Harry Potter e la Cicatrice Maledetta

di LawrenceTwosomeTime
(/viewuser.php?uid=25959)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La decisione di Harry ***
Capitolo 2: *** Due volte pazzo ***
Capitolo 3: *** La cicatrice maledetta ***
Capitolo 4: *** Una giornata normale ***
Capitolo 5: *** La Morte e la fanciulla ***
Capitolo 6: *** Il migliore amico ***
Capitolo 7: *** Ritorno alla Tana ***
Capitolo 8: *** Redenzione ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La decisione di Harry ***


Una pioggerella sottile ticchettava sul dorso della tenda, tingendo d'azzurro e di grigio il cielo parzialmente oscurato dagli alberi.
Harry uscì all'aperto, non riuscendo a sopportare la vista di Hermione che singhiozzava. Lei, che aveva pianificato e montato la guardia senza mai lamentarsi, lei, che aveva difeso la loro postazione per settimane e settimane, cucinando e lavando i panni sporchi, lei, così fragile…
Ma tanto Harry lo sapeva: alla fine era lui l'unico in grado di tenere viva la loro amicizia, quell'amalgama imperfetto di amor fraterno, cameratismo e attrazione chimica che da sempre era stato il nucleo vincente del legame che li univa. Ma i nuclei si spezzano.
Proprio come le bacchette. E a meno che non fosse riuscito a trovare una Stecca di ineguagliabile potenza, nemmeno un mago poteva rinsaldare i pezzi frantumati di quel nucleo, come pure non avrebbe potuto richiamare dall'aldilà i suoi genitori.
Quel giorno il cielo sembrava dotato delle proprietà magiche del soffitto della Sala Grande, solo, non rifletteva il mondo esterno; rifulgeva dei sentimenti di Harry; forse anche di quelli che provava Hermione. E magari, nonostante si fosse Smaterializzato già da qualche minuto, catalizzava anche le passioni di Ron.
Nuvoloni lividi e ingombranti, gravidi di aspettative disilluse, piangevano di una rabbia sterile le loro lacrime magre e scevre di luce; tambureggiavano a tratti moti di tempesta, permanendo indistinti dietro una parete fuligginosa di caldo rancore.

"Ron! Torna indietro! Torna indietro e scusati con lei!"
Un tuono raschiò la polvere in lontananza, mentre uno scroscio di pioggia violenta si insinuava nei vestiti di Harry. Il giovane mago mosse pochi, incerti passi tra le betulle annerite e poi crollò ginocchioni sulla terra umida, accecato dall'odio: odio per sé, per la propria inadeguatezza, per l'ipocrisia manifestata dai suoi due migliori amici, per l'impietosa, immeritata sfuriata che aveva dovuto subire.
Pregò che Hermione non lo udisse.
"Ron! Bastardo ipocrita!! Credi che non sappia la verità, credi che non sappia perché hai insistito tanto per seguirmi?! Sei innamorato pazzo di lei, l'unica cosa che ti interessa è il tuo futuro con Hermione!"
Poi, parlando più a sé stesso che all'ombra dell'ex-amico, Harry disse: "Oh, Hermione è forte, ma sappiamo entrambi quanto in realtà sia vulnerabile. Al primo segno di cedimento, al primo abbraccio ricambiato, me l'avresti portata via…Sarei rimasto qui, solo come quando i miei genitori morirono, a sostenere il peso di questo inutile fardello"
Gli veniva quasi da ridere.
"E tu e lei, lontani chissà dove, a ridere di me…"

Ma Ron non ne aveva avuto il coraggio, era un debole, e da sempre soffriva di un complesso di inferiorità nei confronti del Prescelto; aveva creduto di poter convincere Hermione a seguirlo, ma lei, dilaniata dal suo senso del dovere, o da un grado di empatia verso Harry che nemmeno l'amore di qualcuno avrebbe potuto turbare, era rimasta. Era rimasta con lui all'Inferno.
E adesso era a pochi metri da lui, forse lontana chilometri, chiusa nel suo dolore.
Harry si rimise in piedi, si spazzolò il terriccio dai jeans e tentò di calmare il tremito inarrestabile che gli scuoteva le membra.
Già, lui era il Prescelto, l'Uomo di Silente, il Ragazzo che è Sopravvissuto. Chi altri avrebbe potuto trovare la Pietra Filosofale, sconfiggere un basilisco, salvare un uomo condannato dall'intera comunità magica, tener testa alle Arti Oscure di Voldemort e trafugare un oggetto di insondabile pericolosità dal secondo luogo più sorvegliato del mondo, il Ministero della Magia? Lui, solamente lui.
O forse no. Forse anche Neville Paciock ne sarebbe stato in grado. Forse anche un povero mago qualunque, orfano e con la tendenza ad aiutare il prossimo, con o senza cicatrice, avrebbe potuto eguagliare le sue imprese. Tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno sarebbe stata una serie di antichi e potenti oggetti magici, un Incantesimo di Protezione che qualcuno si era dato la pena di morire per completare, il conforto e l'aiuto di pochi amici, e l'onnipresente Mano del Destino, questo burattinaio sconosciuto che parlava per bocca degli uomini.

Da troppo tempo si sentiva una marionetta chiusa dentro un ingranaggio a orologeria: la storia avanzava, la ruota del tempo girava, e lui si proiettava, inesorabile, verso la propria trionfante consacrazione o verso la propria tragica dipartita.
Era giunto il momento di porre fine a quel circolo vizioso. Di porvi fine a modo suo.
E se poi non sarebbe morto con onore, ci avrebbero pensato i posteri a sprecare fiato e carta per distruggere il mito di Harry Potter, salvo poi dimenticarlo in fondo a uno schedario.

Se in quel momento la priorità di Harry fosse stata rintracciare gli Horcrux, si sarebbe infilato sotto le coperte rimuginando sul da farsi e incolpandosi per la perdita di Ron; lasciando che la sofferenza scendesse a patti con il cuore ferito di Hermione.
Ma Harry non pensava più agli Horcrux.
Non era più l'uomo di nessuno, non era destinato a niente; e per quanto gli riguardava, allo stato attuale la cosa su cui aveva il diritto di metter mano era una e una soltanto: si sedette accanto a Hermione e lasciò che lei affondasse il viso nell'incavo della sua spalla.
I loro corpi emanavano calore attraverso i maglioni, ma le dita di lei erano fredde, gelide. Harry strinse le sue mani nelle proprie, mentre già il grigio del tessuto si scuriva, tinto dalle lacrime di Hermione, e il fiato di lei, greve della fragranza acre del pianto, lo investiva con la delicata rassegnazione di un fiore morente.
Poco alla volta, il respiro di Hermione di fece più regolare, e la ragazza si addormentò.
Harry si sentì come se per la prima volta nella vita avesse fatto qualcosa di buono. Lei era rimasta, aveva rinunciato a tutto pur di aiutarlo. Non chiedeva di essere consolata, e nemmeno capita, ma lui voleva comunque provarci.
Glielo doveva.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Due volte pazzo ***


Harry si svegliò con le palpebre incollate.
Come se avesse pianto in sogno.
Le sue braccia erano ripiegate sull'aria. Hermione stava facendo del suo meglio per cuocere due uova e dei brandelli di pancetta, come se nulla fosse accaduto.
In cuor suo, Harry aveva sperato che la mattina mettesse un po' d'ordine nel loro status emotivo, ma si rese conto che questa nuova, sterile e opprimente situazione di calma apparente pesava su di loro come una cappa. Guardò la schiena di Hermione, fasciata con un pullover marrone nocciola a motivi zigzaganti, e si ritrovò a pensare alla superficie di un lago: liscia, immota, increspata a tratti; pronta ad esplodere se solo qualcuno avesse osato gettarvi dentro un sasso.
Si riscosse con un tremito, perché l'oggetto dei suoi pensieri aveva appena scaraventato ai suoi piedi un piatto caldo e fumante e poi, finalmente guardandolo negli occhi con la sua migliore espressione "la logica ci aiuterà a venirne fuori", aveva attaccato a parlare degli Horcrux.
"Harry, non credo che temporeggiare ci aiuterebbe a passare inosservati davanti a Tu-Sai-Chi, ma perlomeno dovremmo decidere quale luogo visitare per primo…Ora, so che ti sembrerà un controsenso – io stessa mi ero opposta alla tua idea – ma dopo averci riflettuto bene, credo che Godric's Hollow possa rappresentare una meta significativa non solo per il ricordo dell'omicidio di…"
Abbassò le palpebre, a disagio, e Harry quasi si scusò di dover essere a tutti i costi un catalizzatore di ricordi dolorosi, dei quali del resto era difficile parlare.
"Insomma, non è solo il teatro della tragedia consumata da Voldemort…Io penso che quel posto nasconda qualcosa di più, magari legato a chi ci abitava o ancora ci abita…Harry?"
Da tempo Hermione era abituata a monologare senza essere interrotta, ma quel giorno lo sguardo di Harry era visibilmente lontano.
Riprese coscienza giusto in tempo per intercettare lo sguardo interrogativo di lei; quell'espressione corrucciata lo conturbava e lo infastidiva allo stesso tempo.
"Hermione…Riguardo a quello che è successo ieri…"
"Ieri non è successo niente, niente di importante", si affrettò ad interromperlo lei.
"Ronald…", e sembrò che solo pronunciare quel nome le causasse delle fitte atroci, "Ronald si è comportato come un bambino, com'è suo solito…E adesso sarà al sicuro alla Tana, finalmente al riparo tra le braccia di sua madre"
Ma Harry non pensava solo al motivo del loro rammarico; piuttosto, all'istante immediatamente successivo…
Cos'aveva provato Hermione svegliandosi tra le sue braccia? Aveva avvertito il suo intento di scusarsi, di consolarla, di espiare anche solo minimamente, con un piccolo gesto, la colpa di averla trascinata in quell'impresa disperata? Aveva percepito la sua vergogna, il suo bisogno di cullarla e confortarla, attraverso la primordiale semplicità di quel contatto?

La superficie del lago stava sobbollendo, e tanto valeva affrontare la tempesta di petto…

"Hermione, io non voglio più farlo"
Si era aspettato di porre la questione in modo più graduale, avanzando a piccoli passi; se non altro, non così sbrigativamente.
"Non vuoi più fare cosa?"
"Cercare gli Horcrux"
Nemmeno si era aspettato uno schiaffo da parte di Hermione. La guancia gli pulsava, mentre affrontava quel cipiglio livido e torvo, un'espressione da belva ferita; notò, con orrore, che somigliava vagamente a Bellatrix Lestrange.
"Tu non vuoi più cercare gli Horcrux? E che cosa ne sarà della memoria di Silente? Che cosa ne sarà dei genitori di Neville, e di tutti quelli che sono morti, o hanno sofferto a causa di Tu-Sai-Chi?!"
Si manteneva sul vago, e ciò impediva al senso di colpevolezza di affiorare alla bocca dello stomaco di Harry.
"Non pensi a Sirius? Non pensi ai tuoi genitori? A tua madre, che ha dato la sua vita per salvarti?!"
Ecco. Ora quella sensazione, per niente familiare e affatto sgradevole, cominciava a punzecchiarlo come un torchio.
Hermione ormai era isterica, non riusciva più nemmeno a parlare, ogni traccia di malinconia mutatasi in sdegno e furia cieca.
"Non pensi a me?!?"
Era solo questione di tempo. Questione di tempo, prima che affrontasse la questione più pressante.
Non la più importante, certo, ma quella che più assillava il presente di Harry.
Nel suo petto faceva molto caldo. Un caldo che gli fece dimenticare il dolore alla cicatrice.
Senza neanche avvedersi di cosa stava facendo, agguantò Hermione per il collo, serrandole la gola.
Per qualche istante rimasero così, lui con il braccio rigido, lei stupefatta e boccheggiante.
Poi Harry mollò la presa. Hermione si accasciò su una vecchia poltrona tenendosi la gola e tossendo.
"Mi…mi dispiace…Ho perso il controllo…Non intendevo…"
Non intendeva farle del male. Ma farle del male era molto più facile che ottenere da lei quello che, entrambi lo sapevano, lei non avrebbe mai potuto dargli.
Appena ebbe fiato per respirare, Hermione domandò, con voce arrochita:
"Era Tu-Sai-Chi?"
Harry si guardò i piedi.
"No. La sua rabbia non ha niente a che fare con…"
Quello che provo per te, avrebbe voluto dire. Ma non poteva cadere ancora più in basso.
E poi, cos'era quel sentimento che provava? Non era simile a ciò che aveva sentito quando si era accorto di provare interesse per la sorella di Ron. L'amore per Ginny era sbocciato come un oleandro a mezzanotte, come il fuoco eterno di una fenice rinata. L'avevano cementato in pochi mesi, e poi, senza alcuna pietà, di comune accordo l'avevano rinchiuso in un angolo segreto del loro cuore.
Con Hermione la cosa era diversa. La conosceva da sette anni, e mai e poi mai si era affacciato in lui il sospetto di amarla. Era un'amica, una compagna di viaggio, una strega brillante e un'anima sensibile…
Già. La sensibilità. Troppe volte Harry aveva pensato a Hermione come ad una ragazza fredda e metodica, lontana dalla sua sfera emotiva come lui lo era dai tomi polverosi di Storia della Magia.
Lui amava volare. Lei soffriva di vertigini. Lui aveva sempre la risposta pronta. Lei anche, ma solamente in classe, e solo se autorizzata a parlare.
Ma quello sfogo, quell'esplosione di rabbia, di sdegno a tratti controllato, e soprattutto…il modo in cui si era sciolta piangendo per l'abbandono di Ron…Tutte quelle Hermione che lui non aveva conosciuto, si era ripromesso senza saperlo di volerle incontrare ancora; di rovesciare quel coacervo di passioni umorali e sensibili, e di scoprirne il lato buono. Perché ciò che Hermione rappresentava per Harry, nella sua forma più segreta, finora gli era stato solo suggerito.
Era penetrata lentamente in lui attraverso tutti quegli anni, sgocciolando adagio, con fragore sordo, nei recessi più impenetrabili del suo animo.
E ora avrebbe potuto reclamare la sua proprietà sul cuore di Harry. O mandarlo in mille pezzi.
Era solo questione di tempo.

"Harry"
La sua voce era di nuovo distaccata.
"Non ha senso litigare tra di noi. Per di più, senza nemmeno portare l'Horcrux al collo", e gettò un'occhiata di disprezzo al piccolo medaglione appeso alla sponda del letto a castello.
"Non ho intenzione di fuggire come ha fatto Ron e lasciarti alla tua ricerca da solo, ma devi darmi la possibilità di aiutarti"
Era fuori, completamente fuori da lui. O forse era solo molto brava a eludere i suoi pensieri.
"Non posso nasconderti che sono d’accordo con la te, per quanto riguarda il tuo giudizio sulla missione che ti ha affidato Silente: abbiamo pochi indizi, e quei pochi sono anche incerti. Ma qui non conta cosa pensiamo noi. Siamo in guerra, dobbiamo pensare prima di tutto al bene della comunità magica"
Stava impazzendo. Si sentiva dilaniato.
Hermione gli prese la testa tra le mani. Quel tocco lo fece rabbrividire, e la sensazione di venire strappato in due se ne andò come una folata di vento.
"Qui non contano i nostri sentimenti", disse risolutamente lei.
"So che ti incolpi per avermi coinvolto, ma sai bene che fin dall'inizio è stata una mia scelta"

Quando parlò, Harry aveva la voce ferma e perentoria.
"È vero, hai scelto tu di accompagnarmi. Non hai nulla da perdere; perciò sei obbligata a stare con me, dovunque io vada. E io ho deciso di portarti via da qui. Ce ne andremo dove il mio passato non potrà seguirmi, dove nessuno – nemmeno tu, Hermione – avrà mai il coraggio di ribadirmi le mie responsabilità. Fuggiremo insieme. E questo, lo faremo a dispetto dei nostri sentimenti. Qui non si tratta di percorrere un sentiero già tracciato per noi: si tratta di vivere"

Lei lo guardò per attimi che a Harry parvero un'eternità.
Non era stato esplicito sulle ragioni che motivavano la sua scelta, ma al contempo era riuscito ad essere sincero, e mai come in quel momento, provava timore.
Poi lei disse, in un tono distaccato che indusse Harry a trarre ogni genere di conclusioni:
"Ci conosciamo da sette anni, Harry Potter. Fin dal primo momento in cui ti ho visto, ho pensato che tu fossi pazzo. Un pazzo buono, pronto a morire per cause nobili e ad immolarsi per i deboli. Ma ora mi rendo conto che mi sbagliavo. Tu sei doppiamente pazzo"

Aveva costruito la sua vita in base a dei principi solidi, talvolta tentennando, ma senza mai spezzarsi. E ora stava rinnegando tutto, solo per l'abbandono di un amico, e non solo: stava per auto-esiliarsi volontariamente nel tentativo di capire se la sua migliore amica non fosse qualcosa di più. Il tutto nel pieno della battaglia contro Voldemort.

Hermione aveva ragione: era doppiamente pazzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La cicatrice maledetta ***


"Smontiamo la tenda e andiamocene", disse Hermione.
Stava cercando di distoglierlo dal suo proposito, Harry ne era certo; come pure era certo che lei imputasse ad una perdita di senno quell'inattesa decisione.
Harry non era un codardo.
O perlomeno, nessuno si era mai provato a sostenere il contrario, visto e considerato l'ardimento e la determinazione con cui aveva oltrepassato i pericoli e le continue diffamazioni che costellavano la sua adolescenza. Per non parlare delle perdite che aveva subito.
No, Hermione si rifiutava di credere che Harry stesse scappando. Se avesse lasciato che i suoi pensieri indugiassero anche solo per una frazione di secondo su quell'idea, tutte le sue certezze sarebbero crollate come un castello di carte.
Ma in fondo, lei cosa poteva saperne di quel che provava Harry?

Riemersero dalla morsa della Materializzazione su una china rocciosa sferzata dalle onde.
Il mare azzurro ghiaccio, ombroso e instabile, riversava la sua furia di tempesta sulle scogliere color catrame, ma fortunatamente Harry e Hermione si trovavano troppo in alto perché le onde potessero sommergerli.
Sporadici schizzi di spuma bagnavano loro le labbra, e i venti del nord si insinuavano, violenti, nelle pieghe dei loro abiti, facendoli svolazzare come fossero dotati di vita propria.
Harry si immobilizzò per un istante ad ammirare la volta cinerina del cielo, che incombeva su di loro come una coltre di fumo gelido e alieno. L'aria era densa di elettricità.
Tutt'intorno a loro, pozze di acqua salmastra di varie dimensioni si andavano radunando nelle insenature tra le rocce, trasudando cascatelle di schiuma.
In uno scenario da incubo (o da sogno?) simile a quello in cui si trovavano ora, Harry aveva scortato il professor Silente alla volta del falso Horcrux, costringendolo a bere agonia liquida.
Il cuore gli si strinse nel petto. Forse si sbagliava. Forse Hermione aveva ragione.
La ragazza aveva già disposto gli incantesimi di protezione, e la tenda era prossima ad essere montata. La aiutò a fissare i paletti, e insieme entrarono.

Una volta all'interno, Harry notò subito un profondo mutamento. L'odore di Ron non si distingueva che a tratti. La famigliare fragranza di Hermione ora invadeva ogni centimetro della stanza; ne erano impregnate le morbide pareti, i tappeti, le coperte…L'odore dei suoi capelli, delle sue lacrime, della sua pelle, agro e dolce insieme, sottile, inebriante, gli fece desiderare di toccarla…Come non l'aveva mai toccata prima.

E mentre lei gli dava le spalle, come in estasi, lui si protese per cingerle la vita.
Un dolore lacerante lo fece piegare in due. La cicatrice sparava scariche di morte nel suo cervello. Harry vide un corridoio verde che sembrava formato da infiniti serpenti, e poi il controllo non fu più suo…Le sue mani dalle dita sottili e bianchissime si fletterono come per dirigere un'orchestra, la sua bacchetta (che non era più la sua, e nemmeno quella di Voldemort o di Lucius Malfoy) saettò nell'aria e una fila di ombre crollò scompostamente, privata del fuoco vitale dall'Anatema che Uccide.
"Harry Potter…Troppo debole persino per seguire la via che Silente aveva tracciato appositamente per te. Così ipocrita da sacrificare gli amici e fregiarti di una gloria che non meriti…Così vile, da non riuscire nemmeno a reprimere un semplice desiderio sessuale. Il trionfo ti è precluso, così come ti sono negate le Arti Oscure"
"E ora che nel tuo cuore quel sentimento inutile ha ceduto il posto a pulsioni primordiali e selvagge, la tua mente sarà una porta aperta per me"

"Harry!"
Hermione era china su di lui e lo chiamava a gran voce. Per un momento, il volto di lei e quello spettrale di sua madre si fusero in una maschera angelica e raccapricciante.
"Sto bene…Ho solo…"
Decise di dirle la verità, come già si era sforzato di fare poco tempo prima.
"Ho solo trovato la conferma che stiamo combattendo una battaglia che non ci riguarda"
Hermione sbottò: "Non ci riguarda? È per il bene di tutti invece! E tu lo sai meglio di chiunque altro. Harry…non ti riconosco più, non so più chi sei…".
Lui temette che si mettesse nuovamente a piangere, ma la prevenne: "Nemmeno io so più chi sono. So solo che essere me è la sfortuna più grande che possa capitare a un mago".
Harry la guardò, cercando di esprimere con gli occhi ciò che non riusciva ad esternare con le parole.
"Hermione…Voglio che tu cancelli la cicatrice"
Lei lo guardò interdetta.
"Cosa? Harry, lo sai che non è possibile! E anche se lo fosse, si tratterebbe di un'operazione di chirurgia magica che io non sono assolutamente in grado di…"
"Io ho fiducia in te. Eri la migliore della classe, e forse la migliore in tutta Hogwarts. E sei l'unica vera amica che ho"
Lei arrossì un pochino. A Harry tornò in mente il momento in cui Hermione l'aveva abbracciato forte, al primo anno, dopo che erano riusciti ad attraversare indenni la scacchiera incantata. Sembrava solo ieri. Allora era stato lui a diventare paonazzo, e non c'entravano la timidezza o la sua inguaribile modestia.
Sperò che lei comprendesse, che capisse come la sua nuova determinazione non c'entrasse con la codardia. Non voleva più proteggere il mondo magico. Tutte le sue attenzioni erano per lei.

"Lui non smetterà di tormentarti. Siete legati indissolubilmente, mente e anima"
"Lo so. Ma questa cicatrice è l'unico legame che mi resta con un passato che voglio dimenticare. Se tu non sei disposta ad aiutarmi, ti capisco, Hermione. Non sono neanche sicuro di cosa farò, da adesso in poi; e chissà se vivrò abbastanza per accorgermi che il rimorso mi sta già scavando la fossa…"
Mentre quelle parole gli sgorgavano dal petto come un fiume, Harry e Hermione furono consapevoli a un tempo che chi stava parlando era effettivamente un pusillanime, un vigliacco, e che ammetteva, senza stucchevoli compiacimenti o furbeschi giri di parole, la sua inadeguatezza.
"Se devi lasciarmi, fallo ora. Non ti chiederò di restare. Vai dai tuoi genitori, o torna dalla resistenza. Non è da te avere ripensamenti", disse, mentre la vedeva esitare.
Poi lei lo spinse dolcemente sul divano e sussurrò:
"Rimani immobile"
Una parte di Harry, che prima era brutale, che altro non era che desiderio inappagato e tenuto a freno, parve sciogliersi e trascolorare, per assumere una forma molto più umana.
La fioca lampada che pendeva dal soffitto lo costrinse a socchiudere gli occhi, mentre le mani calde e premurose di Hermione restringevano un incantesimo Petrificus alla sola area della sua fronte. La pelle di Harry divenne insensibile.
Mordendosi le labbra, la ragazza arroventò la punta della bacchetta e prese a tracciare un cerchio intorno alla cicatrice, rapidamente e con mano ferma. Il tessuto più fragile si fece subito morbido e cedevole, senza tuttavia scurirsi. Hermione sapeva bene che quella cicatrice non poteva essere cancellata, ne tantomeno modellata.
Bisognava strapparla via assieme alla pelle.
Cominciò ad applicare un incantesimo tagliuzzante, stringendo una mano di Harry nella propria, già madida di sudore.
Sembrarono essere passate ore, quando finalmente Hermione fece levitare un sottile lembo di epidermide di forma circolare dal viso di Harry, adagiandolo delicatamente su un tavolo. Una cicatrice campeggiava, scura e inquietante, al centro del tondo.
Al posto dello sfregio, Harry esibiva ora una piccola depressione rossastra al centro della fronte, che Hermione si affrettò a tamponare con essenza di dittamo.
Come previsto, la pelle non ricrebbe del tutto. Un segmento rossastro a forma di saetta rimase stolidamente al suo posto, come cesellato da barriere invisibili.
"Tinctum ròseus", mormorò Hermione, e la porzione di pelle non ricresciuta divenne di un omogeneo color carne.
La ragazza sospirò.
"Di più non posso fare"
Harry stava già alzandosi per ringraziarla, ma lei lo ammonì:
"Bada bene, Harry. Puoi cercare di nascondere ciò che sei, ma l'essenza di quel legame non sparirà mai veramente. Potrai dimenticarla, fare finta che non ci sia mai stata, ma la porterai con te fino alla fine"
Harry si tirò in piedi, scostò i siparietti all'uscita della tenda e uscì all'aria gelida.
Il sale portato dal mare fece un tutt'uno con il dittamo, e la pelle di Harry bruciò di un dolore nuovo e sano.
Il ragazzo avanzò nella nebbiolina densa e umida fino ad una pozza d'acqua che si era raccolta in un'insenatura rocciosa. Vi si specchiò, e non vide altro che un ragazzo, un ragazzo qualunque.
Un fulmine squarciò le nubi in lontananza, ed Harry gridò con quanto fiato aveva in gola, galvanizzato da quell'impressione distorta, e ad un tempo disgustato da ciò che era diventato.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Una giornata normale ***


Il mattino seguente, Harry – cosa inconsueta – si svegliò prima di Hermione.
La nottata era trascorsa tra scrosci di pioggia martellante e il continuo rombo sordo delle onde che si frangevano sulla costa, ma per Harry quel fracasso era stato niente più che una nenia, una dolce melodia di sottofondo che gli aveva spalancato le porte del regno di Morfeo.
Si sentiva più che riposato: era rinato. Per quel che ne sapeva, Harry Potter poteva essere il nome di qualcun altro.
Con un fremito di disgusto, lasciò che la sua mente indugiasse al giorno in cui Voldemort era risorto: il fu Tom Riddle si beava della consistenza translucida della sua nuova pelle, incredulo di fronte alla sensazione inebriante dei cinque sensi ritrovati, alla concertante maestranza dei suoi arti che si muovevano al giogo del pensiero. Harry parve rendersi conto di cosa volesse dire sperimentare una simile euforia, e ne fu obliato.
Uno screzio smeraldino baluginò nel suo sguardo, per poi perdersi nel nulla al successivo battito di ciglia. Il ragazzo dimenticò i brutti pensieri e si allungò per scuotere dolcemente la spalla di Hermione.
Prima che lei fosse completamente sveglia, le ravviò con delicatezza una ciocca di capelli.
Una scheggia di sole si stampò timidamente sul viso della ragazza, ritagliandone la delicata fisionomia in un lampo spettrale. Harry pensò che quando sarebbe morto, la sua anima avrebbe per forza fluttuato tra quelle labbra del colore del castagno; risalendo per le guance d'avorio, si sarebbe impigliata come un pesciolino tra le ciglia umide e scure, veleggiando negli abissi di quegli occhi così profondi, e non v'era altro destino che smarrirsi per sempre nell'aroma setoso della sua chioma bruna…
Ma lei era già in piedi; la solita Hermione, non quella che lui cercava di protendersi a raggiungere nelle sue fantasie.
C'era però qualcosa di diverso in lei, nel suo sguardo – Harry pensò di averlo solo immaginato – che tradiva un'indole mutata: rassegnazione, benevolenza, riappacificazione?
Mentre lei si lavava i denti con un getto d'acqua fuoriuscito dalla sua bacchetta, Harry parlò:
"Hermione, oggi ti porto a fare un giro"
Lei rallentò il ritmo delle spazzolate e lo fissò con espressione interrogativa, i vistosi denti davanti ancora lucidi di dentifricio.
"Un giro? Intendi…Lontano da foreste e coste deserte?"
Era un po' incredula un po' divertita.
"E sentiamo…Dove, di preciso?"
Harry fece una mezza risata.
"Dove vuoi tu! Io pensavo di andare a Dublino: non è troppo distante, e l'Irlanda ha un fascino tutto magico…"
"E…le nostre cose? L'Horcrux?"
Hermione si riferiva al ciondolo che pendeva, ormai dimenticato, dall'attaccapanni all'ingresso, sistemato così in bella vista che sembrava sperassero di vederselo rubare.
Harry considerò positivo il fatto che non opponesse resistenza, anzi: si interessava agli aspetti pratici.
"Lasceremo le nostre cose qui, e porteremo con noi solo il mantello dell'invisibilità, per sicurezza. E naturalmente le bacchette", aggiunse con una smorfia.
Una pausa.
"E i soldi?"
Harry si strinse nelle spalle.
"Tu conservi ancora un po' di monete babbane, no? Ma è piuttosto sgradevole che in un'occasione speciale come questa sia una ragazza a offrire…Se per te va bene, mi puoi dare i tuoi soldi babbani, e io ti darò l'equivalente in falci e zellini. Così non dovrò sentirmi ancora più in colpa"
Lei accennò un sorriso.

Dieci minuti dopo, infagottati nei cappotti e certi di aver preso tutto, si stavano aggiustando i connotati; o meglio, Hermione pensava a tutti e due: Harry si ritrovò con una zazzera ancora più lunga, i capelli sparati all'indietro per evidenziare la fronte nuda, e un accenno di barba che lo faceva davvero sembrare un altro. Le chiese di aggiungere anche due rughe sottili ai lati della bocca e sulla fronte.
Hermione si limitò ad acconciarsi con un taglio più moderno, fece diventare i capelli di un bel viola Tonks e ridimensionò gli incisivi. Con un tocco di kajal attorno agli occhi, assomigliava vagamente ad una punk-rocker in vena di un restyling gotico. A Harry la trasformazione non dispiacque.

Con un sonoro "pop" i due ragazzi scomparvero dalla china rocciosa e riemersero, mano nella mano, al centro di una via poco frequentata di Dublino.
Era una mattinata limpida, baciata dal sole, e una brezza pungente solleticava gli umori delle persone.
Harry e Hermione si guardarono, incerti se ridere o sorridere, e prima che potessero accorgersene, stavano passeggiando lungo le strade di quella città così grigia e densa di vapori di carbone.
Per quello che poteva ricordare, Harry non era mai stato così bene con lei: per la prima volta, non parlavano di compiti o misteri da risolvere, non accennavano ipotesi a chi volesse ucciderlo o a cosa si nascondesse nelle aree proibite del castello…Semplicemente, chiacchieravano del più e del meno, come un uomo e una donna qualunque. E una punta di spensierata giocosità si introdusse nei loro discorsi.
Harry percepiva quanto tutta quella situazione fosse instabile, sbagliata. Ma era disposto a vivere il resto della sua vita in modo sbagliato, se questo significava rimanere con Hermione.

Verso le undici, si sedettero in un pub per bere un bel bicchiere di punch caldo.
Le chiacchiere, il rumore dei boccali tintinnanti, i riflessi danzanti dei vetri colorati sul tavolo sembravano frutto della fantasia di un romanziere.
Dopo un pranzo sostanzioso e abbondante, andarono a teatro a vedere "L'importanza di chiamarsi Ernesto" e poi, non contenti, fecero il bis con "Molto rumore per nulla".
Dopo un ultimo giro per sgranchirsi le gambe, pernottarono in un albergo in centro, e – una volta rassettati e scesi a cena, iniziarono a parlare del loro futuro.
Harry si stupì di aver avuto elementi con cui far conversazione fino ad allora. Era tutto fantastico, ma solo in quel momento gli sovvenne che, se il suo obiettivo era trovare lavoro nel mondo babbano, aveva ben poche possibilità di riuscirci.
"Potrei fare l'arredatrice, lavorare come assistente…o magari, disegnare delle scenografie animate per il teatro, o confezionare abiti auto-adattanti, andrebbero a ruba…"
Hermione era tornata al suo tono di sempre, tra il pratico e l'esuberante. Respirava solo ogni due minuti. Harry la fissava come ammaliato. Senza nemmeno accorgersene, si tenevano la mano sopra il tavolo.
"Io sarei fortunato se mi prendessero a fare l'imbianchino…o il correttore di bozze", buttò lì lui con espressione mortificata.
Hermione strinse più forte la mano di Harry nella sua.
"Non dire sciocchezze, Harry. Tu sei troppo sveglio per ridurti a svolgere dei lavori passivi. Volevi diventare auror, no? Secondo me potresti tornare a scuola, fare l'università, e poi darti alla carriera di detective…Solo che io starei in pena tutti i giorni"
Quell'ultima frase l'aveva in parte tradita. Rimediò uscendo dalla parentesi dei "se" e dei "ma", e virò la conversazione sull'ultima commedia.

Con la consapevolezza di aver trascorso una meravigliosa giornata insieme (e la complicità del vino), Harry e Hermione salirono verso le loro camere, spaventati da quello che avrebbe potuto succedere di lì a poco, più che da qualunque pericolo avessero mai affrontato in vita loro.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La Morte e la fanciulla ***


Harry ed Hermione avevano scelto due stanze comunicanti, dunque non suonò affatto inappropriato che lui la invitasse nella sua camera per il "bicchiere della staffa".
Ciò nonostante, il ragazzo si sentiva confuso come non mai, e dubitava che l'alcol ne fosse responsabile: i suoi gesti erano impacciati, usava raramente frasi di senso compiuto, e poco ci mancò che pestasse un piede a Hermione.
Si sedettero sul letto morbido e pulito, inghiottiti dalla penombra della stanza. I tendaggi, di un delicato rosso cadmio, erano stati lasciati parzialmente aperti, cosicché le luci della città potessero scintillare oltre il vetro come tanti insetti birbanti.
"Che cosa stiamo facendo?", si disse Harry.
Sorseggiavano una birra, niente di più. Lei era perfettamente a suo agio, come se non si aspettasse altro che dargli la buonanotte e abbandonarsi ad un bel sonno ristoratore. E la serata doveva concludersi così, giusto?
Harry non lo sapeva. Più di tutte le parentesi d'imbarazzo vissute con Cho; più di tutte le notti passate a struggersi per la sorella di Ron; mai si era sentito tanto insicuro e debole. Se lo sguardo del Basilisco aveva il potere di pietrificare il corpo, quello di Hermione possedeva una proprietà ancora più inquietante: l'ambiguità.
Ormai non parlavano più. Erano talmente vicini che avrebbero potuto baciarsi. O urtarsi per sbaglio con il naso.
A Harry scappò da ridere. Mossa stupida, se ne rese conto quasi subito.
Hermione fissava un punto del suo volto, un po' al di sopra della bocca e leggermente al di sotto degli occhi, con un'espressione che era un misto di nostalgia e di rammarico.
Si mise un dito in bocca, sfoderando dapprima un atteggiamento che Harry scambiò per provocatorio. L'estrema lentezza con cui aveva eseguito il gesto l'avevano tratto in inganno.
Hermione gli strofinò l'indice bagnato sul naso, sussurrando:
"Hai un po'… di sporco…qui".
Harry si sentì precipitato nei panni del Ron Weasley di sette anni fa, confuso e imbarazzato perché una ragazza aveva criticato apertamente uno scampolo della sciatteria che lui aveva così disinvoltamente ignorato.
Una ragazza talmente speciale…

Harry si protese in avanti e per un istante le sue labbra sfiorarono quelle di Hermione. Lei lo respinse con rabbia, prontamente, quasi avesse previsto quella mossa.
"Non desideravi altro, vero, Harry Potter?"
Una lacrima le rigò il volto, ma lei sembrava risoluta a nascondergli qualunque forma di debolezza.
Harry rimase in piedi a fissarla. Era interdetto.
Non avrebbe dovuto osare. Non avrebbe dovuto ridere come se non gli importasse. Semplicemente, non avrebbe dovuto.
L'intera giornata parve trasfigurarsi in tutto il suo squallore; il deplorevole tentativo di un ragazzo presuntuoso che cerca di minare le ultime difese di una fanciulla di buon cuore, approfittando della di lei fragilità.
"Che cosa sono per te, Harry? La tua migliore amica? O il rimpiazzo di Ginny?"
"Tu non…tu non sei nessuna delle due cose…"
Di nuovo quell'aria da bestia ferita rinchiusa in un corpo estraneo.
"Insomma, che cosa ti aspetti da me? Che mi tolga i vestiti e…"
Hermione si interruppe. Harry era scivolato lungo la parete, e teneva la testa tra le ginocchia, raggomitolato in posizione fetale. Il suo tono tradiva l'afflizione di chi ha sbagliato tutto.
"Non mi aspetto proprio niente, Hermione. Qualcuno, probabilmente a ragione, sosteneva che ero lento e privo di qualsiasi talento; ma una cosa l'ho imparata: non serve a nulla pretendere dagli altri. Se sei in cerca di qualcosa, qualcosa che nel tuo profondo sai essere…proibito…Devi rischiare il tutto per tutto. Perché la posta in gioco è il tuo onore, e una volta che ha perso il proprio onore, a un Grifondoro rimangono solo la vanità, l'egotismo e la stupidità. E io sono diventato tutte queste cose, nel tentativo di raggiungerti"
Hermione non si dava la pena di interromperlo. In quel momento, qualunque cosa pensasse di lui, rimaneva ben nascosta dietro la maschera imbronciata del suo volto.
"Non mi aspetto proprio niente. Più che altro, spero che non mi lascerai solo; spero che acconsentirai a riprendere la ricerca degli Horcrux; spero che dimenticherai tutte le idiozie che ho detto e ho fatto, nell'illusione di poter essere felice insieme a te, con un mago oscuro che non teme rivali in giro"

Rimasero così, immobili come statue, scomposti e sgraziati, per interminabili minuti.
Poi, dal baratro di oscurità in cui l'avevano confinato le sue palpebre, Harry avvertì il tocco gentile di una mano sulla guancia.
Non stava a significare "alzati, è ora di rimettersi in cammino" e nemmeno "fatti forza, insieme ne verremo fuori". Era qualcosa di più. Era una promessa.
Harry lo seppe anche senza guardarla negli occhi.
Lei si era inginocchiata, stava china su di lui. Poteva sentirne il corpo premere leggermente contro il suo petto. Gli sembrò di sciogliersi, di andare alla deriva, quando lei baciò il suo orecchio con queste parole:
"Non ho mai voluto arrendermi ai sentimenti che provo per te, Harry. Fa troppo male. E solo adesso che il mondo sta crollando, solo adesso che siamo circondati dall'oblio…potremo essere finalmente felici"
Lui affondò il viso nell'incavo della sua spalla, accarezzandole i capelli.
"Allora, sei sempre deciso a non rovinare la nostra amicizia? Forse conosco un modo per mantenerla intatta…Per fare finta che tra noi non sia cambiato nulla. Nemmeno noi ricorderemo niente di questa notte"
Harry d'improvviso si sentì gelare. Hermione intendeva forse usare un incantesimo di memoria?
Nella posizione in cui si trovavano, avrebbe potuto facilmente cancellare ogni traccia di quel momento, per sempre.
"…Perché noi non vedremo niente", concluse Hermione. Poi disse:
"Aspettami sul letto".
La ragazza si diresse verso il bagno ostentando uno sguardo malizioso. Ad Harry non rimase che aspettare.
Sentì il picchiettare ritmico e costante della doccia, sentì i piedi aggraziati di Hermione che si aggiravano, scalzi, sulle piastrelle di cotto. E poi vide una cosa che gli mozzò il fiato.
Erano davvero cresciuti dalla prima volta che avevano adoperato il Mantello dell'Invisibilità, non c'era dubbio. Hermione se l'era avvolto intorno al corpo nudo come se fosse un asciugamano, così che le sue gambe risultassero visibili fino al ginocchio; più in alto, dopo quello che sembrava uno spazio vuoto, galleggiavano le spalle, il decolleté, il collo, la testa.
Questa volta, il sorriso di Harry fu appropriato. Era pazzesca, Hermione.
Le sue gambe sfiorarono il bordo del letto mentre lui si tirava a sedere, inebriandolo dell'odore di bagnoschiuma. Esitante, Harry lasciò che la sua mano errasse nelle pieghe del mantello. Il contatto con la pelle del ventre di lei, liscia e umida al tocco, gli provocò una scossa di piacere.
Risalì verso i seni, che esplorò con pazienza e metodica, scrupolosa tenerezza. Erano piccoli, piacevolmente rotondi, delle dimensioni della sua mano. I capezzoli erano duri come sassolini.
Harry ridiscese verso l'ombelico, intingendo il pollice nelle falde umide di quella coppa, e indugiò per qualche frazione di secondo, incerto se spingersi ancora più giù.
Ma prima che potesse avvertire una rada peluria solleticargli le dita, Hermione lo spinse sul letto.
Lui si stese sopra di lei, cercandola sotto il mantello, desiderandola disperatamente. Ed era disperazione che si leggeva negli occhi di Hermione, disperazione ed estasi e dolore, quando lui finalmente la raggiunse ed entrò in lei.
Harry non aveva mai notato quanto desiderabile fosse la curva del suo collo, e lo coprì di baci mentre lei lo carezzava e ricambiava i baci a sua volta.
Avvolti nella tenebra del Mantello, si unirono come due spettri, pura percezione nel vuoto dello spazio; un odore, un sapore che non aveva corpo, tenuti in vita da quel ritmo che seguiva i battiti del loro cuore.
Era come sciupare a morsi un'opera d'arte.
Se quanto gli restava da vivere insieme ad Hermione lo colmò di una felicità che non cedette mai il posto al rimorso, perché Harry era innamorato e lo sapeva, quello fu senza dubbio il momento più bello che condivise assieme a lei.

Steso sulla sua unica ragione di vita, immerso nel suo calore, bisbigliò:
"Hermione…", ma lei gli mise due dita sulle labbra.
"Hai già detto abbastanza, e se parli ancora sarò costretta a pensare che sei un inguaribile romantico".
"Harry?"
"Mm?"
"Io credo di amarti"



La mattina seguente, Harry si stupì che tutto fosse esattamente come l'aveva lasciato.
Non era stato un sogno. Lei era ancora lì con lui, e niente era cambiato.

Quando si presero per mano per Smaterializzarsi, Harry sentì che non avrebbero viaggiato nello spazio come due entità distinte. E la sua impressione era esatta: gli sembrò di volare nel vuoto formando un tutt'uno con lei, anima e mente e corpo.
In cuor suo, si augurò vivamente che lei non percepisse quel brandello dell'anima di Voldemort che lui avvertiva dentro di sé. Era l'unica cosa che mai e poi mai avrebbe voluto condividere con lei.

Apparvero davanti alla tenda.
Il mare era liscio e piatto; l'orizzonte sembrava bruciare di una febbre sbiadita.
"Sei una strega, Hermione, lo sai?"
"Non vedo cosa ci sia di strano", disse lei divertita.
"Sai benissimo cosa intendevo"
E si baciarono.
Ogni istante era prezioso, ogni istante poteva essere l'ultimo.
Consapevoli di essere braccati come animali, si rinchiusero nella finta sicurezza della loro casa improvvisata, e quando Ron finalmente individuò il loro nascondiglio, Hermione stava tentando di soffocare Harry con un cuscino. Entrambi ridevano.

Non si provarono nemmeno a fingere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il migliore amico ***


Ron stringeva ancora in mano il Deluminatore, immobile come una statua davanti ai tendaggi e pallido quasi altrettanto.
Era grazie al prezioso oggetto lasciatogli in eredità da Silente che il ragazzo era riuscito, non senza difficoltà, a rintracciare i suoi vecchi amici. Ma questo loro non l'avrebbero mai saputo.
Il presente incombeva come un maglio.

La prima a intercettare lo sguardo di Ron fu Hermione. Il sorriso le si congelò sul volto, mentre Harry si rialzava, insospettito dal suo turbamento, e – ancora inchiodato a terra dalle ginocchia della ragazza – sentiva improvvisamente lo stomaco fare una capriola.
Fu come se nella stanza fosse entrato un Dissennatore.
La temperatura, mentre Ron avanzava con lentezza esasperante, era calata di parecchi gradi.
Finalmente Harry la vide, e per poco non perse i sensi dall'incredulità: nella mano sinistra, Ron stringeva la spada che molti secoli addietro era appartenuta a Godric Grifondoro. L'elsa mandava bagliori rossastri nella sua mano; l'argento dei folletti sembrava vivo alla luce della lampada.

"E pensare che per tutte queste settimane…Ho continuato a sentirmi in colpa", disse Ron con un tremito della voce.
Sembrava che non aspettasse altro che i suoi incubi peggiori prendessero vita.
"Prima ho pensato che fossi migliore di me, Harry. Ho pensato di essere inutile e insignificante, che tu non avessi bisogno del mio aiuto, e ammetto…ammetto di essermi comportato da stupido"
Harry non osava guardarlo in faccia. Ron, invece, faceva come se Hermione non fosse presente.
"Poi mi sono detto: sono il suo migliore amico, devo stargli vicino finché avrò vita. Immaginavo che ti saresti preso cura di lei", aggiunse con un sorrisetto ironico che a Harry non piacque affatto.
"Ma non credevo che l'avresti fatto con tanto zelo, davvero…Cos'è successo, il Prescelto ha deciso di prendersi una vacanza?"
Hermione azzardò un commento:
"Ron, tu…"
"STA ZITTA!", sbraitò Ron, che pareva provare un dolore indicibile solo a udire il suono della sua voce.
"Lo so…Io non capisco. Io sono solo l'amico stupido di Harry Potter, lo zerbino su cui si pulirà i piedi prima di affrontare Tu-Sai-Chi e ricevere onori e gloria!"
Ron soppesò la spada nelle mani, e per un attimo Harry temette che volesse usarla su di lui.
Poi disse:
"Che buffo…Credevo che fosse destinata a te, Harry. Pensavo di dovertela consegnare! Ma quanto sono stupido…", e lanciò un'occhiata disgustata all'Horcrux appeso in entrata come un cimelio, ancora integro.
Scese un silenzio di tomba.
Poi, neanche fosse l'unico in quella stanza a possedere la coscienza delle proprie azioni, Ron disse:
"Basta, ho deciso"
Aveva la voce insolitamente ferma.
"Harry…Ti chiedo un ultimo favore. Non come compagno, ma come amico"
Harry si mise in piedi lentamente, avvertendo in tutto il corpo quel senso di stolida risoluzione, di incrollabile coraggio, che tante volte gli aveva dato la forza di sopravvivere ai suoi nemici. E tuttavia provava anche amarezza: non per il comportamento di Ron, ma per sé stesso; e nondimeno, per il destino crudele che li attendeva, quale che sarebbe stato l'esito del loro inevitabile scontro.
Silente sapeva quel che diceva, lo sapeva molto bene, quando aveva dichiarato davanti a tutta la Sala Grande che ci voleva assai più coraggio ad affrontare un amico…
"Avanti, seguimi fuori"
Harry non se lo fece ripetere due volte.
Uscendo, con un gesto distratto e apparentemente senza guardare dove colpiva, Ron abbatté la spada sulla parete, strappando a Hermione uno strillo spaventato. L'Horcrux mandò un suono penetrante ed esalò una coltre di fumo nerastro, per poi rimbalzare a terra, sezionato in due metà quasi perfette.
All'esterno, Ron conficcò la spada nella nuda roccia con un movimento brusco. Poi condusse i due maghi che un tempo erano stati suoi amici giù per un ripido terrapieno, fino ad una piccola piazzola di roccia ricoperta da una coltre di sale. Una foresta di alberi pietrificati baluginava debolmente nella nebbia.
Per un attimo, Harry ebbe la fugace visione di loro tre bambini che correvano nella neve alta. Se solo avesse potuto tornare indietro…Ma era troppo tardi per chiedere un Giratempo, e certe ferite – come lui ben sapeva – erano troppo profonde per essere rimarginate.

Harry e Ron si disposero uno davanti all'altro, a debita distanza.
Hermione rimaneva tra i due, un'espressione di supplica negli occhi.
"Hermione, spostati!", disse Ron.
Lei provò di nuovo a dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Riluttante e reggendosi a stento in piedi, Hermione andò a ripararsi dietro una gigantesca stalagmite.
"Qualunque cosa succeda, non metterti in mezzo", proseguì Ron. Harry assentì in silenzio.
"Non so di preciso cosa sia successo tra voi due, e non voglio saperlo. So solo che io non ho abbandonato l'idea di distruggere gli Horcrux, e se Harry dovesse...perdere contro di me, torneremo a cercarli senza il suo aiuto"
"Non dirmi che non si tratta di una questione personale, Ron", disse Harry con una nota di scherno nella voce.
Ron parve inghiottire una medicina molto amara.
"È…anche una questione personale, si"
Estrassero le bacchette all'unisono.
Harry si voltò un'ultima volta per dire a Hermione, pallida e tremante a pochi metri da lui:
"Non preoccuparti. Se io non dovessi farcela, Ron avrà cura di te…"
"In posizione", disse Ron.
"Tre…Due…Uno…"

Il duello cominciò prima ancora che Harry avesse il tempo di muoversi.
Udì distintamente Ron gridare "Reducto!", e si abbassò appena in tempo per evitare l'attacco. Alle sue spalle, un pesante fusto avvizzito andò in frantumi sparando schegge in tutte le direzioni.
Era chiaro, pensò Harry come uscendo da un incanto, che Ron non voleva ucciderlo: voleva farlo a pezzi.
"Stupeficium!", urlò Harry di rimando, ma Ron bloccò il crepitante fiotto di luce rossa con un semplice movimento di bacchetta.
"Ha usato un incantesimo non verbale!", si disse Harry, "Ma quando ha imparato…?"
Poi, con sua grande meraviglia, Ron puntò la bacchetta contro il suo petto ed esclamò: "Crucio!!"
Hermione si aggrappò alla roccia.
Il corpo di Harry fluttuava in aria, scosso da spasmi, contorcendosi come un annegato attraversato dagli ultimi residui di vita. Ron respirava affannosamente, il volto contratto in una maschera di odio, mentre il suo vecchio amico avvertiva le ossa di braccia e gambe piegarsi in modo innaturale, in procinto di spezzarsi.
"Harry!! No!!!"
Il grido disperato di Hermione fece esitare Ron quanto bastava per permettere a Harry di liberarsi.
Il mago cadde a terra, rotolò e urlò: "Incarceramus!".
In pochi istanti Ron giaceva a terra, avvolto da robuste corde magiche. Il contrattacco l'aveva evidentemente colto di sorpresa, perché non provava nemmeno a liberarsi.
Harry gli si avvicinò col fiatone, disposto a scioglierlo se si fosse arreso…Ma proprio allora Ron strillò: "Sectumsempra!!", e avvennero due cose contemporaneamente.
Le corde che stringevano il giovane Weasley si lacerarono contorcendosi come serpenti; e Harry fu sbalzato all'indietro con una porzione del volto che eruttava sangue come una fontana.
Semiaccecato, incapace di reagire, Harry Potter battè la testa contro la nuda pietra e svenne.
Hermione si coprì le mani con la bocca e prese a correre verso di lui.
Ron era allibito, esterrefatto. Lui…aveva solo intenzione di liberarsi, non intendeva colpire Harry…Non di proposito. Voleva solo spaventarlo quanto basta per convincerlo ad abbandonare la partita. L'avrebbe ridotto a un colabrodo, se necessario, ma non aveva intenzione di…
Nella testa di Ron si affollarono mille pensieri.
L'aveva veramente ucciso?
Non se lo sarebbe mai perdonato, nonostante quello che era successo…Lui non era un assassino, non avrebbe mai voluto…

Ed Harry si tirò su.
Hermione l'aveva quasi raggiunto, ma di colpo si bloccò, spaventata.
Il ragazzo era accoccolato in una pozza di sangue scarlatto, il volto parzialmente coperto di sale. Una rabbia che non gli apparteneva, furia cieca e senza la minima parvenza di umanità, balenavano sul suo volto.
Il tempo parve arrestarsi.

Poi Harry sussurrò:
"Cordem Diffindes"
e dalla punta della sua bacchetta esalò una fiammata violacea che attraversò Ron da parte a parte.
Sulle prime, non accadde nulla. Ron quasi sorrise, meditando una burla; tutta quella situazione non era reale, era solo uno stupido sogno.
Un attimo dopo, il ragazzo si piegava sulle ginocchia, tenendosi una mano sul cuore e boccheggiando.
Hermione si voltò e corse a sorreggerlo. Lo stese a terra. Il viso di Ron aveva assunto il colore del sale; solo i capelli continuavano a fiammeggiare in quel cimitero segreto.
"Finites Incantatem!", gridò Hermione, ma Ron non si riprese.
"Innerva!!", tentò disperata la ragazza. Ma Ron parve non accorgersene.
Il suo collo pulsò di un battito spasmodico, poi le palpebre cominciarono ad abbassarglisi.
In un ultimo gesto di tenerezza, Ron carezzò una guancia di Hermione, umida di lacrime.
"Mi…dispiace tanto…Hermio…"
E poi non si udì più alcun suono.

Ron Weasley era morto.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ritorno alla Tana ***


Harry tornò in sé appena in tempo per rendersi conto di quanto era successo.
L'amica di una vita, ora amante, singhiozzava sul corpo senza vita di Ron; profondi solchi e scanalature frammentavano la piccola pianura abbandonata, nei punti dove le loro maledizioni si erano abbattute. Lui e Ron avevano tentato di massacrarsi a vicenda.
E per quel che ne sapeva, Harry era riuscito nel suo intento.
Se solo le lacrime di Hermione avessero potuto restituire colore al volto del suo migliore amico…Ma quella non era una fiaba di Beda il Bardo, e anche i maghi più potenti, prima o poi, dovevano arrendersi al tirannico giogo della Morte.
Una fitta di dolore lo attraversò da parte a parte, segandogli la testa proprio come Ron aveva fatto con l'Horcrux…
"Omicidio, Harry Potter…Ti stai rivelando più meritevole di quanto la tua presunta appartenenza a Grifondoro non lascerebbe supporre. Bravo, Harry. Hai impedito ad un sudicio traditore del suo sangue di perpetuare la sua vile esistenza…"
"Sta zitto!", pensò Harry quasi in tono di supplica.
"Io non ho ucciso Ron! Tu me l'hai fatto fare!!"
"Oh, è sempre facile demandare la responsabilità dei propri istinti a forze che non conosciamo…Forze malvagie, che stregano l'animo umano, obbligandolo a compiere atti disdicevoli. Mere giustificazioni, Potter! Tu lo volevi morto, e io ti ho incoraggiato sul sentiero che esitavi ad imboccare.
Ti sento, riesco quasi a percepire il luogo in cui ti nascondi. La resa dei conti è vicina, non è mai stata così vicina come lo è adesso…"

L'eco di quelle parole svanì come in un lampo. Ed Harry finalmente ricordò.
Nello spazio di tempo sospeso in cui era rimasto svenuto, Voldemort aveva invaso la sua coscienza, tentando le zone più basse della sua psiche; aveva fatto riaffiorare pensieri che nemmeno lui sospettava di covare…
L'Anatema che Uccide non era l'unica maledizione in grado di tacitare rapidamente una persona, gli aveva rivelato: esisteva un altro incanto, silenzioso e inarrestabile, che solo chi possedeva una conoscenza magica di livello più che avanzato poteva eseguire. Se fosse stato colpito da quell'Anatema, Ron avrebbe avuto il tempo di realizzare quanti errori aveva commesso in vita sua; avrebbe avuto il tempo di dolersi per la sua stoltezza, e di soffrire al pensiero della vita che lo abbandonava…Finché il suo cuore non avesse cessato di battere. Una punizione appropriata.

Harry si trascinò verso la sagoma di Hermione, temendo che lei lo avrebbe respinto, che gli avrebbe gridato contro: "Mostro! Assassino!".
E tuttavia la cinse in un abbraccio silenzioso.
Lei dapprima sussultò. Poi prese le sue mani, che lui le aveva posato in grembo, e lasciò che Harry la cullasse.
"Oh, Harry…Tu non avresti mai…non avresti mai potuto…"
"Tu-Sai-Chi. Lui mi ha spinto ha farlo", disse Harry con voce atona.
"Ma se nel profondo del mio animo io non l'avessi desiderato, dubito che ci sarebbe riuscito", aggiunse poi.
"Sono maledetto a vita. Non mi sarei ricoperto di tanta sventura nemmeno uccidendo un unicorno…"
Lei lo guardò, come se dietro quegli occhi verdi si illudesse di ritrovare la parte migliore di Harry.
Qualunque cosa fosse successa d'ora in avanti, niente avrebbe potuto sconvolgerla più di questo. E sarebbe rimasta con lui fino alla fine, perché lì era il suo posto.

"A questo punto, ci rimane solo una cosa da fare", disse Harry in tono amorevole ma risoluto.
"Harry, non avrai intenzione…"
"Si. Riporteremo Ron alla sua famiglia. Sarebbe da vigliacchi lasciarlo qui"
Hermione assentì impercettibilmente.
"Ed è giunto il momento che qualcuno prenda in consegna il mio fardello. È giusto che siano loro. Abbiamo corso troppi rischi senza assicurarci che qualcuno potesse continuare l'opera che ho abbandonato"

Due ore dopo, quando si furono ripuliti ed ebbero rubato tutto il tempo che potevano per assimilare – almeno in parte – la perdita di Ron, erano pronti a raggiungere la Tana.
O meglio, erano decisi a fare quello che era giusto. Pronti per comunicare alla signora Weasley che suo figlio era morto, non lo sarebbero mai stati.

Uscirono dalla morsa della Smaterializzazione con un malessere che non aveva niente a che vedere con la compressione spaziale. Entrambi poggiavano una mano sul petto di Ron, che galleggiava a tre spanne da terra, disteso, grazie a un incantesimo di librazione.
Nella coltre invernale di quella tragica serata, la Tana appariva ancor più diroccata. Segni di abbandono spiccavano tra la stia e le finestre sprangate; un'atmosfera desolante e spoglia si stagliava nella vividezza del cielo senza stelle.
Il manto blu cobalto della notte avvolgeva l'edificio in uno spettro che aveva il sapore dei ricordi perduti.

Dopo quelli che parvero secoli passati ad esitare, tentennando e scegliendo con cura le parole, battendo i piedi per il freddo e incoraggiandosi reciprocamente ad avanzare, Harry ed Hermione bussarono alla porta.
In casa, malgrado l'impressione di abbandono, erano presenti il signore e la signora Weasley, Bill, Charlie, Fred e George. All'appello mancavano Percy, probabilmente troppo occupato a farsi bello al Ministero per occuparsi dei suoi cari, e – Harry notò con grande sollievo – Ginny.
Dover affrontare la sorella minore di Ron sarebbe stato troppo. Preferiva ricordarla nei pomeriggi felici che avevano trascorso insieme, non mentre lo fissava con espressione accusatoria per aver tradito lei e distrutto la sua famiglia.
Naturalmente, la notizia che Ron era morto non colse nessuno alla sprovvista, perché già da tempo l'orologio che i Weasley tenevano in casa aveva informato tutti della sua dipartita.
La signora Weasley sembrava aver pianto per ore, anche se il marito aveva continuato ad ipotizzare che l'orologio poteva essere guasto, perché in fondo anche i manufatti magici potevano guastarsi, giusto?
Sul volto dei gemelli non c'era traccia di ilarità, e dover ammettere la propria colpevolezza davanti a loro e davanti a Bill e Charlie, che lo guardarono con un'espressione di incredulità e profonda delusione, non fece che accrescere il tormento di Harry.
La signora Weasley, che era sempre stata amorevole con lui, si dimostrò comprensiva dicendo che sicuramente era opera di Voldemort, che Harry non era responsabile di quanto era successo. Ma una nuova freddezza, un sentimento di distacco, si insinuò tra lui e la donna.
Molly Weasley non volle sentire ragioni. Nessuno poté dissuaderla dall'uscire dal cerchio di protezione magica imposto attorno alla Tana, trasportando Ron tra le braccia, per dargli sepoltura.
Tutti gli altri la seguirono, Harry ed Hermione a debita distanza, consapevoli di esporsi ad un pericolo non indifferente, ma incuranti del rischio.
Uno alla volta, onorarono la memoria di Ron, ricordando ciò che era stato come meglio potevano.
Hermione non riuscì a finire il suo discorso, e si allontanò dalla tomba con la signora Weasley che le cingeva le spalle.
Tutto quanto Harry aveva da dire, lo disse in un silenzio distaccato.

Ron venne sepolto con le due metà dell'Horcrux appese al collo e la spada di Grifondoro posata sul petto. Si trattava di un'arma fatata, che sarebbe sicuramente riapparsa in caso un Grifondoro puro di cuore ne avesse avuto bisogno; ma era giusto che simbolicamente la tenesse Ron.

La cerimonia si concluse con l'ultima dichiarazione di Harry: la missione che Silente gli aveva affidato. La ricerca degli Horcrux.
Harry dichiarò esplicitamente che era sua intenzione sparire con Hermione, e che l'incarico di cui aveva fatto parola doveva rimanere una loro prerogativa, in caso avessero deciso di assolverlo.
Nessuno fece obiezioni. Tutti i Weasley presenti sembravano risoluti a portare a termine quell'impresa, con o senza Harry.

Stavano rientrando nell'area coperta dall'Incanto Fidelius, che Harry sussurrò ad Hermione:
"Forse è vero che non sono più il fantoccio di nessuno…Ho sempre pensato che la gente possa fare molto più di un singolo individuo, se unita da una causa per cui vale la pena lottare".
Poi, parlando ancora più piano:
"Ti porterò via da questo inferno, è una promessa. Voldemort non ci troverà mai"
"Noto con piacere che conservi ancora un po' della tua intraprendenza, Potter"
Voldemort era apparso in una nube di fumo acre proprio in mezzo al campo di erbacce; solo, torreggiante, un'inflessione incommensurabilmente malvagia nella voce.
"Mettiamola alla prova…"

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Redenzione ***


Il Mago Oscuro che aveva ucciso i suoi genitori era apparso lì, richiamato dall'Incantesimo contenuto nel suo nome, ed era sprovvisto dei seguaci che di solito lo accompagnavano nei suoi genocidi.
La sua smania di vendetta l'aveva fatto giungere più in fretta degli altri? Oppure, era sua ferma intenzione porre fine alla questione personalmente, senza altri testimoni che la vallata brulla intorno a loro e la pallida falce di luna risplendente tra le nubi?
Poco importava, considerò febbrilmente Harry. Sapeva che per Voldemort, i Weasley non erano che moscerini e lui, il Ragazzo Che È Sopravvissuto, era un moscerino particolarmente fastidioso.
Doveva proteggere Hermione a ogni costo.
Voldemort sfoderò la bacchetta con un gesto aggraziato e solenne, facendoli sobbalzare. Lo strumento che reggeva tra le dita possedeva le fattezze più inquietanti che Harry ricordasse di aver attribuito a una bacchetta.
"Ti piace, Harry?", disse Voldemort con voce fredda e acuta.
"Ti confesso che avevo ben altri piani per te, e nelle ultime settimane mi sono operato febbrilmente per trovare la Stecca in grado di cancellarti dalla faccia della terra. Ma poi", aggiunse in un ghigno, "che sorpresa!"
"Il tuo improvviso…cambio di personalità mi ha spinto ad accelerare i tempi. Il buon Gregorovich ha superato sé stesso, non trovi? Ebano lavorato e lingua di Chimera", disse accennando alla bacchetta, che era spessa e presentava delle bizzarre deformità sull'impugnatura.
Harry non gli staccava gli occhi di dosso. Era come un serpente, un serpente che lo ipnotizzava.
Avvertì un tocco impercettibile che lo fece riscuotere: Hermione stava silenziosamente indicando un punto ai piedi di Voldemort.
Strizzando le palpebre nella semioscurità, Harry scorse una sagoma frusciante, un grosso, viscido serpente che si srotolava tra gli steli d'erba. Il Signore Oscuro aveva portato con sé Nagini!
Improvvisa come una Maledizione senza Perdono, in Harry era riaffiorata l'idea di distruggere quanti più Horcrux poteva, e – se mai vi fosse riuscito – di trascinare con sé Voldemort nell'oblio.
Ma come abbattere la bestia se questa si aggirava così vicina al Mago Oscuro più potente del pianeta?
Voldemort sembrava stanco di indugiare in preliminari, e Harry vide che si apprestava a sollevare la bacchetta. Ma Hermione colse tutti di sorpresa.
"Evocàtio Ardemonium!!", ruggì la ragazza nell'oscurità.
Una colonna di fiamme di proporzioni smisurate eruppe dalla sua bacchetta, assumendo le forme più minacciose e inverosimili. Sembrava che una legione di demoni infernali si fosse riversata su quel campo, ansiosa di divorare vite umane.
L'anatema partì alla carica contro Voldemort, che si fece scudo quasi senza muoversi. Il fuoco si squarciò come una creatura colpita a morte, e per un attimo Harry temette per i Weasley.
Ma le fiamme si limitarono a sparpagliarsi all'intorno, chiudendo ogni possibile via di fuga nel raggio di dieci metri; le lingue di fuoco non avanzavano né si ritraevano: continuavano semplicemente a bruciare. Erano intrappolati in un anello di fiamme insieme a Voldemort.
"Che cosa credevi di fare, sciocca ragazzina? La Magia Oscura non si addice certo a una sporca Mezzosangue come…", ma l'insulto gli morì in gola. Ai suoi piedi, una lunga sagoma carbonizzata e crepitante si contorceva in agonia. Nagini chinò la testa triangolare e morì.
Una luce vivida e insostenibile si accese negli occhi di Voldemort.
"Dunque voi sapete…"
Harry si protendeva per fare da scudo a Hermione con il suo corpo. Il signor Weasley, dal canto suo, cercava di proteggere la moglie e i gemelli, mentre Bill e Charlie stavano in allerta, bacchette spianate.
Una fredda risata echeggiò nell'anello di fuoco.
"È singolare, Potter. Nella mia mente, mi sono sempre figurato che saresti morto dentro le mura di Hogwarts, la scuola che ci diede i natali; o magari, nella Foresta Proibita…Ma mai avrei pensato che avresti esalato l'ultimo respiro qui, davanti alla tomba dell'amico che hai ucciso!"
"E sia!", disse Harry, "Fatti avanti e combatti, viscida serpe!"
"Oh, non credo proprio che mi sporcherò le mani con te", replicò Voldemort con aria beffarda.
"Saranno i tuoi amici a giustiziarti in mia vece…"
Davanti all'espressione esterrefatta di Harry, Voldemort si girò e si rivolse direttamente ai Weasley.
"Guardatelo! È lui lo sporco traditore che ha minato l'integrità della vostra famiglia, tradendo il suo migliore amico per dare sfogo ad un banalissimo desiderio sessuale!".
Dal suo corpo trasudava una nebbia oscura e incorporea, che insinuò in Harry la stessa disperazione che provava al cospetto dei Dissennatori.
"Harry Potter, e quella sgualdrina della Granger…devono morire. Uccideteli e vendicate Ronald Weasley!!!"
Sulle prime, Harry non volle crederci…Ma poi vide gli occhi dei Weasley infossarsi, diventare bianchi e incavati; le loro bacchette si alzarono come mosse da fili invisibili, e le cinque figure che si trovavano dietro Voldemort presero ad avanzare verso di loro. Quello era un anatema ben più potente della Maledizione Imperius: i Weasley parevano Inferi resuscitati.
Hermione lo riscosse dalla tenebra.
"Harry, non cedere! Insieme possiamo farcela!"
Lui fece un mezzo sorriso.
"Hermione, il problema non è affrontare la famiglia di Ron…Il problema è che…è che io, anche se desidero starti accanto, sento che è giusto…È giusto che la famiglia di Ron si liberi di me. Forse glielo lascerò fare senza opporre resistenza"
Hermione scoppiò in lacrime.
Proprio in quel momento, uno dei gemelli lanciò un "Avada Kedavra" nella sua direzione.
Harry ed Hermione fecero un Sortilegio Scudo nello stesso istante, e vennero sbalzati sul prato in un lampo di luce verde. Voldemort rideva con gioia maligna.
Harry si rialzò, gridò: "Levicorpus!", e il gemello Weasley venne rivoltato lì dove si trovava, cadendo di testa sulla fredda terra. Harry vide che si riscosse, come squassato da dei brividi.
"Fred!!", gridò, "Cerca di tornare in te!!"
Quello lo guardò per un istante, gli occhi bianchi e inespressivi.
Poi disse: "Io sono George, cretino! Quello che ha ancora tutte e due le orecchie è Fred!", e poi scagliò uno Schiantesimo sul gemello.
Lentamente, come in una reazione a catena, i Weasley si ridestarono dal torpore, riscuotendosi vicendevolmente a colpi di bacchetta, mentre sul volto di Harry si allargava un sorriso doloroso.
Molly Weasley cadde in ginocchio, distrutta.
"Siete inutili anche come servi!", sbraitò Voldemort, pronto a finire in un sol colpo coloro che non era riuscito a plagiare.
"No!", urlò Harry.
"Nessuno morirà stanotte".
Voldemort si voltò verso di lui molto lentamente, i bagliori di fiamma che si rispecchiavano nei suoi occhi ridotti a fessure.
"Hai ragione, Potter. Il mio avversario sei tu!".
Ad un gesto della sua bacchetta, l'erba che pendeva, fradicia, ai piedi di Harry, crebbe in modo abnorme e lo strinse in una morsa selvaggia. Hermione gridò. Gli steli erano così stretti che scavavano solchi insanguinati nella carne di Harry.
Il ragazzo riuscì a liberare un braccio e sollevò la sua bacchetta, deciso a tentare il tutto per tutto…
"Ora basta", disse Voldemort.
Un altro gesto aggraziato, e il braccio di Harry che impugnava la bacchetta carambolò via, troncato di netto.
I legacci si sciolsero, e il ragazzo si accasciò al suolo, pallido in volto. Hermione cercò di sorreggergli la testa, ma Harry tremava, scosso dagli spasmi. Il sangue inzaccherava l'erba e colava sul cappotto di Hermione, macchiandole le mani.
"No!...No!!"
"Non era esattamente la luna di miele che immaginavo…", disse Harry in un sussurro.
"Ma è stato bello finché è durato, vero, Hermione? Ti ho amata come mai avevo amato nessuna…Tu sei stata molto più di una sorella, per me. Tu mi hai tenuto…in vita"
"No, no, no…Non parlare…Non abbandonarmi, Harry"

"Che scena toccante…", sibilò Voldemort.
"Vi concederò l'onore di morire insieme", e sollevò la bacchetta, pronto a colpire…

"Hermione, ti ricordi quell'incantesimo che non ti riusciva molto bene…?"
Lei lo guardò, scossa dai singulti, e annuì impercettibilmente.
"Prestami…il tuo braccio…", sussurrò Harry, e pose la mano sinistra sulla mano destra di Hermione, che ancora stringeva la bacchetta.
"Sei pronta?...Al mio tre…Uno…Due…Tre!"

Voldemort ruggì: "Avada Kedavra!!!"

Muovendosi come un sol corpo, Harry ed Hermione gridarono: "Expecto Patronum!!!"
Ma l'essere che sgorgò dalla punta della bacchetta di Hermione non era né un cervo né una lontra. Era gigantesco, colossale, e aveva le fattezze di un grifone.
Tutta la vallata fu inondata dalla sua luce, e le fiamme si piegarono e si spensero, come spazzate via da un vento invisibile. La maledizione di Voldemort ne venne respinta in un'esplosione di scintille verdi.
L'invincibile Mago Oscuro, pietrificato dall'orrore, si vide venire incontro quell'essere diafano che lo incalzava agitando le potenti ali. Non fece in tempo a scagliare incantesimi.
Il grifone di luce lo azzannò alla gola, più violento di qualsiasi anatema, e scavò larghi solchi nel suo petto con gli artigli affilati, lì dove doveva trovarsi il cuore. Il sangue magico che Voldemort aveva ereditato da Harry non fece in tempo a sgorgare dal suo corpo, perché il tocco del Patronus lo fece congelare nelle sue vene, dove si cristallizzò e si dissolse in una manciata di polvere.
Mentre la bestia svaniva nell'aria in una cascata di luce, Voldemort crollò in ginocchio, svuotato di ogni energia ma non ancora sconfitto. Reggendosi faticosamente con una mano, rovesciò gli occhi furenti e berciò:
"Potter…Harry Potter!!!"
E quelle furono le sue ultime parole, perché una manciata di Anatemi che Uccidono scagliati dai Weasley posero fine alla sua esistenza mortale.



Harry era disteso a pancia in su nel prato. Le poche fiamme isolate che ancora scoppiettavano facevano risaltare di un lucore scintillante la cicatrice che Ron gli aveva inferto.
"Sembra che…sia il mio destino portarmi sempre addosso una cicatrice…", disse in un sogghigno.
Hermione gli carezzò delicatamente la fronte, piangendo su ciò che restava del suo corpo scempiato.
"Harry…Come farò senza di te?", disse lei in un sussurro.
"Qualcosa di Corvonero, qualcosa di Tassorosso…Credimi, Hermione, se potessi resuscitare…a costo di perdere entrambe le braccia…lo farei. Ma ora non è più possibile…Ti affido a Neville…Lui saprà di certo dove trovare i pezzi…mancanti…"

Il ragazzo riuscì a scorgere ancora per un momento il volto angelico di Hermione che lo chiamava, bellissimo e rigato di lacrime; i volti dei signori Weasley, dei gemelli, di Bill e Charlie…
Poi esalò un respiro lungo e profondo.
E infine, venne il buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Epilogo ***


Harry riaprì gli occhi.
Era disteso su quella che pareva una superficie bianca, né fredda né calda.
Rialzandosi, constatò con meraviglia che il suo corpo appariva integro e in perfetta forma e, cosa ancor più strana, era nudo.
Guardandosi intorno, riconobbe da alcuni particolari sfuocati che si trovava in una versione gigantesca della stazione di King's Cross.
Com'era possibile? Come era capitato in quel posto? Era davvero morto?
"Per rispondere alla tua domanda, Harry…Si. E no"
Con sua immensa meraviglia, il professor Silente emerse dalla nebbiolina lattiginosa e gli venne incontro.
"Lei?"
"Immagino di si. E a quanto pare, questa gradevole scenografia è opera tua, Harry. Se avessi saputo che possedevi un simile guizzo per le decorazioni, ti avrei incaricato di aiutare il professor Vitious", disse Silente con un risolino.
Harry si guardava i piedi, metà compiaciuto metà esterrefatto. Alle sue spalle, qualcosa di piccolo e viscido raspava il pavimento producendo un rumore osceno.
Silente gli mise una mano sulla spalla, scuotendo la testa.
"Lascia perdere, dico davvero. Non possiamo fare più niente per lui"

Harry aprì e richiuse la bocca, in evidente imbarazzo.
"Professore…Io l'ho delusa"
Silente fece un mezzo sorriso.
"In fin dei conti, hai commesso gli stessi errori che ho commesso io in gioventù…Hai inseguito delle fantasie; hai ucciso quello che un tempo era il tuo migliore amico", e qui dal suo tono trasparì una punta di amarezza.
"Si…Ma lei è riuscito a redimersi, ha cambiato il mondo con le sue scoperte…!"
"…Per giungere infine allo stesso risultato che hai conseguito tu, Harry: sono morto. E di certo le nostre morti non sono state invano", aggiunse con una nota di gaiezza ritrovata nella voce.
Harry e Silente presero a camminare sulla piattaforma.
"Professore, prima che io…Prima che io arrivassi qui, è successo qualcosa di molto strano con Hermione…"
"Io lo definirei più che naturale, Harry, anche se certo, gli appetiti differiscono da persona a persona…"
Harry aggrottò un sopracciglio.
"Oh? Perdonami, Harry. Ti stavi riferendo all'Incanto Patronus combinato, immagino"
Harry annuì.
"Ragazzo mio, quello che tu e la signorina Granger avete fatto rientra nella categoria delle magie incategorizzabili…"
Silente lo scrutò con espressione indecifrabile, poi proseguì:
"Si dice che il Patronus di una persona possa cambiare in base all'orientamento della sua anima, e persino ai suoi sentimenti più profondi…Ma solo due anime che condividono lo stesso sentimento potevano dare vita ad un Patronus di una simile potenza. Questo, tuttavia, è stato solo teorizzato"
"Non esistono cronache riportate nella storia della magia, sai, che facciano riferimento a due maghi follemente innamorati che usino l'Incanto Patronus condividendo la stessa bacchetta"
"…E probabilmente, nemmeno questo ti avrebbe spinto a prestare attenzione alle lezioni del professor Rüf"
Harry sorrise. "Bè, suppongo che dovremmo andare, Harry. È già un'eccezione non da poco trovarci qui…Confido che la signorina Granger e il signor Paciock porteranno a termine il lavoro che tu sei stato così celere da passar loro in consegna"
"E anche i Weasley", aggiunse Harry in un moto di nostalgia.
"Hai ragione. Ma stiamo dimenticando la persona più importante…"
"A chi si riferisce?", domandò Harry.
"È mia ferma convinzione che tuo figlio non dovrà mai patire gli affanni che tu, caro ragazzo, hai già abbondantemente sofferto. Ma casomai Voldemort dovesse risorgere ancora…"
A Harry venne un nodo allo stomaco, che pure sembrava vagamente incorporeo.
"…Immagino che ci penserà Harry Ronald Potter a mettere le cose a posto".

Il volto di Harry si illuminò mentre camminava assieme al professor Silente in direzione di una luce che sembrava irradiare da ogni parte.
"E a proposito del signor Weasley…Immagino che sarà ansioso di incontrarti e di fare pace"
"Almeno fino a quando non torneremo a vivere in un altro dove, e in un altro quando. In altre forme…", disse poi Silente con una nota ironica nella voce.
"Spero che ci sia una scopa, da qualche parte. Ho una gran voglia di giocare a Quidditch", disse Harry mentre si preparava ad incontrare la sua famiglia, i suoi amici che non c'erano più e il suo padrino.

La Morte non aveva bisogno di donargli nulla: era già un dono di per sé.






Ringrazio chi ha leggiucchiato, letto, seguito, commentato (ci vuole fegato e cervello a scrivere delle recensioni sentite e/o meditate, dunque un doppio grazie) e messo la storia tra le preferite.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=387543