivano. Con un po’ di fortuna e le giuste domande, saremmo risaliti in breve al colpevole, dal momento che l’identificazione tramite identikit era stata impossibile, causa passamontagna. Un bombarolo mascherato per inaugurare la mia carriera. Erano soddisfazioni.

Posai nuovamente il report nel sentire squillare il mio cellulare. Il mio primo pensiero fu per Trevor, tanto che corsi a rispondere a colpo sicuro, salvo rendermi conto, non senza un colpo al cuore per via delle esplosioni in sottofondo, che si trattava di ben altro.

« Hastings! » La voce di Graham, più alta di un tono, mi fece raggelare di botto.

– C-Che succede? Detective Graham?! – esclamai, adocchiando in lontananza Jace, di ritorno con una busta di cinese. Evidentemente avevo dovuto alzare la voce di rimando.

« Dimmi che l’hai trovato! »

Mi resi conto immediatamente che si riferiva al nostro bombarolo. Maledetto, mi aveva affidato la risoluzione stessa del caso? Poi feci mente locale. Evidentemente il soggetto in questione era uno degli studenti che avevano preso parte ai tafferugli. Che fosse il capo?

« Dottoressa Hastings! »

– Kate, che succede? – Jace mi raggiunse, mentre cercavo di collegare i pezzi. Afferrai il suo braccio e protestò. – Si può sapere che succede?! –

– Detective Graham, quanti ragazzi ci sono lì? –

Urla concitate. – Detective Graham! – gridai, col cuore in gola.

Mi rispose soltanto dopo un po’. In sottofondo, sirene di auto della polizia, cosa che mi fece tranquillizzare, per quanto possibile. I rinforzi erano sempre buon segno. « Ne son rimasti cinque. »

Ignoravo il senso delle sue parole e chiesi l’aiuto di Jace. – Dimmi che quella zona è sorvegliata da telecamere. –

Jace batté le palpebre. – Tesoro, non siamo il Grande Fratello, eh? –

Gli pizzicai il braccio, sbottando, nello stesso momento in cui sentii Graham imprecare contro qualcuno. – Detective Graham, deve cercare qualcuno che sta controllando la situazione! È un esperto di esplosivi, probabilmente studia Chimica o qualcosa del genere. Abita in quella zona, sa come muoversi. Ho ipotizzato possa essere il capo! –

« Il capo? Hills, Scott! Da me, ora! »

Jace, nel frattempo, si era messo al lavoro. In pochi secondi, lo vidi smanettare nel database dell’università. Reperì la lista degli studenti, poi si voltò verso di me, con l’eccitazione dipinta negli occhi. – Conosci il Rettore Chambers? –

Lo guardai in tralice. – Ti prego, muoviti! –

« Hastings, Jace! »

Misi in viva voce e sentimmo chiaramente schiamazzi, piccole esplosioni e soprattutto, anatemi.

– Michael Chambers, 22 anni. È il figlio del Rettore. Tre settimane fa è stato fermato per una rissa proprio davanti all'ufficio del padre. Sembra che avesse avuto degli scontri con lui e avesse promesso di fargliela pagare. –

– Riesci a vedere dove abita in questo periodo? – Domandai, lui eseguì.

– Wow! Nella nona, proprio vicino al primo negozio che è stato preso di mira. –

Sorrisi, pensando che avevamo la vittoria in pugno. – Capo, c’è ancora? – chiesi, guardando lo schermo dello smartphone.

« Ci vediamo più tardi. Ben fatto. » commentò, poi chiuse.

Jace e io ci rivolgemmo un’occhiata complice, poi il mio collega mi porse la mano aperta.

– Dammi il cinque, ragazza! – esclamò. Soddisfatta, battei la mano contro la sua. – Yeah! –

– E ora mangiamo? – continuò. Sorrisi e accettai di buon grado.

Così, attendemmo insieme il ritorno della squadra. La sensazione che provavo in quel momento era incredibile: ebbrezza, potenza. Avevamo risolto un caso in poche ore e cominciare la mia carriera con un successo era motivante. Ero su di giri al pensiero di raccontare a Trevor e a Lucy quello che avevamo fatto. E quando finalmente i ragazzi tornarono, con Michael Chambers al seguito, faccia scura, cappuccio ben calato sulla testa rasata, mi resi conto di quanto fosse importante riuscire a svolgere un lavoro come quello che facevamo.

– Bentornata, gente! Alexis, avrei voluto vederti mentre lo sbattevi al muro con aria da dominatrice ricordandogli i suoi diritti. –

Alexis affilò lo sguardo nello stesso istante in cui Jace le mandò un bacio al volo.

– Quando la pianterai di fare il cascamorto magari ne riparleremo. –

Ridacchiai, quando Graham mi guardò. – Sei ancora qui? Il tuo turno è finito. –

– Lo dice come se le desse fastidio la mia presenza… – borbottai. – E comunque volevo vedere come andava a finire. –

Tagliò corto con un sospiro. – Me ne occupo io adesso. Torna a casa e riposati. Per il momento, hai fatto abbastanza. A domani, Hastings. – e raggiunse il suo/nostro ufficio con Chambers, mentre Alexis e Jones tornavano alle loro postazioni.

– Che tipo… ma l’hai sentito? – chiesi a Jace. Non che mi aspettassi salamelecchi, ma essere liquidata così era l’ultima cosa che mi sarei aspettata. Con buona pace della mia euforia precedente.

– Il capitano Graham è così. Non farci caso. – mi rispose a sorpresa Jones. Mi sporsi, incontrando lo sguardo decisamente più morbido di quell’uomo.

– S-Sì, però… –

– Ritieniti fortunata, è già tanto che ti abbia detto di riposare. Fossero sempre così i casi. Credimi, Hastings, non abituartici. – continuò Alexis, lisciando con le dita le ciocche ramate. Avevano ragione, quello era indubbio. E in fondo, Graham aveva già detto a me e a Jace che avevamo fatto un buon lavoro. Non avevo bisogno d’altro. Sospirai, ringraziando i miei colleghi, poi mi affacciai in ufficio per riprendere le mie cose. Graham era seduto alla sua scrivania, impegnato a parlare col giovane Chambers. Pensai che non avrei mai voluto essere al suo posto. Quell’uomo sapeva essere manipolatore, se voleva. E non soltanto. Preso tutto, tornai dai ragazzi. Jace mi aspettava in piedi.

– Vieni anche tu? – domandai.

– No, io passo da Doc prima di staccare. Ho una cosa per te, però. – disse, strizzando l’occhio. Perplessa, ma notando la curiosità di Jones e di Alexis, prestai orecchio. Jace si avvicinò e mi scoccò un bacio sulla guancia.

– C-Che? Jace! – protestai, arrossendo. Lui sorrise sornione.

– A domani, dottoressa! – esclamò, dileguandosi prima che potessi agguantarlo. Che razza di dongiovanni da strapazzo, maniaco e fissato. Scambiai uno sguardo d’intesa con Alexis. Decisamente, avremmo avuto un gran bel da fare con quel ragazzo.

Tornai a casa dopo un rapido giro di rifornimento. Lucy mi aveva avvisata che sarebbe mancata tutto il giorno, ma volevo ugualmente festeggiare, al suo ritorno. Non ero particolarmente portata per la cucina, ma ogni tanto, ispirazione permettendo, mi piaceva cimentarmi con qualcosa, soprattutto per Trevor. E Lucy, dovevo ammetterlo, era un soggetto perfetto per le mie sperimentazioni culinarie. Non che si facesse problemi, in realtà. Era sempre stata una buona forchetta.

Chiusi la porta di casa e posai i sacchetti della spesa nella cucina, a vista sul nostro mini-soggiorno, rallegrandomi, per una volta, del trovarlo in ordine. Lucy doveva essersi data da fare prima di andar via. Ne approfittai per rilassarmi per qualche secondo sul divano. Non mi ero resa conto di quanto ne avessi bisogno come quando posai la nuca sullo schienale. Avrei potuto anche addormentarmici, volendo. Ma avevo progetti più impellenti. Tolsi il giubbino e presi lo smartphone. Un messaggio di Trevor mi rimise immediatamente sull’attenti. Lo aprii velocemente, balzando a sedere all’indiana.

Sono fiero di te, Kate. Lo sai, vero?

Sorrisi. Se solo avesse saputo quanto lo ero io di lui. E in tutta onestà, glielo dicevo davvero raramente.

Anche se ti do più pensieri che soddisfazioni?

Pochi secondi e mi rispose.

Non sarebbe da te se così non fosse. Mi manchi.

Mi mordicchiai l’unghia del pollice. Non era la prima volta che eravamo lontani, ma dovevo ammettere che avrei davvero voluto averlo accanto in quel momento. Certo, ero più che sicura che al suo ritorno avremmo festeggiato degnamente, ma avevo tanta voglia di vederlo. Un altro messaggio.

Mordicchiare le unghie è una brutta abitudine.”

Sbattei le palpebre, lasciando la mia insana occupazione. Poi rilessi meglio il messaggio. Mi prendeva in giro?

Come fai a sapere che mi sto mordicchiando le unghie?

Mi balenò in mente un pensiero e mi voltai a cercare qualche microcamera nascosta. Considerando che Trevor stava lavorando a un progetto del genere, non sarebbe stato del tutto incoerente. Mi rispose fugando qualunque dubbio tecnico con una nuova proposta che, fatta da qualcun altro, avrebbe avuto il sapore di un commento da maniaco. Ridacchiai pensando che questo suo lato non sarebbe mai cambiato.

Ti conosco bene. Scommettiamo che indovino cos’hai addosso?

Ghignai.

Vai”.

Attese qualche istante. Io ne approfittai per stiracchiarmi e per pensare a quando mi sarei messa all’opera. Dopo una doccia, quello era sicuro.

Lafayette.”

Era facile.

Doveva puntare su ben altro per stupirmi.

Maglione coi diversi gradi di viola.”

Guardai il maglione che avevo addosso. Aveva azzeccato.

Ok, sai che è il mio preferito. Dimmi qualcosa di più specifico.”

Fece per rispondere, ma si interruppe. Mi compiacqui di averlo preso alla sprovvista. Presi tra le dita la collana con tre anelli dorati, regalo dei miei come segno della nostra unione familiare. Trevor non l’avrebbe indovinata, considerando che l’avevo indossata soltanto in un’occasione e peraltro, in sua assenza.

– La collana che ti ha regalato tua madre. E sembra che abbia vinto. – la voce di Trevor all’orecchio. Sgranai gli occhi e balzai immediatamente in difesa, preda di un tuffo al cuore.

– T-Trevor?! – urlai, a metà tra incredulità e spavento. In realtà, non sapevo nemmeno quale delle due sensazioni stessi provando maggiormente. E nonostante il suo sorriso compiaciuto, la voglia di prenderlo a pugni ebbe il sopravvento. Afferrai un cuscino e glielo scaraventai addosso.

– Cretino! Sei davvero un cretino! Mi hai fatto prendere un colpo! –

Trevor si mise a ridere.

– E non ridere! Che diavolo ci fai tu qui?! –

– Il convegno si è concluso ieri sera. Avrei voluto partire prima, ma Lucy era di diverso avviso. Ha pensato che fosse meglio farti una sorpresa e così, eccomi qui. – spiegò, mentre ricollegavo i pezzi del piano segreto tra quei due. E mi calmai, togliendogli il cuscino dalle mani. Il sorriso sul volto di Trevor non si era spento, anzi, aveva assunto una sfumatura dolce. Era una delle cose che mi piacevano di lui. Trovavo quelle labbra irresistibili quando si allargavano, un po’ tirate su nell’angolino destro. Non aspettammo altro tempo e ci ritrovammo l’uno tra le braccia dell’altra. Un bacio, poi un altro. Mi era mancato quel contatto. Le dita di Trevor tra i miei capelli. I suoi, ricci e biondo scuro, tra le mie. Ci spingemmo sul divanetto, sorridendo della nostra comune intenzione. Avremmo avuto tempo per chiacchierare. Del suo convegno. Del mio primo giorno di lavoro. Per qualche ora, il rumore del mondo sarebbe rimasto fuori dalla nostra porta.

 

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Capitolo 5
*** II. terza parte ***


Buon pomeriggio! Dopo aver pubblicato una one-shot, torno su Dark Circus con la lunga conclusione del secondo capitolo che si preannuncia piuttosto movimentato. Ho tralasciato una cosa quando ho cominciato la pubblicazione: in realtà la storia, che ho cominciato a scrivere nel 2014, dopo la conclusione di Underworld, non è del tutto inedita, avendo cominciato a pubblicarla già cinque anni fa sempre su EFP. All'epoca, causa studio, non potevo aggiornare regolarmente nè avevo finito di scrivere, pertanto la cancellai con il proposito di tornare a postarla una volta terminata. Questa volta, essendo stata completata in toto, pubblicherò senza problemi. Come sempre, chiedo di farmi sapere cosa ne pensiate, vedo che le letture ci sono. :) Buona lettura!!


 

 

 

 

 

 


Mi svegliai mezza stordita a causa della suoneria. Avevo lasciato lo smartphone acceso. Il problema era ripescarlo nel casino dei nostri vestiti sparsi in giro. Per di più, sotto la trapunta del mio letto, il peso di Trevor addormentato accanto a me era alquanto difficile da gestire. Facendo attenzione a non svegliarlo, allungai il braccio per cercare il telefono, che continuava a suonare. Soltanto dopo diversi tentativi riuscii ad afferrarlo. Mi venne un dubbio improvviso quando lessi, accanto all’ora, 03:20 di notte, il nome di Alexander Graham. Ma quel tizio non dormiva mai? Trevor si svegliò nello stesso istante in cui sgattaiolai fuori dal letto per rispondere, tanto che la sua voce arrochita mi fece desistere dal proposito di lasciare la stanza. Mi sedetti accanto a lui, mentre si stiracchiava e risposi.

– Detective Graham? Spero per lei che abbia sbagliato persona. – protestai, sbadigliando, mentre il mio fidanzato si tirava su, incerto. Dall’altro lato del telefono, la voce dell’agente Graham era del tutto sveglia e inflessibile.

« Tra dieci minuti, fuori casa. Stiamo passando a prenderti .»

Stiamo passando… a prendermi? Stiamo? Fui alquanto corteggiata dall’idea di mandarlo a quel paese e rimettermi a dormire, ma considerando il tono, doveva essere successo qualcosa di importante, se aveva richiesto la mia presenza. Guardai Trevor e a giudicare dalla sua espressione, la mia doveva essere piuttosto preoccupata.

– Che è successo? – domandai, ormai completamente sveglia. Temetti di conoscere la risposta ancor prima di rendermi conto di aver posto la domanda. Graham tacque per qualche istante. E ne ebbi la conferma. – Si tratta di lui, vero? È il Mago? –

Trevor aggrottò le sopracciglia, mentre gli prendevo la mano. Avevo bisogno del suo contatto.

« Nove minuti e mezzo, Hastings. Non abbiamo altro tempo. » disse e riattaccò.

Il mio cuore mancò un battito. Le sensazioni che si erano appena riaffacciate quella mattina, in quel momento esplosero tutte insieme. Il ricordo di Daisy. Il terrore. Quella voce infernale. Il motivo per cui avevo ero lì, in attesa. Sospirai.

– Vengo con te, Kate. – disse Trevor, balzando in piedi.

– Non se ne parla. È pericoloso! – contestai.

– Ho già rispettato le tue decisioni. Ora rispetta la mia. Non ti lascio correre da quel mostro da sola. Ho paura, Kate. E non voglio che ti succeda nulla. Ora, a quanto pare, il tuo collega è stato chiaro. Preferisci rimanere seduta lì o ci sbrighiamo? –

Quando parlava così, Trevor non ammetteva repliche. A malincuore, ma sapendo che la sua presenza mi avrebbe dato più coraggio che mai, annuii.

 

Il detective Graham non si fece attendere. Quando uscimmo di casa era già lì con la sua Hyundai Veloster Turbo metallizzata. Salimmo velocemente in macchina, trovando ad accoglierci anche un assonnato Jace nel posto accanto a Graham.

– Katie e il fidanzato senza nome. Volete del caffè? – propose, allungandoci un paio di bicchieri mentre allacciavamo le cinture.

– Trevor Lynch, idiota. E grazie. – rispose il mio fidanzato, prendendo i bicchieri mentre Graham ci lanciava un’occhiata dallo specchietto retrovisore, prima di ripartire. Nell’incrociare il suo sguardo, mi resi conto che non aveva esattamente gradito la presenza di un estraneo nel suo abitacolo, ma considerando il momento, non avrebbe comunque potuto cacciarlo. Feci spallucce, poi tirai su un sorso di caffè caldo.

– Cosa sappiamo? – domandai, a marcia ripresa.

– Julie Dawson, tre anni. Era al parco con la nonna l’altro ieri. È scomparsa all’improvviso e abbiamo ragione di credere che sia stata presa… dal Mago. – spiegò Jace, con una leggera esitazione nella voce. Il disagio che provava nel parlare di quel mostro era lo stesso che provavo io al sol pensiero di averci di nuovo a che fare.

– Il Mago… che razza di nome è? –

Graham alzò lo sguardo per un secondo, incrociando quello di Trevor dallo specchietto, poi tornò a guardare la strada.

– Non sappiamo niente di lui. A parte le informazioni che Hastings ci fornì. Sembra che quel pezzo di merda sia capace di far perdere le sue tracce come per magia. E per questo si è deciso di chiamarlo in quel modo, signor Lynch. – spiegò, mentre Trevor trangugiava il suo caffè.

Effettivamente, la prima volta che l’avevo incontrato, anch’io avevo avuto quella strana sensazione. Ricordava una sorta di inquietante mago oscuro e questo mi faceva paura. Quel nome in fin dei conti gli era congeniale. Strinsi il mio bicchiere.

– Era questo che intendeva la sua collega questa mattina? –

Graham annuì.

– Dobbiamo farcela. Stavolta non possiamo permettergli di farla franca. – mormorai, sentendo salire la tensione più che mai quando, dopo l’ultima svolta, ci trovammo nei pressi di un magazzino utilizzato da una grande catena di distribuzione di giocattoli. Diversamente da Daisy, in pieno centro, stavolta aveva scelto una location più significativa.

Quando scendemmo, il freddo della notte ci avvolse più di quanto avesse fatto all’uscita da casa. Mi strinsi nel cappotto, così come Jace e Trevor che si ritrovarono concordi nel notare l’aria pungente. Graham invece era concentrato e la sua espressione truce in quel momento mi fece pensare che non vedeva l’ora di mettere le mani su quel criminale.

– A quanto pare non sono ancora arrivati. – disse Jace, guardandosi intorno.

– Di chi parli? – domandai, trasalendo quando vidi per la prima volta la beretta M9 nera d’ordinanza in mano a Graham, impegnato a sbloccare la sicura. Jace non ebbe bisogno nemmeno di rispondere che fummo raggiunti da un paio di auto del III Dipartimento. I rinforzi, al comando di Maximilian Wheeler. Rivederlo fu come un piacevole déjà-vu, dal momento che non era affatto cambiato. Perentorio e determinato, ordinò ai suoi di procedere come stabilito, mentre ci raggiungeva. Scambiò uno sguardo con Graham, poi si rivolse a me e a Trevor.

– Katherine Hastings. Chi non muore si rivede. Signor Lynch. –

Trevor fece un cenno di saluto col capo. Io sorrisi.

– Felice di rivederla, detective. Avevamo bisogno di rinforzi. –

Mentre lo dicevo, notai che Jace gesticolava nervosamente.

– … Rinforzi? – mi fece eco, voltandosi appena verso Graham. – Immagino che tu non le abbia detto che l’operazione è affidata ai miei, vero? –

A quanto pareva, tra quei due continuava a non correre buon sangue.

– Devo essermene scordato. – replicò il mio superiore con un tono sottintendente che provocò l’irritazione di Wheeler.

– Stavolta non la passa liscia. – disse tra sé e sé, ma non riuscii a capire a chi si stesse riferendo. Nel frattempo, la squadra di Wheeler era riuscita a entrare. Sperai che facessero presto, ma dovevo ammettere che ero preoccupata. A farmi rendere conto dell’esser tesa come una corda di violino fu il primo sparo che sentimmo. Trasalii, così come Trevor, mentre Jace, Graham e Wheeler, oramai abituati, scattarono in difesa. Sentimmo urla provenire dall’interno. Voci concitate, passi in corsa, porte che sbattevano. Volevano attirarlo all’esterno. Ma quella strategia non mi sembrava affatto adatta.

– Così non faranno altro che farlo innervosire! Si spazientirà e userà la bambina! – urlai. Wheeler fremette. – I miei uomini sono addestrati. Abbiamo stabilito questa strategia tenendo conto dei casi precedenti. Un’azione congiunta è l’unico modo per farlo uscire allo scoperto. –

– Si sentirà braccato e ucciderà Julie! – ribadii. Niente. Wheeler era troppo convinto. E se Trevor era un pesce fuor d’acqua e Jace non aveva l’autorità per contestare Wheeler, l’unico che sembrò in parte d’accordo con me fu Graham.

– Lei lo sa, vero? Ha capito che quell’uomo è un esibizionista. Il magazzino è il suo palcoscenico. Sta preparando il suo spettacolo e lo farà in grande stile, per noi. Ma se il pubblico non sarà quello che si aspetta, si sentirà frustrato e ucciderà la bambina prima che possiamo intervenire! –

Un ghigno comparve sul volto di pietra di Alexander Graham. Era quello che aspettava. Per un attimo pensai che volesse umiliare Wheeler. In realtà, ciò che voleva era un pretesto per entrare in azione. E considerando che non era il tipo di persona che si faceva problemi a ignorare ordini che non fossero i propri, quando lo vidi correre verso il retro del magazzino, inseguendo la figura che ne era uscita, mi resi conto che non si sarebbe fermato, a qualunque costo.

– Graham!! – urlai, nello stesso momento in cui lo fecero gli altri. Wheeler sbraitò, richiamando immediatamente i suoi, mentre Jace, tornato in macchina, afferrò il tablet dallo zaino. Trevor, in tutto quel trambusto, era sconvolto. Immaginai che si fosse reso conto, come me del resto, di quanto potesse essere pericoloso quel lavoro. E io, che avevo appena dato il via libera a Graham affinché si scatenasse contro il Mago, mi resi conto che non potevo restare lì, con le mani in mano.

– Aiuta Jace, Trevor. Qualunque cosa stia facendo. – suggerii.

Trevor annuì, raggiungendo un indaffarato Jace, sentendoli parlare di software di riconoscimento e di localizzazione. Evidentemente, voleva aiutare Graham con la mappatura della zona. Wheeler mi scoccò un’occhiataccia, richiamandomi all’attenzione. – Si rende conto di cos’ha fatto, signorina Hastings?! –

Al diavolo la buona educazione. Affilai lo sguardo. – Dottoressa Hastings, prego. E sì, detective Wheeler. Cerco di salvare una bambina innocente. –

Approfittando della confusione dovuta alla riorganizzazione delle squadre, mi misi a correre nella direzione che Graham aveva preso. La voce di Trevor si alzò su quella di Wheeler nel chiamare il mio nome. Ma avevo fatto una promessa, la notte in cui Daisy Ross era morta. Non avrei lasciato che accadesse un’altra volta.

Corsi più velocemente che potevo sperando di raggiungere Graham. Avevo il cuore in gola, al pensiero di ritrovarci davanti quel bastardo, ma al tempo stesso, volevo soltanto portare in salvo la piccola Julie. Incrociai alcuni membri della squadra di Wheeler, chiedendo loro di ascoltare le istruzioni che Jace avrebbe fornito e riuscii a raggiungere Graham, che si era fermato non molto lontano da dov’eravamo. Tutto intorno, magazzini chiusi e soltanto una probabile via di fuga, proprio nella direzione verso cui Graham puntava la sua pistola.

– È già la seconda volta che fai di testa tua oggi. Vieni qui. – ordinò, senza scomporsi. Aveva ragione, ma mi sarei sorbita i rimbrotti una volta fuori pericolo. Obbedii, posizionandomi alle sue spalle. A giudicare dal modo in cui teneva sotto tiro, doveva essere davvero teso e non potevo certo dargli torto. Mi guardai intorno, cercando di prestare quanta più attenzione possibile, quando sentii la voce di Jace risuonare ovattata nell’auricolare che Graham portava all’orecchio. Nel guardarlo, notai anche un tratto di un tatuaggio che dal collo scendeva verso la spalla destra. Scacciai il pensiero di cosa potesse rappresentare, richiamando invece alla mente il particolare che il Mago portava sul polso. Non ero mai riuscita a capire cosa fosse.

– Siamo coperti. – bisbigliò appena, e io mi sentii rassicurata, giusto il tempo di sentirlo alzare la voce. – Allora, gran figlio di puttana. Rimani lì o devo venire a prenderti? –

Raggelai di botto. Si era bevuto il cervello?

– Che diavolo fa? Lo provoca?! –

Feci per afferrare il suo Woolrich nero, ma mi fermai non appena fummo raggiunti dagli agenti di Wheeler con lui a capo, pistola alla mano a sua volta. Al suo ordine, i suoi puntarono verso di noi e rabbrividii. A quel punto, ebbi la sensazione di aver commesso un terribile errore di valutazione, ritrovandomi nel bel mezzo di una faida tra due ex colleghi che avrebbero volentieri premuto il grilletto l’uno contro l’altro.

– Voi non state bene. Davvero. – mormorai, facendo un passo indietro. Graham sospirò appena, senza sorprese.

– So che sei lì. Allora, quando comincia lo sp--

Nello stesso istante in cui Wheeler richiamò Graham interrompendo il suo appello, sentimmo un lamento infantile provenire dal buio proprio di fronte a noi. Fu sufficiente a far raggelare l’atmosfera intorno e a farci tornare concentrati sul motivo per cui eravamo lì in quel momento. La voce di Jace risuonò incomprensibile nell’auricolare di Graham, così come quella di Trevor, tanto che il mio superiore decise di toglierlo. E poi, di lì a pochi istanti, fummo sorpresi da un’incredibile quantità di fumo colorato sparato verso di noi, del tutto simile a quelli da effetti speciali spesso utilizzati nel circo. Nella confusione che seguì, a causa della nuvola fitta, mi ritrovai a tossire e persi l’orientamento. Mi coprii la bocca con una mano, mentre con l’altra cercai Graham, invano. Dove diavolo era finito in un momento simile? Sentii gli altri agenti tossire, alcuni urlare. Avrei dovuto gettarmi a terra e aspettare, probabilmente, ma ero talmente disorientata che continuavo a camminare come un cieco senza bastone consapevole di non poter chiamare aiuto, per non rischiare di soffocare. Gli occhi mi bruciavano, tanto che pensai ci fosse qualche sostanza urticante. Altro che Mago, quel bastardo aveva intenzione di conciarci per le feste. Pensai a Trevor, sperando che avesse maggior buonsenso di me e restasse al sicuro con Jace. Tenni gli occhi chiusi, ritrovandomi ogni tanto a sbattere contro persone che non riuscivo e che non riuscivano a vedere. A tutti gli effetti, non sapevo dove diamine stessi andando. Pensai alla piccola Julie. Il lamento che avevo sentito era sicuramente il suo. Dovevo trovarla. Riaprii gli occhi, nel fumo che poco per volta sembrava diradarsi, quando mi sentii afferrare per il braccio senza particolare grazia. Trasalii al pensiero che potesse essere quel maledetto demonio e cercai di divincolarmi. Non avevo mai preso lezioni di autodifesa, ma sapevo fin troppo bene che il modo migliore per liberarsi da una presa era assestare un calcio in mezzo alle gambe dell’aggressore. A giudicare dalla posizione, era frontale, rispetto a me. Non appena provai a sollevare la gamba per sferrare il mio attacco e liberarmi, la voce ovattata di Graham proprio al mio orecchio mi fece desistere di botto.

– Ti ho presa, Hastings. Ti ho presa. Stai tranquilla. –

Tossii a causa del fumo inalato per la sorpresa e mi aggrappai a lui con forza, ringraziando il cielo. E pensando che gli avrei dovuto chiedere scusa una volta in salvo. Ci allontanammo insieme raggiungendo la via oscura in cui si era nascosto il Mago. Una volta oltrepassato il piccolo cannone spara fumo che ci aveva fatto dannare, finalmente potemmo respirare normalmente. Un respiro dopo l’altro, bramando l’aria come mai. Ora capivo in qualche modo come dovevano sentirsi i sopravvissuti agli incendi. Gli occhi mi bruciavano ancora, ma quando riuscii a mettere a fuoco, il viso di Alexander Graham mi sembrò improvvisamente un’ancora di salvezza. Tossì anche lui, mentre ancora lo tenevo stretto. Il tempo di vedere il sorriso del diavolo alle sue spalle. Il brillio della lama che ricordavo. Il terrore che raggelava le vene. Volevo urlare, ma la voce non mi usciva. Avevo inalato troppo fumo. Allora, approfittando della distrazione di Graham, mi spinsi sul lato, trascinandolo con me. Finimmo contro il muro, schivando l’attacco del Mago, che andò a vuoto. Graham imprecò, lo shock sul volto quando si ritrovò davanti il suo nemico. Differentemente da me, lui non l’aveva mai visto, sebbene il nero dei suoi abiti lo oscurasse più del dovuto. Ma lo sconvolgimento maggiore subentrò quando si rese conto di non avere più con sé la pistola d’ordinanza.

– Cazzo! – sbraitò, tra stizza e frustrazione.

Eravamo disarmati, in svantaggio visivo su tutti i fronti mentre quel bastardo aveva la strada spianata. Dovevamo giocare d’astuzia, ma in che modo? Lo stesso Graham l’aveva provocato.

– C-Cos’hai fatto a Julie? – domandai, con la voce fin troppo arrochita. Il Mago si fermò e sollevò il braccio sinistro verso l’alto. Sollevammo entrambi lo sguardo. Avrei urlato a gran voce se non fosse stato per la gola irritata nel vedere la bambina imbracata a circa cinque metri d’altezza. Da quella posizione non si riusciva a capire se fosse viva o meno, ma di certo, non era cosciente. Mi venne da piangere, mentre Graham, se fino a quel momento era stato spavaldo e irruente, lasciò cadere la maschera e lanciò un urlo talmente profondo da farmi tornare di colpo alla realtà. Mi voltai appena in tempo per vederlo tirarsi su e lanciarsi contro il Mago, totalmente fuori di sé. Ignorai totalmente la tensione e quel rimasuglio di autocontrollo che mi imponeva di fermarlo e cercai un modo per raggiungere la bambina. Cercai l’aiuto di Wheeler e dei suoi, mentre Graham e il Mago erano impegnati in uno scontro diretto. Riuscii a spegnere il cannone che continuava a sparare fumo colorato. Era molto più rudimentale di quanto pensassi, tanto che mi fu sufficiente staccare la presa di corrente dalla sua prolunga. E se quel poco mi dette speranza, fu subito smorzata dalla voce iraconda di Graham, che mi costrinse a voltarmi tutto d’un tratto. Avevo spento il cannone, era vero, ma i due cavi erano in qualche modo connessi all’imbracatura della piccola Julie. Come una sorta di dispositivo di sicurezza da bungee jumping, quando vidi la corda allentarsi, compresi di averla condannata a morte sicura. Cercai di afferrare il cavo, ma non feci in tempo per un soffio e gridai. Stavolta, la voce mi uscii sicura e alta, tanto ero shockata. Gli spari che seguirono e l’arrivo di Wheeler e di alcuni dei suoi misero in fuga il Mago, costringendo Graham alla decisione più difficile che potesse prendere in quell’istante. L’inseguimento dell’assassino o il salvataggio di Julie. Nell’istante in cui i nostri sguardi si incrociarono, vidi tutto il suo tormento. Il dilemma che andava oltre l’etica. L’odio che avrebbe superato il dovere se soltanto qualcuno avesse messo in salvo quella bambina. Ancora una volta, avrei dovuto decidere per lui. Per fare la cosa giusta.

– Alexander Graham! – urlai. – Salvi quella bambina, agente! –

Sgranò gli occhi, come se si fosse improvvisamente ricordato quale fosse il suo dovere. Avevo usato la parola agente apposta. Perché prima di tutto, era quello che era. Un agente. Un agente che aveva giurato di proteggere le persone. Prima ancora di essere un detective. Si voltò in un lampo, correndo nella direzione opposta a quella del Mago e spiccando un salto non appena fu all’altezza giusta per afferrare Julie. Passarono secondi interminabili, mentre Wheeler e i suoi correvano all’inseguimento del killer, per l’ennesima volta. Mi alzai, quando rimanemmo da soli, raggiungendolo. Era chinato, curvo nelle spalle, stringendo la bambina con fare protettivo. Mi chinai a mia volta, accarezzando la testolina scura della piccina. Aveva i capelli legati in due trecce morbide. Graham le sfiorò la guancia col dorso delle dita, poi si voltò appena verso di me, l’espressione, per la prima volta da quando l’avevo incontrato, sollevata. E sorrisi, sentendo gli occhi pungere come mai tra irritazione e lacrime.

– È viva. Julie è viva. –

Julie è viva. Avrei ringraziato Dio in tutti i modi possibili, non appena ne avessi avuto l’occasione. Crollai a sedere sotto il mio stesso peso, appoggiando la testa contro il suo braccio, esausta. Se anche Wheeler non fosse riuscito a catturare il Mago, quella notte, avevamo salvato una bambina. Una mezza vittoria, probabilmente. Per me, una vittoria che valeva più di tutto, in quel momento.

Jace e Trevor ci trovarono così, pochi minuti più tardi. Il mio fidanzato mi aiutò ad alzarmi e tra le sue braccia, la tensione che avevo accumulato si risolse in singhiozzo. Jace aiutò Graham, prendendo in braccio Julie che fortunatamente, continuava a dormire. Probabilmente, aveva usato del cloroformio per tenerla buona e sperai che ne avesse usato a sufficienza da non farle mai ricordare quei terribili momenti, in futuro. Quando Graham si alzò, il respiro gli si mozzò in gola.

– Capo, che hai? – domandò Jace.

Graham portò la mano al fianco destro. Quando la tolse, il palmo era insanguinato. Nella colluttazione, il Mago doveva averlo colpito.

– Mio Dio! – esclamai, ancora stretta a Trevor, che più di me, si doveva essere reso conto di quanto fosse pericoloso quel lavoro. Il capo si appoggiò al muro, pressando la mano sul fianco.

– Jace. Chiama un’ambulanza, ok? E avvisa Wheeler che la bambina è viva. Ah, e già che ci sei, cerca la mia pistola. Dev’essere da qualche parte qui vicino. –

Un’ultima occhiata in direzione della via di fuga ed ebbi la sensazione che avremmo avuto a che fare nuovamente col Mago, prima o poi. Appoggiai la guancia sul petto del mio Trevor, sentendo le sue labbra sulla testa.

– Scusami, amore… – mormorai.

Trevor sbuffò, facendo voltare Graham verso di noi. – Quando mi chiami “amore” sei pericolosa. Mi basta che tu stia bene. Solo quello. –

Annuii, al pensiero che dovevo al capitano Graham almeno un po’ di gratitudine. E di lì a poco, intanto, Jace ci annunciò che un’ambulanza era già sulla strada.

 

Il detective Wheeler ci raggiunse in ospedale circa un paio d’ore più tardi. Avevamo ricevuto assistenza tempestiva, tanto che gli occhi e la gola stavano già decisamente meglio. Anche Graham era stato medicato e si era già premurato di avvertire la famiglia Dawson del ritrovamento felice della loro piccolina. Fortunatamente, i medici avevano escluso violenza fisica, eccezion fatta per qualche escoriazione dovuta all’imbracatura e alla caduta. L’effetto del cloroformio per di più, era svanito e Julie si era svegliata, trovando accanto i suoi genitori. Trevor, Jace e io, seduti in sala d’aspetto, ne avevamo approfittato per riposare qualche minuto, quando fummo raggiunti da Graham, Wheeler e dai genitori di Julie, una coppia giovane, che poteva avere a occhio e croce un paio d’anni più dei due detective. La mamma di Julie, con gli occhi cerchiati da notti insonni e chissà quante lacrime versate nell’attesa di notizie, singhiozzava.

– Dottoressa Hastings, i signori Jason e Madeleine Dawson. Signori Dawson, lei è la psicologa del nostro Dipartimento. – disse Graham, facendo le presentazioni.

Mi alzai, così come Trevor e Jace, tendendo loro la mano. Madeleine, come a non poter trattenere più la stanchezza e l’emozione, proruppe in un pianto dirotto e mi abbracciò, tra lo stupore di tutti, compresa la sottoscritta. Ero stanca anch’io, titubante, ma ricambiai quell’abbraccio e guardai Jace. Una volta aveva detto che dare brutte notizie era la parte peggiore del nostro lavoro. Ma in momenti come quello che stavamo vivendo, c’era del buono.

– Grazie… grazie per averci riportato la nostra bambina… –

Sorrisi. – È merito del detective Graham… è stato lui a salvarla. E il detective Wheeler, anche… insomma, abbiamo fatto una specie di lavoro di squadra… – spiegai malamente, tanto che Wheeler sospirò contrariato. Trevor affilò lo sguardo. La mamma di Julie invece si scostò, sorridendo tra le lacrime, lasciando il posto al marito.

– Può dirci se secondo lei Julie avrà problemi in seguito? –

Quella domanda era la più ovvia del mondo, ma dopotutto, capivo bene la loro paura. Non sapevamo cosa e quanto Julie avesse visto e subito in termini di implicazioni psicologiche e naturalmente, non potevamo correre il rischio di sottovalutare eventuali traumi.

– Abbiamo ragione di credere che il suo rapitore non volesse ucciderla in prima persona. I medici sostengono che abbia passato diverso tempo sedata, per cui, c’è la possibilità che non abbia vissuto esperienze traumatiche definitive com’è accaduto all’ultima… piccola vittima, tre anni fa. Qual è stata la reazione di Julie nel vedervi? Si è spaventata? –

I due si guardarono e fu Madeleine a rispondermi. – No… ha soltanto chiesto dove fosse il suo peluche preferito, quello che aveva quando è stata rapita… –

– Capisco. Allora statele accanto, fatele percepire serenità. E vedrete che col tempo dimenticherà totalmente quel pupazzo e con quello, la brutta esperienza. – suggerii, sorridendo loro.

I coniugi Dawson si strinsero la mano e per la prima volta, mi resi conto di quanto le parole fossero importanti. Ci congedammo pochi istanti dopo, mettendomi a loro disposizione. Quando andarono via, accompagnati da Wheeler, che non mancò di bisbigliarci un “non finisce qui”, Graham ci chiese di mantenere il riserbo sul caso, poi richiese la presenza di Trevor. Immaginai che fosse per imporgli di non intromettersi più in faccende che lo riguardavano, ma eravamo tutti talmente stanchi che anche a volerlo, non avremmo certo avuto la forza di sindacare. Così, quando rimasi sola con Jace, nell’attesa, ci ritrovammo a scambiare un paio di chiacchiere.

– Sei stata coraggiosa, Kate. Davvero. –

– Dillo ai miei occhi che ancora lacrimano. Primo giorno di lavoro e mi ritrovo a che fare con un bombarolo vendicativo e con lo psicopatico rapitore di bambini… ci vuole coraggio, sì. – scherzai, ma Jace fu di diverso avviso. Guardava verso il punto in cui Trevor e Graham si erano fermati, l’aria seria che avevo visto durante la mattina.

– Vuoi prendermi di nuovo in giro? Guarda che non ti conviene, sai? – e gli assestai un buffetto sulla spalla che ignorò.

– Kate, ascolta. Credo che in qualche modo tu possa fargli bene. Al capitano Graham, intendo. –

Aggrottai le sopracciglia. – Che stai dicendo? –

– Avete impedito che un’altra bambina fosse uccisa. In passato, la situazione gli era sfuggita di mano e Daisy Ross è morta a causa del Mago. Ma non era lei la prima vittima. –

Deglutii ripensando a quando Wheeler aveva annunciato la fuga, nuovamente, del killer. Jace si voltò a guardarmi. La sua espressione era palesemente combattuta, tanto che dovetti chiedergli di non raccontarmi nulla, se non se la fosse sentita. E forse, era anche un metodo di difesa per me. Ero sicura di voler sapere altro, per quella notte?

– Jace… –

Jace Norton accennò un sorriso triste. – La prima vittima del Mago, sei anni fa, fu Lily Graham. La figlia di Alexander. Per lui è diventata personale. –

Sgranai gli occhi, appoggiandomi al muro dietro di me in preda di un tuffo al cuore.

– Mio Dio… – fu la sola cosa che riuscii a dire, incrociando lo sguardo grave e stanco di Graham di ritorno insieme a Trevor. L’aver salvato Julie, ora, aveva assunto un significato del tutto inaspettato.

 

 

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Capitolo 6
*** III ***


◊ III ◊

 

 

 

 

 


 

L’indomani, nel Dipartimento non si parlava d’altro. L’agente Jones, addetto a mediare i rapporti con la stampa, aveva ricevuto da Graham il compito di parlare del caso. Era un altro lato del nostro lavoro. Avere a che fare con giornalisti più o meno muniti di morale per cui spesso l’eclatante superava l’esigenza del vero. Seduta nell’ufficio che condividevo col capo, osservavo la sala dalle maglie della veneziana che adombrava la porta di vetro. Jones aveva esperienza dalla sua. Dal modo in cui teneva testa alle domande del gruppetto ipotizzai che dovesse avere quel genere di incombenze da diverso tempo. Diversamente, Alexis, seduta sulla scrivania di Jace, era impegnata a chiacchierare con lui. Dovevo ammettere che nonostante sembrasse provare antipatia per gli approcci poco professionali del nostro collega, vederli insieme era un quadretto. Sarebbero stati una bella coppia. Un po’ come Selina e Graham. Sospirai pensando che mi stavo facendo contagiare dalla mania accoppia tutti della mia migliore amica e mi voltai verso la scrivania del capo, che quella mattina si stava facendo attendere. Mi chiesi se fosse per via della ferita che il Mago gli aveva inferto. L’adrenalina dovuta all’azione aveva messo in ombra il dolore del colpo, ma nonostante le medicazioni a cui era stato sottoposto, pensai che avrebbe avuto qualche problema di movimento. Per di più, Trevor mi aveva detto, dopo esser stato costretto da una spaventata quanto incredula Lucy, di ritorno a casa con tre croissant fumanti e super caffè, a fare la telecronaca a posteriori della nottata trascorsa, che il capitano gli aveva chiesto di accompagnarlo a recuperare la sua auto, motivo per cui, quella stessa mattina, era tornato sul posto dove ci eravamo fermati. Sospirai nuovamente, guardando il fascicolo che Jace mi aveva fatto avere, in via confidenziale, che riportava le informazioni sul caso catalogato come I360617. Non me l’ero ancora sentita di aprirlo. In tutta onestà, non ero pronta a conoscere i dettagli riguardanti le morti di due bambine innocenti. Daisy la ricordavo fin troppo bene, avendola vissuta in prima persona. Ma leggere i risultati dell’autopsia, le mie dichiarazioni, le valutazioni, era qualcosa in cui non ero pronta a immergermi di nuovo. E poi c’era Lily. La sua prima vittima, a sei anni di distanza nel passato. La figlia di Graham. Avevo avuto la sensazione che potesse avere famiglia, quell’uomo. Ma non pensavo che potesse aver vissuto una tragedia come perdere una figlia, così piccola lei e così giovane lui. E la madre? Non sapevo nulla e non avevo il coraggio di andare oltre, per il momento. Quando Alexis si affacciò alla porta, nascosi il fascicolo tra i fogli che avrei dovuto utilizzare per la valutazione di Julie Dawson. Un paio d’ore prima avevo sentito per telefono sua madre e ci saremmo incontrate presto. Non vedevo l’ora di poter salutare in maniera appropriata la piccina.

– Hai tempo per fare una cosa? – mi domandò Alexis.

– Di che si tratta? – domandai, tirando indietro una ciocca ribelle. Prima o poi mi sarei fatta spiegare come faceva a portare i capelli così ordinati.

– Dovresti scendere da Doc. Ha richiesto dei documenti, ma al momento sei l’unica che non ha da fare. –

Doc. La seconda volta che sentivo quel nome. – Nome in codice per… ? –

Alexis batté le lunghe ciglia, poi mi passò una chiavetta USB. – Dottor Clair. –

Almeno sapevo di chi chiedere. Mi alzai e la raggiunsi, prendendo la chiavetta. – Non state progettando niente tu e Jace, vero? –

La mia collega era perplessa. Fece per dire qualcosa, poi si scostò. Jace, più in là, mi fece ciao con la mano e tornò a lavorare al pc. – Hastings, se volessi progettare qualcosa con Jace, avrei già smesso di lavorare qui da un po’. E poi… c’è il gran capo nei paraggi. –

– Il gran capo? –

Sorrise del mio stupore. – Vai. Piano seminterrato. Ci vediamo dopo. –

Sbuffai, senza nascondere la noia al pensiero di essere l’ultima ruota del carro e in quanto tale, a dover scoprire da sola le cose. Lasciai la sala e presi le scale, notando il via vai di agenti che circolavano tra i piani. Sistemai il badge per evitare problemi e scesi fino al seminterrato. A giudicare dal corridoio essenziale, non doveva essere un posto particolarmente piacevole dove lavorare. Mi chiesi se il dottor Clair fosse uno di quei geni/topo da biblioteca da occhiali inforcati e misantropia. Quando vidi un uomo con un elegante soprabito classico color cammello uscire dall’unica porta interna, mi affrettai a raggiungerlo. Di spalle, i capelli castano scuro mossi tirati leggermente all’indietro, un inebriante profumo di colonia, si voltò non appena chiesi di lui. A occhio e croce, poteva avere poco meno di quarant’anni.

– Dottor Clair? Doc? –

Aggrottò le sopracciglia brune e incrociò le braccia. – Chi lo cerca? – chiese, la voce lievemente roca. Perfetto, avevo trovato il destinatario. Gli mostrai il badge.

– Katherine Hastings, sono stata ass--

– Dottoressa Hastings, sono perfettamente in grado di leggere da me i suoi dati. –

– Ehm… le chiedo scusa. So che ha richiesto dei documenti. Glieli ho portati. – spiegai, passandogli la chiavetta che raccolse immediatamente. Aveva mani curate e un anello importante d’oro all’anulare destro. Mi venne un dubbio esistenziale non appena riconobbi il sigillo impresso. Una doppia H. L’effigie della Howell Holding, una multinazionale particolarmente attiva in campo finanziario. Il capofamiglia, Anthony M. Howell, era stato persino eletto sindaco circa trent’anni prima. E mi ricordai, mentre al tempo stesso prendevo coscienza di aver scambiato lucciole per lanterne, che il procuratore distrettuale, nonché direttore del corpo di polizia, la cui firma era ben impressa sul mio contratto di lavoro era nientemeno che Marcus Howell. Spostai lo sguardo dall’anello al volto improvvisamente incuriosito del mio interlocutore. Mi chiesi che faccia avessi in quel momento. Avrei voluto avere uno specchietto. Nel contempo, la porta si aprì. Con camice bianco recante nome e cognome, stavolta, i lunghi capelli neri e lucidi tirati su in una coda mossa perfetta, Selina, il dottor Clair, quello vero, si affacciò.

– Marcus, per stasera, pensavo che l’Harborside sia… – si interruppe nel vedermi. – Ah, Kate! Mi hai portato quello che volevo, grazie. E vedo anche che hai fatto la conoscenza di Marcus. – continuò, sorridendo.

Annuii di rimando, ma in realtà volevo scappare alla prima occasione utile. E pensare che Alexis mi aveva anche avvisata del gran capo in giro. Lasciai la chiavetta USB al procuratore Howell, che sorrise.

– C’è stato un piccolo malinteso. E ho giocato un po’ con la dottoressa Hastings. Spero che mi perdonerà. – disse, addolcendo il tono. Selina si mise a ridere, poi prese la chiavetta.

– Il solito. Non farci caso, Kate. Si diverte a prendere in giro la gente, ogni tanto. –

– S-Si figuri, dottoressa Clair… sono stata avventata, ne aveva motivo. E mi scusi, dottor Howell. Sono davvero mortificata. –

I due si scambiarono uno sguardo d’intesa. E considerando tono e affinità, o erano amici di vecchia data o c’era dell’altro. Marcus Howell fece spallucce, poi mi tese la mano.

– Mi permetta di fare le presentazioni come si deve. Dottoressa Hastings, è un piacere fare la sua conoscenza. Sono Marcus Howell. –

Stupita dapprima, poi rincuorata dalla classe e dalla cortesia del mio superiore, strinsi la sua mano. – Katherine Hastings. E il piacere è mio. – sorrisi.

– Dato che avete fatto le presentazioni… Kate, avevi scambiato Marcus per me? – domandò il dottor Clair.

La guardai imbarazzata, annuendo. – Ero convinta che fosse un uomo. Mi scusi, davvero. –

– Se permette un consiglio, dottoressa, non si scusi sempre. Capita a tutti di sbagliare. – mi riprese il Procuratore, sciogliendo la presa. Effettivamente aveva ragione, ma considerando che dovevo scoprire a mie spese gli altarini, mi sentivo alquanto in dovere di scusarmi.

– A proposito. Cosa dicevi dell’Harborside? – domandò poi, riprendendo la conversazione con Selina.

– Dato che il mio compito è terminato, tolgo il disturbo. Vi auguro una buo--

– Tu, con me. – sentenziò la donna, afferrandomi per il braccio. – Quanto a te, tesoro, intendevo che è perfetto e non vedo l’ora sia stasera. Ti aspetto per le 20:30, ok? – concluse poi, con un sorriso più minaccioso che altro.

Marcus Howell portò la mano al fianco. – Le donne. Signore, scusatemi, gli impegni mi aspettano. Ah, dottoressa Hastings, prima che me ne dimentichi… –

Sbattei le palpebre.

– Cosa diavolo è successo ieri notte? –

Rimasi a bocca aperta. – Ehm… credo che dovrebbe parlarne col capitano Graham… e col detective Wheeler… –

Alle mie parole, seguirono rispettivamente una risatina da parte di Selina e un sospiro esasperato da parte di Howell.

– Dannazione. Quei due prima o poi li manderò in Alaska. Entrambi. Con permesso. – ci salutò con un cenno della testa e ci lasciò sole. Quando fu scomparso dalla nostra vista, Selina mollò la presa e tornò all’interno del suo studio. La seguii riluttante, quando mi resi conto che si trattava del laboratorio di anatomopatologia. In altre parole, era lì che avvenivano le autopsie. Eppure, considerando il modo in cui aveva personalizzato la parte d’ufficio, con raffinati oggetti di cristalleria, cornici virtuali e un modellino in scala 1:10 di un Akita Inu, l’atmosfera non sembrava così pesante come avrebbe dovuto essere. Selina si sedette al pc, invitandomi ad accomodarmi sul divanetto.

– Allora, raccontami tutto. – ordinò.

Mi sedetti, evitando volontariamente di guardare in direzione della porta che dava sulla stanza delle autopsie.

– Parla di ieri notte? Non c’è molto da raccontare… almeno, a parte l’aver salvato una bambina… –

– Oh, lo so. Se c’è una cosa che Jace sa fare bene è condire coi dettagli. Mi riferisco alle tue impressioni sul Dipartimento. – mi fece l’occhiolino. – Che ne pensi dei ragazzi? Ti trovi bene? –

Rigirai i pollici, poi annuii. – Magari è troppo presto, però sembrano tutti molto compatti… in realtà non ho avuto ancora tempo per conoscerli… a parte un po’ Jace. E ho scambiato qualche parola con Alexis. Sembra riservata, ma secondo me è apparenza. Ah, ma non che lo faccia per fingere! –

Selina poggiò la guancia sulla mano curatissima e sorrise gentilmente. Cavoli, somigliava davvero ad Anne Hathaway. – E di Alexander che ne pensi? –

Sobbalzai nel riconoscere il tono alla Lucy. – … che è uno schiavista mascherato da bel tenebroso? –

Sgranò gli occhi per un istante e si mise a ridere. – Quello lo pensano tutti. E in fin dei conti lo è. –

Feci spallucce, poi pensai alle recenti rivelazioni sui trascorsi col Mago. E mi ritrovai a dover scacciare il pensiero della vicinanza tra di noi quando mi aveva aiutata a uscire dalla nuvola di fumo. – È molto irruente… non sembra il tipo di persona che ascolta volentieri ciò che gli si dice. Mette in pericolo se stesso e chi gli sta intorno, ma nonostante questo, credo che il suo senso del dovere sia radicato… –

– Jace ti ha passato il fascicolo che riguarda il Mago, non è così? –

La guardai. – Non ho ancora avuto il coraggio di aprirlo. –

– Lo immaginavo. È per questo motivo che ho chiesto ad Alexis di mandare te qui. –

Mi sentii improvvisamente a disagio. Selina si scostò dal pc e mi raggiunse usando la poltroncina girevole.

– Secondo Jace io sarei capace di aiutare il detective Graham… ma non ho questo potere. Insomma, lui è un veterano, a suo modo. E nonostante sia un irresponsabile e arrogante menefreghista che dà retta solo a se stesso, ha ancora capacità di giudizio. Io sono appena arrivata e sinceramente, non me la sento di caricarmi di una responsabilità tale. C’è qualcosa di sbagliato in questo? Davvero, dottoressa Cla--

– Chiamami Selina. E fermati un istante. – mi disse, agitando l’indice davanti al mio viso. Senza rendermene conto, avevo cominciato a straparlare. Mi ammutolii.

– Jace parte spesso per la tangente. Diciamo che è un piccolo difetto che ha. Uno dei tanti. – disse, alzando gli occhi al cielo. – È con noi da sette anni, sai? Quand’è arrivato, come punizione per aver abbandonato il MIT, era terribile. Cercava il suo posto nel mondo, ma non aveva idea di come trovarlo se non distinguendosi come hacker. Alexander e Maximilian ci hanno messo un bel po’ per raddrizzarlo. E poi beh, è successo quel che è successo tra quei due e lui si è schierato con Alexander. Credo sia per questo che vuole a tutti i costi aiutarlo a trovare un equilibrio… ma è una mia supposizione. –

– Si riferisce al fatto che il detective Wheeler ha rubato la fidanzata al detective Graham? Almeno, questo è quello che ho capito dalle parole di Jace… accidenti però, non sapevo che fosse un hacker… –

Selina ridacchiò. – Ti ha detto questo? In realtà le cose sono un po’ più complicate di così. Ad ogni modo, sappi che nessuno può costringerti a fare ciò che non vuoi. Dunque, se pensi che sia necessario, prendi pure di petto Jace. Ogni tanto gli ci vuole una strigliata. –

Sorrisi, sentendo la tensione sciogliersi, finalmente. Aveva ragione. – Grazie, penso che la prenderò in parola. –

– Vedi? Con le buone maniere si ottiene tutto. E comunque, detto tra noi, penso che tu sia una ventata d’aria fresca qua dentro. Oddio, visto il luogo specifico in cui ci troviamo, magari non è proprio felice come battuta, ma… –

Mi misi a ridere. Era davvero un tipo divertente. – E lei invece? Da quanto tempo è qui? –

Gli occhi ambrati le brillarono. – Oh, beh… circa otto anni. Non appena laureata ho appositamente cercato questa carriera. Mi piaceva l’idea di ascoltare le storie che i corpi raccontavano. Certo, la scienza forense non ha riguardi quando si tratta di vittime che non vorresti mai dover analizzare. –

Trattenni il respiro. – Sta parlando di bambini, vero? –

Selina annuì, improvvisamente seria. – Purtroppo è la parte più drammatica. Ogni volta che un bambino finisce sul mio tavolo, come donna, non posso non pensare a quanto sia ingiusto. Ed ecco che il dottore deve prendere il sopravvento. Per aiutarmi, Alexander mi ha affibbiato il nomignolo Doc, mentre lavoravo alle prime autopsie. E così… –

– E così è riuscita a distaccarsi… –

– Già. Anche se certe volte, è davvero difficile. –

La capivo. Lo era stato con Daisy. La voglia di fare qualcosa contro la paura. – Lei e il detective Graham vi conoscete da tanto? –

Il suo sguardo tornò ad accendersi. – Abbastanza. Dai tempi dell’università. Frequentavamo Facoltà diverse, ma a quel tempo, eravamo piuttosto intimi. Oh, se penso che sono già passati così tanti anni... eravamo davvero giovani. –

Dal modo in cui ne parlava e considerando che lavoravano insieme, nonché tenendo conto dell’indole vendicativa di Graham, dovevano essersi lasciati in buoni rapporti. – Com’era il capitano Graham allora? Insomma, prima che… –

Il suo sguardo si fece fine e divertito. – Hai mai sentito parlare del Dark Circus? –

Ci pensai. – Mh… la confraternita di Harvard? –

Intrecciò le dita e posò il mento sulle punte. – Alexander era il capo del DC all’epoca. –

Mi sporsi in avanti, del tutto incredula. – Alexander Graham? Il detective Graham era… no, non ci credo. Assolutamente no. Quella confraternita era leggendaria tra le varie università. Persino a Cambridge se ne parlava e se ne parla tutt’ora con riverenza. I membri erano una sorta di élite aristocratica che si diceva manovrasse nell’ombra i fili delle altre confraternite… e da quel che so, erano responsabili di diversi atti sovversivi, che però non sono mai stati dimostrati! –

– E di chi credi fosse il merito? Oh, Kate, l’Alexander di allora sapeva davvero divertirsi. Anzi, ci siamo divertiti… anche con Maximilian, sai? Eh già. Peccato che il tempo passa… – commentò, sovrappensiero.

Misi la mano in faccia, pensando che il mio capo, il suo collega-rivale e la nostra anatomopatologa erano tre squinternati ex criminali di lusso e che mi si profilava un gran mal di testa.


 *


Quando tornai al mio posto, circa venti minuti più tardi, trovai Jace, Alexis e Jones ad attendermi. Mostrai loro il broncio.

– Voi non siete una squadra. Siete un’associazione a delinquere. –

Alexis si mise a ridere. – Jace, Daniel. I miei 50 dollari. – commentò, porgendo loro il palmo aperto. – Avevamo scommesso che avresti scambiato Howell per Doc. In tutta onestà, loro hanno voluto credere nella tua capacità d’osservazione. – mi spiegò, mentre i due aprivano riluttanti i portafogli. Ero basita.

– Katie, però… insomma, Marcus puzza di Eau de Vert da un miglio e quella non è roba da dottorini. – protestò Jace, rastrellando centesimi.

Arrossii. – Jace Norton, scusa tanto se non me ne intendo di profumi costosi. Al massimo arrivo al dopobarba di Trevor… – mormorai, rivolgendomi a Jones, che pagò il dazio.

– Anche lei era d’accordo con Jace, eh? –

Nel sorridere, si formarono due fossette sulle sue guance. – Mano sfortunata a poker, mia cara. –

– Grazie davvero… – risposi, mentre Alexis riscuoteva e afferrava senza farsi problemi il portafoglio di Jace.

– Ah, Hastings. Hai da fare sabato sera? Ti va di venire con noi da Clay’s? – mi domandò poi. Era la prima volta che ricevevo un invito nel contesto lavorativo e mi piaceva l’idea. Se ricordavo bene, inoltre, Clay’s era uno dei lounge più frequentati del quartiere in cui abitava Trevor, Avrei preso due piccioni con una fava.

– Niente scommesse, ok? Almeno, non alle mie spalle. –

I tre si guardarono, poi mi rivolsero un pollice recto. – E sia. A proposito… il capitano Graham? – chiesi poi.

Fu Jones a rispondermi. – È arrivato pochi minuti dopo il tuo allontanamento. Sarà ancora su col procuratore Howell e con Wheeler. –

– Ahi… –

Alexis sollevò la mano a mezz’aria. – Sei preoccupata per lui? –

Mi affrettai a scuotere la testa. – Immagino non avrà problemi a difendersi da solo. Ha una laurea in Legge, no? –

Un fischiettio dalle parti di Jace mi fece affilare lo sguardo. – Qualcuno si è documentato, a quanto pare. –

– Sta’ zitto tu, cacciato dal MIT. –

– Ohi, colpo basso. –

Una pacca sulla spalla da Alexis mi dette una strana sensazione. – Hastings, ti sei appena guadagnata la mia stima. –

Decisamente, quella strana sensazione era ufficialmente diventata “girl power”.

 

I giorni seguenti furono relativamente tranquilli per me. Alla fine, a causa della delicatezza del caso e del fatto che le autorità brancolavano ancora nel buio, il procuratore Howell aveva deciso di mantenere un basso profilo. Quanto all’insubordinazione del capitano Graham, essendoci abituati e avendo quantomeno ottenuto un risultato positivo salvando Julie, decise di ricorrere a un cartellino giallo, ovvero: mansioni prevalentemente d’ufficio per due settimane. Dovevo riconoscere che al di là del caso del Mago, in cui ero stata coinvolta personalmente e di cui, almeno per allora, non avevamo più parlato, i miei compiti si limitavano allo studio di casi di semplice risoluzione e spesso all’aiuto nella catalogazione dei fascicoli accumulati nel tempo. Certo, spesso finivo con l’annoiarmi, tanto che spesso le conversazioni con Trevor e con mio padre vertevano su eventuali pensieri che riguardavano la sezione di Analisi Comportamentale. In realtà, sapevo di dover fare della gavetta prima di accedere a quel servizio, ma non escludevo, in futuro, di spiccare il volo. Nei miei progetti, l’idea di lavorare come analista era particolarmente quotata. Per mio padre, avrei persino potuto collaborare con l’FBI. Per Trevor, che preferiva tenere i piedi per terra, l’importante era non correre rischi. Dopotutto, non potevo non dargli ragione, considerando che c’era uno psicopatico assassino ancora libero e che purtroppo, aveva un conto in sospeso col mio capo. Spesso, in quella settimana, mi ritrovai a osservare Graham con la consapevolezza del tormento che conviveva oramai da sei anni nel suo animo. Anche se ai tempi dell’università doveva essere stato un bad boy, ciò che vedevo in quel momento era un uomo che era stato ingiustamente privato della sua parte migliore, il suo cuore.


 *


Venne il sabato sera dell’appuntamento. Avevo invitato sia Lucy che Trevor e dato che ci trovavamo nel quartiere del mio ragazzo, avevamo approfittato della sua ospitalità per prepararci per la serata. Lucy era sempre la solita. Adorava abbondare di mascara ed eyeliner, che a dirla tutta, le stavano meravigliosamente. Probabilmente, il merito era del suo taglio degli occhi, leggermente orientale, che insieme ai capelli d’ebano, le donava particolarmente. Aveva optato per un casual look, con una maglia a righe bianche e nere, gilet e pantaloni di pelle neri a loro volta che le fasciavano le gambe lunghe. Gli stivaletti col tacco erano perfetti per l’occasione, e a completare il tutto, aggiunse una collana turchese. Del canto mio, dopo che si dette da fare per acconciarmi i capelli in una coda alta con una leggera cresta, optai per una maglia nera con fiori colorati, jeans color fumo, un giacchetto giallo e delle décolleté dello stesso colore. Ad attenderci, un ormai rassegnato Trevor davanti alla playstation, impegnato a sbloccare un livello di Batman: Arkham Knight.

Quando raggiungemmo Clay’s, erano le 21:30. Alexis ci aspettava fuori, fumando una sigaretta. A vederla senza uniforme, i capelli ramati sciolti e liscissimi, un abitino a pois e francesine dai tacchi alti, sembrava più giovane.

– Ben arrivati. – ci salutò. E nel fare le presentazioni, scoprii che qualcuno già si conosceva. Una dapprima stupita, poi incuriosita Lucy, ci spiegò che Neve Williams, la sorella minore di Alexis, era stata sua compagna del corso di specializzazione in Ristrutturazione. Considerando la parlantina di Lucy, come minimo quelle due avrebbero fatto comunella per tutta la serata. Mentre attendevamo il ritardatario Jace, che aveva avuto un contrattempo, le mie congetture andarono a farsi benedire.

– Chi diavolo è quel fusto che viene verso di noi, Kate? – domandò, prendendomi sottobraccio e indicando con un cenno del mento la persona che stava uscendo dal locale. Mi misi a ridere, nel vedere un quantomai seccato Graham mentre terminava una chiamata, raggiungerci. Almeno aveva cambiato look. Dovevo ammettere che giacca nera, camicia bianca e jeans, oltreché renderlo più informale, ne rispecchiavano la sua mezza trentina.

– Oh, buonasera. Non so voi, ma io sono stanco di aspettare. – ci informò. Alla faccia della simpatia. Per smorzare e soprattutto, per evitare che Lucy mi stritolasse il braccio, gliela presentai.

– Lucy, lui è il detective Alexander Graham, il nostro capo. Capitano Graham, la mia amica Lucy. –

– P-Piacere di conoscerla, detective Graham! Finalmente ci incontriamo! – esclamò senza troppe cerimonie.

Graham sorrise di cortesia. – Addirittura “finalmente”? Devo ritenermi fortunato. –

Un sorriso enorme, al contrario, si aprì sul volto della mia migliore amica, che mi bisbigliò all’orecchio. – Dio, Kate, credo di aver appena trovato l’uomo della mia vita! –

Se c’era una cosa che sapevo di Lucy, era che aveva la cotta facile. Non appena vedeva un ragazzo appetibile, partiva in quarta. Insicura nelle relazioni e sostenitrice per questo del “colpisci o verrai colpito” finiva sempre con l’avere la peggio e non riusciva a trovare la persona giusta. Ma se c’era una cosa che invece potevo dire su quel colpo di fulmine era che, sebbene il detective Graham fosse oggettivamente un bell’uomo, una X grande quanto il logo di X Factor campeggiava su quell’improbabile coppia. Ridacchiai, poi sussurrai. – È un alieno. Non dorme mai e non fa altro che dare ordini a chiunque. –

Lucy aggrottò le sopracciglia. – Un alfa dominante… oh Katie, davvero. Tu non sai che ti perdi. – mi rispose a dispetto, mollando la presa e rivolgendosi a Graham.

– Lei ed io faremo grandi cose. – annunciò, avvinghiandosi al suo braccio, lato in convalescenza e incamminandosi verso l’entrata del locale senza concedere repliche a nessuno, né tantomeno al mio capo. Alexis e io ci scambiammo uno sguardo dubbioso, mentre il solo che sembrava entusiasta all’idea era Trevor, tanto che lo sentii borbottare un “è la volta buona che ce ne liberiamo”.

In realtà, ci divertimmo, quella sera. Nonostante l’inizio pericoloso, trascorremmo un paio d’ore a mangiare e a chiacchierare di argomenti che non fossero strettamente lavorativi. Alexis, come avevo pensato, era molto meno formale di quanto sembrasse in centrale. Ci raccontò della sua decisione di entrare in Polizia a seguito della scomparsa del padre negli attentati dell’11 settembre. Desiderava far parte dell’anti-terrorismo, ma a causa della preoccupazione della madre, che non voleva correre il rischio di perdere un altro importante membro della sua famiglia, era scesa a compromessi, almeno per il momento. Poi, aveva conosciuto un uomo, sulla cui identità tuttavia volle mantenere il riserbo, ed era rimasta in pianta stabile nel nostro Dipartimento. Ci raccontò qualcosa anche su Jones, che solitamente non prendeva parte a uscite serali in quanto padre di due bambini di otto e cinque anni, più un altro in arrivo, e pertanto abbastanza impegnato. Lucy invece cercò di fare il terzo grado a Graham, che si limitò, tra una birra e degli stuzzichini, a dire che era impegnato in una relazione complicata con la vita. E mentre Trevor e io raccontavamo di come ci fossimo conosciuti e messi insieme, fummo raggiunti da uno scarmigliato Jace.

– Birra! – esclamò, le mani al cielo, puntando una bottiglia ancora intera sul tavolo.

– Ecco che arriva l’imbecille. – le voci all’unisono di Trevor e Graham. Misi la mano in faccia mentre quei due si scambiavano uno sguardo d’intesa. Jace ringhiò, il tempo di tirare un sorso e posare gli occhi su Lucy. Guardai lui, poi lei, l’immagine del candore.

– C-Che succede, ragazzi? – domandai, suscitando l’attenzione di tutti.

Jace posò la bottiglietta, tirò fuori dalla tasca dei jeans grigi un fazzoletto di stoffa e si pulì. Lo rimise a posto in pochi istanti e senza degnarci di uno sguardo, passando tra noi seduti sul divanetto di pelle bordeaux, totalmente incurante dei piedi pestati, si avvicinò alla mia amica e si mise in ginocchio, porgendole la mano.

– J-Jace, che stai… ? – non continuai perché un leggero pizzicotto sul fianco ad opera di uno speranzoso Trevor fu sufficiente a spostare l’asse dei miei pensieri su dei piani di omicidio.

– Posso conoscere il tuo nome, meravigliosa creatura? –

– Ecco Casanova in azione… – ci bisbigliò Alexis, provocando un sospiro rassegnato di Graham. Mi aspettavo, a quel punto, che Lucy tornasse a stringere il braccio del capo. Invece…

– Lucinda Garner… puoi chiamarmi Lucy, se vuoi… o meravigliosa creatura va benissimo… è la prima volta che qualcuno mi chiama così… –

– L-Lucy?! – esclamai. Un altro pizzicotto e mi voltai sbottando verso Trevor. – Vuoi smetterla?! –

– Ti chiamerò anche principessa dei sogni, se ti aggrada… Jackson Norton, ma puoi chiamarmi Jace… o come ti pare… –

– Oh mio Dio. – la voce perplessa di Alexis.

– Oh mio Dio… – quella sospirante di Lucy, che prese la mano di Jace e si voltò verso di me. Quantomeno, l’espressione che aveva in viso era diversa da quella convinta e agguerrita di quando aveva dichiarato che Graham fosse l’uomo della sua vita. – Credo di essermi appena innamorata. –

– Cameriera, una bottiglia di champagne! – alzò la voce Trevor, richiamando la ragazza di passaggio con un vassoio. Del canto mio, non potei far altro che sorridere a Lucy, pensando che se la conoscevo bene, tempo fine della serata e il flirt si sarebbe esaurito per incompatibilità.

Mi sbagliavo. Dopo quel momento, quei due si impelagarono in una conversazione a senso unico, tanto che dovemmo lasciarli lì per disperazione. Non che ne fossero disturbati, a dire il vero.

Quando uscimmo, eravamo concordi sul fatto che quei due erano fatti l’uno per l’altra.

– Dovremmo uscire più spesso. Magari la prossima volta senza i due piccioncini. – propose Alexis, chiudendo l’ultimo bottone del trench nero, trovandoci d’accordo.

– La prossima volta ci presenti il tuo misterioso fidanzato, eh? – le feci l’occhiolino, ottenendo in risposta un rossore pronunciato sulle sue guance.

– Vedremo. Lui… è spesso impegnato. Quando sarà possibile. – rispose, tagliando corto.

– Avete bisogno di un passaggio? – domandò invece Graham, chiavi alla mano.

Trevor mi strinse in un abbraccio, rispondendo per entrambi. – Abito qua vicino e penso che quattro passi non ci facciano male, vero, Kate? –

Scossi la testa, sorridendogli. Nonostante il brutto incontro notturno dell'anno prima, adoravo passeggiare con lui. – Già. Per di più, considerando che Lucy e Jace la tirano alle lunghe, penso proprio che mi fermerò a dormire da te. –

Al sorrisetto di Trevor fece seguito la voce di Graham. – Come preferite. Ci vediamo lunedì in Dipartimento allora. E fate attenzione, per strada. –

Sapevamo fin troppo bene a cosa si riferiva con quell’ultimo appello. Trevor sollevò il pugno, con fare sicuro. – Non si preoccupi, boss. Quel bastardo dovrà passare sul mio cadavere se cercherà di fare del male alla mia Kate. –

Lo guardai, arrossendo. Sebbene fossi lusingata all’idea di quelle parole, una parte di me preferiva, e lo urlava a gran voce, che non si verificasse mai qualcosa del genere. Mi strinsi più forte a lui, appoggiando la guancia sul suo petto. – Torniamo a casa, mh? –

Graham e Alexis compresero a volo il mio stato d’animo, ma neanche pochi istanti dopo esserci congedati, fummo richiamati da alcune voci provenienti dal parcheggio verso cui puntavano i miei colleghi. Trevor e io fummo concordi nel tornare indietro, trovando ad attenderci un manipolo di sette ragazzi armati di spranghe e catene che avevano già spaccato i finestrini dell’auto di uno sconcertato Graham.

– Ehi, stronzo. Ti sei portato dietro delle mezzeseghe stavolta, eh? – disse uno di loro, testa rasata da fare invidia a un naziskin e piercing sul labbro superiore.

Nello stesso istante in cui Trevor parò il braccio di fronte a me, un altro si mise a ridere, puntando una mazza chiodata verso di noi. Trasalii, nel rendermi conto che quella banda doveva essere la stessa dei tafferugli studenteschi. Avevamo catturato Michael Chambers, era vero, ma evidentemente, alcuni dovevano essere riusciti a dileguarsi.

– Ehi, signorinelle. Non volete fare un giro come si deve? – ci chiese un altro, associando al tono volgare una toccata. Alexis affilò lo sguardo.

– Vai a fare un giro con una puttana, moccioso. – rispose Graham, seccato.

I ragazzi si incupirono, tanto che pensai che prima o poi, con quel modo di fare, il mio capo ci avrebbe rimesso la pelle. Per giunta, considerando che erano armati, cominciai a pensare che avremmo rischiato la fine delle vittime di Arancia Meccanica.

– Che cazzo hai detto? – domandò lo stesso di poco prima, subito fermato dal capobanda rasato, che sorrise, camminando spavaldo verso di noi. Mentre gli altri attendevano, si fermò esattamente davanti a Graham, che rimase ritto. Mi chiesi come faceva a mantenere l’autocontrollo, mentre sia Trevor che io, che Alexis persino, eravamo tesi come una corda di violino. Certo, aveva combattuto a mani nude contro un killer armato e aveva precedenti di tutto rispetto in quanto capo del Dark Circus ai tempi dell’università, ma eravamo in netto svantaggio, su tutti i fronti.

– Detective Graham! – strillai di colpo, mancando un battito, quando vidi che il ragazzo aveva tirato fuori una pistola, puntandola alla fronte del mio capo.

– Vediamo se fai ancora lo sbruffone, detective Graham. – disse, imitando il mio tono.

– Per favore, no! – urlai, ottenendo in risposta un fischiettio dalle parti del gruppo e un richiamo al silenzio da parte di Trevor. Alexis si avvicinò a noi. Ero letteralmente terrorizzata per la scena che avevo di fronte. Sarebbe stata sufficiente una parola sbagliata e quel bastardo avrebbe sparato senza mezzi termini. Non volevo che accadesse. Graham aveva perso sua figlia e sebbene questo fosse illuminante circa la sua spiccata capacità provocatoria, non volevo che morisse. Non senza aver prima catturato l’assassino di Lily e di Daisy. Mi morsi le labbra, cercando le parole più adatte per cercare di sedare gli animi, tralasciando volutamente che se la miccia fosse stata accesa, nemmeno noi saremmo stati risparmiati. Non volevo perdere nessuno di loro.

Graham rivolse un ghigno che indispose il ragazzo. – Rompere i cristalli di un’auto, minacciare con un’arma… sul serio, non sapete fare di meglio? –

– Ma che ca--

L’imprecazione sottovoce di Trevor fu subito interrotta dal continuo. – Una volta, se volevi fottere la Polizia, dovevi impegnarti di più. Impronte. Quattro testimoni. Volete ucciderci? No, non avete le palle per farlo. – ringhiò con un tono di voce talmente basso che sembrava persino non appartenergli. Osservavo in tralice il resto della banda, sconvolta tanto quanto lo eravamo noi. Graham sollevò appena l’avambraccio, puntando le dita in posa di pistola contro il petto del giovane che lo teneva sotto tiro. Quest’ultimo piegò gli angoli della bocca in basso. Temevo che potesse premere il grilletto da un momento all’altro. Perché diamine non l’aveva disarmato?!

– Scommettiamo?! – urlò a voce grossa, nel tentativo di spaventarlo. Invece, considerando la freddezza di Graham nel sostenere il suo sguardo, doveva essere proprio lui quello spaventato.

– Dai, premi. Avanti. In realtà non hai mai sparato un colpo in vita tua, vero? –

– N-Non dire str--

Graham sollevò le dita, indicando la pistola vera ancora puntata alla fronte. – La sicura, pivello. –

Approfittando dei secondi di distrazione che seguirono, balzò in attacco sotto i nostri occhi shockati e disarmò il ragazzo senza troppa difficoltà. Pistola alla mano, stavolta e nemico sotto scacco, mentre questi sbraitava invocando l’aiuto degli altri, la puntò contro il gruppo.

– Oh, ma guarda. In realtà era sbloccata. Allora, chi colpisco per primo? Tu, che hai frantumato i cristalli della mia auto nuova? Oppure tu, che non vedevi l’ora di scopare? Coraggio, ragazzi… chi vuole giocare alla roulette russa con me? – domandò, con un tono divertito al sapore di minaccia e di sfida. Ero senza parole. Mi tornavano alla mente i racconti di Selina e pensavo soltanto che quell’uomo poteva essere pericoloso, se voleva.

– Non lo farai! Non rischierai il distintivo! – gli intimò il ragazzo a terra. Graham, il calcio piantato sulla sua schiena, sparò un colpo in direzione del gruppo, che finalmente, dette segni di cedimento. Dopotutto, le pecore che seguivano il cane, rimanevano sempre pecore.

– Merda, fa sul serio! – esclamò Trevor, incredulo. E lo stesso era per me.

– Certo. La pistola non è mia. –

– Rimarranno le tue impronte, idio--

Una pressione più forte sulla schiena impedì al capobanda di continuare.

Nel frattempo, me ne ero accorta soltanto allora, Alexis aveva dovuto chiamare i rinforzi. Le sirene della polizia si facevano sempre più vicine, tanto che, mollate le armi, a suon di urla, i nostri mancati aggressori finirono col disperdersi, mentre il capo urlava a gran voce e compresi di imprecazioni, i nomi di ognuno di loro.

– Scappano! Che facciamo?! – urlai.

– Niente. – rispose Alexis, mentre Graham tirava su il ragazzo.

– Come niente? – chiesi interdetta.

Graham, tirando fuori dalla giacca un paio di manette, arrestò il tizio. – David Valance, sei in arresto per disturbo dell’ordine pubblico, oltraggio, istigazione alla violenza, tentato omicidio e spaccio di stupefacenti. A proposito, Michael Chambers ti manda i saluti. –

Sgranai gli occhi, soprattutto quando un Jace rilassato come non mai ci raggiunse assieme a un’eccitatissima Lucy. Quest’ultima aveva tra le mani lo smartphone di Jace e aveva trionfalmente spento, proprio in quel momento, una suoneria che riproduceva il suono della sirena.

– Non mi dire… – sospirai incerta, guardando un altrettanto incredulo Trevor.

– Kate!! Non posso crederci!! Ho partecipato anch’io a quest’operazione segreta!! – strillò Lucy, correndo da noi. – Jace mi ha raccontato tutto e davvero… è eccitante! –

Gli rivolsi un’occhiataccia bieca, così come Graham. – Passi stavolta. Ma evitate il coinvolgimento costante di civili. –

– Proprio lei parla, eh? – mugugnai, mentre Alexis, con una risatina, ci spiegò che Chambers aveva patteggiato, vendendo i suoi compagni di scorribande. L’ultimo mancante all’appello era il presente Valance, che avrebbe sicuramente cercato vendetta sul detective Graham. Peccato che non aveva fatto i conti con Mr. Ne so una più del diavolo. Afferrai il braccio di Trevor, poi guardai la mia squadra compresa Lucy.

– Sapete che vi dico? Andate all’inferno. E grazie per non avermi detto nulla. La prossima settimana vado a farmi vedere da un cardiologo. Buonanotte. –

Ignorai i commenti di Jace e di Trevor e gli insulti di Valance, ma non mi sfuggì il sorriso accennato e compiaciuto sul volto di Alexander Graham.

 


 

 

 

 

 

NDA: Terzo capitolo up! Stavolta ho scelto di non dividerlo e spero che la lettura sia risultata agevole. Qualcosa comincia a muoversi e c'è qualche accenno alla storia passata di Alexander, di cui sono follemente innamorata XD molto orgogliosa. Spero sempre di leggere qualche impressione (sebbene  mi renda conto che, a differenza delle straordinarie storie di questa sezione che hanno uno stile veramente thriller, la mia alterna momenti comedy... in effetti, prendetela come fosse una serie tv o una serie anime crime, ecco!) e intanto, ringrazio ancora Elgul1 per la recensione del prologo! Ho deciso di aggiornare non più quotidianamente, ma almeno una volta a settimana, per evitare un'eccessiva esposizione e dare il tempo della lettura, dal momento che i capitoli sono piuttosto lunghi. Alla prossima!

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Capitolo 7
*** IV. prima parte ***


IV ◊

 

 

 

 

 

 

Ignorai, per tutto il giorno seguente, i messaggi continui di Lucy. Non che non volessi sentirla, ma immaginavo che si trattasse di un’apologia sull’amore a prima vista per Jace e a dirla tutta, ero abbastanza alterata per non essere stata messa a conoscenza dell’operazione di cattura di David Valance. Trevor, del canto suo, conoscendo il mio malumore, si era impegnato a farmi scaricare i nervi coinvolgendomi in un suo progetto sperimentale sui software di riconoscimento. Vedere la passione che metteva nel suo lavoro era meraviglioso. E serviva anche a me, per rimettermi in carreggiata. Se i miei colleghi mi avevano tenuta all’oscuro dei loro piani, allora dovevo dar loro prova che potevano fidarsi. Avrei atteso il momento giusto e intanto, un impegno che mi stava particolarmente a cuore, era ormai alle porte.

Fu l’agente Jones ad accompagnarmi a casa dei Dawson, il giorno seguente. Tra tutti, era per esperienza la persona più indicata. Ci ritrovammo a chiacchierare, durante il tragitto, della sua famiglia e scoprii quanto fosse legato ai suoi due bambini. Certo, un lavoro come il suo, in prima linea, aveva la sua buona dose di importanza, considerando la pericolosità. E Jones, ridacchiando, mi aveva confidato che spesso la moglie gli aveva chiesto di rinunciare all’essere un agente operativo in favore di un lavoro d’ufficio, più tranquillo.

– Perché non lo fa? La vedrei bene nella mediazione. – dissi, mentre imboccavamo il viale in cui risiedevano i Dawson.

– Cara Kate, quando ho intrapreso questa carriera sapevo bene a cosa andavo incontro. E so che sembra retorico, ma un giorno, quando avrai figli, capirai che saresti pronta a tutto pur di proteggere il mondo in cui vivono. Ho questo potere nelle mani. Posso far sì che i miei figli vivano in sicurezza. E poi… è anche per casi come questo. –

Strinsi le mani nelle tasche. Trevor e io non avevamo ancora parlato concretamente di avere figli, ma era qualcosa che desideravo, quando fosse stato il momento. Lui scherzava spesso, dicendo di volerne almeno due, magari gemelli, maschietto e femminuccia, per metterci in pari. Però, riuscivo a immaginare quanto profonda fosse la dedizione che l’agente Jones metteva nel lavoro. E la trovavo ammirevole.

– Pensa che lo cattureremo, prima o poi? – domandai, mentre parcheggiava. Il quartiere era South End, tranquillo, storico. Al sol pensiero che il male potesse esser passato da lì, rabbrividii. Guardai Jones, i cui lineamenti si erano induriti. L’espressione di chi era abituato a valutare con oggettività.

– Lo spero, Kate. Lo spero davvero. –

Fui d’accordo. Se volevamo catturare quel bastardo, dovevamo rimanere coi piedi per terra.

– Signor Jones… so di essere arrivata per ultima e di avere ancora molto da imparare, ma… grazie alla sua saggezza, sono sicura che la nostra squadra ha una marcia in più. – sorrisi.

Una vena di stupore negli occhi scuri e poi si mise a ridere. – Tu sei davvero una ragazza ottimista, vero? –

– Ci provo. E adesso che ne dice di proseguire con la tabella di marcia? – proposi. Un occhiolino che ne rivelò una ruga intorno all’occhio fu la risposta.

Ad aprirci fu la signora Madeleine. Vederla sorridere nell’accoglierci fu probabilmente uno dei momenti da annotare tra le cose belle del nostro lavoro. Passata la tensione di giorni interminabili, scongiurato il peggio, non era altro che una mamma felice. Ci fece accomodare nel salotto di casa, insieme a Julie, impegnata a giocare con una bambola. Provai una meravigliosa sensazione di gioia nel vederla così attiva e concentrata nell’intrecciare i capelli sintetici del suo gioco, mentre i suoi ricadevano in morbide onde castane sulla piccola schiena. Quando la salutammo, si voltò a guardarci. Negli occhi grandi, non una traccia di paura. Mi chinai, mentre Madeleine e Jones chiacchieravano, per parlare con lei.

– Sei davvero brava, Julie. Mi insegni a fare le trecce? Perché io non son capace. –

La bambina sembrò stupita del mio commento, poi mi mostrò con orgoglio il frutto del suo impegno e lo disfece in pochi istanti. – È facile! Fai così, poi così e così! – mi spiegò, con voce e atteggiamento sicuri. Doveva aver avuto un’ottima maestra, anche se avrebbe ancora dovuto far pratica.

– Oh, mi lascerai provare, poi? – le chiesi, tendendole la mano. Inizialmente strinse a sé la bambola. Quell’immagine mi riportò alla mente con la rapidità di un flash l’immagine di Graham che teneva la piccola stretta a sé. – Scusami, Julie… non te la tolgo, tranquilla. Quando vorrai tu, ok? –

Madeleine intervenne nel vedere l’espressione combattuta della figlia. – Tesoro, la dottoressa Hastings è un’amica. Puoi fargliela vedere, te la ridarà subito. –

Guardai la donna, poi tornai a guardare Julie. – Non sta male… – commentò tra sé e sé, osservando la bambola. Sorrisi, pensando che in quel modo mi avrebbe scambiata per un medico.

– Che sbadata… non mi sono nemmeno presentata. Julie, io sono Kate, e ogni tanto curo… i capelli, sì! Ma non ho mai visto trecce così belle… e tu sei veramente una bravissima maestra. –

Un risolino dalle parti di Jones mi fece intendere che la mia presentazione era alquanto maldestra, tanto che fu lui a cavarmi d’impiccio, sedendosi all’indiana proprio accanto a me. Il papà che prendeva il posto del poliziotto.

– Ooooh. Ma guarda un po’. Signorinella bella, sai che pensavo? Secondo me, Kate ha bisogno che qualcuno le faccia le trecce, altro che. Vuoi provare? –

Rabbrividii di colpo mentre Jones mi consegnava al nemico con aria paciona. Non amavo particolarmente farmi toccare i capelli, considerando che era la parte di me che più mi piaceva, ma per conquistare la fiducia di Julie, capii che avrei dovuto sacrificarmi. Posai la borsa a terra e mi voltai appena, per permetterle di darsi da fare. La vidi cercare l’approvazione della mamma, che sorrideva con un filo di imbarazzo negli occhi e poi posare la bambola per fiondarsi letteralmente sulla mia testa. Quando sentii le sue manine armeggiare con le mie ciocche, sperai di non dover aver bisogno per davvero di un dottore per i capelli, ma le dita di Julie erano curiose e nonostante l’irruenza della sua età, erano pur sempre le dita di una bambina, tanto che la sentii spesso armeggiare concentrata. Solo dopo una buona decina di minuti, mi ritrovai con una specie di treccia sicuramente unica nel suo genere, ripagata dal sorriso entusiasta della bimba, che ringraziammo con un battimano collettivo. E così, ottenutane la fiducia, potemmo chiacchierare di ciò che era successo. Madeleine ci rassicurò sul fatto che Julie non sembrava ricordare nulla dei giorni in cui era stata via. Effettivamente, la piccola era piuttosto serena e giocava tranquillamente sia con noi che con i suoi giochi. Addirittura, mentre bevevamo una tazza di cioccolata calda, si era seduta tra noi, con la scusa di controllare che la treccia fosse al suo posto. Poi, parlammo del momento del rapimento. Fu difficile per Madeleine ricordare quei momenti. Il suo sguardo si era fatto più spaventato, tanto che sia Jones che io ci prodigammo per rassicurarla sul fatto che non c’erano pericoli. Ci raccontò di un pomeriggio al parco, della madre, la nonna di Julie, che aveva portato con sé la bambina. Un’uscita come tante, senza impegno. E per un solo attimo di distrazione, la tragedia. Immaginai come dovevano essersi sentiti. Cos’aveva provato la madre di Madeleine nel vedere sparire la nipotina così? E cos’aveva sentito Madeleine nel vedersi arrivare a casa la polizia che l’avvisava della scomparsa? Non riuscivo ad arrivare così in profondità. Forse, se ci fosse stato Graham… scacciai dalla mente quel pensiero. Ciò che era successo alla famiglia Dawson era accaduto anche a lui, sei anni prima. E si era concluso nel peggiore dei modi, come per la famiglia Ross. Presi la mano di Madeleine, che aveva gli occhi lucidi, mentre ci diceva che da allora, non riusciva a dormire bene, che ogni singola ombra sembrava una minaccia. La paura: tornerà? Tornerà ancora per finire il suo lavoro? La verità era che non potevamo saperlo. Il Mago poteva anche decidere di tornare, quindi il rischio in realtà sussisteva. Ma poteva anche accontentarsi di averci dato prova di ciò di cui era capace. Aveva lanciato un guanto di sfida al Dipartimento. Ce l’aveva con noi, per qualche ragione. Chissà, forse in passato aveva avuto scontri con la Polizia e desiderava vendetta. Aveva colpito la famiglia di Graham e ora eravamo il suo bersaglio. Non ci era dato di dirlo: era troppo presto per formulare ipotesi. Ma ciò che sapevamo era che una bambina era scampata al suo gioco di morte. La osservai, innocente e assorta di nuovo nel suo acconciare i capelli. Chiacchierava con la bambola come la mamma faceva con lei.

– Noi la proteggeremo, Madeleine. Prenderemo il Mago. – dissi, sentendo la mano della mamma di Julie stringersi intorno alla mia. Mi guardò speranzosa.

– Ma abbiamo bisogno anche del suo aiuto e di quello dei suoi familiari. Se ricordate qualcosa, qualunque cosa, ditecelo. – continuò Jones. Quelle parole mi ricordarono le stesse che sia Graham che Wheeler mi avevano rivolto durante il nostro primo incontro. Ma quella volta, le indagini si erano concluse con un nulla di fatto. Adesso, ero sicura che il Mago non avrebbe tardato a farsi vivo di nuovo. Julie corse da noi nel vedere la mamma con gli occhi lucidi e le si arrampicò addosso, accoccolandosi addosso a lei.

– Piccola mia… – mormorò Madeleine, intenerita. Sorrisi e scambiai uno sguardo con Jones. Era ora di andare. Era bello tuttavia andar via con quell’immagine così dolce negli occhi. Sapevamo che fino a che ci fossero state scene del genere, non c’era motivo di temere. Chiesi a Madeleine di essere forte per Julie, così come salutai la piccina con la promessa di fare le trecce la prossima volta che ci saremmo incontrate. Julie sorrise, annuendo.

– Katie è bella con le trecce! – esclamò, tanto che rimasi sorpresa del complimento e le accarezzai i capelli. – Julie lo è di più. – dissi, per poi congedarci da loro.

Rivolsi un ultimo sguardo a quella zona tranquilla, alla famiglia Dawson, ritrovandomi a pregare che quella fosse stata l’ultima volta che avremmo parlato del Mago.

 

Durante il tragitto per tornare in Dipartimento, chiesi a Jones che idea si fosse fatto.

– Julie ha carriera come acconciatrice? – mi canzonò, mentre cercavo di disfare la treccia non senza difficoltà a causa di alcuni nodi inaspettati.

– Se pensa di prendermi in giro sappia che avrebbe dovuto almeno scattarmi una foto. – protestai, sciogliendo l’ultimo nodo e risistemandomi i capelli.

Jones si mise a ridere. – Mi dai un po’ troppi suggerimenti. Dovrebbero essere tutti così gli indizi. Invece ci tocca spremere le meningi per capire i collegamenti tra le cose. –

Sistemai una ciocca dietro l’orecchio. – Effettivamente… –

– Ad ogni modo, penso che il Mago non li prenderà più di mira. È vero che ha lasciato vivere Julie, ma penso che se l’ha fatto c’è un motivo. Ci ha detto qualcosa e non se la rimangerà finendo un lavoro che sin dall’inizio, è stato condotto con la volontà di non uccidere. –

Aggrottai le sopracciglia. – In che senso? –

Le mani di Jones strinsero più forte il volante, mentre svoltavamo.

– Hai letto i casi precedenti? Il modus operandi è cambiato. –

Deglutii sentendo la gola secca. – Non li ho letti… non ne ho avuto il coraggio ancora, soprattutto dopo aver saputo di Lily Graham… però sì, so che ha cambiato le cose… dalla morte di Daisy Ross. Fu lo stesso capitano Graham a notarlo. –

– Secondo Graham aveva preso sicurezza. Di certo, è stato più spavaldo, ma ha avuto più di un intero anno tra un rapimento e l’altro e pensiamo che ne abbia avuto il tempo. –

– Ma perché uccidere e poi non più? E perché questa cadenza? –

Mi rivolse un’occhiata di sbieco. – Oh cara, non sei tu a doverci dare delle risposte? –

Arrossii. Lo ero, certo, ma dovevo ammettere che quel caso mi rendeva insicura, avendolo vissuto in prima persona come testimone. Appoggiai la testa allo schienale, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino. Quanta gente per strada. La città pullulava di persone ignare della malvagità che si nascondeva tra di esse. Come si poteva restringere il cerchio? Ciò che avevo visto era davvero così o avevo solo immaginato certi particolari, complice la tensione inenarrabile di quei momenti? Forse era per questo che le indagini erano a un punto morto? Sentii la frustrazione farsi strada nei miei pensieri.

– Vorrei potervele dare, agente Jones, mi creda. Ma la verità è che mi spaventa l’idea di entrare nella testa di quell’uomo… è come dover guardare nel buco che porta al Paese delle Meraviglie e rischiare di caderci per arrivare all’inferno, invece… –

Jones aveva dovuto allentare la presa sulla frizione, considerando la variazione nell’andatura della macchina. Mi voltai di nuovo verso di lui, che sospirò.

– Cosa collega le due cose? – mi domandò.

Sbattei le palpebre, stupita. – Non saprei… forse perché mi ha sempre fatto impressione l’idea... 

          – Del Paese delle Meraviglie? –

– No, è l’oscurità che mi spaventa. –

– Allora forse non hai scelto un lavoro adatto, Kate… –

Distolsi lo sguardo, poi sospirai. – Me lo faccio notare spesso, ma poi penso che se rinunciassi e altre bambine fossero uccise, la colpa sarebbe mia… e sa, vedere prima Julie abbracciata alla sua mamma, mi ha fatto riflettere sul fatto che le nostre azioni possono far sì che accadano anche cose come queste. E io voglio che continuino ad accadere. –

Mi sorrise, finalmente, parcheggiando davanti al Dipartimento. – In fin dei conti, son d’accordo con te. –

– Mi fa piacere. – risposi, concludendo la nostra uscita con l’accordo sul darci da fare per catturare il Mago.

 


Quando rientrammo, pensai di andare direttamente in ufficio, ma trovai la porta chiusa e cosa non meno importante, un assembramento. Jace, nervoso come non mai. Alexis incuriosita. Persino Selina era salita dal seminterrato e camminava su e giù in attesa. A dirla tutta, sembravano un misto tra un gruppo di studenti in attesa di giudizio e un gruppo di familiari in attesa dell’uscita del medico dalla sala operatoria.

– Ragazzi, che state facendo? Graham è stato convocato di nuovo dal dottor Howell? – domandai, sperando in una risposta di Selina, essendo la compagna del Procuratore. Certo era che considerando la preoccupazione generale, doveva essere un colloquio importante.

– Una volta tanto non è stato Marcus. – rispose invece Jace. Prima o poi mi sarei fatta raccontare come mai fosse così informale col gran capo. Jones grattò il collo.

– E quindi? Aspettate, è un caso? Sta interrogando qualcuno? Voglio vedere! – dissi, ma fui fermata da Alexis e Jace prima che potessi incamminarmi.

– Al tuo posto non lo farei, Kate. – rispose la prima.

– Decisamente. Potrebbe non essere in grado di controllarsi. – continuò il secondo.

– Controllarsi? E chi è, Mr. Hyde? –

– Peggio. È oltre un'ora che sono dentro e tutto tace. –

Guardai Jace perplessa. – Sono dentro… quindi c’è qualcuno. –

– Però, un'ora e mezzo… non pensavo durasse tanto, stavolta. – insinuò il mio collega, con un sogghigno che mi fece pensare ad altri, non esattamente consoni, scenari.

– È con una donna? Graham? –

Alexis annuì, sospirando. – In genere ci mettono di meno, ma stavolta… –

Annuii di rimando, imbarazzata. – N-Non è che usano il divanetto, vero? Non per niente, ma là mi ci siedo… e sinceramente non è molto carino sapere che qualcuno ci ha fatto sesso sopra… –

Notai d’improvviso gli occhi di quattro persone puntati su di me e tenendo conto dell’espressione alquanto raggelata, mi resi conto di aver preso un imbarazzante abbaglio. Nell’istante in cui Jace fece per dire qualcosa, la porta alle nostre spalle si aprì e uscì una donna che puntò dritto verso l’uscita. Bella, elegante, con i capelli castano chiaro lunghi fino a metà collo, mossi. Ciò che mi sorprese di più, fu vedere gli occhi azzurri, lucidi, ma soprattutto, tristi oltre ogni misura, quando incrociai il suo sguardo. L’avevo visto in Madeleine, quando aveva ripensato ai giorni in cui pensava che Julie fosse morta. E quando vidi Selina correrle dietro, chiamando il nome di Elizabeth, ebbi la conferma. Quella donna doveva essere la madre di Lily. La donna di Graham.

Per fortuna, il mio commento infelice passò in secondo piano, tanto che sia Jace che Alexis si premurarono di raggiungere il capo. Guardai Jones, che fece spallucce, poi li raggiunsi a mia volta.

Nel nostro ufficio, il profumo delicato di Elizabeth faceva da contrasto all’atmosfera pesante che si era creata. Graham guardava fuori dalla finestra, un avambraccio poggiato al muro.

– Capo, come stai? – la domanda di Jace. Era evidente che non stava bene. Aveva l’espressione dura di chi si era ostinato a lottare.

– Vuoi un caffè? – la proposta di Alexis. Come se bastasse. Probabilmente la cosa che voleva in quel momento era spaccare il vetro davanti a sé.

– Ragazzi. – la voce perentoria e paterna di Jones. Gli avrebbe fatto bene rimanere da solo? Guardai l’uomo sconfitto, immobile come una statua. Jace mi dette una pacca sulla spalla e pensai alla richiesta che mi aveva fatto, tempo prima. Ma io potevo davvero aiutarlo? Mi feci animo e mi sedetti alla mia postazione, riordinando le idee, mentre rimanevamo soli.

– Com’è andata? – mi domandò, dopo alcuni interminabili minuti. Aveva la voce più roca del solito.

– Julie sta bene. – dissi, ripetendogli le parole che mi aveva detto quando l’avevamo salvata, con una piccola modifica. Graham assentì, poi tornò alla sua scrivania e si mise al lavoro. Non parlammo d’altro, per il resto del tempo. Qualunque cosa fosse accaduta, non era affar mio, evidentemente e non volevo correre il rischio di peggiorare la situazione. Se avesse voluto parlare, l’avrebbe fatto lui.

 

 

 

 

***********************************************

Buon inizio di settimana e ben trovati a coloro che stanno continuando a leggere. :) Prima parte del quarto capitolo, con qualche nota in più sulla piccola vittima scampata e non solo. Spero abbiate trovato il capitolo di vostro gradimento. Come sempre, mi auguro di leggere qualche parere. :) Grazie e alla prossima settimana col seguito!

 

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Capitolo 8
*** IV. seconda parte ***


Quando giunse la fine del turno, trovai Jace ad attendermi sulla soglia del Dipartimento. Aveva messo la tracolla e armeggiava col telefono.

– Lucy? –

Il suo sorrisone mi servì di risposta. – Davvero? Sappi che non sono ancora convinta di voi due, eh? – dissi, abbottonando il Lafayette.

– Sono un bravo ragazzo, sai? E tu signorina, sei la regina dei colpi bassi. –

Ridacchiai. – Il fatto che tu senta il bisogno di giustificarti con me e subito dopo mi attacchi mi fa pensare che non sia particolarmente certo su come porti. –

– Strizzacervelli. –

– Da quanto non esci con una ragazza, Jace? – domandai, facendogli l’occhiolino.

Si accigliò. – Ohi, che stai insinuando? –

Gli pizzicai la guancia e sorrisi. – Fammi indovinare. Hai passato la vita dietro a un pc e ora non sai come gestire certi rapporti? –

– Non è così… ho avuto una fidanzata. Alle medie. Ok, in realtà era una cosa platonica più che altro… però avrei voluto… è che non mi considerava… aaaah, uffa. Non siamo tutti come te e Trevor, sai? –

– Come me e Trevor? –

– Vi siete conosciuti a un concerto, no? Insomma, già mi chiedo che ci facesse lui a un concerto di Katy Perry… –

Ignorai la voglia di agguantare Lucy. – Era con sua sorella e con degli amici. –

– Ecco… io i concerti li vedevo solo online. Non quelli di Katy Perry. Preferisco più il metal. –

– Stiamo girando sui gusti musicali? –

– Com’è andata col capo? –

– Certo che a rigirare la frittata non ti batte nessuno... Ok, hai la mia benedizione con Lucy. E comunque… nulla di che, si trattiene ancora un po’, il vampiro. Ma quindi quella donna… Elizabeth… –

– La moglie di Alexander. Anzi, da oggi definitivamente ex. Ci hanno messo un bel po’ per ufficializzare, ma a quanto pare, Wheeler vuole sposarla e così… –

Sgranai gli occhi. – Frena, frena. Aspetta, a questo non ci ero arrivata. Non avevo capito che Graham fosse sposato… cioè, lo avevo anche immaginato, in realtà, ma cavoli… certo, si spiegano un po’ di cose… – riflettei, mentre lasciavamo insieme il Dipartimento.

– Eh già. Quando Graham ha scoperto che quei due avevano una tresca non ci ha visto più. Ah, Katie, avresti dovuto esserci e vedere quel momento… ti ricordi che erano in squadra insieme, no? Beh, sappi solo che non ricordo una scarica di pugni tra lui e Wheeler come in quell’occasione. Ci siamo dati un gran da fare per fermarli. –

Sobbalzai. – Si son limitati a quello? Conoscendo Graham mi sarei aspettata di peggio. –

Jace puntò verso la fermata dell’autobus. – Un’esecuzione? –

– A sangue freddo, scontro per l'onore. Sai, tipo… “Ti sei portato a letto mia moglie. Laverò l’onta nel sangue”. –

– Ehi Miss Vendetta, stiamo parlando di Graham. –

– E quindi? – domandai, mentre il bus si faceva più vicino.

– “Ti sei portato a letto mia moglie. Spero che ti sia piaciuto, perché ti farò fuori prima che tu abbia una seconda possibilità, stronzo!”, e giù a darsele di santa ragione. –

– In effetti… – commentai, immaginando la scena tra me e me.

Le porte del bus, intanto, si aprirono davanti a noi, quando mi accorsi di non avere con me il cellulare. Dovevo averlo lasciato in ufficio. Jace salì, ma si accorse della mia espressione. – Tutto ok? –

– Ho dimenticato il cellulare in ufficio. Vado a prenderlo. –

– Vengo con te? –

– No, vai. Prendo il prossimo. E se vedi Lucy, dille che le voglio bene, anche se mi tartassa di messaggi. –

Jace si mise a ridere. – Riferirò tra poco. E ti aspettiamo a casa. –

– Non mi dire… – lo salutai mentre l’autista ci chiedeva di muoverci e quando fu ripartito, tornai velocemente in Dipartimento. Mi affacciai in ufficio, ma di Graham nemmeno l’ombra. Pensai che fosse andato da Selina, così ne approfittai per riprendere lo smartphone, che avevo effettivamente lasciato sul divanetto.

– Che figura… come diavolo ti vengono certe idee, Kate? – borbottai tra me e me. Poi guardai la scrivania di Graham. In fondo, dovevo ammettere che metteva tristezza l’idea che fosse così solo. Quando uscii, sentii dei rumori ovattati provenire dai bagni. Probabilmente doveva trattarsi di lui, ma la parte del mio cervello che diceva di pensare agli affari propri parlava a voce troppo bassa per ascoltarla. Mi avvicinai prudente, cercando di capire che stesse succedendo. Magari si era sentito male. O peggio, aveva deciso di sfogare la rabbia prendendo a calci il WC. Oppure… sbirciai dalla fessura della porta principale rimasta semiaperta e ciò che vidi fu sufficiente a farmi vorticare l’orizzonte. Aprii di getto e corsi a fermarlo. Appoggiato al muro, stava armeggiando con uno spinello.

– Che diavolo fa?! – sbraitai, afferrando la mano che stava per compiere il misfatto. Graham scansò la presa, con uno sguardo diverso dal solito. Lo conoscevo poco, ma era evidente che dietro ad apatia, talvolta rudezza, ira, c’era un uomo arrabbiato con la vita. Ora, davanti a me, c’era un uomo che con la vita ci stava giocando pesante.

– Fuori dai piedi! –

– Se lo scordi! Si è bevuto il cervello? Che diamine spera di ottenere così?! Bravo, davvero. È così che pensa che le cose si sistemeranno?! Una canna e via?! Qui poi?! – urlai, facendo presa per fargli mollare il tutto.

– Che cazzo vuoi tu da me, eh?! Mi vuoi denunciare, per caso? Dai, accomodati. –

Strinsi i denti, poi mollai la presa e il suo braccio ricadde all’indietro, sbilanciandolo.

– Come se denunciarla servisse a qualcosa. Getti quella roba o gliela faccio ingoiare. –

Sgranò gli occhi per un istante e poi ghignò. – Divertente. –

– E lei è... – feci una fatica incredibile per non chiamare il mio capo cazzone. – Vuole sballarsi? –

Affilò lo sguardo, poi guardò lo spinello. – Ti sembra che voglia sballarmi? –

– No. Mi sembra che lei non abbia capito un accidente. La paternale alla banda di teppisti… come fottere la Polizia, la tiritera da sbruffone… è così che risolve le cose lei? –

– Sta' zitta. – mi fece eco, rialzandosi e gettando tutto via. Sostenni il suo sguardo più che potei, quando mi venne in mente una soluzione. Aspettai che finisse, poi mi sforzai di assumere quanto più possibile un’espressione risoluta.

– So io come può sfogarsi. –

Mi guardò seccato. – Sparisci dalla mia vista. –

Inarcai il sopracciglio, poi sospirai quanto più profondamente potevo e lo guardai di sottecchi. – Alexander Graham, il leader del Dark Circus, l’uomo più temuto e rispettato delle confraternite universitarie di Boston ha lo spavento facile? –

Mi rivolse lo stesso, identico sguardo, poi sospirò a sua volta. – Avanti, fai la tua magia e poi a dormire, bimba. –

Ricacciai volutamente indietro il vecchio stronzo che mi stava risalendo in gola e presi il cellulare. Era ora di fare la mia magia.


 *


Dopo aver tentato, senza successo, di convincere Graham ad affidarsi a me e a lasciarmi guidare la sua auto, ero riuscita infine a trattare sulla meta. E così, nonostante la sua perdurante perplessità, ci eravamo ritrovati ad Harvard. L’ultima volta che ci avevo messo piede era stato per accompagnare Trevor a ritirare la documentazione relativa alla sua carriera accademica. Chiesi a Graham da quanto tempo non vi si recasse e ottenni in risposta uno sguardo annoiato. Perfetto, la mia terapia d’urto cominciava sotto i migliori auspici.

– Che vuoi fare? – mi domandò invece, mentre mi sinceravo che non ci fossero occhi indiscreti nei paraggi. Mandai un messaggio rapido sia a Trevor che a Lucy, avvisandoli di un extra per cui mi sarei giustificata non appena ne avessi avuto l’occasione. Sapevo che soprattutto con Trevor, avrei dovuto essere convincente, ma speravo che la nascente affinità tra lui e il mio superiore sarebbe stata sufficiente.

– Niente domande. Venga con me. – ordinai, puntando a passo svelto verso le zone più interne del campus. Nonostante i mugugni di protesta, Graham mi seguì fino a quando arrivammo sul retro della palestra.

– Hastings. Non hai intenzione di farmi prendere a pugni qualche sacco da boxe, vero? –

Mi misi a frugare nella borsa alla ricerca di una molletta per capelli. – Penso che preferirebbe più prendere a pugni il detective Wheeler, ma sfortunatamente, non conosco il suo indirizzo. –

Mpf. Questa dovevo aspettarmela. Al contrario… – mi precedette, afferrando il pesante lucchetto con cui era sigillata la porta dell’uscita d’emergenza della palestra.

– Eccola! Sapevo di averla… mi di--

Non finii di parlare che mi prese la molletta dalle dita e si mise ad armeggiare con la serratura con maestria degna di uno scassinatore seriale.

– Aveva capito che cosa volevo fare? –

Uno sguardo apatico verso di me e il lucchetto aperto in poche mosse fu la risposta.

– Impara una cosa, ragazzina: se vuoi entrare in un luogo chiuso, devi solo sapere come infilare la chiave. Qualunque essa sia. – sentenziò agitando la molletta, per poi precedermi nella palestra. Sbuffai al pensiero di quanto fosse saccente e gli andai dietro, chiudendo la porta alle nostre spalle.

In realtà, quello che Graham non sapeva, e che scoprì nel momento in cui accesi le luci, era che dove un tempo vi era stata una grande palestra, ora c’era una piscina olimpionica. Ricordavo con piacere le volte in cui avevo visto Trevor farne uso. Sorrisi e corsi verso il bordo, investita dall’odore di cloro che ogni volta mi faceva starnutire, tant’era forte. Tolsi immediatamente scarpe e calzini, sedendomi vicino al bordo più alto, in modo da poter bagnare solo i piedi. Il contatto con l’acqua fredda fu rigenerante. Poi mi voltai verso Graham, che si guardava ancora intorno.

– Allora? Da quanto non veniva qui? –

– Qualche anno. Mi hai portato qui per rivangare vecchi tempi? –

– Mh. Dipende. Se lei ha voglia di farlo… – suggerii, facendogli cenno di raggiungermi.

– No. –

– A cosa? –

Sembrava a disagio. Avrei dovuto insistere un po’. – Prometto che non le farò scherzi da congrega come registrarla di nascosto o gettarla in acqua a tradimento e poi filmarla. Guardi, sto ferma qui. – gli feci notare, sollevando le braccia in segno di resa. Graham aggrottò le sopracciglia scure, poi si decise a raggiungermi. Alzai lo sguardo, notando la sua alta figura slanciata. Aveva infilato le mani nelle tasche del Berlin Coat nero e continuava a osservare la sala. Chissà quali ricordi stavano attraversando la sua mente. Mi alzai, sentendo i piedi leggermente intorpiditi a contatto col pavimento. Solo allora mi rivolse lo sguardo. Quegli occhi stavano ricordando il passato.

– Com’era allora? Prima di diventare un agente? Insomma, quando aveva la mia età, più o meno… –

Inarcò il sopracciglio, poi parlò. – Ero più giovane. Avevo ventun anni quando cominciò. Frequentavo Legge con scarso successo. Non perché non mi piacesse, anzi… ma mi mancava la motivazione. Avevo bisogno di qualcosa in più per capire se quella fosse effettivamente la mia strada. –

– Era indeciso? Non è stata una sua scelta? –

Un’altra esitazione. Dovevo fare attenzione con lui. Incrociai le mani dietro la schiena.

– Quando ho deciso di studiare Psicologia, i miei non erano d’accordo. Pensavano che sarebbe stato difficile farmi carico dei problemi degli altri. Però a me piaceva. –

– Sei una masochista? –

Affilai lo sguardo, punta. – Non tiri la corda. Certo che no. Ma non vedo nulla di male nel voler aiutare gli altri. –

Un sogghigno, mentre valutava le mie parole. Un po’ lui, un po’ io, doveva essere così.

– Eppure c’è gente a questo mondo che non vuole essere aiutata. Anche per via di persone simili facciamo questo lavoro. –

– Ciononostante la motivazione primaria è voler proteggere le persone. Non è così? –

Il riflesso della luce sull’azzurro dell’acqua richiamava lo stesso nei suoi occhi blu.

– Anch’io la pensavo così. Ma nel tempo, ho visto tanto di quel marcio che talvolta, mi viene davvero difficile credere che quello che faccio, legalmente, sia la cosa giusta. Quando creai il Dark Circus, dovevo capire chi fossi e cosa potessi fare. Volevo essere in grado di comprendere cosa spingesse al male. E mi ci immersi. –

Rabbrividii. I suoi occhi puntarono un tempo lontano.

– Fu divertente, all’inizio. Cominciai con fatti di piccolo conto. Qualche furto, sfide, ricatti ogni tanto. Giusto per accelerare la mia carriera accademica. La cosa più eccitante era farla franca e avere la sensazione di poter osare, sempre di più. Non avevo ancora coscienza del limite. Conobbi Selina e cominciammo a frequentarci. All’epoca, lei studiava con profitto, ma diversamente da me, era annoiata. Voleva bruciare le tappe, era impaziente. Ci divertimmo, in quell’anno. Fu lo stesso in cui decisi di fondare il Dark Circus, per sfidare le confraternite preesistenti. E di pari passo con la mia boria, crescevano anche i crimini. Droga, sesso, ricatti sempre più alti. Pestavo i piedi con facilità e ottenevo tutto ciò che volevo, tanto che col tempo finii con l’essere temuto. Ma sapevo bene fin dove potevo spingermi, stavolta, per non incorrere nella Legge che tanto studiavo. Ero incontrastato… e potente. –

Nell’ascoltarlo, mi resi conto che tutto ciò che avevo sempre sentito sul Dark Circus era dunque reale. Selina aveva alleggerito in qualche modo il carico, imputandolo alla spavalderia di un più giovane Graham, ma nel sentire dalla sua bocca quei racconti, non potevo certo affermare di non esserne sconvolta. Com’era possibile che l’uomo che avevo davanti fosse al tempo stesso due persone così diverse?

– P-Perché Dark Circus? Questo nome è inusuale… –

Mi guardò con la coda dell’occhio. – Ricordo ancora quando lo scegliemmo. Allora, eravamo in sei. Passavamo il tempo… come dire… in compagnia, a giocare. –

– Immagino che sia retorico chiederle di che giochi si trattasse, vero? – domandai, senza riuscire a nascondere nel tono l’imbarazzo che quei risvolti mi stavano provocando, mio malgrado. Graham alzò gli occhi al cielo, poi tornò a guardarmi, stavolta con un non so che di divertito.

– Hai mai visto Eyes Wide Shut? –

– Ecco, come non detto. –

– Non mi nascondo. E tu vuoi sapere come sono andate le cose. –

Distolsi lo sguardo, lui attese. Continuò solo dopo che fui in grado di ascoltarlo di nuovo.

– Era un po’ come un circo. Un circo oscuro, in cui giocavamo, l’uno dopo l’altro, partite pericolose. Giocavamo con le nostre vite e con quelle di chi ci stava intorno, ma cadendo sempre più in basso. E più affondavo in quell'oscurità, più l’eccitazione aumentava. Oramai, mi ero crogiolato talmente tanto in quel mondo di decadenza che cominciavo a pensare che mi sarebbe andata bene persino una vita al limite come quella. La sensazione di afferrare un coltello e di lanciarlo contro chi hai davanti, come una sorta di giocoliere, era inebriante. Così come lo era l’idea di un funambolo sospeso a diversi metri dal suolo senza rete di sicurezza. In fondo, era un po’ così. Sempre sul filo del rasoio. Ma non c’era nulla di buono in quello che facevamo allora. Cominciai a prenderne coscienza quando la incontrai per la prima volta. Elizabeth. –

Notai il modo in cui le sue labbra, mentre pronunciavano quel nome, si erano fatte più morbide, così come il tono, nostalgico, affezionato. Elizabeth doveva essere ancora importante per Graham. Posai una mano sul suo braccio, sentendolo irrigidirsi leggermente. Sollevò il viso, tornando a raccontare.

– A quel tempo, anche lei studiava qui, Economia. – sorrise appena. – Ci misi un anno intero per riuscire a convincerla che non ero così male come credeva. Ai suoi occhi, non ero altro che un perdente fallito col complesso del superuomo. –

Mi scappò una risatina. – Oppure uno schiavista mascherato da bel tenebroso? –

Inarcò nuovamente il sopracciglio, rivolgendomi un’occhiata bieca. – Questo ritornello sta cominciando a diventare un cliché. –

Affilai lo sguardo e lo ripresi. – Continui. Sono io a dover emettere una diagnosi. –

Nessuna replica, stavolta. Sospirò. – Un anno. Un anno in cui mi impegnai a dimostrarle che potevo essere la persona giusta per lei. Elizabeth era la sola in grado di tenermi testa. E più mi sfuggiva, più declinava ogni mio tentativo di approccio, più mi rendevo conto di quanto ne avessi bisogno. Oramai il nostro tempo da studenti era terminato, e lo era anche quello del Dark Circus. Poco a poco, Elizabeth era riuscita a tirarmi fuori dal fondo del pozzo. La sua dedizione, la sua testardaggine, e soprattutto, il suo amore, erano stati una lezione di gran lunga migliore rispetto alle mie malefatte. E quando mi disse di essere incinta, fu come se finalmente avessi aperto gli occhi sulla vita, quella vera. Tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento, anzi no, tutto ciò che ero stato fino allora, era lontano anni luce, quando potemmo stringere per la prima volta la nostra Lily. –

Fui colpita nel sentirlo pronunciare per la prima volta il nome di sua figlia. Le emozioni che trasparivano dal suo racconto erano molteplici. Alexander Graham aveva un passato difficile, fatto di ombre più che di luci, indubbiamente, ma sentirlo parlare della sua famiglia, di come l’amore per Elizabeth e per Lily l’avessero reso una persona migliore, era straordinario e importante. Anche Jones parlava con orgoglio dei suoi figli, ma sapeva che ogni singolo giorno, concluso il lavoro, poteva varcare la soglia di casa e abbracciarli, sentirli chiamare papà a gran voce. Graham non poteva più farlo. Aveva patito il dolore più grande. Mi resi conto di quanto si sentisse in colpa. L’amore che a suo tempo l’aveva salvato, con la scomparsa di Lily, era diventato la fonte di tormento maggiore. E il passato, forse, gli aveva presentato il conto nel modo peggiore. Si era irrigidito, nel raccontare di come, soltanto pochi anni dopo, quando finalmente aveva la felicità lì, a portata di mano, il Mago avesse distrutto la sua vita come se questa fosse stata un castello di carte. Abbassai lo sguardo, pensando a quanto, in qualche modo, fossi stata superficiale nel giudicarlo. Non che capissi o che giustificassi il suo modo di fare o l’indole autodistruttiva. La mia famiglia e la morte di Daisy davanti ai miei occhi mi avevano insegnato che la vita andava preservata, quantunque difficile essa fosse, ma non potevo non riconoscere, nella voce rotta dall’emozione, mentre raccontava di quei terribili momenti in cui Lily era scomparsa, degli infiniti giorni di ricerca, del suo ritrovamento ad opera di Wheeler, di Selina, a cui spettò l’ingrato compito di eseguire l’autopsia, la disperazione senza fine di un padre che aveva perso la propria bambina. Mai, mai avrei voluto ritrovarmi in una situazione del genere. Non doveva esistere un dolore più distruttivo di quello. Mi chinai nuovamente, cercando di reprimere le lacrime che volevano uscire. Dovevo cercare di estraniarmi e di ricordarmi che eravamo lì per una ragione. Si voltò nuovamente a guardarmi. Dovevo essermi tradita, perché decise improvvisamente di porre fine a quella seduta sui generis.

– Basta così. –

– P-Perché? Stava entrando nel vivo. Insomma, posso aiutar--

Mi interruppe il palmo della sua mano premuto sulla mia bocca. Cercai di protestare, ma mi fece segno di rimanere in silenzio. Sgranai gli occhi, nello stesso istante in cui sentimmo un urlo provenire da lontano. Graham balzò in allerta e controllò l’orologio.

– Detective Graham? –

– Vai in macchina, aspettami lì. – ordinò, lanciandomi al volo le chiavi e correndo verso il portone che dava sui corridoi interni.

– Col cavolo! Così chissà che combina! – esclamai, raggiungendolo non appena riuscii a infilare le scarpe. Si guardava intorno, cercando qualcosa. Considerando che eravamo chiusi dentro, in quel modo, la sola via per accedere ai corridoi era uscire e fare il giro. Ma trattandosi di quel gran testardo, doveva necessariamente trovare un altro modo. E dato che non mi riprese per avergli disobbedito nuovamente, tant’era preso dalla sua ricerca, cercai di darmi da fare a mia volta.

– Che sta cercando? –

– Qualcosa che ho lasciato qui, qualche anno fa. –

– Eh?! Le sembra questo il momento di mettersi a fare ricerche del genere? –

– Abbassa la voce. – mi rimproverò.

– Lei è davvero strano, se lo lasci dire. – sibilai in risposta.

Un paio di colpi sul coperchio di una cassetta della corrente sporgente dal muro e dopo aver scostato dei cavi, che immaginai fossero parte dell’impianto di illuminazione della palestra, recuperò una chiavetta. – Mpf. Certe cose non cambiano mai. –

– E quella chiave? Aspetti… perché accidenti ha messo una chiave là dentro? –

Dovetti accontentarmi di un ghigno divertito. Cos’avevo risvegliato quella sera? Mi mostrò bene la chiave, poi con nonchalance e perfetta padronanza dell’ambiente, dopo aver coperto la mano con un lembo della manica della sua maglia, aprì il portone. Presi fiato, scambiandoci un ultimo sguardo. Avrei dovuto lasciare che se ne occupasse lui, da quel momento in poi.

– Andiamo. – disse, prendendo la Beretta d’ordinanza che fino a quel momento, aveva tenuto in una tasca interna del soprabito. Deglutii, poi finalmente, proseguimmo la nostra improvvisa indagine.

E fu così che ci ritrovammo ad addentrarci tra corridoi vuoti, nel silenzio irreale rotto dai nostri passi. Graham era teso, concentrato. Il poliziotto aveva ripreso il controllo. Del canto mio, cercai quantomeno di non essergli di impiccio. Mi fece segno di ascoltare. Agitata com’ero non riuscii a farcela subito, ma quando fui in grado di focalizzare l’attenzione, anch’io, come lui, sentii un suono ovattato, una specie di rantolo, provenire dal piano inferiore. Mi impedì di sporgermi dal parapetto in pietra delle scale interne, ma riuscimmo ugualmente a vedere di che si trattava. Mi si fermò in gola il respiro nel vedere una donna proprio al centro dell’antro inferiore, scomposta, nel sangue. Aveva fatto un volo da una scala di almeno quattro rampe. Graham fu veloce nel prendermi per mano e nel trascinarmi giù. Tuttavia, arrivammo tardi per poter anche solo fare qualcosa per aiutarla. Aveva battuto la testa e il sangue si stava diffondendo a vista d’occhio tingendo di rosso i capelli biondo scuro sciolti e il pavimento di pietra sotto di lei. Doveva essere nella trentina. La prima cosa che mi venne in mente fu che avesse potuto subire violenza. La camicia nera era strappata, aperta sul davanti, grondante sangue a livello dell’addome, mentre la gonna era abbondantemente sollevata. La sua espressione era terrorizzata. Notai dei lividi violacei sulle gambe nude e sui polsi, ma uno strano segno sul seno destro attirò la mia attenzione. Un tatuaggio, in parte nascosto dal bordo del reggiseno, che rappresentava un pugnale, sulla cui lama erano incise due lettere stilizzate: DC.

Mi voltai verso un meditabondo Graham. Per qualche istante lo percepii assente e dovetti richiamare la sua attenzione scuotendolo.

– Graham! –

Espirò, poi mi poggiò una mano sulla spalla e mi oltrepassò, prendendo l'Iphone. Fece in fretta, guardandosi intorno. Non capivo il motivo per cui si stesse comportando in quel modo. Dovevamo cercare aiuto, era la cosa più logica da fare. E quella donna decisamente non era precipitata da sola né tantomeno caduta dalle scale. Alcuni secondi e lo sentii prendere la linea.

– Maximilian. Sono Alexander. –

Sgranai gli occhi.

– Alicia Bernstein è morta. Dobbiamo parlare. Recupera Selina e Marcus. Ti raggiungo. –

Fissai lui, poi la donna. Alicia Bernstein. Una sua conoscenza e a quanto pareva, non solo. Il tatuaggio, quelle iniziali. Graham esitò nel sentire la risposta di Wheeler, poi confermò che l’avrebbe raggiunto presto. E quando chiuse, cercai spiegazioni.

– Ora mi dice che diavolo significa, detective Graham! Chi è quella donna?! Perché tutto questo mistero?! –

Quando mi puntò gli occhi addosso, mi sentii a disagio, ma mi resi conto che se avessi voluto venire a capo del problema, avrei dovuto essere forte. Si voltò appena, abbassando il bavero alto del soprabito.

– Guarda tu stessa. – disse, invitandomi ad aiutarlo. Mi avvicinai titubante, scorgendo il tatuaggio che avevo già intravisto la notte in cui avevamo incontrato il Mago. Sollevai le mani e scostai il bordo del suo maglione antracite, rimanendo a bocca aperta quando scoprii esattamente lo stesso disegno, solo più grande, con le stesse iniziali, tra collo e spalla destra.

– Il Dark Circus… – sussurrai, mollando la presa. Alicia Bernstein doveva essere necessariamente una dei sei membri del gruppo e ora era lì, con quel simbolo esposto a chiunque l’avrebbe trovata.

– Fai ancora in tempo, Hastings. –

Scossi la testa, aiutandolo a sistemare il bavero. – Il mio tempo è finito nel momento in cui il Mago è entrato in scena. Sono con lei, capo. Sono con lei. –

Nessun rimprovero stavolta. Se davvero volevo aiutarlo a venire fuori dal suo inferno personale, allora dovevo essere capace di affrontarlo. Graham assentì, poi si chinò appena verso il corpo esanime di Alicia.

– Troverò chi ti ha fatto questo, Alicia. – bisbigliò. Quando si rialzò, mi sembrò nuovamente determinato. – Wheeler ci aspetta. Andiamo. –

Annuii. Era ora di saperne di più.


 *


Durante il tragitto, approfittando di un silenzioso e meditabondo Graham, ne approfittai per chiamare Trevor. Era sera inoltrata ormai e dato che avevo un’infinità di notifiche e chiamate da quando avevo dato la mia sommaria spiegazione, non potevo più tergiversare.

« Kate, finalmente! Dove sei finita? » fu la prima, legittima cosa che mi disse.

– Ehm… scusami, Trevor. Abbiamo avuto un’emergenza. –

« Emergenza? Perché non sono stato avvisato? Lynch, qui gatta ci cova. Sei col capo, Katie, eh? » la voce sottintendente di un malizioso e presente più del prezzemolo nella minestra Jace.

« Levati di mezzo, tu! Kate?! » di nuovo Trevor. Misi la mano in faccia.

« Kate! Non puoi lasciarmi qui con questi due! Si sono messi a parlare di videogiochi come due nerd qualunque! » la protesta disperata di Lucy. Alzai gli occhi al cielo.

– Ok, voi tre. O la smettete e mi date ascolto o chiudo il telefono e ci rivediamo direttamente domattina, chiaro?! –

Silenzio in aula. Graham ridacchiò. – Vale anche per lei. –

« Con chi parli? Sento rumori di sottofondo. Sei in auto? » mi domandò Trevor.

– Sì, col capitano Graham. Abbiamo ricevuto una segnalazione per un… incidente. Stiamo cercando di capirci qualcosa. –

« Avete bisogno d’aiuto? » domandò Jace.

Guardai Graham, che fece segno di no. – No, non ancora. Ce la vediamo noi ora. Piuttosto, state tranquilli e non preoccupatevi per me, ok? Torno non appena risolviamo questa cosa. –

« Ti aspettiamo per cena? Stavo scaldando qualcosa, ma possiamo ordinare delle pizze. » La mia pazza, ma dolce Lucy. Sorrisi, pensando che nonostante tutto, aveva sempre un pensiero per me. – No, grazie. Ho mangiato al volo. – mentii.

« Kate, passami Graham. » la voce di Trevor, stavolta. Coprii lo schermo con la mano, rivolgendomi a lui. – Trevor vuole parlarle. Può? –

– Mettilo in vivavoce. –

Annuii ed eseguii il compito. – Parla pure, Trevor. –

« Detective Graham. »

– Signor Lynch. –

Cercai di non dare peso al batticuore che mi stava dando il tormento. Speravo che Trevor non facesse innervosire Graham, ma al tempo stesso, provavo un’inusuale sensazione di disagio nel sentire il tono serio e formale con cui si riferivano l’uno all’altro.

« Le affido Kate. Per favore, faccia in modo che non le accada nulla. »

Non mi ero resa conto di aver trattenuto il respiro fino a quando non lo lasciai uscire. Strinsi con più forza lo smartphone. Avrei voluto abbracciare Trevor in quel momento, per rassicurarlo da me del fatto che non aveva nulla di cui temere, ma compresi che quell’appello andava oltre. Aveva bisogno di sapermi al sicuro. E se questo passava anche per Graham, allora andava bene, in qualche modo. Lui sorrise, mentre rallentava nei pressi di una villetta illuminata.

– Assolutamente. È il mio lavoro proteggere le persone. –

Il mio capo dalla faccia tosta e bugiardo. Sospirai, pensando che quando voleva, sapeva bene dove puntare. – Trevor, sta’ tranquillo. Ci vediamo più tardi. – aggiunsi io, mentre Graham parcheggiava dietro a un Classe A.

« Fai attenzione. Ti amo. »

Sorrisi boicottando di proposito i sottofondi di Lucy e Jace. – Anch’io. Sempre. – lo congedai, prendendo fiato e rivolgendomi a Graham, che osservava l’abitazione.

– Cosa c’è? Qualche problema? –

Scosse la testa. – È da un po’ che non vengo qui. –

Guardai la casa, nel quartiere di Cambridge. Una familiare in perfetto e benestante stile americano, con un’ampia veranda sul davanti che ospitava un dondolo e una zona relax con tavolino e sedie in legno.

– Il detective Wheeler ha buon gusto, vero? Insomma, capisco che non sia facile per lei incontrarlo dopo quello che è successo oggi, però… dobbiamo concentrarci su Alicia Bernstein e perciò, i problemi personali… –

– Era casa mia. –

Trasalii. – M-Mi scusi… non lo sapevo. –

Fece cenno di lasciar perdere e scendemmo entrambi. La sua tensione era palpabile, tanto che dovetti ricordargli ancora una volta il motivo per cui eravamo lì. Per giunta, fu proprio Elizabeth ad aprirci. L’avevo giusto incrociata, poche ore prima, ma vederla per bene, in quel momento, fu strano. Aveva l’aria preoccupata dipinta negli occhi azzurri, molto più chiari di quelli del marito. Si avvolse intorno uno scialle a quadri, scostandosi per permetterci di entrare.

– Elizabeth. – la salutò Graham.

– Alexander. –

La freddezza con cui quei due si erano salutati mi fece riflettere su quanto dovessero essere difficili i rapporti tra loro. Mi sporsi nel notare che Elizabeth mi guardava perplessa.

– Signora Graham, sono Katherine Hastings. Lavoro con suo mari--

– Dekker. Elizabeth Dekker. So chi sei, Selina mi ha parlato di te. Piacere di conoscerti, dottoressa Hastings. – mi disse, con un sorriso nervoso sul bel viso.

– Se abbiamo finito con le formalità… – riprese Graham, tagliando corto ed entrando in casa. Elizabeth e io ci guardammo, poi entrai anch’io.

– Mi dispiace esser piombati così di soppiatto… –

La donna fece spallucce, mentre raggiungevamo il soggiorno.

– Non preoccuparti. Alexander è sempre stato irruente. Se c’è una cosa che so bene di lui è che non ama perdere tempo. –

Le sorrisi, convenendo. Ad attenderci trovammo il detective Wheeler, in tenuta molto meno formale rispetto alle occasioni in cui lo avevo precedentemente incontrato, Selina e il procuratore Howell, presenti come da richiesta. Nel vedermi, si rivolsero a Graham, chiedendo il motivo del mio coinvolgimento.

– Hastings sa del Dark Circus. Prima che ve la prendiate con me, è opera di Selina. – spiegò, prendendo posto su una larga poltrona in pelle e invitando tutti a sedersi.

– Non puoi fare come ti pare, Alexander! – protestò Wheeler, mentre Selina soffocava una risatina.

– Ho firmato i documenti del divorzio, ma finché non vengono depositati sono ancora proprietario di questa casa. E anche di questa poltrona. – rispose Graham, con la solita spocchia nei confronti del collega che gli aveva portato via la moglie. E se Wheeler era rigido, palesemente colpito dall’osservazione di Graham, Elizabeth sembrava a disagio. Mi chiesi se la cosa dipendesse dalla discussione che i due avevano avuto nel pomeriggio o se ci fosse altro. Raggiunsi Selina e il procuratore Howell, testimoni, come me, di scene che dovevano essere all’ordine del giorno, per loro.

– Vale ancora l’offerta di spedirli entrambi in Alaska? – domandai al gran capo.

– Probabilmente non basterebbe. – fu la risposta.

– Piuttosto, Kate… eri con Alexander? – mi chiese Selina, sottovoce.

Annuii. – Ho pensato che avesse bisogno di una scossa, dopo quello che era successo oggi… – evitai di raccontare il particolare del bagno del Dipartimento. Non volevo metterlo nei guai più di quanto già fosse, per di più davanti a qualcuno a cui teneva ancora, nonostante tutto. Osservai la fine eleganza di quel soggiorno. Dove c’eravamo noi, un tempo c’era stata una famiglia felice. Sul lussuoso caminetto in pietra, in particolare, tra le diverse foto che li ritraevano, vidi per la prima volta Lily, tra le braccia di mamma e papà. Tempi lontani. Elizabeth aveva i capelli più lunghi ed era bellissima. Con lei un più giovane Graham, decisamente meno scarmigliato di com’era adesso, gli occhi pieni di orgoglio. Entrambi guardavano la loro bimba, nel giorno del suo secondo compleanno. Il sorriso entusiasta di Lily, lo stesso di Elizabeth. I suoi occhi blu notte, gli occhi di suo padre. Era la bambina più bella che avessi mai visto e gli era stata tolta.

– Kate? – la voce di Selina mi riportò alla realtà.

– S-Scusi… cosa stavamo dicendo? –

Selina incrociò le braccia. – Alicia Bernstein è morta. Qual è il problema? –

– Siamo stati Hastings e io a trovarla. Anzi, a dirla tutta, eravamo presenti quando è morta. –

Lo stupore sui volti dei presenti si tramutò in dubbio.

– Eravamo nel campus di Harvard. Abbiamo sentito un urlo e quando siamo andati a controllare, abbiamo trovato il cadavere. – spiegai.

Wheeler affilò lo sguardo. – Tu hai talento nel cacciarti nei guai seguendo quest’idiota, vero? Che ci facevate lì? –

Quella domanda mi indispose e feci per rispondere, ma fui preceduta da Graham, che agitò a mezz’aria la mano.

– Rimpatriata, Maximilian. Ricordi la notte che organizzammo un festino in palestra? Ecco, stavolta c’era anche la piscina. –

Non so a che occasione si riferisse, ma se Wheeler ne parve seccato, Selina si mise a ridere.

– Davvero, Lex? Caspita, avresti potuto invitarci, ingrato. Sappi che mi ritengo ufficialmente offesa. –

– Selina. – la riprese Howell, ricevendo un occhiolino in risposta.

Guardai Elizabeth, che distolse lo sguardo. Graham stava correndo un po’ troppo, persino per me. E dal momento che non avevo alcuna intenzione di fare da oggetto delle frecciatine, intervenni.

– Quello che il detective Graham vuole dire è che la nostra presenza lì non era autorizzata. Ci siamo introdotti di nascosto e mentre eravamo lì, quella donna è morta. Il problema è che non abbiamo visto nessuno in giro e per di più… Alicia faceva parte della vostra confraternita. Per ragioni che ancora ignoro, a quanto pare il fatto che sia morta è un rischio per voi, o non mi spiego come mai uno che delle regole se ne frega abbia richiamato la squadra al completo. E a proposito, sappiate che mi ha lasciata di stucco il sapere che in passato abbiate fatto tutti parte del Dark Circus. – dissi, indicandoli uno per uno, con l’esclusione di Elizabeth.

– Già, Lex… non ho ancora capito il motivo. – ci fece notare di nuovo Selina, prima di tornare a rivolgersi a me. – Comunque originariamente eravamo in sei. Alexander, Maximilian, io, Alicia, Richard e infine si è aggiunto Marcus, dopo che il qui presente l’aveva sfidato alla roulette russa. –

– Oh. Lei è fissato con questa roba, eh? – domandai a Graham, che portò le dita alla tempia, sogghignando. Aveva assunto una posa solenne da fare invidia a un re.

– Marcus, non tarderà molto che il corpo di Alicia sia trovato. Devi fare in modo che l’indagine venga affidata a noi. – disse.

Howell aggrottò le sopracciglia scure. – Ho già abbastanza problemi quando si tratta di indagini congiunte dei vostri Dipartimenti. E sapete entrambi che quella zona non è di vostro appannaggio. –

– Bene. Se vuoi che quegli imbecilli del I trovino tracce della nostra presenza lì e ci colleghino alla morte di Alicia… insomma, non ci vorrà molto poi a fare uscire qualcosa sul Dark Circus. Il problema è che saresti tu a rimetterci di più, no? Almeno in termini di immagine. – replicò.

– Non accetto più i tuoi ricatti, Alexander. Se è competenza del I Dip--

– Non è questo il problema, Marcus. – sopraggiunse Wheeler, a sorpresa. – Una volta tanto sono d’accordo con Alexander. Non possiamo permetterci di saltare ora. Non finché non avremo risolto il caso del Mago. Lo devo a Elizabeth. – continuò, rivolgendole uno sguardo che valeva più di mille parole. Non lo conoscevo bene, ma quel modo di guardarla era inequivocabile. Per quanto se ne potesse dire, il detective Wheeler sembrava genuinamente innamorato di lei. Elizabeth, del canto suo, trattenne a stento un singhiozzo. Al contrario, Graham lo canzonò.

– Ecco il cavalier servente. –

– Alexander, smettila! – sibilò Elizabeth, esasperata. L’attenzione generale si focalizzò su di lei. Anche Graham guardò l’ex moglie, aspettando.

– Sai qual è il tuo problema? Che sei ossessionato. Sei talmente preso da te stesso che non ti rendi conto di quanto ferisci chi ti sta intorno. Abbiamo sofferto. Lo so, lo so bene. Ogni singolo giorno della mia vita, combatto con questo dolore infinito che mi squarcia il petto. E so che anche per te è così. Lily manca a tutti e nonostante tutti questi anni di insuccessi, continuo a sperare che arriverà il giorno in cui finalmente prenderete quel mostro che ce l’ha portata via. Ed è per questo motivo che ti chiedo, per favore, di smetterla di puntare il dito contro chiunque. Sei ancora arrabbiato con me? Bene. Anch’io sono ancora arrabbiata con te. Ma smettila di prendertela con Maximilian. Lui non c’entra niente. Sta facendo il suo lavoro. Ed è esattamente quello che dovresti fare anche tu. Dunque piantala di comportarti come l’arrogante ed egoista capo del Dark Circus e comportati come l’Alexander Graham che lotta per il bene. O cambi atteggiamento o puoi anche andartene ora e non pretendere altro. Chiaro? –

Era chiaro, sì. Ora capivo perché Graham diceva che era l’unica in grado di tenergli testa. Eppure se solo Elizabeth fosse riuscita a guardare oltre quella maschera da clown che aveva indossato, avrebbe visto quanto nonostante tutto, Graham le fosse ancora legato. Nel silenzio, rotto dai singhiozzi e dalle parole forti che gli aveva rivolto, quest’ultimo si alzò, sospirando. Mi accorsi di uno sguardo indugiato sulla foto che anch’io avevo guardato prima, poi si rivolse nuovamente al dottor Howell.

– Marcus. Per favore. Si è trattato di un omicidio. C’erano segni di lotta, a prima vista. Probabilmente, si tratta di un tentativo di stupro finito male, ma abbiamo bisogno di conferme. Se il suo assassino ci ha visti, allora potrà metterci in mezzo. Non voglio ritrovarmi a dover dare spiegazioni quando c’è un caso prioritario. –

Howell guardò altrove, poi storse la bocca. – Si chiederanno perché ho affidato l’indagine a voi. –

– Farò in modo di trovarmi lì domattina. Andrò a parlare col Rettore Chambers per l’indagine su suo figlio e così… –

– E i miei come li giustificherai? – intervenne Wheeler.

– Carenza di personale. Richiederò il tuo aiuto trattandosi di un caso delicato. –

– A proposito… Alicia lavorava lì, non è così? – domandò Selina, che nel frattempo, aveva raggiunto Elizabeth e si era seduta con lei sul divano color crema a tre piazze che dominava la sala. Dovevano essere parecchio amiche.

– Così pare. – rispose Graham.

– Alla fine, è l’unica di noi che ha voluto rimanere nell’ambiente. –

Nel sentirla, mi sovvenne la sesta persona. – E la persona che ha nominato prima? – domandai.

Un momento d’esitazione collettiva. Fu Howell a rispondermi. – Richard è morto in un incidente, poco prima che loro concludessero gli studi. Fu l’atto di chiusura del Dark Circus, in qualche modo. –

Portai la mano al cuore. Graham non mi aveva parlato di questo. Ma era anche vero che non avevo chiesto nulla. – P-Perché sembrate così a disagio nel parlarne? –

Graham mi raggiunse. La sua espressione era terribilmente seria, tanto che mi pentii di averlo chiesto, per un attimo.

– È successo a causa mia. Andiamo, ti riporto a casa. –

Sgranai gli occhi. Quanti scheletri aveva nell’armadio quell’uomo? Evitai di chiedere altro, ma sentivo che presto o tardi, sarebbe giunto il momento di saperne di più.

– Alexander. Un’ultima cosa. –

Ci voltammo entrambi verso il detective Wheeler.

– Evitiamo di coinvolgere troppa gente nei nostri casini. –

Sebbene capissi la motivazione di fondo, quell’invito non mi piacque particolarmente. Avevo capito di non essergli simpatica, e a dirla tutta, mi dispiaceva, essendo stata la prima persona a soccorrermi, quando avevo incontrato il Mago, ma avevamo vedute diverse su troppe cose. Graham fece un cenno col capo, poi mi prese con sé. Era ora di andare.


 * 


Il rientro fu silenzioso per entrambi. Troppi pensieri da rimettere a posto. Domande, da parte mia, che non avrebbero trovato risposta in quel momento, probabilmente. E da parte sua, non sembrava esserci voglia di conversare. Appoggiai la guancia sul palmo della mano, osservando la città in perenne movimento, poi chiusi gli occhi. La stanchezza si era fatta sentire, alla fine.

– Dovresti dormire di più. –

Aprii un occhio soltanto.

– Detto da un vampiro come lei non ci credo. –

Fece una smorfia, io mi stiracchiai. Lasciammo cadere quello scambio di battute così. E quando raggiungemmo il palazzo in cui abitavo, ne approfittai.

– Voglio che mi prometta una cosa. –

Aggrottò le sopracciglia. – Siamo già a questo livello? –

– In quanto sua terapeuta, sì. –

– Non ricordo di averti voluta in Dipartimento per farmi da strizzacervelli personale. –

Quelle parole mi stupirono più di quanto mi aspettassi. – Non… eeeh? È opera sua? Aaah, non mi faccia distrarre. – agitai l’indice davanti al suo viso, ottenendo uno sguardo contrariato in risposta.

– Mi deve promettere che non farà più uso di droghe. –

Batté le palpebre. – Non è una cosa che faccio abitualmente. Almeno non più. –

– Non mi interessa. Che lei ci creda o no, preferisco che stia fuori dalle sbarre. –

– Oh, meno male. Pensavo volessi farmi una ramanzina sulla salute. Niente contro, ma sono autodistruttivo dalla nascita. –

Quelle parole mi strapparono un sorriso. Mi stava sfidando. – Molto bene. Allora le comprerò un sacco da boxe con le fattezze di Wheeler. –

Stavolta toccò a lui ghignare. – Ci vediamo domani. Buonanotte, Hastings. –

Annuii e scesi dall’auto, poi mi venne in mente un particolare che mi aveva incuriosita.

– Avete tutti lo stesso tatuaggio voi del Dark Circus? –

Quella domanda lo stupì, ma non mi dette retta. – Buonanotte. –

Sbuffai. – Buonanotte a lei, capo. –

Ci lasciammo così, ma in qualche modo mi sentii ottimista.

Quando rientrai a casa, nel casino lasciato dai miei tre amici post cena, trovai Trevor addormentato sul divano. Feci attenzione a non svegliarlo e andai a prendere una coperta dalla mia stanza. Prestai orecchio sentendo vociare sommesso nella stanza accanto, quella di Lucy. A quanto pareva, avremmo fatto colazione con Jace, l’indomani mattina. Tolsi giubbino e scarpe e tornai nel soggiorno, accoccolandomi accanto a Trevor e coprendo entrambi.

– Kate… sei tornata… – bisbigliò, con la voce impastata dal sonno, stringendomi a sé.

– Certo, avevi dubbi? Dormi, amore, mh? – sussurrai, baciandolo all’angolo della bocca e chiudendo gli occhi. Mugugnò qualcosa che non capii e lasciando andar via i pensieri su quello che era successo poche ore prima, mi abbandonai anch’io al sonno.

 




**********************************

Buonasera e buona domenica!! Seconda parte (e finale) del IV capitolo. Stavolta, cominciano a complicarsi un po' le cose e comincia a svelarsi qualche altarino in più relativo al Dark Circus. Mi sono divertita a creare qualche accenno alla storia passata dell'ex combriccola e in particolar modo, di Alexander. E intanto, il primo dei casi "impegnativi" che attendono il V Dipartimento è dietro l'angolo ormai. Ringrazio la dolcissima Evee per starmi accompagnando in questo delirio e un grazie a chi leggerà e vorrà darmi un parere. Alla prossima!

 

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Capitolo 9
*** V. prima parte ***


Buon pomeriggio! Dato che in questi giorni di calura assoluta, mi annoio... ho pensato di pubblicare la prima parte del quinto capitolo. :) So di aver scritto che avrei pubblicato settimanalmente, ma ne approfitto ugualmente. Nei prossimi giorni completerò la pubblicazione del capitolo. :) Come sempre, ringrazio chi legge e invito a lasciarmi un commento! Buona lettura!




V ◊

 

 

 

 

 

 

Come avevo immaginato, l’indomani mattina, avevo dovuto fronteggiare le domande di Trevor, di Lucy e di Jace. In un mondo ideale, avrei raccontato loro che il mio capo (di cui immaginavo che Jace non conoscesse i passatempi nascosti) aveva ben pensato di scaricare la frustrazione della firma del divorzio dalla moglie di cui era evidentemente ancora innamorato facendosi uno spinello nel bagno del Dipartimento e che, per porre un freno alla sua indole autodistruttiva, avevo ritenuto utile portarlo nella sua vecchia università per affrontare qualche demone del suo discutibile passato alla Eyes Wide Shut e proprio allora, una sua ex compagna di cricca era misteriosamente stata uccisa in nostra lontana e illegale presenza sul luogo del delitto. Poi avrei raccontato di aver scoperto che non soltanto il mio capo, il suo rivale in amore/ex collega e la nostra anatomopatologa erano parte di quella cricca, ma persino il gran capo, peraltro stimato erede di una prestigiosa famiglia molto attiva in città, era uno dei membri di quell’élite. Già, quello accadeva in un mondo ideale. Nel mio mondo, avevo dovuto glissare sull’argomento, raccontando di un purtroppo più normale caso di scippo e aggressione in cui il capitano Graham era intervenuto personalmente e che considerando la sua indole poco incline alla ragione, si era protratto piuttosto a lungo. Ciò che mi seccava di più, in realtà, era mentire a Trevor. Mentre finivamo di sorseggiare il cappuccino, mi ero ritrovata a incrociare il suo sguardo sperando che non mi chiedesse di più e che, soprattutto, non si fosse reso conto che stessi deliberatamente omettendo qualcosa. La verità era che mi sentivo in colpa al sol pensiero, ma non potevo mettere nei casini né Graham né gli altri membri del Dark Circus. Così, alla fine, grazie anche a Jace, che aveva intuito molto di più di quanto volesse lasciar credere, la conversazione aveva veleggiato verso argomenti decisamente meno impegnativi, ovvero la nascente relazione tra lui e Lucy.

Dovevo ammettere che nonostante tutto, vedere la mia migliore amica e Jace insieme, vittime di un colpo di fulmine che mai in vita mia avevo provato, era bello. Sembravano davvero la raffigurazione delle anime gemelle. Personalmente, non ci avevo mai creduto. Avevo sempre pensato che fosse assolutamente impossibile che esistesse qualcuno che si adattasse a te e a cui tu fossi in grado di adattarti con una naturalezza tale da rendere impossibile anche solo pensare che solo pochi giorni prima, fosse uno sconosciuto. Tra me e Trevor non era stato così. Ci eravamo conosciuti e scoperti pian piano e consolidavamo il nostro rapporto giorno per giorno. Certo, non potevo non dire che fosse tutto rose e fiori, anzi, ma tutto sommato, ci comprendevamo ed eravamo bravi a trovare dei compromessi. Anche la passione tra noi aveva avuto tinte diverse. Jace e Lucy invece sembravano l’immagine di chi si era ritrovato perfettamente anche sotto quel punto di vista. Sorrisi al pensiero che per Jace, che non aveva mai avuto delle relazioni serie, a quanto avevo capito, doveva essere stato ancora più importante.

Ci ritrovammo a chiacchierarne fino al nostro arrivo in Dipartimento, circa quarantacinque minuti più tardi, trovando conferma alla mia idea. Soltanto poco prima di scendere dall’autobus, Jace cambiò tono e discorso.

– Ho visto che eri in difficoltà prima. –

Annuii. – Grazie per avermi fatto da spalla. –

Jace sistemò la tracolla, mentre premeva il pulsante dello stop. – Figurati. Però dovrai essere un po’ più convincente, Trevor non se l’è bevuta. Ho notato la sua espressione contrariata e credimi, penso proprio che dovrai trovare il modo di parlargliene. –

– Perché avverto del sarcasmo nel tuo tono? – domandai, scendendo dall’autobus, seguita da lui.

– Insomma, se tu e Graham avete una storia, penso che sia meg-- A-Aagh!

Un pizzicotto nel tricipite lo fermò dalla sua insana affermazione.

– Katie, fa male! – protestò.

– Farà ancora più male se continuerai a dire idiozie. E spero per il tuo bene che non ti sia venuto in mente di mettere tarli in testa a Trevor. Il capitano Graham e io non abbiamo una storia. Figuriamoci, quello lì non ha occhi altro che per sua moglie. – risposi, ripensando all’ascendente che nonostante tutto, lei aveva ancora su di lui.

– Eh, che triste storia la loro. Onestamente non credevo che Elizabeth arrivasse a fargli questo torto. Insomma, Wheeler non vale nemmeno la metà di Alexander. – rispose, massaggiandosi il braccio.

Sospirai, guardando il maestoso portone d’ingresso del Dipartimento.

– Jace, ascolta… capisco che tu voglia vedere il capo felice. Anzi, a dirla tutta, sai come funziona? Capo felice, squadra felice. Probabilmente anche per il benessere psichico del nostro team sarebbe molto meglio se Graham fosse più equilibrato, ma non credo che trovargli una fidanzata sia il modo migliore di fargli passare il malessere che ha dentro. E poi credo che chiodo scaccia chiodo non serva a niente né, onestamente, mi sembra quel tipo di persona. Quindi, in sostanza, piantala di cercare di appiopparmi a lui e concentrati sul fatto che solo se accetterà che certi eventi accadono al di là della sua volontà sarà in grado di andare avanti, ok? –

Gli occhi di Jace mi osservavano stupiti. – È la tua valutazione in quanto psicologa o in quanto amica? –

Sorrisi. – Amica psicologa. –

Jace mi rivolse un sospiro, poi mi precedette. La nostra giornata aveva avuto inizio.

In realtà pensavo che avrei trovato Graham in ufficio e in qualche modo, speravo che dopo quanto detto la sera prima, mi avrebbe coinvolta nel caso, ma a quanto pareva, mi sbagliavo. Soltanto Alexis era andata con lui, mentre Jones mi aveva avvisato di alcuni compiti da svolgere, gentilmente lasciati per me dal capo.

– Giuda… – borbottai, accingendomi ad aprire il fascicolo che mi aveva assegnato. Un paio di righe, in una grafia veloce e precisa, mi avvertivano confidenzialmente che si trattava di un caso chiuso circa dieci anni prima. Incuriosita, quando lessi il nome di Richard Kenner mi ricordai all’istante del compagno di scorribande di Graham che era morto per causa sua, stando a quel che aveva detto. Andai avanti sfogliando le pagine del report e scoprii che era stato vittima di un gravissimo incidente stradale causato da una forte ondata di maltempo e da un malfunzionamento del sistema frenante dell’auto. L’auto in questione, tuttavia, non era la sua, ma apparteneva ad Alexander Graham. Che si sentisse in colpa per quel motivo? Nel report non si faceva riferimento a colpe, ma l’incidente era stato etichettato come una drammatica fatalità. Allora per quale motivo voleva che lo leggessi? Alle volte, Graham era davvero un enigma. Mi stiracchiai sul divanetto, poi presi lo smartphone e gli inviai un messaggio.

Grazie per avermi assegnato i compiti, prof. Ha bisogno di una tesina sull’elaborazione del senso di colpa?

Considerando che doveva essere nel bel mezzo delle indagini fortuite sulla morte di Alicia Bernstein, non mi aspettavo risposte a breve, motivo per il quale pensai che sarebbe stato meglio provare a parlare con Trevor. Mi misi a scorrere la schermata dei messaggi, poi a recuperare il suo numero. Cosa avrei potuto dirgli? Non volevo affrontare la questione per telefono, ma rimanere in quello stato di sospensione mi metteva a disagio. Del resto, avevamo sempre parlato di tutto, anche nei momenti più difficili. Ma stavolta non si trattava di qualcosa che riguardava noi personalmente. Ero stata coinvolta volontariamente in una storia più intricata di quanto mi aspettassi. E la richiesta di Wheeler di non coinvolgere nessuno era già abbastanza pesante. Sconsolata, decisi di chiedere aiuto alla sola persona che in quel momento poteva comprendermi: Selina.

Questa volta, diversamente dalle altre, la trovai impegnata in un’autopsia per conto del II Dipartimento. Dovetti attendere che finisse il lavoro, senza riuscire a non pensare nuovamente a quanto dovesse essere ingrato e difficile. In più, la presenza di alcuni agenti del II mi fece pensare di desistere dal mio proposito. Certe cose avevano decisamente precedenza rispetto a un problema che avrei dovuto risolvere da sola. Per questo, dopo lunga riflessione, decisi di tornare all’opera, ma mentre mi accingevo ad andar via, la stessa Selina, uscendo dalla sala autopsie, mi chiese di aspettarla. Scambiò alcune parole con gli agenti, poi mi raggiunse. Ci mise poco a recuperare l’aria cordiale e sorridente, ma non mi sfuggì la serietà con cui poco prima si era rivolta ai ragazzi. Doc e Selina.

– Mi scusi se la disturbo così. Posso tornare in un altro momento. – dissi.

Sciolse la chioma corvina lucidissima e mi sorrise. – Niente affatto. Sei un provvidenziale arrivo, Kate. Prendiamo un caffè? –

Sorrisi di rimando. – Volentieri. –

Così, pochi minuti più tardi, davanti a un espresso bollente, ci trovammo a chiacchierare. Mi disse che aveva affrontato un’autopsia sul corpo di un agente ucciso durante una rapina e compresi a volo che quelli del II dovevano essere i colleghi.

– Non è mai facile perdere qualcuno con cui si è amico, oltre che collega. Inevitabilmente, finisce per diventare personale. –

Fui d’accordo. – Anche se non è nemmeno facile non affezionarsi, dopotutto… alla fine, si condividono così tante cose… –

Lei inarcò il sopracciglio perfetto. – È per questo motivo che le relazioni tra colleghi sono eticamente sconsigliate. Però io non sono un buon esempio. Vedi me e Marcus. O anche ex, come con Alexander… certo, abbiamo superato da un bel pezzo quella fase, ma credo che se dovesse accadergli qualcosa, non risponderei di me. –

Sorseggiai il caffè. – In fin dei conti, anche se sono l’ultima arrivata, credo di capirla, in parte. Certo, spero che non accada mai nulla di male, ma sono consapevole che un lavoro come questo significa andare incontro a rischi che normalmente non si terrebbero in considerazione… –

– Ma al tempo stesso, pensi che se non lo facessi, il tuo senso di giustizia rimarrebbe insoddisfatto, non è così? –

Alzai lo sguardo. – Anche, sì. –

Selina sorrise gentilmente. – Kate, cosa ti angoscia? –

Presi un enorme sospiro prima di riuscire a parlargliene. – Tutta questa storia… il vostro passato, la morte di Richard Kenner… ho letto il fascicolo che mi ha lasciato il detective Graham, ma non c’è niente di strano… cioè, un incidente causato dalla sua auto malfunzionante in una giornata di maltempo… questa è sfortuna, non è un complotto. E per giunta, la segretezza sul Dark Circus mi inquieta. Non ne ho parlato a Trevor, ma non mi piace avere dei segreti col mio fidanzato. Che ci creda o no, è la prima volta che gli mento su qualcosa… e mi sento uno schifo. –

Selina ascoltò con pazienza il mio sfogo, poi la vidi pensierosa. Solo dopo un po’ si decise a parlare.

– Non gliene parli perché Maximilian ha detto di non coinvolgere altre persone? –

– Lui, ma anche Graham… non esplicitamente, ma ho capito che volesse mantenere il riserbo. –

– E dunque hai paura di tradire la sua fiducia? –

Colta in fallo, annuii. – Accidenti, sembra che sia lei la mia psicologa. – borbottai, per stemperare la tensione. Selina sbatté le lunghe ciglia, poi si mise a ridere.

– Se può interessarti, mio padre è uno psichiatra. –

– Grazie, ma passo. – risposi.

Continuò a ridere, poi sospirò. – Kate, ascolta. Quel che abbiamo fatto come Dark Circus non è così scabroso come sembra. Insomma, ci siamo divertiti e in diverse occasioni abbiamo esagerato, ma eravamo ragazzi, allora. Non preoccuparti per quel che dice Maximilian. Tra noi è quello che si vergogna maggiormente di ciò che facevamo, perché a tutti gli effetti, era abbastanza disinibito. Quasi quanto Alexander, in un certo senso. E.. per quanto riguarda lui… non avere paura di parlargli di questo disagio. Avrà tanti difetti, ma a dispetto di quanto tu possa pensare, sa ascoltare. –

Dovevo ammetterlo, Selina era con tutta probabilità la persona che meglio conosceva Graham, motivo per cui avrei dovuto fidarmi del suo giudizio. Certo, questo includeva anche il dover trovare il modo giusto di parlarne con lui, ma se c’era una cosa che avevo imparato era che in certi casi, bisognava tagliare la testa al toro.

– Ha ragione. Seguirò il suo consiglio, allora. La ringrazio. – dissi, posando il bicchierino e alzandomi, seguita a mia volta da lei. Rinfrancata da quella conversazione, mi accinsi a tornare al mio lavoro, ma una nuova interruzione costrinse sia me che Selina a rimandare i compiti previsti. Mentre uscivo, infatti, fummo raggiunte proprio da Graham. Parli del diavolo…, pensai tra me e me, ma considerando l’espressione fin troppo concentrata sul suo volto, mi resi conto che doveva essere accaduto qualcosa.

– Che cera… sembra che tu abbia visto un fantasma, Lex. – lo canzonò Selina, incrociando le braccia.

– Che è successo, capo? – le feci eco.

Si fermò a pochi passi da noi e nel suo sguardo potei riconoscere una leggera nota di preoccupazione.

– Ho bisogno di te, Doc. Donna, 33 anni. Ferite d’arma da taglio e da caduta. Probabilmente un tentativo di stupro. –

Stava parlando di Alicia Bernstein. Deglutii, pensando al modo del tutto distaccato con cui parlava del caso, in quel momento. Selina aggrottò le sopracciglia per un istante, poi arricciò una ciocca perfetta attorno al dito.

– Già qui? –

Graham annuì.

– Vado. Kate, vorresti assistere a un’autopsia? –

Sobbalzai alla proposta. D’improvviso, sentii il caffè agitarsi nello stomaco. Avevo già avuto a che fare con la morte, ma non mi allettava l’idea di osservare qualcuno intervenire post-mortem. Feci segno di no. Sarebbe stato troppo, in quel momento. Chissà, magari un giorno, più avanti, sarei stata più forte. Selina mi dette una pacca di comprensione sulla spalla, poi mi sorrise e ci lasciò per procedere col suo lavoro. Io osservai Graham, che era rimasto a guardare mentre la nostra collega entrava in sala autopsie per la seconda volta, quel giorno.

– Posso chiederle che sta succedendo, capitano Graham? –

Attese un paio di istanti prima di rivolgere i suoi occhi che in quel corridoio apparivano più scuri di quanto fossero, su di me. Aveva davvero l’aria stanca.

– Non ho bisogno di una tesina sul senso di colpa, Hastings. Voglio che tu mi dica cosa pensi di quel caso. –

Mi rizzai quasi sull’attenti. Aveva letto il mio messaggio.

– Dobbiamo parlarne per forza qui? Mi era sembrato che volesse riserbo. E a dirla tutta, questo riserbo mi mette a disagio. Per colpa del suo atteggiamento prevaricatore ho dovuto mentire a Trevor e questo non mi va bene. Per quanto riguarda il caso, penso che si sia trattato di una fatalità. Insomma, incidenti causati da una manutenzione scorretta delle auto capitano spesso e se ci aggiungiamo il maltempo, allora… –

– Era la mia auto. – puntualizzò.

Sobbalzai nel sentire il tono incisivo con cui mi ricordò di quel particolare e mi resi conto del dove volesse andare a parare.

– N-Non sarà che… pensa che non sia stato un incidente? E che potesse essere destinato a lei? –

Il suo sguardo si riaccese in un attimo.

– Ho ragione? Invece così facendo… ci è andato di mezzo qualcuno che non doveva essere lì… perché è stato etichettato come incidente? Le indagini sono state frettolose? –

– La verità, Hastings… è che non lo so. Non l’ho mai saputo. –

– E ha lasciato andare le cose così? Non ha mai provato ad indagare per suo conto? –

Inaspettatamente, si mise a ridere e quella reazione mi indispose.

– Non ci trovo niente di divertente! Capitano Graham, se qualcuno voleva vederla morto, allora… allora si spiega il perché di quell’incidente, non è così? Ma se ci sono state delle insabbiature, qualcosa non va! –

Graham scrollò appena le spalle, poi si mise ad armeggiare con qualcosa nella tasca interna del cappotto nero. Attesi con impazienza che prendesse un biglietto e me lo porgesse. Perplessa più che mai, lo raccolsi e lessi la frase scritta sopra, in inchiostro nero.

– “Ad maiora semper”… c-che significa? –

– Si tratta di un’espressione latina. Vuol dire “sempre più in alto”. –

Non che avesse in alcun modo fugato i miei dubbi. – E che cos’ha a che vedere con il caso, di grazia? –

Graham voltò il biglietto nella mia mano. Recava un invito a un meeting con annesso gala presso uno degli alberghi più lussuosi di Boston, il Four Seasons Hotel, previsto per il weekend successivo. Comprendendoci sempre meno, alzai lo sguardo sul mio superiore, la cui spiegazione, stavolta, non fu sibillina. – Chiunque abbia inviato quel biglietto, sa chi sono e conosce il Dark Circus. Quell’espressione era il nostro motto. –

Sgranai gli occhi, sorpresa. – Non potrebbe essere che qualcun altro fosse al corrente di esso? Insomma, il Dark Circus è sempre stato leggendario, negli ambienti accademici… magari qualcuno ha fatto delle ricerche… e comunque non mi spiego perché invitarla a un evento del genere… dopotutto, senza offesa, non mi sembra il tipo da partecipare a iniziative simili… a meno che… aspetti, il gala non sarà forse quello di cui si parla in questi giorni? Quello in cui verrà inaugurata la nuova sala casinò? –

Graham annuì, non senza una punta di permalosità. – Sorvolerò sul tuo commento personale, Hastings. Ho ragione di credere che quel che è accaduto ad Alicia Bernstein sia correlato in qualche modo a questo biglietto. Qualcuno sta mirando ai membri del Dark Circus e ho tutta l’intenzione di scoprire di chi si tratta. E se siamo fortunati, prendiamo anche il bastardo che ha assassinato Alicia. – affermò, incurante della mia confusione.

– Perché parla al plurale? –

Fece per rispondere, quando il suo cellulare prese a squillare incessantemente. Si accigliò nel riconoscere il chiamante.

         – Maximilian. – disse, con voce seccata. Pochi istanti di silenzio da parte sua e lo vidi rivolgere un veloce sguardo al biglietto, con aria pensierosa. Avrei giurato di aver notato una vena sulla sua tempia ingrossarsi di qualche millimetro mentre Wheeler lo informava di aver ricevuto a sua volta l’invito e di non essere l’unico. Le teorie di Graham stavano lentamente trovando fondamento. Ma chi poteva conoscere i membri di quell’élite che era sempre rimasta nell’ombra? E se una donna, appartenente a quella cricca, era morta, con noi soli due testimoni presenti e illegali, questo poteva significare che chi, a suo tempo, aveva cercato di uccidere il capitano Graham sabotando i freni della sua auto e, magari chissà, anche operato per insabbiare le prove di un incidente in cui aveva perso la vita un uomo innocente, probabilmente stava tornando per finire il lavoro. Osservai i tratti del volto del mio superiore induriti per la concentrazione e per la tensione. Compresi che stava elucubrando, cercando di mettere insieme pezzi di un puzzle che, a differenza di quanto potessi immaginare io, concedeva una visione d’insieme soltanto a chi come lui conosceva ciò che a suo tempo aveva fatto. Tornai a pensare alle sue parole in piscina. Misfatti che crescevano di pari passo alla sua boria. Un giovane uomo amante delle sfide, curioso di comprendere cosa spingesse al male, che vi si era immerso al punto da diventare malvagio, in qualche modo, ma come un mastermind che avesse ben chiaro il concetto di limite e come superarlo senza patirne conseguenze estreme. E poi, redento, aveva cambiato la sua vita, fino a che, nel momento di maggior felicità, il male, sotto forma di un mago oscuro, non aveva deciso di giocare con lui una partita che aveva portato alla sua sconfitta più grande. L’uomo che avevo davanti a me era bravo a non tradire le sue reali emozioni, ma io ero stata formata a comprendere che dietro a certi comportamenti disfunzionali, si nascondevano traumi ben più profondi e radicati di quanto si volesse far credere. Infine, chiusa la chiamata, passò una mano tra i folti capelli castani e prese fiato. Solo dopo mi rivolse il suo sguardo.

            – Mi faccia indovinare… anche il detective Wheeler ha ricevuto un invito. E immagino che non sia l’unico. –

            – Elizabeth è stata invitata a sua volta. –

             Quella rivelazione inaspettata mi colpì. Che Elizabeth Dekker fosse legata a quel gruppo era innegabile, ma il fatto che fosse stata contattata esplicitamente rendeva tutto ancora più personale, nonché, in un certo qual modo, rischioso. Esporre la sua ex moglie a eventuali pericoli… no, ero certa che Graham non avrebbe mai permesso una cosa del genere. E, per quanto poco lo conoscessi, a giudicare dalle parole e dai suoi comportamenti, ero abbastanza sicura che anche il detective Wheeler non avrebbe acconsentito. Ma d’altro canto, considerando il carattere combattivo di quella donna, avrei dovuto immaginare che la sua risposta a quell’invito sarebbe stata assurdamente e assolutamente positiva.

            – Suppongo che a questo punto non ci sia dubbio sul da farsi, non è così? – chiesi.

            Alexander Graham fece spallucce, poi, ripreso il biglietto dalle mie mani, ebbi l’impressione che gli stesse balenando qualcosa in testa. E in effetti, non ne fece mistero. – Sei mai stata a un gala? –

         Il mio tono di protesta fu la risposta, che il mio interlocutore ignorò volutamente. Dette una veloce occhiata alla porta chiusa dello studio di Selina, per poi girare i tacchi. La sua figura mi dette le spalle. – Riguardo a ciò che mi hai detto prima… lascio a te la scelta. Se vuoi parlare del Dark Circus e di quello che sta accadendo al tuo ragazzo, sei libera di farlo. Ma sarai tu ad assumerti la responsabilità delle conseguenze. Chiaro? –

             Scossi la testa e, in quel momento, Alexander Graham mi sembrò distante, fin troppo. E quando parlava in quel modo, potevo agire soltanto in un modo.

           – Va bene, capo… ho capito. –

         Nessun cenno d’altro tipo. Mi lasciò lì, allontanandosi nel silenzio di quel corridoio sotterraneo, mentre a pochi passi, Doc procedeva con il suo freddo lavoro. Mi strinsi istintivamente nelle braccia per cercare calore. In che via senza uscita mi ero ficcata scegliendo di seguire quelle persone? E quell’uomo in particolare?

 

 

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Capitolo 10
*** V. seconda parte ***


Buonasera a tutti!! Seconda parte (e finale) del V capitolo. :) Ringrazio come sempre per le letture e la cara Evee che continua a sopportare la mia follia! XD 

 

 

 

Trascorsi buona parte della giornata in ufficio a rileggere il fascicolo Kenner nella speranza che potesse aiutarmi a mettere insieme qualche idea alla luce di ciò che stava accadendo. Ogni tanto lanciavo uno sguardo a Graham, che, impassibile, con occhi e dita che si muovevano rapidi ed esperti sul laptop, era impegnato a buttar giù un primo report sul caso Bernstein. Da quel che avevo capito, durante la mattina, lui e il detective Wheeler si erano recati, assieme al dottor Howell, presso l'ufficio del rettore Chambers. La presenza del Procuratore avrebbe permesso a quei due di agire tranquillamente evitando le ingerenze del I Dipartimento che possedeva mandato in quella zona. Che questo significasse pestare i piedi ad altri colleghi era ben chiaro, ma data la personalità del caso, nessuno dei tre ex membri del Dark Circus se ne curava. Era emerso che quella donna aveva vissuto all'estero per anni e che soltanto da due mesi aveva fatto ritorno a Boston, lavorando come segretaria nello staff di Chambers. Quest'ultimo, ascoltato sulla figura della stessa, aveva dichiarato di non sapere di eventuali relazioni attuali di Alicia, notoriamente piuttosto riservata, tanto più che si era reso necessario l'intervento del personale sanitario quando gli fu comunicato che si sarebbe proceduto con un sequestro e con gli interrogatori di rito, a costo, a detta di Graham, di mettere sotto torchio fino all'ultima persona presente in quel campus. Quell'eventualità aveva scosso il Rettore, sulle cui spalle già pesava la rivolta del figlio, scandalo che aveva già nuociuto alla sua reputazione, ma l'omicidio di un membro del suo staff sembrava esser stato il colpo di grazia e avrebbe certamente comportato una macchia indelebile su quella che, fino a quel momento, era stata una carriera rispettabile. Senza contare la risonanza dell'evento su una delle più prestigiose università d'America.

Poi fu il turno di Alexis, che ci portò i primi risultati dell’autopsia. Come sempre in via confidenziale, si era raccomandata Selina. Trovammo riscontro sulla tipologia di uccisione. Tre fendenti all’addome, sferrati da mano destra, compatibile con uomo di corporatura media e, post mortem, fratture multiple compatibili con caduta da cinque metri d'altezza. Alicia aveva visto in faccia il suo assassino, ma questi non aveva infierito più del dovuto, avendo reciso, col terzo colpo, l’aorta addominale, provocandone la morte per emorragia interna. E poi, l’aveva gettata giù. Tuttavia, a dispetto degli abiti visibilmente strappati e delle ecchimosi presenti sul suo corpo, non vi era segno tangibile di violenza sessuale. Che avesse solo tentato di stuprarla e che Alicia si fosse opposta al punto da provocarne la reazione? Avrebbe giustificato l’aggressione e i segni su polsi e caviglie. Graham non commentò, limitandosi ad attaccarsi al telefono per avere i risultati dalla Scientifica, mentre io ripensai a quando l’avevamo trovata. Chiunque fosse stato, probabilmente era ancora lì. Se fossimo stati più attenti, forse l’avremmo scovato e catturato, mentre ora, un assassino era libero di aggirarsi per le stanze del college, magari già pregustando la sua prossima vittima. Come il Mago, come tanti altri soggetti ignoti dalla morale perversa che esistevano soltanto per seminare morte. Eppure, in quel momento, al detective Graham non era importato. Guardai le foto del corpo senza vita di Alicia, pensando a quanto fosse stata bella in vita e mi decisi a cercare di andare un po' più a fondo.

– Posso chiederle una cosa, capitano? – chiesi, quando fu libero e ne potei ottenere l’attenzione. – Che tipo era Alicia Bernstein? Insomma, per il vostro gruppo… –

Graham strinse gli occhi per qualche secondo. – Era la donna di Richard. Quei due, al di là di tutto e tutti, erano legati indissolubilmente. Per questo motivo, quando Richard morì, Alicia si allontanò, chiudendosi nel suo dolore e trasferendosi all’estero. In realtà, da allora non ho mai più avuto alcuna notizia sul suo conto, tanto più che, come ci ha detto Chambers, era rientrata in patria soltanto da un paio di mesi, prendendo servizio come segretaria. –

– Perché ha detto “al di là di tutto e tutti”? –

Rifletté sulle sue parole, perplesso della mia domanda, poi sventolò a mezz’aria una mano.

– Fu Richard a proporle di entrare a far parte del nostro gruppo. A quel tempo, quei due stavano insieme da poco e Richard era quello più smanioso di mettersi in mostra, tra noi. Non so se si trattasse di un modo per impressionarla o perché fosse semplicemente un tipo su di giri, ma non ne fui affatto entusiasta. Permettere ad altri, per giunta senza meriti di sorta, di far parte di un’élite non rientrava nei miei progetti iniziali. Eppure Richard contravvenne al mio ordine e in breve, Alicia seppe di noi. Mantenne il riserbo, ma era palesemente a disagio in nostra compagnia. La sola cosa che per lei contava era lui. Diciamo che è stata una... spettatrice passiva. –

Ero senza parole. Ogni tanto, se fortunata, riuscivo a mettere insieme qualche pezzetto a mia volta. E paradossalmente, l’immagine di Richard Kenner mi sovvenne nelle vesti di qualcuno che, probabilmente, sarebbe stato in grado di tenere testa a Graham, al punto da sfidarlo senza temerne la ripicca.

– Immagino sia a mio rischio e pericolo chiederle cosa intende per spettatrice passiva, giusto? –

Gli occhi blu notte di Graham scintillarono e l'angolo esterno delle sue labbra si sollevò in un sorrisetto malevolo. – Non vorrei mai mettere la tua purezza d’animo sul piatto della bilancia dopo aver saputo altri dettagli. –

Avvampai a quel commento, balzando in piedi. Il mio cuore aveva preso a galoppare per l’imbarazzo. – Lei è davvero un… –

Le parole mi rimasero in gola, perché lo sguardo di Graham, in quel momento, aveva lasciato il mio, per spostarsi ben oltre. Mi voltai, stupita, nel vedere Elizabeth Dekker sulla soglia.

– S-Signora Dekker? –

Elizabeth mi rivolse uno sguardo, poi un cenno di saluto, per poi guardare l’uomo che era stato suo marito. Il padre di sua figlia, mi ripetevo.

– Qual buon vento, Elizabeth? –

– Lo sai già. Ho bisogno di parlarti. Da soli. Senza offesa, dottoressa Hastings. –

Scossi la testa. – Non c’è problema… stavo giusto uscendo a prendere un caffè… – mentii, incamminandomi verso la porta. Quando le fui accanto, non potei non notare quanto Elizabeth fosse una donna di classe, elegante nel suo trench color sabbia, Louboutin vertiginose e filo di perle. Per qualche ragione che non riuscivo a spiegarmi, avevo difficoltà a pensare a quei due come coppia. Non che Graham non fosse elegante, a modo suo, ma non c’era, nei suoi modi, la naturale raffinatezza che, ad esempio, contraddistingueva il dottor Howell. Eppure, c’era charme nella sua rudezza… e io, cercando di scacciare dalla mente quei pensieri così inappropriati per quel momento, mi defilai lasciando gli ex coniugi Graham chiusi in ufficio a conversare, probabilmente del biglietto ricevuto da Elizabeth e chissà di cos’altro.

Dato che era quasi ora di pranzo proposi al resto della squadra di uscire a mangiare qualcosa nelle vicinanze, ma uno dopo l’altro, i miei colleghi declinarono, preferendo continuare a lavorare, incuranti persino della presenza di Elizabeth. Persino Jace, che, in condizioni normali, avrebbe mandato in malora la baracca pur di non rinunciare a qualcosa da mangiare in compagnia, si scusò in nome di un importante test d’elaborazione per un qualche software a me ignoto. Sospirai, ma non potevo non pensare che quando Jace si concentrava, aveva qualcosa che mi ricordava il mio Trevor. La sola differenza era nel fatto che la scrivania di Trevor non pullulava di oggetti ispirati a serie tv e a film, aumentati in modo esponenziale da quando aveva cominciato a recuperare Game of Thrones. Mi allontanai per lasciarlo lavorare in pace e ne approfittai per scrivere al mio ragazzo.

Giornata pesante. Ti va di pranzare insieme?”

Meno di un minuto e la risposta di Trevor arrivò.

Sol perché è una giornata pesante?

Quelle parole mi stupirono. Rilessi il mio messaggio, ma non vi trovai nulla che potesse far sottintendere il bisogno di averlo insieme sol perché stavo avendo una giornata del genere.

No. Mi farebbe piacere trascorrere un po’ di tempo insieme, ma sei hai altro da fare, non preoccuparti.

Strinsi lo smartphone tra le mani, guardando verso l’ufficio. La porta era ancora chiusa, ma non c’era ombra di toni alterati, segno che la conversazione stava procedendo tranquillamente, per quanto si potesse pretendere da quei due. Nel frattempo, arrivò un altro messaggio.

Non posso lasciare. Ci vediamo stasera a casa.

Sospirai, mentre lo smartphone segnalava un nuovo arrivo.

Comunque fa piacere anche a me vederci, anche se ultimamente, mi sembra di dover dosare il tempo.”

Rimasi così, a fissare lo schermo a mezz’aria. Era impazzito o cosa? Respirai per qualche istante, cercando di fare mente locale. Trevor sapeva benissimo che il mio lavoro poteva andare oltre i turni, soprattutto a causa delle complicazioni che ultimamente affollavano il nostro Dipartimento. Capivo il suo malumore, ma considerando che avevo cercato, per quanto possibile, di coinvolgerlo, salvo per le questioni legate a Graham e alla sua cricca, la sua uscita mi sembrava incredibilmente fuori luogo.

Ne parliamo stasera. Però ricordati che ti amo.

Visualizzò, poi chiuse la conversazione con un “Anch’io”.

Sola con me stessa, con i pensieri dovuti a un fidanzato che, evidentemente, si sentiva trascurato, mi diressi a prendere un panino da un fast-food nelle vicinanze. Mentre attendevo il mio turno, che si sarebbe detto lungo a causa della classica fila da ora di pranzo, intravidi, dalla vetrata, Elizabeth e Graham uscire insieme dal Dipartimento. Si salutarono senza cerimonie, poi la donna chiamò un taxi e in breve tempo, il mio capo fu di nuovo solo, a guardare nella direzione della sua ex moglie che si allontanava. Poi si voltò a guardarsi intorno e quando incrociammo lo sguardo, feci segno di saluto. Probabilmente non comprese che non avevo altre intenzioni, perché ben presto mi raggiunse e dette un rapido sguardo al locale gremito.

– Se aspetti di mangiare, fai prima a prenotare la cena. – mi informò.

– Non fa niente, in realtà non ho proprio tanto appetito… ero qui giusto per un panino. –

Graham inarcò il sopracciglio. – Vieni con me. –

– Preferisco aspettare, grazie. – Non avevo proprio voglia di seguirlo, a dirla tutta.

– Hastings, hai bisogno di mangiare decentemente. Non posso permettermi di non averti lucida. –

– Prego? –

– Ho bisogno di parlarti, tu hai bisogno di mangiare e conosco un posto tranquillo in cui fare entrambe le cose. –

Sospirai, seccata. – Sul serio? –

Non mi degnò di risposta e si incamminò. Alla fine, mi decisi a seguirlo, lasciandoci alle spalle gente che scalpitava per un posto. Camminammo per una decina di minuti, in silenzio. Normalmente, avrei avuto voglia di chiedergli come fosse andata la sua conversazione, ma immaginavo che me ne avrebbe parlato ugualmente e, in quel momento, il pensiero di Trevor era sufficiente abbastanza per tenere a freno la mia curiosità. Ciononostante, la sua espressione non era tesa come qualche ora prima. Guardinga sempre, ma quantomeno era più gestibile. Ci fermammo davanti a un locale che mi era capitato di vedere di sfuggita passandoci in bus. Avevo pensato che fosse abbastanza lussuoso per le mie tasche, considerando la fine eleganza dell’Art Decò che ne definiva l'architettura. Mi ricordava quelle ville che avevo visto una volta, cercando idee per il viaggio sulla East Coast che avrei voluto fare con Trevor. Era ancora nei nostri progetti, ma aspettavamo tempi migliori. Tempo che non c’era…

Quando Graham varcò la soglia, una piccola parte di me si mise a far calcoli sul contante nel mio portafogli, mentre un’altra rifletté su quanto fosse tranquillamente a suo agio in un luogo del genere, al punto da ottenere subito un tavolo per due.

– Buon pomeriggio. Se i signori vogliono seguirmi… – ci accolse il maître.

Così, prendemmo posto presso un tavolo tranquillo, grazie anche alla presenza di pochi altri presenti, perlopiù uomini d’affari. Quando ci furono consegnati i menu, sgranai gli occhi nel vedere prezzi e portate, così mi accontentai di chiedere un piatto di crépes, il più economico. Graham optò per una tagliata di carne, poi ordinò del carpaccio di manzo e due contorni di verdure grigliate. Quando il cameriere ci ebbe lasciati da soli, mi decisi a parlare.

– Se aveva intenzione di farmi dilapidare lo stipendio, poteva avvisarmi prima! –

Non rispose alla mia protesta, ma si limitò a un sorrisetto e appoggiò il dorso della mano sotto al mento. – Che succede? –

Lo guardai di sottecchi, pensando che quel suo fare indagatore e dispotico era un tratto di personalità, motivo per cui non avrei mai potuto sperare di vincere contro un tipo del genere. Tanto valeva stare al gioco.

– Trevor pensa che lo stia trascurando… e dopotutto, non ha tutti i torti… –

– Il signor Lynch mi sembra più intelligente di così. Sei certa che sia così? –

Feci spallucce. – Detto da uno che si è fatto portar via la moglie da un altro, non credo che le sue valutazioni in materia di personalità e relazioni siano del tutto attendibili. –

Colto a sorpresa, sgranò sinceramente gli occhi. – Questa non me l’aspettavo. –

– Mi scusi! Non volevo… davvero, le chiedo scusa! Che idiota… – mi affrettai a rispondere, pensando che quelle parole mi erano uscite così, senza pensarci. E per di più, considerando che si trattava di un argomento troppo scottante, mi morsi la lingua al pensiero di aver appena accusato il mio suscettibile capo.

– Sai una cosa, Hastings? – mi richiamò, senza che riuscissi anche solo ad alzare lo sguardo verso di lui. Scossi la testa, in preda alla vergogna. Vedevo solo le sue mani, ora incrociate sul tavolo. Aveva belle mani, anche se con qualche ruvidità.

– Sei diretta. Se hai qualcosa da dire non ti fai particolari problemi. Questo tratto, nella maggior parte delle persone, può essere un limite, ma dal mio punto di vista, trovo che sia una rarità. E non mi dispiace affatto. –

Alzai timidamente lo sguardo, pensando che avesse la febbre. Mi fissava, con quegli occhi indagatori che sembravano scrutarmi dentro, facendomi sentire un’idiota. Cercava di motivarmi, questo l’avevo capito, ma non riuscivo a non pensare che la vera rarità fosse sentire quell’avaro di complimenti del mio capo dire qualcosa di carino sul mio conto.

– G-Grazie… – farfugliai, distogliendo lo sguardo a favore di una enorme pianta tropicale in direzione della cucina.

Mpf. Se ti metto così a disagio con una semplice conversazione tra colleghi, come posso contare su di te per la nostra prossima operazione? –

– Eh?! –

Richiamata tutta la mia attenzione, al di fuori della sfera personale, mi focalizzai sulle sue parole.

Graham riempì i nostri bicchieri di acqua minerale, comunicandomi che in seguito alla visita di Elizabeth, gli ex membri del Dark Circus avevano deciso che sarebbe stato il caso di raccogliere il guanto di sfida e questo, significava partecipare sia al meeting, previsto per quel sabato, che al gala d’apertura della nuova sala casinò. Il problema, per quel che mi riguardava, era che Graham aveva deciso di far partecipare anche me all’evento. La motivazione ufficiale, a suo dire, sarebbe stata la mia capacità d’osservazione. Per qualche ragione, contava su questo più di quanto potessi immaginare, tanto più che era stato ciò che ci aveva permesso di mettere insieme qualche altra informazione sul Mago, l'anno prima. Eppure, non era bastato a salvare la piccola Daisy Ross. La sua morte era sempre lì, a ricordarmi perché avessi voluto intraprendere quella carriera.

– Se non te la senti, Hastings, lo capirò. Non voglio metterti in una situazione scomoda, ma se te ne parlo è perché non voglio che ci siano segreti. Quando mi hai detto che saresti stata con me, sono rimasto sinceramente stupito. Non mi aspettavo che fossi così risoluta, ma le tue azioni me ne danno prova. E seppure, da una parte, mi rendo conto che questo esuli dal tuo contratto, sapere di poter contare sul tuo aiuto è… confortante. –

Mentre parlava, le nostre ordinazioni arrivarono a destinazione e i profumi del pranzo allettarono i sensi, riportandomi al momento. Quantomeno non era un sogno che Graham mi stesse considerando importante per la squadra.

– Ho bisogno di parlarne con Trevor, però… so bene quel che mi ha detto, ma temo che se non faccio qualcosa, dovrà finire col fare a meno di me. Non gli parlerò di… beh, quel che sappiamo, ma almeno mi permetta di dirgli che sarò assente per un giorno intero a causa di un’operazione. – contrattai, impugnando le posate. Se voleva il mio aiuto, doveva cedere su qualcosa.

Graham ci pensò, poi prese a tagliare la carne nel suo invitante piatto. – Va bene. Mi voglio fidare di te. Ora però mangia. E, già che ci sei… – continuò, allungando il piatto col carpaccio di manzo. – C’è anche questo. Hai bisogno di proteine. –

Sgranai gli occhi, mi venne da ridere. – Sta scherzando? –

– Affatto. Mangia e non preoccuparti del conto. Jenkins è un vecchio amico, prezzo di favore. –

A quel punto, subentrò l’incredulità. – Sul serio? Un amico? Ecco perché si può permettere un posto del genere. –

Sul suo volto comparve quel sogghigno con aria da sufficienza che avevo imparato a conoscere.

– Forse è più corretto dire che è lui a potersi permettere la mia presenza. –

Una vecchia conoscenza. Era ufficiale: Alexander Graham non aveva affatto dismesso i panni del leader del Dark Circus.


***

 

Dopo il lavoro, in qualche modo rinfrancata dalle parole del capo, che, in fin dei conti, sapeva avere qualche barlume d’umanità quando voleva, proprio come Selina mi aveva detto, decisi di fare una sorpresa a Trevor. Non andavo spesso a casa sua da quando avevo cominciato il mio lavoro, a causa della reperibilità. E poi, dovevo ammetterlo: la mia versione pigra preferiva crogiolarsi nella routine, in un certo senso, pertanto, trovavo più comodo raggiungere il lavoro senza dover fare scalo a casa per fare rifornimento. Dopotutto, forse Trevor non aveva tutti i torti sul fatto che lo stessi trascurando e quel senso di colpa che per qualche ora mi aveva dato tregua, stava ricominciando a farsi sentire. Riflettendo, strada facendo, sul modo più efficace per affrontare la conversazione, mi venne in mente che quando ero piccola, ogni tanto capitava di vedere i miei genitori discutere tra loro. Niente di trascendentale, dato che erano sempre andati abbastanza d’accordo, ma si sa, l’amore non è bello se non è litigarello. Avevo una mamma che non faceva passare nemmeno una mosca sotto al suo naso. E il mio papà, paciere per natura con lei, sapeva che il modo migliore per metter calma dopo un momento di tensione era portare alla mamma una Sacher Torte, la sua preferita. Quel dolce aveva la capacità di smorzare qualunque agitazione, riportando entrambi verso porti più tranquilli e, di rimando, viziare la loro unica figlia con della squisita torta al cioccolato.

Quel pensiero mi fece sorridere e optai per la stessa strategia, con la sola differenza che il dolce scelto non sarebbe stato la Sacher, ma una più abbordabile torta al limone, la preferita del mio fidanzato. Cercandola tra le tante esposte, mi cadde lo sguardo su una stupenda torta nuziale a cinque piani che tre addetti stavano confezionando. Una cascata di delicatissime rose di zucchero avvolgeva i piani bianchi con eleganza, mentre sulla cima, una coppia di sposi, nella migliore delle tradizioni, troneggiava benaugurante. Avevo sempre sognato il matrimonio, ma a tempo debito. Avevo di recente trovato lavoro dopo tanto studio e volevo prima consolidare la mia posizione. Questo, nella più rosea delle ipotesi, avrebbe richiesto almeno altri quattro o cinque anni. Per giunta, non avevo gran fretta, essendo ancora così giovane. Ma mentre guardavo quella coppia lassù, riproduzione di una coppia che nella vita era a un passo così dal suggellare l’inizio di una vita insieme, fui scossa da emozioni diverse. Da una parte, la tenerezza e il sogno di una ragazzina di indossare un abito bianco mentre il proprio principe azzurro la attendeva sul fondo della navata. Dall’altra, e fu ciò che mi fece bruscamente tornare alla realtà, fu l’immaginare un più giovane Graham, il volto di chi aveva visto il suo sogno di una famiglia distrutto, attendere all’altare una sposa che l’aveva tradito.

Mi affrettai ad acquistare la torta per Trevor e uscii quanto prima potevo dalla pasticceria, maledicendo me stessa e quei pensieri intrusivi che da qualche tempo si affacciavano alla mia mente nei momenti meno opportuni. Quando raggiunsi il condominio in cui abitava il mio ragazzo, però, quell’immagine era andata via. Dovevo concentrarmi sul da farsi e perciò, ripensai alle fossette sul viso di papà, quando il suo sorriso si apriva in una richiesta di bandiera bianca. Quando suonai il campanello del suo appartamento, erano almeno le 19:45. Trevor doveva esser tornato a casa da poco e sperai che non fosse sotto la doccia… almeno, avremmo avuto qualcosa di ulteriormente piacevole da fare insieme. Quando aprì, aveva un asciugamano in tela sulla testa e una vecchia tuta Adidas blu scuro che risaliva ai suoi tempi del college, con buona pace della mia idea, e con un’espressione stupita nei suoi occhi verdi. Almeno la sorpresa era riuscita.

– Kate? –

– Scusa! – esclamai, parando la confezione dorata nello spazio tra noi.

Trevor era perplesso, ma poi scoppiò a ridere. – Che hai combinato? – chiese, scostandosi per farmi entrare dopo aver preso la torta. Gli passai davanti, rincuorata dalla sua risata spontanea e dal suo tono giocoso, tanto più che mi vennero le lacrime agli occhi.

– Ne possiamo parlare con calma? Se poi posassi quella torta e mi abbracciassi prima che scoppi a piangere inondando il tuo pianerottolo, te ne sarei infinitamente grata. –

Scosse la testa con un mugugno divertito, prima di fare come gli avevo suggerito. E quando le sue braccia furono intorno alla mia vita e la mia guancia accomodata sul suo petto, così che potessi abbracciarlo con tutta la forza che avevo, mi sentii tremendamente felice… e anche sollevata dalle paranoie.

– La tua giornata è stata davvero dura, eh, amore mio? – mi domandò, cullandomi mentre ci accompagnavamo l’un l’altra sull’enorme e morbido divano a strisce bianche e bordeaux che dominava il suo soggiorno, per poi fiondarci e salutarci per bene con un lungo bacio. Incontrai i suoi occhi alla mia altezza, annuendo. Profumava di bagnoschiuma e shampoo appena fatto e mi inebriai di essi, mentre carezzavo i suoi capelli ancora umidi.

– So che ti trascuro… so di non essere la fidanzata più presente di questo mondo e questo mi fa sentire in colpa più di quanto immagini… ma ti amo, Trevor e voglio che tu sappia che sei nei miei pensieri sempre… – confessai, sentendo le guance accaldate.

Un sorriso dolcissimo attraversò il volto del mio ragazzo, che annuì.

– E io devo delle scuse a te. Stavo rileggendo i nostri messaggi prima e mi sono reso conto che i toni erano un po’ fraintendibili. Ero davvero molto impegnato, Kate, e mi dispiace di averti dato l’impressione di non voler pranzare con te… sono un po’ sotto pressione in questo periodo, ma se tutto va bene e il mio progetto viene approvato, potremo respirare. –

Il suo progetto… il software di riconoscimento a cui stava lavorando da mesi ormai. Quanto impegno ci metteva. Se fosse andato tutto a buon fine, avrebbe avuto l’opportunità di ottenere un posto di tutto rispetto nell’azienda di Home Security in cui lavorava. Annuii, speranzosa.

– Andrà tutto bene, ne son certa! Se c’è qualcosa che so è che non hai rivali quando si tratta di informatica! –

Trevor voltò gli occhi al cielo, poi mi baciò nuovamente. Risposi con un po’ troppa foga, ma ero entusiasta all’idea che potesse farcela. Poco alla volta, stavamo mettendo insieme dei tasselli importanti delle nostre vite lavorative.

– Mh… comunque, se tu sei qui, le rose che ho mandato a casa tua saranno in mano di Lucy a quest’ora, eh? –

Sgranai gli occhi stupita. Era il mio turno di ricevere sorprese, evidentemente. Scoppiai a ridere al pensiero di Lucy che si ritrovava davanti il fattorino con un mazzo di rose. In realtà non ci sarebbe stato nulla di divertente, ma l’atmosfera era così ilare, forse a causa della tensione che si scioglieva, che non potei farci nulla. Rimanemmo così, a chiacchierare con aria giocosa, intervallando il tutto con deliziose coccole, fino a che l’orologio non ci ricordò che era ora di cena.

– Che ne dici di rimanere qui stasera? C’è un dolce che attende ancora di essere aperto. – mi propose, aprendo il frigorifero pieno. Mi guardai intorno, pensando che la sua cucina fosse decisamente più ordinata della mia e il suo frigo non piangesse miseria come il nostro da quando Jace si era piazzato da noi. Acconsentii di buon grado, sedendomi al tavolo a due posti che occupava quel piccolo spazio, perfetto per una coppia. Trevor tirò fuori tutto l’occorrente per delle omelettes. Vivendo solo, spesso si arrangiava, ma dovevo ammettere che il suo cavallo di battaglia era irresistibile tanto quanto il vederlo all’opera. Attendendo che l’olio sfrigolasse, mi detti da fare anch’io, preparando un’insalatona.

– Cos’hai mangiato, poi? Spero non un panino al volo. –

Sorrisi, scuotendo la testa. – No, affatto. Hai presente Jenkins’ Villa Restaurant? –

– Quel ristorante da ricchi dalle parti del Dipartimento? –

Condii l’insalata mentre Trevor cuoceva le uova con maestria.

– Ci ho fatto un salto. A dire il vero è stato Graham a portarmici, visto che voleva parlarmi di un caso, e così… utile e dilettevole. – spiegai, sperando di non renderla sospetta.

Un cipiglio quasi impercettibile segnò per un secondo la fronte di Trevor.

– Quantomeno hai mangiato decentemente… –

Ne approfittai per apparecchiar tavola, sventolando un tovagliolo davanti al suo naso.

– Sì, però è un po’ troppo caro per i miei gusti… preferisco qualcosa di più tranquillo, in cui non lasciarci un rene. –

Spadellò le nostre omelettes, facendo spallucce. – Ti ha invitato e non ha offerto il pranzo? Lo facevo più cortese. –

Mentalmente, ripensai a quel suo prezzo di favore, ma considerando che non potevo parlare a Trevor dei trascorsi del mio capo, mi sedetti in attesa.

– A dire il vero l’ha fatto. Graham avrà tanti difetti, ma non è affatto quel tipo di persona… insomma, è arrogante e se ne frega delle regole, ma a me ci tiene… cioè, come collega, naturalmente! –

Mhh… – mugugnò, servendoci la cena. Prese posto di fronte a me, guardandomi di sottecchi.

– Finché mantiene le distanze e si limita alla professionalità, non ne dubito. –

Aggrottai le sopracciglia. – Che vuoi dire? –

– È soltanto che a volte mi dà l’impressione di tenerci in un modo che va oltre… e non sono geloso, mi fido di te, ma c’è qualcosa in quell’uomo che non capisco… –

Tra i piatti fumanti, osservai a fondo Trevor. Come potevo dargli torto? C’era tanto di Alexander Graham che non capivo nemmeno io… però una cosa era certa: se c’era qualcuno a cui lui teneva in un modo che andava oltre, non ero io, ma la sua ex moglie. Presi la mano di Trevor, cercando le parole giuste per rassicurarlo.

– Trevor Lynch, se il nostro fosse stato un grande amore, noi fossimo stati sposati e a causa di vicissitudini negative e circostanze drammatiche, ci fossimo lasciati, tu smetteresti di tenere a me? –

Sentì la presa della sua mano stringersi intorno alle mie dita. – Il nostro è un grande amore, non siamo ancora sposati, spero che la nostra sarà una lunga e felice vita insieme e no, non smetterei mai di tenere a te, Kate. –

– Trevor… – sussurrai, colpita sinceramente da quelle parole. – Io… –

Sorrise dolcemente, per poi baciarmi la mano. Al contatto delle sue labbra, la mia pelle mi sembrò caldissima. – Ti amo. Ma ora ceniamo, perché le omelettes fredde rovinano l’atmosfera. –

Ridacchiai a quel commento poetico, poi cenammo lasciando scivolarci addosso quei dubbi. Solo dopo la cena, accoccolati sul divano a guardare la TV e a spiluccare la deliziosa torta al limone, mi sovvenne, causa servizio tg, di dovergli parlare dell’operazione. L’anchorman presentava la settima edizione del Charity Meeting, che avrebbe avuto luogo proprio quel sabato presso il Four Seasons. Sarebbero intervenute personalità del jet set e dell’alta finanza di Boston. Trevor borbottò qualcosa sul quanto l’apparenza avrebbe fatto di quell’evento una vetrina, soprattutto considerando che l’apertura della sala casinò che sarebbe seguita altro non era se non una presa in giro. Denaro versato a favor di paparazzi e dell’azzardo. Cercai di essere quanto più asettica possibile nel comunicargli che avrei preso parte all’evento, tanto più che nel suo sincero shock mi preoccupai di come avrebbe potuto prendere il resto.

– Il procuratore Howell, per via del prestigio della famiglia, è stato invitato a partecipare insieme alla sua compagna, Selina. Dal momento che c’è carenza di personale e sono figure in vista, saremo di guardia. –

– Kate, tu sei una psicologa, non un agente operativo. Che senso ha? Che facciano affidamento su gente qualificata. –

Ok, non aveva torto. Cosa potevo inventarmi per non mandare all’aria la copertura?

– Missione segreta: stiamo indagando su un caso e credo che il colpevole possa trovarsi tra gli intervenuti… e prima che tu dica qualunque cosa, ho già accettato. Lo so, non sono un’agente operativa, ma è un modo per agire su campo. Inoltre, essendo un evento di risonanza, non correrò alcun rischio. –

Sospirò contrariato e la sua mascella si irrigidì. – Sabato… –

– Perché? C’è qualcos’altro? – chiesi, accarezzandogli la guancia scolpita.

– Presenterò il mio progetto. Sapere che tu sarai lontana e in mezzo a un’indagine non mi aiuta affatto a star tranquillo. –

Fermai il tocco lasciando scivolare la mano, pensando che questa coincidenza non ci sarebbe proprio voluta. – Mi dispiace, non credevo… –

Distolse lo sguardo. – Kate, è sempre questo il problema. Prendi decisioni senza consultarmi… capisco che per te sia importante, ma anche il mio lavoro lo è. Siamo una coppia, non mi sembra così difficile chiedere un parere prima, no? –

Aveva ragione e io ero affrettata nelle mie decisioni, ma non potevo davvero fare diversamente in quel momento. Mi riproposi di rimediare al danno chiedendo qualche giorno per noi, dopo l’operazione. Trevor lo meritava, visto che, a tutti gli effetti, mi stavo comportando da negligente.

– Prometto che ci penserò due volte prima di accettare, la prossima volta… ma ora ho bisogno di sapere che avrò il tuo appoggio… è importante per me… –

Per qualche secondo rimase a fissarmi, con un’espressione serissima sul volto. – E va bene. E se tutto va come spero vada, magari riusciremo a sistemare questa situazione una volta per tutte. –

Lo guardai perplessa. – Che vuoi dire? –

Il suo cruccio si ammorbidì, sollevando le sopracciglia. – Aspetta e vedrai. Ma ora, raccontami qualcosa in più. Ho davvero bisogno di affrontare tutto questo nel modo più sereno possibile… per quanto ci si possa aspettare da te, signorinella. –

Quando mi chiamava in quel modo, mi faceva sorridere. E così, ignara dei suoi progetti, ma sollevata all’idea di avere il suo supporto, gli raccontai ciò che doveva sapere.

 

 

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Capitolo 11
*** VI. prima parte ***


Buonasera lettori! Prima parte del VI capitolo che, come vedrete, è piuttosto lungo. Al termine della lettura, qualche spiegazione! :) 

 

 

 

VI ◊

 

 

 

 

 

Nel corso della mia vita avevo avuto modo di viaggiare almeno tre o quattro volte l’anno. Qualche uscita fuori porta con i compagni di scuola, viaggi dai nonni materni in Virginia o mete che credevo casuali (per magia di papà) sulla mappa degli USA per festeggiare l’anniversario di matrimonio dei miei genitori o i miei compleanni. Avevo alloggiato in albergo la maggior parte delle volte, ma mai nulla di particolarmente eclatante, dato che ciò che interessava era il posto da visitare. E nonostante vivessi a Boston da qualche anno ormai, e avessi imparato a conoscere quantomeno i nomi e la reputazione dei luoghi, mi resi conto che nulla mi avrebbe preparato al Four Seasons Hotel. A parte Google, certo. Ma Google non rendeva così tanto quanto il trovarsi, accompagnata da una limousine di proprietà del dottor Howell, davanti a tanto lusso. Vicino al Public Garden, il maggior giardino botanico di tutti gli States, rinomato anche per le passeggiate acquatiche sulle Swan Boats, suggestivo oltre ogni misura nell'eleganza delle enormi sale e l'efficienza dei servizi offerti.

Mi servì un colpetto da parte di Selina per rendermi conto che non stavo sognando.

– Capisco che tu sia sorpresa, Kate, ma non farti prendere dall’emozione. Siamo qui per lavoro. – mi redarguì.

Non che non lo sapessi, dato che avevo trascorso buona parte della notte insonne, con buona pace di Trevor, costretto a sorbirsi i miei rivoltamenti da ansia nel letto, ma in quel momento ero seriamente meravigliata da quanto quel posto sprizzasse ricchezza. Selina, al contrario di me, era perfettamente a suo agio e, a dirla tutta, altrettanto perfettamente incastonata nel quadro. Ero abituata a vederla impeccabile, ma stavolta, si era addirittura superata. E se in passato avevo pensato che somigliasse ad Anne Hathaway, adesso cominciavo a pensare che fossero gemelle separate alla nascita. Osservava con fare curioso negli occhi ambrati bordati di lunghissime ciglia nere le persone che continuavano ad affluire nella hall. Pensai che stesse cercando qualcuno in particolare, perché ogni tanto, fissava lo sguardo sulla gente di passaggio. Quando il dottor Howell tornò dopo aver sbrigato le formalità in reception, ebbi conferma, dato che ci comunicò di aver già intravisto alcuni colleghi del padre, che ricordavo essere uno psichiatra, così come il già noto rettore Chambers.

Fu così che prendemmo un primo congedo in attesa dell’inizio del meeting. Dei facchini in livrea ci accompagnarono nelle stanze prenotate in precedenza dal detective Graham. Selina ridacchiò al pensiero che se la suite riservata non fosse stata quella che pensava, avrebbe costretto il capo ad offrirle il pranzo per un mese in un tre stelle Michelin a sua scelta. Il dottor Howell che, diversamente dalla compagna, tradiva un certo nervosismo, si limitò a dire che ciò che contava era Graham non desse spettacolo. A volte mi chiedevo se l’opinione che aveva di lui non fosse fin troppo influenzata dagli eventi del passato. E quel passato sembrava aleggiare su di noi, stampato su degli inviti che avevano fin troppo di intenzionale. Chiunque si nascondesse dietro quell’Ad maiora semper di certo ci stava aspettando.

Quando finalmente arrivai davanti alla porta della mia stanza, che, ironicamente, era una comune stanza, per quanto comune fosse comunque inappropriato, dato il luogo in cui ci trovavamo, tuttavia, il facchino si limitò a bussare.

– Mi scusi, deve esserci un errore. Ho una prenotazione. – feci notare.

L’uomo si limitò a un cenno. – Nessun errore, signorina. Questa è la stanza prenotata. –

Compresi il motivo della sua sicurezza quando ad aprirci fu un ultra-inedito Alexander Graham in completo dal taglio sartoriale classico, blu di Prussia, cravatta ancora allentata di un tono più acceso e camicia bianchissima. A corredo, i suoi folti capelli ribelli erano ordinati in un perfetto taglio con frangia laterale che incorniciava perfettamente il suo volto per nulla sorpreso, a differenza del mio.

– Sei in ritardo. – mi accolse, congedando il facchino con una mancia e scostandosi per farmi entrare.

Mi ci volle qualche istante per rendermi conto che quell’uomo che avevo davanti, impeccabile tanto quanto la nostra royal couple, come Jace definiva il dottor Howell e Selina, era il mio capo.

– Vuoi rimanere lì a fissarmi per tutto il tempo? – domandò.

Mi affrettai a distogliere lo sguardo e ad entrare, attendendo che richiudesse la porta dietro di noi. La stanza era la Deluxe City-View, in stile moderno, senza fronzoli, ma di classe nella sua essenzialità. Proprio come lui.

– Questa me la spiega. Prima che trovi da ridire, abbiamo almeno mezz’ora prima del meeting. – dissi, sperando di risultare sufficientemente risoluta. Dividere la stanza andava contro ogni etica, senza contare il fatto che mi metteva a disagio anche solo pensare che Trevor potesse sapere una cosa del genere, né riuscivo a capire che diavolo avesse in mente.

Graham fece spallucce, oltrepassandomi per posizionarsi davanti allo specchio e riprendendo a sistemare la cravatta. – Peccato. Pensavo volessi approfittarne. Questa stanza è perfetta per sperimentare qualcosa di diverso dal solito. Considerando i diversi punti d'appoggio, il risultato può essere davvero... immersivo. – spiegò, continuando a darmi le spalle.

Le sue parole mi fecero avvampare. Avevo capito bene? Gli aveva dato di volta il cervello quando aveva cambiato pettinatura e mise? Considerando che l'ultima esperienza immersiva aveva visto protagonisti me, Trevor e una Jacuzzi con idromassaggio, mi ritrovai a sudare freddo al pensiero del sostituire un termine nell'equazione.

– Sta scherzando, spero!! Per chi diavolo mi ha preso?! – sbraitai imbarazzata.

Finì di tirar su il nodo della cravatta, poi si voltò a guardarmi, inarcando un sopracciglio. Dovevo ammettere che, nonostante la gran faccia tosta, l’indole da stronzo e la propensione a scioccarmi, era dannatamente un bell’uomo. E quella considerazione, sommata al mio senso di colpa, mi faceva sentire tremendamente a disagio. Decisi di non stare al suo gioco e gettai la mia borsa sulla cassettiera. Ne tirai fuori un tubino classico al ginocchio di un sobrio beige, stretto da cintura in vita e dopo aver scoccato al mio capo un’occhiataccia, andai a cambiarmi in bagno, avendo cura di chiudere a chiave. Tsk. Mai nella vita! Io ho Trevor!, continuavo a ripetermi, nel cambiarmi. Tirai su i capelli in un’alta coda ordinata, poi uscii per prendere le décolleté nere con plateau che avevo da parte.

Intanto, Graham si era spostato e, seduto sul grande letto candido sormontato da una parete con un motivo floreale in oro, sistemava un auricolare, con il suo laptop davanti.

– Che sta facendo? –

– Provo un aggeggio che mi ha dato Jace. Sto cercando di equalizzare i livelli dell’audio, ma non riesco ancora a trovare quello giusto senza evitare di diventare sordo per il ritorno. Immersivo un accidente. E la chiamano tecnologia. Dal mio punto di vista è solo una gran seccatura, ma lui ha insistito. – mi spiegò, alzandosi e spostandosi in diversi punti della stanza, facendo al tempo stesso, delle prove vocali.

La consapevolezza di ciò che aveva inteso con le parole di poco prima mi colpì all’improvviso, non meno intensamente dell’aver realizzato di aver creduto che avesse intenzione di approfittare della situazione. Ecco il potere di Graham. Farti sentire un’idiota con lo sguardo.

– L’altro giorno sentivo Jace parlare di una distanza non inferiore a due metri e mezzo dal punto d’appoggio principale… non ho capito cosa intendesse, ma magari era per quello… – dissi, ostentando nonchalance mentre raccoglievo le mie scarpe.

Si guardò intorno e si spostò in fondo alla stanza, poi ripetè la prova, ottenendo effetto positivo. Poi tolse tutto e rimise ogni cosa a posto, riponendo nel suo piccolo trolley l’apparecchiatura. Passò poi a sistemare la manica della sua giacca e si dette un'ultima occhiata allo specchio.

– Non la facevo così vanitoso. – commentai, di sottecchi.

Si limitò a un sorrisetto, poi finalmente mi raggiunse e si fermò davanti a me. Nonostante i miei tacchi, era comunque decisamente più alto di me.

– C-Che c’è? – domandai, nel sentire il suo sguardo da detective addosso. Sospirò, poi mi mise le mani sulle spalle. Un contatto del genere non era affatto da lui, tanto che mi venne istintivo sobbalzare. Se ne rese conto, ma non mi lasciò andare.

– Ascolta. So che tutto questo ti sembra strano. E lo capisco, perché lo sembrerebbe anche a me se fossi al tuo posto. Anzi no, pensandoci, a me divertirebbe. Comunque sia… Tu non avevi un invito, ciononostante sei una di noi, motivo per cui ho ritenuto opportuno che non rimanessi sola. E dato che Selina e Marcus, così come Elizabeth e Maximilian hanno una prenotazione doppia, ho immaginato che non avessi molta voglia di fare da terzo incomodo. –

Battei le palpebre qualche volta, pensando che dovesse essere un marchio di fabbrica il pensare sempre al posto degli altri. Per qualche ragione, tutto questo mi fece venire in mente che Trevor mi rimproverava lo stesso comportamento. Sbuffai. La frittata ormai era fatta.

– In ogni caso… – continuò, prendendo l’IPhone dalla tasca interna della giacca e mostrandomi la lista degli invitati con annesse foto (ultimo remind, dato che già avevamo avuto giorni interi per studiare il tutto) – … tieni d’occhio il rettore Chambers. L’ho incrociato prima nella hall e mi è sembrato un po’ troppo stupito di vedermi qui. Oltretutto, promettimi che non prenderai iniziative e sarai sempre dove posso vederti. –

– È un modo gentile per dirmi che non potrò usare la toilet se dovessi averne bisogno? –

La mia domanda sembrò sorprenderlo sinceramente, ma non servì ad allentare la tensione che sentivo.

– Non sto scherzando. Chiunque abbia inviato quei biglietti deve essere qui in questo momento. E tempo fa ho promesso al signor Lynch che ti avrei protetto. –

Il rossore sulle mie guance aumentò e sentii un’improvvisa stretta al cuore. Deglutii, avvertendo la bocca secca. E i suoi occhi… dovetti distogliere nuovamente i miei.

– N-Non… non sono una sprovveduta, o non avrebbe accettato che prendessi parte a questa operazione… –

– Lo so. Ed è per questo che ti chiedo di esser ragionevole e fare attenzione, va bene? –

– Va bene… – acconsentii, senza riuscire a guardarlo.

Solo allora Graham mi lasciò andare, poi si fece indietro di qualche passo e fu allora che permisi a me stessa di respirare di nuovo.

Abbottonò la giacca, che ne mise in risalto tutta la sua figura, poi si allontanò verso la porta.

– Mi dà ancora qualche minuto? Devo finire di sistemarmi. –

Sollevò la mano a mezz’aria. – Non più di cinque, Katherine. –

– Solo cinque? – domandai, affrettandomi a prendere la pochette nera dalla borsa. Poi notai che mi aveva appena chiamata col mio nome. – Mi ha chiamato per nome? –

Si voltò e sorrise, stavolta. – Credo di aver scordato di dirti che per oggi sarai la mia compagna. Per cui, sei autorizzata a chiamarmi per nome anche tu. –

La pochette mi cadde di mano, finendo dritta sulla moquette stringata. – Adesso sta scherzando, vero? Prima i doppi sensi, ora questo… lei ha bisogno di uno psichiatra. Lo sa, no? –

Quel commento, stranamente, lo fece ridere. Era la prima volta che, in tutto quel tempo, lo sentivo ridere divertito. – Mi accontento della mia terapeuta, che non devo pagare di tasca mia, grazie. –

Arrossii di nuovo, odiandolo per la spocchia, e mi chinai a raccogliere le mie cose.

– Dico davvero! Lei non può farmi questo, detective Graham! –

– Alexander. – mi corresse.

– Non ce la faccio a chiamarla per nome! – protestai.

Incurante del mio disagio, cavalcò l’onda. – Che strano, ti viene difficile chiamarmi per nome, ma non il pensare che faremo coppia. Ah, per la cronaca, non avevo in mente alcun doppio senso prima. Sei tu che hai pensato male. –

Avvampai, colpita e affondata. Ma non avevo intenzione di dargliela vinta. Mollai la pochette e lo raggiunsi. – Sa cosa penso? Penso che lei giochi col fuoco! E penso anche che in fondo, questa situazione la diverta, detective Gr--

– Alexander. – puntualizzò, senza scomporsi di un millimetro.

Alzai gli occhi al cielo, esasperata. – Alexander! Sei contento ora?! – esclamai. Un secondo, in cui lo vidi rompere la compostezza, e mi resi conto che l’avevo chiamato per nome e gli avevo dato del tu. – Oddio… s-scusi… –

Il suo sguardo si fece più rilassato, poi annuì. – Consideralo un effetto collaterale, ok? Da domani potrai tornare a chiamarmi come credi, se ti può servire a rimanere concentrata. –

Assentii, poi mi comunicò che mi avrebbe atteso per altri cinque minuti fuori dalla stanza e andò via. Ebbi bisogno di almeno metà del tempo per ritornare in me.

– Alexander… – sussurrai tra me e me, riflettendo sul suono di quel nome pronunciato direttamente. Che diavolo sto facendo?

 

***

 

Quando lo raggiunsi, dopo aver ritrovato un minimo di autocontrollo per un messaggio speranzoso di Trevor prima di spegnere il mio smartphone, Graham stava chiacchierando con il detective Wheeler e con Elizabeth. E se Wheeler non si discostava particolarmente dalla sua solita tenuta formale, Elizabeth era davvero stupenda. Anche lei, come me, aveva acconciato i capelli, ma essendo più corti, aveva optato per uno chignon. Addosso, un tubino blu Tiffany che avrebbe potuto tranquillamente essere di completamento con la cravatta di Graham. Vederli insieme in qualche modo mi aiutò a superare l’imbarazzo di quanto accaduto in precedenza, perché sapevo fin troppo bene quanto il mio capo tenesse ancora alla sua ex moglie. E pensai anche che dovesse essere una sofferenza per lui vederla mano nella mano con un altro uomo. Quando mi videro, sia Elizabeth che Wheeler non nascosero la sorpresa.

– Sei impazzito, Alexander? Coinvolgere lei! E Marcus ha accettato? – protestò il detective. Elizabeth mi guardò con aria preoccupata, ma quando raggiunsi Graham, fui io stessa a rispondere.

– Ho chiesto io di farne parte. E sì, il dottor Howell ha accettato, perché mi ritiene una persona competente abbastanza da partecipare. Detto questo, felice anch’io di vederla, detective Wheeler. Signora Dekker. –

Wheeler mise una mano in faccia, mentre Elizabeth sospirò. – Dottoressa Hastings. –

– Kate. Mi chiami Kate… o Katherine, visto che oggi siamo tutti sulla stessa barca. – punzecchiai, lanciando un’occhiata a Graham. Il passaggio non sfuggì alla donna, che comprese al volo.

– Cerca almeno di non metterla nei guai. – intimò al suo ex marito, prima di rivolgersi nuovamente a me. – Date le circostanze, immagino che una ex moglie e una nuova compagna nella stessa stanza siano abbastanza per dare chiacchiere in pasto ai curiosi… credo che sia meglio non attirare l’attenzione più del dovuto. Ad ogni modo, sappi che sono sorpresa dal tuo coraggio, cara Kate. –

Le sue parole mi sorpresero. – Mi lusinga, davvero… –

– Va bene. Appurato che nutrite stima e ammirazione reciproca, torniamo a noi. Tutto come concordato, si comincia ora. Andiamo. – tagliò corto Graham, prendendomi per mano. A quel contatto dovetti fare un enorme sforzo per non girarmi verso Elizabeth e così, mentre ci allontanavamo precedendoli, la prima parte dell'operazione ebbe inizio.

 

***

 

La sala che ospitava il Charity Meeting accoglieva circa un centinaio di persone. Facoltosi membri del jet set, volti noti del cinema e della TV, professionisti, tutti accomunati dalla filantropia. Secondo Trevor si trattava di scena, ma per essere la prima volta che prendevo parte a un evento del genere, non potevo non notare che le donazioni erano certamente più che reali. Prestai attenzione agli interventi in programma. Molti di essi riguardavano denunce sociali e la presentazione di progetti a favore degli indigenti, sebbene mi venisse difficile immaginare gente del genere recarsi in prima persona nei sobborghi o nelle case famiglia, se non a favor di telecamere. Ogni tanto osservavo anche i miei colleghi. Selina ed Elizabeth, i cui posti erano vicini, si ritrovavano spesso a chiacchierare sottovoce, mentre sia il detective Wheeler che il dottor Howell tendevano a tener d’occhio il tutto con discrezione. Ad occhio inesperto, nessuno avrebbe mai potuto sospettare il vero motivo della loro presenza in quel luogo. Anche il detective Graham, che era seduto accanto a me, sembrava genuinamente interessato all’evento. A volte dava un’occhiata al programma, altre chiacchierava con il vicino, un tale Fabian Giles, AD di una multinazionale manifatturiera, prima scherzando all’idea che la cifra incassata dall’inaugurazione della sala casinò sarebbe stata maggiore rispetto alle donazioni, poi chiedendo delle curiosità, alle orecchie di Giles innocue, sugli illustri intervenuti.

Del canto mio, notavo che il rettore Chambers, presente in rappresentanza di Harvard assieme a degli studenti che avevano relazionato su un progetto di recupero delle aree verdi a favore dei bambini in periferia, tendeva a guardare spesso il suo orologio. Graham mi aveva anticipato dell’apparenza nervosa e in effetti, sembrava palesemente a disagio. Difatti, a conclusione del meeting, qualche ora più tardi, riuscimmo ad avvicinarlo durante il ricco brunch cui prendemmo parte, non prima di aver scorto l’uomo chiacchierare con una hostess bionda tra quelle che gestivano gli ingressi.

Lo feci presente al capitano Graham, che mi aspettava con un flute di champagne in mano.

– Non mi dica che ora beve anche. – mormorai, puntando quel lungo bicchiere mezzo pieno.

Lui mi rivolse un sorrisetto. – Solo roba di prima qualità, mia cara. –

Percepii il rossore inondare le mie guance con la stessa urgenza del volerlo prendere a pugni per quel tono suadente. Sapevo che dovevamo fingere, ma le allusioni ai suoi discutibili gusti e l’idea che mi trattasse da fidanzata erano davvero snervanti. Del canto suo, il mio capo, a sua discolpa estremamente professionale, fu magistrale nel portare avanti la finzione anche per me, ma non mi sfuggiva come ogni tanto il suo sguardo vagasse più lontano, raggiungendo una Elizabeth lontana.

– Rettore Chambers. Che ne dice di farmi compagnia con dello champagne? È un Brut Armand de Brignac Gold straordinario. – esordì, quando il Rettore si trovò a passare dalle nostre parti.

Dovevo ammettere che l’idea che avevo di Hector Chambers era quella di un uomo rigido e schiacciato dal peso degli eventi. Non doveva avere ancora sessant’anni, ed era distinto e serio come il suo ruolo, d’altronde, imponeva. Guardò Graham dopo aver risistemato gli occhiali da vista, poi fece un cenno con la testa.

– Spiacente di dover declinare, ispettore. Oltre all'aver rischiato un infarto, di recente, ho scoperto di soffrire di gastrite e mi è stato tassativamente vietato di bere alcolici. – spiegò, mentre il capo, alle sue parole, posò il calice su un vassoio di passaggio.

– Fa bene. La salute prima di tutto. –

Senti da che pulpito viene la predica. Detti un colpetto di tosse che richiamò lo sguardo incuriosito del Rettore su di me. Presi sottobraccio Graham, sorridendo al nostro interlocutore e cercai di impegnarmi al massimo per sembrare sicura.

– … Alexander dovrebbe curare di più la sua… vero, mio caro? – feci eco, rivolgendo uno sguardo al mio capo, che ricambiò il sorriso con un candore che mi provocò il batticuore.

– Hai ragione. – rispose, per poi rivolgersi al Rettore. – Me lo dice sempre, ma ci sono certi piaceri che sono difficili da rifiutare. –

Le sue parole volontariamente equivoche sembrarono smuovere qualcosa nel nostro interlocutore, sulla cui tempia comparve un rivoletto di sudore. Aveva decisamente qualcosa da nascondere. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto ricamato e tamponò il rivolo.

– Tutto bene? – domandai.

– Più o meno. Temo di aver bisogno di una boccata d’aria. – rispose, facendo un cenno di scuse per allontanarsi.

– Ah, Rettore. – incalzò Graham, mentre Chambers girava i tacchi. Era davvero impaziente di andar via. E sì, stava nascondendo qualcosa con una tale incapacità da essere ai limiti del ridicolo. Non c’era certo bisogno di una laurea in Psicologia per rendersi conto che, nella più plausibile delle ipotesi, avesse un’amante. Quando alzò lo sguardo, il capo sorrise nuovamente. Non era il suo sorriso di cortesia, quello che aveva sfoggiato ogni tanto durante il meeting. Era il sogghigno di quando sapeva di avere in pugno qualcuno. Sperai che non desse spettacolo, e, comprendendo le parole del dottor Howell, mi ritrovai a stringergli con più forza il braccio. Se ne accorse, ma fece finta di nulla.

– Sì? –

Graham attese qualche interminabile istante prima di dargli risposta. Si stava divertendo.

– Nulla. Pensavo solo che non vedo l’ora di sfidarla a poker, stasera. So che lei non rifiuta mai un invito del genere. –

E rieccolo, ad annunciare trionfalmente la sua intenzione di dare spettacolo. Alzai lo sguardo per incontrarlo. Alexander Graham era sicuro di sé e quella determinazione era palpabile tanto quanto lo era lo stupore del Rettore in quel momento. Eppure, per qualche ragione, servì a far riprendere quell’uomo, che accettò, prima di allontanarsi nel mucchio. Non appena scomparve dalla nostra vista, lasciai la presa, guardando di sottecchi Graham.

– Lo sa che la ludopatia è una patologia riconosciuta dal DSM-V, vero? –

– E tu sai che non ho mai perso una partita a poker in vita mia? –

Sospirai. – Piuttosto, credo che il Rett--

Fui interrotta dal suo braccio, stavolta, che senza troppi problemi scese a cingermi la vita. Senza che me ne rendessi conto, il mio corpo si tese al contatto, soprattutto quando sentii che mi stava avvicinando a sé. Con la mano libera mi prese il viso e mi ritrovai a guardarlo, preda di una sensazione assolutamente inaspettata. Confusione, batticuore, tensione. I suoi occhi erano così concentrati che mi ritrovai a chiudere i miei istintivamente. Sentivo il fiato corto, così come la pressione del palmo della sua mano sulla mia guancia. Quando sentii la sua voce all’orecchio, sussurrante, dovetti fare un enorme sforzo per comprendere cosa stesse dicendo, perché tutto intorno, l’eco della mia reazione aveva cancellato il resto.

– Va’ in camera e aspettami lì. –

Deglutii, completamente disconnessa. – Eh? – fu il solo suono che riuscii ad articolare.

– Hastings, va’ in camera. Ora! – sibilò.

Il suo tono imperativo e allarmato fu la doccia fredda di cui avevo bisogno. Riaprii immediatamente gli occhi e mi scostai da lui.

– Perché? – chiesi, nel vedere il suo volto, improvvisamente sconvolto. Avevo sbagliato qualcosa? Capivo di aver reagito come una deficiente, ma non credevo fino al punto da liquidarmi in quel modo.

– Vai, ho detto! – ordinò a voce bassa, senza troppo ritegno, per poi spingermi senza troppa grazia verso la porta e facendosi strada tra i presenti. Non riuscivo a capirlo. Cercai tra quella gente il volto dei miei colleghi, ma non vedevo nessuno. Quindi era da escludere che si trattasse di Elizabeth o degli altri, ma anche fosse, sapevano che eravamo sotto copertura. Un moto di lacrime e di vergogna mi sopraffece. Cercai di ricacciare indietro almeno il primo e mi morsi le labbra, prima di lasciare la sala e i suoi ospiti, ma soprattutto, quel grande stronzo.

Mi affrettai ad allontanarmi. Cominciai a pentirmi di aver accettato di prender parte a quell'operazione, anche perché, nell’arco di poche ore, stava tirando fuori aspetti e sensazioni che non avevo fatto altro che rifuggire, perché odiavo l’effetto che Graham mi faceva, dal primo momento in cui l’avevo incontrato. Odiavo il sentirmi vulnerabile. Odiavo il fatto che fosse assolutamente sbagliato che permettessi a me stessa di dargli potere.

Non riuscii nemmeno a imboccare il corridoio giusto e mi ritrovai a singhiozzare in uno dei pochi angoli solitari vicino all’entrata ancora sigillata della sala casinò. Appoggiai la schiena al muro, lasciandomi scivolare per sedermi. Tutto intorno, in quel via vai di volti, c’era silenzio, motivo per cui cercai di soffocare i singhiozzi con la mano pressata sulla bocca. Quanto avrei voluto che ci fosse Lucy. Quante volte avevamo pianto insieme, abbracciate in un plaid, con tisane calde e film da manuale. Ero figlia unica, per questo non potevo capire a pieno il legame che univa due sorelle, ma per me Lucy lo era, nel bene e nel male. E Trevor… Dio mio, che vergogna…

– Signora, tutto bene? – una voce maschile preoccupata mi fece sobbalzare. Mi affrettai a cercare di darmi contegno, prima di alzare lo sguardo e incrociare quello di un addetto alla sicurezza.

– S-Sì… sono solo… ecco… –

– … Un po’ confusa. – rispose per me un’altra voce, quella di un uomo che, a giudicare dall’abbigliamento ricercato, doveva essere un altro dei pezzi grossi intervenuti al meeting. Perfetto, la mia sequela di figuracce continuava.

L’addetto alla sicurezza si fece indietro al cenno del nuovo arrivato, che mi tese la mano. Portava un Rolex al polso, particolare che mi colpì. Accettai il suo aiuto e in un attimo mi ritrovai di nuovo in piedi, davanti all’uomo dalla barba curata che mi guardava con curiosi occhi scuri.

– Signor Bradley. – salutò il primo.

Quest’ultimo sorrise cordiale. – Può andare, riaccompagno io la signora. Se me lo permette, certo. –

Abbassai lo sguardo. Portava scarpe nere perfettamente lustrate. Sospirai, poi tornai a guardarlo.

– Posso andare da sola, la ringrazio. Mi spiace aver dato spettacolo. – dissi, sfilando la mano dalla sua. Alla fine, ero io quella che aveva messo in atto le paure del dottor Howell. Il signor Bradley portò la mano sul petto, poi tirò fuori dal taschino interno della sua giacca nera un fazzoletto che mi porse, con le iniziali ricamate.

– La prego almeno di accettare questo. Mi sentirei a disagio nel lasciarla andare senza aver almeno potuto cercare di rimediare in qualche modo. –

Sussultai. – N-Non è colpa sua… –

Fece spallucce. – Piange davanti alla mia sala dei giochi, un luogo pensato per far divertire. Il minimo che possa fare è cercare di fare ammenda. –

Sgranai gli occhi, voltandomi verso la grande porta in vetro con voluttuosi intrecci intagliati.

– Oddio… – sussurrai, tornando a guardarlo.

– Aaron Bradley. – si presentò.

– Katherine. Katherine Hastings. – risposi.

Aaron Bradley mi sorrise. – Spero di vederla stasera. Si consideri mia ospite d’onore, signorina Hastings. –

Annuii appena, consapevole che tutto desideravo, tranne che di divertirmi in una sala casinò, ma avevamo un’indagine da portare avanti e questa prevedeva anche di infiltrarci tra gli ospiti. Così, raccolto il fazzoletto, presi congedo da entrambi, tornando verso la mia stanza, in attesa di Graham.

A giudicare dall’ora, Trevor doveva aver già discusso il suo progetto e non poterlo contattare mi sembrò tremendamente ingiusto. Ma d’altro canto, cos’avrei potuto dirgli, se mi avesse chiesto come stava andando il tutto? Avrei dovuto rispondergli che il mio capo probabilmente era bipolare, passando in un attimo da dottor Jekyll a Mr. Hyde e che mi aveva rispedita in camera ad aspettare a tempo indeterminato per qualche ignota ragione. Avrei dovuto aggiungere che nell’arco di poche ore la voglia di mollare tutto era pari alla rabbia impotente che provavo perché non riuscivo a controllare le mie reazioni in presenza di quell’uomo. Continuavo a ripetermi che amavo Trevor e che, probabilmente, non stavo facendo altro che condizionarmi, perché Graham non era il tipo di persona che avrei voluto al mio fianco. Eppure, ogni volta che pensavo che così dovesse essere, il ricordo della prima volta in cui l’avevo visto, pochi giorni prima di Natale, così come il ricordo di lui che attendeva, impassibile, il mio arrivo nel Dipartimento per il mio primo giorno di lavoro, erano lì. Non ricordo di averti voluta in Dipartimento per farmi da strizzacervelli personale, mi aveva detto dopo avermi riaccompagnato a casa, la notte in cui avevamo trovato il cadavere di Alicia Bernstein. In quella stessa occasione, si era aperto con me e avevo realizzato che nonostante i suoi modi e il suo passato, c’era del buono in lui. E mi rendevo conto di aver voglia di saperne di più, sebbene sapessi che non sarebbe stato facile affrontare le conseguenze. Guardai il suo trolley, appoggiato ordinatamente in un angolo della stanza, e ripensai ai fraintendimenti. Il problema, ciò che mi mandava più in confusione, era il fatto che non riuscivo a farmelo passare come indifferente, sebbene sapessi fin troppo bene che in ogni caso, non aveva né avrebbe mai avuto occhi per qualcun’altra che non fosse la sua ex moglie. E poi, considerando che ciò che per lui contava era catturare l’assassino della sua bambina, mi risultava assolutamente impossibile anche solo pensare che avrebbe potuto desiderare un’altra relazione. Avrebbe richiesto energie che, ne ero certa, non era interessato a spendere. E io, in tutto questo, che ruolo avevo? Per Jace avrei potuto fargli bene, ma a che prezzo? Perdere Trevor per un uomo che poteva mandarmi in confusione quanto volessi, ma che non era in alcun modo interessato alla sottoscritta se non professionalmente? Mi esercitai a razionalizzare la situazione, pensando che era questo che ero: una collega. Anzi, una sottoposta. Alla fine, lui era stato il primo a tornare al cognome, poco prima, segno che nemmeno per lui era facile vedere Katherine oltre che Hastings. Eppure, il modo in cui aveva pronunciato il mio nome mi aveva colpito. Seduta a rimuginare su una delle eleganti poltroncine ocra che davano sulle ampie finestre illuminate dalla luce del pomeriggio, non mi resi conto che era rientrato.

– Hastings, dannazione! Mi senti? – domandò con urgenza, forse per la seconda volta, dato che non aveva avuto risposta. Non avevo il coraggio di guardarlo, così rimasi a guardare il panorama annebbiato. Solo quando sentii la sua mano sulla mia spalla, mi scansai e lui mi costrinse a voltarmi verso di lui. Non so cosa vide, ma sgranò sinceramente quegli occhi blu che tanto mi intrigavano e si chinò di fronte a me.

– Cos’è successo? Perché piangi? – domandò, preoccupato.

Realizzai cosa stessi facendo e distolsi lo sguardo.

– Io non… non ce la faccio. Ho sbagliato ad accettare… ho sbagliato tutto… e la cosa peggiore è che non riesco a fare a meno di pensare che sia solo colpa mia… –

Lo vidi esitare, poi mi sollevò il viso con l’indice, costringendomi a guardarlo. Il suo volto era sfocato, tra le mie lacrime. Ma la sua espressione era inequivocabile.

– Ascolta. Non ho idea di cosa tu stia parlando, ma tu non hai alcuna colpa. Se qui c’è qualcuno da biasimare, quello sono io. – esitò prima di continuare, poi sospirò. – Potessi farti rientrare ora, lo farei, ma questo manderebbe a monte la copertura, al momento. Ti chiedo solo di avere ancora qualche ora di pazienza, Hastings. –

Il mio cuore mancò un battito in risposta al tono con cui pronunciò il mio cognome.

– Scusami. Dannazione, che idiota. – borbottò. – Prima ti ho mandata qui perché mi è sembrato di vedere… un volto conosciuto. E forse sono anch’io un po’ sotto pressione, perché non avrebbe avuto alcun senso. –

Aggrottai le sopracciglia, perplessa. – Un volto? Mi ha mandata via in quel modo perché ha visto un volto inaspettato? Si rende conto che questo non è normale? –

Un fremito, poi annuì. – Lo so. Lo so bene. Ho agito d’istinto, pensando che fosse la soluzione più sicura per te. –

Scossi la testa, ancora più confusa. – Ma che diavolo sta dicendo?! –

– Richard Kenner. Ho avuto l’impressione di vedere Richard Kenner. Ma sono più che sicuro che sia morto dieci anni fa. –

Sgranai gli occhi, senza sapere cosa rispondere. Avevo letto il fascicolo e in seguito all’incidente, l’auto di Graham che Kenner guidava era esplosa, carbonizzandolo.

– C-Crede che possa aver finto la sua morte? Potrebbe essere possibile? –

Stavolta toccò a lui scuotere la testa. – No. Dall’analisi delle arcate dentali, emerse che i resti appartenevano senza ombra di dubbio a Richard. E sono abbastanza razionale da non credere ai fantasmi. Probabilmente mi sono lasciato suggestionare dal messaggio sull’invito. –

– Detective Graham… –

Mi guardò e fece per dire qualcosa, ma fu interrotto da una chiamata.

– Selina. – esordì, mettendola in viva voce.

« Kate è con te, Lex? »

Mi lanciò un’occhiata. – Sì, è tutto a posto. Hai qualcosa da dirmi? –

« Maximilian ha controllato le firme dei presenti, che corrispondono alla lista già verificata con le identificazioni in nostro possesso. Hai visto anche tu, con i controlli incrociati sull’invito, non potevano esserci altre persone imbucate illegalmente. E poi, se fosse stato Richard di certo l’avremmo visto anche noi. »

Graham portò le dita alla tempia. – Va bene. Però non abbassate la guardia. Abbiamo solo stasera per scoprire chi ci ha mandato quel messaggio. –

« Ci mancherebbe. Passami Kate, ora. »

Presi il suo IPhone non appena me lo porse. – Sono qui. –

Il tono teso di Selina cambiò in favore di uno più rilassato. « Grazie al cielo. Ti ho visto correre via, ma non sono riuscita a raggiungerti in tempo. Come stai, Kate? »

Mi venne di nuovo da piangere, ma non volevo più farlo davanti a Graham. Selina era diventata una confidente preziosa nei miei problemi con Graham, dato che lo conosceva da così tanti anni. – Sono solo un po’ stanca. Partecipare a una missione del genere richiede più energie di quanto mi aspettassi… –

« Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene. E, se ti può far sentire meglio, sei personalmente autorizzata da Marcus a prendere a pugni Alexander. »

Due borbottii maschili di sottofondo da ambo i lati della chiamata e quelle parole mi dettero un po’ di positività. – Grazie. –

« Ci vediamo più tardi al casinò. Ah, mi son permessa di farti portare qualcosa, visto che sarebbe stato un crimine non razziare il buffet. »

Battei le palpebre, stupita, quando sentimmo entrambi bussare. Graham si alzò e andò ad aprire. Lo sentii scambiare qualche parola con un cameriere, poi richiuse la porta e lo vidi tornare spingendo un carrellino con diverse delizie che avevo giusto guardato senza toccare e una rosa rossa a corredo. Sorrisi.

– Grazie, dottoressa Clair. –

Sentii che sorrideva. « Bon apetit. » disse e chiuse la chiamata.

Graham si fermò davanti a me, posando alcuni piatti sul tavolino rotondo in mezzo alle due poltroncine.

– Lei ha mangiato? – chiesi, prendendo la rosa che spiccava sul bianco della tovaglia di lino con ricamate le iniziali dell’hotel.

– Non ho avuto tempo. – rispose.

Annusai la rosa, mentre Graham raccolse il biglietto che l’accompagnava.

– Selina? –

Aggrottò le sopracciglia, poi me lo porse. – Hai fatto nuove conoscenze? – mi domandò.

Presi il biglietto, su cui spiccava un’elegante grafia e lessi. – “Si dice che se una donna versa lacrime o è per una grande sofferenza o è per una grande gioia. Personalmente, mi auguro che le prossime lacrime che vedrò versare siano per la seconda ipotesi. Mi piacerebbe vederla sorridere. A.B.”. –

Stavolta era il suo turno di essere perplesso. Si sedette di fronte a me, in attesa. – A.B.? –

– Aaron Bradley. Il direttore della sala casinò. O ideatore, non so… mi ha aiutato prima… –

– Perché stavi piangendo? – domandò.

Rigirai il biglietto tra le dita, poi guardai la rosa. – Non è importante… –

– Hastings, io… –

Lo interruppi prima che potesse dire qualcosa. Non avevo voglia di parlare d’altro, così posai il tutto e gli porsi un piatto allungato con un tris di vol-au-vent ai gamberi in salsa Aurora. Trascorremmo almeno dieci minuti così, a mangiare in silenzio e una volta finito, lui si immerse nel lavoro, con chiamate a Wheeler, al dottor Howell e a Jace che, dal Dipartimento, eseguiva le direttive del capo, mentre io, una volta fatta mente locale, mi imposi di piantarla con l’autocompatimento e di cercare di fare un quadro della situazione. Spiegai che probabilmente il nervosismo del rettore Chambers doveva essere imputabile a una recente relazione extra-coniugale, tanto più che scoprimmo, grazie alla maestria di Jace nell'hacking, che aveva soggiornato in hotel più volte durante le ultime due settimane, incontrando una donna, Gillian Devon, che rispondeva alla descrizione della hostess con cui chiacchierava nella sala in cui l’avevamo incontrato. Probabilmente, dopo quanto accaduto col figlio e la storia di Alicia, non voleva rischiare altro clamore, ma l’atteggiamento imbarazzato non lo avrebbe aiutato a lungo. Graham fu dell’idea di monitorare la situazione. Il comportamento del Rettore gli era sembrato strano già da quando si era recato da lui, assieme al dottor Howell e al detective Wheeler.

Oltretutto, dato che chiunque avesse inviato quei messaggi non si era fatto vivo in alcun modo, brancolavamo totalmente nel buio. In più, sebbene Graham avesse ammesso di essere sotto pressione, sapevo bene che non avrebbe rischiato passi falsi se non fosse stato sicuro di quel che aveva visto. Richard Kenner, ex membro del Dark Circus, compagno della defunta Alicia Bernstein sul cui omicidio stavamo ancora indagando, sembrava una figura centrale nella vita di Graham, almeno nel passato.

– Che lei sappia, Kenner aveva, non so… un fratello gemello? – domandai, mentre l’orologio nero appeso al muro ci avvertiva dell’arrivo delle 20:00. Staccò lo sguardo dal laptop.

– Gemello? Non ne ho idea. Non mi interessava conoscere le storie precedenti dei miei compagni, allora. –

Inarcai il sopracciglio. Mi stupiva incredibilmente la noncuranza con cui spiattellava le sue mancanze. – E se fosse stata la stessa Alicia? Lei conosceva tutti voi. Potrebbe aver voluto cercare vendetta per ciò che accadde a Richard anni fa e inviato lei gli inviti, magari per spaventarvi. Ma qualcosa è andato storto e prima che potesse far qualcosa di concreto, è stata uccisa. –

– Alicia non era quel tipo di persona. Anzi, a dirla tutta, si è sempre lasciata trascinare dalla corrente. –

– Le persone cambiano. –

– Non tanto da pianificare una vendetta e finire uccisa prima di ottenere qualcosa. –

Sospirai. – Allora non ci resta che il gala. –

Graham assentì. – Sei ancora sicura di voler partecipare? –

Trattenni il respiro. La verità è che un moto d’ansia si stava facendo strada nel mio stomaco e la tensione che avevo faticosamente represso tornò a farsi sentire. Ma mi ero ripromessa di non lasciarmi vincere da me stessa. Lo dovevo soprattutto a Trevor, che mi aveva dato fiducia.

– Sono qui per una ragione. E poi, prima scopriamo il colpevole, prima torno alla mia vita. – E da Trevor, così da dimenticare quelle assurde emozioni che stavo vivendo.

L’ombra di un sorriso gli attraversò il volto. – Va bene. – disse. – Sarà il caso di prepararci, allora. –

Fui d’accordo e presi dalla mia borsa l’abito da sera che avevo portato. Non avendo mai partecipato a un evento del genere, non avevo un’idea precisa di cosa avrei dovuto indossare, per cui, avevo fatto qualche solitaria ricerca su Internet. E così, avevo acquistato online un abito corallo scuro, lungo e avvolgente, incrociato dietro la schiena, che avrei abbinato ad un tacco in raso nude. Il gala avrebbe avuto luogo intorno alle 21:00, per cui mi affrettai a prepararmi beneficiando di una veloce doccia rigenerante e del bagno tutto per me. Per fortuna, grazie alle ore trascorse a provare acconciature e make-up con Lucy, ero diventata piuttosto rapida nel sistemarmi e nel giro di tre quarti d’ora, la sola cosa che mi mancava era l’indossare le scarpe, che avevo lasciato in camera.

Fu allora che un’intensa ondata di Boss Bottled mi solleticò le narici, portandomi a seguire la scia verso l'alta figura di Graham stagliata di spalle, nude e perfettamente definite. Il tatuaggio col simbolo del Dark Circus, che avevo intravisto qualche tempo prima, si estendeva lungo la parte inferiore del collo fino ad arrivare a mezza spalla. Era molto più elegante di quanto immaginassi, ricco di dettagli inchiostrati. Deglutii, quando lo vidi chinarsi appena per prendere dal trolley sul letto la camicia bianca e indossarla, prima di voltarsi verso di me.

– Hai fi… – disse, troncando la frase non appena mi vide. A giudicare dal suo sguardo sorpreso non si era aspettato di vedermi in quel modo. Non che per me fosse diverso, d’altronde. Non aveva indossato ancora la fusciacca e la camicia, aperta sul davanti, metteva in mostra un fisico scolpito di tutto rispetto. Mi chiesi quando riuscisse a trovare il tempo per allenarsi e al tempo stesso, mi affrettai a raccogliere le scarpe, facendo qualche passo indietro.

– Ho… ho finito. Può fare il bagn--- cioè, usare il bagno. Ha già fatto la doccia? –

Stupito dalla mia domanda, tanto quanto lo fui io quando realizzai che schiocchezza gli avessi chiesto, mi rispose a sorpresa. – Ho scroccato il bagno a Maximilian e ad Elizabeth. Ci stavi mettendo troppo. –

A quel commento affilai lo sguardo. – Io? Aaaah! Lasciamo perdere! Può farmi il favore di finire di vestirsi? Mi mette a disagio il vederla… insomma… così. –

Mpf. –

Pochi minuti, che impiegai per riprendermi dalla visione e per sistemare le scarpe in camera lasciandogli il bagno libero e uscì a sua volta, ben preparato. Gli mancavano soltanto accessori e giacca. Mi avvicinai allo specchio cercando di non guardarlo troppo, concentrandomi sui miei, di accessori. Avevo una parure che mi era stata regalata dai miei genitori in occasione della mia cerimonia di laurea, che comprendeva piccoli orecchini a goccia e una collana con un ciondolo abbinato, tutto in oro bianco. Misi i primi, notando, grazie al riflesso nello specchio, che stava indossando dei gemelli dello stesso materiale dei miei gioielli. Poi passai alla collana, che mi scivolò di mano non appena lo vidi voltarsi verso di me.

– Dannazione! – sibilai, chinandomi a raccoglierla. Quando mi alzai, mi stava guardando.

– Aspetta, non indossare quella collana. –

– Perché? È in coordinato, non posso separarla dagli orecchini. –

– Allora toglili. – sentenziò e, infischiandosene del dress code, andò verso il trolley, tirandone fuori una scatolina, che mi porse. Se non fosse stato per il modo impersonale con cui me l’aveva tesa, sarebbe potuta passare per una scatolina che conteneva un anello di fidanzamento. In realtà, quando la aprii, trovai un’altra collanina, simile alla mia, ma con un più pesante ciondolo brillante a forma di cuore.

– È… pesante… –

– Colpa di Jace. Gli ho detto che doveva ridurre il peso, ma non ci è riuscito. Contiene una microspia. Sarà sufficiente che lo tocchi una volta per registrare e per inviare. –

Rigirai il ciondolo tra le dita. – Inviare dove? –

Indicò il laptop, poi scostò i capelli, per farmi vedere l’auricolare Bluetooth, per giunta invisibile se non me l’avesse fatto notare, che portava già inserito.

– Ma è legale una cosa del genere? – domandai, perplessa.

Sogghignò. – In guerra tutto è concesso. –

Sospirai. Almeno aveva evitato di tirare in ballo l'amore. – Perché lo dà a me? –

– Perché so che sarai straordinaria, stasera. –

A quelle parole, arrossii senza riuscire a controllarmi. Non sapevo se la facesse apposta o se davvero lo pensasse, ma di certo, non si era reso conto di quanto le sue parole fossero capaci di entrarmi dentro, quando voleva. Mi voltai verso lo specchio e mi apprestai a indossare la collana. Avevo tirato su i capelli in una corona, per cui sentire il suo respiro così vicino mi fece rabbrividire e mi rese goffa.

– Permetti? – si fece avanti, prendendo le estremità della collana tra le dita. Al contatto con la mia pelle, mi sentii avvampare. Strinsi gli occhi, pensando che non c’era nulla personale, ma non era facile, soprattutto quando i dorsi delle sue mani scivolarono quasi impercettibilmente nella loro rapidità lungo le mie braccia nude, prima di allontanarsi. Mentre toglievo i miei orecchini, lui si dedicò a giacca nera e papillon in tinta, poi indossò un Rolex Daytona d'oro bianco al polso. Una piccola parte del mio cervello si domandò quanti anni di lavoro gli ci fossero serviti per acquistare qualcosa del genere, ma mi guardai bene dal chiederglielo. Una volta pronto, mi tese la mano.

– Sei pronta a giocare, dottoressa Hastings? –

Respirai a fondo e posai il palmo sul suo. – Sono pronta, detective Graham. –

 

 

 

 

 


*********************************

Qualche piccola precisazione: Qui potete dare un'occhiata al vero Four Seasons Hotel che è uno degli alberghi più presigiosi di Boston (di recente e casualmente ho scoperto che fa parte di un circuito e che si trova anche in Italia XD). Potete vedere anche le stanze, tra cui la Deluxe-City View Room . 

Qui invece c'è il Public Garden. Sogno di vedere questi luoghi da quando ho cominciato a scrivere questa storia... chissà se mi sarà mai possibile, ma credo di essermi davvero appassionata tanto alla città di Boston, ha un fascino incredibile!

L'Armand de Brignac è invece un pregiatissimo champagne. Trovo alquanto divertente il fatto che la sagoma delle picche sia sulla bottiglia. Giuro, è casuale, ma pensando al fatto che Alexander ha talento nel gioco, la coincidenza è stata ancora più interessante per me.

 Precisazione sulla questione ludopatia. In effetti, il gioco d'azzardo patologico rientra nelle dipendenze e quindi, è nel DSM-V (Manuale DIagnostico Statistico) che è l'ultima versione uscita nel 2013. 

Riguardo all'orologio di Alexander e del direttore della sala casinò.. il Rolex non ha bisogno di presentazioni! XD

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Capitolo 12
*** VI. seconda parte ***


Buondì e buon inizio di settimana! Rieccomi qui con la seconda parte del sesto capitolo. So che è lunga, ma non potevo spezzare ulteriormente, quindi vi prego di perdonarmi e di immergervi nella lettura. Al termine, come già fatto per la prima parte, spiegherò qualcosa in più! A proposito, conto di pubblicare la terza parte (aftermath XD) nel fine settimana. 
Grazie a chi sta seguendo la storia!! Mi raccomando, lasciatemi un pensiero!! Buona lettura!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dovevo proprio ammetterlo: non ero mai stata attratta dai giochi, tanto più che imbranata com’ero, il massimo a cui potevo ambire era il non arrivare ultima a Uno oppure sperare in un giro fortunato durante il gioco della bottiglia. Queste ragioni, unite alla magnificenza di una sala casinò di lusso che avrebbe fatto impallidire persino i migliori casinò di Las Vegas, facevano da sfondo alla mia incredulità nel vedere quel luogo, ma soprattutto, nel vedere il mio capo trasformato in un asso del gioco d’azzardo. Alexander Graham, a tutti gli effetti, era un giocatore eccezionale. Scacchi, poker, roulette, Black Jack, Baccarat… uno dopo l’altro, concedendo un giro di poche mani per ciascuno, aveva messo al tappeto gli sfidanti che si proponevano nella speranza di batterlo. E mentre giocava, il brillio di divertimento nei suoi occhi concentrati lo rendeva esaltato. Non mi ero resa conto, fino a quel momento, di cosa intendesse quando mi parlava di giochi, al tempo del Dark Circus. Almeno quelli leciti. D’altronde, anche Selina si stava distinguendo per maestria. Statuaria e sexy nel suo abito rosso Valentino con spacco laterale, rideva e scherzava nel giocare le sue carte. Il dottor Howell e il detective Wheeler, più stoici, in elegantissimi smoking al pari del capo, sembravano tener d’occhio la situazione da più punti di vista, proprio come al meeting.

Elizabeth, che per l’occasione aveva indossato un abito nero con inserti in pizzo, ci raggiunse durante la partita a poker tra Graham e il rettore Chambers, rimasto a contendere dopo la sconfitta degli altri tre partecipanti e che, probabilmente per via dell’assenza della sua giovane amante, era più tranquillo e concentrato sulla partita. Non si fermò più di tanto, ma mi bastò per notare un veloce passaggio di sguardi tra i due. Per quanto mi riguardava, non volendo trascorrere tutta la serata in attesa al tavolo da gioco e, oltretutto, avendo un fazzoletto non utilizzato da restituire a un proprietario che non si era fatto ancora vedere, decisi di spostarmi. Appoggiai la mano sulla spalla di Graham, che mi rivolse la sua attenzione. Sfiorai appena il ciondolo che portavo al collo e comprese al volo, tanto più che sollevò la mano libera nella mia direzione. Mi chinai appena e sentii il dorso delle sue dita carezzare dolcemente il mio viso. Sgranai gli occhi, fissandoli nei suoi. Avevo la guancia in fiamme.

Furono dei mormorii intorno a farmi rinsavire, soprattutto quando vidi che nella mano con cui reggeva le sue carte, tutte dello stesso tipo, il pollice si era appena spostato sul dieci di picche nero. Avevo inteso. Non avrei dovuto allontanarmi oltre i dieci metri, altrimenti non avrebbe avuto copertura per tenerci in contatto. Sorrisi.

– Non farmi aspettare troppo. – dissi, per poi rivolgere un ultimo sguardo a un sardonico rettore Chambers che probabilmente sperava nella momentanea distrazione del suo avversario. Purtroppo per lui, non aveva idea di essere capitato tra le grinfie di un predatore. Stranamente, quel pensiero mi dette sicurezza e mi allontanai dal tavolo da gioco con più sicurezza.

Dovevo riconoscere che, alla fine, Trevor aveva avuto ragione su una cosa. I buoni propositi del mattino erano stati immolati sull’altare della perdizione del gioco d’azzardo. Oltretutto, tra fiumi alcolici, musica e giochi ogni dove, il tutto in una cornice ricercata tra eleganza e tecnologia, non si poteva dire che il contesto non favorisse in qualche modo la voglia di tentare. E probabilmente, anche Graham aveva ragione quando aveva fatto notare a Fabian Giles, ora alle prese con una slot machine, che gli incassi della serata sarebbero stati maggiori delle cifre donate in beneficenza. Il mondo dei ricchi era davvero qualcosa di contraddittorio. Lo feci notare al dottor Howell, che si era mantenuto nelle vicinanze di Selina, quando passai dalle loro parti.

– Quantomeno non siamo tutti così. – commentò, sollevando le spalle.

– Mi trova d’accordo. Lei quindi non gioca, stasera? –

– E rischiare di sfigurare davanti alla mia fidanzata? Ho una reputazione da difendere. –

Sorrisi. Non lo conoscevo tanto, ma avevo notato che l’ironia era una sua peculiarità e a dirla tutta, era un tratto che lo rendeva affascinante.

– E lei non vuol provare qualcosa? –

– A parte stare col detective Graham? Più sfida di quella… –

Il dottor Howell si mise a ridere. – Ha ragione. –

– Avete visto Elizabeth? – la voce del detective Wheeler alle nostre spalle. Ci voltammo entrambi.

– È passata dal nostro tavolo da gioco una manciata di minuti fa, ma senza fermarsi. – lo informai.

– Probabilmente è alla toilet. E come minimo ci sarà la fila. – intervenne il dottor Howell.

– Hai ragione… è solo che mi preoccupa non vederla sapendo che c’è qualche mitomane qua dentro. –

Guardai il detective, pensando che in fin dei conti, non aveva torto. Stare separati poteva essere rischioso e considerando che il nostro soggetto ignoto non si era ancora fatto vivo, né potevamo sapere se e quando l’avrebbe fatto, in effetti non era molto saggio allontanarsi troppo. Certo, c’era da riconoscere che la situazione stava diventando in qualche modo stressante, soprattutto per Maximilian Wheeler. Tra di noi, sembrava quello più insofferente e preoccupato. Dal modo in cui si guardava intorno, mi resi conto che doveva sentire fin troppo la pressione e doveva avere a cuore Elizabeth. D’altronde, il fatto che nella stessa sala ci fosse anche Graham, unito a quanto quest’ultimo non perdesse occasione per ridicolizzarlo di fronte alla stessa ex moglie, non giocava a suo favore. E, sebbene non fossi particolarmente allettata all’idea di venirgli in soccorso, considerando la scarsa stima che aveva di me, decisi di far qualcosa, almeno per smorzarne la tensione.

– Vado a controllare. –

Mi guardò stupito. – Tu? –

Sospirai. – No. Quella che sta al mio posto. Certo che lei è davvero strano a volte. –

Quelle parole lo indispettirono, mentre fecero ridacchiare il dottor Howell.

– Non ti ci mettere anche tu, Marcus. –

Quest’ultimo sollevò le mani in segno di resa. – Non mi permetterei mai. –

Il sorrisetto sul suo volto diceva tutto il contrario, poi mi rivolse un’occhiata.

– Stia attenta, mi raccomando. –

Annuii e presi congedo, proprio mentre Selina brindava alla sua vittoria a Baccarat contro il direttore di una famosa azienda farmaceutica.

E in effetti, proprio come previsto, trovai Elizabeth intenta a sistemare il trucco in uno dei lussuosi bagni stile modernissimo in marmo nero.

– Anche tu avevi bisogno di un po’ di tregua? – mi domandò, attraverso lo specchio.

Attesi che le altre due donne presenti andassero via, per poter parlare più tranquillamente.

– Darei qualunque cosa per tornare presto a casa. Ma sembra che ci sia ancora da aspettare. Tutto bene? –

Ripose la sua trousse nella pochette e poi si voltò a guardarmi. La piccola Lily le somigliava davvero tantissimo.

– Posso parlare liberamente? –

Annuii, incuriosita.

– Ti direi di sì, ma stasera mi sono resa conto di una cosa importante. Erano tanti anni che non vedevo tutti riuniti così, sebbene in assenza di Alicia e Richard. Eppure, per quanto certe situazioni siano cambiate, altre non lo sono affatto… e non è facile farvi fronte. –

Un’inattesa sensazione mi strinse il cuore nel sentire il tono con cui parlava.

Sospirò, alzando gli occhi azzurri verso il soffitto. – Non credevo che avrei mai visto Alexander tornare a giocare in quel modo. Quando nacque nostra figlia abbandonò tutto. Non che avesse perso interesse, ma semplicemente, aveva realizzato che c’era qualcosa di più importante del Dark Circus. –

Ricordai quando Graham me ne aveva parlato, la notte in cui ci eravamo intrufolati nella palestra del campus. Ma non era solo Lily la ragione. Anche Elizabeth aveva significato tutto per lui.

– Sa, se posso permettermi… credo che il detective Graham l’abbia realizzato prima ancora. Ed è stato grazie a lei. E so che non ho diritto di mettermi in mezzo, ma… –

– Mi ama ancora? È questo che volevi dire, vero? –

La stretta che avevo sentito si rafforzò all’improvviso, proprio mentre dai suoi occhi traspariva un velo di consapevolezza. Mi impegnai a scacciare quella sensazione. Se volevo aiutare Graham, potevo farlo solo aiutando Elizabeth a realizzare la verità.

– Ne sono certa. Si vede da come si comporta. E anche se a volte è insopportabilmente acido, lo fa per attirare la sua attenzione. Credo che voglia farle capire che sta facendo un errore stando col detective Wheeler. Insomma, lui è un brav’uomo, magari a volte un po’ petulante, ma è affidabile e competente, certo… eppure, credo che… ecco… – mi interruppi prima di dire, fin troppo apertamente, che non ci sarebbe stato alcun paragone col detective Graham.

Elizabeth sorrise appena. – Dimmi la verità. Alexander ti piace. Non è così? –

Un moto di imbarazzo si fece sentire con forza. Quella donna mi aveva appena chiesto se mi piacesse il suo ex marito.

– N-Niente affatto! E poi, sono felicemente fidanzata! – gesticolai, ribandendo il concetto.

– Anch’io ero fidanzata, quando conobbi Alexander. E penso ti stupirà sapere che allora, stavo proprio con Maximilian. –

– Eh? –

Questa non me l’aspettavo proprio.

– È per questo che non volevo saperne del Dark Circus. Avevo l’impressione che Alexander fosse un arrogante emozionalmente immaturo a cui importava solo di se stesso. E Max lo seguiva su una strada che non mi piaceva affatto. Per questo lo lasciai. Così, Alexander, senza farsi troppi problemi, si fece avanti. Un anno… un anno intero in cui si impegnò a dimostrarmi che mi sbagliavo. Non so se ci sia mai riuscito, in realtà, dato che alla fine della fiera, il nostro matrimonio è finito comunque. –

Ripensai alla confessione di Graham e mi resi conto che Elizabeth stava sbagliando.

– Non sono d’accordo… avete passato momenti felici insieme! Avete avuto una bambina, che purtroppo vi è stata tolta in un modo orribile… se c’è qualcuno da biasimare, quello è… è il Mago. Se non fosse stato per quel mostro crudele, voi sareste ancora insieme e certo, non a prender parte a una dannata serata orchestrata da Dio solo sa chi, ma accanto alla vos--

– Basta. Basta, per favore. – mi interruppe. Stavolta la sua voce era imperativa e addolorata. Eppure, non era giusto che si ostinasse a non voler vedere le cose come stavano realmente.

– Mi dispiace, ma credo che lei non abbia capito chi è davvero il detective Graham. –

Sgranò gli occhi, sinceramente colpita.

– E tu pensi di conoscerlo? –

Sentii un tuffo al cuore, pensando a ogni momento trascorso dal primo istante in cui l’avevo incontrato, ma prima di rispondere, un gruppetto di ragazze che avevano relazionato al meeting entrò nei bagni. Alcune di esse erano vicino al mio tavolo prima. Sospirai.

– Il suo fidanzato la cercava. Sarebbe meglio non farlo attendere, no? –

Fece per dire qualcosa, ma lasciò cadere il discorso e mi precedette in sala. Del canto mio, rivolsi un’occhiata al mio riflesso nello specchio. E tu pensi di conoscerlo?

Aprii la pochette che avevo con me e ne trassi il fazzoletto con le iniziali ricamate di Aaron Bradley. Una delle ragazze, che avevano su per giù uno o due anni meno di me, mi si avvicinò.

– Sembra che il tuo ragazzo abbia sbarcato il lunario stasera. Ha fatto scala reale e stracciato il suo avversario. – mi disse, divertita.

– Davvero? –

– Sì, anche se non ha ancora avuto a che fare col direttore. Dicono che non abbia pari e che stesse aspettando proprio che qualcuno arrivasse così in alto da poterlo sfidare. –

Aggrottai le sopracciglia. Così in alto… da poterlo sfidare… così in alto… quando avevo visto il biglietto di Graham con la scritta “Ad maiora semper” avevo chiesto il significato, non conoscendo il latino. Lui mi aveva risposto che voleva dire “sempre più in alto”. Ma poteva essere solo una coincidenza. Avevo conosciuto il direttore Bradley durante la mattina e mi era sembrato cordiale e galante. Anche la rosa che mi aveva mandato con biglietto allegato era stato un pensiero del tutto scollegato da Graham. Guardai il fazzoletto che avevo tra le mani. La ragazza che era ancora accanto a me richiamò l’amica che aspettava fuori dalla toilet e le sentii mormorare tra loro. Poi fecero entrambe qualche passo indietro.

– Tutto ok? – domandai, perplessa, davanti ai loro volti incerti.

– Scusa, posso chiederti dove hai preso quel fazzoletto? – domandò la seconda ragazza.

– È un prestito da parte di una persona gentile… perché? –

Sembrò che le mie parole le tranquillizzassero e questo, al contrario, mise in allerta me.

– Noi frequentiamo Harvard… e la dottoressa Bernstein, che è stata assassinata pochi giorni fa, aveva sempre con sé un fazzoletto identico a quello, con le iniziali ricamate. –

Sobbalzai a quelle parole inaspettate e guardai il fazzoletto. A.B. ... Aaron Bradley… ma anche Alicia Bernstein. Scossi la testa, sconvolta. Possibile che Graham avesse ragione e che Richard Kenner fosse ancora vivo? Era sicuro del contrario, ma mi aveva anche rivelato che alla fine, le indagini erano state insabbiate, per cui nessuno sapeva davvero come fosse andato il tutto. Avevo solo un modo per scoprire la verità. Ringraziai le ragazze, dopo averle rassicurate sul fatto che si trattasse di una coincidenza e tornai nella sala casinò, appena in tempo per vedere Aaron Bradley, in tenuta formale, muovere passi sicuri nel suo ambiente. Sconvolta com’ero, durante la mattina, non mi ero resa conto del fatto che potesse avere all’incirca l’età di Graham. Per qualche ragione, aveva qualcosa che me lo ricordava, in quel momento, fatto salvo per alcune cicatrici sul volto che non avevo notato durante la mattina, a causa della barba. Cercai tra i presenti i miei compagni, ma erano tutti voltati di spalle, intenti a fissare il direttore. Seguii il suo percorso con lo sguardo fino a che, finalmente, non si fermò davanti a Graham. Mi affrettai a raggiungerli, notando che il volto del mio capo era diventato una maschera pallida. Tutta la sua sfrontatezza e la sua sicurezza erano scomparse, lasciando al loro posto la concretizzazione dei suoi sospetti.

Ad maiora semper, detective Alexander Graham. – lo salutò, con un sorriso compiaciuto sul volto, calcando il tono sul titolo. Il capo non replicò, ma si limitò a guardarlo. Tutto intorno, la tensione aveva ammutolito l’intera sala. Non osai nemmeno tentare di guardare verso i miei compagni. In quel momento, ero certa che avrei visto la stessa espressione di Graham.

Aaron Bradley era Richard Kenner. Sollevò la mano a mezz’aria.

– Oh, probabilmente non conosce il latino. Significa “sempre più in alto”. Era un’espressione ben augurante. Un invito a non arrendersi mai, a puntare sempre al massimo. Sa, è quello che ho fatto io. Mi ci è voluto tanto, ma come vede… ho pensato che creare un luogo come questo, in cui associare al piacere della compagnia il piacere della sfida, sarebbe stato un riconoscimento adeguato. Non crede? –

Il Dark Circus. Stava facendo riferimento al Dark Circus. Avrei voluto raggiungere Graham, ma temevo che avrei potuto peggiorare la situazione così facendo. Avevo il cuore in gola, pensando che se solo avessi parlato più esplicitamente dell’incontro che avevo avuto al mattino, al posto di distogliere la mia attenzione, magari saremmo arrivati a quell’uomo prima del tempo. Avevo ancora in mano il fazzoletto che probabilmente, era appartenuto ad Alicia Bernstein. Lo strinsi forte, maledicendo la mia stupidità.

– Ho visto che è stato il miglior giocatore della serata. Mi chiedevo se le andasse una sfida privata. – propose.

Un mugolio di protesta da parte dei presenti, che avrebbero probabilmente seguito di buon grado una sfida tra due campioni, fu subito smorzato dal direttore. – Suvvia, non vorrà dire di no a queste… – si bloccò mentre indicava la platea, proprio quando il suo sguardo si trovò a incrociare il mio. Mi sentii gelare, mentre lui sorrise, infido.

– Oh… alla fine ha accettato il mio invito, signorina Hastings. Non ha idea di quanto ne sia felice. – annunciò, con voce trionfale.

Fu in quel momento che Graham si voltò. Quando i nostri sguardi si incontrarono, fui sopraffatta dal senso di colpa. Sapevo benissimo, razionalmente parlando, di non avere alcuna responsabilità, dal momento che non avevo idea di chi fosse Bradley, ma in quel momento, non potevo fare a meno di sentirmi in quel modo. Graham digrignò i denti, voltandosi nuovamente verso il suo interlocutore, poi affilò lo sguardo.

– Accetto la sfida. Ma la avviso: non sono uno che va sul sottile, soprattutto quando il mio avversario cerca captatio benevolentiae in questo modo. –

Non avevo idea di cosa significasse, ma sentii alcune voci nelle vicinanze suggerire che volesse intendere la ricerca del consenso. Fui orgogliosa di lui. Qualunque cosa fosse accaduta, Richard Kenner non avrebbe avuto vita facile. Quest’ultimo fece un piccolo inchino, poi invitò i presenti a tornare a giocare. Poi, fece strada. Fu allora che cercai di raggiungerlo, approfittando del fatto che Bradley fosse qualche passo più avanti. Mi guardò con la coda dell’occhio, quanto bastava per rendermi conto che non voleva che lo seguissi oltre. Ma non potevo lasciar correre, soprattutto dal momento che quell’uomo doveva avere avuto a che fare con Alicia Bernstein. Presi la sua mano, passandogli il fazzoletto facendo attenzione che non si vedesse. Da fuori, sarebbe sembrato che stessi cercando di dar coraggio al mio uomo. Graham strinse la presa, poi guardò dritto davanti a sé e proseguì, lasciandomi nella sala, assieme a un’ignara e incuriosita folla e soprattutto, insieme ai nostri sconvolti compagni.

Li ritrovai così, non appena potei raggiungerli. Selina era mano nella mano con il dottor Howell. Elizabeth aveva preso sottobraccio il detective Wheeler.

– Aveva ragione lui… – mormorò quest’ultimo, quando la porta che separava la sala casinò dal privé si richiuse.

Selina sopraggiunse. – Ma non è possibile… ho letto e riletto i referti mille volte all’epoca. Non c’è modo che possa essere… –

– … Kenner? Eppure sembra sia così. – aggiunsi a mia volta.

I quattro si rivolsero a me.

– Come facevi a conoscerlo? – la voce inquisitoria del detective Wheeler.

– Non lo conoscevo. Ma preferirei parlarne fuori di qui. Dobbiamo trovare il modo di raggiungere il detective Graham prima che possa accadergli qualcosa. –

Il dottor Howell assentì, ma mentre cercavamo di spostarci, fummo raggiunti da un paio di inservienti in livrea.

– Signori. Voi che avete ricevuto l’invito personale del signor Bradley siete pregati di seguirci. – disse uno di loro.

– Vale anche per lei, signorina. – aggiunse l’altro, riferendosi a me.

Selina aggrottò le sopracciglia e mi raggiunse. – Questa ragazza rimane qui. Penso che al signor Bradley non interessi coinvolgere nel suo spettacolo persone che non amano il gioco. –

Adorai Selina per quel commento. Era sempre così protettiva nei miei confronti, ma onestamente, non avevo alcuna intenzione di lasciarli affrontare tutto da soli, soprattutto sapendo che Graham era solo, in quel momento.

– Desolato d’insistere, signora, ma siete tutti degli ospiti d’onore. –

Rivolsi uno sguardo ai presenti. Alcuni di loro erano tornati a giocare, altri chiacchieravano tra loro, probabilmente dell’accaduto. Nessuno si era reso conto della situazione.

– Se non si può fare diversamente... – disse nervosamente il dottor Howell, chiedendo di fare strada. Sul suo volto, come su quello degli altri, la tensione era frammista all’incapacità di riuscire a trovare una spiegazione razionale a quanto stesse realmente accadendo. Ed era per questo che non potevo proprio tirarmi indietro. Dopotutto, se fossi stata meno emotiva e più razionale, forse non saremmo arrivati a tanto.

I due inservienti ci scortarono fuori dalla sala casinò attraverso una porta laterale, ma quello che non potevamo immaginare era che al di fuori di quel posto di lussuosa perdizione, avremmo trovato ben altro. Credevo che saremmo stati condotti nel privé, ma non fu così. Fummo fatti salire su un ascensore che ci portò persino più in basso dei piani interrati che fungevano da garage. Man mano che il display segnava i livelli, mi sentivo sempre più agitata. Cosa diavolo aveva in mente Aaron Bradley? Anzi, Richard Kenner?

 


Quando la porta dell’ascensore si aprì, ci ritrovammo all’interno di un locale perfettamente arredato che ospitava diversi vani separati tra loro da un lungo corridoio che si estendeva per diversi metri, aprendosi su tortuose vie laterali che conducevano alle entrate, una per ciascun vano.

Le luci soffuse dalle tonalità calde, i dipinti che richiamavano forme surrealiste, alcuni discutibili arredi a sfondo bondage che non lasciavano spazio all'immaginazione, un mix di musica classica e l’indiscutibile odore dolciastro della cannabis la facevano da padroni, rendendo l’atmosfera claustrofobica, oscura e inquietante.

– Che diamine di posto è mai questo? – domandai, guardandomi intorno.

– Una volta, Alexander illustrò la sua idea di come il Dark Circus potesse essere fisicamente. Mi ricorda tanto quegli schizzi… – commentò sovrappensiero il dottor Howell.

Elizabeth, sconvolta tanto quanto me nel sentire quelle parole, scosse la testa.

– Alexander aveva fantasia, è vero… ma non avrebbe mai potuto creare un dungeon come questo. –

– Credo che nelle sue intenzioni non fosse un dungeon, onestamente… – aggiunse Selina. – E ad ogni modo, la differenza è che nel caso di Alexander si trattava soltanto di immaginazione. Mentre Richard… ha ben pensato di mettere il tutto in pratica nel peggiore dei modi... e anche senza classe. È così... rozzo e osceno... Non ho ragione, Richard Kenner? Fatti vedere! Se siamo gli ospiti d’onore, puoi almeno degnarci d’attenzione! – esclamò, alzando la voce.

Uno degli inservienti trasse dalla tasca un telecomandino e al click, uno schermo nero scese dall’alto, rivelandoci in pochi istanti che dovunque fossero il detective Graham e Kenner, di certo, non era lo stesso posto in cui eravamo noi. Entrambi erano seduti al tavolo da gioco, davanti a una scacchiera ancora perfettamente ordinata.

– Detective Graham! – esclamai, nello stesso momento in cui tutti gli altri pronunciarono il suo nome. Sconvolto, strinse i pugni.

« Richard, dannato! Voi state bene?! »

Kenner scoppiò a ridere. « Ma certo che stanno bene, Lex. Ho riguardo dei miei ospiti, io. Caro Marcus. È davvero un piacere rivederti. Ho saputo che sei diventato procuratore distrettuale. Che onore. Certo, non avrei mai immaginato di saperti fidanzato con la bella Selina Clair. Non la credevo alla tua portata, onestamente. »

Il dottor Howell si lasciò sfuggire un ringhio. – Non osare, Kenner! –

– Sei davvero stronzo per essere un morto che parla. – aggiunse Selina, visibilmente seccata.

Kenner non replicò, ma sogghignò, rivolgendo il suo sguardo altrove.

« E tu, Maximilian. Ti ricordavo meno ingessato. Che sorprese mi avete riservato. Tu ed Elizabeth, come ai vecchi tempi. » disse, poi guardò Graham divertito. « Che peccato non esserci stato quando hai scoperto che quello che credevi il tuo migliore amico si scopava tua moglie sotto al tuo naso. Oh, Lex, avrei voluto vederti. Conoscendoti, avrai fatto il diavolo a quattro. »

A quel commento, sia Wheeler che Elizabeth si irrigidirono, mentre Graham scoprì un digrigno. Non avevo idea del perché, irascibile e suscettibile com’era, non l’avesse ancora preso a pugni. Ne compresi la ragione solo quando, guardandomi intorno, intravidi delle spie rosse luminose poste in alto e in basso agli angoli della sala in cui eravamo stati condotti. Che fossero dei laser? Purtroppo non riuscivo a distinguere con chiarezza, ma qualunque cosa fosse, non prometteva nulla di buono e Graham doveva saperlo.

« E veniamo a noi… la nuova aggiunta. Katherine Hastings, psicologa presso il V Dipartimento. Dovresti essere un po’ più cauta quando ti presenti, signorina. »

Aggrottai le sopracciglia. – Anche lei avrebbe dovuto esserlo, dato che ora sappiamo chi è realmente! –

« Davvero? Pensi che cambi qualcosa, se non ci sono testimoni? Si dice così, vero, Lex? »

Il cuore prese a battermi più velocemente, quando realizzai che non aveva affatto buone intenzioni. Un po’ come quando Graham aveva messo sotto scacco la combriccola di David Valance.

« Non puoi farlo. Non te lo permetto! » esclamò il capo.

Kenner accavallò le lunghe gambe, poi prese il primo pedone nero. « Oh, dare ordini. Ciò che ti riesce meglio. Peccato solo che ora sia io a stabilire le regole. Avanti, faites vos jeux. E… quanto a voi, mi auguro che troviate di vostro gradimento il gioco che ho personalmente scelto per voi. » spiegò, sorridendo, prima di chiudere il collegamento.

Il gioco che aveva scelto per noi? Quell’uomo era davvero un folle e la cosa peggiore era che la sola uscita che avevamo era alle nostre spalle, presidiata dai nostri due carcerieri. Certo, il fatto che fossimo in superiorità numerica poteva essere un vantaggio, ma le armi puntate su di noi erano un rischio che non potevamo correre. Lo spiegai ai miei compagni, quando li sentii ipotizzare di un intervento del genere.

– E allora cosa dovremmo fare?! Accettare le richieste idiote di un redivivo?! – protestò Wheeler.

– Esattamente, signore. – intervenne uno dei due uomini. – Siete obbligati a farlo. –

– Va' all'inferno. – rispose, con un cipiglio da fare invidia al capo che tanto mi stupì. Evidentemente, il tono con cui gli si era rivolto Kenner non gli era affatto andato giù. Il dottor Howell si fece avanti, parandosi di fronte a noi.

– Adesso basta. Voglio parlarci personalmente, pertanto, portatemi da Kenner. Non è nel suo interesse nuocerci, in fin dei conti. –

Purtroppo per noi, tuttavia, i nostri interlocutori non sembravano interessati a trattare, tanto che non mollarono la presa su di noi.

– Signori! Avanti, non vorrete deludere Kenner. –

La profonda voce in arrivo ci costrinse a voltarci.

Guardai oltre le spalle di uno degli uomini che ci teneva sotto tiro, vedendo, con mio sgomento, nientemeno che Hector Chambers.

– Oh mio Dio… – sussurrai.

– Rettore Chambers? – fece eco il dottor Howell.

Il Rettore ci raggiunse. Conosceva Richard Kenner… non l’aveva chiamato Aaron Bradley, ma aveva usato il suo vero nome. E fino a quel momento, non avevamo sospettato nulla. Il suo atteggiamento strano di quella mattina… possibile che non dipendesse dall’amante, ma da Kenner? E com’erano collegati tra loro?

– Ci deve una spiegazione. Che sta succedendo qui? – incalzò il gran capo.

Di quell'uomo in imbarazzo sembrava non esser rimasta nemmeno l'ombra. Non rispose, ma guardò verso di me.

– La ragazza viene con me. Ordini superiori. –

Sgranai gli occhi, nello stesso istante in cui sia il detective Wheeler che il dottor Howell si pararono di fronte a me, in difesa. Elizabeth si strinse a Selina, che affilò lo sguardo. – Nessuno si muoverà di qui, altrimenti scateniamo un putiferio. E non credo che le piacerebbe. –

Il Rettore scoppiò a ridere, indisponenente. – Ma davvero? Beh, pazienza. Non che sia affar mio. – disse, facendo cenno col capo ai due uomini.

Temendo che potesse accadere qualcosa di brutto ed evitando volutamente di ascoltare la voce del buon senso mi feci avanti prima che qualunque loro azione si potesse concretizzare.

– Verrò. A patto che non accada nulla a queste persone. Sono agenti e una di loro è una civile. –

– No! – esclamarono in coro Elizabeth e Selina.

– Lei non si muove di qui. – mi riprese il gran capo.

Sospirai, poi li guardai. In realtà, avevo una gran paura, ma cominciavo ad avvertire la tensione e, cosa non meno importante, mi sentivo pesantemente in colpa. – Vi prego... fidatevi di me. –

Sentii addosso il peso dei loro sguardi, ma alla fine, non senza mia sorpresa, l'appoggio venne proprio dal detective Wheeler. Doveva aver intuito che avrei potuto raggiungere Graham e aiutarlo, con un po' di fortuna, dal momento che sembrava impossibilitato a svincolarsi personalmente. – Vai. Ma stai attenta, Hastings. –

Annuii e rivolsi un sorriso ai miei compagni, poi guardai il rettore Chambers.

– Allora, comincia questo gioco? – chiesi, sforzandomi di replicare il tono di Graham, ma considerando la sua espressione affatto impressionata, mi resi conto di essere lontana anni luce dalla capacità di bluffare del capo. Si incamminò non appena l'ebbi raggiunto mentre, dietro di noi, gli scagnozzi di Kenner continuavano a tenere sotto scacco i miei compagni. Avevo il cuore in gola, ma dovevo rimanere concentrata. Camminammo lungo il corridoio, sempre più oscuro.

– Lei è in combutta con quell’uomo… perché?! –

– Perché dovrei parlarne con te? I miei affari personali non ti riguardano. –

Scossi la testa. – Richard Kenner dovrebbe essere morto! Per qualche ragione è sopravvissuto e probabilmente ha qualcosa a che fare con la morte di Alicia Bernstein, avvenuta nel suo ateneo! –

Non dette alcun cenno di interesse e sembrava non intenzionato a sbottonarsi in alcun modo. Però, dal momento che non sembrava avere intenzione di nuocermi, potevo cercare di indagare. Mi ricordai allora di avere il ciondolo che Jace aveva modificato per registrare. Portai le dita poco più sotto dell'incavo delle clavicole, su cui era appoggiato e pressai sperando che funzionasse, portando poi la mano sul cuore, che scandiva istanti preziosi.

– Lo sa che collaborare con un criminale la rende colpevole a sua volta, vero? Quell’uomo la sta forse ricattando? –

Stavolta affilò lo sguardo. Una reazione.

– Possiamo aiutarla, se lei ci aiuta. Per favore, mi dica dov'è il detective Graham. Se accade qualcosa a lui o ai nostri compagni, i nostri colleghi non ci metteranno molto a mettere sottosopra il Four Seasons e a scoprire tutto questo. Rettore Chambers, lo faccia almeno per suo figlio! Che modello sarà per lui? Gli vuol dar prova che avesse ragione?! –

– Sta’ zitta! – urlò, tirando fuori una pistola dalla giacca. Non me ne intendevo granché di armi, ma ricordavo fin troppo bene l'effetto che aveva avuto sui compagni di Valance, quando Graham li aveva tenuti sotto tiro. Quando me la puntò contro, sentii un terrore sacro impadronirsi di me. Il mio corpo si tese istintivamente alla ricerca di una via di fuga impossibile.

– Non lo farà! L’ha ribadito poco fa, no? Non vorrà mica contrariare Kenner! – esclamai.

Chambers grugnì, poi si avvicinò a passi veloci e mi afferrò con forza il polso.

– Ahi! E nemmeno farmi del male! –

– Cammina. – ordinò e mi spinse avanti.

Tutto intorno, risuonavano antiche sinfonie, come fossero uno spaventoso presagio. Ad ogni passo sentivo la paura farsi largo. Forse a causa dell’odore e delle luci, cominciavo a sentirmi stordita. Avevo la sensazione di trovarmi in una sorta di allucinante dimensione parallela. Man mano che lasciavamo i vani alle nostre spalle, proseguendo lungo quella strada, ci addentravamo nell’oscurità. Sin da piccola avevo sempre avuto paura del buio pesto e ogni volta, i miei genitori erano pronti a rassicurarmi e ad abbracciarmi. Stavolta però, ero sola. Non c’erano loro, non c’era Lucy, non c’era il detective Graham e nemmeno Trevor. Sentii il dolore attanagliarmi il cuore. Trevor… com’ero finita in quel luogo? Se non fossi riuscita a uscirne viva, cosa sarebbe stato di lui? Senza nemmeno poterlo vedere un’ultima volta. E l’ultimo ricordo che avevo era un suo messaggio, un cui mi diceva di fare il tifo per me.

– Fermati. –

Mi fermai all’istante alla fine del corridoio, senza riuscire a capire nulla, quando il rettore Chambers tirò fuori dal taschino una tessera e la fece scorrere lungo una fessura meccanica in un muro davanti a noi. La porta blindata si aprì, portandoci a un nuovo ascensore. Il contrasto vivo tra l’oscurità e la luce abbagliante mi ferì gli occhi, tanto che mi occorse un po’ di tempo per riuscire a tenerli aperti senza soffirire. In quel tempo, sentii che stavamo risalendo. Quando finalmente si fermò, si riaprì proprio sul privé che ospitava Kenner e il detective Graham, un salottino non più grande del soggiorno di casa mia, riccamente decorato come fosse una stanza vittoriana, con tanto di tende rosso scuro che rendevano l'atmosfera ancora più cupa e pesante. Non c’erano tavoli da gioco. Solo il tavolino in legno attorno al quale erano seduti i due e su cui era posata la scacchiera, che aveva pochi pezzi in avanzamento tra cui l'alfiere nero e la regina bianca su un'ultima casella laterale. Su una credenza intagliata, facevano bella mostra un vassoio in argento che offriva diversi tipi di droghe, una bottiglia di whiskey con due bicchieri e soprattutto, una pistola a tamburi rotanti, di quelle usate per la roulette russa. Non appena mi vide, Graham sgranò gli occhi sconvolto, balzando in piedi. Voltò velocemente lo sguardo sul rettore Chambers e, dalla sua reazione, compresi che doveva esser giunto immediatamente alla mia stessa realizzazione. Poi guardò Kenner, che non si scompose affatto.

– Ti ringrazio per aver portato qui la signorina Hastings, Hector. –

– Immagino che con questo siamo nuovamente pari. –

Avevo ragione, quindi. Il rettore Chambers doveva qualcosa a Kenner. Ma cosa?

– Che diavolo significa, Richard?! – sbraitò Graham.

– Ho soltanto aiutato Hector a sbarazzarsi di un’amante troppo fastidiosa. – spiegò, con nonchalance.

– Intendi… –

– … Alicia Bernstein? – domandai, incredula, rivolgendomi al rettore Chambers. – Non era la ragazza del meeting, vero? Era Alicia la sua amante! –

Questa volta, il suo sguardo mi confermò che avevo ragione.

– Alicia… la sua… ma certo! La frequentazione in questo posto, con una certa Gillian Devon. Solo che non era il nome della hostess che credevamo, ma era un alias che Alicia aveva adottato per non farsi riconoscere. –

Kenner gli rivolse un breve applauso. – Ma bravo, detective. Mi aspettavo che ci mettessi meno, però. –

– Quella donna… la conobbi durante un viaggio accademico in Gran Bretagna, circa tre mesi fa. Non sapevo che fosse una ex studentessa, ma mi colpì per la sua bellezza. –

– Non che avesse altro di cui far sfoggio, d’altronde. – aggiunse Kenner, con aria di sufficienza.

– Che razza di uomini meschini! E l’avete uccisa?! Avete ucciso una donna innocente sol perché era diventata fastidiosa?! Dovreste vergognarvi! La pagherete per questo, bastardi! – sbottai.

Kenner incrociò le mani sotto al mento, rivolgendomi un’occhiata divertita. – Però. Che lingua lunga la ragazza, eh? –

Graham ignorò sia il suo che il mio commento. – Perché arrivare a tanto? E soprattutto, perché tu, Richard? Una volta, lei era tutto per te. –

– A dire il vero, ero io ad essere tutto per lei. La poverina soffriva di dipendenza emotiva. Tu sai di cosa parlo, vero, dottoressa? –

Annuii. – Non riusciva a fare a meno della persona a cui era legata. Patologicamente. –

– E difatti, quella sera, mentre Hector e io stavamo discutendo di affari privati, lei si è presentata nel suo ufficio, scongiurandolo di non lasciarla, di darle più attenzioni. –

– Ma io non potevo farlo. Era diventata ossessiva e dato ciò che era accaduto con mio figlio, non potevo rischiare un altro scandalo. – aggiunse il Rettore.

– Immagino la sua faccia quando si è ritrovata la tua faccia da morto vivente davanti, vero? – incalzò Graham, ponendo l’accento sull’appellativo.

Kenner si mise a ridere. – Diciamo che non è stato esattamente il modo migliore in cui ritrovarsi. Soprattutto dato che mi aveva… tradito. Insomma, tutto quell’amore sbandierato ai quattro venti e poi, arriva l’uomo maturo ad affascinarti. Ouch... che colpo al cuore. Senza offesa, Hector. –

Alla risata di Chambers fece eco un mio istintivo sobbalzo, mentre lo sguardo di Kenner indugiò su di me. – Ops. Ho toccato un nervo scoperto? –

Arrossii, soprattutto quando Graham tornò a guardarmi.

– Kenner, ho un’auto che mi aspetta. Per quanto mi piacerebbe rimanere qui a conversare con voi, non posso attendere oltre. –

– Non ci provi nemmeno! – esclamò il detective Graham.

Ma perché diavolo non interveniva? E io, considerando che mi stava ancora puntando la pistola contro, non potevo far molto. Avremmo lasciato che fuggisse per chissà dove, mentre le vite dei nostri compagni erano ancora in gioco?

– Ma certo. Va’ pure. Non sia mai detto che trattenga qualcuno contro la sua volontà. –

Una menzogna diretta a noi, assurda oltre ogni misura. Quando il rettore Chambers richiamò l’ascensore, mi voltai. Il suo sguardo, mentre continuava a tenermi puntata contro la pistola, era quella di un uomo che stava per farla franca. Avevo già visto quell’espressione, quando pensava che il detective Graham si fosse distratto, durante la loro sfida a poker. Sfida che aveva perso. Non si voltò nemmeno, né tantomeno si rese conto che, all’apertura della porta, non c’era alcun piano a reggerlo.

– Rettore Chambers! – urlai, incrociando i suoi occhi improvvisamente consapevoli della trappola in cui era caduto quando mise il piede in fallo, un attimo prima che perdesse l’equilibrio e finisse inghiottito nella tromba vuota per chissà quanti metri. Le sue urla ebbero termine interminabili secondi dopo, lasciando il posto a un attonito silenzio.

– Mio Dio! Che cos’ha fatto?! Perché?! – urlai ancora, stavolta verso Kenner.

Graham, impietrito, poté soltanto chinarsi ad afferrarlo per la collottola della giacca nera.

– Richard! Che tu sia maledetto! –

– Io… io, maledetto? Sol perché ho preso delle precauzioni? –

Si alzò, stagliandosi di fronte a Graham e afferrandogli il viso. Era la prima volta che vedevo qualcuno trattare il mio capo in quel modo. Gli rivolse uno sguardo divertito e avrei giurato che quella presa di potere lo stesse eccitando, mentre Graham, del canto suo, sembrava non voler mollare.

– Tu non hai idea di quanto abbia atteso questo momento. Non potevo permettere che Alicia o quell’idiota parlassero. E l’avrebbero fatto, deboli com’erano. Loro non sono della nostra stessa pasta, Lex. Nessuno lo è. Nemmeno i nostri ex compagni. Solo tu e io. Quando mi proponesti di entrare nel Dark Circus, fu come se avessi spalancato una porta nell’abisso. Quegli insopportabili anni di inezia… annoiati da un mondo che non ci apparteneva. E tu hai voluto dar vita a un mondo diverso, di rischio, di potere. Lì potevamo tutto. – disse, sollevando il viso. Lo stava guardando dall’alto in basso.

– Eppure... – continuò abbassando il tono. – Tu hai voluto distruggere ogni cosa. Poco per volta, hai finito con l’allentare le briglie e persino dimenticare. –

Singhiozzai, pensando che forse nemmeno Graham si fosse mai reso conto di quanto quell’ascendente che aveva potesse avere come risvolto il plagiare i più deboli. Perché per quanto volesse far credere il contrario, Kenner stava dimostrando di essere debole, in quanto attaccato a un passato da cui tutti loro, Graham per primo, erano andati avanti.

– Ed è per questo che saresti dovuto morire, Lex. – aggiunse, con voce fredda.

Il mio cuore tornò a battere con più forza, nel sentire quelle parole. Cos’avrei potuto fare? Mossi qualche passo verso la credenza su cui era adagiata la pistola da roulette russa.

– Al tuo posto non lo farei, signorina. Non è ancora il momento per quella. – disse Kenner, senza distogliere lo sguardo da Graham, che al contrario, ora guardava me. Mi fermai di colpo.

– Lo lasci andare! Il detective Graham, in tutti questi anni, non ha fatto altro che cercare di scoprire il vero responsabile della sua presunta morte! Non può colpevolizzarlo per essere andato avanti con la sua vita, visto che ha fatto tanto per lei! –

– Senti senti… E per caso, il tuo detective Graham ti ha anche detto che sapeva benissimo della mia intenzione e consapevole di ciò, mi ha costretto a guidare la sua stessa auto che avevo personalmente manomesso? –

– Cosa? – domandai, incredula.

Graham ringhiò, poi finalmente reagì, scansando col braccio la presa di Kenner e spingendolo sulla poltrona, per poi stringere la mano attorno al suo collo. Solo allora mi resi conto del perché non poteva allontanarsi. Intorno alla sua caviglia sinistra, un anello d’acciaio legato a una corta catena ancorata al pavimento glielo impediva.

– Chi ti ha coperto per tutti questi anni?! – sbraitò, stringendo la presa con l’intenzione ferma di strangolarlo. Kenner tossì, diventando paonazzo in volto. Eppure rise.

– Detective Graham! – urlai, correndo a fermarlo. – Così lo uccide! –

– Magari. Sarebbe una morte più decente, questa volta! –

I suoi occhi esprimevano tutta la rabbia che stava trattenendo a stento in quel momento.

– Lei non è così! La prego! Per favore… Alexander… –

Al suono del suo nome, allentò la morsa e si voltò appena a guardarmi. Dovevo avere un’espressione indicibile. Posai le mani sulla sua, poi guardai Kenner.

– Tsk. Che delusione, Lex. Dunque questa ragazza è realmente la causa per cui ti sei rammollito così tanto? E io che pensavo steste solo fingendo... –

– Lei è un fottuto pezzo di merda. – sibilai in risposta.

Kenner sgranò gli occhi, poi mise la mano in tasca.

– Ehi, non fare scherzi! – esclamò Graham, pronto a intervenire per fermarlo, quando il suo ex compagno di cricca tirò fuori una chiave. Ce la fece vedere, poi si rivolse a me.

– A te la scelta, dottoressa Hastings. Puoi liberarlo se vuoi. –

Senza che me lo dicesse due volte, afferrai la chiave e mi accinsi a cercare la serratura.

– È lì. Il lucchetto è appena sotto la poltrona. – mi disse Graham.

Andando a colpo sicuro, lo raccolsi e mi apprestai ad aprirlo, quando sentimmo Kenner ridere.

– Lex, tu vuoi sapere chi mi ha coperto in tutti questi anni… ma la domanda che dovresti farti è un’altra. Arriverai in tempo per salvare la tua Elizabeth, una volta che la qui presente dottoressa ti avrà liberato? –

La chiave mi rimase ferma nella serratura, nel sentirlo.

– Cosa? Che hai fatto, bastardo?! –

Kenner sorrise compiaciuto. – Mia cara, devi sapere che Lex non è mai stato molto bravo a scegliere. Per lui, o tutto o niente. Dimmi, hai pensato che una volta che la ragazza ti avesse liberato, sareste andati insieme a cercare i vostri amici, vero? Purtroppo per voi, soltanto una persona per volta può uscire da qui. Personalmente, ho intenzione di godermi lo spettacolo fino all’ultimo, ma i miei sistemi di sicurezza faranno in modo di impedire a entrambi di uscire da qui. –

– Dov’è Elizabeth, Richard?! – urlò irato Graham, ignorando totalmente le sue parole. Mi morsi le labbra e feci scattare la serratura, liberando la sua caviglia.

Graham abbassò lo sguardo incontrando il mio. I suoi occhi erano un crogiolo di emozioni.

– Nei sotterranei c’è un posto che Kenner ha creato sul modello della sua idea del Dark Circus… eravamo tutti insieme, ma da quando il rettore Chambers è venuto a prelevarmi, non so né dove siano finiti, né cosa sia accaduto loro… – confessai.

– Dio… – mormorò, passando la mano tra i capelli. Un gesto che gli avevo visto fare qualche volta in passato. Era troppo nervoso, non riusciva a ragionare lucidamente. E io temevo che potesse compiere qualche sconsideratezza.

– Tic Tac. Tempus fugit, Lex. –

– Dov’è?! Richard, per amor di Dio, dov’è Elizabeth?! –

Kenner indicò l’ascensore. – Premi il richiamo, stavolta sarà quello giusto. E… secondo piano interrato. Se sei fortunato e ti sbrighi, magari la ritrovi viva. O magari no, chissà. –

Vidi Graham agitato e combattuto come mai prima d'allora. Mi tese la mano, ma sapevamo bene entrambi che le minacce di Kenner avrebbero avuto seguito, se avessi cercato di fuggire con lui. I sistemi di sicurezza non ci avrebbero lasciato scampo. E la partita che stavano giocando quei due aveva una posta in gioco troppo alta per rischiare.

– Deve andare da solo. – dissi a stento, sentendo la bocca impastata. Il suo volto era confuso, attraverso le mie lacrime. Come accidenti potevo avere ancora lacrime da versare, dopo quella giornata infernale?

– No! Tu vieni con me! Altrimenti Richard, giuro che ti ammazzo su due piedi stavolta. –

Kenner sorrise. – Accomodati, ma sarà plateale se lo farai. Siamo alle spalle della sala casinò, dopotutto. –

– Hastings! –

Abbassai la testa. Il mio cuore ormai era andato. Pulsava con forza tale da sembrare che stesse per esplodermi nel petto. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, ma la mia posizione era più vantaggiosa rispetto a quella in cui poteva trovarsi Elizabeth. Per non parlare dei nostri compagni. Non avevamo garanzie che fossero stati separati, quindi, magari li avrebbe trovati tutti insieme e avrebbero potuto farcela. Cercando di raggranellare un po’ di coraggio a quel pensiero, ma soprattutto, sapendo che mai il detective Graham avrebbe lasciato le cose in sospeso, riuscii a rialzarmi.

– Mi fido di te, Alexander. – sussurrai appena, sorridendo.

Non so perché questo lo sconvolse tanto, ma i suoi occhi si spalancarono in un'espressione di muto stupore. La sua mano, prima aperta verso di me, si chiuse e mi rivolse un incerto cenno di assenso, prima di voltarsi e correre verso l’ascensore.

– Prega che non le venga torto un capello, Richard, o ti prometto solennemente che il mio volto sarà l'ultima cosa che vedrai a questo mondo. – sibilò. E quel tono andava ben oltre una minaccia. Se fosse accaduto qualcosa a Elizabeth, ne ero certa, Graham l'avrebbe distrutto.

Quando premette il pulsante di richiamo, il piano che era rimasto appena sopra la porta scese e lui poté entrarci in sicurezza. Il suo sguardo di pietra mentre questa si richiudeva per portarlo da Elizabeth, lontano da me, fu l’ultima cosa che vidi di lui.

Il mio respiro, sempre più forte e pesante, assieme a una sensazione di estraniamento, facevano da sottofondo alla risata sguaiata di Kenner, che si alzò dalla poltrona, e al rumore meccanico dell'ascensore in discesa.

– Ecco in chi hai riposto la tua fiducia. Era lui la causa delle tue lacrime, no? –

– Stia zitto… – sibilai.

Kenner andò verso la credenza. Ignorando il mio appello, trangugiò un sorso di whiskey e poi, preso il vassoio, me lo tese.

– Gradisci? –

Voltai appena il viso, schifata. – Neanche morta. –

Fece spallucce e posò il vassoio, prima di trarre dalla tasca della giacca da smoking una banconota e arrotolarla. Totalmente incurante del mio disagio, ne sniffò una striscia, poi prese fiato e, solo dopo interminabili secondi, si voltò nuovamente verso di me, sorridendo.

– Ah beh. Dal momento che morta lo sarai presto, lascia che ti dica una cosa. Onestamente dubito che Alexander farà in tempo. Non so in che condizioni troverà i vostri compagni, dal momento che i miei uomini, che ho scelto personalmente tra i migliori mercenari addestrati militarmente, avranno avuto cura di loro... e l'avranno di lui. Così, finalmente, il mondo saprà del Dark Circus. Non sarà più soltanto una leggenda. –

– Perché? –

– Mh? Perché? Perchè così Alexander pagherà per quello che mi ha fatto. Non c'è niente di meglio dell'oltraggio alla memoria. – disse, prendendo la pistola per la roulette russa e facendo ruotare i tamburi. Prima di tornare, però, si fermò davanti alla scacchiera, spostando un suo pedone in avanti per poi catturarne uno bianco. Kenner non sapeva nulla di ciò che era accaduto dopo la sua presunta morte. Aveva nutrito la sua follia, ma era rimasto attaccato al passato. Cosa che non era accaduta, invece, per gli ex membri del Dark Circus.

– Lei non ha idea di cos’ha passato il detective Graham… lui ed Elizabeth hanno perso la loro bambina sei anni fa! E questo l’ha cambiato definitivamente! –

– Certo, così tanto che non ha esitato a lasciarti qui con me e a correre dal suo vero amore. Tipico di lui. – rispose divertito, avvicinandosi a me.

La pistola, con la canna lunga, era pronta a sparare. Compresi in quell’istante cos’avesse voluto dire poco prima. Con la punta delle dita mi sfiorò la guancia. Un tocco delicato e al tempo stesso terrorizzante. I suoi occhi mi guardavano con finta pietà, poi si soffermò sui capelli che portavo ancora intrecciati a corona e me ne scostò una ciocca ribelle. Quel gesto mi fece trasalire.

– Povera cara… e pensare che sei così bella. Quasi quasi mi dispiace anche, ma sai com'è... non posso certo lasciare testimoni. –

Scostai il viso. – Come ha fatto a sopravvivere? Visto che sto per morire almeno può dirmelo, no? – la mia voce risuonò così estranea e distante, ma almeno, volevo portare a termine la mia missione. Le dita di Kenner scesero lungo la mia giugulare pulsante, poi intorno al ciondolo che portavo al collo. Mi irrigidii, sperando che non si rendesse conto che non si trattava di una normale collana. Doveva essere preso da altro, perché continuò a scendere, aprendo prima il palmo sul mio seno e poi stringendo. Rabbrividii e strinsi gli occhi, prendendo a respirare con più forza. Ti prego, risparmiami almeno questo…

– È semplice. Mi sono buttato fuori prima che l’auto fosse sbalzata fuori strada. Quello è stato rischioso, in effetti, ma... è ciò che accade se inchiodi all'improvviso. –

Riaprii gli occhi, giusto il tempo di sentire la carezza della canna di metallo sotto la mandibola. I suoi occhi erano nuovamente eccitati ora. Dunque i risultati erano stati realmente contraffatti. Kenner aveva finto la sua morte e la cosa peggiore era che per tutti quegli anni, Graham si era sentito in colpa per quanto accaduto, credendo di averlo mandato a morire. Strinsi i pugni.

– E il corpo trovato all’interno? Aveva le sue impronte dentali… –

– Davvero? Oh, certo. Un automobilista di passaggio si era fermato a prestare soccorso. E sai chi era? –

Deglutii senza saliva. – A-Aaron Bradley? –

Il sorriso di Kenner si aprì tremendo sul suo viso. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò una sola parola. – Bingo. –

Sgranai gli occhi. – C-Come ha fatto a prenderne l'identità e farla franca per tutti questi anni? –

– Come, dici? Fortuna. E qualche aggancio che non aveva gradito il trattamento che era stato riservato loro da Alexander. A dirla tutta la parte più difficile è stata dover fingere un'amnesia con i parenti di Bradley, troppo sospettosi riguardo al fatto che il loro congiunto avesse... un volto diverso. Sai com'è, le conseguenze di un incidente così grave e la connivenza di qualche amico... Ma in fondo, era un piccolo prezzo da pagare per ottenere ciò che volevo. D'altronde, avevo imparato dal migliore l'arte dell'inganno. –

– Eh? –

Piegò appena la testa e mi sorrise ancora. Le sue pupille erano incredibilmente dilatate.

– Quando sguazzi nel marcio, scopri che certi potenti hanno scheletri nell'armadio troppo grandi e guadagni troppo ghiotti per non approfittarne. Ne parlai con Lex, ma lui giocò sporco. Avremmo potuto ottenere denaro facile tanto da poter vivere un'intera vita di lusso e sarebbe stato il suggello di ciò che il Dark Circus era stato, ma a causa di Elizabeth... si ricordò di avere un'anima. E così, mentre io credevo di star portando avanti insieme un piano per ottenere dei conti ubicati in paradisi fiscali, lui stava già segretamente collaborando con gli sbirri. Aveva tradito il patto: non era più degno di essere il leader del Dark Circus. E in più, l'aveva fatto vendendo me, che ero stato al suo fianco da sempre. E ancora una volta ha fatto lo stesso gioco, scegliendo lei. Solo che stavolta, ci sei di mezzo tu... e io so come distruggerlo per sempre. –

– Non riuscirà a farla franca stavolta. –

– L'ho già fatto una volta. Posso farlo ancora e tutte le volte che voglio. Ma soltanto dopo che vedrò la fine di Alexander. Del resto non mi importa nulla. –

Sentii un rivolo umido scorrermi lungo la guancia. – Io ho fiducia nel detective Graham. Lui farà ancora la cosa giusta, lo so. –

Fece spallucce e sentii la pistola premuta sulla mia pelle. – Voi donne, sempre così sentimentali. Basta che un uomo vi sussurri qualche parola dolce e siete alla sua mercè. Proprio come Alicia... Ma lascia che ti dica un'ultima cosa: per Lex non esiste la cosa giusta. Esiste solo quello che gli fa più comodo. –

– Lei è un mostro… – sussurrai, sentendo il primo tamburo ruotare. Mamma, papà… Trevor…

– No, sono il vero leader del Dark Circus, cara Katherine… – annunciò trionfante, mentre si accingeva a premere il grilletto.

Singhiozzai. Alexander…

– In tal caso... è ora di chiudere col Dark Circus una volta per tutte. –

Mi si mozzò il fiato, sentendo la voce di Graham a poca distanza. Poi il click di una sicura. Vidi il volto di Kenner trasformarsi in una maschera rigidissima e il suo sorriso lasciare il posto a un ghigno distorto.

– Il tuo problema, Richard, è che hai sempre sottovalutato il potere della regina. –

L'uomo rivolse uno sguardo alla scacchiera. Non ne sapevo molto, ma da quel che potevo vedere, con l'ultima mossa, il re di Kenner era rimasto scoperto, preda della regina bianca di Graham, che era rimasta chiusa in un angolo. E quello poteva solo significare che si sarebbe trattato di scacco matto. Perché so che sarai straordinaria, stasera. Mi si mozzò il fiato.

– A-Alexander? – bisbigliò appena, voltandosi. Sembrava più rigido e mi chiesi se fosse un effetto della sostanza che aveva assunto.

Approfittai di quel momento per scostarmi e incontrai lo sguardo del capo. Accennò un sorriso per un istante, poi tornò a puntare Kenner. Mi tese la mano e stavolta, senza nemmeno rendermene conto, accolsi l'invito, incamminandomi verso di lui col cuore in gola. Presi la sua mano, mentre Kenner si guardò intorno, probabilmente alla ricerca del punto da cui Graham era rientrato. Sgranò gli occhi quando vide, appena scostata, la pesante tenda rosso scuro che separava il privè da un corridoio che portava sicuramente alla sala casinò. Graham invece ne approfittò.

– Ti sei fottuto da solo, Richard. Ah... Marcus ti ringrazia per la confessione. – sibilò, con voce avvelenata e un crudele sorriso sul volto.

A quel punto, Kenner, fuori di sé, urlò il nome di Graham e si accinse a sparare. Serrai gli occhi, terrorizzata.

– E non dire che non ti avevo avvisato di non torcerle un capello, stronzo. –

Fu un attimo, e sentii chiaramente un singolo sparo. Qualche secondo e udii un tonfo sordo accanto a uno metallico. Fu solo allora che tornai a vedere. Graham, con braccio teso e pistola fumante ancora in mano, aveva sparato a Kenner all'altezza della spalla destra. Non so quanto tempo trascorse. Un’eternità forse, prima che rimettesse in sicurezza la sua arma e, dopo averla messa via, si avvicinò a Kenner, che giaceva a terra. Dopo aver usato lo stesso anello che l'aveva imprigionato precedentemente per impedirgli di fuggire qualora si fosse risvegliato e spostato la chiave sulla più lontana credenza, contattò Jace per comunicargli la situazione. Invece, per quanto mi riguardava, in quel momento, la sola cosa che riuscivo a pensare era che lui fosse tornato. E che avesse sparato a Richard Kenner. Quando tornò da me, le sue braccia mi sollevarono agilmente e mi ritrovai stretta, al sicuro, nel suo abbraccio. Avrei voluto piangere, ma ero troppo sconvolta. Posai la testa nell’incavo della sua spalla. Si incamminò verso l’ascensore, quando mi sovvennero le minacce di Kenner circa l'uscire da lì in due.

– Non di là… – biascicai. Avevo la bocca impastata.

– È tutto a posto. Jace ha disattivato il sistema di sicurezza. E il corpo di Chambers è stato già recuperato. – mi rassicurò, richiamandolo.

Annuii. Jace era davvero il nostro mito. Avrei dovuto ringraziarlo, una volta tornata in Dipartimento.

– P-Posso camminare… mi metta giù… –

– Quando smetterai di tremare lo farò. – rispose, entrando in ascensore e premendo un pulsante. Poco prima che la porta si richiudesse, facemmo giusto in tempo a vedere dei poliziotti che entravano nel privé.

Fu allora che realizzai e fu come se stessi liberando le emozioni che avevo accumulato in maniera così compulsiva fino a quel momento. Finalmente fui in grado di sentire il tremore che mi scuoteva il corpo. E scoppiai in un pianto dirotto, abbracciandolo con tutte le forze che mi erano rimaste.

– Mi dispiace… non avrei dovuto coinvolgerti in tutto questo… – disse, con voce sinceramente pentita.

Scossi la testa e cercai conforto nel suo petto. E poi mi ricordai delle sue parole. Tirai su il viso, incontrando il suo.

– Elizabeth? E gli altri? Come stanno? –

La sua espressione era tranquilla.

– Credo che tu non sappia proprio come funziona quando qualcuno bluffa, vero? Maximilian è un idiota a volte, ma è cintura nera quarto dan di karate. Dei mercenari pseudo militarmente addestrati gli fanno solo un baffo. –

Battei le palpebre, confusa. – Eh? –

Mi rivolse un accennato sorriso. – Stanno bene. E… – accennò al ciondolo che portavo. – Non più di dieci metri e non meno di due metri e mezzo… poco più della distanza tra me e te in quella stanza. Ho solo avuto bisogno di fermarmi al piano inferiore per riprendere la mia pistola e indicare il percorso alle squadre, ma non ti avrei mai lasciato da sola con quel bastardo, Kate. Ti sei fidata di me… –

Sgranai gli occhi. – Ha sentito tutto… –

– Sempre… dal primo momento in cui hai toccato quel ciondolo. –

– I-Io… detective Graham, io… –

La sua presa si fece più forte, ma la porta si aprì sul piano interrato del garage. Ad attenderci, oltre che i nostri compagni, c’erano altre pattuglie e tutti gli altri, Jace e Alexis compresi.

– Alexander! Kate! – la voce sollevata di Selina.

Graham uscì e mi mise giù, sostenendomi con il braccio dietro la schiena. Erano tutti lì e fui sopraffatta dall’emozione. – Oh Dio, ci siete tutti… –

– Katie!!! – la voce urlante di Jace che corse subito ad abbracciarmi.

– Stai bene? Ero così preoccupato!! – poi cambiò tono nel guardarmi, con aria improvvisamente indagatrice. – Oh, il mio ciondolo. Funziona bene, vero? –

– J-Jace, non… –

– Lasciala tranquilla, Jace. –

Il detective Wheeler si affacciò. Fui sollevata del vederli tutti in salute.

– Ti siamo grati per l’aiuto, dottoressa Hastings. Grazie a te, abbiamo fatto luce su quello che è accaduto davvero… e risolto il caso dell’omicidio di Alicia Bernstein, a quanto pare. –

Annuii, pensando che in qualche modo, Alicia avrebbe avuto giustizia.

Elizabeth si intromise, facendo capolino. – Quel che Max vuole dire è che sei stata coraggiosa, Kate. Anche se ci hai fatto preoccupare. – guardò Graham e affilò lo sguardo. – Quanto a te, la prossima volta che ti viene in mente di mandarci al diavolo per lei, almeno cerca di riportarla senza graffi. –

Graham fece spallucce, mentre mi resi conto di avere addosso al polso il segno della presa del rettore Chambers. Non me n'ero resa conto fino a quel momento.

– Mandarvi al diavolo? Comunque abbiamo la confessione di Kenner… –

Fu Jace a rispondere. – Lo sappiamo. E sappi che non eri la sola ad avere una microspia. Manomettergli il Rolex ha funzionato. Anche se Kenner si è sbottonato solo con te. E avevi ragione a fidarti di Kate, capo. –

– Oh… – fu l'unico commento che mi uscì.

Graham sorrise, poi puntò il suo Rolex. – Domani lo voglio come nuovo, oppure ne farò decurtare il costo maggiorato al 50% dai tuoi stipendi e, probabilmente, anche dalla tua futura liquidazione. E sai che ne sono capace. – disse, togliendolo e affidandolo a Jace con un tono minaccioso.

Vidi il pomo d'Adamo di Jace salire e scendere in modo inquietante, ma durò il tempo di un secondo perché Graham ci guardò tutti. Eravamo sconvolti. Elizabeth mise una mano in faccia.

– Sei incorreggibile. Non ti stanchi mai, eh? –

Graham scoccò un'occhiataccia alla ex moglie, mentre gli altri sospirarono. Improvvisamente mi sentii un pesce fuor d'acqua, tanto che Elizabeth comprese al volo.

– Sai quanto costa quel cosmografo? –

– Ehm... un po'? –

Ebbi la soddifazione di vedere un'espressione incredula sul volto di Graham, quando Jace, nemmeno stesse parlando di pochi spiccioli, mi comunicò gli zeri che ne componevano il prezzo. Sgranai gli occhi pensando che fosse impazzito e guardai il capo. – Ora più che mai non credo nemmeno di voler sapere come diavolo ha fatto a permettersi una cosa del genere. –

Quel commento lo fece sogghignare, soprattutto perché, poco dopo, quando vidi il suo sguardo rivolgersi verso il dottor Howell, mi resi conto che dovesse essere il risultato di qualche passata sfida finita male per il gran capo. Sospirai, mentre lui guardò verso la sua auto.

– Ad ogni modo… sono le due e mezza e vorrei andare a casa. Quanto a te, Hastings, tu prenderai un paio di giorni di riposo da lunedì. –

Annuii a cotanta generosità e mi affrettai a restituire anche la mia collana all'hacker proprietario, che la riprese, stavolta, con la stessa bramosia di Gollum alle prese con l'anello. Se non fosse stato spaventato dalle minacce del capo, sarebbe stato capace di mettersi a chiamare quegli oggetti “i miei tesssssori.

– Ah, a proposito… – disse Alexis, avvicinandosi con in mano il mio smartphone, che mi restituì. – Abbiamo recuperato i vostri oggetti personali. Questo è tuo, no? –

– Sì, grazie… –

Non appena riuscii a coordinare le dita e ad accenderlo, vidi una sfilza di messaggi di Lucy, le chiamate della mamma e alcuni messaggi di Trevor. Mi ripromisi di vedere tutto con calma.

Dopo aver disposto gli ultimi interventi e parlato personalmente con un incredulo e sconvolto direttore del Four Seasons, anche il dottor Howell ci raggiunse nuovamente.

– Di certo Kenner avrà un bel po' da spiegare, prossimamente. – ci spiegò il gran capo.

– Già. Ah, Lex. Tu non hai visto la sua creazione, vero? – fece eco Selina, ricevendo per risposta un'occhiata contrariata.

– Preferisco non rovinarmi ulteriormente la nottata. Richard era un gran coglione. Sul serio... non aveva capito niente. Per chi mi aveva preso? E comunque la sala casinò era più sul genere che avevo immaginato io. Non quella specie di bolgia infernale di dubbio gusto. –

– In realtà sei invidioso, vero? Lui ha concretizzato, tu no. – aggiunse il detective Wheeler. Graham lo guardò di sottecchi.

– Non ti rispondo nemmeno. Ad ogni modo... Marcus, mi autorizzi a metterlo sotto torchio? Credo che sarà il caso di far partire un'indagine per scovarne i complici. Chambers è andato, ma all'epoca della presunta morte di Richard, furono in tre a sfuggire. Se lo facciamo parlare ora, li prendiamo. –

Mi resi conto allora che si stava riferendo a coloro che Graham aveva cercato di incastrare prima ancora di entrare in Polizia. Alla fine, per quanto fosse andato a fondo col Dark Circus, il suo obiettivo era stato chiaro fin dall'inizio e, differentemente da Kenner, che si era lasciato abbindolare, lui aveva mantenuto la lucidità, contribuendo a sgominare un'associazione criminale di alto livello.

– Me ne occupo io da questo momento. Voi avete già fatto abbastanza facendo uscire allo scoperto Kenner. Certo, è stato imprudente. Il suo piano era sbagliato già in origine, perchè puntava sui suoi agganci e sulla fortuna, più che sulla strategia. – spiegò il dottor Howell.

– Ed è ciò che l'ha sempre reso un borioso buono a nulla. Se vuoi fare qualcosa, devi avere sempre pronto un piano B. E un piano C, all'occorrenza. E questo lui non l'ha mai capito. Senza contare che non è stato in grado di bluffare come si deve. Si era già tradito col biglietto che ha mandato ad Hastings, prima ancora che col fazzoletto di Alicia. – aggiunse il detective Graham.

– Lei l'aveva capito? – chiesi, incredula.

– Intuizione. Ma servivano conferme. –

– Piuttosto... cosa si fa se ci mette in mezzo? – domandò il detective Wheeler.

– Ci trascinerà tutti con sé. – rispose il dottor Howell. – Dopotutto, non ha più nulla da perdere e la dignità non è mai stata esattamente tra le sue caratteristiche. –

Graham sospirò. – Non parlerà. Ha la credibilità di un politico in campagna elettorale, soprattutto in questo momento. E dubito che il direttore del Four Seasons muoia dalla voglia di avere uno scandalo ancora più grande dell'assassinio del Rettore di Harvard, una volta che verrà fuori che dei rispettabili cittadini e degli ufficiali di Polizia sono finiti preda di un mitomane all'interno del prestigioso hotel. Richard sarà già fortunato se con tutti i reati che gli verranno ascritti riuscirà ad avere un quarto d'ora d'aria al giorno. Senza contare che i legali della famiglia Bradley non avranno pace finchè non gli avranno tolto anche quello. Forse, sarebbe stato più saggio rinchiudersi in quel suo squallido modello del Dark Circus per sempre, invece di voler tentare di strafare. – disse, senza nascondere una nota di perverso compiacimento.

Nessuno osò aggiungere altro. Non c'era altro da dire, in quel momento. Troppa stanchezza e incertezza che, a tempo debito, forse avrebbe potuto trovare ulteriori risposte. Mi ritrovai a stringermi nelle braccia e a sbadigliare.

Il capo recuperò le chiavi della sua auto. – Ti accompagno a casa, andiamo. – mi disse.

– Ci penso io, stessa strada! – esclamò Jace. – E di certo, Lucy non vede l’ora di riabbracciarti, Katie. –

Sorrisi appena, anche se mi sentivo davvero esausta. Anch’io avevo voglia di riabbracciarla.

– E Trevor? Non è a casa nostra? –

– No, non si è visto oggi. A dire il vero non l’ho nemmeno sentito, ma eravamo tutti off limits. –

D’altronde, Trevor non sapeva che Jace coordinasse le operazioni a distanza.

– Scusami, Jace… ma vorrei andare da lui allora. Sempre che non mi lasci fuori casa a quest’ora, beninteso… –

– Vorrà dire che ci attaccheremo al campanello. – intervenne Graham. Quel commento mi fece sorridere. – Va bene. Grazie mille. –

Guardai tutti, poi mi sovvenne un particolare quando il mio sguardo si fu posato su Jace e Alexis. – Ma loro sanno del Dark Circus? –

Jace mi rivolse un sorriso sornione, Alexis battè innocentemente le palpebre, mentre Selina ridacchiò in sottofondo, ma nessuno mi rispose esplicitamente. Sì, lo sapevano.

E fu così che prendemmo congedo da tutti, a conclusione di una interminabile e folle giornata.


 

 

 

 

 

************************************************************************

 

Allora.... spiegone time!


Non ho descritto le partite perché, esattamente come Kate, non me ne intendo. XD Scherzo, in realtà so giocare benissimo a Uno e una volta sono rimasta fino alle 3 di notte con degli amici a contendere su Monopoly perché avevo comprato più di mezza città! XD In realtà poi ho scoperto che lo scopo del Monopoly non era l'investimento nel mercato immobiliare, ma va beh... XD In compenso da piccola avevo imparato a giocare a scacchi: poi, come accade nella maggior parte dei casi in cui non si coltivano le passioni, ho dimenticato. ç_ç Preambolo necessario per dire che se del poker so che i tre elementi fondamentali per vincere sono probabilità, bluff e cuore delle carte XD fortuna, ho deciso di far giocare la partita in maniera un po' più ampia... d'altronde, dal momento che non ho puntato sul fattore sorpresa, visto che Kate aveva una microspia e, dato che era necessario che lei sapesse qualcosa del genere (e noi con lei), l'ho buttata sul "Come freghiamo Richard?", ovvero: Alexander ha puntato tutto su Kate, sapendo che con lui Richard non avrebbe parlato (in realtà Richard avrebbe gradito saltargli addosso, ma dettagli) e lei, da brava regina bianca messa apparentemente all'angolo, l'ha fatto parlare. In realtà, a un certo punto Kate ha pensato davvero che Graham non sarebbe tornato, visto che non aveva idea del fatto che Mr. Ne so una più del diavolo ha dovuto rendere credibile la messinscena. Ci è riuscito? 
Altro dettaglio sul Dark Circus: con la storia del redivivo Richard, che desiderava vendetta su Alexander, è uscito qualcosa in più. Immergendosi nei meandri di ricatti e del mondo sporco, Alexander aveva scoperto i segreti dell'élite scandalosa di Boston (e no, non era Gossip Girl XD) e, a suo tempo, aveva contribuito a sgominarla. D'altronde, per quanto possa apparire poco ortodosso nei metodi, era pur sempre uno studente di Legge che alla fine è diventato poliziotto (mentre Richard si è lasciato traviare). Ho questo headcanon per cui ha deciso di entrare in Polizia proprio per questa ragione e in seguito alla "morte" di Richard. A suo tempo, non aveva potuto indagare perché era una recluta. 

Note tecniche invece:
La scala reale è la combinazione più forte del poker. :3 
Negli scacchi, la regina all'angolo è parte dello scacco matto in tre mosse con cattura del re. Oltretutto, Kate aveva anche i capelli acconciati in una corona, quindi... :3

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Capitolo 13
*** VI. terza parte ***


Buondì e buon Ferragosto a tutti! Safety remind: ricordate di mantenere le giuste distanze e usate le mascherine! 

Pubblico ora la terza parte e finale del sesto capitolo. Al termine, qualche nota! Grazie come sempre per le letture e un abbraccio alla mia carissima Evee che continua a supportarmi!! ç_ç<3 Buona lettura!!

 

 

 


Ci lasciammo alle spalle il Four Seasons Hotel presidiato in pochi minuti. Accoccolata nel sedile passeggero della Veloster, che sfrecciava nella luminosa e frequentata notte bostoniana, scrissi alla mamma dicendo che l’avrei richiamata l’indomani mattina e che le avrei spiegato tutto. Poi fu il turno di Lucy. I suoi messaggi comprendevano tutte le variazioni possibili della paranoia, soprattutto dal momento che Jace non poteva darle informazioni precise e aveva passato tutta la giornata a latitare anche con lei. Quando finalmente ascoltai i messaggi di Trevor, in cui mi diceva che non vedeva l’ora di riabbracciarmi, sentii una morsa al cuore. Se Graham non fosse stato lì, non avrei potuto più farlo. E quel pensiero, per la prima volta, mi fece riflettere su quanto avessimo davvero rischiato quella notte. Lui e gli altri dovevano esserci abituati, in fondo, ma per me era tutto diverso. Non avevo certo intrapreso quella carriera per rischiare la vita. Eppure, l’avevo fatto, accettando una missione che si era rivelata molto più insidiosa e pericolosa di quanto avremmo potuto preventivare. Strinsi lo smartphone tra le mani, dopo aver inviato a Trevor un messaggio per avvisarlo che sarei andata da lui, e poi guardai Graham. Quel giorno, avevo scoperto lati di lui che non immaginavo possibili. E accanto a ciò, avevo realizzato che non riuscivo a farmeli passare come indifferenti. A farmi passare lui come indifferente. Richard Kenner aveva detto che lui non era bravo a scegliere. O tutto o niente. E io? Mi voltai a guardare fuori dal finestrino per il resto del viaggio, fino a che ebbe imboccato la via del palazzo in cui abitava Trevor.

– Diceva davvero, prima? –

Mi guardò con la coda dell’occhio.

– A che proposito? –

– Scendere con me. È molto tardi… –

Parcheggiò la sua auto con un paio di manovre rapide e sicure, attendendo lo spegnimento del motore. Solo dopo qualche secondo sospirò e si voltò a guardarmi decentemente.

– Ascolta, Hastings… –

Eccolo tornato al cognome. Stranamente, mi fece tornare a una parvenza di normalità, come se fosse tutto come al solito. Picchiettò le dita sul volante in pelle, poi annuì.

– So di non essere un campione di buone maniere a volte e, che resti tra noi, non posso farci molto, ma vorrei chiarire un paio di cose: il signor Lynch è un bravo ragazzo e voi avete un bel futuro davanti. Siete giovani, affiatati e, in un certo senso, credo che forse nemmeno lui si renda conto fino in fondo di quanto tu sia… in gamba. –

Un tuffo al cuore.

– P-Perché mi dice questo? –

Graham sogghignò, senza distogliere lo sguardo dal mio. Chissà se si stava rendendo conto di quanto mi stesse rendendo le cose difficili, in quel momento.

– Perché per quanto lui sia comprensivo, tu sei stravolta, hai un polso ammaccato e da capo ho la responsabilità morale di spiegare come si deve ciò che è accaduto. Ovviamente, lo faccio anche nel mio interesse, dal momento che non vorrei rischiare di ritrovarmelo in Dipartimento domani per protestare. –

Sgranai gli occhi. Graham aveva davvero la capacità di farmi diventare matta.

– Lei è davvero una brutta persona. – commentai, ottenendo in risposta un mugugno, poi scesi dall’auto. Era notte inoltrata ormai e il freddo di fine marzo si faceva sentire, tremendamente pungente.

Graham mi raggiunse subito, posandomi la sua giacca da smoking sulle spalle. Non era molto pesante, ma almeno mi riparò giusto per il tempo di entrare. Fortunatamente, qualche irriducibile aveva lasciato il portone d'ingresso aperto e ringraziai la mia buona stella per questo, dal momento che non avrei resistito a lungo. Ci ritrovammo di nuovo in ascensore, stavolta per una trentina di secondi, e raggiungemmo l’appartamento di Trevor.

Tutto intorno a noi era silenzioso, salvo che qualche familiare nota in sottofondo che proveniva dall’interno.

– Sembra che quantomeno sia sveglio. Che musica è? –

Portai la mano sul cuore, riconoscendo in quelle note Unconditionally di Katy Perry, la canzone che ci aveva fatto innamorare. Sorrisi.

– La nostra canzone… –

– Oh. – fu il suo laconico commento.

Pensai che forse sarebbe stato opportuno chiedergli di andar via, dato che, a quanto pareva, Trevor aveva pensato di accogliermi con una canzone che adoravamo e, mi sovvenne in quel momento, probabilmente voleva festeggiare sia il suo successo che il mio rientro, ma prima che potessi dirglielo, Graham mi passò davanti, suonando. Una, due volte, in attesa, ma nulla. Soltanto Unconditionally in loop.

– Stai a vedere che si è addormentato… – bisbigliai, non senza una punta di delusione.

– Ha il sonno pesante, eh? Non hai le chiavi? – mi chiese.

Feci cenno di no. Non eravamo, in effetti, ancora a quel punto. Sospirai, poi toccai la maniglia in ottone e mi accorsi che la porta non era del tutto chiusa. La spinsi leggermente e la luce dell’interno, insieme al volume dell'audio, ci stupirono non poco.

– Ok, questo è strano… – osservai.

Graham, più svelto di me, mi prese con sé. Qualcosa sul suo volto mi fece improvvisamente preoccupare. La sua espressione era concentrata come quando stava indagando.

– Detective Graham? –

– Vieni con me. – ordinò, entrando.

Lo seguii sentendo l’ansia che saliva a ogni passo. Avevo scritto a Trevor poco meno di un quarto d’ora prima e mi aveva risposto che mi avrebbe atteso, dunque potevamo escludere scenari catastrofici, ma la paura era lì ad attanagliarmi il cuore man mano che attraversavamo il corridoio. La musica proveniva dal soggiorno illuminato ed era lì che ci dirigemmo. Graham fu il primo a varcare la soglia, mentre io, qualche passo più dietro, cominciavo a provare i classici sintomi degli attacchi di panico, per l’ennesima volta in poco più di ventiquattro ore. Il mio cuore batteva all’impazzata, tremavo e provavo un senso di straniamento.

Il capo si fermò, irrigidito. Aveva sul viso un’espressione scioccata che oltrepassava di gran lunga quella che aveva quando si era ritrovato davanti un redivivo Richard Kenner. Imprecò con qualcosa tipo Cristo santo, poi si voltò verso di me. Non capivo cosa stesse dicendo, ma mi sembrava che agitasse le mani verso di me, come se volesse che non andassi oltre. Lo vidi più vicino, ma probabilmente dovevo essere stata io ad avvicinarmi a mia volta. Il mio corpo si muoveva per proprio conto, per inerzia, al suono continuo di quella canzone che ora continuava incessantemente a martellarmi nelle orecchie, coprendo persino la voce di Graham. Mi sentii completamente avvolta nel suo abbraccio, troppo forte per essere quello che, non più di un’ora prima, mi aveva riportato alla realtà. Troppo forte, come se volesse strapparmici, ora. Forse mi dimenai, non lo sapevo. Ero esausta, nauseata da un odore troppo intenso che proveniva dal soggiorno e dalla musica. Graham urlava qualcosa, cercava di portarmi fuori, ma io continuavo a lottare. E lottando, riuscii a vedere.

 

I will love you, unconditionally

There is no fear now

Let go and just be free

I will love you, unconditionally…

 

Trevor. Il mio Trevor. Il ragazzo che mi amava e che amavo nonostante non ne fossi degna, giaceva sul divano. La sua espressione di puro terrore era cristallizzata per sempre in quegli occhi verdi spalancati come se volessero uscire dalle orbite e nella bocca innaturalmente aperta, grondante sangue incrostato e bava. Il suo corpo, che fino alla notte precedente mi aveva riscaldato e stretto a sé, era orribilmente squarciato, vulnerabile, insanguinato. Il braccio sinistro ricadeva lungo, penzoloni, ma mancava qualcosa. Me ne accorsi nel vedere la sua mano lontana da esso, sul tavolino in legno di fronte, lo stesso su cui avevamo mangiucchiato la torta al limone la sera in cui gli avevo raccontato della missione… e in cui mi aveva detto che se tutto fosse andato secondo i suoi piani, presto avremmo risolto i nostri problemi. Un anello… un luminoso Trilogy era appoggiato sul palmo insanguinato. Era questo che voleva propormi? Alzai lo sguardo. Lungo la parete nuda, una scritta semplice, dello stesso colore oscuro pregnante nella stanza:


 

 

Buondì e buon Ferragosto a tutti! Safety remind: ricordate di mantenere le giuste distanze e usate le mascherine! 

Pubblico ora la terza parte e finale del sesto capitolo. Al termine, qualche nota! Grazie come sempre per le letture e un abbraccio alla mia carissima Evee che continua a supportarmi!! ç_ç<3 Buona lettura!!

 

 

 


Ci lasciammo alle spalle il Four Seasons Hotel presidiato in pochi minuti. Accoccolata nel sedile passeggero della Veloster, che sfrecciava nella luminosa e frequentata notte bostoniana, scrissi alla mamma dicendo che l’avrei richiamata l’indomani mattina e che le avrei spiegato tutto. Poi fu il turno di Lucy. I suoi messaggi comprendevano tutte le variazioni possibili della paranoia, soprattutto dal momento che Jace non poteva darle informazioni precise e aveva passato tutta la giornata a latitare anche con lei. Quando finalmente ascoltai i messaggi di Trevor, in cui mi diceva che non vedeva l’ora di riabbracciarmi, sentii una morsa al cuore. Se Graham non fosse stato lì, non avrei potuto più farlo. E quel pensiero, per la prima volta, mi fece riflettere su quanto avessimo davvero rischiato quella notte. Lui e gli altri dovevano esserci abituati, in fondo, ma per me era tutto diverso. Non avevo certo intrapreso quella carriera per rischiare la vita. Eppure, l’avevo fatto, accettando una missione che si era rivelata molto più insidiosa e pericolosa di quanto avremmo potuto preventivare. Strinsi lo smartphone tra le mani, dopo aver inviato a Trevor un messaggio per avvisarlo che sarei andata da lui, e poi guardai Graham. Quel giorno, avevo scoperto lati di lui che non immaginavo possibili. E accanto a ciò, avevo realizzato che non riuscivo a farmeli passare come indifferenti. A farmi passare lui come indifferente. Richard Kenner aveva detto che lui non era bravo a scegliere. O tutto o niente. E io? Mi voltai a guardare fuori dal finestrino per il resto del viaggio, fino a che ebbe imboccato la via del palazzo in cui abitava Trevor.

– Diceva davvero, prima? –

Mi guardò con la coda dell’occhio.

– A che proposito? –

– Scendere con me. È molto tardi… –

Parcheggiò la sua auto con un paio di manovre rapide e sicure, attendendo lo spegnimento del motore. Solo dopo qualche secondo sospirò e si voltò a guardarmi decentemente.

– Ascolta, Hastings… –

Eccolo tornato al cognome. Stranamente, mi fece tornare a una parvenza di normalità, come se fosse tutto come al solito. Picchiettò le dita sul volante in pelle, poi annuì.

– So di non essere un campione di buone maniere a volte e, che resti tra noi, non posso farci molto, ma vorrei chiarire un paio di cose: il signor Lynch è un bravo ragazzo e voi avete un bel futuro davanti. Siete giovani, affiatati e, in un certo senso, credo che forse nemmeno lui si renda conto fino in fondo di quanto tu sia… in gamba.  –

Un tuffo al cuore.

– P-Perché mi dice questo? –

Graham sogghignò, senza distogliere lo sguardo dal mio. Chissà se si stava rendendo conto di quanto mi stesse rendendo le cose difficili, in quel momento.

– Perché per quanto lui sia comprensivo, tu sei stravolta, hai un polso ammaccato e da capo ho la responsabilità morale di spiegare come si deve ciò che è accaduto. Ovviamente, lo faccio anche nel mio interesse, dal momento che non vorrei rischiare di ritrovarmelo in Dipartimento domani per protestare. –

Sgranai gli occhi. Graham aveva davvero la capacità di farmi diventare matta.

– Lei è davvero una brutta persona. – commentai, ottenendo in risposta un mugugno, poi scesi dall’auto. Era notte inoltrata ormai e il freddo di fine marzo si faceva sentire, tremendamente pungente.

Graham mi raggiunse subito, posandomi la sua giacca da smoking sulle spalle. Non era molto pesante, ma almeno mi riparò giusto per il tempo di entrare. Fortunatamente, qualche irriducibile aveva lasciato il portone d'ingresso aperto e ringraziai la mia buona stella per questo, dal momento che non avrei resistito a lungo. Ci ritrovammo di nuovo in ascensore, stavolta per una trentina di secondi, e raggiungemmo l’appartamento di Trevor.

Tutto intorno a noi era silenzioso, salvo che qualche familiare nota in sottofondo che proveniva dall’interno.

– Sembra che quantomeno sia sveglio. Che musica è? –

Portai la mano sul cuore, riconoscendo in quelle note Unconditionally di Katy Perry, la canzone che ci aveva fatto innamorare. Sorrisi.

– La nostra canzone… –

– Oh. – fu il suo laconico commento.

Pensai che forse sarebbe stato opportuno chiedergli di andar via, dato che, a quanto pareva, Trevor aveva pensato di accogliermi con una canzone che adoravamo e, mi sovvenne in quel momento, probabilmente voleva festeggiare sia il suo successo che il mio rientro, ma prima che potessi dirglielo, Graham mi passò davanti, suonando. Una, due volte, in attesa, ma nulla. Soltanto Unconditionally in loop.

– Stai a vedere che si è addormentato… – bisbigliai, non senza una punta di delusione.

– Ha il sonno pesante, eh? Non hai le chiavi? – mi chiese.

Feci cenno di no. Non eravamo, in effetti, ancora a quel punto. Sospirai, poi toccai la maniglia in ottone e mi accorsi che la porta non era del tutto chiusa. La spinsi leggermente e la luce dell’interno, insieme al volume dell'audio, ci stupirono non poco.

– Ok, questo è strano… – osservai.

Graham, più svelto di me, mi prese con sé. Qualcosa sul suo volto mi fece improvvisamente preoccupare. La sua espressione era concentrata come quando stava indagando.

– Detective Graham? –

– Vieni con me. – ordinò, entrando.

Lo seguii sentendo l’ansia che saliva a ogni passo. Avevo scritto a Trevor poco meno di un quarto d’ora prima e mi aveva risposto che mi avrebbe atteso, dunque potevamo escludere scenari catastrofici, ma la paura era lì ad attanagliarmi il cuore man mano che attraversavamo il corridoio. La musica proveniva dal soggiorno illuminato ed era lì che ci dirigemmo. Graham fu il primo a varcare la soglia, mentre io, qualche passo più dietro, cominciavo a provare i classici sintomi degli attacchi di panico, per l’ennesima volta in poco più di ventiquattro ore. Il mio cuore batteva all’impazzata, tremavo e provavo un senso di straniamento.

Il capo si fermò, irrigidito. Aveva sul viso un’espressione scioccata che oltrepassava di gran lunga quella che aveva quando si era ritrovato davanti un redivivo Richard Kenner. Imprecò con qualcosa tipo Cristo santo, poi si voltò verso di me. Non capivo cosa stesse dicendo, ma mi sembrava che agitasse le mani verso di me, come se volesse che non andassi oltre. Lo vidi più vicino, ma probabilmente dovevo essere stata io ad avvicinarmi a mia volta. Il mio corpo si muoveva per proprio conto, per inerzia, al suono continuo di quella canzone che ora continuava incessantemente a martellarmi nelle orecchie, coprendo persino la voce di Graham. Mi sentii completamente avvolta nel suo abbraccio, troppo forte per essere quello che, non più di un’ora prima, mi aveva riportato alla realtà. Troppo forte, come se volesse strapparmici, ora. Forse mi dimenai, non lo sapevo. Ero esausta, nauseata da un odore troppo intenso che proveniva dal soggiorno e dalla musica. Graham urlava qualcosa, cercava di portarmi fuori, ma io continuavo a lottare. E lottando, riuscii a vedere.

 

I will love you, unconditionally

There is no fear now

Let go and just be free

I will love you, unconditionally…

 

Trevor. Il mio Trevor. Il ragazzo che mi amava e che amavo nonostante non ne fossi degna, giaceva sul divano. La sua espressione di puro terrore era cristallizzata per sempre in quegli occhi verdi spalancati come se volessero uscire dalle orbite e nella bocca innaturalmente aperta, grondante sangue incrostato e bava. Il suo corpo, che fino alla notte precedente mi aveva riscaldato e stretto a sé, era orribilmente squarciato, vulnerabile, insanguinato. Il braccio sinistro ricadeva lungo, penzoloni, ma mancava qualcosa. Me ne accorsi nel vedere la sua mano lontana da esso, sul tavolino in legno di fronte, lo stesso su cui avevamo mangiucchiato la torta al limone la sera in cui gli avevo raccontato della missione… e in cui mi aveva detto che se tutto fosse andato secondo i suoi piani, presto avremmo risolto i nostri problemi. Un anello… un luminoso Trilogy era appoggiato sul palmo insanguinato. Era questo che voleva propormi? Alzai lo sguardo. Lungo la parete nuda, una scritta semplice, dello stesso colore oscuro pregnante nella stanza:

 

 

 

 

 

 

VUOI SPOSARMI?

 

 


 

Presi un respiro, che spazzò via la musica incessante nella mia testa.

– Kate! –

La voce di Graham, che ora aveva superato ogni barriera.

Tornai a guardarlo. I suoi occhi blu notte sconvolti erano l’unica cosa che riuscivo a distinguere, ma durò un attimo, perché prima che potessi rendermene conto, scomparvero sommersi da una coltre di lacrime bollenti.

– Trevor è… – furono le uniche parole che riuscii ad articolare, prima che le forze venissero meno. Trevor è…

Tutto fu buio.

 

 

 

 

 

***********************************************

Ok. L'elefante nella stanza. Giusto per ricordare, laddove non si fosse compreso, il motivo per cui ho inserito Dark Circus nel genere thriller. Devo dire che questa parte è stata la più difficile da scrivere. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che Trevor dovesse morire. Credetemi, è un personaggi oche adoro e che sarà comunque presente, ma dato che il "Break the Cutie" è uno dei tropes che trovo più significativi per quanto riguarda l'evoluzione dei personaggi, Kate non ne è stata esente. Quali saranno le implicazioni? Le leggerete nei prossimi capitoli. ç_ç<3 E soprattutto... chi sarà l'assassino di Trevor? Alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VUOI SPOSARMI?


 

Presi un respiro, che spazzò via la musica incessante nella mia testa.

– Kate! –

La voce di Graham, che ora aveva superato ogni barriera.

Tornai a guardarlo. I suoi occhi blu notte sconvolti erano l’unica cosa che riuscivo a distinguere, ma durò un attimo, perché prima che potessi rendermene conto, scomparvero sommersi da una coltre di lacrime bollenti.

– Trevor è… – furono le uniche parole che riuscii ad articolare, prima che le forze venissero meno. Trevor è…

Tutto fu buio.

 

 

 

 

 

***********************************************

Ok. L'elefante nella stanza. Giusto per ricordare, laddove non si fosse compreso, il motivo per cui ho inserito Dark Circus nel genere thriller. Devo dire che questa parte è stata la più difficile da scrivere. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che Trevor dovesse morire. Credetemi, è un personaggi che adoro e che sarà comunque presente, ma dato che il "Break the Cutie" è uno dei tropes che trovo più significativi per quanto riguarda l'evoluzione dei personaggi, Kate non ne è stata esente. Quali saranno le implicazioni? Le leggerete nei prossimi capitoli. ç_ç<3 E soprattutto... chi sarà l'assassino di Trevor? Alla prossima!

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** VII. prima parte ***


Buon pomeriggio!! Prima parte del settimo capitolo! Come sempre, al termine, aggiungerò qualche nota! Grazie per le letture e un grazie di cuore alla mia dolcissima Evee che è ufficialmente la mia detective preferita!! <3

 

 

 

 

 

 

VII ◊

 

 

 

 

 

 

Avevo conosciuto Trevor durante un concerto di Katy Perry. Non era un grande appassionato di musica pop, dato che preferiva il rock, ma aveva accettato di accompagnare sua sorella minore, Hannah, che aveva due anni meno di me e che, come la sottoscritta, aveva proprio bisogno di trascorrere una serata diversa per staccare dallo studio. In seguito, Hannah e io avevamo avuto modo di scherzare sul fatto che Trevor, durante l’esibizione di Hot’n cold, avesse passato il tempo a fissarmi al punto che mi ero convinta che si trattasse di un maniaco. Del canto mio, inizialmente avevo cercato di evitare il suo sguardo, ma era durata poco, dato che, ogni tanto, causa insistenza della mia lungimirante Lucy, mi ero ritrovata a incrociarlo più di una volta. L’unica differenza era che quegli occhi di smeraldo prima e un timido gesto di saluto dopo non nascondevano affatto secondi e poco raccomandabili fini, ma un genuino interesse che, nell’arco di meno di due mesi, si era evoluto nel nostro primo bacio e nell’inizio della nostra storia.

Amavo Trevor ed ero ricambiata. Eravamo felici e, nonostante i nostri diverbi e le nostre differenze, avevamo trovato un equilibrio, che stavamo rinforzando un passo dopo l’altro, sebbene fossi consapevole che il futuro fosse imprevedibile e potesse assumere forme inconsuete.

Ma questo era accaduto prima che qualcuno decidesse per noi.

Una volta, gli avevo urlato contro di andare al diavolo. Lui mi aveva risposto che se avessi scelto la carriera in Polizia, sarei stata io ad andarci per prima. Avevamo litigato, ci eravamo feriti, ma poi, dopo, avevamo fatto pace. E lui si era fidato di me. L’aveva fatto sempre, anche quel giorno maledetto.

Ricordavo solo per dettagli come andò dopo che mi ripresi dallo svenimento. Era un po’ come quando il Mago aveva assassinato senza pietà Daisy Ross, ma la differenza era che prima di quel momento, non avevo idea di chi fosse quella bambina, mentre Trevor era il mio fidanzato, la persona con cui stavo da oltre due anni e mezzo e a cui ero legata personalmente. Ricordavo i vicini di casa che, sconvolti e in lacrime, parlavano con il detective Graham e col detective Wheeler. Ricordavo l’agente Jones, che con fare paterno mi aveva messo addosso una coperta pesante e mi aveva offerto del caffè caldo che avevo rifiutato. Ricordavo l’incessante via vai della Scientifica che procedeva come da manuale nelle rilevazioni. Selina, gli occhi ambrati cerchiati da occhiaie scure per non aver potuto riposare, era in prima linea con Alexis. Mi aveva abbracciato, quando era arrivata assieme al dottor Howell e aveva controllato come stessi. Alla fine, i miei colleghi non mi avevano lasciato da sola. Non lo fecero nemmeno Jace e Lucy. Quando la mia migliore amica entrò, correndo, urlando il mio nome, fu come se mi fossi risvegliata dal torpore. Ignorai le fitte alle caviglie, dato che portavo ancora i tacchi, e mi alzai di colpo, abbracciandola forte. Lucy fece lo stesso, affondando le mani nei miei capelli, ancora acconciati.

– Lucy, perché?! – fu la sola cosa che riuscii a urlare, con la voce soffocata dalle lacrime.

– Dio, Kate… non lo so! Non lo so, ma non è giusto! – esclamò, stringendomi forte a sé.

Passammo strette insieme non so quanto tempo. Lucy ebbe pazienza, nonostante il dolore che anche lei stava provando. Avevano sempre passato il tempo a battibeccare quei due, ma si volevano bene. Jace, asciugando le lacrime, aveva raggiunto i detective. Non osai voltarmi a guardare la sua reazione quando vide il corpo senza vita di Trevor, ma, più avanti, ebbi modo di comprendere che la sua morte aveva avuto un devastante impatto anche su di lui.

La parte più difficile fu quando la fredda bara d’acciaio passò davanti a noi. Fu Selina a chiedermi il permesso di portarlo in Dipartimento, annunciandomi che avrebbe eseguito personalmente l’esame autoptico. D’improvviso, l’idea di Trevor che giaceva inerte sul tavolo di metallo fu insopportabile. Servirono sia la comprensione di Lucy che la professionalità del dottor Howell a riportarmi alla ragione, dato che non potevamo fare diversamente.

– Ti prometto che avrò cura di lui, Kate. – mi rassicurò Selina, stringendomi le mani.

Ero così debole che non riuscii nemmeno a ricambiare la stretta e potei solo annuire in silenzio.

Quando gli agenti portarono via la bara, scoppiai in un pianto dirotto. Trevor non c’era più e non avrebbe più potuto far ritorno in quella casa. Nella sua casa. E cos’avrei detto alla sua famiglia? Ad Hannah, che amava suo fratello oltre ogni modo?

– Hastings. – la voce del detective Graham.

Sollevai lo sguardo, incontrando il suo, vigile nonostante l’evidente stanchezza.

– Lo so… devo avvertire i genitori di Trevor… devo fare mente locale… io posso f--

Mi interruppero le sue mani sulle mie.

– Non devi fare niente del genere. Devi riposare. Da questo momento ci pensiamo noi. –

Sgranai gli occhi. – M-Ma… io… –

La sua presa si fece più forte. – Tu niente. Sei sotto shock e al momento non puoi esserci d’aiuto in alcun modo. –

Scossi la testa. – Non può farmi questo! Non può tagliarmi fuori così! Detective Graham, la prego! La prego! Non può… per favore… – la mia voce si spense, soffocata dai singhiozzi.

– Alexander ha ragione, dottoressa Hastings. – disse a sorpresa il detective Wheeler. – Se te lo diciamo, è per esperienza personale, purtroppo. –

Mi morsi le labbra, comprendendo cosa volesse dire. Il detective Graham gli rivolse un’occhiata, poi richiamò la mia attenzione.

– Ascolta… quando ti sarai riposata, ne riparleremo. Per ora, mi sento più tranquillo sapendoti al sicuro con la signorina Garner e con Jace. Daniel e Alexis vi accompagneranno a casa e rimarranno con voi per qualunque cosa. In mattinata, col favore di una maggior lucidità mentale, affronteremo tutto questo. Per il momento, ti chiedo solo di aver pazienza e di fare come ti dico, va bene? Troveremo chiunque vi abbia fatto questo, ma ora, ho bisogno di sapere che farai come ti chiedo. –

Annuii, incapace di oppormi oltre.

Fu così che pochi minuti più tardi, mentre quell'eterna notte di Boston cominciava a schiarire, lasciai l’appartamento di Trevor, tornando a casa con una scorta d’eccezione. Quando Lucy e Alexis mi accompagnarono nella mia stanza, in cui giacevano qua e là alcuni vestiti di Trevor e i nostri ricordi, la mia migliore amica si offrì di dormire con me, come facevamo ogni tanto (in genere causa rottura di relazioni per quanto la riguardasse e causa litigi con Trevor da parte mia) e fu solo quando mi strinse a sé che riuscii, più che stanchezza che per altro, a prendere sonno.

Dormii senza sognare per tanto tempo, tanto che al mio risveglio, era già mezzogiorno passato. Balzai a sedere confusa, sulle prime, ma la realtà non si fece attendere a colpirmi con la forza di un uragano emotivo non appena il mio sguardo si posò sulla felpa Adidas blu che Trevor aveva lasciato da me solo pochi giorni prima. Lucy e Alexis corsero nella mia stanza, attirate dalle mie urla.

– Kate… – sussurrò Lucy, con i begli occhi cervoni bordati di lacrime, raggiungendomi e sedendosi accanto a me.

Alexis fece lo stesso, non appena notò la causa del mio dolore. Del canto mio, non riuscivo più a smettere di singhiozzare. Il ricordo di Trevor senza vita e il suo profumo ancora presente mi mandavano in confusione. Una parte di me desiderava ardentemente che si trattasse di un incubo, ma l’altra, sempre più razionale ad ogni minuto che passava, prendeva coscienza della verità.

– Mi dispiace tanto, Kate… – disse la mia collega, mentre Lucy mi accarezzava dolcemente i capelli.

– C-Ci sono novità? – farfugliai.

– Il detective Graham mi ha chiesto di avvisarlo non appena ti fossi svegliata. Per il resto, ci ha detto che hanno già provveduto a contattare i familiari di Trevor. –

Pensai con orrore ai suoi genitori e ad Hannah. E io ero rimasta a poltrire, al posto di star loro accanto. Feci per alzarmi, ma Lucy mi trattenne.

– Lucy, che diavolo fai? Non ce la faccio a stare qui! Il mio posto è in Dipartimento, con Trevor… non voglio che Hannah e gli altri affrontino tutto questo da soli… io ho il dovere di essere con loro! – spiegai, scostandomi dalla sua presa.

– Lo so! Lo so, ma… hai sentito il detective Graham, no? Ha detto che devi riposare ora… Kate, hai vissuto un inferno questa notte… e se dovessi incontrare la famiglia di Trevor in questo stato, come pensi che potresti essere loro d’aiuto? E poi… – la sua voce si fece più debole, mentre io alzai finalmente lo sguardo incrociando il suo.

– … poi? –

Lucy era a disagio. Non era tipo da tenersi dentro le cose, ma a volte, tendeva a temporeggiare su ciò che riguardava le situazioni problematiche.

– Lucy? –

– Credo che voglia dirti che potrebbero addossarti delle colpe che non hai, Kate… – intervenne Alexis.

Una fitta al cuore e strinsi forte le coperte. – C-Colpe? –

– Kate, ricordi il messaggio sul muro? –

Una morsa ferrea alla bocca dello stomaco mi riportò velocemente alla memoria la scritta insanguinata sul muro del salotto di Trevor. Vuoi sposarmi?

– Era per te… –

Per me. Un maledetto pazzo aveva assassinato Trevor per propormi di sposarlo. Non era possibile. Doveva esserci della malata ironia in quel messaggio, ma non c’era ragione di giustificare in tal senso quella scritta. Scossi la testa, poi guardai Lucy.

– Tu conosci Hannah… lei ha bisogno di me, ora… e anch’io ho bisogno di lei… è la sola cosa che mi rimane di Trevor… non posso rimanere qui ad aspettare ancora… – dissi, poi mi rivolsi ad Alexis. – Per favore, Alexis… tu sai che significa perdere una persona amata, per cui ti chiedo di aiutarmi. E poi, se rimanessi qui, tra i ricordi e il profumo di Trevor, rischierei di impazzire… –

Entrambe si guardarono, ma anche se mi avessero detto di no, non avrei permesso loro di fermarmi. Alla fine, convennero con me e mi lasciarono fare.

Nel tempo che impiegai a rendermi presentabile, Alexis avvisò il detective Graham, che ci attendeva in Dipartimento. Jace e Jones ci avevano già precedute, non prima che il secondo avesse lasciato per me un paio di brioches farcite da mangiare. Non avevo fame, sebbene non mangiassi decentemente dal pomeriggio prima, ma sia Alexis che Lucy furono irremovibili e mi minacciarono di non farmi uscire di casa se non avessi toccato cibo. Senza poterci far nulla, trangugiai una brioche, prima di lasciare casa, dirette verso la nostra destinazione.

Quando varcai la soglia del Dipartimento, tutto sembrava muoversi come al solito, salvo che per l’aria pesante che si respirava. In realtà, probabilmente si trattava di una mia percezione, ma vedere Jace chino sul pc nella sua postazione, talmente concentrato da non essersi nemmeno accorto della presenza di Lucy, fino a che la stessa non gli si era avvicinata, mi aveva immediatamente fatto ripensare alle volte in cui Trevor si buttava a capofitto nel lavoro e distoglierlo era impossibile se non con un abbraccio a sorpresa o con un piatto fumante davanti ai suoi occhi. Dovetti fare uno sforzo enorme per non mettermi di nuovo a piangere e fu grazie all’agente Jones che riuscii a farmi forza. Quest’ultimo, infatti, dopo un veloce scambio con Alexis, mi accompagnò direttamente al piano inferiore, dove mi attendeva il detective Graham.

Pensai che dovesse esser passato da casa per cambiarsi, ma a giudicare dalle occhiaie non doveva aver riposato granché. Mi sentii tremendamente in colpa, al pensiero che io, invece, avessi potuto farlo. Era appoggiato con la schiena al muro, proprio accanto alla porta della stanza di Selina. Nel vederci, il suo sguardo stanco si ravvivò un po’.

– Sei pronta? – mi domandò.

Strinsi le labbra, annuendo. La mia prima bugia.

– Va’ pure, Daniel. Per il resto, procedete come preventivato. –

L’agente Jones si congedò da noi, dopo che l’ebbi ringraziato per le brioche che ci aveva portato per colazione e per l’aiuto che mi aveva dato la notte prima. Sebbene fosse più giovane del mio papà, non potevo fare a meno di pensare che in qualche modo, lo fosse un po’, almeno per noi ragazzi.

– Sii forte, dottoressa. Non sei sola. – mi disse, poi mi dette una pacca affettuosa sulla spalla e andò via.

Il detective Graham attese pazientemente, poi entrò nel laboratorio. Lo seguii sentendo il cuore più pesante a ogni passo. Non mi ero mai resa conto, fino a quel momento, di cosa provassero i familiari delle vittime che erano chiamate per il riconoscimento. Angoscia e dolore che superavano ogni immaginazione, le stesse che, in misura ancor maggiore doveva aver provato lui, quando Selina dovette procedere all’esame autoptico sul corpicino di Lily. Le stesse che dovevano aver provato anche Hannah e i genitori di Trevor, che non avevo visto al mio arrivo. Feci per domandargli qualcosa in proposito, ma mi interruppi non appena entrammo nella sala autopsie.

Fredda e asettica, metallo, neon e piastrelle blu scuro. Nulla che potesse richiamare in alcun modo la vita. Come faceva Selina, così viva, a lavorare là dentro? Anche se il suo appellativo l’aiutava a separare la vita privata dal lavoro, per me era difficile anche solo immaginare di riuscire a trascorrere più di un’ora in quel posto, figuriamoci il lavorarci.

Graham si fermò davanti alle celle frigorifere, poi sospirò e aprì. Il mio cuore pesantissimo prese a battere come se volesse uscirmi dal petto nel vedere il corpo esanime di Trevor nel pallore della morte. Non tirò fuori tutta la lettiga, ma si fermò solo a mezzo busto. Selina aveva provveduto a ricomporlo. Le linee di sutura che partivano dallo stomaco e scendevano in verticale tenevano nuovamente richiuso il suo ventre orribilmente mutilato. Anche la sua mano sinistra era stata riattaccata al braccio, da ciò che potevo intravedere. E il volto… Dio mio, quel volto che solo qualche ora prima era innaturalmente deformato in una maschera di puro terrore, sembrava riposare sereno, finalmente. Istintivamente, sollevai la mano per accarezzarlo, ma mi fermai, ricordandomi della presenza del detective Graham.

– P-Posso farlo? – domandai, riconoscendo la mia stessa voce estranea nelle mie orecchie.

– Selina ha già ultimato il lavoro. Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, Hastings. Ti aspetto di là. – mi disse.

Lo ringraziai per quelle parole e per quel momento di privacy. Ne avevo bisogno, visto che non credevo che sarei riuscita a resistere a lungo cercando di farmi forte.

Quando fu uscito, accarezzai la guancia fredda e inerte di Trevor. Quante volte, durante le nostre notti insieme, mi ero ritrovata ad accarezzarlo? Adoravo in particolare quando aveva quella barbetta di un giorno, che dava al suo viso una ruvidità più matura. Sfiorai le labbra senza colore, chiuse per sempre. Non avrei più sentito la sua voce. D’improvviso quel pensiero mi spaventò. Trevor era lì, davanti a me, immerso in un sonno da cui non si sarebbe mai più svegliato. E io ero imprigionata in un incubo senza fine. Qualcuno l’aveva strappato alla vita nel modo peggiore. L’aveva strappato a me. E la cosa peggiore era che aveva ritenuto divertente farlo attraverso un gesto che avrebbe dovuto rappresentare un momento di grande gioia. Mi chinai a baciare la sua fronte e ad accarezzare ancora una volta la sua guancia, resa umida dalle mie lacrime bollenti.

– Trevor… scusa… ti prego, perdonami… – sussurrai, crollando sulle ginocchia.

Non so dire quanto tempo passai a piangere davanti a lui. I miei singhiozzi erano amplificati, in quella stanza fredda, ma erano l’unico segnale di vita là dentro. Me ne resi conto solo quando, dopo un tempo interminabile, non ebbi alcuna risposta. Per quanto mi disperassi, Trevor non sarebbe tornato. Sarebbe rimasto lì, fino a che la sua famiglia non avesse deciso di portarlo con sé per dargli degna sepoltura. E allora, non avrei più potuto rivederlo. Un improvviso barlume di rabbia prese a farsi strada nel mio cuore martoriato. La persona… no, il mostro senza pietà che me lo aveva tolto doveva pagare per ciò che aveva fatto. Strinsi forte i pugni, trovando in quel pensiero la forza per rialzarmi. Quel che promisi a Trevor, nel silenzio dell’ultimo momento che avrei potuto trascorrere da sola assieme a lui, fu che non avrei avuto pace fino a che non avessi scoperto e catturato il suo assassino. E non si trattava di una promessa vana, come tante fatte solo per rassicurare i nostri interlocutori, ma di un giuramento, solenne tanto quanto quella scritta sul muro. Mi feci forte di quel pensiero, ricacciando indietro le lacrime e il dolore. Dovevo essere forte anche per Trevor ora, in nome dell’amore che ci aveva legati.

– Ti amo… – sussurrai, prima di congedarmi da lui, riaffidandolo all’abbraccio del gelo che ne preservava il corpo.

Quando tornai nell’ufficio di Selina, Graham era seduto alla sua scrivania e leggeva un report. Non commentò, ma di sicuro, aveva sentito il mio sfogo. Mi sedetti di fronte a lui.

– È il risultato dell’autopsia, vero? –

Graham assentì. – Selina voleva dartelo di persona, ma ho insistito affinché andasse a riposare. –

Annuii. – Mi dispiace tanto… a causa di quel che è successo, non avete potuto dormire… ed è anche domenica... –

Era strano pensare a come, ma soltanto poche ore prima, tutto fosse diverso. Anche il detective Graham, causa della mia confusione, sembrava all’improvviso tornato ad essere quello di sempre. Ma chissà, forse ero io quella che era cambiata, dopo aver visto la morte portarmi via in quel modo Trevor.

– Non preoccuparti di questo. Ciò che conta ora è capire come stanno le cose. –

– La ascolto. –

Graham rigirò il fascicolo tra le mani, ma non me lo dette. – Prima che tu faccia qualunque scenata, è necessario che tu sappia che data la natura personale del caso, Marcus ha ritenuto opportuno affidare le indagini a un altro Dipartimento, Hastings. –

Inarcai un sopracciglio. – Prego? –

– Hai capito bene. Te ne parlo perché tu sia pronta ad affrontare la situazione. –

– No. No! Non se ne parla, detective Graham! Si tratta di Trevor! Non posso lasciare che sia qualcun altro ad occuparsi di questo caso! Dobbiamo essere noi… insomma, mi rendo conto che ci sia di mezzo anch’io, ma non posso lasc--

Il suo sguardo si fece di colpo tagliente. – Sei tu, Kate. Sei tu l’obiettivo del Mago. E non lascerò che ti esponga a questo. – disse, la voce avvelenata dalla rabbia e dal timore.

Come se avessi ricevuto una coltellata, mi protesi istintivamente in avanti, portando la mano al cuore. Il respiro mi si era mozzato e per qualche secondo mi sentii morire.

– I-Il… Mago? Ha detto… n-no… no… non ci credo… no… –

Il volto di Graham mi apparve sfocato, al sol ricordo di quell’oscura figura che ci aveva sfidati personalmente, arrivando persino a ferire lui, senza contare l’assassinio di due bambine innocenti in quegli anni. Una di loro era stata la ragione per cui avevo intrapreso quella carriera, dopotutto. E ora, questa rivelazione…

– Dev’esserci un’altra spiegazione… un rivale di Trevor… un… non so, forse… e se fosse stato Richard Kenner? La sua ultima vendetta… no? Non è plausibile? –

Graham mi allungò il report, che presi tremando. C’erano le generalità di Trevor, i suoi dati biometrici, poi il referto autoptico che rivelava, con mio infinito orrore, che era stata l’emorragia da eviscerazione a causarne la morte, sopraggiunta nell’arco di interminabili minuti. Quanto aveva sofferto? La mano sinistra era stata amputata peri-mortem. C’erano tracce di Rohypnol nel suo sangue, in concentrazione sufficiente e paralizzarlo al punto tale da impedirgli di urlare, dopo averlo colpito dietro la nuca per stordirlo, probabilmente. Ciò che mi colpì fu anche la compatibilità dell’arma del delitto con il noto coltello impugnato da una mano mancina, ulteriore motivo per cui, date le affinità con i casi precedenti, esisteva una consistente percentuale di probabilità che l’assassino potesse essere il Mago. Il problema, il solito, era che quel mostro sapeva il fatto suo e non aveva lasciato alcun tipo di impronta, ma soltanto la sua firma e quel messaggio sul muro.

Ma perché Trevor? Perché tra tutti, accanirsi in un modo così crudele contro un ragazzo innocente?

– Perché? –

Il detective Graham fece per dire qualcosa, ma si fermò prima di dire ciò che realmente avesse in mente. – Lo scopriremo, Hastings. –

Mi limitai ad annuire, incontrando il suo sguardo. Sebbene il caso non fosse di nostra competenza, ormai, sentivo che non ne saremmo stati esclusi.

– Chi si occuperà delle indagini? –

Ebbi conferma alle mie sensazioni quando mi disse che sarebbe stato il III Dipartimento a farlo. Il detective Wheeler, per quanto potesse non andarmi a genio, aveva la giusta dose di distacco, ma al tempo stesso, non ci avrebbe mai tagliati fuori. Almeno, non completamente.

Quando mi rialzai, Graham fece lo stesso, raggiungendomi. Era stanco e pallido, ma i suoi occhi erano ancora concentrati.

– Detective Graham… –

Batté appena le lunghe ciglia scure. Soltanto poche ore prima, la sua vicinanza mi aveva aiutato a calmare i nervi dopo quanto accaduto al Four Seasons Hotel prima e a lasciare andar via la Scientifica con il corpo di Trevor poi… mi chiesi se sei anni prima, qualcuno si fosse preso la briga di far qualcosa del genere con lui, mentre pochi metri più in là, la sua bambina giaceva al freddo, senza vita. Non sapevo se fosse più la prima o la seconda ragione a guidarmi, ma mossi qualche passo in avanti e appoggiai la fronte contro il suo petto. Non avevo bisogno di esser consolata, ma solo di un contatto. Di ritrovare, per qualche istante, il senso della vita, in mezzo alla morte.

Lo sentii sussultare al mio gesto inaspettato, ma durò solo un attimo. Le sue braccia si sollevarono appena, incerte, ma solo una salì fino a sentire la sua mano sulla nuca. Il suo cuore scandiva battiti regolari e il suo profumo, che tanto mi aveva inebriato ore prima, era meno intenso, ma piacevole. Rimanemmo così per un po’, senza dire nulla. Quando mi scostai, ritrasse la mano. Alzai lo sguardo ed era lì, a guardarmi con pazienza. Feci un cenno di scuse con la testa e lasciammo la stanza per tornare al piano superiore, dove, ad attenderci, trovai i miei colleghi con Lucy, la famiglia di Trevor e il detective Wheeler.

Forte della promessa che avevo fatto a Trevor, cercai di non piangere alla vista dei suoi famigliari, già abbastanza affranti. Nello sguardo della madre Allie avevo sempre visto tanto di Trevor. Era sostenuta dal marito James e stretta alla figlia. Hannah. La dolce Hannah che amava tantissimo il suo fratellone. Da quel momento, sarebbe stata sola. Quando mi vide, sgranò i suoi occhi verdi cerchiati da occhiaie violacee e scoppiò a piangere.

– Kate! – esclamò.

Mi morsi le labbra nell’incontrare i loro sguardi distrutti.

– Hannah… signori Lynch… – sussurrai, con la voce che mi uscì esitante.

Hannah affidò la madre all’abbraccio del padre, poi corse ad abbracciarmi.

La strinsi forte, lei che era una specie di sorella acquisita. Bionda come Trevor, sebbene più scura, era sempre stata la nostra mascotte. Avevamo quasi la stessa età, ma complice un fisico minuto, sembrava più piccola. Eppure, in quel momento, sembrava invecchiata. Il suo pianto irrefrenabile aveva contribuito a far calare un drammatico silenzio, intervallato dai singhiozzi della signora Allie.

– Mi dispiace, Hannah… mi dispiace tanto… – fu tutto ciò che riuscii a dire.

Non ci sono mai parole giuste quando muore qualcuno che si ama. C’è vicinanza, silenziosa reverenza al massimo, ma per quanto si cerchi di trovare il modo giusto, nessuna parola può essere forte abbastanza da scalfire il guscio di dolore all’interno del quale ci siamo rifugiati. Non sapevo cosa il detective Wheeler avesse detto loro, ma per giunta, il pensiero che Trevor fosse stato vittima del gioco perverso che il Mago, a quanto pareva, aveva deciso di attuare con me, mi fece sentire tremendamente in colpa.

Più tardi, dopo esserci congedati con la promessa di trovare e assicurare alla giustizia l’assassino di Trevor e di organizzare assieme le esequie, potei finalmente parlare con il detective Wheeler nel privato dell’ufficio.

– Hai riposato? – mi domandò, mentre prendeva posto alla scrivania del capo. Era strano vederlo lì, ma ricordai che in passato, entrambi avevano condiviso il posto. Il detective Graham, invece, si sedette sul divanetto di pelle, di fronte a me.

– Abbastanza. Sono pronta a cercare di capire perché il Mago abbia… abbia assassinato il mio fidanzato. – risposi, con la voce che mi uscì più tremolante di quanto volessi.

Wheeler affilò lo sguardo. – In tutto questo, Alexander si è forse scordato di dirti che formalmente siete fuori dalle indagini? –

Il detective Graham fece spallucce, mentre io inarcai le sopracciglia.

– Ufficiosamente, invece, lei ci coinvolgerà, non è così? –

Alzò gli occhi al cielo, poi sbuffò. – Ad andare con lo zoppo si impara a zoppicare. Dovevo immaginare che la cattiva influenza di Alexander ti avrebbe fatto quest’effetto, prima o poi. –

Il mio capo gli rispose prima che fossi io a farlo. – Sbagli, Maximilian. La dottoressa Hastings sa essere molto più subdola di me, quando vuole. –

Sobbalzai a quelle parole. – Ma lei è dalla mia parte o no? –

Uno sguardo divertito nei suoi occhi e capii la ragione per cui aveva parlato in quel modo. Grazie a quello scambio ironico, aveva sviato momentaneamente la tensione.

– Lasciamo perdere. Quanto a te, Alexander… va’ a casa e riposa. Non ti vedevo ridotto così da… insomma, fuori dai piedi per qualche ora. –

Immaginai cosa avesse voluto intendere ma, per quanto mi infastidisse il tono con cui gli si era rivolto, dovevo riconoscere che il detective Wheeler aveva ragione.

– Puoi scordartelo. – rispose Graham.

– Cosa? – la voce seccata del collega, che mai si sarebbe abituato alla sua ostinazione.

Ma stavolta, non potevo rischiare che perdesse la salute a causa mia. Il detective Graham mi era stato vicino in tutto quel tempo. Ora toccava a me essergli d’aiuto.

– Il detective Wheeler ha ragione. Io starò bene… in fondo, si tratta soltanto di qualche ora. Poi potrà tornare ad aiutarci, no? –

La sua espressione si fece seria. C’erano preoccupazione e tensione in lui.

– Non preoccuparti per me. Sono abituato a lunghi turni di lavoro. –

Sospirai. – Non lo metto in dubbio. Ma per il bene di questa indagine e del Dipartimento, io preferirei vederla al massimo delle sue potenzialità… e allo stato attuale, è troppo stanco per valutare a giusto titolo la situazione. –

Graham rimase a fissarmi per qualche istante, incerto, stavolta. Invece, il detective Wheeler tentò di dissimulare il compiacimento.

– Credo di capire cosa volessi dire, Alexander. –

Quest’ultimo, interpellato, si alzò, passando la mano tra i capelli, ora nuovamente disordinati. Era un gesto che faceva spesso.

– Se così stanno le cose… ad ogni modo, non prendere iniziativa senza consultarmi, Maximilian. Questo caso è troppo personale per agire in maniera sconsiderata. Questa volta sappiamo chi proteggere. E ho tutta l’intenzione di catturare quel bastardo tenendo fede a questa promessa. –

Strinsi i pugni comprendendo all’istante a cosa si riferisse. La promessa che aveva fatto a Trevor… e che onorava, sin dal primo momento in cui ci eravamo trovati ad avere a che fare con il Mago.

– Detective Graham… – sussurrai.

– Va bene. – replicò Wheeler.

– Ci vediamo più tardi. – disse il capo, indossando un Woolrich nero e lasciandoci soli.

Quando fu andato via, il detective Wheeler prese il referto stilato da Selina.

– Prima di tutto, Hastings… sentite condoglianze. –

Il tono della sua voce, per quanto formale, era sincero, un po’ come qualche ora prima, al Four Seasons Hotel.

– Grazie… –

– Ascolta… è vero che esiste una certa percentuale di affinità con i casi legati al Mago, ma, francamente, mi viene difficile credere che quella persona abbia potuto cambiare il suo modus operandi e il suo obiettivo in maniera così drastica. Pertanto, vorrei provare a esplorare altre strade, se sei d’accordo. –

Annuii. Sebbene il detective Graham fosse così sicuro di quella pista, dovevo ammettere che una parte di me non riusciva a darsi una spiegazione del tutto convincente.

– Hai mai avuto trascorsi con qualcuno? Un ex, magari? –

Un ex. A parte un paio di flirt al liceo, Trevor era stato il mio primo, vero ragazzo. Con lui, avevo condiviso tutto, persino la mia prima volta. Pertanto, mi sentii di escludere a priori un’eventualità simile.

– No. A dire il vero, ho pensato che potesse essere stata opera di Richard Kenner… –

La sua espressione perplessa era eloquente in proposito, ma subito dopo si fece sospettosa.

– Avevi detto di non conoscerlo, quando te l’abbiamo chiesto. –

– Infatti era così. Almeno, avevo solo letto il fascicolo che lo riguardava. Ma di persona, l’ho conosciuto soltanto ieri mattina. E, a dirla tutta, mi era sembrato un po’ troppo interessato a me… in un modo che non mi piaceva… –

Scacciai con un brivido il ricordo della sua mano sul mio seno, lasciva.

Wheeler incrociò le braccia. – Beh… lui è uno stronzo, ma l’accanimento e il messaggio sul muro portano a ipotizzare un significativo grado di attaccamento, elemento che, a rigor di logica, Richard non possedeva. –

– Perché allora il Mago dovrebbe provare attaccamento per me? In fondo, non mi conosce direttamente… –

Almeno, non sapeva chi fosse Katherine Hastings.

– Mi chiedo se in realtà non lo sappia… per qualche strana ragione, tu, il Mago e Alexander siete collegati ormai… –

Deglutii. – Dunque anche lei nutre lo stesso sospetto, ora… –

– Volevo accertarmene. Dopo il caso di Alicia, non mi stupisco più di nulla. –

Come dargli torto? Una donna uccisa da un redivivo per conto di un insospettabile. Nemmeno se avessimo indagato nei meandri delle sue relazioni personali avremmo potuto immaginare una simile situazione in tempi rapidi.

– Cosa pensa di fare, ora? –

Spostò rapidamente gli occhi sulla scrivania.

– Intanto predisporre un livello di protezione per te. Alexander ha già provveduto a sistemare temporaneamente la situazione. E contestualmente, procedere con un’analisi dei video delle telecamere di sicurezza nel circondario. Ma voglio avvisarti, Hastings. Non è scontato riuscire a trovarlo. Se si tratta davvero del Mago, non sarà facile ottenere risultati in tempi brevi. Le sue abilità di sparizione… beh, le conosci. –

Mi rizzai sul divano, pensando a Trevor, solo pochi metri sotto di noi. – Allora faremo in modo che si mostri. Non permetterò all’assassino di Trevor, di Daisy Ross e di Lily Graham di sparire. Non fino a che non avrà ricevuto la giusta punizione per i suoi crimini. Poi, potrà sparire… ma dalla faccia della Terra. –

La mia voce risuonò gelida e il detective Wheeler rimase a guardarmi, stupito.

– Faremo tutto il possibile… ma né tu né Alexander dovrete agire per vostro conto. Ho già faticato abbastanza per farmi assegnare il caso ed è un rischio mettervi al corrente delle indagini, ma Elizabeth non me l’avrebbe perdonato. Solo, non fatemi pentire di averlo fatto. –

– Elizabeth ha fatto questo? –

– Già… ah, questo… credo ti appartenga. – disse, spostando la conversazione su altro. Si alzò, portando con sé una bustina di plastica che mi cedette. Fui sopraffatta dal turbinio di emozioni che avevo cercato di reprimere fino a quel momento quando vidi, all’interno, il Trilogy che Trevor aveva intenzione di donarmi. Le mie mani tremavano sotto il peso di quell’anello, al ricordo della posizione in cui si trovava. La posai velocemente sul tavolino, sentendo un forte dolore alla bocca dello stomaco.

– Hastings? –

– N-Non lo voglio… – farfugliai, in panico.

– È stato repertato, ma essendo un oggetto personale, può essere restituito. Ho pensato che fosse giusto che lo avessi tu, ma se preferisci, posso restituirlo alla famiglia Lynch. –

Sapevo che le sue intenzioni erano buone, ma il pensiero di quell’anello era improvvisamente troppo grande da gestire. Il significato che aveva, una vita insieme, una promessa d’eterno amore, era stato totalmente travisato. In quel momento, era un meme ento della morte di Trevor. Però, restituirlo alla sua famiglia… anche quello mi sembrò improvvisamente un’idea crudele.

– Per favore… lo lasci qui, ancora per un po’… –

Il detective Wheeler annuì, poi lo raccolse e io, riuscii a tranquillizzarmi, almeno un pochino.

– Grazie… – mormorai.

– Figurati. In ogni caso, prenditi qualche giorno. So che Alexander te l’aveva già detto, ma te lo consiglio anch’io. –

Mi morsi le labbra. – Anche questo è un mascherato consiglio di Elizabeth? –

Wheeler trasse un lungo respiro. – No. Si tratta del consiglio di qualcuno che ha visto il proprio migliore amico perdere il lume della ragione per inseguire un fantasma e la donna che amava disperarsi per lui e per la figlia che avevano perso. –

A quelle parole, sentii le lacrime pungermi gli occhi.

– Non sono io a dovertelo dire, ma dovresti sapere più di chiunque che hai bisogno di elaborare il lutto. –

Annuii tra i singhiozzi che cercavo di soffocare, senza più riuscire a dire una parola.

 


Quando rientrai a casa, accompagnata da Jace e da Lucy, più silenziosi che mai, fu dura. Per la prima volta, mi resi conto dell’assenza di Trevor e questo mi rese inquieta. Non riuscivo a esser di compagnia, pur sapendo che anche loro condividevano il mio dolore, per cui mi chiusi in camera chiedendo loro di far finta che non ci fossi. Credevo che ci fosse un limite alla capacità umana di piangere. Ebbene, non c’era… o se c’era, allora non l’avevo ancora raggiunto. Indossai la felpa di Trevor, così calda e avvolgente, come lui, e mi gettai sul letto, stringendo tra le braccia un cuscino. Dopo tanto, mi decisi a prendere il mio smartphone per scrivere a Selina e per chiamare Hannah. C’erano messaggi di cordoglio da parte di conoscenti, altri della stessa Selina che mi chiedeva come stessi, altri ancora di mia madre, che mi chiedeva di chiamarla, preoccupata. Avevo tanto da rispondere, ma non riuscii a farlo, perché mi soffermai sui messaggi di Trevor. Le nostre conversazioni registrate in una memoria virtuale. Piangevo affranta nel riascoltare i suoi messaggi vocali. La sua voce risuonava nella mia stanza, viva, unico ricordo ormai. L’aveva fatto anche il giorno prima e in quei messaggi, potevo percepire una miriade di emozioni.

« So che non puoi sentirlo ora, ma sappi che anche se sono preoccupato, so che riuscirai alla grande. Faccio il tifo per te. Sta’ attenta. »

« Sto per entrare in sala conferenze. Incrocia le dita per me. Ti amo, Kate. »

« Amore mio, ce l’abbiamo fatta! Il mio progetto è stato approvato! Non vedo l’ora di riabbracciarti! »

« Torna presto, Kate… mi manchi. »

Poi i miei messaggi, scritti mentre rientravo, insieme al detective Graham e il suo ultimo, stavolta scritto.

“Sarò qui ad aspettarti.”

Guardai l’ora, notando, con orrore, che era conseguente all’ora presunta della morte di Trevor. Balzai a sedere, mordendo l’unghia del pollice, quando mi resi conto che a scrivere quel messaggio non era stato Trevor, ma il suo assassino.

Sarò qui ad aspettarti…

Sarò qui… ad aspettarti…

Una promessa. Una vile, inquietante promessa.

Mi alzai dal letto e corsi nel soggiorno, dove Lucy e Trevor stavano sistemando tavola per la cena.

– Kate, che succede? – mi chiese Lucy, preoccupata.

Mostrai loro il telefono. – Guardate! Questo è l’ultimo messaggio di Trevor… o meglio, credevo fosse suo, ma non lo è… è stato il suo assassino a mandarlo! Jace, puoi scoprire se in quel range orario le telecamere hanno ripreso qualcuno uscire dal condominio di Trevor? –

Jace sgranò gli occhi nocciola per un istante, ma poi tornò presto all’espressione compunta.

– Jace! Per favore! –

– Ho provato, Kate… ci ho già provato dal primo momento in cui abbiamo raggiunto casa di Trevor… ma non c’erano telecamere. Se ci fossero state banche o degli uffici pubblici, magari, sarei riuscito a reperire qualcosa, ma nulla, nemmeno impronte… mi dispiace tanto… –

Rimasi col telefono in mano a mezz’aria, impotente come non mai, tanto quanto lo erano Jace e Lucy in quel momento.

– Kate… vedrai che lo troverete… ne sono certa… –

Mi morsi il labbro inferiore nel sentire la voce assolutamente incerta di Lucy. Sapevo che voleva darmi coraggio, ma la realtà era che il Mago si era guadagnato quel nome non certo per caso. La sua capacità di scomparire dopo aver compiuto crimini aberranti era la ragione dell’incapacità della polizia di identificarlo.

– Lucy ha ragione, Kate… – disse Jace, raggiungendomi. Poi, inaspettatamente, le sue braccia mi avvolsero. Calore e conforto, quello che il mio nerd scavezzacollo preferito mi stava offrendo. Eppure, anche lui sembrava averne bisogno. Tesi la mano anche a Lucy, che era lì a guardarci con i suoi meravigliosi occhi tristi. E in breve, tutti e tre ci ritrovammo a piangere la morte di una persona a noi cara e troppo presto tolta.

Non so dire quanto tempo trascorremmo così, ma di certo mi fu d’aiuto, tanto più che alla fine riuscii anche a mangiare qualcosa assieme a loro. E infine, una volta congedatici per la notte, mi decisi a chiamare mia madre.

La linea era libera, ma stranamente, a ogni squillo, mi sentivo inquieta. Come avrei potuto spiegare ciò che era accaduto senza che andasse nel panico? Avevamo un buon rapporto, parlavamo tranquillamente, ma la sua propensione all’iperprotezione a volte era troppo anche per me. Eppure, realizzai proprio in quel momento che non mi ero mai resa conto di quanto avessi bisogno di sentire la sua voce.

« Katie! »

Bastò il solo suono del mio nome pronunciato da lei e proruppi in un pianto dirotto.

– Mamma! Oh, mamma!! –

 

***

 

I giorni che seguirono furono senza alcun dubbio i più impegnativi e dolorosi di tutta la mia vita. Sebbene a malincuore, avevo accettato il consiglio del detective Wheeler e avevo preso dei giorni di aspettativa e così, lontana dal Dipartimento, ma supportata da Lucy, avevo potuto aiutare la famiglia Lynch nell’organizzazione delle esequie funebri.

Queste ebbero luogo in un tiepido pomeriggio al riparo dalla pioggia. Per volontà della signora Allie, Trevor sarebbe stato sepolto a Central Burying Ground, vicino al nonno materno a cui era sempre stato molto affezionato. Io ero accanto ad Hannah, che aveva ormai esaurito le lacrime a furia di piangere per l’amato fratello. Assieme a noi, c’erano i miei genitori, dei colleghi di lavoro di Trevor, i nostri amici e i miei colleghi, oltre che altri membri della sua famiglia. Tutti concordi nel ricordarlo per la persona straordinaria che era. Ma la verità era che solo pochi di loro sapevano quanto sapesse essere testardo e dolce realmente. Nessuno poi, sapeva che Trevor aveva la strana abitudine di schioccare le dita dei piedi ogni volta che si metteva sotto le coperte o che, quando facevamo la doccia insieme (e non eravamo impegnati in altre attività), seguiva un preciso schema nel lavarsi… d’improvviso, la realizzazione che non avrei più avuto a che fare con quelle peculiarità mi sembrò terribile. Strinsi più forte le mani di Hannah, che mi guardò. Ci fu una silenziosa comprensione, mentre il prete impartiva l’ultima benedizione e affidava all’addetto il compito di calare la bara in acciaio nella fossa. Trattenni un singhiozzo, ma non le lacrime che continuavano a scendere copiose, velando tutta la scena, come a voler schermare un dolore troppo grande. Poi fu il turno delle rose che ognuno aveva con sé. L’ultima volta che le avevo ricevute, era stato dopo aver discusso per via del mio lavoro. Solo che a prenderle era stata Lucy. La mia migliore amica, ora stretta al suo Jace. I nostri amici più cari. Furono i primi a porgergli l’ultimo saluto, anche loro distrutti dal dolore. Poi, a seconda dell’ordine, tutti i presenti lasciarono le rose che avevano in mano sulla bara. Quando toccò a me, mi resi conto di non riuscire a lasciar andare quel fiore. Per quanto difficile, continuavo ad associarlo a un ricordo felice. E in quel momento, desideravo trattenerlo con me, così come avrei voluto trattenere Trevor. Ignorai lo sguardo degli astanti su di me, continuando a fissare la bara poco più sotto.

– Tesoro… – la voce di mia madre, addolorata e gentile, ora vicino a me.

Scossi la testa, affranta.

– Kate. – il mio nome pronunciato da un’altra voce, più profonda e comprensiva, di cui ormai conoscevo bene l’effetto. Mi voltai appena. Il detective Graham, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, si avvicinò a me e mi prese la mano libera, passandomi qualcosa che avevo, in quei giorni, rimosso. Sgranai gli occhi nel vedere l’anello di fidanzamento che Trevor aveva comprato per me e che avevo chiesto di conservare nella scrivania del capo. Lo guardai sconvolta, poi rialzai lo sguardo fino ad incontrare il suo, dolorosamente consapevole di ciò che stavo provando in quel momento. Non disse nulla, ma un leggero cenno mi fece capire che era ciò di cui avevo bisogno. Si allontanò appena, senza abbandonarmi. Ricacciai a fatica indietro un moto di pianto e guardai l’anello, poi mi chinai e lo baciai.

– Addio, Trevor… amore mio… – sussurrai, prima di posarlo sulla bara, tra tante rose. Solo allora percepii un insolito senso di tranquillità. Un ricordo che doveva essere felice, ma che non lo era stato, eppure importante. Importante come quell’anello che in poco tempo scomparve sotto una pioggia di terra compatta. Una promessa diversa, ma ugualmente forte e preziosa come il diamante.

Lo troverò, Trevor… a qualunque costo.

 

La sera stessa, dopo aver trascorso la commemorazione tutti assieme, salutai la famiglia Lynch. Prima di me, sia il detective Graham che il detective Wheeler avevano preso congedo avendo cura di rassicurarli sul fatto che le indagini sarebbero andate avanti fino a che non avessimo preso il colpevole e che avrebbero fatto in modo di onorare la memoria di Trevor. Da parte dei Lynch ci fu un’incredibile compostezza, tratto condiviso dal figlio. E quando fu il mio turno, sia la signora Allie sia Hannah mi strinsero in un forte e sentito abbraccio. Alla fine, le paure di Lucy e di Alexis non avevano trovato fondamento e questo mi rese un po’ meno ansiosa.

– Per Trevor eri tutto, Katherine… – disse il signor Lynch, quando lo abbracciai.

– Anche lui lo era per me… e come hanno detto i miei colleghi, non lasceremo che il suo assassino agisca impunito… glielo devo e così sarà. – risposi, notando un fremito d’agitazione nei miei genitori vicino a me.

La signora Allie intervenne, con i begli occhi stanchi, ma ancora vigili. – Promettici solo che starai attenta… sono sicura che Trevor avrebbe voluto così. Non lasciare che la sua morte sia stata… – si interruppe, senza riuscire a soffocare i singhiozzi.

Annuii e la abbracciai forte. – Mai… mai, glielo prometto… –

Quando si fu calmata, fu il turno di Hannah, che mi prese le mani. – Saremmo state sorelle, Kate… –

Il mio cuore mancò un battito, ma poi ricambiai la stretta e portai le sue mani alle labbra.

– Lo saremo ugualmente, Hannah… –

I suoi occhioni verdi si gonfiarono delle lacrime che non aveva versato poche ore prima.

– Ti voglio bene! –

– Anch’io, sempre! –

E con quel rinnovato legame, ci separammo.

Quello che non sapevo, una volta raggiunta l’auto dei miei, era che il detective Graham era rimasto ad attenderci. Fu una sorpresa, così come lo fu il vederlo in confidenza con la mia famiglia.

– L’abbiamo fatta attendere. – disse mio padre, agitando le mani in segno di scuse.

– Non c’è problema. Certe situazioni hanno bisogno di tempo. – rispose, poi si rivolse a me.

– Sei stata coraggiosa, Hastings. –

Arrossii appena. Mettermi in imbarazzo persino davanti ai miei genitori… – Piuttosto… perché è rimasto qui? –

Non rispose, ma guardò i miei.

– Kate, il detective Graham ritiene che sia meglio se per qualche tempo venissi a stare un po’ a casa… è la ragione per cui siamo venuti di persona, a parte che per vicinanza alla famiglia di Trevor, naturalmente… – mi spiegò la mamma.

Avvampai. – Siete impazziti? E lei da quando in qua cospira alle mie spalle?! –

Graham non si scompose, ma i miei genitori furono alquanto contrariati dal sentirmi rivolgere così al mio capo.

– Katherine! – la voce contrariata di papà, che sentivo davvero di rado.

Che stronzo, aveva capito che l’unico modo per farmi allontanare era chiedere l’aiuto della mia famiglia, soprattutto perché non mi sarei opposta a mio padre in sua presenza.

– Posso parlarle un attimo in privato? – domandai.

Ero abbastanza alterata, ma proprio in virtù del rispetto che credevo ci fosse tra noi, avevo ancora la decenza di non affrontare certi discorsi davanti ad altre persone, soprattutto se si trattava di famigliari.

Graham assentì. – Ve la mando tra poco. Per qualunque cosa, sono a vostra disposizione. Signora Hastings, signor Hastings. – fece un cenno di saluto e poi si allontanò verso la sua auto.

– Kate, per favore, è importante. – disse la mamma.

Guardai di sottecchi entrambi, poi raggiunsi il detective Graham.

– Questa non me la doveva fare. Davvero, non capisco perché! Ho fatto come mi aveva detto, non ho preso iniziative e ora, tutto d’un tratto, mi taglia fuori così senza nemmeno interpellarmi! Credevo di contare un po’ di più per lei, lo sa? –

Ebbi la soddisfazione di vedere un fremito improvviso tra le sue sopracciglia, poi sospirò.

– Due settimane. Ti chiedo di prendere due settimane di tempo. –

– Due settimane… e certo, lei crede di poter trovare il Mago in due settimane? Mi scusi, ma se non ci è riuscito in tutti questi anni, come pensa di--

– Piantala di fare la ragazzina viziata! – ordinò, tagliando corto.

Sobbalzai a quell’appellativo, scossa come se avessi battuto contro una parete di roccia.

– C-Come? –

– Non sei così indispensabile come credi, Hastings. Se poi pensi di esserlo, sei libera di cambiare Dipartimento in ogni momento o di scegliere un’altra carriera. Dopotutto, sei brava a capire le esigenze degli altri, no? – sibilò.

Chi era quell’uomo che avevo davanti, così improvvisamente freddo e distaccato? Non poteva essere Alexander Graham, lo stesso che aveva promesso a Trevor di proteggermi e così aveva fatto, sempre. Lo osservai, stretto nel suo completo nero, le mani in tasca, glaciale e imperturbabile. Mi morsi le labbra, cercando di reprimere il moto di impotenza. In fin dei conti, non aveva tutti i torti, ma il fatto che proprio lui mi parlasse in quel modo, mi faceva sentire ancora peggio.

– Dice sul serio? Non mi vuole qui? – balbettai, con la voce impastata e la testa che tamburellava a ritmo del mio cuore.

I suoi occhi blu notte, implacabilmente resi ancor più scuri dalla poca luce, mi dettero la risposta.

Scossi la testa e feci un passo indietro. Lui non si scompose. – Se è così, allora non ha senso continuare questa conversazione… ma sappia solo che troverò comunque il modo di rintracciare il Mago, con o senza di lei. –

Le sue labbra si mossero appena, ma non un filo di voce uscì da esse. Sorrisi amaramente, poi feci un cenno con la testa.

– Bene. Arrivederci, detective Graham. – sentenziai, prima di girare i tacchi e raggiungere la Cadillac Sedan in cui mi attendevano i miei genitori. Furono passi pesanti, perché una parte di me era delusa e arrabbiata, ma un’altra sperava ardentemente che lui mi fermasse e mi dicesse che stava bluffando. Purtroppo, la realizzazione fu dura, proprio quando vidi la sua Veloster metallizzata sfrecciare e allontanarsi lontano da noi.

 

Fu così che, dopo un obbligatorio passaggio a casa con tanto di sfogo da parte mia e di ascolto preoccupato da parte di Lucy e Jace, tornai a Shrewsbury, la mia città natale, assieme ai miei genitori. Non riuscii a spiccicare parola durante il viaggio, dal momento che mi sentivo già abbastanza tradita dai miei e così, sprofondata nella musica per il tempo necessario, finii col chiudermi nei miei pensieri. Naturalmente, la maggior parte di essi riguardava Trevor, ma c’era anche la parte che mi dava grattacapi, ovvero il comportamento del detective Graham. Continuavo a non capire perché si fosse preso la briga di liquidarmi in quel modo, tanto più che anche Jace era rimasto alquanto turbato da quella decisione. Oltretutto, considerando le occhiate che sia mia madre che mio padre continuavano a lanciarmi dagli specchietti, immaginai che chiedere loro di illuminarmi sarebbe stato un dar loro campo libero alle dissertazioni sulla necessità di essere protetta. Il Mago era stato chiaro nelle sue intenzioni, ma proprio in virtù di ciò che mi era stato sempre insegnato, ovvero onorare la giustizia, non riuscivo a capire il perché dovessi essere allontanata dal solo posto che mi avrebbe consentito di agire legalmente. A meno che il detective Graham non ritenesse che in quel modo avrei potuto concentrarmi maggiormente sul caso lontana da ricordi troppo vividi e dolorosi. Ma in quel caso, perché non dirmelo? Certo, non potevo non riconoscere che in fin dei conti le sue parole avevano un fondo di verità. Mi ero comportata da ragazzina, quello era sicuro, ma in quel momento, pensavo davvero che avesse esagerato. Ciononostante, non avevo intenzione di tornare sui miei passi. Non lo facevo per orgoglio, ma volevo che si rendesse conto di quanto ci fossi dentro anch’io. Per questo, mi ripromisi che avrei comunque fatto di tutto per trovare l’assassino di Trevor.

Una volta a casa, ormai in piena notte, chiesi ai miei di poter rimandare qualunque discussione al giorno seguente. Ero esausta e l’aria di casa, così confortevole e rassicurante, aveva fatto il resto. Tuttavia, prima di prendere congedo, li rassicurai sul mio stato di salute e li baciai entrambi. In casa mia vigeva una regola sin da quand’ero bambina: mai andare a dormire con un cruccio o col magone. Pertanto, tornata su suolo genitoriale, ripresi quella vecchia, ma in fondo saggia, abitudine. Quando salii nella mia stanza, ordinatissima (segno tangibile che non ci mettevo piede da un po’) e piena di pupazzi, mi gettai sul letto e raccolsi tra le mie braccia Oz, il mio vecchissimo e un po’ rovinato peluche a forma di scimmia che risaliva alla mia prima infanzia. Non impazzivo per le scimmie, a dirla tutta, ma lui aveva qualcosa di speciale, perché mi era stato regalato durante uno spettacolo circense sul Mago di Oz, quand'ero piccola. Pensandoci, forse era stata l’unica cosa positiva, dato che non avevo bei ricordi legati ad esso. Sospirai e lo abbracciai forte e il mio pensiero straziante, poco prima di essere sopraffatta dal sonno fu per Trevor, solo, al freddo, irrimediabilmente lontano.

 

 

 

 


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Ok, mi sono resa conto che il capitolo è piuttosto lungo così e spero che non risulti troppo pesante. Per me, emotivamente lo è stato, perché non mi ero resa conto, nello scrivere, di cosa significasse dover trattare un dolore così forte come quello che sta provando Kate. Ho voluto appositamente soffermarmi su di esso, sul tempo e su quanto abbia avuto bisogno di aver accanto la sua famiglia e i suoi amici, ma anche su quanto sia stata terrorizzata. Il Mago è ricomparso nella sua vita e le ha brutalmente strappato la persona che amava, avanzando un monito. Cosa accadrà? Grazie a chi ha avuto il coraggio di leggere finora, intanto!!  Alla prossima!!

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Capitolo 15
*** VII. seconda parte ***


Buon pomeriggio! Seconda parte del settimo capitolo! Buona lettura!!


 

 

 



Il mattino seguente, fui svegliata da un invitante e fin troppo ben conosciuto profumo: pancakes e cioccolata calda con un pizzico di cannella. Presi un profondo respiro. Ebbi per un attimo l’impressione di essere in un sogno in cui tutto era perfetto. Avrei visto Trevor con il vassoio in mano sorridere come solo lui sapeva fare e insieme avremmo fatto una buonissima colazione. E tutto il resto del mondo sarebbe rimasto fuori. Ma quando riaprii gli occhi alla realtà, fui sopraffatta dall’amara consapevolezza che così non sarebbe stato. Mi tirai su. Ero ancora vestita, ma i miei premurosi genitori mi avevano coperto con un plaid caldo. Stropicciai gli occhi, guardando la mia camera illuminata dal tiepido sole marzolino, in un pacifico e inusuale silenzio. A occhio e croce doveva essere mattino inoltrato. Guardai la sveglia sul mio comodino per conferma e così fu: erano circa le 9:40. L’idea di rimanere a crogiolarmi nel mio letto era certamente allettante, considerando che avevo bisogno di riposare dopo tutto il trambusto emotivo e fisico di quei giorni, ma il profumo che arrivava dalla cucina, al piano inferiore, era troppo invitante. Accarezzai la testolina di Oz e mi alzai. Guardando la mia faccia slavata riflessa nello specchio, fatta di trucco sbavato, occhi incrostati e capelli da squilibrata, mi ritrovai a ricordare le parole del detective Wheeler, che mi aveva detto di prendermi un po’ cura di me. Per quanto mi costasse ammetterlo, aveva decisamente ragione. Sospirai e optai per una doccia veloce e per mettere addosso qualcosa di comodo. Il profumo del bucato pulito era rassicurante. Almeno certe cose non cambiavano. Quando mi guardai di nuovo allo specchio, almeno sembravo più presentabile. Per di più, avevo l’impressione di avere qualche anno in meno, sebbene la mia anima fosse invecchiata di tanto, dopo la morte di Trevor. Che casino che era la vita…

Scesi in cucina, trovando mia madre ai fornelli. Christina Hastings, nata McKinnon, aveva le mani in pasta. Nel vedermi, i suoi occhi, stesso taglio e stesso colore dei miei, si illuminarono, ma non mi sfuggirono né il luccichio né le occhiaie malcelate dal correttore.

– Tesoro, ben alzata! Ti ho preparato la colazione! – esclamò, affrettandosi a pulire le mani.

Mi sentii un po’ in colpa per aver risposto così male la sera precedente, così la abbracciai forte. Il suo profumo, profumo di mamma, era buonissimo.

– Katie… –

– Ti voglio bene, mamma… grazie… – sussurrai, affondando la guancia nei suoi morbidissimi capelli castano scuro intrecciati in uno chignon.

La sentii singhiozzare. Ma non volevo più vederla piangere. E in fin dei conti, nemmeno io volevo cominciare la giornata con delle lacrime. E poi, ero certa che Trevor non avrebbe voluto vedermi crogiolare nel dolore. Le detti un bacio sulla guancia e le sorrisi, poi mi sporsi a prendere il piatto con i pancakes e la tazza di cioccolata calda alla cannella, densa e profumata.

– Aspetta, Kate, riscaldo un po’… – disse, nello stesso istante in cui i miei denti affondavano trionfanti nel morbidissimo pancake. Lì sì che mi vennero i lacrimoni. Era una vita che non mangiavo quelle squisitezze.

– Mhh… troppo tardi! Sono buonissimi! – esclamai, bevendo un sorso di cioccolata e sedendomi sullo sgabello di contorno all’isola. La mamma si affrettò a ritrovare un’espressione più tranquilla, poi tornò al suo lavoro, ma senza distogliere lo sguardo dalla figlia impegnata a trangugiare la colazione.

– Te ne farò quanti ne vorrai, Kate… anche se mi chiedo com’è possibile che tu non abbia ancora imparato a non bruciarli… – mi punzecchiò.

– Colpa del lavoro. A volte non ho nemmeno tempo di respirare. – spiegai, ottenendo in risposta gli occhi corrucciati che gridavano allarme per il mio stato fisico.

– Ok, è anche colpa della mia poca voglia. Ma papà? –

– È uscito di buon’ora, ma non dovrebbe tardare. Aveva comprato alcuni attrezzi per il bricolage da Harris’ un paio di giorni fa, ma si è accorto che il trapano era difettoso. Puoi immaginare… –

Oh, sì che immaginavo. Mio padre sul piede di guerra. Tipico di lui quando qualcosa che avesse a che fare col suo hobby preferito non andava. Per fortuna il signor Harris era un suo vecchio amico. Finii di sorseggiare la cioccolata e posai la tazza sull’isola di marmo. Intanto, mia madre fece sfoggio di teglie.

– Che stai cucinando, mamma? –

– La figlia di Nancy ha partorito da poco e ho pensato di portarle qualche dolcetto per buon augurio. –

– La figlia di Nancy… Mary? La mia compagna di classe delle elementari? –

– No, la sorella maggiore, Jane. Non te la ricordi? –

Feci mente locale, considerando che avevo praticamente perso i contatti con la maggior parte dei miei vecchi compagni di scuola, ma poi ricordai una ragazzina smilza con le lentiggini, di qualche anno più grande di me, che spesso faceva compagnia alla sorella.

– Wow, brava Jane. –

Mia madre sorrise. – Perché non vieni con me? –

– Preferisco di no. Onestamente, per quanto sia contenta per lei, non sono dell’umore giusto per vedere gente. Asciugo i capelli e, dato che sono qui, vedo di trovar qualcosa da fare. A proposito, dov’è il mio trolley? –

– Katie, però… credo ti farebbe bene uscire. Insomma, non puoi certo rimanere confinata a casa… –

Inarcai il sopracciglio. Conoscevo bene quel tono preoccupato. – Mamma… sono a casa e solo Lucy, Jace e il detective Graham sanno che sono qui… sono al sicuro o non avreste insistito per portarmi qui. –

Mia madre sospirò, in pena. – Katherine, ti prego… –

– No. Mamma, ascolta… io capisco la tua preoccupazione, davvero… ma devi cominciare a fidarti un po’ di più di me… per favore. –

Rimanemmo a guardarci per un po’, ma poi la mia risolutezza ebbe la meglio.

Così, dopo che ebbe acconsentito a malincuore a lasciarmi da sola a casa, mia madre tornò alle sue mansioni, mentre io, dopo aver sistemato le mie cose, mi misi all’opera. Se volevo stanare il Mago, dovevo cercare di analizzare oggettivamente la situazione. Sentivo che non sarebbe stato semplice, sia perché non potevo lasciare che la mia vicinanza al caso offuscasse il mio giudizio, ma anche perché mettermi nei panni del Mago avrebbe significato guardare in quell’abisso d’oscurità che tanto mi spaventava. Eppure, sapevo di doverlo a Trevor.

Avevo accesso al database interno del Dipartimento, tanto che mi bastò digitare le mie credenziali per accedervi. Nel tempo, diversi casi catalogati per faldoni, erano stati digitalizzati e questo mi rese più facile il lavoro. Se Graham voleva tenermi fuori dalle indagini, non aveva capito nulla. Cominciai dal primo fascicolo in mio possesso, quello della morte di Lily. Provai un tuffo al cuore, dato che fino a quel momento non avevo avuto il coraggio di visionarlo e sperai che il fatto che fosse digitale mi fosse d’aiuto per affrontarlo in modo più distaccato.

Presi un respiro e cliccai sul file.

L’intestazione recava la seguente dicitura:

 

Caso I360617 – INFANTICIDIO di LILY GRAHAM, anni 3.

22/05/2013

 

Ricacciai indietro il groppo in gola. Per qualche macabra coincidenza, Lily era morta proprio il giorno dopo il mio diciannovesimo compleanno. Mi imposi di rimanere forte e di non lasciarmi andare al condizionamento e andai avanti.

 

Padre: ALEXANDER GRAHAM Madre: ELIZABETH DEKKER

 

Mi doleva il cuore al pensiero di ciò che avevano dovuto affrontare entrambi. Continuai a leggere tutto attentamente, facendo attenzione ai dettagli, ma non riuscii a trovare il coraggio di aprire il file con le foto. Fu già abbastanza truce leggere il report dell’autopsia, stilato con evidente grafia nervosa da Selina. In alcuni punti, si vedevano vecchie macchie circolari che avevano reso l’inchiostro sbavato. Quanto aveva pianto nel redigere quelle righe? Le circostanze erano le stesse del caso di Daisy Ross. Nelle strazianti dichiarazioni di Elizabeth, lessi che Lily era stata rapita tre giorni prima della sua morte. Era scomparsa nella folla, in un centro commerciale in cui si stava tenendo un evento per bambini. Le frasi di Elizabeth non celavano in alcun modo la sua disperazione. Si sentiva colpevole e responsabile per non essere stata in grado di vigilare sulla sua bambina. La manina di Lily era scivolata via da quella della sua mamma, per sempre, e lei non aveva potuto far altro se non reagire nel solo modo possibile, in quei casi: addossarsi la responsabilità di quanto accaduto.

 

Se solo io fossi stata più attenta, lei ora sarebbe ancora qui… è colpa mia. È soltanto colpa mia!

 

Ma di chi è la colpa in quei momenti? Di una madre che innumerevoli e inconsapevoli volte, magari, ha fatto e rifatto quella strada mano nella mano con la sua bambina? Eppure, in quel frangente, l’inconsapevolezza dell’abitudine è stata la fonte di distrazione maggiore. Elizabeth aveva colpa, sì, ma non della morte di sua figlia. La colpa era del mostro che aveva approfittato di quella debolezza per portargliela via.

Ciò che mi sconvolse ancora, tuttavia, fu che un primo sospetto, da parte di Elizabeth, era stato proprio per il marito. Entrambi avevano dichiarato di star passando un momento complicato dal punto di vista della loro relazione. Ero convinta che il loro matrimonio fosse finito a causa della morte di Lily, ma evidentemente, sbagliavo.

Elizabeth, all’inizio, aveva creduto che Graham le avesse voluto portare via Lily e questo aveva portato a una sua prima estromissione dall’indagine. Come se già l’essere il padre della vittima non fosse sufficiente. Tuttavia, conoscendolo, non avevo avuto alcun dubbio sulla sua totale estraneità ai fatti. Leggere le sue dichiarazioni fu una dura prova. Sapevo che la sofferenza lo accompagnava da sempre, ma in quelle parole c’era quella disperazione che avevo soltanto potuto immaginare.

 

Ero fuori per un’operazione non autorizzata. Stavo verificando una pista sullo spacciatore dei vicoli. Merda. Dovevo rimanere con Lily. Lo sapevo… me l’aveva chiesto. Voleva stare con me e io… io non l’ho fatto. Per questo motivo devo trovarla. E devo trovare chi me l’ha portata via! Lily è la persona più importante della mia vita… è tutto ciò che di prezioso mi è rimasto… e io devo trovarla… devo riportarla a casa… la mia bambina… lei ha bisogno di me… io… io ho bisogno di lei… La mia Lily…

 

 

Distolsi lo sguardo dal pc, rendendomi conto di non riuscire ad andare oltre. Perché? Perché diavolo proprio Lily? Perché quel dannato mostro aveva scelto lei? Perché? Perché voleva che soffrissero così?

Mi affrettai a tornare in me, prendendo lo smartphone. Istintivamente, cercai Graham, ma il suo ultimo accesso risaliva alle 5:08 di quella mattina. Tornai a guardare lo schermo che restituiva, parola per parola, pagine e pagine di un caso che aveva dato vita alla leggenda del Mago. Un caso zero, da cui tutto aveva avuto inizio. Continuavo a domandarmi che cosa potesse esserci in Lily di così significativo da indurre qualcuno a rapirla e a ucciderla. Mancava un passaggio fondamentale. In quel genere di casi, in linea di massima, il rapitore potrebbe essere animato da perversioni sessuali, tanto più che le sue vittime spesso subiscono violenza. Eppure, né Lily né Daisy avevano subito nulla del genere. Tuttavia, erano state uccise senza pietà, come se avesse voluto riversare su di loro le sue frustrazioni. Che fosse impotente e che questo gli impedisse di andare oltre? Aveva forse scelto delle bambine perché le riteneva cavie? Oppure, c’era altro? Le teneva con sé per tre giorni circa, durante i quali erano stordite, ma tenute in uno stato di quiete. Mi ricordai di Julie Dawson, che tuttavia, non riusciva a rammentare nulla di ciò che le era accaduto. Quella bambina, così piccola, era la sola ad essergli sfuggita, proprio grazie all’intervento del detective Graham… mi chiesi se almeno quel successo avesse potuto restituirgli almeno un pochino di serenità, per quanto possibile.

Poi, mi ricordai il mio obiettivo. Dovevo rimanere concentrata. Trascorsi buona parte del mio tempo a leggere quel fascicolo, cercando dei nessi utili che potessero aiutarmi a elaborare un primo modello, fino a quando non sentii squillare lo smartphone. Lucy, in videochiamata.

Sospirai e risposi.

– Lucy… –

– Kate! Come stai? –

Appoggiai la guancia sul palmo della mano. – Sto. Lì? Hai visto Jace? –

Lucy annuì. – Ha trascorso la notte qui. Dopo quello che è accaduto, non se la sente di lasciarmi sola. E questo è adorabile, in un certo senso, ma nell’altro, mi rende inquieta. La sua paura a volte diventa anche la mia… e non mi piace sentirmi così. –

Abbozzai un sorriso. In fin dei conti, la capivo. – Vuol dire che tiene a te… e che anche tu tieni a lui… tanto più che provate emozioni simili ormai… ma sta’ tranquilla, vedrai che non accadrà nulla… non eravate voi l’obiettivo dell’assassino di Trevor… –

Mi guardai dal riferirle del Mago, anche per non spaventarla oltre. Lucy adottò la mia stessa posa.

– Anche Jace pensa lo stesso… ma sentirlo da te un po’ mi rincuora… eppure, nonostante tutto, continuo a pensare che quello che è successo sia irreale… –

Abbassai lo sguardo, sentendo una fitta al cuore. – Invece non lo è, purtroppo… –

– Vorrei così tanto che potessimo tornare indietro, Kate… –

– Non dirlo a me… – mormorai. – Ma non si può… –

– Kate? –

Rialzai lo sguardo, incontrando il suo nello schermo.

– Ti voglio bene. –

Quelle parole mi strapparono un sorriso. – Anch’io, Lucy. Anch’io. –

– Mi manchi già. Promettimi che tornerai presto. –

– Sono confinata qui, lo sai, ma passati questi giorni, sarò a casa. –

Stavolta toccò a Lucy sorridere, poi alzò lo sguardo al cielo. – Il detective Graham… ce l’hai ancora con lui? –

Avercela con lui… oh, certo che ce l’avevo con lui. Non si era nemmeno degnato di farmi una telefonata o di mandarmi un messaggio.

Lucy tornò a guardarmi. – Credo che lui sia molto preoccupato per te, sai? –

– Non lo metto in dubbio, ma ha davvero degli strani modi per esprimere la sua preoccupazione. –

– Ognuno reagisce come può, dopotutto, no? –

Aggrottai le sopracciglia. – Sai qualcosa che non so, Lucy? –

Si affrettò a far cenno di no agitando le mani. – Però stamattina è stato qui. Mi ha chiesto di poter controllare casa e cos---

– Cosa? Ha ispezionato casa nostra? E tu gli hai dato il permesso di frugare tra le mie cose?! Che stronzo! Quindi era per questo che gli servivo fuori dai pie---

– Kate, no! Ascoltami! – esclamò, interrompendo la mia protesta. – Non ha frugato tra le tue cose. Voleva controllare che casa nostra fosse sicura. Ha detto che non permetterà che l’assassino di Trevor ti faccia qualcosa. –

Sgranai gli occhi e mi ritrovai a rispondere d’impulso. – Casa di Trevor era abbastanza sicura, eppure lui è morto lo stesso! Alexander non può proteggermi da tutto, non può! –

Lucy mi rivolse un’occhiata sconvolta. – A-Alexander? –

Portai la mano sul cuore che batteva all’impazzata. Stavo tremando. – I-Il detective… Graham… –

La mia migliore amica addolcì lo sguardo, ma vi ritrovai anche un silenzioso senso di compatimento. Io sfiorai l’anulare sinistro, su cui ci sarebbe potuto essere un anello di fidanzamento che ora riposava assieme a Trevor. Mi sentivo così in colpa e forse, dopotutto, avevo davvero bisogno di qualche giorno di stacco.

– Andrà tutto bene, Kate, vedrai… –

Annuii, sebbene fossi io stessa la prima a non crederci.

 

***

 

Quei giorni a casa trascorsero lentamente, sebbene fossi costantemente aggiornata su ciò che stava accadendo a Boston e sentissi spesso i miei colleghi, con l’eccezione del detective Graham.

Intorno alla fine della prima settimana, oltretutto, appresi da Jace in anteprima e poi dalla tv della cattura di un membro del consiglio d'amministrazione della First Republic Bank e del primario di chirurgia plastica del MassGeneral di Boston, entrambi legati a Richard Kenner con agganci nella malavita e, nell'ambito di un'indagine interna alla Polizia, del vicecapo del IV Dipartimento, con essi colluso. Il dottor Howell, intervistato sul caso, aveva dichiarato che sotto la sua giurisdizione non c'era posto per degli agenti corrotti. Attorno a lui, gli ispettori capo, tra cui un granitico Graham, furono presenti a testimoniarne l'intenzione. Alla domanda di un giornalista su quello che era balzato agli onori della cronaca come lo scandalo del Four Seasons, invece, il gran capo rispose soltanto che il colpevole era in attesa di giudizio e che la giustizia avrebbe fatto il suo corso. Mi venne il sospetto, allora, che Graham avesse voluto allontanarmi per portare a termine quell'indagine e forse, in quel modo, proteggermi, dal momento che era impegnato su un altro fronte. Forse, mi ritrovai a pensare, ero stata davvero troppo superficiale nel giudicarne le intenzioni.

Alla fine, arrivò il momento in cui potei finalmente far rientro in città. Dovevo ammetterlo, in fin dei conti, quei giorni mi erano serviti per calmare l’inquietudine che mi scavava dentro. Il dolore no, quello c’era e ci sarebbe sempre stato, ma almeno era lì a ricordarmi che quello che era accaduto a Trevor era reale e che avrei dovuto continuare a cercare la verità. Anche il rapporto con i miei genitori era migliorato, sebbene l’idea che tornassi a vivere nella mia vecchia casa con Lucy fosse difficile da accettare. Però, alla fine, avevano ceduto.

Nel frattempo, poi, avevo continuato a indagare per mio conto, cominciando a mettere insieme qualche tassello. Avevo notato un certo pattern. Il Mago aveva scelto tre bambine della stessa età, segno che doveva essere accaduto qualcosa, nel suo passato, legato a quel momento. In più, sembrava avere predilezione per bambine che portavano i capelli lunghi e scuri. Sia Lily, che Daisy, che anche Julie, avevano dei lunghi codini. E tutte e tre erano scomparse durante momenti di aggregazione. Questo elemento mi aveva fatto pensare che potesse essere una persona comune, magari insignificante, a dispetto della fama. Uno di quegli insospettabili che normalmente, magari non viene nemmeno degnato di uno sguardo. Eppure, lui guardava. Osservava, studiava e portava con sé. E poi, c’erano i particolari che io stessa conoscevo. La sua voce roca con un forte accento straniero e la vistosa protrusione sul polso sinistro. Inoltre, gli avevamo messo i bastoni tra le ruote, salvando Julie Dawson e forse, questo l’aveva spinto a cercarci. A cercare me. E ad uccidere Trevor per darmi una lezione.

Ma ciò che il Mago non sapeva era che sarebbe stato lui a pagare, alla fine.

Ci pensai per tutto il tempo, sino a quando scesi dall’autobus che mi aveva riportato a Boston. Avevo avvisato Lucy del mio rientro, ma lì, trovai ad attendermi Alexis, con mio sommo stupore.

– Bentornata, Kate. Fatto buon viaggio? – domandò, aiutandomi a tirar giù il trolley.

– Abbastanza. Come mai sei qui? –

– Abbiamo un caso e Graham ha bisogno di te. Te la senti? –

Un caso. Un altro caso. D’altronde, non potevo certo aspettarmi che rimanessimo fermi sul caso di Trevor a vita. Annuii e salimmo in macchina.

– Di cosa si tratta? – domandai, mentre si immetteva nel traffico.

– Te ne parlerà il capo non appena saremo in Dipartimento. A quanto ho capito, ci sono su da un po’, ma solo in questi giorni una pista attendibile è venuta fuori. –

– Capisco… – risposi, senza avere idea di cosa stesse accadendo.

– E tu come stai? – mi chiese.

– Pronta a ricominciare. Immagino che il lavoro mi terrà la mente occupata e così eviterò di deprimermi. –

– Sarebbe un problema se fosse il contrario. Ad ogni modo, se ti servissero lezioni di autodifesa oppure dovessi avere bisogno di scaricare un po’di tensione, sappi che sono disponibile quando vuoi. –

– Anche tu campionessa d’arti marziali come il detective Wheeler? –

Alexis ridacchiò sotto ai baffi.

– No, niente del genere. Ma so centrare il bersaglio con una precisione del 97,5%. –

La guardai incredula. – Davvero? –

– Già. Per via di quel che è accaduto a mio padre, ho sempre avuto solo un obiettivo in mente: arruolarmi e stanare i terroristi che me l’avevano portato via. Per questo, una volta conclusi gli studi, sono diventata un cecchino professionista. Purtroppo, però, mia madre si è ammalata e ho dovuto accantonare l’idea di recarmi in missione, così mi sono accontentata di entrare in Polizia. Col senno di poi, credo che la mia abilità sia utile anche qui, ma continuo ad attendere il momento in cui sarà fatta giustizia. –

– E riesci a convivere con questo pensiero? –

Alexis effettuò qualche sorpasso rapido e accelerò in direzione del Dipartimento.

– Ho imparato. –

Mi voltai verso il finestrino, guardando la vita frenetica di Boston scorrere davanti ai miei occhi. Già. Si impara.

Quando arrivammo, fui accolta dai miei colleghi che mi strinsero in un abbraccio. Jace, in particolare, non vedeva l’ora di farmi vedere qualcosa. Rimasi sconvolta e fui sopraffatta da un moto di commozione quando mi mostrò il software di riconoscimento avanzato su cui Trevor stava lavorando.

– Ho chiesto il permesso alla famiglia di Trevor e… scusami se non te ne ho parlato prima, Katie… è solo che volevo sincerarmi di riuscire a farcela. La programmazione è straordinaria e ho pensato che con le mie abilità, posso portare a termine il suo lavoro e utilizzarlo per dare finalmente un volto al suo a--

Impedii a Jace di andare avanti e lo abbracciai forte.

– Grazie… grazie, Jace! Questo significa davvero tanto per me… e sono certa che anche Trevor sarebbe d’accordo… –

Le sue braccia mi cinsero affettuosamente. Le sue parole erano davvero un toccasana. Pochi istanti e si affacciò anche Selina, sempre affascinante, stavolta in uno chignon simile a quello che portava spesso Alexis.

– Kate, bentornata! –

Il suo sorriso era dolce e nel suo abbraccio ritrovai un familiare profumo di Chanel #5. Ormai, non potevo non pensare che il Dipartimento era diventato la mia seconda casa. Mentre chiacchieravamo, tuttavia, fummo protagonisti di un déjà vu. Proprio come quando l’avevo rivisto per la seconda volta in vita mia, Alexander Graham era appoggiato alla balaustra di fronte al nostro ufficio e ci stava guardando. Incrociare i suoi occhi fu come essere catapultata nel passato, ma stavolta avevo la consapevolezza data dalla conoscenza. Aveva una leggera barba che lo rendeva ancora più maturo e indossava una camicia bianca sotto la giacca nera, ma nel complesso, era lo stesso di sempre. La stessa persona che solo due settimane prima, mi aveva detto che avrei potuto scegliere una carriera differente se solo avessi voluto. La stessa che mi aveva voluto in Dipartimento. Nel suo Dipartimento. Parte di quella squadra che sapeva d’élite, come fosse una seconda versione del Dark Circus. Solo che, stavolta, si agiva per il bene.

– Sono ufficialmente operativa, capo. – dissi.

Non mi sfuggì l’ombra del compiacimento. – Vieni con me. Tutti al lavoro. –

– Sissignore! – fu la risposta all’unisono.

Quando lo raggiunsi, chiudendo la porta alle mie spalle, mi stava aspettando.

– Alexis mi ha detto che abbiamo un nuovo caso. O meglio… un vecchio caso che potrebbe essere a una svolta. –

– È così. Si tratta della sparizione di una giovane donna. Karina Razinova, 24 anni all’epoca dei fatti, bulgara, prostituta. –

Aggrottai le sopracciglia, poi presi il fascicolo che aveva lasciato per me sulla mia scrivania.

– Cosa sappiamo? –

– A quanto pare, sei anni fa era stata affidata a una struttura di recupero che di recente ha chiuso i battenti a causa di illeciti nei pagamenti. Il problema è che un anno fa, a dispetto dell’affidamento, svanì nel nulla. Dagli interrogatori, emerse la figura di una donna disperata, ma che sembrava finalmente aver trovato un posto in cui ricominciare. Per questo, all’epoca, la sua scomparsa suscitò grande attenzione e nel tempo, tutto ciò ha contribuito a mandare in malora la struttura ospitante. –

Riscontrai le sue parole nel report, che stavo sfogliando. Era una bella ragazza dai tratti tipici dell’Est Europa: capelli di un biondo chiarissimo, occhi azzurri e pelle diafana, stando alla fotografia in nostro possesso, nonostante l’evidente stress dato dallo sfruttamento sessuale. Povera Karina, potevo solo immaginare cos’avesse potuto subire.

– Perché riapriamo il caso? Qual è la svolta? –

Il detective Graham appoggiò le mani alla scrivania dietro di lui. – Abbiamo rinvenuto il cadavere di Karina Razinova poco lontano dal luogo da cui era scomparsa, pochi giorni fa. E proprio la struttura di cui ti parlavo era legata a una certa società farmaceutica. Avevo avuto sentore durante l’indagine Kenner, ma ho potuto averne conferma solo due giorni fa dopo essere stato a Norfolk. La Cruise&Sons Pharma, ne hai mai sentito parlare? –

– Sì, sapevo che reclutava ricercatori anche nella mia università. –

Il suo sguardo si fece più affilato. Sapevo cosa stava pensando.

– Crede che usassero dei derelitti per esperimenti non approvati? –

La sua postura, dapprima più rigida, si ammorbidì. – E che a condurli fossero più o meno ingenui ricercatori speranzosi di qualcosa in più di un semplice stage. –

– Ha mai sentito parlare dell’esperimento di Milgram? –

Stavolta, sorrise. – Bentornata, Kate. –

Quelle parole… il suono del mio nome pronunciato dalla sua voce… ricambiai il sorriso, ma non potei fare a meno di provare, allo stesso tempo, un ben noto dolore al cuore che mi fece ricordare che non avrei dovuto pensare ad altro che non fosse il nostro lavoro. Posai il report sulla scrivania, fissando il mio sguardo su di esso.

– E riguardo al caso di Trevor? Che novità ci sono? –

Non osai guardarlo nuovamente, ma potei percepire chiaramente la sua tensione, mentre si voltava verso la sua postazione. Solo allora guardai la sua figura stagliata, avvolta nella giacca nera.

– Ancora nessuna, purtroppo. –

Mi morsi le labbra, pensando che avrei dovuto parlargli delle mie indagini private, ma non era certo quello il momento. Avremmo dovuto attendere… e io avrei dovuto aver fiducia nell’operato dei miei colleghi. Dopotutto, sapevamo già che il Mago era il peggior opponente che ci fossimo mai trovati a fronteggiare.

– Detective Graham. –

Si voltò lui, stavolta e rimanemmo a guardarci per un’interminabile serie di secondi.

– Grazie… per avermi voluto proteggere. –

I suoi occhi si aprirono come se avesse ricevuto un’inaspettata dichiarazione, poi annuì appena.

– Avrei voluto fare molto di più. Mi dispiace. –

Ripensai alle dichiarazioni scritte nel fascicolo di Lily, che mi dettero conferma di quanto il non riuscire a proteggere le persone a lui care fosse per lui fonte di grande tormento. Sospirai e mi alzai. Non era il momento né per essere tristi, né per lasciarsi andare ai sentimentalismi. Che mi piacesse o no, la vita andava avanti e c’era un caso che attendeva di essere risolto.

– Diamo giustizia a Karina Razinova. – dissi, trovandolo d’accordo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

****************************

Parte effettivamente un po' più breve stavolta, ma Kate finalmente sta cominciando ad affrontare un po' demoni. In tutto questo, Alexander ha passato due settimane impegnato sul fronte indagine Kenner prima e si è ritrovato alle prese con un nuovo caso nel mentre. Aggiungo giusto un link riguardante la città di Shrewsbury . Al prossimo capitolo!!

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Capitolo 16
*** VIII. prima parte ***


Buon pomeriggio!! Prima parte del capitolo VIII! Buona lettura!!





VIII ◊






Riabbracciare Lucy fu il modo migliore per concludere la mia giornata. Ero rientrata assieme a Jace e ritrovarla a casa (stranamente ordinatissima, tanto più che cominciavo a pensare che la colpa del disordine fosse realmente mia), pronta a regalarmi il suo più caldo e affettuoso abbraccio e una cena a base di involtini primavera, fu una benedizione. Certo, ci eravamo praticamente viste a aggiornate ogni singolo giorno, ma c’era poco da fare, vedersi di persona era tutt’altra storia. Trascorremmo la sera a chiacchierare del mio soggiorno a Shrewsbury, più che altro per rendere partecipe Jace dei miei trascorsi, e non mancò affatto il ricordo di Trevor, che per quanto ci riguardava, era più vivo che mai. Dopo cena, decidemmo di guardare assieme un film, stravaccati sul nostro grande divano, ma in tv, in quel momento, passavano soltanto la replica di PS. I love you. Quel titolo provocò un momento di grande imbarazzo, dato che fondamentalmente, parlava di una storia d’amore finita in tragedia e del percorso di rinascita di una bellissima Hilary Swank nel ruolo della protagonista Holly, attraverso le lettere e i doni che il suo defunto marito Gerry/Gerard Butler aveva preparato per lei quando ormai la sua vita stava per finire. Ci impiegai un po’ a rassicurarli del fatto che non c’era bisogno di cambiare canale e vedere altro, perché in fin dei conti, cose del genere accadono soltanto nei film. Nella realtà, è tutto diverso. Così, alla fine, accoccolata accanto a Lucy, che recitava le battute a sua volta tra le lacrime e Jace che faceva scorta di fazzoletti, riuscii ad arrivare a poco più di metà del primo tempo. Quando proprio non ne potei più, tra stanchezza per la giornata trascorsa e il mood della serata che di certo, in quel momento, non faceva esattamente benissimo al mio umore, mi congedai lasciandoli alle prese col film.

Quando rimisi piede nella mia stanza, dopo aver appoggiato il trolley da svuotare vicino alla sedia che utilizzavo come appendiabiti, crollai a sedere sul letto. Quante emozioni durante quel giorno.

Alla fine, era andato tutto come doveva andare. Mi acciambellai e guardai la foto che avevo sul mio comodino. Trevor e io durante un viaggio che avevamo fatto insieme la passata estate a Martha’s Vineyard. Quanti progetti… accarezzai con la punta delle dita il vetro, in corrispondenza del volto di Trevor.

– So che non sei d’accordo… partecipare a un’operazione sul campo, un’altra, è rischioso… però, sai… se questo potrà servire ad aiutare qualcun altro, allora ne sarà valsa la pena… ma ho bisogno di te, Trevor… ho bisogno del tuo supporto… di sapere che ci sei ancora, in qualche modo… e mi manchi tanto… –

Il suo viso sorridente, cristallizzato in quell’attimo di gioia data dall’essere immortalati insieme, bastò a farmi comprendere che non avrei avuto risposta. Trevor, se fosse stato ancora con me, si sarebbe opposto, soprattutto dopo quanto accaduto al Four Seasons Hotel. Avrebbe fatto il diavolo a quattro per impedirmi di mettermi di nuovo nei guai. Ma non era più lì. E il suo sorriso svaniva, mentre nel sonno incipiente, l’ultima immagine del suo volto senza più vita era lì a ricordarmi che avrei dovuto fare del mio meglio per svolgere il mio lavoro. La promessa che mi ero fatta quando Daisy Ross era morta. Per chi resta.


***


Il giorno dopo, accompagnata dal detective Graham, presentai istanza formale al procuratore Howell presso il suo ufficio centrale, in Procura Distrettuale. Sapevo che si sarebbe opposto dato che, tecnicamente, non avevo il permesso di partecipare ad azioni sul campo come agente operativo e la volta in cui l’avevo fatto era stata a causa del caso Kenner, ma prima di entrare in Polizia avevo seguito dei corsi speciali per imparare a maneggiare delle armi da fuoco, sebbene non l’avessi mai fatto realmente, e avevo tutta l’intenzione di prendere parte all’operazione che ci avrebbe portati a Norfolk, sulle tracce di Karina Razinova.

Come immaginavo, infatti, il dottor Howell, piuttosto contrariato, si era rifiutato, proprio in virtù di quanto era accaduto nel caso precedente, ma se lui era un osso duro, io sapevo esserlo altrettanto. Feci leva sulla pregressa autorizzazione da parte sua e sul fatto che conoscevo ormai, i segreti del Dark Circus, anche quelli che lo riguardavano. Mi ci volle una mano fortunata, perché Howell non era affatto stupido, ma avevo giocato su qualche confidenza ad hoc che il detective Graham mi aveva fatto nel mentre. Borbottò tra sé e sé su quanto stessi diventando la degna partner-in-crime del mio capo e solo infine, acconsentì.

– Però, Hastings… questa è l’ultima volta che accade. Se le dovesse succedere qualcosa, non soltanto Alexander perderebbe un importante membro della squadra, ma anche Selina mi ucciderebbe. – mi informò, cedendomi l’autorizzazione. I suoi profondi occhi scuri non ammisero repliche.

Sorrisi. – Va bene, affare fatto. –

Mi congedò così, riaffidandomi al detective Graham, che mi attendeva al piano inferiore. Soddisfatta, gli mostrai il mio lasciapassare, ma si limitò soltanto a un cenno. Senza nascondere una punta di delusione per la sua mancata reazione, salii in macchina. Ero convinta che saremmo tornati in Dipartimento, ma così non fu.

– Dove siamo diretti? – domandai, mentre sfrecciava in una direzione sconosciuta.

– Visto che parteciperai, voglio sincerarmi del trovarti preparata. –

– E il briefing, solitamente, non dovremmo farlo in sede? –

Fermandosi a un semaforo rosso, in coda, si concesse qualche istante di relax appoggiando la nuca al sedile in pelle.

– Tutto ok, capo? –

Non era da lui prendersi un attimo di pace, pensandoci. Chissà cos’altro aveva combinato durante le settimane trascorse. Mi allertai temendo che avesse potuto far uso di droghe, in quei giorni di grande stress.

– Che succede? Può parlare con me… –

Guardava dritto davanti a sé, tanto più che quell’atteggiamento remissivo cominciava a darmi conferma circa i miei sospetti. Tuttavia, quando mi apprestai a parlargliene, si decise a farlo a sua volta.

– Hai mai sparato in vita tua? –

Quella domanda mi colpì. – Ho seguito un corso per imparare e mi sono esercitata al poligono, quindi, se vale, sì, certo. –

Le macchine davanti a noi ripresero a muoversi e così fece la sua.

– Lo immaginavo. Converrai con me che sparare al poligono non è la stessa cosa che impugnare una pistola e puntarla contro qualcuno in carne e ossa. –

– Naturalmente, ma… –

Superato il semaforo, compresi la nostra direzione. Il suo sguardo si fece vitreo e la sua voce risuonò profonda e oscura, allo stesso modo di quando aveva sparato a Richard Kenner.

– Se dovesse venire il momento e chi ti troverai di fronte ti minaccerà a sua volta con un’arma per attentare alla tua vita, non dovrai esitare. Altrimenti, se lo farai… –

Le sue mani si strinsero intorno al volante e, istintivamente, mi ritrovai a posarvici su la mia. Percepii la sua tensione.

– Andrà tutto bene… glielo prometto… –

Toccava a me essere forte, in quel momento, e dargli coraggio. Non potevo lasciare che si prendesse una responsabilità che doveva essere solo mia.

– Non esiterò. E… cattureremo il Mago prima che possa avere l’occasione di nuocere a chiunque di noi… lo faremo insieme, Alexander. – dissi, stringendo appena la presa sulla sua mano.

Il suo sguardo stupito nel guardare la posa delle nostre mani, accanto all’avermi sentito chiamarlo per nome, fece da contraltare alla tensione che si rilassava, finalmente. Parcheggiò davanti al poligono e finalmente, tornò a guardarmi. Non mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato, in quelle settimane di lontananza, il suo volto. C’era qualcosa di lui che continuava ad affascinarmi e questo ascendente, per quanto non voluto, non potevo impedirlo. Ma fortunatamente per me, in quel momento, fu lui a riportare la situazione alla normalità, sfilando la mano dalla mia per togliere la chiave.

– Per qualche ragione… ho sempre saputo che avrei dovuto fidarmi del tuo giudizio. Andiamo ora. Alexis e gli altri ci aspettano. –

Annuii sia al suo invito che a quel complimento inatteso. Soprattutto a quello, probabilmente, ma cercai di non darlo a vedere.

Così, raggiunto il resto della squadra, organizzammo il piano nel silenzio della sala di tiro. Graham aveva prenotato l’intera sala per le tre ore successive, tanto che avemmo modo di studiare ogni dettaglio. Al termine, Alexis mi comunicò che avremmo fatto un po’ di prove. Non volendo sfigurare, ma anzi, dar modo al capo di rendere onore alla fiducia che mi aveva accordato, accettai subito, rendendomi conto, tuttavia, di quanto quel peso tra le mani fosse in grado di destabilizzarmi. Alexis, paziente, mi aiutò a calibrare la mira, sollevando meglio le braccia e puntando verso il bersaglio fisso. Alle mie spalle, Graham e Jace attendevano pazientemente. Chiesi loro di non scoppiare a ridere se avessi sbagliato, dato che ero arrugginita, ma mentre Jace si profuse in una specie di mantra propiziatorio, Graham mi ricordò solo di guardare dritto davanti a me e di escludere tutto il resto.

– Solo lui, Hastings. C’è solo lui. –

Quel lui… sapevo a chi si stava riferendo. Sistemai le cuffie e alzai lo sguardo verso la figura nera che si stagliava di fronte a me. Non c’era altro intorno. Solo lui. Il Mago. Colui che aveva distrutto vite innocenti. Colui che mi aveva tolto Trevor. Il ricordo di quella frase, di quella vile promessa impressa sul muro. La pressione nelle mie orecchie salì, a ritmo del mio cuore che, rivivendo quelle scene aberranti, si era lanciato in un drammatico galoppo. Mi morsi le labbra fino quasi a sentire il sapore del sangue. Sangue… tutto quello che era stato versato. Presi un respiro profondo e mi bloccai così. Il bersaglio era lì e sembrava sorridermi. Il sorriso velenoso del demonio. Premetti il grilletto e rilasciai l’aria che trattenevo nei polmoni. Fu questione di pochi istanti e un buco fumante nella spalla sinistra della figura, in alto, apparve.

Sentii la voce di Jace esclamare qualcosa, ma non compresi, avendo le cuffie. Mi voltai verso Alexis, che sorrise, poi verso il detective Graham e abbassai le cuffie.

– Ok, so che non è il massimo, ma… –

– … ma è già qualcosa. – concluse, alzandosi e raggiungendomi.

Abbassai lo sguardo, un po’ agitata al pensiero del suo giudizio, non avendo realizzato che in fin dei conti, non era andata proprio malaccio. Graham mi accarezzò la testa e quel gesto mi fece arrossire.

– Siediti ora. Jace, Alexis, tocca a noi. –

Feci un passo indietro dopo aver lasciato la pistola, mentre Jace, dopo avermi dato un affettuoso buffetto che mi servì a riprendermi, raggiunse i colleghi. Mi sedetti al loro posto e guardai i professionisti all’opera. Ovviamente, non potevo sperare nemmeno di avvicinarmi all’abilità di Alexis, che optò per una serie di bersagli mobili a velocità crescente, sbaragliati l’uno dietro l’altro con precisione quasi chirurgica. D’altronde, era pur sempre un cecchino.

Anche Graham e Jace erano bravi, e la padronanza di Jace mi fece rallegrare a maggior ragione perché sapevo che con lui Lucy sarebbe sempre stata protetta. Quanto al capo, non era rapido come Alexis, ma era accurato e anche i suoi colpi miravano al cuore o alla testa. Quando sparava, lo faceva con l’intento di uccidere.

Trascorremmo le ore restanti a far pratica e ne approfittai per fare scorta di consigli. Imparai a puntare a gambe e braccia, quantomeno per autodifesa, ma sapevo che se mi fossi trovata davanti il Mago, il bersaglio avrebbe dovuto essere più in alto.

Alla fine, uscii da lì esausta, ma soddisfatta. Sapevo che non sarebbe stata l’ultima volta che avrei provato, come anche che la realtà avrebbe avuto un altro sapore, però mi sentivo fiduciosa. Ci fermammo a mangiare qualcosa insieme, quando Alexis ricevette una chiamata dal suo misterioso fidanzato e si allontanò per parlarci.

Jace stava rivoltando un’aletta di pollo nel frattempo. Graham, bevendo un sorso di vino rosso, non si era nemmeno scomposto. Dovevo ammettere che la questione era intrigante, ma mi guardavo dal chiedere informazioni per non essere troppo invadente. Addentai la mia aletta, quando vidi, in lontananza, Alexis discutere. A quanto pareva, doveva essere una storia travagliata. Eppure, quello scorcio di normalità, aveva qualcosa di bello. L’ultima volta che avevamo mangiato qualcosa insieme, Jace si era innamorato di Lucy, mentre Trevor e io, inconsapevolmente, avevamo preso parte all’arresto di un criminale.

– Tutto ok? – mi domandò il detective Graham.

– S-Sì… sono solo un po’ nostalgica. – risposi, posando l’osso che mi era rimasto e bevendo un sorso d’acqua.

– Ricorda che ieri hai abbandonato me e Lucy nel bel mezzo del film… – aggiunse Jace.

– Parlando di nostalgia… – mormorai.

– Quindi sei ufficialmente trapiantato lì, tu? – chiese Graham.

Jace annuì. – Oddio, proprio ufficialmente no… ma ci stiamo bene. No? – domandò, guardandomi speranzoso. Io assentii.

– Per quanto si possa stare in un posto di 100 metri quadri scarsi… –

Inarcai il sopracciglio. – Che ha da dire sulla mia casa, scusi? –

Graham fece spallucce. – Niente di che. Solo che la trovo piccola... e disorganizzata. –

Ricordai la villetta in cui aveva abitato con Elizabeth e Lily. – La prossima volta che le viene in mente di entrare a frugare, quantomeno chieda il permesso… magari gliela faccio trovare in ordine. Che ne dice? –

Jace ridacchiò nel sentire il mio tono. – Capo, questa te la sei cercata. Te l’avevo detto che si sarebbe arrabbiata. –

Graham non replicò, preferendo alzarsi.

– Dove va? – domandai.

– A fumare. Ordinate quello che volete e un caffè per me. –

– Mi faccia indovinare… anche il proprietario di questo posto è una sua vecchia conoscenza? –

Jace lo guardò incuriosito, mentre Graham fece spallucce.

– No. Va tutto sul conto di Marcus. Scommessa persa. – ci informò.

– Oh! Ooooh!! Grande capo!! Sei il migliore! –

Perplessa, avvampai per l’impressione di essere parte in causa. – Che scommessa?! –

Graham sogghignò. – Cose da uomini. – concluse e si allontanò verso la sala fumatori.

– Maledetto… tu lo sai, vero, Jace? –

Jace si mise a gesticolare. – Non ho idea di quello che passa nella sua testa, Katie! Sei tu la strizzacervelli! –

Sospirai, mettendo una mano in faccia. Era inutile, non avrei mai capito chi davvero fosse il detective Graham.

Pochi minuti dopo, mentre leggevo un messaggio di Hannah, che mi invitava a vederci, sia il capo che Alexis rientrarono. L’espressione della mia collega, dapprima tesa per la conversazione, ora era concentrata. Aveva ricevuto una email dall’ufficio carriere della Cruise&Sons Pharma, che recava l’oggetto “Colloquio accettato”. Jace, hacker seriale, aveva creato una falsa carriera per Alexis, che ora figurava come laureanda in attesa di tirocinio. Ovviamente, aveva condito il tutto con la disponibilità di partecipazione a progetti sperimentali, motivo per cui, dato il curriculum, era stata ammessa al colloquio, fissato per l’indomani mattina alle 9:00.

Per noi, tutto ciò significava che l’operazione era ufficialmente cominciata.


***


La Cruise&Sons Pharma era un’azienda farmaceutica storica della città di Norfolk. Durante il viaggio, Jace mi aveva raccontato che negli anni, si era espansa oltre i confini della contea, grazie alla lungimiranza della direttrice, tale Harriet Cruise, pronipote del fondatore. La stessa, prima di approdare al comando, era stata una benefattrice e co-fondatrice a sua volta della Hope and Charity House, la struttura che aveva ospitato Karina Razinova e dalla quale era scomparsa, per poi ricomparire, un anno più tardi, ormai defunta.

Graham istruì Alexis sul da farsi. E, dal momento che anch’io sarei stata presente, in veste di compagna di corso pronta a supportare la sua amica per l’occasione, feci bene attenzione a come avrei dovuto comportarmi. Stavolta, differentemente dal caso precedente, avrei dovuto essere più accorta, dato che non si trattava di un evento in cui infiltrarsi, ma di un’azienda con personale all’opera, tanto più che Graham non volle nemmeno ricorrere alle microspie, con grande sconforto del nostro hacker preferito.

Così, mentre il capo e un Jace colmo di disappunto ci attendevano all'esterno, Alexis e io entrammo in azione.

Il posto era all’avanguardia, dietro la facciata storica che richiamava il primissimo Novecento se non prima. Da parte mia, non ero mai entrata in un’azienda del genere, ma durante gli anni dell’università, avevo spesso sentito che in molti avrebbero fatto carte false pur di ottenere anche solo uno stage presso la Cruise&Sons. Ad accoglierci, in una essenziale e quasi futuristica reception, fu una giovane donna, pressappoco dell’età di Alexis, immaginai, a cui la mia collega si presentò.

– Nadja Olenova, sono qui per il colloquio. – disse.

Feci un cenno di saluto, a cui la receptionist rispose con un sorriso di cortesia.

– La signorina può attendere della sala d’aspetto. Lei invece, può seguirmi, signorina Olenova. Il dottor Reyes la attende. – ci informò.

Alexis mi lanciò uno sguardo. Il dottor Alphonse Reyes era presente al Charity Meeting, motivo per cui, avrei dovuto evitare di incontrarlo, onde evitare di essere riconosciuta. Era stata la sua presenza, in qualche modo, a mettere in allerta il detective Graham, in quell’occasione. A quanto avevo compreso, stava reclutando nuovo personale, ma quello che aveva colpito il capo, era il suo discutibile parlare di come la sperimentazione animale fosse superata in favore di una più massiccia sperimentazione umana. Il nostro compito era di verificare se tutto ciò avesse a che fare con la morte di Karina Razinova. Per questo motivo, Alexis aveva scelto un alias dell’Est Europa. Se avesse abboccato, magari saremmo riusciti a trovare un nesso. La mia unica perplessità, in principio, era stata il fatto che Graham non avesse voluto coinvolgere la polizia locale. Tuttavia, mi aveva rassicurato sul volerlo fare non appena avessimo avuto le prove di cui avevamo bisogno.

– Ci vediamo più tardi! Farò il tifo per te! – esclamai, stampandomi in faccia un’espressione speranzosa. Alexis sorrise, poi seguì la receptionist nel corridoio adiacente.

Quando furono scomparse dalla mia vista, mi guardai intorno. Jace mi aveva parlato di un sistema di videosorveglianza interno ed esterno, pertanto optai per il rimanere buona buona nella sala d’attesa, in cui figuravano monitor che passavano in loop i progetti e gli studi dell’azienda. Apparentemente, nulla di strano. Il logo, tuttavia, mi fece pensare. Non era il solito caduceo tipico delle aziende mediche, ma rappresentava l’uroboro. Quantomeno, avevano il senso dell’originalità.

Trascorsi una decina di minuti seduta a guardarmi intorno e a leggiucchiare delle riviste presenti, onde evitare che la receptionist, ormai tornata al suo lavoro e in vista, potesse sospettare qualcosa. Poi, mi alzai e chiesi di poter usare la toilette.

– Primo giorno di ciclo… – borbottai, trovandola abbastanza solidale.

– Deve imboccare il secondo corridoio e scendere la prima rampa. Trova la toilette in fondo sulla destra. –

Wow, che labirinto. – È l’unica? Niente di meno complicato? – chiesi, fingendo confusione.

– Mi dispiace. Su questo piano non c’è altro. –

– Va bene… crede che Nadja tarderà? –

Inarcò il sopracciglio brunito. – Non glielo so dire. –

Feci spallucce. – Grazie lo stesso. Vado. –

Mi allontanai in direzione del corridoio dopo aver recuperato la mia borsa, poi scesi la prima rampa, come mi aveva indicato.

Se mi ero stupita dell’aspetto futuristico, non potei non stupirmi dell’assenza di personale in giro. In effetti, immaginai, con tutta probabilità, i ricercatori dovevano essere impegnati nei laboratori. E un’azienda così in vista, di certo, non tollerava dipendenti scansafatiche.

Mi guardai intorno e raggiunsi i bagni. Una volta dentro, sinceratami di esser sola, chiamai Jace.

– Jace? –

Qualche istante di silenzio, poi la sua voce mi rispose. « Ti sento, Katie. Tutto ok? »

– Sì, certo. Sono in attesa. –

« Niente azioni sconsiderate. » La voce perentoria di Graham.

– Lo so bene, solita storia. A dopo! – borbottai, tagliando corto nel momento in cui sentii rumore concitato di passi. Non detti loro il tempo di rispondere e rimisi tutto a posto, uscendo dal bagno. Con mio grosso stupore e imbarazzo, colsi in flagrante una coppia, pressappoco della mia età, il ragazzo con indosso il camice bianco. Nel vedermi, le loro espressioni si fecero imbarazzate a loro volta e il ricercatore si affrettò a sistemarsi alla bene in meglio e correre via. Considerando che ci trovavamo nel bagno delle donne e la faccia da sveltina interrotta della ragazza, non dovevano esserci dubbi sul motivo per cui quei due fossero lì.

– Ehm… mi dispiace... i-io stavo... – balbettai.

La mia interlocutrice, con aria seccata, tirò indietro i capelli neri, risistemandosi la camicetta a fiori.

– Sei nuova? –

Combattendo la mia insana propensione al mettermi nei casini da sola, consapevole della presenza di Alexis da qualche parte, risposi come da programma. – Sono una semplice accompagnatrice. La mia amica è impegnata in un colloquio in questi minuti. –

Il suo sguardo si fece attento. – La ragazza con il dottor Reyes? –

– Sì… credo. La stava aspettando. Perché? C’erano altri candidati? – chiesi fingendo ansia.

– Non per oggi, a dire il vero. Fortunatamente, dopo quanto accaduto, la percentuale di possibili rivali è scemata. – rispose. Miss Cinismo all’ennesima potenza. Mi resi conto che l’accaduto a cui si riferiva probabilmente doveva essere il ritrovamento di Karina, ma considerando la risatina sarcastica che ne era seguita, decisi di indagare.

– Accaduto? Scusa, io sono un po’ fuori dal mondo in questo periodo… –

La ragazza rivolse uno sguardo verso la porta. Mi chiesi se il suo compare la stesse attendendo, lì fuori. – Certo, come puoi saperlo? La moglie di Reyes ha scoperto la tresca del marito con alcune tirocinanti e gli ha intimato di non assumere altre donne. –

– Eh? – esclamai, onestamente sorpresa. Ma dovevo sempre finire in mezzo a storie di corna?

Stavolta tornò a guardarmi. – Sì, ha fatto una scenata epocale. Tutti noi eravamo sconvolti. Ma mai quanto Reyes quando si è visto minacciare di avere i fondi tagliati. Un colpo al suo ego che vale molto di più di una richiesta di divorzio! –

Non avevo visto il dottor Reyes durante il Charity Meeting, ma dalle parole di Graham, doveva essere alquanto zelante nel vantare le sue ricerche. Inarcai un sopracciglio.

– La moglie gestisce i suoi soldi, per caso? –

Le mie parole dovevano averla smossa, perché reagì come se avessi detto un’ovvietà. Ci mancava solo che mi chiedesse da che pianeta venissi. – La moglie di Reyes è Harriet Cruise. La direttrice della baracca. –

Stetti al gioco che avevo cominciato. – Oh… wow… non ne avevo idea… povero dottore. –

Miss Simpatia mi lanciò un’occhiata incuriosita. Avevo catturato la sua attenzione. – Tu non sei di queste parti, vero? –

Scossi la testa. – Sono di Weymouth. In realtà nata a Sofia, ma sono cresciuta in America. –

Il suo tono si fece più pungente. – Sei bulgara? –

– D’origine, sì. Perché? –

Sospirò. – Niente di che, pensavo a quanto sia piccolo il mondo. –

Nel dirlo, continuava a guardarmi, come se mi stesse studiando. Ne sostenni lo sguardo inquisitore, sperando di non insospettirla oltre il dovuto. Quello che mi interessava l’avevo già ottenuto.

Kŭsmet. –

Aggrottai le sopracciglia. Che diavolo aveva detto? Di certo non conoscevo una parola di bulgaro, ma non potevo certo immaginare che quella ragazza potesse. Doveva avere un qualche legame con Karina, ne ero sicura.

– Ehm... – arrancai.

Buona fortuna. – rispose una voce, per me familiare, alle nostre spalle. Ci voltammo. Alexis, e Dio solo sapeva quanto l’avrei dovuta ringraziare, era ufficialmente la mia salvatrice.

– A-- Nadja! Hai finito? – domandai, sollevata come non mai.

Mi guardò senza nascondere una punta di biasimo, poi rivolse il suo sguardo verso l'altra.

– Ho un altro colloquio domani. Chissà, forse diventeremo colleghe. A proposito, ho notato che al dottor Reyes non piace che si cincischi. –

La ragazza fece spallucce. – Oh, lo so fin troppo bene. Peccato che lui sia il primo a cincischiare, davanti a una bella ragazza. Se vuoi un consiglio, gira al largo. – disse, ma prima che potessi dir qualcosa, Alexis mi fermò.

– Magari ne riparliamo quando il posto sarà mio. Sbogom. –

Aggrottò le sopracciglia e a giudicare dal suo modo di farlo, immaginai ne avesse capito tanto quanto me. Agitò il braccio a mezz'aria e andò via. Quando fu sparita dalla nostra vista, finalmente mi sentii più tranquilla.

– Grazie… – mormorai.

Alexis sospirò. – Andiamo, prima che attiri l’attenzione più del dovuto. – bisbigliò, uscendo. La seguii, facendo attenzione a non allontanarmi da lei. Percorremmo una strada diversa rispetto a quella che avevo fatto io, ma non questionai. Tornate alla reception, l’impiegata che ci aveva accolto mi rivolse un’occhiata. – Alla fine l’ha trovata. –

– Sì, mi ero persa. Per fortuna Nadja ha un senso dell’orientamento migliore del mio. –

– La prossima volta ci verrò da sola. – borbottò Alexis e io feci spallucce.

– Il prossimo appuntamento è fissato per domattina alle ore 8:30, signorina Olenova. La dottoressa Cruise la attenderà nel suo ufficio. –

Harriet Cruise, fissai in mente.

Alexis annuì e dopo aver salutato, lasciammo temporaneamente l’azienda per tornare dal capo e da Jace e dopo dirigerci al nostro albergo.


***


– Eh? Sarah Reyes? Quella ragazza era la figlia del dottor Reyes? – fu la mia domanda colma di incredulità quando Jace ci svelò l'identità della ricercatrice, cortesia di Instagram. Altra cortesia fu il farci notare che il ragazzo che era con lei nei bagni non corrispondeva affatto al suo fidanzato, stando alla foto pubblicata proprio il giorno prima.

– Hai capito... buon sangue non mente. – commentò Jace, avendo ascoltato il racconto di Alexis sui modi di fare decisamente non professionali del dottor Reyes.

– E in più, sembra che Sarah conosca qualche parola di bulgaro... il che mi fa pensare che abbia avuto qualche contatto con Karina. Sappiamo che era una prostituta e con tutta probabilità, doveva avere dei trascorsi con Alphonse Reyes. Magari la Cruise e Sarah hanno scoperto la verità e hanno fatto uccidere la povera Karina. – teorizzai.

– Perché non farlo loro stesse? – chiese Alexis.

Feci spallucce. – Dubito che si sarebbero esposte a un tale rischio. Anche se la morte di Karina è venuta a galla ugualmente, insieme alla storia di corna. Se avessero fatto qualcosa del genere, sarebbero state davvero sciocche. Il movente in questo caso è davvero troppo evidente. –

Jace si mise a scorrere la home di uno dei social di Sarah Reyes. – A volte non c’è necessariamente un secondo fine. Potrebbero aver giocato una mano sfortunata e pensato di coprire lo scandalo con i soldi. Il denaro per quella gente copre tutto. –

Lo guardai e per un attimo, le sue parole mi riportarono alla mente le parole di Trevor sul Charity Meeting. – Hai ragione, Jace... –

– A proposito di giochi... com’è che il capitano Graham non è ancora rientrato? – chiese Alexis.

L’avevamo lasciato a un isolato dal comando di Polizia locale, ma dubitavo fortemente del fatto che avrebbe tenuto fede al suo proposito di coinvolgere gli agenti del posto nella nostra indagine, non senza qualcosa di concreto tra le mani. Pensai di proporre di chiamarlo, ma non ci fu bisogno, perchè ci precedette.

– Parli del diavolo... – borbottò Jace.

– … E spuntano le corna. – continuò, con un evidente tono annoiato, Alexis.

Il perchè fu presto detto. Il detective Graham non era solo, ma insieme a lui, c’era un uomo all’incirca della sua età, forse uno o due anni più giovane. Poco più alto, in giacca e cravatta grigie, capelli neri alla militare, vivaci occhi nocciola e un sorrisetto compiaciuto, il nostro ospite posò lo sguardo su Alexis.

– Dovevo proprio venire a Norfolk per vederti, eh, Lexie? – chiese, incurante della nostra presenza. Guardai il capo, che non si scompose.

Alexis sospirò. – Kate, Jace, lui è Konstantin Vaughn. Vaughn, loro sono i miei colleghi. –

– Konstantin... Vaughn? – feci eco. L’uomo mi rivolse la sua attenzione.

– Sì. Lavoro nell’Immigrazione da qualche anno e data la situazione, ho pensato di potervi essere d'aiuto. Oltretutto, unendo l’utile al dilettevole. – spiegò, rivolgendo le ultime parole alla nostra collega.

– Capo, posso parlarti un attimo? – domandò Alexis, ignorando Vaughn e fissando il suo sguardo in quello di Graham.

– Se proprio devi... – rispose, sospirando, per poi allontarsi, insieme, dalla stanza.

Vaughn, sollevando le sopracciglia scure, ridacchiò. – Immagino stiate pensando che Alexis non gradisca la mia presenza qui. –

Jace e io ci guardammo. – A dire il vero non è un pensiero: è un dato di fatto. – osservai.

– In realtà tra noi è sempre così. Ora siamo nella fase in cui lei non mi tollera. –

Battei le palpebre. – Quindi lei è il misterioso fidanzato di Alexis? –

I suoi occhi brillarono. – Dunque mi definisce fidanzato? Onestamente al momento siamo più sul genere amici con benefici... –

Jace scoppiò a ridere, mentre io mi sentii in perfetto imbarazzo.

– Te l’ha fatta, Kate! – esclamò Jace e risposi con un pizzicotto sul suo braccio. – Ahi, ahi! –

Vaughn ridacchiò, poi ammorbidì il tono. – A proposito... Kate... è lei la dottoressa Hastings, giusto? –

– Eh? S-Sì, sono io, perchè? – chiesi.

Lasciando scivolare il momento di precedente frivolezza, Vaughn si fece più serio. – So che lei è stata la prima persona ad avere una diretta interazione con il Mago. E mi spiace molto per quanto accaduto al suo fidanzato. –

Quelle parole così inattese mi provocarono una fitta allo stomaco. – Gliene ha parlato il detective Graham? –

Vaughn scosse la testa. – Conosco Graham da diversi anni, tanto più che abbiamo seguito dei corsi di specializzazione in Criminologia insieme, ma all’epoca della comparsa del Mago, le nostre strade si erano già separate. Però, poco più di un anno fa, dopo che lei offrì la deposizione in cui riconosceva la voce del Mago come straniera, Graham mi chiese un consulto, data la mia posizione. Purtroppo, non sono mai riuscito a trovare nulla di concreto. Quell’uomo è come un fantasma. –

Sgranai gli occhi, al sol ricordo di quella voce roca, delle parole del Mago che mi auguravano buon Natale con una pronuncia nient’affatto americana. E ora, a distanza di tanti mesi, dopo tutto ciò che era accaduto, soprattutto a Trevor, il sol pensiero fu sufficiente a gettarmi nello sconforto della consapevolezza che la probabilità di riuscire a trovare quell’assassino sarebbe stata subordinata alla sua volontà di essere trovato. Non sapendo cosa rispondere, mi chiusi nel silenzio, trovando l’appoggio di Jace, che mi cinse gentilmente in un abbraccio. Era davvero un caro amico e mi sentii come se ad abbracciarmi, in quel momento, fosse Lucy. Vaughn non aggiunse altro in proposito, ma attendemmo tutti e tre insieme il rientro di Alexis e del capo, cosa che avvenne pochi minuti più tardi.

– Vaughn ci aiuterà in quest’indagine. Considerando gli agganci della Cruise, c’è la probabilità che vi sia qualche infiltrazione nei locali, motivo per cui, ce la vedremo noi. Dopotutto, il ritrovamento di Karina Razinova è avvenuto nella nostra sfera di competenza. – spiegò Graham e addio al proposito di coinvolgere la Polizia del posto. Avrei dovuto immaginarlo, d’altronde.

Guardai Alexis, che del canto suo, si impegnò a ignorare il suo... amico, che, del canto suo, si era calato nella professionalità, a dispetto dell’impressione precedente.

– A questo proposito, dopo la tua chiamata, Graham, ho svolto qualche ricerca personale. Credo ti interesserà sapere che oltre Karina Razinova vi erano almeno altre cinque persone, tutte originarie dell'Est Europa. Tre di queste erano donne, generosamente salvate dalla Hope and Charity House e due uomini, uno dei quali morto lo scorso anno in seguito a un'operazione di cattura per spaccio di stupefacenti. L’altro lavora presso la Cruise Pharma con mansioni di supervisione. –

– E le altre donne? Cosa ne è stato di loro dopo la chiusura della Hope and Charity House?

– Sono state riabilitate dalla stessa Cruise. La morte di Karina Razinova ha fatto scalpore, è vero, ma davanti al successo dell’ingresso in società di ex derelitte, l’opinione pubblica ha tergiversato. Vorrei poter dire lo stesso per i debiti accumulati, ma sappiamo com'è andata... –

Jace sbuffò. – Come se avesse cancellato ogni traccia del loro passato. Tutti hanno diritto a una seconda possibilità, ma il passato ci definisce. –

Annuii. – Nel bene e nel male. –

– Abbiamo modo di incontrare queste persone? – domandò Graham.

Vaughn allargò le braccia. – A meno che tu non abbia tempo e voglia di recarti sulla West Coast... attualmente, due di loro risiedono a Washington. La terza, stando all’ultima rilevazione, vive in California. –

– In altre parole, ha ben pensato di mandarle il più lontano possibile. – osservò Alexis.

– A me viene in mente un solo motivo per cui avrebbe potuto fare questo. – aggiunse Graham, guardandomi.

– Non le voleva più tra i piedi. – dissi.

– Oltretutto, non mi sembra nemmeno un caso che solo le donne siano state allontanate, mentre dei due uomini, uno di loro è stato messo addirittura all’opera nella Cruise Pharma. – insinuò Jace.

– Beh, considerando gli appetiti del marito, non mi stupisce... – rispose Alexis.

Un colpetto di tosse dalle parti di Vaugh la fece voltare di sottecchi.

– Scusate, sono solo un po’ raffreddato. – mentì spudoratamente.

– Allora dovresti starci lontano. Sai, a differenza tua, noi non possiamo permetterci di ammalarci ora. –

Guardai Vaughn. Alexis era decisamente infastidita dalla sua presenza. Chissà cos’era accaduto tra loro, tanto da farla comportare in quel modo così apertamente seccato.

– Alexis. – la voce perentoria di Graham.

La nostra collega sospirò. – Va bene, va bene. –

Vaughn sorrise. – Lexie ha ragione. Mea culpa. Ad ogni modo, dovreste partire dall’indagare su Varban Petrov. Lui è il vostro uomo, al momento. Considerando che il suo visto scadrà domani, ne approfitterei. –

Le labbra del capo si allargarono in un ghigno. – Fammi indovinare... non è casuale, vero? –

Vaughn inarcò il sopracciglio, senza perdere quel sorrisetto. – Assolutamente no. Non sia mai detto che un ufficiale non compie il suo dovere secondo la legge. Diciamo solo che a volte la burocrazia fa schifo. –

Misi la mano in faccia. Graham e le amicizie sane non andavano affatto d’accordo.



Così, trascorso il resto della giornata a fare ricerca e a pianificare le prossime mosse, arrivò finalmente sera. Alexis e io ci ritirammo nella nostra stanza dopo aver cenato, e, dopo un paio di telefonate a mia madre e a Lucy, mi gettai sul mio letto. Alexis, iPhone in mano e maschera detox sul viso, sembrava pensierosa. Pensai che non avendo grande confidenza, forse avrei dovuto evitare di chiedere i suoi trascorsi con Vaughn, così optai per altro.

– Usi molto spesso le maschere per il viso? –

Stupita della mia domanda, lasciò momentaneamente l’iPhone per guardarmi. Aveva tirato su i capelli ramati in una crocchia spettinata, ma nonostante tutto, era davvero molto bella. Se avessi provato a fare lo stesso io, probabilmente sarei sembrata una matta.

– Almeno una volta al giorno. È quel che ci vuole dopo una giornata di lavoro. Vuoi provare? –

Allettata dall’idea e bisognosa di un po' di relax, mi lasciai corrompere. Così, alle prese con un rilassante massaggio del viso e successivamente, beandomi della freschezza della maschera fruttata detox, ascoltai le sue parole.

Secondo te sono stata troppo dura con Vaughn? –

Beh, lui ha detto che ora sei nella fase di intolleranza nei suoi confronti... dipende da quel che è successo tra voi. –

Alexis alzò gli occhi azzurri al cielo.

Ti direi che è colpa sua, ma a volte mi rendo conto che non lo sia del tutto... è solo che trovo tremendamente irritante quel suo modo di fare. –

Sorrisi. – Litigavi con lui per telefono, al ristorante? –

– Sempre. Non credo ci sia persona al mondo in grado di farmi girare le scatole come lui. –

– E allora perché ci stai insieme? –

La mia domanda la fece fremere. – Non stiamo proprio insieme in questo momento... diciamo che siamo più sul genere... –

– Amici con benefici? – chiesi, di rimando.

Alexis arrossì. – Giuro che stavolta lo distruggo!! Ha detto lui così, vero? –

Annuii. – Immagino non sia la definizione esatta, allora... –

– No... cioè, più o meno. La verità è che sono io a non volermi impegnare in una storia più seria. Anche perchè questo significherebbe seguirlo e io... non so se sono pronta a qualcosa del genere. –

– In che senso seguirlo? –

– Ha accettato un posto nella diplomazia internazionale, motivo per cui alla fine di quest’anno partirà per l'Europa. Mi ha chiesto di andare con lui, ma ci sono troppe cose in sospeso qui... lasciare il Dipartimento, che per me è come una seconda casa... non poter proteggere la mia famiglia in patria... io non credo di riuscire a sopportarlo. –

Abbassai lo sguardo, pensando a quante volte Trevor mi aveva rimproverato per aver preso da sola iniziative importanti. Eppure, nonostante infine l’avessi messo al corrente, non ero riuscita a proteggerlo. Quella consapevolezza mi faceva male. Sapevo che Alexis aveva perso il padre durante l’11 settembre e questo l'aveva spinta a seguire la strada dell’addestramento militare, ma nelle sue parole, percepivo un attaccamento diverso dal mio.

– Alexis, perdonami... tu sei innamorata di Vaughn? – chiesi, tornando a guardarla.

Sgranò gli occhi, poi li abbassò. Era decisamente in crisi a quella domanda. Mi tornarono in mente la parole che Elizabeth mi aveva rivolto nei bagni del Four Seasons, ma mi affrettai a scacciare quel pensiero.

– Cambierebbe qualcosa se lo fossi? –

Stavolta toccò a me distogliere lo sguardo. – La verità è che non lo so nemmeno io... si dice che l’amore superi tutto, che ci renda più forti... ma dal mio punto di vista, neanche quello è stato sufficiente a salvare Trevor. –

– Kate? – il suo tono era sorpreso.

Sollevai il viso. – Non c’è giorno che non mi danni per aver coinvolto Trevor nelle mie scelte. Lui non meritava quello che gli è accaduto. Era un uomo buono... eppure è stato trucidato a sangue freddo per colpa mia. Non ho potuto nemmeno dirgli addio... se solo ci fosse un modo per riaverlo indietro, darei tutto perché questo accadesse, credimi... eppure, non posso cambiare le cose, ma solo cercare di fare del mio meglio per trovare il suo assassino e assicurarlo alla giustizia una volta per tutte. –

Alexis si morse le labbra. – Cosa vuoi dire con questo, Kate? –

– Che so cosa significhi perdere una persona amata... e so cosa significa avere qualcuno che cerchi di farti andare avanti a ogni costo. Anche se ti rendi conto che il tempo per te si è fermato a quel momento terribile. So cosa vuol dire non aver potuto dire a quella persona quanto sia stata importante per te... e quanto questo ti ricordi, ogni giorno, di non legarti a qualcun altro... ma in realtà, cerchiamo solo di proteggerci dal dolore della perdita... non è così? –

Alexis strinse i pugni sul lenzuolo candido del suo letto.

– Alexis, io non credo che l’amore c’entri qualcosa stavolta... né che siano gli eventi del passato a tenerci ancorati alla nostra vita attuale... credo che sia la paura a impedirci di andare avanti. E finché quella paura non passa, anche solo far progetti è impossibile. –

– Quindi secondo te avrei paura? –

– Non lo so... devi dirmelo tu. –

Rilassò la presa, poi sospirò. – Cerchiamo di risolvere quest’operazione... dopodichè, penserò al da farsi. –

Mi trovai d’accordo.

– Comunque, ti ringrazio, Kate. Selina aveva ragione... parlare con te fa bene. – disse, accennando un sorriso.

– Eh? –

– Piuttosto, tu... dovresti togliere quella maschera. –

– I-Io non ho maschere... non sto mentendo! – mi affrettai a rispondere, avendo totalmente dimenticato di avere per davvero una maschera sul volto, tanto la mia pelle si era abituata ad essa.

Alexis mi rivolse uno sguardo incerto, poi scoppiò a ridere. – Intendo la maschera detox! Non vorrai mica tenerla tutta la sera? –

– C-Che? Ah, già! Scusa! – arrancai, gesticolando, poi balzai dal letto e corsi a lavare il viso. Nel vedere il mio riflesso nello specchio, non mi sfuggì il luccichio negli occhi. Presi un gran respiro, quando Alexis si affacciò.

– Perché pensavi di mentire? – mi chiese, incuriosita.

Colta in fallo, avvampai. – Io non... ecco... –

Mi rivolse uno sguardo piuttosto comprensivo e non andò avanti nel proposito indagatore.

– Scusami, non volevo metterti in imbarazzo. Sarà il caso di andare a dormire. Ci aspetta una giornata impegnativa. –

– S-Sì... buona idea. Grazie... – mormorai, grata, anche se sapevo fin troppo bene che la sua domanda era ben precisa e sottintendeva una realtà che probabilmente non sarei mai stata in grado di accettare.




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Ok, so che le parti sono piuttosto lunghe (i miei capitoli su pc vanno dalle 30 alle 40 pagine), ma non ho cuore di spezzarle troppo. Spero che la lettura sia ugualmente risultata agevole! Adoro questo capitolo perché ci sono personaggi nuovi, tra cui Vaughn che doveva essere una comparsa, originariamente, ma man mano ha avuto un ruolo un po' più ampio. XD Vi ricordate quando Alexis aveva parlato del suo misterioso fidanzato, ai tempi della cattura di David Valance, nel secondo capitolo? Ecco, avevo pensato inizialmente a una relazione extraconiugale, ma alla fine, è venuto fuori un rapporto un po' strano tra questi due. Comunque Vaughn è un personaggio che mi fa morire, giuro. Questo è un capitolo a cui sono molto legata perché rappresenta uno dei capisaldi della storia per qualcosa che leggerete nella prossima parte, quindi, stay tuned e alla prossima!!

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Capitolo 17
*** VIII. seconda parte ***


Buondì!! Seconda parte dell'ottavo capitolo!! Anche stavolta è lunghetta, ma è piena d'azione! *_* Al termine, le note! Buona lettura!!











Il mattino seguente, dopo una breve colazione e un rapido briefing, corredato da un breve alterco sulle differenze di vedute, ci trovammo pronti all’azione. Stavolta, per via delle rivelazioni di Vaughn, il capo aveva deciso di tenere la mia copertura in stand-by, così mentre Alexis si recò come da piano a colloquio con Harriet Cruise, lui ed io ci recammo presso l’ufficio preposto al rinnovo del visto internazionale ad attendere Varban Petrov. Jace, intanto, ci attendeva dietro le quinte, appostato nell’auto di Graham. Era una bella giornata e il via vai di gente che si affaccendava tra lavoro, scuola e commissioni, mi faceva pensare alla mia città natale.

– Sembri serena. – mi disse il capitano Graham, riportandomi alla realtà.

– Pensavo soltanto a casa. È un bel posto. –

– Shrewsbury. Non credo di esserci mai stato, ora che ci penso. –

– Lei è originario di Boston, vero? –

Graham annuì. – Cambridge. –

– Wow. Non l'avrei mai detto. –

La mia osservazione gli fece aggrottare le sopracciglia. – Pensavi venissi da qualche bassifondo? –

– Come? N-No, certo che no! –

Graham inarcò il sopracciglio stavolta. – Tu sei davvero un bel tipo. Lo sai, vero? –

Soffocai una risatina, ma prima di chiedergli di più, fummo interrotti dall’arrivo di Petrov.

– Eccolo. – disse.

Varban Petrov aveva circa ventotto anni. Capelli rasati e occhi verdi, piuttosto piazzato, con una cartellina in mano.

– Vieni. – ordinò Graham, e io lo seguii, sperando che non desse spettacolo come suo solito, ma rimanendo qualche passo indietro, pronta a dare supporto se richiesto. Fingendo di non essere stato attento al marciapiede, andò dritto a scontrarsi con Petrov, che, nonostante la stazza, indietreggiò di qualche passo subendo il colpo. Nello scontro, la cartellina che aveva con sé gli cadde, riversando a terra diversi documenti.

– Ehi, guarda dove metti i piedi tu! – protestò, a giusto titolo, contro il capo, in un marcato accento straniero che mi fece irrigidire.

– Scusi. Ho preso una storta e ho finito con l’inciampare. Lasci che l’aiuti. – replicò il capo.

Petrov, per tutta risposta, si mise a borbottare nella sua lingua madre, cercando di risistemare alla bene e meglio la sua documentazione, che il capo, puntualmente, finiva per rimescolare.

– Ma che diavolo fa? –

Graham sorrise beffardo. – Sono maldestro. E... wow, questo visto è scaduto oggi. – osservò, leggendo con finta curiosità il documento.

Petrov si innervosì, cercando di strapparglielo di mano, ma il capo fu più veloce e si alzò.

– Senza questo non puoi rimanere qui, vero? Che peccato, finirai rimpatriato in quattro e quattr’otto. –

– Ma chi cazzo sei tu, eh?! Ridammi quel che è mio! – esclamò, pronto ad avventarsi contro di lui. Per un attimo, fui sopraffatta dal terrore dell’immagine di Trevor aggredito dal Mago e feci un passo indietro.

– Non ti conviene aggredirmi. Sono un rispettabile cittadino americano, ci faresti una figura di merda, Petrov. –

L'uomo si bloccò istantaneamente al suono del suo cognome e il suo sguardo si fece pungente. Il capo sogghignò. – Se rivuoi il tuo visto, farai bene a collaborare. Altrimenti farò in modo di farti sloggiare e dubito che tu abbia tanta fretta di tornare nel luogo da cui sei andato via, no? –

Petrov fece un gesto di stizza, ma poi finì di raccogliere i suoi documenti e si ricompose. Solo dopo quel momento, si rese conto anche della mia presenza. – Chi siete voi? Federali? –

Graham stavolta era sinceramente sorpreso. – Questa mi mancava. Vieni con noi, ne parliamo con calma. –

– Non se i miei diritti non vengono rispettati. –

– Prego? –

Sospirai. – Signor Petrov, per favore, lei conosceva Karina Razinova, vero? –

Varban Petrov sgranò gli occhi. – Siete della Polizia? –

Graham mi rivolse un’occhiata, poi guardò Petrov e tirò fuori il distintivo. – Polizia di Boston, V Dipartimento, sezione Omicidi. Sono il detective Alexander Graham e lei è la mia assistente, la dottoressa Hastings. Stiamo indagando sull’omicidio di Karina. Lei è una delle poche persone che ci hanno avuto direttamente a che fare, non è così? –

Il nostro interlocutore fissò lo sguardo sul distintivo, poi ci guardò, sconvolto. – Karina... Karina è morta? –

Graham e io ci guardammo, poi ci rivolgemmo a un quantomai fuori dal mondo Petrov, la cui reazione fu decisamente inattesa. – Lei mi aveva detto che era fuggita... ma Karina non ci avrebbe mai abbandonati... ne... – mormorò, portando le mani alla testa.

Non so se fu per via di quella debolezza, ma gli posai una mano sul braccio e incontrai nel suo sguardo tutto il suo improvviso dolore. – La prego, signor Petrov, abbiamo bisogno del suo aiuto. –

Petrov, storcendo la bocca per soffocare il singhiozzo, annuì con un cenno. – Non qui. Un posto tranquillo. –

Annuii e mi voltai verso il capo, che assentì, ma qualcosa nella sua espressione pensierosa mi allertò. E così, dopo aver raggiunto Jace, che ci attendeva a pochi metri di distanza, nel parcheggio adiacente, ci recammo presso l'abitazione di Varban Petrov. Era un appartamento, di recente ristrutturato, a quanto ci disse, di proprietà della Cruise. Un particolare che mi colpì, una volta entrati, fu lo stile spartano e la totale assenza di suppellettili. Come se fosse una sorta di prigione, nella sua estrema essenzialità.

– Cosa sa di Karina Razinova, signor Petrov? – domandò il detective Graham.

– Se permette, preferirei parlare più con questa ragazza, dopo che lei mi ha praticamente aggredito senza farsi problemi. – rispose, con un cipiglio d'orgoglio che colpì sia Jace che lo stesso capo. Quest'ultimo lo guardò di sottecchi.

– Per quello, mi scuso. Mi sono lasciato un po' prendere la mano. –

Alla faccia della sincerità. Sospirai. – Il capitano Graham ha un caratteraccio, ma è uno degli investigatori più in gamba che conosca. Se c'è qualcuno che può dare giustizia a Karina, quello è lui. La prego, si fidi. – dissi.

Petrov mi rivolse una lunga occhiata, con un evidente tentativo di capire se stessi bluffando o meno, ma nonostante i suoi modi sgarbati, c'era poco da fare: Alexander Graham era a tutti gli effetti un ottimo detective. Così, non vacillai. Petrov se ne rese conto, poi si fece capace.

– Karina, Zlatko, Mirena e io eravamo amici, in origine. Studenti scapestrati, come si dice, con pochi soldi e tanta voglia di avventura. Avevamo messo insieme qualcosa per un viaggio in America, circa otto anni fa, ma Zlatko aveva altri progetti per la mente. Aveva cominciato a far uso di droghe e aveva finito col coinvolgere Karina e Mirena, portandole su brutte strade. Loro erano più giovani e facilmente influenzabili. Così il cerchio si è allargato e non sono più stato in grado di fermarlo... –

– Zlatko era lo spacciatore morto, vero? – domandai, trovando risposta affermativa.

– Le persi di vista, scoprendo solo dopo qualche tempo che erano volate in America, ma non sapevo che fossero ancora sotto il suo giogo. Quando arrivai, mi misi sulle loro tracce, avendo scoperto che erano state assegnate a una struttura di recupero, assieme ad altre donne e a Zlatko, che paventava il suo cambiamento. –

– La Hope and Charity House. – aggiunse Graham.

Da. Volevo verificare di persona e, dal momento che non avevo grandi possibilità economiche, mi feci avanti. La dottoressa Cruise mi prese a simpatia, quando le raccontai la mia storia. –

– E Karina? –

Un fremito lo scosse e strinse i pugni. – Karina era tutta un'altra storia... ormai era dipendente dalle droghe e sempre più presa da Zlatko. Così tanto che alla fine, fuggì insieme a lui, una notte, lo scorso anno. –

– Però, durante quell'operazione di cattura, era da solo. E nessuno dei report faceva riferimento a una doppia fuga. – osservò Jace.

Petrov annuì. – Perché formalmente, quella notte fu lui il primo ad andarsene. Karina era combattuta. Andar via per seguire l'unico uomo che poteva concederle quei paradisi artificiali che l'avevano ormai catturata... oppure rimanere con il suo bambino. –

Quella rivelazione mi sconvolse. Karina aveva avuto un bambino?

– Un bambino... –

Graham storse le labbra. – Già. C'erano segni di un parto nell'autopsia, ma non era detto che il bambino fosse nato vivo o fosse sopravvissuto, data la condizione della madre. –

– Questo non me l'aveva detto! – protestai.

– Non l'ho fatto perchè non sapevamo cosa ne fosse stato. –

– Invece cambia le cose! Se Karina avesse cercato di tornare indietro? Se avesse cercato di riprendersi il bambino? Può essere così, signor Petrov? –

Petrov scosse la testa. – La dottoressa Cruise adorava quel bambino. E adorava Karina. La vedeva come quella figlia che non era Sarah. Nonostante le sue debolezze, Karina sapeva farsi voler bene. Sapete, lei non aveva nessuno al mondo e così, si era legata ai Reyes. E aveva compreso che fare il bene di Nicholas sarebbe passato anche dal consentirgli di vivere una vita più dignitosa, lontano da lei, dai suoi problemi... anche se non fu semplice. –

– Lei ha... rinunciato a suo figlio? – domandai, incerta. Come poteva aver fatto una cosa del genere? Una madre che decideva di abbandonare il suo bambino formalmente in nome di un futuro migliore, ma in realtà per inseguire una non vita fatta di droghe?

– L'ha fatto per lui... –

– No. – lo interruppe Graham. – Lo ha fatto perché ha scelto di distruggersi. –

Mi morsi le labbra, constatando come avesse dato voce ai miei pensieri.

– Non è così... lei era... disperata. Voi non la conoscevate, non come la conoscevo io. – mormorò, senza più riuscire a trattenere le lacrime.

– E del bambino... che ne è stato? – chiesi.

– Nicholas... lui vive sotto la supervisione della dottoressa Cruise. –singhiozzò.

– È... è lei il padre? – domandai, ancora.

Stavolta, mi rivolse uno sguardo eloquente. Non lo era, ma decisamente, avrebbe voluto esserlo. In realtà, fu il detective Graham a darmi risposta.          – Era Zlatko, no? Karina era incinta quando è stata ammessa alla Hope and Charity House. Immagino che qualcosa del genere abbia portato una ventata di entrate e di pubblicità alla Cruise. Petrov, ho una domanda da farle. –

– Di che si tratta? –

Gli occhi del capo si ridussero a due fessure. – Secondo lei, chi ha ucciso Karina? –

Petrov si sollevò, confuso e perplesso. – Non è lei quello che deve scoprirlo? –

Graham annuì, poi fece un cenno sia a me che a Jace. Era ora di andare.

– Se dovesse avere qualche indizio utile, mi contatti. Sarò a sua disposizione. – disse, passandogli un biglietto con su scritto un numero di telefono. Petrov lo prese, titubante, poi ci congedò, chiedendoci di trovare l'assassino di Karina.

Una volta rientrati nell'auto del capo, senza commenti di sorta, Jace, dopo aver tirato fuori dal suo zainetto alcuni muffin sopravvissuti alla colazione, ci fece notare che Petrov si era appostato dietro una delle finestre che dava sulla strada e stava osservando.

– Secondo voi ha abboccato? – ci domandò, mentre Graham si preparava ad uscire in retromarcia dal parcheggio.

– Considerando che gli abbiamo confuso le idee a sufficienza e che pensa che brancoliamo totalmente nel buio, oltreché essere in totale disaccordo, direi di sì. – rispose.

– In realtà in parte è così... dobbiamo ancora verificare la presenza di eventuali sperimentazioni illegali... e poi, ora c'è di mezzo un bambino... di cui lei non mi aveva messo al corrente. – aggiunsi, guardandolo di sottecchi, mentre la strada intorno a noi si dipanava a ritmo della velocità dell'auto di Graham. – E comunque, non sono sicura che aver dato tante indicazioni sul suo conto sia stata una buona idea... gliel'avevo già detto, ma lei continua a fare come vuole, capo... –

Graham fece spallucce. – Alla peggio verrò licenziato. Sarà la volta buona che mi darò alla carriera di giustiziere. –

Sgranai gli occhi, nello stesso momento in cui Jace tirò fuori un fischettio divertito. – Ti ci vedo a fare il vigilante! Ne volete? – domandò, passandoci i muffin, ma declinammo.

– Io no, invece! Lei non farà niente del genere! – esclamai.

Graham mi guardò con la coda dell'occhio, mentre Jace, vedendosi stoppato nel suo momento di tifo sfegatato, si limitò a darmi della guastafeste. La verità era che più lo conoscevo, più temevo che questa sua inclinazione per il pericolo potessere finire col ritorcerglisi contro. E poi, sebbene sapessi che a volte cercava di punzecchiarci, l'idea di lui che abbandonava il suo Dipartimento mi rendeva inquieta. Avremmo catturato il Mago insieme e insieme lo avremmo assicurato alla giustizia, affinché pagasse per tutto il male che aveva fatto.

– Ad ogni modo... credi che ci sia stato un momento in cui è stato sincero? – mi domandò, mettendo fine a quel discorso.

Annuii. – Quando ha parlato di Nicholas. Probabilmente, era davvero innamorato di Karina e quel bambino, alla fine, è ciò che gli è rimasto di lei. –

Graham ora guardava dritto davanti a sé, imperscrutabile nei suoi pensieri. – Eppure, si è tradito nel nominare quella lei che gli ha mentito sulla sorte di quella ragazza. –

– La Cruise? – chiese Jace, mentre finiva di divorare il suo secondo muffin.

– Immagino di sì. Dopotutto, se lei sta crescendo il figlio di Karina, aveva tutto l'interesse a conoscerne la fine. –

– E perché mentirci, allora? Perchè dire che non aveva idea che Karina fosse morta? – domandò Jace, più confuso che mai.

– Ho due ipotesi. La prima è che lui non abbia avuto modo di sapere cosa sia accaduto. Ciò che mi ha colpito è il fatto che quella casa fosse tremendamente spartana. Come se non avesse bisogno di avere nulla con sé. Non c'era ombra né di di televisori, né di PC, né di telefoni. La seconda è che lui sappia cosa sia successo, ma ci abbia deliberatamente mentito. – dissi.

– Katie, sono opposte... è come dire che o sa o non sa. – protestò Jace.

– Onestamente propendo per una via di mezzo. – aggiunsi.

– Anch'io. – convenne Graham. – Il che ci porta a dire che sia stato precedentemente istruito su come comportarsi. Ha cercato di stare al gioco, ma si è tradito a causa dell'emotività. Ed era sotto stress dato che l'abbiamo minacciato di rispedirlo in Bulgaria. –

– Questo significa che sapeva che avremmo indagato... –

– No, Hastings. Significa che alla Cruise hanno preso delle contromisure e rischiamo di fare un clamoroso buco nell'acqua stavolta. –

– Certo, perché lei si è esposto! Avrebbe dovuto darmi ascolto! Invece fa sempre come le pare! Se soltanto mi desse retta una volta buona e si fidasse un po' di più del mio giudizio allora---

Non potei finire che le note della Marcia Imperiale di Star Wars risuonarono nell'abitacolo.

– Scusate, è il mio! – esclamò Jace.

Sospirai, mentre il capo imboccava la strada del nostro albergo.

– È Alexis! –

– Mettila in viva voce. –

– Provvedo! – e così fece, aprendo la chiamata. – Lexie! Dimmi che hai buone notizie! –

« Lexie? Pensavo che solo io potessi chiamarla così. » borbottò perplessa una voce maschile ormai familiare.

Jace guardò confuso lo schermo dello smartphone. – Ma... è Vaughn? –

« Fuori dai piedi! » la voce di Alexis. Stavolta sospirammo tutti e tre. « Posso parlare? »

– Ti ascoltiamo, Alexis. – disse Graham.

« Capo. Sono rientrata da poco. Come immaginavi, Harriet Cruise è decisamente quella che muove le fila. Persino Reyes deve sottostare e, per quanto ho potuto intendere, non è altro che un gradasso che si fa bello con i soldi della moglie. Ho potuto vedere i livelli d'operazione dei ricercatori e apparentemente, non c'è nulla di strano in quello che fanno. Ricerca sperimentale, ma solo su cavie di laboratorio. »

– Dunque almeno per questo possiamo escludere l'idea degli esperimenti illegali. – disse Jace.

« Però, c'è un dettaglio che mi ha colpito. La figlia della Cruise, Sarah, ha mansioni di supervisione nella stessa sezione di Varban Petrov. E quando ho chiesto di più, la Cruise mi ha liquidato dicendo che si tratta di affari di famiglia. »

– In che sezione presiedono, quei due? – domandai.

« È un livello interrato, credevo si trattasse di scarti, ma, data la risposta, immagino ci tengano registri o libri mastri. »

« Oppure celano altri tipi di cavia. » aggiunse Vaughn. « A proposito, com'è andata con Petrov? »

– È furbo. Segue un copione, ma credo che a modo suo, abbia cercato di dirci qualcosa. Magari non volontariamente. Va messo sotto pressione. Credi di poterlo braccare? –

Un borbottio dall'altra parte del telefono. « Maledetto Graham, ho accettato di aiutarti, ma non voglio giocarmi la carriera per causa tua. »

– Ma lo farai lo stesso, perché stai dietro alla Cruise già da un po' e sarebbe l'occasione ideale per accelerare le cose, no? –

« In che senso, Konstantin? Devi dirmi altro che non so? » la voce di Alexis.

« N-No... certo che no... io... Graham, sei un figlio di puttana. »

Jace e io annuimmo. – Con tutto il rispetto per sua madre, capo. – disse Jace, beccandosi un'occhiataccia truce dallo specchietto retrovisore e un brusco arresto nel parcheggio dell'albergo.

– Dai, anche il colpo di frusta no!! – pianse, chiudendo inavvertitamente la chiamata.

– Ops... –

Graham si voltò finalmente a guardarci. – Sarà il caso di fare una visita di cortesia alla Cruise. –

– Senza mandato? – chiesi, scettica, mentre dietro di noi, Jace massaggiava il collo dolorante.

– Ti sembra che abbia bisogno di mandati per fare qualcosa? –

Ruotai gli occhi. Intanto, Jace era alle prese con due lacrimoni. – Ci risiamo. Litigate tra voi, io non ne voglio sapere! – esclamò, uscendo rapidamente dall'auto.

Del canto mio, non distolsi lo sguardo da quello di Graham, che ignorò persino il rumore dello sportello sbattuto.

– Sul serio, c'è una volta in cui può fare le cose per bene, detective Graham? Finirà col farsi arrestare a sua volta così! Davvero vuole giocarsi la carriera per questa condotta irresponsabile? –

– Hai un'idea migliore? –

No, non ce l'avevo. – Forse. – mentii. Lui se ne accorse e affilò lo sguardo, sporgendosi verso di me. A vederlo così vicino, mi tirai istintivamente indietro.

– Ecco. Quando sei sicura di ciò che dici non arretri. Ora sei sulla difensiva. –

Arrossii. – È colpa sua! Non può farmi venire un accidenti ogni volta! E comunque, non voglio che faccia più niente di sconsiderato! Perché le è così difficile seguire le regole una volta tanto? –

Stavolta fu il suo turno di tirarsi indietro. La sua espressione accigliata si cristallizzò come se stesse rivangando qualcosa. Considerando i suoi trascorsi, dovevo aver toccato un nervo scoperto.

– So che lei sa quel che fa, ma questo non significa che andrà sempre bene. Io non voglio rischiare di perdere anche lei... se le accadesse qualcosa, detective Graham... se durante un'operazione finisse per pregiudicarsi o peggio ancora, per... per... – mi morsi con forza le labbra, incapace di dire quelle parole e distolsi lo sguardo, non riuscendo più a sostenere il suo. Morire... se tu finissi per morire...

– Hastings, guardami. –

Scossi la testa. – La prego, solo per questa volta... –

Mormorò qualcosa, ma non compresi, poi mi costrinse a sollevare il viso verso di lui, proprio come aveva fatto in passato al Four Seasons Hotel. – Ti è così difficile guardarmi in faccia mentre parliamo? –

Deglutii, sentendo la bocca secca.

– Non posso farlo. Non stavolta. Tu avevi ragione, sono stato affrettato. E non è per un discorso di carriera o perché non tenga alla mia vita, anzi: ho tutto l'interesse a rimanere vivo a lungo e a continuare a fare questo lavoro perché ho intenzione di catturare l'assassino di mia figlia ed avere il piacere di vederlo marcire in una prigione di massima sicurezza. –

Quel tono mi colse di sorpresa, più di quanto volessi. E sebbene le sue parole mi rinfrancassero, almeno temporaneamente, non potevo non pensare che quella volta non avrebbe soprasseduto.

– Alexis è sotto copertura. Tu sei stata presente, ma data la sua area di competenza, Petrov non sa che anche tu eri con lei ieri. Ora come ora, se dovessi attendere un mandato, quantomeno per un colloquio con la Cruise, non otterrei nulla. La conversazione di prima me ne ha dato conferma: quella famiglia ha a che fare con l'omicidio di Karina Razinova e sembra ben intenzionata a difendere quella verità anche a costo di avere improbabili alleati in questo. Motivo per cui dobbiamo aggirare il problema. –

– In che modo? Lei diceva di far visita alla Cruise... –

– Alla Cruise Pharma. –

Aggrottai le sopracciglia. – Vuole introdursi? –

Scosse appena la testa. – Solo a dare un'occhiata. Se davvero non hanno scheletri nell'armadio, me la caverò con una denuncia. –

– No. –

– Kate. –

Mi resi conto che tentare di farlo ragionare sarebbe stato impossibile. E così, tentai almeno di arginare i danni. – Verrò con lei. –

– Puoi scordartelo. – rispose, senza batter ciglio.

– Molto bene, allora le metterò i bastoni tra le ruote. La farò esautorare. –

Stavolta lo sorpresi. – Eh? –

– Scriverò immediatamente un report formale al dottor Howell in cui dirò che la sua condotta durante l'operazione non è consona al suo ruolo. Come psicologa, mi darà retta. –

– Credi ancora che mi spaventi una cosa del genere? –

– No, ma mi spaventa sapere che lei sarà fuori a rischiare mentre io non potrò proteggerla. –

Non rispose subito, ma dalla sua postura tesa, notai come stesse cercando di studiarmi. Se voleva pane per i suoi denti, l'aveva trovato.

– È la prima volta che sento che qualcuno vuole proteggermi. – rispose, inaspettatamente.

Istintivamente, nel sentire quelle parole, fui sopraffatta da un'ondata di dolore. La verità era che non volevo che gli accadesse nulla di male e perciò, sentii il bisogno di farglielo capire. Senza indugio, ma col cuore che aveva preso a batter forte nel mio petto, sollevai una mano, posandola sulla sua guancia, trovandola lievemente ruvida e calda. I suoi occhi si spalancarono, ma quella fu la sua unica reazione.

– La prego... ne ho bisogno... – sussurrai soltanto.

Non mi persi in ulteriori giustificazioni né furono necessarie. Per un istante appena, chiuse gli occhi abbandonandosi al tocco della mia mano, poi li riaprì e annuì, posando la mano sulla mia. Il mio cuore saltò un battito. Forse se ne rese conto, perché sciolse la presa dal suo viso e rimise a posto le nostre mani. Quell'attimo di abbandono era stato sufficiente.

– Promettimi solo che farai attenzione. –

Sorrisi. – Disse quello che ne ignorava il significato. –

Sorrise anche lui e inarcò il sopracciglio. – E che ne è giustificato. –

Quel suo avere la battuta pronta era davvero tremendo. Eppure, quel dolore in fondo al cuore era sempre lì. – Dovremmo andare. –

– Sì. – rispose, riportando la conversazione su un tono più neutro che servì, probabilmente, a entrambi. Quello che non avevamo notato, ma di cui ci accorgemmo che dopo esser sceso dall'auto, qualche passo più in là, Jace si era accasciato a terra.

– Oh cielo, Jace!! – esclami, affrettandomi a correre da lui. Era stramazzato.

– Sul serio? Davvero è stato il colpo di frusta? – borbottò Graham.

– No, è colpa del tuo modo barbaro di frenare! – sbottai. Graham fu sorpreso, poi sospirò e si avvicinò all'orecchio di Jace.

– So come finisce Game of Thrones. –

Lo guardai incredula. – Sta scherzando?! –

– Di nuovo del lei. –

Arrossii. – Aaaaargh, al diavolo! –

– A sedere sul trono è... –

Nemmeno il tempo di concludere e Jace riaprì gli occhi.

– Zitto capo! Non girare il coltello nella piaga! Ahi... oh... gira tutto... che bello... – disse, con voce impastata, guardando in alto. – Oh... ma è Drogon quello lassù? Draca--

– Oh mio Dio, ma è impazzito? – domanda sconvolta, guardando in alto. L'unica cosa che vedevo era una rondine in cielo. – Dovremmo portarlo in ospedale... –

– Niente ospedale... non ci tengo a vedere mio padre. – protestò Jace, cercando di tirarsi su, subito aiutato da Graham.

– Tuo padre sarebbe ben felice di rimetterti in sesto. – commentò il capo, sollevandosi insieme a lui. – Ce la fai a camminare? –

Jace si dette alla respirazione. – Se mi aiuti sì. –

– Aspettate, vi aiuto anch'io! – esclamai.

– No, tu vai da Alexis e recupera sia lei che Vaughn. Ci penso io a lui. Ci vediamo nella mia stanza. – disse il capo.

– Nostra... ci sono anch'io! Ciao Katie... ci vediamo dopo... ooooh... mi viene da vomitare. – borbottò, portando la mano alla bocca.

– Non osare nemmeno! – protestò Graham, affrettandosi a trascinarlo nell'albergo.

– E quando mai... – sospirai, per poi entrare a mia volta, per raggiungere la stanza che dividevo con Alexis. Tuttavia, ad aggiungere la beffa al danno, quando mi apprestai ad aprire, sentii un singolare vociare dall'interno dai toni inequivocabili. Cercando di non far rumore, sebbene i presenti all'interno fossero piuttosto impegnati tanto da non accorgersi nemmeno che qualcuno fosse fuori, tornai indietro. Se non altro, immaginai, Alexis e Vaughn avevano superato, almeno per quel momento, le loro divergenze. Non avendo altro posto dove andare, decisi di raggiungere il capo e Jace. Quando bussai, mi ritrovai ad attendere qualche minuto prima che Graham aprisse la porta.

– Sola? Alexis e Vaughn? –

Alzai le sopracciglia. – Ehm... credo ci raggiungeranno non appena avranno terminato il loro... rendez-vous? –

Graham mi guardò perplesso, poi collegò. – Un modo elegante per dire che sono alle prese con una sveltina? Che ragazza a modo. –

Arrossii. – Jace? – domandai, sviando.

– In bagno a vomitare l'anima. Non era solo il colpo di frusta, ha scoperto di essere allergico ai mirtilli. –

– Ai mirtilli? Oh... – realizzai in quel momento che i deliziosi muffin che ci avevano servito a colazione, ma che Jace aveva mangiato solo poco prima, avevano una farcitura ai mirtilli blu. E l'avevano letteralmente steso. Un conato in lontananza ci fece scambiare un'occhiata disgustata.

– Forse è meglio spostarci di qui... – propose.

– E se avesse bisogno d'aiuto? –

– Chiamerà il 911. –

Quel commento mi fece ridere. Inaspettatamente, lo fece anche lui.

– Jace, riposati. Vado a prenderti qualcosa, ma tu non allontanarti! – esclamò, a voce più alta.

La voce di Jace, al contrario, ci raggiunse flebile dal bagno. – Come se potessi!! –

Graham fece spallucce, poi chiuse la porta dietro di sé. – Hai un'aspirina? –

– Sì, ma non è una sbronza... –

– E cosa potrebbe andar bene? –

Ci pensai su. – Secondo me dovremmo lasciare che faccia il suo corso. –

– Sei sicura? –

Assentii. – Al momento non possiamo fare altro. Se dovesse assumere qualcosa di sbagliato, rischieremmo di peggiorare la situazione... –

Qualcosa nelle mie parole dovette averlo impensierito. – Detective Graham? –

– Stavo pensando... Karina Razinova faceva uso di droghe, giusto? –

Annuii. – Sul report si faceva riferimento a una overdose. Perché questa domanda? –

– Trovare spacciatori in giro è abbastanza semplice oggigiorno, ma data l'assenza di precedenti penali e di denaro, quella ragazza non avrebbe potuto permettersi una dose letale... –

– Sta dimenticando che non era la prima volta che usava il suo corpo come merce di scambio... –

– No, non lo dimentico. Ma Petrov diceva che questo accadeva sotto il giogo di Zlatko e per di più, nella loro terra. Che se ne dica, ma qui non c'è traccia di un precedente simile. Ciò che sappiamo deriva dalle dichiarazioni dei Reyes e dall'autopsia. Quella ragazza è semplicemente scomparsa, per poi ricomparire un anno più tardi, morta. Per di più, Petrov affermava che Karina era combattuta circa la separazione dal figlio. –

– Pensa che in realtà lei non sia mai fuggita? Ma che sia stata soltanto tenuta da qualche altra parte? –

– Sarebbe logico da pensare, data la situazione. Se dipendeva dalle droghe, cosa meglio di un'azienda farmaceutica per ottenere del metadone? Ma perché dichiararne la scomparsa? Cos'aveva fatto? –

– Petrov ha detto che i Reyes l'adoravano, a discapito della figlia Sarah... e ho potuto verificare direttamente come quest'ultima conosca il bulgaro. Se Karina fosse diventata scomoda per Sarah... e lei, data la sua posizione, avesse inscenato la sua fuga, come vendetta verso i genitori e al tempo stesso, verso Karina, privandola di suo figlio, ma tenendola nascosta e dopo, una volta che le cose fossero peggiorate, l'avesse uccisa con una dose letale? –

– O magari, questo è accaduto per errore... perché le ha somministrato qualcosa che non avrebbe dovuto. Dopotutto, se Sarah non ha le competenze farmacologiche del padre, potrebbe aver sbagliato. –

– Ma questo significa che Petrov ne era a conoscenza. Se quei due condividono la stessa mansione, allora, Petrov potrebbe essere un suo complice. –

– Eppure c'è qualcosa che non mi quadra... è impossibile che la Cruise o Reyes non si siano mai accorti di un ammanco o della sparizione di un certo tipo di farmaci... –

– Non se i registri sono contraffatti. Stando alle informazioni in nostro possesso, Sarah Reyes è laureata in Economia, dunque sa come manipolare quel tipo di documenti. –

– Allora sappiamo cosa cercare. –

Fui d'accordo. Graham guardò verso la porta della sua stanza, poi si sporse verso il corridoio.

– La prossima volta che mi viene in mente di coinvolgere altra gente, ricordami di oggi. –

Sorrisi. – Il detective Wheeler aveva detto lo stesso a lei, una volta... –

Lui annuì. – Sono recidivo, che vuoi farci. – commentò, guardando più in là nel corridoio.

– È ora di richiamare i due piccioncini. –

– Cosa? Non può farlo... insomma, è... imbarazzante! Anche per uno come lei! –

– Prego? –

– Se lei fosse nella loro situazione, gradirebbe essere... interrotto? – domandai, facendo uno sforzo assurdo per dissimulare l'imbarazzo che stavo provando dall'immaginare, contestualmente, la scena.

Graham fece per dire qualcosa, ma ci ripensò e si limitò ad agitare la mano a mezz'aria.

– Ecco, appunto... –

– Lasciamo perdere. Ma non intendo aspettare i loro comodi. – disse, tuttavia, optando per un messaggio scritto.

– Già meglio... –

– Sì. –

Rimanemmo così a guardarci, fino a che Jace non riaprì la porta. Aveva la faccia sbattuta.

– J-Jace? –

– Il vostro modo di aiutarmi consisteva nel rimanere qua fuori a chiacchierare? Begli amici che siete... –

– Ehm... –

Graham gli rivolse un'occhiata torva. – Cominciamo noi, quei due ci raggiungeranno. –

E così, nonostante i mugugni di Jace, ci mettemmo all'opera per cercare di collegare i pezzi e per stabilire quale fosse il modo migliore per scoprire cosa celassero i Reyes.

Alexis e Vaughn ci raggiunsero circa mezz'ora più tardi e il capo non mancò di lanciare qualche frecciatina sarcastica delle sue, più diretta a Vaughn che ad Alexis, a dire il vero. Alla luce delle parole di quest'ultima e grazie agli sforzi del nostro sofferente hacker preferito, elaborammo la mappa della Cruise Pharma, che ci servì come base per portare avanti l'operazione. Jace, inoltre, riuscì a farci avere l'elenco del personale, in cui figuravano anche i nomi delle donne riabilitate dalla Cruise, ma tra di essi, non vi era il nome di Karina. A quanto pareva, erano state impiegate perlopiù come donne delle pulizie, ma niente di più. Vaughn, intanto, ci rivelò che in virtù degli ammanchi della Hope and Charity House e della morte di Karina, che si reggeva sull'ospitalità a stranieri in situazione di bisogno, il suo Ufficio aveva richiesto delle indagini, motivo per cui si era impegnato in prima persona in questo caso. La sua risoluzione, data la risonanza mediatica, avrebbe significato non soltanto il successo di Vaughn, ma anche, e questa fu la vera sorpresa, la sua eventuale nomina a direttore, cosa che gli avrebbe permesso di rinunciare alla diplomazia internazionale e di rimanere ancora a Boston, vicino ad Alexis.

Quando arrivarono le 23:15, dopo aver lasciato Jace, nel frattempo rimessosi grazie a qualche ora di sonno e a una provvidenziale compressa di cortisone somministrata dalla nostra collega per evitare complicazioni, con tanto di rimbrotto alla nostra superficialità, in auto insieme ad Alexis e a Vaughn, appostati, Graham e io ci preparammo a infiltrarci.

Jace si era premurato di disattivare il sistema d'allarme con una copertura di quarantacinque minuti al massimo, momento dopo il quale sarebbero cominciate le ronde di sorveglianza notturna, cosa che ci aveva permesso di entrare indisturbati nella struttura. Grazie al suo intervento, poi, avevamo tracciato il percorso adatto a raggiungere il livello interrato evitando le videocamere interne, che non era ancora riuscito a disattivare. Ci saremmo resi conto della riuscita se gli schermi si fossero spenti, ma per il momento, continuavano a mandare in loop il savescreen con il logo dell'azienda. Facendo attenzione, percorremmo i corridoi indicati dalla mappa che Jace aveva inviato sull'iPhone di Graham, scendendo fino a raggiungere il piano indicato. Se fino a quel momento, tutto era andato bene, davanti al portone chiuso, incontrammo il primo problema.

– Come facciamo? C'è la chiusura automatica? – domandai.

Il capo osservò il portone in acciaio. – Jace, puoi fare qualcosa? C'è una sicura da sbloccare. Servirà una password. –

« Vedo subito. »

– E se servissero dei dati biometrici? –

– In quel caso dovrei chiedere la mano della Cruise, probabilmente. – rispose di rimando.

Sgranai gli occhi. L'immagine della mano di Trevor mi fece trasalire al ricordo e mi ritrovai a guardarlo sconvolta. Graham se ne rese conto e la sua espressione si fece colpevole.

– Scusa... non volevo. –

Scossi la testa. – Tutto ok... –

Lui annuì, poi sviò il discorso. – Jace, allora? Non abbiamo tutta la notte. –

« Capo, aspetta un attimo, voglio provare una cosa. »

– Sbrigati. –

« Credo di esser riuscito a bypassare il sistema. Così facendo, entrerete utilizzando quel codice e non quello utilizzato di solito. Trovare quella giusta richiederebbe troppo tempo. »

– Grazie Jace. –

– Sei sempre il migliore! – esclamai.

« Però, sei bravo... dovresti farti prendere dalla CIA, ragazzo. » la voce in sottofondo di Vaughn.

« Oh, mi prenderanno per davvero se continuo a bazzicare con il capitano Graham. » rise Jace.

– Piantatela entrambi. – bofonchiò Graham, quando la porta automatica si aprì davanti a noi.

Un altro corridoio ci attendeva, stavolta in discesa. Io mi irrigidii nel vedere tutto quel buio di fronte a noi.

– Tutto bene? –

– S-Sì... – risposi, ma si rese conto della mia incertezza.

– Ci sono io. Non avere paura. – mi rassicurò, poi riaprì la mappa fornita da Jace. – Il percorso arriva soltanto fino a questo punto. Riesci a mandarci altro? –

« Fammi provare, intanto voi procedete con cautela. Non posso fare altrimenti, anche perché il tempo scorre. »

– Ok. Andiamo. – ordinò e io annuii, seguendolo. Utilizzando la torcia del mio smartphone, ci inoltrammo nel corridoio scarno, sebbene piastrellato allo stesso modo del resto dello stabile. Camminammo per interminabili minuti alla ricerca dell'archivio e mi sorprese il caldo soffuso presente. Pensai che dipendesse dalla tensione, ma quando notai che anche Graham sembrava accaldato, mi resi conto che non doveva trattarsi solo di quello.

– La presenza di umidità non dovrebbe essere negativa? – chiesi, e la mia voce rimbombò nel corridoio vuoto.

– Dipende. Sembra che ci sia un microclima particolare, qua sotto. – mi rispose. Il motivo apparve lampante quando arrivammo verso il termine del corridoio, sui cui lati si aprivano tre porte. Su una di esse vi era la scritta “ARCHIVIO”, mentre la seconda e la terza non recavano nessuna iscrizione.

– Bene. Eccoci arrivati. Jace? –

Stavolta, nessuna risposta. Il segnale era pari a zero là sotto. Dovevamo essere scesi un bel po', se persino la rete dell'iPhone non era agganciata. Controllai anche il mio smartphone, ottenendo in risposta un muto silenzio.

– Quantomeno stavolta la porta dell'archivio è normale. – commentò Graham, mettendosi all'opera per aprirla.

La sua abilità di scassinatore aveva dell'incredibile. Mentre facevo luce, mi chiesi cosa celassero le due porte circostanti, ma, secondo il capo, si dovevano trattare di altre stanze in cui stipare i documenti e che, eventualmente, avremmo controllato dopo. Dopo aver aperto, Graham dette una veloce occhiata al timer in funzione ed entrò. Lo seguii poco dopo, cercando di scacciare la sensazione di inquietudine. Cercammo subito i registri e i libri mastri, ma apparentemente, non c'era nulla di strano. Graham l'aveva preventivato, motivo per cui si limitò a esaminare e a fotografare i registri dell'ultimo anno, che doveva essere il periodo di cui sospettavamo. Ciò che ci colpì fu anche la presenza di cartelle cliniche, che riguardavano senza dubbio Karina, Mirena e altre donne, non soltanto la terza di cui avevamo traccia, e tutte avevano in comune l'esser state ospiti presso la Hope and Charity House. Presi in particolare il fascicolo di Karina, su cui era indicato tutto, a cominciare dalla sua situazione all'arrivo e alla nascita del suo bambino. Guardai il capo, poi presi anche il fascicolo che riguardava il piccolo. Stando ad esso, aveva compiuto sei anni a febbraio. Graham mi guardò, poi, leggendo anche gli altri documenti, si rese conto, con orrore, che Nicholas era stato l'unico nato sano, mentre tutte le altre donatrici, come venivano chiamate le donne presenti nella Hope and Charity House, avevano avuto parti non andati a buon fine oppure i bambini erano sopravvissuti soltanto per poco tempo. In più, tutti quei documenti recavano la firma di Alphonse Reyes. Ci rendemmo conto che la prima idea del detective Graham era fondata e anche peggiore di quanto avesse teorizzato: in quella struttura si compivano esperimenti di ricerca illeciti su donne e sui feti. Non avendo nulla da perdere, probabilmente sotto ricatto da parte della Cruise e del dottor Reyes, erano costrette ad affrontare gravidanze forzate e a subire esperimenti, magari senza esserne informate. E tutto accadeva senza che nessuno, ai piani alti, se ne rendesse conto. Anche Karina aveva subito una sorte simile, ma soltanto Nicholas era sopravvissuto, mostrando una sorta di immunità naturale. Da che dipendesse, non potevamo saperlo. Ciò che era certo era che, nella cartella clinica della madre, si leggeva che dopo la nascita del figlio, non aveva avuto altre gravidanze e, a causa degli effetti della droga, era stata tenuta lontana dal suo stesso bambino negli ultimi tre anni, periodo in cui le sue condizioni avevano finito col peggiorare, sino all'anno precedente, data della la sua presunta fuga.

– Dunque è fuggita davvero... – commentai.

– Potrebbe essere... magari è stata aiutata a scappare e a disintossicarsi. Una volta riuscitaci, ha cercato di riprendersi il bambino, ma non è stato possibile. –

Guardai ancora i fascicoli, poi li misi nella mia borsa.

– Che stai facendo? Non possiamo portarli via. –

– Al diavolo le regole. Questa è una prova più che sufficiente per mettere i Reyes alle strette, no? –

Le mie parole lo sorpresero, poi sorrise nervosamente. – Benvenuta nel mio mondo, ti direi. Ma non è così che otterremo qualcosa adesso. Alla luce di queste novità, non possiamo rischiare di bruciare tutto con la fretta. A questo punto, abbiamo bisogno sia di Vaughn che dei federali. –

– Però... –

– Però devi fidarti di me. Li fermeremo. – disse, tendendomi la mano. Razionalmente sapevo che era nel giusto, ma il pensiero di avere la possibilità di incastrare quelle persone e dare giustizia non soltanto a Karina, ma anche alle altre donne coinvolte e ai bambini mai nati o morti troppo presto era un'alternativa molto allettante. Tuttavia, ero stata io stessa a chiedere al detective Graham di essere più prudente e in quel momento, ero un pessimo esempio di coerenza. Sospirai, poi gli riconsegnai a malincuore i fascicoli che avevo messo in borsa. Dopo aver fotografato accuratamente ogni pagina, ripose tutto a posto. Non potevamo rischiare che si accorgessero della nostra presenza lì.

– Andiamo. Ci restano venti minuti prima che subentri il controllo notturno. –

Annuii, poi lasciammo l'archivio. – Detective Graham? – la mia voce fece eco.

– Che c'è? – mi chiese, mentre richiudeva la porta dietro di noi.

– Riesce ad aprire quelle porte? –

–Sì, ma non abbiamo molto tempo a disposizione. –

– Ok, ma... vorrei verificare. Dove sono stati condotti secondo lei quegli esperimenti? –

Il suo sguardo si fece più attento, poi realizzò il senso delle mie parole e si dette da fare per aprire le due porte laterali. La sensazione di inquietudine che stavo provando si fece più intensa ed ebbi conferma ai miei timori quando, superata la prima porta, ci ritrovammo in un'asettica sala operatoria. Erano presenti sia un tavolo che una sedia da parto, insieme a tutti gli strumenti del caso, ma tutto era visibilmente lasciato in stato di abbandono.

– Mio Dio... – mormorai, pensando a quanto quel luogo che rappresentava per una donna il momento più difficile e al tempo stesso bello della vita, aveva costituito un luogo di infinito dolore per Karina e per le altre. Il detective Graham osservava tutto con un'espressione piena di rabbia e disgusto.

– Bastardi... facevano tutto questo... senza nemmeno una licenza medica decente?! –

Scossi la testa, potendo quasi sentire le urla di quelle donne. E quasi, mi sembrava di vedere Reyes nel suo delirio di onnipotenza, compiere le sue sperimentazioni. Un dolore alla bocca dello stomaco mi fece sentir male, ma fu niente rispetto al momento in cui ci recammo nella seconda stanza. Stavolta, persino il detective Graham dovette fare un passo indietro e ansimare, in preda all'orrore. Un deposito, sì, ma di feti tenuti sotto formaldeide. Tanti feti. L'odore di morte misto alle miscele chimiche era forte e mi ricordò l'odore presente nel soggiorno della casa di Trevor, la notte in cui l'avevamo trovato. Fu così violento che mi venne da vomitare, ma Graham fu tempestivo a trascinarmi fuori di lì, nel corridoio oscuro che in quel momento, si rivelò una migliore alternativa. Prendemmo fiato entrambi.

– È ancora dell'idea di non agire ora? – domandai, rantolando.

Graham strinse i pugni con forza. Il suo volto era contratto in una smorfia di assoluta rabbia. Era la prima volta che lo vedevo così fuori di sé e non era difficile intuirne il motivo. Stava vagliando il modo più efficace di intervenire, alla luce di quella macabra scoperta.

– Detective Graham... – mormorai, preoccupata, nel vedere che non mi rispondeva.

– Andiamo via. – disse all'improvviso.

– Eh? –

– Ho bisogno di fare un paio di telefonate e dopodichè, ti giuro che non mi fermerò fino a che non li avrò distrutti. –

Mi morsi le labbra al pensiero di cosa potesse fare, ma annuii ugualmente. Così, ci incamminammo per tornare al piano terra, arrivando sani e salvi alla porta che separava quell'ala maledetta dal resto del luogo. Presi un lungo respiro, mentre lui richiudeva il passaggio dietro di noi. Avevamo soltanto dieci minuti per uscire ormai.

– Dobbiamo sbrigarci. – dissi, notando che i nostri telefoni ancora non avevano recuperato il segnale. Graham dette un ultimo sguardo iracondo alla porta nuovamente chiusa, poi ci affrettammo a riprendere la strada, ma una volta giunti nella hall, fummo momentaneamente accecati dalle intense luci. Istintivamente, ci riparammo gli occhi con le braccia. Ci avevano beccato. Quando potei rimettere a fuoco, a sbarrarci la strada c'erano i coniugi Reyes e Varban Petrov, quest'ultimo con una pistola puntata contro di noi.

– No... – mormorai, mentre il detective Graham mi spinse dietro di sé.

Avevo solo visto una volta Alphonse Reyes, ma di lui mi aveva colpito l'aria boriosa. Stavolta sorrideva come se avesse colto dei topi in trappola, sotto dei baffetti corvini. La moglie, Harriet Cruise, ci fissava senza proferire espressione di sorta. Quanto a Petrov, avevamo avuto conferma ai nostri sospetti: era complice fin dall'inizio.

– Ma guarda... dunque ci rivediamo, Alexander Graham. La sua passione per le operazioni in incognito l'ha tradita. – disse Reyes, riferendosi a quanto accaduto al Four Seasons Hotel.

– Per lei sono il capitano Graham, Reyes. E sembra che non sia l'unico ad avere questa passione. – rispose il capo, con un evidente sforzo stavolta, di mantenere la sua proverbiale poker face.

Reyes si mise a ridere. – Sapevo che era un tipo divertente. Ma non la facevo così incauto. Sa cosa significa questo, vero? Vi siete introdotti furtivamente nella nostra proprietà... sarebbe stato sufficiente un mandato della Polizia locale, dal momento che siamo piuttosto lontani dalla vostra giurisdizione, se proprio volevate parlarci. Che peccato dover rovinare così le vostre carriere... –

Sobbalzai nel sentirlo parlare così. – Non è la nostra carriera ad essere a rischio, ma al contrario, mi preoccuperei delle vostre, dopo che ciò che nascondete qua sotto verrà alla luce insieme alle prove dell'omicidio di Karina Razinova! – dissi, affiancando il detective Graham, che continuò a parare il braccio davanti a me, protettivo.

Reyes arricciò il labbro, ma fu la Cruise a rispondermi. – Ancora questa storia... non avete prove di ciò che dite. Karina era una povera sventurata che ha scelto la morte deliberatamente. Noi abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere per salvarla, ma lei ha preferito altro. E alla fine, ne ha pagato le conseguenze. Ma ora sta a voi scegliere. –

Sia il detective Graham che io eravamo in allerta.

– Consegnatevi spontaneamente. Non credo che vi sia giovamento sia per noi che per voi se questa storia dovesse finire male. Siamo disposti a pagare il vostro silenzio. Dopotutto, detective Graham, lei è abituato a certi metodi, non è così? –

Graham mostrò i denti e la sua voce uscì come se stesse a stento trattenendo la rabbia. – No. Non so che razza di idea si sia fatta su di me, ma sta sbagliando strada. Non accetto ricatti. –

La Cruise si mostrò sorpresa. – Io credo che le convenga. O preferirebbe mettere nei guai la sua collega? –

– Sta scherzando, spero! E lei, signor Petrov... lei che ci ha mentito fino a questo momento... è tutto questo l'amore che provava per Karina e per Nicholas?! –

Petrov non battè ciglio, ma i Reyes lo guardarono.

– Che schifo... davvero... non era lei quello che voleva giustizia? O magari... è stato lei stesso a porre fine alla sua vita... –

Ne! Non dire assurdità! – esclamò, a quell'accusa, rompendo la compostezza.

Qualcosa in quel momento dovette aver sorpreso i coniugi, che si guardarono tra loro. C'era del non detto tra loro e questo era un elemento a nostro favore.

– Quando te le dico, corri a nasconderti da qualche parte. – bisbigliò appena il detective Graham, in quello stesso istante.

– Cosa? – domandai, presa contropiede, incontrandone lo sguardo.

– Questi non ci lasceranno andare. –

– Ma... –

– Fidati di me. – mi disse, soltanto, poi fece qualche passo avanti, richiamando l'attenzione. Ero terrorizzata, soprattutto dal momento che ci trovavamo ancora sotto tiro.

– Ho io un accordo da proporvi. – disse.

La Cruise si mise a ridere. – Lei? Davvero? E di che si tratterebbe? –

– Preferirei parlarne in un posto più riservato. Voi due e io. Lasciamo fuori da questa storia la mia collega e il vostro tirapiedi, che ne dite? –

Reyes picchettò la tempia. – Ah-Ah, detective, davvero ci fa così stupidi? Sappiamo bene che tipo di persona è lei. Richard Kenner, che ha ben pensato di spedire in cella, mi aveva messo in guardia sulla sua capacità di bluffare. E, a dirla tutta, mi sembra che il suo tentativo di prenderci in giro sia piuttosto... insignificante... –

Guardai Graham, che mi dava le spalle e sentii il cuore in gola al pensiero di cosa sarebbe accaduto se non avesse catturato la loro attenzione. Per di più, il fatto di essere entrati in contatto con Kenner rendeva l'impresa ancora più difficile da realizzare.

– Oh, il caro Richard... lasciate che vi dica una cosa: è un idiota. Ha sempre cercato di essere come me, ma in realtà, non vale un soldo bucato. – disse, poi alzò le mani, come se si arrendesse.

– Petrov, può per favore prendere il mio telefono? È nella tasca destra della mia giacca. – continuò.

Petrov si rivolse ai Reyes, visibilmente sospettoso, ma il capofamiglia non abboccò. – Faccio io. – disse, avvicinandosi al capo, che attese. Pensai che se Petrov avesse accettato, l'avrebbe disarmato in qualche modo, ma l'uomo continuava a tenerlo sotto tiro, mentre Reyes raccoglieva il suo iPhone.

– Il codice di sblocco è 180210. Vada nella galleria. Ci sono delle foto interessanti. –

Perplessa, non riuscii a capire cosa avesse in mente. Dare il suo iPhone in mano a quel criminale, su cui, per giunta, vi erano le prove di ciò che stavamo cercando... Reyes fece così, sotto gli occhi pensierosi della moglie e di Petrov. Tirò una specie di sospiro di sollievo quando, nel vedere le foto, le eliminò una dietro l'altra. Il capo attese pazientemente, poi, quando Reyes ebbe finito, parlò.

– Ora, se ne non le dispiace, selezioni il primo numero del registro chiamate. Si tratta del nostro analista, il dottor Norton. –

– Sta scherzando? Perché dovrei chiamarlo? – domandò Reyes, eseguendo, ma fermandosi prima di far partire la telefonata.

– Vuole la prova della mia buona fede, no? Il dottor Norton ci aspetta. Se non ci vedrà arrivare entro due minuti, capirà che ci è successo qualcosa e provvederà ad allertare il procuratore Howell. In quel caso non so quanto andrà bene... per noi e per voi. Sapete come la pensa circa i tentativi di corruzione. –

Reyes storse il labbro, poi fece come Graham gli aveva detto e mise in viva voce. – Spero per lei che non faccia scherzi o la prima a fare una brutta fine sarà la qui presente sua collega. –

Deglutii. Pochi istanti e Jace rispose.

« Capo! Finalmente! Che succede?! Perché non siete fuori?! »

Dannazione, non si erano accorti di nulla. Pensai che se avessi urlato qualcosa, Jace avrebbe capito, ma Graham mi aveva chiesto di fidarmi di lui.

– Abbiamo ancora due minuti di copertura. Avevamo perso la strada, a causa della mancanza di segnale. –

« Allora muovetevi! A breve partirà il controllo di sicurezza e dovrete essere fuori! »

Oh Jace... mi si strinse il cuore al pensiero di lui che ci attendeva invano.

Il capo fece silenzio per qualche istante, momento in cui sia la Cruise che Petrov si allertarono. Reyes li guardò e aggrottò le folte sopracciglia nere, sgranando poi gli occhi. Fu questione di un attimo. Graham voltò appena la testa e potei incrociare appena il suo sguardo.

– Allora vai. Vi raggiungeremo non appena i Reyes saranno neutralizzati. –

Sobbalzai, nello stesso istante in cui Reyes si affrettò a chiudere imprecando e Graham, approfittando della distrazione, lo afferrò per il braccio, intrappolandolo a mo' di scudo umano. Usando la mano libera, invece, tirò fuori la sua pistola d'ordinanza e puntò i due. La Cruise strillò il nome del marito, mentre Petrov si lasciò andare a un impropero in bulgaro.

– Ora, Kate! – urlò Graham con voce secca e imperativa che tradiva, però, tutta la sua tensione. Quel tono mi dette una sorta di scossa e mi misi a correre lungo il corridoio che avevo percorso il giorno prima, più veloce che potevo. In lontananza, sentii urla concitate e, improvvisamente, degli spari. Mi bloccai di colpo, combattendo l'impulso di tornare indietro. Fidati di me... mi aveva detto. Dovevo farlo. Il detective Graham sapeva il fatto suo. Dovevo credergli. Col cuore in gola, mi inoltrai correndo nei corridoi bianchi e impersonali dell'azienda. Scesi le scale che conducevano al piano seminterrato, alla ricerca di un posto in cui nascondermi e contattare Jace. Quando riuscii a trovare riparo, in un magazzino, mi nascosi sotto a un tavolo e presi il mio smartphone, tremando. Mi detti alla respirazione, poi finalmente riuscii a chiamare Jace. O almeno ci provai, dato che, anche là sotto, non c'era campo.

– Dannazione... – sbottai, continuando a tremare, così tanto che il telefono mi cadde di mano.

Avrei dovuto trovare un altro posto, più adatto, e questo significava risalire. Cercai di calmare il mio cuore impazzito e mi sporsi appena per prendere il mio smartphone, poi, mi rialzai, raggiungendo la porta del magazzino. Cercai di riprendere quanto più fiato possibile e di ricordare le parole di Alexis, che aveva avuto modo di vedere di più di noi, durante quei due giorni. Mi accertai di non sentire passi nelle vicinanze e poi imboccai la strada all'inverso, nascondendomi ogni qualvolta sentissi rumori sospetti. Non so quanto tempo trascorse, ma più ne passava, più il pensiero di non aver ancora incrociato il detective Graham mi spaventava sempre più. Se quei colpi di pistola l'avessero raggiunto? Ricacciai il nodo in gola, scacciando quel pensiero, quando finalmente potei raggiungere le scale che conducevano al primo piano. Fu allora che sentii rumore di passi e mi nascosi nel sottoscala, cercando di rimanere in silenzio il più possibile, trattenendo il fiato. Chiusi gli occhi, nascosta nell'oscurità. I passi erano felpati, prudenti, ma non riuscii a comprendere se si trattasse di scarpe da donna o da uomo. Attesi che chiunque fosse si allontanasse e soltanto dopo che mi fui accertata del passaggio mi riaffacciai, affrettandomi a salire, sperando di non imbattermi in nessuno. Il piano superiore, diversamente dal piano terra, comprendeva laboratori a vista, con ambienti separati da larghe porte in vetro, ovviamente, tutte chiuse. Realizzai di essermi fregata da sola, dal momento che non avrei potuto nascondermi neanche se avessi voluto. Mi guardai intorno, pensando che non sarebbe nemmeno stato il caso di scendere. Tanto valeva fare del mio meglio da lì. Camminai per l'ampio corridoio, il cuore più pesante a ogni passo che facevo, alla ricerca di un anfratto. Le porte recavano tutte dei numeri e mi sovvenne che i contenitori dei feti che avevo visto al piano interrato avevano la stessa numerazione: troppo macabro perchè si trattasse di una coincidenza. All'improvviso, udii in lontananza un rumore crescente di passi. Qualcuno stava salendo le scale in fretta. Accelerai il passo e raggiunsi la fine del corridoio, entrando nell'unica stanza con una porta normale, un ripostiglio non più grande delle mie braccia aperte insieme, richiudendola dietro di me. La stanzetta era buia e l'aria viziata. Pensai che non avrei potuto resistere a lungo e ne approfittai per riprendere il mio smartphone, che finalmente aveva di nuovo campo. Fortunatamente, avendo impostato la modalità audio sul silenzioso, non aveva squillato alle ripetute chiamate di Jace. Non appena cercai di richiamarlo, facendo un passo indietro, però, inciampai in quelle che speravo fossero delle scope, ma che invece, non appena feci luce, si rivelarono gambe. Il telefono mi volò di mano e feci un enorme sforzo per non urlare, tappandomi la bocca. La cosa più inquietante fu il fatto che quelle gambe, che avevo erroneamente stimato a causa della presenza di altri oggetti, si mossero, ritraendosi piccole strette in altre piccole braccia. Un sinistro presentimento mi attraversò la mente e mi accovacciai, scostando gli stracci che camuffavano malamente chiunque fosse davanti a me. Fu allora che lo vidi. Un bambino, raggomitolato su se stesso, avvolto in un giubbino scuro decisamente più grande di lui. Le guance rosse, forse accaldate dalla permanenza in quel luogo, seminascoste dal collo alto dell'indumento. Una cascata di disordinati ciuffi neri incorniciava quel visetto e gli occhi azzurri spaventati, identici a quelli della sua mamma, lo rendevano inconfondibile. Non c'erano foto sul suo fascicolo, ma data la situazione, era impossibile sbagliarsi.

– Nicholas? Sei tu Nicholas? – domandai, ottenendo in risposta un'espressione incerta, ma eloquente. Che diavolo ci faceva lì quel bambino? – I-Io sono Kate... – dissi, sperando di riuscire a tranquillizzarlo, ma lui si chiuse ancor di più nel suo abbraccio. In quel momento, mi accorsi, dalla luminosità del mio smartphone, di star ricevendo una chiamata e mi affrettai a riprenderlo. Sul display era comparso il nome del detective Graham e tirai un sospiro di sollievo. Il bambino, Nicholas, mi fissava. Gli sorrisi. – Va tutto bene... siamo al sicuro ora... – mormorai e risposi.

– Detective Graham? – la mia voce uscì in un sussurro, ma nulla fu rispetto alla sua, quando mi dette risposta.

« Grazie al cielo, Kate! Dove sei? »

Mi imposi di non piangere in quel momento, al sol suono della sua voce, poi guardai Nicholas, che continuava a osservarmi, mentre la voce mi uscì rotta. – Siamo al piano superiore... mi sono nascosta in un ripostiglio, alla fine del corridoio... la prego, venga a prenderci... –

« A prenderci? Con chi... ok, sto arrivando. Resta lì, non muoverti per alcun motivo! » ordinò e per la prima volta, mi venne di buon grado eseguire il suo ordine. Quando ebbe chiuso, guardai nuovamente Nicholas e presi fiato. – Scusa... –

Il bambino non mi rispose, forse ancora scettico. Mi chiesi se capisse quello che gli stavo dicendo. Stando a Petrov, doveva esser cresciuto con i Reyes, ma non sembrava che fosse abituato agli agi. – Hai fame, piccolino? Vedrai, tra poco saremo fuori e... –

Nicholas sgranò gli occhi, poi nascose la testa tra le braccia, facendosi piccolo piccolo. Non ne compresi subito il motivo, perché non avevo sentito i passi sostenuti che si avvicinavano. Mi voltai soltanto nel sentire aprire la porta e inizialmente mi ci volle un po' per mettere a fuoco, dato che nello sgabuzzino la sola luce presente era quella del mio telefono. Ma avrei riconosciuto la sua figura tra mille. Aveva segni di lotta e di sangue addosso. Scarruffato, esausto, con un rivolo di sangue a lato delle labbra, ma il suo sguardo in quel momento esprimeva sollievo, prima di tutto. Mi rivolse un sorriso e questo mi fu sufficiente per lasciare andare la paura di non vederlo più.

– Kate... – mormorò.

– A-Alexander... – sussurrai il suo nome, sentendo gli occhi pungere.

Mi tese la mano e la presi, ringraziando il cielo di aver potuto farlo ancora una volta. Quando mi tirò su, rimanemmo così per qualche istante, in silenzio, a fissarci l'un l'altra, consapevoli di essere scampati a una sorte che poteva rivelarsi fatale. Poi, un movimento dietro di me lo fece balzare in difesa e mi attirò a sé. Arrossii, nel sentirmi così vicina a lui, ma mi scostai, per spiegargli la situazione. Le luci del corridoio erano accese e nel muovermi, filtrarono invadendo il ripostiglio e rendendo visibile il piccolo Nicholas.

– L-Lui è... – la voce di Graham era incerta.

– Non ci sono dubbi... è Nicholas, il figlio di Karina Razinova. – spiegai.

Il bambino sollevò lo sguardo verso di noi nel sentire il nome della sua mamma e i lacrimoni gli imperlarono gli occhi.

– Oh mio Dio... – fu il primo commento di Graham, che mise la mano in faccia. – Di tutti i posti in cui mi aspettavo di trovarlo, questo è semplicemente il più... improbabile... e tu l'hai trovato... che ci fa qui lui? –

Sorrisi appena, non sapendo se le sue parole fossero un complimento o qualcos'altro. – Mi ci sono imbattuta... mi stavo nascondendo. Prima sono scesa nel piano seminterrato, raggiungendo un magazzino, ma dato che nemmeno là sotto c'era campo, sono tornata su e sono arrivata qui... –

– Avresti dovuto trovare l'uscita di sicurezza! – protestò.

– Volevo contattare Jace per mandare rinforzi, quindi ho pensato fosse la soluzione più conveniente! Solo che... mi sono imbattuta in qualcuno... non l'ho visto, perché mi sono nascosta... e dopo che è andato via, sono salita e mi sono nascosta qui, trovando Nicholas. –

La sua espressione si fece perplessa. – Hai incrociato qualcuno? –

Annuii, preoccupata. – Devo preoccuparmi? Cosa ne è stato dei Reyes e di Petrov? –

Graham sospirò. – Dopo che sei scappata, ho cercato di prendere tempo tenendo in ostaggio Reyes, ma quel bastardo di Petrov e la Cruise avevano già un piano in mente... piano che prevedeva far fuori lo stesso Reyes. –

– D-Dunque quegli spari che ho sentito... –

Graham annuì, poi guardò verso Nicholas, prima di darmi conferma, solo con un cenno del capo, della sorte di Alphonse Reyes.

– Mio Dio... –

– In quel momento, ho capito che dovevo giocarmi il tutto per tutto con Petrov. Sapevo che Jace, Alexis e Vaughn sarebbero arrivati da un momento all'altro, per cui ho lasciato andare la Cruise e sono rimasto con lui e... –

– Ha lasciato andare la Cruise? Quindi i passi che ho sentito erano i suoi? –

– Quand'è accaduto? Poco prima che arrivassi qui, saranno stati una decina di minuti... –

Graham scosse la testa. – Non è possibile. Alexis l'ha bloccata mentre tentava di scappare. E Vaughn e io abbiamo neutralizzato Petrov. –

– Quindi c'è qualcun altro qui? – domandai, allertata.

– Magari era lui... – commentò Graham, chinandosi verso Nicholas. Il suo sguardo si fece serio, a tratti triste, nel guardare il bambino, che lo stava osservando a sua volta. Compresi immediatamente cosa stesse passando per la sua mente. Sul fascicolo che riguardava il figlio di Karina, c'era scritto che Nicholas era nato il 18 febbraio. Per una fortuita coincidenza, anche se a distanza di qualche anno, si trattava della stessa data di nascita della sua Lily.

– Nicholas... sei stato tu a nasconderti qui? – gli chiese, con un tono che non avevo ancora sentito in lui, ma incredibilmente comprensivo e dolce, da papà.

Nicholas sostenne il suo sguardo, poi fece cenno di no. Quantomeno avevamo la prova che capiva ciò che dicevamo.

– Ti andrebbe di farci vedere da dove sei venuto? –

Il piccolo scosse ancora la testa e si rifugiò nelle braccia. Si era messo di nuovo in posizione di difesa. Quanta paura aveva quel bambino? Quanto doveva avere sofferto là dentro? Mi chinai nuovamente anch'io, sollevando cautamente la mano e accarezzandogli piano piano la testolina folta. Le sue guance diventarono più rosse al contatto, ma non si scansò. Sorrisi e lui mi guardò.

– Non c'è bisogno di parlare, piccolo... basta solo che tu faccia un cenno e capiremo. Eri da solo prima? –

I suoi occhioni si fecero più attenti nel guardare sia me che Graham. Probabilmente stava cercando di capire se potesse fidarsi o meno.

– Ascolta... so che questo signore qui può incutere timore, ma posso garantirti che non permetterà a nessuno di farti del male... e nemmeno io. –

Questo signore qui? – mi fece eco il detective Graham, un po' seccato.

Ridacchiai, poi tornai a rivolgermi a Nicholas. – Abbiamo bisogno anche del tuo aiuto, però... quando sono salita, ho sentito dei passi. Era la dottoressa Cruise? –

Stavolta i suoi occhi si fecero nuovamente spaventati. Quella donna doveva averlo terrorizzato. Scosse la testa e si alzò di colpo, gettandosi tra le mie braccia. Quell'inaspettato gesto sconvolse sia me che il detective Graham. Nicholas mi strinse forte, cercando rifugio. Non sapendo cosa fare, guardai il capo, che si lasciò andare a un lungo sospiro. – A quanto pare dovremo indagare da soli... – commentò, mentre io annuii, dubbiosa.

– Oppure potreste semplicemente chiedere scusa per esservi intromessi. –

Sobbalzammo entrambi nel sentire una voce femminile piuttosto infastidita alle nostre spalle. Strinsi più forte Nicholas, mentre Graham ci passò di fronte. Deglutii quando riconobbi nella persona davanti a noi Sarah Reyes, che ci puntava contro una pistola.

– Sarah Reyes?! – esclamai.

Il detective Graham aggrottò le sopracciglia, poi si rialzò, sotto tiro per la seconda volta. Avevamo tralasciato la sua presenza, ma d'altra parte, era lei il pezzo mancante. La persona che avevamo supposto avesse ucciso Karina. E ora, mirava a noi. Nicholas mi abbracciò più forte, ma il suo sguardo puntava Sarah.

– È finita, Sarah. La sua famiglia è stata neutralizzata e anche Petrov. I nostri colleghi sono qua sotto. Se ci spara è la fine anche per lei. –

Sarah Reyes inarcò il sopracciglio. – Davvero? E io cos'avrei da perdere? –

Mi stupì la sua totale assenza di reazione per la sorte dei suoi cari, ma avevo capito cosa la animasse. – Per favore! Lo faccia per Nicholas... è stata lei a mettere in salvo il bambino, no? –

– Cosa? – domandò Graham.

Sarah mi guardò, ma io non mi tirai indietro. – Non so quale fosse il legame tra lei e Karina... ma so che tiene a Nicholas... –

Dopo qualche secondo di interminabile silenzio, si decise ad abbassare la pistola, facendoci tirare un sospiro di sollievo. A dispetto di quanto pensavo, però, si mise a ridere.

– Devo ammetterlo... pensavo che sareste stati un guaio, invece siete stati provvidenziali. Ed è stato bello vedere per una volta la tua faccia sconvolta, Alexander Graham. – disse, ottenendo in risposta tutta la nostra perplessità. Graham si alzò e si avvicinò alla donna, che lo guardava. – Non mi dire... tu non sei Sarah Reyes... –

– Eh? – feci eco io, sollevandomi, ma sempre tenendo in braccio Nicholas.

A sorpresa, la nostra interlocutrice mi rivolse un'occhiata. – Un ottimo trucco, tanti mesi di studio e la collaborazione della vera Sarah. Pensavate di essere i soli a poter andare sotto copertura, voi del V Dipartimento della Polizia di Boston? –

Graham fece mente locale, mentre io brancolavo nel buio. La risposta gli sovvenne nel vedere la falsa Sarah, che si era chinata accanto a noi, accarezzare la guanciotta di Nicholas. – Sei un bravo piccolino... –

– Alejandra? Alejandra Ortega? – chiese.

Sarah... Alejandra, arricciò le labbra in un sorrisino. – Mi fa piacere che ti ricordi ancora di me. –

– Scusate, mi spiegate cosa succede? –

Graham fece per spiegare, ma fu anticipato. – Agente speciale Alejandra Ortega, FBI. Ci avete scombinato i piani per bene, voi e Konstantin Vaughn. –

– A quanto pare avevamo obiettivi comuni. Ci avete dato una mano. – ribattè Graham, non senza una punta di sarcasmo.

– Ti brucia perdere, eh? – controbattè Alejandra, punzecchiandolo.

– Scusate, ma voi come vi conoscete? – domandai invece io, che avevo una gran confusione in testa e, dato quello scambio di battute, stavo immaginando qualcosa come una storia tra i due.

I due mi guardarono. – Specializzazione. – dissero insieme.

– Ok... – risposi, sentendo per un attimo il cuore più leggero.

– Che ne dite di andare? C'è ancora molto da fare e, soprattutto, per Nicholas è ora di dormire... non è così, tesoro? – chiese, con il tono gentile di chi si era occupato del piccolo per un po'. Nicholas annuì, ormai visibilmente stanco, forse anche per via del fatto che si era accoccolato su di me. Gli accarezzai la testa e mi aggiustai per consentirgli di avere una posizione più confortevole. A dispetto del fatto che avesse soltanto sei anni, era piuttosto leggero.

– Lo prendo io. – disse Graham, ma dissentii, quando mi resi conto che il bambino si era tranquillizzato e stava per cedere al sonno.

Così, quell'operazione in incognito si era conclusa in modo inaspettato per tutti, ma in qualche modo, la verità doveva ancora emergere. Lo dovevamo a tutte quelle donne e ai loro bambini, a Karina e soprattutto, al suo piccolino che, una volta lasciato quell'insano luogo di morte, dormiva innocentemente, senza aver tuttavia proferito alcuna parola.

 

***


Diversamente da quanto pensavo, non partecipai alla riunione che vide eccezionalmente protagoniste FBI, l'Immigrazione e il V Dipartimento, presso il comando di Polizia locale di Norfolk. Quel che sapevo era che, in seguito a quanto accaduto, erano intervenuti con una certa urgenza sia i due direttori locali che il dottor Howell e Selina, in veste di medico legale. Data la presenza di Nicholas, che era ormai profondamente addormentato quando tornammo in albergo, Graham ritenne fosse meglio che rimanessi con lui e con Jace. Se da una parte non presi di buon grado quella scelta, dall'altra potei aver modo, per quanto possibile, di riposare. Ero davvero esausta, come se tutto il peso di quei due giorni fosse improvvisamente svanito, lasciandomi a fare i conti con la stanchezza, proprio come durante la notte della morte di Trevor. Tuttavia, a causa della troppa adrenalina, non avevo sonno e, dopo aver messo a letto Nicholas, la cui condizione era ancora un mistero per noi, mi ritrovai a parlare con Jace, che mi tenne compagnia fino al rientro di Alexis e del detective Graham. Anche lui, come me, era piuttosto stanco, soprattutto considerando che era abituato a dormire almeno quelle canoniche otto ore, ma era incuriosito dalla presenza del bambino.

– E così Nicholas sarebbe una specie di piccolo prodigio della scienza? – mi domandò, stiracchiando le lunghe braccia.

– Niente affatto... non è una cavia. Almeno, spero non lo sia stato più del dovuto... posso soltanto immaginare quanto sia stato difficile per lui, rinchiuso in quel luogo, privato degli affetti... e dev'essere stato lo stesso per la povera Karina... – risposi, sedendomi accanto a lui sul divanetto biposto color crema e in pelle che troneggiava nell'anticamera.

– E riguardo al fatto che non parli? Potrebbe essere autistico secondo te? –

Scossi la testa. – No. Possiede sia contatto oculare che intento comunicativo, senza contare che le sue interazioni sono relativamente consone. Alejandra ha detto che secondo Sarah Reyes, Nicholas ha smesso di parlare dopo la scomparsa di Karina... potrebbe trattarsi di una chiusura dovuta al dolore per la perdita della sua mamma, alla quale era indubbiamente molto legato. L'ho notato nel momento in cui il capo e io abbiamo fatto il suo nome... per cui propendo più per una forma di mutismo selettivo. –

Jace arricciò le labbra, poi tolse gli occhiali e sfregò leggermente gli occhi.

– Povero piccolo... –

Annuii, appoggiando la testa sulla sua spalla. – Già... a volte penso che nascere in questo nostro mondo sia una vera disgrazia, sai? –

Sentii i riccioli castano chiaro scompigliati di Jace solleticarmi la fronte, mentre accoccolava la sua guancia sulla mia testa. – Puoi dirlo forte, Katie... cerchiamo tanto di contrastare il male eppure questo torna di volta in volta più forte... –

Aveva ragione. C'era un che di disillusione e di amara consapevolezza nelle sue parole. Quello che vedevamo ogni giorno, ciò che avevo vissuto con Trevor, era una prova inconfutabile delle sue parole. Fissai lo sguardo sulle suppellettili di fronte a noi. Un quadro che raffigurava “La notte stellata” di Van Gogh ci restituiva l'immagine di un mondo sereno, pacifico, d'altri tempi. Tutto ciò che sembrava non potessimo trovare. Sapevo che scegliendo quella carriera, avrei dovuto fare i conti con la sofferenza, ma essere in grado di tollerarla su se stessi era ben diverso che vederla e percepirla sugli altri. Non potevo fare a meno di pensare a Karina, che aveva cercato in tutti i modi di salvare suo figlio, a costo di stringere un patto col diavolo.

Dal racconto di Alejandra Ortega era emersa una storia ancora più drammatica e difficile di quanto avessimo mai potuto credere. Karina non era una prostituta come ci era stato detto. O almeno, non lo era diventata per via della droga. Nella sua terra, era stata oggetto delle attenzioni di Petrov, che se n'era invaghito al punto da diventarne lo stalker. Quell'uomo era sinceramente convinto, nel suo delirio, di esserne innamorato e quando aveva scoperto la sua relazione con Zlatko, aveva cominciato a perseguitare entrambi. Per questo motivo, il gruppo si era allontanato e i due, assieme all'amica di Karina, Mirena, erano fuggiti in America per cercare una nuova vita. Tuttavia, non avendo a disposizione denaro a sufficienza, Zlatko si era dato allo spaccio. Piccole somme, nell'attesa di trovare qualcosa di meglio. Quel qualcosa fu la Hope and Charity House, in cui nacque il piccolo Nicholas. Purtroppo, però, sia la Cruise che Reyes avevano visto in quei poveri redivivi la perfetta carne da macello. Nessuno li avrebbe mai cercati, se avessero fatto come gli veniva chiesto. Offrirono loro protezione, senza sapere che Petrov era sulle loro tracce. Nel tempo, Karina e Nicholas avevano legato con Sarah, che aveva preso a cuore la loro storia, ma ignorava i trascorsi dei genitori. Quando la Reyes cominciò a sospettare, a causa dello stato di salute sempre più debole di Karina, sottoposta alla somministrazione di psicofarmaci e stressata dalle sperimentazioni, la Cruise decise di allontanare la figlia dalla verità, nascondendo sia lei che Nicholas. Tuttavia, non li nascose a Petrov, che era riuscito a trovarli. Pensò che quell'uomo sarebbe stato un ottimo deterrente per impedire a Karina di parlare e, presumibilmente, in virtù di accordi tra i coniugi e Petrov, fu utilizzato sia come donatore, dietro lauto compenso, che come supervisore dell'area interdetta al personale non addetto. La ragione era piuttosto semplice da intuire. In quel modo, non rischiava di passare come presenza immotivata mentre gli ignari ricercatori continuavano il loro lavoro senza avere idea di che razza di scempio e di mostri si celassero pochi piani più sotto. A quel punto, Karina era completamente sotto il giogo di Petrov e dei Reyes, ma Sarah, che era entrata in contatto con Zlatko, aveva scoperto la verità e aveva fatto in modo che i due riuscissero a fuggire con Nicholas. Purtroppo, però, questo non era accaduto, perchè Zlatko era stato catturato prima da Petrov, data la sua ragguardevole forza fisica, e costretto a una overdose letale. La sua fuga si trasformò in una vera e propria tragedia, dal momento che morì prima ancora di essere catturato e balzando agli onori della cronaca come uno spacciatore che aveva tentato di portare via una prostituta generosamente salvata dalla Hope and Charity House. Quanto a Karina, aveva pagato lo scotto. Ormai separata da suo figlio e con l'uomo che amava morto, era dapprima stata rinchiusa nei sotterranei della residenza Reyes, da cui era riuscita a fuggire da sola, recuperando la lucidità grazie alla mancata assunzione dei farmaci che la tenevano stordita. Sapeva che non avrebbe potuto portare con sé Nicholas, ma sapeva anche che non gli avrebbero fatto del male, in virtù della sua presunta rilevanza. Tuttavia, sperava di poter tornare a riprenderlo e a denunciare il male fatto dai Reyes quando fosse stato il momento giusto. Per un anno intero aveva vagato tra gli ultimi, a volte concedendosi in cambio di denaro che cercava di mettere da parte per poter salvare suo figlio. Ma il destino che li aveva separati non era stato clemente. Così, era trascorso un anno, durante il quale Sarah era entrata in contatto con l'FBI, che aveva organizzato l'operazione sotto copertura per smascherare gli illeciti potenzialmente rischiosi per la sicurezza nazionale dei Reyes, ormai sempre più fuori controllo, sia per i risultati negativi che per le spese, che avevano contribuito a mandare in malora la Hope and Charity House. Petrov, intanto, sempre più ossessionato dal ritrovare Karina, faceva buon viso a cattivo gioco con Alphonse Reyes, che continuava a sfruttarlo per i suoi comodi, mentre Harriet Cruise, dopo aver allontanato le donne che avevano conosciuto di persona la stessa Karina e temendo che quest'ultima potesse tornare a riprendersi il bambino, aveva stretto un apparente accordo con Petrov, che prevedeva il ritrovarla e concedere loro la libertà assieme a Nicholas. A quel punto, Petrov, lasciato libero di agire, era stato in grado di braccare Karina, riportandola alla Hope and Charity House sinceramente convinto delle intenzioni della Cruise. Tuttavia, non aveva considerato le reali intenzioni della donna, che si era presentata all'incontro prima di lui, offrendole la libertà in cambio di suo figlio. All'opposizione di Karina, la Cruise l'aveva uccisa, avendo cura di non lasciare impronte e di abbandonarla nei pressi della struttura e, solo in seguito, aveva convinto Petrov della malafede di Karina prima e del fatto che ad ucciderla fosse stato Alphonse, in realtà. Alla fine, in che modo la si vedesse, tutto era stato orchestrato dalla Cruise per far fronte a un gioco malato e perverso in cui la vita umana non aveva alcun valore. Di tutto ciò, rimaneva una figlia che, pur avendo collaborato con l'FBI, aveva fatto in modo di essere protetta e di poter espatriare per ricominciare una vita lontano da quella famiglia e un bambino che aveva perso i suoi genitori, vittime di quel gioco crudele.

Rimuginando su quella storia, non mi ero resa conto che Jace si era addormentato. Facendo attenzione, mi scostai facendogli posto sul divanetto e andai a prendere una coperta, per evitare che prendesse freddo. Nicholas dormiva profondamente e sperai che almeno il suo sonno fosse privo di incubi. Dopo esser tornata e aver coperto Jace, che borbottò qualcosa nel sonno, mi avvicinai alla finestra, nella speranza di veder rientrare le auto del capo e di Vaughn. Erano ormai le 3:50 e dato che tutto taceva, a cominciare dal mio smartphone, ricordai le parole del detective Wheeler riguardo al non spingermi troppo oltre. Cominciavo a pensare di averlo davvero giudicato male, data la sua lungimiranza in materia e così, optai per appoggiarmi un po' sul letto di Alexis, quanto bastava per riposare almeno un po' gli occhi. Di fronte a me, a poca distanza, Nicholas aveva l'espressione più dolce e innocente del mondo. Pensai a Trevor, a quanto avessimo parlato di figli e a quanto ormai non sarebbe più stato possibile. Mordicchiai un'unghia, ricordando le volte in cui mi riprendeva per quella pessima abitudine e il fatto che avrei dovuto smettere. E poi, pensai che almeno stavolta, sarebbe stato felice di sapere che quell'operazione fosse andata a buon fine. Sentii gli occhi gonfiarsi di lacrime, ma non volevo svegliare Nicholas, così soffocai il pianto, affondando il viso nel cuscino. Sapevo bene che quel dolore lancinante che attanagliava il mio cuore non era solo dato dalla sua mancanza, ma la cosa che mi faceva più male in quel momento era il rendermi conto di quanto la sua immagine si facesse di giorno in giorno più evanescente, sempre meno viva. Era trascorso così poco dalla sua morte eppure mi sembrava sempre più distante, come se quell'avvenimento si stesse cristallizzando nella mia memoria, più velocemente di quanto potessi immaginare.

 

 

 

 

 

 

 

 

**************************************

Allora... note doverose:

La questione Cambridge. XD Nello scrivere, ho fatto un po' di ricerca sui quartieri di Boston e ho scoperto che Cambridge è praticamente la Boston bene. Tra l'altro è un quartiere molto elegante e classico. Ho giocato sul fatto che Kate si fosse fatta un'idea del tutto sbagliata riguardo al dove vivesse Alexander. In realtà lui non abita a Cambridge, attualmente. Dove potrà mai risiedere? XD

Ah, invece, il codice sblocco dell'iPhone di Alexander è la data di nascita di Lily. ç_ç<3

Mi son molto divertita a scrivere questa parte, sia perché Jace mi fa letteralmente crepare, sia perché volevo, per una volta, vedere Alexander sudare freddo. XD Avevate intuito il ruolo di Sarah/Alejandra? Stavolta, c'è da dire che Alexander ha ficcato il naso in una vicenda che si è rivelata più grande e scabrosa, trattandosi di esperimenti, tanto più che dietro c'erano, consapevolmente a lui, l'Immigrazione e, inconsapevolmente, l'FBI. Coinvolgere i federali mi ha divertito molto, soprattutto perchè per la prima volta, è stato preso nel sacco lui. E poi... è finalmente arrivato Nicholas. <3 

Alla prossima settimana, con l'inizio del IX capitolo che è probabilmente il mio preferito! <3

 

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Capitolo 18
*** IX. prima parte ***


Buon pomeriggio!! Dopo una parte di capitolo lunghissima... ecco finalmente la prima parte del capitolo IX! Grazie per il supporto e buona lettura!!



IX ◊

 

 

 

 

 

L'indomani, Jace e io apprendemmo che la riunione si era conclusa intorno alle 5:00 e Harriet Cruise e Varban Petrov erano già stati presi in custodia. Per loro si sarebbero aperte le porte della prigione. Data la situazione, la Cruise sarebbe stata quasi sicuramente assegnata a una prigione federale, mentre Petrov, che non aveva rinnovato il visto, avrebbe avuto problemi con l'Immigrazione e avrebbe rischiato un prematuro rimpatrio. Intervenuto a risolvere le cose, il detective Graham aveva fatto sfoggio di un'interessante capacità retorica che mi fece ricordare che la sua capacità di bluffare non dipendesse solo dalla sua faccia tosta e da un'indole votata al male per natura, ma anche dai suoi studi. Se avesse mai deciso di lasciare la Polizia, avrebbe avuto un futuro in un tribunale. Se da principe del foro o da imputato, quello sarebbe stato demandato al destino. Così, dopo aver spalleggiato Vaughn, i due erano riusciti a far trattenere Petrov e avevano proceduto all'interrogatorio. Tutto ciò che avevamo scoperto collimava, a prescindere dai tentativi di quest'ultimo di sviare o alleggerire le sue colpe. Aveva ucciso Alphonse Reyes, era, vero, ma aveva anche consegnato Karina in mano ai suoi aguzzini. Immaginai che se anche fosse riuscito a ottendere l'estradizione, non l'avrebbe mai passata liscia.

Per quanto riguardava la Cruise&Sons Pharma, l'FBI si sarebbe occupata del resto e Alejandra Ortega, finalmente nel suo vero aspetto, carrè spettinato e occhi nerissimi, oltre ad un abbigliamento molto meno ricercato di quello che aveva quando si fingeva Sarah Reyes, ci garantì che gli ignari dipendenti sarebbero stati trattati col dovuto riguardo. Rimaneva soltanto una questione da risolvere e che, data la sua importanza, richiedeva la massima delicatezza.

– Sei pronto ad andare, Nicholas? – domandai, sistemando le maniche del giubbino di almeno una taglia più grande.

Il suo sguardo insicuro fu una risposta abbastanza eloquente. Sorrisi. – Non avere paura. Ci sono io con te. –

– E io. – intervenne Jace, riservandogli un gran sorriso dei suoi, poi gli fece l'occhiolino.

– Siamo i buoni, sai? Quelli che combattono e sconfiggono i cattivi! –

– E cercano di arrivare in orario prima che un certo bel tenebroso con complesso di superiorità cominci a sbroccare. – aggiunsi, ridacchiando, poi rimisi a posto qualche ciuffetto ribelle. Era veramente un bel bambino. – Ecco fatto! Ieri ti sei fidato di noi... vorresti fare lo stesso oggi? – gli domandai e per risposta, Nicholas mi prese per mano.

– Però, sembra proprio che tu l'abbia conquistato, Katie... – mormorò Jace al mio orecchio.

– Piantala... è solo che ci capiamo, vero? –

Nicholas annuì appena, poi, affidato il mio trolley a Jace, dato che Alexis aveva già provveduto durante le prime ore della mattina, scendemmo nella hall, trovando ad attenderci il detective Graham, ancora ammaccato, così come Vaughn, la stessa Alexis, Alejandra e, inaspettatamente, Selina e il dottor Howell. Non mi sfuggì il sorriso di Selina nel vedere Nicholas, tanto più che fu la prima ad avvicinarsi.

– Lui è... –

– Nicholas. Nicholas, lei è il dottor Clair. –

– Selina! Solo Selina, Kate. – si affrettò a correggermi, mentre Nicholas si nascose dietro di me, intimidito.

– L'ho spaventato? Oh cielo, scusami, piccolino... –

Sorrisi. – Credo sia solo un po' timido... – spiegai, poi guardai i colleghi e Alejandra.

– Cosa si fa, ora? – chiesi.

Jace, dopo averci lanciato un'occhiataccia bieca, si avvicinò a Nicholas e gli arruffò i capelli che tanto avevo impiegato per mettere in ordine.

– Ti va di fare un ripassino della colazione? Ho visto come hai divorato quei deliziosi croissant alla crema! Non so tu, ma io un altro giretto lo farei... –

Nicholas guardò Jace, visibilmente combattuto, poi rivolse lo stesso sguardo a me. Aveva bisogno di essere rassicurato. Assentii e solo dopo aver avuto il benestare, accettò e lasciò la mia mano per quella di Jace.

– Hai capito... – commentò Selina, sorridendo.

– Ha capito chi è il migliore. Vero che zio Jace è il migliore, Nicholas? –

Per tutta risposta, il bambino indicò il bar. Mi misi a ridere. – Credo che il migliore sia il barman. –

Così, il povero zio Jace col cuore infranto, ma sicuramente più giudizioso di noi tutti e Nicholas ci lasciarono momentaneamente, ma rimanendo sempre in vista, tanto più che notavo i suoi occhioni azzurri volgersi guardinghi spesso dalla nostra parte, come se volesse sincerarsi che non ce ne saremmo andati lasciandolo lì.

Furono Alejandra e Vaughn, intanto, a darci risposta.

– Considerando la situazione, la prassi imporrebbe di affidare il bambino ai servizi sociali. Non avendo più i genitori ed essendo nato qui, è un cittadino americano a tutti gli effetti. Vaughn e io abbiamo parlato dell'eventuale ricerca di parenti in Bulgaria, ma questo richiederebbe comunque tempo. –

– Esatto. Certo, ciò non toglie che indagherò, dato che sarebbe la soluzione più logica affidare il bambino ai suoi parenti, ma dobbiamo considerare anche il fatto che è stato esposto ad agenti chimici sviluppando un certo grado di immunità e non sappiamo se questo potrebbe essere pericoloso. –

– Aspetti... sta dicendo che andrebbe messo in quarantena? Volete davvero rinchiuderlo da qualche parte?! – chiesi, alterandomi.

– Hastings. – la voce di Graham, a cui rivolsi un'occhiataccia.

– No. Mi oppongo. Quel bambino ha perso sua madre, non parla perché probabilmente non è mai stato in grado di elaborare il trauma di quanto accaduto, è rimasto al giogo di quella famiglia di folli dal giorno stesso in cui è nato e voi volete trattarlo esattamente allo stesso modo?! State scherzando, spero! –

– Dottoressa Hastings, la prego di essere ragionevole. C'è la concreta possibilità che quel bambino abbia in sé qualcosa di potenzialmente pericoloso... – disse Alejandra.

– Cos'è, una bomba ad orologeria? Crede che chiudendolo in qualche laboratorio scoprirete qualcosa? Questa è inumanità! Dica qualcosa, dottor Howell! – protestai, guardando il Procuratore, che si irrigidì. Non volevo che Nicholas finisse per trascorrere i suoi giorni nuovamente rinchiuso. Quel bambino aveva la sola colpa di essere nato nel luogo sbagliato, ma non era giusto che pagasse per questo. Mi infervorai, nel vederli così remissivi, come se avessero già deciso e si stessero limitando a darmi la notizia. Guardai Nicholas, che mangiava il suo croissant fissando lo sguardo verso di me e mi si strinse il cuore. Mi sforzai di sorridergli, poi tornai a guardare gli altri.

– Molto bene, al diavolo quello che pensate. Sicurezza nazionale? Beh, avete già quello che vi serviva. Immigrazione? Se proprio volete fare qualcosa di concreto, trovate i parenti di Nicholas. Quanto a voialtri e parlo anche di lei, detective Graham, lei per primo ha visto lo stato in cui versava quel bambino, cos'hanno passato lui, sua madre e tutti coloro che sono stati soggiogati dai Reyes! Io mi sono fidata di lei e Nicholas si è fidato di noi ieri notte. Se osa dirmi ancora una volta che è la prassi, oppure che è meglio per lui... o magari che questo è quanto e che posso cominciare a scegliere un'altra carriera, beh... giuro che farò tutto quanto in mio potere per distruggere lei e tutti coloro che proveranno a fare del male a Nicholas! –

Non so se fu tanto per le mie parole o per il tono con cui le pronunciai, ma ebbi la conferma di averli sconvolti, a cominciare proprio dal mio capo, che, a differenza della notte del funerale di Trevor, non seppe come rispondere. Avevo il cuore che batteva tamburellando, tanto ero infuriata e con loro e sarei stata pronta a lasciarli lì dov'erano, prendere Nicholas e andare via se si fossero opposti, se non fosse stato per il provvidenziale intervento di Selina.

– Kate ha ragione. – disse, affiancandomi. Ero abituata a vederla scherzare, ma stavolta, era seria. La guardai e mi guardò a sua volta, poi si rivolse agli altri.

– Se il problema è tenere d'occhio la sua situazione clinica, vi ricordo che sono un medico, prima di tutto. Dunque posso benissimo occuparmene io. Poi, non dimentichiamo che la dottoressa Hastings è una psicologa e la sua opinione in quanto specialista è fondata. –

Alejandra, Vaughn e il dottor Howell si guardarono tra loro.

– Selina, non è possibile. Non è qualcosa di cui non possiamo non tener conto. – disse quest'ultimo.

Lei si tenne salda. – Hai un'idea migliore del trasformare un bambino in una cavia per il governo? A meno che non vogliate che scomodi la Corte per i Diritti Umani... e sapete che ho i mezzi per farlo. –

Quelle parole li indispettirono. Selina non indietreggiò per alcun motivo. Non avrebbe permesso alcuna replica. Guardai il capo di sottecchi e ottenni in risposta un'espressione inintelligibile.

– Cerchiamo almeno di prendere tempo. Non mi sembra il caso di decidere ora il destino di Nicholas. Nè tantomeno siamo noi a doverlo fare... poi, se lo scopo è garantire il bene del bambino, credo che la prima cosa da fare sia aiutarlo a superare il suo blocco. In seguito, magari, potremo pensare a cosa fare. – continuò Selina, correggendo il tiro. In realtà compresi che lo faceva per non tirare eccessivamente una corda che sembrava piuttosto fragile.

– Io sono d'accordo con voi. – aggiunse Alexis, a sorpresa. Vaughn e Howell erano increduli.

– Credo che la vita umana venga prima di ogni cosa. Quel bambino è soltanto una vittima e non mi sembra il caso di infierire oltre. Lei ha trascorso qualche mese con Nicholas, vero, agente Ortega? Se dovesse mettere il dovere e il tempo passato con lui sulla bilancia, cosa direbbe questa, eh? –

Alejandra non si aspettava una domanda del genere, ma ugualmente, ci pensò. Guardò Nicholas, che continuava a guardare dalla nostra parte, incurante di Jace che cercava di catturarne l'attenzione, poi si voltò verso di noi. – Una settimana. –

– Cosa? Non posso nemmeno attivare le ricerche in una settimana! – protestò Vaughn.

– Di quanto tempo hai bisogno? –

Vaughn scosse la testa, pensandoci. – Non lo so, non posso fare stime ora. –

– E tu vorresti diventare Direttore dell'Ufficio Immigrazione... – borbottò Alexis.

– Cosa c'entra ora? –

Alexis fece spallucce. Howell sospirò. – Credo che ora come ora sia meglio tornare a casa e ragionarci su. Dal momento che siete irremovibili e c'è un certo grado di apertura da parte delle agenzie, ritengo sia meglio agire così. Nicholas verrà con noi, ma sarà necessario trovargli una sistemazione. Lei che ne pensa, dottoressa? Data la sua condizione psicologica, come sarebbe preferibile muoversi? –

Stupita di quel cambio di rotta inatteso, su due piedi mi ritrovai in crisi, ma poi feci mente locale. – Credo che abbia bisogno di stare con qualcuno di cui si fida. –

– E poi finirà con l'affezionarsi. – borbottò Graham.

– Dal mio punto di vista, il fatto che dimostri attaccamento non è negativo. Clinicamente parlando, vorrebbe dire che sarà in grado di sviluppare relazioni positive e soddisfacenti da adulto. Sarebbe una grande vittoria, dato ciò che ha vissuto. – spiegai, non comprendendo come mai fosse diventato così restio nei confronti di Nicholas.

– Se si tratta di questo... mi sembra che la risposta alla sua sistemazione sia abbastanza ovvia, allora. – ribattè Alejandra.

Guardai Jace, che ormai, si era trasferito a casa mia e di Lucy. L'idea di vederlo alle prese con un bambino che, nonostante la simpatia, non sembrava granché intenzionato a dargli retta non mi sembrava delle migliori.

– A casa tua c'è posto, Kate? – mi domandò Selina.

– Eh? Ehm... a dire il vero non c'è posto per un bambino... a meno che Jace non torni a casa sua... –

– Jace? Vuoi mettere un bambino nelle mani di Jace? Tanto varrebbe affidarlo ai servizi segreti! – osservò, scettica.

– Intende dire che... dovrebbe stare con me? –

Selina sorrise, stavolta. – Si fida di te, l'hai detto tu stessa. –

– S-Sì, ma... un bambino... io non... non so se... non ho idea di come... ecco... – cercai l'appoggio del detective Graham, la cui espressione era l'equivalente di un “Hai voluto la bicicletta e ora pedala”. Tuttavia, nel suo modo assurdo e saccente, mi venne incontro.

– Ha una casa piccola e disorganizzata che condivide con quello squinternato di Jace e con la coinquilina. Ti sembra che sia il caso di mettere un bambino in mano a tre ragazzi che non hanno la minima idea di come crescerne uno? –

Mi accigliai per il modo barbaro con cui si ostinava a definire il mio appartamento, ma in qualche modo, aveva ragione. Casa mia non era adatta a un bambino e soprattutto, non avevamo esperienza.

– Potremmo chiedere all'agente Jones... –

– Ha già tre figli piccoli di cui uno neonato e, per quanto sia d'accordo sull'importanza della socializzazione, non credo che esporre Nicholas così precocemente agli altri sia di giovamento... senza contare che Eleanor ucciderebbe Daniel. – ribattè Selina.

Era passata dal supportarmi al bocciare ogni mia proposta.

– E allora come si fa? Ha un'idea migliore? – chiesi.

Selina mi rivolse un perfetto sguardo sardonico, poi guardò Graham, che aveva capito il gioco dell'amica già dall'inizio, a quanto pareva.

– No. – sentenziò, laconico.

– Lex, per favore. –

– Puoi scordartelo. –

Voleva affidare Nicholas al detective Graham? Per qualche ragione, quel pensiero mi fece ridere.

– Non ridere. Sei stata tu a dire che si fida di voi due. Quindi, la soluzione migliore per Nicholas è che ve ne occupiate voi, almeno finché non si risolverà questa situazione. –

Per poco mi venne un accidente. – Cosa?! I-Io e il detective Graham? Occuparci di Nicholas?! –

– Beh, casa tua lo permette, Alexander... – osservò il dottor Howell.

– Non provarci nemmeno, Marcus. –

– Sarà solo per qualche giorno... Alexander, per favore. Fallo per quel bambino... so che non sei così senza cuore da non fornirgli un'alternativa. – incalzò Selina.

Non mi sfuggì la nota di ira nello sguardo di Graham. Selina stava toccando delle corde importanti. – Se proprio ci tieni, perchè non... – non andò oltre, perchè un luccichio negli occhi della nostra collega dovette fermarlo.

– Te ne prego. Non te l'avrei chiesto se non fossi stata certa del fatto che avresti capito. –

Qualcosa nel tono di Selina mi fece intendere che ci fosse altro, ma in quel momento, nessuno parlò. Howell distolse lo sguardo, mentre Alejandra, scusandosi, si allontanò per rispondere a una telefonata improvvisa. Alexis e Vaughn si guardarono, mentre Jace e Nicholas tornarono da noi. Nicholas corse a prendermi per mano e mi ritrovai a guardare sia lui, col suo musetto sporco di crema, che il detective Graham, che ricambiò. Ciò che Selina gli aveva chiesto non era un semplice favore e il suo dilemma era più profondo. Ospitare un bambino significava far entrare nella sua vita qualcun altro che non fosse sua figlia. Eppure, per un caso fortuito, Nicholas condivideva con Lily qualcosa. Sperai che si rendesse conto del fatto che avessi compreso il suo dramma, quando si decise a parlare.

– Quanto ci metti a fare i bagagli? –

– I bagagli? – chiesi, incerta.

– Non vorrai davvero che venga a stare nel tuo affollato appartamento, no? Casa mia è più grande. –

– Eeeeeh?! –

– Sapevo che sarebbe finita così. Mi devi un favore che non potrai mai ripagare, Selina. – borbottò contrariato, poi si chinò e prese un fazzolettino dalla tasca del suo Peuterey nero. Guardò Nicholas, che aggrottò le sopracciglia. – Era buono il croissant, eh? – chiese al piccolo, poi gli arruffò i capelli e gli ripulì il musetto.

Incredula, guardai i presenti e Selina, che sorrise.

– Grazie... – mormorò.

Sorrisi di rimando e sospirai, pensando che il rientro a Boston sarebbe stato davvero movimentato.

 

***

 

– Ti trasferisci a casa del detective Graham?! – La voce di Lucy, seduta sul mio letto, uscì più alta di un tono quando, tra la raccolta delle mie cose e uno sguardo all'orologio, le comunicai della mia temporanea sistemazione.

– Sarà soltanto per qualche giorno. Jace ti spiegherà tutto per bene. –

Lucy portò indietro una ciocca liscia dei capelli corvini, che ormai raggiungevano le scapole. – Non puoi tornare a casa dopo un'operazione e dirmi “Ehi, sono tornata! PS. Vado a vivere col mio capo!” e sperare di non darmi uno shock! –

Presi il mio beauty case e lo ficcai velocemente nel trolley. – Non sto andando a vivere con il mio capo. Stiamo cercando di risolvere una situazione complicata. –

Stavolta roteò gli occhi cervoni. – Complicata. Poco, ma sicuro. –

– Smettila, scema. Sai benissimo che non c'è un secondo fine. A dirla tutta non mi aspettavo una cosa del genere, ma adesso che c'è di mezzo un bambino, non posso fare altrimenti... secondo te dovrei portare anche un altro spazzolino? –

Per poco non le venne un colpo. – Frena, frena!! Un bambino? Kate, sei incinta?! –

Avvampai fino alla punta dei capelli e il mio Oz, il peluche che avevo portato da casa e che avevo in mano, mi cadde a terra. – No! Te l'ho detto, si tratta di una questione delicata... –

– Sì, e Jace mi spiegherà tutto. Ma io voglio sapere da te... sei la mia migliore amica e mi preoccupo per te... Kate, da quando sei in Polizia sei diventata davvero sfuggente... –

Aveva ragione, ma c'erano cose che potevo dirle e cose che sarebbe stato meglio tenere per me. Nicholas era una via di mezzo. Raccolsi Oz e la raggiunsi, sedendomi accanto a lei. Sapevo che il detective Graham mi stava aspettando in auto insieme a Nicholas, avendo riposato durante il viaggio, durante il quale era stato Jace a guidare, ma Lucy aveva diritto a una qualche spiegazione.

– Scusa... hai ragione. So che non è semplice starmi accanto e, probabilmente, nemmeno io vorrei stare accanto a una come me, ma stavolta non c'è nulla di pericoloso. Durante l'ultima operazione, abbiamo salvato un bambino, il figlio della donna sulla cui morte stavamo indagando. È saltato fuori che anche il padre è morto, lo scorso anno. Ora Nicholas è solo al mondo e non riesce ad esprimersi. Prima che venga affidato ai servizi sociali perchè gli venga trovata una nuova famiglia, abbiamo il dovere di aiutarlo. Io posso farlo in quanto psicologa, mentre il detective Graham ha a disposizione una casa più adatta alle sue esigenze. –

– E ha quell'esperienza con i bambini che a te manca... –

Annuii, stringendo la mia scimmietta. – Secondo te sto sbagliando? –

Lucy posò le mani sulle mie, rivolgendomi uno sguardo preoccupato. – Non credo... volete solo aiutare quel bambino... è solo che mi preoccupano le implicazioni di questa convivenza forzata... Trevor è morto solo da poche settimane... –

Mi morsi le labbra, sentendo il solito dolore nel petto. – Lo so, Lucy... lo so e il fatto di andare a stare per un po' dal detective Graham non comporta nulla di personale... lo faccio solo per Nicholas. Se Trevor fosse stato ancora qui, di certo avrei chiesto di affidarlo a entrambi. –

La mia migliore amica fissò gli occhi su di me, come se stesse cercando di scrutarmi dentro. Sapevo che lei per prima si era accorta del fatto che il detective Graham non mi fosse mai stato del tutto indifferente, ma entrambi avevamo ben chiaro quanto fosse ampio lo spessore di quella soglia da non superare. Avevamo molto in comune, lui e io, ma c'era rispetto per il rispettivo dolore e per le rispettive situazioni personali.

– Va bene... se lo dici tu mi fido. E comunque non è perché non lo ritenga una brava persona... quando non c'eri, ho avuto modo di parlarci. Ho notato il suo modo di parlare di te... ti ritiene un membro insostituibile della sua squadra. –

Sorrisi. – Vedi? I suoi riguardi nei miei confronti sono puramente professionali. Ed è così anche per me. Tanto più che non riesco nemmeno a chiamarlo per nome. Cioè... non sempre. –

Stavolta toccò a Lucy sorridere, poi mi dette un buffetto col polpastrello sulla fronte.

Alexander non può proteggermi per sempre... parole tue. –

Arrossii, ricordando di averlo chiamato per nome anche quando era venuto a recuperare me e Nicholas. – Beh... è così. Quell'attaccabrighe di un capo si caccia sempre nei guai... quindi sta a me garantire la sicurezza di quel bambino per i prossimi giorni! –

Lucy fu d'accordo. – Porterai con te Oz? –

– Se vuoi te lo lascio. È bravissimo a proteggere! – esclamai, muovendo le sue braccia morbide a mo' di inchino, poi camuffai la voce. – Mademoiselle, il qui presente Oz è al suo servizio! –

Lucy si mise a ridere. – Oh, di certo mi proteggerà meglio di Jace... che oltretutto, è in ritardo... –

Mi misi a ridere anch'io. – Quello schiavista l'ha mandato a recuperare qualche altro cambio per Nicholas da casa dell'agente Jones. Avendo già tre bambini, di cui uno più o meno della sua età, si è offerto di darci il suo aiuto in questo modo, ma al momento abbiamo giusto un cambio. –

La mia amica sorrise, poi accarezzò la testolina di Oz. – Non lo conosco ancora, ma credo proprio che Nicholas sarà un bambino fortunato... –

Dopo tutto ciò che aveva vissuto, la prospettiva di potergli dare un po' di serenità era di conforto. – Ci verrai a trovare? –

– Potrò farlo? –

– Assolutamente sì. Oppure minaccerò il detective Graham di tornare a casa. A quanto pare detesta il nostro appartamento... lo trova... –

– Piccolo e disorganizzato. – concluse lei e scoppiammo a ridere insieme.

Così, dopo quel doveroso momento di chiarimento e di vicinanza, Lucy mi aiutò a sistemare le ultime cose e ci congedammo con la promessa di sentirci e di vederci a breve. Sulla soglia di casa, ci abbracciammo forte, come quando si partiva. Una piccola parte della mia mente si focalizzò sul fatto che in meno di un mese era già la seconda volta che lasciavo il mio appartamento e Lucy, ma almeno in questo caso, la ragione non era triste. Dopo averle raccomandato di non fare troppa baldoria con Jace che, a sua volta, stava per raggiungere Lucy col proposito di rimanere con lei fino a che non fossi tornata a casa, ci salutammo e presi l'ascensore che mi portò sino al pianterreno, due piani più sotto. Provavo quell'inquietudine di quando si stava per affrontare un grande cambiamento, sebbene fosse smorzata dal fatto che si sarebbe trattato di una soluzione temporanea. Quando uscii, la Veloster di Graham era parcheggiata di fronte all'ingresso e lui sembrava impegnato in una conversazione a senso unico con Nicholas. Anche se era stato medicato e aveva riposato, si vedeva che era piuttosto stanco. Oramai era pomeriggio e, immaginai, avrebbe avuto davvero bisogno di riposare. Quando mi avvicinai all'auto, Nicholas si voltò verso il finestrino e i suoi occhi si accesero di un'espressione sollevata. Graham scese ad aiutarmi con il trolley, non senza avermi rimproverato per il ritardo, del quale mi giustificai, poi salii dietro. Nicholas si voltò sul sedile, guardandomi.

– Ho qualcosa per te! – esclamai, mentre il detective Graham richiudeva lo sportello del bagagliaio e tornava in macchina. Per saziare la curiosità del piccolo, che mi guardava trafficare nella borsa, tirai fuori Oz. Per un attimo, mi sembrò che Nicholas aprisse la bocca, come per dire qualcosa, ma si fermò prima di poterlo fare e rimase a guardare. Sorrisi e mossi le braccia di Oz in segno di saluto.

– Ciao Nicholas! Io sono Oz! – dissi, camuffando la voce come avevo fatto prima con Lucy.

Nel frattempo, il detective Graham salì in auto e assistette alla scena. – E quello? –

Mentre cedevo Oz a Nicholas, che lo strinse forte a sé prima di risistemarsi al suo posto, aggiustando la cintura di sicurezza come aveva fatto Graham, risposi a quest'ultimo.

– Oz. – dissi.

– Come il Mago di Oz? – ribattè, partendo.

– Già... ce l'ho da quand'ero piccola. –

Incrociai per un istante i suoi occhi nello specchietto retrovisore. – Davvero? –

– Sì. Un regalo del mio papà per il mio terzo compleanno. – spiegai.

– Ah. – fu il suo unico commento.

Un po' offesa dal suo disinteresse, pensai che fosse ancora seccato per la decisione di ospitarci, ma desistii dal proposito del chiedergli se fosse effettivamente così. Avrei avuto tempo per parlarci, magari non in presenza di Nicholas. Al contrario, mi dedicai a lui, osservandolo mentre studiava il suo nuovo amico con attenzione. Sembrava attratto dalla sua morbidezza, nonostante fosse un vecchio peluche, ma stava ben attento ad averne riguardo. Doveva essere abituato ai giochi e quello mi fece piacere. Durante il viaggio, rimanemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, inoltrandoci nel traffico di Boston fino a raggiungere, con mia sorpresa, Beacon Hill, il quartiere in cui risiedeva Graham, lo stesso del Four Seasons. Ero affascinata da tutte quelle case in stile vittoriano. Sembrava di essere in un altro mondo, rispetto alla zona di Downtown in cui risiedevamo Lucy ed io e in cui si trovava l'appartamento di Trevor. Graham parcheggiò davanti a una palazzina a tre piani con ali arrotondate, mattoni rossi, alte finestre bordate di persiane verdi che si affacciavano su dei balconi.

– Eccoci qui. – annunciò, dopo aver raggiunto l'abitazione e aver aperto il grande portone verde scuro.

Onestamente, non mi ero mai chiesta in che tipo di casa potesse vivere quell'uomo. Probabilmente il fatto che, ormai, ero abituata a vederlo nel suo ufficio e consideravo quel luogo spartano una specie di sua estensione e, per giunta, avevo visitato la casa in cui aveva vissuto con Elizabeth e con Lily, non aiutava. Certo, in quel caso, avrei potuto dire che l'artefice dell'arredamento classico era l'ex moglie di Graham, ma non riuscivo a immaginarlo diversamente da come facevo. Pertanto, ero pronta a trovarmi alle prese con la tipica casa di uno scapolo, sul genere dell'appartamento di Trevor, alla peggio, tutto tecnologia e modernità. C'era un ascensore, che prendemmo per raggiungere il terzo piano. A quanto pareva, viveva in un loft. Avevo preso per mano Nicholas, che si guardava intorno probabilmente stupito quanto me. Arrivammo davanti al portoncino nero, accanto al quale faceva bella mostra di sé il campanello dorato con su scritto il cognome Graham e il capo aprì.

– Prego. – disse, facendoci entrare.

Quando entrammo, superato un piccolo ingresso, accese dei faretti che illuminarono l'ambiente circostante. Si trattava perlopiù di un ampio open space in stile moderno, con parquet in contrasto con i rustici mattoni carminio e travi in legno al soffitto. Le finestre erano alte e bordate di tende bianche. Un largo tappeto dai colori chiari era sormontato da un divano angolare che troneggiava al centro assieme a un piccolo tavolino da caffè. Su di esso, c'erano libri e un posacenere, i primi presi sicuramente dalla liberia a muro in legno scuro che faceva bella mostra di sé, fornitissima, insieme a un paio di Klimt, sparsi qua e là. Non c'erano molti mobili, solo l'essenziale, con funzione di stipo, pensai. Sul lato sinistro, dietro al divano, si apriva una cucina moderna con un tavolo in legno e acciaio da quattro posti. Sul lato destro, frontalmente al divano, vi era una parete attrezzata con un televisore in modalità cinema, una Xbox One, una scacchiera, poche suppellettili tra cui i suoi trofei e, soprattutto, delle foto di Lily. Ciò che mi stupì di più, in realtà, fu la presenza di un giradischi e dei vinili, probabilmente uno dei pochi oggetti realmente stagionati presenti in casa. Poi, c'era un corridoio che, di lì a poco, avrei scoperto aprirsi sulla zona notte. Qualcosa nella mia espressione dovette aver catturato l'attenzione di Graham, che, dopo aver chiuso la porta dietro di noi, si rivolse a me con un tono sottintendente.

– Ti aspettavi qualcosa di più spartano, vero? –

Scossi la testa, guardandomi intorno. – A dire il vero non immaginavo che potesse permettersi qualcosa del genere... la pagano così bene? Oppure... c'entra quello che sappiamo? – domandai, di rimando.

– Ok, questa te la concedo. Scoprilo da te, detective. – rispose, con l'evidente intenzione di stuzzicarmi.

Nicholas intanto, senza lasciare né la mia mano né Oz, osservava ogni cosa. Graham ci fece strada, illustrandoci i vari ambienti, tutti rigorosamente lustri e in perfetta commistione di stili, per poi arrivare alla stanza padronale, anch'essa in mattoni carminio. Una grande finestra in legno scuro, quasi nero, con vista sul parco e bordata di un'ampia tenda dai toni caldi garantiva alla stanza tanta luce naturale. Il letto a due piazze sembrava estremamente confortevole, tra diversi cuscini e un piumino a far volume e un pouf rettangolare ai piedi. Oltre ai due comodini, c'era un grande armadio a muro semiaperto. Intravidi, appesi con cura, gli abiti di Graham. Sul lato, proprio vicino alla porta, ma frontale rispetto al letto, c'era un alto specchio dalla cornice nera. E dall'altra parte, accanto alla finestra, la poltrona in pelle che avevo già visto qualche tempo prima, su cui erano adagiate un paio di camicie.

– Alla fine è riuscito a riprendersela... – osservai, indicandola.

Graham annuì, non senza celare tutto il suo sarcasmo. – Non potevo permettere che Maximilian sedesse sulla mia poltrona preferita. –

Mpf. –

– Ad ogni modo... datemi un attimo, procuro tutto quel che serve e potete sistemarvi qua dentro. – disse, raccogliendo i suoi abiti.

– E lei? – domandai, considerando che la stanza che, tecnicamente, avrebbe dovuto ospitare me e Nicholas, era una sorta di mini ufficio con qualche attrezzo da palestra che mi servì a capire il motivo di quel fisico allenato.

– Il divano andrà benissimo. Capita spesso che mi ci addormenti sopra ed è comodo. –

– Potrei dormirci io. E lei potrebbe tenere il suo letto, dormendo con Nicholas. –

Nel dirlo, il piccolo mi si strinse al braccio. Graham se ne accorse e mi guardò.

– A quanto pare lui ha già deciso. – disse, conciliante.

Sospirai e lo ringraziai per la gentilezza, poi, mentre preparava la stanza, Nicholas e io tornammo ad attenderlo nel soggiorno. Mentre lui si sedette sul grande divano, stretto forte a Oz, io mi soffermai a guardare le fotografie di Lily. Ce n'erano diverse e tutte restituivano l'immagine di una bambina piena di vita, bellissima. In una foto era neonata, tra le braccia di Elizabeth, che sorrideva con la luce negli occhi che solo una neomamma poteva avere. Pensai a Karina, che aveva dovuto rinunciare a Nicholas così presto e anche alla stessa Elizabeth. Una aveva perso la vita per suo figlio. L'altra aveva perso sua figlia e la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa. Vidi anche una foto in cui Graham, nella sua ventina, teneva le mani della sua bimba, che stava imparando a camminare. Aveva un viso radioso, divertito e felice, mentre guardava l'obiettivo. Mi chiesi se sarebbe mai più stato in grado di sorridere così, un giorno. Mi sembrò quasi di vederli e sentirli. Elizabeth che tendeva le mani a Lily, in una bella giornata al parco, Graham che rideva, dicendo qualcosa come “Mamma, arriviamo” e Lily che si impegnava a raggiungerla, sicura delle forti mani del suo papà che la sostenevano. Quel pensiero faceva quasi male, nel realizzare che quei ricordi dovevano essere la sola cosa che permetteva a Graham e ad Elizabeth di non impazzire. Accarezzai la foto di Lily da sola, con una bambola dai codini, proprio come li portava lei. I suoi occhi erano davvero identici a quelli di suo padre, due zaffiri di un blu profondo, ma con una vivacità che a lui mancava, almeno da che lo conoscevo. Fu allora che mi sentii tirare il maglioncino. Nicholas era tornato dietro di me, con un'aria mesta. Mi chinai e lo abbracciai forte.

– Hai ragione, tesoro, scusa... – dissi, poi gli posai le mani sulle piccole spalle. – Speriamo che il detective Graham si sbrighi... non so tu, ma io ho una fame da lupi! –

Nicholas arrossii e annuì. Doveva decisamente aver fame anche lui.

Pochi minuti dopo, Graham si affacciò. Si era messo in libertà, in tuta Nike grigia e in ciabatte.

– Fatto. Ne ho approfittato anch'io, già che c'ero. Potete gestirvi come volete, io nel frattempo preparo qualcosa da mangiare. Non ho granché in frigo, ma se per oggi siete disposti ad accontentarvi, domani provvederò a qualcosa di meglio. – disse.

– Non mi dica... sa anche cucinare? – chiesi, inarcando un sopracciglio.

Mi oltrepassò, guardandomi di sottecchi, ma sollevando l'angolo della bocca, dove aveva l'escoriazione, in un sogghigno. – Pensavi che mi nutrissi d'aria? –

– No, del sangue delle sue vittime, signor vampiro. – risposi sottovoce, ricambiando con la stessa espressione.

Graham non rispose, optando per un diplomatico mugugno, poi andò in cucina.

Se da una parte l'idea di vederlo in versione casalingo mi intrigava, dall'altra, c'erano esigenze più importanti. Così, dopo che ebbi aiutato Nicholas a lavarsi e a mettere il pigiama, lo mandai da Graham con la scusa del controllare che facesse tutto per bene, poi mi detti una rinfrescata anch'io e mi cambiai, optando per un leggins nero e una felpa extralarge verde e bianca. Mi chiesi se fosse il caso di mettere il mio spazzolino da denti nel bicchiere, per comodità, ma quel pensiero mi riportò alla mente il fatto che non lo facevo nemmeno a casa di Trevor. Così, mi limitai a mettere soltanto lo spazzolino che avevo portato per Nicholas. In seguito, mi guardai allo specchio, notando che ero davvero pallida. Mi lavai di nuovo il viso e mi pizzicai le guance, sperando di dare un po' di colore. Un'espressione così sbattuta non era da me. Dovevo darmi un po' di tono.

– Dai, Kate, davvero non riesci a far di meglio? – chiesi al mio riflesso. Poi sospirai. Come se potesse rispondermi... tirai su i capelli legandoli in un'alta coda, pensando che non appena avessi visto Alexis, avrei dovuto farmi dare qualche maschera per il viso. Una volta finito, vidi che il mio smartphone era intasato dei messaggi di Lucy e Jace, delle chiamate di mia madre e del messaggio di Selina, che mi chiedeva se fosse tutto a posto. Pazientemente, risposi a tutti, liquidando per primi i piccioncini, poi rassicurando mia madre sul fatto che fossi sana e salva e infine, dicendo a Selina che tutto stava procedendo per il meglio e che Nicholas sembrava sereno e affamato.

Quando tornai in cucina, un delizioso profumo di carne grigliata mi solleticò il naso. Graham stava finendo di impiattare e Nicholas, già seduto al tavolo, nel vedermi, mi indicò il posto accanto a sé.

– Wow... – commentai, nel vedere la tavola imbandita con insalata, pane, ketchup e maionese e, tra le bevande, anche della birra.

– Nicholas mi ha aiutato. – disse Graham, facendomi cenno di sedermi.

Presi posto accanto al piccolo. – Non lo metto in dubbio. E comunque non la facevo tipo da ketchup e maionese. – dissi.

– Sta' zitta e mangia. – controbattè, servendoci.

Dovevo dire che aveva tutto un buon aspetto, complice, forse, anche la fame che avevo in quel momento. Attendemmo che si sedesse anche lui, scegliendo il posto di fronte a Nicholas, poi mi resi conto che, dopo quei giorni di trambusto, stavamo finalmente mangiando decentemente, a casa. Guardai Graham, per una volta così poco formale, rilassato, e quasi mi sembrò più giovane del detective capo del V Dipartimento, tutto lavoro e ossessioni. Smessi quei panni, era davvero soltanto Alexander, un uomo che come tanti altri, era rientrato a casa e si stava godendo un momento di tranquillità.

– C'è qualcosa che non va? – mi chiese, perplesso.

Scossi la testa. – Tutto ok. Buon appetito! – esclamai, inforcando le posate.

Mpf. Buon appetito. – rispose.

E Nicholas, a modo suo, sollevando le posate, volle comunicarci lo stesso.

 

Dopo la cena, Graham e io ci mettemmo a lavare i piatti. Inizialmente, mi aveva detto che se ne sarebbe occupato lui, ma volevo rendermi utile anch'io. Se dovevo trascorrere qualche giorno in una casa che non era la mia, avevo tutta l'intenzione di non farlo a scrocco. Nicholas, bene in vista, si era seduto sul divano ed era impegnato a sfogliare un libro che Graham gli aveva messo a disposizione.

– A quanto pare gli piace la lettura. – osservai, passando l'ultimo piatto al capo, che lo asciugò.

– Ha sei anni, ma dubito che sappia già leggere. – disse, finendo di rassettare. – Probabilmente sta soltanto osservando le figure. –

– Che libro è? –

– Il Piccolo Principe. A mia figlia piaceva ascoltare quella storia. –

Sorrisi. – È una bella storia, ma un po' triste. –

Graham fu d'accordo, poi entrambi raggiungemmo Nicholas, sedendoci sul divano insieme a lui.

– Ti piace, Nicholas? – domandai, accarezzandogli i capelli. Il piccolo mi guardò e mi mostrò la pagina che raffigurava il Piccolo Principe seduto insieme alla volpe. Quel passo, da quel che ricordavo, parlava dei legami, in particolare dell'amicizia.

– “Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo... la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica... Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!lesse Graham, intonando perfettamente il passo.

Nicholas e io lo guardammo, stupiti, ricevendo in risposta un'espressione perplessa.

Che c'è? –

Sorrisi. – Bravo detective Graham! –

Nicholas gli porse il libro, speranzoso. – Vuoi che ti legga qualcos'altro? – domandò il capo e il bambino annuì.

E così, libro alla mano, tono da romanziere, Graham si cimentò nella lettura dei primi capitoli, fino a che Nicholas, cullato dalla sua voce calda e dalle coccole, si appisolò tra di noi. Fu solo allora che chiuse il libro e lo posò sul tavolino. Dalle ampie finestre filtrava appena la luce della sera. Non era particolarmente tardi per noi, ma lo era per il piccolo. Ero incantata da quel visetto immerso nel sonno, con le guanciotte rosse.

Non ti stanca mai, vero? – mormorò Graham, con quella voce dolce di quando parlava di Lily. Alzai lo sguardo, incontrando il suo e annuii. – Potrei rimanere a guardarlo per ore... –

Però, lui ha bisogno di riposare in modo più confortevole. – aggiunse, scostandosi con delicatezza e prendendolo in braccio con cura. Non era la prima volta che accadeva, dato che quando aveva salvato la piccola Julie Dawson, afferrandola al volo, l'aveva stretta con fare protettivo. Vederlo così, con un bambino addormentato in braccio, attento a non svegliarlo, era un toccasana per il cuore. E poi, ci sapeva davvero fare.

Lo porto di là. – mi disse e io annuii, seguendoli con lo sguardo mentre si allontanavano. Quando furono nascosti alla mia vista, mi rannicchiai sul divano, dando un'occhiata ai libri presenti. C'erano diverse storie per bambini, sia classici che non, che immaginai avesse portato con sé come ricordo di quel che era stato e di quel che sarebbe potuto essere e un paio di manuali di Criminologia e di Psicopatologia, che stava leggendo prima di partire, evidentemente. Presi l'ultimo, sfogliandolo. Quante situazioni avevo avuto modo di studiare nel tempo. C'erano annotazioni veloci, scritte nella sua grafia, nella sezione sulle perversioni. Il Mago?, recavano alcune di queste. Anche lui, come me, ipotizzava qualcosa del genere sulla base del suo modus operandi. Quando tornò, posai il libro e presi Oz, che era rimasto sul divano. Tornò a sedersi accanto a me e, sotto le luci soffuse, notai per la prima volta le sue occhiaie.

Dovrebbe dormire anche lei... – dissi.

Per tutta risposta, si stiracchiò, poi si appoggiò al morbido e largo schienale.

Sto bene. Ora che siamo soli... ti va di dirmi che ne pensi? –

Come? – feci eco, non sapendo a cosa si stesse riferendo.

Di Nicholas, intendo. –

Oh... beh... ho detto quel che pensavo stamattina, in realtà... ma se mi chiede cosa penso della sua situazione clinica, le dico quel che già avevo detto a Jace: credo possa essere un caso di mutismo selettivo. –

Sarebbe a dire? –

Lui comprende perfettamente tutto quello che gli viene detto e ha un tipo di comunicazione non verbale. Generalmente, si tratta di una forma ansiosa, caratterizzata dall'incapacità di parlare tranquillamente al di fuori dei contesti sicuri. Questi sono perlopiù famiglia e una ristretta cerchia di persone di fiducia, nel migliore dei casi. L'agente Ortega ha detto che Nicholas ha smesso di parlare da un anno, dopo la sparizione di Karina. La sua mamma era certamente tutto per lui, a dispetto di quello che i Reyes volessero far credere. Probabilmente, lei gli parlava nella sua lingua madre, dunque c'è la possibilità che perdere quel legame l'abbia mandato in ulteriore confusione e abbia contribuito a generare la sua ansia. Poi, non sappiamo ancora cos'abbia subito di preciso dai Reyes. Infatti, spero che Selina potrà darci qualche indicazione in più, in proposito... –

Lui sembrò pensieroso, poi si tirò un po' in avanti, incrociando le mani. – Credi che potrebbe non parlare mai? –

Guardai verso il manuale di Psicopatologia. – Un anno è un lasso di tempo importante... e di certo, non sono stati compiuti sforzi né interventi per permettergli di superare questo blocco... dunque, allo stato attuale, non me la sento di sbilanciarmi in positivo. Però, in macchina, per un attimo mi è sembrato che volesse dire qualcosa. Solo che poi si è fermato immediatamente, come se si sentisse improvvisamente in colpa. –

Strinse le mani. – E questo cosa comporterebbe? –

Strinsi forte Oz. Sapevo dove voleva andare a parare. Avrei potuto chiedergli di più, ma non me la sentii. – Che dovremo fare del nostro meglio per aiutarlo. –

Vidi il suo sorriso, di profilo. – Chissà perchè... non avevo dubbi sul fatto che mi avresti risposto così. –

Lei mi aiuterà, detective Graham? –

Stavolta si voltò appena verso di me. Dovevo avere un'aria piuttosto seria, perché aggrottò per qualche secondo le sopracciglia scure, poi le rilassò. – Non credi che lo stia già facendo, avendo accettato il vostro out-out? –

A questo proposito... grazie. – dissi.

Si lasciò andare a un lungo sospiro, non so se più per stanchezza o per le mie parole. – Non ringraziarmi. L'ho fatto soltanto perché non avevo altra scelta. –

Orgoglioso. Posai Oz e mi alzai, ma sentii il suo sguardo seguirmi. – Grazie comunque. –

Vai a dormire? –

Annuii. – E deve farlo anche lei. –

Stavolta toccò a lui annuire. Sciolse l'intreccio e prese la coperta che aveva appoggiato accanto ai cuscini. – Buonanotte, allora. –

Sorrisi. – Le lascio Oz. Cerchi di trattarlo bene e di non schiacciarlo. –

Mi guardò perplesso. – Fai sul serio? –

Certo. Non mento mai quando si tratta di Oz. –

Quindi menti sul resto? –

No! Cioè... lo tenga lei e ne abbia cura! Buonanotte! – esclamai e mi affettai a lasciare la stanza prima che potesse dire altro. Aveva davvero un pessimo tempismo, quando voleva.

Mi rifugiai in camera, pensando che non ci fosse altra persona al mondo in grado di punzecchiarmi come faceva lui. Posai la mano sul cuore, calmando la sensazione di agitazione che sentivo, poi, quando ci riuscii, mi cambiai velocemente e mi infilai nel letto, che trovai incredibilmente morbido e caldo. Nicholas, nel sentirmi, si mosse istintivamente e in breve me lo ritrovai attaccato al petto. Sorrisi e lo abbracciai, sperando nel suo sonno pacifico.

Sogni d'oro, piccolino... – sussurrai, baciandogli la testolina, poi chiusi gli occhi anch'io, accettando di lasciarmi andare a un sonno ristoratore.

Così fu per qualche ora, fino a che non mi svegliai improvvisamente a causa di un incubo. Avevo sognato di essere ancora chiusa con Nicholas nello sgabuzzino in cui l'avevo trovato e che, nel momento in cui avevo risposto alla chiamata di Graham, dall'altra parte non c'era lui, ma Petrov. Questi mi diceva di starmi aspettando e che presto sarebbe venuto a prendermi. Allora, temendo per Nicholas e per Graham, avevo deciso di fuggire insieme al piccolo. Tuttavia, nell'aprire la porta e nel raggiungere le scale, sentivo un rumore di passi in salita. Nicholas era spaventato e piangeva, nonostante cercassi di rassicurarlo. Nella mano libera avevo in mano la Beretta d'ordinanza del detective Graham e la puntavo contro il buio, tremando come una foglia, malferma sulle mie stesse gambe. Un attimo e da quell'oscurità compariva un braccio recante una vistosa cicatrice sul polso. Non vedevo altro, ma sapevo di chi si trattasse. Percepivo il suo sorriso aprirsi terrificante, mentre il suo dito indice mi faceva segno di voltarmi. Terrorizzata, obbedivo e sul muro, non più della Cruise Pharma, ma dell'appartamento di Trevor, la scritta che era ormai impressa a fuoco nella mia memoria. Vuoi sposarmi? In quel momento, urlando, mi voltavo nuovamente verso il Mago, che era apparso di fronte a me, imponente, vestito con una cappa nera che lo oscurava del tutto. Urlavo, sparando un colpo e lui cadeva, rivelando il suo volto: Trevor. Solo in quel momento mi rendevo conto di avere ucciso il mio fidanzato e di non avere più Nicholas accanto a me. All'improvviso, sentivo la voce del piccolo, in lontananza, catturato dal Mago, quello vero, ed era stato quello l'istante in cui mi ero svegliata, ansimando. Col cuore in gola, mi resi conto che Nicholas non era nel letto.

Nicholas! – esclamai, con la voce che mi uscì impastata. Sollevai le coperte, ma lui non c'era. Oltretutto, il materasso era freddo, quindi doveva essersi alzato da un po'. Mi ci volle qualche minuto per rendermi conto che, con tutta probabilità, dovette essersi alzato per andare in bagno. La sveglia sul comodino mi informava del fatto che non fosse nemmeno l'una di notte e cercai di darmi una calmata, pensando che avrei dovuto essere più razionale. Mi passai le mani sul viso, poi mi alzai per controllare. Il bagno era al buio e non c'era ombra del bambino. Mi voltai allora in direzione del soggiorno, percorrendo il breve corridoio, ma non entrai. La luce era accesa, soffusa e seduti sul divano, c'erano Graham e Nicholas, svegli. Graham aveva Oz in mano e stava raccontando qualcosa a Nicholas, che si era appollaiato su di lui. Prestai orecchio, mentre la tensione lasciava il posto a un meglio accetto calore umano.

– … allora Dorothy, insieme allo spaventapasseri e all'uomo di latta, si ritrova in una foresta tenebrosa e piena di bestie selvatiche, quando all'improvviso, salta fuori un leone pronto ad attaccarli. Però, proprio in quel momento, Toto, il cagnolino di Dorothy, si mette ad abbaiare e il leone si rivela per quel che è: un fifone che ha perso il coraggio. Una squadra piuttosto sgangherata, non trovi? Uno spaventapasseri senza cervello, un uomo di latta che è rimasto senza cuore e un leone pavido... l'unica sana di mente sembra essere Dorothy, alle prese con compagni che per una ragione o per l'altra, sembrano essere tutto tranne che d'aiuto... come potrebbero mai farcela loro quattro, contro la malvagia Strega dell'Ovest? –

Abbassai lo sguardo, nel sentire le sue parole. In qualche modo, mi facevano pensare alla nostra situazione. Eppure, nonostante tutto, loro ci erano riusciti. Fu allora che mi feci avanti.

In realtà... lo spaventapasseri aveva dimostrato di essere molto intelligente, facendo scappare tutti dalle grinfie delle guardie della Strega. Il leone aveva salvato Dorothy dimostrando il suo grande coraggio e l'uomo di latta era stato buono e generoso, a dimostrazione che non avere un cuore non necessariamente significa non essere in grado di amare... e così, alla fine, erano stati più forti della Strega malvagia, perché avevano capito cosa fare... per chi combattere. –

Sia Nicholas che Graham mi guardarono. Li raggiunsi, sedendomi accanto a loro. Nicholas mi prese per mano.

T'abbiamo svegliato? – chiese il detective Graham.

Feci cenno di no, ma non gli rivelai la ragione. – Mi chiedevo solo cosa steste complottando senza di me. –

Ah, beh... Nicholas non può stare senza Oz, a quanto pare. E ha ben pensato di sfidarmi coraggiosamente per riaverlo. –

Davvero? E bravo Nicholas... e la storia del Mago di Oz in tutto questo dove si colloca? –

Graham alzò gli occhi al cielo, poi sorrise. – Tu che dici? –

Per farlo addormentare di nuovo. – Magari avrei scelto qualcosa di meno impegnativo... – commentai, accarezzando la testa del bambino. – Qualcosa come la storia di un eroe coraggioso e intelligente, ma dal cuore infranto e colmo di dolore. Un eroe che, nonostante la vita fosse difficile e ponesse sulla sua strada sfide sempre più dure, non si arrendeva e, ogni giorno, combatteva contro il male... –

Intravidi Graham posare Oz sul divano, ma continuai a guardare Nicholas, che ricambiava.

A volte, quell'eroe incontrava persone cattive, al punto tale da arrivare a pensare che forse, quello che gli era accaduto, lo meritava... e più pensava qualcosa del genere, più soccombeva a colui che aveva lanciato su di lui un anatema. Eppure, in fondo al cuore, nascosto agli occhi di tutti, persino a lui stesso, come la speranza nel Vaso di Pandora, albergava un luccichio che, nei momenti peggiori, gli ricordava di non darla vinta a chi lo voleva distrutto. E allora, sapeva che c'era qualcosa per cui valesse la pena combattere e che un giorno avrebbe spezzato quel maleficio, riportando la giustizia dove non c'era. –

Alzai lo sguardo solo allora, incontrando quello di Graham, silenzioso e tremendamente consapevole. Deglutii, sentendo d'improvviso un familiare dolore al cuore, che sembrava voler esplodere in un forte calore. Avevo le guance in fiamme. Graham continuava a guardarmi, senza proferire parola. Mi sforzai di sorridere, ma non avevo idea di cosa stessi facendo, in realtà. Stavo ancora sognando, magari? Fu Nicholas a riportarmi alla realtà, nel momento entrambi lo sentimmo sbadigliare. Lo guardammo, poi Graham rialzò lo sguardo su di me.

Sembra proprio che la tua storia l'abbia annoiato... –

Arrossii e annuii. – O magari gli ha messo sonno... è tardi, Nicholas... torniamo a letto? – chiesi. Il bambino prese con sé Oz e mi guardò, annuendo.

Bene... – dissi e mi alzai, prendendolo con me.

Buonan---

La voce del detective Graham si spezzò nel vedere la manina di Nicholas afferrargli la maglia nera a maniche corte che portava come pigiama. Ci guardammo perplessi.

Vuoi rimanere qui col detective Graham? – gli chiesi. Il piccolo scosse la testa, rivolgendomi un broncio. Tornai a guardare il capo, che battè le palpebre, poi gli accarezzò i capelli.

Hai Oz con te. E lui proteggerà sia te che Kate. – disse.

Quel commento mi strappò un sorriso, ma Nicholas fu irremovibile. Mi affidò Oz e prese Graham per mano, tirando affinchè si alzasse. Quando comprendemmo cosa volesse ci rivolgemmo uno sguardo incerto e imbarazzato.

N-Non... Nicholas, il detective Graham non può dormire con noi... – balbettai, cercando di dissimulare il mio disagio, del tutto indifferente al bambino, che prese per mano anche me.

Graham guardò Nicholas, poi me. – Non otterrai nulla a parole... tanto vale tenerlo contento almeno fino a che non si addormenterà. – bisbigliò.

Eh... – commentai, sospirando, con buona pace del mio cuore in subbuglio. Cominciavo a capire cosa avesse voluto intendere Lucy.

Così, nella speranza di rassicurare Nicholas, ci recammo tutti insieme, Oz compreso, nella stanza padronale. Il piccolo fu il primo a fiondarsi nel letto dopo aver ripreso il peluche. Sembrava entusiasta. Graham non trattenne una risatina e poi mi guardò, inarcando le sopracciglia.

Immagino mi toccherà dormire dal lato finestra. –

Distolsi lo sguardo. – Generalmente dorme dall'altra parte? –

Posso dormire sulla poltrona. –

No! No, non c'è... non c'è bisogno... – dissi, sedendomi sul letto e alzando lo sguardo verso di lui, sperando di sdrammatizzare con una battuta. – Purché non scalci. –

Oh? Beh, questo non posso garantirlo. – rispose e gli fui grata, perché le sue parole mi aiutarono a tranquillizzarmi.

Entrò anche lui nel letto, che si piegò appena sotto il suo peso. Non appena l'ebbe fatto, mi misi sotto le coperte anch'io, grata del fatto che Nicholas fosse tra di noi, stringendo Oz. Spegnemmo le luci, sebbene il fatto che l'ampia tenda non fosse del tutto chiusa permettesse una leggera penombra che rendeva visibili tutti e tre. Posai la mano sulle manine di Nicholas, mentre Graham inclinò un braccio sotto al cuscino, voltato verso di noi. Da sopra la testolina del piccolo, potevamo vederci tranquillamente in viso. Mi ritrovai a sperare che non si rendesse conto di quanto il mio cuore, in quel momento, avesse ripreso a battere forte, nell'averlo praticamente di fronte a me, così vicino, in un contesto tanto intimo. Continuavo a ripetere a me stessa di non lasciarmi imbambolare dal pensiero di qualcosa che non solo non sarebbe mai accaduta, ma anche che non era giusta, né perché fossimo colleghi e lui era, di fatto, il mio superiore, né a livello personale. Lui teneva ancora alla sua ex moglie, lo sapevo bene. E io non potevo fare qualcosa del genere a Trevor. Il ricordo dell'incubo avuto solo poco prima tornò a farsi sentire. Com'era possibile che avessi immaginato Trevor al posto del Mago? Lo uccidevo utilizzando la pistola di Graham e questo era simbolico del senso di colpa che provavo. Non avrei mai potuto fargli qualcosa del genere. Eppure, non riuscivo a calmare la tempesta che si agitava dentro di me. Non osai alzare lo sguardo, ma non era facile nemmeno prender di nuovo sonno, sapendolo così prossimo da riuscire quasi a sentire il suo respiro. Forse, i miei sensi allertati avvertivano le sensazioni con più intensità. Decisi allora di concentrarmi su Nicholas, che, poco a poco, si rilassò fino a riaddormentarsi. Non so dire quanto tempo gli ci volle, ma fui davvero invidiosa di quanto semplice fu la cosa. Solo quando sentii la presa delle sue manine su Oz allentarsi, rivolsi una timida occhiata oltre lui, non sapendo cosa aspettarmi. E quello che vidi, fece sì che il mio cuore ballerino saltasse un battito. Alexander Graham si era addormentato. Il suo viso era rilassato e il suo respiro si era fatto più profondo e regolare. Fu allora che mi concessi di guardarlo apertamente, sistemandomi un po' per avere una migliore visuale. La luce che filtrava dall'esterno illuminava leggermente parte del suo volto, che appariva incredibilmente innocente, quasi vulnerabile. Indugiai su quei capelli scuri ribelli con i ciuffi che coprivano in parte i tratti spigolosi, su quelle labbra ben definite appena socchiuse e ancora ammaccate in seguito allo scontro della notte precedente. Mordicchiai le mie labbra, pensando che forse, esausto com'era, al sol contatto con il suo letto caldo e morbido, si doveva essere lasciato andare al sonno. Ripensai alla sensazione che avevo provato poco prima, ai suoi occhi che cercavano di dare una spiegazione al perché mi fossi inventata quell'assurda storia. Già... perchè lui tutto era tranne che un eroe. Anzi, a dirla tutta, aveva più scheletri nell'armadio lui di chiunque altro. Eppure, in quel momento, la sua presenza, sapere che c'era lui accanto a noi, mi tranquillizzò, a dispetto della tensione precedente.

Buonanotte, Alexander... – sussurrai appena, poi, finalmente, mi abbandonai anch'io, godendo di un sonno senza sogni.

 

Mi svegliai soltanto qualche ora più tardi, a prima mattina, a causa del solletico gentilmente offerto dai capelli di Nicholas. Non aprii subito gli occhi, perchè il tepore e la sensazione di calma e pace che stavo provando in quel momento erano una gradita beatitudine. Nicholas si muoveva, ogni tanto, ma non riuscivo a spostarmi più di tanto, perché avevo l'impressione che qualcosa mi impedisse di farlo. Non che mi desse particolaremente fastidio, a dire il vero, anzi, sembrava quasi familiare. Quando, riluttante, lo feci, capii il motivo: da qualche parte, durante la notte, Graham si era spostato, abbracciando sia me che Nicholas. A giudicare dalla luce, doveva aver albeggiato da poco. Dovetti fare uno sforzo non indifferente per non farmi venire un colpo. Il suo braccio sinistro era al morbido su di noi. Stavolta, potei osservarlo ancora meglio e notare qualche accennatissima ruga, immaginai data più dalle preoccupazioni che dall'età, che lo rendeva irresistibile. Facendo attenzione a non svegliare né lui né Nicholas e ricacciando indietro quel pensiero, mi scostai e mi alzai.

Dopo aver sciacquato al volo il viso, per riprendermi dalla notte passata, andai dritta in cucina. Pensai che preparare la colazione sarebbe stato un buon modo per tenere la mente occupata e per impegnarmi a non essere di peso. Solitamente, quando dormivo da Trevor, era lui a occuparsene, visto che era incredibilmente mattiniero e adorava viziarmi. Per cui, a casa, almeno quando potevo, mi regalavo un pasto decentemente bilanciato, tra toast con marmellata d'albicocche e caffè. Pensai a Nicholas che aveva adorato i croissant alla crema, ma da quel che potevo vedere, la dispensa di Graham scarseggiava. E così, usando quel che avevo trovato, optai per preparare i pancake che, grazie agli insegnamenti di mia madre nel tempo trascorso a casa, ormai mi venivano piuttosto bene. Mi detti da fare, perché volevo preparare tutto prima che si svegliassero. Ero al quinto pancake, un altro paio appena messo sulla piastra, quando mi ricordai di aver bisogno di qualcosa per decorarli. Mi sollevai sulle punte dei piedi a cercare negli stipi, facendo attenzione a non combinare qualche disastro.

Se cerchi lo sciroppo d'acero non ce l'ho. Troppo dolce. –

Sobbalzai e la scatola di cereali che avevo spostato quasi mi cadde addosso. Il braccio di Graham si tese, decisamente più lungo del mio, salvando la situazione. Mi voltai di colpo, trovandolo a praticamente un passo da me, scarmigliato, assonnato, scalzo e, cosa non meno importante, con uno dei miei pancake in bocca. – Mmmh. Buono. –

D-Detective Graham! – esclamai, balzando indietro.

Lui posò la scatola di cereali sul piano di lavoro e poi prese un barattolo di crema alle nocciole, che depositò accanto alla scatola. Solo in quel momento tornò a guardarmi.

Ieri notte ero Alexander. – disse, l'immagine della verecondia, mentre si passava il dorso dell'indice sulle labbra per pulirle.

Quel gesto mi fece deglutire, soprattutto perchè mi ritrovai a fissarle nuovamente. Scossi la testa, riflettendo sulle sue parole. – Non stava dormendo?! –

Roteò appena lo sguardo, appoggiandosi al marmo nero del piano di lavoro dietro di lui e incrociando le lunghe gambe. – Mi sono addormentato dopo di te. –

Lei è... –

Mi rivolse un sorrisetto, che lentamente lasciò il posto a un tono di richiesta. – Ascolta... so che ti viene difficile, ma... che ne dici di provare a togliere quel lei? Mi rende nervoso sentire questa formalità anche adesso che abbiamo persino condiviso il letto. –

Istintivamente, feci per dire qualcosa di improponibile, ma nelle sue parole, stavolta, non c'era volontà di sfida. Si trattava di una richiesta tutto sommato legittima. Per me, però, non era così facile. Se mi fossi rivolta a lui in modo più confidenziale, cosa sarebbe cambiato? Pensai che, dopotutto, nel Dipartimento, erano abituati a darsi tutti del tu, pur mantenendo la professionalità, dunque, alla fine, non sarebbe stato poi così drammatico se ci avessi provato. Certo, avrebbe anche potuto evitare di usare il pretesto dell'aver dormito insieme, ma trattandosi di lui, non potevo aspettarmi nulla di diverso. Nel rifletterci, non mi ero resa conto dell'odore di bruciato che proveniva dalla piastra. Ci guardammo entrambi, rendendoci conto all'istante del guaio.

I pancake!! – esclamai, nello stesso momento in cui lui si sporse a spegnere il fornello e, inavvertitamente, quasi a toccare il manico della piastra.

Non farlo! – urlai, sporgendomi a bloccare le sue mani prima del fattaccio.

Graham... Alexander, mi guardò. – È sicuro, non brucia. – disse, perplesso.

Cosa? –

Stavolta si mise a ridere, poi sciolse le nostre mani e mi fece vedere che, in effetti, non bruciava, ma era appena caldo. – Oh... –

Però, grazie. – aggiunse. Se si riferisse al fatto che avevo acconsentito, inconsciamente, alla sua richiesta oppure avevo evitato (vanamente, dato che il rischio non sussisteva) che si bruciasse, non lo sapevo.

N-Non c'è di che... –

E ora... come si fa con i pancake? – domandò, con il tono di chi, evidentemente, li apprezzava. Lo guardai. – Uno a lei... a te e gli altri a Nicholas. –

Oppure puoi prepararne qualcun altro mentre io preparo il caffè. –

Con quel residuato bellico? – domandai, indicando la moka. Ormai, mi ero abituata a bere il caffè della macchinetta, tanto più che Lucy e io ne avevamo comprato una per casa.

Porta rispetto, eh? Vecchia è vecchia, ma fa benissimo il suo dovere. – borbottò, spostando intanto la piastra dal fuoco spento e dandosi da fare per pulirla.

C'era un che di vigoroso nel modo in cui le sue braccia e le sue mani si impegnavano. Sospirai, ma non riuscii a trattenere un sorriso, che sperai non vedesse, al pensiero di aver rotto le formalità. Non mi ero resa conto di quanto lo sperassi fino a quel momento e, a dispetto di quanto pensassi, non sembrava essere poi così difficile. – Anche lì. Vedi, c'è un'incrostazione. – indicai, raggiungendolo.

Sì sì... vedo. –

Mi misi a ridere.

Sei di buonumore? –

Ha un non so che di divertente vederl-- vederti alle prese con i lavori domestici. Ti rende meno detective Graham e più Alexander. –

Stavolta fu il suo turno di ridere. – Questa è nuova. Che ne dici di finire di preparare la colazione, piuttosto? –

Gli risposi mettendomi sull'attenti. – Sissignore! –

Sì, sfotti. – borbottò, ma con un tono giocoso che ebbe come effetto il far scivolare tutta la tensione fino a quel momento accumulata.

E così, il secondo giorno di permanenza a casa Graham era iniziato. 

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Capitolo 19
*** IX. seconda parte ***


Buon pomeriggio e buon inizio di settimana!! Seconda e finale parte del nono capitolo che, come ricordo, è uno dei miei preferiti!! Buona lettura, grazie infinite per il sostegno e alla prossima!!

 

 

 

 

 

 

 

 

Come da accordi con Vaughn, l'agente Ortega e il dottor Howell, a partire da quello stesso giorno, portammo Nicholas in Dipartimento affinchè Selina potesse monitorare la sua condizione fisica. Inizialmente, questo aveva rappresentato un serio momento di difficoltà perchè, nonostante avessi spiegato al piccolo che non c'era nulla da temere, l'idea di farsi esaminare nuovamente lo spaventava. Così, tra tentativi di fuga, urla e pianti che avevano scosso il personale, non abituato alla presenza di un bambino, avemmo un bel po' da fare per tranquillizzarlo e per fargli capire che non gli sarebbe stato fatto nulla di male. A soffrirne di più, a quanto ebbi modo di notare, fu la stessa Selina, nonostante fosse stata la prima ad offrirsi per tenere sott'occhio Nicholas. Non mi era affatto sfuggito il suo interessamento per il bambino e mi resi conto che dovesse esserci una motivazione piuttosto seria dietro ai suoi comportamenti. Occorse tutto il suo impegno per far sì che Nicholas accettasse di farsi visitare, ovviamente in presenza mia e rigorosamente, nell'ufficio di Selina, mentre poco più su, il lavoro continuava come al solito.

Fu così per i primi giorni, in cui Nicholas piangeva ogni qualvolta dovesse essere visitato, ma poi, poco a poco, grazie agli stratagemmi di Jace e ai giochi dell'agente Jones, si abituò e in breve, finì col diventare la mascotte del V Dipartimento, con buona pace del capo. Inoltre, per permettere a me e ad Alexander di non assentarci contemporaneamente e di garantire la supervisione costante di Nicholas, il dottor Howell optò per una rimodulazione del nostro orario di lavoro e questo ci consentì di lavorare anche da casa. Così, non era raro che trascorressi parte della mia giornata a studiare e ad elaborare profili su casi ordinari e, al tempo stesso, di lavorare con Nicholas, al fine di cercare di sviluppare le sue abilità linguistiche... e a supervisionare affinché Alexander non insegnasse i rudimenti del gioco d'azzardo a un bambino di sei anni. In realtà, dovevo ammettere che era uno spasso vederlo alle prese con spiegazioni di quantità e operazioni elementari usando persino le carte da poker come materiale didattico.

Poco a poco, quei giorni diventarono settimane e finimmo con l'instaurare una relativamente pacifica routine, fatta di alti e di bassi, di momenti di divertimento con Lucy, che ben presto finì con l'innamorarsi di Nicholas e si autoproclamò sua zia preferita, in perfetta linea con Jace, di rivelazioni inattese come il suicidio in cella di Richard Kenner che ci sconvolse particolarmente, di relativi successi dal punto di vista dei progressi del piccolo, almeno a livello di comunicazione non verbale e, anche, di complicazioni a livello personale. Accadde così, un pomeriggio di metà maggio.

Nel far la spesa, il giorno prima, avevo trovato delle pistole ad acqua. Dal momento che, durante quei mesi, mi ero esercitata al poligono di tiro insieme ad Alexis per migliorare la mia tecnica ed ero riuscita ad ottenere anch'io una pistola d'ordinanza, avevo pensato di organizzare uno scherzo ad Alexander. Senza contare che, così, speravo di smorzare il suo malumore per la fine di Kenner, per cui si sarebbe aspettato una condanna trionfale. Avevo posato l'arma finta sul muretto che separava l'ingresso di casa dal loft vero e proprio, insieme a un biglietto che recava la seguente dicitura:

 


Nicholas e io ci siamo nascosti. Siamo armati e pericolosi. Questa è per te. Puoi controllare sia carica. Vince chi colpisce per primo l'avversario. Chi perderà, cucinerà la cena e laverà i piatti.

Buona fortuna.

K&N

 

Dopo aver posizionato tutto, dissi a Nicholas di nascondersi in un posto in cui non sarebbe stato visto e lui, guardandosi intorno, optò per il letto. Mi misi a ridere, raccomandandogli di rimanere nascosto fino a che non fosse stato sicuro di cogliere di sorpresa Alexander. Mi rivolse un sorriso enorme e annuì, poi corse a fiondarsi sotto le coperte. Guardai l'orologio, che segnava quasi le 19:00. Sarebbe arrivato di lì a poco. Con l'adrenalina che cominciava a scorrermi nelle vene, presi la mia pistola giocattolo e mi nascosi nella stanza che lui aveva adibito ad ufficio/palestra, facendomi piccola piccola dietro a una tenda. Sapevo che Nicholas sarebbe rimasto zitto e buono, ma per un attimo, mi ritrovai a pensare a cos'avesse dovuto provare quando si nascose nello sgabuzzino in cui l'avevo trovato. Non ebbi tempo di darmi risposta che sentii la porta aprirsi e la voce di Alexander che ci annunciava di essere a casa.

Sul serio? – lo sentii borbottare in lontananza. Aveva letto il biglietto. Mi venne da ridere, ma mi trattenni.

Kate, davvero? Hai intenzione di trasformare casa mia in un campo di battaglia? –

Mi stava decisamente sfidando.

Ma è ad acqua? –

Sentivo la sua voce farsi più vivida a ogni passo che faceva. Poi stette in silenzio e dovetti spostarmi leggermente per capire dove fosse. Aveva deciso di stare al gioco, ma, da bravo giocatore qual era, l'avrebbe fatto alle sue condizioni. L'avevo previsto, motivo per cui mi mantenni salda e non mi feci problemi. Mi nascosi dietro la porta, sollevando la pistola come mi aveva ricordato Alexis e attesi che passasse per coglierlo di sorpresa. Per essere più silenziosi, sia io che Nicholas avevamo tolto le ciabatte e, scalza, potei muovermi senza farmi sentire. Passò un bel po', ma di Alexander non c'era traccia. Evidentemente, stava attuando la mia stessa strategia e aspettava che qualcuno si muovesse, da bravo predatore. Doveva essersi appostato nel soggiorno di casa che, essendo open space, non aveva punti utili per nascondersi, ma, al tempo stesso, gli permetteva una visuale più ampia. Aveva capito che Nicholas e io ci eravamo nascosti nella zona notte e probabilmente, puntava sul logoramento, consapevole che non avremmo potuto resistere a lungo. Trattandosi di un gioco, aveva cambiato il suo modo di agire, dal momento che, conoscendolo, era incline ad attaccare e a non lasciar scampo all'avversario. Tuttavia, il fatto di essere in una zona aperta, lo rendeva un bersaglio facile, volendo. Se fossi stata abbastanza veloce da premere il grilletto prima che l'avesse fatto lui, avrei vinto. Presi un bel respiro, guardando la pistola ad acqua, poi mi decisi ad uscire allo scoperto, dopo essermi sincerata del fatto che Nicholas fosse ancora ben nascosto sotto le coperte. Quantomeno, se fossi stata beccata, lui avrebbe potuto ancora salvare la situazione. Presi un enorme respiro e mi avvicinai alla fine del corridoio, puntando. Un passo alla volta, i miei sensi tesi al massimo, ed entrai nel soggiorno, trovandolo vuoto.

Eh? – mormorai, incerta. Mi guardai intorno, ma di Alexander non c'era l'ombra.

Dove diavolo si era nascosto? Continuando a puntare, nel caso in cui fosse sbucato da qualche parte, mi mossi verso il centro della stanza, tenendo d'occhio ogni lato libero. Fu allora che mi accorsi che la finestra era semiaperta. Fuori c'era un balconcino, quindi, doveva essersi nascosto lì.

Hai capito che furbo? Altro che logoramento... questa è un'imboscata bella e buona... – sussurrai tra me e me, poi, cautamente, mi avvicinai alla finestra e la aprii, affacciandomi. Una ventata d'aria fresca mi costrinse a rientrare all'interno e a chiudere subito, non prima di essermi resa conto del fatto che si era trattato di una trappola. Mi ripresi immediatamente e, nell'arco di pochi secondi, mi voltai sollevando la mia pistola, appena in tempo per vedere Alexander a una decina di passi da me. Sorridendo della mia buona intuizione, puntai.

Beccato! –

Si era nascosto dietro la porta dell'ingresso e aveva ben pensato di prendermi nel sacco in quel modo, evidentemente. Con aria sorpresa, alzò le mani mettendole bene in vista, pistola compresa. – Sembra che tu abbia vinto. –

Ce l'avevo sotto tiro, ma non osai premere il grilletto. Avrei dovuto farlo, certo, ma era piuttosto strano il fatto che uno come lui, poco incline a vedersi messo alle strette, si arrendesse così. Osservai la sua postura, non rilassata come sarebbe dovuto essere, e il suo volto, su cui era comparsa un'espressione compiaciuta, come se stesse attendendo il momento propizio per intervenire. Me ne resi conto a mie spese quando, mosso qualche passo verso di lui, finii con lo scivolare su una piccola, ma decisamente intenzionale e recente pozza d'acqua, non più grande del mio palmo aperto, ma sufficiente a farmi perdere l'equilibrio, dal momento che ero ancora scalza.

Sei un baro, Alexander!! – urlai protestando.

E tu sei mia. – disse, sorridendo vittorioso, nello stesso istante in cui si affrettò a coprire la distanza tra di noi e a prendermi in braccio prima che finissi rovinosamente a terra. Ci finimmo entrambi, con lui che aveva una mano dietro alla mia testa e l'altra a reggere sia pistola che il nostro peso addosso. In quella posizione, seduta malamente tra le sue gambe, la mia pistola finita a terra, le mani appoggiate sul suo petto, potevo sentire tutto il suo profumo, l'ormai familiare Boss Bottled misto a un leggerissimo retrogusto di nicotina. Mi ritrovai a deglutire nel sentire il suo palmo scendere tra i miei capelli, fermandosi appena sulla mia nuca e poi incontrando il mio collo nudo. Al contatto, provai un brivido e istintivamente inarcai la schiena verso di lui, sentendo i suoi muscoli tendersi al contatto con le mie forme. Stando a casa e beneficiando di un clima più mite, avevo indossato una casacca più leggera e attraverso la stoffa, potevo sentire quasi il cotone della sua camicia bianca, pressata dai suoi pettorali. Sollevai il viso, incontrando il suo, così vicino da poterlo sfiorare. Il mio cuore non era il solo a batter forte, perchè mi sembrava di sentire lo stesso da parte sua. Mi concentrai per qualche attimo sui suoi occhi, che alla luce del crepuscolo avevano assunto una sfumatura più calda e intensa, seria... adulta e matura, diversa da quelle a cui pensavo di essermi ormai abituata... e interessata, a giudicare dalle sue pupille dilatate. E mentre mi guardava, il suo sguardo scivolò appena sulle mie labbra e poi più giù, tra le mie curve, per un attimo. Arrossii, ma non riuscii a scostarmi. C'era qualcosa in lui, per quanto mi ostinassi a negare, di cui non riuscivo a fare a meno. E quelle settimane trascorse insieme, nella quotidianità dei giorni e delle notti, non avevano affatto migliorato la situazione. Implicazioni, le aveva definite una volta Lucy. Complicazioni, le avrei definite io, in un momento di razionalità. Ma quello non era un momento di razionalità. C'era istinto, c'era un trasporto che esisteva dal primo momento in cui l'avevo incontrato e che, nonostante i reciproci tentativi di mantenere quella nostra relazione sul piano professionale, avevano finito, in quel momento, per esser vani. Ma se avessimo superato quella soglia, cosa sarebbe accaduto? Avrei mai potuto perdonare me stessa? Mi morsi le labbra e lui se ne accorse, tanto più che le sue dita mi fermarono. Col polpastrello del pollice, percorse l'arco turgido del mio labbro inferiore e quel gesto mi provocò un brivido. Il mio respiro si fece più veloce e d'improvviso, sentii la necessaria impellenza di chiudere quello spazio d'aria tra noi. E tu sei mia, aveva detto. In quel momento, stretta tra le sue braccia, lo ero. Anche lui tese il viso verso di me, ma quello che sarebbe potuto essere un inaspettato bacio non si concretizzò. Al contrario, posò la fronte contro la mia e la sua mano, che prima mi aveva fermato dal mordermi le labbra, tornò tra i miei capelli, tenendomi vicina a lui. Quel gesto mi stupì e suscitò in me un moto di imbarazzo e frustrazione che sfogai tra le lacrime. Singhiozzai, nel rendermi conto del motivo per cui si era tirato indietro.

Perdonami... baciarti ora... non sarebbe giusto... – sussurrò, con voce bassa e lievemente roca.

Sgranai gli occhi e annuii. Trevor. Durante quelle settimane, Hannah mi aveva ripetutamente chiesto di vederci, ma a causa della situazione in cui mi trovavo, pensavo che non avrebbe compreso e avevo temporeggiato. Solo quando ebbi avuto l'ok da parte del dottor Howell e l'ebbi incontrata, mi resi conto di quanto il dolore che lei e la sua famiglia stavano provando, unito al non aver avuto alcun risultato nella ricerca del Mago, aveva finito per tirar fuori l'odio nei miei confronti. L'ultima volta, dopo il funerale di Trevor, ci eravamo congedate da amiche, ma Alexis mi aveva messo in guardia. Hannah ora mi considerava la diretta causa della morte del suo amato fratello. Sapevo di esserlo, ma non mi aspettavo che sentirmelo spiattellare in faccia in quel modo facesse così male. In più, il fatto di non essere riuscita ad assicurnare il suo assassino alla giustizia, mi rendeva ulteriormente colpevole, ai suoi occhi. Mi aveva insultato, dicendomi che alla fine, avevo ottenuto quello che volevo, che tolto di mezzo Trevor, potevo dedicarmi alla persona che realmente amavo e aveva insinuato che ci andassi a letto già da prima della sua morte. A quel commento, non ci avevo visto più e l'avevo schiaffeggiata. Ma nulla era stato così difficile come il realizzare che, man mano che i giorni passavano, se Trevor era più vivo che mai nei ricordi della sua famiglia, nei miei diventava sempre più sbiadito. Pensai di non avere cuore. Pensai che forse, dopotutto, Hannah aveva ragione a darmi della stronza senza sentimenti. Pensai che, forse, meritavo quell'odio, perchè Trevor era morto per me. Nei miei incubi, ero io a premere il grilletto contro il Mago e questi continuava a rivelarsi col suo volto. Era come se il mio subconscio volesse dirmi qualcosa che ero stata in grado di decifrare soltanto in parte. E quella parte contemplava Alexander. Durante il tempo trascorso insieme, anche il nostro rapporto era migliorato. Era come se la presenza di Nicholas avesse realmente ravvivato quel raggio di luce che si era affievolito con la morte di Lily. Avevamo avuto tante occasioni per conversare e Alexander non aveva lesinato sui racconti. E man mano che il suo passato prendeva forma, avevo imparato a capirlo, a comprendere le motivazioni dietro ai suoi comportamenti alle volte distruttivi, dietro ai suoi silenzi e ai suoi modi talvolta bruschi. Cercava di proteggere se stesso dalla sofferenza e di espiare quella che considerava la sua colpa. Mi ero resa conto di come fosse andato avanti, in tutti quegli anni, a costo di rinunciare per sempre all'amore che un tempo aveva nutrito per Elizabeth e farsi forte solo del legame con la sua piccolina. E poco a poco, aveva fatto entrare anche me nel suo mondo.

Però, in quel momento, restava il fatto che si era tirato indietro. Mi vergognai di aver fatto qualcosa che non dovevo e posai la fronte nell'incavo tra la sua spalla e il collo, su cui potevo scorgere parte del suo tatuaggio ben inchiostrato. Posò la guancia vicino alla mia, continuando a stringermi forte, senza dir nulla. Probabilmente anche lui doveva essere a disagio tanto quanto me. Solo dopo un po' si decise a dire qualcosa e io mi scostai, tornando a guardarlo. Toccò a lui sgranare appena gli occhi e mi sentii ancor di più uno schifo, incapace perfino di controllare le mie stesse lacrime.

Kate... –

Perchè fai piangere Kate?! Cattivo!! –

Sobbalzammo entrambi nel sentire una vocina squillante, furiosa, ma quasi sul punto di piangere. Ci voltammo verso la zona notte. Nicholas era teso come una corda di violino. Gli occhioni azzurri erano pieni di lacrimoni e il musetto era contratto in una smorfia arrabbiata. Ma a sorprenderci più di ogni altra cosa, fu l'aver sentito la sua voce. Pensai di essermelo immaginato, dunque mi rivolsi a lui.

N-Nicholas... cos'hai detto? –

Scoppiò a piangere e corse da noi, saltandoci addosso.

Kate!! Kate!! – urlò, abbracciandomi.

Lo strinsi forte, guardando Alexander che, insieme a me, ora si trovava a reggere anche Nicholas, in un bel guazzabuglio. Non sapendo cosa dire, mi sorrise rassegnato. Io accarezzai i capelli d'ebano del piccolo e non riuscii a trattenermi.

Piccolino... ce l'hai fatta!! – esclamai. Nicholas si strinse al mio petto.

Mpf... alla fine, qualcosa di buono ne è uscito, eh? –

Annuii, sorridendo, ma Nicholas, dando sfoggio di un broncio d'autore, si rivolse ad Alexander, che lo guardò perplesso, battendo le palpebre.

N-Non ce l'hai con me, vero? –

Sei cattivo... hai fatto piangere Kate... –

No, tesoro, sta' tranquillo... è solo che sono scivolata... – dissi, nel tentativo di sviare la sua attenzione, ma sentirlo parlare era qualcosa di così inatteso e sperato che temetti di star sbagliando.

Nicholas mi guardò, poi afferrò la pistola che era caduta vicino a noi e la puntò dritto verso Alexander.

No, Nicholas, non è colpa di Ale--

Sei finito! – esclamò risoluto e, in barba alle mie parole, senza che nemmeno Alexander, nella posizione in cui si trovava, potesse scostarsi, finì con l'innaffiarlo per bene. Sgranai gli occhi, incredula, poi, nel vederlo fradicio e con i folti capelli afflosciati come se avesse appena fatto lo shampoo, scoppiai a ridere.

Ben ti sta! Scacco matto! –

Alexander riprese fiato, poi portò indietro le ciocche castane, liberando la fronte.

Questa me la paghi, Kate! E tu, monello, questa non dovevi farmela! – esclamò, disarmando Nicholas e dandosi al contrattacco col solletico. Nicholas scoppiò a ridere, divincolandosi e io, pronta a difendere il mio compagnetto di squadra, mi unii a mia volta al seguito della battaglia. Almeno per quel momento, la tensione era scemata.

 

***


Trascorsero diversi giorni da quel momento. La felicità del sentire finalmente Nicholas parlare aveva finito con il mettere in secondo piano ciò che c'era e non c'era stato con Alexander. I nostri sforzi, in quel momento, erano stati finalizzati ad aiutarlo. Ed era servito. Poco a poco, superando il blocco, Nicholas aveva ri-imparato a parlare, esprimendo le sue emozioni non soltanto con le azioni, ma anche con le parole. Davanti a Selina e al dottor Howell aveva raccontato di ciò che aveva visto negli anni trascorsi con i Cruise e aveva pianto pensando alla sua mamma, che si era congedata da lui con la promessa di un futuro migliore. Purtroppo, Karina non aveva potuto tenervi fede di persona, ma grazie alla collaborazione di Sarah Reyes e ad Alejandra Ortega, adesso Nicholas era al sicuro. Rimaneva da sciogliere un ultimo nodo prima di dichiararne l'adottabilità. Sapevamo che non avremmo potuto tenere Nicholas con noi per sempre e che il momento di dirgli addio sarebbe giunto, prima o poi. Il modo in cui ciò sarebbe accaduto era tutt'altra storia.

Una mattina di giugno, mentre Alexander e lo stesso Nicholas erano usciti per fare la spesa ed io ero impegnata a finire di stilare il report dell'ultimo caso chiuso, un omicidio passionale risoltosi con la cattura di un uomo che non accettava la fine della sua relazione col compagno, sentii suonare il campanello. Dal momento che non accadeva praticamente mai che Alexander dimenticasse le chiavi di casa e non attendevamo visite né consegne, ebbi un attimo di incertezza, temendo che potesse essere qualcuno di sgradito o pericoloso. In tutto quel tempo, i miei incubi non si erano affatto placati e in quel frangente, mi venne in mente che Trevor, probabilmente, aveva dovuto aprire al Mago senza pensare alle conseguenze. Risposi cautamente al citofono, per tranquillizzarmi nell'istante in cui sentii la voce di Selina annunciarsi.

Quando fu da me, impeccabile nel suo chignon nero, blazer chiaro, jeans che ne fasciavano le lunghe gambe e decolleté aperte rosse, rimpiansi di non aver avuto il tempo di darmi una sistemata.

Perdona l'improvvisata, Kate. Alexander non è ancora tornato, vero? –

Scossi la testa, mentre ci accomodavamo in soggiorno. – Credo ne avrà ancora per un po'. Nicholas è molto curioso e quando si esce, vuol sapere qualunque cosa capiti a tiro. –

Selina sorrise, poi ci sedemmo sul grande divano. Si guardò intorno, tra libri, quaderni e giochi. – Sembra davvero tornato il sole qui. Quando Alexander viveva da solo, sembrava tutto così... spento. –

Annuii. – Capisco cosa intende. In effetti quando sono arrivata, dava l'idea della casa di qualcuno che non faceva entrare nessuno nel suo mondo. –

Selina fu d'accordo, poi fissò il lungo sguardo prima sulla foto di Lily e dopo sui quaderni di Nicholas. – Però, alla fine, siete riusciti a entrarci. –

In fondo... credo che anche lui ne avesse bisogno. E Nicholas è riuscito a smuovere qualcosa dentro il suo cuore. –

Lei sorrise, poi mi guardò, con i suoi begli occhi ambrati. – Come va? –

Capii subito cosa intendesse e sospirai. – È... è complicato. –

Quando si tratta di Lex, tutto è complicato. –

Assentii. – Lucy mi aveva messo in guardia una volta... credevo che sarebbe più semplice dal momento che si sarebbe trattato di poco tempo, ma sono almeno due mesi che siamo qui... e... a volte... è complicato. –

Selina mi prese le mani. Le sue unghie erano di un lucidissimo ciliegia e attorno al suo anulare sinistro brillava un solitario che a occhio e croce doveva esser costato almeno 3000 dollari. Un moto di dolore mi pervase nel ricordare l'anello che Trevor intendeva regalarmi e che era giunto a me nel peggiore dei modi. Ora, riposava per sempre con lui e con la promessa del nostro futuro insieme.

So che ti senti in colpa, Kate. Lo vedo, quando vi vedo entrambi in Dipartimento. So che per te perdere Trevor è stata una tragedia immensa e non riesco a immaginare fino in fondo quanto grande sia stato il tuo dolore. Ma so anche che non meritavi tutto questo e che a dispetto di quanto tu possa credere e pensare di te stessa... meriti di tornare ad amare e ad essere amata. Che sia con Alexander, che sia con chiunque altro, non importa... ciò che conta è che tu ti renda conto che ciò che ti è accaduto non può pregiudicare la tua felicità. Sei una persona di rara empatia, Kate... e una preziosa amica. Hai fatto così tanto per Nicholas e, se non fosse stato per te, non avremmo avuto la possibilità di vederlo scorrazzare nel Dipartimento portando quella gioia che da troppo tempo non avevamo... per questo... promettimi che darai a te stessa la possibilità di ricevere quell'amore che riesci a dare senza che tu te ne accorga. –

Le sue parole, che ascoltai incredula, erano gentili e inaspettate, così tanto che sentii come se riuscissero a giungere direttamente al mio cuore. Nessuno, da quando Trevor era morto, mi aveva parlato così. Avevo ricevuto parole di conforto, abbracci e anche offese e queste, più che mai, avevano alimentato il mio senso di colpa. Però, in quel momento, con la voce di Selina così materna e rassicurante nel parlarmi così, sentii come se qualcosa si fosse smosso. Le sue mani affusolate furono adombrate dalle mie lacrime e mi ritrovai a singhiozzare.

Da quanto non ti sfogavi, Kate? –

Alzai lo sguardo, stavo tremando. – Io... io... –

Il suo viso era appannato ai miei occhi, ma la sua espressione era eloquente e materna nella sua dolcezza. Non so cosa mi prese, ma scoppiai a piangere e la abbracciai forte. Quel pianto, quella necessità di comprensione che non avevo realizzato prima di quel momento, fu catartico, in un certo senso. Mi sentii meglio, quando finalmente potei tornare in me.

Grazie, Selina... –

Lei sorrise, poi toccò a me farle una domanda. Avevo immaginato, in realtà, quale fosse il motivo per cui era venuta da sola. E non contemplava soltanto il farmi allentare la tensione.

Ha notizie dall'agente Vaughn, non è così? –

Le sue labbra si serrarono per qualche istante e la sua espressione si fece combattuta. Mi ritrovai a temere il peggio. – Selina? –

Chiuse gli occhi e sospirò, come se stesse provando emozioni contrastanti e non stesse riuscendo a darvi voce. Poi, raccolse la sua shopper nera Armani e ne tirò fuori una cartella, che mi porse. Recava l'intestazione “Nicholas Razinov”, il cognome originale del piccolo. Deglutii, prendendola tra le mani. La verità su di lui era scritta in quel fascicolo.

Non ho avuto il coraggio di leggerlo, Kate... non ce la faccio, da sola... –

La capivo. Mi ci era voluto del tempo per leggere il fascicolo sulla morte di Lily. Tutto ciò che riguardava la sorte di un bambino era difficile da affrontare. Le appoggiai una mano sulla spalla e sorrisi, stavolta. – Ci sono io. –

Lei annuì, sebbene la tensione fosse palpabile. Presi un respiro e aprii il fascicolo, insieme a lei. La sua storia era ricostruita, ma ciò che ci interessava sapere era poco. Madre: Karina Razinova. Padre: Nikolaj Zlatko. Nessun parente in vita. Nicholas era solo al mondo. La ricerca di Vaughn si era protratta molto a lungo per cercare tutti coloro che potessero essere in qualche modo legati al bambino. Mesi difficili, indagini laboriose che infine avevano decretato che Nicholas fosse non solo un orfano, ma anche che nessuno mai l'avrebbe reclamato. Pensandoci, era qualcosa di molto triste. Quel bambino non avrebbe mai avuto la possibilità di ricongiungersi con le sue origini. Però, d'altro canto, tutto ciò apriva alla possibilità di essere adottato.

Selina tirò un lungo sospiro di sollievo, poi mi guardò. – Pensi che sia ingiusta a esserne sollevata? –

Scossi la testa. – In fin dei conti... lo sono anch'io. Nicholas merita di più di qualcuno che non ha mai conosciuto... –

Mi guardò come se avessi appena dato risposta alla sua pena. – Kate... –

L'ho visto anch'io. Il modo in cui le brillavano gli occhi quando ha visto Nicholas per la prima volta. Com'è felice quando lui è in Dipartimento e può passarci del tempo insieme... –

Portò le dita alle labbra per soffocare un singhiozzo, ma i suoi occhi erano lucidi. E poi, accennò un sorriso triste.

Io... non posso avere figli. Figli miei. Soffro di una forma severa di endometriosi. Abbiamo provato in tutti i modi in questi anni, Marcus e io. Posso dire di essere arrivata a rinunciare, soprattutto dopo quello che... – il suo sguardo si fece più triste, quando lo rivolse verso la foto di Lily.

Non deve giustificarsi con me... la sua condizione non ha niente a che vedere col desiderio di diventare madre... –

Tu credi che... sì, insomma... se ci fosse la possibilità... Marcus e io potremmo candidarci per l'adozione? Noi ne abbiamo discusso a lungo naturalmente e anche lui è d'accordo. –

Sorrisi. – Credo che non ci sarebbero intoppi... oh, però... ora che ci penso, non siete ancora sposati... –

Il suo sguardo si ravvivò. – Il nostro matrimonio era già fissato per luglio, ma... quello non è un problema. Sono più che pronta a rinunciare a qualunque tipo di festeggiamento esclusivo e a sbrigare la formalità. D'altronde, si tratterebbe giusto di anticipare qualcosa che era già stabilito. –

Allora credo che abbiate ottime possibilità. Ah, soltanto una cosa. –

Qualunque, Kate. –

Mi prometta che non farà cose come forzare la situazione... insomma, so che può scomodare la Corte per i Diritti Umani e che è stata degna complice di Alexander ai tempi del Dark Circus, ma almeno lei, stavolta... per favore. Da parte mia ha tutto il mio supporto, ecco... ma non forzi la mano... –

Le mie parole la stupirono, ma non potè soffocare una risatina, insieme a una lacrima, a lungo trattenuta. – Oh no, Kate, no... vedi, in realtà, quello che ci giocava era Alexander. Ti confesso un segreto però: non ha così tanti agganci. A dirla tutta è solo molto bravo a rigirare le carte in tavola a suo vantaggio. –

Eh? –

– … Chi sarebbe bravo a rigirare le carte a suo vantaggio? –

La voce seccata di Alexander risuonò nel piccolo ingresso. Ci voltammo entrambe, vedendo lui e Nicholas sulla porta. Buste della spesa in mano il primo, un libro il secondo.

Kate, Selina!! Guardate!! Alexander mi ha comprato un nuovo libro da leggere insieme! – esclamò il piccolo, correndo da noi a mostrarci, trionfante, una copia de “I libri della giungla”. Gli occhi di Selina si aprirono in un'espressione meravigliata. – È una bellissima storia. Mowgli ti piacerà sicuramente. –

In effetti, proprio come Nicholas, Mowgli era un piccolo orfano, cresciuto da una famiglia non convenzionale. Nicholas annuì e i ciuffetti neri ballarono con lui.

Alexander si fece avanti, notando la cartella ancora tra le mie mani e dal fremito nelle sue sopracciglia capii che sapeva di cosa si trattasse. Mi alzai, tenendola con me.

Nicholas, ti va di cominciare a leggere qualcosa con Selina, per farle vedere quanto sei diventato bravo? Intanto io aiuto Alexander a sistemare la spesa. –

Nicholas assentì. – Però prima vado a lavare le mani! Non è vero, Doc? –

Selina sorrise. – Certo. L'igiene prima di tutto. Ti aiuto, ok? Posso? –

Alexander e io annuimmo e, mentre entrambi si recavano in bagno, ci dirigemmo in cucina.

Non dirmi che non ne sapevi nulla. –

Non stavolta. Avevo sentito Vaughn ieri, lo ammetto, ma non ha voluto dirmi nulla. Credo si sia stancato di farmi favori. – commentò con il tono dell'innocenza, tirando fuori gli acquisti.

Vorrei ben dire dopo quello che gli hai fatto rischiare. Ad ogni modo... Nicholas è adottabile. E Selina vorrebbe farsi avanti. –

Oh... – mormorò, mentre metteva a posto dei sacchetti di farina e di zucchero.

È tutto qui? Solo “oh”? –

Prese delle bottiglie e le posò sul tavolo. – Sono felice per Nicholas. Dopotutto, sapevamo che quel momento sarebbe arrivato, no? –

Strinsi il fascicolo tra le mie mani, mentre Nicholas tornava insieme a Selina. Mi soffermai a guardarli. Aveva ragione. Nicholas avrebbe finalmente avuto una famiglia vera. Qualcuno che col tempo avrebbe imparato a chiamare mamma e papà, probabilmente. Qualcuno che lo amava già incondizionatamente e che sin dal primo istante aveva combattuto per lui. Qualcuno che gli avrebbe garantito quel futuro che la sua mamma desiderava per lui. Sapevamo che sarebbe giunto il momento di separarci, ma per qualche ragione che non riuscivo a comprendere a fondo, speravo in cuor mio che accadesse il più tardi possibile.

Kate. –

Mi voltai verso Alexander, che mi guardava, comprensivo. Mi resi conto che anche lui, a modo suo, stava provando qualcosa di simile. – La sua felicità viene prima di qualunque cosa. –

Annuii, poi tornai a guardare Nicholas e Selina, seduti insieme a leggere.

Lo so... –

Occorsero alcune settimane perchè la procedura andasse a buon termine. La sola forzatura che Selina fece fu nei confronti dell'ufficiale giudiziario che avrebbe dovuto officiare la cerimonia nuziale. Una volta riuscita ad anticipare il tutto, in Municipio, alla presenza di sole famiglie e colleghi, vennero celebrate le nozze civili tra lei e il dottor Howell.

Elizabeth fece da testimone a Selina, mentre, con nostra enorme sorpresa, quello scapestrato di Jace fu l'impeccabile testimone del Procuratore. Il perchè fu davvero incredibile: i padri dei due erano vecchi amici nonché colleghi, essendo entrambi chirurghi affermati presso il MHG ed avevano collaborato più volte ad interventi di successo. Jace, ultimo figlio del professor Jack Norton, nonché sua spina nel fianco, era cresciuto a contatto con gli Howell e, nonostante la differenza d'età, lui e Marcus erano stretti. E così, ecco spiegato il motivo di tanta confidenza da parte di Jace nei confronti del gran capo. Ad ogni modo, quel giorno fu assolutamente perfetto, tanto che Lucy non nascose il suo desiderio di vedersi all'altare. Era la prima volta che la mia migliore amica parlava così, considerando che, pur essendo un'inguaribile romantica, era refrattaria all'idea del matrimonio. Nicholas, del canto suo, fu un paggetto adorabile e la cosa non sfuggì ad Elizabeth, che non perdeva occasione per aiutarlo nei momenti più importanti, sotto gli occhi del detective Wheeler e di Alexander. Dopo le nozze, Selina, fresca signora Howell, ci comunicò che avrebbero dato una festa poco più avanti, quando tutto fosse stato risolto.

Passarono altre due settimane, in cui preparammo Nicholas a quello che sarebbe accaduto. Nel mentre, la domanda dei neosposi fu accolta, grazie anche al fatto che il piccolo aveva avuto la possibilità di trascorrere quei mesi anche a contatto con loro e, da parte mia, fui ben felice di relazionare in loro favore. In realtà, ciò che fu difficile per me fu spiegargli che da un certo momento in poi non avrebbe più vissuto con me e con Alexander, ma avrebbe avuto una famiglia vera. Lui era certamente molto legato agli Howell, a Selina in particolare, ma dato ciò che aveva passato e le separazioni a cui era stato costretto già da piccolissimo, temeva l'abbandono. Una sera, l'ultima che passammo insieme, mi ci volle l'aiuto di Alexander per tranquillizzarlo sul fatto che, nonostante tutto, saremmo stati presenti nelle vite l'uno degli altri. Aveva pianto tanto, chiedendoci il perchè non avessimo presentato noi la domanda d'adozione e Alexander, che con Nicholas era capace di mostrare il suo lato più gentile e paterno, gli aveva spiegato il motivo per poi rassicurarlo, dicendo che non avrebbe avuto motivo di temere perché per lui ci saremmo stati sempre. Poi, solo quando si fu calmato, strappandoci la promessa di volergli sempre bene e di poter tornare ogni qualvolta lo volesse, ci chiese di leggere insieme la storia che gli avevamo letto quando era arrivato. Quando si addormentò, tra noi, gli rimboccai le coperte e mi ritrovai ad accarezzargli quel visetto addormentato per l'ultima volta.

Come farò a dirgli addio? – mormorai, scostandogli i capelli dal viso.

Alexander, che aveva posato il libro sul comodino, si voltò verso di noi, appoggiandosi su un gomito. – Non dovrai farlo. Si tratta di un arrivederci. Lui... può tornare. –

Mi si strinse il cuore nel sentire quelle parole e pensai di essere stata crudele a pronunciarle, senza riguardo dei suoi sentimenti. Lo guardai. I suoi occhi osservavano Nicholas, ma ciò che vedevano doveva essere molto più in là, in ciò che sarebbe potuto essere e che non poteva più. Sollevai la mano ad accarezzare la sua guancia e il suo sguardo incrociò il mio. Non dissi nulla. Sapevo che nessuna mia parola avrebbe potuto aiutarlo in quel momento. Stava elaborando anche lui quella separazione, a suo modo. Non sarebbe stato facile per nessuno di noi due, ma aveva ragione. Nicholas poteva tornare. Sentii la sua mascella irrigidirsi lievemente sotto la mia mano, poi, inaspettatamente, si voltò appena e sentii le sue labbra premute contro il palmo. Il mio cuore battè più forte, poi i suoi occhi tornarono nei miei.

Alexander... –

Mi sorrise appena, poi si scostò e affondò nel cuscino. – Domani sarà una giornata impegnativa. Buonanotte, Kate. –

Annuii, facendo lo stesso, mentre un moto di tristezza cercava di farsi largo nella ragione.

Buonanotte. – Spensi la luce e con essa, l'ultimo pensiero in quella notte che Nicholas trascorse con noi.

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Capitolo 20
*** X. prima parte ***


Buonasera e ben trovati!! Prima parte del X capitolo. Questo è in assoluto il capitolo più lungo, per cui sarà spezzato in più parti, anche brevi, sia per rendere pù agevole la lettura, sia per contenuto, ovviamente. Anche questo, come il precedente, è un capitolo che ho amato scrivere e che è tra i miei preferiti, capirete leggendo. <3 Ringrazio sempre per il supporto le mie instancabili lettrici, grazie davvero per il tempo che mi dedicate e per le vostre straordinarie parole!! <3 Vi metto un paio di note al termine!! Buona lettura e alla prossima!! 

 

 

 

 

 X ◊

 

 

 

 

 

Il giorno seguente, dopo aver preparato tutto ciò che era di Nicholas, ci recammo insieme in Dipartimento. Quando lasciammo casa, la sua espressione era mogia e pensierosa e anche nel metter piede in quello che anche per lui era diventato un posto sicuro, non era cambiata, tanto più che nessuno dei presenti si azzardò a dire qualcosa, per paura di scatenarne qualche reazione inconsulta. Ad attenderci, nell'ufficio che dividevo con Alexander, c'erano Selina e il dottor Howell. Quando li vide, Nicholas strinse più forte la mia mano. La cosa non sfuggì ai due, che si guardarono incerti.

Tesoro, è tutto ok. Ne abbiamo già parlato, non cambierà nulla rispetto a ciò che ci lega. – dissi, chinandomi alla sua altezza. I suoi occhioni azzurri mi restituirono uno sguardo serio. Avevo capito che si stava sforzando di non piangere più, magari per non fare una brutta figura davanti ai suoi nuovi genitori.

Guarda, Nicholas. – intervenne Alexander, richiamando la nostra attenzione e avvicinandosi a Selina e al Procuratore. – Anche se a volte sembra burbero e musone, posso assicurarti che Marcus è incredibilmente bravo alla Xbox One. Non sono mai riuscito a batterlo a quel gioco... come si chiama... –

Minecraft?! – incalzò Nicholas.

Lui annuì, sotto gli occhi perplessi del gran capo, che colse la palla in balzo. – Eh... sì, non ho perso una sola partita. –

Con me perderesti! –

Davvero? Allora dovrei proprio sfidarti, eh, Nicholas? – propose, sorridendo dolcemente.

Nicholas fece un cenno con la testa, incuriosito. – E... ti piacciono i libri? Io sono bravo a leggere. –

Selina sorrise e il dottor Howell si voltò a prenderne uno dalla scrivania di Alexander. – Si chiama “Le cronache di Narnia”. Quando vorrai, potremo leggerlo insieme. Ma dopo che avrai finito l'altro libro che ti ha regalato Alexander. Selina e io saremo ben felici di aiutarti. –

Per la prima volta in quei giorni, vidi finalmente la tensione allentarsi sul visetto di Nicholas. Mi guardò, tenendo ancora la mia mano e gli sorrisi. Sentiva il bisogno di chiedere il permesso. Gli detti un bacio sulla fronte e poi sollevai la sua manina. – Loro ti vogliono bene e anche noi te ne vogliamo. Sarà sempre così, Nicholas. –

Il suo musetto si increspò come se si stesse sforzando di trattenersi. Sciolsi la presa e lo abbracciai forte, stringendolo a me per l'ultima volta. – Coraggio, piccolino. Sei la persona più forte che conosca, Nicholas Howell. –

Non avevo ancora pronunciato il suo nome, il suo nuovo nome completo. Suonava bene e sembrava adatto a lui. Il piccolo scoppiò a piangere e, sotto gli occhi di tutti noi e quelli commossi altrettanto di Selina, mi dette un bacio sulla guancia, per poi scostarsi.

Ti voglio tanto bene, Kate... –

Annuii, commossa a mia volta. – Anch'io, piccolo, anch'io. –

Sorridemmo entrambi, poi prese un enorme sospiro e si scostò, voltandosi verso Alexander e raggiungendolo. – Grazie per quello che avete fatto per me... –

Alexander sorrise e si chinò, mostrandogli la mano aperta. – E se c'è qualcosa che non va, tu chiamami e io arrivo in un batter d'occhio. Ok? –

Nicholas sorrise e annuì, battendo il cinque. – Sì! –

Adesso vai. Mamma e papà ti aspettano. – disse e i neogenitori non trattennero la loro emozione a quelle parole. Alexander si rialzò e mi raggiunse mentre Selina e Marcus si chinarono per accogliere Nicholas. Quest'ultimo, dopo aver mormorato qualcosa che non riuscii a sentire, si avvicinò a loro e prese le mani di entrambi. – I-Io... io sono... molto... emozionato... –

Al sorriso gentile del gran capo fece eco quello radioso ed emozionato a sua volta di Selina, che, per la prima volta da quando la conoscevo, non si trattenne e liberò finalmente tutte le lacrime represse fino a quel momento, piangendo di gioia e abbracciando Nicholas, che fece lo stesso.

Dovetti trattenermi io, invece, tanto più che Alexander, posandomi una mano sulla spalla, mi fece cenno di uscire per lasciarli vivere quel momento in privato. Aveva ragione e così, forte della sua comprensione e della sicurezza del fatto che per il nostro piccolo Nicholas fosse cominciata una nuova vita, lasciammo la nuova famiglia Howell a legare.

 

Quando uscimmo, Jace ci raggiunse insieme agli altri, che rassicurammo sul fatto che tutto fosse infine andato bene. Il nostro hacker preferito, tuttavia, aveva delle novità importanti per noi.

Alla fine, ci sono riuscito, Kate. – esordì, raggiungendo la sua postazione.

Hai terminato il lavoro di Trevor? – chiesi, incredula.

Il suo sorriso si aprì soddisfatto ed emozionato. – Sì. Trevor aveva fatto un ottimo lavoro già da sé, ma c'era qualcosa che mancava nella modalità di rielaborazione delle immagini previste. –

Significa che possiamo scoprire l'identità del Mago ora? – domandò Alexander.

Deglutii, pensando al fatto che finalmente avremmo potuto mettere la parola fine a quella storia e affidare finalmente alla giustizia quell'assassino.

Quello che sappiamo è che il Mago è estremamente cauto. Non si è mai mostrato, è riuscito ad eludere tutte le videocamere di sorveglianza e a usare dei diversivi anche quando l'abbiamo incontrato personalmente. Tuttavia, tu Kate, sei riuscita a vedere dei particolari come la protuberanza sul suo polso sinistro. Dalla ricostruzione dell'ultimo incontro tra voi, capo, in più, siamo riusciti a capire che per stazza è intorno ai 200 cm e agli 85kg di peso. È incredibilmente forte, quindi non è da escludere che esegua costantemente degli allenamenti a corpo libero, data la sua propensione alla lotta libera. Altro particolare, gentilmente offerto da Kate, è il suo accento, che lo colloca in area balcanica. –

Jace, non stai aggiungendo niente di nuovo a quello che sapevamo già. – mi ritrovai a contestare.

Lo so, ma volevo fare il punto della situazione. – disse, aprendo il software che aveva ideato Trevor, che permetteva un'elaborazione precisa ad almeno il 93%. – Con questi dati e con un controllo incrociato nei database dell'Immigrazione, sono riuscito a restringere la cerchia ad almeno una trentina di persone presenti sul territorio, che potenzialmente coincidono col profilo. –

Ci sporgemmo tutti a guardare. Trenta persone non erano poche, ma di certo, era un inizio. Gli uomini presenti sembravano così ordinari e il fatto di non avere un identikit del suo volto rendeva molto complesso potersi orientare verso un profilo più che un altro. C'era anche da tenere in considerazione che potesse essere immigrato illegalmente e dunque, non essere presente nei database. Sospirai. – Chi è il più vicino, Jace? –

Fammi vedere... dunque... questo qui. Si chiama Ilian Tŭmen. E... guarda un po'... in passato gestiva un circo. – disse, mostrandoci la foto dell'uomo in questione.

Sobbalzai e guardai Alexander, che fissava la foto con un'aria che mi fece trasalire. Avevo già visto quello sguardo e non mi piaceva. Aveva decisamente qualcosa di pericoloso in mente.

Un circo... sul serio? – mormorò, stringendo il pugno con forza. – Dove risiede ora questo bastardo? –

Mh... fuori Boston, Westford. –

Dammi l'indirizzo. Andiamo a trovarlo. Daniel, vieni tu con me. –

Sì signore. – rispose l'agente Jones.

Vengo con voi! – esclamai, di rimando.

Alexander mi guardò con fare perentorio. – No. Non stavolta. Tu rimani qui. Se si tratta del Mago, non ho intenzione di metterti a rischio. –

Stai scherzando, spero. –

Mi rivolse un'occhiataccia e, dopo aver preso l'indirizzo, si incamminò verso l'uscita.

Alexander! –

Se non siamo tornati in tempo per la fine del turno, Jace, riaccompagnala a casa. –

Agli ordini, capo! –

Scossi la testa e lo raggiunsi. – Possiamo parlare un attimo in privato? –

Non ora. –

Strinsi il pugno. – Adesso. –

L'agente Jones fece spallucce e dette una pacca ad Alexander. – Ti aspetto in macchina. –

Disse, precedendolo, mentre Alexander mi rivolse uno sguardo seccato, prima di farmi strada al piano inferiore, nell'ufficio di Selina, temporaneamente vuoto. Quando ebbe chiuso, mi sentii improvvisamente in ansia. Non tornavo volentieri lì dopo quanto accaduto a Trevor, ma non avevamo altro posto dove andare, in quel momento.

Allora? – mi domandò, con tono impaziente.

Riflettei sul fatto che in tutti quegli anni, Alexander avesse dato la caccia a un fantasma. Quel fantasma, ora, era pericolosamente vicino a rivelarsi e questo avrebbe cambiato definitivamente le carte in tavola.

Se fosse il Mago... cosa faresti? Intendo... davvero. Una volta mi hai detto che l'avresti volentieri buttato in una cella per il resto della sua vita. Ma voglio che tu sia sincero, ora. –

Le sue labbra si serrarono nel silenzio, lasciando parlare il suo sguardo e la sua intera figura.

Sospirai. – Lo sapevo. Sei disposto a distruggere tutto questo... per la vendetta? –

Le sue sopracciglia fremettero appena, poi distolse lo sguardo. – Sono già sceso a patti con quello che è accaduto a mia figlia. E so che devo fermare quel mostro. –

Che menzogna si stava raccontando per giustificare quello che provava? Lo faceva per darsi uno scopo probabilmente, ma non c'era pensiero razionale che avrebbe tenuto, se si fosse trovato davanti l'uomo che gli aveva tolto Lily per sempre.

Credi che ti farebbe sentire meglio? Ho visto come sei balzato sull'attenti quando Jace ha detto che uno dei primi possibili sospetti vive qua vicino. I tuoi occhi... quel modo di studiare la preda... hai valutato le possibili alternative per stanarla e poi la tua espressione è diventata quella di una belva pronta all'azione una volta che l'avessi avuto tra le mani... c'era eccitazione in questo e ciò mi preoccupa... perché potresti non essere in grado di trattenerti se la situazione sfuggisse di mano. E se fosse il Mago, se si sentisse braccato, potrebbe fare una pazzia. Ha ucciso Trevor, Alexander! E per quanto tu sia bravo, per quanto preparato tu possa essere, l'ultima volta che ti sei battuto contro di lui ti ha disarmato e ferito! –

Non capisco cosa ti preoccupi di più, francamente. –

Deglutii a secco. – Esattamente come te, anch'io desidero ardentemente che quel criminale paghi per ciò che ha fatto a Lily, a Daisy, a Trevor... e per far questo, deve essere catturato vivo. Ma questo significherebbe anche mettere a rischio la tua stessa vita, perché sappiamo cosa sia in grado di fare. Ed è per questo che sono preoccupata per te. –

Beh, io sarei più preoccupato a portarti con me. –

E questo, infatti, ci porta al secondo punto. Ora... ora che Nicholas andrà a vivere con il dottor Howell e Selina, non c'è più bisogno che resti a casa tua. L'ho capito, sai? L'insistere per una sistemazione più adatta, il prediligere il lavoro da casa e ora il farmi riaccompagnare da Jace... non è tenendomi rinchiusa a tempo indeterminato che riuscirai a proteggermi dal Mago. –

La sua compostezza si incrinò e appoggiò le spalle al muro dietro di lui. Touché.

Che ti piaccia o no, sei stato tu a volermi nella tua squadra e a farmi diventare un agente operativo. E in quanto tale ho diritto di collaborare alle indagini anche sul campo. –

Mpf. –

Cercai di evitare di rispondere a quello sbuffo. – Quindi, formalmente, capitano Graham, chiedo di essere ri-assegnata all'azione su campo a tempo pieno. –

Dovevo averlo sorpreso, ma non cedette. – Occorrerà qualche giorno. –

Ma tu delle regole te ne freghi, no? –

Sospirò e mise la mano in faccia. – Dio, Kate. Puoi per una volta darmi retta? –

E tu puoi per una volta dar retta a me? –

Mi guardò. – Le tue condizioni. –

Se dovesse essere il Mago, non lo ucciderai. E se lui cercherà di uccidere te farai in modo di non farti ammazzare. –

Alexander aggrottò le sopracciglia. – E... perché ho la sensazione che non sia finita? –

Sostenni il suo sguardo e mi avvicinai a lui. Quando gli fui di fronte, cercai di essere quanto più solenne possibile. Lui non si scompose. – Ho bisogno che tu abbia fiducia anche in me. E questo significa che dovrai lasciarmi tornare a casa mia. –

Stavolta sospirò. – Va bene. Ma promettimi di aspettare il mio ritorno. Non prendere iniziative. –

Ok, ci sto. –

Posso andare? –

Un'ultima cosa. –

La sua espressione ora si era fatta perplessa.

Stai attento. –

Prese un profondo respiro, ricomponendo il suo sguardo, che si fece impassibile. Il discorso era terminato.

A dopo. – disse, prima di uscire e lasciarmi dietro di sé.

Sapevo che si sarebbe trattato di una soluzione temporanea, né tantomeno speravo di essere stata abbastanza convincente da fermarlo da se stesso prima che dal Mago, ma la verità era che, in cuor mio, avevo la sensazione che la persona in questione non sarebbe stata il nostro obiettivo.

Quando salii, erano andati via, mentre, in compenso, Nicholas e Selina erano fuori dall'ufficio e il piccolo stava giocando con delle nuove gashapon di Jace.

Kate! Dov'è andato Alexander? – mi domandò, nel vedermi.

A fare quello che gli riesce meglio... risolvere un caso. – risposi, accarezzandogli i capelli. Selina, appoggiata alla scrivania di Alexis, mentre quest'ultima era al telefono, impegnata, da quel che avevo capito, a spiegare a un'anziana che la nostra Sezione non si occupava di recuperare cagnolini smarriti, mi sorrise. – Oppure incasinarlo. – disse.

Annuii. – E il dottor Howell? –

Lavoro. Non c'è pace per lui. Però questa sera lo aspetta una sfida a cui non può proprio sottrarsi. –

Eh già... –

Credi che Alexander sia in pericolo, vero? –

Guardai Nicholas, che finalmente aveva ritrovato la grinta di sempre. – Spero di no... ma non posso nascondere di essere preoccupata. –

Andrà tutto bene, Kate, vedrai. – mi disse e le sorrisi, sebbene più di rimando che altro. Mi congedai e tornai in ufficio.

Dovevo far qualcosa, altrimenti mi sarei lasciata prendere dall'ansia più del dovuto. Così, decisi di ripartire dal rimettere in ordine. In tutti quei mesi, si erano accumulate pratiche di vecchi e nuovi casi. Mi misi all'opera e mi servì del tempo, ma alla fine, mi tenni occupata.

Tra le varie scartoffie in un vecchio fascicolo che riguardava un caso ormai chiuso da anni, trovai anche un paio di fogli con degli appunti che riguardavano il Mago, simili a quelli che avevo trovato sul manuale in casa Graham, ma più recenti. La cosa che mi fece intendere che si trattava di scrittura recente era il fatto che, tra i vari collegamenti, figurava anche il mio nome. Sapevo di essere legata in qualche modo al Mago a causa di Trevor, o meglio, Trevor ne era stato vittima a causa mia, ma ciò che mi stupì non fu il collegamento con il suo caso, bensì con i precedenti. Sull'ultimo foglio, c'erano dei rimandi a dei libri che avevo visto nell'ufficio/palestra di Alexander, ma senza farvi particolare caso.

Non è possibile... – mi morsi le labbra, infilai velocemente in tasca i fogli e presi la mia borsa.

Stai uscendo, Kate? – mi domandò Alexis, nel vedermi scendere.

Sì... urgenza. Nicholas e Selina? –

Sono giù. Ti accompagno? – chiese Jace, alzandosi dalla sua postazione.

No, no! Sarò di ritorno a breve. Mi sono soltanto dimenticata che avrei dovuto depositare una dichiarazione in Procura. Questi giorni sono stati frenetici e così mi è passato di mente. –

Ok. Ci vediamo dopo allora. –

Sì... ok. A dopo! – esclamai, affrettandomi ad uscire.

Attesi il passaggio del bus per Beacon Hill, col cuore in gola e mille idee che affollavano la mia testa, alcune, molte delle quali, contemplavano scenari che speravo si rivelassero un binario morto. Quando finalmente l'autobus arrivò, ci vollero almeno venti minuti per raggiungere il quartiere. Scesi alla fermata più vicina a casa e mi affrettai ad aprire e a salire. Alexander mi aveva dato un doppione delle chiavi che, fino a quel momento, non avevo mai utilizzato. Mi sentii una ladra quando entrai, in preda all'ansia che sembrava rendere tutto così improvvisamente impersonale.

Corsi nell'ufficio e, secondo foglio alla mano, cercai i libri indicati. Ognuno di quei testi, sfogliandoli, conteneva foto di referti e di evidenze, nonché appunti ben nascosti. Col cuore in gola, utilizzando il primo foglio che avevo con me, cercai di darvi un ordine, usando il pavimento come lavagna virtuale. Ogni singola parte, messa insieme secondo i collegamenti fatti da Alexander, raccontava qualcosa di più grande. Quando ebbi finito, vidi la ricostruzione completa del caso del Mago da quelle, che secondo lui, dovevano essere state le origini.

Oh mio Dio... – mormorai, nel rendermi conto, con orrore e sgomento, che Alexander mi riteneva, per qualche ragione, il potenziale caso zero.

Un forte mal di testa si sommò alla nausea in quel momento. Le immagini e le parole scorrevano davanti ai miei occhi vorticando, come se volessero raccontare quella storia. Trevor, il più recente, ucciso perché era un ostacolo. Vuoi sposarmi?, la scritta col sangue sul muro. Una proposta macabra che voleva ricordarmi che nessuno avrebbe dovuto mettersi in mezzo. Un accanimento tale da essere non soltanto una punizione, ma anche la promessa di sofferenza se avessi cercato di legarmi a qualcun altro. Daisy, morta lo stesso giorno in cui avevo terminato la mia ultima sessione d'esami. Un... distorto e inumano regalo per dirmi che lui c'era. Si era mostrato per la prima volta e io ero la sola ad averlo visto. Lily, morta sette anni prima, il giorno dopo il mio diciannovesimo compleanno. Mi venne un conato di vomito, come se mi avessero tirato un forte pugno nello stomaco. Regalo?, aveva scritto Alexander, la scrittura che aveva un'inclinazione diversa, molto più calcata, traboccante di rabbia. Tremavo ed ero talmente disconnessa da non rendermi conto subito del mio telefono che continuava a suonare, nella mia borsa, buttata in un angolo della stanza. Tremavo e continuavo scorrere referti e collegamenti, che andavano di pari passo con quelli che si formavano nella mia mente. Ricordavo che in alcuni momenti, nel corso degli anni, i miei genitori si erano ritrovati a discutere tra loro e che il loro volermi proteggere era maniacale, alle volte, tanto che era stato oggetto di importanti discussioni anche con me, ultima delle quali, dopo la morte di Trevor. Quando arrivai all'ipotesi finale di Alexander, ovvero quella sul perchè potessi essere il caso zero, trasalii.

Katherine Hastings. Tre anni. Circo. Pupazzo di peluche. Mago di Oz? Potrebbe essere entrata in contatto? Probabile caso zero.

La testa sembrava sul punto di esplodermi. Mi resi conto di essere nel mezzo di un attacco di panico.

Respirare. Trovare cinque contatti col mondo circostante. Vista. Olfatto. Udito. Gusto. Tatto. Toccai il pavimento sotto di me, ma il fiato era corto e non riuscivo a respirare. Avevo bisogno di uscire. Non potevo rimanere lì, ma il mio corpo non rispondeva più. Mi ritrovai a sentire la mia voce estranea e ovattata nelle mie stesse orecchie. Stavo urlando qualcosa. C'era fumo intorno a me, fumo colorato. L'odore dolciastro e nauseabondo. Aiuto! Qualcuno mi aiuti!

Il mio piccolo Oz tra le braccia. Una mano che si protendeva verso di me, con un'enorme cicatrice rossastra sul polso sinistro. Occhi neri che apparivano tra il fumo. Contorni poco definiti per darvi una forma esatta, ma sembrava calvo. Nessuna delle foto che Jace ci aveva mostrato aveva una figura del genere. Strinsi gli occhi, mentre quella mano prendeva la mia. Urlai terrorizzata, prima di precipitare nell'oscurità.

 

 

 

************************

Tadan! Allora... Kate ha finalmente cominciato a ricordare gli eventi del passato. In effetti, come Evee aveva previsto, Kate è effettivamente legata al Mago da mooooolto più tempo di quanto creda. Il punto è che ha praticamente rimosso per anni quel ricordo. C'è voluto uno shock, tale è il fatto che Alexander abbia indagato su di lei per tutto il tempo, per farle ricordare qualcosa. O almeno iniziare a ricordare. E veniamo ad Alexander che... aveva sospettato dal primo incontro con Kate un legame tra i due. :3 Chissà cosa ne verrà fuori... *sadica me* Alla prossima!!

 

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Capitolo 21
*** X. seconda parte ***


Kate? Mi senti? Kate? – una voce familiare, sebbene un po' ovattata, mi riportò alla realtà. Riaprii gli occhi, ritrovandomi sul divano. Sulle prime, mi ci volle un po' per rendermi conto di dove fossi, ma quando potei tornare in me, presi un gran sospiro di sollievo. Mi voltai verso Lucy, che era accanto a me.

L-Lucy? Che ci fai qui? Come... hai fatto ad entrare? –

Jace... è opera sua. Mi ha chiamato perché non rispondevi alle sue chiamate e dal momento che ero in giro, sono venuta a cercarti e ti ho trovato svenuta a terra. Come stai? Che è successo? Ah, prima che tu ti agiti, avevi lasciato la porta aperta. –

Mi tirai un po' su, subito ripresa dal forte mal di testa. – Mi scoppia la testa... come sapevi che ero qui? –

Lucy mi accarezzò i capelli e i suoi occhi cervoni si fecero più dolci. – Colpo di fortuna? Jace mi ha raccontato, in realtà piuttosto velocemente, che tu e il capitano Graham avevate discusso e che non c'era nessuna dichiarazione da depositare perché era già stato tutto sistemato. Pensava potessi aver seguito il detective, ma non avendo tu quell'indirizzo, ha scartato l'ipotesi. E così, ha pensato avessi dimenticato qualcosa a casa... era così? –

Sospirai, senza capirci granché, ma in quel momento, fui felice di vedere Lucy con me.

Più o meno... Lucy, ascolta... io ho bisogno di tornare a casa... a Shrewsbury... –

Lucy aggrottò le sopracciglia nere. – Eh? Come mai? –

Cercai di prendere fiato, al pensiero di quello che avevo ricordato. Poi, ricordai che nonostante avessi cercato di tenerla fuori dai casi, per proteggerla, un po' come, a suo modo, aveva fatto Alexander, si era ritrovata coinvolta. Alla fine, a cos'era servito tenere tutto segreto, quando ci eravamo dentro fino al collo?

Devo parlare con i miei genitori... e devo farlo di persona. Temo che riuscirebbero a mentirmi pur di proteggermi solo se telefonassi loro... – dissi, prendendo le sue mani. – Io... credo di aver incontrato il Mago da bambina. –

I suoi occhi si spalancarono in una muta espressione di incredulità.

Ti prego, Lucy... vieni con me. –

I-Io? Non sarebbe più indicato il detective Graham? Anzi, dovresti... –

Dirglielo? – finii, stringendo le sue mani. – No... voglio verificare e ho bisogno di farlo per conto mio... senza contare che... lui... lui mi ha mentito. –

Eh? –

Abbassai lo sguardo, pensando che mi aveva deliberatamente tenuta all'oscuro di tutte le sue indagini e, cosa ancor più grave, stava investigando anche su di me.

Kate? –

Scusa, Lucy... io non... ci sono ancora delle cose che non mi sono chiare e ho bisogno di capire. –

Lo so... e va bene, verrò con te. Però, a patto che tu non faccia cose sconsiderate. –

Mi morsi il labbro, al pensiero che, soltanto poche ore prima, avevo detto la stessa cosa ad Alexander. Alla fine, non eravamo poi così diversi. Sollevai il viso e la guardai. Aveva legato i capelli in una bella treccia alla francese, e la sua espressione preoccupata doveva esser stata molto simile alla mia.

Promesso. Grazie, Lucy... –

Mi sorrise appena, poco convinta, a dirla tutta, ma ormai, non avremmo più potuto tirarci indietro.

Non attendemmo oltre. Non potevo rischiare di perdere tempo prezioso, soprattutto dal momento che avevo cominciato a ricordare degli eventi che avevo, evidentemente, sublimato. Chiamai Selina, chiedendole di coprirmi. Sulle prime, preoccupata com'era, mi chiese di ragionare e di attendere il ritorno di Alexander che, ormai, cominciava a tardare. Avevo quasi totalmente la sicurezza del fatto che l'uomo che era andato a cercare non fosse il Mago. Quei contorni confusi restituivano un'immagine diversa e se fossi riuscita a ricordare di più, forse, attraverso il software di Trevor, saremmo riusciti ad ottenere un identikit nitido. Dissi poi a Nicholas che ci saremmo visti dopo un paio di giorni, alla festa organizzata per lui e per il matrimonio e, forse comprendendo la mia agitazione, mi ricordò quanto fossi forte ai suoi occhi. Dovevo esserlo, per affrontare quello che stava accadendo. Spensi il mio telefono per non avere ingerenze che non avrei potuto permettermi e Lucy, dopo aver controllato gli orari dei trasporti pubblici, fece lo stesso, sebbene a malincuore.

Prendemmo due autobus: il primo per raggiungere la fermata interurbana più vicina, il secondo, quello utile per Shrewsbury. Lucy, preoccupata come non mai, non mi mollò per un solo istante, in quello che si rivelò un viaggio sofferto e incredibilmente difficile, non soltanto per la distanza, ma anche per le implicazioni.

Se fosse stato così, se Alexander avesse avuto ragione, allora la morte della sua bambina e di Daisy avrebbero avuto avuto direttamente a che fare con me per qualche ragione che ancora non riuscivo a comprendere bene. E questo, avrebbe inevitabilmente cambiato ogni cosa. Sapevo di essere colpevole della morte di Trevor. Lui era legato a me direttamente, ma Lily e Daisy non le conoscevo. Non avevo saputo della loro esistenza fino a quando non ero stata trascinata nei casi che le riguardavano.

Durante il viaggio, mi ritrovai più volte ad avere nausea e forti giramenti di testa, tanto più che Lucy mi domandò se non fosse il caso di tornare indietro, ma non avrei più potuto, nemmeno se avessi voluto. Attanagliata tra impazienza, nausea e terrore, quando finalmente raggiungemmo Shrewsbury, era ormai pomeriggio.

Arrivammo a casa mia a piedi e, ad ogni passo, mi sentii come se fossi stata completamente risucchiata in un vortice di impersonalità. Per quanto ne capissi, in quel momento, ebbi la sensazione di vivere in un incubo senza fine, senza riuscire ad avere il controllo totale del mio corpo. Lucy, del canto suo, non disse altro, ma si limitò a starmi accanto, nonostante l'angoscia.

Armeggiai nella mia borsa per trovare le chiavi di casa e mi ritrovai a imprecare in preda alla rabbia.

Mamma! Papà! Aprite! Sono io! – urlai.

Lucy, sospirando, mi ricordò, facendolo, che sarebbe bastato suonare il campanello.

Fu mio padre ad aprire. L'espressione perplessa dipinta nel volto squadrato e negli occhi scuri si tramutò ben presto in preoccupazione. – Katherine? Lucinda? Che... –

Pochi istanti e anche mia madre si affacciò nel corridoio. – Ho sentito bene? Kate è qui? Teso-- – le sue parole si bloccarono, esattamente come per mio padre.

Deglutii a forza, ormai preda di un forte terrore. Una volta saputa la verità, non sarei più potuta tornare indietro. Cercai di non darla vinta alle lacrime e guardai i miei genitori, che sembravano, in quell'istante, aver capito cosa stesse accadendo. – Io sono stata rapita dal Mago quando avevo tre anni? – domandai, tutto d'un fiato. L'avevo detto, finalmente.

I miei genitori si guardarono tra loro e mia madre, sgranando gli occhi, scoppiò a piangere. Lucy portò la mano al cuore, sconvolta. Avevo avuto la mia prima risposta.

Papà cercò di mantenere il contegno e ci invitò a entrare. – Non qui, Kate. –

Anche lui, nonostante la severità, era scosso. Quando raggiungemmo il soggiorno, il profumo di casa mi fu d'aiuto per cercare di ritrovare un appiglio con la realtà, per quanto dura essa fosse. Mia madre, che continuava a singhiozzare, mi guardava come se fosse colpevole di qualcosa. Le posai la mano sulla spalla e la sua fu sulla mia.

Devo sapere come sono andate le cose. E devo saperlo da voi. Per favore. Io... io sto per impazzire. – spiegai.

Papà si sedette sul divano, chiedendo anche a me e a Lucy di fare altrimenti. Poi disse alla mamma di stare tranquilla e le chiese di portare un po' d'acqua per calmarci. Così, dopo quelli che mi sembrarono interminabili minuti, ma che si rivelarono provvidenziali per evitarmi una crisi di nervi, finalmente, mio padre si decise a raccontare.

Non sei stata... rapita, Katherine. Ma avevi tre anni, sì. Il giorno del tuo terzo compleanno, la mamma e io decidemmo di festeggiare andando in un ristorante. Di ritorno, dal momento che era una bella serata, facemmo quattro passi nelle vicinanze e fosti incuriosita dalle luci di un circo. Non ne eravamo grandi amanti, ma c'erano anche delle bancarelle e tanta gente intervenuta. Fu in quell'occasione che ti regalai Oz, ricordi? –

Annuii, cercando di fare mente locale. Mi rividi piccina, con un vestitino rosso addosso e Oz grande tra le mie braccia di bimba. – Ricordo che ero stata felicissima di vederlo. E che avrei voluto chiamarlo Oz perché ci sarebbe stato lo spettacolo del Mago di Oz, anche se si trattava di una scimmietta. –

Sì. Infatti fu quello il motivo per cui decidemmo di entrare a guardare lo spettacolo. Non era un circo come gli altri, tanto più che aveva un nome straniero. Ricordi come si chiamava, Christine? –

Mia madre, visibilmente angosciata, cercò di ricordare. – Credo fosse qualcosa come Tŭmen Tsirk, non ricordo bene... –

Guardai Lucy, che ascoltava perplessa e in pena tanto quanto me, poi bevvi un bicchiere d'acqua. Era lo stesso cognome dell'uomo che Alexander e l'agente Jones erano andati a trovare.

E poi? –

Entrammo a vedere lo spettacolo, che rappresentava, in effetti, proprio la storia del Mago di Oz, ma animata da artisti circensi, in una tre giorni. A un certo punto, avesti necessità e tu e la mamma andaste in cerca di un bagno all'esterno. – disse, guardando la mamma, che si morse le labbra.

Ricordo che c'era molta gente in giro e tanto fumo dall'odore forte. Ti tenevo per mano e cercavo di fare attenzione a non avvicinarci alle gabbie degli animali. A un certo punto, tu rischiavi di fare la pipì addosso e chiesi a una delle artiste vestite dalle Streghe che aveva finito il numero di indicarmi un bagno. Purtroppo, non parlava la nostra lingua e non sapevo se stesse capendo. Io, di certo, non ci riuscivo. Tu scoppiasti a piangere e per farmi capire, almeno a gesti, lasciai per qualche istante la tua mano. E in quel momento... oh Dio... in quel momento... – non riuscì ad andare avanti, perché il terrore e il tremore la scuotevano come se stesse rivivendo quella scena.

Oh Kate... – la voce di Lucy, rotta dalla tensione.

Mentre la mamma raccontava, altri ricordi si erano sommati a quelli precedenti.

La ricordavo gesticolare, così come ricordavo di avere tanto mal di testa per il pianto. Ricordavo che tutto quel fumo colorato l'aveva adombrata alla mia vista e la musica che veniva dal tendone, insieme a quella delle bancarelle, copriva sia il mio pianto che la mia voce mentre chiamavo la mamma. Ricordavo di essermi allontanata nella confusione e una sensazione di freddo e di umido nelle mie gambe di bimba coperte dai collant a pois. Ricordavo di aver camminato senza sapere dove stessi andando, fino a che, in quella bolla sospesa nel tempo e nello spazio, mi ero ritrovata a incrociare due occhi neri. Respirai, combattendo l'istinto di serrare i miei. La mano tesa verso di me, l'abito nero dalle maniche larghe, che non nascondevano quella che sembrava una cicatrice rossastra e che, ospitava, al suo interno, una specie di tubicino. Piangevo, anche quando la figura si chinò ad accarezzarmi i capelli e le due trecce in cui li portavo parzialmente legati, come la Dorothy dello spettacolo. Sembrava una mano stranamente gentile. Avevo guardato quella persona, che sembrava aver capito, anche se non parlava. Era completamente calvo, di un'età che, piccola com'ero, non avrei potuto mai definire. Aveva del trucco in viso: due baffi nerissimi disegnati che stonavano con la sua totale assenza di capelli e sopracciglia. Mi guardava incuriosito, come se avesse visto qualcosa di inaspettato. E all'improvviso, mi aveva chiesto quale fosse il mio nome, in un modo strano. Un accento diverso. Katie, gli avevo risposto, come mi chiamavano i miei genitori. Aveva giocato con le mie trecce, dicendo qualcosa che avevo già sentito in passato. Katie è bella con le trecce. Le parole che Julie Dawson mi aveva rivolto quando, dopo averla salvata, ero andata a trovarla insieme all'agente Jones. Proprio in quell'occasione, mi aveva intrecciato i capelli e io gliel'avevo lasciato fare.

Ricordavo che le dita fredde di quell'uomo mi avevano sollevato il viso e che i suoi occhi mi scrutavano. Un abisso nero. Ricordavo la voce di papà in lontananza e di lì a poco, sempre più vicina, insieme alle persone che mi stavano cercando. Ricordavo che quando mi trovarono, quella persona, che un giorno avrebbe assunto l'identità del Mago, non c'era più. Ma ricordavo anche che, da quel momento in poi, aveva continuato a seguirmi, nei modi più disparati, a ricordarmi, mio malgrado che sarebbe stato una curiosa, sempre presente costante nella mia vita.

Kate? – Lucy mi mise una mano sulla spalla e io sobbalzai, riprendendomi. Stavo ansimando e sentivo il viso incandescente per le lacrime. Alzai lo sguardo verso i miei genitori, che avevano assistito preoccupati.

Ho bisogno di un foglio... – farfugliai.

Papà si alzò a prendere il taccuino vicino al telefono di casa e me lo portò, insieme a una penna. Incontrai i suoi occhi. – Va bene così, Kate. Ci siamo noi con te, tesoro. Sei al sicuro. –

Annuii e mi misi a scrivere. Tutto ciò che ricordavo, tutto ciò che potesse servire ad elaborare il profilo completo di quell'uomo. Scrissi a lungo, come se fossi stata presa dalla necessità di dover buttare fuori tutto ciò che avevo rimosso e sepolto nel mio subconscio. Quante cose sarebbero state diverse se avessi ricordato prima? Quanta sofferenza sarebbe stata risparmiata? Quante vite non sarebbero state spezzate?

Scrivevo e piangevo, pensando che tutto quello che era accaduto dopo, era stato una conseguenza di quell'incontro. I miei genitori che litigavano. Le volte in cui vedevo mio padre buttare delle scatoline aperte, con un'espressione di terrore e disgusto. Le volte in cui la mamma aveva protestato contro gli ufficiali incaricati delle indagini perché non riuscivano ad assicurare alla giustizia i criminali. A pensarci, forse era stato proprio quello, inconsciamente, a spingermi verso scelte accademiche e lavorative di quel tipo. Quando terminai, avevo totalmente riempito il mio taccuino.

Ora posso tornare a Boston... e possiamo scoprire l'identità del Mago... – dissi.

La mamma fece cenno di no. – Non se ne parla! Non puoi rientrare in queste condizioni, Kate! Lucy, Ben, vi prego, diteglielo anche voi! –

Scossi la testa. – No, mamma io sto... –

Lucy mi prese le mani. – Tua madre ha ragione... non possiamo rientrare ora. È tardi ed è stata una giornata lunga e stressante, Kate. Hai bisogno di riposare... e anch'io. Non avrei mai pensato che avessi potuto vivere un'esperienza del genere... e questo, spiega tante cose... non solo per te, ma anche nell'atteggiamento del detective Graham... –

Sgranai gli occhi e sentii un tuffo al cuore. La sua indagine doveva essersi conclusa ormai. E potevo soltanto immaginare l'inferno che aveva fatto venir giù davanti alla reticenza di Selina e, probabilmente, anche di Jace. Mi chiesi se avesse visto il disastro che avevo lasciato nel suo ufficio. Cominciavo a capire perché non mi avesse detto nulla, ma nel mio cuore si faceva strada un pensiero ancora più duro da accettare. E questo pensiero aveva a che fare con Lily, con Daisy, con Julie. E con me.

Scusate... torno subito... – dissi, alzandomi.

Tesoro, dove vuoi andare? – mi chiese mia madre.

La guardai. Quanto si era sentita in colpa, per tutti quegli anni, per quell'unico momento di distrazione che Dio solo sa cos'avrebbe comportato, se non fossero arrivati in tempo?

Non è colpa tua, mamma... ok? E... – guardai mio padre stavolta, con cui avevo avuto scontri per le mie scelte lavorative, ma che, indiscutibilmente, aveva fatto radicato in me il bisogno di dare giustizia, di salvare le persone. – Grazie... per avermi salvato quella volta, papà. –

Il volto di papà si incrinò e vidi di colpo tutto il suo rimorso. Dovevo essere forte. Nicholas me l'aveva ricordato soltanto qualche ora prima.

Scambiai uno sguardo con Lucy, che cercava di consolare mia madre e mi allontanai, salendo al piano superiore e raggiungendo la mia stanza. Ormai erano mesi che non ci tornavo. E solo la notte precedente avevo dormito insieme ad Alexander e a quel bambino che entrambi avevamo messo in salvo e che aveva cambiato le vite di tutti noi, al Dipartimento. Tutto sembrava improvvisamente così lontano e io mi sentivo tanto stanca.

Mi voltai verso lo specchio e l'immagine che mi restituì fu pietosa. Avevo gli occhi rossi per il pianto infinito. Rivolsi un'occhiata stanca al mio riflesso e portai le dita al viso, poi tra i capelli. Erano sempre stati lunghi. Mi piacevano, perché adoravo sentirmi una principessa, come quelle che vedevo sui libri di fiabe che tanto amavo da piccolina. Lisciai le ciocche di un intenso castano cioccolato. Il Mago mi aveva accarezzato i capelli quand'ero bambina. Katie è bella con le trecce. Provai a intrecciare qualche ciocca. Julie aveva i capelli legati in due codini. Katie è bella con le trecce. Anche Daisy, quando la ritrovai, aveva i capelli legati in quel modo. Quel giorno, Lily portava i capelli legati in due codini. Elizabeth adorava farglieli e Lily sembrava apprezzare. Non andavano bene. Nessuna di loro aveva le trecce. Non poteva ricreare la sua fantasia. Strinsi con forza la ciocca.

Le hai uccise... perché non avevano la mia stessa pettinatura... non è così? –

Il mio volto sconosciuto non rispose, ma si limitò a replicare la domanda con un tono torvo.

Hai ucciso quelle bambine... per... questo?! – alzai la voce tremando di rabbia, tirando la ciocca e realizzando l'enorme banalità del male. Mi sentivo morire dentro. – Lily... Daisy... mi dispiace... mi dispiace tanto... è colpa mia se... se... – Se siete state strappate all'amore dei vostri cari...

Guardai quel riflesso. Lui aveva rapito e ucciso delle bambine innocenti sol perché non rappresentavano quell'ideale. E l'ideale ero io... con i miei capelli lunghi intrecciati. Una principessa... una bambola... Dorothy? Il caso zero? L'origine della sua fantasia... mi venne da vomitare al sol pensiero e, in preda al panico, totalmente risucchiata di un vortice di emozioni, afferrai le forbici che si trovavano nel portapenne, inutilizzate da mesi. Fuori di me, mi rivolsi a quell'invisibile interlocutore. – Guarda! Guarda che cosa ne faccio!! Così la smetterai di cercare bambine innocenti!! – urlai e cominciai a tagliare le ciocche, una dietro l'altra, finchè non sentii la porta aprirsi e vidi i miei genitori e Lucy.

Kate, no!! –

All'improvviso, mi sentii tirare via.

Lasciatemi!! Lasciatemi subito!! È colpa mia!! Se Lily è morta, è colpa mia!! E anche Daisy... e Trevor! Sono io la causa di tutto!! Io!! – urlai, mentre papà mi toglieva di mano le forbici. Mia madre piangeva disperata, così come Lucy, che cercava invano di riportarmi alla ragione.

Ridammele, papà!! Ti prego!! Io non... io... quelle bambine... Lily... – singhiozzai. Papà lanciò via le forbici e mi strinse forte a sé.

No, Katie! No! Va tutto bene, tesoro! Va tutto bene! Ti prego, calmati ora! – esclamò, tenendomi stretta a sé.

Mi divincolai, inizialmente, ma nel sentire il suo calore e il suo profumo, che tanto amavo, le energie cominciarono a venir meno e mi abbandonai al suo abbraccio ed entrambi sedemmo a terra. – Papà... papà!! – invocai, tra le lacrime.

Non so quanto tempo passammo così, ma solo quando fu certo che mi fossi calmata, mio padre mi lasciò andare. Intorno a noi, sul pavimento in legno, c'erano tante ciocche e Lucy si sedette accanto a me, raccogliendone alcune.

I tuoi capelli, Kate... –

Li guardai, troppo svuotata anche per replicare, incapace di realizzare fino in fondo cosa fosse accaduto. Mi sentivo come se tagliando tutte quelle ciocche, avessi reciso anche parte del legame con quell'assassino. Però non volevo che mi prendessero per pazza.

Mi dispiace... – sussurrai senza voce.

Anche la mamma si sedette con noi e mi accarezzò piano il viso. – Non puoi tenerli così... dobbiamo sistemarli... –

Annuii, non avendo il coraggio di guardarmi allo specchio. Dovevo aver combinato un gran disastro. Intanto, al piano inferiore, il telefono squillò.

Al diavolo chiunque sia. – disse papà.

Ben, può essere importante. Va' pure, ci pensiamo noi... – ribatté la mamma.

Con un mugugno di protesta e con tanta insistenza da parte di chiunque stesse telefonando, papà andò a rispondere e noi rimanemmo da sole.

Credi che sia... – esordì Lucy.

La guardai, mentre mia madre andava a prendere la spazzola. – Alexander... –

Sarà in pensiero... anche ammettendo che la dottoressa Howell non l'abbia avvisato, Jace non sarà stato con le mani in mano... e poi, immagino che non ci abbia messo troppo a fare due più due... –

Sarà furioso... – mormorai.

Oh Kate... –

La mamma intanto, tornò. – Diamo una sistemata a questi capelli? –

Annuii, rassegnata.

Raggiungo tuo padre. Magari ci parlo io col detective Graham, ok? –

Ok, grazie... –

Lucy sorrise e mi lasciò con mia madre che, nonostante non fosse una parrucchiera, fece del suo meglio per arginare i danni. Ciocca dopo ciocca, il bacio metallico delle forbici scese a risistemarmi il taglio e quando ebbe finito, mia madre mi chiese di alzarmi e guardarmi allo specchio. Presi un enorme sospiro prima di trovare il coraggio di guardarmi. Non avevo mai portato i capelli corti e sentivo chiaramente il collo scoperto. Quando la guardai, la figura davanti a me era incerta tanto quanto la sottoscritta. Mia mamma accanto, che mi guardava con gli occhi lucidi, ma comprensivi, mi sorrideva appena, sforzandosi di mostrare sicurezza. Sollevai le dita per accarezzare le ciocche corte dei miei capelli, acconciati in una specie di bob liscio.

Forse sarebbe il caso che ti facessi dare una spuntatina migliore dal parrucchiere... se vuoi, domattina ci andiamo, ok? –

N-No... vanno bene... insomma... è che... ecco... devo abituarmici... ho fatto un casino, mamma... mi dispiace... –

Lei mi posò le mani sulle spalle e il suo viso si avvicinò al mio, così come nello specchio.

Sei sempre la mia bellissima bambina... e nessuno... Kate, non permetterò a nessuno di farti sentire quella che non sei. –

Mi appoggiai a lei. – Ti voglio bene, mamma... –

Anch'io, tesoro... sempre. –

Scusate il disturbo... –

Lucy si riaffacciò e noi ci voltammo a guardarla.

Wow, Kate! Stai bene con i capelli corti! –

Feci spallucce. – Grazie... era chi pensavamo che fosse? –

Lucy annuì, con aria rassegnata. – Son riuscita a temporeggiare. Ma domattina verrà personalmente qui. –

Chi verrà qui? – domandò la mamma.

Sospirai. – Il detective Graham... –

Oh... –

Annuii. – Già... oh... – borbottai.

Sapevo che, razionalmente parlando, non avrei potuto prendere tempo, ma in quel momento, temevo che non saremmo riusciti a comprenderci. Ma per quella sera, al termine di quella che era stata una giornata lunghissima, non avevo più le forze per fare altro.




***************************

Update veloce stasera, ma molto importante ai fini della storia. Alla fine, ecco spiegato il perché del legame tra Kate, Daisy, Lily e Julie e il Mago... e Kate, dopo aver ricordato ogni cosa, è crollata. ç_ç La scena in cui taglia i capelli è stata forse una delle più forti da scrivere, emotivamente parlando. Sono stata male anch'io per lei. ç__ç Vi aspettavate tutto questo? Alla prossima!!

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Capitolo 22
*** X. terza parte ***


Buonasera!! Terza parte del X capitolo!! Ho adorato scrivere tanto quanto ho sofferto in questa parte... ç_ç Un grazie come sempre per il sostegno!! Alla prossima con la parte finale!!

 

 

 



L'indomani mattina, Alexander non si fece attendere. Non avevo dormito per niente bene, nonostante accoglienza familiare e comodità del mio letto. Avevo avvertito fortemente l'assenza del piccolo Nicholas che, nel sonno, spesso si accoccolava tra le mie braccia. Chissà se quella notte, la prima che aveva trascorso lontano, si era sentito perso tanto quanto me. E chissà se era stato lo stesso per Alexander. Eppure, quando sentii, dal piano inferiore, la sua voce, non potei fare a meno di temporeggiare, quantomeno per cercare di calmare l'animo così inquieto. Mi guardai allo specchio, osservando il mio pallido viso alla luce del sole che aveva illuminato la mia stanza. La strana sensazione di non avere più i miei capelli lunghi mi faceva sentire ancora più a disagio, ma ormai, la frittata era fatta.

Ce la puoi fare... – ripetei alla me stessa riflessa nello specchio, poi raccolsi il taccuino, lasciai la mia stanza e scesi al pianterreno, dov'ero attesa.

Lucy fu la prima a vedermi. Alexander stava parlando con i miei genitori, che non riuscivano a non nascondere la preoccupazione. L'avevo visto soltanto il giorno prima, ma in quel momento mi sembrò di non vederlo da una vita. Non sapevo se dipendesse dal fatto che avessimo praticamente vissuto insieme per mesi oppure dall'aver visto il nostro mondo sconvolto nell'arco di poche ore, ma mi sembrò come se fosse trascorsa un'eternità.

In jeans e camicia Lacoste navy blue, quando si voltò, i suoi occhi si spalancarono in un'espressione sconvolta e si ammutolì. Evidentemente il mio nuovo look doveva averlo sorpreso e, a giudicare dal fatto che interruppe il suo discorso, mi resi conto che Lucy non aveva anticipato nulla.

Alexander. – lo salutai, quando li ebbi raggiunti.

Per qualche istante mi sentii studiata. Se la ragione fosse nei capelli o in altro non seppi dirlo. Poi scosse appena la testa. Aveva qualcosa in mente. – Abbiamo il suo nome. –

Il mio cuore saltò un battito e strinsi il taccuino tra le mani. – E io ho ricordato. Avevi ragione. Sono io il caso zero. –

Non distolse mai lo sguardo da me, fino a che non gli cedetti il taccuino. – Questo è tutto quello che ho messo insieme. Ricordi, per la maggiore, ma anche... – mi interruppi, perché dirglielo così, davanti alla mia famiglia, a Lucy, mi sembrò troppo personale, troppo difficile. Alexander lo comprese, evidentemente, perché prese il taccuino e annuì.

– … il movente. – disse, al posto mio.

Detective Graham... mi perdoni per la franchezza, ma... prenda quel figlio di puttana. Lo assicuri alla giustizia una volta per tutte! – disse mio padre e Alexander indurì lo sguardo.

Lo faremo, signor Hastings. Per sua figlia, per la mia e per tutti coloro che hanno sofferto per colpa di Karolus Novak. – disse, con la voce avvelenata.

Karolus Novak. Il nome del Mago. L'assassino di Lily, di Daisy e di Trevor. Il mio persecutore aveva finalmente un nome. Nel sentirlo, fu come se finalmente potessi vederlo chiaramente, al di là della coltre dei ricordi. Non un titolo, ma una persona reale. Un uomo in carne ed ossa. Un uomo che ora, dopo anni e anni, era alla nostra portata. Guardai Alexander, che mi rivolse l'attenzione.

Te la senti di tornare? –

Guardai lui, poi Lucy e infine i miei genitori. Ognuno di loro si aspettava qualcosa. Ma era la giustizia ciò che aspettava più di tutti.

Devo farlo. –

Mia madre mi abbracciò forte e io feci lo stesso. – Stai attenta, bambina mia. –

Sì. – dissi, nell'inebriarmi del profumo di mamma e pancake.

Poi toccò a mio padre, che sembrava aver finalmente recuperato la compostezza, dopo lo sfogo del giorno prima. Nei suoi occhi potevo leggere emozioni contrastanti, ma alla fine, fu quella che ci univa a vincere. – Sono orgoglioso te, Katherine. –

Grazie, papà. Stavolta lo prenderemo. A qualunque costo. –

Papà annuì e poi guardò Alexander. – Detective Graham. Tempo fa, lei mi chiese di proteggere temporaneamente mia figlia dalla minaccia senza volto che aveva sconvolto le nostre vite. Io le risposi di aver giurato di proteggerla da chiunque avesse cercato di farle del male il giorno stesso in cui nacque. Mi rendo conto, ora, dopo aver compreso la situazione, che non possiamo proteggere i nostri figli per sempre. Mi dispiace per quello che ha vissuto. Ma da padre a padre, ora sono io che la prego di aiutarmi a proteggere la mia Kate. –

Sussultai nel sentire quelle parole, mentre lui tendeva la mano ad Alexander. Non avevo idea di quello che si erano detti la sera del funerale di Trevor. Allora, credevo che il mio capo avesse giocato sporco alle mie spalle. E invece, aveva chiesto a mio padre di proteggermi, in sua assenza, da quel nemico di cui ancora non conoscevamo l'identità.

Alexander gli strinse la mano. – A qualunque costo, signor Hastings. –

Sospirai e guardai Lucy, che mi sorrise rassegnata.

 

*** 


Così, lasciammo casa mia per tornare a Boston. In realtà, non pensavo di avere sorprese, ma quando aprii la portiera dell'auto, sul sedile del passeggero, trovai Oz seduto con tanto di cintura di sicurezza allacciata. Vedere la mia scimmietta di peluche mi stupì non poco, e piacevolmente. L'avevo lasciato a casa, ma Alexander l'aveva portato con sé. Lo presi in braccio e guardai il colpevole.

Grazie... – dissi, sorridendo.

Ringrazia lui, voleva vederti. – disse monocorde, salendo in macchina.

Sentite... dal momento che non mi va di fare il terzo incomodo... e voi due avete una conversazione in sospeso... torno in autobus, ok? – disse Lucy.

Tu vieni con noi, signorina Garner. – sentenziò.

Sorrisi. – Mi spiace, quando il capo ordina... –

Lucy sospirò rassegnata, poi salì in auto. La seguii poco dopo e così, partimmo per la città.

Il viaggio fu silenzioso per tutti e tre. Lucy indossò le cuffiette e si attaccò al suo iPhone, ma mi resi conto che volle farlo più per lasciarci un po' di privacy che per altro. Io tenni stretto a me Oz, ma in realtà, non avevo tantissima voglia di chiacchierare. Sapevo che c'era un discorso in sospeso tra noi, ma non era quello il momento né il luogo adatto. Alexander, del canto suo, sembrava concentrato sulla guida, ma ormai avevo imparato a capire i suoi stati d'animo. Era teso, combattuto e quella situazione non gli rendeva le cose facili. Quindi aveva fatto quello che gli veniva meglio: si era chiuso nel silenzio.

Alla fine, dopo tanto, mi feci animo e allungai la mia mano. Con il polpastrello dell'indice, sfiorai il dorso liscio della sua mano destra, posata sul cambio. Era impostato sull'automatico, ma si trattava di un'abitudine. Percepii un lievissimo fremito inaspettato da parte sua, ma non osò voltarsi, impegnato com'era alla guida. Lo guardai con la coda dell'occhio e lo vidi rilassarsi. Controllò lo specchietto retrovisore. Lucy era immersa nella lettura di qualcosa. Se stava fingendo, lo stava facendo molto bene. Alexander ruotò la mano, in modo che le sue dita prendessero le mie. Sentii un tuffo al cuore e mi concessi di guardarlo.

Scusa. – disse soltanto.

Quella parola. Che fosse il tono o la portata di ciò che significava, quella parola aveva un potere immenso in sé. Sorrisi e intrecciai le dita alle sue, senza dire altro.

Diversamente da quanto immaginavo come destinazione, tuttavia, Alexander ci condusse a casa nostra, dove ci attendevano, con mia grande sorpresa, Jace e il detective Wheeler. Quando il primo ci vide, dopo il doveroso ricongiungimento con Lucy, che l'aveva informato di tutto per tempo, mi squadrò come se non mi riconoscesse.

Certo che se volevi darci un taglio potevi anche scegliere un parrucchiere in città, Kate... –

Se vuoi posso fare qualcosa per quella massa informe che ti ritrovi, invece. – dissi, punta nell'orgoglio.

Jace si mise a ridere, poi mi abbracciò forte. – Sei sempre la nostra solita Katie... ero preoccupato! E sei un incanto anche così! –

Imbarazzata, lo abbracciai anch'io sotto gli occhi di Alexander e Lucy, che sospirarono, come a non poterci far nulla. Jace era un antidepressivo naturale.

Grazie, Jace... –

Il detective Wheeler emise qualche colpetto di tosse per richiamarci.

Detective Wheeler. –

Bentornata. Perdonaci per questa riunione improvvisa a casa tua, ma data la situazione, ci serviva una location più sicura. E... a quanto pare, questa lo è, grazie agli sforzi del defunto signor Lynch e di Jace. –

Annuii. – Quindi anche lei ha delle novità? –

Lui guardò Alexander. – Non le hai detto ancora nulla? –

Quest'ultimo scosse la testa. – Solo che abbiamo il suo nome. E lei ha tutto ciò che ricorda. Volevo affrontare la questione tutti insieme. – spiegò e prese il taccuino dalla tasca dei jeans.

Allora, signori... vogliamo parlare di Novak e di come lo staneremo? –

Tutti noi annuimmo e, sotto lo sguardo di una preoccupata Lucy, ci preparammo a mettere in campo le nostre risorse.

Alexander raccontò della visita a Ilian Tŭmen del giorno prima.

L'uomo, nella settantina ormai, ex direttore del circo itinerante Tŭmen, dismesso da alcuni anni per sopraggiunta età dello stesso e per impossibilità di mandare avanti la baracca, aveva ammesso di aver avuto Novak come artista alle sue dipendenze per oltre trent'anni. Il circo, d'origine bulgara, nota che mi sorprese non poco, aveva offerto spettacoli in diverse località, tra cui Shrewsbury. Tuttavia, quello che ci interessava sapere era legato a Novak.

Questi, stando al racconto di Tŭmen, era stato un artista completo, con predisposizione per i numeri a corpo libero e per l'illusionismo, elementi questo che giustificavano non soltanto la sua forza, ma anche le sue abilità di mimetizzazione e la sua teatralità. Negli anni Novanta, aveva impersonato la figura nascosta del Mago di Oz nelle rielaborazioni circensi, ma il suo stato di salute aveva finito per costringerlo ad abbandonare tutto. Con mio sgomento, ricollegando questo ai miei ricordi, appresi che era malato di cancro. Un tumore al cervello, al primo stadio. Questo, con tutta probabilità, significava che, all'epoca del mio primo incontro con lui, doveva essere stato sottoposto a chemioterapia. Quella che credevo essere una cicatrice, probabilmente, doveva essere il risultato di sedute della stessa.

Tuttavia, negli ultimi anni, il male si era ripresentato e aveva finito col provocargli degli stati d'alterazione di coscienza ed episodi psicotici sempre più violenti, tanto da cominciare a fargli nutrire vere e proprie ossessioni, la prima delle quali, proprio per il Mago di Oz. Tutto questo era durato fino a che, circa dieci anni fa, Novak aveva lasciato la compagnia. Da quel momento, Tŭmen non aveva più avuto sue notizie, tanto più che credeva fosse ormai deceduto. In realtà, slegato da un contesto organizzato e preda di un male galoppante, nonché del suo delirio psicotico, Novak aveva creato un'identità su misura per sé.

A quel punto, il detective Wheeler aveva aggiunto che mentre la Polizia brancolava nel buio, c'era chi aveva qualcosa in mano ed era tutto molto più vicino di quanto avremmo mai potuto immaginare. Nel sentire il nome di Karolus Novak, Nicholas l'aveva casualmente riconosciuto e aveva raccontato che alla Cruise&Sons Pharma, aveva visto, qualche volta, di nascosto, un uomo enorme, anche più di Petrov, che si sottoponeva a dei trattamenti sperimentali e parlava con lui nella loro lingua madre. Tutto questo era accaduto anche negli ultimi anni e rabbrividii realizzando che, probabilmente, la persona di cui avevo sentito i passi, la notte in cui ci eravamo introdotti furtivamente, sarebbe potuta essere proprio il Mago. Jace, intanto, aveva avuto modo di indagare per proprio conto e aveva recuperato la cartella clinica di Novak.

La Cruise Pharma, dopo l'arresto di Harriet Cruise, aveva attraversato un periodo di turbolenza, finché non era stata acquisita, dopo una svendita miliardaria, da un'azienda concorrente. Gli archivi e tutto il materiale che riguardava le sperimentazioni illegali che venivano condotte al suo interno erano stati requisiti dai federali come prove da impiegare nel processo contro la direttrice. Tuttavia, il nostro Jace aveva effettuato in remoto una copia di backup dei server durante l'operazione in incognito che avevamo portato avanti durante l'indagine sulla morte di Karina Razinova e, stavolta per un caso fortuito, aveva recuperato anche ciò che era svolto in superficie.

Nel leggere la cartella clinica, aggiornata cinque giorni prima del nostro intervento, apprendemmo che le condizioni di Novak, ora cinquantasettenne, erano quelle di un malato terminale. La diagnosi era quelle di un glioma di terzo grado non gli avrebbe lasciato scampo. Jace aveva chiesto consulenza al padre, che aveva avanzato l'ipotesi che in tale circostanza, senza cure, il paziente con tutta probabilità sarebbe dovuto essere già deceduto.

Però... tu sei sicuro che sia ancora vivo, vero, Alexander? – domandai.

Alexander annuì. – Se non è morto in tutti questi anni e considerando le sperimentazioni di quel folle di Reyes, perché non potrebbe essere ancora in vita? –

Il detective Wheeler portò la mano al mento, lisciando la barba brunita. – Per questa ragione, ho fatto controllare i registri di morte degli ultimi quattro mesi a Norfolk. Nessuno di questi riporta il nome di Karolus Novak. C'è anche da dire che quell'uomo non compare nemmeno nei registri dell'Immigrazione, altrimenti avremmo dovuto avere qualcosa per le mani. –

Però compare nei registri medici della Cruise Pharma. Mi chiedo se fosse stato ospitato nella Hope & Charity House. – aggiunse Jace.

Era troppo instabile per farlo. Credo piuttosto che abbia vissuto ai margini della società per tutto questo tempo, il che giustifica anche il possesso della droga che ha usato su Trevor. Non si ritrovava in questo mondo. Per lui, probabilmente, il mondo reale era quello che la sua mente aveva creato. Una visione contorta del Mago di Oz, ossessionato da Dorothy, di cui lui stesso si era messo alla ricerca. – spiegai.

Tuttavia, vivere in un mondo immaginario non ti permette di farla franca per tutti questi anni. Anche vivendo al margine, deve essere stato aiutato da qualcuno, soprattutto nelle sue condizioni. – aggiunse il detective Wheeler.

Jace, ascolta. Secondo quello che ti ha detto tuo padre, quanto tempo potrebbe vivere una persona nelle condizioni di Novak, se regolarmente curata? – chiesi.

Jace battè le palpebre e grattò la testa. – Mh... se non ricordo male, non più di cinque anni, nel migliore dei casi. –

E le allucinazioni? –

Insorgono col peggioramento dei sintomi. –

Ilian Tŭmen ha detto che non sapeva più nulla di Novak da almeno dieci anni. Tuttavia sosteneva che fosse ossessionato dal Mago di Oz. Ma se così fosse stato, allora Novak avrebbe sofferto di allucinazioni e avrebbe convissuto con un tumore così aggressivo per più tempo di quanto normalmente possibile. –

Quindi avrebbe mentito. – aggiunse il detective Wheeler, guardando Alexander, che affilò lo sguardo.

Non mi quadra. Questa sua... ossessione per me dura da oltre vent'anni. E poi, se così fosse, ci troveremmo per Daisy, ma non per Lily... – continuai, rivolgendo anch'io gli occhi ad Alexander.

Sono sette anni. – disse.

Beh, io ho parlato della tendenza. Non è detto che sia un limite assoluto. Insomma, il Mago è tutto fuorché una persona ordinaria. – intervenne Jace, cavandoci d'impiccio.

Sì, ma non puoi andare alla cieca. – controbatté il detective Wheeler, con un moto di frustrazione nella voce.

In effetti, era ciò che stava accadendo. Sembravamo essere a un punto morto. Il Mago, Novak, era una figura troppo avvolta nelle tenebre.

Scusate... – disse timidamente Lucy, che era stata seduta sul nostro divanetto ad ascoltarci elucubrare per tutto quel tempo. Ci voltammo tutti a guardarla.

Perché non ripartite da quello che avete in mano? – suggerì, indicando il mio taccuino.

Alexander annuì e aprì il taccuino. Avevo scritto tutto ciò che ricordavo, tanto più che nel leggere, spesso si ritrovò a guardarmi con aria sconvolta. Probabilmente, nemmeno lui era stato in grando di realizzare fino a che punto ci fossi dentro. Solo alla fine, passò gli appunti a Jace, mostrandogli il disegno che avevo fatto. Non ero brava, ma sperai di poterlo aiutare a definire qualcosa di più, ipotesi bocciata dalla faccia di Jace nel vedere il mio maldestro tentativo. Lucy, a quel punto, aveva preso il tablet del fidanzato e aveva sistemato il mio disegno, forte della sua mano artistica.

Solo allora, davanti a un'immagine decente e ai dati in nostro possesso, Jace aveva potuto far qualcosa. Il software di Trevor, che lui aveva potenziato, rivelò finalmente tutta la sua efficacia. Nell'arco di pochi minuti, ci rivelò l'aspetto esatto che Novak avrebbe avuto all'epoca in cui lo incontrai la prima volta. Sgranammo gli occhi nel vedere finalmente un'immagine così realistica e vivida di quell'uomo. Il volto impassibile e pallido, allungato, con forti mascelle, senza peluria, né capelli. Occhi neri infossati. Labbra sottili, impersonali. Ma non finì lì. Attraverso quell'identikit, incrociò i dati con tutti quelli delle videocamere di sorveglianza del nostro circondario. Sembrò che non vi fosse riscontro. A quel punto, mi chiese di poter fare qualcosa che non era riuscito a fare in quei mesi.

Di che si tratta? – domandai.

I suoi occhi marroni incrociarono titubanti i miei. – Dopo la morte di Trevor, ho scoperto che il sistema di videosorveglianza che aveva applicato in casa sua aveva un bug. Non so se dipendesse dal fatto che si trattasse di una versione iniziale o volesse garantirvi privacy, tanto più che, dalle log, ho visto non solo che l'aveva attivato soltanto in due occasioni, ma sembrava che fosse impossibile da debuggare. Quella sera, però, il sistema era attivo. Credo che dipendesse dal fatto che Trevor volesse chiederti... beh... quello che sai... e magari, immortalare quel momento. –

Il mio cuore, nell'ascoltarlo, prese a galoppare. Appoggiai le mani sullo schienale della sua sedia. Cominciavo a capire dove volesse andare a parare.

Per via di quel bug, ho avuto difficoltà ad accedere a quel contenuto, ma... alla fine, Kate... ce l'ho fatta... –

Mi sentii mancare e la voce risuonò estranea nelle mie stesse orecchie. – S-Stai dicendo che... hai visto com'è morto Trevor? –

Jace era palesemente a disagio. Significava molto anche per lui. – N-No, io... non ho avuto il coraggio di farlo. Trevor, in fondo... era anche mio amico e... e poi, ecco... –

Da quanto hai in mano quel video? – incalzò il detective Wheeler.

Jace lo guardò. – Da quando mi son messo a lavorare sul software, ma sono riuscito a debuggarlo soltanto tre giorni fa. –

E non ti è passato per la mente di avvertirci?! Questo significa intralciare le indagini! –

Non sapevo che fare! Poi... insomma, voi due avevate già quella situazione con Nicholas, e così... – continuò, cercando di scusarsi, rivolgendosi a me e ad Alexander.

Ma questo non vuol dire niente. Jace, capisco i tuoi riguardi, ma avresti dovuto dirlo. – disse Alexander.

Mi dispiace... –

Jace... lì c'è... insomma... tutto quello che... – cercai di prendere vanamente fiato.

Kate... non c'è bisogno che tu lo guardi. Ce ne occupiamo noi da questo momento. – aggiunse, pacatamente, Alexander. Compresi la sua motivazione, ma quel video, oltre a costituire una probabile prova inconfutabile che ci avrebbe permesso di incriminare l'assassino di Trevor, rappresentava anche la nostra possibilità di vederlo così com'era diventato. E poi...

Guardai Alexander, poi ricordai le parole che Hannah mi aveva rivolto. Secondo lei, non avevo cuore. Forse, quello sarebbe stato il momento per vedere se avesse avuto ragione o meno.

Fai partire quel video. – dissi, fissando lo schermo, sotto gli occhi incerti dei presenti.

Jace prese un lungo respiro, combattuto come non mai. Cercò l'approvazione di Lucy, sul cui bel viso era dipinta tutta la sua angoscia. Si doveva essere resa conto del perché la tenevo fuori da ciò che riguardava i casi su cui investigavamo. Solo dopo un lunghissimo minuto, fece partire il video.

Percepii chiaramente un tuffo al cuore nel vedere un inedito Trevor, ancora ignaro del fatto che quelli filmati fossero gli ultimi istanti della sua vita. L'ultimo ricordo che avevo di lui da vivo era poco prima della nostra separazione. Lui aveva un'importante riunione e mi aveva detto che se tutto fosse andato bene, avremmo festeggiato e la nostra vita avrebbe preso una piega diversa. Quella sera, eravamo impegnati a sgominare l'associazione a delinquere di Richard Kenner e del rettore Chambers e non avevo avuto il tempo di realizzare cosa stesse facendo Trevor, troppo presa da quel gioco folle in cui eravamo stati coinvolti.

Mi venne da piangere e sorridere nel vederlo gironzolare per il soggiorno, sistemando tutto per bene, controllando che ogni cosa fosse al suo posto. Voleva che tutto fosse impeccabile. Lui era così, sempre attento ai dettagli. E poi, a un certo punto, si era avvicinato alla videocamera. Vedere il suo volto ancora vivo, i suoi occhi verdi, il suo sorriso, fu come sentire il cuore stretto in una morsa.

« Kate, se tutto è andato come dovrebbe, e lo spero tanto, quando rivedremo insieme questo video, saremo marito e moglie. E... no, non è una candid camera. Ma voglio immortalare questo momento. Non vedo l'ora che torni a casa. E sai, sono molto emozionato, perché, beh, sì, insomma... ho provato tantissime volte, ma non sono ancora riuscito a trovare il modo giusto per chiederti di sposarmi. »

Mi morsi le labbra e irrigidii la presa sullo schienale della sedia. Non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo, dallo sguardo pieno d'amore di Trevor. Dal dolore che mi aveva attanagliato il cuore.

« Tu sei la persona più matta che conosca. Matta quando ti metti a canticchiare e a ballare per casa come fossi la protagonista di qualche videoclip. Matta quando litighiamo, perchè siamo tremendamente testardi entrambi e, all'improvviso, ti affacci sulla porta con una torta tra le mani perché il dolce fa passare tutto quanto. Matta perché tra tutti coloro che avresti potuto avere al tuo fianco, hai voluto proprio me. E matto io perchè non riesco a fare a meno di tutto questo.

Amo ogni cosa di te. Quel tuo modo di mordere le unghie quando sei nervosa. Quella ruga d'espressione che ti si forma proprio tra le sopracciglia quando ti arrabbi. I tuoi occhi che esprimono le tue emozioni decisamente meglio di quanto tu sappia fare a parole.

Amo quando, immersa nella visione di qualche film, ti metti a ripetere le battute come se le stessi vivendo in prima persona, persino meglio di un'attrice vissuta. Amo vederti all'opera, mentre la tua mente lavora instancabilmente per cercare di dare un senso alle azioni dei criminali, anche se questo, lo sai, mi spaventa a morte, perché sei tremendamente lontana da me in quei momenti e temo di non essere in grado di raggiungerti. Amo guardarti dormire, accoccolata tra le mie braccia, magari dopo che abbiamo fatto l'amore.

Ti amo, Katherine Hastings... e spero che stasera tu voglia farmi il grande onore di diventare mia moglie. »

Non riuscii a trattenermi, nel sentire quelle parole. Quello che era cominciato come un remind a posteriori, era diventato altro, quella dichiarazione d'amore e quella proposta di matrimonio che Trevor non aveva mai potuto farmi di persona. Il mio cuore sembrava scoppiare, traboccante di emozioni a cui non osavo dare nome. Lucy si avvicinò ad abbracciarmi, mentre Jace, con gli occhi lucidi, tornò a guardare il video.

Trevor si era seduto sul divano e aveva preparato la scatolina con l'anello di fidanzamento, posandola sul tavolino di fronte. Poi aveva messo le mani in testa, guardato il telefono, sospirato. Il tempo passava, fino a che non aveva sentito suonare. Era balzato in piedi e aveva acceso lo stereo e in pochi secondi, le note di Unconditionally avevano riempito la stanza.

Stretta tra le braccia protettive di Lucy, mi sentii mancare la terra sotto i piedi quando Trevor scomparve dall'inquadratura andando incontro alla morte. Interminabili istanti, voci e rumori di sottofondo, poi un tonfo. Eravamo tutti concentratissimi e quando il Mago, Karolus Novak, apparve nella scena, trascinando Trevor, sobbalzammo. Urlai, nel vederlo privo di sensi. L'aveva tramortito. E dai risultati dell'autopsia, quello era stato solo l'inizio. Novak era ancora girato di spalle. Vestito di nero, ma non con quella sorta di tunica che avevamo visto in passato. La sua figura imponente era ancora di spalle. Alexander e il detective Wheeler avevano un'espressione colma di rabbia e impazienza. Se non si fosse voltato, allora...

Jace osservava tutta la scena impietrito, ma come me, come Lucy, doveva avere il cuore in subbuglio. Minuti, ancora, in cui scrutò il posto. Aveva alzato il capo ora canuto verso il muro, su cui, di lì a poco, avrebbe lasciato un messaggio per me. Aveva preso la scatolina e in quel momento, qualcosa doveva essere scattato. Aveva alzato il volume dello stereo e quando Trevor si era risvegliato, urlando, aveva inclinato la testa, per poi tirar fuori dal giubbotto un coltellaccio. L'arma del delitto. Trevor aveva provato a sfuggirgli e nel fare questo, aveva guardato in alto, verso la videocamera. Il suo sguardo ora esprimeva terrore puro e quando il Mago finalmente si voltò, allungando la mano guantata verso di lui a afferrandolo per la testa, aveva pronunciato qualcosa senza farsi sentire, muovendo solo le labbra. Kate. Sgranai gli occhi, nello stesso istante in cui il video si interruppe. Abbassai lo sguardo vedendo le dita di Alexander sul tablet. Era stato lui. Interdetta, mi ritrovai a guardarlo. Non osò ricambiare, ma la sua mascella era tesa come non mai. Guardò Jace, invece e la voce ruggì bassa e roca.

Puoi elaborare un'immagine aggiornata, reale? –

Jace, sgomento, annuì e si voltò nuovamente verso il suo tablet, mettendosi all'opera.

Pochi istanti e il volto del Mago, il suo volto così com'era adesso, apparve nello schermo. Molto più scarnito, occhiaie violacee, capelli bianchi irsuti. Nel vederlo, di colpo, mi sentii totalmente svuotata. Il volto di un vecchio malato. Un vecchio che era stato in grado, nonostante tutto, di uccidere a sangue freddo e smembrare un uomo di quasi trent'anni. Come diavolo aveva fatto? Com'era riuscito a sopravvivere tutti quegli anni?

Jace, restringi la ricerca a questa tipologia. Ah, e... – si interruppe, perché il suo iPhone prese a squillare. – Daniel, dimmi. – disse, guardando verso di noi.

Avevo una gran confusione in testa, ma evidentemente, Alexander aveva preso delle precauzioni durante l'incontro con Ilian Tŭmen. Lo vidi sgranare gli occhi e farsi scuro in volto, mentre l'agente Jones parlava con lui. Quando chiuse, il bracciò ricadde lungo sul fianco destro e la sua espressione si fece vacua.

Che succede? Che ti ha detto Jones? – chiese il detective Wheeler, incerto.

È morto. –

Sgranai gli occhi. – T-Tŭmen? –

Alexander scosse la testa, poi si sedette sul bracciolo del divano adiacente. – Avevo chiesto a Daniel di tenere d'occhio l'abitazione di Tŭmen. Per quanto convincente, c'era qualcosa nel suo racconto che non quadrava. Avevo capito che nascondeva qualcosa, ma non avrebbe parlato, non senza qualcosa di concreto in mano. D'altronde, senza prove, ma soltanto con un confuso quadro indiziario, Novak ne sarebbe uscito pulito. O almeno credevo... come pensavamo, quei due avevano mantenuto i contatti. Solo che... siamo arrivati tardi. Daniel ha notato delle manovre sospette da parte di Tŭmen e... e ha ritrovato il corpo di Novak, in un fossato non lontano dalla sua abitazione. Pare sia in avanzato stato di decomposizione. –

Novak è morto? – la voce del detective Wheeler, incredula.

Alexander portò le mani alla testa. – L'assassino di mia figlia... lui è... è morto senza che potessi fare niente... così non... –

Lo guardai. Decisamente, non era l'epilogo che si aspettava. E io, cosa mi aspettavo? D'improvviso, tutto sembrava aver perso senso. L'assassino di Lily, di Daisy, di Trevor... non c'era più? Mi scostai dall'abbraccio di una sconvolta Lucy e mi sedetti accanto ad Alexander, ma sul divano.

E adesso? – domandò Jace.

Andiamo a prendere Tŭmen. Dovrà spiegare cos'è accaduto. – disse il detective Wheeler.

Voi due sapete che l'indagine sulla morte di Trevor Lynch è affidata ai miei. Mi avete chiesto di tenervi al corrente, ma ormai... è finita. Volete venire con me? –

Alzai lo sguardo verso di lui. C'era qualcosa nel tono in cui aveva detto che era finita che esprimeva sollievo. Non mi ero resa conto fino a quel momento di quanto fosse stato difficile anche per lui, in tutti quegli anni. Aveva avuto una responsabilità grande, anche nei confronti di Elizabeth. Mettere un punto alla storia del Mago significava liberarsi di questo. Ed Elizabeth, come l'avrebbe presa? Di certo, non come Alexander, che bramava distruggere colui che gli aveva portato via la sua bambina e quel pensiero gli aveva dato il coraggio di continuare a vivere. Ora, tutto sembrava esser crollato come un castello di carte, a un passo dalla verità.

– … Alexander? – fece eco il detective Wheeler.

Alexander si alzò e si ricompose, poi mi guardò. Incrociare il suo sguardo fu difficile. Entrambi, in quel momento, dovevamo avere la stessa espressione. Mi alzai anch'io, affiancandolo.

Siamo con lei. –

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Capitolo 23
*** X. quarta parte ***


Quando arrivammo all'abitazione di Ilian Tŭmen, la squadra del detective Wheeler era già all'opera, mentre l'agente Jones, sul posto da ore, ci aveva raccontato cos'avesse visto ed era stato rimandato a casa per riposare dopo il turno estenuante. Il corpo di Novak era stato recuperato. Stando ai primi rilievi, doveva essere morto da almeno un mese. Non ebbi il coraggio di guardarlo, ma sia Alexander che Wheeler lo fecero, senza nascondere il disgusto. Il direttore Tŭmen, tenuto sott'occhio dai poliziotti, attendeva nel salotto di casa. Quando ci vide entrare, sgranò gli occhi azzurri in un'espressione stravolta. Ai suoi occhi, dovevamo aver fatto le cose in grande.

Ilian Tŭmen. Sono il detective Maximilian Wheeler del III Dipartimento della Polizia di Boston. Il detective Alexander Graham, che lei ha già conosciuto, e la dottoressa Katherine Hastings. Spero che stavolta voglia raccontarci le cose per bene. – disse.

Tŭmen strinse i pugni sulle ginocchia, poi sospirò e ci fece cenno di sederci.

Mi dispiace. Ero spaventato. Vi ho detto che negli ultimi dieci anni avevo perso le tracce di Karolus. In parte è così. In linea di massima. A volte, si era fatto vivo, chiedendomi di aiutarlo economicamente. Non navigava in buone acque, sebbene fosse stato molto ligio nella gestione del suo denaro, sia in patria che qui. Quando lasciò il circo, ne aveva con sé tanto. Ma temo che a causa delle sue condizioni di salute, nel tempo avesse speso troppo. –

Da quanto si era ripresentato il tumore? – chiese Alexander, con un tono impassibile.

Circa tre anni, ma aveva avuto delle avvisaglie nel tempo. Non so quante, però. –

La postura di Alexander si irrigidì. – Lily Graham. Aveva tre anni. È stata la sua prima vittima, sette anni fa. –

Strinsi i pugni nel sentirlo parlare. Stentava a mantenere il contegno. Anche Wheeler era molto teso. Tŭmen lo guardò a lungo, senza parlare. – Mi dispiace. –

Quelle parole sortirono un effetto inaspettato e Alexander ebbe una reazione inconsulta, alzandosi di scatto e afferrandolo per il bavero della giacca color sabbia, sotto gli occhi dei presenti, che si mossero in allerta. – Non me ne faccio un cazzo delle tue scuse! Voglio la verità! Chi diavolo era Novak e perché ha ucciso mia figlia?! –

Alexander!! – urlammo all'unisono Wheeler e io.

Tŭmen lo guardò sconvolto, poi notò qualcosa e nei suoi occhi comparve la sorpresa.

Quel disegno... lei era un artista, detective? Non l'avevo notato ieri. –

Eh? –

Alexander allentò la presa, incredulo, poi risistemò il collo della sua camicia, affinché coprisse il tatuaggio. – Vaffanculo. – disse, scostandosi e fermandosi a qualche passo, in piedi.

Sospirai. – Signor Tŭmen. Lei forse non si ricorda di me, ma poco più di vent'anni fa, quand'ero piccola, sono entrata in contatto con Novak. Eravate a Shrewsbury, per uno spettacolo itinerante sul Mago di Oz. – spiegai.

Tŭmen rivolse il suo sguardo su di me. – A Shrewsbury... eri forse la bambina che si era persa? Ricordo che tuo padre fece il diavolo a quattro per trovarti. –

Annuii. – Sì... ero io... abbiamo ragione di credere che sia cominciata allora. Non ricorda di atteggiamenti strani da parte di Novak dopo quel momento? –

Sembrò pensarci su, poi annuì. – A volte si allontanava dal circo per ore, anche a ridosso degli spettacoli. Ma credevo che fosse un modo per prepararsi. –

E non era così? – chiese Wheeler.

Non sempre. Sparivano degli oggetti, perlopiù delle ballerine coinvolte nello spettacolo. Piccole cose, inerenti. Quando capii che c'entrava lui gli chiesi spiegazioni, ma disse soltanto che erano necessari per il suo spettacolo. Non accadeva spesso, quindi non andai oltre. –

Si ricorda se accadeva in concomitanza con il 21 maggio? –

Forse... non ricordo. –

Guardai Alexander e il detective Wheeler. Quest'ultimo assentì. Poi tornai a concentrarmi su Tŭmen. – Novak ha ucciso due bambine di tre anni. La prima, Lily Graham, sette anni fa. La seconda, Daisy Ross, lo scorso anno. Ha rapito un'altra bambina, Julie Dawson, a febbraio scorso e soltanto tre mesi fa, ha ucciso il mio fidanzato, Trevor Lynch. Abbiamo ragione di credere che questi omicidi siano legati a me, perché hanno a che vedere con date, eventi e relazioni che mi riguardano. –

Nell'ascoltare il mio racconto, lo sguardo di Tŭmen si fece distante, poi portò la mano al viso. – Non so cosa dire... –

Ci dica solo la verità. Cos'è accaduto a Novak? –

Attese qualche istante, poi tornò a guardarmi, in pena. – Era praticamente in fin di vita dopo la chiusura della struttura che gli somministrava un farmaco sperimentale, basato su un plasma speciale... a quanto mi aveva detto. Mi sono offerto di aiutarlo, gli ho proposto di andare in ospedale, ma mi ha detto che se l'avesse fatto, sarebbe stato preso. Non sapevo cosa ci fosse dietro... era quello che stai raccontando? –

Annuii e lui continuò, mortificato. – Se solo avessi saputo... Karolus è morto un mese fa, senza che potessi aiutarlo né alleviare il suo dolore. Ai miei occhi, si era consumato nella malattia. Prima di morire, mi ha chiesto di aiutarlo a sparire da questo mondo che non sentiva più suo. Ma io non sapevo cosa fare... mi sono spaventato e... ecco... mi dispiace tanto. –

Lei sarà incriminato per occultamento di cadavere, Tŭmen. – disse Wheeler.

L'ex direttore assentì. – Dopotutto, me lo merito... avrei dovuto fermare Karolus... –

Wheeler annuì, poi fece segno ai suoi, che fecero alzare e ammanettarono Tŭmen. Era molto alto e muscoloso, per essere un settantenne in pensione, ma d'altro canto, doveva essere una caratteristica di chi aveva votato la sua vita all'esercizio fisico e, non a caso, la ricerca di Jace l'aveva ricondotto a uno dei potenziali sospettati.

Ilian Tŭmen, la dichiaro in arresto per l'occultamento del cadavere di Karolus Novak. – dichiarò.

Prima che lo portassero via, si fermò a guardarmi. Il suo volto sembrava sereno, nonostante tutto. Come se anche per lui, la morte di quell'uomo fosse stata una liberazione.

Grazie. – disse soltanto, prima di essere condotto via.

Quando fummo soli, Wheeler massaggiò la tempia. – Quindi... caso chiuso? –

Alexander si guardò intorno, poi uscì. Lo seguimmo di lì a poco, trovandolo ad armeggiare con l'accendino e una sigaretta. Era troppo nervoso e non ci stava riuscendo. Era tanto che non ne toccava, almeno quando eravamo a casa. Il detective Wheeler lo aiutò ad accendere. Alexander tirò su una prima boccata e il fumo si disperse intorno a noi.

Alexander. –

Tutto. Avevo immaginato di tutto. Ogni singolo giorno avevo pensato al momento in cui me lo sarei trovato di fronte. Ogni volta, uno scenario diverso, perché quel bastardo era un cazzo di fantasma. E ora... ora non c'è più niente. Se n'è andato così. Mi ha fottuto. –

Però è finita. E questo significa che nessuno più sarà in pericolo a causa sua. – aggiunse Wheeler che, a sorpresa, gli fece compagnia accendendo a sua volta una sigaretta.

Mi ritrovai a tossire e lui agitò la mano a mezz'aria, per scansare la nuvoletta di fumo.

Comunque c'è ancora l'autopsia... senza quella le dichiarazioni di Tŭmen sono da dimostrare. Anche perchè ci sono troppi “non so” e “non ricordo”. – dissi.

E per quella dovremo attendere lunedì, dato che Selina aveva chiesto un permesso. Con Tŭmen in cella, significa che questi giorni serviranno per decomprimere. Credo che tutti ne abbiamo bisogno, dopo tutta questa storia. –

Annuii. Un agente ci raggiunse per informarci che i rilievi erano stati ultimati, ma che avevano bisogno che lui controllasse. Wheeler gettò il mozzicone a terra e lo schiacciò per spegnerlo.

Vi aspetto dopo in macchina. – disse, prima di allontanarsi.

Quando fummo del tutto soli, guardai Alexander. In un certo senso, capivo la sua frustrazione, dal momento che anch'io mi sentivo come se fossi stata privata di uno scopo all'improvviso. Però, dovevo anche ammettere che l'idea che il Mago non fosse più una minaccia mi rincuorava. – Cosa facciamo, ora? –

Alexander inalò l'ultimo tiro, poi spense il mozzicone ed espirò. Il suo sguardo si perse nell'azzurro di una giornata estiva. – Non lo so, Kate. So solo che non riesco a darmi pace. –

Sospirai. – Magari... quella verrà col tempo... ma in fondo, credo di riuscire a capirti... –

Quando si voltò a guardarmi, sentii prepotentemente il peso del non detto, delle parole di Trevor e realizzai, improvvisamente, il motivo di quella sensazione. Il mio cuore aveva ripreso a battere forte, ma evitai di dargli corda e mi incamminai. Avevo bisogno di chiarirmi le idee.

Kate? –

Al sentirlo pronunciare il mio nome trasalii e mi fermai.

Per tutto quello che hai passato... mi dispiace, davvero. –

Morsi le labbra e presi fiato. Incrociai le mani dietro la schiena e mi voltai.

Due scuse in un giorno. Alla terza, detective Graham, dovrà pagare pegno. –

Il suo sguardo si ammorbidì, poi annuì. – Torniamo a casa. –

 

 

 

 

 

**************************

Buona domenica! Parte breve, ma conclusiva, del X capitolo. Piccole precisazioni: Alexander ha sempre sospettato del legame di Kate con il Mago sin dal loro primo incontro. E... alla fine, il Mago altri non era che un malato terminale la cui vita si è spenta nel delirio. Anticlimatico, vero? Però, alle volte, ci sono casi destinati a non avere soluzione... oppure, chissà. Certo è che ora, rimane da scoprire cosa il direttore Tŭmen avrà da dire in sede ufficiale nei riguardi di quell'uomo che tanto ha condizionato le vite di Kate e di Alexander... e non solo. Forse. Chissà. Mai dire mai. C'è da dire che nel mentre, Kate e Alexander avranno a loro volta qualcosa in sospeso... e il prossimo capitolo è il mio preferito in assoluto! Parola d'ordine: decompressione!! Grazie per il sostegno e alla prossima settimana!

PS. Nella pagina del prologo ho aggiornato i link con i disegni e ora sono perfettamente visibili direttamente! :)

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Capitolo 24
*** XI. prima parte ***


 XI ◊

 

 

 

 

 

 

La sera della festa a villa Howell arrivò di lì a poche ore.

Dopo l'arresto di Tŭmen, io ero tornata nel mio appartamento, dove mi attendeva Lucy. Avevo chiesto ad Alexander di pazientare fino alla settimana successiva perché tornassi a riprendere le mie cose, dal momento che l'emergenza era passata e Nicholas ormai non viveva più con noi. Lucy ne era stata felice, anche se dal suo atteggiamento avevo compreso che qualcosa bolliva in pentola. Così, dopo aver sentito i miei e raccontato della conclusione delle indagini e sul colpo di scena che riguardava Novak, con conseguenti commenti infinitamente sollevati dei miei genitori, avevo affrontato la questione con la mia amica. La sua preoccupazione riguardava me ed Alexander e la mia reazione al video di Trevor. Solo che non ero pronta ad affrontare tutto, dopo giornate così intense. Alla fine, quella notte, ci eravamo appisolate insieme sul divano, una cura speciale di Lucy a base di insano cibo spazzatura e gelato, davanti a un film, nella fattispecie Vi presento Joe Black, come da vecchi tempi.

Il giorno successivo, per volontà della mia amica e di Selina, che mi aveva chiamato sia per sapere come stessi che per Nicholas, che aveva un sacco di cose da raccontarmi, ci dedicammo a noi e fu rigenerante, in un certo senso, come se avessimo recuperato, per quanto possibile, quella dimensione di spensieratezza che era venuta meno. Quando Jace venne a prenderci, in elegante smoking, fischiettò.

Signorine, così farete stragi di cuori! – disse e baciò Lucy, che sorrise.

Avevamo indossato degli abiti da sera che avevamo acquistato, diversi mesi prima, dando fondo ai primi stipendi. Il suo, un abito lungo verde scuro fermato in vita, con un corpetto di raso, era straordinario. Aveva acconciato i capelli in una treccia che partiva dall'alto e incorniciava la nuca a mo' di corona, per poi ricadere in una ciocca mossa sulla spalla sinistra. Il mio era un abito nero in chiffon in stile impero con maniche leggerissime a giro, che scendeva morbido, con un inserto di brillanti che fasciava lo scollo pronunciato. Avevo indossato dei semplici punti luce, mentre i miei capelli si erano rivelati un dramma impossibile da acconciare con quella lunghezza. Alla fine, Lucy aveva giusto dato un po' di movimento con qualche onda fatta col ferro.

Quando raggiungemmo villa Howell, la festa era già cominciata. Musica, luci, e addobbi rigorosamente decisi da Selina, una schiera di camerieri in livrea e una cinquantina di invitati. Che se ne dicesse, ma il detective Wheeler aveva avuto ragione. Avevamo bisogno di decomprimere.

La prima cosa che feci, dopo aver salutato una raggiante padrona di casa in abito lungo color corallo e delicatissimi gioielli d'oro che avrebbero sfamato il Dipartimento per un anno, e il dottor Howell, rigorosamente in smoking, come voluto dal dress code della moglie, mi ritrovai un inedito e bellissimo Nicholas, in camicina bianca, papillon e bermuda neri. Quando mi vide, corse ad abbracciarmi.

Kate!! Mi sei mancata!! – esclamò.

Anche tu, tesoro mio!! Fatti, guardare, sei... bellissimo!! –

Nicholas mi rivolse un sorriso felicissimo, poi mi guardò bene. – Perché hai tagliato i capelli? –

Ehm... avevo bisogno di cambiare un po'... come sto? – chiesi, sorridendo.

Fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo si alzò oltre me. Lo aggrottò, poi tornò a guardarmi. – Non è vero, sei la più bella di tutte! –

Gli accarezzai i capelli. – E se lo dici tu, allora mi fido. Al contrario di qualcun altro. – dissi, voltandomi e vedendo Alexander. Chissà perché mi ero illusa per un attimo che avrebbe rispettato il dress code. Look ricercato total black sì, ma senza il papillon. Aveva giusto una pochette a due punte grigio argento a dare colore e stavolta aveva optato per un decisamente più modesto Michael Kors d'acciaio al polso. In compenso, aveva sistemato i capelli, che ricadevano in una solitaria, morbida onda. Intorno a sé, il suo inconfondibile profumo. Era affascinante.

Alexander... – lo salutai, alzandomi.

Sorrise appena inarcando un lato delle labbra, poi mi prese la mano e la baciò. Al contatto con le sue labbra, mi sentii avvampare. Trovava sempre il modo di stupirmi. – Ben trovata. –

Grazie... come stai? –

Inarcò le sopracciglia. – Sospeso. –

Aggrottai le mie. – In che senso? –

Nel senso che vorrebbe essere in qualunque posto a scaricare il suo malumore cronico tranne che in questo. – intervenne Selina, posando le mani sulle spalle del piccolo Nicholas. – A proposito, piccolo... Kate ti ha portato una cosa. Perché non vai a vedere di che si tratta? –

Davvero? Sì, vado subito! Però non te ne andare, Kate, eh? –

Scossi la testa. – Neanche per sogno. Ti aspetto qui. –

Rincuorato, Nicholas corse al tavolo dei regali.

Mi fa tanto piacere vederlo... – confessai.

La prima notte è stata dura. Ha pianto tutto il tempo, voleva tornare da voi... e ieri notte era felice del fatto che vi avrebbe visti. – ci raccontò Selina, sistemando una ciocca dei capelli corvini dietro l'orecchio.

Posso soltanto immaginare... – dissi. – Per questo ho portato una cosa che gli farà sicuramente piacere avere. –

Selina e Alexander mi guardarono stupiti e io sorrisi.

A proposito... grazie per avermi accontentato. So che con quello che è accaduto e trattandosi specialmente di quella persona, la priorità doveva essere l'autopsia, ma... possiamo finalmente festeggiare la fine dell'incubo e in più, volevo che per una volta almeno, potessi dare la priorità alla famiglia... –

Annuii. – È giusto così. –

Beh... d'altro canto è morto, non ha certo nulla da fare. Ad ogni modo, sconterai con gli interessi. – aggiunse sadicamente Alexander.

Selina lo guardò di rimando. – Disse quello che non vedeva l'ora, eh? – e spostò la nostra attenzione, con un sogghigno, sulle nostre mani, la mia ancora nella sua.

Arrossii e sciolsi la presa, mentre Alexander guardò altrove. Pochi istanti e Nicholas tornò, portando con sé Oz. – Selina, guarda!! –

Gli occhi della nostra collega si aprirono di meraviglia. – Oh, è il peluche di Kate! –

Sì, quello che ci protegge! Grazie, Kate... – disse, stringendo forte Oz.

Sorrisi. Ero titubante su eventuali regali, ma alla fine, Oz era quello a cui Nicholas si era affezionato di più e, ormai, aveva esaurito la sua missione con me.

Bene. Che ne dite di divertirci questa sera? – chiese poi Selina e così, partecipammo alla festa.

Ebbi modo conoscere meglio le famiglie degli sposi, che avevo visto soltanto durante la cerimonia in Municipio, di mangiare piatti deliziosi che non avrei mai immaginato di assaggiare e bere dell'incredibile champagne, di vedere Nicholas legare con i figli più grandi dell'agente Jones, che dette sfoggio delle sue abilità di intrattenitore per bambini. Ci fu commozione quando Selina e Marcus presentarono ufficialmente a tutti il piccolo come Nicholas Howell, loro figlio. Non potei fare a meno di pensare che se Karina avesse potuto vedere il suo bambino in quel momento, sarebbe stata fiera di lui e felice per ciò che la vita gli aveva riservato, dopo tanta sofferenza. Rividi con piacere Konstantin Vaughn, il cui rapporto con Alexis si era fatto più regolare, dopo aver avuto la conferma al fatto che sarebbe rimasto negli Stati Uniti per almeno cinque anni. Lucy, a un certo punto, invitata a cantare, dedicò una perfetta Hallelujah che commosse tutti, in particolare Elizabeth, che si strinse al detective Wheeler. In quel momento, guardai Alexander, scorgendo nel suo sguardo una muta consapevolezza.

Poi, gli sposi aprirono le danze, invitando tutti a seguirli. Jace, protestando contro la scelta delle danze, a suo dire troppo ricercate, fu la mina vagante, con divertente disappunto di Lucy. In fin dei conti, un po' di pepe non era male. Elizabeth bisbigliò qualcosa al detective Wheeler e quest'ultimo si alzò, cavando d'impiccio Jace e continuando il ballo con la mia amica.

Ti va di ballare? – mi chiese Alexander, tutto d'un tratto, inclinando la testa verso di me.

Posai il calice di champagne sulla tovaglia di seta bianchissima. – Sì, volentieri. –

Mi alzai subito dopo di lui, prendendo la sua mano e raggiungendo gli altri. Le note gentili del valzer facevano da sottofondo. Alexander mi cinse la vita con un braccio, io sollevai il mio, appoggiando la mano sulla sua spalla, mentre le mani incrociate davano spinta al nostro ballo. Danzammo così per un po', fino a che la musica non cambiò. Riconobbi subito le prime note e guardai sorpresa Alexander, che sorrise, nell'aspettare che, dopo un leggerissimo tonfo, la calda voce di Sinatra e la sua Fly me to the Moon riempisse l'atmosfera con note calde e storiche.

Ma questo... non è il tuo vinile? –

Alexander cambiò presa e mi tenne stretta a sé. – Qualcosa dovevo regalarla anch'io. –

Era una limited edition però, no? Ci tenevi tanto! –

Alzò gli occhi al cielo. – Mh. Non ho avuto tempo di fare altri acquisti. Ah, piuttosto, stavolta, cerca di non pestarmi i piedi. Quei tacchi sono potenziali armi di distruzione. – disse, mentre danzavamo a tempo di jazz.

Quel commento mi fece ridere al ricordo di quando l'avevamo ballata in casa sua per il mio compleanno e gli avevo pestato il piede, sotto gli occhi divertiti di Nicholas. Io non avrei voluto, dal momento che il giorno seguente sarebbe stato l'anniversario della morte di Lily, ma Alexander non aveva sentito ragioni, adducendo come motivazione quanto la serenità di Nicholas venisse prima di tutto. In realtà, non voleva farmi sentire in colpa, né farsi vedere triste. Sapevo che il dolore che si portava dentro era qualcosa che non era ancora pronto a condividere e avevo imparato a rispettarlo e difatti, il giorno successivo era stato praticamente intoccabile. Era rientrato a casa più tardi e si era chiuso nel suo ufficio/palestra, per uscirne soltanto a sera inoltrata. Nè Nicholas né io l'avevamo disturbato, né avevamo osato dire nulla, fino a che non era stato lui stesso a tornare a parlarci. E poi, era tornato il solito.

Alexander mi fece girare su me stessa e, per la prima volta in quella sera e da tanto tempo, mi sentii senza pensieri. Ballavamo e ridevamo, forse un po' brilli, perché mi sembrava che anche lui fosse finalmente più rilassato. Poi fu il turno di un lento, molto caro a Selina e a Marcus, che li aveva fatti innamorare dell'Italia. Avevo le braccia intorno al collo di Alexander e le sue mani erano ben ferme attorno alla mia vita. Guardavo il suo volto, alla luce delle fiaccole che rischiaravano la pista da ballo, con la sensazione che ci fossimo soltanto noi, e lui restituiva. Stretta così, tanto vicini da sentirlo così vivo, così coinvolto... fino a perderci. Quella sera, si era sentito sospeso. Cominciavo a capire cosa volesse dire. Quando ci separammo, sotto gli applausi dei presenti per la fine delle danze, fu difficile. Tornai a sedermi, mentre lui fu convocato dal gran capo. Elizabeth si avvicinò a me.

Disturbo? –

Scossi la testa. Era bellissima, nel suo abito Chanel nero e con due diamanti che le illuminavano il viso. – Come sta? –

Mh. Tu come stai? –

Sospesa. – risposi.

Elizabeth si mise a ridere. – Alexander fa quest'effetto. –

Sollevai le sopracciglia e appoggiai la guancia sulla mano, sorridendo. – Già. –

Sappi che... per quello che può valere, detto da me, mi fa piacere vederlo sereno. –

La osservai. C'era qualcosa in lei che non riuscivo a capire. Forse, era dovuto al fatto che anche se ormai avevano divorziato, lui rimaneva comunque il padre di sua figlia, un uomo che era stato importante per lei e quel legame ci sarebbe sempre stato, a prescindere da qualunque relazione successiva.

Alla fine... aveva ragione, sa? –

Su che cosa? –

Quando mi chiese se mi piacesse Alexander... mi ci è voluto tanto per capirlo... forse... se me ne fossi resa conto prima... –

I suoi occhi cerulei si spalancarono sorpresi, poi sospirò. – Dopo quanto accaduto a mia figlia, sono diventata piuttosto fatalista, sai? Quando Max mi ha detto che il Mago era morto, è stato come se fosse stata ristabilita la giustizia. Certo, non è marcito in una prigione, ma la malattia gli ha dato sofferenza e, perdonami, questo, dal mio punto di vista, è stato un contrappasso. E ora... ora che lui non c'è più, so che la mia bambina può riposare finalmente in pace, anche se... anche se... – si interruppe, con gli occhi lucidi e la voce rotta dalla commozione.

Elizabeth... –

Guardò in su, per ricacciare indietro le lacrime e premette il dorso della mano contro le labbra, poi prese un enorme respiro. – Scusa... quello che voglio dire è che... ora che quel mostro ha cessato di esistere, non possiamo permettere che torni a essere uno spettro e che distrugga ancora le vite di tutti noi. –

Mi ritrovai a tremare, realizzando cosa volesse dire. Forse, aveva bisogno di convincersi a sua volta, ma il suo discorso era chiaro. Non potevamo permettere al Mago di avere ancora presa sul nostro presente e sul nostro futuro, altrimenti avrebbe vinto lui. Annuii.

Lei è davvero coraggiosa, Elizabeth... –

La donna mi rivolse un sorriso commosso. – Ho imparato ad esserlo. –

Due colpetti di tosse ci richiamarono. Sia il detective Wheeler che Alexander erano tornati.

Tutto ok? – domandò l'ultimo.

Sì. Abbiamo chiacchierato un po'. – dissi.

Alexander annuì, mentre il detective Wheeler si sedette accanto ad Elizabeth. – Avete fumato dei sigari, vero? – chiese la donna, facendo ondeggiare la mano per cacciar via l'odore.

Una collezione deluxe. Non c'è matrimonio che non si rispetti che non abbia sigari da offrire. – spiegò Alexander.

Oh, certo. Per questo al nostro non ce n'erano, vero? Non era un matrimonio che si rispettasse. – lo punzecchiò Elizabeth.

Alexander fece spallucce. – Che vuoi? Eravamo giovani, idealisti e mio padre mi aveva legalmente squattrinato. –

Vorrà dire che ti rifarai in età matura. Anche perché il peso dell'età comincia a farsi sentire, no? – domandò, inarcando il sopracciglio perfettamente arcuato, mentre il detective Wheeler si mise a ridacchiare sotto i baffi.

Colta la sfida, Alexander incrociò le braccia e la guardò di sottecchi. – Disse quella che aveva scelto il più vecchio, non è così? –

Ehi. Guarda che tu e io ci togliamo solo pochi mesi. – borbottò Wheeler.

Mi misi a ridere, suscitando la loro attenzione e la reazione perplessa di Alexander, che mi chiese da che parte stessi. Avevamo davvero bisogno di momenti così.

 


Lasciammo la festa un po' prima delle 2:00 ma, mentre Lucy e Jace decisero di continuare recandosi in in centro, io passai. Non avevo voglia di andare ancora in giro per locali. Quando salii in macchina di Alexander, ci ritrovammo a parlare.

Sei sicura di non voler seguire quei due? –

Sicura, sì. Credo di aver già dato abbastanza per stasera. –

Sollevò le sopracciglia e partì. – E poi sono io quello che sente il peso dell'età. –

Mpf. Francamente non ti ci vedo a fare le ore piccole nei locali del centro. Sei più il tipo da introduzione illecita notturna nelle palestre delle università o nelle aziende farmaceutiche... –

Quel commento gli strappò un sorriso. – Soltanto quando ho al seguito la mia squadra di pazzi. –

Fui d'accordo e mi stiracchiai sul sedile.

Il tempo di raggiungere casa tua e avrai tutta la notte per dormire. –

A quel commento il mio cuore mancò un battito. Abbassai le mani, incrociandole in grembo. Guardai fuori dal finestrino, ancora una volta, nella notte di Boston. Mi piaceva il modo in cui la skyline si delineava, illuminata dalle luci della città.

Ricordi la notte in cui mi riaccompagnasti a casa di Trevor? –

Il suo riflesso nel vetro del finestrino mi dette risposta affermativa.

Non credo che potrei mai dimenticarla. –

Il mio respiro si fece più profondo. – Se lui fosse stato ancora vivo... quella notte mi avrebbe chiesto di sposarlo... –

Non rispose, ma potevo vederlo. Il suo volto si era fatto più contratto.

Guardai le mie mani e, istintivamente, sfregai l'anulare sinistro. Sentivo il cuore più pesante a ogni istante di silenzio.

Cosa gli avresti risposto? – domandò, inaspettatamente, e mi voltai guardarlo, incredula.

Ebbi difficoltà ad articolare le parole in quel momento. Che fosse a causa della tensione o della paura che dirlo ad alta voce avrebbe significato non tornare più indietro, non lo sapevo. Ma ormai, non aveva più senso continuare a tenere tutto per me. Il Mago era morto. Aveva portato con sé parte della mia vita. Trevor sarebbe stato sempre parte di quella vita, ma dopo aver visto quel video, avevo avuto conferma a ciò che avevo temuto di più. Perdipiù, le parole di Elizabeth e di Selina continuavano a riecheggiarmi in mente. Il diritto di essere felici... e Alexander era la sola persona che condivideva con me il destino, tragicamente, da molto tempo prima di incrociare le nostre strade.

Dirigiti a Beacon Hill. – sussurrai appena.

Vidi il suo volto sollevarsi appena e i suoi occhi, che si erano spalancati per un attimo, si concentrarono sulla strada di fronte a noi, in un tragitto più breve, ma lunghissimo, se paragonato a ciò che provavo.

 

Quando arrivammo, scesi per prima dall'auto, ma mi fermai ad attendere, appoggiata contro lo sportello metallizzato. Avevo bisogno di un po' d'aria fresca, anche se mi ritrovai a rabbrividire. Alexander mi raggiunse e alzai lo sguardo, incontrandone il suo, ancora una volta. Era così serio e pensieroso che mi sentii quasi in soggezione. Le sue dita si mossero ad accarezzarmi il viso e il contatto con la sua pelle calda mi fece impazzire. Chiusi gli occhi, abbandonandomi al piacere di quel tocco, fino a che non sentii la sua voce.

Kate... ne sei sicura? –

Annuii, col cuore furioso che sembrava volermi uscire dal petto. Anche lui non doveva sentirsi diversamente e quando le sue labbra trovarono le mie, percepii chiaramente la sensazione di un argine che si infrangeva. Un bacio che iniziò quasi reverenziale, per poi diventare più sicuro e profondo, quando risposi ad esso con la stessa voglia. Quante volte avevo immaginato, in quei mesi trascorsi insieme, come sarebbe stato essere baciata da lui? Ci eravamo andati vicini, ma allora, si era tirato indietro. Non avevo compreso fino in fondo il motivo per cui l'aveva fatto, quella volta. Me ne resi conto quella notte. Non significava soltanto abbandonarsi a qualcosa. Mi aveva chiesto se fossi sicura di quello che stessi facendo. Di ciò che volessi. Aveva bisogno che fossi realmente pronta e che non ci fossero più fantasmi tra noi. Anche se questo avesse significato dover trattenere quello che provava. Del resto, aveva sempre avuto un modo piuttosto singolare di proteggermi.

Servì un'incredibile forza d'animo ad entrambi per non lasciarci andare nell'ascensore che ci avrebbe portati a casa. Mi sentivo furtiva, eccitata, curiosa, stretta tra le sue braccia, beandomi dei suoi baci e dei suoi mugugni di protesta ogni volta che, ridendo, gli impedivo di schiacciare il tasto dell'alt. Lo presi per mano quando uscimmo dall'ascensore e arrivammo davanti al portone nero. Sorrise beffardo, poi, da perfetto padrone di casa, aprì e fece un piccolo inchino.

Prego. – disse, invitandomi ad entrare.

Sorpresa da quel comportamento, ricambiai l'inchino ed entrai. Soltanto due giorni e il nostro mondo si era capovolto. Ma casa Graham era nuovamente un'isola felice.

Accolta dalla sola luce lunare che rischiarava tutto l'ampio open space, mi ritrovai a sorridere, consapevole che niente e nessuno avrebbe turbato quella felicità. Il mio cuore riprese la sua corsa forsennata quando sentii la presenza di Alexander alle mie spalle. Non avevo bisogno di voltarmi, non ancora. Prima ancora che mi toccasse, il suo profumo mi aveva catturato. Sentii la punta delle sue lunghe dita scostarmi gentilmente i capelli che ricadevano appena sul collo e chiusi gli occhi. Poi, quelle stesse dita scesero fino alle maniche di chiffon del mio abito e, mentre con la lentezza esasperante di chi stava assaporando quel momento, le faceva scendere lungo le mie braccia, le sue labbra morbide e calde tornarono sul mio collo, ben attente a non trascurare alcun millimetro. Mi spinsi istintivamente all'indietro, appoggiandomi a lui. Passò un'interminabile e beata eternità, fatta del sapore dei baci, del respiro corto, del tocco delle sue mani così attento, sicuro e vivido nonostante non osasse ancora oltrepassare la stoffa sottile, della sensazione di non poterne fare a meno. Quella frenesia di prima aveva lasciato il posto a qualcosa di diverso, volutamente torturante, un'agonia meravigliosa.

Quando finalmente riuscii a voltarmi, mi ritrovai nuovamente nel suo abbraccio. E poco valeva che fossimo ancora nell'ingresso di casa, vestiti, perché quel che stava accadendo andava al di là di ogni nostra forma di razionalizzazione. Sollevai le mani e gli sfilai la giacca, che lasciai cadere a terra. Mi guardava paziente e curioso, sorridendo mentre allentavo uno a uno i bottoni della camicia nera. Quando ebbi finito, allargai i palmi sul suo petto nudo, glabro e scolpito. Si lasciò sfuggire un sospiro, quando mi sollevai sulle punte e gli baciai il collo, nel punto da cui partiva il tatuaggio del pugnale esplorandone i contorni con la lingua, mentre lui, dopo aver tirato giù la zip posteriore del mio abito, lo lasciò scendere intorno a me. Mi coprii il seno nudo con le braccia e alzai lo sguardo verso di lui, in attesa. Sorrise nuovamente e tolse la camicia. Sul fianco destro, la cicatrice dovuta al suo scontro diretto con il Mago di mesi prima era appena visibile.

Siamo pari... quasi... –

Toccò a me sorridere di quel commento, che riuscì nell'intento di lasciar scivolar via qualunque imbarazzo. Allentai la presa e lasciai che mi osservasse avendo la soddisfazione di notare quanto ciò che stava vedendo ne stesse alimentando il desiderio. Mi sollevò il viso con le dita e si chinò a baciarmi nuovamente. Solo in quell'istante mi resi conto di star ricambiando come se da quel bacio dipendesse la mia stessa sopravvivenza. Affondai le mani tra i suoi capelli e tolsi i tacchi. Alexander mi rivolse un sogghigno compiaciuto dei suoi, prendendomi tra le braccia prima che fossi arrivata a terra. Sollevata alla sua altezza, ne incontrai gli occhi. Zaffiro liquido. Tempestosi. Incantevoli.

Alexander... – mormorai, e il suo nome fu come una supplica.

Mi scostò una ciocca dal viso, che sembrava stare studiando. – Sei così bella... anche con i capelli corti... –

Arrossii e lo strinsi forte mentre, lasciando indietro una parte dei nostri abiti, si dirigeva in camera.

Quel che accadde dopo fu nel nostro privato. Non osai mai fare paragoni con Trevor. Erano due persone totalmente diverse. Io ero diversa. Ci scoprimmo insieme, forti di un'intesa che trascendeva la sola attrazione fisica. Quella c'era e ci sarebbe sempre stata, certo, ma Alexander sembrava in grado di capirmi oltre, anche in quel senso. A tratti famelico e arrogante, a tratti paziente e parsimonioso, dosava il suo desiderio tanto quasi da arrivare a tantalizzarmi. Mi ero ritrovata a pregarlo di concedermi sollievo e a desiderare che non lo facesse. E mi ero sorpresa di quanto lo volessi, di quanto anch'io riuscissi a spingermi più in là di quanto avessi mai fatto, senza che vi fosse imbarazzo alcuno, in un gioco di potere e volontà. Avrei potuto continuare per sempre e d'altronde, anche lui sembrava apprezzare. Le sue mani che, nello stringermi, imprimevano solchi sulla mia pelle, i segni di baci sempre più provocanti, disinibiti e profondi, la squisita sensazione di marea montante ogni volta che, muovendomi su di lui, eravamo vicini al culmine, il modo perfetto in cui i nostri corpi si incontravano a fondo, con le mie gambe avvolte attorno ai suoi fianchi, mentre le spinte voluttuose diventavano sempre meno razionali e più istintive e le sue dita si intrecciavano alle mie, sui cuscini. Il piacere allora, era arrivato intenso, caldo, continuo, tante e tante volte. A un certo punto, nè lui né io fummo più in grado più quantificare il tempo, che ormai rispondeva soltanto al ritmo dei nostri amplessi.

Ci ritrovammo così, stretti in un languido abbraccio di quella notte d'estate, appagati ed esausti, baciati dal chiaro di luna che filtrava dalle ampie finestre in legno nero della stanza da letto. Mi accoccolai posando la guancia sul suo petto, sentendo poco a poco il battito del suo cuore diventare più regolare. Lui giocava con una ciocca dei miei capelli.

Alexander? –

Mh? –

Sorrisi. – Non è un sogno, vero? –

Le sue dita tamburellarono sulla mia spalla nuda. – Mpf... chi può dirlo. Al momento non credo di essere del tutto in possesso delle mie facoltà intellettive. –

Mi venne da ridere e sollevai il viso, baciando quelle labbra lussuriose. – Grazie... –

Incontrai i suoi occhi. A una prima espressione di sorpresa, ne era seguita un'altra divertita.

Dovrei dirlo io... ho imparato l'autocontrollo in tutto questo tempo... e... onestamente, sono sorpreso. Ti credevo più pudica. – aggiunse maliziosamente e ridacchiai a quel commento.

Sei ancora dell'idea di mettere la mia purezza sul piatto della bilancia? –

Alzò gli occhi verso il soffitto. – Temo che in quel caso, perderei clamorosamente. –

Mi sollevai a guardarlo, incredula. – Non ci credo... stai ammettendo una sconfitta? –

Sogghignò, poi, dopo avermi stretta di nuovo a sé e tirato su il lenzuolo, coprì entrambi.

Buonanotte, Kate. –

Sorrisi pensando che non sarebbe mai cambiato e, ancora calda tra le sue braccia, per la prima volta in quei giorni mi sentii tranquilla fino a che, poco a poco, scivolai nel sonno.

 

 

 

**************************

Buonasera!! Aggiornamento di oggi... e sono alquanto imbarazzata perché non è facile per me scrivere scene di un certo tipo!! Però, era finalmente il momento giusto e ora, posso dire che finalmente, entrambi si sono messi a nudo, letteralmente e figuratamente, avendo ammesso la propria attrazione reciproca ormai apertamente. A proposito, riguardo a Mr. Screw the dress code, Alexander ha scelto un look total black perché l'ultima volta che ha indossato uno smoking, è stata la notte in cui è morto Trevor e non voleva risvegliare in Kate ricordi dolorosi. Ma ovviamente, essendo lo tsundere che è s'è stato zitto. XD
Nel finale, la storia della purezza sul piatto della bilancia è un riferimento a quando stuzzicava Kate sui trascorsi nel Dark Circus... :3 Un grazie di cuore per il sostegno e alla prossima!!


PS.

 

Aggiungo questo disegno che è venuto fuori solo oggi... so che non è niente di che, perché la mia mano in questo periodo non è particolarmente artistica, ma è da tempo che volevo provarci. <3

lexkate

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Capitolo 25
*** XI. seconda parte ***


Freud sosteneva che i sogni fossero una riorganizzazione mentale di ciò che avevamo vissuto durante il giorno.

Non si poteva dire che quelli trascorsi non fossero stati incredibilmente ricchi di eventi. Sognai, quella notte. Nicholas e il suo visetto disperato durante la nostra separazione. Il volto del Mago rielaborato da Jace. Trevor e il suo sorriso pieno di speranza. Gli occhi di mia madre che mi guardavano attraverso lo specchio, sconvolti e addolorati dopo che avevo tagliato i miei lunghi capelli in un impeto di rabbia e frustrazione per aver scoperto la verità sul mio legame con il Mago e il movente dietro ai suoi omicidi. La calda voce di Lucy mentre cantava Hallelujah alla festa di nozze degli Howell. Le parole del direttore Tŭmen. Il profilo statuario di Alexander mentre gli chiedevo di dirigerci a casa sua. Gli occhi neri come l'abisso di Karolus Novak nel video, poco prima di togliere la vita a Trevor, e nei miei ricordi di bambina. La piccola Daisy, la sua manina gelida. L'accento strano che mi augurava un buon Natale. La foto di Lily, così piena di vita nei suoi tre anni. Le braccia di papà che mi stringevano protettive quando mi ebbe ritrovata, al circo. Che strano, non c'era nessun altro allora. Il direttore Tŭmen non l'avevo mai visto. Eppure mi aveva sorriso, prima di esser portato via. Perchè chiedere ad Alexander se fosse stato un artista dopo aver visto il suo tatuaggio? Durante il loro unico scontro, il Mago l'aveva colpito con un coltello, ferendolo al fianco. Un'altra immagine. Nicholas, seduto sul divano a leggere con me. Stavamo guardando insieme un disegno e Nicholas mi aveva raccontato di quando la sua mamma gli insegnava i nomi dei colori nella loro lingua madre. Allora, mi era sembrata una buona idea per non fargli dimenticare quel legame. Avevamo visto insieme anche le sfumature di colore in bulgaro. Bistŭr. Chiaro. Tŭmen. Scuro. C'era sorpresa negli occhi del direttore del circo Tŭmen. Qualcosa che in quel momento suonava come un infausto e ironico presagio. E perché indossava una giacca a maniche lunghe in estate quando, nerboruto com'era, non sembrava averne bisogno? Magari aveva qualcosa da nascondere. Prima di morire, mi ha chiesto di aiutarlo a sparire da questo mondo che non sentiva più suo. Il mondo che il Mago sentiva suo ormai era distorto. Il glioma aveva generato delle alterazioni di coscienza. Fino a che punto potevano essere arrivate? Gli occhi neri che mi fissavano quand'ero piccola. Gli occhi blu notte di Alexander la prima volta che l'avevo incontrato in Dipartimento, grondanti rabbia e bisogno di sapere. Lo sguardo del direttore Tŭmen quando era stato portato via. Il suo sorriso. Il sorriso che avevo visto la notte in cui Daisy era stata uccisa. L'imponente figura. La stessa che aveva indicato Julie appesa a una carrucola, pronta a precipitare da almeno quattro metri d'altezza. La stessa che aveva trucidato Trevor. Gli occhi neri. La sua voce. Era un illusionista esperto anche nel corpo libero. Ma quello non era un semplice racconto. Era un indizio. Una sfida per noi. E troppo sconvolti com'eravamo, non eravamo stati in grado di realizzarlo.

Riaprii gli occhi all'improvviso, inspirando profondamente. Accanto a me, immerso nella luce notturna che poco a poco, cominciava a chiarire, Alexander dormiva sereno, come non lo vedevo da tanto. Un braccio affondato sotto al cuscino, il lenzuolo che a malapena gli copriva la schiena, il tatuaggio del pugnale che seguiva la curva della sua spalla muscolosa. Dark Circus. Se solo avesse saputo che quel nome, che aveva scelto perché tanti anni prima viveva la sua vita sul filo del rasoio, sarebbe stato maledetto, avrebbe fatto il diavolo a quattro per cavarselo dalla pelle.

Oh, Alexander... – sussurrai, tendendo le dita per accarezzare quel disegno, quando sentii in lontananza il mio telefono squillare. Trasalii, nello stesso istante in cui Alexander si svegliò. Era abituato ai risvegli notturni, ma quando mi vide, il guizzo di allarme nei suoi occhi si tramutò ben presto in una realizzazione improvvisa. Balzai fuori dal letto, incurante dell'essere ancora nuda e corsi nel soggiorno di casa, prendendo il telefono dalla pochette. Mi mancò un battito quando lessi il nome di Lucy e per un attimo fui tentata di non rispondere. Pochi secondi e Alexander mi raggiunse, posandomi una sua camicia sulle spalle, che abbottonai. Lui aveva almeno avuto il tempo di infilare i boxer.

Che succede? –

E-Era Lucy... mi sono preoccupata... come minimo voleva sincerarsi che fossi a casa... che ore sono? –

Alexander mi guardò sorpreso, poi guardò l'orologio che segnava le 5:15. Non fece in tempo a darmi risposta che sul display apparve un messaggio. Guardammo entrambi e la visione fu come un pugno allo stomaco.

Oh mio Dio... –

Lucy, seduta su una poltroncina con un alto schienale, legata stretta, a giudicare dal modo in cui le pieghe dell'abito azzurro alla Dorothy fuoriuscivano dalle corde, con i suoi lunghi capelli legati in parte con delle trecce e in parte liberi, aveva un'espressione terrorizzata dipinta dei suoi occhi verdi ed era imbavagliata. Un altro messaggio, stavolta audio. Lo feci partire, col cuore in gola. La voce cantilenante, nel suo vero accento, melliflua e dannata.

« Katie... Katie... Katie è bella con le trecce... »

Alexander mi prese di mano il telefono e senza che potessi fermarlo, richiamò il numero. Passarono interminabili secondi prima che rispondesse. Poi, all'improvviso, lo fece. Sentimmo in sottofondo i lamenti di Lucy.

Novak! – urlò Alexander e la sua voce iraconda mi risvegliò dal torpore.

Novak, il Mago, non rispose subito. Era vivo. In un angolo remoto del mio cervello, in quel momento, pensai a dove fosse Jace e fui assalita dal terrore che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. D'altronde, Jace non avrebbe mai permesso a nessuno di fare del male a Lucy.

« Quindi è così? Hai scelto... lui? Katie... la mia dolce Dorothy. Non puoi essere di nessun altro. »

Non c'era il vivavoce, ma nel silenzio, potevo comunque sentirlo. Sul volto di Alexander comparve il disgusto. Feci per dire qualcosa, ma mi fermò, indicandomi il suo telefono, che andai a prendere.

No. Dorothy è con te. O sbaglio? – domandò, nel tentativo di prendere tempo. Il suo telefono taceva, segno che nessuno doveva essersi accorto della sua fuga.

« Passami Katie. Non è con te che voglio parlare, detective Graham. »

Katie non c'è. –

Affilai lo sguardo, mentre Alexander sembrava cercare qualcosa nella galleria. Il tempo scandiva secondi interminabili, mentre in sottofondo, il respiro di Novak si faceva più affannoso e lamentoso. Che fosse quella la sua vera personalità?

« Katie... la mia Katie con le trecce... Katie sarà di nuovo mia... e riceverà il tuo cuore in dono. »

Rabbrividii nel sentire quelle parole e portai la mano alla bocca. Alexander mi fece segno di non fiatare, poi mi fece vedere una foto. Si trattava di una scena del crimine, decisamente. Quando realizzai quale fosse, mi sentii mancare. Novak aveva portato Lucy nello stesso luogo in cui aveva tenuto prigioniera Lily. Sapevamo dove fossero, almeno. Era un vecchio stabilimento fuori città, utilizzato in passato come sede di allevamenti intensivi e mattatoio negli anni Ottanta. Dopo la dismissione, era stato ritrovo di tossici e prostitute, ma da quando la piccola Lily fu ritrovata, era stato semplicemente abbandonato alle ingiurie del tempo. Non poteva scegliere un luogo peggiore per il suo spettacolo finale.

Novak. Vogliamo incontrarti. – disse Alexander, il cui volto era contratto tra orrore e la ritrovata possibilità di mettere davvero la parola fine a quella storia. Io lo fissai. Aveva usato per la prima volta il plurale.

Dal silenzio evincemmo che doveva star riflettendo su quella proposta. All'improvviso lo sentimmo ridere. Una risata terrificante. Blaterò qualcosa in bulgaro, poi chiuse la chiamata. Guardai Alexander. Il cuore mi martellava nel petto, preda di un'angoscia che speravo di non provare mai più. Era come se all'improvviso fossi ripiombata in quell'incubo, con la differenza che stavolta il Mago giocava a carte scoperte e Lucy era in pericolo.

Non sanno nulla. Non devono essersene accorti. Questo può significare soltanto che... –

– … che aveva pianificato tutto. È un illusionista e probabilmente, deve avere le abilità di un escapologo. Ci ha presi in giro dall'inizio, Alexander... e ora... ora Lucy è... – misi le mani in testa, sconvolta e incapace di dire quelle parole ad alta voce.

Alexander annuì. – Andiamo a vestirci. Ho bisogno di fare mente locale. E anche tu. –

Annuii ed eseguii come fosse un ordine.

Feci più velocemente che potevo e lo raggiunsi nel suo ufficio poco dopo. Tutta la sua indagine, che io avevo rimesso insieme, era ancora sintetizzata, stavolta sull'intera parete. Lo trovai lì, ad osservare ogni cosa. Probabilmente, stava cercando di capire quale fosse stato l'anello debole del processo.

Alexander... –

Il suo sguardò si fissò sugli ultimi appunti, quelli relativi al direttore Tŭmen.

Era una sfida. Ci ha teso una trappola, fingendo di essere l'uomo che ha ucciso. Sai come si dice? Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella mostra. Ed è questo che ha fatto. Lui sa di non avere tempo. Lo sapeva quando si è mostrato a te la prima volta. Ma ora che sta morendo e che la sua identità è nota, non ha più niente da perdere. Non possiamo escludere che il suo giudizio sia offuscato dalla progressione del tumore, pertanto, allo stato attuale, ogni sua azione è potenzialmente imprevedibile. Per questa ragione, Kate... come suggerisci di agire? –

Sgranai gli occhi. Era la prima volta che mi chiedeva consiglio su cosa fare, riguardo al Mago. Ero pronta a sentirgli dire che avrebbe agito autonomamente, ma su una cosa aveva ragione: le azioni di Novak erano imprevedibili, ma dovevamo comunque provare a delineare uno scenario.

Non credo che abbia scelto quel luogo a caso. Sa come muoversi lì perché quello è un posto a lui familiare. Ha dimostrato di non farsi alcun problema ad agire sia in presenza che in assenza di pubblico, dunque, credo che laddove dovessimo fare intervenire le squadre o ci recassimo entrambi, per lui non farebbe differenza. Al momento, la sua ossessione ha raggiunto il culmine. Non ha scelto una bambina di tre anni perchè la sua fantasia è falsata dall'aver interagito direttamente con me e dal fatto che non corrisponda più al suo ideale, nonché dal non averlo riconosciuto. Si è sentito tradito e ha preso Lucy, come surrogato adulto. Solo che... lei è cosciente. Probabilmente non può più utilizzare dei sedativi, ma non durerà a lungo. – strinsi i pugni e deglutii.

Non abbiamo tempo. Lui ci sta aspettando e probabilmente non ucciderà Lucy finché non saremo presenti. Lei è il suo ultimo spettacolo, ma noi non possiamo permettergli di portarlo a termine! E poi... non sappiamo ancora cosa sia accaduto a Jace... –

Alexander si voltò a guardarmi. C'era qualcosa nel suo sguardo che esprimeva un misto tra approvazione e un senso di perdita. – Era questo il motivo per cui non ti ho mai detto niente, in tutto questo tempo. Temevo che se l'avessi fatto prima che tu ricordassi tutto spontaneamente, non saresti riuscita a vedere. La notte dell'omicidio di Daisy Ross, quando accettasti di sottoporti alle mie domande, mi resi conto che tu eri in grado di andare oltre. Hai un modo di collegare gli elementi d'indagine ben diverso da quello tradizionale. E questo va ben al di là del tuo legame col Mago. In questo, il signor Lynch aveva ragione. Tuttavia, questa volta, ora che il quadro è chiaro, Kate, abbiamo soltanto quest'occasione per mettere un punto a questa storia, stavolta per sempre. –

Compresi. Prese le nostre pistole d'ordinanza, ci scambiammo un'ultima occhiata prima di andare a salvare Lucy.


 ***


Giungemmo presso il mattatoio dopo una corsa in auto. Mi sembrò trascorsa un'eternità, seppur non ci fosse voluta più di mezz'ora. Sapevo che avrei dovuto concentrarmi, ma la paura mi aveva letteralmente attanagliato il cuore. Soltanto poche ore prima tutto sembrava perfetto e l'errore di considerarci salvi aveva messo in pericolo un'altra persona che amavo. In quel momento più che mai, sentivo il peso di tutti i miei errori. Alexander non doveva sentirsi diversamente. Non aveva detto alcunchè, ma potevo benissimo immaginare la tempesta che imperversava nel suo animo. In più, l'aver scelto il luogo dell'assassinio della sua bambina, aveva il sapore di una sfida personale anche nei suoi confronti e questo mi preoccupava oltre ogni misura. Avevo visto come perdeva il controllo quando si trattava di Lily e, in barba a tutte le promesse, se fosse accaduto di nuovo, avrebbe messo a rischio la sua stessa vita pur di distruggere quella di Novak. Non potevo permettere che accadesse. Quando arrestò l'auto, strinse forte il volante per un momento e sospirò.

Voglio che tu mi faccia una promessa. – disse, con voce grave.

Mi voltai a guardarlo. – Quando avremo tratto in salvo la tua amica, tu andrai via di qui, insieme a lei. –

Sentii una morsa al cuore, mentre staccava le chiavi e me le porgeva. Non potevo dire di non aspettarmela, stavolta.

E magari chiamerò il detective Wheeler per chiedergli di recuperare il tuo cadavere e quello di Novak, vero? –

Sgranò gli occhi. Sbattergli la realtà in faccia non era esattamente un buon modo per essergli di supporto, ma non avevo tempo per contrattare. Ricacciai indietro le lacrime. Non era il momento di piangere. – So cos'hai in mente, Alexander. L'ho sempre saputo. E non sono così sciocca da averti seguito senza essermi portata dietro un'assicurazione. –

Aggrottò le sopracciglia scure, perplesso. – Di che stai parlando? –

Del fatto che ho già avvisato il detective Wheeler di questo. Non so quando leggerà il messaggio, ma saprà cos'è accaduto prima di saperlo da fonti ufficiali. E verrà ad aiutarci. Fino ad allora... promettimi che non farai niente di stupido come farti uccidere. – dissi, prendendo le sue chiavi.

Mi guardò stupito, poi sospirò nuovamente. – Sei davvero un pericolo. –

Mi sforzai di sorridere. – Lo so. Ed è per questo che mi hai voluto con te stavolta, no? Andiamo a prendere Novak. – dissi e stavolta toccò a lui annuire.

Quando uscimmo dall'auto, fummo colpiti dalla musica che proveniva dall'interno. Era musica da circo. Deglutii e impugnai la mia pistola, seguendo Alexander, che varcò per primo la soglia, superando il cancello semichiuso. Ai nostri occhi, in quella notte che stava ormai poco a poco lasciando il passo al giorno, si aprì l'inaspettato scenario di un circo abbandonato.

Il circo Tŭmen? – mormorò tra sé e sé Alexander, incredulo.

O quel che ne rimane... – osservai.

Di fatto, a parte dei tendoni a righe, vecchie carrozze e gabbie ormai vuote, non c'era nulla di vivo. Soltanto uno spiacevole sentore di morte celata nell'oscurità. Quel pensiero mi fece rabbrividire. Aveva deciso di fare le cose in grande, in quell'area abbandonata.

Kate, stai attenta. –

Annuii, alzando la guardia.

D'improvviso, fummo sorpresi da due colonne di fumo colorato rosso e rumoroso che si sollevarono in alto, proprio nell'edificio frontale, subito seguita da due fari che puntavano in alto. Alexander parò il braccio di fronte a me, ma la scena non mi apparve affatto come nuova.

Questo è... –

« IO SONO OZ, IL GRANDE E POTENTE! »

La voce di Novak risuonò cavernosa e amplificata al massimo, facendoci trasalire. Non fummo in grado di stabilirne la provenienza, dal momento che risuonava in tutto l'ambiente come fosse riprodotta in dolby surround.

Sul serio? – protestò Alexander, indurendo il volto.

Sta ricreando il suo spettacolo... – spiegai.

Quindi noi dovremmo essere gli spettatori. – continuò, poi si guardò intorno. – No, aspetta. Non è così. Non si sarebbe preso la briga di metter su questa farsa soltanto per farci fare da spettatori... sa che siamo qui per fermarlo. Eppure, vuole che facciamo parte di tutto questo. Lo soddisfa. –

Annuii. – I personaggi del Mago di Oz... –

Stavolta scoprì un digrigno. – Bastardo... –

Pensai alla storia. Dorothy in quel momento era Lucy, tenuta prigionera chissà dove. Poi c'eravamo Alexander e io, ovviamente. Il Mago aveva detto che mi avrebbe donato il cuore di Alexander. Mi morsi le labbra all'amaro pensiero di quello che avevo creduto solo un macabro avvertimento. Mi aveva identificata come l'uomo di latta senza cuore. Ironico, a dirla tutta. D'altronde, non potevo più essere la sua Dorothy, dato che avevo cambiato il mio look e di quella bambina con i capelli lunghi e intrecciati non rimaneva nulla, ma, soprattutto, avevo preferito un'altra persona a lui, nonostante i suoi appelli. E quella persona, i cui occhi guardavano al passato nell'osservare quello scenario di morte, era stata trascinata in un luogo da cui sarebbe uscita viva soltanto se il suo coraggio fosse stato maggiore del desiderio di vendetta. Doveva averlo visto anche Novak. Era fiero e pericoloso come un leone, Alexander, ma avrebbe avuto il coraggio di non soccombere alla sua più grande debolezza? Se l'avesse fatto, la sua vita sarebbe stata distrutta, ma se così non fosse stato, allora... Sospirai in pena, guardandomi intorno. Mancava lo spaventapasseri, che non aveva il cervello. Un sinistro presagio mi attraversò la mente quando realizzai cosa potesse essere accaduto a Jace.

Alexander, ascolta... c'è qualche magazzino qui? –

Aggrottò le sopracciglia, poi annuì. – Da che ricordo, uno in cui erano ammassate le carcasse dopo la macellazione. –

Deglutii. – Portamici. Credo che Jace possa essere lì. –

Sgranò gli occhi ancora una volta, avendo compreso la mia inquietudine e strinse la presa attorno alla sua Beretta, poi assentì. – Vieni. –

Raggiungemmo il magazzino col favore del buio. La porta era difettosa, ma lui riuscì a scardinarla e ad entrare. Usò il suo iPhone per far luce. Sulle prime, non notammo niente, tanto più che credetti di aver avuto un'intuizione sbagliata, ma poi, mentre camminavamo all'interno, tra vistose pozze d'acqua stagnante che diffondevano puzza d'umido e siringhe abbandonate, ci imbattemmo in un altrettanto abbandonato Jace.

Cazzo! Jace! – sbraitò Alexander, passandomi il suo iPhone e chinandosi a soccorrerlo.

Accasciato a peso morto, ancora in smoking dalla festa, con tracce di sangue sotto di lui. Mi sentii mancare il respiro. Possibile che l'avesse ucciso? Scossi la testa e cercai di fare più luce, scacciando via quel pensiero. Sarebbe stato facile, era vero, ma il Mago aveva bisogno di averlo vivo. Alexander posò la mano sotto la sua nuca, scoprendo la provenienza del sangue. Era stato colpito, doveva aver battuto la testa ed essersi ferito.

Jace? Jace, mi senti? Ehi! – disse Alexander, cercando invano di farlo rinvenire.

Potrebbe avere un trauma cranico... – suggerii.

Alexander riportò con delicatezza a terra la testa di Jace.

In tal caso, spostarlo da qui è pericoloso. Kate, te la senti di rimanere qui con lui? –

Sgranai gli occhi. – Cosa? –

Non possiamo rischiare che riporti danni cerebrali. –

Comprendevo le sue ragioni ed ero d'accordo con lui, però, l'idea di lasciarlo solo a combattere contro il Mago mi sembrò improvvisamente troppo dura da accettare. Tuttavia, avremmo avuto un vantaggio. Se Alexander fosse riuscito a prendere tempo, almeno un'altro po', la luce del giorno avrebbe messo il Mago alle strette. Respirai profondamente, poi portai la mano sulla sua guancia e annuii.

Te lo ricordi? Il leone salva Dorothy dimostrando il suo grande coraggio. Mi fido di te, Alexander, più di quanto tu possa immaginare, da sempre. So che ce la farai. –

Mi rivolse uno sguardo consapevole e combattuto, poi posò la mano sulla mia e si sporse in avanti, baciandomi. Il mio cuore saltò un battito nel sentire le sue labbra sulle mie, in quello che aveva tutto il sapore di un bacio d'addio. Mi ritrovai a combattere contro l'istinto di trattenerlo a me, mentre lui si rialzava e si focalizzava sulla missione.

Lo seguii con lo sguardo, mentre si allontanava velocemente da noi, scomparendo alla nostra vista e richiudendo la porta dietro di sé. Sospirai, guardando Jace e scostandogli i capelli dal viso.

Alla fine non hai lasciato sola Lucy... sapevo che avresti fatto di tutto per lei... –

Mi ritrovai a pregare per la mia amica, quando sentii suonare il mio telefono. Quando lessi il nome del detective Wheeler sul display, mi affrettai a rispondere.

Detective Wheeler! –

« Hastings! Dannazione! Perché voi due dovete sempre agire per conto vostro?! »

Mi ricordai di contare mentalmente fino a dieci prima di mandarlo al diavolo, pensando a quanto avessi invano sperato che ammorbidisse quella sua acidità nei nostri confronti.

Grazie. Stiamo bene anche noi. –

« Conoscendo Alexander è anche inutile dirvi di attendere il nostro arrivo. Quindi, voglio chiederti: credi di riuscire a raggiungere un posto sicuro, una volta che sarete in salvo? »

Pensai alle chiavi dell'auto di Alexander e scossi la testa.

Lucy è ancora nelle mani del Mago. Io sono con Jace, che è ferito. Al momento è incosciente e non posso rischiare di far danni, spostandolo da qui. –

« Cosa? »

Guardai nuovamente Jace. Un posto sicuro. Il Mago aveva scelto un magazzino in cui venivano ammassate vecchie carcasse. Avevo pensato che l'avesse fatto per una specie di simbologia, ma all'improvviso, mi sovvenne che così facendo, avrebbe potuto utilizzare Jace come esca. Così facendo, aveva separato me ed Alexander. Col cuore in gola, mi voltai verso la stanza buia, facendo luce con l'iPhone. Non c'era nessuno, ma nonostante ciò, fui assalita da una forte inquietudine.

Detective Wheeler, per favore... deve far presto! – esclamai.

« Hastings! »

E faccia venire qui anche un'ambulanza. Mi spiace, devo fare qualcosa! – dissi, chiudendo la chiamata mentre imprecava tirando in ballo la mia testa dura. Su una cosa aveva ragione: non potevamo rimanere lì. Se davvero il Mago aveva qualcosa in serbo anche per noi, allora dovevo giocare d'anticipo. Il fatto che non gli rimanesse molto tempo aveva fatto sì che le sue priorità cambiassero e questo, probabilmente, ci poteva garantire la possibilità di nasconderci in un posto più sicuro. O almeno, questo era ciò che speravo per i miei amici. Inspirai a fondo, poi accarezzai la guancia di Jace.

Ti prego, fa' che funzioni... – mormorai e mi chinai accanto al suo orecchio. – A sedere sul trono è Bran Stark! – esclamai, ricordando non soltanto che a suo tempo, minacciarlo di spoilerargli il finale della sua serie tv preferita l'aveva fatto rinvenire, ma anche non aveva avuto modo di vederlo a causa del troppo lavoro. Attesi qualche istante, col cuore in gola, ricordando la sua propensione per la casata dei draghi. – Cavolo, Jace... ti prego... svegliati! Ok... perdonami! Daenerys muore! –

D'improvviso, Jace riaprì gli occhi e li roteò verso di me, con l'aria sconvolta di chi si era appena ripreso da uno svenimento. Fece per tirarsi su, ma come se fosse stato nuovamente colpito, si limitò a lamentarsi del forte dolore.

Cosa? Sul serio?! –

Lo guardai incredula. – Jace, stai bene? –

Mi guardò incerto, poi portò piano la mano alla testa. – Eh... ma sto sognando? Che ci fai tu qui? E... ahhh, che male! –

Lo aiutai a sostenersi. – Credo che tu sia stato colpito... e no, Jace, non stai sognando... il Mago ha... ha preso Lucy... – spiegai, con difficoltà.

Più di qualunque altra formula magica, pronunciare quelle parole fu sufficiente a rimetterlo in sesto. – Lucy?! –

Jace si guardò intorno, premendo la mano dietro la nuca. La sua espressione, dapprima confusa e dolente, cominciò a farsi più lucida.

Eravamo usciti da Clay's con l'idea di rientrare a casa. Ci eravamo diretti in macchina, quando... quando... ahhh! Mhh... ho sentito un forte colpo dietro la testa e all'improvviso ho visto tutto nero... Oh Dio. –

Alexander è andato a salvarla. Lucy starà bene, ne sono certa. Ma ora... Jace, so che è pericoloso, però dobbiamo andar via di qui. –

I suoi occhi incontrarono i miei, poi annuì e, non senza difficoltà, riuscì a tirarsi su a sedere. Facendo luce, mi resi conto che dietro la testa aveva un ulteriore taglio dovuto alla caduta. Il Mago non aveva avuto ritegno e doveva averlo gettato lì, a peso morto, senza farsi problemi.

Mi gira la testa... –

Lo so, Jace... lo so. Ti prego, cerca di resistere. L'auto di Alexander è poco lontano. Ce la possiamo fare. –

Dove siamo? –

Deglutii a secco. – Nel posto in cui fu ritrovata Lily. –

Sgranò gli occhi, stavolta, realizzando la follia di quel bastardo. – Allora Alexander è in pericolo... –

Cosa? – chiesi, mentre ci alzavamo entrambi.

Era un mattatoio, vero? Nonchè ex ritrovo di tossicodipendenti e prostitute. –

Sì... –

Jace avvolse il braccio intorno alle mie spalle e io mi assicurai di sostenerlo al meglio.

Questo posto è in stato d'abbandono da anni, ma non è mai stata fatta una bonifica completa. Diversi attrezzi da macellazione sono rimasti qui. –

Mi sforzai di non pensare al fatto che, probabilmente, la stessa arma che aveva ucciso Trevor e le bambine proveniva da quel luogo. Una lama così affilata da essere in grado di recidere persino le ossa. Ci incamminammo verso l'uscita, anche se piuttosto lentamente, dato che Jace aveva continui giramenti di testa e mancamenti. La mia sola speranza era che Alexander fosse abile abbastanza da prendere tempo.

Coraggio, Jace... ce la possiamo fare! – esclamai, quando raggiungemmo l'uscita del magazzino. Dovetti farlo sedere nuovamente per aprire il portone difettoso, ma almeno, riuscimmo a rimetter piede all'esterno. Mi assicurai che non ci fossero rischi, prima di esporre Jace e quando fummo ufficialmente fuori di lì, entrambi potemmo riprendere fiato. Si guardò intorno, shockato tanto quanto lo ero stata io nel vedere in cosa quell'uomo avesse trasformato quel posto, poi guardammo entrambi verso l'alto, in direzione dei fari ancora accesi.

Questa è follia... – commentò Jace e la sua espressione si rabbuiò.

Fui d'accordo. – Ormai ha perso il controllo... non distingue più la realtà dalla sua fantasia. –

E Lucy è... la mia Lucy... – la sua voce si incrinò.

Lo strinsi più forte, perché, in un certo senso, stavo provando le sue stesse paure. In quel momento, potevamo soltanto affidarci totalmente ad Alexander. Ma fino a quel momento, non avevamo sentito né spari né urla. Questo poteva forse significare che non era ancora riuscito a braccarlo? Il terrore mi assalì improvvisamente. Non volevo prendere in considerazione l'eventualità che potesse morire per mano dell'assassino di sua figlia, ma Jace aveva ragione: Novak conosceva benissimo quel posto e aveva capito come spingere Alexander oltre il baratro. Eppure, in quel momento, sebbene desiderassi con tutta me stessa raggiungerli, avevo anch'io un compito da portare a termine.

Riuscimmo ad arrivare al cancello con altrettanta difficoltà e lentezza, quando d'improvviso, trasalimmo per un rumore di passi in corsa provenienti da dietro di noi. Non avevo tempo di prendere la mia pistola, perché continuavo a sostenere Jace, ma fu lui a frapporsi, spingendomi dietro di sé. Entrambi sgranammo gli occhi in sorpresa nel vedere Lucy correre verso di noi. Era libera. Indossava ancora l'abito di Dorothy, ma era libera. Alexander ce l'aveva fatta.

Jace!! Kate!! – esclamò, scoppiando a piangere quando potemmo finalmente riabbracciarla.

Grazie al cielo! – esclamò Jace, stringendola forte a sé e io con lui.

Lucy... – sussurrai in un sospiro di sollievo, scostandomi per permetterle di dedicarsi a Jace.

La mia migliore amica ci guardò entrambi, poi si fermò a esaminare le condizioni del sofferente fidanzato, che la guardò colpevole. – Mi dispiace, Lucy... non sono stato in grado di proteggerti... –

Lucy scosse la testa. – Non potevamo saperlo, Jace... oh cielo, amore, sono così felice di vederti!! – esclamò, tra le lacrime, poi gli accarezzò le guance ed entrambi si voltarono verso di me.

Il detective Graham ha detto che tu avresti saputo cosa fare... –

Sgranai gli occhi, poi sospirai e presi le chiavi dell'auto di Alexander dalla mia tasca.

Il detective Wheeler non dovrebbe tardare troppo... Lucy, ce la fai a guidare almeno fino ad andargli incontro? –

Lucy mi rivolse uno sguardo preoccupato, ma fu Jace a rispondere al posto suo. – Se ti accade qualcosa, Alexander mi uccide, ma... è pur vero che al momento, sei la sola tra noi in grado di essergli d'aiuto... almeno, prima che faccia qualche stronzata irreparabile. –

Annuii, porgendo loro le chiavi, che presero. – Andate via di qui. –

Jace assentì e guardò Lucy. – Sta' tranquilla... Kate ce la farà. –

Lucy era combattuta, ma alla fine, si convinse almeno quanto bastava. – Promettimi solo che starai attenta... quell'uomo è fuori di testa... è l'assassino di Trevor... e il detective Graham è in pericolo! –

Mi si strinse il cuore a quelle parole, ma mi feci animo. – Proprio per questo... lo cattureremo. E non permetterò che Alexander si rovini la carriera per sempre. –

I miei amici mi rivolsero un ultimo sguardo, poi ci congedammo. Quando entrambi furono lontani dalla mia vista, mi voltai verso l'edificio centrale, mentre la notte lasciava ormai il posto all'aurora incipiente.

Corsi verso l'entrata, col cuore in gola e la pistola con la sicura sbloccata in mano. Dovevo essere concentrata, ma la verità era che man mano che mi inoltravo in quelle stanze vuote che avevano visto solo decadenza e morte, sentivo il peso di tutta la tensione accumulata. I miei sensi erano allertati, al fine di riuscire almeno a captare qualche voce familiare. L'eco dei miei passi era la sola cosa che riuscivo a sentire, mentre tutto intorno, la vista delle tracce di sangue e lame arrugginite era talmente inquietante da farmi immaginare tutto ciò che più temevo.

Seguivo le impronte quando, all'improvviso, mentre salivo le scale che portavano in cima all'edificio, mi sentii strattonare con forza e attirare verso il buio di una rientranza. Il mio primo pensiero d'allarme fu quello di usare la mia pistola, ma una mano ben nota mi impedì di farlo e mi ritrovai a ringraziare il cielo quando sentii la sua voce sussurrare il mio nome all'orecchio.

Alexander... – mormorai, voltandomi verso di lui e incontrando il suo volto sanguinante e livido.

Portò l'indice alle labbra e compresi di dover far silenzio anch'io. Il suo sguardo esprimeva preoccupazione, ma ciò che preoccupò me fu il vederlo piuttosto sudato. Certo, poteva essere un effetto dello sforzo, ma c'era troppa sofferenza nel suo volto. Capii che la causa era in basso, quando mi resi conto del sangue che aveva impregnato la sua maglia scura, in corrispondenza del braccio destro. Lo guardai in tralice, scoprendo che non si trattava della sola ferita.

Come? – bisbigliai, senza voce.

Scosse la testa. Doveva essere accaduto mentre salvava Lucy. Deglutii a vuoto, poi, quando sentimmo la porta del terrazzo, un paio di rampe più in alto, aprirsi, mi strinse per le braccia.

Mi dispiace di averti trascinato in tutto questo, Kate... – disse appena, con un tono che mai avevo sentito prima d'allora, disperato. Anche per lui, la tensione doveva aver raggiunto l'apice.

Ci eravamo dentro da troppo tempo... era la sola soluzione possibile... – risposi, sperando di riuscire a tranquillizzarlo.

Il suo respiro si fece più corto, ma nonostante ciò, mi passò davanti, pronto ad affrontare nuovamente il Mago. – Novak è ferito ed è braccato. Se riusciamo a tirare fino a che non arriverà Maximilian, allora... –

Andiamo. – dissi ed entrambi salimmo le rampe mancanti. Non mi sfuggirono le altre tracce di sangue che segnavano il percorso, segno che anche Novak, come Alexander, non era ormai agli sgoccioli.

Quando quest'ultimo spinse il grande portone in ferro, arruginito come il resto, per aprire, fummo investiti dalla luce del giorno.

Novak, ansimante, sofferente, sedeva sulla stessa poltrona sulla quale aveva tenuto prigioniera Lucy. A terra, vecchie corde, un bavaglio e siringhe, come un inquietante vecchio re su un trono di distruzione. Il cuore mi battè con forza quando il suo sguardo incrociò il mio.

Katie... – biascicò, nel suo vero accento, e il suo sorriso si aprì, dandomi il voltastomaco. Solo allora compresi che per lui, il vedermi sarebbe stata una benedizione. Sapeva benissimo che non avrei lasciato che Alexander affrontasse tutto da solo ed era per questo che ci aveva lasciati liberi di agire.

È finita, Novak. Arrenditi. – disse Alexander, puntando la sua pistola col braccio sinistro.

Novak spostò il suo sguardo su di lui. – Sai una cosa, detective Graham? Quando mi hai chiesto della tua bambina... ho ricordato che chiamava spesso la sua mamma. Non ha mai avuto nemmeno un pensiero per te... e tu, tu hai dedicato la tua vita a cercare di distruggermi... per la sua irriconoscenza? –

Quelle parole di tale deliberata crudeltà, pronunciate con un tono irriverente, sortirono l'effetto che temevo. Il volto di Alexander, in quell'istante perse quasi le sue fattezze umane, distorcendosi in ciò che più temevo. Inspirò profondamente e si preparò a sparare un colpo che, sia per via del fatto che stesse usando il suo braccio non dominante, sia perché io stessa mi sporsi per fermarlo, finì per aria. La pistola fumante e le sue urla furibonde e disperate fecero da contraltare alle mie.

No! Ti prego, ti prego, no!! Non dargli retta!! Lo fa di proposito, Alexander!! Lo sai, eravamo preparati a questo!! Ti prego, dammi ascolto!! –

Lasciami, Kate! – sbraitò, cercando di divincolarsi dalla mia presa, mentre Novak, ridendo, sembrava apprezzare.

Aaah, che spettacolo divertente. Lo vedi, Katie? Non ti amerà mai quanto ti amo io. Eppure tu... cerchi sempre di salvare le cose, consapevole di arrivare sempre tardi. –

Mi voltai verso di lui, vedendo la sua immagine velata. – Sei un maledetto assassino! –

Già. Ma in questo momento, sono disarmato... e se lui mi uccide, beh... sai cosa gli accadrà. E tu sei troppo retta per diventare sua complice. –

Strinsi il pugno, mentre Alexander, scostandosi dalla mia presa, si diresse a grandi passi verso di lui. Lo seguii, ma mi fermai rendendomi conto di non riuscire ad andare oltre. La vicinanza di quell'uomo mi terrorizzava più di quanto riuscissi a credere possibile.

Alexander... – singhiozzai, mentre lui si fermava davanti a Novak, che aveva alzato lo sguardo. Quest'ultimo lo guardò, interessato.

Uccidimi... sai benissimo che è l'unico modo. Finchè non porrai fine a questa mia vita, io sarò in grado di torturarti. –

Mi tappai le orecchie. – Smettila!! –

Alexander sollevò il braccio e la sua pistola baciò la fronte rugosa e diafana di Novak.

Coraggio... Lo devi a Lily. – disse, assicurandosi di scandire bene quelle parole di scherno.

L'intera figura di Alexander tremava, mentre la voce del Mago era ferma, così come il suo sguardo, ormai apertamente di sfida. In quegli attimi interminabili, scanditi dal mio cuore in subbuglio, vidi le dita di Alexander combattere con il grilletto come se da esso dipendesse tutto il nostro destino. Ed era così. Se avesse sparato, l'assassino di sua figlia sarebbe morto, ma non sarebbe stata fatta giustizia. Avrebbe ucciso un uomo che, per quanto riprovevole e inumano, non aveva opposto resistenza. E questo l'avrebbe portato a una condanna ben più grave del crimine di cui si sarebbe macchiato.

Avanti... è tutto qui il tuo coraggio? –

Alexander... –

Lo sentii sospirare con dolore, poi abbassò il braccio. – Non meriti nemmeno che io mi sporchi le mani con uno come te. – disse, a denti stretti.

Portai le mani al viso e scoppiai a piangere, crollando a sedere. – Oh Dio... –

Si era fermato. Non era stato al gioco del Mago. Alexander ce l'aveva fatta.

Riaprii gli occhi nell'istante in cui sentii Novak ridere. Era inquietante.

Ti avevo promesso un cuore, Katie. –

Cosa? –

Il respiro che avevo trattenuto fino a quel momento mi si mozzò in gola quando Novak si alzò all'improvviso, imponente e minaccioso nei suoi quasi due metri d'altezza e, giocando sul fattore sorpresa, prima ancora che Alexander potesse reagire, gli strappò di mano la pistola per poi, col braccio libero, sferrargli un pugno nello stomaco con tale forza da scaraventarlo a distanza e atterrarlo.

No!! – urlai, rialzandomi di scatto. Prima che potessi correre da Alexander, però, fui fermata dallo stesso Novak, che mi afferrò per il polso, disarmandomi e gettando la mia pistola oltre il cornicione.

Kate!! – l'urlo straziato di Alexander poco più in là.

Terrorizzata com'ero, cercai di ricordare le lezioni di autodifesa che avevo preso in quei mesi, ma le sue braccia mi strinsero con tale forza da impedirmi di muovermi. Gridai per il dolore, mentre Alexander, rialzatosi, aveva dipinto negli occhi ciò che, probabilmente, stava pensando. Intuii. Una breccia? Se solo fossi riuscita a liberarmi, forse avrebbe potuto contrastarlo. Incrociai il suo sguardo annuendo e facendomi forte della posizione, seppur scomoda, mi tirai appena in avanti portai la testa indietro con tutta la forza possibile, per colpirlo. Sapevo che non avrei trovato il suo volto, data la sua altezza, ma speravo di colpire almeno il petto. Subii il contraccolpo e il mio orizzonte vorticò, ma servì almeno ad allentare la presa intorno a me. Fu allora che assestai una gomitata nel suo stomaco e mi liberai, raggiungendo Alexander, che mi strinse forte a sé. Tra le sue braccia, nella sola stretta che avrei mai potuto accettare, l'unica in cui mi sentivo al sicuro. Mi spinse indietro, mentre Novak si riprendeva e ci teneva sotto tiro. Il Mago scoppiò in una risata terrificante e divertita.

Questa non me l'aspettavo... quella bambina indifesa... –

Quella bambina non esiste più! È il momento di smetterla con le tue fantasie. Questo è il mondo reale, Novak! Sai chi era il Mago di Oz? Un cialtrone. E tu non sei altro che un assassino! – esclamai.

L'espressione interessata si tramutò di colpo in una sconvolta.

Come... come puoi dire questo? –

È così. Kate ha ragione. Tu sei soltanto un maledetto assassino. E come tale sarai punito. – intervenne Alexander, stringendo il pugno.

Novak sollevò il viso, inclinandolo e il suo sguardo si fece vacuo. – In tal caso... –

Quel gesto... l'aveva fatto anche poco prima di uccidere Trevor. Doveva essere accaduto qualcosa dentro di lui.

Alexander, attento! – urlai, quando lui, approfittando del momento, corse all'attacco, ingaggiando un nuovo scontro diretto con Novak.

Ciò che sapevamo e che avevamo avuto modo di appurare era che quell'uomo fosse un esperto di combattimento a corpo libero. Era già accaduto che quei due si scontrassero direttamente, ma mentre nel primo caso il Mago si era ritirato dopo aver ferito Alexander, in questo, dette prova di grande abilità e forza fisica, nonostante le ferite e la malattia. Ne compresi la ragione quando vidi che, accanto alle siringhe, c'era una dose di morfina. Doveva essersela iniettata prima che arrivassimo ed era per quella ragione che aveva atteso tutto quel tempo.

Alexander, al contrario, a causa delle ferite, pativa il dolore e l'adrenalina non era sufficiente a far sì che questo diminuisse. Col cuore in gola, lo vedevo schivare a malapena i colpi e sferrarli con difficoltà e imprecisione. Sapevo che diversamente dal detective Wheeler, che aveva nel suo curriculum il possesso della cintura nera, Alexander era sì allenato, ma senza una preparazione atletica specifica. Lo vidi incassare, ma mai cadere.

Compresi che cercava di disarmarlo, ma il Mago, invece, lo spingeva pericolosamente verso l'abisso del cornicione, lo stesso da cui, poco prima, aveva gettato la mia pistola. Pensai che se fossi corsa verso di loro e avessi cercato di fermarlo, forse avrei potuto far sì che Alexander riuscisse nel suo intento, ma sembrava che Novak fosse preda di una frenesia per la quale nemmeno io avrei potuto fermarlo. Tuttavia, non potevo rischiare che uccidesse Alexander. Non potevo... non volevo perdere anche lui. Mi guardai intorno e afferrai la siringa vuota, tremolante tra le mie dita. Non ne sapevo granchè di medicina, ma era la sola cose che avevo in mano in quel momento. All'improvviso vidi Novak afferrare Alexander per la gola, spingendolo con forza con la schiena sul cornicione e sentii quest'ultimo urlare. Tirai indietro lo stantuffo e mi rialzai, ansimando. Davanti ai miei occhi, Novak, sorridendo come la prima volta in cui l'avevo visto da adulta, strinse forte per la gola il mio Alexander, con tutta l'intenzione di spezzargli l'osso del collo. Mi venne in mente Trevor, che non avevo potuto salvare. Pensai a Julie, a Daisy, a Lily. Solo la prima era stata salvata ed era stato proprio Alexander a stringerla tra le braccia, così come non aveva potuto fare con la sua piccolina.

Strinsi la siringa tra le mani e corsi verso di loro, sollevando il braccio per poterla affondare nel collo di Novak. Questi si voltò e mi bloccai di colpo, nell'incontrare così vicino, dopo tanti anni, il suo viso. Il ricordo della mano che mi accarezzava i capelli, la stessa che stava strangolando l'uomo che amavo, mi tornò in mente. Sorrise compiaciuto e il respiro mi si bloccò in gola. Alexander invece, facendo appello alle sue ultime forze e forte del diversivo, riuscì a sollevare le gambe e a sferrare un calcio al suo opponente, che si ritrovò sbalzato. Mi affrettai ad aiutarlo, riportandolo al sicuro dietro al cornicione. Tutti e tre eravamo stremati, ma né io né Alexander eravamo riusciti a disarmare il nostro nemico, ancora. Fu allora che sentimmo finalmente il portone aprirsi. Entrambi alzammo lo sguardo verso la salvezza, nelle vesti del detective Wheeler e dei suoi.

Karolus Novak! Mani in alto! – urlò.

Novak alzò lo sguardo al cielo, ma quando credevamo che avrebbe obbedito all'ordine del detective, rivolse un'ultima occhiata a me e ad Alexander.

Vrŭshtame se u doma, Dorothy... Katie.

Sgranai gli occhi, mentre puntava la Beretta di Alexander verso di noi e premeva il grilletto, sorridendo.

Fu un istante lunghissimo in cui qualcuno urlò. La mia voce... quella del detective Wheeler... quella di Alexander... seguirono degli spari. Non so dire quanti, ma solo dopo un tempo non quantificabile vidi finalmente Novak accasciarsi a terra e gli agenti del III Dipartimento accerchiarlo. Vidi il detective Wheeler urlare qualcosa che non compresi e correre verso di noi. Aveva perso la sua compostezza. Mi tornarono in mente le sue parole, quando mi disse di aver visto il suo miglior amico perdere il lume della ragione per inseguire un fantasma. Quel fantasma in quel momento giaceva a terra ed era stato proprio lui a ucciderlo. Vidi Alexander sconvolto di fronte a me, in una maschera di sangue e lividi e gli sorrisi. Sporsi la mano ad scostargli i capelli incrostati dal sangue sul viso, incontrando i suoi occhi che, di colpo, mi sembravano così distanti, improvvisamente opachi. Per essere una mattina d'estate, faceva tanto freddo.




***********************

Buon pomeriggio e nuovo aggiornamento!

Nota linguistica: la battuta finale del Mago, Novak, ovvero "Vrŭshtame se u doma" significa "Torniamo a casa", in riferimento al Mago di Oz, ovviamente. Avevate già compreso che la storia del Mago non era finita, vero? In realtà, mi mancava ancora qualcosa prima di concluderla... e spero che sia stata soddisfacente, in qualche modo.

Altra nota linguistica è il gioco di parole. Avevo detto sin dall'inizio che Dark Circus aveva più piani di lettura: il primo, il nome della confraternita di Alexander. Il secondo, è la traduzione letterale del bulgaro Tŭmen. Alla lettera, Tŭmen Tsirk è "Circo Oscuro", ovvero Dark Circus. In questo caso il gioco sta nel fatto che è anche il cognome del direttore del circo in cui lavorava Novak. Manca ancora un'accezione in realtà, ma sarà demandata all'epilogo.

Nella prossima parte intanto... stay tuned, perché, a quanto pare, il Mago ha fatto qualche magia. 


Alla prossima!!

 

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Capitolo 26
*** XI. terza parte ***


Circondata da luci e da suoni soffusi, aprii gli occhi.

Cos'era accaduto? Non riuscivo a ricordare chiaramente. Sentivo la testa pesante e muovermi, beh... anche quella sembrava essere un'impresa, come se la stanchezza che aveva pervaso il mio intero corpo fosse talmente intensa da non permettermi nemmeno di sollevare un dito. Eppure, tutto ciò che avevo intorno a me era familiare.

Nella penombra data dalla luce della luna che filtrava attraverso le cortine leggere, osservavo i dettagli di quella stanza che ormai avevo imparato a conoscere e in cui, soltanto poco qualche ora prima, avevo provato emozioni indelebili e troppo a lungo trattenute. Mi chiesi se stessi sognando. A volte, nei sogni si ha la sensazione di essere svegli. Li chiamano sogni lucidi. Ma se quello fosse un sogno lucido, non sapevo dirlo.

Feci appello alle mie forze per voltarmi verso il lato della finestra, consapevole della presenza familiare che avrei trovato al mio fianco. Provai un senso di tranquillità nel vedere Alexander profondamente addormentato accanto a me. Eccolo là, il leader del Dark Circus, capo del V Dipartimento, l'uomo che non dormiva mai, così beatamente abbandonato al sonno. Sempre dedicato al suo lavoro, ossessionato dall'idea di dover catturare l'assassino della sua bambina. Karolus Novak. Il Mago. Un mostro che già da molto tempo prima che entrassi in Polizia, aveva legato indissolubilmente insieme le nostre vite, rendendomi il caso zero, più di vent'anni prima. Aveva compiuto orribili omicidi sulla scorta di una follia nata dopo avermi incontrato, da piccola, e l'ultimo di quei crimini aveva finito col toccarmi direttamente. La morte di Trevor sarebbe qualcosa che non avrei mai davvero potuto superare e Alexander lo sapeva.

Poco a poco, riuscii a sollevare le dita e a lasciarle percorrere il profilo cesellato della sua guancia, per poi indugiare su quelle labbra morbide e leggermente aperte, ottenendo un mugugno in risposta. Sdraiato prono, sistemò meglio le braccia sotto ai cuscini, scoprendo tra le lenzuola nere il suo dorso muscoloso. Il suo tatuaggio era perfettamente visibile e lo accarezzai, percorrendone le forme ben inchiostrate. Avrei dovuto dirgli il significato che, per uno scherzo del destino, nascondevano quelle parole, accomunandole ancor di più al nostro nemico comune? No, non sarei mai stata capace di quella crudeltà. Non era giusto. Il suo sonno era finalmente pacifico. Lo vedevo da quell'espressione così rilassata, come se gli fosse stato concesso quel riposo che in quegli ultimi sette anni non aveva potuto avere. Quanto l'aveva agognato? Quanto, in tutto quel tempo, aveva visto e rivisto lo sguardo pieno di vita e dopo esser stato ad essa strappato, inerte, della sua piccolina? E quanto aveva combattuto contro un mondo che non lo comprendeva, al punto da distruggere tutte le sue relazioni e rinunciare a tutto pur di scovare quell'uomo? Eppure, desideravo tanto rivedere i suoi occhi. Era la prima cosa di lui ad avermi colpito, quella notte in Dipartimento. In quei mesi avevo imparato a leggerne le emozioni, anche quando le sue parole dicevano altro.

Ti prego, guardami... sono qui... la voce non mi usciva. Sentivo la gola secca e dolorante, come se fosse ostruita da qualcosa. Se non avessi potuto parlargli, non si sarebbe svegliato. Ma ciò avrebbe significato che avrei dovuto lasciarlo lì per sempre? Ormai, non riuscivo a pensare alla mia vita senza più vedere quegli occhi che tanto amavo. Feci per parlare ancora, ma mi resi conto che la ma voce era sovrastata da un suono metallico, troppo forte alle mie orecchie. Sentii il respiro farsi più corto e difficoltoso. Che succede?!

Vorresti davvero saperlo? Non sarebbe più semplice lasciarsi tutto alle spalle?

Mi voltai di colpo, ritrovandomi in piedi, nell'appartamento di Trevor. Tutto era esattamente come appariva nel video in cui mi chiedeva di sposarlo. E lui era lì, così come lo ricordavo, vestito allo stesso modo di quell'occasione. Camicia rossa a quadri e pantaloni color sabbia, come al nostro primo appuntamento. L'ultimo ricordo di lui da vivo.

Trevor?

La mia voce continuava a non uscire. Mi venne da piangere, ma nemmeno le lacrime volevano venir fuori. Trevor si avvicinò a me e mi sembrò improvvisamente così reale. Tu sei...

Mi rivolse un sorriso triste e poi mi prese la mano sinistra, il cui anulare nudo era il ricordo di quella promessa mai realizzata e, infine, infranta.

Mi dispiace tanto... non avrei potuto dirti di sì... e ciononostante, tu sei...

Morto? Morto per te, Kate?

Sgranai gli occhi, nel sentirlo stringere con forza la mia mano, quasi come volesse staccarla. Mi faceva male.

Già. Ho provato un dolore atroce anch'io. E tu non eri con me. Perché hai preferito un'altra persona.

Il cuore mi batteva all'impazzata, quasi volesse uscirmi dal petto. Mi chiesi se in quello stato sarebbe stato possibile. In fondo, per il Mago era stato semplice farlo letteralmente a pezzi.

Eppure, quel cuore, non sono riuscito a offrirtelo.

Sobbalzai, nell'udire quella voce terrificante alle mie spalle. Sentii il suo respiro dietro di me, mentre la mia mano era ancora stretta da quella di Trevor, in modo da impedire di muovermi.

Potresti farlo ora. Dopotutto, Kate non ne ha uno.

Singhiozzai, cercando di divincolarmi, ma quando sentii la presa delle mani del Mago attorno alle mie braccia, mi resi conto che non avrei mai potuto uscire viva da quella situazione. Guardai Trevor, il cui sguardo si era spento. Non aveva più nemmeno l'espressione sconvolta di quando lo trovammo, la notte in cui fu ucciso. Era soltanto un involucro vuoto.

Trevor... Trevor?!

Vedi cosa fai a coloro che ami, Katie? Dopotutto, quello che è accaduto a entrambi è soltanto colpa tua.

Piansi senza lacrime, sentendo il volto rovente, come fossi febbricitante.

Che cosa vuoi ancora da me? Non ti è bastato quello che hai fatto?

Percepii il suo sorriso e il suo volto scarnito apparve oltrepassando la mia spalla. Mi voltai altrove per non guardarlo.

Anche se fingi di non vedermi, non puoi scappare dalle tue responsabilità. Se avessi fatto le scelte giuste, le cose sarebbero andate diversamente.

Eppure, non c'era altra scelta. Tutti noi potevamo soltanto andare avanti.

Mi irrigidii nel sentire il tocco di quelle mani portare giù le maniche di chiffon dell'abito che indossavo la sera della festa presso la residenza Howell, in quella che sembrava un'oscurità senza fine.

Allora... se è così...

Se è così...

Il risolino di una bambina, delicato come un tintinnio, diradò d'improvviso le tenebre in cui ero sprofondata. Mi guardai intorno. Non c'era più il Mago, né Trevor era presente. Un parco giochi? Un luogo che non riuscivo a ricordare. Mi chiesi se ci fossi mai stata prima d'allora. Due bambine giocavano in lontananza. Una delle due aveva un peluche a forma di leone. L'altra aveva un cappottino rosso addosso. Entrambe portavano i codini. Mi avvicinai a loro, rendendomi conto di avere tra le braccia il mio Oz, a grandezza maggiore di quanto ricordassi. Ma la cosa che più mi fece strano era il fatto che avessi la loro altezza. Mi guardai le mani, vedendo non le mie mani di adulta, ma quelle di bimba. Le due piccole si voltarono verso di me. Entrambe, come me, avevano gli occhi chiari e i capelli castani.

Daisy... Lily... vi chiedo scusa...

Daisy si avvicinò a me e mi cinse con le piccole braccia. Quante volte Nicholas si era stretto a me, durante le notti in cui, spaventato, riviveva i suoi giorni alla Cruise Pharma? Quanto aveva desiderato che la sua mamma lo abbracciasse? Quanto quelle bambine avevano avuto paura mentre il Mago strappava loro la vita? Lasciai cadere Oz, ricambiando quella stretta e finalmente le lacrime presero a scorrere, copiose. Piangevo e piangevo e in ognuna di quelle lacrime versate, prendeva forma tutto il loro, il nostro dolore, la paura, il desiderio di essere strette ancora una volta dai nostri genitori. E quando finalmente ebbi dato fondo a tutto quel crogiolo di emozioni, guardai Lily. I suoi occhi erano dello stesso colore di quelli del peluche a forma di leone che teneva tra le braccia. Mi sorrise.

Mamma... papà... Lily... Poppo...

Che nome buffo... Lui è coraggioso, vero? Come il mio Oz...

Lily rivolse uno sguardo intenerito al suo peluche. Come il mio papà...

Già... lui è sempre stato coraggioso... il più coraggioso di tutti...

Le due bambine si guardarono e io mi voltai verso un punto lontano, che passo passo, diventò sempre più definito e chiaro. Una stanza d'ospedale. Ero tornata adulta e osservavo, impotente, la me stessa che giaceva in quel letto. La testa fasciata, le macchine che sembravano tenerla attaccata alla vita.

Quindi è questo quello che è accaduto?

Sentii la manina di Lily prendere la mia e mi ritrovai a guardarla nuovamente. Daisy non c'era più. Eravamo soltanto lei ed io. Lily indicò il mio letto e quando tornai a guardare, vidi Alexander, con le numerose ferite medicate, seduto accanto a me. Sembrava infinitamente triste, colpevole. I suoi occhi erano chiusi, ma vedevo chiaramente il brillio delle lacrime che li avevano imperlati.

Scossi la testa. Non volevo che piangesse per me. Aveva sofferto troppo nella sua vita.

Oh, Alexander...

Sapevo che non mi avrebbe sentito, ma il suono del suo nome era d'improvviso così vivo...

Lily mi accompagnò accanto a lui, poi lasciò la mia mano e si accoccolò accanto al suo papà. Quella scena provocò un sussulto al mio cuore, così forte da farmi male. Lily sorrise, mentre tutto intorno l'orizzonte vorticava e il mio corpo tornava ad essere pesante, cosciente... vivo.

Riaprii gli occhi e il respiro fluì in me come se fosse stato il primo.

Il suono delle macchine fece il resto e Alexander, che era ancora accanto a me, sgranò gli occhi in allarme. Quando ci incontrammo, quando vidi nuovamente quel blu profondo che amavo tanto, compresi di essere tornata finalmente alla vita.

Mi prese la mano tra le sue, portandola alle labbra, poi la baciò e tornò a guardarmi. Era stravolto, incredulo e, considerando il suo braccio dominante fasciato e il volto ammaccato, non doveva rasarsi da un po'. Mi rivolse il sorriso di chi aveva appena visto realizzarsi un miracolo.

– Kate... Kate!! –

La sua voce si ruppe in un singhiozzo, quando intervennero degli infermieri, seguiti, subito dopo, da un uomo canuto che identificai come il primario.

– Signor Graham, ci pensiamo noi. Torni nella sua stanza. – disse una delle infermiere, invitando Alexander ad alzarsi.

Potevo soltanto seguire con lo sguardo e non riuscii a stringere le sue mani. Ci guardammo ancora e lui annuì. – Torno più tardi. Bentornata. – disse, con voce dolce.

Avrei voluto dirgli di rimanere, ma non riuscivo ancora a parlare e battei soltanto gli occhi.

Quando fu andato via, accompagnato da uno degli infermieri intervenuti, fui estubata. Fu doloroso e fastidioso, tanto che mi venne da rimettere, ma dovevo avere lo stomaco vuoto. Poco a poco, i miei polmoni si riempirono d'aria e potei respirare decentemente. Agognavo l'aria, ma durò poco, perché il medico che era con loro, sul cui camice bianco faceva bella mostra il nome J. Norton, controllò i miei riflessi, prima con una luce puntata negli occhi, poi chiedendomi di muovere le estremità. Mi ci volle un po', ma poco a poco ci riuscii. Alla fine, preso un sospiro, si sedette di fronte a me.

– Dal momento che ha riconosciuto il detective Graham, immagino che ricordi bene chi è, vero, dottoressa Hastings? –

Annuii, provando a schiarire la gola, sebbene la voce mi uscì roca e bassa, tanto che temetti mi si fossero lesionate le corde vocali.

– Lei è il padre di Jace? Come sta? –

Mi riservò un'occhiata interessata, poi inarcò il sopracciglio folto. – Ah beh... se una botta in testa avrà fatto rinsavire Jackson o meno, lo sapremo tra qualche tempo. Magari deciderà di riprendere gli studi. –

Mi venne da ridere, ma avvertii un forte fastidio alla tempia e vi portai la mano sopra.

Il professor Norton mi guardò. – Sa che giorno è? –

– Siamo oltre il 12 luglio, vero? –

Il suo sguardo si accese – 15. È rimasta in coma per tre giorni. –

Sgranai gli occhi e ricambiai il suo sguardo. – Prego? –

– Al termine dello scontro con l'ormai fortunatamente defunto Karolus Novak, è stato esploso un colpo da parte di quella persona. Ringrazi la sua buona stella, perché se avesse colpito con qualche millimetro di precisione in più, non saremmo stati qui a parlarne. Nemmeno io avrei potuto far qualcosa. –

Quelle parole mi sconvolsero. Non mi ero resa conto di niente. Nè tantomeno riuscivo a ricordare con chiarezza cosa fosse accaduto.

– L'ultima cosa che ricordo è che il detective Wheeler apriva il portone del terrazzo su cui eravamo... –

Norton assentì. – Non si sforzi. La sola cosa che è importante è che è salva e che si rimetterà. –

Annuii. – Grazie... –

I suoi occhi si intenerirono, poi incrociò le braccia. Davvero non capivo perché Jace non avesse un buon rapporto con suo padre. – Sono io a doverlo dire... se mio figlio fosse rimasto per troppo tempo lì dov'era, avrebbe rischiato di morire dissanguato. E non ho ancora finito di spremere il suo cervello a dovere. –

I due infermieri presenti, che stavano monitorando la mia situazione e stavano prendendo appunti, ridacchiarono sotto i baffi. Io lo guardai in tralice.

– Sa che ha un QI di 115? –

Scossi la testa.

– Potrebbe arrivare in alto se solo lo volesse... e invece si perde in chiacchiere. –

In effetti, quando Jace era concentrato, dava il massimo, ma in questo il padre aveva ragione. Sorrisi. – Comunque sta lavorando anche su quello. Se non fosse stato per lui, non avremmo potuto scoprire l'identità del Mago. Ha preso il software del mio fidanzato e l'ha migliorato, riuscendo in ciò che in vent'anni nessuno era stato in grado di fare. –

– Già... –

Mi guardai le mani, ora posate in grembo. – Già... –

– Ah, a proposito di genitori e figli... riposi ora. Più tardi potrà incontrare i suoi genitori. Ho parlato con loro, erano molto in pena per lei. –

Annuii. – Grazie, professor Norton... –

Sorrise e mi posò una mano sulla spalla. – Bentornata tra noi, dottoressa Hastings. –

Sorrisi anch'io, prima di rimettermi a riposare nuovamente.


 ***


Mi ci volle qualche altra ora di sonno prima di poter incontrare i miei cari. Quando finalmente potei riabbracciarli, mi toccò consolare mia madre che continuava a darsi la colpa di tutte le mie disgrazie. Mio padre, invece, si rimproverava di non essere stato bravo a proteggermi. Però, alla fine, convenimmo tutti e tre sul fatto che quel mostro crudele non avrebbe più fatto del male a nessuno. Anche se lo ripetevo, era strano pensarci. Dopotutto, aveva finto la sua morte una volta. Se l'avesse voluto fare di nuovo? No, non doveva essere così. Alla fine, pattuii con i miei di tornare un po' a casa una volta dimessa, per la convalescenza. Mi resi conto, per la prima volta da tanto tempo, di desiderare un po' di tranquillità. In quei mesi avevo lavorato tantissimo, per una ragione o per un'altra. E le ultime settimane erano state così emotivamente fitte da avermi lasciato stravolta. Accarezzai le punte dei miei capelli, sperando che il colpo che avevo preso non mi lasciasse cicatrici. Avevo sempre nutrito una punta di vanità per la mia capigliatura.

Arrossii nel ricordare lo sguardo concentrato di Alexander mentre studiava il mio nuovo look, poco prima di portarmi nella sua stanza da letto. E subito dopo portai le dita al cuore, che batteva con tanta forza, al ricordo di cosa ne fosse seguito. E quando potei rivederlo, l'indomani mattina, non più in pigiama, ma vestito e pronto per le dimissioni, fu come se mi sentissi a casa.

– Come stai? – mi domandò, sedendosi accanto a me. Il braccio destro era ancora fasciato e tagli ed ammaccature erano ancora lì, sebbene medicati a dovere. Aveva rischiato davvero la vita durante quello scontro.

– Sospesa... – risposi. – E tu? –

Inarcò le sopracciglia, poi sospirò. – Più tranquillo ora. –

– Hai avuto paura? –

– Ho sempre avuto paura. Solo che sono stato bravo a dissimularla. –

Annuii e gli presi la mano libera. – Anch'io ho avuto paura... –

Intrecciò le sue dita alle mie. – Mi dispiace davvero, Kate... non sono riuscito a risparmiarti tutto questo... se sei in queste condizioni, la colpa è solo mia. –

Eccolo lì, a farsi carico delle scelte di tutti. – Quando... quando ho visto che stava per strangolarti... ho pensato di non volerti perdere... e ho afferrato una siringa... non so di preciso cosa sarei riuscita a fare, ma se fosse servito a fermarlo, allora... –

Sgranò gli occhi per un istante, sorpreso, poi scosse la testa. – No. C'era una cosa su cui Novak non sbagliava. Ovvero che tu saresti stata troppo retta per diventare mia complice. Ti saresti fermata, Kate. Ti sei fermata. E non per la paura. Quella c'era di certo, ma in quei momenti, in genere è lo spirito di sopravvivenza a prevalere. E... nei casi migliori, la razionalità. Tu sei stata la razionalità. Non hai perso la lucidità ed è stato grazie a te se sono riuscito a non soccombere. –

Gli strinsi la mano. – Alexander... –

Sorrise. – Abbiamo sconfitto il Mago insieme. Come volevi. –

– Lui non c'è più? Davvero? –

Annuì. – Maximilian ha fatto il resto. Odio doverlo ammettere, ma ci ha salvato la vita. –

– Capisco... –

– Adesso però, devi rimetterti. Ho proibito alla combriccola di venirti a rompere le scatole in ospedale, ma non credo riuscirò a tenere a bada Nicholas ancora per molto... –

Mi venne da ridere, poi lo guardai. – E ora... cosa accade? –

Sorpreso dalla mia domanda, si fermò a pensarci su. Era la prima volta che lo vedevo così sereno, dopo tanto tempo. La morte di Novak significava un nuovo inizio per lui, per tutti noi. E il fatto che fosse avvenuta in un modo che aveva significato una chiusura, a differenza di quanto avevamo creduto solo pochi giorni prima, era molto importante. Ora, potevamo davvero ricominciare.

– Facciamo quello che ci riesce meglio? –

– Eh? –

– Anche se... – arricciò le labbra. – Credo che a entrambi ci vorrà un po'. –

Nel notare la sua espressione sottintendente, decisi di non stare al suo gioco. – Guarda un po', intendevo catturare assassini psicopatici. –

Alexander inarcò il sopracciglio. – Anch'io. –

Quel commento mi sorprese per la verecondia con cui fu pronunciato e io arrossii, colpita e affondata. – Tu... –

Si mise a ridere. Una risata profonda e libera. – Niente... non c'è verso che impari il bluff, eh, Hastings? –

– Siamo tornati al cognome? – domandai, di sottecchi.

Per tutta risposta, si sporse a baciarmi. Dopo un attimo di sorpresa, mi lasciai andare a un bacio tanto desiderato, lungo, lento e piacevole. L'ultima volta avevo seriamente temuto che non ce ne sarebbe stato un altro, tanto era focalizzato sul suo obiettivo ma, in quel momento, valeva tutta l'agonia provata. Sollievo, desiderio, rinascita, tutto insieme. Quando ci separammo, mi sentii quasi incompleta. Le mie labbra erano calde e pulsanti e le sue un invito a continuare. Ma, a dispetto di quanto avesse cercato di darmi a bere precedentemente, sapevamo benissimo entrambi che avremmo dovuto attendere di esserci ristabiliti. Quel bacio doveva bastarci, con la promessa di ciò che sarebbe accaduto. Incontrai i suoi occhi. – È finita davvero? –

Annuì. – Non ci farà più del male. Mai più. –

Toccò a me annuire a quelle parole. Eravamo liberi da quell'incubo, finalmente.

Alexander fece per scostarsi, quando sentimmo bussare. Alzò gli occhi al cielo, poi ci voltammo tutti e due verso la porta. Quando vedemmo Elizabeth, entrambi rimanemmo perplessi.

– Disturbo? – domandò.

– No. Stavo per andar via. – spiegò Alexander, alzandosi.

– Ben trovata. – dissi io.

– Bentornata tra noi. Come stai, Kate? – mi chiese.

– Bene. Mi ci vorrà ancora un po' per riprendermi, ma sono forte. – risposi, novella Braccio di Ferro.

Elizabeth sorrise, suscitando la curiosità del suo ex marito. – Come mai qui a quest'ora? –

– Niente di che... una visita. E sono passata a salutare Kate. Non mi aspettavo di trovarti qui, però. Non dovevi essere dimesso ieri? –

Alexander agitò la mano a mezz'aria. – Avevo bisogno di riposare un altro po' e a casa non avrei avuto pace. –

Quel commento mi fece scambiare un'occhiata di comprensione con Elizabeth, che sospirò come a non poterci far nulla. Quel lato di lui non sarebbe mai cambiato. – Va bene, fingerò di essermela bevuta. Vi lascio. Volevo soltanto salutarti, Kate. E dirti... dire a entrambi... che vi ringrazio. Avete posto fine a un incubo. –

Nonostante stesse sorridendo, il suo sguardo era ben diverso da quello di Alexander e questo dettaglio non gli sfuggì. C'era una nota di tristezza in quegli occhi azzurri, che apparve ancora con più intensità quando la raggiunse.

– Liz? –

Era la prima volta in tutti quei mesi che lo sentivo rivolgersi alla sua ex moglie con un diminutivo. E a giudicare dal fatto che Elizabeth ne sembrò turbata, immaginai che non fosse facile sentirsi chiamare così. Mi chiesi se la morte di Novak avrebbe fatto sì che le ferite tra loro si risanassero definitivamente. Fu allora, nel vederli insieme, che provai una sensazione strana, come se stessi cercando di ricordare qualcosa che, nonostante i miei tentativi, non riuscivo a riportare alla mente. Solo un nome buffo. Qualcosa come Pop o Pops...

– … Poppo? – domandai tra me e me, a voce evidentemente troppo alta per essere solo un pensiero, perché entrambi si voltarono a guardarmi con aria sconvolta.

– Come hai detto? – mi domandò Alexander.

Sorrisi imbarazzata. – Scusate, devo aver pensato ad alta voce... non sarebbe meglio se andaste a parlare fuori? Mi sa che sarebbe il caso che riposassi un po'... –

– Hai detto... Poppo? – domandò di rimando Elizabeth, glissando sulla mia richiesta.

– S-Sì... ma non so perché l'ho detto... devo essere un po' stanca.. o il mio cervello non lavora ancora bene come dovrebbe... –

Elizabeth portò le mani alla bocca, soffocando un singhiozzo.

– Che succede? – domandai.

Alexander mi rivolse un'occhiata incerta, poi guardò Elizabeth, che si appoggiò alla porta.

– Le avevi detto di Poppo? –

– No, non ho mai... come fai a conoscere quel nome, Kate? –

– Non lo so... mi è venuto in mente così... perché? –

– Era il nome del peluche preferito di Lily... diceva sempre che avrebbe chiamato così anche il suo fratellino. Ma... – tornò a guardare Elizabeth. – Non è mai stato così... e... –

Sgranai gli occhi, mentre la donna, incredula, scoppiò a piangere. Alexander e io ci guardammo preoccupati. Un pensiero, in quell'istante, cominciò a prendere forma in mente. Alla festa degli Howell non aveva toccato alcolici né crudi d'alcun tipo, nonostante fossero decisamente deliziosi e aveva glissato sulle danze. E ora, una visita.

– Elizabeth... per caso è incinta? – domandai, ricevendo in risposta un'espressione sconvolta da parte di entrambi. Alexander si voltò verso di lei, che dubbiosa e addolorata, annuì.

– Oh... –

– Scusate... scusatemi davvero, io... – si rivolse ad Alexander, che sospirò.

– Maximilian non lo sa, vero? –

La donna scosse la testa. – È solo che... non so se... se voglio questo bambino... –

Ascoltai quelle parole sgomenta, ma la reazione che ebbero su Alexander fu ancora più dura.

– Stai scherzando? – fece eco, con un tono che non ammetteva repliche.

Elizabeth alzò nuovamente lo sguardo verso di lui, colpevole. – Lily è morta... io non... se dovesse accadere nuovamente qualcosa... io non voglio più soffrire così tanto! Non ho saputo proteggere nostra figlia, Alexander! Non posso pensare di perdere un altro figlio... –

Portai la mano al cuore, pensando che, in un certo senso, avrei potuto capirla. Non potevo biasimarla, perché anche lei, come chiunque fosse coinvolto in questa storia, aveva perso un'importante parte di sé e il pensiero che potesse accadere di nuovo era insopportabile. Sentii una fitta al cuore, perchè anch'io, in un certo senso, continuavo ad avere quella paura. Guardai Alexander, che solo dopo averla lasciata sfogare, si decise a parlare.

– Tu sarai una madre straordinaria. Lo so perché con Lily lo sei stata. Anche in quei momenti. Sei terrorizzata e lo capisco. Ma l'assassino della nostra bambina è morto ed è stato Maximilian a porre fine alla sua vita. Lui ha mantenuto quella promessa che io non sono riuscito a mantenere. E... e so che continuerà a farlo. Per questo, anche se hai paura, ricordati che non sei sola. Questo bambino è un nuovo inizio. Per te, per lui. E se Lily fosse stata qui, avrebbe fatto i salti di gioia per quel fratellino che desiderava tanto. Se non vuoi farlo per voi, fallo per lei. Nostra figlia è con noi e lo sarà sempre. E poi... avrai Poppo. – sorrise nel pronunciare quell'ultima frase.

Elizabeth lo guardò come se stentasse a credere a quello che aveva appena sentito. In effetti, anche a me suonava strano sentirlo parlare in quel modo, ma aveva ragione.

– Coraggio, Elizabeth! Non si arrenda. E poi, credo che anche a Nicholas farà piacere avere un nuovo amico... quando sarà tempo, certo... –

Entrambi si voltarono verso di me e Alexander inarcò le sopracciglia, rivolgendo alla ex moglie uno sguardo rassegnato. – Comunque... alla fine, devi prendere tu la decisione finale, ma almeno, non tenere Maximilian all'oscuro. Sappiamo fin troppo bene a cos'hanno portato tanti segreti tra noi tre. –

Compatii Elizabeth, che, dopo aver incassato quelle parole dure, ma certamente d'effetto, cercò di calmarsi. Solo dopo aver preso fiato, si ricompose.

– Mi dispiace tanto... non era davvero mia intenzione avere questa reazione... –

– Ormoni... – suggerii, sorridendo.

– Ormoni. Anche con Lily è stato così. Giorni in cui mi avrebbe portato in cima al K2, giorni in cui mi avrebbe buttato giù da lì e giorni in cui si sarebbe pentita amaramente di non averlo fatto prima. Non so come ho fatto a sopravvivere. – disse Alexander, con un tono beffardo che fece arrossire la donna.

– Sei sempre il solito deficiente. –

– Te la concedo solo perché ho rispetto della tua condizione. Di quanto sei? –

– Cinque settimane... –

– Però lo sospettava, vero? Per questo non ha toccato niente dagli Howell... – aggiunsi.

Elizabeth assentì. – Ho avuto conferma oggi. Non volevo affidarmi solo ai test. –

– Capisco... –

– Comunque, assicurati di avere un defibrillatore a portata di mano quando lo dirai a Maximilian. Non vorrei gli venisse un infarto per le troppe emozioni. –

Finalmente, sul volto di Elizabeth tornò un accennato sorriso. – Vedrò cosa posso fare... grazie... davvero... –

Sia Alexander che io ci rivolgemmo uno sguardo complice.

Quando fui rimasta sola, guardai verso la finestra della mia stanza, da cui sarei stata dimessa soltanto la settimana seguente. Una nuova vita... era davvero un bel modo per ricominciare.

Durante quei giorni mi sforzai più volte di cercare di ricordare perchè, all'improvviso, avessi tirato fuori quel nome di cui non conoscevo l'origine, ma avvertivo una sensazione di pace al pensiero che chissà, forse Lily era davvero presente accanto ai suoi genitori. Almeno, era quello che speravo.

E, a proposito di presenze, nonostante le visite degli amici fossero proibite almeno nei primi giorni, avevo ricevuto tanti di quei fiori, messaggi e dolcetti che non ebbi tempo di sentirne la mancanza. Un regalo in prestito, in particolare, mi riempì il cuore di gioia e non mi fece vedere l'ora di uscire per riabbracciarne il proprietario. Oz era con me e con lui, era come se Nicholas mi fosse accanto.





**********************

Buonasera a tutti!

Aggiorno ora con la terza parte del capitolo: mea culpa, anche questo è più lungo di quanto pensassi... ci sarà anche una quarta parte prima dell'epilogo. Probabilmente, terza e quarta parte sono state tra le più difficili sa scrivere e spero che questa, intanto, sia riuscita bene. Mi ha molto colpito emotivamente, perché ci tenevo tanto a inserire anche, in qualche modo, la piccola Lily. Mi piace pensare che lei sia sempre accanto ai suoi genitori, solo in un'altra forma. L'idea che fosse lei a riportare Kate da Alexander è sempre stata con me, sin dall'inizio. Dopotutto, per qualche ragione, è stata lei a unire le loro strade. Quindi, ci tenevo a farla apparire, almeno una volta, anche se così. 

Fatemi sapere che ne pensate! 

Grazie come sempre per il supporto e alla prossima!

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Capitolo 27
*** XI. quarta parte ***


Finalmente, arrivò il giorno delle mie dimissioni e, con mia sorpresa, al posto di trovare mio padre ad attendermi, trovai Alexander. Mi resi conto che si erano messi d'accordo perché, proprio mezz'ora prima, ero stata rassicurata sul fatto che sarei stata recuperata da papà. Non che non ne fossi contenta, anzi. Non lo vedevo da quando era uscito e, dal momento che il professor Norton mi aveva severamente vietato di utilizzare il telefono per evitare stress, non avevo avuto modo di sentirlo né di vederlo. In quella settimana aveva avuto il tempo di ristabilirsi per bene, anche se, conoscendolo, non dubitavo del fatto che anche se non si fosse del tutto ripreso, avrebbe trovato il modo di rimettersi in attività. Dopotutto, era pur sempre uno stakanovista e data la sua posizione, non poteva concedersi il lusso di indugiare troppo. Quando lo raggiunsi, lo vidi scrutarmi con attenzione. Probabilmente stava cercando di capire se stessi davvero bene. In realtà, anch'io avevo notato qualcosa.

Intendi rasarti prima o poi? – domandai, nel notare la sua barba cresciuta.

Mi guardò perplesso, poi prese la mia borsa. – Quando non correrò il rischio di sgozzarmi, magari. –

Per quello esistono i barbieri, lo sai? – feci eco, salendo in macchina.

Non ho molta simpatia per quei rasoi affilati. Mi mettono ansia. Aspetto di recuperare la piena funzionalità e dopo provvederò io stesso. – rispose, mettendo la borsa sul sedile posteriore e salendo alla guida. Fortunatamente, il cambio automatico gli permetteva di non dover muovere troppo il braccio infortunato. Quando partì, mi ritrovai a osservarlo. In realtà, era affascinante anche così. Aveva un'aria incredibilmente intrigante e sexy.

Tutto bene? Hai fame? –

Scossi la testa. – Ho già fatto colazione. Il professor Norton mi ha raccomandato di non sforzarmi troppo però. –

Quindi... niente emozioni intense o elucubrazioni? Non posso rimetterti al lavoro? –

Inarcai il sopracciglio. – Ho avuto una settimana di riposo assoluto. Qualcosa devo pur farla. Sudoku magari. –

Che ne dici di una sfida? –

Ricordai a mie spese chi avessi davanti a me. Sarebbe stato capace di trasformare un semplice match in gioco d'azzardo. – Credo che ne andrebbe della mia salute mentale. –

Fece spallucce. – Ci ho provato. –

Magari... quando ti sarai ripreso del tutto... potrei concederti una rivincita con le pistole ad acqua. –

Stavolta ridacchiò. – Non garantisco sul finale. –

Sorrisi. – Ok. –

Guardai fuori, respirando la piacevolissima aria estiva che filtrava dal finestrino.

Dove mi porti? –

Tu dove vorresti andare? –

Chiusi gli occhi, beandomi della sensazione di solletico sul viso. – Sulla East Coast... vorrei tanto vederla. –

Va bene. –

Eh? –

Mi voltai a guardarlo. – Dici sul serio? –

Sono obbligato a chiedere a Marcus, però. – commentò, prendendo la strada per la Procura Distrettuale.

Non indendevo ora... quando sarà possibile! Non devi lavorare? –

Sì, ma ho degli arretrati. Potrei beneficiarne. –

Battei le palpebre e allungai la mano fino a toccargli la fronte. – Eppure non sei caldo... –

Si mise a ridere.

Dai! –

Goditi il viaggio, intanto. Passiamo comunque da lui, vuole parlarci. –

Scostai la mano. – Niente anticipazione? –

Disse quella che aveva spoilerato a Jace il finale della sua serie preferita. –

Touchée. – Non sapevo come svegliarlo... a te è riuscito una volta. –

Mh. Comunque sei stata brava, Kate. –

Siamo. Si chiama gioco di squadra. –

Stavolta annuì. – Già. –

Passammo il resto del viaggio in silenzio, fin quando non giungemmo in Procura Distrettuale, dove ci attendeva il dottor Howell.

Mettervi piede non era come farlo nel Dipartimento, ma la frenesia era familiare. Mi faceva riflettere su quanto il nostro lavoro fosse importante. Gli agenti presenti ci accolsero mettendosi sull'attenti e vedere Alexander nelle sue vesti formali, quando si rivolgeva a loro, mi rendeva segretamente emozionata e orgogliosa di lui. Uno degli agenti ci accompagnò all'ufficio del dottor Howell, che era impegnato in una telefonata di lavoro. Ci fece cenno di entrare e di accomodarci, poi terminò la chiamata di lì a pochi minuti. Nel mentre, non mi sfuggirono le foto, recenti e incantevoli, sulla sua enorme scrivania storica in mogano, sia quella del matrimonio che una di Selina e Nicholas.

Morris continua a darmi il tormento. – esordì, portando le ciocche scure mosse ribelli dietro l'orecchio. All'anulare, sia la fede nuziale che l'anello col sigillo di famiglia facevano bella mostra.

Quel Morris? – fece eco Alexander, incuriosito.

Il dottor Howell annuì. – Sempre lui. Siete delle celebrità ora. E... bentornata, dottoressa Hastings. – disse, sorridendo.

Ben trovato. Grazie mille. Chi è quel Morris? –

Ricordi Alejandra Ortega? – mi chiese Alexander.

Sì, certo. – Non avrei mai potuto dimenticare quell'agente sotto copertura con cui avevamo risolto il caso di Karina Razinova. Era stato grazie a lei se Nicholas ora era con noi.

È il suo capo. –

Per poco non mi venne un colpo. – FBI?! –

Già. Detto in soldoni: pare che sia rimasto piuttosto impressionato dalla risoluzione del caso del Mago. Continua a chiedermi di cedervi a loro. –

Lo guardai sconvolta. – Noi? È stato il detective Wheeler a concludere. –

Alexander incrociò le braccia. – Però noi abbiamo tracciato il profilo e siamo arrivati a lui. Certo, è pur vero che data la natura personale, avevamo in mano indizi che altri non avevano. E da quando l'FBI si interessa ai nostri casi? –

Da quando hai ficcato il naso nelle faccende della Cruise Pharma. Che il caso di Karolus Novak fosse così legato a quello tuttavia, credo che sia stata una coincidenza. –

Lo penso anch'io. – aggiunsi.

Ad ogni modo, vi ho convocati per questa ragione, oltre che per sapere come stia, dottoressa. –

Sto bene. Ho un peluche da restituire, però. –

Il gran capo sfoderò un sorriso gentile. – Nicholas si era disperato pensando che se avesse avuto con lei Oz non le sarebbe accaduto nulla. –

Le cose dovevano andare così... –

Ad ogni modo, siete stati incauti. Tutti e due. Se Maximilian non fosse arrivato in tempo, avrei perso due agenti in gamba, di cui uno più spina nel fianco che altro, ma dettagli. Avreste dovuto lasciare il caso al III Dipartimento come ordinato, sebbene mi renda conto che, se così fosse stato, con tutta probabilità, avremmo avuto un'altra vittima innocente. Alla fine, è stato finalmente messo un punto su questa storia e il caso può essere archiviato dopo tutto questo tempo. Ora, dal momento che, per l'opinione pubblica, siete degli eroi, altro elemento per cui Morris vi vorrebbe con sé, che ne dite di pensare alla sua proposta? –

Lasciare il Dipartimento per l'FBI. In effetti quando avevo scelto di studiare Psicologia e successivamente, di entrare in Polizia, l'avevo fatto con l'idea che un giorno o l'altro, avrei potuto spiccare il volo. Eppure, nonostante a volte avessi come la sensazione di aver trascorso una vita alle prese con il mio lavoro, sapevo bene che di avere ancora bisogno di tempo e di gavetta. Guardai Alexander che, accanto a me, sembrava star ponderando le parole del Procuratore. Mi chiesi cosa potesse significare per lui una tale opportunità. Una parte di me, dovevo essere sincera, riusciva ad immaginarlo come agente federale. Avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere uno di loro, tanto più era caparbio e inarrestabile davanti a un obiettivo, ma questo avrebbe inevitabilmente significato che il Dipartimento sarebbe rimasto orfano del suo capo. Tutto ciò che la Omicidi aveva fatto finora, i successi e anche i casi da risolvere sarebbero stati gli stessi anche con un'altra persona al comando? E la nostra squadra sarebbe andata ugualmente d'accordo? Solo dopo lungo tempo, si voltò verso di me e notai un fremito tra le sue sopracciglia, poi tornò a rivolgersi al dottor Howell, affondando nella poltrona e portando le dita alla tempia sinistra, solennemente.

E privarmi così del piacere di schiavizzare i miei sottoposti? Puoi dire a Morris di andare a fanculo. –

Quel commento mi fece ridere, tanto più che mi accodai. – E io sono ancora una recluta. Prima di diventare una profiler professionista degna dell'FBI ho ancora un po' di gavetta da fare. –

Non mi passò inosservato né il sorrisetto compiaciuto di Alexander né il brillio negli occhi scuri del gran capo, che, incrociando le mani davanti alla bocca per celare l'approvazione, fece spallucce con la convinzione di chi si aspettava proprio quelle risposte.

Ah beh... se questa è la vostra decisione, io non posso far altro che prenderne atto e rispondere, a malincuore, a Morris, che i miei agenti rifiutano l'offerta. – disse, non mancando di enfatizzare l'avverbio.

Alexander sollevò un sopracciglio. – Già che ci sei, digli anche che mi deve un favore. Ha perso la scommessa. –

Che scommessa? Ancora? – domandai, preoccupata.

Il dottor Howell sospirò. – Una sciocchezza. A Norfolk avevano scommesso sul fatto che Konstantin Vaughn non avrebbe trovato tracce dei parenti di Nicholas prima di due mesi. Morris era certo del contrario e invece... –

Guardai il mio capo di sottecchi. – Oh... ma guarda un po'... –

Alexander ignorò la mia battuta. – Bene. Mi pare che abbiamo chiarito tutto. Possiamo parlare delle mie ferie? –

Intendi quelle che non hai mai preso negli ultimi sette anni? –

Sul serio? – feci eco.

Non avevo altro da fare. –

Avevo appena avuto l'ennesima conferma al fatto che fosse un alieno. Sospirai. – A proposito di richieste... potrei avanzarne una anch'io, poi? –

Entrambi mi rivolsero la loro attenzione.

 

Quando ci congedammo, dopo aver discusso le nostre richieste, peraltro accettate, facemmo una capatina in Dipartimento. Nel vedere l'edificio storico in mattoni rossi, mi sentii ancora più felice di aver declinato la proposta che ci era stata offerta. Con i suoi punti di forza e le sue criticità, quello era il posto a cui appartenevo. Quando entrammo, fui sopraffatta dalla piacevole sensazione di familiarità. I nostri colleghi erano impegnati come sempre. Il signor Jones fu il primo ad accorgersi del nostro arrivo e i suoi occhi scuri si aprirono in sorpresa.

Kate, Alexander! –

Al suono dei nostri nomi, tutti si voltarono. Alexis sorrise, mentre Jace balzò in piedi dalla sua postazione. – Bentornati! – dissero all'unisono.

Ci raggiunsero tutti e tre e Jace mi abbracciò. – Che bello vederti!! –

Anche per me... grazie mille! – dissi, stringendolo e incontrando tutti. – Sono felice di vedervi... –

Quando sciogliemmo l'abbraccio, scoprii che in quei giorni, avevamo avuto un capo ad interim e che Alexander aveva messo piede in Dipartimento soltanto allora. Nel sentire il nostro vociare, la persona in questione si affacciò dall'ufficio. Alzai lo sguardo e una donna che non conoscevo si palesò davanti a noi. In formale tailleur nero, tacco Chanel, semiraccolto castano chiaro con leggere mèches bionde e perplessi occhi marroni, richiamò tutti. – Si può sapere cosa sta succedendo? –

I miei colleghi si scostarono, mentre Alexander si fece avanti. Nel vederlo, lei incupì lo sguardo, rivolgendogli un'occhiataccia. – Ed è un piacere vederti anche per me, Stella. Come stai? –

Alexander Graham. Ora che ti ho visto posso dire ufficialmente di aver avuto la mia giornata rovinata. –

Guardai perplessa Jace, che alzò gli occhi al cielo.

Kate. Permettimi di presentarti Stella Martini, vicecapo del I Dipartimento. –

Oh... piacere di conoscerla. Sono Katherine Hastings. –

Piacere mio. – disse lei, nel raggiungerci.

Italiana? – domandai.

I miei nonni lo erano. Di Roma. Sembra che il mio compito qui sia terminato. –

Alexander annuì. – Riprendo il comando. Grazie per aver supervisionato il mio team. Spero non ti abbiano fatto disperare. –

Alle risatine dei ragazzi, seguì la risposta della detective. – No. Il primato è tuo. Abbiamo un caso, comunque. Dottor Norton, le invierò a breve un file. Agente Williams e agente Jones, voi venite con me. E tu, Graham, cerca di rimpolpare le schiere, sei a corto di operativi. –

Eh. Sono per il pochi, ma buoni. Che succede? –

Rapina a mano armata. Una vittima. Gli esecutori sono ancora in stato d'assedio. –

Wow. Quasi quasi rivaleggiava con il bombarolo della mia prima operazione.

Allora Alexis è la persona giusta. – spiegò Alexander, trovando l'approvazione della nostra collega.

Non dirmi cosa devo fare. Sai che non mi piace. Andiamo. – rispose seccata la donna, per poi andar via con Alexis e l'agente Jones, che ci salutarono con la speranza di rivederci presto. Quando rimanemmo soli con Jace, quest'ultimo tirò un sospiro di sollievo. – Ma che diavolo hai fatto a quella per essere così acida? – domandò, trovandomi d'accordo con lui.

Io? Niente. Non sopporta di non essere diventata capo Dipartimento. –

Le hai soffiato il posto? –

Mi rivolse un cipiglio di disapprovazione. – Certo che no. Semplicemente, ho ottenuto un punteggio maggiore del suo, all'epoca. –

Prima o dopo esserci andato a letto, capo? –

Arrossii nel sentire la domanda di Jace e guardai Alexander indignata. – Davvero?! –

Prima. Ma quella è un'altra storia. – disse, andando in ufficio.

Guardai Jace incredula. – Quei due hanno avuto una storia? –

Non l'avevi capito? Si vede lontano un miglio che non le è affatto passata. –

Deglutii. – Non ci credo... –

E invece... comunque sono felice che siate tornati. E tu stai bene, vero? –

Annuii. – Selina? –

Sta effettuando un'autopsia. Alexander sarà uno schiavista mascherato da bel tenebroso, ma Miss Perfettina lo batte di gran lunga. –

Capisco... e, a proposito... non è il tuo telefono a suonare? – domandai, indicando la scrivania di Jace, mestamente ripulita a causa di, immaginai, un capo non esattamente propenso al disordine creativo.

Aiuto! – esclamò, correndo ai ripari.

Mi misi a ridere e poi raggiunsi l'ufficio. Alexander si era seduto alla scrivania. Erano trascorsi solo pochi giorni, ma per la prima volta da tutto quel tempo, eravamo lì con la consapevolezza di aver chiuso un caso talmente importante da aver condizionato le nostre vite per troppo tempo. Sulla scrivania, continuava a sfogliare il fascicolo che lo riguardava.

Tutto bene? – domandai, sedendomi di fronte a lui.

Sette anni che si chiudono così. Stavo solo riflettendo sul fatto che quando ho messo piede per la prima volta in questo posto, ero ossessionato dall'idea di trovare colui che aveva distrutto la mia vita. Eppure, tutto va avanti. Ci saranno altri assassini da catturare, casi che si risolveranno in breve e altri che richiederanno notti insonni... perché questo è il nostro lavoro. –

Scossi la testa. – No. Il nostro lavoro è salvare le persone e ristabilire la giustizia. –

Chiuse il fascicolo. – Kate... –

Ci saranno momenti difficili, è vero. Ma se c'è una cosa che questo caso mi ha insegnato è che anche quando tutto sembra impossibile c'è una soluzione. –

Ed è per questo che ti resta ancora una cosa da fare. –

Cosa? –

Il suo sguardo si fece più serio. – Quella cosa che hai chiesto a Marcus... sei tu a doverla dire a quella persona. Non è giusto che sia qualcun altro a farlo. Lo devi a te stessa... e a lui. –

Sgranai gli occhi. – Io non so se posso farlo... –

Ce la farai. E solo allora... sarai davvero libera. –

Soffocai un gemito, portando la mano al cuore e incontrando il suo sguardo incredibilmente austero. Fortunatamente per me, l'arrivo improvviso di Selina, che si affacciò al nostro ufficio con l'aria trafelata, mi distolse dall'emozione intensa che stavo provando in quel momento.

Voi due!! –

Selina. – disse Alexander, alzando il braccio per salutare.

Ben trovata. – aggiunsi io.

Sorrise dolcemente. – Non fateci più scherzi, eh? –

Stavolta, concordi, annuimmo entrambi.

Quel giorno trascorse tranquillamente, dopo che Selina ci ebbe strappato la promessa di festeggiare il ritorno alla normalità e, quando tornai a casa, dopo aver riabbracciato Lucy, che si era data un gran da fare per riaccogliermi, mi ritrovai nella mia stanza a mettere a posto le mie cose. Ero riuscita a posticipare il mio rientro a Shrewsbury e avevo recuperato un album di fotografie che avevo conservato nel mio armadio e che, da quando Trevor era morto, non avevo più aperto. Sfogliandolo, trovai tutte le nostre foto. Le carezzai una per una, riportando alla mente i ricordi di quei momenti. Era strano a dirsi, ma da quando avevo recuperato tutti i ricordi che tenevo sopiti da anni, riguardanti il Mago, era come se finalmente potessi ricordare anche il resto. E la voce di Trevor, i dettagli, tutto ciò che ricordavo di lui apparvero più chiari. Sorrisi, percorrendo i tratti del suo volto con le dita.

Credi che avrò il coraggio di fare una cosa del genere? – domandai, come se avesse potuto rispondermi. E poi, pensai che grazie a lui avevamo potuto avanzare nell'indagine. La notte in cui era stato ucciso, Trevor aveva capito quello che sarebbe accaduto e, voltandosi verso la videocamera che aveva installato, aveva fatto sì che Novak rivelasse il suo volto. Aveva avuto coraggio. Presi il mio telefono e dopo un enorme respiro, mi decisi a comporre un numero e a premere il tastino verde della chiamata. Ci vollero diversi squilli prima che la persona in questione rispondesse.

« Perchè mi chiami? »

Guardai la foto in cui eravamo tutti e tre insieme. – Ho bisogno di vederti, Hannah. Dobbiamo parlare. –

Attese qualche istante prima di rispondermi. Almeno non mi aveva chiuso direttamente il telefono in faccia. « Non credo di avere nulla da dirti. »

Ma io sì. Ed è importante. Riguarda tuo fratello. –

Sentii una smorfia, ma alla fine accettò. Ci saremmo viste l'indomani, ma quello che mi stupì fu il luogo da lei scelto.


 ***


Raggiunsi il Central Burying Ground intorno alle 10:00. Il caldo afoso non era d'aiuto, ma non potei fare diversamente, dal momento che non mi era sembrato conveniente scegliere da me il luogo di ritrovo. Temevo quell'incontro, ma Alexander aveva avuto ragione circa il fatto che fosse necessario. Non mettevo piede in quel luogo da quando Trevor era stato seppellito. Era un luogo di tale dolore che la sola idea di recarmici e vedere il suo nome inciso sulla lapide bianca mi sembrava insopportabile, soprattutto perché lui amava la vita e questa gli era stata ingiustamente strappata. Camminavo tra i sentieri, incontrando gente che piangeva, che pregava, che parlava con quei monumenti funerari nella speranza che quelle parole giungessero ai loro cari. Sentivo il cuore pesante ad ogni passo che facevo e quando finalmente raggiunsi la tomba del mio fidanzato, rimasi a fissarla fino a che non sentii dei passi dietro di me. Hannah, che aveva indossato un vestitino a righe bianche e verdi, si chinò a posare dei fiori, poi si chiuse in preghiera. Attesi, in silenzio, pensando che forse, avrei dovuto farlo anch'io. Ma la verità era che non sapevo nemmeno da dove cominciare. La sola cosa che riuscii a chiedere, dentro di me, fu egoista: Dammi la forza...

Tutto intorno, una folata di vento caldo sparpagliò le foglie verdi degli alberi secolari.

Ho saputo della conclusione del caso. – disse, senza voltarsi.

S-Sì... l'assassino di Trevor è stato ucciso. Il detective Wheeler, che era a capo delle indagini, ha posto fine a tutto. – dissi, incrociando le mani in grembo. Mi sentivo nervosa.

Aveva catturato Lucinda, vero? Ho ascoltato la conferenza stampa. –

G-Già... –

La vidi sollevare la testa bionda. La sua voce tremava. – E tu sei quasi stata uccisa. –

Abbassai lo sguardo. – Sono stata fortunata... sembra che non mi volessero ancora... –

Perché mi hai chiamato? Cosa vuoi da me? –

Cercai di regolarizzare il mio respiro. – Ho chiesto al Procuratore Howell di intercedere per far avere una medaglia al valore alla memoria di Trevor. Se il suo assassino... assassino di due bambine innocenti e di un uomo che aveva la sola colpa di averlo aiutato, è stato neutralizzato, il merito è suo. –

In che senso? –

Sorrisi amaramente al ricordo di quel video e sentii gli occhi gonfiarsi per le lacrime.

Quella notte, Trevor voleva chiedermi di sposarlo... e aveva attivato il sistema sperimentale di videosorveglianza per immortalare quel momento. Il suo assassino non sapeva dell'esistenza di quella videocamera, dato che Trevor aveva lavorato sull'ottimizzazione per avere una resa eccellente anche in presenza di un oggetto talmente minuscolo da non essere identificabile se non dagli esperti. E così, quando ha capito cosa sarebbe accaduto, ha fatto in modo che quel mostro si voltasse verso l'obiettivo, così che potessimo vederlo e identificarlo. Se l'abbiamo trovato, lo dobbiamo soltanto a lui. –

Le spalle di Hannah si strinsero. Mi sembrò improvvisamente piccola e indifesa.

Mio fratello... non è morto invano? –

Mi morsi le labbra fino a sentire il sapore del sangue in bocca, a quella domanda. – Per quanto questo non cambi le cose... no. È soltanto merito suo. Tutti noi gli siamo debitori. –

La sentii piangere. Aveva represso le lacrime troppo a lungo.

Mi dispiace, Hannah... mi dispiace tanto... avrei dato qualunque cosa pur di risparmiare a te, alla tua famiglia... a Trevor, questo destino. –

Hannah, singhiozzando, si voltò. I suoi occhi verdi, così simili a quelli del fratello, erano arrossati e colmi di lacrime. – Lui ti amava, Kate! Eri la sua vita! –

Scossi la testa, portando la mano alla bocca per soffocare il pianto. – Io... –

Questo non posso accettare! Che lui sia morto perché ti amava... e che tu... tu sia ancora qui, cercando di lavarti la coscienza! Voglio che tu ammetta, davanti alla tomba di Trevor, cosa realmente provi! –

Hannah, io... io... – indietreggiai.

Sgranò gli occhi, con una smorfia, agitando il braccio. – Ecco cosa sei... una codarda. Medaglia al valore? Cosa pensi che me ne faccia?! Per ricordarmi di quanto fosse coraggioso mio fratello? Beh, ti do una notizia: lo sapevo già. Lui non si è mai tirato indietro davanti a nulla! Al contrario di te! –

Guardai la tomba, pensando che Hannah aveva ragione. Trevor non aveva mai ceduto e, nonostante i nostri diverbi, non mi aveva mai lasciato affrontare nulla da sola. Anche durante il primo scontro con il Mago, lui era stato il primo a voler accompagnarmi. In tutto quel tempo trascorso insieme, Trevor aveva avuto coraggio. Anche quello di rischiare, perché aveva capito, prima ancora che io me ne rendessi conto, quali fossero i miei veri sentimenti. Quelle parole che mi aveva rivolto, nel video, ne erano la prova. E ora toccava a me essere onesta... e coraggiosa. Inspirai più volte, invocando tranquillità, poi guardai Hannah, che sembrò stupita dalla mia espressione. Quale che essa fosse, non sapevo dirlo.

Hai ragione. Hai ragione su tutto, Hannah. Nessuno ti ridarà mai tuo fratello. Nè ridarà a me una persona che è stata fondamentale. Una volta mi hai detto che non avevo cuore. Già... perché quel cuore, oltre vent'anni fa, se l'era portato via il suo assassino. A causa mia sono morte delle persone. Coloro che hanno avuto a che fare con me, hanno sofferto. Trevor non meritava di morire. Nè lo meritavano Lily e Daisy. Mi hai chiesto di essere sincera: tuo fratello è stato il primo amore della mia vita e sarà sempre un uomo importante per me. Ma possiamo solo andare avanti ora. Per lui, per chi non c'è più. Dopo la sua morte, ho provato un profondo senso di colpa. Pensavo che quello che era accaduto l'avevo meritato e che quindi, era giusto che mi sentissi così. Ma poi, poco a poco, mi sono resa conto che quella sensazione aveva radici più profonde. Io amavo Trevor... ma avevo cominciato a provare dei sentimenti anche per un'altra persona. E mentre rischiavo di perdere anche lei per mano del Mago, mi sono resa conto di amarla e di non voler rinunciare né a lei né a questo sentimento. Per questo motivo... non voglio più sentirmi in colpa. –

Hannah era sconvolta. Non sapevo nemmeno se quelle parole avessero senso per lei. Probabilmente, dovevano essere l'ennesima prova di quanto le facessi schifo. Alla fine però, fu lei a distogliere lo sguardo. – Lo sapevo... Trevor mi aveva detto che a volte ti vedeva distante. Ed era per questo che avevo cercato di fargli dare una mossa e chiederti la mano. Pensavo che così facendo avreste sanato le vostre divergenze... e invece... ho spinto mio fratello in un baratro... –

Tremava mentre parlava e io con lei, nell'ascoltarla.

Alla fine... sono io quella da biasimare... perché se non l'avessi incoraggiato a fare quel passo... forse oggi lui... –

No, Hannah! No, non è così! – esclamai, in tralice.

Trevor mi manca tanto... –

Annuii, percependo tutto il suo dolore in quelle parole. – Anche a me... –

Mi dispiace... – sussurrò.

Anche a me, Hannah... anche a me... – mormorai e mi sporsi ad abbracciarla. Il suo corpo, prima rigido, si sciolse poco a poco, scosso dai singhiozzi.

Passammo tanto tempo a piangere e a buttar fuori tutto ciò che avevamo dentro. E alla fine, davanti al luogo in cui Trevor riposava, ci incontrammo a metà strada. Entrambe sapevamo che probabilmente, non avremmo più avuto lo stesso legame di prima. Ma quantomeno, sembrava che fossimo riuscite a trovare un po' di pace. Parlammo ancora e Hannah volle tutto il resoconto di ciò che era accaduto. Sul finire, mi disse che avrebbe parlato con la sua famiglia della mia richiesta, ma ne avanzò un'altra, certamente più utile. Dati i successi di Trevor, sarebbe stato bello intestargli una borsa di studio, che potesse andare a chi, come lui, aveva dedicato la sua vita a migliorare quella degli altri. Fui d'accordo e le promisi che ne avrei parlato col dottor Howell al più presto. Quando ci separammo, non ci furono cerimonie. Ormai, avevamo preso due strade diverse, ma in qualche modo, sapevo che avrebbero continuato, di tanto in tanto, a incrociarsi. E quando questo fosse accaduto, avrei saputo che il merito sarebbe stato di Trevor. Prima di congedarmi, mi chinai sulla tomba e accarezzai la lapide, pregando che in qualche modo, gli fosse stata concessa la pace.

Quanto a me, una volta lasciato il cimitero, presi il primo autobus per Beacon Hill. E quando giunsi davanti al palazzo in cui abitava Alexander mi sentii, per la prima volta dopo tutto quel tempo, più serena. Come se ammettere ad alta voce i miei sentimenti fosse stato curativo, in qualche modo.

Sapevo che il suo turno sarebbe cominciato nel pomeriggio. Quando aprì la porta, scarmigliato per essersi allenato nonostante le ferite ancora visibili, la sua espressione sorpresa divenne, poco a poco, più consapevole. Non disse nulla, rimanendo in attesa che fossi io a dirlo. Aveva capito tutto da molto tempo. Eppure, aveva aspettato pazientemente.

Io ti amo... – dissi appena, sperando che il mio cuore ballerino non mi impedisse di risultare convincente e sentendo le guance bollenti.

I suoi occhi blu notte si aprirono a quella rivelazione, probabilmente non del tutto inattesa, ma di certo, in grado di suscitare il suo stupore.

E così... mi chiedevo se... se ti andasse di... ecco... stare insieme... –

Stavolta fu la sua bocca ad aprirsi in sorpresa. Fece per dire qualcosa, poi ci ripensò e prese un lungo sospiro, soffermandosi a guardarmi. Quello sguardo indagatore che conoscevo bene era davvero difficile da sostenere, soprattutto in quel momento, dato che mi sentivo più nuda e vulnerabile di quando lo ero stata per davvero, davanti a lui. Era incredibile pensare come a volte, persino l'intimità fosse più semplice dell'ammettere i propri sentimenti. Alla fine, le sue labbra si allargarono in un dolce sorriso, poi mi attirò a sé e mi strinse forte.

Soltanto tu potevi sconvolgermi la vita così... –

Appoggiando la guancia al suo petto, sentii il suo cuore pulsare e mi beai di quella sensazione, stringendolo anch'io. – Ti dispiace? –

No. Nulla mi dispiace se tu sei con me. –

Sollevai appena il viso e, mentre chiudeva la porta alle mie spalle, le sue labbra trovarono le mie. Avremmo avuto tanto tempo per parlare. Quello, invece, era il momento per tenere fede a una promessa. Finalmente insieme. Liberi.

 

 

 

 

 

 

 

***********************

Buona domenica!!

Approfitto del pc per pubblicare il finale del capitolo e per annunciare che il prossimo sarà l'epilogo. Non so se dividerlo in due parti perché è venuto fuori più lungo di quanto pensassi, ma non credo. 

Intanto, con questa parte, si chiude il cerchio per tante ragioni. Per me è stato difficile scrivere quest'intero capitolo, anche se, in un certo senso, l'alternanza tra dramma e momenti spensierati lo rendeva più lieve, ma quando si è verso la fine, la sensazione di esser giunti al capolinea e la necessità di ricomporre le compagini rendono tutto più difficile. Non so se questi ultimi capitoli vi siano piaciuti, ma sappiate che raccontarli per me è stato emotivamente impegnativo.

Ringrazio per il supporto come sempre e alla prossima settimana con l'epilogo! ç_ç<3

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


EPILOGO

 

 

 

 

Quell'anno, Boston era in fermento da campagna elettorale.

Nel corso del tempo, tanti eventi incredibili si erano susseguiti e, a causa di un clima di forte instabilità, avevamo vissuto momenti difficili. Del canto nostro, avevamo portato avanti il nostro lavoro con sempre maggior convinzione, tanto più che, dopo il caso del Mago, avevamo risolto diversi casi che avevano agitato la città con le loro complicazioni. Eppure, c'era ancora tanto da fare, soprattutto dal momento che il malumore serpeggiante acuiva la sfiducia della gente nei confronti delle forze dell'ordine.

Episodi di razzismo, talvolta, purtroppo, fin troppo conclamati, corruzione e difficoltà economiche a seguito della crisi, avevano finito con l'incrinare quel senso di protezione che, solitamente, la Polizia ispirava. E probabilmente, anche questa era tra le ragioni per cui Marcus Howell decise di partecipare alla corsa a sindaco. La sua famiglia non era nuova al titolo, dal momento che il nonno lo era stato in passato, rieletto oltretutto per un doppio mandato, ma la sua vittoria non era così scontata. Per questo, aveva deciso di rassegnare le dimissioni dalla sua carica di Procuratore Distrettuale e concorrere senza rischio di conflitto d'interessi.

Quel pomeriggio di settembre, tutti i capi Dipartimento erano stati convocati presso la sua residenza e, con l'occasione, anche le nostre famiglie avevano avuto modo di incontrarsi. Così, mentre Alexander e Maximilian erano in riunione, Selina, Elizabeth, Lucy, Jace e io eravamo in attesa, chiacchierando nell'ampio e lussuoso gazebo con vista sul parco della villa.

Sembra che la riunione si stia prolungando, vero? – domandò Lucy, scostando una ciocca brunita da dietro all'orecchio. Il venticello autunnale era piacevole, anche se Elizabeth si scaldò le braccia con le mani, a seguito di una folata un po' troppo intensa.

Tu non puoi proprio dirci di cosa si tratta, Selina? – chiesi e lei arricciò le labbra color ciliegia.

Mi spiace, ma Marcus mi ha severamente proibito di dare anticipazioni. – rispose, sorseggiando una tazza di tè.

Jace, che mangiava una madeleine dorata sul cui sapore e sulla cui fragranza non avevo dubbi, mi punzecchiò. – Ecco... vedi come si comportano le vere amiche? Niente anticipazioni. –

Lo guardai di sottecchi, prendendo un biscotto danese. – Dopo tutto questo tempo serbi ancora rancore per quella volta? –

Avevo atteso così tanto nella speranza di un finale decente... –

Lucy gli dette una pacca sulla spalla. – Dovevi prendertela con gli autori, non con Kate... dopotutto aveva soltanto cercato di salvarti la vita. –

Jace annuì di rimando, posando la mano su quella della moglie, nonché mia migliore amica.

Per fortuna ho te... –

Lucy sorrise, mentre io sospirai. – Non c'è di che, eh? –

Selina si mise a ridere. – Lascialo perdere... gli brucia ancora che il posto al MIT sia stato assegnato ad Hannah Lynch. –

Jace fece spallucce. – L'ho presa con filosofia soltanto perchè era la sorella di Trevor. –

Sorrisi. Hannah, dopo aver terminato gli studi in Ingegneria, con specializzazione nello studio dell'intelligenza artificiale, aveva ottenuto il posto come associato, battendo, di fatto, Jace, che, a sua volta, aveva ripreso gli studi e conseguito la laurea nell'arco di pochi mesi. In realtà, sia Lucy che io sapevamo che se avesse voluto, non gli ci sarebbe voluto nulla per ottenere quel posto, ma la concorrenza era troppo importante per far sì che andasse a fondo. E così, aveva continuato il suo lavoro come analista in Dipartimento, talvolta aumentando il giro di collaborazioni, per far fronte alla nuova situazione personale venutasi a creare. Per tutti noi era cambiato qualcosa.

Alexis aveva deciso di seguire Vaughn in Europa. L'ultima volta che l'avevo sentita, circa due mesi prima, mi aveva detto di essere felice di averlo fatto. E io lo ero stata per lei, perchè aveva finalmente superato tutte le sue paure.

Altri agenti erano subentrati e coadiuvati da Daniel Jones, si erano ben ambientati, anche se spesso li sentivo mormorare di quanto spaventoso potesse essere il detective Graham. Quando gli riferivo quelle parole, Alexander si limitava a dire che non avevano visto ancora niente. E io sorridevo, al pensiero di quanto anch'io, all'inizio, mi fossi sentita intimidita da lui. Eppure, nonostante l'apparenza, era l'uomo più speciale del mondo, per me. Condividevo con lui vita personale e lavorativa ma, a dispetto di quanto si dicesse circa l'incompatibilità di tali dimensioni, andavamo d'accordo sotto entrambi i punti di vista. Certo, spesso avevamo dei diverbi, ma non era forse così per chiunque? Tuttavia, la nostra capacità di comprensione reciproca era forte e nel tempo era aumentata. Spesso, la stessa Selina ci aveva detto che avevamo finito con l'assomigliarci, lui ed io. E, prima di lei, lo stesso Maximilian aveva più volte sostenuto che standogli accanto, avrei finito col prenderne le carte. Eppure, nonostante tutto, Alexander era ancora bravissimo a sorprendermi. L'aveva fatto anche quando, poche ore dopo aver dato alla luce nostro figlio, mi aveva chiesto, casualmente, di sposarlo. Sapeva che, dopo quanto accaduto a Trevor, non sarebbe stato facile per me accettare una proposta classica e così, mi aveva sorpreso in quel modo, appellandosi al fatto che non avrei potuto dire di no a una richiesta fatta davanti a un testimone d'eccezione. E io avevo accettato. Erano trascorsi sette anni da allora.

Kate? – la voce di Elizabeth mi distolse dai miei pensieri.

Sì? –

Anche lei era cambiata in quegli anni. Certo, il dolore per la scomparsa di Lily ci sarebbe stato per sempre, ma l'amore per Maximilian e per il piccolo Landon aveva fatto sì che poco a poco, anche lei tornasse a sorridere alla vita.

Guarda un po' quei due... –

Mi voltai verso il tavolino, poco lontano dai divani su cui eravamo seduti, attorno al quale Landon e Henry si stavano sfidando a Indovina Chi?. Entrambi i due bambini erano concentrati, sotto lo sguardo attento di Mia, la piccola di Jace e Lucy.

Alla tensione del piccolo Landon, che, a detta di Alexander, aveva preso in tutto e per tutto dal padre, a cominciare dal vortice nei folti capelli scuri, faceva da specchio l'espressione divertita di Henry, che, a detta dello stesso Maximilian, aveva ereditato la stessa abilità di pokerista di Alexander. Avrei voluto che ne ereditasse anche quel blu meraviglioso degli occhi, ma la tonalità più chiara era ugualmente incantevole e mi ero resa conto di esserne già perdutamente innamorata dal primo istante in cui aveva aperto i suoi occhietti alla vita. Ero rimasta incinta pochi mesi dopo Elizabeth e questo, se da una parte aveva acuito l'eterno senso di sfida tra quei due, aveva fatto sì che, nel decidere di crescere i nostri figli insieme, per quanto possibile, i rapporti tra loro tornassero quelli di un tempo. E, dopotutto, Alexander era piuttosto solleticato dall'idea che i nostri bambini diventassero amici come lo erano stati loro.

Dopo sole cinque tessere abbassate, Henry, trionfante, annunciò che il personaggio misterioso era il canuto Paul. Landon, incredulo, aveva protestato.

Non è giusto! Tu hai barato! – esclamò, facendo voltare tutti verso di loro al suono squillante e agitato della sua voce. Henry, incredulo e indignato per quell'osservazione, si alterò.

Non è vero! Non ho barato! Sono solo bravo a intuire la tua espressione! Sei tu che non sai reggere il gioco! – esclamò a sua volta.

Eh? Non è così! Mia, tu hai visto, no? – domandò, voltandosi verso la bimba, di un anno più piccola, che sospirò. – Voi non sapete proprio giocare per bene! – rispose, raggiungendoci e sedendosi tra Lucy e Jace, perfetto connubio dei due, con i lunghi capelli neri e gli occhioni color nocciola. Jace, commosso, accarezzò la testolina della figlia. – Bravissima, tesoro mio. Non farti coinvolgere in certi giochetti. –

La smetti, Jace? – fece eco Lucy. – Sono bambini. –

Henry, intanto, si alzò, puntando il dito contro Landon. – Allora stavolta cerca tu di indovinare! –

Landon, guardando verso Elizabeth, cercò supporto. Quest'ultima sorrise. – Forza. Ricorda cosa ti dice sempre papà. –

Il bambino annuì, ritrovando fiducia a quelle parole, poi si voltò verso Henry e ruotò la tavola del gioco. – Va bene, ma sappi che non basta l'intuizione. Devi procedere ragionalmente. –

Si dice razionalmente. – disse una voce un po' più matura proveniente da fuori al gazebo. Quando la persona che aveva parlato si fece avanti, sia Selina che io sorridemmo.

Nicholas, di ritorno da scuola, si affacciò a salutarci. Ora tredicenne, anche lui stava crescendo a vista d'occhio. Di quel bambino spaventato con mutismo selettivo che avevo incontrato in un bugigattolo, tanti anni fa, non rimaneva nemmeno l'ombra. I suoi occhi, che un tempo erano il suo solo modo di comunicare, si accesero di gioia nel vederci.

Bentornato, Nicholas. – esclamammo all'unisono.

Com'è andata la prova, tesoro? – domandò Selina, mentre lui si avvicinava per baciarla.

Molto bene, mamma. Il professor Goodwin sostiene che continuando così, un giorno potrei provare l'audizione per la Juilliard. –

Quelle parole suscitarono la mia curiosità. – Che audizione? –

Nicholas mi guardò, poi prese dallo zaino il flauto traverso.

Abbiamo recentemente scoperto che è molto portato. – spiegò Selina.

Sorrisi, piena di gioia. – Sono davvero felice, Nicholas. –

Quest'ultimo arrossì. – Grazie, Kate... se volete, qualche volta vi suono qualcosa. –

Perchè non lo fai ora? Sembra che abbiamo tutto il tempo. –

Un'altra volta. Devo studiare ora. Ho un progetto da finire di preparare per domani. Anzi, mamma... credi che papà riuscirà ad aiutarmi? –

Selina inarcò le sopracciglia. – Lo spero. Adesso si stanno dilungando davvero un po' troppo... –

Capisco... –

La nostra amica intuì lo stato d'animo del figlio. – Vedrai che farà di tutto pur di riuscirci. Sai che sei sempre la sua priorità. E poi, sappi che non vede l'ora di sentirti suonare quel pezzo che hai tenuto gelosamente segreto. –

A quelle parole, l'espressione di Nicholas si fece più speranzosa. Quando lo vedevo con la sua famiglia, non potevo fare a meno di pensare a quanto fossi felice di aver insistito per averlo con noi. Avevo fatto tante scelte sbagliate nella mia vita, ma combattere per Nicholas era stata tra quelle di cui non mi sarei mai pentita. Mi sentii orgogliosa e serena nel vederli chiacchierare, così come nell'avere i miei amici accanto a me, nel vedere i bambini che, per un gioco del destino, condividevano molto di più che una semplice amicizia. C'era qualcosa di Lily in entrambi. Nel sorriso di Landon e nel taglio degli occhi di Henry. Guardavo Mia osservarli e pensavo che magari, quella che sarebbe dovuta essere la loro sorella maggiore faceva altrettanto.

E, quando finalmente Alexander e Maximilian si fecero vedere, vederli correre entrambi ad abbracciare i loro papà fu un toccasana per il cuore. In quegli anni, qualche filo argentato si era fatto vedere e spesso, mi divertivo a prendere in giro mio marito per questo. Lui, stoicamente, lo imputava ai pensieri che Henry e io gli davamo.

Bentornati. Ci avete messo tanto, eh? – fece notare loro Jace.

C'erano delle criticità da chiarire. – rispose Maximilian che, preso in braccio Landon, si sedette accanto ad Elizabeth. Quest'ultima sorrise.

E papà? Ha ancora da fare? – domandò Nicholas.

Fu Alexander a rispondergli, accarezzandogli affettuosamente la testa. – Arriva subito. Sta accompagnando personalmente gli altri ospiti. Sei cresciuto, eh? Se continua così ci supererai tutti nell'arco di qualche anno. –

Nicholas arrossì. Che ci considerasse dei quasi genitori al pari di Selina e del dottor Howell era risaputo, tanto più che ne eravamo diventati i padrini, ma il nostro era un legame particolare, nato nel giorno stesso in cui si era fidato di noi, permettendoci di portarlo in salvo.

Chissà... –

Alexander sorrise, per poi abbassare lo sguardo su un imbronciato Henry che gli stava tirando un lembo della giacca nera. – Che succede, Henry? –

Puoi prendere anche me? –

Sorpreso da quella domanda, annuì e provvide, avendo cura di usare il braccio sinistro. Dopo lo scontro con il Mago, il destro, che era stato gravemente ferito, aveva impiegato molto tempo a riprendere la funzionalità completa e, anche se alla fine aveva recuperato, alle volte avvertiva dolore. Henry lo sapeva e non insisteva generalmente, ma ultimamente, a causa degli impegni lavorativi, che avevano a che vedere con due casi importanti su cui stavamo indagando, manifestava il suo bisogno d'attenzioni. Per questo, quando abbracciò forte il suo papà, sul suo visetto si aprì un raggiante sorriso di soddisfazione. Del canto mio, quando i nostri sguardi si incrociarono, intuii che avremmo avuto un bel po' di cui parlare.

Che ne dite se faccio portare qualcos'altro da mangiare, intanto? – chiese Selina, alzandosi.

Io sono a posto così. – rispose Maximilian, che nel frattempo, stava mangiando una madeleine.

E comunque... non credo ci sarà più tanto da attendere. Marcus sta arrivando... e non è solo? – aggiunse Jace, affilando lo sguardo.

Ci voltammo in attesa e, in pochi istanti, il dottor Howell, effettivamente in compagnia, ci raggiunse. Assieme a lui, una donna in tailleur bordeaux che avevo visto di sfuggita nei giorni precedenti in Procura e che ricordavo avermi colpito per essere stata un'attivista ai tempi delle rivolte per il diritto alla giustizia dei neri. Se la memoria non mi ingannava, poi, doveva essere anche un avvocato affermato.

Perdonate il ritardo. – disse il gran capo.

Papà! – esclamò Nicholas, nello stesso istante in cui Selina chiamò il nome nel marito.

Guardò entrambi sorridendo, poi si rivolse a tutti noi, che ci eravamo alzati. – Permettetemi di fare le presentazioni ufficiali. Signori, vi presento Hortense Manadou, che prenderà il mio posto come nuovo Procuratore Distrettuale. –

Il nuovo gran capo. Hortense Manadou. La donna ci rivolse un sorriso cordiale, bianco tanto quanto le generose perle che portava al collo. – È un piacere fare la vostra conoscenza. Spero che ci troveremo bene. Sono stata chiamata per questo compito importante e mi rendo conto che subentrare a Marcus non sia semplice, ma spero che potremo continuare a portare avanti l'opera insieme. –

Tutti noi annuimmo. Se c'era una cosa che sapevo su Marcus Howell era che non sceglieva a caso i suoi collaboratori. Mi chiesi se vi fossero dietro anche dei vantaggi politici. Era indubbio che così facendo avrebbe inviato un messaggio piuttosto chiaro all'elettorato, ma non dubitavo del fatto che la prima motivazione fosse di carattere pratico. Non avrebbe mai affidato il suo posto a qualcuno che non ne fosse stato all'altezza. Ed era per questo che in quei mesi aveva vagliato diverse proposte, ma fino a quel momento, non aveva preso alcuna decisione. Hortense, da parte sua, sembrava piuttosto tranquilla.

Alexander, dopo avermi raggiunto, mi guardò con la coda dell'occhio. – Che ne pensi? –

Ricambiai lo sguardo, poi mi sporsi a lisciare le ciocche ribelli di Henry, felicemente ereditate dal suo papà. – Penso che ne vedremo delle belle. –

Sogghignò al mio commento, mentre il dottor Howell richiamò la nostra attenzione con un colpetto di tosse.

A proposito... ho convocato la riunione per presentare Hortense ai capi dipartimento, ma non era quella la sola ragione. C'era ancora un punto da discutere. Come sapete, nei prossimi mesi ci sarà una riorganizzazione, data dal fatto che, ultimamente, le nostre forze scarseggiano. Per questa ragione, ho chiesto che alcuni Dipartimenti vengano accorpati. L'Anticrimine farà capo esclusivamente a III e V. –

Elizabeth e io guardammo i nostri mariti. – Questo vuol dire che Alexander e Maximilian lavoreranno di nuovo insieme? – domandò lei.

I due si scambiarono uno sguardo d'intesa. – Come ai vecchi tempi. –

E quella rivelazione era veramente inaspettata. – Dottor Howell, ha deciso di mandare in rovina la sezione? – domandai.

Lui si mise a ridere. – Ho già detto ad Hortense che in caso di problemi con quei due sarà autorizzata a spedirli a Ellesmere con biglietto di sola andata. –

Il nuovo gran capo ridacchiò. – E io ho risposto che conosco bene come trattare le teste calde. Ma sono certa che non ci sarà bisogno di arrivare a tanto. Non è così? –

Alexander e Maximilian fecero spallucce, sorridendo.

E... a questo proposito, si renderà necessaria una riorganizzazione interna. Qui entra in gioco lei, Kate. – aggiunse il Procuratore.

Io? –

I suoi occhi scuri si accesero. – Hortense avrà bisogno di un consigliere. So che la sua specializzazione è in Psicologia Criminale, pertanto non le chiederò di interrompere la sua attività, ma, al fine di garantire l'effettiva riuscita della fusione, sarebbe molto utile se accettasse la carica. –

Per poco non mi venne un accidenti. Guardai sconvolta Alexander, che fece finta di non sapere e Selina, che se la rideva sotto ai baffi. Sapevano già tutto. – Io non credo di essere portata per qualcosa del genere... come ha detto, me la cavo meglio come profiler, quindi... –

L'alternativa sarebbe cederla a Morris. Sa che questo mi addolorerebbe tanto. –

Inarcai il sopracciglio. In effetti, periodicamente ricevevamo proposte di passaggio all'FBI che, puntualmente, rispedivamo al mittente. Mi chiesi se prima o poi quell'uomo si sarebbe arreso. Sospirai, pensando che il dottor Howell aveva capito che l'unico modo per farmi accettare era proporre quella soluzione davanti a tutti. Ed ecco perchè non mi aveva convocato precedentemente. Con buona pace dei miei consezienti amici. – Posso pensarci? – chiesi.

Certamente, dottoressa. Ma sappia che prenderò servizio formalmente tra due settimane. Sarei felice se ne avessi risposta entro il fine settimana. – spiegò Hortense.

Annuii. – Grazie. –

Lei mi sorrise, poi si voltò verso il suo predecessore. – Bene. Sembra che qui abbiamo fatto. Ci vediamo domani. Non voglio più rubarti tempo alla famiglia, Marcus. – disse, rivolgendo un materno sguardo a Nicholas, che sorrise, grato.

E così, dopo aver fatto la conoscenza del nostro nuovo gran capo, una volta che fu andata via, commentammo tra noi le novità.


 ***


Rientrammo a casa a sera inoltrata, dopo aver cenato a villa Howell su insistenza di Selina. Fortunatamente, non avemmo troppa strada da fare, dato che, dopo la nascita di Henry, ci eravamo trasferiti a Cambridge, sia perchè avevamo bisogno di più spazio che per stare un po' più vicini alla famiglia di Alexander. La madre Louise era venuta a mancare pochi mesi dopo Lily. Un infarto, dicevano. Avevo studiato abbastanza per sapere che anche un grande dolore avrebbe potuto distruggere un cuore. Il padre Christopher, invece, aveva dolorosamente e con difficoltà cercato di rimettere insieme i pezzi della sua vita, dopo quei lutti. Henry era stato una ventata d'aria nuova, sia per lui che per la mia famiglia, ma nel tempo, aveva avuto bisogno di maggior aiuto a causa degli acciacchi dell'età e di una brutta caduta di cui pativa ancora gli strascichi. Tuttavia, era sempre un piacere averci a che fare, dato che nonno e nipote avevano un incredibile feeling, soprattutto quando si trattava di complottare e, grazie a lui, avevo scoperto dei lati inediti di mio marito che riguardavano la sua infanzia.

Dopo aver messo a letto un esausto Henry insieme come di consueto, mi dedicai a una rilassante skincare e poi raggiunsi Alexander sul balcone. Normalmente andavamo a letto presto, ma c'erano notti in cui il sonno tardava a venire, a causa dei pensieri. Cominiciava a far freddo in quel periodo e perciò, colsi l'occasione per abbracciarlo e scaldarci entrambi. Avevo sempre apprezzato particolarmente la sua figura atletica. Negli anni si era irrobustito un po', ma manteneva sempre un fisico tonico che mi faceva impazzire. La sua schiena, in quel momento, era un ottimo e caldo appoggio.

Insonnia da caso? – domandai.

I suoi occhi fissavano il cielo notturno rischiarato soltanto dalla luce delle stelle e da un ultimo spicchio di luna. – Pensavo che mi manca ancora qualcosa. Un killer che scompare nel nulla dopo aver ucciso. C'è un pattern ben preciso nelle sue azioni che mi fa orientare verso una sorta di ritualità, ma non riesco a capire ancora il motivo per cui lo fa. Ci sono similarità con il passato, ma non vedo un emulatore, in questo caso. –

Lo strinsi più forte. In effetti, uno dei due casi su cui stavamo investigando, aveva delle analogie con il caso del Mago, ma le sue vittime non erano bambine, bensì tre persone completamente scollegate le une dalle altre, rendendo ancora difficile stabilire un'analogia. I suoi omicidi sembravano casuali. Eppure, ognuno di essi era stato compiuto nei pressi di chiese appartenenti a quartieri differenti, durante notti di novilunio, nei tre mesi precedenti.

Pensi che potrebbe colpire di nuovo, domani notte? – mi domandò.

Tu che ne pensi? –

Si voltò appena, prendendomi sotto la sua ala. – Che qualcuno una volta mi ha detto che il nostro lavoro è prima di tutto quello di proteggere le persone. –

Sorrisi, al ricordo. – Doveva essere una persona molto saggia. –

Alzò gli occhi al cielo, poi mi guardò. – Mh. Anche un po' folle, a volte. –

Ehi! – esclamai, assestandogli un buffetto sul petto. Si mise a ridere, poi prese la mia mano e la portò alle labbra, baciandone il dorso. Arrossii al contatto. Dopo, tornò a guardarmi.

Accetterai la nomina? – mi domandò, sviando il discorso.

Mi presi qualche istante di riflessione. Se l'avessi fatto, avrei avuto più responsabilità e, indubbiamente, il mio tempo al Dipartimento non sarebbe stato lo stesso. Certo, un incarico del genere mi avrebbe consentito di avanzare nella mia carriera, sebbene non fosse esattamente ciò che mi sarei aspettata, ma in un certo senso, ne valeva la pena, soprattutto considerando che Henry stava crescendo e un lavoro di quel tipo ci avrebbe permesso di mettere da parte altro per i suoi studi. Però, parte di me temeva che in quel modo non avrei potuto aiutare Alexander così come avevo fatto in quegli anni.

Non lo so. Per questo avrei preferito parlarne con te, prima. Tu sapevi che il dottor Howell aveva quest'idea, vero? –

Annuì. – In realtà, sono stato io a fare il tuo nome. –

Sgranai gli occhi, incredula. – Perchè? –

Stavolta toccò a lui prendersi il tempo per rispondere.

Alexander, perchè? –

Sospirò, poi tornò a guardare il cielo. – Perchè credo fermamente che tu sia la persona più adatta per quell'incarico. E non è soltanto perché così facendo avresti maggiori sicurezze, ma anche perchè una persona che crede negli altri prima che in un'istituzione, è degna di portare avanti tale missione. Hortense Manadou è piuttosto simile a te, in questo. Si è battuta per la giustizia, sia come attivista che come legale. E anche tu non hai mai perso di vista il tuo obiettivo. Sono più che sicuro che voi due saprete fare tanto. Chiamala lungimiranza o intuito da detective, come vuoi, ma al posto tuo, accetterei senza batter ciglio. –

Rimasi a bocca aperta nell'ascoltare il suo discorso. Era la prima volta che parlava di me in quel modo. E, rinfrancata da quelle parole, mi sentii più tranquilla. – Questo significherà che diventerò automaticamente tua superiore, in un certo senso. –

Quell'osservazione lo fece ridere e si voltò con un'aria di sfida dipinta negli occhi. – Me ne farò una ragione. Intanto... per queste due settimane, sei ancora alle mie dipendenze, dottoressa Hastings. –

Inarcai le sopracciglia, raccogliendo quel guanto. – Ah, davvero, detective Graham? Ed esattamente... cosa intende fare di me? –

Colto il tono della mia domanda, non se lo fece ripetere due volte e si chinò su di me, con tutta l'intenzione di spiegarmi, con la dovizia di particolari che lo contraddistingueva, cosa intendesse, ma prima ancora che le sue labbra toccassero le mie, sentimmo il suo iPhone squillare. Ci fermammo all'istante e ci guardammo, poi, tiratolo fuori dalla tasca, la sua espressione si fece concentrata. Era Hayes, uno dei nuovi agenti, di turno quella notte. Sentii una sensazione d'agitazione pervadermi l'animo. Era sempre così quando arrivavano chiamate fuori orario e non sarei mai riuscita ad abituarmici, pur ricevendone spesso.

Spero per te che sia importante, Hayes. – disse Alexander, perentorio.

« Capo. Abbiamo ricevuto una segnalazione riguardo un uomo che si aggira nei pressi della vecchia sede della Mount Vernon Church. A quanto pare non è la prima volta che accade, per questo è stato segnalato. Il dottor Norton sta provvedendo a elaborare le immagini del circondario. Potrebbe essere il sospetto. »

È a Beacon Hill. – notai.

Alexander annuì. – Sarò sul posto a breve. Tu e Taylor raggiungetemi lì. –

« Agli ordini, capo! » esclamò, prima di chiudere la chiamata.

Mio marito sospirò e mi guardò. – Quante coincidenze potrebbero esserci? –

Considerando che ha scelto tre diversi quartieri, potrebbe essere la quarta opzione. E potrebbe star studiando i dintorni. Certo, non è la notte in cui dovrebbe agire, ma... ti prego, stai attento. –

Fece un cenno col capo e poi mi accarezzò il viso, rivolgendomi il sorriso di quando voleva tranquillizzarmi, prima di lasciarmi con quel bacio che era rimasto in sospeso. – Ci vediamo dopo. –

Annuii, mentre lui, nell'arco di pochi minuti, fu fuori di casa, pronto a seguire la sua pista. Poco tempo e sentii il rombo del motore, ma quando mi affacciai al balcone, feci solo in tempo a vedere la Nexo perdersi nella notte.

Mi strinsi nella braccia, riflettendo sul fatto che la nostra vita era e sarebbe sempre stata così. I casi risolti davano forza e, in un certo senso, l'illusione temporanea che avremmo avuto un po' di pace. Alle volte era così. Un paio di giorni, nella migliore delle ipotesi una settimana, ma sapevamo bene che quei momenti erano transitori. Prima o poi, ci sarebbe stato un nuovo caso importante, difficile, da notti insonni e con rischi per l'incolumità. Quello su cui stavamo lavorando era di quel genere. Un assassino che sembrava colpire indiscriminatamente le sue vittime, come fosse una specie di sfida. E Alexander amava le sfide. Ma desiderava anche rendere il mondo un posto migliore. Per Lily, che non aveva potuto salvare. Per Henry, per cui papà e mamma erano degli eroi. Ma gli eroi non avevano macchia. Noi, invece, portavamo le cicatrici degli errori passati. Coloro che erano morti a causa delle nostre scelte erano sempre lì, come monito per le nostre azioni. Che fossero state persone importanti, conoscenti o perfetti estranei non aveva importanza. Andavamo avanti perchè per quelle vite spezzate fosse ristabilita la giustizia. E quella giustizia aveva un prezzo alto. Significava venire a patti con la propria coscienza. Essere in grado di superare l'istinto per operare in virtù di una risoluzione che fosse legale. Il caso del Mago era stato un banco di prova per tutti noi. Avevo ancora negli occhi il suo sguardo senz'anima e nelle orecchie la sua voce, mentre raccontava i suoi crimini. Desiderava la morte, sì, ma in modo da distruggere la vita. Il nostro compito, invece, era quello di tutelarla nella sua sacralità.

Mamma? –

La voce di Henry, impastata dal sonno, mi fece trasalire. Mi voltai, nel vederlo infreddolito e scarmigliato, mentre stringeva tra le piccole braccia Poppo, il rattoppato peluche a forma di leone che era stato di Lily. Lui e Landon se lo scambiavano spesso.

Ti sei svegliato, tesoro? – domandai, affrettandomi a riportarlo dentro e a chiudere la porta dietro di noi.

Dov'è papà? –

Mi chinai accanto a lui, accarezzandogli affettuosamente i capelli castani. – A fare quello che gli riesce meglio... salvare il mondo. –

I suoi occhioni azzurri si aprirono, pieni di ammirazione. Era davvero un supereroe, per lui.

Davvero? –

Sorrisi e annuii. – Però, ora noi dobbiamo andare a dormire. E in assenza di papà, ci penserà Poppo a proteggerci. –

E Lily. – disse, indicando la foto sul caminetto. La stessa che aveva suscitato la mia attenzione durante il primo giorno a casa Graham con Nicholas, ora affiancata da tante altre, raffiguranti felici momenti di famiglia.

L'espressione gioiosa e piena di vita dipinta nei suoi occhioni blu. La stessa che, due anni prima, dopo aver incontrato casualmente Julie Dawson, meravigliosamente serena durante una passeggiata al parco con i suoi genitori, mi aveva fatto ricordare il motivo per cui non avremmo mai dovuto perdere la speranza, nemmeno davanti a casi impossibili o tragici. Quello sguardo valeva ogni pena affrontata.

Avevo intrapreso quella strada dopo aver visto la morte di una bambina innocente. E mi ero convinta di dover agire per le vittime e per chi restava. Tutto ciò che era seguito mi era servito a capire che c'era anche un altro fattore di cui tener conto e che non ero mai stata in grado di affrontare, se non a mie spese: quelle ombre al margine della società, che si addentravano in essa e in essa si agitavano, come attori di un inquietante circo oscuro in cui ogni spettacolo era imperniato su distorte visioni, erano ciò che più rendeva complesso e drammatico il nostro lavoro. Per questa ragione, avevo dovuto trovare il coraggio di guardare nell'oscurità. E quell'abisso, alle volte, restituiva qualcosa. Un dettaglio, un frammento di memoria, un minuscolo pezzetto di un puzzle, tanto piccolo quanto fondamentale per comprendere. Allora, le tenebre si diradavano.

Accarezzai la foto di Lily e sorrisi, prima di lasciarla andare e raggiungere Henry. Sapevo che quella notte non avrei chiuso occhio fino a che Alexander non fosse rientrato dall'indagine. Ma, come avevo detto, ci avevo fatto il callo. Era la vita che avevamo scelto: insonne, difficile, pericolosa, inaspettata, confusa, sul filo del rasoio. Un giorno, qualcuno avrebbe potuto puntare la pistola al petto di uno di noi e portarcela via, ne eravamo consapevoli, oppure avremmo potuto trascorrerla in relativa pace, negli anni a venire, se fossimo stati fortunati. Non ci era dato di sapere. Ma potevamo impegnarci a far sì che, in quel tempo a noi concesso, le nostre azioni portassero a ristabilire la giustizia e a donare un po' di serenità a coloro che avevano patito le sofferenze di un crimine, per quanto indicibili esse fossero, tornando a credere nella vita. E allora, animati da quella prospettiva, saremmo andati avanti, continuando a credere che, nel nostro piccolo, avremmo cambiato il destino di qualcuno. Per la memoria di chi non c'era più. Per chi resta. Per il futuro.

 

 

 – FINE –

 

 

 

*****************************

 


Buonasera a tutti!

Che pena per me pubblicare quest'ultima parte... non credo di poter descrivere bene a parole lo stato d'animo in cui mi trovo in questo momento. E' sempre così, quando si mette la parola fine a qualcosa. A distanza di anni da Underworld, dover pubblicare un altro epilogo, per giunta di un'altra storia a cui sono molto legata, mi scuote più di quanto pensassi possibile... e così, la storia di Kate si conclude così. E' iniziato tutto con un'immagine che vidi su FB tra quelle natalizie... ed è finita con un rimando alla situazione attuale, in un certo senso. Ho scritto l'epilogo mentre l'America era scossa dagli scontri contro la polizia ed è venuto fuori così, molto più articolato di quanto avessi originariamente programmato. 


Ho augurato già ai miei personaggi una buona vita al di fuori delle righe: mi piace pensare che essa continui, in qualche modo... come, chi lo sa. 
Per il momento, ringrazio tutti coloro che in questi mesi sono passati a leggere, dedicando a questa storia un po' del loro tempo, seguendola, semplicemente per curiosità oppure perché poco a poco, spero, si sono affezionati a loro volta. Ringrazio chi mi ha lasciato un pensiero, che per me è stato prezioso: leggere delle vostre emozioni mi ha davvero toccato il cuore. Ringrazio in particolare Evee, Robin D e Red Saintia, per essere state ed essere compagne di lettura sia dentro che fuori EFP: a voi va il mio grazie più sentito! Ringrazio chi arriverà in futuro, spero, e magari, arriverà in fondo a questa storia. E ringrazio Kate e Alexander che ho amato e amo alla follia: sono una delle coppie che più mi ha dato in termini di maturità, tra i personaggi che ho creato finora. 


Per dirla con un messaggio familiare alla combriccola: ad maiora semper. <3 E  tutti voi, alla prossima storia, qualora dovesse esserci!

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