Nei Silenzi

di Francine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 Puttane e Spose ***
Capitolo 2: *** #2 Silenzi di vetro ***
Capitolo 3: *** #3 La principessa guerriera ***
Capitolo 4: *** #4 Lo stesso abbraccio ***
Capitolo 5: *** #5 Per sospirarti di più ***
Capitolo 6: *** #6 Gocce di normalità ***
Capitolo 7: *** #7 Torno da mia madre ***
Capitolo 8: *** #8 La pazienza del ragno ***
Capitolo 9: *** #9 The Promise you made ***
Capitolo 10: *** #10 Qualcosa, qualcuno ***
Capitolo 11: *** #11 Siamo uomini o caporali? ***
Capitolo 12: *** #12 La via che conduce all'Inferno ***
Capitolo 13: *** #13 Di notte, specialmente ***
Capitolo 14: *** #14 Lo stesso castigo ***
Capitolo 15: *** #15 Principessa ***
Capitolo 16: *** #16 Era de Maggio I ***
Capitolo 17: *** #17. Era de Maggio II ***
Capitolo 18: *** #18 Era de Maggio III ***



Capitolo 1
*** #1 Puttane e Spose ***


#1 Le grandi cose si dicono in silenzio
Le grandi cose si dicono in silenzio.
(Grazia Deledda)



 
Il continuo dondolare di tutte le cose
Questa falsa divisione tra puttane e spose
(Jovanotti,
Puttane e Spose, 1992)
 



Le grandi cose si dicono in silenzio.
Ed è in silenzio che Lei parla a Lui.
Un respiro, appena accennato, forse neppure percepito; un fremito di cosmo. Lui sa. E anche se non sa, è un problema suo.
Lei non emette fiato. Non gli sussurra pie verità e abbacinanti misteri, mentre riposa nello Scrigno o gli avvolge le membra in battaglia.
C’è una tomba nuda ad attendere Lui, come tutti noi, in fondo al sentiero. L’ha forse dimenticato?
Gli s'abbandona, invece, contro pelle, acqua sorgiva, puttana e sposa assieme.
Nei silenzi c’è la chiave della verità.
Stolto Lui a non ascoltarla.


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Capitolo 2
*** #2 Silenzi di vetro ***


#2 Silenzi di vetro
Levis est dolor qui loquitur magnus muta.
(Lucio Anneo Seneca)



 
Segni degli errori di ieri
sulle braccia e sul cuore
forse ancora ne ho
ma rompi il tuo silenzio di vetro
fra presente e passato
e non mi dire di no.
(Raf,
Svegliarsi un anno fa, 1988)  



Vorresti una seconda possibilità.
Come quegli uomini che affollano gli sceneggiati sudamericani che seguiva tua nonna. E anche se ti fa imbestialire, il succo è questo: se solo Lei rompesse il suo silenzio di vetro tu non ti getteresti ai suoi piedi, come se non fosse successo nulla, come se non t’avesse abbandonato sul più bello, permettendo a quella biscia troppo cresciuta di scatafrombolarti nella Bocca dell’Ade?
Il problema è dirglielo. Perché hai anche tu una tua dignità, che cavolo!
Così t’immagini la scena, tu con l’allure dell’uomo navigato, e Lei, più fulgida del sole.
Se solo potessi tornare indietro…



Note: scatafrombolare (v. tr.) è un termine squisitamente tecnico che significa rovesciare rovinosamente qualcosa o qualcuno provocandole/gli il maggior dolore possibile.

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Capitolo 3
*** #3 La principessa guerriera ***


#3 La principessa guerriera


C'è un momento in cui devi decidere:
o sei la principessa che aspetta di essere salvata
o sei la guerriera che si salva da sé…
Io credo di aver già scelto.
Mi sono salvata da sola.
(Marilyn Monroe)



 
Non sono una signora
Una con tutte stelle nella vita
Non sono una signora
Ma una per cui la guerra
Non è mai finita
(Loredana Berté,
Non sono una signora, 1982)
 



Duecento e passa anni ad aspettare sul fondo del Pergusa, ma guai a trattarti da principessa addormentata.
Qui, quella che salva, protegge e incassa sei tu.
L’ultimo cialtrone - un fanfarone che faceva la voce grossa per darsi un tono e sembrare più pericoloso – lo sapeva. E l’accettava.
Ecco perché hai permesso a quello sbarbatello d’aggiungere due tocchi d’un blu che profuma di rovescio.
Un poco gl’assomiglia, anche s’è stato un lampo appena: l’aspetto è simile, ma la polpa no; la polpa puzza d’amaro e sangue.
Meglio non farsi troppe illusioni.
Avanti, bambino. Fammi vedere di che pasta sei fatto…


Note: Xena, chi?

Il lago di Pergusa è già apparso in questa storia, e mi è sembrato un segno di coerenza interna nominarlo anche qui.
Si trova in provincia di Enna, ed è il luogo dove, secondo il mito, Ade rapì la giovane Persefone e la portò con sé negli Inferi. Premesso che non credo che le cose siano andate proprio così, ho piazzato qui il luogo di riposo della Corazza del Cancro e non sull'Etna per due ragioni.
Per prima cosa, il Cancro è un Segno d'Acqua, quindi mi fa strano assai collegarlo a quel mare di lava che è l'Etna.
Secondo poi, anche se Karkinos è salito dal mare per rompere le scatole ad Ercole, nel bel mezzo della lotta con l'Idra (Tagli una testa, ne ricresce un'al... ah, no, quella è un'altra cosa!), nell'iconografia medievale il Cancro assomiglia più ad un grosso gambero di fiume, uno di quelli che si pappano in Svezia durante la festa di Mezz'Estate.
E Terzo, il Cancro è associato all'acqua di sorgente, all'acqua dolce. E le acque di un lago sono di gran lunga più viscide ed insidiose di quelle del mare aperto.

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Capitolo 4
*** #4 Lo stesso abbraccio ***


#4 Lo stesso abbraccio


Des milliers et des milliers d'années
Ne sauraient suffire
Pour dire
La petite seconde d'éternité
Où tu m'as embrassé
Où je t'ai embrassée
(Jacques Prévert, Le Jardin in
Paroles, 1945)


 
Non mi svegliate ve ne prego
ma lasciate che io dorma questo sonno,
sia tranquillo da bambino
sia che puzzi del russare da ubriaco.
(Banco del Mutuo Soccorso,
Non mi rompete 1973)
 



Il cervello pulsa.
Troppe bottiglie scolate a canna, ieri sera, d’un liquore che puzza come vino, ma non ha la stessa dolcezza.
Lo stesso abbraccio.
Perché s’è svegliato?
Ché nel sonno, almeno, c’era ancora Lei, addosso a Lui, metallo freddo a pelle.
Non poteva continuare a dormire nell’abbraccio del Maestrale?
A te il Banco non piace, gli dice lo smandrappato dall’altra parte dello specchio.
Forse sta sognando.
O forse era la sua vita di prima, ad essere un sogno?
No, vi prego. Lasciatemi tornare a dormire.
A te il Banco non piace.
«Sta’ zitto!», grida, stornando lo sguardo dallo specchio.


 Note:
Migliaia e migliaia di anni
Non saprebbero bastare
A descrivere
Il mezzo secondo d’eternità
In cui tu m’hai abbracciato
In cui io t’ho abbracciato.
(traduzione libera)

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Capitolo 5
*** #5 Per sospirarti di più ***


#5 Per sospirarti di più


Le stelle sono tante
Milioni di milioni
(Carosello Negroni, 1968)



 
e la vuoi e ti vuoi e non dormiresti mai,
stella stai stella tu,
per sospirarti di più, eh eh
per sospirarti di blu,
(Umberto Tozzi,
Stella Stai, 1980)
 



Peperoni.
Passata di pomodoro.
Melanzane, se capitano.
Patate.
Un giro d’olio.
Cipolla di Tropea – rigorosamente - aglio – per il soffritto - sale e pepe qb.
La lama del coltello cala sul tagliere d’ulivo.
La sigaretta, accesa più per abitudine che per necessità, aspetta nel posacenere.
Fuori Agosto sonnecchia affacciato al Tirreno.
Tu canterelli distratto, ché un motivetto estivo serve a questo: ad ammazzare il tempo, mentre segui la tua personalissima Stella Polare – la caponata -, e ad ispirarti, mentre spignatti senza pensieri – coi tuoi compari dall’appetito lupigno fuori dalle palle, per una volta.
E se aggiungessi un pizzico di peperoncino?


Note: La caponata di Francesca - l'Attendente di Maskuzzo , mia piccola creatura - risveglierebbe pure i morti, ma siccome è lui che l'ha insegnata a Franceschina, mi sembrava giusto - giustissimo - mostrare lui alle prese con coltello, tagliere e padella, lontano dagli occhi esperti di Nonna Agata - ché sennò gli avrebbe dato un manrovescio, affermando che sì, il peperoncino ci va, eccome! - e dalle narici e dalle gole affamate dei suoi compari d'arme (sennò succede questo).
Noi ci vediamo lunedì, con il punto di vista di Lei - l'unica e sola Dama di Cuori.
Fate i bravi!!

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Capitolo 6
*** #6 Gocce di normalità ***


#6 Gocce di normalità


Non c’è da sperare concordia familiare finché è in vita tua suocera.
(Decimo Giunio Giovenale)



 
Feel the rain like an English summer
Hear the notes from a distant song
Stepping out from a back shop poster
Wishing life wouldn't be so long
Devenir gris
Aaah, we fade to grey (fade to grey)
Aaah, we fade to grey (fade to grey)
Aaah, we fade to grey (fade to grey)
(Visage,
Fade to Grey, 1980)
 



Hai mangiato? Ti sei coperto? Hai chiamato il dottore? E in ferie, quando ci vai?
Le suocere sono erbacce che non appesteranno mai il tuo giardino, sia benedetta Athena.
Suo figlio è cresciuto; cosa vuole ancora, quella donna? Non può gestirsi da sé, quell’uomo?
Ti senti di darle ragione, a Michela. Chiusa nell’armadio, l’ascolti lamentarsi, la schiena nuda sui cuscini, mentre Marco fuma una sigaretta. Assaporando cos’è la normalità. Quanto possa essere logorante, viverla. Così da togliersi qualsiasi velleità. Presente e futura.
Povera figlia, ti dici. Lui l’ha già scaraventata fuori dalla sua vita, e lei nemmeno se n’è accorta…


Note: ché alle volte per far funzionare i rapporti umani serve un pizzico di intelligenza. E tanta, tanta, tanta pazienza.
Michela è apparsa in questa storia - sfortunata creatura - e posso assicurarvi che no, non è il terzo incomodo tra Marco ed Elena. A tal proposito, è meglio che mi rimetta al lavoro...
Nonostante i miei buoni porpositi - a causa dei miei buonissimi propositi - la pubblicazione slitterà a una volta alla settimana, preferibilmente il lunedì. Si sa, la strada che porta all'inferno è lastricata di buone intenzioni.

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Capitolo 7
*** #7 Torno da mia madre ***


#7 Torno da mia madre!


È nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama.
(Fëdor Dostoevskij)



 
You've taken lots of Chances before
But I'm not gonna give anymore
Don't ask me
That's how it goes
Cause part of me knows what you're thinkin'
(the Alan Parson Project,
Eye in the Sky, 1982)



Non è pericoloso chi minaccia e grida, ma chi tace. Can che abbaia non morde. I “torno da mia madre!”, con tanto di taptaptap sul pavimento, non sono che un modo maldestro per interrompere una discussione senza colpo ferire.
Chi se ne vuole andare, non si fa trovare quando rientri a casa. E non ti lascia le chiavi sotto lo zerbino, o nella buca delle lettere. Le getta in un tombino. E se assisti alla scena, tanto meglio.
Chi se ne va sul serio, taglia i ponti dietro di sé.
Come ha fatto lei. Tornando da Athena.
Sua madre.


Note: Sì, lo so.
Lo so.
Facciamo finta che sia lunedì, da qualche altra parte.
Su Proxima Centauri, tipo...
Ce li avranno, i lunedì, su Proxima Centauri?

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Capitolo 8
*** #8 La pazienza del ragno ***


#8 La pazienza del ragno


Si lavora e si produce, si amministra lo stato
Il comune, si promette e si mantiene a volte
(Rino Gaetano)



 
Fiorivi, sfiorivano le viole
e il sole batteva su di me
e tu prendevi la mia mano
mentre io aspettavo te
mentre io (oh, yeah!) aspettavo te
(Rino Gaetano,
Sfiorivano le viole, 1976)


Aspettare è l’essenza stessa del piacere.
Quando vivi il momento tanto sospirato cos’ottieni se non un’abbacinante vampata di luce?
È ineffabile, quella luce; ma poi? Cosa ti resta, poi?
Cenere. Pura e semplice cenere.
Meglio aspettare.
È più soddisfacente.
Lui arriverà, ma bisogna avere pazienza. La pazienza del ragno. Sta crescendo. Si sta facendo forte. Per te.
Lui s’immagina che debba essere tu ad andare da Lui, beata ingenuità, ma presto le sue braccia saranno forti abbastanza da cingerti, le sue spalle larghe a sufficienza per sopportare il peso del suo destino – morte, alla fine. Come per tutti noi.


Note: lo scorso fine settimana è stato l'antipasto sgradito ed amarissimo ad un Lunedì che è stato la madre (o il padre?) di tutti i Lunedì. E la settimana promette di calarsi in abissi tutti ancora da esplorare, sicché, anche voi, abbiate pazienza: prometto che risponderò appena possibile.
Ah, il titolo è spudoratamente tratto da un bellissimo romanzo di Andrea Camilleri, ça va sans dire, ma visti i chiari di luna, meglio specificare.
Non si sa mai.

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Capitolo 9
*** #9 The Promise you made ***


#9 The Promise you made


Bisogna avere buona memoria per mantenere le promesse.
(Friedrich W. Nietzsche)



 
If I gave you my soul for a piece of your mind
Would you carry me with you to the far edge of time?
Could you understand if you found me untrue
Would we become one, or divided in two
(Cock Robin,
The Promise you Made, 1986)


Quando rompi una promessa devi accettarne le conseguenze.
Quale promessa?, chiedi.
L’unica che le hai fatto, tacitamente, l’unica per cui Lei t’ha accettato per quello che sei. Non d’amarla, onorarla ed esserle fedele, ma di servire Athena.
L’hai scordato?
Lei, no. Lei ha sopportato ogni cosa, ché quando si vive sulla lama del rasoio non puoi andare troppo per il sottile. Si deve avere pelo sullo stomaco. Ed equilibrio, per non perdere di vista l’orizzonte e finire inghiottiti dall’abisso, solo, nudo, senza il suo caldo abbraccio a darti conforto, sostenerti e proteggerti.
Davvero non ricordi di averle fatto questa promessa?


Note: io ho scordato che ieri fosse lunedì. Chi sono io, per lanciare la prima pietra?

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Capitolo 10
*** #10 Qualcosa, qualcuno ***


#10 Qualcosa, qualcuno


Il Destino mescola le carte e noi giochiamo.
(Arthur Schopenauer)



Qualcosa, qualcuno lontano, forse vicino
Sì, qualcosa, sì, qualcuno che ti chiama forse nessuno
Sì, ti passerà è malattia come è venuta puoi mandarla via
Scompaiono le efelidi di un bel ricordo adolescente qui
Si ingoia un po' di amaro e dolce come serate di provincia
(Umberto Tozzi,
Qualcosa, qualcuno, 1979)


Per qualcuno incontrare Aphrodite è stato un colpo di fortuna.
Incontrare Shura, invece, sarebbe stata una sfiga. Elevata all’infinito. Ma qualcuno, qui, non sa fare i conti. Shura avrebbe lanciato un paio di sguardi taglienti e sarebbe passato oltre, ché lui non è la stampella di nessuno. Se non d’Aiolia.
Aphrodite, invece, è un pesciolino paziente che ti gira intorno, tra mani sfortunate e vinaccio bevuto fino alla feccia. Ti passerà. Prima o poi. Pensaci: s’è mostrato ad Aiolia? Nossignore. Armiamoci e partite, questo è il motto di Pisces. Ma qualcuno, qui, non ha mai imparato a prendere le misure.


Note: perché Aphrodite, tomo tomo, cacchio cacchio, è uno con cui non conviene scherzare...

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Capitolo 11
*** #11 Siamo uomini o caporali? ***


#11 Siamo uomini o caporali?


O uomini superiori, la vostra cosa peggiore è: che voi tutti non abbiate imparato a danzare come si deve – a danzare al di là di voi stessi! Che importa se siete falliti? Quante cose sono ancora possibili! E allora imparate dunque a ridere al di là di voi stessi!
In alto i cuori, miei bravi ballerini, in alto, più in alto! E non dimenticatemi neanche il buon riso!
(Friedrich Nietzsche,
Così parlò Zarathustra, 1883-1885)


Will your system be alright
When you dream of home tonight?
There is no message we're receiving
Let me know is your heart still beating?
Are we human?
Or are we dancer?
My sign is vital
My hands are cold
And I'm on my knees
Looking for the answer
(The Killers,
Human, 2008)



Siamo uomini o caporali?, avrebbe detto un certo Principe.
Sai perché sta succedendo tutto questo?
Siamo
davvero vivi?
Aphrodite sembra indifferente a qualsivoglia pensiero ti attraversi la testa.
Eppure, pensando a Lei – muta e silenziosa due piani più su – ti chiedi se tu non sia fortunato.
Un burattino coi fili tagliati può danzare come e soprattutto se lo vuole.
Aphrodite, no. Aphrodite balla ancora al suono del pifferaio. Aphrodite è vivo. Tu sei vivo?
E cerchi le tue risposte ovunque: tra la polvere del pavimento, sul fondo del bicchiere, nelle palme delle mani.
Le cerchi, disperatamente; ma non le trovi.


Note: e con la brutta stagione, le prime piogge e i primi freddi, indovinate un po' chi si è beccata una bella infreddatura coi controfiocchi?
Risponderò alle vostre recensioni appena il cervello si sarà ripreso e sarò uscita dall'imbabolamento da Tachipirina (santa subito!!); per le domande di Maskuzzo, non credo possa aiutare. Affatto.

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Capitolo 12
*** #12 La via che conduce all'Inferno ***


#12 La via che conduce all'Inferno


La strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni.
(proverbio italiano)



Baby, don't you know I'm just human
And I've thoughts like any other man
And sometimes I find myself alone and regretting
Some foolish thing, some foolish thing I've done
(Nina Simone,
Don’t Let me Be Misunderstood, 1964)



Tu pensi che Lei non capisca cosa ti passi per la testa.
Tu pensi che Lei non percepisca le tue ansie, le tue paure, il tuo bisogno – la tua necessità – d’essere all’altezza. Quello dalla parte giusta della barricata, per una volta nella vita; pure quando si tratta di una recita di Pupi.
Tu pensi che Lei non sappia quanto quella ferraglia ti pesi sulla pelle.
Quanto sia fredda.
Marco, Marco, quanto ti sbagli…
Si pecca in opere e omissioni: quello che contano sono le intenzioni, direbbe Tonio; ma la strada che conduce all’Inferno non è forse lastricata di buone intenzioni?


Note: primo lunedì del mese e primo lunedì dell'anno. Qui ancora non diluvia, ma il cielo promette tuoni e fulmini. E manterrà la parola. Io passo ad ascoltare Nina Simone, che fa bene all'anima. Buon anno nuovo a tutti voi.

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Capitolo 13
*** #13 Di notte, specialmente ***


#13 Di notte, specialmente


I giorni vengono distinti fra loro, ma la notte ha un unico nome.
(Elias Canetti)



Di notte specialmente
Si soffre raramente, di notte
Giocando solamente
Può essere importante, di notte
(Rettore,
Di notte specialmente, 1994)



Fuggi, corri, ti stordisci: in questo sei bravo.
Ma quando cala la notte devi arrestarti, ché il materasso è graticola che non concede quartiere. E di notte, specialmente, i tuoi demoni sono lì, che t'attendono a braccia spalancate. E han tutti lo stesso nome, lo stesso volto, la stessa voce, lo stesso respiro.
Quello delle cose perdute.
Il mio.
Arrendersi ad un nemico più forte non è viltà, ma saggezza.
Piegati, Marco: a quel ricordo dolceamaro che t'avvelena il sangue, a quell'eco che credi di scorgere nei suoi occhi.
Non lo saprà nessuno. Arrenditi. E cercami. Di notte, specialmente.


E cercami di notte specialmente....

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Capitolo 14
*** #14 Lo stesso castigo ***


#14 Lo stesso castigo


In tempo di guerra ogni buco è trincea
(detto popolare)



Resta, amico, accanto a me
Resta e parlami di lei, se ancora c'è
(Renato Zero,
Amico, 1980)



In tempo di guerra ogni buco è trincea, e persino uno come lui va bene per sviscerare problemi, dubbi, questioni irrisolte davanti ad una birra - quell’acqua sporca che servono qui - boccale dopo boccale. Te lo farai bastare.
Ma Aphrodite non ama farsi trovare con la guardia abbassata, né è qui per passare la notte in chiacchiere. Ha un altro scopo, non t’interessa conoscerlo?
No, ché il tuo mondo ruota tutto attorno ad un crivello che ti logora l’anima e t’offusca il (poco) intelletto che t’è rimasto.
Perché anche tu non hai ricevuto la mia stessa punizione, lo stesso castigo?





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Capitolo 15
*** #15 Principessa ***


#15 Principessa


Etre belle et aimée, ce n'est être que femme.
Etre laide et savoir se faire aimer, c'est être princesse.
(Jules-Amédée Barbey d'Aurevilly,
Disjecta membra, 1925)


E non sai quella notte quanto ti ho cercato, amore
Poi le tue promesse le ho dimenticate
Scusa se ti ho detto un mare di cazzate
Che liberazione, avevo voglia di dirtelo
(Ernia, feat Fabri Fibra & Bresh,
Parafulmini, 2023)



Lei t’osserva, come se quella ferraglia racchiudesse il cosmo intero.
Praesepe. E un’altra mezza chilata di stelle, ammassi e galassie.
Adesso?, vuoi chiederle; ma taci. Non avrai risposta, ché lei è così. Una regina che si riprende quello che è suo. Tu.
E poco importa se quella notte disgraziata tu l’abbia cercata, come si fa con l'aroma familiare in una strada che esce dritta dritta dal viale dei ricordi, pronto a inginocchiarti sui ceci e sui cocci, e lei si sia negata.
Una principessa stizzita nella sua torre d’avorio.
Adesso?!, pensi, nello sfolgorio dell’oro.
Adesso, ruggisce Cancer. Tu sei mio. Ricordatelo.



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Capitolo 16
*** #16 Era de Maggio I ***


#16 Era de Maggio I


E a me germoglia il cuore
di spine un bel boschetto;
tre vipere ho nel petto
e un gufo entro il cervel.
(Giosué Carducci,
Maggiolata, in Rime Nuove 1887)


Era de maggio; io no, nun mme ne scordo
na canzone cantávemo a doje voce.
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n'allicordo,
fresca era ll'aria e la canzona doce.

(Salvatore Di Giacomo, Mario Pasquale Costa,
Era de Maggio, 1885)



L'ultima volta era di Maggio.

A Valpurga, ché a ritornar prima è solo il Redentore.

L'ultima volta era di Maggio, la terra che profumava di gelsomino e rose e mughetti.

Nel soffio leggero di Zefiro, i morti erano risorti, uno ad uno, in lenta processione, penitenti d'un Purgatorio senza nebbie.

L'ultima volta era di Maggio.

E, da qualche parte, riverbera ancora l'eco d'un silenzio, d'un profumo, d'uno sfottò.

Torneremo, aveva detto lui, prendendo a schiaffi il destino. Mentendo a se stesso e lasciandoti un peso sul cuore. Una spina di rosa. Quella che lui non colse e ch’ora punge te.
 


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Capitolo 17
*** #17. Era de Maggio II ***


#17 Era de Maggio II


Amor è un[o] desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.
(Jacopo da Lentini,
Amore è un desio che ven da core)


Nun se sana; ca sanata
si se fosse, gioja mia,
mmiezo a st'aria mbarzamata
a guardarte io nun starria!

(Salvatore Di Giacomo, Mario Pasquale Costa,
Era de Maggio, 1885)



L’amante addosso, il miles gloriosus si pavoneggia nell’aia; il puparo si finge pupo.
Ti chiama, t’invoca, ti desidera, cosmo ardente e menzogna sulle labbra.
Ho lei, ora. Lei, che m’è entrata nel cuore, millanta con alate parole, cosicché tu, lassù, lo senta.
Sappia.
E, magari, non gli creda.
Se l’amore è malattia che per gl’occhi affligge l’anima, allora non v’è scampo. Non v’è guarigione.
E in questa notte di tregenda ch’odora di gelsomino nell’acqua fresca di fontana, mentre il teatrino dei pupi va in scena e l’abisso si scoperchia, il tuo, di desiderio, vorrebb'esser sospiro, foss’anche per una volta sola.


Scomodiamo un po' tutti, oggi, da Plauto e Omero a Salvatore di Giacomo.
Se non la si tocca piano - pianissimo - che senso ha toccarla proprio?
Queste note saranno più lunghe della drabble stessa, ma per la seconda e terza parte del trittico mi sono imbarcata per lidi e sentieri cari (probabilmente) solo a me e ad altri Quattro Gatti che si occupano delle paturnie di gente morta da più di mille anni e fa le pulci anche alle loro liste delle spese.
Guardatevi dai filologi. Fatelo per il vostro bene.
Il desiderio, la luce e l’immancabile sospiro sono il nucleo della vicenda, ché spero tutti sappiate cosa sia un puparo e cosa siano i pupi (rigorosamente siciliani, ché manco c’è bisogno dell’aggettivo).
Ma il desiderio non è solamente la brama di qualcosa che non si ha. Questa è una banalizzazione moderna. Il
desio di Jacopo da Lentini è un qualcosa di più sottile. Nel Medioevo ci si incaponiva a dirimere questioni prettamente e squisitamente trascendentali. Tipo: come si realizza la conoscenza? Come si realizza l’amore? E la risposta, quella che apre la passeggiata nei boschi e nella verzura aulentissima (maledetto Petrarca!!), è una e una sola: la luce.
Perché attraverso la luce, noi vediamo.
E, attraverso la vista, capiamo se stiamo tenendo in mano un polipo o una spada o un turacciolo. Ma la questione non si ferma qui.
Desio è forma arcaica di desiderio, che, a sua volta, deriva dal latino
desiderium, sostantivo che fa capo al verbo desidero, formato da de (lett. Giù da) + sidus-ei, stella. Il desiderio è qualcosa che, letteralmente, discende dalle stelle e, attraverso la vista, si pianta nel nostro cuore prima (ecco perché l'amore si genera e proviene dal cuore) e nella nostra mente, poi. Il desiderio è dunque la realizzazione di un qualcosa che proviene dall'alto, dal mondo trascendente attraverso la luce delle stelle, processo che trova compimento nella consideratio (Considerate la vostra semenza etc etc).

Si è soliti classificare a torto (marcio, marcissimo) il Medioevo come una combriccola di Secoli Bui, quand'invece non c'è stato periodo storico che si è incaponito più di questo per quanto riguarda la luce. Nemmeno l'Età dei Lumi, con buona pace di Diderot e soci.
Spero di non avervi tediato, ché la prossima drabble verterà sul fratello minore del desio, il
cossirar. Ché non c'è due senza tre e il quattro vien da sé. Siete avvisati.


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Capitolo 18
*** #18 Era de Maggio III ***


#18 Era de Maggio III


“consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo jorn qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos condus al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!”
(Dante,
Purgatorio, XXVI, 143-147)



E te dico: - Core core!
core mio, turnato io sò
torna maggio e torna ammore,
fa de me chello che vuò!
(Salvatore Di Giacomo, Mario Pasquale Costa,
Era de Maggio, 1885)



È in un frammento d’eternità, prima che tutto taccia - stavolta per sempre - ch’avvengono miracoli e prodigi. I Ritornanti sconfiggeranno la Morte. È proprio dell’uomo rivoltarsi contro le divinità, nella sempiterna lotta tra genitori e figli. Ma anche gl’amanti sfortunati s’incontrano per l’ultimo atto, i pesi e le colpe d’innanzi, in un bilancio sempre in debito, mai in pareggio.
Ricordati di me. Ricorda il mio nome, prega, mentre tutto crolla, nell’ultimo, fatale abbraccio; un sussurro di sabbia e sole nell’aria tiepida di maggio. Ricorda quanto m’è costato perderti.
Stavolta non tornerà. Lo sapete entrambi. Eppure lo speri lo stesso ch’abbia torto.


Per la rubrica “Occupiamoci di gente morta e delle loro paturnie”, oggi prendiamo in esame il termine cossirar, che arriva dritto dritto dal provenzale. Come per desio/desiderio, cossirar ha genesi dal latino cum + sidus.
Se volessimo fare un altro passo all’indietro (sì, che lo volete. Non negatelo.), l’indoeuropeo ha
*kom < cum che si traduce con “insieme/presso”, mentre sueid/ueid è alla base della parola sidus,-ei, stella, che rimanda tanto al concetto di splendore, brillantezza, chiarore, quanto al concetto di vista (*ueid < ἰδεῖν) che è alla base sia di ιδέα che di εἶδος (aspetto, forma, cosa vista). Considerare, dunque, significa “fissare attentamente gli occhi del cuore su qualcosa, come quando si fissano le stelle”.
No, non ridete: “gli occhi del cuore” sono una trovata di Paolo da Tarso (Efesini 1:18). Non pigliatevela con gli sceneggiatori cani di Boris. Pigliatevela con lui. E buona fortuna.
Considerare e Considérer sono le versioni derivate dal latino per la lingua italiana e quella francese, ma in provenzale facciamo un passo in più rispetto al trittico “riflettere, valutare, ponderare”: in provenzale cossirar fa tutto il giro (della morte. Triplo) e si colora della sofferenza, del rimpianto e del dolore propriamente espresso nella lirica occitanica. È sempre pensiero (che dà per li occhi una dolcezza al core), ma pensiero amoroso (quasi sempre venato di languore e quasi mai piacevole).
È l’alloda che si perde in se stessa e brama fondersi nel sole (Bernart de Ventador).
È un sentimento che scuote il cuore e si intreccia al desiderio (Rimbaut d’Aurenga).
È la consapevolezza dolorosa delle proprie follie terrene (Arnaut Daniel per bocca di Dante).
Rimpianto, quindi. Rimorso, forse. Melanconia, non proprio.
Ma il
cossirar spalanca le porte al morire in quel languore e in quella tenerezza che saranno proprie della lirica cortese (uno per tutti, Tristano).
Forse è un filo troppo pretendere che Maskuzzo, in punto di morte, davanti al Muro del Pianto, si voglia fondere nella sua signora come fa l’alloda col sole; ne prendo atto. Ma siate gentili, e chiudete un occhio, per carità!



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