Second chance

di Sophie Ondine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Midoriko ***
Capitolo 3: *** Lo rivedrò ancora? ***
Capitolo 4: *** Garofani bianchi ***
Capitolo 5: *** Per me è importante ***
Capitolo 6: *** Natale ***
Capitolo 7: *** Scrivere ***
Capitolo 8: *** Il compleanno di Rin, prima parte ***
Capitolo 9: *** Il compleanno di Rin, seconda parte ***
Capitolo 10: *** Kikyo ***
Capitolo 11: *** Il concorso ***
Capitolo 12: *** Tanabata ***
Capitolo 13: *** Buon viso a cattivo gioco ***
Capitolo 14: *** Sorprese! ***
Capitolo 15: *** Verità cartacea ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Sangue, solo sangue attorno a lei. Tutto ne era stato invaso: il suo kimono, le sue mani, il terreno sotto le sue gambe, ormai impregnato di quel liquido caldo dall’odore ferroso.
Stringeva tra le sue braccia un corpo, il corpo di un uomo. Lo stringeva con tutte le sue forze, per paura che qualcosa o qualcuno potesse portarglielo via. Il volto dedll'uomo ormai era una maschera senza espressione, vuota, senza vita.
La ragazza piangeva calde lacrime, disperata. Non poteva crederci che fosse davvero successo, proprio a lui: l’essere più forte, colui che era inavvicinabile, irraggiungibile, ora giaceva esamine tra le sue minute braccia.
Lo guardò con gli occhi annebbiati dalle lacrime: nemmeno l’Oscura Mietitrice era riuscita ad alterare i suoi tratti fieri; anche nella morte lui sembrava il solito e fiero demone.
I capelli argentei si erano riversati sul terreno gravido di sangue, il suo sangue, e qualche ciocca era stata contaminata da una screziatura scarlatta. Il kimono era brutalmente squarciato all’altezza del petto, da cui sgorgava prepotente il sangue.

-Ti prego… non lasciarmi… sola- piangeva la ragazza.


In quel momento qualcuno le poggiò una mano sulla spalla, lei però non si voltò.

-Rin, devi essere forte- le disse la voce, appartenente ad una vecchia donna.
-E come posso farcela?- strillò lei, avvinghiandosi ancora di più al corpo del demone, come se fosse l’unica cosa che avesse senso nella sua vita.
L’anziana donna sospirò.

-Credi nella reincarnazione?- chiese pacatamente.

La giovane si voltò per la prima volta di scatto, un barlume di speranza comparve negli occhi nocciola. Se poteva esserci anche una sola possibilità per lei e il suo amato demone di potersi incontrare ancora una volta, l’avrebbe sfruttata, in un ultimo disperato tentativo.


-Che… che cosa intendi, Kaede?- domandò lei, quasi come se la stesse supplicando.


-Credi in una seconda possibilità? In un altro incontro tra te e lui?-

-Oh, Kaede, se solo fosse possibile, non esiterei a crederci- singhiozzò lei con gli occhi pieni di lacrime.

Kaede sollevò gli angoli della bocca, formando un lieve sorriso sul suo volto. La giovinezza, la speranza, l’ingenuità della ragazza le trasmettevano solo tanta tenerezza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per poterla rendere felice, quella piccola umana divenuta ormai come una figlia.


-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti l’una all’altro senza neanche accorgervene, non potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino a quando il vostro amore non troverà realizzazione. È questo il destino delle anime gemelle-


La ragazza l’ascoltò attentamente e altre calde lacrime scesero sul suo viso, ma erano lacrime di speranza, l’ultimo appiglio per poter sopravvivere alla sua assenza.

-Se è questo quello che deve accadere, ci crederò- disse, guardando di nuovo il demone.
Si soffermò su ogni piccolo dettaglio sul suo viso: il naso, le labbra, le palpebre che in quel momento crudelmente la privavano delle sue amate iridi ambrate.
Un’altra lacrima le cadde lungo la guancia. Si chinò sul volto del demone. Ciò che le aveva detto la vecchia Kaede doveva per forza essere vero, come avrebbe mai potuto mentirle, con il rischio di farle solo ancora più del male? E anche se quella storia delle anime gemelle non fosse stata vera, lei ci avrebbe creduto fermamente, con ogni fibra del suo essere, fino a quando la sua volontà e la sua fede non avrebbero smosso lo stesso universo, gli dei in persona.

-Sesshomaru… un giorno ci incontreremo di nuovo- disse lei, prima di donargli un ultimo, gelido bacio.


***

La sveglia scattò puntuale alle sette del mattino in punto. Il trillo acuto e penetrante martellò le orecchie della povera bambina, che si svegliò di soprassalto. Ci mise un po’ a realizzare dove fosse, tanto profondo era ancora il suo sonno. Sbattè più e più volte le palpebre e poi cominciò a strofinarsi gli occhi cisposi con le dita.
Il suo futon era ancora caldo e invitante e sembrava che qualsiasi cosa attorno a lei le stesse suggerendo di rimanere a dormire ancora un po’: il futon comodo e accogliente, la coperta pesane e calda che la faceva sentire protetta dal terribile acquazzone che si era riversato sulla città quella mattina di novembre. Poteva sentire, a finestre chiuse, lo scroscio della pioggia al di fuori della sua cameretta.
Quanto sarebbe stato bello poter poltrire ancora un po’, pensò la bambina mentre con la manine minute si tirava il piumone fin sopra il naso. Ma l’idillio durò ben poco, perché sua nonna sbattè violentemente l’anta della porta scorrevole della sua camera, facendo un gran baccano e prendendo di sorpresa la povera bambina.

-Rin! È ora di alzarsi, non fare la poltrona!- la rimproverò l’anziana donna con tono duro.

La bimba si alzò di scatto a guardare sua nonna, quasi supplicandola di non sottoporla alla tortura di dover abbandonare il caldo giaciglio.

-Nonna, non mi sento molto bene oggi, non posso restare a casa a dormire un po’?- propose subito la piccola Rin, sperando che la nonna per una volta cedesse al suo buon cuore e accontentasse il suo desiderio.

-Non provare a fare la furba con me, signorinella. Ora tu ti alzerai da quel letto e verrai a fare colazione giù in cucina con me-
Rin sbuffò frustrata da quella risposta. Scostò dal suo corpicino il piumone e, a malincuore, si avviò verso il bagno per prepararsi ad un’altra giornata di scuola. Ci mise un po' per prendere coraggio e lavarsi la faccia con l'acqua fredda che proveniva dal rubinetto. Sospirò più volte e mormorava fra se e se incitamenti, il cui unico destinatario era lei stessa.
-Coraggio, ce la puoi fare!- esclamò un secondo prima di spruzzarsi l'acqua sul viso e lavarsi via dalla faccia anche quel briciolo di speranza di poter passare tutta la mattinata a dormire a casa.
Quando ebbe finito di prepararsi, scese al piano di sotto a fare colazione con  sua nonna, la quale l’attendeva pazientemente. Per ingannare l’attesa aveva acceso la televisione, sintonizzandola su un vecchio film occidentale. Rin prese posto e si servì subito di un po’ di riso in bianco preparato per la colazione.

-Hai dormito bene, bambina mia?-domandò la nonna tra un boccone e l’altro.
Attese una risposta, che però non arrivò mai.
Kaede riformulò la domanda, ma ancora una volta la risposta non arrivava. Spazientita si voltò verso la nipote.
-Rin, ma mi stai ascoltando?- sbottò.
La bambina, richiamata alla realtà, rivolse i suoi occhi verso la nonna, con un’espressione sorpresa e perplessa. Dal suo viso si poteva capire che non aveva sentito neanche una parola di quello che la nonna le aveva detto.

-Non c’è niente da fare: quando c’è qualche film in tv, te ti perdi in un mondo tutto tuo- sospirò l’anziana, mentre scuoteva leggermente la testa.

-Scusa nonna- balbettò la bambina, arrossendo di vergogna.
Non era carino non ascoltare le persone quando ti parlano, questo le avevano sempre insegnato, ma quando si trattava di libri e film, Rin si catapultava in un mondo tutto suo, dove a nessuno era concesso entrare. Bastava che in televisione ci fosse un film discretamente interessante, che subito tutto il resto del mondo perdeva di colore e spessore, si appiattiva e passava in secondo piano. Fin da piccola le piacevano le storie che venivano raccontate, vi si immergeva totalmente. Spesso e volentieri provava a recitarle da sola. Le venne in mente sua madre e i suoi incitamenti quando Rin allestiva uno spettacolo teatrale improvvisato: non c’era scenografia, non esisteva un sipario e il palco era solo un perimetro immaginario tracciato sul tatami. La fantasia era l’unico ingrediente, ma quanto era divertente, perché tutto era possibile.

-Non ti preoccupare. Volevo solo sapere se avessi dormito bene- continuò la nonna con tono dolce.
Dormito bene? Beh era una parola un po’ troppo grossa. Era da un po’ di sere che faceva sempre lo stesso sogno, che ora faticava a ricordare. I contorni erano sfuocati e i volti dei protagonisti del suo sogno faticavano a imprimersi sulla tela della memoria.
-Sì, ho dormito profondamente- mentì alla nonna e si portò un altro boccone di riso in bocca.
Ricordava vagamente che nel sogno c’era una ragazza, una ragazza che piangeva la morte di qualcuno. Altro non ricordava. Se provava a chiudere gli occhi per immaginare la scena, vedeva soltanto del rosso, come se quello fosse il colore dominante dell’intera scena. Ad ogni modo Rin non se ne diede molta pena, le era capitato molte volte di sognare qualcosa di simile. La sua mentalità da bambina, per ora, non le permetteva di porsi altre domande.

Una volta finita la sua colazione, Rin portò la sua ciotola al lavandino, pulì i suoi utensili e poi corse su in camera sua per preparare la cartella.
Trafficò con i quaderni ed i libri scolastici per un bel po’, ancora non aveva imparato a memoria il suo orario. Cercò sulla sua scrivania anche un’altra cosa: un copione. Rin faceva parte del club di recitazione della scuola elementare dove andava e si stava preparando per lo spettacolo di fine anno; dopo le lezioni si sarebbe fermata alle prove con gli altri piccoli attori come lei. Adorava recitare, era divertente e le riempiva il cuore di felicità. La nonna e la mamma l’avevano portata spesso a teatro a vedere qualche rappresentazione: la prima della sua vita fu “Il mago di Oz” e ricordava ancora con un certo timore negli occhi, la paura che l’aveva assalita quando la perfida Strega dell’Ovest aveva fatto il suo ingresso in scena. Forse fu per il trucco verde sulla faccia o per l’interpretazione appassionata dell’attrice, ma Rin scoppiò subito a piangere, rifugiandosi tra le braccia della madre.

-Rin, sbrigati o perderai l’autobus!- la riportò alla realtà la voce della nonna dal piano di sotto.
La bambina si ridestò dai ricordi, raccattò tutto quello che le serviva e si precipitò giù per le scale. Prima di abbassarsi per infilare le scarpe, si voltò verso l’antica cassettiera all’ingresso, rivolse lo sguardo verso una fotografia contenuta in un portafoto dal contorno semplice di colore nero. Al suo interno era contenuta una foto, leggermente sgualcita ai bordi. Rin sorrise, poi sussurò:- Ciao, mamma-

 

***

La scuola elementare di Rin era piuttosto grande ed ospitava sia le scuole elementari che le medie. I club erano numerosi, ma quello di teatro godeva di una buona reputazione: gli spettacoli, benchè non fossero tenuti da professionisti, erano curati nei minimi dettagli e gli studenti ricevevano preziosi insegnamenti dai loro insegnanti.
Rin volle iscriversi al club di recitazione fin dal suo primo giorno di scuola, moriva dalla voglia di farlo. Ormai erano quattro anni che ne faceva parte e con gli anni era riuscita a migliorare ed anche a farsi una cerchia di amici abbastanza stretti. Nonostante fosse una bambina piuttosto socievole, la sua più grande amica però era solo una: Kanna Miura.

Le due bambine si erano conosciute lentamente: ognuna rimase affascinata dall’altra, si erano guardate incuriosite alle prime lezioni del club, e con il tempo la loro voglia di conoscersi si era tramutata in un sentimento di amicizia. Le differenze tra loro erano palpabili, non solo a livello fisico, ma anche a livello caratteriale: se una era un vulcano di energia, l’altra era calma e silenziosa; se una aveva il viso incorniciato da lunghi capelli neri, l’altra vantava capelli chiarissimi che si sposavano perfettamente con il colore della pelle.
Le bambine si trovavano entrambe alle prove, le lezioni erano finite da un pezzo. Tutti i membri della compagnia del teatro delle elementari si sentivano eccitati: lo spettacolo di Natale si avvicinava sempre di più. Per quell’anno era stato deciso di portare sulle scene una delle opere più famose di Dickens, “Il canto di Natale”. A Rin era toccato il ruolo del fantasma dei natali passati, parte che sembrava le calzasse a pennello in quanto il primo dei fantasmi dell’opera dickensiana era descritto come un personaggio luminoso, allegro. Kanna doveva rivestire i panni del fantasma del natale futur, altro ruolo assegnato tenendo conto della naturale propensione della bambina: silenziosa, delle volte glaciale e dal portamento elegante e senza movimenti superflui.
Le due amiche erano sedute leggermente in disparte, in attesa del loro turno.

-ehi Rin…- sussurò Kanna, cercando di non farsi sentire dagli altri: non era rispettoso verso i compagni che stavano recitando.
-Sì?- domandò Rin sorpresa. Di solito Kanna parlava durante le prove solo se strettamente necessario o se proprio non poteva aspettare a dirle qualcosa, cosa che accadeva piuttosto raramente.

La bambina aprì il suo copione apparentemente a caso e, con lentezza quasi studiata, poggiò sulle gambe della piccola Rin due cartoncini rettangolari di colore giallo.
Rin osservò meglio ciò che Kanna le aveva messo sotto gli occhi. In un primo momento non capì, ma con un’occhiata più attenta lesse “Il mercante di Venezia”. Afferrò i biglietti con entrambe le mani e se li portò più vicini al viso, come se avesse paura di aver letto male e che quel titolo se lo fosse inventato la sua mente birichina. Lesse ancora una volta e sul visino le si disegnò un sorriso estatico.
-Ma… dici sul serio?- bisbigliò Rin, cercando di domare l’ondata di eccitazione che sentiva travolgerla come un’onda anomale in quel preciso momento.
Kanna abbozzò un sorriso divertito:-Papà li ha ricevuti in omaggio in ufficio e mi ha detto che potevo portarci chi volevo. Verrà anche lui con noi, per accompagnarci-
“Il mercante di Venezia”, Rin non sapeva di cosa parlasse per la precisione, ma poco le importava, sarebbe stata attenta per tutta la durata dello spettacolo per poter capire. La cosa più importante era poter andare a teatro ed ora la sua migliore amica le stava offrendo quell’occasione.

Da quando la mamma era morta, la piccola non aveva avuto molte occasioni per andare a teatro: la nonna doveva lavorare molto per poter permettere alla nipote una vita dignitosa, magari riuscendola a viziare di tanto in tanto.
Si voltò verso Kanna e, sempre in silenzio, con il sorriso stampato sulle labbra disse:- Grazie!-
In risposta, l’altra si limitò ad annuire lievemente con la testa.

 

***

Subito dopo le prove, sia Rin che Kanna si erano precipitate a casa: i compiti per il giorno seguente non erano pochi e loro desideravano con tutto il cuore godersi lo spettacolo di quella sera, senza il pensiero della scuola. Rin, appena messo piede in casa, si era fiondata in camera sua e subito ripiegata sulla scrivania di fianco al suo letto. Aveva in mente un solo pensiero: lo spettacolo di quella sera, “Il mercante di Venezia”. Durante il tragitto verso casa Kanna le aveva detto che lei e suo padre sarebbero passati a prenderla per ora di cena, avrebbero cenato in un ristorante di fianco al teatro e poi avrebbero potuto godersi la rappresentazione.
La luce aveva fatto spazio alla sera in un batter d’occhio, subito le strade si erano lasciate ricoprire dal quel sottile velo nero, i lampioni erano stati accesi e la città si apprestava ad indossare scintillanti gioielli luminosi.
Nonna Kaede era intenta a preparare un infuso commissionatole da una delle sue clienti più strette. In fondo era contenta che sua nipote avesse ricevuto quell’invito, così lei avrebbe potuto portarsi avanti con il lavoro arretrato e la piccola Rin un ricordo piacevole.

La piccolina riuscì a salvarsi per il rotto della cuffia e i compiti furono completati in tempo. Dopo essersi lavata accuratamente e pettinata altrettanto minuziosamente, aprì l’armadio alla ricerca di un vestito adatto per la serata. Non erano molti, ma Rin aveva già le idee chiare: avrebbe indossato un vestito di velluto blu, dalla gonna ampia e il colletto bianco. Lo indossava esclusivamente per eventi che lei reputava speciali.
Le era stato confezionato dalla nonna per il suo ultimo compleanno, lo aveva copiato da una rivista di moda.
Rin si vestì accuratamente: si infilò il vestito, scelse le calze e le scarpe da abbinarci, indossò un bracciale regalatole da sua mamma anni prima.

Poco prima di scendere giù in cucina per chiedere un opinione alla nonna, le capitò di incontrare la sua immagine nello specchio. Si guardò con attenzione ed ebbe a sensazione che mancasse qualcosa, vedeva riflessa una bambina banale, per niente originale. Si studiò con attenzione, piegando la testa di lato e strizzando gli occhi in cerca di un’ispirazione improvvisa. Subito le venne in mente un’idea geniale: agguantò un elastico poggiato sulla piccola cassettiera e, con mani esperte, si acconciò i capelli in una pettinatura del tutto personale. Quando ebbe finito, si concesse alcuni minuti per ammirare il lavoro fatto. Sorrise: quel codino di lato le stava davvero bene.

-Come sei carina, bambina mia- disse una voce alle sue spalle. Rin vide il riflesso della nonna nello specchio.
Si voltò con un grande sorriso e la nonna si sentì pervadere da un senso di calore senza eguali. Da quando sua figlia era morta, la piccola Rin era l’unico tesoro che le fosse rimasto a questo mondo, e vederla così sorridente, con gli occhi che luccicavano, la faceva sentire in completa pace con se stessa. La vecchiaia e la vita le avevano tolto tantissime cose ed aveva giurato a se stessa che per la sua unica nipote si sarebbe impegnata al massimo per farla sentire felice e protetta.

Il suono del campanello costrinse entrambe ad interrompere quel momento di intimità familiare.
-Credo che Kanna sia arrivata-la informò la vecchia Kaede, mentre l’aiutava ad indossare il cappotto.

 

***

Che storia meravigliosa.
Rin non riusciva a pensare ad altro da quando il sipario di velluto rosso aveva lasciato posto alla scenografia che evocava l’antica città lagunare.
Lei e Kanna, scortate dal padre di quest’ultima, avevano riservati i posti in platea: quarta fila dal palcoscenico. Non potevano sperare in qualcosa di meglio.
L’eccitazione era così forte che Rin non aveva avuto molta voglia di mangiare, face uno sforzo per non offendere il signor Miura, che tanto gentilmente si era fatto carico della soddisfazione di due bambine. Rin guardava rapita, come se fosse sotto l’effetto di un incantesimo, gli attori sul palcoscenico. Come si muovevano, il modo in cui parlavano, in cui modulavano la voce, così potente che pure gli spettatori in balconata erano in grado di capire ogni singola parola di ogni singola battuta. Tutto appariva così naturale, niente era forzato e l’energia che trasmettevano contagiosa.

Rin se ne sentì pervasa, completamente. Un sorriso le si dipinse sul volto. Li invidiava, tremendamente. Avrebbe tanto voluto esserci lei sul palco, non le importava avere il ruolo della protagonista: le sarebbe bastato solo recitare, far parte di quel mondo fluttuante, sospeso tra la realtà e la fantasia.
Quello che provava nel club di recitazione era niente rispetto alla gioia che avrebbe avuto nel far parte di una compagnia di attori professionisti.
Il cuore dentro al petto, sembrava essere impazzito: batteva forte, eccitato. Rin emise un sospiro.
Un giorno anche io farò parte di uno spettacolo del genere, pensò invasa da un sentimento di speranza che inondava ogni cellula del suo esile corpicino.

Quando lo spettacolo si concluse, la piccola battè le mani talmente forte da farle diventare tutte rosse.
Kanna, che aveva notato quel dettaglio, disse ridendo:-Ma Rin, non starai esagerando?-. Ovviamente la diretta interessata non aveva ascoltato neanche una parola della domanda della sua migliore amica e, con impeto crescente, seguitò a sfogare la sua ammirazione per ogni singolo attore che veniva presentato.
Una volta che il palcoscenico fu vuoto e le luci di nuovo accese, Rin sembrò ritornare alla realtà. Quando si voltò incontro gli occhi divertiti di Kanna, la quale, con la sua solita calma e dolcezza le disse:-Sono contenta che ti sia piaciuto-
-Moltissimo, Kanna. Non so come ringraziarti. È stato uno degli spettacoli migliori della mia vita- esclamò traboccante di gratitudine.
Il padre di Kanna si intromise in quel siparietto tra le due amiche e annunciò loro di alzarsi per poter far ritorno a casa, dopotutto il giorno dopo c’erano le lezioni scolastiche ad attenderle.

Rin subito si alzò in piedi, ma, forse a causa dell’eccitazione, mise un piede in fallo ed inciampò su lei stessa, cadendo all’indietro. Era pronta a sentire sotto di lei l’urto del suo sedere con il pavimento freddo e lucido del teatro ma così non fu, al contrario precipitò su qualcosa di più morbido. Aprì istintivamente gli occhi, per capire cosa l’avesse salvata da un livido bello grosso sul sedere.
Guardò verso l’alto e le incontrò: due iridi ambrate, belle e profonde, leggermente fredde.
Rin sbattè le palpebre più volte per mettere a fuoco il suo salvatore. La bambina rimase sbigottita nel vedere davanti a lei un ragazzo grande, molto più grande di lei.

Arrossì per la vergogna.

-Mi… mi scu-scusi, signore- balbettò lei, sentendosi subito intomorita.

Il ragazzo la guardava senza battere ciglio, anche se uno sguardo più attento avrebbe scovato in quella maschera di perenne indifferenza, una nota di fastidio. In fondo quella mocciosa gli era precipitata sulle gambe, impedendogli di muoversi. Lui non rispose e Rin si sentì ancora più mortificata. Cercò di rialzarsi subito, aiutata anche da Kanna e da suo padre, i quali erano accorsi in suo aiuto.

-Mi scusi, spero non le abbia fatto male- tentò di scusarsi il padre di Kanna con il ragazzo, mentre rimetteva in piedi una Rin rossa in faccia come un peperone.
Il ragazzo, con una lentezza quasi estenuante, si alzò in piedi, rivelando la sua statura notevole e la figura longilinea.
-Nessun disturbo- si limitò a dire.
Rin, nascosta dietro la frangetta, spiò il volto del giovane. Capì subito che si trattava di uno youkai, lo aveva capito dai segni demoniaci che adornavano il volto pallido e fiero. Una mezza luna di colore viola regnava sulla fronte, incorniciata da una frangia di capelli argentati.
Il ragazzo sembrava alla bambina bello come un principe.
Chissà quanti anni aveva: diciotto, venti?

-Andiamo, Sesshomaru- lo chiamò una voce.

Il ragazzo non si scompose. Con un lieve cenno del capo salutò il terzetto che aveva davanti agli occhi e, con la tipica eleganza dei demoni antropomorfi, si avviò verso l’uscita del teatro.
Rin lo seguì con lo sguardo.

Che bello quel principe.

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Capitolo 2
*** Midoriko ***


CAPITOLO 2- Midoriko

 

La sveglia trillò prepotente, riempiendo la stanza silenziosa.

La ragazzina che dormiva nel fouton emise un lamento mentre si girava in direzione di quella macchina infernale per poterla spegnere e far cessare quel rumore che le martellava le orecchie. Allungò la mano e la sbattè forte sul piccolo oggetto tondo.

Rin aprì a malincuore gli occhi.

Un’altra giornata, un altro giorno di scuola. Ad un tratto si ricordò che quello era un giorno speciale: era il suo complenno.

Quell’anno Rin avrebbe compiuto undici anni. 20 marzo, primo giorno di primavera. La mamma le diceva sempre che aveva deciso di venire al mondo nel giorno più bello di tutto l’anno. Era il giorno in cui la natura si risvegliava dal letargo invernale e si apriva alla bella stagione piena di sogni e speranze. In Giappone, di lì a breve, sarebbe incominciata la fioritura dei ciliegi, tutta la nazione avrebbe indossato un velo color rosa, come una sposa molto allegra. Sarebbero incominciate le giornate tiepide di sole, la luce avrebbe gentilmente spinto lontano il buio.

Quando era piccola, la mamma soleva prepararle una torta al limone, ripiena di glassa. Ancora prima che la figlia si svegliasse, lei e nonna Kaede, salivano le scale in punta di piedi, con altrettanta cura aprivano la porta scorrevole per poi intonare la canzone di buon compleanno. Rin ricordava la faccia sorridente della mamma, sembrava quasi più emozionata di lei, come se quello fosse il giorno del suo compleanno.

Rin si sentiva già molto grande, gradualmente stava abbandonando i giardini dell’infanzia e si addentrava nell’adolescenza. In realtà la nonna non perdeva occasione per ricordarle che le mancavano ancora due anni per essere considerata una vera teenager, ma lei non ci badava, preferiva far finta di non sentire.
Scostò la coperta del fouton e si alzò per poter raggiungere la nonna giù in cucina.

Scese piano le scale.

Quando si affacciò con la testa sulla porta della cucina, vide sua nonna intenta a trafficare con una spatola sul piano cottura della cucina. Non sembrava padrona delle sue azioni, anzi sembrava che la situazione le stesse sfuggendo di mano.

-Che stai facendo, nonna?- domandò la bambina senza nemmeno annunciare la sua presenza.

Infatti la donna ebbe un sussulto di spavento, aveva completamente perso la cognizione del tempo a causa della sorpresa che sperava di farle trovare.
Rin entrò completamente nella stanza e si avvicinò alla nonna, notando che teneva in mano una spatola per dolci sporca di una crema chiara, una torta tagliata in due, pronta per essere farcita. Saltava subito all’occhio però che la torta era stata tagliata male e al centro fosse ancora leggermente cruda: non una base perfetta da cui partire.

Kaede sospirò afflitta e dispiaciuta:- Tesoro mio, volevo prepararti una torta di compleanno come quelle che ti preparava tua mamma. Purtroppo non sono brava come lei nella ricette di pasticceria occidentale- ammise.

Aveva i capelli leggermente sporchi di panna, probabilmente era schizzata via quando aveva provato a montarle con le fruste elettriche.

Rin sorrise, allora non si era dimenticata. Ammise a sé stessa quanto fosse rimasta delusa dal fatto che non aveva sentito nessuno fare ingresso in camera sua e intonarle la canzone “tanti auguri a te”. Temeva che sua nonna si fosse dimenticata, o peggio, che non avesse avuto voglia di pensare a lei. Nel suo cuore si fece spazio la tenerezza: era rincuorante vedere la nonna pensare a lei costantemente, intenta a non far cadere una tradizione che andava avanti da sempre.

Si alzò sulle punte e depositò un tenero bacio sulla guancia raggrinzita dalle rughe della nonna.

-Grazie, nonnina. Perché però non la compriamo in pasticceria? Così sarà più facile- suggerì lei.

Kaede annuì prontamente. Quella era la soluzione più sensata, veloce e, soprattutto, gustosa.

-E sia bambina mia. Ora siediti e fai colazione. All’ingresso ti ho lasciato già pronto il tuo bento. Ho preparato doppia porzione perché oggi avrai il club di recitazione, vero?-

-Esatto- rispose la piccola prendendo posto e impugnando le bacchette per potersi servire- oggi sarà una giornata particolare. Il nostro insegnante ci ha detto che verrà a farci visita una persona importante-

Qualche settimana prima, durante uno dei tanti esercizi di respirazione che gli allievi erano costretti a svolgere prima di salire sul palco per qualche improvvisazione, il maestro aveva annunciato al suo gruppo di piccoli attori che avrebbero a breve ospitato una persona importante durante la lezione. Tutti i bambini avevano iniziato a domandarsi ad alta voce chi mai potesse essere il misterioso personaggio che veniva a fare loro visita, loro, il gruppo di una scuola elementare. Qualche bambino subito aveva iniziato a chiedere degli indizi all’insegnante, qualcun altro urlò un nome di un qualche personaggio famoso della televisione, levando un coro cacofonico di voci infantili. Il maestro del club si era maledetto immediatamente per aver dato l’annuncio, con l’unico risultato di aver scatenato quell’inferno sonoro. Mise a frutto gli anni di accademia teatrale e gli addominali possenti, che spinsero sul diaframma, liberando una voce forte, che fece cessare il chiacchiericcio dei piccoli allievi.

Rin e Kanna avevano passato i giorni successivi ad interrogarsi sull’identità dell’ospite speciale.

La piccola trangugiò la sua colazione molto velocemente, poi pulì tutti i piatti e le bacchette e si precipitò verso la sua nuova giornata.

Mentre aspettava l’autobus che l’avrebbe portata a scuola, Rin si sedette sul sedile della pensilina. Nonostante avesse una verifica di matematica quel giorno, non riusciva a smettere di pensare ancora ad una volta a quel sogno strano, che ormai occupava i suoi sogni da un anno a quella parte, almeno da quanto ricordava lei.

Vedeva nel sogno sempre degli esseri strani: un piccolo demone che le ricordava un kappa dalle fattezze, un drago a due teste ed un uomo alto, molto alto, dai lunghi capelli argentei. Lei in quei sogni indossava un kimono a scacchi arancione e giallo. Era piccola, più piccola di quanto fosse lei adesso. Ricordava vagamente quel sogno, ad eccezion fatta per l’uomo dai capelli argentei. Si muoveva lentamente, con un’eleganza innaturale per qualsiasi essere umano, indossava sempre un abito bianco ed un’armatura, sul lato destro del suo corpo ricadeva una lunga pelliccia bianca. Rin non riusciva a ricordare molto del suo viso, ma nel sogno sentiva dentro il suo petto crescere un sentimento di ammirazione immenso, vedeva la sua manina allungarsi verso quella figura regale, sempre qualche passo più avanti rispetto a lei.

Negli ultimi tempi aveva fatto quel sogno molto spesso, ma al risveglio ricordava ben poco, i contorni delle figure erano del tutto sfumati e indefiniti.

Mentre rimurginava sul significato di quelle figure, che cosa volessero mai poter dire per lei, arrivò il suo autobus.

Forse era il caso di concentrarsi sulla verifica che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco.

 

***

Tutta la classe era in fermento, i ragazzi non riuscivano a fare a meno di guardare la filiforme figura della donna dai lunghi capelli corvini che se ne stava seduta lì ad osservarli. Sebbene si fosse seduta in un angolo della sala prove, riusciva a catalizzare su di sé tutta l’attenzione.

Rin e Kanna avevano cercato di capire chi fosse quella donna così misteriosa e bella.

-Lei è la signora Midoriko no Tama, mio papà è un suo grande fan. Mi ha detto che da giovane era una donna bellissima ed un’attrice famosissima- aveva detto una loro compagna di corso.

Il maestro aveva presentato ai suoi allievi Midoriko cercando di essere il più distaccato possibile, senza suscitare nei ragazzi alcun tipo di meraviglia o di curiosità, ma i suoi sforzi erano stati del tutto vani, come spesso accadeva a chi doveva badare a ben quindici ragazzini.

-Bene, è ora di cominciare! Come vi ho già detto, la nostra lezione si svolgerà normalmente- aveva urlato alla classe l’uomo, battendo le mani per richiamare l’attenzione.

I ragazzi, seppur con qualche difficoltà, cercano di fare quanto richiesto. Aprirono  il loro copione e iniziarono le prove.
Quell’anno era stato stabilito che l’opera da mettere in scena sarebbe stata “Il mago di Oz”, il primo spettacolo teatrale della sua vita.
A Rin era toccata la parte di Dorothy, la protagonista. Era molto emozionata perché era la prima volta che le veniva data una parte così importante. Solo che ora l’eccitazione era stata soppiantata dal timore, dovuto soprattutto alla donna che, come una sfinge, osservava tutto quello che accadeva nella sala.
La piccola si sentiva più che emozionata, il cuore le martellava nel petto e sentiva le budella attorcigliarsi. Forse solo prima di uno spettacolo si era sentita così sotto pressione.

-Rin, tocca a te!- urlò il maestro.

Molto lentamente, la bambina di alzò e si diresse al centro della sala, lasciata vuota per ospitare il loro palco immaginario.
Aprì il copione, respirò profondamente e iniziò. Ma qualcosa andò storto, perché le prime battute le disse balbettando.
Decise di fermarsi per qualche secondo, fece un respiro profondo.

“Rin, ce la puoi fare. Non pensare a niente, se non a Dorothy” disse a sé stessa.

Poi, come per magia, cominciò a recitare la sua parte come sempre.

 

***

-Rin, Kanna! Potete venire qui un momento?- disse la voce robusta del loro maesro a prove concluse.

Le due bambine si guardarono con sguardo interrogativo. Chissà cosa voleva da loro. Si avvicinarono timorese. In piedi davanti a loro  si ergevano le figure del maestro e della misteriosa donna che le aveva osservate quel pomeriggio.
Nessuna delle due osò prendere la parola per prima e rimasero educatamente in silenzio. Rin osservò Midoriko con timore reverenziale: era dannatamente bella e austera, emanava una luce di dignità abbagliante.
Osservò i suoi lunghi capelli corvini, lisci e lucenti, le labbra accuratamente truccate, segnate leggermente da qualche piccola ruga. Gli occhi però erano il dettaglio che aveva colpito maggiormente la piccola Rin: scuri, profondi, velati da un sentimento di stanchezza, come se avesse lottato da tutta la vita ed ora fosse abbastanza.

-Vi presento la signora Midoriko no Tama, è un’attrice molto famosa- disse subito il loro maestro, mettendo fine a quel silenzio logorante per le due bambine.

-Suvvia, Ryota- esclamò subito con voce leggiadra la donna- Sono così giovani! Al massimo i loro genitori possono ricordarsi di me, se non addirittura i loro genitori-

Entrambi risero. Rin e Kanna non accennarono nemmeno un mezzo sorriso, tanto si sentivano in soggezione.

-Come dicevo, Midoriko ormai si è ritirata dalle scene ed è diventata la direttrice di una scuola di giovani talenti. È venuta a farci visita qui oggi perché è in cerca di giovani attori talentuosi-

Le due amiche si guardarono sorprese.

-Quello che sta cercando di dirvi il vostro maestro è che la vostra recitazione mi ha molto colpita, siete così giovani eppure penso che in voi ci sia del potenziale. Sarei molto contenta di essere la vostra prossima insegnante l’anno prossimo-

-Di… dice sul serio?- chiese subito Rin, quasi come se facesse fatica a credere a quelle parole.

Sperava in cuor suo che non si trattasse di un sogno o, peggio ancora, di uno scherzo di cattivo gusto.

Midoriko la guardò fissa negli occhi, sorrise dolcemente e disse:-Certo. Se non avete alcuna fretta di tornare a casa vi spiegherò meglio di cosa si tratta-

 

***

Rin camminava per le strade di Tokyo, diretta verso casa, con aria sognante ed un’espressione estasiata sul viso. Il giorno del suo compleanno non sarebbe potuto andare meglio: era stata notata da un’importante attrice e le aveva proposto di studiare recitazione nella sua scuola il prossimo anno.
Mentre velocemente si affrettava a tornare a casa per gustare il dolce che la nonna le aveva comprato per il suo compleanno, pensò tra sé e sé che forse era stata la mamma a mandarle quell’inaspettato regalo. Sì, doveva essere proprio così. La mamma aveva deciso di incoraggiare il talento della figlia e non essendo più fisicamente presente in questo modo le aveva mandato un’altra persona.

Rin stringeva la cartella di scuola e sorrideva al pensiero di sua madre. Le mancava terribilmente, non c’era dubbio. Le mancavano le carezze, le mancava la mamma che con pazienza le pettinava i lunghi capelli corvini, le mancava la mamma che batteva furiosamente le mani quando lei improvvisava uno spettacolo teatrale a casa.
Una stretta al cuore le fece sparire il sorriso dal viso. Poi però ricordò le parole che le aveva detto la madre quando si trovava in ospedale: “Se mai ti mancherò Rin, non sentirti triste. Ricordati che la tua mamma sarà sempre vicina a te, anche se tu non puoi vederla. Promettimi che sarai sempre la mia bambina dolce e felice, ma soprattutto promettimi che quando diventerai grande farai quello che ti farà più felice nella vita”. E lei aveva detto di sì, tutto pur di far felice la sua mamma.

Sì, non devo farmi prendere dalla tristezza, pensò subito la bambina assumendo un’espressione volitiva sul viso. Le bastò molto poco per ritrovare la felicità perché subito si ricordò della notizia da dare alla nonna.
Si sentì invadere nuovamente il corpo da una scarica elettrica, ogni parte del suo corpo ne era invasa. Tanto era alta l’eccitazione che non si accorse che il semaforo pedonale era ancora rosso ed attraversò la strada totalmente immersa nei suoi pensieri.

Non vide nemmeno la macchina scura che sfrecciava dritta verso di lei.

Tutto accadde in un secondo: qualcuno e urlò qualcosa da lontano, destandola dal suo sogno ad occhi aperti, un punto nero che diventava sempre più grande pronto ad investirla, un altro urlo, poi il buio.

 

***

Rin aprì lentamente gli occhi, non realizzando dove si trovasse in un primo tempo. Vide sotto di lei il duro asfalto. Si guardò intorno del tutto spaesata. Il mondo le sembrava così ovattato, le voci delle persone in strade le sembravano così lontane. La cartella era stata catapultata a qualche metro di distanza da lei. Si guardò le mani: erano sporche e macchiate di sangue.

Come un lampo che illumina il cielo notturno, si ricordò cosa fosse successo: una macchina stava quasi per investirla, lei istintivamente si era lanciata lontano per evitare l’impatto. Probabilmente aveva strusciato le gambe contro l’asfalto, perché vide che le ginocchia erano sbucciate e la gonna della sua uniforme si era strappata.

Provò ad alzarsi, ma una voce la costrinse a fermarsi. Dal tono non preannunciava nulla di amichevole.

-Maledetta mocciosa, potevi farmi passare un guaio- gracchiava nella sua direzione un ometto piccolo e dalla pelle di un colorito quasi verdastro.

Rin non ebbe il tempo di dire nulla, nemmeno per scusarsi: sembrava una furia contro di lei.

-Sei proprio una mocciosa stupida, ma dove avete la testa voi ragazzi? I tuoi genitori non ti hanno insegnato che non si attraversa la strada se il semaforo è rosso- continuava l’uomo avanzando verso di lei.

Sembrava quasi che una furia demoniaca si fosse impossessata di lui: le guance erano completamente rosse dalla rabbia.

-Jaken!- tuonò una voce dall’abitacolo della macchina.

Per fortuna, pensò Rin, non avrebbe mai sopportato un’altra ondata di insulti.

Mentre la bambina cercava di rialzarsi, vide scendere dalla macchina un giovane uomo dai lunghi capelli argentati. Era molto giovane ma indossava già un elegante abito da uomo d’affari.

Rin lo guardava completamente spaesata. Quei capelli argentati le ricordavano tanto qualcosa, ma al momento non ricordava cosa.

Lo vide avanzare lentamente verso di lei. Anche lui, come la signora Midoriko, emanava un’aura di dignità, ma la sua era regale e quasi glaciale. Rin se ne sentì sopraffatta, tanto avvertiva quella bolla magica in cui era sospeso il giovane uomo. Anche il piccolo uomo, che poco prima inveiva prepotentemente contro Rin, cambiò espressione e si sciolse in un profondo inchino e la sua voce arrabbiata fece spazio ad un tono più sottomesso.

-Dica, Sesshomaru-sama-

Il giovane però non degnò il suo sottoposto nemmeno di uno sguardo, lo superò senza troppe cerimonie e si diresse verso la bambina.

Rin lo vide abbassarsi verso di lei e tenderle la mano artigliata per poterla farla rialzare. Accettò la mano con timore, ma decide di fidarsi.

Capì che era uno youkai dalla facilità con cui era riuscito a sollevarla da terra, con una sola mano.

Nonostante ora si trovasse in piedi, Rin si sentiva lo stesso piccolissima in confronto a lui. Alzò lo sguardo e incontrò due iridi ambrate. Non erano di certo calorose nei suoi confronti, ma nemmeno ostili.

-Stai bene?- domandò asciutto il demone.

-Io… sì, credo… credo di sì- farfugliò la piccola cercando di nascondere la gonna strappata alla vista di quel ragazzo così bello che, ai suoi occhi, pareva un principe.

Sesshomaru fu però più veloce di lei e notò subito il dettaglio che Rin aveva cercato di nascondere in maniera goffa.

-Vorrei poter risarcire la tua divisa scolastica come modo per scusarmi dei modi rudi del mio autista- disse di nuovo lui.

Rin capì che l’uomo verdastro non avrebbe mai osato contraddire il suo datore di lavoro ed infatti rimase in silenzio, anche se l’espressione sul suo visò mutò nuovamente, diventando da reverenziale ad indignata.

-oh… la ringrazio ma non è necessario- si affrettò a dire Rin, inchinandosi profondamente per chiedere scusa e arrossendo vistosamente.

Si girò per allontanarsi e recuperare la sua cartella.

-Chiedo scusa per la mia sbadataggine… e grazie per la sua gentilezza- urlò mentre si allontanava correndo per le strade cittadine.

Nonostante Rin fosse sparita alla vista, Sesshomaru rimase ancora per qualche secondo in piedi guardando nella sua direzione. Che ragazzina buffa. Si ricordava di lei, la sua memoria demoniaca non falliva mai. L’aveva vista due anni prima a teatro e anche quella volta si era trovata ad occupare il suo spazio. Ma lei non aveva accennato nemmeno un secondo ad un possibile ricordo che le rammentasse il loro incontro avvenuto qualche anno prima. Dopotutto era solo una misera nigen.

-Jaken- tuonò poi in direzione del suo autista, che subito scattò preoccupato.

-Dica, Sesshomaru-sama-

-Tu sai cosa fare- si limitò a dire, mentre lentamente risaliva sulla vettura.

 

***

-Ma sei davvero sicura di quello che dici, Midoriko?- domandò Ryota.

-Assolutamente sì- rispose la donna mentre sorseggiava una tazza di tè bollente.

-Ma sono così giovani, sono ancora del tutto immature-

-Certo che lo sono, ma penso di avere abbastanza esperienza per poter riconoscere due attrici talentuose da lontano- continuò lei con un tono leggermente più duro, risentendosi del fatto che il suo giudizio fosse stato messo in discussione.

-Beh, se lo dici tu, mi fido allora- continuò Ryota, consapevole del fatto di aver offeso la sua amica.

-Ma una emergerà più dell’altra. È molto probabile che con il tempo possano diventare rivali, nel caso entrambe decidessero di intraprendere la carriera di attrice- sentenziò alla fine la donna per poi riprendere a gustare il suo tè.



Salve a tutti voi, cari lettori! Finalmente sono riuscita a pubblicare un capitolo nuovo. Mi dispiace di non poter essere più veloce, ma la storia non è ancora ben definita e nella mia testa penso sempre ai mille cambiamenti che potrei fare. Come scritto nel primo capitolo, questa fanfiction prende spunto da un manga che io personalmente adoro, "Garasu no Kamen", infatti i nostri due beneamini mi ricordano molto i protagonisti del manga. Ovviamente ci saranno alcuni punti di contatto con il manga, ma non vi preoccupate perchè sto lavorando duramente per creare qualcosa del tutto personale.


Ringrazio Gaudia, Saydna e Maria76 per aver commentato il capitolo precedente, spero che anche questo vi sia piaciuto.

Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 3
*** Lo rivedrò ancora? ***


Capitolo 3- Lo rivedrò  ancora?

 

Dopo l’incidente Rin era scappata verso casa, dimenticandosi per un attimo del bruciore che avvertiva alle ginocchia a causa delle sbucciature. Sua nonna, appena aveva visto le condizioni della divisa e delle gambette magre, si era allarmata, ma la bambina l’aveva rassicurata sulla sua salute e pazientemente si era fatta medicare da Kaede.
Rin aveva poi avuto modo di poter gustare la torta che la nonna le aveva comprato e solo dopo aver avuto la pancia piena si decise a dirle cosa le fosse successo quel giorno stesso.
Glielo aveva raccontato con l’entusiasmo tipico dell’infanzia: gli occhi le brillavano e la voce le tremava.

-Nonna, vedessi com’è bella la signora Midoriko: ha lunghi capelli corvini e le labbra rosse, come le attrici americane! Ma tu la conoscevi? Alcuni miei compagni di scuola mi hanno detto che è un’attrice molto famosa- diceva senza sosta Rin.

Kaede l’ascoltava divertita, senza perdere di vista un aspetto pratico estremamente importante: il lato economico. Ovviamente avrebbe fatto di tutto per poter vedere felice e sorridente la sua nipotina, se lo meritava dopo la morte prematura della madre. Fortunatamente Rin non era una bambina viziata che chiedeva l’impossibile, aveva sicuramente una grande passione che era la recitazione ma oltre quello non chiedeva mai nulla di superfluo.

-Vedi, nonna, mi piacerebbe tanto andare in quella scuola perché penso che la signora Midoriko possa insegnarmi tanto. Naturalmente la signora mi ha lasciato il suo numero di telefono così potrai parlare tu con lei- specificò la bambina sempre cavalcando l’onda dell’entusiasmo.

Kaede sorrise:- Va bene, tesoro, domani telefonerò alla signora Midoriko e vedremo quello che mi dice-

-Mi manderai in quella scuola?- domandò Rin con gli occhi pieni di speranza.

-Non ho ancora detto di sì. Aspettiamo domani e poi vedremo- disse lei alzandosi lentamente- ed ora signorina sarebbe il caso che tu vada a lavarti i denti per andare a letto, è molto tardi- le ordinò.

La bambina, sperando che la nonna in questo modo l’avrebbe sicuramente mandata in quella sospirata scuola di recitazione, eseguì l’ordine come se fosse un soldatino. Si lavò accuratamente i denti, preparò il suo fouton e con precisione certosina piegò i vestiti che aveva indosso.
Mentre si infilava sotto le coperte, Kaede entrò in camera sua per sincerarsi che tutto fosse al suo posto.

-Nonna, puoi raccontarmi la storie delle anime gemelle?-chiese la bambina innocentemente.

Le piaceva tantissimo quella storia, anche la mamma gliela raccontava spesso e lei ascoltava avida ogni singola parola. Anche lei sembrava investita di un’energia del tutto diversa quando si apprestava a raccontare la storia del filo rosso del destino, sembrava una bambina che credeva ardentemente nelle favole. Gli occhi le brillavano e agitava le mani in preda all’euforia.

-Mammina, anche tu e il mio papà eravate legati dal filo rosso del destino?-

Suo padre non lo aveva mai conosciuto, era morto prima che lei nascesse. La mamma non parlava quasi mai di lui, le faceva troppo male e gli occhi le si velavano di tristezza ogni qualvolta che Rin le domandava qualcosa. Era successo anche quella volta: la mamma si era rabbuiata.

-Sì, tesoro mio. Anche noi eravamo legati- aveva detto poi con mestizia, accarezzandole teneramente i capelli.

Tante volte Rin si era chiesta cosa volesse dire avere un papà. Tutte le sue amiche lo avevano: le andavano a prendere a scuola, facevano loro i regali, insegnavano come andare in bicicletta, le prendevano in braccio e le facevano volteggiare in aria come trottole. Però lei non lo aveva e tutte quelle attività erano state rimpiazzate dalla mamma e dalla nonna. Ma a volte sentiva che non era la stessa cosa. In alcuni momenti avrebbe davvero voluto avere un papà vicino a lei. A casa non c’erano molte foto di suo padre, la mamma ne teneva solo una come segnalibro sul comodino. Era una foto consunta dal tempo, con i bordi leggermente piegati: raffigurava la mamma e il papà da giovani, forse ai tempi dell’università. La mamma era sempre bellissima, con i lunghi capelli neri sciolti lungo le spalle e la faccia sorridente. Lei e il ragazzo della foto si tenevano teneramente la mano, sembravano così felici. Quello che doveva essere suo papà aveva le fattezze di un ragazzo molto alto e atletico, aveva ricciuti capelli neri e due occhi profondi color nocciola, proprio come quelli di Rin.
Qualche volta, quando il ricordo non era troppo pesante da sopportare, la mamma le diceva che aveva ereditato da suo padre lo sguardo vispo e curioso.
Molte volte Rin aveva fantasticato sul carattere di suo padre. Chissà che persona fosse da giovane: era simpatico, amichevole o solitario e taciturno?
Ma quelle sarebbero rimaste domande senza risposta, perché Rin aveva capito che la mamma non avrebbe mai parlato di suo padre per più di cinque minuti senza mettersi a piangere. Nemmeno nonna Kaede si era dimostrata particolarmente collaborativa riguardo alla sua figura paterna, anzi sembrava provarne quasi fastidio al solo pensiero: assumeva un’ espressione contrariata e i lineamenti del viso le si contraevano involontariamente. Eludeva qualsiasi domanda in maniera brusca e Rin intuì fin dal principio che nemmeno lei avrebbe mai potuto aiutarla.

La sola cosa che le rimaneva erano le sue fantasie, quelle erano la sua consolazione.

-Non sei stanca di sentire sempre la stessa cosa?- domandò Kaede mentre le rimboccava le coperte.

Rin scosse la testa.

-Wei era un uomo che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e avere una grande famiglia; nonostante i suoi sforzi era giunto all'età adulta senza essere riuscito a trovare una donna che volesse diventare sua moglie. Durante un viaggio Wei incontrò, sui gradini di un tempio, un anziano appoggiato con la schiena a un sacco che stava consultando un libro. Wei chiese all'uomo cosa stesse leggendo; l'anziano rispose di essere il Dio dei matrimoni e, dopo aver guardato il libro, disse a Wei che sua moglie ora era una bimba di tre anni e che avrebbe dovuto attendere altri quattordici anni prima di conoscerla. Wei, deluso dalla risposta, chiese cosa contenesse il sacco; l'uomo rispose che lì dentro c'era del filo rosso che serviva per legare le mani di mariti e mogli. Quel filo è invisibile e impossibile da tagliare, per cui una volta che due persone sono legate tra loro saranno destinate a sposarsi indipendentemente dai loro comportamenti o dagli eventi che vivranno. Queste parole non convinsero Wei che, per sentirsi libero di scegliere da solo la donna da sposare, ordinò al suo servo di uccidere la bambina destinata a diventare sua moglie. Il servo pugnalò la bambina ma non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa e Wei, dopo quegli eventi, continuò la sua solita vita alla ricerca della moglie. Quattordici anni dopo Wei, ancora celibe, conobbe una bellissima ragazza diciassettenne e si sposò con lei. La ragazza portava sempre una pezzuola sulla fronte e Wei, dopo molti anni, le chiese per quale motivo non se la togliesse nemmeno per lavarsi. La donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo e che le rimase una cicatrice sulla fronte; per vergogna la nascondeva con la pezzuola. A quelle parole Wei, ricordandosi dell'incontro con il Dio dei matrimoni e dell'ordine che dette al suo servo, confidò alla donna di essere stato lui a tentare di ucciderla. Una volta che Wei e la moglie furono a conoscenza della storia si amarono più di prima e vissero sereni e felici-

-Quindi, nonna, secondo questa leggenda, anche io sono legata ad una persona?- domandò Rin alzandosi di scatto.

Kaede la guardò con dolcezza.

-Sei ancora così giovane, bambina mia. Non è ancora il momento di pensare a queste cose- disse mentre le depositava un bacio sulla fronte e con la mano destra la rispingeva nuovamente sul fouton.
Rin però sentiva che quella risposta non le bastava.

-Però nella storia la bambina ha tre anni, io invece ne ho undici… e se l’avessi già incontrato senza saperlo?-

-Potresti, è vero- le confermò la nonna, mentre spegneva la luce.

-Nonna!- la richiamò Rin poco prima che Kaede chiudesse la porta e sparisse dalla sua vista.

-Dimmi, bambina mia-

-Ricordi la storia delle anime gemelle?- domandò ed ottenne un verso di affermazione.

-Se è vero che le anime gemelle sono destinate ad incontrarsi nuovamente in un’altra vita, forse io ho già incontrato la persona destinata a me in una vita precedente- disse dolcemente Rin, mentre il sonno si impossessava del suo corpicino.

Kaede sorrise, poi chiuse la porta e lasciò la bambina in balia dei suoi sogni.

 

***

Il campanello della porta suonò insolitamente presto nonostante fosse domenica mattina. Rin si trovava in cucina in quel momento, completamente immersa nei compiti di matematica per il giorno dopo.
Chissà chi era, eppure non aspettavano nessuno.
Si alzò e corse ad aprire.
Si ritrovò davanti un signore molto alto, con indosso una divisa che sembrava uscita da una tintoria pochi istanti prima, tanto era pulita e ben stirata. Rin osservò i tratti del suo viso piuttosto marcati, che davano all’uomo un’espressione dura e severa. Se ne stava lì in piedi con un pacchettino in mano.

-Desidera?- chiese Rin, rimanendo ben salda alla porta.

-È lei la signorina Rin Damashita?- domandò lo sconosciuto in tono professionale.

-Sì- rispose confusa lei.

Subito si ritrovò sotto il naso in pacchetto bianco che l’uomo teneva in mano.

-Questo è per lei- la informò, poi si girò e se ne andò veloce come era arrivato.

Rin non ebbe nemmeno il tempo per realizzare cosa stesse succedendo, che l’uomo se n’era già andato a bordo della sua macchina scura. Sempre più confusa, la ragazzina si chiuse la porta alle spalle. In quel preciso istante fece la sua apparizione anche sua nonna.

-Chi era Rin?-

-Non ne ho idea nonna, era un signore che mi ha consegnato questo pacchetto- rispose sinceramente Rin.

Si avviò in cucina, agguantò un paio di forbici per tagliare in nastro rosso che teneva unito il pacco e con verace curiosità svelò il contenuto. Rin rimase, se possibile, più sorpresa di prima quando vide una divisa scolastica, la divisa della sua scuola, nuova di zecca.

-Ma… ma chi può avermi mandato un uniforme nuova? Proprio ora che ho rovinato la mia?- si domandò la bambina.

Poi come un fulmine a ciel sereno, le venne in mente chi potesse essere l’autore di quel regalo: l’uomo che qualche giorno prima aveva rischiato di investirla con la macchina. Ma come aveva fatto a trovarla? Lei non aveva detto quale fosse il suo nome. Il viso di Rin si distese in un sorriso dolce. Era stato un gesto estremamente gentile e galante. Forse era davvero un principe quell’uomo, come aveva pensato quel giorno che lo aveva visto scendere dalla macchina.
Prese la divisa tra le mani e, stringendola, sussurrò un impercettibile grazie.

 

***

2 ANNI DOPO

Rin non capiva dove si trovasse, era un luogo così misterioso, avvolto nella nebbia. Teneva nella mano delle redini, ma quello che stava guidando non era un cavallo, bensì un essere a due teste, che le ricordava un drago. Eppure quella creatura non le faceva per niente paura, anzi sentiva dentro al petto un sentimento di affetto. Stava cavalcando sopra una grande distesa verde, sotto di lei alberi e praterie. Era una sensazione piacevole sentire il vento che le sferzava il viso. Lei rideva contenta.

-Vai Ah-un!- gridava continuando a ridere.

Non sapeva quale fosse la sua direzione, ma non le interessava nemmeno. Le bastava essere lì in compagnia di quel drago. Alzò lo sguardo e vide ancora una volta la figura di un uomo, una figura bianca e lucente. I lunghi capelli che volavano nel vento. Era molto più avanti di lei.
Rin sentiva in quel momento il desiderio crescente di raggiungere quella sagoma che a poco a poco diventava sempre più piccola, quasi non si curasse del fatto che lei fosse rimasta indietro.
Voleva andare più veloce, voleva stargli accanto. Vicino a quella figura che per lei significava protezione e ammirazione. Doveva assolutamente raggiungerlo.

-Aspettatemi…- urlò la bambina.

E poi la sveglia suonò ancora una volta e la strappò nuovamente da quel sogno così eccitante.
Rin, automaticamente, la spense e si alzò subito.
Un’altra mattina, un nuovo giorno. Eppure ora non le pesavano più i giorni che si susseguivano veloci, anzi non vedeva l’ora ogni sera di cominciare un nuovo giorno. Ormai era una ragazzina di tredici anni e in due anni molte cose erano cambiate. Per prima cosa aveva iniziato la scuole medie, diventando a tutti gli effetti una teenager, la sua altezza aveva guadagnato alcuni centimetri extra, il suo corpo pure accennava una leggera maturazione: il seno aveva iniziato a crescerle timidamente e i fianchi avevano assunto una leggera curvatura.
Ma la cosa più importante era che quello era il suo secondo anno nella scuola della signora Midoriko no Tama, la compagnia Sengoku.
Rin era grata alla nonna per ogni singolo giorno che trascorreva in quelle quattro mura, circondata da tanti studenti come lei. Non sapeva come, ma Kaede, dopo aver parlato con la signora Midoriko, le aveva detto che avrebbe potuto frequentare la scuola senza alcuna esitazione. In quel momento non si era domandata come fosse stato possibile, anche se la piccola sapeva che non erano una famiglia ricca e che la nonna faticava molto per garantirle una vita confortevole. La verità era che la gioia e l’eccitazione avevano preso il sopravvento e aveva travolto la nonna con la sua allegria: le era saltata al collo, riempendola di lunghi e appassionati baci.
Anche Kanna ora faceva parte della scuola, ma per lei era abbastanza scontato: la sua famiglia era benestante e non esistevano problemi di soldi.

In quegli ultimi due anni era cresciuta molto come attrice e aveva imparato tanto, molto più di quanto pensasse. La signora Midoriko era molto severa, ma Rin capiva che spesso era necessario per far crescere gli studenti e per spronarli a migliorare.
La scuola di recitazione le occupava quattro pomeriggi a settimana, inoltre aveva molte materie da studiare, tra cui anche dizione e danza tradizionale giapponese. All’inizio non le piaceva molto il fatto di dover studiare anche danza, ma in maniera progressiva si era sempre più appassionata a quelle lezioni. Spesso danzava da sola in camera sua, facendo finta di essere un’eterea geisha vestita con abiti suntuosi e pregiati, ammirata e acclamata da tutti. Man a mano che passavano i giorni, nella mente di Rin si faceva strada l’idea di voler diventare un’attrice in futuro. Sapeva che non era una strada facile, ma era l’unica cosa che la facesse sentire viva e piena di entusiasmo nei confronti della vita. Non aveva ancora detto nulla a sua nonna, forse per paura di non essere presa sul serio. In ogni caso avrebbe capito da sola quando sarebbe arrivato il momento di dare l’annuncio  alla vecchia Kaede.

Per ora avevano messo in scena quattro commedie: durante l’anno scolastico erano previsti due spettacoli, tenuti a Natale e prima delle vacanze estive.

Il primo era stato “Le avventure di Tom Saywer” ma sia Rin che Kanna avevano ottenuto delle parti minori, in quanto ritenute ancora inesperte dai loro insegnati. In estate era stato allestito lo spettacolo “Alice nel paese delle meraviglie”, dove questa volta lei aveva ricoperto il ruolo dello stregatto. E ancora c’erano stati “Il flauto magico” e poi “Il gatto con gli stivali”.

Anche in queste ultime rappresentazioni, Rin non aveva ottenuto un grande ruolo e la cosa l’aveva delusa non poco.

Un giorno si era fermata più del dovuto a scuola e stava provando a una parte che non era la sua.
Il caso volle che in quel momento stesse passando accanto alla porta dell’aula la signora Midoriko, la quale si era fermata ad osservare la sua allieva. Guardava i suoi movimenti, la vivacità che cercava di infondere ai suoi personaggi. Secondo lei Rin era una ragazzina davvero dotata, ma aveva bisogno di crescere a livello professionale. Ma dentro di sé sapeva che un giorno sarebbe diventata una bravissima attrice. Non lo aveva ancora detto alla bimba perché non voleva che si rilassasse troppo, al contrario cercava sempre un modo per spingerla a migliorarsi.
Mentre continuava a studiarla da dietro la porta, decise che era arrivato il momento di insegnarle qualcosa di nuovo: aprì la porta ed entrò nella sala silenziosamente.

Rin era completamente assorbita dalla sua privata performance, non si accorse minimamente della presenza della sua insegnante.

-Come mai non stai imparando la tua parte?- le domandò poi all’improvviso la maestra.

Rin sobbalzò dallo spavento. Si girò lentamente e la vergogna si impossessò di lei. Accidenti che brutta figura!

-Sensei, mi perdoni… è che ero molto attratta dalla parte della protagonista, anche se…-

-Anche se non è stata assegnata a te?-completò Midoriko al suo posto.

Rin annuì.

-Sai, Rin, anche io quando ho iniziato a recitare non ho ottenuto fin da subito le parti della protagonista e la cosa mi dispiaceva molto, mi sentivo poco brava per ricoprire un ruolo principale-

-Davvero, sensei?- chiese stupita la ragazzina. Le sembrava così difficile da credere: per lei la signora era nata per le parti da protagonista.

-Sì. Anche io come te mi nascondevo da qualche parte a provare un ruolo che non mi era stato assegnato. Ma sai una cosa? Con il tempo ho imparato che non esistono parti piccole, ma solo piccoli attori-

Rin la guardò confusa, cosa stava cercando di dirle?

Midoriko fece un passo avanti verso di lei, le poggiò una mano sulla spalla e disse:- Ogni ruolo è importante Rin, senza i personaggi minori un’opera non potrebbe esistere. Il più delle volte un personaggio minore serve per dare un pizzico di colore e di brio allo svolgimento della trama, che se si reggesse solo sui protagonisti, risulterebbe anche noiosa. Potranno sembrarti ruoli di poco conto, ma non è così: ogni ruolo serve per portarti un passo avanti, verso l’abilità di poter indossare ogni maschera-

Rin l’ascoltava rapita. Le parole della sua sensei le avevano posto sotto un’altra luce la realtà. Si sentì molto stupida ad aver preso sottogamba quel ruolo.

-Ed ora, fammi vedere come pensavi di interpretare il tuo personaggio- disse Midoriko mentre prendeva posto su una sedia vicina al muro.

Rin sorrise e annuì travolta da un ritrovato entusiasmo. Aprì il copione e mostrò alla sua insegnante tutto quello che aveva capito riguardo al suo ruolo.

Midoriko, a braccia conserte, la osservava in silenzio. Pensò dentro di sé quanto fosse straordinaria quella ragazzina: le erano bastate le sue parole per ritrovare l’energia necessaria ad impegnarsi. Fin dal primo giorno, quando l’aveva vista recitare alle scuole elementari, aveva visto in lei uno straordinario talento, un desiderio bruciante che in pochi avevano. Rin era quel tipo di persona che all’apparenza sembrava uguale a tutti gli altri, ma non appena saliva su un palco si faceva trascinare da quel demone chiamato ispirazione. Per lei era naturale salire su un palco e riuscire a catalizzare l’attenzione su di lei, a suo modesto parere Rin era destinata a diventare una grande attrice. Sicuramente c’erano tante cose da correggere e da insegnarle, ma era una giovane ragazza, aveva davanti a sé tutto il tempo per imparare.
Rin, nel frattempo, continuava a recitare le sue battute. Si muoveva come le avevano detto i suoi insegnanti, cercava di colorire ogni parola, di darle una sfumatura diversa. Sotto l’occhio vigile della signora Midoriko si sentiva al sicuro. Adorava recitare, era una cosa che non poteva assolutamente controllare. Ci metteva tutta sé stessa.

Quel giorno Rin imparò a non sottovalutare nulla e promise a sé stessa che si sarebbe impegnata al massimo in ogni ruolo, poco importava se fosse grande o piccolo. Se questo era il prezzo da pagare per diventare un’attrice talentuosa in un prossimo futuro, lo avrebbe pagato senza alcuna esitazione.

Nei quattro anni precedenti la il Destino aveva dato alla piccola Rin un piccolo assaggio, quasi una sorta di anteprima, di come sarebbe cambiata la sua vita, ma lei non ci aveva fatto minimamente caso. Tutto cambiò un tiepido giorno di autunno: la scuola era da poco iniziata, quello era il suo ultimo anno delle scuole medie e per la compagnia teatrale Sengoku si annunciava un periodo di grandi cambiamenti: per prima cosa la compagnia di attori stabili stava iniziando ad assumere contorni ben definiti, molti erano i ragazzi che a poco a poco avevano abbandonato le dure lezioni a cui la signora Midoriko sottoponeva i suoi allievi, affiancata dall’altro maestro, il signor Saya.

Rin aveva finito da poco le lezioni e aveva raggiunto subito la scuola, pronta per cimentarsi nelle prove dello spettacolo di Natale. I ruoli non erano ancora stati definiti, per ora la compagnia si era limitata alla prima lettura del copione. Quell’anno avrebbero messo in scena “Sogno di una notte di mezza estate”, il capolavoro di William Shakespaere. Rin sperava con tutto il cuore di poter ottenere una parte importante. Dentro di sé sapeva di essere cresciuta molto come attrice, i suoi stessi insegnanti glielo riconoscevano: aveva imparato a controllare la sua voce, si era esercitata ogni sera con la dizione per poter cancellare qualsiasi inflessione dialettale e si era applicata sempre di più nella danza tradizionale giapponese.

Ricordava bene la lezione che alcuni anni prima Midoriko le aveva insegnato, ma ora in cuor suo si sentiva pronta per poter cimentarsi in qualcosa di più.

Stava pensando questo mentre si apprestava a varcare la soglia della porta, quando una voce familiare la riportò alla realtà.

-Ciao Rin cara!- trillò una voce maschile, mascherata da un pretenzioso falsetto, dandole una leggere pacca sulla spalla sinistra.

La ragazzina si girò verso il suo interlocutore e rispose:- Ciao, Jakotsu! Ti vedo radioso oggi, novità all’orizzonte?-

Jakotsu, sfoderando un sorriso a trentadue denti e con gli occhi luccicanti, le fece capire che qualcosa di importante era accaduto.

 Anche lui faceva parte della compagnia Segonku ed era uno dei ragazzi più stravaganti che Rin avesse mai conosciuto: spesso si presentava a scuola con un filo di ombretto e le labbra velate da un burro cacao alle fragole che conferiva un colore più intenso alle sue labbra. Solitamente i capelli erano raccolti in un’elaborata acconciatura, tenuta da un fermaglio dal gusto vintage. Jakotsu aveva due anni in più di Rin ed era uno dei ragazzi più poliedrici della compagnia: era bravo nel cimentarsi nell’interpretazione di ruoli femminili, ma anche nel sapere calarsi nei panni di un uomo forte e virile.
Rin aveva stretto una bella amicizia con lui, sincera e irriverente.

Entrarono in un grande ingresso che ospitava un gabbiotto, quello della segretaria della scuola: era una donna sulla cinquantina, dal fisico tendente alla pinguetudine, con i capelli tagliati in un caschetto disordinato, il tutto contornato da un paio di buffi occhiali rotondi.

-Buonasera, ragazzi!- li salutò, accogliendoli calorosamente.

Sia Rin che Jakotsu ricambiarono il sorriso, poi si avviarono verso un corridoio sulla sinistra e, successivamente, entrarono in una sala prove. Alcuni attori della compagnia già erano all’opera e si stavano scaldando con alcuni esercizi vocali.

-Ciao, Shippo- cinguettò Rin affettuosamente al ragazzino dai capelli rossi. Shippo era l’ultimo arrivato nella scuola di recitazione, aveva quattordici anni e frequentava il primo anno delle superiori.

Nella sala prove c’era anche un ragazzo con una lunga treccia nera che gli ricadeva lungo la schiena, Bankotsu, uno dei ragazzi più grandi, nonché cugino di Jakotsu.
Gli altri attori non erano ancora arrivati, quindi Rin e Jakotsu ne approfittarono per cambiarsi e indossare una comoda tuta per le prove al posto della divisa scolastica.
A poco a poco tutti gli altri arrivarono puntuali: Ayame, una ragazza coetanea di Rin dai lunghi capelli rossi; Koga e Miroku, studenti del liceo e compagni di classe di Bankotsu e Jakotsu; Sango, Kohaku ed infine Hakudoshi. A tutti questi si aggiungeva anche Kanna.

Si ritrovarono tutti a chiacchierare amabilmente in attesa dell’arrivo del loro insegnante, il signor Saya.

Rin, nel corso di quei due anni, aveva avuto modo di stringere un rapporto molto stretto anche con le altre due ragazze della compagnia: Ayame, che tra tutti gli attori si distingueva per la sua vivacità ed i suoi modi esuberanti; e Sango, una ragazza dai lunghi capelli scuri, di un anno appena più grande di Rin, Kanna e Ayame. Sango era una ragazza dal carattere molto forte, che difficilmente parlava a vanvera, ma che sapeva anche essere molto dolce con le persone a cui voleva davvero bene. Madre natura, inoltre, l’aveva dotata di un fisico alto e slanciato, che difficilmente passava inosservato, e che la ragazza curava con una buona dose di attività fisica, in particolare con le arti marziali, apprese dal padre fin dalla tenera età.

Miroku, anche soprannominato “il maniaco”, soprattutto da Jakotsu, era un ragazzo di sedici anni dai profondi occhi azzurri. Aveva da sempre una cotta per Sango, anche se lei faceva di tutti per respingere le sue avances, salvo poi arrabbiarsi quando il ragazzo rivolgeva le sue attenzioni altrove. Al gruppo si aggiungeva poi Koga, demone lupo dai modi arroganti. Ayame, come Miroku per Sango, aveva una cotta disperata per lui, ma al contrario dell’amico faceva di tutto per non far trapelare i suoi sentimenti. Molte volte si era confidata con Rin, incapace di riuscire a trovare una soluzione alla sua situazione, senza nemmeno una volta prendere in considerazione l’idea di dichiararsi.

Hakudoshi, invece, era un ragazzino di dodici anni, che sembrava la versione maschile di Kanna: alto, magro, dalla pelle diafana ed i capelli chiari. Non parlava molto, spesso sul suo viso era stampata un espressione enigmatica. Per Rin era davvero difficile capire cosa gli passasse per la testa.

Infine c’era Kohaku, fratello di Sango e coetaneo di Rin. Kohaku era un dolce ragazzo, timido e dal viso puntellato di simpatiche lentiggini. Lui e Rin andavano molto d’accordo e la ragazza si sentiva legata a lui in modo particolare, vedendo in lui una sorta di fratello maggiore. Molto spesso Kanna aveva chiesto alla sua amica se per caso non ci fosse qualcosa in più tra di loro, ma Rin aveva sempre negato in maniera insistente.

-Insomma, oggi si decideranno ad assegnarci i ruoli?- sbottò Koga una volta che furono tutti presenti in sala prove.

-Spero proprio di sì- intervenne Ayame- perché io ho paura di non fare in tempo a memorizzare il copione per Natale!-

-Ma cosa dici, Ayame?- la sbeffeggiò Bankotsu- Mancano ancora tre mesi e tu hai paura di non farcela?-

La diretta interessata arrossì leggermente, infastidita per essere stata ripresa davanti a Koga:- Guarda che se le conti non sono così tante le prove!- sottolineò lei, ancora più rossa di prima.

-Mi chiedo che ruolo avrà in mente di assegnarci Midoriko- disse pensierosa Sango.

-Io credo che Jakotsu sarebbe una Ermia perfetta!- insinuò Hakudoshi, guardando il diretto interessato.

-Puoi dirlo forte, mio caro!- rispose subito il ragazzo, alzando il mento verso l’alto ed assumendo un’espressione di trionfo.

Le risate che seguirono queste parole furono subito interrotte dal battito di mani del maestro Saya e della signora Midoriko.
Gli allievi, alla loro presenza, fecero subito silenzio e si posizionarono all’interno della sala, pronti per cominciare i loro esercizi. Rin, che si trovava di fianco a Kanna, come sempre non riusciva a non rivolgere uno sguardo pieno di ammirazione nei confronti della signora Midoriko. La trovava fonte di grande ispirazione per il suo futuro, magari un giorno anche lei sarebbe diventata una donna come lei.
La donna, facendo due passi avanti, guardò i suoi allievi e cominciò a parlare:- Bene, ragazzi, come sapete questo Natale metteremo in scena “Sogno di una notte di mezza estate”. Ho assegnato i ruoli, in modo da poter lavorare sodo fin da ora e poter portare in scena uno spettacolo ben studiato-

Nessuno disse una parola: erano troppo curiosi di sapere quale sarebbe stato il loro personaggio. Rin dentro di sé pregava con tutto il cuore di poter avere il ruolo del folletto Puck: in quei giorni in cui era a stata a casa a leggere il copione, aveva avuto modo di innamorarsi di questo personaggio. “Sarebbe bello potergli dare un volto” aveva pensato tra sé e sé mentre il sonno prendeva il sopravvento su di lei.

-I ruoli di Oberon e Titania sono stati assegnati rispettivamente a Miroku e Sango-

Miroku non stava più nella pelle: avere un ruolo con la sua Sango era un sogno che si realizzava. Dal canto suo la ragazza assunse un’espressione preoccupata: chissà quante volte quel maniaco avrebbe allungato le mani con la scusa della finzione scenica!

-Ermia sarà interpretata da Kanna, mentre Elena la farà Ayame. I ruoli di Lisandro e Demetrio, vanno a Kohaku e Koga. Abbiamo poi Shippo, Hakudoshi, Bankotsu e Jakotsu nel ruolo degli artigiani. E per finire Rin, che ricoprirà il ruolo del folletto Puck-

Rin, che in quel momento si stava stritolando le mani per l’agitazione, alzò subito gli occhi verso la sua insegnante, incredula.

-Io… Puck?- chiese la ragazza, come se pensasse che quello fosse solo uno scherzo di pessimo gusto.

Midoriko la osservò con un sorriso appena accennato sulle labbra.

-Non mi deludere Rin- disse poi la donna, confermandole che non si trattava di un sogno.

Rin sentì il petto esploderle dalla felicità. Finalmente, dopo un duro allenamento, era arrivato il momento in cui aveva ricevuto un ruolo che desiderava.
Ce l’avrebbe messa tutta, promise a sé stessa che non avrebbe deluso le aspettative della sua insegnante.

-Bene, ora se volete scusarmi, vi lascio nelle mani di Saya. Io ho delle questioni da risolvere. Buon lavoro ragazzi- annunciò poi la donna, uscendo dalla stanza e avviandosi verso il suo ufficio.

Si diresse lungo il corridoio, facendo ticchettare i tacchi delle scarpe sul pavimento appena lucidato. Nonostante l’espressione fiera, dentro di sé Midoriko si sentiva inquieta, poco sicura di sé stessa. Sapeva che dietro la porta che stava per aprire, si sarebbe di lì a poco svolta una battaglia, dalla quale lei doveva uscirne più che mai vincitrice.
Poggiò la mano sulla maniglia della porta, abbassò lo sguardo e prese fiato, sperando di trovare un po’ più di coraggio. Poteva udire distintamente i battiti accelerati del suo cuore.
Non era la prima volta che lottava per qualcosa, lo aveva sempre fatto del resto e la vittoria era sempre arrivata puntuale. Anche stavolta avrebbe tirato fuori le unghie e i denti per tenersi stretta ciò che era suo.
Aprì la porta con decisione ed entrò nel suo studio.
Ad attenderla c’erano due persone, per la precisione due giovani uomini, i quali si girarono subito al rumore della porta che si apriva.

Midoriko non potè fare a meno di notare che i due non potevano essere più diverse che mai, non solo fisicamente ma anche negli atteggiamenti.

Studiò prima il ragazzo che si trovava alla sua destra: era un ragazzo alto, dai lunghi capelli neri e gli occhi stranamente rossi, che incutevano un certo timore in chiunque vi si soffermasse. Midoriko sentì un brivido di inquietudine salirle lungo la schiena. Non le piaceva la sensazione che stava provando in quel momento. Notò che ostentava un’espressione sicura, fin troppo. Il ragazzo se ne stava in piedi, con una mano dentro la tasca dei pantaloni ad osservarla con un ghigno beffardo sul volto.

Da quanto ricordava, Midoriko non aveva mai incontrato una persona così sgradevole al primo sguardo. Non le piaceva per niente quell’uomo.

Cercò in tutti i modi di non farsi dominare da quel senso di rifiuto che sentiva crescere in lei nei confronti del ragazzo e passò poi ad osservare il giovane alla sua destra: anche lui era notevolmente alto, ma al contrario del suo contraltare, aveva i capelli lunghi e argentei, con un viso dai lineamenti affilati ed eleganti, abbelliti da due occhi color ambra. La donna notò i segni demoniaci sul volto: doveva essere un demone maggiore, senza alcun dubbio.
Il secondo ragazzo, nonostante la freddezza che trapelava dal suo sguardo, ispirava molta più fiducia a Midoriko. Non che fosse una persona alla quale affidare la propria vita, ma sicuramente sembrava molto più leale dell’altro ragazzo.

-Bene, ma che onore trovare nel mio ufficio i due rampolli dell’industria dell’intrattenimento- esclamò Midoriko per spezzare il silenzio.

Poi, con calma studiata, chiuse lentamente la porta alle sue spalle. Con altrettanta lentezza si avvicinò alla sua scrivania, superò i due ragazzi e si trincerò dietro la protezione della sua scrivania di legno scuro.
Entrambi i ragazzi la guardarono compiere quei movimenti silenziosamente. Se uno spettatore fosse entrato in quel momento, avrebbe sicuramente detto che quei tre personaggi stavano mettendo in scena una scena di caccia del regno animale, tanto prestavano attenzione al movimento e dalla mancanza di movenze e parole superflue.
Midoriko si sedette, poggiando la schiena sul morbido schienale della sua sedia girevole.

-Comincio a pensare di essere una persona molto importante, se mi sono stati mandati qui i due futuri presidenti delle due emittenti più famose del Giappone: la No Taisho production e la Onigumo co.- disse lei rompendo il silenzio, cercando di dominare la sua voce il più possibile- a cosa devo la vostra visita, Naraku e Sesshomaru?-

I due rivali, perché tali erano in ogni circostanza lavorativa, si scambiarono una leggera occhiata carica però di spirito battagliero. Sesshomaru non lasciava molto spazio alle emozioni, sembrava quasi impassibile. Intrappolato in quel vestito elegante, sembrava che poco gli interessasse di quella visita. Quando suo padre lo aveva incaricato di recarsi dalla famosa attrice Midoriko No Tama per convincerla a vincolare la sua scuola in un contratto con la loro società, non immaginava minimante che si sarebbe dovuto trovare a stretto contatto con Naraku, primogenito del fondatore della Onigumo co.: Ryukotsusei Onigumo.
Sesshomaru mal sopportava la sua presenza, lo trovava un borioso fin troppo convinto nell’efficacia delle proprie abilità. Poco gli interessavano le voci dei tabloid che gli attribuivano una vita sociale molto promiscua e vivace, non era quello che lo interessava; lo disprezzava perché aveva avuto modo di constatare quanto fosse subdolo e manipolatore con le persone. Molte volte aveva approfittato di giovani attrici, solo per il gusto di poter avere un rapporto più intimo con loro, o aveva rubato un lavoro originale di qualche sconosciuto e squattrinato giovane sceneggiatore in cerca di fortuna. Ma soprattutto, prima di tutte le ragioni etiche, Sesshomaru non sopportava il suo status sociale di mezzo demone.
Non solo lui provava un inimmaginabile rifiuto nei confronti di questi ibridi, ma la cosa che lo faceva infuriare di più era la sicurezza con cui Naraku, ogni volta in cui si erano incontrati, gli si rivolgeva, quasi come se si sentisse un suo pari.

Nella mente di Sesshomaru una cosa del genere era del tutto impossibile: erano i demoni gli unici esseri superiori, gli umani ed i mezzi demoni erano alla stregua di scarafaggi. Nonostante ciò non poteva sottrarsi dal mandare avanti la società che suo padre aveva messo in piedi nel corso degli anni e si era dovuto sforzare molte volte per mascherare il suo disgusto nei confronti del genere umano, dal momento che avrebbe dovuto aver a che fare con loro a causa del lavoro.
Dal canto suo Naraku sembrava provare una certa soddisfazione dal fastidio di Sesshomaru, quasi come se per lui il fatto di renderlo nervoso fosse un piacevole passatempo.

-Credo, signora Midoriko, che sia io che il mio collega- e Naraku ci mise molta cura nel sottolineare con enfasi quella parola- abbiamo entrambi fatto male i nostri calcoli per poter parlare con lei-

Midoriko rimase in silenzio. Sapeva perfettamente che cosa volessero entrambi da lei.

-Non mi sarei mai aspettata una visita di cortesia da voi, naturalmente- controbattè Midoriko in tono sarcastico. A quelle parole Naraku scoppiò in una risata.

-Suvvia, non sia così guardinga…-

-Quello che sta cercando di dire il signore è che siamo venuti per presentarle delle proposte vantaggiose per lei e la sua piccola compagnia. Ovviamente, quella proposta dalla No Taisho prevede dei grandi vantaggi per lei ed i suoi allievi- lo interruppe Sesshomaru, arrivando al dunque e battendo sul tempo il suo rivale.

-E ditemi- continuò Midoriko, poggiandosi comodamente sulla poltrona- che vene fate di un’attrice ormai ritiratasi dalle scene, che ha messo in piedi una piccola compagnia di attori?-

Midoriko ancora una volta cercava di prendere alla larga il discorso. Intrecciò le dita delle mani tra di loro, come se fossero una sorta di scudo protettivo.

-Non giriamoci troppo intorno- continuò Sesshomaru, che ormai aveva preso il posto di Naraku nella contrattazione- ovviamente, quello che vogliamo è rimettere in scena ciò che tutto il Giappone considera un capolavoro: il “Sengoku Monogatari”-

La donna sentì qualcosa crescerle dentro al petto: un misto tra fastidio e preoccupazione. Non avrebbe mai permesso che qualcuno glielo rovinasse.

-Come sapete, sono anni che altre società mi propongo contratti allettanti, ma io non ho intenzione di rovinare un’opera così bella solo per poterla vendere al grande pubblico- sentenziò Midoriko.

-Lo dice perché l’autore del libro è il suo defunto marito?- sottolineò Naraku ancora una volta con cattiveria.

Midoriko si sentì punta sul vivo. Appoggiò i palmi delle mani sulla scrivania, fece un respiro profondo e lentamente si alzò in piedi.

-Forse lei è ancora troppo giovane per poter capire, ma quel libro è un tesoro che mio marito ha lasciato a me. Non mi farò abbindolare da false promesse di ricchezza. Ho soldi a sufficienza per poter mandare avanti la scuola-

Fu Sesshomaru questa volta a parlare:- Sappiamo benissimo che lei ha delle persone che le finanziano questa struttura. Ma mi creda, signora, le converrebbe valutare l’ipotesi di appoggiarsi ad una società grande quanto quella di mio padre: i soldi prima o poi finiscono-

-Siamo entrambi disposti a tutto pur di averla con noi- continuò infine Naraku, alzandosi all’altezza della donna.

Questa volta fu difficile riuscire a dominare le emozioni, Midoriko respirava affannosamente, incapace di reprimere la rabbia che sentiva crescere dentro di lei.

-Mi state minacciando?- domandò.

Entrambi i ragazzi sogghignarono.

-Assolutamente no. Le stiamo solo spiegando quanto sia forte il nostro desiderio di averla con noi. Dopotutto lei è stata, e rimane ancora oggi, una stella del teatro giapponese- concluse Naraku.

-Se non vi dispiace, vi chiedo cortesemente di andarvene. Non abbiamo altro da dirci-

Nella testa di Midoriko non c’era più niente da fare. Una battaglia del genere non poteva essere vinta da lei, che si trovava sola a fronteggiare due avversari tanto diversi ma temibili allo stesso modo. Con passo nervoso si avviò verso la porta e l’aprì.

In quel momento, quasi come una sorta di sipario, comparve sulla soglia la piccola Rin, la quale assunse un’espressione confusa e sorpresa.
Sia Naraku che Sesshomaru guardarono quella ragazzina, uno con il solito ghigno beffardo, mentre l’altro con indifferenza.
Rin dal canto suo si sentiva piccola e indifese, forse aveva scelto un momento sbagliato per far visita alla sua sensei.

-Hai bisogno di qualcosa, Rin?- chiese poi Midoriko.

A quel nome le orecchie di Sesshomaru iniziarono a prestare più attenzione alla piccola umana che tremava come una foglia. La guardò attentamente e subito riconobbe ancora una volta la buffa ragazzina che si era trovata sul suo cammino per ben due volte. Notò che era leggermene cambiata da quando aveva rischiato di investirla con la macchina: il viso era sempre innocente e fanciullesco, ma a poco a poco i tratti del viso stavano cambiando e il corpo iniziava a prendere forme femminili. Era ancora acerba però, ci sarebbe voluto del tempo per poterla vedere trasformata in una donna.

-Sensei, chiedo scusa per l’interruzione, ma speravo potesse aiutarmi con il mio personaggio…- disse la ragazzina, cercando di giustificarsi.

Mentre parlava pose lo sguardo sulle due figure che aveva davanti. Si soffermò soprattutto sulla figura di un uomo alto, dai capelli argentati e dagli occhi dorati. Si fermò e lo guardò per qualche istante in maniera interrogativa. Chiuse leggermente gli occhi, riducendoli a due fessure, come se così potesse essere agevolata con la memoria.
Poi improvvisamente si ricordò tutto.

-Ma… ma lei è il signore che mi ha ripagato la divisa scolastica!- esclamò Rin guardandolo negli occhi.

Tutti i presenti si voltarono a guardare Sesshomaru, il quale non si scompose. Si limitò a guardare di rimando la ragazzina che si trovava di fronte a lui e che ora avanzava timidamente verso di lui.
Rin aspettò di essere abbastanza vicina a lui, poi si piegò in un inchino e disse:-Non ho mai avuto modo di ringraziarla! Grazie mille, davvero!-

Nella sala però riecheggiò solo una risata. Rin si sentì alquanto sorpresa, e anche un po’ infastidita, alzò lo sguardo per vedere se stesse ridendo di lei, ma quando incontrò le iridi color ambra di Sesshomaru lesse sul suo viso un’espressione infastidita, quasi quanto la sua. Rin era sempre più confusa: da chi proveniva quella risata di scherno? Di certo non dalla signora Midoriko, lei non si sarebbe mai permessa di ridere di lei e della sua educazione.
Poi si ricordò che nella stanza c’era anche un’altra persona, per la precisione un altro uomo. Si voltò lentamente  guardarlo e vide che si era portato una mano alla bocca e cercava di mascherare malamente le sue risate.

-Sesshomaru, non sapevo fossi un tale gentiluomo con le ragazzine indifese!- sbottò lui punzecchiandolo, mentre si avviava verso la porta per congedarsi d quell’incontro.

Ancor una volta Sesshomaru represse l’istinto di strappargli via la giugulare e poi, quando Naraku sparì del tutto alla vista, si rivolse verso Rin e disse:-Spero che la misura andasse bene-

E poi anche lui, salutando prima la signora Midoriko, si congedò.
Rin rimase alquanto sorpresa: aveva usato un modo del tutto personale per dirle che aveva gradito il suo ringraziamento.
Che strano personaggio, ogni volta che lo incontrava era sempre per qualcosa di fugace e bizzarro.

Dentro di sé Rin si chiese se lo avrebbe rivisto ancora.

***

Salve a tutti voi, miei cari lettori. Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, ma quando inizio a scrivere mi vengono in mente mille idee e cerco di metterle tutte su carta.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Come avevo promesso, da adesso in poi gli incontri di Sesshomaru e Rin diverranno sempre più frequenti e il loro rapporto avrà modo di crescere e svilupparsi. Mi dispiace se può sembrare un po’ lenta la storia, ma vorrei di darle uno stampo il più veritiero possibile. Inoltre vorrei dare spazio anche agli altri personaggi.

Ringrazio ancora una volta Gaudia, Yuzar, Maria76 e Seydna per aver commentato il capitolo precedente.

Fatemi sapere se il capitolo è stato di vostro gradimento.

Al prossimo capitolo!!!

 

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Capitolo 4
*** Garofani bianchi ***


Capitolo 4- Garofani bianchi

Vista da fuori, la villa No Taisho appariva immensa, come un dedalo di stanze e corridoi. Contrariamente al giudizio umano, Sesshomaru giudicava fin troppo piccola quella dimora: fosse stato per lui avrebbe vissuto in un posto lontano da tutto e da tutti. Il suo udito sviluppato lo bombardava di continuo con inutili suoni, voci e parole.
Era pomeriggio inoltrato quando rincasò, dopo l’incontro con la signora Midoriko. Contrariamente alle sue aspettative, quella visita non aveva portato nulla di buono, anzi era solo servita a peggiorare i rapporti, già di per sé tesi, con la donna in questione. Ma la colpa di questo non era sua, era da attribuirsi a quel maledetto e borioso mezzo demone, che aveva usato tutte le sue carte peggiori per indisporre Midoriko.
Maledetto, pensò tra sé e sé, mentre si toglieva la giacca del vestito e si allentava il collo della cravatta.
Un piccolo errore da parte sua, però, c’era stato: aveva aspettato troppo per andare a fare visita in quella scuola.

Sesshomaru si avviò verso un tavolino dietro al grande divano che regnava al centro dell’immenso salone davanti al camino, prese una bottiglia di vetro finemente lavorata e si versò in un bicchiere due dita di whiskey scozzese. Portò il liquido ambrato alle labbra e ne gustò un leggero sorso, la bocca fu invasa dal sapore aspro, caldo e pungente, poi deglutì con piacere e si sedette su una poltrona. Mentre rigirava il bicchiere tra le mani, giocando con il whiskey all’interno, pensò a quanto era successo poche ore prima.
Suo padre voleva i diritti su quel maledetto libro, il “Sengoku monogatari”. Nessuno era mai riuscito a smuovere Midoriko, mai una volta aveva accennato a dire un sì. Doveva ammettere che ammirava questa sua determinazione e tenacia nel difendere una cosa che riteneva tanto preziosa, considerando anche la sua debole natura umana. Non di rado Sesshomaru aveva visto uomini pronti a giurare che avrebbero difeso fino allo stremo ciò che loro reputavano un tesoro, salvo poi rimangiarsi la parola alla prima proposta vantaggiosa.
Che esseri deboli, pensò di nuovo mentre mandava giù un altro sorso.
Si abbandonò con la schiena contro il soffice schienale.

Quel dannato libro era l’ossessione di suo padre, soprattutto da quando la sua seconda moglie era venuta a mancare. Al solo pensiero di Izayoi, Sesshomaru storceva ancora la bocca. Non le era mai piaciuta quella donna umana, eppure suo padre, il grande demone cane della famiglia, sembrava completamente succube e soggiogato da lei e lui non riusciva a spiegarsi come fosse possibile.
Ricordava quando, da piccolo, i suoi genitori decisero di separarsi perché suo padre si era perdutamente innamorato di un’altra donna. Non che fosse particolarmente affranto per la sorte della madre: Inu Kimi era sempre stata una donna molto orgogliosa e fredda, non aveva battuto ciglio a quella rivelazione, sembrava quasi che se l’aspettasse. Con non curanza aveva fatto le valigie e se n’era andata. E non se la passava nemmeno male, visto che viveva al momento in un lussuoso appartamento in centro a Tokyo.

Quello che Sesshomaru non sopportava era l’idea che suo padre si fosse abbassato a tal punto da mischiarsi con un essere inferiore. Per lui era inconcepibile. Fin dal primo istante in cui Izayoi aveva messo piede in casa, Sesshomaru non aveva mai fatto di finta che le piacesse, al contrario non perdeva mai occasione per rimarcare il fatto che lei per lui non era nient’altro che una presenza sgradita. Questo atteggiamento di Sesshomaru aveva portato nel corso degli anni a diversi scontri con suo padre, talvolta anche fisici.
Ora che lei era morta Inu No Taisho sembrava un uomo che arrancava ogni giorno per arrivare al termine della giornata, sembrava svogliato nei confronti della vita. Erano passati ormai sei anni da quel terribile giorno, ma il dolore non accennava a sparire.
Con il passare del tempo, Sesshomaru aveva imparato a modulare le sue reazioni ed emozioni, quindi non si era mai più permesso di dire qualcosa contro quella che, a detta di suo padre, era stato il grande amore della sua vita. Nonostante questo superficiale rispetto, Sesshomaru covava nei confronti del padre lo stesso rancore che aveva provato quando lo aveva visto con Izayoi per la prima volta.
Durante i primi anni di matrimonio, Sesshomaru ricordava che Izayoi teneva sempre tra le mani il “Sengoku Monogatari” e durante le domeniche primaverili lei e suo padre si sdraiavano all’ombra di un albero e insieme leggevano quel libro. Il più grande desiderio di Izayoi era vedere un giorno quell’opera rappresentata a teatro, erano anni che ormai giravano voci su un possibile adattamento teatrale, con protagonista la stessa moglie del famoso scrittore, ma una malattia aveva messo fine a quelle vaghe promesse. Nonostante ciò, Inu No Taisho aveva promesso ad Izayoi che lui sarebbe stato il primo a riuscire ad ottenere i diritti per la messa in scena dell’opera e dopo la morte di Izayoi la promessa era diventata la sua ragione di vita. Ormai erano passati anni e suo padre non desisteva da questa corte sfrenata a quel mattoncino di pagine, che ormai si era trasformato in una vera e propria reliquia.
Sesshomaru non aveva avuto molta scelta riguardo il suo futuro: sapeva che prima o poi sarebbe spettato a lui prendere in mano le redini dell’azienda. Intorno all’età di diciannove anni, suo padre lo aveva preso con sé, per potergli mostrare dal vivo come si svolgesse quel mestiere. Dal primo giorno all’interno della società, Sesshomaru si ripromise di lavorare sodo per poterlo un giorno superare, ma non solo, avrebbe fatto di tutto per riuscire da solo a strappare alla signora Midoriko la promessa che i diritti di rappresentazione sarebbero spettati a lui, invece che a suo padre.
Sì, questo era il suo proposito. Avrebbe avuto la sua rivincita su di lui strappandogli ciò che era la cosa più importante al mondo.
“Vedrai, padre, riuscirò a superarti” pensò il ragazzo mentre tracannava l’ultimo sorso di whiskey.
Il destino volle che proprio in quel momento facesse il suo ingresso nella stanza proprio suo padre, Inu No Taisho, demone maggiore e presidente di una delle aziende leader nel settore dell’intrattenimento e dello spettacolo.
La No Taisho possedeva teatri famosi, cinema, emittenti televisive, giornali e riviste. Poche erano le società che avrebbero potuto competere con lei.

-Bentornato, Sesshomaru. Hai avuto novità dalla signora Midoriko?- disse, prendendo posto sullo spazioso divano blu di fianco alla poltrona sulla quale sedeva il figlio.

-Ci sto lavorando-

-Il che vuol dire che non hai ottenuto nulla- concluse per lui suo padre.

Sesshomaru non rispose, odiava quando suo padre faceva di tutto per sottolineare un suo fallimento.
“Non preoccuparti, padre. Prima o poi riuscirò in ciò che tu non sei mai stato in grado di ottenere, nonostante l’amore che dicevi di provare per quella donna. Nemmeno quello ti è stato d’aiuto” pensò tra sé e sé il ragazzo mentre faceva finta di trovare il fondo del suo bicchiere vuoto molto più interessante del genitore.

-Non era il momento migliore per dirle tutti i vantaggi del contratto. Era presente anche Naraku Onigumo- lo informò Sesshomaru, per far comprendere meglio la sua strategia.

Inu No Taisho si girò verso di lui stupito. La società del suo eterno rivale, la Onigumo co., ancora una volta si intrometteva nei suoi affari e intralciava qualsiasi cammino lui intraprendesse. Fin dalla sua ascesa nel mondo dello spettacolo Ryokotsusei era sempre stato il suo rivale più temibile. Non sapeva come, ma in qualche modo riusciva sempre a mettergli i bastoni tra le ruote.
Aggrottò la fronte, preoccupato.
Il figlio lesse all’istante l’espressione del genitore e si affrettò a dire:- No, non sono riusciti a convincere la signora Midoriko, se è questo che temi. Naraku è stato troppo impegnato a provocarla per pensare a tirarla dalla sua parte-
Mentre diceva queste parole, Sesshomaru ebbe un’intuizione: Naraku, molto prabilmente, com’era nel suo stile, aveva deliberatamente provocato Midoriko solo per non far trovare Sesshomaru in vantaggio. Lo aveva afferrato per trascinarlo sul fondo insieme.
Il demone represse un ghigno, per non farsi sentire dal padre. Non aveva nessuna intenzione di rivelargli un dettaglio del genere. Strinse comunque con molta forza il bicchiere, fino a farsi diventare le nocche bianche, riuscendo al tempo stesso a controllarsi per non frantumare il bicchiere in mille pezzi.

-Sesshomaru, ho una cosa da dirti…- disse poi Inu No Taisho, una volta che si fu tranquillizzato.

Il ragazzo non rispose, si limitò a muovere la testa per guardarlo in faccia e fargli capire che lo stava ascoltando.

-Tra una settimana tornerà tuo fratello da New York…-

-Cosa ha combinato questa volta, il bastardo?- chiese acido Sesshomaru.

Inu No Taisho sospirò, non aveva nessuna intenzione di intraprendere l’ennesimo scontro con il suo primogenito, ne avevano avuti fin troppi. Anche se cercava di ignorare le parole di odio del figlio, era comunque doloroso per lui sentire che l’astio tra i suoi figli era ancora presente, più forte che mai.

-Non ha combinato niente. Semplicemente è arrivato il momento che torni in Giappone e che noi iniziamo a vivere come una famiglia- ammise l’uomo portandosi una mano sulla fronte, troppo stanco per affrontare qualsiasi cosa. Se solo ci fosse stata Izayoi al suo fianco, pensava, le cose le avrebbe viste sotto un’altra luce, sarebbero state sicuramente meno pesanti di come sembravano in quel momento.

-Non ho niente a che spartire con un mezzo demone, io- disse lapidario Sesshomaru alzandosi dalla poltrona e avviandosi verso la sua camera.

La notizia non era delle migliori, ma non aveva intenzione di pensarci ora come ora. Avrebbe continuato la sua vita come sempre, limitandosi ad ignorare l’ospite indesiderato.
Mentre camminava lungo il corridoio, Sesshomaru passò davanti ad una delle grandi finestre che davano sul giardino posteriore della villa. Quel giorno i giardinieri si stava occupando delle piante  che crescevano proprio sotto le finestre. Quando Sesshomaru superò la finestra che era stata aperta per far areare la casa, sentì distintamente un leggero odore di lavanda.
Lo aveva già sentito quell’odore, quel pomeriggio, poche ore prima.
Quella ragazzina umana, lei odorava di lavanda. Quel profumo fu sufficiente per fargli tornare alla mente il volto della ragazzina.
Rin. Così si chiamava.
Pensò alla prima volta in cui l’aveva vista, lei aveva nove anni e lui venti. Undici anni di differenza, non erano pochi.
Si ricordava di una bambina buffa, dal viso allegro e vispo. Quando quella volta era caduta su di lui, perdendo l’equilibrio, ricordò che lei indossava un vestitino blu, non di alta sartoria, ma qualcosa di più modesto. Nonostante fosse dell’idea che gli umani fossero solo degli essere inutili, ricordò che lei non gli aveva dato particolarmente fastidio. Lei, invece, era più che imbarazzata. Poi due anni dopo, ancora una volta non si era spazientito o adirato per quell’umana così sbadata da non guardare nemmeno la strada prima di attraversare.
Con un rapido calcolo della mente, convenne che ormai doveva avere tredici anni. Era ancora una bambina, i lineamenti del viso tradivano ancora una certa ingenuità.
Ripensò al modo in cui si era inchinata a lui non appena lo aveva riconosciuto, non aveva mai visto una persona tanto spontanea. Aveva dimenticato la sua maestra e la presenza di Naraku pur di poterlo ringraziare nonostante fossero passati due anni da quel risarcimento che lui le aveva dato. Le labbra di Sesshomaru si incurvarono in un lieve sorriso quando ripensò all’espressione incredula quando lo aveva guardato, convinta che fosse stato lui a ridere dei suoi modi. Doveva ammettere che era stata davvero buffa.
“E così è un’attrice” pensò Sesshomaru, mentre si chiudeva la porta della camera alle spalle.

Non lo avrebbe mai detto, anche se gli venne in mente che quando l’aveva vista a teatro aveva notato di fianco a lui la buffa ragazzina che guardava famelica la commedia.
Sesshomaru si ritrovò a chiedersi che tipo di attrice fosse: dotata, con talento oppure semplicemente l’ennesima ragazzina che voleva solo diventare famosa?
Certo, se la signora Midoriko aveva deciso di prenderla con sé, voleva dire che aveva visto qualcosa in lei. Non gli era nemmeno sfuggito il cambiamento della voce quando si era rivolta alla sua allieva: era diventata più dolce e morbida istintivamente. Da quanto ricordava la compagnia Sengoku avrebbe messo in scena “Sogno di una notte di mezza estate” poco prima di Natale.
Sarebbe stato molto curioso di vederla sul palco e magari avrebbe avuto modo per poter elaborare una strategia migliore con Midoriko No Tama.
Sì, avrebbe trovato un modo per battere Naraku sul tempo.
 

***

Più passavano i giorni e più Rin trovava difficile riuscire a dare un tocco originale al suo Puck. Le piaceva infinitamente quel folletto dispettoso: era irriverente, giocherellone, imprevedibile. Ma quanto era complicato da mettere in scena. Nella sua mente Rin se lo immaginava un essere snello, dalle gambe veloci, i capelli arruffati e l’espressione da bambino monello.

La pausa pranzo stava quasi per finire e Rin si trovava sul tetto della scuola, per consumare il suo bento in santa pace e dedicarsi alla lettura del suo personaggio. Si era seduta per terra, vicino alla rete metallica che evitava agli studenti di sporgersi più del dovuto, non si accorse minimamente della piccola figura che avanzava verso di lei silenziosamente.

-Sapevo che ti avrei trovata qui- esclamò poi la voce all’improvviso.

Rin urlò e sobbalzò dalla paura, rovesciando per terra le ultime verdure del suo bento.

-Kanna! Vuoi farmi morire?- chiese poi lei con una mano sul cuore, come se fosse sufficiente a calmare i battiti accelerati del suo cuore.

La sua amica sorrise delicatamente divertita.

-Scusami, non ne avevo intenzione. Mi stavo solo domandando dove fossi, mancano pochi minuti al suono della campanella- la informò Kanna, mentre l’aiutava a pulire per terra.
Le due amiche rimasero per un po’ in silenzio. Kanna poi sposò lo sguardo sul copione aperto di Rin: era tutto sottolineato ed ai margini erano presenti mille note scritte a matita, cancellate e scritte ancora una volta. La ragazza allungò una mano e sfogliò il copione tra le mani.

-E queste?- chiese perplessa.

Rin diventò subito rossa come un pomodoro e si affrettò dal strappare il copione dalle mani della sua amica. Kanna, di rimando, rimase molto sorpresa dalla reazione della sua amica.

-Scusa, Kanna, non volevo sembrarti maleducata ma sto solo cercando di studiare la mia parte al meglio. Non sono sicura di essere ancora riuscita ad entrare bene nel personaggio- ammise mentre si guardava la punta delle scarpe, leggermente consumate.

Kanna rimase per qualche secondo stupita: per lei era assolutamente insensata come cosa, non perché non le importasse nulla del teatro, al contrario, ma perché credeva che Rin, rispetto a tutti gli altri compagni, fosse quella più avanti con la costruzione del personaggio. La ragazza provò una punta d’invidia: anche lei avrebbe voluto essere talentuosa come Rin, la quale non era minimamente consapevole del suo potenziale.
Anche Kanna amava tantissimo la recitazione, fin da bambina. Si era sentita così fiera e soddisfatta quando la signora Midoriko aveva chiamato anche lei a far parte della compagnia Sengoku. Da un po’ di tempo a questa parte anche lei aveva cominciato a prendere in considerazione l’idea di intraprendere questa strada, ma ogni volta che iniziava la lezione si rendeva della superiorità della sua amica nei suoi confronti. Kanna ci metteva tutta sé stessa e anche gli insegnanti le riconoscevano una tecnica piuttosto raffinata nonostante la giovane età, ma sentiva che le mancava sempre qualcosa, quel qualcosa che Rin aveva.
Quando Midoriko aveva assegnato i ruoli, ci era rimasta male per non aver ottenuto lei la parte di Puck, era un ruolo estremamente poliedrico e divertente. A lei era capitata ovviamente la parte di Ermia, la cara e dolce Ermia, tranquilla come lei.
A volte si sentiva intrappolata in quegli aggettivi che l’avevano accompagnata fin da quando era una bambina. C’erano dei momenti in cui Kanna si vergognava profondamente per quello che provava nei confronti di quella che considerava la sua amica più fidata, quella che era sempre stata al suo fianco, la sua migliore amica. Eppure delle volte era inevitabile.
E anche ora sentiva che quel mostro verde stava risalendo dalle sue viscere e si insinuava nella sua testa, parlandole con voce suadente e subdola.
Kanna decise che l’unica che avrebbe potuto fare in quel momento era semplicemente ignorare quella vocina. Scosse la testa e disse:- Rin, non starai esagerando?-

Eccola, stava forse cercando di distoglierla dal suo obbiettivo per non farla esprimere al meglio? Il dubbio le si stava insinuando, ma ancora una volta decise di ignorare.

-No, niente affatto. Sai, Kanna, sto pensando seriamente di intraprendere questa carriera, non so fare molto altro nella vita e recitare mi piace da morire. Vorrei impegnarmi al massimo, in qualsiasi cosa mi verrà proposta, per potermi sempre più avvicinare al mio sogno- confessò Rin.

-Perché non me lo hai detto prima?- domandò Kanna, cercando di far prevalere il suo amore di amica.

Rin fece spallucce.

-Non saprei, forse mi vergognavo un pochino-

E in quel momento Kanna riconobbe la sua amica ed una risata scalciò via l’invidia dal suo cuore in quel momento.

-Sei sempre la solita!- ammise mentre tornavano in aula per le lezioni del pomeriggio.

 

***

Il taxi si fermò davanti al cancello di ferro battuto della grande villa. Una ragazza, seduta sul sedile posteriore, si affrettò a togliersi la cintura di sicurezza e pagare il tassista. Si fece aiutare con le valigie, poi disse gentilmente:- La ringrazio, posso fare da sola ora-
Due valigie grandi ed un borsone, la ragazza si chiese se non avesse fatto una cavolata a mandare via il tassista, che tanto premurosamente si era preoccupato della sua sorte con quei bagagli molto più che ingombranti.
Ma era inutile piangere sul latte versato e si avviò a suonare il citofono.

-Sì?- gracchiò una voce metallica dall’altra parte.

-Sono Kagome, qualcuno può venire ad aiutarmi con le valigie per favore?- chiese la ragazza con un pizzico di imbarazzo nella voce.

Pochi minuti dopo fece la sua apparizione un uomo alto e forzuto, un vero energumeno, ma guardandolo più da vicino il viso non aveva tratti cattivi o arcigni, anzi, sembrava il viso di una persona del tutto indifesa e incapace di fare del male ad una mosca. Quando l’uomo fu davanti a lei fece un leggero inchino e si presentò:- Buona sera, signorina Kagome. Sono Jinenji, uno dei camerieri di sua zia. Lasci pure a me le valigie, le porterò io nella sua stanza-

Kagome fu sorpresa da tanta gentilezza, compreso da un cameriere. Ringraziò cortesemente e si avviò verso la casa, buttando un occhio all’uomo, per paura  che non ce la facesse a prendere tutto, ma con sua grande sorpresa vide che riuscì a sollevare ogni singolo bagaglio con estrema facilità.
Che fosse un demone? Difficile, al massimo avrebbe potuto essere un mezzo demone. I demoni raramente erano al servizio degli umani.
Corse lungo il viale alberato che la separava dall’ingresso della casa. Era così emozionata di rivedere sua zia ancora una volta, dopo gli anni trascorsi a Londra.
Mentre correva vide la porta di legno bianca aprirsi e rivelare la figura alta e snella della sua amata zia.

-Bentornata, Kagome!- disse con un sorriso la donna.

Kagome si fermò per un momento: era bella come sempre, ben truccata, i capelli perfettamente acconciati.
Quanto le era mancata.

-Ciao, zia Midoriko!- disse per poi buttarsi tra le sue braccia e sciogliersi in un caloroso abbraccio.

Solo dopo che Kagome si fu rintemprata con una doccia calda, zia e nipote poterono prendere un pregiato tè verde accompagnato da qualche piccolo capolavoro di pasticceria occidentale, comodamente sedute sul divano. Kagome aveva indossato un vestito leggero, di cotone celeste, i capelli erano ancora avvolti nell’asciugamano. Si sistemò con piacere sulla poltrona fiorata del salotto di sua zia ed inalò profondamente il profumo di quella casa.

-Hai fatto buon viaggio?- domandò Midoriko mentre versava la bevanda dorata nella tazza di Kagome.

La ragazza annuì, per poi aggiungere:- Sì, anche se le ore sono molte. L’Europa è lontana-

-Ho conservato ogni cartolina che mi hai mandato, sai?- le disse la zia guardandola con dolcezza.

La sua adorata nipotina. Erano passati due anni dall’ultima volta che l’aveva vista, durante un suo viaggio di piacere a Londra. Assomigliava così tanto alla sua compianta sorella: i capelli neri, l’espressione di stupore che assumeva davanti ad una notizia inaspettata, la forma delle labbra. All’età di otto anni suo fratello e sua cognata avevano pensato bene di spedire la minore delle loro figlie a studiare in Inghilterra, dalla famiglia paterna della ragazza. Entrambi pensavano che sarebbe stata per lei una grande opportunità studiare in Europa, sotto la supervisione dei suoi nonni paterni.
Sua sorella, Hanako No Tama, aveva sposato ancora giovanissima il padre di Kagome, Edward Higurashi, figlio di una contessa inglese e di un uomo d’affari giapponese trapiantato nell’isola anglosassone. Suo cognato era sempre vissuto in Inghilterra, tra l’eleganza londinese e le tradizioni giapponesi che suo padre fieramente gli insegnava, in quanto non voleva che suo figlio ignorasse l’altro ramo della sua persona. All’età di diciotto anni aveva deciso di recarsi in Giappone per la prima volta, per poter vedere il paese da cui veniva suo padre e che, per metà, faceva parte della sua storia. Da quella breve vacanza, decise di stabilirsi per più tempo a Tokyo, magari per studiare anche all’università, proposito che aveva incontrato l’opposizione della madre, la quale sognava per il figlio un futuro in un famoso college inglese. Fu durante gli anni universitari, nella facoltà di economia, che incontrò quella che sarebbe diventata la sua futura moglie.
Per la loro famiglia quel fidanzamento era stato accolto con una certa gioia: dopotutto, sebbene cresciuto a Londra, era pur sempre un uomo giapponese, e per giunta proveniente da una famiglia più che rispettabile. Midoriko ricordava ancora bene le occhiate innamorate ed emozionate che lei e Edward si scambiavano.
Per non offendere nessuno da entrambe le famiglie, si decise di celebrare il matrimonio due volte: una prima volta in Giappone, come voleva la tradizione; poi successivamente in Inghilterra.
La madre di Edward all’inizio si dimostrò piuttosto diffidente e scettica riguardo questo matrimonio, come se temesse che Hanako fosse solo a caccia di un uomo ricco da sfruttare, una sorta di arrampicatrice sociale. I primi tempi non erano stati per niente semplici, ma con il tempo sua sorella era stata accettata dalla famiglia di Edward.
Subito dopo il matrimonio, la novella coppia di sposi aveva deciso di iniziare la loro nuova vita a Tokyo, dove alcuni anni dopo erano nate le loro due figlie: Kikyo e Kagome.
Edward aveva intrapreso la carriera finanziaria, creando dal nulla un’impresa di import export che si occupava generalmente dei rapporti economici tra Inghilterra e Giappone, mentre Hanako, dopo la nascita della prima figlia, aveva messo d parte gli studi universitari per poter dedicarsi alla musica, la sua più grande passione. Aveva ripreso, dopo anni, a suonare il violino, strumento nel quale eccelleva e con il tempo era riuscita a farsi strada nel mondo della musica, diventando una violinista acclamata in patria. Midoriko ogni volta che ripensava a quel dettaglio delle loro vite, sorrideva: lei aveva scelto la strada della recitazione, mentre sua sorella quella della musica ed entrambe erano riuscite a ritagliarsi il proprio lembo di gloria. La loro mamma diceva sempre che un qualche demone doveva averle marchiate con il talento dell’arte.
Purtroppo, un anno fa entrambi avevano perso la vita tragicamente in un incidente stradale. Per Kikyo e Kagome era stato un duro colpo, dal momento che entrambe non erano in Giappone al momento dell’accaduto. I funerali vennero celebrati in Inghilterra, ma purtroppo Midoriko non era potuta volare fino a Londra a causa delle condizioni del suo cuore. Non aver potuto salutare per l’ultima volta la sorella era uno dei suoi più grandi rimpianti.
Quanto era stata ingiusta la vita con lei: prima suo marito, poi sua sorella.
Nel testamento, i nonni paterni figuravano come tutori legali delle ragazze, ma Kagome, dopo un anno, aveva iniziato a sentire il bisogno di tornare in Giappone, per poter riconciliarsi con i suoi genitori. Kikyo invece aveva preferito restare a Londra. La cosa però non dispiaceva affatto a Kagome, per una volta si sarebbe staccata dalla presenza ingombrante della sorella.

-E come sta Kikyo?- chiese sua zia.

Ecco, le ultime parole famose.
Kagome sospirò.

-Sta bene, sai… è molto presa da tutto- rispose la ragazza, guardando la tazza fumante che teneva tra le mani.

Midoriko si accorse della reazione di Kagome e si apprestò a cambiare argomento:- Sai, cara, ho parlato con il preside della tua nuova scuola: ha detto che è ben felice di accoglierti nel suo istituto. Forse potrà sembrarti un po’ dura all’inizio, visto che cominci ad anno scolastico già iniziato, ma sono sicura che saprai cavartela benissimo-

-Lo spero tanto, zia- disse Kagome guardandola mentre sorrideva.

-E poi, in quella scuola ci sono alcuni dei miei allievi- continuò Midoriko- potresti anche capitare nella loro stessa classe-

 

***

I giorni si erano susseguiti velocemente ed inesorabilmente e, come Ayame aveva previsto, le prove per l’allestimento dello spettacolo erano dimenuite a vista d’occhio, fino al punto da risultare scarse.
Tutti gli attori erano un fascio di nervi, Miroku addirittura aveva smesso di fare continue avances nei confronti di Sango, tanto era nervoso. Ayame non smetteva di rimarcare a Bankotsu quanto aveva detto tempo prima e Kohaku cercava ogni volta di mettere pace. L’unico a non sembrare particolarmente provato era forse Jakotsu, che non perdeva occasione per fare qualche battuta a sfondo sessuale nei confronti di tutti i ragazzi della compagnia.

Rin, dal canto suo, nonostante l’agitazione, sentiva di averci messo tutta sé stessa dentro al personaggio di Puck: aveva lavorato duramente ogni singolo giorno, chiedendo spesso aiuto alla sua sensei e molte volte aveva rimpianto ciò, dal momento che le prove con lei si erano rivelate più del dovuto. Nonostante all’esterno appariva come una donna tranquilla e pacifica, Midoriko rivelava di possedere un atteggiamento piuttosto duro e severo. Rin lo aveva imparato a sue spese, ma con il senno di poi aveva capito che tutto era volto solo al suo miglioramento.
Ci teneva tantissimo nella buona riuscita della rappresentazione: sarebbe stata una sola data e l’attenzione di molti sarebbe stata rivolta verso di loro, in più quella si rivelava una buona pubblicità per la scuola che avrebbe potuto ottenere nuovi allievi nel corso degli anni. Era di vitale importanza non deludere nessuno, né tantomeno la signora Midoriko.
Tutti gli attori erano incaricati della creazione del loro costume, per poi passare sotto la supervisione dei loro insegnanti. Essendo una compagnia recente, il guardaroba comune non era ancora molto fornito e raramente gli attori trovavano qualcosa da indossare. Lo stesso era successo a Rin, la quale si era dovuta ingegnare per trovare un vestito che la facesse riconoscere come Puck. Ci aveva pensato tanto ed era riuscita a venire a capo di quel dilemma: aveva pensato di indossare un body di colore verde, corredato da un gonnellino di tulle arancione, mentre i piedi sarebbero rimasti nudi per tutto il tempo della rappresentazione ed infine avrebbe indossato una coroncina di foglie di edera da intrecciare nei capelli.
Rin era proprio intenta ad intrecciarsi la coroncina tra i capelli nel camerino, quando sentì Ayame dire ad alta voce:-Avete sentito? Non so come mai, ma sembra che tra il pubblico ci siano dei pezzi grossi della produzione teatrale. Ho intravisto anche dei giornalisti-

 -Non è di certo la prima volta che ne vengono alcuni- sottolineò Hakudoshi.

-Non capisci: non si tratta di piccoli giornalisti. Questa volta abbiamo nomi importanti: ti dice niente Tsubaki Tsukino e Renkotsu Nagino?- rispose a sua volta la rossa.

Nella sala calò un silenzio pesante: nessuno si aspettava dei nomi come i loro. Erano tra i due più famosi giornalisti che scrivevano per la rubrica di arte e spettacolo. Erano entrambi seguitissimi e tristemente famosi per le loro stroncature teatrali. Sango, la quale si stava truccando gli occhi, rimase con la matita sospesa a mezz’aria. Quella era la prima volta che la loro scuola otteneva una così grande attenzione.

-Ma chi può essere interessato a noi?- domandò Shippo, mentre finiva di abbottonarsi la camicia.

-Ma è ovvio che non sono qui per noi: sono attratti tutti dalla signora Midoriko- sbuffò Bankotsu, visibilmente scocciato per quell’ondata di panico che si era riversata su di loro.

-Oh Kami, ora sì che ho paura- bisbigliò Kanna mentre iniziava a tremare come una foglia. Per fortuna corse in suo aiuto Kohaku, che si affrettò a consolarla e a farle ritrovare l’entusiasmo.
Rin si sentiva confusa e spaesata. Come mai tutto quell’attenzione verso di loro?
Fortunatamente l’ingresso di Kagome servì a sedare lo stato di agitazione apparentemente calma che regnava in quella piccola stanza.

-Ciao, ragazzi! Come vi sentite?- domandò lei, entrando con un barattolo di miele in mano.

-E quello?- chiese Jakotsu senza nemmeno salutarla.

-Zia Midoriko mi ha detto di portarvelo: a quanto pare vi serve per idratare le corde vocali- li informò la ragazza mentre si faceva spazio tra di loro e poggiava l’ambrosia degli attori sul tavolo occupato da decine di vestiti e trucchi.
Kagome, dopo il suo arrivo, era capitata in classe con Sango e il caso aveva stabilito che diventassero grandi amiche fin dal primo giorno in cui si erano conosciute. In più i primi tempi Kagome, per poter allargare la cerchia delle sua conoscenze, si era recata spesso con sua zia alle prove di teatro, per poter conoscere i suoi allievi. Con il tempo era diventata amica con tutti i membri, in particolare aveva trovato in Rin un’amica simpatica e leale. In più lei e Sango frequentavano lo stesso liceo di Koga, Miroku, Bankotsu, Jakotsu e Shippo.
Si divertiva tantissimo vederli alle prese con battute, panico e costumi. Solitamente si metteva in un angolo e assisteva alle lezioni, armata di un piccolo taccuino di colore rosso.
Quella sera voleva assolutamente augurare buona fortuna ai suoi nuovi amici.

-Kagome, dicci un po’, tu per caso sai dirci chi è seduto tra i presenti? Di famoso, intendo?- indagò Ayame.

La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo. Per lei, che era da poco arrivata in Giappone era difficile conoscere nomi che per i suoi coetanei erano del tutto scontati. Si portò una mano sotto il mento.

-Beh, non ricordo bene, però ho visto la zia piuttosto contrariata prima. Non che lei mi dica tutto quello che le passa per la testa, però mi ha detto che ci sono due persone in particolare che non ha piacere ad avere qui… solo che non riesco a ricordarmi i nomi. Però uno sono riuscita a vederlo perfettamente: ha dei lunghi capelli argentati e dei segni demoniaci sul viso…-

-Non starai parlando di Sesshomaru No Taisho, vero?- la interruppe urlando Ayame.

-Beh, potrebbe essere… ma non ne sono sicura- ammise Kagome.

Rin a quel nome si voltò di scatto. Sesshomaru, quel Sesshomaru che lei conosceva era presente tra il pubblico. Un lieve sorriso le si disegnò sul viso, che non passò inosservato ai suoi amici.
-Rin, perché sorridi? Lo conosci, per caso?- domandò sempre Ayame, in preda al panico più totale.
La diretta interessata si trovò tutti gli occhi puntati addosso ed arrossì, mentre con le mani si reggeva allo schiena della sedia.

-Beh, non proprio. Però l’ho visto la prima volta due anni fa: stavo rischiando di essere investita dalla sua macchina, ma per fortuna non è successo nulla. Lui quel giorno si è proposto di ripagarmi la divisa e qualche giorno dopo me l’ha spedita direttamente a casa. È stato davvero gentile- disse lei.
Tutti la osservavano con un’espressione di stupore: non era possibile che Sesshomaru No Taisho potesse avere un gesto di gentilezza nei confronti di qualcuno. Rin si accorse della loro perplessità e chiese:-Perché vi sembra così strano?-
Fu sempre Ayame a prendere parola.
-Ecco, non che noi abbiamo mai avuto modo di conoscerlo direttamente, ma oltre ad essere l’erede di una delle più grandi compagnie che lavorano nel campo dell’intrattenimento, è sempre stato un tipo molto riservato, scostante. Diciamo pure che non spicca per gentilezza e simpatia, direi proprio il contrario-

Per Rin sembrava difficile da credere una cosa del genere: nonostante la freddezza iniziale, con lei si era sempre rivolto gentilmente.

-Ragazzi- li interruppe una voce- Pensate allo spettacolo e iniziate a scaldare la voce-
Era il maestro Saya che li aveva ripresi.
Kagome salutò tutti e poi si avviò per prendere posto tra il pubblico.
 

***

-E così, anche l’altezzoso Sesshomaru è venuto a vedere questo spettacolo- disse compiaciuto Naraku, mentre prendeva posto di fianco al rivale.
Sesshomaru se lo aspettava, sapeva che lo avrebbe trovato lì. Non mosse un muscolo, rimase impassibile come sempre.
-Non pensavo ti interessassero gli attori in erba, anche se sono rimasto molto sorpreso di sapere che presti il tuo aiuto a giovani ragazzine- lo punzecchiò.
-Che cosa vuoi, Naraku? Deduco che il fatto di essere seduti vicini non sia una casualità- ringhiò Sesshomaru, voltandosi subito verso il ragazzo.
Naraku sorrise compiaciuto, finalmente si iniziava a ragionare. Ma prima di giocare a carte scoperte aveva intenzione di provocarlo ancora un po’.
-Così come presumo che la presenza di Tsubaki Tsukino non sia dovuta ad un suo interesse per la compagnia Sengoku?- ribattè Naraku.
Ma Sesshomaru questa volta non si fece trovare impreparato:- Potrei dire lo stesso per Renkotsu Nagino-

Entrambi ammisero di essere stati scoperti. Ora forse potevano parlare chiaramente. Fu Naraku il primo a proporre un accordo.

-Midoriko non cederà mai fino a quando avrà le spalle coperte e, ovviamente, non prenderebbe in considerazione né me né te. Per una volta ho io un accordo da proporti-
Sesshomaru alzò scettico un sopracciglio. Si fidava poco di Naraku, ma dopotutto aveva passato tanti pomeriggi a pensare a come avrebbe potuto ottenere la fiducia di Midoriko No Tama. Non era una sfida facile e avrebbe dovuto metterci tutto sé stesso per poter riuscire nell’impresa e superare finalmente suo padre. Sapeva che la sua avversaria non era una preda facile, perché già da tempo aveva preso le sue precauzioni per non cadere vittima di persone che desideravano vederla sul lastrico per il tesoro che possedeva.
Forse per una volta avrebbe potuto allearsi temporaneamente con il suo nemico di sempre: dopotutto non era un passo avanti rispetto a lui. Quando dopo sarebbero riusciti a disarmare la loro preda, avrebbero continuato la loro silente battaglia.

-Che tipo di accordo?- domandò freddo.

Naraku rise:- Non fare il finto tonto, so benissimo che hai le mie stesse intenzioni, altrimenti non avresti invitato anche tu una giornalista famosa per le sue stroncature sui giornali. Penso che per una volta possiamo mettere da parte i nostri dissidi e trascinare sul fondo Midoriko, insieme-
Lo disse con un sorriso carico di soddisfazione. Sapeva dentro di sé che Sesshomaru non poteva rifiutare. Allungò una mano verso di lui, come se il contratto fosse sancito da quell’azione, che sperava arrivasse. Sesshomaru squadrò la mano di Naraku, poi lentamente, la strinse tra la sua, non prima di aggiungerci un pizzico di forza di demone completo che possedeva. Vide sul viso di Naraku dipingersi un’espressione di dolore.

-Ricordati questo: fai solo una mossa contro di me in questo periodo di pace apparente, e ti farò pentire di essere venuto al mondo, mezzo demone- bisbigliò all’orecchio di Naraku.

Da lontano Midoriko aveva assistito a tutta la scena e dentro di sé ribolliva di rabbia: ora che si erano alleati contro di lei poteva solo aspettarsi una guerra lunga e senza esclusione di colpi. Sentì dentro di sé crescere una rabbia incontenibile, come se un gruppo di cavalli imbizzarriti stessero correndo sopra il suo cuore. Si portò una mano la petto: pregava con tutta sé stessa che il suo cuore reggesse.
Aveva molta paura, temeva molto quei giovani avversari, perché sapeva che non si sarebbero fermati davanti a nulla e lei non era sicura di potercela fare con le sue sole forze.

***

I ragazzi stavano prendendo posto dietro le quinte, ognuno pronto ad uscire al momento opportuno.
Hakudoshi se ne stava seduto poco più dietro rispetto agli altri in compagnia di Shippo, Jakotsu e Bankotsu: la loro entrata sarebbe stata dopo gli altri. Sango, in un angolo, ripeteva a voce bassa le battute e Miroku le stava accanto, tenendo gli occhi chiusi e cercando di tenere a bada l’agitazione. Kanna con Kohaku, Koga e Ayame si teneva in prossimità della quinta.
E poi c’era Rin, lei sarebbe stata la prima ad entrare, nelle mani reggeva un tamburello, che avrebbe dovuto suonare per annunciare il suo ingresso sul palcoscenico. Le mani le tremavano tanta era l’emozione.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, inalando a pieni polmoni l’aria intorno a lei. Poteva sentire tutto: l’agitazione dei propri compagni, il mormorio della gente in platea, l’odore degli oggetti di scena e poi iniziò a sentire il profumo del bosco. Sì, poteva sentire l’odore inebriante delle foglie verdi degli alberi, l’odore della terra bagnata dopo un temporale estivo, sentire sotto i piedi i fili di erba che le solleticavano le dita.
Dopotutto lei era Puck, il folletto del bosco, dispettoso e imprevedibile, al servizio del suo padrone Oberon. Era il caos, era qualcosa di inafferrabile.
“Io sono Puck” pensò intensamente Rin. Non era più il momento di avere paura, perché ormai quello che era fatto era fatto: aveva provato fino allo stremo, aveva studiato, aveva cercato di capire come potesse muoversi un folletto, che espressioni potesse assumere, che parole usava. E a poco a poco si era trasformata in quel personaggio, aveva finito per assorbire quella maschera, facendola propria, con caratteristiche del tutto personali.

-Chi di scena, si tenga pronto!- disse la voce di Saya da dietro le quinte.

In sala le luci si spensero e il chiacchiericcio di fondo cessò, all’improvviso. Rin sentì chiaramente il rumore del sipario che si apriva e poi vide le luci accendersi ed illuminare il palco.
Che lo spettacolo abbia inizio, pensò ed entrò in scena.
Rin non sarebbe mai riuscita a spiegare a qualcuno come si sentisse ogni volta che saliva su un palco scenico: ogni paura svaniva, ogni timore diventava  piccolo e un’energia sconosciuta si impossessava di lei. Entrò a passo di danza, saltellando leggera e divertita mentre con le mani suonava il tamburello. Fece un giro intorno al palco, poi si voltò a guardare il pubblico, come se solo in quel momento si fosse accorta della loro presenza. Sorrise maliziosa, poi si inchinò profondamente e disse la sua prima battuta:- Mie care dame e cavalieri, benvenuti nel nostro mondo. Mi presento, sono il folletto Puck e questa notte vi accompagnerò in una notte magica, una notte che difficilmente dimenticherete. Siate clementi con noi ombre, perché sappiate che in questa notte, tutto può succedere-

Mentre parlava continuava ad ammiccare ai presenti, rompendo la quarta parete che divideva gli attori dal pubblico. Gli altri compagni si tranquillizzarono vedendo che Rin era partita con il piede giusto, anzi si sentirono rinvigoriti da tanto entusiasmo.
Rin, dal canto suo, ormai era come se fosse stata impossessata dall’essenza di Puck e recitava con naturalezza ed energia.
Sua nonna la guardava estasiata, Kagome la guardava estasiata. C’era tra il pubblico anche un’altra persona che la osservava incuriosita: Sesshomaru.

A stento l’aveva riconosciuta in quel costume da folletto e il trucco di scena. Non sembrava nemmeno lei, tanto era diversa, quasi un’altra persona. Poteva percepire l’entusiasmo che ci metteva in quella rappresentazione, come se il suo corpo fosse il centro da cui si irradiava tutta l’energia e a poco a poco arrivava a chiunque presente in sala. Osservava le sue mani che battevano sul tamburello, a ritmo delle battute che pronunciava; vedeva perfettamente alcune ciocche di capelli che le erano cadute dallo chignon che si era acconciata in camerino, ma che le conferivano un tocco più simpatico; poteva vedere gli occhi che le brillavano mentre si rivolgeva a loro.
Notò anche che stava recitando a piedi nudi e subito nella sua mente ci fu un lampo: quei piedi nudi gli provocarono una sensazione strana, come se si ricordasse qualcosa che fino ad allora aveva totalmente ignorato. Una vita precedente, qualcosa che aveva condiviso con qualcuno che gli stava particolarmente a cuore. Sesshomaru si sentì invadere da un calore strano, mai provato in vita sua. Scosse leggermente la testa, riprendendo all’istante la lucidità. Non era possibile, sarà stato solo un momento di debolezza a causa del sonno perso durante quei mesi.
Eppure quella ragazzina, più la guardava, più gli sembrava di averla già vista e non solo durante i due episodi di qualche anno fa. Era qualcosa di ancestrale, di remoto. Non riusciva a spiegarselo e questo non gli piaceva, lui doveva avere tutto sotto controllo. Decise di relegare quella sensazione in un angolo piccolo della sua mente e di tornare a contrarsi sulla rappresentazione. Non era certo il momento di concentrarsi su cose futili come quella.

Quando prestò di nuovo attenzione, si sentì rincuorato nel vedere che la scena era stata occupata da altri attori e che quella ragazzina era uscita. Eppure ogni volta che entrava in scena, si ritrovava ad osservarla attentamente, a sorridere quando Puck combinava qualche guaio e a sospirare quando vedere che, per fortuna, non aveva dimenticato nessuna battuta.

***

Gli applausi che ricevettero alla fine rincuorarono tutti i ragazzi della compagnia. Sembrava che fosse proprio piaciuto, o almeno questo speravano.
Salutarono il pubblico come sono soliti fare gli attori e si ritirarono in camerino, pronti a cambiarsi per poter festeggiare.
Midoriko, da lontano, guardava i suoi allievi e si sentì orgogliosa di loro. Ci avevano messo dentro tutti loro stessi.
Ma nonostante i loro sforzi, sapeva che questo non era sufficiente: non si sarebbero salvati dall’onda potente che li avrebbe travolti per colpa di Sesshumaro No Taisho e Naraku Onigumo. Il fatto che avessero invitato con loro due dei giornalisti più inclementi del mondo dello spettacolo, la diceva lunga sulle loro intenzioni.
Infatti, mentre la gente se ne stava andando, vide avvicinarsi le figure dei due uomini che in quel momento odiava più di chiunque altro. Midoriko respirò lentamente e profondamente, per trovare la calma necessaria. Si sentiva decisamente offesa dal sorriso di sfida che Naraku le stava rivolgendo in quel momento. Lo avrebbe volentieri preso a schiaffi.

-Ma che onore avere qui voi due. Spero che lo spettacolo sia stato di vostro gradimento- disse Midoriko con un sorriso tirato sul viso. Doveva giocare di anticipo.
Sesshomaru non disse niente, mentre Naraku sorrise ancora più e rispose:- Lo saprà domani dai giornali, cara signora No Tama-
Si divertiva molto a metterla in difficoltà, anche se sarebbe stato più corretto dire che Naraku si divertiva a mettere in difficoltà chiunque.
Midoriko era risoluta almeno a salvare le apparenze e non si scompose minimamente, anzi sorrise di rimando prendendo quelle parole come se fossero uno scherzo tra due amici.

-Credo che la presenza di Tsubaki Tsukino e Renkotsu Nagino non sia del tutto rassicurante-

Questa volta fu Sesshomaru a prendere la parola:-Come le abbiamo detto siamo disposti a tutto pur di averla sotto contratto con noi. Ovviamente anche i suoi piccoli prodigi sarebbero i benvenuti, almeno per quel che riguarda la No Taisho-
Mentre parlava avanzava lentamente verso la donna, la quale non si fece intimorire dalla statura del demone ma, al contrario, continuava a sostenerne lo sguardo in segno di sfida.

-Per poi farne fenomeni da baraccone, che poi verranno dimenticati nel giro di qualche anno una volta ottenuti i diritti di rappresentazione sul romanzo di mio marito? No grazie. Io ci tengo ai miei allievi- disse lei lapidaria.

Sesshomaru la guardava fisso, si avvicinò ancora di più e disse:-Signora, non mi faccia essere cattivo. Non mi fermerò davanti a nulla pur di ottenere quello che voglio, fosse pure dover trascinare lei e i suoi amati studenti in fondo al baratro-
Midoriko era sul punto di ribattere ma un rumore costrinse tutti e tre ad interrompere quello scontro. Vicino ad una colonna, tutta tremante come una foglia, c’era Rin, ancora con gli abiti di scena, la quale guardava con occhi pieni di timore le due figure di fronte alla sua sensei. Sesshomaru, da come lo stava guardando, intuì che la ragazzina doveva aver ascoltato tutto quello che lui aveva detto e per un momento un sentimento di rimorso per aver pronunciato quelle parole si impossessò di lui. Non voleva che lei lo potesse sentire. Un leggero lampo di preoccupazione gli attraversò gli occhi, per poi sparire veloce così come era venuto.
Rin non poteva credere alle sue orecchie: quell’uomo che sembrava tanto gentile con lei era in realtà un mostro disposto a tutto pur di ottenere qualcosa. Non sapeva perfettamente di cosa stessero parlando, ma aveva capito che c’era in ballo qualcosa di importante, altrimenti che bisgono c’era di coinvolgere anche dei giovani attori?
E lei che aveva pensato che fosse un principe azzurro.

-Sensei, ero… ero venuta a chiamarla: gli altri stanno festeggiando la fine dello spettacolo- disse lei con un filo di voce, quasi avesse paura di essere mangiata viva dai due uomini.
Naraku la osservò, si avvicinò a lei e disse:- Così lei è la nostra piccola star- e mentre parlava, le prese il mento tra le dita e la obbligò a guardarlo. Quando gli occhi scuri di Rin incontrarono le iridi quasi rosse di Naraku si sentì a disagio più che mai. Non le piaceva per niente quell’uomo.
Il ragazzo si accorse di questo disagio e sentì crescergli nel petto un sentimento di soddisfazione. Sorrise a mezza bocca come era suo solito e disse ancora una volta:-Dov’è finita tutta la tua energia di prima? Ti spavento, forse?-
Per Midoriko quello spettacolo era durato abbastanza e non sopportava che qualcuno potesse trattare così una sua allieva. Come una leonessa che difende il proprio cucciolo, corse in soccorso di Rin, mettendosi tra lei e Naraku.

-Vogliate scusarmi, ma sono attesa dai miei allievi- e insieme si allontanaro.

Sesshomaru, senza neanche rivolgere una parola a Naraku, si avviò anche lui verso l’uscita, ancora leggermente in collera con sé stesso per essersi fatto sentire da quella ragazzina. Quando fu fuori, l’aria gelida di dicembre gli sferzò il viso, quasi con crudeltà. Mentre si apprestava a salire sulla macchina pronta a portarlo a casa, notò che in lontananza c’era un fioraio ancora aperto ed istintivamente si diresse verso il negozio.
Moltissimi erano i fiori esposti. Lui non era un fan delle composizioni floreali, anzi lo lasciavano del tutto indifferente, come la maggior parte delle cose che lo circondavano.
Il negozio traboccava di fiori magnifici: peonie, rose, orchidee, gigli e tanto altro ancora. Notò in lontananza un vaso di garofani bianchi e subito gli venne in mente la ragazzina, pensava che in qualche modo gli somigliassero: delicati e semplici. Sarebbero stati un ottimo modo per premiarla per la sua recitazione appassionata.
Senza sapere come si ritrovò con un grande mazzo in mano. Mentre camminava verso il teatro si fermò.

“Che stupido. Non posso di certo consegnarglieli di persona, non li accetterebbe mai” pensò tra sé e sé.

Tornò di nuovo al negozio e disse:-Ho una richiesta da farle-

***

Nel camerino c’era aria di festa. Durante il loro tragitto verso i camerini, Midoriko aveva cercato di calmare Rin, spiegandole che non doveva preoccuparsi di niente, che era tutto sotto controllo. Lei aveva annuito, sperando che le parole della sua sensei fosse vere, ma aveva una strana paura dentro di sé. Poco prima di entrare però Midoriko si fece promettere che mai e poi mai avrebbe fatto parola di quello che aveva assistito con gli altri ragazzi, nemmeno con sua nipote Kagome. Rin rispose in maniera affermativa: sarebbe stata muta come un pesce.
Dopo essersi cambiata e tolta il trucco di scena, si era unita agli altri nei festeggiamenti. Rideva alle battute di Jakotsu, si complimentava con Ayame per la sua performance molto, troppo credile come innamorata di Koga e osservava divertita i teatrini tra Miroku e Sango.

-Brutto maniaco, con la scusa che eravamo in scena, ne hai approfittato per toccarmi il sedere- urlava lei.

Kohaku si avvicinò a lei con un bicchiere di succo di frutta e glielo porse.
-Complimenti, Rin. La tua performance è stata strabiliante- le disse con un sorriso dolce. Rin lo ringraziò mentre accettava il bicchiere che lui le stava porgendo.
Che ragazzo dolce che era Kohaku, sempre con una buona parola per chiunque. Da lontano, Kanna osservava i due ragazzi e si sentì ancora un volta in preda alla gelosia.

Mentre erano tutti intenti a ridere e scherzare, qualcuno bussò alla porta.
-Scusate l’interruzione, è qui Rin Damashita?- chiese un ragazzo robusto con i mano un mazzo di fiori.
La diretta interessata si fece avanti e subito si trovò tra le mani decine di garofani bianchi. Chi poteva averglieli mai mandati.
-Wow Rin, qualcuno deve essere rimasto molto impressionato da te- esclamò Sango, la quale aveva una vera e propria passione per i fiori.
Solo che la ragazza non aveva la benchè minima idea di chi potesse essere quel pensiero per lei. Mentre guardava il gigantesco mazzo che le era stato recapitato, notò un bigliettino. Lo prese subito e, curiosa, lesse il contenuto.

-La sue perfomance è stata stupefacente. Spero di vederla ancora sul palcoscenico. Un suo ammiratore- lesse Rin incredula.

Da nessuna parte compariva un nome.
Un ammiratore, pensò. Ho un ammiratore. Era buffo quasi a pensarci.

-Oh, Rin ha un ammiratore segreto- cinguettò Jakotsu, con una punta d’invidia.

La ragazza avrebbe voluto tanto ringraziare quella persona sconosciuta: ricevere quei fiori la faceva sentire importante, perché qualcuno stava credendo in lei e nel suo talento. Istintivamente corse fuori dal camerino, diretta verso l’uscita. Forse poteva incontrarlo. Ma quando fu fuori ad attenderla c’era solo il vento gelido invernale che era pronto a mettere Tokyo in ginocchio per quella notte. Rin si guardò a destra e a sinistra, ma non vide nessuno, eccezione fatta per le macchine che sfrecciavano lungo la strada. Che stupida, pensò. Era ovvio che non ci fosse, chissà da quanto tempo se n’era andato. Ma poco importava, quel gesto l’aveva resa comunque felice.
Strinse il mazzo al petto, inalò il profumo di quei fiori e poi sussurò un “grazie” che si perse nel vento.
Da lontano, una macchina scura accese il motore e partì perdendosi tra le luci della città.

 

 

Ed eccomi di nuovo qui, questa volta in tempo record. Devo ammettere che la storia sta prendendo anche me, ho tantissime idee e le voglio mettere tutte per iscritto. Allora, come promesso i due piccioncini si sono incontrati ancora una volta, ma non è stato dei migliori, almeno per Sesshomaru. Ma non vi preoccupate, fa tutto parte del piano ;)
Nel corso dei prossimi capitoli verranno svelate altre storie ed altre svelate, quindi non posso che dirvi “stay tuned!”.
Come sempre ringrazio Maria76, Gaudia e Seydna per aver commentato il capitolo precedente; a queste si aggiunge anche Edhie.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, commentante
J

Alla prossima.

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Per me è importante ***


Capitolo 5

 

Come temeva, quella mattina Midoriko ricevette una brutta notizia, direttamente dalle pagine del giornale. Si era alzata di buon’ora, colpa la mancanza di sonno della sera precedente: non aveva trovato pace, rigirandosi continuamente prima su un fianco e poi sull’altro, senza mai provare per un attimo un accenno di sonnolenza o di stanchezza. Sentiva dentro di sé la rabbia crescere, soprattutto quando le tornavano in mente le parole di Sesshomaru No Taisho e la risata provocatrice di Naraku. Avrebbe voluto avere un’arma in quel momento, per poterli eliminare fisicamente dalla faccia della Terra.
Quello che interessava ai suoi avversari non era l’arte, l’anima del libro scritto da suo marito anni prima, ma solo i soldi che avrebbe portato l’opera. Lo avrebbero adattato secondo quelli che per loro erano i “gusti del pubblico”, lacerandolo e mutilandolo terribilmente, lei lo sapeva bene, se lo sentiva, in più i diversi anni passati nel mondo dello spettacolo le avevano riservato delle lezioni difficili da dimenticare.
Quello che all’apparenza poteva sembrare solo un ammasso di cellulosa tenuta insieme da una copertina colorata, per lei era un tesoro dal valore inestimabile: dentro vi era racchiusa l’essenza stessa della sua vita, del suo amore con Seiji, suo marito. Lei lo aveva promesso, aveva promesso a Seiji che avrebbe difeso quel piccolo tesoro a tutti i costi, non lo avrebbe snaturato. Se mai avesse ceduto alle lusinghe di Sesshomaru o Naraku, si sarebbe trovata davanti un’opera completamente diversa e lei si sarebbe sentita la diretta responsabile della “seconda morte” di Seiji.

E poi c’erano i suoi ragazzi. Da quando suo marito era morto lei aveva perso interesse in qualsiasi cosa, le erano rimaste solo la recitazione e la sua famiglia, ma ancora una volta il destino l’aveva messa a dura prova portandole via anche sua sorella prima del tempo. Era stato in quel momento che aveva deciso di ritirarsi dalle scene, troppo stanca per poter recitare una parte oltre il palcoscenico, troppo affaticata dai dolori che aveva dovuto sopportare, troppo esausta a causa del suo cuore. Le erano rimaste molti beni materiali e immobili, ma nonostante ciò lei si sentiva sempre più vuota, nemmeno le offerte che continuavano ad arrivarle dal mondo del teatro sembravano risvegliarla da quello stato di torpore perenne.
Poi un giorno, quasi come se fosse stata un’ispirazione venuta dal nulla, si era chiesta se non potesse ricominciare da zero partendo dalle basi: una scuola di recitazione. L’idea le era venuta mentre guardava un film trasmesso in tv e lei non riusciva a capacitarsi di come la gente potesse guardare qualcosa di talmente squallido, recitato tra l’altro da attori che definire mediocri era un complimento. E poi ecco la soluzione: perché non istruire lei stessa degli attori validi?
Lei avrebbe insegnato loro come muoversi sul palcoscenico, come studiare un personaggio, in che modo modulare la voce e quale fosse il metodo migliore per catalizzare su di sé l’attenzione del pubblico. Nel corso dei giorni successivi quella che sembrava una semplice fantasia si trasformò in un progetto concreto. Nonostante si fosse ritirata da tempo dalle scene, Midoriko aveva ancora un po’ di soldi a disposizione, in parte dovuti alla sua famiglia di origine e in parte per i diritti di autore che ancora percepiva dal libro di suo marito. I costi, purtroppo, si rivelarono più elevati del previsto, ma Midoriko era riuscita ancora una volta a cavarsela grazie alle conoscenze che possedeva, che le garantivano una sponsorizzazione che lei ripagava ogni anno.
Aveva cercato in moltissime scuole di Tokyo per trovare quelli che secondo lei potevano essere dei potenziali attori. Ci era voluto un po’ di tempo ma alla fine aveva trovato i ragazzi che facevano per lei. Con il tempo si era anche affezionata a loro: ad Ayame per la spontaneità, a Sango per il carattere volitivo, si divertiva a vedere i teatrini comici di Miroku e Jakotsu, le piaceva l’espressione schiva di Hakudoshi che gli conferiva un’aura di mistero, apprezzava Bankotsu per quella sicurezza che traspariva dal suo atteggiamento e lo stesso valeva per Koga, mentre adorava il sorriso dolce e timido di Kohaku e il lato giocherellone di Shippo, per poi arrivare fino alla delicatezza di Kanna e alla forza di Rin.

Ognuno di quei ragazzi le era entrato nel cuore, come se fosse un figlio. Grazie a loro aveva trovato la forza di alzarsi la mattina ed avere l’entusiasmo di portare a termine qualcosa. Erano ragazzi spontanei, senza malizia e che credevano ancora che il mondo si divideva tra buoni e cattivi, che il confine tra bene e male fosse netto e non esistessero le sfumature.
Metterli nelle mani di quei due sarebbe stato un tradimento.
Con questi pensieri Midoriko si era alzata ed era scesa giù in salotto per fare colazione, mentre scendeva le scale si allacciava in vita la vestaglia di seta rossa. Quando si sedette al tavolo chiese gentilmente a Jinenji di portarle il suo solito tè verde ed il giornale del mattino.
Non appena il giornale fu tra le sue mani, si trovò davanti agli occhi la cruda verità: Sesshomaru non scherzava affatto la sera prima.
Sulla pagina della sezione cultura campeggiava a lettere capitali un articolo scritto da Tsubaki Tsukino che diceva: “Il rischio di vivere di successi passati”.
Nell’articolo la giornalista denigrava senza tanti complimenti il duro lavoro di Midoriko come insegnante, riconoscendole senza dubbio i fasti della giovinezza, ma sottolineando come questi avessero dato alla testa della donna, la quale aveva messo su una compagnia di adolescenti inesperti ed ancora acerbi, dotati di una recitazione mediocre e a livello dilettantistico. L’articolo si chiudeva con un consiglio caustico rivolto a lei: “Cara signora Midoriko, pensi a godersi il suo meritato riposo”.
Il sangue le salì al cervello con quell’ultima frase. Sapeva che Tsubaki era spietata, ma non si era mai spinta così lontano come questa volta. Era più che ovvio che dietro a tutto questo c’era lo zampino di Sesshomaru e Naraku.
Quando Jinenji arrivò con la tazza di tè fumante Midoriko non lo ringraziò come era solita fare, tanto era la furia che sentiva crescere dentro di lei. Non solo pensava alle cattiverie gratuite che i suoi allievi erano stati costretti a subire non di certo per colpa loro, e secondo lei nemmeno del tutto veritieri perché dal canto suo erano stati impeccabili considerando la poca esperienza, ma iniziarono a farsi strada nella sua mente pure tutte le complicazioni a livello pratico che avrebbe dovuto affrontare: quell’articolo significava cattiva pubblicità per la sua scuola, che a sua volta avrebbe portato con sé la retrocessione da parte dei suoi sponsor.

Maledetti Sesshomaru e Naraku, non stavano usando le maniere dolci fin da ora.

I suoi pensieri vennero interrotti dall’ingresso di Kagome in sala, la quale arrancava verso il tavolo con passo incerto e gli occhi cisposi.

-Buongiorno…- bofonchiò prendendo posto di fianco alla zia e afferrando la tazza di tè che Midoriko aveva lasciato intatta.

 

***

-Posso domandarvi una cosa?- chiese la voce fanciullesca.

-Dimmi-

-Ecco, l’altro giorno mi stavo chiedendo… quando morirò, voi vi dimenticherete di me?-

Un attimo di esitazione, un momento sospeso nel nulla. Poi la risposta.

-Non dire stupidaggini-

Queste furono le ultime parole che sia Rin che Sesshomaru ricordavano del sogno fatto quella notte. Entrambi si erano svegliati di soprassalto, come se fossero stati strappati fisicamente da quel mondo onirico e ovattato. Per Rin non era la prima volta, già da bambina ricordava sogni simili, che le lasciavano addosso una sensazione di calore ma allo stesso tempo di perdita, come se le mancasse qualcosa e dovesse ritrovarla per forza.
Al contrario, per Sesshomaru quella era la prima volta. Solitamente lui dormiva molto poco e i suoi sogni erano solo delle macchie nera senza forma. Quando si alzò a sedere sul letto, si sentì il fiato corto e leggermente sudato, se ne accorse quando si passò una mano sulla fronte fredda.
Si guardò il palmo della mano per qualche secondo, meditabondo. Non era mai successo qualcosa del genere, sentiva nel petto qualcosa di sconosciuto. Rimase qualche secondi cercando di darsi una spiegazione plausibile e poi si ricordò che la sera prima aveva provato una sensazione simile quando aveva visto quella ragazzina recitare a piedi nudi: la sensazione di familiarità si era risvegliata in quel momento.
“Ma quale familiarità” pensò subito scettico tra sé e sé. Non conosceva quella ragazzina se non perché l’aveva incontrata qualche volta in circostanze del tutto casuali.
Con la mano artigliata da demone, scostò le coperte e si alzò. Per prima cosa decise di farsi una doccia, per lavare via quella sensazione così scomoda.
Dopo essersi vestito, scese al piano di sotto per fare colazione con suo padre. Lo trovò comodamente seduto alla sedia che troneggiava a capotavola al centro della stanza, intento a leggere il giornale mentre mangiava la sua abituale colazione.
Sesshomaru non si disturbò nemmeno a dirgli buongiorno, si sedette occupando il posto alla sua destra e si versò del caffè nero bollente nella tazza davanti a lui.
Inu No Taisho sollevò lo sguardo dai fogli di giornale, guardò il figlio per qualche secondo e poi disse:-Devo complimentarmi con te, Sesshomaru. Stai adottando una tattica molto sottile ma efficacie-

Sesshomaru lo guardò senza alcun slancio emotivo, si limitò a dire:-Ti avevo detto che ci stavo lavorando- e buttò giù un generoso sorso di caffè.
Suo padre ora si complimentava con lui, ma non sapeva che in realtà tutto quello che stava facendo non era assolutamente per affezione nei confronti del genitore, anzi, sarebbe stata anche la sua rivincita e la prova della sua superiorità. Ma era necessario che lui non facesse trasparire tale progetto: aveva bisogno del suo appoggio per poter agire in maniera indisturbata.

-Sono proprio curioso di vedere cosa farai la prossima volta-continuò Inu No Taisho piegando il giornale e mettendolo via.

Quella mattina però aveva in serbo per Sesshomaru molte più sorprese di quante lui se ne aspettasse, infatti, in maniera non molto delicata, fece il suo ingresso in salotto lui: Inu-Yasha.
Sesshomaru lo vide avanzare con atteggiamento spavaldo verso di lui: aveva i capelli spettinati e indossava ancora il pigiama, le pantofole non erano minimamente contemplate nella sua mise.
Lo youkai sentì istintivamente salire un ringhio di rabbia e fastidio, quel maledetto mezzo demone aveva la capacità di irritarlo solamente con la sua presenza, e lui che pensava che si sarebbe messo nei guai a New York per non vederlo mai più. Evidentemente era stato più cauto di quanto non sperasse.

-Beh, non vieni a salutare il tuo fratellino?- sghignazzò Inu-Yasha rivolto verso di lui mentre allargava le braccia pronte ad accogliere un abbraccio che sapevano non sarebbe mai arrivato.

Sesshomaru non raccolse la provocazione e si girò in direzione del padre, in cerca di risposte.

-Tuo fratello è arrivato ieri sera, mentre eri a teatro. Era stanco per il lungo viaggio ed è andato subito a dormire. Mi sorprende che tu non abbia sentito il suo odore al tuo rientro-

Anche Sesshomaru si sorprese di quella sua falla: come era possibile che il tanfo che suo fratello si portava dietro non fosse arrivato alle sue narici fin troppo sensibili?
Era talmente sovrappensiero che non ci aveva fatto caso, ancora sentiva un lieve odore di lavanda mischiato al profumo di un mazzo di garofani.
Inu-Yasha vide che il fratello non accennava a dargli una risposta, quindi si sedette a tavola e si servì.

-Sarà un Natale in famiglia con i fiocchi- disse poi sarcastico, guardando suo padre e Sesshomaru. Il primo sperava fosse così, il secondo ne dubitava fortemente.

 

***

Rin quella mattina si svegliò come le era capitato molte volte: di soprassalto dopo il sogno così realistico che aveva avuto. Ancora una volta lo stesso scenario, gli stessi luoghi, le stesse sensazioni, la stessa figura alta e affusolata. Se chiudeva gli occhi riusciva a vedere ancora davanti a lei i capelli argentati della figura maschile. Argentati, come quelli di Sesshomaru. Rin ripesando a lui si diede della stupida: come aveva potuto credere che quell’uomo fosse una persona gentile?
Corrugò le sopracciglia, contrariata. Non aveva mai immaginato che potesse dire qualcosa di così freddo e spietato alla signora Midoriko, senza avere alcuno scrupolo per tutte le altre persone coinvolte, lei per prima. Scosse la testa, dandosi ancora una volta della stupida, ma questa volta perché secondo lei gli stava dedicando più attenzione del dovuto, dopotutto era stato solo un estraneo gentile con lei, questo non voleva dire che dovesse esserlo per forza nell’animo.
Rin si voltò in direzione della finestra e vide la sagoma di un vaso, modesto e piccolino, ma che conteneva il mazzo di fiori più bello di sempre, almeno secondo lei. I garofani bianchi troneggiavano là, sul davanzale, facendo mostra della loro semplicità e bellezza disarmante. Rin non aveva idea di chi potesse averglieli mandati, ma si sentiva pervasa da un sentimento di calore, gratitudine e gioia esplosiva.
Poi la ragazzina lentamente si alzò dal letto e andò a prepararsi per andare alla scuola di recitazione: era abitudine per tutti i giovani attori incontrarsi lì dopo uno spettacolo, come una sorta di prolungamento dei festeggiamenti.
Rin mentre finiva di acconciarsi i capelli decise di prendere un garofano dal mazzo e di intrecciarlo nel codino laterale che era solita farsi da un po’ di anni. Anche se era dicembre, lei avrebbe avuto un pizzico di allegria addosso, e poi il colore era perfetto per quella stagione.
Salutò velocemente sua nonna e corse a prendere l’autobus. Non appena fu sulla strada che l’avrebbe portata all’edificio della compagnia Sengoku, incontrò Ayame, Sango, Kohaku e anche Kagome, la quale, sebbene non fosse un’attrice, ormai faceva parte della compagnia a tutti gli effetti.

-Rin, aspettaci!- urlò Ayame, sbracciandosi da lontano.

Non appena furono tutti insieme, Rin notò un’ombra nelle loro espressioni. Si chiese cosa potesse essere successo.

-Buongiorno, ragazzi. Ma cosa sono quei musi lunghi? Non siete contenti?- domandò candidamente.

Si guardarono tutti in silenzio, interrogandosi quasi mentalmente chi dovesse essere il designato a dare a Rin la brutta notizia. Alla fine fu Kohaku a farsi avanti.

-Rin, vedi ieri sera Ayame non aveva tutti i torti ad essere agitata. Non so se hai letto il giornale stamattina, ma a quanto pare quella giornalista, Tsubaki Tsukino, non è stata molto gentile nei nostri confronti, anzi direi il contrario- confessò il ragazzo guardando l’asfalto sotto i suoi piedi. Rin invece, a quelle parole, sentì l’asfalto scomparire. Un vuoto allo stomaco la prese di sorpresa.

-Ma cosa dici?- chiese lei, ancora incredula.

-Ha ragione lui, Rin. È come ha detto- confermò Kagome.

Ayame e Sango si limitarono ad annuire. Si guardarono tutti e quattro con espressioni sconsolate sul viso, non riuscendo a trovare le parole giuste. Per Rin quella notizia era del tutto insensata: il pubblico aveva gradito, e anche tanto, gli applausi c’erano stati e loro si erano sentiti molto soddisfatti. Ma forse non bastava.
Eppure ad un certo punto le venne in mente una cosa, più precisamente una frase che aveva sentito ieri sera. Che fosse stato lui?

-Beh, per sapere che ne pensa Midoriko dobbiamo solo andare a scuola e sentire cosa ha da dire lei- disse poi Sango, cercando di sbloccare la situazione di disagio in cui tutti si trovavano. Fu così che ripresero a camminare, lentamente e silenziosamente.

Kohaku stava vicino a Rin, cercando di tirarle su il morale. Le altre ragazze si accorsero della situazione e risero tra di loro sotto i baffi: tutte avevano notato un certo feeling da parte di Kohaku nei confronti della loro amica.

-Ti sta molto bene- disse il ragazzo.

Rin si voltò di scatto, senza capire.

-Il garofano. Ti dona molto- continuò Kohaku, leggermente imbarazzato.

La ragazza istintivamente si portò una mano all’altezza del codino e sfiorò con le dita sottili i petali del fiori. Arrossì per il complimento e biascicò un grazie.
Quando furono tutti davanti all’ingresso della scuola, quello che videro li lasciò di sorpresa: a quanto pareva non erano gli unici a recarsi in quell’edificio di domenica mattina, ma anche Sesshomaru No Taisho aveva avuto la stessa idea.
Lo youkai se ne stava lì, in piedi, in attesa di qualcuno. Per i ragazzi non era affatto difficile capire chi fosse quella persona che tanto desiderava incontrare.

-Se cerca mia zia, arriverà a breve- disse subito Kagome gentilmente.

Rin, invece, sentì crescere dentro di lei un moto di rabbia incontenibile: i tratti del viso si stravolsero all’istante, facendo capire quali fossero i suoi sentimenti in quel momento.
Sesshomaru ringraziò con il solito tono freddo. Poi il suo occhio cadde subito sulla figura minuta di Rin. Sembrava completamente un’altra persona giù dal palcoscenico: così piccola da sembrare una bambina, il viso pulito e senza trucco.
Se ne stava lì a guardarlo con espressione truce, o almeno così pensava lei perché lui non ne fu impressionato nemmeno un po’, non  incuteva di certo timore. Notò poi una cosa, un dettaglio molto piccolo ma che sui suoi capelli scuri spiccava come la luna piena in un cielo nero: aveva indossato uno dei fiori che lui le aveva fatto recapitare la sera prima. Le donava molto, non c’era dubbio. Dopotutto le era venuta in mente lei quando li aveva visti.
Sesshomaru decise di non pensarci troppo.

-Siete stati bravi, ieri sera- disse con il suo solito tono freddo.

A quelle parole Rin si sentì, se possibile, ancora più arrabbiata di prima. Ma come si permetteva di prenderli in giro, quando era più che evidente nella sua mente che dietro quella critica così aspra ci fosse lui. Emise un respiro bello forte, per farsi sentire. Ma gli altri non sembravano essersene accorti, anzi sembravano prendere sul serio le parole di quell’uomo, ma in fin dei conti non avevano sentito cosa aveva detto ieri e Rin aveva promesso a Midoriko di non farne parola.

-Dice davvero?- domandò Ayame piena di speranza.

-Sì- rispose asciutto Sesshomaru, lanciando un’occhiata a quella ragazzina che non accennava a nascondere la sua espressione di disappunto. Doveva ammettere che era abbastanza divertente vederla così arrabbiata.

-Cosa ci fa qui?- tuonò poi una voce alle loro spalle. I ragazzi subito si voltarono e videro avvicinarsi la figura di Midoriko, la quale avanzava con passo nervoso.

Tutti, tranne Rin, non capirono il motivo di tale rabbia. Kagome quella mattina aveva notato la zia piuttosto nervosa e alterata, ma non aveva avuto il coraggio di chiederle cosa fosse successo, ma forse nei prossimi minuti avrebbe avuto la sua risposta.
Sesshomaru rimase fermo a guardare la donna.
Midoriko avanzava il più velocemente possibile, aveva il fiatone e le guance le si erano leggermente imporporate, nessuno l’aveva mai vista così in quello stato. Quando si trovò davanti a Sesshomaru, si concesse alcuni secondi per riprendere fiato, non lo avrebbe affrontato parlando affannosamente.

-Mi sembra che quello che mi ha detto ieri si sia avverato, quindi non capisco la sua visita di questa mattina, tra l’altro la scuola è aperta solo per i miei allievi!-

Ayame, Sango, Kagome e Kohaku divennero loro malgrado spettatori involontari di quella litigata, Rin invece sentiva che finalmente qualcuno stava cantandogliene quattro a quell’uomo che lei avrebbe finito per odiare, se lo sentiva.
Sesshomaru non raccolse la provocazione, guardava Midoriko con espressione annoiata. Nonostante ammirasse la forza con cui cercava di difendersi, per lui era tutta energia sprecata, perché sarebbe stata solo questione di tempo ed avrebbe ceduto.

-Non so di cosa stia parlando- disse lui.

A quelle parole Midoriko divenne ancora più paonazza, come se la rabbia avesse preso il sopravvento e tutto il controllo del suo corpo. Nessuno l’aveva mai vista così.

-Non faccia il finto tonto, so benissimo che si nasconde la sua firma e quella di Naraku dietro a quella recensione- tuonò lei, avvicinandosi a lui e puntando gli occhi su di lui.

Gli altri ragazzi, tranne Rin, rimasero scioccati nel sentire quelle parole. Ayame guardava per terra la punta dei suoi piedi, Sango e Kagome rimasero a bocca aperta mentre Kohaku si girò verso Rin, quasi a cercare delle risposte da lei.
La ragazza, invece, se ne stava lì in piedi a guardare con aria soddisfatta la sua insegnante inveire contro quell’essere senza cuore, finalmente qualcuno che gliele cantava.

-Ha una fervida immaginazione- soffiò lui, quasi come se fosse un’accusa- Ma non sono venuto qui per parlare della recensione, a quanto pare negativa che ha ricevuto da Tsubaki. Sono qui per ricordarle i vantaggi che potrà avere nel firmare un contratto con la società di mio padre- continuò Sesshomaru senz alcuna esitazione.
Rin rimase, se possibile, anche più sconvolta a sentire quelle parole, dette come se niente fosse e ignorando completamente le parole di Midoriko. Ma come si permetteva?

Midoriko esplose una volta per tutte:- Le ho già detto che non lascerò mai che lei o chiunque altro possiate rovinare un’opera come il “Sengoku Monogatari” e…- ma la frase non ebbe un seguito.
Midoriko si portò subito una mano all’altezza del cuore, mentre le parole le morivano in bocca ed emetteva un verso di dolore, serrando le labbra e chiudendo  gli occhi. Sentì una fitta al cuore forte, come se una freccia le avesse trapassato quel’organo così vitale. Si accasciò a terra, poggiandosi sulle ginocchia.

-Zia!- urlò subito Kagome preoccupata, precipitandosi verso di lei.

Anche Rin, come Sango, corse in soccorso della sensei.

-Che succede?- chiese ancora più spaventata Kagome. Non poteva sopportare che anche sua zia potesse andarsene a causa di un malore.

Sesshomaru rimase esattamente nella stessa posizione.

-Sensei- disse Rin, mentre portava la mano sul braccio della donna.

-Non preoccupatevi, non è niente- disse Midoriko, con il fiato corto a causa della fatica che stava facendo per far finta di stare bene. In realtà non stava affatto bene, quello non era “niente”, ma non voleva spaventare i suoi allievi e, più di tutti, non voleva spaventare Kagome.
Rin, vedendola in quello stato, si sentì le lacrime salire, provava una grande pena nel vedere ridotta così una donna straordinaria come la sua sensei. E tutto quello per colpa di un essere spietato come Sesshomaru No Taisho.
Sollevò lo sguardo arrabbiato verso il demone, il quale continuava a starsene lì in piedi senza battere ciglio, senza l’ombra di una minima preoccupazione sul suo viso.
Rin sentì l’odio e l’astio travolgerla.

-La prego, se ne vada!- ringhiò lei, cercando di trattenere le lacrime.

Sesshomaru, nonostante non avrebbe mai dato a vederlo, si trovò sorpreso nel vedere quella ragazzina così combattiva e incurante di chi si trovasse di fronte a lei. Non guardava in faccia nessuno.

Ammirevole.

Nel frattempo Midoriko si era alzata in piedi nuovamente, aveva raccolto le poche forze che le rimanevano e aveva poggiato una mano sulla spalla di Rin, facendosi avanti come per proteggerla.

-Ha sentito la mia allieva. Glielo chiedo cortesemente anche io, questa giornata è dedicata ai miei allievi- disse con una sorprendente calma ritrovata Midoriko.

Sesshomaru sollevò leggermente l’angolo destro della bocca, in una sorta di sorriso beffardo.

-Vorrà dire che ci vedremo presto- disse.

Midoriko lo guardò, preoccupata. Quell’uomo diceva la verità: si sarebbero visti presto, in che circostanze non lo sapeva ancora.
Chiamò poi tutti gli allievi dentro la scuola, i quali la seguirono senza battere ciglio, leggermente imbarazzati per la scena a cui avevano assistito.
Rin, che era l’ultima della fila, mentre si affrettava a lasciarsi quell’individuo repellente alle spalle, perse il garofano che aveva tra i capelli. Si girò per poterlo riprendere ma notò che qualcuno era stato più veloce di lei: Sesshomaru si era preso la briga di raccoglierlo al volo poco prima dell’impatto con il suolo. Lo guardava con espressione leggermente curiosa. Dentro di sé si chiedeva perché lo avesse indossato, forse solo per un vezzo di natura puramente estetica.
Rin lo osservò mentre contemplava il suo fiore.
Si avvicinò un po’ timorosa, cosa che Sesshomaru notò, e poi disse:- Me lo ridia, per favore- farfugliò lei con le guance rosse.
La ragazzina coraggiosa che gli aveva detto poco prima di andarsene, ora si rivolgeva con espressione timorosa e timida nei suoi confronti.

Che razza di persona era?

Non ottenendo quanto richiesto, Rin aggiunse:- Per me quel fiore è molto importante-
Importante? Aveva detto così?
Sesshomaru si trovò a scoprirsi per la terza volta sorpreso dalle parole di quella ragazzina.

-Importante?- domandò lui senza darle il garofano.

Rin si irritò e molto. La stava prendendo in giro?

-Quel fiore mi è stato regalato da una persona  che, al contrario di lei, ha gradito il nostro spettacolo e mi ha mandato un mazzo di garofani bianchi. Avrei voluto ringraziarlo, ma sul biglietto non c’era il nome…- continuò lei.

-Capisco- disse lui restituendole ciò che aveva perso. Poi si girò e se ne andò senza nemmeno salutare.

Rin rimase con il fiore in mano, guardando con aria perplessa quella sagoma strana che si allontanava.

 

 

Ciao a tutti voi, miei cari lettori. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ammetto che avrei voluto scrivere di più, ma poi ho deciso di dividere il capitolo in due parti: molte cose devono succedere e non volevo fare un grande minestrone. I nostri piccioncini si sono incontrati ancora una volta e, per ora, il sentimento di Rin non è dei migliori. Bisognerà avere pazienza, dopotutto Rin ha ancora tredici anni.

Ringrazio come sempre le persone che mi seguono e quelle che commentano, il vostro sostegno è molto importante per me. Se il capitolo vi è piaciuto lasciate pure un commento.

Vi lascio qualche piccola anticipazione: nel prossimo capitolo scopriremo qualcosa in più di questo “Sengoku monogatari”; vedremo poi Inu-Yasha entrare in scena e relazionarsi con Kagome e capiremo il motivo per cui quest’ultima non vuole parlare di sua sorella Kikyo. Per i nostri due piccioncini… beh, aspettate!

 

Sophie Ondine

 

 

 

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Capitolo 6
*** Natale ***


Capitolo 6- Natale

 

Subito dopo lo spettacolo, erano arrivate anche le vacanza natalizie. Ognuno dei membri della compagnia Sengoku avrebbe trascorso il Natale in famiglia, intenti a mangiare leccornie tipiche di quel periodo magico dell’anno e a scartare doni sotto l’albero. Alcuni di loro avevano lasciato Tokyo per poter andare a fare visita ai propri parenti: era il caso di Sango e Kohaku, ma anche di Kanna, Koga e Hakudoshi.

Poco prima della fine della scuola Ayame era riuscita a superare la sua timidezza ed aveva dato a Koga il suo regalo di Natale, il tutto condito dalle sue guance color porpora. Le ragazze si erano complimentate con lei, perché finalmente aveva messo da parte la timidezza e tirato fuori la grinta che la contraddistingueva nella maggior parte delle occasioni. Rin e Kagome erano quelle più entusiaste di tutte: finalmente ci sarebbero stati meno sfoghi da parte di Ayame sul fatto che Koga non la guardasse con interesse. Il ragazzo, dal canto suo, sembrava molto sorpreso per quel gesto ma anche contento: forse anche lui era interessato ad Ayame?

In ogni caso Rin non ci dette molto peso, sapeva che al rientro dalle vacanze la sua amica le avrebbe fatto un resoconto dettagliato.

Lei, invece, al contrario dei suoi amici, sarebbe rimasta a Tokyo con sua nonna, ormai erano anni che festeggiavano solo loro due il Natale. Nonostante fosse la sua festa preferita, Rin ogni volta sentiva affacciarsi nel suo cuore un sentimento di tristezza e di incompletezza: sapeva che se avesse avuto una mamma ed un papà con cui celebrare quella meravigliosa ricorrenza, il Natale avrebbe avuto un altro sapore. Gli anni passavano, ma non i suoi pensieri: “chissà cosa avrebbe voluto cucinare la mamma”; “se papà fosse con noi, avrebbe indossato un cappello da Babbo Natale per farci ridere tutti?”; “Mamma e papà mi avrebbero guardato sorridenti mentre scartavo i loro regali la mattina di Natale?”. Queste erano le domande principali che la ragazzina si chiedeva, senza riuscire a trovare mai una risposta.

Ma quell’anno Rin aveva trovato un’altra persona pronta a condividere con lei il suo stesso dolore: Kagome.

Anche lei non aveva dei genitori con cui condividere il Natale, solo la sua amata zia. Certo, c’erano i nonni paterni, i suoi zii e cugini in Inghilterra, ma non era la stessa cosa. C’era anche sua sorella, ma Kagome preferì non pensarci.

Da quando era arrivata in Giappone, Kagome aveva fatto dei passi da gigante ed era riuscita ad adattarsi alla sua nuova vita, con nuovi orari, nuove abitudini ma, soprattutto, era riuscita a relazionarsi con una nuova cultura, che, benchè facesse parte del suo patrimonio genetico, rappresentava per lei qualcosa di distante, almeno negli anni in cui era vissuta in Inghilterra. Suo nonno, così come aveva fatto con suo padre, cercava di mantenere in vita il sangue giapponese della sua discendenza, ma venire a patti con l’aristocrazia inglese non era facile il più delle volte. Il nonno poteva averle parlato di molte ricorrenze, come Hanami e Tanabata, ma non conosceva affatto la cultura pop giapponese, quella delle strade, dei giovani e di chi viveva tutti i giorni la realtà di Tokyo.

Aveva avuto non pochi problemi all’inizio nell’ambientarsi, alcune volte le veniva automatico parlare in inglese ed alcune parole in giapponese proprio non ne volevano sapere di venirle in mente al momento giusto, molti idol per cui le sue compagne di classe impazzivano erano per lei dei perfetti sconosciuti, così come si era ritrovata spaesata di fronte alla mastodontica varietà di snack, tutti dai colori e dai nomi strani. Fortunatamente, Sango era diventata per lei un’alleata straordinaria, l’aveva istruita a dovere ed ora era completamente rilassata.

Anche stringere amicizia con i ragazzi della compagnia diventava per lei ogni giorno più facile, sorprendendosi di trovare in loro compagni che non avevano la benchè minima intenzione di giudicarla perché alcune cose, per loro ovvie, per lei erano incomprensibili. Anzi, alcuni le rivolgevano molte domande riguardo l’Inghilterra, Rin in particolare si dimostrava estremamente curiosa e attenta.

Era proprio con Rin che Kagome sentiva un’attrazione particolare, come se ci fosse una forza misteriosa che le spingeva l’una verso l’altra. Rin la incuriosiva per il carattere, dolce ma allo stesso tempo combattivo, le piaceva molto vederla recitare, era assolutamente convinta che avesse un talento da vendere, che fosse la più brava della compagnia, ma lei non ne era minimamente consapevole, non ancora almeno. Inoltre, notare la stima che sua zia provava nei confronti della piccola Rin non aveva fatto altro che alimentare la sua curiosità. Anche Rin, fin dal primo giorno in cui aveva visto Kagome, si era sentita molto curiosa nei suoi confronti, era davvero intenzionata a diventare sua amica perché le ispirava una fiducia mai provata prima. Scoprire anche che condividevano lo stesso dolore causato dalla perdita dei genitori, non aveva fatto altro che accrescere quel senso di vicinanza che provavano l’una per l’altra.

Mancavano pochi giorni alla vigilia di Natale e Rin e Kagome erano in giro per le strade di Tokyo in cerca di un regalo per Kaede e Midoriko.

-Kagome, com’è il Natale a Londra? Me lo sono sempre chiesta come la gente nelle altre parti del mondo passasse le festività natalizie. Ho visto molte foto su internet di Londra addobbata ed i suoi mercatini, ma vorrei saperne di più da chi ci ha vissuto- disse Rin, mentre cercava nello scaffale del negozio un golfino della taglia di sua nonna.

Kagome, di fianco a lei, non si sorprese minimamente di quella domanda: anzi, era rimasta delusa che Rin non gliela avesse fatta prima.

Nella sua mente cercò di fare mente locale trai i mille ricordi che aveva, poi disse:- Beh, come hai detto tu, la città è illuminata da luci dorate e argentate. Di solito andavo con alcune amiche di scuola ai mercatini di Greenwich, perché hanno tantissime cianfrusaglie, tutte diverse e particolari, come ad esempio cose artigianali o vintage. Ma la cosa che mi piace di più è andare con i miei cugini al Winter Wonderland di Hyde Park a pattinare: è divertente vedere come facciano fatica a stare in piedi sui pattini senza cadere almeno due volte.- rise lei portandosi una mano alla bocca.

Rin la osservava incuriosita, affascinata da quanto le stava dicendo. Nella sua mente immaginava benissimo la sua amica circondata dalla sua famiglia che rideva a crepapelle per le rovinose cadute sul ghiaccio. Abbassò la testa, pensando quanto sarebbe stato bello vedere una scena del genere dal vivo.

-Deve essere bellissimo condividere questi momenti con le persone a cui vuoi bene. Ti manca? la tua famiglia in Inghilterra, intendo.-

-Sì- rispose Kagome senza esitazione- mi manca molto-

-Penso che proverei le tue stesse sensazioni, sai? Io però non ho mai avuto una famiglia numerosa: mia mamma era figlia unica ed è venuta a mancare qualche anno fa, mentre il mio papà non l’ho mai conosciuto. Spesso mi sono chiesta cosa volesse dire passare il Natale in una famiglia numerosa e chiassosa-

Kagome a quell’ultima frase rise di gusto.

-Oh fidati, Rin, la mia famiglia inglese non è per niente rumorosa: mia nonna tiene molto all’etichetta e dobbiamo rispettare le rigide regole del galateo-

-Beh, in ogni caso siete in tanti- continuò.

A quelle parole a Kagome venne in mente un’idea.

-Senti Rin, perché questo Natale tu e tua nonna non venite da me? Non sarà una famiglia grande e rumorosa come sogni tu, ma saremmo sempre più di due persone. Inoltre non saremo soli: la mamma del maggiordomo di zia Midoriko, Jinenji, si unirà a noi, una donna anziana molto particolare, ma sarà divertente- propose con entusiasmo Kagome.

Rin la guardò sorpresa: non si aspettava una proposta del genere. Era la prima volta che ne riceveva una del genere: nemmeno Kanna l’aveva mai invitata per un Natale da lei. Sentì il cuore sciogliersi, invaso da un calore fraterno che sentiva per la prima volta. Gli angoli della bocca si alzarono istintivamente e gli occhi le si illuminarono.

-Dici sul serio? Ma pensi che alla sensei faccia piacere?- chiese timorosa Rin, l’ultima cosa che voleva era infastidire la sua preziosa insegnante.

-Assolutamente- disse Kagome poggiandole una mano sulla spalla- Anzi, sarà contenta. Dopo quello che è successo per via dello spettacolo, credo che abbia proprio bisogno di circondarsi di più persone possibili-

Non servirono minuti in più: Rin accettò con entusiasmo l’invito, eccitata per la prospettiva che le si poneva davanti.

Anche Kagome fu più che felice di quell’idea improvvisa: sarebbe stato bello condividere con una persona amica la magia del Natale, le risate e i regali.

Le ragazze si guardarono con gli occhi pieni di entusiasmo, non avevano bisogno di scambiarsi troppe parole, sarebbero state superflue. Sentirono entrambe che per la prima volta, avevano trovato qualcuno con cui condividere qualcosa ed allievare quel senso di solitudine che gravava sul cuore.

-Allora è deciso. Che ne dici, ora andiamo a prenderci una cioccolata calda?- propose Kagome.

Rin annuì, non prima di essere andata a pagare il golfino che aveva trovato per sua nonna. Insieme, poi, si diressero verso un bar al riparo dal gelo che aveva attaccato Tokyo negli ultimi giorni.

***

A vederle da fuori, nessuno avrebbe potuto dire chi fosse più agitata, se Rin o Kaede. L’idea di andare ospite in una casa così grande ed elegante, che a confronto il loro misero appartamento poteva essere paragonato allo stanzino delle scope, rendeva Kaede non molto tranquilla. Nonostante l’ansia da prestazione, aveva comunque accettato per rendere felice la nipote, la quale smaniava all’idea di trascorrere il Natale con altre persone. Dopotutto aveva trascorso quella festa con due persone al massimo ed era arrivato il momento che lei gustasse un po’ di felicità.

In più Kaede voleva parlare un po’ con Midoriko, sempre a proposito di sua nipote. Sapeva che era una persona della quale potersi fidare: era forte, volitiva e risoluta, tutte caratteristiche che Kaede apprezzava in una persona. Fina dal loro primo incontro aveva avvertito una reverenzialità provata alla presenza di poche persone nella sua vita.

Per non sembrare maleducate, Kaede aveva convinto Rin a cucinare qualcosa da portare ai padroni di casa, in particolare un dolce. Dopo svariate discussioni, erano riuscite ad arrivare ad un accordo: avrebbero cucinato dei Chinsuko, perfetti per accompagnare una tazza di tè verde. La preparazione di quei biscotti aveva preso loro tutto il pomeriggio precedente al giorno di Natale, colpa di Rin che si era scordata di togliere dal forno la prima teglia di biscotti al suono del timer elettrico. Quello che ne era uscito era un mucchio di forme rettangolari di carbone e l’unica soluzione era stata spedirli direttamente nel secchio dell’immondizia.

La sera della vigilia nonna e nipote si erano scambiate i regali ed il golfino acquistato giorno prima con Kagome era stato molto apprezzato da Kaede, la quale non aveva grandi pretese alla sua età ed apprezzava anche solo il fatto che la nipote continuasse ad avere dei gesti di affetto nei suoi confronti. Rin, invece, quell’anno aveva ricevuto un vestito confezionato dalla nonna stessa: stava ormai diventando una tradizione, ogni anno Rin riceveva qualcosa nato dalle mani abili di Kaede. Questa volta il vestito era di colore bianco, con le maniche a tre quarti di stoffa in pizzo, lo scollo che lasciava scoperte appena le spalle e la gonna che ricadeva morbida lungo i fianchi ancora acerbi della ragazza. Quando aveva scartato il dono Rin era saltata di gioia, perché erano mesi che smaniava dietro a vestiti simili sulle riviste e finalmente ne aveva uno anche lei, lo avrebbe indossato sicuramente il giorno dopo per trascorrere il Natale con Kagome e Midoriko.

La mattina del 25 dicembre era arrivata puntuale e Rin non stava più nella pelle: si era alzata velocemente ed altrettanto velocemente si era lavata e vestita. Non aveva toccato nulla a colazione perché troppo emozionata per la prospettiva della giornata. Aveva indossato il vestito della nonna, come deciso la sera prima. Mentre infilava un braccio nella manica, facendo attenzione a non fare movimenti bruschi per non rovinare il pizzo, pensò che quel vestito era dello stesso colore dei garofani del misterioso ammiratore che le erano stati recapitati nel camerino dopo lo spettacolo.

Si girò in direzione della finestra: purtroppo i fiori erano appassiti e aveva dovuto rimuoverli dal vaso, che era solo, lì sul davanzale della finestra. Rin sospirò leggermente: le sarebbe piaciuto poter appuntare un garofano sullo scollo del vestito.

La voce di sua nonna la richiamò alla realtà, finì di prepararsi e poi corse giù per le scale.

Casa di Midoriko distava un po’ dalla loro via, quindi presero un autobus, uno dei pochi che circolavano quella mattina.

Non appena furono davanti al cancello della villa di Midoriko, Rin rimase a bocca aperta per la magnificenza che trasudava quell’edificio. Forse aveva visto qualcosa di simile su una rivista o su un cartellone pubblicitario. Kaede, dal canto suo, si passò una mano sul golfino anche se era perfettamente liscio ed in ordine, ma quel gesto le era venuto spontaneo. Suonarono al citofono e il grande cancello si aprì.

Mentre avanzavano lungo il viale, Rin intravide la sagoma di Kagome diventare sempre più vicina. La sua amica aveva stampato sul viso un sorriso enorme, che partiva da un orecchio ed arrivava all’altro; le guance erano leggermente arrossate, così come la punta del naso. Così come Rin, nemmeno Kagome stava più nella pelle all’idea di trascorrere il Natale con una sua amica.

-Ciao Rin. Che bello vederti! Buon Natale- urlò poco prima di interrompere la sua corsa ed abbracciare la sua ospite. Poi la ragazza si presentò a Kaede e condusse le due invitate lungo il vialetto per poi farle entrare in casa.

Rin, non appena ebbe varcato la soglia, rimase, se possibile ancora più meravigliata di prima: la casa sembrava uscita davvero da qualche rivista di arredamento per quanto era bella, curata ed ordinata. Osservò i soffitti alti, la carta da parati pregiata, i diversi soprammobili e quadri, che Rin poteva solo lontanamente immaginare quanto valessero. E quello era solo l’ingresso, chissà cosa riservavano le altre stanze.

Subito, non appena ebbero varcato la soglia, si materializzò un uomo alto e grosso, che chiese loro i cappotti. Rin scrutò per bene anche lui, che fosse il famoso Jinenji di cui le aveva parlato Kagome?

Obbedirono e poi vennero condotte nella grande sala da pranzo. Come aveva sospettato, Rin si ritrovò in una stanza ancora più sontuosa di quella di prima: al centro della sala si trovava un tavolo in legno di mogano, lungo e accuratamente apparecchiato; la carta da parati dell’ingresso questa volta non c’era, al suo posto vi era una boiserie di un colore leggermente più chiaro del tavolo, ma che donava una sensazione di calore; dall’altra parte della stanza regnava una grande cassettiera sormontata da uno specchio dai bordi morbidi e vagamente barocchi; infine sulla parete destra era stata posizionata una credenza, la quale faceva bella mostra dei soprammobili più pregiati della famiglia, mentre su quella sinistra si apriva una grande finestra, che permetteva un’illuminazione uniforme della stanza.

Quando Rin ebbe finito di osservare tutto il mobilio, pensò tra sé e sé che, in fondo, non era così sorprendente la cosa: la casa non faceva niente altro che riflettere quello che era l’animo della sua padrona di casa: elegante e raffinato, proprio come Midoriko.

Fu proprio dopo questa osservazione che la sua sensei fece ingresso nella stanza: fasciata in un vestito rosso di velluto era anche più bella del solito. Come sempre i capelli erano stati lasciati e le labbra indossavano un leggero strato di rossetto della stessa tonalità del vestito.

-Benvenute. Vogliamo cominciare?-

***

Il pranzo luculliano era stato più che soddisfacente, sia Rin che Kaede avevano apprezzato la cucina di Jeninji.

Dopo un primo momento di imbarazzo, il ghiaccio era stato rotto e tutti avevano cominciato a godere della compagnia reciproca. Rin e Kaede avevano avuto modo di conoscere, come Kagome aveva detto qualche giorno prima, anche Jinenji e sua madre. Rin non appena aveva visto la donna aveva pensato che fosse simile in tutto e per tutto ad una strega: il viso solcato dalle rughe, i capelli bianchi legati in una treccia leggermente disordinata e l’espressione non proprio amichevole non avevano suscitato in Rin un sentimento di benevolenza. In effetti i suoi modi erano molto duri, ma in fondo si era dimostrata nel corso del pranzo una donna forte e molto pratica. Jinenji, suo figlio, invece era tutto il contrario della madre: dolce, gentile e molto, molto timido.

Durante il pranzo, mentre Rin e Kagome continuavano a conversare per fatti loro, Jinenji aveva esclamato a gran voce:- Dite, non pensate anche voi che Rin e Kagome si assomiglino parecchio?-

Tutti a tavola fecero silenzio, le due amiche si guardarono interrogative. Poi Midoriko prese parola:- In effetti è vero, ora che me lo fai notare-

Rin e Kagome si sorrisero a vicenda.

-Non intendo solo fisicamente, ma anche di animo: sia Kagome che Rin sono due ragazze molto forti caratterialmente, capaci di scaldare l’animo di chi sta loro accanto- continuò Jinenji, sempre più sorridente.

I biscotti furono molto apprezzati da tutti e Rin fu più che felice della cosa: aveva paura che fossero venuti male e non voleva assolutamente fare una brutta figura davanti a tutte quelle persone. Aveva notato che sua nonna, durante tutta la durata del pranzo, aveva conversato con Midoriko, ma anche con Jinenji e sua madre. Erano stati molti i consigli che si erano scambiati riguardo alle erbe mediche, una delle passioni di Kaede, la quale cercava di trasmetterla a Rin. Era felice di vedere che sua nonna si sentiva a proprio agio con una delle persone che lei stimava più di chiunque altro. E ancora più felice era del fatto di trovarsi lì a trascorrere il Natale, finalmente per la prima volta stava passando del tempo con persone affabili e allegre. Era fin troppo abituata alle feste da sola con sua nonna, solo loro due. Non che la cosa le dispiacesse, ma desiderava da sempre sentirsi parte di un gruppo più nutrito.

Quando ebbero finito di gustare i biscotti, Kagome propose a Rin di lasciare i grandi da soli e di spostarsi nel salotto.

Non appena furono entrate, Rin si fiondò subito sul grande divano di pelle rossa, troppo stanca e affaticata dalle mille pietanze che aveva gustato poco prima. Kagome la seguì, soddisfatta.

Era al settimo cielo per quella giornata: trascorrere una festività così bella in compagnia di una sua amica, era quasi un sogno. Per la prima volta si sentiva rilassata. Di solito in Inghilterra non aveva modo di potersi sentire così: tutta l’attenzione era rivolta verso Kikyo ed i suoi innumerevoli talenti, lei si limitava a trangugiare quello che le passavano i camerieri e a starsene in silenzio. Non ricordava un Natale dove lei e sua sorella avessero mai giocato insieme, condiviso segreti o riso sulla prozia Eveline.

Forse quando erano bambine, con mamma e papà. Ma erano ricordi talmente lontani che Kagome si chiedeva se quei contorni, ormai sfocati, non si fossero mischiati con la fantasia.

Mentre era ancora immersa nei propri pensieri, Rin disse:- Kagome, tu hai mai letto il “Sengoku Monogatari”?-

La diretta interpellata si girò verso di lei, sorpresa per quella domanda improvvisa. Ed infatti, come se Rin le avesse letto nella mente, si affrettò a precisare:- Ho notato ora una copia sul tavolino- ed indicò il libricino rosso che faceva mostra di sé.

Era dal giorno dello scontro contro Sesshomaru che Rin si domandava di cosa mai potesse parlare il “Sengoku Monogatari”. Sapeva per certo che era un’opera letteraria di rilievo, in Giappone tutti quelli che l’avevano letto ne erano rimasti affascinati, ma non le era mai capitato tra le mani.

-Beh, ero molto piccola quando venne pubblicato per la prima volta. La mamma qualche volta mi raccontava la storia come una favola per farmi addormentare. Gli zii sono stati sempre tipi abbastanza riservati: non si sono mai vantati di quel successo- rispose Kagome, portandosi l’indice della mano sinistra sotto il mento.

-E non hai mai letto il libro?- continuò l’altra.

-No…- ammise Kagome, imbarazzata.

Senza aggiungere una parola, Rin si drizzò sullo schienale del divano e si allungò per prendere tra le mani quell’oggettino dalla copertina rossa così tanto desiderato e protetto.

Lo sfogliò delicatamente, facendo attenzione a non rovinare le pagine. Il libro emanava il tipico odore di carta antica, che a Rin piaceva tanto.

Aprì il libro alla prima pagina e cominciò a leggere:- “La storia che il lettore si affretta a leggere si perde nella leggenda, in un passato in cui gli uomini ed i demoni vivevano separati. Rigide erano le leggi che reggevano in piedi una pace precaria, a lungo agognata. Agli uomini non era permesso mischiarsi con essere tanto pericolosi come gli youkai, così come per loro era un’onta esecrabile avere contatti con dei miseri umani, le cui vite camminavano sul filo del rasoio.

In una terra remota esisteva un confine, ben definito e protetto da un’aura purificatrice creata da potenti sacerdotesse, che serviva a distinguere il regno umano da quello demoniaco. Nonostante le leggi fossero rigide e severe, non era raro vedere un mezzo demone aggirarsi per i boschi. Loro erano gli esseri più sfortunati di quell’epoca: né completamenti umani, ma nemmeno del tutto demoni, vivevano la maggior parte di loro in una condizione di clandestinità.

Eppure, dopo molti secoli di pace, qualcosa iniziò a cambiare: demoni minori facevano sempre più incursioni nella terra degli umani. I guardiani del confine si trovarono a poco a poco ogni volta più impegnati in lotte di difesa, fino a quando la situazione divenne così pressante che si rese necessario un nuovo incontro tra uomini e demoni. Qualcosa stava cambiando e le alleanze ed i patti necessitavano di essere rivisti.

Ed è da questo punto in poi che inizia la nostra storia…”-

Rin alzò lo sguardo, sentendo quello di Kagome su di sé. Doveva ammettere che già dalle prime pagine si sentiva incuriosita.

-Ricordo vagamente che parla di un’avventura di umani e demoni, alleati contro un nemico comune. In particolare di una sacerdotessa e di una principessa guerriera- la informò Kagome.

Rin rigirò il libricino tra le mani.

Forse ne valeva la pena di leggerlo.

***

Rin si malediceva ogni singolo minuto per l’idea che le era venuta in mente. Andare a pattinare sul ghiaccio nel pomeriggio non era stato un colpo di genio, specialmente per lei, non proprio disinvolta su un paio di pattini. Aveva proposto alla sua amica di replicare i suoi pomeriggi londinesi e lei aveva accettato.

Non appena aveva messo piede sulla pista di ghiaccio, Rin si rese conto di quanto fosse goffa: perdeva subito l’equilibrio ed agitava le braccia come un’ossessa, il tutto accompagnato da un’espressione di terrore.

Aveva perso il conto di quante volte era caduta, anche se a giudicare dal dolore che provava al sedere il numero non era di certo piccolo.

Kagome, invece, si trovava perfettamente a suo agio: andava avanti come se fosse la cosa più naturale del mondo. Aveva tentato in tutti i modi di aiutare Rin, ma non c’era stato verso di smuoverla dalla ringhiera che delimitava la pista.

Dopo più di un’ora Kagome si sentiva più che soddisfatta e, per la gioia di Rin, decisero di tornare a casa, per potersi godere ancora un po’ quella giornata. Una volta tolti i pattini, si incamminarono insieme lungo il sentiero del parco vicino casa di Midoriko che ospitava la pista di pattinaggio.

-Non proporrò mai più una cosa del genere- affermò Rin, massaggiandosi il fondoschiena dolorante. Sicuramente il mattino seguente si sarebbe svegliata con un bel livido.

Le foglie secche, ormai rigide per colpa del freddo, scricchiolavano rumorosamente sotto i passi veloci delle due amiche. Rin, che quel giorno si era dimenticata di prendere i guanti, infilò le mani nelle tasche del suo cappotto, per scaldarle appena per quanto possibile. Kagome se ne accorse, si guardò intorno e notò in lontananza un chiosco eccezionalmente aperto anche il pomeriggio del 25 dicembre. Subito le venne un’idea.

-Che ne pensi di una cioccolata calda prima di tornare a casa? Ci scalderà un po’- propose Kagome sorridente.

Rin acconsentì senza alcuna esitazione, agognava qualcosa di caldo da quando aveva messo piede fuori casa e sentiva dentro di sé il freddo congelarle le ossa. All’idea di qualcosa di caldo che le attraversava il petto, si sciolse in un sorriso.

-Bene, allora aspettami pure vicino a quella panchina. Io arrivo subito- disse Kagome, correndo verso il chiosco illuminato da calde luci gialle.

Rin fece quanto le era stato detto e si sedette in attesa. Si concesse alcuni minuti per osservare il parco e gli alberi che la circondavano in un abbraccio. Vedere gli alberi completamente spogli, con i rami secchi che si stagliavano contro il cielo scuro, le stuzzicava la fantasia: sembravano mani rugose quelle, come se appartenessero ad una strega.

Pensò poi a quanto si sentiva felice ad essere lì in quel momento, a quanto era grata agli dei per quel dono inaspettato ma altrettanto desiderato. Anche se stava gelando, non le importava, non si sarebbe fatta influenzare dal tempo. Al contrario, voleva imprimere nella sua mente ogni minimo movimento, parola ed emozione. Li avrebbe custoditi per sempre nel suo cuore.

Mentre pensava questo, una folata di vento gelido la colpì in pieno viso. Rin chiuse gli occhi presa alla sprovvista, ma il vento la privò anche della sciarpa, che in quel momento vagava senza meta dietro di lei.

-Oh, accidenti!- urlò lei, alzandosi di fretta e correndo dietro a quel lembo di stoffa.

Non poteva perdere la sciarpa, sarebbe davvero morta di freddo se ne fosse rimasta sprovvista. Come se il vento potesse leggerle nel pensiero, divenne ancora più forte, portando la sciarpa ancora più lontano da lei. Rin continuò a correre, ansimante.

Finalmente, dopo qualche metro, il vento cessò di soffiare e Rin potè vedere la sua sciarpa. Ma fu quello che notò subito dopo a lasciarla di stucco.

Una persona osservava la sciarpa, che aveva deciso di posarsi esattamente sui suoi piedi. Alto, slanciato, dai lunghi capelli argentati e i segni demoniaci sul volto. Rin si fermò di scatto, non poteva credere di incontrare proprio Sesshomaru No Taisho lì, quel giorno.

Non si mosse, non sapeva esattamente cosa fare. Il demone invece alzò subito lo sguardo, non si dimostrò per nulla sorpreso di vederla: il vento aveva portato il suo profumo, sapeva che lei era lì. La vide fermarsi davanti a lui, immobile.

Per qualche secondo la guardò fissa negli occhi. Aveva i capelli leggermente scompigliati e le guance rosse. Intravide sotto il cappotto l’orlo del vestito bianco che indossava quel giorno e subito il suo cervello collegò quel colore a quello dei garofani che le aveva spedito qualche tempo prima. Chissà come le sarebbe stato bene uno di quei fiori con quel vestito.

Rin invece continuava a non muoversi, cercava di sostenere il suo sguardo ma quelle pozze dorate sembravano la costringessero a rimanere con i piedi piantati nel suolo. Non sapeva che sentimenti provare nei suoi confronti, se rabbia, disgusto oppure odio. Pensò con rammarico a quella volta in cui lui le aveva fatto recapitare una divisa scolastica nuova, era stato un gesto così premuroso che stentava a credere che fosse stato lui a compierlo.

Sesshomaru lentamente si piegò per prendere la sciarpa che ancora giaceva ai suoi piedi, poi si avvicinò lentamente verso la ragazzina, la quale continuava a fissarlo confusa.

Le porse l’indumento.

-Stai più attenta la prossima volta-

Rin lo guardò per qualche secondo. Come stava iniziando a capire, lui aveva un modo del tutto particolare per rivolgersi alle persone.

-Grazie…- disse lei in un soffio mentre allungava il braccio per riprendersi ciò che le apparteneva.

Ma il demone fu più veloce di lei e fu proprio lui a legarle intorno al collo la sciarpa in modo tale che non la perdesse ancora una volta. Il contatto della sua mano con le guance di Rin scatenò in entrambi una reazione inaspettata: si sentirono come attraversati da una scossa elettrica, nella loro mente si accavallavano immagini apparentemente senza senso come un kimono a scacchi arancione a giallo, una katana dalla lama lunga e sottile, un drago a due teste, delle risate cristalline e delle parole che si perdevano nel vento.

Rin si trovò inoltre sorpresa nel sentire il calore provenire dalle mani di Sesshomaru: per qualche motivo pensava che la freddezza del suo carattere si estendesse anche a livello fisico.

Si guardarono per qualche secondo, poi Rin, in preda all’imbarazzo disse qualcosa per spezzare quel silenzio.

-Non credevo di vederla in un posto del genere…- farfugliò guardando in basso e arrossendo leggermente. Dentro di lei si sentiva irrequieta e non capiva perché stesse arrossendo, in fondo lui era una persona spregevole e lei doveva odiarlo.

-Potrei dire la stessa cosa- ribattè lui asciutto.

-Oh… ecco io… sono venuta qui con una mia amica…- si affrettò a spiegare lei.

Sesshomaru, in una parte remota della sua mente, si divertiva a vederla in preda all’agitazione e all’imbarazzo.

-Immagino che sia la nipote della tua sensei l’amica che è venuta qui con te-

Rin lo guardò sorpresa. Come aveva fatto a capirlo?

-Il suo odore è mischiato con il tuo-

Già, dopotutto era un demone ed i demoni potevano sentire distintamente gli odori.

-Lei però non ha ancora risposto alla mia domanda- sottolineò poi Rin.

Sesshomaru rimase sorpreso di quella frase: nessuno prima d’ora aveva mai osato fargli notare qualcosa che aveva volutamente ignorato. Era leggermente snervante, soprattutto se fatto da una ragazzina di più di dieci anni più piccola di lui.

Emise un leggere sospiro, poi disse:-Casa mia è qui vicino. Stavo camminando per conto mio-

-Capisco…- disse Rin, per non sembrare completamente stupida.

-Quanti anni hai, ningen?-

Rin strabuzzò gli occhi: come l’aveva chiamata?

-Ehm… tredici, ne compirò quattordici in primavera- rispose lei con una nota di fastidio nel tono di voce. Non riusciva a credere al fatto che l’avesse chiamata ningen. Quella parola, in bocca ad un demone, non era di certo un complimento.

-E da quanto studi recitazione con la signora Midoriko?-

Ma cos’era? Un interrogatorio? Rin sentiva sempre più spaesata.

-Sono nella compagnia della signora Midoriko da quattro anni, ormai. Ma studio recitazione dalle elementari. Mi scusi, ma perché le interessa?-

Eccola, ancora una volta quell’impertinenza che nessuno aveva mai mostrato con lui, solo lei.

-Curiosità-disse lui, semplicemente.

Rin stava per ribattere: voleva chiedergli come mai fosse incuriosito da una come lei. Ma la voce di un’altra persona la costrinse a fermarsi.

-Eccoti! Papà vuole tutti e due in casa!- tuonò un ragazzo alle spalle di Sesshomaru, il quale non si degnò nemmeno di girarsi. Sentiva solo i nervi a fior di pelle al suono della voce di Inu-Yasha. Aveva dimenticato quanto fosse odiosa ed irritante.

Rin si sporse leggermente di lato, per poter dare un volto a quella voce maschile. Vide avvicinarsi verso di loro un ragazzo molto simile a Sesshomaru: alto, dai capelli argentati e gli occhi dorati. Un paio di buffe orecchie canine sormontavano però la testa del ragazzo, inoltre i tratti del suo viso erano meno affilati e freddi rispetto a quelli di Sesshomaru. Notò che il ragazzo però non aveva segni demoniaci sul volto… che fosse un mezzo demone?

Non fece in tempo a darsi una risposta che sentì un’altra voce, questa volta alle sue di spalle e familiare.

-Rin, ecco dove eri finita!- trillò Kagome, correndo verso di lei.

E fu così che nel giro di pochi secondi le persone da due divennero quattro.

-Non ti ho vista mentre tornavo, ma dove eri finita?- chiese Kagome senza degnare i due ragazzi di uno sguardo.

Dall’altra parte Inu-Yasha diceva:- Avanti, il vecchio ha un momento di genitorialità improvvisa-

Poi quando i nuovi arrivati si accorsero di non essere da soli, si scambiarono un’occhiata interrogativa.

Rin pensò che una situazione più strana di quella non potesse esistere.

-Come sta sua zia?- chiese poi Sesshomaru. Rin si domandò se lo avesse fatto per sbloccare la situazione o perché semplicemente gli premeva conoscere una risposta. Forse, conoscendolo, era per entrambi i motivi.

Kagome, dopo aver osservato Inu-Yasha per qualche secondo, volse la testa in direzione di Sesshomaru.

-Molto meglio, grazie- rispose lei, cercando di avere un tono il più pacato possibile.

-Scusa, Kagome. La mia sciarpa era volata via e Sesshomaru-sama me l’ha ridata- si affrettò a dire Rin per mettere fine a quella situazione bizzarra.

-E da quando aiuti le ragazzine in difficoltà, fratellone?- rise Inu-Yasha all’improvviso.

Il diretto interessato fece finta di non sentirlo, altrimenti avrebbe potuto fargli molto male. Kagome e Rin si girarono verso di lui, osservandolo ridere di gusto.

-Scusate, non credo Sesshomaru vi abbia informato, ma io sono Inu-Yasha No Taisho, suo fratello-

-Fratellastro- lo corresse subito il demone.

Una volta fatte le dovute presentazioni sia Rin che Kagome non videro un valido motivo per rimanere ancora lì, quindi si congedarono salutandoli educatamente.

Mentre stavano allontanandosi, Rin si voltò in direzione di Sesshomaru e urlò a gran voce:- E non mi chiami “ningen” ! è una parola che non sopporto!-

E detto ciò, sparirono alla vista.

Se Sesshomaru non mostrava alcun cenno di meraviglia, al contrario Inu-Yasha non faceva nulla per nasconderlo. Girò la testa in direzione del fratello.

-Che caratterino. Ma dimmi, da quando salvi le donzelle in difficoltà?- lo canzonò.

Lo youkai lo guardò di traverso. Sembrava che i mezzi demoni avessero tutti lo stesso repertorio di battute. Che esseri inutili.

-Non dire sciocchezze- sentenziò voltandogli le spalle e sparendo anche lui nel buio di un giorno che stava ormai volgendo al termine.

 

Salve a tutti voi, lettori. Come promesso ecco il nuovo capitolo. Allora, abbiamo iniziato a sapere di più sul “Sengoku Monogatari” anche se ci sto ancora pensando bene alla trama, quindi abbiate pazienza; nel capitolo precedente avevo parlato dell’incontro tra Kagome ed Inu-Yasha, che effettivamente c’è stato, ma in maniera meno incisiva: prometto che nel prossimo capitolo mi dedicherò anche a loro, me ho preferito approfondire un po’ di più l’amicizia tra Kagome e Rin (sarà importante nel corso della storia). E poi ecco anche i nostri piccioncini che vanno molto a rilento, ma credo sia più che in linea con quello che sono loro nel manga originale e, soprattutto, nel carattere di Sesshomaru.

Ringrazio le persone che hanno commentato il capitolo precedente.

Fatemi sapere che ne pensate.

Alla prossima,

Sophie Ondine

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Capitolo 7
*** Scrivere ***


CAPITOLO 7- Scrivere

 

Con il Natale era arrivato anche l’anno nuovo ed ancora una volta Rin aveva avuto modo di passarlo con Kagome. In quel periodo le due avevano trascorso parecchio tempo insieme: si incontravano di solito a casa di Midoriko e la maggior parte delle volte si scambiavano segreti, si conoscevano gradualmente e, non ultima per importanza, si aiutavano a vicenda con i compiti. Rin, soprattutto, approfittava del fatto che Kagome avesse parte del suo sangue inglese, e questo voleva dire un aiuto extra per i compiti delle vacanze.
Con la fine della pausa invernale, tutti i ragazzi della compagnia Sengoku erano tornati a Tokyo e ognuno aveva ripreso anche la propria routine, compresa la scuola.
Kagome quel giorno si svegliò con fatica: era abituata agli orari delle vacanze e ci sarebbe voluto un po’ prima di riprendere il ritmo giornaliero.
Dopo aver fatto colazione, salutò sua zia, afferrò il bento che Jinenji le stava porgendo e corse immediatamente verso scuola. Nonostante tutto, era ben felice di tornare, rivedere le sue amiche e passare la pausa pranzo con Sango, Miroku, Koga, Jakotsu, Bankotsu e Shippo. I loro teatrini erano divertenti, specialmente Jakotsu che molestava Koga, il quale rispondeva imbarazzato. Era contenta di rivedere anche Sango, in fondo le era mancata molto e non vedeva l’ora di sentirla parlare della sua famiglia in Hokkaido e dei cugini infernali che aveva. La sua faccia assumeva un’espressione arcigna e malefica, secondo Kagome assomigliava ad un kappa, tanto era il fastidio che quei bambini le davano.
La scuola non distava molto dalla casa di sua zia e lei era in perfetto orario, quindi non si diede pena nell’affrettare il passo. Mentre camminava passò davanti ad un minimarket e pensò che avrebbe potuto comprare qualcosa da mangiare durante il tragitto: in fondo a colazione aveva solo trangugiato in fretta e furia una semplice fetta di pane con della marmellata e buttato giù due sorsi di tè. Comprò un dorayaki, uno dei suoi dolci preferiti, e si rimise in marcia verso scuola.
Era quasi arrivata al cancello d’ingresso, quando notò una grande macchina nera ferma davanti l’edificio ed una moltitudine di studenti intorno. Con il dorayaki ancora in bocca, Kagome si fermò per un attimo ad osservare la scena.
Da lontano sembrava proprio una macchina di lusso, di quelle che usano i ricconi, appena uscita dall’autolavaggio tanto era luccicante e pulita.
Che razza di borioso poteva mai presentarsi a scuola in quel modo?
Sicuramente qualcuno che non voleva passare inosservato. Molti studenti si erano radunati intorno alla vettura, curiosi di sapere chi potesse esserci a bordo. Tra quel gruppetto di persone, Kagome intravide anche Sango, Miroku, Koga e Shippo affiancati da Jakotsu e Bankotsu. Anche loro sembravano non poco increduli.
-Oh, buongiorno Kagome- le sorrise Sango.
- ‘Morning guys!- rispose lei- Sapete chi è la celebrità che si presenta a scuola su una macchina del genere?-
-No, tesoro, ma spero vivamente che sia un bel ragazzo… possibilmente più grande di me- disse sognante Jakotsu con gli occhi a cuoricino. Bankotsu e Koga risero.
-Io invece spero si tratti di una bella fanciulla- continuò Miroku, sfregandosi le mani come se non vedesse l’ora di mettergliele addosso.
Sango divenne livida di rabbia, strinse nervosamente la sua tracolla, poi ribattè dicendo:-Anche se fosse una ragazza, dubito che una così ricca possa interessarsi a te!-
Questa volta a ridere fu Kagome. Non capiva perché Sango si ostinava a ripetere che Miroku non le interessava minimamente: era così palese che i due si piacessero, ma per qualche assurdo motivo continuavano a far finta che quei teatrini non nascondessero nulla di più profondo.
Proprio mentre Kagome ingollò l’ultimo boccone di Dorayaki, il misterioso personaggio scese dall’auto nera. Le preghiere di Jakotsu furono esaudite: dalla macchina fece la sua apparizione un ragazzo, forse della loro stessa età, dai lunghi capelli argentati.
Kagome aguzzò la vista, specialmente sul paio di orecchie canine che troneggiavano sulla testa del ragazzo in questione. Lo osservò scendere lentamente, tutto per attirare volutamente l’attenzione su di sé, ma lo riconobbe subito: era il fratello minore di Sesshomaru No Taisho. Lo aveva incontrato con Rin il giorno di Natale, al parco.
-Non ha un’aria vagamente familiare?- domandò Shippo, portandosi una mano sotto al mento.
-In effetti Shippo ha ragione: somiglia molto a qualcuno- sostenne Miroku.
-È il fratello minore di Sesshomaru No Taisho- disse veloce Kagome, dissipando ogni dubbio.
Tutto il gruppetto si girò verso di lei.
-E tu come fai a saperlo?- intervenne Sango.
-L’ho incontrato il giorno di Natale con Rin, per puro caso. Cioè in realtà è stata Rin che ha incontrato Sesshomaru, poi io l’ho raggiunta e…-
-Poco importa… è uno schianto!!!- gracchiò Jakotsu- Soprattutto quelle adorabili orecchie!-
A quelle parole, suo cugino si portò una mano sul viso, ancora incredulo di certe esclamazioni di Jakotsu.
-Quindi quel botolo ringhioso sarà un bastardo proprio come suo fratello- questa volta fu Koga a prendere parola. Non sembrava aver avuto una buona impressione.
Miroku, che nonostante il suo vizietto con le donne era il pacificatore del gruppo, mise una mano sulla spalla del demone lupo e disse:- è ancora presto per dirlo, diamogli tempo!-
E poi si avviarono tutti verso le loro classi.
Nonostante quello che aveva detto Miroku, Kagome non poteva fare a meno di pensare a quanto potesse essere borioso quel ragazzo lì.

 

***

-Sei pronta, Kagome? Gli altri ci stanno aspettando- disse nervosamente Sango, che non voleva sprecare nemmeno un minuto della preziosa pausa pranzo.
-Eccomi, eccomi- la tranquillizzò l’amica, mentre afferrava il bento dalla sua borsa.
Insieme corsero, letteralmente, le scale che portavano al tetto. Schivavano tutti gli studenti che si trovavano sulla loro strada. Kagome ancora non capiva il motivo di tanta fretta, anche lei era impaziente di passare la pausa pranzo a rilassarsi con gli altri, ma secondo lei Sango era fin troppo esagerata. Si ricordò di una volta in cui aveva provato ad insinuare che la causa di tanta foga potesse essere Miroku e lei subito l’aveva minacciata di farle un occhio nero.
Arrivarono davanti alla porta rossa metallica che immetteva sul tetto.
Kagome aveva il fiatone.
-Non capisco perché dobbiamo correre come se dovessimo allenarci per la maratona…- sibilò la ragazza tra un sospiro e l’altro.
La bruna ignorò volontariamente la frase e aprì la porta. La luce abbagliante di quel mattino invernale colpì la faccia delle ragazze.
-Vedi? Siamo anche le prime!-
Si sedettero sui primi gradini di una scaletta esterna. Sango, ancora una volta in maniera del tutto volontaria, non colse la provocazione di Kagome e iniziò ad aprire i lembi del fazzoletto in cui era avvolto il bento. Fortunatamente passarono appena cinque minuti prima dell’arrivo del resto del gruppo.
-Ciao fanciulle!- urlò Miroku, quasi canticchiando.
Kagome rivolse uno sguardo di soppiatto alla sua amica, cercando di cogliere un segnale di debolezza che potesse confermare le sue teorie e difatti, lo vide: una spruzzata di rossore sulle gote.
Fecero il loro ingresso trionfale anche Koga, Bankotsu, Koga e Shippo. L’ultimo ad entrare fu Jakotsu, ma Sango e Kagome notarono che, in realtà, non era per niente solo. Insieme a lui camminava anche il ragazzo di quella mattina, il mezzo demone dalle orecchie da cane.
Kagome rimase piuttosto sorpresa nel vederlo lì con loro. Mentre osservava i lineamenti del suo viso, notò come era stata disattenta quel giorno di Natale, il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta. I suoi occhi percorsero ogni parte del suo viso: il colorito vivace, la bocca sottile e quegli occhi color ambra, più caldi di quelli di suo fratello. Se aveva sentito dire da alcune ragazze che Sesshomaru No Taisho era un bel ragazzo, pensò che suo fratello non era da meno.
-Ragazze, vi presento il nostro nuovo acquisto: Inu-Yasha!- pigolò trionfante Jakotsu, con le guance rosse per l’emozione.
Il mezzo demone non parve scomporsi minimamente, anzi riusciva a stare al gioco in maniera molto naturale.
-Come al solito sei un pervertito!- lo canzonò Shippo, mentre prendeva posto di fianco a Kagome.
Sango cercò di dissimulare l’imbarazzo sorridendo e presentandosi goffamente. Dopotutto nella sua testa lui era ancora il fratello dell’uomo che aveva provato a rovinare la sua compagnia teatrale e, per ora, i due  non erano tanto diversi.
-Abbiamo pensato che fosse nostro dovere dare il benvenuto nel nostro istituto al nuovo arrivato- esclamò Miroku, cercando di rendere l’atmosfera il più rilassata possibile.
-Loro sono le donzelle del gruppo. Hai già conosciuto la nostra Sango, mentre lei è la nostra Kagome- continuò Miroku, liberando Inu-Yasha dalle grinfie di Jakotsu.
La diretta interessata decise che sarebbe stata buona educazione alzarsi e così fece, ritrovandosi di fronte al ragazzo.
Gli occhi di lui e quelli di lei si incontrarono. Si strinsero la mano e a quel contatto entrambi assunsero un’espressione stupita, sentirono una strana sensazione pervadere tutto il loro corpo, dalla schiena fino alla testa. Era difficile da spiegare: un brivido, una scossa? Forse, fatto stava che entrambi si sentirono trascinati da questo turbinio improvviso, lo sentivano in tutto il corpo. Una nuova consapevolezza.
E delle immagini si susseguirono anche per loro, remote e confuse.
Kagome avvertì la strana sensazione di aver già conosciuto quella persona e che quel contatto avesse risvegliato una parte sopita di lei. Dentro al cuore sperava che per la persona che le stava di fronte fosse lo stesso.
-Piacere, Kagome-
-Inu-Yasha-

Sì, anche per lui valeva lo stesso.

 

***

Rin stava facendo i suoi esercizi di allungamento per prepararsi a quella nuova lezione con la compagnia. Aveva passato tutte le vacanze nell’attesa di ricominciare le prove e finalmente quel giorno era arrivato. Mentre allungava le braccia verso le gambe, pensò tra sé e sé che da qualche sera non riusciva a ricordare i suoi sogni. Precisamente dalla notte di Natale.
Ripensò a quel giorno meraviglioso passato con Kagome e la sua sensei, a quando nel pomeriggio era andata a pattinare e poi…
…e poi quando aveva incontrato lui.
In quell’occasione non era stato maleducato, fatta eccezione per quell’appellativo che lei odiava tanto, specialmente se detto da uno youkai come lui. Si domandò come una persona come lui potesse essere così spietata, quando invece aveva dimostrato di essere gentile e premuroso.
-Ehi Rin, direi che può bastare lo stretching- la richiamò Ayame, affiancandola.
La diretta interessata si girò senza capire.
-Sarà da due minuti che sei in quella posizione-
-Hai ragione, ero persa nei miei pensieri- disse Rin rialzandosi e arrossendo leggermente. Pensare a quell’uomo le aveva fatto perdere la nozione del tempo.
-Salve a tutti ragazzi- trillò poi una voce maschile alle loro spalle.
Le ragazze si voltarono.
-Ciao, Kohaku!- lo salutò entusiasta Rin. Vedere il volto allegro di Kohaku le faceva bene, la riscaldava. Il ragazzo, a quel sorriso entusiasta, arrossì leggermente e distolse lo sguardo, andando poi a posare le sue cose in fondo alla sala e preparandosi con gli esercizi vocali.
La rossa demone lupo si avvicinò a Rin con tono malizioso.
-Quando ti renderai conto che gli piaci?- il tutto accompagnato da una gomitata ben assestata tra le costole.
-Ma che dici? E poi stai un po’ attenta che mi fai male- si lamentò Rin.
-Dico quello che sanno anche i sassi ma che tu non vuoi notare-
-Non riesco proprio a seguirti- continuò ad affermare Rin massaggiandosi le costole.
-Pensi che me lo sia inventato? Rin, smettila di fare la finta tonta!-
-Il punto è che Rin non fa la finta tonta, lei non nota niente- si intromise una voce delicata tra di loro.
Entrambe si trovarono il volto pallido e calmo di Kanna. Era arrivata silenziosamente, come era suo solito, e si era intromessa nella discussione senza troppi fronzoli.
-Di cosa stavate parlando?-
-Oh Kanna, meno male che sei venuta in mio aiuto. Stavo dicendo a questa testona che è l’unica a non essersi accorta che Kohaku le sbava dietro- disse subito Ayame.
 A quelle parole la ragazza sentì come uno stiletto trafiggerle il cuore. Non era la prima volta che aveva sentito Ayame dire una cosa del genere, ma aveva sempre preferito far finta di niente. Questa volta di fronte ad una domanda così diretta non poteva sottrarsi. Un’ombra le attraversò gli occhi per un momento. In realtà era lei quella che aveva una cotta per Kohaku, ma aveva sempre cercato di nascondere la cosa, anche alla sua migliore amica. In fondo al cuore sapeva che Ayame aveva ragione: era chiaro come il sole che il ragazzo rivolgeva le attenzioni a Rin in maniera troppo entusiasta. Eppure aveva cercato di raccontarsi una bugia dietro l’altra per non provare un altro sentimento: l’invidia.
Sì, invidiava Rin.
Le invidiava il talento nella recitazione e le invidiava il fatto che fosse riuscita a catturare l’attenzione di Kohaku.
Fece un leggero sospiro, poi si stampò sul volto un sorriso e disse:- Te l’ho detto: Rin non nota queste cose-
Una non risposta, sempre meglio di altro, pensò tra sé e sé.
-Visto? Lo sanno tutti tranne te-
Rin divenne rossa come un peperone e iniziò a sparare una serie di scuse a raffica:-Voi scambiate la sua gentilezza per interessa, ma lui è solo un amico…-
No Rin, pensò Kanna, non è mera gentilezza la sua.
Poi anche lei andò a riscaldarsi.

 

***

-Da quando è uscito quell’articolo sul giornale, le prove sono diventate più dure del solito- si lamentò Shippo quando ebbero finito.
Tutti gli altri non poterono fare altro che annuire e trovarsi d’accordo. Quella critica aveva elettrizzato non solo la signora Midoriko ma tutti gli altri insegnanti, in particolari Saya, il loro diretto maestro. Due ore erano passate e le prove poteva definirsi concluse.
Durante lo svolgimento dei soliti esercizi, l’anziano maestro aveva detto loro di eseguire, aveva ricevuto la visita della signora Midoriko.
Senza troppi convenevoli aveva comunicato l’intenzione di mettere in scena uno spettacolo del tutto imprevisto, a marzo. Tutti gli allievi avevano accolto la notizia con grande stupore: non aveva mai provato a preparare una rappresentazione in soli tre mesi. Non avrebbero nemmeno studiato un testo facile: questa volta la sensei aveva optato per Molière, più nello specifico “Il malato immaginario”.
-Mi chiedo come faremo a preparare un testo in così poco tempo!- si lamentò Ayame, mentre si infilava il cappotto scuro.
-Ma tu non sai fare altro che lamentarti?- la rimbeccò Koga.
La ragazza divenne rossa per l’imbarazzo, poi fece un gestaccio accompagnato da un sonoro “cafone”. Tutti assistettero alla scena curiosi, Rin si domandava soprattutto cosa fosse successo tra quei due durante le vacanze di Natale. Di sicuro lo avrebbe scoperto di lì a poco.
-Non vorrei sembrare antipatico, ma credo che Ayame abbia ragione- seguì Shippo, riportando l’attenzione di tutti sullo spettacolo.
Non aveva tutti i torti, anzi erano più che onesti nel giudizio. Nessuno degli altri membri della compagnia lo avrebbe ammesso ma allestire uno spettacolo in poco più di tre mesi era un vero atto suicida. Anche Miroku, sempre così positivo e propositivo, non aveva accennato ad una parola di conforto.
Era come avere una spada di Damocle sulla testa: il tempo era poco e sapevano che la buona riuscita era l’unico esito a cui potevano aspirare.
-E tutto per quella critica sul giornale- sospirò Kanna, affranta.
Kohaku venne in suo aiuto, le poggiò una mano sulla spalla e le disse:-Dai su, proviamo a non farci prendere dallo scoramento, è solo tutto a nostro svantaggio-
-Kohaku ha ragione!- esclamò poi di punto in bianco Rin, gonfiando il petto per assumere una forma più imponente- Non è il caso di tirarci indietro proprio adesso. E poi, pensateci un po’, avremo modo di recitare una volta di più sul palcoscenico… io alla sola idea mi sento elettrizzata!-
Ci credeva a quelle parole. E poi che importava? Bastava impugnare il copione e recitare, questa era la cosa più importante per lei, il resto passava in secondo piano. Svegliarsi la mattina con il pensiero di studiare battute e pensare a costumi di scena, la faceva sentire più viva che mai e, in fondo, non c’era niente di diverso dai giochi che faceva lei da bambina.
Quella critica sul giornale, per quanto dura potesse essere, le aveva messo negli ultimi giorni una carica fuori dal comune. Se n’era resa conto durante le vacanze di Natale: più stava lontano dal palcoscenico, più prendeva consapevolezza che quella era la sua strada. E in barba a quel ghiacciolo di Sesshomaru No Taisho, glielo avrebbe fatto vedere lei chi era.
Ci fu un attimo di silenzio tra il gruppetto, poi Kohaku sorrise nuovamente, tolse la sua mano dalla spalla di Kanna per posarla su quella di Rin.
-Esatto, Rin. Sentito ragazzi? Cerchiamo tutti di fare del nostro meglio!- li incitò il ragazzo.
A poco a poco tutti distesero i lineamenti del viso in un sorriso, poi Jakotsu emise uno dei suoi gridolini femminili per scaricare la tensione ed una risata generale contagiò la piccola compagna Sengoku. Anche Kanna rideva, un po’ meno degli altri: non poteva fare a meno di notare che la mano di Kohaku era ancora sulla spalla di Rin e non accennava a togliersi.
-Gelosia?- domandò qualcuno al suo fianco.
Kanna si voltò di colpo, presa alla sprovvista. Hakudoshi le si era materializzato all’improvviso, senza che lei se ne accorgesse. La guardava con un’ espressione divertita: le labbra sottili distese in un sorriso enigmatico e gli occhi ridotti a due fessure, quasi volessero scrutare dentro l’anima della ragazza, la quale si sentì indifesa.
Deglutì e poi disse:-Non ho idea di cosa tu stia parlando-
-Io credo proprio di sì. Pensi che Kohaku sia l’unico che mostra i suoi sentimenti? Non siete poi tanto diversi, voi due- insinuò Hakudoshi, punzecchiandola.
Kanna si sentiva sempre più messa alle stretta, non voleva rivelare a nessuno la sua cotta per Kohaku.
-Davvero, Hakudoshi, credo che tu veda cose che non esistono- e girò subito i tacchi per andarsene, senza salutare nessuno.
Maledetto Hakudoshi, aveva capito il suo interesse nei confronti di Kohaku. Ora non avrebbe smesso di punzecchiarla. Faceva già molta fatica a reprimere i suoi sentimenti, senza contare l’odio che l’assaliva ogni volta che Rin confermava la sua natura ingenua, sempre con la testa fra le nuvole e troppo impegnata a pensare a recitare per notare anche la cosa più ovvia.
Nel frattempo, una volta che tutti si furono tranquillizzati, i ragazzi si affrettarono a lasciare la scuola per tornare a casa.
-Ehi, ma dov’è Kanna?- domandò Rin, cercando con lo sguardo la sua migliore amica.
-Doveva tornare a casa presto- rispose per lei Hakudoshi.
-Oh… capisco…- disse Rin, leggermente sconsolata. Era dalle vacanze di Natale che non aveva trovato un momento di tranquillità con Kanna, le mancavano le loro chiacchiere durante la pausa pranzo, sedute sugli spalti del campo di calcio della scuola. Quella mattina non era andata a scuola a causa di una visita medica alla quale sua nonna doveva presentarsi, quindi non aveva ancora avuto modo di salutarla come si deve.
Sentiva, da un po’ di tempo, che qualcosa si stava insinuando tra di loro, ma non riusciva a capire cosa di preciso. La cosa non poteva che farla intristire: anche se aveva nuove amiche questo non voleva dire dimenticarsi della sua migliore amica.
I ragazzi stavano camminando verso l’uscita e Rin era ancora persa nei suoi pensieri, quando Bankotsu richiamò l’attenzione di tutti.
-Ma quello non è Naraku Onigumo?- sussurrò al gruppo, guardando la figura alta e snella del mezzo demone.
A quel nome Rin si svegliò come di soprassalto. Cercò con lo sguardo il soggetto che stava catalizzando l’attenzione di tutti.
Ed eccolo lì, che stava uscendo dall’ufficio della sensei. Ogni volta che Rin lo guardava non poteva fare a meno di sentirsi inquieta, provare quella brutta sensazione di precarietà.
Naraku camminava sicuro lungo il corridoio, il solito ghigno dipinto sulla faccia. Da come avanzava, ricordava un ragno pronto a mangiare la povera preda finita nella sua ragnatela, che più si agita, più si intrappola da sola, senza che il predatore faccia nulla.
I ragazzi si fermarono, intimoriti da quella figura scura. Naraku, che sentiva perfettamente gli sguardi su di sé, si voltò verso gli attori.
-Buonasera, ragazzi- li salutò, totalmente sicuro di sé. Nessuno ebbe il coraggio e la prontezza di rispondergli.
Una volta che fu scomparso alla vista, Ayame disse:- Quell’uomo mette più paura di Sesshomaru No Taisho-
-A proposito Sesshomaru No Taisho, sapete che ha un fratello minore?- domandò retoricamente Shippo agli unici del gruppo all’oscuro della cosa.
Rin si fece avanti.
-Io lo sapevo, lo abbiamo incontrato con Kagome il giorno di Natale. Ma perché lo state chiedendo?-
-A quanto pare è nella nostra stessa scuola- intervenne Koga, sprezzante- E Miroku ha pensato bene di farlo entrare nel nostro gruppo-
Dal tono di voce si capiva benissimo che il demone lupo non era per niente contento di quella scelta.
-Perché tanto astio, Koga? Io lo trovo adorabile- disse Jakotsu, sovraeccitato.
-Lo so io perché lo dici, dannato pervertito!-
Sango, che fino a quel momento era stata zitta, prese parola:- Per una volta mi trovo d’accordo con Koga: non so quanto fidarmi del fratello dell’uomo che ha sabotato il nostro spettacolo-
Il ragionamento era più che condivisibile. Poi Miroku si decise a dire la sua:-Io credo che bisogna dargli una possibilità. Non è detto che sia uguale a suo fratello…-
-Fratellastro- lo interruppe Rin, ripetendo ad alta voce le parole di Sesshomaru quel giorno.
Tutti si voltarono a guardare la ragazza stupiti.
Rin arrossì:-Scusate, è quello che hanno detto quel giorno. Sembravano molto ansiosi di specificarlo-
-Visto?- disse Miroku rivolto verso Koga.
-E poi lo abbiamo conosciuto solo oggi. Se addirittura Kagome, che avrebbe molti più motivi di te per odiare la famiglia No Taisho, non ha mostrato un atteggiamento ostile nei suoi confronti, non vedo perché preoccuparti inutilmente-
Koga sbuffò:- E va bene, mi arrendo- disse alzando le mani al cielo.
Poi, lentamente, uscirono tutti, si salutarono e tornarono a casa. Ayame e Rin condividevano la strada verso la stazione della metropolitana e fu quello il momento che Rin colse per farsi dire dalla yasha cosa fosse successo tra lei e Koga durante le vacanze estive. La risposta non tardò ad arrivare: assolutamente niente di rilevante. Una volta che gli aveva dato il suo regalo di Natale, anche Koga aveva fatto altrettanto, ma non era scattato nessun bacio. L’unica cosa diversa era che ora i due intrattenevano una corrispondenza epistolare tramite cellulare giornaliera.
-Ma come è possibile?- domandò delusa Rin. Eppure era sicura che al rientro dalle vacanze Ayame l’avrebbe travolta con un oceano di parole su lei e Koga.
La rossa, sebbene delusa, cercava di dissimulare quel sentimento.
-Beh guardiamo il lato positivo- disse lei-almeno ora parliamo e non scappo più-
Una volta detto questo, Ayame si scusò con Rin, ma doveva correre a prendere il treno che l’avrebbe portata a casa. Si salutarono, poi Rin guardò il suo orologio e vide che per il suo di treno ci sarebbe voluto un bel po’, magari avrebbe camminato per passare il tempo. Mentre vagava per le strade di Tokyo, pensò a quanto fossero complicate le storie d’amore: bastava prendere ad esempio Koga ed Ayame. Entrambi si erano scambiati dei regali di Natale eppure non si erano decisi a dichiararsi. Era quasi del tutto sicura che anche Koga provasse qualcosa per Ayame… ma allora perché aspettare così tanto?
Koga solitamente mostrava un carattere sicuro di sé, a tratti un po’ sbruffone. Che fosse, sotto sotto, un insicuro cronico? Poteva essere, ma nonostante tutto Rin non riusciva ancora a capacitarsi di quanto stupidi fossero i suoi amici in quel momento.
Sperava che per lei non toccasse la stessa sorte: aspettare tanto per poter unirsi con la persona amata, quella che era legata a lei dal sottile filo rosso del destino. Dentro di sé sentiva che non appena avrebbe incontrato la sua anima gemella, l’avrebbe riconosciuta subito, senza esitazione alcuna.
Sì, non si sarebbe fatta distrarre da cose futili.
Mentre era persa in questi pensieri, non si accorse che si era fermata di fronte alla vetrina di una libreria, allestita ancora con le luci di Natale all’entrata. Sorrise leggermente, non l’aveva mai notata quando tornava a casa dalle prove. Si concesse qualche minuto per osservare la vetrina ed una cosa catturò subito la sua attenzione: un libricino rosso.
Lo aveva già visto a casa di Kagome… era il “Sengoku Monogatari”. Campeggiava in quella vetrina, sovrastando con la sua presenza tutti gli altri libri, che davanti a lui assumevano solo la forma di meri involucri di cellulosa e cartone.
Rin studiò con attenzione quasi chirurgica ogni singolo angolo di quella copertina. Era tutto a causa di quel piccolo oggetto se la sua sensei si trovava costretta a combattere una battaglia contro Sesshomaru e Naraku.
Non seppe spiegarlo nemmeno lei, ma qualcosa la spinse ad entrare dentro, afferrare la prima copia disponibile e acquistare quel tesoro. Ancora prima di realizzare cosa fosse successo, si trovava già fuori dalla libreria, il sacchetto di carta tenuto stretto tra le mani.
Poi una macchina sfrecciò di fianco al marciapiede.
E Rin li vide.
Dei capelli argentati.

 

***

-Cos’hai da guardare?- chiese il demone con tono sprezzante. Lei non riusciva a proferire parola, tanto era stupita di trovarsi al cospetto di un essere come quello. Dentro al cuore non sapeva cosa fare: scappare, urlare?
Nessuna delle due era adatta all’occasione. La giovane sacerdotessa scavò nel suo cuore e trovò da sola il coraggio di alzarsi da terra e avvicinarsi verso l’albero in cui era imprigionato quel demone dalle sembianza umane.
Lui la guardava, incatenandola con quegli occhi color ambra.
-Mi sembri sorpresa, miko. Non hai mai sentito parlare del figlio del generale dei demoni cane?- chiese lui, guardandola con disprezzo.
La ragazza non rispose.
-Ma certo che devi aver sentito parlare di me-
-Non sarai per caso il figlio mezzo demone? Colui che è stato imprigionato secoli fa?- chiese lei, esitante.
-Esatto, miko. Io sono…-

 

Kagome si trovò con la penna sospesa a mezz’aria, fissava la pagina alla ricerca di un’ispirazione.
Si girò a guardare l’orologio sulla scrivania. Le undici di sera. Era chiaro che poi a scuola fosse stanca, ma non poteva farci nulla: così come Rin doveva recitare, lei doveva scrivere.
Ma la sua era un’attività solitaria, a riparo da sguardi indiscreti. In cuor suo sperava che un giorno potesse eguagliare il suo defunto zio nella creazione di una storia indimenticabile.
Conosceva molto bene la trama del Sengoku Monogatari, lo sapeva a memoria, tante erano state le volte in cui lo aveva sfogliato a letto fino a notte fonda.
Dopo l’incontro con quel ragazzo, Kagome si era sentita invasa da un’energia mai provata prima, talmente forte che doveva imprimerla su carta il prima possibile. E così aveva fatto: a lezione non aveva ascoltato la professoressa bensì aveva dedicato tutta la sua attenzione a quel pezzo di carta che stava riempiendo di parole una dietro l’altra; a cena la stessa cosa, si era limitata a trangugiare tutto quello che le passava Jinenji e poi era corsa in camera a continuare a scrivere.
Sapeva che stava semplicemente riscrivendo un passo della storia che suo zio aveva creato, ma voleva dare la sua versione, il suo punto di vista.
Che strana sensazione stava provando.
Abbassò di nuovo lo sguardo sulla pagina, impugnò la penna e scrisse infine quel nome.

Inu-Yasha.

 

 

Ed eccomi qui, lettori. Chiedo scusa se questo capitolo è uscito un po’ in ritardo ma ci sono stati una serie di fattori che mi hanno tenuta lontana dalla storia: prima di tutto, la mia voglia di dargli uno spessore, di creare un qualcosa di originale, quindi sto cercando di capire ancora come incastrare molte cose, senza dimenticarmi di nessuno; come seconda cosa, metto davanti un periodo un po’ incasinato nella mia vita, pieno di studio ed altre preoccupazioni.
Ma tranquilli, ho assolutamente intenzione di continuare ad aggiornare, anche perché non posso che essere felice delle persone che commentano e leggono questa mia piccola creazione.
Al momento sono ancora un po’ indecisa su alcuni punti, come ad esempio, quando arriverà il momento di parlare della trama del Sengoku Monogatari (perché ci sarà anche quella), se mantenere i nomi originali o metterne di fittizi. Ditemi voi cosa preferite.
Alcune scene, che arriveranno molto, ma moolto più in là, le ho già impresse su carta, come la nostra Kagome, mentre per altre brancolo ancora nel buio. Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate voi, cosa vi aspettate che succeda? Mi piacerebbe sapere il vostro punto di vista.
Detto questo, ringrazio tutte le persone che leggono e commentano la mia storia. Fatemi sapere se anche questo capitolo vi è piaciuto.

Al prossimo capitolo!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Il compleanno di Rin, prima parte ***


CAPITOLO 8-Il compleanno di Rin, prima parte

 

La città di Tokyo sembrava un mucchio di piccoli pezzi di ferro dal suo ufficio. Agglomerati di ferro e vetro, capaci di poter cadere da un momento all’altro. Eppure gli umani si sentivano così fieri di quelle creazioni, come se potessero essere una valida difesa contro il corso della Natura, come se potessero essere eterni.

Che esseri sciocchi, che vite sprecate a rincorrere qualcosa che non avrebbero mai ottenuto.

Sesshomaru sedeva sulla sua sedia girevole, rivolto verso il panorama che la finestra del suo ufficio gli offriva. Le mani affusolate incrociate e poggiate sulle labbra. Il cielo quella mattina era plumbeo.

La sua giornata era iniziata con l’orripilante vista di Inu-Yasha che girava per casa. Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a quel maledetto tanfo di mezzo demone. Ma nemmeno alla sua faccia o alla sua voce. Sembrava che da quando era tornato non facesse altro che provocarlo, quando lui aveva promesso a loro padre assoluta calma ed una convivenza, più o meno, pacifica. Certo, non era colpa sua se Inu-Yasha sembrava così poco attaccato alla sua vita: se avesse continuato a provocarlo, non avrebbe risposto di sé, prima o poi.

Suo padre quella mattina era sembrato più allegro del solito. Canticchiava e sorrideva ad entrambi i suoi figli, i quali erano più spaventati che deliziati da quell’umore strano.

Una volta finito il pasto, Inu-Yasha aveva afferrato la cartella e si era recato a scuola, mentre lui e suo padre avevano usato un’altra macchina per andare in ufficio, entrambi.

Affiancare il suo vecchio non era facile: tutti gli occhi erano puntati su di lui, pronti a cogliere il minimo segno di debolezza, considerato troppo giovane per riuscire a distinguersi dalla figura di suo padre, così pesante ed ingombrante. Ma lui era Sesshomaru No Taisho, un demone superiore, non si lasciava di certo intimorire da un pugno di miseri umani invidiosi.

Sarebbe riuscito dove suo padre aveva fallito, potevano starne certi.

I suoi pensieri furono interrotti dallo squillare insistente del telefono sulla scrivania.

Si girò lentamente, pigiò con l’indice il tasto rosso, non disse niente ma rimase in attesa.

-No Taisho-sama- disse la voce dall’altra parte dell’apparecchio- c’è il signor Naraku Onigumo che desidera parlare con lei sulla linea 2- lo informò.

-Grazie, prendo la telefonata. E non mi interrompa fino a quando non le dirò di essere di nuovo disponibile- ordinò lui. La segretaria dall’altra parte rispose di sì intimorita.

Sesshomaru si concesse qualche secondo per raccogliere tutte le energie mentali: da quando condivideva il tetto con quel maledetto hanyou di suo fratello, era diventato difficile riuscire tenere testa anche a Naraku.

Prese la telefonata.

-Che cosa vuoi?- domandò duro senza tanti preamboli.

La voce dall’altra parte scoppiò in una fragorosa risata. Appunto, troppi sudici mezzi demoni nella sua vita. Sentì salirgli un desiderio omicida.

-Nemmeno un saluto di cortesia? Dopotutto ora siamo “soci”-

-Non perdo tempo in convenevoli e noi non siamo affatto soci, ricordatelo- gli rammentò Sesshomaru più duro di prima, la risata lo aveva alterato non poco. Storse il naso, come se il puzzo di quell’essere potesse arrivargli tramite la cornetta telefonica.

Naraku, dall’altra parte, non si preoccupò minimamente di quelle parole: sapeva che Sesshomaru doveva sopportarlo perché, al momento, non aveva altre risorse disponibili, era anche consapevole dell’odio che lo youkai nutriva nei suoi confronti, quindi perché non divertirsi un po’ con lui? Era la sua specialità tormentare le persone, dono ereditato da suo padre.

-Non so se ne sei a conoscenza del fatto che la nostra cara signora Midoriko ha intenzione di allestire uno spettacolo a marzo, del tutto imprevisto-

Sesshomaru emise un sospiro: quella donna li stava sfidando ancora un volta.

-Non dirmi che non ne sapevi niente, eppure il tuo fratellino passa molto tempo con i ragazzi della compagnia…- insinuò il mezzo demone.

A quelle parole Sesshomaru strabuzzò gli occhi incredulo.

Inu-Yasha stava davvero fraternizzando con quelli che ora erano il nemico da distruggere? Non perdeva mai occasione per mettersi sulla sua strada, che essere fastidioso.

Ma la cosa che lo lasciò più basito fu la preparazione di Naraku sull’argomento: come poteva essere sempre un passo avanti a lui?

-Allora è così, non ne eri a conoscenza- sibilò trionfante.

Non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

-Sei così disperato da spiare Inu-Yasha- disse prima di riagganciare la cornetta furiosamente.

Sesshomaru si portò le mani alla fronte, confuso.

Maledetto Inu-Yasha!

 

***

 

20 marzo. Era quella la data prefissata per la messa in scena dello spettacolo. Rin non poteva essere più elettrizzata all’idea di festeggiare il suo compleanno su un palcoscenico.

Le settimane si stava susseguendo veloci ed incalzanti. In quel periodo Rin non aveva davvero tempo per pensare ad altro all’infuori del teatro e della scuola: la fine dell’anno si avvicinava inesorabile e avrebbe dovuto tentare il test per entrare al liceo. Sperava con tutto il cuore di essere accettata nello stesso complesso scolastico che ospitava i suoi amici, sarebbe stato bello vederli tutti i giorni tra una lezione e l’altra.

Rin era seduta all’ombra di un albero del giardino, aveva finito il suo pranzo e di voleva godere l’aria primaverile alle porte. A fianco a lei sedeva Kanna. Le due amiche avevano ripreso i normali rapporti di prima, ma Rin continuava a sentire dentro di sé la spiacevole sensazione che qualcosa si fosse rotto. Sperava con tutta sé stessa di sbagliarsi.

La prima avvisaglia l’aveva avuta quando era arrivato il momento di riempire i moduli per la scelta dell’istituto scolastico, ovviamente Kanna aveva fatto ricadere la sua scelta su un liceo ben più costoso di quello di Rin. Non era di certo un crimine avere soldi a sufficienza. Eppure una vocina nella sua testa non poteva farle ignorare quella sensazione di amarezza che aveva provato quando Kanna aveva detto ad alta voce che non sarebbero state nello stesso istituto. Temeva che un muro si stesse alzando tra di loro, lo aveva confidato anche a sua nonna quella sera, la quale aveva provveduto a dissipare ogni dubbio dalla mente di sua nipote. Eppure la sensazione rimaneva.

-Kanna, è tutto a posto?- domandò poi la ragazzina, leggermente preoccupata. L’altra si girò nella sua direzione.

-Certo, perché me lo chiedi?-

-è da un po’ di tempo che ti vedo strana, distante. Ho forse fatto qualcosa di sbagliato?-

Kanna si sentì immediatamente in colpa. Adorava Rin e lei a causa di una stupida gelosia rischiava di mandare tutto a rotoli. Prese le mani della sua amica tra le sue. Le strinse leggermente.

-Assolutamente no, Rin. Sei la mia migliore amica, non potrei mai odiarti-

Gli occhi dell’altra si illuminarono seduta stante. Si lanciò in un abbraccio appassionato.

-Oh Kanna, non sai quanto temevo di averti fatto qualche torto-

La diretta interessata chiuse leggermente gli occhi.

Non era certo colpa di Rin se lei era sempre la numero due…

 

***

 

Inu-Yasha era a casa, poteva sentirne il nauseabondo odore per tutta casa. Arricciò il naso disgustato.

Buttò la valigetta da lavoro sul pavimento. Era furioso.

Tese le orecchie per poter capire dove fosse sua fratello e capì che doveva trovarsi in camera sua.

A grandi falcate si diresse verso la stanza di Inu-Yasha. Spalancò la porta.

Il mezzo demone, che era a letto intento a giocare con un videogioco, si alzò subito, sorpreso e infastidito da quell’intrusione non gradita.

-Ehi, non so tu cos’abbia ma sarebbe buona educa…-

Ma non finì la frase, perché la sua gola si trovò chiusa in una morsa letale.

Inu-Yasha strabuzzò gli occhi, agitò le gambe, che penzolavano a mezz’aria in cerca di un piano saldo su cui poggiarsi, ma invano.

Sesshomaru non lo aveva nemmeno fatto finire, che subito si era avventato su di lui, afferrandolo per il collo, sollevandolo a mezz’aria. Inu-Yasha annaspava con la bocca, in cerca di aria.

-Ma… sei…p-p-pazzo?-riuscì a dire.

Sesshomaru strinse di più la mano artigliata, qualunque cosa potesse uscire dalla bocca di quell’essere non poteva fare altro che accrescere la sua rabbia.

-Ascoltami bene, posso sopportare la tua presenza in questa casa, posso tollerare il fatto che non perdi occasione per provocarmi. Ma non ho nessuna pietà se qualcuno si intromette nei miei piani- disse Sesshomaru con ferocia.

Inu-Yasha continuava a non capire, l’aria gli mancava e desiderava solo essere lasciato andare.

All’improvviso sentì un vuoto e cadde sul pavimento. Sesshomaru aveva mollato la presa. Si era trovato steso sul pavimento, una mano intorno al collo. Tossì diverse volte prima di riuscire a prendere fiato normalmente.

Quando fu capace di parlare di nuovo si voltò verso il fratello e lo guardò adirato.

-Ma che ti è saltato in mente? Cosa avrei fatto?-

-I tuoi nuovi amichetti. Devo forse pensare che il fatto che tu sia diventato amico con i ragazzi della compagnia Sengoku non sia un semplice caso?- domandò Sesshomaru, abbassandosi al suo livello e inchiodandolo con lo sguardo.

Inu-Yasha era sempre più confuso.

-Tu sei pazzo…- tossì, del tutto incapace di formulare altro.

-Ricordati una cosa, Inu-Yasha, sarò io ad ottenere i diritti di rappresentazione del “Sengoku Monogatari”, tu cerca di starne fuori. Se pensi che entrare in contatto con quegli attori sia la mossa ideale, hai sbagliato i tuoi calcoli-

L’hanyou sbattè gli occhi, sempre più basito e a corto di parole. Quel maledetto libro, ma perché ossessionava suo padre e suo fratello fino a quel punto? Poteva forse giustificare il padre, perché era il libro preferito di sua madre. Ma Sesshomaru cosa c’entrava?

-A me non interessa assolutamente niente di quel maledetto libro. E sì, è un caso che io li abbia conosciuti: molti di loro frequentano il mio stesso istituto-

Sesshomaru sorrise appena. A quanto pareva quell’essere dalle sembianze umane capiva meglio di quanto credesse. Forse non era così stupido come pensava. Si rialzò da terra, mentre Inu-Yasha rimase ancora a contatto con il pavimento.

-Vedo che iniziamo a capirci- disse poco prima di uscire, lasciando un Inu-Yasha ancora scosso a terra.

 

 

***

 

Le settimane erano volate. Letteralmente.

La compagnia aveva lavorato duramente, provato fino a tardi e anche nei week-end. La primavera era alle porte, così come lo spettacolo e il compleanno di Rin. La ragazza non stava più nella pelle.

Anche se l’agitazione e la preoccupazione erano palpabili nell’aria, doveva ammettere che quei giorni erano stati bellissimi da vivere.

Con il passare del tempo Inu-Yasha aveva iniziato a fare delle comparse nella compagnia, dapprima sporadiche fino a diventare sempre più frequenti. Sembrava che con Miroku fosse riuscito ad instaurare un’amicizia solida e distesa, con Koga invece non perdevano occasione per provocarsi. Jakotsu, al contrario, approfittava di ogni minima occasione per toccargli le orecchie, infastidendo non poco Inu-Yasha.

Rin, come Sango e Koga, all’inizio si era mostrata un po’ titubante nell’accogliere Inu-Yasha nel gruppo: aveva paura che si sarebbe rivelato spiccicato a Sesshomaru, in tutto e per tutto. Alcune volte le era passata per la testa anche la malsana idea che potesse “lavorare” per lui e si fosse infiltrato per passare al glaciale fratello delle informazioni, fortunatamente dopo pochi secondi Rin si rendeva conto dell’assurdità dei suoi pensieri. Forse guardava troppi film. La sue convinzioni avevano cominciato a cambiare forma quando, giorno dopo giorno aveva notato quanto fosse diverso dal fratellastro: Inu-Yasha era chiassoso, parlava tanto, si scaldava per ogni minima cosa, ma soprattutto, anche se con modi un po’ bruschi, si affezionava alle persone. Con Shippo, ad esempio, litigavano spesso, ma si vedeva che i due si volevano bene.

Ciò che Rin notò con stupore fu quanto fossero vicini Inu-Yasha e Kagome, e non solo per il semplice fatto che quando andavano ad assistere alle prove si sedevano in fondo all’aula l’uno vicino all’altra, ma anche per il modo che avevano di interagire, come parlavano e come si sorridevano. Non mancavano le litigate, molto appassionate, durante le quali Kagome urlava “Osuwari!”, scatenando le risate degli spettatori.

Molte volte Rin si era chiesta se non ci fosse dell’altro, qualcosa di più di una semplice amicizia. Secondo il suo modesto parere, sembrava proprio così e doveva ammettere a sé stessa che, nonostante alcune differenze caratteriali fin troppo evidenti, formavano una coppia simpatica e ben assortita.

Fu durante un freddo pomeriggio di febbraio che Rin cambiò idea su Inu-Yasha: quel giorno la ragazza aveva dovuto fermarsi a scuola oltre l’orario delle lezioni perché toccava a lei fare le pulizie in classe. Aveva cercato di fare il prima possibile, pulendo al meglio che poteva, ma il tempo era passato velocemente e lei era in ritardo per le prove. Sapeva che Saya non gliel’avrebbe perdonata, un po’ perché mancava poco alla data prevista per la messa in scena, un po’ perché visto il suo ruolo, l’impertinente cameriera Toniette, era una delle prime ad entrare in scena, quindi il suo ritardo avrebbe gravato anche sui suoi compagni. Correva veloce per le strade di Tokyo, quanto le potevano consentire le sua gambe non propriamente chilometriche. Aveva il fiatone, ma non accennava a fermarsi o a rallentare: le prove prima di tutto.

Quando arrivò al palazzo della scuola, entrò subito senza nemmeno rivolgere una parola di saluto alla segretaria e si catapultò nella sala prove. Come aveva previsto, Saya la rimproverò per il ritardo e lei non potè fare altro che scusarsi, per poi cominciare subito con le prove.

Quando si presero una pausa, Rin andò a sedersi in disparte per poter ripassare le sue battute. Mentre leggeva il copione, sentì dei passi avvicinarsi ed una tazza di thè fumante le si materializzò di fianco alla guancia destra. Rin si sorprese nel vedere il viso di Inu-Yasha, che sorrideva timidamente, collegato a quella mano gentile.

-Ho pensato che potesse farti piacere una bevanda calda- disse lui, leggermente imbarazzato.

Rin era rimasta senza parole. Allungò la mano e prese il bicchiere di carta, stando ben attenta a non scottarsi.

-Grazie, Inu-Yasha! In effetti ne avevo proprio bisogno!- trillò poi, sorridendogli grata.

Quel giorno, non solo si godette il thè, ma cambiò completamente idea sul mezzo demone.

Una volta tornata a casa, dopo aver cenato con nonna Kaede e aver lavato tutti i piatti, le ritornò alla mente un fatto curioso: la sua sensei, la signora Midoriko, non aveva fatto una piega quando Kagome aveva portato Inu-Yasha per la prima volta alla scuola di recitazione, al contrario si era mostrata estremamente cordiale. Molti degli allievi erano rimasti interdetti da tale scena: pensavano che non lo avrebbe mai e poi mai accettato per via della sua parentela. Rin aveva sempre considerato la signora Midoriko una donna di giudizio e quel gesto nei confronti di un No Taisho avrebbe dovuto farla riflettere prima. Era evidente che la sua maestra aveva visto prima di molti altri qualcosa di buono in Inu-Yasha, non aveva permesso al pregiudizio di offuscare la sua mente, contrariamente a quello che aveva fatto lei. Si vergognò di sé stessa.

Nel frattempo, mentre Inu-Yasha entrava sempre più nelle sue simpatie, Sesshomaru le diventava presenza sgradita ogni volta che lo vedeva: in quei tre mesi lo aveva visto spesso uscire dall’ufficio della signora Midoriko, sempre con la sua aura di glacialità al seguito.

Un giorno, poiché era assorta nei suoi pensieri, gli andò a sbattere letteralmente contro.

-Stai attenta, ningen- ordinò la sua voce.

Rin, mentre si massaggiava il naso, alzò lo sguardo e lo vide, impassibile come sempre.

-Credo che lei non mi abbia sentito bene l’ultima volta, Sesshomaru-sama! Io non sopporto questo nomignolo in bocca ad un demone-

-Ma è quello che sei- ribattè lui.

-Non sto dicendo di non essere un’ umana, dico solo che è il modo in cui lei lo usa che mi da sui nervi- sbottò Rin, visibilmente offesa.

Sesshomaru alzò un sopracciglio, indeciso. Non sapeva se quell’insolenza gli piaceva su di lei o se non fosse meglio sollevarla da terra per il collo come aveva fatto con Inu-Yasha qualche settimana prima.

Rin, invece, avrebbe tanto voluto capire cosa diavolo gli passasse per la testa: era un essere indecifrabile. Si chiese se anche la sua stessa madre non si trovasse in difficoltà di fronte a quel figlio-sfinge.

Ad ogni modo non lo sopportava, questo era chiaro.

Quanto ai suoi sogni, ancora nessuna traccia.

In men che non si dica, il giorno dello spettacolo era arrivato. La mattina era cominciata insolitamente presto: si era svegliata prima del trillo della sveglia. Niente risvegli bruschi, almeno per una volta. Si chiese che ore fossero, controllò la luce che filtrava dalla finestra e pensò che dovessero essere più o meno le sei del mattino. Si concesse qualche minuto in più sotto le coperte, poi, poiché l’agitazione la stava attanagliando, si alzò e aprì la finestra. La luce del sole era ancora fioca, pallida mentre la natura intorno a lei dormiva ancora, incurante del fatto che di lì a poco sarebbe cresciuta in fretta. L’aria era fresca e accarezzava il viso della dolce Rin delicatamente. Chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni quella brezza.

Doveva ammetterlo, non poteva essere giorno più bello quello.

Andò in cucina a preparare la colazione, ormai era diventata grande e sua nonna molto anziana: sarebbe stata lei a farle una sorpresa.

Trafficò con i vari utensili in cucina e quando un’ora dopo Kaede si svegliò, trovò sua nipote intenta a sistemare pietanze e piatti sul tavolo.

Le sorprese però non erano finite quella mattina: mentre Rin si sistemava per recarsi a teatro, qualcuno bussò alla porta.

Quando aprì la porta non potè credere ai suoi occhi: una cascata di stelle filanti e coriandoli la investirono, così come un coro di voci che urlava “Buon compleanno, Rin!”. Le ci vollero alcuni minuti per riprendersi e capire chi fossero quel gruppo di persone, poi li vide: i ragazzi della compagnia.

Erano lì, sulla soglia di casa sua, tutti presenti, compresi Kagome ed Inu-Yasha.

-Buongiorno, festeggiata!- urlò Ayame saltandole addosso.

-La nostra piccola Rin diventa adulta- gracchiò Jakotsu con il suo solito tono femminile.

-Non potevamo non festeggiarti- esclamò Sango, la quale portava in mano una scatola di cartone con su stampato il logo di una pasticceria.

Rin sentì gli occhi pizzicarle, non sapeva come altro esprimere la sua gioia, le parole non le venivano in mente, sembrava come se la lingua fosse attorcigliata. Scoppiò in lacrime, biascicando un impercettibile “grazie”.

-Su, non c’è bisogno di piangere- le disse Miroku dandole delle pacche sulla spalla.

Solo quando si fu ripresa, li invitò ad entrare.

La torta che le avevano comprato era alle fragole ed era a dir poco deliziosa, ma forse era talmente felice che avrebbe potuto mangiare anche cemento armato e le sarebbe piaciuto lo stesso.

-Allora, come ci si sente ad essere un anno più vecchia?- le chiese un sorridente Kohaku.

-Esattamente come ieri- fu la risposta di Rin, mentre trangugiava un grosso pezzo di torta.

Dopo un po’ Kagome prese parola:- Allora, siete pronti per questo spettacolo?-

Tutti gli attori si guardarono, incerti se dare una risposta sincera o meno. C’era nell’aria come la paura di dire la verità, temevano che potesse rovinare quell’atmosfera di festa.

-Carichi ed entusiasti lo siamo… il punto è che temiamo qualche… ehm… imprevisto- rispose Miroku per tutti.

Non ci volle molto per capire a cosa si stesse riferendo il ragazzo: benchè in quell’ occasione fosse ancora a New York, Inu-Yasha era stato messo al corrente del fatto che Sesshomaru avesse cercato di mettere in cattiva luce la loro compagnia e la loro sensei in primis.

-Puoi dirlo, Miroku, non mi offendo per questo. È inutile dire che io non c’entro niente con mio fratello e se potessi trovare un modo per fermarlo lo farei…- disse uno sconsolato Inu-Yasha. La reazione di Kagome non si fece attendere: subito gli posò una mano sulla sua e gli sorrise dolcemente.

-Ehi, Kagome, non fare la smorfiosa con il mio Inu-Yasha!!!- tuonò Jakotsu, riportando l’allegria nel gruppo.

Non si accorsero nemmeno dello scorrere del tempo e fu Bankotsu a riportare i suoi amici alla realtà.

-Sarà meglio andare, si sta facendo tardi!-

E tutti corsero in direzione del teatro.

 

***

-Penso che potrei morire in questo preciso istante- sussurrò una terrorizzata Ayame mentre spiava da uno spiraglio del sipario la gente che stava prendendo posto in platea.

-Non sei d’aiuto!- le disse Hakudoshi, ormai spazientito dall’atteggiamento ansioso della ragazza.

Lo spettacolo era stato pubblicizzato con molta insistenza, Midoriko aveva fatto leva sulle sue conoscenze.

Dopo che Sesshomaru e Naraku le avevano tirato quel colpo basso, aveva avuto il tempo necessario per riprendere le forze e mettere su un piano d’azione efficace. L’articolo dell’ultima volta aveva portato con sè delle ripercussioni: le iscrizioni erano calate, non di molto, ma erano comunque di meno rispetto alla norma.

Aveva lavorato d’anticipo quella volta, si era protetta le spalle.

In più voleva mostrare a quante più persone possibili il talento dei suoi allievi, se lo meritavano. Sapeva che Tsubaki aveva scritto un articolo come quello sotto un lauto compenso, altrimenti non si spiegava la ferocia con cui attaccava dei giovani attori in erba e semi sconosciuti.

Quello spettacolo sarebbe stato anche il loro riscatto. Nutriva una profonda fiducia, se aveva assegnato loro un testo come quello era perché era più che sicura che sarebbero riusciti a creare uno spettacolo degno di quel nome.

Midoriko si trovava nella sala audio e stava istruendo il tecnico sui tempi da seguire durante la rappresentazione, quando li vide: Sesshomaru e Naraku.

Ma quella volta non erano da soli, entrambi erano accompagnati dai loro padri.

Le labbra rosse le si incurvarono leggermente, in un sorriso ironico: chiunque nel mondo dello spettacolo sapeva la rivalità che scorreva tra Inu No Taisho e Ryokotsusei. Chissà, forse dopo la loro commedia sarebbe stato possibile assistere ad un altro tipo di spettacolo.

“Che la mia battaglia abbia inizio” pensò soddisfatta Midoriko per poi andare a salutare i suoi finanziatori.

Anche Kagome ed Inu-Yasha avevano preso posto, lontani da Sesshomaru e suo padre.

-Inu-Yasha, non vuoi andare a salutare tuo padre?- chiese Kagoeme, guardando i due uomini da sopra la spalla del ragazzo, il quale a quella domanda sbuffò leggermente.

-Non è necessario- rispose, eludendo la domanda.

Kagome si chiese che razza di rapporto ci fosse tra lui e Sesshomaru. Alternava dei momenti in cui si stupiva dell’astio che c’era tra i due ad altri momenti in cui capiva perfettamente come potesse sentirsi l’hanyou. Non c’era niente di diverso da quello che provava con sua sorella Kikyo, la perfetta Kikyo.

Presero posto vicino a Kaede e Jinenji accompagnato dalla burbera madre, i quali ormai formavano un terzetto bizzarro ma simpatico a vedersi.

-A quanto pare tuo fratello è stato più furbo di te ed ha stretto amicizia con la nipote di Midoriko- disse Inu a suo figlio maggiore, qualche fila più dietro.

Lo youkai non raccolse la provocazione, altrimenti avrebbe volentieri rotto qualche sedia, ma mantenne la calma e rispose:-Reputi quel mezzo demone così intelligente? Non pensa minimamente all’azienda o a quel dannato libro che vuoi con tanta foga-

Non ottenendo una risposta, Sesshomaru capì di aver fatto centro.

Ma dopo poco suo padre disse:-Magari in un futuro la sua amicizia con quella ragazza potrà tornarci utile, nel caso in cui tu non riuscissi ad ottenere nulla-

-E tu credi davvero che io non riuscirò ad averlo prima di allora?-

Nessuno dei due nominò la presenza dei rivali di sempre nel teatro, stavano cercando di prepararsi allo scontro verbale che sarebbe seguito a fine spettacolo.

Ma la mente di Sesshomaru era attraversata anche da un altro pensiero: chissà quella piccola umana come sarebbe stata sul palco quella volta. Sentiva un leggero formicolio alla bocca dello stomaco. Che fosse agitazione?

Nemmeno lui sapeva spiegarsi la natura di quella sensazione, ancora una volta si trovava del tutto sprovvisto di risposte. Sapeva per certo che quella ragazzina era un soggetto che lo incuriosiva tantissimo, cosa rara per un essere come lui, che dava importanza a poche cose nella vita e in questa categoria era impensabile pensare di infilarci un umano. Eppure lei era come una piccola calamita. Inoltre era divertente vederla prendersela quando lui la chiamava “ningen”, assumeva un’espressione buffa a detta sua.

Doveva ammettere però che sul palco si trasformava completamente: diventava un’altra persona, cambiava atteggiamento, modo di parlare e di muoversi. Quando l’aveva vista per la prima volta, sembrava davvero un folletto uscito da qualche libro di fiabe per bambini: così eterea, irriverente e leggera, quando saltava pareva volasse.

Era curioso di vedere come avrebbe interpretato il ruolo della simpatica cameriera.

Si sistemò meglio sulla poltrona ed attese paziente che lo spettacolo iniziò.

Poi le luci si abbassarono e il sipario si aprì.

Lo spettacolo aveva inizio.

 

***

 

-Io, signora, ma che qualcuno mi fulmini se dico bugie. Non so proprio di cosa il signore stia parlando- disse Rin rivolta a Sango.

La ragazza sentiva le risate delle persone alle sue entrate ed alle sue battute. Era gratificante come sensazione.

Doveva ammettere che si era divertita da morire a studiare il personaggio di Toniette, l’insolente cameriera del malato immaginario. Molte delle scene erano con Miroku, ma anche con Ayame e Koga.

Dietro le quinte gli altri attori seguivano con attenzione i movimenti dei compagni sul palco, in particolare Kanna. Con una mano appoggiata alla parete analizzava dettagliatamente ogni movimento di Rin. Si vergognava ad ammetterlo, ma la gelosia che si era sforzata di reprimere era sgorgata prepotentemente, più forte di prima. Non era solo per Kohaku, ma anche a causa della recitazione. Sempre i ruoli più belli, quelli che desiderava lei.

Poteva ignorare quel sentimento quante volte le pareva, ma trovava sempre un modo per farsi notare.

Eppure ci aveva provato, aveva fatto uno sforzo per far finta che tutto fosse come sempre tra lei e Rin, ma la realtà dei fatti era ben diversa.

Kanna strinse istintivamente il pugno della mano sinistra attorno alla stoffa del suo costume di scena.

Gli occhi le pizzicavano, ma fece di tutto per ricacciare le lacrime.

Dall’altra parte delle quinte Hakudoshi osservava attento ogni movimento di Kanna.

 

***

 

Il suono scrosciante dei battiti di mani del pubblico gonfiò il cuore di Rin. Lo spettacolo era finito e gli attori erano sul palco per i saluti finali. Stringeva la mano dei suoi compagni e, come voleva la tradizione, si inchinava a mo’ di ringraziamento.

Era felice, estatica, eccitata. Era un ciclone di emozioni.

Per la prima volta vide bene il volto di alcuni spettatori: notò lo sguardo dolce della nonna, l’espressione entusiasta di Kagome affiancata dal buon Jinenji.

Vagando qualche fila più in là notò anche un altro tipo di sguardo: freddo e immobile.

Sesshomaru era lì, con la sua presenza silenziosa. Chissà cosa pensava di lei come attrice.

Improvvisamente si domandò se fosse presente anche quell’ammiratore, colui che le aveva mandato i garofani bianchi. Una piccola parte del suo cuore sperò proprio di sì.

Quando il sipario si chiuse definitivamente, tutti i ragazzi si lasciarono andare ad abbracci collettivi, travolti da un’ondata di entusiasmo e di adrenalina.

Si cambiarono velocemente e si tolsero il trucco dalla faccia, troppo pesante sulla pelle.

Rin era al settimo cielo. Niente, secondo lei, poteva andare storto quel giorno, che stava anche per terminare.

Ma non sapeva che quella sera sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe dato il via ad un cambiamento nella sua vita.

 

 

Buongiorno a tutti voi, miei cari lettori. Questa volta sono stata più che veloce, consideratelo come una sorta di regalo di Pasqua. L’ispirazione ha preso il sopravvento (oltre al tempo libero che in questi giorni è stato davvero tanto) ed ho deciso di postare il nuovo capitolo per darvi una gioia (almeno spero che sia così!).
Come abbiamo visto molte cose stanno succedendo, ma la strada è ancora lunga e a questa piccola autrice piace inerpicarsi su sentieri tortuosi, ergo ci saranno ancora tanti, ma tanti capitoli. Ho deciso di dividere in due parti questo perché mi ero resa conto che sarebbe stato troppo lungo per voi lettori… e poi volete mettere il gusto di lasciarvi un po’ con il fiato sospeso, mentre immaginate cosa possa accadere? Ma, tranquilli, non sono così sadica e cercherò di completare la seconda parte (già in fase di elaborazione) il prima possibile.

Ringrazio di cuore le persone che hanno commentato il capitolo precedente, mi riempite il cuore di gioia.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

 

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 9
*** Il compleanno di Rin, seconda parte ***


CAPITOLO 9- Il compleanno di Rin- seconda parte

 

Midoriko, nonostante tutto, si sentiva ancora inquieta. I ragazzi avevano dimostrato, ancora una volta, di aver svolto un ottimo lavoro, i loro sforzi erano stati ricompensati. Eppure qualcosa, una sensazione flebile, non la faceva stare del tutto tranquilla.
Ma in quel momento non poteva fare altro che cercare di ignorare quel piccolo campanello di allarme e, con passo sicuro, si avvicinò ai suoi avversari. Quel giorno non erano due, ma ben quattro.
Ed eccoli lì, tutti schierati, in attesa che lei arrivasse.

-Ancora una volta mi sorprendete: non credevo di essere così importante da scomodare persino Inu No Taisho e Ryojotsusei Onigumo. Questa sì che è una bella sorpresa- rise Midoriko, raccogliendo a sé tutte le forze.

Prese parola come sempre Naraku, beffardo ed insolente:- Non ci saremmo mai persi questo spettacolo, per niente al mondo-
 A quelle parole non solo Midoriko, ma Sesshomaru stesso avrebbe voluto aprirgli la testa come si fa con un melone. Dannato, irritante mezzo demone.
La donna non disse nulla, non voleva raccogliere quella provocazione.
Poi Inu No Taisho decise di usare le maniere dolci, prese la mano di Midoriko e le face il baciamano:- Vederla è sempre un piacere, Midoriko-sama-

-Vedo che almeno qualcuno ogni tanto si ricorda delle buone maniere. Devo dire che suo figlio non ha proprio preso niente da lei- rispose lei, poi continuò rivolta a tutti e quattro- Cosa devo aspettarmi questa volta?-
Fu la volta di Ryokotsusei, non poteva permettere che il suo rivale di sempre potesse emergere più di lui:- Assolutamente niente, cara signora. Siamo solo interessati alla compagnia, sappiamo che vuole istruire per bene i suoi allievi-
Midoriko si voltò verso di lui. Così come per i figli, i due padri non potevano essere più diversi, ma non solo a livello caratteriale, la cosa si estendeva anche a livello fisico: se Inu No Taisho era ancora un uomo, anzi un demone, piacente, dai lineamenti eleganti e il portamento fiero, al contrario Ryokotsusei sembrava riflettere il marcio della sua anima. Ne studiò la fronte perennemente corrugata, il viso attraversato da decise rughe e lo sguardo spietato, affilato, come quello di un rettile.

-Allora spero che lo spettacolo sia stato di vostro gradimento-

-Senza ombra di dubbio. I suoi attori sono così bravi che anche il più giovane dei miei figli è venuto qui oggi- rispose subito il grande demone cane. Quella era una battaglia silenziosa tra lui e Ryokotsusei, non voleva perderla.

Midoriko si accorse del duello verbale e dentro di sé si sentì soddisfatta, almeno per poco.

-Inu-Yasha è sempre il benvenuto tra i miei ragazzi. Credo che i convenevoli siano durati abbastanza, vogliate scusarmi ma devo complimentarmi con i miei allievi- girò i tacchi e se ne andò.
I quattro rimasero lì. Inu e Ryokotsusei si scambiavano occhiate di fuoco.
-Vedo che nonostante tutto la nostra preda non ha ancora ceduto- disse pungente Ryokotsusei.
-Non è detto che prima o poi non lo faccia- rispose l’altro.
Si strinsero la mano, massima espressione della cordialità e poi entrambi se ne andarono.
-Allora è vero: tuo fratello è stato più furbo di te ed è riuscito a conquistare i favori della No Tama- e mentre pronunciava tali parole, Naraku aveva un sorriso stampato sulla faccia.

Sesshomaru strinse forte i pugni.
-Come se questo fosse un passo più vicino al “Sengoku Monogatari”. Non ho ancora capito cosa hai in mente questa volta…-
-Lo capirai presto- lo informò il mezzo demone.
-Sarebbe meglio lasciarle credere di aver vinto questa volta- suggerì Sesshomaru.
-E da quando sei diventato così buono?- e se ne andò anche lui lasciando lo youkai da solo.
Nel frattempo, mentre in platea si stava  svolgendo questa scena, negli spogliatoi i ragazzi festeggiavano lo spettacolo e, nuovamente, il compleanno di Rin.
L’euforia aveva contagiato tutti, compresa nonna Keade, Jinenji e sua madre, i quali avevano raggiunto i ragazzi per complimentarsi con loro, seguiti da Inu-Yasha e Kagome.

-Un brindisi a tutti noi!- gridava Miroku, con un bicchiere di succo in mano.
-Kanpai!- fu la risposta corale.
Rin tracannò tutto il contenuto del suo bicchiere.
-E ancora una volta, buon compleanno Rin!- gridò poi Kohaku, attirando l’attenzione sulla ragazzina. Lei arrossì, d’istinto.
Si sentiva la settimo cielo. Niente avrebbe potuto rovinare una bella giornata come quella.
Ma non sapeva che la Vita, a volte, si diverte a ribaltare le cose. E infatti, nonostante la giornata stesse per volgere al termine, le sorprese non erano ancora finite: all’improvviso, in mezzo al gruppo, si sentì il rumore sordo di un bicchiere che viene lasciato cadere sul pavimento. E poi dei rantolii, una voce che, invano, annaspava in cerca di aria, in cerca di aiuto.
Durò tutto pochissimo, ma a Rin parvero ore.

Si girò e vide il volto della nonna livido, la faccia imprigionata in un’espressione di terrore, una maschera inquietante. La bocca si apriva e chiudeva ripetutamente in cerca di ossigeno, gli occhi, terrorizzati, fissavano un punto fisso nel vuoto e la mano si toccava il petto, stringendolo con tutta la forza che possedeva.

-Nonna!- urlò Rin, gettandosi su di lei.
Tutti gli altri pietrificati.
-Nonna, che succede?- chiese supplichevole la ragazzina con gli occhi irrorati di lacrime.
In quel momento entrò Midoriko, la quale si concesse qualche secondo per capire la situazione, poi disse ad alta voce:-Qualcuno chiami un’ambulanza!-
Kagome scattò subito al suono di voce della zia e corse fuori dai camerini per poter chiamare il numero di emergenza. Inu-Yasha la seguì a ruota.
Sesshomaru, che era rimasto in platea, notò il trambusto che si stava scatenando dietro le quinte e quando vide Inu-Yasha seguire la nipote della signora Midoriko, lo afferrò con la mano artigliata, in modo da non farlo scappare.

-Che sta succedendo?- chiese senza tanti preamboli.

-La nonna di Rin, sta male…- rispose il mezzo demone, ancora piccato per quello che era avvenuto settimane prima tra loro due. Non avevano avuto modo di chiarirsi, ma Inu-Yasha sapeva che una prospettiva del genere da parte di suo fratello era totalmente da escludere.
Sentiva il suo braccio ancora stretto dalla sua mano e con un movimento brusco, si liberò per poter raggiungere Kagome.
E proprio mentre Inu-Yasha stava per sparire oltre la grande porta scura, Sesshomaru lo sentì.
Sentì l’odore delle lacrime disperate di Rin.

 

 

***

 

Rin non si sentiva più le gambe. I muscoli erano indolenziti per colpa di tutte quelle ore seduta sulle scomode sedie di plastica del pronto soccorso. Gli occhi erano gonfi e rossi, poggiava la testa braccia, come se fosse intenta a recitare una silenziosa e disperata preghiera.
Le era difficile in quel momento ripercorrere momento per momento tutto quello che era successo dopo che aveva visto sua nonna accasciarsi per terra.
Ricordava vagamente le voci preoccupate dei suoi amici: Kohaku che cercava di consolarla, Sango e Miroku che ordinavano a tutti gli altri di spostarsi per non aggravare la situazione e la sua sensei che ordinava a qualcuno di chiamare un’ambulanza.
Chi aveva eseguito quell’ordine? Forse Kagome… sì, doveva essere stata lei. Ma Rin non poteva esserne sicura al cento per cento: in quel momento era nella confusione più totale. Vedere la nonna in quello stato l’aveva sconvolta, molto di più di quanto immaginasse.
Non sapeva di preciso quanto tempo fosse passato, rivedeva nella sua mente lo staff paramedico che entrava nel camerino e con velocità professionale prendeva sua nonna per issarla sull’ambulanza.

-Dobbiamo andare con lei all’ospedale- aveva balbettato lei, con il volto rigato dalle lacrime che ancora non ne volevano sapere di fermarsi.

Stava seguendo la barella su cui Kaede era stata adagiata lungo tutto l’edifico, passò anche attraverso la platea, non accorgendosi della presenza di Sesshomaru.
Quando fu fuori, sentì la voce di uno dei paramedici dirle che non avrebbe potuto salire sull’ambulanza con loro, ma le comunicò il nome dell’ospedale più vicino dove l’avrebbero portata.

-Ti ci porto io- disse poi una voce di fianco a lei. Rin si era voltata ed aveva incrociato lo sguardo di Sesshomaru. Non si era nemmeno accorta che lui fosse ancora lì.
In quel momento non le importava che lui fosse una delle persone che forse odiava di più al mondo, si sentiva grata di avere qualcuno che stesse cercando di aiutarla.

-Io… io…- si ritrovò a balbettare. Non si era ancora ripresa dallo shock.

Ancora una volta fu Midoriko a prendere in mano la situazione. Si avvicinò alla sua allieva, le posò una mano sulla spalla e lei disse con voce calma ma ferma:- Rin, vai in ospedale con Sesshomaru. Noi ti raggiungeremo dopo-

-Va… va bene…- soffiò la piccola.

-Aspetta, Sesshomaru- urlò poi Inu-Yasha, rivolgendosi al fratello, il quale si voltò verso di lui leggermente scocciato:- veniamo anche io e Kagome con voi-
E così, più veloce che potevano, tutti e quattro si erano sistemati nella macchina di Sesshomaru e si erano diretti verso il pronto soccorso.
Inu-Yasha aveva occupato il posto di fianco al guidatore, mentre Rin e Kagome dietro.
Nell’abitacolo nessuno dei passeggeri proferiva parola, il silenzio era interrotto dai singhiozzi timidi di Rin. Kagome cercava come meglio poteva di consolarla, abbracciandola ed accarezzandole la testa e sussurrandole che tutto si sarebbe risolto.
Sesshomaru, invece, non staccava gli occhi dalla strada. Sentiva chiaramente l’odore di paura che la piccola ningen emanava e si era sorpreso qualche volta nello spiarla dallo specchietto retrovisore: in quel momento appariva così fragile ed indifesa, come tutti gli esseri umani del resto. Non sapeva perché ma ancora una volta non comprendeva la natura di quella preoccupazione che sentiva salirgli dalla bocca dello stomaco.
Una volta arrivati, si precipitarono all’interno dell’edificio e Sesshomaru andò a chiedere informazioni, poiché Rin era troppo scossa per poter parlare con qualcuno.

E dal quel momento in poi il tempo era passato lentamente.
Dopo un’ora di pianto, Rin era riuscita a calmarsi e come promesso la signora Midoriko l’aveva raggiunta.
-Tutti gli altri erano preoccupati per te, volevano venire a tutti i costi ma li ho convinti a desistere da questo intento. Non hai bisogno di troppa gente intorno- le disse la sensei, prendendo posto di fianco a lei.

Rin le sorrise grata senza dire altro.
Controllò l’orologio, erano le 23.
Poco prima era riuscita a parlare con uno degli infermieri, il quale le aveva detto che per il momento non poteva la nonna, ancora sotto osservazione. L’aveva rassicurata però dicendole che stava meglio e aspettavano di vedere come avrebbe affrontato la notte.
Nonostante le avessero detto di andare a casa, lei non aveva intenzione di muoversi: non se la sentiva di dormire.
Era seduta tra Kagome e Midoriko, mentre Inu-Yasha e Sesshomaru si trovavano in disparte in piedi.
-Rin, forse è il caso che tu riposi un po’… non puoi stare qui tutta la notte- cercava di convincerla Kagome dolcemente. Ma la diretta interessata scosse la testa risoluta.

-No! Resterò qui fino a che mia nonna non si sveglierà. Voi andate pure, anzi non vi ho ancora ringraziato per quello che avete fatto per me-
-Ma non puoi rimanere qui da sola- ribattè Kagome.
-Resterò io con lei- disse poi una voce alle loro spalle.
Le tre donne sedute alzarono lo sguardo e videro la figura di Sesshomaru stagliarsi contro di loro.
Rin sentiva di non avere le forze per mettersi a protestare, non era quello il caso e non ne aveva nemmeno voglia. Midoriko piegò la testa di lato, meditabonda: non si fidava di Sesshomaru, non dopo il colpo basso che le aveva tirato, ma qualcosa le suggeriva che in quell’occasione poteva affidare la sua preziosa allieva nelle sue mani. Lei, in aggiunta a ciò, era troppo affaticata per poter resistere tutta la notte fuori casa: le sue stesse condizioni di salute non glielo avrebbero mai permesso e doveva agire in maniera egoistica, anche per il bene di Rin.
Kagome, al contrario, era rimasta a bocca spalancata: non si aspettava uno slancio di altruismo da parte di Sesshomaru, quel fratello che non era capace di dimostrare ad Inu-Yasha un briciolo d’amore… possibile che avesse un cuore?

-Rin- la chiamò lei- Se vuoi resto io con te…- suggerì Kagome.
-Siete due minorenni, avreste comunque bisogno della presenza di un adulto- la interruppe Sesshomaru.
Rin abbassò la testa per riflettere, poi disse:- Kagome, vai pure a casa. Sesshomaru-sama ha ragione-
Era dura da ammettere.

-Riaccompagniamo noi Inu-Yasha a casa- disse poi Midoriko prima di congedarsi.
Come se per Sesshomaru fosse un problema come sarebbe tornato a casa quel mezzo demone.
Rin salutò tutti, ringraziandoli ancora una volta, poi tornò a sedere. Il tempo di guardarsi intorno che già lo youkai era sparito. La ragazza rimase sbigottita… ma che razza di comportamento era quello? Prima si proponeva di farle compagnia e poi spariva così, come se niente fosse.
Quell’essere sarebbe rimasto un mistero per lei.
Era ancora assorta nei suoi pensieri quando sentì l’aria muoversi leggermente di fianco a lei e Sesshomaru materializzarsi magicamente con un sacchettino in mano. Glielo porse e lei lo prese senza fiatare.
Quando lo aprì video dentro una scatolina di plastica trasparente con all’interno due onigiri.

Rin si voltò in cerca di risposte.

-Dovrai pur mangiare qualcosa- rispose lui.
Ora che ci pensava, non aveva messo nulla sotto i denti da quel pomeriggio, cioè poco prima dello spettacolo e il suo stomaco glielo stava ricordando in quel preciso momento. Balbettò un “grazie” e poi si avventò sulla sua cena. Forse era per il lungo digiuno o perché quegli onigiri erano stati ben cucinati, ma li trovò deliziosi, talmente appetitosi che li finì in pochi minuti.
Nel frattempo Sesshomaru, sempre di fianco a lei, non aveva smesso di osservarla nemmeno per un secondo con la coda dell’occhio: era comunque buffa, sotto certi aspetti.
-Ti è rimasto un chicco di riso sulla faccia- disse poi istintivamente, senza pensarci troppo ed allungando una mano per pulirla.

Rin venne colta alla sprovvista e si ritrovò la mano artigliata di Sesshomaru all’angolo della bocca. Quel contatto improvviso la fece arrossire e di nuovo venne investita da una serie di emozioni strane, che aveva già provato, come quella volta a Natale, quando lui le aveva rimesso la sciarpa addosso. Anche lui si ritrovò sorpreso di quel misero contatto e delle sue conseguenze e ritirò subito la mano, quasi non avesse voglia di trovare l’ennesima risposta poco soddisfacente a quelle reazioni sconosciute.
-Mi dispiace molto disturbarla, immagino che avesse programmi migliori per questa sera- disse poi Rin, quando il rossore sulle guance le fu passato.
-Non avevo nessun programma particolare-
Che fosse il suo modo per dirle che non gli stava causando fastidio? Poteva anche essere così. La piccola sapeva che da lui pretendere una risposta più articolata e dettagliata era come chiedere a Miroku di non guardare una ragazza.
-Come passa le sue giornate? Dopo il lavoro intendo-
Il demone sollevò un sopracciglio, sorpreso ma senza darlo a vedere. Ma che razza di domande gli faceva quella cucciola d’uomo?
-Visto che dobbiamo stare qui, tanto vale parlare un po’- si giustificò lei, quasi avesse compreso lo stupore di lui.
-Non sono un tipo da molte parole-

Rin rise appena.

-Me ne sono accorta. A me, invece, piace molto parlare, mi fa stare in pace. A quanto pare sono sempre stata una chiacchierona, fin da piccolina. La mamma mi diceva sempre che da neonata non la smettevo di gorgheggiare-
-E dov’è ora tua madre?-
-Ci ha lasciati qualche anno fa per colpa di un tumore. Mio padre non l’ho mai conosciuto, anche lui se n’è andato parecchi anni fa ma prima che io nascessi. Siamo rimaste solo io e mia nonna- disse la piccola con mestizia.
Sesshomaru rimase in silenzio.
-Lei è fortunato- disse poi la ragazzina- Ha un padre, una madre ed un fratello…-
-Fratellastro- la interruppe lei, lapidario.
Rin sbattè gli occhi ripetutamente.
-Che differenza c’è? Condividete lo stesso sangue…-
-è proprio quello il problema- continuò.
Lo osservò attentamente: non una ruga, non un’espressione. Era davvero indecifrabile.
-Come preferisce- disse poi arrendevole.

Il silenzio fece loro compagnia per qualche minuto. Ogni tanto qualche infermiere passava davanti a loro.
Poi Rin riprese fiato e continuò:- Spesso mi è capitato di fantasticare su chi fosse mio padre. Mi sono sempre chiesta che tipo fosse, se fosse un tipo simpatico e chiacchierone come me o magari silenzioso, come lei-
Il tono con cui lo disse era dolce, senza la minima ombra di astio nei suoi confronti.

Sesshomaru fu colpito da quel tono, gli ricordava qualcosa…

 -Il signor Sesshomaru è sempre stato buono e gentile-

Una voce infantile, dolce, ingenua, candida.

 Era una voce remota, persa in un angola della sua memoria che gli tornava in mente in quell’istante. Ma questo non aveva senso: lui ricordava benissimo ogni singolo momento della sua vita fino ad allora grazie alla sua natura demoniaca. Come era possibile che ci fossero ricordi che lui ignorava?
Osservò con i suoi occhi d’ambra Rin: il sorriso dolce, gli occhi ancora leggermente rossi per via del pianto disperato di prima, le ciglia umide. Gli ricordava qualcuno.
Qualcuno d’importante.
-Ho sempre invidiato le mie amiche, come Kanna ad esempio, perché loro avevano un papà. Molte volte ho pensato che in realtà fosse ancora vivo, ma se così fosse allora vorrebbe dire che ignora la mia esistenza, altrimenti sarebbe venuto a cercarmi perché, diciamolo, che razza di genitore abbandonerebbe suo figlio?-
Era un fiume in piena, però Sesshomaru non si sentiva infastidito.
Rin, dal canto suo, si sentiva perfettamente a suo agio a parlare con lui, nonostante tutto. Parlare l’aiutava a non pensare ed era quello di cui aveva bisogno in quel momento.
Si stiracchiò leggermente le gambe, poi si sistemò meglio sulla sedia.

-Però ho sempre avuto la nonna che ha cercato di prendersi cura di me, non ha mai cercato di farmi mancare nulla. E poi ho sempre la recitazione: è la mia passione da sempre. Spesso mi mettevo ad improvvisare melodrammi visti in TV davanti mia mamma e mia nonna. Ero molto buffa- rise lei portandosi una mano davanti alla bocca.
Mentre parlava Rin avvertì un brivido di freddo salirle lungo la colonna vertebrale, per poi emettere uno starnuto. “Accidenti” pensò “fa freddo qui” mentre si stringeva le braccia intorno al corpo.
Qualcosa di pesante si posò sulle sue spalle, un odore pungente le punzecchiò le narici. Si voltò e vide il cappotto nero di Sesshomaru su di lei. Era stato velocissimo, perché non si era accorta di nulla.
Lui non disse nulla, se ne stava seduto come se niente fosse mentre continuava ad osservare un punto lontano.
Rin si ritrovò grata e felice per quel piccolo gesto: si sistemò il cappotto sulle spalle e bisbigliò un “grazie” leggermente imbarazzata.
Non ci furono altre parole nei minuti successivi, poi alzò lo sguardo verso l’orologio nel corridoio e vide che la mezzanotte era già passata, così come il suo compleanno.
-Speravo di chiudere in bellezza il mio quattordicesimo compleanno, ma forse sarebbe potuto andare peggio- disse lei mentre il sonno prendeva il sopravvento e la testa pendeva verso la spalla del demone.
Non si accorse nemmeno di stare per addormentarsi. Sesshomaru, quando sentì quella leggera pressione sulla spalla, si girò verso la ragazza: dormiva beata, profondamente. Doveva essere distrutta: il compleanno, lo spettacolo, il ricovero della nonna. Tante emozioni che l’avevano scossa.

I capelli di Rin risplendevano sotto il riflesso delle tristi luci dell’ospedale, come se riuscisse a rallegrare qualsiasi posto solo con la sua presenza.
Nessun fastidio lo stava disturbando, si sentiva bene.
Non si mosse per non svegliarla.

Passò la notte in compagnia di quello scricciolo di un’umana.

 

 

Salve a tutti! Chiedo scusa per il tempo passato tra un capitolo e l’altro ma sono stata parecchio occupata e il tempo per scrivere scarseggia.
Comunque, come avete avuto modo di leggere, i nostri due protagonisti hanno avuto modo di conoscersi meglio.
Spero vi sia piaciuto il nuovo capitolo.
Fatemi sapere che ne pensate!

 A presto,

 

Sophie Ondine

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Kikyo ***


CAPITOLO 10- Kikyo

 

 Rin aprì gli occhi a causa della luce del mattino che filtrava dalle grandi finestre dell’ospedale. Ci mise un po’ per mettere a fuoco l’ambiente circostante: le pareti bianche e spoglie, una serie di sedili davanti a lei, il vociare di sottofondo. All’improvviso si ricordò di quello che era successo la sera prima e della nonna.
Si sentì assalire da una morsa carica di tristezza. Sperava vivamente di poter tornare a casa con la nonna e dimenticare quella notte.
Mentre pensava tutto questo non si accorse della presenza del demone di fianco a lei.
-Ti sei svegliata- constatò Sesshomaru senza battere ciglio. Rin fece un balzo sulla sedia dallo spavento: non si era minimamente accorta di lui, così silenzioso.
La ragazzina alzò lo sguardo verso l’alto e vide la linea del mento del demone, seguita da quella del naso affilato e della bocca severa.
Continuò a fissarlo per un po’, come se fosse sorpresa.
E così come era successo altre volte, anche in quell’occasione il lampo non tardò ad arrivare: quella confortante sensazione di aver già osservato quei lineamenti in quel modo.

 “Non mi lascerete qui per sempre, vero? Voglio tornare a viaggiare con voi”

Sesshomaru, dal canto suo, si girò anche lui in direzione di quella buffa umana e la fissò con gli occhi ambrati, quasi sorpreso.
Rin si accorse della loro posizione, con la sua testa ancora incastrata nella sua spalla: arrossì violentemente e subito si sistemò in posizione eretta sul sedile. Con la scusa di essersi appena svegliata, si alzò in piedi per poter sgranchire le gambe.

-È rimasto con me tutta la notte…- sibilò Rin, senza voltarsi a guardarlo.

-Volevi stare da sola?- chiese lui senza cambiare tono.
Rin subito si agitò: non voleva sembrare una maleducata, non dopo quello che aveva fatto per lei.

-Non intendevo…-
-Sei minorenne, hai bisogno di qualcuno che ti sorvegli- disse Sesshomaru con voce ferma senza darle l’opportunità di finire la frase.

La reazione di Rin non tardò ad arrivare: l’angolo destro dalla bocca e quello naso si avvicinarono in una smorfia di amarezza.
Insomma, Sesshomaru aveva fatto da baby-sitter quella sera.
 
-Ah… mi scuso per il disturbo, allora- sentenziò Rin acida, ormai del tutto estranea all’imbarazzo che aveva provato prima.
Maledetta lei e quando aveva pensato di poter intravedere in quel demone qualcosa di buono. Non c’era da stupirsi, i demoni erano famosi per l’incapacità di provare amore o compassione.

 Mentre pensava questo, un’infermiera le si avvicinò.
-Signorina, è lei la nipote della signora Damashita?- chiese dolcemente.
Rin si voltò, pronta a rispondere, ma anche questa volta Sesshomaru le impedì di farlo. Si era materializzato al suo fianco.
-Dica pure a me, sono un parente- asserì il demone.
Per la terza volta Rin si trovò sorpresa delle parole di Sesshomaru, ma non ebbe la prontezza di ribattere, forse a causa della stanchezza.
Anche l’infermiera sollevò un sopracciglio, consapevole dell’infondatezza della frase, ma non ebbe il coraggio di dirlo, come se Sesshomaru stesse esercitando silenziosamente un forza per convincere la donna… o forse per incuterle timore.
In ogni caso anche Rin non ebbe la forza di ribattere, tanto si sentiva schiacciata dalla forza dello youkai.

 Vide Sesshomaru che si allontanava con la donna e parlare con altro personale dello staff ospedaliero. Rin sperava che non ci fosse stata qualche complicazione che prevedesse un ricovero lungo: dove avrebbero preso i soldi?
Non si accorse di Sesshomaru che si avvicinava verso di lei e che, con la mano artigliata, la guidava lungo il corridoio.

 -Che cosa hanno detto?- chiese lei mentre camminava e si stringeva il cappotto attorno alle spalle.
-Tua nonna ha bisogno di rimanere in osservazione ancora per un po’. Potrai vederla nel pomeriggio-
-E dove stiamo andando adesso? Io voglio rimanere qui!-
-Non dire stupidaggini. Hai bisogno di riposare come si deve- sentenziò Sesshomaru, mentre la faceva salire sulla sua macchina.

*** 

Quello che avvenne dopo era piuttosto confuso nella mente di Rin: ricordava appena la strada di ritorno verso casa sulla vettura di Sesshomaru, lei che si faceva una doccia veloce per lavare via la tensione e il sudore, le sembrava di aver sentito Sesshomaru parlare al telefono con qualcuno.
In qualche modo aveva indossato dei vestiti puliti e, con i capelli ancora bagnati avvolti nell’asciugamano, era scesa giù in salotto, dove l’attendeva una tazza di thè verde fumante.
Che l’avesse preparata Sesshomaru? Difficile crederci, però quella tazza non poteva essersi materializzata lì sul tavolino come per magia.

Trovò il demone in piedi, vicino alla finestra. Si voltò quando udì il suono dei piedi nudi sul pavimento.
-Ho chiamato la tua sensei, non puoi certo rimanere da sola in questa casa- disse lui senza tanti preamboli.
Rin si andò a sedere sul divano, sorpresa ancora una volta dalla celata gentilezza del demone cane.
Ecco chi era la persona al telefono con lui, si era preoccupato di informare la persona che Rin riteneva tra le più care al mondo.
Sbiascicò un “grazie” per poi prendere tra le mani la tazza di thè verde.

Fu in quel momento che Sesshomaru si voltò appena per poterla osservare mentre sorseggiava, tra un soffio e l’altro, la bevanda calda. La osservò: così piccola e debole, con i capelli bagnati che le ricadevano lungo le spalle, avvolta in una tuta vecchia e consumata. Il viso era struccato, libero dal trucco di scena, troppo pesante per una ragazzina della sua età.
Curiosità.
Era quello che provava in sua presenza.
Strano a dirsi per un demone con più di dieci anni di differenza.
E per di più umana.
Una sudicia volgare umana.
Eppure…
 

“Quando morirò, voi vi dimenticherete di me?”
“Non dire stupidaggini, Rin”

Sesshomaru si portò una mano sulla fronte, per scacciare quel flash, che ormai arrivava puntuale ogni volta in presenza della ragazzina. Anche in sogno. Quella sensazione di familiarità, di aver già vissuto quel momento…
Sensazioni che lui non sopportava, non erano sotto il suo controllo.
Quando si girò nuovamente a guardarla, vide che si era addormentata profondamente.
Si avvicinò lentamente, i capelli che ondeggiavano ad ogni passo.
Prese il suo cappotto e glielo adagiò sul corpo stanco per la seconda volta.

*** 

Rin si risvegliò solo nel tardo pomeriggio e la prima cosa che vide fu il viso di Kagome che la osservava pensierosa.

-Zia, si è svegliata!- urlò l’amica quando gli occhi di Rin incontrarono i suoi.
Ancora non aveva avuto modo di realizzare che fece la sua comparsa nel salotto la figura snella e longilinea di Midoriko, che le sorrise dolcemente.

 -Finalmente ti sei svegliata- le disse accarezzandole una guancia.
-Eravamo così preoccupate per te- urlò Kagome travolgendola in un violento abbraccio.
-Sesshomaru-sama…?- riuscì solo a formulare la piccola Rin, ancora con gli occhi semi aperti e la mente confusa.
-È stato lui a chiamarci quando siete tornati a casa. Ci ha detto che tua nonna dovrà rimanere un po’ di tempo in osservazione, nel frattempo sarai nostra ospite!- esclamò entusiasta Kagome all’idea di passare un po’ di tempo con Rin.
-Ma… ma non posso… disturberei solamente…- farfugliò la ragazzina, visibilmente imbarazzata da quella gentilezza.
-Nessun disturbo, Rin. Kagome ed io siamo più che felici di ospitarti- disse Midoriko.

 La ragazza ringraziò, si sentiva quasi commuovere da tanta gentilezza. Aveva velocemente raccolto tutte le sue cose e poi era salita sulla macchina guidata dal buon Jinenji per attraversare la città verso la sua nuova destinazione.
Era felice di condividere più momenti con Kagome.
Le era stata data una stanza personale, con un letto grande dalle lenzuola fresche. Rin non sapeva cosa dire, si era sentita imbarazzata davanti a quel lusso, lei che era abituata ad un semplice futon.
La sera finalmente aveva potuto abbracciare la sua nonnina, dal viso provato ma sempre dolce con la nipote. Purtroppo l’anziana si trovava in una stanza di ospedale molto grande, bloccata a letto in compagnia di altre sei persone. Rin avrebbe preferito che si trovasse in camera da sola, circondata da più comodità, ma la mancanza di denaro rendeva questo impossibile.
La vera sorpresa arrivò una decina di giorni dopo lo spettacolo: Rin e Kagome stavano svolgendo i compiti sedute al grande tavolo della sala da pranzo, quando Jinenji fece il suo ingresso con in mano un grosso mazzo di garofani bianchi.
Quando Rin li vide, un lampo le attraversò gli occhi nocciola. Si era completamente dimenticata del suo ammiratore, tanto si era trovata in balia degli eventi.
Balzò giù dalla sedia, tutta eccitata, senza nemmeno dare il tempo a Jinenji di dire qualcosa.
Glieli strappò di mano e si affrettò a cercare il biglietto. Nel frattempo Kagome si era portata di fianco all’amica, curiosa anche lei di sapere cosa diceva il cartoncino di carta bianca.

 Con mano tremante Rin aprì la busta e lesse ad alta voce il biglietto:- “Ho avuto modo di vederla recitare anche questa volta e le rinnovo i miei complimenti. Avrei voluto farle recapitare i fiori prima, ma ho appreso tardi la notizia del ricovero di sua nonna. Mi permetta di offrirle un aiuto: mi sono offerto di spostare sua nonna in una clinica di mia conoscenza, in modo da permetterle una guarigione migliore. Le chiedo cortesemente di non chiedere di me. Questo è un regalo che mi sento di farle. Di seguito troverà l’indirizzo della nuova struttura.
Aspetto il suo prossimo spettacolo.
Il suo ammiratore”-

Rin, senza parole, si voltò verso Kagome, la quale le sorrideva estasiata.
-Ma è meraviglioso, Rin. Il tuo ammiratore deve essere una persona eccezionale-

 Una lacrima rigò la guancia della ragazza.
Che persona dal buon cuore doveva essere.

 

***

Kaede era stata dimessa due settimane dopo, con l’ordine assoluto di non sforzarsi.
La vita di Rin era ripresa a scorrere come prima ed ora, alla fine di maggio, si trovava sempre più alle prese con gli esami finali e le nuove prove.
Se per lei le cose si erano sistemate dopo la rappresentazione, questo non valeva per la sua sensei: a pochi giorni dallo spettacolo un articolo aveva fatto la sua comparsa sulle prime pagine dei peggiori rotocalchi.
L’articolo insinuava che la signora Midoriko avesse una relazione con uno dei suo sponsor. Ma non era uno sponsor qualsiasi, l’infame giornalista aveva preso di mira un uomo molto in vista in Giappone, famoso per la sua integrità morale, inoltre sposato da parecchi anni.
Non ci era voluto molto per capire che il promotore di quell’articolo fosse Naraku. Qualche ragazzo della compagnia aveva insinuato che ci fosse anche lo zampino di Sesshomaru, ma non era mai stato detto in presenza di Inu-Yasha. Rin non sapeva cosa pensare: non era difficile dubitare di Naraku, anche in assenza di prove, ma su Sesshomaru proprio non sapeva cosa pensare. Una piccola parte dentro di lei sperava che fosse del tutto estraneo alla vicenda.
L’effetto domino non aveva tardato ad arrivare: molti allievi avevano abbandonato la scuola, così come molti sponsor avevano fatto un passo indietro. Era scontato che anche la vittima diretta si era ritirato da quel sodalizio economico.
-Non è per cattiva fede, Midoriko- aveva detto- Ma non posso compromettere così la mia immagine-
Midoriko era su tutte le furie.
Doveva assolutamente fare qualcosa per risollevarsi. Fu durante un fresco pomeriggio di aprile che ebbe l’idea di iscrivere la sua compagnia ad un concorso di recitazione che si sarebbe tenuto a settembre. Il premio prevedeva una consistente somma di denaro, quel tanto che bastava per potare avanti la scuola per qualche anno, in attesa di altre risorse.
Mettere in scena “Peter Pan” era sembrata la scelta più congeniale alla compagnia.
I ruoli erano stati decisi nel giro di pochissimo tempo: Kohaku sarebbe stato Peter Pan, mentre Rin Wendy, seguiti da Kanna nel ruolo di Thinkerbell.
Midoriko era stata categorica riguardo alle prove: le assenze sarebbero state concesse solo in casi eccezionali.  
Durante una domenica pomeriggio, ovviamente dopo le prove, Rin si era ritrovata a passeggiare con Kagome.
Più il tempo passava, più le ragazze legavano. Si scambiavano confidenze e segreti e più di una volta Rin si era ritrovata a fantasticare con l’amica riguardo l’aspetto dell’ammiratore: secondo Kagome era in realtà una donna, mentre Rin si era convinta che fosse una persona anziana molto gentile.

 In quell’occasione Rin ebbe modo di conoscere qualcosa in più sul conto della sua amica: sapeva che aveva una sorella in Inghilterra, ma raramente la nominava. Si era spesso chiesto che tipo di rapporto avessero, ma non voleva sembrare troppo invadente.
-Kagome, l’altro giorno ho visto un articolo su un giornale: parlava di una certa Kikyo Higurashi… tua sorella si chiama Kikyo, no?-

Nella mente della ragazza si formulò la domanda se avesse mai recitato così male in vita sua. Sapeva che quella Kikyo era per forza sua sorella, non solo per il cognome, ma anche perché faceva menzione dei genitori e, insomma, quante probabilità c’erano che esistessero due Kikyo con lo stesso cognome e gli stessi genitori?
Il volto dell’altra cambiò espressione, come se si fosse spenta all’improvviso. Odiava ammetterlo, ma parlare di sua sorella non era la cosa che preferiva, anzi…

 -Scusami, Kagome, non volevo essere invadente!- si affrettò a dire Rin in preda al panico.
-No Rin, non sei invadente. Sai, io e Kikyo non siamo molto legate come sorelle… è come se lei a volte fosse su un livello superiore rispetto a me. È da sempre così in famiglia: Kikyo è la migliore in tutto. La sorella più bella, più intelligente, più telentuosa…- confessò Kagome amareggiata.
Rin rimase in silenzio. Non sapeva proprio cosa dire.

-Immagino che l’articolo la menzionasse per il romanzo che ha appena pubblicato… a soli 17 anni- continuò Kagome.
-Ehm… vedi ora non ricordo perfettamente, ma credo fosse una citazione blanda…-
-Rin, sei pessima quando devi dire una bugia- disse divertita Kagome- e comunque io stessa ho letto quell’articolo-

Il giornalista si era lasciato andare a complimenti di ogni genere nei confronti di Kikyo, sembrava proprio che il suo romanzo fosse schizzato in vetta alle classifiche in poche settimane in Inghilterra e di lì a breve sarebbe stato pubblicato in Giappone.

“Una delle giovani voci più talentuose del nostro paese” l’avevano definita.
Rin non aveva smesso di guardarsi con interesse la punta delle scarpe. Lei non aveva fratelli o sorelle, quindi non poteva capire cosa potesse provare la sua amica, non fino in fondo.
Provò a calarsi nei suoi panni, la sola idea di sentire quella sgradevole sensazione di competizione, dalla quale peraltro sarebbe uscita sempre perdente, la fece sentire triste, molto triste.

-Scommetto però che non ha il tuo stesso spirito, Kagome!- esclamò poi dicendo la prima cosa che le venne in mente-Inoltre sono convinta che abbia il sedere pieno di brufoli!!!-

-Rin, ma cosa dici???- disse Kagome scoppiando a ridere, grata all’amica per quel tentativo di risollevarla di morale.

***
 

La penna scorreva senza esitazione lungo la pagina bianca del suo block notes. Le parole sgorgavano spontanee dalla sua mente.
All’improvviso sentì un rumore fuori dalla finestra: il motore di una macchina.
Kagome lasciò cadere la penna sulla scrivania. Chi poteva essere a quell’ora?

Scese velocemente le scale e si trovò davanti l’unica persona che mai avrebbe pensato di incontrare: sua sorella.
Kikyo era in piedi, con le valigie in mano, di fronte a sua zia, la quale l’abbracciava affettuosa.
Fu proprio Kikyo ad accorgersi della presenza di Kagome.

 -Ciao, Kagome. Non ci vediamo da tanto!-

Buonasera a tutti voi lettori. Sì, lo so: ho aggiornato tardissimo. A mia discolpa posso dire di aver passato un periodo piuttosto incasinato, a causa del lavoro soprattutto. Inoltre devo aggiungere anche la mancanza di ispirazione, o meglio, la trama è abbastanza delineata ma non sono soddisfatta della mia scrittura. Ho una sorta di blocco dello scrittore, ma mi sono fatta forza e ho tirato fuori qualcosa. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante tutto. Abbiamo avuto modo di conoscere un altro personaggio: Kikyo. E vi assicuro che porterà non poco scompiglio all'interno della trama.

Credo che nei prossimi capitoli velocizzerò un po' gli avvenimenti, in modo da potermi soffermare su una Rin sedicenne, dopotutto ora è ancora una ragazzina di quttordici anni e non ce la vedo proprio relazionarsi con Sesshomaru in maniera più da "amante", per ora si tratta solo di una ragazzina con una sorta di cotta nei confronti di una persona molto più grande di lei.

Ringrazio come sempre le persone che commentano i vari capitoli, in particolare Gaudia, ladyathena, Maria76 e Seydna, che ormai considero fedelissime.

Cercherò di aggiornare al più presto.

Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 11
*** Il concorso ***


CAPITOLO 11- Il concorso

 

-Ma per quale motivo Kikyo è qui?- domandò Rin al telefono.

-A quanto pare deve presenziare all’uscita del suo libro qui in Giappone, sai… essendo per metà giapponese le hanno chiesto di fare così, credo soprattutto per una mossa pubblicitaria- disse Kagome sottovoce, chiusa in camera sua.
Ancora non si era ripresa dallo shock per aver visto sua sorella materializzarsi letteralmente lì, in casa di sua zia.

 -Kagome, tesoro, scusa se non ti ho avvisata prima ma non ho mai trovato un momento libero nelle ultime settimane- si era giustificata Midoriko, leggermente in imbarazzo di fronte alla faccia stupefatta della nipote più giovane.
“Nelle ultime settimane”, quindi era da un bel po’ che quell’arrivo era stato programmato. E nessuno si era degnato di dirle niente.

 -Perché non mi hai avvisato?- riuscì solo a dire rivolta alla sorella maggiore.

 Kikyo non si scompose:- Ero anche io presa da molte cose. Se avessi fatto una telefonata in più lo avresti saputo, dopotutto nonno e nonna si lamentano di quanto poco ti abbiano sentito da quando sei qui-
Kagome aveva fatto un grosso e profondo respiro, non poteva perdere la pazienza così velocemente, visto anche che Kikyo aveva anche ragione. E questo le pesava, quando sapeva che aveva fatto qualcosa di male e sua sorella la riprendeva per riportarla all’ordine.
Ignorò la bacchettata appena ricevuta e chiese:- Ti fermerai qui per tanto?-
-Tranquilla, rimarrò per il lancio del libro. Ho intenzione di tornare a Londra il prima possibile- la informò Kikyo.

 A quelle parole Kagome si era tranquillizzata.
Avvisare Rin la mattina successiva fu la prima cosa che fece dopo colazione.
Era un soleggiato sabato mattina, il cielo era limpido e l’aria fresca. Le vacanze di primavera erano cominciate da soli due giorni e Kagome già si sentiva stanca come se non si fosse mai presa una pausa.
Rin, dall’altro capo del telefono, percepì l’umore dell’amica, si morse l’unghia dell’indice in cerca di nuove soluzioni, ma la fantasia sembrava averla abbandonata.
Poi disse la sola cosa che le venne in mente.

 -Perché non ci vediamo con Sango e Ayame in quel bar a Shibuya? Provo anche a sentire Kanna, magari questa volta ci dice di sì…- disse Rin con un filino di imbarazzo. Sapeva che Kagome e Kanna non avevano una confidenza tale da potersi scambiare segreti, ma dentro di sé Rin sperava di poter recuperare il rapporto con la sua migliore amica, o meglio, quella che una volta era stata la sua amica più stretta.
Dopo il suo compleanno, se da una parte Kagome, seguita da Sango e Ayame, si erano mostrate ancora più amichevoli e vicine nei suoi confronti, Kanna invece aveva preso sempre più le distanze.
Anche a scuola durante la pausa pranzo Rin si trovava a condividere il pasto con Ayame, mentre Kanna si defilava da qualche parte con altre studentesse.
Aveva una voglia matta di chiederle di nuovo se per caso fosse successo qualcosa tra di loro, se magari aveva avuto un comportamento sbagliato nei suoi confronti, ma poi si ricordava che già glielo aveva chiesto in passato e Kanna le aveva detto di non preoccuparsi, perché ora sarebbe dovuto essere diverso?
Eppure una piccola parte di Rin sperava che il loro rapporto non fosse minimamente cambiato, forse si illudeva.

 -Credo sia una buona idea, ho proprio bisogno di distrarmi- disse Kagome, sorvolando sull’argomento “Kanna”.

 Rin sorrise:-Bene, allora ci vediamo alle 10:30 lì!-

 

***

 

Rin arrivò cinque minuti in anticipo sull’orario concordato e, per fortuna, trovò già Sango. Cercava di dissimulare il suo dispiacere nel non avere Kanna con loro, la quale aveva gentilmente declinato l’invito senza dare una scusa concreta. Sarebbe stato quasi meglio litigare prendendosi a male parole, urlandosi in faccia, perché quella freddezza era quanto di più crudele ci fosse per Rin. Mentre era sotto la doccia, aveva pensato che in fondo quell’allontanamento sarebbe stato inevitabile: lei e Ayame, poco prima della fine della scuola, aveva sostenuto l’esame per l’ammissione al liceo di Kagome e Sango e tutti gli altri, mentre Kanna era stata presa in un liceo privato, di quelli famosi e prestigiosi, dove solo i figli di papà potevano andare.
Era contenta di avere delle facce amiche, ma il vuoto lasciato da Kanna non ea facile da riempire.
Fortunatamente, sia Kagome che Ayame arrivarono poco dopo all’appuntamento, entrarono nel locale e si sistemarono.

 -Non ho ben capito il motivo di questa riunione, ma non dico mai di no ad una coppa di parfait-dichiarò Ayame, chiudendo con decisione la carta del menù dopo che il cameriere se ne fu andato.

 Kagome sospirò forte: Ayame era perspicace nei momenti più impensabili, poteva non capire qualcosa se capitava sotto il naso, eppure delle volte era in grado di percepire cambiamenti per nulla ovvi.
Rin intercettò lo sguardo dell’amica e sollevò le spalle, cercando silenziosamente di farle capire che lei non aveva proferito parola sul reale motivo di quell’incontro. Sango, che era incredibilmente più paziente, aspettava silenziosamente.
Quando il cameriere tornò con le loro ordinazioni, Kagome prese un respiro profondo.

 -In effetti c’è qualcosa di cui vorrei parlarvi- iniziò Kagome timida, guardando il contenuto della sua tazza.

Ayame, con il cucchiaino ancora in bocca, la guardava ansiosa.
Kagome alzò lo sguardo, cercando gli occhi di Rin, la quale con un lieve cenno di sopracciglia cercò di trasmetterle tutto il coraggio possibile; poi fu la volta di Sango, che le sorrideva materna ed, infine, Ayame sempre con una traccia di ansia nell’espressione.
Senza esitazione raccontò loro di sua sorella, di Kikyo, e della sua improvvisata a casa della zia. Accennò anche del loro rapporto conflittuale e poco affettuoso, fin da quando erano bambine. Chissà se si erano mai volute bene genuinamente, si domandò Kagome mentre, come un fiume in piena, raccontava tutto per filo e per segno.
Dentro di lei sentiva pian piano un peso che diventava più leggero e sopportabile: era la prima volta che le capitava. In Inghilterra nessuna amica era stata considerata talmente fidata da diventare custode di quel segreto: ogni volta che credeva di potersi aprire così spontaneamente, succedeva qualcosa che le faceva cambiare immediatamente idea.
Per quanto le volesse bene, Kagome sapeva che dire un segreto del genere a sua zia non sarebbe stata la mossa migliore, considerando anche il rapporto, del tutto opposto a quello suo e di Kikyo, che aveva la zia con la madre. Fin troppo aveva pianto per la scomparsa del marito e della sorella, aggiungere questo sarebbe stato troppo e Kagome voleva preservarla.
I nonni paterni non erano nemmeno da contemplare in una tale scelta: loro adoravano Kikyo, soprattutto sua nonna, la quale vedeva nella prima nipote la realizzazione di tutte le sue preghiere. Kikyo era bella, colta, intelligente, raffinata, una vera lady inglese dagli occhi a mandorla.
Kagome era il perfetto esemplare di ibrido: troppo asiatica per sentirsi inglese e troppo lontana dal Giappone per considerarsi originaria di quel paese. Il nonno le aveva raccontata tante storie riguardo al Giappone e alle sue tradizioni, ma niente era come viverci. Non era stato facile lasciare tutto e integrarsi in un ambiente così diverso da quello dove era cresciuta. Però a poco a poco era riuscita a trovare quella dimensione che a Londra le mancava, ed era anche merito di quegli amici, che non l’avevano avvicinata per arrivare a Kikyo, ma per stare con lei.

 Se le ragazze erano sedute a quel tavolo, era per lei, solo per lei.

 Quando ebbe finito di parlare il suo thè era diventato freddo e Ayame aveva trangugiato tutto il parfait.

 -Era ora che ci parlassi di Kikyo- esclamò poi Ayame, facendo tintinnare il cucchiaino sulla coppa di vetro.

 Kagome si voltò sorpresa.
Fu la volta di Sango:-Kagome, i tuoi genitori, tua zia, tutta la tua famiglia è abbastanza conosciuta qui. Sapevamo che avevi una sorella maggiore…-

 -Io non lo sapevo!- protestò Rin.

 -Questo perché tu sei tonta- rispose prontamente Ayame.

 -Beh, sì, a parte Rin perché vive nel suo mondo, noi sapevamo di Kikyo. Certo, blandamente, ma io ed Ayame sapevamo del lancio del libro- finì Sango.
Kagome era a bocca aperta: loro sapevano e non le avevano chiesto nulla per non essere invadenti. Si sentì gli occhi pizzicarle per la commozione. Ora sapeva che aveva fatto bene a fidarsi.

 -Tra l’altro in quella foto sul giornale non sembra un tipo simpatico- disse distrattamente Ayame.

Sì, era proprio fortunata.

 

***

 

-Non so voi, ma io non ho ancora letto il copione che Midoriko ci ha dato- esclamò Ayame mentre passeggiavano per il centro cittadino.
-Nemmeno io, ad essere sincera- ammise Sango colpevole.
-Io sì!- urlò Rin euforica.

Le altre si guardarono, non avevano avuto alcun dubbio in merito.

 Dopo lo spettacolo di Molière, vista la scarsità di nuovi iscritti alla scuola e la perdita dei finanziatori, Midoriko aveva deciso di tentare il tutto e per tutto iscrivendosi al festival di Tanabata che si sarebbe tenuto a luglio e dove avrebbero partecipato le compagnie teatrali di Tokyo. Il festival prevedeva un contest teatrale, dove i vincitori avrebbero ottenuto un finanziamento di un anno per la proprio compagnia. Una ghiotta occasione per Midorik0, la quale, abbandonata da tutto e da tutti, non sapeva come fare per poter portare avanti i suoi ragazzi.
Ogni compagnia avrebbe avuto un’ora di tempo per la propria esibizione e Midoriko aveva pensato di dividere i suoi ragazzi in tre gruppi, ognuno dei quali avrebbe rappresentato un episodio della mitologia giapponese. Il primo sarebbe stato il mito di “Amaterasu, Susanoo e Ama-no-Uzume”, il secondo il mito di “Kaguya, la principessa splendente” e infine il terzo quello di “Orihime e Hikoboshi”.
L’ultimo pezzo era stato un azzardo, in quanto mito dell’origine della festa di Tanabata, e secondo una tradizione e superstizione del festival, rappresentare quel mito, avrebbe assicurato la sconfitta della compagnia. Tante compagnie ci avevano provato, ma nessuno era mai riuscito a smentire tale diceria.
Midoriko sapeva a cosa andava incontro, ma non credeva troppo alle leggende metropolitane e decise che avrebbe scommesso la vittoria anche con quella decisione. Per il ruolo di Orihime aveva scelto Rin, quella che ormai era la sua pupilla.

Le prove non erano ancora cominciate, ma si era raccomandata con i suoi allievi di leggere il copione durante quel periodo di vacanza. Inutile dire che l’unica che aveva preso alla lettera le parole della sensei fu Rin.
-Sei la solita secchiona!- si lamentò Ayame, guardandola imbronciata.

-No, sei tu che sei una sfaticata!- ribattè Rin, vendicandosi del “tonta” di poco prima.

 

***

 Le posate tintinnavo sul piatto sporco di cibo, i commensali parlavano tra di loro con voce modulata, controllata, ma vista la moltitudine di invitati a quella festa, il brusio della sala colpiva le orecchie sensibili di Inu-Yasha come un uragano. Era insopportabile, in più le chiacchiere era tutt’al più di circostanza, vuote e disinteressante.
Suo padre lo aveva convinto a presenziare con lui e suo fratello a quel ricevimento, nonostante si fosse opposto all’inizio con tutte le sue forze. Era stata Kagome a convincerlo ad andare. “Sarà un modo per stare con tuo padre e tuo fratello”, gli aveva detto al telefono qualche pomeriggio prima. Inu-Yasha, sdraiato comodamente sul letto aveva fatto una smorfia a quella frase: vedeva molto difficile passare del tempo di qualità con suo padre in un’occasione come quella, piena di gente inanellata e impomatata.

Sesshomaru non era nemmeno da prendere in considerazione: da quando lo aveva aggredito in camera sua, con quella scusa così stupida, si era ben tenuto lontano dal ronzargli intorno o dal provocarlo. Quando ci ripensava, sentiva ancora le lunghe dita del fratello stringergli la carne intorno al collo. Non era una sensazione tanto difficile da dimenticare.
Erano ad un galà di beneficienza, o almeno così si divertivano a chiamarlo, ma in realtà si trattava di un incontro di affari vero e proprio: imprenditori di alto livello, tutti riuniti in un’unica stanza per chiudere più affari di quanti se ne facessero durante il normale orario lavorativo.
Per suo padre forse poteva anche veramente essere un evento come un altro vista la rilassatezza sul suo volto, ma per Sesshomaru la questione cambiava: seduto di fianco a lui, era intento ad ignorarlo per prestare le sue attenzione ad un importante manager di una società a lui sconosciuta.

Osservandolo di sottecchi, notò come, nonostante lo sguardo e l’atteggiamento restassero quelli di sempre, il tono di Sesshomaru era molto più accomodante e gentile di quanto non lo fosse con lui. Certo, il termine “gentile” per Sesshomaru forse risultava come una sorte di ossimoro, ma per chi lo conosceva bene, sapeva cogliere la differenza. O forse era Sesshomaru che si premurava di far capire al fratellastro tutto il disgusto e il risentimento che provava nei suoi confronti.

 Avvolto nell’indifferenza generale, Inu-Yasha si ritrovò immerso nei suoi pensieri: pensò ai cambiamenti che erano avvenuti in così poco tempo, alla nuova scuola, ai suoi nuovi amici, a Kagome…
Da un po’ di tempo a questa parte, gli capitava spesso di pensare a lei. Delle volte si sorprendeva anche lui di come fosse diventato naturale averla al suo fianco, in così poco tempo si era abituato alla sua presenza. Non era riuscito a darsi una spiegazione, lui non lasciava avvicinare le persone, si teneva a distanza, anche in America non aveva stretto legami particolari, rapporti passeggeri.
Eppure con Kagome le cose erano diverse, già dal loro primo incontro aveva avuto una sensazione strana, come se la conoscesse da sempre. Sentiva dentro di sé un legame più profondo, come se si fossero già conosciuti in passato. Gli capitava spesso di pensare una cosa del genere, era assurdo, ma a volte era questo quello che sentiva dentro di sé.

Miroku delle volte lo aveva provocato riguardo al suo rapporto con Kagome, consigliandogli di dichiararsi prima che se la prendesse qualcuno, ma lui non faceva in tempo a finire la frase che Inu-Yasha lo aveva già zittito con un pugno ben assestato sulla testa, quella maledetta testa dura. Era facile per lui parlare e dare consigli a tutti quando poi non era in grado di dichiararsi a Sango in modo maturo e serio. Ricevere consigli da uno scemo del genere era l’ultima cosa di cui avesse davvero bisogno.

Ma Miroku non era l’unico ad alludere ad un qualcosa di più tra di loro e per quanto Inu-Yasha fosse attaccato a Kagome, sentiva dentro di sé ancora qualcosa che lo tratteneva, non sapeva di preciso cosa fosse, ma era una sensazione viscerale, ancestrale che lo manovrava a suo piacimento e lui non poteva fare altro che arrendersi.

 Chissà, forse un giorno…

 La cena continuò senza particolari emozioni per il mezzo demone, il quale rimase attaccato a suo padre e che passò la serata a stringere centinaia di mani sconosciute.

Sesshomaru, invece, a fine cena si era allontanato da quello che era il fantastico duo formato dal suo genitore e dal fratellastro, talmente felici di essersi ritrovati da fargli venire il voltastomaco. Si aggirava per l’immensa sala, con un bicchiere di whisky in mano, conversando con le persone che reputava importanti e interessanti per i suoi affari. Sapeva che l’evento era troppo importante per non includere anche la presenza di un altro mezzo demone, altrettanto malsopportato: Naraku.

Lo youkai era un uomo troppo pragmatico per illudersi di poterlo evitare in quell’occasione, e difatti non si sbagliò nemmeno quella sera.
Lo captò da lontano, a causa del suo odore nauseante che solo lui poteva percepire in quanto demone completo.
Naraku avanzava lungo la sala, dritto verso quella che sembrava la sua preda. Lo sguardo soddisfatto e quel sorriso appena accennato sul viso.

 Che gran voglia di strapparglielo via.

 -Sesshomaru- esordì lui, prendendolo sottobraccio, gesto che non venne affatto gradito- speravo proprio d’incontrarti in questa occasione!-

-Non posso dire lo stesso- disse Sesshomaru infastidito, guardandosi intorno.

 Naraku ignorò volutamente quella frase, tanto era concentrato sul suo obiettivo.

-Credo che tu sappia che Midoriko ha intenzione di partecipare al Tanabata festival per le arti. Sono riuscito ad avere delle informazioni a riguardo…
-Midoriko porterà tre piccoli testi, tra cui la storia di Orihime e Hikoboshi- concluse Sesshomaru piatto.
Naraku sorrise compiaciuto:- Vedo che anche tu hai fatto le tue indagini-
Lo youkai non disse nulla, si girò e lo guardò fisso in attesa di spiegazioni.

 -Sai cosa si dice su quel testo? Che porti sfortuna a chiunque decida di metterlo in scena, proprio durante quel festival… sarebbe un peccato se succedesse qualcosa a Midoriko o ai suoi pupilli- insinuò Naraku.

Ancora silenzio. I due si guardavano negli occhi.
Sesshomaru sapeva benissimo chi avrebbe recitato in quel testo: Inu-Yasha parlava a voce troppo alta al telefono e lui poteva carpire le informazioni che gli servivano senza bisogno di andarle a cercare. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era curioso di vedere la ragazzina in quel ruolo, allo stesso tempo voleva piegare Midoriko, alleandosi anche con il suo peggior nemico.

 -Midoriko è una donna facile da capire per certi aspetti e ha puntato tutto su quella ragazza, Rin Damashita, pare sia la sua pupilla… sarebbe un peccato se non riuscisse a salire sul palcoscenico, no?-

 Sesshomaru emise un ringhio sordo, istintivamente.
Naraku non se ne accorse:- Che ne pensi? Se Midoriko non vince questo festival, può dire addio alla sua scuola…-
Il demone non diceva nulla. Dentro di sé era combattuto: assecondare un capriccio o perseguire un obiettivo?

 Si staccò dalla presa di Naraku.

 -Penserò ad un piano per sabotarli, stanne pur certo-

 

***

I mesi erano passati, la primavera si era fatta strada per poi lasciare posto all’estate.
Rin e Ayame avevano iniziato la scuola superiore, nello stesso istituto dei loro amici. Anche le prove erano andate avanti, con alcuni intoppi da altri componenti della compagnia, primo tra tutti Hakudoshi, il quale aveva saltato parecchi incontri, scatenando le ire di Midoriko, che ormai appariva stanca e provata. Nonostante le strigliate che si era beccato, non aveva accennato la minimo pentimento.
Kanna, ormai, era del tutto lontana da Rin e da quello che poteva essere il suo modo: si era tagliata fuori spontaneamente, silenziosamente. Osservava gelosa le prove di Rin e Kohaku, i quali interpretavano Orihime e Hikoboshi.
Non negava la cotta che il ragazzo avesse per Rin, ma quello che lei non sopportava era che lei sembrava non accorgersene.

La gelosia che si era insinuata tra di loro era ormai troppo grande per riuscire a contenerla.
Rin se n’era accorta e, a malincuore, non cercava più di forzare la mano.
Ma se da una parte aveva perso, senza alcuna apparente ragione, un’amica, dall’altra parte ne aveva guadagnate altre.
Era stata vicina a Kagome quando aveva dovuto essere presente al lancio del libro della sorella Kikyo, le aveva stretto la mano per tutto il tempo, immaginando come avrebbe potuto sentirsi Kagome in quel momento.
Per la serenità di Kagome, sua sorella era partita subito per l’Inghilterra. Il sospiro di sollievo che aveva tirato una volta che l’aveva vista sparire oltre i controlli dell’aeroporto non avrebbe avuto eguali in tutta la sua vita.

Non era stata altrettanto felice quando se l’era ritrovata nuovamente in piedi sull’ingresso di casa.

 -Ho pensato di tornare per le vacanza estive- le aveva detto Kikyo superandola ed entrando in casa, lasciando la povera Kagome con la bocca ancora aperta. Fortunatamente non aveva scelto di assistere alle prove teatrali insieme a lei, a detta sua doveva fare innumerevoli giri turistici di Tokyo.

Da dove venisse quella voglia di riscoperta delle radici giapponesi, Kagome non lo sapeva. E pensare che a Londra più di una volta l’aveva presa in giro perché non riusciva a sentirsi del tutto inglese. Per una volta che poteva avere una cosa personale, lei gliela rovinava.

Il Festival di Tanabata arrivò puntuale e la sera della gara i ragazzi erano alle prese con esercizi vocali, trucco e sistemazione dei costumi.
Si erano alzati tutti presto quella mattina per incontrarsi davanti alla scuola e portare tutti gli oggetti di scena al teatro designato per ospitare il festival. Mentre i ragazzi erano intenti a caricare alcuni pezzi della scenografia sul retro del furgone che avevano affittato, Kohaku ricevette sul cellulare un messaggio di Hakudoshi, il quale lo avvisava che avrebbe tardato all’appuntamento e che si sarebbero visti direttamente di fronte al teatro.

Midoriko accolse molto male la notizia: non poteva perdere il controllo di fronte ai suoi allievi, i quali erano più agitati che mai, ma non poteva ignorare la sensazione di disagio che sentiva in presenza di Hakudoshi da un po’ di tempo a questa parte. Sospettava un tiro sinistro dal ragazzo, prima o poi.
Quando arrivarono a destinazione, tutti si diedero da fare per sistemare le cose al meglio, anche Kagome Inu-Yasha presero parte ai preparativi.

Nonostante le proteste di Kohaku, Rin si caricò due scatoloni pieni di oggetti per posarli nei camerini assegnati loro.

-Posso farcela!- aveva asserito con forza, camminando in direzione dei camerini.

La statura di Rin non era però da considerarsi considerevole e i due scatoloni erano molto alti e la visuale era penalizzata.
Difatti, pochi minuti dopo, girando l’angolo si ritrovò a sbattere contro qualcosa di molto duro, che le fece fare un capitombolo per terra, seguita dagli scatoloni.

-Mi scusi…- disse subito Rin, leggermente dolorante.

-Non sono troppo alti quegli scatoloni per te?- chiese una voce dura, che lei conosceva fin troppo bene.

Alzò lo sguardo e i suoi sospetti vennero confermati: Sesshomaru, senza essersi mosso di un millimetro nonostante lo scontro di poco prima, la osservava con la solita espressione a metà tra l’annoiato e l’infastidito.
Rin rimase a guardarlo senza dire nulla.

-Ecco…io…- cercò di formulare una frase di senso compiuto ma invano.

 Il demone sospirò.

-Eppure sul palco mi sembri piena di energia-

La faccia di Rin assunse un colorito molto simile a quello dei pomodori maturi. Sentì la rabbia montare dentro di lei. Sembrava che ogni occasione fosse buona per quell’essere per prenderla in giro.

-Io sono sempre piena di energia, è la sua presenza che mi fa questo effetto!- ammise lei. Ma subito dopo provava il bruciante desiderio di mordersi la lingua: ma cosa aveva appena detto?
Sembrava più una dichiarazione di una ragazzina che ha una cotta per un ragazzo più grande di lei. E lei intendeva tutto il contrario.
Sesshomaru si sentì divertito da quella situazione.
Si abbassò leggermente e tese una mano alla ragazzina, la quale era rimasta ancora per terra.
Rin lo guardò interrogativa.

 -Sei talmente arrabbiata da non poter accettare un aiuto da parte mia?- chiese lui.

Rin realizzò di essere ancora con il sedere per terra. Arrossì e poi con riluttanza accettava la mano di Sesshomaru. Dopo averlo insultato accettava un suo aiuto, non era molto coerente da parte sua. Abbassò lo sguardo e allungò la sua manina verso quel palmo teso. Quando la sua pelle entrò in contatto con quella fredda dello youkai, sentì una strana sensazione. Non era una scossa come le era successo quel giorno di Natale, era come un ricordo che le tornava in mente. Eppure era così sicura di non aver vissuto niente del genere.

 

“Non lasciatemi più da sola”

 

La forza con cui Sesshomaru la sollevò dal pavimento sembrava quasi inesistente agli occhi di Rin, tanto appariva naturale.
Una volta in piedi si ritrovò ad osservare il petto di Sesshomaru. Alzò la testa per guardarlo meglio.
-Grazie- disse poi lei per smorzare quella tensione che sentiva.

-Rin, eccoti!- urlò una voce alle sue spalle.

La ragazza vide il volto di Inu-Yasha farsi sempre più grande, seguito come sempre da Kagome. Non era poi così contenta di vederli.
Quando il ragazzo ebbe recuperato gli scatoloni, Rin si ritrovò affiancata dai due amici.
Ci fu qualche minuto di silenzio. Doveva ammettere che come quartetto abbastanza buffo.

 -Dovevo immaginare che ci fossi anche tu- disse poi Sesshomaru, congedandosi.

Inu-Yasha non disse nulla.

-Sarà qui per lavoro, no?- chiese Kagome mentre guardava lo youkai allontanarsi.
-Tzè, e per cosa se no? Per lui non esiste altro che il lavoro-

Poi, lentamente, i tre si avviarono verso i camerini.

 

***

 

Rin muoveva il pennello da trucco con precisione, stando attenta a non far uscire il rossetto fuori dagli angoli della bocca.
Una volta che le labbra furono finite, passò nuovamente il pennello sugli occhi per marcare ancora di più la linea nera che decorava la palpebra superiore.
Posò i trucchi sul tavolino di fronte agli specchi.
Si guardò attentamente.
I capelli acconciati, il trucco finito: sembrava davvero un’altra.
Gli altri candidati si erano già esibiti, mancava poco alla loro esibizione.

Rin non stava più nella pelle, esibirsi per ultima poteva avere i suoi vantaggi, così come le sue insidie.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi solo sullo spettacolo.

Qualcuno però bussò alla porta del camerino.

Jakotsu andò ad aprire.
-Presumo che siano per Rin-

Sentendosi chiamata in causa la ragazza si voltò di scatto.
Sentì gli occhi inumidirsi leggermente, ma trattenne le lacrime perché non poteva permettersi di rovinare quel trucco elaborato e sapiente.
Prese subito tra le mani il mazzo di garofani bianchi e lesse avidamente il bigliettino di auguri.

 -Beh, almeno ora sappiamo che l’ammiratore di Rin è una persona molto vicina al mondo del teatro, forse ci lavora pure- osservò Sango con Ayame al suo fianco.

 

***

 

Sesshomaru sedeva non troppo distante dal palcoscenico, al suo fianco il fidato Jaken. Non era la prima volta che presenziava ad una manifestazione del genere.
E non era nemmeno la prima volta che faceva qualcosa di poco pulito per raggiungere un obiettivo.
Qualcosa però ora lo bloccava, un flebile senso di colpa.
Sensazione forse mai provata in vita sua. Ma quella ragazzina era in grado di scombinare i suoi piani.
Sapeva che se ne sarebbe pentito e che probabilmente lei lo avrebbe odiato a morte, ma il suo obiettivo gli pendeva sulla testa come una spada di Damocle.
Non si era mai preoccupato per nessuno, non avrebbe lasciato che una semplice sensazione potesse fermarlo.
E poi lei era una brava attrice, sarebbe potuta diventare famosa anche senza l’aiuto di Midoriko. Forse avrebbe potuto pensarci lui.
Restava solo un’incognita: lei avrebbe accettato un contratto con la sua azienda?
A breve sarebbe toccato alla compagnia Sengoku.

Il canto del cigno di Midoriko No Tama.

“Che lo spettacolo abbia inizio” pensò.

 

***

 

-Ragazzi, dov’è finito Kohaku?- domandò allarmata Sango.

Rin si guardò intorno: del suo compagno di scena non c’era traccia.

Buonasera a tutti voi cari lettori. Finalmente aggiorno questa storia. Chiedo umilmente scusa per il tempo infinito che mi sono presa,ma è davvero un periodo un po' incasinato e scrivere diventa difficile, in più mi trovo bloccata con la storia e, se devo essere sincera, questo capitolo non mi soddisfa molto, ma dovevo pubblicare, per voi lettori soprattutto ma anche per sbloccare la situazione. Ovviamente arrivano anche altre idee per altre fan fiction e questo non aiuta!!!

Il prossimo capitolo si concentrerà sulle diverse situazioni che accadranno durante questo festival e poi ci sarà il salto temporale di cui vi avevo accennato nel capitolo precedente: vedremo una Rin più matura. In più inizierò a pensare seriamente a quando inserire la trama del Sengoku Monogatari, visto che a poco a poco, in tempi diversi, i nostri protagonisti si "risveglieranno" e  ricorderanno la vita precedente (con protagonisti intendo anche Inu-Yasha e Kagome).

Ringrazio Lady__94, Gaudia, ladyathena, Seydna e Nessie89 per le recensioni, mi fa un immenso piacere leggervi. Scusatemi se non vi ho risposto personalmente!

Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 12
*** Tanabata ***




Capitolo 12- Tanabata

-Dov’è Kohaku?- chiese ancora una volta Sango, non ottenendo risposta.
Tutti i presenti nel camerino si guardarono stupiti.
-Sarà in bagno, Sango, non stare a preoccuparti troppo- le disse Bankotsu tentando di placare gli animi.
Ma la ragazza non era convinta.
-È via da più di mezz’ora, non è da lui- protestò la sorella, ormai sempre più convinta che fosse successo qualcosa. Conosceva bene suo fratello, era un ragazzo affidabile, non sarebbe mai sparito per così troppo tempo.

Rin sentì dentro di sé l’ansia crescere.

E se Kohaku non fosse tornato?

***

Kagome guardava il biglietto che aveva tra le mani, con lo sguardo controllava dove fosse il posto che le era stato assegnato. Dietro di lei Inu-Yasha, che aveva preso il posto di fianco a lei.
Dopo che avevano aiutato gli altri a sistemare, Kagome aveva preso Inu-Yasha per mano ed erano usciti per prendere i posti migliori.

Sua zia si aggirava per i camerini come un’anima in pena, anche se non voleva darlo a vedere. Cercava di mantenere una faccia impassibile, il che per lei non era nemmeno troppo difficile, ma la nipote sapeva perfettamente cosa le passava per la testa.
Da un po’ di giorni era in ansia: doveva trovare un nuovo modo per finanziare la sua scuola.
Avrebbe voluto trovare un modo per aiutarla, ma non sapeva davvero come.
Spesso la sentiva passeggiare nervosamente su e giù per lo studio, durante la notte. Succedeva quando lei era intenta a scrivere. Avrebbe potuto alzarsi molte volte ed aprire la porta per chiederle se avesse bisogno di aiuto, ma poi qualcosa la fermava. Era consapevole del fatto che sua zia le avrebbe sicuramente chiesto come mai fosse ancora sveglia e di mentirle non le andava, ma nemmeno di dire la verità. Non in quel momento in cui Kikyo stava lanciando il suo libro e lei avrebbe finito pere diventare, ancora per una volta, una pallida copia di sua sorella.

Trovò i posti, si girò e fece segno ad Inu-Yasha.

-Finalmente- sbuffò il mezzo demone.

Stavano per sedersi, quando Kagome sentì una voce familiare chiamarla.

-Sorellina!-

Odiava essere appellata in quel modo davanti a tutti.
Voltandosi, si trovò il viso di sua sorella davanti agli occhi.
La squadrò: era bella, come sempre. Indossava un vestito rosso, estivo, dal tessuto leggero, che le cadeva morbido sul corpo. La pelle bianca spiccava grazie ai lunghi capelli neri, raccolti in una coda bassa scomposta.
C’era poco da fare, sua sorella avrebbe attirato l’attenzione sempre per quanto era bella.

-Sei venuta anche tu?- domandò Kagome senza nemmeno salutarla.

-Non travolgermi con tutto questo affetto- le rispose Kikyo.

Poi la ragazza si voltò verso Inu-Yasha e gli sorrise melliflua, con il suo tono seducente. Kagome guardò la scena, ed era come se si stesse svolgendo a rallentatore.
L’hanyou aveva lo sguardo fisso su Kikyo, come rapito, sembrava quasi che si fosse dimenticato di lei.
Il terrore si impossessò di lei.
-Inu-Yasha, ti presento mia sorella, Kikyo- disse incerta. Non sapeva che altro fare, non poteva allontanare la sorella in malo modo.

I due si strinsero la mano. E Kagome vide Kikyo portargli via anche Inu-Yasha.

***

Un’ora prima Kohaku era in giro per i camerini alla ricerca di Hakudoshi. Era molto arrabbiato con lui: non sopportava che qualcuno della compagnia mettesse in pericolo tutti gli altri.
Era un ragazzo pacifico, non gli piaceva mettersi nei guai, preferiva risolvere le cose nel modo più tranquillo possibile.
Ma era furioso con Hakudoshi. Saltare tante prove, arrivare tardi il giorno della rappresentazione non era accettabile.

Soprattutto, Kohaku lo faceva per Rin: sapeva quanto lei amasse il teatro e la recitazione, aveva un fascino particolare quando iniziava a recitare. Per Kohaku era una sorta di calamita e lei era sempre così sorridente, che era un piacere vederla.

-Hakudoshi- lo chiamò a gran voce quando vide il ragazzo nel corridoio del teatro.

-Kohaku, cosa c’è?-

Gli si avvicinò, a grandi falcate.

-Che faccia truce, che è successo? Sei agitato?- domandò sarcastico Hakudoshi.

Kohaku, a quel tono da presa in giro, sentì la rabbia montargli dentro. La strafottenza era qualcosa che non riusciva proprio a digerire.

-Dobbiamo parlare!- disse afferrandolo per un braccio.

Hakudoshi non si scompose, anzi sembrava divertito dalla situazione. Non si oppose minimamente, lo seguì.

-Abbiamo ancora tempo, che ne dici di andare in un posto più tranquullo?- propose Hakudoshi con il braccio ancora stretto nella morsa di Kohaku.

Lo guidò per il corridoio, allungò una mano e aprì una porta che portava al sami interrato con i contatori della luce.
Scesero le scale, Kohaku non fiatò e non si curò del posto dove stavano andando, per lui l’obiettivo finale era parlare con Hakudoshi.

-Bene, dimmi quello che devi- disse sganciandosi dalla presa.
-Non so cosa ti sia successo in questi mesi, ma non mi piace come ti sei comportato. La compagnia è a rischio e tu sembri fare di tutto per sabotarla!-
-Come mai tanta foga, Kohaku? C’è un motivo in particolare per cui mi fai questa ramanzina? Non sarà per Rin?-

Kohaku arrossì violentemente.
L’altro sorrise, felice di aver fatto centro e di averlo messo in difficoltà. Questo rendeva molto più semplice il suo piano.

-Non è assolutamente questo il motivo…- tentò di giustificarsi Kohaku, guardandosi le punte dei piedi con aria imbarazzata.
-Guarda che lo sappiamo tutti che hai una cotta per lei. La povera Kanna se n’è accorta, solo che tu sei talmente preso dal richiedere attenzioni a Rin che non fai minimamente caso ad un’altra ragazza che smania per te. Questo è anche uno dei motivi per cui le due si sono allontanate, o non ti eri accorto neanche di questo?- Hakudoshi lo diceva con tono tranquillo, padrone della situazione e sicuro di sé.

Dall’altra parte, Kohaku si trovava sempre di più in una situazione di svantaggio. Totalmente preso alla sprovvista, indietreggiava incerto.
-E tu vorresti fare la morale a me, quando tu sei il primo motivo di litigio tra due amiche- continuò l’altro.
Stava facendo abbassare tutte le difese al suo rivale, il quale non trovava le parole adatta.

Tutto poi successe in un attimo: Kohaku sentì una forza invisibile sbatterlo contro la parete dietro di lui. Hakudoshi lo guardava divertito. Sempre quella forza si insinuava nella sua testa ed ebbe la sensazione che il cervello gli fosse stato legato con una corda e che ora delle mani invisibili stessero stringendo sempre di più. La testa gli scoppiava, la vista si annebbiava e le gambe non lo reggevano più.
L’ultima cosa che vide fu il volto di Hakudoshi che gli sorrideva maligno.

Quando poi il ragazzo fu per terra, il mezzo demone se ne andò fischiettando. Chiuse la porta e mandò un messaggio.
Aveva rispettato il piano.

***

-Non vorrei gettarvi tutti nell’agitazione più totale… ma non si trova nemmeno Hakudoshi- sibilò Ayame con vergogna.
Come previsto, nessuno dei partecipanti la prese bene. Midoriko era con loro, avvisata subito della scomparsa di Kohaku. Strinse la mano in un pugno feroce, carico di rabbia.
Se lo sentiva che quel ragazzo avrebbe messo in difficoltà tutti gli altri. Avrebbe dovuto cacciarlo quando era ancora in tempo.
L’unica cosa che non capiva era Kohaku: un ragazzo troppo onesto e pulito per tirargli un brutto tiro come Hakudoshi.
-Ed ora come facciamo? Sono in due scene diverse- disse ancora una volta Ayame, ormai in preda all’ansia più totale.
Le reazioni furono le più disparte: Jakotsu seguì Ayame nella sua crisi di nervi, Sango cercava di contattare il fratello telefonicamente per poi scoprire che il cellulare era stato lasciato nel camerino, Miroku tentava di aiutare Sango in qualche modo.

Midoriko si prese qualche minuto di tempo per riflettere sul da farsi.
Era troppo tardi per cambiare i piani, per i suoi attori era impossibile imparare un altro copione e non c’era modo di rimpiazzare due attori assenti ed importanti per le scene che avrebbero dovuto interpretare.
Tirò su con il naso, profondamente, poi sospirò.
Non vedeva altra soluzione.

-Ragazzi, a quanto pare non abbiamo altra scelta che non quella di ritirarci della competizione- ammise affranta.
A quelle parole, Rin si girò di scatto, con lo sguardo perso e pieno di terrore.

-Sensei… cosa sta dicendo? Se non partecipiamo non potremmo mai avere i soldi per la compagnia- protestò quasi vicina alle lacrime.

-Purtroppo, Rin, non vedo altre soluzioni…-

Ma non riuscì a finire la frase, perché la ragazza la interruppe.

-Mi faccia salire lo stesso sul palco! In quale racconto è presente Hakudoshi, in quello di “Amaterasu”? Allora non mettiamolo in scena, inizi con la storia di “Kaguya” e poi continuiamo con “Orihime e Hikoboshi”-
Rin sembrava fuori di sé. Parlava veloce e si muoveva a scatti.
Tutti i presenti nel camerino si guardarono increduli.

-Rin, anche se mettessimo in scena la storia di Kaguya, dopo avremmo comunque un buco di più di venti minuti. Come pensi di poter riempire quel tempo?- domandò Midoriko, ma le sue erano domande retoriche poste al solo scopo di farla ragionare.

-Allungherò le battute di Orihime, ne farò dei soliloqui- rispose.

-E per le battute di Kohaku?-

-Le eliminerò. Mi serve solo una persona che possa fare Hikoboshi- continuò la ragazza.

I ragazzi della compagnia si guardarono increduli.
-Non dovete imparare le battute a memoria. Mi basterà che uno di voi sia di fronte a me e con le spalle rivolte verso il pubblico, non dovrà dire nulla- disse con forza Rin, distogliendo lo sguardo dalla sensei, e rivolgendosi ai ragazzi- Bankotsu, potresti farlo tu. Sei alto più o meno come Kohaku-

Si girò di nuovo verso Midoriko.
La sua faccia era una statua di pietra, difficile da decifrare, impenetrabile.
Rin le rivolse uno sguardo carico di supplica.
Midoriko tirò un sospiro.

-Rin, potremmo anche non vincere: stiamo apportando delle modifiche ed un testo lo abbiamo eliminato-

-Ma possiamo comunque tentare, sensei!- disse la ragazza, aggrappandosi alla camicetta della donna, la quale la sovrastava in altezza.

-E sia. Mi dispiace per i ragazzi che non si potranno esibire, ma vi chiedo un altro sforzo: state attenti quando Rin salirà sul palco, se dovesse avere bisogno di aiuto dovrete essere pronti ad intervenire- ordinò infine la donna, con tono autoritario.

E così tutti si diedero da fare per riuscire in quella scommessa.
***

La giuria aveva annunciato quindici minuti di intervallo prima di riprendere con la seconda ed ultima parte del concorso.
Sesshomaru era convinto che quel secondo tempo non ci sarebbe mai stato: Hakudoshi aveva fatto il suo dovere.
Non che quel ragazzo gli piacesse, ma era stato l’unico modo per sabotare il piano di Midoriko di vincere quella competizione. Era stato molto attento durante le conversazioni di suo fratello con Kagome al telefono, il suo udito sviluppato da demone si era rivelato più utile del previsto.
Inoltre qualche volta li aveva osservati all’uscita dalle prove, passando con la macchina quando usciva dal lavoro. Aveva notato come lui ed un’altra ragazza, quella con i capelli bianchi, fossero sempre in disparte.
Ma la ragazza non gli sembrava una preda facile, al contrario Hakudoshi incarnava la perfezione per il suo piano.

Avvicinarlo e convincerlo non era stato difficile. Gli aveva offerto un contratto anche vantaggioso con la sua azienda, ma questo rappresentava un grande vantaggio soprattutto per lui: avere tra le scuderie di attori un ex allievo di Midoriko No Tama era un tesoro da sfruttare.

Si infastidì quando sentì un paio di dita tamburellargli sulla spalla.
Il faccione di Naraku lo guardava fisso.

-Sei sicuro di aver fatto qualcosa? A quanto pare Midoriko non si è ritirata- lo informò il mezzo demone.

Sesshomaru a quella notizia sgranò leggermente gli occhi.
Come era possibile?
-Certo che sono sicuro- ringhiò lui, feroce per quell’accusa di incapacità da un essere inferiore come Naraku.
Lo youkai si prese qualche secondo di tempo per pensare.

-Probabilmente ha deciso di non mollare la presa. Siediti e aspetta, non potrà assolutamente vincere!- sentenziò Sesshomaru, sicuro di sé.
-Me lo auguro per te- disse Naraku, allontanandosi.

***

-Come sta andando?- chiese Miroku sottovoce a Jakotsu, il quale seguiva attento il copione di Rin, non perdendosi una minima variazione, in modo da intervenire al minimo accenno di titubanza da parte dell’amica.
Ormai la compagnia Sengoku era andata in scena e lo spettacolo di “Kaguya, la principessa splendente” era stato ultimato.
Kanna aveva recitato con un peso sul cuore: sospettava che dietro la scomparsa di Kohaku ci fosse Hakudoshi, ma forse per vigliaccheria era rimasta in silenzio.

Subito dopo aver stabilito l’entrata in scena di Rin, Sango era stata l’unica ad andare a cercare suo fratello, preoccupata perché non lo vedeva arrivare. Bankotsu si teneva pronto dietro le quinte, mentre tutti gli altri attendevano con un nodo alla gola.
Ayame sedeva vicino a Midoriko, nessuna delle due proferiva parola. Entrambe erano preoccupate per Rin, darle quella fiducia era stato un azzardo grande, visto che era quella che ci avrebbe rimesso la faccia più di tutti.
Eppure, in un angolo del suo animo, Midoriko sentì di potersi fidare di quella ragazzina che sembrava un uragano quando saliva sul palcoscenico.
Probabilmente non avrebbero vinto, andando contro quello che era il regolamento, ma se Rin fosse stata in grado di catturare l’attenzione del pubblico, le sarebbe stato utile in futuro: avrebbe potuto farsi conoscere da un pubblico maggiore e forse gli ingaggi per produzioni più grandi sarebbero arrivati più facilmente.

Midoriko pregava gli dei che proteggessero la sua allieva.

Dal canto suo Rin, ormai sul palco, sentiva dentro di sé la sicurezza farsi sempre più strada: non le importava se mancava uno dei suoi compagni, si sarebbe fatta carico della buona riuscita della rappresentazione.
Aveva fiducia in Kohaku e sapeva che non l’avrebbe mai abbandonata senza dire nulla.
Inoltre, aveva l’appoggio di tutti i suoi compagni, sentiva i loro sguardi su di lei, così come quelli del pubblico.
Recitava senza esitazione, le parole si susseguivano nella sua testa anche se non erano scritte da nessuna parte.

-Com’è triste confezionare abiti così belli e non avere qualcuno a cui mostrarli- disse Rin, iniziando uno dei soliloqui che avrebbe dovuto improvvisare da quel momento in avanti.
La platea era letteralmente rapita da quel piccolo essere solo sulla scena, che si muoveva con sicurezza e gesti aggraziati.
Inu-Yasha e Kagome, i quali avevano assistito più volte alle prove, aveva capito fin da subito che qualcosa non quadrava e pure loro si unirono alle preghiere di Midoriko per la buona riuscita dello spettacolo.

Poche file più dietro, due occhi ambrati fissavano increduli Rin.
Non poteva credere ai suoi occhi, quella ragazza si era buttata ed ora recitava come se niente fosse.
Più la guardava e più gli sembrava naturale il suo modo di condurre la storia, Orihime era la vera protagonista della scena, lei con la sua sola presenza poteva benissimo sopperire alla mancanza di Hikoboshi.
Sesshomaru osservava Rin, il volto nascosto sotto uno spesso strato di trucco e i capelli acconciati in maniera elaborata.
Era davvero straordinaria, per appartenere alla miserabile razza degli umani.

Abbassò il capo leggermente, un sorriso leggero gli si era dipinto sul volto.
Un sorriso di assenso. Dopotutto c’era un motivo se ancora una volta aveva sentito il bisogno di mandarle quei fiori bianchi.
In fondo a lui piaceva vederla recitare, anche se aveva fatto di tutto per sabotare la compagnia, sperava di vederla calcare la scena anche quella volta. Purtroppo aveva avuto la sfortuna di appartenere a quella compagnia, che lui voleva distruggere.
Sperò solo che fosse in grado di cavarsela da sola, perché lui non avrebbe potuto fare nulla per aiutarla.
Lo spettacolo continuò, sotto gli occhi di tutti.
Bankotsu apparve in qualche scena, sempre di spalle, per poter dare al pubblico la sensazione che Hikoboshi fosse presente nel racconto, ma quella che conduceva le redini del gioco era Orihime.

Nel frattempo Sango continuava la sua ricerca. Vagava per i corridoi come un’anima in pena: lo spettacolo era importante, ma suo fratello lo era anche di più.
Midoriko non aveva avuto niente da ridire. Camminava per i corridoi preoccupata. Aveva guardato dappertutto ma di Kohaku non c’era traccia.
Era sul punto di rinunciare, quando una voce la costrinse a voltarsi.

-Sango- disse semplicemente Kanna, camminando verso di lei.
-Ti do una mano a cercare Kohaku- la informò una volta che le fu di fronte.
Sango non sapeva cosa dire: tutto si sarebbe aspettata tranne che l’aiuto di Kanna.
Le sorrise grata e insieme continuarono le ricerche.
Fu grazie alla natura per metà demoniaca di Kanna che riuscirono a trovare il semi interrato dove si trovava Kohaku. Hakudoshi aveva lasciato dietro di sé una scia che solo una creatura simile a lui poteva percepire.

-Sango, forse ho trovato il posto dove si trova Kohaku- le disse mentre con una mano apriva la porta che portava giù.
La percorsero insieme e, finalmente, Sango vide la figura di suo fratello accasciata per terra. Si precipitò vicino a lui, tentando di svegliarlo, ma invano. Il corpo di Kohaku era come intorpidito perennemente.

-Perché non si sveglia?- urlò la ragazza scuotendolo.
Di nuovo fu Kanna a venire in suo aiuto. Si avvicinò piano, con delicatezza e mise una mano sulla testa di Kohaku. Chiuse gli occhi e si concentrò, capì quasi subito cosa gli aveva fatto Hakudoshi, perché solo lui poteva essere stato.
-Lascia fare e me-disse guardando Sango negli occhi, la quale, disperata, decise di affidarsi.

Kanna si concentrò, questa volta con maggior impegno di prima. Conosceva bene Hakudoshi, sapeva che era molto abile con lo stordire le persone, ma lei poteva fare qualcosa. Sapeva che Kohaku non sarebbe  rimasto in quello stato per sempre, ma erano ancora in tempo per salvare il salvabile.
Chiuse gli occhi e, sempre con la mano poggiata sulla testa di Kohaku, canalizzò tutte le sue energie sul ragazzo, cercando di contrastare il potere di Hakudoshi.
Le servirono diversi minuti per poter riuscire nella sua impresa, ma poi per fortuna qualcosa accadde: Kohaku lentamente aprì gli occhi, guardando frastornato prima la sorella e poi la sua amica.
Vedere Kanna inginocchiata davanti a lui gli fece uno strano effetto: gli appariva diversa, colpa della rivelazione di Hakudoshi.

-Sango…- bisbigliò lui ancora intontito, poi quando si fu ripreso continuò- Hakudoshi mi ha fatto questo. E lo spettacolo? Sono ancora in tempo?-
-Kohaku, lo spettacolo sta andando avanti: Rin è salita sul palco anche senza di te, tutti gli altri stanno aiutando come possono- lo informò la sorella.
Il ragazzo si preoccupò, si liberò dalla stretta della sorella velocemente e si rimise subito in piedi, anche se gli gambe gli cedettero appena.

-Devo andare sul palco- disse risoluto.

Kanna e Sango si guardarono e senza dirsi nulla capirono. Si alzarono anche loro e lo guidarono fin dietro le quinte.
Quando arrivarono e Kohaku fece il suo ingresso, tutti lo guardarono con occhi increduli, come se fosse una visione angelica, venuta per salvarli.
Nessuno però disse una parola: lo spettacolo era in corso e disturbare la loro amica che coraggiosamente si era messa in gioco non era di certo un comportamento accettabile.
Midoriko fu sollevata nel vederlo.
Nel mentre, Rin sul palco continuava a recitare e Kohaku capì che subito dopo sarebbe dovuto entrare lui. Prese un respiro profondo e quando fu il suo momento, entrò.
Quando Rin lo vide, l’espressione di gioia che avrebbe dovuto simulare in scena, fu reale.
Si sorrisero complici e continuarono come se nulla fosse fino alla fine della rappresentazione.

Quando le tende del sipario si chiusero e un applauso scrosciante inondò la sala, Rin abbracciò d’istinto Kohaku.
-Che ti è successo? Perché eri sparito?-

-È stato Hakudoshi. Non saprei dire di preciso cosa mi ha fatto ma ho perso i sensi. Se non fosse stato per Kanna, sarei ancora in quel sottoscala-

Il concorso di concluse con la loro esibizione, ma, come aveva pronosticato Midoriko, la vittoria non andò alla loro compagnia, nonostante le proteste del pubblico. Si era resa necessario un intervento da parte di uno dei giurati, il quale spiegò che, nonostante la performance sorprendente di Rin, la compagnia Sengoku aveva cambiato programma senza averlo comunicato e questo andava contro il regolamento.
Rin a quella notizia scoppiò in lacrime e si rifugiò nel camerino. Tutti gli altri, compresi anche Kagome ed Inu-Yasha, cercarono di risollevarla in ogni modo possibile.
Midoriko la osservava, anche se quella sconfitta segnava la fine della sua scuola, su una cosa era certa: Rin aveva cominciato la sua ascesa come attrice.
Quando si fu calmata, i ragazzi si tolsero i costumi di scena e si pulirono il viso dal trucco. Nessuno di loro osava accennare al tradimento di Hakudoshi, anche se era una verità che sapevano tutti.
Mestamente caricarono la loro roba sul furgoncino.

Mentre si trovavano fuori, Rin con la coda dell’occhio vide una figura familiare: un demone dai lunghi capelli color argento. Poggiato ad una macchina, Sesshomaru parlava con un ragazzino, che Rin riconobbe subito come Hakudoshi.
Si fermò ad osservarli: sembrava che stessero parlando civilmente e, ad un certo punto, si strinsero la mano, poi Hakudoshi se ne andò.
Rin non poteva credere ai suoi occhi. Era del tutto sicura che quel colpo a tradimento fosse arrivato da Naraku Onigumo. Per quanto fosse un essere freddo, la ragazza vedeva Sesshomaru come una persona onesta, cocciuta e poco incline ai rapporti umani, ma pur sempre leale.
Vedere quella scena fu come un pugno allo stomaco.
Con il mazzo di garofani bianchi ancora in mano, camminò verso lo youkai. Era furiosa, non ragionava più.

Senza dire niente, quando fu abbastanza vicino al demone, il quale si era accorto della presenza della giovane ningen, gli scaraventò addosso il mazzo di fiori.

-È colpa sua! È solo colpa sua se ora la compagnia non esiste più!- urlò Rin in preda alle lacrime.

Sesshomaru la guardò: in una diversa situazione sarebbe stato del tutto indifferente, ma quei fiori bianchi, i fiori che lui le aveva mandato, per terra, gli fece venire un velo di tristezza.

-Io la odio! Vorrei solo che sparisse dalla faccia della terra!!!- disse ancora la ragazza, con il demone che la fissava senza proferire parola.
E se quella notte Orihime e Hikoboshi erano finalmente riusciti a rivedersi, Rin e Sesshomaru non furono mai così lontani.






Salve a tutti, cari lettori. Questa volta sono stata veloce ad aggiornare, per fortuna.
Come avete potuto leggere, Rin e Sesshomaru sono ad un punto di rottura, ma non disperate, a poco a poco recupereranno. Dal prossimo capitolo ci sarà il tanto sospirato salto temporale, vedremo una Rin di 16 anni.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con un commento.
Ringrazio le persone che hanno commentato il capitolo precedente.

Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Buon viso a cattivo gioco ***


Capitolo 13- Buon viso a cattivo gioco

 

Rin pregava con le mani giunte, lo sguardo basso e inginocchiata sul freddo pavimento. Aveva acceso un bastoncino di incenso.
Quando ebbe finito alzò lo sguardo e vide la foto di nonna Kaede sorriderle, o almeno era questo che le piaceva pensare.
Erano passati quasi due anni dalla sua scomparsa, ma abituarsi non era facile. Subito dopo lo scioglimento della compagnia, sua nonna aveva avuto un altro attacco.

Anche in quell’occasione, l’intervento del suo ammiratore si era palesato quasi subito: Kaede era stata ricoverata in una clinica dove avrebbero provveduto alle cure necessarie.
Solo che quella volta l’attacco era stato più forte del solito e la donna sapeva dentro di sé che non sarebbe sopravvissuta. Non disse nulla alla nipote per non gettarla nello sconforto, ma parlò con Midoriko, chiedendole di potersi prendere cura di Rin al momento della sua dipartita.

 -Ti chiedo di proteggerla, come hai fatto anche prima- le disse Kaede quel giorno, stringendole la mano supplichevole.

L’altra annuì.

Passò più di un mese ricoverata e i medici, dopo un po’, ritennero necessario informare la nipote delle condizioni fisiche della nonna.
Rin non aveva preso bene la notizia ma dopo poco dovette arrendersi all’evidenza. Cercava di passare ogni momento possibile con lei per renderle le sofferenze più leggere.
Durante uno di questi pomeriggi, quando Rin se ne andò per lasciare Kaede riposare, fece il suo ingresso nella stanza Sesshomaru. Sapeva che Rin se n’era andata.
Kaede, leggermente affaticata, si girò verso quella figura silenziosa e sorrise appena.

-E così la storia si ripete- disse sorridendo.

Lo youkai non capì.

Kaede riprese:- Non ti sei ancora risvegliato, ma con il tempo capirai. Anche prima sei stato tu il protettore di Rin-

-Lei che cosa sa?-
-Quando ti ho rivisto, ho come avuto un flash e la mia mente stanca si è risvegliata. Ho capito subito che eri tu il famoso ammiratore di Rin. In passato sei stato tu quello ad andartene prima, ma stavolta non è così: ero vecchia allora e lo sono ancora adesso. Prenditi cura di Rin e abbi pazienza come ne hai avuta tanto tempo fa, quando lei crescerà le cose cambieranno. È ancora troppo piccola per capire- disse Kaede ansimando leggermente per la fatica.

Sesshomaru si era avvicinato al letto della paziente, sempre silenzioso ma attento a tutte le parole che erano state pronunciate, desideroso di capirne il senso, ma invano.

-Non riesci a capirmi, eh? Non ti preoccupare, col tempo tutto tornerà al proprio posto. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi finora- sentenziò Kaede, prima di chiudere gli occhi per potersi riposare.
Non aveva intenzione di continuare il discorso con Sesshomaru, era presto anche per lui cercare di capire.
E infatti il demone si girò e se ne andò. Il viso corrugato in un’espressione di confusione più totale.
Quelle parole sibilline decise di seppellirle in un angolo della mente: non erano nient’altro che le parole di una povera vecchia in preda ad un delirio nel letto d’ospedale. Pensava questo mentre il suono delle sue scarpe era l’unico che si udiva in tutto il corridoio della struttura ospedaliera.
Sesshomaru avanzava con le mani in tasca, sicuro e veloce. Le sopracciglia erano leggermente corrucciate e formavano una piccola ruga sulla fronte pallida. Le parole della vecchia lo avevano turbato.

Sciocchezze! Urlò una voce nella sua testa.

Sono solo sciocchezze da umani.

Eppure come poteva sapere che era lui l’ammiratore di Rin?

Difficile da credere, ma proprio come aveva detto Kaede, qualcosa nella sua mente si era risvegliato. La sua mente stanca, così l’aveva definita, si era scrollata il torpore del sonno di dosso poco prima della sua dipartita. Nemmeno lei sarebbe stata in grado di spiegare come fosse avvenuto quel miracolo, ma tornarono a galla sprazzi di vita che non aveva vissuto, almeno non in quell’epoca.
Se aveva affidato sua nipote alla caparbia maestra Midoriko, fu perché Kaede sapeva che lei era “sveglia” da molto prima di lei.
Le donne lo sapevano, ne erano consapevoli, talmente tanto da non sentire nemmeno il bisogno di dirselo.

Pochi giorni dopo le condizioni dell’anziana si aggravarono e Rin ebbe il permesso di poter stare accanto a lei giorno e notte.

-Rin, bambina mia… vieni qui- la supplicò Kaede, facendole cenno con la mano. Sentiva che la fine era vicina e aveva ancora delle cose da dire.

La ragazzina si avvicinò a lei con il volto rigato dalle lacrime. Si sedette sulla sedia accanto al letto e le strinse la mano.

-Dimmi, nonna- singhiozzò tra le lacrime.

-Quando non ci sarò più, ci sarà Midoriko a prendersi cura di te. Io e lei abbiamo sistemato ogni cosa. Mi dispiace tanto, avrei voluto proteggerti…-

-Ma cosa dici, nonna? Tu mi hai sempre protetta- la interruppe Rin, vittima dei singulti.

La nonna scosse la testa:- Non è vero, ho pensato che fare determinate scelte fossero le soluzioni migliori per te, ma ora mi rendo conto che non è così-

A quelle parole Rin la guardò perplessa. Aveva paura che la nonna stesse delirando.
Le prese la mano, stringendola forte. La donna le sorrise debolmente.

-Rin, sei ancora così giovane, hai una vita davanti- continuò mentre le carezzava i capelli corvini- Mi auguro che crescendo tu possa imparare, diventare ogni giorno una persona migliore. Avrei voluto essere un esempio migliore per te-

-Ma cosa dici, nonna? Sei stata l’esempio migliore che potessi avere- rispose subito la ragazzina.

Kaede sorrise di nuovo, stavolta amaramente. Avrebbe voluto dire a Rin tante cose, cose che la nipote ignorava.
Rin poggiò la testa sul petto della nonna e le due rimasero così per un po’. Ormai le parole erano superflue e le due avevano bisogno l’una dell’altra silenziosamente.
La ragazzina ricordava di quando era piccola: le notti insonni per paura dei mostri che la nonna puntualmente “scacciava” per aiutarla ad addormentarsi; i bento pronti per le lunghe giornate scolastiche; le storie mitiche del Giappone.
Tutte immagini che passavano in rassegna nella sua testa, come un film in bianco e nero. Una calda lacrima le rigò la guancia, ma lei fece di tutto per non farsi notare da Kaede, perché non voleva farsi vedere con il viso paonazzo per colpa del pianto disperato, che, sapeva, sarebbe arrivato dopo.
Perse la cognizione del tempo, poi all’improvviso sentì il petto della nonna immobile.
Si girò, i lineamenti del viso contratti in una smorfia di terrore.
Terrore di quello che sarebbe accaduto dopo, terrore di dover affrontare la vita senza di lei, il terrore della consapevolezza di essere, ormai, completamente da sola.

-No…nonna?- soffiò debolmente, allungando una mano verso il viso rugoso della donna.

Ma la risposta non arrivò.

E lì Rin si sentì sola al mondo.

I ricordi di quello che avvenne immediatamente dopo erano un agglomerato di immagini sfocate nella memoria di Rin.
Ma ricordava perfettamente quando quella notte si ritrovò nella sua nuova stanza, a casa di Midoriko, avvolta nelle lenzuola e in un mare di lacrime silenziose. Piangeva ininterrottamente e quella sera non si era presentata a tavola. Midoriko non le disse nulla e non insistette quando vide che Rin proprio non ce la faceva a sforzarsi.

Le lacrime avevano inondato il cuscino e sentiva che anche alcune ciocche dei suoi capelli ormai erano bagnate.
Sdraiata su un fianco, con le spalle rivolte verso la porta, Rin sentì un cigolio e una lama di luce illuminò il mobilio davanti a lei.
Non si voltò, ma riconobbe il suono sordo di due piedi nudi sul pavimento.
Kagome, che non era riuscita a prendere sonno, si avvicinò al letto e si immerse sotto le lenzuola.
Con delicatezza avvicinò il viso alla schiena di Rin e con le braccia la strinse in un abbraccio silenzioso.
Al tocco delle mani della sua amica, Rin esplose in singulti rumorosi, come se finalmente stesse tirando fuori tutto il dolore che covava dentro da settimane.

Dentro di sé aveva avuto quella sensazione d’ingiustizia, ma l’aveva ignorata perché, quando Kaede era ancora ricoverata, sperava in un miracolo.

Kagome la strinse ancora di più.

Poi le sussurrò:- Mi dispiace…-

-Oh Kagome, è come se non avessi più delle radici!- disse lei con la voce rotta per lo sforzo.

-Lo so…- fu la laconica risposta.

E le ragazze si addormentarono così, vicine e cullate l’una dalla vicinanza dell’altra.
Con il passare del tempo Rin riuscì pian piano ad abituarsi alla sua nuova casa.
Oltre alla morte di Kaede dovette far fronte a tante cose: prima di tutto la vendita della piccola casa nella quale aveva vissuto e il trasloco; poi ci fu lo scioglimento della compagnia e quello fu un altro duro colpo da digerire.

Hakudoshi ormai aveva palesato a tutti il suo tradimento, entrando a far parte della scuderia di attori della società di Naraku.
Fu Shippo a mostrare a tutti gli altri la foto sul giornale. Miroku lesse l’articolo silenziosamente, Ayame invece si lasciò andare ad una serie di imprecazioni e minacce di morte che però il diretto interessato non avrebbe mai sentito, Jakotsu invece si lanciò in un teatrino drammatico solo per avere la scusa per abbracciare Inu-Yasha mentre Kohaku aveva la faccia contrita dalla rabbia.
Rin se ne accorse e gli posò una mano sulla spalla per cercare di risollevargli il morale.

-Avrei dovuto picchiarlo quella sera- ruggì il ragazzo.

La notizia peggiore, però, arrivò una settimana dopo.
E quelal volta fu Kanna a tradire. Sempre sul giornale apparve un articolo che celebrava il nuovo acquisto della società Onigumo. Sembrava proprio che Kanna fosse destinata a diventare la punta di diamante delle future produzioni cinematografiche e televisive, oltre che a quelle teatrali.

Rin, nonostante fosse palese l’allontanamento tra le due, in cuor suo sentì un altro dolore farsi strada: il dolore della delusione.
Kanna era andata al funerale di sua nonna, ma l’abbraccio che le aveva riservato era freddo e distante, una manifestazione d’affetto ma obbligata dalla buona creanza.
Vedere l’amica come un’estranea era un’esperienza sgradevole e Rin avrebbe voluto capire cosa avesse incrinato il rapporto tra di loro.
Quel giorno il suo ammiratore le fece recapitare un mazzo di garofani bianchi per darle conforto in quel momento così buio. Rin si sentì talmente grata che, per un attimo, la solitudine scomparve dal suo cuore.
I fiori per lungo tempo troneggiarono sul davanzale della finestra della sua nuova camera e, quando venne il momento di cambiarli, estrasse dal vaso un singolo fiore, che ebbe cura di pressare e di sigillarlo in due fogli trasparenti ricavandone un segnalibro che iniziò a portare sempre con sé.

Era seduta sulla sedia della scrivania, di fronte alla finestra, e contemplava l’ennesimo mazzo di fiori che le era stato recapitato dopo una piccola performance teatrale di Rin: una parte piccola in una programmazione estiva di un modesto teatro di Tokyo.

 Indossava un vestito di lino leggero color rosa, un regalo del suo ammiratore.

Con la mano che sorreggeva il mento, Rin giocava con il dito con i petali bianchi, assorta nei pensieri.

“Vedere che prende il suo lavoro con tanta serietà, mi fa solo piacere. Continui ad esercitarsi e a cimentarsi in qualsiasi ruolo le daranno, vedrà che le tornerà utile.
La sua perfomance è stata, come sempre, impeccabile.
Ricordi, non esistono parti piccole ma solo piccoli attori.

Con affetto,
il suo ammiratore”

 

Il continuo bussare di qualcuno, fece ridestare Rin dai suoi pensieri.

Si voltò e vide i grandi occhi di Kagome.

-Sì?-

-Rin, sta arrivando Kikyo- le annunciò l’amica, con la voce leggermente disperata.

Alzò gli occhi al cielo: da quando era diventata membro permanente della casa di Midoriko, Kikyo pure aveva deciso di prendere residenza fissa. Rin ringraziava sempre il cielo che le sue visite si limitavano al periodo estivo.
Kikyo faceva avanti e indietro da Londra, i motivi rimanevano oscuri a Rin.
Con lei la ragazza si era dimostrata cordiale, ma nulla di più: le sue parole rimanevano vuote, i suoi sorrisi freddi, i suoi gesti cordiali troppo posati.
E poi doveva ammettere che essere amica di Kagome non aiutava affatto: da quando si era iscritta al suo stesso liceo, passavano quasi tutto il tempo della giornata insieme, con il resto della compagnia Sengoku.

Scavallò le gambe, si lisciò il vestito e, cercando di incoraggiare Kagome silenziosamente, scesero insieme, pronte ad accogliere la nuova inquilina.

Rin poteva sentire l’agitazione dell’amica: Kagome non sopportava molto la presenza della sorella, si sentiva come oscurata sempre e comunque.
L’eterna seconda.
E pensare che un tempo Rin aveva invidiato tutti i suoi amici con fratelli o sorelle, ma si rese conto che non tutto era rose e fiori.

Quello che faceva più male a Kagome era la vicinanza che Kikyo aveva instaurato con Inu-Yasha, una vicinanza che lei non sopportava e che invidiava, in cuor suo. Per lei, che era presente ogni singolo giorno nella vita del mezzo demone, era inconcepibile che Kikyo potesse portarle via anche quello con delle sporadiche presenze.
-Passerà, vedrai che passerà in fretta- le sussurrò Rin all’orecchio, mentre scendevano l’ultimo gradino.
Kagome si voltò verso l’amica e la guardò teneramente e con una carica di gratitudine mai provata prima.
Poi insieme si voltarono verso la porta, alleate nell’accoglienza forzata di Kikyo. 

***

-COSA???- urlò per la seconda volta Ayame, rischiando di rompere i timpani della povera Sango.

Kagome annuì sconsolata, guardando in basso, più precisamente la punta dei suoi piedi, che, nonostante fossero laccati di rosso, non riusciva a trovare belli.
Con una mano sulla bocca, come ad impedire alla bocca di aprirsi e sparare cavolate a vanvera, Rin si maledisse di aver detto a Kagome quelle parole in fondo alle scale.
Era come una grande beffa del destino.
La prossima volta sarebbe stata zitta.

-Ayame, mannaggia a te, la vuoi smettere di sbraitare nel mio orecchio?- si lamentò Sango.

Erano tutte seduta sull’erba a godersi la fine dell’estate nipponica. Quella era una riunione d’emergenza, così l’aveva chiamata Rin quando aveva preso l’iniziativa.

-Hai capito, Ayame: mia sorella ha intenzione di trasferirsi in Giappone. Dang it!- ringhiò Kagome chiudendo le mani a pugno sul ventre.

Rin ricordava ancora lo sgomento della sua amica alla notizia. Kikyo aveva pensato bene di dirlo senza nessun preavviso, come se fosse una cosa naturale. Kagome er rimasta talmente sconvolta che aveva fatto cadere il cucchiaio nel piatto, schizzando tutti i vestiti che aveva addosso. A quel gesto era seguito un commento ironico di Kikyo.

-Non pensavo ti saresti emozionata così, sorellina-

In quel momento, Rin si chiese se fosse possibile odiare una persona così tanto. Poi pensò che per quello lei odiava già tanto Sesshomaru No Taisho, e si ricredette, però Kikyo si stava impegnando a fondo per prendere il suo posto.
La voglia di prenderla a schiaffi era fortissima, ma fece un respiro profondo.
La cosa che la sconvolse di più, fu la reazione affettuosa di Midoriko, anche se ragionandoci su, Rin capì che lei dopotutto era pur sempre la zia e non ne sapeva niente della faida tra le due sorelle. Considerando anche il fatto che non aveva avuto figli, avere le sue nipoti sotto lo stesso tetto, la riempiva di una gioia smisurata.

-Pensavo che tua sorella avesse una vita soddisfacente in Inghilterra- disse stavolta Sango, avvolgendole le spalle con il braccio in una sorta di abbraccio consolatorio.

Kagome sospirò:- A quanto pare no. Le è venuto in mente di seguire le orme della sorellina e di riscoprire le sue origini giapponesi. Ha anche aggiunto che questo l’aiuterà nella sua carriera di scrittrice per poter parlare di un nuovo lato di sé...-

-Un po’ pretenziosa…- continuò Sango.

-... e che, non essendo ancora così famosa in Giappone come scrittrice potrà avere una vita normale-

-… e decisamente sicura di sé!- finì sempre Sango.

Ayame stavolta non disse nulla, anzi, non urlò nulla. Si unì anche lei nell’abbraccio di Sango, seguita anche da Rin.

-Vedrai che non le daremo vita facile a scuola- la rassicurò Ayame, riuscendo a strappare un sorriso a Kagome, che le ringraziò con un largo sorriso.

Passarono ancora un po’ di tempo insieme, poi sia Sango che Ayame tornarono a casa, poiché l’ora di cena si avvicinava inesorabile.

-Vai pure avanti, Rin. Io resterò ancora un po’ qui, ho bisogno di stare da sola- disse Kagome.

L’amica annuì e la salutò, dicendo che si sarebbero viste più tardi a casa.

La città era avvolta da una luce color salmone che a poco a poco virava sul viola.

“Ho sempre amato questi segno demoniaci”

Rin fu costretta a fermarsi e si portò una mano sulla fronte. Ancora una volta quel lampo e il flash di una frase che non aveva mai detto.
Quelli che erano degli episodi sporadici, si stavano trasformando in appuntamenti quotidiani e non riusciva a spiegarsi il motivo.
Anche nei suoi sogni viveva emozioni così forti, così intense da sembrare reali.

Riprese la marcia, preferendo concedersi una lunga passeggiata rilassante al posto dei mezzi pubblici. Non le capitava spesso di avere del tempo per perdersi dentro ai meandri della città.
Nonostante l’estate stesse per finire, Rin non si sentiva malinconica. L’arrivo dell’autunno avrebbe significato una nuova stagione teatrale e lei non stava più nella pelle.
Purtroppo la compagnia si era sciolta da un po’ di tempo, ma lei aveva continuato ad esercitarsi, aveva preso parte al club di teatro della scuola e cercava di non saltare nemmeno un provino per cimentarsi in quante più parti possibili.
Da un po’ di tempo a questa parte, Miroku aveva avanzato l’ipotesi di rimettere in piedi la compagnia e provare a dare altri spettacoli.
Rin, ovviamente, aveva accolto la cosa in maniera entusiasta e cercava di convincere gli altri a seguirla.
Sicuramente non avrebbero potuto contare sull’appoggio di una scuola, ma provando e riprovando sarebbero riusciti a farsi notare da qualcuno.

Ad un tratto Rin si fermò di fronte ad un cartellone pubblicitario: il volto di Kanna troneggiava su una pubblicità di cosmetici. Da quando era entrata alla Onigumo, aveva intrapreso anche una carriera da modella.
La cosa non sorprese Rin, in fin dei conti Kanna reincarnava l’ideale di bellezza giapponese, con la pelle chiarissima e gli occhi scuri. Inoltre crescendo avevo sviluppato un fisico alto e longilineo.

Istintivamente portò lo sguardo al suo di fisico: niente di chè, ma di certo non un fisico scolpito da modella. Il massimo dello sport che si concedeva era correre da un posto all’altro, da un provino all’altro.
Una sensazione di sconforto la pervase: Kanna stava riuscendo dove lei faticava ad andare avanti.
Adorava l’idea di diventare un’attrice, ma in certi momenti si chiedeva se ci sarebbe mai risciuta. Aveva paura di passare la vita ad arrancare, accontentandosi di ruoli minori.
Per certe persone la vita era davvero facile.

Non è giusto, pensò con una punta d’invidia.

Una lacrima le scese lungo le guance.

-Rin-

Una voce granitica l’aveva chiamata. La ragazza si asciugò la lacrima il più velocemente possibile e poi si voltò infastidita: aveva riconosciuto la voce.

-Non mi sembra di averle dato il permesso di chiamarmi per nome… Sesshomaru-sama!- sentenziò lei, ponendo particolare enfasi sul suffisso onorifico con cui si rivolgeva al demone.

Ed eccolo lì, in tutta la sua imponenza.
Solo dopo Rin si rese conto che si era sì fermata davanti al cartellone pubblicitario, ma anche di fronte al grattacielo che ospitava gli uffici della famiglia No Taisho.

Della serie le disgrazie non arrivano mai da sole, pensò lei.

Sesshomaru, dal canto suo e anche se non voleva darlo a vedere, si sentì felice di rivederla: da quando la compagnia si era sciolta le occasioni per avere un confronto faccia a faccia si erano ridotte.
Capitava che la vedesse di fronte casa sua, data la sua amicizia con Inu-Yasha, ma lei manteneva il suo solito atteggiamento distaccato e infastidito. Soprattutto il fastidio che provava nei suoi confronti lo enfatizzava fino a renderlo quasi caricaturale.
Era buffa quando faceva così.
Ovviamente c’erano state anche le occasioni in cui lui si era recato ai suoi spettacoli teatrali, ma quelle volte prenotava sempre un posto in ultima fila, per non farsi vedere da lei e non far saltare la sua copertura.
Dopo quel Tanabata di due anni, l’aveva osservata crescere ed ora vedeva una ragazza di sedici anni, per certo aspetti ancora bambina, ma che lentamente si sarebbe trasformata in una donna.

Si voltò anche lui verso il cartello.

-Naraku la sta spremendo fino all’ultima goccia- constatò, provando quasi dispiacere per quella ragazza sotto le grinfie di quell’essere.

-Lo sa bene, lei, dal momento che siete così amici-

-Assolutamente no. Non ho niente a che fare con quel mezzo demone- rispose lui, piccato. Ed era vero: dal 7 di luglio di due anni fa i rapporti tra i due giovani rampolli si erano interrotti, per volontà di Sesshomaru.

Avrebbe vinto la sua partita onestamente e contando solo sulle sue forze.

-Stai tornando a casa?- domandò lui.

-Non credo che questi siano affari suoi- disse lei.

-Permetti che ti dia un passaggio, farà buio tra poco- continuò Sesshomaru come se lei non avesse detto niente.

-No, grazie. Mi piace camminare- e si rimise in marcia.

Sesshomaru la osservò mentre si allontanava, i lunghi capelli corvini che oscillavano al ritmo della sua andatura.

-Vada pure, tornerò a piedi- annunciò all’autista. Poi raggiunse la ragazza in un batter d’occhio.

Rin, quando vide lo youkai di fianco a lei, quasi non urlò dallo spavento.
-Ma è pazzo? Vuole farmi prendere un colpo?-

“Sei così veloce e silenzioso che non so mai dove ti troverò”

-È venuta voglia anche a me di camminare- disse non curante lui.

La ragazza lo guardò diffidente. La stava prendendo in giro?

-Le nostre case non distano molto l’una dall’altra- annunciò Sesshomaru come se le avesse letto nel pensiero e la superò continuando a camminare.

Fu la volta di Rin vederlo avanzare con i capelli argentei lungo la sua figura.

“Aspettatemi, Sesshomaru-sama”

Corse più veloce che potè.
Si ritrovarono fianco a fianco. Rimasero per qualche minuto in silenzio, interrotti solo dal rumore dei tacchetti dei sandali di Rin sul marciapiede. I lampioni iniziavano ad accendersi, segno che la sera era calata sulla città.

-Come sta?- chiese poi la ragazza, per interrompere il silenzio.

Sesshomaru aggrottò un sopracciglio, certo del fatto che lei non potesse vederlo in volto.

-Non pensavo avessi a cuore il mio stato d’animo-

 

-Infatti non mi sta a cuore, sto solo cercando di essere educata!- ribattè subito lei.

In fondo non era stata una cattiva idea rimandare l’autista a casa da solo.

-Lavoro molto- rispose.
-Non è una risposta- protestò Rin.
-E tu?- chiese subito Sesshomaru, cogliendola di sorpresa.

Rin rimase sorpresa, poi rispose:- Bene, credo… a scuola me la cavo, anche se forse dovrei applicarmi di più in matematica. Dalla signora Midoriko sto bene, ho i miei spazi. Mi ha chiesto più volte di darle del tu ma io non ci riesco, la stimo troppo per prendermi certe confidenze-
Sembrava un fiume in piena e dentro di sé Sesshomaru fu sollevato nel vederla parlare. Non la conosceva così bene, ma sapeva che parlare le piaceva e dal momento che lui non era un asso in quell’arte, lasciava a lei tutto lo spazio di cui avesse bisogno.
-E il teatro? Reciti ancora?- azzardò lui, facendo finta di non sapere nulla. In realtà la seguiva da lontano, sapeva tutto quello che aveva fatto.

Più volte avrebbe voluto darle una mano, ma sapeva che lei non avrebbe accettato. Inoltre era consapevole del fatto che lei doveva crescere da sola, farsi le ossa.
Essere sempre protetta non avrebbe portato nulla di positivo nella sua vita.
In fondo era fiero di vederla muoversi in autonomia, seppur a volte in maniera goffa, dovuta alla scarsa esperienza del mondo, ma almeno era un tipetto che si dava da fare.

-Certo, anche se non è facile- ammise lei, abbassando la testa leggermente.
-Se riuscissi a firmare un contratto con qualche società, ti si aprirebbero molte più possibilità-
Rin si voltò di lato, guardandolo attentamente.
-Guarda la tua amica: da quando ha firmato un contratto con la società di Naraku, lavora molto, è conosciuta-
-Cosa sta cercando di dirmi? Di firmare un contratto con la Onigumo?- lo interruppe Rin piantandosi al centro del marciapiede.

Anche Sesshomaru si fermò e lentamente di voltò verso di lei.
La guardò. Le braccia lungo il corpo, i vestiti estivi leggermente stropicciati e gli occhi bloccati in un moto di confusione.
Si prese tutta la calma del mondo per risponderle.
Tirò un lungo sospiro e poi disse:- Le sto offrendo un contratto con la mia società-
Rin ebbe come l’impressione di trovarsi in una realtà alternativa.

-Scusi? Mi prende in giro?-

-Hai sentito benissimo. Midoriko ha molta considerazione di te ed io la stimo. Pensaci bene, se fossi sotto contratto con la mia società potresti farti conoscere, partecipare a spettacoli importanti e festival. Inoltre riceverai anche uno stipendio. Non desideri affrancarti un giorno dalla signora Midoriko?- continuò lo youkai avanzando verso di lei.

Rin sollevò la testa per guardarlo bene. Le iridi ambrate dentro le sue, lo sguardo fisso e serio. Decisamente non la stava prendendo in giro.

-Ma… ma io la odio! Come può chiedermi di lavorare per lei, dopo che ha fatto fallire la scuola della mia sensei?- chiese furente Rin, mentre sentiva la rabbia crescerle inesorabile.

Sesshomaru lì per lì non disse nulla, allungò una mano artigliata e le prese il mento tra le mani.

-Io con quella storia non c’entro niente, sei libera di credere quello che vuoi. Ma lascia che ti dica una cosa: se vuoi andare avanti, non saranno poche le occasioni in cui dovrai fare buon viso a cattivo gioco. Mi odi? Bene, ma non metterti da sola i bastoni tra le ruote. Ti sto offrendo una grande opportunità, per te e la tua carriera-

Aveva pronunciato quelle parole con un tono più duro del solito, come se fosse una sorta di rimprovero.
Rin si ritrovò spiazzata da quelle parole, quasi si vergognava di essere apparsa così infantile agli occhi di lui. Sapeva che aveva ragione, eppure una parte di lei faticava ad accettare quel ragionamento.
Sesshomaru la lasciò, si voltò veloce, le prese la mano e continuò a cammianre verso casa. Stavolta nessuno parlò più.
Rin si scoprì ad arrossire a quel contatto con la mano artigliata di lui.

Una parte della sua memoria le proiettò un flash.

La mano si era posata sulla sua guancia.
“Sesshomaru-sama”
“Ora stai bene”
Un sorriso.

Non si accorse nemmeno quando fu di fronte al cancello della casa di Midoriko.
Un po’ imbarazzata, ringraziò il demone per averla scortata fino a lì.
Lui, di tutta risposta, tirò fuori dal taschino della giacca un cartoncino color crema e glielo allungò.

-La No Taisho a breve inizierà le riprese di un film, terremo a giorni i provini. Pensa a quello che ti ho detto- disse mentre lei afferrava quel piccolo pezzo di cellulosa.

-Lo farò- promise.

Sesshomaru si voltò e proseguì il suo cammino. Mentre si allontanava ad entrambi risuonarono nella testa parole lontane.

“Torna presto, Sesshomaru-sama”

Il vento soffiò leggero e Rin vide un mare d’argento incresparsi e sparire nell’oscurità della sera.

***

Buonasera a voi, miei cari lettori.
Sono tornata e il capitolo è piuttosto lungo. Spero davvero che vi sia piaciuto. devo ammettere che sono stata parecchio in crisi, ma ora ho più chiara la story line, quindi state tranquilli... aggiornerò il prima possibile.

Fatemi sapere che ne pensate!

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Sorprese! ***


Capitolo 14- Sorprese!

 

Quando aveva camminato per le vie di Tokyo, Rin non pensava che l’inizio dell’autunno avrebbe portato con sé un uragano di novità e sorprese, belle e brutte.
L’anno scolastico era iniziato da poco e già dovette far fronte all’umore nero di Kagome, dovuto alla prensenza di Kikyo nell’istituto.
Scrittrice non molto famosa in Giappone un corno!
Appena messo piede nell’istituto, tutti gli studenti si erano voltati a guardarla con un misto di ammirazione e stupore. La conoscevano eccome!

-Fanatica- aveva sentenziato Ayame con un leggero disgusto nella voce. Rin e Sango si erano limitate ad un’occhiata fugace.

L’unica cosa positiva è che non si avvicinò mai più di tanto al gruppetto formato dai membri dell’ex compagni Sengoku e questo fece tirare un sospiro di sollievo a Kagome. Il tempo della ricreazione e della pause pranzo si svolgeva spensierato come sempre e Miroku più di una volta cercò di convincere gli altri a formare di nuovo la compagnia. Rin come sempre cercava di contagiare tutti con il suo entusiasmo, anche se dovette ammettere a sé stessa che era più un escamotage per non pensare alla proposta che le aveva fatto quella sera Sesshomaru.

Ne aveva parlato solo con Kagome e Inu-Yasha, un pomeriggio durante il quale erano intenti a studiare insieme.

-Inu-Yasha...- disse lei posando la matita sul tavolo.

-Mmm?- mugugnò il mezzo demone.

-Un po’ di sere fa ho incontrato tuo fratello…-

-Fratellastro!!!-

-Quello che è!- rispose stizzita lei- in ogni caso mi ha proposto di sottoscrivere un contratto con la vostra società… tu ne sai qualcosa?-

 Non si aspettava una risposta sicura da parte del suo amico. Immaginava perfettamente che un liceale come loro fosse all’oscuro dei piani di un dirigente di un impero finanziario.
Infatti Inu-Yasha parve più sorpreso di lei.

-Rin, non me lo avevi mai detto- esordì Kagome, colta di sorpresa anche lei da quella notizia così bislacca.

O forse non così tanto…
Ragionandoci sopra, Kagome capì perché Sesshomaru le avesse fatto quell’offerta: Rin era un’attrice talentuosa, ancora giovane ma con così tanto da imparare. Il fatto che fosse la pupilla di Midoriko non faceva che aumentarne il valore.
Sicuramente non era così ingenua da non sospettare che una piccola parte fosse dovuta anche alla vicinanza di Rin con la zia e di conseguenza più vicino ai diritto d’autore del “Sengoku monogatari”.
Tra sé e sé sorrise divertita: tra tutti i bersagli, Sesshomaru aveva scelto quello meno facile.

Dopo quel piccolo confronto con i suoi amici, Rin decise di confidarsi con la sua sensei.
Una sera, dopo cena, andò diretta nella camera da letto di Midoriko.

Bussò delicatamente.

-Avanti-

Rin spinse la porta e si affacciò leggermente con la testolina.
Midoriko le sorrise.

-Volevi dirmi qualcosa, Rin?-
Era davvero semplice capire a cosa stessa pensando quella ragazza, le si leggeva in faccia ogni minima emozione.
Lei annuì con la testa e poi entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
Non sapeva bene perché, ma si sentiva un po’ in imbarazzo a parlare con la sua sensei di Sesshomaru.

-Ti ascolto- la incoraggiò la donna con voce morbida.

Rin prese fiato e poi raccontò tutto, nei minimi dettagli, dall’incontro fino alla proposta. Non nascose nemmeno il fatto di aver invidiato Kanna quando aveva visto la sua foto appesa per le strade della città.
Midoriko, che aveva ascoltato ogni parola, non passò molto tempo a riflettere sulla risposta: aveva già le idee chiare.

-Io credo che dovresti accettare- fu la sua risposta.

Rin, sinceramente, non fu molto sorpresa del consiglio della sua maestra. Una parte di lei sapeva che era più che ragionevole accettare di entrare a far parte di quella società. Era sicuramente meglio che essere uno dei tanti burattini di Naraku Onigumo.
In più si sentiva un po’ in imbarazzo per aver quella prospettiva rispetto ai suoi amici, proprio ora che si stava facendo di nuovo strada l’idea di rimettere in piedi la compagnia.
Midoriko si alzò dalla poltrona di velluto e si avvicinò alla sua allieva, le poggiò dolcemente una mano sulla spalla, costringendo la ragazza a guardarla in viso.

-Rin, so che uno dei motivi per cui non vuoi accettare è la lealtà, ma ricordati che devi pensare anche al tuo futuro. Sei un’attrice di talento e non puoi bloccarti da sola. Sarà una bella occasione per te, per crescere e conoscere registi famosi…-

-Il fatto è che, gli altri ragazzi… stavano pensando di rimettere in piedi la compagnia e… se io firmassi un contratto con la No Taisho, mi riterrebbero una… traditrice?- azzardò la ragazza, facendo una smorfia.

Midoriko sorrise divertita.

-Sono certa che non ti biasimeranno per questo, anzi- affermò.

-Lo crede davvero?-

-Ne sono certa!-

 

***

 

E così Rin si era decisa a presentarsi a quei provini.
Le audizioni si tenevano presso un palazzo del centro di Tokyo di proprietà della No Taisho.
Guardò il cartellone affisso fuori sulla porta a vetro scorrevole: ci sarebbero stati i provini per la trasposizione cinematografica dell’anime “Your name”. Rin lo aveva visto con Kagome e Ayame al cinema e si sentì eccitata all’idea di concorrere per il ruolo della protagonista.
Entrò dentro al palazzo e, seguendo le indicazioni, si presentò all’ingresso della sala dei provini.
L’agitazione le attanagliava lo stomaco, nemmeno una goccia d’acqua sarebbe potuta passare. Si sfregò le mani, in attesa del suo turno.
Guardandosi intorno, notò delle sedie posizionate lungo i muri e decise di provare a stendere i nervi sedendosi.
Se qualche giorno fa si sentiva sicura di sé e forte come un leone, forse anche di più, in quel momento si sentiva debole e impaurita.
Fece un lungo sospiro e poggiò la testa contro il muro, allungando le gambe per stirarle.
La notte prima aveva parlato a lungo con Kagome e anche lei, come Midoriko, l’aveva incoraggiata e rassicurata sul fatto che gli altri ragazzi della compagnia non le avrebbero voltato le spalle, non lo avrebbero visto come un tradimento.
Per non perderli, Rin era disposta a tutto, anche ad impegnarsi lo stesso negli spettacoli con loro, sacrificando del tempo allo studio.
Dopo poco, anche se a lei erano sembrati un’infinità di minuti, una voce la chiamò per dirle che poteva entrare a sostenere il suo provino.

Ormai è fatta, pensò tra sé e sé. Prese tutta l’aria che poteva e, alzandosi incerta, entrò.

Da lontano qualcuno l’aveva osservata silenzioso.
Sesshomaru sperò che andasse tutto bene e le rivolse un incoraggiamento sincero, appena sussurrato tra le sottili labbra di demone.
Poi tornò ad occuparsi dei suoi affari e diede retta a Jaken, il quale lo chiamava insistentemente.

***

-SORPRESA!!!- urlarono una serie di voci, non appena Rin mise piede dentro casa.

Neanche il tempo di chiudersi l’uscio alle spalle, che subito venne inondata da un’enorme quantità di sorrisi.
I ragazzi della compagnia erano lì, tutti di fronte a lei e non mancavano Kagome e Inu-Yasha, il quale ormai sembrava avesse preso residenza fissa lì da loro. Anche Kikyo era presente, ma per Rin non faceva alcuna differenza.
Li guardò spaesati, poi vide Ayame correrle incontro e abbracciarla.

-Ci siamo decisi: la compagnia Sengoku tornerà a calcare i palcoscenici più importanti di Tokyo!!!-

Sono spacciata! pensò Rin.

***

La serata procedeva nel migliore dei modi, anche se Kagome non poteva fare a meno di lanciare qualche occhiata nella direzione di Rin, la quale nonostante si sforzasse di sorridere e di far finta di niente, le appariva sempre pensierosa.
Immaginava che il provino fosse andato bene, anche se ci sarebbero voluti diversi giorni prima di sapere il risultato.
Il tempismo non era stato dalla sua parte, ma come la zia aveva completa fiducia negli altri e credeva fermamente che non avrebbero mai voltato le spalle a Rin.
L’idea della sorpresa era venuta da Ayame. Avevano pensato di travolgere Rin con una notizia splendida, ma non sapevano che così la stavano solo facendo annegare in preda ai dubbi e ai sensi di colpa.

Ridacchiò sotto i baffi: era divertente vedere quanto fosse ingenua la sua amica da quel punto di vista.

Lanciò un’occhiata alla sala, mentre andava in cucina a prendere altre bibite: Miroku era impegnato in un corteggiamento selvaggio nei confronti di Sango, la quale, rispetto a prima, sembrava molto più lusingata; Ayame, Shippo, Koga e Kohaku cercavano in tutti i modi di coinvolgere la povera Rin in una chiacchierata normale, mentre Bankotsu e Jakotsu conversavano amabilmente con sua zia Midoriko.

Fu proprio Jakotsu a farle venire in mente una cosa:- Ma il mio Inu-Yasha dov’è?-

Kagome aggrottò le sopracciglia. Lì nella sala da pranzo non c’erano né lui né Kikyo.
Subito il panico si impossessò di lei, ma cercò di calmarsi da sola, dandosi della stupida per quei pensieri del tutto inutili.

Kikyo sarà in camera sua a fare la preziosa, mentre Inu-Yasha… forse al bagno?

Continuò a ripetere a sé stessa che non c’era niente di cui preoccuparsi, le sue erano le fantasie di una ragazzina in preda alla gelosia.
Per una volta che aveva qualcuno che non la considerava solo la sorella minore della talentuosa Kikyo, era sempre sul chi vive.
Più di una volta, però, le sue amiche le avevano suggerito che, forse, quella gelosia nei confronti di Inu-Yasha nascondeva qualcosa di più.

-Anche noi ti vogliamo bene come Kagome e non come sorella minore di Kikyo… eppure con noi non mostri tutta questa gelosia- l’aveva incalzata Ayame durante un pomeriggio di studio.
Gli sguardi e le risatine di Rin e Sango erano arrivata immediatamente e Kagome era arrossita. A quelle parole aveva negato categoricamente un qualsiasi coinvolgimento sentimentale tra lei e il mezzo demone.

Si diresse verso la cucina.
Mentre apriva la porta, qualcosa le fece raggelare il sangue nelle vene.

Kagome rimase immobile sulla soglia della porta. Era convinta che vi avrebbe trovato Jinenji, intento a riempire un’altra ciotola con snack per gli ospiti, ma si sbagliava di grosso.
Nella stanza c’era un mezzo demone, ma non il mezzo demone grande e grosso con la pelle tendente sull’arancione.
Questo aveva le orecchie da cane sulla testa, le conosceva fin troppo bene.
A Kagome per un momento mancò il fiato, sentì la terra aprirsi sotto i suoi piedi. Gli occhi cominciarono a pizzicarle e avrebbe solo voluto sparire.
Un vuoto dentro, un grande vuoto, come un vortice che si apriva all’altezza dell’ombelico e la trascinava via con tutte le sue forze.

Inu-Yasha era in piedi, lì nella cucina di casa sua, e stava baciando sua sorella.

Salve a tutti cari lettori!
Sono tornata presto stavolta. Il capitolo è breve ma necessario per fare un po' di passi in avanti nella storia.
Spero vi sia piaciuto.

A presto,

Sophie Ondine

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Capitolo 15
*** Verità cartacea ***


Capitolo 15- Verità cartacea

 

La truccatrice continuava a picchiettare la spugnetta piena di cipria sul viso di Rin, ma lei voleva solo sottrarsi a quel supplizio: aveva scoperto quanto fosse difficile rimanere ferma quando qualcuno te lo imponeva. Così era successo a lei dal primo giorno che aveva messo piede negli studios.

Sì, alla fine era stata presa per quel film.
Ancora non riusciva a crederci.

Seduta sulla sedia, ripensò al giorno in cui le avevano comunicato l’assegnazione del ruolo.
All’inizio pensò che si doveva trattare di uno scherzo, poi però la gioia e l’euforia avevano preso il sopravvento e si era ritrovata a saltare sul divano in preda ad un moto travolgente del corpo.
Midoriko, Kagome e Kikyo erano accorse per vedere cosa fosse successo, e se le prima due si erano unite a lei nei festeggiamenti, Kikyo aveva semplicemente alzato un sopracciglio per poi girare i tacchi e tornare in camera sua.

Kagome invece era salita sul divano con lei per saltare insieme, mentre Midoriko, con le dita dentro le orecchie per evitare di rompersi i timpani a causa dei decibel alti, le guardava divertita e felice. Da quando aveva saputo che Rin avrebbe partecipato al provino, non aveva avuto il minimo dubbio sul fatto che l’avrebbero presa.

 -Bene, abbiamo finito- le comunicò piatta la truccatrice, continuando a masticare la bubble gum di colore rosa. Rin si chiese come facesse a parlare e masticare insieme.
Si alzò e si diresse verso il set, il copione arrotolato in una mano.

-Buongiorno Rin- esclamò una voce dietro di lei.

La ragazza si voltò e vide il volto del suo collega, Hajime, il ragazzo protagonista del film insieme a lei.

-Buongiorno- rispose lei sorridendo e agitando il copione per salutarlo.

-Studiato le battute?- chiese lui affiancandola con un sorriso cordiale.

-Diciamo di sì… altrimenti improvviserò!-

-Non ci provare! L’ultima volta non riuscivo a starti dietro e ho fatto una fatica immensa!- protestò Hajime.

Rin rise. Non era la prima volta che improvvisava qualche battuta. Capitava spesso di non riuscire a studiare a menadito tutte le battute, questo perché lei non aveva nessuna intenzione di tralasciare lo studio. Aveva sempre ottenuto dei buoni voti e poi anche il suo ammiratore si era raccomandato con lei, in uno dei suoi ultimi biglietti, di continuare a prendere seriamente la scuola, perché una buona attrice la si riconosce dalla cultura che ha.
Il mazzo di fiori le era stato recapitato a casa di Midoriko, il giorno dopo che sul giornale era apparsa la notizia del suo debutto come attrice sul grande schermo sotto contratto con la No Taisho.
Era intenta a masticare senza troppa convinzione i cereali che Kagome le aveva passato, quando Jinenji fece il suo ingresso allegro e canticchiando un motivetto della sua infanzia.
-Per Rin!- aveva annunciato depositando di fianco a lei il grande mazzo di garofani bianchi splendenti.

Come sempre aveva provato un’emozione di calore all’altezza del petto e silenziosamente lo aveva ringraziato.

-Chi è di scena!- chiamò poi una voce che ridestò la ragazza dai suoi pensieri.

Rin scosse la testa, poi si diresse verso il piccolo angolo illuminato dove avrebbero girato la prossima scena.

***

-Bene così, per oggi. Ricordatevi che la prossima settimana inizieremo a girare in esterna- urlò il regista prima di lasciar andare tutti gli attori.

Rin, all’idea di girare fuori, si sentì entusiasta.
Salutò i suoi compagni e si diresse verso i corridoi degli studios per raggiungere Jinenji che, ne era sicura, l’attendeva all’ingresso con la macchina pronto a riportarla a casa.
Quel giorno aveva particolarmente fretta: quella settimana era in programma un test d’inglese e doveva assolutamente ripassare qualcosa. Sicuramente lo avrebbe fatto dopo cena.
Con la tracolla che gravava sulla spalla destra, allungò il passo per arrivare il prima possibile, solo che non si accorse di una figura piuttosto piccola che si era piazzata davanti a lei.

Senza rendersene conto, Rin si ritrovò a terra con un gran tonfo.

-Ahia- mugugnò portandosi le mani all’altezza della pancia. Non sapeva bene cosa, ma qualcosa l’aveva colpita all’altezza del ventre, talmente forte da mancarle quasi l’aria.
Non ebbe molto tempo per rendersi conto del suo dolore, perché subito una voce infantile le fece distogliere l’attenzione da sé stessa. Aprì gli occhi e vide davanti a lei una bambina, di circa sei o sette anni, riversa a terra, con le mani premute contro il viso.
Rin fu attraversata da un lampo di terrore: sebbene non fosse particolarmente corpulenta, un’adolescente come lei avrebbe potuto fare benissimo del male ad una bambina.
Si avvicinò portandosi vicino alla piccola a gattoni.

-Hey, come ti senti?-
-Mmmm, mi fa un po’ male il naso- si lamentò la piccola, con gli occhi chiusi.
Rin le afferrò le mani, poi disse:- Fammi vedere-
E con suo sollievo vide che non usciva sangue ma la zona era solamente un po’ arrossata per l’impatto.
La bimba aprì gli occhi e la guardò quasi supplichevole.

-Non esce sangue, vero?-
-Assolutamente no, è solo un po’ rosso- la rincuorò.
-Però mi fa molto male-

Rin si guardò intorno in cerca di una soluzione: voleva assolutamente rimediare in qualche modo. Fortunatamente venne in suo aiuto un distributore di merendine, posizionato nel corridoio. Vide che vendevano anche cartoni di latte al sapore di frutta.
Prese le mani della bambina e l’aiutò ad alzarsi da terra, poi si diresse verso la macchinetta.

-Che cosa ti piace?- chiese, con una moneta in mano.

La piccola ci pensò su, poi disse, puntando il dito contro il vetro:- Il latte alla fragola-
Detto fatto: Rin in pochi secondi le stava porgendo un cartone color rosa.

-Prima di berlo, mettilo un po’ sul naso. Vedrai che ti passerà prima il dolore-
-Grazie, signorina- trillò la bimba, con occhi luccicanti e afferrando subito il piccolo omaggio che le era stato offerto.
-Mi chiamo Rin-
-Ed io sono Mayu!-
-Che ci fai qui da sola, Mayu?-
-Stavo aspettando il mio papà, ma lui ci sta mettendo tanto-
-Lavora qui il tuo papà?-
-Non proprio-

La risposta vaga non fece altro che gettare Rin ancora di più nella confusione: chi diavolo poteva mai essere?

-Tu sei un’attrice?- chiese subito curiosa la bambina, cambiando argomento.
-Sì-
-E stai girando un film?-

Rin era sul punto di rispondere, quando qualcuno la bloccò.

-Mayu! Quante volte ti ho detto di non allontanarti?- tuonò una voce alle spalle della ragazza.

La bimba assunse subito un’espressione colpevole. Rin si voltò, vedendo comparire davanti a lei il volto di un uomo adulto, vestito in maniera piuttosto elegante. Ad occhio e croce dimostrava poco più di quarant’anni.
Dall’espressione sul volto, capì che la piccola doveva essersi allontanata senza il suo permesso.
Si diresse verso Mayu e si inginocchiò per parlarle occhi negli occhi.

-Quante volte ti ho detto che è pericoloso?-

L’uomo subito si rese conto della presenza di una terza persona e, gentilmente, si voltò verso Rin e le disse:- La ringrazio per aver trovato mia figlia-
Fu una frase che la mandò un po’ in confusione: non sapeva nemmeno che lui la stesse cercando, quindi non capiva il perché di quel ringraziamento.
Tentò di spiegarglielo.

-Ma no, non mi deve ringraziare…-
-Papà, lei è Rin. Mi ha comprato anche il latte alla fragola!- urlò subito Mayu allegra.

-È tutto a posto qui?-

Questa volta fu una quarta voce a parlare. Voce che Rin avrebbe riconosciuto a chilometri di distanza, tanto era inconfondibile: glaciale, dura, monocorde. Non avrebbe avuto nemmeno bisogno di voltarsi per rispondere, ma lo fece.
E si ritrovò a fronteggiare ancora una volta l’espressione di Sesshomaru, in piedi di fronte a lei.

-Sesshomaru-sama…-

Lui dal canto suo, sembrava leggermente stupito di vederla, anche se difficilmente lo avrebbe dato a vedere. Si limitò ad alzare un sopracciglio, che la diretta interessata interpretò come un segno altezzoso.

-Mi scusi per questa interruzione- si scusò l’uomo rialzandosi e avvicinandosi con la figlia agli altri due.
-Nessun problema. Vedo che ha conosciuto una delle nostre nuove promesse- disse Sesshomaru, spostando l’attenzione su Rin.
-Papà, è un’attrice!- saltellò Mayu in preda all’euforia.

La diretta interessata, di tutta risposta, avvampò. Nonostante il teatro non le piaceva stare al centro dell’attenzione.

-Rin, ti presento il signor Kosuke Matsumoto, proprietario della casa editrice “kuroi kitsune”- continuò il demone, presentandoli.
-Conosco bene la sua casa editrice. Molti dei miei libri sono i vostri- disse lei allungando una mano- Molto lieta, mi chiamo Rin Damashita-
-Damashita? Conoscevo una ragazza all’università con questo cognome- disse l’uomo, stringendole la mano.
-Davver0? Forse è un caso di omonimia…-

Ma non fece in tempo a finire la frase perché il telefono iniziò a squillare: era Jinenji che, preoccupato, voleva assicurarsi che stesse bene e che il ritardo non fosse dovuto a qualche malore. Rin, sentendo la voce del mezzo demone, sbiancò e spalancò gli occhi: si era completamente scordata di lui.
Chiuse la conversazione e si rivolse verso i presenti.

-Vogliate scusarmi, ma devo proprio andare. È stato un piacere fare la sua conoscenza-
-Rin, ci sarai anche domani?- domandò speranzosa Mayu.
Lei sorrise.
-Certo!-
E corse verso l’uscita.
Due occhi ambrati la seguirono fino alla fine.

***

Kagome guardò l’orologio per l’ennesima volta e poi sbuffò rumorosamente. Lasciò cadere la testa sulla mano destra e rimase a guardare il panorama scuro dalla sua finestra.
Non aveva nessuna voglia di scendere giù in salotto: sapeva che avrebbe trovato Kikyo e Inu-Yasha, intenti a fare i piccioncini. E questo spettacolo avrebbe voluto risparmiarselo. In più Rin, da quando aveva iniziato a girare il film, raramente rientrava a casa nel pomeriggio.
Inutile era anche il fare affidamento su sua zia Midoriko, la quale cercava di non alimentare la rivalità tra le due sorelle.
Kagome alla fine non aveva fatto altro che adattarsi a quella situazione, rintanandosi nella sua camera e decisa a svolgere i compiti alla perfezione, pur di non doversi recare giù. Aveva persino fatto scorta di bottiglie di acqua nel caso le fosse venuta sete.
Si stropicciò gli occhi, un po’ indolenziti dalla vicinanza con le luci del computer.

Inevitabilmente si trovò a rimurginare sugli avvenimenti di tre settimane prima: il provino di Rin, la festa e quel bacio, l’inevitabile allontanamento di Inu-Yasha dal gruppo e Kikyo che sembrava insopportabilmente felice e fastidiosamente plateale nel volerlo dimostrare.

Quando li aveva visti in cucina, aveva prontamente fatto dietrofront per evitare di farsi beccare lì impalata davanti alla porta.
Si era portata una mano alla bocca per scongiurare un conato di vomito.

-Kagome, che hai?- aveva chiesto la voce di Rin. Di fianco a lei la figura di Jakotsu.
La ragazza aveva ringraziato gli dei dell’arrivo dei suoi amici, altrimenti sarebbe stata vittima di un attacco di pianto quasi isterico.
Ma per quanto potesse essere riconoscente e sollevata, gli occhi lucidi la tradirono. I volti dei suoi amici assunsero un’espressione decisamente preoccupata. Rin le si accostò subito, mettendole una mano sulla schiena per cercare di rassicurarla, anche se non sapeva precisamente cosa le stesse succedendo.
Jakotsu, sempre sveglio e dotato quasi di un sesto senso, si avvicinò silenziosamente verso la porta della cucina e sbirciò. Si allontanò quasi subito e rivolse a Kagome uno sguardo carico di affetto e comprensione.

-Su, andiamo in bagno. Non è il caso di rimanere qui- aveva poi detto dolcemente, guidandole con sicurezza.

Una volta in bagno, Kagome sentì improvvisamente le lacrime scenderle senza alcun freno lungo le guance. Appoggiata alla parete, si lasciò scivolare giù in preda ai singulti, coprendosi la faccia con i pugni chiusi, le nocche bianche per la rabbia e il nervoso.
Rin, che era rimasta in silenzio, guardò Jakotsu, interrogandolo con gli occhi.

-Kikyo e Inu-Yasha- bisbigliò lui.

Kagome non ricordava quanto fossero rimasti chiusi in bagno, perché lei si straniò completamente, decisa a far sfogare il sentimento che sentiva dentro.
Quando poi le lacrime finirono, i due amici la tirarono su insieme.
Jakotsu le carezzò le guance.

-Su, pensiamo a dare di nuovo splendore a questo viso- aveva detto, senza accennare minimamente ai responsabile della sua tristezza.
Rin invece la portò vicina al lavandino e gentilmente le lavò il viso con acqua fredda, allievandole il rossore.
Kagome dopo quella sera aveva evitato in tutti i modi Inu-Yasha, il quale era più confuso che mai: non capiva cosa fosse successo.

Più difficile fu evitare la sorella, la quale si comportava come se niente fosse.

Ogni volta che la salutava, Kagome sentiva montarle una rabbia travolgente. Avrebbe spesso voluto afferrarla per i capelli. Ma subito dopo si pentiva di certi comportamenti e guardava in faccia la realtà: sua sorella l’aveva sempre messa in ombra. Era la più bella, la più talentuosa, la ragazza prodigio.
Per una volta lei aveva trovato qualcosa di suo, forse anche di più: il Giappone, la zia, i suoi amici, Inu-Yasha.
E come sempre Kikyo faceva il suo ingresso trionfale, lasciandole solo le briciole.
Quasi tutti nel gruppo sapevano, ma non era ancora stato detto niente di ufficiale.
Kagome fu distratta dalla luce del suo smartphone, che brillava senza emettere alcun suono. Preferiva non guardare troppo il cellulare per paura di vedere comparire un messaggio.

Allungò lo sguardo e notò il nome che troneggiava sul display e sospirò abbattuta: Inu-Yasha.
Da giorni la chiamava e lei ogni volta non rispondeva.
Sentì crescerle dentro un peso enorme e decise che ne aveva decisamente abbastanza.
Afferrò il telefono e rispose.

-Pronto?-
-Kagome…- bisbigliò il mezzo demone dall’altro capo del telefono.
-Sembri quasi sorpreso di sentirmi- disse lei, sarcastica.
-Sono giorni che ti chiamo e non hai mai risposto. Non credevo avresti risposto nemmeno questa volta…- cercò di giustificarsi lui.
Improvvisamente Kagome si rese conto che la rabbia che aveva in corpo non era riuscita ad indirizzarla tutta verso la sorella, ma ne era rimasta un briciolo per poter odiare anche Inu-Yasha. Quella voce da povera vittima, il suo farfugliare le davano davvero sui nervi.
Avrebbe concluso il prima possibile quella chiamata.
E si sorprese della sua risolutezza e freddezza.

-Che cosa vuoi, Inu-Yasha?- chiese brusca.
Il mezzo demone rimase qualche secondo in silenzio, come se quelle parole pesassero come un macigno.
-Puoi scendere? Sono di fronte al tuo cancello. Vorrei parlarti-
-Dammi cinque minuti- rispose secca e attaccò.

Come se fosse una sorta di automa, si infilò una felpa addosso e scese. Per sua fortuna non incrociò nessuno lungo la sua traiettoria.
Il vento gelido le sferzò il viso. Si strinse nelle braccia e si diresse verso il cancello.
Inu-Yasha l’aspettava, le orecchie canine abbassate in segno di tristezza.
Kagome aprì il cancello e uscì in strada. Si ritrovarono di fronte, immobili e muti.
Lei con le braccia incrociate, un po’ per il freddo e un po’ perché non aveva la minima intenzione di sembrare amichevole, tutt’altro; lui con la faccia affranta e l’atteggiamento colpevole, si guardava la punta delle scarpe.

 -Sto aspettando- esordì lei.

Inu-Yasha alzò lo sguardo e disse:- Sembri Sesshomaru quando parli così-
E nella parole c’era una sfumatura di amarezza. Essere trattato così malamente da una persona che fino a poco prima era l’unica ad essere riuscita ad avvicinarsi a lui, era un dolore pari ad una tortura.
Kagome ignorò la frecciatina.

-Senti, sono giorni che cerco di parlarti e tu ti neghi. A scuola ti barrichi in classe con Rin, Sango e Ayame… io davvero non sapevo come parlarti…-

Inu-Yasha continuava ad interrompersi per cercare le parole migliori, ma più andava avanti e più era difficile. A livello razionale lo considerava sciocco, dopotutto perché sentiva l’esigenza di giustificarsi con Kagome? Erano solo amici, non amanti. Eppure era questo quello che sentiva.

-Kagome, non so perché mi sto giustificando ma vedi, io e Kikyo… ci stiamo conoscendo e…-
-Va bene così. Non serve aggiungere altro. Dopotutto lo hai detto tu stesso: non mi devi spiegazioni- lo fermò Kagome.

-Allora… a posto così? Siamo di nuovo amici?-
-Sì…-

Entrambi ebbero la consapevolezza che in realtà quelle parole nascondeva la fine della loro amicizia… o qualsiasi altra cosa fosse stata. Eppure Inu-Yasha voleva ancora aggrapparsi a qualcosa per non affrontare la realtà dei fatti, e cioè che non avrebbe più potuto contare sulla presenza della ragazza che aveva di fronte, che in quel momento le sembrava un’altra.

-Ora scusami, fa freddo e devo finire di studiare. Ci vediamo domani a scuola- lo salutò lei, senza dargli la possibilità di risponderle.

Kagome rientrò in casa, ignorando la domanda di Kikyo che le chiedeva cosa ci facesse fuori e si barricò nuovamente in camera.
Si chiuse la porta alle spalle.
Il sospiro che emise sembrò portarsi via il macigno che aveva sentito nel cuore quando Inu-Yasha l’aveva chiamata.
Non le venne da piangere, le lacrime erano finite per davvero.

Dentro di sé presa la sua decisione.
Si avviò verso la scrivania e aprì l’ultimo cassetto, estraendo una cartellina di colore rosso. Al suo interno erano contenuti dei fogli, scritti due anni prima. Le dita lunghe di Kagome li presero.

Li guardò.
Le parole che aveva scritto dopo il primo incontro con Inu-Yasha, come se fossero ricordi appartenuti ad una vita passata.
Li posò.

Poi il suo sguardo fu catturato da un manuale dalla copertina rossa, consunta dal tempo, che spiccava ora come non dal fondo del cassetto.
Distinse chiaramente le lettere in oro che riportavano il titolo “Sengoku monogatari”. Aveva quasi scordato di averlo sepolto lì.
Lo prese in mano e lo sfogliò.

E, come la prima volta quando aveva incontrato Inu-Yasha, fu come essere attraversata da un fulmine.
Il corpo le si irrigidì e lo sguardo puntò qualcosa di indefinito davanti a lei.

Con il libro ancora in mano, Kagome vide scorrere davanti a lei immagini di una vita antica, arcaica, che non aveva vissuto ma allo stesso tempo con la consapevolezza che quei ricordi le appartenessero.

Estraneità e familiarità.

Due sentimenti contrastanti.

Quando quella raffica di immagini davanti a lei svanì, Kagome sentì come le mancasse il fiato.
Boccheggiando, abbassò lo sguardo verso quel rettangolo cartaceo e vide la verità.

Quel libro era la verità stessa.

 

Dopo tanto tempo torno ad aggiornare! Chiedo perdono, ma la mancanza d'ispirazione e il periodo incasinato hanno formato una coppia micidiale. Allora, abbiamo visto che Kagome si è "risvegliata", mentre Rin ha incrociato qualcuno che ritroveremo più in là nel corso dei capitoli.

Spero che vi sia piaciuto il nuovo capitolo.

Commentate e fatemi sapere.

 

 

 

 

 

 

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