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A
voi uno stralcio di vita quotidiana dei nostri protagonisti. Segue la
trama della mia fanfiction “Come
un Vaso di Pandora”.
Spero
sia di vostro gradimento, l'ho scritta di getto :)
Segreti
Mamoru
era seduto comodamente sul divanetto del Crown, chiuso al pubblico,
una tazza di caffè nero fumante e Motoki, il suo amico di
sempre. Si stava godendo un pomeriggio di assoluto relax come non
succedeva da tempo immemore. Gli studi, l'imminente tirocinio, quegli
attacchi anomali e l'organizzazione del matrimonio avevano
prosciugato ogni sua riserva di energia. Sorseggiò il caffè
e gustò a lungo l'amaro della calda bevanda, poggiò la
tazza sul tavolo e si stiracchiò le braccia abbandonandosi a
un respiro profondo. «Stanco?» Motoki sorseggiò
il suo the verde. «Lascia stare, non ce la faccio più!
Sto lavorando da mesi alla tesi ma non riesco a concentrarmi come
vorrei.» Sbuffò Mamoru reclinando la testa verso lo
schienale della poltroncina. «Posso solo immaginare la tua
situazione, la città viene sempre attaccata da quei cosi...»
rispose il ragazzo abbassando il tono della voce e incredulo per il
tema trattato in quella discussione «Youma, sono
degli youma. Li chiamiamo anche daemon, dipende dalla
loro natura» bevve altro caffè e si mise in una
posizione comoda «La mia fonte principale di stress ha un nome:
Usagi!» Motoki scoppiò a ridere. Conosceva bene il
caratterino di quella ragazza che ormai considerava come una sorella
minore. Da quando Mamoru le fece la proposta di matrimonio, Usagi era
in perenne fermento coinvolgendo tutti nell'organizzazione della
cerimonia. Ricordò quel pomeriggio quando Usagi sfogliò
ben quattro cataloghi di possibili location e Mamoru, nascosto dietro
un paio di occhiali da sole, si addormentò con il viso
poggiato sul palmo della mano. Rise quando il braccio del ragazzo
cedette e sbattè la faccia sul tavolino causando l'ira di
Usagi che abbandonò il locale dopo aver inveito contro il
fidanzato. «Dovresti trovare una valvola di sfogo. Non hai
un hobby?» «Curo il mio acquario» borbottò. «Ma
quale acquario! Iscriviti in palestra, fai un po' di boxe...anche se
a pensarci bene non credo tu ne abbia bisogno!» «Dovresti
seguire l'esempio di Minako e Usagi» I due ragazzi si
voltarono di scatto. Un gatto bianco stremato salì sul tavolo
e si acciambellò «Ragazzi, potete adottarmi solo per
questo pomeriggio?» fiatò con aria affranta. «Artemis,
cosa succede?» «Cosa succede? La tua fidanzata passerà
l'intero pomeriggio a casa nostra. Sai cosa significa?» Mamoru
ricordò gli impegni di Usagi, doveva aiutare la sua amica con
il cambio del guardaroba e relativo scarto di vestiario. «Devono
fare le pulizie, cosa ci sarà mai di così...tragico?»
chiese divertito il moro. «Non puoi capire!» strillò
Artemis «Quelle due insieme sono l'apocalisse e a farne le
spese è la mia povera testa! Sono scatenate...anche ai tempi
del Silver Millennium erano così, Serenity e Venus ne
combinavano di tutti i colori. Te ne rendi conto?» «Non
esagerare, sono delle pasticcione lo sappiamo, ma non credo siano
portatrici di sciagure! Non sono più delle ragazzine!»
rise Mamoru. «Perchè non vai a constatare con i suoi
occhi?» Mamoru finì il caffè e pensò
alle parole di Artemis. Spiare Usagi in un momento di intimità?
No, non se ne parla, è poco rispettoso però... «Io
al tuo posto ci andrei» Motoki si rivolse al ragazzo e
accarezzò il gatto «In fin dei conto tra un anno vi
sposerete, dovresti conoscere tutti gli aspetti della tua futura
moglie. Non credi?» «No Motoki, non mi sembra
rispettoso» Mamoru si alzò dirigendosi verso l'uscita
salutando il ragazzo con la mano «Credo che andrò a casa
a rilassarmi con un buon libro. Alla prossima e grazie per il
caffè.» Motoki e Artemis rimasero da soli. «Ti
va di raccontarmi qualcosa sul passato delle ragazze? Se vuoi ti
offro un po di latte.» «Ma quale latte...» venne
avvolto da un lieve bagliore e la sua forma umana prese posto
«Portami un Jack & Coca!» Motoki rimase scioccato
per qualche secondo, osservò Artemis incuriosito. Da gatto
a...umano? «Non preoccuparti per la licenza, ho superato la
maggiore età da qualche secolo» rise canconando il
biondo. Motoki scosse la testa e si abbandonò ad una risata.
Aveva degli amici più che unici. Magici.
***
Mamoru
passeggiava senza meta, mani in tasca e passo lento. Si fermò
davanti a una villetta, guardò la costruzione e riconobbe la
casa di Minako. Sorrise, era totalmente assorto nei pensieri che non
si accorse di aver sbagliato strada. Dovresti conoscere tutti
gli aspetti della tua futura moglie. Non credi? Sentì
delle risate e del chiacchiericcio, riconobbe la voce cristallina
della sua Usako. Sospirò «Accidenti a te Motoki!»
e scavalcò il cancelletto arrampicandosi sull'albero
nascondendosi tra i fitti rami ricchi di fogliame. Vide Minako, i
lunghi capelli raccolti in due trecce fermate alla base della nuca
formando una graziosa acconciatura retrò. La ragazza si
avvicinò alla finestra spalancandola, chiuse gli occhi e
respirò l'aria frizzantina. Mamoru squadrò Minako,
ne osservò il viso lineare, le lunghe gambe snelle e toniche,
il sedere alto e sodo fasciato da un paio di pantaloncini bianchi, le
curve del seno messo in evidenza dal top arancione. Era una
bellissima ragazza, non riusciva a capire come mai fosse ancora
single. Se lui non fosse impegnato..Chiuse gli occhi scuotendo il
capo e cancellando ogni strana fantasia, si sentiva un pervertito «Ma
che sto facendo?». Cercò di alzarsi per andarsene quando
si bloccò sentendo Usagi.
«Certo che Kevin è
sempre un grandissimo figo!» Mamoru si voltò di scatto
verso la finestra. Chi cazzo era Kevin? Strinse i pugni e si avvicinò
furtivamente per osservare meglio la sua ragazza. Usagi abbracciava
un cuscino a forma di cuore con una fotografia stampata. Cercò
di focalizzare l'immagine ma la ragazza lo teneva premuto al petto.
La vide fare una piroetta e gettarsi sul letto di Minako, i gomiti
poggiati sul materasso e il viso sostenuto dalle mani. Mamoru osservò
la sua ragazza, indossava dei shorts di jeans attillati e una canotta
corta semplice bianca. Gli odango avevano lasciato il posto ad una
morbida treccia mentre piccole ciocche ribelli erano bloccate da una
fascia rossa per capelli. La sua Usako sembrò una pinup degli
anni Cinquanta, era bellissima e seducente ma un tarlo gli tormentava
la mente: chi era Kevin?
«Eh Kevin...gran bel fusto!
Bello da giovane, bellissimo ora!» squillò Minako con
occhi sognanti «E Nick? È diventato un bellissimo
uomo...darei carte false per ottenere un pass VIP di un loro
concerto!» aggiunse. «Lo otterremo! Ho attivato
l'alert su Ticketone, appena segnaleranno le date della tourneè
compro subito i biglietti!» Rispose eccitata Usagi. Minako
si avvicinò al computer portatile, digitò il titolo di
una canzone sul campo ricerca di Youtube e accese le casse
stereo. «Senti qui Usagi!» Un suono robotico, dei
vocalizzi maschili e una musica commerciale decisamente anni Novanta
risuonò nella stanza. Minako cominciò a ballare
abbandonandosi al ritmo di quella canzone, prese una spazzola
impugnandola come un microfono e cominciò a cantare.
I
may run and hide When you're screamin' my name, alright But let
me tell you now There are prices to fame, alright All of our
time spent in flashes of light
Minako
cominciò a ballare in modo seducente, ondeggiò i
fianchi con movimenti sinuosi e con una mano incitò Usagi ad
unirsi in quella danza scatenata. Mamoru rise divertito davanti a
quel teatrino e al buffo tentativo di schiodare la sua pigra
fidanzata dal morbido letto. Sorpreso vide Usagi alzarsi di scatto e
imitare la sua amica usando anche lei un oggetto come microfono
fittizio.
All you people can't you see, can't you see How
your love's affecting our reality Every time we're down You can
make it right And that makes you larger than life
Una
nuova voce intonò il ritornello di quella canzone accompagnata
da passi coordinati e pieni di vitalità. Mamoru rimase rapito
dalle movenze della sua ragazza, era bellissima, tremendamente sexy e
la sua voce era...intonata? Da quando?
«Ora si che ti
riconosco!» urlò divertita Minako dando uno schiaffo sul
sedere sodo dell'amica. «Lo sai che non resisto ai
Backstreet Boys, Mina!» Mamoru sentì un caldo
improvviso, quel gesto audace lo aveva eccitato. Voleva raggiungere
la sua Usako e schiaffeggiarla in quel modo. Trattenne l'eccitazione
e si morse il labbro con la speranza di calmarsi. Minako rise di
gusto, continuò a ballare lanciando in ogni dove gli indumenti
inizialmente poggiati sulla sedia. Si avvicinò al portatile e
cercò un altro brano «Ci sono altri titoli irresistibili
mia cara» disse rimanendo piegata sulla scrivania formando col
corpo un angolo retto. Muoveva i fianchi e tamburellava le dita sul
tappetino del mouse attendendo la fine della noiosa pubblicità
di Youtube. Mamoru si mise le mani tra i capelli «Non
guardare, non guardare, non guardare!» mormorò. Si
chiese cosa lo avesse spinto a rimanere li, nascosto tra i rami a
spiare due ragazze che si stavano divertendo. Accidenti ad Artemis,
accidenti a Motoki...accidenti alla sua improvvisa curiosità!
«Ecco
che arriva!» esultò Minako facendo partire la traccia
audio, si voltò verso Usagi e tese una mano verso l'amica. La
sua espressione mutò, divenne...sexy.
«Nessuno
può mettere Baby in un angolo!» disse la Minako
calandosi nei panni di Jhonny Castle.
Mamoru riconobbe la
citazione. Dirty Dancing, uno dei film preferiti di Usagi. Era
stato costretto a guardarlo più volte e lei, puntualmente,
sospirava e piangeva ad ogni coreografia di Patrick Swayze,
soprattutto il ballo finale. Mamoru lo trovava estremamente noioso.
Now I've had the time of my life No, I never felt like
this before Yes I swear it's the truth And I owe it all to you
'Cause
I've had the time of my life And I owe it all to you
Le
ragazze cominciarono a danzare abbracciate riproducendo l'esatta
coreografia del celebre film. Mamoru tentò di respirare meglio
tirando il colletto della maglietta, si sentì decisamente
eccitato nel vederle. Cercò di mantenere il controllo ma non
riuscì a distogliere lo sguardo dalle due ragazze, o meglio,
da Usagi. La vide spensierata, leggiadra come una farfalla,
abbandonata alla musica senza freni. Vide una ragazza normale nel
pieno della gioventù esternare la gioia di vivere, la propria
femminilità fino ad ora nascosta. Alternarono diverse
canzoni, hit famose sempre degli anni Novanta. Passarono da Coco
Jamboo a Zombie dei Cramberries, da canzoni lente a quelle
più ritmate. Osservò le ragazze riordinare la stanza a
ritmo di musica, diverse coreografie a seconda della canzone
selezionata.
«Usagi-chan, ti va un po di the freddo?
Sono completamente disidratata!» «Volentieri»
rispose la ragazza asciugandosi il sudore dalla fronte «Ti
raggiungo a momenti, voglio sentire una canzone che mi da la
carica!» Minako si diresse verso la porta della sua
cameretta «Ne avevi di stress da scaricare!» rise. «Già»
rispose Usagi «E non c'è niente di meglio che scatenarsi
con la musica!» «Senti ma...perchè non vai in
discoteca con Mamoru? Secondo me vi fa bene!» «Chi?
Mamochan?» rise di gusto «Non è il tipo! Lui è
un solitario, piuttosto si rinchiude in una noiosa biblioteca o un
museo e poi...lui non conosce questo mio aspetto...» «...Ribelle?»
ridacchiò Minako «In effetti non lo conosce nessuno! A
parte la sottoscritta!» «Deve rimanere un segreto!»
la ammonì Usagi mentre digitava sulla tastiera del portatile
in cerca del nuovo titolo. «Va bene Usa! Però secondo
me sbagli!» rispose uscendo dalla stanza per dirigersi in
cucina.
La bionda fece partire la traccia e prese uno
straccio. Tamburi e bassi, un ritmo incalzante e Usagi cominciò
a seguire la musica.
Been working so hard I'm punching
my card Eight hours for what? Oh, tell me what I got I've
got this feeling That time's just holding me down I'll hit the
ceiling Or else I'll tear up this town
Una canzone anni
Settanta, Footloose. Mamoru ascoltò la traccia, il
testo inneggiava la libertà, la spensieratezza, lo sfogo
dell'anima. Vedeva nella danza sfrenata di Usagi il significato di
quella canzone. Ammirò il viso sorridente, il corpo libero da
ogni tensione, le gambe e piedi in continuo movimento, passi sciolti,
coordinati e sensuali. Appoggiò la testa al tronco
dell'albero, l'allegria di quella ragazza lo contagiò e senza
rendersene conto schioccò le dita seguendo il ritmo della
canzone.
Finita la traccia Usagi si avvicinò alla
finestra, stiracchiò le braccia e respirò a pieni
polmoni per riprendere il fiato. «Ora sì che sto
bene!» sorrise. La fronte imperlata di sudore, il petto che si
gonfiava velocemente per il fiatone e un sorriso radioso la rendevano
bellissima. Chiuse le imposte della finestra e raggiunse Minako in
cucina. Mamoru scosse la testa «Artemis si riferiva a
questo?» rise e senza far rumore scese dall'albero e uscì
dal giardinetto di casa Aino. Una breve passeggiata e arrivò
a casa. Appoggiò le chiavi e il cellulare sulla mensolina
vicino l'ingresso e si diresse verso il bagno liberandosi degli
abiti.
«Usagi...ballare e cantare durante le pulizie.
Chi l'avrebbe mai detto?» si sciolse in una fragorosa risata.
Aprì l'acqua calda della doccia e accese la radio come sua
abitudine, l'acqua e la musica avevano su di lui un potere
rilassante. «Ballare in quel modo per scaricare i nervi...»
borbottò mentre versava il bagnoschiuma sulla spugna «che
cosa infantile!» e si insaponò corpo e capelli.
Un
giro di chitarra elettrica attirò l'attenzione di Mamoru che
uscì momentaneamente dalla doccia.
«I Guns! Adoro
questa canzone!» alzò il volume all'inverosimile e
rientrò il doccia. Cominciò a tenere il ritmo con il
piede per tutta la prima strofa intonata da Axl Rose fino al
ritornello.
Take me down To the paradise city Where
the grass is green And the girls are pretty Oh, won't you
please take me home Take me down To the paradise city Where
the grass is green And the girls are pretty Take me
home
Mamoru cantò a squarciagola usando il doccione
come microfono. Ballò dentro la cabina doccia urtando più
volte contro il vetro, imitò il suo cantante preferito mimando
gli accordi di una chitarra immaginaria. Si abbandonò alle
note di una canzone come sempre per distendere i nervi. Un'abitudine
segreta a tutti.
Note:
Ho
visto un video che mi ha ispirata. Credo che tutti noi, soli, ci
siamo abbandonati a un ballo sfrenato per distendere i nervi o
semplicemente per sentirsi liberi e ho immaginato questi personaggi
di esprimere i propri sentimenti. Soprattutto Usagi ballare come i
ballerini nel video-musa
In fondo alla pagina ci sono diverse note esplicative da non leggere prima per
evitare spoiler e i vari ringraziamenti.
Buona Lettura!
Magnetismo
I raggi del sole illuminavano il chiostro, il giardino interno era completamente
ricoperto di fiori dai colori dell’arcobaleno.
Serenity era seduta al centro dell’aiuola, sfogliava distrattamente un libro
mostrando disinteresse per la lettura. Conosceva a memoria tutte le nozioni e
immagini riportate nel manoscritto, ma non aveva mai potuto vedere con i propri
occhi i luoghi descritti in quelle pagine.
Era la principessa ereditaria del Silver Millennium, un regno lontano che
sorgeva sulle acque di un cratere lunare chiamato Mare Serenitatis, luogo dal
quale aveva origine il nome della fanciulla.
Il castello era per lei una prigione dorata, Queen Serenity, sua madre e regina,
le aveva imposto diversi obblighi, tra cui il divieto di allontanarsi dalla
corte e l’avventurarsi per le lande del satellite senza essere scortata dalle
sue guardiane Celesti, nobili guerriere protette dai pianeti del Sistema Solare.
Chiuse il libro dedicato alle leggende, accarezzò una pietra bianca incastonata
sulla copertina e pensò all’ultimo brano letto: la strega dormiente negli
specchi.
Odiava gli specchi, in particolar modo odiava quello enorme custodito nella
stanza reale della madre. Era molto grande, la cornice impreziosita da intarsi
dorati, lo specchio nero come la notte. Inquietante come la strega, secondo la
leggenda, imprigionata in esso dopo aver scagliato una maledizione contro la
principessa stessa.
Appoggiò il libro sulla panchina di marmo cercando di scacciare via quei
pensieri, la strega aveva predetto la fine del Silver Millennium con la morte
della principessa e la Regina prese ogni precauzione per proteggere la sua unica
figlia.
Le negò la libertà.
Serenity passeggiò per il chiostro, attraversò il lungo porticato e raggiunse la
grande balconata affacciata sull’infinita distesa di pietre e crateri. Appoggiò
i gomiti sulla balaustra di marmo bianco e si perse nei suoi pensieri osservando
il nero Universo, le infinite stelle e quel meraviglioso pianeta dalle mille
sfumature blu che dominava il cielo lunare.
«Chissà se il pianeta Terra è come la Luna.» sussurrò afflitta appoggiando il
viso sui palmi delle mani. «Quando sarò regina viaggerò per tutti i pianeti
sconosciuti!»
All’improvviso le balenò un’idea. Le guerriere e sua madre erano riunite nella
sala della preghiera insieme ai consiglieri Luna e Artemis.
E lei era completamente sola senza scorta.
Unì le
mani al petto, si concentrò e chiudendo gli occhi raccolse tutto il suo potere
che si manifestò in un’intensa luce che avvolse il suo corpo.
Un tepore
sulla pelle, nuovi profumi e suoni melodiosi. Serenity aprì lentamente gli occhi
cercando di abituarsi alla luce solare e rimase estasiata dal paesaggio che la
circondava: un’infinita distesa verde, una natura rigogliosa, fiori sconosciuti
e strane creature volanti. Alzò lo sguardo e si innamorò nell’immenso azzurro
che dominava il cielo.
«La Terra… sono sulla Terra.» rise facendo una piroetta su se stessa. Abbandonò
le sue scarpe su una pietra lì vicino e affondò i piedi nudi nella soffice erba
provando un dolce solletico. Respirò l’aria fresca a pieni polmoni inebriandosi
di quel nuovi profumi e tra essi assaporò per la prima volta quello più dolce:
il profumo della libertà.
Corse lungo la radura fiorita verso un piccolo ruscello, immerse i piedi
nell’acqua cristallina e si deliziò della frescura provata sulla pelle. Sollevò
il lungo vestito fin sopra le ginocchia per non bagnarlo e per gioco cominciò a
saltellare lungo il ruscello con la stessa euforia di una bambina, si divertì
nell’osservare il gioco di luci creato dal sole riflesso sull’acqua increspata
quando un essere vivente simile a un fiore si posò sul dorso della sua mano
destra.
Serenity sollevò il polso e osservò quella bizzarra creatura: un piccolo corpo
vellutato simile allo stelo di un fiore con due piccoli filamenti e quattro
petali bianchi con sfumature gialle in movimento.
Non aveva mai visto una farfalla.
L’insetto
riprese il volo, volteggiò leggiadro tra i fiori incuriosendo la principessa
che, estasiata da quel mondo a lei sconosciuto, lo seguì inoltrandosi ne bosco.
Esplorò quel luogo studiandone i colori della natura diversa dal freddo ambiente
lunare così come gli animali, quando si accorse della presenza di un terrestre
addormentato sotto le fronde di un salice piangente.
Il cuore di Serenity cominciò a battere velocemente, sua madre le aveva narrato
storie di guerre nate dalla malvagità sopita nell'animo dei terrestri e quella
situazione, sola in terra straniera, la spaventò. La curiosità però fu più
grande della paura, si avvicinò silenziosa nascondendosi tra i cespugli, avanzò
con piccoli e leggeri passi raggiungendo il salice illuminato da un raggio di
sole.
La luce riflessa sull'armatura donò al dormiente un'immagine solenne, Serenity
si fece coraggio e si sporse sul giovane; capelli neri come il cielo lunare, un
viso dai lineamenti delicati e labbra perfette leggermente socchiuse. Fu colpita
dalla straordinaria bellezza di quel terrestre, lo studiò in ogni suo dettaglio,
l'armatura scura e imponente, il lungo mantello vermiglio. Lo avrebbe osservato
in eterno quando notò la farfalla bianca, la stessa che aveva inseguito, posarsi
sui capelli del giovane; vide in quell'insetto un silenzioso segno del destino.
Sfiorò i suoi capelli scuri sentendone la morbidezza, li scostò curiosa per
scoprire del tutto quel bellissimo volto privo di imperfezioni, accarezzò la
fronte percependo il calore del corpo quando all'improvviso gli occhi dello
sconosciuto si aprirono; si ritrovò bloccata a terra da quel giovane che le
premeva una mano sull'esile collo mentre nell'altra brandiva una spada.
«Chi sei?»
Serenity provò a rispondere ma le parole le morirono in gola.
Per paura nel trovarsi in quella situazione pericolosa.
Per essere mentalmente rapita dall'intensità del blu profondo di quello sguardo.
Per le lacrime le bagnarono il viso.
L'uomo gettò l'arma sull'erba, si alzò lentamente mantenendo lo sguardo fisso su
quella donna e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
«Vogliate scusare la mia insolenza.» disse con voce roca inchinando il capo in
segno di riverenza. «Non volevo aggredirla. Nel sonno vi ho scambiato per un
bandito.»
Serenity rimase incantata dal giovane. «Non dovete scusarvi.» mormorò la ragazza
«Un fiore volante si era appoggiato sul vostro capo e temevo vi avreste
svegliato. Involontariamente ho disturbato il vostro riposo.»
Lui si voltò per raccogliere la spada, la rinfoderò e sistemò il mantello
fissandolo alle spalline con due fermagli d’oro.
«Un fiore volante?» chiese in tono sbigottito «I fiori non volano!»
Serenity fece qualche passo e gli indicò la farfalla appena posata sulla
spallina dell'armatura.
«E invece sì.» sorrise «Volano.» sfiorò l'insetto che, al tocco, riprese a
volare disegnando cerchi nell'aria per posarsi, quasi per incanto, sulla sua
mano.
Il giovane notò la straordinaria bellezza della fanciulla, osservò i lunghi
capelli dai riflessi argentei, la pelle bianca e luminosa, le labbra rosse,
carnose ed invitanti, gli occhi azzurri e luminosi come stelle; la veste candida
come la neve le donava un'immagine eterea.
Una visione celestiale che gli tolse il fiato tanto che dovette abbassare lo
sguardo per destarsi da quell’incanto.
«Siete scalza!» esclamò indicandole i piedi nudi.
«Sì.» rise. «Ho appoggiato le scarpe su quella pietra laggiù. Stavo correndo
sull'erba quando ho incontrato il fiore e...»
«Farfalla.» pronunciò l'uomo. «Si chiama farfalla. È un insetto.»
Vide la ragazza rivolgergli uno sguardo incuriosito, lo stesso di un bambino
appena affacciato al mondo, e pensò fosse una forestiera venuta da molto
lontano.
«Voi non siete di questa terra?» chiese ed ebbe la conferma del suo dubbio
quando vide la ragazza scuotere la testa.
«Vi accompagno alla pietra.» disse porgendogli il braccio per consentirle di
poggiarsi.
I due camminarono lentamente percorrendo a ritroso il ruscello, il giovane
rispose alle insolite domande che la fanciulla poneva e scoprì che lei non
conosceva nulla del mondo. Le spiegò cosa fossero gli alberi, gli uccelli, ogni
singolo insetto incontrato lungo il cammino. Si ritrovò ad osservarla con la
coda dell’occhio, rapito da quella bellezza al di fuori del normale quando
giunsero alla pietra dove era appoggiato un paio di scarpe bianche.
La ragazza alzò il viso e guardò il cielo, la sua espressione divenne triste e
gli occhi si velarono di lacrime.
«Devo tornare a Palazzo. Sento l’energia di Venus.» mormorò a occhi chiusi.
«Palazzo? Venus?» chiese sbigottito il ragazzo osservandola quando notò un
particolare visibile solo in quel momento, inizialmente nascosto dalla penombra
del bosco: uno spicchio di luna dorato impresso sulla fronte della fanciulla.
Udì un fruscio alle sue spalle, si voltò e vide una bellissima donna; occhi
celesti, lunghi capelli color del grano raccolti parzialmente da un nastro
bianco e un'insolita veste lunga dalle diverse tonalità dell'oro.
«Vostra Altezza, vi ho cercato per tutto il pianeta.» pronunciò severamente. «La
regina non si è accorta della vostra assenza. Dovete rientrare immediatamente.»
La principessa sospirò, fece un cenno di assenso con il capo e vide il giovane
osservarla esterrefatto.
«Scusatemi se non mi sono presentata ma ero rapita dai vostri meravigliosi
racconti.» disse, regalandogli un dolce sorriso.
«Il mio nome è Serenity, sono la principessa ereditaria del Silver Millennium,
il Regno della Luna.»
«Regno della Luna?» bisbigliò deglutendo nervosamente realizzando di aver
trascorso un intero pomeriggio con una Dea.
«E voi?» continuò Serenity.
«Endymion.» rispose inginocchiandosi rispettando l’etichetta di corte. «Sono il
principe ereditario del Golden Kingdom, il Regno della Terra.»
«Tornerò presto da voi, Endymion.» Serenity sorrise mestamente provando diversi
sentimenti contrastanti nel suo petto, emozioni mai provate prima.
Il principe la guardò intensamente e rimase ammaliato dalla bellezza divina
della principessa. Le prese la mano e con delicatezza la baciò.
«Spero di rivedervi presto, principessa Serenity»
***
Il sole era appena tramontato ed Endymion osservò l’oceano cambiare colore, le
onde dorate divennero sempre più scure uniformandosi al cielo mentre una linea
infuocata delineò il confine tra terra e cielo.
Prese un pugno di sabbia stringendo forte le dita, sentì la pressione dei
granelli pungergli il palmo della mano e allentò la presa. La sabbia cominciò a
cadere lentamente dalla mano per danzare nell’aria cullata dal vento; lui
osservò quei granelli per distrarsi dai pensieri che gli attanagliavano la mente
da giorni. Il ruolo che ricopriva e le responsabilità di futuro sovrano
gravavano sul suo animo da indurlo a desiderare di svegliarsi una mattina e
scoprire di essere un semplice suddito.
Avvertì dei passi alle sue spalle, il fruscio di un vestito e qualcuno gli coprì
gli occhi.
Il principe prese le mani e le allontanò dal viso, si voltò verso Serenity
perdendosi nel suo dolce sorriso; le accarezzò una guancia e lentamente
raggiunse il capo infilando le dita nei capelli argentei della fanciulla. Erano
trascorsi due mesi dal loro primo incontro e Serenity aveva mantenuto la sua
promessa di tornare sulla Terra. Gli incontri, inizialmente brevi, divennero
quotidiani ed Endymion, ad ogni appuntamento, scopriva un aspetto nuovo del
carattere della principessa.
Si sdraiò sulla sabbia, la testa appoggiata sulle ginocchia della ragazza e si
portò al viso una delle due lunghe code di lei respirando a fondo il suo dolce
profumo che sapeva di fiori.
«La Luna è bellissima vista dalla Terra» Serenity osservò l’astro argenteo alto
in cielo mentre carezzava i capelli corvini del principe.
«Mai quanto voi, siete più luminosa.» ribatté Endymion sottolineando la
luminescenza della sua pelle sotto i raggi lunari. Rise e tornò a guardare il
cielo beandosi di quelle dolci carezze.
«È giunta la Dea della Notte.»
«La Dea della Notte?»
«Sì» rispose Endymion indicando un puntino molto luminoso «La vedete quella
luce? È la Dea che oscura il cielo e permette a noi terresti di osservare le
anime degli eroi del passato.»
«Gli eroi del passato?»
«Le bianche luci del cielo notturno.»
Serenity cominciò a ridere «Oh, Endymion. Quelle sono le stelle!»
Il principe si mise a sedere, osservò la principessa deliziandosi della sua
risata cristallina.
«Questa notte sarò io la vostra mentore e voi l’alunno.» lo canzonò.
Serenity si sdraiò sulla sabbia dorata, gli parlò di stelle, di costellazioni,
pianeti e sistemi solari. Endymion pendeva dalle sue labbra e rimase incantato
dalla profonda conoscenza astronomica a lui ignota; lei era un fiume in piena di
parole ricche di nozioni misteriose.
«Le vostre guardiane sono protette dai pianeti, giusto?» ragionò il principe
cercando un collegamento tra i racconti di Serenity e i nomi delle guerriere.
«Sono delle Dee come voi?»
«Non sono delle Dee e nemmeno io.» Rise giocando con una piccola ciocca ribelle
«Rappresento la Luna, è vero, ma anche noi siamo destinati al sonno eterno. Gli
Dei sono esseri leggendari, entità a noi sconosciute Ci osservano, sono molto
severi e non conoscono il perdono.»
Serenity gli indicò un’area precisa del cielo. «Vedete quel fiume luminoso? È
stato creato dagli Dei per punire l’amore di Altair e Vega.»
Endymion si sdraiò al suo fianco, il braccio sotto la testa; era un uomo
dall’implacabile sete di conoscenza, aveva trascorso anni chino su manoscritti e
papiri, studiò testi antichi e moderni per conoscere a pieno il suo mondo, ma
confrontando la sua cultura con quella di Serenity comprese che gli studi
terrestri erano nulla rispetto al restante universo.
«Parlatemi di loro.» chiese il principe «Perché sono stati puniti?»
«Vega era figlia del Sommo Dio Celeste, era la tessitrice degli Dei mentre
Altair era un mandriano che ne accudiva il bestiame. Entrambi erano dediti al
lavoro fin quando, sulle rive di un ruscello, si incontrarono e si innamorarono
perdutamente a prima vista. Il Dio Celeste era contrario al loro matrimonio ma,
di fronte alla loro promessa di continuare ad adempiere ai loro doveri,
acconsentì.»
Il principe guardò il cielo, deglutì silenziosamente e ascoltò la leggenda
narrata dalla principessa. «Avevano la sua benedizione, perché punirli?»
«Erano follemente innamorati e smisero di lavorare incuranti delle conseguenze.
Gli Dei non ebbero più abiti né cibo, ma non fu solo per quello che furono
puniti. Avevano stretto un patto che infransero. Il Dio Celeste li divise per
sempre e per non farli incontrare aumentò le dimensioni del ruscello
trasformandolo in quello che ora voi state osservando, un immenso fiume
stellare.»
La principessa terminò il racconto, rimase in silenzio e con occhi chiuse
ascoltò il rumore delle onde infrangersi sugli scogli quando sentì Endymion
prenderle la mano e intrecciare le dita con le sue.
«Credete nell’amore a prima vista?»
A quelle parole Serenity spalancò gli occhi e si voltò verso il principe
notandone un’espressione affranta.
«Il giorno non potrà mai unirsi con la notte.»
«Serenity.» sospirò il giovane «Mio padre Etlio è malato e sta morendo. Come
erede al trono è mio dovere prendere moglie e voi siete…»
La principessa trattenne il pianto mordendosi il labbro, cercò di sorridergli e
tornò a guardare il cielo.
«Non posso prendere marito…»
«Perdonate la mia indelicatezza. Siete così giovane mentre io… credo di essere
immaturo.»
«Siete giovane ma non immaturo e io non sono così piccola.» proseguì lei. «Voi
avete vent’anni, io duecentoquarantotto.»
«C-Cosa? Duecen-»
«Noi abitanti della Luna viviamo mille anni. Quando la Regina mia madre si
addormenterà per sempre, io salirò al trono e genererò una nuova erede.»
«Come potrete avere una discendenza senza…»
«Oh Endymion, non fraintendetemi. Noi siamo stelle rigenerate provenienti dal
brodo primordiale del Galaxy Couldron. Noi, diamo alla luce una nuova regina
senza unirci carnalmente con un uomo. Siamo la personificazione della Luna, così
come lo sono le mie guardiane con i loro pianeti natii.»
Una lacrima rigò il viso della principessa «Io sono la Luna e come futura Regina
devo mantenere il giusto equilibrio tra Terra e Luna dedicandomi completamente
alla preghiera.»
Endymion rimase in silenzio senza ignorare l'espressione affranta di Serenity.
«Voglio portarvi in un posto.»
Si alzò e invitò la principessa a far lo stesso, aumentò la stretta della sua
mano destra e tirò a sé Serenity; lei si appoggiò al petto dell’uomo, sentì il
mantello coprirle le spalle e intravide una luce dorata avvolgerli.
«Aprite
gli occhi, Serenity.»
La principessa si allontanò riluttante da lui, guardò intorno e vide l’immenso
oceano sotto di sé; si trovarono all’interno di una bolla fluttuante.
«Endymion ma...»
«Possiedo anch'io il potere del teletrasporto.» rise prendendole le mani per
baciarne i palmi «Ci troviamo in un luogo remoto, dove l'inverno dura da secoli
e l'oceano si tramuta in ghiaccio.»
«Perché mi avete portata in questo luogo desolato?»
«Osservate dietro le mie spalle.» Endymion le indicò la luna piena alta in
cielo, Serenity ne osservò il bianco riflesso sulle acque scure della notte.
«Siamo qui per osservare la Luna?» incrociò le braccia al petto stizzita.
«Non solo, guardate dietro di voi sulla destra.»
Serenity si lasciò sfuggire uno sbuffo e roteò lievemente gli occhi, ma
accontentò il principe e si voltò.
Stupore, incredulità e meraviglia. La principessa rimase a bocca aperta nel
vedere una lingua di fuoco disegnare la linea dell'orizzonte e i primi raggi del
sole, non ancora sorto, tingere il cielo di varie tonalità rosate. Si guardò
attorno più volte per osservare da un lato il cielo notturno impreziosito dal
bagliore lunare, dall'altro il giorno nascente illuminato dai caldi raggi
solari.
«Anni fa, mio padre mi portò qui.» cominciò a parlare il principe. «Mi spiegò
che solo in questo determinato luogo, il giorno e la notte condividono lo stesso
cielo.»
Voltò la principessa verso si sé e la osservò a lungo, le asciugò le lacrime
sfuggite da quegli occhi luminosi e con due dita sotto il mento le sollevò il
viso.
«Il giorno si è unito con la notte. Proprio qui. In questo preciso istante.»
«Endymion...» sussurrò con voce tremante.
«Vi amo sin dal primo momento in cui ti vidi, Serenity.»
Endymion baciò Serenity assaporandone la dolcezza di quelle labbra a lungo
desiderate.
Morbide come un fiore, dolci come il miele, salate come le lacrime che rigavano
il volto della principessa; si inebriò del profumo di quei capelli lunghi e
setosi che accarezzava così come la sua pelle vellutata che sapeva di mare.
Si staccarono per riprendere fiato, per calmare i loro cuori impazziti, per
guardarsi a lungo.
Serenity accarezzò il viso del principe, sfiorò i capelli neri come il cielo
notturno alle sue spalle, con le dita seguì la linea delle sue labbra, calde
come il sole e dannatamente invitanti. Si perse nuovamente negli occhi
dell'uomo, blu come gli oceani che cambiano le maree attratte dalla forza della
Luna, intensi come il sentimento che palpitava violentemente dentro il suo
petto.
«Vi amo anch'io fin dal nostro primo incontro.» confessò tra le lacrime.
Si unirono in un nuovo bacio, intenso e passionale. La Terra e la Luna, attratti
da un misterioso magnetismo che li rendeva dipendenti l'uno dall'altra, un
legame ancestrale antico come l'Universo.
Un'unione nata dal disegno degli Dei Celesti.
***
Pioggia.
Il cielo plumbeo tinse di grigio quella triste giornata.
Elysion, capitale del regno terrestre Golden Kingdom, era a lutto per la morte
del Re Etlio.
Endymion, davanti lo specchio, osservava la sua immagine stravolta dal lungo
pianto. Aveva sciacquato più volte il viso per sgonfiare gli occhi rossi, ma
ogni tentativo era stato inutile.
Sentì la porta aprirsi e due braccia cingergli debolmente le spalle. Endymion
prese la mano e ne sentì che era fredda.
«Le vostre mani sono gelide.» disse girandosi verso la donna che lo abbracciava.
Lei sospirò, prese il viso del ragazzo con entrambe le mani e con i pollici
asciugò le sue lacrime.
«Gli occhi rossi non si addicono a un Re.» mormorò con voce tremula.
«Non sono ancora un Re, Madre.»
«Lo sarai appena prenderai moglie.»
Endymion guardò sua madre, la Regina
Calíce. Era una donna
molto bella nonostante non fosse più giovane; aveva la pelle chiara e lunghi
capelli mossi come le onde del mare, neri dai riflessi blu come i suoi profondi
occhi. Una rara bellezza donata al figlio.
«Madre, ne abbiamo già parlato.» prese entrambe le mani tra le sue per
trasmetterle calore. «Non darete retta anche voi all’Oracolo?»
«Non ho paura dell’Oracolo Beryl, ma della reazione del popolo.» Calíce baciò le
guance del figlio. «Per me è un onore e una gioia che la Dea della Luna si
unisca alla nostra casata, ma ho un brutto presentimento. Vorrei solo che-»
«Non abbiate timore, Madre. il popolo amerà Serenity così come la amo io.» la
interruppe Endymion che smise di parlare quando qualcuno bussò alla porta; un
uomo molto alto in uniforme entrò e li salutò con un inchino.
«Vostra Maestà, sono qui per annunciarvi l’arrivo del messaggero Celeste. La
famiglia Reale del Regno Lunare è qui a Palazzo.»
«Grazie, Generale Kunzite.» rispose la regina per poi rivolgersi al figlio.
«Voglio che tu agisca con il cuore, figlio mio. Riprenderemo il discorso dopo la
cerimonia.» e con un sorriso triste, si congedò lasciando soli i due uomini.
Calò il silenzio, Endymion raccolse la spada poggiata sul baule, ne osservò
l'elsa d'oro intagliata, lo stemma circolare con una croce al suo interno,
simbolo della Terra. Guardò a lungo il raro diamante blu incastonato sul fodero,
splendente e prezioso come l'arma. La spada di suo padre.
«Per quanto ancora, mio signore?» Kunzite ruppe il silenzio, si appoggiò alla
parete incrociando le braccia e guardò il principe voltarsi lentamente verso di
lui.
«Sono pronto.»
«Intendevo con Serenity. C'è una minoranza del popolo scontenta della vostra
relazione con la principessa e noi dobbiamo sempre proteggervi da eventuali
ribelli. Inoltre...» il Generale si avvicinò all'uomo abbassando il tono della
voce «L'Oracolo Beryl ha avuto una visione e sostiene che la Dea della Luna
voglia conquistare il nostro regno.»
«Kunzite.» rispose Endymion «Voi avete conosciuto la principessa Serenity e
conoscete me. Cosa suggerisce il vostro istinto?»
La mente del Generale viaggiò a ritroso nel tempo; un pomeriggio di sole in
compagnia degli altri tre Cavalieri impegnati in un allenamento con le spade,
allenamento interrotto dall'arrivo di una bellissima fanciulla allegra,
spensierata e piena di energie che scappava dal suo Palazzo per incontrare il
suo amore, una principessa pizzicata ogni volta da una delle sue dame di corte.
«Una principessa inseguita dalle sue dame di compagnia.»
«Non sono dame di compagnia ma guerriere. Sono principesse protette dai loro
pianeti natii.»
«Endymion, sono... donne! Come possono essere delle guerriere?» Kunzite si
avvicinò alla porta. «Le ho sempre viste in lontananza, le avete mai viste in
uniforme?»
«No, ma le vedrai tra poco. Sono le Guardiane Celesti di Silver Millennium.»
La popolazione era riunita all'esterno del Tempio
Sacro, una struttura esagonale in marmo circondata da colonne e aiuole di rose
rosse; attendeva l'arrivo di Queen Serenity, la Dea che veglia sulla Terra,
colei che avrebbe omaggiato il corpo di Etlio e benedetto il futuro re.
Endymion, al fianco di sua madre
Calíce ed entrambi
scortati dai Cavalieri Celesti conosciuti anche come Shitennou, attendeva la
regina della Luna.
«Endymion.» sussurrò la donna. «Cosa provi quando sei in compagnia della
principessa Serenity?»
«Sono felice, Madre. Mi sento completo.» bisbigliò e sentì la madre stringerli
la mano.
«Hai la nostra benedizione, figlio mio.» Calíce si morse la lingua per
trattenere le lacrime. «Non pensavo che avrei incontrato la tua futura sposa in
una cerimonia come questa...»
Un bagliore argenteo attirò l'attenzione della popolazione: le divinità della
Luna erano giunti al Tempio.
Endymion osservò gli ospiti e rimase incantato come la prima volta che vide la
principessa. Queen Serenity, la potente signora della Luna, era quasi identica a
sua figlia. Alta, bellissima e austera, la Dea aveva lunghissimi capelli
d'argento, gli occhi dal color lilla dell'alba, lo sguardo severo. La sua veste,
candida come la neve, emanava un lieve bagliore perlaceo come la luce del suo
astro.
Jadeite, uno dei Cavalieri del principe terrestre, osservò gli ospiti. Vide una
ragazza dai lunghi capelli corvini, attraenti occhi ambrati dal sontuoso abito
giallo e bianco accompagnata da un insolito uomo completamente vestito di
bianco; entrambi sfoggiavano sulla fronte una mezza luna dorata. Erano i
consiglieri Luna e Artemis.
«Nephrite, guarda quello.
Assomiglia a Kunzite.» bisbigliò.
«Come puoi pensare a queste frivolezze in un momento come questo?» rispose un
uomo dagli occhi verdi smeraldo e lunghi capelli castani.
Calíce li fulminò con lo sguardo per rivolgere l'attenzione alla sua ospite.
«È un onore avervi qui a Elysion, Queen Serenity.»
«È doverosa la nostra presenza, regina Calíce. Avrei voluto conoscervi in un
occasione meno dolorosa.» spostò gli occhi dalla donna al ragazzo al suo fianco
lasciandosi sfuggire uno sguardo severo.
«Voi sareste Endymion, il futuro sovrano del Golden Kingdom.»
«Sì, maestà» rispose inchinando il capo più per sfuggire allo sguardo indagatore
di quella donna che per l'etichetta.
«Mi auguro che voi regnate con la stessa saggezza di vostro padre.» continuò la
regina celeste ritornando su Calíce, per entrare insieme nel Tempio Sacro
seguita da Luna e Artemis.
«È bellissima e allo stesso tempo spaventosa, hai visto Kunzite?» sibilò Zoisite
mantenendo un tono di voce molto basso. Il Generale non prestò orecchio al
ragazzo, la sua mente era totalmente rivolta su una delle principesse celesti;
Venus, colei che credeva fosse una semplice dama di compagnia, era il capo delle
Guardiane conosciute come Guerriere Sailor. L'uomo si perse nell'azzurro limpido
di quelle iridi, nell'oro dei suoi lunghi capelli semi raccolti da un nastro
rosso come la sua bocca. Il corpo snello e atletico era fasciato da una bizzarra
divisa bianca con una gonna arancione molto corta, una catena simile ad una
collana di perle rosse le cingeva la vita come una cintura.
«...Venus.»
«C-Come?» si riprese rendendosi conto che quella meravigliosa creatura gli aveva
appena rivolto la parola.
«Mi presento, sono Venus, capo delle guerriere Sailor. Voi siete il Generale
Kunzite?»
«Sì, sono io...»
«Vorremmo parlare con voi Cavalieri. Abbiamo captato energia negativa sulla
Terra.»
«Energia negativa? È impossibile, teniamo costantemente Elysion sotto
controllo.»
Venus fissò severamente Kunzite, lo trafisse con lo sguardo come la lama di una
spada.
«Il compito della nostra sovrana consiste nel tramutare in positività i
sentimenti malvagi della Terra, ma ultimamente le forze negative si stanno
intensificando.»
«Forse la vostra sovrana ha abbassato la guardia.» rispose tagliente Kunzite
offeso per la celata critica riguardo l’operato dei Cavalieri Celesti.
«Il vostro regno dovrebbe imparare a difendersi da solo senza l’appoggio della
Luna.» sibilò tra i denti.
«E voi a controllare le fughe della vostra principessa.» ringhiò l'uomo
pendendosene immediatamente quando vide l'espressione della guerriera incupirsi
il cui sguardo, deciso e fiero, diventò triste.
«Abbiamo commesso un grave errore» sospirò Venus voltandosi verso le sue
compagne, le guerriere protette da Mercurio, Marte e Giove.
«Dovevamo avvisare la nostra sovrana della relazione di Serenity con Endymion, i
contatti Terra e Luna devono essere limitati.»
«Perché avete infranto la legge Divina?»
La ragazza rivolse la propria attenzione verso Kunzite «Provengo da Venere,
pianeta della bellezza e dell’amore. Il mio giuramento è basato sulle regole
dell’amore e io non potevo ignorare i loro sentimenti.»
L'uomo rimase senza parole. Non aveva mai conosciuto qualcuno dotato di un
carattere così forte e deciso come Venus. Vide in quella donna il coraggio e il
valore di un vero guerriero pronto a sacrificarsi per una giusta causa anche se
questo comportava l'infrangere delle leggi divine per onorare i propri principi
naturali.
Con una mano fece segno a Jadeite, Nephrite e Zoicite di seguirlo. Osservò i
suoi soldati, gli uomini del corpo speciale dell'esercito terrestre. «Presidiate
il Tempio Sacro e fate in modo che nessuno interrompa la cerimonia.» Kunzite si
rivolse a un soldato in prima fila «Adonis, ti lascio il comando fino a nuovo
ordine. Non deludermi.»
Un ragazzo biondo chinò il capo in cenno d'assenso. L'essere stato scelto dal
Generale dei Cavalieri Celesti era un privilegio riservato a pochi, ma Adonis
non riuscì a goderne a pieno. Alzò il viso e vide il suo amore segreto di sempre
allontanarsi in compagnia di Kunzite.
***
Il cielo era oscurato da una eterna notte.
Un nero profondo e vellutato puntellato da miriadi di stelle luminose,
costellazioni e galassie. In alto una sfera luminosa dalle mille sfumature
azzurre e bianche, un astro attraente e magnetico.
«È davvero meravigliosa, non immaginavo che la Terra fosse così bella.»
Endymion osservava il suo pianeta dalla grande balconata del Palazzo Lunare, la
vide per la prima volta e rimase estasiato nel scoprirne la reale forma.
«La osservo da quando sono nata...» Serenity si avvicinò a lui, appoggiò la
testa sulla sua spalla e si lasciò abbracciare abbandonandosi totalmente al suo
calore.
«Da piccolo osservavo spesso la Luna.» rise il principe. «Non avrei mai
immaginato di trovarmi quassù per ammirare la Terra».
La principessa rise nascondendo il viso tra le braccia di Endymion, lo abbracciò
e assaporò il calore di lui.
«Così come io non avrei mai immaginato di scappare da Palazzo per vedere la
Terra con i miei occhi...» sussurrò godendosi le labbra di Endymion sulla sua
fronte.
Si guardarono a lungo rimanendo in silenzio, l'uno immerso negli occhi
dell'altra, un silenzio ricco di mille parole.
Il principe respirò profondamente e strinse a sé la fanciulla.
«Prima o poi dovrai dirlo a tua madre, Serenity.»
«Sì» mormorò visibilmente preoccupata. «Temo di non trovare le parole giuste.»
«Parlale con il cuore. È una donna molto saggia.» le baciò nuovamente la fronte.
«E se non vorrà ascoltarmi?»
«Ci sposeremo ugualmente, con o senza la sua benedizione. Ti amo, Serenity e non
posso più vivere senza di te.» la baciò sulle labbra per suggellare la promessa
d'amore appena pronunciata.
«Ti amo anch'io.» sorrise baciando le labbra di quell'uomo che gli aveva rubato
il cuore in un lontano pomeriggio di sole.
«Ho un dono per te, Endymion.» sciolse l'abbraccio facendo due passi indietro.
Il principe vide Serenity sfilarsi uno dei suoi orecchini di perla e congiungere
le mani in segno di preghiera per recitare un mantra in una lingua a lui
sconosciuta quando vide la perla rifulgere tra le mani della ragazza.
Abbagliato dall'intensità della luce, Endymion chiuse gli occhi per riaprirli
quando sentì Serenity ridere divertita.
«Questo è per te, amore mio.» La ragazza dischiuse le mani mostrando al ragazzo
un monile creato dal suo orecchino: un ciondolo d'argento a forma di stella a
sei punte fissato a una collana.
Endymion lo prese e vide che l'oggetto cambiò colore mutando l'argento in oro.
Lo studiò rigirandoselo tra le mani, vide un sottile coperchio rotondo e cercò
inutilmente di sollevarlo, ma sì aprì quando Serenity, intervenuta in suo aiuto,
premette un piccolo tasto all'attaccatura della collana.
Il ciondolo cambiò nuovamente colore, argento al tocco di Serenity, d'oro con
quello di Endymion. Il ragazzo lo guardò incantato, il coperchio sollevato
celava il quadrante di un orologio con al centro la riproduzione del suo pianeta
e uno spicchio di luna mentre una dolce melodia si diffondeva nell'aria.
«Lo chiamiamo orologio.» spiegò Serenity rispondendo all'espressione incuriosita
del ragazzo. «Serve per indicare lo scorrimento del tempo...e questi siamo noi
due. La Luna che danza intorno alla Terra.»
Il ragazzo stava per ringraziarla quando fu interrotto.
«Questo regalo è un nostro segreto così come il suo contenuto. Può essere aperto
solo da noi così come l'ascolto della melodia. È la chiave che ti permetterà di
raggiungermi qui, sulla Luna.»
Endymion le sfiorò una guancia con la mano e la baciò con passione.
«Grazie, Serenity.» sospirò volgendo gli occhi verso la Terra. «Devo tornare a
Elysion. Vorrei non dovermi separare da te, ma ora so che potrò raggiungerti
ogni volta che vorrò vederti.» disse fissando saldamente l'orologio alla
cintura.
«Vorrei stare con te sempre.»
«Lo saremo appena diventerai mia moglie.» rispose il principe prima di svanire
nel nulla raggiungendo il suo pianeta.
Diventare mia moglie. Serenity si
appoggiò alla balaustra di marmo, sfiorò le sue labbra che sapevano di lui
quando sentì il rumore di alcuni passi. Alzò lo sguardo e vide Sailor Jupiter
avvicinarsi con passo deciso, seguita da Luna e Artemis.
«Principessa, sono qui per avvisarvi che Sua Altezza la regina desidera
vedervi.»
La fanciulla osservò la guerriera e ne notò l'espressione affranta e gli occhi
rossi.
«Luna, Artemis. Avvisate mia madre del mio arrivo. Devo conferire privatamente
con Jupiter per qualche istante.»
I due gatti annuirono e corsero verso la sala del trono lasciando da sole le due
donne,
Serenity si avvicinò a Jupiter e le scrutò il viso.
«Cosa vi succede?»
«Vostra madre ha scoperto che vi scortavamo segretamente sulla Terra.» mormorò
trattenendo a stento le lacrime.
«Vi ha punite?»
«No, Principessa. Ora raggiungete vostra madre, vi sta attendendo.» rise
mestamente nascondendole l'ira della regina per il tradimento delle guardiane
celesti.
Vide Serenity sorriderle dolcemente e allontanarsi verso l'interno del Palazzo.
«Temo che presto avrete altre guardiane...» disse tra sé pensando alla peggiore
delle punizioni: il sonno eterno.
Queen
Serenity camminava nervosamente per la stanza, si massaggiava le tempie per
calmarsi ma inutilmente. Raggiunse il suo trono di madreperla, si lasciò cadere
pesantemente e sostenne la testa con una mano.
«Sono molto preoccupata, Luna.»
«Di cosa, mia Regina?» miagolò la gatta che con un balzo raggiunse le ginocchia
della sovrana, un gesto intimo riservato solo alla sua fedele consigliera.
«Serenity. Ho paura per lei, per il nostro Regno e per gli Dei.»
Luna si strusciò sul petto della regina. «Purtroppo è innamorata e di un
terrestre...»
«Del Principe di Elysion, non di un terrestre qualsiasi. Ho un brutto
presentimento, Luna.» Accarezzò il morbido manto nero di Luna quando sentì dei
passi veloci riecheggiare in lontananza, alzò lo sguardo e vide sua figlia
entrare nella sala del trono.
«Eccomi, madre.» ansimò Serenity riprendendosi dalla breve corsa.
«Sei in ritardo, Serenity.» la riprese interrompendo il contatto con la sua
consigliera. «Luna, puoi lasciarci sole? Fa in modo che nessuno ci interrompa.»
La gatta chinò il capo e corse via non prima di aver lanciato uno sguardo triste
verso la sua principessa, la quale la osservò preoccupata intuendo il reale
motivo per cui sua madre l'aveva chiamata.
«Figlia mia, dobbiamo parlare.» cominciò Queen Serenity senza scomporsi dal suo
trono.
La principessa si torturava le mani, l'espressione severa di sua madre la
intimoriva non poco, ma cercò di non mostrarsi debole.
«Ti proibisco di vedere Endymion. Da oggi stesso.»
Serenity sgranò gli occhi, come poteva la sua amata madre impedirle di vivere
quell'amore? Smise di respirare per qualche secondo e perse totalmente l'uso
della parola; cercò di controllare i suoi nervi e deglutì prima di risponderle.
«Ci amiamo, madre. Endymion mi ha ufficialmente chiesto di sposarlo e
vorrebbe...anzi, vorremmo la tua benedizione.»
«Non ci sarà alcun matrimonio, Serenity!» urlò spazientita la regina sbattendo
violentemente i pugni contro i braccioli del trono. «Noi Lunari non dobbiamo
entrare in contatto con i Terrestri per alcun motivo. È severamente vietato
dagli Dei.»
«Ma...abbiamo presenziato ai funerali di Re Etlio e...»
«Come sovrana del Silver Millennium era mio compito dare la benedizione al
vecchio e al nuovo re. Tu, invece, mi hai costretto ad essere testimone del
vostro amore clandestino senza poter agire in alcun modo visto che ero al di
fuori dei nostri confini.» Queen Serenity tremò e si morse il labbro a causa
della profonda ira che risiedeva nel suo animo, afferrò con forza i braccioli e
cercò di respirare profondamente.
«Sto cercando di proteggerti dalla maledizione e tu ti stai esponendo all'ira
degli Dei.»
La principessa avanzò verso il trono di sua madre, camminò rabbiosa
dimenticandosi dell'etichetta di corte e sbatté i piedi a terra come una bambina
capricciosa.
«Voglio sapere tutto degli specchi, ne ho diritto!» urlò disperata.
La regina emise un profondo sospiro, si massaggiò le tempie visibilmente
esasperata e invitò la figlia a sedersi sui gradini posti ai suoi piedi.
«Quando nascesti, ti portai da Guardian Cosmos, somma guardiana del Galaxy
Couldron e di tutti gli Star Seed. Eri una stella nascente e mi recai da lei per
farti benedire.»
«Questo lo so già...»
«Non interrompermi. Al rientro organizzammo una cerimonia per presentarti a
corte come futura erede di Silver Millennium. In quell'occasione ti furono
assegnate le quattro guardiane, le principesse del Sistema Solare.»
La principessa rise. «Siamo cresciute insieme, per me sono come sorelle.»
«Lo so, Serenity» disse diventando cupa quando pensò alla condanna che avrebbe
eseguito alle guerriere Sailor per la loro disobbedienza e cercò di celare il
suo animo davanti a sua figlia.
«La cerimonia fu interrotta dall'arrivo di una donna che si presentò con il nome
di Nehellenia, una strega errante che si insediò nelle profondità della Luna.
Voleva portare le tenebre nel nostro Regno, ma riuscì a imprigionarla dentro il
grande specchio custodito nelle mie stanze.»
«E la maledizione?» chiese Serenity sempre più curiosa come una bambina
incantata dalla favola della buonanotte.
«Poco prima di essere relegata nelle tenebre, Nehellenia ti maledì. Il nostro
regno sarebbe andato in rovina e tu morta senza lasciare eredi e prima di
succedermi al trono.»
La principessa rimase sbigottita, guardò un punto fisso della stanza e
istintivamente si strinse le spalle. Cominciò a ridere nervosamente, rise fino
alle lacrime sotto lo sguardo sconcertato di sua madre.
«Mi sposerò con Endymion, non ho paura né della maledizione né degli Dei.» disse
alzandosi per dirigersi verso l'ingresso.
«Serenity, sei forse impazzita? Nehellenia ti ha...»
«Non si compirà alcuna maledizione!» sibilò tra i denti. «Endymion vive in me,
madre.»
La regina scosse la testa quasi rassegnata alla cocciutaggine della figlia
quando un brivido le percorse la schiena e un terribile presagio prese forma
nella sua mente. Si alzò di scatto e si diresse verso la figlia ormai sulla
porta, le tirò ai lati la bianca veste rendendola aderente al corpo e vide un
visibile rigonfiamento del ventre che non lasciava dubbi.
«Sciagurata...» urlò Queen Serenity portandosi le mani al viso.
«Madre, avrei dovuto...»
«Stai zitta! Hai osato mescolare il nostro sangue con quello terrestre. Ti rendi
conto di cosa avete fatto?»
«Non c'è alcuna legge che ci vieta i rapporti carnali con chi amiamo!»
«Per tutti gli Dei, Serenity! Non sei una comune mortale!» urlò nuovamente la
regina. «Non solo ti sei concessa a un terrestre ma aspetti pure un figlio da
lui! Cosa credi succederà ora? Hai idea di cosa comporti il Divieto Divino?»
«Lo so, madre!» Serenity pianse asciugandosi velocemente le lacrime che cadevano
copiose. «Non smetteremo di adempiere ai nostri compiti, non cadremo nello
stesso errore di Altair e Vega. Io ed Endymion creeremo un unico regno»
«Un unico regno?» borbottò la regina portandosi una mano al mento pensando ad
una probabile estensione del Silver Millennium oltre i confini.
«Sì, il nostro bambino sarà il legittimo erede al trono del Silver Millennium e
Golden Kingdom.» Serenity si avvicinò alla madre prendendola per mano. «Posso
contare sul tuo aiuto? Non so se Endymion potrà giovare della nostra longevità e
io non so nulla della Terra...»
La regina abbracciò la figlia, le accarezzò la testa per rassicurarla, per dirle
che non l'avrebbe mai lasciata sola.
«Potrai contare sempre su di me, figlia mia.» sussurrò mentre la sua mente
progettava mille idee su come impadronirsi del pianeta blu.
***
I mesi trascorsero veloci così come gli avvenimenti. Endymion fu incoronato come
nuovo sovrano del Golden Kingdom. Il suo primo compito da reggente fu comunicare
al popolo la sua prossima unione in matrimonio con la Principessa Serenity,
futura regina della Luna.
Il malcontento era palpabile, molti gruppi si ribellarono a quello che loro
indicavano come “l'invasione della Luna”, altri invece consideravano
quell'unione una benedizione e gioivano all'idea di avere una Dea come sovrana.
Calíce, la Regina Madre, era tremendamente preoccupata per le sorti del regno.
Adorava la futura moglie del suo unico figlio, ma temeva una rivolta del suo
popolo.
Si mise davanti lo specchio per sistemare i lunghi capelli, osservò il suo viso
non più giovane e rise amaramente quando vide una leggera ruga e un filo
argenteo tra i capelli corvini.
«Così anch'io sono stata colpita dalla vecchiaia.» si avvicinò alla finestra e
respirò l'aria fresca. Sentì il vento pungerle la pelle e osservò le nuvole
correre veloci nel cielo, batuffoli bianchi spinti dal soffio delle sue
sorelle. Si tolse la tiara appoggiandola su una sedia lì vicino e si sfilò
la regale veste rimanendo completamente nuda per farsi avvolgere completamente
dal vento che lei stessa evocava. Il suo corpo era statuario: l'incarnato
perlaceo, la pelle fredda come la brezza mattutina e i lunghi capelli ondulati.
Calíce era una Eoliana, una ninfa del vento, una divinità minore strettamente
legata alla natura.
Pensò agli anni passati, ad una notte dove lei e altre ninfe danzavano sulle
sponde di un laghetto illuminato dalla luce della Luna, una danza sacra in onore
degli Dei. Etlio, un giovane e curioso principe, spiava il sacro rituale quando
fu scoperto da una delle danzatrici che, spaventata come le sue compagne, svanì
nel nulla. Solo Calíce rimase, era incuriosita da quel giovane e quando si
avvicinò a lui rimase incantata dal suo aspetto: occhi verdi come il prato,
lunghi capelli castani e un sorriso meraviglioso.
Lo stesso sorriso di Endymion.
«Grandi Dei Celesti, vi imploro.» sussurrò con la voce rotta dal pianto «Abbiate
pietà di Endymion, il mio unico figlio. Riservate a lui la stessa clemenza che
avete donato a me e al mio defunto marito Etlio.»
Si abbandonò alla preghiera quando sentì un vuoto nel cuore. Spalancò i suoi
grandi occhi blu e si accasciò al davanzale della finestra tremante e con il
fiato corto. Ebbe una visione.
«Devo allarmare le guardie...» mormorò.
Rivolse lo sguardo verso la bianca Luna visibile nel cielo diurno e pensò a
Endymion, lassù al fianco di Serenity, prossima al parto.
Endymion era nervoso. Con il capo chino a terra e le mani dietro la schiena
passeggiava freneticamente davanti alla porta della stanza di Serenity. Come
poteva il potente re della Terra, coraggioso e valoroso guerriero essere
allontanato da lei e definito un “intralcio”? Perché non poteva stare lì con lei
ad assistere alla nascita di suo figlio? Per quale motivo doveva attendere
dietro quella maledetta porta a sentire le urla di Serenity in pieno travaglio?
Guardava spesse volte il monile ricevuto come pegno d’amore, aveva imparato a
leggere l’orologio e quantificare lo scorrere del tempo ma le ore, per lui,
sembravano interminabili.
Si appoggiò alla porta, udì Sailor Mercury incitare la sua principessa a
spingere, le altre guerriere nel panico mentre Queen Serenity guidava la figlia
nella respirazione.
Endymion immaginava il suo erede. Sarebbe stato un maschio oppure una femmina?
Sapeva che la stirpe Lunare era matriarcale e la discendenza unicamente
femminile, ma il suo erede era il primo ad essere stato concepito con un uomo,
con un terrestre e a breve sarebbe venuto alla luce. Sarebbe diventato padre.
«Mio figlio.» sussurrò visibilmente emozionato. Se maschio sarebbe stato forte
come lui, avrebbe forse ereditato la bellezza di sua madre o il coraggio di suo
padre. Lo avrebbe chiamato Etlio in onore di suo padre, oppure Somnus. Femmina…
meravigliosa, dolce e premurosa come Serenity, una bellissima principessina, una
piccola lady. Sì, Piccola Lady!
«Piccola Lady Serenity Calíce. Mi piace!» disse tra sé felice per aver trovato
un nome che onorasse entrambe le famiglie.
Sprofondò nella poltrona e cercò di rilassarsi ascoltando la dolce melodia del
medaglione, una musica riservata solo alle sue orecchie, e vi rimase seduto per
un tempo indefinito quando sentì la porta aprirsi.
Era diventato padre.
Si alzò di scatto felice, le lacrime trattenute a stento e la voglia
irrefrenabile di entrare nella stanza quando vide Sailor Mars e Queen Serenity
sulla soglia, in silenzio e gli occhi arrossati.
«La maledizione... gli Dei...» cantilenava la regina sorretta dalla guerriera di
Marte.
«Cosa succede?» chiede l'uomo preoccupato aiutando la donna a sedersi sulla
poltrona.
«La punizione degli Dei...» continuò a mormorare in uno stato quasi catatonico.
Endymion guardò la donna quando sentì un assordante silenzio. Perché non c'era
alcun vagito?
Ebbe un terribile presentimento, deglutì e corse dentro la camera da letto e la
vide: Serenity, circondata dalle altre guerriere, cullava dolcemente un
fagottino avvolto da una morbida copertina bianca.
«Altezza, vi prego.» Sailor Jupiter provò a scuotere la principessa per le
spalle senza ricevere alcuna reazione.
Sailor Mercury, aiutata da Venus, riassettava il letto riponendo i teli imbevuti
di sangue in un catino, si guardò intorno e si accorse della presenza dell'uomo
sulla porta.
«King Endymion.» lo raggiunse e gli appoggiò una mano sulla spalla, gli rivolse
uno sguardo avvilito e lui comprese.
«Devo comunicare la notizia.» Evocò la lira e rivolse un ultimo sguardo al re
terrestre prima di congedarsi.
Endymion camminò verso Serenity con passo lento; la sua angoscia aumentava ad
ogni centimetro percorso, la felicità provata fino a qualche istante prima era
ormai un lontano ricordo.
Raggiunse il letto e la guardò, i lunghi capelli sciolti le coprirono gran parte
del viso, ma non abbastanza per nasconderne le lacrime.
«Lasciateci soli!» ordinò senza rendersi conto di aver usato un tono secco e si
sedette sul letto. Accarezzò le gambe di Serenity, non aveva il coraggio di
alzare lo sguardo e vedere con i propri occhi la cruda realtà.
«È una bambina. È bellissima.» mormorò Serenity.
Una bambina. Piccola Lady.
Endymion sgranò gli occhi e guardò la donna: sorrideva tra le lacrime,
cantilenava una ninna nanna intonando la medesima melodia del medaglione.
«Serenity...»
«Shh...Sta dormendo. Abbassa la voce o la sveglierai.»
«Posso tenerla in braccio?» cercò di modulare la voce per nascondere il pianto
bloccato in gola, le accarezzò il viso e le spostò i capelli dietro l'orecchio.
La osservò e vide una Serenity diversa, gli occhi arrossati, spenti e un sorriso
inespressivo.
Endymion si avvicinò con cautela, le accarezzò le mani e con delicatezza le
sfilò dalle braccia quel piccolo fagotto per stringerlo al petto.
«La metto nella culla...va bene? Così nessuno la disturberà.» si sforzò di
sorridere, le baciò la fronte e uscì dalla stanza non prima di aver guardato
un'ultima volta la donna che amava.
L'uomo percorse quel corridoio che ormai ben conosceva, scansò le persone che lo
guardavano con aria affranta e accelerò il passo. Cominciò a correre, fuggì via
da quegli sguardi compassionevoli, raggiunse velocemente la sua camera per
estraniarsi da tutto e tutti per chiudersi nel suo dolore.
Con la schiena appoggiata alla porta, Endymion cercò di respirare e di farsi
coraggio; con mano tremante spostò la coperta per scoprire il viso innocente di
quella creatura che non aveva conosciuto la vita. Trattenne il fiato e la vide:
gli occhi chiusi, guance piene, labbra a cuore e sulla fronte uno spicchio di
luna privo di luce, come il suo corpicino.
Una, due, dieci, cento lacrime rigarono il viso di Endymion. Baciò la sua
creatura e se la strinse al petto. Sentì le forze venir meno e si lasciò
scivolare a terra chiudendosi infine nel suo infinito dolore. La punizione degli Dei. Pensò alle parole di Queen Serenity e capì che
gli Dei avevano punito il suo amore proibito con la principessa nel peggiore dei
modi.
Pensò a Serenity, alla donna della sua vita. Non poteva perdere anche lei,
promise a se stesso di non rientrare sulla Terra fin quando non si fosse
ristabilita del tutto, ma in quel momento voleva dimenticare tutto e dedicarsi
al suo unico tesoro.
La sua Piccola Lady.
***
«Ascoltate tutti quanti! Il nostro Re è un traditore, ci ha venduti al popolo
della Luna.»
L'Oracolo aveva raccolto la popolazione al Tempio Sacro e con essa anche
l'armata di Elysion.
«Gli Dei hanno punito il nostro regno! La principessa ha partorito un erede
senza vita.» continuò incitando la folla «King Endymion ci ha abbandonato, è
fuggito sulla Luna e sono giorni che nessuno ha più sue notizie.»
«State mentendo, Beryl!» urlò Kunzite che interruppe il suo discorso
raggiungendola sopra gli scalini del Tempio. «Siete posseduta dalle tenebre,
lasciate che i Lunari vi purifichino.»
«Non provate a intralciarmi, Lord Kunzite.» sibilò tra i denti Beryl.
Era una bella donna dai lunghi capelli rosso rubino come i suoi occhi. Era una
Eliade, una ninfa del Sole ed era stata scelta come Oracolo per la sua saggezza.
Da sempre innamorata di Endymion, era in realtà invidiosa di Serenity per essere
amata da lui; la gelosia e l'odio che albergavano nel suo cuore attrassero le
forze del male.
Metalia, un'entità malvagia e sconosciuta, contaminò il Sole e attraverso i
raggi solari raggiunse l'animo di Beryl trascinandola nel mondo delle tenebre.
«La
stirpe della Luna non è immortale.» urlò alzando lo scettro al cielo per
divulgare energia maligna. «Ruberemo l'origine del loro immenso potere: il
Cristallo d'Argento!»
I terrestri esultarono, alzarono anche loro al cielo lance, spade, forconi e
qualsiasi altra possibile arma e acclamarono come nuova reggente Beryl.
Kunzite guardò la folla impazzita e lanciò un'occhiata ai Cavalieri Celesti e
Adonis, rimasti immuni al lavaggio del cervello: erano circondati.
Indietreggiò lentamente per raggiungerli, per scappare e informare Endymion
della rivolta sulla Terra, ma un dolore tagliente lo colpì al cuore: Beryl lo
aveva trafitto a morte.
Kunzite si accasciò al suolo, lo sguardo rivolto al cielo e pronunciò il suo
nome prima di esalare il suo ultimo respiro: Venus.
«Questa è la punizione riservata ai traditori!» esultò la donna aizzando
maggiormente la popolazione già inferocita.
«Catturate i Cavalieri Celesti e uccideteli!» sentenziò godendosi lo spettacolo
della loro cattura e della morte preannunciata.
I terrestri, traviati totalmente dalle forze del male, erano meri burattini alla
mercé della loro nuova regina, Queen Beryl, ignari che anch'essa era manovrata
da Metalia.
«Andremo sulla Luna oggi stesso!» annunciò depredando il corpo di Kunzite della
spada.
«Io, Queen Beryl, do inizio ad un nuovo regno. Il Dark Kingdom!»
***
Sailor Jupiter e Venus camminavano lungo il viale principale del castello. La
pavimentazione bianca, le luci ai lati del lastricato circondato dal Mare
Serenitatis e il maestoso Palazzo protetto dall'enorme barriera che garantiva
loro un'atmosfera simile a quella terrestre. Un ambiente artificiale.
«Sembra che Serenity si sia ripresa.»
«Già, Jupiter. Il principe le è stato molto vicino.» rispose Venus.
Continuarono a camminare in silenzio guardando di tanto in tanto il cielo. I
pensieri di Jupiter erano lontani migliaia di chilometri, erano rivolti a
Nephrite, il suo amore. Pensò al suo dolce viso, all'unico bacio e al loro
ultimo abbraccio.
Temevano che la punizione degli Dei colpisse anche loro.
Nephrite. Sentì una morsa al petto e una strana sensazione, istintivamente
guardò la Terra e sgranò gli occhi.
«Venus! La Terra...» disse con voce tremante e indicò l'astro non più azzurro,
ma completamente avvolto dalle tenebre.
«Che sta succedendo?» Venus si allarmò, vide un piccolo bagliore giallo in fondo
al viale e un uomo visibilmente ferito comparire dal nulla; corse verso di lui
per prestare i primi soccorsi quando lo riconobbe. Era uno degli uomini di
Kunzite.
«Chi è stato?» gli chiese prestando le prime cure.
«Beryl...la guerra...» mormorò il ragazzo in fin di vita.
«Quale guerra? Dove si trova la Regina Calíce? E i generali?» Jupiter gli
tamponò la profonda ferita al petto e guardò preoccupata Venus.
«Morti...tutti ..vogliono attaccarvi...» lo sconosciuto cominciò a tossire,
dalla sua bocca uscì un fiotto di sangue che gli sporcò il viso. Venus gli
accarezzò la guancia ripulendola con il pollice, il suo guanto si impregnò di
sangue e con le dita gli spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Si rese
conto che la vita di quel ragazzo stava scivolando via , cominciò a cullarlo
come un bambino mormorando una ninnananna per rendergli più dolce il passaggio
verso il sonno eterno.
«Come ti chiami?» gli chiese trattenendo a stento le lacrime.
«Adon-...» esalò l'ultimo respiro e si addormentò con un sorriso sulle labbra.
Venus lo guardò e gli chiuse gli occhi, recitò una preghiera nella sua lingua
natia e adagiò il ragazzo a terra.
«Lo conoscevi?»
«No, ma credo di averlo visto in passato. Non so dove...» rispose alzandosi in
piedi senza distogliere lo sguardo da quel corpo.
Jupiter guardò la Terra un'ultima volta prima di rivolgersi alla sua compagna.
«Allertiamo tutti, stanno arrivando i Terrestri.»
***
Il Palazzo in fiamme, le eleganti colonne in marmo crollate e corpi sparsi per
il regno: il Silver Millennium era sotto assedio.
«Queen Serenity, la Dea della Luna.» Beryl avanzò lentamente seguita da un'orda
di terrestri, esseri umani svuotati dalla loro anima e manovrati da Metalia.
«Consegnatemi il Cristallo d'Argento e vi risparmierò la vita.»
«Mai.»
«Quando è così...» sorrise malefica voltandosi leggermente verso i terrestri.
«Uccidetela!»
Gli uomini si scagliarono contro Queen Serenity, prontamente difesa
dall'esercito lunare; cercarono di sfondare le invisibili barriere innalzate a
protezione della famiglia reale e molti di loro furono uccisi dall'energia
emanata dagli scudi.
Queen Serenity scappò all'interno del Palazzo per raggiungere la Sala della
Preghiera e sperare di salvare ila Luna.
Beryl, ormai acclamata come Regina del Regno delle Tenebre, provò godimento
nell'assistere alla totale distruzione del Silver Millennium: l'odore acro del
sangue mischiato con la cenere, il fragore delle esplosioni causato dagli
attacchi delle guerriere Sailor in difesa del loro regno ormai perduto.
Si guardò attorno e cominciò a ridere compiaciuta quando vide lui, l'uomo per il
quale aveva venduto l'anima alle forze del Male, respingere i terrestri per
difendere la principessa.
«Fermatevi!Basta con le guerre e l'odio!»
«Endymion, lasciate la Luna e unitevi a me.» la donna si avvicinò brandendo una
spada, un'arma che lui riconobbe.
L'uomo si mise sulla difensiva, la spada sguainata e un braccio teso a
protezione di Serenity.
Beryl guardò con odio la principessa quando la sua attenzione fu attirata da un
piccolo particolare: un anello all'anulare sinistro di Serenity. Si erano
sposati. O forse non ancora.
L'ira e invidia crebbero dentro di lei sfociando in un folle istinto omicida.
Impugnò con entrambe le mani la spada di Kunzite e si scagliò con tutta la sua
forza contro la principessa.
«Maledetta!» sgridò infilzando la lama nelle carni.
Schizzi di sangue le bagnarono il viso, urla strazianti giunsero alle sue
orecchie, ma la voce udita non apparteneva all'uomo. Endymion aveva usato il
proprio corpo come scudo per salvare la sua amata.
Serenity cadde in ginocchio e abbracciò il corpo di Endymion, gli baciò il viso,
le labbra e scoppiò in un pianto disperato. Provò un vuoto incolmabile
impossessarsi del suo cuore, le mancarono le forze e il respiro. Lui, il suo
amore, era il suo ossigeno. La sua linfa vitale.
Lo strinse al petto, il suo
candido abito bianco lasciò il posto al rosso del sangue che scorreva da quel
corpo dal quale non riusciva a distogliere la vista quando notò un riflesso: la
spada di Cristallo.
Allungò la mano e afferrò l'arma persa da Venus durante gli scontri corpo a
corpo, con un dito percorse il filo della lama e vide il polpastrello tingersi
di rosso.
La spada sacra, l'unica in grado di uccidere i discendenti della Luna.
«Sto venendo da te, amore mio.» volse l'arma verso il suo cuore e si pugnalò a
morte.
Calore, una fiamma rovente nelle profondità delle sue carni, un dolore profondo
e indescrivibile.
Suoni ovattati e confusi, voci concitate e pianti disperati
«Siete contenta? Siete
soddisfatta? Se voi...se voi...se TU non avessi invaso i nostri pianeti non
sarebbe morto nessuno!»
«Queen Serenity. Perchè ci avete rapite dai nostri pianeti? Eravamo solo delle
bambine. Potevamo stringere alleanze e non rendere schiavi tutti i pianeti per
questo....stupido satellite!»
«Silenzio! Dobbiamo eliminare quei ribelli e riportare all'ordine il Regno.
Guerriere, alzate una barriera protettiva.»
«Noi siamo le guardiane della Principessa ma Serenity è morta...abbiamo fallito
la missione e noi non serviamo più questo Regno.»
Esplosioni, boati, distruzione e lacrime.
Serenity era ancora viva e aveva sentito tutto. In punto di morte scoprì la
reale natura di sua madre, Queen Serenity. Una donna tiranna, una silente
conquistatrice che aveva piegato al proprio volere l'intero Sistema Solare.
Freddo. Sailor Mercury depose il Cristallo d'Argento nelle mani di Serenity che,
istintivamente, strinse le dita.
«E' ancora viva!!»
«Santo Cielo, com'è possibile? Serenity...Serenity riuscite a sentirmi? Sono
Venus!»
Silenzio. Il suo udito non recepiva più alcun suono, non sentiva le urla
straziate delle sue guerriere colpite a morte, il diabolico ringhio di Metalia
riecheggiare nell'aria.
Pianse. Le lacrime di Serenity si mischiarono con il sangue versato, il suo
sangue, di Endymion.
Non aveva più energie e la morte tardava a giungere.
Pregò. Strinse il prezioso monile e con un filo di voce pregò affinchè il
Cristallo d'Argento garantisse la loro reincarnazione sul pianeta Terra e di
cancellare la dura realtà del Silver Millennium, di modificare i ricordi. Di
cancellare per sempre il dolore.
Un lampo violaceo squarciò il cielo e Serenity vide colei che non doveva mai
essere risvegliata.
Una sentenza di morte e la falce oscillò.
«Grazie, Sailor Saturn.»
E infine, tenebra.
Note:
Per la scrittura di questo capitolo mi sono basata su diverse culture e fonti,
oltre al dover fondere il manga e l'anime su mia interpretazione.
1) L'intera storia è basata principalmente sulla mitologia greca e latina come
l'incontro tra Endymion e Serenity (Endimione dormiente e la Dea Selene), le
origini del principe stesso (figlio Etlio, figlio di Zeus, e della ninfa
Calice).
2) Per creare una sorta di divinità superiore ho citato la leggenda di Tanabata
storia giapponese ma di origine cinese) utilizzando i nomi delle stelle, Altair
e Vega.
3) Le guerriere Sailor rispecchiano la natura delle divinità greche. Venere
rappresenta l'amore e la bellezza, Mercurio la saggezza ed è il messaggero
dell'Olimpo, Marte il dio della guerra, Giove la forza e Padre degli Dei.
4) Nell'antica grecia, l'Oracolo era una personalità sacra e la sua voce era la
parola degli Dei. Ai tempi gli oracoli, sacerdotesse e affini erano inviolabili
e non potevano nè unirsi in matrimonio nè generare figli.
Nella mia Fanfiction ho reso Beryl un Oracolo simile all'Antica Grecia, una
personalità ritenuta quasi divina che smuove le masse. Dovevo creare un
personaggio forte da indurre l'intera popolazione alla rivolta contro la Luna.
5) Somnus, secondo nome scelto da Endymion per suo figlio, è il dio latino dei
sogni, inoltre il Lacus Somniorum (tradotto “Lago dei Sogni”) è un mare lunare
unito in parte al Mare Serenitatis, sede del Silver Millennium.
6) Nell'anime non è ben precisato il periodo storico del Silver Millennium ma
tutti noi lo abbiamo ipoteticamente datato a mille anni fa. Nel manga, in
realtà, si accenna che fosse un regno molto più antico ancor prima
dell'evoluzione delle varie società.
Mi sono basata sulla seconda versione, ovvero il mio Silver Millennium e Golden
Kingdom sono due regni antichissimi. Sailor Saturn, risvegliata dai tre
talismani delle Outers, resetta totalmente la Luna e la Terra riportandoli ad
uno stadio prima dell'evoluzione dell'antica Grecia e dell'Impero Romano
7) I dialoghi in corsivo tra le guerriere Sailor e Queen Serenity sono ripresi
dal capitolo 1 della mia long fiction “Come un vado di Pandora.”
Ringraziamenti:
Ringrazio la piccola Carol12 che mi fa letteralmente sbragare dal ridere con le
sue "pazze uscite", che mi sopporta e mi supporta.
Ringrazio la mia Melli che mi sopporta ogni giorno dalla mattina alla sera, la
compagna di spetteguless e scleri vari.
A voi ragazze del club,"Il Dott. Mamo". Sono felice di avervi conosciute, di
trascorrere con voi le serate piene di allegrie, di battute esilaranti e anche
di consigli che vanno al di là di EFP. E soprattutto grazie per avermi
sopportata con "ma secondo voi se scrivo XXX va bene o farà cagare?".
E mi fermo qui perchè non sono solita espormi così, vi ringrazierò singolarmente
in privato (soprattutto voi, Mamorine!)
«Etcì!» Si strofinò
il naso col dorso della mano per alleviare il prurito causato dalla
farina. Tornò a scuotere il setaccio per unire l'ingrediente
con il resto della crema. «Una volta unita la farina,
mescolate con energia la crema fino a ridurre i grumi. È
facilissimo!» Strinse con un braccio la grande ciotola
premendola contro il petto e afferrò con la mano destra la
frusta per amalgamare con energia il composto giallo. Doveva finire
la torta entro sera senza creare ulteriori danni, la base era già
in forno e un invitante profumo di cioccolato riempiva la cucina e
stuzzicava l'appetito. «Mi fa male il braccio.»
brontolò «È meno faticoso combattere che usare
questa frusta a mano.» Mescolò l'impasto fino a
renderlo omogeneo e vellutato, vi intinse il dito e lo leccò
per assaggiarlo. «Oh mamma, com'è buono! Speriamo in
bene con la cottura!» Versò la crema in una piccola
pentola, accese la fiamma e continuò a mescolare in attesa di
vederla in ebollizione. Di tanto in tanto consultava il tablet
sporcando il display con le dita impiastricciate. «Se hai
bisogno di aiuto posso-» «Eh? No, grazie Makoto!
Voglio imparare da sola!» «Te la stai cavando molto
bene! Vado a togliere la torta dal forno, vuoi che te la tagli in
due?» «Sì! Io non posso allontanarmi dai
fuochi!» Makoto sorrise divertita, controllò la
cottura del dolce e la posò sul tavolo in attesa che si
raffreddasse. Si sedette e osservò la cuoca improvvisata
distruggerle la cucina con ciotole rovesciate, ingredienti sparsi per
il locale e il lavandino colmo di stoviglie. La vide concentrata,
armata di frusta e presine per non ustionarsi, le guance arrossate
per il calore e i capelli... «Hai dimenticato di legarti i
capelli! Tirali su, non vorrai mica che un capello finisca nella
crema, giusto?» «Che stupida che sono!» posò
la frusta sul piano cottura, estrasse dalla tasca dei pantaloncini
qualche mollettina e arrotolò i codini fissandoli agli odango,
rendendo la sua acconciatura ancora più buffa. «Makoto,
credo sia pronto!» esclamò eccitata togliendo la pentola
dal fuoco. Camminò per la cucina soffiando sulla crema per
accelerarne il raffreddamento, era rovente e non poteva farcire il
dolce, ma era impaziente e voleva finire quanto prima. «Devo
aspettare per forza?» borbottò gonfiando le guance
rosse. «Temo proprio di sì, se la farcisci ora
rovinerai tutto. Potresti preparare la glassa al cacao.» «Sì!
Anzi, prima scrivo il bigliettino e poi penso alla glassa così
si raffredda di più!» trafficò nella borsa per
prendere il suo astuccio e un cartoncino comprato in
cartoleria. «Ottima idea! Ti va un tè alle
rose?» «Fì, mi biafe bandiffimo!»
bofonchiò concentrata sul bigliettino e due matite colorate in
bocca. Makoto sorrise e mise il bollitore sul fuoco, aprì
la lavastoviglie per riempirla delle stoviglie sporche sparse ovunque
benedicendo l'inventore dell'elettrodomestico. Aprì l'acqua
fredda e prese un coltello affilato, cominciò a sciacquare e
sminuzzare le fragole per unirle alla crema chantilly; le sua amica
aveva combinato fin troppi danni e un piccolo aiuto era sempre ben
accetto Versò le fragole in un'ulteriore ciotola e si
asciugò le mani con un canovaccio prima di spegnere il fuoco e
versare l'acqua bollente nella teiera contenente il tè in
foglie. «Allora, devi festeggiare qualcosa di particolare? È
la prima volta che mi chiedi un aiuto culinario.» «Sì,
ma non te lo dico! È una sorpresa!» Makoto si
avvicinò a tavola portando un vassoio con il tè e
biscotti all'arancia per accompagnamento, passò vicino alla
ragazza e sbirciò il bigliettino decorato con glitter, cuori e
colori sgargianti. «È bellissimo! Sarà una
sorpresa molto gradita!» ridacchiò la bruna posando il
vassoio sul tavolo. «Non lo dirai alle altre, vero? Mi
vergogno...» terminò la sua opera artistica e mise
nell'astuccio i colori utilizzati. «Sarà il nostro
segreto. Ora beviamo il tè prima di terminare la torta? Ho
preparato la glassa, è ancora troppo difficile per-» «Oh!
Allora decoro subito la torta! È già stata tagliata,
vero Makochan?» Makoto annuì, bevve il suo tè
e sgranocchiò i biscotti gustandosi al meglio la scena comica
davanti a sé: un impiastro completamente sporca di crema
concentrata nella decorazione della torta. La ragazza armeggiò
con non poche difficoltà la crema chantilly unita con le
fragole sminuzzate da Makoto, riempì il disco di pan di spagna
cercando di creare uno strato omogeneo e ben allineato, prese la
seconda metà della torta e la depose delicatamente sopra la
farcitura. Si concentrò al massimo, arricciò le labbra
e tirò fuori la punta della lingua come se quel gesto potesse
aiutarla nell'impresa culinaria. Si allontanò di mezzo metro
dal tavolo e osservò la torta assemblata: non era perfetta, ma
era tutta intera e non bruciata. Un ottimo risultato. «È
perfetta! Ora devo solo ricoprirla di glassa! E se la glassa non
fosse indicata?» Si grattò la testa sciogliendo
l'odango mezzo sfatto e si appoggiò con i gomiti sul tavolo in
preda a un dubbio amletico: glassa o non glassa? Makoto non
resistette alla comicità innata della sua amica, scoppiò
a ridere e si alzò per dirigersi verso il frigo e prendere un
contenitore ermetico. «Stamattina ho preparato dell'altra
chantilly, ora tocca a te scegliere. Vuoi ricoprirla con la glassa in
stile Sacher oppure con panna e qualche fragolina decorativa?»
tolse il coperchio e annusò il profumo della crema. «Se
accetti un mio consiglio, propongo fragole e crema. La glassa la
riciclo io per dei bignè!» «Ok! Affare fatto!»
esultò battendo le mani e saltellando su se stessa,
completamente eccitata. Prese il contenitore dalle mani di Makoto e
si aiutò con una spatola da pasticcera per un'ultima mescolata
veloce alla crema per poi versarla sulla torta. Si appellò
alle poche nozioni di cucina conosciute, ricoprì interamente
la torta cercando di creare strati omogenei tra loro. Prese altre
fragole tagliate a metà per decorare la base, le posò
con cura una ad una senza rinunciare all'assaggio di uno dei suoi
frutti preferiti e perdersi in quell'inconfondibile sapore
zuccherino. «Ne metto altre qui sopra?» chiese a bocca
piena e con le labbra tinte di rosso. «Sì, potresti
metterne qualcuna di lato così puoi decorarle con del
cioccolato. Ti metto qui la penna decorativa, ok?» «Sì,
Makochan! È perfetto!» dispose delle fragole su un lato
della torta con cura e delicatezza: una, due, tre,
quattro...«Finito!» «Bravissima! Ora mancano
solo le decorazioni al cacao ed è pronta! Ti monto la scatola
per dolci così puoi incartarla.» La vide annuire
sorridente e compiaciuta del lavoro eseguito, con la coda dell'occhio
la osservò decorare la superficie della torta con la penna al
cacao. Piccole gocce, spirali e ghirigori presero forma sul
soffice strato bianco di crema facendosi strada tra le fragole rosse.
Lei trattenne il respiro e si allontanò dal dolce per
guardarlo in cerca di possibili errori: un disco completamente bianco
come la luna decorato con le fragole rosse come la passione che aveva
investito in quell'impresa. Un enorme sorriso curvò le sue
labbra, sciolse i capelli e gli odango facendoli cadere sulle spalle
e schiena, prese tra le mani il dolce con estrema cura per
raggiungere Makoto che aveva montato la scatola. «Che bella!
Hai creato una mezzaluna con le fragole!» «Sì,
è la mia firma! Speriamo sia venuta bene!» «L'hai
preparata con tanto amore.» Rispose Makoto chiudendo la scatola
con un nastrino rosso. «Dai, c'è il tuo tè che ti
aspetta. La mettiamo in frigo?» «Sì!»
***
Aveva
corso perdifiato per non far tardi, voleva essere puntuale e portare
a termine quella sorpresa. Non era abituata a simili exploit e
si era posta mille quesiti: sarà un dono gradito? Era di
fronte la porta d'ingresso e cancellò ogni suo dubbio, entrò
in casa e si levò distrattamente le scarpe bianche dirigendosi
direttamente in camera da letto. Appoggiò la scatola da
pasticceria sul tavolino vicino il letto e posizionò il
bigliettino piegato in due in piedi vicino ad essa. «Uff,
non è in casa.» sbuffò delusa da quell'assenza.
Si guardò attorno curiosando tra i libri e i quaderni buttati
sulla scrivania. «Chissà se ha un diario segreto!»
ridacchiò tra sé frugando tra le varie letture riposte
sugli scaffali abbandonando quasi subito la ricerca. «Naa, non
mi sembra il caso curiosare tra le sue cose!» Si sdraiò
sul soffice letto con le mani dietro la nuca e le gambe
accavallate. Un respiro profondo e la stanchezza che cominciava a
prevalere sul suo corpo sfinito. «Spero arrivi prima che si
sciolga tutto.» mormorò prima di scivolare nell'onirico
mondo di Morfeo. Si addormentò con i capelli imbrattati di
crema chantilly e la bocca ancora impiastricciata di fragole e
biscotti all'arancia, la stanchezza aveva preso il sopravvento e il
sonno fu così profondo da non essere interrottiodal rumore di
una finestra aperta. Una luce argentea e un paio di stivali rossi
e una divisa alla marinaretta svanirono come d'incanto. Usagi si
massaggiò la spalla e roteò il collo per trovare un
sollievo momentaneo. «Certo che questi youma sono davvero
tosti!» «Da quando è comparsa la Coppa Lunare
gli attacchi sono più frequenti e violenti. Dobbiamo tenere
gli occhi bene aperti!» «Hai ragione Luna. Sono
preoccupata per Chibiusa, non so per quanto riuscirò a tenerla
lontana da Hotaru. Siamo sicuri che lei sia davvero Sailor
Saturn?» «È una guerriera leggendaria e non
sapevo nemmeno della sua esistenza. Non voglio che Chibiusa corra
inutilmente dei pericoli. Possiamo provare a seguire il suggerimento
delle Outers. Se anche loro si sono risvegliate vuol dire che la
situazione è davvero grave!» «Già.
Guardala come dorme, Luna. È così piccola e ha già
provato la durezza della guerra. Come vorrei evitargli tutto ciò.»
bisbigliò a bassa voce per non svegliarla, si avvicinò
a lei scostandogli i capelli dal viso per darle un tenero bacio sulla
fronte. «È una guerriera Sailor e la principessa
ereditaria di Crystal City. E anche tu non sei tanto più
vecchia di lei, hai solo quindici anni e-» Luna si interruppe,
alzò il muso e annusò l'aria notando in un secondo
momento di una confezione regalo sul tavolino basso della stanza.
«Guarda Usagi, c'è qualcosa lì sopra.» La
ragazza si alzò lentamente dal letto e raggiunse Luna che nel
frattempo era salita sul tavolo, incuriosita dall'aroma che usciva
dalla scatola. «C'è anche un bigliettino di auguri.»
mormorò incerta Usagi prendendolo per leggerne il contenuto:
due sagome disegnate alla meglio raffiguranti loro due tenersi per
mani circondate da diversi cuoricini. Una forte emozione invase
con prepotenza il cuore di Usagi che cominciò a battere
all'impazzata e le guance si rigarono di lacrime di commozione. Si
portò le mani tremanti al volto, non riusciva a trattenere il
pianto, una reazione che allarmò Luna. «Usagi, che
succede?» chiese preoccupata avvicinandosi alla sua
protetta. «M-Mi...Mi...regal...Oddio!» «Oh
respira, non capisco nulla se balbetti così.» Usagi
si asciugò le lacrime sporcandosi il viso con il mascara,
osservò le mani annerite dal trucco e cominciò a
ridere. Luna la guardò sempre più confusa. «Lo
vedi questo?» sventolò il bigliettino davanti il muso
della micina. «Mi ha fatto un biglietto per la festa della
mamma e questo dev'essere il suo regalo per me.» indicò
la scatola. Luna si avvicinò alla confezione e la aprì
insieme ad Usagi: una torta bianca mezza sciolta alle fragole con
decorazioni di cioccolata era in attesa di essere mangiata. «Ecco
perché Makoto profumava di crema e fragole. Secondo me l'ha
aiutata.» «Dici? Allora speriamo sia buona! Che
facciamo, la svegliamo?» «Ha un'espressione così
rilassata. Lasciamola dormire, mi dispiace svegliarla.» «Hai
ragione, domani la ringrazierò a dovere. Vado a prendere dei
piattini, ne vuoi un po'?» Luna accettò quell'invito
goloso e Usagi andò in cucina, prese le stoviglie e due
bicchieri, aprì il frigo per portare con sé una
bottiglia d'acqua fresca e vide il vassoio di pasticcini che aveva
regalato ad Ikuko quella stessa mattina. «Sì, domani
la porterò al cinema a vedere quel film che adora. Un intero
pomeriggio tra me e...mia figlia.»
Fine
Ecco
qui un'idea nata oggi mentre preparavo una torta (orribile a vedersi,
ma molto buona – sigh!) e ho pensato a un gesto dolce e ricco
di amore di Chibiusa verso Usagi. Le abbiamo sempre viste alle prese
con biscotti bruciati ingurgitati a forza dal povero Mamoru, oppure
protagoniste dei peggio battibecchi e ho immaginato un dolce semplice
e genuino di Chibiusa verso la propria mamma. E con questo mando
un augurio a tutte le mamme del mondo, a chi sta per diventarlo, a
chi non può gioire di questo ruolo ma riversa il proprio amore
nel prossimo.
L'ho scritta di getto prima di cenare, ci sono
dei momenti che bisogna sfruttare e armarsi di tablet per
condividerli senza rileggerli 1000 volte. E Strawberry
Cakes è uno di questi.
Era
nervoso e furioso con se stesso. Non sapeva come riemergere da quella
situazione più che spinosa.
Seduto
ad un tavolino, la seguiva con lo sguardo cercando di non farsi notare da lei.
Quella peste bionda era il suo piacevole tormento quotidiano e quando si rese
conto che apprezzava la sua presenza era già troppo tardi.
«Come
mai non mi insulti come tuo solito?» Usagi prese posto di fronte a lui e
cominciò a giocherellare con una bustina di zucchero, pronta a rispondere a
qualsiasi battuta di scherno.
«Oggi tregua. Posso offrirti un dolce in segno di pace?»
La
ragazza osservò Mamoru con sospetto. Si era ripromessa di non litigare con lui
perché era il ragazzo di Rei, ma quell’atteggiamento era per lei inusuale.
Titubante, prese il menù e lesse la lista dei dessert scorrendo con un dito i
nomi dei dolci.
«Sono tutti così invitanti, Mamoru-san. Tu hai già scelto?»
«Sì, un caffè amaro. Se vuoi posso ordinare io per te visto che sei così
indecisa. Una fetta di torta alla meringa va bene?»
Usagi
annuì e si abbandonò ad un profondo sospiro. Non sapeva cosa le stava
succedendo, ma capiva che era sbagliato. Il cuore non poteva batterle così
forte in presenza del fidanzato della sua migliore amica.
Il
dolce non tardò ad arrivare. La fetta di torta era un tripudio di pan di spagna
e piccole meringhe con goccie di cioccolato al latte, una soffice nuvola bianca
decorata con panna montata e due fragoline di bosco. La ragazza ridacchiò
felice e stava per affondare la forchetta in quel capolavoro culinario quando
Mamoru le rubò una fragola.
«Ehi!
Quella era mia!»
«Non più!» rise divertito lui continuando a masticare lentamente il frutto
rosso e fissando negli occhi Usagi.
Per
qualche secondo i ragazzi rimasero in silenzio mentre si specchiavano l’uno
nello sguardo dell’altra. Lei con le gote rosse, lui felice nell’averle donato
del cioccolato bianco, entrambi segretamente consapevoli di trascorrere insieme
il White Day.
Note:
Il White Day
cade il 14 marzo, un mese esatto dopo san Valentino. Solitamente in questo
particolare giorno il ragazzo di turno regala della cioccolata bianca all’amata
per dichiararsi o per ricambiare il dono ricevuto precedentemente. Ho sempre
immaginato Mamoru e Usagi innamorati da ben prima di scoprire le relative
identità regali del passato. Mi dispiace per Rei, ma non l’J
Il frinire delle
cicale riecheggiava nelle campagne di Shiroi. Il sole era alto in cielo e
illuminava i campi di grano, i papaveri rossi e una cavalletta che tentava di
fuggire dal suo prefatore.
«Tanto di
prendo!» Il bambino si accucciò lentamente e fissava il povero insetto con la
medesima concentrazione di un leone di fronte all’antilope. Trattenne il
respiro e balzò in avanti per catturarlo, ma quello che rimediò non fu altro
che un pugno di terra secca.
«Mamoru, lascia
in pace quella povera bestia!» Althea raggiunse il figlio e gli pulì i palmi
delle manine con una salviettina umida. «Quante volte ti ho detto di stare
attento? Guarda qui, sei tutto sporco.»
Il bambino
abbassò lo sguardo e fissò le scarpe, anch’esse impolverate dopo la folle corsa
tra le spighe di grano. Amava correre a lungo, immergersi nella natura,
respirare il profumo delle piante che lo circondavano e rincorrere le
cavallette e lucertole anche se sapeva che quest’ultima sua passione fosse
sbagliata. Era pieno di vita ed energia come ogni altro bambino.
«Ecco, sono
pulito. Posso andare a giocare ora?» Mamoru gonfiò le guance rosee e rivolse
alla madre uno sguardo da cucciolo spaurito.
«Vai, ma non
molestare gli animali altrimenti finirai in punizione per una settimana!» La
donna si rialzò in piedi e seguì con lo sguardo il figlio che, felice, riprese
a correre.
«Ancora a caccia
di cavallette?»
«Oh, Takao. Temo
che abbia ereditato la passione della caccia da mio padre! Sono preoccupata,
non vorrei che da grande decida di unirsi al nonno per la caccia alla volpe!»
«Se anche fosse
che male c’è, scusa? È una tradizione inglese nobile.» L’uomo abbracciò la
moglie e le schioccò un bacio sulla fronte senza perdere di vista il figlio che
correva giocava poco distante da loro. «Lo sai che dovrà abituarsi presto alla
sua nuova casa, vero?»
«Lo sappiamo da
ancor prima che Mamoru nascesse, ma sono ugualmente preoccupata. L’Inghilterra
è molto diversa dal Giappone e non sappiamo come potrà reagire una volta
trasferiti lì.»
«È sveglio ed
intelligente. Si ambienterà benissimo.» Takao guardò intensamente la Althea
specchiandosi nei suoi profondi occhi blu.
Si erano conosciuti a Londra. Lui era in viaggio studio e durante una festa nel
campo universitario rovesciò un bicchiere di birra su una giovane studentessa.
Era rimasto folgorato da quella bellezza per lui divina. Una ragazza dai tratti
orientali con lunghi capelli castani e profondi occhi blu oceano lo stava
fissando, furiosa.
Avevano
cominciato a frequentarsi dopo quella sera stessa e Takao scoprì che lei era la
figlia di un lord londinese e di una giapponese. Quando lui dovette tornare a
Tokyo per laurearsi, Althea lo seguì e si sposarono con la promessa di tornare
a vivere a Londra.
«Hai parlato con
i tuoi genitori?»
Takao scosse il
capo «Sai come sono. Irremovibili. Nemmeno mia sorella mi rivolge la parola.»
«Mi dispiace,
amore. Pensavo che dopo la nascita di Mamoru...»
Takao zittì la
moglie poggiandole un dito sulle labbra. «Non hanno accettato né te né nostro
figlio. Ho voi due e questo mi basta.»
Althea sorrise e
si acccarezzò il ventre appena pronunciato «Quasi tre.» sussurrò appoggiandosi
con la schiena sul petto del marito che, felice, l’abbracciò
«Già, ho voi tre.»
Mamoru continuava
a correre in mezzo alle spighe di grano. Era una splendida giornata di sole e
finalmente trascorreva un intero weekend insieme ai suoi genitori. Era il suo sesto
compleanno ed era quasi diventato l’ometto di casa: qualche giorno prima sua
madre gli aveva annunciato l’arrivo di un nuovo fratellino o sorellina e per
lui quella notizia era il più bel regalo del mondo.Continuava a correre
spensierato immaginando mille avventure da condividere con il nuovo membro
della famiglia. Non vedeva l’ora di conoscerlo. Avrebbero diviso la stessa
cameretta? La nuova casa sarebbe stata abbastanza grande per tutti? Il calore
del Sole divenne più intensa e la sete cominciò ad essere insopportabile.
Mamoru interruppe la sua caccia alla cavalletta e raggiunse i genitori.
«Mommy, I’m thirsty!»
Althea gli pizzicò una guancia «Do you want
some juice, Sweety?». Cominciò a
frugare nella cesta da pic nic ed estrasse un brik di succo alla pesca che
venne subito afferrato dal bambino.
«Ormai parla con
naturalezza entramb le lingue.»
«Siamo fortunati.
Non è semplice crescere un bimbo bilingue, molte mie colleghe hanno difficoltà
perché i loro figli si rifiutano di imparare un altro idioma. Sono molto
orgogliosa di lui.» Althea accarezzò il capo di Mamoru e, sentendolo caldo, lo
coprì con un berretto rosso.
«Voglio parlare
tutte le lingue del mondo!» bofonchiò il bambino prima di riprendere a bere con
avidità il succo.
«Tutte? Sono tantissime!»
Takao si morse il labbro per non ridere «Vuoi diventare un interprete come la
mamma?»
«No! Voglio
essere il re di tutta la Terra!»
Il padre rivolse
uno sguardo divertito alla moglie. Entrambi scoppiarono a ridere davanti a
quella ingenuità pura tipica dei bambini.
«Sei davvero
ambizioso! E cosa farai una volta diventato Re?»
«È semplice,
Daddy! Sposerò la Regina della Luna, farò un regno grande così e aggiusterò
tutte le cose e persone rotte del mondo!» Mamoru allargò le braccia più volte
per mimare geste eroiche. «Costruirò un grandissimo palazzo e saranno tutti
felici!»
Althea si deliziò
di quel sogno irrealizzabile. Non poteva negare che il figlio fosse privo di
fantasia. «Un bravo sovrano deve vegliare sui propri sudditi e la Terra è molto
grande. Lo sai, vero?»
«Sì, Mommy. Ma io
avrò un cavallo magico alato e volerò lì in alto per controllare tutti!» Il
bambino indicò con un dito il cielo azzurro e cominciò a saltellare di fronte i
genitori imitando il volo di un uccello.
«Vostra Altezza
Mamoru Chiba!» Takao fece un gesto di riverenza verso il figlio «Avete già
deciso dove costruirete il vostro immenso palazzo?»
«Sì! Londra! Sarà
enorme così abiteremo tutti insieme! Noi, il fratellino, nonno William e nonna
Yume!»
«Lo sai che vive
già una regina a Londra?»
Mamoru smise di
saltare. Chi aveva osato rubargli il trono?
«In Inghilterra
regna la Regina Elisabetta.» Takao prese in braccio il figlio che, spiazzato,
era sul punto di piangere. «Devi sapere che ci sono tanti sovrani nel mondo!
Spagna, Cambogia, Eswatini, Arabia Saudita. In alcuni paesi esistono anche
degli emiri e degli imperatori. In Giappone c’è l’Imperatore Akihito.»
Il bambino gonfiò
le guance. Era triste, deluso e arrabbiato. Voleva diventare a tutti i costi un
sovrano per aiutare il prossimo e quell’esclusiva le era stata portata via. «Posso
almeno aggiustare le cose del mondo o c’è un aggiustatore che mi ha rubato il
posto?»
«Certo, Sweety!
Puoi aiutare la gente in tanti modi diventando un avvocato, un magistrato, un
politico, un..»
«Un idraulico e
aggiustare i sogni delle ragazze!»
«Takao!» la donna
tappò subito le orecchie del figlio con le proprie mani. Fulminò con lo sguardo
il marito e assunse un’espressione imbarazzata e furiosa allo stesso momento. «Non
dire certe cose! Davanti a nostro figlio poi!»
«Non è forse la
verità?» rise sornione, memore dei vari giochi di ruolo vissuti con Althea
quando erano dei giovani universitari.
Infastidito,
Mamoru si liberò dalla presa della madre. «Uffa. Se non posso fare il Re allora
posso diventare un dottore e sarò il Re dell’ospedale e aggiusterò le persone.»
Takao smise di
ridere. Si voltò verso la moglie che, al suo contrario, sorrideva dolcemente al
piccolo. «La medicina scorre proprio nel sangue dei Chiba.»
Mamoru non
comprese quella strana frase. Si stvano forse prendendo gioco di lui?. Vuotò
del tutto il brik di succo e scese dalle braccia del padre per recuperare due
macchinine gettate a terra, vicino al plaid e si immerse nel suo innocente
mondo fatto di sogni ad occhi aperti e giochi.
«Sembra che
voglia seguire le orme di tuo padre.»
«A quanto pare
sì. Spero che abbia più giudizio di lui.» Takao sospirò profondamente,
amareggiato dalla delicata situazione famigliare tra lui e la sua famiglia di
origine.
La famiglia Chiba
era patriarcale. Satoshi, il capofamiglia, era un noto primario di cardiologia
e per anni aveva tentato di convincere Takao ad iscriversi a medicina,
inutilmente. Non aveva accettato le scelte professionali del figlio che, dopo
un lungo periodo trascorso in Inghilterra, era tornato in Giappone portandosi
con sé una straniera presentandola alla famiglia come sua futura moglie.
Se Takao avesse
sposato una hāfu, lo avrebbe disconosciuto e allontanato per sempre dalla
famiglia.
«Mommy, Daddy!
Posso aggiustare gli animali?». Mamoru saltellò verso i genitori.
«Certo, ma dovrai
diventare un veterinario, il dottore gli animali!»
«E come faccio a
incollare questa?» Mostrò trionfante una coda di lucertola ancora in movimento.
«My God, Sweety!»
Althea trattenne un conato di nausea «Getta subito quella cosa a terra! Quante
volte ti ho detto di lasciare in pace quelle creature?»
«Ma se la butto a
terra non posso più incollarla.»
«La coda
ricrescerà. È uno dei tanti misteri delle lucertole.» Takao non potè non notare
un bagliore di pura ingenuità negli occhi del bambino. «Esistono tanti animali straordinari!»
Le labbra di
Mamoru si arricciarono più volte. Era pensieroso, voleva saperne di più di
creature miracolose. «E dove posso vederli?»
«Allo zoo. Se raccogli
i tuoi giocattoli e pulisci le manine possiamo andarci oggi stesso.»
Un enorme sorriso
si formò sul viso di Mamoru marcando due fossette sulle guance paffute. Non era
mai stato allo soo e l’idea di osservare da vicino degli animali lo
entusiasmava. Quanto erano alte le giraffe? E gli elefanti? Chissà se i leoni
sono così belli come quelli del film animato della Disney.
Annuì col capo e
corse a raccogliere le due macchinine e i restanti giocattoli per infilarli nel
suo zainetto.
Prese per mano in
genitori girandosi più volte per vedere i loro volti sorridenti. Voleva correre
il più veloce possibile verso la loro auto che li avrebbe portati allo zoo.
Una destinazione che
non avrebbero mai raggiunto.
Note:
Hafu un termine giapponese usato per riferirsi ai figli
di unioni tra giapponesi e stranieri. Discriminati verso la prima metà dello
scorso secolo, agli hafu venivano affibiati stereotipi spesso riconducibili
alla sfera sessuale, motivo per cui una volta adulti non riuscivano a trovare
moglie o marito finendo per sposarsi con altri hafu.
Anche se la globalizzazione ormai è estesa in tutto il mondo, attualmente gli
hafu continuano a non essere ben visti a tal punto che molti bambini non
parlano l’inglese o la loro seconda lingua madre per paura di essere vittima di
bullismo.
In questa shot Satoshi Chiba, nonno paterno di Mamoru, ha letteralmente cacciato
dalla propria famiglia Takao perché si è sposato con una hafu e quindi “contaminato”
il sangue puro giapponese dei Chiba.
Ebbene sì, anche il nostro Mamoru Chiba è un hafu.
Il sole
illuminava la città di Tokyo. L’estate era ormai vicina e gli edochiani si
concedevano lunghe passeggiate dopo una lunga e stressante giornata lavorativa.
Usagi era seduta
sulla panchina del parco Arisugawa, un'oasi di pace in mezzo alla giungla di
cemento della città, ma non era allegra come al solito. Erano trascorse
settimane dal suo primo incontro con Luna, era diventata una guerriera e in
poco tempo aveva trovato due nuove compagne di battaglia: Ami e Rei. Si sentiva
sollevata nel condividere quell’identità segreta con altre persone, ma non
riusciva a gioirne perché consapevole di dividere quel triste destino con loro.
Triste destino.
Sollevò lo
sguardo per osservare alcuni studenti che improvvisavano una partita di calcio vicino
alla fontana con l’orologio. Erano spensierati, allegri, totalmente ignari dell’esistenza
di creature malefiche pronte ad attaccarli per rubar loro la linfa vitale.
Usagi sospirò, di
nuovo. Quella mattina si beccò una ramanzina dalla professoressa Haruna a causa
del peggioramento del rendimento scolastico già fin troppo precario. Odiava
studiare e non era un mistero, ma le battaglie, soprattutto quelle notturne, la
sfiancavano e la rallentavano nello studio.
« Uffa!» sbottò
sconsolata. Il giorno prima si era recata con Rei al nuovo Luna Park per
indagare su strani eventi forse collegati al nemico. Si era illusa di potersi
divertire e per pochi minuti ci era riuscita, ma Rei la sgridò e per giunta di
fronte a quell’odioso Mamoru. Quel ragazzo… come mai si trovava su una giostra
per bambini?
Diede un calcio
ad un sassolino.
«In fin dei conti
anch'io ero su quel trenino.» cominciò a torturarsi le mani «Che male c'è nel
volersi divertire?»
Divertimento.
Aveva bisogno di
sfogarsi, di evadere da quelle responsabilità troppo grandi per una semplice
ragazzina delle scuole medie. Forse anche Mamoru voleva scappare da qualcosa,
in fin dei conti non sapeva perché lui si trovasse lì.
«Ehi biondina! Ci
passi il pallone?»
Usagi osservò il
gruppo di ragazzi che da lontano le indicavano un pallone da calcio accanto a
lei. Contemplò quella sfera di cuoio bianca e nera. Era un caldo pomeriggio e
tutti avevano diritto a divertirsi, giocare ed essere spensierati.
A vivere.
Tutti vivevano
tranne lei, la guerriera che combatteva il male aiutata da due ragazze speciali
per la salvaguardia del prossimo.
Diede un calcio
al pallone con tutta la forza possibile, sfogò in quel gesto la rabbia repressa
di intere notti a combattere. Si lasciò cadere pesantemente sulla panchina, gli
occhi cominciarono a punzecchiare e un magone in gola le bloccò per pochi
istanti la respirazione.
«Che brutta
faccia! Hai avuto un'altra insufficienza?»
«Tu!» Usagi riconobbe
subito quella voce profonda dal tono canzonatorio. «Se hai voglia di litigare
hai scelto il momento giusto!»
Mamoru scoppiò a
ridere, si tolse gli occhiali riponendoli nella borsa e si sedette vicino a
lei. « È da un po' che ti osservo. Cosa ti turba?»
«Assolutamente
nulla e se avessi qualche problema non verrei certo a parlarne con te!»
Il moro continuò
a sorridere, si stiracchiò le braccia e si concesse un lungo sbadiglio. Era
stanco, gli esami lo avevano sfinito e volle concedersi una breve pausa. Rimase
seduto vicino a lei per diversi minuti in totale silenzio, un avvenimento più
unico che raro.
Contro ogni previsione
Usagi si trovò a proprio agio in compagnia di quello che ormai definiva il suo
peggior nemico, ma in fin dei conti come poteva giudicarlo tale se non
conosceva nulla della sua vita? I veri nemici erano ben altri e lui era solo un’arrogante
spocchioso figlio di papà che si divertiva a punzecchiarla. Forse poteva
provare a conoscerlo un po' prima di odiarlo del tutto.
«Oggi sono stata
ripresa dalla mia professoressa.» Mamoru si voltò verso di lei «Ce la sto
mettendo davvero tutta nello studio, ma non riesco a memorizzare nula. Sono
davvero una stupida incapace»
«Non sei stupida.
Forse sbagli il metodo di studio o prendi male gli appunti.»
Usagi strinse le
ginocchia con le proprie dita sperando che il dolore provocato dalle unghie
conficcate nella carne potesse soffocare quel pianto pronto ad esplodere da un
momento all'altro. Non voleva piangere, non davanti a lui.
«Se ti va posso
aiutarti…» A quelle parole la ragazza si voltò di scatto verso Mamoru che, con
le guance rosse per l'imbarazzo, cominciò a balbettare « Sì, non l’ho mai fatto
prima, ma se vuoi possiamo studiare insieme.»
Usagi senti il
viso divenire all’improvviso bollente. «Ecco, io… sono una pessima allieva soprattutto
in matematica ed inglese.»
«Potrai non
credermi, ma sono bilingue.»
«Davvero?» non
riuscì a trattenere un piccolo gridolino di puro stupore. Allora quell’antipatico
era davvero intelligente!
«Sì, devo averlo
imparato da piccolo, ma non ho ricordi.»
Usagi si ritrovò
a contemplare il volto di Mamoru senza rendersene conto: era davvero bello e non
era così odioso. Pensò alle parole che Rei aveva speso per lui il giorno prima
al Luna Park quando lo definì un gran bel fusto senza nascondere il desiderio
di potervi iniziare una relazione sentimentale.
Provò uno strano
peso al petto e un nuovo nodo alla gola: Rei puntava Mamoru solo ed
esclusivamente per la sua avvenenza senza interessarsi al carattere, al lato umano.
Era infastidita.
Lei e le sue amiche erano delle combattenti, non potevano allacciare rapporti
romantici e mettere a rischio la vita dei propri amici, cari e persone amate e
Rei non doveva né poteva fidanzarsi.
Loro non erano
ragazze comuni, erano diverse.
Sentì una mano
accarezzarle il capo.
«Sei turbata per
qualcosa e non è lo studio, vero?»
Usagi si morse il
labbro inferiore. Come poteva confidargli il suo alter ego magico? “Ehi,
sono Sailor Moon e sono depressa a causa di una crisi di identità in piena fase
adolescenziale!” No, non avrebbe mai creduto ad una singola parola e Luna l’avrebbe
uccisa per aver infranto il tabù sulla riservatezza della loro missione.
Respirò a fondo limitandosi
ad annuire con il capo, sentì un fruscio e vide Mamoru alzarsi e porgerle una
mano invitandola a seguirlo.
***
Erano appena
saliti sulla Yurikamome e Usagi si innervosì nel vedere alcune ragazze divorare
con gli occhi Mamoru per poi rivolgerele battutine di pura disapprovazione.
Sapeva di non essere affascinante come Rei nè aggraziata e femminile come Naru,
ma non riusciva a farsi scivolare addosso quegli sguardi denigratori.
«Come siamo
taciturne!»
«Sono solo
preoccupata. Non ho avvisato mia madre.»
«Tranquilla, ti
accompagnerò a casa. Non ho nessuna intenzione di lasciarti da sola in mezzo
alla strada di sera. A quell’ora le strade sono pericolose, soprattutto per una
ragazza come te.»
Usagi strinse la
cartella scolastica al petto. Stava vivendo una situazione assurda, ma non le
dispiaceva, anzi: gradiva ricevere attenzioni.
«Mamoru-san, ne
sei sicuro? Non vorrei che i tuoi genitori...»
«Vivo da solo.»
L’altoparlante
della metropolitana annunciò l’arrivo alla fermata Odaiba Kaihinkōen,
Usagi raggiunse lentamente l’uscita del convoglio conscia di aver forse parlato
troppo. La risposta che aveva ricevuto era fredda, soffiata con una voce
leggermente incrinata. Forse aveva dei problemi in famiglia o era stato
semplicemente cacciato di casa e si era ritrovato a vivere da solo... maledetta
linguaccia! Si sentì una perfetta idiota e le continue risatine di quelle studentesse
peggiorarono il suo stato d’animo, ma quel disagio svanì quando Mamoru la prese
per mano.
Confusa, Usagi si
lasciò trascinare dal ragazzo e scesero dal treno sotto gli sguardi stupiti di
quei fastidiosi passeggeri.
«Non le
sopportavo più quelle galline!» Mamoru non riuscì a contenere il proprio
disappunto.
«Chi?»
«Quelle cretine
sul treno. Solo io posso prenderti in giro e nessun altro.»
«Che arrogante!»
In una situazione normale lo avrebbe insultato per ore, ma quel pomeriggio aveva
preso una strana piega. Un’ora prima si trovava da sola seduta su una panchina
a deprimersi: non avrebbe mai immaginato di passeggiare mano nella mano con
Mamoru verso una meta sconosciuta. Sembrava quasi un appuntamento romantico.
Camminarono per
diversi minuti senza separarsi e finalmente arrivarono a destinazione, alla
spiaggia di Odaiba, una località turistica con una suggestiva vista della
skyline di Tokyo. Di fronte a quello spettacolo le mancarono le parole.
«Quando sono in
crisi con me stesso mi rifugio qui.» Mamoru posò la borsa sulla sabbia e si
levò la giacca dell’uniforme. «È una piccola oasi e a quest’ora è poco frequentata.»
«Cosa vorresti
dire?»
«Sfogati.» Le
prese la borsa e la posò vicino alla propria. «Urla, piangi, puoi anche
picchiarmi, ma sfogati. Non tenerti dentro tutto, non voglio vederti così.»
Usagi lo guardò a
lungo, in silenzio. Quello stronzo che si deliziava nel calunniarla ogni giorno
era l’unico ad aver ascoltato il suo silenzioso grido d’aiuto. L’unico ad
averla compresa veramente.
Gli occhi le si
inumidirono velocemente, il nodo alla gola si sciolse del tutto: scoppiò in un
pianto disperato. Tentò di trattenersi, ma i singhiozzi divennero più intensi.
Non voleva piangere, ma qualcosa dentro di lei si ruppe e la colpa, o forse il
merito, era di quel ragazzo che la stava osservando preoccupato.
Mamoru la tirò a sé
e l’abbracciò forte. Voleva aiutarla, proteggerla e cancellare il dolore che le
stava dilaniando l’anima. Quella ragazzina petulante era un raggio di sole nella
sua buia vita. Si divertiva a prenderla in giro, era un piacevole passatempo,
il momento più bello e dolce della giornata, ma quel pomeriggio aveva assunto
un sapore agrodolce. Soffriva nel vederla piangere così fragile e indifesa, la
strinse più forte e provò una strana, ma piacevole sensazione. Averla tra le
sue braccia, respirare il profumo di quella pelle bianca e vellutata, sentire
la morbidezza dei lunghi capelli biondi.
Assaporò il
calore del suo corpo minuto che tremava per il pianto.
Gli piaceva quel
momento.
Gli piaceva
Usagi.
«Ti voglio bene.»
sussurrò premendo le labbra sul capo di lei.
«Hai detto
qualcosa?»
Gli occhi lucidi
di Usagi lo bloccarono. Si smarrì in quello sguardo azzurro nonostante fosse bagnato
di lacrime. «Ti ho chiesto se stavi bene.»
«Sì, decisamente
meglio. Devo solo riprendermi un po'.»la
ragazza sciolse lentamente l’abbraccio e cercò di ricomporsi. Si toccò le
guance sentendole roventi al tatto, non riusciva a capire se si trattasse di
influenza o di altro. Prese un profondo respiro e cercò con lo sguardo Mamoru,
trovandolo chino a rovistare tra le tasche della giacca.
«Stai cercando
qualcosa?»
«Il mio cellulare.
Ti consiglio di levarti le scarpe e rimanere scalza.»
Usagi non capì, il
sorriso malizioso di Mamoru non prometteva nulla di buono e le note di una canzone
straniera che riecheggiarono nell’aria confermò i suoi sospetti.
«Da dove viene
questa musica? Sei-»
«Da Youtube!
Musica occidentale.» Mamoru alzò il celllare mostrandole il videoclip del brano
Wake me up dell’artista Avicii. «Sei pronta?»
«Pronta per cosa?»
Mamoru le prese
entrambe le mani «A ballare con me.»
Usagi era
completamente senza parole. Non sapeva ballare e non aveva mai provato a farlo
seriamente, perché doveva cominciare proprio in quel momento con lui? Senza
rendersene conto, si ritrovò a improvvisare una danza insieme a Mamoru. Non
sapeva se si muovesse bene, ma non le importava: il ritmo di quella canzone era
travolgente. Ballarano in riva al mare incurante di bagnarsi i piedi nudi: saltarono
come pazzi e Usagi si abbandonò ad una risata felice, euforica e continuò a
girare su sè stessa allargando le braccia in aria. Chiuse gli occhi e respirò a
pieni polmoni l’aria salmastra, si sentì leggera come non lo era stata mai. Si
fece cullare dalla musica e con lei anche Mamoru che, tra un passo e l’altro,
la prese per la vita per unirsi a quel ballo frenetico.
«Feeling my way through the darkness guided by
a beating heart. I can't tell where the journey will end, but I know where to
start.»
Sussurrò quella
strofa nell’orecchio di Usagi che non comprese la traduzione.
«Sei bravo, sicuro
di non essere britannico?»
Mamoru rise. Usagi
ebbe un brivido lungo la schiena quando sentì il respiro del ragazzo solleticarle
il collo. Era una situazione sconveniente che.... oh, al diavolo! Voleva
lasciarsi andare e assaporare ogni istante di quel momento.
La playlist impostata
sullo smartphone di Mamoru continuò a proporre nuovi brani, prevalentemente internazionale.
I ragazzi continuarono a ballare senza sosta incuranti degli sguardi
incuriositi di alcuni passanti. Usagi calciava la sabbia, si fece cullare dalla
musica e si rese conto che cominciava a piacerle la compagnia di quell’adolescente
non più tanto antipatico.
Si fermò per
qualche istante per riprendere fiato, tese le braccia verso l’alto per
rilassare i muscoli quando si rese conto che il sole era quasi calato del tutto
colorando il cielo da mille sfumature
vermiglie. La skyline di Tokyo illuminata era a dir poco da togliere il fiato e
le luci del Rainbow Bridge che si specchiava sulla sunoperficie del mare donavano
una nota romantica a quel panorama.
«È davvero bello qui.»
«Già» Mamoru non riusciva
a staccarle gli occhi di dosso: adorava quelle guance morbide arrossate e gli
odango mezzi sciolti. Si avvicinò a lei e le spostò una lunga ciocca dorata
dietro l’orecchio.
A quel tocco
Usagi sentì il cuore saltare un battito e uno strano formicolio allo stomaco. Osservò
Mamoru e restò affascinata dai suoi occhi blu così pronfondi e intensi, dalla
chioma nera scompigliata e la camicia slacciata fino al terzo bottone che
lasciava intravedere fin troppa pelle. Il Mamoru cinico, ingessato nell’impeccabile
uniforme liceale perfettamente inamidata era sparito lasciando il posto a un diciasettenne
estremamente attraente e pieno di sorprese. Qual era la sua vera natura?
Usagi si ritrovò a fissare le labbra di Mamoru, ne era rapita e non reagì
quando sentì le mani del ragazzo stringerle la vita. Perché si sentiva così
strana? Perché provava gelosia ogniqualvolta che Rei parlava di lui con estrema
superficialità? Quel ragazzo era una persona con dei sentimenti, non un oggetto
da conquistare.
Si sentiva
confusa. Possibile che provasse dei sentimenti nei confronti di quel bulletto
che quotidianamente la tormentava al Crown? Non sopportava le sue stupide e
pungenti battute eppure si preoccupava quando non lo vedeva nei paraggi. Sentì
il cuore batterle all’impazzata e voleva che il tempo si fermasse per sempre in
quel preciso istante.
Mamoru aumentò la
stretta delle proprie mani e si avvicinò al viso di quella piccola peste
bionda. Non aveva mai provato un’attrazione così forte per una ragazza. Voleva stringerla
nuovamente tra le sue braccia, accarezzarle il capelli e assaggiare quelle
labbra socchiuse così invitanti. Con una mano le sfiorò il viso e col pollice accarezzò
il labbro inferiore di quella ragazza che, stringendosì più vicina a lui, smise
di respirare per qualche secondo.
Il rumore di un ramo
rotto interruppe quell’incantesimo. Mamoru si bloccò e Usagi distolse lo
sguardo da lui per focalizzarsi sui propri piedi nudi.
«Ecco, io...» incespicò
sulle parole. «Non so come ringraziarti per...oggi.» Si morse il labbro. Non
sapeva se maledire o ringraziare quel rumore sospetto. Cosa sarebbe successo se
non fossero stati interrotti? L’avrebbe baciata? E se lo avesse fatto, cosa
sarebbero diventati loro due?
Mamoru si grattò
il capo maledicendo la propria goffaggine. Perché si era bloccato come un
beota? In fin dei conti quel rumore era stato causato da un gatto randagio, perché
allarmarsi per un nonnulla? Idiota, si definì un idiota completo.
«Mi dai il tuo
numero?» chiese tutto d’un fiato ricorrendo all’ultimo briciolo di coraggio
rimasto in corpo.
«Oh!» Usagi
divenne paonazza. «È per studiare insieme?»
«Sì, per lo
studio...» Mamoru le consegnò il cellulare. La vide digitare veocemente il
numero e salvarlo in rubrica: Usagi Tsukino. Anche il cognome era carino, come
lei. «Ci vediamo domani al Crown?»
Usagi finì di
sistemarsi alla meglio gli odango. Sorrise e annuì col capo. «Con cosa
cominciamo?»
«Inglese. Tradurremo
insieme la canzone di stasera.» la prese per mano e intrecciò le proprie dita
con quelle della ragazza. «Ti riaccompagno a casa.»
Note:
Questo capitolo è ambientato subito dopo l’episodio
numero 11 della prima serie ed è un anticipo del prequel della mia saga Pandora
:)
Durante un lungo viaggio in macchina ho sentito per caso
la nuova hit di Jason Derulo, un brano che per non so quale motivo mi ha preso
non poco e mi ha ispirato per la stesura di questo capitolo
La canzone citata è dell’artista Avicii, scomparso
prematuramente. Amo quel brano e il testo mi sembrava più che adatto per
descrivere al meglio il “mal de vivre” di Mamoru.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Non smetterò mai di ringraziarvi per non aver smesso di
leggermi.