Tutto ciò che non posso dirti

di Angel_lilac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è rimasto più niente da dire ***
Capitolo 2: *** Ti ho aspettato sulla riva ***
Capitolo 3: *** Le ho dette solo per ferirti ***
Capitolo 4: *** Ti ho lasciato dei fiori ***
Capitolo 5: *** Ti ho scritto una canzone ***
Capitolo 6: *** Non ti ho mai chiesto di tornare ***
Capitolo 7: *** Vi avrò già scordati ***



Capitolo 1
*** Non è rimasto più niente da dire ***


Non è rimasto più niente da dire. Ti guardo, paralizzata su quella poltrona, con gli occhi annebbiati e le labbra tremanti e penso che non sia rimasto più niente da dire. Hai troppa paura di spostare il tuo sguardo dal vaso di fiori sul davanzale, perché credi che ogni tuo movimento possa farmi reagire. Ormai non è rimasto più niente da dire, quindi puoi anche far scivolare quelle tue iridi delicate e spostare il tuo sguardo su di me. Ti prego, guardami. Forse, con un tuo sguardo, potrei creare nuove parole. Ma rimango muto, perché hai deciso di non concedermi questo tuo rassicurante gesto. Quanto durerà? Quei fiori appassiranno prima o poi, come me. Poi cosa guarderai? Dove trasferirai il tuo sguardo quando la vista di quei fiori caduchi ti sarà odiosa? Hai smesso di guardarmi ancora prima che io appassissi. Cos’hanno quei fiori che io non ho? 

Se non hai parole, mi accontento di un suono, uno qualsiasi. Anche un singhiozzo, o un sospiro, anche il suono delle lacrime che ti scivolano sui vestiti e si schiantano al suolo. Ora sono io che ho paura di muovermi. Cosa succederebbe se rompessi il silenzio? Tanto non posso farlo, perché non ho parole. Io guardo te e tu guardi i fiori. Che ne dici di interrompere questo gioco di sguardi? Ti basterebbe guardare me. 

Le tue labbra non tremano più, ora hai deciso di non muoverti nemmeno. Dimmi una parola, anche una sola, che non sia ‘addio’. Se continui così dimenticherai il mio volto e forse è quello che vuoi. Se uscissi da questa stanza mi guarderesti? Incroceresti i miei occhi mentre attraverso l’arco che conduce alla cucina? Non credo. E se me ne andassi da questa casa, smetteresti di guardare i fiori? 

Potrei scolpire il tuo profilo. Forse, se scolpissi il tuo volto, mi guarderebbe. Forse mi guarderesti tu. Hai paura? Solo ieri era stracolma di parole e me le rovesciavi tutte addosso. Avresti dovuto tenerne qualcuna da parte, almeno ora avremmo qualcosa da dire.  Mi accontenterei di qualsiasi parola. Persino ‘addio’ non sarebbe poi così male. Hai dischiuso le labbra, stai per parlare? Forse hai solo bisogno di ossigeno. Aprirei la finestra, se tu mi guardassi. Se mi guardi ora, me ne andrò per sempre. Attraverserò l’arco, poi la porta d’ingresso e sparirò oltre il cortile. Finché non mi guardi starò qui. 

Hai spostato i tuoi occhi. Ora fissi la poltrona vuota accanto a te. Io sono in piedi, poco distante, riesci a vedermi? Chissà a cosa stai pensando. Forse ci sono ancora delle parole nascoste, ma non le vuoi dire. Io, se le avessi, te le direi. 

Hai spostato i tuoi occhi: ora guardi me. Lo so che ti avevo promesso che me ne sarei andato, ma ti chiedo ancora un momento. Se mi dicessi una parola capirei il tuo sguardo, ma forse chiedo troppo. Se mi dicessi di andarmene, lo farei e se mi dicessi di restare, non esiterei. È così bello sapere che stai guardando proprio me. Chissà se i fiori si stanno chiedendo cos’abbia io che loro non hanno.

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Capitolo 2
*** Ti ho aspettato sulla riva ***


Ti ho aspettato sulla riva. L’acqua che mi accarezzava dolcemente i piedi e la sabbia che s’infilava tra le pieghe del costume, rendendomi ogni secondo più nervoso. Ho aspettato per ore, rivolgendo il mio sguardo speranzoso ad ogni passante, anche se nessuno di loro lo ricambiava, nemmeno con un caritatevole sorriso. Ma, soprattutto, nessuno di loro era te. 

Non facevo altro che ripensare alle tue parole e, con gli occhi fissi sulla schiuma che si formava violentemente sulla riva e si dissolveva con altrettanta rapidità, nella mia testa si ripeteva sempre la stessa voce: “Alle nove alla spiaggia dietro la torre”.

Mi ero presentato in anticipo per paura che avresti fatto lo stesso e, insicuro sui tuoi propositi, ne avessi approfittato per ritirarti prima che arrivasse l’ora stabilita. Se avessi saputo prima le tue reali intenzioni, non mi sarei preso il disturbo.

Alle dieci uno sconosciuto mi si è avvicinato, curioso del perché stessi scaricando la mia rabbia sui resti di un castello di sabbia, già scavato dalle onde di un mare imprevedibile. Confuso dall’inspiegabile silenzio che seguì il mio scatto d’ira, mi chiese se stessi aspettando qualcuno e gli risposi che avrei voluto fosse così, ma ogni secondo che passava sentivo che più che un’attesa si trattava di un'atroce perdita di tempo. Doveva aver pensato che fossi pazzo o qualcosa del genere, perché alla mia risposta si allontanò perplesso, lasciandomi di nuovo da solo con i piedi che sprofondavano nella battigia. 

Alle undici la tua voce è sparita, rimpiazzata dal suono seducente delle onde e dalle frasi mozzate dei passanti. Non pensavo più a nulla, se non a quanto fossi stato ingenuo a farmi illudere dalla soavità della tua voce. Ripensandoci, di parole dolci non ne avevi pronunciate molte, ma il tuo tono ingannevole mi aveva sempre fatto pensare il contrario. “Ci vediamo a cena” o “Vieni a pescare con me?” in quel momento persero tutto il loro fascino, riducendosi a sillabe associate dalla tua mente meschina. 

A mezzanotte ho capito che non saresti venuto, che dopotutto una promessa non è così infrangibile quanto si pensi. Ci ho riflettuto a lungo, finché ho deciso che anche se mi fossi comportato diversamente, non ti saresti presentato quella sera. Lo avevi già deciso, chissà da quanto tempo. Forse stavi cominciando ad accarezzare l’idea di abbandonarmi quando, tuffandoci da quello scoglio, avevi lasciato andare la mia mano nella discesa. Forse, ancora quando mi avevi sgusciato gli scampi ed avevi borbottato qualcosa riguardo alla mia inettitudine. 

Passata la mezzanotte ho creduto che sarei rimasto lì per sempre, su quella spiaggia, finché il sale non avrebbe bruciato la mia pelle e le onde non avrebbero preso a trascinarmi a largo. Mi sono chiesto se mi sarei lasciato travolgere dalla loro forza o avrei preferito unirmi alla loro furia. 

Alla fine, cosa avrei fatto di meglio se non ti avessi aspettato per ore e ore sulla spiaggia dietro la torre? Avrei cenato, forse avrei letto qualche pagina di quel libro che mi avevi consigliato e poi mi sarei addormentato, cullato dal verso delle cicale. “Questo è il suono del Paradiso” diceva sempre mamma. Non ho mai creduto che quelle piccole tediose creature potessero mai appartenere ad un luogo tanto sublime, ma amavo la convinzione con cui lei pronunciava quelle parole. Sai cos’altro sosteneva? Diceva che eri un vigliacco, che alla fine non ti importava davvero di noi, tanto meno di me. Avrei dovuto ascoltarla, su questo di certo non aveva torto. Dopotutto, se avevi deciso di non accogliermi nella tua vita per anni, perché farlo ora? Pare che la coerenza sia la tua unica virtù.

Che cosa avrei fatto se non avessi aspettato te? Mi sarei addormentato nel Paradiso, ecco cosa avrei fatto. Invece, i raggi cocenti che mi hanno svegliato il giorno seguente, mentre la sabbia mi increspava i capelli e riposava sulle mie ciglia, parevano appartenere ad un luogo infernale, quello che mamma ha sempre chiamato ‘vita’.

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Capitolo 3
*** Le ho dette solo per ferirti ***


Le ho dette solo per ferirti. Tutte quelle parole gridate, scagliate, scaricate come proiettili, le ho dette solo per ferirti. È così che funziona, no? Ci si lacera l’anima a vicenda finché non ne rimane a sufficienza per permetterle di risanarsi. Solitamente ci vogliono mesi, raramente anni. 

Sembra che la tua anima stia attraversando uno stato di infermità da ormai troppo tempo. Forse è il tuo rancore a renderle così difficile la convalescenza. Quelle parole, le ho dette solo per ferirti, ma dovevano essere un taglio quasi impercettibile, di quelli che bruciano appena per qualche giorno. Invece ti hanno accecato ed assordato con la loro inconsapevole violenza ed hanno lasciato che ti tormentassi con la loro eco. Forse stanno ancora trovando pareti spoglie sulle quali rimbalzare. 

Ho sottovalutato la fragilità della tua anima. Si è trattato di un errore di calcolo, davvero ingenuo da parte mia. Se l’avessi saputo, le mie parole sarebbero state meno violente, o forse non avrei parlato affatto. Mi sono bastati pochi secondi per rendermi conto degli effetti che hanno provocato in te e chissà quanti anni ci vorranno ancora prima che le tue labbra smettano di tremare al ricordo.

È passato decisamente troppo tempo. Io ho tentato di inibire l’amarezza delle mie parole. Ci ho provato davvero a prendermi cura della tua anima sconvolta, ma la tua è un’avversione inveterata, così radicata che non esiste un efficace mezzo di persuasione. 

Ho paura che se ti scrivessi una lettera nemmeno la riceveresti. Ho paura che tu abbia cambiato indirizzo e, peggio ancora, che non ti sia preso il disturbo di dirmelo. Ho paura che se pronunciassi nuove parole le troveresti inadeguate ed eccessivamente forzate, quasi fossero solamente un inefficace strumento per sopprimere i miei sensi di colpa.  

Ma, in fondo, ho la convinzione che col tempo quelle parole rabbiose verrano sepolte da un’inaspettata gentilezza, certamente non pronunciata da me. Spero ti colga alla sprovvista e che ti riempia l’anima di quella cura che per anni hai cercato in vano. Se non sarà possibile, allora promettimi che troverai un modo per decorare le pareti della tua anima, così che la ferocia dei miei folli discorsi non abbia più modo di riecheggiare. È tutto quello che ti chiedo. Se non puoi dimenticare le mie parole, dimenticati di me. Promettimi che lo farai e io ti garantisco che le tue labbra non avranno più motivo di tremare quando rivedrai il mio volto.    

 

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Capitolo 4
*** Ti ho lasciato dei fiori ***


Ti ho lasciato dei fiori. Non sono le solite margherite o i crisantemi che circondano le fotografie dei tuoi vicini. Ti ho portato i tuoi preferiti, o almeno credo. Ho pensato che avrebbero potuto ricondurti per un breve momento alla tua infanzia, a quella distesa verde dietro casa dove ogni tanto spuntavano dei papaveri tra l’erbaccia ostile. La nonna ti proibiva sempre di raccoglierli, ma tu eri tremendamente testarda. Non hai mai smesso di esserlo: l’ultima volta che ci siamo incontrate sostenevi di fronte alla cameriera che il tuo caffè fosse troppo freddo, quando ti eri solo distratta ed avevi dimenticato della sua esistenza per quasi un quarto d’ora. Mi stavi raccontando proprio di quello, del campo di papaveri. Ti sono mai piaciuti davvero? O lo facevi solo per trasgredire alle regole di nonna? Sei così ostinata, mostruosamente caparbia. Tutti lo dicevano di te, ma a me c’erano voluti molti anni per notarlo. Odieresti sentirtelo dire, ma sono felice di non essere come te. 

Qualcosa ti è mai piaciuto di me? Era la tua disapprovazione solo una forma di incoraggiamento o più semplicemente rimorso per aver costruito qualcosa di così distante da quello che ti eri prefissata. Dal giorno in cui ho imparato a camminare ho mosso i primi passi per allontanarmi da te e tu non me l’hai mai impedito. Preferivi le mie orme a me. Mi rimproveravi quando ti stavo di fronte e piangevi solo quando non c’ero.

Non mi hai rovinato la vita, non ne hai mai fatto parte. Vorrei che mi avessi insegnato a cucire, anche se mi avevi sentita dire che la trovavo un’attività da signore. Perché mi hai lasciata andare? Perché hai lasciato da parte la tua ostinazione con me per provare rimorso di fronte alle conseguenze della tua indifferenza? Volevi che mi sentissi in colpa, ma non puoi biasimare le scelte di una bambina. Avresti dovuto guidarmi, come quelle piccole piante di pomodori che papà faceva crescere seguendo l’andamento dei bastoni ai quali le legava. Cosa mi hai insegnato se non di non diventare mai come te?

Spero apprezzerai questi fiori. Non ho potuto strapparli dal campo dietro casa, mi dispiace. Papà ha venduto il terreno ed i nuovi proprietari non permettono più ai papaveri di crescere.

Se un giorno dovessi capire le ragioni del tuo comportamento forse anche la mia indifferenza si trasformerebbe in qualcos’altro. Non m’importa pensare male o bene di te, ma su quali basi potrei mai farlo? 

Sarebbe stato lo stesso se tu non avessi mai raccolto quei papaveri per dispetto?

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Capitolo 5
*** Ti ho scritto una canzone ***


Prima Strofa

Ti ho scritto una canzone, ma ogni volta che tento di cantartela te ne vai. È come una poesia, ma accompagnata da una melodia lenta e gradevole. Ho pensato ti potesse piacere, anche se non ho mai l’occasione di suonartela. Scommetto che se la sentissi il tuo cuore canterebbe con me. 

 

Ritornello

Se potessi avere tre minuti del tuo tempo, la suonerei e se mi rimanesse quello stesso tempo da vivere in questo mondo, ti canterei quella canzone. È piuttosto triste vedere ogni tua occasione di svago risucchiata dalla prepotenza dei tuoi impegni, mentre io fisso il soffitto e spero in un momento in cui la serena melodia che sta scivolando dalle mie labbra possa raggiungere le tue orecchie. 

 

Seconda strofa

Immagino di avere troppo tempo, altrimenti non scriverei tutte queste canzoni. Forse è solo uno spreco, dopotutto non avrò nessuno a cui cantarle. Potrei lasciare il testo sul sedile della tua auto, così che chiunque viaggi con te possa leggertelo ad alta voce mentre vai al lavoro. 

  

Ritornello 

Dal momento che non posso avere tre minuti del tuo tempo, te la leggerò. Lo farò in pochi secondi, assicurati di non perderti neanche una parola. Vorrei che non mi fosse proibito esprimere i miei sentimenti, ma fai sembrare che sia così. 

 

Ponte

Sto iniziando a pensare che potrebbe non piacerti. Potresti trovarla noiosa, monotona e persino patetica. Questa tua severa opposizione cela forse la paura che quelle parole o, peggio ancora, quella melodia possa sciogliere la tua intransigenza? Pagherei per vedere una lacrima rigare quel tuo volto impassibile. Amerei e temerei quello spettacolo allo stesso tempo. Mi chiedo se sarei in grado di reagire di fronte alla distruzione di questa maschera fatta di un fanatismo estremo nei confronti dell’indifferenza.

 

Conclusione

Ti ho scritto una canzone e ti ho chiesto tre minuti del tuo tempo, ma ora ti chiedo solamente un secondo per dirti che ti voglio bene e che, nonostante tutto, so che per te è lo stesso.

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Capitolo 6
*** Non ti ho mai chiesto di tornare ***


Non ti ho mai chiesto di tornare, eppure credevo l’avresti fatto. Ho ancora impressi i tuoi occhi assetati di riconoscimento, ma intristiti da dubbi e compromessi. Ricordo di essermi chiesta se saresti tornata, ma l’unica preoccupazione che riuscii ad esprimere fu di come fossi riuscita a sigillare tutti i tuoi sogni in un bagaglio così misero. Mi risposi che non avevi bisogno di altro, perché li portavi nel cuore, insieme a me. Tuttavia, sembra che abbiano preso il sopravvento su qualsiasi cosa che condividesse il tuo amore. 

Ma anche se l’inchiostro sulle lettere che eravamo solite scriverci ha cominciato a sbiadire, non ti lascerò andare altrettanto facilmente. Se hai trovato qualcuno di migliore, nonostante abbia giurato che non l’avresti fatto, io ti perdonerei. Il fatto che tu ci abbia lasciati senza pronunciare una parola e senza degnarci di uno sguardo non mi impedisce certo di rievocare tutte quelle volte in cui ho ignorato le tue attenzioni. Anche se la notte non riesco a dormire perché la tua assenza mi tormenta, prometto che non pronuncerei una parola di rimprovero se ti riavessi davanti. Posso giurare che se non avessi una valida giustificazione del perché tu non abbia chiamato per tutti questi anni, non ti amerei di meno. 

Se sei riuscita a soddisfare tutte le ambizioni che portavi con te quel giorno, non ho che da essere orgogliosa. Se hai potuto realizzare quella vita esigente di chi punta troppo in alto per potersi permettere ripensamenti, potrei anche dimenticare che non ti sei voltata appena fuori i confini di casa. E anche se ogni volta che mamma o papà scavalcano il cancello il mio cuore ha un fremito, non posso ritenerti responsabile per la mia debolezza. 

Se, tornando, mi porterai in dono qualche parola di scusa, non l’accetterei. Il mio dolore è una pura conseguenza di un egoismo che quasi mi impedisce di essere felice per te. E se neanche la tua presenza riuscisse a porre fine alle mie sofferenze e alle mie eccessive paranoie, non te ne farei una colpa. Se dovessi confessarmi di non aver sentito la mia mancanza, lo capirei e se, vedendo come mi hai lasciata dovessi pentirti di averlo mai fatto, riacquisterei vigore per farti abbandonare quel folle pensiero. 

Se, invece, dovessi decidere di farti attendere ancora per molti anni, ti aspetterò con la stessa pazienza che ho conservato solo per te e continuerò ad annaffiare quella pianta di gelsomini che ti piaceva tanto, così che la prima cosa che sentirai, avvicinandoti al cancello, sarà il suo profumo. 

Forse, tra qualche tempo, quando anche io sarò mossa da ambizioni irrefrenabili tanto quanto lo erano le tue, il posto che occupi nel mio cuore comincerà a farsi sempre più piccolo, soffocato dall’illusione di poter diventare qualcuno per la gente, senza in cambio trasformarmi in nessuno per te. Ma, nel frattempo, continuerò a ricordare quando costruivamo palazzi con i rametti spezzati del frutteto e quando venivano rimproverate perché ridevamo di gusto a mezzanotte. Ricorderò quando restavo sveglia ogni volta che eri fuori casa, aspettando impaziente la tua buonanotte. So per certo che anche tu facevi lo stesso, ma fingevi che fossero gli angoscianti rumori della notte a tenerti sveglia. 

Vorrei poterti abbracciare fino a soffocare o fino a convincermi di quanto sia vano il dolore che ho provato per tutto questo tempo. Sarà come se non te ne fossi mai andata. 

E anche se l’ho tenuto nascosto per tutti questi anni, mentre ti allontanavi sempre di più da noi, con la valigia in una mano e la mia lettera nell’altra, avrei giurato di averti vista piangere.

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Capitolo 7
*** Vi avrò già scordati ***


Vi avrò già scordati. Quando il flusso dei miei pensieri sarà ormai irrecuperabile ed ogni mia frase sensata sarà per molti un ricordo sbiadito, avrò perso anche voi. 

Dimenticherò la vostra anima, poi il vostro corpo e infine i volti di voi, mie adorabili creature, si mescoleranno a quelli dei passanti e le vostre parole saranno confuse con i discorsi degli sconosciuti.

Se potessi portare con me il vostro ricordo, riempirei la mia valigia di ogni vostra espressione che non ho mai saputo dimenticare, ma gli uomini in camice candido che popolano questo edificio non fanno altro che ripetermi che quella valigia tenderà inevitabilmente a sciuparsi con il tempo, per cui non potrò fare a meno di perdere pezzi di voi lungo la strada. Ogni vostro familiare gesto diventerà per me il più sconosciuto di tutti, così come il timbro della vostra voce e il vostro distinguibile profumo. 

Non vorrei farvi del male, ma non sarò a conoscenza di quanto la freddezza delle mie parole vi ferisca e forse dimenticherò pure cosa sia il dolore. Se pure riuscissi a cogliere un’accenno di sofferenza nel vostro sguardo, in pochi secondi l’avrò scordato, per quanto eterno quel dolore sarà per voi.   

Dimenticherò chi sono. Dimenticherò perché ogni giorno mi sveglio in questa stessa stanza pallida, perché mi sia proibito superare il cancello che disegna i limiti del triste giardino dove mi è concesso passeggiare per un paio di ore al giorno. Non capirò perché il giovedì la mia camera venga assalita da un gruppo di estranei che con presunzione afferma di conoscere il mio nome e mi racconterà di vecchie storie che tutti ricordano con affetto, tranne me. Non distinguerò i vostri passi quando vi avvicinerete e non soffrirò al momento della separazione, quando lascerete la mia stanza e abbandonerete i vostri artificiali sorrisi per versare qualche lacrima nella solitudine delle vostre auto. 

Perdonatemi se, contro ogni mia volontà, non vi porterò più nel mio cuore e vi prego di non fare lo stesso. Portatemi con voi anche quando incontrerete il mio sguardo indifferente e la vostra insistenza mi causerà turbamento. Vi ho insegnato la pazienza, la dedizione e il sacrificio. Se c’è una cosa che non ho dovuto insegnarvi quella era l’amore, perché voi ne eravate l’incarnazione. Per cui ora, miei dolci Amorini, vegliate su di me.

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