Dark Sid(h)e

di I_love_villains
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Persa ***
Capitolo 2: *** Timore ***
Capitolo 3: *** Il capo ***
Capitolo 4: *** La casa sull'albero ***
Capitolo 5: *** Inquietudine ***
Capitolo 6: *** Notte insonne ***
Capitolo 7: *** Verso casa Anderson ***
Capitolo 8: *** Casa Anderson ***
Capitolo 9: *** Nell'incubo ***
Capitolo 10: *** Comprensione ***
Capitolo 11: *** Memento mori ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Persa ***


La piccola sidhe tremò leggermente all’ennesimo tuono. Non aveva mai avuto paura dei temporali prima, era una bambina abbastanza coraggiosa, ma naturalmente prima di allora non si era trovata in mezzo ad una tempesta, di notte e da sola. Temeva che i lampi le mostrassero qualche bestia acquattata nell’oscurità e che i tuoni ne mascherassero i movimenti furtivi. Tutto intorno a lei le appariva minaccioso e oscuro.
Pandora, esausta, si sedette su un masso. Ormai era bagnata fradicia. I lunghi capelli neri le aderivano alla pelle, così come il vestitino giallo. Si scostò irritata la frangia dagli occhi nocciola. Rifletté che ormai al collegio dovessero essersi accorti che mancava, Pepe in primis. Il suo Lykoi Cat, se non Hope, la sua migliore amica, avrebbe dato certamente l’allarme. Probabile che l’attendesse una sgridata al suo ritorno, ma non le importava. Tutto pur di essere nel suo letto, accoccolata vicino al suo micio.
Si alzò, un po’ rincuorata. Decise che camminando senza meta rischiava solo di allontanarsi di più dal collegio e di incontrare davvero qualche creatura pericolosa. Doveva trovare un riparo, ecco cosa doveva fare. Un luogo sicuro e possibilmente asciutto dove attendere i soccorsi. Pandora si guardò attorno: niente grotte. L’unica era arrampicarsi su un albero. Per fortuna ne era capace. Le sarebbe piaciuto vedere Lilian al suo posto. Immaginando le difficoltà della rivale, salì più in alto che poté. Lì la pioggia era meno intensa e non si stava troppo scomodi. Soddisfatta, la giovane sospirò sollevata.
Se non fosse stato per quel tempaccio, si sarebbe trasformata in un corvo e sarebbe volata in camera sua già da un pezzo. Tutti i sidhe erano capaci di trasformarsi in uccelli, anche se variavano le specie. La gente rimaneva sempre spiazzata quando Pandora si trasformava: i corvi non erano associati a graziose dodicenni. La bambina aveva provato anche a teletrasportarsi, un altro potere comune a tutti, ma o era troppo lontana o qualcosa di magico le impediva di comparire all’entrata del Pharrell College.
Alla sua età ogni creatura del Piccolo Popolo sapeva padroneggiare un buon numero di poteri, comuni o meno, e conosceva svariati incantesimi. Pandora dunque non era del tutto indifesa. Tuttavia non era pronta a quell’avventura fuori programma e imbattersi in qualcosa come un orso poteva essere spaventoso anche se si sapeva generare uno scudo abbastanza potente da tenerlo lontano.
La piccola chiuse gli occhi, si aggiustò meglio e si addormentò, stremata per la lunga camminata e la paura.

“Non sai altro Hope?” domandò ancora una volta Cassandra, la responsabile del terzo piano.
“No, signorina. Dory è andata a Borgo Fatato a giocare e non è tornata” rispose sommessamente la bambina.
Aveva nove anni ed era molto timida. Strinse forte il suo peluche preferito, una maialina chiamata Miss Piggy. I capelli rossi e ricci le circondavano il viso, non più trattenuti dal fiocco azzurro con cui erano legati durante il giorno. Hope abbassò gli occhi celesti, dispiaciuta di non poter essere più utile. Conosceva bene l’amica. Molto spesso l’audacia la portava ad essere avventata e si metteva nei guai.
“Va bene, grazie dell’aiuto” fece Cassandra, per poi uscire dalla camera comune delle ragazze di quel piano.
“Quella sconsiderata se la sarà andata a cercare” commentò aspramente Lilian.
Aveva tredici anni, capelli biondo - arancio e critici occhi verdi. Come le altre a quell’ora, era in camicia da notte e si stava mettendo i bigodini.
“Magari adesso smetterà di comportarsi da maschiaccio. È il suo unico difetto. Una signorina …”
“Zitta, strega, la mia padrona può fare quello che vuole!” esclamò Pepe.
“Porta rispetto per chi ti è superiore” lo rimproverò Lilian lanciando un’occhiataccia al gatto.
Lui le fece la linguaccia e saltò in grembo ad Hope, che lo accarezzò meccanicamente.
“Tale padrona, tale animale” sibilò seccamente la bionda.
Avvolse l’ultima ciocca di capelli attorno a un bigodino e andò in camera sua senza dire altro.
“Hope, vai a letto anche tu” consigliò Viola, una sua compagna di classe con folti capelli color cioccolato.
“Ok. Pepe, mi fai compagnia?”
“Hai Miss Piggy, Hope. Io devo restare vigile fino al ritorno della mia padrona.”

Le insegnanti trovarono Pandora alle prime luci dell’alba. La bambina le abbracciò di slancio, troppo contenta di essere stata ritrovata così presto per darsi un contegno. Cominciò subito a giustificarsi, ma la signorina Blake la zittì con un incantesimo.
“Ogni cosa a suo tempo, signorina Williams. Prima vada in infermeria.”
Pandora annuì imbronciata. Il suo malumore non durò a lungo. Era una bambina energica e solare, in fondo. Riuscì a non beccarsi un’influenza, i graffi sparirono in un lampo, come anche la puntura di un insetto, e la fecero lavare. Non le ripararono il vestito per punizione. La piccola sospirò, rassegnata. Il giallo era il suo colore preferito, ma tanto aveva perso gli elastici coordinati. Anzi, era proprio a causa di quelli che si era addentrata nel bosco, come più tardi raccontò alla signorina Cassandra Blake. Stava giocando con dei bambini, non il solito gruppetto di amici, quando i suoi capelli si erano sciolti per magia, coprendole il viso. Pandora se li era ravviati, un po’ stupita. Un ragazzino mai visto prima reggeva in una mano gli elastici che solitamente le bloccavano la chioma in due simpatici codini.
“Adesso sono miei” ghignò il ragazzino.
“Ma neanche per sogno!” replicò vivacemente Pandora.
Poteva essere buona e cara, ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, tantomeno da uno stupido bulletto.
“Allora prendimi!”
Lei era corsa dietro di lui senza pensarci, offesa. Gli altri li avevano guardati correre via, per poi riprendere il loro gioco. Si trattava di bambini di strada, avvezzi a scene del genere.
Pandora inseguì il ragazzino finché ebbe fiato. Si fermò trafelata vicino una quercia, rendendosi conto di averlo perso di vista. E forse non aveva perso solo lui ...
La bambina non poteva saperlo, ma qualcosa l’aveva osservata per tutto il tempo, la stessa creatura che le aveva impedito di teletrasportarsi e che l’aveva marchiata con una puntura. Prima o poi sarebbe stata sua; al momento giusto l’avrebbe attirata da lui ... assieme ad altri bambini!



***Angolo Autrice***
Spero che il capitolo d'apertura di questa fic fantasy - horror vi abbia interessati.
Pubblicherò ogni domenica e alcune scene sono state ispirate da role fatte con AnnyWolf99.
Il rating arancione vale dal nono capitolo in poi.
Vi lasco con Pepe, bye!

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Capitolo 2
*** Timore ***


Pioveva di nuovo, per la noia dei bambini, impossibilitati a giocare fuori. Pandora era stesa sul suo letto, a pancia in giù, e leggeva muovendo piano le gambe. Ad un tratto Pepe corse vicino a lei, depose per terra una lucertola e la guardò, in attesa.
“Bravo micio” fece lei e lo carezzò distrattamente.
Allora il gatto mangiò la sua preda.
“Stai studiando, Dory?”
“Più o meno. Questo libro mi sta facendo addormentare.”
Detto questo sbadigliò, decidendo che ne aveva abbastanza. Lasciò cadere il libro e prese Pepe in braccio.
“Facciamoci un pisolino, mh?”
In quel momento un ragazzino biondo con gli occhi azzurri entrò nella stanza, sorridendo.
“Dory cara, ti va di assistere ad uno spettacolo di burattini?”
“Veramente stavo per dormire. E sono marionette.”
“Bene, non hai impegni. Dai, è divertente e sai che me ne scordo sempre.”
“Compreso il mio nome.”
“Sei crudele a ricordarmi sempre il mio problema … ma aspetta, in realtà lo fai così mi sforzo e guarisco, vero?” domandò il biondino sedendosi sul letto, accanto a lei.
“Beh, se tu guarissi mi farebbe piacere …” cominciò Pandora, interrotta dall’altro che le strinse con veemenza una mano.
“Lo sapevo, tu non puoi essere crudele.”
“Galahad” sospirò la bambina esasperata. Ritrasse la mano. “Galahad, anche se ricorderai il nome completo non mi piacerai automaticamente. Tanti lo sanno ma non li amo.”
“Non sono me. Allora … Doris?”
“Acqua.”
“Dorian?”
“Oceano, quello è maschile.”
“Theodora!”
“Fuochino.”
“Mmh … Isidora!”
“È Pandora” sorrise lei un po’ dispiaciuta. Il suo amico proprio non memorizzava certi nomi.
“Ah, certo, stavo per dirlo!” esclamò Galahad battendosi una mano sulla fronte.
“Non importa, guardiamo lo spettacolo.”
“Sì. Sai, sono bravo a realizzare i … le marionette. Le so anche fare muovere. Appena saprò anche recitare diventerò famoso.”
“Le signorine perbene non fanno entrare i ragazzi nelle loro camere” disse Lilian vedendoli uscire insieme.
“E si fanno i fatti propri” aggiunse Dory imitando il tono da gran dama dell’altra.
“Ehi Vivian” la salutò Galahad.
“È Lilian” lo corresse seccata la bionda.
“Già, Lilian. Vuoi vedere anche tu le marionette?”
“Credo di aver superato l’età per certe cose, grazie.”
“Io direi che non ce l’ha mai avuta” borbottò Pandora quando furono fuori dalla stanza comune delle ragazze.
“Secondo me non andate d’accordo perché avete i poteri opposti.”
“Questa è una teoria di tua cugina, vero?”
“Sì, e sai che lei è un genio.”
“Sì, ma io non credo sia per i poteri. È lei. Mi provoca e io rispondo e …”
“Doryyy!”
La ragazzina si interruppe. Hope si precipitò fra le sue braccia, spaventata e tremante. Strinse forte l’amica.
“Dory, ho visto un mostro!”
I due bambini più grandi si scambiarono uno sguardo.
“Hope, calmati” disse Pandora mettendole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi. “Vedrai che era solo la tua immaginazione o al massimo ti hanno fatto uno scherzo.”
“N- non era la mia immaginazione” piagnucolò la rossa.
“Allora graffierò chi ti ha fatto paura!” esclamò Pepe.
“Ci stavi seguendo?”
“Sì, bamboccio! Non ti lascio certo solo con la mia padrona!”
Hope accennò un sorriso. Ora che era con i suoi amici era più serena. Anche Dory sorrise, contenta che si stesse tranquillizzando.
“Come vedi ci sono ben tre coraggiosi guerrieri pronti a proteggerti. Dov’è il mostro da affrontare?” le domandò.
“So che lo avrete sentito mille volte ma … era nell’armadio” bisbigliò la bambina.
“Controllare non costa nulla” affermò Galahad. “Facci strada Hope.”
La piccola annuì. Li fece scendere al secondo piano, poi li guidò nascondendosi dietro Dory. Galahad camminava accanto a loro mentre Pepe li precedeva, fermandosi ogni tanto per conoscere la direzione. Superarono gruppetti di bambini dai cinque agli otto anni. Ogni piano del Pharrell College ospitava ragazzi di diverse età dal secondo piano in poi. Al primo soggiornavano gli insegnanti e al piano terra c’erano le aule.
“Ecco, è in quella stanza. Mi ero offerta di mettere a posto i giochi dei più piccoli e l’ho visto.”
“Non vedo né sento nulla” annunciò Pepe dalla soglia della porta.
“Eri sola dunque?” chiese Galahad.
“Sì, e ho riordinato.”
“Ok. Adesso entriamo, apriamo l’armadio e se non c’è niente mettiamo il cesto dei giochi al suo posto.”
“E se c’è qualcosa?” domandò Hope con un filo di voce.
“Lo facciamo sloggiare” dichiarò con decisione Pandora.
Si avventurò per prima all’interno della camera, subito seguita dagli altri. Lei e Galahad allungarono entrambi una mano verso le ante dell’armadio, strinsero le maniglie e al tre le aprirono, per poi indietreggiare in caso di attacco. Ma non accadde nulla. Il biondino allora sollevò il cesto e chiuse l’armadio, soddisfatto.
“Sapevo che non c’era niente, come avrebbe fatto a entrare qui?” disse.
“Beh, chi lo sa di cosa sono capaci i mostri?” rispose Dory.
“Secondo voi perché è andato via?”
“Dai Hope, magari un lampo ti ha fatto vedere un’ombra e tu …”
Tutti e quattro urlarono quando la finestra si ruppe. Si voltarono precipitosamente: un ramo si era incastrato, spinto dal forte vento che aveva cominciato a soffiare.
“Cielo, mi è venuto un colpo” commentò Pandora, coccolando il gatto saltatole in braccio.
Una sorvegliante fu attirata dallo schianto e li invitò ad uscire.

Pandora non sapeva se Hope fosse stata la prima a vedere questo fantomatico mostro, ma udì altre storie del genere provenire dal secondo piano. Certo i bambini piccoli hanno molta fantasia e non sempre interpretano correttamente ciò che vedono, però sentiva che c’era qualcosa sotto. In verità prima di allora non aveva fatto molto caso a ciò che dicevano: tutti hanno incubi, a tutti un’ombra può sembrare un fantasma.
La ragazzina sospirò, stesa supina sul suo letto, al buio. Era sicura che lì non ci fosse niente, gli insegnanti non avrebbero permesso a nessuna creatura di entrare e dopo un primo spavento i bambini non avevano più paura – Hope infatti era tornata senza problemi in quella camera ed era stato tutto normale – eppure aveva un brutto presentimento.
Perché pensi all’edificio …
Dory sussultò a quel pensiero, mettendosi a sedere. Strinse le gambe e poggiò la testa sulle ginocchia. Vero, nel college non c’era nulla di pericoloso, ma fuori? Aveva studiato, letto diverse storie e guardato la TV, a casa sua, quindi era altrettanto sicuro che nel mondo i mostri esistevano. E se uno di loro si aggirasse intorno al college, pronto a divorare i bambini che si allontanavano troppo? Ma no, anche in quel caso gli insegnanti ne avrebbero avvertito la presenza … giusto?
Rabbrividendo, la ragazzina andò alla finestra. Il cielo notturno era libero da nuvole e la candida luce della luna splendeva dolcemente sugli alberi e sull’erba. Nulla si muoveva, eccetto le foglie sospinte da una leggera brezza. La pace della natura la rasserenò.
“Domani sarà un bel giorno” sussurrò. “In fondo Eric ha ragione: non può piovere per sempre.”
Sorrise alla prospettiva di un giorno soleggiato. Dopo le lezioni sarebbe andata da tre suoi amici che trascurava da un po’ e avrebbero ultimato un progetto lasciato in sospeso.



***Angolo Autrice***
Riconosciuta la citazione a Il Corvo?
E nell'armadio ... c'era davvero qualcosa?

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Capitolo 3
*** Il capo ***


“M- ma Dory …” tentò di protestare Hope, nonostante si sforzasse di stare al passo.
“Hai detto che ti sembrano simpatici.”
“Sì, ma sono tre maschi! E più grandi!”
“Non ti mangeranno.”
“E io non dovrei andare a Borgo Fatato, non ho l’età giusta.”
“Hope, farai dieci anni tra cinque mesi, è un niente.”
La rossa strinse Miss Piggy, ancora insicura. Era impossibile farle cambiare idea. Sapeva che l’amica voleva aiutarla a superare la timidezza, ma dubitava che ci sarebbe riuscita. Se solo Galahad non fosse stato occupato con gli esercizi di memoria …
Le bambine superarono il cancello di casa Sanders e furono accolte da una pioggia di rospi. I gemelli Anton e Simon, di dieci anni, scoppiarono a ridere vedendo le loro facce sorprese. Furono delusi ma anche segretamente compiaciuti dal fatto che, passato lo spavento iniziale, le due non avevano strillato istericamente. Anzi, Pandora aveva preso un rospo fra le mani e Hope se ne era tolto uno dalla testa.
“Grazie per l’accoglienza” fece la mora, sarcastica. “Fra di loro c’è almeno un principe?”
“Baciali tutti e scoprilo” le rispose Anton, il più sfacciato.
Scesero dagli alberi. Entrambi avevano capelli e occhi castano scuro. Fisicamente erano identici, caratterialmente simili: Simon seguiva Anton nelle sue malefatte, ma se lasciato da solo era più tranquillo. Arrivò il fratello maggiore, Lance, di undici anni. Era alto per la sua età, con capelli ramati e occhi di un verde brillante. I tre fratelli andavano alla scuola pubblica di Borgo Fatato, la Nicholas Flamel. L’istituto era un rivale amichevole del Pharrell College, scuola privata. Alla fine di ogni anno si organizzavano gare di vario tipo fra gli studenti e alla scuola che ne vinceva di più veniva consegnata una coppa.
“Ciao Pandora. Lei è l’amica che dicevi?” domandò Lance.
“Ah ah, lei è Hope. Hope, loro sono i fratelli Sanders: Lance, Anton e Simon.”
“P- piacere” disse la bambina, rossa.
“Ha quasi il colore dei suoi capelli” ghignò Anton.
“Zitto. Piuttosto, avete fatto la vostra lista?”
“Sì, però prima dobbiamo risolvere una questione.” Anton si posizionò di fronte a Dory, con le mani sui fianchi. “Perché dovresti essere tu il capo?”
Lei incrociò le braccia, abbassando la testa per guardarlo negli occhi.
“Ci sono molte ragioni.”
“Diccene tre.”
“Ok. Primo, sono più grande. Secondo, sono una femmina …”
“Questa è più una ragione per non essere il capo.”
“Terzo, sono più forte e intelligente.”
“Questo è da dimostrare!”
“Ok” ripeté la ragazzina, tranquilla, scrollando leggermente le spalle.
Anton scomparve. Pandora indietreggiò di qualche passo, guardandosi intorno. Gli altri si sedettero su un tronco, pronti a godersi la lotta. Hope arrossì accanto a Simon, ma lui cercò di metterla a suo agio con qualche battuta sui due sfidanti e a poco a poco l’imbarazzo passò. Lance mordicchiava un filo d’erba, sorridendo. Non aveva dubbi su chi avrebbe vinto quello scontro.
Due mani invisibili tirarono il codino destro di Dory. La bambina tentò di afferrare Anton, senza successo. Doveva giocare sulla difesa, non potendo attaccare qualcuno che non vedeva. Appena il bambino si avvicinò di nuovo, lei reagì con prontezza, approfittando di un piccolo contatto per dargli la scossa. Anton tornò visibile e si allontanò di scatto immediatamente.
“Controlli l’elettricità, eh?” chiese.
“Si chiama elettrocinesi. Per ora è il potere più sviluppato. Me la cavo anche con la pirocinesi.”
“Riuscirò a buttarti giù!”
“Ti arrostisco prima!”
Anton scomparve di nuovo e di nuovo ricevette la scossa. Stavolta la sua maglia si bruciacchiò.
“Uff, ok, fai il capo” sbuffò il ragazzino, imbronciato.
“Grazie. Fatemi vedere la lista.”
Simon gliela consegnò. Pandora notò con piacere che Hope non aveva più paura di almeno un ragazzo. Cancellò alcuni nomi e si informò su altri, dopodiché ne cerchiò tre, li ricopiò sul retro del foglio e ne aggiunse altri otto.
“Ecco fatto. Queste saranno le persone autorizzate a conoscere il nostro segreto e a lavorare alla sua costruzione” dichiarò alla fine, restituendo la lista ai Sanders.
I tre lessero insieme le modifiche.
“Scusa, ma perché da noi accetti solo tre persone e tu ne hai messe quattro?” le domandò Lance.
“Semplice. Ho scelto i vostri migliori amici, che sono Ulfis e Frithjof, da quello che ho capito, e i miei, Hope e Galahad. Quanto agli altri, Gabe e Fujiko sono dei secchioni, ci aiuteranno a costruire la casa sull’albero, mentre Viola fa compagnia a Hope.”
I fratelli accettarono quella spiegazione. In fondo ora lei era il capo e almeno le motivazioni erano valide.
“Domani ci riuniamo tutti all’ingresso del paese, così scegliamo insieme dove sorgerà il nostro rifugio. Informate i vostri amici di portare qualche soldo, servirà fare una colletta.”
“Signorsì, signora!” esclamò Lance facendo il saluto militare.
I gemelli e Hope risero. Dory sorrise divertita, ma decise di vendicarsi della buffonata. Prese una manciata di fango e gliela lanciò. Il ragazzo rispose al fuoco e ben presto tutti e cinque somigliarono ai maialini tanto amati da Hope.

L’indomani Anton e Simon furono i primi ad arrivare al luogo dell’appuntamento. Li raggiunsero Lance e Gabe. Gabriel era un sidhe di quasi dodici anni. Era magro, minuto, con arruffati capelli bluastri e occhi neri resi più grandi dagli spessi occhiali che si aggiustava periodicamente sul naso aquilino.
Poco dopo giunsero Ulfis e Frithjof. Il primo era un mezzo nano. Di statura più bassa e tozza degli altri, aveva dieci anni, capelli color mogano e occhi grigi. Il secondo invece era un elfo tredicenne. I lunghi capelli biondo cenere erano legati in una morbida coda e armonizzavano con i profondi occhi blu. Era senza dubbio il ragazzo più carino del gruppo.
Le ragazze arrivarono tutte assieme, con Galahad nelle retrovie. I maschietti guardarono quasi con disinteresse Hope e Viola, le più piccole, e si soffermarono brevemente su Pandora. L’attenzione di tutti si concentrò su Fujiko: capelli argentei arricciati alle punte, occhi magenta e un viso davvero bello.
“Piacere, sono Frithjof” si presentò l’elfo, facendole il baciamano.
“Fujiko” replicò lei fredda.
Incrociò le braccia dandogli le spalle e guardò Dory. Galahad lanciò un’occhiataccia a lui e agli altri, attratti da sua cugina.
“Ragazzi e ragazze, io sono Pandora, ma potete chiamarmi Dory. Sono il capo. Obiezioni?”
La concisa presentazione era più che altro per i tre sconosciuti, che scossero la testa imitando gli altri. Lei sorrise soddisfatta, guardandoli uno ad uno come per memorizzare le loro facce.
“Sapete tutti perché siamo qui, vero?”
“Per costruire una casa sull’albero” rispose Gabe per tutti.
A quell’affermazione i bambini si entusiasmarono. Non vedevano l’ora di avere davvero tutto per loro un rifugio in cui fare ciò che gli pareva.
“Esatto. Oggi dobbiamo assolutamente scegliere il luogo adatto e mettere insieme i soldi per comprare legna, chiodi e il resto. Fujiko e Gabe si occuperanno del progetto, noi siamo i loro operai. Domande?”
La ragazzina fece un cenno a Ulfis, che aveva alzato la mano.
“Possiamo andarcene verso le cinque?”
“Certo. Oh, in caso di pioggia o altri contrattempi … fa niente se non ci vediamo tutti tutti i giorni. Facciamo che ci dobbiamo vedere sempre dalle tre alle sei. Se però mancate troppe volte o non collaborate non potrete salire sulla casa una volta costruita. Sì Frithjof?”
“Vuoi uscire con me?”
La domanda fece ridere tutti, annullando l’atmosfera seria di poco prima. Il gruppetto si incamminò nel bosco. Gabriel arrossì visibilmente quando si rivolse a Fujiko. Lei si mostrò più socievole con lui, desiderosa di parlare di architettura con qualcuno che se ne intendeva. I bambini ogni tanto puntavano un albero e qualcuno veniva considerato dai due piccoli geni.
“Non hai risposto” disse l’elfo affiancandosi a Pandora.
“Non ti conosco neanche” fece lei.
“Nessun colpo di fulmine?”
“No, per niente.”
“E nemmeno con le altre. Beh, significa che vi innamorerete conoscendomi.”
“Ne dubito. A scuola hai ammiratrici?”
“Sì, parecchie.”
“Qui ci sono ragazze con un cervello.”
“Ho notato.”
La sua espressione la fece arrossire. Dory si allontanò ridacchiando e raggiunse Hope e Viola. Le bambine stavano conversando amichevolmente con i gemelli e Ulfis. Lei non se la sentì di interromperli, soprattutto perché le due timidone adesso erano più vivaci del solito. Sorrise, contenta che il suo gruppo cominciasse ad andare d’accordo. Le faceva anche piacere il piccolo potere della sua carica. Si intrattenne con Lance finché non fu scelta una quercia.



***Angolo Autrice***
Ecco presentati tutti i protagonisti, che conosceremo meglio nei prossimi capitoli.
Non capisco come si possa avere paura di un simile animaletto:

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Capitolo 4
*** La casa sull'albero ***


Frithjof osservava interessato i sidhe che giocavano a nascondino. Lui e Ulfis erano stati automaticamente esclusi dal gioco perché incapaci di trasformarsi in volatili. Visto che anche Fujiko non partecipava, l’elfo si era chiesto se anche lei non fosse una sidhe. Poiché non ci teneva a procurarsi un occhio nero, avrebbe dovuto scoprirlo per via indiretta. Vide atterrare un pettirosso sull’albero accanto a lui. Si alzò incerto.
“Hope, sei tu?”
L’uccellino piegò il capo e cinguettò.
“Lo prendo per un sì. Mi sai dire se Fujiko è una sidhe o no?”
Per un po’ non accadde nulla, poi il pettirosso scese dall’albero e Hope tornò una bambina.
“Beh, no, ma se vorrebbe potrebbe giocare.”
“Che vuoi dire?”
“Le veela si trasformano tutte in cigni.”
“Oh, ecco perché lei è tanto bella.”
Qualcuno strinse la piccola da dietro e lei strillò.
“Ohi, sono sordo. Ci sono banshee tra le tue parenti, Hope?”
“S- scusa Lance, ma se lo fai così all’improvviso …”
“Comunque, trovata. Che uccello è Gabe?”
“Taccola. Però tu e i gemelli siete i più carini. Mi piacciono i pappagallini.”
Lance la ringraziò, sorridendo imbarazzato. Infatti lui diventava un parrocchetto, i suoi fratelli degli inseparabili. In quel momento individuò Viola, una cinciallegra. Si trasformò e tornò a cercare gli altri. Fujiko attese che Pandora fosse beccata – letteralmente – per dirle: “La casa è quasi finita, praticamente manca solo arredarla.”
“Lo so, abbiamo fatto in fretta” gongolò la mora. “Con gli incantesimi di Fissaggio è davvero facile.”
“Già. Inoltre il gruppo resterà questo. Credo che dovresti eleggere un vice per quando non ci sei.”
“Non è una cattiva idea, in effetti.”
Gabriel riuscì a far tana, risultando vincitore.
“Venite qui, per favore. Ho deciso chi sarà il vice- capo.”
I ragazzi la ascoltarono speranzosi, sapendo che poteva toccare ad uno di loro.
“Anton, complimenti” gli sorrise Pandora.
Il bambino esultò. I fratelli si congratularono dandogli pacche sule spalle, come anche Ulfis e Gabriel.
“Aspetta, perché lui? Io sono il più grande” protestò l’elfo.
“Non c’entra, si è capo per attitudine.”
“Ed io non ce l’avrei?”
Lei scrollò le spalle. Decise di ignorarlo, consegnando alle più piccole i soldi rimasti per comprare dei bei mobiletti da mettere nella casa. Hope e Viola si incamminarono, voltandosi ogni tanto indietro.
“Sai, ho cercato i significato dei nomi e Frithjof significa ladro di pace” informò Viola l’amica.
“Beh, è azzeccato. Ma anche lui non ha obiettato il primo giorno, quindi deve accettare le decisioni di Dory.”
Le bambine sapevano che con quel semplice gesto l’avevano praticamente eletta. Sapevano anche che l’elfo protestava solo perché voleva lui il ruolo, non perché Anton fosse un incapace. In quelle due settimane di costruzione si conoscevano ormai abbastanza bene. Né il capo né il nuovo vice erano tipi che ordinavano ai sottoposti di saltellare su una gamba solo per divertirsi. Udirono dei passi in corsa. Simon e Ulfis rallentarono finché non le raggiunsero.
“Ehi, vi diamo una mano.”
“Non vogliamo che comprate solo cose rosa.”

I bambini si assieparono accanto alla scala a chiocciola che portava alla loro casetta. Grazie ai poteri di Viola e Ulfis era stato possibile spostare i rami in modo che passassero sotto la scala, sorreggendola. Con un incantesimo Oscurante Fujiko aveva reso la quercia invisibile, a meno che qualcuno non sapesse già cosa cercare. Pandora iniziò a salire, seguita dagli altri. Erano già stati su altre volte, ma ora la casa era davvero completa e volevano godersi l’effetto di una vera prima entrata. Tutti sorrisero, lasciandosi andare ad esclamazioni di gioia per un particolare o l’altro.
“È davvero bellissima!”
“Quelle tende sono perfette!”
“Qui c’è la merenda!”
“I giochi! E i fumetti! Qui io ci campo!”
“Sabato facciamo una festa” annunciò Dory continuando ad ammirare la casa. “Una festa di inaugurazione.”
I bambini presero l’abitudine di salire quasi tutti i giorni sulla casa, anche se solo per poco tempo. Erano ancora troppo felici per non sentirsi orgogliosi del proprio lavoro. Inoltre c’era il fascino del segreto, della complicità reciproca, di un posto solo loro, senza adulti o scocciatori.
Venerdì Pandora si ritrovò ad assistere Lance, colpito da un frisbee lanciato troppo forte da Simon. Ovviamente erano tutti scoppiati a ridere. Per fortuna di sopra c’era del ghiaccio per le bibite, così il ragazzino poté ridurre il gonfiore alla guancia mettendoci una latina avvolta in un panno.
“Lance, stai bene? Mi sembri pallido.”
“O- oh, tranquilla … tutto bene” balbettò lui allontanandosi piano da un muro senza smettere di fissarlo.
Pandora, che fino a quel momento aveva osservato gli altri lanciarsi il frisbee, si avvicinò perplessa. Un bruco si stava arrampicando tranquillamente.
“Che carino! Magari decide di diventare qui crisalide!”
Lance si affacciò alla finestrella, cercando di contenersi.
“Sì, sì, le farfalle sono belle.”
Dory spostò lo sguardo dal bruco al ragazzino.
“Ti fa paura?”
Lui si voltò e annuì. Sollevato dal fatto che lei non fosse scoppiata a ridere, ma sembrasse solo curiosa, proseguì: “Non so perché, ma bruchi, scolopendre e insetti così mi terrorizzano.”
Ridacchiò, e Dory gli sorrise comprensiva.
“Si chiama fobia. Credo che ce l’hanno tutti, anche se di cose diverse. Davvero non sai la causa?”
“No, nemmeno i miei genitori la sanno. Peccato, forse è una cosa immotivata. Me la sarei risparmiata volentieri.”
Buio, tanto buio, come esser ciechi e non ti puoi muovere, troppo stretto, nemmeno una luce, mancano luce e spazio e aria ...
Lance si interruppe, notando che l’amica si era fatta pensierosa.
“Un qualcosa ci deve essere” mormorò lei, più che altro a se stessa.
“Anche tu … anche tu hai paura di qualcosa in questo modo?” le chiese Lance, incerto.
Dory sembrò ricordarsi della sua presenza e annuì. Lo guardò come se non l’avesse mai visto prima, poi si avvicinò e parlò a bassa voce: “Sì, io sono claustrofobica. Significa che ho paura degli spazi chiusi e stretti, specialmente se sono bui.”
“Ah, mi spiace. E tu sai perché?”
Lei annuì nuovamente. Si mordicchiò il labbro, indecisa. Lui le sorrise incoraggiante.
“Ecco, è una cosa che sanno solo i miei genitori, che erano presenti, e Hope, perché a lei dico tutto.”
“Non lo sa nemmeno il tuo fidanzatino?”
“Galahad non è il mio fidanzatino” puntualizzò Pandora, incrociando le braccia.
Lance rise e poco dopo lei lo imitò. Glielo avrebbe raccontato, e lui lo sapeva. Sospirò.
“Mi prometti che non lo dirai a nessuno?” gli chiese tornando seria.
“Ho la bocca cucita. Anche tu riguardo i bruchi, mi raccomando.”
“Certo … Quando avevo tre anni fui … il domestico di famiglia impazzì e … mi rinchiuse in un barile.”
Dory strinse fra le mani la prima cosa che trovò, un rametto, e se lo rigirò. Lance spalancò gli occhi, sorpreso.
“Per colpa sua non posso nemmeno pensare ad un posto chiuso che mi paralizzo e mi sento soffocare. Lo odio!” affermò con rabbia, spezzando il ramo.
“Anche io” si mostrò solidale lui, accorgendosi che lei aveva gli occhi lucidi. “Ma perché l’ha fatto?”
“Era matto.”
“Beh, si capisce. Uno che rinchiude una bambina non deve avere tutte le rotelle a posto. Intendevo un motivo da pazzo.”
Mostro, lo so, l’ho capito, strilli e piangi, ma sei un mostro e devi sparire …
Pandora scrollò le spalle.
“Sinceramente non mi ricordo nemmeno la sua faccia. Solo che lo seguii e lui mi mise dentro un barile ed ero molto spaventata. Poi mi sa che sono svenuta.”
“E lui lo hanno preso?” bisbigliò Lance, adeguandosi al suo tono di voce.
“Sì, devono … è morto.”
Dory corrugò la fronte. I suoi le avevano sempre detto quello, senza aggiungere altro. Dubitava che le avessero mentito, però erano sempre stati reticenti sull’argomento. Lei ci tornava solo in seguito agli incubi che inizialmente faceva o dopo un attacco di panico causato dalla claustrofobia, ma era una bambina, si accontentava di sapere che l’uomo cattivo non poteva più farle male e lasciava perdere.
E se lo ha ucciso mamma o papà?” pensò, rendendosi conto che, nonostante la mancanza di particolari, non si erano limitati a dire che era al sicuro. E non perché il domestico era in prigione, ma perché era morto.
No, tu stavi giocando con le farfalle, con la collezione di farfalle di mamma. Ricordi? Lui ti ha visto. E ti ha messo lì. E poi …
Tutto si fece confuso. Pandora scosse la testa, rendendosi conto di aver fatto a pezzetti il ramo.
“Dory, scusa, non dovevo farti ricordare” disse Lance dispiaciuto.
“No, tranquillo, sto bene.”
Gli sorrise rassicurante e lo accontentò accettando di bere un succo di frutta.

Galahad li osservava appoggiato all’albero, geloso. Per la festa, che si svolgeva proprio sotto la casa sulla quercia, tutti avevano contribuito, portando cibo, palloncini, musica e coriandoli. C’era stata persino una pignatta, ora svuotata del suo contenuto.
Hope e Viola ballavano a turno con i gemelli e Ulfis, che schiacciava sempre qualche piede per sbaglio. Fujiko si muoveva appena accanto a Gabriel, più che altro per non essere invitata da Frithjof. A Galahad quella sera non dava fastidio che ci provassero con sua cugina. Quella sera la sua attenzione era tutta incentrata su Pandora e Lance. Da quando erano così amici?! Lei aveva ballato quasi esclusivamente con lui e in più i due chiacchieravano molto. Il biondo desiderava divertirsi, ma non ce la faceva. Dopo un primo ballo Pandora lo aveva completamente ignorato. Mentre si ingozzava di patatine qualcuno gli toccò una spalla.
“Gli facciamo uno scherzo a quei due?”
Anton ghignava, con Simon accanto.
“È per il calcio che ti ha dato Dory?”
“Io ho solo detto a Lance che era innamorato, lui è arrossito e lei mi ha tirato un calcio dicendo di smammare. Non è giusto.”
“E poi stanno troppo attaccati” affermò Simon.
Su quello Galahad non poteva fare altro che concordare.
“D’accordo, ci sto. Che avete in mente?”
“Ci serve acqua e ghiaccio, al resto penso io” spiegò Anton.
Il suo gemello recuperò un secchio, Galahad la materia liquida. Anton diventò invisibile e si avvicinò furtivo alla coppietta. I due si fecero una doccia d’acqua fredda. I bambini scoppiarono a ridere, eccetto Dory e Lance.
“Chi ha osato?!” gridò lei.
Anton tornò visibile e Pandora gli piombò addosso, scrollandolo.
“E- ehi, ho avuto dei complici e … dovresti coprirti” aggiunse imbarazzato il ragazzino.
“Intanto comincio da te e … coprirmi?”
“I vestiti chiari da bagnati diventano trasparenti” le spiegò Lance, coprendola con la sua giacca.
Lei avvampò e scappò via, allontanandosi di una ventina di metri dalla festa prima di fermarsi ansante e arrabbiata. Si strinse le braccia al corpo, infreddolita.
“Ehi, mi dispiace per quegli idioti.”
La bambina si voltò verso Lance, che evidentemente l’aveva seguita.
“Mi hanno rovinato la festa! Non è giusto!”
“Gliela farò pagare a suon di calci.”
Il ragazzino fece apparire una coperta e gliela mise sulle spalle al posto della sua giacca, ormai fradicia.
“Anche tu stai tremando, copriti.”
“Non importa …”
“Non voglio che ti ammali.”
Pandora avvolse anche lui con la coperta. Nel ritrovarsi così vicini arrossirono entrambi, ma non si scostarono.
“S- senti ancora freddo?” le chiese Lance.
“No … Lance, tu mi vuoi bene?”
“Certo, che domande” rispose lui spontaneamente. “E tu?”
“Sì” fece lei, altrettanto sincera, sentendo le farfalle nello stomaco.
Il cuore del ragazzino fece una capriola. Pian piano furono vicini, sempre più vicini, fino a che le loro labbra si incontrarono.
Il mio primo bacio! Lance mi ha dato il mio primo bacio! Oddio, sì!
Mio Dio, sto baciando Pandora e se adesso mi picchia o peggio strilla? No no no!
Dory si scostò sorridendo. Prima che potesse dire qualcosa lui balbettò un mi dispiace, convinto di aver fatto una cavolata, e corse via, lasciandola di sasso. Il bambino informò sgarbatamente i fratelli che tornava a casa e scomparve. Pandora si incamminò lentamente verso la festa. Era delusa. Lo credeva un tipo a posto, molto a posto e carino, invece lui l’aveva mollata così. Si passò la lingua sulle labbra. Quei pochi secondi in cui aveva sentito le sue le sembravano un sogno.
“Dory …” Anton si fece avanti, a testa china. “Mi dispiace davvero, farei di tutto per farmi perdonare.”
“Lega tuo fratello ad un albero.”
“Lo farò” promise lui tornando a sorridere.
Frithjof le prese la mano destra, Galahad la sinistra e la trascinarono a ballare. Lei rise e mise da parte la rabbia. Avrebbe fatto i conti con Lance il giorno dopo, adesso voleva godersi la compagnia dei suoi amici.



***Angolo Autrice***
I maschi sono sempre stupidi ^^
La vorrei anche io una casa sull'albero ...

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Capitolo 5
*** Inquietudine ***


La campanella era suonata da un pezzo, ma Lilian era ancora in camera. Infatti la sua spazzola era misteriosamente sparita e lei non poteva certo andare a lezione con i capelli spettinati. Finalmente la recuperò sotto un comò. Era sicura al cento per cento su chi gliel’avesse nascosta, la stessa persona che aveva infilato un rospo nel suo letto. Prima o poi Pandora gliel’avrebbe pagata.
La bionda scese le scale in fretta per raggiungere la sua aula, quando udì un urlo. Si fermò, confusa. Vinta dalla curiosità, si incamminò nella direzione in cui le sembrava fosse provenuto il grido. Trovò Viola. La bambina si era coperta il viso con le mani e singhiozzava davanti ad una finestra, pallida e spaventata.
“Viola? Cosa ti prende?”
“Ho v- visto R- Rufus. L- lui …” tentò di spiegarsi la piccola fra le lacrime.
Lilian le fu vicina. Guardò fuori dalla finestra, senza vedere nessuno.
“Calmati, chiunque sia se ne è andato.”
La più grande non sapeva come comportarsi. Viola la strinse in cerca di conforto e lei le diede qualche pacca sulla schiena, imbarazzata. Con suo enorme sollievo la castana smise di piangere.
“Allora … al nostro piano non conosco nessuno che si chiama così.”
“Lui è più grande …”
“Ti fa i dispetti? Bisogna dirlo al signor Thomas.”
“Non viene a scuola con noi. Lui n- non dovrebbe nemmeno essere da queste parti …”
Viola si stropicciava il vestito, tremante, guardando ogni tanto fuori. Lilian la osservò, poi le prese una mano e la guidò verso l’ufficio del preside.
“D- dove andiamo?”
“Dal preside, ovviamente. Se c’è un intruso …”
“No, no, ti prego!” strillò lei puntando i piedi.
“Viola, si può sapere che ti prende?” esclamò la bionda, scocciata.
La bambina rabbrividì. Alzò lo sguardo.
“Ecco, devo averlo immaginato. Scusami, non volevo farti preoccupare. Insomma, è impossibile che sia qui” disse in fretta, ridendo nervosamente. “Forse stanotte ho sognato ed è tutto qui.”
“Col cavolo Viola! Sarà vero che questo ragazzo non c’era, ma non è tutto qui!”
Viola prese un respiro ma non parlò. Non si trattava di reticenza, proprio non sapeva come spiegarsi.
“Ecco … Rufus era il mio babysitter. Lui era cattivo, tanto.”
“Ti picchiava?”
“Qualche volta. E gridava tanto, era sempre arrabbiato, però con i grandi faceva il bravo.”
“Mi spiace. Ora capisco perché ti fa paura. Mi auguro che lo hai detto ai tuoi” disse Lilian con un tono più gentile.
“Sì, e lo hanno licenziato da un anno.”
“Bene. Quindi davvero non poteva essere qui.”
“No, no. Lui non sa dove vado a scuola, perché è lontano da casa.”
“Ok … beh, ci siamo saltate la prima ora.”
“Oh, scusa, per le mie sciocchezze …”
“Non preoccuparti. Ci vediamo, tu non pensare più a quel microcefalo.”
“Va bene” mormorò la piccola.
La guardò allontanarsi, giù di corda. Il problema è che proprio non riusciva a dimenticare, soprattutto l’ultima serata passata con Rufus, quando per poco lui era riuscito a rapirla. Viola scacciò quei pensieri cattivi e corse verso la sua aula.

“Ehi, Dory, l’ho fatto!” gridò Anton appena vide arrivare l’amica.
“Eh?”
“Io e Simon abbiamo legato Lance vicino casa” spiegò lui scoppiando a ridere.
Pandora lo guardò per un attimo senza capire, poi ricordò cose gli aveva detto di fare per farsi perdonare. Non credeva che l’avrebbe fatto sul serio. Corse in direzione di casa Sanders. Quando udì le proteste di Lance e le minacce verso i suoi fratelli rallentò. Il bambino la vide, sgranò gli occhi e voltò la testa, non osando guardarla in faccia mentre le guance gli si imporporavano. Lei incrociò le braccia, ormai di fronte a lui. Era decisa a risolvere quella questione, in un modo o nell’altro.
“Quante bambine tratti così?” chiese sprezzante.
“Non so di che parli” ribatté lui, sempre evitando il suo sguardo.
“Non fare il finto tonto! Spiegati.”
“Che vuoi da me?”
“Intanto me la paghi.”
Lance si rese conto del perché era legato. Sapeva che baciarla era stato un errore. Sospirò.
“Non dovevo …”
“Già, ma adesso non puoi più scappare. Ti propongo una scelta.”
Pandora si avvicinò e chiuse gli occhi. Sperava che lui la baciasse di nuovo. Non si era accorta di quanto lo desiderasse finché non lo aveva rivisto. Il rosso capì cosa voleva. Si sporse, ma lei era troppo lontana.
“Niente?” fece delusa.
“Credimi, anche volendo non ci riesco, mi hanno legato come una salsiccia.”
Lance si dimenò, mostrandole che diceva la verità. La ragazzina rise, si avvicinò e gli diede un lieve bacio a fior di labbra. Lui si bloccò, rosso. Anche le guance di lei lo erano.
“Vuoi che sono la tua fidanzatina?” domandò tenera, senza la sicurezza che la caratterizzava.
A Lance sembrò tremendamente carina e vulnerabile.
“Sì” sussurrò.
Fu slegato e subito si vendico facendole il solletico. Dory rise, tentando di fermarlo anche se era troppo felice e voleva che lui continuasse ancora un po’.

Hope vide Simon, Anton, Gabriel e Ulfis giocare ai tre moschettieri con dei rami, Fujiko e Frithjof litigare mentre giocavano a scacchi e Viola fare gli esercizi di matematica, ma Dory non c’era. Nemmeno Lance e Galahad, se è per questo. La rossa mise Pepe per terra.
“Dov’è la mia padrona, Hope? Sono giorni che mi lascia solo. Aveva promesso di portarmi con sé.”
“Sarà con il suo fidanzatino” rispose lei ridacchiando.
“Motivo in più per trovarla.”
“Prova da quella parte, forse è a casa Sanders.”
Il micio seguì il consiglio e sparì tra gli alberi. Hope si sedette accanto a Viola per fare i compiti insieme. Fujiko lanciò uno sguardo alle due bambine. Magari avevano bisogno di aiuto per risolvere gli esercizi e lei avrebbe avuto una scusa per liberarsi di quel dannato elfo. Odiava quando la gente la valutava solo per il suo aspetto fisico e i ragazzi solitamente si soffermavano solo su quello. L’albina allora non li degnava di uno sguardo, li mandava a quel paese, insomma faceva di tutto per ignorarli ed essere a sua volta lasciata in pace. Si trovava a suo agio con chi apprezzava sì il suo aspetto, ma andava oltre. Lei era fiera del suo cervello, era per quello che voleva essere ammirata. Trovava insensato quel culto della bellezza. Essere belli non era un merito perché era un dono casuale della natura. Non si diceva poi che la bellezza esteriore dopo cinque minuti stanca? La ragazzina sospirò. Aveva sentito spesso le sue coetanee desiderare correggere questo o quel difetto, lei invece avrebbe preferito prenderseli pur di non essere considerata più attraente.
“Oh, mi hai battuto ancora” mugugnò Frithjof. “Mi concedi la rivincita?”
“No, basta.”
Fujiko si sedette con le bambine, annoiata.

“Sei morto ancora!” strillò giulivo Simon.
Non riusciva mai a battere i suoi fratelli a scherma, Gabriel invece sì. Il moro si complimentò, nonostante fosse afflitto per l’essere stato ripetutamente battuto da un bambino più piccolo. Notando che Frithjof e Fujiko avevano smesso di giocare e che l’elfo veniva verso di loro, propose a Simon di sfidare lui. Gabe salì sulla casa sull’albero, prese un libro e iniziò la lettura, interrotta ogni tanto per guardare Fujiko.
Dopo qualche minuto Simon si stufò di essere preso in giro da Frithjof per la sua presunta mancanza di abilità, così lo mandò al diavolo e lo lasciò ad Anton, mentre lui giocava a bocce con Ulfis. Il mezzo nano si guardò intorno, assicurandosi di essere lontano da orecchie indiscrete, e si rivolse all’amico.
“Ehi, nella tua classe circolano strane storie?”
“Mh? Di che parli?”
“Storie di fantasmi” precisò lui, sentendosi ingenuo. Non voleva fare la figura del credulone, però … ne doveva parlare con qualcuno e Simon era il suo migliore amico.
“Beh, ogni tanto, ma o sono le stesse che già esistevano quando i miei andavano a scuola oppure le inventano i ragazzi più grandi.”
“Niente di vero, dunque.”
“Perché, tu ci credi?”
Simon lo fissò, incuriosito. Ulfis arrossì.
“No, ovviamente. Solo che almeno una sarà vera, no? I fantasmi esistono, giusto?”
“Certo che esistono fantasmi veri, però non da queste parti. L’unica cosa paurosa a scuola sono gli insegnanti e le verifiche.”
Risero entrambi a quella battuta.
“Scemo, mica dicevo a scuola. Ma in paese sì, me lo ha raccontato una volta mia nonna.”
“Sul serio? Sentiamo!”
“Va bene. Me l’ha raccontata per mettermi in guardia dagli umani. Agli inizi del Novecento una sidhe ne sposò uno e forse non gli rivelò cosa era davvero. Comunque, morì poco dopo la nascita della loro bambina, che fu chiamata Eve. Pare che la piccola sapesse prevedere il futuro. Un giorno il padre, spaventato, la murò viva. Da allora chi si avvicina a villa Anderson, come fece mia nonna da giovane, la vede sempre circondata da nebbia. Niente riesce a illuminarla. Poi si può sentire Eve che canta, piange o chiede aiuto. Alcuni l’hanno vista nel giardino. La nonna dice che vuole compagnia, non è cattiva, eppure alcuni sono svenuti o andati in trance. Insomma, per questo tutti hanno paura di villa Anderson.”
Simon rabbrividì affascinato, trovando quella storia davvero forte.
“E tu ci sei mai andato? Parli della casa sulla collina, vero?”
“Sì, è quella. Però no. Una volta ero ai piedi della collina col mio binocolo, per vedere più lontano sai, e in effetti ho visto la nebbia e forse qualcuno in mezzo!”
Da essere serio ed eccitato, Ulfis divenne teso.
“Credo siano passati un paio d’anni e io non ci ho più pensato davvero … ma ieri …”
“Ieri cosa?” mormorò l’altro bambino, non più tanto sicuro di voler ascoltare.
“L’ho sognata. La bambina intendo. Era carina, tutta bianca e trasparente, come appunto un fantasma. Nel sogno mi invitava a giocare ed io era come se non vedevo che era uno spirito e la seguivo in casa. Poi mi sono ritrovato in una stanzetta e credo di aver preso il suo posto, e un uomo mi murava lì. Lui era così spaventoso che ho urlato e mi sono accorto di farlo davvero.”
I due ragazzini erano a disagio. Simon avrebbe desiderato non crederci, dire che l’amico si stava inventando tutto per spaventarlo e farsi quattro risate, ma sapeva che non ne era il tipo.
“Ulfis, sai che era solo un incubo, no? Anche se il fantasma è vero.”
“Sì, certo. Solo che, non so, era molto realistico, capisci?”
“Se lo racconti ad Anton o Dory poco ma sicuro che poi organizzano una spedizione” disse dopo un po’ il bambino, pensieroso.
“Ed il primo a scappare sarebbe Frithjof.”
Risero tutti e due per scaricare la tensione. Hope e Viola, finiti i compiti, si unirono a loro ed entrambi decisero di non pensare più a quella storia. Anche se forse, di notte, non sarebbe stato molto facile.



***Angolo Autrice***
Per la storia di Eve mi sono ispirata alla storia di Villa Clara, a Bologna, questa bella casetta qui:

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Capitolo 6
*** Notte insonne ***


Da qualche giorno non andava alla casa sull’albero. Ma perché avrebbe dovuto, per vedere Dory ridere e scherzare con Lance? Gli era bastato ascoltarli qualche minuto, sentirli parlare della scuola, dei genitori e di tante altre cose, anche personali. Aveva stretto i pugni, sopportando anche il fatto che Dory trascurasse i suoi vecchi amici per stare con quello. Hope non se l’era presa, Pepe inizialmente sì, ma poi Dory l’aveva portato con lei e lui si era calmato.
Beh, ormai il suo dono era pronto. Con quello le avrebbe aperto gli occhi. Lui l’amava da sempre, era con lui che poteva confidarsi, che poteva ridere, che poteva baciare …
Galahad si avvicinò sorridente a Pandora, felice di trovarla sola.
“Dory!” chiamò prima che lei salisse le scale per andare a letto.
“Oh, ciao. Scusa, ma sono stanca e …”
“Solo un momento.”
Il ragazzino le tese un pacco colorato chiuso con un fiocco verde.
“Un regalo? Devi esserti confuso ancora con le date Galahad, oggi …”
“Lo so che non è il tuo compleanno” la interruppe lui offeso. “È solo un pensierino, completato oggi, per te.”
Pandora scartò il regalo. Strinse fra le mani una marionetta con le sue fattezze, una mini - sé. La osservò meravigliata dalla bravura di Galahad.
“È molto bella, grazie” esclamò abbracciandolo.
Il biondino arrossì, compiaciuto, e ricambiò l’abbraccio. Quando si separarono le sorrise speranzoso.
“Adesso torni a giocare con me come prima? Smetti di stare sempre con Lance?”
Lo sguardo di Dory si raffreddò e il sorriso sparì dalle sue labbra.
“Stiamo insieme, accettalo.”
“M- ma noi ci conosciamo da più tempo, io ti voglio bene, lo sai!”
“Anche io ti voglio bene, ma non in quel modo.”
“Ti prego …”
“Se vuoi che restiamo amici finiscila.”
Gli occhi di Galahad si inumidirono.
“Hai uno strano modo di dimostrarlo, non giochiamo più insieme.”
“Senti, come hai detto noi ci conosciamo da tempo, quindi devo recuperare con Lance, capisci? Ci stiamo conoscendo meglio.”
“Ma perché lo ami?” insistette il biondino, cercando di mantenere la voce ferma.
“Ti rigiro la domanda: perché mi ami? Così ti trovi le risposte da solo.”
Stanca della conversazione, Pandora salì la prima rampa di scale, ma si fermò quando Galahad disse a voce più alta: “Per favore Dory, almeno …”
“Perché non dici il mio nome?”
Umiliato, il bambino abbassò la testa e le lacrime scivolarono sulle sue guance. Lei lo guardò impassibile.
“Non te lo ricordi, giusto? Allora non sono poi così importante per te.”
“Sì invece, stupida! Ti avrei fatto la bambola altrimenti?!”
“Ma prenditela, non mi serve!” La ragazzina la lanciò verso di lui. La marionetta rotolò per qualche scalino fino a fermarsi ai piedi di Galahad. “E lasciami in pace, capito? Non sono tua, sto con chi mi pare!”
Pandora corse in camera sua e si gettò sotto le coperte, arrabbiata. Non aveva mai litigato con lui prima, ma era certa di non essere lei che sbagliava. Nonostante ciò si asciugò qualche lacrima e si addormentò dopo molto tempo, stringendo Pepe come se fosse un peluche.
Galahad recuperò la marionetta e raggiunse lentamente camera sua, camminando come se fosse ferito. Mise la mini - Dory sul comodino e si stese sul letto. Piangeva con il cuore spezzato. Possibile che a lei non importasse nulla di lui, dei suoi sentimenti? Era stata così cattiva …
È colpa di Lance.
Il ragazzino sussultò. Si alzò a sedere di scatto, guardandosi attorno, ma in camera non c’era nessuno a parte lui.
È colpa sua ti dico. Prima Dory era più gentile, giusto?
Galahad fissò stupito la marionetta, smettendo di singhiozzare.
“T- tu stai parlando?”
Sì, ma che importa? Il punto è che oggi Dory ti ha trattato male, ti ha ferito. Ma non è colpa sua.
Il bambino osservò più da vicino la bambola: la sua bocca non si muoveva, eppure la sentiva!
“È colpa di Lance …” bisbigliò.
Esatto, amico mio. A te serviva solo un altro po’ di tempo. Un paio d’anni, magari. Sareste stati più grandi e maturi e lei avrebbe capito quanto vali, no? Che solo tu puoi renderla felice …
“Sì, sì, prima volevo dirlo ma non mi venivano le parole!”
Invece Lance non la vede come la vedi tu, no? Nessuno potrebbe.
“E cosa faccio? Oggi era tanto arrabbiata …”
Semplice. Falle vedere che hai capito. Ignorala tu. Sarà poi lei a venirti a cercare. E mentre sei distante …
“Cosa?” sussurrò lui, senza voce, cominciando a sentire freddo.
Sistema Lance. Mandalo via. Battiti per la tua donna. È colpa sua se non siete più amici, fagliela pagare.
Dopo quelle parole la mini - Dory non parlò più, nemmeno quando lui la scosse. Galahad la chiuse nell’armadio, tremante. Aveva davvero conversato con una bambola o se l’era immaginato?
Il biondino si mise sotto le coperte, con la pelle d’oca. Immaginazione o meno, la marionetta aveva ragione. Avrebbe protetto Dory da quel falso innamorato. Avrebbe messo le cose in chiaro, così Lance sarebbe sparito e Dory sarebbe tornata da lui, dispiaciuta e riconoscente.

Quella notte in pochi dormirono bene. Ci fu chi ebbe incubi, chi era preso da riflessioni personali e chi aveva mangiato troppa peperonata a cena. Frithjof si rigirò più volte nel letto, finché si arrese e decise di bere del latte caldo per conciliare il sonno. Intanto pensava ai suoi amici, a come era finito in mezzo a quel gruppetto. Certo, era il miglior amico di Anton nonostante la differenza di età perché entrambi avevano una passione per gli scherzi e sapevano il fatto loro, rispondendo per le rime agli adulti anche a costo di ricevere una punizione. O uno schiaffo, a seconda dei casi. Però non ci trovava niente di che negli altri, escluse forse Pandora e Fujiko. La prima era una ragazzina tosta, sicura di sé e abbastanza simpatica; la seconda era incredibilmente bella e intelligente, nonostante il carattere lasciasse molto a desiderare. Avrebbe voluto mescolarle per avere la ragazza perfetta per sé. Sorrise a quell’idea.
Mentre il latte si scaldava sbuffò. Gli altri erano degli insulsi bambinetti, compresi Lance e Gabriel. Troppo perfettini. Inoltre nessuno si rendeva conto delle sue capacità. Poteva tollerare che Dory fosse il capo, ma per quanto stimasse Anton lui sarebbe dovuto essere il vice. Sorseggiò il latte. Lo sputò immediatamente: aveva un sapore strano, decisamente sgradevole. Vide che si era raggrumato nella tazza. Eppure quando lo aveva messo nel tegamino non si era accorto di niente … Controllò la data sulla confezione e la agitò. Fuoriuscirono diverse mosche, che poi volarono per la stanza fino a che uscirono dalla finestra.
Frithjof lasciò cadere il cartoncino, fissandole con occhi sgranati. Trattenne a malapena un conato di vomitò. Corse in bagno e non seppe per quanto restò lì a tremare dopo aver vomitato. Le cose associate alla putrefazione lo avevano sempre disgustato, proprio non le poteva soffrire.

Come avrebbe scoperto in seguito, lui non fu l’unico a passare una notte molto insolita. Lance si era svegliato per un urgente bisogno fisiologico. Dalla camera dei fratelli proveniva qualche parola, pronunciata nel sonno. Gli parve che Simon dicesse qualcosa come Ti salvo io, Eve. Ridacchiò. Che fosse una sua nuova cotta?
Lance si asciugò le mani pensando alla sua, di cotta. Anche se era qualcosa di più di una semplice cotta, o almeno lo sperava. Alzò gli occhi e vide che dietro di lui c’era una donna incappucciata. Si voltò così velocemente che sarebbe caduto se non fosse finito contro il muro. Non c’era nessuno. Il ragazzino restò immobile a guardare, mentre il cuore decelerava e il respiro si regolarizzava. Ovvio che non c’era nessuno, probabilmente aveva confuso gli accappatoi per chissà cosa. Anche se quelli erano bianchi, non neri … Facendosi coraggio, Lance sbirciò nello specchio e sì, la donna era ancora là. Il panico tornò. Prima che potesse fuggire in camera, lontano da quella inspiegabile apparizione, la donna parlò, ma la vera ragione per cui Lance restò in bagno fu che la porta era chiusa e lui non riusciva ad aprirla.
“Calmati, ragazzo, non voglio farti del male.”
La sua voce era roca, profonda, ultraterrena. Il bambino si girò, premendo le spalle contro la porta. Era pallido e gli occhi erano spalancati da sorpresa e paura. Passò qualche minuto in cui entrambi rimasero immobili. Lance la osservò meglio: la creatura sembrava fatta di un’oscurità viva, semovente. Sotto il cappuccio si intravedevano un volto e una figura di donna, ma forse non c’era nulla di tangibile sotto quella veste di pura tenebra.
Tremante, si avvicinò allo specchio, muovendo passi incerti. Lei mosse appena la testa, come per incoraggiarlo ad avvicinarsi di più. Nei suoi modi non vi era nulla di minaccioso. Sembrava un essere abbastanza paziente, quasi placido. Voleva solo parlare.
“C- chi sei? Cosa vuoi da me?”
“Se vuoi un nome, chiamami Lullaby. Ti lascio un avvertimento, una chance di salvezza.”
Lullaby fece una pausa, in modo che lui assimilasse le sue parole.
“Presto, molto presto, forse già domani, capirete di essere in pericolo. Lui vi vuole, troverà il modo di attirarvi. È ingordo. Tuttavia è più il gioco a divertirlo, per sopravvivere gli basterebbe un solo bambino. O bambina. Al massimo due.”
Altra pausa, stavolta più lunga. Lance non capiva davvero di che parlasse o dove volesse andare a parare.
“Lo so, adesso non mi comprendi, ma capirai. E se ricordando le mie parole deciderai di fare come dico, salverai più di una vita. Ascolta: prima che sia troppo tardi, a mezzanotte, porta Pandora nella vecchia villa Anderson. Non è necessario che ci vada anche tu, fingi che sia un appuntamento. Una volta fatto ciò, tu e gli altri tuoi amici non avrete più problemi.”
Lance la fissò confuso, con un mare di domande che gli frullavano per la testa. Vide che lei stava sbiadendo ed urlò: “No, aspetta! Lullaby! Di chi parli?! Che vuole da Dory?”
“Non posso dirti altro, se non che dove c’è molta luce l’ombra è più nera.”

Gabriel si svegliò e, come d’abitudine, inforcò gli occhiali. Le tre di notte.
Sarà un irresponsabile patentato, ma è preciso come un orologio svizzero” pensò amaramente.
Il suo patrigno in effetti rincasava sempre a quell’ora, ubriaco, e non si dava certo pensiero della moglie e del figliastro addormentati, perciò non era insolito che un rumore o la sua voce li destassero. Il ragazzino sospirò. Almeno William non era una persona cattiva. Era irascibile e presuntuoso, spesso e sovente alzava la voce e dava ordini, pretendendo di essere obbedito, ma non li insultava mai né li picchiava. A modo suo si era affezionato a lui e a sua madre. Gabriel doveva ammettere che in fondo anche lui gli voleva bene.
Una specie di ringhio distolse la sua mente dai ricordi del suo defunto padre, sidhe certamente migliore di William ma più sfortunato: era stato sepolto da una valanga mentre era a caccia di draghi. La bestia gli aveva fatto perdere i sensi e mentre i colleghi erano distratti dal drago …
Gabe si alzò dal letto, afferrò la torcia sul comodino e l’accese, proiettando il fascio di luce da una parte all’altra della camera. Il ringhio si ripeté. Proveniva da fuori. Lui era un bambino razionale, quindi non pensò che sotto la sua finestra ci fosse un mostro. Non il mostro che intendono solitamente i bambini, almeno. Conosceva un sacco di creature pericolose che venivano considerate mostri, creature reali che potevano fisicamente fare male a qualcuno. Fra tutte quelle ce n’era una in particolare che lo terrorizzava e per quanto incredibile gli sembrasse, sbirciando dalla finestra, proprio quella si trovava nel suo giardino: un grifone. Gabriel prese a tremare. Fece fatica a deglutire. Spense la torcia e con passo malfermo si mise sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa. Udì il grifone emettere di nuovo quel suo strano ruggito. Col suo becco picchiettò sul vetro della finestra. Il ragazzino si coprì la bocca con le mani e serrò di più gli occhi, raggomitolandosi. Dopo quella che gli sembrò un’eternità il grifone se ne andò. I suoi muscoli si rilassarono. Fino ad allora erano stati tesi come fil di ferro. Gabe si tolse gli occhiali, accorgendosi di aver pianto. Si asciugò il sudore e bevve qualche sorso d’acqua, versando qualche goccia sulle lenzuola visto che le mani gli tremavano. Si vergognava di sé: se fosse entrato come si sarebbe difeso? Sarebbe morto da codardo, senza combattere, senza nemmeno tentare di fuggire o avvisare sua madre e William.
Gabriel pianse rammaricandosi di non aver ereditato il coraggio o l’abilità da cacciatore del padre e piangendo si addormentò.



***Angolo Autrice***
Spero che questo capitolo vi abbia incuriosito un po' più degli altri.
Ecco Lullaby

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Capitolo 7
*** Verso casa Anderson ***


Pandora era seduta all’ultimo banco e non stava seguendo la lezione di storia. Ciò non era una novità, anche altre volte si distraeva per poi chiedere gli appunti a qualcuno e studiare dal libro, ma le altre volte pensava a cose piacevoli. Dory strinse nella mano una piccola palla di vetro e la agitò, per poi deporla sul banco e guardare cadere la neve. All’interno non c’era nessuna figura, solo la neve che cadeva vorticando. Strano a dirsi, quell’oggetto la aiutava a concentrarsi e in quel momento aveva bisogno di riflettere. La sensazione che qualcosa non andava si faceva sempre più forte.
Stanotte non hai dormito bene e non per Galahad. O almeno non solo per quello.
Anche conversare con se stessa era un metodo per farsi venire idee insospettabili.
E per cos’altro allora?
La stessa cosa che ha tenuto svegli altri bambini, fra cui i tuoi amici. A volte era con loro, altre solo una proiezione. La mente sa difendersi anche mentre si dorme, per questo non hai avuto incubi, ma …
Ma c’è come il ricordo di un attacco. Ok, ma che vuol dire? Non sappiamo nulla di concreto. L’unica cosa che potrei fare è parlarne con un prof.
Che potrebbe crederti, sì, tuttavia dubito che, pur consultandosi con gli altri, capirebbe in tempo che fare.
C’è un tempo ora?
Pandora si accigliò. Sapeva che era così altrettanto bene come sapeva che il sole sorge ad est. Non aveva idea da dove arrivasse tanta sicurezza, ma era convinta che le intuizioni che provenivano da quella specie di dialogo fossero attendibili. Cominciò ad avere paura. Controllò l’orologio: aveva ancora dieci minuti prima della prossima lezione. Con il cuore in gola, agitò nuovamente la sfera.
D’accordo, c’è, e togliamo pure gli insegnanti. Come difenderci?
Questo ancora non lo so, ma forse parlandone con gli altri raccoglieremo informazioni.
Intanto farò molta molta attenzione e lo dirò anche agli altri, di tenere occhi e orecchie ben aperti ... Soprattutto di non dubitare del loro sesto senso. Oggi pomeriggio ci sarà un’importante riunione.
La bambina trasalì al suono della campanella. Mise le sue cose nella cartella e seguì i compagni, sforzandosi di stare attenta alle lezioni successive nonostante la forte preoccupazione.

Lilian vide Pandora parlare con Hope e Viola. Il fatto che fossero serie tutte e tre la insospettì. Forse anche loro avevano paura, come gli altri bambini. Lei aveva sentito un mucchio di storie, oltre a quella di Viola, e sebbene credesse che ci fosse stato un evento che aveva sconvolto qualche bimbo, dubitava fortemente che quella stessa persona, cosa o animale si trovasse nel Pharrell College o nelle sue vicinanze. Nella sua classe se ne era parlato e si era giunti alla conclusione che si trattasse di uno scherzo: forse uno o più ragazzi del piano superiore sapevano leggere la mente ed in vista di Halloween facevano paura ai più piccoli. Si era sicuri, quindi, che passato quel giorno l’artefice si sarebbe rivelato o almeno non ci sarebbero state più simili manifestazioni. Lilian aveva accettato quella spiegazione sollevata, tuttavia … qualcosa stonava. Perciò dopo pranzo non perse d’occhio Hope, facilmente seguibile per la chioma rossa, e le andò dietro quando si incamminò nel bosco con Viola, Pandora e Pepe. Fu lesta a nascondersi dietro un albero prima che Fujiko le raggiungesse. Dopo qualche metro rimpianse di non essersi cambiata, poiché ora le scarpe erano sporche di terra ed il vestito bianco a fiori blu era strappato e con qualche foglia rimasta impigliata mentre attraversava i cespugli. Finalmente vide che le altre si fermavano sotto una grande quercia. Dory parlò con un paio di ragazzini identici, che poi corsero via, e si appoggiò al tronco dell’albero dondolandosi piano, in attesa. Lilian si concesse di sedersi in una macchia di cespugli poco lontana da dove si trovavano gli altri bambini. Anche a quella distanza riusciva a vedere l’espressione seria e pensosa della compagna. Tolse con ribrezzo una ragnatela dal suo campo visivo e aspettò che facessero o dicessero qualcosa di interessante.

Galahad avanzò verso Lance, contento che fosse solo. Hope lo aveva pregato di presentarsi quel pomeriggio per una questione molto importante che riguardava tutti. Lui avrebbe preferito non esserci, soprattutto perché Dory aveva mandato Hope a dirglielo invece di farlo personalmente, ma aveva deciso di andare per poter parlare privatamente con Lance. Normalmente si sarebbe vergognato di esporsi molto, ma aveva passato la notte in preda a due incubi che lo avevano terrorizzato: in uno non ricordava più neanche i nomi più semplici e i volti delle persone; nell’altro, forse peggiore, Dory non aveva la minima idea di chi fosse lui. Galahad scosse con forza la testa. Non voleva che lei lo dimenticasse!
Lance udì il rumore dei suoi passi e si voltò. Alzò la mano e sorrise per salutarlo, ma la sua espressione arrabbiata lo bloccò.
“Sta’ lontano da Dory” fece Galahad senza preamboli.
“Perché? Io non le …”
“Per colpa tua non siamo più amici, sta sempre con te!”
Il rosso non capiva perché Galahad ce l’avesse con lui. Nonostante la confusione stava cominciando ad alterarsi.
“Ed io che c’entro?”
“Ti ho detto che è colpa tua, sei tonto?! Da quando ci sei mi trascura … Rivoglio la mia amica, quindi lasciala stare o …”
“O cosa? Sentiamo.”
“Ti picchio” esclamò risoluto il biondino, alzando i pugni.
Lance rise, e a ragione. Infatti Galahad non aveva mai partecipato ad una rissa in vita sua ed in breve si ritrovò a terra, con Lance seduto sulla sua schiena. Tuttavia ancora non si dava per vinto e si dimenava sotto il rivale.
“La vuoi piantare?”
“No, finché non sarà tutto a posto no!”
“Ok, allora mi costringi a farlo.”
Lance gli diede un pugno sulla nuca. Galahad se la coprì con le mani. Cominciò a singhiozzare.
“Ti odio!”
“Non esagerare. Io ti lascio andare ma smettila di rompermi.”
Il rosso si alzò senza abbassare la guardia, ma l’altro non si mosse, quindi raggiunse gli amici. Camminando rimuginò sullo strano comportamento di Galahad. Il biondino rimase a terra, triste e stanco. Con uno sforzo si alzò, si spazzolò distrattamente i vestiti e seguì Lance. Vide che i bambini si erano seduti a semicerchio. Lui si sedette ad un’estremità, accanto ad Ulfis, che lo guardò stupito ma rinunciò a fare domande poiché Galahad scosse la testa e guardò ostinatamente davanti a sé.
Quando anche Gabriel fu presente Pandora si staccò dall’albero e si sedette di fronte ai suoi amici.
“Allora, sapete perché oggi ho indetto questa riunione?”
La ragazzina si rivolgeva specialmente ai maschi, quasi tutti non iscritti al Pharrell College.
“Per gli strani eventi che succedono in città” le rispose Anton.
“In città?” ripeté sorpresa Fujiko. “Dunque se questa è una maledizione grava su un’area più ampia della nostra scuola.”
Prese parola Ulfis: “Sì. Ieri notte ho fatto degli incubi … diversi dal solito, diciamo. E stamattina ho scoperto che non sono stato l’unico. Non abbiamo sognato la stessa cosa però … ehm …”
“L’atmosfera era la stessa?” suggerì Simon. L’altro annuì.
“Ok, tanti bambini che hanno incubi è un fatto strano” fece Frithjof, “ma poi ce ne sono altri più concreti. Ho fatto ricerche durante l’intervallo. Il punto è che nonostante giurassero sulla verità dei loro racconti, gli adulti non hanno creduto a nessun figlio.”
“Lo sospettavo, una creatura che se la prende con i piccoli” disse Pandora.
“C- che creatura?” balbettò Hope, stringendo Pepe.
“Piuttosto, che intendi con fatti più concreti?” domandò Fujiko.
“Beh … il mio latte è andato a male in pochi secondi e c’erano persino mosche rinchiuse nella confezione.”
“Terrorizzante” fece sarcastico Anton.
Gli altri non trattennero una risatina.
“Magari non molto, però è sospetto!” esclamò l’interessato.
“Io ho visto un grifone in giardino. Credo sapesse che ne avevo paura” raccontò Gabriel.
“Che ne dite se diciamo tutti se ci è successo qualcosa di particolare in questi giorni? Io posso dire di non aver visto niente, però ho una brutta sensazione.”
Oltre a Pandora, anche Anton e Fujiko non avevano assistito a niente di spaventoso. Gli altri raccontarono le loro storie, che si fosse trattato di sogni o meno. Galahad preferì non parlare e Lance omise la parte in cui Lullaby consigliava di consegnare Dory. Lo fece per due motivi: primo, tanto nessuno l’avrebbe fatto; secondo, forse Dory ci sarebbe andata nonostante le loro proteste. Lui non volva che le accadesse qualcosa.
“Tutte cose diverse, tranne voi” notò Gabriel alla fine.
Ulfis e Simon si guardarono.
“Forse perché io gli ho raccontato la storia di Eve ieri.”
“Già … è come se mi ha contagiato?”
“In questo caso può darsi che stasera a casa trovi mosche o un grifone o una donna nello specchio” rifletté Anton. Scrollò le spalle. “Nessuna di queste cose mi fa paura.”
“Un mostro nell’armadio o Rufus te ne farebbero?” chiese Viola. Lei era molto spaventata, come anche Hope.
“No, nemmeno loro.”
“Però sapete, Eve non era paurosa ed io non ho visto suo padre.”
Dory si illuminò alle parole di Simon.
“Credo che il suo fantasma esista. E se c’è una casa infestata non credete che la creatura l’abbia scelta come sua base?”
Il ragionamento aveva senso. Alcuni bambini sorrisero, contenti che stessero facendo luce su quel mistero. Galahad rimase indifferente e taciturno. Non era quella creatura la causa delle sue paure.
“Non ho mai visto un fantasma” disse Frithjof.
“Nemmeno io, sarebbe bello conoscerlo” aggiunse Fujiko.
“E lei non è un’entità malvagia. Domani si potrebbe fare una spedizione” propose Gabriel.
“No!” esclamò Lance prima che Anton approvasse con entusiasmo.
“Perché no?” chiese Pandora. “A me sembra un’ottima idea.”
Il ragazzino cercò di trovare in fretta una scusa.
“È che … insomma, se questa creatura è lì ed è capace di tanto, potrebbe reagire male, no? Potrebbe farci male fisicamente …”
“Fratello, non sarai un fifone!”
“Certo che no! Dico solo che bisogna essere prudenti.”
Lance tacque. Non voleva fare la figura del codardo e non voleva rivelare la verità. Pensò che in fondo non ci sarebbero andati di notte. Ciò lo tranquillizzò un poco.
“Questo è ovvio, per questo sto già facendo una lista di cosa ci serve portare” disse Fujiko.
“D’accordo. Domani ci incontriamo qui, tutti. Poi chi se la sente viene con me alla vecchia villa Anderson, altrimenti aspetta sulla casa sull’albero. Obiezioni?”
Non ce ne furono.
“Bene. Si è fatto tardi, meglio rientrare. E chi domani non c’è sarà considerato un disertore.”
“Si è mosso qualcosa” annunciò Ulfis.
I bambini fissarono il cespuglio indicato dal mezzo nano. Pepe si divincolò dalla stretta di Hope, balzò nel cespuglio e miagolò soddisfatto.
“Sapevo di conoscere questo odore!”
“Brutta bestiaccia, lasciami!”
“Lilian!” esclamarono sorprese Hope, Dory e Viola.
La bionda uscì alla scoperto per impedire a Pepe di graffiarle ancora l’abito. Si rivolse subito alle compagne e Galahad, ignorando gli sconosciuti.
“Vi ho sentiti! Se davvero volete fare una cosa del genere lo dico ai professori, capito? Siete degli …”
“Taci” disse piano Pandora. Le si avvicinò.
Lilian incrociò le braccia con disappunto ma decise di ascoltarla. C’era qualcosa nello sguardo dell’altra che la induceva ad obbedire.
“Noi non vogliamo fare niente di male, anzi … Se non c’è nulla sarà una semplice gita, altrimenti scacceremo un mostro.”
“Credi davvero che una dozzina di bambini ce la possano fare? Senza contare che quella casa sarà in uno stato pietoso.”
“Saremo attenti e saremo attrezzati. Tu vuoi davvero fare la spia?”
Lilian si mordicchiò il labbro, indecisa. Le venne in mente una soluzione.
“D’accordo, non dico nulla a patto che domani possa venire anche io. E se succede qualcosa sarò io la prima ad avvisare un adulto.”
“Un secondo. Ragazzi!”
Pandora si allontanò dalla bionda per ascoltare l’opinione degli altri. Anton e Frithjof sogghignavano.
“Trovata quella seccatura tanto divertente?” chiese loro Fujiko.
“Certo! È la ragazza adatta su cui sperimentare degli scherzi” rispose il primo.
“È bellissima” si lasciò sfuggire Ulfis, ancora girato a guardarla.
“Davvero ti piace quella?” fece schifato Lance.
L’amico arrossì e si voltò verso il gruppetto, tuttavia non poteva fare a meno di girarsi ogni tanto.
“Allora, che dite? La dobbiamo portare?” chiese Dory.
“Se non ci ostacola una persona in più aiuta” disse Gabriel.
Decisero di accettare il patto della bionda, che intanto fissava in malo modo il gatto.
“Bene” sorrise Lilian. “Dunque domani verrò con voi per la seconda ed ultima volta.”
Si avviò verso il college, poi però si voltò e lanciò una sfera d’acqua a Pepe. Il micio infradiciato corse a strusciarsi contro la padroncina per asciugarsi. Pandora la fulminò con lo sguardo – e avrebbe potuto farlo letteralmente – ma l’altra era già lontana.
“Stupida selkie, sfilaccerò tutte le sue cose!”
“Calma Pepe, penseremo un altro giorno a farle uno scherzo.”
Il tono serio della padrona calmò il gatto. Si lasciò trasportare fino alla loro camera e si acciambellò sul davanzale della finestra, osservandola. Vedeva bene che Dory era tesa per l’avventura dell’indomani. Anche lui era preoccupato. C’era una sensazione di oppressione difficile da scacciare, peggio di una palla di pelo. Pepe saltò sul letto quando lei si coricò e le fece le fusa. La bambina gli fece qualche grattino, mezza assopita. Il micio chiuse gli occhi, continuando le sue fusa. La sua amica e padrona poteva stare tranquilla, perché lui l’avrebbe protetta contro qualsiasi minaccia. Con questi pensieri si addormentò.



***Angolo Autrice***
Con chi parla in realtà Pandora?
Galahad perdonerà Lance e viceversa?
Con cosa se la vedranno i bambini?
Lo saprete nei prossimi capitoli!

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Capitolo 8
*** Casa Anderson ***


“Che vuol dire che io non vengo?!”
“Pepe, se non torniamo entro sera tu devi dire alla signorina Blake o a qualcun altro dove siamo” spiegò con calma Pandora.
Il gatto protestò ancora: “Ma come vi difendo se resto qua?”
“Non potrai, è vero, però ci sei molto utile lo stesso.”
Lui poggiò la testa sulle zampe anteriori, imbronciato. Da quando la sua padrona era cresciuta non lo portava più sempre con sé. Dory lo carezzò teneramente.
“Mi spiace, amico …”
“No, non fa niente … se dici che così ti aiuto sono felice.”
Pepe le saltò in grembo e lei lo coccolò grata, per poi dargli un bacio sul capo.
“Sei il miglior Lykoi Cat del mondo, Pepe!” esclamò mentre lo abbracciava. “Ti voglio tanto bene!”
“Grazie Dory, ti voglio bene anche io. Buona fortuna.”
Il micio seguì l’amica finché lei non si allontanò nel bosco, allora tornò in camera, si accoccolò sul letto e si dispose all’attesa.

“Dory, tu sai che ha Galahad?” le domandò Fujiko, un po’ preoccupata per il cugino.
“In che senso?”
“Hai visto che ieri era taciturno, non è da lui. E anche ora se ne sta in disparte.”
Pandora lanciò una veloce occhiata al biondino, che le seguiva lentamente. Sembrava non aver chiuso occhio ed era molto teso. Perfino le bambine erano più rilassate.
“Ho litigato con lui l’altro giorno” rivelò. “Ma non può essere solo questo, giusto?”
“Non so, lui ci tiene molto a te.”
“Lo so …”
Non aggiunsero altro, tuttavia Pandora pensò che parlargli prima che cominciasse la spedizione sarebbe stata una buona idea. Forse anche scusarsi. Ammetteva di essere stata troppo brusca, anche se magari aveva ragione lei. Si lasciò superare dalle amiche e camminò di fianco a Galahad, che dapprima non se ne accorse.
“Ciao” lo salutò lei.
Lui si limitò a guardarla.
“L’altra sera … non volevo lanciare la tua marionetta. E nemmeno usare il tuo problema per ferirti … io …”
“Però lo hai fatto” replicò duramente Galahad.
Dory annuì dispiaciuta.
“Non so che mi è preso, scusa.”
Il biondo si guardava i piedi, senza sapere che fare. Quella notte aveva avuto altri incubi e tutti lo incitavano a sbarazzarsi di Lance per non essere più perseguitato. Questo a lei non poteva dirlo, ma poteva perdonarla. Perciò alzò la testa e le sorrise.
“D’accordo, solo che se lo rifai non so se resisto.”
“Starò attenta” fece lei sorridendo.
“Ed io starò attento a non farti più arrabbiare. Mi piace essere tuo amico.”
Pandora gli strinse per un attimo la mano, contenta, poi corse fino a che fu in cima alla loro casetta. Galahad la seguì con lo sguardo, felice per aver fatto pace. Si rabbuiò vedendo che Lance la raggiungeva. Si costrinse a non pensarci.
Lance si appoggiò alla porta, prendendo fiato per la gran corsa fatta: voleva parlare da solo con Dory e si era inventato una gara di velocità per farlo. Per sua fortuna nessuno aveva barato.
“Ehi, da chi stai scappando?” chiese Dory scherzosamente.
“Nessuno. Senti, a proposito di brutte sensazioni, non dovremmo andare là.”
“Ma è già deciso e persino Lilian ha capito che è importante. Guarda, si è messa abiti comodi e si è legata i capelli.”
“Capisco, però … ieri non ho protestato per non sembrare un codardo. Ora sono solo con te e ti posso giurare che anche se ho paura ci verrei in quella casa, ma Lullaby l’ha nominata …”
“Questo non l’avevi detto” osservò lei.
Lance non sapeva come proseguire.
“Lance, che mi nascondi?”
Prima che lui potesse rispondere Anton e Simon corsero su con gran fracasso.
“Piccioncini, non è il momento di baciarvi!”
“Non lo stavamo facendo!”
“Dai, ci sono tutti!”
Lance si dileguò giù con i fratelli. Dory sospirò. Che poteva avergli detto quella Lullaby? Finora le sue parole avevano solo confermato ciò che loro avevano capito da soli. Aveva forse detto che avrebbero affrontato le loro paure, in quella casa? Tanto erano insieme e lei, per esempio, avrebbe incenerito gli insetti che terrorizzavano lui. Si sarebbero aiutati a vicenda.
Non fidarti di quella donna.
Non mi fido di nessuno che non conosco.

Arrivarono ai piedi della collina dopo mezz’ora, camminando in religioso silenzio. Da lì si poteva vedere solo il tetto della vecchia villa, mentre prima qualsiasi parte della casa era stata invisibile a causa degli alberi. I bambini si arrampicarono cercando di restare il più vicini possibile. Non udivano nulla di strano, solo i loro passi e ogni tanto il canto di un uccello. Finalmente furono in cima. Ebbero il tempo di una sola visione nitida dell’ambiente circostante, perché una nebbia leggera sembrò propagarsi dall’abitazione appena tutti misero piede sul sentiero che portava alla villa.
Pandora avanzò di qualche passo e si voltò verso gli amici. Erano venuti tutti, nessuno aveva voluto aspettare nella loro casetta.
“Ci siamo” sussurrò. “Fujiko, Gabe, pronti con le prove.”
I due ragazzini presero rispettivamente una torcia ed una bussola.
“Per ora tutto normale” li informò Gabriel.
Fujiko confermò: nessuno dei due strumenti dava segni di malfunzionamento. I bambini si avvicinarono di più alla villa. Il sentiero di ciottoli, invaso da erbacce, non era molto lungo, ma da un certo punto in poi la temperatura cambiò. Hope e Viola si tennero per mano, avvertendo l’aria farsi più fredda. Nel frattempo la nebbia cominciava ad avvolgerli e a infittirsi.
“G- guardate!”
L’ago della bussola non indicava più il nord; si muoveva a casaccio, cambiando senso dopo qualche giro. La torcia si spense. Fujiko le diede qualche colpo, ma dopo un paio di tentativi la lampadina scoppiò, facendo urlare le più piccole.
“Calme, dai” fece piano Simon, controllando i tremiti.
“Sì, si tratta solo di una bambina” le rassicurò Anton.
“Dobbiamo andarcene subito!” affermò Lilian.
“Ah no, sei venuta e mo’ resti. Dory, chiamala.”
Pandora annuì alle parole di Frithjof. Trattenne l’impulso di stringere la mano di Lance e fece un respiro profondo.
“Eve, ci sei? Se sei qui mostrati, per favore!”
Attesero qualche minuto con il cuore in gola, guardando in ogni direzione.
“Eccola!” urlò Galahad.
Infatti una figura stava prendendo forma tra la nebbia. La osservarono paralizzati. Se non fosse stato per l’aspetto amichevole dello spirito, in molti sarebbero fuggiti subito. Ma Eve appariva come una normale bambina. Certo era trasparente e fluttuava, tuttavia nulla in lei era spaventoso o minaccioso. Seppur tesi, i bambini non erano più impauriti.
“Eve” bisbigliò Ulfis.
Si accorse di avere accanto Lilian, che gli stava stringendo con forza un braccio. Arrossì mentre posava la mano sulla sua per incoraggiarla. Lei lo guardò, ritrasse la mano e gli sorrise debolmente.
“Evelyn Sarah Anderson” scandì il fantasma. “Questo è il mio nome.”
“Ciao” la salutò Dory, senza sapere come proseguire.
Lo spettro li guardò bonariamente e sorrise.
“Sapevo che sareste venuti” sospirò. Sembrava dispiaciuta.
“Hai visto anche tu una donna di tenebra?” le domandò Lance.
“Può darsi. Ho visto altro, però. Siete qui, sono riuscita a chiamare due di voi … non dovreste essere mai dovuti venire qui, ma sapevo che vi avrebbe attirato quindi non ho avuto altra scelta.”
“Chi, Evelyn? So che vuoi aiutarci, ma devi essere più chiara” disse Pandora.
La paura riaffiorava, non più per Eve, ma per un nemico ignoto.
“La nebbia … Sì, vi aiuterò come posso, sento che così avrò pace. Cerco da tanto di riposare …”
I bambini si guardarono tra loro, non trovando un senso a quelle frasi sconnesse.
“Eve, cosa …?”
Dory si interruppe bruscamente. Qualcuno non capì subito il perché, ma bastò seguire gli sguardi degli altri per comprendere. Eve si voltò: la porta di casa sua si era aperta. Improvvisamente da essa fuoriuscì un denso getto di nebbia che fece indietreggiare i bambini, separandoli. In mezzo a tutto quel candore si muoveva qualcosa di indefinito. Terrorizzati, i piccoli corsero via, senza sapere da cosa stessero scappando o verso dove.

“Ma bravo, ce l’hai fatta.”
Quella di Lullaby era una semplice affermazione, pronunciata con un tono privo di interesse. Non le importava nulla, in fondo, di cosa avrebbe fatto quella creatura ai ragazzini. Forse non era meno diabolica di lui, però era meno avida. Per la loro sopravvivenza, due bambini sarebbero stati sufficienti. Ma il suo socio voleva divertirsi, non si accontentava di un banale pasto.
La donna di tenebra udì la risata divertita dell’altro, che assunse una seppur vaga forma. Mojo era fatto di nebbia: cambiava continuamente forma, era impalpabile e faceva sembrare lei più solida e definita.
“Sarà uno spasso, ti divertirai anche tu, mia tetra signora” disse lui sghignazzando, carico di aspettativa.
“Forse. A me interessa solo il potere di quella ragazzina.”
“Lo assorbirai prima che io mi cibi delle sue carni” promise Mojo. “Ma è davvero tanto potente? A me sembra un’insulsa marmocchia come le altre.”
“Non ti avrei offerto il mio aiuto se non ne fossi stata certa. I tuoi trucchi sono notevoli, ma con l’aggiunta della mia ipnosi sarà impossibili per quei ragazzini cavarsela.”
“Sarà uno spasso!” ripeté il malvagio essere. “Le urla dei bambini sono musica per me! Godo delle loro sofferenze! Amo i loro sguardi carichi di terrore! Adoro quando, ad un passo dalla morte, continuano a supplicare e a sperare! Ma, oh, se impazziscono è più divertente ancora! Ahahaha!”
Lullaby sorrise, contagiata dall’allegria del socio. Anche lei, nella sua lunga vita, aveva portato alla pazzia molta gente o l’aveva uccisa. Si trattava di pura sopravvivenza, come un leone che mangia una zebra. La sua esistenza era trascorsa tranquillamente, senza essere sconvolta da alcuna emozione, positiva o negativa che fosse. Passava da sola la maggior parte del suo tempo, apprezzando la compagnia delle sue vittime finché durava. Mojo era la prima creatura davvero malvagia che incontrava. Era simile a lei per certi aspetti, per altri era il suo opposto, tuttavia erano le differenze che la interessavano. Le si era avvicinata dopo aver scoperto che puntavano allo stesso obiettivo ed era rimasta con lui perché incuriosita da quel mostro. Grazie a Mojo si era resa conto di essere sadica, folle, perversa. Ciò che faceva non era naturale come aveva sempre creduto. Era vero che se fosse stato per lei sarebbero morti meno bambini, ma in fondo i numeri non facevano molta differenza …

La nebbia si era estesa fino al bosco. Questo fu quello che pensarono i bambini quando finalmente si fermarono, senza fiato. Mano a mano che si riprendevano dalla spavento, si rendevano conto di tanti particolari. Il bosco non era mai stato tanto silenzioso. Nessun uccellino cantava, nessuna foglia si muoveva. Anzi, di foglie non ce n’erano proprio, a ben guardare! Gli alberi erano completamente spogli e ricoperti di muschio, anche se qualche minuto prima erano solo poche le foglie cadute o ingiallite. Le foglie non si trovavano neppure per terra, dove cresceva semplice erba, segno che dovevano essere scomparse da tempo. A causa della nebbia era impossibile scorgere il cielo o qualcosa di più lontano di quattro, cinque metri. Smisero di osservare il nuovo paesaggio più o meno nello stesso momento e si accorsero di non essere tutti insieme. Si stupirono di non aver notato subito di correre senza nessun altro accanto. Iniziarono a chiamarsi, inquieti, fino a che a coppie si ritrovarono.



***Angolo Autrice***
I bambini purtroppo sono giunti a destinazione. Ne usciranno vivi? Lullaby e Mojo li terrorizzeranno a dovere? Intanto se cliccate qui e guardate l'immagine ci sarà più atmosfera.

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Capitolo 9
*** Nell'incubo ***


“C- c’è qualcuno?” fece Viola, prossima al pianto.
“Viola?”
“Hope!”
Le due bambine si strinsero l’una all’altra, confuse e spaventate.
“Ma dove siamo?” chiese la castana.
“Non lo so, è tutto cambiato.”
“Ho tanta paura, sono una fifona!”
“Anche io, cerchiamo gli altri … Eve!”
Il fantasma si avvicinò alle piccole, impietosito dai loro tremori.
“Eve, sai come uscire?”
“Ti prego, aiutaci!”
“Tranquille, vi condurrò via da questo luogo. Seguitemi.”
Le bambine si guardarono un attimo prima di seguirla, camminando abbastanza vicine da abbracciarsi.
“Tu abiti qui?” domandò Hope, per non udire il silenzio innaturale del bosco.
“No, prima la mia casa era normale, è stato lui a portarci la nebbia e tutto il resto.”
“Lui chi?” domandarono insieme le ragazzine.
“Una creatura malvagia. Non gli interesso perché sono già morta, ma vuole fare del male ai bambini.”
Evelyn cercò di tenere a freno le paure di Hope e Viola raccontando loro le sue esperienze come spirito, senza avere molto successo. Ad un certo punto fu visibile una flebile luce in mezzo alla nebbia. Camminando ancora, scoprirono che era l’insegna di un parco divertimenti abbandonato. Non era molto grande. Una mezza dozzina di giostre lo circondava, mentre al centro vi era un gigantesco tendone da circo.
“A- andiamo via da qui” piagnucolò Hope.
La faccia ghignante del clown dipinto all’ingresso del tendone non le piaceva per niente.
“No. È spaventoso ma innocuo, per ora.”
“Per ora?”
“Sì. Vi assicuro che al momento siete al sicuro.”
Eve riuscì a tranquillizzarle e pensò a come procedere. Intanto le bambine guardarono le giostre arrugginite: c’erano le montagne russe, l’autoscontro, la ruota panoramica, il carosello, le tazza che giravano e uno scivolo altissimo. Scorsero un vecchio carretto di popcorn. Entrambe desideravano andarsene al più presto da quel posto da brividi.
“Dovete essere coraggiose” le esortò Evelyn, nel tono più persuasivo e fiducioso che conosceva. “Andrà tutto bene. Credo che per prima cosa dobbiamo attirare i vostri amici qui.”
“Come facciamo, Eve?” chiesero insieme le piccole.
“Dovete attivare le giostre: produrranno luce e musica.”
“M- ma potrebbero richiamare anche i mostri” esitò Viola.
“E come, Eve? Non vedo spine, forse non c’è corrente” aggiunse Hope, anche lei poco convinta.
“Si accenderanno sicuramente. Quanto ai mostri … prima o poi arriveranno lo stesso, meglio che arrivino i vostri amici prima di scappare, no?”
Le ragazzine annuirono, mogie. Si tennero per mano mentre premevano levi e pulsanti per azionare le giostre. Le vecchie apparecchiature non funzionavano a dovere, ma tanto a loro non interessava farci un giro sopra. Dopo vari tentativi riuscirono a tenere fermi vagoni e cavallini. La luce più forte proveniva dalla ruota panoramica, la musica più forte dallo scivolo. Tuttavia le bambine disattivarono quest’ultima, distorta e inquietante, preferendo quella più piacevole del carosello. Evelyn le invitò a sedersi su una tazzina. Loro si abbandonarono sui sedili, stanche.
“Siete state brave, tornerete presto a casa” le confortò lo spettro.
“Grazie Eve.”
Hope e Viola restarono sedute, in attesa. Ogni tanto guardavano il perimetro del parco o il tendone, speranzose di scorgere i loro amici e di non vedere nemmeno l’ombra di un mostro.

“M- ma che è successo?”
“Non ne ho idea.”
Simon e Gabriel procedevano vicini lungo un sentiero sterrato. Udirono vari scricchiolii fra gli alberi che affiancavano il sentiero. I ragazzini camminavano speditamente, lanciando continuamente sguardi a destra e a sinistra, timorosi di scoprire cosa produceva quei rumori. Ad un certo punto Gabriel si fermò. Simon fece lo stesso e fissò interrogativo l’amico.
“Questa strada non conduce da nessuna parte” disse il moro. “Vedi? Sembra estendersi all’infinito.”
“Hai ragione. Aspetta, la nebbia si è diradata!”
“Vero, ora il bosco è più illuminato. Torniamo indietro, credo che abbiamo sbagliato direzione.”
“Non saprei … Sono abbastanza sicuro che dietro di noi ci sia villa Anderson.”
“Appunto. Credo che una volta scesi dalla collina siamo finiti in quest’altro luogo, dunque se ripercorriamo i nostri passi …”
Stavolta gli scricchiolii provennero da dietro di loro. Entrambi sgranarono gli occhi nel trovarsi di fronte una decina di bambini zombie. Per alcuni secondi restarono immobili a fissarli, agghiacciati, senza rendersi conto di trattenere il respiro. Gli scricchiolii erano prodotti dalle loro ossa disarticolate, nascoste solo parzialmente da vestiti marci. La loro pelle, se ancora c’era, aderiva completamente allo scheletro ed era putrefatta. Le unghie ed i capelli erano lunghi. Inoltre non erano completi. Infatti a qualcuno mancava un braccio, ad altri la mandibola o le costole. Le mancanze indicavano la causa della loro morte. Ciò che più impressionò i bambini furono i volti di quelle creature. Essi erano completamente trasfigurati e mostruosi. Dagli occhi, se ancora li avevano, traspariva tutto il loro odio. Gli zombie si muovevano lentamente e con loro si avvicinava l’odore di sangue e morte. Un mostro aprì la bocca, mostrando pochi denti gialli e affilati. Dalla sua cassa toracica strisciò fuori un serpente.
A quella vista i due bambini si voltarono e corsero più veloce che potevano. Non si voltarono mai. Quando non ne poterono più si accasciarono sotto un albero, privi di forze. Simon cercò di trattenere i violenti brividi che gli attraversavano il corpo, volendo dire qualcosa a Gabriel, ma non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto. Si accontentò di stringergli con forza una mano, trovando così un po’ di conforto.
Nessuno dei due si sarebbe aspettato che con i muscoli doloranti e i polmoni ancora brucianti per lo sforzo sarebbero stati in grado di correre nuovamente. Non si erano ancora ripresi dalla corsa né tantomeno dallo shock, che Simon scorse qualcosa dietro un alto cespuglio e la indicò a Gabe. Si trattava di una bella ragazza orientale con le mani serrate su un ramo del cespuglio. La giovane sorrise mentre i capelli le coprivano il volto, poi strinse le braccia attorno al corpo e sparì dalla loro vista. I ragazzini videro muoversi la base del cespuglio e capirono che stava strisciando, producendo un suono caratteristico.
“Teke Teke” sussurrò sgomento il castano.
Scapparono, dando fondo a tutte le loro energie, ma quella creatura era più veloce degli zombie. La ragazza senza gambe afferrò una caviglia di Simon e lo fece cadere per terra. Il bambino urlò. Scalciò con tutte le sue forze, consapevole che se lei lo avesse tagliato a metà lo avrebbe reso a sua volta un Teke Teke. Gabriel tirò a sua volta calci alla creatura e la colpì ripetutamente con un ramo, ma elle restò avvinghiata a Simon. Dal nulla comparve una falce. Facendosi coraggio, il moro prese il Teke Teke da sotto le braccia e riuscì a sollevarla. La lanciò e si affrettò ad usare i suoi poteri per farla volare il più lontano possibile da lì. Stremato, Gabriel si sedette accanto all’amico, che piangeva. Iniziò a piangere anche lui, però quella vittoria gli aveva dato fiducia. Sentiva che c’era una speranza di salvezza.

Gli zombie erano perlopiù innocui, poiché troppo lenti per raggiungere qualcuno. Se ci fossero riusciti lo avrebbero ridotto a brandelli, ma la loro funzione era attirare i bambini verso creature più letali. Questo nessuno poteva saperlo, perciò quando li videro Lilian e Ulfis si diedero da fare per seminarli. Ad un certo punto Lilian inciampò in una radice, finì addosso al mezzo nano ed entrambi rotolarono giù per un declivio. Si fermarono presso le sponde di un lago. A pochi metri da loro un ponte di legno ondeggiava debolmente, mosso dal vento.
“Stai bene?” chiese Ulfis, porgendole la mano.
La bionda annuì e gli permise di aiutarla a rialzarsi, poi si guardò intorno.
“Sembra che qui non ci sia nessuno. Tu …”
“Ulfis.”
“Ulfis, eri preparato a tutto questo?”
“No. Nemmeno gli altri.”
“Lo avevo detto che non bisognava venire!” esclamò Lilian. “Ma dovevate dare retta a Pandora!”
“Ormai siamo qui” fece piano Ulfis.
“Sì” concordò mestamente lei, avviandosi verso il ponte.
“F- ferma, dove vai?”
“Non intendo restare in questo posto a lungo, perciò vado via, mi sembra ovvio.”
“Sì, ma perché da quella parte?”
“Dietro di noi il terreno è troppo ripido. Tu vedi altre vie?”
Ulfis non replicò. In quel momento desiderò essere un sidhe non solo per metà, perché sarebbe potuto diventare un uccello e volare. Non ci sarebbe stato bisogno di attraversare quel ponte, per lui che non sapeva nuotare. Sospirò.
“No, hai ragione. Vado avanti io.”
“No, io, sono più grande.”
“Però sei una ragazza” fece dubbioso lui.
“E allora? So più incantesimi di te e sono più forte!”
Lilian mise piede sulla prima asse del ponte, constatando che era solida. Posò le mani sulle corde e avanzò. Ulfis le andò subito dietro, timoroso, ma non accadde nulla durante l’attraversata. Il bambino lasciò la corda, sollevato, quando si udì un forte battito d’ali. Lilian fece appena in tempo a creare uno scudo che qualcosa si abbatté con ferocia su di loro, costringendoli ad indietreggiare. Il secondo assalto fu solo parzialmente assorbito dallo scudo magico: la bionda cadde per terra, mentre Ulfis indietreggiò finché non cadde in acqua. La ragazzina urlò vedendo le fattezze del suo assalitore, preso ad artigliare violentemente la barriera invisibile che lo separava da lei. Si trattava di un uomo con fattezze di rettile e due enormi ali membranose sulla schiena. L’essere si fermò improvvisamente. Lei trattenne il fiato, non osando distogliere lo sguardo da lui, che non la osservava più. Lilian si rese conto che aveva cambiato bersaglio un attimo prima che il mostro spiccasse il volo. Si alzò in fretta e usò i suoi poteri per protegge Ulfis con un muro d’acqua, che poi lasciò ricadere sulla creatura. Il ragazzino intanto vacillò verso di lei, esausto. Infatti, anche se era caduto vicino alla riva e avrebbe potuto uscire subito dall’acqua, qualcosa si era avvolta intorno alla sua caviglia, impedendogli di mettersi rapidamente in salvo. Solo quando aveva usato un incantesimo fendente era riuscito a liberarsi della cosa tentacolare che lo aveva trattenuto.
“S- sei ferita?”
“No. Presto, allontaniamoci ... Zoppichi?”
“Mi ha storto la caviglia, n- nulla di che.”
Il mostro emerse dall’acqua, facendo volare spruzzi tutto intorno. I ragazzini urlarono di sorpresa.
“Vai nella boscaglia, lo trattengo come prima.”
Ulfis aprì la bocca per protestare, ma lei non gliene diede il tempo. Sollevò una manciata d’acqua, creò una sfera e la scagliò contro la creatura. Il bambino cercò di camminare il più velocemente possibile, serrando i denti per il dolore che sentiva. Ogni tanto si voltava indietro, preoccupato. Dopo qualche metro, quando i primi rami degli alberi erano sopra di lui, si bloccò orripilato.
Il mostro, infuriato, aveva schivato gli ultimi attacchi di Lilian e l’aveva afferrata. Lei l’aveva colpito con tutte le sue forze, in preda al panico, senza indurlo a lasciarla andare. La creatura volò più in alto. Ulfis, dimentico della caviglia, cercò di correre per aiutare l’amica, ma cadde. Sentì un tonfo alla sua destra. Si rialzò freneticamente, piangendo.
“Lilian! Ti prego, dimmi che stai bene! Lilian!”
Il castano la raggiunse a fatica. L’agitazione lo faceva tremare violentemente, o forse era l’aspettativa di ciò che avrebbe visto a sconvolgerlo.
“Lilian” singhiozzò piano.
Ebbe il coraggio di sollevarla per le spalle e voltarla nonostante il sangue che macchiava l’erba sotto di lei. La bionda lo fissò con occhi vitrei, senza luce. Poi la testa si ripiegò all’indietro rendendo ancora più evidente la lacerazione alla gola e facendo fuoriuscire altro sangue.
Ulfis non si accorse di lasciarla andare. Rimase seduto a fissarla, inebetito, sentendo che nulla contava più.

“L’ho preso!” esultò Galahad quando il masso che aveva lanciato colpì il viso di uno zombie, il quale cadde e mandò a terra altri suoi simili.
“Bene, dai che li abbiamo seminati.”
Il biondino e Lance si incespicarono su un’altura, per poi scendere in fretta dall’altra parte, dove trovarono una palude. Rallentarono, continuando però ad andare avanti.
“Dove siamo? Questo non è più il bosco” constatò il rosso.
“Ma davvero? Non me ne ero accorto” fece sarcastico Galahad.
“Si può sapere tu che hai? È da ieri che sei strano.”
“Ti ho già detto che cosa c’è che non va.”
“Sì, ma io non c’entro con le decisioni che prende Dory. Ho cercato di convincerla a non venire, per esempio, e non ci sono riuscito. Lullaby lo aveva previsto.”
“Aspetta” disse il biondo fermandosi. “Tu sapevi che saremmo finiti in questo posto?”
“No, solo che recarsi a villa Anderson sarebbe stata una pessima idea. Lullaby … lei ha detto di portarci solo Dory, a mezzanotte, così noi non avremmo avuto più problemi.”
Galahad fece qualche passo avanti e Lance indietreggiò, temendo che lo aggredisse come il giorno precedente.
“E perché non ce lo hai detto?! Avremmo evitato questo schifo!”
Lance guardò l’altro negli occhi e mantenne la calma. Capiva che Galahad era preoccupato e spaventato quanto lui.
“Non credo … Lullaby ha detto che un certo lui ci voleva e Eve ha detto la stessa cosa. Ha detto anche che è ingordo, per questo mi ha consigliato di mandare solo Dory per farci lasciare in pace.”
“Perché non ce l’hai detto?” ripeté Galahad, stavolta senza urlare.
“Perché non sarebbe servito. Non capisci? Nessuno l’avrebbe consegnata, anzi, le avremmo impedito di andare. Ma sai che è testarda …”
“Già …” si calmò il biondino. “Ti ha detto altro quella Lullaby?”
“Una cosa che non riesco a decifrare: dove c’è molta luce l’ombra è più nera.”
I ragazzini ripresero a camminare, riflettendo. Si fermarono dopo qualche metro, poiché l’acquitrino raggiungeva già le loro ginocchia e sembrava farsi sempre più profondo.
“Torniamo indietro?” chiese Lance.
“Sì.”
“Buonasera.”
I due si voltarono di scatto. Alla loro sinistra c’era un piccolo stagno e una sirena si era appena seduta sopra un masso sporgente. La creatura li guardava curiosa, sorridendo bonariamente e agitando la lunga coda nera nell’acqua. Anche i capelli erano corvini e molto lunghi. La sirena se li scrollò indietro, incantando i ragazzi. Entrambi ammirarono l’ovale perfetto del suo viso, le labbra sensuali, il naso piccolo, gli occhi grandi e stranamente familiari. I capelli ricoprirono la pelle candida delle belle braccia affusolate e i morbidi seni risaltati da un corpetto nero.
“Non capita mai nessuno da queste parti ed io sono così sola …” si lamentò la sirena.
I bambini si avvicinarono meccanicamente. Lei sorrise dolcemente.
“Mi farete compagnia, vero?”
“Certo” confermarono entrambi, rapiti dalla sua voce e dal suo fascino.
“Ho trovato due amici” esultò la creatura, raggiante. Tese loro una mano.
Galahad si mosse ancora, avanzando come in sogno, Lance invece si fermò. Per un istante gli era sembrato che la sirena avesse un altro aspetto.
“Avanti, amici, venite da me. Ci divertiremo molto insieme.”
Il rosso riprese a camminare e finalmente capì. Il suo potere era l’ipnosi, per questo non poteva essere ingannato a lungo con le illusioni degli altri. Quella sirena in realtà era marcia come il resto di quel luogo. Riuscì a sentire la puzza di pesce della sua coda priva di squame, da cui sporgevano le spine. Si rese conto che per indurli ad avvicinarsi a lei la creatura aveva assunto l’aspetto che avrebbe avuto Pandora da adulta.
“Fermo Galahad!”
Lance strattonò il biondino prima che lui potesse toccare la sirena. Lei urlò infuriata. Scattò in avanti, afferrò il polso di Lance e lo trascinò in acqua. Galahad scosse la testa, vedendo la sirena per ciò che era realmente. La creatura gli sorrise, scoprendo denti simili a quelli di un pesce degli abissi.
“Scappa ragazzino, in fondo sarai felice se lui muore, no?”
Il bambino strinse i pugni, concentrato. Si costrinse a non guardare in faccia la sirena per non rischiare di finire nuovamente sotto il suo incantesimo, poi tese le mani in avanti e sollevò la creatura per aria. Lance emerse fuori dall’acqua, tossendo e ansimando. Galahad tenne sollevata una mano, ignorando gli insulti della sirena, e aiutò Lance a rialzarsi. Il rosso si aggrappò a lui, sorridendogli grato. Lui ricambiò il sorriso, imbarazzato. I bambini si affrettarono ad allontanarsi dalla palude, temendo di ritrovarsi di fronte ad un altro mostro.
“Scusa.”
Lance fissò sorpreso Galahad, che era arrossito.
“E di cosa? Mi hai salvato, grazie!”
“Anche tu, stavo per toccare la sirena … Io a volte dimentico le cose e quindi non riesco a parlare molto bene. Il punto è che vedendoti con Dory io … io …”
“Eri geloso?” Lance sorrise quando lui annuì. “Non avevo capito che ti piacesse, si vede che sono un po’ tonto come dicevi.”
“Però so che è felice, tu non sei cattivo. Forse è per questo che stavo peggio.”
“Mi dispiace …”
“Fa niente, almeno siamo amici, no? Tutti e tre.”
I due camminarono più in fretta, desiderosi di ritrovare tutti i loro amici e di uscire insieme da quell’incubo.

Frithjof trasalì nell’udire un grido di orrore. Avanzò incerto fra gli alberi, pronto a scappare in caso di pericolo. Una ragazza era inginocchiata accanto ad una pozzanghera e dai capelli non poteva trattarsi che di Fujiko. L’elfo la chiamò, contento di vederla. Lei sembrò non udirlo.
“Ehi, Fujiko, stai bene?” domandò Frithjof mettendole una mano sulla spalla.
La veela scostò le mani dal volto e lui rimase senza fiato: somigliava ad un rospo. Gli occhi erano giallastri, grandi e tondi, con pupilla verticale. Il naso era diventato molto piccolo, mentre la bocca si era allargata. La pelle divenne verdastra sotto gli occhi di Frithjof e sulle mani della ragazzina comparvero membrane fra le dita.
“M- ma cosa …? Fujiko, com’è successo?”
Fujiko scosse la testa e ricominciò a singhiozzare disperata. L’elfo la abbracciò, commosso, e lei pianse sulla sua spalla finche non si raddrizzò asciugandosi le ultime lacrime.
“Grazie Frithjof, ne avevo bisogno” mormorò.
“Figurati” le sorrise l’elfo.
“Dicevo sempre che l’aspetto non conta, però così è- è troppo …”
“Tranquilla, sicuramente ci sarà una soluzione. Non è da te deprimerti.”
“Hai ragione.”
Fujiko gli sorrise e si rialzò. Frithjof la imitò, sollevato.
“Da che parte pensi sia l’uscita?”
“Non lo so. Prima ho cercato di trasformarmi per farmi un’idea, ma sono diventata così. Se non possiamo volare non ci resta che arrampicarci per capire dove andare.”
I due ragazzini puntarono verso la collina più alta che trovarono nelle vicinanze.Da lassù non videro granché che potesse aiutarli. Per ciò che riuscivano a scorgere tra la nebbia, c’erano almeno altre quattro alture più grandi della loro, estese file di alberi spogli in ogni direzione e qualcosa che somigliava ad un castello a nord. All’improvviso l’elfo rise, stupendosi di aver avuto una grande idea.
“Fujiko! Conosco un incantesimo per salire ancora di più, se si potesse eliminare la nebbia sarebbe utile.”
“Mmh … forse so quale usare. Per qualche minuto la nostra vista penetrerà qualsiasi barriera.”
“Siamo una grande squadra, eh?”
La ragazzina lo fece contento dandogli il cinque. Frithjof aveva appena iniziato a creare una base sotto i loro piedi che delle radici si avvolsero intorno alle sue gambe e lo misero repentinamente a testa in giù. L’elfo urlò, chiudendo gli occhi. Fujiko scansò le radici e creò un materasso sotto il punto in cui il ragazzino stava per schiantarsi.
“Presto, tagliale!”
Frithjof non riuscì a prendere la mira, ma colpì comunque la radice che l’aveva avvinghiato, liberandosi. Corse da Fujiko, che a sua volta tagliava tutte le radici che si avvicinavano troppo. Coprendosi a vicenda riuscirono a fuggire. Dopo che si furono allontanati abbastanza attuarono il loro piano. L’elfo creò una piattaforma tagliando la terra sotto i loro piedi e le rocce la alzarono sempre più, fino a che i due furono soddisfatti. Dopodiché Fujiko usò il suo incantesimo ed entrambi poterono vedere tutto ciò che si estendeva sotto di loro.
“Quel castello … credo sia villa Anderson. Non ti pare Fujiko?”
“Sì. Non so se siamo nel bosco che ha subito un incantesimo o altrove, comunque questo posto ha la sua stessa geografia, solo ingrandita e distorta. Guarda, luci.”
Frithjof scorse il parco di divertimenti e vide Eve prima che la vista tornasse normale.
“Dobbiamo andare lì, secondo me” affermò la veela.
“D’accordo, lo spirito sembrava confuso ma benintenzionato. Oddio …”
“Cosa?”
La piattaforma aveva cominciato ad abbassarsi mentre parlavano, ma Frithjof bloccò la discesa vedendo che sotto c’erano una ventina di zombie. Fujiko mosse una mano membranosa di fronte all’elfo, paralizzato.
“Frithjof! Ricordo che le cose putrefatte ti fanno schifo, ma non possono farci niente, capito? Adesso ci teletrasportiamo! Ok, ci teletrasporto io …”
Detto fatto, la ragazzina gli strinse un braccio e sparì con lui. L’elfo preferì non commentare su ciò che era accaduto, ma la prese a braccetto e si incamminò verso il parco.

Quiete e alberi tutti uguali che sembravano non finire mai, con tanto di nebbia. A Pandora fecero venire in mente qualcosa, un film horror con un’ambientazione simile. Seppure non ricordasse quale, sembrò che qualcuno le leggesse il pensiero e avesse capito prima di lei il nome del posto.
Anton e Dory urlarono quando dai rami degli alberi cominciarono ad esserci degli impiccati.
“L- la foresta dei suicidi” disse tremante la sidhe.
“Come?”
“Stavo pensando che questo posto mi è familiare, anche se non ricordavo a cosa …”
“Quindi … quindi se pensiamo a qualcosa di spaventoso questa si avvera?” rifletté il castano ad alta voce.
“Pensiamo a cose felici allora.”
“Vuoi che cantiamo anche canzoni allegre?”
“Stupido” fece lei dandogli una spintarella.
“Ero serio” sorrise lui.
Entrambi tennero lo sguardo basso per non vedere i cadaveri appesi. Forse loro non gradirono di essere ignorati, poiché caddero improvvisamente come frutti maturi. I ragazzini lanciarono di nuovo un breve grido e corsero via. Si fermarono a riposare solo dopo che il paesaggio fu mutato. Si sedettero su un tronco caduto, osservando la valle di fronte a loro. C’erano parecchi massi, molti dei quali erano molto grandi. Oltre quelli vedevano a malapena la cima di qualche albero.
“Non ti sembra che si fa più oscuro?” chiese Anton.
“Sì, eppure non è da molto che siamo qui. Proseguiamo dritti?”
“Purtroppo non ho idee migliori.”
La nebbia si muoveva col vento. Nei momenti in cui era meno fitta, Pandora, che teneva lo sguardo fisso verso il cielo, vedeva le torri di un castello. Rifletté che nei castelli ci abitano i nobili, dunque forse lì abitava il sovrano di quel luogo. Incontrarlo sarebbe stata una buona cosa? Dory non ebbe il tempo di valutare i pro e i contro di una tale scelta. Anton la trattenne per un braccio e si nascose con lei dietro un masso.
Una creatura alta e ossuta stava facendo l’uncinetto su una gigantesca sieda a dondolo. I capelli castani erano legati in uno chignon e dava loro le spalle. I bambini videro però che la sciarpa che l’essere cuciva era molto lunga e su di essa c’erano strane decorazioni.
Anton si ritrasse e si appoggiò alla roccia, pallido.
“Che hai?” bisbigliò preoccupata Dory.
“Quella è … v- voglio dire somiglia a mia madre.”
“Eh?!”
Il ragazzino le tappò la bocca.
“Shhh, stupida!” sussurrò spaventato.
“Scusa, solo che … tua madre è tanto gentile. Ricordo quando ha invitato me e Hope a lavarci dopo la battaglia di fango e poi ci ha anche offerto la merenda.”
“So bene com’è fatta, è la persona più buona che conosco, ok? Io …”
“Bambini, venite fuori” li richiamò la creatura, senza alzare la testa dal suo lavoro.
I due impallidirono, ma non erano stati scoperti.
“So che siete qui. Sono troppo vecchia per giocare a nascondino. Forza, da bravi, fatevi vedere.”
“Giusto, vedere! Anton, puoi rendere invisibile anche me?”
“Mh? Certo, però dovrei prenderti per mano.”
“Lance non si ingelosirà … e credo di aver bisogno di stringere la mano a qualcuno.”
Si sorrisero tesi prima di prendersi per mano. Pandora lo vide sparire e si accorse di non vedere più nemmeno se stessa.
“Wow, credevo che tu ti vedessi.”
“Invece no. Il fatto che chi è invisibile può vedere altri invisibili è una fesseria.”
Si mossero lentamente, attenti a non fare rumore. La creatura continuava a cucire e a dondolarsi, allungando la sciarpa. I bambini si strinsero di più fra loro, capendo che le decorazioni erano perlopiù occhi di bambini.
“Coraggio, so che ci sei tu, Anton. Vuoi sempre farmi scherzi? Non ti stufi mai di fare i dispetti agli altri? Combini un sacco di guai … che cattivo …”
Pandora lo sentì tremare. Era forse questo a terrorizzarlo? Il fatto che sua madre fosse delusa da lui? La bambina gli strinse più forte la mano e gli posò l’altra sulla spalla, avvicinando la bocca al suo orecchio.
“Quella befana non è tu madre, Anton. Flore …”
“Io punisco i bambini cattivi. Chi fa piangere i propri genitori, gli dà un sacco di preoccupazioni, gli …”
“Flore è contenta di tutti voi, ne sono sicura. Tu sei buono come lei e i tuoi fratelli, o non saremmo amici.”
“Meriti una punizione. Ti caverò gli occhi, Anton. A te e a quella monella che ti porti appresso.”
“Al mio tre pronto a correre, va bene?”
“Sì …”
“Bene. Uno, due e tre!”
Anton le lasciò la mano e la guardò mentre dava fuoco alla sciarpa. La creatura, furibonda, si alzò e tentò di spegnere le fiamme, ignorandoli. Ebbero così il tempo di superare gli ultimi massi e ritornare tra gli alberi. Il ragazzino si appoggiò ad un tronco e si asciugò le lacrime. Pandora si fermò un po’ distante, imbarazzata.
“Dory, so che la mamma mi vuole bene. È che a volte combino qualche guaio di troppo e non voglio darle problemi …”
“Sei solo un bambino vivace. Simon ci ha detto che somigli molto a vostro padre.”
“Sì, la mamma lo dice spesso. E la cosa le fa piacere, quindi …”
Anton si scostò dall’albero e sembrò aver scordato i tormenti di poco prima. Dory gli sorrise. Stava per proporgli di raggiungere il castello, quando udì il proprio nome. Si accorse che anche Anton aveva sentito. Quando il richiamo si ripeté, un nome le venne spontaneamente alle labbra: “Samael.”



***Angolo Autrice***
Abbastanza spaventoso? Mi auguro di sì.
Il Teke Teke è una leggenda giapponese, mentre per la creatura che cuce mi sono ispirata all'Altra Madre di Coraline.
Purtroppo il capitolo l'ho finito oggi, quindi per i prossimi aggiornamenti ci sarà da aspettare più del solito.
Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Comprensione ***


“Chi è Samael? Dory, no!”
Anton le corse dietro, preoccupato. Temeva che una qualche creatura stesse giocando con lei. La sidhe si fermò davanti un arco di pietra alto poco più di lei. Era vuoto, eppure si comportava come se ci fosse uno specchio, uno specchio che non rifletteva fedelmente ciò che gli stava di fronte. Infatti attraverso l’arco vedeva il solito bosco, non il mondo malefico nel quale erano finiti. Le posizioni di alberi, massi e quant’altro era identica, però.
“Credi che se lo attraversiamo saremo fuori?”
Pandora sobbalzò.
“Non dovevi correre così” la rimproverò Anton, fissando a sua volta lo strano arco.
“La vedi? Si avvicina” disse piano lei.
Una ragazzina quasi identica a Dory avanzò fino a posizionarsi dinanzi ai due bambini.
“Samael?” fece Pandora, titubante.
L’altra le sorrise caldamente.
“Ti ricordi di me, allora?”
“Non molto bene … Giocavamo insieme da piccole, vero?”
“Sì. E abbiamo continuato a parlarci in questi anni.”
“Non parlavo da sola, dunque …”
“Beh, forse sì. Forse lo stai facendo ora. Non so se siamo la stessa persona o due sorelle.”
Anton spostava lo sguardo dall’una all’altra, basito. Pandora stava accettando senza problemi quello che diceva Samael. In effetti a lui non dava l’impressione che volesse far loro del male, ma non fidarsi era meglio. In fondo la stavano incontrando in quel posto oscuro.
“Voglio mostrarvi una cosa. Sì, a tutti e due” confermò la bambina vedendolo trasalire. “Dory deve ricordare, tu devi conoscerci, diciamo. Saresti il primo a sapere tutto dopo molto tempo.”
Il ragazzino annuì incerto. Samael lo aveva guardato in modo strano. Sembrava esserci speranza … cosa si aspettava da lui?
“Dobbiamo sbrigarci, non voglio che ci interrompano.”
“Serve a farci uscire vivi da qui?” le domandò Anton.
“No, serve per dopo. Io ce la metterò tutta per non farvi morire.”
“Anche noi, cosa credi?” affermò Pandora, lanciando un’occhiata d’intesa con l’amico.
“Sì, sconfiggeremo chiunque, non ci fanno paura” confermò lui.
“Bravi. Adesso poggiate una mano sulla mia. Così …”
Anton sbatté gli occhi e si guardò intorno, stupito. Si trovava in una camera piena di luce, in una casa mai vista prima. Sulla parete davanti a lui c’era una libreria, sulle altre quadri. Comparvero anche un tavolino e un paio di sedie, quelle piccole e di plastica per bambini. La stanza si arredò di altre cose, tappeti, un divano, lampade, finché rimase solo una parete vuota. Quando quest’ultima si riempì di una collezione di farfalle e apparve una bambina ferma a guardarla, Anton capì. Samael lo aveva trasportato in qualche modo nel ricordo che condivideva con Pandora. Il ragazzino chiamò la bimba, che aveva sui tre anni, ma lei non lo udì. Provò a toccarla e la sua mano la attraversò. Lui non poté far altro che attendere che il ricordo partisse, come se stesse guardando un filmato. Finalmente la bambina si mosse. Prese una delle scatole di vetro in cui c’erano le farfalle più colorate e tolse con circospezione il coperchio, poi sorrise.
“Volate!” gridò allegra.
Le farfalle sbatterono le ali per qualche secondo prima di tornare ferme.
“No, dai, volate per casa! Siete belle. Perché state così?”
Per gli spilli, muoiono di nuovo.
“Oh … Non voglio che si fanno male.”
La piccola osservò triste le piccole creature impalate, ne prese delicatamente una e la depose sul pavimento.
“Ora tu stai bene?” domandò.
Stavolta la farfalla non si limitò a sbattere le ali. Spiccò il volo e la bambina la seguì ridendo. Samael sorrise, dentro di lei. Come dopo ogni rinascita non aveva tutti i ricordi delle vite precedenti. Non che normalmente si ricordasse ogni singolo umano posseduto da quando aveva deciso di scendere personalmente sulla Terra. Samael era un demone incorporeo, per esistere nel mondo sensibile doveva necessariamente possedere un ospite. Poteva rubare un corpo o, come in quel caso, condividerlo. Era la prima volta però che si sentiva così a suo agio con qualcuno e mettere a disposizione il suo potere per divertire Pandora non le dava fastidio. Giocare con lei le piaceva. Decise di mostrarle un’altra cosa che ricordava, la parte più oscura del suo potere. Dalla finestra entrò un’ape, lei la fissò e subito l’insetto cadde a terra, morto.
“No, Sam, perché le hai fatto male?” si lamentò la piccola Dory.
Perché sei abbastanza grande da capire che grande Potere hai a disposizione. Puoi dare la vita, ma puoi anche uccidere con uno sguardo.
“Mio Dio …”
La bimba sussultò spaventata. Il maggiordomo la fissava ad occhi spalancati. Sentendosi in colpa, lei scoppiò a piangere. Lui avanzò rapidamente e la afferrò, non per consolarla ma per non farla scappare. Dory cominciò a dimenarsi e a piangere più forte, poiché le stava facendo male.
“Mostro! Sta’ zitta! Non mi incanti … lo so, l’ho capito, strilli e piangi, ma sei un mostro … e devi sparire!”
“Per favore Thomas … ho paura, voglio mami!”
Il domestico non le rispose. Continuò a trascinarla in cantina, dove la chiuse in un barile e si coprì le orecchie. Non doveva lasciarsi commuovere …
Anton non seppe quanto la piccola restò chiusa lì dentro al buio. Seppe solo che continuò a singhiozzare nonostante Samael cercasse di calmarla. Come il demone, odiò anche lui quell’uomo che si era permesso di giudicare malvagia una bambina e di condannarla a morte.
Finalmente tornò la luce. Armand e Alessa, i genitori di Pandora, riabbracciarono la figlia. Dory scorse il domestico in catene e Samael, senza perder tempo, gli fece venire un infarto. Armand comprese tutto, allora si mise la figlia sulle ginocchia e le disse che mai e poi mai doveva dire a qualcuno di quel potere, o le avrebbero fatto del male. Alessa notò la farfalla e rincarò la dose. Se qualcuno scopriva che poteva uccidere o far rinascere, sarebbe stata nei guai. La bambina si spaventò molto, tanto da dimenticare di cosa era capace. Samael, che non era una vera bambina, concordò con gli adulti per il loro bene. Si accontentò di chiacchierare ogni tanto con la sua sorellina, che forse era solo una parte di sé, almeno fino a quel momento.
Anton e Pandora tornarono bruscamente alla realtà. Il ragazzino abbracciò l’amica, accorgendosi che piangeva. Lei si lasciò consolare, confusa, poi si staccò e lo guardò.
“Anton … cosa pensi di me? Di noi?”
“Io non ti avrei rinchiusa lì, se intendi questo.”
“Sono un demone …”
“Solo per metà” rispose Samael. “E siamo state allevate da sidhe. Siamo cattive?”
“No, cioè … Dory, non smetto di essere tuo amico perché ora so questo lo sai, vero? Anche gli altri. Ti conosciamo … più o meno. Non hai mai fatto niente di brutto.”
Pandora annuì. Cosa era cambiato, in fondo? Aveva sempre saputo di Samael, in un certo senso. Quanto ai poteri … dubitava che li avrebbe utilizzati. Erano troppo per lei. Anton sorrise vedendo che Dory si stava riprendendo da quella specie di viaggio nel passato. Lui non sapeva davvero che pensare, come dovrebbe reagire uno a tutto quello, ma l’opinione che aveva di lei non era mutata. Talvolta l’amica era capricciosa e prepotente, terribilmente testarda, ma in fondo buona.
“Sam, perché non sai se siamo sorelle o una sola persona?”
“Perché abbiamo due personalità diverse. La tua può essersi sviluppata dalla mia oppure è solo tua, non lo posso sapere perché siamo insieme fin dalla nascita.”
“Ok, non importa … tanto volere bene a una sorella molto gemella o a se stessi è una buona cosa, no?”
Samael le sorrise.
“Credo che ci sentiremo più spesso. Finora abbiamo desiderato più o meno le stesse cose, ma ora siamo quasi adolescenti e non siamo del tutto simili …”
“Capisco.”
“Ehm, ragazze, vi faccio notare che siamo ancora in questo posto orrendo …”
“Giusto. Ma ora avete me. Forza, facciamo fuori chi ci sbarra la strada.”
Samael scomparve dall’arco, che ora non rifletteva più nulla, ma il suo ghigno no. Anton guardando Pandora capì che distinguerle sarebbe stato facile anche se condividevano lo stesso corpo.

Lullaby osservava la sua preda serenamente, Mojo sembrava tutt’altro che soddisfatto. In effetti Samael si stava servendo dei poteri di Dory per dar fuoco al suo bosco incantato e uccideva ogni creatura che incontrava.
“Non è stupefacente? Il tuo incantesimo ti si è ritorto contro. Lei ha sfruttato l’occasione per rafforzarsi. Ora capisci di che parlavo, perché la desidero?”
“Questo è il discorso più lungo che hai fatto in mia presenza, Lullaby. Se non avessi tutto sotto controllo penserei che saresti felice di vedermi sconfitto” disse il mostro di nebbia. Il suo tono non era divertito come sempre, ma leggermente più freddo. “Ti eccita tanto vederla uccidere?”
“Pregusto solo il mio pasto, come fai tu.”
Mojo ghignò. Si era irritato per quell’imprevisto, le sorprese non gli piacevano se non era lui a farle, ma si era calmato. Niente che non potesse risolvere.
“Adesso sono davvero ansioso di conoscere personalmente la mocciosa. Guarda.”
Lullaby vide Pandora urlare, improvvisamente sollevata da bende che le avevano avvolto braccia e gambe.
“Dory! No, lasciala!”
Anton corse verso di lei e saltò per afferrarla, ma la mancò e non poté far altro che seguirla con lo sguardo, sperando di ricordare la strada per ritrovarla.
“La mummia le farà fare un veloce tour. Ma non mi sembra giusto concentrarsi solo su di lei.”
In effetti con gli altri bambini le cose andavano meglio: una era morta, il suo amico era troppo shockato per fare qualcosa se non la stessa fine e gli altri erano terrorizzati.

Fujiko e Frithjof arrivarono incolumi al parco abbandonato. Appena li scorsero, Hope e Viola corsero loro incontro e li abbracciarono. Fujiko scosse piano la testa prima che le bambine facessero domande sul suo nuovo stato, quindi si rivolse a Evelyn: “Grazie per essere rimasta con loro.”
“Di nulla. Sono contenta che siamo riuscite ad attirarvi qui. Purtroppo non è più sicuro.”
“Che significa?” domandò Frithjof, ma non ci fu bisogno che Eve gli rispondesse.
Dal tendone si levò una musica da circo ad altissimo volume. Le tende dell’ingresso principale si sollevarono ed uscirono una decina di clown in fila. Il primo sembrava normale ed era abbastanza buffo, ma l’ultimo della bizzarra processione era orripilante. Esso si avvicinò ai bambini, fece loro un piccolo inchino derisorio e li invitò ad assistere allo spettacolo più strabiliante della loro vita.
“Scappate, presto, prima che escano altre cose dal tendone!”
I due ragazzi più grandi presero per mano le piccole e fuggirono nella direzione opposta alla quale erano venuti. Nel frattempo Evelyn bloccò la maggior parte delle creature da circo con delle barriere di energia. Alcune di queste tentarono di ferirla senza successo: sia zanne che artigli la attraversavano. Una però spiccò un gran balzo e corse dietro i ragazzini, per poi superarli con un altro salto. Atterrò pesantemente davanti a loro, frenando la loro fuga.
“È- è uno sasquatch?” balbettò Fujiko.
“Al momento non mi interessa capire cos’è, voglio solo liberarmene!” ribatté spaventato Frithjof mentre indietreggiava.
L’enorme scimmione teneva lo sguardo fisso su Viola, tanto che ad un certo punto lei si mise a strillare: “È Rufus, è venuto a prendermi!”
L’elfo la prese in braccio evitando un fendente del mostro. Fujiko, con Hope dietro di lei che le stringeva la vita, produsse una forte luce che riuscì ad abbagliare il Bigfoot, il quale non si diede per vinto e cominciò a dare colpi alla cieca.
“Stiamo tornando indietro” constatò Hope in lacrime. “E Eve è stanca …”
In quel momento da dietro un cespuglio partì un’onda d’urto che spedì lo sasquatch nella boscaglia.
“Gabriel!” esclamarono sollevati i ragazzini, riconoscendo il potere dell’amico.
“State bene?” chiese Simon.
“Sì, ma chiacchieriamo dopo.”
I bambini raggiunsero un luogo sicuro, dove riposarono. Ben presto Evelyn comparve fra loro mentre discutevano se Fujiko doveva essere fatta tornare normale subito o se poteva uscire da quel posto senza che la trasformazione restasse permanente. Viola, che per un po’ era rimasta zitta a singhiozzare, scambiò uno sguardo con Hope e insieme sorrisero.
“Cosa?” fece la veela notandole.
“Beh, nelle favole basta un bacio per spezzare certe maledizioni” spiegò Viola.
“Sì, il bacio del vero amore funziona sempre” dichiarò Hope.
“Dite che anche nella vita vera può succedere?”
Prima di perdersi d’animo Gabriel mise le mani sulle spalle di Fujiko e le diede un bacio a fior di labbra. Poco dopo Frithjof la attirò a sé e fece lo stesso. La ragazzina indietreggiò coprendosi il viso con le mani. Se lo sentiva incandescente.
“Ma che cavolo vi è venuto in mente?!” urlò imbarazzata abbassando le braccia.
Le bambine risero e la indicarono eccitate.
“Wow, Fujiko, guardati! Ha funzionato!” fece Simon.
“Merito mio” disse Frithjof ghignando soddisfatto.
“Io l’ho baciata per prima!” protestò Gabriel, anche lui rosso.
“Perché eri più vicino, ma io …!”
“Basta!” li bloccò Fujiko. “Non voglio mai più sentir parlare di questa storia! Chiaro?”
I ragazzini annuirono ridacchiando. Lei li squadrava male ma così rossa e imbarazzata era proprio divertente.
“Ora parlate, svelti” li ammonì Eve, sorridendo.
“Sì, giusto … dobbiamo andare da quella parte, secondo noi” affermò Gabriel. “Abbiamo dovuto fare il giro perché gli zombie bloccavano la strada, ma credo che tornare a villa Anderson sia la soluzione.”
“Noi abbiamo visto che ora è un castello. Però sì, tutto è partito da lì. Quella sarà la porta per tornare a casa” concordò Fujiko.
Si incamminarono speranzosi. Mentre chiacchieravano per tenersi alto il morale piombarono in mezzo a loro Lance e Galahad.
“Fratello, cosa …?”
Lance si fermò un attimo accanto a Simon, contento di vedere lui e gli altri illesi, riprese fiato e lo spinse leggermente.
“Muovetevi, ci veniva dietro un minotauro.”
“Forse l’abbiamo superato, ma meglio non rischiare” aggiunse Galahad, affannato.
“Che bello, ci siamo quasi tutti” esclamò Hope sorridendo.
“E se gli altri non si dirigono al castello?” si preoccupò Frithjof.
“Significa che torneremo indietro a cercarli” asserì Lance, ansioso di rivedere Anton e Pandora.
“Sì, prima assicuriamoci che questa è davvero la strada di casa” disse Gabriel.
Il rosso annuì, poi, esortato da Galahad, raccontò anche a loro del suo colloquio con Lullaby, ma nessuno riuscì a raccapezzarsi sul significato di quelle parole.

Ulfis era stato ore a piangere silenziosamente per Lilian. Qualcosa spostò il cadavere e la trance data da quegli occhi verdi freddi e vuoti scomparve.
“Che …? No, lasciatela!”
Un paio di zombie avevano afferrato le gambe della ragazza e la tiravano verso di loro per mangiarla. Dietro i primi due ce n’erano altri, ancora lontani, diretti verso di loro in una lunga e lenta fila.
Ulfis scostò bruscamente Lilian e si mise davanti a lei. Avrebbe impedito ad ogni costo che quei mostri profanassero il suo corpo. Capiva bene che era un suicidio, ma non gli importava. L’avrebbe difesa anche se era morta, perché lei aveva fatto di tutto per salvarlo ed il minimo con cui lui poteva ricambiare era portare la sua salma integra ai suoi genitori. Dolore e tristezza lasciarono posto ad una cocente rabbia. Il ragazzino richiamò a sé le forze, cominciando a far uscire dal terreno radici che trafiggevano gli zombie o li avviluppavano.
“Forza, fatevi avanti! Non mi fate paura! Venite a riposare per sempre!”
Sorrise affaticato, lanciò un ultimo sguardo a Lilian e si concentrò interamente sullo sconfiggere tutti quei mostri, sperando che riuscisse a liberare definitivamente le anime dei bambini morti, altrimenti, lo sapeva, avrebbe fatto la loro fine.

Intanto, nel mondo reale, il sole era tramontato da un pezzo. A Borgo Fatato, le famiglie di Frithjof, Gabriel, Ulfis e dei fratelli Sanders attendevano inquiete il ritorno dei figli. Anche fra gli insegnanti del Pharrel College c’era una certa irrequietudine. Pepe, appena il sole era sparito dall’orizzonte, era corso subito da Cassandra Blake e le aveva raccontato tutto dall’inizio alla fine, sperando ardentemente che non fosse troppo tardi.



***Angolo Autrice***
Aggiorno dopo quasi tre anni!!
Siamo quasi giunti allo scontro finale, chi la spunterà?
Ecco il castello di Mojo:



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Capitolo 11
*** Memento mori ***


La sidhe fu trasportata da una specie di mummia volante fino al castello di Mojo. Una volta entrati, fu catapultata su una rampa di scale. Pandora urlò di dolore mentre rotolava giù da essa. Restò immobile e dolorante su un pavimento di pietra, freddo e duro. Singhiozzava tenendosi il gomito, temendo di esserselo rotto. Appena accennò a muoversi le bende la afferrarono di nuovo e continuarono la loro folle corsa, facendola sbattere sui muri a ogni curva. Dory strillò a ogni botta, senza riuscire a smettere di lacrimare. Si chiese se l’avrebbero picchiata fino a ucciderla. Finalmente la mummia si fermò davanti una spessa porta di legno. La ragazzina restò appesa inerte, non osando muoversi. Sentiva dolori in tutto il corpo. Forse nessuna ferita era grave, ma un paio sanguinavano e altre la facevano gemere debolmente.
Chiuse gli occhi, sfinita. Si stava per abbandonare al sonno, un modo come un altro per fuggire da quell’incubo, quando la porta si aprì con un lungo cigolio. La mostruosa creatura la condusse a tutta velocità nei sotterranei, stavolta senza farle urtare nulla. Attraversarono un corridoio con diverse armature disposte lungo le pareti, dopodiché entrarono in quella che sembrava una prigione. Le bende abbandonarono lentamente la loro presa su braccia e gambe. Pandora scivolò piano, per poi essere drizzata repentinamente dalla mummia. La ragazzina vacillò e fu sorretta, stavolta non da bende. Si trovò faccia a faccia con Mojo. Il mostro nebbioso la portò alla sua altezza, tenendola per i fianchi. Lullaby li osservava interessata, in disparte.
“Finalmente sei arrivata, bambina. Quasi temevo che non ce l’avresti fatta.”
“Tu … tu ci hai portati qui, vero?! Lasciami andare subito!” gridò Dory, divincolandosi nonostante il dolore.
“Ma che piccola combattente!” rise lui. “Oh, stai cercando di uccidermi? Non ci credo!”
In effetti Samael ci stava provando; Mojo però non aveva un cuore da fermare. Ciò le fece provare un forte senso di ingiustizia e lacrime di rabbia le inumidirono gli occhi. Non voleva morire in quei sotterranei! Non voleva che gli amici di Pandora, che forse erano anche suoi amici, morissero per colpa di quel mostro!
“Ahaha, guardala, adesso non fa più tanto la spaccona!”
Mojo la mostrò divertito a Lullaby come se fosse un trofeo degnamente conquistato. Samael gli ringhiò contro, poi si volse verso la donna di tenebra.
“Tu hai avvisato Lance, a che scopo? Perché adesso non ci aiuti?”
“Adesso è troppo tardi, siete entrati tutti e qualcuno è già morto.”
“N- no, menti” gemette Dory.
“È così. Sarebbero bastate due vittime se il tuo amico mi avesse ascoltato …”
“Non importa …” Il mostro formò una faccia che si avvicinò al volto della ragazzina. “Ricordi quel giorno che ti sei persa? E hai trascorso la notte sotto la pioggia? Ero stato io a prenderti gli elastici! Poi mentre dormivi ti ho punta, per marchiarti, per capire quando eri pronta ad essere mia!”
Pandora si agitò di più, desiderando colpirlo, fargli male, ma mani e piedi lo attraversavano. Eppure le mani nebbiose del mostro le sentiva.
“Lasciami! Non voglio nessun segnalatore! Io …!”
Mojo si avvicinò alla sua spalla destra, aprì la bocca appena modellata e tirò un morso. Dory urlò, sentendosi trafitta da mille aghi roventi. Il sangue uscì copioso dalla ferita.
“Tra poco il tuo potere sarà mio, accetta di soffrire fino al sorgere della luna” le sussurrò all’orecchio Lullaby, prima che lei perdesse i sensi.
Mojo smise di sorreggerla e la lasciò cadere come un sacco di patate. Si leccò il sangue rimasto attorno alle labbra, dopodiché esse sparirono.
“Non vedo l’ora che tu finisca il tuo rituale: è davvero deliziosa!” commentò rivolto alla sua socia.
“Non ci vorrà molto, sarà tua appena avrò assorbito il suo potere. Intanto ti dedichi agli altri?”
“Sì, si sono riuniti quasi tutti. Beh, tanto di cappello per essere sopravvissuti finora …”
I due mostri uscirono dalla cella, lasciando Pandora sola con Samael.

“Anton!” urlarono sollevati gli altri due fratelli.
Lo abbracciarono, ma anche se lui era altrettanto felice di rivederli non c’era un minuto da perdere, quindi si districò e spiegò: “Ragazzi, non ci crederete … Un attimo, devo riprendere fiato …”
“Ma eri solo?” fece Viola dispiaciuta.
“No, ero con Dory, ma una specie di mummia l’ha rapita e portata in quel castello!”
I ragazzi trattennero il fiato e rivolsero gli occhi al castello, agitati.
“Tanto stavamo già andando lì” dichiarò Galahad, facendosi coraggio.
Gli altri annuirono e si fecero più vicini. Stavolta niente li avrebbe indotti a correre in direzioni separate. Mentre camminavano, Anton li aggiornò anche su Samael, almeno in parte.
“Ecco cosa intendeva con dove c’è molta luce l’ombra è più nera!” esclamò Lance.
“Ho capito” annunciò Evelyn, facendoli trasalire, dato che non aveva parlato per molto tempo. “Ho riflettuto a lungo e le mie visioni mi hanno aiutato a fare chiarezza…”
“Eve, capire ci piacerebbe tanto, ma non puoi parlare una volta usciti?” la interruppe Fujiko.
“No” rispose lei triste. “Non fermatevi e ascoltate, è importante. Grazie a voi avrò pace, perché domani troveranno il mio corpo e potrò finalmente riposare. Voi starete dormendo … Non so cosa sono quei due mostri, ma uno mangia i bambini. Si tratta del più pericoloso, quello che controlla questo mondo. L’altra, Lullaby, voleva solo Dory, per Samael.”
“Non l’avrà ancora per lungo” disse deciso Lance.
“No, non credo. Capite ora perché era inevitabile che veniste qui? Il mostro di nebbia avrebbe continuato a farvi avere incubi finché alcuni bambini, se non voi, sarebbero giunti come sonnambuli e lo avrebbero divertito e nutrito.”
I bambini rabbrividirono, consapevoli di dirigersi nelle fauci del leone. Ma che altra scelta avevano?
“Eve, sai anche dove sono Ulfis e Lilian?” chiese Hope.
“Sì … Non possono aiutarvi. Non preoccupatevi, è più importante che entriate nel castello.”
“A tal proposito, non credo sarà molto facile” fece Galahad.
Erano giunti in un vasto giardino pianeggiante, quando sapevano bene che villa Anderson sorgeva su una collina. Tuttavia Fujiko e Frithjof erano certi che prima, da sopra la montagna creata da loro, il castello svettava sopra qualsiasi altra cosa. Al momento però non era questa imprecisione a impensierirli, quanto dei grossi cavalli, neri e selvaggi, che erano giunti al trotto portando in sella uno scheletro ciascuno. Inoltre, tanto dal castello che dal bosco dietro di esso provenivano dei rumori, paurosi considerando il silenzio a cui i bambini si erano abituati.
“Vogliono impedircelo … vogliono impedirci di metterci in salvo …” sussurrò costernata Viola.
“Sai che direbbe Dory se fosse qui?” le domandò Anton, per poi rivolgersi anche agli altri. “Che non devi mostrare di avere paura. Possiamo battere quei mostri schifosi.”
“Ben detto fratellino!” approvò Lance.
“Non credo di essere ferrato in strategie di guerra” commentò Gabriel.
“Eppure hai steso lo sasquatch e prima ancora il Teke Teke” disse Simon.
“E hai liberato Fujiko dalla male-” cominciò Hope, ma Frithjof le mise una mano sulla bocca.
“Quello sono stato io. Però sì, il nostro Gabriel è un valoroso guerriero.”
“Ok, uno: per spezzare certi incantesimi a volte basta un forte shock, non c’entra il vero amore. Due: concentriamoci, stiamo perdendo tempo.”
Le bambine non protestarono né gli altri chiesero spiegazioni.
“Altre creature si uniranno alle prime. Io ne bloccherò più che posso, ma dipende da voi. Buona fortuna.”
“Ciao Eve! Grazie Evelyn! Arrivederci! Ci sei stata d’aiuto, grazie! Non ti dimenticheremo mai!”
Il fantasma sorrise dolcemente e scomparve.
“Coraggio, può arrivare di tutto. Corriamo e basta?” propose Anton.
“Mi sembra troppo azzardato …” esitò Fujiko.
“Non sappiamo cosa dovremo affrontare, che fare una volta nel castello, come lo facciamo un piano?”
“Sicuramente salvare Dory e trovare la porta giusta per uscire” intervenne Lance.
“Corriamo, non possiamo fare altro” disse Hope.
I bambini si guardarono fra loro, decisi e insicuri allo stesso tempo.
“Pronti?” mormorò Anton. “Via!”
Corsero, con gli sguardi fissi sul portone del castello. I cavalli partirono al galoppo verso di loro. Galahad riuscì a sollevare se stesso e i suoi amici prima che li investissero. I destrieri li mancarono, il biondo fece tornare normale la gravità attorno a loro e la corsa riprese.

Pandora si risvegliò. Si mise seduta, mugolando per il dolore lancinante che provava alla spalla. Con la mano sinistra alzò il vestito e sibilò quando la stoffa insanguinata si stacco dalla ferita. C’erano cinque o sei fori sanguinanti. Attorno ad essi la pelle era grigiastra.
Che intendi fare?
“Non lo so Sam …” bisbigliò la ragazzina.
Fargliela pagare, giusto? E scappare assieme agli altri.
“Certo, desidero questo. Ma come?”
Fingi di non essere ferita. Sei meno debole e stanca di quanto immagini.
“Ehi, che hai capito? Non ho detto che mi sono arresa!”
Stando ben attenta a non muovere il braccio destro, Pandora si rimise in piedi. Avanzò verso la porta della cella e scoprì con sorpresa che era aperta.
“Che stupidi … Sono proprio sicuri di aver già vinto, eh? Sai che stavo pensando?”
Samael la invitò a proseguire, sia nel parlare sia nel camminare. Dory l’accontentò. Barcollava, ma non ci fece caso. Pensava solo a mettere un piede davanti all’altro, proseguendo per il corridoio che la mummia le aveva fatto percorrere a tutta velocità. Sam notò che le armature non c’erano più.
“Pensavo … Quel mostro ha fatto male a tanti bambini senza una ragione al mondo. E quell’altra se ne sta a guardare. Anzi, lo ha aiutato, in realtà non gliene frega niente di noi. Vuole me, ma ha lasciato morire qualcuno … Voglio giustizia Sam. Per tutti. Ciascuno deve avere ciò che merita.”
La demone fu compiaciuta dell’espressione ostinata della bambina.
Ti aiuterò Dory. Adesso sali le scale, ci penso io alla porta.
Pandora salì aggrappandosi al corrimano. Una volta fuori dai sotterranei si poggiò al muro, col viso imperlato di sudore e lo stomaco in subbuglio. Restò ferma finché non fu certa di non vomitare né cadere.
“Tu … sei uscita un attimo, vero Sam?”
Sì, mi posso allontanare per qualche minuto.
“Se lo fai sto peggio … Stai per dirmi che devi farlo, vero?” chiese.
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Sarebbe stata sola e inerme, tuttavia non le chiese di restare. La sua determinazione non vacillava; era pronta a fare di tutto per sconfiggere Mojo e Lullaby.
Cara, tornerò subito. Sono andata in avanscoperta e indovina? I tuoi amici sono fuori, stanno per raggiungerti. Ma da soli non ce la faranno mai ad entrare.
“Capisco. Vai ad aiutarli Sam.”
Appena Samael spalancò il portone del castello, si vide venire incontro Eve. Il fantasma della ragazzina era circospetto e impaurito. Sam poteva capirla: somigliava ancora a Dory in quella forma astrale, tuttavia la sua aura era decisamente quella di un demone.
“Non avere paura Evelyn. Tu hai aiutato i miei amici, non intendo farti del male.”
“N- no, lo so … Però sei spaventosa. Cioè, non sei cattiva come quei due, ma …”
“Non possiamo davvero permetterci di perdere altro tempo. Cosa c’è?”
“Ho visto che per aiutarti a vincere devo infonderti conoscenza, nonostante non mi sia chiaro come fare …”
“Forse ho capito. Avvicinati.”
Eve fluttuò verso la demone, che le prese le mani. Lo spettro fu stupito di sentire un contatto dopo anni passati ad attraversare cose e persone. Le loro mani divennero piacevolmente calde a causa dell’incantesimo che Samael stava mormorando.
“Evelyn, concentrati su tutto ciò che hai visto e sentito da quando sono arrivati i due mostri. Brava … Aspetta, è il mio turno di cederti qualcosa.”
Un flusso di energia fluì dalla demone al fantasma. Eve lo trovò a dir poco inebriante. Sorrise, esaltata e incredula. Samael invece rimase seria.
“Devo tornare da Pandora. Tu aiuta gli altri a resistere. Immagino che lei voglia farti sapere che sei stata molto gentile e coraggiosa. Forse è per il contributo che hai dato oggi a salvare questi bambini che sei rimasta un fantasma tanto a lungo. Siine fiera.”
A Evelyn si inumidirono gli occhi. Guardò l’altra timidamente e allargò le braccia, chiedendole tacitamente il permesso di abbracciarla. La presenza della demone la intimoriva ancora, ma un essere che riusciva a infondere speranza e felicità con le parole doveva per forza essere buono ... seppure era poco propenso a mostrare emozioni. Infatti, Samael le concesse di farsi stringere, ma badò appena all’abbraccio. Si voltò verso i bambini, alle prese con le armature incantate del castello.
Poco lontano apparvero i due nemici.
“Ahahaha, ma non sono adorabili?” rise Mojo. “Partecipiamo alla battaglia, mia signora. Organizziamo le nostre truppe. Giocare alla guerra mi è sempre piaciuto!”
Il mostro si dilatò fino ad assumere le sembianze di un enorme drago di nebbia. Fece un cenno a Lullaby, che sospirò prima di cavalcarlo all’amazzone. L’impalpabile drago decollò, ruggendo festoso. Sorvolò il castello, poi planò verso il bosco e ordinò dall’alto alle sue creature di attaccare i bambini.
“Il portone è aperto!” urlò Simon, dopo aver parato il colpo di un cavaliere scheletrico.
“Ma non ce la faremo mai a raggiungerlo …” constatò Gabriel.
Ormai erano circondati dalle creature deputate alla difesa del castello e non potevano fare altro che difendersi dai loro attacchi. Ad ogni colpo però gli scudi generati dai bambini si indebolivano.
“Non resisteremo per molto di questo passo! Idee?” chiese Anton.
Quando Galahad fu sicuro che nessuno avesse un piano, rispose: “Sì. Ho abbastanza energia da sollevare uno di voi fino all’entrata.”
“Fallo subito!”
Il biondino annuì e si voltò verso Lance, che lo fissò sorpreso. Poco dopo annuì anche lui: non potevano andare Anton o Frithjof, i più forti, perché dovevano restare a proteggere gli altri; Fujiko non era abbastanza veloce. Galahad fece fluttuare Lance al di sopra delle armature, degli scheletri e degli zombie. Lance si accorse che altri mostri stavano emergendo da ogni parte del bosco, diretti verso i suoi amici … Doveva assolutamente sbrigarsi! Gli altri contavano su di lui per l’arrivo dei soccorsi!
Una volta a terra, il rosso notò con sollievo che Eve aveva creato una barriera più potente attorno ai suoi amici, si voltò e corse nel castello. Superò per un pelo anche gli zombie di retroguardia e dopo qualche minuto si fermò. Doveva concentrarsi per percepire Pandora in quel caos. Per quanto urgente fosse tornare nel mondo reale, voleva fare almeno una rapida prova per ritrovarla. Chiuse gli occhi, ignorando la battaglia fra i suoi amici e i mostri, isolando la mente da tutto ciò che non fosse Dory. Sorrise e scese di corsa delle scale. Non poteva saperlo, ma era Samael che lo stava guidando. La demone, dopo aver salutato Evelyn, aveva deciso di seguirlo ed era contenta che lui riuscisse in qualche modo a percepirla. Improvvisamente il bambino si fermò. Si lasciò sfuggire un singhiozzo disgustato e fece qualche passo indietro, ad occhi sbarrati. Lungo il corridoio, addirittura sul soffitto, c’erano scolopendre e centopiedi grandi quanto un gatto. Lance rimase paralizzato, con il sangue che gli martellava nelle tempie.
Cosa fai? Perché sei fermo? Ah, capisco, uno dei loro trucchi. Lance caro, non c’è nulla qui. Coraggio, cammina. Forza … Oh no, Dory!
Il rosso smise di guardare gli Artropodi e vide, più in fondo, Pandora. La chiamò, contento, ma lei sembrò non udirlo. E a quanto pareva stava per lasciarsi precipitare in una voragine.
“Non farlo Dory!” urlò atterrito.
Corse verso di lei senza più badare alla sua fobia. Quando passò tra loro, gli Artropodi sparirono, o forse non c’erano mai stati.

Pandora si sentiva sempre peggio. La spalla aveva smesso di sanguinare, ma doleva atrocemente. Si appoggiò pesantemente a un muro col braccio sano e proseguì la fuga. Anche se era fin troppo lenta, come fuga. Camminando aveva la testa abbassata, le costava troppa fatica alzarla. Sebbene Samael avesse smesso di darle indicazioni, sapeva che doveva andare sempre dritto. Da fuori giungevano i rumori di una battaglia, le bastava seguire quelli. La ragazzina si accorse troppo tardi di un mini-abisso che spaccava il corridoio in due. Sarebbe bastato un salto per superarlo, ma lei non era nelle condizioni adatte per saltare. Spalancò gli occhi quando il piede destro fu nel vuoto. Rimase in bilico, senza muovere un muscolo. Quella oscurità non le permetteva di posare per terra il piede e mettersi al sicuro. La incoraggiava a lasciarsi cadere dentro, perché lei apparteneva a quelle tenebre. Bastava che smettesse di sorreggersi e il gioco era fatto.
Inconsapevole di quello che faceva, Pandora si sbilanciò verso l’abisso e cadde fra due braccia che la afferrarono e portarono velocemente dall’altra parte, dove Lance la strinse forte a sé, terrorizzato. Questo spezzò l’ipnosi della bambina, che ricambiò l’abbraccio al settimo cielo. Entrambi avevano gli occhi lucidi per il sollievo. Il ragazzino la rimproverò: “Che stavi facendo, stupida? Vengo fin qua contro delle scolopendre e centopiedi giganti e tu …”
“Contro cosa?” fece lei sbalordita.
“Hai capito. Ora non ci sono più per fortuna. Andiamo, gli altri sono bloccati. Ce la fai a camminare?”
“Non credo, mi ha avvelenata o qualcosa del genere. Ma non preoccuparti, pensiamo ad uscire.”
Lance si passò il braccio sinistro di lei attorno alle spalle e le cinse la vita, aiutandola a camminare. Pandora si appoggiò a lui, profondamente grata. Dopo pochi passi, una mattonella si abbassò sotto i loro piedi con un sordo click. Agendo d’istinto, Lance spinse Dory a terra, salvandola, ma lui fu colpito da un paio di frecce. La ragazzina sgranò gli occhi, già umidi di lacrime. Gattonò da lui ripetendo sommessi: “No … no”.
Non era vero, non poteva essere vero. L’aveva salvata, era con lui … lui non poteva morire! Sollevò la testa del suo amato, piangendo. Una freccia gli aveva trapassato il braccio, ma l’altra era penetrata nel suo petto. Un rivolo di sangue fuoriuscì dalla bocca del ragazzino, che tentava di parlarle, mentre sotto di lui si allargava una pozza cremisi.
“L- Lance” singhiozzò lei.
“V- va via … niente … sto-rie” sussurrò lui.
Chiuse gli occhi e giacque inerte tra le sue braccia, senza vita.
“Noooo!”
Il grido di orrore, disperazione e cordoglio della sidhe riecheggiò per l’intero bosco di quella realtà illusoria. Tutto cominciò a tremare. Pandora aveva scordato la sua spalla dolorante, la sua debolezza, ogni cosa. Per lei contava solo il corpo freddo e pallido di Lance. Come se fosse in trance, rimosse le frecce e le lanciò lontano, dopodiché lo strinse forte continuando a piangere. Doveva scatenare il suo vero Potere, o meglio, il Potere della sua altra metà. Tutto intorno a lei mutava, perché senza che lei se ne fosse resa conto Samael era già all’opera. Se ne accorsero i suoi amici. Hope, Simon e gli altri si abbracciarono tra loro, certi che quella fosse la fine. Le palpebre si fecero sempre più pesanti e ben presto tutti sprofondarono nell’incoscienza.
Mojo e Lullaby si guardarono negli occhi per un momento, sorpresi. Poi cominciarono a urlare, investiti da un dolore inimmaginabile, lo stesso che stava straziando Pandora, lo stesso che i due mostri avevano causato in secoli di vita. Ogni sofferenza da loro inflitta li stava lacerando. Qualsiasi cosa fossero, la loro volontà venne meno, per quanto tentassero di aggrapparsi all’esistenza, e sparirono nel nulla.
“Amore …” sussurrò Pandora prima di cadere vittima del suo stesso incantesimo. “Se non ti sveglierai … voglio dormire per sempre.”
La giovane baciò Lance e svenne.



***Angolo Autrice***
Siamo alla fine ormai. Questo è Mojo:





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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Pandora aprì gli occhi. Vedeva sfocato. Li sbatté due o tre volte e allora i colori acquistarono chiarezza. Non aveva ancora capito dove si trovava, che un ricordo le tornò in mente e contemporaneamente qualcuno la chiamò. Si drizzò a sedere con urgenza, ma fu costretta a stendersi nuovamente per il dolore alla spalla.
“Calma, bambina mia. Oh tesoro …”
“Mamma” mormorò Pandora.
Alessa annuì. Si chinò su di lei e la strinse, carezzandole la testa con una tenerezza infinita. Piangeva silenziosamente, sollevata nel constatare che la figlia stesse bene. Dory vide da sopra la spalla della madre Armand, suo padre, che le sorrideva dolcemente. Lui non piangeva, però aveva gli occhi lucidi. Si avvicinò e le strinse la mano sinistra, dato che al braccio destro era attaccata una flebo.
“Gli altri … Da quanto sono qui? Devo vederli!”
“Calma, siete salvi. Anche loro sono in quest’ospedale con le loro famiglie” le spiegò Alessa.
La bambina non fece in tempo a chiedere altro che una figura nera le saltò in grembo e le fece le fusa, non resistendo un secondo di più. Aveva osservato fino ad allora la sua adorata padroncina dormire ed era contentissimo che fosse il suo turno di coccolarla.
“Pepe, scusa, non volevo dimenticarti!” esclamò lei, abbracciandolo e dandogli un bacio fra gli occhi.
“Avevi ragione, Dory. Ti ho aiutato restando al Pharrell, ho mandato i soccorsi!”
“Sei stato bravissimo, adesso però …” iniziò Armand, subito interrotto da Pandora.
“Mamma, come sta Lance?”
“Bene tesoro. Ora riposa, il medico …”
“No, non posso riposare. Finché non lo vedo non posso” piagnucolò lei, sentendo che l’ansia prendeva il sopravvento.
Alessa guardò interrogativa l’infermiera, che sorrise comprensiva e andò a informarsi circa il ragazzo. Dory poggiò la testa sul cuscino e non distolse lo sguardo dalla porta. Intanto carezzava Pepe nervosamente. Per la prima volta le mancava il coraggio. Non vedeva l’ora che l’infermiera tornasse con il suo amato, ma allo stesso tempo temeva il suo ritorno, perché sarebbe potuta tornare da sola. Samael non intervenne per placare il suo tormento: sapeva che non le avrebbe dato retta. Dopo dieci minuti la porta si aprì ed entrò Lance. Appena la vide, il ragazzino si precipitò ad abbracciarla. Lo strinse forte anche lei, ignorando il dolore alla spalla e piangendo. Tutta l’angoscia che le aveva attanagliato il cuore fino a quel momento si scioglieva in lacrime di sollievo e gioia. Erano salvi, alla fine. Poteva sentire il cuore di lui battere contro il proprio e questo le dava una felicità indescrivibile.
“Volevo vederti anche io, da subito, ma non eri ancora sveglia e non mi lasciavano entrare” raccontò Lance fra le lacrime.
“Oh, stai bene, stai bene, sei qui e stai bene!”
fece Pandora. Allentò la stretta, le braccia erano troppo deboli per continuare, e lasciò che lui continuasse ad abbracciarla.
“Dory … è stato un sogno?” bisbigliò Lance.
La reazione della fidanzata confermava i suoi ricordi però … non era sicuro di ciò che fosse accaduto veramente. Non era nemmeno sicuro di volerlo sapere.
“Perché no, solo un incubo, il più brutto della nostra vita” disse piano lei, sorridendogli.
Si baciarono simultaneamente. Mentre parlavano i genitori di Pandora si erano scambiati un’occhiata, intuendo vagamente cosa era accaduto ai bambini. Armand aprì la bocca per dire qualcosa, non sapeva se per interrogarli o chiedere al ragazzo come osasse baciarla in sua presenza, ma lo sguardo della moglie si accigliò e lui li lasciò tranquilli. Poco dopo Dory cedette al sonno di buon grado. Adesso aveva una gran voglia di riposare, al calduccio, vicino alle persone che amava e che la amavano. Pepe si stese accanto a lei e guardò Lance con i suoi grandi occhi gialli.
“Buona guardia, amico” disse il ragazzino, facendogli una carezza.
Il gatto chiuse gli occhi soddisfatto. Lance salutò Armand e Alessa e tornò nella sua stanza, dove i suoi fratellini attendevano notizie. Alessa rimboccò le coperte della figlia, Armand le diede un bacio sulla fronte ed insieme uscirono, lasciandola dormire.

I bambini erano seduti a semicerchio, come il giorno in cui avevano preso la decisione di recarsi a villa Anderson. A differenza di quella volta, però, erano tutti vestiti di nero, abbacchiati, e qualcuno piangeva ancora. Si era da poco concluso il funerale di Lilian e Ulfis. Era stata la prima volta in cui si erano ritrovati nuovamente tutti insieme, dopo giorni passati in ospedale.
Pandora fissava un filo d’erba che continuava a rigirarsi tra le mani. Samael aveva già raccontato tutto ciò che sapeva ai suoi genitori e poi alla polizia; ora toccava ai loro amici essere informati sui dettagli di cui erano ancora all’oscuro. Dory credeva che fosse giusto, li avrebbe aiutati a superare il momento, però non si decideva a parlare.
Se vuoi lo faccio io.
Grazie Sam, ma no, tocca a me.
“Le due creature... quella di nebbia si chiamava Mojo, quella di tenebre Lullaby. Si sono incontrati per caso.”
I bambini la fissarono, in ascolto. Dory strinse la mano a Lance prima di continuare.
“Mojo era una specie di direttore di un circo itinerante.”
“Noi l’abbiamo visto, il tendone di un circo” ricordò Hope, e Viola annuì.
“Sì? Beh, solo che il suo tendone non era un vero tendone. Cioè, quello che hai visto tu lo era, ma si trovava in un’altra dimensione. Infatti, ogni volta che sceglieva un paese in cui stabilirsi, lui apriva la sua dimensione tascabile, di solito vicino o dentro un luogo ritenuto infestato. Ed è stata la nostra fortuna, perché senza Eve...
Scusate, cercherò di procedere con ordine. Allora, nella sua dimensione portatile Mojo ci metteva le creature più spaventose che riusciva a trovare. Di notte, faceva espandere il più possibile i confini della dimensione, in modo da influenzare alcuni bambini particolarmente sensibili. Dopo un certo numero di notti, i bambini che aveva scelto come prede se ne andavano di casa, come sonnambuli, finendo direttamente dentro l’altra dimensione. Lì quello schifoso se ne mangiava un paio, mentre gli altri morivano solo per rallegrarlo!”
La giovane sidhe fremette di indignazione: non riusciva a tollerare le ingiustizie di una tale gravità.
“Tu sai questo per Eve?” domandò Fujiko, curiosa. Era turbata quanto gli altri circa la malvagità di quell’essere, tuttavia aveva scoperto già da tempo che in lei il desiderio di conoscenza era superiore alle altre emozioni. Sarebbe diventata un’esperta di magia, bianca o nera che fosse.
“Sì. Quei mostri hanno chiacchierato in casa sua.”
“Ma che cos’era? Lo sai? Ed è morto?” chiese Frithjof, perplesso. Era stato a dir poco sconcertante scoprire che Pandora condivideva il corpo con un demone. Non riusciva a capacitarsene e sperava che l’amica desse informazioni anche riguardo quell’inusuale convivenza.
“Un tempo, secoli fa, faceva parte del Piccolo Popolo, poi non so con precisione cosa gli è capitato. Samael dice che chi è molto cattivo oppure si lascia corrompere da persone maligne, finisce maledetto. Lui pare abbia gradito la nuova vita, purtroppo. Dato che si fermava meno di un mese in ogni paese, nessun adulto ha fatto in tempo ad accorgersi o almeno a fermare ciò che accadeva. Oh, e sì, è morto, perché non era una creatura immortale. Samael ha distrutto la sua anima, o l’ha risucchiata all’Inferno, o quel che è. L’importante è che non potrà mai più far del male ai bambini. Tutto chiaro per lui?”
I bambini annuirono, inquieti.
“Lullaby non sembrava tanto malvagia, invece” constatò Lance.
“In confronto magari no, ma questo inganna. Ha subito più o meno la stessa sorte di Mojo per diventare così, però con più consapevolezza. Immagino che sapesse a cosa stava andando incontro, ma decise comunque di correre il rischio. Beh, è successo parecchio tempo fa, probabilmente nemmeno lei ricordava bene. Comunque, Lullaby era specializzata in visioni e le usava per tormentare qualsiasi creatura che ritenesse speciale. Si faceva sentire come una voce nella testa, appariva nei sogni della vittima e si intrometteva sempre più nella sua vita, finendo col farla impazzire. Mentre era ancora in vita, Lullaby assorbiva parte del suo potere, nutrendosene, per poi prenderlo completamente quando moriva. È vero che per sopravvivere doveva procedere in quel modo, quindi in un certo senso era costretta a farlo, ma si divertiva a torturare le sue vittime, anche se la cosa era più sottile e si occupava di una sola persona per molto tempo.
È stata lei che è andata incontro a Mojo... Voleva me, ma lui mi aveva già puntata... Volevano dividermi come una merendina... E siete stati coinvolti anche voi perché avete percepito alcune delle illusioni.
Se il loro piano non è riuscito è solo grazie a Eve e Samael. Eve ha tentato di avvertirci, ma lontano da casa sua era molto debole. Però, una volta nella dimensione, ha fatto il possibile per metterci in salvo. Non so quanto avanti riuscisse a vedere nel futuro, la cosa importante è che ha capito di dover incontrare Sam. Lei dice che le ha infuso conoscenza, per questo ho saputo raccontarvi la storia di quei mostri e Sam ha potuto ucciderli, un po’ come se avesse scoperto il loro punto debole.
Ora Eve è in pace, finalmente le sue ossa sono state ritrovate e potrà riposare come tutte le anime buone.”
“Avrei voluto conoscerla meglio” disse Simon, trattenendo a stento un singhiozzo. “Ma forse adesso lei e Ulfis stanno giocando insieme, vero?”
“Sì certo, è possibile” rispose Pandora, sentendo che gli occhi le si inumidivano.
“Un’ultima cosa riguardo i mostri: che ne è stato della dimensione tascabile? E delle creature là dentro?” domandò Gabriel.
“È implosa poco dopo che Mojo è morto. Sam e Eve ci hanno protetti, le altre creature presenti sono svanite. Probabilmente sono morte... Non avete saputo che di villa Anderson rimangono solo delle macerie? È per questa ragione. Ed è sempre per questo che gli adulti che sono venuti a soccorrerci hanno trovato i resti di Eve e le hanno dato finalmente una degna sepoltura.”
“Desidero scordarli come mi dimentico dei nomi” dichiarò Galahad. Si sentiva esausto; era un’avventura decisamente troppo grande per dei ragazzini. Desiderava moltissimo il ritorno alla normalità.
I suoi amici annuirono, altrettanto provati. Stettero in silenzio per un po’.
“Dory, puoi dirci qualcosa di Samael? Dobbiamo trattarla come se fosse tua sorella?” chiese Anton.
“Giocherà con noi?” volle sapere Viola.
“Sì, diciamo che siamo sorelle e a lei fa molto piacere essere accettata da voi. Anch’io ne sono molto felice! Prima credevo di parlare con me stessa e Sam dice che alcuni tratti della nostra personalità coincidono, ma è troppo complicato... Il punto è che sarà vostra amica se lo desiderate. Che altro dirvi? Oh, è molto potente e lo diventerà sempre più crescendo.”
“Può essere pericolosa per qualcuno?” si informò Frithjof.
“Noi demoni puniamo i malvagi” rispose Samael. Sì, c’era differenza rispetto a Dory: Samael era più seria e pragmatica, vagamente imperiosa, e aveva uno sguardo indecifrabile. “Nell’immaginario comune siamo considerati creature spietate il cui unico interesse è causare sofferenza ai mortali. Ovviamente, individui del genere esistono, ma non rappresentano tutta la nostra specie. Il nostro compito primario, il motivo per cui siamo all’Inferno, è punire i peccatori. Il resto è a discrezione del singolo demone.”
“Oh” fece l’elfo. Sorrise imbarazzato e fu molto sollevato quando Samael gli accennò un sorriso. Aveva sentito un sacco di storie sui demoni, ma in effetti non avrebbe saputo distinguere quelle vere dalle semplici dicerie.
“E non stai possedendo Dory, giusto?” domandò Lance.
“Non esattamente. Potete considerarci un’anima e un essere incorporeo che condividono lo stesso recipiente. Spesso sono stata costretta ad annullare l’anima, a renderla sempre meno partecipe del suo corpo originario... Ma con Pandora non è necessario, siamo perfettamente abbinate.”
“Leggerò libri sull’argomento e un giorno approfondiremo” disse Fujiko.
“Meglio se ora torniamo a casa” propose Galahad.
“Sì, mamma e papà sono ancora molto preoccupati” concordò Viola.
“Ti conosceremo meglio un’altra volta, Sam” la salutò Anton.
“Non dite mai il mio nome a nessuno” li ammonì Samael.
“Quindi è vero che il proprio nome è un punto debole per i demoni” constatò Fujiko.
“I nomi racchiudono un grande potere, soprattutto quelli antichi. Se così non fosse, le formule magiche sarebbero degli innocui scioglilingua.”
I bambini si salutarono, senza allegria, ma meno depressi di prima. Lance si trattenne qualche minuto in più con Pandora.
“Ti abituerai a Samael?”
Il rosso sorrise per rassicurarla e rispose: “Ma certo. Dory, posso parlare per me e i miei fratelli, e non abbiamo paura di te o di lei, non ce n’è ragione.”
“Già... grazie. È solo che non avrò una vita tanto normale, immagino... E in futuro potrebbero succedere cose...”
Lance le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse. Pandora si appoggiò grata, ma ancora dubbiosa.
“Non pensare al futuro. Siamo ancora piccoli o no? Questo è stato un caso, l’hai detto anche tu, non è dipeso da Sam. Quindi stiamo sereni insieme, ti va?”
“Moltissimo, Lancy!”
La ragazzina gli diede un bacio a stampo, lo salutò e corse verso casa, più tranquilla. In effetti non aveva senso preoccuparsi troppo per il futuro, altrimenti si sarebbe dimenticata di godersi il presente. Qualunque cosa le riservasse il destino, l’avrebbe affrontata con coraggio, mai da sola e con la volontà di fare del bene.
Faremo grandi cose insieme, lo sento...



***Angolo Autrice***
Ringrazio chiunque abbi letto la storia, spero vi sia piaciuta =)



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