Volevo fare la mangaka

di Sophie Ondine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'annuncio ***
Capitolo 2: *** Il nuovo lavoro ***
Capitolo 3: *** Maledetti armadi ***
Capitolo 4: *** Gocce ambrate ***
Capitolo 5: *** L'appendiabiti ***



Capitolo 1
*** L'annuncio ***


VOLEVO FARE LA MANGAKA

And I said, "What about Breakfast at Tiffany's?"
She said, "I think I remember the film
And as I recall, I think we both kinda liked it"
And I said, "Well, that's the one thing we've got"

(Deep Blue Something-Breakfast at Tiffany's)




Capitolo 1- L’annuncio

 Erano le due di notte. Rin lo lesse distrattamente sul display dell’orologio del comodino bianco.
Avvolta nel piumone rosa, la ragazza tornò a guardare il display illuminato del portatile malandato pieno di stickers dai bordi consumati dal tempo. Si stropicciò gli occhi, ormai rossi ed irritati a causa della luce del computer.
Poggiò la testa sul pugno chiuso della mano sinistra, mentre con la destra faceva scorrere le pagine dei siti di annunci online.
Da quando aveva perso il lavoro in lavanderia, Rin non si era data pace per rimpiazzare quel buco di ore, e di soldi, che si era venuto a creare nelle sue giornate. Si rese conto di aver bisogno di riposo solo quando iniziò a chiudere involontariamente gli occhi, chiuse il pc e si sistemò sotto le coperte.
Si addormentò quasi subito, ma quando la sveglia trillò ebbe la sensazione di aver dormito a malapena due minuti, tanto si sentiva stanca e le membra indolenzite.

Le 7:30, la lezione sarebbe iniziata alle 9. Calcolò mentalmente che avrebbe potuto prendersela con comodo e rimanere a letto ancora dieci minuti prima di buttarsi sotto il getto della doccia. Più tardi si alzò lentamente dal letto, cercò le ciabatte con i piedi e si diresse verso la cucina. Sua mamma non si era ancora alzata e tutta la stanza era immersa nella semi oscurità del cielo di novembre.
Suo padre, invece, era via già da un pezzo: doveva scaricare il furgone e preparare il banco per la giornata lavorativa. Si chiese dove trovasse la forza di ripetere quell’azione ogni mattina da vent’anni. Mosse le mani velocemente, quasi meccanicamente e si preparò una bella tazza di caffè caldo. Si appoggiò contro lo stipite della finestra, ammirando con aria sognante il panorama cittadino, che lentamente prendeva vita e colore. I palazzi non erano certo di quelli di lusso, al contrario erano molto modesti, appartamenti modesti per gente modesta, senza troppe pretese. Forse non lo scenario migliore dove crescere. Quando la tazza fu completamente vuota, Rin si diresse in bagno per una doccia e poi si vestì velocemente, afferrando i vestiti preparati la sera prima.
Prese il materiale che le serviva e scappò verso la fermata dell’autobus, perdendosi nella brumosa mattina novembrina.

 ***

Ore 12:30.

La lezione era finita quel giorno, non era particolarmente lunga. Se avesse avuto ancora un lavoro, sarebbe andata alla lavanderia per il turno del pomeriggio, ma siccome il datore di lavoro aveva deciso di chiudere baracca e burattini dalla sera alla mattina, ora si trovava il pomeriggio davanti.
Uscì dall’aula, salutando i compagni di corso velocemente e si incamminò verso la fermata dell’autobus.
Fortunatamente le sue amiche avevano organizzato un pranzo tutte insieme per tenerla su di morale.
L’autobus arrivò dopo pochi minuti, lei salì e si sedette. Mentre attraversava i quartieri di Tokyo, Rin tirò fuori dalla borsa un libro di storia dell’arte italiana, lo aprì e cominciò a leggerlo.

Dopo il liceo la ragazza si era iscritta all’università, prendendo come indirizzo storia dell’arte. Dopo aver completato i tre anni, si era iscritta all’accademia di belle arti per poter coltivare la passione del disegno. Al liceo aveva frequentato corsi di arte, riscoprendosi una talentuosa artista. All’inizio pensava fosse solo un hobby, ma durante il triennio universitario capì che forse avrebbe potuto trasformare il disegno e la pittura nel suo lavoro.
Per alcune persone, aver studiato tre anni prima era stata una semplice perdita di tempo, ma Rin era una ragazza determinata e voleva finire il percorso intrapreso poco prima, in più credeva fermamente che una buona dose di cultura artistica non poteva che dare più spessore a lei come persona e come professionista.

Quando aveva detto ai suoi l’intenzione di studiare per altri tre anni, loro non l’avevano presa bene, preoccupati soprattutto dal costo della retta, più consistente di quella universitaria. Dopo alcune discussioni erano riusciti ad arrivare ad un accordo: loro l’avrebbero aiutata con gli studi, ma Rin avrebbe dovuto anche lavorare per poter aiutare la famiglia. Ovviamente la ragazza non obiettò minimamente a tale condizione, sapeva che sarebbe stato difficile incastrare le cose, ma non c’era altra soluzione.
Un aiuto economico arrivava anche dall’Hokkaido, più precisamente dalla nonna materna, la quale era ben contenta di aiutare la sua prima nipote. Per ringraziarla Rin, da due anni a questa parte, durante le vacanze di Natale andava regolarmente a Sapporo.

Il suo sogno più grande era quello di diventare una mangaka. I manga le piacevano fin da piccolina e ne divorava a centinaia, con il tempo erano diventati così tanti che si era trovata costretta a venderli per fare spazio a quelli nuovi.
Durante il primo anno dell’accademia aveva lavorato part time in una libreria in stazione, poi il secondo anno in una lavanderia ed ora non sapeva che pesci pigliare.
La domenica si piazzava a Shibuya e faceva ritratti ai passanti per strada, i quali la pagavano per un suo schizzo. Principalmente erano le liceali che glieli chiedevano, era una un modo anche per esercitarsi e poter arrotondare.
In più alcune sere a settimana faceva da babysitter a due bambini. Il guadagno non era tanto, ma almeno erano soldi in più.
Disegnava e creava storie durante il tempo libero, che non era tanto, ma il tempo in qualche modo riusciva a ritagliarselo.

Al secondo anno dell’accademia, con l’aiuto della sua amica Ayame, aveva aperto un blog personale, dove aggiornava storie brevi o disegni. Quando la sua amica glielo aveva proposto, aveva accolto con entusiasmo l’idea, in più guidata da lei che er un’informatica, non aveva niente da temere. Il lavoro era durato due settimane: Ayame le aveva fatto vedere il suo progetto e spiegato come aggiornare regolarmente senza fare disastri, il tutto alla portata di un’incapace come lei con i computer.

Mentre era intenta a leggere, l’altoparlante dell’autobus annunciò la fermata, chiuse il libro in fretta e furia e scese.
Il ristorante che avevano scelto era un semplice locale a conduzione familiare, specializzato nella produzione di ramen. Era il preferito di Kagome, la quale andava matta per quella pietanza. Entrò nel locale e trovò le sue amiche già sedute al tavolo.
Sango era in preda ad un attacco di rabbia, Rin pensò che si stesse lamentando di Miroku, il suo storico fidanzato. Non era così improbabile, visto che il ragazzo non faceva niente per farsi trattare bene, rincorrendo tutte le ragazze sulla faccia della terra.

-Che mi sono persa?- domandò Rin prendendo posto di fianco a Kagome.

-Miroku ha rivisto la sua ex, Shima- la informò Ayame, guardandola con sguardo preoccupato.
La situazione allora era più seria del previsto: Shima era la nemesi di Sango, la fidanzata più importante prima che la sua amica entrasse nella vita di Miroku.

-Per quale motivo?- chiese.

-A detta sua lei lo ha cercato per dirgli del suo imminente matrimonio. A detta di lei era giusto che lei lo sapesse. Solo che poi hanno ritenuto opportuno parlarne a pranzo- disse furiosa Sango, sbattendo il pugno sul tavolo. Un cameriere si voltò verso di loro perplesso.
Kagome cercò le parole adatte per indorare la pillola a Sango:- Ma non c’è niente di cui preoccuparsi, dopotutto te lo ha detto…-

-E qui ti sbagli! L’ho scoperto spiando i messaggi sul suo cellulare!!!-

Decisamente non erano state le parole più azzeccate. Kagome si zittì e Rin le battè affettuosamente la mano sulla spalla, per farle capire che apprezzava il suo tentativo.
Quando la nonna le diceva che “non tutti i mali vengono per nuocere”, aveva ragione: guardandosi intorno, si rese conto di quanto ultimamente non era riuscita a frequentare le sue amiche di sempre a causa del lavoro. Si erano conosciute tutte al liceo: Kagome era stata la prima, successivamente erano arrivate Sango e poi Ayame.

Kagome lavorava come insegnante di storia al liceo e alle scuole medie, per ora come semplice supplente. Da poco usciva con un ragazzo, tale Inu-Yasha. Si erano conosciuti tramite Miroku, amico in comune di entrambi. A quella festa, in realtà, sarebbe dovuta andarci anche lei, ma aveva dovuto declinare l’invito a causa di una consegna che aveva il giorno dopo. Erano quasi due anni che Miroku insisteva con la storia di presentare i suoi amici alle amiche della fidanzata. Rin se ne teneva ben alla larga, visto che simile attrae simile, non voleva incontrare un’altra versione di Miroku.

Poi c’era Sango, praticante in uno studio legale, che non era che un modo elegante per dire che faceva da schiava ai soci dello studio, fidanzata da quattro anni con Miroku. Una storia piena di alti e bassi… beh, più bassi che alti. Ragazza energica e volitiva, sognava da sempre una sfavillante carriera da avvocato, solo che questa dedizione le aveva regalato dei capelli bianchi prima dei trent’anni.

Ed infine Ayame, esuberante demone lupo con la passione per i computer. Era stata l’ultima ad aggiungersi al gruppo, essendosi trasferita a Tokyo in secondo liceo. Lavorava in un’azienda di programmazione informatica e sembrava che fosse il lavoro dei suoi sogni, visto che non si lamentava mai ed era più che entusiasta. Oltre a quello era anche una grande atleta, in particolare eccelleva nella corsa.

Quando Sango ebbe finito di sfogarsi, e loro cercato in tutti modi di placarla, ordinarono da mangiare e si aggiornarono sulle diverse situazioni: Kagome continuava la conoscenza di Inu-Yasha, sperava che prima o poi potesse presentarglielo; Sango quel giorno era in vena di lanciare maledizioni e lo fece anche con i soci dello studio legale; Ayame, al contrario, era entusiasta di un nuovo progetto che le era stato affidato e poco importava se la sua vita sociale ne avrebbe risentito.

-Come procede la tua ricerca del lavoro?- domandò poi Sango a Rin.

-Non bene, ho risposto ad alcuni annunci ma non si incastrano bene con i miei impegni- si lamentò Rin.

-E la libreria dove lavoravi prima non può riprenderti?-

Rin scosse la testa:- Purtroppo cercano qualcuno che lavori full-time-

Ayame prese parola dopo aver mandato giù un sorso generoso della sua birra:- Se vuoi posso inviarti il link di un sito di annunci nuovo, alcuni colleghi lo raccomandano: dicono si trovi di tutto-
Gli occhi della ragazza si illuminarono di gioia.

-Sarebbe fantastico, Ayame!-

E continuarono il loro pranzo chiacchierando del più e del meno.

***
Quando Rin rincasò, erano le 19 e 30. Sua mamma era in cucina intenta a preparare la cena per la famiglia mentre suo papà stava guardando la TV.

-Tadaima!- urlò all’ingresso, togliendosi le scarpe.

-Bentornata, Rin- rispose la mamma di rimando.

La ragazza andò a salutarli. Vide che sua mamma stava preparando gli involtini di cavolo, accompagnati da un’insalata di cetrioli e gamberi. La cosa positiva dell’avere un padre che possedeva un banco di frutta e verdura al mercato, era che i cibi salutari a casa non mancavano mai.
Depositò un bacio sulla guancia della madre e poi su quella del padre, poi salì al piano superiore per posare le borse in camera sua. Passò davanti la porta della cameretta di sua sorella Kanna e battè la mano sulla porta, per farle capire che era tornata.

-Rin, sto cercando di concentrarmi sulla matematica!-protestò la sorella.

Una volta toltasi il cappotto di dosso, aprì il computer e digitò il link che Ayame le aveva mandato poco tempo prima. Una volta entrata nel sito premette il pulsante della ricerca e applicò diversi filtri, sperando di trovare qualcosa che potesse andarle bene. I risultati furono piuttosto scarsi, appena 3 pagine.
Decisa a non perdersi d’animo iniziò a scorrerli tutti, prima che la cena fosse in tavola. Si sentiva leggermente in colpa per aver passato un pomeriggio in compagnia delle sue amiche e voleva a tutti i costi scrollarsi questa brutta sensazione di dosso.
I primi annunci che lesse non erano per niente confortanti: segretaria in studio medico ma con uno stipendio misero, donna delle pulizie in un palazzo che si trovava dall’altra parte di Tokyo, richieste di una badante per persone anziane ed altro ancora.

Aveva quasi perso le speranze quando arrivò all’ultima pagina e vide un annuncio interessante: si richiedeva una ragazza disposta a recarsi per due volte a settimana, preferibilmente nel pomeriggio, in un’abitazione per servizio di lavanderia, in particolare si richiedeva una certa manualità nello stirare le camicie da uomo.
Rin controllò il compenso e notò che era anche piuttosto alto, si chiese come mai fosse ancora lì.

Ci pensò un attimo su per capire dove fosse la fregatura: due pomeriggi a settimana, il che voleva dire più tempo libero per potersi dedicare al blog e al suo manga, su cui ci lavorava da ormai due anni e che prima o poi avrebbe tentato di pubblicare, ed una paga consistente, quasi più di quanto prendeva in lavanderia o in libreria. Con quei soldi in più si sarebbe potuta permettere anche qualche piccolo sfizio.
Mandò subito la sua candidatura.
Dopotutto, cosa poteva mai succedere?




Buongiorno, cari lettori.
Devo ammettere che avevo iniziato a scrivere questo capitolo durante il blocco dell’altra mia long fic (maledetta me!), poi ieri, dopo la pubblicazione di un nuovo capitolo, ho deciso di finire questo testo e dare vita ad una storia semplice.
Insomma la nostra Rin è un’aspirante mangaka e cerca lavoro, cosa troverà?
Come ho scritto prima, la storia sarà molto semplice, una sorta di favola moderna, un misto tra “Pretty Woman” e “Bridget Jones”.
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Lasciatemi un commento per farmi sapere.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Il nuovo lavoro ***


Capitolo 2- Il nuovo lavoro

Rin bussò al campanello. Dopo aver risposto all’annuncio, la ragazza aveva ricevuto una chiamata la mattina successiva da parte di una voce anziana, che la invitava a recarsi sul posto di lavoro il giorno successivo per un colloquio conoscitivo.
L’altra fortuna di Rin fu il fatto che l’appartamento dove si sarebbe dovuta recare era molto vicino all’Accademia. Due piccioni con una fava.

Aspettò paziente che qualcuno le aprisse.
Il volto rugoso di un’anziana donna la colse di sorpresa.
“Una strega!” pensò subito la ragazza, stringendo i manici di stoffa della borsa di tela che portava con lei.

-Tu devi essere la ragazza dell’annuncio- disse burbera la donna.

Rin non sapeva cosa dire, sembrava che un ragno le avesse morso la lingua. Si sentiva intimorita da quella signora.

-Ebbene?- chiese la vecchia, spazientita dal silenzio di Rin.
-Ecco…io, sì- riuscì poi a dire lei.

La donna la scrutò attentamente:- Sembri molto giovane. Quanti anni hai?-

-Venticinque, signora. A Dicembre ne farò ventisei- rispose questa volta rapida Rin. L’anziana le fece segno di entrare in casa.
-Io sono la governante di questa casa, mi chiamo Chiyo Natsuki, ma per te sono solo la signora Natsuki. Quello laggiù è mio figlio Jinenji- disse la donna mentre camminava seguita da Rin.

La ragazza si girò nella direzione del dito della signora Natsuki e vide un grosso essere intento a curare le piante sul balcone. Doveva essere un mezzo demone, visto l’aspetto: oltre ad essere smisuratamente alto, aveva la pelle tendente all’arancione e grossi occhi azzurri globulosi. Quando colui che doveva essere Jinenji incrociò lo sguardo di Rin, arrossì vistosamente e tornò al suo lavoro.

La casa era un lussuoso attico, arredato in stile moderno, sembrava uscito da una rivista. Forse un po’ freddo ed impersonale come posto.

-Sono a servizio della famiglia del signorino da tanti anni e ogni tanto vengo qui a pulire con mio figlio che mi da una mano. Non che ci sia tanto da fare, il signorino Sesshomaru raramente è in casa. Ma il bucato non manca mai ed io sono troppo vecchia per passare le ore a stirare, per questo stiamo cercando qualcuno che se ne occupi- spiegò la vecchia.
Rin ascoltava silenziosamente.

-Hai dimestichezza con indumenti da lavare e da stirare?-

-Sì, signota Natsuki, ho lavorato per un anno in una lavanderia per pagarmi gli studi- confermò.
La donna annuì, soddisfatta.

-Sarà meglio per te. Il signorino è una persona molto esigente: questo mese sono state mandate via quattro candidate-

Rin strabuzzò gli occhi a quella notizia. Quattro?
Se voleva guadagnare dei soldi, avrebbe fatto meglio a lavorare sodo, considerato anche che era l’unico lavoro per ora che le permetteva una buona entrata di soldi e più tempo libero.

-Può fidarsi di me, ero molto brava in lavanderia-
-E allora perché non sei più lì?- domandò scettica l’anziana.

Rin corrugò la fronte, non si fidava proprio:- Il proprietario ha deciso di chiudere l’attività per trasferirsi fuori Tokyo-
La signora Natsuki ci pensò un po’ su, poi annuì.

-Bene. Comincerai da domani, vediamo come te la cavi. Per i primi tempo verrai di mercoledì e venerdì, ci sarò io o mio figlio Jinenji, se andrai bene potrai avere le chiavi di casa nel caso in cui noi non ci fossimo. Il signorino non torna mai a casa presto, tu cerca solo di non farti mai vedere. Non sopporta avere estranei tra i piedi-
Un datore di lavoro che non sopporta vedere i propri dipendenti. Che tipo strano. Poco importava pensò Rin, bastava la busta paga a sopperire a quella mancanza di simpatia.
Salutò con gentilezza la donna e abbozzò un’alzata di mano a Jinenji, il quale la ricambiò più imbarazzato di prima.

Il giorno seguente Rin si alzò di buon’ora, la lezione era stata annullata dal professore e potè permettersi una mattinata all’insegna del disegno: aveva molti post arretrati da aggiornare e storie da portare avanti. La sera prima aveva dato la notizia alla sue amiche sul nuovo lavoro e, dopo che aveva finito il turno di babysitter, le aveva raggiunte in un locale di Tokyo per brindare tutte insieme al nuovo lavoro di Rin.
Non erano mancate le lamentele di Sango sull’ennesimo comportamento sbagliato di Miroku e gli aggiornamenti di Kagome sulla sua frequentazione con Inu-Yasha, che sembrava procedere a gonfie vele, se non fosse stata per la presenza di una ex un po’ ingombrante.
Alla parola ex fidanzata, le reazioni erano state due: la prima fu quella di Sango, la quale si sentì subito solidale con Kagome e le mise una mano sulla spalla in segno di conforto; la seconda quella di Ayame, che si girò verso Rin esasperata, non avrebbe sopportato altri sfoghi simili a quelli di Sango.
Ad ogni modo, la ex di Inu-Yasha sembrava l’essere perfetto: bella, colta e intelligente. Le aveva tutte. Ma la cosa peggiore, agli occhi di Kagome, era la somiglianza tra loro due.

-E tu come fai a dire che ti somiglia?- domandò Rin.
La risposta che arrivò fu un’unione di sguardi perplessi e sorpresi. La più sbigottita di tutte era Sango.

-Sei seria? Guarda che non bisogna essere informatici come Ayame per risalire alle ex dei propri fidanzati- la informò Sango- ci sono i social per questo!-
Kagome non diede il tempo a Rin di ribattere e subito tirò fuori dalla borsa il cellulare per mostrare loro le foto della fantomatica ex. Mentre guardavano le foto, tutte concordarono con il fatto che, effettivamente, le due ragazze si somigliavano molto. Ayame, però, ebbe l’ardire di aggiungere che la ragazza in questione vestiva abiti decisamente più costosi di quelli che poteva permettersi Kagome, e a quelle parole Sango intervenne subito a favore dell’amica, dando un sonoro calcio sotto il tavolo alla demone lupo, la quale si maledisse per la sua lingua lunga.
Kagome cercò di dissimulare un dispiacere, ma in maniera non troppo convincente.

-Dai, Kagome, se si sono lasciati ci sarà un motivo, no?- disse subito Rin, cercando di tirarle su il morale.

Il resto della serata passò tra chiacchiere e risate, fortunatamente Kagome sembrava aver dimenticato il fantasma della ex.
Durante il secondo giro di cocktail, Ayame andò al bancone ad ordinare, ma non tornò subito al tavolo. Preoccupata, Sango si sporse sopra le decine di teste che occupavano il locale e, quando individuò l’amica, la scoprì intenta a parlare con un ragazzo.

-Mi chiedo come faccia! Nonostante la scarsa vita sociale che faccia, riesce sempre a trovare un ragazzo da rimorchiare- si lamentò Sango, memore del periodo da single durante il quale non si avvicinava un uomo a lei nemmeno a pagarlo.
Quando Rin guardò l’orologio, vide che era mezzanotte passata e avrebbe fatto meglio a tornare a casa. Considerando l’autobus notturno da prendere, sarebbe rincasata per l’una, se non più tardi. Lasciò i soldi sul tavolo, salutò Ayame da lontano, la quale le fece l’occhiolino, e uscì.

Il giorno dopo, quando la lezione terminò, Rin si precipitò sul nuovo posto di lavoro. Anche stavolta il volto raggrinzito della signora Natsuki l’accolse non troppo calorosamente.

-Sei in anticipo. Bene, questo è un punto a tuo favore- disse la donna facendola entrare.
Jinenji era in cucina e dall’odorino che sentiva, Rin pensò che probabilmente stava cucinando un pasto che poi il padrone di casa avrebbe consumato senza troppe cerimonie. In fondo, se era davvero un uomo d’affari impegnato e poco presente a casa, come poteva prepararsi un pasto caldo da solo?
-Questa è la lavanderia- le disse la donna aprendo una porticina che dava su una stanza bianca, piuttosto spoglia.
All’interno erano presenti ben due lavatrici e un’asciugatrice. Sul lato sinistro della stanza faceva la sua comparsa l’asse da stiro con tanto di ferro.

“Questo sarà il mio nuovo lavoro” pensò lei mentre si toglieva cappotto e sciarpa per appenderli sul gancio dietro la porta.

-Per questa volta ti ho fatto trovare i panni già lavati ed asciugati, dalla prossima volta dovrai pensarci tu- sentenziò la governante, indicando un cesto di panni da stirare.
Rin annuì. Anche se la quantità di vestiti era piuttosto voluminosa, non la spaventava: aveva un tremendo bisogno di soldi, soprattutto di quel lavoro.

-Se non farai un buon lavoro, ti manderemo via senza troppe cerimonie. Il signorino è una persona esigente e precisa. Cerca di fare attenzione ai colletti delle camicie e ai polsini- e poi uscì lasciandola sola.
Rin prese un grosso respiro, poi si rimboccò le maniche della felpa e si mise all’opera.
Avendo lavorato in una lavanderia conosceva bene i macchinari. Non aveva niente da temere. Si mise in posizione e pescò dal cesto una camicia bianca.

Quasi sbiancò quando vide l’etichetta: era un capo d’alta sartoria. Non di quella sartoria già pronta, ma di quelle specializzate in abiti su misura. Il suo capo fantasma doveva essere davvero ricco, per potersi permettere un indumento del genere, una governante, un cuoco-giardiniere ed una addetta al bucato. Tastò con i polpastrelli la stoffa, poi l’adagiò sull’asse e incominciò il lavoro.
Era il suo primo giorno e a fine giornata si sarebbe deciso il suo destino, doveva per forza impegnarsi al massimo.
Stirò una quantità enorme di camicie ed altri capi d’abbigliamento, compresi quelli che sembravano dei pigiami, meglio non rischiare.
In totale ci mise tre ore per completare il lavoro.

-Mi sembra un lavoro buono-commentò la signora Natsuki, dopo un’attenta analisi.

Rin aveva il volto sudato a causa del vapore, ma non le importava. Se la signora era contenta, ora doveva solo aspettare il giudizio del capo e il gioco era fatto.

-Puoi andare. Ti farò sapere domani mattina se il signorino ha apprezzato il tuo lavoro- disse per congedarla.
Salutò calorosamente tutti e tornò soddisfatta a casa.

Come promesso, la mattina dopo, ricevette la famosa chiamata.

-Signorina Sakamoto?- gracchiò una voce al telefono.

-Sono io- rispose Rin senza chiedere chi fosse.

-Può iniziare a lavorare da noi da mercoledì prossimo. Il signorino è rimasto molto soddisfatto del suo lavoro, cerchi di non deluderci-

Quando riagganciò il telefono, Rin si sentì esplodere di felicità.
Finalmente aveva un altro lavoro: le cose non avrebbero potuto prendere una piega migliore.


Buongiorno, lettori. Ho aggiornato in fretta, ma questo capitolo non era niente di complicato, quindi ho pensato di sbrigarmi.
Sesshomaru non è ancora entrato in scena, ma non vi preoccupate che dal prossimo capitolo inizierà a fare le sue comparse.
Spero vi sia piaciuto. Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate.

Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Maledetti armadi ***


Capitolo 3- Maledetti armadi

Era passato quasi un mese dal giorno dell’assunzione di Rin e la ragazza poteva dichiararsi soddisfatta.
Il capo era molto esigente e, sebbene lavorasse solo due pomeriggi a settimana, stirare con precisione la pila di vestiti la faceva stancare molto. Quando rincasava la sera, mangiava un boccone veloce, si faceva una doccia calda e si metteva subito a dormire. Secondo Sango la colpa era da attribuirsi alla pressione che la governante aveva versato su Rin il primo giorno di lavoro.

Nonostante ciò, Rin era felice: aveva ricevuto la sua prima busta paga e con quei soldi si era permessa un nuovo set di matite e di fogli per poter disegnare. Tra gli extra aveva fatto la sua comparsa anche un vestito nuovo da poter mettere per una serata fuori con le amiche. Nessuno sarebbe morto per un piccolo vezzo come quello.

-E così il tuo capo non ha un volto- disse Ayame mentre trangugiava il tramezzino comprato al konbini vicino al suo ufficio.
Le ragazze avevano raggiunto Rin nei pressi dell’accademia per pranzare insieme. Kagome quel giorno aveva solo due ore di lezione, mentre Sango e Ayame avevano un’ora di pausa pranzo.
Rin annuì, prese con le bacchette una dose di riso, poi disse:- Già, è come una figura leggendaria-

-Non ci sono foto sue sparse per casa?- chiese curiosa Kagome.

-Negativo, la casa è molto impersonale, non c’è niente di particolare. Sembra solo un bel posto dove dormire-
Le ragazze fecero facce perplesse. Da un po’ di tempo uno degli argomenti principali era dare un volto al capo di Rin.

-L’unica cosa che so è il suo nome: Sesshomaru No Taisho- disse Rin.
Sango sollevò lo sguardo verso il cielo, meditabonda.

-Se non ricordo male, Sesshomaru è il nome del fratello di Inu-Yasha. Non lo nomina molto spesso, da quello che so non vanno molto d’accordo. Kagome, tu ne sai qualcosa?-
La ragazza in questione fece una faccia sorpresa. La sua frequentazione con il mezzo demone amico di Miroku sembrava procedesse a gonfie vele. Ormai le ragazze si chiedevano quando l’avrebbero conosciuto, in realtà la domanda se la ponevano soprattutto Rin e Ayame perché Sango già lo conosceva, seppur superficialmente.

-Non ha accennato nulla. Ho intuito che avesse un fratello, ma non ho mai approfondito l’argomento-

-La verità è che siete troppo impegnati a fare altro!- la provocò Ayame, dandole una pacca sulle spalle che le fece quasi andare di traverso il pezzo di tonno che stava mangiando. A quelle parole Kagome arrossì violentemente.

-Beh hanno lo stesso cognome: o si tratta di un caso di omonimia o sono parenti- disse Kagome poi per sviare l’attenzione delle amiche.

Rin sollevò un sopracciglio e poi sorrise divertita: sarebbe stato davvero buffo scoprire che il suo capo altri non era che il fratello del nuovo ragazzo di una delle sue migliori amiche. Un giro di parole piuttosto complesso che strappò una risata alla ragazza.
Il pranzo proseguì tra l’ennesimo sfogo di Sango su Miroku e Ayame che parlava di un qualche progetto informatico, di cui loro capivano poco e niente.

Era un mercoledì come tanti e Rin sarebbe dovuta andare al lavoro anche quel giorno. Quando l’anziana governante non c’era, Rin aveva modo di parlare un po’ con Jinenji, sebbene all’inizio fosse stato un po’ complicato vista la timidezza del mezzo demone.
La prima volta che si era avvicinata a lui, Jinenji aveva sussultato dalla paura e un vaso di fiori era finito a terra. La seconda volta riuscì a strappargli un saluto balbettato e fu solo al terzo tentativo che venne intavolata una pseudo conversazione.

La cosa positiva, in quel primo mese, fu il fatto che la signora Natsuki era talmente soddisfatta del lavoro di Rin che non reputava necessaria la sua presenza in casa, anche se la ragazza sospettava che quella fosse solo una scusa per riposarsi.

-Jinenji, dimmi un po’, com’è il padrone di casa?- aveva chiesto una volta Rin mentre il mezzo demone le dava una mano a piegare le grandi lenzuola scure appena stirate.
-Non lo vedo molto spesso. Non è un tipo che ama particolarmente umani o mezzi demoni, credo che una volta abbia detto che non sopporta l’odore degli esseri umani-
Rin rimase stupita da quella frase, strabuzzò gli occhi. Sembrava proprio che fosse una sorta di misantropo.

Infilò le chiavi nella toppa, prima di aprire guardò sconsolata il triste mazzo di chiavi che aveva: la signora Natsuki le aveva severamente vietato di usare qualcosa di troppo colorato o, ancora peggio, con pupazzi. Era una casa rispettabile e seria, non un asilo nido. Nonostante se lo ripetesse dieci volte al giorno, Rin non capiva che cosa ci fosse di compromettente in un portachiavi con un peluche.

Quando richiuse la porta dietro di sé, notò che nessun rumore interrompeva il silenzio dominante. Aguzzò le orecchie, ma nemmeno il trafficare di barattoli di Jinenji le sembrò di sentire. Dopo essersi guardata intorno e fatto un giro veloce della casa, capì che avrebbe lavorato in solitaria.
Era la prima volta che capitava. Un po’ le dispiaceva, perché almeno con Jinenji si sentiva meno sola ed ora parlavano amabilmente come due amici di vecchia data.

A Rin venne spontaneo sorridere quando vide un bigliettino che il suo amico e collega le aveva lasciato sull’asse da stiro, quando aveva fatto il suo ingresso nella lavanderia. Si scusava con lei per l’assenza ma quel pomeriggio avrebbe dovuto accompagnare la mamma dal dottore. Vide pure che le aveva lasciato un barattolo di vetro con il tappo di sughero con all’interno delle foglie esiccate: era la miscela di tè verde che lei gli aveva chiesto due settimane prima. L’afferrò e la mise subito al sicuro nella borsa, pensando che la prossima volta sarebbe stato carino da parte sua presentarsi con un regalo per Jinenji.

La ragazza si rimboccò le maniche del maglione e si mise all’opera: aveva visto che la quantità di vestiti da stirare quel giorno era consistente e non voleva sprecare nemmeno un minuto. Da quello che ricordava il “signor Sesshomaru”, come diceva sempre l’anziana governante, quella settimana era fuori città per lavoro, quindi Rin pensò che se si fosse fermata un pochino di più per finire tutti i panni sarebbe stato solo tempo guadagnato per la volta successiva.
Il tempo passò molto velocemente e, Rin, ormai accaldata e con le guance in fiamme per colpa del vapore, si guardò intorno e vide che nessun pezzo di stoffa era scampato alla sua furia da lavoratrice.
Vide le camicie perfettamente stirate appese sulle grucce.
Di solito era la signora Natsuki che sistemava gli abiti del capo, ma quel pomeriggio Rin si sentiva in vena di darsi da fare: pensò che avrebbe potuto sistemare lei le camicie nell’armadio, per fare un favore alla signora Natsuki.

Afferrò le grucce e si diresse verso quella che doveva essere la camera da letto del signor Sesshomaru.
Rin entrò nella stanza in maniera circospetta, un po’ intimorita. Accese la luce e la stanza, sempre arredata con una perfezione vuota, non faceva altro che ribadire il concetto che il resto della casa non avesse già fatto: serietà, freddezza, niente fronzoli.
La ragazza spostò lo sguardo sugli oggetti: anche il libro da lettura sul comodino era sistemato con precisione chirurgica.

Tutta quella simmetria era quasi spaventosa, pensò Rin mentre sentiva un brivido salirle lungo la schiena. Si domandò se non stesse facendo una cavolata, per poi subito darsi della stupida per un pensiero del genere: stava solo sistemando un paio di camicie, non rubando.
Ignorò quella sensazione e si avvicinò a quello che doveva essere l’armadio.
Poggiò una mano sull’anta di legno di mogano e spinse di lato. Davanti a lei una serie di vestiti e anche quelli tutti di colori neutri: bianco, nero, grigio, qualche camicia azzurrina ma niente di più. Era desolante vedere quella monocromia di colori, a Rin piacevano le cose colorate. Tutto era impilato e appeso precisamente, sembrava di trovarsi in una boutique di lusso.
Rin rivolse il suo pensiero al misero armadio che aveva a casa sua: troppo piccolo, con troppi vestiti che lei non sapeva come sistemare e perennemente disordinato.
Vide che in alto alla sua sinistra c’era un pulsante che permetteva alle assi di girare, in modo da trovarsi di fronte il capo desiderato. Rin pigiò il tasto e di fermò quando vide la sequenza di camicie interrompersi per dei posti vuoti. Posò gli indumenti delicatamente, facendo attenzione a non sgualcirli.

Stava per richiudere l’anta, quando una foto catturò la sua attenzione. Che strano avere una foto nell’armadio, pensò Rin afferrandola. Era poggiata su una delle mensole di fianco alle camicie, nell’unico ripiano vuoto, quello ad altezza d’uomo.
La foto sembrava un ritratto di famiglia: tre uomini. In realtà l’uomo era uno, gli altri due solamente dei bambini. Erano tutti seduti su un lussuoso divano rosso e l’uomo abbracciava sorridente i due bambini, i quali invece si guardavano in cagnesco ed uno dei due aveva ancora le guance e gli occhi rossi dal pianto.
Erano tutti e tre con i capelli argentati e gli occhi ambrati.

Che fosse l’uomo il suo datore di lavoro? Eppure era difficile pensarlo: dalla foto e dal modo in cui stringeva quelli che sembravano essere i suoi figli, dava l’idea di essere una persona dolce e a modo. Inoltre la casa non presentava segni di bambini in giro.

-E tu che ci fai nel mio armadio?-

Rin sentì un goccia di sudore percorrerle la schiena, la pelle d’oca in ogni centimetro del suo corpo.
La voce che aveva parlato non contemplava il minimo tono di gentilezza, anzi era stata dura, perentoria, quasi scocciata e ricordava fin troppo un ringhio.

Rin, con la foto ancora in mano, si girò lentamente.
I suoi occhi scuri incontrarono delle iridi ambrate, le stesse che aveva visto su quella fotografia, ma non erano quelli dolci dell’uomo a cui aveva prestato attenzione un minuto prima: erano occhi astiosi, impenetrabili.
La ragazza capì al volo di trovarsi alla presenza di uno youkai grazie ai segni demoniaci sul volto.
Era un ragazzo piuttosto giovane, alto e longilineo. La pelle era diafana e i capelli lunghissimi, le mani, invece, erano artigliate.
La guardava impaziente di un risposta.
Lei sentì le parole morirle in gola, sembrava che non fosse più in grado di formulare due parole.
Arrossì violentemente per la vergogna, lasciò cadere il portafoto per terra e, farfugliando delle scuse, scappò da quella casa il prima possibile.
Una volta che fu fuori dal palazzo, si appoggiò al muro, tentando di riprendere la calma.

Realizzò dopo qualche respiro profondo di essersi fatta beccare dal suo capo mentre rovistava nel suo armadio…
… E lui odiava vedere i suoi dipendenti, per di più umani, in giro per casa sua!

Rin si portò le mani al viso: poteva anche dire addio al suo lavoro.




Buonasera a tutti voi, cari lettori! Come promesso il nostro Sesshomaru ha fatto il suo ingresso, seppur breve. La storia comincia a prendere forma.
Fatemi sapere che ne pensate!

A presto!

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Capitolo 4
*** Gocce ambrate ***


Capitolo 4- Gocce ambrate

Quella sera Rin non riuscì a trovare pace nel letto. Nonostante continuasse a girarsi e rigirarsi, il sonno non prese il sopravvento su di lei. Mentre fissava il soffitto avvolto dall’oscurità, Rin si portò le mani sul volto per coprirsi dalla vergogna e dalla disperazione: farsi beccare dal datore di lavoro mentre curiosava tra le sue cose, che errore da principiante!
Quasi sicuramente l’indomani mattina avrebbe ricevuto una telefonata dalla signora Natsuki che le annunciava la fine della loro collaborazione lavorativa.

Che stupida!

Pensare che aveva già stilato una lista delle cose da comprare per Natale alla famiglia e alle sue amiche.
Incapace di sostenere a lungo il pensiero della perdita del lavoro, Rin allungò una mano sul comodino e accese la luce. Si tirò a sedere e pescò dalla sua borsa il blocco da disegno.

Tanto non sarebbe riuscita a dormire, quindi tanto valeva disegnare.

Impugnò la matita e cominciò a tratteggiare delle linee. Nonostante la mente viaggiasse veloce con i pensieri, Rin si sforzò di non dargli peso.
Mentre disegnava, si rese conto che i contorni della figura che prendeva vita sul foglio di carta bianco, assomigliavano al demone che aveva incrociato quel pomeriggio, il temibile signor Sesshomaru, nonché suo ex datore di lavoro.
Se le avessero chiesto poco prima se fosse in grado di descriverlo fisicamente, probabilmente Rin avrebbe dato una risposta negativa, invece ora, intenta a disegnare compulsivamente, si rese conto che, nonostante la brevità dell’incontro, molti dettagli le tornavano alla memoria senza alcuno sforzo.
Si fermò un attimo per osservare quello che stava realizzando: un volto lungo, magro, i capelli lunghi, che stando alla memoria di Rin non avrebbero avuto bisogno di alcun colore dal momento che erano di un bianco immacolato. Si rese conto di averlo disegnato a mezzo busto, dotandolo di spalle large, avvolte in una camicia leggermente stropicciata, forse a causa della lunga giornata lavorativa. Mentre osservava il foglio, Rin si ricordò che effettivamente l’uomo si era presentato davanti a lei in camicia, con la giacca tenuta nel braccio sinistro, quasi come se si sentisse al sicuro solo tra le mura di casa sua, dove nessuno poteva osservarlo. Forse era per questo che non desiderava avere persone in giro per casa, pensò la ragazza.
Aveva abbozzato con la punta della matita le labbra sottili e il naso affilato, ma gli occhi non era riuscita ad imprimerli su quel pezzo di carta. Non aveva avuto modo di soffermarcisi, tanto era timorosa e spaventata.

Sollevò il viso, meditabonda.

Poi prese l’astuccio dove teneva gli acquarelli e prese il pennello. Con la bottiglietta d’acqua che aveva ancora dentro la borsa, bagnò il pennello e mischiò di versi colori per ricreare un color ambra intenso. Una volta raggiunta la gradazione desiderata, Rin sollevò il pennello e attese fino a quando una minuscola goccia di colore non si posò, con un rumore sordo, sulla pagina.
La goccia era caduta lì, dove sarebbero dovuti esserci gli occhi.
Rin mise giù il pennello e contemplò il disegno, poi lo poggiò per terra. Spense la luce e decise che era arrivata l’ora del sonno.
Poteva ritenersi soddisfatta.
***

La giornata di giovedì era trascorsa come sempre, anche se la scintilla di agitazione si muoveva senza una meta all’interno del corpo di Rin, facendola sembrare tesa come una corda di violino.
Dell’incidente non ne aveva fatto il minimo accenno nemmeno con le amiche, preferiva prima aspettare di ricevere la notizia ufficiale del licenziamento.
Quando arrivò la sera si sorprese di non aver avuto notizie, ma nella sua mente i giochi era fatti e si considerava già bella che licenziata, tanto che passò il tempo che le rimaneva a cercare nuovi annunci su internet.

Arrivò anche il venerdì e Rin si dedicò alle faccende domestiche, dando una mano a sua madre e inventando una scusa per quel pomeriggio libero.
Ironia della sorte, si era ritrovata intenta a stirare il bucato di tutta la famiglia quando il suo cellulare squillò.

-Signorina Sakamoto, ha intenzione di non presentarsi?- urlò una voce anziana dall’altro capo del telefono.

Rin strabuzzò gli occhi.
La signora Natsuki?

-Mi scusi?- domandò la ragazza, con il panico che iniziava a prendere il sopravvento. Sentiva le gocce di sudore freddo scorrerle lungo la schiena. Per un attimo pensò che si fosse immaginata tutto… eppure il capo l’aveva beccata mentre lei era dentro, nel senso fisico del termine, al suo armadio.

E lui odiava l’odore degli esseri umani.

-La sto aspettando da più di un’ora! Ha intenzione di presentarsi al lavoro oggi? Se non arriva qui entro venti minuti, può considerarsi licenziata!- e attaccò malamente.
Rin rimase con il cellulare a mezz’aria ancora per un po’, con lo sguardo stralunato. Allora davvero aveva viaggiato con la fantasia…
Eppure…
Poi si voltò di scatto verso l’orologio appeso in cucina e vide che erano le quattro del pomeriggio passate.
Non avrebbe di certo perso quel lavoro.

Si infilò qualcosa di decente, acchiappò la borsa, salutò la madre con un bacio frettoloso farfugliando una scusa assurda e uscì di casa.
Quando fu fuori, si rese conto che non ce l’avrebbe fatta ad essere all’appartamento entro venti minuti se fosse andata con i mezzi pubblici. Lo sguardo si posò subito sulla bicicletta di sua sorella. Decise che avrebbe usato quella.
Nemmeno lei seppe come, fatto sta che arrivò lì in sedici minuti esatti.
Certo, aveva pedalato come una pazza, rischiando di causare qualche incidente, ma almeno era là. Sudata fradicia, e probabilmente puzzolente, ma era là.

La signora Natsuki non l’accolse in maniera benevola, nonostante Rin avesse il sorriso stampato in volto.

-Che non succeda mai più. Non posso stare appresso a te- la rimproverò acida.

Rin bisbigliò delle scuse, intervallate dal continuo affanno. Mentre si recava nella lavanderia, salutò silenziosamente con la mano l’amico Jinenji, che ricambiò dolcemente.
Poco prima di andarsene l’anziana signora le disse:- Non so cosa sia successo e credo che il tuo ritardo di oggi sia in qualche modo collegato, ma il signor Sesshomaru ha detto di fermarti oltre il tuo orario e aspettarlo qui. Dice che vuole parlarti-

Rin per poco non bruciò il colletto della camicia per la sorpresa.
Di nuovo sentì il panico montarle addosso.
E se invece fosse stato solo rimandato il licenziamento? Se le avesse comunicato che l’avrebbe tenuta fino a quando non si fosse presentata una candidata migliore e meno impicciona?
Non sapeva se ridere o piangere. Di sicuro stava sudando, e tanto. Colpa del ferro da stiro.

Quando la sua furia ansiosa sconfisse anche l’ultima piega, Rin cercò di prepararsi mentalmente a quell’incontro.
Erano appena le sei del pomeriggio.
Andò nel bagno, quello che le era permesso usare, quello della servitù, come lo chiamava lei. In realtà la signora Natsuki, quando glielo aveva mostrato, le disse che era il “bagno di servizio”… in poche parole il padrone di casa non si degnava di entrare in quella stanza perché era ad uso esclusivo dei suoi servi, che si riducevano ad un mezzo demone e a due umane.
Era un semplice stanzino, ovviamente dai toni neutri e impersonali, ma meglio di niente. La cosa positiva è che gli asciugamani erano di buona qualità, il che era logico dal momento che quello bagnetto lo usava lei più di tutti, mentre la signora Natsuki probabilmente non ci aveva mai messo piede.

Si guardò allo specchio.
Si chiese se ci fosse stato un momento della sua vita in cui era apparsa così sciatta: il viso sudato, le guance rosse, i capelli in disordine e non certo nel suo abito migliore.
Abbassò lo sguardo sul maglione che aveva afferrato poco prima di fiondarsi fuori da casa e ringraziò il cielo di averne preso almeno uno pulito. Era il maglione che aveva comprato con Kagome, Sango e Ayame durante il loro viaggio in Australia, nella loro ultima estate da liceali. Ognuna aveva preso un maglione, rigorosamente con un canguro stampato sopra, di un colore diverso: Kagome lo prese verde, Sango nero, Ayame rosa nonostante tutti le dicessero che quel colore faceva a cazzotti con i suoi capelli fulvi, e Rin optò per l’arancione. Le piaceva come le stava addosso quel colore, anche se forse in quel momento non era l'indumento migliore in vista di un colloquio con il capo.

Si pettinò i capelli con le dita, ravvivandoli leggermente cercando di dare loro una forma decente, che non la facesse apparire come una appena scappata di casa, infine si spruzzò un po’ di acqua sul viso per rinfrescare le guance.
Si maledisse per non essere una di quelle ragazze che vanno in giro con una pochette di trucchi nella borsa, avrebbe volentieri approfittato di un po’ di cipria e un velo di mascara… non che il suo intento fosse quello di sedurre il suo capo. Di certo con quel maglione sarebbe solo apparsa ridicola.
Si guardò ancora una volta e poi sospirò.
Avvolta dal silenzio della casa, le sue orecchie captarono subito il rumore delle chiavi nella toppa. Rin sperava di poter avere più tempo, ma forse meglio sapere subito di che morte morire.
Uscì dal bagno e si diresse verso il salotto. Cercò di mascherare l’emozione.

Sesshomaru, con i suoi sensi sviluppati di demone, aveva capito subito dove fosse lei e che si stava avvicinando, infatti l’aspettò in piedi al centro della stanza, la valigetta ancora in mano.
Rin, quando lo vide, si rese conto che la prima volta era stata travolta troppo dallo spavento per non accorgersi che il suo capo era un gran bel pezzo d’uomo: alto, atletico, dall’aria di chi è consapevole della propria superiorità.
Subito si sentì in imbarazzo e abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dire. Sperò che lui interrompesse quello stillicidio.

-E così tu sei la nuova umana appena assunta- disse lui, mentre poggiava la valigetta nera. Non aspettò nemmeno la risposta di Rin.

-Penso che la signora Natsuki ti abbia detto quali siano le regole da seguire in questa casa-

Rin chiuse gli occhi, se voleva farla morire dall’ansia, ci stava riuscendo alla grande.

-A proposito di quello che è successo l’altro giorno…- provò a dire lei.
Sesshomaru si era seduto sul divano e la guardava con aria quasi incuriosita, o almeno quella che sembrava una faccia curiosa. Però quella che si sorprese di più fu proprio Rin: era convinta che lui non l’avrebbe fatta parlare e stava perdendo tutto lo slancio di poco prima, non sapendo nemmeno esattamente cosa dire.
Lui rimase in silenzio, in attesa mentre la guardava attentamente.

-Ecco, io… non volevo di certo curiosare. Quello che volevo fare era portare le camicie stirate nell’armadio, così la signora Natsuki non avrebbe dovuto farlo il giorno dopo… se mi sono permessa è perché sapevo che lei era fuori città- finì lei.
Ci fu un momento di silenzio. Rin sentiva che le gambe iniziavano a cederle, già si vedeva licenziata e senza lavoro.
Poi, inaspettatamente, Sesshomaru disse qualcosa che la stupì.

-Le mie camicie hanno un odore diverso da quando ci sei tu-

Rin alzò la testa di scatto, guardandolo interrogativo. Cosa c’entrava? Che voleva dire?

-Jinenji mi ha detto che lei non sopporta l’odore degli umani e ho pensato che probabilmente il mio sarebbe rimasto sui suoi indumenti, allora ho aggiunto un po’ di essenza di lavanda nell’acqua del ferro da stiro, in modo da coprire l’odore umano- si giustificò lei.
Era vero. Aveva avuto l’idea qualche giorno dopo che Jinenji le aveva detto che il padrone di casa trovava davvero fastidioso l’olezzo umano.

-Nonostante il tuo piccolo trucco, il mio naso riesce comunque a sentire il tuo odore-

-Mi dispiace- disse lei sinceramente.

Rin era pronta ad andarsene con la coda tra le gambe, sentendosi come l’ultima delle stupide, quando la voce del demone la fermò.

-Dalla prossima settimana non avrai più bisogno della supervisione della signora Natsuki-

La ragazza si fermò di scatto.

-E questo che vuol dire?-

-Che, se sei interessata, ti occuperai di qualcosa in più della lavanderia e sarai sola. Avrai un aumento del compenso, ovviamente, anche se dovrai venire qui un po’ più spesso. Per tua fortuna sono quasi sempre in viaggio, il lavoro non sarà pesante- la informò lui.

Rin non credeva di aver ascoltato bene.
Cioe, davvero lui le stava proponendo un aumento?

Rimase a fissarlo per un po’, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Sesshomaru, sentendosi fissare, si girò piuttosto seccato. La incatenò con lo sguardo, uno sguardo ambrato ma freddo, molto freddo.
Rin sentì un brivido correrle lungo la schiena, ma tanto bastò a ridestarla.

-A-accetto! Certamente che accetto!- urlò poi con voce stridula a causa dell’emozione.

Lui distolse lo sguardo e la congedò con un semplice “domani saprai i dettagli”.

Rin uscì dall’appartamento come stralunata, non riusciva a crederci.

Prese la bicicletta della sorella e vi montò sopra.

Mentre il vento gelido dell’inverno le sferzava il viso e lei dolcemente scivolava in mezzo al traffico cittadino, pensò a come avesse fatto la notte prima a far sgocciolare sul suo disegno proprio una goccia color ambra.

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Buonasera, lettori!
Della serie "chi non muore si rivede". Chiedo umilmente scusa per questo periodo di stop che ho avuto, ma davvero non riuscivo ad avere la mente sgombra, purtroppo sono stata presa da tante cose e ho messo da parte le mie storie. Vi dico la verità, non volevo vivere anche questo mio passatempo come un obbligo.
Non ho giustificazioni, però spero continuerete a seguirmi.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo.
Un saluto!

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Capitolo 5
*** L'appendiabiti ***


Capitolo 5- L’appendiabiti

-Fammi capire bene, ti paga di più per…?- domandò Ayame.
-Hai capito bene- la liquidò Rin, la quale sperava di non ricevere l’ennesimo commento che insinuasse un rapporto di tipo sessuale tra lei e il suo capo.

La yasha la guardò accigliata, non sapeva se crederle o meno. Nel frattempo Rin iniziò i suoi esercizi di stretching e poggiò il piede sulla panchina per poter stirare al meglio il muscolo. Era molto accaldata per colpa della corsa di qualche minuto prima: quando potevano, lei e Ayame andavano a correre nel parco per scaricare un po’ di tensione. L’unico inconveniente era che Ayame era più veloce e con una resistenza maggiore. Dopotutto lei era solo una piccola umana, niente a che vedere con la forza di un qualsiasi demone.

-Sei sicura che non voglia in cambio delle prestazioni…-

“Ti prego non dirlo!” pensò Rin dentro di sé.

-…Sessuali?-

Rin sospirò rassegnata. Con Ayame era a quota tre persone con quella domanda.

-Guardami in faccia, ti sembro la tipa?- le disse lei leggermente indignata.

Ayame alzò le mani al cielo in segno di difesa.

-Non sto dicendo questo, dico solo che è strano che ti abbia proposto un aumento considerevole, visto che rispetto a prima le tue mansioni a casa sua non hanno subito un cambiamento così radicale-

Questo lo diceva lei, a dirla tutta Rin ne aveva tratto un grande vantaggio: poteva ora permettersi di non fare la babysitter a quelle pesti che aveva preso in carico, in più guadagnava abbastanza da poter investire negli strumenti da artista: penne, matite, blocchi da disegno e altro ancora finalmente nuovi di zecca.
Qualche volta tornava a Shibuya la domenica per disegnare, era un’abitudine che le piaceva continuare ad avere. Solo che le ultime volte si era permessa di farlo seduta al tavolino di un bar carino, accompagnata da una tazza di tè fumante. Ogni tanto faceva ancora ritratti a pagamento, ma non per necessità, era più un piacere e uno spunto per la creazione di qualche personaggio da mettere in un suo futuro manga.
Nella sua testa era ancora alla ricerca dell’ispirazione perfetta, la storia geniale che le avrebbe permesso di sfondare nel mondo delle mangaka. Negli ultimi tempi, quando tornava da casa di Sesshomaru, si era dedicata ad una serie di episodi autoconclusivi che raccontavano le avventure di una cameriera un po’ maldestra, a servizio di un capo freddo e glaciale. Un po’ il ritratto di lei e il suo capo.

Da quando aveva ricevuto quell’aumento e promozione al lavoro, non si erano sprecati gli episodi comici tra lei e il demone.
Tra le sue nuove mansioni era previsto anche che pulisse l’appartamento due volte alla settimana e che preparasse un pasto decente per la sera. Una donna di servizio in piena regola, ma la cosa non era così tragica dal momento che il padrone di casa sembrasse non abitare lì: ogni volta che si rimboccava le maniche per pulire, si rendeva conto che la casa era esattamente come l’aveva lasciata la volta prima e cioè pulita. Non un capello fuori posto, un filo di polvere. Era quasi ridicolo per lei, ma meglio così perché voleva dire soldi certi per un lavoro per nulla faticoso. Il grosso del lavoro era sempre stirare il bucato, ma a quello c’era abituata e lo vedeva come un esercizio per allenare le braccia da disegnatrice.
Anche preparare i pasti era semplice: fortunatamente le piaceva cucinare e aveva qualche ricetta collaudata. E di nuovo qui, il suo demone capo non sembrava chissà quanto interessato a mangiare.

Alcune volte del mese andava un terzo giorno nell’appartamento per sistemare la posta e altre piccole faccende.

I primi tempi operava sempre da sola, ma da qualche settimana capitava che Sesshomaru rientrasse presto dal lavoro. Anche se poi la maggior parte del tempo si metteva sul divano con il portatile sulle gambe e continuava a lavorare.
All’inizio Rin si era sentita intimorita dalla sua presenza, ma con il passare del tempo la curiosità aveva preso il sopravvento e da alcune semplici domande era riuscita ad instaurare una sorta di dialogo tra loro.

Questo dettaglio però non lo aveva condiviso con nessuno, nemmeno con le sue amiche, secondo lei poco inclini a cercare di vedere le cose da un altro punto di vista. Immaginava la scena: Sango che avrebbe preso spunto dalla situazione di Rin per immaginare Miroku in atteggiamenti intimi con le sue colleghe; Ayame, come stava facendo in quel momento, avrebbe fatto allusioni di ben altro tipo; mentre Kagome forse non l’avrebbe nemmeno ascoltata, troppo presa dalla sua relazione con Inu-Yasha.
Ah,sì… lo avevano conosciuto lei e Ayame. E Rin per poco non era collassata dall’emozione: era identico a Sesshomaru. Cioè, senza orecchie appuntite da youkai e con un atteggiamento più… meno… beh, meno elegante, Rin dovette ammetterlo. Se Sesshomaru era posato e silenzioso, Inu-Yasha era rumoroso e a tratti anche rozzo.

Avevano organizzato un’uscita con gli amici di Miroku e con la scusa di passare una serata con un gruppo di persone erano riuscite a dare un volto al nuovo ragazzo di Kagome.
Ma durante quella serata, la povera Rin rischiò di lasciarci le penne una seconda volta, più precisamente aveva rischiato la morte per soffocamento con il suo vino. Perché quel genio di Ayame aveva avuto la fantastica idea di domandare al mezzo demone se avesse un demone completo come fratellastro che rispondeva al nome di Sesshomaru.

Ebbene, la risposta fu affermativa. E Rin tossì fino a diventare rossa per lo sforzo.
Si chiese quando le coincidenze astrali nella sua vita avessero deciso di farsi così palesi.

Rin prese il telefono e guardò l’ora.

-Tra poco devo tornare a casa a preparare la cena- disse alla yasha ignorando il discorso che le aveva fatto poco prima.

Si rimise il telefono in tasca e poco prima di salutare la sua amica le disse:- Fossi in te mi preoccuperei di un bel demone lupo, che quella sera da Miroku non ti staccava gli occhi di dosso…-

Ayame arrossì e Rin dentro di sé esultò. Aveva fatto centro.

-Non so di cosa tu stia parlando- mentì la rossa, alzando il naso in segno di indignazione.
-Lo sai che sei pessima quando dici le bugie?- le disse Rin come ultima cosa, prima di dirigersi verso casa.

Quando rientrò, trovò la casa avvolta dall’oscurità. Sapeva che i suoi erano fuori quella sera per una cena tra amici del liceo. Era stata lei la prima ad incoraggiarli ad andare: si spaccavano la schiena dietro a quel banco di frutta la mercato e avevano il diritto a svagarsi una sera.
Accese la luce in cucina e trovò un bigliettino sul tavolo, dove la sorella le diceva che si sarebbe fermata a dormire dalla sua migliore amica.
Rin aggrottò le sopracciglia. Era davvero curiosa di sapere quale fosse il vero nome della “migliore amica” in questione. Le fece quasi venire una vena di nostalgia pensare ai tempi in cui anche lei usava questo genere di scuse con i suoi per potersi vivere un po’ d’intimità con i primi fidanzatini.

Poiché era sola, non aveva molta voglia di mettersi a cucinare, quindi scaldò qualche avanzo nel frigo e mangiò del gelato, poi si ritirò in camera sua per mettersi un po’ a disegnare.
Da qualche tempo le frullava in mente un’idea per un manga che avrebbe potuto proporre a qualche casa editrice. La storia era in fase embrionale, ma sapeva che le sarebbe piaciuto ambientarla in un epoca lontana, non moderna. Magari l’epoca Sengoku… la cosa le stuzzicava una serie di conoscenze che aveva appreso nel corso degli anni sulla storia mitica del Giappone. Forse quei pomeriggi interminabili ad ascoltare i deliri del nonno di Kagome al tempio di famiglia erano serviti a qualcosa, o sarebbero tornati utili un domani.

Prese un foglio e iniziò a sbozzare alcuni dei personaggi.
Mentre disegnava in preda all’euforia, sentì il telefono vibrare sul tavolo.
Un messaggio. Di Sesshomaru.
Rin lo aprì e vide il messaggio in cui lui le chiedeva di recarsi a casa sua l’indomani mattina per svolgere alcune faccende extra.
La ragazza si chiese cosa potessero essere queste faccende extra. Posò il telefono e si dedicò alle storie brevi che aggiornava quotidianamente sul suo blog e che, fortunatamente, avevano un certo seguito.
Il giorno dopo, poiché era sabato mattina, trovò poca gente in giro per le strade di Tokyo. Anche quella volta aveva preso in prestito la bicicletta di Kanna, ma il prossimo mese si sarebbe fatta un regalo e ne avrebbe comprato una tutta per lei, perché aveva riscoperto il piacere di muoversi con quel mezzo e inoltre era scesa di qualche chilo sulla bilancia, il che non era per niente male.

Arrivò all’ora che il demone le aveva chiesto.
Usò le chiavi senza bisogno di bussare, sapeva che Sesshomaru non si sarebbe mai degnato di aprire la porta a qualcuno, figuriamoci ad una persona che lavorava per lui. Al massimo lo avrebbe fatto con qualcuno particolarmente fastidioso, ma per sbatterlo fuori, non per accoglierlo.
Quando entrò, vide che l’appartamento era già inondato dai raggi solari… il bello di essere ricchi e avere un appartamento all’ultimo piano!

La ragazza si aspettava di non trovare nessuno, convinta che Sesshomaru fosse in giro per chissà quale viaggio di affari. E invece lo vide seduto sull’alto sgabello, poggiato con i gomiti sull’isola della cucina. Una semplice tazza di caffè in una mano e nell’altra un paio di fogli con una serie di numeri sopra.

-Oh, buongiorno- disse Rin accennando un sorriso e togliendosi di dosso il cappotto.

Lui non mosse il viso, si limitò a rivolgerle uno sguardo di sfuggita, emettere una sorta di grugnito, per poi tornare a dedicarsi alle sue carte. Rin si guardò intorno, per capire cosa ci fosse da fare. Si rese conto che quella mattina ci avrebbe messo più tempo del solito, poiché la casa sembrava più in disordine del solito. Inarcò un sopracciglio, perplessa.

Non era da Sesshomaru lasciare un disordine del genere, non sembrava nemmeno casa sua. Si diresse verso il lavandino e afferrò una pezza per iniziare a ripulire i fornelli del casino che era stato fatto.

-Hai dato una festa?- domandò Rin, mentre sfregava sulla superficie lucida. Da quando era entrata in confidenza con lui gli dava del tu. Non che lui glielo avesse detto esplicitamente, ma non avendole mai detto che non doveva farlo, lei prese quel silenzio per assenso.
-No- rispose lapidario.
-E questo casino? Non è da te- continuò Rin. Era più che mai decisa a scoprire cosa fosse successo, anche perché se si fosse trattato di un evento straordinario voleva saperlo.
-Infatti non l’ho fatto io-
Rin si voltò di scatto, la bocca spalancata in maniera esagerata per sottolineare lo stupore.

-Una donna? Non dirmi che hai portato una donna qui!- strillò lei, ridendo divertita.
Se c’era qualcosa che le piaceva di quel lavoro era il rapporto di confidenza, un po’ inusuale, che si stava creando tra lei e Sesshomaru. Rin trovava simpatico avere l’opportunità di rivolgersi così ad uno youkai. In quell’epoca non era difficile vedere umani in compagnia di demoni e anche le strade pullulavano di hanyou, testimonianza vivente di relazioni miste, ormai non più stigmatizzate come in passato.

-Non porto nessuno qui- sottolineò il demone, sorseggiando il suo caffè.
Già, se c’era una cosa che Rin aveva imparato a capire era che Sesshomaru non permetteva a nessuna donna di entrare nel suo piccolo mondo. Piuttosto andava lui da loro, per poi tornare. O almeno così Rin pensava, non era mai entrata troppo nel dettaglio e per il momento non le sembrava il caso di permettersi certe libertà.
-Qualcuno è venuto qui senza il mio permesso- ringhiò sommessamente lui.
Rin continuava a non capire.
-Oltre a me chi ha le chiavi? Non credo che Jinenji sia il tipo da…-
-Non è di lui che sto parlando- la interruppe subito.

La ragazza lo guardò per un po’, ma siccome il demone non accennava a pronunciare un’altra parola, capì che era meglio continuare a lavorare, altrimenti non sarebbe tornata a casa prima di cena. Di lavoro ce n’era, non poteva perdere tempo, considerato il fatto che avrebbe dovuto vedere le sue amiche per un drink. “Una serata alla Sex and the city” diceva sempre Ayame, che nonostante fosse quella più occupata con il lavoro, era l’unica che aveva sempre voglia di fare qualcosa.
Prima di tornare all’incrostazione di sporco, l’occhio le cadde su un catalogo piuttosto alto di una casa d’aste.

-Hai intenzione di comprare delle opere d’arte?-
Sesshomaru annuì.
-Wow, allora se vuoi posso darti una mano. Sai che io ho studiato storia dell’arte?- disse lei, fiondandosi avida sulla rivista.
-Me lo hai già detto almeno quattro volte- le comunicò lui.
Rin abbandonò la rivista, leggermente in imbarazzo: non le piaceva quando sottolineavano il fatto che fosse ripetitiva. Era uno dei suoi più grandi difetti: quando le piaceva qualcosa, tendeva a ripeterlo all’infinito, non considerando il fatto che magari alle altre persone quell’informazione non interessava proprio.

-Chiedo scusa, non volevo essere logorroica. Sarà meglio che torni al lavoro-
-Starò fuori tutto il giorno, devo sbrigare delle faccende di lavoro prima della partenza-
-Viaggio di piacere?- chiese Rin, mentre si apprestava a mettere i piatti sporchi nella lavastoviglie.
Lui si alzò dallo sgabello e Rin ebbe l’impressione che fosse sempre più alto ogni volta che lo vedeva.
-Affari- fu la sua risposta.

Un po’ Rin lo invidiava per tutti quegli innumerevoli viaggi d’affari, almeno lui poteva ammirare città straniere e farlo nel comfort più totale. Non come lei che il massimo del viaggio che aveva intrapreso, era quello alla volta di Sapporo da sua nonna, su un treno scadente e puzzolente.
Sesshomaru si dileguò e riapparve poco dopo vestito di tutto punto per andare in ufficio. Non era un mistero come facesse ad avere tutti quei soldi, in qualche modo doveva pur guadagnarseli e meritarseli.

-Non so quanto starò via- disse lui guardando l’orologio che indossava al polso.
Rin gli rispose in maniera simpatica, portandosi una mano vicino alla fronte a mo’ di saluto militare e disse:- Nessun problema, signore. Sarà tutto lindo e pinto quando tornerà a casa-
Lui non disse nulla e Rin si domandò se la stesse trovando ridicola. Poi lui si voltò ed uscì senza salutare. La ragazza fece spallucce, perché tanto ormai aveva capito che non lo faceva perché la trovasse antipatica, ma proprio perché lui era fatto così. Una volta elaborato l’ultimo pensiero, Rin decise di non farsi più distrarre e si mise a pulire seriamente ogni superficie della casa: era il momento di dimostrare che tutti quei soldi che le dava erano ben spesi.

Dopo che ebbe anche pranzato, Rin passò alla montagna di camicie che l’attendevano in lavanderia.
Mentre il pomeriggio avanzava e le camicie stropicciate diminuivano di numero, Rin sentì la porta aprirsi. Le sembrò strano che Sesshomaru fosse tornato poco dopo l’ora di pranzo, era un evento più unico che raro. Si fermò e allungò le orecchie per sentire meglio. Captò subito delle risatine nervose, da donna ed una voce maschile che intimava il silenzio, sempre in modo scherzoso. Rin scosse la testa: quella non poteva essere la voce di Sesshomaru, lui aveva un tono di voce diverso, più gutturale…a tratti cupo. Quello invece che sentiva lei era irriverente e un po’ scorbutico.

Oh mio Dio, e se fossero dei ladri? Pensò Rin in preda al panico e iniziando a sudare freddo non sapendo esattamente che cosa fare. Si guardò intorno in cerca di un qualche aiuto e notò che la sua borsa personale era lì di fianco a lei: aveva avuto la brillante idea di portarsela lì in lavanderia nel caso le servisse il telefono per evitare di fare avanti e indietro. Rovistò dentro e trovò quello che cercava: lo spray al peperoncino.
Ricordava ancora la sua incredulità quando il padre le aveva allungato quel flaconcino nero tra le mani, bofonchiando qualche scusa per mascherare la preoccupazione di un padre nei confronti della figlia.
La prese e con passo felpato, andò ad affrontare i due ladri, anche se dentro stava morendo dalla paura.
Sentì i due ladri nella camera da letto: dalle loro voci sembravano un uomo e una donna. Avevano un tono decisamente allegro, forse perché sapevano che erano entrati in una casa piena di oggetti di valore? Anche se poi Rin si chiese dove tenesse Sesshomaru i veri oggetti di valore.

-Aspetta, non credo che siamo soli-

Rin sentì la voce maschile pronunciare queste parole, allora anche loro si erano accorti di lei. Avrebbe voluto precipitarsi fuori dalla casa, ma continuò ad andare avanti strisciando lungo il muro perimetrale e avvicinandosi alla camera da letto. Quando fu vicinissima, con un balzo in avanti puntò la bomboletta davanti a sé, sperando di colpire la faccia di uno dei due scassinatori. E in effetti qualcuno lo riuscì a centrare.

-AAAAAAH!- urlò Rin non guardando verso la sua vittima.

-AAAAAAAH- urlò di terrore l’altra persona.

-RIN, MA COSA FAI?- urlò Kagome.

Kagome?

Rin si voltò verso di lei, incredula. Da quando la sua amica era diventata una ladra di appartamenti?
Abbassò la bomboletta e guardò la figura che giaceva riversa su sé stessa ai suoi piedi: una cascata di capelli argentati e due orecchie canine sulla sommità del capo. Il fidanzato della sua amica non faceva che lamentarsi per un dolore agli occhi.

-Kagome? Ma che ci fate voi qui!-
-Questa è la seconda casa di Inu-Yasha, siamo venuti per stare un po’ da soli- rispose lei, chinandosi sul suo fidanzato per poter vedere meglio come stessero i suoi occhi.
In effetti la parte superiore del viso del mezzo demone era tutta rossa, colpa dello spray al peperoncino di Rin.
-Ma che ti è saltato in mente?- si lamentò Inu-Yasha, voltando il viso verso Rin ma con gli occhi rigorosamente chiusi.
Lei di rimando, incrociò le braccia al petto e sorrise divertita.
-Seconda casa, eh? Chissà cosa ne penserebbe tuo fratello se sapesse che venite qui ad accoppiarvi nel suo letto-
-Che cosa?- chiese la sua amica.
Rin annuì:- Hai sentito bene. Non so cosa ti abbia detto il tuo nuovo ragazzo, ma questa è la casa di suo fratello-
Ora capiva il senso delle parole di Sesshomaru quella mattina.
-Penserai dopo ad un modo per litigare con lui, Kagome. Ora cerchiamo di vedere che cosa fare per rimediare al bruciore agli occhi, prima che Sesshomaru ritorni e si infuri con voi- disse Rin, facendosi aiutare dall’amica a tirare su da terra il mezzo demone.
Andarono in bagno e entrambe gli sciacquarono il viso con acqua fresca, sperando che questo portasse un po’ di sollievo ai suoi occhi rossi. Poi Kagome andò in cucina e preparò una camomilla che lasciò raffreddare, per farne poi un impacco emolliente per gli occhi.

Rin aiutò Inu-Yasha a sistemarsi sul divano, lui continuava a guardarla male ma lei non provava alcun tipo di rimorso: dopotutto era lui quello che aveva mentito alla sua fidanzata, usando casa del fratello di nascosto per fare le cosacce. Tanto valeva pagarsi un motel.
-Scusami, Kagome, ma che scusa si era inventato per convincerti ad andare via prima del rientro del fratello?- le domandò Rin quando ebbero finito con Inu-Yasha e si trovavano entrambe in cucina a sorseggiare una tazza di tè.
-Beh in realtà diceva che la casa aveva bisogno ancora di qualche lavoretto di ristrutturazione e che comunque ancora non ci veniva a vivere perché forse interessato ad un’altra casa-ammise lei.
-E tu ci hai creduto davvero?- sputò Rin meravigliata, dal momento che Kagome era sempre stata la prima a darle dell’ingenua.

Non ci fu il tempo di aspettare la risposta di Kagome, perché il rumore delle chiavi nella toppa, allarmò immediatamente Rin, che sapeva benissimo chi stava tornando questa volt: il padrone di casa, il vero padrone di casa!
Con uno scatto fulmineo si precipitò da Inu-Yasha, lo prese per un polso mentre lui la guardava sconcertato.
-Tuo fratello è tornato. Dovete nascondervi- bisbigliò Rin al mezzo demone, cercando di farsi venire in mente un’idea geniale.
Kagome si era appena alzata e Rin ne approfittò per acchiappare anche lei. Come un automa, si diresse nel luogo meno frequentato da Sesshomaru: la lavanderia.
-Hai intenzione di tenerci chiusi qua tutta la notte?- le chiese Inu-Yasha, leggermente infastidito.
Rin non ebbe nemmeno il tempo di arrabbiarsi, perché sentiva ora l’ansia e l’agitazione corroderla dentro. Chiuse la porta alle sue spalle e cercò di darsi un contegno.

Sesshomaru aveva depositato il suo soprabito sull’attaccapanni all’ingresso e si apprestava a fare il suo ingresso in salotto, dove una Rin sull’orlo di una crisi di nervi lo attendeva.
-Sei ancora qui- soffiò lui senza nemmeno salutarla.
Lei si grattò il mento in cerca di una scusa plausibile.
-Beh… c’era tanto da fare- ma si fermò perché lui sembrava nemmeno non ascoltarla. Dentro di sé la ragazza pensò che forse nascondere Inu-Yasha e Kagome sarebbe stato più facile del previsto.

Ma si dovette ricredere quando vide lo youkai dirigersi verso la cucina e subito nella mente le si materializzarono davanti le due tazze con il tè verde che lei e Kagome stavano sorseggiando poco fa.

-NOOOO!- urlò subito lei, piazzandosi davanti all’imponente figura di Sesshomaru, il quale sembrava davvero sorpreso: nessuno aveva mai osato fermarlo così. Rin sentiva la faccia comprimersi in una smorfia di ansia e paura. Doveva ragionare in fretta.

-Ti prendo io quello che ti serve… cosa volevi? Caffè, tè… acqua magari?- balbettò.
Sesshomaru non battè ciglio.
-Acqua. Poi andrò a farmi una doccia. Te finisci quello che stavi facendo- disse lui.

Rin si precipitò in cucina, esultando dentro di sé per essere riuscita ad evitare quel guaio, prese un bicchiere di acqua, gettò le tazze nel lavandino e tornò in salotto. Quando il demone ebbe finito di bere, le porse il bicchiere vuoto in mano e poi andò in bagno. La ragazza attese di sentire il rumore dell’acqua che veniva giù, poi alla chetichella, andò verso la lavanderia e, con l’indice davanti alla bocca, fece uscire i due amanti.

-Presto- sussurrò lei, spingendoli verso la porta d’ingresso.
Fortunatamente se ne andarono senza essere visti, stavolta ringraziandola per averli coperti.
Rin si sentì al sicuro quando la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle.
Mai più, pensò tra sé e sé.
Dopo aver ripreso fiato, sistemò le ultime cose e poi si preparò per tornare a casa. Mentre si avvolgeva la sciarpa intorno al collo, Sesshomaru apparve nella stanza, con indosso quelli che, secondo la ragazza, dovevano essere i suoi indumenti per casa. Niente a che vedere con le tute informi che indossava lei nelle giornate di inerzia emotiva e fisica. Non sembrava neanche uno che aveva affrontato una giornata al lavoro.

-Io ho finito qui. Ci vediamo la prossima settimana- disse lei afferrando la borsa.
Si diresse verso la porta. Aveva appena appoggiato la mano sulla maniglia quando si sentì richiamare.

-Rin-
-Sì?-
-La prossima volta che vuoi coprire Inu-Yasha, assicurati di far sparire il suo tanfo pestilenziale per casa e… di togliere il suo cappotto dall’appendiabiti all’ingresso!- poi se ne andò.

-MA PORCA MISERIA!-

 

 

Buonasera, cari lettori. Come promesso ho aggiornato velocemente.
Spero che vi piaccia la piega che sta prendendo la storia, ne vedremo delle belle. 
Ringrazio le persone che hanno commentato lo scorso capitolo, riceve il vostro sostegno mi aiuta tantissimo!

Al prossimo capitolo

Sophie Ondine

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