Memorie

di Manu_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come dei grimm ***
Capitolo 2: *** Un modello da seguire ***
Capitolo 3: *** Vecchio Bert ***
Capitolo 4: *** Risentimento ***
Capitolo 5: *** L'Eroe, il Brigante e il Tesoro ***
Capitolo 6: *** Sotto il sole di Menagerie ***
Capitolo 7: *** La Compagnia ***
Capitolo 8: *** Colazione! ***
Capitolo 9: *** Figlio prediletto ***



Capitolo 1
*** Come dei grimm ***


Come dei grimm

La signora Clarice correva a perdifiato fra i grigi vicoli della periferia di Mantle, maledicendo il giorno in cui aveva osato mettere piede nei quartieri meno raccomandabili dell'ex capitale del regno, a tarda sera per di più!
Tutta imbottita nei suoi vestiti pesanti e poco adatti per qualsiasi tipo di andamento differente dal camminare, la grassa signora in rosa doveva essere sembrata una preda ben facile per tutta la massa di malviventi che si aggiravano in quei vicoletti a tarda ora, sempre pronti ad inseguire una rispettabile signora come lei per strapparle la borsa, o rapirla, o minacciarla... o peggio.
Persa com'era a fantasticare sulle terribili azioni che quei malviventi avrebbero perpetrato a suo danno, la signora atlesiana non si accorse del bidone della spazzatura che stava per prendere in pieno.
E in pieno lo prese, lo schianto fu così forte che la grossa pattumiera scivolò in avanti per almeno due metri, e lì si sarebbe fermata se la donnona, scivolata a sua volta sul ghiaccio fresco formatosi lungo l'asfalto, non la urtò per una seconda volta, trascinandola con se nella lunga scivolata verso il fondo del vicolo.
Lo schianto fu ancora più grande del precedente, e la signora Clarice rimase intontita a lungo, con la faccia incollata al verde della pattumiera e a quella scia scura di sporcizia o muschio che si era formata sulla superficie liscia del grande bidone.
Risucchiando all'interno del naso quello che sparava non fosse assolutamente del sangue, l'anziana donna trovò la forza per girarsi su se stessa, e anche quella per maledirsi all'istante:
Scattò all'indietro, sbattendo la nuca contro la già ammaccata pattumiera e facendo cadere una lattina sporca sui suoi capelli grigiastri, il cappello di lana era finito chissà dove, ma non era questa, al momento, la sua prima preoccupazione.
<< Lontani da me! Lontani! >>
Come impazzita, iniziò a dimenarsi mentre dieci esserini scuri si avvicinavano verso la loro preda, armati con rozzi bastoni e coltellacci tirati fuori dall'immondizia.
Era buio, e non poteva distinguere con chiarezza le loro sagome, almeno fino a quando non furono così vicine da potersi specchiare nei loro occhietti malvagi.
In particolare, lo sguardo della signora Clarice venne risucchiato verso la sagoma centrale, riflettendosi negli occhiacci grigiastri del suo primo aggressore, una creaturina sporca dai capelli arruffati, infestata di non si sa quante malattie e parassiti.
Ma non era solo la sporcizia od il pessimo odore di quel vicolo a ripugnare la donna aggredita, ma lo sguardo dei quella creatura ferina uscita da chissà quale antico oltretomba, uno sguardo carico di malizia come quello di un piccolo satiro capriccioso, immagine a cui ben si legava il sorrisetto crudele del mostriciattolo.
Quell'immagine orrenda fu troppo per la signora Clarice, il cui urlo angoscioso riecheggiò per le vie di Mantle senza essere udito da anima viva.


Scostandosi i capelli troppo cresciuti dalla fronte, il piccolo furfante stava frugando nella borsa strappata al corpo svenuto della signora, con lo scopo di fare incetta dei beni guadagnati, i quali stavano venendo ammucchiati sul legno marcio di una vecchia panca dalla vernice verde ormai rovinata.
Dopo aver terrorizzato a morte la signora ed averla alleggerita dei suoi beni, la banda di sette mocciosi si era saggiamente allontanata dal luogo del delitto, trasferendosi in un vecchio parco civico chiuso da ancora prima che nascessero a causa dell'amianto con cui erano costruite le strutture d'intrattenimento e della disastrata pavimentazione in cemento che era costata non pochi denti da latte ai bambini che vi erano passati sopra quando la zona era aperta.
Ciò ovviamente non aveva scoraggiato quelle piccole bestie a farne il covo dove rifugiarsi in seguito alle loro scorribande notturne, del resto di quei posti Mantle ne era piena, e tale era il contrasto con l'opulenza della volante Atlas, che la miseria della città sottostante era ormai diventata l'elemento distintivo con cui l'ex capitale del regno si presentava al mondo.
Ammucchiando inutili chincaglierie sulla panca con la fretta di chi doveva tornare a sostenere la sua eterna lotta con i pidocchi, un esseruncolo dagli occhi di ardesia pareva, considerando la sua espressione delusa, essere sul punto di gettare via la refurtiva e dichiarare la missione un fallimento, almeno finché le sue unghie non tagliate riuscirono a fendere il fondo della borsa, strappando la copertura in tessuto e rivelando una piccola fessura interna.
Capendo di cosa si trattava, un sorrisetto maligno si formò sul viso della peste.
<< Allora, Ion? >> chiese Simon, un ragazzino rosso e lentigginoso, con la sua voce sibilante dovuta all'assenza di ben quattro denti nella sua bocca.
<< Bingo. >>
Senza aggiungere altro, i restanti membri della squadra si strinsero al loro temporaneo leader, per poi ammirare con un “oooh” collettivo il sottilissimo portafoglio che Ion estrasse dalla borsa.
<< E con questo, non è stata una perdita di tempo. >> commentò Laszlo, il più grosso del gruppo, la cui natura (e ingordigia) gli avevano conferito un fisico robusto e imponente, tanto da superare i suoi coetanei Ion e Simon di una quindicina di centimetri, la sua pubertà era iniziata ben prima degli undici anni, e chissà quando si sarebbe mai fermata.
<< Bene, possiamo andare, Bert ci massacra se scopre che siamo fuori a quest'ora. >>
La voce esitante di Simon indispettì il piccolo capo.
<< Certo, prima si farà spuntare la gamba che gli manca e poi inizierà a correre come se non avesse tre quintali di lardo addosso. >>
Una risata si levò nel gruppo, smorzando la tensione di quell'incursione notturna.
<< Anche se, forse se si mette a rotolare qualche possibilità potrebbe averla, beh, da sobrio magari, cioè mai! >>
Katia, una bambina stranamente graziosa per gli standard dell'orfanotrofio, sapeva rivelarsi un'ottima spalla comica, ma quell'aspetto da angelo biondo e quel sorriso perenne sulle sue labbra la rendevano agli occhi di Ion più una minaccia che un'alleata.
Contrariamente Laszlo, grosso e ottuso, con i capelli di un castano anonimo e il brutto viso di chi è sempre pronto ad alzare le mani, gli ispirava, paradossalmente, il doppio dell'affidabilità.
Ma per quella sera non c'era spazio per le antipatie fra bambini, il branco aveva colpito con successo, ed ora si sarebbe diviso il bottino.
Facendo ben attenzione ad infilarsi una manciata di lien in tasca prima di procedere al razionamento, Ion iniziò a distribuire il premio fra i membri del gruppo, se esistevano gli dei, quella sera avevano avuto la bella idea di farsi gli affaracci loro!
<< Siamo stati grandi, che dico? Grandissimi! >>
La voce stridula di Lloyd, un essere gracile i cui tratti facevano pensare più ad un figlio di Anima che ad un nativo di Mantle, aveva lo sgradevole dono di irritare Ion in meno di due parole.
<< Ci siamo comportati come dei cacciatori! >>
Ion alzò un sopracciglio, visibilmente confuso.
<< Cacciatori? >>
Lloyd annuì, inconsapevole del sussulto collettivo di almeno tre ragazzini.
<< L'abbiamo braccata, l'abbiamo aspettata dove sapevamo sarebbe fuggita e l'abbiamo incastrata in un vicolo cieco, come i cacciatori che inseguono i grimm! >>
<< Sei serio? Non ce li vedo dei cacciatori ad inseguire una vecchia grassona per le strade. >>
Lloyd non poté ribattere, del resto era vero, la loro condotta non era proprio quella che avrebbero avuto dei cacciatori, tutt'altro, se dei cacciatori fossero stati presenti, nel più idealizzato dei casi li avrebbero presi per le orecchie e riportati da dove erano venuti, o in caserma se li avessero sorpresi dopo aver fatto svenire la donna.
Nel più realistico, probabilmente li avrebbero presi a ceffoni, e di santa ragione.
<< Credo che quello che abbiamo fatto sia proprio tutto ciò che dei cacciatori disapproverebbero, beh, almeno quelli buoni, sapete a cosa assomigliamo semmai? >> chiese, ora rivolgendosi al resto del pubblico?
<< A dei parassiti? A dei morti di fame? A dei fauni? >>
<< Apprezzo il tentativo Laszlo, ma no, sembriamo dei grimm, un branco di grimm che insegue le persone per bene, e visto il buio, forse quella grassona pensava di essere inseguita da un branco di rattle. >>
Nessuno rispose e nessuno rise, Ion non se ne meravigliò affatto.
Grimm da loro e per loro era un insulto, la più bassa forma di vita (più di un fauno a detta di alcuni) presente in tutta Remnant, sempre se di vita si trattava, un puzzolente essere nerastro capace solo di fare del male agli altri.
Non era un paragone gentile, ma nemmeno loro erano propriamente gentili, e nei suoi momenti di riflessione, Ion non poteva non pensare di avere più punti in comune con una maleodorante creatura selvaggia che con un eroico paladino degli indifesi.
Lasciò stare la borsa e provò a specchiarsi sullo schienale metallico della panchina, i suoi capelli cespugliosi e lerci ed il viso sporco confermavano i suoi sospetti, e si scoprì ferito dalla sua stessa insinuazione.
Ma non c'era nulla di male, significava che sapeva quello che faceva, sapeva che inseguire una grassona per rubarle la borsa non era una cosa giusta, e, coerente con se stesso, avrebbe accettato il nome grimm assieme allo stile di vita che aveva scelto.
Notando che il resto della squadra lo stava osservando (e probabilmente si stava ponendo legittime domande sulla sua salute mentale), la peste decise di ricomporsi, finì di svuotare la borsa, distribuì a chi ne era interessato le chincaglierie di scarso valore al suo interno.
Tenne saggiamente per sé una confezione di fazzoletti ed un vecchio anello, e sotto lo sguardo di una placida luna, si diresse nel luogo più simile ad una casa che aveva assieme al resto della sua sfortunata compagnia, del suo branco di grimm.

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Capitolo 2
*** Un modello da seguire ***


Un modello da seguire

Nelle sue giornate no, cioè tutte quante, la direttrice era solita paragonare lui e i suoi amici a degli animali, e con gli animali condividevano molte cose: la sporcizia, l'aggressività, lo stato dei capelli (spesso oggetto di spiacevoli paragoni con la pelliccia lercia dei cani randagi che affollavano i vicoli circostanti l'edifio), e via dicendo.
Ma su una cosa differivano totalmente dalle belve: la territorialità, a loro mancava del tutto, del resto, come si poteva essere gelosi di quell'edificio cadente che chiamavano “casa”?
Neanche un po', rifletté Ion, per questo ritenne che quali che fossero le intenzioni della ragazza entrata dalla finestra con fare alquanto sospetto e che ora si stava riposando sulle assi scricchiolanti della soffitta, non costituivano un suo problema fintanto che non avesse allungato le mani verso i suoi già miseri beni.
Un animale avrebbe aggredito un intruso entrato nel suo territorio, ma ben inteso a non offrire a quella vecchia megera ulteriori spunti per i suoi poco lusinghieri paragoni, il moccioso decise di avvicinarsi con cautela all'intrusa.
La ragazza era bella, oggettivamente parlando, Ion lo riconobbe subito, ma bella non era di certo l'unico aggettivo che poteva venirgli in mentre mentre avanzava sulle assi pericolanti della vecchia soffitta.
La luce filtrava da una piccola finestra ovale, illuminando come un riflettore la ragazza addormentata sopra una pila di vecchi panni, ed il ragazzino non poté non soffermarsi ad ammirarla.
Doveva avere quattro o cinque anni su più di lui, non era un'adulta, ma nemmeno una “mocciosa” come Ion, doveva essere nel bel mezzo della pubertà, eppure la pubertà coincideva spesso con brufoli, strane chiazze di peluria e arti sproporzionati, ed invece la pelle della ragazza sembrava priva di imperfezioni.
Ma questo era solo il secondo dettaglio che Ion poté evidenziare, anzi, il terzo, perché gli altri due erano, oltre che più importanti, visibili anche a svariati metri: i capelli bianchi come neve e le due orecchie da volpe dalle punte affilate che spuntavano dal manto bianco.
Un fauno, forse in fuga da qualche persecutore? Forse era stata incolpata di qualcosa? O cercava semplicemente riparo per la notte gelida?
Eppure a guardarla nessuno avrebbe detto che fosse un'indigente come la maggior parte degli abitanti di quel quartiere alla periferia di Mantle, come? Merito del terzo punto che fece retrocedere quello precedente: i suoi abiti.
Dominata dal colore azzurro sia nel lungo abito dal fondo ampio, dalla maglia sottostante e nelle calzature, l'ospite inattesa sembrava più una principessa che una fuggitiva, e se non fosse stato per le due orecchie da fauno, Ion non avrebbe faticato a collocarla nell'alta società della città volante di Atlas.
E se l'idea di un membro dell'alta società di Atlas che si trovava a dormire nella loro finestra era curiosa, l'idea di un fauno dai vestiti anche ricercati finito chissà come nella soffitta lo era ancora di più.
Come comportarsi?
Ion non era territoriale, ma quale bambino non si sentirebbe attratto dall'idea di un curioso estraneo nella propria soffitta?
Estraneo che tra l'altro non sembrava proprio un poveraccio salito qui per non stare al freddo?
Anzi, visto che sembrava passarsela bene, che male ci sarebbe stato ad alleggerirle le tasche in cambio della calorosa ospitalità?
In meno di due secondi Ion si era guardato attorno per prevenire l'arrivo di eventuali rompiscatole, poi, appurato che nessuna faccia familiare sarebbe arrivata a chiedergli una parte del bottino a furto compiuto, si decise ad avanzare verso la bella addormentata.
Era mattina, forse non aveva molto tempo, ragion per cui non aspettare un secondo di più.
<< Fermo lì. >>
Ecco.
Mai una volta che le cose gli vanno bene.
Giusto il tempo di provare a chinarsi che l'intrusa si era svegliata (ammesso che stesse davvero dormendo), spalancando il suo occhio azzurro in direzione di Ion proprio nell'istante in cui si apprestava ad allungare le sue manacce sulle sue tasche.
Fu così improvviso da spaventarlo, provò a balzare all'indietro, ma inciampò su qualche oggetto non meglio definito ed atterrò sul sedere, biascicando un imprecazione per non svegliare l'intero edificio.
Dal canto suo, l'intrusa si limitò a fingere di non voler ridere, ma quel suo nascondere senza troppo impegno la risatina dietro una mano era solo un motivo in più per farsi rovinare la mattinata.
Colto in flagrante e umiliato, beh, nulla di nuovo sul fronte degli insuccessi.
Deciso a non dargliela per vinta all'intrusa, Ion si impose di non arrabbiarsi, urlare o piagnucolare per il dolore al didietro, non le avrebbe dato altri motivi per prendersi gioco di lui!
<< Sai, se volevi qualcosa avresti potuto semplicemente chiederlo. >>
Non c'era malizia nel tono dell'intrusa, ma Ion non poté fare a meno di cogliere una nota di superiorità in quella frase.
<< E tu avresti potuto chiedere di dormire in soffitta... >>
Si rialzò, indeciso se rimanere lì a parlare o correre via per avvisare gli altri.
La ragazza rispose con un'alzata di spalle.
<< Vero, ma non credo di star togliendo niente a nessuno dormendo qui, nel tuo caso la cosa è un po' diversa... >>
Senza aggiungere altro, portò la mano destra nella tasca ed estrasse una manciata di lien, Ion non aveva dubbi ne avesse altri con se, ma un regalo non si rifiuta mai.
La volpe infatti, contro ogni logica esistente nella mente del ragazzino, porse le banconote al suo interlocutore.
<< Offerta di pace? >>
Diffidente per natura (e per esperienza), Ion squadrò l'offerta con lo sguardo di chi si aspetta una trappola, ma alla fine decise di dare fiducia alla nuova arrivata, nel peggiore dei casi avrebbe ricevuto soldi finti, quindi si avvicinò esitante e prese in mano i lien, per poi allontanarsi con la rapidità di una lucertola.
<< Calma, non mordo, sembro davvero così minacciosa? >>
<< Non serve sembrarlo per esserlo... ma accetto il regalo e non dirò niente, agli altri si intende, a te chiedo cosa ci fai qui. >>
L'intrusa assunse una finta espressione pensierosa, come se non avesse la risposta già pronta.
<< Io? Ah sì, aspettavo il mio ragazzo. >>
<< Strano posto dove aspettarlo. >>
<< Per questo nessuno ci sorprenderà mai, guai a non crederci, magari in questo momento sta scalando l'edificio. >>
Tese una delle due orecchie verso la finestra, poi imitò un suono si sfregamento con le labbra.
<< Visto? Attento, potrebbe vederti e attaccarti. >>
Più divertito che impaurito, Ion provò ad immaginarsi un ragazzo di quell'età intento a passare per quella stretta finestra ovale.
<< Il tuo tipo picchia i bambini? Non hai dei bei gusti... >>
Questa volta contrasse il volto nella parodia di un'espressione contrita, in conflitto fra l'amore per il suo ragazzo immaginario e il disprezzo per la sua immaginaria violenza sui bambini.
<< In effetti credo che siamo troppo diversi, il mio tipo non è persona da picchiare i bambini, anche se glielo ordinassero, e poi lo immagino un po' opposto a me. >>
Ion alzò un sopracciglio, poco convinto.
<< Cioè tu picchieresti i bambini? >>
<< Ci sono molti modi per essere diversi, no, non ti picchierò se la cosa ti preoccupa, e credo che lascerò il mio ragazzo. >>
Superata la ritrosia iniziale, Ion non poteva non ammettere che l'occupante abusivo della loro vecchia soffitta fosse una persona più simpatica della maggior parte di quelle che avesse conosciuto.
<< Ora sì che mi sento al sicuro! >>
<< Bene. >> le sorrise il fauno << Ora, dal momento che io non intendo picchiarti e che mi sono lasciata con quel violento del mio ragazzo, ti senti più tranquillo? >>
<< Io sono tranquillo, tranquillissimo! >>
Il fauno rise << Ok scusa, non volevo mettere in dubbio il tuo coraggio, sei arrabbiato? >>
<< Se continui... no, non lo sono, ma davvero, perché sei qui? >>
<< E tu perché sei qui? >>
<< Ho la sfortuna di abitarci. >>
Il fauno sbatte le palpebre con perplessità, poi cambiò posizione, mettendosi seduta sulle ginocchia, non le ci volle molto per capire in che posto fosse finita.
<< Chiedo scusa, ma non ho il tempo di soffermarmi su in che genere di edificio sto entrando quando vengo inseguita... >>
<< Inseguita? >>
La ragazza annuì.
<< Credo che a questo punto sia inutile nasconderlo, poi mi sembra giusto darti delle spiegazioni sul perché potresti trovarti qualche pattuglia delle guardie dentro casa, sono una ladra, e sono entrata qui perché mi stavano cercando. >>
Ion alzò le spalle, come se la nuova arrivata gli avesse detto che il sole sorge ad est.
<< Felice che la cosa non ti turbi molto. >>
<< Beh, diciamo che anch'io rubo, ma non così tanto da farmi inseguire dalle guardie fino a casa. >>
Per qualche motivo la ragazza lo trovò divertente, e Ion se ne indispettì.
<< Scusa. >> iniziò notando l'occhiataccia che il ragazzino stava tornando a scoccarle << Ma è naturale che non ti abbiano mai inseguito, non credo che tu abbia rubato... questo. >>
Sollevò la borsa, e sebbene non ne tirò fuori il contenuto, Ion poteva notare un tremolio nel braccio della fuorilegge, qualsiasi cosa avesse preso doveva pesare più di lui.
<< Comunque, siccome ormai stiamo parlando da un po' tanto vale presentarci, puoi chiamarmi Darkness, e tu? >>
Darkness?
Che nome è Darkness?
Ion ci rifletté un po', ed arrivò alla conclusione che se era davvero una fuggitiva, non le poteva certo convenire sbandierare il suo vero nome a chiunque le si presentasse, oppure aveva solo adottato un assurdo nome d'arte.
Lui invece non doveva preoccuparsi (non ancora) di essere ricercato, quindi evitò di fare domande e si presentò con il suo vero nome.
<< Ion, quindi sei entrata qui per non farti arrestare? Non hai proprio l'aspetto di una ladra... >>
<< Ow, che gentile, ma vedi, se avessi l'aspetto di una ladra non sarebbe più difficile portare a termine i miei furti? >>
C'era qualcosa nel suo modo di fare che lo incantava, mettendo da parte ogni diffidenza, Ion si avvicinò a lei, facendo attenzione a non mettere piede sopra qualche cianfrusaglia delle tante che popolavano il pavimento della soffitta, per poi posizionarsi su un vecchio scatolone stracolmo di paccottiglia.
Da lì, il centro della stanza, Ion non poteva fare a meno di aguzzare lo sguardo sulle pareti e le assi della soffitta, notando come, visti da quella precisa angolazione sotto quella particolare luce di quel momento del giorno... niente, apparivano ancora più spoglie e miserevoli di quanto non fossero già.
<< Il ragionamento non fa una grinza, ormai la gente si fruga nelle tasche non appena mi vede. >>
<< Mi spiace, ma proprio per questo è importante non sembrare il primo ladro di strada che puoi trovare... >>
<< Vero, ma allo stesso tempo dovrei rubare per permettermi vestiti puliti come i tuoi. >>
Ion lo ammise senza vergogna, quegli abiti erano vecchi di qualche anno, così rattoppati e pieni di graffi e macchie scolorite che chiunque se lo sarebbe trovato davanti non avrebbe potuto fare a meno di pensare a lui come a uno straccione pronto a derubarlo.
E certamente non avevano tutti i torti.
<< A proposito come hai fatto ad averli? Quante volte hai dovuto rubare? >>
Come stuzzicata da quella domanda, Darkness rispose con un ghigno enigmatico.
<< Solo una volta. >>
<< Solo una? >>
Il moccioso la squadrò scettico.
<< Hai svuotato una carta di credito prima di fartela rintracciare? Hai beccato una ventiquattrore piena di soldi? >>
<< Nessuna delle due. >>
Il sorriso della ragazza passò dall'enigmatico al compiaciuto.
<< Semplicemente... io non rubo portafogli, vedi quella cosa nella mia borsa? Ecco, questo rubo, ed i ricavi sono parecchio alti, troppi per una persona sola, io e i miei amici li usiamo anche per chi è in difficoltà. >>
Per le persone in difficoltà?
Da quando i ladri fanno beneficenza?
Se Ion avesse rubato qualcosa di talmente prezioso, altro che beneficenza, si sarebbe costruito la più bella villa del mondo e ci avrebbe vissuto dentro con tutto il cibo e tutte le cose che voleva.
Ma a parte questo, l'idea di rubare qualcosa di ben più prezioso di un portafoglio non era affatto da scartare.
<< E non ti hanno mai presa? Devi essere molto abile... >>
<< Sì, ma non è tutto merito mio, siamo una squadra, e siamo molto attrezzati, a quest'ora i miei amici saranno fuori città e aspettano solo che io li raggiunga. >>
<< E non credi che ti pianteranno in asso? >>
Darkness scosse la testa e scattò in piedi.
<< Non credo proprio, specie se ho questa! >>
Prese la borsa, e sta volta la vuotò dal contenuto, era un globo, un globo dorato su cui erano stati incisi decine di rilievi di rilievi, divisi in almeno una decina di sezioni delimitate da spesse linee che emergevano dalla superficie luccicante.
Rimasto di sasso, Ion non poté fare a meno di avvertire un brivido scorrergli lungo la punta delle dita, il suo istinto criminale gli stava gridando di afferrare quell'affare all'istante e portarlo dal primo rigattiere disponibile!
Ma c'era qualcosa in quel fauno che lo ammaliava, in lei e nel suo racconto, come aveva fatto a sfuggire con quella cosa in borsa? E che cos'era? Quanto valeva? A chi l'avevano rubata?
Darkness dal canto suo capì di avere la piena attenzione del ragazzino.
<< Apparteneva ad un uomo molto potente ma anche molto crudele, ed ha un gran valore, questi rilievi... credo rappresentino gli antichi miti della storia del continente, miti antecedenti l'arrivo stesso dei coloni, il che aggiunge alla ricchezza materiale del globo anche quella artistica. >>
Ion non ne dubitava, quell'affare valeva dieci volte quel vecchio edificio cadente in cui viveva e tutto quello che conteneva all'interno.
<< Quindi... è questo che voi rubate? >>
Lo disse con ammirazione, per lui rubare era una semplice questione di sopravvivenza, ma Darkness, o qualunque fosse il suo vero nome, aveva appena demolito la sua visione e ne aveva ampliato l'orizzonte, a guardarla più che a una ladra sembrava ad un'eroina dei racconti, e dentro di sé il ragazzino provò una certa invidia per la sua condizione.
Non che avesse deciso di mettersi a rubare per gli indigenti, di quella parte le avrebbe fatto volentieri a meno, ma l'idea di una grande squadra di ladri intenta a raddrizzare i torti della vita rubando ai potenti che vivevano nelle loro città volanti quello che a loro era sempre stato negato.
Strano a dirsi, ma per la prima volta essere un ladro lo avrebbe fatto sentire più vicino a un cacciatore che ad un grimm.
C'era un che di romantico in questa visione, il rubare a chi si arricchiva alle loro spalle, il compiere mirabolanti fughe o escogitare piani ingegnosi per aggirare i più astuti sistemi di allarme, era qualcosa che non si sarebbe mai potuto sognare.
<< Questo e altro ancora, dovrei raccontarti di quella volta che abbiamo rubato una statua, una statua enorme. >>
Nemmeno volle pensare di essere preso in giro, l'idea gli piaceva troppo, anche a costo di passare per stupido le avrebbe creduto.
<< Come si ruba una statua?! >>
Lo disse quasi gridando, la ragazza si chinò verso il basso, invitandolo al silenzio premendosi l'indice sulle labbra.
<< Se non svegli nessuno te lo spiego... come si fa a spostare qualcosa di enorme? Semplice, non lo sposti, ma fai credere che non sia lì. >>
Adesso Ion ascoltava rapito, come se sapere il modo adatto per rubare una statua gigante sarebbe stata l'informazione più importante della sua vita.
<< Premessa: eravamo a Vacuo, la statua si trovava fuori dalla città, sul deserto, quindi l'abbiamo tirata giù con delle funi dopo aver scavato un'enorme fossa, tutto nel giro di una notte, e poi l'abbiamo seppellita lì. >>
<< E tutti hanno pensato che l'aveste portata via? >>
Sta volta fece attenzione a dirlo a bassa voce, sarebbe stato un peccato interrompere il tutto per colpa sua.
Darkness annuì.
<< Esatto, e quindi ci siamo offerti di restituirgliela dietro riscatto, fu uno spasso, solo, avrei voluto essere dall'altra parte del telefono per vedere la faccia di quell'agente quando li abbiamo detto che per tutto quel tempo la loro preziosa statua era stata sotto i loro piedi! >>
Sta volta fu lei a tradire una certa emozione, ma poca cosa in confronto a quella di Ion, ormai prigioniero di un mondo di ladri acrobati e statue sepolte dalle sabbie del deserto.
<< Questo... quanto vi ha fatto guadagnare?! >>
Darkness sorrise nel mentre che riponeva il globo nel suo borsone.
<< Presumo più di quanto dieci persone possano guadagnare lavorando tutta la vita. >>
Punto.
Set.
E partita.
Ion non era mai stato tipo da voler emulare qualcuno, ma questa volta doveva alzare le mani e ammettere la resa.
<< Non è che... siete in cerca di nuovo personale? >>
Darkness parve sorpresa, e ci rifletté un po' su.
<< Non credo sia il caso alla tua età. >>
Il ragazzino arrossì, si era spinto un po' troppo oltre.
<< Sì, immagino tu abbia ragione... >>
Stava per dirle di dimenticarsi tutto, quando si trovò ad arrossire ancora più visibilmente non appena la mano di Darkness si poggiò sulla sua testa per dargli una carezza.
<< Però sembri abile, chissà, se in futuro non avrai trovato di meglio... potresti trovare spazio fra noi. >>
<< Lo troverò sicuramente! Vedrai! >>
Altra risatina, il fauno stava iniziando a trovare adorabili quei suoi scatti di entusiasmo.
<< Sarebbe meglio se ti trovassi un lavoro onesto però, sai, il mio ha il brutto inconveniente di trovarsi inseguiti... a proposito! >>
Con uno sforzo non indifferente, roteò la sacca con il globo dentro e se la caricò sulla schiena.
<< Credo sia proprio ora che io vada, stai lontano dai guai, Ion, ci vediamo! >>
Riuscì solamente a salutarla con la mano, nel mentre che lei apriva e scivolava con grazia fuori dalla finestra, e una volta sparita, a Ion non rimase che posare lo sguardo sul giaciglio di vecchie coperte che la giovane si era preparata la notte prima.
<< Ci... vediamo. >>
Senza aggiungere altro, si chinò in avanti ed iniziò a cancellare le tracce del suo passaggio.


I giorni passarono, e contrariamente a quanto sperava, la ladra non ripassò per l'orfanotrofio.
Certo, non che la cosa fosse da biasimare, non aveva mai promesso che sarebbe passata, e tanto meno sarebbe stata una mossa intelligente quella di farsi vedere a giro per una città dove era probabilmente ricercata.
Inoltre aveva il suo gruppo di amici con cui viaggiare, e certamente avrebbe avuto meglio da fare che pensare a un moccioso incontrato per caso, mentre lui pensava a lei, in questo momento la mitica squadra di ladri poteva essere impegnata in un inseguimento aereo per le foreste di Anima, oppure nel trafugare uno di quei preziosi tesori che la credenza comune vuole sepolti sotto le accademie dei cacciatori.
Ammesso che non lo avesse preso in giro fin dall'inizio per scoraggiarlo dal denunciarla, del resto magari quel globo dorato poteva appartenere a qualche eccentrico studioso che lo aveva trovato in qualche rovina, od all'artigiano che lo aveva preparato con tanto sforzo nella speranza di venderlo.
Insomma, non aveva molte garanzie che gli avesse detto la verità, eppure, sentiva di non potere fare a meno di fidarsi, voleva fidarsi, forse perché gli stava troppo simpatica per accettare che si fosse burlata di lui, oppure perché voleva credere che se avesse affinato le sue abilità, avrebbe comunque potuto aspirare ad un destino più grande che quello di tagliaborse nei bassifondi di Mantle.
Ma fu un ulteriore fattore a spingere Ion verso la fiducia, successe qualche settimana dopo l'incontro, ma il ragazzo lo avrebbe ricordato anche a distanza di anni.
In un giorno come tanti, Bert li aveva aspettati al cortile per riferire ai ragazzi che era il loro giorno fortunato, perché a quanto pareva un misterioso donatore aveva appena pagato di tasca sua per far spedire decine di abiti nuovi e materassi non bucati nell'orfanotrofio, un generoso regalo da cui però il donatore si era dissociato rifiutando di rivelare la propria identità, sia sua che della possibile associazione che vi era dietro.
La sorpresa fu quanto mai gradita, e divenne ancora più gradita quando la sera stessa un camion delle consegne si presentò davanti al cancello stracolmo di pizze per gli ospiti dell'edificio.
Bert in quel frangente era stato tanto sorpreso da pensare alla truffa, e per poco non aveva allontanato il fattorino a bastonate, poi come questo aveva fatto presente che tutto era già stato pagato da qualcuno, il vecchio non perse un secondo nello strappargli le pizze di mano, ed i ragazzini dovettero affrettarsi a sbarrargli il passo prima che il vecchio grassone si chiudesse nella sua casupola con la loro cena.
Poteva esser stata una coincidenza, ma Ion preferì convincersi che quella sorpresa era un segno che dopotutto anche Darkness aveva pensato a lui, o forse l'orfanotrofio era già da un po' nelle mire della loro “attività di beneficenza”, ma come al solito Ion scelse l'idea che gli piaceva di più.
Forse se quel giorno non si fosse alzato presto per nascondersi in soffitta e sfuggire al controllo odontoiatrico annuale, la sua vita sarebbe stata molto diversa.
Gli anni passarono, e il ricordo cambiò, l'immagine del fauno si fece meno nitida, e forse Ion iniziò a convincersi che fosse più un prodotto della propria fantasia che un evento reale.
Eppure fu con l'idea che Darkness gli aveva instillato nel cuore, quella di diventare un ladro esperto in grado di rubare qualsiasi cosa potesse giovargli che Ion, all'età di tredici anni, si decise a buttare dalla finestra il materasso e di saltarci sopra per fuggire dall'orfanotrofio e iniziare una nuova vita.
Non che fosse certo che la volpe bianca avrebbe approvato quella scelta, così come l'utilizzo che avrebbe fatto lui del denaro, ma quando mai un allievo segue perfettamente l'esempio del maestro?
Ion fin da bambino non aveva mai creduto negli eroi, figure troppo idealizzate e perfette per un mondo simile, eppure, se gli avessero chiesto se ne aveva uno, non era certo che avrebbe risposto di no.
Forse eroe era una parola troppo forte, ma modello, quello... quello avrebbe fatto più al caso suo, sì, se gli avessero chiesto come chi avrebbe voluto essere, lì la risposta era più certo di averla, e non aveva dubbi su quale.


Nota dell'autore
Mi scuso con chi dovesse leggere questo avviso in ritardo, ma ringrazio 
Aladidragocchiodiluce per avermi permesso di introdurre il personaggio di Darkness, sua OC, e per aver contribuito alla scrittura di questo capitolo.

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Capitolo 3
*** Vecchio Bert ***


Vecchio Bert

Non era una persona socievole, il vecchio Bert, che malgrado il suo impegno nei confronti dell'orfanotrofio in qualità di idraulico nella teoria e tuttofare nella pratica, passava la maggior parte della giornata a bivaccare nel giardino del vecchio edificio, o chiuso nella sua baracca a consumare litri d'alcool davanti alla stufa.
Questo, si intende, quando non doveva riprendersi dalla sbornia della sera prima, e spesso il vecchiaccio si era discostato dai limiti dei comuni mortali mettendosi a bere quando nemmeno gli era passato il mal di testa della sera prima.
Per farla breve, l'anziano era ubriaco per la maggior parte del tempo, e le sue mansioni lavorative si consumavano solo quando si verificava un guasto o una riparazione da fare più urgente del solito e se aveva voglia di farlo, cioè quasi mai.
Eppure, per non farsi cacciare dall'unico luogo di riposo alternativo al marciapiede, di tanto in tanto l'anziano signore si degnava di entrare nell'edificio, facendosi strada fra gli stretti corridoi con la scatola degli attrezzi impugnata dalla mano destra, una bottiglia di birra nella sinistra, e bestemmiando a gran voce ogni volta che la gamba di legno batteva contro uno scalino o si impigliava in qualche asse dissestata.
Nel vederlo, si sarebbe detto che Bert oltre ad essere alcoolizzato, irritabile, vecchio e sfaticato, non fosse neanche questo gran campione di bellezza.
Ormai superata la sessantina, il tuttofare che a cui Ion ogni tanto nascondeva i ratti nelle scarpe, appariva come un ometto basso e ingobbito, con la pelata mal nascosta da un vecchio cappello di lana, il viso glabro e macchiato intorno alla bocca, sotto la quale si espandeva una spaventosa pappagorgia di pelle flaccida.
Alla poca generosa peluria del viso, si contrapponeva l'abbondante ampiezza del ventre, il pancione alcoolico di chi beve a tutte le ore del giorno, principale ostacolo del suo camminare e oggetto di derisione preferito da parte dei mocciosi dell'edificio.
Come la sua protesi in legno bucherellato non si fosse ancora rotta sotto il suo peso pachidermico non era noto a nessuno.
A corredargli il corpo, pesanti abiti scoloriti, rattoppati in più punti e dalle maniche sempre umide e sporche, dettaglio condiviso dagli stivali incrostati di fango e la suola rovinata che sollevavano polvere ad ogni suo passo.
Nominalmente, Bert era l'idraulico dell'edificio, ma a causa della ristrettezza del budget stanziato dalle casse cittadine, Bert era anche l'unico addetto alle manutenzione che l'orfanotrofio potesse permettersi, pertanto, con grande dispiacere del vecchiaccio, le sue mansioni erano in realtà allargate a qualsiasi cosa rientrasse nel campo della manutenzione:
Riparare tubature, incollare cartone sui vetri rotti delle finestre, cambiare le maniglie che smettevano di funzionare, arrabattarsi contro la cisterna se non arrivava acqua calda, trovare un tappeto sotto cui nascondere le assi dissestate, Bert era ben lontano da essere un buon tuttofare, ma fra una mezza soluzione e l'altra non si poteva dire che non faceva il suo lavoro.
E come se accollargli l'incarico di gran tuttofare dell'edificio non fosse abbastanza, quella vecchia arpia della direttrice non si faceva problemi ad affidare nelle mani di quel nullafacente anche la salvaguardia dei mocciosi che le infestavano l'edificio, sempre con il grande spiacere di Bert, che si trovava costretto a starsene fermo su una vecchia sdraio fuori da quella via di mezzo fra una casa e un capanno degli attrezzi a guardare i bambini gironzolare per il cortile allo stato brado.
Anzi no, allo stato brado erano i bambini che puntualmente eludevano la sua non attentissima sorveglianza per andare a rubare in strada, mentre il vecchio se ne stava spaparanzato ad alimentarsi con l'alcool.
Era talmente inaffidabile su questo piano, che non era raro che qualche bambino si allontanasse dall'orfanotrofio per uno o più giorni prima di ritornare, se tornava davvero, cosa che per Bert significava comunque avere un mostriciattolo in meno a infilargli topi nelle scarpe, nidi di calabroni fra le coperte o a fargli sparire il suo nettare alcoolico.
Ed il vecchiaccio non prendeva la cosa troppo sportivamente, come poté verificare Ion una volta quando, consegnatogli una bottiglia di birra che in realtà conteneva un liquido giallastro di tutt'altro genere, si ritrovò inseguito dal grassone per tutto il cortile, fino a quando questi non decise di staccarsi la sua gamba di legno per lanciargliela sul didietro.
Fu un lancio decisamente forte e accurato per un ubriacone di sessant'anni.
Insomma, Bert non amava i bambini, e i bambini non amavano Bert, ma come ogni buon organismo parassitario, l'uno cercava di trarre beneficio dagli altri e viceversa, i rari giorni in cui Bert non aveva più alcool che sangue in circolo, vedevano il vecchio allontanarsi dall'orfanotrofio a tarda sera e tornare la mattina prima con più lien del previsto, tutti ricavati dalla vendita a qualche rigattiere dei vari anelli e chincaglierie che i mocciosi gli portavano dopo aver alleggerito le tasche di qualche sfortunato passante.
I mocciosi erano svegli, avevano imparato a riconoscere il valore di anelli, collane ed altre cose simili, ma anche a riconoscere che non potevano venderli con facilità, per cui Bert faceva per loro da intermediario, ovviamente mentendo sul guadagno e tenendosi oltre metà del profitto, del resto lo stipendio da solo non copriva neanche lontanamente le sue spese alcooliche.
Ma del resto, nulla impediva loro di rifarsi frugando negli affari personali del tuttofare, il quale non potendo permettersi una casa propria o un misero appartamento, aveva stabilito dimora in un vecchio edificio squadrato che sorgeva sul cortile dell'orfanotrofio e che faceva da capanno degli attrezzi.
Del resto, fra le sue numerose occupazioni rientrava pure quella di giardiniere.
Tuttavia, sarebbe sbagliato dire che il massimo legame che legava quell'ubriacone ai bambini fosse di carattere unicamente economico, è vero, i mocciosi amavano insultarlo e dileggiarlo, ma tanto quanto amavano raccogliersi la sera attorno o dentro la sua fatiscente dimora per ascoltare le sue storie (e qui anche la voce cantastorie viene inclusa nel suo curriculum).
Non che Bert fosse entusiasta della cosa, ma se con qualche storia tirata fuori sul momento poteva placare per qualche giorno l'esercito di bestie che gli viveva accanto, tentare non nuoceva, inoltre, era l'unica cosa che non doveva fare per forza da sobrio.
L'alcool anzi, stimolava la sua fantasia, quella ed il suo coinvolgimento, sotto l'ebbrezza alcoolica Bert riusciva a tirare fuori le storie più assurde che mente umana poteva concepire.
Grimm dalla bocca di leone e dal corpo di ragno che si muovevano su ragnatele così sottili da essere invisibili che vagano nell'oscurità delle foreste di Anima, città volanti abitate da esseri tanto belli quanto crudeli che un giorno avrebbero ricevuto la punizione dagli dei, i quali avrebbero rovesciato la loro città dorata e li avrebbero fatti schiantare al suolo come comuni mortali, bambini deformi e senza occhi che strisciano nelle fogne sotto l'orfanotrofio in attesa di bambini normali a cui cavare i bulbi oculari per uscire alla luce del sole.
Ma la maggior parte delle storie avevano lo stesso protagonista, Bert, che spesso, stordito dall'alcool, finiva con il condividere gli spaccati più esaltanti o meno gradevoli della propria esistenza, come quella volta che raccontò loro di uno scherzo che i suoi commilitoni gli avevano fatto il primo giorno in caserma, e nel raccontarlo si arrabbiò così tanto che finì per il mettersi ad urlare all'indirizzo del pubblico, poi si piegò in avanti e svuotò l'intestino vomitando in mezzo alla stanza, ma questo servì solo ad aumentare la curiosità e l'entusiasmo dei mocciosi.
Commilitoni, per i bambini era una parola nuova e buffa, ma che Bert avrebbe usato spesso nelle sue storie, perché prima di diventare... un Bert, il vecchio tuttofare era stato un militare, almeno finché non perse la gamba, non divenne un barbone e non si mise a lanciare bottiglie vuote sulle pattuglie militari, cosa che gli valse una condanna di un mese in carcere più altri tre di servizi socialmente utili.
E il luogo in cui fu condannato a questi mesi di servizi sociali fu proprio l'orfanotrofio, dove, dotato di una protesi decisamente più versatile di quella attuale, aveva lavorato come idraulico, ma scaduto il termine e tornato un uomo libero, si accorse che l'unico posto dove sarebbe potuto andare a vivere sarebbe stato sulla strada, motivo per cui accettò di legare la propria esistenza a quell'oscuro limbo che era l'orfanotrofio.
Così lì risiedeva, da qualcosa come una trentina d'anni o anche più, e ricordare la sua vecchia vita prima dell'invalidità e dell'alcoolismo rappresentava per lui l'unica forma di evasione dalla sua squallida esistenza.
Tutto sommato, quelle storie facevano più bene a lui che a loro.
Erano storie di guerra (sebbene non pareva ci fossero state guerre di alcun tipo dai tempi della rivoluzione per i diritti dei fauni, e a quei tempi Bert non doveva essere nemmeno nato), di cameratismo e di bravate contro i più deboli, a volte tristi, a volte divertenti, a volte entrambe le cose.
Ma fra queste, una in particolare aveva conquistato l'attenzione dei fanciulli: il come Bert aveva perso la gamba.
Gliela chiedevano almeno ogni settimana, e ogni settimana Bert la raccontava cambiando versione, o per meglio dire, raccontando una storia tutta nuova.
Una settimana prima se ne usciva dicendo che aveva perso la gamba in una terrificante battaglia contro l'esercito dell'imperatore di Mistral, quella dopo cambiava versione dicendo che gliela aveva strappata un grimm particolarmente forte.
Quasi tutte storie dove faceva la parte dell'eroe, ma, e i bambini lo sapevano, era con l'alcool che Bert dava del suo meglio.
Una volta aveva perso la gamba perché era rimasto a dormire nudo in mezzo alla neve, l'arto si era congelato e lo avevano dovuto amputare, altre volte aveva scommesso con dei suoi amici su chi giocava meglio con i coltelli, e durante una notte particolarmente gelida se ne era uscito dicendo che una donna molto avvenente, un fauno con le ali di drago e due tette enormi gli aveva preso la gamba come moneta di scambio per passare una notte con lei.
Così tante versioni l'una più assurda dell'altra che per i mocciosi era impossibile stabilire quale fosse quella vera, ma su una cosa erano d'accordo, se qualcosa poteva avvicinare Bert alla sincerità, quella cosa era l'alcool, e assai poco probabilmente la vera storia era fra quelle che aveva raccontato da sobrio.
Ammesso che avesse veramente raccontato la verità in mezzo a quelle storie assurde, e la cosa non era poi così improbabile.
Eppure, malgrado il vecchio alcoolizzato bugiardo era, appunto, un vecchio alcoolizzato bugiardo, nonché il peggiore esempio che quell'esercito di ragazzini pidocchiosi potesse mai meritarsi, le serata (e nottate) passate nel suo capanno, intorno ad una vecchia stufa mezza scassata, ad ascoltare i suoi deliri alcoolici, avevano un fascino irresistibile per chi del mondo ne conosceva così poco.
E così ogni sera Ion e il suo gruppetto entravano di soppiatto nel capanno, davano il tormento al vecchiaccio, e se questi non era troppo sbronzo per svegliarsi o se non li mandava direttamente a cagare lanciandogli addosso la prima bottiglia vuota presente nel suo raggio d'azione, puntualmente si arrendeva alle loro petulanti richieste e raccontava la prima cosa che gli passava per la mente.
A quel punto gli scenari erano due, se era sobrio, avrebbe raccontato il giusto per mandarli via, se era bronzo, avrebbe passato la notte in piedi a narrare di qualsiasi cosa la sua mente annebbiata dall'alcool sarebbe stata in grado di partorire.
In ogni caso, presto altri mocciosi si sarebbero aggiunti ad ascoltare la storia, ed il vecchio sarebbe stato ostaggio della loro curiosità fino alle ore piccole, o fino a quando lui o i mocciosi non cadevano addormentati sulle assi di legno marcio del suo capanno.
<< Come ho perso la gamba? >>
Il vecchio tossicchiò davanti al suo pubblico, lasciando oscillare con la mano destra la bottiglia di vino comprata al discount quella stessa mattina.
Come sempre, i bambini annuirono, curiosi dell'ultima versione che quella vecchia palla di lardo avrebbe tirato fuori dal suo cappellino rovinato.
<< Successe quando ancora non eravate nati... >>
<< Cioè quando Remnant non esisteva ancora? >>
Bert grugnì all'indirizzo di Simon, ma era ancora abbastanza sobrio da sapere che tirare una bottiglia addosso a un bambino poteva valergli una denuncia... se si faceva troppo male.
Sospirò, e mandò giù un altro sorso.
Un'altra nottata di merda con i mocciosi, meglio alleggerirla con del vino.
<< Sì... vedete, successe proprio quando gli dei crearono il mondo con un peto... >>



Nota dell'autore
Questa era una storiella che volevo scrivere ancor prima di iniziare la long principale su Ion, comunque a chi fosse piaciuto il capitolo precedente ed il personaggio di Darkness, sappiate che è da poco uscita una storia su di lei scritta dalla sua autrice
Aladidragocchiodiluce: Just a Theft.

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Capitolo 4
*** Risentimento ***


Risentimento

L'odio, Theodore lo sapeva, era un sentimento forte, e non valeva la pena provarlo per le piccole incomprensioni che di tanto in tanto potevano scoppiare fra lui e i suoi compagni.
Questo almeno era quello che gli avevano insegnato i suoi eroici cacciatori nei film, nelle serie di animazione e nei telegiornali, ma nel mondo aldilà dello schermo la cosa non sembrava trovare riscontro fra i suoi compagni e le persone che gli vivevano attorno.
Bert il custode non faceva che esplicitare il suo odio per i ragazzini, per gli alcoolici a bassa gradazione e per il suo lavoro in generale, la direttrice invece non aveva bisogno di usare le parole per evidenziare il suo disprezzo per la sua occupazione e le persone di cui si doveva occupare, e in generale i piccoli ospiti dell'orfanotrofio non si facevano problemi a dichiarare apertamente il loro disprezzo per cose e persone.
Lui però aveva cercato di fare suo quell'insegnamento, di essere una persona rispettabile in quella piccola comunità di bestie disagiate, ci aveva provato, davvero.
Ma come non odiare una persona quando questa non si fa problemi ad abbassare ulteriormente la qualità della tua esistenza?
Con due occhi celesti dietro i capelli castani, Theodore sarebbe potuto apparire come un bel bambino di undici anni, se non fosse per due dettagli: i vestiti malconci e tenuti assieme con lo sputo (cosa non rara visto dove si trovava), e l'inchiostro che gli oscurava il viso.
Ah, e poi si potrebbe aggiungere il fatto che era appeso a testa in giù, legato a una vecchia trave arrugginita che sembrava minacciare di cadergli addosso da un momento all'altro.
Beh, la cosa poteva preoccupare soltanto lui, i due monelli lì in basso non parevano tanto preoccupati per la sua incolumità, e come potevano? Lo avevano messo loro in quella situazione.
I suoi occhi chiari si orientarono nell'ambiente degradato della soffitta, cercando di posarsi sui suoi persecutori.
Ion e Laszlo, Pappa e Ciccia, inseparabile duo di aguzzini.
Stavano discutendo animatamente sull'eventualità di lasciarlo lì tutta la notte o lasciarlo lì tutta la settimana, Laszlo pareva orientato per la seconda ipotesi, mentre Ion lamentava che se già puzzava così tanto da vivo, non avrebbe voluto scoprire che fetore emanava da morto.
Spiritosi.
Anche Theodore avrebbe voluto ridere se in quel momento non avesse avuto metà del sangue in circolo concentrato nella zona della testa.
No non era vero, avrebbe voluto piangere, cos'altro potrebbe fare una persona appesa a testa in giù con la faccia scarabocchiata e reduce da una dura sessione di strizzacapezzoli, specialità del robusto Laszlo?
Ma si impose di non farlo, sebbene non poté impedire a qualche lacrima ribelle di scendere giù dal suo occhio destro, per fortuna l'altezza rispetto ai due e la faccia ricoperta d'inchiostro aiutavano a camuffare il suo stato.
Certo, non è che non avesse una sua parte di colpa, aveva chiesto a Ion dei soldi tanto tempo fa, e non li aveva restituiti.
Ion quella volta non la prese bene, e non la prese bene nemmeno quando successe l'anno dopo, ma a differenza della prima volta, nel secondo episodio era stato appeso al ramo dell'albero fuori dal cortile, alla vista di tutti, e con le vecchie mutande di Bert infilate in bocca, quello era stato il peggior giorno della sua vita, nonché quello in cui divenne lo zimbello dell'orfanotrofio.
E se Ion aveva detto che non gli avrebbe negato altri prestiti in futuro, doveva essere perché vederlo umiliato a testa in giù valeva tutti i soldi persi, non che dovesse usare per forza quella scusa, come aveva fatto adesso nel chiedere a Laszlo di ficcarlo in quella situazione.
Laszlo in particolare, pareva godere nell'umiliarlo ogni qualvolta ne avesse l'occasione, sarà perché i soldi prestati in realtà erano i suoi, fatto sta che se il ragazzino più smilzo poteva essere pago per un mese dopo l'ennesima umiliazione, il suo compagno robusto sembrava vivere solo per quello.
Peggio per lui, e per loro, un giorno, Theodore ne era certo, sarebbe diventato un forte cacciatore, e non avrebbe avuto nulla da temere da quei grimm fatti esseri umani che erano i suoi crudeli compagni di stanza, ma per adesso poteva starsene lassù a piagnucolare ed aspettare che Bert lo notasse durante il suo giro diurno, sempre se non era già steso ubriaco sulla neve.
Adulti inutili, anche loro non avrebbero più potuto fargli male una volta che fosse diventato cacciatore, sarebbe stato lui a farla pagare a individui come loro, l'odio non era una bella cosa, ma Ion, Laszlo ed altre bestie come loro, non poteva fare a meno di odiarle, con tutto se stesso.
Che continuassero a tormentare le persone, lui sarebbe cresciuto, sarebbe diventato un eroe e li avrebbe ficcati dietro le sbarre, come meritavano!
Questo pensiero era ridicolo, o almeno questo era quello che gli dicevano tutti, ma la sua speranza in un riscatto futuro gli dava un conforto che non avrebbe trovato da nessuna parte, non dal signor Jeremy, lo psicologo trattava le visite dei ragazzini più come un fastidio che come il proprio lavoro, non dai suoi compagni, non da Bert o da quella zitella acida della direttrice.
Provò a chiudere gli occhi, dimenticando il mal di testa, lo sputo che gli era arrivato sul naso e gli insulti di Laszlo e qualche gruppo di mocciosi che si erano aggiunti per guardare lo spettacolo.
Riuscì a isolarsi dal mondo reale, ed a guardare a un futuro molto diverso dal suo presente, dove lui era il forte e loro i deboli.
Sorrise, un cacciatore, era quello che sarebbe diventato.
<< Ma che gli prende? È morto? >>
Laszlo sputò di nuovo, sta volta la saliva finì sulle labbra del ragazzino appeso.
<< Forse si finge morto, gli opossum lo fanno. >>
Suggerì Simon, indeciso se sollevare qualcosa da terra e aggiungere ulteriore sofferenza a quella subita dal compagno di stanza.
Ion sorrise perfido.
<< Per me sta solo pensando a quanto erano buone le mutande di Bert, dovremmo riprenderle? >>
Le risate ruppero la barriera che Theodore aveva eretto attorno a se, e quelle da sole facevano più male del sangue in testa, della punta della penna che sfregava contro il viso e dello strizzacapezzoli di prima.
Ridete, pensò mentre una seconda lacrima rigava il suo viso, un giorno sarò più forte di voi, e vedremo chi riderà allora.

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Capitolo 5
*** L'Eroe, il Brigante e il Tesoro ***


L'Eroe, il Brigante e il Tesoro.

<< Guardate! Guardate! Siamo arrivati miei prodi! Dopo aver attraversato il Cammino del Cemento e del Gelo, adesso sono i Monti della Putrescenza a tenerci separati dalla ricchezza. So che la strada è stata dura, le perdite numerose, e i rimpianti innumerevoli, ma dietro quei picchi bucherellati da caverne maleodoranti abitate da sudici goblin si nasconde il tesoro più splendente che gli dei abbiano mai donato all'uomo, allora, chi è con me?! >>
Ion, malgrado non ne possedesse neanche un briciolo, si era sempre vantato (a torto) di possedere una pazienza proverbiale, pazienza che quel giorno lo stava definitivamente abbandonando davanti a quell'idiota imitazione di un discorso sentito in televisione durante uno di quei film di serie B che di solito venivano trasmessi a notte inoltrata.
Ma non era solo la pessima recitazione ad irritarlo, a ridurlo in questo stato contribuiva un nutrito numero di fattori:
Si era svegliato presto, non aveva ancora fatto colazione, faceva freddo, anche perché il vento quel giorno soffiava con forza facendosi largo tra i buchi dei vestiti e i pidocchi per qualche motivo stavano mordendo con più insistenza del solito.
Ma soprattutto, stava subendo questo spiacevole insieme di disagi perché aveva avuto, come tutti del resto, la pessima idea di dare retta a quella scimmia esaltata che erano soliti nominare come Miguel.
Scimmia esaltata che ora stava dando spettacolo davanti a loro.
Per nulla oppresso dagli sguardi seccati dei coetanei, un bambino che doveva avere si e no un anno in meno di Ion, stava parlando ininterrottamente da almeno dieci minuti, nel tentativo di incoraggiarli a compiere con lui l'ultima fase dell'impresa della loro vita: scalare i Monti delle Putrescenza per conquistare il Tesoro degli Dei, che avrebbe reso immensamente ricchi tutti gli eroici guerrieri dell'eroica spedizione.
Il che sarebbe stato magnifico, se non fosse che loro non erano eroici guerrieri, che i Monti della Putrescenza erano semplicemente le pile di rifiuti della discarica di Mantle, e che probabilmente il Tesoro degli Dei esisteva solo nella testa bacata di quel ragazzino bruno e sporco che credeva di essere l'eroe di qualche film.
Contrariamente ai toni epici con cui Miguel descriveva l'ambiente attorno a loro, illuminato dal sole in pieno zenit dietro di loro e minacciato dalla tempesta di neve che sembrava farsi strada dalle cime delle montagne per piombare su di loro, mancavano ancora tre ore a mezzogiorno, c'era giusto un poco di umidità e la tempesta di neve era in realtà un grosso frigorifero che per miracolo si era incastrato in mezzo alle sommità di due cumuli di immondizia.
E la grande Via del Martirio lastricata con le ossa degli invasori uccisi era in realtà una strada asfaltata non più dissestata di altre vie di Mantle.
Dopo aver dato per troppo tempo aria alla bocca, l'eroico Miguel si rassegnò al fatto che nessuno dei suoi uomini avrebbe sconfitto la paura se lui per primo non avrebbe iniziato a scalare le montagne per mostrare loro che gli dei vegliavano sull'esercito.
Gli risposero con qualche insulto e qualcuno lo bersagliò con dei cocci di vetro, ma l'eroe non se ne curò e con agilità felina balzò sopra un grosso pneumatico che sporgeva tra due materassi, come riuscì a salirci sopra senza cadere poteva in effetti essere preso come prova della provvidenza divina.
Ion guardò il corpo dello schizzato sparire in mezzo ai rifiuti, giungendo alla stessa conclusione a cui giungevano tutti ogni volta che Miguel... faceva il Miguel:
Probabilmente era malato, o afflitto da qualche ritardo cognitivo, aveva sbattuto la testa da piccolo, la madre si faceva prendere a calci sul pancione, soffriva di una forma di demenza ereditaria ecc.
Ma anche loro che quella mattina si erano fatti trascinare lì per assistere all'ennesima stronzata non erano da meno.
Le teorie su cosa avesse Miguel erano molte ed erano nate nello stesso giorno in cui, assieme al fratello (che in questo momento era presumibilmente o ancora a dormire o stava cercando la peste in giro per il Mantle), quello strano ragazzo aveva fatto la sua comparsa all'uscio dell'orfanotrofio.
Non era pericoloso, o socialmente inabile, era solo... lontano, più nello specifico, viveva in un pianeta diverso da quello delle persone cosidette normali.
Amava le storie di eroi e cacciatori, i miti e le leggende che affondavano le loro radici alla notte dei tempi, e fin qui nulla di strano, di strano era che sembrava vivere al loro interno, nel suo mondo Miguel era un eroe, Ion il Re Brigante con cui allearsi contro un bene maggiore, Bert il Troll Solitario, Laszlo il Mezzorco, Katia la Strega, Simon l'Uomo Procione, e vai di epiteti assurdi.
Ogni interazione con Miguel riguardava l'aiutare lui, l'eroe a:
A: Trovare un tesoro che spesso poteva trattarsi di una scatoletta del pranzo vuota o di qualsiasi contenitore vagamente simile ad un forziere.
B: Salvare un cucciolo di drago (geco spaventato) che era volato (si era arrampicato) troppo in alto.
C: Trovare la chiave del troll solitario, che tradotto nella lingua delle persone normali significava mettere una mano in bocca a Bert, o in qualche altra sgradevole parte del suo corpo.
Ciò non voleva dire che Miguel non avesse però i suoi lati positivi, a volte nel suo infilare le mani dappertutto trovava qualcosa di inaspettatamente valido: spiccioli, orecchini caduti e altre chincaglierie prive di valore per Miguel ma possibili oggetti di scambio per altri.
Insomma, le sue fantasie a volte non erano fine a se stessi, nascondevano qualche intuizione, e siccome l'eroe era sempre pronto a condividere la sua fortuna con i bisognosi, avvertire l'esercito reale dell'esistenza di preziosi manufatti per proteggere il regno, o affidare sacre reliquie ad un saggio mago itinerante.
E tutto sommato era divertente, a volte, farsi trascinare dai suoi deliri infantili, come intrappolare il Troll Solitario nella sua sala del trono (il bagno chimico), scoccare frecce contro i briganti del Fosso (lanciare sassi a qualche fauno del cratere).
Era bello evadere dalla realtà e sentirsi cacciatori, banditi, eroi, ladri, draghi ecc, rendeva il tutto meno grigio e mascherava la lotta per la sopravvivenza in un mondo infestato da grimm e pezzi di merda in un posto un poco più gradevole.
Altre volte però le sue farneticazioni si rivelavano disastrose, come quando si è improvvisato cacciatore contro un gruppetto di adolescenti intenti a molestare una pulciosa ragazzina dalle orecchie canine, o quella volta che si sono trovati inseguiti da una muta di cani da caccia.
Laszlo aveva ancora la cicatrice sulla chiappa.
E purtroppo, l'avventura di quel giorno rientrava nel secondo caso, ed era stato particolarmente disastroso.
Miguel si era alzato la mattina presto svegliando tutti mentre gridava come uno che si è trovato un rattle nel culo (e per carità, la sua iperattività era cosa nota, ma si riteneva avesse il minimo di buon senso per lasciare dormire gli altri) che aveva trovato qualcosa di magnifico nei quartieri sud.
Ovviamente, la curiosità ebbe come sempre la meglio sullo scetticismo, e piuttosto che attendere l'ora della colazione, l'esercito di mocciosi era evaso dall'edificio calandosi dalla finestra per seguire il mostriciattolo esagitato.
Tutto il dormitorio gli era andato dietro, e assieme si erano fatti un giretto per Mantle in cerca della discarica, e sarebbe stato semplice se non fosse che oltre ad essere già lontana di per sé, il loro idiota comandante non pareva ricordarsi bene la strada, o forse questa era giusto una piccola impressione dovuta all'aver girato due volte attorno allo stesso edificio.
Ci avevano impiegato le ore, ma alla fine tra freddo, mal di piedi, e incontri con barboni molesti (per quale motivo c'è questa moda di calarsi i pantaloni davanti ai bambini?) erano arrivati a destinazione.
E arrivati lì, compresero che le maestose montagne del tesoro erano in realtà le pile di pattume della discarica comunale di Mantle, che di lì a poco sarebbe stata spostata nel Cratere, la grande baraccopoli dove vive la maggioranza dei fauni del regno di Atlas, nullatenenti o operai sottopagati della SDC.
Miguel a quanto pare doveva aver sentito parlare dello spostamento della discarica, era venuto a conoscenza che era una discarica e, senza bisogno di altre informazioni, aveva organizzato la spedizione.
Ed ora era scivolato dietro i picchi del mondezzaio, in cerca di tesori, termine che per Miguel aveva un significato decisamente più ampio che per i comuni mortali.
E mentre il moccioso si insudiciava alla ricerca di qualsiasi cosa che per lui potesse dare un senso alla spedizione immaginaria, gli altri monelli fecero per andarsene e lasciare il cretino alle prese con il volere degli dei, del destino o di qualsiasi cosa avesse deciso nella sua mente.
Ion, che già in passato si era trovato a rovistare nell'immondizia, era della stessa opinione del gruppo, ma le sorti della spedizione vennero capovolte quando, con un urlo di trionfo, Miguel emerse con allacciato al polso un orologio che doveva valere decisamente di più di quanto il suo aspetto trascurato poteva lasciare intendere.
<< GUARDATE! >> gli occhi nocciola del moccioso brillavano come se si fosse immerso in un barile di dolciumi più che in un cassone dei rifiuti mentre esibiva il suo trofeo alla truppa dell'esercito reale << IL BRACCIALE DI MAOR! >>
Laszlo fece per lanciare un sasso contro quel demente, ma Ion gli sfrecciò accanto con così tanta foga da fargli prendere l'equilibrio.
Se c'era un orologio che poteva valere un po' di lien, chissà cos'altro avrebbero trovato scavando a fondo, dopotutto in quella discarica non veniva spedita anche la spazzatura di Atlas?
Guidando le truppe reali, il Re Brigante iniziò la scalata graffiandosi le mani sulla superficie spigolosa dei Monti della Putrescenza, l'Eroe del regno e un tesoro così grande da sistemare tutta la sua banda lo aspettavano dietro i picchi sudici.



Nota dell'autore
La creatura del caos nota come Miguel è stata gentilmente offerta da
Thanos 05.

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Capitolo 6
*** Sotto il sole di Menagerie ***


Sotto il sole di Menagerie

L'estate cadeva su Menagerie puntuale ogni anno, ustionando le spiagge del piccolo rifugio dei fauni con i suoi raggi irragionevolmente caldi e sollevando un'afa che impediva ai nuovi arrivati, poco abituati al clima caldo umido di quell'angolo di Remnant, di godersi la gradevole vista del limpido mare che andava a sdraiarsi sopra la battigia.
La maggior parte dei passanti quel giorno se ne stava in acqua, e chi non intendeva darla vinta al caldo fino al punto di farsi una nuotata, sfidava il sole riparandosi sotto un ombrellone od il tetto di un bar, tentando di raggiungere il giusto equilibrio tra il rinfrescarsi con un drink e devastarsi irrimediabilmente quella poco calcolata appendice nota come fegato.
Dell'una o dell'altra cosa avrebbe voluto saperne qualcosa il giovane Coern, che invece se ne stava stoicamente sotto il sole, con la schiena appoggiata al muro di legno di un bar più vicino al centro della cittadina che non sul mare.
Ma non era nel suo caso una sfida al potere del sole, tantomeno uno sfoggio di resistenza al calore di cui pure fino a poco tempo fa credeva di essere molto dotato.
No, dietro l'espressione stoica e le braccia conserte, il ragazzino nascondeva l'agonica impazienza di chi se ne stava sotto il sole cocente da più tempo di quanto ne avrebbe voluto ricordare ed in più era tormentato dalle esigenze di una vescica piena ben oltre il limite consentito.
Ma se era costretto a rimanere attaccato al muro del bar, proprietà di una famiglia di ex minatori della SDC che era fortunatamente riuscita a farsi una vita lontana da quell'inferno per fauni, lo doveva al fatto che... era letteralmente attaccato al muro.
Cercando di non dare ascolto al pizzicore del collo ustionato ed alla vescica che supplicava di liberarsi al più presto, il ragazzo ripercorse a mente gli avvenimenti che lo avevano portato a quell'imbarazzante situazione.
Una rissa, beh, non proprio, o almeno non era certo di poter chiamare rissa qualcosa dove non era colata una singola goccia di sangue, ma il punto era che stavano per venire alle mani e probabilmente lo avrebbero fatto se non fosse stato per il dono e la maledizione che la natura gli aveva fornito.
Era lui contro tre ragazzi poco più grandi, figli di famiglie da poco arrivate sull'isola, in generale si parlava di operai sfuggiti alla SDC o braccianti di Mistral in fuga dai debiti verso le grandi aziende agricole del paese, e che in attesa di una sistemazione passavano il loro tempo a bighellonare sulle spiagge in attesa di qualcosa di divertente, e beh, Coern poteva giurare che quei tre non si erano divertiti affatto.
Stava lavorando come inserviente nello stesso bar a cui adesso era incollato quando da un momento all'altro si era trovato a rispondere alle provocazioni dei tre perditempo, forse avevano avuto da ridire sui suoi capelli, forse lui aveva spazzato della sabbia sulle scarpe di quello più grosso.
Fatto sta che dalle provocazioni non ci volle molto per passare alle mani, o almeno si avvicinarono all'usare le mani, ma quando lui tirò fuori la sua fidata arma (quella oltre alla scopa), i tre idioti se l'erano già data a gambe.
Si concentrò sulla propria soddisfazione per non pensare alle gambe che tremavano ed all'inguine che gli faceva male tanto aveva bisogno di pisciare.
Purtroppo la sua arma era anche stata la sua rovina.
Dopo essersi guardato a torno con circospezione, il giovane si scostò dal muro quel tanto che bastava per girarsi e osservare il motivo di tutte le sue sofferenze: la sua coda, una robusta ma non troppo lunga coda di scure scaglie verdi come verde foglia erano i suoi capelli, alla cui estremità si poteva notare una minacciosa struttura ossea spinosa che per metà era penetrata nel muro dell'edificio.
Già, un piccolo inconveniente che tendeva ad accadere più volte di quanto il giovane avrebbe voluto, specie se in barba alle raccomandazioni dei genitori, al proprio istinto di autoconservazione ed al comune buonsenso, si metteva ad agitare quell'affare come un ossesso.
Coern aveva già provato a strattonarla più e più volte, senza successo se non rischiare di strappare la sua preziosa appendice passare il resto della giornata a ruzzolare per terra come un'idiota a causa della mancanza di equilibrio.
E di chiedere aiuto non se ne parlava, primo perché sarebbe passato per imbecille, e non a torto, secondo, perché avrebbe dovuto ripagare i danni al proprietario con almeno due settimane di lavoro gratuito.
Piuttosto si sarebbe strappato la coda a morsi, se non fosse che lasciarla lì avrebbe portato allo stesso risultato del chiedere aiuto.
Per questo era lì da almeno quaranta minuti, con il collo scottato, la vescica in fiamme, e la coda intorpidita a forza di starsene piegata contro la schiena per evitare che qualcuno si accorgesse della sua... incresciosa situazione.
Credeva di aver fatto un buon lavoro, o che semplicemente tutto fossero troppo distratti dal caldo per considerarlo, eppure era abbastanza certo che quell'uomo dagli abiti sporchi seduto al bar vicino lo avesse notato, anzi, era sicuro che quel vecchiaccio fosse stato lì per tutti i quaranta minuti a guardarlo come se fosse un bel pezzo di carne!
Ok, non lo stava proprio fissando come un gabbiano che si appresta a calare su un pesciolino spiaggiato, ma Coern poteva giurare di averlo visto più volte spostare lo sguardo su di lui per osservarlo con interesse.
Ed a rendere la cosa più strana, era il fatto che quell'uomo non era un fauno come lui, ma un essere umano.
Nel più probabile dei casi poteva essere un pedofilo, nel peggiore, beh Coern aveva sentito parlare i figli dei vicini riguardo a persone senza scrupoli che cacciano fauni dalle parti animali particolarmente esotiche per rivenderle o a qualche rivenditore interessato ad estrarne chissà cosa, o ad un sadico collezionista intento ad estendere la definizione di caccia oltre i limiti riconosciuti.

Beh nel secondo caso allora sì, Coern sarebbe stato disposto a rinunciare alla sua bella coda, o forse proprio perché poteva farlo così facilmente, il collezionista o il cacciatore non sarebbe rimasto soddisfatto se non impagliando il corpo intero?
L'uomo lanciò un altro dei suoi sguardi fugaci al giovane fauno, offrendo ai suoi occhi giallastri la sgradevole vista dei suoi baffi mal ordinati e sporchi.
Ok, lo aveva sicuramente guardato, perché doveva scegliere proprio oggi per incastrare la sua coda in un muro di merda?
Coern alzò lo sguardo al cielo: il sole era ancora alto, le strade erano ancora affollate, sarebbe dovuto trascorrere molto tempo prima che rimanesse da solo con la sua coda, ed era certo che per allora o la sua vescica sarebbe esplosa o sarebbe svenuto per un'insolazione.
E se sarebbe sopravvissuto ad una o ad ambedue le cose, ci avrebbe pensato sua madre a dargli il colpo di grazia, e questa prospettiva forse era più terrificante di tutte le altre messe assieme.
<< AH! >>
Non fece nemmeno in tempo a spostare lo sguardo a terra che si trovò faccia a faccia con l'uomo del bar, che da essere umano era appena stato promosso a entità paranormale.
Tutti i pedofili sono così furtivi?
Il vecchio uomo si massaggiò le orecchie irritato, per poi tornare ad analizzare il moccioso dalla coda spinosa nello stesso modo in cui si ammira un'opera d'arte.
<< Senti, se cerchi il bordello stai sbagliando strada... >>
<< Non ho mai visto una coda simile. >>
Sordo alle parole del giovane, il vecchio uomo si chinò sul fauno, intento a studiare nei dettagli la sua pericolosa appendice, per quanto fosse possibile farlo con metà dell'estremità conficcata in un muro di legno.

Dal canto suo, lo spavento di Coern si esaurì presto, altro che pedofilo o cacciatore di fauni, tutto al più era un pensionato un po' tocco che aveva scelto il posto sbagliato per una vacanza, eppure qualcosa nel suo modo di fare faceva presupporre al ragazzo che quella conversazione sarebbe stata qualcosa di più che l'imbarazzante monologo di un uomo a cui si erano ormai bruciate le sinapsi.
<< La vuoi? Per cinquecento lien te la puoi prendere, basta che la porti via da questo muro! >>
Senza attendere risposta, il vecchio uomo portò la mano sulla cosa del fauno, in un primo momento Coern fu tentato di colpirlo, ma si ricordò presto delle alternative.
L'uomo misterioso afferrò l'estremità spinosa della coda del giovane, e con un violento strattone la cavò via dal legno.
Trucioli di legname e schegge caddero sulla sabbia, mentre la mazza chiodata vorticò accanto alla testa del giovane, centrandolo per poco.
Coern balzò a destra prima di colpirsi da solo, già lo zio Quincey era deceduto dopo essersi accidentalmente fracassato il cranio con la propria coda, e Coern non aveva molti ricordi del funerale se non che gli invitati avevano fatto molta fatica a non ridere.
Ecco, non ci teneva a fare la fine del compianto zio Quincey.
<< Puoi tenerti la coda, se non te la taglia il proprietario. >>
D'istinto, Coern prese a guardarsi attorno alla ricerca del suo datore di lavoro, per poi ricordarsi che il suo capo quel giorno aveva lasciato il locale completamente ai dipendenti, non che non lo facesse anche gli altri giorni, semplicemente questa volta si era degnato di andare a farsi in giro anziché starsene in disparte a consumare la sua riserva di alcoolici.
E per fortuna, nessuno dei suoi colleghi era fuori, probabilmente neanche sapevano che se ne era andato, alla fine il suo lavoro consisteva nello spazzare i pavimenti quando diventavano “più sporchi del necessario”, frase la cui interpretazione variava arbitrariamente da dipendente a dipendente.
<< Bene, allora grazie, goditi il viaggio, e se cerchi un posto con belle ragazze... >> l'uomo iniziò ad accigliarsi << O bei ragazzi... >>
<< Tu non devi essere il più sveglio del locale, dico bene? >>
Ignorando che quell'uomo sapeva dove lavorava senza che glielo avesse detto, fece per ribattere, ma ci rinunciò subito quando si ricordò che era appena stato staccato dal muro a cui si era attaccato con la coda.
<< Forse, ma ho tutta una vita per migliorare. >> bofonchiò mentre portava le mani sull'appendice indolenzita dall'esperienza.
Il vecchio lo osservò soddisfatto, Coern non aveva ancora capito cosa volesse quel matusa da lui, ma stava iniziando a squadrarlo con crescente attenzione:
L'uomo non vestiva con la solita camicia hawaiana o canottiera bisunta come i vari pensionati che scelgono di passare un'estate a Menagerie per soddisfare la loro voglia di vacanza esotica, e tanto meno aveva quell'aria da vecchio viscido di chi veniva qui in cerca di giovani dai corpi dotati di parti animali e bisognosi di denaro.
No, quel tizio era diverso da qualsiasi essere umano o fauno avesse mai visto oltre la sessantina: i suoi abiti pesanti e scuri con tanto di stivali in pelle stridevano con violenza in mezzo alla massa di sandali, camicie chiare e costumi da bagno.
E la sua postura non era curva come quella delle cariatidi che già alle prime ore del mattino affollavano le spiagge esponendo i loro corpi grinzosi, quell'uomo camminava eretto, i suoi lineamenti pur flagellati da rughe apparivano rigidi come il marmo, se Coern avesse dovuto paragonarlo a qualcosa, avrebbe detto che sembrava ad un pezzo di ferro, ma con qualche strato di ruggine sopra.
Il che era comunque sopra la media della maggior parte delle persone di quell'età che Coern poteva dire di aver visto a giro.
Inoltre, dettaglio che Coern notava soltanto adesso, dalla cintura dell'uomo pendevano due grosse scuri metalliche.
Fu allora che capì di non aver considerato l'eventualità più probabile tra tutte quelle prese in considerazione.
<< Ma tu sei... un cacciatore? >>
Un ghigno perfido, nascosto sotto strati di baffi, comparve sulle labbra dell'uomo.
<< Forse sì, forse un tempo, ma parliamo di te... >>
<< Se è per la coda, l'ho conficcata lì durante una rissa! >>
<< Escludendo il buco non vedo segni di rissa. >>
Coern sorrise.
<< Ho un ottimo deterrente. >>
L'uomo lo scrutò per l'ennesima volta, dalla testa ai piedi, ma i suoi occhi color ghiaccio non si soffermarono mai su quelli del giovane fauno, per la maggior parte del tempo rimanevano puntati su quella mazza da guerra attaccata alla coda.
<< Vedo, e dimmi, hai mai pensato che potresti farci dei soldi? >>
Il fauno rimase interdetto per un attimo, la sua mente si focalizzò su tutte le raccomandazioni di sua madre a lui e suo fratello riguardo il non usare in maniera stupida la propria eredità biologica, se non volevano fare la fine dello zio Quincey o farne una peggiore per mano sua.
E nessuna delle due alternative lo allettava molto.
Ma il pensiero venne subito superato dall'idea di trasformare quell'imbarazzante calamita di disastri nella sua migliore amica.
E soprattutto, cosa non avrebbe dato per lasciare quella minuscola isola e non rassegnarsi alla vita di dipendente in un qualche bar sperduto o al massimo vigilante nella guardia di Menagerie? L'esistenza da fauno non aveva spesso molto da offrire, quindi perché non valutare attentamente ogni opportunità?
Ma con criterio: non poteva certo fidarsi del primo sconosciuto dall'aspetto inquietante che gli offriva un lavoro.
<< Mi stai proponendo di iscrivermi in un torneo di combattimento per fauni? >>
<< Non siamo nelle miniere di Solitas, vedi ragazzo non sono solo un ex cacciatore, pensa a me come... ad una sorta di talent scout... >>
Coern non era del tutto convinto che ascoltare quell'uomo fosse una buona idea, ma d'altronde erano in pubblico, lui aveva una grossa coda spinosa, e nessuno lo aveva ancora richiamato nel locale, quindi tese bene le orecchie e rimase in ascolto....
Per tre secondi netti.
<< Dove vai? >>
<< Senti vecchio, è da quaranta minuti che devo pisciare, se vuoi propormi un lavoro ne riparliamo dopo il mio turno e all'ombra! >> e senza dire altro, si congedò dentro il locale bestemmiando a denti stretti per le scottature sul collo.
Il cacciatore sorrise tra sé e sé...
<< Beh, il potenziale dovrebbe esserci, se poi diventa anche intelligente... >>
Senza aggiungere altro se ne tornò al bar, il sole di Menagerie flagellava i passanti senza prendersi pause, e lui non era certo sopravvissuto a uomini e grimm per crepare di ipertermia.
Si sedette al suo posto e ordinò da bere, forse dopotutto quella vacanza sull'isola non sarebbe stata solo una scusa per bere.

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Capitolo 7
*** La Compagnia ***


La Compagnia

Coern si era fermato a Vacuo da meno di una settimana, e tanto era bastato per prendere in odio la città.
Non tanto per gli abitanti, per la miseria degli edifici (la qualità delle abitazioni dei quartieri periferici raggiungeva standard talmente bassi che in confronto Menagerie ospitava un resort di lusso) e i truffatori che a ogni angolo tentavano di raggirarlo proponendo amuleti arcani, braccialetti in osso di di drago e lampade ammaccate ospitanti irraggiungibili entità magiche.
No, il motivo per cui Coern stava dannando Bercen, il suo maestro, Roxane, il capo del distaccamento, e l'intera Compagnia in generale, era dovuto al più semplice dei motivi: il cazzo di clima.
Il fauno riteneva di essere cresciuto in un ambiente caldo, e si era pure convinto di avere acquisito una certa resistenza ai climi aridi, le lucertole non sono forse animali a sangue freddo, alla perenne ricerca di fonti di calore?
Beh, tutte le sue certezze erano andate in frantumi neanche dopo un giorno: facile dire di sopportare il caldo quando abiti accanto ad una cazzo di spiaggia, prova a passare tutta la giornata senza poterti fare un bagno, nel bel mezzo del deserto!
Il sole di Vacuo sembrava puntarlo come un occhi maligno, scaricando contro di lui l'intera potenza dei suoi raggi, per non parlare della sabbia, oh la sabbia, non c'era differenza tra il passare in mezzo ad una tempesta beccate una di quelle rare giornate prive di vento, al calar del sole si sarebbe trovato granelli dappertutto, li avrebbe sentiti tra i suoi capelli, sotto il suo collo, dentro le sue scaglie!
Decisamente Vacuo non faceva per lui e lui non faceva per Vacuo, ma non poteva negare che l'esistenza di quella città dimenticata dagli dei rappresentava una miniera d'oro per la Compagnia: tra villaggi isolati e in balia dei grimm, le violenze dei gruppi criminali dentro la città, e gli assalti degli abitatori del deserto o della White Fang ai treno merci, erano numerose le occasioni di guadagno per chiunque, cacciatore o mercenario, avesse avuto abbastanza forza e abbastanza stomaco per accettare ogni genere di commissione che la città aveva da offrire.
Lavori spesso appaltati dalla stessa Shade, l'accademia di cacciatori di Vacuo nonché la sottile linea che separava la turbolenta cittadinanza della città dalla totale anarchia.
Non era una sorpresa che la parte orientale di Sanus fosse uno dei settori più redditizi per l'intera Compagnia, per non parlare poi di tutta la spazzatura umana e faunista che la città vomitava giornalmente nei propri bassifondi, spazzatura da cui un buon reclutatore riusciva sempre a ricavare qualche elemento valido per l'organizzazione mercenaria, come evidenziato dal suo stesso istruttore.
Insomma, che a Coern piacesse o meno, la presenza a Vacuo faceva e avrebbe fatto parte della sua futura carriera da mercenario, qualora fosse sopravvissuto abbastanza a lungo per vederla realizzarsi.
Per questo si trovava qui: per imparare come funziona la vita della Compagnia, se voleva veramente diventare qualcosa di più che carne da cannone diceva Bercen, avrebbe dovuto trovare il modo di usare per fini costruttivi quello scarto di materia grigia intrappolato all'interno della sua scatola cranica.
Doveva essere sera in quel momento, eppure quel sole bastardo non ad andare via, illuminando con i suoi raggi il piccolo accampamento ai piedi della città.
Una ventina di tende, contenenti dalle quattro alle sei persone (eccezion fatta per quella della comandante) erano state disposte a cerchio su una piccola piana distanze a non meno di una ventina di metri dalla più vicina baraccopoli fuori dalle mura della città, con il perimetro difensivo costituito da niente più che casse e materiali di scarto raccolti lungo la strada.
All'interno del perimetro, un continuo via vai di uomini e armi scandiva i ritmi dell'accampamento, come nessuno fosse ancora collassato sotto il sole cocente per Coern costituiva un mistero non da poco.
Il giovane fauno se ne stava seduto su una piramide di legna rovinata, intendo a svuotare la quarta borraccia di quella giornata mentre con la mano libera scavava all'interno della sua stessa armatura in cerca di granelli di sabbia e potenziali parassiti tipici di quelle regioni (un brutto incontro con uno scorpione due giorni fa lo aveva reso particolarmente sensibile al tema), interrompendo di tanto in tanto il suo lavoro per versarsi un po' d'acqua sul palmo della mano e bagnarsi i capelli: il caldo del deserto asciugava rapidamente acqua e sudore, e a detta di Bercen, sarebbe stato prudente cercare di idratarsi il più possibile.
Solo una delle tante raccomandazioni date dal vecchio cacciatore, il quale alternava il suo lavoro all'addestramento del suo moccioso (come era stato affettuosamente soprannominato il ragazzo lucertola dai commilitoni più anziani), addestramento separato da quello di Petar, l'istruttore delle nuove leve, che Coern era tenuto a seguire assieme a quelle di Bercen.
La cosa non lo entusiasmava, ma dopotutto, quali altri suoi futuri colleghi avrebbero potuto vantare di avere un istruttore personale oltre a quello ordinario?
Anche se ad essere sinceri non era propriamente un istruttore privato, e Coern non era certamente il suo unico allievo, semplicemente, la sua coda, il suo dono e la sua maledizione aveva reso necessario un addestramento a parte rispetto agli altri onde evitare di renderlo un pericolo per gli altri e per se stesso.
Almeno in questi termini l'aveva descritto il vecchiaccio, ma Coern preferiva pensare che l'anziano cacciatore volesse spremere dal suo dono naturale il massimo del potenziale per rendere quel ragazzino di Menagerie una perfetta macchina da guerra!
O quantomeno, in grado di usare la sua coda spinata senza aprirsi il cranio con la stessa facilità con cui si apre un'anguria.
La vicenda dello zio Quincey insegna.
Il punto, è che ormai da un anno alternava l'addestramento con le nuove leve con quello solo lui e Bercen, addestramento che gli aveva provocato almeno il doppio dei lividi di quello con Petar, e in tutto questo era ancora ben lontano dall'essere un mercenario vero e proprio.
Serviva Bercen come assistente, e qualche volta aveva schiacciato un rattle sotto la coda, ma a parte questo, il suo battesimo del fuoco era ancora lontano, malgrado in quella settimana dove la Compagnia si era fermata a Vacuo avesse assistito a ben tre scontri tra i suoi colleghi e grimm, banditi e feccia varia.
La cosa più simile ad un combattimento per il momento erano gli allenamenti tra lui e la futura generazione della Compagnia, che era tenuto ad affrontare con la coda avvolta da spessi bendaggi, che se da un lato evitavano una precoce morte (anche) ai suoi compagni, dall'altro lo rendevano ancora più goffo di quanto non fosse prima, il che unito al fatto che, in quanto recluta più “anziana” era il principale bersaglio durante le mischie, non gli facilitava certamente l'esistenza.
Ma ehi, questo non voleva dire che i suoi compari guardavano a lui come quello più forte?
O semplicemente vedevano un bersaglio facile a causa della sua stupida e grossa coda?
Difficile stabilire quale delle due.
Coern scacciò il pensiero e riagganciò la borraccia mezza svuotata alla cintura, poi saltò giù dalla sua sedia improvvisata sollevando una colonna di polvere che quasi arrivò ai suoi occhi.
Scacciò il tutto con un colpo di tosse, portando subito la mano alla borraccia.
Fottuta polvere, fottuta sabbia e fottuto sole!
Un anno da quando aveva lasciato Menagerie, non poteva dire che il tempo stesse passando rapidamente, ma gli effetti si notavano: era cresciuto, tanto, non solo in altezza, il suo corpo si era fatto più resistente, la sua pelle era più dura, e la sua coda era meno incline ad incastrarsi in mobili e pareti.
Ed a detta di Bercen, era un po' meno deficiente rispetto al loro primo incontro.
Per gli standard di quell'uomo si poteva parlare di un complimento.
Un danno lontano da Menagerie...
I suoi non avevano accettato di buon grado, specie suo padre, ma quel lavoro avrebbe offerto molto più di quanto avrebbe mai trovato restando sull'isola e loro lo sapevano, che futuro avrebbe mai potuto avere lì del resto?
Guardia cittadina non se ne parlava, la sua coda non era la benvenuta, e di certo non voleva passare la vita a lavorare in un maledettissimo bar, era sbagliato aspirare a qualcosa di più?
Non era stato facile convincerli, ma se ne dovettero fare una ragione, e se non l'avessero fatto, beh sarebbe cambiato poco, se non altro si erano salutati con una minima dose di affetto.
Lo avevano seppellito di raccomandazioni, ma avevano accettato, mentre suo fratello, dall'alto dei suoi cinque anni di vita, gli ha raccomandato di essere educato e spedire qualche souvenir ogni tanto.
… Tutto sommato l'aveva presa bene.
E così era partito, spostandosi da Menagerie a Anima e da Anima a Sanus, il tutto nell'arco di un anno di apprendistato, marce forzate, lavori all'accampamento, eccettera.
La Compagnia solitamente non addestrava le proprie nuove leve per lunghi periodi, mirava a reclutare persone già in grado di guadagnarsi lo stipendio o per lo meno di usare un'arma, ma per i “giovani promettenti” c'erano delle eccezioni.
Anche se, a dirla tutta, sperava di smettere di essere un'eccezione il prima possibile: aveva imparato a combattere con diversi tipi di armi da taglio, a maneggiare pistole e fucili, e ad assemblare le armi, ed inoltre aveva reso la propria arma di morte... un'arma di morte più per gli altri che per se stesso.
E invece, eccolo lì, sotto il sole, ad addestrarsi con le nuovissime leve e spostare attrezzatura come un mulo da soma, il tutto per ma metà di quello che avrebbe guadagnato quando sarebbe diventato un uomo ufficiale della Compagnia.
Preso dalla stizza, quasi non si accorse che la coda aveva preso a muoversi per i fatti suoi.
Riuscì a imporle di fermarsi prima di polverizzare una cassa alla sua destra, ma non prima che uno dei suoi spunzoni passasse il legno da parte a parte.
<< Cazzo! >>
Con uno strattone, rimosse la coda dalla scatola sperando di non aver preso, tra tutti i cazzo di depositi dell'accampamento, la scorta personale di Bercen, o peggio, di Roxane.
Purtroppo per lui, la sostanza liquida che stava minacciosamente colando dal buco lasciato sulla cassa sul terreno sabbioso, costituiva la conferma dei suoi sospetti, cioè di essere fottuto.
Ottimo, tutto un discorso interiore sul quanto si sentiva pronto, ed ecco che avrebbe dovuto spiegare al suo istruttore o peggio, al suo datore di lavoro, perché una o più bottiglie sarebbero mancate all'appello: codona del cazzo!
Nemmeno il tempo di proferire le giuste bestemmie agli dei conosciuti e non di quel triste mondo popolato da mostri mangiauomini, che un'ombra si proiettò su di lui, soffocando sul nascere le sue speranze di far passare inosservato l'incidente con le scorte di alcool.
Nel corso del suo addestramento aveva imparato a prestare molta attenzione al suono dei passi, in modo da non essere mai preso alla sprovvista.
Ma con lei era impossibile, come puoi sentire i passi di qualcosa che non cammina, ma striscia?
<< Scommetto che quella cassa era già così quando eri arrivato. >>
Gli occhi di Coern si soffermarono sulla grande code serpentina che stava alla base di una ragazza che ad occhio e croce doveva avere più o meno la sua età, ma che a suo differenza era decisamente più a suo agio in quell'ambiente, a giudicare dall'assenza di screpolature da insolazioni che invece infestavano le braccia e le spalle del collega.
<< I miei occhi sono quassù... >>
<< Certo! Certo... >>
Non era la prima volta che sentiva pronunciare quella frase, nei suoi confronti o verso quelli di altre reclute, e pure gli stessi veterani che magari la conoscevano da più tempo di loro non riuscivano ancora a distogliere lo sguardo dalla coda del fauno.
Coern sapeva di essere nato con un dettaglio particolarmente ingombrante e... appariscente, era abituato ad essere guardato, ma in confronto a lei, pure lui sembrava una persona totalmente ordinaria.
Nissa, quello era il suo nome.
Si erano conosciuti quando lui e Bercen si erano spostati a Vacuo assieme al resto del distaccamento, lei era già lì, e Coern non avrebbe saputo dire da quanto tempo stava con Compagnia, ma a differenza sua la ragazza lavorava già sul campo, nello specifico come spia all'interno della città.
Il loro primo incontro non lo avrebbe dimenticato di certo: Bercen lo aveva fatto presentare con tutti i membri del distaccamento di Vacuo presenti per l'occasione, e quando era venuto il turno di conoscerla, quel vecchio bastardo aveva trovato molto divertente esordire con un “Ok, siete entrambi rettili quindi spero andiate d'accordo e se sboccia qualcosa di più ricordate di farlo protetto che non vogliamo reclute troppo giovani!”.
Se a Nissa la cosa fosse sembrata divertente Coern non lo avrebbe mai saputo dire, era troppo impegnato a cancellare dalla propria faccia l'espressione da ebete che si era creata subito dopo.
Ora, lui non si sarebbe definito certamente come una persona timida, ma ci vollero almeno tre incontri per riuscire a guardarla senza arrossire come un idiota.
Fottuto Bercen e fottuta vecchiaia.
Ok che erano entrambi rettili, ok che avevano lo stesso colore degli occhi... e della coda, ma un po' di tatto non farebbe male, stupida mummia!
Scacciando il rancido viso ghignante del suo istruttore dalla mente, Coern si impose di darsi un contegno.
<< C'è qualcosa che posso fare per te? >>
Nissa sorrise facendo segno di diniego, mentre con la mano si spostava una ciocca ribelle dalla fronte.
<< Mi hanno soltanto chiesto di chiamarti per l'addestramento con quelli nuovi, ma se vuoi fare qualcosa per me, cerca di non strapazzarli troppo quei poveretti. >>
Il fauno inarcò un sopracciglio.
<< Io li starei strapazzando troppo? Fanno squadra contro di me da quando li ho conosciuti. >>
<< Lo fanno perché ti temono, e non solo loro, anche con la coda fasciata combatti molto bene. >>
Un complimento?
Ok che era una spia (e tanto di cappello per riuscire ad esserlo nonostante l'aspetto appariscente, che per lui non si limitava soltanto alla coda), ma che motivo avrebbe di mentirgli?
Beh, bugia o non bugia, il suo orgoglio si sentiva gratificato, e se il suo orgoglio era gratificato, il suo umore lo era altrettanto.
<< Non l'avevo considerata in questo modo, va bene, cercherò di non... andarci troppo pesante. >>
<< Bravo ragazzo, ed io farò finta di non aver visto la tua coda devastare le scorte di alcool, ma solo perché non hai preso la mia scorta privata, a presto ragazzone. >>
E senza aggiungere altro, si girò sulla sua coda e con un'inversione a U fu presto a svariati metri da Coern, ai cui occhi quel movimento durò una piacevolissima eternità.
<< Affare fatto... aspetta! La tua scorta privata? Ed io quando avrò la mia?! >>
Nessuna risposta.
A quanto pare avrebbe dovuto scroccare la birra a Bercen per ancora un po' di tempo.
<< Tutto a suo tempo Coern... tutto a suo tempo. >>
Senza aggiungere altro, si diresse verso il centro del campo, dove erano soliti tenere le esercitazioni delle reclute.
Questa volta, si sarebbe premurato di guardarsi attorno per sincerarsi di chi avrebbe assistito.

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Capitolo 8
*** Colazione! ***


Colazione!

Coern era ormai certo che non si sarebbe mai abituato né all'insistente sole di Sanus, né all'irritante presenza della sabbia, per questo aveva accolto la notizia della partenza da Vacuo con parecchio, parecchio entusiasmo.
Dopo settimane di permanenza, la Compagnia lasciava la parte occidentale del continente portandosi dietro un ricco bottino tra i pagamenti delle commissioni e tutto ciò su cui era riuscita a mettere le mani durante i saccheggi nei campi delle tribù nomadi e altri... guadagni collaterali.
Tutti eventi a cui il fauno aveva potuto assistere giusto da lontano, ben non proprio a tutti gli eventi.
Aveva partecipato ad una delle missioni, sempre nelle retrovie, sempre a “guardare e imparare”, ma una volta tanto la missione era arrivata da lui, sotto le sembianze di una bandita dal fisico taurino che, dopo aver eluso la linea degli attaccanti, stava per aprirgli la testa come un cocomero prima di svignarsela nel deserto.
Ma la cosa si era risolta più o meno al contrario, con lui che schiva la sua mazza, le azzera l'aura con un colpo di coda alla bocca dello stomaco, e poi pone fine alle sue sofferenze lasciando la sua testa a rotolare nella sabbia...
No, non proprio a rotolare, il colpo non era stato dei più precisi, e aveva dovuto colpire altre due volte per porre fine alle urla.
Non che ne fosse particolarmente turbato, del resto era questo che facevano i mercenari, e si era arruolato per combattere e uccidere.
Ma la prima uccisione era sempre... la prima uccisione, e non era certo su come si sentiva, fin da bambino era abituato a fare a botte, ma sopprimere una vita aveva un sapore decisamente diverso, e non avrebbe mentito nel dire che non era proprio come se lo immaginava.
Se non altro, smaltito il momento “Oh no! Ho ucciso una persona!”, il giovane fauno poteva considerarsi soddisfatto per come era finita la sua prima missione.
Anche se era successo tutto per puro culo (o nel caso della corpulenta bandita, per pura sfortuna).
Tuttavia, restava un'importante tappa nel suo personale cammino lungo l'età adulta, e si sentiva più sicuro di sé.
E come se la propria realizzazione professionale non fosse un premio giù sufficiente, adesso se ne stavano finalmente andando via da quello schifo di paese!
Addio caldo, addio sabbia, addio catapecchie tirate su con lo sputo e gentaglia che cerca di accoltellarti dietro ogni vicolo (e parlava per esperienza), addio insetti grossi e strani, e di nuovo, addio caldo!
Sarebbero partiti la mattina seguente, e tutte le parti non essenziali dell'accampamento stavano già venendo smontate e caricate sui camion, pertanto quella sarebbe stata la loro unica giornata di servizio, e per festeggiare il successo, alle reclute veniva concesso la cosa più vicina ad un giorno libero che avrebbero mai potuto avere (concessa gentilmente dal loro istruttore, affinché ne avesse una LUI di giornata libera).
Purtroppo per lui, nel momento stesso in cui aveva aperto la gola a quella bastarda sotto steroidi, Coern aveva cessato di essere una recluta, e anche se Bercen avrebbe continuato a perfezionare le sue capacità, da lì in avanti avrebbe combattuto tra i ranghi della Compagnia come membro ufficiale.
Beh, momento peggiore per diventarlo, ma era quello che aveva sempre atteso, e il mancare alla giornata libera non avrebbe certo assassinato il suo entusiasmo, infondo avrebbe solo dovuto aiutare a smontare l'accampamento.
No, decisamente quella notizia non aveva smorzato il suo entusiasmo quando si era accomodato sul letto la notte prima al loro ultimo giorno a Vacuo.
A smorzare il suo entusiasmo ci avrebbe pensato ciò a cui avrebbe assistito il mezzodì successivo.
Tutti fissavano la scena abbastanza attoniti, scossi da come una creature simile fosse riuscita ad eludere la sorveglianza di una delle più (o meno) rinomate compagnie mercenarie di Remnant per introdursi nel cuore del loro quartier generale.
Ma la cosa che più li intimoriva era l'assenza di vergogna, il menefreghismo, la sfacciataggine con qui quella creatura alta poco più di un metro se ne stava a testa alta, circondata dall'intero accampamento, a chiedere di mangiare a scrocco!
<< Colazione! >>
Era una visione abbastanza alienante, ed in parte inaspettata, non del tutto, ma certamente non rientrava nell'ordinario della compagnia che un sudicio (non per essere cattivi, ma era sporco di terra dalla testa ai piedi) ragazzino facesse magicamente la sua comparsa nel bel mezzo dell'accampamento e provasse pure a scroccare da mangiare.
Se sul dizionario c'era una foto accanto alla definizione di miseria, probabilmente era molto simile a quello che Coern stava osservando.
Capelli lunghi e tagliati probabilmente con un pezzo di vetro raccolto da terra da cui emergevano due orecchie lupine incrostate di sudicio, fungevano da appartamento per quella che sembrava essere una colonia di pidocchi.
La sua pelle, come Coern poteva vedere dalle gambe e dai piedi nudi, era scura e arrossata, probabilmente bruciata dal duro sole di Vacuo, e su tutte le gambe poteva intravedere tracce di sporco e crosticine sparse qua e là, e giusto per non farsi mancare niente, il suo vestito sembrava perlopiù un mucchio di stracci cuciti assieme.
Ora, non che l'accampamento con le sue tende sporche, la sabbia ovunque e gli scarti abbandonati qua e là fosse il regno dell'igiene, ma il minimo indispensabile per tenere pulito lo facevano, non sia mai che gli uomini e le donne della Compagnia vengano scambiati per una massa di mendicanti.
Eppure per qualche motivo il ragazzino non sembrava essersi accorto di stare in mezzo a uomini armati e non nella mensa pubblica di un ente di carità.
E se ne era accorto ma non gli era importato, ed il giovane fauno non era certo di quale delle due alternative fosse la più preoccupante.
<< Co... lazione! >>
Non parlava nemmeno bene, ed aveva la voce rauca, doveva toccare standard che nemmeno l'orfano medio di Vacuo (categoria a cui apparteneva una buona fetta delle nuove reclute) era riuscito a raggiungere.
Il cuoco lo guardava con l'aria di chi non sapeva che pesci prendere, mentre l'intruso gli avvicinava il piattino con insistenza.
<< Cola... zione...? >>
<< Dov'è finito? >>
Coern si girò, trovandosi davanti il corpaccione di Denys, l'addestratore di cani, intento a farsi largo tra gli astanti, e per farsi largo si intende spingerli via con la forza delle sue manone insensatamente grandi.
Nissa, accorsa anche lei, per poco non venne travolta da una recluta che era stata mandata gambe all'aria dalla spinta dell'omaccione.
Prima che questi potesse mandare anche Coern a fare la fila per la tenda dell'infermeria, il fauno ebbe la prontezza di tendere le mani in aventi e fermarlo dall'investire altre persone, non prima di essere sospinto all'indietro di mezzo metro.
<< Dov'è finito cosa? Per caso ha a che fare con il moccioso che ci sta scroccando il pranzo? >>
<< Moccioso? >>
L'addestratore alzò lo sguardo sopra Coern, e solo allora sì accorse della bizzarra situazione che si stava svolgendo al centro del campo.
<< Sì, il moccioso! L'ho visto sta mattina che stava dormendo in mezzo ai cani da guerra, e gli sto dietro da allora, si è pure inculato una lattina di birra e il mio pranzo... e quello dei cani! >>
<< In mezzo ai cani? Senza essersi fatto sbranare? >> Nissa strisciò in mezzo ai due con aria incuriosita << Si direbbe che hai trovato un candidato assistente. >>
<< Dei, no...! Per quanto ne so potrebbe essere una spia! >>
<< Oppure... >> ribatté la donna serpente << La sicurezza lascia a desiderare, comprensibile, tutti non vedono l'ora di andarsene e tutte le guardie al perimetro puzzano di birra, poi sarà arrivata la notte, e noi siamo soliti aspettarci persone un po' più... alte. >>
Coern annuì.
L'idea che un moccioso potesse intrufolarsi nel campo era talmente assurda da non meritare nemmeno di essere presa in considerazione.
Eppure, era successo.
<< Magari l'hanno scambiato per uno dei cani. >>
In quel momento, il chiacchiericcio dei presenti si quietò all'istante, e Coern ne capì il motivo non appena tornò a rivolgere lo sguardo sulla scena, trovando una donna in armatura, alta, olivastra e dalla lunga chioma scura, intenta a sollevare l'intruso per la collottola per studiarla con i suoi penetranti occhi castani.
Era Roxane, il comandante del distaccamento, e non sembrava particolarmente disturbata dalla presenza del ragazzino, che di rimando non si mostrava particolarmente intimorita dal viso severo della comandante.
Anzi, aveva iniziato a porgerle il piattino.
<< Cola. Zi. One! >>
“Ma questo è scemo”, pensò il lucertolone tra sé e sé.
<< Tu non mi sembri una spia, il che è più preoccupante di quanto sarebbe se lo fossi sul serio. Ok, qualcuno riconosce questa ragazzina?! >>
Ragazzina?!
Roxane volse il moccioso verso il pubblico (ignorando la quantità di oggetti indebitamente presi in prestito che stavano cadendo dalle sue tasche), e aguzzando lo sguardo, Coern poteva notare che quel brutto muso sdentato poteva benissimo essere quello di una ragazza, ma chiunque se lo fosse trovato davanti avrebbe probabilmente pensato ad un maschio, Coern incluso.
Nessuna risposta, a parte l'imprecazione di un soldato che a quanto pare aveva finalmente capito che fine aveva fatto il suo spazzolino, e qualche “permesso” di chi cercava di farsi largo per recuperare uno dei suoi oggetti.
Roxane riportò la mocciosa a se.
<< Allora, cosa ti porta qui? >>
Lesta, la ragazzina indicò prima il recinto dei cani, ma subito dopo, con più decisione, il grosso pentolone ancora ricolmo di porridge al pollo.
<< Non siamo la mensa dei poveri. >>
Malgrado la risposta, quando tolse la ciotola dalle mani dell'intrusa, lo fece per porgerla al cuoco e farla riempire, al che la restituì alla ragazzina, che messa giù inizio a scolarsi in bocca (e con malagrazia) il contenuto della stoviglia.
<< Sia chiaro, devi andare via e se mandi qui altri tuoi amici li spedisco via a calci. >>
La mocciosa sembrò non ascoltarla nemmeno, si pulì le labbra con la manica e iniziò a tastare con le dita i rimasugli di porridge della ciotola, come a studiarli.
Il comandante del distaccamento non volle dedicarle altro tempo, e la lasciò lì a chiedere il bis al cuoco, cuoco che glielo concesse, al che l'intrusa si allontanò contenta con la sua seconda porzione tra le mani, sta volta intenzionata a consumarla in un posto un po' più appartato.
La folla si era già dispersa, la faccenda dell'orfana poteva dirsi chiusa qui, ma prima di lasciare il posto, si trovò con la strada tagliata da una lunga coda verde, quella di Nissa, a cui Coern rivolse uno sguardo tra l'incuriosito ed il preoccupato, e lo stesso fece Denys, forse intuendo le intenzioni della collega.
<< Ehy, tutto bene? >>
La ragazzina, che ad occhio e croce non doveva avere più di dieci anni, guardò prima Nissa, poi la ciotola, poi di nuovo Nissa << Piena. Bene! >>
<< Da dove vieni? >>
In risposta, puntò l'indice verso la città.
<< I tuoi genitori? >>
<< Genitori? >>
Coern non aveva bisogno di una laurea per intuire che non ne avesse.
<< La tua casa? >>
Iniziò a grattarsi l'orecchio, per poi tirarne fuori una palletta di cerume prontamente lanciata in mezzo alla sabbia.
<< Casa? >>
<< Immaginavo... >>
L'espressione della donna serpente si fece corrucciata, al che Coern iniziò a guardarla con la mente piena di domande.
In quei giorni aveva avuto modo di approfondire la sua conoscenza con Nissa, ma c'erano ancora molte cose di lei che non conosceva, in primis, di dove fosse, e di cosa facesse prima di entrare nei ranghi della Compagnia.
Che la vista della ragazzina le riportasse alla mente ricordi spiacevoli?
Od era semplicemente lui ad essere un bastardo insensibile?
E forse avrebbe gradito che anche lui prendesse un pochino più a cuore la questione?
<< Allora, ti è piaciuto il porrigde? >>
<< Piaciuto! >>
<< Ne vorresti ancora? >>
<< Ancora? >>
<< Ancora. >>
<< Ancora! >>
Ora che Coern lo notava, il piattino era già stato svuotato di una buona metà.
<< Che ne diresti... ah, avrai sete, vuoi qualcosa da bere? >>
Annuì.
Poi indico una cassa di alcoolici che, e solo ora Coern se ne rendeva conto, la collega stava portando con se, avvolta nella coda.
<< Ehm no, primo, è la mia scorta personale, secondo, non credo ti facciano bene. >>
Senza preoccuparsi delle sue proteste, la ragazzina fece per avventarsi sulla riserva di Nissa, per fortuna il fauno ebbe la prontezza di sollevare la cassa con la forza della sua coda, lontano dalla portata della ragazzina.
<< Vado a prenderti dell'acqua, e poi... vorrei parlarti, ti va bene se scambiamo qualche parola? >>
L'intrusa annuì, Denys fece per ribattere.
<< Tu vieni con me, ne parliamo in privato. >>
<< Lo dico subito, se si farà mangiare la mano da un cane non voglio... >>
<< Evitiamo certi dettagli davanti a lei! Con permesso... >>
Ok, Coern, che finalmente era arrivato a capire a cosa stava mirando la compagna, non era certo che quella della compagna fosse una buona idea, ma a guardarla da un'altra prospettiva, probabilmente quella ragazzina sarebbe morta in strada.
Magari, se trovavano un modo di portarsela dietro fino al primo orfanotrofio decente (quindi, escludendo quelli di Vacuo), avrebbero avuto la piccola soddisfazione di aver, forse, salvato una vita.
Doveva solo convincere Denys, cosa non facile ma la parola Nissa, se si ignorano le regole della morfologia, della metrica e della sintassi, fa rima con persuasione, ed effettivamente a quell'uomo serviva un'assistente.
Sarebbe bastata una brevissima chiacchierata.
Così, presto Coern si trovò da solo con la nuova arrivata, la quale piuttosto che prestargli attenzione era intenta a cercarsi i pidocchi tra i capelli.
<< Quindi, hai un nome? >>
Gli occhi grigio chiari della bambina si concentrarono forse per la prima volta sul fauno, e non passò molto tempo prima che da lui passassero alla sua coda, che iniziò a fissare dimenticandosi completamente del minuscolo insetto che stava trattenendo tra il pollice e l'indice.
<< Lo prendo per un no, io comunque sono Coern. >>
La ragazzina annuì.
<< Corny. >>
<< No, non è quello che ho detto, Coern. >>
<< Co... en. >>
<< Ok, cerchiamo di rendere le cose più semplici, vedi, quando diventi il Capo, devi chiamarti con un nuovo nome, rinunciare simbolicamente alla tua vecchia vita, per dirti: puoi iniziare a chiamarmi Crox. >>
<< Cro... Dorx... Dox...? >>
Coern non aveva la minima idea di come funzionasse l'udito della nuova arrivata, o più probabilmente era sull'esprimersi che aveva qualche problema. >>
<< Riproviamo, Crox, C-R-O-X. >>
<< Crox... >>
<< Bene, abbiamo fatto un progresso. >>
<< Crox... y... Dox... y. >>
<< No, solo Crox! >>
La bambina sorrise, come se avesse appena risolto l'equazione della vita.
<< Croxy... Doxy! >>
Coern in quel momento, capì di essersi appena condannato ad avere un nomignolo ridicolo fino alla fine dei suoi giorni.


Atlas, anni più tardi.

Immersa nella stanza laboratorio dell'accademia, la cacciatrice stava armeggiando con la fiamma ossidrica, intenta a riparare l'equipaggiamento suo e dei suoi compagni dopo l'ultimo scontro con i grimm nella gelida tundra atlesiana.
Ultimamente gli attacchi si erano fatti più feroci, le armi urgevano di manutenzione e miglioramenti, che lei avrebbe apportato il prima possibile, in vista di qualunque cosa si celasse dietro l'aumento esponenziale degli avvistamenti.
Raramente queste cose accadevano per caso.
Era da qualche ora che stava lavorando, ed il caldo aveva iniziato a farsi opprimente, sentiva le mani sudate dentro i guanti da lavoro color cuoio e i piedi umidicci dentro gli stivali grigio chiaro.
Si era allacciata la giacca grigia alla vita, rimanendo soltanto con la maglia canottiera nera (in tinta con i pantaloni) a coprirle il busto piatto.
Tuttavia non avrebbe mollato il suo lavoro ancora un po', il laboratorio dell'accademia era deserto in quella fascia oraria, e avrebbe preferito lavorare senza chiacchiericcio di sottofondo.
<< Kara, è arrivato un messaggio per te, una commissione da un certo Crox. >>
Come non detto, al diavolo la concentrazione.
La ragazza ripose la fiamma ossidrica e si girò verso l'uscita della stanza, da cui proveniva la voce familiare del suo mentore.
Riconoscendo da dietro la lente la bassa silhouette del suo maestro (non che lei fosse tutta questa altezza), abbassò la maschera protettrice, scoprendo un viso affilato e chiaro, coronato da un'ordinata capigliatura a caschetto castana le cui ciocche le arrivavano appena alle spalle, e da cui spuntavano due orecchie da lupo.
Puntò gli occhi affilati sulla figura del mentore, sorridendo.
<< Quindi non si è ancora fatto ammazzare, bene, cosa gli serve e quando viene a ritirarla? >>



Nota dell'autore
Il personaggio di Kara appartiene a 
Golden Fredbear, che ringrazio per aver aiutato nella scrittura di questo capitolo.

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Capitolo 9
*** Figlio prediletto ***


Figlio prediletto

Suo padre non lo amava.
Qualche anno fa questa verità gli avrebbe spezzato il cuore, ma ormai aveva imparato ad accettarla come un dato di fatto.
Non c'era posto nel cuore di Dominik Keller per qualcosa che non fosse se stesso, il suo ego, e le pochissime cose che erano in grado di rientrare nei suoi personalissimi (e dagli standard offensivamente alti) canoni di accettabilità.
E Xavier non rientrava tra quelli.
Non era nulla di incredibile, davvero, quanti padri non amavano il proprio figlio?
Molti, molti genitori che avevano avuto gravidanze indesiderate ed incolpavano i figli per avergli rovinato la vita, genitori incapaci di gestire un divorzio e bisognosi di proiettare le proprie frustrazioni sulla forma di vita più prossima.
Ma Dominik non era niente di tutto questo, lui semplicemente lo aveva fatto venire al mondo con delle aspettative, aveva poi ritenuto che le aspettative non fossero state soddisfatte, e lo aveva scartato come un prodotto difettoso.
Un prodotto difettoso sarebbe in grado di razionalizzare la cosa allo stesso modo?
Beh, non che lo avesse fatto da solo, suo padre era stato estremamente conciso sulle sue opinioni.
E non c'era mai rabbia nella sua voce, né rabbia né pietà, affetto, delusione o qualsiasi altra cosa anche solo lontanamente simile a un sentimento, avrebbe potuto mandargli un messaggio sullo scroll e avrebbe avuto lo stesso effetto.
Ma perché si preoccupava tanto poi?
Suo padre era un bastardo egoista, e lui non aveva nessun motivo di sentirsi nel torto.
Punto.
Del resto non era la prima delle sue vittime, sua madre e suo fratello dovevano saperne qualcosa.
Già, Vlad.
Suo fratello maggiore, a sua volta prodotto scartato dal genitore.
Anche lui sembrava aver accettato il suo destino, anzi, riusciva a vederci qualcosa di positivo nonostante tutto, che fosse per saggezza o per sfuggire alla depressione era difficile a dirsi, ma almeno aveva qualche parola di conforto anche per lui.
<< Non preoccuparti, ci darà un qualche lavoro ben pagato in una filiale dell'industria e ci lascerà lì a prendere polvere, non sarà così male. >>
Xavier sospirò a gran voce, abbandonando la posizione sdraiata per tornare seduto sul comodo divanetto di casa Keller.
Era da qualche ora che se ne stava sdraiato su quel divano del salotto, forse erano due ore che se ne stava lì, non ricordava nemmeno perché aveva scelto di riposare lì.
Nonostante fosse sempre vissuto in quella casa, più cresceva più si rendeva conto della presenza di elementi che lo mettevano a disagio, a partire dal fottutissimo salotto.
Di per sé non c'era nulla che non andava... e forse il problema era proprio questo, l'ampia sala di casa Keller sembrava il set di un negozio di mobili: niente polvere, niente colori che stonavano, mobili piazzati esattamente dove potevano farsi notare al meglio.
Forse era tutta una sua paturnia, ma quel salotto, anzi tutta la casa fatta eccezione per camera sua sembrava finta, poteva passare tutto il giorno ad aprire cassetti e sportelli, a sincerarsi che fossero realmente mobili con dentro vestiti e oggetti veri, eppure non si sarebbe mai tolto la sensazione che tutto quello che lo circondava fosse semplicemente un grosso set per impressionare ospiti che non sarebbero mai arrivati o per scattare qualche bella fotografia di famiglia (non ricordava l'ultima volta che ne avevano fatta una, se ne avevano fatta una).
Un finto salotto in una finta casa per una finta famiglia, sarebbe quadrato tutto quanto.
Con una smorfia, Xavier decise che ne aveva abbastanza di quel divano e di quel salotto, ma prima di uscire non poté fare a meno di soffermarsi con lo sguardo su un piccolo specchio da parete attaccato alla porta che dava verso il corridoio.
Guardandosi, nemmeno lui sarebbe stato certo del legame di parentela che lo legava a suo padre.
Certo, il colore nero dei capelli era quello, ma più che alla capigliatura del padre, la sua assomigliava ad un grosso cespuglio di cui il giardiniere si era dimenticato dell'esistenza, ed anche i suoi occhi, blu come quelli del padre, gli parevano in qualche modo diversi da quelli di Dominik.
Non che fosse ansioso di assomigliare al genitore, tutt'altro.
Giacca rossa con tanto di cappuccio in cui scomparire dopo una brutta giornata, sopra una maglietta nera e pantaloni grigio chiaro.
Le orecchie perennemente occupate da un paio di grosse cuffie collegate allo scroll in tasca con cui stordirsi di musica dall'alba al tramonto, e al collo una collana consistente in una cordicina scura che reggeva una piccola placca metallica rettangolare che molti scambiavano per un accendino, o almeno così pensava visto che quando usciva trovava sempre quello che gli chiedeva se aveva da accendere.
Decisamente non il figlio modello del grande scienziato Dominik Keller, ma aveva ragione Vlad: a che scopo crucciarsi?
Lavoro in una filiale e apposto per la vita, no?
Sì.
Eppure l'idea di dover elemosinare qualcosa da una persona che lo considerava poco più che polvere non lo rendeva felice, era davvero così patetico?
Sì.
Il suo riflesso nello specchio divenne troppo pesante da sopportare, abbandonò il salotto e prese a vagare per il corridoio, ma con le idee ben chiare su dove andare.
Suo padre quel giorno era lontano da casa, ultimamente aveva passato la maggior parte del tempo nel laboratorio sotterraneo (sì, a volte il padre sembrava un cliché dei fumetti, o forse tutti gli scienziati di Atlas costruivano i propri laboratori personali nel seminterrato), ma questa volta non si era potuto sottrarre ai suoi impegni lavorativi (un tenore di vita simile non si mantiene da solo).
Quale modo migliore di passare il tempo che curiosare nel laboratorio di papà?
Nulla di particolarmente eccezionale o eccitante per lui, da bambino ci era stato più volte di quante avrebbe voluto ricordare, e quel posto gli era sempre parso di una noia mortale.
Suo padre non gli aveva mai vietato di entrarci anche quando aveva rinunciato a considerarlo un “degno erede”, eppure agli occhi di Xavier, attraversare la grande porta metallica che separava il laboratorio dal resto della casa aveva il sapore delizioso di un'infrazione in piena regola alla faccia del bastardo.
O semplicemente sentiva il bisogno di stare in una stanza che non sembrasse un gigantesco set pubblicitario.
Al diavolo il mio vecchio, pensò, aveva bisogno di una distrazione, ed anche se di seconda categoria, lui rimaneva sempre un Keller, quel laboratorio era stato pensato anche per lui!
Così senza pensarci troppo, aprì la porta, che raramente il padre lasciava chiusa se non quando si assentava per lunghi periodi, e scese una brevissima rampa di scale che lo portò davanti ad una seconda porta ancora più spessa e pesante della prima.
Aperta anche quella, le sue narici vennero investite dal familiare odore di soluzione disinfettante che non aveva mai imparato ad ignorare.
Poi i suoi occhi iniziarono a viaggiare per il laboratorio, ma improvvisamente si sbarrarono, mentre poteva sentire il cuore perdere un battito.
Per un attimo smise di avere sensibilità alle gambe e dovette aggrapparsi allo stipite per non crollare a terra, non aveva nemmeno la forza per urlare, nemmeno la lucidità per elaborare quello a cui stava assistendo.
Anche se non era quello che stava guardando il problema, quanto il significato dietro la visione a cui stava assistendo.
Il laboratorio era esattamente come se lo ricordava: l'ordine, le librerie, la comoda sedia di papà e gli schermi da cui poteva seguire tutto quello che accadeva dentro casa sua in caso di emergenza, gli utensili da ricerca e una collezione di vecchi DVD.
Era la stanza principale, dalla quale si diramavano vari corridoi per le camere dei test, magazzini e altre zone adibite a scopi ben più specifici.
Il laboratorio era grande, non il più grande e certamente non l'unico, ma di sicuro era quello a cui il padre doveva essere più legato, anche Dominik Keller aveva dei sentimenti dopotutto.
Ma i sentimenti di Dominik erano sempre stati un mistero per suo figlio, che se era certo di conoscere qualcosa sul padre, almeno il minimo per interpretare sue certe idee e certe trovate, adesso era completamente inerte, incapace di elaborare quello che aveva davanti.
Eppure era tutto così chiaro, tutto così “da papà”, era lui che non voleva accettarlo.
Non poteva accettarlo, ma in realtà non si sarebbe dovuto sorprendere, anzi, si sarebbe dovuto dare dello stupido per non aver mai considerato l'ipotesi che una persona come suo padre sarebbe arrivata a farlo, perché lo conosceva abbastanza da sapere che ne era decisamente capace!
Accettare di essere stato sostituito, accettare che non avrebbe nemmeno potuto ereditare e vivere bene pur con la consapevolezza di essere una delusione, no, suo padre gli aveva negato anche questo, Vlad aveva ragione, il suo futuro era a marcire in una filiale mentre gli veniva persino negato il diritto di essere il figlio del celebre Keller.
Diritto che il padre aveva trasferito a quella... cosa che lo stava fissando da sopra l'unico tavolo della stanza.
Che Vlad lo avesse sempre saputo, mentre lui era il solito idiota che scopriva le cose per ultimo?
Ovvio, ovvio che doveva essere così, lui era sempre all'ultimo posto.
Mentre lui... lui sì che sembrava il figlio di Dominik, anche se il colore degli occhi era diverso, ed anche se gli mancavano le braccia e tutto dalla vita in giù ne aveva i lineamenti, la pettinatura, il portamento, e probabilmente, la stessa aura.
Tutto il suo corpo era in metallo eccetto la faccia, quell'egocentrico di suo padre non poteva che partire da lì, realizzando una sua copia carbone dagli occhi rossi.
Copia carbone che lo stava osservando, senza dire niente, appena indispettita dalla sua intrusione.
Anche se gli occhi non erano blu, il suo sguardo era... era come quello di suo padre, riusciva a leggere la stessa sufficienza, lo stesso disprezzo che poteva vedere in quelli del genitore.
E quando capì che quella vista lo turbava più di qualsiasi altro dettaglio, Xavier fece dietrofront e lasciò la stanza, senza nemmeno curarsi di chiudere la porta.
Ma quello sguardo, non avrebbe mai smesso di sentirlo sulla sua schiena per chissà quanto tempo ancora.



Nota dell'Autore
Xavier, come l'intera famiglia Keller, appartiene a
Thanos 05, che ringrazio per l'aiuto nella scrittura di questo capitolo.

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