Heart of the Ocean di _ A r i a (/viewuser.php?uid=856315)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Attack ***
Capitolo 2: *** Fear ***
Capitolo 3: *** Landing ***
Capitolo 4: *** Challenges ***
Capitolo 5: *** Treasure ***
Capitolo 6: *** Epilogue – Sea ***
Capitolo 1 *** Attack ***
Il sole
era alto nel cielo, mentre la chiglia filava liscia come l'olio tra i
flutti di un mare particolarmente calmo.
La
Royal stava viaggiando in aperto oceano, una brezza calda che
soffiava leggera in direzione di navigazione e gonfiava con
eleganza le vele.
Quel
giorno l’equipaggio sembrava essere di ottimo umore. David,
il capitano in seconda, continuava ad inseguire Joe,
l’addetto all’artiglieria, lungo il ponte. Il primo
pareva lamentarsi di qualcosa, il secondo fingeva di ascoltarlo.
Tutto
questo osservava, comodamente appollaiato sul cassero, il capitano. La
camicia candida e leggera che indossava fluttuava in quella giornata
d’estate, mentre un sorriso faceva capolino su suo volto.
Per
lunghi anni la Royal aveva imposto la sua egemonia su ciascuno dei
sette mari. La nave pirata più temuta, più
ammirata e, inevitabilmente, anche la più ricca. Nel corso
delle loro innumerevoli scorribande avevano accumulato un bottino
così considerevole che avrebbero potuto fermarsi su
un’isola qualsiasi e vivere per sempre un’esistenza
nello sfarzo e nel lusso più sfrenato.
Il
capitano, tuttavia, probabilmente non ci sarebbe mai riuscito.
Jude,
questo il nome di quel giovane uomo che, appena ventenne, guidava il
più noto equipaggio pirata della storia, non aveva mai preso
in considerazione l’idea di abbandonare quella vita di
scorribande e razzie. Toccare terra lo innervosiva, ed era solito farlo
solo se costretto.
Voleva
viaggiare. Voleva visitare ogni angolo esplorabile del mondo. Sentire
il vento tra i capelli lo faceva sentire vivo, potente.
Ed
era per lui l’unica cosa che contasse.
Il
morale dell’equipaggio continuava ad essere alto, mentre uno
dei pirati trasportava un barile colmo di pregiato rum delle Antille.
La navigazione procedeva verso sud senza nessun intoppo.
Cosa
sarebbe potuto mai succedere, in fin dei conti?
Un
boato, nel cuore della notte.
Jude
si era ritrovato a sobbalzare nel suo stesso letto, svegliandosi di
colpo.
Per
un momento aveva quasi creduto di esserselo immaginato. Un istante
dopo, tuttavia, grida ferine erano giunte alle sue orecchie, assieme al
sibilo di cime lanciate in aria e assi di legno che venivano spostate.
Un
assalto?
“Impossibile”,
aveva subito pensato il capitano. Nessuno si sarebbe mai sognato di
assaltare la Royal. Chiunque, perfino un principiante che aveva varato
la propria barca in mare da pochi giorni, era a conoscenza della forza
e
della pericolosità del suo equipaggio, motivo per cui
qualsiasi flotta si era sempre tenuta a debita distanza da loro.
Avrebbero anche potuto provare ad assaltarli e, con buona fortuna,
uscirne indenni, tuttavia nessuno avrebbe dubitato che
l’equipaggio della Royal non avrebbe esitato a fargliela
pagare nel peggiore dei modi.
Ecco
perché l’idea di un assalto gli appariva
così folle.
Jude
s’era rivestito in tutta fretta, afferrando la spada e
lanciandosi fuori dalla sua camera, percorrendo furiosamente i
corridoi. Lungo di essi aveva trovato il più totale
trambusto: i suoi uomini stavano correndo in ogni direzione,
apparentemente in difficoltà, senza nessuna idea su come
muoversi.
Impossibile,
semplicemente impossibile che un’altra flotta fosse riuscita
a metterli così tanto in difficoltà.
Salendo
lungo le scale che portavano al ponte, tuttavia, Jude si era reso conto
che c’era qualcosa che non andava. Un problema profondo,
orribile si annidava in tutta quella situazione: alcuni dei suoi
uomini, infatti, avevano almeno i vestiti in parte bruciati. Chi era
ridotto peggio riportava ustioni profonde, altri invece avevano ancora
qualcosa in fiamme.
Fuoco.
La
situazione sul ponte non era migliore: alcune zone erano state
incendiate – con frecce infuocate, aveva dedotto in fretta
Jude – e molti uomini erano impegnati nel tentativo di domare
le fiamme. Considerando gli altri membri dell’equipaggio
costretti sottocoperta a causa delle ustioni riportate, a cercare di
respingere l’assalto restava un contingente irrisorio.
Dannazione.
«Capitano!»
Nel caos generale, Jude aveva udito la voce di David andargli incontro.
«La situazione è critica! Continuano a portare
avanti i rostri per assaltarci! Di questo passo a breve non saremo
più in grado di respingerli…»
«Com’è
stata possibile una cosa del genere? Perché nessuno mi ha
avvisato?», aveva sbottato Jude. Sapeva di dover mantenere la
calma per cercare di risolvere la situazione, tuttavia faticava a
nascondere la stizza.
«Perché
nessuno si era accorto della nave in avvicinamento.» La voce
profonda di Joe aveva subito fatto voltare sia Jude che David.
«Si sono accostati di soppiatto, senza luci di segnalazione.
All’inizio pensavamo si trattasse di una piccola
imbarcazione, solo dopo ci siamo resi conto delle reali dimensioni del
vascello…»
Gli
occhi di Jude si erano ridotti a due piccole fessure. Faticava a
comprendere come degli uomini così esperti fossero caduti in
una tale sottovalutazione.
«Danni
alla nave?», aveva domandato, gelido.
«Alcune
vele sono state bruciate», aveva risposto David.
«Ma il danno più ingente è la falla
nello scafo. Saranno circa quattro metri, ed è solo
questione di tempo prima di iniziare ad imbarcare
acqua…»
Jude
aveva trattenuto a stento un’imprecazione tra i denti, mentre
un verso gutturale gli era salito lungo la gola. Non sarebbe riuscito
ad immaginare uno scenario peggiore di quello nemmeno volendolo.
Oltretutto,
alcuni membri dell’equipaggio che li aveva assaltati stavano
riuscendo a salire sulla loro nave, i
rostri che avevano reso le due imbarcazioni ormai incollate. I suoi
uomini stavano facendo del loro meglio per respingerli, tuttavia al
momento si trovavano in svantaggio numerico e questo giocava
decisamente a loro sfavore.
Uno
dei pirati prese a correre nella loro direzione, la spada sguainata ben
stretta tra le mani. Jude, il primo ad accorgersene, non aveva esitato
un momento ad estrarre la propria sciabola dal fodero. Un solo, singolo
fendente dopo, la carotide del pirata avversario era stata tranciata di
netto, lasciandolo moribondo a terra.
I
tre archiviarono in fretta quel maldestro tentativo
d’attacco, tornando a concentrarsi su ben altro.
«Come
ci muoviamo?», aveva chiesto David.
«Dobbiamo
cercare di limitare i danni», era stata la pronta risposta di
Jude, mentre prendevano ad avvicinarsi al parapetto.
«Blocchiamoli quanti più possiamo. E trovatemi il
capitano dell’altra nave, voglio vederlo in faccia.»
«Signorsì!»,
avevano esclamato in coro Joe e David, scattando in avanti. Si erano
subito ritrovati circondati da avversari, e lo stesso destino era
toccato anche a Jude. L’avevano accerchiato in tre, ma era
evidente che si trattasse di pesci piccoli: si muovevano con
goffaggine, tradendo la loro inesperienza. Il primo dei tre si era
lanciato nella sua direzione, mirando alla faccia. Pessima mossa,
considerando che così stava lasciando scoperta la guardia.
Jude
gli aveva rifilato un unico colpo ben piazzato all’inguine, e
quello s’era ritrovato a terra, rantolante in una pozza di
sangue.
Gli
altri due, rendendosi conto che non si trovavano davanti ad un pirata
qualsiasi, erano indietreggiati, di colpo dubbiosi all’idea
di attaccare. Peccato che Jude non fosse dell’idea di
dimostrarsi caritatevole: così ora era lui a farsi avanti,
costringendo i due ad arretrare. Il primo aveva cercato di
parare i
suoi affondi, ma inutilmente: una ferita profonda al costato aveva
messo al tappeto anche lui.
Era
rimasto un solo uomo a fronteggiarlo. Per un momento erano rimasti ad
osservarsi, l’uno con gli occhi fissi in quelli
dell’altro, come se stessero aspettando il momento giusto per
attaccare. Poi, d’improvviso, erano scattati.
Si
erano mossi in contemporanea. Le spade avevano cozzato l’una
contro
l’altra, tutto sommato il suo avversario lo stava affrontando
degnamente, parando e respingendo i suoi colpi, tentando qualche
attacco di tanto in tanto.
Jude
non faticava affatto. Respingeva ogni affondo senza alcuno sforzo, e
continuava a muoversi in avanti, costringendo il suo avversario ad
arretrare.
Aveva
una strategia precisa in mente. E, con ogni probabilità, il
suo avversario se ne sarebbe reso conto quando ormai per lui sarebbe
stato troppo tardi.
In
effetti era andata esattamente così. Il membro
dell’equipaggio nemico, che fino ad allora aveva continuato a
fronteggiarlo con un sorriso trionfante dipinto in volto, di colpo
era divenuto mortalmente serio: un altro passo indietro, infatti, e
sarebbe
finito in mare, in pasto agli squali.
Avevano
raggiunto infatti un fianco dell’imbarcazione, in un punto
dove il parapetto era stato tranciato di netto. Nulla
l’avrebbe salvato dalla caduta verso l’oceano,
tranne un buon equilibrio e una dose sfacciata di fortuna.
Prima
che il suo avversario potesse capire come trovare il primo o essere
travolto dalla seconda, tuttavia, Jude aveva lanciato un fendente nella
sua direzione, provocandogli una profonda ferita alla gola. Il pirata
era sembrato sorpreso, al punto che s’era portato una mano
all’altezza della lacerazione, ma Jude non aveva esitato: con
la punta della spada aveva premuto appena all’altezza del
petto dell’uomo, spingendolo in avanti. A quel punto
non c’era stata più via di scampo per lui: era
precipitato giù, verso il mare e gli squali.
Il
sorrisetto che aveva soggiornato sul volto dell’altro pirata
per tutto il tempo sembrava essere ora passato sul viso di Jude. Forse
il suo avversario aveva intuito chi fosse e, per una folle frazione di
secondo, aveva persino pensato di poterlo sopraffare.
Peccato
che, nello scontro corpo a corpo, nessuno fosse mai riuscito a batterlo.
Jude
s’era voltato, tornando ad osservare il ponte della nave.
Sembrava che, dopo averlo visto arrivare, i suoi uomini avessero preso
coraggio e avessero cominciato a contrastare gli avversari con maggiore
impeto. Per di più, apparentemente l’equipaggio
nemico aveva cominciato a battere in ritirata: ora era circondato quasi
prevalentemente dalla sua ciurma, e pochi assalitori rimanevano ancora
a combattere.
Era
strano, considerando che c’era mancato poco prima che
riuscissero a sopraffarli. A meno che…
Un
dubbio martellante aveva preso a tormentare la mente di Jude. Prima che
potesse darsi una risposta, tuttavia, un altro colpo aveva riempito
l’aria.
Se
il primo era stato innegabilmente quello di un cannone, quello che
aveva aperto la voragine nel loro scafo – e che, assieme alla
vicinanza degli scafi provocata dai rostri, aveva comportato per loro
l’impossibilità di utilizzare
l’artiglieria a loro volta a causa dei danni che avevano
riportato –, il secondo era stato un colpo di pistola,
sparato verso il cielo. Jude aveva intuito che doveva trattarsi di un
segnale, e a giudicare dal modo in cui tutti i nemici avevano preso a
correre verso il loro vascello, doveva significare che era il momento
di
battere in ritirata.
Per
quale ragione, tuttavia, ritirarsi, quando si sta per sopraffare
l’equipaggio avversario? A Jude venivano in mente due
possibilità: la prima era che quello era stato solo un
tentativo volto a dimostrare qualcosa – ma cosa, poi? Che
esisteva un equipaggio in grado di mettere in difficoltà
l’invincibile Royal? O era piuttosto una prova destinata a
lui, come se qualcuno volesse accertarsi della sua forza, considerando
che avevano deciso di ritirarsi dopo che si era liberato dei suoi
avversari? –; la seconda, invece, era decisamente
più probabile, nonché quella che lo spaventava
maggiormente.
Non
era sopraffarli ciò a cui puntavano, quanto
piuttosto…
Jude
era corso al parapetto, affacciandosi oltre di esso. Lo squarcio
profondo che compariva ora sul fianco della sua nave, come temeva, si
trovava in un punto ben preciso.
La
stiva dei tesori.
Un
grosso baule era stato sottratto dalle loro proprietà. Jude
lo aveva riconosciuto senza troppi sforzi: era un forziere dalle
dimensioni
discrete, verniciato di blu. Il capitano della Royal si
era sentito pervadere da una rabbia cieca. Com’era
possibile che fossero andati a colpo sicuro, che sapessero che quella
cassa si trovasse proprio lì…?
Jude
aveva spostato lo sguardo sulla nave nemica, le vele che si muovevano
con veemenza. E lì, tra gli altri corsari, intravide quello
che intuì essere il loro capitano: un vistoso cappello nero
gli cadeva sul capo, mentre i capelli color dell’oro erano
legati in una coda bassa.
La
furia che s’era impossessata di Jude fu quasi sul punto di
spingerlo in avanti. Ma cosa avrebbe potuto fare, in fin dei conti? Il
vascello era danneggiato e buona parte dell’equipaggio
gravemente ferita. Da solo sarebbe stato in grado di fronteggiare tre,
quattro, forse cinque uomini, non di certo le diverse dozzine che lo
attendevano dalla parte opposta.
Era
un capitano, in fin dei conti e, per quanto certe volte fosse difficile
sostenere il peso della sua responsabilità, che
così presto s’era sobbarcato, doveva pensare
anzitutto al bene del suo equipaggio. Contrattaccare equivaleva a un
suicidio di massa, lo sapeva bene.
Era
rimasto quindi ad osservare il vascello che li aveva attaccati sparire
nella notte, avvolto dalla nebbia che saliva dal mare,
l’ultima cosa che i suoi occhi erano riusciti a intravedere
era
la polena della nave, un uomo dalla folta barba e con una corona posata
sul capo.
▬
notes
E... sorpresa! No, okay,
non
più di tanto visto che avevo mezzo spoilerato la cosa nelle
note di diwk, considerando però che nessuno legge quella
storia immagino si tratti di una sorpresa ahah.
Aehm. Non so bene da dove
partire.
Circa un anno fa ho cominciato
a plottare la trama per una pirate!au, senza tuttavia cominciare mai a
scriverla, perché mi ripetevo che non ero nel mood adatto e
tutte le solite paranoie che sapete mi faccio quando si tratta di
scrivere storie. Visto che ormai quest'anno mi sono decisa a cercare di
abbattere questi muri che mi costruisco da sola, nel giro di una
settimana ho iniziato e finito questa long, che tra l'altro si
è rivelata più complessa di quanto avessi
inizialmente immaginato. Ho dei problemi, lo so.
Lo "sprone" che mi ha aiutata a
mettermi sotto con la scrittura è stato il contest In
Another Life, In Another World di fantaysytrash sul forum di
efp (andate a darci un'occhiata, è stupendo e la giudice
è super competente!), a cui la storia avrebbe dovuto
originariamente partecipare. Sfortunatamente, però, visto
che mamma m'ha fatta logorroica ho sforato di 10.000 parole il limite
massimo di parole consentite, per cui per me niente contest, rip. In
compenso, ormai la storia l'ho finita, per cui ve la beccate.
E cosa c'è di
più rinfrescante in estate di una bella storia sui pirati?
Forse un gelato o un bagno al mare, non lo so, fatto sta che non posso
permettermi nessuno dei due, per cui pirati, pirati a stecca, pirati
come se non ci fosse un domani. Così quest'anno, oltre a
diwk, vi beccate anche anche questa storia, per un totale di altri
cinque aggiornamenti una volta ogni cinque giorni fino al 30 agosto. Di
là abbiamo il sette, qui il cinque. Alcuni capitoli saranno
lunghetti proprio perché volevo portare avanti questo gioco scemo
del cinque, e di questo mi scuso fin da ora, però mi
rassicura il fatto che alla fine nessuno
leggerà questa storia, per cui uh-uh, chi mai dovrebbe
accorgersene o esserne infastidito?
Spero che questa storia di
pirati vi piaccia, vi tenga compagnia e soprattutto sappia rinfrescarvi
in queste giornate torride. Per ora è tutto, ci rivediamo
presto con un nuovo aggiornamento e... buon viaggio, ciurma!
Aria
|
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Capitolo 2 *** Fear ***
All’alba fu tempo di contare i danni.
Jude era poggiato con la schiena all’albero di trinchetto, il
jolly roger che sventolava sopra di lui. Teneva il braccio sinistro
stretto al corpo, indolenzito dopo gli scontri della notte precedente.
Aveva riportato solo poche ferite superficiali, ma nonostante ci avesse
gettato sopra dell’alcool continuavano a bruciare come
infuocate.
Già, il fuoco. A Jude sembrava ancora di vederlo danzare
davanti ai suoi occhi, nonostante le fiamme fossero state ormai domate
ed estinte.
Joe e David si stavano lentamente avvicinando a lui. Jude li intravide
in lontananza, mentre la brezza fresca gli faceva sbattere la casacca
blu contro il torace. Avevano la testa china, e Jude sapeva che si
sentivano in colpa per quanto era accaduto la notte precedente.
Quando lo raggiunsero, il primo a prendere parola fu David.
«Capitano», aveva cominciato «sono
rammaricato per gli ultimi eventi. Continuo a sentirmi così
in colpa per quanto è successo, non riesco a comprendere
come sia potuta sfuggirmi una cosa del genere…»
Jude aveva sospirato lentamente. La verità era che il primo
a sentirsi in colpa era proprio lui. Lui era il capitano, lui doveva
garantire la sicurezza del suo equipaggio. E non l’aveva
fatto.
Dov’era lui, quando la nave era stata attaccata? Sotto
coperta, nelle sue stanze. Così s’impegnava a
tutelare gli uomini che avevano deciso di seguirlo?
«No, David.» Jude s’era passato
distrattamente una mano tra i capelli. «Avrei dovuto essere
con voi fin dal primo momento, e non è stato
così.»
«Beh», s’era intromesso Joe.
«Immagino che adesso dovremo cercare il porto più
vicino in cui attraccare. Ho consultato alcune mappe di navigazione, e
da quello che mi è parso di capire Black Dust‒»
Jude s’era discostato con foga dall’albero di
trinchetto, incamminandosi in avanti.
«Non se ne parla. È fuor di discussione.»
David era sobbalzato sul posto. «M-Ma…
Jude…», aveva provato ad obiettare.
«Dovendo cercare un’altra isola, la più
vicina si troverebbe quantomeno a una settimana di navigazione da
qui», aveva protestato Joe, in maniera più
risoluta. «Continuando ad imbarcare acqua a questa
velocità, non ci arriveremo nemmeno…»
Jude si era voltato di scatto nella loro direzione, la sciabola che era
appesa alla cintura di seta che teneva annodata in vita aveva
ondeggiato violentemente.
«Davvero state fingendo di non sapere cosa significherebbe
questo?», li aveva incalzati Jude. «Equivarrebbe a
tornare con la coda tra le gambe. Sarebbe la dimostrazione della nostra
incapacità di stare in mare aperto, di fronteggiare un
nemico. Volete ammettere così platealmente di essere stati sconfitti?»
Furia. Jude la percepiva così nitidamente nella propria
voce. Da quando l’aveva sentita montare in petto la notte
precedente, probabilmente non aveva mai abbandonato il suo corpo.
Quella sarebbe stata un’ammissione di colpevolezza. E no,
Jude non era pronto a mettere da parte il proprio orgoglio.
«Ascolta, Jude.» Joe s’era avvicinato a
lui, abbassando di un poco il tono della voce. «Tornare a
Black Dust è una sconfitta per tutti, ma quali altre
possibilità abbiamo? Morire nel bel mezzo
dell’oceano? Non credo che sia un’alternativa meno
umiliante. In ogni caso abbiamo già informato il timoniere
della nuova destinazione, per cui ci dirigeremo lì con o
senza il tuo benestare.»
Jude lo aveva fissato, stizzito. Cos’era quello, una sorta di
ammutinamento?
Era vero, stava pestando i piedi come un bambino viziato, ma la
verità era che tornare a Black Dust significava riaprire una
ferita del suo passato.
Una ferita che non era mai riuscito a sanare.
«Perfetto», aveva sibilato. «Allora fate
pure come volete, tanto mi sembra che sia stato già tutto
deciso.»
David aveva fatto per aggiungere qualcosa, Jude tuttavia non gliene
aveva dato la possibilità, voltandosi di scatto e sparendo
poco dopo sottocoperta.
Jude aveva lanciato via con furia le pergamene srotolate sulla sua
scrivania.
Follia. Quella era,
senza ombra di dubbio, un’enorme follia.
Non era sempre stato il capitano della Royal. Prima di salpare con un
equipaggio tutto suo, era stato il vice della Black Dust.
La Black Dust era stata ciò che ora era la Royal, ma in
maniera decisamente maggiore. Non esisteva uomo che avesse solcato il
mare che non ne conoscesse il nome, e che non nutrisse un terrore cieco
al solo sentirlo nominare.
Lui, David e Joe erano stati parte di quell’equipaggio che si
era fatto la fama del più
temibile dei sette mari, lasciandosi alle spalle solo una
scia di morte e distruzione.
A dir la verità, la quasi totalità
dell’equipaggio della Royal aveva fatto parte della Black
Dust, e questo ne spiegava lo strapotere fisico.
Venne un momento, tuttavia, in cui il capitano della Black Dust aveva
deciso di fermarsi. La nave che nessuno aveva mai avuto il coraggio di
attaccare aveva accumulare così tante ricchezze nel corso
dei suoi innumerevoli anni di navigazione da permettersi di colonizzare
un’intera isola, che prevedibilmente aveva preso il nome del
veliero stesso.
All’inizio l’idea era stata esaltante, tanto
più che Jude s’era ritrovato circondato da
privilegi, vista la sua importanza all’interno della flotta.
Quei profumi inebrianti, però, avevano finito ben presto per
soffocarlo.
Gli mancava il mare aperto. Le rive dell’isola erano
costantemente lambite dall’oceano, ma ciò non
bastava a sostituire l’adrenalina dell’avventura o
la salsedine tra i capelli – l’odore della
libertà, per Jude.
Sapeva, tuttavia, di non star raccontandosi tutta la verità.
C’era un altro motivo, infatti, che lo aveva spinto ad
allontanarsi da Black Dust.
Jude si era lasciato cadere a terra, seduto tra le carte di navigazione
ormai irrimediabilmente sparse sulle travi lignee del pavimento.
Ricordi che credeva ormai dimenticati presero a fluire nella sua mente,
come veleno che colava da una fiala: memorie di lingue intrecciate, di
mani che percorrevano avidamente il suo corpo e di notti di passione,
che credeva di aver ormai abbandonato nelle notti d’estate di
diversi anni prima.
Tornare a Black Dust, tuttavia, significava lasciarle riemergere dal
dimenticatoio in cui così a lungo le aveva gettate, e Jude
non era certo di essere pronto per questo.
Lo sguardo di Jude si era posato sull’ampia vetrata che
riempiva di luce la sua stanza. Sotto di lui, le onde continuavano a
scontrarsi furiosamente contro la chiglia.
▬
notes
Fa troppo caldo per editare,
sigh. Così finisco sempre per ridurmi all'ultimo e mi
stresso il doppio. Una condotta lungimirante, oserei definirla.
Comunque! Oggi ho poche cose da dire, quindi cercherò di
metterle in ordine per andare più in fretta.
Anzitutto: ho inserito un banner ad inizio capitolo ora provo anche a
metterlo nel prologo, pregate per me. Non è
come sarebbe dovuto venire nella mia testa, perché volevo
aggiungere anche una fanart di Kidou ma non ho trovato una che
soddisfacesse tutte le mie necessità (pg voltato di lato, no
occhialini, camicia bianca indosso etc) e l'unica che più o
meno ci si avvicinava era di un* fanartist che vieta il repost. Un
tempo non ci avrei dato peso, ma twitter mi ha cambiata e ora sono una
persona nuova, per cui nada, ci teniamo un banner più
semplice (sulla linea di quelli per dn e diwk) e amen.
Poi, il capitolo: più rileggo queste parti iniziali mentre
le edito e più mi rendo conto di quanto sembrino "rushate".
Un po' è perché all'inizio volevo tenermi
sintetica per rientrare nei limiti del contest, un po' è
anche per via della mia paura di bloccarmi di nuovo per... giorni?
Mesi? Anni?, su una long, per cui ho cercato il più
possibile di sbrigarmi, perché avevo fretta di finirla, ecco
perché poi l'ho conclusa in una settimana. Modificarla
adesso non mi sarebbe in grado, perché ho sempre paura di
rovinare quello che ho già scritto oltre al fatto che non
saprei esattamente cosa aggiungere, per cui mi sa che anche questo ce
lo teniamo così, lol. Tra l'altro questo è quasi
un capitolo di passaggio (andiamo bene, cominciamo già con i
capitoli di passaggio al secondo aggiornamento)... ma i prossimi tre
saranno letteralmente pieni
di cose, per cui dai, forse sono perdonata ahah.
Infine volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto il prologo,
e in particolare chi ci ha tenuto a esprimermi il proprio
apprezzamento. Non me l'aspettavo, sinceramente, per cui grazie, non
immaginate nemmeno lontanamente quanto io ve ne sia grata <3
Bien, per oggi ho detto tutto, ci vediamo presto, ossia tra cinque
giorni, per il prossimo aggiornamento. Io, intanto, finalmente domani me ne
vado AMMARE, yaaay **
See ya,
Aria
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Capitolo 3 *** Landing ***
Avevano visto terra a prua dopo circa tre giorni di
navigazione.
Forse la Royal sarebbe potuta filare ancor più rapidamente
tra
le onde, avendo vento in poppa, ma i danni allo scafo avevano
comportato una maggiore prudenza e, pertanto, Jude aveva chiesto al
timoniere di procedere con maggiore cautela.
Da un lato aveva sperato che questo potesse dargli più tempo
per
prepararsi a ciò che lo avrebbe atteso una volta arrivato,
dall’altro tuttavia non aveva fatto altro che prolungare
l’agonia.
David si era affacciato oltre il parapetto che circondava la prua,
quasi a sfiorare la polena – una figura femminile dalle forme
sinuose, Anfitrite, moglie di Poseidone, il dio del mare; da questa
valenza regale nasceva il nome Royal
–, osservando con espressione estatica le sabbie nere della
spiaggia di Black Dust, che li attendevano ormai a pochi minuti di
distanza. La schiuma biancastra del mare schizzava sul suo volto e sui
vestiti, ma il ragazzo non sembrava curarsene più di tanto.
A volte Jude pensava che David fosse quello che aveva maggiormente
sofferto la partenza da Black Dust. Lui, in fin dei conti,
sull’isola aveva trovato tutto ciò che cercava:
circondato
dalle persone che amava – e da Joe – gli era
sembrato che
non gli mancasse niente. E allora perché era ripartito
assieme a
Jude? Semplice: per via dell’amicizia che li legava.
Quando a Jude era toccato scegliere il suo equipaggio, era stato
chiaro: nessuno doveva sentirsi obbligato a partire. Lui aveva indicato
coloro che, a suo giudizio, rappresentavano gli uomini più
esperti e fedeli, quelli con cui aveva avuto modo di legare di
più durante gli anni di viaggio con la Black Dust. Secondo
lui,
un buon equipaggio doveva essere composto da persone a cui avresti
affidato la tua vita ciecamente, senza esitazione.
David aveva accettato di essere il suo vicecapitano senza battere
ciglio, così come Joe, una volta saputo che David aveva
deciso
di far parte dell’equipaggio, si era unito a loro in un
baleno. E
Jude non era sorpreso che, nonostante tutto, quei due si fossero
rivelati i suoi compagni più fedeli.
Jude sapeva di avere, in quel momento, gli occhi di Joe puntati
addosso. Lui sapeva, tutti
sapevano
cosa simboleggiasse Black Dust per lui. Poteva continuare a negare fino
alla morte, ma le voci avrebbero continuato a rincorrersi, di porto in
porto.
La Royal aveva toccato la sponda dell’isola, e subito i suoi
uomini avevano gettato l’ancora. In molti si erano affrettati
a
scendere dal vascello, stiracchiandosi visibilmente e toccando quasi
con incredulità quella terra che tanto a lungo era mancata
da
sotto ai loro piedi. C’era una generale sensazione di gioia
che
serpeggiava tra i vari membri dell’equipaggio, e non era
difficile intuirne il motivo.
A lungo andare, fermarsi in un porto può diventare una
necessità. Jude aveva sempre faticato a sentirla,
perché
per lui ciò che contava veramente era viaggiare, esplorare,
scoprire – e soprattutto tenere lontani i ricordi della
terraferma –, tuttavia capiva chi si sentisse gratificato dal
fermarsi, dal cambiare visuale per una volta e non essere circondati
unicamente dal mare.
Forse un tempo era stato così anche per lui, solo che ormai
faticava a ricordarlo – o forse preferiva non farlo.
Degli uomini erano accorsi dalle strade dell’isola, ricolme
di
abitazioni. Jude aveva immaginato che volessero aiutarli
nell’approdo, tuttavia s’era dovuto ricredere in
fretta
quando si era ritrovato la punta di una sciabola premuta contro la gola.
«Chi siete voi?», gli aveva domandato rudemente un
giovane,
un ciuffo di capelli castani che gli pendeva sopra il capo.
Jude lo aveva fissato, non senza tradire la propria irritazione. Quella
era anche
casa sua, in fin dei conti.
L’equipaggio della Royal aveva preso a mormorare
pericolosamente
fra di loro, e Jude non dubitava che alcuni di loro fossero
già
pronti a mettere mano alle spade. Lui stesso aveva avvicinato il
proprio palmo al fodero, pronto a contrattaccare all’istante,
se
ce ne fosse stato il bisogno. Era certo che non ci avrebbe messo
più di qualche secondo a liberarsi di quel tipo.
Non ce ne fu bisogno.
«Ti sembra questo il modo di accogliere degli ospiti,
Caleb?»
Il capo di tutti i presenti si era voltato verso il punto da cui era
provenuta quella voce.
Era stato allora che Jude l’aveva visto.
Erano passati anni dall’ultima volta in cui si erano
incontrati, tuttavia non gli sembrava essere cambiato di una virgola.
Il clima mite e soleggiato dell’isola rendeva la sua pelle
ancor
più bronzea, mentre vestiti scuri di seta pregiata
fasciavano
con eleganza il suo corpo. La vecchia spada affilata risiedeva ancora
al solito posto, un fodero in cuoio che pendeva dal fianco sinistro.
Incontrandolo, gli occhi di Jude cedettero di aver avuto una visione.
«Comandante‒» Il ragazzo che l’aveva
attaccato
– Caleb, per quel che Jude aveva intuito – si era
voltato
con reverenza verso l’uomo che li aveva raggiunti.
«Questi
uomini sono approdati all’improvviso. Non eravamo stati
avvisati
di arrivi imminenti, per questo ho pensato che si trattasse di
invasori‒»
«Hai pensato male», aveva tagliato corto
l’altro uomo. Ora non aveva tempo di curarsi di quelle
sciocchezze.
Jude sentiva due occhi piccoli e neri fissi sul suo corpo, ed era
consapevole di essere a sua volta incapace di smettere di fissarlo.
«Jude…»
Il capitano della Black Dust si era ritrovato a sobbalzare sul posto.
Era sempre così strano, il modo in cui riusciva a far
rotolare
ogni lettera del suo nome tra la lingua e il palato, come se ne stesse
degustando ogni curva, ogni sapore, al pari di un vino pregiato.
«Ray», aveva replicato lui, seccamente.
Sia l’equipaggio della Royal sia gli uomini di Black Dust
avevano
preso a mormorare nuovamente tra loro. Da sempre, Jude era stato
l’unico a cui fosse concesso chiamarlo per nome, e non era
difficile immaginarne il motivo.
«È passato tanto tempo dall’ultima volta
che ci
siamo visti…» gli aveva fatto notare Ray, e Jude
non
avrebbe saputo dire se quello fosse un rimprovero. «Ti chiedo
di
perdonare questa spiacevole accoglienza. Non attendevamo
visite.»
«Beh, è stata una situazione un po’
improvvisa anche per noi.» Jude si era stretto nelle spalle.
«Ad ogni modo» Ray gli aveva sorriso calorosamente,
«qual buon vento vi porta da queste parti?»
«Lo squarcio nello scafo, credo.»
Ray lo aveva fissato, confuso. Si era poi avviato lungo
l’arena, seguito a pochi passi di distanza da Jude.
Il volto dell’uomo era apparso contratto come mai
dall’inizio della loro conversazione non appena si era
ritrovato
davanti al danno subito dal vascello. Quella, per Jude, era stata la
conferma che si trattava di un problema serio.
«Siamo stati attaccati», si era affrettato a
chiarire.
«Attaccati?», aveva ripetuto Ray, incredulo.
«Da chi?»
«Non ne ho idea», aveva ammesso Jude, con aria
affranta.
Ray gli aveva rivolto un sorriso, cercando di consolarlo. Poco dopo,
aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita.
«Avremo tempo per parlarne, ragazzo mio», gli aveva
assicurato. Mentre parlava, si era voltato, trascinando con gentilezza
con sé anche Jude, per poi iniziare ad indirizzare entrambi
verso il cuore dell’isola. «Ora vieni con me.
Penseremo noi
alla nave e a procurarvi tutto ciò di cui possiate aver
bisogno,
non temere.»
Black Dust aveva una struttura piramidale. In basso c’erano
le
abitazioni più umili, di chi nel corso degli anni
s’era
arricchito meno e, man mano che si saliva, si trovavano ambienti sempre
più sfarzosi, le residenze dei pirati che avevano accumulato
grandi ricchezze.
Tutte le case, però, erano sormontate da un palazzo
imponente.
Ed era lì che si trovavano ora.
Erano passati mesi dall’ultima volta in cui gli occhi
dell’equipaggio della Royal si erano posati su un pasto
così ricco. Lunghe tavole imbandite erano state disposte per
loro, e pietanze d’ogni tipo continuavano a circolare da un
capo
all’altro del grande salone in cui li stavano ospitando.
Gli occhi di David scintillavano davanti all’arrosto che era
stato appena poggiato accanto a lui, e lo stesso entusiasmo sembrava
aver contagiato anche Joe.
Mentre osservava i loro volti felici, un sorriso triste aveva fatto
capolino sul volto di Jude.
Spesso pensava che non sarebbe mai stato in grado di offrire un pasto
luculliano come quello ai suoi compagni. La cosa lo metteva a disagio,
forse non era un capitano poi così capace come credeva di
essere, per loro…
Ray aveva insistito che si accomodasse accanto a lui. Per loro era
stato riservato un tavolo unico, posto sopra una pedana, che offriva
una buona visuale su entrambi gli equipaggi, impegnati a nutrirsi in
abbondanza.
Jude, al contrario, non aveva toccato cibo.
Aveva la mente ingombra di pensieri, che gli impedivano di godersi
quella cena come avrebbe voluto. Teneva tra le dita un calice di vino,
lasciandosi inebriare dal profumo della bevanda e sperando che, almeno
questa, riuscisse per un poco ad ottenebrargli la mente.
Sfortunatamente, però, non stava funzionando.
La vicinanza a Ray lo mandava in confusione. Continuava a pensare a
quei ricordi, che lo tormentavano da prima ancora di approdare, senza
lasciargli scampo.
Jude aveva sospirato pesantemente, posando il calice sulla tavola. Non
poteva continuare a crogiolarsi così, non avrebbe fatto
altro
che peggiorare la situazione.
Si era alzato dalla tavola, senza dire una parola. Era uscito dalla
stanza, lasciandosi alle spalle il vociare allegro e confuso degli
altri pirati.
L’aria fresca del balcone sembrò rigenerargli
istantaneamente le membra.
Jude aveva chiuso gli occhi, sospirando di piacere nel sentire il vento
notturno carezzargli la pelle. In lontananza gli sembrava di sentire il
profumo di fiori deliziosi.
Non era mai stato facile, con Ray. Jude ricordava ancora quando lo
aveva conosciuto, anni prima. Allora non era che un bambino che si
divertiva a correre per le strade della sua isola, eppure
già a
quel tempo Ray aveva intravisto in lui del potenziale.
Gli isolani parlavano. Quando la Black Dust si fermava nel porto
dell’isola era sempre un evento. Gli abitanti si erano sempre
dimostrati ospitali, temendo altrimenti terribili ripercussioni, e per
questo spesso il vascello si fermava lì per rifornirsi di
viveri. Ogni volta che succedeva, diventava l’evento
più
importante della giornata: la notizia volava di bocca in bocca, e
presto non v’era abitante che non fosse al corrente
dell’arrivo della nave.
Jude era sempre stato affascinato da quegli uomini. Ricordava di come
si nascondesse dietro al muro di qualche vecchia casa, giù
al
porto, e li osservasse a lungo, studiando ogni loro mossa.
Un giorno, però, Ray si era accorto di lui.
Lo aveva sorpreso alle spalle, prima che se ne potesse accorgere.
Quando aveva sentito la sua voce, non aveva potuto fare a meno di
trasalire.
«Trovi che la mia flotta sia così
interessante?», si era sentito chiedere di colpo.
Jude s’era girato, esitante, immaginando di trovarsi di
fronte
quel capitano così minaccioso che aveva intravisto nei
giorni
precedenti.
Invece no. Lo sguardo che si era puntato su di lui sembrava essere
divertito.
«Se vuoi diventare un pirata, prima dovresti imparare ad
usare
una spada», aveva commentato l’uomo, impassibile.
Pochi giorni dopo, si era ripresentato da lui con un manichino e una
spada di legno. Jude aveva fatto pratica per anni, ed era certo che, se
adesso era uno dei migliori spadaccini dei sette mari, lo doveva in
gran parte a quegli anni di allenamento.
Quello era un ricordo che Jude richiamava sempre alla mente con un
sorriso sulle labbra.
Quando era stato grande abbastanza, era salpato assieme alla Black
Dust. Durante le innumerevoli scorribande del veliero aveva avuto modo
di perfezionare sempre di più la sua abilità con
la spada.
Se ripensava agli anni come vice, tuttavia, qualcosa in lui cominciava
a vacillare.
Era sempre stato chiaro a tutti che Dark nutrisse per lui una
particolare simpatia. Ray Dark era il pirata più temibile
della
storia, ed era così paradossale immaginarlo a crescere un
ragazzino.
Jude sapeva che l’aveva fatto perché in tutta la
sua vita
non aveva mai trovato qualcuno che reputasse alla sua altezza. Eppure,
col tempo, aveva scoperto che dietro a quelle attenzioni si celava
anche dell’altro.
«La cena non era di tuo gradimento?»
Come nel loro primo incontro, Jude s’era ritrovato a
sussultare.
E, come allora, l’aveva nuovamente raggiunto alle spalle, di
soppiatto.
Ray aveva la schiena premuta contro lo stipite di una grande finestra e
le braccia incrociate al petto, mentre gli occhi non volevano saperne
di staccarsi dalla figura del ragazzo.
Jude s’era voltato piano, cercando di riprendere fiato con
circospezione, senza farsi notare. Doveva aspettarsi che sarebbe andato
a cercarlo e forse, in fondo, non l’aveva mai del tutto
escluso.
«No», aveva risposto, seccamente. «Lo sai
che non è per quello che mi sono allontanato.»
Ray aveva sogghignato nella penombra, come se Jude fosse appena caduto
in una delle sue invisibili trappole.
Per l’ennesima volta.
«E allora per cosa?», gli aveva domandato,
cominciato ad
avvicinarsi piano. «Perché a volte ho come
l’impressione di non riuscire più a comprenderti,
Jude.
Credevo che ti trovassi bene qui, e invece mi hai chiesto di partire.
Io te l’ho lasciato fare, perché altrimenti mi
sarebbe
sembrato di tarparti le ali, e adesso sei di nuovo qui.»
«Oh, andiamo, se non fosse stato per lo
scafo…»
«Vuoi forse farmi credere che se non vi avessero attaccati
non
saresti tornato qui?» Ray si era fermato a pochi passi da
lui.
«Che non ti mancasse questo posto?»
Jude aveva sbuffato, trattenendo una risata nervosa tra i denti.
«Vuoi dirmi che mi avresti visto bene a vivere qui tutti
assieme,
come una famiglia felice?»
Ray lo aveva ignorato. «Che non ti mancassi,
Jude?», aveva domandato piano, avvicinandosi al suo collo.
L’aveva detto, finalmente. Jude aveva intuito quale sarebbe
stato il punto di quella conversazione prima che cominciasse.
«Scommetto quello che vuoi che avrai provato in tutti i modi
a
trovare qualsiasi altro posto dove attraccare piuttosto che approdare
su quest’isola.»
Colpito.
Ray aveva sogghignato, divertito dal suo silenzio. Sapeva di avere
ragione, come sempre, e Jude si era maledetto, perché mai
come
allora aveva sentito di non essere cresciuto rispetto a quel bambino
con la spada di legno.
«Ho ragione io» aveva sussurrato Ray, trionfante.
«Chissà perché, poi… siamo
sempre stati una
bella squadra, io e te… e in questi anni non
c’è
stato un attimo in cui la tua mancanza non mi abbia
tormentato…»
Jude non era riuscito a fare a meno di tremare.
«Per me non è stato così»,
aveva tentato di mentire.
Troppo facile. Per Ray non esistevano bugie semplici da stanare come
quelle di Jude.
«Non ci credo.» Ray aveva leccato la pelle nuda e
tremante
del collo del ragazzo. «Vuoi che te lo dimostri?»
Gli aveva sfilato la camicia, lasciando che cadesse in un punto
imprecisato della stanza, come un cirro leggero che viene mosso dal
vento all’orizzonte.
Con una mano aveva operato una leggera pressione sul suo petto,
spingendolo a distendersi all’indietro. Un secondo dopo, era
di
nuovo sopra di lui.
Jude gli aveva preso il volto tra le mani e lo aveva baciato con
passione. Aveva perso il conto dell’ultima volta in cui era
stato
suo, e il fatto che fosse passato così tanto tempo rendeva
entrambi ancor più affamati.
Ray gli aveva accarezzato tutto il petto, godendo di ogni sospiro, di
ogni fremito. Aveva spinto con maggiore forza il corpo del ragazzo
contro il materasso sotto di loro, tremando non appena i gemiti di Jude
gli erano giunti alle orecchie.
«N-Non volevo… che andasse a finire
così…», aveva obiettato il ragazzo.
Ray aveva roteato gli occhi. Pazientemente aveva calato i calzoni
morbidi del giovane, avvicinando senza esitazioni la mano
all’inguine già compromesso
dall’eccitazione.
«Ti aspetti davvero che ci creda?», gli aveva
domandato.
Jude aveva gemuto di nuovo, e Ray ne aveva approfittato per scendere a
lasciare nuovi baci sul suo collo, perché voleva continuare
a
sentire la voce del ragazzo che lo pregava, lo supplicava.
Non vedeva l’ora di renderlo suo ancora una volta.
Non
riusciva a dormire.
I raggi del sole dell’alba gli colpivano il volto, ma non era
questo a tenerlo sveglio.
La felicità di cui i momenti trascorsi con Ray lo riempivano
era effimera. Lo era sempre stata, anche quando avevano continuato a
viaggiare nello stesso equipaggio.
Chiunque sulla Black Dust era a conoscenza della loro relazione, per
quanto non ne avessero mai fatto mostra alla luce del sole. Tutti,
però, avevano sentito Jude gemere, nelle stanze di Ray, ogni
singola notte di navigazione. Non era difficile immaginare cosa
succedesse tra le lenzuola di quel letto, considerando anche la
complicità che da sempre correva tra quei due.
S’erano dati il primo bacio quasi per sbaglio. Jude era
appena tornato da un assalto, entusiasta per il risultato positivo
conseguito, ed era corso tra le braccia di Ray, premendo le labbra
contro le sue senza pensarci.
Quando se n’era reso conto s’era allontanato in
tutta fretta, certo che Ray non avrebbe più voluto saperne
nulla di lui.
Il suo capitano, invece, l’aveva guardato con una luce
scintillante negli occhi, come se gli fosse appena capitata la cosa
più bella della sua vita.
Solo in seguito gli aveva rivelato che da anni ormai aveva cominciato a
guardarlo con occhi diversi, e a nutrire per lui una passione sempre
maggiore.
Da quel momento in poi erano stati risucchiati in una spirale torbida
di passione, che li aveva trascinati sempre di più verso il
fondo.
Era per questo che non riuscivano a starsi lontani. Era per questo che,
ogni volta che s’incontravano, finivano per essere ancora una
volta l’uno dell’altro.
Jude aveva sospirato piano. Non aveva mai voluto stringere con qualcuno
un legame sentimentale così forte, perché fin
dall’inizio aveva immaginato che sarebbe stato un deterrente
che, in una situazione di pericolo, non gli avrebbe lasciato la
lucidità necessaria per reagire.
Eppure appartenergli era così bello… come se solo
in quel momento si sentisse davvero completo, come se
l’oceano finalmente lo colmasse.
Jude era scivolato di lato, alzandosi in piedi e cominciando a
recuperare i propri indumenti.
Doveva ritrovare la nave che li aveva attaccati. Dovevano pagare per
quello che avevano fatto.
«Scappi via come un ladro?», aveva mormorato la
voce di Ray, di colpo sveglio.
Jude s’era immobilizzato sul posto, mordendosi un labbro.
Il ragazzo aveva mosso il capo di lato, perché sapeva che
non sarebbe riuscito a sostenere lo sguardo di Ray.
Perché scappava? Era una risposta complessa, la sua.
Iniziava a temere di avere paura della felicità, perlomeno
se quest’ultima comprendeva anche Ray. Finché si
limitava a viaggiare in mare aperto sentiva quasi di essere felice, ma
la verità era che la Royal era un pretesto per non pensare
alle questioni in sospeso che aveva lasciato.
E, guarda caso, queste ultime si trovavano tutte a Black Dust.
Accanto a Ray si sentiva finalmente vivo, poteva essere davvero se
stesso. Ma quanto poteva durare? Si sarebbe stancato di nuovo della
staticità della vita sull’isola, presto o tardi, e
sarebbe stato di nuovo costretto a partire?
Era per questo che voleva andarsene. Prima o poi sarebbe dovuto
succedere, per questo voleva di nuovo tagliare i ponti in fretta,
perché più fosse rimasto più avrebbe
fatto male.
Ray aveva ragione: stava scappando. E quella consapevolezza, forse, era
perfino più dolorosa di tutta la loro situazione.
Jude si era ritrovato a fissare il panorama che la finestra della
camera di Ray offriva: una vista ampia su Black Dust, la
città che si preparava ad accogliere un nuovo giorno in un
brulichio di vita, che serpeggiava tra i viottoli dell’isola.
Sarebbe stato bello se quello fosse stato anche il suo mondo.
«Devo trovare la nave che ci ha attaccati», aveva
ammesso. «Non possono passarla liscia.»
«Uhm, a tal proposito…» Ray si era
tirato meglio a sedere tra le coperte e, suo malgrado, Jude si era
ritrovato a voltarsi a fissarlo. «Credo di sapere il nome del
vascello che vi ha attaccati.»
Jude aveva inarcato un sopracciglio. «Che vuoi
dire?», aveva domandato, confuso.
«La polena», era stata la replica di Ray.
«Quando mi hai parlato di quello che eri riuscito a vedere
del vascello prima che scomparisse, ieri, mi è tornata alla
mente una cosa. Qualche mese fa si è fermata a Black Dust
una ciurma di formazione piuttosto recente. Sono rimasti per qualche
giorno per rifornirsi di provviste, e ricordo che la loro imbarcazione
aveva come polena la figura di un uomo anziano, con una folta barba e
una corona posata sul capo.»
Jude aveva incrociato le braccia al petto.
«All’inizio avevo pensato che si trattasse di
Poseidone, per via della corona – sai, no, il re del
mare…», aveva continuato Ray. «Ma mi ero
sbagliato. Si trattava di un altro re, quello del cielo. Ne ho avuto la
conferma quando ho saputo il nome del vascello: la Zeus.»
Eccola, l’informazione che cercava. Jude era riuscito a
trattenersi a stento dal saltellare sul posto: finalmente aveva
scoperto il nome della nave che li aveva attaccati.
«Non è tutto», aveva ripreso Ray.
«Da quello che mi è parso di capire, il capitano,
Byron, era intenzionato a dirigersi verso le Azzorre dopo la sosta qui
a Black Dust…»
Gli occhi di Jude erano stati attraversati da una scintilla di
eccitazione. Sì, finalmente sapeva quale direzione avrebbero
dovuto prendere.
«Non c’è tempo da perdere,
allora.» Jude aveva cominciato ad avviarsi in fretta verso la
porta della stanza. «Devo subito avvisare la ciurma del nuovo
piano di navigazione…»
«Jude, aspetta…» Ray si era alzato
repentinamente dal letto, scattando verso il ragazzo e circondando
piano il suo polso con le dita.
Jude si era voltato nella sua direzione, un’espressione
interrogativa dipinta sul volto.
«Lasciami venire con te», aveva proposto Ray.
«Siamo ancora un’ottima squadra, io e te, possiamo
fare grandi cose insieme…»
Jude aveva scosso il capo lentamente. «Non se ne
parla», aveva replicato. «Se ti succedesse qualcosa
non me lo perdonerei mai.»
«Beh, lo stesso vale anche per me!», aveva
insistito Ray. «E poi lo vedi che non riusciamo a restarci
distanti? Se ti seguissi saremmo sempre a contatto, niente
più sacrifici per entrambi…»
La voce di Ray adesso era più bassa, suadente. Jude sapeva
che stava cercando ancora una volta di soggiogarlo, ma al tempo stesso
non riusciva a dargli torto. Se la staticità
dell’isola lo tormentava, l’idea di provare sia la
libertà che viaggiare in mare gli faceva provare sia il
brivido e l’eccitazione di poter avere ancora una volta Ray
al proprio fianco era impagabile.
Sarebbe stata la soluzione perfetta, lo sapevano entrambi. Eppure Jude
tremava al pensiero di lasciarsi persuadere. Troppe volte aveva
accarezzato quella felicità, salvo poi dovervi rinunciare.
«E Black Dust?», aveva domandato.
Ray gli aveva sorriso. Si era avvicinato lentamente, circondando il
corpo del ragazzo con le braccia. Jude ci si era abbandonato contro,
come per una vecchia abitudine, e Ray gli aveva accarezzato i capelli.
«Ho uomini fedeli che non esiterebbero un istante prima di
accettare l’incarico di occuparsi di
quest’isola», gli aveva confidato. «Ti
prego, Jude, lasciati convincere… nulla per me vale tanto
quanto te…»
Il ragazzo aveva sospirato. Aveva paura, paura che quella
felicità meravigliosa potesse frantumarsi tra le sue mani da
un momento all’altro, prima ancora che potesse rendersi conto
che s’era incrinata.
Era però altrettanto ottenebrato dal desiderio di viverla,
la felicità. La bramava più di ogni altra cosa al
mondo, più di migliaia di forzieri pieni di preziosi,
più della gloria. Avere Ray ancora una volta al suo fianco,
navigare assieme attraverso acque cristalline… era una
prospettiva troppo allettante per potervi dire no.
Jude aveva alzato lo sguardo e si era ritrovato con gli occhi di Ray
nei suoi. L’uomo gli aveva sorriso, e le sue labbra si erano
piegate come specchiandosi in quell’espressione.
«E va bene», aveva acconsentito.
▬
notes
Allora, anzitutto: buon
ferragosto a tutti!
Sì, lo so, è abbastanza folle pubblicare oggi e
forse sono l'unica a farlo, ma ci sono pur sempre le mie stupide
scalette da rispettare, per cui eccomi qui, a lavorare anche quando gli
altri non lo fanno, lol.
Passando alla cosa che invece personalmente mi "preme" del capitolo:
sì, ho messo la mia otp anche qui. Mi dispiace, sono una
brutta
personcina, lo so –
ma guardate il lato positivo, almeno qui Jude ha circa vent'anni !!!
Non so esattamente cosa dovrei dire. Forse inizialmente la storia
doveva fermarsi qui, perché il prompt che avevo messo su
twitter
[ qui
] in realtà si fermava a Jude che ripensava a ciò
che
aveva lasciato a Black Dust, cioè quello che più
o meno
ho spiegato in quest'ultimo capitolo. Poi okay, come mi pare di aver
accennato in passato nel corso dell'ultimo anno l'idea ha preso forma
nella mia testa con maggiore chiarezza, si sono aggiunte altre scene e
quella che doveva essere una os si è tramutata ben presto in
una
long, ma okay, dettagli.
Per esempio, l'aneddoto di Jude bambino con la spada giocattolo in
legno inizialmente non l'avevo minimamente immaginato, l'avevo scritto
molto alla buona rielabolando le scene che avevo abbozzato su twitter –
potete trovarle sotto al tweet che vi ho linkato prima –,
e forse per un po' ho pensato anche di toglierlo, però
adesso
rileggendo mi ha fatto tenerezza e quindi nulla, è rimasto
lì dove sta ahahah. Forse può sembrare un po'
strano che
Kageyama vada in giro a regalare spade finte a bambini incontrati per
strada, ma alla fine è Kags, forse da lui posso aspettarmi
questo e altro.
Tornando a Ray switcho
a caso tra i nomi originali e quelli dell'adattamento, sì,
lo so, gomen
in questa storia il suo personaggio sarà fondamentale, e non
solo per la relazione con Jude. Per cui sono ancor più
contenta
che ci sia, yay ma
d'altronde da me dovevate aspettarvi questo e altro
Non dovevo dire molto per questo capitolo ma sento di star dilungandomi
inutilmente, per cui penso che la chiuderò qui. Spero che la
storia vi piaccia ancora, e che deciderete di seguirla lo stesso,
nonostante le ship.
A presto,
Aria
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Capitolo 4 *** Challenges ***
Vedere Ray camminare di nuovo lungo il ponte di una nave gli faceva
battere il cuore in un modo così bizzarro.
Si sentiva talmente leggero che temeva che avrebbe potuto prendere il
volo da un momento all’altro.
L’uomo si era voltato nella sua direzione, le lunghe code
della
giacca che indossava che dondolavano con lui, e si era ritrovato a
sorridere non appena aveva incontrato l’espressione
entusiasta
del ragazzo.
«Che c’è? Trovi che abbia
ancora dimestichezza
nel camminare su queste assi?», gli aveva domandato.
Jude aveva ridacchiato, cominciando ad avviarsi nella sua direzione.
«Secondo me non hai mai perso
quest’attitudine»,
aveva replicato. «Forse certe cose non si dimenticano mai,
oppure
è sempre stata dentro di te.»
Si erano ritrovati a pochi passi di distanza. Ray gli aveva circondato
in fretta la vita con un braccio, attirandolo a sé, e Jude
era
scoppiato di nuovo a ridere.
Era così bello vederlo felice. Ray non avrebbe mai voluto
vedere quel sorriso sparire dal suo volto.
Gli ultimi preparativi prima della partenza stavano per terminare.
Quello che li attendeva si prospettava un viaggio lunghissimo, e per
questo la stiva di entrambe le navi era stata riempita fino
all’orlo.
Già, entrambe. Assieme alla Royal sarebbe salpata anche la
Pearl, un veliero di dimensioni assai più modeste, ma che
ospitava un discreto numero di pirati, tra cui Caleb, che era stato
incaricato da Ray di occuparsi delle questioni di bordo. Se la Zeus era
riuscita da sola a mettere in seria difficoltà la Royal,
avrebbero avuto necessariamente bisogno di alcuni rinforzi se volevano
sopraffarla.
Era un piano di Ray, su cui Jude s’era ritrovato a
concordare.
Insieme avevano programmato anche la strategia di offesa da attuare
contro la Zeus, ma prima di tutto dovevano occuparsi di rintracciare la
nave che cercavano.
Per fare questo, sarebbero dovuti salpare a loro volta in direzione
delle Azzorre. Lungo la strada pianificavano di tanto in tanto di
fermarsi, presso alcuni lidi strategici, per chiedere se qualcuno
avesse informazioni sulla rotta seguita dalla Zeus.
Ray aveva inoltre ottenuto il compromesso da parte di Jude di poter
viaggiare assieme a lui sulla Royal, e Jude era stato ben lieto di
concederglielo. La loro relazione continuava a non essere esplicita,
eppure entrambi sapevano che le voci sul loro conto si rincorressero di
bocca in bocca, e gesti come quello di poco prima non facevano altro
che farle aumentare.
Sfortunatamente, però, ai due non interessava più
niente di tutto questo.
Potevano stare di nuovo assieme. Non dovevano più temere di
essere separati, di non vedersi per anni.
E questo era tutto ciò che contava, davvero.
La notte lo sciabordio delle onde che s’infrangevano contro
lo
scafo della nave era il rumore più rilassante che Jude
riuscisse
ad immaginare.
La presenza di Ray nella sua stanza la rendeva magicamente
più
luminosa. Le candele scintillavano sulla scrivania traboccante di carte
di navigazione, mentre la luna faceva capolino attraverso la grande
vetrata.
Le dita di Ray gli accarezzavano le labbra, e Jude, tra le sue braccia,
si sentiva così in pace, così libero.
Così felice.
Il ragazzo aveva sospirato stancamente, strofinando il capo contro il
petto dell’amante.
«Detesto darti ragione, ma… avevi
ragione», aveva
ammesso. «Tutto l’oro del mondo non potrebbe mai
valere
tanto quanto la quiete che provo in questo momento.»
Ray aveva sogghignato. «La verità è che
sei troppo orgoglioso per ammetterlo», gli aveva fatto notare.
Jude si era sollevato, solo per poter soffiare sulle labbra
dell’altro. «Da qualcuno dovrò pur aver
preso», aveva replicato.
Ray lo aveva attirato a sé, baciandolo ancora una volta.
Jude
non poteva fare a meno di lui, ma quel discorso valeva anche per se
stesso e lo sapeva fin troppo bene.
Il ragazzo aveva strofinato la punta del naso contro la sua.
Improvvisamente una strana luce era comparsa nei suoi occhi.
«C’è una cosa che non ti ho
detto», aveva ammesso.
«Uhm?» Ray gli aveva rivolto
un’espressione confusa.
Per tutta risposta, Jude s’era alzato dal letto. Aveva
percorso
la stanza a piedi nudi, solo un lenzuolo a coprirgli il corpo.
«Poche settimane prima dell’assalto»,
aveva
cominciato «abbiamo fatto scalo in un piccolo porto. Mentre
eravamo lì ho sentito alcune informazioni interessanti circa
la
mappa del tesoro fantasma…»
Ray aveva roteato gli occhi. Quando era il capitano della Black Dust,
quella mappa era diventata la sua ossessione, e Jude lo sapeva bene.
Per anni aveva letteralmente inseguito una chimera, muovendosi di porto
in porto nella speranza di trovare informazioni utili per la sua
ricerca.
Ovviamente, nessuna di esse si era rivelata essere utile.
All’epoca quella ricerca era divenuta motivo di
scontro tra
lui e Jude: il ragazzo lo aveva pregato più e più
volte
di abbandonarla, perché temeva che lo avrebbe condotto alla
pazzia. Alla fine, se aveva deciso di abbandonare la pirateria e di
fermarsi su un’isola, era stato soprattutto per cercare di
dimenticarsi di quella storia.
C’era riuscito, fino a quel momento. Ray non capiva
perché
fosse stato proprio Jude a tirare di nuovo fuori quel discorso, lui che
così a lungo aveva insistito affinché se ne
dimenticasse,
tuttavia proprio per questo era preoccupato: temeva, infatti, che la
sua stessa ossessione avesse finito per contagiare il ragazzo che amava.
Ray aveva sospirato, mentre un lieve sorriso si formava sul suo volto.
«Già, un tesoro fantasma, qualcosa
che nessuno ha mai visto, l’hai sempre detto anche tu.
Qualcosa che non c’è, dunque.»
«E se non fosse così?»
Ray aveva sollevato il capo.
«E se in realtà quel tesoro esistesse?»,
aveva
insistito Jude. «E se in realtà ci fosse un modo
per
trovarlo?»
«Jude…»
«C’è qualcosa che non va nelle mappe,
Ray»,
aveva esclamato il ragazzo. L’uomo si era alzato
pazientemente in
piedi, raggiungendo il giovane presso la scrivania a cui si era seduto.
«Beh, questa era una teoria già diffusa parecchi
anni fa…», aveva ammesso Ray.
«Non è solo una teoria!», aveva
insistito Jude.
«Guarda! Queste sono due mappe dello stesso identico posto e,
come vedi, la rappresentazione è assai diversa!»
Jude gli aveva porto le mappe, e Ray si era ritrovato ad osservarle
attentamente.
Conosceva bene quella zona, ci si era ritrovato a passare davanti
decine di volte. E, in effetti, una delle due mappe presentava
un’imprecisione: in essa, infatti, non erano rappresentate
diverse insenature della costa.
«Cosa può voler dire questo, secondo
te?», aveva domandato Ray.
«Probabilmente le mappe in circolazione non riportano la
presenza
del luogo in cui è nascosto il tesoro», era stata
la
risposta. «Dev’esserci un’unica mappa
giusta, che
indichi quale sia la strada giusta da percorrere. Il problema
è
che non ho la più pallida idea di dove sia.»
Ray aveva carezzato con apprensione il capo di Jude. Il suo sguardo si
era perso all’esterno, oltre la vetrata, nel buio della
notte,
tra onde bianche di spuma che si rincorrevano e la luna che, in cielo,
brillava come una pietra preziosa.
«E come la troverai?», aveva domandato.
«Non lo so», aveva risposto Jude. «Ma ho
come la
sensazione che sia più vicina di quanto possa
immaginare.»
Byron Love aveva sempre cercato di essere un buon capitano.
Decidendo di salpare con la Zeus, si era ripromesso di affrontare
quella nuova avventura al meglio delle sue possibilità,
circondato da uomini che gli avevano sempre dimostrato la sua
lealtà.
Dopo la sosta a Black Dust si erano riforniti di provviste a
sufficienza per mesi, e l’attacco alla Royal era stata la
loro
più grande fortuna.
Solo a ripensarci, non poteva fare a meno di domandarsi se fosse
successo davvero.
Avevano assaltato la nave più forte di tutti i tempi ed
erano
riusciti a sottrarre al suo equipaggio un forziere pieno
d’oro.
Avrebbero potuto sostentarsi per anni solo grazie a quello.
Per questo aveva deciso che avrebbero potuto muoversi con calma
d’ora in avanti. Si erano fermati in una piccola cala per la
notte, protetti dalle correnti oceaniche grazie alle alte falesie
all’ingresso della baia.
Era una notte tranquilla, con vento pressoché assente e la
luna, calante nel cielo, che illuminava appena il paesaggio.
La maggior parte dell’equipaggio era sottocoperta, a
riposarsi
per la notte. Byron si sentiva piuttosto stanco, per cui quasi
certamente avrebbe a breve raggiunto a sua volta la propria stanza.
Stava giusto ultimando un controllo sul ponte, i pochi uomini presenti
intenti a sorseggiare liquore e a giocare a carte.
Era allora che era successo.
Una nave piccola, quasi invisibile aveva fatto ingresso
all’interno della cala. Byron aveva inizialmente creduto di
essersela sognata, infatti aveva dovuto battere le palpebre e
strizzarle diverse volte prima di essere certo di non avere avuto un
miraggio.
«Ehi», aveva richiamato in fretta uno dei suoi
uomini, che
gli si era subito avvicinato. «La vedi anche tu?»
«Affermativo», gli aveva risposto Jeff Iron, quello
il nome
del membro che l’aveva raggiunto. «Sembra
un’imbarcazione piuttosto piccola, però.»
Byron si era leccato nervosamente le labbra.
«C’è
qualcosa di strano», aveva commentato. «Non hanno
nemmeno
mezza fiaccola accesa, come fanno a navigare senza? E poi si muovono
così lentamente…»
«Che facciamo, allora?», aveva domandato Jeff,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli violetti.
«Aspettiamo», era stata la conclusione di Byron.
E avevano atteso. La nave in effetti si muoveva con particolare
lentezza, come se a spingerla fossero soltanto le scarse correnti che
dall’oceano penetravano nella cala.
Nel frattempo, sul fianco della Zeus volto in direzione della piccola
barca s’era formato un capannello: tutti gli uomini presenti
sul
ponte, infatti, s’erano radunati attorno a Byron che, le dita
serrate attorno al parapetto, valutava il da farsi.
C’era qualcosa che non gli tornava, in tutta quella
questione.
Era come se una sensazione macabra avesse cominciato a martellargli le
ossa, ma non aveva alcuna idea del perché.
Forse si stava solo lasciando suggestionare troppo. Di recente stava
andando tutto per il verso giusto, per cui aveva cominciato a temere di
poter compiere un passo falso da un momento all’altro.
Così, aveva cercato di scacciare quel pensiero dalla sua
mente.
Nel frattempo, la nave s’era avvicinata sempre di
più.
«Prendete i rostri», aveva ordinato Byron.
Subito, nel ricevere il suo ordine, due uomini s’erano mossi,
raggiungendo di nuovo poco dopo il parapetto trasportando le grandi
travi. Avevano agganciato senza difficoltà l’altra
nave,
avvicinandosi ad essa.
Una volta che le due fiancate s’erano ritrovate a collidere
l’una contro l’altra, tuttavia, il senso di
inquietudine di
Byron non aveva fatto altro che accrescere.
Il ponte, infatti, era deserto. Nessun uomo sembrava essere presente,
né lì né in nessun altro punto della
nave.
Una porta si era aperta, e dall’interno della nave era
riemerso Henry House, il suo vice.
«Capitano», l’aveva chiamato.
«Ho sentito dei
rumori e mi sono affrettato a raggiungervi. Che cosa succede?»
Byron aveva scosso la testa. «Non lo so nemmeno
io», aveva
ammesso. «Questa nave ha fatto ingresso nella cala molto
lentamente e…»
Un sibilo.
Subito dopo, il rumore secco di un colpo che andava a segno.
Byron aveva sollevato lo sguardo, il terrore più puro negli
occhi.
Una freccia infuocata aveva colpito la vela maestra della nave.
Nel momento esatto in cui aveva reclinato il capo verso
l’alto, inoltre, una seconda freccia li aveva raggiunti.
E, d’improvviso, tutto era stato chiaro.
«Un’imboscata!», aveva gridato.
«Dobbiamo subito andare via da…»
Troppo tardi.
Una nuova nave era già comparsa all’ingresso della
cala.
«Rostri», aveva ordinato Jude, impassibile.
In piedi a prua della nave, osservava la disfatta della Zeus non senza
una certa soddisfazione.
In fin dei conti, il merito di quel piano era anche suo.
In cima alle falesie, Caleb e Herman avevano scagliato le frecce
infuocate. Ma il vero colpo di genio era stato lasciar entrare nella
cala la Pearl senza equipaggio a bordo, sfruttando solamente le
correnti oceaniche esterne. Era stato Ray, che ben conosceva i moti di
quella zona, a dargli l’idea.
E Jude non avrebbe potuto esserne più elettrizzato.
David e Joe erano corsi verso il parapetto, rostri alla mano.
«È andato tutto secondo i nostri piani.»
Jude aveva sentito Ray avvicinarsi lentamente, e non aveva potuto fare
a meno di sorridere.
«Dovresti esserne fiero», aveva replicato.
Ray lo aveva stretto a sé, poggiandogli le labbra sul collo.
«Sono fiero di te», aveva precisato.
L’equipaggio della Royal, nel frattempo, aveva aggirato la
Pearl, agganciando coi rostri la Zeus.
Byron e i suoi uomini, tuttavia, sembravano ben lontani
dall’arrendersi. Una feroce battaglia era già
scoppiata
tra le due parti, sebbene la Royal, in netta superiorità
numerica assieme all’equipaggio della Pearl, fosse
già sul
punto di sopraffarli.
Byron aveva serrato i pugni, fumante di rabbia.
«Henry!», aveva gridato. «Corri ad
aiutare‒»
La punta di una sciabola era stata premuta contro la sua gola.
«Un buon capitano lotta assieme ai suoi uomini.»
Un brivido aveva percorso la schiena di Byron.
Davanti a lui, in tutta la sua terrorizzante potenza, Jude Sharp
sembrava volerlo incenerire col solo sguardo.
Byron aveva deglutito a vuoto, posando la mano sulla propria spada,
ancora riposta nel fodero.
«Sarebbe stato sciocco non aspettarsi un contrattacco da
parte vostra», aveva commentato.
Byron aveva sfoderato la spada e subito aveva eseguito un affondo ben
piazzato in direzione di Jude. Sfortunatamente, però, il
colpo
era andato a vuoto.
Era così cominciato uno scambio serrato. Jude aveva subito
contrattaccato, e ogni suo fendente finiva per andare a colpo. Byron
riusciva a pararsi a fatica, per quanto se la cavasse bene anche lui
con la spada non avrebbe mai potuto trovarsi sullo stesso livello di
Jude. Ogni attacco che il capitano della Zeus sferrava finiva per
andare a vuoto, o per essere elegantemente parato dall’altro.
Le spade avevano cozzato di nuovo, e in quel momento s’era
reso
conto che Jude l’aveva messo ancora una volta in trappola.
Il capitano della Royal l’aveva disarmato senza sforzi,
facendo
volare la sua spada in mare. Byron, invece, si era ritrovato ad
inciampare sugli scalini che conducevano al castello di prua, finendo
per cadere rovinosamente a terra.
Non aveva avuto nemmeno il tempo di sollevare lo sguardo che
s’era ritrovato la sciabola di Jude ancora una volta puntata
al
volto.
«Tutto qui?», aveva domandato il capitano della
Royal, un sorrisetto sbeffeggiante sul volto.
Sopraffare la Zeus era stata questione di pochi minuti.
Disarmati i loro avversari, i ragazzi della Royal erano scesi
sottocoperta, razziando ciascuno dei beni più preziosi
all’interno del vascello.
Jude era rimasto sul ponte, le braccia conserte, intento ad osservare
la distruzione che aveva creato.
La voce improvvisa di David, tuttavia, aveva richiamato la sua
attenzione.
«Capitano!», aveva esclamato infatti.
«Guarda qui!»
Jude si era accigliato. Il suo vice gli stava correndo incontro, con
fare concitato, tenendo un foglio tra le mani.
Non appena glielo aveva consegnato, Jude aveva capito subito che non si
trattava di una semplice mappa.
«Ray», aveva chiamato.
Dark si era voltato nella sua direzione con espressione interrogativa,
cominciando tuttavia a raggiungerlo nel mentre.
Non appena l’uomo era stato al suo fianco, Jude gli aveva
porto la pergamena con estrema attenzione.
Nel momento esatto in cui gli occhi di Ray si erano posati sul piano di
navigazione, lo sgomento più totale era comparso sul suo
volto.
«Non ci posso credere…», aveva
mormorato, esterrefatto.
Jude s’era voltato in direzione di Byron. «Come
avete avuto questa mappa?», aveva domandato.
Byron aveva sbuffato, sorridendo sprezzante. «Non avete idea
dei
tesori incommensurabili che si trovano in certi mercati
indiani.»
Jude s’era irrigidito. Se aveva veramente tra le mani
ciò che pensava…
Avrebbe voluto prendere in disparte Ray e parlarne immediatamente. Il
suo dovere di capitano, tuttavia, gli imponeva di restare
lì,
almeno fino a quando la situazione con la nave nemica non si fosse
risolta.
Così tanti pensieri avevano preso ad affollargli la mente,
in quel momento…
«Devo avvisarvi di una cosa, però.»
La voce di Byron aveva richiamato in fretta Jude alla
realtà. Il
ragazzo, tuttavia, era sorpreso: credeva che il capitano della Zeus non
avesse altro da dirgli.
«Meno di un mese fa siamo entrati in collisione con un altro
vascello. Ora, non avevo mai visto quest’imbarcazione, per
cui
devono aver iniziato a solcare i mari da poco. Fatto sta che uno dei
loro uomini è riuscito ad entrare sottocoperta e, nella foga
dell’assalto, nessuno di noi se ne è accorto.
Quando
è uscito, aveva un foglio con sé. Non appena
l’ho
visto ho temuto che si trattasse della mappa, ma una volta che siamo
riusciti a respingerli sono sceso a controllare e l’ho
trovata
dove l’avevo lasciata. Il che mi ha fatto pensare che forse
quel
tipo, nel poco tempo in cui è rimasto là sotto,
sia
riuscito a segnarsi una copia del percorso.»
Jude aveva sogghignato tra sé: se fosse andata diversamente,
le cose per lui sarebbero state fin troppo facili.
«Perché me lo stai dicendo?», aveva
domandato.
«Tu che ci guadagneresti da tutta questa questione?»
«Niente.» Byron, le mani legate dietro la schiena
da una
corda resistente, aveva scrollato le spalle. «Ma non mi
piacciono
i topi che se ne vanno in giro per le navi altrui a prendere copie
delle mappe. Se li troverete lungo il vostro percorso, e sono quasi
sicuro che sarà così, vi auguro di annientarli
nel
peggiore dei modi.»
Jude aveva sbuffato. Quella storia lo preoccupava solo in parte: si
sarebbero trovati degli avversari contro? D’accordo, non era
la
prima volta che succedeva né certamente l’ultima.
Se ne
sarebbero occupati e li avrebbero sconfitti, come in qualsiasi altra
occasione.
«Sai dirmi qualcosa di questa nave?», gli aveva
chiesto ancora.
«Non molto», aveva ammesso Byron.
«Però una
cosa la ricordo: la polena della loro nave era un uomo con lo sguardo
rivolto alle proprie spalle. Ed è strano, perché
di
solito le polene guardano sempre in avanti…»
Jude si era voltato in direzione di Ray.
«Mi viene in mente Orfeo», gli aveva confessato.
«Dopo la morte della sua amata, Euridice, era sceso
nell’Ade per riportarla indietro, e gli era stato concesso un
compromesso: avrebbe potuto ricondurre Euridice nel mondo dei vivi, ma
durante il tragitto non si sarebbe dovuto mai voltare indietro. Lui,
però, non seppe resistere: si voltò, e la sua
amata
svanì nel nulla.»
Jude aveva scrollato le spalle. «Beh», aveva
commentato.
«Almeno adesso sappiamo chi avremo contro di noi.»
Jude s’era voltato, intenzionato a fare ritorno sulla Royal.
Aveva scoperto troppe cose nuove tutte assieme, aveva bisogno di tempo
per riordinarle e cercare di arrivare a una conclusione.
David, tuttavia, l’aveva chiamato ancora una volta.
«Capitano, di questi che cosa ne facciamo?», gli
aveva domandato infatti.
Le persone a cui il suo vice si riferiva erano i membri
dell’equipaggio della Zeus che avevano fatto prigionieri,
Jude lo
sapeva bene. In un’altra occasione, forse, colpito
dall’onestà di Byron li avrebbe lasciati tutti
andare.
Jude si era voltato in direzione di Ray.
L’uomo lo stava osservando attentamente. Aveva
un’espressione imperscrutabile in volto.
La Zeus aveva attaccato la Royal, e Jude aveva giurato a se stesso che
gliel’avrebbe fatta pagare per questo. C’era
qualcosa di
più personale, tuttavia, Jude lo sapeva bene.
Era il desiderio, insito in lui, di non deludere le aspettative di Ray.
Fin da quando aveva cominciato a viaggiare per mare con una flotta
tutta sua, Jude s’era impegnato a guadagnarsi la fama di
pirata
più temibile di tutti i tempi, la stessa che in precedenza
era
stata attribuita a Ray.
Non aveva mai voluto essere da meno rispetto al suo mentore. E voleva
dimostrargli, inoltre, che il valore che tanti anni prima aveva
intravisto in lui non era stato un miraggio.
«Gettateli in mare», aveva concluso.
Jude era tornato sulla Royal, lasciandosi le grida dei prigionieri
della Zeus alle spalle.
Jude non riusciva a smettere di camminare nervosamente attraverso la
sua stanza.
«Se veramente questa mappa… questa
mappa…», aveva farfugliato.
Erano rientrati nella camera del ragazzo poco prima. Da allora, Jude
non era riuscito a smettere di muoversi freneticamente, idee e rabbia
che continuavano ad affollargli la mente.
Ray, la schiena poggiata a una delle colonne del baldacchino, non aveva
mai smesso di fissarlo, nemmeno per un secondo.
Il ragazzo non ci aveva dato peso. Si era lanciato in direzione della
scrivania, confrontando le carte che aveva in mano con altre che aveva
lì impilate.
Identiche, almeno in apparenza.
La mappa che avevano ritrovato sulla Zeus, invece, riportava alcuni
elementi che Jude non aveva mai visto da nessun’altra parte,
prima d’ora. Era per questo che si sentiva così
agitato,
così confuso, così disperatamente bisognoso di
riuscire a
comprendere ciò che ora si trovava davanti ai suoi occhi.
Ray, al contrario, non poteva che sentirsi preoccupato. Avrebbe voluto
poter strappare Jude da quella sua frenesia, perché
più i
minuti passavano e più il ragazzo gli sembrava lontano,
distante.
Stai davvero diventando
come me, Jude?
Ray aveva sospirato pesantemente, e ancora una volta Jude aveva
continuato a ignorarlo. Allora l’uomo si era mosso in avanti,
cominciando ad annullare lentamente la distanza che li separava.
«Jude», l’aveva chiamato piano, con
dolcezza, una volta che si era ritrovato dietro di lui.
Aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, e il modo in cui Jude
s’era subito irrigidito aveva fatto sorridere Ray. Gli aveva
posato un bacio tra i capelli, cercando di distrarlo.
«Non pensarci, adesso», gli aveva consigliato.
«Impazzire su queste carte non ti servirà a
niente. Avrai
la soluzione chiara davanti agli occhi quando meno te
l’aspetterai…»
Jude aveva scosso il capo, testardo.
«Non posso», aveva insistito. «Devo
cercare di capire
perché nelle mie mappe quel percorso non fosse mai stato
riportato…»
«Shh…» Ray era sceso a baciargli il
collo, lasciando
scivolare una mano sotto la camicia del ragazzo e cominciando a
carezzargli il petto con calma. «Hai bisogno di
riposarti…»
Le labbra di Jude s’erano dischiuse in un fremito, lasciando
sfuggire un sospiro incantato. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi,
sensazioni piacevoli che subito l’avevano invaso.
In quel momento ogni cosa era diventata offuscata e priva di
utilità. Jude riusciva solo a percepire lo sciabordio delle
onde, fuori, e il fruscio dei vestiti, dentro.
E andava bene anche così.
Aveva perso il conto dei giorni in cui non c’era stato altro
che mare.
Avevano navigato senza sosta per settimane, mesi quasi. Adesso,
però, era venuto il momento di fermarsi.
Erano approdati nel porto di una ridente cittadina, e Jude
l’aveva intuito dall’aria che respirava
lì. La
salsedine del mare si mischiava ai colori dorati delle spiagge e al
bianco e alle tonalità chiare dei muri delle case.
La gente sembrava così felice. Jude non riusciva a capire
tutto
quello che dicevano, ma avevano un tono così allegro,
così caldo…
David s’era seduto sulle assi di legno del molo con un
sospiro stanco.
«Ah, ogni tanto mi dimentico di quale sensazione si provi a
stare sulla terraferma…», aveva commentato.
Jude non lo biasimava. Era buffo per lui non avere i piedi su una
superficie instabile, come quella della nave mossa dalle onde.
Joe aveva ignorato il vice della Royal. «Che facciamo,
capitano?», aveva domandato, voltandosi verso Jude.
«Voi fate rifornimento di tutto quello che ci serve dai
mercanti del porto», aveva ordinato.
Joe aveva sollevato un sopracciglio. «Noi?», aveva
ripetuto, confuso.
«Sì», aveva confermato Jude.
«Io voglio
addentrarmi un momento all’interno della città.
Chiederò alcune informazioni in giro, cercando di apparire
quanto meno sospetto possibile, riguardo alla nostra meta. Conto di
metterci meno di un’ora»
Joe aveva annuito, comprensivo.
Jude s’era incamminato verso il centro della cittadina. No,
non
avrebbe aspettato Ray. Ultimamente l’uomo sembrava volergli
mettere i bastoni fra le ruote per quanto riguardava la sua ricerca, ed
era buffo, considerando che un tempo era stato lui ad esserne
ossessionato.
No, s’era detto Jude. Avrebbe potuto cavarsela benissimo da
solo.
Era stato da sempre così, anche nel momento in cui era
salpato
con la Royal e Ray era rimasto a Black Dust.
Poteva farcela. Dopotutto, cosa sarebbe potuto andare storto?
Le strade della città erano affollate di persone. Ognuno si
muoveva lungo il proprio percorso, chi vagava in cerca di stoffe
pregiate tra i banchi dei mercati, chi trasportava casse traboccanti di
frutta esotica.
E poi c’era Jude.
Teneva la mappa del tesoro fantasma gelosamente custodita tra le dita,
come temendo che qualcuno potesse strappargliela da un momento
all’altro.
Oh, avrebbero potuto, in effetti. Jude non stentava a credere che ci
fossero uomini pronti a uccidere qualcuno pur di impossessarsi di quel
pezzo di carta, se solo avessero saputo di che cosa si trattava.
Uomini che si trovavano anche in quell’isola, con ogni
probabilità.
Jude non riusciva a biasimarli. Era certo che anche lui, se si fosse
trovato al loro posto, avrebbe agito esattamente nello stesso modo. A
volte stentava ancora a credere alla fortuna che gli era capitata, si
era letteralmente ritrovato per caso tra le mani la più
preziosa
carta di navigazione che fosse mai esistita nella storia dei…
Un’ombra.
Un movimento repentino aveva attirato l’attenzione di Jude.
Era
stato così fulmineo che, per un momento, aveva creduto di
esserselo immaginato.
Poi, però, era successo di nuovo.
Si era spostato. Prima gli era letteralmente passato davanti agli
occhi, poi si era mosso di lato, a destra, tra i banconi del mercato.
C’era qualcosa di strano. Jude aveva iniziato a percepire una
strana sensazione di pericolo, e probabilmente avrebbe fatto meglio a
fuggire via di lì a gambe levate.
C’era qualcosa, però, che lo attirava, lo
costringeva a restare, a seguire quell’ombra.
L’aveva vista saettare di nuovo, questa volta in avanti.
Così, prima ancora che potesse rendersene conto, aveva
iniziato
a rincorrerla, i piedi che battevano senza sosta sui ciottoli della
strada.
L’ombra l’aveva condotto fuori dal centro
cittadino, e la
cosa aveva preoccupato non poco Jude. Più si allontanava e
più quella gli sembrava una trappola bella e buona,
considerando
soprattutto che si stavano ormai addentrando in viottoli labirintici,
pieni di casupole tutte identiche, le mura che, colpite dal sole,
sembravano essere violacee.
Jude s’era ritrovato a domandarsi se sarebbe mai riuscito ad
uscire da lì.
Sentiva i propri passi rincorrersi uno dietro l’altro,
frenetici,
mentre aveva ormai perso il senso dell’orientamento.
L’ombra prendeva senza esitazioni una svolta, poi
un’altra
e subito dopo un’altra ancora, senza sosta, come se sapesse
esattamente dove stesse andando, a differenza di Jude.
Questo non faceva altro che spaventare ancora di più il
capitano della Royal.
Poi, di colpo, l’ombra aveva svoltato ancora.
Di nuovo, Jude l’aveva seguita, ritrovandosi allibito
tuttavia una volta resosi conto del luogo in cui ora si trovava.
Un vicolo cieco.
Oh, davvero? Aveva fatto tutta quella strada solo per rimanere
intrappolato?
Il ragazzo lo aveva percorso, il proprio respiro affannoso che non
aveva smesso nemmeno per un momento di rimbombargli nelle orecchie.
Cosa significava tutto questo? Si era sognato tutto? Forse aveva
ragione Ray, ultimamente aveva accumulato una dose immane di stress e
forse avrebbe fatto meglio a riposare un po’.
Dell’ombra non sembrava esserci più nessuna
traccia.
«Cercavi me?»
Jude era sobbalzato sul posto, preso di soprassalto.
La voce che aveva sentito era giunta da dietro di lui, così
s’era voltato. Assurdo, quando era entrato nel vicolo era
certo
che non ci fosse nessuno alle sue spalle…
Adesso, invece, un ragazzo che non aveva mai visto prima di allora lo
stava fissando, le braccia incrociate al petto e la schiena poggiata
contro un muro.
Aveva un sorriso scaltro dipinto in volto, e una zazzera di disordinati
capelli castani che gli ricadevano sul viso. Una morbida camicia
turchina avvolgeva il suo busto, e un cappello da corsaro era posato
sul suo capo.
«Sono certo che non ci siamo mai incontrati prima
d’ora…», aveva obiettato Jude.
Il sorriso sul volto dell’altro sembrava essersi accentuato.
«Beh, io però ho sentito a lungo parlare di te»,
aveva continuato lo sconosciuto. «D’altronde chi
non ha mai
sentito nominare le gesta del grande capitano Jude Sharp?»
Jude non era particolarmente impressionato. Sapeva bene che le storie
sul suo conto circolassero da tempo, di nave in nave, da un oceano
all’altro.
Il capitano della Royal aveva incrociato le braccia al petto.
«E con ciò?», aveva domandato.
L’altro ragazzo s’era avvicinato a lui come un
fulmine.
«Scommettiamo che so esattamente dove stai
andando?»,
l’aveva provocato. Ora che s’era avvicinato, Jude
riusciva
a vederlo meglio: aveva occhi blu, della stessa tonalità del
mare.
Jude aveva inarcato un sopracciglio, le proprie labbra che avevano
preso la stressa piega di quelle dell’altro ragazzo, come se
ne
fosse diventato improvvisamente il riflesso.
«Non mi piace scommettere con gli sconosciuti»,
aveva
replicato, senza riuscire a nascondere un pizzico di seccatura nella
voce.
Il ragazzo dagli occhi azzurri aveva sogghignato, come se si fosse
appena ritrovato davanti ad un artefatto raro e prezioso, perduto da
secoli.
«Non c’è molto da sapere su di
me», aveva
sviato l’argomento l’altro. «Sono solo un
umile
viaggiatore in cerca di avventure, tutto qui.»
Jude non se l’era bevuta. Questa volta aveva sogghignato lui,
incrociando le braccia al petto.
«Impossibile», aveva sentenziato. «Sono
anni che navigo per mare e non ti ho mai visto prima.»
Il ragazzo sconosciuto s’era mosso di lato, con un movimento
morbido. «Se t’interessa così tanto,
allora sappi
che sono partito da Venezia.»
Jude aveva subito memorizzato l’informazione. Una delle
repubbliche marinare, il che voleva dire senza ombra di dubbio un
ottimo navigatore…
«Beh, se ti trovi qui però significa che sei
parecchio lontano da casa, no?», gli aveva domandato.
L’altro si era limitato a stringersi nelle spalle.
«Te
l’ho detto, sono un viaggiatore. Mi piace muovermi molto,
tutto
qui», s’era giustificato.
Jude non sembrava essere stato particolarmente persuaso da quella
spiegazione, il suo interlocutore tuttavia era sembrato ben poco
intenzionato a concedergli del tempo per riflettere.
«Ad ogni modo», aveva ripreso infatti
«sei abbastanza
temerario da avventurarti in un’impresa così
rischiosa
come la ricerca del tesoro fantasma ma non da accettare una semplice
scommessa?»
Jude s’era come immobilizzato sul posto. Com’era
possibile
che quel ragazzo sapesse che erano partiti alla ricerca del
tesoro…? Jude era certo di non averne fatto menzione con
nessuno.
«C-Cosa…», aveva balbettato, incredulo.
«Oh, le voci corrono più in fretta di quello che
immagini, capitano»,
aveva ripreso l’altro, senza perdere quel cipiglio divertito
che
l’aveva accompagnato fin dall’inizio della
conversazione.
«Ad ogni modo, ero passato solo per avvertirti che non avrai
vita
facile e…»
Il ragazzo s’era fermato di colpo. Jude non ne aveva compreso
da
subito il motivo, almeno finché dei rumori erano giunti
anche
alle sue orecchie.
Erano passi, e si susseguivano rapidi lungo il selciato.
Poi era arrivata anche una voce.
«Jude, sei qui?», aveva domandato qualcuno, che
Jude aveva riconosciuto subito essere quella di Ray.
Gli occhi azzurri dell’altro ragazzo sembravano essersi ora
riempiti di scintille.
«Questa deve essere la mia giornata fortunata»,
aveva mormorato, troppo piano perché Jude potesse sentirlo.
Un battito di ciglia dopo, Ray era comparso all’entrata del
vicolo.
«Eccoti, finalmente! Mi chiedevo dove fossi
finito…», aveva commentato entusiasta, in
riferimento al
capitano della Royal, nel momento in cui aveva posato gli occhi sulla
sua figura. Ben presto, però, aveva notato anche la presenza
dell’altro ragazzo.
Prima che Ray potesse prendere di nuovo parola, il ragazzo dagli occhi
azzurri si era mosso nella sua direzione, con un’espressione
estatica in volto.
«Allora è vero quello che si dice»,
aveva
constatato. «Il più grande pirata di tutti i tempi
ha
ripreso il largo assieme alla Royal! Che immensa fortuna!»
A Jude non piaceva nulla di tutta quella situazione. Non piaceva il
modo in cui quello sconosciuto l’aveva attirato nel vicolo,
non
piaceva come gli parlava e, soprattutto, adesso non gli piaceva affatto
il modo in cui ronzava attorno a Ray. Non aveva idea di quale
divinità l’avesse trattenuto fino a quel momento,
fermandolo dal passarlo a fil di spada, di colpo però tutto
l’autocontrollo di Jude stava andando pericolosamente a farsi
benedire. Finché si trattava solo di lui poteva anche
tollerarlo, ma il modo in cui quello sconosciuto si stava rivolgendo e
avvicinando a Ray lo mandava fuori di senno. Chi era? Che diavolo
voleva?
Ray, di per sé, sembrava piuttosto spiazzato. Osservava quel
ragazzo che non aveva mai visto, cercando di trovare in lui anche solo
un vago indizio ma, evidentemente, senza riuscirci.
«Uhm, sarei curioso di sapere con chi ho il piacere di
parlare…», aveva ammesso, infatti.
Lo sconosciuto s’era arrestato sul posto.
«Il mio nome?», aveva ripetuto. «Oh,
fidatevi, non è poi così
importante…»
Il giovane era scivolato di lato ancora una volta, passando oltre Ray.
«… ma non temete, ci rivedremo molto prima di
quanto possiate immaginare», aveva concluso.
Un secondo dopo, era uscito dal vicolo, svanendo nel nulla.
Ray si era voltato in direzione di Jude, con un’espressione
interrogativa dipinta in viso.
Negli occhi del ragazzo, tuttavia, non aveva trovato
nient’altro che rabbia.
Avevano ripreso la navigazione in serata.
Jude s’era rifugiato nei suoi appartamenti, rifiutando di
parlare
pressoché con chiunque. Ray era l’unico che era
riuscito a
seguirlo, ma, nonostante ciò, Jude non sembrava intenzionato
a
lasciargli proferire parola.
«È inaccettabile», aveva esordito,
aprendo
furiosamente la porta della sua stanza. «Quel tipo non
avrebbe
dovuto permettersi…!»
Ray si era affacciato oltre la soglia della porta, quasi timoroso di
avere a che fare col capitano della Royal in quelle condizioni.
«Oh, non esagerare, adesso», aveva commentato, con
tono
conciliante. «Con ogni probabilità non lo vedremo
mai
più in vita nostra…»
Jude s’era fermato al centro della stanza, serrando i pugni
con
rabbia. «N-Non è così!»,
aveva obiettato.
«Hai sentito anche tu quello che ha detto, no? “Ci
rivedremo molto prima di quanto possiate
immaginare”… non
mi pare che sia una frase che lascia aperte molte
prospettive…!»
Ray gli aveva sorriso, cercando di rassicurarlo.
«Beh, sai, a volte certe cose si dicono così, a
titolo di
minaccia, forse però voleva solo spaventarti e basta, non
intendeva mettersi davvero sulle tracce della
Royal…»,
aveva tentato ancora.
Jude l’aveva fissato. Per un momento sembrava essersi
calmato,
l’istante successivo tuttavia s’era voltato
nuovamente,
fumante d’ira.
«N-Non è solo questo!», aveva insistito
infatti.
«Pensi che non abbia visto il modo in cui ti guardava?
Sembrava
volerti saltare addosso da un momento all’altro!»
Ray aveva trattenuto a stento una risata. Certo che Jude era davvero
buffo quando si arrabbiava.
L’uomo, avendo compreso ormai cosa avesse scatenato tanta
rabbia
nel ragazzo, aveva preso coraggio, cominciando ad avvicinarsi a lui.
Non appena si era ritrovato alle sue spalle, gli aveva circondato la
vita con le braccia, come per una vecchia abitudine.
«Certo che a volte sei proprio uno sciocco», aveva
commentato, affondando il volto tra i suoi capelli.
Jude s’era mosso tra le braccia dell’uomo, fino a
che non s’era ritrovato faccia a faccia con lui.
«Non sottovalutarmi, Ray», aveva protestato,
indignato.
«Sono pur sempre il capitano di questa nave
e…»
Ray gli aveva premuto l’indice contro le labbra, con premura.
«… e ti sei fatto prendere dalla
gelosia», aveva
concluso. «Shh. Davvero credi che i toni suadenti di un
perfetto
sconosciuto possano adularmi? Il mio cuore l’ha
già rapito
un pirata dagli occhi rossi, anni fa, e non esiste nei sette mari
qualcuno che possa sperare di riuscirci a sua volta»
Le mani di Ray gli avevano circondato il volto e, sotto quel tocco
gentile, la sicurezza di Jude aveva vacillato.
Si sentiva così stupido per aver dubitato di lui. Ray gli
aveva
chiesto di seguirlo in quel nuovo viaggio per non restare lontano da
lui, come poteva ora Jude credere che un ragazzo che non avevano mai
visto prima avrebbe potuto portarglielo via tanto facilmente?
Jude aveva sospirato pesantemente, lasciandosi cadere col capo contro
il petto di Ray.
«Scusami», lo aveva pregato. «Non so cosa
mi sia
successo, ho lasciato che l’impulsività avesse la
meglio
su di me e…»
Era vero. Jude non era mai stato impulsivo. Era risoluto, quando si
trattava di dover adottare in fretta decisioni per proteggere la Royal
e il resto dell’equipaggio, ma nessuna delle sue scelte
venivano
prese senza essere state prima attentamente ponderate. In fatto di
sentimenti, però, era davvero una frana, così di
solito
finiva per reagire d’istinto, col rischio di combinare dei
disastri.
Ray gli aveva posato un bacio tra i capelli. «Sta’
tranquillo», lo aveva rassicurato. «Continuo a dire
che
avresti solo bisogno di riposarti, niente di più.»
Jude aveva scosso piano la testa. «Non posso, devo
controllare la rotta sulla mappa e…»
«No.» Ray gli aveva preso di nuovo il volto tra le
mani,
deciso. «Adesso io e te ci mettiamo nel letto, restiamo
vicini e
io veglio su di te finché non ti addormenti. Non puoi
pensare di
riuscire a condurre in modo efficace i tuoi uomini senza darti un
po’ di tregua. Come potresti prendere decisioni importanti se
non
sei lucido?»
Jude gli aveva rivolto il proprio sguardo, un accenno di sorriso sul
volto. Era grato a Ray per così tante cose, e sapeva che, in
fondo, aveva ragione anche quella volta.
Dormire tra le sue braccia, in fin dei conti, non avrebbe potuto essere
un’idea malvagia. Per la verità, Jude non riusciva
ad
immaginare nulla di più rilassante.
Così aveva posato la propria mano in quella di Ray e gli
aveva
permesso di condurlo verso il letto, anche se da lui si sarebbe
lasciato portare ovunque.
La notte si era rivelata più burrascosa del previsto.
Erano in pieno autunno, e le tempeste erano all’ordine del
giorno. Onde altissime avevano preso in ostaggio la nave e, per quanto
Jude si fosse aggrappato saldamente alla camicia di Ray, continuava
ugualmente a sentirsi sballottato con violenza.
C’era qualcosa che non gli tornava. Dopo l’incontro
con
quel ragazzo aveva continuato a percepire una strana sensazione e, per
quanto Ray cercasse di tranquillizzarlo, entrambi sapevano fin troppo
bene che il suo sesto senso difficilmente falliva.
Jude s’era tirato a sedere sul letto, facendo attenzione a
non
svegliare Ray. Il ragazzo faticava a prendere sonno: continuava a
pensare allo strano incontro con quello sconosciuto che aveva avuto nel
pomeriggio, senza riuscire a darsi pace. Come faceva a sapere che erano
sulle tracce del tesoro fantasma? Cosa voleva da loro?
Il capitano della Royal aveva scosso il capo. Sapeva che non sarebbe
riuscito ad addormentarsi, troppi i pensieri che gli affollavano la
mente. Così si era lasciato scivolare di lato e, continuando
a
fare attenzione a non svegliare Ray, era uscito dalla stanza.
Come aveva intravisto lanciando uno sguardo in direzione della vetrata,
fuori il buio regnava ancora sovrano, il che significava che doveva
essere notte fonda.
Nei corridoi della nave, in effetti, aleggiava il silenzio
più
assoluto. Gli uomini che non erano di guardia dovevano star dormendo
profondamente, di un giusto e meritato riposo.
Jude s’era incamminato lungo le assi lignee del pavimento,
che
così bene conosceva, attento a calibrare ogni scricchiolio.
Era
difficile, considerando che il mare in burrasca continuava a spostare
con violenza la nave da una parte all’altra, anni di
navigazione
tuttavia gli avevano insegnato a non perdere l’equilibrio in
una
situazione del genere.
Una volta dischiusa la porta che conduceva al ponte, s’era
reso
conto che la situazione era più complessa di quel che aveva
immaginato.
Una pioggia battente e intensa continuava a colpire impietosa la Royal,
mentre l’equipaggio faceva del suo meglio per non cadere in
mare.
Un uomo era affacciato oltre il parapetto e probabilmente stava
vomitando, un altro era stretto ad un barile di rum e stava rotolando
assieme ad esso.
Jude li avrebbe ripresi tutti, condannandoli per la loro
superficialità, se solo lui stesso non si fosse reso conto
che
quella che stavano affrontando era una tempesta di dimensioni
eccezionali.
Il capitato nella Royal aveva spostato lo sguardo di lato e, sebbene la
pioggia che continuava a colpirgli il volto gli rendesse difficile
vedere, era riuscito ad individuare la figura di David. Il suo vice era
aggrappato al parapetto del cassero, e sembrava l’unico che
riuscisse a mantenere una certa stabilità, oltre a non
soffrire
troppo per via delle onde.
Jude non ne era affatto sorpreso. David, d’altronde, aveva
diversi anni di navigazione alle spalle, pertanto aveva esperienza in
fatto di tempeste.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sorriso,
dopodiché
aveva cominciato a salire su per le scalette che conducevano al cassero
di poppa.
David l’aveva notato quasi subito e, nonostante la pioggia,
Jude lo aveva visto ricambiare il suo sorriso.
«Capitano!», l’aveva salutato subito.
«Non mi aspettavo di vederti da queste parti!»
«Fatico a prendere sonno», gli aveva confessato
Jude.
«Piuttosto, qui sul ponte non mi sembrate messi
bene…»
David s’era portato una mano dietro alla nuca, come a disagio.
«Una tempesta coi fiocchi», aveva commentato.
«Già», aveva convenuto Jude.
«Eppure non
riesco a togliermi la sensazione che ci sia qualcosa di strano in tutto
ciò…»
«Che intendi?» David aveva urlato per farsi sentire
sopra
al ruggito del vento. «Quando siamo ripartiti eravamo
consapevoli
di star andando incontro a una tempesta…»
«Lo so...», aveva confermato il capitano.
«Ma ho un brutto presentimento…»
Jude era stato costretto a lasciare la frase in sospeso. Uno scatto
improvviso, infatti, aveva portato lui e David a voltare il capo di
lato.
Prima che potessero rendersi conto di cosa stesse succedendo, tuttavia,
qualcosa di grosso aveva impattato contro la Royal, facendoli cadere
all’indietro.
Erano stati fortunati a non cadere oltre i limiti del vascello,
c’era mancato davvero poco. In compenso, la caduta era stata
rovinosa, e adesso Jude si sentiva piuttosto indolenzito.
Il ragazzo aveva riaperto lentamente gli occhi rubizzi, trattenendo tra
i denti un ringhio di dolore. Aveva battuto la schiena con
così
tanta violenza da ritrovarsi col fiato mozzato, era un miracolo che non
avesse perso i sensi…
S’era reso conto in fretta, tuttavia, che non aveva tempo per
pensare al dolore. Un altro vascello era sfilato loro di lato,
sfruttando le onde furenti della tempesta. Quando s’era
ritrovata
fianco a fianco con la Royal, però, aveva colliso nuovamente
contro quest’ultima, e per Jude era stato fin troppo chiaro
che
non s’era trattato di un errore dovuto alla tempesta
indomabile,
ma di una manovra volutamente eseguita.
Il capitano della Royal aveva stretto con rabbia l’elsa della
propria spada tra le dita, dopodiché s’era
lanciato di
corsa giù dalle scale del cassero di poppa. Ogni tanto
avrebbe
voluto sbagliarsi, invece, a quanto pareva, il suo sesto senso non
voleva saperne di smettere di essere infallibile.
La porta che dava sull’interno del vascello –
nonché
la stessa da cui era acceduto al ponte poco prima – si era
aperta
nel momento in cui vi era passato accanto. Jude s’era sentito
afferrare per il polso, e aveva saputo di chi si trattasse prima ancora
di sentirne la voce.
«Jude!», l’aveva chiamato infatti la voce
concitata di Ray. «Che sta succedendo?»
«Siamo sotto attacco!», aveva tagliato corto il
ragazzo.
«Non so da dove sia uscita fuori questa
nave…»
Jude s’era interrotto nel momento in cui aveva incontrato
l’espressione terrea che s’era formata sul volto di
Ray.
«Jude, guarda la polena!», aveva urlato
l’uomo.
Il capitano s’era voltato e, non appena i suoi occhi avevano
individuato la polena della nave che s’era ormai affiancata
alla
Royal, un brivido gli aveva percorso la schiena.
Un uomo, lo sguardo rivolto alle proprie spalle.
Lo sguardo di Jude era volato verso il ponte di
quell’imbarcazione, e lì aveva individuato
qualcosa che
l’aveva allarmato ancor di più.
«No, tu
guarda il ponte!», aveva gridato di rimando.
Ray aveva seguito obbedientemente la sua indicazione, e il volto
dell’uomo non aveva potuto che diventare ancor più
terrorizzato.
Un ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli castani li fissava, un
sorriso beffardo sul volto.
Il giovane
dell’isola.
Come aveva fatto a raggiungerli? Li aveva seguiti fin da quando erano
salpati?
No, non era il momento di preoccuparsi per questo. Lui e la sua ciurma,
infatti, tenevano strette tra le mani delle cime, che avevano legato
alla trave che sosteneva la vela di mezzo. Non era difficile immaginare
cosa avessero intenzione di fare.
L’istante successivo, infatti, il ragazzo che avevano
incontrato
sull’isola aveva fatto un cenno in direzione dei suoi uomini,
e
quelli si erano subito lanciati in avanti, atterrando sul ponte della
Royal.
Jude non era riuscito a trattenere la rabbia oltre. S’era
liberato con forza dalla stretta di Ray, per poi lanciarsi in avanti,
sguainando la spada nel mentre.
Aveva individuato subito il suo obiettivo. Il problema, tuttavia, era
che il ragazzo si aspettava esattamente una mossa del genere. Aveva
sorriso nella sua direzione, facendo infuriare ancora di più
Jude e, nel momento in cui il capitano della Royal gli era stato
davanti, aveva già sfoderato a sua volta la spada, parandosi
dall’assalto senza sforzo.
Il ghigno soddisfatto non si era tolto nemmeno allora dal volto del suo
avversario, e Jude aveva ringhiato di rabbia e frustrazione, del tutto
intenzionato a strapparglielo via.
«Beh, avresti dovuto immaginare che vi avremmo raggiunti, capitano»,
lo aveva schernito l’altro.
Jude aveva digrignato i denti con maggiore intensità, e
aveva
spinto ancor di più la propria spada contro quella
dell’altro.
Intorno a loro aveva già cominciato ad infuriare la
battaglia,
ma né Jude né il suo avversario se ne stavano
curando.
Erano così concentrati nella loro lotta personale che nulla
avrebbe potuto distrarli.
Jude s’era reso conto subito di essersi trovato ad affrontare
un
avversario fuori dal comune. Ogni fendente che sferrava veniva
puntualmente parato dal suo avversario, che continuava a schivarlo con
facilità ed eleganza.
Questo, però, non faceva che farlo infuriare ancor di
più. Si muoveva veloce, troppo veloce, talmente tanto che
probabilmente aveva lasciato la guardia scoperta
un’infinità di volte, ma non riusciva a curarsene,
troppo
impegnato a sferrare attacchi a raffica, uno dietro l’altro.
La loro era una battaglia che sembrava più simile a una
danza
ipnotica. I passi del suo avversario erano precisi, calibrati, come se
conoscesse alla perfezione ogni centimetro della Royal.
Questo, però, non faceva che innervosire ancor di
più
Jude, al punto che cominciava ad avvertire la propria vista offuscarsi.
No. Non avrebbe risolto niente, così. Doveva concentrarsi.
Jude aveva osservato i piedi del suo avversario. Se solo fosse riuscito
a fargliene mettere uno in fallo…
«Mi hai chiesto il mio nome, oggi pomeriggio»,
l’aveva infastidito l’altro – forse aveva
intuito il
suo piano e stava cercando di distrarlo. «Ebbene, ora posso
dirtelo. Mi chiamo Paolo Bianchi, e sono il capitano della nave che
stanotte vi sconfiggerà, la Orpheus!»
Gli occhi di Jude si erano ridotte a due fessure.
«Non credo proprio!», aveva replicato.
Le loro spade avevano cozzato nuovamente e, questa volta, Jude era
riuscito a sopraffare il colpo. La sciabola di Paolo era volata in
alto, attraversando tutto il ponte, per poi cadere dalla parte opposta
a quella in cui i due si trovavano.
Paolo aveva alzato le mani, ma un sorriso beffardo aveva continuato a
campeggiare sul suo volto.
«A quanto pare ho vinto io», aveva commentato Jude,
trionfante.
«Tu dici?», gli aveva domandato Paolo.
«Strano,
perché sembra che qualcuno laggiù sia in
difficoltà…»
Jude s’era voltato senza nemmeno pensarci.
L’istante
successivo si era ammonito, perché quello avrebbe potuto
essere
tranquillamente un bluff di Paolo…
Invece ciò che aveva visto lo aveva fatto congelare per la
paura.
Ray era di spalle, nei pressi del castello di poppa. Un membro
dell’equipaggio della Orpheus, però, si stava
avvicinando
a lui in tutta fretta, stringendo un pugnale tra le mani.
Ray non avrebbe mai fatto in tempo ad accorgersene.
L’avrebbe colpito.
«Ray…», aveva mormorato Jude.
L’istante successivo, prima ancora che potesse rendersene
conto,
il capitano della Royal era scattato in avanti, in un’ultima,
disperata azione.
«No!»,
aveva gridato, un momento prima di intromettersi tra Ray e la lama.
Solo allora Ray s’era voltato, rendendosi conto di
ciò che stava succedendo alle sue spalle.
Lo spettacolo che gli s’era parato davanti, tuttavia, si era
rivelato essere a dir poco raccapricciante.
Un pirata teneva stretto tra le un pugnale insanguinato, mentre fissava
entrambi con un sorriso crudele.
Jude, davanti a lui, si teneva una mano sul fianco sinistro, dolorante,
cercando di fermare il sangue, che continuava a sgorgare a fiotti.
«Jude!», aveva urlato a sua volta, accorrendo in
avanti.
Le gambe del ragazzo avevano ceduto e lui s’era ritrovato a
rovinare verso terra, salvo poi essere afferrato da Ray un attimo prima
che le sue ginocchia potessero battere violentemente contro le assi di
legno.
Nel giro di pochi secondi, tutto intorno a Jude aveva iniziato a
vorticare vertiginosamente.
L’ultima cosa che ricordava era il sorriso vittorioso di
Paolo,
che ordinava ai suoi uomini la ritirata. Aveva ragione, aveva vinto lui.
Poi, il buio.
Caldo. Tanto, tanto caldo. E dolore.
All’improvviso tutto intorno a Jude era diventato sfocato.
Sapeva
di non essere più sul ponte, lo sentiva, perché
adesso
avvertiva una superficie morbida sotto di sé.
Un liquido era stato versato sulla sua pelle, e le fiamme lo avevano
avvolto ancora una volta.
«Capitano…»
La voce di David. Era un mormorio basso, sussurrato, eppure a Jude era
sembrato di sentirlo rotto dalle lacrime.
Perché piangeva?
«Coraggio, capitano! Tieni duro!»
Una voce più decisa. Joe, senza dubbio.
Che stava…
succedendo…
«Jude…»
Ray…
Ancora fiamme, ancora dolore. Dopo, tenebre ancora una volta.
Jude aveva perso cognizione dello scorrere del tempo.
Non aveva idea di quanto a lungo fosse rimasto privo di coscienza.
L’unica cosa che i suoi occhi chiusi riuscivano a vedere era
buio, come di notte fonda, e spesso continuava ad avvertire il proprio
corpo dilaniato dalle fiamme.
Se fosse stato sveglio, avrebbe saputo che era nella propria camera da
letto, intento ad agitarsi freneticamente tra le lenzuola e vittima di
una febbre alta che non gli lasciava tregua.
La ferita al fianco era assai profonda, e sebbene fosse stato
prontamente soccorso da David e gli altri adesso la ciurma era come
sospesa, in attesa che il loro capitano si riprendesse.
Ce l’avrebbe fatta. Aveva la tempra giusta.
Ray non si era mai mosso dal suo capezzale. Gli era rimasto accanto,
giorno e notte. Voleva esserci quando si sarebbe svegliato –
era
certo che si sarebbe ripreso –, e non aveva intenzione di
farsi
trovare assente se Jude avesse avuto bisogno di lui.
Una notte, in preda ai deliri, il ragazzo aveva preso ad agitarsi
sempre di più, mormorando nel mentre il nome
dell’uomo.
Quando se ne era reso conto, Ray si era avvicinato con cautela, attento
a non svegliarlo.
«R-Ray…», aveva biascicato ancora una
volta Jude.
Subito il capitano aveva avvertito un peso aggiungersi accanto a lui,
come se qualcuno gli si fosse inginocchiato vicino sul materasso. Due
mani avevano avvolto la sua, calda e tremante, col proprio tocco.
«Sono qui…», gli era parso di sentirsi
sussurrare.
Jude aveva mosso il capo sul cuscino, agitato.
«N-Non mi lasciare, ti prego… non mi
lasciare…», aveva mormorato ancora.
Ray si era chinato piano sul cuscino, posando un bacio sulla fronte del
ragazzo. Era bollente.
Quelli dovevano essere deliri dovuti alla febbre, nulla di
più.
Le dita di Ray avevano accarezzato le guance caldissime di Jude, ed
erano sembrate quasi gelide al contatto con la pelle del ragazzo.
«No che non ti lascio», gli aveva assicurato Ray.
Il volto di Jude era parso rilassarsi per un momento, diventare
sorridente quasi, ben presto tuttavia uno spasmo di dolore
l’aveva costretto a contrarsi di nuovo.
«N-Non mi lasciare…», aveva ripetuto, la
voce sul punto di essere rotta dalle lacrime.
Prima che potesse rendersene conto, il mondo era tornato ad essere una
spirale confusa di tenebra e fiamme.
▬
notes
Vi chiedo perdono fin da
subito, ma non ho molta voglia di parlare.
Ve l'avevo detto che i capitoli lunghi sarebbero arrivati. Questo conta
più di 8.000 parole, ma me lo sono letteralmente bevuto. Non
so
se sia un bene o un male.
Rispetto al prompt originale, adesso si potrebbe dire che io stia
vagando un po' alla cieca. L'anno scorso la mia mente aveva progettato
solo fino a Black Dust diciamocelo,
a me premeva che Jude e Ray si riunissero.
Poi, nel mentre, altre idee si sono aggiunte. Parlando della Orpheus,
inizialmente non doveva essere affatto presente nella storia, ma tanto
ormai il limite di 12.000 parole del contest l'avevo superato, e allora
tanto valeva aggiungere anche questo.
Già, perché i nostri amati protagonisti non fanno
in
tempo a liberarsi di un problema che subito ne spunta fuori un altro.
L'idea per l'assalto alla Zeus viene da Game of Thrones, lo ammetto.
Inizialmente doveva essere un richiamo totale alla Battaglia delle
Acque Nere, quindi la Pearl sarebbe dovuta esplodere senza altofuoco
però, rip.
Visto che però senza la nave secondaria non avrei saputo
dove
infilare gli uomini che da Black Dust decidono di seguire Ray, alla
fine ho optato per la più democratica e meno distruttiva
imboscata dalle falesie.
Comunque sì, sistemata la Zeus è tempo di
vedersela con
la Orpheus. Sfortunatamente, però, Jude, sebbene fosse
riuscito
ad avere la meglio contro Paolo, finisce per rimanere ferito salvando
Ray da un attacco alle spalle. Adesso non possiamo far altro che
pregare per il nostro povero capitano, sigh.
Abbiamo inoltre scoperto ciò a cui la Royal sta puntando,
ossia
questo tesoro fantasma. Ora che hanno la mappa in mano dovrebbe essere
tutto più facile, ma, come abbiamo visto, le insidie sono
dietro
l'angolo.
Mi scuso ancora una volta per l'eccessiva lunghezza di questo capitolo.
Purtroppo ho uno schema di pubblicazione ben preciso nella mia mente, e
se volevo rispettarlo non potevo fare altrimenti.
A presto –
sperando che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere questa storia e
che non sia stato troppo spaventato dal muro di testo
dell'aggiornamento di oggi
Aria
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Capitolo 5 *** Treasure ***
I raggi chiari dell’alba gli avevano colpito il volto,
costringendolo ad aprire gli occhi.
Sollevare appena le palpebre gli era costato uno sforzo immane. La luce
sembrava volergli ferire gli occhi, e Jude s’era sentito
costretto a riabbassarle subito.
Alcuni mugolii di disapprovazione erano scivolati fuori dalle sue
labbra, mentre si tirava le lenzuola fin sopra il capo.
Il profumo del cotone fresco lo aveva avvolto, e Jude lo aveva trovato
incredibilmente piacevole. Jude aveva provato a riaprire gli occhi, e
questa volta era stato circondato dal bianco.
Era una percezione decisamente migliore, rispetto a quella di poco
prima.
Già, a proposito di percezioni… Jude era
consapevole di
non essere stato in ottima forma, negli ultimi… oh, neppure
lui
sapeva quanti giorni avesse trascorso privo di coscienza.
Come se l’era cavata il suo equipaggio nel mentre? Si stavano
avvicinando alla loro meta?
D’improvviso una scarica d’adrenalina lo aveva
attraversato. Doveva correre ad accertarsi dello stato di navigazione.
Jude aveva mugolato nuovamente, cominciando a disfarsi delle lenzuola,
ma sentendo di colpo una voce s’era arrestato di colpo.
«Jude? Sei sveglio…?»
Ray.
Jude aveva avvertito il cuore sobbalzargli in petto. Quanto tempo era
passato dall’ultima volta in cui l’aveva visto? Oh,
gli era
mancato così tanto…
Il ragazzo aveva fatto capolino da sotto le lenzuola, i capelli
così tremendamente arruffati a causa del lungo periodo
trascorso
tra le coperte e un lieve sorriso sul volto.
«C-Ciao, Ray…», lo aveva salutato,
mordendosi un labbro.
Ray era seduto sull’unica, vecchia sedia presente nella
stanza,
vicino all’ampia vetrata. Non appena Jude aveva cercato di
muoversi nuovamente, l’uomo era subito scattato in avanti.
«Ehi, piano…», aveva mormorato, una
volta raggiunto
il letto, tenendo fermo il ragazzo con una mano, così che
rimanesse disteso. «Non puoi ancora muoverti, non sei
abbastanza
in forze…»
Jude non riusciva a dargli torto. Sentiva la pelle,
all’altezza
del fianco, tirare dolorosamente, e questo aveva subito fatto comparire
una smorfia sul suo volto.
Ray gli aveva sorriso, una luce serena che aveva preso a danzare nei
suoi piccoli occhi neri. «Sono così felice che tu
ti sia
svegliato…», gli aveva confessato. «La
ferita era
molto profonda, abbiamo tutti temuto il peggio…»
«Mh», aveva mugolato di nuovo Jude, il volto ancora
contratto. «Sono rimasto a lungo privo di
coscienza?»
«Circa cinque giorni», gli aveva comunicato Ray.
«C-Cinque giorni?», aveva ripetuto Jude, per poco
non
strozzandosi col proprio respiro. «Ma…
è
tantissimo! Devo subito andare a confrontare con David il piano di
navigazione‒»
Jude s’era tirato a sedere sul letto, e Ray l’aveva
subito
fermato premendo una mano contro la sua spalla. Una fitta di dolore si
era propagata a partire dal fianco lungo tutto il suo corpo, e Jude era
stato costretto a stringere gli occhi, trattenendo tra i denti
un’imprecazione.
«Tu non andrai da nessuna parte», aveva replicato
Ray,
intransigente. «Hai rischiato di morire, ti sei appena
risvegliato dopo essere stato privo di coscienza per giorni, sei ancora
dolorante e pensi che io possa lasciarti andare in giro per la nave
come se niente fosse? Devi essere impazzito.»
Jude aveva sospirato pesantemente. «Oh, andiamo, Ray,
dobbiamo arrivare su quell’isola prima che‒»
Il ragazzo s’era interrotto non appena Ray gli aveva preso il
volto tra le mani. Era incredibile come ogni volta che ripeteva quel
gesto sembrasse la prima, la sensazione di vertigini che Jude provava
era sempre la stessa.
«Come pensi che mi sia sentito in questi giorni?»,
gli
aveva domandato. C’era qualcosa di disperato nel suo sguardo.
«Credi che non abbia capito che ti sia preso quella pugnalata
per
salvare me?
Hai idea di come
sarei potuto stare se tu non ti fossi ripreso? Mi hai salvato la vita,
Jude, ora voglio solo tenerti al sicuro…»
Jude aveva premuto una guancia contro la sua mano. «Era la
cosa
giusta da fare, Ray. Avresti fatto anche tu lo stesso per
me»,
gli aveva fatto notare. «E comunque è andato tutto
per il
meglio, non dovresti continuare a preoccuparti.»
«Non avresti dovuto correre un rischio del
genere…»
«Sì, invece. E lo rifarei altre mille volte, se
solo
avessi la certezza di salvarti ancora…», aveva
insistito
il ragazzo.
Ray aveva appoggiato la fronte contro quella di Jude. I due erano
rimasti a fissarsi, e Jude aveva sentito un sorriso formarsi sulle sue
labbra.
Ray s’era chinato in avanti, lasciandogli un bacio leggero ma
intenso.
Gli era mancato
così tanto…
Quando le loro labbra si erano separate, erano rimasti con i volti
vicinissimi, incapaci di restare ancora troppo lontani l’uno
dall’altro.
«Accompagnami sul ponte. Ti prego…», lo
aveva scongiurato Jude.
E Ray aveva saputo che non sarebbe stato in grado di dire no a quella
richiesta.
Ray aveva insistito affinché Jude tenesse poggiata sulle
spalle la sua giacca da capitano.
Di solito Jude non la indossava mai. La riteneva un orpello inutile,
inoltre solo con la camicia si sentiva decisamente più agile
nei
movimenti.
«Non voglio che tu prenda freddo», aveva ribadito
Ray.
Jude aveva mosso un altro passo lungo i corridoi della Royal, il
braccio di Ray stretto attorno alla vita che lo sosteneva mentre
l’uomo lo aiutava a camminare.
«Ray, fuori il sole è alto e questa ha tutta
l’aria
di essere una giornata calda», gli aveva ripetuto ancora una
volta Jude.
L’ex capitano della Black Dust aveva agitato freneticamente
una
mano a mezz’aria. «D’accordo, ma non puoi
mai saperlo
per certo…», aveva replicato.
Ray aveva aperto in fretta la porta che dava sul ponte.
«Secondo me ti stai preoccupando troppo», aveva
commentato Jude.
«Preoccupando troppo? Dopo quello che ti è
successo la mia
preoccupazione dovrebbe essere perfino maggiore…»,
l’aveva smentito.
Il loro battibecco aveva attirato subito l’attenzione di
tutti i
presenti. David, vedendoli, era corso loro incontro, scendendo
giù dal cassero di poppa.
«Capitano!», l’aveva chiamato, la voce
allegra e
squillante. «Ma… che ci fai in piedi? Dovresti
riposare!»
«Oh, non dirlo a me…», aveva bofonchiato
Ray.
Jude aveva deciso di ignorarlo. «Non preoccuparti, David, sto
meglio», aveva tagliato corto. «Piuttosto, a che
punto
siamo con la rotta?»
David si era morso un labbro. «Beh, in questi giorni mi sono
consultato con il Comandante Dark e…»
«… abbiamo deciso di rallentare la
velocità di
navigazione», aveva concluso Ray, togliendo il vice della
Royal
dall’imbarazzo.
«Prego?»,
aveva
sibilato Jude. «Forse non vi è chiaro, ma la
Orpheus
è diretta verso la nostra stessa meta, e se arrivassimo dopo
di
loro‒»
«Jude, non potevamo rischiare che la Royal si danneggiasse
irreparabilmente», aveva constatato Ray.
Un pensiero improvviso aveva attraversato la mente di Jude, facendolo
raggelare sul posto.
«La nave… l’attacco dell’altra
notte
l’ha compromessa in maniera grave?», aveva
domandato. La
Royal era una delle cose più preziose al mondo, per lui, non
avrebbe sopportato di perderla a causa di quello sciocco assalto.
Avrebbe dovuto essere il suo primo pensiero…
«Fortunatamente no, ma c’è mancato
poco…», l’aveva rassicurato David.
Jude s’era lasciato sfuggire un lieve sospiro di sollievo.
«E della Pearl, invece? Che mi dite?», aveva
chiesto ancora.
Era vero. Dopo aver incontrato Paolo su quell’isola Jude
s’era solo curato di ripartire il più in fretta
possibile,
quasi senza considerare che adesso, assieme alla Royal, viaggiava anche
un’altra nave.
«Ci hanno raggiunti poco dopo l’assalto. Hanno
visto anche
loro la Orpheus, ma si è limitata a sfrecciargli accanto,
considerando che il vero obiettivo eravamo noi», gli aveva
spiegato il suo vice.
Jude aveva annuito, in segno di comprensione.
«Dobbiamo arrivare lì prima di loro»,
aveva
sentenziato Jude. «Io e il loro capitano abbiamo un conto in
sospeso…»
Ray lo aveva osservato senza parlare, in apprensione.
A volte temeva che Jude potesse lasciarsi sopraffare dalla ricerca del
tesoro, o dal desiderio di vendetta nei confronti della Orpheus, e
questo non doveva succedere.
Aveva bisogno che il suo ragazzo rimanesse vigile, se volevano davvero
raggiungere i loro obiettivi.
La mattina aveva i toni grigi dell’inverno.
Nella parte del mondo in cui si trovavano, in realtà, il
freddo
non era che un lontano ricordo, ma la mente di Jude s’era
persa
comunque ad accarezzare quella possibilità.
Il sole non era ancora sorto e sul ponte gli
uomini scarseggiavano. Era il limbo tra il giorno e la notte,
un
momento sospeso in cui il tempo sembrava aver smesso di scorrere. Il
mare s’infrangeva con pacatezza contro lo scafo della nave.
Non
c’erano onde né vento che potesse sollevarle, e
quello
sciabordio pacato era quasi rilassante.
Jude era seduto sulla polena della Royal. Non avrebbe dovuto spingersi
tanto all’esterno rispetto ai confini della nave, lo sapeva,
eppure sentire la salsedine così vicina, che si scontrava
contro
il suo corpo, i vestiti e i capelli faceva correre nel suo corpo una
sensazione adrenalinica, che gli permetteva di sentirsi vivo.
Di solito per lui quella percezione era motivo di gioia. Quel giorno,
tuttavia, nessun sorriso era comparso sul suo volto.
Erano ormai in prossimità della loro meta, e quello voleva
dire solo una cosa: guai.
Nei precedenti giorni di navigazione, non avevano trovato nessuna
traccia della Orpheus neppure viaggiando più velocemente.
Era
come se la nave che li aveva attaccati pochi giorni prima si fosse
volatilizzata nel nulla.
Jude non riusciva a trovare un senso in tutta quella faccenda. Se, come
aveva detto Paolo, il loro intento era distruggerli, allora dove erano
finiti?
L’unica spiegazione che Jude riusciva a darsi era che, ormai
vicini all’isola, avessero deciso di dare la precedenza al
tesoro. Peccato che, seppur procedendo lungo il percorso, non li
avessero mai incrociati.
Jude voleva vendicarsi di quell’assalto tanto quanto
desiderava
trovare il tesoro. Forse avevano ragione i membri
dell’equipaggio
che avevano cominciato a lanciargli occhiate oblique, stava impazzendo.
La verità era che Jude aveva intravisto una strategia
precisa
dietro l’attacco di quella notte e, se ci aveva visto giusto,
questo bastava e avanzava a motivarlo ancora di più a
cercare
quella vendetta.
Una nebbia sottile saliva dall’oceano, mentre piccoli schizzi
colpivano la Royal.
Si stavano avvicinando, Jude lo sentiva.
Avevano raggiunto l’isola col sole ormai alto
all’orizzonte.
L’atmosfera era permeata da un caldo asfissiante, che
l’umidità lasciava incollare ai vestiti.
La prua della Royal s’era arenata sulla piccola spiaggia che
avevano trovato davanti a loro, seguita a poca distanza dalla Pearl.
Non c’erano altre tracce di navi in vista.
Era strano. Sembrava veramente che la Orpheus fosse svanita nel nulla,
ma Jude si rifiutava di credere a quell’ipotesi. Paolo non
gli
era sembrato il tipo da gettare tutto all’aria senza un
valido
motivo. Il suo sesto senso, inoltre, negli ultimi giorni non
l’aveva mai lasciato in pace, e ora d’improvviso
aveva
cominciato a tormentarlo ancor di più.
Jude s’era ripetuto ancora una volta che quello non era il
momento di pensarci. Avevano finalmente raggiunto l’isola su
cui
per anni avevano agognato di approdare, e forse tra poche ore il tesoro
più ricco di tutti i tempi sarebbe stato nelle sue mani. Non
poteva mostrarsi insicuro davanti ai suoi uomini adesso, se
già
nei giorni precedenti avevano cominciato a nutrire dei dubbi su di lui
esitare avrebbe comportato, probabilmente, la perdita di appoggio da
parte dell’equipaggio.
In una fase così delicata come quella in cui si trovavano
adesso, era l’ultima cosa che Jude potesse permettersi.
Una volta scesi a terra, dunque, s’era occupato anzitutto di
fornire disposizioni ai suoi uomini.
«Un piccolo contingente sarà in carico di
addentrarsi
nell’isola», li aveva informati. «Gli
altri
rimarranno qui a controllare che nessuno si avvicini.»
Gli equipaggi avevano accolto il piano con fiducia. Così,
scelti
gli uomini da portare con sé – solo coloro di cui
si
fidava maggiormente –, Jude s’era addentrato nella
foresta
dell’isola.
Vegetazione lussureggiante li circondava. Ovunque posassero lo sguardo
non v’erano che palme altissime, liane e giungle di
mangrovie.
Fiori enormi, esotici e dai colori vistosi e variopinti sembravano
volerli attrarre con la loro bellezza, e proprio per questo Jude aveva
intimato ai suoi uomini di tenersi alla larga da questi ultimi. Tutto
quel fascino tradiva una elevata dose di veleno mortale, senza ombra di
dubbio.
In alcuni punti, Jude e il suo equipaggio erano stati costretti a farsi
strada con l’utilizzo delle spade, talmente fitti erano i
rami
che ostruivano loro la strada.
Per tutto il tempo, Jude era rimasto a capo del contingente, che
guidava con solerzia, lo sguardo puntato sulla mappa.
Tutt’intorno a loro si alzava dal suolo e dagli alberi un
brulichio di vita, segno che centinaia di specie animali li
circondavano. Scimmie, serpenti, e chissà quali
insetti…
senza contare che, se come temeva qualcuno li aveva davvero preceduti,
potevano aver piazzato delle trappole lungo tutto il percorso.
Stranamente, tuttavia, neppure sull’isola sembrava esserci
traccia di Paolo, né del resto della Orpheus.
Ciò non faceva altro che mettere ancor più in
allarme
Jude. Era come se tutti i suoi sensi fossero tesi, in allerta, in
attesa dell’ennesima imboscata.
Ray era alle sue spalle. L’uomo aveva aumentato un poco il
passo, giusto quel che bastava per raggiungerlo.
«Jude», l’aveva richiamato.
«Sembra che parlarti sia impossibile, oggi.»
«Perdonami, Ray, sono solo molto concentrato»,
aveva cercato di rassicurarlo, senza staccare gli occhi dalla mappa.
Ray aveva stretto le labbra, preoccupato. «E immagino che sia
per
concentrarti meglio se hai deciso di portare con te una
pistola»,
aveva constatato.
Per un momento, Jude s’era fermato sul posto, sollevando lo
sguardo per fulminare l’uomo. Era vero: prima di sbarcare
dalla
Royal, s’era preso una pistola. Jude non aveva mai apprezzato
quell’arma, preferendo di gran lunga combattere con la spada,
e
questo di sicuro doveva aver messo in allarme Ray.
«Che diavolo‒», aveva farfugliato il ragazzo.
Ray aveva indicato la sua vita. «Se non volevi che si notasse
avresti dovuto nasconderla meglio», aveva commentato.
Jude aveva abbassato lo sguardo. La giacca, camminando, si sollevava,
lasciando visibile il proprio interno, dove, in una delle tasche, era
stata sistemata l’arma.
Il ragazzo s’era stretto maggiormente la giacca al corpo,
rabbia
che scintillava nei suoi occhi. Avrebbe dovuto essere più
cauto,
tuttavia l’idea che qualcuno l’avesse scoperto lo
faceva
infuriare.
A maggior ragione se quel qualcuno era Ray.
«È solo una precauzione», aveva
bofonchiato.
L’uomo aveva inarcato un sopracciglio. «Una
precauzione contro
quale evenienza, Jude?», aveva insistito.
Il capitano della Royal aveva roteato gli occhi, per poi rimettersi in
cammino.
«Non lo so», aveva risposto, con tono evasivo.
Adesso
teneva lo sguardo fisso davanti a sé, evitando di incontrare
gli
occhi di Ray, mentre tagliava di netto una liana con la spada.
«È solo il solito sesto
senso…»
«Già, peccato che non fallisca mai»,
aveva
commentato Ray. «In ogni caso, avresti dovuto avvertire gli
altri…»
«Così da dare loro un motivo in più per
dubitare di
me? No, grazie», aveva tagliato corto Jude. «Tra
noi due
sei tu quello che non ha mai faticato a guadagnarsi il loro rispetto,
Ray. E ci sta, è comprensibile: dopotutto sei stato il
capitano
di uno dei vascelli pirata più forti di sempre, e buona
parte
del mio equipaggio ha servito anche te, all’epoca, ha senso
che
ti siano ancora fedeli. Nell’ultimo periodo, però,
io ho
perso un po’ della mia credibilità: prima ho
lasciato che
la Zeus ci danneggiasse, poi non sono riuscito a respingere
l’assalto della Orpheus e infine sono stato ferito. Se adesso
lasciassi trapelare che temo un’imboscata, e che non so se
riusciremmo a salvarci in quel caso, come pensi che la prenderebbero?
Siamo nel bel mezzo di un’isola sconosciuta, non posso
correre il
rischio di ritrovarmi a dovermela cavare da solo.»
Ray s’era stretto nelle spalle. Comprendeva il ragionamento
di
Jude, e sapeva che il capitano di un vascello si sarebbe comportato
esattamente in quel modo.
Non era riuscito a fare a meno di domandarsi, tuttavia, se anche lui al
suo posto avrebbe agito concordemente.
«Forse dovresti imparare a fidarti di più dei tuoi
uomini, Jude», l’aveva rimproverato.
Jude s’era voltato nella sua direzione, fulminandolo con lo
sguardo. Senza aspettare che Ray potesse infierire ulteriormente, aveva
ripreso a camminare in fretta, davanti a lui. Sotto strati di vestiti,
sentiva ancora la ferita pulsare, protetta appena dalla fasciatura che
David gli aveva avvolto attorno al petto.
Ray aveva continuato a seguirlo, in silenzio, senza riuscire ad
aggiungere nient’altro.
Ore di cammino dopo, si erano ritrovati davanti a una fenditura nella
roccia, esattamente la stessa che Jude aveva notato la prima volta che
aveva osservato la mappa.
Una formazione rocciosa si ergeva nel bel mezzo dell’isola,
se
non fosse che quell’ingresso pareva simile
all’entrata di
un cunicolo, o di un tunnel.
Jude esitava. Entrare là dentro era la scelta giusta? Certo,
se
quel sentiero era l’ultimo tratto che lo separava dal tesoro.
Eppure c’erano tante incognite da tenere in considerazione,
prima
fra tutte il fatto che non avessero la più pallida idea di
dove
conducesse quel percorso.
David s’era appoggiato alla parete esterna, sbirciando appena
oltre l’ingresso: era buio pesto, non si vedeva a un palmo
dal
proprio naso e nessun rumore sembrava provenire da là dentro.
«Non so voi, ma tutta questa situazione mi mette i
brividi…», aveva commentato.
Jude non riusciva a dargli torto. Ora che erano giunti lì
quella
sensazione di allerta che l’aveva accompagnato per tutto il
tragitto s’era fatta ancora più intensa. Riusciva
quasi a
sentirla mormorare nella sua testa, implorarlo di darle ascolto, di
fare attenzione.
Era troppo tardi, ormai.
«Dobbiamo procurarci qualcosa con cui farci luce»,
aveva affermato.
Caleb era sembrato il più propositivo, in quel caso.
«Beh,
siamo in una foresta», aveva commentato.
«Basterà
rimediare dei bastoni e accendere un fuoco da uno dei capi,
no?»
Jude aveva annuito. Delle torce avrebbero fatto esattamente al caso
loro. Così Caleb e Herman avevano cominciato a dare
un’occhiata in giro nella piccola radura erbosa, tornando
poco
dopo tenendo tra le braccia un numero di rami sufficienti da essere
sfruttati come torce da ciascuno di loro. Erano di legno piuttosto
robusto, inoltre, il che avrebbe consentito loro di maneggiarli senza
problemi e la fiamma sarebbe durata a lungo.
Una volta accese le torce, il piccolo gruppo s’era addentrato
tra quei cunicoli oscuri.
La prima cosa che Jude aveva notato, camminando tra i corridoi scavati
nella roccia, era il rigagnolo d’acqua che stagnava ai loro
piedi. Sembrava provenire dalla direzione verso cui si stavano
dirigendo, e doveva essere lì da molto tempo, considerando
che
il terreno sotto di loro appariva eroso proprio in corrispondenza di
quel flusso. Questo comportava una leggera pendenza nel mezzo del
percorso e, ovviamente, anche una superficie più viscida da
calpestare.
Più proseguivano, più l’acqua
aumentava. Jude
s’era spostato di lato, accarezzando un fianco del tunnel, e
le
sue dita l’avevano trovato sorprendentemente umido.
L’eco dei loro passi nel corso d’acqua si
rincorreva lungo
le pareti di roccia e, assieme ai respiri affannati dei membri
dell’equipaggio, era l’unico rumore che li
accompagnasse in
quella loro traversata.
Ray era sempre rimasto al suo fianco. Dopo l’incidente con la
Orpheus, Jude cominciava a sospettare che temesse che potesse farsi
male ancora una volta.
La preoccupazione di Jude, al contrario, era volta unicamente nei
confronti di Ray.
Ricordava i discorsi a Black Dust, in cui entrambi s’erano
detti
incapaci di perdonarsi qualora fosse accaduto qualcosa
all’altro,
e Jude sapeva bene che, ora più che mai, quelle parole erano
valide. Aveva permesso a Ray di seguirlo sulla Royal perché
riteneva insopportabile l’idea di rimanergli lontano, ma
egualmente non tollerava il pensiero che qualcosa di male potesse
accadergli ora che aveva seguito lui.
Ecco perché non riusciva a perdonarsi che quella notte fosse
stato così vicino a perderlo, ecco perché aveva
portato
con sé quella pistola.
La voce di David l’aveva sottratto ai suoi pensieri.
«Capitano!», l’aveva richiamato infatti.
Non c’era stato bisogno di aggiungere altro. Jude aveva
guardato fisso di fronte a sé, e tutto era stato chiaro.
In fondo al tunnel che stavano percorrendo, infatti, proveniva una luce.
Jude non riusciva a comprendere di che cosa si trattasse. Aveva fatto
cenno ai suoi uomini di continuare ad avvicinarsi, ma sempre con
cautela.
Il ragazzo aveva avvertito una mano stringersi attorno alla sua. Aveva
ricambiato la presa, consapevole si trattasse di Ray, e gli era stato
grato per quel contatto, poiché era stato in grado di
placare
almeno un poco l’angoscia che avvertiva al momento.
Il suo sesto senso, tuttavia, si rifiutava ancora di lasciarlo in pace.
Quando si furono avvicinati a quella fonte di luce, a Jude fu chiara la
sua provenienza.
Quella che all’esterno sembrava una montagna, infatti,
internamente si presentava in maniera ben diversa. Il centro della
roccia era scavato, dal fondo fino alla cima, dove compariva
un’apertura circolare, che permetteva alla luce del sole di
penetrare lì dentro. L’acqua che li aveva
accompagnati fin
dal loro ingresso, inoltre, si presentava ora come un lago, dal fondo
basso e pieno di ciottoli, o quantomeno un acquitrino che raccoglieva
l’acqua piovana, che dal foro in alto giungeva fin
lì.
Al centro del lago, inoltre, sorgeva uno sperone roccioso. E, sopra di
esso…
«Il tesoro!», aveva esclamato Joe.
Jude aveva faticato a tenere sotto controllo il battito del proprio
cuore. Ciò che si trovava ora sotto i suoi occhi sembrava un
sogno.
Era un forziere enorme, di legno scuro e all’apparenza
pesante.
Il coperchio era sollevato, e oltre di esso si intravedeva ogni genere
di ricchezze: oro, perle, pietre preziose…
Jude si sentiva così irrimediabilmente attratto da quel
forziere. Lo avevano cercato per anni e, adesso, era finalmente davanti
a loro.
Prima ancora di rendersene conto stava già correndo in
direzione
dello sperone. Non gli importava nemmeno più
dell’acqua, i
suoi stivali avevano cominciato a sguazzarci dentro.
«Jude!», l’aveva richiamato David, invano.
Ray lo aveva seguito. Gli era rimasto a pochi passi di distanza, e si
muoveva più lentamente rispetto a lui, ma Jude sapeva bene
che
non aveva alcuna intenzione di perderlo di vista.
A Jude stava bene. In fin dei conti, anche Ray aveva inseguito per anni
quel tesoro, per cui era giusto, dal punto di vista del ragazzo, che si
trovasse al suo fianco in quel momento. Inoltre, era la persona che
amava, per cui non sarebbe potuto essere più sensato di
così.
Attorno allo sperone ruotava quella che pareva essere una spirale,
dotata di piccoli gradini. Jude aveva preso ad arrampicarsi su di essi,
seguito a breve distanza da Ray, finché entrambi non si
erano
ritrovati davanti al forziere.
L’oro rifulgeva d’una luce così
brillante che, per
un momento, Jude aveva temuto che potesse accecarlo. Il ragazzo aveva
affondato le mani tra quei tesori, e un sorriso vittorioso si era
dipinto sul suo volto.
Avevano vinto. Erano i pirati più potenti dei sette mari.
Avevano trovato il forziere fantasma, erano ricchi…
In quel momento, tuttavia, i mormorii del suo sesto senso avevano
raggiunto il culmine, tramutandosi in un sibilo.
E Jude aveva compreso appena in tempo che quest’ultimo non si
trovasse nella sua mente.
«A terra!», aveva gridato.
Era riuscito ad afferrare Ray appena in tempo, prima che una daga
saettasse sopra le loro teste.
Il pugnale era atterrato alle loro spalle, il clangore metallico che
annunciava l’impatto contro i ciottoli a terra. Si erano
chinati
appena in tempo verso il basso, altrimenti sarebbero stati colpiti in
pieno.
La grotta s’era riempita di grida, e Jude aveva compreso che
altri li avevano raggiunti.
Subito l’equipaggio della Royal aveva sguainato le spade,
preparandosi a difendere dall’assalto degli avversari, e il
rumore delle lame che cozzavano l’una contro
l’altra
s’era diffuso ovunque intorno a loro, complice la roccia che
ne
amplificava il suono.
Jude s’era sporto appena col capo oltre lo sperone, che era
ora
diventato il nascondiglio che difendeva lui e Ray, e i suoi occhi
s’erano riempiti d’odio non appena si erano posati
sulla
figura che era appena sbucata dal fondo del cunicolo.
Paolo Bianchi lo fissava col solito sorriso in volto, vittorioso,
trionfante.
«Davvero pensavi che ti avrei lasciato vincere
così facilmente, capitano?», l’aveva
provocato.
Jude aveva ringhiato tra i denti, facendo per afferrare
l’elsa
della sua spada. Ray, tuttavia, lo aveva afferrato per un polso.
«Aspetta un momento!», aveva sussurrato.
«Non posso lasciare i miei uomini in mezzo a una carneficina,
Ray!», aveva sbottato di rimando il ragazzo.
«Sì, ma non puoi nemmeno lanciarti là
senza avere
uno straccio di piano», gli aveva fatto notare
l’uomo.
«Oltretutto, sei ancora convalescente dopo l’ultimo
attacco…»
Jude aveva tamburellato nervosamente le dita sul proprio ginocchio.
«Che cosa proponi di fare, allora?», aveva
domandato.
Sul volto di Ray era comparso un ghigno. «Ma è
semplice,
ragazzo mio», aveva replicato infatti. «La
risolveremo come
ai vecchi tempi.»
Sul volto di Jude s’era disegnata un’espressione
confusa,
ma s’era dissipata subito nel momento esatto in cui aveva
compreso le parole di Ray. A quel punto, un sorriso scaltro
l’aveva rimpiazzata.
«Insieme?», aveva domandato Ray.
«Insieme», aveva confermato Jude.
Era stata questione di secondi: s’erano rialzati in piedi e
avevano estratto le spade dal fodero, sistemandosi schiena contro
schiena. Subito gli uomini di Paolo erano corsi nella loro direzione,
con l’intenzione di accerchiarli.
Jude s’era ritrovato almeno cinque pirati a fronteggiarlo, e
probabilmente a Ray erano toccati altrettanti. Non aveva idea di come
stesse andando la situazione per il resto del suo equipaggio, ma al
momento non poteva curarsene. C’erano solo lui, e quegli
uomini.
Battersi a duello con così tanti avversari
contemporaneamente
non era affatto una passeggiata, soprattutto se erano anche degli abili
spadaccini come in quel caso. Per di più, Jude doveva tener
conto anche della sua ferita al fianco, che era tutto
fuorché
guarita.
Inoltre, la Royal era in svantaggio numerico rispetto alla Orpheus.
Aveva lasciato la maggior parte del suo equipaggio nei pressi del
vascello poiché, non trovando nessun’altra nave in
vista,
aveva ipotizzato che i loro avversari non fossero ancora giunti. Data
l’abbondanza di uomini, qualora la Orpheus fosse approdata
dopo
di loro aveva sperato così di metterli in
difficoltà, o
quantomeno di rallentarli.
Qualcosa, tuttavia, doveva essere andato storto. Ora, però,
non aveva tempo per pensarci.
Gli uomini di Paolo si muovevano con grande agilità. Erano
veloci, per di più, e Jude faticava a stare dietro a tutti i
loro movimenti. Attaccandolo in contemporanea lo stavano mettendo in
difficoltà, ma Jude stava provando comunque ad individuare
il
punto debole di ciascuno.
Quattro lo attaccavano lateralmente, due a destra e due a sinistra,
infine uno lo fronteggiava faccia a faccia.
Jude aveva deciso di lasciarselo per ultimo.
Il ragazzo aveva sollevato la spada sopra il suo capo, e
l’uomo
che nella formazione si trovava al centro aveva fatto altrettanto,
cercando di pararsi da un eventuale fendente. Jude, tuttavia, aveva
spinto con tutto il suo peso corporeo in avanti.
L’avversario,
preso alla sprovvista, si era ritrovato a barcollare
all’indietro, concedendo così un po’ di
terreno a
Jude.
Bene. Aveva guadagnato qualche secondo. Ora poteva occuparsi degli
altri.
Era stato fortunato. Sotto di loro si trovava il bacino
d’acqua pluviale, ottimo modo per liberarsi degli avversari.
Facendo attenzione a mantenere la guardia coperta, Jude aveva tentato
un affondo in avanti. La punta della spada s’era infilzata
all’altezza dello stomaco, e subito sul volto del suo
avversario
era comparsa un’espressione di dolore. S’era
piegato su se
stesso, rantolando per il dolore, tuttavia, ormai giunto
sull’orlo dello sperone roccioso, aveva perso
l’equilibrio,
cadendo all’indietro nell’acquitrino.
Il secondo, compresa la sorte del proprio compagno, s’era
lasciato prendere dalla rabbia. Si era lanciato in avanti, tenendo la
spada tesa di fronte a sé. Jude aveva sferrato il colpo
successivo facendo roteare la propria arma dal basso verso
l’alto, colpendo così il piatto della lama
dell’avversario. L’impatto era stato
così violento
che la spada era volata via dalle mani del suo avversario, cadendo da
qualche parte, in lontananza, tra le pietre. Il volto del membro della
Orpheus s’era subito contratto in un’espressione
terrorizzata. Jude s’era limitato ad affondare in avanti,
colpendolo al petto. Poco dopo, anche il suo secondo avversario era
volato verso il basso, esanime.
Per occuparsi dei due uomini successivi, Jude aveva effettuato una
piccola piroetta su se stesso. Quando s’era arrestato, la sua
spada aveva cozzato contro quella del suo avversario successivo.
Era riuscito a fermare il colpo appena in tempo. Tenendo stretta
l’elsa tra le mani, aveva respinto la lama avversaria,
creando un
momentaneo varco nella sua guardia. Jude l’aveva sfruttato
senza
esitazioni: aveva mirato alla carotide, tranciandola di netto.
L’uomo s’era subito accasciato al suolo, rotolando
giù dalla pietra.
Rimanevano solo due avversari. Cercavano di danzargli intorno in
maniera ipnotica, ma Jude non sembrava particolarmente persuaso.
Il primo dei due si era lanciato in avanti, tenendo la spada sollevata
sopra il capo e preparandosi a sferzare un fendente laterale. Jude,
intuendo la traiettoria, aveva mirato nella direzione opposta,
ferendolo ad una gamba. Il suo avversario aveva indugiato, inciampando
nei propri passi, e Jude ne aveva subito approfittato per colpirlo: una
stoccata dritta al fianco, per poi spingerlo nel bacino sottostante con
un calcio in pieno petto.
Solo un uomo, il primo che s’era lanciato contro di lui, era
rimasto in piedi. Ora che Jude s’era lasciato una scia di
morte
intorno, lo fissava con fare guardingo, indugiando
nell’attaccarlo.
Il capitano della Royal, invece, non aveva alcuna inibizione.
Combattere fianco a fianco con Ray l’aveva riportato indietro
di
anni, quando assieme navigavano attraverso i mari con la Black Dust.
Allora nessun avversario era riuscito a sconfiggerli, e sapere che
nonostante fosse passato del tempo la loro invincibilità era
rimasta invariata aveva riempito Jude d’energia. Il ragazzo
s’era scagliato contro il suo avversario prima che
quest’ultimo potesse rendersene conto, la lama della spada
che
gli aveva trafitto la gola da parte a parte. L’uomo
l’aveva
fissato, esterrefatto, mentre la vita lo abbandonava. Continuando a
tenerlo infilzato per la gola, Jude gli aveva sollevato il corpo,
finché non s’era ritrovato sopra il bacino
d’acqua.
A quel punto, il capitano della Royal aveva inclinato appena la propria
lama, lasciando che l’ultimo cadavere affondasse
nell’acquitrino.
Liberatosi finalmente dei suoi assalitori, Jude s’era
voltato:
alle sue spalle, Ray era circondato dai corpi privi di vita degli
uomini che lo avevano attaccato. Come aveva immaginato, l’ex
capitano della Black Dust non aveva perso la sua destrezza nel duello.
«Ottimo lavoro», aveva commentato Ray, soddisfatto.
Jude aveva sorriso orgoglioso, le gote che s’erano
imporporate
appena. Si era poi voltato, osservando la situazione nel resto della
grotta.
L’equipaggio della Royal, seppure in inferiorità
numerica,
se l’era cavata alla grande contro la Orpheus. La ciurma di
Jude,
infatti, era riuscita a respingere l’attacco senza alcuna
difficoltà. L’unico a sembrare ferito era David,
ma si
trattava di un taglio al braccio per nulla profondo o grave, visto che
il suo vice continuava a muoversi agilmente e privo d’affanno.
Dei nemici, l’unico ad essere ancora in piedi era Paolo.
Guardava
attorno la disfatta del suo equipaggio, senza riuscire a capacitarsene.
«Non è possibile!», aveva gridato,
disperato.
Prima che Ray riuscisse a fermarlo, Jude era corso giù dallo
sperone del tesoro, la spada sguainata.
Paolo aveva estratto la propria appena in tempo, quando ormai Jude gli
era arrivato davanti. Le lame s’erano scontrate con violenza
inaudita, lanciando scintille tutt’intorno.
«Non ho mai conosciuto qualcuno vigliacco quanto
te»,
l’aveva deriso Jude. «Combatterai anche al fianco
dei tuoi
uomini, ma ti lanci contro qualcuno solo se sai di essere in
superiorità numerica.»
Il ragazzo gli aveva rivolto una smorfia beffarda. «Non ci
vedo
nulla di male», aveva replicato. «Dopotutto, a chi
non
piace vincere?»
Jude aveva trattenuto un ringhio tra i denti. «Quando mi hai
attratto nel vicolo devi aver capito che il mio punto debole era
Ray», aveva continuato. «Non so come, ma ci sei
arrivato.
Così, pur di mettermi alle strette, hai cercato di
ucciderlo,
consapevole che avrei fatto di tutto pur di salvarlo, compreso
prendermi il colpo al posto suo.»
Le lame s’erano separate, e i due capitani avevano
cominciato a girarsi attorno, entrambi concentrati e famelici.
«Un modo valeva l’altro», aveva ribattuto
Paolo
ancora una volta. «Non ho mai voluto mettere in pericolo la
vita
di Dark, ma se questo significava arrivare a te non avevo
alternative.»
«Una cosa però non mi è
chiara», aveva
ripreso Jude. «Quando siamo arrivati non abbiamo trovato
traccia
da nessuna parte della Orpheus. Perché?»
Paolo aveva sogghignato, scaltro. «Dopo essere approdati ho
chiesto ai miei uomini di circumnavigare l’isola»,
aveva
spiegato. «Sapevo che si trattava solo di una questione di
tempo
prima che ci raggiungeste. Non avremmo mai fatto in tempo a portare via
il tesoro prima del vostro arrivo, così ci siamo nascosti,
in
agguato. Abbiamo atteso che arrivaste, dopodiché vi abbiamo
seguiti fin qui, senza che ve ne accorgeste.»
Sul volto di Jude era comparsa un’espressione compiaciuta.
«Un buon piano, te lo concedo», aveva ammesso.
«Peccato che tu non abbia tenuto conto di una cosa.»
«Di cosa?», aveva domandato Paolo, inarcando un
sopracciglio.
Prima che potesse rendersene conto, Jude era scattato fino a
raggiungerlo, i volti che per poco non si sfioravano.
«Del mio risentimento.»
La spada di Jude aveva colpito la sua, sfruttando a proprio vantaggio
l’improvviso abbassamento della guardia di Paolo, confuso dal
movimento repentino, e questa era volata via, lontano.
Jude aveva sogghignato, vittorioso. Era la seconda volta che lo
disarmava.
Il capitano della Orpheus era caduto in ginocchio, inerme.
Jude aveva estratto la pistola dal fodero della giacca, stringendola
con forza tra le dita.
«N‒No! Aspetta, non farlo, posso ancora tornarvi utile come
alleato!», l’aveva scongiurato Paolo.
Un sogghigno era comparso sul volto di Jude. «Ancora non
l’hai capito?», aveva domandato, il volto che
tornava
mortalmente serio. «Io non me ne faccio niente di
te.»
Uno sparo.
Poi, il silenzio.
Il corpo di Paolo Bianchi era caduto all’indietro,
nell’acqua, mentre sangue copioso sgorgava dal suo cadavere.
▬
notes
Ah,
sono stanca. Sono due giorni che giro come una trottolina e mi sto
concedendo del tempo per editare soltanto adesso. Com'è che
avevo detto? "Nono voglio più procrastinare"?
Comunque, ah. Questo capitolo mi dà soddisfazione. Non so
bene
perché, forse credo di aver reso bene la scena del
combattimento. Giuro, è da tutta la vita che faccio pena
nelle
descrizioni con un po' più di "azione", eppure tra la storia
dei
maghi e questa ho avuto modo di scrivere spesso spezzoni del genere, di
recente. E non so, forse sto migliorando nel fare qualcosa, potrei
essere un pochino proud di me.
Questo era l'ultimo capitolo prima dell'epilogo, e anche qui di cose ne
sono successe. Anzitutto ovviamente Jude si è salvato, non
che
ci fossero molti dubbi ma il nostro caro ragazzo è riuscito
comunque a farci stare un poco in apprensione, dai, ammettiamolo.
Lui e Ray che bisticciano sul ponte della Royal come la old married
couple quale sono, inoltre, mi fanno letteralmente schizzare cuoricini
da tutti i pori (?)
Aehm. Serietà.
Finalmente i nostri eroi hanno trovato anche il tanto agognato tesoro,
ma, nel momento esatto in cui sono finalmente sul punto di gioire per
aver raggiunto la meta che per lunghi anni avevano cercato, la Orpheus
li raggiunge. Sì, c'era da aspettarselo in effetti.
E vorrei dire di essere dispiaciuta per la fine di Paolo, ma
sinceramente la cosa non mi ha toccata più di tanto. Anzi,
vorrei quasi dire di essermi divertita a scrivere della sua morte visto
che aveva causato guai ripetutamente ai miei bimbi, ma
eviterò di farlo per non essere linciata.
Ad ogni modo, per questo capitolo credo di avervi detto tutto, per cui
ci vediamo domenica con l'epilogo tranquilli,
sarà decisamente più breve dei precedenti
aggiornamenti. Sniff, ma ci rendiamo conto? Questa
sarà la seconda storia che porto a termine nel 2020 in teoria ho finito
prima diwk ma vbb #Ariaproud
See ya,
Aria
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Capitolo 6 *** Epilogue – Sea ***
Il cielo terso sembrava essersi fuso con il mare.
Non c’erano onde né vento a ostacolare la loro
navigazione, e gli uomini a bordo si muovevano con solerzia, ma al
tempo stesso con tranquillità.
Jude non ricordava di aver mai visto una mattina limpida come quella.
In piedi a prua della nave, le braccia conserte, osservava
l’oceano cristallino che si lasciavano alle spalle e quello
che li attendeva ancora davanti.
Ce l’aveva fatta. A soli vent’anni, era diventato
il capitano del vascello più potente del globo intero.
Il ritrovamento del tesoro fantasma, ora gelosamente custodito nella
stiva della Royal, era il coronamento di un sogno, ma
altresì la dimostrazione di essere riuscito in tutto
ciò in cui i suoi predecessori avevano fallito.
Jude aveva chiuso gli occhi. Aveva inspirato una profonda boccata
d’ossigeno, riempiendosi i polmoni del profumo del mare. Era
così delizioso che un sorriso era genuinamente comparso sul
suo volto.
«Ti godi il successo?»
Jude aveva avvertito i passi alle sue spalle, così come le
braccia che, poco dopo, gli avevano cinto la vita, ma non aveva
comunque sollevato le palpebre, continuando a godersi la brezza fresca
del mare sulla pelle.
«Sai qual è la cosa più gratificante,
in tutto questo?», aveva domandato il capitano della Royal,
strofinando il capo contro il petto della persona alle sue spalle.
«Uhm, non saprei, che sei diventato il capitano di una nave
pirata più temuto di tutti i tempi, superandomi?»,
aveva chiesto Ray. Le sue dita si erano intrecciate tra i capelli
castano dorati del ragazzo, accarezzandone con premura le ciocche.
«No.» Jude aveva riaperto gli occhi, voltandosi
verso l’uomo. «Che sei al mio fianco.»
Ray aveva sogghignato. La mano era scesa dai capelli al volto di Jude,
cominciando a carezzargli una guancia.
«E sentiamo, quali sono adesso i tuoi piani,
capitano?», gli aveva domandato ancora, incapace di
distogliere lo sguardo dagli occhi di Jude, di quel rosso
così magnetico e ipnotizzante.
Jude aveva sorriso, abbandonandosi alle sue carezze.
«Beh… per prima cosa faremo rotta su Black
Dust», aveva spiegato il ragazzo. «Il tesoro
fantasma sarà decisamente più al sicuro nelle
inespugnabili casseforti nei sotterranei del tuo palazzo. Con la
fortuna che abbiamo trovato sia la flotta che l’isola saranno
in grado di sostentarsi per molto tempo.
Dopodiché… non penso che mi fermerò
per molto. Il tempo di riposare, sia io che la ciurma, e di sistemare
la nave nei punti in cui è stata danneggiata, per poi
riprendere il mare. Sarebbe bello riuscire finalmente a fermarsi,
godersi la quiete della vita sulla terraferma… ma la
verità è che comincio a pensare che per me sia
impossibile. Non riesco a stare troppo a lungo lontano
dall’acqua, è un richiamo troppo forte per
me… e poi voglio viaggiare, scoprire, arrivare dove nessuno
è ancora approdato…»
Gli occhi di Jude si erano persi nell’orizzonte davanti a
loro. Una coppia di gabbiani era sfrecciata accanto alla Royal, per poi
volare altrove, lontano. L’acqua limpida
s’infrangeva contro lo scafo della nave, mentre una brezza
leggera gli faceva ondeggiare i vestiti contro il corpo.
E Jude ne aveva avuto la certezza: era quella la vita che avrebbe
voluto condurre per il resto dei suoi giorni, e non ne sarebbe mai
potuta esistere un’altra diversa.
Ray gli aveva accarezzato il collo, godendosi il sussulto che era stato
in grado di suscitare in lui.
«Mh… e io dove mi collocherei in questo splendido
disegno?», aveva chiesto.
Jude s’era morso un labbro. «Questo devi dirmelo
tu, in realtà», aveva commentato. «Non
posso scegliere per te, Ray. Se il tuo desiderio sarà quello
di fermarti nuovamente a Black Dust, io non potrò far altro
che assecondarlo.»
Lo aveva messo in conto, ovviamente. Rinunciare a svegliarsi ogni
mattina e trovare Ray al proprio fianco era per Jude un sacrificio, ma
sarebbe stato disposto a sopportarlo, se solo questo avesse significato
la serenità dell’uomo che amava. Anni addietro si
era fermato su quell’isola, a cui aveva dato lo stesso nome
del suo veliero, perché aveva scelto di mettere la parola
fine alla propria attività di pirata. Jude era ripartito,
incapace di sopportare la lontananza dall’avventura, ma
quando era tornato Ray l’aveva seguito, perché
entrambi avevano scoperto che separarsi era divenuta una tortura. Jude,
però, aveva sempre pensato che Ray l’avrebbe
seguito solo in quell’ultima avventura, il tempo di
vendicarsi della Zeus per poi tornarsene alla vita tranquilla e
pacifica dell’isola. Quello con la Orpheus, in
realtà, era stato un incidente che aveva prolungato la loro
navigazione, ma adesso che era tutto finito e che stavano tornando a
Black Dust nel migliore dei modi, ovvero con il più ricco
dei tesori a bordo, avrebbe avuto senso continuare a viaggiare? Ray
sarebbe rimasto con lui?
Jude continuava a chiederselo da quando avevano ripreso a navigare.
Più ci pensava, e più non riusciva a darsi pace.
Non voleva restare di nuovo lontano da Ray, ma non voleva neppure che
si sentisse costretto ad assecondare i suoi sciocchi capricci.
Ray l’aveva fissato. Sembrava aver letto qualcosa, in quei
suoi occhi rosso sangue – forse, dopo aver passato
così tanto tempo insieme, riusciva ormai a leggergli nel
pensiero, aveva ipotizzato Jude.
«E così», aveva commentato
l’uomo, prendendogli il volto tra le mani «pensi
davvero che, dopo tutte le avventure che abbiamo affrontato insieme, io
possa continuare a restare lontano da te, eh, Jude?»
«Beh, ecco io‒»
Ray aveva posato un indice sulle sue labbra. «Ascolta. Se ti
ho seguito è perché voglio stare con te. E non
c’è motivo per cui io possa smettere di
desiderarlo. Ti seguirò anche in capo al mondo, se solo
così potrò assicurarmi di restarti
accanto.»
Un calore rassicurante s’era divampato nel petto di Jude.
«Ray…»
«Shh.»
Ray s’era chinato sulle sue labbra. Era stato un bacio
dolcissimo, e il cuore nel petto di Jude aveva preso a battere
all’impazzata nel momento in cui si era reso conto che quella
era la prima volta che lo baciava in presenza di altri elementi della
ciurma.
A Jude non importava. Non voleva più nascondersi. Tutto
ciò che desiderava era poter restare al fianco di Ray, per
sempre.
Ray s’era allontanato appena da lui, solo per permettere ad
entrambi di riprendere fiato.
«Mostrami la strada, capitano», l’aveva
pregato.
Jude aveva chiuso gli occhi, sorridendo beato. Chissà se era
mai stato tanto felice come in quel momento.
Davanti a loro, una distesa di mare limpido li attendeva, pronto per
essere esplorato.
▬
notes
E anche quest'avventura,
così come l'estate, giunge al termine, signori.
Sono felicissima di aver cercato di tenervi un po' di compagnia lungo
questi mesi torridi, e adesso non riesco a fare a meno di essere un po'
malinconica. Mi ricordo dei giorni caldi di luglio, passati a scrivere
questa storia, col ventilatore usb rigorosamente collegato al pc e
puntato addosso a me per non morire di caldo.
È stato faticoso in alcuni momenti, lo ammetto. Pubblicare
sia Do I Wanna Know che Heart of the Ocean in contemporanea ha
comportato un po' di stress, soprattutto quando mi sono ritrovata
aggiornameni ravvicinati e separati giusto da un paio di
giorni, dove il tempo per editare era poco ma i capitoli... beh, mi
conoscete, quelli ovviamente erano lunghi ^^
Ad ogni modo, le avventure dei nostri amati personaggi si concludono
qui. Tuuto è bene quel che finisce bene, mentre davanti a
loro si prospetta un futuro ricco di amore e avventure.
E le nostre di avventure, invece? Beh, non c'è molto da
dire: mi mancano gli ultimi tre aggiornamenti di diwk, che mi terranno
occupata per tutto settembre – sebbene per fortuna con un po'
più di respiro, finalmente –,
dopodiché... oh, in realtà non lo so. Forse mi
prenderò una pausa chi lo sa. In ogni caso, il futuro
è imprevedibile, mai farsi troppi piani.
Prima di salutarvi, volevo ringraziare chiunque abbia seguito questa
storia. Spero che vi sia piaciuta, che non vi abbia delusi e
soprattutto che sia riuscita ad intrattenervi, almeno un po'.
Bene, credo che adesso sia finalmente giunto il momento di andare. Ma
ricordate, ciurma, siate sempre pronti a spiegare le vostre vele al
sopraggiungere di un vento favorevole, e non smettete mai di cercare
nuove avventure!
Ancora grazie
Aria
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