Favole di Narnia, Volume I

di sfiorarsi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo zero - Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno - Le talpe ed il lampione ***
Capitolo 3: *** Capitolo due - Il gallo che non sapeva cantare ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre - La prima driade ***



Capitolo 1
*** Capitolo zero - Prologo ***


Favole di Narnia, Volume I

 

Disclaimer: I personaggi descritti nella raccolta non sono frutto della mia invenzione, ma appartengono a C.S. Lewis, che ne detiene i pieni diritti.
La storia viene ideata, scritta e pubblica senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Lucy non riusciva a dormire.
Si girava e rigirava nel letto, tra le lenzuola di seta - così lontane da quelle ruvide dell’Inghilterra -, ma una grande eccitazione la teneva sveglia, impedendole di lasciarsi cullare dalle soffici braccia di Morfeo.
Quella notte non furono i bombardamenti nemici a impedirle di dormire, e nemmeno la scrosciante, usuale, fredda pioggia inglese, ma quel fervore che sentiva nel petto, ed ella sapeva che era dovuto all’infantile, ingenua impazienza di esplorare ogni meandro e ciascun angolo di quella magica terra. Narnia sembrava la rappresentazione fisica di tutte le favole e di tutti i sogni: ruscelli gorgoglianti, uccelli che cinguettavano e volavano felici, fiori e piante ricchi e prosperi. C’era anche dell’inverosimile - ma era poi così inverosimile, in un mondo come quello? -, perché le radici degli alberi erano come piedi scalzi, e i tronchi avevano le sembianze di volti umani, e ciò faceva sì che, mentre si camminava nel giardino del castello, qualche pianta potesse seguirti e muoversi al tuo fianco.
Lucy aveva voglia di esplorare, e questo desiderio le impediva di prendere sonno. Così scivolò fuori dal letto, infilando delle babbucce di stoffa morbida, circondandosi le spalle con un largo mantello per ripararsi dalla fresca brezza notturna, e si mosse con aggraziata gentilezza per i corridoi di Cair Paravel, immersi nel buio e nel silenzio. Nonostante fosse stata incoronata Regina solo da poche settimane, Lucy conosceva a memoria ogni anfratto del castello: suo fratello Peter, Re Supremo di Narnia, spesso l’aveva condotta tra le grandi sale da ricevimento, nei lunghi corridoi, nelle stanze più nascoste, e insieme avevano esplorato la loro nuova dimora. C’era, però, un luogo che la bambina non aveva ancora visto, ed era la biblioteca.
Ogni volta che vi camminavano davanti, Peter accelerava il passo, e le tirava dolcemente il braccio per farla muovere più velocemente. Non le aveva mai spiegato il motivo, e Lucy - per via di quel pudore infantile e di rispetto - non ne aveva mai domandato la ragione.
Quella notte, però, la fanciulla sentiva crescere nel petto il desiderio di vedere la biblioteca con i propri occhi, perché tante volte l’aveva immaginata: le pareti nascoste da immense librerie, su cui erano posti centinaia di libri, volumi antichi, racconti di Narnia, o ancora un grazioso pavimento in legno, coperto da un grande tappeto riccamente decorato. Trovandosi davanti all’immensa porta di mogano, però, Lucy tentennò per un attimo: e se ci fosse stato qualche oscuro segreto oltre quella porta? E se suo fratello Peter avesse voluto solo proteggerla, impedendole di essere rapita da una strega cattiva o di essere divorata da uno spietato mostro a tre teste? Sciocchezze, si trovò a pensare Lucy, Aslan non permetterebbe mai che creature del genere vivano a Narnia. Solo a pensare che il Grande Leone vegliasse su di lei, la bambina sentì diffondersi in lei un grande coraggio, che la condusse a spingere la massiccia porta di legno e ad entrare nell’immensa biblioteca.
A primo impatto, la stanza sembrava immersa nel buio. Ma, in pochi secondi, gli occhi di Lucy si abituarono all’oscurità, e le permisero di scorgere un fuoco acceso nel camino, a circa tre dozzine di passi da lei. Il fuoco era vivo, come se qualcuno lo avesse appena ravvivato con un attizzatoio. In effetti, quel qualcuno doveva essere ancora lì, perché la fanciulla riuscì a scorgere una sagoma illuminata per metà dalla luce rossastra della fiamma, mentre l’altra metà scompariva nello sfondo d’ombra dell’ambiente circostante.
Facendo attenzione a non fare rumore, la Regina Lucy si incamminò verso la misteriosa figura, sperando che questa non si girasse. Magari, poteva essere il bibliotecario. Ma no, sciocca, pensò la giovane, il bibliotecario è un nano, e quella sagoma ha le gambe troppo lunghe per essere un nano. Che fosse un fauno era altrettanto impossibile, perché Lucy riuscì a scorgere dei piedi scalzi che, senza ombra di dubbio, non erano zoccoli; men che meno che fosse un centauro, perché mai una creatura tanto nobile e maestosa sarebbe stata in grado di sedersi come un umano. A pochi passi dalla sagoma, nascosta dietro una grande libreria alta fino al soffitto - oh, erano molto alti, i soffitti di Cair Paravel, anche se questo non era in vetro come quello della Sala del Trono -, Lucy riconobbe le fattezze di suo fratello Peter. Era così simile al Peter dell’Inghilterra, che a Lucy spuntò un sorriso a fior di labbra: nonostante indossasse degli abiti tipici di Narnia, non erano sontuosi come quelli da Re che indossava ogni giorno. In più, la fanciulla si accorse che il fratello non indossava la corona. Prima ancora che potesse fare un passo nella sua direzione, lui la colse di sorpresa.
«Ciao, Lu» la salutò, senza però scostare la sua attenzione dal libro che aveva tra le mani. La sorella si avviò, con circospezione, verso di lui, accomodandosi nella poltrona accanto alla sua.
«Ciao, Peter. Ti chiedo scusa se ti ho disturbato» si scusò Lucy, e solo allora il fratello la guardò negli occhi, rivolgendole un sorriso.
«Nessun disturbo, Lu» la tranquillizzò il ragazzo.
Tornati in Inghilterra, parlarono spesso di Narnia, ma nessuno dei due fece menzione dell’episodio, e Lucy non chiese mai perché la biblioteca fosse un luogo privato e perché non ve l’avesse mai portata prima. Pensava di averlo capito, ma non ne chiese mai la conferma.
«Che cosa leggi?»
«Oh, alcuni episodi della storia di Narnia, prima dei cento anni del Lungo Inverno di Jadis» spiegò il maggiore, chiudendo il pesante tomo ed abbandonandolo sul tavolo di legno fra le poltrone.
«Cosa ci fai sveglia? Non riesci a dormire?» le domandò lui, con fare preoccupato. Assunse, sì, quel solito cipiglio da fratello maggiore, ma niente a che vedere con il nuovo volto da Re - sempre gentile, per intenderci, ma molto più saggio e risoluto.
«No, è che… da quando siamo a Narnia, ho come la sensazione che…»
«Dormire sia una perdita di tempo?» concluse lui. Lucy si trovò ad annuire.
«C’è così tanto da esplorare, da vedere e da scoprire, che non riesco a stare ferma in un letto. È come se riposare non mi servisse più» spiegò la sorella.
«Non è una cosa negativa, ma dormire ti servirà. E ho qualcosa che potrebbe aiutarti a farlo» annunciò Peter, alzandosi dalla poltrona e prendendola per mano. La fanciulla si chiese come facesse a non sentire freddo, con quei piedi scalzi, perché, per quanto il castello di Cair Paravel fosse riscaldato, e per quanto fosse estate, trovandosi sul mare una brezza fresca soffiava per le stanze e i corridoi durante la notte, il che rendeva i pavimenti e l’ambiente circostante piuttosto freddi.
Peter la condusse in una sezione specifica, illuminando il loro cammino con una candela che aveva raccolto dal tavolino e acceso con una fiammella del fuoco del camino. Si fermarono solo quando, di fronte a loro, trovarono una parete di marmo. Il fratello si volse verso l’immensa libreria alla loro sinistra, ed illuminò alcuni degli scaffali nel mezzo.
«Avanti, scegline uno» la incoraggiò, prendendola in braccio, facendo attenzione a non bruciarla con la fiamma della candela.
Sullo scaffale illuminato, Lucy poté leggere decine e decine di titoli accattivanti: Il fauno Locus e la mappa segreta, Come preparare un tè con foglie magiche, La storia dello scoglio parlante, e così via. Ce n’era uno, in particolare, che attirò l’attenzione della bambina, che si intitolava Favole di Narnia, Volume I. Dall’alba dei tempi alla storia contemporanea. Lucy lo prese tra le mani e, anche se all’apparenza sembrava piuttosto pesante, sembrava di tenere fra le mani una piuma.
«Scelgo questo» disse al fratello, che la mise a terra.
«Ogni sera, Lu» cominciò lui «leggeremo una di queste favole insieme, così ti aiuteranno a dormire e, nel frattempo, placheranno un po’ della tua curiosità» proseguì e, dopo aver letto il titolo del libro, lo restituì alla sorella «e poi, chissà, potremmo proseguire noi e scriverne un secondo, o addirittura un terzo volume!» esclamò.
Lucy fu estremamente entusiasta dell’idea, tanto che, quando Peter la portò a letto e le rimboccò le coperte, ella faticò ancora a prendere sonno. Il fratello, però, le raccontò una favola del nostro mondo, promettendole di leggere insieme i racconti di Narnia dalla sera seguente, e la bambina si addormentò, felice di poter conoscere, almeno in parte, il mondo magico e i suoi aneddoti.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno - Le talpe ed il lampione ***


Favole di Narnia, Volume I

 

Disclaimer: I personaggi descritti nella raccolta non sono frutto della mia invenzione, ma appartengono a C.S. Lewis, che ne detiene i pieni diritti. La storia viene ideata, scritta e pubblica senza alcuno scopo di lucro.

 

La sera seguente, Peter aveva raggiunto la camera della sorella dopo aver compiuto i suoi ultimi doveri da Re. Spogliatosi degli abiti regali, il maggiore dei Pevensie sembrava un comune ragazzino, seduto sul bordo del letto di Lucy.
«Allora, Lu, sei pronta?» chiese Peter, guardando la sorella. Lei annuì con decisione, stringendosi nelle coperte e aspettando impazientemente che il maggiore aprisse il libro.
«Questa favola si intitola “Le talpe e il lampione”, e appartiene all’inizio dei tempi, quando Narnia non era che una terra nuova e le creature che l’abitavano erano gentili ed inconsapevoli» cominciò Peter, tenendo il volume in equilibrio sulle ginocchia. Come aveva detto Lucy, nonostante avesse l’aspetto di un tomo pesantissimo, il libro delle favole era leggero come una piuma.
«C’erano, un tempo all’inizio dei tempi, due talpe che abitavano i cunicoli al di sotto della terra di Narnia. Le lunghe gallerie sotterranee erano state scavate prima ancora che le talpe divenissero animali parlanti, quindi da Aslan in persona che, con il suo canto, aveva reso i ruscelli rigogliosi e gli alberi ricchi di frutti» il piccolo Re iniziò a leggere la favola, mentre Lucy, dolcemente, alzava una manina per porgli una domanda.
«Prima hai detto “gentili ed inconsapevoli”. Ora non lo sono più?» domandò, con l’innocenza di una bambina. Peter sorrise, posandole un bacio sui capelli.
«Ma certo che lo sono, Lucy. Ma la Strega Bianca, prima del nostro arrivo, ha seminato cattiveria e distruzione, e molte creature si sono schierate al suo fianco. Ve ne sono di gentili e d’animo buono, ma vi sono anche quelle crudeli, che hanno perso la speranza, il lume della ragione ma soprattutto la fede» spiegò il ragazzo e, vedendo la sorella annuire, proseguì nel racconto.
«Queste due talpe vivevano felici nelle gallerie, scavandone di nuove ogni giorno, così grandi e solide che, spesso e volentieri, venivano percorse anche dai nani per trasportare blocchi di marmo e pietre preziose. Un giorno, però, una delle due talpe, Fric, andò a sbattere la testa su un oggetto metallico sconosciuto, che di sicuro non poteva essere una pietra o un minerale. Incuriositi, Fric e Frac fecero capolino con le loro teste nel Mondo di Sopra, per scoprire che cosa Fric avesse colpito. Si resero conto, però, che i loro occhi non erano abituati alla luce avvolgente e calda del Sole, e questo non permise loro di distinguere l’oggetto metallico che ostruiva loro la strada. Così, Frac ritornò nella galleria e, fermato un Nano Rosso dall’aspetto robusto ma gentile, chiese lui se poteva aiutarli ad identificare quell’oggetto misterioso. Il nano, di nome Tegola, si mostrò cordiale e ben disposto: uscì dalle gallerie attraverso l’uscita scavata da Fric e Frac, ed identificò l’oggetto come “una grande asta metallica alla cui cima vi è una luce”, perché il termine “lampione” era noto sulla Terra, ma non a Narnia. Non vi era alcun bisogno di lampioni, lì, in quanto la luce donata da Aslan era più che sufficiente per illuminare perfino l’angolo più remoto del mondo» lesse Peter, fermandosi un istante per voltarsi verso Lucy e per lasciarle porre qualche domanda, se avesse voluto. La bambina, però, era così interessata alla storia che anche la sua infantile curiosità si era placata, e fece cenno al fratello maggiore di proseguire.
«Fric e Frac permisero a Tegola di tornare al lavoro, mentre loro decidevano sul da farsi. Distruggere l’asta metallica alla cui cima vi è una luce non era una scelta contemplata, perché se Aslan aveva messo in quel determinato luogo quell’oggetto, ve ne doveva essere necessariamente un motivo. L’alternativa era quella di scavare i cunicoli al fianco dell’oggetto metallico, e di mettere un cartello che ne segnalasse la presenza, per evitare che qualche altra creatura vi sbattesse la testa come aveva fatto Fric. Le due talpe proseguirono nei loro scavi, e così ancora per qualche giorno, finché a Frac venne un dubbio: Ma non credi che l’asta metallica si senta sola? I miei occhi non vedono bene, ma mi sembrava un oggetto molto alto e deve sentirsi abbandonato, in mezzo a tutti quei fiori con cui non può nemmeno parlare, disse Frac in un moto di gentilezza e compassione. Anche Fric era d’accordo, ma come rimediare? Trovare altre aste metalliche simili era difficile, perché non sapevano con precisione quanto fosse effettivamente alto il lampione. Non sembrava una cosa naturale, ecco. Così Frac ebbe un’idea: avrebbero piantato centinaia di alberi - le talpe di Narnia amavano fare le cose in grande - attorno all’asta di ferro, per impedirle di sentirsi sola, e per permetterle di scambiare qualche parola con i suoi simili, alti alti e lunghi lunghi» proseguì Peter, che si fermò un istante, perché Lucy aveva una domanda.
«Ma quel lampione non era lo stesso che era nato dalla lancia scagliata dalla Strega Bianca contro Aslan? Quella di cui Lui non ha percepito nemmeno la presenza, facendola rimbalzare lontano e trasformandola in lampione?»
«Sì, Lucy, è proprio quella. Chi ti ha raccontato di questa storia?» chiese Peter.
«Il signor Tumnus» rispose Lucy «ma forza, prosegui con la storia. È molto carina, e Fric e Frac sono davvero due talpe gentili» disse la fanciulla, e a sentire le sue parole dolci, il fratello sorrise, poi proseguì.
«Fric e Frac lavorarono di gran lena per procurarsi i germogli degli alberi. Chiesero aiuto a tutti i loro amici: ai Nani Rossi, ai conigli Tip e Tap, e a qualsiasi creatura attraversasse quei cunicoli. Spiegata loro la storia, gli animali furono felicissimi di collaborare, e procurarono alle due talpe centinaia di germogli, che poi aiutarono anche a piantare tutt’intorno al lampione. Lavorando giorno e notte, gli animali si accorsero che la luce in cima all’asta metallica non si spegneva mai, né aveva bisogno di essere ravvivata. Fu loro di grande aiuto perché, insieme alle stelle e alla Luna - più grandi e vicine delle nostre stelle e della nostra Luna -, illuminava l’ambiente circostante. Ancora più grate per quell’aiuto, le creature invocarono il Grande Leone, chiedendo cortesemente se potesse far crescere gli alberi in fretta, per evitare che l’asta metallica si sentisse ulteriormente sola nell’attesa che gli alberi crescessero. Poiché era una richiesta buona e mossa dal cuore, Aslan accontentò le creature. Fu uno spettacolo senza precedenti: alberi di ogni specie crescevano dalla terra, sviluppando radici, rami, foglie e frutti, mentre l’aria intorno si riempiva di un suono cristallino, di natura che cresceva, che prosperava. Tutti gli animali parlanti si unirono in un canto allegro e di gioia, meravigliati dallo spettacolo attorno a loro. Da quel momento in avanti, il lampione divenne il centro della vita comune delle creature di Narnia: fauni, centauri e driadi si riunivano attorno ad esso, per cantare, suonare e ballare, diffondendo in tutta Narnia una dolce melodia; nani e creature più piccoli vi si incontravano spesso, fino a renderlo un luogo di scambio per merci, materiali e pietre preziose; alcuni animali parlanti, così affezionati al lampione, vi si trasferirono accanto. Insomma, quella che all’inizio era solo un’asta metallica divenne il centro della socialità narniana, e fu anche la matrice da cui nacquero i boschi a nord di Narnia, dove oggi vive il signor Tumnus e dove noi siamo giunti tutti insieme per la prima volta» affermò Peter. Sembravano trascorsi secoli da quando avevano lasciato il loro mondo per vivere a Narnia, eppure non erano passate che poche settimane. La loro vita era drasticamente cambiata, ma Peter non l’avrebbe sostituita per nulla al mondo.
«Pensi che il signor Tumnus conosca questa storia? Pensi che possa raccontargliela? Magari saprà dirmi di più riguardo agli abitanti del lampione di un tempo» lo interruppe dai suoi pensieri Lucy.
«Sì, perché no? Potresti scoprire qualcosa! Ma presta ancora un po’ di attenzione, Lu. La storia è quasi finita» disse Peter, e cominciò a raccontare la fine di quella bizzarra favola.
«Il Grande Leone si rese conto che il lampione non avrebbe potuto chiamarsi ancora asta metallica. Così, in onore del Re Frank e della Regina Helen, scelse di chiamare l’oggetto lampione, allo stesso modo in cui era chiamato nel loro mondo. Rese la talpa Fric - la prima a scontrarvisi -, il nano Tegola - il primo a darle una definizione - e il coniglio Tip - il primo a portare un germoglio in suo onore - consapevoli del significato del termine lampione. Le tre creature corsero per tutta Narnia, facendo un gran trambusto - oh, ma non di quelli rumorosi spiacevoli, piuttosto un trambusto dolce e gentile - e spiegando ad ogni animale parlante, driade, fauno o centauro il significato di quella parola misteriosa. Fecero così tanto rumore che lo schiamazzo giunse fino al castello di Re Frank e della Regina Helen che, dal canto loro, conoscevano già la parola lampione. Incuriosita, la coppia reale si recò fino al lampione, e quasi piansero nel vederlo. A loro piaceva tanto la terra di Narnia, così come amavano tutte le sue creature, ma avere anche una parte dell’Inghilterra avrebbe permesso loro di non dimenticare il luogo da cui provenivano, che li aveva resi le persone che erano. Così, il lampione diventò il centro della vita di Narnia, e spesso il Re e la Regina vi si recavano per un picnic o per una festa organizzata da loro stessi, e le due talpe Fric e Frac ne divennero i custodi. Il lampione non si sentì mai più solo, e vissero tutti felici, contenti ed in compagnia» concluse Peter, chiudendo il volume e posandolo sul comodino di fianco al letto. Quando notò che Lucy non poneva domande, le lasciò il tempo per assimilare quanto appena udito. La fanciulla reagiva spesso così: nella sua mente lasciava che vorticassero mille pensieri, che la aiutassero a pieno a capire il tutto.
«Secondo te qual è la morale della favola, Lu?» le chiese lui, quando notò che la sorella lo stava guardando.
«Che essere da soli è molto brutto, ma che si può smettere di esserlo grazie all’aiuto degli amici» rispose lei, alzandosi dal letto e correndo verso la porta a piedi scalzi.
«Dove vai?» le domandò il fratello, confuso.
«Dal signor Tumnus, a chiedergli qualcosa di più. Dovrebbe essere ancora sveglio, sento ancora le note del suo flauto» disse lei di rimando, aprendo la porta e correndo per i corridoi a piedi nudi. Peter non la fermò - anzi, sorrise. Sorrise, perché a Narnia non doveva temere bombe, incursioni e attacchi nemici, e le sue sorelle e suo fratello potevano vivere al sicuro, gioiosi e in armonia. Spense la candela sul comodino, e lasciò la stanza con una piacevole sensazione di pace a lambirgli i fianchi sinuosi dell’anima.

N.d.A: ciao a tutti. Volevo ringraziarvi per la gentilezza con cui avete accolto il prologo di questa raccolta. Sono così felice che la mia storia vi sia piaciuta così tanto. Riguardo agli aggiornamenti, dovrebbero tenersi ogni due settimane circa, ma potrebbero variare di qualche giorno, in base alla dose di ispirazione che scorre nelle mie vene in quel momento. 
Sarei felice se lasciaste una recensione, positiva o negativa che sia, per farmi conoscere i vostri pensieri a riguardo. Grazie per la lettura, sfiorarsi.

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Capitolo 3
*** Capitolo due - Il gallo che non sapeva cantare ***


Favole di Narnia, Volume I

 

Disclaimer: I personaggi descritti nella raccolta non sono frutto della mia invenzione, ma appartengono a C.S. Lewis, che ne detiene i pieni diritti.
La storia viene ideata, scritta e pubblica senza alcuno scopo di lucro.


 

La seconda sera, Peter tardò di poco meno di un’ora.
Gli obblighi da Re gli imposero di rimanere nella Sala del Trono fino a sera inoltrata poiché, seppur la Strega Bianca fosse stata sconfitta, alcuni dei suoi seguaci vagavano ancora per la magica terra di Narnia, e spesso erano necessarie incursioni e arresti per impedire nuovi focolai dei nostalgici.
Il ragazzo non era sicuro che la sorella fosse ancora sveglia: stando al tramonto del Sole - avvenuto circa un paio d’ore prima, con la grande massa ardente che scompariva dietro le cime oltre la piana di Beruna - dovevano essere circa le dieci di sera. Peter, camminando per i corridoi del castello, osservava il paesaggio al di fuori delle mura: grandi stelle brillavano nel cielo scuro, illuminando i sentieri da un lato, ed il grande mare dall’altro. Ogni giorno che passava, il giovane si innamorava sempre di più di Narnia e dei suoi meandri, di ogni sua parte ed angolo nascosto.
Batté le nocche tre volte sulla porta in legno che conduceva alla camera della sorella. Nessuno rispose, così bussò di nuovo. Lucy, con gli occhi lucidi dal sonno, aprì la porta al fratello e, con un sorriso stanco ma gentile, lo invitò ad entrare. Sembrava appena sveglia, come Peter aveva intuito.
«Vorrai scusarmi per il ritardo, Lu. Un nugolo di Nani Neri era nascosto al limite est di Bosco Tremante, e stavano organizzando un attacco qui al castello. Ho dovuto istruire Oreius sul da farsi» si scusò Peter, ma Lucy non sembrava arrabbiata, solo un poco stanca: una parte di lei, con ogni probabilità, si stava ancora destando dalle soffici braccia di Morfeo.
«Non ti preoccupare, Pete. Ne ho approfittato per schiacciare un pisolino» disse la piccola Regina, infilandosi nuovamente fra le morbide lenzuola. Recuperò il volume di favole, e lo cedette al fratello, che si sedette in fondo al letto.
«Allora, Lu, sei pronta? La prossima favola si intitola “Il gallo che non sapeva cantare”, ed è ambientata alla fine del regno del Re Frank e della Regina Helen» spiegò Peter, sfogliando le pagine ingiallite, ma non per questo meno belle.
«Prima che tu inizi, devo informarti che ho parlato al signor Tumnus: questa mattina mi ha condotto a vedere i luoghi della favola di ieri sera. Ecco perché sono così stanca» spiegò Lucy, emettendo un profondo sbadiglio.
«Quindi funziona! Hai la possibilità di esplorare gli angoli più remoti ed antichi di Narnia, Lu» esclamò il fratello, entusiasta del responso «ma forza, è ora di iniziare. Mettiti comoda» la esortò Peter, che fece lo stesso, incrociando le gambe e poggiando la schiena su una delle aste ai lati del grande baldacchino.
«C’era una volta, durante gli ultimi anni di regno del Re Frank e della Regina Helen, un gallo che non sapeva cantare. Egli non sapeva perché i galli dovessero effettivamente saper cantare, ma era come se quell’abilità dovesse essergli intrinseca, ed era come se tutti ne fossero consapevoli. Il fatto era che, diversamente dalle campagne del mondo del Re e della Regina, nessuno a Narnia aveva bisogno d’essere svegliato: era sufficiente il grande, maestoso, ardente Sole aranciato a destare tutte le creature, che si svegliavano allegre, fresche e riposate» iniziò Peter, con tono soave e al contempo gentile.
L’atmosfera intorno a loro era quieta, e il rumore delle onde del mare che si infrangevano sulla battigia accompagnava la narrazione, rendendola ancor più piacevole e armoniosa. Peter, dopo essersi accertato che Lucy non avesse domande, proseguì nella lettura del racconto.
«Un giorno, prima ancora dell’alba, il gallo - che non aveva un nome, in quanto le altre creature si rivolgevano a lui semplicemente chiamandolo gallo - volle esercitarsi a cantare nella Foresta, dov’era sicuro che non avrebbe disturbato creatura alcuna. Si chiedeva ancora perché i galli dovessero saper cantare, e non potessero essere bravi nella realizzazione di altri oggetti. Lui, per esempio, se la cavava egregiamente nell’intagliare il legno. Non legno proveniente dagli alberi vivi di Narnia, bensì quello che trovava accatastato, al di fuori della porta di casa, ogni prima domenica del mese. Era convinto che fosse Aslan in persona a donarglielo, procurandoselo chissà dove, forse con il suo canto o con il suo ruggito. Quel che era certo, era che il gallo amava intagliare il legno, e spesso scambiava le sue creazioni con semi, piccoli frutti e pietre» lesse Peter. Sua sorella alzò una manina, timidamente, per porgli una domanda.
«Secondo te dove ci procuriamo la legna che serve per scaldarci, Pete? Non vorrai mica dire che…» disse Lucy in un sussurro, terribilmente spaventata e raccapricciata che qualcuno potesse fare del male agli alberi parlanti di Narnia.
«Non tutti gli alberi di Narnia sono vivi, danzanti e allegri, Lu. Vi è un’intera foresta, oltre la diga dei castori, composta da alberi immobili, non parlanti, e quando se ne taglia uno, ne cresce automaticamente un altro identico» spiegò Peter, prima che la sorella si facesse strane idee.
«E pensi che non si esauriscano mai?» domandò ancora.
«Io penso che ci sia un limite, ma sono dell’idea che, finché gli alberi vengono tagliati non con lo scopo di un guadagno, bensì semplicemente per riscaldarsi, Aslan li faccia ricrescere senza problemi» esclamò il Re, sentendo una grande ondata di coraggio lambirgli l’anima dopo aver pronunciato il nome di Aslan.
«E perché il gallo non si limitava a tagliare gli alberi, per creare le sue composizioni e i suoi manufatti in legno?»
«Penso che, a quel tempo, quel genere di foresta non esistesse ancora. Le uniche presenti, in quel tempo all’inizio dei tempi, erano la Foresta del Lampione, nata dalla collaborazione delle creature di Narnia, e la foresta in cui era fuggita Jadis per raccogliere i suoi poteri ed affrontare il Grande Leone» spiegò Peter alla sorella minore, che annuì in risposta. Con un cenno, lo spronò a proseguire nella lettura della seconda favola.
«Il gallo viveva la sua vita allegramente, dedicandosi alla sua passione con dedizione, impegno e zelo, aiutando le altre creature e convivendo felicemente con esse. Quel giorno, però, si era destato presto, perché l’idea che i galli dovessero saper cantare lo torturava. E se tutti i miei avi avessero avuto una voce soave, mentre io non sono altro che la rovina di una dinastia di grandi voci?, si chiedeva, tormentandosi. E così, appollaiato su una roccia, il gallo cominciò ad intonare qualche nota, a voce bassa, quasi in un sussurro, perché il suo canto somigliava di più al gracchiare di una cornacchia, che non alla dolce melodia di una canzone. Nonostante la cocente delusione iniziale, il gallo provò e riprovò, finché i versi che emetteva non smisero di somigliare ad un lamento. Era, però, ancora lontano dal suo obiettivo. Si sentiva estremamente fuori posto, come se del gallo avesse solo l’aspetto e il nome» lesse Peter.
«Cercò di migliorarsi ogni giorno, ma gli sembrava di non superare mai una certa soglia, anzi: aveva l’impressione di essere sempre immobile, fermo allo stesso grado di abilità. Una delle mattine successive, estremamente demoralizzato, il gallo rinunciò. Sedeva sconsolato su una roccia, e piangeva, singhiozzando così forte che attirò, vicino a lui, un giovane asino di nome Cardo. L’asino Cardo, incuriosito, si avvicinò al gallo, senza sapere bene come consolarlo, perché non sapeva che cosa lo affliggesse. Rimase accovacciato al suo fianco per un poco, finché non ebbe il coraggio di chiedergli che cosa non andasse, e perché piangesse - era un asino molto timido, e gli ci volle qualche tempo prima di formulare la domanda che a lui pareva più educata possibile. L’animale gli raccontò il motivo della sua tristezza, e la sua paura di aver sancito la fine di una grande dinastia di galli canterini. L’asino Cardo dovette trattenersi per non ridere. Iniziane un’altra, disse. Un’altra cosa?, chiese il gallo. Un’altra dinastia, sciocchino! Ci dovrà pur essere qualcosa che ti piace fare, rispose Cardo. Mi piace intagliare il legno, lo informò il gallo» mentre leggeva, Peter si accorse che grandi nuvole temporalesche si erano accumulate in un angolo del cielo, e che ogni tanto brillassero, illuminate da un lampo passeggero. Il rumore di un tuono, in lontananza, fece tremare le pareti.
«Oh, su, Peter. Va’ avanti, prima che il rumore dei tuoni sia troppo forte per permettermi di sentirti» lo spronò sua sorella Lucy. Così come il Sole era più grande di quello del loro mondo, anche tutti gli altri fenomeni atmosferici erano più violenti. Peter girò pagina, e proseguì. Il racconto era arricchito da immagini e disegni, che coloravano la pagina e rendevano la sua visione piacevole.
«Ecco, mio caro amico, il gioco è fatto. Nessuno ti impedisce di dare il via ad una dinastia di grandi scultori del legno, gli fece notare Cardo, e il gallo sembrò pensare all’idea con stupore e curiosità. Ma…, provò a dire, ma l’asinello non lo fece parlare. Niente ma, caro amico. Anch’io non so ragliare, però sono un discreto mangiatore di cardi. E nessuno, fino ad ora, ha avuto da dire qualcosa in contrario, esclamò. Il gallo non volle fargli notare che tutti gli asini mangiavano cardi, perché lui era stato gentile ad incoraggiarlo. Così, da quel giorno, l’asino Cardo e il gallo - che prese il nome di Frassino - divennero amici per la pelle, e vissero felici e contenti fra sculture di legno e cardi» concluse Peter mostrando, infine, i graziosi disegni a sua sorella Lucy.
«Allora, Lucy, quale pensi possa essere la morale della favola?» le chiese il fratello maggiore, che la guardava con affetto, mentre il temporale si avvicinava. Tuonava sempre più forte, e ad intervalli sempre più vicini.
«Che non per forza bisogna saper fare quello in cui i nostri genitori o i nostri fratelli eccellono» rispose la fanciulla. Peter annuì.
«Questa favola ci insegna anche che non c’è nulla di male ad essere diversi, Lu. Ci sarà sicuramente qualcosa in cui siamo bravi, un’abilità che nessun’altra persona in famiglia ha» aggiunse il fratello.
«Io in cosa sono brava?»
«Stai imparando molto bene a maneggiare il tuo pugnale e la tua nuova spada*, Lu. Ma quella è una cosa che sappiamo fare tutti e quattro. C’è una cosa, però, che riesce davvero bene solo a te: sei in grado di comunicare meglio di chiunque altro che conosca con le creature parlanti di Narnia. È come se le attirassi con la tua gentilezza e la tua bontà d’animo» le spiegò Peter, e la sorella sorrise, grata per le sue parole.
«Vuoi che rimanga con te stanotte? Considerato che c’è il temporale» le chiese, ricordandosi che quegli eventi estivi la spaventavano a morte, in Inghilterra.
«I temporali di Narnia non mi spaventano, perché qui, con i temporali, non cadono anche le bombe» disse Lucy, che si afflosciò delicatamente sui cuscini e, in breve tempo, si addormentò. Peter le posò un bacio sulla fronte e, cercando di non fare rumore, sussurrando un «Ci vediamo domani, Lu», si chiuse la porta alle spalle.

*ne Il cavallo e il ragazzo viene esplicitato che, fra le due sorelle Pevensie, è Lucy e non Susan a partecipare a numerose battaglie e ad eccellere nei combattimenti. Questo dettaglio, nelle trasposizioni cinematografiche, è meno chiaro.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre - La prima driade ***


Favole di Narnia, Volume I

 

Disclaimer: I personaggi descritti nella raccolta non sono frutto della mia invenzione, ma appartengono a C.S. Lewis, che ne detiene i pieni diritti. La storia viene ideata, scritta e pubblica senza alcuno scopo di lucro.

 

 

La terza sera, il castello era sferzato da un forte vento proveniente dalla grande distesa d’acqua che costeggiava la reggia. Il cielo era limpido, punteggiato di stelle, e nessuna nuvola disturbava quel grande specchio bluastro. La luna, pallida e bianca, si stagliava fiera ed imponente al centro della volta celeste.
Peter Pevensie si muoveva tra i corridoi di Cair Paravel a piedi scalzi, vestito di abiti leggeri che, seppur di ottima fattura, gli ricordavano l’Inghilterra. Ogni sera era come se lui abbandonasse dietro di sé le spoglie regali da Re Supremo, e tornasse ad essere semplicemente il fratello maggiore che leggeva favole alla sua sorellina per farla addormentare. Non per questo, però, il suo sguardo ed i suoi occhi perdevano sicurezza e regalità, caratteristiche che avevano assunto con il passare delle settimane da regnante.
Come le sere precedenti, Peter bussò alla porta della sorella, augurandosi che fosse ancora sveglia. Dopo aver battuto le nocche una sola volta sulla grande porta di legno massiccio, Lucy fece capolino da uno spiraglio, e lo invitò ad entrare. Indossava un vestito leggero, con corte maniche a sbuffo e decorato con un motivo a fiori, mentre sul capo portava una corona intrecciata di foglie, aghi di pino e margherite. Il fratello la guardò con curiosità, e lei si affrettò a sorridere.
«Mi è stata regalata da una driade! Non pensavo che fossero, sai… consistenti, e che potessero intrecciare le cose con le loro dita» spiegò Lucy, mentre si sedeva comodamente fra i cuscini soffici del letto. Batté con la piccola mano sul lenzuolo, invitando Peter a sedersi per leggerle la favola di quella sera.
«Potrà sembrarti una coincidenza, ma il racconto di questa sera narra proprio di una driade. Anzi, per essere più specifici, della prima driade» disse lui, aprendo il grande volume e leggendo il titolo. Sua sorella sembrò incuriosita, ma anche confusa da quelle parole. Non pensava che ci potesse essere una prima driade: era convinta che quelle creature leggere ed impalpabili fossero sempre esistite, ma dovette ricredersi. Probabilmente, esse erano nate in seguito alla crescita di intere foreste parlanti, e da lì si erano propagate per tutta la terra di Narnia.
Le driadi erano creature raffinate e gentili, ma anche volubili: leggendo le numerose, intricate pergamene della biblioteca, Peter aveva scoperto che gli spiriti degli alberi erano strettamente legati ai cambiamenti atmosferici e all’influenza di stelle e pianeti. Ciò le rendeva miti per gran parte dell’anno ma, in maniera più incisiva nei mesi invernali, le driadi avviavano battute di caccia, tornei e battaglie per aggiudicarsi qualsiasi tipo di premio: tessuti preziosi, gioielli, addirittura porzioni di bosco usate come insediamenti. Non erano esseri violenti - dopo la sconfitta della Strega Bianca, solo gli sparuti seguaci rimasti erano creature crudeli - ma spesso iniziavano discussioni che potevano durare giorni, se non settimane, per aggiudicarsi la ragione e il privilegio della verità.
Peter le trovava affascinanti e complesse, ma Lucy continuò a considerarle come aveva sempre fatto, secondo la sua ingenua e delicata visione di bambina: degli esseri dolci ed innocenti.
Accoccolandosi tra i morbidi cuscini e le candide lenzuola, la Valorosa attese con pazienza che il fratello maggiore desse inizio al racconto. Sedendosi sul bordo del letto, Peter emise un sordo lamento che, però, cercò in ogni modo di nascondere. Invano. La sorella, confusa da quel suono, chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Dopo qualche secondo di muto silenzio, Peter si destò, alzando parte della camicia di seta che indossava, e mostrando una moltitudine di lividi violacei sul fianco sinistro. A quella vista, Lucy sussultò, spaventata.
«Cosa ti è successo?» domandò al fratello con voce preoccupata.
«Stamattina ho accompagnato Oreius e il suo plotone al di là della Diga dei Castori, per scovare un nugolo di seguaci della Strega. È filato tutto liscio, finché un nano nero non mi ha assestato un calcio con i suoi stivali borchiati. Oreius dice che sono stato fortunato: le borchie dello stivale avrebbero potuto anche squarciarmi la pelle. È un bene che mi abbia colpito di striscio» spiegò Peter e, man mano che le sue parole facevano effetto su Lucy, la bambina mostrò il suo sconcerto, la sua preoccupazione e la sua angoscia.
«Lascia almeno che io ti guarisca con il mio estratto» disse in un sussurro, ma Peter scosse la testa in segno di diniego.
«Conserva delle gocce preziose per il fauno e il giaguaro che sono rimasti feriti nella missione. Ti aspetterò qui, se vuoi, e poi insieme leggeremo la favola della prima driade» esclamò Peter. La sorella scese dal letto con un balzo, afferrando la boccetta diamantina contenente l’estratto del Fiore di Fuoco, e fiondandosi verso l’infermeria.
Mentre aspettava, il Magnifico cercò una posizione meno rigida, che impedisse ai lividi di essere più di un sordo fastidio all’altezza del costato. Quando stiracchiò i muscoli, però, dovette trattenere un gemito.
Nel corso della sua infanzia e della sua adolescenza in Inghilterra, aveva accumulato una lunga serie di graffi, lividi, tagli ed escoriazioni dovuti alle continue baruffe con i suoi compagni di classe. Con l’arrivo della guerra, tutte quelle ferite erano solo il risultato delle continue ed improvvise fughe a causa dei bombardamenti, che lo portavano ad urtare mobili e oggetti per via della foga.
Peter scacciò quei torbidi pensieri dalla sua mente, provando a distrarsi sfogliando il grande volume delle favole e perdendosi nei numerosi disegni di ottima fattura. Era così concentrato su un disegno raffigurante una driade chinata su un laghetto che trasalì quando Lucy ricomparve sulla porta, il viso arrossato e accaldato dalla corsa.
«Il fauno e il giaguaro si sono ripresi. Stanno molto meglio» lo informò la sorella, mostrando una chiostra di denti bianchi che contrastava il rossore del suo viso tondo.
«Ne sono felice, Lucy. Ti ringrazio per averli aiutati. Ora, se non sei troppo stanca, ti andrebbe di ascoltare questa favola?»
Lucy annuì intensamente alla domanda del fratello, accoccolandosi tra i cuscini soffici, lasciando che il suo respiro rallentasse e tornasse normale.
«C’era una volta, qualche tempo dopo che Re Frank e la Regina Helen ebbero raggiunto il Grande Leone nel Regno d’Oltremare, una tartaruga molto anziana, dal guscio solido ma sbiancato dal Sole, che era solita fare una passeggiata serale in un piccolo bosco a qualche iarda dal lago presso il quale si ritirava per dormire. La tartaruga, con l’avanzare degli anni, era diventata sempre più lenta, ma non per questo rinunciava alla sua abitudine» iniziò Peter, mostrando a Lucy un disegno raffigurante una tartaruga dall’aspetto antico ma molto saggio.
«Quella sera, il Sole non accennava a calare: era il solstizio d’Estate, il giorno più lungo dell’anno, e il globo aranciato lambiva ancora la terra con i suoi raggi. La tartaruga, che tutti erano soliti chiamare Quercia, per la sua longevità e per la durezza del suo guscio, passeggiava tranquilla costeggiando i pini sempreverde e i cipressi del boschetto, quando sentì un cupo ringhio. Un grande lupo stava scorticando la corteccia di un grosso albero con le sue unghie affilate, come i gatti sui divani, aggiungerei io. Quercia, per quanto infuriata potesse essere per aver assistito a quello scempio, si nascose dietro ad un cespuglio, perché molto saggiamente aveva capito che affrontare un animale di quelle dimensioni avrebbe significato morte certa. Quando il lupo se ne fu andato - lupo che in realtà era la Strega Bianca sotto mentite spoglie, venuta al boschetto per capire se fosse giunto il momento di attuare la sua vendetta -, Quercia, irata e profondamente delusa, decise che il lupo avrebbe dovuto pagare il male arrecato a quel grande albero antico» proseguì Peter, e Lucy annuì con decisione, comprendendo lo spirito di grinta che animava Quercia.
«Quercia decise, così, di informare di persona il Grande Leone di una tale azione deprecabile. Fu una decisione ardua, perché Quercia era consapevole che Aslan avesse delle incombenze molto più gravi, ma comprese l’importanza delle sue azioni quando vide gli alberi immobili, incapaci di difendersi - che ricordarono a Quercia di se stessa, così lenta e goffa da non potersi difendere da animali feroci. Così si decise a partire, ed affrontò molti giorni e molte notti di ardue fatiche, lenite però dall’aiuto di tanti animali che, ascoltata la sua storia, si mostrarono volenterosi e decisero di aiutarla come poterono: chi con del cibo, chi offrendo del sano riposo in una tana ben riparata dal caldo vento estivo, e via discorrendo. Ormai allo stremo delle forze, Quercia raggiunse il Grande Leone, che in quel momento era impegnato ad istruire il nuovo Re riguardo ai diritti e doveri di un sovrano della Terra di Narnia».
«Signore, cominciò la saggia Quercia, attirando l’attenzione di Aslan e del figlio di Adamo accanto a lui. So che la terra di Narnia ha questioni più urgenti che la riguardano, e io non la disturberei con le mie inutili preoccupazioni, ma…, così dicendo Quercia raccontò al Grande Leone e al suo amico umano della triste vicenda dell’albero, e della furia che l’aveva spinta fin lì, allo stremo delle sue forze, dopo molti giorni di cammino e fatiche. Quando concluse il suo racconto, la nobile tartaruga era in punto di morte, così anziana e stanca, che si accasciò a terra, non riuscendo più a reggersi sulle sue corte ma maestose zampe» continuò il Magnifico, mentre gli occhi della Valorosa si riempirono di lacrime, appresa quella sconcertante notizia. Peter cambiò posizione, emettendo un gemito quando i lividi lo fecero sussultare: «Vuoi che mi fermi?» chiese. Il diniego che Lucy espresse con il capo lo spinse a proseguire.
«Il Grande Leone, che era fiero, nobile, coraggioso ma anche gentile e comprensivo, alleviò le sofferenze della tartaruga. Cara Quercia, tartaruga saggia e nobile, disse, la tua longevità e i tuoi acciacchi non ti hanno impedito di compiere questa grande impresa, che non è stata guidata da un tuo interesse personale, ma è stata alimentata dal fuoco del  desiderio del bene verso il prossimo. Ed io, per questo, risolverò il problema che mi hai posto, Gli alberi, da questo giorno fino alla fine dei tempi, avranno un’anima viva e pulsante dentro di loro, che avrà il nome di driade, e che potrà allontanarsi dal suo albero rimanendo con la coscienza sempre legata ad esso, di modo che possa accorrere e difenderlo in caso di pericolo. Con un potente ruggito che scosse il cielo e la terra, Aslan rese l’albero ferito dal lupo la casa della prima driade, che sarebbe stata la prima di tante driadi a venire».
«Non posso farti ringiovanire, mia cara Quercia, perché devo seguire il Cerchio della Vita, e so anche che tornare una tartaruga gagliarda non è il tuo scopo. Posso, per ringraziarti del tuo coraggio e della tua forza, portarti con me nel Regno d’Oltremare, dove lentezza o velocità non esistono, e dove gli alberi galleggiano, volano e si muovono come noi in questo momento, esclamò Aslan e, ad un ringraziamento e ad un gentile sorriso della tartaruga, ruggì di nuovo. Quercia la tartaruga spirò, felice d’aver compiuto una nobile impresa che le aveva garantito un posto nel Regno d’Oltremare, ma ancor di più d’aver reso gli alberi capaci di difendersi e di proteggersi da anime cattive. Qui si conclude la storia della prima driade e della tartaruga Quercia, ma quello che verrà sarà un’altra storia» concluse Peter, mostrando l’ultimo disegno a sua sorella Lucy prima di chiudere il tomo e riporlo sul comodino accanto al letto.
«Questo insegna che non bisogna mai mollare, né abbandonare i propri obiettivi» disse Lucy con voce sommessa.
«Bene, Lu. Non c’è nemmeno bisogno che ti domandi quale sia la morale della favola» esclamò Peter, con tono fiero ed orgoglioso «ora ti consiglio di riposare, sorellina. È stata una giornata stancante per tutti» così dicendo, il Gran Sovrano lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un sospiro. Quei lividi facevano più male del previsto.

 

N.d.A: ciao, miei cari lettori.
Voglio scusarmi per il mio immenso ritardo nella pubblicazione di questo tanto agognato capitolo, ma è stato un periodo veramente difficile, fatto di delusioni e grandi scosse emotive. Mi auguro, però, che apprezziate le mie parole tanto quanto quelle delle favole precedenti.
Nella speranza che la storia vi piaccia, vi mando un grande saluto, e un abbraccio.

P.S.: il Cerchio della Vita che ho voluto inserire è chiaramente tratto dalla pellicola de Il Re Leone, che vede tutte le creature strettamente legate l’una con l’altra.

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