La Leggenda Errante di Diapason

di Caroline94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Requiem ***
Capitolo 3: *** Patientia ***
Capitolo 4: *** Foederis ***
Capitolo 5: *** Profectionem ***
Capitolo 6: *** Travel ***
Capitolo 7: *** Nuptialem ***
Capitolo 8: *** Dies primus ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“…con amore, rispetto, onestà ed obbedienza…”
Non poteva ancora credere che i suoi genitori avessero permesso quello! Avevano anche solo la benché minima idea della vita a cui la stavano condannando?
“…con la promessa di essere sempre fedeli l’uno all’altra e di regnare con saggezza e parsimonia nel nostro regno, come si conviene a due Imperatori…”
Col cavolo, lei stava per prendere i voti di Ministrante!
“…giurate di unirvi sotto questo cielo, questa luna e questo sole nel sacro vincolo del matrimonio…”
La sua mano, stretta intorno a quella di lui dal nastro di seta bianco, ebbe uno spasmo ma il suo viso rimase impassibile.
“…e di restare uniti per sempre, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non vi separi?”
E fu solo una parola, pronunciata all’unisono da entrambi, a segnare per sempre la sua vita.
“Lo giuro”
 
 
 
 
Spazietto coccoloso:
quando vidi per la prima volta Angel’s Friends pensai che fosse la solita solfa pallosa sull’amore proibito tra un angelo e un demone, stile Twilight.
Sono stata la prima a stupirmi quando ho capito che mi piaceva. Quando ho letto il fumetto, poi, ero tipo omino con gli occhi sbrilluccicosi che vomita arcobaleni.
Questo, unito alla mia passione per i fantasy-storici vecchio stile, non poteva farne uscire nulla di buono.
Spero che vi piaccia comunque e che non decidiate di linciarmi.
Caroline

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Capitolo 2
*** Requiem ***


Il sole volgeva a mezzogiorno, illuminando le chiome degli alberi nel bosco ai confini della città. La piazza fremeva di attività dovute al mercato mattutino, lunghe file di bancarelle occupavano i margini delle strade: pescherie, fruttivendoli, gioiellieri, venditori di pellicce, calzolai… donne in tenute povere o sfarzosamente vestite si aggiravano tra i banchi, chi solo per guardare e chi intente a contrattare prezzi. Una donna con un modesto abito azzurro stava discutendo del prezzo di una collana di opali con un gioielliere delle miniere del sud mentre un giovanotto, con già due sacchetti pieni tra le mani, si guardava curiosamente intorno.
Oltre tutto quel trambusto, giù dove finiva il sentiero, una macchia di vegetazione che si estendeva per iarde segnava la presenza di un bosco ai margini della valle. Lo si chiamava bosco perché non la si poteva definire foresta, per quanto potesse essere grande: gli alberi da frutto crescevano con regolarità lasciando ampio spazio intorno a sé, fiori, funghi e bacche di ogni genere si trovavano sui margini dei radi sentieri e tra le radici degli alberi. Un colibrì volò oltre la chioma di un melo per immergersi nel folto della piantagione, accompagnato dai canti degli uccelli intorno a sé.
Non lontano dal limitare del bosco, sotto un grande ciliegio, un uomo riposava poggiato al tronco della pianta; non poteva avere più di trentacinque anni: i capelli castani tendevano al bianco e la barba rasata gli dava un aspetto poco più giovane. Indossava una semplice divisa di pelle nera con una giacchetta marrone che gli aderiva perfettamente al corpo e degli stivali alti quasi fino al ginocchio. Adagiata accanto a sé vi era il fodero di una spada dall’elsa d’argento che riposava pigramente sull’erba. Le foglie del ciliegio si mossero lievemente, sebbene non vi fosse un alito di vento ma l’uomo non aprì nemmeno gli occhi benché fosse sveglio e vigile. Le foglie si mossero di nuovo ed un ramo scricchiolò, seguito da un sospiro.
Stavolta l’uomo non restò indifferente ma aprì piano un occhio e alzò lo sguardo verso le fronde da cui cadevano petali, danzando lentamente nell’aria come una pioggia di morbidi coriandoli rosa e profumati.
“Principessa?” chiamò, non ottenendo però risposta. Svelto si alzò, poggiandosi al tronco con le mani e cercando di scorgere l’esile figura della ragazza in quel tripudio di fiori. “Principessa, state bene?” chiese, mentre sentiva l’ansia salire: in un attimo di panico credette che la giovane fosse rimasta impigliata tra i rami, ma uno schiocco secco lo fece sussultare seguito da un’esclamazione di trionfo. Un attimo dopo qualcosa piovve giù dai rami a velocità preoccupante. L’uomo fece appena in tempo ad allungare le braccia che si ritrovò a sorreggere la ragazza.
La principessa aveva poco meno di tredici anni, una lunga chioma bionda ad ornarle il capo e grandi occhi azzurri. Indossava un vestito semplice, verde, con diversi strati di stoffa trasparente poggiati l’uno sull’altro, creando un effetto vedo-non-vedo molto elegante, mentre il corpetto senza maniche era un incrocio tra il verde e l’azzurro chiaro. La ragazza si tolse i capelli dal viso, nel quale erano rimasti impigliati diversi fiori e qualche rametto, e guardò l’uomo che la scrutava severamente.
“Oh” rispose “Scusa, Adrë.”
L’uomo sospirò e la mise giù, con delicatezza: “È pericoloso, avreste potuto farvi male” la rimproverò. La ragazza sorrise a mo di scusa e osservò il grande fiore violetto che stringeva tra le mani: “Però sono riuscita a prenderlo” rispose, raggiante.
Adrë sembrò sul punto di dire qualcosa ma cambiò idea e si piegò a riprendere la spada per riallacciarsela alla cintura “Sarà meglio tornare a palazzo, si sta facendo tardi” disse.
Raf annuì, prese il cesto pieno di fiori e piante fino a quel momento poggiato sull’erba e vi mise con cura quello appena colto, per poi affiancare l'uomo lungo il sentiero che portava alla città dove i loro cavalli li aspettavano legati ad un arbusto. Due uomini in tenuta militare erano seduti su una roccia lì accanto, persi a in un'allegra conversazione: alzarono lo sguardo alla vista dei due e scattarono in piedi, riprendendo la compostezza che si addiceva a due membri della guardia reale.
“Torniamo indietro, altezza?” domandò uno dei due.
“Sì” rispose semplicemente la ragazza, avvicinandosi al proprio cavallo: una puledra bianca dalla chioma argentea, in netto constrasto con i tre destrieri al suo fianco dal manto marrone. Adrë la prese per la vita e la mise in sella, sciolse le briglie e montò sul suo cavallo, affiancando la ragazza che si addentrava nella cittadina con le due guardie al seguito, poste ai loro lati.
La folla nel mercato si ritirava ai lati delle strade per permettere alla comitiva di passare, alcuni uomini e donne dell'alta borghesia si inchinavano brevemente di fronte la giovane fanciulla, altri si limitivano a guardare, altri ancora continuavano le loro compere indifferenti.
Non era raro vedere la giovane principessa di Angie Town in città, sempre con la sua fidata guardia del corpo al proprio fianco e uno o due membri della guardia reale a proteggerla; chi frequentava assiduamente le strade principali, per lavoro o per compere, incrociava il suo cammino abitualmente ma erano in pochi a poter vantare di aver fatto due chiacchiere con lei.
Nonostante uscisse spesso a Raf non era consentito rivolgere troppe confidenze agli abitanti del regno, più per un fattore di sicurezza che altro (per lei la regola “Non accettare le caramelle dagli sconosciuti” era molto più rigida ed estesa) però, complice la costante vigilanza di Adrë, era riuscita a farsi qualche amico tra i mercanti. Uno di quelli era Corebo, l'erborista del regno, con cui Raf si intratteneva spesso e volentieri: l'uomo aveva quasi sessant'anni ma ne dimostrava molti di meno, aveva passato metà della sua vita a viaggiare in lungo e in largo per il mondo a studiare le piante e i fiori dalle proprietà curative; conosceva qualunque rimedio naturale e preparava ogni sorta di miscuglio e composto con le erbe medicinali, senza contare che era un pozzo senza fondo di storie e leggende. La giovane rimaneva incantata anche per ore, seduta dietro la sua bancarella, ad ascoltare i resoconti dei suoi viaggi e ad assimilare ogni sorta di conoscenza sulle piante medicinali, di cui era una grande appassionata.
Sorrise quando scorse il suo banco sul ciglio della strada, vicino al negozio di seta di proprietà del genero (il marito della sua unica figlia), che aveva come posto fisso da anni.
“Buongiorno Corebo” salutò. Egli alzò lo sguardo dal libro che stava pigramente leggendo e scorse l'allegra brigata: i suoi occhi grigi sembravano più stanchi del solito ma ricambiò il sorriso della giovane da dietro la lunga barba argentea, si tolse la pipa dalla bocca e chinò lievemente il capo.
“Buongiorno, principessa” rispose. Raf fermò il proprio cavallo, seguita immediatamente dalla propria scorta.
“Ho saputo di vostra figlia” disse, decisamente più seria “Come sta ora?”
Il sorriso sul viso di Corebo si affievolì un po' ma non diede alcun cenno di malessere “Decisamente meglio rispetto ai giorni passati” rispose “Ma non dovete preocuparvi, non è nulla di grave.”
Raf scorse l'ombra dietro ai suoi occhi ma non aggiunse nulla “Spero che si rimetta presto, portatele i miei saluti.”
L'uomo annuì “Lo farò, vi ringrazio.”
Raf sorrise lievemente e riprese il proprio cammino, con un peso in più nel cuore.
Era una splendida giornata di sole primaverile, il cielo era limpido e senza nuvole e la capitale era animata dal solito fermento giornaliero. A fare da sfondo all'agglomerato di case e costruzioni varie vi era l'imponente Palazzo Celestiale, erto sopra la collina alle spalle della città, dimora della famiglia reale fin dai tempi antichi. Il castello si estendeva per metri e metri, con torri altissime e splendide vetrate, il tutto dipinto sulle note di un bianco purissimo; i giardini che costeggiavano la reggia si protraevano per chilometri e ospitavano alberi da frutto, piante, fontane e gazebi di ogni sorta.
Ed era proprio lì che erano diretti a passo svelto.
Con all'incirca quaranta minuti di cammino ci si poteva trovare davanti i cancelli del palazzo, prontamente aperti dalle sentinelle alla loro vista. Le due guardie si congedarono per recarsi verso l'armeria mentre Raf e Adrë si diressero nelle scuderie.
La ragazza saltò giù dal proprio cavallo prima ancora che questo si fermasse, guadagnandosi un'occhiataccia dall'uomo, e prese il cestino di vimini.
“Io vado, Adrë” salutò, uscendo dalla stalla a passo svelto.
“A più tardi, principessa. Non correte” si raccomandò lui, prendendo le redini della puledra.
Raf fece il giro del palazzo, attraversando i giardini e il vialetto coperto di ghiaia, entrando dalla porticina che portava alle cucine, attarversandola velocemente e sgraffignando un bigné alla crema da uno dei vassoi per placare il languorino aveva ormai da un po'; mancavano ancora un paio d'ore al pranzo e non le era concesso toccare cibo fuori dai pasti per non intaccare la sua dieta equilibrata e salutare che le permetteva di mantenere quel fisico invidiabile “degno di una principessa”, a detta di sua madre. Uscì da una delle tante porte che circondavano la stanza e attraversò il corridoio, salendo una lunga scala a chiocciola: in cima ad essa vi era un portone di legno nero dall'aria antica a cui lei bussò due volte.
“Avanti” esalò una voce all'interno, calma e profonda. La ragazza spinse una delle ante e si ritrovò in un'ampia stanza circolare: alti scaffali colmi di libri arrivavano fino al soffitto e coprivano quasi tutte le pareti. Un'unica finestra donava luce alla stanza, posta proprio di fronte alla porta, e un grande tavolo pieno di pesanti libri e pergamene era posizionato al centro della stanza. Davanti ad esso, chino a leggere una lunga pergamena, vi era un uomo: era molto alto, con lunghi capelli blu che quasi gli arrivavano alle caviglie e un pizzetto del medesimo colore sul mento; un paio di occhiali rotondi facevano capolino sul naso regalandogli un'aria austera e saggia.
“Ah, Raf” esclamò, alzando lo sguardo e vedendo la ragazza sulla porta “Arrivi giusto in tempo. Vieni, entra.”
Arkan era il Ministrante di suo padre, il re di Angie Town.
Un Ministrante era il consigliere personale di un sovrano, una persona con una preparazione culturale eccellente in molti ambiti; Raf studiava sotto le sue direttive fin da quando aveva cinque anni proprio per diventare, un giorno, Ministrante di Angie Town. Non aveva altre alternative in quanto secondogenita della famiglia: suo fratello maggiore sarebbe diventato re del paese, un giorno, e lei la sua consigliera.
Erano queste le tradizioni e la cosa non le dispiaceva affatto. Non era mai stata molto legata ai doveri di corte, se doveva essere sincera: i balli, le feste, i gala e le cerimonie l'annoiavano a morte; vedeva sua madre sempre perfetta e sorridente, sempre altera e con indosso quegli ingombranti vestiti che seguivano la moda odierna, incastrata in lunghissimi incontri con nobili e sudditi, e si sentiva estranea a tutto quello. Una volta diventata regina non eri più una donna ma un trofeo, un oggetto, qualcosa che serviva a sfornare eredi e perfetta da sfoggiare durante i grandi eventi. Purtroppo, per quanto perfetta esteteticamente ed economicamente, Angie Town peccava di cultura con un sistema estremamente patriarcale: suo padre e i nobili erano molto ligi a quella tradizione, sentivano di dover prendere tutte le decisioni da soli, delegando le mogli e le figlie a far chiacchiera nei salotti mentre loro prendevano in mano le redini del regno. Vi era una sola eccezione all'interno di quel sistema misogino e si svolgeva solo all'interno della famiglia reale, ovvero la posizione di Ministrante. Anche se, in quel caso, la cosa aveva comunque la sua bella dose di maschilismo: al trono poteva salire solo l'erede maschio, in assenza di quest'ultimo avrebbe governato il marito della principessa ereditiera, anche se apparteneva ad un regno diverso; se nascevano due maschi il primogenito sarebbe diventato re e il secondogenito Ministrante; se nascevano un maschio ed una femmina (come nel loro caso) l'età non veniva presa in considerazione poiché ad ereditare il trono sarebbe stato comunque il principe. Poi vi erano una lunga sfilza di altre mansioni a cui delegare altri ipotetici figli, al di fuori dei due prediletti, che comprendevano il cavalierato, il monastero o semplicemente il matrimonio combinato con altri nobili per rafforzare o creare alleanze tra più stati.
Sì, Raf doveva ammettere di essere stata fortunata, sebbene anche essere Ministrante comprendeva la sua bella dose di responsabilità dovendo praticamente contribuire a governare il regno, aveva comunque delle libertà particolari; una di queste era il divieto di sposarsi, onde evitare che la vita familiare le impedisse di svolgere i propri doveri o che il futuro marito ordisse intrighi ai danni del regno o della famiglia reale per trarne vantaggio, e l'ultima cosa che Raf voleva era essere il trofeo di qualcuno. Oltretutto lei amava studiare, adorava sopratutto la storia, la medicina e l'alchimia, cose che non avrebbe mai potuto apprendere come semplice principessa, e amava passare del tempo nei boschi a studiare le piante e i fiori insieme ad Adrë o ad Arkan.
Si chiuse la porta alle spalle e avanzò nella stanza, poggiando il cestino pieno di erbe sul tavolo. Arkan chiuse la pergamena e si sedette, con un sospiro stanco, pulendo gli occhiali con un panno pulito: conosceva quell'uomo fin da quando era nata dato che era stato proprio lui a presidiare nelle stanze di sua madre per tutte le sei lunghe ore di travaglio, dando direttive alle cameriere per affrontare il parto, esattamente come aveva fatto con suo fratello; era stato un mentore per lei ma prima di ogni altra cosa anche un padre, considerato che il suo lo vedeva raramente essendo molto preso dai suoi doveri di regnante. L'aveva sempre trattata con amore e la giusta dose di severità, sebbene non appartenesse alla famiglia (suo padre era figlio unico), e Raf non poteva minimamente immaginare una vita senza di lui.
“Mi dispiace, Raf, ma temo che oggi non potremo fare lezione” la informò lui, ripoggiando le lenti sul naso “Ho un colloquio con il re e non so quanto tempo durerà” spiegò, con la sua solita calma, sebbene non riuscisse a nascondere l'ombra scura nei suoi occhi: evidentemente c'era qualcosa che non andava. “Considerala pure una giornata libera” concluse, con un sorriso, cercando di suonara affabile. Raf capì che doveva esserci qualcosa sotto, qualcosa che lui non voleva dirle per non allarmarla, e sebbene avesse molte domande da porre decise di restare in silenzio per non appesantire la situazione. Annuì, quindi, e si congedò dirigendosi verso la propria camera.
Effettivamente non aveva molto da fare, buona parte delle sue giornate le dedicava allo studio e in determinati giorni della settimana sua madre le faceva fare lezioni di danza, canto e cucito in quanto, nonostante il suo futuro fosse stato già deciso da prima che nascesse, non doveva mai dimenticare di essere comunque una principessa. Non che le dispiacesse cantare, ma il cucito proprio non lo reggeva.
Sospirò e suonò uno dei campanelli vicino la porta per chiamare una delle sue cameriere personali, iniziando a togliersi il vestito sporco di erba e terriccio. La donna arrivò in meno di qualche minuto, bussando elegantemente alla porta, e quando entrò Raf le chiese di prepararle il bagno senza troppi complimenti: si sentiva stanca e piuttosto sporca, un bel bagno caldo le avrebbe fatto più che bene. Tuttavia, al contrario di sua madre che necessitava minimo di tre persone che l'aiutassero a lavare i suoi lunghissimi capelli, Raf teneva alla propria privacy ed era convinta che una cameriera fosse già troppo, non a caso era sempre la stessa da anni: la donna (una giovane di quasi trant'anni che lavorava al palazzo da quando ne aveva otto) le preparava la vasca, l'aiutava a lavare e ad asciugare i capelli e, quando doveva indossare abiti particolarmente sontuosi, anche a vestirsi poiché lei non riusciva mai a racapezzarsi tra corpetti, gonne, sottogone e cerchi. In pratica era l'unica delle cameriere ad averla vista nuda, fino a quel momento, le altre erano delegate ad altri tipi di mansioni: c'era chi le lavava e le stirava i vestiti, chi le cambiava le coperte e le metteva in ordine la stanza, c'era addittiura chi andava in città a fare la sua spesa personale... e poi c'era Urié. Quest'ultima aveva undici anni, aveva la pelle ambrata e grandi occhi verdi, ed era la sua dama da compagnia a tutti gli effetti: dormiva nella camera accanto alla sua ed era l'unica amica che le fosse concesso avere, sebbene Raf avesse diverse conoscenze in tutto il palazzo di nascosto dai genitori.
Era una delle poche persone con cui lei sapeva di potersi confidare e poter parlare liberamente di qualunque cosa, aveva la sua completa fiducia. Chiuse gli occhi e si rilassò mentre sentiva le mani di Ruàn massaggiarle delicatamente la cute, intrisa di sapone.
“Sembrate molto stanca, oggi” notò la donna, grattando leggermente dietro le orecchie “Vi siete divertita?”
Raf annuì piano, lasciando che l'acqua calda e profumata dai sali le lambisse il corpo.
“Sono del parere che una giornata di pausa vi farà bene” continuò lei “State studiando tanto, ultimamente, è giusto che vi rilassiate un po'.”
La ragazza annuì di nuovo, sperando che in quel giorno di rilassamento la noia non la ammazzasse, e aprì piano un occhio: “Credo che stia succedendo qualcosa di particolare” ammise d'un tratto, folgorata da un'idea “Arkan sembrava piuttosto preoccupato quando ha parlato della riunione con mio padre. Sai di che si tratta?” chiese.
La donna esitò un attimo: “Solo voci di corridoio, principessa” rispose lei, leggermente turbata “Far parte della servitù ha i suoi vantaggi quando si tratta di pettegolezzi ma non so dirvi se le voci siano fondate e non vorrei allarmarvi inutilmente.”
Raf ci rimuginò per un momento, poggiando le mani sulle proprie ginocchia “Capisco” rispose, infine, cercando di apparire tranquilla sebbene le sue parole avevano solo aumentato il suo stato di ansia: perché mai quelle voci avrebbero dovuto “allarmarla”? Cosa dicevano di tanto preoccupante?
Ruàn iniziò a sciacquarle i capelli, lasciando che l'acqua calda si portasse via tutta la schiuma e finissero nel piccolo scarico situato nel pavimento, proprio dietro la vasca, poi li strizzò ben bene, iniziò a tamponarli con un asciugamano e infine li pettinò.
Erano già quasi asciutti quando Raf uscì dalla vasca e si rivestì. Ruàn si congedò dopo aver rimesso in ordine il bagno e la ragazza si sedette nell'angolo della stanza, accanto alla finestra, sul piccolo sgabello imbottito posto davanti alla grande arpa dorata: le aveva insegnato sua madre a suonarla, più come hobby che per altro, e ogni tanto si esercitava con essa quando aveva del tempo libero.
Non aveva nulla da fare, quel giorno, e il pensiero che stesse succedendo qualcosa di preoccupante nel regno non riusciva proprio ad abbandonarla. Angie Town aveva sempre seguito una politica puramente pacifista, fin dalla nascita del regno. A macchiare quell'onere vi era l'ombra di una sola guerra nella storia dell'Impero, avvenuta più di mille anni prima e durata quasi dieci anni, con un regno al di là delle Terre Rosse e ancora oggi esistente: Zolfanello City, una terra avvolta nel mistero, fondata su una costa nera e lambita dal mare.
Le cronache non erano molto dettagliate a causa del tempo, che aveva fatto perdere molti scritti e testimonianze, l'unica cosa certa è che la guerra non venne vinta da nessuna delle due fazioni. Il motivo era ignoto, tutto ciò che si sapeva di quella storia era mischiato alla leggenda: mentre le truppe si scontravano in un ridosso a sud delle Terre Rosse, l'allora regina di Zolfanello City si gettò dalla rupe che dava sul campo di battaglia, offrendo la propria vita agli dei in cambio della pace tra i due regni. Gli dei, commossi dal gesto, fecero cadere dal cielo una pioggia rossa e azzurra che, scivolando sul corpo della donna, fece sbocciare un'infinità di papaveri rossi. I soldati gettarono quindi le armi e i due re stipularono un'accordo di pace perenne che mantenevano ancora oggi.
Ovviamente la storia era da prendere con le pinze, l'unica cosa certa è che non ci furono né vincitori né vinti in quella guerra ma solo molte vite umane spezzate. Scosse la testa per scacciare quel senso di nausea e pesantezza che le opprimeva lo stomaco e pizzicò delicatamente le corde dell'arpa, creando una breve melodia in scala minore.
Doveva solo stare tranquilla, era sicura che suo padre avrebbe gestito perfettamente la situazione qualunque essa fosse, non aveva nulla di cui preoccuparsi. Suonò per un'altra decina di minuti degli accordi base, giusto per non perdere la mano, e andò avanti con piccoli pezzi di suonate via via sempre più complicate finché uno dei maggiordomi non venne a riferirle che entro dieci minuti avrebbero servito il pranzo. Raf fece una smorfia e, abbandonato lo strumento, iniziò a prepararsi: infilò un'abito azzurro di broccato, rigorosamente senza bustino, e si raccolse i capelli in una crocchia bassa che chiuse con una retina, prima di uscire dalla propria camera; sua madre ci teneva in modo quasi morboso a vederla sempre in ordine e perfetta, per questo ogni volta che doveva presentarsi davanti a lei si premurava di avere un aspetto quantomeno decente.
Era decisamente noioso vestirsi e svestirsi ogni volta ma sua madre avrebbe fatto il diavolo a quattro se si fosse presenata a tavola con un abito sciatto o i capelli sciolti. L'unica cosa positiva di quella situazione era che, fortunatamente, vedeva i membri della sua famiglia abbastanza di rado a causa degli impegni a cui tutti erano soggetti. Voleva loro molto bene, ovviamente, e su questo non ci pioveva, ma molto spesso la loro compagnia era davvero pesante.
Attraversò il salone e si ritrovò nel grande corridoio che portava alla sala da pranzo con, ferme dinanzi al portone, due guardie reali nella loro tenuta ufficiale.
Sorrise quando li raggiunse e fece un cenno col capo all'uomo sulla sinistra “Brent” salutò, per poi rivolgersi al compagno, e il suo sorriso divenne più ampio “Ron, ho saputo che vostra moglie ha partorito. Congratulazioni.”
L'uomo sorrise a sua volta e chinò lievemente il capo, poggiando una mano sulla maniglia del portone “Grazie, principessa” mormorò, aprendola. Il fatto che Raf fosse il membro più amato della famiglia reale, tra coloro che vivevano a corte, non era certo un caso: lei, a dispetto del suo parentado che manteneva il distacco sociale come da protocollo, aveva sempre avuto una certa confidenza con tutti coloro che frequentavano assiduamente la corte, in barba alle regole. Era stato uno dei primi insegnamenti di Arkan: “Un re non esiste senza il suo popolo”, e lei era dell'opinione che trattare con diffidenza i propri sudditi solo perché di una scala gerarchica differente fosse ingiusto oltre che terribilmente controproducente.
Raggiunse la lunga tavolata a piccoli passi, la schiena dritta e la mano che reggeva delicatamente la gonna, e si sedette al centro esatto del mobilio, sulla destra, proprio di fronte a suo fratello già intento a mangiare. Accanto alla propria sedia era ferma Urié, rigida e con le mani giunte sulla gonna, con cui si scambiò una breve occhiata d'intesa. Sua madre, seduta a capotavola che dava le spalle alla porta, stava leggendo un rotolo di pergamena che recava il sigillo ufficiale della nazione, con un lungo abito verde scuro e una mantellina nera che poggiava sulle estremità sui braccioli; i capelli biondi erano stati pettinati in una lunga treccia che aveva poi raccolto alla base del capo. Sempre perfetta e impeccabile, come da etichetta.
La donna non alzò neanche gli occhi su di lei ma a Raf bastò sentire il tono tagliente della sua voce per immaginare un suo ipotetico sguardo: “Sei in ritardo. E non indossi il bustino” la rimproverò.
La ragazza si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e lasciò che il maggiordomo le servisse un piatto di pollo e piselli senza dire una parola; aveva imparato a non replicare ai rimproveri della madre, sarebbe sempre stato fiato e tempo sprecato. Prese coltello e forchetta e iniziò il suo pasto, nel silenzio più assoluto, almeno finché la donna non finì di leggere la missiva e la arrotolò accuratamente, porgendola alla sua cameriera personale, ferma accanto a lei, che, dopo essersi inchinata brevemente, uscì dalla sala. La regina alzò lo sguardo sui propri figli e si schiarì elegantemente la voce: “Fra una settimana esatta riceveremo visite importanti” annunciò, seria, attirando l'attenzione di entrambi “Abbiamo in corso una trattativa con il sovrano di Zolfanello City e suo figlio, il principe, verrà fin qui per fungere da tramite” spiegò, facendo un cenno con la mano alla sua sinistra: il maggiordomo si avvicinò e tolse le stoviglie dal suo posto, poggiandole sotto il carrello portavivande, ben nascoste da una tovaglia, e iniziò a preparare una fetta di torta alla melassa.
“Che genere di trattative?” chiese Raf, sospettando che il tutto c'entrasse con la riunione straordinaria del consiglio e le notizie allarmanti che giravano per i corridoi del castello.
“Il loro regno sta passando un momento difficile” rispose la madre, abbassando lo sguardo per sistemare meglio il piatto con il dolce davanti a sé “Il re ha chiesto il nostro aiuto per superare questa crisi e vostro padre ha accettato. I particolari non devono interessarvi” tagliò corto, prendendo il cucchiaio “Tutto ciò che voglio è che vi comportiate dignitosamente e non ci facciate fare alcuna figura barbina. E per evitare ciò, Raf, da domani e fino al loro arrivo prenderai regolarmente lezioni di danza e ti eserciterai constantemente con l'arpa” ordinò, facendole sgranare gli occhi.
“Perché?!” chiese, allibita, dimenticando per un momento il decoro a cui doveva essere soggetta. Urié, che le stava riempiendo il calice con del succo di mela, s'irrigidì e le tirò un calcio da sotto il tavolo.
Sua madre assottigliò lo sguardo, evidentemente infastidita da quella reazione del tutto priva di contegno e ubbidienza. “Perché...” cominciò, con tono basso e lento “...anche se tendi a dimenticarlo molto spesso, resti comunque una principessa e devi comportarti come tale. Ospiteremo a palazzo l'erede al trono di uno dei più grandi imperi al di là delle Terre Rosse, il minimo che puoi fare è dimostrarti un degno membro di una famiglia reale.
Senza contare che organizzeremo un banchetto di benvenuto a cui parteciperà tutta la corte e se il principe ti chiederà di danzare tu lo farai, e lo farai bene” spiegò, rimarcando con forza l'ultima parola, riferendosi al fatto che in quanto a ballare la ragazza era disgraziatamente impedita “E con questo ho chiuso” concluse, concentrandosi sulla propria fetta di torta, facendo ben intendere che la conversazione era finita e non sarebbero state ammesse repliche di alcun genere, con grande disappunto di Raf.
Sarebbe stata una settimana decisamente infernale.




Arkan non poteva ancora credere a quello che aveva udito uscire dalla bocca del re. Per un attimo aveva pensato, sperato, di aver sentito male... e invece le sue orecchie non lo avevano ingannato, portandolo dinnanzi ad un'atroce realtà. Non era preparato ad una notizia del genere, non era previsto che accadesse una cosa simile, era un'eventualità che nessuno aveva mai preso in considerazione.
Eppure il re aveva accettato, senza indugiare troppo, pensando sin dall'inizio ai benefici che ne avrebbero tratto al livello politico ed economico e non tenendo minimamente conto delle conseguenze. Non aveva pensato a come avrebbe potuto sentirsi lei una volta scoperto tutto ciò.
Aveva provato ad obbettiare, ad avanzare altre soluzioni che non prendessero in considerazione una soluzione così drastica, ma il consiglio era stato irremovibile: nessuna trattativa scritta avrebbe potuto ottenere un risultato migliore di un matrimonio.
Purtroppo erano molto scettici riguardo quell'alleanza, nonostante l'accordo di pace stipulato centinaia di anni or sono i rapporti tra Angie Town e Zolfanello City erano sempre stati molto tesi, tanto da rendere quasi impossibile qualunque trattativa politica e commerciale tra i due stati. Molti ministri temevano un tradimento, una ritorsione personale, se non addirittura una seconda guerra.
Esagerazioni, a parer suo: se Zolfanello City avesse voluto far loro guerra avrebbe potuto farlo in qualunque momento, non avrebbe mai chiesto il loro aiuto in un momento per loro tanto delicato e non li avrebbe, a sua volta, aiutati durante la grande carestia che aveva colpito il paese trent'anni prima. Quello non era altro che una restituzione del favore, un aiuto per un aiuto, che non nascondeva nulla di intentato. Ma l'ultima parola non spettava a lui e i sovrani di entrambe le fazioni avevano ormai fatto la loro scelta, nulla avrebbe impedito il compiersi di quella decisione.
Sospirò, camminando a passo lento per gli immensi corridoi del palazzo, assorto nei propri infausti pensieri. La sua mente andò alla protagonista di quella storia, ancora ignara della sorte che altri avevano deciso per lei, e gli si strinse il cuore: l'aveva educata ed amata come una figlia, l'aveva vista nascere e crescere, e saperla tutta sola in un paese sconosciuto e circondata da estranei, sapere che non avrebbe più visto il suo volto sorridente e che non avrebbe più fatto lezione con lei gli faceva male. Ma non era un dolore fisico, era un dolore emotivo che lo toccava nel profondo.
La cosa peggiore di tutta quella faccenda era che avrebbe dovuto essere proprio lui a darle la “lieta notizia”, e non sapeva se ne avrebbe avuto la forza.
Entrò nella propria stanza e si chiuse la pesante porta alle spalle con stanchezza, come se avesse perso tutta l'energia che aveva avuto in corpo fino a quel momento in quell'unica, interminabile e infernale riunione. Si abbandonò sul letto massaggiandosi le tempie e chiuse gli occhi, deciso a riposare un po' prima di dover compiere al suo triste dovere, come era giusto che fosse.






























Note:
E chi è quella in un ritardo bestiale che si meriterebbe i peggiori insulti? Io, ovvio.
Non vi dico neanche cosa mi è successo in 'sti tre anni altrimenti inizio ad imprecare, e la cosa potrebbe risultare molto poco elegante, spendo solo due parole su questa storia che ha più volte rischiato la cancellazione in questo lunghissimo lasso di tempo.
Ebbene, tanto per cominciare l'idea attuale è un bel po' diversa da quella che avevo in mente quando ho iniziato a scriverla. Il mio modo di scrivere è maturato, io sono maturata, e ho deciso di far diventare questa storia qualcosa di più della mera favoletta d'amore tra principi e principesse che avevo pensato all'inizio.
Mi sono documentata tanto, ho attinto da diverse fonti storiche e mi sono ispirata anche ad alcuni personaggi d'epoca per arrivare ad un risultato che mi soddisfasse tanto da dire “Ok, tutto questo merita di esistere.”
Una delle più grandi differenze è senza dubbio l'età dei personaggi: inizialmente dovevano essere quelli del cartone animato e avere tutti all'incirca diciotto anni ma, alla fine, ho optato per usare quelli del fumetto che, in quanto ad età, sono decisamente più realistici per i canoni dell'epoca in cui è ambientata. Quindi Raf ha all'incirca tredici anni e sarà questa l'età con cui convolerà a nozze: anche se al giorno d'oggi la cosa è abbastanza scandalizzante, nel contesto storico del racconto è perfettamente normale.
Ci tengo a precisarlo ora giusto per evitare commenti fuori luogo e indignazioni varie che mi è già capitato di leggere altrove. Ovviamente non dubito delle vostre capacità di contestualizzare un racconto, ma meglio prevenire che curare. Ve voglio bene a tutti e lo sapete.
Beh, detto questo spero di non aspettare altri due/tre anni per pubblicare il prossimo capitolo, con me non si sa mai (purtroppo).
Baci.

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Capitolo 3
*** Patientia ***


“E un, due, tre. Un, due, tre... sguardo alto, principessa, e ricordate che dovete seguire il vostro cavaliere non guidarlo. Avanti, tutto da capo.”
Raf sospirò stancamente, lasciando andare il suo sventurato compagno di ballo, e si rivolse alla donna in piedi accanto la finestra dello studio.
“Non possiamo fermarci un minuto?” supplicò, esausta: erano ore che si esercitava, piedi e caviglie le facevano davvero male e il corsetto le rendeva sempre più complicato respirare correttamente. Sua madre la costringeva ad indossare abiti dalle gonne ampie e tacchi alti durante le lezioni di danza, così che facesse pratica nelle vesti formali e non si ritrovasse impreparata sulla pista vera e propria. Una vera e propria tortura per lei che, più di una volta, aveva rischiato di rompersi qualcosa inciampando nella sua stessa gonna.
La Duchessa Esmeralda du Evangeline, sua insegnante di ballo ufficiale, aveva già fatto un cenno con la mano alla sua destra dove, seduta al tavolino che ospitava il grammofono, vi era sua figlia pronta a farlo ripartire. Miki aveva solo nove anni, era una ragazza paffutella ed esuberante, eppure aveva già sfoggiato in più di un'occasione un carattere forte e anticonformista: proprio come Raf, detestava la mondana vita di corte e tutte le noiose riverenze che comportava. Forse era proprio per quello che loro due andavano tanto d'amore e d'accordo. Anche in quel momento dimostrava quanto poco le facesse piacere trovarsi lì: praticamente gettata sulla poltrona e con la testa abbandonata sul tavolino, in un chiaro segno di quanto a morte si stesse annoiando, con grande disappunto di sua madre. Quest'ultima, dal canto suo, si aggiustò il ciuffo di capelli corvini che le ricadeva morbidamente sulla fronte, con sguardo severo. “Non possiamo permetterci pause, vostra altezza” esalò infine “Avete ancora molte cose da imparare e il tempo a nostra disposizione non è sufficiente; vi prego di portare ancora un po' di pazienza. Ora rimettetevi in posizione: Gabi questa volta cerca di non inciampare da nessuna parte e Miki potresti, cortesemente, sederti come si confà ad una lady e non come una scaricatrice di porto?” chiese, ponendo l'ultima domanda con più enfasi del dovuto, gettando un'occhiataccia alla propria progenie.
Esmeralda era la danzatrice migliore del regno: esperta in ogni tipo di ballo, si muoveva con grazia ed eleganza sfoggiando un portamento quasi regale. Poter danzare con lei alle feste e ai gala era un onore riservato a pochi ed era diventato un vero e proprio vanto tra i nobili di corte. Non per nulla era l'unica favorita di sua madre (al di là della propria dama da compagnia, la baronessa Nevea Roseré, a cui la donna si era molto legata sin da quando aveva sposato suo padre).
Tuttavia, per quanto ci provasse, non riusciva a passare la stessa passione per la danza alla figlia che, dal canto suo, piuttosto che ballare un minuetto avrebbe camminato a piedi nudi sui carboni ardenti.
Miki, di fatto, sbuffò sonoramente drizzando la schiena, e Gabi arrossì violentemente: era sempre stato molto maldestro e questo creava non pochi problemi a chi aveva la sfortuna di danzare con lui. In quegli ultimi giorni Raf aveva rimediato molte dita calpestate e capitompoli sul tappeto causati, involontariamente s'intende, dal povero ragazzo.
Non sapeva molto su di lui, lo vedeva esclusivamente durante le lezioni di danza e non avevano mai avuto modo di fare una semplice chiacchierata per conoscersi meglio. Tutto ciò di cui era a conoscenza è che fosse il figlio del conte de Cupido e che Esmeralda, a cui la contessa aveva affidato il figlio per fargli migliorare le sue prestazioni sulla pista da ballo, lo aveva scelto come compagno di lezioni di Raf.
Sembrava un ragazzo molto dolce e gentile, timido e perennemente in imbarazzo (almeno di fronte a lei), ma Ruàn aveva un'opinione ben diversa della sua famiglia. Le aveva confidato, mentre l'aiutava a vestirsi, che giravano voci non molto eleganti sulla famiglia de Cupido; in particolare sulla contessa che, nei tempi che furono, fece di tutto per ingraziarsi la regina e divenire sua dama da compagnia per poter sfruttare la posizione a vantaggio proprio e del marito. Quando ciò non avvenne istruì la propria primogenita perché entrasse nelle simpatie sia del principe che della principessa, con la speranza di poter, un giorno, offrirla in moglie al primo o, in alternativa, renderla la dama da compagnia della seconda. La fuga di notizie era partita direttamente dai domestici dei de Cupido e i dubbi in merito alla loro veridicità erano molti, ma dato il comportamento frivolo ed estremamente civettuolo che la giovane contessina (di soli due anni più grande di Raf) aveva nei confronti sia suoi che di suo fratello lasciava trasparire una certa sicurezza in gran parte degli assidui frequentatori di corte. E, doveva ammetterlo, lei stessa spesso trovava molto fastidiose quelle finte risate, le mille riverenze e il coro di consensi che ella le riservava fin troppo spesso e volentieri.
Tuttavia, Raf badava molto poco ai pettegolezzi di palazzo e preferiva non farsi opinioni sulle persone basate sulle altrui idee: Gabi non aveva mai mostrato nulla di intentato nei suoi confronti, né aveva assunto comportamenti fastidiosi o che lasciavano intendere di volersela ingraziare, e questo le bastava per avere una visione totalmente positiva di lui. Si rimise dunque al centro della stanza, tendendogli la mano per invitarlo a continuare quel maldestro giro di valzer che avevano già provato un'infinità di volte, ma prima che egli potesse prenderla si udì bussare alla porta della stanza. Un paggio si affacciò oltre essa e, dopo un breve inchino, annunciò che la regina desiderava un colloquio privato con la duchessa piuttosto urgentemente.
Miki alzò prontamente l'ago dal disco, interrompendo la musica, e Esmeralda, dopo un attimo di stupore, raccolse le pieghe del proprio abito ed uscì velocemente dalla camera. Quando si fu richiusa la porta alle spalle, Raf tirò un sospiro di sollievo e corse a sedersi nella poltrona accanto a Miki, trovando un minimo di sollievo dopo lunghe ore di fatica.
“Massacrante, eh?” la sfotté la ragazza, osservandola divertita mentre si abbandonava sul mobilio in modo molto poco consono ad una principessa. Miki non si era mai fatta alcun tipo di problema a parlarle con franchezza e senza troppi giri di parole, esternando qualunque cosa le passasse per la testa, anche la più assurda o spropositata. Ed era esattamente questo che Raf adorava di lei.
Sorrise, anche se stancamente, e poggiò la testa sul cuscino della poltrona: “Vuoi provare tu al posto mio?” la provocò.
“Ma neanche morta” fu la risposta secca, che fece allargare ancor di più il suo sorriso.
In tutto quello Gabi le fissava ancora dal centro della stanza, mantenendosi a distanza di protocollo dalla regale fanciulla, e ritrovandosi leggermente disorientato dallo scambio di battute per nulla formale che le due ragazze si scambiavano: non si era mai visto un nobile rivolgersi in modo così irriverente ad un membro della famiglia reale. Ma Miki non era una nobile qualunque per Raf anche se lui, questo, non poteva saperlo.
“Ehi, lo sai che non è carino guardare la principessa in un modo così corrucciato?” esclamò d'un tratto la ragazza, con tono accusatorio, facendolo sobbalzare. Lui arrossì ancora di più e iniziò a balbettare qualche scusa mentre Miki se la rideva di gusto, divertita a vederlo così in imbarazzo e a disagio. Raf le tirò una gomitata sul braccio: “Eddai, lascialo stare” le disse. Lei scrollò le spalle, continuando a ridere.
“Ma è divertente” si giustificò. Raf scosse la testa, sorridendo leggermente, e si rivolse a lui.
“Non preoccuparti, non c'è bisogno di essere così formali con me” lo rassicurò “Almeno, quando non c'è nessuno in giro” aggiunse, pensando al putiferio che sarebbe scaturito se i suoi genitori avessero saputo che permetteva a qualcuno che non faceva parte della famiglia di darle del “tu” e trattarla come una persona di poco conto.
Era un qualcosa che non avrebbero concepito e, men che meno, ammesso.
Miki accavallò le gambe poco elegantemente e iniziò a giocherellare con il disco del grammofono, mentre Raf si godeva quel breve ma meritato riposo. Gabi, nel frattempo, non si era mosso di un millimetro: nonostante ciò che gli aveva detto la ragazza non aveva il coraggio di comportarsi in alcun modo che sarebbe risultato irrispettoso o fuori luogo nei confronti della propria principessa. Era una semplice questione di principio ed educazione, niente di più.
Quel delicato silenzio venne rotto neanche cinque minuti più tardi quando la baronessa Roseré entrò nello studio e, dopo aver posato brevemente lo sguardo sui tre ragazzi, si rivolse a Raf.
“Vostra madre vi attende nelle sue stanze” annunciò, con tono dolce ma allo stesso tempo grave, e Raf poté notare un velo d'ansia ricoprire i suoi candidi occhi azzurri “È piuttosto importante quindi vi prego di sbrigarvi. Gabi, la lezione per oggi è finita: la carrozza vi attende al cancello principale. Miki, tu dovrai aspettare qui ancora un po'” concluse Nevea.
Il ragazzo si congedò con un inchino e uscì dalla stanza, mentre Raf e Miki si scambiarono un'occhiata allarmata: tutto quello non prometteva niente di buono.








Esmeralda bussò elegantemente alla grande porta di legno dipinta di quel bianco candido che tanto contraddistingueva la linea stilistica del palazzo, simbolo della purezza e della regalità della famiglia reale. Dopo pochi sitanti questa venne aperta da Lina, la cameriera personale della regina, che la fece accomodare all'interno della stanza con un lieve inchino del capo.
Angelie era seduta sulla grande poltrona al centro della stanza, un gomito poggiato sul bracciolo e la mano a reggersi la fronte. Sembrava molto stanca: il suo volto, di solito roseo, era divenuto di un pallore quasi spettrale e diverse rughe si erano accentuate sotto i suoi occhi. Rughe che stonavano molto sul suo viso ancora giovane e fiorente di bellezza; dopotutto, la sovrana, aveva solo trentacinque anni. Seduta su uno sgabello imbottito accanto a lei vi era Nevea, la sua amata dama da compagnia, che le offriva conforto suppur evidentemente turbata.
“Volevate vedermi, mia regina?” domandò Esmeralda, piegandosi in una leggera riverenza. Angelie chiuse un attimo gli occhi e alzò il capo.
“Lascia perdere le formalità, Esmeralda, ci siamo solo noi” sospirò. Effettivamente, a parte lei, Lina e le due nobili, l'appartamento risultava vuoto: nessun'altra cameriera o dama di corte era presente al colloquio e questo, sebbene non fosse cosa rara, aumentò l'ansia che aveva accompagnato la duchessa fin da quando aveva lasciato la stanza.
“Che cosa succede?” chiese, non riuscendo a trattenersi. La sovrana le fece cenno con la mano di accomadarsi e Esmeralda prese posto nel piccolo divanetto accanto la poltrona.
Lina iniziò a servire il té, inginocchiata sul grande tappeto dai motivi orientali, e Nevea si spostò leggermente di lato così da non intralciare la visuale della regina al basso tavolino di legno.
“Di tutto e di più, è questo il problema” ammise Angelie, poggiando le mani ai braccioli e drizzando la schiena “Zolfanello City rischia una guerra con il regno di Rengoku e vuole stipulare un'alleanza con noi: così facendo spera di intimidire l'Imperatrice e farla desistere dal dare il via alla battaglia. Se non dovesse succedere e si arriverà alle armi dovremmo offrire loro tutto l'aiuto possibile durante la guerra e non possiamo rifiutarci considerando il debito che abbiamo nei loro confronti” spiegò, facendo trasparire dalla sua voce tutta l'ansia e la preoccupazione che l'assillava “Ma non è tutto...” continuò e la duchessa, che già era rimasta sconvolta da quelle parole, non poté che aspettarsi il peggio. Pensò bene di mandar giù un sorso di té caldo, per calmarsi un po', ma non ebbe l'effetto sperato. “Isihogo ha proposto di rafforzare l'alleanza con un matrimonio e il re ha accettato” annunciò, pronunciando quelle parole come se fossero troppo pesanti anche solo da pronunciare.
Esmeralda sgranò gli occhi, stupita “Il principe?” chiese, di getto.
Nevea fece una smorfia “Peggio” rispose, grave “Raf.”
La donna si portò una mano alla bocca, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena udito, rischiando di far cadere il piattino con il té che ancora stringeva tra le dita, e guardò la sovrana allibita: “Ma, Angelie, questo è...” esclamò, abbandonando definitivamente le formalità che usava solo di fronte a coloro che erano estranei alla loro piccola cerchia. Poteva sembrare assurdo a tutti coloro che l'avevano conosciuta, ma la regina di Angie Town non era per niente avvezza ai soffocanti protocolli reali che cercava in tutti i modi di rispettare e far rispettare al di fuori delle mure delle sue stanze. Era una regina, aveva dei doveri e delle etichette ben precise da seguire di fronte al resto del mondo (che fossero sudditi, nobili o persino i suoi stessi figli) per una questione puramente politica. Era un'estranea, in quel regno, e non poteva mai dimenticarlo: fin dal suo arrivo a palazzo era stata tenuta sotto esame da tutta la corte e si era sempre dovuta dimostrare impecciabile nel suo ruolo (di principessa consorte prima e regina dopo) e ligia ai suoi doveri: aveva la responsabilità di un'intera nazione sulle proprie spalle e non poteva, in alcun modo, fare qualcosa che mettesse in cattiva luce lei stessa o la famiglia reale.
Per questo metteva da parte il proprio ruolo e tutto ciò che rappresentava solo con pochissime persone, selezionate negli anni, e di cui si fidava ciecamente. Con loro sentiva di poter essere semplicemente sé stessa e poter parlare liberamente di tutte le sue angosce e preoccupazioni, cose che neanche al marito le era concesso dire.
Esmeralda aveva avuto la fortuna di entrare a far parte dell'esiguo gruppetto che comprendeva solo lei, Nevea e Lina, la cameriera personale di Angelie sin da quando era bambina, unica persona a cui era stato permesso di seguirla nella sua permanenza a Angie Town.
La sovrana scosse il capo e sospirò, interrompendola: “Lo so, ma non posso fare nulla: il re e il consiglio dei ministri hanno già deciso. Ho pregato Arkan di fare il possibile per farli desistere dall'accettare ma è stato tutto inutile: la scorta di Zolfanello City verrà qui per discutere i termini dell'accordo... poi ripartirà con mia figlia” concluse debolmente, con la voce spezzata, portandosi le mani al viso per nascondere le lacrime che avevano iniziato a scenderle copiosamente dagli occhi. Nevea le circondò le spalle con le braccia, poggiando la sua testa sul proprio petto, non sapendo cosa dire per consolarla e Esmeralda si sentì tremendamente impotente di fronte al suo dolore. “È soltanto una bambina” singhiozzò la regina e nessuno meglio di loro sapeva quanto Angelie tenesse ai propri figli, che amava sopra ogni altra cosa; erano tutto ciò che di buono era uscito da quell'infausto matrimonio combinato che la donna non aveva mai accettato e che non era mai riuscita a vivere con serenità.
Per questo aveva paura, per questo era così piena di angocia e preoccupazione nel sapere delle imminenti nozze della figlia: non voleva che vivesse quello che aveva vissuto lei, strappata dalla propria casa e mandata in un regno che non gradiva la sua presenza. Angie Town aveva troppe pecche nel suo sistema sociale, aveva una mentalità troppo chiusa ed estremamente tradizionale, e vedere una forestiera salire al trono aveva fatto storcere la bocca a molti.
Le cose avrebbero potuto finire male, era un dato di fatto, e, onde evitare di peggiorare la già delicata situazione, Angelie aveva dovuto adattarsi di conseguenza divenendo una regina di tutto rispetto, intoccabile nelle scelte importanti e di educazione della prole, non facendo particolari favoritismi per nessuno ma elogiando coloro che dimostravano di essersi meritati con le proprie forze un posto speciale nella corte reale, e si era tenuta ben lontana da ogni possibile scandalo. Insomma, assolutamente incriticabile sotto ogni punto di vista.
Ciò le era costato enormi sforzi e sacrifici, ma era stato fondamentale per un quieto vivere generale. E il suo terrore era che Raf dovesse subire la sua stessa sorte.
Sua figlia era come lei: uno spirito libero non amante delle regole e dei protocolli. Era allegra, solare e le faceva piacere sapere che, nonostante tutto, era riuscita a farsi degli amici fidati all'interno e fuori dal palazzo. Lei credeva di riuscire a nasconderle le sue “scappatelle” ma non sapeva che Adrë le riferiva praticamente ogni suo movimento dentro e fuori dal castello.
E adesso se la vedeva portare via per sempre e non poteva fare nulla per impedirlo; tutto ciò che era in suo potere era cercare di renderle le cose meno difficili mettendole di fianco qualcuno di fidato che l'avrebbe accompagnata e sostenuta nella sua nuova “avventura”. Ed era a quel punto che entrava in scena Esmeralda.
Si asciugò le lacrime e alzò gli occhi sulla donna, oltre le braccia di Nevea, facendosi forza, ben sapendo che ciò che le stava per chiedere era estremamente delicato ed importante e che avrebbe compreso perfettamente un suo rifiuto categorico: non poteva certo pretendere di infliggerle la propria stessa pena, dopotutto.
“Esmeralda...” mormorò, seria e, in un certo senso, disperata “...saresti d'accordo a rendere Miki la dama da compagnia di Raf?”






“La mia cosa?” domandò Raf, decisamente confusa. Non riusciva minimamente a capire il motivo per cui sua madre l'avesse convocata d'urgenza al suo cospetto solo per porporle Miki come dama da compagnia. La cosa che più la lasciava perplessa, però, era che fosse troppo presto per prendere una decisione simile: una principessa sceglieva la propria dama da compagnia quando diventava regina; nel suo caso, però, avrebbe dovuto sceglierla al compimento dei diciotto anni, ovvero l'età minima in cui si aveva un certo senso di maturità e si poteva ponderare bene una scelta importante come quella.
Portare a galla il discorso di punto in bianco e con così largo anticipo l'aveva decisamente disorientata, oltre che un bel po' insospettita, ma quest'ultimo appunto lo tenne saggiamente per sé.
Angelie non fece una piega, seduta compostamente sulla grande poltrona color avorio, e inspirò brevemente prima di riprendere la parola. “La tua dama da compagnia” scandì bene e Raf giurò di udire la sua voce stranamente roca “Sarebbe mio modesto desiderio che sia proprio Miki a ricoprire questo ruolo. Vorrei essere sicura che al tuo fianco ci sia una persona fidata, dal carattere forte e autonomo” spiegò, con un tono più affabile del solito “Ritengo che la duchessina sia perfetta per questo ruolo. Senza contare che la duchessa du Evangeline mi ha riferito che voi due andate molto d'accordo” aggiunse indicando Esmeralda seduta compostamente sul divano accanto a Nevea, con una tazzina da té in una mano e il piattino nell'altra, poggiata elegantemente sulla propria gonna. Il suo viso, tuttavia, tradiva un po' di preoccupazione, anche se era difficile dire per cosa.
“Beh...” iniziò Raf, turbata dall'assurdità della situazione, non sapendo minimamente cosa ricavare da tutta la faccenda: era una conversazione strana, tirata in ballo in un momento strano, e lei aveva solo un mucchio di domande per la testa. Non sarebbe mai riuscita a ricavare una risposta sensata da dare a sua madre, non aveva semplicemente il tempo materiale per pensarci. “Io credo che l'idea non sia così malvagia” ammise infine, anche se un po' dubbiosa: teneva particolarmente a Miki, avevano dimostrato fin da subito di avere una certa affinità, e averla come dama da compagnia era un'idea piuttosto allettante... ma Miki detestava la vita di corte e darle un ruolo del genere significava costringerla a prenderne parte ogni singolo giorno e con particolare trasporto. Avrebbe dovuto chiedere prima il suo parere a riguardo, come minimo, anche su una cosa del genere non avrebbe mai potuto dirla davanti alla genitrice. Doveva inventare una scusa e sperare che avrebbe ripreso la conversazione dopo che fosse riuscita a parlarne con la ragazza, in qualche modo. “Però, ecco, è una decisione importante e... io vorrei pensarci un po' su” esalò, infine, non trovando nulla di meglio da dire.
Sua madre sembrò rifletterci, immersa in chissà quali pensieri, infine annuì. “Mi sembra ragionevole” asserì infine “Tuttavia, ti pregherei di prendere una decisione prima dell'arrivo degli ospiti, per organizzarci meglio” sancì e Raf fu più confusa di prima da quell'affermazione, anche se non azzardò ad avanzare alcuna domanda. “Molto bene, ora puoi andare.”
Raf annuì e girò i tacchi, uscendo dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Quando fu fuori sospirò profondamente e si incamminò per i corriodoi del castello, diretta velocemente allo studio, mille pensieri che le vorticavano per la testa e altrettante domande a cui non riusciva a dare una risposta: stava succedendo qualcosa di strano, lì a palazzo, qualcosa di cui volevano tenerla all'oscuro ma, allo stesso tempo, renderla partecipe. Non riusciva proprio a racapezzarsi e temeva solo il peggio da tutta quella faccenda.
Scese il grande scalone e aprì la porta della stanza senza tanti complimenti, trovando Miki esattamente dove l'aveva lasciata. La ragazza alzò lo sguardo su di lei appena la sentì entrare, ma non ebbe il tempo di dire alcunché perché Raf prese velocemente la parola. “Ti devo parlare” esalò, chiudendosi l'uscio alle spalle e avvicinandosi di tutta fretta “Mia madre si è messa d'accordo con la tua e vuole che diventi la mia dama da compagnia” disse tutto d'un fiato, ancora sconcertata dal recente colloquio.
Miki sgranò gli occhi, guardandola allibita per un paio di secondi: “Ma sono fuori di zucca?!” sbottò infine, incredula e un po' infastidita, incurante di aver appena insultato la regina in persona.
“Lo so!” le diede man forte Raf, sedendosi pesantemente accanto a lei “Le ho detto che avrei dovuto pensarci perché non sapevo che altro fare, volevo prima parlarne con te” ammise, portandosi una ciocca di capelli scappata dalla crocchia dietro l'orecchio.
Miki si espresse in un verso canzonatorio “Senza offesa, sorella, sai che ti voglio bene... ma essere la dama da compagnia della principessa significa far parte attivamente della vita sociale dei nobili ogni santo giorno. Piuttosto mi getto da una finestra” esclamò, senza troppi preamboli, incrociando le braccia al petto e confermando ciò che Raf già sospettava. “Ma temo che le nostre madri non riterranno la mia avverstià per la vita di corte una motivazione valida per un rifiuto” aggiunse, con un sospiro.
“Purtroppo no” concordò Raf. Certo, ora che aveva analizzato quella possiblità si era resa conto che non le sarebbe dispiaciuto poi tanto avere Miki al proprio fianco in quel ruolo... tuttavia, nonostante ciò, non l'avrebbe mai costretta a fare qualcosa che non voleva solo per un proprio capriccio personale. Era una questione di principio. “L'unica soluzione che ci resta è dire di aver già scelto una dama da compagnia e sperare che a mia madre vada bene...” rimuginò lei, pensierosa “L'unico problema è che non ho la più pallida idea di chi nominare: a parte te e Urié non conosco nessun'altra ragazza così bene da poterle affidare un incarico del genere” ammise, con un sospiro stanco.
“Non puoi nemmeno scegliere Urié perché non è una nobile” constatò Miki “Altrimenti avremmo già risolto il problema... però c'è sempre Dolce” propose d'un tratto, avendo un'illuminazione.
Raf fece una smorfia “Scegliere come dama da compagnia la figlia della dama da compagnia di mia madre?” chiese, dubbiosa. Non aveva nulla contro Dolce, che aveva sempre trovato molto gentile e simpatica, ma scegliere qualcuno di così vicino alla propria madre non era un'idea saggia: non avrebbe più potuto avere un attimo di respiro con il minimo sospetto che qualunque cosa avesse fatto in sua presenza sarebbe potuta giungere alle orecchie di Nevea e, di conseguenza, di Angelie.
Dolce aveva la sua stessa età, era una ragazza a modo, dalle buone maniere e dal buon gusto, amante della moda e della luccicante vita di palazzo. Non brillava per acume ma era dolcissima e amorevole, doti che aveva ereditato senza alcun dubbio dalla madre a cui era molto legata.
Era praticamente cresciuta a corte e, come amava raccontare Nevea, la gravidanza quasi contemporanea a quella della regina aveva contribuito ad accrescere il legame tra le due donne; Dolce era come una specie di nipote per Angelie e lei e Raf avevano vissuto a stretto contatto i loro primi cinque anni di vita, momento in cui la giovane principessa aveva dovuto iniziare gli studi e quindi staccarsi sempre di più dalla placida vita fatta di spensieratezza e divertimeno che Dolce, per sua gioia, non aveva ancora dovuto abbandonare.
“Effettivamente non è una scelta saggia” annuì Miki.
Raf sospirò, passandosi una mano sulla fronte “La cosa positiva è che ho ancora due giorni per inventarmi qualcosa.”
In effetti, di lì a due giorni il seguito inviato da Zolfanello City sarebbe finalmente giunto in città e la pace sarebbe cessata definitivamente di regnare tra le mura del castello per un minimo di tre giorni. Era sempre la stessa storia ogni volta che avevano ospiti: il lavoro della servitù triplicava, balli e banchetti venivano organizzati uno dietro l'altro senza sosta, i nobili affollavano i corridoi del palazzo con più frequenza di prima e Raf non aveva più un attimo di respiro. Persino i suoi studi venivano interrotti per tutta la permanenza dei diretti interessati.
Quella volta sarebbe stata anche peggiore delle altre perché sarebbe stato presente un principe e, per qualche oscura ragione, sua madre si era messa in testa che ad occuparsi del suo intrattenimento avrebbe dovuto essere lei. Per questo si stava ammazzando i piedi con le lezioni di ballo tutti i pomeriggi, mentre la mattina si esercitava per ore con l'arpa.
L'incubo vero e proprio non era ancora iniziato e lei non vedeva già l'ora che finisse, così da poter tornare alla propria normale quotidianeità.
“Ne avrai da soffrire ancora per un bel po'” la prese in giro Miki.
“E tu con me in prima fila, come sempre” la canzonò Raf, ricordandole del suo ruolo di spicco a corte in quanto figlia della donna più popolare dell'alta nobiltà. La ragazza fece una smorfia contrariata, già pensando a come defilarsi in fretta dalla serie di eventi che si sarebbero susseguiti in quel fine settimana: probabilmente sarebbe corsa a nascondersi in camera di Raf, con la complicità di Urié, come da prassi. Solo i membri della famiglia reale e la servitù potevano entrare nella stanza della principessa senza il suo consenso, pertanto Miki non correva il rischio di essere assillata da giovani rampolli bramosi di danzare con lei o ragazzine civettuole pronte ad ingraziarsela nella speranza di aumentare la propria nomea.
Lei era fortunata e la sua assenza ad una festa non pesava più di tanto, ma se Raf avesse provato a dileguarsi senza una valida ragione sarebbe scoppiato il putiferio.
“Se non riuscissi a convincerle cosa faremo?” domandò, sinceramente preoccupata.
Miki scrollò le spalle: “Ci penseremo poi” decretò, abbastanza tranquilla “Ci inventeremo qualcosa, non preoccupiamocene eccessivamente. E poi ci vogliono ancora anni prima che la cosa sia resa ufficiale, anche se dovessimo accettarlo ora nulla ti vieta di cambiare idea più avanti giusto?”
“Penso di sì” rispose Raf, anche se non era molto convinta della cosa: c'era sicuramente un motivo se sua madre aveva aperto il discorso in quel momento e per lo stesso motivo aveva scelto Miki per quel ruolo. Doveva solo arrivare a capire quale fosse, in un modo o nell'altro, e non sarebbe stato semplice












Arkan sentì la dolce melodia prodotta dall'arpa ancor prima di giungere davanti la porta della camera. Lenta e minuziosa, donava un certo senso di calma e tranquillità che lo aiutò, almeno in parte, a far sparire alcune delle preoccupazioni che lo avevano assillato fino a quel momento.
Tuttavia, quando fu sul procinto di bussare si sorprese ad esitare.
Sapeva di non poter rimandare oltre, il tempo stabilito era ormai scaduto: il giorno dopo sarebbe arrivato il seguito di Zolfanello City e Raf ancora non sapeva niente dell'accordo stipulato tra i sovrani dei due regni. Ancora non sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto convolare a nozze con un perfetto sconosciuto e lasciare per sempre la sua casa e la sua famiglia,
Non aveva avuto il coraggio di dirglielo prima, e di questo se ne incolpava, ma aveva voluto farle vivere quei giorni in tranquillità, senza il peso della consapevolezza che sarebbero stati gli ultimi.
Se doveva essere sincero almeno con sé stesso era stata più una scusa per non ammettere di non riuscire a dirle in faccia la verità e vederla straziata da una così desolante e atroce notizia. Non sapeva se sarebbe riuscito a rimanere professionale davanti alla sua reazione ma non poteva permettersi di crollare, non di fronte a lei. Almeno uno di loro avrebbe dovuto rimanere forte, nonostante tutto.
Inspirò a fondo e bussò tre volte.
La musica si fermò e, dopo pochi istanti, la voce di Raf gli giunse alle orecchie attraverso la porta chiusa, leggera e cristallina: “Avanti.”
Abbassò la maniglia ed entrò, ostentando una calma che non possedeva affatto in quel momento, ma provando a salvare almeno le apparenze. Raf era seduta sullo sgabello vicino la finestra con ancora l'arpa tra le mani e il suo sguardo, rivolto verso la porta, s'illuminò quando lo vide entrare. A farle compagnia vi era solo Urié, seduta a gambe incrociate sul grande letto a due piazze, intenta a ricucire uno strappo sull'orlo di uno dei sottogonna di Raf, causato in uno dei tanti capitomboli durante le lezioni di danza. Per fortuna Raf aveva tenuto l'ultimo incontro quella mattina, così che avrebbe potuto passare il pomeriggio a riposare in vista del giorno dopo.
Vederla così allegra lo tranquillizzò un po' ma, allo stesso tempo, gli causò una spiacevole fitta al cuore ripensando a ciò che avrebbe dovuto dirle di lì a poco. Ma non poteva più attendere oltre, era giunto il momento di affrontare la realtà e, per quanto spiacevole potesse essere, lei doveva sapere cosa l'attendeva da quel momento in poi.
Si schiarì la voce e chiuse la porta, racimolando tutta la compostezza che poteva: “Ti devo dire una cosa...” decretò, facendo sparire il sorriso dal volto della ragazza, sostituito da uno sguardo preoccupato; anche Urié alzò gli occhi su di lui e l'atmosfera nella stanza si fece d'un tratto pesante quando l'uomo pronunciò la frase successiva, con aria grave e malinconica “E so che non ti farà piacere.”
Arkan sperò solo che il suo futuro non fosse così infausto come temeva.

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Capitolo 4
*** Foederis ***


Una folata di vento si alzò all'improvviso, scompigliandole fastidiosamente i capelli. Fece una smorfia e si tolse la frangia dal viso con un gesto stizzito della mano, alzando gli occhi verso il cielo divenuto di un tenue color albicocca: era lì da ore, ormai, anche se sembrava che fossero passati giorni da quando aveva lasciato il castello. Da quando era fuggita dalla propria stanza, con gli occhi pieni di lacrime di rabbia e delusione, ed era montata sul proprio cavallo (sotto gli sguardi confusi e sconvolti degli stallieri) per uscire dai giardini. Aveva cavalcato a lungo nei boschi senza una meta precisa, tutto ciò che voleva era mettere più distanza possibile tra lei, il palazzo reale e tutte le persone che vi vivevano dentro. Si era fermata solo quando le gambe avevano iniziato a dolerle e le cosce a bruciare a causa della mancanza della sella.
Sospirò e si massaggiò distrattamente la caviglia, affaticata dalla lunga lezione di danza di quella mattina, mentre rifletteva il proprio viso nel letto del fiume. La sua puledra era a pochi passi da lei, con il muso piegato nello specchio d'acqua per dissetarsi, e si sentì quasi in colpa per averla fatta stancare così tanto. Si passò una mano sul viso, sentendosi stanca e spossata, ancora sconvolta per ciò che aveva udito, per ciò che Arkan le aveva riferito... per ciò che i suoi gentori avevano deciso.
Sentì gli occhi riempirsi nuovamente di lacrime e li sbatté più volte, scuotendo il capo, respirando a fondo per cercare di calmarsi: non poteva credere che l'avevano venduta. Perché questo avevano fatto, per la miseria: l'avevano venduta ad un altro paese per garantirsi un potente alleato economico e politico. L'avevano data via come se fosse un oggetto, qualcosa da barattare per ottenere vantaggi, e la cosa la faceva stare malissimo. Le avevano organizzato un matrimonio a sua insaputa e si erano decisi a dirglielo dopo ben sei giorni.
Sei dannatissimi giorni.
Si sentiva umiliata, ferita e usata come persona e come essere umano. La cosa peggiore di tutti è che non aveva neanche il tempo materiale per riprendersi da quello shock e elaborare la cosa poiché, da lì a dodici ore, si sarebbe ritrovata davanti il suo futuro marito: nientemeno che il principe ereditiero di Zolfanello City. Altro che “fungere da tramite per delle trattive”: quello lì sarebbe venuto al castello per ritirarla, neanche fosse un pacco postale!
E ora capiva anche molte cose: capiva tutto il fermento scatenato da quella visita, capiva perché l'avevano messa sotto torchio sin da subito e capiva perché sua madre aveva tirato in ballo la questione della dama da compagnia così all'improvviso. E, nonostante l'avesse fatta arrivare fino al suo cospetto conoscendo la situazione, non si era degnata di dirle nulla.
Si asciugò una lacrima all'angolo dell'occhio, prima che potesse solcarle la guancia, e strinse tra le dita, poggiate sul terreno, dei fili d'erba. Probabilmente le guardie di palazzo la stavano cercando da un bel po' ma la cosa non le importava affatto: non aveva voglia di tornare al castello e affrontare le ire di sua madre. Sentiva che quel giorno non avrebbe retto, che non sarebbe riuscita a stare in silenzio di fronte ai suoi rimproveri e che avrebbe dato di matto, urlandole in faccia tutto quello che si era tenuta dentro negli anni.
L'idea di rimettersi di nuovo in viaggio e non tornare più indietro l'aveva sfiorata più volte da quando se n'era andata; in fin dei conti, ormai, non aveva più nulla da perdere: le avevano già tolto tutto, compresa la libertà e la dignità. Era emotivamente e fisicamente distrutta.
Inspirò e un singulto involontario accompagnò quel gesto, seguito subito dopo da un sobbalzo quando udì il fruscio delle foglie calpestate al di là del fiume. Si voltò di scatto, drizzando la schiena, e il suo sguardo incrociò il profilo di un uomo che emergeva dai cespugli, guidando con una mano le redini di uno stallone dal manto marrone: era molto giovane, non poteva avere più di vent'anni, con corti capelli castani e occhi grigi. Indossava una divisa militare nera e rossa e una lunga spada dall'elsa d'argento era legata al proprio fianco. Il ragazzo si guardò distrattamente intorno, come in cerca di qualcosa, ma si fermò di colpo quando la scorse, seduta poco elegantemente sulla riva opposta. La scrutò per un istante e Raf si sentì tremendamente a disagio, stringendo la lunga gonna dell'abito verde in una mano: aveva un po' paura, se doveva dirla tutta, essendo praticamente sola in mezzo al nulla e in compagnia di un perfetto sconosciuto, armato per giunta. L'unica cosa a separarli era l'ampio letto del fiume che, tuttavia, non era difficile da attraversare in sella ad un cavallo (animale di cui lui era oltretutto munito).
Ma il nuovo arrivato non sembrava avere intenzioni strane o pericolose nei suoi confronti e si avvicinò alla riva con naturalezza e tranquillità, abbassando lievemente il capo in un cenno di saluto quando fu abbastanza vicino.
“Buonasera” salutò, allegramente, spostando l'attenzione sul proprio destriero per togliergli le briglie e permettergli di piegarsi più facilmente sullo specchio d'acqua a bere. Raf si mosse un po' nervosamente sull'erba ma cercò di mantenere un certo contegno, e chinò anche lei il capo, brevemente, rispondendo cortesemente al saluto.
“Buonasera” rispose e la sua voce tremò appena. Il ragazzo sganciò due grandi sacche di pelle dalla sella e s'inginocchiò sul terreno, iniziando a riempirle d'acqua. Nel mentre alzò di sfuggita gli occhi su di lei, una sola volta, e si passò velocemente un pollice a grattare il ponte del naso.
“Avete l'aria di chi ha passato proprio una brutta giornata” notò improvvisamente, dopo due minuti di silenzio, rialzando la prima sacca per controllarla. Evidentemente era abbastanza piena perché la richiuse subito con il tappo, indaffarandosi per immergere la seconda.
Effettivamente, pensò la ragazza gettando un'altra occhiata verso il fiume, aveva davvero un aspetto orribile: gli occhi lucidi, le guance rosse, le mani e i vestiti sporchi di terra e i capelli arruffati dal vento nella cavalcata. Sospirò sconsolata e annuì.
“Ho ricevuto notizie poco liete” ammise, con una smorfia.
Il ragazzo tirò su la sacca, chiudendola accuratamente, e si rialzò in piedi. “Mi dispiace” mormorò “Lungi da me farmi gli affari vostri o essere invadente ma, giusto per curiosità, posso chiedervi cosa vi turba?” domandò, senza troppi giri di parole.
Era evidente, dal suo linguaggio, che fosse abituato ad avere a che fare con persone dell'alta aristocrazia, tuttavia vi era un atteggiamento molto confidenziale e amichevole nel suo approcciarsi con lei: come se mantenesse un certo distacco (dandole del “voi”) più per educazione che intento vero e proprio e che, in realtà, voleva parlarle con franchezza e libertà senza alcuna convenzione sociale di mezzo.
Non sapeva perché ma questo la fece sentire stranamente a suo agio. Era sempre abituata a persone che si inchinavano al suo passaggio e indivano conversazioni con frasi accuratamente pesate e selezionate; le uniche persone che le parlavano liberamente, e con cui lei poteva parlare senza peli sulla lingua erano, Arkan, Miki e Urié. Persino con suo fratello doveva assumere determinate maniere e toni.
Forse fu per questo che quel ragazzo le suscitò un'innata simpatia: era chiaramente un forestiero e, probabilmente, non aveva la più pallida idea di chi fosse lei in realtà; evidentemente pensava di trovarsi davanti una ragazzina qualunque, figlia di contadini o di cittadini del luogo, e questo le diede un certo senso di sicurezza e tranquillità. Pensò che, in fin dei conti, non c'era nulla di male a parlare con lui... e poi aveva davvero bisogno di sfogarsi con qualcuno.
Si passò una mano tra i capelli e si rilassò un po'.
“I miei genitori mi hanno scelto un marito contro la mia volontà” ammise, cercando di non sfociare in troppi dettagli che l'avrebbero tradita: dopotutto, non era strano che una ragazza (di qualunque ceto sociale fosse) venisse incastrata in un matrimonio combinato.
Il ragazzo sgranò gli occhi e, per un istante, sembrò incupirsi. “Ahia...” mormorò, abbassando lo sguardo “Deve essere un duro colpo” commentò, fissando intensamente le borracce che aveva tra le mani, per poi tornare ad alzare gli occhi su di lei “Posso immaginare come vi sentiate” ammise, con un misto di tristezza e malinconia nella voce “Anche mia sorella si è sposata nelle stesse circostanze e, come voi, non ne è stata affatto felice. Era un'amante della vita e della libertà e ha sempre sognato una storia d'amore romantica, di quelle che leggeva nei libri” raccontò, con un lieve sorriso, voltandosi per legare le sacche alla sella del cavallo. “È stata molto dura per lei, all'inizio, ma è riuscita a trovare il lato positivo in tutta la faccenda, anche se a fatica, e ora vive la sua vita piuttosto felicemente.
Non sto dicendo che dovete fare lo stesso, ma certi eventi della nostra vita non possiamo cambiarli: tanto vale cercare il modo per goderci quelli che ci capitano” disse, raccogliendo le briglie da terra. Raf rimase molto stupita da quelle parole, non avendo mai considerato quella filosofia di vita così banale eppure così complessa: in fin dei conti trovare il lato positivo in ciò che positivo non era affatto era un'impresa quasi impossibile.
Il ragazzo alzò le spalle e sospirò, rimettendo le briglie all'animale: “Guardate me, ad esempio: volevo fare il filosofo, avevo anche un'ottima base di studi alle spalle, e invece sono finito nella guardia reale del mio paese” confessò “Il cibo non è granché, è un lavoro faticoso e a tempo pieno e in caso di disordini sei tra i primi a rimetterci le ossa...” e s'interruppe di colpo, con un'espressione piuttosto perplessa sul volto “Visto così fa davvero schifo” ammise, realizzando, come se avesse considerato tutti quei lati negativi solo in quel momento; ma scosse la testa e si ricompose in fretta. “Però la paga è buona, la compagnia accettabile e si viaggia molto spesso. Tutto sommato non è poi così male... tranne quando il tuo superiore ti becca a giocarti la spada a poker e ti mette a pulire la stalla per una settimana. Ecco, quello non è affatto divertente” aggiunse, con una smorfia amara, e Raf non riuscì a trattenere un sorriso. Anche il ragazzo sorrise e prese le redini del suo destriero.
“Sono sicuro che troverà un lato positivo in questa faccenda. Magari il tipo non è così male” indovinò. Il sorriso sul volto della ragazza si affievolì un poco e alzò le spalle.
“Non lo so” ammise “Lo vedrò domani per la prima volta.”
“Ah” rispose lui, etereo, preso in contropiede “Beh, sperare non ha mai ucciso nessuno” annuì vigorosamente, salendo agilmente sulla sella “Sarà meglio che torni dai miei compagni o mi beccherò una tirata d'orecchi che non finisce più” annunciò, con un sospiro, girando il cavallo “Buona fortuna per domani, spero che troverete il lato positivo di cui avete bisogno” concluse, con un tono estremamente dolce e fraterno che la fece quasi commuovere.
Sorrise, anche se un po' tristemente, e annuì: “Lo spero anche io.”
Il ragazzo le fece un ultimo cenno con il capo, diede un colpetto ai fianchi dell'animale e sparì trotterellando tra i cespugli.
Rimasta sola, Raf sospirò stancamente e chiuse gli occhi per un'istante, lasciandosi andare alla lieve brezza serale che stava cominciando a soffiare tra gli alberi. Trovare il lato positivo in quella faccenda era un'impresa titanica: stava per essere data in moglie ad un perfetto sconosciuto, portata in un altro paese e costretta a divenire la bambola di porcellana tutti pizzi e riverenze che tanto detestava.
Sarebbe diventata come sua madre.
La sua pledra le si avvicinò lentamente e le diede un colpetto sulla spalla con il muso, facendola rinsavire dai propri pensieri. Aprì piano gli occhi e alzò una mano per accarezzargli il muso. Forse doveva semplicemente accettare il destino che le era capitato e cercare di trovare il modo per renderlo meno pesante possibile. Non sarebbe stato facile ma era l'unica soluzione per non farla uscire di testa. Si alzò lentamente e si arrampicò sulla schiena della compagna, con non poche difficoltà, aggrappandosi al suo collo (data l'assenza delle briglie) e dandole un lieve colpetto sul fianco per iniziare l'avanzata verso il castello, verso quella prigione dorata che l'avrebbe lasciata libera solo per vederla incatenata altrove.
Sospirò: chi diceva che essere una principessa era il sogno di tutte le ragazze chiaramente non aveva mai conosciuto una vera principessa.




Adrë l'aveva trovata a metà strada, quasi per caso, dopo ore perse a girogavare per i boschi. Era saltato giù dalla propria cavalcatura ancora in movimento e le era corso in contro, preoccupato, facendole mille domande sulla sua salute. Raf non si scompose e rispose in tutta calma, scusandosi per averlo fatto preoccupare con sincero rammarico. Aveva deciso di affrontare la cosa con maturità, attingendo a tutto il senso del dovere che aveva a disposizione: era la principessa di Angie Town, dopotutto, e come tale doveva porre il bene del paese sopra ogni cosa, anche sé stessa. Se sposarsi avrebbe garantito sicurezza e stabilità al regno allora lo avrebbe fatto, senza “se” e senza “ma”.
Erano quindi tornati al castello dove, aveva appreso, Arkan aveva tenuto nascosto a tutti la sua fuga, onde evitare di crearle problemi con i genitori: aveva mandato solo Adrë a cercarla, raccomandandogli la massima discrezione. Di questo gli fu molto grata e capì quanto doveva essere stato difficile per lui darle quella notizia: aveva visto chiaramente il dolore dietro i suoi occhi mentre le spiegava la decisione presa dal re nei suoi riguardi. Lì per lì era stata troppo infuriata e preda delle proprie emozioni per badarvi ma in quel momento, e a mente lucida, si rendeva conto di quanto quella situazione facesse soffrire anche lui.
Scivolò lentamente dal dorso del proprio cavallo e si congedò da Adrë, risalendo lentamente il prato e rientrando a palazzo. Si diresse direttamente in camera propria dove ad attenderla seduta sul letto vi era Urié. La ragazza sobbalzò quando la vide entrare e le gettò le braccia al collo, con le lacrime agli occhi: era presente quando il suo tutore era salito nelle sue stanze e aveva iniziato a parlare degli accordi politici presi con il regno di Zolfanello City (che in quel momento stava attraversando una fase piuttosto tesa con uno dei regni a loro vicini); quando era arrivato a spiegare che tale concordato era stato accompagnato dalla proposta di unire i due imperi tramite un matrimonio Raf si era sentita gelare e, ancor prima che le venisse detto chi erano i due disgraziati scelti per le nozze, aveva già intuito il tutto. Quando i suoi timori avevano trovato conferma si era sentita mancare, per poi esplodere nel subbuglio di emozioni che l'aveva portata a fuggire. Urié aveva assistito alla scena, impotente e sconvolta, e tutto ciò che aveva potuto fare era stato rimanere lì, nella sua stanza, aspettando che tornasse.
Raf cercò di mantenere un certo contegno, ricacciando indietro le lacrime per non mostrare quanto in realtà fosse turbata e ferita, per non farla preoccupare ulteriormente, e ricambiò l'abbraccio. Quando si staccarono lei aveva ancora gli occhi gonfi.
“Non posso credere che tu... che vogliano davvero... non possono...” singhiozzò, cercando di asciugarsi le guance. Raf si sentì stringere il cuore a vederla in quello stato ma le prese la mano e sorrise maliconicamente.
“Lo so” mormorò “Ma non possiamo farci nulla, dobbiamo accettarlo e basta. Sono pur sempre una principessa e ho dei doveri a cui non posso sottrarmi” le disse, sforzandosi di sembrare tranquilla, cercando di consolarla; anche se ad aver bisogno di conforto, in quel momento, era proprio lei. Eppure non voleva dirle addio sapendola in pensiero per il suo avvenire: doveva credere, almeno per il momento, che avesse accettato la cosa con serenità.
Al resto avrebbe pensato in un secondo momento.
“Però...” provò a ribattere Urié, per nulla convinta, venendo prontamente interrotta dalla ragazza con un gesto della mano.
“Va tutto bene. Dico sul serio” disse, marcando bene l'ultima frase dato lo sguardo scettico che l'amica le rivolgeva “Non preoccuparti e vai a riposare. Sono molto stanca anche io e domani sarà una giornata lunga” tagliò corto, facendole ben intendere di non voler proseguire oltre la conversazione. Era davvero esausta e non aveva voglia di parlare ancora della faccenda, l'avrebbe solo resa più nervosa di quanto già non fosse. Tutto ciò che desiderava in quel momento era farsi una bella dormita che le scrollasse di dosso tutte le emozioni di quella sera ma, sopratutto, voleva restare sola.
Era un po' egoistico da parte sua poiché era evidente che anche Urié avesse preso malissimo la notizia della sua partenza così improvvisa, ma trovava quasi fastidiosa la sua presenza, sepcialmente dal momento che sembrava intenzionata a rimarcare tutti i lati negativi della situazione. Si sentì un po' in colpa ma aveva davvero bisogno di stare un po' da sola, senza nessuno che le ricordasse constantemente quanto tutto quello fosse ingiusto e doloroso. Urié sembrò sul punto di ribattere ma sospirò, asciugandosi le lacrime.
“Sei hai bisogno sono qui accanto” le disse. Raf sorrise e annuì, guardandola uscire lentamente dalla stanza. Ma appena la porta si fu richiusa il sorriso disparve dal suo volto e si abbandonò stancamente sul materasso. Il pensiero di quello che sarebbe successo di lì a poche ore continuava a tartassarle la mente e, ne era quasi certa, avrebbe affollato anche i suoi sogni quella notte. Ovviamente, sempre ammesso che fosse riuscita a prendere sonno: anche se il suo corpo urlava pietà da ogni fibra, la sua mente era ben lucida e piena di nefasti pensieri.
Inspirò a fondo e si raggomitolò di traverso sul letto senza preoccuparsi di cambiarsi d'abito o anche solo togliersi le scarpe, chiudendo gli occhi, cercando di sprofondare nell'abisso più buio della propria coscienza e trovare un po' di pace almeno nel sonno.












“Avete davvero dormito così?! Una posizione così scomoda non fa bene alla vostra costituzione... per non parlare del mal di schiena che sicuramente avrete. Su, venite di là, il bagno è pronto: siamo già in notevole ritardo.”
Raf registrò con qualche secondo di ritardo le parole della donna in piedi di fronte a lei: le faceva male la testa, aveva gli occhi gonfi e brucianti e sentiva una lieve fitta alla schiena ogni volta che drizzava il busto. Aveva dormito pochissimo e in una posizione scomodissima, senza contare il brutale risveglio quando il sole, appena sorto, le era arrivato dritto in faccia dalle tende aperte con poca grazia dalla servitù.
Nonostante tutto non riconobbe nessuna delle sue domestiche tra le molte donne che si indaffaravano all'interno della stanza e questo la lasciò molto perplessa. Si strofinò gli occhi e cercò di dare un senso a ciò che le stava accadendo intorno.
“Che succede?” mormorò, confusa. La donna che le aveva parlato poco prima abbassò lo sguardo su di lei e sembrava visibilmente impaziente.
“Succede, vostra altezza, che fra poche ore il seguito di Zolfanello City sarà alle porte della città e voi siete ancora in condizioni impresentabili” spiegò, prendendola per una mano e tirandola giù dal letto “Abbiamo molte cose da fare e poco tempo per farle, quindi vi prego di sbrigarvi. Vostra madre ha dato direttive molto precise, non rendendoci le cose semplici” ammise, conducendola velocemente verso il bagno: la vasca era stata riempita con acqua calda e fiori di lavanda e due domestiche stavano preparando asciugamani ed accappatoio accanto ad essa.
Il fatto che fossero presenti tutte quelle persone la metteva tremendamente a disagio: mai c'era stato tutto quel fermento, a palazzo, neanche quando era venuto a far loro visita il re di Aurum, fratello di sua madre e loro maggior alleato commerciale.
La donna, che si presentò come Arya, la invitò a spogliarsi senza troppi complimenti e Raf pensò bene che non fosse il momento di fare la ritrosa; mandando a farsi benedire la propria politica sulla privacy lasciò che le tre donne l'aiutassero a lavarsi e le asciugassero minuziosamente i capelli. Dopodiché si avvolse nell'accappatoio e le seguì fino alla propria stanza dove, in un angolo, era stato appena portato un manichino su cui era esposto l'abito che avrebbe dovuto indossare quel giorno: era di un tenue azzurro terso, con le maniche lunghe che sfociavano in un giradito; i bordi della lunga gonna, non eccessivamente ampia, erano ornati di elaborati ricami bianchi, così come il corpetto, il colletto alto e le spalle. Aveva l'aria di essere molto stretto e questo non le piacque affatto.
Si sedette dunque davanti lo specchio dove due domestiche iniziarono a pettinarle e acconciarle i capelli in una crocchia alta e molto stretta, tanto da farle accentuare il dolore alla testa tirandole tutta la nuca; le incipriarono quindi il viso, abbondando sotto gli occhi per nascondere i segni del mancato riposo, e le truccarono leggermente le ciglia e le labbra, aggiungendo un po' di colore sulle gote. Tutto il processo durò una buona mezz'ora, ma la parte peggiore arrivò quando iniziarono a smontare l'abito dal suo espositore, tirando fuori biancheria intima coordinata e corsetto.
Raf detestava i corsetti: era dolorosissimo indossarli e le limitavano moltissimo i movimenti, persino un'azione naturale come respirare diventava un'impresa impossibile. Quegli affari erano una vera e propria lotta per la sopravvivenza, a parer suo, ma sua madre non gliel'avrebbe fatta passare liscia se avesse rifiutato di metterlo proprio quel giorno.
Indossò l'intimo, le lunghe calze bianche e le scarpette, fortunatamente senza tacchi, in tinta con il vestito (impresa che le sarebbe stata impossibile svolgere dopo) e lasciò che Arya le infilasse il bustino, iniziando a tirare le lunghe stringhe con particolare vigore, in barba alle sofferenze della giovane.
“È proprio necessario... che sia così stretto...?” annaspò, poggiata con le mani all'armadio per non perdere l'equilibrio.
“Ordini della regina, vostra altezza...” soffiò la donna, con il fiato corto per la fatica, allacciando le stringhe “Mi dispiace” aggiunse, con un cenno di compassione nella voce, potendo comprendere perfettamente i tormenti della povera ragazza. Presero quindi l'abito e, in due, lo fecero scivolare lentamente sul corpo di Raf, passando per la testa, facendo attenzione a non rovinare trucco e parrucco. Strinsero il corpetto per farlo aderire perfettamente al busto e sistemarono meglio sottogonna e colletto, finché il risultato finale non le soddisfò abbastanza.
Raf si guardò allo specchio con una smorfia: il vestito era splendido, il trucco le stava d'incanto e, nel complesso, era davvero affascinante. L'unica pecca è che lei si sentiva schiacciata peggio di una sardina in scatola. Doveva fare piccoli respiri profondi per non morire soffocata e aveva difficoltà ad alzare le braccia anche solo ad altezza spalle: come poteva sua madre pretendere che danzasse con indosso quell'affare se a malapena riusciva a camminare senza sembrare un manico di scopa?
“Siete incantevole” si complimentò una delle due domestiche e Raf avrebbe tanto voluto piangere, non tanto per il complimento quanto per il dolore al petto e alla cute. Sperò tantissimo che più tardi ci sarebbe stato un cambio d'abito, lo sperò con tutta sé stessa.
Una delle ragazze si avvicinò alla scrivania per recupare uno scrigno di legno intarsiato di ghirigori dipinti d'argento, con cristalli e perle a fungere d'ornamento, e lo portò nei pressi del gruppetto: Raf sapeva esattamente cosa conteneva anche se erano rare le volte in cui le veniva presentato e, come tutto ciò che riguardava il protocollo di corte, non fu affatto contenta di vederlo. Ma quel giorno era particolarmente speciale e non poteva assolutamente mancare il simbolo per eccellenza della sua regalità.
Arya aprì cautamente il cimelio, mostrando il diadema d'argento tempestato di diamanti poggiato accuratamente sul velluto nero, e lo prese maneggiandolo con estrema delicatezza. Era davvero stupendo, un capolavoro della goielleria locale, e anche molto resistente poiché progettato per resistere agli urti in caso fosse scivolato dal capo della proprietaria (come le era già successo una volta, diversi anni prima), tuttavia preferivano evitare spiacevoli incidenti. La donna lo poggiò sul suo capo a tre quarti, esattamente sulla linea che separava la frangetta dal resto della chioma, incastrando le estremità sotto la stretta acconciatura per una tenuta maggiore, e ammirò il proprio operato.
Mancava solo il mantello di raso bianco, usato per le cerimonie ufficiali (ed essere presentata al proprio futuro marito era decisamente una cerimonia ufficiale, con tanto di consegna di doni e benedizioni) e sarebbe stata pronta per scendere nella sala del trono, dove avrebbe atteso l'arrivo degli ospiti seduta sul suo seggio insieme al resto della famiglia reale e della corte.
Quindi era vero, stava succedendo sul serio. Stava per conoscere l'uomo che avrebbe sposato e che l'avrebbe portata via dal proprio paese di lì a pochi giorni per sempre. Stavano per rendere tutto ufficiale. Tutto reale.
In quel momento il desiderio di divincolarsi dalla presa delle tre donne e fuggire lontano fu più forte e vivido che mai. Dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a piangere di nuovo e insipirò a fondo, mentre il suo già limitato apparato respiratorio veniva compresso ancora di più grazie alla cordicella del mantello, che venne legata intorno al suo collo e nascosta da una spilla recante lo stemma della casa reale. Si allargò il nodo con un dito, già desiderando di togliersi tutta quella roba di dosso, e lasciò che Arya le sistemasse meglio l'indumento sulle spalle prima di annunciare la fine della preparazione.
Il sole era ormai alto nel cielo e batteva attraverso la finestra, riscaldando pian piano la stanza, e la stupì non poco rendersi conto del tempo che era passato: sembrava quasi assurdo che delle azioni banali come lavarsi e vestirsi potessero richiedere addirittura delle ore, eppure ciò era il minimo quando gli indumenti erano complicati da indossare e si pretendeva la perfezione assoluta.
“Possiamo andare, principessa” disse d'un tratto Arya, risvegliandola dai propri pensieri. Raf sospirò e annuì, alzando le estremità della gonna per non calpestarla e avviandosi fuori la stanza. Scese con calma i gradini del grande scalone, tenendo la testa ben dritta per non rischiare di far cadere il diadema, e sperando di arrivare nella sala del trono il più tardi possibile; sapeva che questo non avrebbe evitato lo svolgersi degli eventi ma sentiva di doversi concedere ancora un po' di tempo con sé stessa.
Arya si fermò davanti una delle porte secondarie che davano sui vari corridoi dove, ad aspettarle, vi era Adrë infilato nella divisa militare da cerimonia bianca e azzurra che le guardie di alto rango indossavano solo nelle occasioni ufficiali. Sarebbe rimasto al suo fianco tutto il giorno e questo la fece sentire un pochino meglio. La donna si congedò e sparì oltre le scale che portavano ai piani inferiori, dove vi erano le cucine e le stanze della servitù, e Adrë le porse la mano.
“Siete pronta?” domandò, con un velo di preoccupazione nella voce.
“No” ammise lei, in tutta franchezza “Ma temo che la cosa non importerà alle persone che sono là fuori” constatò, poggiando la propria mano sulla sua. L'uomo non rispose ma era evidente che avesse tante cose da dire, Raf leggeva ogni singola parola nel suo sguardo e non poté che concordare con tutto, accettandolo come una specie di consolazione.
Lui bussò quindi due volte alla porta ed entrambi gli spiragli vennero prontamente aperti dalle guardie, posteggiate dall'altra parte. La sala del trono era già gremita di persone, che si aprirono a ventaglio intorno a lei quando la videro entrare, inchinandosi al suo passaggio. Adrë, in piedi al suo fianco, la scortò elegantemente fino al suo seggio dorato, leggermente più piccolo rispetto a quello dei genitori, posto vicino la regina. Salì i pochi gradini e si sedette compostamente sul bianco cuscino di velluto, lasciando andare la mano dell'uomo che si sistemò alla sua destra, pochi gradini più dietro rispetto all'allineamento dei seggi, abbastanza lontano da rispettare il protocollo ma vicino quanto bastava per intervenire in caso di emergenza.
Sua madre le gettò solo un'occhiata che non sapeva né di critica né di sospetto, sembrava piuttosto malinconica: anche se fosse evidente che cercasse di nasconderlo, i suoi occhi tradivano un leggero velo di tristezza che colpirono molto Raf, lasciandola stupita. Accanto a lei, sulla sinistra, suo padre sembrava indifferente a tutto ciò e parlava fitto fitto con Arkan, piegato leggermente su di lui da dietro il trono, mentre suo fratello fissava il grande portone con sguardo assente e un po' estraneo, come se pensasse a tutt'altro. E Raf sentiva crescere l'ansia ogni secondo che passava.
I nobili sembravano, tuttavia, molto eccitati da tutta la situazione e bisbigliavano tra di loro con aria elettrizzata. Tra le prima file Raf vide Navea, avvolta in un elegante abito color avorio e l'aria pensierosa, mentre al suo fianco vi era Dolce riconoscibile grazie ai suoi sgargianti capelli rosa sempre ben acconciati. Esmeralda era in piedi accanto alla donna e Miki, qualche passo dietro di lei, aveva la faccia di chi aveva appena ricevuto la più grande batosta della propria vita. Non sapeva perché ma si appuntò di chiederglielo più tardi, se fosse riuscita a parlarle in mezzo a tutto il casino che sarebbe scaturito di lì a pochissimo.
Difatti, un'istante dopo, si sentì uno squillo di trombe provenire dall'esterno e il grande portone principale venne prontamente aperto da due ufficiali, lasciando entrare una piccola comitiva di otto persone tutte vestite di nero.
Erano arrivati.
Raf sentì il cuore balzarle in gola e un fortissimo senso di nausea scombussolarle lo stomaco, seguiti da ansia, panico e paura; sarebbe potuta svenire da un momento all'altro senza alcun preavviso tanta era l'angoscia ma fece di tutto per mantenersi lucida.
Il gruppetto si fermò a pochi passi da loro e una donna, l'unica lì presente, si abbassò il cappuccio del mantello dal capo, mostrando un viso pallido e non più tanto giovane in cui erano incastonati due grandi occhi gialli; il tutto era incorniciato da una lunghissima cascata di capelli rossi che le arrivavano fino alle caviglie. L'abito che indossava era decisamente fuori dai canoni estetici a cui Raf era abituata: se lì a corte spopolava la moda degli abiti pomposi e dalle ampie gonne, quello che si ritrovò ad osservare era un'elegante giacchetta viola scuro dalle maniche e dal colletto lunghi, sotto il quale era stata sistemata un'aderente gonna della stessa tonalità che poggiava morbidamente sul pavimento. Il tutto risaltava magnificamente sul corpo snello e sinuoso della donna che, dopo aver sorriso leggermente, fece un elegante e dignitoso inchino a tutta la famiglia.
“Portiamo i nostri ossequi, maestà” esalò con voce limpida e profonda, ostentando tuttavia un lievissimo tono malizioso nella propria voce che la ragazza non riuscì a spiegarsi “Io sono Temptel, odierna Ministrante della corte di Zolfanello City, appartenente alla famiglia reale in quanto sorella della regina” si presentò, brevemente e con fare piuttosto sbrigativo, ma mantenendo una certa regalità in ogni suo gesto e parola che affascinò moltissimo Raf. “Permettetemi di presentarvi mio nipote, Sulfus, principe ed erede al trono del nostro regno, giunto qui oggi per chiedere la mano della vostra principessa.”
Un brivido gelido scorse giù per la schiena della ragazza ad udire quelle parole e deglutì, iniziando a scorgere i vari uomini in piedi dietro la donna e cercando di capire chi di loro fosse il suo ormai confermato “fidanzato” (solo pensare a quella parola le fece rigirare lo stomaco). Da quando aveva saputo del loro arrivo aveva sempre immaginato il principe come un adulto e non sapeva neanche lei perché; forse il motivo era che, semplicemente, quasi tutti i principi che aveva visto in vita sua avevano più di diciotto anni e aveva creduto, spontaneamente, che neanche quella volta avessero fatto eccezione.
Per questo restò a dir poco stupita quando vide farsi avanti un... ragazzino. Sì, era proprio un ragazzino.
Poteva avere sì e no la sua età, forse un pochino di più volendo esagerare. Era infilato in una divisa militare completamente nera e portava al proprio fianco una lunga spada dall'elsa dorata, intarsiata fino al fodero di rubini, diamanti e ambre ornamentali. Aveva dei profondi occhi gialli molto simili a quelli di Temptel (evidentemente ereditati dalla famiglia della madre) e lunghi capelli blu notte legati in una bassa coda. A dispetto della zia, che manteneva constantemente un lieve sorriso dall'aspetto sinistro sul volto, il ragazzo restava serio e impassibile di fronte a loro, mostrando un contegno senza eguali. E non si inchinò, di fronte a nessuno di loro.
L'aveva letta qualcosa a riguardo, diversi anni prima, su un libro trattante gli usi e le tradizioni nei vari paesi del mondo, e Zolfanello City aveva valso una menzione speciale poiché nessun membro della famiglia reale sul trono, o prossimo ad esso, s'inchinava dinnanzi a qualcuno che non fossero il re e la regina della capitale stessa. Neanche i sovrani s'inchinavano l'uno dinnanzi all'altro, quando lì ad Angie Town era prassi che persino la regina doveva inchinarsi davanti al re quando vi chiedeva udienza (e mai il contrario).
Poteva sembrare un gesto di scortesia per la maggior parte delle persone lì presenti, ma era semplicemente una questione di costumi differenti che lei non aveva alcun problema ad accettare (che poi detestasse tutte quelle ridicole riverenze era un altro paio di maniche).
Suo padre, tuttavia, non fece una piega e si alzò in piedi, scendendo i gradini e raggiungendo il ragazzo come a volerlo osservare meglio. Infine si proferì in un breve discorso di benvenuto rivolto ad entrambi i rappresentanti, ignorando deliberatamente la scorta militare dietro di essi.
E fu proprio su di loro che Raf si concentrò, attirata dalla divisa nera e rossa che indossavano gli uomini della guardia e che lei era sicurissima di aver già visto da qualche parte, e anche piuttosto recentemente. Tuttavia in quel momento non le venne in mente nulla, per quanto si sforzasse, e s'impose di tornare a concentrarsi su quanto stava avvendendo di fronte a lei per non perdere il filo degli eventi.
Nonostante avesse appena visto in faccia il proprio futuro marito non aveva provato nulla nei suoi confronti, neanche un misero pizzico di curiosità o interesse: quel ragazzo la lasciava totalmente indifferente, su ogni fronte. Neanche nell'aspetto fisico le diceva qualcosa: per quanto non fosse per nulla da disprezzare in termini di fascino e bellezza, la cosa non la toccava più del dovuto.
Era un estraneo per lei, uno sconosciuto, alla stregua di un passante incrociato per caso sul marciapiede per mezzo secondo. Nulla da rilevare, nulla da dire, nulla da pensare. Nulla di nulla.
Aveva appena incontrato colui con cui avrebbe dovuto passare il resto della propria vita e non provava assolutamente nulla, le era rimasto giusto il residuo della nausea di poco prima.
Tuttavia non aveva altra scelta che mostrarsi un minimo ospitale e gentile nei suoi confronti, giusto per senso del dovere ed educazione. Ma dovette ammettere che non fu particolarmente contenta quando suo padre l'annunciò con voce altisonante, invitandola velatamente ad avvicinarsi al gruppetto.
Esitò un secondo, presa di sorpresa, poi si alzò in piedi non potendo fare altrimenti e scese lentamente i gradini di marmo bianco, reggendosi delicatamente la gonna, sotto gli occhi di tutti, fermandosi solo una volta accanto al genitore e faccia a faccia con lui.
Era più alto di lei di sette o otto centimetri buoni e il pallore sulla sua pelle sembrava meno accentuato visto da vicino. Tuttavia le sensazioni non cambiarono e rimase impassibile, non sapendo assolutamente cosa fare, per due secondi buoni, tempo nel quale si guardarono negli occhi con espressioni indecifrabili l'uno per l'altro.
Infine, contro ogni aspettativa e tradizione, fu Sulfus a interrompere quell'attimo di smarrimento: le prese la mano e, con grazia, sfiorò le dita con le labbra inchinandosi brevemente. Questo lei non se lo aspettava minimamente, credendo che mai lo avrebbe visto inchinarsi dato che le loro usanze non lo permettevano, e rimase a dir poco sconcertata e stupita. Ma si ricompose in fretta, preferendo non porsi domande, e chinò leggermente il capo a sua volta in segno di saluto e, in un certo senso, di rispetto.
Beh, come primo approccio non era andato poi così male in fin dei conti, e anche Temptel doveva essere d'accordo poiché Raf la scorse sorridere piuttosto compiaciuta: qualcosa le disse che lei non era l'unica ad essere stata in ansia per quell'incontro. Non ci aveva pensato minimamente, ma anche lui stava vivendo la sua stessa situazione: costretto a sposare una ragazza che non conosceva per nulla senza che nessuno avesse chiesto il suo parere a riguardo. Stavano condividendo la stessa triste sorte che altri avevano deciso per loro e, per un attimo, provò un senso di malinconia ancora peggiore; sperò che sarebbero riusciti ad andare almeno un minimo d'accordo per rendere la cosa il meno pesante possibile per entrambi.
Non poteva amarlo ma nulla le vietava di diventare quantomeno sua amica, anche solo per garantire un quieto vivere a quel matrimonio. I presupposti c'erano tutti, non le restava che capire come la pensava il diretto interessato a tal proposito.
“Molto bene, direi” esclamò d'un tratto suo padre, riportandola alla realtà, abbandonando il fare austero per tentare un approccio più diretto e affabile: chiaramente avevano temuto il peggio da quel primo incontro e vederlo andare così a buon fine li aveva messi tutti di buon umore. Almeno qualcuno aveva tratto qualcosa di positivo da quella faccenda che a Raf aveva valso solo un gran mal di stomaco.
“Decisamente” sorrise Temptel, voltandosi poi verso la propria scorta “Ci siamo permessi di portarvi dei regali, principessa, come dono di nozze” informò, schioccando le dita dalle lunghe unghie dipinte di nero. Il suono rieccheggiò, secco e forte, per tutta la sala e una lunga sfilza di damigelle e cortigiani fece capolino nella sala portando con sé ceste piene di stoffe e tessuti, bauli colmi di abiti sontuosi e splendidi gioielli, diversi ornamenti delle più preziose porcellane e sacchetti di pregiate foglie di thé e spezie; ma ad attirare maggiormente la sua attenzione fu il pacchetto di stoffa contenente quattro grandi libri rilegati in pelle e dall'aria molto antica. Tutte cose che sarebbero state sistemate nelle sue stanze e che, in seguito, avrebbe dovuto portarsi dietro a Zolfanello City. Forse.
Mentre il lungo corteo sfilava con esasperante lentezza di fronte a lei, qualcosa le disse che non avrebbe avuto il tempo di scambiarsi neanche mezza parola con il ragazzo per chissà quanto ancora. Sospirò discretamente pensando che, in fondo, avevano tutta la vita dinnanzi a loro per parlare di quell'assurda situazione.








Raf si gettò letteralmente di peso sul letto, sentendosi incredibilmente stanca e spossata: era quasi sera, ormai, ed era rimasta incastrata in quella festa di benvenuto tutto il santissimo giorno. Si erano spostati nella sala dei banchetti ed erano partiti da una semplicissima colazione a buffet divenuta, poi, un raduno di chiacchiericcio che suo padre e Arkan avevano passato a parlare con Temptel e Sulfus in un angolo della sala. Sua madre era rimasta a far salotto con le dame di corte mentre lei era stata assediata dalle damigelle, costretta ad ascoltare il loro inutile farneticare eccitato su tutto ciò che era successo quel giorno.
Dopo l'ennesima domanda estrememante indelicata e fuori luogo su come si sentisse riguardo quelle nozze non aveva più retto ed era corsa a rifugiarsi sul proprio trono di scorta, posto in fondo alla sala, accusando un lieve mal di testa. Era più piccolo e meno “ufficiale” di quello posto nella sala del trono e serviva a permettere ai reali di riposarsi un po', magari dopo un ballo o dopo aver passato ore in piedi a socializzare; Raf lo considerava la sua zona rossa, una specie di ancora di salvezza poiché nessun nobile poteva avvicinarsi a lei senza il suo consenso mentre era seduta lì sopra.
Si era quindi abbandonata su di esso, prendendosi la fronte tra le dita, cercando un po' di tranquillità: il senso di nausea ancora non l'aveva abbandonata e le aveva impedito di toccare cibo tutto il giorno. Solo Urié, capita la situazione, le si era accostata per accertarsi che stesse bene.
Sembrava assurdo ma, paradossalmente, i domestici avevano molta più libertà di porsi nei confronti dei reali: un nobile doveva chiedere il permesso anche solo per avvicinarsi ad uno dei sovrani e conseguente prole, mentre una cameriera, un maggiordomo o anche solo lo sguattero che puliva i pavimenti della cucina vi si poteva accostare senza alcun problema. Al massimo sarebbe dipeso dall'interlocutore se congedarlo o meno.
Il motivo era semplice: il compito della servitù non era solo quello di fornire beni e servizi materiali alla famiglia reale ma anche di informarli su quanto accadeva all'interno del palazzo, fungere da portavoce o ricordare loro impegni e appuntamenti. Ovviamente dovevano rapportarsi a loro come prevedeva il protocollo, ma per il resto non aveva nessuna barriera dinnanzi.
I domestici di alto rango, poi, avevano anche una mise particolare e che si avvicinava di più all'eleganza di coloro che servivano: la cameriera personale della regina non poteva certo stare al suo fianco con indosso le stesse vesti di una domestica qualunque, in fin dei conti. E anche Urié rientrava in quella categoria, tanto che quel giorno aveva indossato il suo abito da cerimonia preferito: nero, con la gonna lunga, il colletto alto e la maniche ornate di merletto bianco. Solo un candido grembiule di seta ornamentale lasciava intendere che facesse parte della servitù e non degli invitati.
Raf le aveva chiesto solo un bicchiere d'acqua, dopo varie domande di rito in cui la ragazza si era anche offerta di farla tornare in camera con una scusa, che lei purtroppo aveva dovuto rifiutare in quanto non poteva assolutamente permettersi di abbandonare un evento presidiato da ospiti così importanti. Prima o poi sarebbe dovuta tornare in mezzo ai nobili e sorbirsi di nuovo le loro chiacchiere, volente o nolente.
Era così durata fino a pomeriggio inoltrato, quando tutti gli ospiti si erano congedati per tornare nelle proprie abitazioni per un cambio d'abito in vista del ballo di quella sera. La giornata non era ancora finita, malaguratamente, e la parte difficile doveva ancora arrivare. A Raf erano state quindi concesse sì e no un paio d'ore di riposo che avrebbe dovuto usare per prepararsi, ma non aveva la benché minima voglia di alzarsi dal letto: voleva solo sprofondare nel suo morbido cuscino e dormire fino al giorno dopo.
Arya, tuttavia, non fu dello stesso avviso, perché entrò frettolosamente nella sua stanza senza neanche premurarsi di bussare, portando al seguito due cameriere che reggevano un lungo abito blu scuro avvolto in della plastica protettiva.
“Perdonatemi, principessa, so che siete stanca ma dovete iniziare a preparavi. Se avanza un po' di tempo vi riposerete, ma non ora” decretò, sbrigativa, attraversando la stanza per raggiungere il bagno. Le due donne avevano poggiato l'abito sul letto, invitando Raf ad alzarsi così da poter iniziare a toglierle quello che già indossava; quella premessa bastò per rimetterla in piedi: non vedeva l'ora di togliersi quella roba strettissima di dosso.
La prima cosa che fecero fu far sparire il diadema, poiché da quel momento in poi non le sarebbe più servito, e la sgusciarono come un gamberetto strato dopo strato. Quando finalmente le tolsero il corsetto Raf tornò a respirare con sollievo.
Arya uscì quindi dal bagno portando un catino di acqua calda profumato con fiori d'arancio, con cui Raf si lavò accuratamente il viso per eliminare i residui di trucco. Le sciolsero i capelli e li pettinarono a lungo, acconciandoli in una lunga treccia che chiusero intorno al suo capo, come una specie di corona. Non indossò alcun tipo di calze e, fortunatamente, anche quella volta le scarpe furono basse, con un tacco leggerissimo, e sui toni dell'abito.
L'unica pecca fu il nuovo corsetto che dovette indossare, più largo rispetto al primo ma abbastanza stretto da costringerla a respirare con moderazione. Le fecero quindi scivolare l'abito sulla testa e Raf lo trovò sorprendentemente nel suo stile: nessun cerchio o sottogonna, nessun colletto alto o maniche lunghe e nessun tessuto pesante. Era di chiffon, con la gonna composta da più strati e di una leggerezza incredibile; la maniche erano corte e lo scollo ampio, ornato da fiori di pizzo blu scuri con un cristallo azzurro al centro di ognuno. Il corpetto era composto da due strisce di tessuto ripiegate una sull'altra ed era separato dalla gonna dagli stessi dettagli dello scollo, posti a V sui fianchi.
Non la truccarono eccessivamente, premurandosi di passarle solo un po' di lucido rosato sulle labbra, così da farle risaltare nel buio della sera. In tutto quello Raf si ritrovò ad avere meno di mezz'ora di tempo per riposarsi un po' prima di dover scendere al piano di sotto, e dubitava fortemente le sarebbe bastato. Quando le tre donne l'ebbero lasciata sola, sospirò stancamente e raccolse le pieghe della gonna, aprendo la porta ed avviandosi nel corridoio illuminato tenuemente dalle candele. Dopo aver passato tutto il giorno chiusa in una stanza gremita di persone aveva bisogno di un po' di aria fresca, e quale posto migliore del grande balcone che dava sulla Sala del thé?
Situata nella parte più a est del castello, la sala veniva utilizzata raramente e solo in occasioni particolari, pertanto era sempre vuota e un posto perfetto in cui andare quando non si voleva essere disturbati. Ogni tanto Raf vi andava anche a studiare, agevolata dalla luce che entrava dalle grandi vetrate che occupavano un'intera parete, o sedeva direttamente sull'ampio balcone. Aprì leggermente la porta e se la richiuse alle spalle, attraversando la stanza ed aprendo una delle finestre, sgusciando fuori: il cielo era nero e già ornato di stelle, una falce di luna faceva pigramente capolino da dietro le fronde di un albero e i giardini erano silenziosi. La lievissima brezza serale era tiepida, donandole una piacevole sensazione di tepore, e si appoggiò con le mani alla balustra di marmo bianco respirando a fondo il profumo dell'erba e dei fiori che saliva fin lassù.
Era decisamente tranquilla in quel momento, come se tutta la fatica e l'ansia di quel giorno stesse svanendo man mano che i minuti passavano. Era una cosa estremamente positiva e la consapevolezza che non tutto era perduto nacque con gioia dentro di lei. Doveva solo resistere un altro po', poi avrebbe potuto godersi moltissimi momenti come quello per ritrovare la propria pace interiore e, doveva ammetterlo, anche un pizzico di sanità mentale.
Certo, sarebbe stato tutto estremamente più semplice se non ci fosse stato quel dannatissimo corsetto a stringerle la vita. Fece una smorfia e si massaggiò il ventre con una mano, a dir poco sofferente, cercando di trovare un ritmo giusto al proprio respiro per allinearlo con le disponibilità che le offriva l'indumento.
Scarsissime, ma sempre presenti.
“Difficoltà?”
Raf sussultò e si voltò di scatto, colta alla sprovvista dalla voce sconosciuta che aveva udito alle proprie spalle: non si aspettava di trovare qualcuno lassù, nessuno ci veniva mai e non aveva la più pallida idea di chi potesse essere. Si ritrovò quindi a fissare, stupita e decisamente a disagio, il proprio futuro sposo.
Cosa diamine ci faceva lì? Come ci era arrivato? E perché?
Le sue stanze erano dall'altra parte del castello, aveva fatto proprio una bella e inspiegabile passeggiata per trovarsi in quel posto. E a Raf non piacque per nulla incontrarlo nel suo fugace attimo di pace, nel quale l'ultima persona a cui voleva pensare era proprio lui: ci sarebbe stato tempo per preoccuparsi del loro avvenire insieme, ma non in quel momento. Senza contare che quella era effettivamente la prima volta in assoluto che udiva il suono della sua voce.
Tuttavia sarebbe risultato estremamente scortese cacciarlo via, sebbene avesse già in mente un paio di risposte molto poco eleganti, e cercò di riprendere quanto più contegno riusciva a racimolare... anche se non aveva idea di che cosa dirgli: un “Scusa, sai, mi hanno infilato in un dannato corsetto che mi sta schiacciando così tanto i polmoni che potrei morire soffocata in qualunque momento. Per il resto tutto ok, a te come va la vita?” non era contemplato.
Ma prima che potesse rimuginare su qualunque altra cosa fu lui a prendere la parola, senza staccarsi dalla vetrata a cui era poggiato. “Fatemi indovinare: corsetto troppo stretto” buttò lì, con una nota maliziosa nello sguardo, incrociando le braccia al petto; i suoi capelli erano sciolti e indossava solo una camicia bianca sopra un paio di pantaloni e degli stivali nerissimi. I suoi occhi erano stranamente brillanti al tenue chiarore della luna e Raf si sentì molto in imbarazzo. “Ho una sorella, riconosco i sintomi” ammise, scrollando le spalle “Una volta ne ha letteralmente gettato uno dalla finestra, intimandomi di bandirli dal nostro regno quando sarei diventato re” raccontò, con un lieve sorriso, come se ricordare quell'episodio lo divertisse molto.
Raf sgranò gli occhi, immaginando spontaneamente una ragazzina simile a Sulfus gettare un corsetto giù dal balcone urlando minacce, e si ritrovò combattuta tra lo scoppiare a ridere o restarne perplessa. Ma sopratutto non capiva perché glielo stesse raccontando.
Non si erano praticamente rivolti la parola neanche una singola volta per tutto il giorno, ignorandosi deliberatamente se si passavano accanto nella sala, e ora parlava con lei con una naturalezza quasi snervante come se la conoscesse da anni.
Non aveva idea del perché e quel comportamento la lasciò smarrita: forse, semplicemente, non voleva che la loro prima conversazione fosse sotto gli occhi attenti di mezzo palazzo. Forse aveva voluto aspettare il momento opportuno per restare da solo con lei e parlare in tranquillità, senza nessuno a guardarli o sentirli, anche se trovava assurda l'idea che avesse attraversato l'intera magione solo nella speranza di trovarla in un posto isolato. Ma era più probabile che fosse solo un caso che si trovasse lì in quel momento.
“Volete una mano?” chiese d'un tratto, risvegliandola dalle sue elucubrazioni.
Raf sbatté le palpebre un paio di volte, non del tutto sicura di aver capito bene la domanda “Come, prego?” domandò, perplessa.
“Ah, ma allora parlate anche voi!” esclamò Sulfus, fingendosi stupito, prendendo palesemente in giro il suo ostentato silenzio. La ragazza si ritrovò ad arrossire ma, allo stesso tempo, pensò che quel ragazzo fosse estremamente maleducato e indelicato nel suo modo di porsi: che cosa pretendeva? Che gli dedicasse una marea di moine, riverenze e risatine come tutte le altre damigelle di corte? Forse non aveva capito che quella che aveva di fronte non era affatto una principessina come le altre.
“Su, lasciate che vi aiuti, non vorrei che mi sveniste sul pavimento perché non vi è arrivato abbastanza ossigeno al cervello” decretò infine, staccandosi dalla finestra e avvicinandosi a lei. Raf lo guardò stupita e anche un po' persa, non riuscendo ben a capire cosa volesse fare con esattezza, e rimase totalmente spiazzata quando lui le mise le mani sulle spalle e la voltò. Arossì poi violentemente quando le abbassò il vestito oltre le scapole, iniziando a slacciare le stringhe del corsetto.
Sobbalzò e cercò di sottrarsi da quella scena inverosimile, totalmente sconvolta: “Io non credo che questo sia...” iniziò, imbarazzatissima, ma lui la rimise al proprio posto tirandola a sé per i lacci.
“Non preoccupatevi, tanto non c'è nessuno qui ad urlare allo scandalo” constatò tranquillamente, allargando leggermente il busto con le mani. Raf riuscì quasi a sentire i propri polmoni allargarsi quando l'aria entrò di colpo dentro di essi e inspirò di getto quasi insintivamente portandosi una mano al ventre ormai libero.
“Va meglio?” chiese lui, con tono leggermente canzonatorio, e Raf fu troppo impegnata a impedire ai propri occhi di lacrimare per il sollievo per curarsene. Le aveva appena fatto un immenso favore, anche se condito da un bel po' di irriverenza e molto poco rispetto, quindi avrebbe potuto tranquillamente lasciar correre.
“Sì” ammise, rilassandosi notevolemente non avendo più il corsetto a mantenerle la schiena ben dritta, e pensò che fosse più che doveroso dimostrargli almeno un minimo di gratitudine “Vi ringrazio” mormorò.
Il ragazzo alzò le spalle, riallacciando delicatamente le stringhe per adattarle alla nuova misura: “Quando volete” rispose, risistemando l'abito in modo appropriato.
Certo, l'aveva praticamente spogliata di punto in bianco, ma lo aveva fatto con buone intenzioni e questo lei lo apprezzava molto. Dubitava che qualche altro ragazzo si sarebbe comportato allo stesso modo nelle stesse circostanze, anche perché un'azione del genere richiedeva fegato e una certa sicurezza in sé stessi. Cose di cui lui sembrava anche troppo provvisto.
Si sentiva ancora un po' a disagio, ad essere sincera, e cercò un modo per smorzare quella tensione e, magari, districarsi da quella situazione piuttosto scomoda: “Come mai siete venuto fin quassù?” domandò, voltandosi per guardarlo.
Sulfus si portò una mano a grattarsi la base del collo e, per un attimo, le sembrò davvero in imbarazzo “A dire il vero mi sono perso” ammise “So che è scortese ma ho aperto un po' tutte le porte cercando quella giusta... e qui ho trovato voi” spiegò, tornando serio “Ne ho approfittato per parlarvi senza orecchie indiscrete intorno” concluse, confermando ciò che lei già sospettava; in effetti era piuttosto logica come spiegazione. “Spero di non aver fatto una pessima impressione” buttò lì, evidentemente per rompere il ghiaccio. Raf lo guardò piuttosto scettica.
“Mi avete praticamente tolto le vesti di dosso” gli fece notare, cinicamente e un po' seccata.
Il ragazzo si infilò le mani in tasca, con aria colpevole: “Le intenzioni erano buone, però” ricordò, per pararsi un po' il didietro, e Raf provò una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Se prima quel ragazzo non aveva attirato minimamente il suo interesse, ora era incuriosita da lui: aveva dimostrato di essere ben lontano dal classico modello di principe che era abituata a vedere, esternando un carattere e un modo di porsi estremamente personali e libero da qualunque etichetta.
Esattamente come lei.
Un brivido le corse su per la schiena e per un attimo si ritrovò a fissarlo, sconcertata, non sapendo assolutamente cosa pensare: era assurdo che le avessero combinato un matrimonio con l'unico principe sulla faccia della terra a non comportarsi come tale. Che non la trattava come una bambola di porcellana di cui usufruire a proprio piacimento ma come un essere umano, come una persona vera, che aveva addirittura spogliato per allentarle il corsetto senza malizia o doppi fini, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Non poteva innamorarsi di lui, questo no, ma la possibilità di diventare sua amica non le sembrava poi così assurda o improbabile. Forse sarebbero davvero riusciti a far funzionare le cose in modo sereno, in qualche maniera.
Fu il rintocco dell'orologio a svegliarla da quel momento, segnando il cambio dell'ora, e si rese conto di quanto fossero in ritardo per la festa con un sussulto. “Dovremmo scendere di sotto” constatò, un po' ansiosa.
“Sì, dovremmo” concordò Sulfus “Fate strada voi?” domandò, con una lieve nota speranzosa nella voce che la fece sorridere.
“Ovviamente” rispose, raccogliendosi la gonna e avviandosi dentro il palazzo, seguita a ruota dal ragazzo. Non avevano toccato l'argomento matrimonio neanche per sbaglio e, almeno per il momento, andava bene così; le aveva fatto piacere, tutto sommato, quella improvvisa chiacchierata ed era convinta che conoscersi meglio avrebbe facilitato le cose ad entrambi.
“Quindi... come ve la cavate con il ballo?” domandò d'un tratto, affiancandola nel lungo corridoio.
Raf fece una smorfia. “Entrate in una zona pericolosa” rispose “Nel vero senso della parola: l'ultimo giro di valzer che ho provato non è finito bene” ammise, sconsolata, ripensando all'ultimo capitombolo che aveva fatto sul pavimento dello studio. Giurò di vedere il ragazzo sorridere ma non si voltò per trovarvi conferma, concentrandosi sui gradini da scendere senza inciampare nella veste.
“Temo che si aspettino che danziamo” le ricordò lui.
“Solo perché si aspettano qualcosa da noi non significa che dobbiamo farla per forza” rispose lei, scoprendosi sorprendentemente a proprio agio nell'esternare così facilmente i propri pensieri con lui.
Sulfus si voltò a guardarla per un'istante e, stavolta ne fu sicurissima, sorrise per davvero: “Mi piace il modo in cui ragionate” ammise.
Anche Raf sorrise, fermandosi davanti le porte della sala poco prima che queste venissero aperte: “Lieta di saperlo.”
Sì, forse non sarebbe andata poi così male come credeva.
















Note🎶:
Tre anni di silenzio assoluto e poi tre capitoli sfornati in pochi giorni. A volte non mi capisco neanche io, sta di fatto che la nuova trama che ho elaborato mi sta ispirando molto più della precedente.
Ho cercato di mantenere i personaggi il più IC possibile, nonostante tutto, anche perché il Sulfus del fumetto non ce lo vedo per nulla nella parte del principe serio e composto: sarebbe stato strano e sconcertante. Quindi mi sono adattata, provando a mantenere il suo fare irriverente e ribelle anche in questo ruolo (nel quale serve comunque una discreta dose di buon senso e determinata educazione). Bon, spero di aver fatto un lavoro accettabile.
Ultimo appunto: visto che faccio schifo a descrivere abiti e accessori vi lascio le immagini qui sotto dei vestiti e della tiara che ho usato per Raf in questo capitolo. Giusto così, per scaramanzia.




Tiara: scrolling-crystal-tiara-rose-gold-2000x


Abito della cerimonia: 526e222c6e457f104129f95015b0932d


Abito del ballo: gallery-hero-3b577bb7-0edf-4c28-b6eb-6e729319cf0a

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Capitolo 5
*** Profectionem ***


Il cinguettio spaventato di un passerotto rieccheggiò con forza nell'aria poco prima che egli prendesse il volo di scatto, lasciando che il rametto su cui era stato poggiato fino a quel momenti vibrasse lievemente. Raf guardava ad occhi sgranati la ragazza in piedi di fronte a sé, che la fissava con sguardo serio e deciso, non riuscendo a credere alle proprie orecchie: quindi era quello il fine ultimo, il pezzo mancante in quel contorto mosaico. D'un tratto le fu tutto più chiaro, tuttavia non riusciva a spiegarsi perché lei avesse accettato; proprio non lo capiva.
Sbatté le palpebre un paio di volte, non sapendo da dove iniziare a parlare, e poggiò il libro sulle proprie gambe. "Stai scherzando, vero?" chiese, dopo alcuni lunghissimi istanti di silenzio. Miki drizzò la schiena, dilatando le narici, e la guardò piuttosto offesa: "No" rispose, asciutta "Sarò la tua dama da compagnia e verrò con te a Zolfanello City" ripeté, scandendo bene ogni parola "A me sta benissimo, a mia madre sta benissimo, alla tua pure e scommetto che, sotto sotto, sta bene pure a te" decretò, convinta, come se volesse sfidarla a dire il contrario. E Raf non sapeva come ribattere a tale dichiarazione, detta con tanta vemeenza e così di punto in bianco.
Quando l'aveva vista risalire il prato a passo di marcia nella sua direzione non avrebbe mai creduto che dovesse dirle una cosa simile. E lei non poteva obbiettare perché Miki aveva scelto da sola: aveva capito cosa comportava divenire la sua dama da compagnia e lo aveva accettato, andando addirittura a dirglielo in faccia.
Raf non poteva semplicemente dirle di no, lei non glielo avrebbe permesso, anche se era decisamente restìa a portarsela dietro in quel viaggio. In quella vita. E tutto il suo disappunto era più che evidente sul suo volto, ma la ragazza lo ignorò deliberatamente.
"Riferiscilo a tua madre, quando sarà il momento, almeno le daremo una gioia una volta tanto" decretò infine, voltandosi per tornare indietro, prima che la ragazza potesse chiederle cosa intendesse dire con quelle parole. E Raf rimase seduta sotto l'albero, decisamente sconcertata, non sapendo più come gestire quelle novità tutte in una volta.
Sospirò, chiudendo definitivamente il libro e alzandosi in piedi, dicendo addio al proprio piccolo momento di pausa. Per quella mattina non erano previsti impegni di alcun genere e aveva pensato di concedersi un po' di riposo dedicandosi alla sua attività preferita, ovvero leggere all'aperto. Si era quindi ritirata in un angolo dei giardini del palazzo, nascosta sotto le fronde di un albero d'arancio e con un libro preso dalla biblioteca. Solo Adrë sapeva dov'era andata e Miki doveva aver reperito l'informazione da lui, ancora intento a strigliare il proprio cavallo fuori dalle scuderie reali, sempre a portata d'orecchio nel caso in cui Raf avesse chiamato.
Si spolverò la leggiadra gonna rosa e si incamminò verso il castello: fuori dalla supervisione di sua madre aveva reindossato i suoi abituali abiti, semplici e comodi. Non le importava particolarmente se qualcuno degli ospiti la vedeva con l'abituccio dimesso e sporco di erba o con i capelli al vento; l'intera capitale di Angie Town si era abituata a incontrarla in quelle vesti, pertanto lo avrebbero fatto anche loro. E poi voleva godersi i suoi ultimi giorni di libertà poiché non sapeva cosa sarebbe successo una volta giunta a Zolfanello City: avrebbe dovuto cambiare radicalmente le proprie abitudini e chissà quando avrebbe potuto vivere, di nuovo, un momento di pace come quello. Aveva già iniziato a scorgere Adrë in lontananza quando il suo sguardo fu attirato da una figura affacciata da uno dei balconi del palazzo, nei piani più alti; alzò gli occhi con discrezione solo per incontrare quelli di Sulfus, poggiato alla balaustra di marmo, una mano a reggere il mento e lo sguardo fisso sul grande prato... su di lei.
Beh, in fin dei conti era l'unica persona in mezzo a tutto quel verde, ci stava che attirasse un po' di attenzione, anche se le venne spontaneo chiedersi da quanto tempo fosse lì a fissarla. Cercò di non darvi peso e continuò la propria avanzata, anche se non poté evitare di sentirsi un po' a disagio sentendo i suoi occhi su di sé.
Non avevano avuto modo di parlare nuovamente dopo la breve chiacchierata della sera prima, troppo impegnati a presidiare al ballo ai due angoli opposti della sala; lui non le aveva chiesto di danzare, con suo immenso sollievo, e lei aveva rifiutato i pochi inviti che le erano stati avanzati, risparmiandosi una lunga e stancante tortura. Anche l'angoscia che l'aveva accompagnata per tutto il giorno precedente era scemata definitivamente una volta compreso che la situazione non era affatto così orribile come aveva creduto. Non aveva ancora un'idea chiara dell'insieme, certo, ma l'inizio era stato molto promettente.
Raggiunse Adrë, informandolo che sarebbe tornata dentro poiché doveva parlare con sua madre, ma, prima di raggiungere la porticina secondaria che dava sulle cucine (sua entrata e uscita fissa dal castello), alzò di nuovo lo sguardo al cielo ed ebbe un tuffo al cuore: il balcone era vuoto.
 
 
Arkan fissò a lungo la donna seduta comodamente davanti a sé, completamente a proprio agio e con un sorriso sereno sulle labbra; i suoi gomiti erano poggiati sul tavolo, unica cosa a separarli, e le dita, intrecciate tra loro sotto il viso, le reggevano il mento appuntito. Erano passati anni dall'ultima volta che si erano visti, eppure la donna sembrava non essere cambiata affatto da allora: erano solo due giovani rampolli, a quell'epoca, entrambi immersi nei propri doveri. Temptel era ancora principessa di Zolfanello City e Arkan era nel bel mezzo del suo viaggio di studio in cui, girovagando in lungo e in largo per il mondo, ampliava i propri orizzonti con informazioni e conoscenze sempre nuove, preparandosi così a divenire un eccellente Ministrante.
Si erano conosciuti per la prima volta nella capitale del regno di lei, praticamente per caso, mentre lui si dirigeva alla biblioteca pubblica e lei sgattaiolava via dal castello per darsi un po' alla pazza gioia all'insaputa dei genitori. Era nata subito una certa affinità tra i due che era sfociata in sempre più frequenti incontri fugaci sulle spiagge che lambivano la città, durati anche ore, passati a sostenere lunghe conversazioni riguardanti qualunque argomento passasse loro per la testa. Non era stato tutto e rose fiori, certo, poiché il carattere esuberante e malizioso della donna la portava, spesso e volentieri, a punzecchiarlo anche piuttosto fastidiosamente, e si ritrovavano sempre a discutere animatamente o litigare.
Anche in quel momento Temptel non aveva assolutamente perso quel sorriso canzonatorio e un po' indagatore che tanto la contraddistingueva, come se sapesse esattamente cosa stesse pensando chi le stava di fronte prima ancora che egli stesso lo pensasse. Un sorriso che Arkan aveva sempre trovato fastidioso ma, allo stesso tempo, estremamente affascinante. E quella sensazione era ben presto sfociata in qualcosa di troppo.
Ai ministranti non era concesso sposarsi, ma nulla poteva impedire loro di avere una qualche relazione segreta, all'insaputa di tutti, e Temptel era stata l'unica "macchia" nella sua onerosa e disciplinata vita. Un punto nero troppo grande sul foglio da poter semplicemente ignorare e che rendeva estremamente difficile il continuare a scrivere poiché, involontariamente, l'occhio continuava a tornare su di essa.
Il tempo era passato diversamente per entrambi eppure erano nuovamente l'uno di fronte all'altra, come se non fosse cambiato nulla in tutti quegli anni; sembrava quasi che si fossero incontrati solo il giorno prima sulla piccola costiera alle pendici del palazzo reale, riportando a galla sensazioni ormai quasi perdute.
"Non sei cambiato poi tanto" esalò Temptel d'un tratto, inclinando leggermente il capo di lato "Hai sempre quello sguardo crucciato sul viso" lo canzonò, accentuando il proprio sorriso. L'uomo non si scompose, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
"E tu hai sempre quell'aria strafottente" ribatté, serio, cercando di mantenere un certo contegno.
"A te non è mai dispiaciuta" gli ricordò lei, in un sussurro, poggiando la braccia sul tavolo e sporgendosi lievemente in avanti. Arkan sospirò, drizzando la schiena e aprendo il rotolo di pergamena davanti a sé.
"Lasciamo da parte i lieti ricordi..." disse, pronunciando quella parola con fin troppa ironia "...abbiamo del lavoro da svolgere. È per questo che sei quì."
Temptel alzò gli occhi al cielo, sospirando, e si tolse gli occhiali dal viso "Quello può aspettare" rispose allungando la mano per togliergli il manoscritto dalle dita, che si ripiegò su sé stesso spontaneamente "Io non posso."
Arkan si allontanò leggermente dal tavolo, ben sapendo dove la donna voleva arrivare a parare, e inspirò a fondo. "Credevo ci fossimo già detti tutto."
"Tu lo avrai fatto, forse, ma non mi sembra che ti sia importato sentire il mio parere a riguardo" commentò Temptel, piuttosto acidamente "Ero pronta a lasciare tutto, ma tu non lo eri..."
"C'erano cose a cui non potevo rinunciare" si giustificò prontamente lui, prima che i sensi di colpa lo assalissero nuovamente, come già molte volte era successo in quegli anni.
"...hai sempre messo il tuo dovere prima di ogni altra cosa" continuò lei, imperterrita "Ma anche ora, dopo tutto questo tempo, quando oramai sei giunto dove volevi, mi respingi? Perché? Davvero non ti importa più nulla di me?" domandò a bruciapelo e con vemeenza.
Un lampo attraversò gli occhi di Arkan, alterandolo: "Sai che non è così!" esclamò.
"E allora com'é?"
L'uomo si passò una mano sul mento, decisamente a disagio e in difficoltà: riprendere quel discorso, in quel momento, non era una scelta saggia. Era troppo tardivo, troppo impegnativo e troppo problematico... ma lei non avrebbe accettato una risposta priva di spiegazione e il punto cruciale era proprio lì: lui non era in grado di fornirne una soddisfacente.
"Dovevo fare una scelta e l'ho fatta. Questo è quanto" tagliò corto. Temptel assottigliò lo sguardo, poggiando la pergamena sul tavolo.
"Non mi interessa il passato" affermò "Ora siamo quì. Noi due. Da soli. Possiamo continuare a compilare inutili scartoffie tutto il giorno o puoi portarmi nella stanza lì dietro e dare una bella spolveratina alla parte migliore del nostro passato. A te la scelta" decretò, incrociando le braccia al petto, mettendo ben in chiaro la sua posizione a riguardo.
Sfacciata, irriverente, senza peli sulla lingua o vergogna. No, Temptel non era cambiata affatto. E, effettivamente, neanche lui lo era: non importava quante volte battibeccassero, quanto si impuntassero sulle proprie idee e posizioni tanto, alla fine, l'aveva sempre vinta lei in un modo o nell'altro.
Questo perché, semplicemente, Arkan non era mai riuscito a guardarla negli occhi e dirle di no, tanto che per lasciarla definitavamente aveva dovuto scriverle una lettera: sapeva che se avesse provato a parlarle di persona non avrebbe mai più lasciato Zolfanello City. Non avrebbe mai più lasciato lei.
Oh, ma a chi importava! La sua vita l'aveva vissuta, i suoi doveri li aveva compiuti, i suoi sacrifici li aveva fatti, non aveva nulla da rimpiangere o di cui lamentarsi. Per una volta, una singola volta, avrebbe fatto ciò che voleva e non ciò che il suo ruolo gli imponeva. Si alzò di colpo dalla sedia e si avvicinò a grandi passi alla donna, guardandola in cui limpidi occhi color dell'oro che tanto aveva amato in passato, e bastò quello per far sì che si capissero al volo. Le dita laccate di Temptel gli agguantarono il doppiopetto della tunica senza indugio e lo attirarono a sé con forza, unendo le loro labbra in un bacio che entrambi avevano atteso per più di vent'anni.
Non era davvero cambiato nulla, in loro, neanche quei sentimenti segreti e proibiti che avevano provato così a lungo l'uno per l'altra.
 
 
 
Raf si richiuse la porta alle spalle e attraversò velocemente il corridoio, con un senso di sollievo dentro di sé senza eguali: sua madre stava facendo il bagno e non aveva potuto riceverla, pertanto aveva lasciato che Lina le riferisse la decisione presa con Miki da parte sua. Non doverle parlare era stata una nota positiva e, se lo avesse saputo prima, non si sarebbe neanche cambiata. Si sfilò la retina dall'acconciatura mentre scendeva le scale, sciogliendo la morbida crocchia che si era fatta frettolosamente, lasciando che i capelli le ricadessero morbidamente sulla schiena; ora non le restava che tornare in camera a cambiarsi, di nuovo, e tornare a dedicarsi alla sua meritata mattinata di riposo.
Aveva appena svoltato l'angolo per raggiungere il piano inferiore quando si ritrovò faccia a faccia con Sulfus, quasi andando a sbattergli contro. Sobbalzò e fece due passi indietro per lo spavento e la sorpresa, sospirando per calmarsi. Non era normale incontrarlo così spesso e in posti così improbabili, ma di sicuro il ragazzo aveva preso alla lettera il "Fate come se foste a casa vostra" di sua madre dal momento che girovagava così tanto per il castello.
"Che fortuna, stavo cercando proprio voi" esclamò lui, facendole inarcare un sopracciglio.
"Perché?" domandò di getto, curiosa e un po' sospettosa.
Sulfus infilò una mano nella tasca dei pantaloni e vi estrasse un piccolo cofanetto di velluto blu, che le porse senza troppi complimenti: "Avrei dovuto darvelo ieri ma me ne sono dimenticato" ammise.
Lei osservò prima lui poi l'oggetto, infine lo prese, titubante. Esitò un secondo prima di aprirlo e sgranò gli occhi quando scorse, dentro di esso, un piccolo anello d'oro bianco ornato da un diamante azzurro "La tradizione vuole che lo indossiate quando giungerete in città" spiegò lui, tranquillo, mentre lei continuava a fissare quel gioiello come se fosse una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro. "Avrei dovutio darvelo appena vi avrei incontrata, faceva parte della cerimonia della consegna dei doni e tutta quella roba lì... ma l'ho dimenticato, quindi dovremo arrangiarci" concluse.
Raf dovette farsi violenza per non lanciarlo via e cercò di nascondere il più possibile il proprio turbamento, provando a formulare una risposta di senso compiuto. Tutto ciò che le uscì, tuttavia, fu un arido "Ah" pronunciato in modo totalmente inespressivo. E il ragazzo sembrò trattenere a stento una risata.
"Sembrate sul punto di gettarlo dalla finestra" notò, evidentemente divertito da quella reazione. Raf sussultò, boccheggiando qualcosa con un lieve rossore sulle gote: "Sì, io... no, cioé..." balbettò, chiudendo di scatto il cofanetto per non dover più osservare l'anello "Lo terrò a mente, grazie" esalò infine, con tutta la dignità che era riuscita a racimolare, alzando lo sguardo per incrociare il suo.
Il fatto che le avesse appena dato un anello di fidanzamento ufficiale la faceva sentire tremendamente a disagio; che lo avesse fatto con tutta quella calma, poi, le causò anche un lieve senso di fastidio. Sembrava quasi che a lui non importasse nulla di tutta la faccenda o che la cosa non lo toccasse in modo particolare. Non riusciva a spiegarselo, ma il solo pensiero che lui non provasse neanche un minimo di frustrazione o repulsione verso quella storia la mandava in bestia.
"Ma non vi dà fastidio?" chiese d'un tratto, non riuscendo a trattenersi oltre. Sulfus sbatté le palpebre una sola volta, preso di sorpresa, non capendo a cosa si riferisse.
"Che cosa?" domandò, perplesso.
"Beh... tutto" rispose lei, alzando una mano ad indicare il soffitto del corridoio "Sembra che questa storia del matrimonio non vi riguardi affatto. Non vi dà fastidio che vi costringano a fare una cosa simile? Insomma, non avete la più pallida idea di chi io sia eppure fra pochi giorni dovrete sposarmi... non vi fa arrabbiare nemmeno un po' tutto questo?" esplose, esternando i propri pensieri senza alcun freno o timore. E quando ebbe finito si rese conto di sentirsi anche meglio.
Il ragazzo, dal canto suo, fu sinceramente stupito da quel discorso, non aspettandoselo minimimamente, e per un attimo sembrò davvero turbato. "Certo che mi dà fastidio" rispose, con una naturalezza disarmante "Esattamente come dà fastidio a voi... ma abbiamo qualche altra alternativa?" domandò, con un evidente tono retorico. Si grattò distrattamente dietro l'orecchio con l'indice e, per una volta, diede evidenti segni di  disagio. "Questa situazione non piace neanche a me, ma credo che viverla da perenni incazzati non migliorerà le cose" ammise.
"Quindi fingete che vada tutto bene?" chiese lei, incredula.
"No, cerco di farlo andare bene per davvero" la corresse lui, serio, lasciandola spiazzata "Il fatto che saremo sposati non dovrebbe influenzare negativamente il nostro rapporto. Alla fine è solo un pezzo di carta preceduto da una noiosa cerimonia, tolto quello nulla ci vieta di porci come ci pare l'uno nei confronti dell'altro" notò, con una certa ovvietà. Raf rimase senza parole, rendendosi conto che Sulfus la pensava esattamente come lei con una sorpresa senza eguali; non potevano amarsi ma potevano essere amici, ed erano entrambi d'accordo su questo.
"E credete davvero che funzionerà?" domandò lei, sinceramente preoccupata: sarebbe arrivato il momento in cui quel matrimonio sarebbe divenuto un ostacolo per entrambi. Era inevitabile che ciò accadesse e le cose non avrebbero potuto finire affatto bene.
"Questo non lo so" ammise il ragazzo, scrollando le spalle "Ma tanto vale provarci. Non abbiamo nulla da perdere in fin dei conti."
"Immagino di sì..." ammise Raf, anche se aveva ancora molti dubbi a riguardo. Dubbi che, evidentemente, solo il tempo avrebbe potuto toglierle.
"Ah, bene, siete ancora quì!"
I due ragazzi sobbalzarono e si voltarono verso il corridoio alle spalle di lei: Lina li stava raggiungendo velocemente, tenendosi la lunga gonna beige così alta da mostrare gli stivaletti neri che indossava. "Principessa, vostra madre desidera parlarvi" la informò, ansimante.
Raf non poté trattenere una smorfia seccata e annuì: "Sì, arrivo" esclamò, facendosi scivolare il cofanetto con l'anello nella tasca interna del vestito e iniziando a raccogliersi i capelli.
Sulfus le fece un breve cenno di saluto con il capo e, senza aspettare risposta, sparì giù per la grande scalinata, lasciandola un po' perplessa: era chiaro, ormai, che non voleva avere alcun colloquio con lei in presenza di altre persone. Il perché le sfuggiva e, benché fosse incuriosita, pensò che non fosse una scelta saggia chiedergli il motivo. Seguì quindi Lina nel percorso inverso, di nuovo verso le stanze di Angelie, aggiustandosi la chioma più in fretta e meglio che poteva.
Non le piacevano i colloqui con sua madre, erano quasi sempre lunghi e rigidi: Raf si sentiva constantemente sotto esame e aveva il timore di fare qualunque cosa per paura di sbagliare. Per questo cercava di evitarli il più possibile e con qualsiasi mezzo; una volta aveva anche finto di avere un attacco di nausea e aveva mandato la povera Urié come portavoce. Ma in quel momento non aveva alcuna valida scusa per non presentarsi e, qualunque cosa lei volesse dirle, sperò che lo facesse il più in fretta possibile.
Tanto, peggio di così non poteva andare.
 
 
 
"Come ti senti?" domandò Miki, a bassa voce, nascondendo la bocca dietro il vaporoso  ventaglio verde.
"Non mi va di parlarne. Sono ancora di pessimo umore" mormorò Raf, cercando di nascondere la propria frustrazione. Sorrise educatamente e chinò lievemente il capo al Conte di Viscrût, inchinatosi di fronte a lei mentre le passava accanto, per poi tornare seria.
"È proprio sfogandoti che ti passerà il pessimo umore" notò Miki, con tono saccente.
"Se mi sfogo ora mi metto a strillare" rispose lei, a denti stretti, facendo vagare lo sguardo per la sala: sua madre era seduta sul proprio seggio, con la testa rivolta di lato a parlare fitto fitto con Lina e fece una smorfia.  Era ancora arrabbiata per ciò che le aveva detto al colloquio di quella mattina ma non poteva mostrarsi così scura in volto alla festa, doveva per forza nascondere il risentimento anche se era troppo forte. Suo fratello era in un angolo della sala, circondato da alcune damigelle che gli facevano il filo e con cui lui stava giocando molto poco doverosamente, piuttosto compiaciuto; di suo padre neanche l'ombra, troppo impegnato a organizzare la partenza del giorno dopo insieme ad Arkan e alla guardia reale. Il suo sguardo venne attirato dal fondo del salone dove Ginevra, la sorella maggiore di Gabi, stava palesemente flirtando con Sulfus e le venne quasi da ridere, facendo leggermente scemare il suo malumore: forse le voci sui de Cupido non erano così sbagliate come credeva.
"Quella ragazza non ha un minimo di decenza" commentò Miki, seguendo lo sguardo di Raf "Ma con la madre che si ritrova non mi stupisce" aggiunse, spostandosi la frangetta blu scura di lato.
"Oh, suvvia, non è carino dire queste cose di una persona" la riprese Raf, voltandosi verso di lei. Miki sospirò quasi con compassione.
"Amica mia, a volte sei così ingenua" ammise "La contessa de Cupido è una grandissima ruffiana, soprattutto con le persone di potere. È ovvio che abbia istruito la figlia allo stesso modo: prima cerca di ingraziarsi te, poi fa la civetta con tuo fratello e ora con quello lì... è così che campa la famiglia, tramite il prestigio degli altri. Mia madre li disprezza con tutta sé stessa proprio per questo motivo; Ginevra ha tentato di arruffianare anche me quando prendeva lezioni di danza a casa mia ma le ho fatto intendere fin da subito che non c'era pane per i suoi denti. Non ti sei mai chiesta come mai non si avvicina a te quando ci sono io nei paraggi?" domandò, leggermente stupita. Raf strinse le labbra, inarcando le soppracciglia, facendo ben intendere la risposta: lei era sempre contenta quando i nobili non le ronzavano intorno, non si era mai soffermata a chiedersi il motivo o accorgersi dei dettagli, le bastava non doverli vedere.
"Non faccio molto caso a queste cose, lo sai."
"Sì, beh, dovresti cominciare, specialmente ora che andremo a Zolfanello City" la rimproverò.
Raf fece una smorfia e annuì: "Beh, presumo che non avrò vita facile laggiù" constatò. La preoccupava molto quel "trasloco", sapeva bene che i rapporti tra i due paesi erano molto tesi e immaginava già che non tutti l'avrebbero accolta a braccia aperte. Sospirò stancamente, alzando lo sguardo quando vide una figura venirle incontro, e la sua espressione si congelò per un'istante quando si trovò di fronte Gavrielle de Cupido.
La donna, infilata in un pomposo abito turchese dallo scollo piuttosto evidente, le fece una riverenza fin troppo profonda e cui Raf rispose con un cenno del capo, sorridendo lievemente.
"Desiderate qualcosa, contessa?" domandò, dandole ufficialmente il permesso di parlarle, congiungendo le mani sulla gonna.
"Oh, vostra altezza, lungi da me disturbarvi con un'argomento tanto delicato..." iniziò la donna, mellifluamente "...ma vorrei avere la presunzione, in vista della vostra imminente partenza e del ruolo che vi attende, di proporre mia figlia Ginevra come vostra futura dama da compagnia" esalò, con un sorriso deliziosamente fiero "Sono certa che la conoscerete già, vi ammira molto e so che è riuscita a distinguersi tra le altre damigelle di corte che vi fanno compagnia: parla sempre così bene di voi e delle chiacchierate che fate."
Certo che era riuscita a distinguersi, pensò Raf, per il suo fastidioso modo di ridere ad ogni frase che diceva; tuttavia non riusciva a capire cosa intendesse con "chiacchierate" dal momento che, il più delle volte, Ginevra parlava senza sosta di ogni sorta di pettegolezzi mentre Raf annuiva di tanto in tanto giusto per far intendere di star ascoltando, pensando invece a tutt'altro. Forse Miki non aveva tutti i torti riguardo quelle due...
Come se si fosse sentita presa in causa, la ragazza si voltò con naturalezza verso il pilastro al suo fianco mormorando un "Te lo avevo detto" con voce canzonatoria. E Raf non poté darle torto.
Dopo il breve attimo di stupore che ne seguì, cercò di riprendere un contegno adeguato e sorrise, quasi a mo' di scusa: "Apprezzo il vostro interessamento, contessa, e vi sono grata per la proposta..." iniziò "...ma temo di dover rifiutare poiché, in vista dell'occasione, ho già da tempo trovato la persona adatta a questo ruolo" spiegò, con educata cortesia.
Il sorriso sul viso di Gavrielle si congelò per qualche istante, evidentemente non aspettandosi quella risposta così cruda, ma si riprese in fretta: "Certo, capisco, era ovvio. È stato sciocco da parte mia credere che non ci aveste già pensato" esclamò, con una finta allegria che infastidì molto la ragazza. "Se non sono invadente posso chiedervi chi è la fortunata che avete scelto?"
Raf, che voleva solo togliersela di torno, annuì "Non è certo un segreto" rispose, voltandosi al proprio fianco e alzando una mano per indicare Miki "Sarà la duchessina Miki du Evangeline a partire domani con me. È stata mia madre in persona a propormela, in un mio momento di dubbio, e l'ho trovata subito una scelta eccellente" spiegò, con naturalezza, modificando un po' l'avvenuta degli eventi. Più che altro, nessun nobile lì a palazzo sapeva che Raf era stata informata del proprio matrimonio la sera prima di incontrare il suo futuro sposo e, forse, era meglio che le cose rimanessero tali.
Miki, dal canto suo, chiuse il ventaglio con uno scatto e sorrise ampiamente alla donna in modo volutamente provocatorio, come a sfidarla a contestare quella scelta. Gavrielle, tuttavia, non si scompose eccessivamente (sebbene i suoi occhi tradissero una punta di risentimento) e le sorrise di rimando.
"Ovviamente. Deve essere un grande onore per voi" commentò. La ragazza annuì vigorosamente.
"Certo che lo è, soprattutto dal momento che è stata la regina in persona a fare il mio nome" rispose, marcando bene quelle parole "Un onore senza eguali per chiunque" aggiunse.
Raf riuscì quasi a sentire la tensione salire a dismisura in quel piccolo angolo di salone e si augurò che non succedesse nulla che attirasse eccessivamente l'attenzione.
"Beh, su questo siamo tutti d'accordo" esalò una voce, accostandosi a loro: Raf sobbalzò e rimase stupita nel rutrovarsi Sulfus di fianco che le guardava con un guizzo allegro negli occhi. "Se non avete altro da aggiungere vorrei scambiare due parole con queste incantevoli fanciulle. Vi dispiace?" chiese, rivolto alla donna, facendole ben intendere che fosse solo una domanda di cortesia e che doveva togliersi di torno senza replicare.
Gavrielle restò un attimo spiazzata da quell'improvvisa apparizione e, dopo aver balbettato un breve saluto a Raf, sparì tra gli altri nobili. Le due ragazze si voltarono quindi verso il nuovo arrivato e rimasero entrambe senza parole quando lui sospirò seccato.
"Fatemi indovinare: è imparentata con la svampita di poco prima" esclamò, indicando con un cenno del capo alle proprie spalle, dove Ginevra stava tornando al cuore della festa scura in volto.
Miki inarcò un sopracciglio: "Che acume" rispose, ironica, squadrandolo con sospetto.
"È pesante, vero?" ammise Raf con tono compassionevole, abituata ad averla intorno.
"Pesante? Ha passato tre quarti d'ora a parlottare e ridere senza sosta" esclamò lui, allucinato "Quando ha detto che c'era la possibilità che divenisse la vostra dama da compagnia e partisse con noi mi è quasi venuto un colpo" ammise, passandosi una mano tra i capelli. Poi sgranò gli occhi e li alzò su di lei "Ditemi che questa possibilità non esiste, vi prego."
Raf fu sul punto di scoppiare a ridere vedendolo così turbato dall'idea di avere Ginevra intorno per i prossimi anni a venire e si limitò ad esibirsi in un sincero sorriso divertito. "Non preoccupatevi, non sono così folle" rispose, scrollando le spalle "No, sarà la quì presente Miki a ricoprire quel ruolo" spiegò, guardando l'amica che continuava a fissare il ragazzo in modo molto poco amichevole.
"Lieto di conoscervi" salutò lui.
"Non posso dire lo stesso" rispose lei, secca. Sulfus non fece una piega ma Raf capì subito che le cose tra quei due non sarebbero state facili; sperò solo che non accadesse nulla di irreperabile.
"Oh, ma guarda un po' cosa abbiamo quì!"
Tutti e tre alzarono lo sguardo solo per trovarsi sovrastati dalla snella figura di Temptel, che sorrise all'allegro quadretto. "Sbaglio o è la prima volta che vi vedo parlare?" notò, rivolgendosi al nipote: evidentemente non sapeva delle loro già precedenti chiacchierate e lei pensò bene di non proferire parola a riguardo. Se lui non gliel'aveva detto aveva i suoi motivi, d'altronde neanche lei ne aveva parlato con qualcuno. "Beh, la cosa mi fa piacere, era anche ora che iniziaste a conoscervi un po'. E sapete cos'altro sarebbe fantastico?" domandò, con un evidente tono retorico nella voce, ampliando il proprio sorriso. Raf vide Sulfus irrigidirsi notevolmente, come se già sapesse cosa stesse per dire e l'idea non gli piacesse per nulla. "Che siate così onorevoli da aprire le danze. È pur sempre un ballo, dopotutto, e chi meglio di voi due?" propose.
Di rimando anche Raf s'irrigidì, agghiacciata tanto quanto il ragazzo, e non sapeva assolutamente come risponderle: rifiutare sarebbe stato a dir poco scortese ma lei non aveva nessuna voglia di danzare. Miki, compresa la situazione, nascose una smorfia orripilata dietro il ventaglio e Sulfus si schiarì la gola, voltandosi un po' verso la zia: "Non mi sembra il caso" sibilò, decisamente infastidito, ma la donna non si scompose minimamente poggiandogli una mano sulla spalla "Suvvia, non essere sciocco" lo riprese, spingendolo leggermente verso la ragazza "È soltanto un po' timido" aggiunse, rivolta e lei, che sentì distintamente un seccato "Timido un corno" venire dal ragazzo.
Beh, poteva anche non conoscerlo quasi per nulla ma Raf era sicurissima che Sulfus fosse tutto tranne che timido.
Miki guardò la scenetta per un'istante, poi fece due leggeri passi indietro "Mi dileguo" canticchiò, a bassa voce, scivolando elegantemente via. Raf si voltò giusto in tempo per vederla sgattaiolare dietro un pilastro, sgranando gli occhi, e borbottò un "Bell'amica che sei" sentendosi abbandonata a sé stessa.
Era in una pessima situazione e dubitava che qualcuno sarebbe venuto a tirarla fuori, non le restava che confidare in Sulfus e sperare che trovasse una motivazione valida per non invitarla a ballare. Ma il ragazzo non sembrava in una posizione migliore e, sotto lo sguardo gelido della zia, dovette soffocare ogni possibile protesta.
Sospirò quindi, rassegnato, porgendole la mano e Raf non poté rifiutare il suo invito senza una seria motivazione, andava irrimediabilmente contro ogni etichetta. Fu così costretta a prenderla e Temptel sorrise, soddisfatta, si voltò e fece un cenno all'orchestra, posta dall'altra parte della sala, per informarli che potevano cominciare a suonare.
Quando i due ragazzi s'incamminarono al centro della stanza, Raf vide Esmeralda farsi il segno della croce e la ringraziò (ironicamente, s'intende) per la fiducia. Anche se non poteva darle torto: quel ballo sarebbe stato una tragedia, come tutti quelli a cui aveva avuto la malsana idea di prendere parte. Per questo lei non ballava mai a meno che non fosse assolutamente costretta, come in quel caso.
Il direttore brandì la bacchetta, violini e flauti iniziarono a suonare e, in preda al panico più totale, Raf iniziò a muovere i primi passi di quello che riconobbe come l'allemanda, uno dei balli più complicati di corte.
"Come ve la cavate con questo?" sussurrò Sulfus, prendendola per mano e iniziando a guidarla nella danza.
"Conosco la teoria. Non garantisco sulla pratica" informò lei, ed era vero: conosceva perfettamente gli schemi dei vari balli che le aveva insegnato Esmeralda, ma al momento di metterli in atto la sua poca confidenza con quel genere di movimenti le impediva di riprodurli perfettamente. E questa era cosa risaputa tra i nobili, tanto che ella non era l'unica ad essere in ansia per quel piccolo spettacolino: Nevea, Miki e Urié la osservavano con dell'evidente nervosismo nello sguardo e persino sua madre aveva alzato gli occhi al cielo, in una silenziosa preghiera.
Beh, anche se avesse fatto una figuraccia davanti a tutta la corte la cosa non le importava particolarmente, tanto il giorno dopo sarebbe sparita per sempre dal quel regno! La cosa che più le creava disagio era capitombolare davanti agli ospiti – soprattutto sotto lo sguardo attento e gelido di Temptel, che sembrava quasi esaminarla ogni volta che le posava gli occhi addosso – e, sebbene avesse già informato il suo sventurato cavaliere della propria quasi nulla capacità di danzare, sarebbe stato lo stesso molto imbarazzante finire col sedere per terra al suo cospetto.
Cercò quindi di concentrarsi il più possibile, nonostante il suo stato d'animo le rendesse i movimenti più rigidi del solito, e rischiò di perdere l'equilibrio due volte solo mentre girava su sé stessa; sarebbe caduta da un pezzo se lui non l'avesse tenuta saldamente per la vita, approfittando del movimento presente in quel passo della danza.
Fortuna sfacciata, nient'altro che un mero e ironico colpo di sfacciata fortuna, non poteva esserci altra spiegazione.
Ciò che fregava maggiormente la ragazza erano i tacchi alti degli stivaletti che indossava, decisamente troppo scomodi da usare per fare tutte quelle giravolte, e l'ampia gonna che indossava non rendeva facile muoversi sinuosamente. Non che con un abito e delle scarpe diverse i risultati sarebbero stati chissà quanto migliori, ma l'avrebbero agevolata almeno un pochino.
Mantenendo tutta la compostezza che poteva prese le mani del ragazzo, eseguendo alcuni movimenti al di sopra della testa, afferrando lievemente un angolo della gonna ed esibendosi in un mezzo giro con conseguente inciampamento all'indietro; sgranò gli occhi e si fermò di colpo a pochi centrimetri dal pavimento quando Sulfus le afferrò la mano. Giurò di vedere un sorriso nascere sul suo volto prima che la tirasse su, guidandola in una leggiada giravolta, per poi riprenderla tra le proprie braccia.
Un salvataggio a dir poco perfetto, anche se non era passato inosservato agli occhi degli astanti. Esmeralda si era coperta istintivamente il volto con le mani quando l'aveva vista cadere, non avendo il coraggio di guardare la terribile disfatta, e ora stava timorosamente aprendo le dita per sapere come mai la musica non si era fermata; rimase molto stupita quando vide i due ragazzi continuare la performance tranquillamente, come se non fosse accaduto nulla, e si piegò verso Nevea per capire cosa fosse successo. La donna, dal canto suo, era ancora troppo incredula per ciò a cui aveva appena assistito e non sapeva da dove iniziare a spiegare.
Raf non era da meno, confusa e stupita da ciò che era successo continuava con un po' di timore a danzare, constatando che il ragazzo le avesse effettivamente impedito per ben tre volte di baciare il pavimento come se fosse tutto calcolato, come se nel momento stesso in cui avevano mosso il primo passo egli sapesse esattamente di dover rimediare ai suoi errori. A dirla tutta, non sapeva se ciò la facesse sentire molto grata o leggermente offesa; forse entrambe le cose.
Quando finalmente la musica cessò la ragazza fu estremamente sollevata e gli applausi degli astanti quasi non le giunsero alle orecchie, mentre si ritirava in un angolo della sala. Le danze erano ufficialmente aperte, partì una nuova melodia e i nobili iniziarono a formare le coppie sulle note di un minuetto.
"Non è andata poi così male" notò Sulfus, affiancandola nell'allontanarsi dalla pista.
"Certo, tralasciando che ho rischiato di finire con il regale didietro sul pavimento più di una volta" borbottò la ragazza. Sospirò stancamente e si fermò accanto ad un pilastro, alzando gli occhi su di lui "A proposito di ciò, vi ringrazio per avermi aiutata."
Il ragazzo sorrise, decisamente divertito: "Non potevo certo permettere che il vostro regale didietro finisse sul pavimento" la canzonò, prendendola velatamente in giro.
"Oh, bene, ne sono lusingata" rispose lei, con evidente ironia nella voce, lasciandosi scappare un sorriso incredulo rivolto al resto della sala.
Ammetteva, però, di aver molto apprezzato quel che aveva fatto per lei e si sentì estremamente fortunata nell'aver beccato come futuro sposo l'unico principe a comportarsi come una persona normale. Forse le cose, da lì in poi, sarebbero andate bene per davvero.
 
 
 
 
Ruàn chiuse con un gesto delicato la rete di perle che raccoglieva i suoi capelli alla base del collo, passando leggermente una mano sulla frangetta dorata per sistemarla. Raf fissava tutto l'operato dal grande specchio posto di fronte a sé – il suo specchio – con sguardo assente e un po' malinconico, seduta compostamente sullo sgabello – il suo sgabello – con le mani congiunte sull'ampia gonna. Le tende della stanza – la sua stanza – erano spalancate, lasciando entrare la fievole luce dell'alba.
I rumori, le voci e il nitrire dei cavalli che provenivano da fuori lasciavano ben intendere che i preparativi fossero ormai giunti al termine. Erano pronti per partire. Era pronta per lasciare il castello – il suo castello.
La donna si passò una mano sui capelli accuratamente raccolti e la guardò tramite la lucida superficie: "Siete pronta. Possiamo andare" decretò.
Raf distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa e annuì piano. La sua stanza era quasi spoglia: il suo armadio era stato svuotato, i cofanetti con i suoi gioielli chiusi dentro i bauli, i suoi libri personali ripiegati con cura e i doni caricati sulle carrozze. Rimanevano poche cose ad ornare la camera, tra cui la grande arpa dorata nell'angolo della stanza che, per ovvie ragioni, non poteva portare con sé.
Si alzò dallo sgabello e seguì Ruàn fuori, gettando un'ultima triste occhiata alla propria camera prima di chiudersi la porta alle spalle. Scese le scale con la donna al seguito, vestita con i migliori abiti che una domestica potesse ricevere, e trovò i suoi genitori ad aspettarla nell'ingresso principale.
Suo padre la guardò per un istante poi le diede un leggero buffetto sul capo, sua massima espressione di affetto per quel che valeva. Raf chinò lievemente il capo in segno di saluto e si voltò verso sua madre che si piegò su di lei e, come poche volte aveva fatto nella vita, l'abbracciò sussurrandole un "Sii forte" talmente piano che la ragazza credette di esserselo immaginato.
Si sciolsero dopo pochi istanti e Raf poté notare i suoi occhi molto lucidi, prima di uscire dal grande portone d'ingresso.
Ventiquattro carrozze erano disposte in fila lungo il sentiero che portava fino ai cancelli principali e, sulla più grande e maestosa, Adrë fece salire lei, Ruàn e Miki (ferma ad attenderla accanto ad essa); sua madre aveva deciso che solo due persone l'avrebbero seguita e sarebbero rimaste con lei a Zolfanello City: Miki, in qualità di dama da compagnia, e Ruàn come sua nuova cameriera personale. Non aveva compreso perché avesse voluto spodestare Urié in quel modo e le sue domande a riguardo non avevano ricevuto risposte soddisfacenti; aveva dovuto semplicemente accettarlo e dire addio alla sua migliore amica di sempre. Aveva saputo sin dall'inizio che non avrebbe potuto portarla con sé, ma le aveva fatto storcere la bocca quando sua madre le aveva detto di dover portare anche Ruàn: a quel punto perché non Urié?
Si sedette compostamente sul sedile foderato di velluto rosso mentre le due ragazze presero posto di fronte a sé, e guardò un ultima volta Adrë intento a chiudere la porta della carrozza: nessuno dei loro commilitoni l'avrebbe seguita, si sarebbero affidati totalmente alle guardie di Zolfanello City per scortare le tre donne, e ciò implicava che lui non sarebbe stato al suo fianco neanche durante il viaggio. Questo la fece sentire terribilmente sola e insicura.
Adrë s'inchinò attraverso il finestrino e Raf rispose con un cenno della mano, già sentendo le lacrime pungerle gli occhi. Poi si udì un fischio, i cavalli nitrirono e iniziò l'avanzata. La carrozza partì lentamente in quelli che sarebbero stati i cinque giorni più lunghi della sua vita.

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Capitolo 6
*** Travel ***


Il sole aveva quasi raggiunto l'orizzonte quando la carrozza si fermò. Avevano viaggiato ininterrottamente tutto il giorno, con una sola sosta per pranzare e far riposare i cavalli in una locanda vicino ai confini del regno. Miki, che si era addormentata con la testa poggiata sulle ginocchia di Ruàn, si svegliò di soprassalto quando la porta della carrozza venne aperta. A fare capolino da esso, con grande stupore di Raf, fu il viso del ragazzo che aveva incontrato al fiume qualche giorno prima; d'un tratto capì perché le divise della scorta di Sulfus le erano sembrate così familiari: le aveva viste su di lui.
Il ragazzo sorrise ampiamente, inchinando brevemente il capo: "Ci fermeremo quì per la notte, principessa" informò, allegramente "Venite, vi accompagno alle vostre tende."
Dopo l'attimo di sbigottimento, Raf si alzò e il ragazzo le aiutò tutte e tre a scendere dalla carrozza. Miki si strofinò gli occhi, ancora assonnata, e sbadigliò vistosamente senza alcun ritegno. L'uomo richiuse la porta e si voltò verso di loro, battendo le mani.
"Bene. Io sono Luefra e sarò la vostra scorta personale durante il viaggio..." si presentò il ragazzo, interrompendosi quando posò lo sguardo su Raf, con espressione perplessa. Poi alzò il dito ad indicarla "Noi due ci conosciamo?" domandò, confuso.
La ragazza alzò un sopracciglio: "Sì!" rispose, come se fosse ovvio. Luefra sembrò pensarci su per un attimo ma vennero interrotti dalla voce di un secondo uomo, intento a staccare i cavalli dalla carrozza, poco distante da loro. "Luefra, piantala di fare salotto e datti una mossa!" lo riprese, senza voltarsi a guardarlo. Lui si ricompose velocemente, scuotendo il capo.
"Sì, giusto" esclamò "Dovete prendere qualcosa dalle valigie?"
"Ehm... sì" rispose Raf "Penso servirà un cambio d'abito" aggiunse, rivolta a Ruàn: non vedeva l'ora di togliersi quell'ingombrante vestito tutto fronzoli e merletti che era stata costretta a indossare per tutto il giorno. La donna annuì e Luefra fece un cenno con la mano ad uno dei ragazzi che lavorava vicino ai cavalli.
"Ascar" chiamò, attirando la sua attenzione "Accompagna la signora alla carrozza dei bagagli" ordinò. Il diretto interessato saltò giù dalla cavalcatura, avvicinandosi al gruppetto: aveva qualche anno in più di Luefra, corti capelli biondi e vivaci occhi azzurri; sorrise a tutte e tre e fece un cenno a Ruàn per invitarla a seguirlo.
"Prego, da questa parte" illustrò, precedendola nel piccolo labirinto di carrozze parcheggiate sull'erba. Erano in un piccolo ridosso nel bosco, circondati da alti alberi di melo e albicocca; un piccolo sentiero scendeva nella vallata dove era stato allestito un'intero accampamento. Luefra le guidò abilmente sul campo, zigzagando tra uomini e cavalli fino a condurle ad una grande tenda bianca al centro esatto della valle; era divisa in tre parti, con una grande stanza posta in mezzo e due leggermente più piccole ai lati, collegate tra loro da delle tendine di stoffa. L'interno era già arredato con tre materassi – uno per ogni stanza – adagiati su leggere strutte di legno e un tavolino con diversi sgabelli in mezzo alla camera.
"Io sono nei paraggi, se avete bisogno non esitate a chiamare" informò Luefra, prima di lasciarle sole. Raf sospirò stancamente, sentendo la schiena e la gambe indolenzite dalla lunga giornata passata seduta, e si stiracchiò con un verso di sollievo.
"Beh, sanno il fatto loro" commentò Miki, guardandosi curiosamente intorno.
"Già" ammise la ragazza, iniziando a sciogliersi i capelli dalla stretta acconciatura "Però è la prima volta che dormo in una tenda, è emozionante" ammise, sedendosi sul piccolo letto. Miki si lasciò cadere accanto a lei "Sarebbe ancora più emozionante se non ci fosse il viaggio di mezzo" rispose, stendendosi sulla schiena "A furia di stare seduta mi sono venute le chiappe quadrate!" si lamentò. Raf rise di gusto ma non poté darle torto dato che si trovava praticamente nelle sue stesse condizioni.
Dopo una decina di minuti, passati a riposarsi una accanto all'altra, la tenda venne aperta e Ascar entrò portando con sé un grande baule, seguito da Ruàn; lo poggiò sul pavimento ai piedi del letto e fece un breve inchino a tutte e tre prima di uscire di nuovo. La donna si inginocchiò, quindi, e lo aprì mostrando diversi abiti di taglie differenti.
"Mi sono permessa di richiudere i cambi per i prossimi giorni in un solo baule, così lo caricheremeo direttamente sulla nostra carrozza" spiegò, tirando fuori uno dei vestiti preferiti di Raf e uno degli abiti semplici di Miki.
"Bene, così eviterai di scavare tra i bagagli ogni sera" annuì Raf.
Miki si alzò e prese il suo, sparendo nella stanza sulla sinistra, mentre Ruàn aiutò Raf a togliere il vestito, il sottogonna e il corsetto. "Siamo ormai usciti dalla capitale, sono del parere che non c'è più bisogno che indossiate tutta questa roba scomoda, per cui ho preso solo le vostre vesti abituali" spiegò, piegando il corsetto per chiuderlo in valigia mentre Raf si toglieva gli stivaletti e le calze.
"Sì, lo credo anche io" annuì, facendosi scivolare il leggero abito verde sulla testa "Da questo punto di vista è un bene che non sia venuto nessuno della nostra corte con noi" sospirò, ravvivandosi i capelli e infilando le scarpette basse. Se sua madre avesse deciso di metterle accanto una scorta del proprio regno con qualcuno che dovesse sorvegliarla da vicino, probabilmente sarebbe stata costretta a indossare ogni giorno quegli ingombranti accessori.
Invece, in quel momento, nessuno le avrebbe detto che girare senza corsetto o con i capelli sciolti era poco dignitoso per una principessa. Insomma, era praticamente in mezzo a dei soldati, uomini del popolo e dell'alta borghesia, a loro non fregava sostanzialmente nulla se fosse andata in giro con indosso un abito da sposa o un sacco di yuta; al contrario dei nobili, che erano sempre pronti a criticare anche il più piccolo capello fuori posto. Per questo detestava la compagnia di questi ultimi.
Ruàn si congedò nella piccola stanzetta sulla destra per cambiarsi e Raf ne approfittò per sgattaiolare fuori. L'intero paesaggio era calato in un'atmosfera quasi mistica, immerso nei colori arancioni e rosati del tramonto, che la ragazza trovò a dir poco suggestivo. Alcuni uomini stavano ancora montando le tende e, qualche metro più in là, erano stati disposti diverse pietre e ciocchi di legno intorno ad un falò che Luefra si stava prodigando per accendere. Si avvicinò silenziosamente a lui, guardandolo con curiosità mentre sistemava meglio i rami secchi, assicurandosi che non uscissero fuori dal cerchio di rocce: era la prima volta che metteva piede in un accampamento ed era la prima volta che vedeva un falò vero e proprio da vicino, pertanto ne rimase davvero affascinata.
Il ragazzo si voltò per prendere due pietre focaie poggiate accanto a sé e sobbalzò quando la vide in piedi alle sue spalle che osservava il suo lavoro con aria interessata. Sgranò gli occhi e li sbatté un paio di volte, riconoscendo in lei la ragazza incontrata sulle sponde del fiume.
"Ma voi siete la fanciulla dell'altra volta!" esclamò, stupito, e ciò spiegava come mai la principessa avesse un'aria così familiare. Raf voltò gli occhi verso di lui e annuì.
"Sì, sono io" rispose, congiungendo le mani dietro la schiena "Presumo non abbiate pensato minimamente di trovarvi davanti una principessa" notò, divertita.
Luefra scosse il capo: "Direi proprio di no" rise "Anche perché, con tutto il rispetto parlando, vestita così non sembrate affatto una nobile" constatò.
Raf sorrise "Beh, sì, lo scopo ultimo è questo" ammise "E poi non mi piacciono particolarmente i pomposi abiti di corte" confidò, con un'alzata di spalle "Detto tra noi: sono fastidiosamente tediosi" mormorò, sporgendosi lievemente in avanti. Luefra rise di gusto e si sistemò meglio sul terreno, poggiando l'avambraccio su un ginocchio. "Posso immaginarlo" rispose, sinceramente divertito "Anche la nostra principessa non li ama particolarmente. Ma ho una buona notizia per voi: le regole della nostra corte sono meno restrittive di quelle a cui siete abituata e, salvo occasioni speciali, nessuno vi dirà nulla se girerete anche solo con la camicia da notte per il castello" rivelò. Raf sbarrò gli occhi, decisamente stupita da quell'informazione e, in un certo senso, molto sollevata nel sapere una cosa del genere.
Non conosceva quasi nulla sulle tradizioni di Zolfanello City, non aveva avuto il tempo materiale per documentarsi come si doveva ma, dato che era praticamente circondata da abitanti di quel regno, avrebbe potuto semplicemente chiedere in giro: qualcuno che rispondesse alle sue domande lo avrebbe trovato sicuramente.
"Voi non potete immaginare quanto ciò mi renda felice" rispose, contenta e un po' stupita.
"Lieto di saperlo" rispose Luefra, avvicinando le pietre ai rami e iniziando a sfregarle tra di loro per produrre delle scintille "Potevate stare tranquilla in ogni caso, comunque, nessuno quì in mezzo vi avrebbe detto nulla se foste andata in giro senza abiti di lusso: siamo uomini di mondo, in fin dei conti, più di tanto non ci interessano etichette e protocolli" aggiunse. Una scintilla finì dritta su un mucchietto di foglie che iniziò prima a fumare e poi a prendere lentamente fuoco; il ragazzo mise quindi le pietre in una piccola sacca che teneva legata alla vita e si alzò.
"Sì, lo avevo immaginato" annuì Raf, guardando le fiamme disperdersi sui rametti e giungere fino ai grandi ciocchi posti più sotto "Non vi ho mai ringraziato per quel giorno" esalò d'un tratto, attirando la sua attenzione "Sapete, in quel momento ero così sconvolta che ho seriamente pensato di scappare via per non dover affrontare queste nozze" confidò, facendosi seria, quasi sentendo di nuovo su di sé quelle emozioni così forti e malinconiche. "Mi sembrava di aver perduto tutto ciò che più amavo e mi sentivo..."
"Persa? Distrutta? Umiliata?" indovinò il ragazzo, interrompendola. Raf alzò gli occhi su di lui, sorpresa, e annuì. "Sì, lo avevo immaginato: il vostro viso non lasciava intendere emozioni ben più allegre di queste" ammise il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli.
Raf fece una smorfia: "Già... però parlarne con voi mi ha ha fatto bene" aggiunse "E il vostro consiglio mi è stato molto di aiuto."
Luefra si gattò distrattamente una guancia: "E lo avete trovato? Il lato positivo" chiese.
Lei assunse un'espressione indecisa, infine alzò le spalle "Beh, potrò vestirmi come mi pare" ricordò "Se non è un lato positivo questo non so cosa altro possa esserselo."
Il ragazzo sorrise ampiamente, annuendo "Sì, effettivamente è un enorme lato positivo" concordò. Una voce, proveniente da un piccolo gruppetto di tende poco distante, mise fine alla conversazione.
"Luefra, smettila di molestare quella povera ragazza e datti una mossa, abbiamo un sacco di lavoro da fare!" lo riprese uno degli uomini. L'interpellato sospirò.
"Lavoro, lavoro, sempre lavoro" canticchiò, alzando gli occhi al cielo "Perdonatemi, ma temo che dovremo continuare la chiacchierata un'altra volta" si congedò, con un cenno del capo, avviandosi verso colui che lo aveva chiamato.
Rimasta sola, Raf si guardò intorno in cerca di qualcosa da fare: non era ancora buio e non voleva passare tutto il tempo chiusa dentro la tenda, dopo la giornata in carrozza voleva prendere un po' di aria fresca. Miki la raggiunse in quell'istante, infilata in un leggero abito azzurro e con una lunga treccia a raccoglierle i capelli. Sospirò, affiancandola, stiracchiandosi con sollievo.
"Mi sento rinata" esclamò, decisamente contenta di essersi tolta quell'ingombrante vestito di dosso, e si guardò intorno. "Che si fa, ora?" chiese. Raf scrollò le spalle.
"Non lo so" ammise "Ma non voglio chiudermi nella tenda fino all'ora di cena" aggiunse.
"Beh, in questo caso c'è qualcosa che possiamo fare" le informò Ruàn, apparsa dietro di loro: si era cambiata anche lei e ora indossava un semplice vestito color pistacchio, con un grembiule bianco poggiato sulla gonna e le maniche a tre quarti. "Bisognerebbe raccogliere un po' di frutta per la cena: vi va di aiutarmi?" chiese, porgendo loro dei cestini di vimini.
A Raf si illuminarono gli occhi all'idea di dover passare un po' di tempo in mezzo alle piante e accettò senza indugiare: almeno si sarebbero tenute impegnate e avrebbero fatto qualcosa di utile e divertente.
Effettivamente, pensò mentre risalivano il sentiero, quel viaggio entrava di diritto nella lista dei lati positivi.






Era ormai buio inoltrato quando Raf uscì dalla propria tenda. Avevano cenato ormai da un pezzo ma, nonostante continuasse a rigirarsi nel letto, non riusciva a prendere sonno. Si era quindi diretta fuori per prendere un po' d'aria fresca nei d'intorni, senza allontanarsi troppo dalla propria tenda, e fu sorpresa di scorgere alcuni uomini ancora seduti intorno al falò. Erano sette in tutto e stavano chiacchierando amabilmente, bevendo liquori da dei piccoli boccali; tra di loro la ragazza scorse Luefra, seduto su un tronco che le dava le spalle, e accanto a lui l'uomo che l'aveva richiamato quella mattina: era decisamente in là con gli anni, con i capelli e la corta barba grigi, ed era uno dei capitani della scorta nonché stimato eroe di guerra. Si chiamava Wyrda e, da quel che aveva visto, non era un tipo molto paziente o avvezzo alle simpatie.
La ragazza si avvicinò lentamente, interessata alla loro conversazione, anche se temeva che la sua presenza avrebbe potuto dar loro fastidio. Tuttavia non sembrarono notarla, complice il buio della sera e la sua corporatura esile, e continuarono animatamente a parlare di qualcosa che Raf non riusciva bene a capire: utilizzavano nomi e modi di dire tipici delle loro zone che lei non conosceva ma che la incuriosivano molto. Uno degli uomini disse qualcosa, con aria seccata, in un dialetto molto stretto e tutti gli altri risero. Fu allora che Luefra, voltatosi quasi per caso, la vide a pochi passi di distanza da loro.
"Principessa!" esclamò, stupito di vederla lì, e tutti gli astanti si voltarono all'unisono verso di lei, facendola sentire d'un tratto a disagio. Il ragazzo mise giù il boccale, facendo per alzarsi. "C'è qualcosa che non va? Avete bisogno di qualcosa?" chiese. Raf esitò un momento, non sapendo bene cosa dire, ma quando aprì bocca Wyrda parlò.
"Per amor del cielo, Luefra, non assillarla" sbottò "Se ci fosse qualche problema lo direbbe da sé, non ha bisogno dell'interrogatorio."
La ragazza arrossì e si schiarì la gola, titubante: "No, niente di tutto ciò..." mormorò imbarazzata "Ero solo venuta a prendere un po' d'aria."
"Ecco, l'hai messa a disagio" esclamò Ascar, guadagnandosi un'occhiataccia da Luefra.
"Sto solo facendo il mio dovere. Scusate tanto, eh" esclamò lui, con evidente ironia nella voce. L'uomo vicino ad Ascar – che credeva si chiamasse Either – sbuffò una risata.
"Rilassati, amico, va bene che è ancora giovane ma è pur sempre una donna" esclamò e Raf sia accigliò, non capendo il senso di quella frase.
"Che cosa?" domandò, non riuscendo a trattenersi, piuttosto confusa. Either alzò lo sguardo su di lei, stupito, e d'un tratto sembrò ricordarsi che venivano da due paesi diversi.
"Oh, beh, siete una donna: non avete certo bisogno di qualcuno che badi a voi" rispose, con una certa ovvietà nel tono di voce, ma il risultato fu solo quello di lasciare Raf ancora più confusa: non riusciva a capire se fosse un insulto oppure no.
Wyrda alzò gli occhi al cielo, preferendo non commentare sulla stupidità dei propri uomini, e sospirò: "Vedete, principessa..." iniziò a spiegare, grattandosi sotto l'occhio "...a differenza di Angie Town che – senza offesa s'intende – ha una cultura sociale esageratamente patriarcale, noi abbiamo un'idea piuttosto differente sulla gerarchia sociale divisa in base ai sessi. Siamo semplicemente dell'opinione che una donna non abbia necessariamente bisogno di un uomo che badi a lei e la protegga poiché, ella, queste cose è in grado di farle anche da sola
Nel corso dei secoli abbiamo avuto moltissime donne il cui nome è rimasto impresso nella storia: imperatrici, guerriere, filosofe, storiche, matematiche, artigiane, pittrici... insomma, un bel fritto misto di tutto, che hanno contribuito a sfatare il mito della figura femminile debole e sottomessa. Non facciamo quel tipo di distinzione, ecco" concluse, bevendo un sorso di idromele.
Raf fissò l'uomo ad occhi sgranati, quasi non riuscendo a credere alle proprie orecchie: un ragionamento del genere, per lei che era cresciuta in un sistema fondamentalmente maschilista, suonava come qualcosa di sorprendente. Però, effettivamente, questo spiegava moltissime cose, a partire dal comportamento così aperto e naturale che Sulfus aveva avuto nei suoi confronti, trattandola fin da subito come una sua pari: quello non era un aspetto unico del suo carattere ma proprio un'ideologia, frutto di un sistema sociale paritario che vigeva in tutto il regno di Zolfanello City e con cui il ragazzo era stato cresciuto.
Sentì il suo interesse per quel luogo crescere di qualche altra tacca e con una certa emozione.
"Beh, non è nata per caso questa cosa" aggiunse Ascar "E non è neanche frutto di un evoluzione sociale. C'è sempre stato un grande rispetto per il genere femminile nella nostra cultura data l'origine stessa del regno" spiegò, facendo roteare l'idromele nel boccale "Dopotutto, fu proprio una donna a fondarlo."
La ragazza, che oramai pendeva dalle loro labbra, sentì la curiosità crescere ancora di più: "Sul serio?" domandò.
"Beh, certo" continuò lui, con una certa fierezza nella voce "Negli annali è soprannominata "Regina degli Inferi": fu la migliore maestra della spada che le cronache ricordino e costruì il regno con le sue sole forze, facendolo divenire in poche decine d'anni uno dei più prosperi e ricchi reami al di là delle Terre Rosse. Nomea che mantiene ancora oggi, modestamente."
Raf rimase totalmente affascinata da quel breve racconto, non sapendo che esistessero figure stoiche così di spicco avendo sempre studiato solo le vicende passate legate al proprio regno, che in quanto a storia non aveva granché da raccontare. Aveva dato un'occhiata ad altri monoscritti, ma perlopiù riguardanti leggende e miti di altre nazioni e in modo molto vago e sintetico.
"Insomma, una donna con le palle" tagliò corto Either.
"Già, peccato fosse un mezzo demone" scherzò uno dei soldati. La ragazza drizzò le orecchie a sentire quella frase, aggrottando le sopracciglia.
"In che senso?" domandò, incuriosita.
Calò il silenzio e gli uomini intorno al falò si mossero in imbarazzo, ma non diedero risposta alla sua domanda. Solo Wyrda, dopo alcuni istanti, si decise a prendere la parola: “È un racconto popolare del nostro regno, una specie di leggenda sulla nascita di Zolfanello City” spiegò, quasi divertito “È una storia che si racconta ai bambini che non vogliono dormire.”
Raf non fece una piega, ormai del tutto interessata alla vicenda, e scavalcò il tronco sedendosi tra Wyrda e Luefra “Mi piacerebbe ascoltarla” decretò, infine, aggiustandosi la gonna.
L'uomo la fissò intensamente per qualche istante, poi bevve un lungo sorso di idromele: “Molto bene” acconsentì “In quanto promessa ministrante conoscerete senza dubbio la leggenda di Zar’roc, il demone esiliato sulla terra per i suoi tentativi di rivolta contro Mefisto, il Dio delle Tenebre” cominciò. Raf annuì: aveva studiato attentamente ogni religione esistente e tutte le sue divinità, era inevitabile che si imbattesse anche in lui.
“Ebbene, si dice che Zar’roc, giunto sulla terra in forma umana, si accoppiò con una sacerdotessa mortale concependo dal suo grembo il primo essere conosciuto metà demone e metà umano: Anya, fondatrice e prima Imperatrice di Zolfanello City” spiegò “Ovviamente, essendo lei una figura così leggendaria, era inevitabile che si creassero questo tipo di storie intorno alla sua esistenza. Ma sono, appunto, solo storie: non c'è mai stato nessun riferimento ad una sua possibile natura soprannaturale in nessun documento storico ufficiale. Era solo una donna molto combattiva, intelligente e di larghe veduta” concluse, prendendo la bottiglia di liquore per riempirsi nuovamente il boccale.
“Tra l'altro se Anya fosse stata davvero un mezzo demone anche tutti i suoi discendenti lo sarebbero” puntualizzò Luefra “E non ce lo vedo molto bene il nostro principe con le corna e le ali” scherzò. Gli uomini risero e anche a Raf scappò un sorriso, immaginando Sulfus con una lunga coda appuntita.
“Io invece mi ci vedrei benissimo” esalò una voce alle loro spalle, facendoli sussultare: Temptel si era avvicinata al gruppetto, con indosso una lunga camicia da notte nera che la fasciava il corpo sinuoso e un largo sorriso sulle labbra.
“Voi stareste benissimo con qualunque cosa, Temptel” la elogiò Either, azlando il boccale nella sua direzione. La donna rise e si spostò la frangetta su un lato.
“Ovviamente” rispose, con fierezza: era affascinante e lo sapeva benissimo, perché fingere modestia? Scosse il capo, muovendo i lunghi capelli rossi, e si poggiò una mano sulla vita. “Suvvia, ora basta annoiare la principessa con queste storielle” decretò, abbassando lo sguardo su di lei “È molto tardi e domani partiremo presto, è meglio se andiate a riposare ora.”
Più che un ordine era stato un invito ma Raf sentì in esso un tono che non ammetteva alcun tipo di replica. Annuì, diede la buonanotte e s'incamminò verso la propria tenda, anche se non era del tutto sicura di riuscire a prendere sonno: sentiva su di sé l'atmosfera lugubre, se non addirittura mistica, che quei racconti le avevano lasciato e d'un tratto aveva il desiderio impellente di informarsi il più possibile sulla storia di Zolfanello City.
Forse, pensò mentre si infilava sotto il lenzuolo, era giunto il momento di rendere omaggio ai doni che le avevano portato.






Raf sbadigliò, sprofondando un po' di più nel sedile e quasi immergendo il naso nel libro. Il sole di mezzogiorno era alto nel cielo e batteva senza pietà sul mezzo di trasporto che, nonostante i finestrini aperti, somigliava più ad un forno che ad una carrozza. Miki si sventolava stancamente il volto con un ventaglio e Ruàn aveva poggiato il viso sul bordo di una delle finestre, trovando un po' di sollievo nel venticello fresco che produceva l'andatura svelta dei cavalli. Raf non soffriva eccessivamente la calura ma non vedeva l'ora di uscire da lì dentro e, oramai, non doveva mancare poi molto alla prossima sosta.
La prima cosa che aveva fatto quella mattina, prima di prepararsi per la partenza, era stato arrampicarsi su una delle carrozze per recuperare la pila di libri che le avevano portato trai vari regali di nozze. Aveva lasciato tutte le stoffe, le sete, le spezie e le porcellane a palazzo portando con sé solo i vestiti e i gioielli; più che altro perché, almeno ogni tanto, avrebbe dovuto indossarli a corte per far intendere di averli apprezzati. Era rimasta, quindi, tutta la mattina a leggere seduta in carrozza scoprendo, con sua somma gioia, che in quei libri erano descritti tutti i miti, le leggende, gli eventi storici più importanti e la geografia di Zolfanello City; vi era anche un intero trattato sulla lingua parlata anticamente nel regno.
Era tutto estremamente affascinante e Raf quasi non riusciva a staccare gli occhi dalle pagine: il suo lato da studiosa era emerso totalmente fin da quando aveva aperto il primo libro.
Dopo alcuni minuti la carrozza si fermò e Luefra si accostò ad essa, in sella al proprio cavallo: “Facciamo sosta per il pranzo” annunciò. La ragazza chiuse di malavoglia il tomo ma uscì più che volentieri all'aria aperta, saltando giù dalla carrozza appena il ragazzo la aprì. Una piccola tenda era in fase di montaggio in una radura sul ciglio della strada e alcuni uomini si stavano prodigando per accendere un grande falò su cui cuocere le pietanze. Raf respirò a fondo e si incamminò verso il luogo di ristoro dove, nella tenda, quattro donne della scorta stavano lavorando tre conigli e un cervo appena cacciati dai soldati in avanscoperta. Vedere quei poveri animali morti sul grande tavolo di legno le fece stringere lo stomaco ma pensò bene di non dire nulla a riguardo: dopotutto lei la mangiava la carne, e le piaceva molto, anche se vedere i loro cadaveri dal vivo faceva un certo effetto.
Either entrò dopo di lei, portando con sé un sacco di farina e una cesta di spezie, grano e alcune patate raccolte in un campo vicino. Sembrò stupito di vederla lì, mentre poggiava le cose sui ripiani adeguate. “Questo non è uno spettacolo adatto a voi, principessa” commentò, riferendosi allo sventramento in diretta di quei poveri animali: le ragazze lavoravano con precisione quasi chirurgica e senza battere ciglio, come se fossero abituate a svolgere quel genere di lavoro che, fino a quel momento, Raf sapeva fosse delegato esclusivamente agli uomini. Le pelli e le viscere venivano gettate in un apposito secchio per poi essere seppellite nei boschi, mentre gli organi venivano separati dalla carne e messi dentro delle vaschette.
“Può darsi” ammise “Ma mi piacerebbe dare una mano.”
Una delle donne alzò gli occhi su di lei, tagliando la testa uno dei conigli con un colpo secco di mannaia. “Non è un lavoro che dovreste fare voi” rispose, gettando il capo nel secchio “Però, se proprio volete, potete sempre sbucciare e tagliare le patate” acconsentì, indicando con un cenno del capo il cesto, senza fare una piega. Raf annuì e sfilò un coltello da uno dei rotoli di pelle: non aveva mai sbucciato una patata in vita sua ma quanto mai avrebbe potuto essere difficile? Si sedette quindi su uno sgabello e iniziò a pelarle, facendo attenzione a non tagliarsi le dita. Le prime tre non vennero perfette ma, come prima volta, era decisamente accettabile; nel frattempo ci prese la mano e divenne via via sempre più svelta e precisa. Ne aveva già sbucciate una ventina quando una delle ragazze si accostò a lei per aiutarla: finirono in meno di mezz'ora e la donna le mostrò come tagliarle della giusta misura, usando un grande tagliere di legno.
Nel mentre, due uomini avevano portato nella tenda un grande pentolone nero ricolmo d'acqua nel quale buttarono dentro l'olio, la carne tagliata in pezzi, le patate, i germogli di grano e una bel po' di farina (per dare consistenza al brodo). Il tutto venne riportato fuori e posto sul fuoco, tenuto da due grandi sbarre di ferro.
Mentre dava una mano a riordinare, Mira, la donna che l'aveva aiutata con le patate, si ritrovò a fissarla a lungo pulire il tavolo. “Siete una strana principessa, lo sapete?” commentò, guardandola con curiosità. La ragazza, presa di sorpresa, alzò le spalle.
“Sì, me lo dicono spesso” ammise, sciacquando lo straccio nel piccolo catino pieno di acqua fresca. Quando uscì di nuovo fuori trovò Either intento a girare lo stufato con un grande mestolo di legno, gettandovi dentro un pugno di sale prima di riporvi sopra il coperchio, chiacchierando amabilmente con Ruàn seduta al suo fianco.
Mancavano ancora due interi giorni di viaggio prima di arrivare a destinazione e, ogni volta che ci pensava, Raf sentiva crescere l'ansia. Per questo cercava di distrarsi in ogni modo possibile e, con tutto quello che c'era da fare durante le loro soste, avrebbe sicuramente trovato il modo di tenersi impegnata. O almeno lo sperava.
Quando il pranzo fu pronto aiutò Ruàn e Either a riempire e distribuire le porzioni, dosate in delle ciotole di terracotta, e si sedette intorno al falò con Miki per consumare la propria. Chiacchierarono a lungo, tra un boccone e l'altro, e Raf si sentì sorprendentemente a proprio agio in quello stile di vita un po' selvaggio: insomma, era seduta sull'erba e stava mangiando dello stufato con un cucchiaio di legno; niente argenteria, niente sedie imbottite, nessuno che le servisse i pasti o le riempisse il calice, nessun vestito scomodo o portamento studiato... una cosa assolutamente impensabile, per lei, solo fino a pochi giorni prima. Eppure le piaceva. Le piaceva tantissimo.
Senza alcun dubbio ciò che più stava apprezzando era proprio quel viaggio e, lo sapeva, ne avrebbe sentito la mancanza una volta giunta al palazzo reale.












Quando Raf scese dalla carrozza, il quarto giorno, si ritrovò ad osservare ad occhi sgranati l'immenso campo di papaveri che costeggiava la strada da ambo i lati. Un'infinita distesa di puntini rossi che si estendeva per centinaia di chilometri da una parte e costeggiata da alcune alte collinette rocciose dall'altra.
Mentre gli uomini si occupavano di innalzare la tenda e accendere il fuoco in vista del pranzo, Raf scivolò giù dalla stradina per atterrare in piedi tra gli alti fiori. Sorrise e cominciò ad avanzare lentamente verso una delle rupi che sporgeva direttamente su quella parte di campo; le si illuminarono gli occhi quando, in quello splendido paesaggio, riconobbe il disegno dettagliato e un po' sbiadito impresso sugli antichi manoscritti storici del proprio regno: era lì che si era svolta l'ultima battaglia tra Angie Town e Zolfanello City ed era proprio da quella rupe, a pochi chilometri di distanza da lei, che si era gettata l'Imperatrice per mettere fine alla guerra. Quei papaveri rossi, stando alla leggenda, erano sbocciati dal suo corpo esanime in sua memoria come testimonianza dell'impavido e commovente gesto.
Le vennero i brividi al pensiero di trovarsi in un luogo così storicamente e culturalmente importante e, dopo essere giunta al centro esatto del campo, si stese sull'erba lasciando che i fiori, mossi dal vento, le accarezzassero leggermente il viso circondandola con il loro profumo. Sorrise e chiuse gli occhi pensando a quanto fosse ironico che un posto come quello, nel quale un tempo si era svolta una tremenda lotta e su cui avevano perso la vita moltissime persone, era ora divenuto un paesaggio meraviglioso e pieno di vita. Respirò a fondo, beandosi del calore del sole sulla propria pelle finché questo non venne messo in ombra da qualcosa.
“Non dovreste allontanarvi così tanto da sola, ci sono molti serpenti velenosi qui in giro” esalò la voce di Sulfus poco sopra di lei, seria e impettita. Raf aprì piano un occhio, sbattendoli per abituarsi alla forte luce, e lo scorse in piedi alle proprie spalle in compagnia del suo grande cavallo nero, che teneva per le redini. Alzò un po' la schiena, poggiandosi sui gomiti, e si rese conto che quella era la prima volta in assoluto che lo vedeva da quando si erano messi in viaggio: si era chiesta, di tanto in tanto, dove passasse tutto il tempo tanto da non farsi scorgere neanche di sfuggita ma non se n'era mai preoccupata più del dovuto.
“Non lo avrei mai detto” ammise alzandosi in piedi, incurante dell'erba e delle foglie che le si erano attaccate al vestito e ai capelli. Qullo spettacolo sembrò divertire molto il ragazzo, che allungò una mano per toglierle il petalo di un papavero dal capo con estrema naturalezza.
“Sapete dove ci troviamo?” domandò, retorico, come se già sapesse la risposta. La ragazza annuì.
“È il luogo dove si è svolta l'ultima battaglia della Grande Guerra” rispose prontamente. Sulfus si voltò verso la rupe.
“Questo campo ha un significato importante per noi: una delle nostre più stimate regine si è tolta la vita quì per mettere fine alla faida” spiegò, indicando il rialzo nella roccia “Per molto tempo è stato un luogo sacro, anche se dopo la scomparsa della casta sacerdotale questa nomea è cessata lo consideriamo ancora un posto dove onorare la sua memoria” aggiunse, facendo volare le redini oltre il capo del cavallo per portarle dietro la sua testa. Si aggrappò quindi alla sella e montò su di lui con agilità, girandolo per trovarsi la ragazza di fianco “Venite, vi faccio vedere una cosa” invitò, porgendola la mano.
Raf esitò per qualche istante, sorpresa da quel gesto, infine la prese e lasciò che lui la tirasse su con estrema facilità, quasi come se non pesasse nulla. Si aggrappò alla sua camicia per non cadere e lo vide fare un cenno con la mano a Wyrda, intento a staccare i cavalli dalle carrozze; l'uomo annuì e Sulfus voltò il cavallo, dirigendosi ad andatura svelta verso le collinette. Risalirono un piccolo sentiero scavato nei ridossi fino a raggiungere la cima di un'alta roccia dove, con grande meraviglia di Raf, scorsero davanti a sé un'immensa distesa d'acqua cristallina, separata dal cielo da una sottile linea quasi invisibile.
“Avete mai visto il mare?” domandò il ragazzo, sporgendosi leggermente verso di lei. La ragazza scosse il capo, ancora persa in quella visione.
“Solo nei dipinti” ammise. Dopotutto, Angie Town era stata costruita in una valle circondata dalle montagne, per vedere il mare bisognava andare in tutt'altro paese e lei non era mai uscita dal proprio regno... fino a quel momento. Sulfus riprese il cammino, scendendo dalla collina fino a raggiunere una piccola distesa di terra macchiata d'erba e, dopo pochi metri, gli zoccoli del cavallo affondarono nella sabbia.
Raf, emozionatissima, aspettò che si fermasse del tutto per saltare giù dalla sella; si tolse le scarpette di raso e le tenne in una mano mentre sentiva, per la prima volta in vita sua, la sabbia calda sulla pelle. Si avvicinò alla riva e si fermò a pochi passi dall'acqua, lasciando che le onde le lambissero dolcemente i piedi nel loro lento e ritmico andirivieni; sorrise, estasiata, alzando lo sguardo sull'acqua limpida e cristallina che brillava sotto i raggi del sole.
“È meraviglioso” mormorò, inconsciamente, dando voce ai propri pensieri. La brezza leggera che soffiava su di lei portava con sé un dolce aroma di salsedine che la fece sentire totalmente rilassata, come se tutti i pensieri le stessero scivolando via dalla mente, attraversassero i nervi e si scaricassero nel mare per venire, infine, portati via dalle onde. Il giorno dopo, a quell'ora esatta, sarebbe arrivata dinnanzi le porte di Zolfanello City e, se prima quella consapevolezza era per lei fonte di stress, ora non intaccava minimimante quella sensazione di serenità che aleggiava beatamente dentro il suo cuore.
Era un momento troppo bello per essere rovinato in quel modo da dei pensieri così nefasti.
Respirò a fondo, felice come non le era da molto tempo, con l'unico desiderio di rimanere lì per tutto il giorno... se non addirittura tutta la vita.
Sulfus scese silenziosamente dalla cavalcatura, affiancando la ragazza nella contemplazione del paesaggio. Per lui, che sulle coste ci era praticamente nato, non era niente di nuovo ma trovava esilarante la reazione di lei a quello spettacolo.
“Sapete cos'altro è meraviglioso?” domandò, piegandosi sulla sabbia bagnata “Poter fare questo!” esclamò d'improvviso, affondando la mano nell'acqua e accompagnandola con forza in direzione della ragazza, bagnandola dalla testa ai piedi.
Raf sussultò, sentendo l'acqua gelida su di sé, e fece un balzo all'indietro. Si passò una mano sul viso fradicio, decisamente irritata, e si fece violenza per impedirsi di insultarlo. “Ve lo potevate risparmiare” sibilò.
Il ragazzo rise di gusto: “Perché? È divertente!” rispose, con una naturalezza disarmante, e per un attimo le sembrò quasi di sentir parlare Miki: avevano lo stesso modo di fare strafottente quei due; qualcosa le diceva che sarebbero andati più d'accordo di quel che credeva.
“Oh, sì, divertentissimo” borbottò, allontanandosi un po' per piazzarsi alle sue spalle. Sulfus sospirò, passandosi una mano tra i capelli: “Su, non ve la prendete...” la richiamò, voltandosi verso di lei. Raf, dal canto suo, non se l'era affatto presa ma di certo non era il tipo che sopportava in silenzio; per questo, quando il ragazzo si girò, gli poggiò una mano sulla fronte e lo spinse indietro, approffittando della sua posizione poco stabile, facendolo finire letteralmente con le chiappe in acqua, preso di sorpresa. La ragazza inspirò a fondo e si crogiolò fieramente nella sua beatitudine a veder compiuta così egregiamente la propria vendetta. Sorrise ampiamente: “Avete ragione, è davvero divertente” commentò, poggiando diplomaticamente le mani sulla propria gonna.
Il ragazzo si tolse i capelli fradici dal viso e sospirò, rassegnato: “Me lo sono meritato” ammise.
“La cosa importante è che ne siate consapevole” annuì lei, con tono canzonatorio. Si stava palesemente prendendo gioco di lui e senza il minimo cenno di rimorso o imbarazzo e si rese conto di sentirsi fin troppo a suo agio in sua presenza, anche non credeva che ciò fosse un male. Non del tutto almeno.
“Sareste così gentile dal darmi una mano, almeno?” chiese il ragazzo, allungando il braccio verso di lei.
“Anche due” acconsentì ma, appena tese la propria, Sulfus gli afferrò il polso di scatto e la tirò giù, facendola finire di faccia in quel pezzetto di oceano. Poi scoppiò a ridere di gusto, guardandola mentre si rialzava, decisamente scura in volto e più bagnata di prima.
“Andiamo... come avete fatto a cascarci?” rise, portandosi la braccia al ventre e rigettandosi all'indietro, schizzandola d'acqua. E se Raf era stata sul procinto di affogarlo si ritrovò, suo malgrado, a sorridere incredula mentre lo vedeva sguazzare allegramente sulla sabbia, con le onde che si abbattevano su di lui di tanto in tanto, scosso da un attacco di risatine isteriche.
Forse, e sottolineava bene quel forse, aveva trovato un altro lato positivo in quella storia.

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Capitolo 7
*** Nuptialem ***


Raf si svegliò di soprassalto quando udì un rumore sinistro provenire da fuori. Non era sicura di averlo sentito per davvero o solo sognato: era molto simile al suono che faceva un sacco di farina quando veniva lasciato cadere al suolo, ma dubitava fortemente che a qualcuno servisse della farina a quell'ora della notte.
Si mise seduta, tendendo le orecchie alla ricerca di un altro accenno, ma non udì altro che il silenzio più totale, rotto solo dal lieve canto dei grilli. Scese dal letto e infilò le scarpe, sgusciando cautamente fuori dalla tenda per guardarsi furtivamente intorno nel buio, e si incamminò verso la fonte del suono, sul lato sinistro dell'accampamento. Percorse solo pochi metri prima di scorgere, poco distante, una grande tenda viola; non sapeva chi ci fosse dentro e stava giusto pensando di tornare a dormire quando uno dei suoi passi fu seguito da un suono viscido e piatto, come se avesse calpestato una pozzanghera.
Fece una smorfia e si fermò, abbassando lo sguardo: il lieve chiarore delle stelle, però, le mostrò una densa macchia scura nell'erba che sicuramente non poteva essere acqua. Seguí con lo sguardo la scia di piccole tracce lí accanto finché, poco distante da lei, scorse una sagoma riversa sul terreno accanto ad una tenda. Socchiuse gli occhi cercando di capire cosa fosse e, quando la luna sbucò con perfetto tempismo da dietro una nuvola, si ritrovò ad osservare agghiacciata il corpo senza vita di uno dei soldati, riverso in una pozza di sangue. Sussultò e scattò all'indietro, andando a sbattere contro qualcosa. O qualcuno.
Sentì il cuore smettere di battere per un istante e un respiro lento e profondo poco sopra di lei; deglutì e si voltò lentamente, trovandosi sovrastata da un'alta figura avvolta in un mantello nero. Il suo volto era coperto da un velo che gli avvolgeva l'intero capo, lasciando liberi solo gli occhi di un nero intenso. Raf si allontanò di scatto e l'uomo estrasse un lungo coltello dal fodero allacciato alla propria vita, con l'impugnatura dorata e la lama dalla bizzarra forma di un fulmine. Si avventò in due passi su di leì e alzò la mano con l'arma, pronto ad affondarla nel suo esile corpo; la ragazza fece alcuni passi indietro istintivamente e urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Ci fu un lampo, una mano sbucò alle spalle dello sconosciuto e una lama si conficcò nel suo collo; l'uomo si fermò di colpo, con un gemito, e rimase in piedi per qualche istante mentre il sangue schizzava a fiotti fuori dalla ferita, macchiandogli la tunica, poi il coltello scivolò dalla sua mano e cadde inerme ai piedi della ragazza, che si portò le mani alla bocca per soffocare un altro grido. Alzò gli occhi, terrorizzata e inorridita, solo per scorgere l'alta figura di Temptel a pochi passi da lei che ancora stringeva il pugnale insaguinato in una mano.
La donna guardò con sommo disprezzo il cadavere esalando, con voce tagliente, un poco delicato: "Figlio di una meretrice!"
Pochi istanti dopo le luci illuminarono il campo e i soldati uscirono fuori dalle tende di gran carriera reggendo spade e torce, attirati dal baccano, solo per trovarsi dinnanzi il macabro spettacolo. Ascar, in prima fila, imprecò coloritamente in dialetto mentre Either correva al capezzale del compagno orami defunto, reggendo una grande torcia davanti a sé per osservare meglio le ferite.
"Temptel cosa... che diamine...?" esclamò Wyrda, non riuscendo a capire cosa fosse successo.
"Un bandito?" domandò Luefra, rinfoderando la spada una volta compreso che non vi fosse più alcun pericolo.
"Può darsi" rispose la donna, mettendo di malagrazia il proprio pugnale tra le mani di Wyrda, sporcandogli la camicia di sangue; si piegò quindi sul cadavere dell'uomo e lo girò, scoprendogli il viso. Raf osservò quasi disgustata quel volto pallido, macchiato di rosso su un lato, mentre Temptel lo esaminava; poi si voltò e recuperò il lungo coltello dal terreno. "Questo di certo non appartiene ad un bandito qualunque" esclamò, osservandolo da vicino, per poi alzarsi in piedi "È entrato nella mia tenda ma è uscito quasi subito dopo avermi vista nel letto. Evidentemente cercava qualcosa..." rimuginò "...o qualcuno" aggiunse, assorta, voltando lentamente gli occhi su Raf ancora ferma in mezzo alla radura, totalmente sconvolta. Tutti i presenti fecero lo stesso e la ragazza si ritrovò all'improvviso sotto l'attenzione generale, cosa che aumentò il senso di disagio e spossatezza. Possibile che l'uomo cercasse davvero lei? E per cosa? Ucciderla? E perché?
Si riscoprì terribilmente spaventata, rendendosi conto solo in quel momento di aver appena scampato alla morte per pura fortuna: se non fosse entrato nella tenda sbagliata probabilmente Temptel non si sarebbe mai svegliata e lei avrebbe fatto la fine di quel povero soldato.
Dopo un lunghissimo istante di gelido silenzio, la donna mise giù l'arma e si voltò verso due uomini: "Riaccompagnate la principessa nella sua tenda e rimante di guardia lì fuori per stanotte" ordinò "Wyrda, voglio una pattuglia a ricoprire tutto il perimetro del campo: non deve entrare più neanche un topo quì dentro. E sveglia mio nipote: digli che ho urgente bisogno di parlargli" aggiunse. L'uomo annuì e lei si voltò per dirigersi verso la grande tenda viola poco distante "Ah, fatemi il favore di ripulire prima di domani mattina, non mi va di ritrovare ancora quel cadavere sulla porta al mio risveglio" esclamò a voce alta, sparendo tra gli uomini.
I due soldati si avvicinarono a Raf, ancora assorta nei propri pensieri, che sobbalzò quando sentì una mano posata sulla propria spalla e, dopo un attimo di smarrimento, lasciò che la riconducessero nella sua stanza. Entrò nella propria tenda e si sedette, ancora tremante, sul letto osservando le ombre dei due uomini fermi accanto all'entrata, visibli attraverso la stoffa grazie alle luci ancora accese fuori. Respirò a fondo e si prese le spalle tra le mani, cercando di calmarsi, ma in ogni minuto che passava sentiva crescere dentro di sé la paura e l'ansia: perché mai qualcuno avrebbe dovuto ucciderla di proposito? Che cosa aveva fatto per meritarselo? Era forse una specie di vendetta nei confronti di Angie Town? Ma era assurdo, il regno non aveva nemici e non aveva mai fatto alcun torto a nessuno per meritare una cosa simile.
Aveva la testa piena di domande ma non riusciva a trovare una risposta a nessuna di esse. L'unica cosa certa era che non avrebbe chiuso occhio, quella notte.








Era ormai mattina inoltrata quando raggiunsero Alevler, un villaggio rurale sulla sponda di un lago a sud della capitale. Raf, che aveva passato la notte in bianco, aveva dormito a tratti durante il viaggio ma ogni volta che chiudeva gli occhi finiva sempre per rivedera la scena della sera prima e si svegliava continuamente, di soprassalto. Miki e Ruàn avevano saputo dell'accaduto da Either ed erano rimaste quasi più sconvolte di lei ma non le avevano posto domande, limitandosi ad offrirle un po' di silenzioso conforto che la ragazza aveva apprezzato tantissimo. Ma l'intera scorta era in allerta e lo dimostrava la stretta sorveglianza che avevano posto intorno alla fanciulla, premurandosi di impiegare ben sei uomini armati fino ai denti ad accompagnare la carrozza in quell'ultimo tratto di viaggio.
Fu quindi con una sorta di sollievo che Raf accolse la notizia che erano finalmente giunti alla prima tappa della loro destinazione. Luefra la fece scendere dalla carrozza e, insieme ad Ascar, la accompagnò personalmente nei pressi della piccola casetta di legno, costruita appositamente sulle sponde del lago in vista del suo arrivo, dove ad attenderla vi era una giovane donna riccamente vestita accompagnata da un ampio corteo di damigelle e cortigiani.
Appena si fu fermata dinnanzi a lei, la dama si inchinò elegantemente al suo cospetto: i lunghi capelli neri erano raccolti sopra la nuca, lasciando le estremità sciolte cosí le ricadessero sulle spalle e sulla schiena, e la guardò con una sorta di curiosità ben evidente nei suoi limpidi occhi verdi.
"Il mio nome è Lily e sono la duchessa di Isono" si presentò, con voce bassa e armoniosa "Sono stata incaricata di accogliervi nel nostro regno e scortarvi fino al palazzo reale, una volta che sarete pronta" spiegò, indicando la casetta alle proprie spalle "Abbiamo già allestito tutto: all'interno vi sono sei domestiche che si occuperanno di prepararvi e farvi indossare la veste cerimoniale. Non abbiamo alcuna fretta, perciò prendetevi tranquillamente tutto il tempo che vi serve" concluse, con un dolce sorriso.
Raf, che non aveva capito granché di quella storia del preparla e farle indossare una "veste cerimoniale", si limitò ad annuire e ringraziare, varcando poi la piccola porticina. L'interno era composto da due piccole stanze ornate con lo stretto necessario per fare un accurato lavoro di restyling. Sei cameriere vestite con lunghi abiti rossi dai grembiuli bianchi la accolsero con una breve riverenza per poi prenderla sotto le proprie cure.
Due di loro la portarono dietro il paravento e iniziarono a spogliarla, piuttosto frettolosamente, poi la condussero nella stanza accanto dove era stato posizionato un piccolo catino pieno di acqua calda e sapone. La immersero senza troppi complimenti e tre di loro iniziarono a lavarle accuratamente il corpo e i capelli, togliendo tutti i residui di quel lungo e sfiancante viaggio.
Quando decretarono che fosse abbastanza la fecero uscire, le versarono un secchio di acqua fredda sul capo per far scivolare via tutti i residui di schiuma rimasti e la avvolsero in un accappatoio, riportandola nella stanza precedente. Le asciugarano e le pettinarono i capelli, acconciandoli in una lunga treccia che fermarono intorno al capo e le passarono un po' di cipria sul volto (abbondando sotto gli occhi, dove erano evidenti i segni del mancato riposo). Dopodiché la riportarono dietro al paravento e iniziarono a vestirla con intimo, calze e corsetto rigorosamente neri; quest'ultimo venne strinto abbastanza generosamente e Raf si ritrovò tristemente catapultata alle vecchie abitudini. Poi le misero davanti il lungo abito che avrebbe dovuto indossare per presentarsi dinnanzi alla corte del re: era molto semplice con un colletto alto e le maniche lunghe, sui toni di un rosso piuttosto sgargiante, che le infilarono delicatamente dalla testa. Infine fu la volta delle scarpette, basse e in pelle pregiata, in tinta con il vestito. Non poteva indossare alcun gioiello tranne l'anello di fidanzamento, come si premurarono di ricordarle le ragazze e Raf le guardò per un momento, totalmente persa. Quando capì a cosa si riferissero cercò di ricordare dove lo avesse messo: "Ehm... è in uno dei bagagli" rispose, titubante "La mia cameriera dovrebbe sapere dove."
Una delle domestiche uscì a recuperarlo e Raf rimase seduta davanti alla toeletta, mentre intorno a lei le altre donne rimettevano in ordine. Si ritrovò così a fissare il proprio riflesso nello specchio, quasi stancamente, pensando che di lì a poche ore si sarebbe trovata al cospetto dell'intera corte e dei sovrani stessi. Sentì la gola secca e un senso di nausea risalirle dallo stomaco, insieme all'angoscia e alla preoccupazione; un'altra cosa che aumentò il suo stato di ansia fu il pensiero che la cerimonia di nozze si sarebbe svolta quella sera stessa. Entro la fine della giornata sarebbe stata sposata.
Le venne da vomitare.
Si voltò verso una delle ragazze, intenta a sistemare la toeletta davanti a sé, e cercò di parlare senza rimettere l'anima: "Scusami... sarebbe possibile avere un bicchiere d'acqua?" domandò. Lei sembrò stupita da quella richiesta ma annuì e uscì dalla stanza. Rimasta sola Raf respirò a fondo per calmarsi, quasi non badando alla ragazza che si stava avvicinando a lei almeno finché, alzato lo sguardo, non la vide riflessa nello specchio mentre estraeva qualcosa dalle pieghe della gonna. Il sole che entrava dalla piccola finestrella brillò su un oggetto di metallo e, quasi istintivamente, Raf scattò come una molla dallo sgabello proprio mentre la ragazza affondava la lama di un pugnale a forma di saetta nell'aria, dove un attimo prima vi era la sua schiena.
Fu un momento di panico totale nel quale una sola domanda nacque nella mente di Raf: Di nuovo?
Evidentemente Temptel aveva ragione: qualcuno ce l'aveva proprio con lei e così tanto da volerla fare fuori. La donna assottigliò lo sguardo e tirò un fendente nella sua direzione, che la ragazza avrebbe sicuramente preso in pieno se una mano non l'avesse spinta via, facendola finire contro la toeletta: la lama colpì al volto Lucy, una delle domestiche, graffiandole una guancia. In tutta risposta lei, incurante del sangue che le scivolava lungo il viso, disarmò la donna con un calcio e le tirò un pugno dritto sul naso senza troppi complimenti, mandandola al tappeto. Ella, tuttavia, si voltò piuttosto inferocita e cercò di raggiungere il pugnale a pochi passi da lei.
Raf, confusa e stordita dalla botta che aveva preso al fianco quando era andata a sbattere contro il mobiletto, fece l'unica sensata che le venne in mente: afferrò la boccetta di cipria vicino a lei e gliela soffiò in faccia, colpendola negli occhi, facendola gemere di dolore e arrestando la sua avanzata. Fu questione di un attimo: un'altra domestica l'afferrò per un braccio, trascinandola verso un angolo della stanza, avvolgendole le spalle e il capo con le braccia e stringendosela al petto. Poi la porta venne sfondata con un colpo: quattro soldati, capitanati da Ascar, apparvero sulla soglia brandendo le spade.
L'attentatrice alzò lo sguardo su di loro, mostrando gli occhi rossi e gonfi contornati di bianco, rotolò su un fianco e afferrò la propria arma; infine, sotto lo sguardo agghiacciato di Raf, si tagliò la gola senza alcuna esitazione cadendo esanime sul pavimento di legno.
Ascar emise un verso frustrato e rinfoderò la spada: "Dannazione!" esclamò, avvicinandosi al suo corpo e togliendole il pugnale di mano "Uguale all'altro. Temptel aveva ragione" aggiunse, osservandolo, tenendolo con la lama rivolta verso il basso per non sporcarsi le mani con il sangue fresco che vi gocciolava.
Raf, ancora stretta tra le braccia della domestica, fissava ad occhi sgranati quell'orrida scena, non trovando una spiegazione a ciò a cui aveva appena assistito. "Perché?" domandò, con voce tremolante, attirando l'attenzione degli astanti. Degluti e specificò "Perché si è uccisa?"
Ascar la guardò per un istante e tirò fuori dalla tasca un grande fazzoletto bianco nel quale avvolse il pugnale: "Per non parlare" rispose "Sapeva che l'avremmo interrogata per sapere chi l'avesse mandata ad uccidervi e ha preferito la morte piuttosto che tradire i propri mandanti."
L'uomo incastrò il fagotto nella propria cintura e sospirò: "Queste non sono coincidenze, principessa" aggiunse, con voce grave "Qualcuno non vuole che arriviate in città."
Quelle parole trafissero Raf come – ironicamente – una lama gelida lasciandole un enorme peso sul petto e sullo stomaco. Ascar chinò il capo in direzione delle due donne, come ringraziamento per il loro intervento, che risposero con cenno simile, poi prese la ragazza in custodia e la scortò personalmente fino alla carrozza con cui la duchessa Isono era arrivata. Le venne consegnato l'anello di fidanzamento che indossò, seppur con mani tremanti, all'anulare sinistro. Poi prese posto di fronte a Lily e partirono, seguite dal proprio corteo e dalle altre carrozze di Raf, dirette alla capitale. Eppure, continuava ad avere davanti agli occhi l'immagine della donna che si toglieva la vita, ripetendosi ad oltranza come un disco rotto: aveva visto ben due persone morire di fronte a lei e solo nel giro di poche ore; questo sarebbe bastato a far venire a chiunque un esaurimento nervoso, eppure lei sentiva di non poterselo permettere. Aveva come un blocco, dentro di sé, che le ripeteva di non poter fare scenate isteriche o di pianto in mezzo a tutte quelle persone.
Paradossale ma tristissimo allo stesso tempo.
Lily prese la parola dopo qualche minuto spiegandole, con pazienza e delicatezza, cosa sarebbe successo una volta giunti a destinazione e cosa prevedeva il protocollo cerimoniale: non si sarebbe svolto all'interno del palazzo, come credeva, ma dinnanzi e, quindi, di fronte a tutti gli abitanti del posto. Sulfus l'avrebbe accompagnata fino al cospetto del re e la principessa le avrebbe fatto dono di una spada...
"U-una spada?" la interruppe lei, incredula, credendo di non aver capito bene e distraendosi un attimo da tutti quei macabri pensieri. La donna alzò gli occhi su di lei, stupita da quell'intervento.
"Sì, principessa" annuì, come se fosse normale regalare un'arma ad una ragazzina di tredici anni "È una tradizione del nostro regno donare una spada alla futura regina: fu la prima Imperatrice in persona a dare il via a quest'usanza regalando la propria alla figlia quando convolò a nozze, un'usanza che continuiamo a mantenere tutt'oggi. Quella spada è il simbolo della forza e della tenacia che ha sempre contraddistinto la linea femminile della famiglia reale, nonché un augurio di non perdersi mai d'animo ed essere in grado di affrontare con grinta e fierezza ogni problema. Ovviamente la vostra è stata forgiata appositamente per voi in vista del vostro arrivo: la spada della prima Imperatrice non è più stata erditata da dopo la Grande Guerra e giace in una teca commemorativa nella Stanza del Tesoro" spiegò "Sarà la principessa ad affidarvela poiché, come prevede la tradizione, l'arma può passare solo di donna in donna e la nostra regina, purtroppo, non è più tra noi."
Raf annuì registrando quel pezzo di storia, affascinante senza dubbio, con ben poco entusiasmo: quello che era appena successo e il pensiero di ciò che stava per accadere avevano smorzato persino la sua passione per il sapere. Lily inclinò un po' il capo, guardando la sua espressione tesa con malinconia.
"Qualcosa non va?" domandò. Raf alzò gli occhi su di lei, arrossendo un po', senza smettere di giocare con la gonna dell'abito per il nervosismo.
"Beh, è solo che... francamente parlando non mi sento molto forte e tanace in questo momento" ammise con un sospiro. La donna osservò quella ragazzina seduta di fronte a sé con aria affranta e preoccupata e non poté fare a meno di provare una certa dose di empatia nei suoi confronti, cercando anche solo lontamente ad immagine come dovesse sentirsi, e si riscoprì improvvisamente triste.
"Se posso permettermi, principessa, avete scampato a due tentativi di assassinio nei vostri confronti in poche ore e ancora non avete avuto un crollo nervoso: se non è forza d'animo, questa, non so cosa altro possa esserlo" ammise, dolcemente "Non avete nulla da temere, questa è casa vostra ora e sarete trattata con l'amore e il rispetto che meritate."
Forse era proprio quello il problema: Raf non sapeva se meritarselo o no quell'amore e quel rispetto che, era indubbio, le avrebbero dato solo in quanto futura regina di Zolfanello City.
Aveva di nuovo la nausea e quella sensazione l'accompagnò per la restante ora di viaggio, quando finalmente giunsero alle porte della città. Dal finestrino della carrozza poté scorgere i lati delle strade gremiti di persone in festa, gioiosi e bramosi di accogliere la loro nuova principessa. La ragazza, dal canto suo, aveva l'umore sotto le scarpe che non migliorò neanche quando attraversarono i cancelli del palazzo reale, dove l'interno della mura era pieno di persone (nobili, supponeva, visti i loro abiti appariscenti); il suo cuore si fermò con la carrozza e, per un attimo, sentì le gambe così intorpidite che non era sicura di riuscire a scendere. Cercò di farsi coraggio e assumere più compostezza possibile quando lo sportello venne aperto: un cortigiano l'aiutò a scendere i gradini e Lily la condusse fino ai piedi delle grandi scale, scavate nella roccia nera, che conducevano ai portoni del palazzo.
L'intero castello si ergeva su un enorme scogliera, Raf riusciva a sentire il suono delle onde che si infrangevano contro la base della stessa al di là delle alte mura di cinta, ed era interamente fatto di mattoni e pietre nere come la pece; solo le tende rosse e viola che sporgevano dalle finestre davano un po' di colore al tutto non riuscendo, tuttavia, a smorzare quell'atmosfera lugubre che circondava l'intera magione. I lati delle scale erano occupati da decine di persone e, in cima, l'imperatore Isihogo la stava aspettando vestito di tutto punto con l'uniforme militare d'onorificenza; dietro di lui vi era un ufficiale che stringeva tra le mani, in perfetto equilibrio sui palmi, un lungo fagotto avvolto in seta dorata. Accanto al re, un solo gradino più in basso, vi era una ragazza poco più piccola di lei con corti capelli viola e grandi occhi gialli, con indosso un lungo abito a balze di tre differenti tonalità di viola (uno per ogni strato della gonna) aperto sul davanti così da lasciar intravedere le spesse calze nere e gli stivaletti in tinta; solo una giacchetta dalle maniche lunghe le copriva le spalle e il corpetto era ornato da grandi disegni di fiori bianchi. Un piccolo ed elegante diadema in oro bianco ornato da diamanti blu era poggiato sul suo capo e immaginò, dunque, che fosse la sorella minore di Sulfus. Quest'ultimo, invece, se ne stava in piedi alla base delle gradinate, in attesa che lei lo raggiungesse per salire insieme.
L'unica persona che non vide fu Temptel ma non ebbe molto tempo per chiedersene il motivo: Lily si allontanò da lei, prendendo posto su uno dei gradini insieme agli altri nobili, e il ragazzo le tese mano. Raf, nervosa al massimo e sul procinto di sentirsi seriamente male, dovette fare uno sforzo immane per restare lucida: poggiò le dita sulle sue e iniziò a salire lentamente la grande scalinata al suo fianco... sperando di non svenire prima di arrivare in cima, ovviamente. Sentiva gli occhi di tutti su di sé e il silenzio che era calato d'improvviso intorno a lei le risuonava quasi assordante nelle orecchie. Sperava che finisse tutto in fretta, non sapeva se sarebbe riuscita a reggere ancora a lungo quell'atmosfera.
Si fermarono sul penultimo gradino, proprio di fronte all'uomo, e Raf si prese la gonna fra le mani inchinandosi in una profonda riverenza come prevedeva la tradizione, in attesa. Isihogo la guardò per un lungo istante poi si voltò e tolse il velo dal fagotto, mostrando un lungo e sottile fodero azzurro ornato da smeraldi e opali grossi come noci; l'elsa era in oro bianco con, incastonato nell'impugnatura, un grande diamante purissimo. La prese tra le mani e si voltò verso la figlia, affidandogliela con cautela; Raf alzò la testa e si tirò in piedi, sentendosi tremendamente piccola sotto lo sguardo scuro e indagatore dell'uomo e quello curioso della ragazza.
"Vi faccio dono di questa spada, principessa..." cominciò Isihogo, con voce profonda e tonante "...e insieme ad essa della mia benedizione."
La principessina si avvicinò a lei e le porse il fodero senza staccarle gli occhi di dosso; Raf la prese con mani tremanti, sperando di non farla cadere, e nel momento esatto in cui le sue dita si strinsero intorno ad essa il popolo e i nobili esplosero in un tripudio di grida, applausi e fischi, facendola sussultare impercettibilmente. Si voltò verso di loro, stringendo a sé la spada, sentendo come mai prima di allora il peso di tutto ciò che quella cerimonia significava e le venne una fitta allo stomaco.
Quello, dopotutto, era solo l'inizio.






Raf aveva quasi dimenticato come si vivesse serenamente. Aveva avuto talmente tanta angoscia in quelle ultime ore e con una tale intensità che le sembrava di non aver mai provato nessun'altra emozione nella propria vita. Dopo la cerimonia di benvenuto una damigella l'aveva scortata fino a quella che, da quel momento in poi, sarebbe stata la sua stanza, seguita da un gruppo di domestici che trasportavano tutti i suoi bagagli, poi se n'erano andati per farla riposare un po' in vista del matrimonio che si sarebbe svolto di lì a poche ore.
Rimasta sola, la ragazza si era seduta ai piedi del letto e si era sciolta in lacrime, dando sfogo a tutte le emozioni accumulate dalla sera prima. Non sapeva neanche lei da quanto tempo stesse piangendo, sfilando un fazzoletto dopo l'altro dal pacchetto posto sul comodino, fatto stava che ad un certo punto credette davvero di poter morire disidratata.
Non si era neanche tolta l'abito di dosso e il corsetto le dava fastidio ogni volta che singhiozzava, ma non aveva voglia di alzarsi e litigare con quella roba (togliersi un corsetto da soli era un'impresa titanica, anche se non impossibile); si era appena asciugata le ultime lacrime quando qualcuno bussò alla porta. Tirò su con il naso e mormorò un "Avanti" con voce rotta, non le interessava neanche sapere chi fosse o di farsi trovare in quelle condizioni pietose: tanto peggio di così non poteva andare.
"Ok, questa non era esattamente la scena che mi aspettavo di vedere... ma presumo fosse prevedibile" ammise una voce che lei conosceva anche troppo bene: sospirò stancamente quando, alzato lo sguardo, scorse Sulfus a pochi passi da lei.
"Senza offesa, ma mi piacerebbe rimanere sola mentre mi deprimo" esalò, gettando con malagrazia il fazzoletto nel piccolo cestino già pieno.
Il ragazzo era evidentemente a disagio in quella situazione ma non sembrava per nulla intenzionato ad andarsene, con grande disappunto di Raf; si schiarì la gola ed era ovvio che non sapesse cosa fare. "Oh, suvvia, tolto tutto quì non si vive poi così male" disse d'un tratto, in un maldestro tentativo di tirarle su il morale, ma lei capì al volo che lui, di fatto, non aveva capito una ceppa.
"Non è questo il problema" esclamò, esausta, afferrando un altro fazzoletto e soffiandosi il naso.
"Allora è per le nozze?"
"Neanche."
A quel punto Sulfus era davvero confuso: "Temo di non seguirvi" ammise infine. La ragazza scosse il capo, rassegnata, e sentì di nuovo le lacrime pungerle gli occhi.
"È la situazione" esplose infine "Avete anche solo una vaga idea dell'ansia e dell'angoscia che ho avuto addosso tutto il santo giorno? Per non parlare delle cose assurde che sono successe nelle ultime ore: per la miseria, da ieri sera ho visto ben tre persone morte e di cui due ammazzate davanti ai miei occhi... non è proprio una passeggiata a livello morale" esclamò, sfogandosi con tutta la rabbia che aveva in corpo "Non è solo sconvolgente sapere che qualcuno mi vuole morta, è anche frustrante e mi fa incazzare tantissimo. Sto cercando di sfogare tutte queste emozioni nel modo più innocuo possibile ma prima o poi finirò le lacrime e cosa mi resterà da fare a quel punto?!" concluse, tamponandosi gli occhi con il fazzoletto "E poi si può sapere perché regalare una spada ad una ragazzina? Io non la so neanche usare una spada!" aggiunse, come se fosse il problema principale in tutta quella faccenda, guardando il lungo fodero azzurro poggiato sul muro di fronte a sé. Si prese la fronte in una mano e lasciò che tutte le lacrime di rabbia, angoscia e frustrazione che aveva le scorressero allegramente sulle guance: tanto valeva farle uscire, a quel punto.
Scese un lunghissimo istante di silenzio nel quale il ragazzo la fissò, sconcertato e un po' disorientato: quando l'aveva vista piangere sul pavimento della stanza aveva immaginato ben altri motivi dietro quel comportamento e di certo non erano quelli da lei elencati. Certo, aveva saputo cosa era successo quella notte e Ascar lo aveva aggiornato sugli eventi della mattinata... ma non gli era minimamente passato per l'anticamera del cervello una reazione simile da parte sua. Era sorpreso, per non dire turbato, e disse la prima cosa che gli venne in mente.
"Quella non è da usare" spiegò, titubante, indicando la spada "È solo per bellezza..."
Raf aprì gli occhi, voltandosi piano verso di lui con uno sguardo al contempo gelido e incredulo per quel che aveva appena udito: di tutto ciò che aveva detto era davvero di quello che si era preoccupato?
Sulfus, inteso perfettamente di aver detto una stupidaggine, cercò di correre ai ripari: "Ma non è questa la cosa importante" annuì, grattandosi il capo con imbarazzo. Lei sospirò, poggiando l'avambraccio sul ginocchio rialzato, seriamente convinta di aver toccato definitivamente il fondo e che non sarebbe tornata su tanto presto. "Non so quanto questo possa esservi di conforto ma almeno quì siete al sicuro da chiunque voglia farvi fuori" aggiunse.
"Oh, che bello" mormorò, con un sottile velo di ironia nella voce, quasi come se il pensiero di essere fatta a pezzi non fosse poi così brutto in fin dei conti.
Lui la guardò qualche altro istante poi s'infilò le mani nelle tasce dei pantaloni: "Volete deprimervi un altro po?" chiese.
"Sarebbe molto utile, sì" ammise Raf. Il ragazzo annuì.
"Molto bene, vi lascio tranquilla" rispose, voltandosi ed uscendo lentamente dalla stanza. Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Raf abbandonò stancamente la testa sulla sponda del letto e sospirò, asciugandosi le guance bagnate con il fazzoletto; ripensò che, fino ad allora, i loro incontri erano sempre stati molto pacifici e tranquilli mentre, in quel momento, gli aveva praticamente urlato contro in lacrime tutta la propria frustrazione per la situazione inverosimile in cui si era ritrovata (apparentemente) senza alcuna spiegazione plausbile. Aveva apprezzato, in ogni caso, che avesse capito che ciò di cui aveva davvero bisogno era piangere e non l'avesse riempita di frasi fatte per tentare di calmarla.
Restò seduta per terra ancora qualche minuto abbondante, poi si diresse verso il bagno per sciacquarsi il viso con dell'acqua fredda e calmarsi un po'. Era la prima volta che guardava la camera con attenzione e si rese conto, con un certo stupore, che fosse molto meno macabra rispetto all'estermo del palazzo: le mura erano dipinte di un tenue color crema, ornate da sottili ghirigori verde smeraldo che rappresentavano degli arbusti (con tanto di foglioline attaccate) intrecciati tra di loro; la porta era ampia, a due ante, e di una tonalità molto simile a quella delle pareti; il grande letto a due piazze aveva un baldacchino e delle tende in filigrana di uno sgargiante rosso acceso, mentre le coperte erano bianche con i bordi e ampi disegni di gigli dorati. Vi erano poi un armadio, due comodini, una scrivania e un paravento sparsi per la stanza. La parte più bassa della parete alle spalle del letto, invece, era costellata di grandi pannelli bianchi in legno, con un massimo di dieci centimetri di distanza uno dall'altro, come ornamento.
Infine c'era la grande finestra proprio accanto al letto, di fronte la porta, ornata da lunghe tende rosse che dava direttamente sul mare aperto. Una vista spettacolare, senza dubbio, accentuata dal sole che si stava lentamente avviando verso il tramonto.
Sospirò, poggiando gli avambracci sul bordo e affacciandosi per godersi meglio il panorama, respirando a fondo la brezza salina che arrivava fin lassù: aveva appena trovato un altro lato positivo.
Bussarono nuovamente alla porta, facendola sobbalzare, e sperò che non fosse ancora Sulfus o sarebbe stata capace di gettargli il fodero della spada contro; si schiarì la voce ed esalò un leggiadro: "Avanti" che non mascherò del tutto la voce ancora roca per il pianto.
Quattro domestiche entrarono di gran carriera portando con sé una grande valigetta di pelle nera, talmente pesante che erano in due a tenerla, e annunciarono che doveva iniziare a prepararsi per la cerimonia di nozze. A Raf salì un groppo in gola a udire quelle parole ma non poteva sottrarsi a ciò, quindi lasciò che l'aiutassero a togliersi l'abito rosso e tutti gli accessori incorporati; aprirono la valigia, poggiata sul letto, mostrando un ampio abito da sposa bianco al suo interno che Raf trovò esageratemente pomposo.
Le fecero indossare l'intimo, le calze, il corpetto e delle alte scarpe argentate. Poi le sciolsero i capelli e li pettinarono accuratemente, acconciandoli in un complicato chignon tutti i giri e ghirigori dietro la testa, fermandolo con decine di ferretti, lasciando sole due lunghe ciocche di capelli ai lati del viso che arricciarono con un ferro caldo; la truccarono leggermente e, infine, l'aiutarono ad entrare nel vestito e lo tirarono su, stringendo il corpetto perché aderisse il più possibile.
Quando si guardò allo specchio a Raf sembro di essere una meringa gigante: il corpetto era semplice, senza spalline, e con un complicato disegno di cristalli che scendeva dal bordo fino alla vita. La gonna era composta da due strati: il primo, che fungeva da base, era di un tessuto molto pesante e pieno di ghirigori cuciti con della stoffa; sopra, invece, era stato poggiato un velo di chiffon ripiegato su sé stesso diverse volte, aperto sul davanti così da mostrare gli ornamenti della gonna di sotto, e acconciato così da creare diverse onde. In cima e tutto, proprio sotto la vita, sul lato sinistro era stato poggiato un ricalco di stoffa modellato per avere le forme di due grandi fiori bianchi con il centro rosato.
Non si sentiva a suo agio lì dentro e l'ampia gonna era decisamente pesante. Mentre le poggiava il velo sul capo una delle donne si premurò di avvertirla che dopo la cerimonia ci sarebbe stato un cambio d'abito per renderle più facile muoversi al banchetto. Beh, almeno quello... si ritrovò a pensare Raf, sbattendo le palpebre e iniziando a vedere tutto sfocato quando le abbassarono il velo sul viso. Infine la guidarono fuori dalla stanza e giù per stretti e ampi scaloni, attraversando probabilmente mezzo castello, per arrivare di fronte un grande portone di legno massiccio. Le consegnarono un grande mazzo di fiori d'arancio e si dileguarono in fretta, per non essere con lei all'apertura delle porte. Raf provò il fortissimo impulso di afferrarsi tutti gli strati dell'immensa gonna e fuggire a gambe levate il più velocemente possibile da lì; non sapeva fin dove sarebbe arrivata prima di essere recuperata da qualcuno, ma tanto valeva provarci...
Le porte si aprirono di colpo, distraendola dai suoi allettanti pensieri di fuga, facendola sobbalzare: si ritrovò quindi ad osservare un'ampia sala dalla volta a cupola, ornata da grandi finestre sulla parete in fondo. Un centinaio di persone erano in piedi dentro di essa e avevano posato la loro più completa attenzione su di lei, facendola sentire tremendamente fuori luogo; in fondo alla sala, in piedi in cima ai gradini di marmo, vi era Temptel avvolta in un lungo abito di un viola chiarissimo pronta a celebrare il rito nuziale. Da quando le religioni erano sparite del tutto e le caste sacerdotali si erano sciolte, era compito dei ministranti celebrare le nozze ufficiali nelle famiglie reali; per tutti gli altri ceti sociali vi erano dei funzionari dello stato investiti della possibiltà di celebrare i matrimoni civili.
Dietro di lei vi erano posti cinque scranni, due grandi e tre più piccoli, e Raf immaginò quindi di trovarsi nella Sala del Trono; Isihogo era seduto su quello di destra, con due piccoli troni vuoti accanto a sé, mentre sulla sinistra, accanto al secondo grande seggio (probabilmente il posto della regina) era seduta la principessa. Infine intravide Sulfus, fermo di fronte all'altare, infilato in una divisa militare bianca e nera dall'aria molto scomoda.
Temptel fece un cenno con la mano e un organo iniziò a suonare, facendole intendere che poteva iniziare l'avanzata. Con le gambe molli Raf si diresse verso l'altare e incrociò lo sguardo di Miki (infilata in uno stretto abito blu oltremare) in prima fila, alla sua sinistra: questo le ricordò che non era l'unica a passarsela male in quel momento. Il tragitto le sembrò lunghissimo, complici anche gli alti tacchi delle scarpe e la stoffa pesante della gonna, ma, quando arrivò di fronte alla donna, probabilmente non erano passati neanche due minuti.
Temptel sorrise ampiamente e Raf ebbe l'inspiegabile impulso di gettarle il bouquet in faccia; invece lo affidò a Lily, a pochi passi da lei, che le fece cenno di porgerglielo appena si fu fermata accanto al ragazzo. Quest'ultimo, che sembrava solo volersi togliere quell'uniforme di dosso il più in fretta possibile, si voltò ad alzarle il velo quando la musica cessò. Per un momento assunse un'espressione strana, che Raf non riuscì ad indentificare con certezza, ma ritornò in fretta al serio sguardo fermo di sempre e alzò di nuovo gli occhi sulla zia; forse, nonostante tutti i discorsi sul "far funzionare le cose nel miglior modo possibile" che le aveva fatto, anche lui avrebbe preferito più che volentieri alzare i tacchi e sparire pur di evitare quelle nozze. E lei non poteva biasimarlo nemmeno un po'.
Temptel prese un piccolo rotolo di bende candide da un altarino accanto a lei, portato appositamente per l'occasione, iniziando il rito e i due ragazzi si strinsero le mani mentre lei vi avvolgeva intorno il tessuto, legandolo ben stretto. La cerimonia non fu affatto breve e, ad un certo punto, fu sicura di aver udito Sulfus mormorare un "E stringi" molto lievemente; dovette farsi violenza per non scoppiarle a ridere in faccia ma durò poco. Aveva la mano sudata e il sole era ormai quasi tramontato del tutto, immergendo completamente la sala in un'atmosfera arancione quasi magica: probabilmente era quella l'unica cosa positiva di quel momento, che Raf odiava ogni secondo di più.
Quando, finalmente, pronunciarono le fatidiche parole la donna poggiò sul capo della ragazza un piccolo diadema dorato ornato di diamanti e perle, a formare dei piccoli fiori, e li dichiarò ufficialmente sposati. Tirarono entrambi un sospiro di sollievo, le bende vennero sciolte e i due ragazzi si diressero fuori la stanza, in un applauso generale che la infastidì moltissimo; Lily le riconsigliò il bouquet mentre usciva e Sulfus la condusse di nuovo verso la grande scala principale, iniziando a salire un piano dopo l'altro.
"Dove stiamo andando?" domandò dopo qualche minuto, ansante e con i piedi doloranti sia per i tacchi che per il peso della gonna.
"Sulla torre" rispose lui, come se ovvio.
"A fare cosa?"
Sbucarono in un corridoio e si diressero verso una piccola porticina che dava su una stretta scalinata a chiocciola; in cima ad esso vi era un ampio balcone con delle tende dorate ripiegate ai lati e due uomini della guardia reale in piedi fuori di esso. Il ragazzo si fermò qualche gradino più in basso, voltandosi verso di lei, non sapendo come dirle cosa sarebbe successo lassù nel modo più delicato possibile.
"Beh, dobbiamo mostrarci al popolo..." iniziò, con una calma che non possedeva "...voi lancerete il bouquet..." continuò, forse un po' troppo lentamente, mentre Raf lo guardava in paziente attesa "...e poi ci baceremo. Su, andiamo" concluse, pronunciando le ultime parole velocemente, ricominciando a salire. La ragazza registrò quelle parole in ritardo e sbarrò gli occhi, allibita.
"Noi faremo cosa?" esclamò, con voce gelida e sconvolta, facendolo fermare di nuovo sulle scale. Persino i due uomini si erano voltati ma avevano saggiamente pensato di tornare a farsi gli affari propri e non intromettersi. Il ragazzo strinse gli occhi, evidentemente aspettandosi quella reazione, e si voltò di nuovo verso di lei.
"È tradizione che i novelli sposi si bacino di fronte al popolo" spiegò, con un sospiro "Dato che non hanno potuto assistere alla cerimonia gli si concede questo. Ecco perché non lo abbiamo fatto di sotto: in un certo senso è un modo per dividere il rito in due parti così da concederlo ad entrambi i ceti sociali" disse, cercando di esprimere il concetto il più brevemente possibile, ma che in realtà aveva alle spalle diversi millenni di storia e un significato spiegato accuratamente in non meno di otto rotoli di pergamena "Insomma, i nobili si sorbiscono la noioisa manfrina e il popolo si gode la limonata in diretta" tagliò corto.
Raf capì in fretta il meccanismo e dovette ammettere che aveva perfettamente senso, ma lei si rifiutava categoricamente di baciarlo davanti a tutta la città. Si rifiutava di baciarlo e basta.
"Senza offesa, dico sul serio, ma io non ho la benché minima intenzione di salire su quel balcone e "limonarvi in diretta" davanti a tutta la capitale" esclamò, con veemenza.
"Beh, neanche io ho tutta questa voglia di farlo" ammise Sulfus, con una naturalezza devastante nella voce "Così come non ne avevano voglia tutte le persone prima di noi e come non ne avranno voglia le persone che verranno dopo di noi... ma abbiamo qualche alternativa? Perché se avete un'idea sarò ben lieto di ascoltarla" esclamò, con voce piuttosto gelida.
E Raf si ritrovò a ricordare, in modo piuttosto sgradevole, che non era l'unica vittima in quell'assurdo matrimonio combinato. Inspirò a fondo, ben capendo che lui avesse dei doveri e delle tradizioni da rispettare e che non poteva metterlo nei casini per un proprio capriccio personale; e poi, da quel momento in poi, quei doveri e quelle tradizioni erano irrimediabilmente diventate anche sue e inimicarsi popolo e corte il primo giorno per non volerli rispettare non era una decisione saggia da prendere. Abbassò lo sguardo e annuì, seria in volto, afferrandosi le pieghe della gonna.
"Molto bene" rispose neutra, salendo i gradini per raggiungerlo. Lui sembrò quasi sul punto di dire qualcosa, ma ci ripensò e la seguì fuori. Appena si avvicinarono al parapetto l'enorme folla radunata tra le mura del palazzo iniziò ad urlare ed applaudire, accogliendo la giovane coppia con esulti vari che Raf a malapena capì. Si sforzò di sorridere il più naturalmente possibile, non riuscendoci per nulla, e il ragazzo le fece segno di lanciare giù il mazzo di fiori che sparì volando in un gruppo di fanciulle. Sulfus le prese la mano e si avvicinò a lei, Raf s'irrigidì ma non poteva sottrarsi a quel contatto nonostante la voglia fosse incontenibile; voltò il viso e, quando il ragazzo premette le proprie labbra sulle sue, sperò che durasse il meno possibile.
Era il suo primo bacio e lo stava dando ad una persona che non amava e che era appena diventato suo marito, davanti a centinaia di persone per giunta! Decisamente non un momento romantico o da sogno, come la maggior parte delle ragazze desideravano.
La folla esplose in grida e applausi ancora più rumorosi, ma Raf sentiva le orecchie fischiare e le guance andare a fuoco: era la cosa più imbarazzante che avesse mai fatto in vita sua. Il tutto durò meno di venti secondi, poi si staccarono e la ragazza giurò di vedere il viso di Sulfus decisamente più colorito. Ma non ci diede nessun peso (anche lei era arrossita dopotutto) e tornarono dentro poiché dovevano entrambi cambiarsi in vista del banchetto: aveva come l'impressione che, purtroppo, quella tortura non sarebbe finita tanto presto.








Il chiacchiericcio allegro nella sala era assordante ma Raf quasi non lo udiva: le faceva malissimo la testa, le orecchie le pulsavano e aveva lo stomaco completamente chiuso, accompagnato da un forte senso di nausea. Il diadema che le avevano poggiato sul capo durante la cerimonia di nozze, e che le domestiche le avevano fatto tenere, le pesava più di quanto avrebbe dovuto in realtà e sentiva il corpetto del vestito di ricambio stretto all'inverosimile.
Era ufficialmente sposata da neanche un'ora e già desiderava divorziare: un vero record!
Guardò con una smorfia la ciotola con la zuppa e il piatto di bistecca in agrodolce che uno dei camerieri le porgeva ma, nonostante non avesse per nulla appetito, rifiutare di mangiare ad una tavola in cui si era ospite era una gravissima mancanza di rispetto verso i padroni di casa; scelse quindi la zuppa e, prendendo il grande cucchiaio d'argento accanto a sé, si fece forza iniziando a mandarla giù.
Non sapeva cosa ci fosse dentro e non le importava, tanto tutti i sapori che sentiva erano amari, persino il succo di menta e lampone che aveva nel calice risultava sgradevole al suo palato; voleva solo allontanarsi da tutte quelle persone, chiudersi in uno sgabuzzino e rimettersi a piangere finché non sarebbe stata troppo stanca persino per respirare. Ma la festa era appena cominciata e non poteva allontanarsi essendo lei "l'ospite d'onore". Isihogo, seduto sulla grande sedia alla sua sinistra, non aveva ancora toccato cibo e parlava, sorseggiando dei liquori, con Temptel seduta al suo fianco; dopo di lei vi era la sorella di Sulfus, di cui ancora non era riuscita a scoprire il nome, che mangiava un enorme bistecca con totale indifferenza e Raf si chiese dove mettesse tutta quella carne essendo di corporatura molto esile.
Intanto, alla propria destra, Sulfus aveva già rifiutato diverse portate e osservava il resto della stanza con espressione indecifrabile. Non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa ma, in quel momento, aveva difficoltà anche a gestire la propria quindi decise di ignorarlo e basta: non poteva preoccuparsi anche per lui. Andarono avanti così per tutta la cena, Raf accettò solo un filetto di pesce e una fetta di torta alle mandorle poi rifiutò tutti i piatti che poté con la scusa di essere sazia, quando in realtà aveva solo voglia di vomitare.
Ad un certo punto venne servito a tutti un calice, in vetro soffiato e con i bordi dorati, pieno di vino speziato e il re propose un brindisi agli sposi, ai loro regni e all'elleanza stipulata grazie a quel matrimonio; Raf, che non aveva mai toccato un alcolico in vita sua, bevve solo un leggero sorso per buona educazione ma quello bastò a farle bruciare lingua e gola, com'era prevedibile. Aveva appena messo giù il bicchiere e bevuto un sorso di succo per pulirsi la bocca che Isihogo si sporse verso di lei.
"Vedete, mia cara, è tradizione che la sposa si esibisca al banchetto nuziale" le mormorò, con discrezione, facendola gelare sulla sedia "Potete danzare o suonare uno strumento... una nostra principessa una volta si esibì in duello ma dubito che voi sappiate usare un'arma, vero?" domandò. Raf boccheggiò un istante, in preda al panico, infine si scharì la voce.
"Temo di no" ammise, riposando il calice sul tavolo "E sono una pessima danzatrice... però so suonare l'arpa" rispose, cercando di mantenere un tono tranquillo che non lasciasse intendere le sue isteriche e disperate urla interiori. Al re si illuminarono gli occhi a quella frase, come se fosse contento di sapere che sua nuora sapesse suonare quel tipo di strumento musicale, e sorrise.
"E arpa sia, allora" decretò facendo un cenno ad una cortigiana di avvicinarsi. Le mormorò qualcosa all'orecchio che la ragazza non udì ma la donna sembrò stupita, alzò gli occhi su di lei per un istante e poi annuì, dirigendosi fuori dalla stanza. Dopo una decina di minuti quattro uomini varcarono la soglia portando con sé una grande arpa nascosta da un lenzuolo bianco e uno sgabello, che poggiarono al centro della sala; tolsero accuratamente la coperta e mostrarono così il magnifico strumento: era almeno il doppio di quella che aveva Raf in camera sua, interamente fatta d'oro e con dei fili spessi intrecciati a della filigrana dorata, così da creare un effetto magnifico sotto la luce delle torce. In cima e tutto, incastonata nel grazioso ricciolo di metallo ornamentale, vi era un topazio enorme e purissimo: un vero capolavoro della goielleria.
Raf rimase sbalordita quando la vide, trovandola meravigliosa, ma il suo entusiasmo scemò in fretta quando notò l'atmosfera tesa e pesante che era calata sugli astanti; i nobili, seduti alla grande tavolata disposta a ferro di cavallo nella grande sala, fissavano l'arpa con sguardo agitato e alcuni bisbigliavano tra di loro con aria incredula. La ragazza non capì cosa stesse succedendo ma, stranamente, anche Sulfus apparve nervoso. L'unico ad avere un minimo di allegra aspettativa era il re che, con un gesto della mano, la invitò a dirigersi verso lo strumento.
Lei annuì e si alzò, tenendosi la gonna del lungo e stretto abito bianco mentre faceva il giro del tavolo e si portava al centro della stanza, sotto gli occhi di tutti, sedendosi sul piccolo sgabello dall'imbottitura color ocra e sentendo il peso di quell'aria inspiegabilmente tesa su di sé; non sapeva a cosa fosse dovuto ma preferì non chiederselo. Portò invece le dita sull'arpa e ripassò velocemente i brani che conosceva, scegliendo una sinfonia in sol maggiore: complicata, certo, ma era forse l'unica occasione che aveva per fare bella figura in qualcosa che riusciva davanti a tutta la corte. Iniziò quindi a pizzicare dolcemente le corde assumendo via via un tono sempre più deciso, facendo su e giù con ritmo perfetto tra gli accordi ed espandendo nell'aria il suono di quella melodia; era così concentrata che quasi non si accorse che molti soldati e domestici si erano affacciati dalle varie porte che circondavano la stanza, incuriositi da quella esibizione. Il tutto durò all'incrica sette minuti e mezzo, tempo nel quale l'intero castello sembrò fermarsi per poter ascoltare la musica che proveniva dalla sala, e quando Raf diede l'ultima nota fu accolta da un lungo silenzio che la innervosì molto.
Non credeva di essere andata poi così male, dopotutto...
Poi, all'improvviso, un soldato iniziò ad applaudire e i presenti lo seguirono a ruota, facendo rieccheggiare tra le pareti un breve ed educato applauso di apprezzamento. Isihogo, che era rimasto tutto il tempo con gli occhi chiusi a godersi la musica, li aprì lentamente e Raf poté giurare di vederli molto più lucidi; sorrise e si alzò in piedi, elogiandola con un certo trasporto e facendola arrossire dall'imbarazzo. Si limitò a ringraziare timidamente e tornò al proprio posto per "godersi" gli ultimi tratti della festa.
Dopo all'incirca mezz'ora il re congedò tutti e lei poté tornare in camera sua. Era ormai passata mezzanotte e le domestiche l'aiutarono a togliere il vestito e sciogliere i capelli, porgendole una corta veste da notte grigia; forse un po' troppo corta per i suoi gusti, benché arrivasse a malapena sotto le cosce, e si chiese come mai non ne avessero presa una dai suoi vestiti (che qualcuno si era preso la briga di mettere a posto nell'armadio mentre lei era di sotto) poi la lasciarono sola. Si diresse in bagno per sciacquarsi il viso, ancora con dei residui di trucco sugli occhi, e quando uscì sobbalzò nel ritrovarsi Sulfus poggiato alla scrivania che leggeva con curiosità uno dei suoi libri personali. Si portò una mano al petto, dove il cuore batteva furiosamente per lo spavento, e lo trafisse con lo sguardo.
"Cosa... che diamine ci fate quì? Mi avete fatto prendere un colpo" esclamò.
Il ragazzo alzò gli occhi su di lei, inarcando un sopracciglio: "Io ci devo dormire quì" rispose, perplesso, come se fosse ovvio. Ma per la ragazza non lo era neanche un po', tanto che si ritrovò a fissarlo allucinata.
"Cosa?" fu tutto ciò che le riuscì di dire.
"Vostra madre non vi ha spiegato cosa fanno due persone una volta sposate?" domandò lui, con un evidente tono ironico nella voce, facendola gelare sul posto: certo che sapeva cosa succedeva la prima notte di nozze... solo non le era passato per l'anticamera del cervello neanche una volta che avrebbero dovuto farlo anche loro. Insomma, per la misera, erano due ragazzini! Non potevano davvero aspettarsi che consumassero il matrimonio fin da subito, era assurdo.
Sulfus si beò della sua espressione sconvolta per un lungo istante, poi rise di gusto: "Calmatevi, sto scherzando" la tranquillizzò, chiudendo il libro, e Raf tornò a respirare senza neanche ricordare quando avesse smesso di farlo "Ripeto: sono quì solo per dormire" replicò, rimettendo il tomo al suo posto sulla scrivania.
La ragazza fece una smorfia, non muovendo un passo da dov'era, sentendosi improvvisamente in imbarazzo per essere così scosciata di fronte a lui: ora capiva perché le avevano fatto mettere quell'affare...
"Dovete proprio?" domandò d'impulso: non c'era alcun bisogno che lui restasse lì, in fin dei conti, dato che non avrebbero fatto un bel niente e lei non aveva intenzione d'infilarsi sotto le coperte con lui. C'era un limite a tutto, che cavolo!
"Beh, è la tradizione" alzò le spalle lui "In ogni caso sarebbe successo comunque prima o poi, tanto vale iniziare a prendere confidenza" aggiunse, in tono malizioso, e la ragazza si augurò che stesse nuovamente scherzando. Certo, prima o poi avrebbero dovuto consumare per forza il matrimonio per poter mettere al mondo almeno un erede, ma era indubbio che sarebbe successo più avanti. Decisamente molto più avanti. E l'idea di dormire con lui non le andava giù neanche un po'.
Sulfus incrociò le braccia al petto, perdendo di colpo tutta la sua voglia di fare il simpatico: "Sapete, anche mia madre suonava l'arpa" la informò d'un tratto, facendole sgranare gli occhi "Quella che avete usato stasera apparteneva a lei, per questo erano tutti un po' nervosi: erano anni che non veniva fatta uscire dalla sua stanza."
Un flebile "Oh" fu tutto ciò che le riuscì di dire, sentendosi improvvisamente sgonfiata di tutto il malumore e il fastidio che aveva provato fino a quel momento, sostituiti da un'improvviso senso di malinconia. Non sapeva cosa fare in una situazione simile e non voleva dire nulla di inopportuno o indelicato: non sapeva nulla sulla scomparsa delle regina e l'idea che Isihogo avesse fatto riesumare l'arpa appartenuta a lei, dopo anni, solo per fargliela suonare la faceva sentire lusingata ma anche molto a disagio. Aveva l'impressione di aver profanato qualcosa di sacro e dal grande valore affettivo per la famiglia reale e ne era mortificata.
"Però non mi aspettavo che sapeste suonarla così bene" ammise d'un tratto lui, con una lieve nota stupita "Viste le vostre scarse abilità nella danza credevo che vi riuscisse male un po' tutto il repertorio artistico."
Tutti sentimenti deprimenti che Raf provava svanirono di colpo di fronte a quell'affermazione così beffarda e velatamente canzonatoria: se prima aveva sentito una sorta di empatia nei suoi confronti ora era piuttosto irritata. "Molto gentile da parte vostra" sbottò con gelida ironia.
"Non era mia intenzione offendervi."
"Non si direbbe."
La ragazza lo guardò di sottecchi, decisamente seccata da quel suo comportamento strafottente, e il pensiero di doverlo sopportare per tutti gli anni a venire le fece venire l'insano l'impulso di gettarsi dalla finestra.
"Dico sul serio" aggiunse Sulfus, con fare divertito "Prendervi in giro è esilirante ma non potrei mai offendervi di proposito."
Raf aveva molti dubbi al riguardo ma decise di voler provare, almeno per il momento, a dargli un minimo di fiducia: in fin dei conti una possibilità la meritava comunque. E iniziava a sentire tutto il peso della lunga giornata su di sé: era davvero stanca ma era combattuta perché non voleva dividere il letto con il ragazzo per nessuna ragione. Ma aveva anche molto sonno e sentiva i muscoli intorpiditi.
Che situazione assurda.
Fu lui a "sbloccare" il momento staccandosi dalla scrivania e dirigendosi verso il letto, con suo enorme disappunto. Si infilò con disinvoltura sotto la coperta, appoggiandosi alla spalliera, e si voltò verso di lei: "Volete restare lì fino a domani mattina?" chiese. Raf abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente.
"È... è imbarazzante" ammise, non sapendo neanche lei dove trovò il coraggio per esternare quelle parole. Il ragazzo, tuttavia, annuì.
"Certo che lo è" rispose con naturalezza "Sarebbe strano se non lo fosse" notò. Poggiò la mano sul materasso accanto a sé e la batté un paio di volte, sorridendo "Su, venite, si vede lontano un chilometro che state per addormentarvi sul pavimento. E poi è soltanto per stanotte, cosa potrà mai succede di male?"
La ragazza fece una smorfia, vedendolo fin troppo a suo agio in quella situazione: "Non ditelo che porta sfortuna" borbottò, stringendo nervosamente l'orlo della camicia da notte tra le dita. Inspirò a fondo e si avvicinò con passo cauto al letto, scivolando il più silenziosamente possibile sotto il lenzuolo e adagiandosi praticamente sull'orlo del materasso, il più lontano possibile da lui, dandogli quindi le spalle. Aveva un sonno atroce ma era così nervosa che non riusciva a tenere gli occhi chiusi; la candela venne spenta e nella stanza scese il buio più totale. Dalla finestra aperta, coperta solo dalle tende, proveniva il dolce e soffuso suono delle onde che si infrangevano piano sugli scogli e questo contribuì a rilassarla un po'.
"Comunque..." iniziò Sulfus, a bassa voce "...non siete tenuta ad indossare tutto ciò che vi rifila la servitù: potete decidere voi quali vestiti mettere" la informò, evidentemente riferendosi alla veste vergognosamente corta che le avevano fatto indossare le domestiche.
Strinse le gambe più vicine al corpo, ripiegandole su sé stesse, arrossendo: per fortuna il letto era molto grande così che la distanza fra loro fosse molto più che accettabile. "Non sono abituata a questo genere di iniziative" ammise, impacciatamente.
"Dovete semplicemente dire di no" mormorò lui, quasi dolcemente "Altrimenti vi ritroverete ad indossare corsetti tutti i giorni, credetemi."
La ragazza fece una smorfia al solo immaginare quella prospettiva e pensò che forse era il caso di iniziare a mettere da parte le vecchie abitudini: aveva sempre vissuto nelle mani di sua madre, ogni cosa che faceva e che indossava era lei a deciderla e non aveva mai potuto dire nulla per opporsi. Ma ora la situazione era diversa: sua madre non era lì e lei aveva il pieno controllo della situazione; era appena diventata principessa consorte, in fin dei conti, qualche privilegio quel ruolo doveva pur averlo!
Nessuno dei due parlò più e, dopo quelle che erano sembrate ore, finalmente Raf si addormentò cullata dal lieve mormorìo del mare al di là della finestra.

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Capitolo 8
*** Dies primus ***


Fu il bussare frenetico alla porta a risvegliarla bruscamente, il mattino dopo.
Raf aveva dormito pochissimo, quella notte, e avrebbe volentieri riposato un altro po’ ma ogni sua speranza a riguardo si eclissò nel momento in cui qualcuno entrò nella stanza senza neanche aspettare una sua risposta… o, per meglio dire, ci si era letteralmente catapultato dentro.
“Miki, per amor del cielo!” la voce di Ruàn le arrivò forte e chiara alle orecchie, destandola completamente, e si tirò a sedere con un sospiro di sconforto strofinandosi gli occhi pesti per poterci vedere meglio: le tende del suo baldacchino erano state completamente chiuse e il lato destro del letto era vuoto, segno che Sulfus se ne fosse già andato. Non se n’era neanche accorta e, in quel momento, non le interessava particolarmente; non sapeva neanche che ore fossero.
Sussultò quando le tende si spalancarono di colpo e la luce del sole le arrivò dritta in faccia, costringendola a coprirsi gli occhi con una mano per non rimanerne accecata. Riuscì a distinguere l’ombra di Miki dinnanzi a sé e sentì la voce di Ruàn ammonirla severamente, da qualche parte vicino alla porta, imponendole un po’ di delicatezza, ma la ragazza la ignorò e si precipitò su Raf iniziando a parlare a raffica. “Come ti senti? Stai bene, vero? Non ti ha toccata, giusto? Sappiamo che lui ha passato la notte qui e giuro che se ha provato a sfiorarti anche solo con un capello gli staccherò a picconate le…” ma prima che potesse pronunciare le ultime scandalose parole, Ruàn sgranò gli occhi.
“Miki!” la riprese.
“Che c’è?!” sbottò lei, come se non ci fosse nulla di male nel minacciare il castramento del principe ereditario del regno che le ospitava. Raf, che era abbastanza abituata ai modi di fare della sua migliore amica, si limitò a sospirare e sbattere le palpebre, abituandosi pian piano alla luce del mattino.
“Stai tranquilla, non è successo nulla” rispose con calma, poggiandosi ai cuscini “Abbiamo solo dormito” aggiunse vedendo che il suo cipiglio irritato non accennava a rilassarsi, passandosi una mano tra i capelli completamente arruffati. Miki titubò per qualche istante, con una smorfia di disappunto, infine si lasciò cadere seduta sul materasso.
“Meglio così” borbottò, incrociando le gambe in modo molto poco elegante. Ruàn si avvicinò a loro e si accomodò sul comodino accanto a lei, spostando un candelabro: sembrava molto stanca ed era evidente che anche lei avesse dormito poco quella notte. Tuttavia le sorrise, anche se un po’ malinconicamente.
“Ci hanno proibito di vedervi, ieri” informò amareggiata “E’ tradizione che il primo giorno quì i futuri consorti debbano evitare ogni contatto con persone esterne al palazzo.”
“Una tradizione stupida!” sbottò Miki “Mi hanno letteralmente chiusa in un appartamento dall’altra parte del castello, rendiamoci conto! Mi hanno fatta uscire solo per vedere le nozze… neanche al banchetto sono potuta scendere” si lamentò, incrociando le braccia al petto “Per non parlare di quella mocciosa che galoppava dietro la principessa: ti ha guardata con disgusto e rancore per tutta la cerimonia. Se non fosse stata così lontana, le avrei tolto quell’espressione dalla faccia a suon di schiaffi” raccontò, mimando il gesto di preparare un ceffone. Raf non aveva la più pallida idea di chi stesse parlando, era stata troppo impegnata a farsi andare bene tutta quella faccenda per badare alle persone che la circondavano e l’idea che ci fosse qualcuno, a palazzo, che la odiava non la stupì più di tanto: i loro regni erano in conflitto da secoli, anche se non sulla carta, quindi quel matrimonio di sicuro non era visto di buon occhio da metà della corte. Dopotutto, lei era solo il mezzo per stringere un’alleanza ed evitare una guerra, non l’avevano certo invitata lì perché la trovavano simpatica, e anche se non era affatto una bella considerazione della sua persona non aveva altra scelta se non fare buon viso a cattivo gioco… almeno per il momento.
Ruàn sospirò. “E per fortuna non lo hai fatto: iniziare la nostra vita quì con una rissa sarebbe stata una tragedia” considerò amaramente. Raf non poté darle torto e si rese conto solo in quel momento che tenere a bada il carattere impulsivo di Miki non sarebbe stato affatto semplice. In fin dei conti erano delle ospiti, delle estranee, non potevano permettersi chissà quali libertà o prese di posizione: sebbene ricoprissero tutte e tre dei ruoli molto importanti all’interno della gerarchia, avevano dei limiti che non dovevano assolutamente superare.
Sarebbe stato difficile, ovviamente, ma era uno sforzo che andava compiuto.
Miki incrociò le braccia al petto “Mph… beh, se quella ragazzina non starà al suo posto non mi tratterrò di certo” sbottò “Potrà anche essere la dama da compagnia della principessa, ma tu sei la futura regina e dovrà farselo andare bene!”
Raf fece una smorfia a quel pensiero e sentì lo stomaco contorcersi spiacevolmente, ma si impose una calma forzata: Isihogo non aveva neanche quarant’anni, dopotutto, era ancora molto giovane e di sicuro non sembrava intenzionato a lasciare il trono tanto presto. Lei e Sulfus, d’altronde, erano solo due ragazzini: pensare di lasciare il regno a loro così presto era una follia. No, ci sarebbero voluti ancora parecchi anni prima che diventasse regina quindi poteva stare tranquilla, almeno per il momento, e concentrarsi esclusivamente sul suo ruolo di principessa. Che era comunque impegnativo, ovviamente, ma le lasciava ancora qualche sprazzo di libertà e spensieratezza di cui la sovranità l’avrebbe privata definitivamente.
Scosse leggermente il capo e decise di concentrarsi su altro. “Piuttosto, che ore sono? Ho una fame” ammise, giusto per cambiare argomento.
“Le dieci e mezzo” rispose Miki “A dir la verità avresti potuto dormire molto di più, visto tutto ciò che è successo ieri, ma quando ci hanno finalmente dato il permesso di incontrarti non ho potuto aspettare oltre” ammise un po’ dispiaciuta. Si vedeva che Raf era molto stanca e dormire ancora le avrebbe fatto bene, ma era stata così preoccupata per lei che non aveva saputo trattenersi: era rimasta sola per tutto il giorno precedente, affrontando le nozze, il banchetto e una notte con il principe senza il benché minimo supporto emotivo e sia lei che Ruàn erano state in ansia per tutto il tempo. Vederla tranquilla e sapere che era andato tutto bene, però, era stato di enorme sollievo per entrambe.
“Vi faccio portare su la colazione” Ruàn si alzò e si avvicinò all’armadietto posto accanto alla porta: c’erano quattro catenine d’argento appese al suo interno, con una targhetta dorata su ognuna, e la donna tirò delicatamente quella con su scritto “cucine” per far suonare la campanella situata al loro interno. Raf si alzò e si stiracchiò, iniziando a spazzolarsi i capelli, continuando a chiacchierare con Miki degli argomenti più spensierati che le venivano in mente, mentre Ruàn apriva l’armadio per preparare i vestiti che avrebbe dovuto indossare quel giorno: scelse un abito semplice, azzurro, dalla gonna lunga e poco ampia con le spalline cadenti; niente calze e corsetto e scarpe rigorosamente basse, come preferiva lei.
Dieci minuti dopo bussarono alla porta e una cameriera entrò portando un carrello portavivande. S’inchinò brevemente e uscì, senza dire neanche una parola. Raf scoperchiò il vassoio senza tanti complimenti trovando due grandi fette di torta al mirtillo, biscotti ai cereali, uva, mele e tre salsiere d’argento colme di marmellata d’arancia, di fragole e di albicocche. In un vassoio accanto c’era la teiera, la brocca con il latte caldo, un’altra con l’orzo, la zuccheriera e diverse tazzine: tutto in porcellana finissima dipinta d’oro. Poi, ovviamente, piatti e argenteria. Si sedette sul letto e si servì della torta versandosi una tazza di thè, mentre Ruàn preparava l’acqua calda per il bagno e Miki sgranocchiava dei biscotti inzuppandoli nella marmellata.
Dopo colazione, Raf si sentì decisamente meglio e un po’ più di buon umore, quindi si lavò e si vestì. Non si truccò e Ruàn le raccolse i capelli per darle un aspetto più ordinato, poi prese un bracciale di opali finemente lavorato dallo scrigno sulla scrivania e glielo fece indossare: era uno dei regali di nozze che Temptel le aveva offerto appena giunta al suo palazzo e, almeno qualche volta, avrebbe dovuto indossarli per far intendere di averli apprezzati, più per buona educazione che altro.
Mentre Ruàn ripuliva le setole della spazzola, bussarono nuovamente alla porta ma stavolta non fu una cameriera ad entrare: una donna alta e snella dall’aspetto austero, varcò la soglia con passo rigido e si esibì in un inchino a dir poco perfetto, né troppo profondo e né troppo scialbo, che lasciò Raf stupita e un po’ ammirata. Indossava un lungo e aderente abito nero dalla gonna poco ampia, le maniche lunghe e il colletto alto; i capelli, lunghissimi e neri, erano raccolti in una stretta crocchia chiusa da una rete di perle e reggeva tra le mani un piccolo e semplice taccuino bordeaux. Gli occhi, di un rosso intenso, erano nascosti da un paio di fini occhiali a mezzaluna che le davano un’aria elegante e composta. Le ricordava molto qualcuno, anche se in quel momento le sfuggiva chi.
“Principessa” salutò con voce bassa e profonda “Lieta di conoscervi.”
Raf si alzò dalla toilette e chinò lievemente il capo: “Piacere mio.”
Una lievissima smorfia di disappunto comparve sul viso della donna che sospirò: “Non dovete chinare il capo dinnanzi a me, altezza, siete la principessa di Zolfanello City ora” la riprese “L’unica persona dinnanzi alla quale dovete inchinarvi è l’Imperatore” ricordò. Raf trasalì leggermente a quelle parole e arrossì, mormorando delle scuse imbarazzate.
“Non importa” continuò la donna, voltandosi per chiudere la porta “Sono quì per questo, dopotutto” aggiunse, avvicinandosi a lei “Il mio nome è Noha e sono l'arciduchessa di Isono, nonché massima esperta di cultura e tradizione del nostro regno. Avrete sicuramente conosciuto mia sorella Lily” si presentò e Raf capì finalmente perché aveva un’aria così familiare: somigliava moltissimo alla duchessa, in effetti, le uniche differenze tra loro erano il colore degli occhi e il portamento: Noha era molto rigida, Lily decisamente più sciolta. Annuì, quindi, e lei continuò: “Il re mi ha incaricata di istruirvi sulle usanze e i comportamenti di palazzo. In quanto principessa consorte è d’obbligo che conosciate perfettamente l’etichetta di corte, nonché tutto il necessario sulla storia, la cultura e la politica del paese. Sarà fondamentale per il ruolo che vi attende e devo richiedere, da parte vostra, tutto il massimo impegno e l'attenzione di cui siete provvista” illustrò meticolosamente e Raf rimase molto stupita da quella notizia, ma venne presto travolta dall'entusiasmo e anche un po’ di nervosismo: adorava studiare e avere qualcuno che le insegnava tutto ciò che c’era da sapere sulle usanze e i trascorsi del regno era un’opportunità meravigliosa per approfondire quella realtà che già l'affascinava, ma aveva il timore di sbagliare qualcosa o commettere qualche gaffe (come quella appena fatta). Tenne però tutte queste cose per sé e annuì rigorosamente, impaziente di cominciare.
“Se ben ricordo, come dono di nozze vi erano stati portati dei libri sulla storia e la cultura del nostro regno.”
Raf annuì di nuovo: “Sì, li ho già letti durante il viaggio” ammise senza riuscire a nascondere l’emozione, e vide finalmente un lieve sorriso nascere sul volto di Noha.
“Bene. Abbiamo già una base su cui lavorare, quindi” constatò la donna, voltandosi poi verso Miki che era rimasta in disparte ad osservare la scena “Sarà necessario che partecipiate anche voi in quanto sua dama da compagnia, per potervi muovere meglio nella vita di corte dato che avete una posizione molto importante al fianco della principessa” aggiunse e Raf vide una smorfia di disappunto nascere sul volto di Miki. La donna sembrò non accorgersene e si rivolse quindi a Ruàn "Per quanta riguarda te, ho già convocato la capo cameriera che ti illustrerà come organizzare le giornate della principessa d'ora in poi. Cominceremo subito, ho già disposto tutto in biblioteca. Prego, seguitemi” concluse, voltandosi per uscire nuovamente dalla camera.
Miki scivolò giù dal letto, borbottando un “Solo questa ci mancava” e seguì Raf dietro la donna mentre Ruàn richiudeva la porta alle loro spalle. Percorsero lunghi corridoi, scesero scale e salirono scaloni finché non si fermarono dinnanzi ad un bivio: un'anziana cameriera vestita di nero dal grembiule ornato di pizzo dorato se ne stava in piedi accanto alle grandi finestre. Era rigida e impettita ma i suoi occhi tradivano una stanchezza dovuti ai lunghi anni di servizio, che tuttavia non intaccava la sua evidente diligenza.
S'inchinò dinnanzi a Raf e Noha si premurò di presentarla: "Lei è Eireen, era la cameriera personale della nostra regina: non c'è nessuno che può istruirti in modo migliore" disse rivolta a Ruàn, che annuì. "Eireen, lei è Ruàn."
La donna strinse la mano di Ruàn e si lasciò andare ad un breve sorriso: "Sarà un piacere lavorare con te."
"Anche per me" mormorò l'altra, anche se un po' nervosamente.
Noha si aggiustò gli occhiali "Bene, la lascio nelle tue mani allora. Noi possiamo continuare" aggiunse rivolgendosi a Raf. Si separarono al bivio e la ragazza non poté fare a meno di voltarsi per vedere Ruàn allontanarsi, un po' preoccupata: sperava che non fossero troppo severi con lei e il lavoro non fosse stressante. Dopotutto, Ruàn era passata dall'essere una serva qualunque alla cameriera personale di una futura regina nel giro di pochissimo tempo: le mansioni e le responsabilità erano molto diverse e lo avrebbe capito se le serviva un po' di tempo per abituarsi. Così continuarono a camminare.
La biblioteca si trovava nell’ala ovest del castello ed era anche più grande della sala del trono: immensi scaffali erano incastonati nelle mura e affollavano la camera creando stretti corridoi; migliaia di libri di ogni forma e dimensione erano ordinatamente riposti su di essi con altissime scale di legno messe a disposizione per raggiungere quelli più in alto. Piccoli divani e tavolini provvisti di candelabri erano disposti ad intervalli regolari lungo la stanza ma loro si diressero verso il fondo dove il salone si apriva in una seconda sala circolare, anche'essa affollata di librerie su tutta la parete, eccetto per un grande spazio vuoto sulla destra dove erano state posizionate due grandi finestre dotate di balcone; accanto vi era una grande caminetto di marmo riccamente decorato, in quel momento spento, con un lunghissimo tavolo in mogano e sedie imbottite al centro della sala. Un tavolino, un divano e due poltrone foderate di seta rossa erano piazzate esattamente davanti al camino e fu lì che Noha si fermò, invitando le ragazze ad accomodarsi.
Si sedettero tutte e due sul divano, notando diversi libri, grandi quaderni e penne d’oca sul tavolino d’innanzi a loro. “Potete prendere appunti se lo ritenete necessario” rispose Noha, ai loro muti sguardi perplessi, congiungendo le mani dinnanzi a sé. “Ora vi prego di prestare la massima attenzione, abbiamo molto su cui lavorare” cominciò e Raf, ormai fuori di sé dalla gioia, non poteva sperare in qualcosa di meglio: aveva appena trovato un nuovo e meraviglioso lato positivo in quella storia.
 
 
 
Temptel sospirò stancamente, gettando la pergamena sul tavolo e portandosi le mani alle tempie. Quella situazione la stava facendo diventare matta ma non c’era letteralmente nulla che potesse fare per risolvere la cosa e lo trovava frustrante. “Sapevamo che sarebbe potuto accadere, questo rischio c’era” borbottò “Eppure ci siamo comportati da strafottenti, ignorando totalmente la faccenda. Che razza di idioti.”
Isihogo scrollò le spalle, per nulla turbato dalle notizie appena ricevute, e si poggiò contro lo scranno: “Non essere così dura, dopotutto la principessa è arrivata qui sana e salva ed è questo ciò che conta” constatò.
“Già, peccato che l’abbiamo salvata per il rotto della cuffia ben due volte” ricordò lei acidamente “Chi l’avrebbe detto che sarebbero riusciti ad infiltrarsi addirittura tra la servitù… per fortuna abbiamo donne con le palle tra i nostri ranghi” sospirò abbandonandosi sulla sedia.
“A proposito, le ragazze che hanno salvato la principessa dove sono ora?” continuò il re, versandosi del vino speziato nel calice.
Temptel si passò una mano tra i capelli: “Le ho congedate: due settimane di vacanza e una lauta ricompensa in denaro mi sembravano il minimo dopo che ci hanno letteralmente salvato il didietro” rispose. Lui annuì, con un verso di approvazione, e bevve un sorso di vino. “Ora, però, dovremo stare attenti: se sono arrivati fin quì temo che potrebbero spingersi oltre. E’ meglio assegnare una guardia del corpo alla principessa, giusto per stare sicuri, qualcuno di fidato e con abbastanza esperienza... idee?” domandò.
Wyrda si grattò l’ispida barba per qualche istante, pensieroso: “Trovo che Luefra sia perfetto” rispose infine “Ha già esperienza sul campo e durante il viaggio l’ho assegnato alla scorta della principessa: hanno simpatizzato molto e lei si troverebbe più a suo agio con lui. E’ ancora un po’ immaturo ma possiamo fidarci senza alcun dubbio.”
Temptel ci rifletté un attimo, poi annuì: “Sì, sono d’accordo. E’ la scelta più adatta.”
“Bene, allora. Luefra sia” concesse Isihogo, poggiando il calice sul tavolo “Informa entrambi, più tardi: ora la principessa è con Noha e non voglio disturbarle” ordinò e Wyrda annuì.
“In ogni caso, trovo che informare Angie Town dell’accaduto sia d’obbligo” continuò Temptel “Se venisse a galla e credessero che glielo abbiamo nascosto di proposito…” ma Isihogo la interruppe, facendosi d’un tratto serio.
“Non una parola di quanto accaduto dovrà uscire da questa stanza” ordinò.
La donna sgranò gli occhi. “Vuoi scherzare?! Non possiamo non dir loro che la regina di Rengoku ha mandato dei sicari ad uccidere la loro principessa!”
“Siamo costretti” ribatté il re “Sai meglio di me quanto le trattative per l’alleanza siano state difficili, una notizia del genere complicherebbe solo le cose. Proteggeremo la principessa e faremo in modo che nessuno al di fuori del palazzo sappia degli attentati alla sua vita, questo è quanto” concluse e neanche Temptel poté ribattere a quella decisione. Certo, convincere Angie Town ad intromettersi in una disputa sul piede di guerra non era stato affatto semplice e arrivare a degli accordi che soddisfacessero entrambi era stato un miracolo, ma tenere nascosta quella faccenda era pericoloso e avrebbe potuto ritorcersi contro di loro in qualsiasi momento. D’altronde, a loro era andata già fin troppo bene: Arkan aveva ammesso, durante i loro colloqui, che il re aveva preso in considerazione l’idea di proporre il proprio figlio maggiore per il matrimonio. Erano stati fortunati che la mentalità retrograda di Angie Town avesse spinto i consiglieri reali a storcere il naso dinnanzi l’idea che la principessa di Zolfanello City sedesse sul loro trono e avevano convinto il re ad acconsentire alla loro proposta di dare in sposa Raf, altrimenti avrebbero dovuto mandare la piccola Cabiria laggiù… ed era un’eventualità che nessuno di loro avrebbe mai accettato. Sapere la loro amata principessina in quell’ambiente misogino, maschilista e sotto acculturato aveva fatto scorrere un brivido gelido lungo la schiena dell’intera corte; Temptel aveva potuto osservare con i propri occhi come si svolgevano le cose laggiù e il primo dettaglio che saltava all’occhio era indubbiamente la totale assenza della regina negli affari politici: non aveva mai partecipato ad alcun incontro o riunione svoltisi durante la loro permanenza nel regno, l’aveva vista solo spettegolare di frivolezze con le altre dame di corte quasi totalmente ignara delle decisioni che si stavano prendendo sul futuro di quell’alleanza. Una cosa che Temptel aveva trovato triste oltre ogni considerazione umana e immaginare Cabiria al posto suo l’aveva agghiacciata: sua nipote era troppo intelligente, testarda, dall’animo ribelle e dal carattere forte (come tutte le donne della loro famiglia tra l'altro) e non avrebbe mai accettato di fare la “moglie trofeo” adepta solo a sfornare figli e far salotto. Sarebbe stato un insulto alla sua persona.
Era uno dei motivi principali per cui avevano deciso di portare avanti Sulfus: non avrebbero dovuto mandare nessuno dei loro pargoli alla gogna e, in un certo senso, Temptel era convinta di aver fatto un enorme favore a Raf. Lì a Zolfanello City avrebbe avuto molta più libertà di quanta gliene avessero mai concessa ad Angie Town, nessuno l’avrebbe giudicata o eclissata solo perché donna e avrebbe potuto fare tutto ciò che le piaceva senza essere soggetta a restrizioni assurde o soffocanti etichette di corte; non si poteva assolutamente dire che loro non fossero flessibili e, salvo alcune particolari occasioni, poteva letteralmente fare ciò che voleva. Era sicurissima che, una volta ambientata, Raf avrebbe amato vivere lì.
Isihogo si alzò in piedi con un sospiro, interrompendo i suoi pensieri: "Beh, se qui abbiamo finito devo andare a cercare quell'ingrato di mio figlio" annunciò "E' tutta la mattina che mi evita" borbottò con disappunto, allentandosi dal tavolo delle riunioni. Wyrda soffocò una mezza risata e Temptel sospirò: il motivo per cui Sulfus non voleva parlare col padre era chiarissimo dopo che, a colazione, il re aveva fatto domande decisamente indelicate sulla sua prima notte di nozze, che erano finite solo con la letterale fuga del ragazzo dalla sala da pranzo. Temptel aveva dato per scontato fin da subito che quei due non avessero combinato un bel nulla dal momento che erano ancora dei ragazzini ma, evidentemente, Isihogo non era dello stesso parere: lui, che era sempre stato un amante del gentil sesso, trattava l'argomento con troppa leggerezza risultando, a volte, incredibilmente inappropriato e invadente. Non lo faceva di proposito, sia chiaro, però ciò non attenuava il disagio in cui metteva le persone.
Raccolse le carte e si alzò in piedi: aveva anche lei alcune cose da fare prima di pranzo e non voleva ridursi all'ultimo minuto come al solito; doveva anche passare a vedere come se la cavava Cabiria con lo studio. Non che avesse dubbi sul suo operato ma supervisionarla rientrava tra i suoi doveri e doveva portarlo a termine, anche se la sua adorata nipote non aveva mai mancato di portare a termine i propri compiti.
Eh, sì, l'aveva tirata su proprio bene.
 
 
 
 
 
“Perdonatemi… potreste ripetere?”
Raf guardava Wyrda e Luefra fermi dinnanzi a lei come si guarda un pazzo che blatera sull'imminente fine del mondo, non riuscendo a credere a ciò che le proprie orecchie avevano udito. Miki, che era seduta sul letto a sfogliare pigramente un libro di geopolitica, li fissava ad occhi sgranati con un misto di rancore e preoccupazione ben evidente sul volto.
“La regina di Rengoku ha mandato dei sicari per uccidervi, altezza” ripeté pazientemente Wyrda, con un pizzico di compassione nella voce ma usando più tatto possibile “Impedendo le nozze anche l'alleanza con il vostro regno sarebbe saltata e ha ben pensato che il modo migliore per farlo fosse sbarazzarsi di voi. Il consiglio ha convenuto che fosse saggio affidarvi una guardia del corpo personale, per restare più sicuri” illustrò, facendo un cenno al ragazzo al suo fianco “E la scelta è ricaduta su Luefra.”
Lui s'inchinò brevemente, con un espressione spensierata sul volto, totalmente in contrasto con la serietà dell'argomento e Raf fissò dall'uno all'altro per un paio di volte, disorientata e sconvolta.
“Oh” fu tutto ciò che le riuscì di dire, incapace di articolare una frase di senso compiuto. Sentiva la testa girarle e una sensazione di vuoto allo stomaco a dir poco spiacevole: sapeva che i due tentati omicidi durante il viaggio non potevano essere stati una coincidenza ma che fosse stato addirittura Rengoku a commissione il suo assassinio… beh, era tanto scioccante quanto banale. Era ovvio che l'Imperatrice Reìna non sarebbe rimasta semplicemente a guardare i due più potenti regni dell'emisfero est unirsi contro di lei, e ucciderla prima che arrivasse in città era una strategia tanto brutale quanto perfetta: senza matrimonio l'accordo sarebbe saltato e morire sotto la scorta di Zolfanello City avrebbe spezzato definitivamente quel piccolo barlume di fiducia che i due imperi si erano concessi. Sarebbe potuto scoppiare uno scandalo politico di dimensioni agghiaccianti, se non addirittura un'altra guerra.
Uno scenario catastrofico.
Si schiarì la gola e annuì, cercando di mantenere una parvenza di contegno per non far trasparire la sua reale agitazione: "Capisco" asserì infine.
"Vi posso assicurare che abbiamo tutto sotto controllo, principessa" la tranquillizzò Wyrda.
"Non vi accorgerete neanche di me" rincarò Luefra. Miki alzò gli occhi al cielo ma Raf si limitò ad annuire di nuovo.
"Ne sono sicura" sorrise forzatamente "Vi ringrazio."
I due uomini si congedarono con un inchino e la ragazza si lasciò cadere sul letto con un lamento, afferrando il cuscino e piazzandoselo in faccia. Soffocò un urlo strozzato mentre Miki gettava via il libro.
"Quei tipi sono la delicatezza fatta persona" sbottò.
"Non esiste un modo gentile per dire una cosa del genere" gemette lei, abbracciando il cuscino per soffocare la disperazione.
"Almeno quel Luefra sembra simpatico."
La ragazza non rispose ma si girò su un fianco con un mormorio indistinto. Respirò a fondo e si accorse che la federa profumava di lavanda in modo quasi asfissiante: un odore insolito che non c'era sul resto delle coperte, ma incredibilmente gradevole.
"Mi dispiace" mormorò Miki, stendendosi accanto a lei, distraendola da quel pensiero. Restarono così per un po', immerse nei propri pensieri, finché la porta della camera non si aprì.
Raf mise giù il cuscino e vide Ruàn entrare in camera: aveva i capelli legati in una coda disordinata, la gonna della veste sporca e lacerata e le mani fasciate. Entrambe scattarono in piedi ad occhi sgranati quando la videro e Raf corse subito da lei.
"Ruàn! Che… che diavolo ti è successo?" chiese in preda al panico. La donna era sfinita ma sorrise in modo rassicurante.
"A quanto pare, per essere la cameriera personale della futura regina non basta saper acconciare i capelli e chiudere corsetti" scherzò, abbandonandosi sulla sedia della toeletta.
"Ma cosa è successo?" rincarò Miki. Ruàn si alzò la gonna, scoprendo una giarrettiera nera legata alla coscia destra a cui era legata l'elsa di un coltello d'argento, facendole sobbalzare entrambe. La tirò fuori con un movimento fluido e fece scattare una molla, estraeando una lunga e sottile lama affilata.
"Sono stata nel campo d'allenamento, un maestro d'armi mi sta insegnando a tirare di scherma" spiegò rigirandola per mostrarla "Devo essere sempre pronta a proteggervi in caso di pericolo, in qualunque modo."
Raf e Miki si scambiarono un'occhiata allarmata, sia per la strana piega che aveva preso la situazione sia per le notizie che avevano ricevuto da poco. "A proposito di questo…" iniziò Miki.
Raccontarono brevemente delle notizie portate da Wyrda ma Ruàn non sembrò particolarmente sorpresa della cosa: "Avevo immaginato una cosa del genere" ammise, rimettendo a posto l'arma "Due tentati omicidi in così breve tempo erano troppo sospetti per essere semplici coincidenze" sospirò tristemente. Raf si morse il labbro: "Mi dispiace per la situazione in cui ti trovi, Ruàn. Dico sul serio" mormorò torcendosi le mani: era già stata abbastanza dura per tutte dover abbandonare la propria casa, aggiungere anche quella mole di lavoro in più era solo una fonte di stress aggiuntivo di cui non avevano affatto bisogno. Miki si annoiava a morte a studiare e Ruàn era chiaramente provata da quell'improvvisa mansione extra ed erano solo al loro primo giorno di convivenza al castello: non avrebbero mai potuto reggere per anni.
La donna scosse il capo e si sistemò la gonna: "Non preoccupatevi, principessa, va tutto bene. In un certo senso è quasi divertente, devo solo prenderci la mano."
Ma nonostante il suo tono sbarazzino era chiaro che non andasse per niente bene, stava solo cercando di non farle pesare la cosa e Raf si sentì ancora più in colpa.
"E ora è tardi, avete bisogno di dormire e io devo farmi un bagno" sospirò alzandosi. La ragazza provò a dire qualcosa, ma Miki le tirò la manica del vestito facendole cenno di chiudere la conversazione: anche lei era preoccupata ma non voleva trattenere Ruàn più del dovuto togliendole tempo per riposare.
Raf esitò, infine annuì e diede la buonanotte ad entrambe, vedendole uscire con una stretta al cuore: anche lei era stanca, avevano passato tutto il giorno sui libri dopotutto, ma gli ultimi eventi l'avevano agitata troppo e non era sicura di riuscire a dormire.
Sospirò, sedendosi sul letto, sperando che l'alba del giorno dopo arrivasse il più tardi possibile.

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