Il Giardino Segreto

di _Bri_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Contatto ***
Capitolo 2: *** Prologo - Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo I - Le Celle ***
Capitolo 4: *** Il Giardino ***
Capitolo 5: *** I Ricordi ***
Capitolo 6: *** La Luna e lo Scudo ***
Capitolo 7: *** Il Velo e l'Uragano ***
Capitolo 8: *** Il Fabbro e il Falco ***
Capitolo 9: *** L'Anarchico e il Blasfemo ***
Capitolo 10: *** Il pavido e L'impavido ***
Capitolo 11: *** Il Tritone e la Sirena ***
Capitolo 12: *** Sanguerosso e Sangueblu ***
Capitolo 13: *** La Ragione e il Sentimento ***
Capitolo 14: *** La pallida luce della paura ***
Capitolo 15: *** Memoro ***
Capitolo 16: *** La Piramide ***
Capitolo 17: *** Il Dottore ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo - Contatto ***


PROLOGO
Contatto
 
 
Victor correva a perdifiato. Ogni muscolo del suo corpo faceva male, ma sapeva che nei confini di quel perimetro era impossibile smaterializzarsi. Ci aveva provato un numero infinito di volte, non riuscendo mai a concludere alcunché; un giorno (quanto era passato, da quando si era trovato rinchiuso lì?) credeva quasi di esserci riuscito, ma tutto quello che riuscì ad ottenere fu una dolorosa spaccatura che gli aveva piegato la gamba ad angolo retto. Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in corpo, in mezzo ad uno dei ricorrenti sbocchi di quel labirintico giardino, da cui aveva provato in tutti i modi a fuggire; aveva poi perso i sensi, come tutte le dannate volte in cui aveva tentato la fuga e si era, al solito, ritrovato nella cella phi, con la gamba fasciata e una soluzione di oppiacei sparata in vena.
Anche quel giorno la sua cella disordinata, che dava sull’ala ovest del giardino, si aprì davanti ai suoi occhi scuri, ormai stanchi di vedere quelle sbarre lucide sollevarsi in un cigolio sinistro. E lo sapeva, Victor, che sarebbe dovuto uscire. Si sentiva una fiera in cattività, stimolata all’occorrenza per dare spettacolo; eppure di visitatori vogliosi di spiarlo nemmeno l’ombra, mai, nemmeno una volta.
Cominciò a correre, Victor, mentre sentiva gli occhi pizzicare; il sole era sempre alto in quel cielo asettico. Il giardino, quel terribile giardino, sempre in fioritura. Il clima mite non accennava mai a variare. Sebbene Victor inizialmente si fosse stupito di non vedere mai il sole tramontare, o una singola goccia di pioggia toccare l’erba rigogliosa, dopo un po’ ci aveva fatto l’abitudine. Avrebbe anche smesso di esplorare i corridoi machiavellici del giardino, se lui non gli avesse specificato che doveva farlo, se non avesse voluto subire conseguenze. Victor non aveva una personalità semplice, no di certo, per questo quando lo incontrò la prima volta, lo aveva attaccato con ferocia. Ma quegli occhi verdi, glaciali, chiarirono il grande errore che il ragazzo aveva fatto, nell’opporsi a lui. Certo, chi non si sarebbe ribellato al suo posto? Era in redazione, un giorno come un altro e stava aspettando che una giovane leva portasse l’articolo sui mondiali di Quidditch che avrebbe aperto la sezione dello sport della Gazzetta del Profeta; era anche parecchio scocciato, Victor, perché detestava perdere tempo.
Poi il buio.
Quando aveva aperto gli occhi, si era ritrovato a boccheggiare nel rendersi conto di essere riverso sul pavimento a scacchi di due intensi toni di verde di quella che era presto diventata la sua cella. Inizialmente credette che qualcuno gli avesse giocato un brutto scherzo, ma la verità arrivò presto a colpirlo come uno schiantesimo in pieno petto.
Successe quando incontrò il dottore.
Ed ora, con quel ricordo che lo riempiva d’orrore, Victor continuava a correre, fin quando non impattò con una delle siepi che parve essere apparsa d’improvviso
 
-Porco Merlino!- la schiena aveva gracidato sotto l’impatto violento. Victor strinse gli occhi e i denti, reprimendo un verso di dolore acuto; faceva un male cane, dannazione
 
-Stai bene?-
 
Victor credette d’essere morto, quando il suono di quella vocina angelica si unì alla vista: aprì un solo occhio, ma non riuscì a trattenersi dallo spalancare presto entrambi che, avidi, risalirono dalla visione di un paio di scarpe assurde, di scuro ferro battuto e con una zeppa molto alta, fino a due gambette nude e poi più su, al corpicino rivestito da un abito d’organza azzurra. La bocca allappò, dinanzi al viso della più pura delle creature, che lo fissava con preoccupazione, mentre andava ad inginocchiarsi al suo lato
 
-Sono stato meglio…- masticò indolenzito, per poi tornare a fissare quegli enormi occhi  caldi, che tremavano appena nel ricambiare lo sguardo. Fu istintivo allungare una mano, ad afferrare un boccolo dorato che pendeva morbido sopra il suo viso.
Si, doveva essere morto e quello era un dolce spirito che era giunto a fargli da guida fino all’aldilà. Ringraziò gli antichi maghi, perché una così splendida creatura non sarebbe mai potuta essere presagio di sventure, o una temibile traghettatrice di anime dannate. Victor, per un qualche assurdo miracolo, sarebbe finito in paradiso
 
-Come ti chiami?- proseguì lei, senza scomporsi
 
-Victor…Victor Selwyn, ma tu dovresti saperlo dato che sei il mio angelo custode- scherzò lui, sebbene certo di quella verità. Si stupì di vedere le labbra della creatura piegarsi ed accennare una risata cristallina
 
-No che non lo sono, mi chiamo Jules-
 
-Jules? Ma non è un nome da maschio?- La sincera sfacciataggine di Victor non s’era limata, nemmeno una volta abbandonata la vita terrena
 
-Lo so, me lo dicono tutti, ma è una lunga storia…da quanto sei rinchiuso qui, Victor?-
 
-Non lo so, giorni? Mesi?-
 
-Io anche ho perso il conto- pigolò Jules –ma sono certa non siano passati più di quindici giorni…hai mai incontrato qualcuno prima di me?-
 
Victor strabuzzò gli occhi, allibito davanti quella rivelazione tanto lampante. Non era morto, quindi. E non solo non era morto, inoltre quel piccolo miracolo dorato altro non era che un’altra prigioniera
 
-No, nessuno…sei la prima persona che incontro, oltre a, beh…-
 
-Il Dottore e i due Mangiamorte- rispose pratica, Jules. Victor annuì ed aiutato dalla ragazzina si rimise in piedi, constatando che nonostante quelle scarpe altissime, la staccava di molti centimetri
 
-Sai dirmi come sei finita qui?- lo sguardo, incuriosito dall’atipico abbigliamento della meravigliosa fanciulla, ispezionava gli intarsi incisi sulle scarpe
 
-Non lo so…ero a casa mia quando è successo, stavo fluttuando in giardino-
 
-Fluttuando?-
 
Jules annuì, così sorrise candidamente –L’ho capito che sei incuriosito da queste- disse indicando le scarpe; dall’espressione serena, Victor comprese che Jules dovesse essere abituata alla curiosità mostrata nei suoi confronti. Jules allungò la mano destra e afferrò quella molto più grande di Victor senza indugiare
 
-Mi aiuteresti? Così ti mostro una cosa-
 
Il magigiornalista fu preso alla sprovvista; non era abituato a trattare con i ragazzini ed erano davvero poche le persone che rientravano nelle sue attenzioni. Ma Jules era giunta come un dono, puro e meraviglioso. Aggrottò le sopracciglia scure quando la vide slacciarsi le scarpe e poi fremette, appena le sfilò; fu a quel punto che la presa di Jules si fece più salda alla sua mano e a Victor fu subito chiaro il motivo: i piedi scivolarono oltre le cinghie di quelle scarpe e Jules iniziò davvero a fluttuare, con la stessa delicatezza di una farfalla che libra su un fiore. Istintivamente Victor strinse ancor più la mano di lei, per fare in modo che non volasse via
 
-Grazie- disse Jules spiegando un sorriso e tirandosi verso di lui, fino a raggiungere il suo viso
 
-Sono nata così…dicono che ci vorrà del tempo prima che riesca a controllarmi e quindi per ora sono costretta a portare quelle, se non voglio volare via-
 
Victor non riuscì a distaccare lo sguardo dal viso pulito, tanto era il suo stupore. Era un mago, certo, ma una cosa così non l’aveva vista mai
 
-Hai…hai provato a volare oltre le siepi?-
 
Jules annuì –Più di una volta, ma appena raggiunta una certa altezza una forte scossa mi stordisce e mi ritrovo nella cella upsilon. Però sono riuscita a vedere come è composto il giardino…ci sono tante celle come le nostre e lì in fondo- disse allungando il braccio nella direzione nord –c’è una magione; credo che il dottore e gli altri si trovino lì-
 
Victor spostò istintivamente lo sguardo nella direzione indicata da Jules, quando si sentì avvolgere il collo con un braccio
 
-Scusami, mi aiuteresti a scendere?-
 
-Oh…beh certo- rispose il ragazzo, arrossendo vistosamente. Era così graziosa, quella ragazzina, che Victor sentiva avrebbe fatto qualsiasi cosa lei avesse chiesto. Qualsiasi, come fosse un tesoro da proteggere.
 
*
 
-Dobbiamo riportarli dentro secondo te?-
 
Adrian teneva le mani in tasca e guardava i due da lontano. Non era la prima volta che facevano incontrare due prigionieri, ma questo era un caso diverso; riteneva infatti che non bisognasse lasciare Jules troppo a contatto con qualcuno, ma nessuno aveva mai dato troppo retta ad Adrian e alle sue supposizioni
 
-Il dottor Steiner ha detto di lasciarli fare e noi così faremo-
 
Roxanne alzò la mano destra e puntò gli occhi chiari sulle lancette dell’orologio d’oro da taschino stretto in essa –altri dieci minuti, rilassati Adrian-
 
Adrian guardò la compagna con cipiglio. Detestava i modi serafici di Roxanne e ancor più quel suo maledetto orologio; ogni volta sembrava che tutto dipendesse dal tempo scandito da esso e non c’era una volta che la strega sforasse di nemmeno un secondo. Adrian sbuffò, prima di accendersi una sigaretta con aria infastidita
 
-E va bene, ma questa volta a quello ci pensi tu: ieri mi ha quasi divorato, con quel suo dannato scudo-
 
Le labbra di Roxanne si piegarono in un sorriso –Sei troppo sensibile all’aura di Jules. Non ti affezionare troppo alla piccola, Ad. Sai benissimo a cosa ci servono-
 
Il Mangiamorte vibrò di rabbia –Non è per occuparmi di lei che ti ho chiesto di riportare te quel maledetto Selwyn nella sua cella!-
 
-Meglio così- concluse sorridente Roxanne, che lanciò un altro sguardo all’orologio, prima di posare nuovamente gli occhi su Victor Selwyn e sulla ragazzina attaccata al suo collo.
 
*
 
Con le mani allacciate dietro la schiena, Robert Steiner misurava il suo studio con passi simmetrici e calcolati, fino a fermarsi davanti l’ampia finestra che dava sul giardino. Era un terribile giorno di pioggia e gli era difficile osservare da lontano ciò che accadeva lì. Liberò il collo dalla tensione con un movimento deciso, per poi tornare a circumnavigare le siepi con lo sguardo. L’ultima cella era stata occupata il giorno prima, sebbene avesse trovato non poca difficoltà con il soggetto prelevato. Ma in quel momento non importava: tutto stava andando secondo i piani; doveva solo mostrare la pazienza che gli era sempre stata amica e lavorare di buona lena.
Sarebbe stato ripagato per bene. Il Signore Oscuro sarebbe stato fiero di lui, una volta assunto il suo nuovo corpo.
 

 
Prima di tutto benvenuti, ringrazio chi si è spinto a leggere questo prologo e abbia intenzione di partecipare a questa interattiva! Chi mi conosce, o chi segue “Di necessità…Virtù!” si sarà subito reso conto che i toni di questa nuova storia sono totalmente diversi, ma questa idea mi frullava in testa da un po’ e ho voluto assecondare la mia passione per il dark e il mistero. Inoltre ho preso cinquemila spunti: Miss Peregrine, The OA, Castelvania e sicuramente anche qualcos’altro che ora non mi sovviene.
Dunque:
Non ci avete capito niente, eh? Bene, sono qui per spiegarvi un po’ di cose, quindi mettetevi comodi, le mie note sono sempre lunghissime:
 
La storia è ambientata nel 1994 e si muove parallela alla saga originale: si sono tenuti i Mondiali di Quidditch ed Hogwarts si prepara ad ospitare il Torneo Tremaghi, di conseguenza Lord Voldemort aka Oscuro Signore non è ancora “risorto” (dannato lui). Ma i suoi fedeli Mangiamorte non se ne stanno in panciolle e si stanno organizzando. Passando ora ai personaggi che comporranno la storia: ogni mago, strega od altra creatura che si ritroverà nelle celle del “Giardino Segreto” ha doti molto particolari come avrete avuto modo di vedere con Jules, così come Victor: Adrian parla di uno “scudo”, chissà mai che potere sarà! Gli oc selezionati andranno a colmare le celle sparse nel giardino in cui il sole brilla sempre alto in cielo e pare immerso in un perpetuo clima primaverile. La storia è decisamente complessa, ragion per cui la scheda da compilare lo sarà in egual modo. Come di consueto, passo ora alle regole:
 
-Avete tempo fino al 14 Dicembre alle ore 21:00 per mandarmi le schede, ragion per cui lavorateci quanto volete, sperando ovviamente che non mi arrivino tutte il 14 alle 20:00 :)
 
-Potete propormi un massimo di 2 oc, l’importante è che siano di sesso, caratteristiche ed età differenti (possono avere dai 14 ai 40 anni, perciò sbizzarritevi).
 
-Dovete prenotarvi con una vera recensione al capitolo; inoltre vi prego di inviare le schede dei vostri oc solo dopo aver ricevuto il mio ok, ovviamente per messaggio privato (“Scheda TaldeiTali per Il Giardino Segreto”)
 
-Fatevi vivi, rispondete alle domande che vi pongo, ve ne prego. Questa è un’interattiva, di conseguenza se viene a mancare l’interazione se ne perde il senso. Se sparirete per tre capitoli (specialmente se non risponderete alle domande), il signor Robert Steiner saprà che fine far fare ai vostri oc.
 
-Non accetto Mary Sue e Gary Stu (vi prego, no principi e principesse, grazie).
 
-Potete usare cognomi conosciuti e creare legami con i personaggi della saga originale (evitando il golden trio), ma vi assicuro che non è importante ai fini narrativi.
 
-Sono accettati Vampiri, Metamorfomagus, Maledictus, Licantropi e Babbani; la scheda e la lista delle celle vi chiarirà questo punto. Sappiate però che sceglierò MASSIMO uno per categoria speciale, quindi date uno sguardo a chi come voi farà richiesta e magari se pensate di propormi due oc, non createmi due creature speciali: vi assicuro che i maghi sono dotati di poteri e caratteristiche altrettanto interessanti.
 
Categorie speciali:
 
* Vampiro: dono dell’immortalità. Fascino simile a Veela.
 
* Metamorfomagus: cambia le caratteristiche del proprio aspetto. Non può però rimpicciolire.
 
* Licantropo: si trasforma in belva.
 
* Maledictus: Mago legato ad una maledizione del sangue, che lo trasforma in animale. Il processo è irreversibile ed il mago non potrà più tornare nella sua forma umana.
 
* Babbano: è un mastro della “vita”; può riportare in vita creature che sono in punto di morte.
 
- Ogni oc verrà assegnato ad una cella, qui sotto vi lascio la lista. Se non dovessi ricevere sufficienti schede o non dovessi trovarle adatte, eliminerò alcune celle. Ogni cella ha un simbolo e si collega al potere specifico dei vostri oc. Quando prenoterete la cella tenete in considerazione che il vostro oc dovrà avere poteri legati a quanto scritto. I poteri NON possono essere sommati (es.: un vampiro non può essere anche un divinatore, così come un metamorfomagus non potrà avere poteri legati ad uno degli elementi)
 
Celle:
 
α: La fenice. Il suo potere è l’immortalità (riservata ai vampiri).
γ: La voce divina. Dono della divinazione.
η: la Torre. Indica protezione. Il suo elemento è la terra.
θ: La chiave. Il mondo sensibile. (riservata ai metamorfomagus)
λ: L’incanto. Potere di persuasione (simile ad Imperius)
μ: La madre. Il suo elemento è l’acqua, che nutre tutte le cose.
ο: L’occhio. Il suo potere è la disillusione.
π: Il padre. Il suo elemento è il fuoco.
ρ: La verità. Il suo potere è la lettura del pensiero.
σ: Il fuoco spirituale. Lo spirito divino supremo che adombra l’uomo. Il suo potere è la luce.
ϒ: La vergine. Occupata da Jules. “arma” e “difesa e ciò che deve essere difeso”. Il suo elemento è l’aria.
ϕ: L’Eroe. Occupata da Victor. Il suo potere è lo scudo. Crea uno scudo che assorbe solo il fattore positivo dell’attacco e respinge quello negativo.
ω: L’equilibrio. Il suo potere è la resurrezione (riservata ai babbani)
 
- Ogni oc deve avere avuto un episodio nella vita di “sfasamento temporale”: avete presente il Castello errante di Howl, quando Sophie rivive il passato di Howl? No? Insomma, deve essere capitato che il vostro personaggio si sia ritrovato di punto in bianco in un contesto passato o futuro e che lo abbia vissuto senza essere in grado di intervenire sugli eventi, come fosse un semplice spettatore. Nella scheda vi chiederò di descriverlo nel dettaglio.
 
-Non tutti gli oc sanno gestire veramente bene il proprio potere.
 
-Quando hanno avuto l’episodio di sfasamento temporale, i personaggi dovevano necessariamente trovarsi in Gran Bretagna.
 
Ecco a voi la scheda
 
Nome e Cognome:

Data di nascita (i personaggi possono avere dai 13 ai 40 anni circa):

Stato di sangue  o categoria speciale (specificare le motivazioni dello Stato di sangue):

Orientamento sessuale:

Aspetto fisico:

Prestavolto (deve essere necessariamente un personaggio reale):

Carattere:
 
Facoltà particolari:

Pregi e difetti:

Background del personaggio (chi era prima di essere rinchiuso: frequentava Hogwarts? Lavorava? Da dove viene?):
 
Famiglia e rapporto con essa:
 
Bacchetta:

Patronus:

Molliccio:

Amortentia:

Ricordo felice:

Amicizie/ inimicizie:


Amore ( Nel caso sia fidanzato, scrivete un paio di righe su questa persona):
 
Descrivere l’episodio di sfasamento temporale in cui è stato coinvolto e da cosa è stato scatenato:
 
Conosceva da tempo Robert Steiner, “il dottore”? Specificare inoltre cosa stava facendo quando è stato “catturato” da lui:
 
Rapporto con gli altri personaggi (si conoscono? Se si specificare con chi e come si sono conosciuti):
 
Altro:

 
 
Vi lascio con una breve presentazione dei miei oc. Ovviamente qualsiasi domanda dovesse venirvi in mente sono disponibile a rispondere, scrivetemi pure in privato. Buon divertimento!
 
 
 
Victor Adam Selwyn
27 anni – ex Serpeverde – vice direttore de “La Gazzetta del Profeta” – cella ϕ
 
Erede di una famiglia purosangue, Victor ha una faccia da prendere a schiaffi. Spocchioso, sempre con la risata in bocca, irritante quando vuole, tagliente e arrogante, ma anche molto brillante ed amabile, se vuole conquistare. Inoltre possiede doti da gran seduttore. Ha sempre fatto della scrittura la sua arte, per questo intraprende la carriera di magigiornalista, riuscendo a conquistare il posto di vice direttore in giovanissima età. Sa come accattivarsi le persone e lo fa nel migliore dei modi, ovvero mettendo in piazza ciò che è, senza mascherare mai le sue contraddizioni che seppur stravaganti, lo rendono affascinante (o detestabile, appunto)
 
 
Jules Airgood
13 anni – Tassorosso – cella ϒ
 
Jules è figlia unica e vive(va) con i genitori a Godric’s Hollow. La madre ha il sangue veela che scorre nelle vene. Inizialmente restii a mandare Jules ad Hogwarts visto il suo particolare potere, alla fine convinti dal Preside decidono di far frequentare la scuola alla loro bambina. Jules ha indubbiamente ereditato il sangue veela della madre, sebbene non sia solo l’aspetto ad ammaliare, bensì il suo carattere dolce e posato, la sua predisposizione al prossimo e la spiccata volontà di fare sempre del bene.
 
 
Adrian Reed
39 anni – ex Grifondoro – Mangiamorte Custode delle celle
 
Adrian ha un carattere difficile e complesso. Diviene Mangiamorte perché spinto dalla convinzione che la supremazia sul popolo non magico sia un diritto; iracondo per natura, perde facilmente le staffe. Ma nasconde un lato umano che talvolta emerge. Sceglie di sua spontanea volontà di affiancare il dottor Steiner in questo progetto, sebbene la forte emotività abbia costretto Steiner a decidere di farlo lavorare con Roxanne, più algida e più affidabile.
 
 
Roxanne Borgin
34 anni – ex Serpeverde – Mangiamorte Custode delle celle
 
Criptica, impassibile, di polso, rigorosa. La bella Mangiamorte è difficile da avvicinare e mai e poi mai lascia che i suoi ideali e le sue supposizioni più vincenti vengano attaccati. Vestita sempre in maniera impeccabile, chiunque vorrebbe una strega come Roxanne dalla sua parte, perché su di lei si può fare affidamento e se le si affida un compito, sicuro questo verrà portato a termine.
 
 
Robert Malus Steiner
50 anni – Mangiamorte medimago a capo del “Giardino Segreto”
 
Di padre tedesco, Robert ha una personalità indecifrabile. Medimago caporeparto del quarto  piano del San Mungo ( Lesioni da incantesimo e reparto speciale Janus Thickey), ha modi impeccabili ed uno charme invidiabile. Gira spesso con le mani allacciate dietro la schiena, è puntuale e detesta il disordine. Il suo sorriso è in grado di scaldare, come di congelare l’interlocutore, così come i suoi occhi sempre reattivi.

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Capitolo 2
*** Prologo - Parte 2 ***


Prologo - parte 2
 
Il Dottor Steiner rigirava quel semplice oggetto fra le mani ben curate, mentre camminava placido per i sentieri del giardino. Un lieve sorriso si mostrava accennato, sul volto disteso del mago; certo, non era stato semplice decidere di occupare tutte le celle, visto alcuni ospiti che conosceva da molto tempo, ma il suo scopo veniva prima di ogni sentimento. Se i reclusi avessero deciso di collaborare, infatti, forse avrebbe anche potuto decidere di liberarli, alla fine di tutto. Ovvio, l’ultima parola sarebbe stata dell’Oscuro Signore e di nessun altro, ma Robert Steiner si reputava un servitore fedele e, specialmente, indispensabile, ragion per cui era certo che Lord Voldemort avrebbe dato ascolto alle sue parole in merito. Per questo aveva iniziato ad affrontare dei colloqui individuali con ognuno degli occupanti, chiarendo che la loro libertà fosse direttamente proporzionale al grado di remissività ed accondiscendenza che avrebbero mostrato. Non si stupì quando tre o quattro di loro lo aggredirono verbalmente, dichiarando che, piuttosto, sarebbero morti; diversamente fu lieto di notare un certo timore da parte della maggior parte di essi.
Un passo alla volta. Non doveva avere fretta: aveva tutto il tempo a disposizione per portare avanti i suoi esperimenti. Il sorriso si allargò sul volto del mago ed il suo passo si arrestò, mentre gli occhi si incastrarono nella targa di marmo posta sopra la cella a cui aveva premura di far visita. Il sole, sempre splendente, lanciava i propri raggi sull’incisione upsilon
 
-Signorina Airgood- richiamò con tono pacato, dopo essersi schiarito la voce –puoi cortesemente scendere? Ho un regalo per te-
 
L’interno della cella, parzialmente illuminata, era ben visibile attraverso le sbarre; essa presentava, come in tutte le altre celle, un lettino singolo addossato ad una parete ed un piccolo scrittoio specularmente posto sull’altra, sopra il quale era posto un particolare marchingegno piramidale; inoltre una porta di legno scuro permetteva di accedere al bagno. In più nella cella della vergine, una catena attaccata al soffitto pendeva fino a terra. Il dottore si avvicinò alle sbarre, lanciando uno sguardo verso l’alto e notando Jules aggrappata ad essa, che si faceva forza per scendere; fu a quel punto che Steiner entrò nella cella ed allungò una mano alla piccola strega che, con gli occhi sgranati, esitò appena prima di accogliere la sua mano
 
-Ti davano noia le scarpe?-
 
Jules annuì, mentre riagganciava frettolosamente le cinghie delle pesanti calzature attorno al collo del piede. Il dottore rimase ad osservarla per qualche istante, prima di farle cenno di sedersi sul letto, cosa che Jules non si attardò a fare
 
-Come ti stavo dicendo, ti ho portato un regalo: so che hai difficoltà a dormire, per questo ho pensato potesse esserti utile questa-
 
Gli occhi vivaci di Jules osservarono la mascherina di seta blu notte che il dottore aveva allungato nella sua direzione; annuì ancora una volta mentre la destra, delicata, afferrò quel dono
 
-Grazie- pigolò lei –con tutta questa luce non riesco a dormire bene, anche se lassù va meglio- aggiunse, alzando un dito ad indicare il soffitto
 
-Sai che non è affatto sicuro rimanere in uno stato di sospensione mentre dormi. Potresti crollare all’improvviso non riuscendo a gestire bene la tua dote; ne abbiamo parlato tante volte, ricordi?-
 
Jules tirò timidamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed annuì sommessamente. Dopo poco tornò a guardare il dottor Steiner
 
-Perché sono qui? Per caso c’entra il mio rapporto con l’aria?-
 
-Mia cara…è molto più di questo, ma temo di non potertene parlare. Se ti comporterai bene e darai retta a ciò che ti dico, sono sicuro che andrà tutto bene-
 
Steiner si alzò e tornò ad allacciare le mani dietro la schiena, pronto ad uscire nuovamente da quella cella
 
-Dottore- lo richiamò Jules, costringendo il mago ad arrestarsi –Oggi non uscirò?-
 
Steiner scosse il capo continuando a darle le spalle, così uscì dalla cella, che si richiuse dietro di lui
 
-Dottore...lei si è sempre preso cura di me! Continuerà a farlo, non è vero?-
 
Il mago si irrigidì appena; era chiaro che il sangue Veela che scorreva in Jules non gli fosse indifferente, ma il suo incredibile autocontrollo gli riportò lucidità. Non poteva permettere che una ragazzina lo facesse vacillare.
Steiner non rispose, si limitò ad allontanarsi da quella cella, sentendo con chiarezza quegli occhioni smarriti bruciargli la schiena.
 
*
 
-E quindi continuerete a non dirci nulla, eh?-
 
Se avesse avuto la sua bacchetta, Victor non avrebbe di certo esitato ed avrebbe colpito Roxanne in pieno petto con la maledizione cruciatus. Se la meritava, quella maledetta strega che sembrava sempre impassibile; anche in quel momento la cosa non era di certo diversa: Victor teneva strette le mani intorno alle sbarre della cella ed i suoi occhi scuri erano fissi in quelli freddi della Mangiamorte dalla bellezza algida, che ricambiava lo sguardo senza scomporsi affatto
 
-Pensavo di essermi spiegata, Selwyn, ma evidentemente non sono stata abbastanza chiara, l’ultima volta- Roxanne diede una fugace occhiata all’orologio da taschino, prima di tornare a dedicare attenzioni al mago più giovane –Non solo non hai diritto di fare alcuna domanda, inoltre se fossi in te metterei da parte questo atteggiamento tanto arrogante…il dottore potrebbe prendersela, prima o poi-
 
Roxanne avvicinò il viso a quello dell’altro, diviso in parte dalle sbarre della cella; quel Victor Selwyn l’aveva sempre innervosita,  sebbene riuscisse a mascherare il proprio disappunto con maestria. Nel farlo, Roxanne Borgin era senza ombra di dubbio la migliore; aveva sempre dimostrato incredibili capacità diplomatiche e non aveva mai permesso a nessuno di scalfire la sua coltre fredda e distaccata. Ma soggetti del calibro di Victor la mettevano a dura prova. Nemmeno durante le feste mondane a cui avevano partecipato insieme, aveva mai dato mostra di tollerare la presenza dell’erede dei Selwyn, sempre così arrogante e provocatore. Per questo quando il dottor Steiner lo aveva portato al Giardino, Roxanne aveva segretamente gioito, anche se non le era ben chiaro il parametro con cui Steiner procedeva alla selezione.
In quel momento, ad un centimetro dal viso di Victor Selwyn, la strega si lasciò sfuggire un sorriso carico di compiacimento
 
-Sarai costretto ad abbassare il tiro, Selwyn…- sussurrò –sappi che i tuoi genitori sono disperati;  ti stanno cercando e se vuoi uscire di qui, prima o poi, dovrai sottometterti-
 
Ma quello stesso sorriso spuntato con naturalezza ed incentivato dalla sua posizione di netto vantaggio, si spense presto. Bastarono infatti poche frasi di quel dannato Selwyn, per far vacillare la compostezza di Roxanne
 
-Mi sembra evidente, Borgin, che hai scelto di ricoprire questo ruolo visto il tuo scarso successo nella vita...ti compatisco cara: un’erede tanto ambita, che non è ancora riuscita a trovare un legnetto che la comandi per bene! Fossi in te mi darei agli speed date, pare che funzionino, con i casi disperati come il tuo-
 
Le labbra di Roxanne tremarono appena ed un velo calò sui suoi occhi vividi; con un colpo di reni la strega si tirò indietro, sfoderò la bacchetta e con essa compì un movimento circolare: un gorgoglio alle spalle di Victor lo fece ridere
 
-ti sei appena guadagnato un’altra tacca, Eroe!-
 
Ciò detto Roxanne piroettò su se stessa e si allontanò dalla risata sguaiata di Victor 
 
-Non volevo offendere la tua femminilità, Roxie!- la canzonò, prima di voltarsi e guardare la piramide di cristallo, che s’era appena colmata di una terza tacca. Il magigiornalista allungò una mano per sfiorarne la punta e con gli occhi indagò le dodici tacche incise su di un lato. Non aveva la minima idea di cosa sarebbe successo quando la piramide si fosse colmata del tutto, ma era abbastanza sicuro non sarebbe stato nulla di buono. 
 
*
 
Adrian tirò fuori dalla tasca un fazzoletto di cotone, con cui si affrettò a ripulire le mani sporche di terriccio. Le sopracciglia aggrottate erano piegate sugli occhi chiari e la bocca s’era contratta, a dimostrazione del suo estremo disappunto. Roxanne, che aveva recuperato la sua apparente serenità, s’incamminò verso il collega, mantenendo le mani nelle tasche dei pantaloni dal taglio elegante
 
-Tutto bene, Reed?-
 
Come prima risposta, Adrian sputò a terra –Bene un cazzo…certe volte mi chiedo come mai Steiner abbia fatto certe scelte-
 
-Alludi a qualcuno dei reclusi?-
 
-A più di uno- borbottò Adrian il quale, dopo aver riposto il fazzoletto nella tasca, si accese una sigaretta –Credevo sarebbero almeno stati esclusi i maghi dal sangue puro, ma evidentemente mi sbagliavo-
 
-Per onorare la causa del Signore Oscuro non fa differenza che sangue scorra nelle nostre vene- rispose pratica lei –comunque devi imparare ad essere meno emotivo Ad, altrimenti Steiner ti allontanerà dal progetto-
 
Il mago trattenne una bestemmia tra i denti –vuoi darmi qualche lezione?-
 
Roxanne cinguettò una risata delicata –Credo ne avresti bisogno- così guardò l’orologio –accidenti…sono già le nove e venti, stavamo rischiando di perderci la cena-
 
-Con questo sole sempre alto non ci capisco più niente. Uscirò di testa prima o poi-
 
-Cerca di ritardare la follia ad esperimento concluso, va bene?-
 
I due Mangiamorte si avviarono fianco a fianco verso una delle siepi apparentemente identica alle altre. Con un colpo della bacchetta di Adrian, questa si dissolse, permettendo ai Mangiamorte di oltrepassarla ed immergersi nel buio della sera, ben più fredda ed umida rispetto al clima del Giardino Segreto.

 


Buongiorno a tutti, eccomi qui con la seconda parte del prologo de “Il Giardino Segreto”. Mi premeva spezzare la lunga attesa fino alla scadenza, inoltre spero che queste brevi dinamiche vi abbiano aiutati a comprendere un pochino di più i miei oc. Non è molto ma è già qualcosa, no?  Spero ovviamente vi sia piaciuto, mi piacerebbe sapere la vostra opinione.
Ne approfitto per ricordarvi che la scadenza per iscriversi ed inviare le schede sarà il 14. Per le iscrizioni, trovate tutte le info sulla prima parte del prologo :). Ringrazio inoltre chi mi ha già mandato le schede.
Al solito, se avete esigenza di pormi delle domande non fatevi problemi e scrivetemi pure in privato. Buona giornata a tutti voi.
 
Bri

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Capitolo 3
*** Capitolo I - Le Celle ***


CAPITOLO I
Le celle
 
γ
 
Era chiusa in quella cella da cinque giorni. Cinque lunghissimi giorni, in cui non aveva fatto altro che gridare e chiedere aiuto; per Cora Dagenhart, quello non poteva essere che un incubo: il sole penetrava il primo metro della cella sempre, costante e non c’era un momento in cui calasse, per lasciare spazio alla notte; tra l’altro il clima sempre mite l’aveva colta totalmente alla sprovvista, visto che era fermamente convinta di essere stata trascinata lì in autunno. Non aveva idea del perché l’avessero portata lì, dato che non c’era stata mai una volta che una visione l’avesse “avvisata” di ciò che sarebbe accaduto. Le uniche interazioni che aveva avuto, erano state con un uomo e una donna che non conosceva e che si limitavano a portargli i pasti con regolarità. Aveva provato più di una volta a chiedere loro per quale motivo fosse lì, ma non aveva ricevuto alcuna risposta, rimandando tutto ad un certo “dottore” dal volto ed il nome indefiniti.
Cora si sentiva sprofondare, al punto che non le importava più di vedere il suo bel viso allo specchio, solitamente sempre truccato in maniera impeccabile, privo di colore.
Chissà se i genitori la stavano cercando, sempre che ai due fregasse davvero qualcosa, di lei.
 
θ
 
Lo specchio posto sopra il piccolo scrittoio di quella cella in cui era chiuso ormai da dieci giorni, rifletteva l’immagine di una lunga chioma liscia e bionda, che incorniciava un viso dai tratti spigolosi e femminili. Accennò un sorriso stanco, quando sentì una voce richiamarlo
 
-Smettila di giocare, Hollens, abbiamo un lavoro da farti fare-
 
Quasi all’istante i tratti ed i capelli mutarono: dei lunghi capelli biondi non rimase che un composto taglio corto e scuro ed i lineamenti tornarono alla loro natura
 
-Va bene- si limitò a sussurrare, per poi voltarsi verso la strega la quale, con un colpo di bacchetta, attivò il meccanismo delle sbarre che si alzarono per far uscire l’ospite chiuso nella cella della Chiave.
 
-Posso almeno sapere cosa dovrei fare?- chiese posato, così Roxanne roteò gli occhi al cielo
 
-Hai dimestichezza con i babbani più di chiunque altro qui: il dottore ha espresso la volontà che tu interagisca con uno di loro- Le labbra morbide della strega si piegarono in un sorriso –Mi sembra decisamente spaventato-
 
Joshua arrestò il passo per un momento; possibile avessero catturato anche un babbano? A quale scopo?
Roxanne guardò l’orologio da taschino, prima di tornare a rivolgersi a lui
 
-Datti una mossa, non abbiamo tutto il pomeriggio a disposizione-
 
ω
 
Alistair s’era appiattito contro una delle alte siepi che costituivano il labirinto, nel tentativo di regolarizzare il respiro. Si sentiva sopraffatto, incapace di comprendere dove fosse, perché fosse stato trascinato lì e come, questo, fosse potuto accadere. L’ultima cosa che ricordava, infatti, prima che tutto diventasse buio e che si ritrovasse su quell’assurdo set cinematografico, era che si stesse godendo la pausa pranzo sulla riva del Tamigi. Probabilmente poi aveva perso i sensi e, appena riaperti gli occhi, aveva dovuto subito richiuderli per il sole accecante. Era impossibile, pazzesco. Quella non poteva essere Londra, in quel momento ingrigita dalla lieve e costante pioggerellina ed il clima particolarmente rigido. Doveva mantenere la calma, ecco cosa doveva fare e presto avrebbe capito tutto.
Forse.
Dei passi leggeri posero fine al turbinio di pensieri e nell’imminente i piccoli occhi verdi corsero ad individuare la figura di una donna bellissima, ma conciata in maniera folle (probabilmente aveva avuto ragione a pensare che fosse su un set) ed un bel ragazzo dai tratti spigolosi che s’avvicinavano a lui
 
-Hollens, questo è il babbano di cui ti ho parlato; ti pregherei di spiegargli un po’ di cose sul nostro mondo, grazie-
 
-Chi siete?! C-cosa volete da me?!- Alistair si spinse ancor più verso la siepe, appiattendo i palmi sulle piccole foglie a forma di cuore da cui era formata
 
-Calmati per piacere- il giovane parlò con tono placido e tranquillizzante, allungando con cautela il passo nella sua direzione –Siamo sulla stessa barca…ti chiami Alistair, giusto?-
 
Annuì frenetico, mentre percepiva il sudore imperlargli la fronte
 
-Bene…io mi chiamo Joshua- il ragazzo si indicò, per poi allungare la mano alla donna che li guardava annoiata –Ma questa signora ed io non siamo proprio come te, anche se preferirei di gran lunga essere un babbano anche io-
 
-B-babbano?- ripeté Alistair confuso
 
-Siediti, prendi un bel respiro ed ascoltami: noi siamo maghi, Alistair, sappiamo usare la magia- Aggiunse Joshua, sempre usando estrema cautela. Alistair capì che, probabilmente, era vittima di una candid camera: sicuramente qualche suo collega infermiere aveva deciso di prendersi gioco di lui.
 
 
η
 
Adrian estrasse il fazzoletto dalla tasca interna della giacca, con cui ripulì il viso; un rivolo trasparente colava, lento, sullo zigomo. Il mago strinse i denti e impiegò tutto il suo scarso autocontrollo per non schiantare la padrona di quella risata acuta, che lo guardava velenosa
 
-Dovrei sbatterti in isolamento per questo, lo sai, Elyon?-
 
La risata si smorzò lentamente e la bocca subito si contrasse, nascondendo i denti candidi
 
-Vai al diavolo! Dovresti solo tirarmi fuori di qui!- il tono setoso e cristallino si piegò in un ringhio. Elyon sentiva il cuore spingere forte, agitato e irrequieto; tirò dietro l’orecchio la ciocca rossa che, disordinata, le aveva oscurato un occhio azzurro. Non riusciva a credere di essere stata fregata in quel modo, non da loro. Osservò il viso contratto di Adrian, che con ogni evidenza stava tentando di reprimere la rabbia
 
-Non sono io a doverti delle spiegazioni-
 
-E allora fammi parlare con Steiner!- gridò lei, dall’altra parte della cella –Me lo deve, me lo dovete, Adrian!-
 
Il Mangiamorte la fissò e rimase in silenzio per qualche istante; poi con un colpo violento, s’aggrappò alle sbarre e appiattì il viso contro di esse, facendo sussultare Elyon
 
-Io non ti devo un cazzo, licantropo-
 
Elyon sgranò gli occhi, incapace di controbattere. Quindi Adrian era a conoscenza della sua condizione. Si fissarono a lungo, studiandosi con cautela; così Adrian si tirò indietro, percosse con violenza le sbarre con un colpo deciso delle mani e si voltò, allontanandosi funesto
 
-Adrian...Adrian!- Gridò Elyon, aggrappandosi alle sbarre, ma dal Mangiamorte non ricevette risposta
 
-Credo tu l’abbia fatto arrabbiare-
 
Una voce profonda arrivò dalla cella adiacente alla sua. Elyon lanciò un calcio sulle sbarre, prima di voltarsi verso la parete destra, al di là della quale si trovava rinchiuso il mago che si era appena rivolto a lei. Il lato esposto al giardino era protetto solo dalle travi di metallo, quindi non era difficile comunicare e la voce arrivava chiara e definita
 
-Che fai, spii le conversazioni?-
 
-Non c’è molto da fare qui, non ti pare? Datti una calmata comunque, volevo solo sapere come stessi-
 
-Come vuoi che stia? Siamo rinchiusi qui da giorni-
 
Elyon si gettò sul letto, estremamente turbata. Non era affatto di buon umore e non aveva alcuna intenzione di intrattenersi in chiacchiere con un semi sconosciuto, in quel momento. Lucas Heatcote dovette averlo compreso, perché non fece altre domande alla “vicina”. Si avvicinò allo scrittoio e prese a sfiorare lo strano congegno piramidale posto sopra di esso; se su una cosa quella Yaxley aveva ragione, era che meritavano delle spiegazioni, per quella prigionia forzata.
 
α
 
Mazelyn venne trascinata, a forza, fuori da quell’auto. Era stata imbavagliata, legata e trasportata chissà dove. L’unica nota positiva era che non percepisse il gelo di quella notte autunnale, anche se quella non era che una magra consolazione. Cominciava ad avvertire la sete che le seccava la gola e sicuramente le sue grida non l’aiutavano a migliorare la situazione. Ma i suoi rapitori non erano affatto intenzionati a proferire parola, nonostante le minacce di Maze di azzannare le gole di ognuno di loro, appena ne avrebbe avuto occasione. Uscita dall’auto venne spinta a camminare per un breve tratto. Maze sentì una porta aprirsi ed una corrente fortissima ed irruenta la percosse; poi, di botto, quella corrente si placò e poco dopo il cigolio di un’altra porta arrivò alle orecchie
 
-Forza, muoviti- Una voce di donna, algida e distaccata, la spinse a varcare la soglia. Mazelyn non poté che assecondare quello sprono, ma appena sceso il basso gradino sentì un innaturale calore avvolgerla
 
-Dove sono? Cosa volete da me?!-
 
Una mano afferrò il nodo della benda allacciato dietro la nuca, che venne sciolto con irruenza. Maze strinse d’istinto gli occhi ed un grido accompagnò il suo gesto; no, tutto quello non era possibile. L’avevano catturata di notte e non erano passate che due ore al massimo; l’alba doveva essere ancora lontana, eppure una luce accecante la colpì, una luce che non poteva e doveva vedere da molto tempo. Maze gridò, terrorizzata. Il sole, alto e caldo, la investì con i suoi raggi e la fece accasciare a terra: di lì a poco sarebbe morta
 
-Non fare queste scene, sbrigati, non abbiamo molto tempo-
 
Eppure la sua condanna a morte sembrò non arrivare.
Impossibile.
Maze venne fatta alzare a forza e fu trascinata all’interno di una cella; non aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi, così non seppe chi l’aveva condotta lì e dove fosse quel posto. Si limitò ad accasciarsi sul freddo pavimento della cella della fenice; si rannicchiò, singhiozzando da un lato terrorizzata, dall’altro grata di aver ricevuto quel miracolo: era stata risparmiata dalla luce.
 
 
λ
 
Evangeline corse verso la figura accasciata a terra, nel bel mezzo di quello squarcio di giardino che s’era aperto a lei. Da quando era stata rinchiusa in quella prigione verdeggiante, non aveva incontrato nessuno, se non quella dannata Borgin. Nel pensare alla donna, Evie sentiva il sangue bollire di rabbia; era capitato che lei incontrasse di sfuggita Roxanne Borgin, ma mai era stata attratta positivamente da quella splendida strega, che non faceva che innervosirla con i suoi modi. La sorpresa di rivederla nei panni del proprio aguzzino, quindi, era durata ben poco, non avendo mai avuto un’alta considerazione di lei. Evie cacciò dalla mente l’immagine di Roxanne, per concentrate tutte le sue attenzioni su quell’uomo riverso a terra, dal quale provenivano versi di dolore. Si chinò e, con garbo, allungò una mano per scostare i lunghi capelli che coprivano il volto, ma inaspettatamente, la mano di quello sconosciuto strozzò il polso esile, mentre il viso s’alzò appena, inchiodandola con gli accigliati occhi chiari.
 
 
σ
 
William percepì centinaia di minuscoli spilli pizzicargli il corpo. Aveva tentato di scalare una siepe apparentemente bassa, ma aveva giusto fatto in tempo a lanciare uno sguardo oltre essa, che la scossa arrivò violenta ed immediata, percuotendolo dalla punta dei piedi fino all’ultimo dei suoi capelli lunghi e scomposti. Crollato a terra aveva cominciato a gemere, anche se aveva fatto di tutto per trattenersi; sperò con tutto se stesso di non aver inciso troppo sul suo fisico, dopo aver commesso quella bravata che, forse, gli avrebbe fatto guadagnare una punizione, visto che il dottore aveva parlato chiaro: ogni tipo di ribellione sarebbe stata contrastata con un’ammonizione. Proprio quando stava percependo il dolore diminuire, sentì dei passi avvicinarsi a lui: che fosse uno dei due Mangiamorte? D’istinto, percependo un movimento nella sua direzione, William allungò una mano per bloccare quella che s’era avvicinata pericolosamente a lui, ma quando alzò lo sguardo ancora contrito, fissò con sgomento il volto di una giovane strega, che ricambiava lo sguardo, crucciata. Si calmò all’istante, William ed accennò un sorriso, di cui subito si vergognò, perché non era certo da lui mostrarne uno a chiunque. Eppure quella ragazza lo aveva imbambolato per un momento
 
-S-stai bene?- Chiese lei, studiandolo con attenzione
 
-Sei una di loro?- chiese d’istinto William, rimettendosi in piedi a fatica, ma quando la strega scosse il capo si rasserenò
 
-E tu? Sei uno dei loro tranelli?-
 
-No…sono imprigionato…come te, suppongo-
 
I due si scambiarono un’ultima e fugace occhiata, prima di perdere rispettivamente lo sguardo: quel giardino si disperdeva immenso e diabolico tutt’intorno a loro, immerso in una quiete apparente che nascondeva pericoli e, probabilmente, altri sfortunati individui come loro.
 
μ
 
Cercava disperatamente una fonte d’acqua, nei meandri di quel giardino. Immergersi e riacquistare la sua forma marina gli mancava moltissimo e da giorni, ormai, non gli era stato più possibile. Nonostante il suo carattere fortemente ottimista, ormai Alon cominciava a perdere le speranza e stava lentamente scivolando in uno stato depressivo dal quale, probabilmente, avrebbe impiegato molto tempo ad uscire. Portò una mano a toccare il petto, dove solitamente pendeva il mochessino che portava sempre con sé, ma che da giorni gli era stato strappato via; la mano si strinse a pugno, come a voler racchiudere la disperazione dell’assenza di quell’oggetto prezioso, quando una voce melodiosa ed incantevole lo distrasse, costringendolo a girarsi
 
-Scusa, non volevo spaventarti-
 
Alon sgranò gli occhi, incapace di mantenere compostezza davanti a quella minuscola strega, specialmente rispetto al suo metro e novanta, in piedi, davanti a lui. Jules mosse un paio di passi nella direzione di Alon e percorse i suoi lineamenti con gli occhi scuri, caldi come il cioccolato fuso
 
-Sono giorni che non esco, così quando ti ho visto mi sono avvicinata…mi manca il contatto con le persone- Jules accennò un sorriso malinconico, allungando la mano che Alon chiuse con la propria, come a volerla divorare
 
-Io sono Jules, ospite della cella upsilon-
 
-Jules…uno strano nome per una ragazza- D’improvviso la tristezza apatica che l’aveva assalito, scivolò via dal suo corpo, così Alon riuscì a sorridere con sincerità –Io sono Alon Morgan, piacere di conoscerti…se possiamo considerare questo un piacevole contesto-
 
Jules trattene ancora un po’ la sua mano, prima di rilasciarla con lentezza; che cosa assurda, valutò Alon che s’era ritrovato a pensare che avrebbe voluto stringere quelle dita delicate ancora per un po’
 
-Anche Alon è un nome strano, non credi?- cinguettò lei
 
-Effettivamente hai ragione. Ma dimmi- Alon si guardò fugacemente intorno, prima di tornare a dedicare attenzioni alla piccola strega –Tu sai perché ci hanno rinchiusi qui, Jules?-
 
La speranza di ricevere informazioni sulla loro condizione di prigionia morì presto, con il segno di diniego di Jules
 
-Mi spiace, non lo so- pigolò Jules, tornando ad afferrargli la mano senza esitare –Vorrei tanto aiutarti-
 
Alon sentì un groppo salire alla gola, senza riuscire a darsi una spiegazione. Quella piccola strega era riuscita a trasmettergli un senso di pace davvero unico, con la sua sola presenza; sentì la sua innata positività tornare a possederlo. In qualche modo ce l’avrebbero fatta, ad uscire di lì.
 
ο
 
-Martha?!-
 
La strega era seduta a terra, persa ad osservare un roseto particolarmente rigoglioso. Gli occhi pizzicarono di lacrime, appena scesero sul discreto anellino che le fasciava l’anulare; la mente era inondata dalle immagini di suo marito che, in quel momento, la stava sicuramente cercando con disperazione. Di Philip gli mancava ogni cosa ed era certa che il mago fosse distrutto dalla sua scomparsa improvvisa; quei pensieri negativi vennero fortunatamente interrotti da una voce conosciuta, per questo Martha scacciò via quelle lacrime impertinenti ed alzò i luminosi occhi chiari verso il ragazzo in piedi davanti a lei
 
-Victor…? Victor Selwyn?!-
 
Vicky passò una mano sui capelli lunghi e disordinati, prima di tornare a fissarla
 
-Chi non muore si rivede, Zeller, anche se non sono proprio convinto che questo non sia un maledetto limbo- Ciò detto, il mago allungò una mano nella sua direzione, per aiutarla ad alzarsi. Martha inizialmente esitò, ma alla fine decise di accogliere quel gesto
 
-Per piacere, dimmi che non c’entri tu in questa storia- Martha assottigliò gli occhi per studiare la reazione di Victor, ma si rese subito contro che l’amico di suo marito non era che una vittima della situazione, tanto quanto lei
 
-Figuriamoci, mi consideri idiota fino a questo punto?- Victor scosse ancora i capelli –Non abbiamo molto tempo a disposizione prima che torni il cane da guardia con quel suo cazzo di orologio. Da quanto tempo ti trovi qui?-
 
Martha ci pensò su; la mente prese a svolgere velocissimi calcoli –Se non erro, cinque giorni e sei ore circa-
 
Victor roteò gli occhi –Sei la solita, certe volte mi domando come Philip riesca a starti dietro-
 
Il mago si morse la lingua; accadeva troppo spesso che desse fiato alla bocca senza pensare realmente alle conseguenze delle sue parole. Difatti Martha si rabbuiò all’istante, tornando a distrarsi con il paesaggio che li circondava
 
-Beh…scusami, devi essere preoccupata per lui-
 
-Lo sono, per questo ho bisogno di capire il prima possibile perché ci troviamo qui e come fare ad uscire- Tornò ad inchiodarlo con lo sguardo –Allora Selwyn, dimmi quello che sai-
 
I due cominciarono a scambiarsi velocemente le poche informazioni che avevano, prima di essere richiamati da un lieve colpo di tosse che segnò la presenza di Roxanne Borgin, in piedi alle loro spalle, che li guardava sorridendo
 
-Tempo scaduto- sentenziò.
 
 
π
 
-Fuori di qui, è ora della passeggiata-
 
Una volta aperta la cella, Adrian afferrò Yann per una spalla, che subito si divincolò dalla presa per poi seguirlo con remissività. Era la seconda volta che lo facevano uscire, da quando era stato rinchiuso lì dentro. Non era abituato alla cattività, Yann. Aveva passato la sua vita a fuggire dalle costrizioni e dai pericoli e per questo non riusciva ad accettare di essere stato fregato in quella maniera. Adrian lo abbandonò in una stretta via incorniciata da alte siepi prima di sparire improvvisamente, lasciandolo solo. Ancora una volta il primo istinto fu quello di scavallare la siepe e tentare di scappare, ma ci aveva già provato una volta e non era andata bene. Per questo pensò velocemente ad una soluzione alternativa e ricorrere alla sua dote speciale fu automatico: Yann allungò una mano  e sfiorò le foglie che, poco dopo, presero fuoco. Gli occhi del mago s’illuminarono insieme alle fiamme, ma la delusione si sostituì alla speranza non appena quelle si spensero, trasformandosi in rivoli di fumo candido
 
-Non funzionerà-
 
Yann saltò sul posto e girò su se stesso, scontrandosi con un paio di occhi castani che lo guardavano curiosi
 
ρ
 
Odette camminava, rassegnata, nel Giardino. Aveva coscientemente deciso di esplorare il più possibile quel giorno, visto che aveva ben poco altro da fare e non era di certo intenzionata a darsi per vinta tanto facilmente. Ma appena percepì con distinzione un’ondata di pensieri provenire dalla sua destra, virò rapidamente i propri passi in quella direzione. Inizialmente rimase distante, incuriosita da quel personaggio che la sorprese non poco, quando lo vide generare fuoco dalle mani. Odette non ebbe alcuna difficoltà a capire le sue intenzioni, avendo letto i suoi pensieri senza alcuno sforzo, eppure sospirò rassegnata comprendendo che non sarebbe riuscito nel proprio intento. Così si fece avanti, svelando la propria presenza che, ovviamente, fece sobbalzare il ragazzo
 
-Chi sei?!- Chiese allarmato l’altro
 
-Sono Odette e stai tranquillo, non sono una Mangiamorte, dato che è quello che ti stai chiedendo. Ah, ti ringrazio per i complimenti, sono sempre ben graditi-
 
-Ma cosa…? Come hai fatto?- un’espressione di stupore piegò il viso di Yann, così Odette picchiettò un dito sulla testa
 
-Ti ho letto nel pensiero, semplice. Allora Yann Reinhardt, che ne dici se ci mettiamo all’opera? Magari con i tuoi trucchetti da piromane riusciremmo davvero, ad uscire di qui!-
 
Yann deglutì e non si risparmiò un’occhiata sospetta a quella ragazza che, di contro, sorrideva allegra. Avrebbe dovuto allenarsi in fretta con l’occlumanzia, se non avesse voluto concedere altre impertinenti letture del pensiero. Già aveva difficoltà ad approcciarsi alle persone, figuriamoci ad una strega in grado di leggergli scrupolosamente la mente.

 

Ed eccoci qui, alla pubblicazione del primo capitolo (che, in realtà, è solo una prima e veloce presentazione degli oc). Prima di tutto ringrazio tutti coloro che hanno partecipato e che si sono impegnati a mandarmi le schede; le ho apprezzate molto, ma non ho potuto prendere tutti i personaggi e mi sono trovata costretta a scegliere. Chiedo a chi non è stato scelto di non prendersela; io non sono brava a gestire molti personaggi e non voglio combinare un pastrocchio! Per qualsiasi spiegazione chiedetemi in privato senza problemi.
No non ci vedete doppio: ho preso due oc per la cella della Torre (che a questo punto sono diventate “le celle”) perché non ho saputo proprio rinunciare né all’uno né all’altra!
Venendo a noi: ecco qui i nostri reclusi. Voglio rassicurare chi partecipa a “Di Necessità…Virtù!” che non ho abbandonato l’interattiva, ma questo è un periodo molto difficile ed io non ho troppa voglia di scherzare. Ma confido nelle ferie che mi tireranno su il morale e mi porteranno a scrivere un nuovo capitolo della Stanza.  Detto questo sono davvero curiosa di ricevere una vostra prima impressione! A presto
 
Bri

 
 
 
 
Cora Dagenhart – 21 anni – cella “La Voce Divina” – Eterosessuale
 

Joshua Hollens – 20 anni – cella “La chiave” – Omosessuale
 

Alistair Gordon – 23 anni – cella “L’Equilibrio” – Eterosessuale
 

Elyon Olivia Yaxley – 35 anni – cella “La Torre” - Eterosessuale
 

Lucas Heathcote – 25 anni – cella “La Torre” – Omosessuale
 

  Mazelyn Athena Zabini – 22 anni – cella “La Fenice” – Eterosessuale
 

Evangeline Annabel Montague – 17 anni – cella “L’Incanto” – Bisessuale
 

William Herman Lewis – 33 anni – cella “Il Fuoco Spirituale” -  Eterosessuale
 

Alon Morgan – 22 anni – cella “La Madre” – Eterosessuale
 

Martha Sophie Zeller – 27 anni – cella “L’Occhio” – Eterosessuale
 

Yann Reinhardt – 31 anni – cella “Il Padre” – Eterosessuale
 

Odette Cassandra McCall – 26 anni – cella “La Verità” – Omosessuale

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Capitolo 4
*** Il Giardino ***


 
CAPITOLO II
Il Giardino

 
 
Alistair aveva passato buona parte di quelle che, probabilmente, erano le ore notturne con gli occhi sgranati, a fissare il soffitto della cella. Gli era impossibile credere a tutto ciò che quel Joshua gli aveva raccontato, ma una serie di dimostrazioni pratiche da parte della donna lo avevano pian piano convinto. Quindi esisteva un mondo fatto di maghi, o meglio esistevano dei maghi che vivevano fra di loro, che avevano bisogno di una bacchetta per fare le magie e che proteggevano i loro segreti da gente come lui, ovvero babbani, persone senza magia. Dopo un tempo molto lungo Alistair aveva cominciato a fare domande ed aveva capito che i babbani non potevano apprendere la magia: si poteva solo nascere dotati di potere.
Ma allora che diavolo ci faceva lui, così anonimo, in mezzo a quel gruppo? C’erano altri comuni esseri umani come lui, rinchiusi nelle celle di quel giardino? E poi cosa gli avrebbero fatto e lui come avrebbe potuto tutelarsi? Inizialmente era rimasto abbagliato dalle scie luminose emanate dalla punta della bacchetta di Roxanne Borgin, perdendosi nei movimenti sinuosi di quei fumi colorati e osservando con puro sgomento l’acqua sgorgare dal nulla, o dei fiori tramutarsi in uccellini vivaci. Ma si terrorizzò, Alistair, quando si rese conto che potevano esistere magie buone  e magie malvage, scatenate da gente altrettanto buona o malvagia. Allora, visto che lui era chiuso lì dentro, senza pistole o bacchette per difendersi, forse quelli che Joshua aveva definito Mangiamorte (anche se non era sicuro che quella fosse la denominazione corretta) avrebbero potuto scatenare su di lui magie cattive e questa idea lo preoccupava più di tutto il resto. Scoprire a 23 anni l’esistenza di streghe e stregoni era già abbastanza assurdo, figuriamoci venirci a che fare in quella maniera tanto traumatica
 
“Sono sicuro che non ti faranno niente, amico…devi solo non farli arrabbiare, va bene?”
 
Le parole di Joshua non erano state affatto rassicuranti, in realtà. Alistair tremava di paura al pensiero di fare qualche passo falso che lo avrebbe portato ad essere punito e più ci pensava, più l’ansia aumentava. Quando uno sferragliare metallico lo riscosse dai suoi pensieri, Alistair si rese conto di essersi rannicchiato nell’angolo più buio della cella. I suo occhi piccoli e impauriti seguirono il passo di tacchi eleganti che s’avvicinavano a lui
 
-Alzati ragazzo, il dottore vuole vederti-
 
-C-chi sarebbe questo d-dottore? Perché n-non m-mi lasciate stare?! Liberami, ti prego!-
 
Roxanne si chinò verso di lui. Alistair trovò la forza di guardare quegli occhi luminosi, che sembravano avere assunto una sfumatura di comprensione e tenerezza
 
-Il dottore non ti farà male, cucciolotto- sussurrò lei, sfiorando il mento di Alistair con le mani affilate –sempre se ti comporterai bene, siamo d’accordo?-
 
Alistair deglutì rumorosamente ed annuì, tremante, prima di seguire la scia profumata di Roxanne Borgin.
 
*
 
 
Appena vide la cella aprirsi, Mazelyn fu pronta a scattare. La sete oramai le aveva fatto perdere la ragione; l’unica cosa di cui era certa era che, se non avesse avuto la possibilità di nutrirsi, sarebbe morta. Già una volta era stata risparmiata dalla luce del sole, per questo Maze era convinta che non le sarebbe stata concessa una seconda possibilità. Corse fuori dalla cella, incurante di quella luce che ancora non aveva imparato ad accettare, ma che in quel momento risultava un problema minore. Mazelyn doveva trovare un essere umano, aveva bisogno di nutrirsi. Cominciò la sua corsa contro il tempo; come una fiera affamata, prese a percorrere i sinuosi cunicoli verdi fin quando non si bloccò di botto, percependo presenza umana. D’un tratto infatti i suoi sensi s’acuirono: le pupille si dilatarono, il naso cominciò a pizzicare, la salivazione nella bocca aumentò copiosamente. Lì vicino c’era qualcuno, un maschio umano, ne era più che certa. Riprese la sua corsa, fin quando non incontrò effettivamente la figura di un mago, che sembrava borbottare qualcosa fra sé e sé mentre ispezionava, con cautela, i margini di un’alta siepe. Maze sorrise d’istinto; non aveva mai accettato davvero la sua condizione di vampiro e l’idea di uccidere la disgustava, ma quando la sete prendeva il sopravvento lei non poteva che assecondarla. A grandi falcate raggiunse l’uomo che parve accorgersi di lei appena in tempo, perché con un colpo lesto la schivò, mandandola a sbattere contro la siepe
 

-Ehi! Ma che diavolo!- gridò il ragazzo dai ricci capelli scuri, prima di spostarsi una seconda volta per evitare che la furia di Maze lo colpisse in pieno; questa volta però non fu abbastanza rapido, in quanto la ragazza era riuscita ad afferrarlo con una forza innaturale per una spalla, spingendolo così al suolo.
 
Yann fissò quegli occhi velati di un rosso rubino, che lo inchiodavano senza esitazione, mentre le sue mani lo placcavano con gran vigore. Il ragazzo tentò di divincolarsi, ma riscontrò l’azione impossibile; come poteva qualcuno avere una forza tale? Nemmeno un lottatore di pesi massimi avrebbe potuto immobilizzarlo in quel modo, visto che era come se fosse stato ingabbiato da quintali di piombo. Yann gridò di dolore, percependo la spalla incrinarsi sotto la pressa delle dita di Mazelyn, che lo fissava compiaciuta
 
-Mi dispiace, ma non posso fare altrimenti…mors tua vita mea!- sibilò Maze, prima di spalancare la bocca e mostrare dei lunghi canini decisamente troppo affilati. Yann capì all’istante come mai quella bella ragazza tanto affascinante lo avesse steso con quella facilità, anche se, realizzò, non aveva troppo tempo per riflettere. Fu automatico chiuderle i fianchi con le mani e scatenare su di lei il suo potere.
Maze urlò di dolore e rapidamente rotolò via da lui
 
-Bastardo!- ringhiò passando rapidamente le mani sui pantaloni bruciati
 
-Scusa, ma stavi per azzannarmi!- ribatté seriamente dispiaciuto Yann mentre, lesto, s’affrettò a mettersi in piedi. Benedetto fuoco, che scaturiva da lui nei momenti più opportuni, valutò Yann sfregandosi le mani e allungandole poi verso il vampiro
 
-Ne vuoi ancora?- chiese spavaldo, per poi pentirsene subito. Difatti la smorfia di dolore di lei, mascherata in parte dai lunghi capelli neri che, disordinati, ricadevano sul viso olivastro, lo destabilizzò.
Quella ragazza era affascinante, bellissima, incredibilmente sexy. Yann aveva sentito tante leggende sui vampiri, cantate e tramandate dai Sinti, il suo popolo d’origine; si narrava, tra le tante storie, che i vampiri fossero dotati di un fascino indiscreto, atto ad irretire le prede prima di poterle dissanguare. Yann non aveva mai creduto a quelle leggende fino a quel momento, eppure l’evidenza dei fatti l’aveva appena schiaffeggiato con vigore, mostrandogli quell’incantevole essere tra cui braccia si sarebbe gettato, se il suo spirito di auto conservazione non fosse intervenuto a soccorrerlo. Tra le tante leggende sui vampiri, che Baba Sceba narrava sempre ai piccoli della comunità Sinti, emergeva un dettaglio che l’anziana donna sottolineava premurandosi di guardare con cipiglio il piccolo Yann: i vampiri temevano il fuoco tanto quanto la luce del sole. Perché Baba Sceba guardasse proprio lui quando si parlava di fuoco, il piccolo non l’aveva capito, fin quando Yann non crebbe abbastanza per rendersi conto che lui fosse un padrone di questo elemento. Scosse la testa per allontanare quei ricordi, visto che non era proprio il momento di perdersi in essi, dato che un vampiro particolarmente avvenente stava per reclamare la sua gola. Ma Yann fu miracolosamente salvato da un ulteriore attacco grazie ad un fischio acuto e costante, che costrinse sia lui che Maze a tapparsi le orecchie ed accasciarsi a terra.
 
Maze fece giusto in tempo ad alzare lo sguardo in direzione di quel fischio assordante, prima di perdere i sensi ed essere trascinata via.
 
*
 

Martha aveva gli occhi chiari fissi sulla piccola strega, rannicchiata sulla sponda di un laghetto che non si chiese da dove fosse spuntato fuori. Quel giardino nascondeva segreti strabilianti e questo continuo scoprire nuovi elementi, non faceva che aumentare la curiosità di Martha. Persino un lago, ora!  Pensò mentre si avviava a passi incerti verso quel mucchietto luminoso di capelli biondi. Appena la ragazzina roteò il volto nella sua direzione, Martha sgranò gli occhi e rimase immobile, a far correre lo sguardo tra lei ed il lago. Nonostante inizialmente avesse pensato che quella creatura fosse parte di quel distopico luogo messo a punto per i detenuti (e di questo Martha ne era assolutamente certa, perché i suoi sensi s’erano attivati appena messo piede nel Giardino), subito si rese conto che, la strega, non fosse che una di loro, una reclusa. Questa consapevolezza la fece sprofondare nella tristezza. Chi poteva essere così crudele da pensare di rinchiudere una strega tanto giovane?
 
-Ciao…- bisbigliò Jules, appena Martha sembrò riprendersi dallo stato catatonico in cui si immergeva, ogni qualvolta la sua mente s’allontanava dal corpo per scovare l’illusione che le si poneva davanti. In quel caso, purtroppo, Martha non era riuscita a capire molto, se non che quel luogo in cui erano esisteva davvero, ma sicuramente era posto sotto una lunga serie di incanti potentissimi, per il momento impossibili da individuare ed intaccare
 
-Ehi…ciao piccola, io sono Martha, tu come ti chiami?-
 
-Martha…un nome da guerriera- sorrise dolce Jules, prima di alzarsi e sistemare il suo vestitino chiaro –Io sono Jules e non sono tanto piccola, sto per fare quattordici anni, sai?-
 
Martha sorrise davanti quegli occhioni che s’erano piegati con disappunto
 
-Non volevo offenderti, Jules-
 
La tassorosso scosse la testa e tornò a sorridere –Non mi sono offesa, non lo faccio quasi mai! Tu in quale cella sei? E come mai sei qui? Io stavo aspettando un amico-
 
Martha inarcò un sopracciglio –Un amico…? Hai un amico qui dentro?-
 
La piccola strega annuì –Sono sicura lo faranno arrivare qui…lui adora l’acqua! Oh!-

 
   
 
Nel percepire dei passi entrambe le streghe si voltarono, Jules con una luce di speranza negli occhi, Martha decisamente guardinga. D’istinto la più grande si affiancò a Jules, pronta a difenderla se ce ne fosse stato bisogno anche se, senza la sua bacchetta di betulla, sarebbe stato difficile fare alcunché. Non riuscì comunque a non sgranare gli occhi davanti alla figura di un altissimo ragazzo che s’avvicinava a loro, con lunghi capelli ondulati dorati, le cui ciocche superavano la metà della schiena. Vide quel ragazzo aprirsi in un gran sorriso alla vista di Jules, ma immediatamente lo sguardo si indurì quando si scontrò con Martha
 
-Alon!- gridò Jules correndo nella sua direzione. Solo in quel momento Martha si rese conto delle pesanti calzature che portava la strega ai piedi. Il ragazzo tornò a sorridere, così poggiò un ginocchio a terra e si preparò a stringere in un abbraccio Jules, che non esitò a gettargli le braccia al collo
 
-Sapevo ti avrebbero portato qui! Hai visto? C’è dell’acqua! Puoi trasformarti!-
 
Agli occhi di Martha era evidente che quei due si conoscessero già, per questo non s’azzardò a correre nella loro direzione; quell’Alon la strinse con delicatezza e le chiome chiare si mischiarono, regalando a Martha uno spettacolo piacevolmente dolce, delicatissimo
 
-Ciao bambina, sono contento di rivederti- disse lui guardandola, mentre carezzava i suoi capelli e si gustava la smorfia di Jules
 
-Non sono una…-
 
-Bambina…si lo so, hai quasi quattordici anni- Alon rispose al posto di Jules, abbandonando poi l’abbraccio per rimettersi in piedi e fissare Martha, a debita distanza
 
-Chi sei?- chiese alla strega
 
-Tranquillo…siamo nella stessa situazione- L’esile figura della strega s’avvicinò ai due, mentre d’istinto Alon stese un braccio in protezione di Jules, la quale afferrò la sua mano per fargli abbassare il braccio
 
-Non ti devi preoccupare- cinguettò Jules
 
-Io sono Martha…Martha Zeller, chiusa nella cella omicron-
 
Solo in quel momento Alon abbassò le sue difese ed allungò la mano, per stringere quella decisamente più modesta di Martha –Io sono Alon…devi scusarmi, ma sono ormai quasi venti giorni che sono chiuso qui, questo giardino mi sta facendo impazzire-
 
-Ti capisco- annuì Martha –per caso hai mai incontrato il…-
 
Ma Alon alzò una mano per interromperla –Scusami, non voglio risultare scortese ma possiamo rimandare a dopo le chiacchiere? Non so quanto tempo abbiamo a disposizione e devo fare una cosa davvero importante-
 
Martha rimase interdetta, ma poi annuì. Guardando a lungo quel mago, aveva intuito che altro si nascondesse dietro a quell’ingombrante ragazzo, ma non fece ulteriori domande, limitandosi ad osservare Jules che, con passi leggeri nonostante quelle scarpe che sembravano pesanti come macigni, trascinava Alon fino alla riva del lago
 
-Vai…so che ci tieni tanto!- lo incitò la piccola Tassorosso, affiancata presto da Martha. Insieme le streghe osservarono Alon sorridere raggiante mentre sfilava le scarpe consumate che portava ai piedi, la maglia candida che scoprì un fisico tonico e muscoloso ed i pantaloni scuri
 
-Ma cosa…-
 
-Aspetta- Jules strattonò la camicia di Martha, la quale stava per gettarsi contro Alon per intimarlo di rivestirsi. Non seppe spiegarsi il motivo, ma la giovane donna si fidò di Jules e rimase a guardare quel ragazzo tuffarsi con agilità nell’acqua.
Attese con il fiato sospeso di vederlo riemergere, ma dopo un minuto buono cominciò ad agitarsi
 
-Sarà un tranello di questo posto! Dobbiamo aiutarlo, non sta riemergendo!-
 
Martha era già pronta a sfilarsi i vestiti per gettarsi nel lago, quando il mulinare dell’acqua la arrestò, lasciandola poi senza fiato: Una lunga coda sbucò dalla cresta lacustre, che schiaffò l’acqua, generando un vortice definito al centro del quale, poco dopo, emerse la figura del tritone, raggiante più che mai
 
-Alon! È magnifico!- Jules immerse i piedi nell’acqua e solo a quel punto slacciò le cinghie delle scarpe. Martha rimase per la seconda volta senza respiro, mentre guardava quella piccola strega librarsi in aria, con le braccia stese verso Alon che, ridendo, la tirò a sé, inglobandola nel vortice d’acqua che lo stava avvolgendo.
Incredibile, pensò Martha che non era affatto abituata a stupirsi di nulla, vista la peculiarità di cui era dotata; i suoi occhi chiari stavano assistendo ad uno spettacolo unico: idrogeno ed ossigeno, acqua ed aria erano incarnati davanti a lei e ridevano sinceramente felici, nonostante non fossero che prigionieri, in quel labirinto terribile.
 
*
 
 
Lucas aveva finalmente messo piede fuori dalla sua cella. La prima cosa che pensò di fare, appena gli avevano concesso la libertà fuori da quella prigione, fu cercare i propri aguzzini per riempire i loro polmoni di terra e foglie secche, così da sfogare tutta la sua frustrazione. Non gli importavano le conseguenze in quel momento, l’unica cosa che riempiva i suoi pensieri altro non era che una sana vendetta contro coloro che l’avevano rinchiuso lì e che, attualmente, non gli avevano fornito spiegazione alcuna. Se normalmente Lucas provava timore ad utilizzare la sua particolare facoltà, di contro era certo che quei maledetti Mangiamorte si meritassero un trattamento d’onore. Purtroppo la cella si era aperta come in automatico, ma nei paraggi non c’era nessuno; si limitò quindi a percorrere il percorso obbligato del giardino, che ispezionava per la seconda volta da quando era stato chiuso lì dentro. Il paesaggio si modificava ad ogni passo: là dove poco prima aveva visto un muro di siepe, d’improvviso apparve una porticina di legno intarsiato, che Lucas era costretto ad oltrepassare se non avesse voluto restare in un vicolo cieco. Afferrò il pomello d’argento e tirò la porta a sé con forza.
Trascinando dal suo lato qualcuno, che finì a terra. Ok, Lucas doveva imparare a dosare la sua forza
 
-Dannato Salazar!- una voce familiare uscì da quel corpo ancora steso. Lucas si irrigidì, prima di rendersi conto che forse avrebbe dovuto soccorrere la povera malcapitata
 
-Tutto bene?- Chiese lui allungando una mano per aiutare la strega a rimettersi in piedi; strega che, appena alzò il capo, riconobbe
 
-Odette…? Sei davvero tu?-

 

 
 
La ragazza accettò l’aiuto, mostrando una faccia di disappunto
 
-Lucas Heathcote, come è possibile che tu sia cresciuto ancora, da Hogwarts?! Sei un gigante!-
 
Lucas osservò la ragazza per capire se stesse bene, prima di rispondere
 
-Tu invece sei sempre la stessa, come è possibile?-
 
Odette sistemò i capelli e spolverò i vestiti con rapide manate –Un medimago deve mantenersi in forze, se vuole aiutare i propri pazienti…inoltre ho qualche amico nel reparto di magichirurgia estetica- scherzò lei, affrettandosi poi a guardarsi intorno –Quindi sei finito qui anche tu…aspetta non me lo dire…sei davvero diventato un auror?! Lucas il re dei festini?! Vorrei tanto sapere chi ti ha concesso il diploma!-
 
Lucas sbuffò e scosse il capo; Odette non aveva perso il vizio di leggere la mente delle persone evidentemente. Durante gli anni che avevano condiviso ad Hogwarts, nonostante fossero in case diverse e la strega fosse più grande di un anno, i due si erano ritrovati nello stesso gruppo di amici, condividendo il tempo libero dallo studio organizzando feste clandestine, facendo impazzire il povero Gazza. Inoltre si erano spesso spalleggiati a vicenda riguardo la loro omosessualità, cosa che intensificò il loro rapporto. Ma una volta diplomata, Odette aveva perso i contatti con Lucas ed il resto del gruppo, dato che lo studio per diventare medimago l’aveva totalizzata. Rivederla in quel contesto, dunque, aveva decisamente destabilizzato Lucas, che non riusciva a togliergli gli occhi di dosso
 
-Senti, mi piacerebbe molto parlare dei tempi passati- Odette interruppe il flusso dei suoi pensieri –ma ora abbiamo davvero bisogno di capire qualcosa di questa situazione, non ti pare?- Così la strega si avvicinò al mastodontico amico e bisbigliò –Tu hai conosciuto il dottore?-
 
Lucas non aveva idea di chi stesse parlando Odette, ma non gli fu necessario dire una sola parola dato che la strega sospirò, desolata
 
-Per piacere Dettie, puoi non leggermi continuamente la mente? È snervante-
 
-Dettie! Era una vita che nessuno mi chiamava così! Comunque hai ragione, scusami…mi viene spontaneo, non ci posso fare niente-

 

 
 
Entrambi si voltarono d’improvviso verso la porta, che si stava aprendo nuovamente: Evangeline fece capolino, lanciando un’occhiata alla strana coppia che sembrava persa in amabili chiacchiere. La ragazza strinse gli occhi chiari e non accennò ad oltrepassare totalmente la porta, scatenando la curiosità dei due
 
-Chi siete?- chiese senza mezzi termini né presentazioni. Le pupille correvano frenetiche dall’uno all’altra, in attesa di una risposta
 
-Potrei farti la stessa domanda, ragazzina- La rimbeccò Lucas, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni
 
-La mamma non ti ha insegnato che non si risponde alle domande con altre domande?- Un sorriso acido increspò il viso di Evangeline, scatenando una risata di cuore da parte di Odette
 
-Tagliente la ragazza, mi piace!-
 
-Come se fosse una novità- la canzonò Lucas; fra quei due c’era sicuramente una complicità che durava da tempo, pensò Evie mentre frugava nella mente alla ricerca di una soluzione per non finire fregata dalla coppia. Potevano tranquillamente essere altri reclusi, come quel William che aveva conosciuto tempo prima, oppure qualche altro maledetto Mangiamorte, dato la serenità con cui si trovavano lì. Insomma, Evangeline non avrebbe dovuto fidarsi facilmente; per questo trovò scontato ricorrere al proprio potere, per tastare il terreno: scavallò la porta su cui s’appoggiò e, dopo aver agganciato un indice al labbro inferiore, con sensuale delicatezza, soffermò l’attenzione su Lucas
 
-Ti andrebbe di avvicinarti?- chiese con voce melodiosa. Il ragazzo si sentì d’un tratto stordito, incapace di resistere alla richiesta di quella giovane strega che si era appena rivolta a lui.
Odette osservò, sconvolta, il vecchio compagno avvicinarsi alla ragazza senza esitare; tentò di penetrare la sua mente, per capire chi fosse e cosa le passasse per la testa, ma trovò impossibile leggerle i pensieri. Per questo seguì Lucas mentre, arrabbiata, cominciò a rivolgersi a lei in malo modo
 
-Come è possibile?! Non hai la bacchetta, lo vedo! Non puoi aver lanciato un Imperius a Lucas!-
 
Evie dedicò ad Odette un’espressione fintamente sorpresa
 
-Io? Non so di cosa tu stia parlando-
 
Fu in quel momento che Lucas si riscosse; sentiva un vago cerchio intorno alla testa, come quello che rimane la mattina dopo una sbronza. Ci mise poco a capire che quella ragazza lo aveva appena fregato, anche se non si spiegava come avesse potuto fare, visto per altro la sua giovane età. Questo fece tremare la terra sotto i piedi di Evangeline che, d’improvviso, si ritrovò irretita in un reticolo di liane. Spaventata, la giovane cominciò ad urlare, assottigliando così la barriera che aveva cautamente issato nella mente, per impedire a chiunque di oltrepassarla
 
-No…no! Che succede?! Lucas dobbiamo aiutarla! Si chiama Evangeline Montague ed è reclusa, proprio come noi!- Odette, inconsapevole che fosse proprio il mago ad aver scatenato la furia della terra, cominciò a strattonargli il braccio. Ma Lucas non voleva farlo, semplicemente quando si trovava in pericolo era la terra, a rispondere al posto suo. Fu così che le liane cominciarono a ritirarsi, lasciando Evangeline a terra, boccheggiante ed in ricerca d’ossigeno. Odette a quel punto corse verso di lei e la avvolse le spalle con un braccio
 
-Forza cara…respira! Non so da dove vengano, ma quelle cose se ne sono and…- La strega s’interruppe e, lentamente, alzò gli occhi scuri verso Lucas. Possibile che non si fosse mai accorta che il ragazzo possedesse un potere tanto letale?
 
*
 
 
Un’altra notte quasi in bianco, anche se era abbastanza complicato, se non impossibile, distinguere le ore diurne da quelle notturne. William comunque era abituato all’insonnia e per questo non percepiva più della solita stanchezza che gli era propria. Abbandonato sul letto, prese a canticchiare una canzone scritta di proprio pugno, mentre lo sguardo vagava, distratto, sul soffitto chiaro; non si sentiva particolarmente spaventato: William si sentiva annoiato, ecco il punto. Da quando era stato portato in quel luogo infernale, le uniche persone che aveva avuto il dispiacere di incontrare erano state una ragazzina nella sua stessa condizione, un uomo dalla faccia burbera che non doveva avere che una manciata di anni in più di lui ed una sua vecchia conoscenza che, ironia della sorte, proprio in quel momento fece ticchettare le unghie sulle sbarre della cella
 
-Siamo allegri oggi, signor Lewis?- la voce di Roxanne  ruppe la cantilena svogliata ed il flusso rapido di pensieri che aveva affollato la mente di Wiliam. Il mago si tirò su con un colpo di reni e, flemmatico, trascinò il passo fino alle sbarre, trovandosi a fissare con placida serenità gli occhi chiari della Mangiamorte
 
-Non più del solito. Qual buon vento ti porta qui, Roxanne?-
 
La donna fece correre ancora le unghie contro le sbarre, dando vita ad una conta immaginaria. Quando s’arrestò, la mano avvolse il ferro ed un sorriso sornione risvegliò il suo viso
 
-Ordini del dottore, è l’ora della passeggiata…non vuoi prendere un po’ d’aria?-
 
-Sinceramente…no- commentò –ma sospetto di non avere altra scelta, non è vero?-
 
In una situazione “normale”, William non avrebbe sopportato di restare chiuso in uno spazio tanto limitato, ma considerava il giardino una gabbia ben peggiore e certamente più pericolosa di quella cella, ragion per cui non accettava con voglia l’idea di uscire di lì
 
-Come siamo perspicaci Will- Roxanne gettò un’occhiata all’orologio da taschino, prima di lanciare un incantesimo alla cella che, lentamente, cominciò ad aprirsi –oggi vogliamo metterti un po’ alla prova; pare che il dottore sia molto incuriosito dalla tua peculiarità, quindi credo sia giunto il momento di darne prova, non trovi?-
 
Una smorfia accigliò il viso di William. Di certo non si poteva dire che il suo particolare potere fosse piacevole da mettere in pratica; in realtà era faticoso e non era ancora in grado di gestirlo a dovere. Più di una volta si era ritrovato in fin di vita, dopo averlo utilizzato, ma convenne con se stesso che non avrebbe potuto comportarsi diversamente da così. Il suo intuito brillante, difatti, aveva fatto sorgere in lui il sospetto che qualsiasi movimento di insubordinazione, avrebbe comportato conseguenze ben più gravi di quelle mostrate loro in superficie. William non era uno che voleva guai, mai. Per questo seguì Roxanne senza aggiungere altro mentre, per distrarsi, riprese a canticchiare quella vecchia canzone.
 
*
 
 
 
Victor era stato trascinato nella sua cella, assieme ad una strega che non aveva mai visto prima. Se non fosse stato troppo preso a gestire gli effetti di una maledizione cruciatus troppo prolungata, si sarebbe forse soffermato a studiare quella ragazza molto bella, anche se decisamente provata. Adrian Reed lo aveva richiuso lì dentro assieme a lei e se n’era andato, affermando che avrebbe dovuto aspettare; ma come faceva? Era come se fiamme ardenti lo bruciassero dall’interno e non accennavano a diminuire. Ovviamente un’altra tacca si era aggiunta a quella maledetta piramide, visto che per l’ennesima volta, Vicky non si era comportato bene
 
-Come ti senti?- Chiese Cora, con le braccia incrociate, guardandolo contorcersi sul lettino
 
-Come vuoi che stia? Vorrei strappare…strappare la faccia di quel…pezzo di…aaah!-
 
Victor sapeva che l’unico modo per uscire da quello stato, o almeno per placare il dolore, era concentrarsi su altro. Con le mani sullo stomaco si mise faticosamente a sedere e puntò lo sguardo sulla ragazza in piedi davanti a lui
 
-Hai detto che ti chiami…Cora Dagenhart…non sarai mica…aaah…la sorella di Aisling, eh?-
 
Cora inarcò di molto un sopracciglio; certo, il suo cognome era famoso, quindi non doveva stupirsi che quel tipo strano conoscesse Ais
 
-Già, come conosci il mio adorabile fratello maggiore?-
 
Vicky fece una smorfia, che Cora tradusse come un sorriso, anche se intaccato dal dolore
 
-Signorina Daghenhart…ma tu sai chi sono io? Prima di tutto…s-sono il vice direttore de “La Gazzetta del Profeta”, sai…quante interviste….aaah merda!- Victor si piegò per una fitta particolarmente dolorosa, prima di ricominciare a parlare –Scusa, penso mi stiano attaccando lo stomaco…comunque sai quante interviste ho fatto…a quel ragazzone di Aisling? Devo ammettere che…non mi pare affatto abbia la stoffa per diventare Ministro…-
 
Victor ridacchiò sfrontato. Cora provò l’istinto di peggiorare la sua situazione, ma si limitò a guardarlo con sufficienza e non muoversi di un passo, anche se era difficile evitare lo sguardo del magigiornalista
 
-Secondo poi sono…per mia disgrazia, l’erede Selwyn…sicuramente i tuoi genitori…ti avranno offerta a mio padre in sposa almeno…almeno una volta-
 
Victor riprese a sghignazzare, scatenando un forte astio da parte di Cora; quel mago tanto insolente era insopportabile, presuntuoso ed arrogante, l’ultima persona che avrebbe mai accettato di sposare, non fosse stato per il suo cognome
 
-Per fortuna allora che non se n’è mai fatto niente…- Cora si piegò, mantenendo le braccia incrociate, per accostarsi a lui e mostrare uno dei suoi sorrisi più taglienti –O a quest’ora sarei quasi vedova, a quanto vedo-
 
Lo sferragliare della grata distrasse i due da quello scontro verbale. Cora si raddrizzò nell’immediato, per osservare Roxanne Borgin entrare nella cella in compagnia di uno sconosciuto
 
-Roxie! Come mai qui? Ti…ti serve lo zucchero?-
 
-Persino da moribondo non riesci a tenere la bocca chiusa, sei encomiabile, o pazzo…-
 
-Sono pazzo si, pazzo di te, o mia bella zitella!-
 
La Mangiamorte evitò di rispondere all’ennesima provocazione. Fortuna fosse una strega dotata di un autocontrollo invidiabile, altrimenti avrebbe mandato all’aria i piani del suo capo e avrebbe dato il colpo di grazia a quell’idiota di Victor Selwyn senza attendere un altro istante. Allungò una mano per fare le presentazioni
 
-Lui è…-
 
-E ci mancava il menestrello…ora si che siamo al…aaah….al completo!-
 
William non dette peso al sarcasmo di Victor Selwyn e tentò di mascherare la sorpresa di vederlo lì. Stessa cosa fece con quella giovane strega, della quale conosceva la famiglia, purtroppo. Cora di contro sembrò non riconoscere William, così si limitò a fare un cenno del capo nella sua direzione e tornò a chiudersi nella stretta delle braccia. Voleva solo uscire di lì il prima possibile, non le importava affatto di fare nuove amicizie
 
-Bene…William, il nostro simpatico Victor ha bisogno di una mano: purtroppo Adrian ha calcato un po’ troppo la mano con l’ultima maledizione e pare che…non passi definitivamente l’effetto- Roxanne mostrò un sorriso a William –Vuoi pensarci tu?-
 
Cora puntò gli occhi chiari su William; se fino a qualche istante prima non aveva il minimo interesse a conoscere quell’uomo, a seguito di ciò che aveva detto Roxanne una vivida curiosità si era instillata in lei. Quel mago tirò una cioccia di capelli neri dietro l’orecchio, prima di compiere qualche passo in direzione di Victor che lo fissava dubbioso. Era troppo debole per poter attivare il suo scudo che, fra l’altro, non aveva ancora la benché minima idea di come gestire. Di conseguenza non provò a ritrarsi quando William Lewis gli strinse il volto scavato con le mani. Lo lasciò fare, quando fece collimare le loro fronti.
Cora vide William socchiudere gli occhi. Fu istintivo, per la giovane strega, ritirarsi fino ad un angolo della cella, quando William spalancò gli occhi ed inspirò forte, generando un rantolo che sembrava provenire da un’oscura caverna. Gli occhi algidi di Cora seguirono una scia scura salire dallo stomaco di Victor Selwyn ed incanalarsi nella bocca spalancata di William, il quale inghiottì fino all’ultimo granello.
William si ritrasse barcollando, sotto gli occhi stupiti di Cora, quelli sbarrati di Roxanne e quelli scossi di Victor che, d’improvviso, sentiva di non avere più alcun dolore.
 
-Lewis…?- Roxanne lo richiamò con cautela, ma poi fu costretta a pararsi gli occhi, imitata da Cora e Victor, perché un fascio luminoso come il nucleo del sole di mezzogiorno si liberò dall’altezza dello stomaco, schizzando fuori dalla cella e disperdendosi nell’aria, lasciando infine William cadere a terra, svenuto.
 
*
 
 
Elyon si muoveva nella cella con irrequietezza. Aveva perso il conto dei giorni ormai, ma sapeva alla perfezione quando era stata l’ultima volta che aveva incontrato Adrian, o meglio, che si era scontrata con lui: dieci giorni, dieci lunghi e dolorosi giorni. Elyon si sentiva estremamente combattuta, perché da un lato si era sentita tradita da Adrian e da Robert Steiner, dall’altro, comunque, provava un enorme senso di disagio da quando aveva capito che il Mangiamorte fosse a conoscenza della sua condizione.
Elyon aveva sempre tentato di nascondere la propria licantropia al mago, convinta del fatto che lui l’avrebbe guardata con occhi diversi, certamente con disgusto; la cosa peggiore di quella situazione, era infatti che Elyon avesse scelto personalmente, di diventare un licantropo, non era stata morsa a tradimento. E no, Adrian Reed, questo, non l ‘avrebbe accettato, lo conosceva troppo bene. Non sapeva come muoversi con lui, perché se era vero che il loro rapporto si era spesso basato sullo scontro, era altrettanto vero che desiderava con tutta se stessa che l’uomo riversasse fiducia in lei. Fiducia che sentiva di aver tradito, come Adrian aveva tradito la sua.
Le pupille si fecero prepotentemente spazio nelle iridi chiare, quando sentì dei passi farsi vicini alla propria cella; poteva essere Lucas, di ritorno dal giro imposto, come poteva essere qualcun altro. Ma appena vide la sagoma in controluce di Adrian, il solito fare nervoso di Elyon s’accentuò: scalza, s’avvicinò con fretta alle sbarre a cui s’aggrappò, inchiodando lo sguardo dell’uomo, che ricambiava con estrema durezza
 
-Sei sparito…sparito per giorni…mi hai lasciata in balia di quella stronza della Borgin- sibilò lei, trattenendo comunque il moto d’ira
 
-Avevo bisogno di pensare, comunque non mi sembri nella posizione di poter recriminare nulla- Adrian passò una mano sui baffi, sistemandoli con cura, prima di accostare il viso alle sbarre. Si guardarono a lungo, in silenzio, perché Elyon non voleva commettere nessun passo falso, non in quel momento, non con lui
 
-Se prometti di fare la brava ti faccio uscire, anche se oggi non ti spetterebbe-
 
-Adrian…devo parlare con Steiner, per piacere- la voce si fece melensa e docile, nulla a che vedere con quella stridula che aveva assalito il Mangiamorte dieci giorni prima; ma Adrian scosse il capo –Oggi non è possibile, ha altro a cui pensare. No Elyon, non farmi perdere la pazienza ancora una volta, è già tanto che io sia venuto qui oggi- La voce profonda e ferma del mago mise subito a tacere le proteste della donna, la quale si staccò dalle sbarre
 
-E va bene…fammi uscire-
 
*
 
 
Joshua non era stato liberato come le altre volte. Ancora una volta, pare che il dottore avesse bisogno della sua figura, così il professore fu scortato oltre il giardino, fino ad una porta che non riconobbe e che, ne era quasi certo, non aveva mai visto prima. Stranamente quel cammino lo riportò con la mente ad Hogwarts, quando veniva spedito dalla vicepreside perché qualche suo compagno di casa lo aveva messo in mezzo. Joshua provò una fitta allo stomaco al pensiero degli anni passati alla scuola. Mentre camminava ripensava a quanto fosse stato bullizzato dai suoi stessi compagni, che lo avevano sempre accusato di essere un serpeverde mancato, piuttosto che un grifondoro come loro. Forse anche da quello era stato scatenato lo spirito dissidente nei confronti della propria famiglia.
Il metamorfo si ritrovò ad oltrepassare quella porta combattendo contro una corrente fortissima e tiepida ma, superata quella, un’altra porta lo attendeva, questa volta aprendosi in un’anticamera decisamente ampia, semibuia a causa del maltempo che sembrava imperversare fuori dalle ampie finestre. Si fece vivo l’istinto di gettarsi contro uno dei vetri e scappare, ma sapeva che non avrebbe avuto alcuna possibilità, in quanto probabilmente ogni angolo di quel posto era sorvegliato. Allontanarsi dal perenne bel tempo del giardino lo aveva destabilizzato, obbligandolo a mantenere l’attenzione sulle gocce che picchiettavano contro le finestre; solo ad un secondo richiamo, Joshua si ridestò e salì la larga scalinata di legno scuro che si apriva nell’anticamera.
Attraversò un corridoio superando una, due, tre porte, fin quando non gli fu ordinato di arrestarsi ed attendere. Non conosceva la persona che lo aveva condotto fino a lì, essendo nascosta dal mantello e la maschera tipica dei Mangiamorte, ma non osò chiedere alcun tipo di dettaglio sulla sua identità.
Quando la mano guantata del Mangiamorte aprì la porta dello studio, Joshua dovette attendere di essere richiamato, prima di entrare; rimase abbagliato dall’enorme libreria a parete che non lasciava quasi spazio libero, impeccabilmente in ordine, così come l’ampio scrittoio dietro il quale, con le mani allacciate dietro la schiena, un uomo gli dava le spalle. Probabilmente stava osservando il paesaggio oltre l’ampia finestra doppia, unico punto di respiro dello studio. Solo quando sentì un rumore alla sua sinistra, si rese conto che quel babbano che aveva conosciuto, Alistair, fosse imbavagliato e costretto seduto su una piccola poltrona dall’aria comoda
 
-Grazie, Evan- la voce arrivò sicura, così il Mangiamorte annuì e si pose di fronte la porta dello studio, con le braccia incrociate.
Joshua si irrigidì ma ancora una volta attese paziente in silenzio, fin quando quell’uomo che gli dava le spalle non si voltò lentamente, mostrando un sorriso piacevolmente disteso ed un paio di occhi chiari, che lo osservavano placidi
 
-Joshua Hollens…ti ringrazio per essere venuto qui. Ti ricorderai di me, suppongo-
 
E come, se lo aveva riconosciuto
 
-Robert? Vorresti dirmi che dietro a questa storia ci sei tu?- il ragazzo strinse i pugni nel tentativo di mantenere il controllo. Certo non era semplice, difatti nonostante si sforzasse di mantenere disteso il viso, i suoi capelli virarono repentinamente ad un rosso brillante, cosa che fece sorridere ancor più il dottore
 
-Immagino non debba essere piacevole la tua condizione, caro ragazzo…ma possiamo affermare che io abbia fatto di tutto, per tirarti fuori dai guai o sbaglio? Ma non hai voluto sentire ragioni…-
 
-Non immaginavo che mio padre sarebbe arrivato a tanto…-
 
-Oh, ma tuo padre non c’entra nulla- Robert circumnavigò la scrivania, mantenendo le mani allacciate dietro la schiena –Ma tempo al tempo ragazzo mio, ora abbiamo una questione più importante di cui occuparci- Steiner si posizionò davanti ad Alistair che lo guardava tremante di paura, tentando di dimenarsi per quanto gli era possibile
 
-So che hai aiutato la mia adorata Roxanne a spiegare a questo babbano chi siamo e di questo te ne sono estremamente grato. Ma ora ho bisogno che mi aiuti a calmarlo, perché sono certo che il nostro…amico, non riuscirebbe a scatenare il suo potere, in questo stato d’agitazione-
 
Joshua era decisamente scosso, aveva appena scoperto che era stato un amico di suo padre a rinchiuderlo in quel terribile luogo ed ora, quello stesso uomo, pretendeva aiuto da lui. Prima che Joshua potesse ribattere, Steiner fece un cenno col capo al Mangiamorte sulla porta, che subito scomparve oltre essa
 
-Sai Joshua, questo giovane babbano non è come tutti gli altri, lui può fare una cosa che nessuno, nemmeno noi maghi, siamo in grado di fare. Mi spiego? Tu che ami tanto i babbani, non ritieni questa una cosa strabiliante? Non ti nego che ne sono…incantato-
 
Joshua puntò lo sguardo su Alistair, che lo ricercava con agitazione. Osservò la sua fronte spaziosa, imperlata di sudore ed i suoi piccoli occhi chiari, che urlavano silenziosamente aiuto. Joshua lo avrebbe anche fornito se avesse saputo come fare, ma non ebbe nemmeno il tempo di formulare un’idea, in quanto il Mangiamorte rientrò nello studio tenendo un cane di media taglia al guinzaglio ed una gabbia nell’altra mano, con dentro un altro piccolo cane che sembrava…morto. Robert Steiner slacciò le mani e le congiunse davanti al viso
 
-Ottimo! Adoro gli esperimenti- aggiunse scherzosamente, tornando a dedicare attenzione a Joshua
 
-Forza ragazzo, dai una mano a questo babbano a darsi una calmata, abbiamo del lavoro da fare- concluse, prima di allungare una mano a carezzare la testa del cane ancora in vita.
 
*
 
Adrian accese una sigaretta e anticipò il passo nervoso di Elyon. Per buona misura la strega tentò di affiancarlo, lanciando occhiate al movimento scattoso con cui Adrian accostava la sigaretta alla bocca
 
-Dove stiamo andando?- chiese d’impulso
 
-Voglio mostrarti una cosa- rispose laconico Adrian che trattenendo la sigaretta fra le labbra rigide, estrasse la bacchetta e con un incantesimo fece aprire un piccolo squarcio in una siepe. La oltrepassarono, così Adrian allungò il braccio davanti ad Elyon, obbligandola ad arrestarsi.
La donna ebbe l’impulso di afferrare la bacchetta del Mangiamorte, ma l’uomo fu più veloce di lei, riponendola all’interno della giacca
 
-Invece di pensare a come attaccarmi, guarda laggiù-
 
-Ma io…-
 
-Ho detto: guarda-
 
Adrian indicò un lago, da cui provenivano risate melodiose. Lo sguardo di Elyon si incastrò sull’immagine di una piccola nuvola di capelli chiari, che si librava sul lago trattenuta per una mano, da un ragazzo immerso nell’acqua. Fu inevitabile sussultare appena vide la pinna di una lunga coda fuoriuscire dallo specchio cristallino
 
-Ma quello è un tritone? E quella ragazzina…sta volando?-
 
Adrian accennò un sorriso, spezzato dalla sigaretta che, poco dopo, gettò a terra, meritandosi un’occhiataccia da parte di Elyon
 
-Hai appena inquinato questo luogo!- Elyon si chinò per scostare il mozzicone e sfiorare l’erba annerita da esso; Adrian la osservò concentrarsi e subito lo sguardo ricadde sulla mano imposta di Elyon, che magicamente fece tornare l’erba alla sua condizione naturale, mentre una lieve smorfia di dolore si formava sul suo viso tagliente
 
-Non sei cambiata…tieni più a un ciuffo d’erba che al tuo fisico. Sai che ti fa male, no?-
 
-Non fare finta di tenerci a me ora…se fosse così mi avresti liberata!-
 
-Abbassa la voce- la rimbrottò Adrian, prima di tornare a guardare la scena sul lago –Come puoi ben vedere non sei la sola ad essere strana, qui-
 
Strana. Ecco come la vedeva, Adrian. Elyon maledisse quella parte di sé che teneva all’opinione che il mago aveva di lei, al punto di sentirsi sbagliata, in sua presenza, ma ingoiò il sentimento per indossare la sua solita maschera algida
 
-Vuoi dirmi che siamo stati rinchiusi qui perché siamo fenomeni da baraccone?-
 
-Quel che voglio dire, Ellie, lo dovrai capire da sola. Se Steiner sapesse di questa nostra chiacchierata mi estrometterebbe immediatamente dal progetto. Fortuna che ora è troppo occupato, per fare caso a me-
 
-Quale progetto?! Di cosa diavolo stai parlando?! Ti prego Adrian! Farò di tutto pur di uscire di qui, ma tu devi dirmi qualcosa, ti prego!-
 
Adrian socchiuse gli occhi mentre le mani della strega strattonavano il suo braccio. Non poteva dirle nulla, specialmente non poteva fare nulla più di quanto stesse già facendo, perché sapeva perfettamente che Elyon occupasse un posto speciale, per lui. Ma il progetto era più importante
 
-Basta così, torniamo indietro, altrimenti ci scopriranno. Come sospettavo sei solo una ragazzina iraconda e viziata, che non è in grado a starsene buona per cinque fottuti minuti!-
 
Nonostante la ribellione da parte della strega, Adrian la trascinò nuovamente oltre la siepe che immediatamente si richiuse alle loro spalle. Probabilmente aveva fatto un altro errore di valutazione con lei. Non era ancora pronta ad affrontare la situazione.
 
*
 
Martha aveva passato il proprio tempo a tenere d’occhio la situazione del lago. Quei due l’avevano così tanto rapita, che non si accorse che, poco distante, due persone erano apparse e poco dopo scomparse. Ma quando la siepe si richiuse, il suo sesto senso s’attivò. Rapida, piroettò su se stessa, fissando il punto in cui la siepe si era appena richiusa. Nessun movimento indicava il passaggio della magia, ma Martha Zeller era più che certa che qualcuno avesse compiuto un incantesimo.

Li stavano osservando?

 

Buon pomeriggio a tutti e colgo l’occasione per augurarvi Buon Natale, buon quasi anno nuovo e chi più ne ha più ne metta. Spero che le vostre vacanze stiano andando per il meglio. Per quanto mi riguarda ci tenevo a pubblicare il capitolo prima di capodanno, anche perché sarò all’estero dal due al sei di Gennaio e non avrei avuto altro momento per pubblicare. Ma bando alle ciance!
Cominciate ad inquadrare un po’ di più questi personaggi? Vi assicuro che di dettagli da svelare sui vostri oc ce ne sono moltissimi, ma ci tenevo a farveli inquadrare fin da subito (motivo per cui ho inserito ora delle gif anche se, come ha notato Em, non è che io le ami particolarmente. Ah, la gif di Vicky lo ritrae da giovincello, ma è l’unica che ho trovato!); spero di esserci riuscita e spero che voi autrici siate soddisfatte di come ho reso il vostro oc. Se qualcosa non vi dovesse suonare, ovviamente, scrivetemi in privato senza problemi, ogni consiglio è bene accetto!
Allora che cosa abbiamo capito? I poveri reclusi vengono fatti uscire, apparentemente casualmente, talvolta incontrandosi con altri reclusi altrettanto casualmente. Beh, sappiate che Robert Steiner (che rincontriamo con sommo gaudio dei poveri Joshua ed Alistair in questo capitolo) non lascia nulla al caso. A tutto c’è una spiegazione, ma se vi svelassi tutto ora penso non ci sarebbe gusto. Volete avanzare delle ipotesi? Condividere con me le vostre prime supposizioni?
Poi poi poi…chiedo di farmi due nomi di due oc che vi hanno particolarmente incuriositi, mi servirà più avanti, quando comincerò a dedicare dei capitoli ad ogni oc (ma non temete, in ogni capitolo appariranno tutti i vostri personaggi).
Direi che ora è tutto, spero di avervi soddisfatti.
 
Auguri a tutti :)
 
Bri

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Capitolo 5
*** I Ricordi ***


CAPITOLO III
I Ricordi
 
 
“Respira, tesoro mio. Non è successo niente. Sono qui, mi vedi?”
 
Evangeline non riusciva a vedere nulla. Sentiva solo una voce, chiarissima, pronta a fagocitare ogni singolo rumore del luogo in cui si trovava. Ma dov’era? Non lo ricordava
 
“Uno…due…tre…respira Evie, non ti lascio, sono proprio accanto a te”
 
Avvertiva come una bolla pesante e compatta ostruirle i polmoni; frammentata, quella si era poi annodata in ogni alveolo, impedendo al suo corpo di trovare il giusto modo di inglobare l’ossigeno. Ma quella voce, quella splendida melodia che credeva di non poter più sentire, stava scavando dentro di lei, aiutandola a sbarazzarsi di quelle malefiche ostruzioni
 
“Brava…brava la mia piccola Evie. Respira amore mio, che io non posso più farlo”
 
D’improvviso il buio che l’aveva inglobata, prese una vacua forma umana, formata da minuscoli granelli opalescenti. Ma quale orrore, Evangeline provò nel riconoscere i bei capelli di Freya che ciondolavano come uno straccio usato dal suo capo, piegato d’un lato.
Ed il suo collo storto, spezzato da una corda spessa, che tirava in alto il corpo morente.
Ed i suoi occhi, non più vivi, piatti, spenti, persi nei suoi, chiari e ancora vispi.
Avrebbe voluto urlare, ma il respiro faticava ancora ad impossessarsi di lei.
 
-Cara! Respira, sono qui! Respira con me…respira con me!-
 
La voce di Freya s’era piegata, assumendo una sfumatura diversa, ma altrettanto piacevole perché, Evie se lo sentiva, quella voce l’avrebbe riportata alla realtà. La stava salvando.
Così l’orrore lasciò il posto allo stupore, quando l’immagine dell’impiccata assorbì la luce, restituendole l'aspetto di un viso dolce ma accigliato, che la carezzava con preoccupazione. Fu solo a quel punto che Evangeline percepì i polmoni liberarsi totalmente ed il corpo assimilare l’aria, motrice di vita.
Tossì tante volte ed ad ogni colpo di tosse, la mano di Odette era pronta a sostenerla colpendole la schiena per aiutarla a compensare la mancanza d’ossigenazione. Non aveva ben capito cosa fosse successo, Evie. Perché d’improvviso si fosse ritrovata ad annaspare alla ricerca disperata di aria, che l’aveva ridotta in fin di vita. L’unica cosa che riuscì a comprendere, mentre tornava a respirare con regolarità, fu che quei due non erano persone malvagie e che, probabilmente, erano stati rinchiusi proprio come lei.
Un pianto liberatorio si scatenò dagli occhi, mutandosi in singulti aggressivi appena Evangeline si era riappropriata di lucidità. Era entrata in contatto con il suo più grande incubo, che per tante notti non l’aveva abbandonata e che ora si era presentato, più vivido che mai, a riportarla alla realtà si, ma con estremo dolore.
Pianse per l’immagine di Freya, che Freya non era più. Pianse nel ricordare quell’involucro morto, che l’ultima volta aveva visto oscillare dalla Torre d’Astronomia. Pianse perché la caducità dell’essere umano si era palesata a lei con il più temibile dei giochi, strappandole via qualcosa di unico e raro, davvero troppo presto.
Ed Odette sussultò mentre carezzava i capelli della strega, perché con quel tocco aveva involontariamente assorbito parte dei suoi pensieri, immagazzinando il raccapriccio di quell’osceno ricordo.
 
*
 
Aprì gli occhi a fatica. Era assurdo provare quella strana sensazione di riposo, dettata da ore di sonno. William passò una mano sugli occhi, fino a stringere l’incipit del naso percependo una forte emicrania che nell’immediato s’era sostituita al piacevole condizione che un sonno ristoratore gli aveva portato. Accennò ad un sorriso.
Sapeva perfettamente da cosa fosse stato scatenato quel terribile mal di testa, perché esso si presentava, infame, ogni qualvolta William si ritrovava ad utilizzare il proprio potere. Certo, non era la prima volta che Will si fosse ritrovato ad assorbire gli spiacevoli effetti della maledizione cruciatus; gli era andata bene, questo era un dato di fatto, perché sapeva quanto devastante potesse essere l’effetto della maledizione, specialmente se indirettamente assorbito, come era stato costretto a fare.
William non tentò nemmeno di capire dove si trovasse, anche se percepiva un calore diverso rispetto a quello della cella che occupava ormai da parecchi giorni. Ora doveva solo trovare il modo per scacciare quella terribile emicrania, che si annidava in lui come un potente veleno e che avrebbe riportato grandi conseguenze, se non avesse agito all’istante. Con gli occhi chiusi tentò quindi di concentrarsi, per scacciare via l’ultimo granello tossico ed evitare che quello s’espandesse
 
“Ancora non ti sei alzato, pelandrone?! Forza! Ci sono un paio di belle ragazze che ci aspettano!”
 
La voce di Gideon arrivò come un uragano, nella sua mente annebbiata, seguita da quella di Fabian, lievemente più squillante
 
“Già…e poi Molly pretende che passiamo a trovarla; ha due gemelli appena nati da gestire e credo abbia bisogno del nostro supporto”
 
“Dato che noi sappiamo cosa possano combinare due teste calde della stessa età in una stessa casa, no?”
 
William sbuffò ed appiattì il viso contro il morbido cuscino
 
“Ma hanno solo qualche mese…” rispose con voce strascicata ed insonnolita
 
“Ma imparano in fretta!” rispose pronto Gideon, mentre tirava via il lenzuolo di William
 
“E va bene…ma prima le ragazze, giusto?”
 
“Ma certo” si intromise Fabian, sedendosi sul suo letto “abbiamo promesso loro che avresti cantato per noi il tuo ultimo pezzo…e tu sei uno che mantiene le promesse, non è vero Will?”
 
Un sorriso più sincero illuminò il viso di William, mentre sentiva l’emicrania sparire; ma passò pochissimo tempo, prima che un’espressione contrita scosse il volto. Si mise subito a sedere e trattenne la testa con le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia; percepiva quella piccola sfera velenosa staccarsi dallo stomaco e poi risalire con rapidità fino alla carotide, calpestando infine la lingua ed obbligandolo a spalancare la bocca.
William rigurgitò quell’ultimo concentrato di male che, luminoso, si dissolse nell’aria.
Tornò a respirare con regolarità. Assaporò lo stato di benessere che lo aveva appena raggiunto, pensando che quella fosse la droga migliore del mondo. Le iridi chiare, fagocitate dalle pupille che s’erano allargate per il buio della stanza, fissarono un lettino speculare al suo, su cui Cora sembrava riposare serenamente. Non si trovavano nella cella né dell’uno né dell’altra, questo era evidente. Cautamente s’alzò dal letto, altrettanto cautamente s’avvicino con passo morbido a Cora e rimase in piedi, ad osservare i lineamenti docili della giovane Dagenhart, le labbra morbide appena schiuse, per lasciare spazio ad un respiro regolare. Probabilmente era svenuta davanti alla sua luce, succedeva spesso.
William provò dispiacere, ma non sufficiente per scansare la quiete percepita dall’avere liberato il suo corpo da quell’orrore.
Ora stava bene davvero.
 
*
 
Non c’era cosa che lo terrorizzava di più al mondo, che i cani. Nello specifico, Alistair aveva la paura recondita di incontrare un gruppo di cani randagi, feroci, che lo avrebbero attaccato e dilaniato. Per questo quando puntò gli occhi su quel cane di media taglia, seppur docile, Alistair cominciò a tremare più di quanto non stesse già facendo; probabilmente quello era l’inferno, si disse, non sapeva fornirsi nessun altro tipo di spiegazione plausibile in merito. I suoi occhi correvano frenetici da Joshua a quel cane dal pelo candido ed il naso rosa che, gioioso, strattonava appena il guinzaglio per avvicinarsi ad ognuno dei presenti per richiedere coccole in cambio di feste e scodinzolii; il ragazzo pensò, agitato, di essere diametralmente opposto a quel quadrupede. Non era una persona che sapeva fare amicizia, Al, non lo era mai stata; invece quel cane sembrava così felice di ritrovarsi a contatto con tante persone, che ad Alistair saliva la nausea al sol pensiero. Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da Joshua che, stretto nelle spalle, si era avvicinato a lui, ma non era ad Alistair che si era rivolto, bensì a quell’uomo che gli metteva i brividi
 
-Posso togliergli la benda dalla bocca? Sarebbe…più semplice tranquillizzarlo-
 
Robert Steiner s’avvicinò al cane a cui iniziò a dedicare attenzioni, carezzandolo e riempendolo di complimenti. Joshua, pietrificato, attese una risposta affermativa che arrivò poco dopo, così si posizionò davanti Alistair ed incrociò le braccia
 
-Ascoltami…ora toglierò la benda, ma tu non dovrai urlare, né dare di matto in alcun modo, va bene? Dobbiamo collaborare, se vogliamo uscire da qui senza uscire di testa-
 
Alistair annuì con frenesia e trattenne il fiato, quando Joshua sciolse la benda che gli cerchiava la bocca; rimase in silenzio, sebbene sentiva il cuore schizzare fuori dal petto, ma si calmò quando vide i capelli di Joshua virare ad un verde bosco
 
-T-tu hai f-fatto una mag-gia? I tuoi cap-pelli…-
 
Joshua si rese conto che ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo, per calmare Alistair anche se aveva appena intuito come avrebbe potuto fare
 
-Non tutti i maghi sanno farlo…io sono un metamorfo, posso cambiare il mio aspetto come voglio…posso anche diventare come te, in realtà-
 
Nonostante Joshua non fosse avvezzo alle chiacchiere, la sua arguzia gli fece intendere che avrebbe dovuto impegnarsi per tranquillizzare Alistair, altrimenti quel babbano avrebbe fatto presto una brutta fine. Purtroppo conosceva bene Robert Steiner, che si era appena rivelato a lui con l’ennesima faccia, diversa da tutte le altre che aveva visto fino a quel momento. Rimandò le elucubrazioni si Steiner, Joshua, perché purtroppo il tempo era poco e lui doveva agire in fretta.
Quando il ragazzo sgranò stupito gli occhietti, Joshua accennò un sorriso
 
-Vuoi che te lo mostri?-
 
-S-si, p-p-per piacere-
 
Detto fatto, Joshua ci mise davvero poco ad assumere le sembianze di Alistair, che rimase incantato davanti a quel cambiamento incredibile. Invero, Era esattamente come trovarsi davanti ad uno specchio, non fosse per i vestiti che Joshua non s’era premurato di mutare
 
-M-magnifico…-
 
Un batter di mani distrasse i due
 
-Miei cari ragazzi, passerei ore a guardarvi, dico davvero…trovo estremamente affascinante lo stupore di un babbano davanti alla ricchezza della magia. Purtroppo non abbiamo molto tempo ed io vorrei spiegare al nostro junge come mai ritengo sia così raro e prezioso-
 
Robert afferrò il guinzaglio dalla mano del Mangiamorte, così s’avvicinò ai due, facendo ritirare le gambe di Alistair
 
-Non morde…forza, accarezzalo-
 
Joshua tornò alle proprie sembianze, così annuì in direzione di Alistair. Il babbano venne slegato, anche se avrebbe preferito di gran lunga rimanere legato a quella poltrona ed essere impossibilitato nel movimento, piuttosto che essere obbligato a toccare quel cane, eppure aveva capito di non avere scelta. Così allungò la mano, tremante, per sfiorare la nuca del cane che strattonò il guinzaglio, affinché gli fosse concesso di avvicinarsi ancor più ad Alistair
 
-Gut, mein freund!- lo rimbrottò quasi divertito il dottore; al suo comando il cane si rabbonì ed Alistair, ancora fortemente insicuro, lo accarezzò strizzando gli occhi
 
-Bene…bravo cane, bravo cane…- Robert Steiner riconsegnò il cane al Mangiamorte, prendendo poi in mano la gabbia con il piccolo corpo senza vita custodito al suo interno
 
-Credo tu non sappia di possedere questo grande dono, Alistair Gordon, ma sono più che felice di svelarti la verità…con una prova pratica- Robert aprì la gabbia e la consegnò poi a Joshua, che lo guardò perplesso
 
-Cosa dovrei farci?- chiese teso il mago
 
-Vorrei che il nostro amico carezzasse questo povero animaletto sfortunato. Sapete, ha abbandonato questo mondo non più di qualche ora fa- Steiner tornò ad allacciare le mani dietro la schiena, mentre lo sguardo chiaro rimase fisso sul corpicino inerme
 
-I-io non, non…v-voglio-
 
Robert accennò un sorriso alle rimostranze di Alistair –Non credo che tu abbia scelta- rispose, secco.
Alistair guardò ancora una volta Joshua, che tratteneva la gabbia all’altezza del suo viso
 
-Non preoccuparti, assecondalo- lo incitò Joshua, con voce pacata. Così Alistair scovò quel briciolo di forza nascosta chissà dove ed allungò una mano per carezzare il dorso gelido del piccolo cane chiuso nella gabbia. Era abituato alla morte, Al, visto il lavoro da infermiere, eppure quella era una situazione diversa; era passato da un animale vigile, allegro, sveglio, ad uno senza vita in un batter d’occhio. Mentre i pensieri s’affollavano nella mente la mano continuava a toccare il pelo ispido e freddo che ricopriva il cagnolino senza vita; si distrasse solo quando percepì un pizzicore spandersi dal palmo, fino a raggiungere la punta delle dita, come se la mano fosse intorpidita
 
-Ma cosa…-
 
Joshua sgranò gli occhi e quasi non perse la presa della gabbia, quando sentì quella muoversi leggermente, movimento seguito da un lieve mugolio acuto.
E lo stupore aumentò nel percepire la paura negli occhi di Alistair che, all’istante, ritirò la mano e cominciò ad urlare
 
-M-ma è….ma è…-
 
Joshua spostò subito lo sguardo su Robert Steiner, cui volto si era illuminato di un ampio sorriso mentre fissava, estasiato, quel piccolo cane tornare alla vita
 
-Mi ha p-preso in g-g-giro! Il cane…il cane è vi-vivo!-
 
-Per quanto io sia un abile ammaliatore in questo caso sento di doverti smentire, caro ragazzo…è solo merito tuo, se questa creatura è tornata a vivere. Non avevo mai incontrato un mastro della vita fino ad ora-
 
Joshua era sconvolto. Il suo sguardo correva rapido, non sapendo bene su chi mantenere l’attenzione. Si riscosse solo quando sentì un latrato acuto provenire dal cane al guinzaglio; quando i suoi occhi chiari rotarono su di esso, dovette sforzarsi di trattenere un gemito: l’animale tremò, mentre dalla bocca s’espandeva una schiuma bianca e copiosa, che precedette il crollo a terra. Lo sguardo vitreo. Un ultimo respiro.
Quel cane che sembrava in perfetta salute, era appena morto davanti i suoi occhi.

 
 
*
 
Blue Demon.
 
Una luminosa scritta a neon, vibrava davanti gli occhi di Mazelyn. La ragazza rise, al pensiero che era lì, che tutto aveva avuto inizio. Rise per quella sorte malevola che l’aveva perseguitata per anni, fino a condurla in quel giardino, dove stava morendo di sete. Non l’aveva mica voluto, Maze.
 
Blue Demon.
 
Ed un fischio assordante, che l’aveva fatta svenire. Svenire…lei non poteva svenire. Era stata la troppa sete?
 
Blue Demon.
 
Gli occhi di Jayden, brillanti e vivi, a mischiarsi con i tubi luminescenti di quell’insegna. Quegli occhi che credeva di non poter ricordare più. Era per cercarli ancora che aveva bevuto troppo. Era per guardarli un’altra volta, che era finita per perdere la razionalità. Quegli occhi e quel sorriso gentile, persi nel fondo di un boccale.
E di quell’insegna luminosa, che aveva decretato il suo destino
 
-Sei fortunata ragazza, ti abbiamo portato il tuo pasto-
 
Una voce profonda scacciò le oniriche immagini che s’erano frapposte fra i suoi occhi e la realtà. Maze sbatté le palpebre un paio di volte, per mettere a fuoco la situazione. A fatica riconobbe quel Mangiamorte che aveva incontrato un paio di volte, che tratteneva un’anziana signora imbavagliata e tremante di paura. Erano nella cella della fenice, non aveva dubbi, eppure faticava ancora a credere di non essere morta
 
-Questa signora si sacrificherà per la tua sopravvivenza. Il mondo farà a meno di Eleonore Dussey…sai, ci ha dato del filo da torcere ultimamente-
 
Adrian spinse la donna verso Mazelyn, rannicchiata sul suo letto –Sta riempendo i giornali con le sue idee babbanofile; è convinta che bisognerebbe aprire una cooperazione con il mondo degli umani senza magia, non lo trovi ridicolo?-
 
Maze boccheggiò, incapace di pronunciare anche una sola parola. La sete era tornata, prepotente, a farsi sentire e con quella un barlume di forza, che la portò ad afferrare la spalla dell’anziana donna, con gli occhi verdi gonfi di lacrime. Era incredibile la paura che ingombrava gli occhi degli esseri umani, quando sapevano di essere prossimi alla morte, pensò assuefatta Mazelyn
 
-p…pieffà…- un sussurro uscì dal bavaglio, che fece roteare gli occhi di Adrian
 
-Già, non credo proprio sentiremo la tua mancanza, signora Dussey- l’uomo portò una sigaretta alla bocca che accese con fare annoiato, prima di spostare momentaneamente l’attenzione su Maze, i cui occhi s’erano sgranati, gonfi di rosso sangue –buon appetito-
 
Adrian dette le spalle alle due ed uscì dalla cella alpha, che richiuse con un lento movimento di bacchetta. Mentre si allontanava sentì le preghiere della vecchia strega assopite dal bavaglio. Ma presto quelle preghiere divennero urla strazianti, che scemarono in un piacevole silenzio.
Mazelyn Zabini aveva avuto il suo pasto.

 
 
*
 
Jules si aggrappò alla catena della sua cella. Aveva scorto una piccola chiazza umida nell’angolo più buio di essa, così per passare il tempo aveva deciso di asciugarla; i grandi occhi castani osservavano i contorni frastagliati della macchia e, con essi si muovevano le dita esili, dalle quali si scatenò una lieve corrente calda. Non ricordava la prima volta che era riuscita a mettere in pratica la sua dote; per quanto ne sapeva, Jules era sempre stata in grado di governare l’elemento, pagando lo scotto di una vita sospesa in aria, motivo per cui era costretta ad indossare le pesanti scarpe di ferro battuto
 
“La mia bambina sta crescendo…vieni uccellino, papà ti ha fabbricato delle scarpe nuove”
 
La piccola, con i capelli chiusi in un codino laterale, mosse dei passi frettolosi verso Justine, agganciandosi poi alla gamba della mezza veela. Si sentiva felice, felice come non mai, perché amava la sua bellissima mamma ed il suo splendido papà.
Justine sorrise e si chinò per chiuderla in un abbraccio fragile
 
“Mon petit oiseau”
 
“Papà è tornato? È solo?”
 
La donna chiuse il visino pallido e tornito fra le mani “Si, oggi niente visite, saremo solo noi tre”
 
“Mi posso togliere le scarpe, mamma? Mi fanno tanto male”
 
“Per questo il papà te ne ha fabbricate di nuove. Andiamo, ci aspetta in giardino”
 
Jules sentì la tristezza divorarle lo stomaco. Chissà se i suoi genitori sapevano che si trovasse lì. Lei, che stava per fare quattordici anni, era stata lasciata sola proprio dalle uniche persone che l’avevano sempre amata senza condizioni. La mano tesa verso la chiazza cominciò a tremare e la lieve corrente si trasformò presto in un vento vivace, che smuoveva gli oggetti della cella della vergine. Jules non si rese conto che un falco pellegrino stava lottando contro il vento per passare attraverso le sbarre della cella, ma quando sentì il verso lamentoso uscire dal becco, spostò rapidamente gli occhi nella sua direzione ed il vento si placò di botto, così che il falco riuscì a superare le sbarre. Jules agganciò entrambe le mani alla catena, per riprendere la discesa verso il pavimento, non prestando attenzione a quell’uccello che, in un turbinio scuro, tornò ad assumere le normali sembianze
 
-Siamo nervose?- La voce melliflua di Roxanne, atta a sistemarsi i capelli dopo la trasformazione, arrivò alle orecchie di Jules come una presa in giro
 
-Da chi mi porterai oggi?- diretta, fredda, distaccata. Roxanne rimase stupita dal tono rigido adottato da Jules, ma al solito non diede mostra dei suoi sentimenti, rimanendo impassibile
 
-Conoscerai una persona nuova-
 
-E quando incontrerò il dottore?-
 
La Mangiamorte strinse le labbra, ma si limitò ad aprire la cella e a fare segno a Jules di precederla.
 
*
 
Martha spalancò gli occhi, allarmata. Ancora una volta stava facendo quel sogno, lo stesso sogno che si ripresentava a cadenza regolare, da quando era lì. Sfiorò il lenzuolo stropicciato, tentando di ricordare la morbidezza della tenera erba su cui era seduta; ispirò profondamente l’aria, assaporando il ricordo del clima in cui era immerso il castello di Eilean Donan. Alzò la mano chiudendo di nuovo gli occhi, serrando poco dopo le dita come per afferrare quell’energia vitale, proveniente da quelle rovine che aveva scovato.
Accennò un sorriso nostalgico, perché vide con chiarezza quel sorriso dell’uomo che sarebbe diventato suo marito. Martha non credeva che sarebbe stato possibile. Lei era quella strana, lo era sempre stata, per tutti. Ogni ragazzo che si era avvicinato a lei era presto fuggito a gambe levate, perché la brillante Martha Zeller era impossibile da capire, decifrare, seguire; anche Victor glielo aveva ribadito, nonostante Martha fosse sicura che quel mago, che era uno dei migliori amici di suo marito, fosse ben più strano di lei e non faceva che prenderla bonariamente in giro. Chissà come stava, Victor.
E chissà come stava Philip, fuori di lì, ignaro di quello che era successo a sua moglie. Magari stava pensando ad una sua fuga, forse di nuovo in Perù. No, Martha scosse il capo ed aprì di nuovo gli occhi; non era possibile che Philip pensasse una cosa simile, perché era cosciente quanto lei del forte amore che li legava.
Philip l’aveva sempre compresa nel profondo; si era premurato di studiarla con cautela, di scansare quel velo opaco frapposto fra lei ed il resto del mondo ed aveva passato la soglia senza timore.
Philip la stava cercando, questa era una certezza. Non doveva permettere a quell’insidioso giardino di instillarle pensieri negativi nella testa, perché se quello fosse accaduto, Martha avrebbe perso la giusta lucidità che le avrebbe permesso di mettersi in salvo. No, lei era più forte, doveva esserlo.
Il lungo fiume di pensieri venne interrotto dall’apertura della cella; questa volta sarebbe dovuta uscire senza nemmeno mettere nello stomaco la colazione.
Beh, poco male pensò, mentre sciacquava velocemente il viso e sistemava i capelli in una coda di cavallo: Martha Zeller doveva assolutamente approfittare di ogni occasione utile, per capirne di più di quella situazione; non volevano fornirle spiegazioni? Perfetto, sarebbe stata lei, a mettere insieme i pezzi del puzzle.
 
*
 
Yann era steso in mezzo ad una piccola isola di fiori, con le braccia spalancate e lo sguardo che vagava sornione. Dopo la traumatica esperienza a contatto con quel vampiro (e a seguito di quel fischio assordante che gli aveva fatto perdere i sensi), si era ritrovato nella sua cella e non era uscito per tre giorni. Non che non avrebbe voluto, semplicemente non glielo avevano concesso. Purtroppo stava accadendo tutto quello contro cui aveva sempre lottato: Yann era stato costretto a piegarsi al volere di qualcun altro. Ricordava con distinzione la prima volta che aveva abbandonato la sua famiglia d’origine; non aveva che otto anni, Yann, ma era già consapevole che quel distacco sarebbe stato necessario, perché all’interno della comunità veniva guardato con circospezione ed era ovvio che temessero le sue strane facoltà. Era stato doloroso, per un bambino tanto piccolo, ma non c’era stata altra soluzione. Talvolta le persone, in realtà molto più spesso di quanto si crederebbe, preferiscono non approfondire laddove ce ne sarebbe bisogno. Yann Reinhardt non era che un bambino bisognoso di essere compreso, di essere aiutato e sollevato da un peso troppo grande per lui, ma nessuno se ne era mai preoccupato.
Appena percepì dei passi alzò di scatto la schiena, mettendosi seduto nel tentativo di capire da dove provenisse quel rumore; date le sue ultime esperienze era decisamente il caso di attivare i sensi. Gli occhi neri s’assottigliarono, per mettere a fuoco la figura di quella Mangiamorte, affiancata da una ragazza minuta dai capelli chiari, che si muovevano leggeri sulle spalle
 
-Non mi sembra l’ora di schiacciare un pisolino, paparino-
 
Yann saltò in piedi, mentre le pupille saettavano dalla bella e algida Roxanne, che non perdeva l’occasione di canzonarlo, alla piccola strega che lo guardava curiosa
 
-L’ennesima presentazione- Roxanne alzò gli occhi al cielo, mentre allargava il palmo per indicare Jules
 
-Lei è Jules ed ha bisogno del tuo aiuto, sono sicura che sarai pronto a servirla, giusto Yann?-
 
-Ma io…- Jules tentò di replicare, ma venne zittita da Roxanne
 
-Ragazzina, questo è Yann Reinhardt, feccia sinti, se ti interessa saperlo, ma abile magifabbro, per tua fortuna: non so bene per quale motivo, ma il dottore ci tiene a farti un regalo per il tuo imminente compleanno, così ha deciso di mettere a disposizione del signore qui presente un laboratorio, per fabbricarti delle scarpe più…confortevoli-
 
Yann non si era reso conto, fino a quel momento, delle assurde scarpe indossate da Jules, ma quando lo sguardo calò su di esse un’espressione di stupore colorì il viso
 
-La costringete a portare quegli arnesi?!- il mago tornò a fissare Roxanne, furente più che mai. Percepiva il fuoco sfregolare sotto il primo strato d’epidermide, voglioso di scatenarsi su quel bel viso maledetto
 
-Datti una calmata- disse Roxanne non curandosi della sua ira; invece la sua attenzione era tutta per l’orologio da taschino che aveva tirato fuori
 
-Avete una mezz’ora per fare due chiacchiere, questa piccina ti spiegherà tutto, non è vero cara?-
 
Jules abbassò lo sguardo e dopo qualche secondo di assoluto silenzio, si limitò ad annuire. Ad Yann si strinse il cuore, nel riconoscere la tristezza nel visino candido.
Lo stesso identico sentimento che egli stesso aveva provato per tanto, tanto tempo.
Yann ancora non lo sapeva, che Jules era esattamente come lui: una giovane impaurita, costretta a convivere con un potere che l’aveva spesso marchiata con il simbolo dei freak.
 
*
 
Ciò che era successo l’aveva lasciata turbata. Odette era abituata a vedere le cose in maniera positiva ed era sempre stata pronta ad affrontare ogni tipo di sfida le si fosse propinata davanti. Fino a quel momento.
Era stata allontanata dall’ospedale contro la sua volontà e proprio mentre si stava occupando di un paziente; chi mai poteva essere stato tanto meschino da fare una cosa del genere? Sicuramente qualcuno che le era stato vicino, ecco. Odette non se n’era accorta. Lei non era una che abusava del proprio potere, non lo aveva mai fatto; talvolta capitava che leggesse inconsapevolmente la mente delle persone, ma lei più di chiunque altro era ben consapevole di quanti orribili pensieri venivano prodotti, persino dai soggetti più inaspettati. Per il suo lavoro era molto utile saper leggere la mente, perché grazie alla lettura del pensiero aveva carpito spesso informazioni che i pazienti le negavano, magari per vergogna, ma fondamentali per produrre una diagnosi utile; non si poteva ritenere quello un comportamento convenzionale, ma Odette si premurava sempre di tenere per sé i pensieri altrui, mossa da una forte etica professionale.
Ma chiunque l’avesse rinchiusa lì, si era ben premurato di celare i propri pensieri, quindi si trattava certamente di un ottimo occlumante, come quella Evangeline Montague, che aveva incontrato nel giardino, in compagnia del suo amico di vecchia data Lucas.
Lucas, un altro enorme punto interrogativo.
Per anni aveva condiviso le giornate con il ragazzo e per anni non si era mai resa conto che quello nascondesse in sé un potere così devastante; effettivamente in quel momento riusciva a spiegarsi molte cose, ad esempio cosa fosse successo durante una festa ad Hogwarts, a cui Odette non mancò di partecipare. Lucas si era ubriacato, probabilmente con del pessimo sherry recuperato fra le cianfrusaglie di sua zia e aveva dato di matto; subito dopo si scatenò un forte terremoto che terrorizzò il gruppo di amici, Odette compresa e dal quale Lucas scappò in preda al panico. Il giorno dopo, il ragazzo raccontò di essersi trovato ai margini della foresta proibita, in stato di semi incoscienza, ma fortunatamente fu trovato dal guardiacaccia Hagrid che gli impedì di entrarvi. Gli amici la presero a ridere, dando a Lucas del coglione codardo e l’amico ci fece una risata sopra, asserendo di essersela fatta addosso e la storia finì lì. Ma Odette percepiva che ci fosse qualcosa sotto, anche se non se la sentì di penetrare la mente di Lucas per capirne di più.
Ed ora era chiaro che a scatenare quel terremoto era stato proprio lui. Avrebbe voluto parlare con il suo amico, avere la possibilità di fargli delle domande, di chiedergli se fosse vero che scatenava quel grande potere, quando accadeva e se fosse in grado di gestirlo; ma appena Evangeline si riebbe, Lucas scomparve. Odette, inizialmente in uno stato di panico, aveva urlato spasmodicamente il nome dell’amico, ma poi tentò di riacquistare lucidità, concentrandosi su quella giovane strega dagli occhi chiari, che singhiozzava fra le sue braccia e richiamava il nome di una certa Freya.
Chiunque fosse questa Freya, doveva aver inciso molto, sulla giovane Montague, perché non la smetteva di disperarsi.
E come le era consono, Odette tentò di curare le ferite emotive di Evie, consolandola e rassicurandola dicendole che sarebbe andato tutto bene, fin quando i Mangiamorte non arrivarono per dividerle e riportarle nelle rispettive celle.
 
*
 
Martha seguì il modificarsi del rigoglioso percorso, fatto di cespugli e siepi, fiori coloratissimi e vibranti insettini. Avrebbe camminato per ore, persa nei suoi pensieri, se non fosse che il giardino, più vivo che mai, l’aveva condotta ad una porticina di vetro opaco, che sezionava in due un muro di edera verde. Entrando, Martha rimase incantata dalla sera a cupola, che custodiva le piante più disparate ed al suo interno, farfalle più o meno grosse si libravano leggere, alla ricerca di succoso nettare
 
-Martha, finalmente un volto amico! Vieni qui signora Butler, magari riuscirai ad aiutarmi con questa gentilissima donna-
 
La voce familiare di Victor le fece roteare d’istinto gli occhi, ma al contempo la tranquillizzò all’istante; non era da sottovalutare il poter fare affidamento su qualcuno che si conoscesse abbastanza bene, in un contesto simile, per questo Martha fu grata di aver potuto rincontrare il mago, di cui seguì la voce nella serra. Se non che s’arrestò e poi si gettò di lato, quando un grosso traliccio muschioso sbucò esattamente dal punto in cui si trovava
 
-Ma che diavolo!- imprecò, prima di rimettersi in piedi ed affrettarsi a seguire la voce di Victor che sembrava scherzare con qualcuno
 
-Non mi sembra il modo più carino di accogliere qualcuno…oh, eccoti Martha, tutto bene?-
 
Martha s’aggrappò al braccio di Victor quando una grossa scossa del terreno la destabilizzò; alzando lo sguardo, poté scorgere un mulinare di capelli rossi, che mascheravano a tratti un viso spigoloso e molto, molto arrabbiato. La donna si trovava in piedi su una roccia ed intorno a lei germogliavano tralicci inferociti, simili a quelli del tranello del diavolo, ma decisamente più corposi.
Elyon puntò gli occhi verdi su Martha, ma alla rabbia si sostituì il dolore, così Elyon piegò la bocca e gemette di dolore, mentre le piante spuntate dal nulla sembravano soffrire con lei
 
-Un momento…ma io la conosco…- Martha si strinse ancor più al braccio dell’amico, che la sosteneva con pazienza –lei ha lavorato per un periodo all’erboristeria di mia madre…mi pare si chiami…-
 
-Andatevene!- gridò Elyon, in evidente stato di rabbia
 
-Secondo te rimarremmo qui a farci schiaffeggiare dalle tue amiche, se non fossimo costretti?-
 
-Victor, credo che provocarla non sia la maniera migliore per…o cielo!-
 
Una liana grossa come un tronco, si avvicinava a loro a velocità elevata; li avrebbe travolti, se Victor non avesse tirato indietro Martha per poi spalancare le braccia: gli occhi della strega si velarono, alla chiara vista di uno disco lattiginoso, una sorta di scudo che si generò dal petto del magigiornalista; nell’impatto con quell’atipica forma di magia, la liana rimbalzò e tornò indietro come un boomerang, fino a colpire in pieno Elyon che volò via, fino a schiantarsi contro un cespuglio di ortensie particolarmente rigoglioso. Lo scudo si dissolse all’istante e Victor ordinò a Martha di rimanere ferma, senza fornirle alcun tipo di spiegazione; corse verso la rossa, che gemeva di dolore in mezzo ai fiori
 
-Te l’avevo detto di stare ferma, non so controllare quel dannato coso; tutto bene?-
 
Victor allungò una mano verso Elyon, ma quella la scacciò subito, mentre a fatica si rimetteva in piedi. Entrambi si stupirono di vedere che le contusioni sul corpo di Elyon erano scomparse
 
-Bene? Stupido idiota, come potrei stare bene?! Mi hai appena rigirato il mio colpo!-
 
-Scusa tanto se ho tentato di salvarci la pelle, pazza di una Yaxley!-
 
Nel sentire il cognome Martha, rimasta a debita distanza, si illuminò d’improvviso
 
-Ma certo! Tu sei Elyon Yaxley! Hai lavorato per un paio d’anni nell’erboristeria di mia madre…sono la figlia di Pauline, ricordi?-
 
Elyon roteò il capo verso la ragazza e prese ad ispezionarla con occhi sottili
 
-E che cosa ci farebbe la figlia di Pauline qui dentro? Tu sai qualcosa? Hai parlato con Steiner?! Se sai qualcosa devi dirmelo, subito!-
 
-Steiner?- Martha boccheggiò appena, perdendosi per l’ennesima volta nei suoi pensieri. Si, perché nel sentire quel nome un campanello d’allarme s’era attivato. Ma la ex corvonero non aveva molto tempo per riflettere, dato che Elyon s’avvicinava a lei con passo nervoso e sguardo furibondo, seguita da Victor che sembrava intenzionato a saltarle addosso per arrestare la sua marcia. Ma nessuno dei tre mosse più un passo, quando un fischio assordante li costrinse ad accasciarsi a terra.
Martha coprì le orecchie con le mani, così come Victor che sembrava gridare qualcosa ed Elyon, accasciata davanti a lui, ma presto raggiunta da qualcuno. Man mano che il fischio scemava, Martha riuscì a riacquistare lucidità, aprendo gli occhi quel tanto che bastava per vedere una mano calare sulla lunga chioma color rame e stringerla con forza
 
-Ti avevo detto di comportarti bene…stupida! Ora sono costretto a portarti da lui, dannazione-
 
-Mollami! Lasciami!- rabbiosa, Elyon tentò di divincolarsi dalla presa di Adrian, impresa in cui alla fine riuscì, per poi rigirarsi verso di lui e spingerlo con forza
 
-Tu sei un bastardo fuori di testa! Che cazzo stavi facendo, mi osservavi?! Mi spiavi come un fottuto malato?!-
 
Victor e Martha, ancora scossi, osservavano la scena terrorizzati. Lentamente Victor si parò davanti la ragazza e prese a sussurrarle
 
-Stai dietro di me, non muoverti fin quando non se ne vanno-
 
Martha annuì, ammutolita. Rimase a guardare quei due litigare furiosamente; si perse nelle vene del collo di Adrian Reed, che si gonfiavano, rendendo il suo viso paonazzo.
Guardava quella che aveva conosciuto come l’apprendista della madre, che aveva appena causato un furibondo attacco della natura, cercare di colpire il Mangiamorte, che riuscì a placcarla per miracolo, afferrandole poi il viso e sussurrandole cose che non poteva sentire.
Vide Elyon rabbonirsi piano, la furia scemare, il petto saltare avanti e indietro sotto la maglia sgualcita.
Li osservò allontanarsi insieme, con la mano di Adrian a stringere un braccio di Elyon, non riuscendo a spiegarsi cosa diavolo fosse appena successo.
Sicuramente nulla di buono.
 
*
 
Cora schiuse gli occhi a fatica. Si guardò intorno, ma constatò di riuscire a mettere a fuoco con difficoltà, visto il buio al quale non era affatto abituata. Ma nel momento in cui riuscì a riconoscere la sagoma di capelli disordinati di William, in piedi accanto al suo letto, Cora si paralizzò ed il suo sguardo perse la consistenza delle immagini.
Buio.
Vuoto.
Silenzio.
D’improvviso Cora sentì il proprio corpo alleggerirsi, come fosse fragile cristallo, sospeso nel nulla. Non sentiva la fame, non provava la sete. Non aveva bisogno di respirare, la bella strega. In quel momento Cora si sentiva parte di quel nulla che la circondava e che l’aveva resa un involucro vuoto, insensibile ed in pace.
Cora avrebbe galleggiato per molto tempo; sarebbe rimasta sospesa nella pace dei sensi, perché il non provare nulla era la più formidabile delle sensazioni.
 
Quando tornò alla realtà, sentì le spalle strette da una presa solida. Tutt’insieme era tornata a respirare, a desiderare acqua e cibo, a provare paura; percepì il cuore battere forte nel petto e salire fino alla gola, fino alla testa che ora faceva malissimo
 
-Ehi ragazza, dimmi che stai bene, non sono sicuro di sopravvivere ad un altro assorbimento-
 
-Io…ma cosa è successo…la testa, che male che mi fa…-
 
La voce uscì dalle labbra in un sussurro lieve, mentre le dita spingevano sulle meningi, con la volontà di scacciare quel dolore acuto che sapeva sarebbe durato ancora per un po’
 
-Mi hai fatto spaventare- sussurrò William, che non voleva essere scoperto sveglio dai Mangiamorte che, sicuramente, sarebbero corsi da loro –ti sei svegliata, ma appena mi hai visto hai ribaltato gli occhi e…hai parlato, o almeno credo fosse la tua voce-
 
-E cosa ho detto?- chiese tranquilla ma frastornata, Cora
 
-Qualcosa a proposito di un cerchio…ma se devo essere sincero sembrava che recitassi una poesia di Baudelaire-
 
-Di chi?-
 
-Un grandioso poeta babbano…ma lascia stare. Comunque…- William lasciò che Cora si massaggiasse la fronte, così sedette accanto a lei, mantenendo un tono molto basso
 
-Hai detto qualcosa riguardo ad un cerchio e di come gli elementi sconfiggano lo spazio ed il tempo. Hai parlato di vita e morte, mi pare tu abbia detto che non sono che un’illusione…diavolo, non ho la minima idea di cosa voglia dire. Per caso ti è successo altre volte?-
 
Cora sentiva il dolore lancinante diminuire appena; quella voce profonda era una cantilena piacevole, per le sue orecchie. Una nenia che stava velocizzando il tempo di guarigione
 
-Per piacere…hai detto…hai detto di chiamarti William, giusto?-
 
L’uomo annuì, mascherando un velo di preoccupazione nell’osservare quella ragazza tanto bella, quanto probabilmente fuori di testa
 
-Parla ancora…parla ancora per me, William…questo mal di testa sai, ci metterà…un po’-
 
Inizialmente il mago restò in silenzio; sapeva cosa volesse dire provare delle forti emicranie, ma nel suo caso il modo di farle passare era diametralmente opposto a quello. Alla fine, incitato nuovamente dalla giovane strega purosangue, a William non rimase che fare ciò che gli riusciva meglio: raccontare.
Parlò ancora a lungo, con tono sommesso, mentre stropicciava le mani e si guardava intorno, imbarazzato da quell’assurda situazione che lo vedeva chiuso in una stanza buia con una ragazza che conosceva appena. Ma era nell’assurda natura di William fare del bene e anche in quel caso, mentre Cora si distendeva di nuovo sul letto, con le mani a coprirsi gli occhi ed un leggero sorriso di sollievo ad incresparle il viso, William sentì di non poter fare altrimenti.
 
*
 
Come era dolce, il movimento dell’acqua. Ad Alon, il suo elemento naturale era mancato terribilmente.
Aveva sofferto, fino al punto di non riuscire nemmeno a chiedersi perché fosse stato portato in quel luogo; perché proprio lui, fra tanti. Beh, Alon aveva cercato blande risposte, anche se non era sicuro che stesse percorrendo la direzione corretta, seguendo le sue supposizioni.
Un’ipotesi, comunque, giunse in concomitanza di Jules.
Fino a quando non aveva conosciuto la piccola strega, Alon non aveva pensato a nulla di razionale, ma incontrare quella creatura magnifica, lo aveva fatto ragionare. Jules era come lui, Jules era atipica, si allontanava dalle coordinate degli altri maghi.
Jules era diversa.
Che c’entrasse il fatto di essere un ibrido? Alon non era di certo uno sciocco ed aveva intuito che ci fosse del sangue veela a scorrere nelle vene della tassorosso, ancor prima che lei glielo confermasse
 
“Allora, me lo vuoi dire perché ti chiami Jules?”
 
La piccola strega rideva e rideva, sospesa in aria, aggrappata con una mano ad una delle sue scarpe
 
“I miei genitori, sai…non sono riusciti a scoprire se fossi un maschio od una femmina, quando mia madre si recava alle visite. Mi hanno raccontato che il medimago era sconvolto, che non aveva mai visto una situazione come quella” quella nuvola di capelli pallidi scosse l’aria e Jules inchiodò gli occhi in quelli di Alon, che sentì istantaneamente un groppo salire alla gola
 
“Sapevano che ero lì, ma era come fossi inconsistente, come…fatta d’aria, ecco. Non seppero definire il sesso, solo che la creatura che cresceva nel ventre stava bene. Solo questo. Perciò decisero che, comunque fosse andata, mi avrebbero chiamata Jules, come il padre di mia madre, quel fortunato mago che un giorno incontrò una veela, a cui era predestinato” (1)
 
Alon ascoltava rapito quel racconto, che tanto assomigliava ad una favola, proprio come la storia della sua vita. Jules parve afferrare i suoi pensieri e proseguì, leggera come l’aria che la muoveva
 
“Jules era stato un uomo molto fortunato, che aveva vissuto la sua vita circondato da amore…per questo decisero di chiamarmi così. Mi dissero che sarei stata fortunata più di chiunque altro e che avrei ricevuto tanto amore quanto ne fossi riuscita a donare”
 
Alon sfregò il viso, poi tirò indietro i lunghi capelli biondi. Un sorriso amaro comparve sul volto; quanto si erano sbagliati, i genitori di Jules. Altro che fortunata: loro tutti avevano avuto la malasorte di incontrare il cammino di quei pazzi carcerieri ed ora non avevano molte vie di scampo, valutò.
L’unica cosa che desiderava, Alon, era poter andare via di lì, portandosi dietro Jules e quanti più ostaggi possibili e poi affondare ancora nelle tiepide acque marine, nelle quali viveva la famiglia materna. Non poteva bastargli immergersi in quel misero lago quando gradivano i Mangiamorte; Alon aveva bisogno di tornare alla sua vita, rivedere i suoi amici maghi, riabbracciare Alissa e mostrarle incantevoli magie che sapeva compiere con la bacchetta.
Quella bacchetta che gli era stata strappata via, proprio come la sua libertà.
Un forte sospiro si sommò ad un incedere di passi pesanti, che portarono il ragazzo a spostare l’attenzione sulle sbarre della cella, aldilà della quale un ragazzone di bell’aspetto, lo osservava stupito
 
-Diamine, è la prima volta che scopro un’altra cella, ma devo dire che quello che vedo non mi dispiace- disse Lucas sorridendo malandrino, mentre s’avvicinava alle sbarre. Alon lo raggiunse e s’aggrappò ad esse
 
-Chi sei? Sei un recluso anche tu?-
 
-Mi chiamo Lucas e si, sono il fortunato ospite della cella eta- Lucas si scostò appena per lanciare uno sguardo alla targa posta sopra le sbarre –So pronunciare la mia solo perché me l’hanno detto, non ho idea invece di che razza di lettera sia questa-
 
Alon ispezionava con curiosità l’espressione bonaria dell’altro –Sono lettere greche e questa è la lettera mi: chiunque ci ha rinchiusi qui, deve essere stranamente appassionato alla lingua, immagino- Alon sospirò ancora –Oppure semplicemente folle- il ragazzo scrollò il capo, così allungò la mano oltre le sbarre –comunque io sono Alon…sai, credo di ricordarmi di te ad Hogwarts-
 
Lucas tornò a sorridere e strinse con vigore la mano dell’altro, non risparmiandosi l’ennesimo sorriso sconveniente –Credimi, se ci fossimo già incontrati mi ricorderei di te…ti chiederei di fare una passeggiata per conoscerci meglio, ma non credo che nessuno qui abbia intenzione di farti uscire, per oggi-
 
Alon arrossì appena, rendendosi perfettamente conto che quel Lucas aveva appena fatto evidenti apprezzamenti sulla sua persona
 
-Ecco vedi, io…-
 
-Stai tranquillo splendore, stavo solo scherzando! È colpa dei tuoi capelli; mi piacciono i biondi, se non l’avessi capito-
 
Alon rimase interdetto per un po’, per poi scoppiare a ridere, seguito a ruota libera da Lucas. Per fortuna quegli incontri casuali sapevano regalare loro almeno un po’ di leggerezza, altrimenti, valutò Alon, sarebbero affondati prima del tempo che qualcun altro stava scandendo per loro.
 


 
(1) Vila o Veela, queste creature hanno un compagno predestinato loro dalla nascita.
 
Buongiorno, buon anno e buon tutto quello che credete sia più consono augurare! Come state?
Bene, siamo giunti al terzo vero capitolo di questa storia. Ve la state facendo qualche domanda? Spero di avervi messo addosso almeno un po’ di curiosità.
Volevo informarvi che il prossimo capitolo sarà dedicato al personaggio più votato da voi (ribadisco che tutti o quasi i vostri oc appariranno comunque, non temete), ma probabilmente saranno capitoli un tantino più brevi.
Vi chiedo inoltre di farmi sapere quale dei miei oc vorreste che approfondissi: escludendo il dottor Steiner, avete carta bianca!
Colgo l’occasione per ringraziarvi tutte: le opinioni che avete esposto su questa interattiva mi hanno fatta davvero felice e credetemi se non me le aspettavo minimamente. Spero che anche questo capitolo sia apprezzato come i precedenti.
Per il resto attendo i vostri commenti (negativi e positivi), le vostre supposizioni ed i vostri desideri: insomma scrivete pure tutto quello che vi passa per la testa!
A presto
 
Bri

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Capitolo 6
*** La Luna e lo Scudo ***


CAPITOLO IV
La Luna e lo Scudo
 
 

“Elyon Olivia Yaxley, prego, ci confermi il suo nome”
 
Pallida, austera, impenetrabile. La ragazza mosse impercettibilmente il capo in segno d’assenso, smuovendo la lunga chioma rossa
 
“È il mio nome completo, si”
 
Amelia Bones, dall’alto della sua seduta d’elegante ebano, rigirava fra le mani un legno non particolarmente lungo
 
“Larice, con nucleo di corda di cuore di drago; questa è la bacchetta che le appartiene, signorina Yaxley?”
 
Un altro segno d’assenso, questa volta muto
 
“Signorina Yaxley, conosce il motivo per cui è stata richiamata a deporre davanti la corte tutta del Wizengamot: lei è accusata dell’omicidio di Camilla Marie Yaxley nata in Fawley, a capo del reparto del San Mungo Lesioni da incantesimo, nonché sua genitrice. Come si dichiara, signorina Yaxley?”
 
La giovane inclinò leggermente il capo, prendendo a carezzarsi il lobo dell’orecchio mentre il suo sguardo saltò da Amelia Bones all’uomo seduto compostamente dietro il banco alla sua sinistra. Robert Steiner accennò un sorriso di rassicurazione e contemporaneamente annuì lievemente. Elyon tornò ad osservare la portavoce del Wizengamot
 
“Mi dichiaro innocente”
 
Un mormorio vivace si diffuse fra i membri della corte e fra i presenti in aula. Ma Elyon rimase impassibile, nell’attesa che quel chiacchiericcio s’assopisse
 
“Silenzio!” imperò Bartemius Crouch che in seguito rivolse la sua attenzione alla Bones
 
“Chiamiamo a testimoniare Robert Malus Steiner, a sua detta testimone oculare della tragica vicenda e apportatore del primo soccorso in favore della signora Yaxley. Si avvicini, signor Steiner”
 
Robert si alzò con tutta calma e s’accomodò sulla seduta predisposta per i testimoni. Elyon guardò il dottore con curiosità, ma senza l’ombra d’agitazione: riponeva in quel mago piena fiducia e sapeva che avrebbe fatto di tutto, pur di scagionarla da quelle accuse
 
“In che rapporti eravate con Camilla Yaxley, signor Steiner?”
 
“Fino al tragico evento avvenuto tre sere fa, ero il suo assistente di reparto, onorevole Crouch”
 
“E mi sa dire come mai si trovasse alla residenza in Cornovaglia dei Fawley, quel giorno?”
 
“Certo” Robert non esitò nemmeno un’istante ed imitò un sorriso amaro e malinconico, prima di proseguire “Avevo preso precedenti accordi con Cam…perdonatemi, è l’emozione…con la mia collega e superiore dottoressa Fawley per questioni lavorative; stavamo affrontando un caso particolarmente difficile in reparto ed avevo bisogno della sua supervisione. Se solo fossi arrivato in anticipo, forse lei…”
 
Crouch lo interruppe bruscamente “Sa dirci cosa ha visto di preciso, una volta giunto alla villa?”
 
Robert Steiner intrecciò le mani sulle ginocchia e conservò una postura impeccabile, che sapeva infondere sicurezza negli esaminatori della corte
 
“Sono più che certo che un lupo mannaro abbia attaccato la povera Camilla…appena arrivai, la vidi annaspare, con una mano trattenuta alla gola azzannata di fresco ed una figura enorme, animalesca, fuggire via, perdendosi nel bosco adiacente alla residenza. Posso assicurarvi che doveva trattarsi di un lupo mannaro, in quanto nel corso della mia carriera ho avuto il dispiacere di incontrarne più di uno. Posso inoltre confermare di aver trovato la signorina Yaxley in un mare di lacrime, disperata…mi ha implorato di aiutare sua madre; vedete, il suo stato di shock non le ha permesso di fare nulla di concreto per aiutare la povera donna. Ritengo sia stata molto fortunata: se non fossi arrivato, probabilmente la signorina Yaxley si sarebbe gettata all’inseguimento del carnefice di sua madre, trovando morte certa”
 
Gli occhi di Elyon si velarono, mentre le parole di Robert Steiner venivano assorbite dai presenti. Fu un gesto provvidenziale, perché la corte del Wizengamot dovette credere che la ragazza si stesse commuovendo per la perdita della madre, quando il motivo di quell’accenno di lacrime era legato all’uomo che l’aveva appena salvata. Robert Steiner l’aveva appena scagionata dall’atroce reato che aveva commesso, ma per il quale non provava alcun tipo di rimorso.
Elyon aveva liberato se stessa da una vita orribile, piegata da quella donna riprovevole che era stata sua madre.
Ed in quel momento, Robert Steiner l’aveva appena liberata dalle accuse, permettendole di essere ritenuta innocente. Robert Steiner l’aveva salvata ed Elyon gli sarebbe stata eternamente grata.
 
 
 
Elyon scosse il capo, nell’impresa di scacciare quel ricordo che era apparso a lei d’improvviso, mentre percorreva la strada con Adrian. Elyon non aveva paura; gli eventi che avevano composto la sua insolita e faticosa vita, avevano fatto in modo che lei imparasse a riconoscere la paura e a combatterla. Elyon non tremava, mai, se non di rabbia, come in quel momento, mentre la stretta intorno all’esile braccio si faceva più forte. Se avesse voluto, avrebbe potuto richiamare a sé il potere della terra e ribaltare Adrian in un attimo. Dopo essere stata chiusa in quella serra, aver avuto modo di incontrare altri reclusi, essere stata colpita e poi portata via da Adrian, quest’ultimo l’aveva sbattuta in cella, minacciandola che si sarebbero rivisti il giorno seguente e che l’avrebbe condotta dal dottore. Elyon si era morsa forte il labbro per non dire una parola di più, visto che Adrian si era sforzato di calmarla, eppure la rabbia nei confronti di quest’ultimo sembrava non scemare e la strega avrebbe davvero potuto recargli molto dolore, se solo avesse voluto.
Ma no, non era quello che voleva, per ben due motivi: il primo e più importante (o almeno questo era ciò che raccontò a se stessa) risiedeva nell’imminente incontro con il dottore, che Adrian pose come una minaccia, ma che era ciò che aspettava da quando l’avevano portata lì. Il secondo motivo, quello più difficile da motivare, era rappresentato proprio da Adrian Reed; Elyon sapeva bene che non sarebbe riuscita a fargli davvero del male, probabilmente nemmeno se si fosse trovata costretta a scegliere fra la propria vita e quella dell’altro. Un moto di rabbia montò, violento, non appena arrivò questa consapevolezza, in quanto la strega provava l’esigenza di avercela con lui, di odiarlo e di recargli danno.
Eppure non ci riusciva
 
-Puoi lasciarmi adesso? Mi sono calmata, non c’è bisogno che continui a trascinarmi come un sacco!-
 
Adrian allentò la presa, per poi lasciarla definitivamente. Elyon trattenne un sussulto, quando il mago girò di scatto la testa verso di lei, inchiodando gli occhi chiari e furiosi nei suoi, color di bosco
 
-Sei avvisata e non te lo ripeterò più: prova a fare una sola stronzata, una sola, Elyon, e ti assicuro che il tuo confronto con Steiner sarà una passeggiata, paragonato a quello che avrai con me!-
 
Elyon strinse le labbra e solo dopo aver indugiato per qualche istante, tornò a rivolgersi al mago che la fissava senza battere ciglio
 
-Voglio solo avere delle spiegazioni, solo questo-
 
Adrian soppesò la reazione della strega; la conosceva bene, probabilmente più di quanto immaginasse, per questo non si fidava affatto della sua reazione controllata e pacata. Decise comunque di lasciarle il giusto spazio, ma non l’avrebbe mollata per un solo istante, non poteva permettere di farle mandare tutto all’aria.
 
*
 

Adam guardava il suo unico figlio sistemare con cura il proprio baule, mentre scacciava le premure della madre
 
“Non ho bisogno di aiuto, mamma! È quasi tutto fatto”
 
“Min lilla en (1)…il faro è proprio necessario?”
 
L’uomo incrociò le braccia ed accennò un sorriso
 
“Sophie, se la caverà…e se vuole portarsi dietro quel modellino lascialo fare, che male può fargli?”
 
“Ecco, dai retta a papà!” Victor sfregò gli occhi cerchiati dalle occhiaie, come al solito, prima di posizionare con cura la lampada a forma di faro in cima al baule, che irradiava una piacevole luce calda, che solo Victor riusciva a vedere. La strega tirò dietro l’orecchio una ciocca di capelli chiari e sospirò, così si avvicinò al marito
 
“Non dorme…quasi mai! Non sarebbe il caso di togliere i libri superflui? E poi quel faro…abbiamo fatto male a regalarglielo”
 
Adam posizionò un braccio intorno alle spalle della moglie
 
“Perché, tu quando mai hai dormito più di quattro ore per notte? Quel faro gli sarà utile, o almeno lo sarà ai suoi compagni nel dormitorio Serpeverde”
 
Nel sentire il padre, il dinoccolato ragazzino chiuse con forza il baule e piroettò nella loro direzione, con espressione entusiasta
 
“Secondo te finirò in Serpeverde?! Proprio come te?! Grandioso!”
 
“Saresti sprecato in qualsiasi altra casa”
 
“Adam! Come puoi dire questo?! A noi andrà bene qualsiasi scelta di quel vostro strano cappello, basta che ti comporti bene e che non farai le ore piccole per leggere”
 
Victor liberò una risata “Mamma, sai che non ti posso promettere questa cosa, vero? E poi tu sei la prima a passare notti intere a leggere!”
 
La strega sospirò per l’ennesima volta da quando aveva messo piede nella grande ed ordinata stanza di suo figlio, poi arricciò il naso, stizzita “Du hai rätt 
(2), è tutta colpa mia se sei pieno di difetti!”
 
Padre e figlio scoppiarono a ridere all’unisono; Sophie Ström pensò che con Adam avessero dato la vita ad una piccola copia del marito, tanto erano simili. L’unica cosa che aveva ereditato da lei, quel figlio un po’ sfortunato, era quella maledetta insonnia e la patologica passione per la lettura, che era diventata a tutti gli effetti il suo scudo nei confronti del mondo. Eppure Sophie non poteva essere più fiera di così, del suo unico figlio che il giorno dopo avrebbe iniziato la formazione ad Hogwarts.
Quel suo bambino, già tanto alto per la sua età, con le ginocchia sporgenti e le braccia lunghe, non avrebbe avuto alcun problema a stringere amicizie e prendere buoni voti, se lo sentiva.
Grandi cose si attendevano da lui.
 
 
-Andiamo, Roxie! Non puoi togliermi anche quello!-
 
Roxanne rigirò fra le dita una copia sgualcita di “Il sentiero dei nidi di Ragno” (3), mentre guardava Victor mantenendo un sopracciglio molto inarcato
 
-Il dottore ritiene che tu abbia bisogno di un po’ di disciplina…fatti bastare i tre libri che ti ha concesso di tenere-
 
Victor sbuffò sonoramente –Non vi è bastato chiudermi con quella pazza che ci ha quasi ammazzati?! Mi sembra di essermi comportato bene questa volta!-
 
-Evidentemente non abbastanza…comunque si stanno occupando di lei proprio adesso: non bastava una testa calda, ci mancava Elyon Yaxley a peggiorare la situazione, che noia-
 
Roxanne sfogliò rapidamente il libro con fare distratto, poi dette le spalle a Victor e gli fece cenno di seguirla
 
-Forza, oggi riunione di gruppo, non sei contento Selwyn?-
 
-Se, come no- Victor mise le mani in tasca e si affiancò a Roxanne, prima che la strega potesse cambiare idea e lasciarlo dentro la propria cella. Si sarebbe dovuto comportare bene davvero, visto che aveva esigenza di incontrare quanti più reclusi possibili per cercare di mettere insieme i pezzi e capire il motivo per cui erano stati rinchiusi e, cosa non meno importante, come diavolo fare a scappare di lì.
 
*
 
 
Quello strano giardino sembrava provvisto di una coscienza, in grado di deliberare autonomamente come e quando modificare le proprie fattezze. Elyon aveva provato a fissare il percorso fatto con Adrian, ma dopo una manciata di minuti si era resa conto che sarebbe stato perfettamente inutile, dato che siepi ed arbusti si piegavano davanti la camminata sicura del Mangiamorte, come se la natura fosse consapevole di dover rispondere delle proprie azioni solo a determinati padroni. La strega trattenne lo stupore non appena apparvero, quasi per incanto, davanti una porta in ferro battuto, corrosa da rossa ruggine. Fu a quel punto che Adrian afferrò di nuovo il suo braccio, ma questa volta Elyon percepì maggiore delicatezza da parte del mago, che aprì la porta e la trascinò con sé; una corrente fortissima li investì, tanto che Elyon fu costretta a chiudere gli occhi per proteggerli dai propri capelli, che le frustavano il viso con irruenza. Adrian le si parò davanti il più possibile e all’apertura di una seconda porta la corrente s’arrestò, permettendo ai due di entrare nell’immensa hall di una villa.
I ferini occhi verdi della strega indugiarono sulle ampie vetrate di vetro opaco, aldilà delle quali un tramonto caldo ed accogliente era mascherato a tratti da ingombranti nuvole cariche di pioggia. Elyon per un momento fu investita da una fortissima carica emotiva: da quanto era che non vedeva un tramonto? E la pioggia?
Da quanto tempo non vedeva la Luna?
 
Saliva e sangue, avvinghiati in un’unica e copiosa miscela, ballavano nelle fauci. Quella era stata una notte di caccia, la più cruenta da quando era stata trasformata.
Stremata, eppure in un estatico stato d’agitazione, con il presentarsi della timida aurora sentì le ossa piegarsi ed il puro istinto tornare a dormire nell’angolo più remoto della sua testa.
Ma la frenesia faticava a lasciare il suo giovane corpo, che quasi s’accasciò all’uscio dell’isolata dimora in legno, nascosta dalle fronde delle querce. Entrò all’interno non riuscendo a trattenere una risata abbondante, sconveniente, carica e con quella, arrivò una salda stretta al suo seno, nudo come il resto del suo corpo a seguito della trasformazione. Erano mani grandi e forti, mani che aveva imparato a conoscere
 
“Sei su di giri, bambina…hai bisogno di sfogarti un po’ “
 
La voce roca e profonda precedette un morso sul collo candido, che fece fremere ancor più Elyon. Si divincolò senza sforzo e si voltò verso il compagno decisamente più anziano di lei
 
“Con te basta chiedere, non è vero Fenrir?”
 
La mano del licantropo passò dietro la schiena per attirarla a lui con forza e le dita seguirono una spessa cicatrice, mentre un sorriso accattivante ne illuminava il viso
 
“Te l’ho detto che sei sempre più brava? Sembra che tu sia nata, per diventare come me…”
 
Elyon passò una mano fra i capelli lunghi e scompigliati di lui, madidi dopo la notte appena trascorsa
 
“Il fatto che io ti abbia chiesto di trasformarmi non vuol dire che sia nata per questo…ma ora basta chiacchierare, fammi vedere di cosa sei capace”
 
Greyback accennò una risata, prima di rigirarla senza alcuno sforzo; gli occhi scuri corsero lungo la scritta incisa sulla sua pelle
 
*Terra sono e alla terra tornerò*
 
Sogghignò, Fenrir Greyback, mentre afferrava i fianchi stretti con un tocco violento che faceva salire l’eccitazione di Elyon alle stelle, anche se non era a quell’uomo che la spinse contro il divano per poi farla sua, che la strega stava pensando
 
-A cosa stai pensando?-
 
Adrian teneva le mani nelle tasche e camminava lungo il corridoio, mantenendo lo sguardo dritto davanti a sé; a quella domanda Elyon accennò un sorriso
 
-A come poter staccare la testa di Steiner- mentì. Non glielo avrebbe mai detto, ad Adrian, che era lui ad essersi incastrato nella sua testa fin dai tempi di Hogwarts. Elyon sentiva ancora di doverlo e volerlo proteggere, nonostante tutto; era più che certa, infatti, che Adrian si sarebbe dovuto tenere lontano da lei per via della sua condizione, sebbene il Mangiamorte l’avesse tradita, accondiscendendo il dottore e rinchiudendola in quel giardino come fosse stata un qualsiasi animale da circo.
Adrian roteò gli occhi e infine arrestò il passo, davanti ad una porta di spesso legno massello
 
-Siamo arrivati-
 
Elyon lo obbligò a tirare fuori dalla tasca la mano, che strinse con vigore inchiodando poi le pupille nei suoi occhi chiari
 
-Adrian, devi dirmelo: tu lo sapevi? Sapevi mi avrebbero portata qui?-
 
La strega percepì la mano di lui tremare appena e vide il suo sguardo esitare, prima di farsi duro e scostante. Ritirò la mano, con la quale bussò alla porta.
Elyon non avrebbe avuto risposte da lui.
 
*
 
Odette osservava, stupita, l’invasione di persone che sbucavano da ogni angolo del giardino. Era la prima volta da quando era stata chiusa lì, che aveva l’occasione di incontrare così tanta gente. Sperò di vedere quella ragazza, Evie, che aveva occupato buona parte dei suoi pensieri da quando le avevano separate, preoccupata per lei e per quello che le fosse accaduto. Si avvicinò con passo frettoloso a Lucas, non appena lo vide apparire
 
-Che fine hai fatto?! Dove ti hanno portato?! Mi sono preoccupata da morire…Luke! Sai che dobbiamo parlare, vero?!-
 
La strega cominciò a scuotere il fascio di muscoli che costituiva il braccio dell’amico, mentre gli rigurgitava addosso domande e lui la guardava con occhi placidi
 
-Stai calma, ti hanno drogata per caso?-
 
Mentre Odette continuava a strattonarlo con foga, Lucas cominciò a guardarsi intorno, inchiodando poi lo sguardo su un bel ragazzo moro, che si guardava intorno sospettoso ed insicuro
 
-Ulalà…questo giardino continua a riservarmi piacevoli sorprese-
 
Odette si bloccò con la bocca spalancata, che fino all’istante prima stava gridando improperi nei confronti dell’amico
 
-Come, scusa?-
 
Lucas indicò il mago che non sapeva bene quale direzione prendere, tante erano le persone che stavano arrivando
 
-Quello lì. Gay. Cento per cento-
 
-Ma cos’hai, una specie di radar? Mi sarebbe utile sai…- Poi la strega scosse il capo –Ma non è il momento per pensare a cose simili, non siamo mica ad uno speed date…oh! Evangeline!-
 
Odette smollò il braccio di Lucas non appena identificò la ragazza la quale, riconoscendo la sua voce, le corse incontro
 
-Odette! Stai bene!-
 
Le due si strinsero in un forte abbraccio, come se si conoscessero da una vita. Lucas seguì l’amica con lo sguardo
 
-Ma guardala, poi dice a me- bofonchiò, poi ne approfittò per sistemare i suoi capelli ed avviarsi, con passo sicuro e spavaldo, verso quel mago che assottigliò gli occhi chiari appena vide quell’energumeno avvicinarsi a lui
 
-Chi sei?- Joshua soppesò la figura imponente di Lucas, sorridente e allegro, che non esitò ad avvicinarsi ulteriormente a lui
 
-Mi chiamo Lucas, sono nato il dodici Gennaio, ho venticinque anni e sono un esperto auror, nonché un inguaribile romantico…e tu, bel tipino?-
 
Joshua sgranò gli occhi davanti quella schiettezza. Provò un forte senso di inadeguatezza ed agitazione in presenza di quel mago così sfrontato, non avendo compreso se lo stesse prendendo in giro o meno. Fu inevitabile arrossire ed i suoi capelli assunsero una sfumatura antagonista al viso, di un lieve turchese, cosa che fece allargare il sorriso di Lucas
 
-I tuoi capelli sono fichissimi, amico!- senza pensarci su, Lucas allungò una mano per toccarne una ciocca, ma Joshua la scacciò subito con gesto secco
 
-Io sono Joshua e di certo non sono un tuo amico- rispose acido il metamorfo, prima di voltarsi ed avviarsi con passo militare in un’altra direzione. Lucas sorrise malandrino
 
-Ritrosetto il ragazzo…mi piace!- dichiarò, per poi seguirlo fischiettando.
 
*
 
Yann era stato trascinato fuori dalla sua cella non appena sveglio. Fu bendato e condotto in un luogo non meglio identificato per poi scoprire, con sommo stupore, che si trattasse di un vero e proprio laboratorio da fabbro. Gli occhi del mago si illuminarono alla vista degli strumenti del mestiere che temeva di non poter più utilizzare e, con l’emozione che si espandeva fino alle dita, sfiorò i calderoni ancora intatti, le incudini di varie dimensioni, le pinze magiche con cui avrebbe potuto estrarre i suoi magnifici capolavori.
Sapeva bene perché era stato portato lì; ancora non riusciva a non stupirsi al ricordo della vista della piccola strega che aveva conosciuto la quale, davanti a lui, aveva sfilato quelle pesanti scarpe per mostrargli il motivo per il quale era costretta ad indossarle
 
-Ciao Yann…-
 
Il mago si voltò di scatto, perdendosi nei grandi occhi di Jules, che lo fissavano carichi di commozione
 
-Mi spiace che ti abbiano obbligato a fare questa cosa…io ecco…potevo rimanere anche con queste, anche se cominciano ad essere un po’ strette-
 
Yann si avvicinò alla strega
 
-Posso?- le chiese con cautela
 
Jules annuì; sedette su uno sgabello ed allungò le gambette esili nella direzione di Yann che, seduto di fronte a lei, ne slacciò una con cautela. Sentì gli occhi velarsi appena, Yann, quando vide i segni di quelle cinghie, che avevano abraso la caviglia. Tirò su con il naso ed alzò nuovamente lo sguardo su Jules alla quale sorrise sincero, cercando di infonderle sicurezza
 
-Non preoccuparti, piccola Jules: farò in modo di farti delle scarpe che non ti daranno più alcun tipo di problema, va bene? Mi fa piacere aiutarti-
 
Jules allungò una mano, con la quale accarezzò il volto ispido di Yann
 
-Tu sei un uomo buono- le labbra rosse si piegarono in un sorriso morbido –Però ti dispiace usare dell’altro materiale? Vorrei tenerle, queste…ci tengo tanto-
 
Yann si scaldò con il tocco gentile di Jules, sotto il quale socchiuse gli occhi per qualche istante, prima di tornare a guardarla
 
-Tutto quello che vuole, signorina Airgood; forza, mettiamoci al lavoro…sono sicuro mi sarai di grande aiuto!-
 
*
 
Alistair dovette essere sedato dopo quanto successo nello studio di quell’uomo, o almeno quella era stata la sensazione provata. Difatti il povero ragazzo fece giusto in tempo a vedere quel dottore estrarre la bacchetta e puntarla nella sua direzione; da quel momento i ricordi si erano fatti confusi e nebulosi ed il babbano si era poi risvegliato, al solito, nella cella che lo ospitava. Il primo istinto fu quello di chiudersi nel piccolo bagno della sua prigione; purtroppo si rassegnò quando si rese conto che avrebbero potuto buttare giù la porta con facilità, di conseguenza il suo tentativo di morire di fame e di sete sarebbe stato inutile.
Quando la sua cella si aprì, Alistair uscì con rassegnazione, trascinandosi fin dove il Giardino aveva deciso per lui. Si arrestò solo quando sentì delle voci che lo portarono, con timore, a svoltare alla propria destra
 
-Non capisco la logica, sinceramente…ci deve essere un motivo per il quale decidono di smistarci ogni volta-
 
Alistair si irrigidì e trattenne il fiato. Aveva sperato con tutto se stesso di incontrare l’unico volto conosciuto, ovvero quello di Joshua Hollens, ma del ragazzo non ce n’era l’ombra. Al suo posto invece, persi in un fitto dialogo, c’erano un ragazzo molto alto dai lunghi capelli dorati ed una ragazza con i capelli altrettanto chiari ed il viso affilato che, appena percepirono la sua presenza, si voltarono verso di lui. Alistair avrebbe fatto volentieri dietrofront, ma il gesto della mano di quella ragazza fu inequivocabile: gli stava chiedendo di avvicinarsi. Dinoccolato e affranto, Alistair si accostò cauto ai due
 
-Bene- disse pratica Martha, sbattendo le mani –Possiamo ricapitolare: entrambi abbiamo conosciuto Jules- nel sentir pronunciare quel nome, il ragazzo sembrò rabbuiarsi, così l’altra lo rassicurò –Tranquillo, sono convinta stia bene! Poi tu hai conosciuto un certo Lucas, giusto?-
 
Alon annuì –Esatto…uno strano mago, ma sembra uno a posto-
 
-Ed io ho incontrato Victor ed un’altra mia vecchia conoscenza- Martha guardò in alto, contando con le dita –Considerando anche lui- Martha indicò Alistair senza guardarlo, che deglutì sonoramente –Sappiamo per certo di essere almeno in…sette-
 
Alistair provò ad intervenire, ma venne ignorato dai due
 
-Secondo me siamo più di sette…comunque dobbiamo scoprirlo in fretta, così riusciremo a capire cosa ci accomuna- Alon incrociò le braccia, pensieroso
 
-Di certo siamo tutti maghi atipici- Martha perse lo sguardo davanti a sé per qualche istante, prima di voltarsi di scatto vero Alistair, che sussultò
 
-Tu chi saresti?-
 
-I-io mi chi-chi-chiamo Alis-stair…-
 
-E hai conosciuto qualcun altro?- domandò Alon
 
-Ecco io…si ecco…si chiama Joshua…l-lui è…un…mago, come v-voi…-
 
Martha ed Alon inarcarono contemporaneamente le sopracciglia, ma appena la prima provò a chiedere spiegazioni, un fruscio di foglie e rametti attirò l’attenzione dei tre: William sbucò dallo spiraglio di una siepe alla loro sinistra e nello stesso istante Mazelyn apparve alla loro destra. Martha sembrò illuminarsi
 
-Bene, siamo già arrivati a dieci, a questo punto!- esclamò soddisfatta, così tornò a fissare Alistair
 
-Allora? Tu chi, o meglio…cosa saresti?-
 
*
 
Messo piede nello studio, Elyon sentì subito il proprio corpo avvolto da corde invisibili
 
-Le precauzioni non sono mai abbastanza con te, giusto mia cara?-
 
Quella voce era inconfondibile: inginocchiata sul pavimento dello studio, rantolante per la stretta costrittiva, la strega alzò lo sguardo che si scontrò con quello di Robert Steiner
 
-Non c’era bisogno…ci ho parlato io, si comporterà bene-
 
Il dottore accennò un sorriso alle parole di Adrian, non interrompendo mai il contatto visivo con Elyon
 
-Ah…mio caro ragazzo…la tua ingenuità certe volte mi lascia davvero stupito. Eppure la conosci da così tanti anni, sai benissimo che non possiamo fidarci di questa irrazionale testolina rossa-
 
Robert piegò le ginocchia e molleggiò appena davanti la ragazza
 
-Mi spiace averti fatta aspettare, ma avevo bisogno di capire delle cose, prima di farti arrivare qui…certo, dopo che Adrian mi ha gentilmente riferito come ti sei comportata ieri mi sono reso conto di non poter rimandare ancora-
 
-S-sei…un m-maledetto bastardo!-
 
Il sorriso sul viso del dottore s’allargò –Non ci siamo, mia dolce Elyon…se questi sono i toni, credo non ti concederò di darmi alcun tipo di spiegazione sul tuo tradimento. Sei libera di scegliere quindi: puoi tranquillizzarti ed accomodarti su quella poltrona, è molto comoda sai? Altrimenti beh, Adrian provvederà ad adempiere le mie volontà…come ha sempre fatto, del resto-
 
Elyon, che non era di certo una stupida, aveva capito che quella del dottore fosse una provocazione; fece comunque male sentire dalla sua bocca che Adrian era sempre stato un suo fedele servitore; proprio lui, che Elyon aveva tentato di mettere in guardia, non appena si era resa conto che Robert Steiner non fosse che un mostro. Perché nonostante tutto, ciò che provava per il Mangiamorte era qualcosa che andava oltre l’egoismo che la muoveva
 
 
Quella vicinanza lì, quel tocco lì, Elyon l’aveva sempre sognato, fin da quando aveva visto quel ragazzo sfrontato ad Hogwarts, ben più grande di lei. Ai tempi, Elyon non era che una ragazzina dolce ed impaurita, che rivedeva in Adrian Reed un desiderio da accantonare nel cassetto. Figuriamoci se lui avesse mai potuto metterle gli occhi addosso; Elyon era convinta di essere stata solo una simpatica mascotte da portarsi dietro, durante il tempo che avevano condiviso nella scuola. Ma gli anni erano passati ed il destino aveva deciso per Elyon che avrebbe dovuto unire il proprio cammino a quello di Adrian il quale, in quel momento, le aveva afferrato il viso con presa salda. L’Amortentia aveva esattamente quell’odore di fumo e whisky che sentiva con distinzione arrivare dalle labbra tanto vicine di lui.
Adrian strinse i suoi capelli fra le dita e prese a parlarle sulle labbra, con l’impeto che lo contraddistingueva
 
“Non ce la faccio più, Ellie…non posso resistere ancora” sussurrò con voce roca, prima di scontrare la bocca con quella di lei, che si aprì ad un bacio incredibilmente vivido.
Quel bacio le fece ribollire il sangue, perché mai con nessuno Elyon aveva provato una simile sensazione di stravolgimento sensoriale, nemmeno con il suo ex compagno Fenrir.
Ma Elyon lo sapeva che sarebbe stato così, lo aveva sempre saputo; si era limitata a tacerlo a se stessa per non rischiare di rompere quell’equilibrio stranamente sano che si era creato con il mago.
 Successe tutto con rapidità, perché era così che doveva essere: la saliva si mischiava, le mani strappavano i vestiti, i denti attaccavano il collo con inaudita ferocia. Con Adrian era uno scontro alla pari; violento, aggressivo, audace, ma alla pari ed Elyon non si era mai sentita tanto in sintonia con qualcuno.
Mentre lo ricercava, insinuando la mano nei pantaloni sgualciti, una verità soffocante la colpì in pieno petto: Elyon Yaxley era perdutamente innamorata di Adrian Reed, da sempre. E per la prima volta in tutta la sua vita, intanto che Adrian la spingeva contro la parete del suo modesto appartamento di città, Elyon sentì di mettere da parte se stessa e ciò che voleva per lei.
Lei era un licantropo. Aveva deciso consapevolmente di farsi avvelenare, quando Fenrir Greyback era corso in suo soccorso per salvarla da quella terribile donna, che l’aveva usata come cavia da laboratorio da quando ne aveva ricordo e che sarebbe rimasta a guardare mentre la figlia abbandonava la vita, per sua stessa mano. Ma Elyon non voleva rischiare di infettare quell’uomo, che era l’unico al mondo che avesse mai amato. Fu per questo che lo scansò, irruenta e gelida, d’improvviso. Adrian, con i capelli scompigliati, a petto nudo, la guardò allibito, prima di ritentare. Ma Elyon non cedette, fino ad urlargli contro che doveva andare via, che non potevano, che era sbagliato.
Sbagliato.
Adrian non ricevette mai una vera spiegazione per il comportamento fortemente ambiguo della strega.
Ed Elyon dovette reprimersi, perché temeva che se Adrian fosse venuto a conoscenza della sua condizione, mai più l’avrebbe guardata con gli stessi occhi. L’avrebbe disprezzata ed allontanata ancor più.
 
Quel ricordo arrivò, inevitabile, alla mente della strega, mentre accettava di calmarsi e prendere posto sulla poltrona, come le era stato suggerito. Robert Steiner portò le mani dietro la schiena e cominciò a camminare, con aria fintamente assorta
 
-Allora Elyon, cosa ti ha portato a volermi tradire?-
 
La strega stese le labbra, tentando di reprimere la rabbia
 
-Io non ti ho tradito…ho solo scoperto che non solo ti sei preso gioco di me da quando sono bambina, ma che hai fatto di tutto per rovinarmi…io mi fidavo di te-
 
Adrian teneva la bacchetta tesa verso Elyon, ma la testa rimase china, con espressione contratta, mentre seguiva il dialogo fra i due
 
-Mi dispiace sentirti parlare così, in quanto ritengo che questo non sia avvenuto: io mi sono sempre preso cura di te, ma forse te lo sei dimenticato-
 
-Stronzate!- urlò, Elyon –ricordo tutto quello che è successo…hai assecondato mia madre, l’hai aiutata con i suoi esperimenti! Per tutto questo tempo hai solo finto di essere dalla mia parte, quando invece non hai fatto altro che usarmi, come fossi uno qualsiasi dei tuoi adepti!-
 
-Elyon!-
 
Il dottore tese un braccio verso Adrian, imponendo al Mangiamorte di zittirsi, dopo di che si avvicinò alla poltrona, fissando gli occhi in quelli di Elyon
 
-Ne sei davvero sicura?-
 
Le mani strinsero i braccioli con forza, ma la donna rimase in silenzio, in attesa che Robert Steiner proseguisse. Quest’ultimo allungò una mano e tirò su il mento di lei, con delicatezza
 
-Se davvero avessi voluto rovinarti l’avrei fatto da tempo; non ti avrei salvata da una condanna certa, avrei rivelato a tutti come te e Fenrir Greyback disseminavate il panico…ti avrei uccisa, invece di portarti qui. Ho sempre voluto il meglio per te, mia dolce Elyon, volevo solo che sfruttassi le tue grandi capacità al meglio, senza che rovinassi tutto con il tuo piglio irrazionale-
 
-E allora perché mi hai rinchiusa qui, eh?! Perché solo adesso mi dici questo?! Sapevi che avevo capito tutto…-
 
Robert si piegò, per portare il viso all’altezza di quello di lei
 
-Perché è giunto il momento che ripaghi il tuo debito nei miei confronti; il mio progetto è grande e ambizioso e forse farà saltare qualche testa. Eppure se deciderai di restare dalla mia parte, come ha deciso sensatamente di fare Adrian…-
 
Elyon fece scattare per un momento lo sguardo sul Mangiamorte, che ricambiò esitante, così tornò sul dottore –…potresti salvarti. Ma se ti opporrai a me, ti assicuro che non sarai l’unica a pagarla-
 
Fu la volta del dottore di rivolgere un fugace sguardo allusivo ad Adrian, il quale sgranò gli occhi, sentendosi chiamato in causa.
Robert Steiner aveva appena ottenuto il proprio scopo: aveva sfruttato l’unico vero legame rimasto ad Elyon Yaxley, il più forte, per portare la situazione a proprio vantaggio.
 
Elyon fu riportata nella propria cella, perché a detta di Robert Steiner, la strega aveva bisogno di riflettere su quanto si erano appena detti.
La confusione regnava sovrana, nella testa della sfortunata Yaxley, che si trovò davanti ad un bivio: ribellarsi a Steiner e distruggere l’uomo che amava, o tentare di salvare entrambi.
Quale sarebbe stata la cosa migliore da fare?
 
*
 
 
-Siediti Vic, purtroppo non ho buone notizie-
 
 Philip Butler conosceva Victor da anni ed i due erano uniti da un forte legame d’amicizia. Per questo non avrebbe mai voluto fosse suo compito, dare la notizia al suo amico che rimase in piedi a mordicchiare una penna
 
-Dimmi quello che devi e basta Phil; non giriamoci intorno, va bene?-
 
Il medimago congiunse le mani sulla scrivania e puntò gli occhi castani in quelli più scuri di Victor
 
-Pare che sia autoimmune…per il momento non ci sono cure risolutive. Per piacere, siediti-
 
Victor però non gli dette retta. Continuava a mordicchiare la penna apparentemente molto sereno, tanto che Philip si chiese se il mago, che aveva sempre ritenuto essere una delle persone più intelligenti ed argute che avesse mai conosciuto, avesse realmente capito quanto grave fosse la situazione. Il medimago perse lo sguardo sulla scia di tatuaggi che tempestavano le braccia scoperte di Victor, per poi risalire al petto, ovviamente coperto dalla camicia a maniche corte di trama scozzese segnata dagli straccali, sotto la quale sapeva trovarsi il tatuaggio che lui stesso lo aveva accompagnato a fare. Philip trovò ironico quanto quella semplice parola, -Bliss-, si allontanasse dall’animo dell’ex compagno di casa
 
-Recepito- Victor colse Philip alla sprovvista, che tornò a guardarlo con apprensione –quindi che dovrei fare, doc?-
 
-Amico, purtroppo questo non è un gioco…-
 
-Lo so, ma cosa dovrei fare, struggermi di dolore? Voglio solo sapere se devo seguire un protocollo, oppure rassegnarmi al fatto che creperò giovane-
 
Philip si perse negli incisivi storti a cui il sorriso di Victor aveva lasciato spazio. Dopo un breve momento d’esitazione, tornò a parlare
 
-C’è una questione…stanno testando una cura, ma non c’è alcuna garanzia. Come ti ho detto è in fase di sperimentazione, ma se volessi potrei metterti in contatto con il medimago a capo del progetto. Non è molto, ma è già qualcosa, no?-
 
-Ottimo direi- Victor fece cadere la penna sulla scrivania di Philip con noncuranza –dammi il nome di questo tipo allora-
 
-Te lo segno-
 
Mentre Philip scriveva, Victor si voltò verso la porta che si era schiusa d’improvviso. Martha, con aria stralunata, soffermò lo sguardo sul ragazzo
 
-Victor Selwyn? Che ci fai tu qui?-
 
-Martha Zeller, potrei farti la stessa domanda!- Victor tornò a fissare l’amico che gli passò l’appunto con il nome del medimago da contattare, mentre il viso era diventato di un bel rosso vivo. Victor era senza ombra di dubbio una delle persone più curiose al mondo, ma in quel momento capì che fosse meglio non indagare oltre. Del resto aveva ben altre cose a cui pensare, purtroppo.
 
-Siamo arrivati al parco giochi, Selwyn. Vai a giocare con gli altri ora-
 
-Te l’hanno mai detto che sei simpatica come un dito in c…-
 
-Un’altra parola e ti guadagnerai la settima tacca, ci siamo capiti?-
 
Il magigiornalista sghignazzò –recepito, Roxie. Tu che farai intanto, la guardona? Ok ok, ho capito, vado!-
 
Victor evitò per un soffio la bacchetta di Roxanne e con estrema serenità si avvicinò al gruppetto formato da Lucas, Joshua, Odette ed Evangeline, ai quali s’era aggiunta Cora Dagenhart, che roteò gli occhi al suo arrivo
 
-Daggy! Radiosa come sempre, vedo-
 
-Wow…non vedevo l’ora di rincontrarti, Selwyn, davvero- rispose sarcastica Cora –che c’è, ti sei portato il cane da guardia dietro?- chiese poi, indicando Roxanne con un gesto del viso che, distante, sembrava prendere appunti con aria annoiata. Victor fece saltare lo sguardo sugli altri presenti, soffermandosi infine su Evangeline, davanti alla quale titubò appena. Di contro Evie incrociò le braccia sotto il seno, raddrizzò la schiena ed inarcò un sopracciglio
 
-Beh? Non hai mai visto una persona in vita tua?- chiese sorridente la giovane strega, mascherando un certo interesse per il mago che si era appena presentato loro. Di contro Victor scosse appena la testa per riprendersi dallo smisurato potere sprigionato da Evangeline
 
-Emh…noi ci siamo presentati- Joshua fece un passo in avanti, nel tentativo di prendere la situazione in mano –Io sono Joshua, stiamo tentando di approfittare di questo meeting allargato per capire cosa ci accomuna, dato che siamo stati rinchiusi qui-
 
Il magigiornalista passò una mano fra i capelli, tentando di non soffermare di nuovo l’attenzione su quella giovane strega, che sembrava alquanto divertita al contrario di Odette la quale, nell’immediato, si era affiancata all’altra in maniera difensiva
 
-Io sono Victor Selwyn, sono chiuso nella cella phi e…sarei molto lieto di unirmi a questo brainstorming: cominciamo?-
 
*
 
Maze si sentiva decisamente rinvigorita. Non si chiese quale fine avessero fatto fare al corpo di quella donna, perché era ormai chiaro che, se avesse voluto sopravvivere, avrebbe dovuto sottostare alle regole imposte “dall’alto”. Finalmente, la ragazza era stata liberata e, per la prima volta da quando era stata portata lì, si era ritrovata a contatto con un buon numero di persone. Non riuscì a non sorridere quando si rese conto che, al suo arrivo, quei maghi e quella strega non avevano occhi che per lei; quasi si era dimenticata, Maze, quanto il suo fascino fosse un’arma potente. Mentre sui visi di Alon, di William e di Alistair s’erano formati sorrisi inebetiti, Martha sembrava studiarla con attenzione. Mazelyn accennò un sorriso senza scoprire i denti; solitamente nessuno fuggiva al suo fascino di vampiro, uomo o donna che fosse. Eppure quella strega dai capelli biondi stava reagendo in maniera decisamente atipica. Maze decise di fare qualche altro passo in avanti e, contemporaneamente, Martha ne fece un paio indietro
 
-Non devi preoccuparti…purtroppo sono una reclusa, esattamente come voi-
 
Eppure Martha scosse la testa –No che non lo sei, esattamente come noi-
 
-Andiamo, non essere scortese- si introdusse Alon che sembrava proprio strafatto, in presenza di Mazelyn, così come William che non riusciva a fare altro che boccheggiare. Martha però non cedette, così tornò a rivolgersi a Maze
 
-Tu hai qualcosa…qualcosa di non umano-
 
Mazelyn allargò il sorriso. Quell’atipica strega l’aveva smascherata, quindi. Beh, poco male, pensò la ragazza che, tirando indietro i capelli con un gesto fluido, rispose con voce melodiosa
 
-Hai ragione ragazza, anche se è la prima volta che mi capita di incontrare qualcuno in grado di riconoscermi: mi chiamo Mazelyn e sono una figlia di Caino…un vampiro-
 
Alistair si risvegliò di colpo e cominciò ad arretrare, terrorizzato.
Maghi, incantesimi, dottori pazzi e resurrezioni; ci mancava giusto un vampiro all’appello delle rivelazioni sconvolgenti. Cos’altro doveva aspettarsi ora, sirene e lupi mannari, per caso?

 
*
 
 
 
 
La strega scostò una ciocca ribelle del caschetto biondo dietro l’orecchio, mentre con la mano libera teneva con presa salda la copia della Gazzetta del profeta, in cui la foto di Victor Selwyn si muoveva, regalando al giovane mago una delle sue espressioni più sfrontate. Le dita pallide e lievemente increspate da qualche efelide, si contrassero con impeto sulle pagine, spiegazzandole sul bordo. Quando sentì un sonoro crack, la donna alzò di scatto la testa, mostrando al marito, in piedi davanti a lei con aria molto provata, i suoi grandi occhi grigi velati di lacrime
 
-Ci hanno messo più di venti giorni a pubblicare questo articolo…è ridicolo!-
 
la mano impattò sul quotidiano, facendo vibrare il tavolo di cristallo di un rumore sinistro. L’uomo sospirò, stanco, mentre sfilava il soprabito che subito abbandonò sulla poltrona di velluto verde, senza curarsi di posizionarlo al proprio posto
 
-Veto del ministero, Sophie…fino ad oggi non sono stati autorizzati a far trapelare la notizia. Purtroppo quella di Victor non è stata l’ultima scomparsa sospetta dell’ultimo mese-
 
La strega si alzò di scatto ed alzò la voce, non riuscendo a trattenersi
 
-Nostro figlio è il Vice Direttore! Come hanno potuto non dire nulla fino a questo momento?! È assurdo…assurdo!-
 
-Calmati amore, agitarti così non farà che farti passare un’altra notte insonne-
 
Adam strinse le spalle della moglie con le mani, accompagnando quel gesto ad un sospiro profondo
 
-Gli auror stanno dando il cento per cento…tra l’altro pare che fra le scomparse sospette ci sia anche un loro collega, persino più piccolo di Vicky…-
 
-E questo loro collega è per caso malato, come il nostro ragazzo?-
 
La voce della moglie arrivò alle sue orecchie come bollenti lame affilate. Adam dovette trattenersi per non scoppiare a piangere; non poteva cedere proprio ora, non davanti a Sophie
 
-Se la caverà, vedrai…dobbiamo farci forza, honey…-
 
La strega mulinò su se stessa e fissò lo sguardo in quello cupo del marito
 
-Tu lavori al Ministero…sei un Selwyn…la mia famiglia purosangue in questo paese non conta nulla, ma la tua dovrebbe!-
 
Adam scosse a malincuore il capo –Purtroppo sto già facendo il possibile. L’unica cosa che possiamo fare per Victor è rimanere uniti, va bene? Dobbiamo mantenere la calma e credere in lui-
 
Fu impossibile, per Sophie, trattenere ancora le lacrime. La strega scoppiò in singhiozzi e strinse la vita del marito
 
-È solo un ragazzo…ha bisogno delle sue cure…-
 
Il mago la strinse a sé, mentre gli occhi scuri vagarono sulla parete di fronte, arrestandosi infine su una foto del figlio, che rideva come suo solito
 
-Victor è un uomo. Un uomo forte e coraggioso, crediamo in lui- concluse sapendo che, se avesse detto una sola altra parola, anche per lui sarebbe stato impossibile trattenere il pianto.
 


 
Fenrir Greyback
 
 
Philip Butler
 
(I pv mi sono stati forniti rispettivamente da Anne ed Em)
 
 
(1) “Piccolo mio” in lingua svedese
(2) “Hai ragione” in lingua svedese
(3) “Il sentiero dei nidi di ragno” è un bellissimo romanzo di Italo Calvino, del quale vi riporto volentieri una frase, che trovo molto attinente al momento:
 
«Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.»

 
 
Cosa avevo detto? Questo capitolo sarebbe stato più breve? Ahahahahaha. E niente, ho esagerato come al solito. Comunque ciao a tutti! Come avrete capito dai vostri voti è uscita fuori Elyon per i vostri oc, Victor per i miei. Avrei potuto continuare a scrivere per altre venti pagine, visto che Elyon è la scheda più complessa che io abbia mai ricevuto, ma ho pensato che non fosse il caso e, specialmente, non ho la minima intenzione di svelarvi tutto adesso.
Non voglio dilungarmi troppo, voglio solo sapere cosa ne pensate voi (sono curiosa in maniera patologica, per quanto riguarda questa interattiva).
Si. Sono impazzita con questa interattiva e quindi mi sono pure dedicata all’articolo di giornale riguardante Vicky. Non giudicatemi ormai sono gli oc che agiscono senza che io lo voglia.
 
Domandine:
 
Vi chiedo di votare un altro vostro oc, che sarà protagonista del prossimo capitolo; prima riceverò i voti prima riuscirò a scrivere il capitolo :)
 
Inoltre vi chiedo di votare anche uno dei miei, ovviamente escludendo Victor e St(ronz)einer (grazie Em per aver creato questo soprannome incredibile).
 
Altra questione: le coppie ed in generale i personaggi che vi piacciono di più. Ovviamente il contesto è quel che è e non tutti finiranno accoppiati, ma sarei curiosa di sapere le vostre idee in merito; qualche oc ha attirato la vostra attenzione in maniera particolare?  Lo vedreste bene con il vostro personaggio per qualche assurdo motivo? Scrivetemi tutto in privato, grazie!
 
Al solito spero vi sia piaciuto il capitolo. A presto.
 
Bri

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Capitolo 7
*** Il Velo e l'Uragano ***


CAPITOLO VI
Il Velo e l’Uragano

 
Jules non riusciva a trattenere la felicità. Seduta sul lettino della sua cella, con indosso solo una leggera sottana di un verde stanco, sgambettava al settimo cielo, con gli occhi fissi sulle sue nuove scarpe. In quel momento, in cui la speranza di toccare picchi di felicità era ridotta ai minimi termini, quel dono le aveva risollevato il morale.
Poi tutto quell’agitarsi si placò quasi di botto e le gambette pallide rallentarono, fino a limitarsi ad un molleggiare appena accennato. In realtà Jules capì che non ci fosse proprio nulla di cui essere allegri, vista la condizione in cui lei ed una serie di persone a cui si era già irrimediabilmente affezionata, si trovava in quel momento. Mentre le dita indugiavano sul lenzuolo leggero, gli occhi salirono lungo la catena attaccata al soffitto della sua prigione; il dottor Steiner aveva dimostrato per lei delle accortezze delicate, se ne era accorta. Quella catena ne era un esempio, come la mascherina che l’aiutava a prendere sonno, oppure l’essersi munito del valido aiuto di Yann per forgiarle quelle scarpe. Eppure, nonostante tutto, egli non s’era più presentato a lei e mai, nemmeno una volta, si era premurato di fornirle anche solo una spiegazione. Non aveva capito perché si trovasse lì ed il pensiero suo volò ai genitori, che dovevano essere nel pieno dell’agitazione per quella loro figlia dispersa, che ben altre preoccupazioni aveva dato loro nella vita. La sua condizione clinica, difatti, era sempre stata un grande mistero e Alizée ed Heron, che a seguito del difficile parto legato alla nascita di Jules non erano riusciti ad avere altri figli, avevano fatto di tutto per scoprire cosa si celasse sotto le anomalie della strega. Jules si ritrovò a ricordare con un sorriso velato di tristezza, il primo incontro con il dottor Steiner, che aveva portato nella famiglia una ventata di speranza: la prima, dopo moltissimo tempo.
 
“E tu devi essere Jules.”
 
Robert teneva le mani sulle ginocchia, piegato per raggiungere l’altezza della bambina che, impaurita, tentava di nascondersi dietro la gamba del padre.
 
“Deve scusarla dottore, non ha ottimi rapporti con i medici, come potrà bene immaginare. Purtroppo abbiamo avuto delle esperienze spiacevoli, in passato…” Heron passò una mano sul capo biondo della piccola, la quale spiava con un solo occhio il viso rassicurante di quell’uomo. Robert Steiner, dal canto suo, espose un grande sorriso mentre agitava la bacchetta davanti al musetto fattosi subito curioso: dalla punta di essa si formò una bolla opalescente all’interno della quale brillava una lucina, luminosa come una lucciola. La piccola Jules sgranò allora gli occhi e, scostandosi un po’ dalla gamba del padre, a cui rimase attaccata solo con una manina, si allungò abbastanza per tentare di raggiungere la bolla.
 
“Non devi avere più paura ‘kleine wolke’ (1), faremo in modo di scoprire perché sei tanto speciale, puoi fidarti di me.”
 
Heron seguiva la bolla con lo sguardo grigio, trovandosi poi a sorridere con spontaneità. Quell’uomo era stato in grado di trasmettergli una sicurezza mai provata prima. Del resto il suo nome cominciava a saltare di bocca in bocca, in quanto a seguito della morte del suo predecessore, una medimaga illustre, sembrava che Robert Steiner avesse ricoperto il suo posto con grande dignità, arrivando persino a superarla in quanto a fama e notorietà.
 
“Questa bolla, bambina mia, è proprio come te,” riprese il dottor Steiner “è bella, speciale ma un pochino fragile.”
 
Jules, che si era definitivamente staccata dal padre per tentare di prendere la bolla che fluttuava troppo in alto, sfilò le scarpine con velocità; si librò in alto come un palloncino gonfiato con l’elio e finalmente, felice più che mai, riuscì ad agguantare la bolla, trattenendola fra le sue dita senza che quella esplodesse. Robert si mostrò curioso, convinto che quella bolla sarebbe senz’altro scoppiata con un solo tocco, eppure lo stupore aumentò quando, dall’alto, la bambina si rivolse a lui:
 
“Lei non è fragile, e non lo sono nemmeno io!”
 
La bolla cambiò rapidamente colore e quel piccolo nucleo contenuto al suo interno, divenne presto l’occhio di un ciclone in miniatura che, funesto, si agitava sulle pareti per tentare di uscire.
 
“Jules, ora basta, è pericoloso!”
 
Heron non fece in tempo a sfoderare la bacchetta per richiamare a sé la figlia, che l’uragano incrinò le pareti in cui era custodito; da quel momento in poi si scatenò il caos: una piccola esplosione annunciò la rottura dell’involucro ed il ciclone aumentò presto di misura, cominciando ad inglobare quadri, libri e suppellettili presenti nello studio di Robert Steiner.
 
“Basta!” gridò allarmato il giovane Heron, ma Robert Steiner gli fece un rapido gesto con la mano mentre con l’altra si teneva aggrappato al margine del tavolo; così, strabiliato davanti l’esplosione di quella magia unica e potentissima, si rivolse a Jules.
 
“Hai ragione! Tu sei forte, Jules, mi ero sbagliato! Dimostrami di esserlo ancora di più allora, comanda il tuo potere!”
 
La piccola strega sembrava non risentire dell’effetto di quella tempesta; semplicemente se ne stava sospesa vicina al soffitto e guardava la scena con sguardo di sfida. Ma le parole del dottore avevano colpito in pieno quella bimba di soli sei anni, che da quando era nata si sentiva dire di essere ‘fragile’. Per lei quello non era solo un gioco: Jules voleva difendersi da chi la guardava con sospetto e pietà. Per questo accolse la richiesta del dottor Steiner ed apparentemente senza alcuno sforzo –le bastò infatti allungare una mano verso il ciclone- pose fine a quella tempesta. Appena la calma tornò a regnare nello studio, Heron allungò la bacchetta verso sua figlia cercando di trattenere l’ira, in quanto era consapevole che non fosse che una bambina incapace di gestire tutto quel potere magico. Con un gesto fluido la richiamò a sé, stringendola poi fra le braccia.
 
“Non devi più farlo Jules, mai più! È pericoloso quello che hai fatto…”
 
“Strabiliante…” sussurrò Robert, noncurante del caos in cui la piccola aveva gettato il suo studio. Jules Airgood era un caso unico, ne era ben consapevole. Aveva già avuto prova di quanto un potere tanto devastante potesse essere scatenato e pensare ad Elyon Yaxley fu inevitabile; eppure la grande differenza fra le due si trovava nel fatto che la piccola sembrava saper padroneggiare l’elemento dell’aria con maestria, seppure scatenarlo era stato un gesto inconsapevole, mosso dall'incoscienza infantile.
 
La cella si aprì d’improvviso, senza nessuno ad accoglierla. Jules accantonò i ricordi con un sospiro, infilò un vestitino smanicato e corse fuori. Quel giorno era il suo compleanno e a quanto pareva, il dottor Steiner le aveva fatto un altro regalo: la possibilità di non festeggiare i suoi quattordici anni in solitudine.
 
*
 
Dentro quei sei o sette metri quadri che lo ospitavano, Joshua credette di impazzire. Da quando era stato rinchiuso era ovviamente aumentano il suo livello di ansia e bisogno di ordine ed organizzazione. Per questo continuava a riordinare quel poco che era presente nella cella, piegare e ripiegare i quattro vestiti che gli erano stati concessi, pulire con cura maniacale, nonostante sapesse che ogni qualvolta uscivano dalle proprie celle, probabilmente i mangiamorte passavano con incantesimi di pulizia e quindi il suo lavoro era pressoché inutile. Ma Il metamorfo ne aveva estremo bisogno, in quanto riteneva che altrimenti, rinchiuso lì dentro, avrebbe perso la ragione. Mentre disfaceva e rifaceva il letto per l’ennesima volta, Joshua cominciò a ripetere una lunga serie di nozioni riguardante la geografia astronomica.
 
-Il Sole, definito Nana Bianca, dista dalla Terra centoquarantanovemilioni e seicentomila chilometri e la sua temperatura raggiunge i cinquemilasettecentosettantotto gradi…-
 
-Mi spieghi per quale motivo sai delle cose tanto inutili?-
 
Joshua raddrizzò immediatamente la schiena e si voltò verso l’entrata della cella, al di là della quale si trovavano Lucas, munito del suo più splendente sorriso, e quel maledetto Adrian, che lo fissava con cipiglio.
 
-Ti sei guadagnato un amichetto per la giornata, Hollens. Tu muoviti ad entrare, devo ancora fare un milione di cose e hai idea di quanta voglia io abbia? Beh, te lo dico: esattamente zero.-
 
Lucas sorrise placido, infilò le mani in tasca e varcò la soglia della cella che si era appena aperta ad un colpo di bacchetta del Mangiamorte. -Risparmia adesso il tempo, Reed, che quando sarò uscito di qui sarai il primo che farò sbattere ad Azkaban, stai tranquillo.-
 
Di tutta risposta Adrian si limitò a sorridere a sua volta: -Lo sai che non sei nella posizione di fare minacce, eh, stupido idiota?-
 
Joshua picchiettò sulla spalla del suo “ospite”, mentre gli occhi chiari si erano soffermati sulle vene del suo collo che si erano gonfiate esponenzialmente: -Lascia stare, meglio non combinare guai inutili.-
 
Al lapidario ammonimento di Joshua, Lucas roteò gli occhi, quindi alzò la mano e salutò Adrian con fare decisamente sfrontato: -A dopo allora. Ah, tanto per sottolinearlo: stupido è sinonimo di idiota, sei riuscito a fare uno strafalcione grammaticale in una sola frase!-
 
Adrian agitò la bacchetta ed in seguito alzò il dito medio a Lucas: -Ti sei guadagnato la tua prima tacca. Fottiti.- Così si accese una sigaretta e s’allontanò dalla cella. Joshua era rimasto ad assistere a quello scambio di battute con tanto d’occhi; quel Lucas si era dimostrato sciocco, presuntuoso e incosciente, eppure non poteva che apprezzarne il coraggio e, ancor più, la sua niente affatto velata critica alla grammatica misera del Mangiamorte.
 
-Beh, pare dovremo tenerci compagnia per un po’ Josh,- Lucas irruppe nei suoi pensieri insieme ad una vigorosa pacca sulla spalla, che lo fece irrigidire –quindi questo è il tuo buco, eh? Sei un fottuto perfezionista maniaco dell’ordine per caso?-
 
Perfetto, Lucas si era appena sabotato da solo.
 
-Senti Heathcote, mi sembra ovvio tu sia costretto a rimanere qui contro la mia volontà; visto che risulta evidente quanto io non abbia intenzione di comunicare con te, ti pregherei di…-
 
Rabbrividì, Joshua, quando vide Lucas gettarsi sul letto che aveva rifatto per la quinta volta nell’arco di un’ora, rinunciando all’ennesima sistemata solo dopo aver raggiunto lo stato più vicino alla perfezione. Con noncuranza il ragazzone sfilò le scarpe, incrociò le mani dietro la testa e solo a quel punto rivolse un sorriso sornione al metamorfo.
 
-In soli cinque minuti ho imparato ben tre cose su di te: sei un perfezionista, detesti essere toccato a tradimento e non ti piace essere interrotto. Adoro!-
 
Joshua rimase di stucco e non riuscì che a sbocconcellare qualche parola –E tu…tu come fai a…-
 
-Sono un auror, piccolo…oltre che a scolpire il mio meraviglioso fisico, devo anche studiare le persone.-
 
Joshua non comprese il reale motivo, ma sentì il viso andare a fuoco. Quel ragazzo lo aveva scansionato con una semplicità strabiliante. Non seppe dire se la cosa lo mettesse a disagio, o se cominciasse a piacergli.
 
*
 
Evie teneva le braccia conserte e spiava, da un angolo di quella cella, Victor Selwyn sfogliare un libro con aria assorta, con le gambe stese sulla parete su cui poggiava la testata del suo letto. Era stata tenuta rinchiusa per ben due giorni, prima che la cella dell’Incanto si aprisse all’improvviso, per darle modo di seguire il percorso obbligato, che l’aveva portata dritta dritta da Victor, il quale non si era affatto curato del suo arrivo. Si era persino premurata di salutarlo con un rapido “ehi”, ma Victor si era limitato a spostare gli occhi scuri ed infossati nelle occhiaie su di lei solo per un breve momento, prima di tornare alla lettura. Gli occhi di Evangeline fluttuarono sullo scrittoio e si arrestarono su quella piramide identica a quella che si trovava nella sua cella, ma con una differenza sostanziale: un liquido luminescente raggiungeva un numero considerevole di tacche. Stufa di starsene da parte e di essere ignorata, marciò verso il letto e sedette al fianco di Vicky, obbligandolo a spostarsi appena. Le braccia ancora conserte e gli occhi inchiodati sul suo viso:
 
-Non so se te ne sei reso conto, ma sono qui, razza di fagiano!-
 
D’improvviso Victor gonfiò la bocca, per poi scoppiare a ridere: -Razza di fagiano?! Tu si che ci sai fare con le offese, ragazzina!-
 
Il magigiornalista continuò a ridere convulsamente, picchiettando i piedi sulla parete.
 
-Che diavolo hai da ridere?! E poi si può sapere perché non mi guardi negli occhi, eh?!-
 
Victor cercò di trattenersi, seppure qualche ultimo singhiozzo trapelò dalla sua bocca: -Sarai mica matta? Se ti guardo mi ipnotizzi ed io non voglio farti del male, ragazzina.-
 
Evie avvampò, -Non chiamarmi ragazzina! Sono maggiorenne, sai?! E poi quello che hai detto non ha alcun senso! Prima di tutto io non ipnotizzo proprio nessuno…- -Beh, quasi- si intromise lui. –No che non lo faccio! Secondo poi: perché mai dovresti farmi del male?! Pur volendo non ci riusciresti, saresti imbambolato!-
 
A quel punto Victor smise di ridere definitivamente. Rilassò la schiena sul materasso ed incrociò le mani sulla pancia, prima di puntare lo sguardo in quello della ragazza: -Ti spiego una cosa, Evangeline: la vita mi ha disgraziatamente munito di un potere di protezione che schizza fuori nei momenti meno opportuni…sono quasi certo, dunque, che se tentassi di imporre il tuo imperius su di me, ti schianteresti al muro come un gattino lanciato via da una mandria di erumpent. Vuoi essere un gattino in mezzo ad una mandria di erumpent, per caso?-
 
Con le braccia ancora strette sotto il seno, Evie fissava con occhi sgranati quel mago tanto impertinente, che aveva la capacità di farla arrossire come nessuno era mai stato in grado di fare. Inaspettatamente, la strega liberò una risata sguaiata:
 
-Come ti vengono in mente queste immagini?! Sei fuori di testa, tu!-
 
Victor alzò un angolo della bocca, mentre osservava il mutare emotivo di quella ragazza che, dalla ritrosia, era saltata a tutt’altra condizione.
 
-Bene. Ora che ti ho fatta ridere che dici, posso tornare al mio libro? L’ho letto solo sette volte, del resto. Fosse mai mi sfugga qualche virgola fuori posto.- Victor riprese “Le affinità elettive” in mano e tornò a leggere, con un sorrisetto stampato in viso. Di contro Evangeline si placò e, lentamente, sciolse la stretta delle braccia.
 
-Ehi!- si lamentò Victor, mentre lei si faceva più spazio sul letto, costringendolo a tirare giù le gambe dal muro e sedendosi, come nulla fosse, con le gambe incrociate sul suo cuscino.
 
-Senti Victor…-
 
-Puoi chiamarmi Vicky, tanto qui la mia posizione sociale se ne è andata a puttane.-
 
La strega puntò i gomiti sulle ginocchia ed abbandonò il viso sui palmi delle mani:
 
-Vicky…già che siamo qui, me lo vuoi dire come mai hai frequentato tanto spesso il San Mungo?-
 
Le pupille del ragazzo vibrarono sulle righe del romanzo sgualcito dal tempo. Senza concedere ad Evangeline lo sguardo, Victor sbuffò: -Sai che in questo romanzo ci sono interi capitoli che descrivono l’architettura di un giardino maniacalmente curato? Mi sembra molto adatto al momento.-
 
Evie colse la sua volontà di cambiare argomento, ma non demorse affatto: -L’ho letto solo tre volte. Quindi, il San Mungo?-
 
Solo a quel punto Victor tornò a guardarla, ridotto ormai a rannicchiare il corpo lungo in uno spazio decisamente ridotto: -E tu? Quella Odette ha parlato di un crollo nervoso, mi pare.-
 
-Facciamo un patto: ti racconterò la mia storia, ma non prima della tua confessione. Che abbiamo da perdere?-
 
Un sorriso amaro solcò il viso del magigiornalista che, continuava a guardarla dal basso, sebbene rilassò le gambe che piegò accanto a lei.
 
-Niente da perdere, figurati…se non la vita stessa, mia cara Ottilia (2).-
 
La strega inarcò un sopracciglio, ma in quel caso non disse nulla. Si limitò ad attendere che Victor iniziasse a parlare e raccontarle di quando, per la prima volta, scoprì di essere affetto da una malattia apparentemente incurabile, che aveva fatto capolino nella sua vita assieme al suo scudo.
 
*

 
Quel giorno faticò ad alzarsi dal letto. Martha aveva acquisito così tante informazioni da catalogare e gestire, che la sua testa aveva, al solito, lavorato incessantemente per due giorni, limitando le ore di sonno ad una scarsa manciata. L’insonnia, l’incessante lavoro mentale e la condizione di segregazione l’avevano fatta crollare in uno stato di semi catalessi, sfiorando anche momenti di dolorosa debolezza. Di fatto si stava adoperando moltissimo per capirci qualcosa, e sebbene qualche ora prima fosse certa di avere ottenuto ottimi risultati, in quel momento non era più tanto convinta. A tratti sentiva non ce l’avrebbero fatta, ad uscire da quel posto. Se così fosse stato, non osava immaginare cosa avrebbe provato Phil se lei non fosse più riuscita a tornare. Con lo stomaco in subbuglio e l’animo a pezzi, non oppose resistenza quando il suo carceriere passò a prelevarla; sottostò alla volontà di Adrian e si fece portare nei meandri di quel Giardino, cambiato per l’ennesima volta. Mentre gettava il passo nelle sue scarpe consumate, non si curò delle vibranti siepi che si spostavano al loro passaggio, né della nebbia che solo lei sapeva di percepire con nitidezza, la quale ad ogni respiro offriva l’immagine di un altro luogo, probabilmente quello nascosto dietro la grande illusione in cui era immersa. L’unico pensiero che maturò, mentre il Mangiamorte le rivolgeva parole che non era davvero in grado di ascoltare, fu il ricordo amaro del forte senso di libertà che da molto tempo non aveva più provato e che l’aveva sempre mossa.
 
Hogwarts era stata una scoperta continua. Non si era mai fatta intimidire dalle regole imposte, tantomeno dagli ammonimenti frequenti che Vitious rivolgeva agli studenti della sua casa. Nessuno riusciva a sedare la curiosità di Martha, che sfruttò a pieno il suo ruolo di prefetto e poi di caposcuola, svicolando dai dormitori alle ore più improbabili solo per scoprire qualche ala nascosta della scuola, oppure per farsi un giretto nella sezione proibita della biblioteca, dove molte cose aveva appreso. Ma la sua sete di conoscenza ed il suo desiderio di libertà non si erano di certo arrestati agli anni scolastici: acquisiti ottimi risultati con i M.A.G.O., Martha Zeller aveva messo su un impavido ed ambizioso progetto e si era recata in Perù senza indugio, dove aveva concluso con clamoroso successo il corso per diventare spezzaincantesimi. Chiunque, conoscendola, non si sarebbe aspettato nulla di diverso. La strega era sempre stata brillante in incantesimi, merito indubbiamente di quella sua marcia in più, che le permetteva di vedere, percepire, sfiorare magie misteriose ai più. Martha, con questo speciale ‘sesto senso’ c’era nata e anche se molte delle persone che avevano avuto a che fare con lei non l’avevano mai compresa  –o comunque non ci avevano mai provato davvero- alla strega non importava: non era la gloria che andava cercando, tantomeno il rispetto di maghi e streghe che, a sua volta, non riteneva di rispettare. Martha aveva solo l’esigenza di andare a fondo alle cose, affidandosi spesso al filo dei suoi pensieri che si ammassavano nella testa e che lei, con piacevole sforzo, tentava di ordinare. Suo padre Christopher aveva tentato di sedare lo spirito avventuriero di lei fin dall’infanzia, asserendo che avrebbe dovuto tentare una carriera seria, piuttosto che girare di qua e di là senza uno scopo specifico; lui la vedeva così e Martha si ribellò con tenacia a questo pensiero, considerato da lei retrogrado ed affatto avanguardista. Con il tempo imparò a capire che quella del padre non fosse che autentica preoccupazione per una figlia che, di fondo, stimava ed adorava più di ogni altro essere umano.
Il Perù era stata una prova meno dura di quanto si sarebbe aspettata e Martha, con la perenne testa fra le nuvole, tornò rinvigorita in Inghilterra, appagata solo in parte dal sapere conquistato nel caldo paese dell’America del sud. Voleva di più, imparare di più, di modo da poter dare di più, perché sotto a quello spirito inquieto e mai fermo, si nascondeva un animo nobile ed altruista.
Non lo avevano capito i suoi compagni ad Hogwarts, che la definivano ‘quella strana’, perché mai e poi mai Martha si risparmiava domande incalzanti ai professori, anche quelle che per gli altri potevano essere considerate stupide od apparentemente prive di senso. Ma Filius Vitious l’aveva capito, di aver coltivato una studentessa si, anomala, ma in un’accezione tutta positiva: perché Martha era brillante, una scintilla ingegnosa e speciale, dotata di carattere, caparbietà e capacità invidiabili. Per questo al suo ritorno dal Perù, aveva mostrato premura di incontrarla. Nulla di strano, visto che i due non avevano mai perso i contatti, dato che Vitious si era sempre mostrato un ottimo insegnante di vita, in grado di coltivare le sue doti.
 
“Devi cogliere questa ennesima possibilità: una specializzazione come indicibile al Ministero potrebbe esserti molto utile, mia cara.”
 
Martha posò la tazza sul comodino al fianco della brandina e spostò l’attenzione da quella, a Filius, che la guardava sorridente.
 
“Non ho la minima intenzione di chiudermi in un ufficio, non fa per me, lo sai.” Rispose con garbo.
 
“Non sarebbe così; vedila come un’ulteriore sfida: sei una giovane donna brillante, Martha Zeller…sono sicuro che il Ministero acquisirebbe una valida collaboratrice, con te. Sei già un’eccellente spezzaincantesimi e la tua dote non deve essere sprecata. Promettimi che ci penserai, sai che potrei anche mettere una buona parola per te, anche se sono convinto che non ce ne sia alcun bisogno!”
 
Martha sorrise mentre tirava una ciocca di capelli chiari dietro l’orecchio. Quell’uomo aveva così tanta fiducia in lei da farla quasi commuovere, anche se non si poteva dire fosse una persona sentimentale. Un lieve bussare alla porta della stanza fece voltare entrambi.
 
“Professore…mi spiace ma l’orario di visite è finito.”
 
Chiuso nel suo camicie, Philip sorrise placido in direzione dell’ex insegnante di incantesimi, per poi lanciare un fugace sguardo imbarazzato a Martha, così abbassò il tono della voce:
 
“Vi ho concesso venti minuti in più…”
 
Filius si alzò dalla seduta al fianco della ragazza: “Non sono mai stato ammonito in vita mia, nemmeno quando non ero che un giovane studente: non ho alcuna intenzione di guadagnarmi il mio primo cartellino giallo!” dichiarò, accennando una risata “Allora, promettimi che ci penserai.”
 
Martha annuì e accompagnò con lo sguardo il mago, che uscì dalla stanza. Philip, appoggiato allo stipite della porta, la guardava con un mezzo sorriso: “Non dovresti nemmeno ricevere visite, Zeller.”
 
“Concedimelo, Butler: sono settimane che non vedo che la tua faccia!”
 
I due liberarono una risata in sincrono, che piano scemò fino a lasciare, sui loro volti, dei sorrisetti complici.
 
-Martha?-
 
Una voce femminile la riportò alla realtà. La strega arrestò il passo e fece fluttuare lo sguardo fino a soffermarsi sulla figura di una bella ragazza con i capelli scuri e la pelle olivastra, dai tratti latini. Batté un paio di volte le ciglia, prima di riconoscere Odette McCall, una collega di Philip, che aveva incontrato qualche volta al San Mungo, quando si recava a fare visita a quello che sarebbe diventato suo marito.
 
*
 
-Ottocento, novecento, millecinquecento scatole d’argento…fine settecento ti…regalerò.- (3)
 
Cora teneva le mani chiuse a pugno sul lavandino del suo bagno mentre osservava il suo volto, stranamente acqua e sapone, riflesso nello specchio. I Mangiamorte erano intervenuti giusto in tempo, proprio quando i compagni di reclusione avevano cominciato a spingere affinché lei motivasse i suoi rapporti con il dottor Steiner. Si era sentiva sollevata e così non aveva opposto alcuna resistenza, facendosi condurre nella propria cella in cui era rimasta chiusa, in solitaria, per due giorni. Era giunto il momento che qualcuno le desse delle spiegazioni, perché il tempo stava scorrendo con una rapidità inaudita e Cora cominciava a sentire il peso di quella reclusione assolutamente insensata. Una voce profonda, ma estremamente melodiosa, la distrasse da quel tanto pensare e d’istinto voltò il viso verso la porta, che aprì di scatto ritrovando con suo grande stupore, nella propria cella, William Lewis con le mani abbandonate in tasca, i capelli spettinati e l’aria assente, mentre canticchiava quella canzone.
 
-Che diavolo…mi è preso un colpo! Che ci fai tu, qui?-
 
Il mago, come si fosse reso conto in quel momento della presenza di Cora, interruppe la canzone e inclinò il capo nella sua direzione.
 
-Spiacente di importunarla, signorina Dagenhart…ma pare che oggi sarà costretta ad ospitarmi.- ciò detto William alzò le spalle e tornò a guardarsi intorno con aria annoiata. Cora arrossì appena: sapeva di essere in una cella, ma in qualche modo aveva l’impressione di dover fare gli onori di casa perché nessuno, fino a quel momento, aveva mai messo piede in quello spazio a lei dedicato, se non quei Mangiamorte che ronzavano intorno al dottor Steiner. Cora non era abituata a non dare peso alla forma; era stata educata così e l’apparenza, per la famiglia Dagenhart, era tutto. Così Cora si sentì improvvisamente sotto pressione, anche se quell’uomo l’aveva vista in condizioni peggiori di così. Come se avesse ascoltato i suoi pensieri, William si avvicinò allo scrittoio della cella e si abbandonò sulla sedia, mantenendo la sua aria sorniona.
 
-Questa cella è molto meglio della mia…- valutò fra sé mentre si guardava intorno, infine rivolse lo sguardo chiaro a Cora, rimasta in piedi intenta a spostare il peso da un piede all’altro, mentre torturava un gomito con la mano, in evidente imbarazzo. Will inarcò un sopracciglio: -Quindi non hai idea del perché mi abbiano fatto arrivare qui, immagino.-
 
La strega scosse il capo e sedette sul letto accavallando le gambe, nel tentativo di ritrovare compostezza ed una parvenza di eleganza: -A te non hanno detto nulla?-
 
Dalla bocca di Will sfuggì una risata profonda, che Cora trovò piacevole e seducente: -Non so se l’hai notato, ma non abbiamo a che fare con delle personalità particolarmente…loquaci. Non che la cosa mi dispiaccia in fondo; vorrei solo uscire di qui e lasciarmi questa storia alle spalle, come tutti noi, suppongo.-
 
Cora soffiò un sospiro stanco. Gli occhi chiari calarono sul pavimento, correndo lungo la fuga fra il mattonato di marmo.
 
-Senti io…io non ho avuto l’occasione di…di…ringraziarti quando sono, ecco…svenuta. Sei stato molto gentile.- Concluse lei, sconvolta dall’imbarazzo di cui si stava caricando. William sembrò reagire a quelle parole con interesse, perché se fino a quel momento non faceva che gingillarsi e cercare qualcosa in quella cella che generasse in lui un qualche tipo di coinvolgimento, davanti a quel ringraziamento claudicante si irrigidì appena.
 
-Beh, non è che tu sia proprio…svenuta; direi piuttosto di avere assistito ad una profezia, cosa che non mi era mai successa prima. Insomma è stata un’esperienza interessante e, per quel che vale, potrei essere io a ringraziare te.-
 
Il tentativo di smorzare la tensione funzionò, perché Cora tornò ad alzare lo sguardo fino ad incrociare quello di William, tornato ad assumere la solita aria sorniona.
 
-Io non ricordo nulla…non so cosa sia successo e non so cosa ho detto.-
 
-Peccato, visto che sono stato un pessimo traduttore a quanto pare. Dovrei limitarmi a scrivere canzoni, invece guarda un po’,- Will allargò le braccia, divertito –Sono diventato l’assistente di un oracolo.-
 
A Cora scappò una risata. Quell’uomo aveva l’assurda capacità di metterla a proprio agio e la strega, a quel tipo di sensazione lì, non era affatto abituata.
 
-Ma tu chi sei, William Luwis?-
 
A quella domanda, Will tornò a sorridere appena, di un sorriso malinconico.
 
-Un cantastorie, miss Dagenhart, solo questo.-
 
-Un cantastorie con una vita complicata alle spalle, non è vero? Ho sentito parlare di te…nei salotti dell’alta borghesia dei maghi. Sarei curiosa di sapere quale delle voci su di te sono vere.-
 
-Chiedi e ti sarà dato. Sei o non sei una veggente?-
 
*

 
Alon stava tentando di trattenere la rabbia, ma trovò decisamente complicato gestire le proprie emozioni, in quel momento. Davanti a lui una donna che aveva conosciuto da poco, respirava affannosa e veniva trattenuta fisicamente da Yann Reinhardt, anche lui una nuova conoscenza del Giardino. La strega dai capelli rossi era arrivata in quell’ala del giardino con passo nervoso e nulla di lei gli aveva trasmesso serenità. Si erano presentati con velocità, mentre quella studiava la situazione con sguardo spiritato, come se da un momento all’altro si aspettasse di essere attaccata. Ad Alon ricordò un grande felino, in assetto difensivo davanti all'aggressione di un bracconiere; nel mentre Yann, un mago dall’espressione burbera, cercava di instaurare un dialogo a fatica. Alon aveva quindi scoperto che quell’uomo aveva conosciuto Mazelyn e Jules e che, per quest’ultima, aveva fabbricato delle nuove scarpe. Nell’apprendere l’informazione Alon si rasserenò, perché aveva quantomeno scoperto che Jules stesse bene.
Il problema vero si presentò quando, con passo aggraziato, spuntò dal nulla Roxanne Borgin, con quel suo maledetto orologio in mano la quale, nell’imminente, rivolse un sorriso presuntuoso ad Elyon: era evidente che le due streghe si conoscessero già da tempo. La reclusa della Torre era subito scattata, pronta ad attaccare la Mangiamorte e gridando, nei suoi confronti, una serie di coloriti epiteti a tratti irripetibili.
 
-A cuccia, Yaxley…non vedi che non siamo sole? Sei sempre la solita…- Roxanne allacciò le braccia e s’avvicino ad Elyon, ancora trattenuta da Yann –Non capisci proprio quando è il momento di fermarti, non è così? Non mi capacito di come Ad sia tanto attratto da una come te.- Il sorriso con cui concluse quell’affermazione risultò veleno, per Elyon, che con una forte strattonata rischiò di ribaltare Yann, che a quel punto gridò:
 
-Smettila! Provocarla non serve a niente!-
 
Roxanne spostò rapidamente lo sguardo su Yann e d’improvviso il sorriso scomparve: -Non ti impicciare, razza di zingaro sangue marcio. Vuoi beccarti una punizione?-
 
A quel punto toccò ad Alon intervenire in quanto Yann, davanti quell’insulto, spinse con forza Elyon lontano da Roxanne ed a lei si avvicinò minaccioso.
 
-Credi di farci paura? Davvero? Stai provocando la persona sbagliata: non ho proprio nulla da perdere d’altronde!-
 
Yann aveva colto Roxanne alla sprovvista: con un rapido gesto le afferrò il vestito e probabilmente le avrebbe dato fuoco, se Alon non si fosse avventato per tirarlo via. A quel punto Roxanne, orripilata, si tirò indietro e sfoderò la bacchetta con la quale schiantò Yann, incarcerò Elyon pronta a saltare addosso ed infine puntò il legno verso Alon. Quest’ultimo alzò le mani in alto:
 
-Non farlo, per piacere,- tentò, conciliante –abbiamo solo perso la calma…si comporteranno be…-
 
-Taci, ibrido. Vi siete guadagnati molto più di una punizione: crucio!- Gelida, lapidaria, grave. Roxanne non esitò a scagliare la maledizione su Alon che gridò di dolore crollando a terra.
 
-Ma cosa…no…no!-
 
Jules credette di vivere un incubo. Aveva sentito, mentre seguiva il percorso tortuoso, un vociare agitato; eppure mai avrebbe pensato di assistere a quella scena raccapricciante. Gli occhi saettarono dalla strega che si dimenava lottando contro corde invisibili, ad Yann, tramortito a terra. Infine indugiarono inorriditi su Alon, che si contorceva a terra e che tentava di trattenere le urla.
La strega percepì il cuore accelerare nei battiti e la pressione salire, mentre l’orrore sul suo viso virava all’ira. Un’ira devastante, che mai aveva raggiunto simili livelli.
 
-Lascialo subito…lascialo!-
 
Roxanne non si curò della piccola strega che urlava nella loro direzione, se non fosse che, d’improvviso, il cielo limpido s’oscurò ed un vento gelido sferzò il suo abito scuro. Non si era resa conto subito, la Mangiamorte, che Jules stava scatenando una tempesta in piena regola.
I capelli della piccola strega fluttuavano intorno a lei mentre gli occhi castani, immobili, fissavano Roxanne, che abbassò la bacchetta nel momento in cui un ciclone formatosi alle sue spalle si stava avvicinando a lei.
Quella ragazzina innocente stava scatenando la forza della tempesta.
Roxanne aveva perso il controllo; il corpo si era pietrificato e l’unica cosa che riuscì a fare, fu fissare l’uragano che s’avvicinava a lei con la volontà di inghiottirla. Fu a quel punto che Alon tentò di rialzarsi da terra, seppure sentisse il corpo a pezzi; con estrema fatica si voltò verso Jules, dallo sguardo annebbiato, avvolta da una tempesta che non sembrava incidere su di lei.
 
-Jules! Basta, ti prego! Io sto bene…guardami!-
 
Nella sua testa non c’era che nebbia e tutto, intorno a lei, si era fatto vago e tetro. Ma quella voce lì riuscì a creare un piccolo squarcio di pura luce e per un momento, Jules, tornò alla realtà.
 
Ma no, quella non era la realtà. Quello non era il Giardino.
 
Come sospesa in un limbo, Jules fluttuava in uno scenario atipico, dai colori troppo brillanti per essere reali.
Eppure ricordò di essere già stata lì: lo sciabordio del mare, il profumo della salsedine, la calda luce di un sole che s’apprestava ad abbandonarsi, docile, nelle acque cristalline.
E davanti a lei finalmente lo riconobbe: Alon era cambiato, sembrava più maturo, ma finalmente lo aveva riconosciuto, a differenza del loro primo incontro, a cui mai era riuscita a dare una spiegazione. Se ne stava lì, con i lunghi capelli sciolti che con quella luce avevano assunto sfumature dorate, le braccia che si apprestavano ad allungarsi verso di lei, il più bel sorriso del mondo.
 
-Alon!- gridò, Jules. Ma il ragazzo non rispose. Stava per correre verso di lui, quando qualcosa attraversò il suo corpo.
Non la vide in viso, quella ragazza. Vide solo la schiena di una figura minuta, ed i suoi capelli mediamente corti che lasciavano scoperto un collo pallido.
Vide Alon sciogliersi di commozione, mentre la ragazza gettava le braccia intorno al suo collo e affondava il viso, che non fu mai in grado di vedere, nell’incavo fra il collo e la spalla di lui.
Alon la strinse più forte che mai e così fece la strega minuta, alla quale il mago sussurrò:
 
“Finalmente sei tornata.”
 
-Torna qui…Jules: torna qui!-
 
Una corrente impetuosa l’aveva strappata via da lì, gettandola in un buio inizialmente sordo che, pian piano, assunse la voce di Alon. Quando aprì gli occhi si ritrovò distesa a terra, mentre i lunghi capelli biondi del mago le solleticavano la faccia e le sue mani scuotevano il suo corpicino. Appena riuscì a mettere a fuoco, notò gli occhi chiari del mago, velati di lacrime. Allungò una mano e gli carezzò la guancia.
 
-S…scusami, forse ho…fatto un casino.-
 
Alon a quel punto si sforzò di sorridere. Intorno a lui la tempesta era scomparsa, ma l’unica cosa che ritenne davvero importante fu che quella ragazzina si fosse ripresa e stesse bene.
Il resto, in qualche modo, si sarebbe aggiustato.
 
*

    
 
“Ma se ci sposassimo adesso?”
 
Erano passati solo tre mesi, dall’ufficializzazione del loro fidanzamento. Martha aveva fatto penare non poco Philip, che aveva atteso i suoi tempi dilatati senza scomporsi; lei, del resto, temeva di legarsi a qualcuno, in quanto mai e poi mai avrebbe voluto perdere la cosa a cui teneva di più al mondo: la sua libertà. Eppure il medimago l’aveva capita, fin dal primo momento. Ogni meccanismo anomalo era ben chiaro ai suoi occhi, per questo mai aveva forzato la mano con Martha, limitandosi a starle vicino con la delicatezza che gli era propria, facendo in modo che lei tenesse presente solo una cosa: Philip la amava nella sua interezza. La garanzia di questo amore incondizionato, che accoglieva di buon grado i suoi pregi come le sue singolari ‘stranezze’, avevano fatto in modo che la strega accettasse il dato fatto che si presentava a lei; semplicemente, anche Martha amava Philip. Per questo quando la molla dell’accettazione scattò, conseguenza naturale fu spiazzarlo con una richiesta simile, precipitata di punto in bianco davanti ad una tazza di buon tè. Philip, che non aveva nemmeno fatto in tempo a togliersi la divisa, rimase di stucco davanti alla serenità di Martha, la quale aveva posto quell’interrogativo con la leggerezza che si usa quando si parla del tempo. Boccheggiò, il giovane mago.
 
“Mi prendi in giro? Perché se è così sbrigati a chiamare qualche mio collega, dato che credo mi stia prendendo un colpo al cuore.”
 
Martha inarcò un sopracciglio, non dando peso all’enfasi di lui: “Ti sembra che stia scherzando?”
 
Dopo aver ingoiato grandi quantità di saliva per il tanto ansare, Philip corse nel suo studio, lasciando Martha al tavolo della cucina, per tornare qualche attimo dopo, senza camice e con una scatolina, che Martha osservò perplessa.
 
“E quella?”
 
“Io avevo già comprato…oh, insomma: aprila!”
 
Un sorriso morbido addolcì il viso affilato di Martha, mentre gli occhi si incastrarono su un modesto anellino; un brillante dal riverbero azzurro era incastonato su una fascetta d’oro bianco.
Il loro matrimonio rappresentò alla perfezione il loro rapporto; in quattro e quattr’otto finirono in un paesino Irlandese e lì si sposarono, senza nemmeno un invitato. Furono presenti solo un paio di testimoni, persone sconosciute recuperate nel porto vicino. Eppure, Phil e Martha, erano più felici che mai.
Quella notte i loro corpi collimarono come si fossero esplorati per la prima volta; Philip guardava il corpo acerbo di sua moglie, mentre giocava con una ciocca dei suoi capelli chiari. Era abituato al suo sguardo perso in chissà quale angolo dell’universo, per questo si stupì della vividezza dei suoi occhi, che s’agganciarono a lui. Sorrise, appagato dell’amore che sentiva di provare per quella creatura.
 
“Non sei spaventato da me, Phil?”
 
Il mago sorrise, prima di tirare Martha a sé e stringerla con forza, come se da un momento all’altro potesse volare via.
 
“Me l’hai insegnato tu…se c’è una cosa che è immorale, è la banalità (4), signora Butler.”
 
Martha non stava ascoltando. Odette l’aveva scossa, chiedendole cosa ci facesse lì, se avesse informazioni riguardo a quello che stava succedendo, chi altro avesse incontrato. La strega s’arrestò quando si rese conto che l’altra aveva perso il filo del discorso svariati minuti prima. Non volendo, Odette entrò nei suoi pensieri, scontrandosi con un momento davvero molto intimo della vita di Martha Zeller. In tutto questo, Adrian Reed continuava a fumare in disparte, mentre teneva d’occhio con svogliatezza la situazione Alistair: il babbano era stato portato lì e cercava di tenersi lontano da Mazelyn Zabini la quale, divertita, gli lanciava battute sul suo bel collo candido. Odette spostò l’attenzione su quei due, ma prima che potesse intervenire, Martha scattò in direzione di Mazelyn.
 
-Ora basta. Non vedi che è terrorizzato?-
 
In realtà Alistair, che volente o nolente stava cominciando ad abituarsi alla sua nuova condizione e alle continue, sconvolgenti novità, stava semplicemente tentando di evitare che quel vampiro tanto avvenente lo stordisse con il suo infinito potere. Babbano si, scemo no, questo era quanto continuava a ripetersi Alistair. Mazelyn inarcò un sopracciglio e risentita, si girò in favore di Martha:
 
-Stai calma, stavo solo cercando di passare il tempo…non ti stai annoiando, tu?-
 
-Annoiando?- Martha non perdeva mai la pazienza, ma quella strega-vampiro stava mettendo a dura prova la sua tranquillità –Come puoi solo parlare di noia, in un momento come questo? Piuttosto cerchiamo di darci da fare; ci deve essere un motivo se hanno deciso di raggrupparci in questo modo.-
 
Odette si avvicinò ad Alistair con cautela; il ragazzo teneva lo sguardo sui piedi:
 
-Tutto bene tu? Sembri…un po’ scosso. Le tue orecchie sono un tantino troppo rosse, forse dovrei visitarti…-
 
-Non t-toccarmi!- gridò Alistair che si tirò subito indietro, -Scusa…s-sto solo tentando di m-mantenere la calma.-
 
Odette sorrise comprensiva, quindi si limitò a concedere all’alto ragazzo una pacca sulla spalla, prima di tornare a guardare Martha e Maze:
 
-Martha ha ragione, dubito che sia tutto casuale.-
 
-Io c-credo ci sia uno s-schema dietro.-
 
Il balbettio di Alistair allertò tutte e tre le streghe, che si voltarono in contemporanea a fissarlo, cosa che fece aumentare il rossore delle orecchie di Al a livelli esponenziali.
 
-Ecco…- riprese lui, stropicciandosi le mani –Ci…ci ho p-pensato per due g-giorni. Bene o m-male voi s-siete tutti maghi, m-mentre io…io s-sono un comune essere u-um-umano, non fosse per q-quella cosa che so f-f-are…-
 
Alistair deglutì. Maze assottigliò gli occhi ed incrociò le braccia, mentre Martha ed Odette si mostrarono più rassicuranti, anche se lo sguardo della prima aveva assunto una sfumatura di follia, segno che il suo cervello si fosse messo in azione.
 
-Alistair…credo che il motivo si trovi nei particolari poteri di ognuno di noi.- disse comprensiva Odette, ma Alistair con estremo coraggio alzò una mano, che zittì all’istante il medimago:
 
-Va b-bene…sicuro i n-nostri poteri ci l-legano in qu-qualche modo…ma…-
 
Martha si intromise con fare concitato –Che vorresti dire? Parla, presto!-
 
Alistair gettò una rapida occhiata ad Adrian che a tutto stava pensando, tranne che a tenere d’occhio quei quattro.
 
-E s-se ci fosse a-altro? S-se ci ac-ac…ma porca miseria- Alistair inveì contro il proprio incespicare nelle parole, prima di tirare un sospiro e ricominciare a parlare –Se ci accumunasse  qualcos’altro? C-ci sarà qual-l-cosa di strano…- Alistair dedicò una rapidissima occhiata a Maze, prima di tornare su una più rassicurante Martha –Ok v-voi siete tutti un p-po’ strani però…-
 
-Senti chi parla, il babbano che resuscita i morti!-
 
-Mazelyn!-
 
-Ho capito…scusate!-
 
-I-insomma…dico solo di pensarci su…-
 
Martha trovò quel discorso illuminante. Effettivamente fino a quel momento non avevano mai pensato di concentrarsi davvero su cosa li accumunasse, dando per scontato che fossero i  poteri, l’anello di congiunzione dello sfortunato gruppo di reclusi.
Purtroppo con l’arrivo del patronus di Roxanne, furono costretti ad interrompere l’interessante brain storming.
 
-Ma porca Morgana…uno scontro?! Io le stacco la testa…questa è la volta buona…forza voi! Muovetevi!-
 
Il Mangiamorte costrinse i quattro a tornare nelle loro celle. Pare che Roxanne avesse urgentemente bisogno di lui per gestire una questione particolarmente tempestosa.
 
*
 
Il corridoio del reparto era immerso nel solito via vai concitato. Medici, infermieri e pazienti ingombravano lo spazio ed il vociare era diventato quasi assordante, alle orecchie di Philip.
 
-Dottore, abbiamo bisogno di lei nella stanza cinque, c’è un bambino che sta vomitando lumache da un quarto d’ora…pare sia tornato ieri da un viaggio all’estero con i genitori e da allora, non ha più smesso di…rigurgitare invertebrati.-
 
-Arrivo Murphy…arrivo.-
 
Philip aveva sempre amato il proprio lavoro, ritenendo di aver realizzato la sua più grande passione, nella vita. Di una cosa però era ormai certo: da quando sua moglie era scomparsa nel nulla, nulla aveva più la stessa importanza. Inizialmente Philip non si preoccupò più di tanto per la sua assenza, convinto che Martha fosse partita all’improvviso per una missione affidatale dal Ministero, anche se mai e poi mai la strega mancava di inviargli anche solo un gufo. In realtà quel drammatico giorno aveva sperato che lei facesse una delle sue improvvisate, consapevole che Philip avesse il doppio turno ed effettivamente c’era rimasto male, non vedendola arrivare. Ma la tristezza mutò presto in preoccupazione quando, di ritorno a casa, capì che di Martha non c’era traccia: era come se tutto fosse stato lasciato all’improvviso, come se fosse uscita per tornare presto.
Non mancavano vestiti, né valigie, né calzature. Gli indumenti che solitamente utilizzava per le missioni erano puliti e ripiegati nella solita anta del loro armadio.
Era evidente, quindi, che Martha fosse scomparsa.
Philip, le rispettive famiglie, gli amici: tutti si erano adoperati per cercare la strega scomparsa. Con raccapriccio, Phil aveva inoltre scoperto che anche uno dei suoi migliori amici era scomparso nel nulla. Victor si era dissolto di punto in bianco mentre si trovava alla Redazione de “La Gazzetta del Profeta” e, come Martha, non aveva lasciato traccia di sé.
Per giorni e giorni il medimago non tornò al San Mungo. La prima settimana era stata dedicata alle ricerche, poi il dolore e la depressione erano giunti a bussare alla porta. A quel punto Philip aveva trovato difficile persino alzarsi dal letto, senza che fitte dolorose gli torturassero lo stomaco.
Il pensiero di Martha lo stava massacrando e si stava lasciando andare senza capacità di reazione.
La decisione di riprendere a lavorare, arrivò a seguito di un incontro con i genitori di Victor, che conosceva da quando non era che un bambino. La loro determinazione lo stimolò, fino a fargli rendere conto che nulla era perduto e che quelle sparizioni non potevano essere un caso: avrebbero ritrovato Martha e Victor, dovevano solo credere nel loro obiettivo.
 
Philip visitò quel ragazzino, diagnosticando una forma acuta di lumacosi equatoriale. Mentre compilava la ricetta con la terapia, il mago pensò che doveva esserci qualcosa di davvero sospetto in quella situazione.
La gente continuava a sparire…come nel caso della sua collega Odette McCall o del capo reparto “lesioni da incantesimo” Robert Steiner.
E chissà quanti altri erano scomparsi, senza che Philip ne sapesse nulla.
Strinse la penna nella mano con forza: non si sarebbe dato per vinto, doveva tenere duro, doveva farlo per la sua Martha.
 
*
 
-Come è potuto accadere?-
 
-Robert, io…-
 
Il dottor Steiner batté le mani sulla sua scrivania con forza.
 
-È solo una ragazzina, Roxanne…ha quattordici anni…mi vuoi dire che ti sei fatta fregare da una ragazzina?-
 
-Una ragazzina anomala e molto potente, Robert!- Roxanne aveva perso tutta la sua compostezza. In quel momento tremava così tanto di paura e rabbia che Robert stentò a riconoscerla; l’uomo tentò di calmarsi.
 
-Per fortuna è intervenuto Adrian, sono stato uno sciocco a pensare di poterti lasciare da sola…e solo perché non hai saputo resistere a provocare Elyon!-
 
La Mangiamorte serrò la mascella –Non è stato merito di Adrian…la ragazzina si è placata da sola.- Robert inarcò un sopracciglio –Vuoi spiegarti meglio o devo strapparti le parole di bocca?-
 
Roxanne si rilassò; sapeva di possedere un’informazione sensazionale e che in realtà, il caos generato aveva portato con sé ottime notizie:
 
-C’è stato…Robert: l’orologio è impazzito, lo smottamento è avvenuto.-
 
Le pupille s’allargarono nelle iridi chiare e l’espressione tesa si rilassò. Roxanne sorrise compiaciuta: aveva conquistato l’attenzione del dottore.
 
-Mia cara…penso tu mi debba delle spiegazioni; se è come dici tu, questo è il risultato migliore mai ottenuto fino ad ora. Abbiamo una speranza!-
 
La strega annuì. Era vero: avevano ottenuto un risultato mai sperato, grazie a quella piccola strega che si era immolata ad arma, per difendere nient’altro che un inutile ibrido.
 


(1) Kleine Wolke, in tedesco nuvoletta.
(2) 
Ottilia è una dei protagonisti di “Le Affinità Elettive” di Goethe.
(3) 
Will sta canticchiando “Ottocento”, di Fabrizio de André.
(4) Citazione di “Bianca”, degli Afterhours.
 
 
Non ho saputo resistere a quella bellissima gif su "Jules", anche se è enorme!
E non ho saputo resistere nemmeno alle foto da "presunti sposi" della coppia meravigliosa, che io amo con tutta me stessa (parlo, ovviamente, di Martha e Phil).

Che dire? La vostra partecipazione, le vostre teorie, la voglia di condividere con me le idee beh…mi rende felicissima. Non voglio aggiungere nulla a questo capitolo. Mi limito a chiedervi di votare l’oc che vorreste come protagonista del prossimo capitolo; ovviamente dei vostri, dato che dei miei è rimasto solo Adrian.
Buon weekend a tutte :)
 
Bri

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Capitolo 8
*** Il Fabbro e il Falco ***


CAPITOLO V
Il Fabbro e il Falco
 
Anthony e Jill erano due bambini curiosi. Mamma e papà si erano più volte raccomandati di non attardarsi per strada rientrando da scuola, ma Tony, che era il fratello più grande, aveva convinto la più piccola, ma non per questo meno spavalda, a fare un saltino a quella villa che vedevano sempre, quando attraversavano la stradina dismessa che congiungeva la fermata dello scuolabus a casa loro. Così avevano deciso che, per una volta, avrebbero potuto fare un’eccezione ed avevano già preparato una valida scusa: l’autista aveva avuto un malore; avevano dovuto portargli acqua e zucchero per farlo riprendere e ci aveva messo un po’, prima di poter tornare alla guida. Quella lì era stata la scusa perfetta dell’ancora più perfetta perfida bambina di dieci anni, all’interno della quale, era ovvio, si nascondeva la figlia del demonio in persona, tanto era maliziosa. Così zaino in spalla, mentre il cielo carico di pioggia incombeva su di loro, i due fratelli s’avviarono, passetto passetto, verso l’entrata della sontuosa magione che sembrava a tutti gli effetti disabitata.
 
-Non possiamo spaccare il vetro,- disse Tony, mascherando il timore con una voce sfrontata, sebbene ancora molto acerba –attireremmo troppo l’attenzione.
 
-Andiamo di là: seguiamo la rete e appena troviamo un punto basso la scavalchiamo!-
 
Jill anticipò il fratello, facendo saltellare il caschetto biondo tagliato di fresco. Anthony grattò una fastidiosa pustola sulla guancia destra, prima di decidere che sarebbe stato meglio seguirla. Come spesso accadeva, anche in quel caso la ragazzina aveva avuto ragione: accanto ad un cespuglio che andava via via spogliandosi, con l’aumentare del freddo autunnale, la rete a protezione del perimetro s’era piegata, probabilmente merito di qualche altro spavaldo ragazzo intervenuto prima di loro. Dopo essersi scambiati un’occhiata complice, con un balzo i due fratelli furono dentro, frementi d’agitazione per ciò che avrebbero trovato. Ma la delusione arrivò amara alla bocca, quando si resero conto che all’interno di quella recinsione, non c’erano che metri e metri di terreno arido ed incolto, lasciato in totale stato d’abbandono. Non volevano crederci, Jill e Tony, ma l’evidenza dei fatti era quella: nulla di spettacolare avrebbe illuminato i loro occhietti curiosi, al massimo qualche attrezzo da giardiniere abbandonato accanto a quello che, un tempo, doveva essere stato un albero da frutto.
 
-Tutto qui? Sono mesi che ci giriamo intorno. Che palle!- sbuffò Tony, prima di afferrare il polso della sorella –Forza andiamo, incomincia a farsi tardi e qui non c’è un bel niente da fare.-
 
Ma Jill non voleva cedere:
 
-No! Facciamo un giro, ormai siamo dentro! Che c’è, te la starai mica facendo sotto? Cagasotto! Cagasotto!- cominciò a canzonarlo, lei.
 
-‘Fanculo, io me ne vado!- E con un inequivocabile gesto della mano, Anthony si avviò alla falla della rete.
 
-Tzk…codardo che non sei altro.- Borbottò Jill. Non poteva mica perdere l’occasione di visitare quel posto, intorno al quale circolavano tante storie, fra i suoi coetanei. Il giorno dopo, a scuola, avrebbe potuto smentirle una ad una riportando la sua esperienza e, specialmente, avrebbe potuto prendere in giro Tony davanti a tutti. Ma proprio quando s’era decisa ad avviarsi al perimetro della villa, Jill sentì un verso acuto: alzò gli occhietti sottili e acquosi verso l’alto. Gridare fu un istinto automatico, visto che un rapace volava verso di lei a tutta velocità, con il becco spiegato e gli unghioni sguainati.
Jill non perse tempo e corse via, più in fretta che poteva. Avrebbe giustificato al fratello la chiazza apparsa sui jeans, magari dicendogli che era caduta in una pozzanghera e quasi s’era rotta un braccio.
In fondo, Jill, era bravissima a raccontar bugie.
 
*

 
Quella fucina conteneva il tesoro più grande di tutto il Giardino, per Yann. Il recluso della cella del padre guardava, con sguardo sognante, ogni tipo di metallo che qualcuno gli aveva messo a disposizione, in modo che potesse fabbricare delle nuove scarpe per Jules. Eppure la tentazione di allontanarsi dal proprio scopo e dare vita al suo estro creativo era forte. Fu grazie agli occhioni attenti di quella streghetta volante, che Yann riuscì a rimanere ancorato al proprio obiettivo e dopo un’attenta analisi, decise di porre davanti a Jules tre materiali diversi; incrociò le braccia, Yann e sorrise alla strega, che aveva allacciato l’indice al labbro con aria assorta:
 
-Questo è ferro, al quale sei abituata. Il colore è freddo ed è molto…pesante. Ma di questo non devi preoccuparti, perché faremo in modo di renderlo particolarmente docile e confortevole.
 
Jules annuì, chiedendogli poi di andare avanti e così fece Yann:
 
-Questo invece è oro, come avrai intuito dal colore brillante; l’oro è speciale, certo…il materiale più bello al mondo, ma proprio per questo attira molti sguardi.-
 
La piccola strega rimase per qualche istante a fissare i lingotti, prima di spostare l’attenzione sul terzo metallo postole davanti.
 
-E quello?
 
-Quello è ottone, una lega di rame e zinco; devi sapere che di ottone sono fatti moltissimi strumenti a fiato, come le trombe, i flicorni o…
 
-È perfetto! Ma non sarà troppo leggero?- Chiese lei, con aria preoccupata. Yann accennò un altro sorriso e scosse il capo –Devi sapere che con me sei in buone mani…questo è il mio mestiere.-
 
Yann spiegò la mano davanti allo sguardo assorto di lei e dal centro esatto del palmo, nacque una flebile fiammella vivida, che Jules osservò stupita ed emozionata. Il viso di lei, estremamente vicino, riverberò alla luce, facendo sorridere ancora una volta il mago che la osservava compiaciuto.
 
-Che dici, vogliamo metterci all’opera?-
 
Jules faticò a distaccarsi da quella piccola fiamma e dovette attendere che Yann chiudesse il palmo e la facesse dissolvere in rivoli di fumo, per tornare alla realtà.
 
-Va bene…come posso esserti utile?- cinguettò la streghetta che si avviò, incuriosita ed ammaliata, al seguito di Yann, il quale aveva preso ad armeggiate con pinze e calderoni. Di tutta risposta il magifabbro si grattò la nuca, per poi voltarsi verso di lei:
 
-Tu, Jules, sarai il mio mantice. Del resto chi, meglio di te, potrebbe adempiere a questo compito?-
 
Yann accennò un sorriso amaro, nel cogliere l’entusiasmo della strega, sinceramente felice di potersi rivelare utile allo scopo. Il mago pensò a quanto, una presenza come Jules, avrebbe giovato alla sua difficile infanzia, quando capì che avrebbe dovuto allontanarsi in fretta dalle persone che amava ma che, evidentemente, avevano anteposto le superstizioni e le paure ad esse collegate, a lui.
 
 
Baba Sceba continuava a chiamarlo Pleymn (1) e, così, tutta la comunità aveva preso ad identificarlo con quel nome. Yann inizialmente non ne era dispiaciuto, ma raggiunti i sette anni iniziò a capire che ci dovesse essere qualcosa sotto, perché gli altri bambini cominciavano ad allontanarlo, mentre gli adulti lo guardavano con sospetto. Yann cominciò ad essere spaventato da se stesso e da quello che sapeva fare con il fuoco, cosa che non aveva mai mostrato a nessuno, perché qualcosa in lui urlava di starsene buono e di non commettere passi falsi. Eppure Yann non faceva male a nessuno, tutt’altro: adempiva ai compiti che la comunità gli assegnava e, nonostante si fosse rivelato un bravissimo ladro di polli, ancor più Yann si mostrò abile nell’avere a che fare con la produzione di gioielli d’oro. Seguiva il fabbro della comunità come un’ombra e da lui coglieva ogni tipo di consiglio, dando di tanto in tanto una spintarella ai forni, ovviamente stando bene attento a non essere scoperto. Fu incredibile quanto, dal momento in cui i genitori avevano deciso di fare avvicinare Yann alle fucine, la manifattura dei gioielli migliorò di buon grado. Nonostante ciò, più il tempo passava, più Yann veniva allontanato dai suoi coetanei e quella donna –Baba Sceba-, che per la comunità faceva la cartomante, sussurrava sempre lunghe nenie, appena il piccolo s’avvicinava a lei.
Per questo Yann capì che aveva bisogno di conferme e rassicurazioni da qualcuno, perché la paura e la solitudine si stavano facendo strada in lui. Decise, quindi, di avvicinarsi a Zenia, la sua sorellina a cui voleva tanto bene e di mostrargli ciò che sapeva fare; era convinto, infatti, che così facendo almeno lei si sarebbe resa conto che non c’era nulla di male nella dote di Yann e lo avrebbe aiutato a reinserirsi al meglio nella comunità.
Purtroppo non fu così:
Al buio della notte, in un angolino lontano dalle carovane, Yann aveva spiegato il palmo davanti la sorellina; da esso scoppiettò una fiammella, bellissima e vivida, che fece sgranare gli occhi scuri di Zenia.
 
“Non ti sembra bella? A me piace tantissimo.” Bisbigliò con entusiasmo il piccolo Yann. Ma Zenia non sembrò della stessa opinione. Impaurita, la bambina allontanò lo sguardo dalla fiamma per collegarlo a quello del fratello maggiore.
 
“No, mi fa paura! Tu mi fai paura! Non farlo più, Pleymn!”
 
Nessuna fiamma avrebbe scaldato Yann in quel momento, che sentì il sangue gelare ed il cuore sussultare. Sua sorella non lo aveva mai chiamato così, non aveva mai assecondato gli altri, ma evidentemente aveva sbagliato. Yann osservò la sorellina scappare via, fino a ritirarsi nella loro roulotte, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Fu in quel momento che il piccolo Yann comprese, davvero, che probabilmente quello non era il posto per lui: se nemmeno sua sorella l’aveva compreso, nessun altro nella comunità avrebbe accettato la sua ‘anomalia’, la sua capacità, il suo dono. Quando i genitori seppero cosa era in grado di fare, la loro reazione fu quella di ‘invitarlo’ a lasciare la comunità. Inutile dire che il piccolo Yann, che aveva solo otto anni, stentò a crederci, non capacitandosi che persino i suoi genitori non riuscissero a mettere da parte la paura. Credeva lo avrebbero amato nonostante tutto; immaginava si sarebbero sforzati di approfondire l’origine di quella sua dote, per cui di certo Yann non aveva alcuna colpa perché, in fondo, lui così c’era nato.
Il piccolo rimase nei dintorni della sua comunità, tenendo sott’occhio la sua famiglia e sperando in un loro ripensamento; purtroppo si rese presto conto che nessuno lo avrebbe più voluto, troppo spaventati da quel fuoco che, per i sinti, altro non era che l’arma per distruggere ogni oggetto appartenuto ai defunti, in modo da non essere contaminati da essi.
Yann si sentì sporco, inadeguato e sbagliato per molto tempo. Solo la lettera di ammissione ad Hogwarts riaccese la speranza in lui.
 
*
Cora osservava, con cipiglio, il gruppo discutere. Di tanto in tanto lanciava occhiate a Roxanne Borgin, distante da loro e apparentemente distratta da un taccuino su cui, con aria fortemente annoiata, stava segnando degli appunti.
 
-Sei con noi, Daggy?-
 
Cora tornò a fissare Victor e, dopo un sospiro profondo, con cui cercò di raccogliere calma e pazienza, rispose:
 
-Puoi non chiamarmi così per piacere? È svilente.-
 
Cora non dette retta alla risposta sboccata di Victor, che si era guadagnato la sonora risata del grande e grosso Lucas. I suoi pensieri erano concentrati sulle poche informazioni che avevano ottenuto, ma decisamente importanti. Pensò a ciò che aveva detto loro Joshua Hollens a proposito del dottor Steiner, con cui aveva avuto a che fare assieme ad un babbano che, a quanto pareva, era rinchiuso anch’esso lì dentro. Cora non riuscì a non storcere il naso: non solo aveva scoperto che Robert Steiner, proprio lui, stava tirando le fila di quel gioco orribile: ci mancava solo che venisse trattata alla stregua di un babbano. Il pensiero la fece soffrire moltissimo, anche se tentò di mascherarlo. Non aveva alcuna intenzione di rivelare il suo rapporto con il dottore, non per il momento, almeno. Così si rivolse come nulla fosse a Joshua, spostando su di lui i begli occhi chiari:
 
-Quindi tu conosci bene il dottore?-
 
Joshua aveva perso momentaneamente lo sguardo su un capello che si era posato sulla spalla di Lucas, in piedi al suo fianco. Quel dettaglio lo stava facendo innervosire moltissimo così, senza indugiare ancora, allungò la mano ed afferrò con pollice ed indice il capello, per poi farlo cadere a terra con aria schifata. Lucas rimase interdetto e stava per aprire bocca, ma la risposta di Joshua, che nel frattempo aveva incrociato le braccia, lo zittì.
 
-Molto bene direi…purtroppo per me. Chi altri di voi ci ha mai avuto a che fare prima?-
 
Lucas colse l’occasione per parlare.
 
-Io lo conosco di fama. Mia madre è una babbana…va bene, ora è lunga da spiegare, ma diciamo che quel fiorellino di mia zia Martha ha tentato di fare fuori mezza famiglia, me compreso…- Lucas lanciò uno sguardo a Joshua che sembrò improvvisamente rapito dal suo racconto e così, con espressione orgogliosa, tornò a parlare –e mio padre, beh…ha nominato più volte questo Steiner, asserendo che potesse essere un valido aggancio di Martha; purtroppo, da ottimo auror quale sono, posso assicurarvi che la sua persona è tutelata neanche fosse in una botte di ferro: il Ministero non sa nulla su Robert Steiner se non che sia un luminare nel suo campo…o almeno questo è ciò che raccontano a noi.-
 
A quel punto fu Evangeline ad intervenire, muovendo un passo avanti e stringendo le braccia, proprio come aveva fatto Joshua.
 
-Anche io ho avuto a che fare con lui. Sono stata…ricoverata per un breve periodo al San Mungo. Inizialmente non ero una paziente del dottor Steiner, ma dopo qualche giorno è passato nella mia stanza e, da quel momento, pare abbia deciso di prendersi cura di me. L’ho trovato molto strano in effetti…un medico tanto richiesto, che aveva deciso di concentrarsi su di me solo per un…-
 
-Esaurimento nervoso.- Odette parlò senza rendersene conto. Aveva involontariamente letto la mente di Evie e completare la sua frase fu naturale. La più piccola si irrigidì e si voltò a guardare l’altra, che s’era messa una mano sulla bocca:
 
-Scusa.- sussurrò, ma Victor intervenne, rompendo lo strano momento d’imbarazzo che si era venuto a creare. Del resto nessuno si sarebbe scandalizzato lì dentro e anzi, era meglio avere più informazioni possibili sul loro passato, se avessero voluto mettere insieme i pezzi.
 
-Ragazzina! Ecco dove devo averti già vista!-
 
Evie si ritrovò la faccia di Victor, che si era piegato parecchio per raggiungerla, a pochi centimetri dalla sua. Gli occhi scuri la ispezionavano e per un momento, Evangeline si sentì colta da profondo imbarazzo, tanto che non riuscì nemmeno a scatenare il proprio potere.
 
-P-prego?!-
 
-Appena ti ho vista ho pensato di conoscerti ma sai…sono un famoso magigiornalista, io…conosco così tanta gente.-
 
Evie e Victor continuavano a fissarsi, la prima con gli occhi sgranati per tutta quella sfrontatezza, il secondo con sguardo curioso ed indagatore.
 
-Quindi anche tu sei stato spesso in ospedale? È così che hai conosciuto Steiner?- La voce di Joshua distrasse Victor che, come nulla fosse, dette le spalle ad Evie per rispondere al metamorfo:
 
-Già, o meglio è un contatto che mi è stato suggerito.-
 
-Quel bastardo…- sibilò Odette –Si è servito del San Mungo per catturare degli innocenti e rinchiuderli qui! Non ha il minimo rispetto per il codice deontologico!-
 
-Emh, gioia, credo che il codice deontologico sia l’ultimo dei pensieri di questo signore.- La fece ragionare Lucas.
 
-Tra l’altro, nel mio caso, il San Mungo non c’entra: come vi ho già accennato conosco Robert Steiner grazie al mio buon padre.- Intervenne Joshua.
 
Odette portò una mano a massaggiare il mento con aria assorta. Quindi il dottore aveva rapito sia persone direttamente od indirettamente conosciute, come nel caso di Lucas e Joshua,  che pazienti o impiegati del San Mungo. La medimaga virò l’attenzione su Cora, tenutasi un po’ in disparte, con le mani a carezzarsi le braccia.
 
-E tu? Come hai conosciuto il dottore?-
 
*

 
Giorno 32. Soggetti in esame:
 
Dagenhart Cora
Heathcote Lucas
Hollens Joshua
McCall Odette Cassandra
Montague Evangeline Annabel
Selwyn Victor Adam
 
I soggetti si relazionano tra di loro. Si evidenzia l’esigenza di non tergiversare e di sfruttare il tempo a disposizione.
 
Heathcote – McCall / amici di vecchia data. Interazioni amichevoli.
Hollens / soggetto schivo; tenta di mascherare evidente difficoltà nell’approccio con sconosciuti.
Dagenhart / interazioni ridotte. Scarsamente comunicativa.
Montague / soggetto a disagio. Interazione ambigua con Selwyn.
Selwyn / prepotente ed invasivo. Rinchiuderlo con chi?
 
Note importanti:
I soggetti riscontrano un collegamento con Robert Steiner. Fermi su questo punto.
Nessuno smottamento rilevato.
Lieve vibrazione durante comunicazione tra soggetti che nascondono interesse reciproco.
 
Roxanne chiuse il taccuino giusto il tempo per dare una rapida controllata all’orologio: bene, tutto era tornato nella norma. Le lancette dell’oggetto avevano preso lievemente a vibrare poco prima, ma sembrava che non fosse successo apparentemente nulla. La Mangiamorte tornò a controllare i propri appunti, ai quali aggiunse un paio di note con elegante ed ordinata grafia, prima di richiuderlo e tornare a controllare il suo orologio, che non l’abbandonava mai. Quell’orologio, che era stato uno dei regali del suo padrino e che, da allora, aveva sempre custodito con gelosia, rivelandosi incredibilmente utile.
 
 
“Vieni principessa, vieni dallo zio”
 
Eccessivamente composta, per una bimba della sua età, Roxanne si avvicinò a Caractacus Burke(2)  sistemando, con il nasino alzato, un grande giglio blu tra i capelli. Educata fra parole gentili e complimenti, la bambina era cresciuta in tutta fretta ed aveva imparato, a soli sette anni, che l’apparenza ed il carisma erano doti da tenere ben strette, se avesse voluto ottenere ciò che voleva dalla vita. 
Sorrise, spalancando gli occhi blu, mentre allungava una manina verso quella di Caractacus, che ricambiò la stretta con confidenza:
 
“Cosa vuoi vedere oggi?”
 
Il negozio nascondeva dei veri e propri tesori, per una piccola strega tanto curiosa e perspicace. Tutto, per Roxanne, era fonte di conoscenza, perfino i clienti ambigui che s’affacciavano a Borgin & Burke con il cappuccio tirato e l’aria di chi ha combinato qualche guaio difficile da riparare. A questo, Roxanne, c’era di certo abituata, visto che nei meandri polverosi del locale si poteva dire ci fosse nata. Riservata, ma con fare da divinità, ella saltellava fra libri ed amuleti, gioielli e manoscritti disgustosi e solo talvolta veniva ammonita, quando s’avvicinava troppo a certe cose che, suo padre o Caractacus, gli ordinavano di non sfiorare nemmeno con lo sguardo. Ma per il resto la giovanissima Borgin aveva accesso libero e s’era ben guardata dal giocarsi la fiducia che i suoi tutori avevano riposto in lei. 
Bastava rispettasse delle poche e semplici regole e Roxanne avrebbe ricevuto ciò che più desiderava, come quella spilla da cui un giglio che sembrava vivo, cambiava sfumature a suo piacimento; pare che fosse appartenuto a madame Mary Shafiq e che i suoi disperati eredi lo avessero ceduto in pegno per qualche debito di gioco. 
A Roxanne bastò sbattere un paio di volte in più del solito le lunghe ciglia scure, per ottenere che Burke glielo cedesse. Suo padre non si curava molto dei “regali” che il suo socio tendeva ad elargire alla sua unicogenita, forse per timore che quello decidesse di esercitare il suo potere sbattendolo fuori con poca eleganza. Martin aveva sempre temuto Caractacus e, nonostante tentasse di mostrarsi sempre al suo pari, sapeva molto bene che il socio fosse una spanna avanti a lui in tutto; persino la sua bambina preferiva il socio al suo stesso padre, come aveva sempre silenziosamente sospettato che Burke rientrasse nelle grazie di sua moglie. Così Roxanne Borgin entrava ed usciva a suo piacimento dal ‘ Borgin & Burke ’ e non avveniva mai che quell’ometto ridicolo che era suo padre, riuscisse ad impartirle ordini in presenza del suo socio, che mostrava una spiccata adorazione per quella bambina, sicuro per altro che sarebbe stata l’erede ideale a cui cedere il loro negozio.
Roxanne tirò la mano di Caractacus e lo trascinò fino ad una vetrinetta impolverata, indicando con insistenza un orologio da taschino che i suoi occhi vispi avevano puntato da molto tempo:
 
“Cos’è quello, zio?” chiese con vocetta melodiosa.
 
“Tu hai la perspicacia di una strega adulta, Roxie…” Il mago sorrise e puntò gli occhi blu, decisamente troppo simili a quelli di lei (dettaglio che Martin s’era sempre ben guardato di far notare), sull’oggetto indicato da Roxanne.
 
“Vedi, questo è un orologio molto, molto speciale: non segna solo l’ora, ma è in grado di…catalogare la qualità del tempo.”
 
Roxanne, per quanto arguta ed intelligente, non era in grado di capire quel discorso così complesso, limitata dai suoi sette anni d’età. Caractacus sfiorò il giglio appuntato fra i capelli:
 
“Bambina…il tempo non è quello che crediamo. Non funziona in maniera lineare e non scorre inevitabile: le linee temporali sono tante e queste, talvolta s’accavallano e possono anche fermarsi. Questo orologio lo capisce…e ti avvisa, se riesci a leggerlo.”
 
Le pupille, ingorde, si fecero spazio fra le iridi azzurre e prima che l’uomo potesse aggiungere altro, Roxanne strattonò con forza la sua mano:
 
“Lo voglio, voglio quell’orologio!”
 
Una risata calda sgorgò dalla bocca di lui, “Sei sempre troppo impaziente Roxanne…non hai ancora l’età per padroneggiare un simile dono…” Il broncio della piccola strega si fece subito spazio sul viso, così lui carezzò la sua guancia candida “…ma possiamo fare così: lo metterò da parte e quando sarai cresciuta un po’, allora questo orologio sarà tuo, va bene?”
 
Roxanne annuì entusiasta. Si trattava solo di aspettare qualche anno e poi sarebbe stato suo.
Dopo aver recuperato l’orologio dalla vetrinetta ed averlo riposto al sicuro, in modo che nessun cliente esprimesse la volontà di accaparrarselo, Caractacus si inginocchiò per raggiungere la sua altezza. La mano grande scivolò dai capelli neri al fianco decisamente acerbo della figlioccia, indugiando su di esso per molto tempo, prima di parlare ancora:
 
“Brava la mia Roxie…ora che ne dici di cambiarti? Lo zio ti ha regalato un nuovo vestito e non vede l’ora di vedertelo indosso.”
 
Caractacus appellò un pacco che fece fluttuare fra le mani della piccola strega, eccitata per quel nuovo dono.
 
“Ma conosci la regola: per averlo, devi indossarlo davanti a me.”
 
Roxanne annuì, affatto intimorita da quella voce profonda e lasciva, con la quale era cresciuta. Roxanne non lo sapeva mica, di essere la preda preferita del lupo che aveva contribuito a crescerla.
 
 
L’orologio cadde dalla sua mano; Roxanne fu obbligata a portare le dita a comprimere le tempie, perché un dolore acuto aveva costretto la testa. Ogni volta che i ricordi legati alla sua infanzia tornavano a palesarsi, quella forte emicrania impediva che quelli affluissero tutti. Ma la sensazione di sporco, quella rimaneva sempre, aggrappata al suo vestito e più sotto, sulla pelle di quel corpo perfetto. Quando si riebbe, la Mangiamorte si rese conto di avere su di sé gli occhi dei reclusi, che spiavano la sua insolita reazione da lontano. Non ci pensò due volte ad invocare il suo patronus per spedirlo ad Adrian: Roxanne aveva bisogno di un cambio di guardia il prima possibile; si sarebbe occupata di osservare il secondo gruppo dei reclusi, ma non poteva rimanere un minuto di più sotto lo sguardo curioso di quelli lì.
 
*
 
Alon tentava di tranquillizzare il babbano come meglio poteva. La sua infinita cortesia e la sua naturale propensione all’altruismo lo rendeva, in quel contesto, il soggetto più adatto per approcciarsi ad Alistair. Quest’ultimo aveva trasecolato appena aveva appreso chi fosse Mazelyn ed Alon, non appena aveva capito che quel ragazzo fosse un babbano, aveva perfettamente compreso la situazione. Era da sempre stato abituato a prendersi cura degli altri e non avrebbe mancato di farlo anche in quel momento; certo, Perla ed Alissa erano ben protette da Blue, in cui Alon riponeva piena fiducia, ma aveva comunque sempre fatto di tutto per far si che, le persone che lo circondavano, dovessero soffrire per il minor tempo possibile.  Accantonò quindi, momentaneamente, il pensiero dei sui cari, cercando di non far caso a quella stretta che sentiva intorno al cuore, all’idea di come stessero prendendo la sua latitanza forzata; così parò la sua alta figura davanti al mago, direzionando lo sguardo verso Maze:
 
-E cosa ci farebbe un vampiro qui? Per giunta esposto al sole come nulla fosse.- la incalzò, percependo il tremore di Alistair alle sue spalle. Mazelyn alzò le mani.
 
-Carino, vorrei saperlo anche io…non che un po’ di tintarella mi disturbi, sia chiaro.- il vampiro espose il suo sorriso più bello mentre il suo sarcasmo fluttuava fuori dalle labbra morbide, al punto di destabilizzare Alon che, inevitabilmente, ne subì il fascino. A quel punto fu Martha a fare un passo avanti, indugiando su Mazelyn con occhi ridotti a fessure:
 
-Non è possibile che tu sia qui, esposta alla luce del sole senza subire il minimo effetto…viaggiando tanto ho avuto modo di saperne di più su quelli come te, i figli di Caino appunto, come tu stessa ti sei definita…- Martha sospese le parole mentre, in contemporanea, Maze roteava annoiata gli occhi –…a meno che…-
 
-A meno che tutto questo non sia finto.-  La voce di William attirò l’attenzione di tutti su di lui. L’uomo, che pareva essersi ripreso e che teneva ora lo sguardo cristallino distante da Maze, aveva riacquistato la sua aria distaccata e decisamente apatica. Maze indugiò quindi su di lui, incuriosita da quel tipo fuori dal comune.
 
-Che intendi? Sai, mi faresti un gran favore a condividere con noi il tuo pensiero, dato che da quando sono stata trascinata qui non ho fatto altro che rischiare la morte per digiuno o per paura…anche se non credete sia ironico il fatto che non possa venirmi un colpo?-
 
Alistair, raccolta una buona dose di coraggio, sporse la testa bionda oltre il braccio di Alon; nonostante l’altezza che quasi raggiungeva quella del mago, Alistair era decisamente più magrolino e dinoccolato, tanto che s’era riuscito a nascondere bene dietro il biondo mezzo tritone. Dopo aver deglutito sonoramente, ricercò la figura di Mazelyn alla quale si rivolse, come al solito, incespicando fra le parole:
 
-D-digiuno? Vorresti…v-vo-vorresti dire che n-non hai…non hai…mangiato?-
 
-Secondo te sarei qui se non avessi mangiato? Immortale si, ma non fino a questo punto.- Maze rispose con disinvoltura, non preoccupandosi affatto di destabilizzare quel ragazzo che impallidì ancor più.
Fortunatamente William comprese che se la ragazza avesse continuato a parlare, avrebbero probabilmente perso quel babbano che, a differenza del vampiro, aveva poche probabilità di sopravvivere ad un infarto. Decise quindi di fare un passo avanti, svogliato, e solo dopo aver grattato la nuca spettinata, rispose alla domanda precedentemente posta da Maze:
 
-Mi sembra evidente che nulla di tutto questo sia vero. Pensateci bene: il sole rimane sempre alto nella stessa posizione, il clima è sempre lo stesso…e tu che dovresti bruciare come un ramo secco in un rogo te ne stai qui, tranquilla, a chiacchierare con noi. Dico solo che potrebbe essere tutta un’illusione.- Ciò detto, Will arretrò di un paio di passi e prese a canticchiare qualcosa come nulla fosse.
Fu la parola illusione ad attivare Martha che, fino a quel momento, non faceva altro che tentare di tenere sotto controllo la situazione. Lei, che con le illusioni aveva da sempre a che fare, effettivamente trovò che quel discorso filasse. A quel punto si affiancò a Will e prese la parola:
 
-Sono d’accordo, potrebbe essere senz’altro così. Certo, incantesimi molto, molto potenti dovrebbero essere messi in atto per creare un’illusione di questa portata…ma dietro a tutto questo dovranno esserci maghi di estrema potenza, immagino.-
 
Tutti annuirono tranne Will, che continuava a sembrare su un altro pianeta. Alon voltò il viso con cautela per rivolgersi ad Alistair:
 
-Ci hai detto di essere stato in un altro posto qui…perché non ci parli un po’ di te e di questo dottore?-
 
Alistair suo malgrado annuì. Era giunto il momento di mettere al corrente i suoi compagni di sventura su quanto accaduto nello studio di quel folle, compreso ciò che era successo con i cani e che ancora non era riuscito a spiegarsi.
 
*

 
Yann fissava estasiato la piccola strega che, senza sforzo, soffiava sul fuoco dando vita ad una corrente esuberante. Il metallo s’era sciolto con semplicità e a lui non restava che dargli la forma desiderata. Sentiva il cuore sussultare a più riprese, mentre con maestria innata, batteva e piegava l’ottone, arricchendolo con il suo gusto personale unito ai desideri di Jules la quale, di tanto in tanto, pigolava richieste sempre formulate con eccessiva educazione. Le scintille sull’incudine lo catalizzavano ed Yann si addentrò nei ricordi più vividi della sua vita passata, dal gusto amaro e doloroso.
 
 
“Avvicinatevi signori! Venite a vedere le strabilianti bollenti magie del piccolo grande Yann!”
 
Il capo della carovana circense a cui s’era unito, era abilissimo ad attirare l’attenzione. Yann lo sapeva, che se gli affari andavano tanto bene, il merito non era che il suo. Non aveva mai spiegato come facesse a padroneggiare il fuoco con quella facilità, ma inizialmente quel vecchio ubriacone di Harold Schmitt, si era limitato a trarre tutto il vantaggio che poteva senza indagare. Ciò nonostante, era giunto il momento che Yann aveva sempre temuto: gli altri membri del circo, che si erano sentiti messi da parte a seguito dell’arrivo di quel prodigioso ragazzino zingaro, avevano cominciato ad indagare. Nulla di buono era uscito fuori da quella situazione in quanto, Yann lo aveva sospettato, i suoi ‘compagni’ non provavano il minimo affetto per lui e anzi, non vedevano l’ora di farlo sbattere fuori per riprendersi il proprio posto senza che un orfanello qualunque oscurasse la loro arte. Fu così che avvenne il peggio, proprio quando Yann si stava esibendo:
Ingoiava carboni ardenti davanti agli occhi incantati del pubblico, che continuava a lanciare monete per farlo continuare; mentre allungava la mano per afferrare uno dei carboni, Yann s’arrestò di botto, perché qualcuno gli aveva tirato una secchiata addosso che, dall’odore, aveva tutta l’aria d’essere benzina.
Una risata sopita arrivò dal lato destro del piccolo palco su cui si trovava il ragazzino, poi urla terrificanti si schiusero dalle bocche dei presenti allo spettacolo: gli avevano dato fuoco, tramutandolo in una vera torcia umana. Ma Yann non si scottò. Nemmeno uno dei boccoli scuri si deteriorò.
Lo spettacolo si concluse con un gran successo, perché gli spettatori furono convinti che si trattasse di finzione, anche se non avevano ovviamente idea di come avessero fatto. Chiesero a gran voce il bis, ma Harold, terrorizzato e al contempo imbestialito per ciò che era successo, si limitò a raccogliere quante più sterline possibili e a concluse lì la serata.
Avevano cercato di ucciderlo. Quello era stato un tentato omicidio in piena regola, ma come avrebbe potuto dimostrarlo alle autorità? Cosa avrebbe potuto dire, quel ragazzino? Nessuno avrebbe mai creduto alla sua storia; nella migliore delle ipotesi sarebbe stato spedito in una casa famiglia, nella peggiore lo avrebbero rinchiuso in qualche centro di sanità mentale, gettando via la chiave.
Per la seconda volta in vita sua, Yann capì che doveva andarsene il più in fretta possibile, senza lasciare traccia di lui. Triste e sconsolato, durante la riunione straordinaria indetta dal capo, Yann raccolse i suoi pochi averi e scappò.
Seguendo la carovana circense, dal nord della Francia era ormai arrivato in Inghilterra; una terra a lui sconosciuta, in cui doveva imparare in fretta ad auto gestirsi e sopravvivere, senza nessuno che gli guardasse le spalle, né che gli preparasse un pasto caldo, o che lo consolasse all’occasione.
Yann era di nuovo solo, ma questa volta decise che fosse meglio così, visto che la vita gli aveva regalato solo amare delusioni. Il piccolo arrivò agli undici anni sopravvivendo grazie agli spettacoli che metteva in piedi da solo e che gli permettevano di mettersi in tasca giusto il minimo per non morire di fame. Troppo piccolo per riuscire a dare una spiegazione a chi si rivolgeva a lui, troppo innocente per essere lasciato solo, Yann si vedeva costretto a scappare da un paesino all’altro, cercando di non dare troppo nell’occhio e sfuggendo ai poliziotti che, puntuali, tentavano di acciuffare il ragazzino. Imparò a sue spese che la prudenza non era mai troppa e che era meglio starsene soli, perché nessuno avrebbe mai accettato un mostro come lui, che ormai era diventato estremamente diffidente nei confronti dell’essere umano. Almeno fin quando non ricevette la lettera per Hogwarts, che lasciò Yann con la bocca spalancata per lo stupore.
Preoccupato e sul chi va là, il piccolo decise di fidarsi e di recarsi, infine, sul binario indicato sul suo biglietto. Fu così che scoprì di non essere davvero un mostro, bensì un piccolo mago e che tanti altri suoi coetanei erano come lui.
Certo, la ferita di Yann era ormai troppo grande per essere totalmente ricucita, ma Hogwarts ed i suoi studenti lo salvarono da una vita che avrebbe volentieri scartato, in favore di quella serenità che, da sempre, aveva agognato.
Yann si rese così conto di essere si, particolare e raro, ma non perché fosse un mostro: il piccolo sinti era diverso in un’accezione tutta positiva e finalmente lo aveva capito.
 
Il magifabbro tratteneva il suo capolavoro fra le mani; tentò di contenere un sorriso soddisfatto, ma con scarsi risultati visto che la streghetta sembrava totalmente abbagliata dalle nuove scarpe che l’adulto le stava porgendo.
 
-Ti va di provarle?-
 
Jules non se lo fece ripetere due volte: con l’impeto tipico degli adolescenti, la strega sfilò le vecchie scarpe e quasi non rischiò di volare via, se la mano di Yann non fosse giunta a trattenerle il vestitino.
Quando il mago vide i piedi calzare le piccole e delicate scarpe con il tacco, percepì la commozione incastrarsi in gola.
 
-Sono perfette…- sussurrò Jules mentre le dita sfioravano la punta e s’incamminavano lungo il bordo sottile e stranamente malleabile della scarpa. Ogni intarsio era motivo di gioia; ogni decorazione portava con sé un ringraziamento gridato a gran voce.
Tranne qualche rara eccezione legata alle amicizie di Hogwarts, Yann Reinhardt era sempre stato solo. Per questo trovò assurdo, ma eccezionale, che rinchiuso in quel luogo contro la sua volontà avesse incontrato qualcuno che aveva bisogno di lui e che non temesse il suo rapporto con il fuoco ma, al contrario, che lo trovasse utile ed unico.
Con gli occhi scuri puntati su Jules, che mulinava gioiosa sulle sue nuove scarpe e rideva con autentica gioia, Yann sentì il cuore colmarsi di felicità.
Quella ragazzina infuse in lui la speranza, sentimento che aveva accantonato per tanto tempo.
Amare ancora non sarebbe stato impossibile, doveva solo crederci.
 
*
 
Adrian era decisamente provato. Non sapeva nemmeno dire da quanto tempo una tale sensazione di rabbia, mista ad impotenza e delusione s’erano più impossessate di lui. La sua parte più irrazionale avrebbe voluto distruggere ogni cosa, mandare al diavolo il progetto e scappare, lasciando dietro di sé quante più macerie possibili. D’altro canto tentava di mantenere la lucidità, convinto che per una buona volta, la via giusta da seguire dovesse essere la calma, termine a lui praticamente sconosciuto.
Non riusciva, comunque, a non pensare a quanto successo con il dottore ed Elyon, colei che stava mandando in frantumi ogni tipo di certezza a cui si era saldamente aggrappato. Cos’era stata quella di Steiner, una minaccia? Cosa c’entrava lui in tutta quella storia? Se era vero che non avrebbe voluto che le cose per quella dannata stronza fossero andate così, era anche ben consapevole che Elyon era irrazionale più di lui e che, in parte, lo aveva tradito. Lo aveva riempito di bugie o meglio, aveva omesso una parte della sua vita molto losca ed in più aveva tentato di tradire Robert, che si era così visto costretto a rinchiuderla come tutti gli altri.
Che stronza.
Quello era l’unico pensiero che non lo lasciava stare un secondo. Dopo averla sbattuta in cella, in procinto di esplodere per l’ira, si era catapultato a tenere sott’occhio un gruppo di reclusi, rimanendo fortunatamente per loro a debita distanza, perché nessuno avrebbe mai voluto avere a che fare con Adrian dopo quanto successo con Elyon. Aveva anche tentato di prendere appunti, espressamente richiesti da Robert, ma con scarsissimi risultati.
Stronza e pazza, ecco cos’era Elyon Yaxley.
C’era anche da dire che conosceva bene la strega e non riusciva a credere che fosse solo semplicemente uscita di testa in maniera definitiva. Cos’è che Robert gli aveva nascosto, riguardo il passato di Elyon? Il dottore aveva già in mente di rinchiuderla nel Giardino, come asseriva lei, oppure aveva preso quella decisione solo in seguito al tentativo di tradimento di Elyon, come dichiarava lui?
Stronza, pazza e anche dannatamente incastrata nei suoi pensieri. In quel turbinio di sentimenti discordanti, che passavano dalla terribile consapevolezza di sentirsi legato a quella donna in maniera del tutto fuori dal comune, ai dubbi che riguardavano la sua natura meschina e quella altrettanto grigia del suo padrino, Adrian venne riportato bruscamente alla realtà da un falco argentato, che richiedeva con la voce incrinata di Roxanne un rapido cambio di guardia.
Adrian ripose quel taccuino sgualcito che la sua collega gli aveva fornito e sul quale aveva solo appuntato frasi sconclusionate. Era difficile da ammettere, ma in quel momento l’unico suo pensiero andava a quella fottuta cella della Torre, dove una nuca di capelli rossi assecondava l’irrequieto movimento del corpo, che s’agitava come una fiera in gabbia.
 
*


 
 
“Sei pronta? I signori Black ci stanno aspettando, non mi pare il caso di farli attendere oltre.”
 
Roxanne si guardò allo specchio: i capelli acconciati alla perfezione, il trucco impeccabile, un sorriso fiducioso sul viso; questa sarebbe stata la volta buona, se lo sentiva. La sfortuna aveva fatto in modo che un paio di pretendenti di Roxanne Borgin, unica erede di Martin Borgin e Valentine Nott, si fossero dissolti nel nulla per un motivo o per l’altro. Così Roxanne aveva raggiunto la soglia dei diciannove con il timore di non andare bene per nessuno, anche se trovava incredibile che quelle mezze trote purosangue con cui era venuta a contatto non la volessero in moglie. Roxanne possedeva infatti ogni qualità che genitori di rampolli facoltosi avrebbero ricercato per i loro figli: era bene istruita, dotata di carattere, carisma e charme, nonché di invidiabile bellezza. In lei, sagace e sveglia, s’era instillato il dubbio che quei maghi si fossero dati alla macchia dopo l’incontro con il suo padrino, Caractacus Burke che mostrò risentimento e sprezzo per loro, ma Roxanne decise di accantonare quel pensiero senza farlo macerare. D’altronde davanti ad Orion e Walburga Black nessuno poteva dire o fare nulla, lei lo sapeva bene.
Scese le scale con eleganza innata e raggiunse i suoi ospiti, che l’attendevano nella sala riccamente decorata per l’occasione. Furono le chiacchiere di convenienza ad anticipare la vista, così come una risata sommessa, tirata ma estremamente composta, che Roxanne conosceva bene.
 
“Scusate l’attesa.” Disse lei, elargendo un sorriso posato mentre tentò di non catalizzare immediatamente l’attenzione sul giovane mago che, nel sentirla entrare, si era alzato per porgerle i doverosi saluti.
Regulus Acturus Black era il sogno che stava diventando realtà. Sebbene poco più giovane, il mago aveva dimostrato per lei un interesse che andava ben oltre gli obblighi familiari, già ai tempi di Hogwarts. Nessuno dei quattro adulti era a conoscenza che la loro relazione clandestina durava da un po’ e che, con il bel mago dall’aspetto tenebroso, Roxanne aveva esplorato a fondo ogni tipo d’amore. Nonostante sentisse lo sguardo del ragazzo incastonato su di lei, la giovane Borgin gli concesse attenzione solo dopo aver salutato con decoro i coniugi Black, inizialmente restii a quell’unione, ma convintisi dopo avere approfondito la conoscenza con la ragazza, che seppe ottenere il loro consenso senza sforzo.
 
“Ti trovo incantevole…” disse Regulus, prima di sfiorare la sua mano. Solo lui era stato in grado di farla cedere; Regulus Black aveva avuto la straordinaria capacità di abbattere la rigidità di Roxanne, facendo palpitare il suo cuore e fremere d’eccitazione il suo corpo. Persino quel semplice sfioramento di mani l’aveva destabilizzata, obbligandola ad irrigidirsi, altrimenti Salazar solo avrebbe saputo cosa avrebbe combinato.
Quella giornata sancì il loro legame, ufficializzando così un fidanzamento che avrebbe portato al matrimonio l’anno a seguire.
Più tardi, con la scusa di avere la necessità di parlare di alcune questioni importanti da soli, Roxanne e Regulus s’allontanarono, perdendosi nei meandri della sconfinata magione. Ci volle molto poco per liberarsi dei vestiti, per gettarsi nell’altro con audacia ed autentica passione.
 
“Finalmente ti sposerò.” Roxanne sussurrò le calde parole, mentre liberava i capelli di lui dall’erba con gesto amorevole.
 
“Sarebbero stati dei folli a non accettare. Te lo giuro Roxie, se avessero detto di no sarei scappato e t’avrei portata via con me; almeno avrei dato loro un motivo per smetterla di parlare sempre di mio fratello…”
 
La mano di Roxanne scivolò sul torso nudo, fino ad arrestarsi sul marchio nero impresso sul braccio di Regulus.
 
“E avresti abbandonato la tua fede…la nostra fede, solo per potermi sposare?” chiese dubbiosa. Il mago mosse le labbra in un sorriso tetro mentre le dita tirarono indietro la fluente chioma corvina della sua fidanzata:
 
“Sono sicuro che Lord Voldemort accoglierà presto anche te…con lui dalla nostra, i miei genitori non s’azzarderebbero a fiatare.”
 
“Solo una settimana ancora…ed il Signore Oscuro accoglierà anche me fra i suoi fedeli. Ogni mio sogno si sta realizzando” sussurrò lei sulla sua bocca, che in poco si schiuse in un bacio profondo.
 
“Ti amo Roxie…sarai presto mia moglie.”
 
“Ti amo anche io, Reg.” rispose lei, prima di tirarlo di nuovo su di sé.
 
 
Roxanne passò le dita sul lembo di stoffa che celava il Marchio Nero. Ogni volta che lo guardava, il ricordo di quel suo amore scomparso la dilaniava. Già, perché Regulus si dissolse nel nulla a pochi giorni dal loro matrimonio, non lasciando alcuna notizia di sé.
Gli occhi fecero presto a colmarsi di lacrime, che la strega si vide costretta a ricacciare indietro mentre, con coraggio, s’avviava allo studio di Robert Steiner per consegnargli il rapporto della giornata.
 
-Hai qualche buona notizia per me, mia cara?-
 
La strega s’avvicinò a Robert, ponendo una mano sulla sua spalla con confidenza:
 
-Ho riscontrato delle vibrazioni. Dai un’occhiata qui.-
 
La strega consegnò il taccuino al dottore che, con aria assorta, ne studiò i dettagli. Un lieve sorriso increspò il viso del mago, il quale alzò lo sguardo per incontrare quello della sua fedele Roxanne:
 
-Come sospettavo. Le reazioni emotive devono giocare un ruolo importante...molto bene.-
 
Roxanne annuì: -Quindi mi indicherai le prossime divisioni?-
 
-Certo, ma rimandiamo a domani: ti vedo particolarmente stanca e devo ammettere di esserlo anche io. Vai e riposa per bene.-
 
-Va bene. Allora a domani, Robert.-
 
Roxanne s’allontanò, per rifugiarsi nella sua stanza. Non aveva fame, del resto come poteva? Era stata una giornata dura ed i ricordi l’avevano martellata incessantemente.  Doveva riposare.
Il giorno dopo sarebbe andata meglio.
 
 


 
(1) La cara E Niente mi comunica che Pleymn, in lingua sinti, vuol dire “fiamma”.

(2) 
Conosciamo tutti il caro signor Burke, proprietario di “Borgin & Burke”, o Magie Sinister. So che nella saga originale il signor Burke dovrebbe avere, a questo punto, un bel po’ di anni, visto che con lui entra in contatto, al tempo, un giovane Tom Riddle. Mi sono voluta concedere questa licenza per costruire la Storia di Roxanne. Diciamo quindi che ad oggi nella mia storia, Caractacus Burke, ha circa 70 anni e non l’ottantina che dovrebbe. Passo e chiudo.
 
 
Ciao a tutti cari miei. Come avrete potuto intuire, i più votati per questo capitolo sono stati Yann e Roxanne, sebbene quest’ultima se la sia vista brutta con Jules che ha raccolto il suo stesso numero di voti. Spero che vi sia piaciuto. Al solito non vedo l’ora di sapere la vostra su quanto sta succedendo.
Vi chiedo di votare ancora una volta uno dei vostri oc (esclusi ovviamente Elyon ed Yann) e uno fra Adrian e Jules.
Colgo l’occasione per scusarmi per non avere ancora risposto alle recensioni. Sono stati giorni molto bui e complicati ed ho scritto più per necessità di distrazione che per vero tempo a disposizione. Infatti temo che il capitolo sia venuto molto caotico, ma avevo davvero bisogno di distrarmi un po’. Perdonate gli eventuali strafalcioni.
A presto.
 
Bri

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** L'Anarchico e il Blasfemo ***


CAPITOLO VII
L’Anarchico e il Blasfemo
 
 

Bonnie Reed era una strega dalla bellezza fragile ed il fascino di una veela. Cresciuta con un solo obiettivo nella mente, ella aveva fatto di tutto per portare avanti la sua causa: entrare nell’alta borghesia, di cui solo la genia delle Sacre Ventotto faceva parte. Ambizioso, per una mezzosangue dalle origini materne Travers. Sua madre si era felicemente fatta abbindolare da un nato babbano molto sfrontato che ci mise uno schiocco di dita a circuirla ed ingravidarla. Da quell’unione benedetta dalla passione, nacque Bonnie. Ma la giovane strega si attaccò tenacemente alle sue origini dal sangue puro ed arrivò ad odiare suo padre grazie al quale, certo, era nata, ma che l’aveva condannata ad una vita insozzata dal marchio mezzosangue. A Bonnie in realtà non fregava nulla dalla purezza di sangue in sé; non aveva mai dato retta alle chiacchiere di quello che si faceva chiamare Lord Voldemort: la strega erano gloria, ricchezza e notorietà, che desiderava fin dalla più tenera età. Fu questo il motivo per cui l’affascinante ragazza si aggrappò con tutta se stessa ad Igor Rosier, ai tempi di Hogwarts. Se da una parte il mago era di certo affascinato da Bonnie, dall’altro la pressione sociale non gli permetteva di sbandierare in giro quell’amore che sentiva di provare nei confronti dell’accattivante strega. Per questo Igor cedette presto ad un matrimonio di facciata con una strega dal sangue illibato, relegando Bonnie al ruolo di amante. Un’amante da cui, in giovanissima età, aveva avuto un figlio a cui Igor Rosier non avrebbe mai e poi mai dato il proprio cognome.
Adrian crebbe in un villino di lusso con la madre, che passava la maggior parte del proprio tempo a disperarsi per il suo ruolo scomodo, che neanche la nascita di quel figlio illegittimo aveva riscattato. Occuparsi di quel piccolo terremoto era per Bonnie una tortura, che con il passare degli anni vedeva sfiorire la propria bellezza, unico passaporto, secondo la strega, per avere qualche possibilità di entrare in quei salotti opulenti ed esclusivi. Inoltre da ragazza madre quale si era ritrovata ad essere, occhiate sempre più diffidenti erano indirizzate a lei.
Igor si recava quando poteva nella villa: il piccolo Adrian lo vedeva come un generoso amico della mamma, che si presentava con regali costosi per lui e per Bonnie; quest’ultima invece crollava appena vedeva il mago varcare la soglia. Se durante i giorni di sua assenza non faceva che imprecare contro quell’infame che la trattava come una bambola, appena Igor sfoderava il suo accattivante sorriso ogni rimostranza andava a farsi benedire e Bonnie tornava ad essere la mansueta gattina di Igor.
Adrian realizzò intorno ai dieci anni, che quel Rosier fosse suo padre. Qualcosa aveva intuito, ma la certezza la ebbe ascoltando di nascosto una conversazione fra i due; il giovane mago sentì il risentimento e la rabbia montare in lui, perché quell’uomo che faceva loro visita da quando ne avesse ricordo aveva ridotto sua madre uno straccio e lo aveva lasciato senza una figura paterna di riferimento. La bella Bonnie passava le serate a bere, trascurandolo molto; non che fosse mai stata munita di istinto materno, questo era chiaro, ma ultimamente la situazione sembrava essere molto vicina al collasso.
Fortunatamente le cose cambiarono quando Bonnie decise di ospitare un cugino straniero, giovane promettente medimago. Adrian aveva accolto quell’ospite con scontrosità, non accettando che quel tipo frequentasse casa sua come fosse la propria.
Ma Robert Steiner a soli vent’anni aveva già sviluppato ottime capacità persuasive, portando il piccolo Adrian a mostrare per lui venerazione e devozione. Non c’era passo che Robert muovesse senza che il bambino gli stesse alle calcagna e questo compiaceva l’ambizioso mago, che rivide in quel piccoletto dai capelli di rame una leva da crescere e modellare a suo piacimento, anche se il caratteraccio iracondo del bambino era già delineato. Adrian Reed era come una cane sciolto, impossibile da tenere al guinzaglio; d’altro canto era lo stesso bambino che bisognava di una figura paterna e l’affascinante Robert, questo, lo aveva bene intuito.
Ci volle poco ad incanalare la rabbia nei confronti di Igor Rosier in altro; Robert aveva vissuto fino a quel momento a Monaco, ma le idee di Lord Voldemort erano arrivate con chiarezza anche a lui, essendo sua madre una Travers. Robert fu immediatamente affascinato da quel potente ed oscuro mago e la decisione di avvicinarsi ai suoi adepti fu impellente. Quindi, perché non cogliere l’occasione di coltivare quel giovanissimo mago in favore dei propri ideali?
Sarebbe stato un lavoro lungo, certo. Ma Robert aveva molto tempo a disposizione.
 
Adrian guardava con cipiglio Jules Airgood che, con le braccia conserte, teneva lo sguardo di Robert Steiner senza battere ciglio. Come ne fosse in grado, per lui era un mistero; Adrian non era mai stato davvero capace di ribellarsi a quell’uomo, che faceva parte della sua vita da quasi trent’anni. Volente o nolente, Robert era il mago su cui aveva sempre fatto affidamento: il dottore lo aveva tirato fuori dai guai in più di un’occasione, lo aveva calmato nei picchi d’ira più difficili da gestire e, specialmente, aveva provato a capirlo davvero. Sicuramente quella ragazzina non aveva con il dottore lo stesso rapporto, eppure anche lei aveva a che fare con lui da ormai molti anni. Ma allora come diavolo faceva a mantenere il punto in quel modo?
 
-Non mi pento di niente, lo ripeto.-
 
-Piccola Jules…-
 
-E non mi chiami piccola.-
 
Per un momento il sorriso del dottore divenne una rigida crepa; si riprese con iniziale difficoltà, tornando ai suoi modi concilianti:
 
-Sono preoccupato per te, lo capisci? Lo hai visto da te, che non riesci a gestire i tuoi poteri; sei ancora troppo giovane Jules, hai bisogno di essere seguita…-
 
-E per farlo era necessario rinchiudermi qui, dico bene? Mi dica: cosa ne pensano i miei genitori, dottore? Non lo sanno, vero?-
 
-Tu e queste altre persone che sono qui, in questo giardino…avete bisogno di contenere le vostre capacità…- tentò Robert, ma la piccola tassorosso attaccò di nuovo –E per farlo serve torturarci? Perché Roxanne Borgin ha scagliato una maledizione senza perdono ad un mio amico!-
 
-Le ribellioni vanno sedate, Jules.-
 
-Ma Alon non si stava ribellando!-
 
-Ora basta!-
 
Robert Steiner strinse i pugni, non perdonandosi quel moto d’ira; Adrian serrò le labbra e detestò il provare compassione per quella ragazzina, che aveva sgranato gli occhi ed aveva steso la schiena di ossa fragili sulla parete della cella. D’altronde Robert aveva ragione e questo, Adrian, lo ripeteva nella testa come un mantra.
 
-Falla uscire fra due giorni, come da accordi.-
 
Il dottore dette le spalle ai due, aprì la cella sferzando la bacchetta con furia e si affrettò ad uscire, lasciando che Adrian Reed gestisse il tempo di Jules, come avevano stabilito.
 
*
 
Gli occhi scuri di Yann si dedicavano ai pugni stretti sulle ginocchia. Le sue mani, grandi e ruvide, erano serrate in quella posizione da molto tempo. Percepiva il sangue tentare di defluire, interrotto dalla rigidità dei muscoli; si era risvegliato nella propria cella e non aveva ricordo di cosa fosse successo nel Giardino dopo che la Mangiamorte lo aveva schiantato. Era passato un giorno, poi un altro, ma nessuno aveva più aperto la sua grata. Magicamente appariva il cibo in tempi prestabiliti e lui tentò anche di rifiutare un pasto, per poi accorgersi che il piatto con le vivande scomparisse dopo trenta minuti, senza essere intaccato. La seconda volta non fu così sciocco e si affrettò a consumare ciò che gli venne “offerto”. D’altronde fare lo sciopero della fame sarebbe stato inutile, ne era ben consapevole; era gente senza scrupoli quella con cui aveva a che fare ed Yann conosceva bene le persone senza scrupoli e dalla morale corrotta. Purtroppo il mago non riusciva a mandare giù quanto successo; sapeva che si sarebbero beccati una punizione per la reazione che avevano avuto, ma non si trovavano mica fra i banchi di scuola, loro: erano rinchiusi senza conoscere il reale motivo e venivano trattati come bestiame, non avrebbero potuto sottostare ancora a certe vessazioni.
Il conosciuto cigolio della cella indicò che era giunto il momento che Yann uscisse di lì; lo stupore lo investì quando, alzando gli occhi dai pugni ancora serrati, vide fare il proprio ingresso nella cella Roxanne Borgin, sorridente come nulla fosse successo. Fu in quel momento che Yann sciolse i pugni, alzandosi con uno scatto felino dal suo letto. Roxanne passò una mano sull’acconciatura con distrazione, prima di piegare le labbra in un sorriso morbido.
 
-Calmo…Yann, giusto? Sono venuta in pace.- cinguettò lei, con un tono eccessivamente melenso, che allarmò Yann. La Mangiamorte fece qualche passo nella sua direzione senza mostrare cautela: -Purtroppo abbiamo perso tutti le staffe, non trovi?-
 
Il mago incrociò le braccia, mettendo in mostra i muscoli che Roxanne adocchiò senza tentare di mascherarlo.
 
-Perché sei qui?-
 
-Per fare la pace, sciocchino, te l’ho già detto.-
 
-Non venire a raccontare cazzate a me, Borgin: so come funziona il mondo purtroppo e so bene che quelli come te non fanno mai nulla per nulla.-
 
Una piacevole risata scivolò dalle labbra dipinte di lei. Yann la osservò con circospezione, a lungo; ricordava quella donna ai tempi di Hogwarts, quando non era che un ragazzino ancora molto insicuro: la giovane strega veleggiava per i corridoi circondata da un’aura ricca di fascino, sempre in compagnia di qualcuno. Di lei si diceva di tutto: una serpeverde dal sangue puro, figlia di uno dei soci del più losco negozio di Magia Oscura di Knockturn Alley, spesso al fianco del minore degli eredi Black. Bellissima, perfida, inarrivabile. Ecco chi era Roxanne Borgin ad Hogwarts ed Yann, fiero Grifondoro, l’aveva sempre guardata con sospetto, seppur certe volte gli ormoni adolescenziali avessero la meglio su di lui, portandolo ad indugiare lo sguardo sulla strega un po’ più a lungo di quanto sarebbe convenuto. Ma erano cresciuti, arrivando a coprire lo scomodo ruolo di detenuto e carceriere. Per quanto bella fosse, non esercitava di certo lo stesso fascino di quindici anni prima.
 
-Penso che ti convenga accettare il mio patto di non belligeranza, Reinhardt; non sono venuta qui per ribadire i nostri ruoli, non credo ce ne sia bisogno, giusto?-
 
Roxanne giocherellava con la bacchetta, mentre i penetranti occhi chiari erano puntati nei suoi. Yann valutò fosse un buon momento per agire, anche se non sapeva esattamente come. Ma al solito non rimase troppo tempo a riflettere, preferendo l’azione alla pianificazione: con uno scatto s’allungo verso di lei, tentando di afferrare la bacchetta fra le sue mani. Roxanne sgranò gli occhi e tirò indietro la mano, ma ciò che accadde la mandò su tutte le furie: la mano perse la presa della bacchetta, che compì una traiettoria ad arco passando, con tragica ironia, fra le sbarre della cella.
 
-Ma che cazzo!- Si fece sfuggire Roxanne; piroettò verso la cella, e seguì con incredulità la sua bacchetta rotolare via sulla soffice erba del giardino.
 
-Oh no…no…no!- Gridò, aggrappandosi con le mani alle sbarre. Yann incrociò le braccia e sorrise soddisfatto. Non era esattamente ciò che aveva sperato, ma aveva comunque ottenuto un ottimo risultato. Quando la donna si voltò, furiosa, verso di lui, si scontrò col sorriso malandrino di Yann:
 
-Temo che per un po’ di tempo non ci saranno più ruoli in questa cella…giusto?-
 
-Idiota! Verranno a recuperarmi quando non mi vedranno tornare!-
 
-Certo, ma fino a quel momento sarò io ad avere la meglio.- Yann allargò il sorriso; Roxanne guardò inorridita il palmo dell’uomo aprirsi ed una fiamma di medie dimensioni liberarsi da esso. Non andava affatto bene.
 
*

 
A Cora Dagenhart era stata concessa una spazzola, con la quale con accortezza aveva preso a strecciare i lunghi capelli castani, con gli occhi socchiusi e la mente altrove. Con ogni colpo di spazzola tornava qualcosa che William Lewis le aveva confidato, senza mostrare particolare ritrosia. Cora era stata totalmente rapita dai racconti di quel mago, che aveva mostrato l’insolita capacità di metterla a proprio agio, tanto che aveva smesso di muoversi come un ciocco di legno, in sua presenza. Le setole morbide scivolavano lungo la chioma. Il respiro si regolarizzava sempre più. I ricordi di due giorni prima sempre più nitidi; ricordi di quell’uomo, seduto scomposto sulla sedia che in quel momento era lei ad occupare, mentre raccontava di sé come stesse cantando di una favola antica.
 
“Dottor Faustus era il mio nome, quando presi ad offrire una melodia al ‘vuoto’. Versi e spartiti, sono sempre stato questo e poco altro, mentre il mio spirito irrequieto spingeva la parte più apatica del mio essere in città dai colori e i profumi vividi e pieni: Istanbul, Mosca, Berlino, la regale Vienna. Ho sempre rifuggito i legami soffocanti, probabilmente perché non sono che un vigliacco…”
 
Lo sguardo vivido di Cora seguiva le labbra di William, come se quelle stessero confessando degli arcani segreti.
“Io, a pane e dolore, ci sono cresciuto. Divoro l’oblio degli altri da quando ne ho memoria. Da piccolo ingoiavo solo pezzetti quasi insignificanti; magari catturavo il male generato da un ginocchio sbucciato, o da una caduta dall’altalena. Neanche me ne accorgevo, sai…succedeva e basta; i miei coetanei stavano bene e a me veniva un forte mal di pancia, come avessi mangiato troppe caramelle. Col tempo mi resi conto che potevo mangiare di più, tanto di più. E ad ogni mio pasto liberavo qualcuno da qualcosa di grande; ripulivo loro per avvelenare me.” Will accennò una risata stanca “Sono uno ‘spazzino di anime’, Cora. Se non mi facesse tanta paura, probabilmente sarei morto; credo che la mia codardia sia semplice spirito di auto conservazione.”
 
“Quindi tu…trattieni il male degli altri? Quello che ricordo di aver visto dopo il tuo intervento su Victor Selwyn…”
 
William negò, scuotendo la chioma disordinata “Crescendo ho imparato un metodo per…rigettarlo, ma è molto complicato e c’è il rischio che qualcosa rimanga incastrato dentro di me. Ho dovuto imparare per forza a disfarmi di tutto questo male.”
 
“Non potevi semplicemente smettere di farlo? Di prenderti il dolore degli altri?”
 
Il mago accennò una risata: “Avrei voluto, e come se avrei voluto…purtroppo non ho avuto una famiglia molto altruista. Mangiamorte che hanno fatto di tutto per sfruttarmi per la loro causa. Fieri purosangue che hanno sempre anteposto i loro benefici alla mia stessa vita. Mio padre avrebbe fatto di tutto, pur di conquistarsi un posto d’onore al fianco di Tu-sai-chi.”
 
Cora rabbrividì senza volerlo. Le parole di William la colpirono con incredibile violenza, mettendola davanti ad una realtà che aveva sempre voluto non osservare; lei, del resto, non si sentiva poi così diversa da quelle brutte persone di cui andava parlando William. Tentò di mascherare i suoi sentimenti; così chiese con tono delicato:
 
“Posso sapere il nome di tuo padre? So per certo che il tuo cognome non è portato da famiglie di purosangue…”
 
William la fissò a lungo. Cora sentì quello sguardo, apparentemente apatico, bruciarle la pelle. Si rese conto di aver trattenuto a lungo il respiro solo quando William rispose alla sua domanda.
 
“Roman Dolohov, questo il nome di mio padre. Ho rifiutato il suo cognome quando sono scappato da lui. Sei troppo giovane per sapere chi sia, ma forse nei salotti che frequenti, avrai incontrato il mio ‘caro’ fratellastro maggiore: Antonín.”
 
Seppur abilmente celato, Cora aveva riconosciuto il risentimento intrecciato alle parole di William, che avevano fatto accelerare il battito del suo cuore. Dunque William era…
 
“Per fugare ogni tuo dubbio e per aiutarti a sciogliere la paresi del tuo bel viso: si, sono il bastardo dei Dolohov. Mia madre era un’abile pozionista, ma aveva un difetto molto grande: era innamorata di mio padre che, pensa un po’, era già sposato. Curiosa la vita, non trovi? Per anni quella povera donna ha cresciuto un figlio illegittimo con amore e dedizione, cercando di tenermi lontano dal mago per cui aveva perso la testa, ma reputava spaventosa la sua devozione per Tu-sai-chi. Peccato che proprio il Mago Oscuro le abbia portato via la vita, dando una grande sterzata al mio destino; a otto anni mi sono ritrovato a vivere con un uomo che non conoscevo affatto e con un fratello che non sapevo di avere.”
 
“William…”
 
“No, Cora, non è stato piacevole. Quel mostro di Roman Dolohov aveva capito che quel bambino possedesse qualcosa di raro, molto raro ed ha pensato di sfruttarlo al meglio: ha offerto i miei poteri alla causa del Signore Oscuro e poco gli importava che io uscissi dilaniato da ogni mio pasto…”
 
Cora non seppe spiegarsi il motivo, eppure sentì le lacrime bruciare gli occhi. Probabilmente qualcuno l’avrebbe chiamata empatia; poco le importava dare una spiegazione alla sua reazione; la strega sapeva solamente che avrebbe voluto prendersi un po’ di quel dolore, pur di alleviare William Lewis dalle sue pene, almeno un po’.
 
*
 
-Quindi mi stai dicendo che vi hanno rinchiusi nella stessa cella?-
 
Seduta a gambe incrociate sulla morbida erba, Martha fissava Victor con speculare postura, sito davanti a lei. Con Evangeline ed Alon avevano creato un piccolo cerchio.
 
-Esatto, per un’intera giornata. Ed io che volevo solo leggere, invece ho dovuto fare da balia a questa ragazzina qui.- concluse il magigiornalista indicando Evie con un pollice e scatenando in lei totale disappunto.
 
-Non avevamo raggiunto un accordo?!- Evie, indispettita, smollò una manata sulla spalla sporgente di Victor.
 
-Comunque…- Martha riportò il gruppetto sulla giusta conversazione, -Alistair, il ragazzo babbano per intenderci, ha dato la giusta scossa al mio intuito e mi ha fatta ragionare su una cosa molto sensata: alla luce di quanto mi avete detto e grazie al suggerimento di Alistair…ci deve essere un motivo che li sta portando a suddividerci in gruppi ben prestabiliti, qualcosa che non stiamo prendendo in considerazione.-
 
-Dobbiamo continuare a rifletterci su; cosa ci accomuna se non i nostri- Alon virgolettò la parola con le dita –poteri extra?-
 
-Che siamo tutti dei reietti?-
 
In sincrono, i quattro si voltarono a gettare un’occhiata a Maze, stesa al sole come nulla fosse, a godere della tintarella.
 
-Parla per te denti aguzzi, io sono un mago brillante e di successo.- Victor tirò indietro i capelli con una mano.
 
-E anche molto modesto.- Aggiunse Evie, facendo ridacchiare Martha ed Alon.
 
-Comunque non vi sembra che ci sia troppa calma? Dove sono finiti i cani da guardia secondo voi? Non che io abbia troppa voglia di averci a che fare dopo quello che è successo un paio di giorni fa…- Alon si incupì di botto, ma l’esclamazione di Victor lo fece riprendere subito.
 
-Eccola, la più splendente strega di tutto il Regno Unito!-
 
Con passo leggero, Jules si affrettò a raggiungere il gruppo che si mostrò felice di vederla, tranne Maze che non aveva ancora mai incontrato la Tassorosso. Il vampiro osservò Victor ed Alon litigarsi la presenza di quella piccola, incantevole strega, mentre Evangeline la osservava con stupore.
 
-Sarai mica Jules Airgood?!- chiese la giovane, mentre Jules si beava della stretta delle braccia di Alon.
 
-E tu la prefetto dei Serpeverde, giusto?-
 
Evangeline annuì, sfoderando un amaro sorriso: -Sarei stata Caposcuola…avevo ricevuto la spilla.-
 
-Sarebbe stato un grande disonore per noi ex studenti di Salazar il magnifico.-
 
Evie rimbrottò Victor: -Fammi capire, sei mai stato prefetto o caposcuola, tu?!-
 
-Ma figuriamoci, era troppo occupato a mandare avanti il giornalino scolastico infarcendolo di bufale.- Martha offrì un sorriso acido all’amico che, di tutta risposta, le mostrò il dito medio.
 
Mentre i tre bisticciavano e si punzecchiavano, Mazelyn tornò alla sua tintarella, trovandola un’attività più gratificante dell’ascoltare quelle baggianate. Invece Alon si lasciava intrecciare i capelli da Jules dopo essersi fatto raccontare da lei cosa fosse successo in presenza di Robert Steiner e, specialmente, accertandosi che stesse bene. Con un lieve rossore in viso, intanto che si dilettava a costruire una lunga trecciolina, Jules si rivolse al mago:
 
-Senti Alon…ma tu ce l’hai la ragazza?-
 
Alon ridacchiò: -E tu ce l’hai il fidanzatino? Ahi!-
 
La streghetta aveva appena strattonato l’incompleta treccina -Ehi! Guarda che sono seria…non prendermi in giro!-
 
-Va bene, scusami…- Alon tentò di non scoppiare a ridere –Comunque no, attualmente direi di no. Che c’è, sei gelosa? Ahi! Ok, questa me la sono meritata!-
 
Jules, ormai diventata di un intenso color pomodoro, assottigliò lo sguardo e riprese la costruzione della treccia. –Beh, allora ce l’avrai, se la cosa può interessarti.-
 
-Dici? Grazie per la fiducia.-
 
-Guarda che l’ho vista!-
 
Quell’affermazione  fece zittire di botto tutti che puntarono l’attenzione su Jules (persino quella di Mazelyn che si accostò al gruppo), la quale batté un paio di volte le palpebre prima di parlare: -Che c’è?-
 
-In che senso l’hai vista, Jules?- Chiese Alon, tastandosi distrattamente la testa su cui spuntavano treccine sparse ed un paio di margheritine.
 
-Beh…quando ho perso il controllo l’altro giorno…presente quando sono svenuta?-
 
Alon annuì, incitandola a continuare, così Jules lanciò uno sguardo agli altri, prima di arrossire di nuovo ed abbassare lo sguardo: -Non sono proprio svenuta, credo…mi era già successo un’altra volta sai…c’eri sempre tu! Solo che eri più…vecchio!-
 
Victor prese la parola: -Hai incontrato Alon ma era come fosse cresciuto…ci hai parlato?-
 
Jules si affrettò a scuotere il capo: -In entrambi i casi ci ho provato, ma era come non fossi lì, cioè c’ero, ma lui non mi ha vista né sentita…e poi è arrivata una ragazza e si sono abbracciati…- Ancora più imbarazzata, la ragazzina accostò la bocca all’orecchio di Alon e si coprì con una mano –Forse vi siete anche baciati…-
 
-Ti sarai sognata tutto, piccola…magari hai preso una botta in testa.- Mazelyn si intromise percependo nuovamente il tedio fare capolino; probabilmente era meglio tornare a godere di quei raggi solari che erano una sorta di benedizione per lei, piuttosto che star dietro alle chiacchiere di una ragazzina. Fu la voce di Evie a sovrastare la sua:
 
-Mi è successa una cosa simile, una volta…cioè non con Alon e la sua presunta fidanzata, però…-
 
Martha e Victor si lanciarono subito uno sguardo d’intesa, comprendendo al volo che anche loro avevano avuto una simile esperienza.
Forse stavano arrivando a scoprire qualcosa di davvero importante?
 
-Nessuno di voi ha fame? Io sto morendo di fame.-
 
L’affermazione di Mazelyn che, in piedi, si passava le mani sulla pancia e mostrava un sorriso smagliante, raggelò tutti quanti: forse il fatto che si trovassero senza custodia in presenza di un vampiro che si diceva “affamato”, non era una buona cosa.
Dove erano finiti i loro secondini?
 
*

 
Adrian procedeva con passo pesante, una sigaretta consumata in bocca e la bacchetta in mano, verso un sentiero a lui ben conosciuto. Man mano che si avvicinava alla sua cella percepiva la condizione d’ansia aumentare esponenzialmente. In realtà erano ormai molti anni che Elyon Yaxley gli faceva quell’effetto, anche se non aveva mai voluto accettarlo del tutto. Il fatto poi che la strega fosse rientrata nei piani di Robert e che si trovasse alla mercé del dottore, rinchiusa dentro una delle celle del Giardino, non migliorava la sua condizione d’angoscia. In realtà, Adrian, non avrebbe mai voluto tutto questo; aveva assecondato i piani di Robert Steiner per più di un motivo: trovava difatti che la sua causa fosse giusta. Decise di credere a ciò che continuavano a ripetergli, ovvero che la rinascita dell’Oscuro Signore fosse vicina, molto vicina e che era meglio ritrovarsi dalla parte giusta della barricata, quando sarebbe successo davvero. Inoltre il cugino di sua madre era stato l’unica persona vagamente simile ad un padre per lui e sentiva di dovergli i suoi servigi. In un mondo in cui sarebbe stato considerato poco più di un reietto, Robert aveva spianato la strada al suo posto e gli aveva permesso, inoltre, di non mettere mai del tutto la testa a posto, cosa che risaltava il suo spirito individualista e, perché no, anticonformista. Di fatto Adrian era sempre stato un blasfemo. Era chiaro il motivo per cui fosse finito in grifondoro, dato che aveva sempre ammesso con coraggio ciò che pensava: che la maggior parte di quei coglioni dei suoi coetanei, che si vantavano del sangue puro che scorreva nelle loro vene, avevano ben poco di cui elogiare le loro famiglie, che nell’intimità delle mura da cui erano circondate passavano il proprio tempo a scrostare via le macchie delle loro colpe. Insomma: il mondo di cui faceva parte Adrian Reed era il medesimo su cui sputava sopra, senza porsi alcun problema. Un posto in cui lui per primo si prendeva i suoi spazi e le proprie rivincite a suon di colpi di testa, letterali e non. Adrian si prendeva ciò che reputava giusto accaparrarsi, scansava ciò che non desiderava e camminava, perennemente, sul filo di un rasoio; in tutto questo Robert si mostrava comprensivo e continuava a ripetergli che in quella testa non proprio comune, si nascondevano grandi potenzialità e che se fosse stato furbo, avrebbe ottenuto un posto d’onore al seguito di Lord Voldemort.
In questo panorama atipico, fatto di alti e bassi, corse forsennate all’insegna del riscatto personale e duro lavoro per mettere a tacere gli invidiosi, una persona era sempre stata in qualche modo al suo fianco. Quella stessa persona che in quel momento si ritrovava al di là delle sbarre, con quei lunghi capelli rossi profumati di buono e quegli occhi, che si scontrarono con i suoi, più incerti, ma pronti ad accoglierli.
 
 
“Rob! Dove sei stato?! Mi sono rotto le palle tutto il giorno!”
 
“Linguaggio, Adrian! Sono stato dalla mia supervisora, come sempre. Sua figlia passerà il resto della giornata qui da noi. Trattala bene, mi raccomando.”
 
Un caschetto di capelli di fuoco si muoveva, con rapidità, nel giardino di casa sua. Adrian guardò quella ragazzina con cipiglio, perché non era affatto abituato ad avere a che fare con individui più piccoli di lui. Le gambette secche correvano da un lato all’altro, esaltandosi per ogni forma di vita che scorgeva fra l’erba alta. Come si fosse accorta in quel momento della sua presenza, Elyon si arrestò e puntò lo sguardo vispo su Adrian che, arrabbiato per quell’intrusione, aveva allacciato le braccia e aveva messo il broncio. Ma lei non s’arrese a quel muro ed a lui si avvicinò allegra, presentandosi e invitandolo a giocare con lei. Adrian non accettò, ma rimase a spiarla per tutto il pomeriggio, scoprendo con stupore che ogni cosa che della flora toccasse, si gonfiasse di vita.
 
 
-Che ci fai qui?-
 
Adrian aprì la cella con un fluido colpo del legno e dopo essersi lanciato un fugace sguardo intorno, entrò al suo interno. Elyon s’era ritratta, spingendosi lontana da lui e lo guardava con sospetto e rabbia. Era sempre così arrabbiata, Ellie.
 
-Dobbiamo parlare.-
 
 
Aveva deciso di accoglierla nel proprio vagone, visto che Elyon Yaxley sembrava già in difficoltà anche se quello non era che il suo primo giorno di scuola. Quell’idiota di Rosier l’aveva maltrattata, a quanto aveva capito. Ad Adrian non interessò affatto, il motivo per cui quella pulce gli avesse chiesto asilo; si limitò ad assecondarla e a farsi beffa di lei, che dal basso dei suoi undici anni, aveva tentato di darsi un tono distaccato, chiudendosi in un angolino con un libro tenuto al contrario.
 
“Guarda che possiamo chiacchierare se hai voglia, non mordo mica!”
 
La gaffe fece arrossire la bambina, ma le dette anche il pretesto per avvicinarsi a lui e spalancare la bocca ad un tripudio di parole, che accompagnarono tutto il loro viaggio, fin quando Adrian non s’addormento. Al suo risveglio si ritrovò solo, in compagnia di una bellissima dalia bianca, infilata di sbieco in una delle tasche del suo mantello sgualcito.
 
 
-Quanto è passato? Un mese? Di più? Non ti sembra un po’ tardi per farsi una chiacchierata, eh?!-
 
Tutto, di Elyon, lasciava intendere fosse furibonda, disperata, una donna a pezzi. Adrian poteva dire di conoscerla molto bene e per questo aveva velocemente richiuso la cella: se doveva succedere qualcosa di grosso, se la sarebbero vista loro due, in quella cella. Con un sospiro allungò il passo verso di lei, che lo fissava con incredulità; se era vero che in quella cella non avrebbe potuto richiamare i poteri della terra, era altrettanto vero che ad Elyon Yaxley non serviva affatto. Lo avrebbe spezzato in ogni modo, aveva le armi per farlo.
 
-Ellie…sediamoci.- tentò di mascherare il suo solito tono burbero per mostrarsi conciliante, ma ella lo provocò ancora:
 
-Perché dovrei darti retta, Adrian? Mi hai tradita…lo sai che riponevo fiducia in te e tu hai preso questa fiducia e l’hai calpestata senza alcun riguardo!-
 
Adrian non era uno che sapeva portare pazienza; se ci aveva provato, con lei, sentiva di aver fallito ancora una volta. Con rapidità afferrò il suo polso, gracilissimo sotto la sua mano pesante ,che lo stritolava incurante del male che potesse provocarle:
 
-Io ho tradito te? Ti devi essere fottuta totalmente il cervello, se hai il coraggio di dire una cosa così!-
 
Gli occhi di lei vibrarono impauriti, davanti allo sguardo glaciale di Adrian Reed, attraverso il quale poteva leggerne i ricordi con nitidezza.
 
Perché provasse quello spiccato spirito di protezione nei confronti della strega, Adrian non sapeva dirlo. Ma non riuscì a rimanere fermo a guardare, sapendo che Elyon vivesse con un simile mostro.
 
“Ellie, senti…perché non…perché non vieni via con me?” le dita tirarono indietro i capelli con gesto nervoso e imbarazzato, “Non ho molto spazio a casa, ma tanto per ora rimarrai ad Hogwarts e quando avrai finito, con i tuoi voti…non avrai difficoltà a trovare un buon lavoro.”
 
Ma a quell’appuntamento, Elyon non si presentò mai. Adrian si era esposto, aveva messo da parte il lato peggiore di sé, per offrire una mano a quella ragazzina che ancora frequentava la scuola, rischiando di tirarsi dietro le ire di molti, in primis di sua madre Camilla. Non era stato che uno sciocco, un idiota come tanti, fregato da una strega che si era presa gioco di lui, accettando il suo invito per poi lasciarlo, da imbecille quale era, ad aspettarla invano. Fu a quel punto che Adrian decise di riporre in un cassetto i suoi buoni sentimenti, quelli che lo avevano fatto titubare nell’accettare di prendere il marchio, che il Signore Oscuro gli aveva offerto e di cui doveva sentirsi onorato. E proprio mentre quello veniva posto sul suo braccio macchiato d’efelidi, i suoi pensieri assunsero un gusto amaro, perché nonostante tutto quella lunga chioma fulva e quei grandi e nervosi occhi chiari non volevano prendere le distanze dalla sua mente.
 
 
-Ne abbiamo già parlato…- sibilò Elyon, tirando via il polso, ancora trattenuto da Adrian –Non l’hai ancora capito che l’ho fatto per te? Non volevo coinvolgerti nella mia vita di merda…non dovevi essere tu a rimetterci! Ma guarda cosa ho guadagnato in cambio,- dalla bocca di Elyon sfuggì un accenno di risata isterica –una cella cupa, le torture di quella puttana e l’obbligo di scegliere fra la nostra sopravvivenza e quella di tutti quei poveracci rinchiusi come me! Dimmelo tu, se pensi che mi meriti tutto questo!-
 
Adrian sentiva il cuore battere nella gabbia toracica con velocità eccessiva; ancora una volta si ritrovò a non capire se fossero maggiori le colpe o le virtù di Elyon. D’altro canto lei aveva tentato di tradire sia lui che Robert e su questo non poteva soprassedere. Inoltre ci furono altri elementi, che lo portarono a stringere ancor più la presa intorno al polso e piegarsi per far si che i loro volti si sfiorassero.
 
-Che mi dici allora della tua immonda relazione con quella feccia?-
 
Lo stupore nello sguardo di Elyon lo portò a sorridere: -Credevi davvero non lo sapessi? Credevi che Robert non mi avrebbe detto che il tuo rapporto con quel mostro andava ben oltre il tuo contagio? Mi hai sempre detto di riporre fiducia in me, ma hai dimostrato il contrario.-
 
-Ad…-
 
-Ora ho capito perché mi hai umiliato con il tuo rifiuto…pensavo di non piacerti, o che semplicemente fossi pazza. Invece era per Fenrir Greyback, che allargavi le gambe! Che scemo che sono stato, vero? Dovevo capirlo che non potevo andare bene per una come te.-
 
 La furia montò nel gracile corpo di Elyon, esposto in sussulti nervosi mentre il volto veniva piegato da urla sfinite:
 
-Ero una ragazzina! Tu sai quello che ho passato…lo sai! Ma quando noi...quando ci siamo avvicinati, avevo chiuso da tempo con Fenrir!-
 
-Quindi non andavo bene nemmeno come scarto di Greyback, giusto?- Elyon afferrò la sua camicia con foga.
 
-Quel bastardo di Robert! È stato lui a inculcarti queste stronzate in testa, non è vero?! Non ti è venuto in mente che ti ho allontanato perché avevo paura di infettarti?!-
 
Bugie, solo altre bugie. Adrian non ne poteva più di sentire Elyon accampare scuse. Nonostante questo continuava ad essere attratto da lei, come fosse una falena in cerca di luce notturna. Quella luce che lo avrebbe condotto alla morte, ma di cui non riusciva a fare a meno.
E se quello era amore, Adrian Reed avrebbe voluto farne volentieri a meno.
Elyon era aggrappata con disperazione alla sua camicia e continuava ad urlare, mentre lui non riuscì a fare altro, se non afferrarle il volto con una mano e stringere le sue guance scavate, costringendola a fissarlo.
 
-Infettarmi? Sono anni, che sono infetto di te…mi logori Elyon. Continui a farlo…e io sono stanco.-
 
Con un movimento indelicato la spinse lontana da sé; voleva rimanere, ma voleva anche fuggire via da lei.
Quella dicotomia emozionale, Adrian non la sopportava più.
 
*
 
Odette osservava Joshua con curiosità. A quanto aveva capito, quel metamorfo ed il suo amico Lucas erano stati rinchiusi nella stessa cella per un’intera giornata, ma per quanto si sforzasse ancora non ne aveva capito il motivo. Inoltre riflettere le risultò abbastanza complicato in quel momento, visto che il grande e grosso auror non faceva che stuzzicarla, sballottarla di qua e di là, tentare di farle il solletico e via discorrendo. Odette era ben consapevole che il suo amico stesse approcciando a lei in questo modo solo per attirare l’attenzione di quel Joshua che, dal canto suo, manteneva un’espressione neutra, seppur tradisse di tanto in tanto un lieve sorriso.
 
-Luke basta…basta! Sia benedetta la prosperità di Tosca…che diavolo ti è preso oggi?!-
 
-Rilassati Dettie! Sto solo tentando di sfogare un po’ di tensione accumulata in questi giorni…e tu sei così piccola e graziosa: sei perfetta da strapazzare!-
 
Odette si limitò ad incrociare le braccia e sorridere dolcemente: -Non so se te lo ricordi, tesoro, ma sei un pessimo occlumante; sai quanto ci metterei a leggere i tuoi pensieri e sbandierarli al tuo amico lì? Beh te lo dico io: niente. Perciò vedi di darti una calmata e torniamo a tentare di fare qualcosa di utile.-
 
Alistair lanciava sguardi interdetti alla strana coppia di amici che confabulava poco distante, mentre Joshua continuava a ricoprirlo di domande su chi avesse incontrato, cosa avessero scoperto, quale secondo lui sarebbe stata la cosa giusta da fare nei prossimi giorni. Di tanto in tanto il metamorfo faceva fluttuare lo sguardo su Lucas, per poi tornare su Alistair come nulla fosse, ma Al si rese conto che Joshua dava l’idea di essere molto più rilassato, rispetto al loro ultimo incontro. Certo, era vero che l’ultima volta si erano visti in un occasione non proprio felice, con lui che resuscitava cani a caso, mentre altri perivano, però era abbastanza sicuro di aver intuito un avvicinamento tra quei due e, di conseguenza, un maggiore rilassamento da parte di Joshua.
 
Odette ed Alistair si guardarono e capirono che era giunto il momento di avvicinarsi e cominciare a parlare fra di loro, perché né da Joshua, tantomeno da Lucas, avrebbero ottenuto troppa attenzione. Se non che, Lucas, si spazientì dopo poco, dando mostra di uno dei suoi repentini cambi d’umore.
 
-Non è una buona cosa quella a cui stai pensando, Luke.-
 
-Dato che non ti risparmi di leggermi la mente, quantomeno dammi una mano!-
 
-Di c-che cosa s-s-state parlando?-
 
Odette passò le mani sui lunghi capelli scuri, tirandoli indietro: -Lucas vuole tentare di scavallare una siepe, visto che pare non ci sia nessuno a controllarci.-
 
-È la cosa più stupida a cui avresti potuto pensare. Robert Steiner avrà pensato a tutto, figuriamoci se ci permetterebbe di fare una cosa simile.- Joshua ci mise poco a mostrarsi di nuovo ritroso e velatamente acido.
 
-Ho capito, nessuno di voi è d’accordo…ma almeno io tento di fare qualcosa di produttivo, al contrario vostro.-
 
Mentre Lucas parlava con fare concitato, la terra dietro di lui cominciò a scuotersi e da quella, d’improvviso, sbucò una spessa liana di un cupo verde che, agitata, impattava sul terreno soffice. I tre guardarono Lucas sconvolti, dato che quello non dava l’idea di rendersi conto cosa stesse combinando.
 
*

 
In quel momento, mentre si avviava con il solito passo pesante ed annoiato verso il luogo a lui destinato, William sentiva una voglia impellente di fumare una sigaretta. Non gli capitava spesso, ma negli ultimi giorni aveva tirato fuori più di una questione che, annidata nel profondo del suo animo, dormiva profondamente. Quella reclusione forzata con l’erede Dagenhart aveva risvegliato ricordi belli e brutti e William si era ritrovato a spiattellarli alla giovane e bella Cora senza porsi domande. Ovviamente quello non aveva che contribuito a turbarlo molto, da qui l’impellente bisogno di nicotina che il suo corpo reclamava con impazienza. Non erano tanto le questioni legate alla sua infanzia a bruciargli, né a come quell’uomo che non riusciva davvero a definire come padre avesse sfruttato il suo potere: mentre lo sguardo acquoso si perdeva nel verde di quel giardino incantevole e al contempo terribile, William soffrì ancora, nel ricordare quelle persone che si erano prese cura di lui come facesse parte della famiglia.
 
 
Cuore e anima di William, non erano che ridotti ad un sminuzzato cumulo di brandelli. Ancora non riusciva a concretizzare il tragico accaduto, incapace di accettarlo davvero. Perché Fabian e Gideon Prewett, che lo avevano accolto come fosse un fratellino da accudire, erano stati uccisi da qualcuno a lui molto vicino. Se il loro omicidio avvenuto per mano di un noto mangiamorte potesse apparire casuale e scontato, per i membri dell’Ordine della Fenice, William sapeva di esserne almeno in parte colpevole.
Sua madre aveva sempre avuto un forte legame con la famiglia Prewett ed il suo ascendente su Fabian era ben noto a tutti, nonostante i dieci anni che passavano fra i due; questo il motivo per cui la donna, che temeva per la propria incolumità in quanto sapeva che Lord Voldemort avesse messo gli occhi sulle sue incredibili capacità di pozionista, aveva deciso di confidarsi con il mago e chiedergli di occuparsi di suo figlio, nel caso a lei fosse successo qualcosa di brutto. Fabian aveva tentato di convincere Evelyn a farsi proteggere dall’Ordine, ma la strega si era rifiutata, visti i suoi complicati rapporti con il padre di William. Di fatto si sarebbe limitata a declinare l’invito dei Mangiamorte di produrre per il Signore Oscuro le sue potenti pozioni, come il distillato di morte vivente, sperando di non andare incontro a fatali conseguenze. Purtroppo così non era stato, motivo per cui William era prima andato a vivere con Roman e, una volta compiuti i diciassette anni, scappò per trovare rifugio dai fratelli di Molly Weasley. Questi si erano occupati di lui, facendogli capire cosa volesse dire essere amato, di un amore sincero che nulla aveva a che fare con scopi altri; mai e poi mai Gideon e Fabian, né nessun altro membro dell’Ordine, avevano tentato di sfruttare il potere di William.
Ma Antonín Dolohov, il suo fratellastro, mai aveva mandato giù né che suo padre avesse accolto quel ragazzino in casa sua, né che William sebbene più piccolo di lui, dimostrasse di avere un potere magico decisamente più elevato di Antonín. Quest’ultimo si era nutrito di gelosia, che era riuscito a sedare solo quando aveva capito che il padre volesse sfruttare William e che non nutrisse per quest’ultimo reale affetto.
William era sicuro che Antonín non aspettasse altro e che avesse goduto, nel farsi affidare l’omicidio dei due fratelli Prewett; la sua bacchetta sarebbe stata l’arma con cui avrebbe colpito il fratello tanto odiato, ma in maniera più subdola, ovvero strappandogli le uniche persone che avevano mostrato attaccamento per lui.
 
Ai funerali per i due valorosi compagni dell’Ordine, William si sentiva di troppo. Sapeva che il suo senso di colpa non avesse radici concrete, eppure non riusciva a trovare un senso alla sua presenza a quella funzione.
 
Se non lo avessero accolto.
Se non lo avessero accettato.
Se non lo avessero voluto con loro.
 
Se Gideon e Fabian gli avessero voltato le spalle, probabilmente sarebbero stati ancora vivi. Forse per questo motivo, senza rifletterci davvero e non curandosi delle conseguenze, William si avvicinò a Molly Weasley, spezzata dal pianto, con la volontà di assorbire almeno un po’ del suo dolore.
Se ne andò subito dopo, con quel grande peso sullo stomaco e con la consapevolezza che non avrebbe potuto fare più di così.
William era di nuovo solo.
 
 
Deglutì, William Lewis, con la volontà di ricacciare indietro le lacrime, insieme ai terribili ricordi. In realtà parlarne con Cora era stato liberatorio e la cosa apparve a tratti esilarante: gli era servita una reclusione forzata per aprire il suo cuore ad una sconosciuta. Non avrebbe di certo ringraziato nessuno per quello che era accaduto, ma avrebbe almeno tratto quel poco che di buono emergeva da quella situazione.
William arrestò il passo solo quando il suo sguardo impattò sul gruppo composto da Odette, Alistair, Lucas e Joshua, ma sussultò nel vedere delle liane agitarsi alle spalle di Lucas. Di quel gruppo conosceva solo Alistair, ma aveva dato per scontato che anche gli altri fossero nella loro stessa condizione.
 
-Lucas, fermati ti prego!- Odette tentò di avvicinarsi al mago che, bianco in volto, non stava capendo cosa stesse succedendo. Joshua la seguì nel gesto, mentre Alistair prese a camminare all’indietro terrorizzato, fino ad impattare sul fisico asciutto di William.
 
-Da dove vengono quelle?- Chiese con urgenza.
 
-N-non lo so…credo…c-credo d-da lui!-
 
Alistair indicò Lucas; il mago si era voltato in direzione delle liane, davanti alle quali rimase pietrificato. I tralci continuavano ad agitarsi, tentando di attaccare Odette e Joshua che schivavano i colpi, mentre cercavano di calmare Lucas a modo loro.
Perché diavolo quei Mangiamorte che gli stavano sempre con il fiato sul collo, sembravano dissolti nel nulla?
 
 


 
Buongiorno care! Un’influenza durata quasi una settimana mi ha stroncata e riprendere il ritmo della scrittura è stato davvero difficile, sia per la concentrazione che per il poco tempo a disposizione. Ma ora ci siamo e spero che il capitolo vi sia piaciuto. I vostri voti sono andati a William, come avrete capito.
Ora devo dirvi un paio di cose:
 
Prima di tutto vi chiedo di votare per il prossimo capitolo. Con Adrian il pazzerello ho concluso l’analisi dei miei oc, quindi dal prossimo capitolo in poi mi concentrerò su 2 vostri oc. Ergo: votatemi due nomi e uno spareggio tra:
 
Alistair
Alon
Cora
Evangeline
Lucas
Joshua
Mazelyn
Odette
 
Dovete sapere inoltre che la mia altra interattiva è in stallo per una serie di motivi, fra i quali il fatto che recensioni, ma specialmente i voti, hanno cominciato a rallentare drasticamente negli ultimi capitoli (di voti in quel caso me ne sono proprio arrivati pochissimi). Questa cosa purtroppo porta l’autore a trovarsi in difficoltà, perché ribadisco ancora una volta, l’interattiva è fatta di interazione e se questa viene a mancare se ne perde il senso. La partecipazione è fondamentale. Vi chiedo per piacere di votare ad ogni capitolo; a voi non costa nulla e tra l’altro dovrebbe anche essere di vostro interesse farlo. Dimostratevi interessati, perché io mi impegno ed impiego molto tempo a scrivere dei vostri personaggi, non voglio rischiare di demotivarmi.
 
Detto questo, al prossimo capitolo.
 
Bri

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Capitolo 10
*** Il pavido e L'impavido ***


CAPITOLO VIII
Il Pavido e l’Impavido

 
 
Era sempre stato un grande problema, gestire le sue facoltà. Lucas Heathcote aveva sempre fatto in modo di reprimerle, spaventato da se stesso e da ciò che, in più di un’occasione, aveva scatenato il suo spaventoso potere. Per questo inizialmente, confuso dalla baraonda che quelle liane animate stavano causando, l’auror non comprese che fosse lui stesso la causa. Odette urlava nei suoi confronti invitandolo a ragionare, mentre Alistair veniva tirato via da William, appena giunto in quel punto del giardino. La prontezza di quest’ultimo fu salvifica per il babbano, visto che proprio sotto i piedi di Alistair la terra aveva tremato con feroce brutalità ed il terreno cosparso di fragile erba si frantumò, aprendo nel suolo una falla di discrete dimensioni.
C’era ben poco da fare senza poter usare la magia: Odette sapeva leggere la mente con un’abilità unica, William assorbiva dolore e paura, Joshua era un metamorfo e Alistair a quanto pareva, restituiva la vita ai morti in cambio di un’altra vita. Eppure era ovvio che nessuno di queste particolarità invidiabili e terribili potevano placare la furia della terra che, in quel preciso istante, rischiava di ferire o, peggio ancora, uccidere i poveri sfortunati reclusi. Lucas dal canto suo era pietrificato. Ovviamente i tralicci non lo sfioravano di striscio e la terra rimaneva stabile sotto i suoi piedi; quando Odette tentò di avvicinarsi ancora un po’, nell’estremo tentativo di scuoterlo dallo stato confusionale, una grossa pianta tentacolare sbucò alla sua sinistra e con la velocità di una seppia gigante, l’avviluppò. William tentò il soccorso, ma anche lui venne catturato con facilità. Alistair, terrorizzato dalla situazione ed incapace di intervenire in alcun modo, arretrò di tutta fretta: avrebbe cercato aiuto, visto che era l’unica cosa che sarebbe stato in grado di fare. Così rimase Joshua, cui capelli avevano preso una sfumatura bollente; non azzardò mosse false, il giovane metamorfo: stette immobile davanti a Lucas che lo guardava terrorizzato.
 
-Ascoltami,- si introdusse con cautela Joshua –sai perché sta succedendo tutto questo?-
 
Il tono tranquillizzante permise a Lucas di regolarizzare appena il respiro, che s’era fatto affannato:
 
-Io non…io non lo so! Non sono io…non sono io!-
 
Joshua mosse solo un piccolo passo, constatando poi che il movimento quasi impercettibile aveva creato una trincea profonda fra lui e l’auror. Lucas era fuori controllo, gli altri messi ko dalle piante sbucate dal nulla e lui stesso non poteva muoversi, altrimenti avrebbe rischiato di rimetterci la pelle.
E mentre Joshua meditava nel tentativo di capire che cosa fare, Lucas si guardava intorno impaurito; l’agitazione era tornata non appena il terreno aveva creato quell’ostacolo fra lui e Joshua. Lucas si sentiva un mostro e questo Odette lo percepì all’istante, ma serrata e imbavagliata dai rami, le risultò impossibile comunicare con l’amico per farlo ragionare.
In quel momento il giovane auror non riuscì a non pensare che i suoi genitori avrebbero dovuto permettere a sua zia Martha di farlo fuori, tanto era un pericolo per l’incolumità di chi lo circondava. Certo, i motivi per cui la sorella del padre aveva tentato di ucciderlo erano di tutt’altra natura, ma poco importava. La dicotomia che muoveva l’intera vita di Lucas fin dalla nascita doveva essere sedata, nel bene o nel male.
 
 
I motivi per cui Harold Heathcote aveva dovuto lottare con tutto se stesso, per essere accettato fra i colleghi auror, era abbastanza scontato. Il suo cognome infatti la raccontava lunga, sull’affinità della famiglia agli ideali di Grindelwald prima, di Lord Voldemort poi; eppure Harold dimostrò di essere la fulgida mela marcia, quanto di più distante da Robert Heathcote, suo padre nonché fiero sostenitore del grande mago oscuro che aveva piegato buona parte del popolo magico alla convinzione che si dovesse governare sui babbani. Robert dimostrò di essere un ragazzo e poi un uomo coraggioso, prendendosi il suo spazio con estrema dignità e facendosi carico di ideali avanguardisti, per un mago nato fra i racconti che narravano l’unicità del suo sangue puro. Egli infatti rifiutò un matrimonio di interesse con una cugina, scappò giovanissimo di casa e si rifugiò nell’appartamento del suo ex compagno di casa –nato babbano per giunta- Lucas Klington, con il quale si immerse nel percorso per diventare auror. Vivere nella Londra babbana fu per Harold una boccata d’aria fresca, che si trasformò in una piacevole tempesta quando conobbe la dirimpettaia babbana: inizialmente Harold mal sopportava Ariana, con la quale trovava sempre un valido motivo per battibeccare; ma le cose cambiarono con naturale frenesia, quando la ragazza trovò l’auror ferito a seguito di un pericoloso scontro con un criminale. La ragazza lo salvò e da quel momento la loro relazione seguì un decorso romantico, che portò al matrimonio con la babbana, la quale non custodiva nessuna traccia magica, se non la grande forza morale e fisica che la distingueva: una fiera poliziotta di Scotland Yard, sempre in prima linea nella lotta contro il crimine. La nascita di Lucas avvenne a seguito di un terribile avvenimento: alla famiglia di Harold non bastò diseredarlo; la sorella Martha, immischiata nelle losche dinamiche dei seguaci di Lord Voldemort, mago oscuro che iniziava a raccogliere grande seguito, accecata dalla voglia di eliminare la feccia mezzosangue che aveva disonorato la famiglia, irruppe nell’appartamento del fratello a pochi giorni dall’avvenuto matrimonio per uccidere Ariana e il bambino che la ragazza portava in grembo. Ma la babbana non era sola e fu proprio grazie a Lucas Klington che ebbe la possibilità di scappare e mettersi in salvo; purtroppo il fiero auror morì nel compimento del suo ultimo, eroico gesto. Quando il bambino venne alla luce, Harold e Ariana seppero senza esitare che nome donargli: si sarebbe chiamato Lucas, ‘in onore di un grande uomo e di un vero eroe. Spero che tu abbia un quinto del suo coraggio.’; furono queste le parole che Harold rivolse al piccolo, che passò i primi anni della sua vita amato sì, ma tenuto sotto stretta sorveglianza per paura che la zia Martha, unitasi in seguito con i Mangiamorte, facesse di nuovo capolino per ucciderlo. La paura era tale che Harold mostrò la propria contrarietà nel mandare il figlio ad Hogwarts, ma Lucas dimostrò lo stesso carattere di padre e madre e non esitò a catapultarsi a Diagon Alley da solo, per immergersi in quel mondo che bramava fortemente. Fu allora che rischiò di essere ucciso da un Mangiamorte che lo riconobbe come il nipote di Martha Heathcote.
Ma i grandi poteri di Lucas schizzarono dal suo corpo e la terra corse in suo aiuto, salvandolo da morte certa.
Il piccolo Lucas ne andò fiero, ma di tutt’altra opinione fu suo padre che, rabbioso, decretò che mai e poi mai avrebbe messo piede ad Hogwarts; suo figlio non sarebbe sfuggito ancora una volta al suo controllo e nessun Mangiamorte avrebbe osato toccarlo ancora una volta.
Proprio durante l’accesa discussione, l’incontrollabile piccolo mago scatenò un terremoto che rischiò di uccidere suo padre ed egli stesso. Un terremoto che generò un trauma psicologico troppo grande da superare e che represse le sue facoltà per molto tempo.
 
*
 
Roxanne Borgin aveva passato una vita intera a ritenersi superiore agli altri; del resto chiunque la circondasse non faceva altro che dirle quanto fosse intelligente e arguta e tutti, ma proprio tutti (o quantomeno le persone che destavano il suo interesse) tessevano le sue lodi. Quindi del perché si fosse ritrovata in quella situazione, intrappolata e tenuta sotto scacco da un sanguemarcio dall’aspetto di chi tiene poco all’igiene, non solo non se ne capacitava, ma era anche uno smacco ingiustificabile. Inorridita e accigliata, si era appiattita contro una delle pareti della cella di Yann ed i suoi occhi correvano dal suo sorriso malvagio, alla fiamma che faceva roteare sopra il palmo della mano. Di tanto in tanto veniva distratta dalle ombre acute e intriganti che i muscoli dell’avambraccio, tonici e rigogliosi, creavano con l’aiuto della fiamma, ma Roxanne non poteva permettersi distrazioni. La sua mente non doveva cedere al richiamo del rozzo aspetto testosteronico del mago, proprio no. Tentò di ricomporsi e mostrare carattere, ma appena mosse un passo Yann ne compì uno nella sua direzione con scatto minaccioso, cosa che fece crollare definitivamente l’acconciatura della bella Borgin.
Yann dal canto suo osservò quella cascata di fluenti capelli corvini addolcire il viso della Mangiamorte e non riuscì proprio a non pensare che gli sarebbe dispiaciuto accendere un falò sulla sua testa. Fu distratto dalla voce impostata di Roxanne, che lo richiamò a dovere:
 
-Va bene Yann, credo che potremmo giungere a qualche compromesso che libererebbe entrambi da questo spiacevole impasse: se prometti di startene buono e di non compiere mosse azzardate, spenderò una buona parola per te e ti guadagnerai giusto un paio di tacche sul contatore.-
 
-Ti sembra un buon compromesso?!- tuonò basito l’uomo –Un buon compromesso è che tu ci faccia uscire di qui appena recupererai la tua fottuta bacchetta, se non vuoi trasformarti in un caminetto!-
 
La risata cristallina di Roxanne rimbalzò sulle pareti della cella del padre: -Ti rendi conto che se ciò accadesse, non ci metterebbero nulla a farti fuori? Pensi davvero di potermi dare fuoco senza avere ripercussioni?!-
 
-Vuoi che ti misuri la vastità di quanto me ne possa fregare? Se la ricompensa è vederti fare la torcia umana ben venga!-
 
Roxanne sgranò gli occhi ed in un attimo perse tutto il suo aplomb: -Ma che modi…stai dimostrando di essere quel dannato sanguemarcio che sei!-
 
-E tu sei la stessa stronza con la puzza sotto il naso che eri ad Hogwarts,- Yann sorrise, continuando a giocherellare con la fiammella –come vedi le cose non cambiano. Allora che vuoi fare? Vogliamo giungere a un compromesso?-
 
Era vero: anche fosse che quel Reinhardt avesse fatto una brutta fine, la cosa non la consolava affatto se il prezzo da pagare era la sua vita. Pensare alla propria testa calva e carbonizzata la fece rabbrividire prima, serrare la mascella poi; quel bastardo sinti aveva il coltello dalla parte del manico e non avrebbe esitato a rigirarglielo in pancia. Preso un grande respiro, Roxanne alzò le mani e si espose in un flebile sorriso:
 
-Va bene, hai vinto questa battaglia…se terrai il tuo fuocherello spento ti prometto che, una volta uscita di qui, non avrai nessun genere di ripercussione.-
 
-Non mi basta.-
 
La strega serrò la mandibola ancora una volta, reprimendo la volontà di azzannare Yann.
 
-Stai scherzando? Non sei nella condizione di scegliere alcunché, Reinhardt!-
 
 
Con un paio di ampie falcate, il mago raggiunse Roxanne che si vide costretta ad arretrare nuovamente, fino ad impattare con il freddo granito. I grandi occhi languidi scivolarono sulla mano di Yann che, con un gesto secco, si chiuse davanti al suo viso terrorizzato, lasciando della fiamma solo rivoli di spesso fumo scuro.
 
-So che non ci farai uscire di qui, non sono così stupido da sperarci. Ma pretendo un trattamento migliore per me e per i miei compagni.-
 
I due si guardarono e per molto tempo solo i respiri pesanti, ingombrarono l’aria della cella. Yann era talmente vicino, che Roxanne riuscì a percepire con distinzione il forte odore della sua pelle che, per sua sfortuna, non trovava affatto sgradevole. Maledetta astinenza, pensò quella tentando di riprendere capacità cognitive. Con uno sforzo sovraumano la donna alzò la testa, incastonando lo sguardo in quello sprezzante di Yann.
 
-Avrai del cibo migliore.- contrattò, lei.
 
-Devi garantirci un’uscita al giorno.- ribatté, lui.
 
-Non ho tutto questo potere, idiota!- si lasciò sfuggire, lei.
 
-Ne dubito.- Insistette, lui.
 
Preso un forte respiro, Roxanne sibilò: -Sarà concesso a te e soltanto a te di uscire brevemente e sotto mia stretta sorveglianza una volta al giorno. Questa è la mia ultima offerta, feccia.-
 
Un sorriso compiaciuto si fece spazio sul viso di Yann che, dopo aver fatto un passo indietro, dando così la possibilità a Roxanne di riprendere seriamente fiato, allungò la mano verso di lei.
 
-Andata.-
 
Aveva perso quella battaglia, ma non la guerra, valutò la Mangiamorte mentre, combattuta tra la repulsione nei confronti del sanguemarcio ed il suo inebriante profumo di vero maschio, acconsentì a stringere la sua mano.
 
-Ahia! Fottuto bastardo, scotta!- gridò, ritirando la mano e guadagnandosi la risata di Yann. Il mago poteva affermare di aver scottato Roxanne Borgin, non solo fisicamente.
 
*

 
Uscito dalla zona in cui imperversava l’ira di Lucas, il Giardino sembrava immerso nella solita quiete. Fiori e piante spuntavano rigogliosi in ogni albero e il ronzare degli insetti non era che l’unico rumore che si accostava al frenetico calpestio di Alistair; il sangue pompava nel corpo e affiancava un’accelerata respirazione mentre il babbano, senza una meta ben precisa, gridava in cerca di aiuto. Se c’era una cosa che gli stava insegnando quella reclusione forzata, oltre al fatto che la prudenza non era mai davvero troppa, era l’esigenza di calma. Per uno come Alistair Gordon, nato e cresciuto nel timore che qualcuno o qualcosa gli si ritorcesse contro, complice le spiacevoli e drammatiche esperienze di bullismo subite fin dalla più tenera età, era un fatto assolutamente anomalo.
 
“Come ti va oggi, svitato?”
 
Rosso in viso per la gran corsa affrontata e ancora con lo zaino sulle spalle, Alistair assestò gli occhiali sul naso prima di trovare il coraggio di puntare l’attenzione sulla voce dal tono provocatore. Ancora una volta Ludwig, quell’insopportabile bulletto che, disgraziatamente, era anche il suo compagno di banco, non aveva perso l’occasione per starsene zitto. Il piccolo Gordon capì all’istante che quella sarebbe stata l’ennesima giornata volta all’insegna della sopravvivenza. Succedeva sempre, infatti, che Lud si svegliasse con il piede sbagliato e che incanalasse la sua rabbia nel prendersela con Alistair, allampanato, occhialuto e come se non bastasse munito di apparecchio per correggere la dentatura disallineata. Aveva solo dodici anni, ma Alistair si sentiva già stanco della routine che componeva la sua vita; non aveva voglia di litigare con Ludwig, come non aveva voglia di andare dalla professoressa a fare la spia, così decise di starsene zitto ancora una volta, sperando che quello stronzo decidesse di lasciarlo stare e se la prendesse con qualcun altro. Ma Ludwig non sembrava intenzionato a lasciar perdere, in quanto riteneva che Alistair fosse il giocattolo più divertente da rompere.
Alistair non venne soccorso in classe nemmeno quel giorno: il compagno di banco lo aveva obbligato a fargli copiare i compiti e quando Alistair aveva dimostrato lentezza nel fornirgli le risposte alla prova a sorpresa di matematica, lo aveva punzecchiato con una matita appena temperata. Fu la ricreazione a salvarlo, o meglio fu la presenza della sua unica amica che, sfortunatamente, non si trovava nella sua stessa classe.
Teresa era la figlia dei domestici impiegati in casa Gordon: di origini colombiane, la bambina si dimostrò l’unica persona davvero felice di condividere il tempo con Alistair. Fortunatamente la bella ragazzina possedeva un carattere ed un carisma di tutt’altra pasta rispetto a quello dell’amico e quando si presentò alla porta della sua classe, per passare la ricreazione insieme, ci mise pochissimo a rimettere a posto Ludwig. Bastò infatti qualche parola ben servita ed il bullo, incapace di rispondere alle parole con l’intelletto, si limitò a mandarla al diavolo e unirsi al gruppo dei teppistelli.
Alistair balbettò un grazie, che Teresa ignorò. “Facciamo finta di nulla. Allora? Che merenda hai oggi? Vuoi assaggiare i miei buñuelos (1)? Li ha preparati mamma all’alba!”
 
Alistair adorava, letteralmente, passare il proprio tempo con Teresa. Lei lo faceva ridere e arrossire, gli tirava su il morale. Teresa era la prova tangibile che non tutti gli esseri umani facevano così schifo come Ludwig. Per questo reagì ad un forte senso di rabbia con il panico, quando il pomeriggio di due giorni dopo, Alistair trovò Teresa al parco in lacrime.
 
“Hanno ucciso Ortica a sassate!” singhiozzò lei. Con il gatto rosso privo di vita fra le braccia sottili, Teresa non la smetteva di piangere. Vederla così era per Alistair qualcosa di insopportabile, ma oltre singultire qualche frase di circostanza, non seppe che fare; la sua attenzione era infatti rivolta al corpicino di pelo fulvo, al quale accostò la mano che subito ritrasse, nel percepire il freddo tipico di un cadavere.
Alistair avrebbe voluto fare qualcosa per la sua Teresa, ma era perfettamente consapevole che non sarebbe mai e poi mai riuscito ad affrontare quei bulli e che, con ogni probabilità, sarebbe stata l’unica cosa che avrebbe risollevato un minimo il morale alla ragazzina.
Eppure lo stupore colse ambedue in egual misura quando un lieve tremore, seguito da un miagolio sommesso, si fece spazio dal corpicino di Ortica: il gattino era vivo e vegeto e richiedeva attenzioni.
Non avrebbero mai saputo che il merito fosse della miracolosa capacità di Al. Né che, in quel preciso momento, la vecchia gatta della zia Cloe, ultimo felino venuto a contatto con Alistair, stava lasciando quel mondo.
 
Quell’episodio tornò d’incanto alla mente del babbano, il quale aveva archiviato il caso molti anni prima, non riuscendo mai a trovare una risposta adeguata al fenomeno avvenuto. Le gambe secche e lunghe rallentarono, fino a fermarsi totalmente mentre gli occhietti scendevano a guardare i palmi spianati delle mani. Al doveva ancora fare i conti con quanto riusciva a fare; dall’episodio che lo aveva visto protagonista nello studio del dottore, aveva tentato di classificare in qualche modo ciò che era successo, non riuscendo davvero ad immaginarsi come qualcuno di così speciale, da essere in grado di dare e togliere la vita. Lui, che di speciale davvero non aveva mai avuto nulla, se non l’incredibile capacità di vivere degnamente la sua vita mediocre.
L’attenzione dello sguardo calò poi a terra, fino ad impattare con un lungo legno elegantemente intarsiato, brillante d’un blu dall’intensità di uno zaffiro.
 
-Ehi, ragazzo!-
 
La voce ormai riconoscibile di Roxanne Borgin lo fece sussultare. Con timore eccessivo, Alistair alzò gli occhi che si soffermarono su una cella molto simile alla sua, non fosse per la targa di marmo sulla quale era incisa la lettera pi dell’alfabeto greco. Le braccia della Mangiamorte erano esposte oltre le sbarre e si agitavano compulsive, mentre la bellissima donna, decisamente meno composta del solito, lo richiamava a gran voce. Dietro di lui un uomo che non aveva mai incontrato prima aveva un’espressione cerea e lo fissava scuotendo il capo.
 
-M-ma c-cosa succede?-
 
-Saresti così cortese da raccogliere quella bacchetta? Portamela, presto!-
 
Una bacchetta? Ah, giusto. Alistair si chinò ed afferrò il legno, nonostante l’uomo dietro Roxanne continuasse a negare con il capo e scuotere le mani. Il babbano aveva capito che quello non volesse che riconsegnasse la bacchetta alla Mangiamorte, ma cosa avrebbe dovuto fare?
Spazientito nel vedere quel ragazzo esitare, Yann sbuffò e tirò indietro Roxanne con una sola mano, così prese a gridare.
 
-Che fai?! Usala, maledizione!-
 
Yann non si aspettava di certo, da parte di Roxanne, quella fragorosa risata. Si chiese cosa avesse da ridere, visto che qualcuno si era appropriato della sua bacchetta e che avrebbe potuto usarla a proprio piacimento. Probabilmente quella della strega era una reazione isterica, non c’era altra spiegazione.
 
*
 
Alon e Victor si piazzarono davanti a Jules con le braccia incrociate, mentre l’attenzione era dedicata a Maze che li guardava con aria di finta sfida. Finta in quanto il suo scopo non era che quello di smuovere la situazione; fortunatamente avevano pensato a nutrirla solo un paio di giorni prima con delle sacchette di sangue che il vampiro prediligeva. Non aveva mai fatto un mistero della sua insofferenza nei confronti della condizione obbligata in quale verteva, Mazelyn: uccidere inizialmente era stato traumatico ed in seguito, anche se per necessità aveva cominciato ad accettare di doversi nutrire di esseri umani, aveva sempre tentato di ricorrere a rimedi alternativi per porre fine alla sua sete. Ma era talmente tanto annoiata da quella prigionia forzata, che aveva deciso di smuovere un po’ le acque.
Martha ed Evangeline, d’altro canto, osservavano la scena stupite e si lanciavano occhiate sconfortate: entrambe avevano infatti compreso che Maze avesse solo voluto lanciare una provocazione e di conseguenza, vedere i due ragazzi gonfiarsi come pavoni in difesa della piccola del gruppo, le aveva lasciate basite.
Jules invece si era agganciata alle maglie dei due e con lievi strattoni, chiedeva di lasciar perdere; persino lei era consapevole che Mazelyn fosse totalmente innocua in quel momento.
La situazione sfiorò picchi di ridicolezza, quando Victor aveva iniziato a dare lievi spallate ad Alon per farsi più spazio. Il mezzo tritone, totalizzato dall’idea di difendere Jules, rispondeva alle spallate per tentare di eliminare l’elemento di disturbo e dedicarsi solo alla difesa della piccola tassorosso.
E Maze, che stava per scoppiare a ridere davanti a quei due, allargava lo sguardo esilarata. Probabilmente si sarebbe scatenata una rissa tra un Victor fisicamente inadeguato e un Alon spazientito, non fosse stato per delle urla lontane che catturarono l’attenzione di tutti. Martha scattò in piedi seguita da Evie la quale, dopo essersi scambiata con la strega uno sguardo eloquente, si frappose fra Victor, Alon e Maze:
 
-Sta succedendo qualcosa di serio, quindi smettetela subito con questa scena ridicola e andiamo!-
 
Non ci fu bisogno di aggiungere altro, in quanto i tre rilassarono i corpi e piroettarono verso Evangeline con movimento meccanico, pronti a seguire quell’ordine involontario.
 
*
 
Elyon era ridotta uno straccio. Dopo lo scontro furibondo avvenuto con Adrian, sentì le parole mancarle; poco altro aveva d’aggiungere, del resto, alle sue argomentazioni. Entrambi avevano torto e ragione ed era chiaro che ci fossero state valide motivazioni a muoverli in direzioni contrarie.
Fino a sparire dalla vista dell’altro.
Adrian lo aveva detto chiaramente: era stanco di lei. Nonostante le avesse esplicato nel suo modo rozzo e grossolano cosa provasse nei suoi confronti, purtroppo ciò che restava di quel sentimento era altro. Non importava quello che c’era stato, il loro rapporto era irrimediabilmente compromesso.
Elyon aveva calpestato ogni tentativo di fioritura della loro relazione, terrorizzata dall’idea di se stessa, così drammaticamente sbagliata, alle prese con una persona che sentiva di amare profondamente. Adrian non si meritava di avere a che fare con tutto quel marcio, no davvero; per questo Elyon non gli aveva dato alcuna possibilità, convinta che senza di lei, il mago sarebbe stato meglio.
D’altro canto Adrian era stato raggirato con estrema sapienza da Robert, unica figura sempre stabile e presente nella vita sbagliata del Mangiamorte. Ma lei poteva compatirlo? No di certo. Elyon conosceva bene la fragilità di Adrian, così simile alla propria; sapeva cosa volesse dire avvolgersi nelle parole confortevoli di Robert Steiner e farsi coccolare da esse come fossero un caldo abbraccio. Quel mostro sapeva puntare sui punti scoperti delle persone, ma era talmente intelligente e abile che nessuno aveva mai davvero capito quanto egoismo fosse nascosto nel suo animo egocentrico, lei per prima c’era cascata. Ma Elyon ormai non aveva più nulla da perdere, mentre Adrian aveva in gioco ancora tanto. Cosa avrebbe dovuto fare? La donna, in realtà, conosceva bene la risposta. Avrebbe fatto di tutto per salvaguardare Adrian Reed, persino mettere in repentaglio la propria libertà; mentre affondava il viso nelle ginocchia rannicchiate e ascoltava il respiro irregolare di Adrian, che le dava le spalle, la strega valutò sinceramente l’idea di fare il gioco del dottore. Sapeva che probabilmente lei non sarebbe mai uscita viva dal Giardino, nemmeno se avesse acconsentito a piegarsi al volere di Robert, ma così facendo avrebbe tutelato Adrian. In quel rarissimo momento di lucidità, Elyon capì che insistere con lui sulla meschinità del dottore sarebbe stato inutile: Adrian doveva arrivare da solo a metabolizzare la spinosa questione, rendendosi conto che a Robert Steiner, di lui, non fregava nulla. Di conseguenza l’unica cosa che avrebbe dovuto fare era una soltanto: doveva trovare il modo di mostrarsi remissiva e accondiscendente davanti al dottore, ma contemporaneamente trovare una soluzione per mettere al riparo gli altri reclusi, che non meritavano di rimetterci la vita.
Non aveva idea di come avrebbe fatto a portare avanti quel doppio, triplo gioco, ma avrebbe dovuto capirlo in fretta.
 
-Allora…io vado.-
 
Elyon alzò lentamente il capo e posò lo sguardo sull’ampia schiena di Adrian; un lievissimo sorriso spontaneo solcò il viso della donna, nell’osservare i tremori di lui, in antitesi con la verbalizzazione. Lei lo sapeva, che Adrian non voleva davvero andare via, eppure non tentò di fermarlo; Avrebbe attuato il suo piano da quel preciso istante, nonostante l’unica cosa che avrebbe voluto fare ( e reprimere la sua esigenza era come essere infilzata da lame roventi), sarebbe stata alzarsi di scatto, gettarsi su di lui e pregarlo di non andare via. Ma doveva farsi furba, molto più di quanto non si era dimostrata fino a quel momento; accantonare l’irrazionalità che la muoveva, per lasciare posto al placido raziocinio, allora si che avrebbe ottenuto dei risultati.
 
-Tornerai?- Si limitò a chiedergli. A quel punto Adrian, dopo un lungo silenzio, annuì e bofonchiò appena.
 
-Non credo di avere altra scelta.-
 
Di quale scelta parlasse, Elyon non ne era sicura. Si riferiva all’obbligo nei confronti di Robert, che richiedeva la sua vigilanza costante, oppure di quello nei confronti del suo cuore, che non riusciva a tenersi distante da lei?
La strega rimase con quel dubbio, mentre seguiva la figura di Adrian uscire con passo deciso dalla sua cella lasciandola sola, ad assimilare quel doloroso incontro e a fare i conti con la difficile scelta di cosa avrebbe dovuto fare, per fare in modo di salvare quanti più innocenti possibili.
 
*

 
Con Evie in testa, il gruppo correva verso il punto del Giardino da cui ipotizzavano provenire le urla. La giovane Montague, tallonata da Victor, si era dimostrata la prima a prendere in mano la situazione, non indugiando un solo istante. Con il fiatone, ma uno strano e piacevole senso di adrenalina che lo pervadeva, il magigiornalista osservava quella ragazza tanto agguerrita che, nel corso del tempo trascorso insieme, aveva dato prova di essere molto più matura e capace di quanto si sarebbe mai aspettato. Purtroppo quei pensieri vennero interrotti di botto, in quanto superato un cunicolo di archi verdeggianti particolarmente rigogliosi, una scossa violenta scosse il terreno sotto di loro da cui sbucò una liana della circonferenza di un tiglio che, agitata e violenta, si scagliò contro Evangeline. Martha tentò di  tirare via Evangeline che stava per essere colpita in pieno, ma non ci fu bisogno del suo intervento: Victor, che mai aveva deviato l’attenzione dalla serpeverde, compì il suo balzo più agile ed in un batter d’occhio si ritrovò con le braccia spalancate a difesa della ragazza e gli occhi serrati. L’impatto a cui si stava mentalmente preparando, però, non arrivò mai: dal centro del petto si scatenò l’energia di un meteorite ed essa s’ampliò a formare uno speso scudo difensivo, invisibile a tutti ma non a Martha che osservava attonita e strabiliata quella straordinaria magia. Era la seconda volta che aveva a che fare con lo scudo di Victor, eppure non si aspettava di certo che quello potesse essere tanto potente da disintegrare quel mostro della natura.
Contemporaneamente Alon era riuscito a spintonare Maze giusto in tempo per evitarle un attacco da un arbusto tentacolare, che sembrava avere l’intenzione di volerla stritolare mentre Jules, agilissima, era svicolata lontana dal suo controllo riprendendo la corsa verso le grida che s’erano fatte sempre più chiare ed incisive.
 
-Non è il Giardino!- Gridò Martha che con rapidità aveva analizzato la situazione intorno a loro, prima di correre incontro a Victor che dopo aver scatenato la barriera in difesa di Evie, era crollato in ginocchio annaspando alla ricerca convulsa di aria. La strega più giovane era stata presa talmente tanto alla sprovvista che non aveva capito subito ciò che era successo, ma quando vide Victor a terra, s’apprestò a chinarsi su di lui per capire se stesse bene.
 
-Non ti fa bene, Vic!- gridò apprensiva Martha, che tentava di aiutare l’amico a riprendere fiato mentre, intorno a loro, la natura lanciava i suoi colpi più micidiali.
 
Maze si agganciò alla mano tesa di Alon.
-Scusami, non volevo scaraventarti via.- La ragazza, stupita dall’audacia del mezzo tritone nel metterla in salvo, si limitò a scuotere il capo e a bofonchiare un ringraziamento, ma Alon era già schizzato via gridando il nome di Jules.
 
-Ehi! Qui!-
 
La voce di William squillò risonante e attirò l’attenzione del gruppo. Evangeline però era rimasta concentrata su Victor, paonazzo e in preda ai colpi di tosse; dopo ciò che il ragazzo le aveva raccontato riguardo alla sua precaria situazione fisica, si sentì tremendamente in colpa per quanto era successo. Quello stupido si era messo in mezzo ed aveva rischiato la vita, pur di salvarla.
 
-Non dovevi farlo!- Gridò furiosa in direzione di Victor, il quale s’era aggrappato a Martha e nonostante gli mancasse il fiato, replicò con un mezzo sorriso, seppure rotto dai colpi di tosse:
 
-Prego, non…coff coff....non c’è di che!-
 
Evie era fuori di sé: se quella liana l’avesse colpita, al massimo sarebbe svenuta; invece Victor scatenando il suo scudo l’aveva protetta, ma al contempo aveva rischiato davvero grosso. Fu Martha a spezzare il bisticcio che era partito fra i due:
 
-Non è il momento di discutere, qui sta succedendo qualcosa di terribile a uno di noi! Non è il Giardino a fare questo e non sono i Mangiamorte…deve essere qualcun altro!-
 
E quel qualcuno era in piedi davanti a Joshua, incapace di tornare lucido e mettere fine al trambusto che, inconsciamente, aveva scatenato. Il metamorfo per un po’ mantenne il sangue freddo e tentò di far ragionare Lucas il quale, ormai, aveva perso totalmente il controllo della situazione. Lui, che aveva sempre strenuamente lottato per difendere se stesso, non mostrando mai timore di svelare la sua vera natura, si trovava davanti a qualcosa che era troppo difficile da gestire emotivamente. Paradossalmente era stato molto più semplice accettare di essere la macchia nera di una famiglia purosangue e ancor più semplice mostrare con orgoglio la sua omosessualità, con una presa di coscienza invidiabile per molti. Insomma, Lucas Heathcote aveva superato ostacoli ben più grandi e quello che poteva essere considerato solo un motivo ulteriore d’orgoglio, veniva invece represso fino all’implosione.
 
Un nutrito numero di studentesse sospirò, quando Lucas Heathcote fece coming out. Dotato di una naturale bellezza scultorea, l’adone era simpatico, socievole e abbastanza irriverente da far girare la testa a molte ragazze. Di contro, i giovani maghi gay gioirono, capendo di avere una speranza con il tassorosso più attraente di tutta Hogwarts. Tra questi c’era Benjamin, il corvonero che conquistò il cuore di Lucas in un batter d’occhio; il loro primo bacio era stato più che magico, avvenuto alla fine della partita che aveva visto vincitrice la squadra Corvonero su Grifondoro. Quello fu l’inizio di una splendida favola in cui Lucas si immerse senza esitare; Benjamin fu importante e con lui Lucas esplorò ogni campo dell’amore, non tirandosi mai indietro difronte a nulla. Quando la loro storia finì, Lucas aveva già preso il diploma e con l’intenzione di seguire le orme paterne, si immerse completamente nel corso per diventare un abile Auror. Il mago, cresciuto da entrambi i genitori con la certezza che la giustizia fosse il bene superiore da salvaguardare, aveva sviluppato la ferma convinzione che gli Auror dovessero fare di tutto per proteggere i più deboli e questi ideali, uniti alla naturale predisposizione psicofisica, fecero di Lucas un Auror eccezionale, sebbene la vera prima missione gli venne assegnata solamente a ventiquattro anni.
L’ex tassorosso possedeva tutte la carte in regola per rientrare fra i migliori e non ebbe mai bisogno di utilizzare i suoi poteri extra, che ancor più represse. Probabilmente quelli gli sarebbero stati utili, mentre si recava in ufficio a fare rapporto sulla sua ultima missione, legata all’ostico caso che stava seguendo e che aveva a che fare con un branco di lupi mannari, che stava seminando il panico in mezza città.
Sicuramente la terra avrebbe tremato dietro di lui, scaraventando i sottoposti del Dottore infiltrati al Ministero, nel piano più basso dell’imponente architettura. Ma i suoi poteri legati alla manipolazione dell’elemento della terra non intervennero e i mangiamorte agirono indisturbati, tramortendo Lucas e trascinandolo fuori dai confini sicuri del Ministero.
 
-Jules! Spostati!-
 
Alon era corso a perdifiato verso la ragazzina, che aveva rintracciato il “colpevole” di quella baraonda, con la volontà di impiegare le sue energie per fermarlo. Ma una vera e propria cascata piombò dall’alto, facendo arretrare Jules ma impattando contro le liane che assorbirono tutta l’acqua, aumentando di volume e rinvigorendosi ancor più.
Mazelyn si mosse con agilità fino ad arrivare da Odette: con un colpo secco sradicò la pianta che la stritolava e con facilità le liberò la bocca, facendole riprendere fiato a sufficienza, per permetterle di gridare:
 
-Non usate l’acqua! La terra la assorbe!-
 
Di fatto niente sembrava essere utile a placare l’ira inconscia di Lucas; ogni tipo di intervento risultò nullo o, ancor peggio, dannoso. Mazelyn avrebbe potuto assaltare Lucas, ma quel brandello di umanità che teneva ben nascosto le stava gridando di non farlo, in quanto il ragazzo era un’innocente vittima di quella situazione, proprio come lei. Alon resosi conto che i suoi poteri si limitavano ad incrementare la ferocia della terra, afferrò Jules per il polso e la chiuse in un abbraccio, tentando di difenderla da ulteriori attacchi. Victor era fuori gioco supportato da Martha e Joshua, l’unico presente in grado di far tornare la lucidità di Lucas, si trovava circondato da una voragine profonda.
Occupatasi di Odette, Mazelyn passò da William e liberò anche il mago dalla morsa tentacolare; stordito dalla mancanza d’ossigeno, ma al contempo ammaliato dalla fulgida bellezza del vampiro, Will sussurrò un flebile grazie, prima di svenire a peso morto fra le braccia della ragazza che, con occhi all’insù, lo trattenne senza sforzo per poi trascinarlo al sicuro.
 
-Ora basta.-
 
Il tono calmo, distaccato e sicuro di Evangeline era rivolto a Lucas, che nel frattempo si era rannicchiato a terra totalmente divorato dallo stato di panico. Appena Victor si rese conto che Evie s’era fatta tanto vicina a Lucas, cominciò ad imprecare verso di lei, gridandole di non fare l’imbecille e di tornare indietro. Ma Evie sapeva perfettamente quello che stava facendo: la ragazza allungò il passo verso di Lucas e con i suoi occhi languidi e impauriti stabilì un contatto visivo stabile, prima di tornare a sprigionare la sua voce melodiosa:
 
-Devi darmi ascolto: ora ti calmerai e richiamerai le piante; nessuno qui vuole farti del male e tu non vuoi farne a noi. Mi hai capita? Segui la mia voce, segui i miei comandi.-
 
Certo, alcuni di loro avevano avuto un assaggio dei poteri di Evangeline in precedenza; lo stesso Lucas, attualmente in balia del caos, era stato la prima vittima della voce della giovane Montague. Ma in quel momento apparve evidente a tutti la qualità del potere strabiliante della strega che, senza perdere mai il controllo, stava conducendo il versante più irrazionale di Lucas a mettersi da parte ed in una manciata di minuti gli arbusti e le liane si ritrassero, fino a tornare nelle spaccature del terreno che si richiuse con docilità, riportando il Giardino alla condizione precedente all’impetuosa follia.
Un ambiguo silenzio, in perfetta antitesi con le urla e i fragori di poco prima, permeò il Giardino per qualche minuto. Tutti osservavano rapiti Lucas ed Evangeline in piedi uno di fronte l’altra; ma quando il ragazzone si afflosciò in un sospiro, per poi cadere a terra svenuto, Joshua non perse tempo e corse nella sua direzione per prestargli soccorso. Ogni barlume di freddo autocontrollo si era dissipato, mentre il metamorfo scrollava con ansia le spalle di Lucas e le sue mani andavano a picchiettargli la faccia, per farlo rinvenire.
 
-Lucas! Ti devi riprendere, hai capito?!-
 
Sotto gli schiaffi composti, le scrollate agitate e la voce rotta dalla preoccupazione di Joshua, Lucas mugugnò, segno che stesse bene. Aprì a fatica gli occhi e sempre a fatica sorrise, nel ritrovarsi gli occhi chiari e sgranati di Joshua a pochi centimetri dal viso.
 
-Cos’è…un sogno questo?- sussurrò con voce roca, ma al contempo divertita. Anche in quel contesto Lucas non aveva perso la sua vena d’ironia, che da una parte fece sorridere l’austero Joshua, dall’altra lo fece arrabbiare moltissimo.
E mentre il metamorfo cominciò ad inveire con mancata compostezza nei confronti dell’Auror, Odette corse verso Evangeline e si lanciò ad abbracciarla, con gli occhi lucidi di preoccupazione.
 
-Per fortuna stai bene! Grazie…ci hai salvati!-
 
Evangeline si abbandonò nell’abbraccio confortevole di Odette; in realtà aveva reagito d’istinto, senza pensare alle reali conseguenze che avrebbe potuto comportare il suo gesto avventato.
 
-Piccola testa calda! Lo sai che ti poteva ammazzare?!-
 
-Victor, non mi pare il momento per farle la paternale!-
 
Evangeline si liberò con delicatezza dall’abbraccio di Odette per voltarsi verso Victor, emaciato e sostenuto da Martha, visibilmente preoccupata dalle condizioni dell’amico. La serpeverse sorrise sfrontata, prima di rispondere al magigiornalista:
 
-Ma non l’ha fatto, no? Ti ho salvato la pelle, dovresti solo ringraziare!-
 
I due diedero vita a un botta e risposta davvero fuori luogo. Poco distante, Jules strattonava il braccio di Alon per attirare la sua attenzione.
 
-Evangeline è stata fantastica, non trovi?-
 
Alon picchiettò teneramente la testa della ragazzina, prima di pizzicarle la guancia scherzosamente (gesto che la fece indispettire moltissimo):
 
-Si, ma tu non farlo più di gettarti in mezzo a una situazione simile, va bene?-
 
Jules ridacchiò frivola e si agganciò al suo braccio –Ti sei preoccupato! Allora mi vuoi bene!-
 
Lo sguardo di Maze correva dall’uno all’altro dei presenti, mentre teneva fra le braccia il corpo privo di sensi di William. Avrebbe potuto risolvere tutto attaccandosi alla gola di quel tipo senza sforzarsi troppo, ma tutto sommato era stato meglio così. Quella giovane strega aveva risolto la situazione senza inutile spargimento di sangue, valutò mentre tentava di far rinvenire William il quale, dall’espressione serena, non sembrava affatto intenzionato a riemergere dal suo riposo.
 
*

 
Le mani di Alistair presero a tremare, mentre quell’uomo nella cella gli gridava contro di fare le magie e Roxanne Borgin rideva a perdifiato.
 
-Sei snervante….ehi, ehi! Piantala! Che cazzo ridi?!-
 
Yann piroettò verso Roxanne, tanto esilarata che dovette asciugarsi le lacrime per l’eccessivo ridere.
 
-Ti sei appena giocato il nostro patto, sciocchino! Alistair, da bravo portami la bacchetta.-
 
Il babbano proprio non sapeva resistere al fascino di quella donna che, con lui, adottava sempre modi dolci e posati. Ma non poteva evitare di prendere in considerazione il fatto che la strega fosse la loro carceriera.
 
-Ragazzino, ma cosa stai aspettando?! Tira fuori le palle e usa quella bacchetta!-
 
Roxanne si agganciò al braccio di Yann e dopo aver tastato a dovere il suo bicipite, cosa che lasciò decisamente stupito il mago, cinguettò con voce melodiosa:
 
-Non può usare la magia perché è un babbano, idiota!-
 
Yann tirò indietro il braccio con forza, per poi aggrapparsi alle sbarre della cella e puntare gli occhi scuri su Al, che deglutì a più riprese visto che quel mago gli incuteva più timore di Roxanne.
 
-Un babbano? Qui?! Non avete risparmiato nemmeno loro, siete dei barbari mostri!- Gridò Yann che palleggiava lo sguardo dalla strega al babbano. Alistair si sentiva un verme. Aveva passato la sua intera esistenza a deludere le persone a cui era affezionato e a tradire le aspettative di chiunque. Anche in quell’occasione, Al sentì di aver perso, ancora una volta.
 
“Non sei riuscito a superare i test?!”
 
Con lo sguardo basso, Alistair scrollò il capo in un moto di desolazione mentre sua madre andava in escandescenza. Aveva davvero sperato in un esito positivo; se fosse riuscito a passare le selezioni per il corso di medicina, forse per una volta i suoi genitori si sarebbero mostrati felici e fieri di lui. Ma come aveva potuto crederci anche solo per un secondo? Ancora una volta era risultato molto più che mediocre, andando così ad aggiungere una tacca sulla conta delle proprie sconfitte. La facoltà di medicina non era di certo per tutti, questo lo sapeva bene; ma il giovane Gordon era il prodotto di due menti brillanti e facoltose, doveva avere del talento nascosto da qualche parte: Richard era uno degli avvocati più famosi in circolazione e a lui si rivolgevano per risolvere questioni spinose, mentre Clara un luminare della ginecologia, le cui consulenze erano richieste a livello internazionale.
Ma Alistair? Chi era Alistair?
Facile: un ragazzo dinoccolato, nevrotico, pappamolle e con un quoziente intellettivo nella media. Insomma, lo smacco più grande per suo padre era un figlio come lui, nel quale aveva smesso di riporre ogni fiducia da tempo ormai, ritenendolo un invertebrato senza carattere. E dire che da piccolo era cresciuto fra coccole e agi, con il desiderio da parte dei genitori di vedere sbocciare il loro unico figlio in qualcuno che fosse alla loro altezza.
Alistair dovette ripiegare sul corso da infermieri, allargando così la voragine che si era venuta a creare con il proprio nucleo familiare. L’unica persona che aveva mostrato il piacere di rimanergli accanto fu Teresa, che lo spronò a dare sempre il massimo e lo invitò a non farsi carico delle aspettative di Clara e Richard.
Costruitosi a fatica un ambiente stabile in ambito lavorativo, Al venne a contatto con una realtà che non si aspettava: la malattia e la morte erano per lui da combattere, ma stranamente non trovò spiacevole venire a che fare con la caducità della vita. Il ragazzo scoprì il suo talento naturale; naturalmente portato al conforto, si mostrò coraggioso nell’approcciare a malati terminali, così come non titubò quando dovette frequentare le camere mortuarie arricchite da corpi senza vita.
La morte, per Alistair, era strettamente legata alla vita e nonostante il timore iniziale di far fronte al lavoro, durante il tirocinio scoprì di sapere accettare con stoica rassegnazione il naturale processo a cui gli uomini erano sottoposti.
O almeno fin quando non trovò sulla lettiga di gelido metallo un cadavere dalle sembianze conosciute: Ludwig era cambiato ed il pallore atipico era difficile da associare al vivace tono che coloriva quello che, ai tempi della scuola, era stato il bullo che lo aveva più volte torturato. Diversamente dal solito, Alistair sfilò il guanto di lattice e con le dita scoperte andò a puntellare il naso largo del ragazzo. Incidente stradale, gli avevano detto. Una parte di lui, constatò con raccapriccio, pensò che se lo fosse meritato; ma subito il turpe pensiero si richiuse nell’angolo più buio della sua anima, lasciando spazio ad altro.
E mentre Al rifletteva su quanto ironico fosse il destino, che lo aveva schierato dalla parte dei vincitori per una volta, gli occhietti si sgranarono quando la mano ferma sul collo percepì con distinzione, il battito cardiaco spandersi fra le vene.
 
Era vero, Alistair non poteva usare la magia; ma la verità era ben visibile ai suoi occhi: aveva il coltello dalla parte del manico. Non sapeva per quale motivo, ma era cosciente di avere un ruolo rilevante in quella turpe faccenda e anche gli altri reclusi non potevano essere da meno. Preso coraggio, strinse la bacchetta di Roxanne con presa salda e si avvicinò alle sbarre, inchiodando lo sguardo sulla Mangiamorte.
 
-Ti d-darò la tua…la tua b-bacchetta.-
 
Roxanne sorrise compiaciuta; questa volta fu il suo turno di spostare malamente Yann per posizionarsi davanti ad Alistair.
 
-Bravo, hai fatto la scelta migliore.- cinguettò allungando la mano fra le sbarre.
 
-M-ma a u-una cond-d-dizione.- Al tentò di usare il suo tono più fermo, che sorprese Roxanne tanto quanto Yann.
 
-Non ci sarà nessuna condizione!- stridette lei.
 
Il babbano inarcò un sopracciglio ed accennò un sorriso, così fece il gesto di spezzare la bacchetta, che costò un singhiozzo preoccupato di Roxanne.
 
-Posso s-sempre s-s-spezzarla! E p-poi riferire a q-quell’uomo dagli occ-chi di ghiaccio che t-ti sei fatta fregare d-da un…babbano-
 
Fu il turno di Yann di scoppiare a ridere e Roxanne, furiosa più che mai, tentò di riacquisire compostezza.
 
-Forza, sentiamo allora.-
 
-Ho s-sentito che parlavate d-di un p-patto.-
 
-Ebbene?- incalzò lei, incrociando le braccia.
 
Alistair fece correre lo sguardo da Yann a Roxanne, sulla quale si soffermò. Prese un respiro profondo e dichiarò:
 
-V-voglio che applichi l-lo s-stesso patto per l-lui e per me.-
 
Roxanne Borgin si rese conto di essere finita in un grosso guaio. Se si fosse rifiutata, o se avesse tradito il patto, Robert sarebbe venuto a sapere di quanto successo e sicuramente avrebbe perso la fiducia in lei riposta. La strega non aveva alternative: doveva cedere alle richieste di quei due, altrimenti per lei non sarebbe finita affatto bene.
 
*
 
Cora si sentiva particolarmente impaziente, agitata e stranamente in allerta. Nonostante il suo carattere si era fatto algido e pragmatico, dovuto all’ambiente in cui era cresciuta, qualcosa in lei stava cambiando. Avere a che fare con quei reclusi, nello specifico con una personalità come quella di William Lewis, le stava facendo mettere in discussione tutto ciò in cui, fino a quel momento, aveva creduto. Tutte le chiacchiere legate alla superiorità del sangue puro si stavano riducendo ad un mucchio di polvere, in quel contesto in cui tutti erano messi alla pari. Il suo sangue puro non l’aveva salvaguardata di certo, visto che era comunque finita in una situazione simile, al pari di babbani, ibridi e sanguemarcio; il lignaggio non era un punto a favore e questo, Cora, lo stava imparando a sue spese. Inoltre la parte apprensiva e premurosa di lei stava emergendo con prepotenza, visto che da quando l’avevano divisa da Will, non aveva fatto che provare preoccupazione nei suoi confronti e si chiedeva se il mago stesse bene.
Le urla che sentì, seppur distanti, dall’interno della sua cella aumentarono esponenzialmente lo stato di allerta. Era corsa alle sbarre e a quelle si era aggrappata, puntando lo sguardo oltre di esse nel tentativo di capire da dove provenisse tutto quel trambusto. Aveva gridato nella speranza che qualcuno la sentisse, ma nessuno era corso da lei che si era ritrovata costretta a scovare la calma, vedendosi impossibilitata ad agire in alcun modo. Il baccano proseguì a cadenza regolare e alle grida si accumularono vaghi tremori del terreno che tornarono a farla allarmare. Poi d’improvviso giunse il silenzio. Cora si morse il labbro con forza eccessiva, prima di tornare ad urlare che, maledizione, qualcuno doveva tirarla fuori da quella cella.
Dopo un po’ cedette e agitata, tornò ad occupare la brandina nel tentativo di regolarizzare respiro e battito cardiaco. Chissà di chi erano quelle grida e specialmente si chiedeva quale fosse il motivo del silenzio che era seguito.
Si era ferito qualcuno? Era morto qualcuno?
Quando Adrian Reed arrivò in prossimità della sua cella, Cora scattò in piedi e corse verso il Mangiamorte, che teneva una sigaretta spenta in bocca ed aveva l’aria di essere assorbito dai pensieri che, con lei, non avevano nulla a che fare.
 
-Finalmente ti sei deciso ad arrivare!- Urlò non riuscendo a contenersi. Adrian spalancò la cella con un colpo di bacchetta e rimase stupito dall’aggressività di quella strega, che raramente aveva visto colta dall’agitazione.
 
-Stai calma, non è un diritto quello di uscire di qui.-
 
Cora fece un passo di troppo nella direzione dell’uomo, che di tutta risposta puntò la bacchetta sul suo petto:
 
-Ferma lì ragazzina, chi ti ha dato il permesso di muoverti?!-
 
-Mi stai prendendo in giro?! Voglio sapere cosa è successo! Cosa diavolo erano tutte quelle urla?! È successo qualcosa a qualcuno?!-
 
Adrian boccheggiò appena.
 
-Urla? Ma di che cazzo parli? Chi è che stava urlando?-
 
-Dovresti dirmelo te!- Attaccò agitata, lei –Veniva da quella direzione e la terra si è messa a tremare! Possibile che tu non ne sappia nulla?!-
 
Adrian impallidì. Era stato totalmente assorbito dal suo confronto con Elyon e sapendo che ci fosse Roxanne a tenere d’occhio la situazione dei reclusi, non si era minimamente preoccupato di svolgere il suo compito per tempo. Si ritrasse di botto, gridando a Cora di seguirlo; mentre correva verso il punto indicato dalla strega, sperò con tutto se stesso che si fosse confusa e che nulla di troppo grave fosse successo. Robert non c’era e lui non poteva permettere di tradire la sua fiducia, altrimenti quella volta ci avrebbe rimesso l’osso del collo.
 
 
*
 
Smaterializzarsi in quel luogo era stato facile come bere un bicchier d’acqua. Ci si era recato talmente tante volte, negli ultimi anni, che ormai conosceva a memoria ogni singolo percorso alternativo che gli avrebbe permesso di passare inosservato, dal punto in cui era impossibile smaterializzarsi all’ingresso della villa coloniale, posta sotto una lunga serie di incanti. Robert non fece in tempo a privarsi del suo mantello, che il mastodontico portone si aprì, facendolo accogliere dal conosciuto elfo domestico.
 
-La Signora attende che il dottore arrivi da molto. Alla signora non piace aspettare!-
 
Col passare degli anni, il fare scorbutico di Flam aumentava esponenzialmente e proporzionalmente con la reverenziale sottomissione alla sua padrona.
 
-Dei miei contrattempi non devo di certo rendere conto a te. Senza perdere altro tempo, saresti così cortese da condurmi da lei?-
 
Con un grugnito furibondo, l’elfo vestito solo di uno straccio sudicio a coprire le pudenda, anticipò il passo di Robert fino a condurlo all’ingresso di un sontuoso salone riccamente rifinito al centro del quale, illuminata da calde e pallide luminarie sospese a mezz’aria, una bella donna dai folti capelli biondi attendeva seduta su un divano rosso dal tessuto cangiante, con un bicchiere di gin in mano.
 
-Ti ho aspettato per ben due ore.- Il cinguettio nascondeva una nota di dissapore che il dottore aveva imparato a riconoscere.
 
-Mein schatz (2)…sai bene che non posso farmi vedere in giro; inoltre per quanto sia sempre un piacere condividere il tempo con te, il mio progetto ha sempre la priorità.-
 
La donna allungò il candido braccio scoperto, con cui tratteneva il bicchiere, lungo il bracciolo con gesto languido. I cristallini occhi di Robert corsero su di esso, fino a soffermarsi sul marchio nero che sul candore della pelle di lei, risaltava ancor più. La donna inclinò il viso sulla destra ed accennò un sorriso, mentre gli occhi dalle lunghe ciglia seguivano l’incedere dell’uomo nella sua direzione.
 
-Lo sai che abbiamo lo stesso obiettivo Robert: servire il Signore Oscuro.- Mentre la strega parlava, il dottore si chinò nella sua direzione, lasciandole un bacio languido sul collo scoperto, che ebbe l’effetto di fare insorgere un sorriso compiaciuto sul bel volto di lei. –Per questo ti ho chiesto più di una volta di farmi venire in quel luogo…- La strega allungò una mano, con cui carezzò il viso vicinissimo di Robert e poi parlò sul filo delle sue labbra tese –Permettimi di sbarazzarmi di lui e del resto dell’immonda feccia.-
 
-Martha…- Il suo nome quasi un sussurro, nella bocca di Robert –Tuo nipote serve alla causa…ma è proprio per quest’ultima che ho richiesto questo incontro speciale.-
 
Martha Heathcote storse il naso, fintamente infastidita, mentre le mani attiravano di nuovo il viso di Robert, seduto ormai al suo fianco, verso di lei:
 
-Pensavo di esserti mancata, che illusa.-
 
Di tutta risposta Robert sorrise, alzò il suo mento con un gesto tiepido e le parlò sulla bocca:
 
-Natürlich ja (3), non dovresti mai dubitarne…purtroppo oggi attendiamo qualcun altro e ti prego…- Robert Steiner sospirò nel cogliere l’espressione accigliata e indispettita di Martha –So che non ti è simpatico, ma ricorda che tutto quello che faccio, comprese le collaborazioni a cui do la vita, è volto alla causa per il Signore Oscuro.-
 
La strega annuì di malavoglia ed infine poggiò le labbra tornite su quelle di lui, alla ricerca di un bacio lungo e profondo. Purtroppo Martha venne interrotta dalla voce mielosa dell’elfo domestico:
 
-Mia Signora, l’altro ospite è arrivato, il signore è sporco di fango, trascurato e non piace a Flam!-
 
-Dalla descrizione deve essere arrivato il tuo ospite, Robert.- Celiò Martha scostandosi da lui. Un forte tossire interruppe un lungo sguardo d’intesa dei due, che contemporaneamente spostarono l’attenzione sulla porta del salone: poggiato sullo stipite, con le braccia incrociate e un sorriso di circostanza nascosto sotto la barba troppo lunga, Fenrir Greyback osservava la situazione. Il dottore a quel punto si alzò dal divano e s’avvicinò al licantropo con il solito passo elegante e le mani congiunte dietro la schiena.
 
-Ben arrivato, Greyback: a questo punto credo sia giunto il momento di esporvi le mie idee.-
 


 
(1) I buñuelos sono dolci tipici colombiani.
(2) Mein schatz: in tedesco “Mia cara”.
(3) Natürlich ja: in tedesco “Certo che si”.
 
Mettetevi comodi, perché questa volta le note saranno particolarmente lunghe. Prima di tutto voglio scusarmi con voi per questa lunga assenza. Come alcuni di voi sanno già, per me questo è un periodo soffocante; mi sono ritrovata a riprendere a studiare  (devo sostenere tre esami in un solo giorno) mentre ovviamente lavoro. Questo purtroppo mi ha impedito di scrivere per parecchio tempo; mi sono quindi ritagliata dei rarissimi spazi di tempo per poter completare questo capitolo che quantomeno è bello lungo. Credetemi se vi dico che sono la prima a voler scrivere, ma davvero non ho tempo, almeno fino al 27 quando terrò questi esami. Inoltre aprile è sempre un mese particolarmente impegnato, visto che sia io che mia madre e mia sorella siamo nate in questo mese ehehe. Ma bando alle ciance! Finalmente ci sono e spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Sappiate che il titolo è arrivato come un’epifania: anche in questo caso i vostri voti sono stati mossi dalla divina provvidenza, dato che sono andata ad affrontare due personaggi agli antipodi e perfettamente intercambiabili. Da una parte infatti abbiamo Lucas, temerario e “impavido”, ma che crolla davanti alle sue debolezze, legate all’incapacità di accettare i propri poteri. Dall’altra abbiamo il “pavido” Alistair, ma che tanto pavido non si sta dimostrando, tutt’altro. Chi sarà quindi il pavido del titolo e chi l’impavido? Per me lo sono entrambi, per voi?
Poi poi poi….ehehehe mi sono divertita a creare un po’ di scene comiche, perché questa storia ogni tanto ha bisogno di respiro. Come già ribadito in precedenza io ho questa visione assurda di Roxanne, personaggio sicuramente tragico ma anche tanto comico; accostata poi a Yann che è quanto di più lontano da lei e da Alistair, un semplice “babbano”, Roxie ha dato il meglio e il peggio di sé. Ah, l’astinenza! Povera lei! Spero di non essere uscita troppo dai binari con gli spezzoni a lei dedicati e che vi abbia strappato una risata.
Ma chi altro abbiamo? Sento odore d’ammore nell’aria? Già, perché mi pare che un po’ di persone si stanno avvicinando. Che ne pensate? Dai, diamo il via ai pettegolezzi, su!
Finalmente abbiamo capito perché il Giardino è rimasto praticamente incustodito: Roxanne chiusa in cella con il focoso Yann, Adrian al solito che pensa solo ad Elyon e non è assolutamente in grado di adempiere ai suoi compiti ed il dottore dei nostri cuori che…è andato a trovare Martha Heathcote; esatto, proprio quella Martha lì, la zia di Lucas. Al quadretto si unisce anche quel maledetto schifoso di Greyback, sono sicura che Elyon ne sarà felice (lol). Che starà combinando?
Penso di aver detto tutto, ora sta a voi: vi chiedo al solito di votare altri due oc e poi di farmi sapere la vostra sul capitolo J
Vi ringrazio per la pazienza che avete avuto con me; abbiate fede, riemergerò dopo il 27!
 
Bri
 
 
Alon
Cora
Evangeline
Joshua
Mazelyn
Odette

 
(votate in privato please!)

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Capitolo 11
*** Il Tritone e la Sirena ***


CAPITOLO IX
Il Tritone e la Sirena
 
Philip si sentiva stanco, molto stanco. Aveva passato la notte in reparto e appena finito il suo turno era corso al Ministero, dove sapeva che ad attenderlo ci fosse la squadra degli Auror che stava seguendo il caso delle persone scomparse, come sua moglie. Non aveva avuto nemmeno il tempo di farsi uno doccia: smesso il camice, aveva gettato dell’acqua fredda sul viso rasato di fresco e si era presentato alla convocazione. Fortunatamente ad accoglierlo ci fu l’abbraccio accogliente di Sophie e Adam, i genitori di Victor. Già, perché anche loro erano stati convocati  in quanto del magigiornalista, come di Martha, non c’erano state più notizie.
Ma Martha e Victor non erano gli unici due ad essere scomparsi nel nulla: presenti alla convocazione vi erano molte più persone, che si scambiavano sguardi tesi e ricchi d’ansia. L’attenzione di Philip venne momentaneamente catturata da una donna dal fascino incantevole, che possedeva corti capelli brillanti come l’argento e che stringeva forte la mano ad un mago dalle fattezze decisamente più comuni. Prima che avesse la possibilità di passare in rassegna i presenti, la strega a capo della squadra fece un passo avanti, richiamando l’attenzione di tutti loro:
 
-Buongiorno a tutti. Io sono Madeline Boxton, a capo della squadra Auror che sta svolgendo le indagini relative alla scomparsa dei vostri familiari; vi prego, sedetevi e ascoltatemi con attenzione.-
 
La strega dai lunghi capelli color cioccolato portò le mani dietro la schiena e rimase in piedi accanto ad un uomo poco più alto di lei, dall’aria austera. Appena tutti i presenti ebbero preso posto, le sottili labbra spoglie di trucco tornarono a parlare con tono categorico:
 
-Sono passati più di tre mesi dalla prima scomparsa sospetta e a seguito delle indagini preliminari, siamo stati spinti dal dubbio che ci sia un filo conduttore a legare le sparizioni.-
 
L’Auror fu interrotta da una voce baritonale, che attrasse lo sguardo stanco di Phil:
 
-Possibile che sia passato tutto questo tempo senza avere traccia di mia figlia?! Questo è inaccettabile!-
 
-Signor Dagenhart, le assicuro che stiamo facendo il possibile per risolvere questo mistero.-
 
-Mistero?!- Trillò la donna al suo fianco, che scattò in piedi –Avreste dovuto accantonare ogni altro lavoro per ritrovarla! Stiamo parlando della sorella del futuro Primo Ministro!-
 
A quell’affermazione ci fu un borbottio generale, che venne sovrastato dal tono alterato di un mago, scattato in piedi anch’egli:
 
-Quindi tua figlia sarebbe più importante della mia solo perché forse- ,virgolettò il mago, –vostro figliò diventerà Ministro?- Si soffermò infine sul mago –Come fai ad essere sempre tanto pieno di te, Aleister?-
 
-Trevor Montague… - quel nome uscì dalla bocca di Aleister Dagenhart come fosse un insulto, - …Tu non sei che la dimostrazione che il sangue purò è inutile, quando si è marci nel midollo.-
lo sguardo fiero fluttuò su Adam Selwyn, che ruppe il suo silenzio forzato da Sophie:
 
-Ti ricordo che anche mio figlio è scomparso, così come i parenti di molte altre persone qui: non pensi sarebbe il caso di tentare di mettere in moto i pochi ingranaggi che hai nel cervello e mostrare un po’ di rispetto per noi tutti, Daggie?-
 
-Ti rendi conto con chi stai parlando?- sibilò Aleister.
 
-Con un pennuto cerebroleso?- Chiese retoricamente Adam.
 
-Ecco perché la Gazzetta del Profeta è caduta così in basso…- si introdusse Saoirse, di nuovo in piedi al fianco del marito Aleister, - …se a dirigerla c’è tuo figlio; spero per tutti noi che non venga più ritrovato, almeno potremo tornare a delle letture più gratificanti.-
 
Nonostante la calma fosse una sua caratteristica, Philip sentì il sangue ribollire nelle vene; stava per scattare in piedi per dare manforte ad Adam, ma venne bloccato da Sophie la quale non si scompose affatto:
 
-Otroligt (1)…voi inglesi non fate altro che parlare di sangue puro…non pensate sia meglio capire dove sono i nostri figli, invece che discutere?-
 
-Fortunatamente qualcuno dimostra di saper ragionare.- L’intervento del capo Auror Boxton, che si aspettava ci sarebbero stati piccoli attriti, aiutò a freddare gli animi.
 
-Non perdiamo altro tempo.- Proseguì spiegando una pergamena sul tavolo ovale intorno al quale erano seduti: -Abbiamo motivo di credere che fra le persone scomparse ci sia una connessione.-
 
La pergamena riportava i seguenti nomi, affiancati dai ritratti in movimento:
 
Jules Airgood
Cora Dagenhart
Alistair Gordon
Lucas Heathcote
Evangeline Annabel Montague
Joshua Hollens
William Herman Lewis
Odette cassandra McCall
Alon Morgan
Yann Reinhardt
Victor Adam Selwyn
Elyon Olivia Yaxley
Mazelyn Athena Zabini
Martha Sophie Zeller
 
-Da cosa dovrebbero essere connessi? Mia figlia è una medimaga, non ha mai fatto del male a nessuno…-
 
Philip spostò lo sguardo sul mago che era rimasto in silenzio fino a quel momento, passando tutto il tempo dello scontro verbale fra gli altri, stropicciandosi le mani con nervosismo.
 
-Signor McCall…abbiamo ragione di credere che chi ha rapito i vostri parenti…- La Boxton alzò una mano per fermare sul nascere le proteste di Aleister Montague -...nessuna replica signor Dagenhart, siamo più che convinti che si tratti di rapimento,- Gli occhi turchesi contornati da minuscole rughe tornarono su Jonathan McCall –Dicevo…credo che non ci abbiate fornito degli elementi fondamentali al fine delle nostre indagini. Qui non stiamo parlando di maghi e streghe comuni e questo avremmo dovuto saperlo per tempo.-
 
-Mia figlia…tutti sanno chi è.- La voce melodiosa della giovane donna su cui poco prima si erano posati gli occhi di Phil, sembrò sprigionare una coltre di quiete che toccò ogni singolo presente.
 
-Signora Airgood, pensavamo che sua figlia fosse un caso isolato nella sua peculiarità, ma abbiamo scoperto che ogni persona misteriosamente scomparsa è custode di un raro potere. È stato naturale pensare che sia questo, il motivo per cui sono stati rapiti.-
 
Philip rabbrividì, mentre le pupille tremolanti percorrevano il nome di sua moglie, in fondo a quella pergamena.
 
*
 
Martha guardava lo specchio d’acqua cheta con particolare eccitazione, pronta ad approfittarsene e gettarcisi dentro.
 
-Vieni!- La incitò Alon, più felice che mai. Martha abbassò lo sguardo su Jules, che guardava l’acqua con un sorriso sornione.
 
-Perché non vieni anche tu?-
 
-Fra un po’,- cinguettò lei –voglio essere qui se dovesse arrivare qualcun altro.-
 
 Martha non se lo fece ripetere due volte; era decisa a sfruttare ogni momento di distrazione per allontanare la mente dal pensiero costante di quella reclusione. Fece qualche passo indietro, prima di gettarsi in acqua ancora vestita; la vista era nebulosa, ma riuscì a scorgere una grande coda munita delle più tenaci sfumature di azzurro, che si muoveva intorno a lei. Appena riemerse prese un gran respiro e non si risparmiò una risata liberatoria.
 
-Mi mancava l’acqua!- disse ad alta voce, per farsi sentire anche da Jules.
 
-A chi lo dici.- Rispose Alon, emerso anche lui in superfice. Martha percepiva la sincera felicità del più piccolo, che sembrava totalmente diverso in quello che, era del tutto evidente, era il suo ambiente naturale. Alon sembrava ringiovanito ulteriormente, rispetto ai suoi ventidue anni: non faceva che ridere, si emozionava ad ogni battito di coda e tentava di coinvolgerla nelle sue attività acquatiche come farebbe un bambino con i genitori.
 
-Ti voglio far provare una cosa sensazionale.- Disse Alon, con gli occhioni verdi più sgranati che mai e il sorriso ampio esposto in tutta la sua luminosità; Martha acconsentì quindi a immergersi di nuovo con Alon che, una volta averla trascinata in fondo, si rivolse a lei senza difficoltà, così che la sua voce arrivò chiarissima alle orecchie di Martha.
 
-Prova a respirare!- La incitò, trattenendola per il polso. Scherzava, forse? Come avrebbe potuto respirare sott’acqua? Ma volle concedere ad Alon questa prova, tanto il lago non era poi così profondo e sarebbe potuta riemergere con facilità. Lo stupore la colpì in pieno, quando si rese conto di essere realmente in grado di respirare.
 
-Come è possibile?!- Domandò, stupita ed eccitata. Alon non le rispose, limitandosi a trascinarla in giro, premurandosi di non staccare mai la presa da lei. Così Martha si godette il momento, fin quando La lunga e maestosa coda di Alon non si mosse per trasportarli fino alla superficie.
 
-Mi stavo spaventando!- Pigolò Jules che era sporta sulla riva e puntava gli occhioni caldi sui due –Siete scomparsi per un sacco di tempo, ho avuto paura per te!- Gridò infine in direzione di Martha che, allegra, nuotò fino alla riva per poi uscire fuori.
 
-Alon ha fatto una magia davvero fantastica, così sono potuta rimanere sott’acqua un bel po’.-
 
-Se ti decidi a venire posso farlo anche con te.- Si lamentò Alon in direzione della Tassorosso che, dopo essersi ripresa dallo spavento, sfoderò un sorriso enigmatico verso il tritone:
 
-Non ce n’è bisogno mica!-
 
Martha prese a strizzare i capelli, mentre con lo sguardo seguiva Jules che, senza togliersi le scarpe, si gettò in acqua con agilità ed Alon, al settime cielo, si immerse di nuovo, seguendo la giovane strega fino al fondale del lago.
 
*

 
La schiena di Odette aderiva perfettamente al terreno soffice, mentre i suoi occhi scuri cercavano un punto d’imperfezione nel cielo limpido. Solo il sospiro delicato proveniente dal suo fianco destro la fece ridestare, ma non le fu necessario chiedere nulla: le bastò socchiudere gli occhi ed immergersi nella mente di Evangeline, la quale non oppose alcuna resistenza. Sul viso di Odette comparve un sorriso malinconico:
 
-Sono stanca anche io, ma dobbiamo resistere Evie…non possiamo permetterci di cedere terreno ai nostri carcerieri, altrimenti ho idea che la piccola possibilità che abbiamo di uscire da questa situazione sfumerebbe in un batter di ciglia.-
 
-Il problema è che non capisco a cosa potremmo essere utili; se fossero solo le nostre particolarità, allora ci avrebbero già sfruttati a dovere; invece se ne stanno lì, a studiarci come topi da laboratorio.-
 
Odette spostò lo sguardo al lato opposto, laddove in lontananza c’era Adrian Reed, che di tanto in tanto appariva, per poi scomparire di nuovo. La strega era più che convinta che quei Mangiamorte fossero muniti di un qualche amuleto molto potente, che le impediva di leggere loro la mente; difatti Odette non era una legilimens come tanti: mai nessuno era riuscito ad innalzare barriere tanto costanti e prima o poi era sempre riuscita a penetrare la mente di chiunque. Eppure non c’era ancora riuscita, né con Adrian Reed, tantomeno con Roxanne Borgin; per non parlare del famigerato dottore, che aveva incontrato solo un paio di volte di sfuggita.
Insomma, Odette si sentiva inutile alla causa, ma la sua positività intrinseca la spingeva a vedere il bicchiere mezzo pieno, sempre. Con un colpo di reni si mise a sedere e tornò a fissare la ragazza stesa a terra, con le braccia abbandonate sull’erba e lo sguardo assente; il sorriso di Odette si spense lentamente, mentre affondava nei ricordi di Evangeline che dal canto suo non prestava attenzione che al vuoto. Odette scosse la testa; le sembrava davvero troppo intimo ciò su cui stava indagando.
 
-Tranquilla…non stavo pensando a nulla di segreto o sconveniente. Pensavo a mio fratello, mi manca terribilmente.-
 
Gli occhi di Evangeline vibrarono appena, per poi tornare a farsi vacui.
 
-È più piccolo di te, giusto?-
 
La strega più giovane annuì: -Si chiama Graham, frequenta anche lui Hogwarts. Lui è un cocciuto e tracotante giovane mago in erba, ma ci sono tanto affezionata. Sai…lui è l’unico della mia famiglia a sapere di Freya.-
 
Una più giovane, giovanissima Evangeline correva lungo un viale di mandorli in fiore. Poco distante un bambino ancora più piccolo, con folti capelli neri e occhi dello stesso tono di Evie, tentava di tenere il passo.
 
-Aspettami! Corri sempre troppo, aspettami!- Si lamentò il bambino, comunque intento a non demordere e raggiungere la sorella. Distanti da loro una coppia di giovani maghi si teneva per mano e guardava i bambini con sguardo amorevole; quella gita fuori porta era stata un toccasana per la famiglia, visti i rari momenti che potevano condividere tutti insieme. Trevor Montague era infatti sempre molto impegnato con gli affari di famiglia, importante importatrice di pietre preziose, così che il mago tentava di impiegare il poco tempo a disposizione per stare con le persone a lui più care.
 
-Guarda quanto è vispa quella scheggia,- disse Alice mentre perdeva lo sguardo sui suoi figli e, nello specifico, su Evangeline, -Graham è troppo pigro per starle dietro!-
 
I due risero mentre commentavano scherzosamente i loro due figli, dal carattere già tanto diverso, ma nonostante tutto molto legati. Mentre chiacchieravano e ridevano, qualcosa di anomalo attirò l’attenzione di Alice e Trevor che, stupiti, guardarono Graham correre verso un albero e tentare di arrampicarvisi sopra; il loro bambino aveva solo quattro anni e non aveva ancora sviluppato le capacità motorie per compiere una simile azione; inoltre, se anche ci fosse riuscito, il suo carattere indolente si sarebbe messo in mezzo. Lievemente allarmata, la coppia si avvicinò di tutta fretta al piccolo Graham, che per un soffio fu salvato da un bel capitombolo.
 
“Amore! Che cosa ti è venuto in mente?” Gli chiese preoccupata Alice mentre lo prendeva in braccio, aspettandosi che il figlio si mostrasse spaventato; ma qualcosa nel suo sguardo fece aumentare il livello di preoccupazione, in aggiunta alla vocina infantile che dichiarò, monocorde, che dovevano lasciarlo andare perché doveva raccogliere dei frutti per Evie.
 
“Dei…frutti? Ma cosa stai dicendo…” Alice e Trevor si guardarono ancora una volta, assolutamente incapaci di capire la situazione; il piccolo Graham, intanto, tentava di divincolarsi dalla presa di Alice che tentava di trattenerlo con forza, mentre Trevor ricercò Evangeline la quale, poco distante, li guardava con le mani dietro la schiena e un’espressione innocente.
 
 
“Ti rendi conto che cosa è riuscita a fare? Non è possibile…”
Nella quiete notturna del loro salone, i coniugi Montague si confrontavano su quanto erano venuti a scoprire riguardo le incredibili facoltà di Evangeline; a seguito dell’episodio che aveva visto coinvolto il loro figlio più piccolo, i due avevano cautamente messo alla prova Evangeline, sottoponendola a piccoli esperimenti. La piccola era riuscita in più di un’occasione a stordirli e c’era mancato poco che Trevor venisse davvero ‘ipnotizzato’.
 
“Dobbiamo parlare con qualcuno, tesoro…degli specialisti…potrebbe essere pericoloso per lei! Non riesco ancora a crederci.”
 
Alice ingollò l’ultimo sorso di whisky incendiario, mentre il marito guardava imbambolato un punto non meglio precisato della stanza.
 
“Trevor…” Lo richiamò la strega, “credo sia il caso di denunciare la cosa al Ministero…se lo venissero a scoprire…”
 
Come risvegliatosi da un lungo torpore, il mago spostò l’attenzione su sua moglie: “Non ora, Alice…se al Ministero si venisse a sapere di cosa è capace Evangeline potrebbero pretendere di tenerla sotto osservazione e chissà…magari di usarla chissà in quale modo. No, per il momento dobbiamo pazientare e fare in modo che la nostra piccola impari a modulare il proprio potere.”
 
“Ragiona! Evie è troppo piccola, come possiamo pretendere da lei che impari a gestire un potere di cui nemmeno io e te con la nostra bacchetta facciamo uso?!”
 
Ma Trevor non volle sentire ragioni. Nessuno avrebbe osato abusare di sua figlia e conoscendo il Ministero, non poteva mettere la mano sul fuoco che dalle sfere alte non ci avrebbero provato.
 
 
Il medimago si sforzò molto per lasciare che fosse Evangeline a scegliere cosa raccontarle, senza necessità di leggerle la mente. Evie si era esposta a raccontare come la sua famiglia aveva preso la scoperta del suo potere, così tremendamente simile ad una delle tre maledizioni senza perdono. Evangeline possedeva un dono unico e raro, come ognuno di loro in quel Giardino, del resto: la sua voce era come il canto di una sirena, alla quale nessuno era in grado di resistere. Odette si chiese se la serpeverde avesse mai abusato del suo potere, magari con quella Freya di cui le aveva accennato, ma dentro di sé s’affrettò a rispondere che non era possibile, perché la frequentazione assidua con Evie le aveva fatto capire che la giovane strega fosse una persona buona, che mai e poi mai avrebbe fatto una cosa del genere. Aveva capito quanto delicata fosse la situazione, perché aveva intuito che la Freya di cui parlava Evangeline non fosse una persona qualunque, ma avesse guadagnato un posto speciale per la giovane.
Concluso il racconto riguardante la sua infanzia, Evie trattenne il fiato, perdendo per qualche istante gli occhi chiari fra i minuscoli granelli di polvere che fluttuavano nell’aria tiepida. Parlare le avrebbe fatto bene e in quei pochi mesi aveva compreso di potersi fidare di Odette, buona e comprensiva. Ma un fischiettio la fece desistere dall’aprire bocca e al contempo il sorriso colmò il viso.
 
-Chiacchiere fra signore?-
 
La lunga ombra di Victor coprì la figura di Evangeline, che si affrettò a sedersi.
 
-Nulla che possa interessare un pettegolo magigiornalista come lei, signor Selwyn.-
 
Victor scoprì i denti accavallati mostrando un sorriso divertito alla più piccola delle due ed Evie si ritrovò a pensare che no, quel difetto non la disturbasse affatto e che, al contrario, lo trovasse davvero carino. Pensiero che non sfuggì ad Odette, la quale smollò un pizzicotto sul braccio di Evangeline.
 
-Vorrei tanto lasciarvi ai vostri giochetti da femmine, ma temo io sia obbligato a rimanere qui.-
 
Victor si guardò intorno e una volta rintracciato con lo sguardo Adrian, gli fece cenno di volere una sigaretta. DI tutta risposta Adrian alzò il dito medio e Victor alzò le spalle.
 
-Noiosi, questi Mangiamorte.- commentò, prima di sedersi al fianco di Evangeline, -Allora di cosa non state parlando?-
 
Odette ed Evangeline si lanciarono un lungo sguardo di intesa e prima che la seconda potesse dire qualsiasi cosa, vennero raggiunte dai passi nervosi di Elyon Yaxley, affiancata da Yann che, con le mani in tasca, sembrava immerso con quella in una fitta discussione concitata. Ad Odette non sfuggì lo sguardo che Elyon e il Mangiamorte si dedicarono a debita distanza, prima che la strega cominciasse a torturarsi il lobo dell’orecchio e muovere di scatto la testa verso di lei, la quale sussultò davanti l’algidità del viso contratto.
 
-Buongiorno.- si sforzò di sorridere, il licantropo, anche se quello che ne risultò fu una rigida piega della bocca, che non donava affatto alla sua atipica bellezza. Le pupille guizzarono poi in direzione di Evangeline, che ricambiò placida l’attenzione.
 
-Ho saputo che hai fatto ragionare Lucas con la tua incantevole voce; suppongo che tu abbia già tentato con i Mangiamorte, giusto?-
 
Evangeline inarcò un sopracciglio, prima di rispondere:
 
-Sei particolarmente sagace, Elyon Yaxley.-
 
Elyon strinse le labbra; voleva evitare di mettersi a discutere con quella ragazzina, specialmente perché sarebbe stato controproducente inimicarsi anche una sola persona fra i prigionieri. Fortunatamente non dovette sforzarsi troppo, visto che fu Yann a mettersi in mezzo che, con braccia incrociate, mosse un passo verso il gruppo, affiancandosi ad Elyon:
 
-Non cominciamo a punzecchiarci. Elyon ed io abbiamo convenuto sul fatto che sia il caso di cominciare ad agire, se vogliamo davvero uscire di qui; se i nostri calcoli sono esatti siamo in Dicembre inoltrato e ancora non ci è stato rivelato niente: dobbiamo collaborare quanto più possibile.-
 
Per Victor non fu difficile percepire il fastidio di Evangeline, che detestava si rivolgessero a lei come un’ingenua ragazzina; per questo con spontaneità strinse delicatamente il polso della sua mano, gesto che la calmò all’istante (facendola peraltro arrossire vistosamente) e poi prese la parola:
 
-Senza ombra di dubbio, ma invece di fare la voce grossa, avete idee da proporre?- I suoi occhi scuri scattarono da Yann ad Elyon –Validi argomenti di discussione? Niente?-
 
-Non siamo giornalisti al tuo cospetto, Selwyn…siamo qui per collaborare, non per proporti qualche stupido scoop.- Sibilò Elyon irrimediabilmente indispettita.
 
-Giusto.- Annuì Yann, facendosi ancor più vicino a Elyon per spalleggiarla. Gesto che non sfuggì al vigile sguardo di Adrian, il quale con l’arrivo del licantropo si fece molto più attento a quanto succedeva nel gruppo. Per questo si avvicinò con passo pesante.
 
-Non è mica ricreazione. Allontanati, Reinhardt!-
 
Odette, rimasta in silenzio fino a quel momento, assottigliò lo sguardo nella speranza di cogliere qualche pensiero di Adrian. Si sorprese nel rendersi conto che un piccolo squarcio si era creato in essa; uno squarcio dal nome Elyon Yaxley. Per questo Si alzò di scatto e si avvicinò alla strega che con l’arrivo di Adrian s’era fatta ancora più rigida.
 
-Psss!- Sussurrò al suo fianco. –Mi è venuta un’idea, ma dobbiamo allontanarci un po’, puoi aiutarmi?-
 
Elyon non se lo fece ripetere due volte; nonostante non avesse idea di cosa volesse ottenere la strega, annuì e la assecondò: pian piano si mossero distanti da Victor ed Evie che seguivano interdetti la scena di Adrian Reed che, in piena discussione con Yann, seguiva involontariamente Odette ed Elyon, che continuava a tenere sotto controllo con lo sguardo.
 
-Secondo te dovremmo seguirli?- Chiese ingenuamente Evie, ma Victor scosse il capo:
 
-Ho il sospetto che dovremmo rimanercene qui.-
 
E mentre il polo della discussione si faceva sempre più distante, il magigiornalista sorrise, tirò su le maniche della camicia esponendo gli avambracci costellati di tatuaggi e si sdraiò sulla soffice erba, per poi tornare a rivolgersi alla strega.
 
-Allora, cosa ho interrotto con il mio arrivo?-
 
*

 
Le pupille circondate da iridi di intenso verde, seguivano rapite il corpicino di Jules, la quale camminava sul fondale del lago come nulla fosse, mentre le onde dei suoi capelli chiari come un pallido sole  fluttuavanointorno al viso. Con un misurato colpo di coda, Alon si fece vicino alla strega e si rivolse a lei, non riuscendo a trattenere il sorriso:
 
-Puoi respirare sott’acqua e non me l’hai mai detto?!-
 
Jules annuì, per poi fargli cenno di distanziarsi da lei, cosa che Alon si affrettò a fare. Sussultò, il ragazzo, nel vedere un getto d’aria di infinita potenza sgorgare dalla bocca rossa che, con sforzo evidente, creò in pochissimo tempo una vera e propria camera d’aria a circondarla. I capelli ricaddero di botto sul viso, appiccicandosi alle guance, come il vestitino fece sul corpo; ad Alon sembrò di ritrovarsi improvvisamente in un acquario: il muro d’acqua era ben definito ed i due si guardavano da un capo all’altro.
 
-Ma questa è una cosa pazzesca, Jules! Puoi stare sott’acqua senza problemi!-
 
-Mi devo impegnare un po’, per il momento non riesco a mantenere questa condizione per più di un’ora, ma con il tempo sto migliorando.- La giovane sorrise –Volevo farti una sorpresa!-
 
Alon sentì la commozione salire agli occhi. Per la prima volta in vita sua era entrato a contatto con qualcuno con cui avrebbe, realmente, potuto condividere una parte del suo mondo. Fino a quel momento la sua vita sulla terra era sempre stata ben distante da quella sott’acqua, dovendosi dividere lui stesso per far coincidere i due mondi.
 
Il piccolo Alon tratteneva un polpo di medie dimensioni fra le dita e sbattendo velocemente la coda, nuotò nella direzione di Perla, che lo attendeva appesa ad una roccia costellata di minuscole conchiglie argentate.
 
“Mamma! Guarda lui, ci ho messo una vita ma alla fine l’ho catturato, ce l’ho fatta!”
 
La bella sirena sorrise in direzione del figlio.
 
“Va bene Alon, ma ora lascialo andare, ti avevo detto che avremmo avuto un appuntamento importante.”
 
Titubante, il piccolo tritone rilasciò il polpo che sparì immediatamente nei meandri dell’oceano. A distrarlo dalla vista dei tentacoli sempre più lontani, fu una voce profonda e gioviale; una voce che si rivolse a lui in perfetto linguaggio marino.
 
“Sono felice di conoscerti, Alon! Tua madre mi ha molto parlato di te, sai?”
 
I grandi occhi verdi scattarono in direzione di un essere umano dalla lunga barba bianca, vestito con un’abbondante tunica tempestata di mezze lune argentate, seduto sulla roccia come nulla fosse. Alon avrebbe scommesso che fino a qualche secondo prima dell’uomo non ci fosse traccia: non poteva essere un semplice essere umano, doveva essere un mago.
 
Assunte fattezze umane, Perla ed Alon avevano seguito Albus Silente sulla riva di un’isolata caletta ai piedi della splendida isola Skye, le cui acque erano diventate la loro momentanea casa. Fu in procinto del tenue tramonto, che Alon seppe la verità sul suo passato. Perché il piccolo non era un comune tritone, bensì un ibrido, figlio di un mago che non aveva mai conosciuto.
Fu difficile, per Perla, spiegare a suo figlio la verità. Provvidenziale fu l’aiuto del mago, il quale con discrezione si, ma munito di perspicacia, la aiutò a far comprendere ad Alon chi fosse davvero.
La giovane Perla conobbe il padre di Alon durante un viaggio affrontato su vari paesi della terra ferma; fu sul suolo inglese, che conobbe il mago con cui iniziò una discreta frequentazione; discreta, in quanto la sirena mai volle rivelare al ragazzo di essere in realtà una sirena e che era la vita marina, quella che bramava di riacquistare dopo il viaggio. Ma le cose presero una piega inaspettata, quando Perla si scoprì incinta e fu il terrore della rivelazione al mago, a spingerla a sparire senza lasciare traccia di sé. Perla era sicura che lui non avrebbe compreso e se anche avesse accettato di buon grado la sua natura e quell’inaspettata gravidanza, non l’avrebbe più fatta tornare a vivere nelle acque dell’oceano. Ma lei non era umana: Perla era una sirena e mai e poi mai avrebbe rinunciato alla sua vera natura. Per questo aveva cresciuto Alon come un comune tritone, tenendogli nascosto che in realtà in lui scorreva sangue magico. Il piccolo rimase a bocca aperta, incapace di credere a quanto la madre gli stesse raccontando; lui era cresciuto con Blue, il compagno di Perla e nonostante fosse ben consapevole che lui non fosse il suo vero padre, ad Alon era sempre andato bene così perché Blue era una persona speciale, accorto e premuroso nei confronti di loro tutti e specialmente era il padre della sua sorellina Alissa, di appena tre anni.
 
“Perché mi stai raccontando questa cosa proprio adesso?”
 
il ragazzino sentiva forte l’esigenza di ributtarsi in mare e lasciare che lo sciabordare delle onde portasse via la scomoda verità. Fu l’anziano mago a placarlo e spiegargli come mai si trovasse lì:
Alon aveva compiuto undici anni ed aveva tutto il diritto, se lo avesse voluto, di frequentare la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Fu così che perso nei racconti dell’incredibile scuola, Alon lasciò che la curiosità prendesse il sopravvento; perché se era vero che lui fosse un tritone e che l’acqua fosse propriamente il suo elemento naturale, non poteva ignorare di essere, in parte, anche un mago.
Avrebbe tentato di conoscere l’altra metà di sé, tramite gli insegnamenti che avrebbe ricevuto ad Hogwarts e la sorveglianza del preside Silente.
Alon era speciale e le sue incredibili capacità di gestire l’acqua avrebbero dovuto fornirgli un suggerimento, in quanto non aveva mai incontrato un solo tritone o sirena capace quanto lui di piegare l’elemento a suo piacimento.
Provò una gioia smisurata nell’entrare a contatto con la sua bacchetta, un elegante lungo legno di frassino col nucleo di piuma di fenice.
Ancor più scoppiò di felicità, quando durante lo smistamento di Hogwarts calarono sulla testa bionda uno strano cappello parlante che non dovette nemmeno sfiorarlo, per decidere che Tassorosso sarebbe stata la sua casa per sette anni.
In fondo, Alon si ritrovò a constatare che sua madre lo avesse spinto alla scelta più sensata, invogliandolo a conoscere l’altra metà del mondo a cui apparteneva legittimamente. Le iniziali difficoltà di approccio con i compagni ad Hogwarts, dovute in primis alla sua difficoltà nell’apprendimento dell’inglese, vennero presto sopperite dalla gioia che Alon provava nel maneggiare una bacchetta e nella conoscenza di alcuni compagni fidati, che il ragazzino avrebbe continuato a frequentare anche una volta uscito da Hogwarts.
Alon era felice di aver preso quella decisione. La sua vita era cambiata, ma per sua volontà.

 

 
*
 
Alistair non poteva dire che Roxanne Borgin non avesse fatto di tutto per rispettare il loro patto; non era passato un giorno, durante quelle due settimane trascorse, senza che le sbarre della sua cella si alzassero permettendogli di uscire di lì, anche se per poco tempo. In una sola occasione non aveva incontrato la Mangiamorte ed il giorno seguente, Yann l’aveva minacciata di spifferare la sua inadempienza. Alistair era rimasto a seguire quell’accesa discussione a tratti paradossale, dato che Roxanne aveva preso a giustificarsi come una ragazzina inerme, per poi evidentemente ricordarsi di essere lei, la carceriera e iniziare a rispondere a Yann con altrettante minacce. Comunque non sempre Roxanne in persona passava a prelevarlo, ma quel giorno Alistair era scattato in piedi non appena aveva sentito l’ormai conosciuto ticchettio dei tacchi, seguito dal bel viso della Mangiamorte che al di là delle sbarre lo guardava con un sorriso. Il babbano si ritrovò a pensare che quando erano soli, Roxanne cambiasse totalmente faccia: con lui la Mangiamorte sembrava più morbida, nonostante avesse ormai capito che persone come lei ritenessero i “babbani” creature inferiori. Che lo trattasse come un animale da compagnia? Oppure, magari, Roxanne Borgin era intimorita dal suo fatale potere?
 
-Vieni Alistair…oggi abbiamo compagnia.- celiò la Mangiamorte. Alistair s’avvicinò alle sbarre che, cigolanti, si sollevavano verso l’alto per permettergli di passare; il sorriso che gli aveva illuminato il viso, svanì presto alla vista di Maze, la quale se ne stava con le braccia conserte e lo fissava con un sopracciglio inarcato. Per il breve tragitto che compirono, attraversando un fitto boschetto che si aprì d’improvviso su una piccola e luminosa radura, rimase in silenzio ad osservare la composta Roxanne e la svogliata Maze. Al si sentì di colpo un piccione dentro la gabbia di due leoni affamati.
 
-Il dottore trova che voi due abbiate molto in comune, sapete?- cantilenò Roxanne la quale, una volta fermatasi, sedette su una panchina di legno chiaro, protetta dalla fronda di un albero.
 
-C-cioè che i-io sarei il p-p-pasto e lei il c-cuoco?-
 
Mazelyn liberò una risata cristallina:
 
-Sei spiritoso, Al!- così aggiunse -Ma puoi stare tranquillo…questi qui mi trattano bene e per il momento non sto soffrendo la fame…comunque credo ci sia dell’altro, vero Borgin?- Maze regalò al ragazzo una sonora pacca sulla spalla. Nonostante lui fosse decisamente più alto del vampiro, si sentiva comunque piccolissimo al suo cospetto. Roxanne, che non aveva mai allontanato lo sguardo da loro un solo istante, sospirò annoiata:
 
-Credi davvero che ti darei qualsiasi tipo di informazione? Non essere sciocca, Zabini.- gli occhi di intenso blu si soffermarono sull’orologio dorato, che teneva saldo in mano -Quello che dovete fare non è che passare del tempo insieme, possibilmente senza disturbarmi troppo.-
 
Maze avrebbe volentieri usato quella dannata Mangiamorte come spuntino, se non fosse consapevole dell’abile bacchetta che l’avrebbe stesa in un secondo. Era così evidente, sia per il vampiro che per il babbano, il motivo per cui Robert Stainer aveva deciso di affiancarli: nonostante non fossero in grado di spiegarsi il perché, Roxanne era lì per stimare il sentimento di paura. Quindi se da un lato Mazelyn non avrebbe provveduto a torturare e terrorizzare Alistair, quest’ultimo avrebbe fatto di tutto per resistere a qualsiasi genere di provocazione, ben conscio di essere al sicuro. Perché se avessero voluto renderlo la cena di Maze, non ci sarebbe stata la Mangiamorte a dedicarsi totalmente a loro due. I due si lanciarono un lungo sguardo d’intesa (in realtà Alistair dovette trattenersi dal non boccheggiare davanti l’irresistibile fascino del vampiro) e di parole non ebbero bisogno: nonostante la titubanza iniziale, i due presero a conversare amabilmente, parlando del più e del meno, arrivando anche a scambiarsi qualche confidenza, il tutto davanti allo sguardo prima algido, infine spazientito di Roxanne, che non la smetteva di picchiettare le dita sulle ginocchia, guardare l’orologio e prendere appunti tra uno sbuffo e l’altro.
 
-Sai…- Maze teneva lo sguardo verso il cielo, sempre grata di poter godere di quel sole caldo e accogliente, anche se fittizio, -in realtà io non me la sono cercata, questa condizione…ero una strega, ben felice di esserlo. La mia vita non era perfetta, ma ora come ora maledico i momenti in cui ho fatto di tutto per lasciarmi andare al senso di desolazione, alla rabbia, all’amarezza…- Mazelyn spostò l’attenzione su Al, seduto poco distante da lei con le ginocchia tirate al petto -…non mi fossi tanto abbattuta, probabilmente ora non sarei una figlia di Caino e non starei qui.-
 
Alistair s’accigliò nel comprendere quanto quella ragazza detestasse la sua condizione; anche lei, proprio come Roxanne, nascondeva con sapienza una parte di sé. Inoltre le parole di lei lo fecero riflettere e così, un po’ per tentare di tirarle su il morale, un po’ perché lo credeva davvero, si avvicinò a lei e bisbigliò:
 
-Secondo me non sei qui perché sei un vampiro.-
 
Si sorprese tanto quanto Maze nel constatare di essere riuscito a pronunciare quella frase senza balbettare. La ragazza lanciò una fugace occhiata a Roxanne, la quale appariva sempre più spazientita, prima di tornare a dedicare attenzione al babbano:
 
-E per cos’altro? È l’unica qualità che possiedo.-
 
Ci doveva essere dell’altro, qualcosa che li accumunava. Qualcosa successo loro magari, che aveva formato il filo conduttore della loro reclusione.
Cosa gli stava sfuggendo?
 
 
*

 
Quei due spilli neri, incastonati nelle iridi del più arrendevole ciano, fluttuavano sui tatuaggi di colori cangianti e tratti definiti che si confondevano sulle braccia di Victor, steso al suo fianco. Nello specifico, Evangeline si soffermò su uno di questi, che riuscì a rapire il suo interesse:
 
-Come mai hai deciso di tatuarti un faro?-
 
Victor storse la bocca in un bieco sorriso: -Che c’è, vuoi trovare il modo di cambiare argomento?-
 
Evangeline sbuffò. In certe occasioni era forte l’attrattiva di utilizzare il suo potere per ottenere i propri scopi. Probabilmente se avesse davvero voluto, sarebbe riuscita ad obbligare Victor a risponderle senza esitare, nonostante il magigiornalista l’avesse velatamente minacciata, informandola che qualora ci avesse provato il suo scudo sarebbe intervenuto a soccorrerlo. Era davvero stressante avere a che fare con lui, anche se il mago si era rivelato in più di un’occasione una piacevole presenza, in quella situazione orribile in cui si trovava. Per questo decise di soprassedere e con spontaneità tornò a sdraiarsi, affiancandosi a lui forse più del dovuto. I toni alterati del Mangiamorte e Yann facevano da sottofondo, ma fortunatamente quelli si sopivano man mano che il gruppo s’allontanava da loro. Evie decise che poteva farlo, che poteva confidare a Victor ciò che non aveva detto ad Odette.
 
-Ti importa davvero? Vuoi conoscere questa parte del mio passato, oppure continui a farmi domande incalzanti solo per deformazione professionale?-
 
Come da previsioni una risata di gusto sfuggì dalla bocca di lui:
 
-Parli come una vecchia e non sei che una ragazzina! Che sarà mai successo di tanto sconvolgente, nella tua breve vita?-
 
Ma la reazione di stizza che Victor si sarebbe aspettato da Evie, non arrivò. Solo il silenzio si sostituì alla sua risata, così che il mago s’affrettò a girarsi su un fianco, per poi constatare con stupore che gli occhi di Evie s’erano fatti lucidi.
 
-Ehi ragazzina…mi dispiace, lo sai che non volevo offenderti, stavo solo giocando.-
 
Ma lei scosse il capo e tentò di sorridere.
 
-Ormai l’ho capito che non sei cattivo, ma solo imbecille.-
 
La tensione scivolò via con le risate dei due, fin quando Evangeline non si spostò anche lei su un fianco in modo da poter guardare il ragazzo negli occhi. Così, con la testa abbandonata sulla mano, Evie cominciò a raccontare di Freya, motivo per il quale i suoi occhi si erano velati di lacrime trattenute.
 
“Musetto, oggi mi sembri più allegra del solito.”
 
La cascata di capelli ondulati copriva parzialmente il volto molto vicino di Freya, mentre il tocco delle sue dita solleticava il ventre coperto di Evangeline. Quel giorno il sole splendeva su ogni cosa, illuminando le sponde del lago nero e le due ragazze, perse ognuna negli occhi dell’altra.
 
“Sono solo felice.” Bisbigliò Evie, che mai avrebbe creduto che l’amore prendesse il nome di Freya Nott. Era stato inaspettato, il tumulto che sentì scatenarsi dentro di lei la prima volta che avevano avuto occasione di passare del tempo insieme, come l’esplosione più calda a seguito del loro primo bacio, al quale molti altri erano susseguiti. In quel momento Evangeline Montague si sentiva davvero felice, perché Freya era speciale, unica e perfetta. Nessun altro era mai riuscito a scuoterla tanto: era stato l’arrivo della corvonero a farle capire che l’amore era ben altro dall’impulso e che non necessitava di una forma maschile.
Ad Evie sarebbe bastato starsene lì per sempre, sulla riva di quel lago a godere dei tiepidi raggi del sole e del tocco gentile di Freya. Con la strega non aveva alcun bisogno di issare muri, né di scatenare il suo innato e pericoloso potere, perché quegli occhi di cioccolato fuso li aveva conquistati senza sforzo, solo mostrando se stessa.
Freya era la sua anima gemella, di questo Evangeline ne era certa. Era consapevole di essere stata più che fortunata ad incontrarla, vista la sua giovane età ed era decisa a tenersela ben stretta, fregandosene dell’opinione del mondo tutto.
Per questo quando capì che il suo sguardo vivido e luminoso si stava facendo opaco, Evangeline andò in panico, terrorizzata dall’idea di non poter aiutare la strega che sentiva di amare. Freya Nott era stata molto sfortunata e purtroppo ciò che accadde alla sua famiglia la spezzò irrimediabilmente: quando la strega fu avvisata dell’improvvisa morte della madre rimase sconvolta e agghiacciata, ma quando le riferirono che suo padre era stato arrestato, perché accusato dell’omicidio della madre, crollò nella disperazione. La giovanissima Evangeline fece di tutto per rimanerle accanto e donarle il conforto di cui avesse bisogno, purtroppo però non aveva fatto i conti con la cattiveria insita in alcuni adolescenti di Hogwarts; dal giorno in cui circolò la notizia dell’arresto del padre di Freya Nott, quest’ultima fu colpita da battute taglienti, fattesi sempre più pesanti e che sfociarono in pessimi scherzi di cattivo gusto. Se Evie avesse rintracciato le fonti degli ignobili atti di bullismo, probabilmente sarebbe riuscita a metterli a tacere senza sforzo; ma la strega era giovane, troppo giovane per essere in grado di portare avanti quell’impresa.
Così i giorni passavano e Freya diventava sempre più opaca, sempre più spenta e più lei deperiva, più gli scherzi nei suoi confronti si facevano pesanti, fino a diventare vere e proprie minacce.
 
Sei la figlia di un assassino!
 
Non ti vogliamo ad Hogwarts, ti faremo sbattere fuori.
 
Farai la fine di tua madre.
 
Freya non voleva per nessuna ragione che i professori venissero a sapere di quanto stesse succedendo ed iniziò a fare dei discorsi ambigui, sul fatto che in fondo chiunque la stesse minacciando avesse probabilmente ragione.
 
“Se mio padre è un assassino, perché non potrei esserlo anche io?”
 
Evangeline non voleva credere alla visibile follia che stava prendendo il sopravvento in Freya, offuscando tutto ciò che di buono c’era in lei. Si arrabbiò moltissimo, Evie, fin quando presa dalla rabbia non le ordinò di andare nel proprio dormitorio; nonostante il rimorso per averla comandata, Evangeline pensò che le sarebbe stato utile mettersi a dormire, che magari il sonno avrebbe fatto tornare la ragione; l’indomani sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola e con quello le ritorsioni nei confronti della sua ragazza si sarebbero finalmente arrestate.
Il sonno poteva generare incubi, è vero, ma la vita vera avrebbe scatenato l’inferno, nella testa e nel cuore di Evangeline la quale venne svegliata nel cuore della notte da rumori, grida, urla.
La corsa fin sotto la torre di astronomia fu lunga e concitata. Il battito rimbombava nelle vene delle tempie. Il fiato s’accorciava ad ogni passo.
Ed il suo mondo fatto di boccoli dorati e occhi di cioccolato fuso andò a fuoco, alla vista del corpo inerme di Freya, che ciondolava appesa per il collo, dalla torre di Astronomia.
Evangeline fu ricoverata al San Mungo per il crollo nervoso subito a seguito del suicidio di Freya, la ragazza che aveva amato con tutta se stessa e che non era riuscita ad aiutare.
 
-Non ricordo molto di quelle due settimane passate al San Mungo, ma posso affermare con certezza di aver fatto la conoscenza del dottor Steiner proprio in quell’occasione.- Proseguì Evie che non aveva mai smesso di guardare Victor negli occhi, per tutto il tempo del racconto; di contro il mago si era dovuto sforzare moltissimo per rimanere impassibile, toccato dal drammatico racconto della vita di Evangeline.
Fu un gesto che non seppe controllare e che risultò anche discretamente goffo da parte di un ragazzo difficilmente incline all’affetto e al contatto fisico, se non quando si trattava di avere a che fare con delle streghe per incontri occasionali: Victor allungò un braccio e strinse Evangeline a sé la quale, attonita, rimase rigida per qualche istante, prima di rilassare il corpo ed affondare il viso nella camicia di lui, che profumava di buono. Non c’era bisogno di dire altro, perché qualsiasi parola fosse uscita dalla bocca di uno dei due, avrebbe rovinato quel contatto tanto intimo e perfetto.
E a entrambi, in quel momento, andava bene così.
 
*
 
William arrivò nei pressi della cella gamma come se stesse andando lì per un primo appuntamento: il Giardino, rigogliosissimo nella sua esplosione di colori e profumi, si aprì e modificò al suo passaggio, rendendo il percorso dalla sua cella a quella di Cora apparentemente molto breve. Dall’altro capo delle sbarre Cora sussultò e arrossì vistosamente nel constatare che fosse William Lewis, ad attenderla per l’uscita giornaliera. L’ultimo incontro con il cantautore risaliva ad una decina di giorni prima, abbastanza a ridosso del catastrofico episodio che aveva visto coinvolti molti dei compagni reclusi e che, fortunatamente, non aveva creato troppi disagi. Quando Cora arrivò trafelata ed impaurita assieme ad Adrian Reed sul luogo del misfatto, inizialmente tirò un sospiro di sollievo nel constatare che William fosse sano e salvo, per poi sostituire la preoccupazione con la rabbia, scatenatasi con l’immagine del mago beatamente semi svenuto fra le braccia di quell’avvenente vampiro tutta curve. Per Cora era ormai chiaro che se c’era qualcuno fra quei poveri malcapitati in grado di rasserenarla e farla sentire discretamente felice, quello era senz’altro Will.
 
-Dovrei dire buongiorno? Da quando ci hanno gentilmente chiusi in questo luogo, ho perso la cognizione spazio temporale.-
 
Il solito sorriso sornione piegava il volto, avvolto dai capelli disordinati. Cora oltrepassò la propria cella e con Will s’avvio verso il sentiero che si modificava, ancora una volta, davanti ai loro occhi, chiaro segnale che dall’alto pretendevano che si spostassero. Fianco a fianco parlarono del più del meno; succedeva sempre più spesso che la strega dimenticasse di essere stata rapita da mesi e questo era indiscutibilmente merito, o demerito, di William Herman Lewis.
Il percorso verdeggiante li condusse in un luogo incantevole, dove trovarono Martha seduta sulla sponda di un lago, con lo sguardo perso sulla superficie terza delle acque. La bionda strega alzò appena la mano e senza salutare, fece cenno ai due di fare silenzio; William e Cora si lanciarono un’occhiata, prima che il mago s’avvicinasse con passo trascinato verso Martha, seguito dalla più titubante Cora.
 
-Che succede?- Bisbigliò Will.
 
-Forse dovremmo andare a controllare cosa succede laggiù.- Rispose accigliata Martha, come se i due fossero già al corrente che Alon e Jules si fossero immersi minuti prima, ma che a seguito di un iniziale tumulto, l’acqua era rimasta immobile.
 
*
 
Jules mosse qualche passo insicuro e si arrestò giusto a qualche centimetro dal muro d’acqua. Sorrise con genuino entusiasmo e contemporaneamente alzò una mano, per sfiorare l’acqua placida all’interno della quale fluttuava, sgomento ed eccitato, Alon.
 
-Così posso guardare la tua forma marina per bene! Hai una coda davvero lunga, sai?-
 
Il tritone piroettò lentamente, mostrando con orgoglio le scaglie cangianti che ricoprivano l’intera coda.
 
-Non per vantarmi, ma è una delle più lunghe, nel mio branco. Ma lo vedrai da te quando verrai a trovarmi…sono sicuro che andrai subito d’accordo con Alis…-
 
Un tonfo ovattato, poi uno squarcio nell’acqua, interruppe Alon e spaventò Jules, la quale alzò gli occhi che si scontrarono con una figura nebulosa nell’acqua e che, con rapidità, si avvicinò al “soffitto” della camera d’aria fino ad oltrepassarlo e piombarle addosso. Jules perse la concentrazione, rompendo così la “stanza d’aria” che si colmò all’istante d’acqua.
 
 
 
-Perché si è buttato?!- gridò Cora, agitata, puntando l’attenzione nel punto in cui William si era lanciato.
 
-Effettivamente è stato un tantino impulsivo.- valutò Martha, con la sua espressione lievemente stralunata; le due streghe rimasero in silenzio a guardare il laghetto, fin quando le sue acque iniziarono ad ondulare con un movimento circolatorio; dalla centrifuga liquida spuntò Alon, che teneva sulle spalle William e Jules e che si sbrigò a trascinare fino alla sponda.
 
 
 
-Ma perché diavolo non hai aspettato?! Lui,- sottolineò Cora in vistoso imbarazzo, mentre indicava Alon tornato nella forma umana ma ancora privo di vestiti, -è un cavolo di tritone! Secondo te c’era bisogno di gettarsi per capire se la ragazzina stesse bene?!-
 
-Ehi!- si risentì, Jules, intenta ad asciugare i vestiti e i capelli di William con un piacevole vento d’aria calda.
 
-La ragazza non ha tutti i torti,- si introdusse Alon, intanto che rivestiva il corpo statuario -con me in acqua chiunque sarebbe al sicuro; ho salvato un bel po’ di persone, sapete?-
 
Cora indossò nuovamente la sua maschera di diffidenza e superiorità, facendo una smorfia:
 
-Mi ricordo di te ad Hogwarts, sai? Non ti sei mai davvero integrato fra noi maghi; sempre in disparte con i tuoi amichetti Tassorosso.-
 
Gli occhi cristallini di William scattarono nell’immediato per posizionarsi su Cora che, braccia conserte, continuava a lanciare provocazioni ad Alon. Sentì che sarebbe stato il caso di intervenire ma fu lo stesso Alon, il quale aveva perso in un attimo tutto il suo entusiasmo, a prendere parola:
 
-O forse sono le persone come te che hanno sempre rifiutato di avere a che fare con quelli come me; a nulla sono serviti gli sforzi di Silente…quella scuola è piena di xenofobi estimatori del sangue puro.-
 
Cora sgranò i begli occhi chiari, sdegnata da tali accuse: -Io non sono un’estimatrice del sangue puro! Semplicemente diffido di chi rinnega il nostro mondo preferendo sguazzare in acque putride!-
 
Man mano che l’ira prendeva il sopravvento in Alon, le acque del lago reagivano di conseguenza; difatti quelle cominciarono a ribollire come geyser, facendo allarmare immediatamente sia Martha che Jules.
 
-Ora basta, non ci serve un altro disastro come quello capitato con il domatore di liane…Cora, non credo te ne sia resa conto, ma sei stata offensiva nei riguardi di Alon.-
 
Fu l’intervento di William a placare le acque, in ogni senso. Cora si sentì umiliata dall’ammonimento del mago; voleva controbattere, non fosse che quello si mosse a seguire Alon che, stizzito, si era allontanato a gran passi. Jules era scattata, pronta a seguirlo, ma Martha la fermò, dicendole che sarebbe bastato l’intervento di William Lewis  a farlo ragionare.
 
-Con noi potrebbe sentirsi ancora più umiliato.-
 
Così Martha guardò Cora, che si rabbonì non appena i due maghi furono lontani.
 
-Io…mi spiace, non volevo, ma questa reclusione sta mettendo a dura prova i miei nervi… -
 
Con passi leggeri, la tassorosso si fece avanti, fino a fermarsi davanti a Cora; l’espressione cupa del volto non lasciava intendere nulla di buono:
 
-Non sei l’unica ad essere stanca sai…ma Alon è una buona persona e non si merita di essere trattato così. Pensaci su.-
 
Una semplice e disarmante frase, aveva fatto sprofondare Cora nella vergogna. Non erano servite minacce da parte di Jules, per far rendere conto alla strega di aver esagerato.
 
*
 
-Vorrei solo capire per quale motivo tu e la tua amichetta riservate trattamenti speciali ad alcune persone.- Yann si era avvicinato senza timore ad Adrian che, spazientito dal comportamento indigesto del mago, aveva gonfiato il petto pronto ad uno scontro alla babbana.
 
-Con quale pretesa mi chiedi questo, feccia?! Ringrazia di poter respirare ancora e risparmia il fiato, invece di fare domande tanto stupide!-
 
Elyon avrebbe voluto intervenire, ma la stretta del polso da parte di Odette, verso la quale si voltò agitata, la fece desistere.
 
-Lasciamoli discutere!- bisbigliò la mora, -se continuano così Reed potrebbe abbassare le sue difese e potrei essere in grado di leggergli i pensieri!-
 
-Non è mai stato un bravo occlumante…- sussurrò in risposta Elyon, -non credo ci voglia molto per leggergli la mente!-
 
Odette scosse la testa: -Ci ho provato…devono avergli fatto qualche incantesimo…oppure ha bevuto non so quale pozione per occludere la mente! Fatto sta che fino ad ora non ci sono mai riuscita…ma poco fa ho percepito qualcosa,- prese una pausa –Il tuo nome, nello specifico! Se sono riuscita a capire che sta pensando a te vuole dire che le sue difese non sono imbattibili; posso tentare di sfondare il suo muro di protezione e cogliere qualche informazione più importante del solo EllieEllieEllie!-
 
Dannazione, Adrian la pensava costantemente. Questa consapevolezza bruciò nel petto di Elyon; ma se da un lato si sentiva felice come una scolaretta al suo primo bacio, dopo aver capito che Ad la pensasse con costanza, dall’altro si spaventò: non poteva permettere, purtroppo, che Odette leggesse la sua mente, perché doveva fare in modo che Adrian tornasse a fidarsi un minimo di lei. Approfittò quindi della concentrazione di Odette su Adrian, ignorò i richiami del medimago e, proprio quando i due maghi stavano per darsele di santa ragione, Elyon si mise in mezzo, trascinando lontano Adrian che, rosso di rabbia e con le vene del collo gonfie e bene in vista, minacciò a gran voce Yann di colmare la sua piramide in un solo colpo.
 
-E tu, maledizione…non ti devi mettere in mezzo, cazzo!- gridò lui, ad un centimetro dal viso di Elyon. Non che non fosse abituata alle sfuriate di Adrian, ma in un momento diverso e, specialmente, in un diverso contesto, probabilmente Elyon avrebbe risposto con un ceffone in pieno viso. Invece si trattenne ed allontanandosi ulteriormente nella speranza di non farsi “sentire” da Odette, sussurrò placida:
 
-L’ho fatto per te…se avessi perso ancora un po’ la ragione, la legilimens avrebbe letto la tua mente senza alcuna difficoltà; quindi ora datti una calmata, va bene?-
 
Dall’espressione di Adrian, che mutò rapidamente dall’imbestialito al basito, Elyon capì di aver compiuto il primo piccolo passo in favore del suo piano.
 
*

 
William aveva lasciato che Alon si sfogasse. Il ragazzo non perdeva mai e poi mai la pazienza, ma quella Cora lo aveva decisamente fatto innervosire; finalmente dopo molto tempo aveva potuto gettarsi di nuovo in acqua e aveva scoperto che se mai fosse uscito di lì (ed il suo animo fortemente positivo lo portava a credere sarebbe stato così) avrebbe potuto far conoscere almeno a Jules buona parte del suo mondo; invece quella strega era riuscita a far crollare tutto il suo entusiasmo.
 
-Per me non è mai stato semplice.- Alon tirò i lunghissimi capelli ondulati sulla testa, -La strega ha ragione…ho avuto serie difficoltà ad integrarmi per fare mio il mondo del mio padre biologico. Ho passato momenti terribili, in cui credevo non ce l’avrei fatta perché ho scoperto a mie spese quanto potessero essere perfide le persone sulla terraferma. In acqua non è così…i marini non sono così; non fosse stato per il loro appoggio, probabilmente non avrei più rimesso piede sulla terra.-
 
La piccola sirena dai capelli dorati verteva in uno stato di pura adorazione, mentre guardava il fratello maggiore sulle rive della spiaggia, maneggiare la bacchetta. Alon era nervoso, concitato e non faceva che scagliare incantesimi in ogni dove, pur di sfogare la sua ira su altro che non fosse la sorellina. Era successo ancora una volta ed il ragazzo non riusciva ad accettarlo; aveva assistito alla tracotanza dei maghi sui babbani senza essere in grado di intervenire e questo lo aveva convinto che non avrebbe più fatto ritorno sulla terra ferma.
 
“Ti terrò lontana da tutto questo…la terra è un luogo meraviglioso, ma governata da persone orribili Liz, orribili!”
 
Alissa, che di anni ne aveva solo dieci, aveva comunque compreso come mai il fratello fosse tanto adirato, perché guardare con i propri occhi un mago prevaricare un altro essere vivente solo per ottenere i propri scopi doveva essere stato orribile. Il mondo marino non era affatto così: le gerarchie erano limate e la cooperazione veniva prima di tutto; non esistevano ricchi o poveri, non esistevano proprietà; non c’era la fame, non c’era arrivismo: di fatto lo statuto dei mari prevedeva solo e soltanto la pacifica convivenza e l’unione per affrontare i possibili devastanti interventi di chi operava al di fuori delle acque. Ma non per questo, Alissa ne era certa, era tutto da buttar via; la piccola sirena era più che convinta che a maggior ragione servissero molte più persone come Alon per riportare la terra ad un equilibrio fra uomini, animali e marini.
 
“Tu devi essere felice di poter usare la magia! Se è vero che tante brutte persone la usano per scopi sbagliati, sono sicura che ci siano altri come te, che vogliono solo fare le cose giuste.”
 
“Dici così solo perché non hai avuto l’occasione di vedere con i tuoi occhi gli orrori che dominano quel mondo. Non c’è rimedio, fidati e prima lo capirai, meglio sarà per te; ti metterai l’anima in pace e smetterai di invidiarmi per essere in grado di usare la magia.” Alon guardò la bacchetta stretta nella mano e con sguardo torvo aggiunse, “Sai che c’è? La butto, non voglio più avere a che fare con questa roba! Fin quando sarò libero di nuotare e vivere in pace in questi mari, non avrò bisogno di null’altro!”
 
“Ma i tuoi amici? Non vorrai vederli più?”
 
Lo sguardo del diciottenne si indurì: “Io con quel mondo ho chiuso.”
 
Alon si recò su un promontorio e da lì, con gesto solenne, gettò in acqua la sua prima ed ultima bacchetta. Alissa seguì il legno fluttuare in aria, per poi affondare nelle limpide acque; quando la bacchetta sprofondò, la sirena si immerse con lei.
 
 
“Dobbiamo muoverci! Un’imbarcazione ha perso petrolio! Dobbiamo agire!”
 
Alon seguiva Blue facendo scattare la coda a velocità forsennata. I due tritoni e Perla si sarebbero uniti alla squadra di soccorso ma se Alissa, ancora troppo piccola, fosse andata con loro, avrebbe potuto rischiare la vita. Per questo Alon si recò velocemente dalla sorella intimandola di rimanere nei pressi della costa. Prima che il maggiore potesse schizzare di nuovo via, Alissa gli gridò di aspettare, sparendo nelle acque più profonde e tornando di lì a poco, con nella mano qualcosa che Alon conosceva bene.
 
“Ma come…pensavo di averla gettata via! Come hai fatto?”
 
La piccola sirena passò la bacchetta di frassino al fratello: “Sapevo ti sarebbe tornata utile, non potevo permettere che per tutta quella rabbia ti dimenticassi di essere un mago! Con la magia ve la caverete sicuramente meglio.”
 
Non fosse stato per la lucidità della piccola sirena, quell’esperienza catastrofica avrebbe procurato un danno irreparabile. Fu nel momento in cui Alon, con i suoi incantesimi, aiutò gli animali marini a districarsi dalla presa mortale del petrolio, che si rese conto di quanto fosse speciale il suo sangue magico. Era vero: la terra era dominata da mostri chiamati uomini, ma lui ed altri come lui avrebbero potuto fare la differenza e se aveva avuto possibilità di capirlo, era solo grazie ad Alissa.
 
 
-So cosa vuol dire sentirsi sbagliato in un luogo sbagliato… - William intervenne solo una volta che Alon concluse il proprio racconto, - …ma il destino ha fatto in modo che io raccogliessi quel male di cui hai parlato; sono consapevole di non essere la chiave di volta su questa terra, ma il nostro contributo potrebbe rivelarsi prezioso, anche per persone che, come Cora, non hanno avuto la possibilità di capire quanto certe parole ed azioni incidano sulla vita degli altri.- Will si abbandonò ad uno dei suoi sorrisi sornioni: -sei davvero una buona persona, Alon e nonostante la tua giovane età hai compreso per tempo quale fosse il tuo ruolo in questa vita, ti invidio molto.-
 
La rabbia provata poco prima sfumò ed Alon tornò a sorridere, consapevole che ci fosse un motivo se si era ritrovato rinchiuso lì; la sua presenza avrebbe apportato un valore aggiunto in quel gruppo sgangherato, composto da finti reietti e persone davvero speciali. In qualche modo se la sarebbero cavata, ma ci sarebbero riusciti solo unendo le forze.
 
*
 
Il respiro regolare di Joshua era l’unico rumore all’interno di quella cella solo in parte illuminata dalla luce del sole. Il metamorfo era sprofondato in un sonno particolarmente pesante e a malapena aveva scomposto il letto sistemato precedentemente con cura; se lo avessero lasciato dormire, probabilmente sarebbero passate alcune ore prima di destarsi. Ma un lieve cigolio del letto portò Joshua, costantemente in stato d’allerta da quando era stato catturato, a spalancare gli occhi chiari che, arrossati, si posarono sulla figura seduta al suo fianco. Una bella ed elegante donna lo fissava sorridendo placida, mentre le dita laccate di uno scuro tono di rosso giocherellavano con uno dei tanti anelli che adornavano le mani ben curate. Joshua si tirò subito indietro allarmato mentre la donna, munita di una lunga cascata di capelli color del grano, rimase impassibile. Il sorriso di lei s’allargò prima che le labbra tornite si schiudessero per rivolgersi a lui con voce soave:
 
-Non avevo intenzione di svegliarti, ma effettivamente sono contenta…questo posto è così noioso che avrei finito per addormentarmi anche io, sai?-
 
-Chi sei?- Chiese cauto Joshua, con la voce profonda e roca di chi è appena uscito dallo stato di sonno. Le mani della donna portarono i capelli dietro le orecchie con tocco leggero, delicato e cadenzato, scoprendo totalmente un viso che, agli occhi del metamorfo, non era totalmente sconosciuto.
 
-Non sono sicura che tu voglia saperlo, piccolo ribelle.- cinguettò quella spingendosi poi ad una risata modulata, facendo rabbrividire Joshua, addossato ormai alla parete su cui era posizionato il cuscino del suo letto singolo. L’evidente timore provato dal ragazzo regalarono alla strega una scarica d’adrenalina unica, portandola ad avvicinarsi di molto a Joshua. Quest’ultimo era sempre più convinto di aver già incontrato la donna che ad occhio e croce doveva avere non più di 45 anni; ne ispezionò gli occhi sottili e felini, muniti di una particolare punta d’azzurro a lui familiare, il naso all’insù, la fronte spaziosa, la bocca morbida piegata nel sorriso mellifluo.
 
-Credo comunque sia venuto il tempo delle presentazioni, giovane Hollens…-
 
E nel sentire da quella bocca maledetta fuoriuscire il nome di Martha Heathcote, Joshua capì all’istante come mai avesse avuto da subito la sensazione di aver riconosciuto la strega.
 
-Sorpreso?- continuò lei, che prese a giocare con una ciocca di capelli diventata scura come il buio di una notte senza luna –Che ne dici, vogliamo giocare un po’?-
 
*
 
Lucas sperava, davvero, che quel giorno gli sarebbe stato concesso di uscire per incontrare, anche solo fugacemente, il bel viso di Joshua. L’auror aveva ormai capito di essere irrimediabilmente attratto da quel mago all’apparenza tanto ostile, ma che si era rivelato, giorno dopo giorno, una sempre più piacevole scoperta. Joshua aveva l’assurda capacità di regolarizzare il suo stato d’animo talvolta troppo impulsivo, mettendolo a freno quando se ne fosse presentata l’urgenza, così come adorava sentirlo parlare di tutte quelle nozioni che lui stesso non aveva mai appreso. Quando Joshua gli parlava del mondo dei babbani, Lucas si stupiva di apprendere tante cose nuove, nonostante sua madre fosse proprio una babbana; inoltre l’auror era sicuro di aver riscosso lo stesso successo con Joshua, che da qualche tempo a quella parte gli dava l’impressione di essersi sciolto aprendogli, spiraglio dopo spiraglio, l’uscio del suo mondo interiore fatto di timori, repressioni e rigidità. Joshua era un osso duro e una grande sfida, ma delle più piacevoli.
Così quando sentì le sbarre della sua cella cigolare, si catapultò fuori dal bagno ancora mezzo nudo, nella speranza che fosse proprio Joshua, la causa di quel rumore.
Ma il viso si fece pallido e contratto e la voce si spezzò, quando lo sguardo si scontrò con quello algido di Robert Stainer, rimasto all’entrata della cella con le mani congiunte dietro la schiena ed un sorriso storto ad inasprirgli il viso. Lucas non aveva ancora avuto l’occasione di incontrare il dottore, ma questo non lo fermò dal capire subito che fosse proprio lui.
 
-Signor Heathcote…finisca con calma di prepararsi e poi venga con me. Non abbiamo nessuna fretta, ma devo avvisarla che non mi piace perdere troppo tempo, quando c’è del lavoro da fare.-
 


 
(1) Otroligt In svedese Incredibile
 
E sono viiiiivaaaaa!
Buongiornobuonpomeriggiobuonasera a tutti, come state? Lo so, avevo detto sarei riemersa nei primi di maggio; io speravo realmente di avere più tempo a disposizione per scrivere, ma così non è stato. Ma non tutto il male viene per nuocere e quindi eccomi qui, con il capitolo in assoluto più lungo di tutte le mie storie, spero che almeno questo vi abbia aiutate a non imprecare contro la mia persona.
E quindi abbiamo una “sirena” dal passato difficile e dal potere strabiliante e un bel tritone, troppo buono, onesto e speciale per vivere con serenità su questa terra. A proposito di Alon (vi devo assolutamente allegare un’altra immagine che lo ritrae perché io vedendola sono morta e risorta), voglio spendere un paio di parole su di lui: con la signorina Shiori Lily Chiara ho concordato che avrei trattato le sirene non tanto come vengono trattate in Harry Potter, bensì come in alcune delle più note leggende; queste speciali creature, bellissime e incantatrici, hanno la possibilità di prendere forma umana e calpestare il suolo terreste e questo spiega, ovviamente, la storia della madre di Alon e il concepimento di quest’ultimo.
E poi abbiamo conosciuto tante personcine nuove e abbiamo rivisto Phiiiillll (quanto lo amiamo Philip? Quanto vogliamo si ricongiunga a Martha? Tantissimo!)
Ah, non sono riuscita a non inserire la gif che ritrae “Jules” mentre crea una camera d’aria sott’acqua. Adorabile? Si.
Ovviamente non poteva mancare il colpo di scena finale, so che mi starete maledicendo.
Bando alle ciance! Votate IN PRIVATO i prossimi due protagonisti, di seguito vi lascio i nomi:

Cora
Joshua
Mazelyn
Odette

 
E ovviamente non vedo l’ora di leggere la vostra opinione su quanto letto. A presto!
 
Bri

(Ciaaaaaaao Alon, bello di casa! Oh, mi è appena uscito il sangue dal naso.)

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Capitolo 12
*** Sanguerosso e Sangueblu ***


CAPITOLO XI
Sanguerosso e Sangueblu
 
Per molti anni, Roxanne Borgin era stata una serva fedele. Aveva messo da parte ogni suo interesse, le sue velleità, le sue più grandi passioni. Si poteva affermare che Roxanne avesse accantonato la sua intera vita, in favore della causa. Il negozio di famiglia che tanto amava non era che un vago ricordo, in quanto i servigi a Robert Steiner l’avevano assorbita nel profondo. Da quando Regulus era scomparso, lasciando appassire i fiori d’arancio del suo matrimonio, Roxanne non s’era data pace; Robert l’aveva raccolta e aveva stirato la sua anima, accartocciata dal dolore. L’aveva accudita e trattata come una giovane sorellina bisognosa d’amore. Il dottore era stato per lei una salvezza e per questo, Roxanne non gli sarebbe stata mia grata abbastanza. Egli era stato presente quando il marchio era stato posto sul suo braccio e l’aveva supportata nei peggiori momenti di difficoltà; Roxanne era riuscita, provando non poco dolore, a sostituire il fortissimo amore nei confronti di Regulus Black con un tipo di sentimento reverenziale, ma comunque importante. No, ovviamente non aveva mai amato Robert, ma il bene nei suoi confronti non era misurabile.
Ma con l’arrivo stabile di Robert nella sua vita, si era di pari passo allontanata da quel poco che le era rimasto e che rispondeva al nome di famiglia. Era Robert Steiner ad averla sostituita e Roxanne non aveva mai avuto grandi rimpianti.
Ma mentre la Mangiamorte, sfiancata dalla terrificante giornata trascorsa si era recata nella stanza di sua competenza e con pazienza aveva sciolto i capelli e si apprestava ad immergersi in un bagno caldo, fu per lei inevitabile pensare a quanto successo quello stesso pomeriggio; mentre l’acqua calda le carezzava la pelle d’alabastro, le parole di Yann Reinardht le tornarono alla mente.
E se avesse dedicato la sua vita alla causa sbagliata?
Quel mago tanto fastidioso, ma che profumava di vita reale, l’aveva fatta pensare. E l’aveva salvata. Poteva approfittarsene, strapparle la bacchetta, ma Yann non l’aveva fatto; del perché, Roxanne non sapeva darsi una risposta.
Mentre affondava i capelli nell’acqua, pronta a liberare la mente dai troppi pensieri, la strega sgranò gli occhi, perché una rivelazione si era palesata d’improvviso: quegli atroci mal di testa, che ricordava di avere sempre avuto, avevano avuto invece inizio con la scomparsa di Regulus, in concomitanza della presenza costante di Robert nella sua vita.
Le mani strinsero con forza i bordi della vasca da bagno, mentre la testa macinava informazioni a velocità inaudita.
Non sapeva perché, non ne capiva il nesso, ma mentre gli occhi chiari percorrevano lo scivolare di umide gocce sulle piastrelle color crema del bagno, Roxanne realizzò che si, a Robert doveva essere collegato il supplizio che era costretta a subire ogni qualvolta tentava di ricordare scomodi e tristi episodi della sua vita.
Con la cautela e la scaltrezza che erano insite in lei, ma dannato Godric, Roxanne avrebbe fatto luce sulla questione.
 
*

 
Se c’era una cosa che Mazelyn Zabini aveva capito, nel corso della sua breve vita da immortale, era che non bisognava mai fidarsi troppo delle persone, perché la sorpresa era sempre dietro l’angolo. Lei questo purtroppo l’aveva compreso troppo tardi, era stata sfortunata e per questo ora si ritrovava a vivere una vita bastarda. A lei erano spesso stati dedicati epiteti come meschina e egocentrica e Maze non si era mai sforzata più di tanto di smentire; l’opinione altrui a lei non era mai interessata, anzi era sempre stata fautrice della massima “bene o male, purché si parli”.
Nella sua cella, mentre ripercorreva con la mente quanto successo con William, Maze si sentiva avvinta. Quell’uomo si era speso per lei senza avere nulla in cambio, senza che gli fosse stato chiesto nulla; William non aveva esitato davanti al suo orrore, dimostrando che non tutte le persone su quella fottuta terra nascondevano un cuore malato, egoista e malvagio.
In qualche modo, il mago le aveva ricordato suo fratello, forse l’unica persona davvero di buon cuore con cui avesse avuto a che fare; che il ricordo di Jayden fosse bello o doloroso non importava, in quanto Mazelyn non riuscì ad evitare che il passato riemergesse alla mente.
 
“ Finalmente ho finito il periodo di gavetta e posso affermare di essere auror a tutti gli effetti! “
 
Mazelyn fu la prima a lanciarsi fra le braccia del fratello e con l’entusiasmo che era proprio della sua persona, cominciò a gridare di felicità.
 
“ Contegno, Mazelyn! Jayden ha solo fatto il suo dovere, non mi sembra decoroso reagire in questa maniera. “
 
Sbuffando, la ragazza si allontanò dal fratello maggiore e rivolse lo sguardo a suo padre che, sotto sotto, non riusciva a trattenere un sorrisetto compiaciuto.
 
“ Per una volta possiamo evitare di essere così impostati, papà? Jayden è stato grandioso ed è giusto che gli venga riconosciuto il suo merito! “
 
Isobel, sua madre, si aggrappò al braccio del figlio al quale regalò un delicato bacio sulla guancia: “ Siamo fieri di te, la famiglia Zabini ha guadagnato lustro maggiore; chissà come saranno invidiosi i Rosier! “
 
Mazelyn lasciò lo sguardo sul fratello, mentre la frase di sua madre si disperdeva nell’aria. Anche se avrebbe dovuto esserci abituata, quell’affermazione le fece male; sapeva benissimo che a Jayden non importava nulla del buon nome della sua famiglia purosangue e che era stato spinto ad intraprendere la carriera di auror da motivi decisamente più etici. Come se il fratello le avesse letto la mente, spostò l’attenzione su di lei, pronta ad esplodere ed inveire contro la madre; Jayden scosse impercettibilmente il capo e le sorrise con quel fare dolce che la scioglieva sempre. Quel modo che sedava i suoi istinti iracondi e suscettibili.
Le aveva tacitamente chiesto di non assecondare le parole prive di spessore dei genitori, così Maze ingoiò il rospo e ricambiò il sorriso: quella giornata di festa non doveva essere rovinata dalle polemiche che sarebbero state fini a se stesse. Jayden lo meritava.
 
***
 
I singhiozzi convulsi di Isobel, agghiacciarono l’aria del maniero degli Zabini. Sua madre si era gettata fra le braccia di William, suo padre e neanche l’abbraccio del marito sembrò calmarla.
 
“ Mi spiace signori Zabini. Vostro figlio era uno dei nostri più valorosi auror, era giusto che fossi io a darvi questa terribile notizia. “
 
Maze sentì il corpo sciogliersi, mentre gli occhi neri solcavano le rughe di cui il viso dell’attempato capo auror di suo fratello era ben fornito. Un crampo, come una stretta di fuoco, le agguantò lo stomaco eppure la giovane strega non riuscì a reagire in alcun modo.
 
“ Non è possibile… il mio ragazzo, il mio Jayden! “
 
L’auror raccontò loro che Jayden era morto in maniera valorosa, mentre aveva affrontato quell’ultima missione affidatagli. Maze si chiese come qualcuno potesse morire in maniera valorosa: la morte era la morte, l’idiosincrasia dell’esistenza. Non c’era nessun valore nel lasciare la terra, nella mortalità.
La morte di qualcuno non era che dolore per chi rimaneva in vita e quella di Jayden non era da meno.
Non c’era sollievo nell’apprendere che Jayden fosse morto per la causa in cui credeva; solo il sapore del fiele, a colmarle la bocca e ricordarle che l’unica persona che avesse mai amato davvero, l’aveva lasciata sola.
 
*
 

Ancora una volta, Cora era stata prelevata da Adrian Reed per essere trascinata chissà dove. Quell’uomo non le era mai andato a genio, mai, nemmeno nei fugaci e sporadici incontri avvenuti precedentemente nella sua vita. Cora ricordava Adrian sempre circondato da alcol, fumo e belle donne; costantemente attaccato alle costole di Robert, il Mangiamorte sembrava sempre, indefessamente arrabbiato e la sua testa calda era rinomata nei salotti dell’alta borghesia purosangue. Reed, che purosangue non era, aveva comunque il permesso di frequentare quegli ambienti solo e soltanto perché Robert se lo trascinava sempre dietro, qualche volta insieme a quella squilibrata di Elyon Yaxley, con la quale Adrian battibeccava spesso e volentieri, dando adito a scene oltremodo imbarazzanti che passavano, come da regola, di voce in voce tra una strega e l’altra. Eppure Adrian, nonostante fosse uno scavezzacollo dalla dubbia morale, era permeato da un fascino che faceva piegare le donne al suo fianco con assurda facilità. Invece a Cora intimoriva, da sempre. Non come Robert, che l’inibiva in maniera diversa: Adrian nascondeva un animo turpe, combattuto, si vedeva chiaramente che era costantemente in lotta con se stesso, per qualche assurda ragione. Robert invece era limpido, sicuro di sé, anche lui fascinoso ma munito di quel fascino generato dalla più invidiabile dialettica e dallo sguardo sempre reattivo.
La prima volta che lo aveva incontrato non era che una bambina, ancora ignara del mondo di cui avrebbe fatto parte. Robert Steiner era un buon amico di suo padre; con il senno di poi Cora ragionò sul fatto che probabilmente fu lui il motivo che portò i suoi genitori ad aderire alla causa del Signore Oscuro, munendosi del marchio nero.
 
Guardava la sua immagine riflessa allo specchio: sua madre le aveva fatto confezionare un bel vestito di seta e tulle color perla e Cora, con fare civettuolo, volteggiava davanti allo specchio sentendosi una vera principessa, vestita in  quel modo.
Una principessa ballerina, per l’esattezza. Aveva solo 12 anni, eppure la piccola aveva già capito che avrebbe ricevuto le giuste attenzioni, se si fosse acconciata e mossa nella maniera corretta; sua madre non faceva che ribadirglielo: la forma è la cosa più importante, avrebbe dovuto imparare a comportarsi da vera signorina il più presto possibile, se avesse voluto ottenere qualcosa di grande, nella vita. Per questo Cora aveva abbandonato le bambole molto presto, accondiscendendo invece a passare più tempo possibile con quegli adulti seriosi e altezzosi. Quella sera i Dagenhart avrebbero tenuto una grande festa nella loro magione e i figli si sarebbero dovuti comportare bene, senza dare spettacolo o creare alcun tipo di scompiglio. Cora era decisa a dare retta agli ordini ricevuti da Aleister e Saoirse, ma non era affatto sicura che Aisling non avrebbe combinato una delle sue, seguito da quel piccolo terremoto di Darragh il quale, a soli sette anni, già dava un gran da fare agli elfi domestici.
 
“ Forza Cora, i nostri ospiti ci stanno aspettando. “
 
La voce grigia della bella Saoirse arrivò dall’uscio della porta. Cora volteggiò verso di lei, boccheggiando meravigliata per la bellezza e l’eleganza proprie di sua madre; era perfetta, dall’acconciatura impeccabile al vestito avorio che ricordava i toni del suo e che le donavano una luce che, Cora supponeva, avrebbe fatto capitolare molti dei presenti e ringhiare d’invidia le streghe.
Tacco punta, la ragazzina scese le scale imponenti per immergersi nella sala grande, imbellettata da una variopinta collezione di piante e fiori provenienti da tutto il mondo: i Dagenhart non badavano di certo a spese. Gli occhi curiosi della bambina saltarono qua e là, con frenetica agitazione. I rampolli delle più importanti famiglie purosangue erano già riuniti in piccoli gruppi e molti di loro dedicarono a lei lo sguardo; colma d’orgoglio, Cora cominciò a spaziare tra i presenti ed in poco tempo conquistò l’attenzione di vari giovani maghi.
 
“ Ecco, è arrivata anche la ‘ principessa ‘, quale onore che ci arrechi con la tua presenza! “
 
Cora fremette di rabbia; aveva riconosciuto la voce odiosa di Victor Selwyn e quando si voltò verso il diciottenne, quello con le mani in tasca e la risata strafottente la canzonò davanti ai suoi amici. Odiava quel mago con tutta se stessa, ma non era ancora abbastanza matura da rispondergli per le rime.
 
“ Mi chiedevo che fine avesse fatto la kleiner Stern. “
 
Ancora rossa d’imbarazzo, Cora si voltò in direzione dell’uomo: Robert Steiner era fulgido nel suo completo grigio e la guardava con dolcezza. La giovane strega decise a quel punto di ignorare i commenti sconvenienti provenienti da quell’idiota di Selwyn e con Robert s’avviò alla ricerca di suo padre, spendendo con l’uomo chiacchiere che la fecero sentire molto più adulta della sua età.
 
“ Non devi dare retta a ciò che dicono di te, giovane Cora. Ricordati: ‘ bene o male, purché se ne parli. ’ “
 
“ È una sua massima, signor Steiner? “
 
L’uomo rise con leggerezza mentre scrollava il capo biondo: “ Oh no, sono le parole di un uomo molto saggio di nome Oscar Wilde. “
 
Cora appuntò mentalmente quel nome, decisa ad approfondirne la conoscenza.
 
“ Ecco lì tuo padre, come al solito sembra molto indaffarato! “
 
La giovane per la fretta di avvicinarsi al padre perse l’equilibrio sui tacchetti: s’aggrappò al braccio di Robert Steiner prima di crollare a terra, ma quella stretta vigorosa scatenò qualcosa in lei, qualcosa che era già successo qualche anno prima, ma a cui non aveva dato peso: tutto si fece buio e Cora si ritrovò stesa su una superficie liquida, oscura come l’universo. Non aveva bisogno di respirare, non aveva esigenza di tenere gli occhi aperti. Rimase solo sospesa, mentre il liquido la inghiottiva in un abbraccio.
 
“ Cora… Cora… “
 
Quando Cora aprì gli occhi chiari, la prima cosa che vide fu il volto sgomento e preoccupato di Robert Steiner, che la tratteneva per le spalle. Riavuta dallo svenimento, che sembrava avere attirato in ritardo l’attenzione dei presenti e dei suoi genitori, il dottor Steiner le chiese se ricordasse qualcosa di quello che era successo. Frastornata, la ragazzina raccontò del luogo in cui era finita.
 
“ Quindi… nient’altro? “
 
Cora negò, inconsapevole di avere predetto una vera e propria profezia, che solo le orecchie di Robert Steiner avevano udito.
 
*
 
Lucas si sentiva frastornato, agitato, arrabbiato più che mai. Erano passati giorni dall’incontro con Martha e ancora non aveva trovato la via per riprendere il controllo su di sé. Il dottore non si era più palesato da quando era scappato in tutta fretta con la zia sulle spalle e questo non faceva che agitarlo ancora di più, visto che non sapeva bene se e quando si sarebbe ripresentato alla sua cella. Il sonno non gli era mai mancato prima d’ora, ma dal momento in cui la presenza di sua zia si era palesata come una tempesta nella sua misera vita da recluso, Lucas aveva avuto difficoltà a dormire. Inoltre era ormai assodato che prendere le distanze forzate da Joshua aumentava lo stato d’agitazione. Non era solo perché si era preso una cotta per quel giovane metamorfo: nell’auror si era scatenato il desiderio di proteggere Joshua, tanto quanto era consapevole che senza di lui si sentiva smarrito. Dovevano rimanere uniti, perché solo in quel modo sarebbero stati più forti che mai.
Esattamente per questo motivo, quando arrivò ad un certo punto del Giardino e notò, fra William e d Elyon, anche Joshua, lo stato d’ansia diminuì notevolmente. Il gruppo era riunito intorno ad un rigoglioso melo e parlava fittamente. Nessun Mangiamorte sembrava aggirarsi lì intorno. Un sorriso di soddisfazione solcò il viso di Lucas, nel vedere i capelli di Joshua virare ad un rosso ardente appena palesò la propria presenza. Il metamorfo scattò in piedi e senza pensarci su, strinse forte Lucas in un abbraccio; non dissero una sola parola, ma si limitarono a bearsi di quella stretta rassicurante e salvifica.
 
- Davvero deliziosi. Ora per piacere potreste darci retta? – la voce di Elyon suonò melodiosa, ma il sarcasmo tagliente non mancò di arrivare ai due che, lentamente, sciolsero la stretta ed assieme si unirono agli altri. William lanciò un’occhiata sorniona alla Yaxley, ma per il momento si limitò a soprassedere sul suo atteggiamento ostile anche se, rispetto al solito, le sembrava comunque più pacata. Si schiarì la voce e prese la parola:
 
- Il tuo arrivo è appropriato alla situazione, - iniziò rivolgendo lo sguardo a Lucas – Joshua ci ha raccontato quanto successo con Steiner e tua zia Martha Heathcote… -
 
- Quella è una delle peggiori spine al fianco con cui abbia mai avuto a che fare, - Elyon si intromise, mentre massaggiava il lobo dell’orecchio in un gesto ansiogeno – oltre che essere una pazza megalomane… Robert si è saputo circondare di persone che all’occasione sanno rendersi molto utili, comunque. -
 
- Come è successo con te? – William lo chiese con la spontaneità di cui era dotato, eppure la serenità della voce non gli risparmiò un’occhiata di fuoco da parte della strega la quale, per l’ennesima volta, si sforzò di trattenersi:
 
- Ci siamo resi conto che, bene o male, noi abbiamo qualcosa a che fare con lui. -
 
Fu Joshua a proseguire, facendosi leggermente più vicino a Lucas, con un movimento quasi impercettibile: - Sai che Steiner è un grande amico di mio padre… mentre William ci ha avuto indirettamente a che fare, vista la sua particolare condizione fisica. –
 
Lucas lanciò a Will uno sguardo interrogativo, il quale con gli occhi a mezz’asta, fece spallucce:
-Assorbire il male, quella cosuccia lì di poco conto. Aggiungerei alla lista un padre naturale dal sangue puro e feroce sostenitore di voi-sapete-chi . –
 
A Joshua e Lucas venne da ridere; al contrario Elyon rimase particolarmente tesa. Proprio su di lei finì l’attenzione. Dopo un lungo silenzio, la strega borbottò qualcosa:
 
- Sono molti anni che conosco Robert… comunque non è questo il punto, - Lanciò uno sguardo a William prima di proseguire, - La cosa a cui stavamo ragionando con Lewis… è che ci sia qualcosa che Robert Steiner debba aver colto pian piano in ognuno di noi, qualcosa che va oltre i nostri poteri speciali, se così vogliamo definirli. -
 
- Luke… il dottore aveva con sé l’orologio della Borgin, ricordi? -
 
Decisamente confuso, Lucas aggrottò le sopracciglia: - Con tutto il bene Josh, ma ti assicuro che in quel momento davanti a quella psicopatica di mia zia e, beh… alla sua fedele copia, sinceramente non ho fatto caso a come cazzo si gingillasse quell’aguzzino. –
 
Di botto i capelli di Joshua si fecero tetri, così Lucas si affrettò ad allungare una mano per stringergli la spalla: - So che sei stato costretto! Se non avessi acconsentito a seguire il loro giochetto, probabilmente non saremmo vivi nessuno dei due ora. –
 
William intervenne, incurvandosi un po’ in avanti: - Quello che stiamo cercando di dirti Lucas… è che quell’orologio deve essere davvero importante. Joshua ci ha detto che il dottore lo guardava costantemente e che è scappato portandosi dietro Martha Heathcote dopo aver ricevuto un segnale dall’oggetto. Non può essere un caso. Quindi ci siamo confrontati prima che arrivassi tu e ci siamo posti una domanda… -
 
Elyon coprì la voce suadente di William: - Cosa guardi su un orologio? –
 
Lucas cominciava a sentirsi un pesce fuor d’acqua. Non stava capendo dove volessero andare a parare, quel gruppo di cervelloni riuniti intorno a lui.
 
- Mi stai davvero chiedendo a cosa servono gli orologi, El? A sapere che ora è, forse? – Chiese retoricamente l’auror, il quale sussultò quando Elyon stridulò eccitata, mentre allungava un lungo dito nella sua direzione: - Esatto! Conosciamo il tempo, Lucas… il tempo! -
 
Lucas guardò Joshua: - Se fa uso di droghe io non voglio saperne niente, sono pur sempre un auror. –
 
- Il tempo Lucas… abbiamo convenuto che sia questo concetto a legare tutti noi. – William, pacato e docile, sostituì Elyon nella spiegazione; a lui susseguì Joshua: - Quindi ci siamo messi a pensare, a tentare di ricordare se nel nostro passato fosse successo qualcosa di simile… qualcosa su cui magari abbiamo soprasseduto al tempo, ma che ora potrebbe essere la chiave di volta di questa triste storia. -
- Ragazzi sul serio… non vi seguo. Ci ho provato, ma non vi seguo. –
 
- Non ti è mai capitato qualcosa a cui non hai saputo dare spiegazione? Chessò… magari uno strano sogno lucido in cui ti sei ritrovato, improvvisamente, in mezzo ad un contesto totalmente distante da quello in cui stavi vivendo? E magari hai assistito a qualcosa senza essere in grado di intervenire? -
 
Lucas cominciò a pensare che a quei tre si fosse fuso il cervello. Sogni lucidi, traslazioni fisiche… e proprio nel momento in cui stava per mandarli tutti al diavolo visto che si sentiva preso in giro, qualcosa tornò alla mente con estrema lucidità. L’auror sgranò gli occhi e ricercò quelli di Joshua, bisognoso di sicurezze:
 
- Ora che…una volta mi è successa una cosa davvero pazzesca; non stavo troppo bene, diciamo, si, diciamo che forse ero un po’ troppo ubriaco… ero ad Hogwarts ed era stata una serata di merda… - Resosi conto di star divagando, tossicchiò e riprese a parlare, gli occhi di tutti puntati su di lui, - Comunque non so come mai ma all’improvviso ho visto il professor Silente, ma era molto, molto più giovane. Parlava con un tipo, credo sia l’autore del nostro manuale di Cura delle Creature Magiche. Non sono riuscito a fare nulla, era come non mi vedessero. Poi sono… sono tornato. Ho pensato di essere stato troppo ubriaco; mi sono vergognato talmente tanto della mia condizione che non ho raccontato a nessuno quanto accaduto. -
 
- Ah-ah! Quindi anche a te è successo! Lo sapevo… lo sapevo! – Euforica, Elyon saltò in piedi, proprio mentre alle sue spalle arrivò una voce conosciuta:
 
- Cos’è che sapresti, Yaxley? – Chiese Cora, con le braccia incrociate ed un mezzo sorriso in viso, - Dovreste fare attenzione a quello che dite… non vi siete nemmeno accorti del mio arrivo. -
 
*
 
- E quindi la Dagenhart si è confidata con te. Trovo incredibile che tu sia riuscito a sciogliere quel muro di ghiaccio. –
 
Alon lanciò un sassolino, tentando di colpire con precisione la fessura tra due strette doghe di una panchina, poco distante da loro.
 
- Sono felice, credevo fosse solo una nobile ragazza purosangue piena di sé, invece credo sia colpa della sua famiglia se è diventata così. – Alon sospirò, - Da quando sono sulla terraferma, ho scoperto che quasi sempre il problema risiede nelle famiglie, come è possibile? -
 
Gli occhi chiari di Martha seguirono l’ennesimo sassolino lanciato da Alon: - Per quanto mi riguarda, la famiglia è quella che cerchiamo e desideriamo, non quella che ci capita. – Incondizionatamente, prese a giocherellare con la fede posta all’anulare, - Non fraintendermi, non che io non voglia bene ai miei genitori eh, però nonostante tutto non credo mi abbiano mai capita davvero; solo Phil, mio marito, c’è riuscito. –
 
Alon piegò le labbra in un sorriso morbido: - Ma tu parli di amore, quella è tutta un’altra questione. L’amore ti fa fare grandi cose, ti fa anche cambiare… credo sia il sentimento più potente che esista al mondo. – Poi sospirò, imbronciandosi un po’: - Ti invidio molto Martha; tu si che puoi ritenerti fortunata… pare proprio tu abbia incontrato la famosa anima gemella; io non credo esista qualcuno su questa terra davvero in grado di comprendere e condividere la dicotomia della mia vita. Forse in mare, chissà. –
 
Martha ridacchiò appena nell’ascoltare le parole del più giovane: - Parli come se fossi un vecchio pluricentenario! Ti assicuro che quel qualcuno esiste per ognuno di noi, Alon. Se proprio vogliamo parlare di dicotomie e stranezze, tutti hanno sempre ritenuto che la mia testa fosse troppo incasinata per starmi dietro. Troppo stralunata, troppo eccentrica, poco attaccata alla realtà… ecco come mi hanno sempre vista tutti, - Martha prese a giocare distrattamente con la coda dei suoi capelli biondi, - Eppure guardami; se conoscessi Phil ti chiederesti come mai uno come lui abbia scelto di stare dietro a una come me, eppure c’è riuscito ed ora, nonostante mi pesi ammetterlo, sono felice al pensiero che ci sia lui, da qualche parte, ad aspettarmi. –
 
- Non lo so, non ne sono affatto convinto, - dopo una breve pausa, Alon riprese con il suo gioco – Oltre al fatto che non so se mai uscirò di qui, penso che la mia vita fosse complicata da comprendere anche prima di essere rinchiuso qui. E quando uscirò come potrò spiegare a qualcuno cosa mi è successo? Ti rendi conto di quanto sarebbe ostico avvicinarsi a me? Qualsiasi ragazza scapperebbe ancor prima di farmi aprire bocca. Capire la mia anomalia, scendere a patti con la mia vita nel mare ed in più accettare di collaborare alla guarigione di una mente provata da questa prigionia alla quale, ancora, non riesco a trovare un senso. -
 
In un gesto anomalo per lei, Martha allungò una mano a stringere con comprensione la spalla di Alon, seduto al suo fianco: - Io non credo esista quel qualcuno Alon, io lo so per certo. Vedrai: non dovrai cercare, quando meno te lo aspetti sarà lei ad arrivare nella tua vita e sarà incredibile. –
 
- Guarda che musi lunghi, Al! Dobbiamo intervenire subito, prima che scoppino a piangere! -
 
Martha e Alon alzarono lo sguardo in direzione della vocina allegra che li aveva distratti: davanti a loro, Jules fluttuava sorridente, saldamente aggrappata ad un lungo braccio di Alistair, che tratteneva in una mano le sue scarpe.
 
- Q-queste sc-scarpe pesano c-come tutt-t-te le normali scar-r-pe, assurdo!- disse il babbano, ondeggiando davanti al viso le calzature di lucente ottone.
 
- Yann è stato bravissimo! Quelle che mi aveva fatto il mio papà erano pe-san-ti-ssi-me! Qui c’è la magia, tanta magia di un mago straordinario. -
 
Prima di rispondere, Martha lanciò un’occhiata ad Alon tornato ad un più appropriato sorriso; così canzonò Jules: - Per caso abbiamo una cotta per il più attraente magifabbro della Gran Bretagna? –
 
A quella domanda, Jules arrossì di botto e nascose appena il volto dietro la spalla di Alistair, da cui borbottò: - Ma cosa dici Martha, lui è vecchio! –
 
- Q-questo non t-ti impedirebbe di p-prenderti una c-cotta per lui… Yann è un-n g-grande! -
 
A quel punto Alon e Martha si alzarono per allungare il passo in direzione degli altri due. Il tritone incrociò le braccia e si coronò di finto disappunto: - Vuoi dirmi che trovi Yann più affascinante di me, piccoletta? –
 
Il volto di Jules sbucò dalla spalla di Alistair, ancora più rossa in viso: - E anche fosse?! – tentò di darsi un tono, la tassorosso. Alistair, divertito dalla situazione, girò il viso in direzione di Jules: - Credo c-che Al-lon sia g-geloso! –
 
- Molto geloso. – Lo appoggiò Martha, felice di potersi ricavare dei piccoli momenti di serenità, in quell’ostico Giardino.
 
- Tremendamente geloso. – Dichiarò Alon, annuendo con vigore; fu a quel punto che Jules si sbilanciò oltre la spalla di Alistair, il quale barcollò pericolosamente in avanti preso alla sprovvista da quel gesto irruento; così la più piccola gridò: -Ora basta prendermi in giro! Non ho nessuna cotta per Yann, io! -
 
Nel mezzo di quel teatrino, Martha passò dagli sghignazzi sotto i baffi, alla paralisi; le pupille si dilatarono, le bocca si schiuse e il capo virò rapidamente alla sua destra: davanti allo sguardo fattosi vacuo, il Giardino si mosse in forme e colori cangianti. Per qualche breve momento i toni si fusero assieme, tingendo tutto del più vivido rosso, accompagnato dall’acre odore del sangue.
Fu Alistair ad accorgersi che qualcosa non andava in lei; mentre Alon continuava a canzonare Jules e quest’ultima continuava a sperticarsi tenacemente aggrappata a lui, Alistair scattò in avanti pronto a soccorrere Martha, prima che crollasse a terra. Il gesto affrettato comportò che per poco Jules non volasse via; fortunatamente Alon fu abbastanza lesto da recuperarla per una caviglia e permettergli di attaccarsi a lui. Furibondo, il ragazzo piroettò in direzione di Alistair:
 
- Ehi! Ma che ti salta in mente?! Poteva volare v… - Ma quando si rese conto che Alistair stava facendo scivolare Martha sull’erba e maldestramente tentava di farle aria, subito s’allarmò. Con Jules avvinghiata al suo collo, s’avvicinò ai due: -Martha?! Martha che succede?! -
 
La strega portò una mano a coprire gli occhi; un sussurro stanco uscì dalla sua bocca: - C’è… c’è qualcuno qui e non… non è nulla… nulla di buono. –
 
 
*
 
Da quando Victor aveva combinato quel che aveva combinato, Evangeline si sentiva sospesa in una bolla; cosa era successo? Beh, una lunga serie di questioni che l’avevano scombussolata in maniera profonda.
Innanzi tutto, per la prima volta da quando era stata rinchiusa in quel Giardino, Evie aveva spostato l’attenzione dalla prigionia forzata, a qualcosa di più piacevole. Il processo era già iniziato con la frequentazione assidua con il magigiornalista, che aveva imparato pian piano a conoscere ed assimilare come soggetto potenzialmente gradevole. Nonostante la difficoltà iniziale di approcciare ad uno come Victor Selwyn, che tutto era tranne che una persona semplice, in Evangeline era scoccata una forma di resilienza che le aveva permesso di assorbire solo il buono del mago. Messe quindi da parte le sue rigidità, i suoi modi fastidiosi, la sua ironia non sempre appropriata e la sua capacità innata di infrangere sempre e comunque le regole nel momento sbagliato, Evie aveva scoperto pregi e unicità di Vicky, che erano stati esattamente quelli che l’avevano portata a fremere ogni qualvolta lui si palesava.
In secondo luogo, con la sua avventatezza, Victor aveva risvegliato in lei un languore di vita che credeva d’aver perso con la morte di Freya. Lei le aveva fatto dono del primo amore e sempre lei, con la sua prematura morte, l’aveva ridotta a chiudersi in un bozzolo fatto di sensi di colpa e dolore. Quindi Evie poteva ammettere che, in qualche modo, lo sprovveduto Victor l’aveva riportata alla vita e a credere fortemente in essa, nonostante non avessero molte speranze di uscire da quella situazione.
 
- Pensieri, pensieri… sento con distinzione il rumore dei tuoi ingranaggi, ragazzina. -
 
Victor le carezzava i capelli in un movimento convulso, che sembrava un’esigenza del mago piuttosto che una coccola per lei. Evie scostò la testa dal torace di lui sulla quale si era mollemente abbandonata e roteò lo sguardo sul sorriso beffardo che aveva imparato a conoscere tanto bene.
 
- Fortuna che sono ancora in grado di pensare, dovresti esserne felice. -
 
- Non per vantarmi eh, - -Strano, non lo fai mai. - - Ah ah. Dicevo che, appunto, non per vantarmi ma non ti avrei mai avvicinata se pensassi a te come ad una bella scatolina intarsiata, sebbene drammaticamente vuota. - - Scusa eh, chi avrebbe scelto cosa? E se ti avessi respinto? Potevo farlo. - - Ma sapevo non l’avresti fatto, certe cose io le capisco. - - Sei un tale pallone gonfiato, Vicky, che mi stupisco tu non sia ancora volato via. -
 
Victor mise a tacere quel botta e risposta tirando a sé Evangeline e facendo scontrare, per l’ennesima volta, le loro labbra. Evie tentò per un po’ di resistere, ma trovava molto complicato non cedere allo schiudersi della bocca del magigiornalista.
 
- Non capisco affatto la logica con cui ci accorpano. -
 
Poco distante, Yann stava con le braccia conserte e lanciava occhiate a quella neo coppia.
 
- Sicuramente una logica c’è e, se posso dirtela tutta, qualcosa mi è già venuto in mente. -
 
Odette, seduta a terra al suo fianco, sfogliava un libro lasciatole con magnanimità dai Mangiamorte. Aveva peraltro notato che Victor aveva guardato il romanzo con sguardo famelico e si sarebbe dovuta sbrigare per finirlo, altrimenti il mago glielo avrebbe sfilato da sotto il naso. Yann guardò interrogativo la strega: -Spiega. – disse asciutto. Odette chiuse il libro con un gesto secco, così spostò l’attenzione sul magifabbro: - Sentimenti, sensazioni forti, affinità. Vogliono stimolarci, in bene o in male. Per quale scopo, non saprei dirtelo. –
 
Yann strinse gli occhi, pensieroso. Effettivamente quella teoria poteva essere sensata; ma cosa si nascondeva dietro? Qual era lo schema  delineato dal dottore? Gli occhi scuri finirono a seguire il battito d’ali di un rapace che, con rapidità, s’avvicinava a lui e Odette. Davanti a loro il falco pellegrino mulinò con rapidità, trasformandosi infine in Roxanne Borgin, la quale prima commentò Victor ed Evangeline parlando di disgusto, repulsione e orrore, poi ignorò totalmente Odette, concentrandosi su Yann.
 
- Reinhardt, devo parlarti, subito. -
 
*

 
Maze si trascinava con malavoglia nel punto voluto dal Giardino. Quella era una giornata maledetta, perché i pensieri e specialmente i ricordi non volevano lasciarla stare. Aveva provato a distrarsi, ma a differenza delle comuni streghe, che potevano sperare di trovare conforto nelle ore del sonno, Mazelyn era invece costretta ad una veglia perenne, che rendeva praticamente impossibile mantenerla lucida. Avrebbe voluto sempre con sé una persona come William, pronto a strapparle un po’ di dolore quando si ritrovava a non sopportarlo più. Ma William non c’era e i ricordi, al contrario, la pungolavano come lente torture. Boccheggiò appena, nel vedere la Borgin tirare via per un polso Yann Reinhardt, il quale protestava a suon di bestemmie. A Maze venne da sorridere; sapeva non ci fosse proprio nulla di cui sorridere, ma qualcosa nell’espressione di quel mago l’aveva distratta.
Eppure il senso di oppressione tornò, ancora più forte, ancora più micidiale. Maze si fermò davanti Odette, la quale era tornata a leggere, stranamente grata dell’intervento della Mangiamorte.
Maze non proferì una sola parola e Odette, di contro, non chiese nulla.
Maze scivolò a terra e si sdraiò sull’erba, con le braccia spalancate, persa a guardare il cielo luminoso; avrebbe potuto rimanere così per sempre. In fondo non era poi così male, quel luogo: veniva nutrita, poteva stare alla luce del sole, aveva incontrato persone tutto sommato interessanti.
Ma quanto sarebbe durato?
Prima o poi il dottor Steiner li avrebbe sfruttati per qualche scopo assurdo, sul quale  la giovane figlia di Caino non sapeva ragionare.
Forse sarebbe stato più semplice accettare la situazione e prendere coscienza del fatto che non erano che cavie da laboratorio.
Forse sarebbe tutto finito molto presto e lei si sarebbe liberata del fardello della sua condizione.
Un vampiro. Non aveva mai accettato di esserlo, Maze.
A ripensarci, a quel periodo, alla ragazza si sarebbero colmati gli occhi di lacrime, se solo avesse potuto piangere.
 
Il secondo anniversario della morte di Jayden era arrivato a soffiarle sul collo, gelido come la neve, bollente come fuoco ardente sulla carne. Chi aveva detto che il tempo ricuciva le ferite sbagliava di grosso. Mazelyn non era guarita affatto; in realtà il dolore per la perdita di suo fratello era ancora vivo e presente, come quel giorno di due anni prima.
Aveva passato tutto quel tempo a logorarsi nella disperazione, tanto che tutto quello che aveva ritenuto importante fino a quel momento aveva perso di significato: gli amici, i ragazzi, le serate mondane, la bella vita. Nulla contava più nulla, perché non c’era più Jayden con cui condividerlo.
Probabilmente la disperazione si sarebbe, molto lentamente, acquietata. Per il momento Maze ritenne di essere ancora in pieno lutto e che niente al mondo l’avrebbe strappata da quell’amara condizione.
Per altro era successo uno strano fatto, qualcosa che aveva peggiorato la sua condizione. Qualche tempo prima, stringendo una fotografia fra le mani, una delle sue preferite che ritraeva la stessa Maze con Jayden e la loro sorellina Serena, che ancora frequentava Hogwarts. Un tempo molto lontano e molto felice, quello lì; già. Ma proprio mentre stringeva quella foto fra le mani, la sua mente e il suo corpo s’allontanarono, portandola a vivere il drammatico momento in cui suo fratello lasciò la vita.
Probabilmente non era stato che un brutto scherzo della mente; aveva sentito così tante volte il racconto di quanto successo, che doveva averlo elaborato a tal punto da ‘ viverlo ‘ in prima persona.
Con gli occhi gonfi di lacrime, Maze capì che l’unica cosa da fare sarebbe stata immergersi nell’alcol e prendersi una sana, bella sbronza.
Così si vestì di tutta fretta e si chiuse alle spalle la porta del suo triste appartamento, che aveva occupato nel momento in cui aveva deciso di abbandonare il maniero Zabini.
Senza una meta precisa, Mazelyn si smaterializzò. Davanti a sé un’insegna di freddo neon recitava ‘ Blue Demon ‘; quella indicava la salvezza della sua serata.
All’interno trovò un pub come tanti altri, né particolarmente pulito, né ben arredato. Ma a Maze non servivano fronzoli quella sera, aveva solo bisogno che qualche ragazzo piacente le offrisse più drink di quanti potesse permettersene lei stessa.
E finalmente, finalmente, la sorte l’aveva accontentata e il suo desiderio prese forma, assumendo le fattezze di Carson McCoy, un ex grifondoro con cui aveva condiviso qualche uscita ad Hogsmeade, ai tempi di Hogwarts. Carson era ancora più piacente di quanto ricordasse: profumava di buono ed il suo fisico risaltava sotto la camicia pallida tanto quanto la sua carnagione.
Furono necessari cinque bicchieri di troppo, per far si che Maze cedesse alle avance del bel mago che l’aveva trattata come una principessa per tutta la sera.
 
“ Se vieni con me, ti prometto che questa notte toccherai il cielo con un dito. “
 
Maze aveva acconsentito, nonostante ci vedesse doppio e i piedi non volevano saperne di camminare in linea; probabilmente il motivo per cui aveva accettato di seguire un semi sconosciuto era esattamente quello, ma non le sarebbe importato: al diavolo i timori, Maze si sarebbe lasciata andare e avrebbe smesso, per qualche momento, di pensare alla morte di suo fratello.
 
“ Dove sono… dove siamo? “
 
Come fosse finita in quella stanza buia, Maze non lo ricordava. Ma una sgradevole sensazione di timore, che presto tramutò in puro terrore, si sostituì presto al desiderio di svagarsi.
Esternamente non ne fu in grado, ma dentro di sé Mazelyn ghignò, pensando quanto fosse tristemente ironica la vita: era arrivata a quel punto per non pensare alla morte di Jay, eppure presto, molto prima di quanto avesse potuto immaginare, lo avrebbe raggiunto.
Il buio calò con quel pensiero. Poi un dolore acuto la pervase, raggelò il sangue ed intorpidì le membra.
Quando aprì gli occhi con estrema fatica, Carson era sparito, lasciandola in una pozza di sangue che aveva impregnato il cuscino e le lenzuola, di quel letto che Maze neanche ricordava.
 
*
 
- Ora… basta! -
 
Una volta allontanati a sufficienza dal gruppo, Yann strattonò il braccio obbligando Roxanne a mollare la presa. Era sconvolto e allibito dal suo comportamento e aveva bisogno immediatamente di spiegazioni.
 
- Ora mi dici cosa diamine ti passa per la testa e specialmente che cosa vuoi da me. -
 
Roxanne si guardò intorno con frenesia, accertandosi che nessuno si trovasse nei paraggi e potesse ascoltare quanto stava per dire. Yann stentò a riconoscerla: da quando l’aveva soccorsa, qualcosa sembrava essere cambiato nella Mangiamorte, ma mai si era presentata a lui con quell’urgenza, mai il suo sguardo era stato così carico d’ansia.
 
- Borgin. -
 
- Ho bisogno di potermi fidare di te. -
 
Quella frase provocò in Yann una risata convulsa: - Fidarti… fidarti di me? Devi essere totalmente impazzita, tu. Ti sei forse dimenticata di essere una spietata Mangiamorte che, per passione, si diverte a tenere segregati quelli come me? Sei ridicola, me ne vado! –
 
- Aspetta, Yann! – Roxanne afferrò ancora una volta il polso del mago, stringendolo con forza e strattonandolo, per attirarlo a sé. Yann non dimenticò mai lo sguardo che scorse in lei: i suoi occhi trasmettevano agitazione, ma mai e poi mai gli erano apparsi così limpidi e sinceri. Forse fu per quello che acconsentì a fermarsi, dando modo a Roxanne di sussurrare: - E se avessi ragione tu? Se mi avessero costretta, a stare dalla parte sbagliata della barricata, per tutto questo tempo? -
 
- Tu farnetichi… - ringhiò davvero alterato Yann, ad un palmo dal viso di Roxanne, - Non cercare di nasconderti… nessuno mai avrebbe intrapreso il tuo stesso percorso, se non per convinzione! -
 
Ma Roxanne non cedette; se possibile, il suo sguardo si fece ancora più fermo, il suo tono ancora più deciso: - Ho ragione di credere che… -
 
- Cosa? Parla. -
 
Sussurrò, Roxie,  ancora più flebilmente: - Yann, i miei mal di testa frequenti, le mie lacune… sono convinta di essere stata obliviata. –
 
Yann spalancò sgomento la bocca. Non poteva credere a quanto gli stesse dicendo Roxanne.
 
- Obliviata, ma di cosa stai parlando… -
 
- Ora non ho tempo per spiegarti, ma ho bisogno di poter contare sul tuo aiuto per andare a fondo di questa storia. -
 
- E io cosa diamine ce ne guadagno? -
 
A quel punto Roxanne cinse entrambi i polsi di Yann con le dita affusolate, ma con maggiore delicatezza. Gli occhi, quelli, mai si mossero dai suoi: - Se mi aiuterai, ti prometto che qualsiasi cosa dovessi o non dovessi scoprire, tu e Alistair uscirete vivi di qui. –
 
Qualcosa nell’animo di Yann gli disse che Roxanne Borgin era sincera. Probabilmente c’era davvero qualcosa di grosso sotto, anche se lui non ne aveva la certezza. Come non poteva sapere se la strega avrebbe, davvero, mantenuto quella promessa.
 
- Perché proprio Alistair? -
 
A quella domanda, Roxanne non rispose. Si limitò ad estrarre la bacchetta con la destra:
 
- Sono pronta al voto infrangibile. -
 
 
Mentre Maze continuava a guardare assente il cielo, Odette alzò lo sguardo dal libro; le parve di vedere, poco distante, un bagliore dorato dissolversi nell’atmosfera. Proprio nel momento in cui stava per tornare a contemplare il suo romanzo, le figure di Yann e la Mangiamorte Borgin apparvero oltre una siepe e, lesti, s’avvicinarono a lei. Fu Yann a rivolgersi a lei:
 
- Ho bisogno di te. – Dichiarò laconico. A Odette bastò immergersi nella sua mente, per comprendere quanto fosse appena successo e quali fossero i motivi per cui Yann Reinhardt aveva deciso di rivolgersi a lei.
 
*

 
Adrian Reed l’aveva liquidata. Arrivati nei pressi del gruppo composto da William, Lucas, Joshua e Elyon, il Mangiamorte parve esitare. Cora notò lo sguardo che l’uomo dedicò alla fiammeggiante chioma della Yaxley, prima di passare la mano con disattenzione a lisciare i baffi e dire che, per fortuna, il dottore richiedeva la sua presenza. Cora non si lamentò dell’assenza del mago e anzi, proseguì verso il gruppo con maggiore serenità, l’attenzione catturata dalla stessa chioma che aveva distratto Adrian.
Elyon non le era mai piaciuta. Quello sguardo a tratti indagatore, a tratti di superficiale indifferenza, era sempre lo stesso; anche quando l’aveva incontrata sporadicamente in passato, aveva sempre pensato che quella ragazza avesse qualcosa che non andasse. In più i genitori l’avevano messa in guardia più volte, arrivando a raccontare delle maldicenze che giravano sul conto della Yaxley: pare che proprio Elyon fosse stata la causa della morte di sua madre, come il fatto che fosse un licantropo e che, per molto tempo, avesse portato avanti loschi affari con Fenrir Greyback.
Come Elyon, Cora temeva in egual modo anche Roxanne Borgin, altra fedele strega incollata alle spalle del dottore.
Inoltre una cosa accumunava le due streghe più grandi, così come le altre figure femminili che circondavano Robert Steiner: l’invidia che Cora Dagenhart provava nei loro confronti. Lo aveva capito con il tempo, anche se aveva sempre cercato di reprimere quel sentimento, che la metteva in soggezione, come lo sguardo che Elyon le stava riservando in quel momento.
 
- Con la principessa Dagenhart direi che siamo al completo. – Sibilò Elyon, non staccando mai gli occhi da lei. La vecchia Cora non si sarebbe fatta abbattere da quella provocazione, ma era vero che il tempo trascorso nel Giardino aveva smosso qualcosa in lei. Probabilmente la sua parte migliore, quella che manteneva la calma e non si faceva schiacciare dai complessi d’inferiorità, stava lentamente emergendo. Cora passò in rapida rassegna Lucas, Joshua, per posare infine lo sguardo su William, che la guardava con comprensione; probabilmente il mago sperava che la giovane strega non attaccasse brighe con Elyon. Cora si limitò a sedere al fianco di William e a chiedere quale fosse l’argomento che stavano trattando con tanta enfasi. Joshua fece un rapido sunto della situazione, mostrandosi chiaro e conciso. La giovane Dagenhart incominciò a sentire pura agitazione avvilupparla, in quanto aveva compreso che toccava a lei, in qualche modo, spiegare quale fosse il legame con il dottor Steiner e se, effettivamente, aveva avuto a che fare con fenomeni simili a quelli descritti dagli altri reclusi. Sulla seconda questione, Cora non seppe cosa dire visto che di cose strane e di situazioni fuori dall’ordinario, date le sue purtroppo innegabili dote da veggente, ne aveva passate molte. Difficile spiegare cosa fosse una profezia e cosa non lo fosse.
Riguardo a Robert Steiner, rimase a lungo muta.
 
- Andiamo, so perfettamente che tuo padre ha un legame molto solido con Robert, non c’è mica bisogno di tergiversare in quel modo. -
Le parole di Elyon arrivarono pungenti. Fu William, ancora una volta, a salvare la situazione:
 
- Non devi preoccuparti Cora, qui nessuno ha nulla da recriminare a nessun’altro. Stiamo solo cercando di andare a fondo della questione per raccogliere elementi che andranno a nostro vantaggio. Sentiti libera di raccontare quello che vuoi, nella maniera in cui ritieni farlo. -
 
Certo, la faceva facile, lui. Come spiegare lo strano rapporto che l’aveva a lungo legata a Robert Steiner, o quantomeno quel rapporto che lei credeva di avere con il dottore, fino al momento prima di essere rinchiusa lì dentro? Inevitabile, per Cora, fu riportare alla mente l’ultima volta che aveva avuto a che fare con Steiner, prima di finire prigioniera nel Giardino.
 
Per molto tempo, Cora non aveva più visto Robert Steiner. Hogwarts l’aveva allontanata dai rapporti di famiglia; una volta presi i M.A.G.O., Cora si vide per forza di cose costretta a confessare ai genitori il suo grande sogno: avrebbe voluto percorrere la lunga specialistica che l’avrebbe portata a diventare un medimago. Inizialmente scontenti, i genitori fecero muro alla figlia, in quanto speravano per lei un futuro garantito al Ministero della Magia, che le avrebbe gonfiato il conto in banca e le avrebbe procurato agganci facili e utili. Ma evidentemente Aleister e Saoirse realizzarono in fretta che neanche la carriera da medimago sarebbe stata poi così male: quale momento migliore per riproporre Cora a Robert Steiner? Aleister teneva moltissimo al rapporto con l’uomo, ritenendolo uno dei più grandi servi fedeli del Signore Oscuro ed era consapevole che, se gli fosse rimasto attaccato, avrebbe guadagnato un posto preferenziale fra le fila dei Mangiamorte.
Così Robert Steiner tornò a frequentare casa Dagenhart in maniera alquanto assidua, iniziando a seguire la figlia di Aleister nel suo percorso di studi. Fu quello il periodo in cui le attenzioni e lo sguardo del dottore mutarono, nei suoi confronti: Robert si presentava ogni volta con qualche regalo speciale per la principessa di casa e i complimenti, sempre impeccabili e discreti, non mancavano di riempirgli la bocca.
Di quelle attenzioni, Cora era lusingata; era vero, da una parte quell’uomo l’aveva sempre un po’ intimorita, dall’altra però ne riconosceva il fascino e il carisma, come l’intelligenza spiccata che, nel complesso, andavano a costituire la forma di un mago di cui si poteva desiderare la compagnia.
Cora dovette imparare a sue spese, purtroppo, che non erano affatto speciali le attenzioni che Robert le dedicava; fu decisiva una cena fra ‘ amici Mangiamorte ‘ a dargliene la conferma.
Quella sera, Cora era particolarmente serena: i vari genitori passarono le ore della cena a spendersi in complimenti reciproci sui loro figli, così che la ragazza non fu obbligata a rispondere a lunghe e tediose domande, così come poteva essere particolarmente grata che la madre fosse troppo presa dagli ospiti, per ammonirla sulla moderata quantità di cibo che avrebbe dovuto ingerire; di tanto in tanto qualcuno si rivolgeva a Cora e lei rispondeva come le era stato insegnato: modo affabile, sorriso di circostanza, movimenti eleganti e mai esagerati.
Robert, stranamente, arrivò in ritardo. Una volta scusatosi fornendo scarse spiegazioni sui motivi che gli avevano impedito di arrivare in orario ( spiegazioni più che sufficienti, visto che il dottor Steiner non era mai in ritardo), l’attenzione di molti si concentrò proprio su di lui, come sempre accadeva del resto. E mentre Robert tentava di dare a tutti il loro spazio, non si risparmiava di lanciare eloquenti occhiate a Cora, alla quale chiese di unirsi a quel gruppo di noiosi adulti, sottolineando che la sua presenza in quella cerchia avrebbe portato una ventata di aria fresca.
Colpa del troppo vino forse, ma d’improvviso si ritrovarono  a scherzare su quale coppia magnifica sarebbero stati Robert Steiner e proprio lei, la figlia femmina dei Dagenhart. Lui un affermato primario, venerato da molti; lei una giovane apprendista scaltra, bellissima e affascinante.
Fra una risata e l’altra, gli occhi vividi di Cora incontrarono quelli di Robert e quello sguardo si trattenne più di qualche secondo, sufficiente a creare in lei uno scombussolamento nuovo.
Sarebbe stato un dispiacere, sposare quell’uomo? Niente affatto, pensò. Cora non disdegnava le attenzioni di un mago tanto affascinante e potente, che al contrario la lusingavano moltissimo.
Mentre la testa era persa a pensare che forse, se lui si fosse proposto seriamente, Cora avrebbe accettato, la strega sentì l’aria mancarle nel petto.
 
‘ Scu… scusate… ho bisogno di aria. ‘
 
Cora ricordò di essere uscita velocemente in giardino, ignorando lo sguardo severo di sua madre e i commenti dei presenti. In quel momento Cora aveva solo bisogno di riprendere il fiato: con forza s’attaccò al corrimano freddo della piccola scalinata che portava ad un livello inferiore dei giardini e pian piano sentì il fiato tornare.
Eppure, contemporaneamente, una mano dalla stretta sincera serrò la sua spalla, portando con sé il pesto buio della perdita dei sensi.
Cora si sarebbe risvegliata nella cella della Voce Divina, solo il giorno a seguire.
 
- Cora… tutto bene? -
 
Spazientita, Elyon sbuffò sonoramente; s’alzò da terra e mentre spazzolava i suoi pantaloni con pesanti manate, per ripulirli dall’erba, alternò lo sguardo astioso da William a Cora:
 
- Ora basta! Ragazzina, questo non è un gioco! Dovremmo ringraziare per il tempo che abbiamo a disposizione e approfittarne per confrontarci nel modo più sincero possibile; invece stiamo qui ad aspettare che tu dica una sola parola, mentre questo damerino non fa altro che trattarti con i guanti! -
 
- Elyon, mantieni la calma, ognuno ha avuto il proprio spazio. -
 
- Me ne fotto di queste stronzate. – Rispose la strega in direzione di William, prima di allontanarsi dal gruppo in tutta fretta. Cora si alzò, con la volontà di seguirla, ma William la trattenne: - Lascia stare, credo che non faresti che peggiorare la situazione andandole dietro. -
 
- Ma lei… io non posso permettere mi tratti così! – Cora fremeva di rabbia.  Fu Lucas ad intervenire schioccando le mani: - Se c’è una cosa che ho imparato trovandomi a stretto contatto con Elyon Yaxley, vista l’adiacenza delle nostre celle, è che sia meglio lasciarla stare, quando si inalbera. -
 
Cora sospirò e seppur con riluttanza, accettò i consigli dei maghi.
 
*
 
Quei cunicoli ventosi erano stati difficili da superare. Eppure, arrivato finalmente a quella porta arrugginita, non riuscì a non sorridere; oltre di essa, il panorama soleggiato aveva dell’incredibile: fiori, piante e alberi di ogni specie proliferavano, dando vita a uno spettacolo mozzafiato, diametralmente opposto al rigido gennaio che stava imperversando sulla Gran Bretagna tutta.
L’uomo passò la lingua sulle labbra, che lentamente allargò in un sorriso compiaciuto.
Finalmente un po’ di sano divertimento, pensò Fenrir Greyback, mentre liberava il corpo dal mantello spesso, che abbandonò accanto alla porta, per poi immergersi nel labirintico Giardino.
 
 


 
Finalmente ci siamo. Ciao a tutti, amati lettori di questa storia che si fa sempre più buia e complicata. Questo è più che mai un periodo difficile, ma ci tenevo a pubblicare l’ultimo capitolo riguardante i vostri oc, prima di partire per le agognate vacanze estive. Volevo salutarvi a modo mio e rassicurarvi sul fatto che latiterò per un mesetto dal sito, ma che tornerò a Settembre, spero più carica che mai.
Finalmente avete scoperto un po’ più di Maze e Cora, sono curiosa di ricevere i vostri pareri in merito.
Ma non solo di loro: Anche la storia grigia di Roxanne sta venendo alla luce. Ve lo aspettavate?
E infine, mentre alcuni dei nostri si rilassano e pensano a dedicare un po’ di tempo a mansioni più piacevoli (si Evie e Victor, sto parlando proprio con voi), un nuovo arrivato è alle porte; povera Martha, lei l’aveva percepita questa magia oscura che il licantropo più odiato della saga si porta dietro!
Dal prossimo capitolo cambierà tutto, in primis ovviamente il format: tutti torneranno ad essere protagonisti, chi in un capitolo chi in un altro.
Beh, ritengo che sia molto divertente lasciarvi in sospeso così, ma voi cercate di non odiarmi troppo, ve ne prego.
Con questo vi saluto e auguro anche a voi di passare delle buone vacanze estive. Per chi di voi partecipa all’interattiva che ho messo in piedi con AdhoMu, mia adorabile compagna fidata, spero ci vedremo ad agosto.
Vi abbraccio.
 
Bri

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Capitolo 13
*** La Ragione e il Sentimento ***


CAPITOLO X
La Ragione e il Sentimento
 
 
 
Odette riscontrò non poche difficoltà a comprendere il comportamento di Elyon Yaxley. Le sembrava di essere stata chiara nell’esposizione del suo piano improvvisato, che le avrebbe permesso, forse, di ispezionare la mente del Mangiamorte, nella lontana speranza di cogliere delle informazioni che sarebbero state utili a loro tutti. Evidentemente si sbagliava, oppure quella Elyon era più furba di quanto pensasse e, per qualche assurdo motivo, aveva tentato di intralciarla ed era riuscita a boicottare il suo piano. Rispedita nella sua cella senza alcuna possibilità di agire, Odette si era gettata sulla brandina e sbuffando con sonorità, aveva ripensato alla frettolosa spiegazione che Elyon le aveva fornito, prima che il Mangiamorte le dividesse.
 
“Conosco Adrian alla perfezione,” le aveva bisbigliato con rapidità, mentre gettava con agitazione lo sguardo intorno a sé, “se non ti avessi impedito di leggergli la mente se ne sarebbe accorto e ti assicuro che nessuno di noi si sarebbe risparmiato una punizione con i fiocchi…l’ho fatto per il bene di tutti noi!”
E mentre le due venivano allontanate, Elyon si era voltata per gridarle “Vedrai, troveremo un’altra soluzione!”
 
Doveva realmente crederle? Poteva fidarsi davvero di quella Yaxley? Odette non ne era affatto sicura. Per quanto la riguardava avrebbero dovuto rischiare, al massimo avrebbero guadagnato un paio di tacche su quella strana piramide presente in ognuna delle celle. Certo, era vero che Odette non conosceva affatto Adrian e a quanto aveva avuto modo di vedere, il Mangiamorte non era propriamente una persona capace di mantenere il controllo. A quanto le era stato riferito non si era risparmiato di lanciare la maledizione cruciatus contro Victor Selwyn e chissà cosa altro sarebbe stato in grado di fare. Odette sospirò, pensando che la lei di qualche anno prima non avrebbe esitato a gettarsi e rischiare; era sempre stata un’impavida, pronta ad andare contro alle regole impostale senza esitare. Eppure quella non era una situazione semplice da gestire ed era più che conscia che non poteva mettere sullo stesso piatto della bilancia le infrazioni commesse in passato, con quelle che avrebbe potuto compiere in quel frangente.
 
“Hai ricevuto un’altra ammonizione! Io non so più che cosa fare con te, certe volte mi chiedo come tu sia uscita fuori in questo modo! Ma la colpa è certamente di tuo padre…è sempre stato troppo permissivo nei tuoi confronti!”
 
Cassandra era disperata. Guardava quella piccola ribelle della figlia, tornata a casa per le vacanze di Natale con un cospicuo numero di pergamene da farle firmare, in cui i professori da un lato elogiavano le sue doti di studentessa brillante, dall’altro la ammonivano per i comportamenti scorretti che metteva in campo ogni giorno. Odette era una piccola mina vagante, sempre pronta a far baldoria e artefice del decurtamento di molti punti alla casa di Corvonero. La cosa che più infastidiva Cassandra era senz’altro che sua figlia non sembrava mostrare interesse per la cosa. Sempre in giro con la sua cricca di amici ribelli, come quel mago grande e grosso di Tassorosso con cui soleva accompagnarsi. Cassandra seguiva disperata la figlia per casa, la quale aveva già sparso magicamente il contenuto del suo baule in ogni dove. Odette si fermò solo arrivata davanti al frigo che aprì, non curandosi delle ammonizioni della madre. Con semplicità prese a farsi un toast e mentre Cassandra continuava con disperazione a chiederle di tentare di mettere la testa a posto, Odette la interruppe, intanto che sbocconcellava un pezzo di toast:
 
“Mi è suffessa una cofa sfrana a leffione di divinaffione.”
 
Cassandra piroettò gli occhi al cielo.
 
“Almeno ingoia, prima di parlare!”
 
Ingollato un gran sorso d’acqua, Odette continuò: “Dicevo…mi è successa una cosa strana durante la lezione di divinazione…non ho detto nulla a zia però; sai come è fatta, avrebbe cominciato a tempestarmi di false profezie…” Odette fece una smorfia, “…probabilmente avrebbe predetto la mia morte!”
 
Solo in quel momento Cassandra indirizzò l’attenzione a ciò che le stava tentando di dire sua figlia, mettendo da parte le ramanzine. Sedette di fronte alla ragazza e congiunte le mani sul tavolo, prese a fissarla con intensità:
 
“Hai avuto una premonizione? Lo sapevo! Buon sangue non mente, bambina mia!”
 
Odette sbuffò in maniera plateale; solo gli adolescenti sanno essere così irritanti, pensò sconfitta la madre.
 
“Non credo sia stata una vera e propria premonizione, mamma…sai che non credo a quella roba lì.” Odette alzò le mani in segno di scuse, sapendo perfettamente di avere appena offeso la madre e le tanto millantate capacità divinatorie della sua famiglia. Odette mai e poi mai aveva dato prova di tali capacità e, sinceramente, non gliene era mai fregato nulla. Ma quanto successo durante la noiosissima ora in compagnia dei compagni e della zia Sibilla l’aveva scossa. Dopo una serie di botta e risposta dai toni poco cortesi, Odette decise di deporre l’ascia di guerra riguardo la futilità di quella materia e prese a raccontare cosa le fosse successo.
 
Il fumo degli incensi che assopiva la vista andò rapidamente a mescolarsi con lo sfregolare dei legni nel vicino camino, creando un’atmosfera ovattata ed eterea. Odette non aveva mai prestato alcuna attenzione alle creazioni che prendevano vita dall’unione dei sacri fumenti e Sibilla Cooman, scoraggiata dall’inettitudine della nipote, aveva presto rinunciato all’idea che Odette possedesse “la vista”. Si limitava a lasciarla sbuffare e commentare senza ammonirla, ma nulla più. Ma quando vide la nipote stesa a terra, con gli occhi divenuti bianchi come la nebbia, da un lato si allarmò, dall’altro gioì interiormente del miracolo appena avvenuto.
 
“Ricordi cosa hai visto?” Chiese Cassandra, tentando di reprimere l’eccessiva curiosità. Ingoiato un altro morso di toast, Odette raccontò con serenità di aver ‘sognato’ i suoi tre giorni a venire.
 
“Ma non sono stata in grado di intervenire…era come se…come se non fossi realmente presente. Ero fuori dal contesto, incapace di compiere azioni utili a modificare gli eventi.”
 
“Non è detto sia stata una vera visione, Dettie…” l’euforia di Cassandra si spense e la strega adottò un tono mite e conciliatorio. Ma si stupì, quando Odette puntò gli occhi nei suoi:
 
“Hai o non hai ricevuto una convocazione dal Ministero, questa mattina? Hanno bisogno di fare luce su un delitto avvenuto in un’abitazione magica a qualche isolato da qui.”
 
La praticità con cui Odette rispose spiazzò totalmente Cassandra. Forse sua figlia era riuscita davvero ad aprire il terzo occhio. Forse, una piccola speranza c’era.
 
*
 
Quella maledetta piramide si era colmata quasi del tutto. Gli occhi neri di Victor fissavano la punta mentre sfregava le mani con nervosismo. Avrebbe dovuto cominciare a comportarsi bene, forse, anche perché era abbastanza convinto che nel momento in cui quella si fosse colmata, nulla di buono sarebbe accaduto. Il problema di fondo era uno: Victor Adam Selwyn non sapeva comportarsi bene, non c’era mai riuscito; la sua visione della vita era pressoché soggettiva e ciò che lui riteneva giusto, spesso e volentieri era sbagliato per gli altri. Ma in quel caso sentiva di doversi impegnare, perché se realmente avesse voluto uscire di lì e portare con sé gli altri, i suoi atteggiamenti sconvenienti gli sarebbero stati di intralcio. E poi come avrebbe potuto mettere in salvo quell’angioletto di Jules, così piccola e così fragile? La ragazzina aveva da poco compiuto quattordici anni e già si era ritrovata ad affrontare molti più guai di chiunque altro lì dentro. Anche se, a pensarci bene, Jules aveva dato prova di sapersela cavare egregiamente, ma il punto non era di certo sapersi difendere fisicamente, bensì trovare il modo di scappare senza rischiare la vita.
E poi c’era la questione Evangeline.
Evie lo tormentava, questo era un dato di fatto.
Più passavano i giorni, maggiore era il tempo che dedicava a pensarla e questo era veramente strano, per un tipo come lui. Mai aveva avuto tanta apprensione nei confronti di qualcuno che non fosse se stesso e specialmente non si era mai ritrovato a pensare ad una strega tanto giovane nel modo in cui…la stava pensando. Evie aveva quasi diciotto anni, ma lui ne aveva ventisette; quasi dieci anni di differenza non erano mica pochi, eppure Evangeline si era mostrata una strega molto matura per la sua età, anche lei in balia di un passato tumultuoso che probabilmente aveva contribuito a farla crescere in fretta.
Frizionò i capelli con le dita, nel pieno di un dilemma a cui non sapeva trovare risposta. Evangeline Montague stava diventando un problema, in quanto stava facendo crollare lo spesso muro di indifferenza che il magigiornalista aveva costruito nei confronti di quasi l’intero mondo. Ancora poteva sentire il suo odore sulla pelle; ricordava con vivida attenzione l’abbraccio con cui l’aveva avvolta e la sensazione di quel corpicino esile, tanto simile a lui ma così piacevolmente diverso. Si era ritrovato ad immaginarsela calzare le scarpette da ballerina ed iniziare a ballare come una deliziosa fatina per lui, solo per lui. Perché Evie gli aveva raccontato di avere quella passione da quando era piccola e da quel momento Victor non aveva fatto altro che figurarsela vestita di un leggero tulle scuro a fasciarle i fianchi sottili.
Ma a che diavolo stava pensando?! Doveva essere quel posto, senza ombra di dubbio. Victor stava impazzendo ed il costante e forzato contatto con quelle persone, specialmente con la giovane Montague, lo avevano indirizzato a quei pensieri.
 
- Ti vedo agitato, Vic. Tutto bene? -
 
- NO, PRISCILLA MERETRICE! -
 
Martha batté le palpebre un paio di volte, prima di inarcare notevolmente il sopracciglio e smollare uno scappellotto dietro la nuca dell’amico.
 
- Come ti permetti, sciocca serpe? Invece di insozzare il buon nome della nobile Priscilla, non è meglio che tu mi dica come mai hai quell’espressione da merluzzo? -
Mentre si massaggiava la nuca, Victor tirò un grande sospiro – Zeller…prima che tu colpisca un’altra volta il mio nobile capo purosangue, vorrei che rispondessi con sincerità ad una domanda, va bene? –
 
- Sentiamo…ma risparmiati altre imprecazioni, per cortesia. Non sono sicura che la mia mano resisterebbe a colpire ancora la tua zucca vuota. -
 
- Va bene. Ok. Senti… ma tu come hai capito di esserti innamorata di Phil? -
 
Quella domanda sorprese Martha più di quanto si sarebbe aspettata. Non avrebbe mai pensato che quel suo amico tanto spocchioso le avrebbe mai rivolto una simile domanda, non era proprio da Victor Selwyn.
 
- Sono più che certa che a suo tempo Phil ti abbia raccontato come sono andate le cose fra noi. -  Rispose secca lei, incrociando le braccia e mettendosi sulla difensiva.
 
- Secondo te ho mai chiesto a Phil quanti bacetti vi siete scambiati prima di capire di esservi innamorati? Andiamo Martha, mi viene da vomitare al sol pensiero! -
 
- E allora che vuoi da me?! -
 
- Non lo so… - un altro sospiro, - Sono solo curioso, non credo di essermi mai…mai… -
 
- Innamorato? -
 
- Quella roba lì, si. Ma lascia perdere, non so come mi sia venuto in mente di chiederti una roba così. -
 
Martha tentò di reprimere la stizza nei confronti di Victor; le tornò inevitabilmente alla mente il modo con cui, in passato, il mago aveva trattato ben due delle sue più care amiche. Tutto si poteva dire di Victor, tranne che fosse mai stato un galantuomo, o quantomeno avesse mai dato mostra di sensibilità. Eppure qualcosa doveva pur esserci sotto, se era arrivato a fare quella domanda proprio a lei, con cui aveva discusso con ferocia proprio riguardo al modo con cui soleva trattare le streghe che, al contrario suo, gli cascavano ai piedi. Comunque ci volle molto poco a Martha per sciogliersi: appena vide Victor alzarsi e recuperare una ciotolina con due gelatinose pasticche verdi al suo interno, si incupì.
 
- La tua medicina? – chiese apprensiva.
 
- Almeno questa continuano a fornirmela; credo abbiano bisogno di me da vivo, sai com’è. –
 
Martha attese che Victor ingoiasse le pasticche, prima di stringersi un po’ al suo fianco e cominciare a raccontare come fosse arrivata alla consapevolezza di provare amore per Philip. Fu un racconto straziante per lei, visto che non era affatto convinta avrebbe rivisto ancora suo marito, ma per il bene dell’amico si impose di andare avanti. Victor rimase in ascolto senza fare nemmeno una battuta, cosa assai strana per lui ed aspettò che Martha finisse di parlare; e proprio mentre le sbarre della cella si aprivano, Victor sgranò gli occhi e le domandò concitato:
 
- Che giorno è oggi? -
 
- Credo…il trentuno Dicembre. Perché? -
 
Victor si alzò di scatto e sotto gli occhi esterrefatti di Martha, corse verso l’entrata della cella:
 
- Merda! Almeno oggi devono farmela incontrare! -
 
*
 
- Mi fai paura. -
 
Elyon aveva tentato di sorridere, ma l’affermazione di quella ragazzina le aveva fatto spalancare la bocca in un’espressione basita.
 
- Prego? -
 
Jules incrociò le braccia strette strette e munita di tutta la sua compostezza, tornò a ripetersi.
 
- Ho detto che mi fai paura: tu, il tuo sorriso tirato, i tuoi occhi taglienti e i tuoi tic nervosi! -
 
La strega adulta trasecolò e quell’ombra di sorriso scomparve totalmente:
 
- Io non ho nessun tic nervoso! - stridulò scomposta e agitata.
 
- Ti tocchi in continuazione l’orecchio, ti muovi come fossi sotto il costante effetto di un pietrificus…ti assicuro che nel complesso risulti abbastanza inquietante! -
 
Elyon strinse i pugni, pronta ad inveire contro quel grazioso fiorellino che sputava fiele dalla bocca, ma poi la sua parte razionale bussò alla sua porta per dirle che, sì, da fuori le persone dovevano provare la stessa sensazione di Jules, nel guardarla. Non che si fosse mai impegnata troppo per dare una parvenza di dignità a se stessa, povera anima scompensata, ma sentirselo dire da una ragazzina di quattordici anni di certo non aiutava.
Jules era pronta a scatenare la tempesta del secolo, convinta che la provocazione nei confronti della Yaxley avrebbe di certo causato delle conseguenze; eppure rimase stupita nel vedere quel vulcano pronto ad esplodere, spegnersi come una candelina sulla torta. Elyon infatti aveva caricato i polmoni d’aria e serrato le labbra, ma l’unica cosa che fece fu sospirare: un grande, profondo sospiro che aveva un sapore atavico, come se quello fosse rimasto incastrato dentro di lei per troppo tempo. Dopo di che Elyon sedette a terra, poggiò il mento sui palmi delle mani e guardò Jules con un’espressione carica di pietà.
 
- Guarda tu se devo farmi sbattere in faccia la realtà da una bambina. – provocò, con un vago accenno di sorriso.
 
- Io non sono… oh che palle! -
 
La maggiore non si sforzò di trattenere una risata di cuore, mentre la sbuffante ed indispettita Jules sedeva accanto a lei.
 
- Senti che linguaggio! Mamma e papà cosa direbbero vedendoti? -
 
Ad Elyon arrivò un’occhiata di sbieco. Raddrizzato il viso, alzato il mento, sbuffato ancora, Jules pigolò:
 
- Mi sono stufata di sentirmi dare della bambina! Non solo ho quattordici anni ormai, - la tassorosso prese a darsi un tono, cosa che intenerì moltissimo Elyon – inoltre mi pare di essere la più matura fra voi, branco di adolescenti rinchiusi in corpi da vecchi! -
 
Quella frase aveva un ironico e sincero senso, constatò Elyon. Effettivamente nell’arco dei mesi tristemente trascorsi, molti di quelli definiti impropriamente “maghi adulti” avevano dato mostra di non essere che dei poppanti problematici, lei per prima; Jules, per quanto piccina (anche se Elyon si sarebbe ben guardata dal ribadirlo) aveva di contro dimostrato una caparbietà, una grinta e una forza d’animo che non era riconducibile a molti, in quel Giardino.
Passata la stizza iniziale, Jules aveva cominciato a sciogliersi e aveva tempestato Elyon di domande sul suo passato, alle quali la strega scelse di rispondere con oculatezza; ma non come aveva sempre fatto, ovvero mossa dalla riservatezza e dalla diffidenza verso la maggior parte di coloro che l’avevano circondata in passato, bensì per vergogna, pura e semplice vergogna. Quando Jules cominciò a raccontarle del proprio passato, di quante difficoltà avesse vissuto a causa della sua condizione che l’aveva sempre resa tanto speciale quanto diversa, per Elyon fu inevitabile paragonarla alla sé bambina. Eppure Jules era la prova provata che quella diversità che le distingueva, non necessariamente avrebbe dovuto prendere forma in una persona difficile, controversa, egoista e storta come lei stessa era diventata. Questa consapevolezza giunta come un’epifania ad Elyon fece male. Jules, con i suoi quattordici anni, si era dimostrata una persona migliore di quanto lei non era mai stata. Probabilmente quella commiserazione sarebbe stata presa a pugni da Adrian, che mai aveva sopportato questo lato di Elyon e se il mago fosse stato presente (ma specialmente se non si fossero ritrovati nelle parti dell’aguzzino e della carcerata), le avrebbe di certo fatto notare che Elyon non solo non aveva avuto delle solide figure genitoriali alle spalle, ma che addirittura sua madre non aveva fatto altro che usarla come cavia da laboratorio per tutta la vita.
La strega si morse forte il labbro e tentò di scacciare via ogni pensiero che riguardasse Camilla, Adrian o Robert Steiner.
 
- Guarda che se ti stai annoiando puoi dirmelo. – La riprese Jules che si era resa conto di non essere più ascoltata. Ma Elyon scosse la testa e con un sorriso davvero sincero, il primo dopo molto tempo, rispose docilmente:
 
- Hai ragione, scusami. Mi stavi parlando di quando hai imparato a creare le bolle d’aria per fare levitare gli oggetti, giusto? Chissà quanto sarai utile ai tuoi compagni tassorosso! -
 
*
    

Joshua, a seguito del primo incontro con la Mangiamorte Heathcote, era stato trasferito in una cella d’isolamento e per giorni la strega era andata a fargli visita, per educarlo ad un compito ben preciso. Infine dopo intere giornate in quella stanza buia e angusta, era stato riportato nella sua cella che, incredibile ma vero, aveva d’improvviso assunto il sapore di casa.
Joshua aveva imparato a sue spese cosa volesse dire essere vittima di bullismo. In tenera età i suoi fratelli maggiori, Charles e Julius, avevano sempre mostrato scarso interesse nei suoi confronti; Julius, il maggiore dei tre e preferito dal padre, non gli aveva mai dedicato troppe attenzioni, ma quantomeno intimamente apprezzava l’incredibile dote di Joshua. Con Charles invece non c’era mai stato nemmeno quello: il suo rapporto con il più piccolo si era sempre basato sulla fredda cordialità, nulla più.
Joshua non aveva mai saputo a chi o cosa aggrapparsi, perché la sua famiglia dalle origini purosangue non badava a lui e nello specifico, suo padre Alfred, aveva sempre mostrato un astio nei confronti di quel bambinetto strano e ribelle.
Il piccolo metamorfo molte volte si era spinto in là con la mente, immaginandosi una vita con la presenza attiva della madre: Deianira era descritta da tutti come una bella donna, affabile e cortese, ma vittima di un continuo senso di privazione, in cui galleggiava, placida, la depressione. A Joshua fu raccontato senza mezzi termini che la madre si era tolta la vita quando lui non aveva che due anni; la donna, incapace di restare ancora vicina a quell’uomo freddo e scostante che non riusciva a provare amore, si era lasciata sconfiggere dalla depressione. Ci pensò un potentissimo veleno a strapparla alla vita; un veleno che come unica traccia lasciò una nota bluastra sul suo viso.
Fu nel metamorfismo che Joshua trovò ristoro, anche se ci volle del tempo prima che riuscisse realmente a sfruttare il potere a proprio favore.
 
Hogwarts era stata un faro luminoso in un bosco buio e tetro. Il neo undicenne aveva investito forti aspettative nel suo ingresso alla Scuola di Magia e Stregoneria: aspettative che con una puntualità maligna, vennero presto mandate al macello.
Quando il cappello parlante lo smistò in Grifondoro, Joshua e tutti coloro che lo conoscevano rimasero sorpresi; nell’intera storia della famiglia Hollens, nessuno mai era stato smistato in una casa che non fosse Serpeverde, un po’ come i Malfoy. Ma messo da parte un primo momento di sbigottimento, Joshua fu sollevato e fiero di essere un grifondoro e dentro di sé sapeva con certezza che sarebbe stata la scelta più sensata e giusta. Purtroppo i suoi compagni di casa non la vedevano così.
 
‘ Il cappello deve essersi sbagliato, non è possibile che un Hollens finisca in Grifondoro. ‘
 
‘ Torna da quelle serpi, bastardo! Noi qui non ti vogliamo, sei un infiltrato! ‘
 
Così ebbero inizio le angherie: da un lato i suoi compagni grifondoro lo rifiutavano, facendosi scudo delle loro stupide convinzioni; dall’altro i serpeverde non avrebbero mai guardato con buon occhio un acerrimo nemico, macchiato di quei colori tanto accesi quali il rosso e l’oro. E se le angherie non bastavano a rendere la vita del piccolo Joshua un inferno, ci pensò il padre a rincarare la dose lanciandogli l’ultima umiliazione con una stringata lettera, che lo avvertiva di non fare ritorno per le vacanze di Natale in quanto ‘ disonore della famiglia ‘.
Joshua non aveva nulla: né amici, né genitori apprensivi, né fratelli amorevoli. Era solo, torturato dai soprusi dei suoi compagni.
Fu mentre scappava da uno dei tanti bulli che aveva deciso di usarlo come passatempo, che Joshua si rese conto del dono che aveva ricevuto alla nascita; assumere le sembianze di Eric Lester, suo compagno di casa, risultò incredibilmente semplice per lui e da quel momento iniziò a sfruttare il suo potere quanto più poteva. Mutare in continuazione aspetto rendeva Joshua più tutelato; si sentiva protetto e al sicuro, in quanto nessuno aveva la possibilità di usarlo ancora come bersaglio.
La vita era difficile, complicata, incerta e piena di insidie, ma Joshua poteva contare su se stesso ed in qualche modo sarebbe riuscito a cavarsela nonostante tutto.
 
Ma se l’essere un metamorfo lo aveva fino a quel momento protetto, risultò evidente agli occhi di Joshua che la vita aveva deciso di ghignargli in faccia, ancora una volta e quel sorriso malefico, vestito di rosso, aveva le sembianze di Martha Heathcote. La strega lo fissava placida, conscia che Joshua avrebbe dovuto cedere.
 
- E se mi rifiutassi di farlo? -
 
- Uccellino… ti ho già spiegato che non accetto un no come risposta; che vuoi farci, sono abituata così. Io ottengo sempre ciò che voglio… -
 
Martha perse il sorriso e tutto d’un tratto un velo scuro che anticipava il dolore, calò sul viso di donna: - … e quello che voglio è che tu prenda le mie sembianze, senza fiatare. Se deciderai di opporti sapremo cosa fare di te e di quell’abominio con cui, purtroppo, condivido una linea di sangue. –
 
Joshua non era in grado di contare il numero di maghi e streghe di cui aveva preso le sembianze. Cento? Duecento? Forse di più. Chi più chi meno, bene o male ogni volto gli aveva regalato il proprio momento di compiacimento, ogni ciocca di capelli lo aveva fatto arrossire di felicità. Ma guardare il proprio aspetto assumere le caratteristiche di quella strega gli squarciò il petto, ancor prima di sentire lo sferragliare della sua cella che si apriva, seguito da un lieve colpetto di tosse che annunciava l’arrivo di Robert Steiner e del ragazzo per cui si era preso una cotta, ma che presto avrebbe fatto impazzire di dolore.
 
*
 
- Ti vedo nervosa più del solito oggi, mi chiedo come sia possibile. -
 
Roxanne digrignava i denti in maniera talmente tanto evidente, che Yann non riuscì a trattenere le provocazioni, le quali oramai uscivano con una spontaneità disarmante dalla sua bocca, quando l’oggetto era Roxanne Borgin. Alistair, di contro, tentava di trattenere una risata, ma mai si sarebbe sognato di prendere in giro la Mangiamorte così apertamente; aveva imparato a conoscerla ed era ben cosciente che ci sarebbero potute essere delle ripercussioni.
 
- Quella maledetta megera…quella zitellaccia! - borbottava fra se e se, apparentemente non prestando attenzione alle parole di Yann, il quale continuava ad incalzarla con un accenno di sorriso sul viso burbero.
 
- Zitellaccia, addirittura? Dalla tua boccuccia soave mai mi sarei aspettato di sentire uscire un epiteto tanto colorito; è il caso che inizi a trattenerti, sboccatella, altrimenti perderai tutta la tua credibilità di algida Mangiamorte. -
 
- Yann…c-credo che s-stia per ven-venirle un coccolone…s-sta facendo un m-mo-movimento str-strano con l’occhio, lo vedi? -
 
Il magifabbro incrociò le braccia e strinse gli occhi scuri, concentrandosi su Roxanne. Inevitabile conseguenza fu una risata di gusto, una di quelle che molto, molto raramente si scatenavano da lui. Fu a quel punto che Roxanne parve destarsi: la strega sgranò gli occhi e, vagamente scarmigliata (anche questa una cosa assai rara, per la strega), cominciò a strillare in direzione del mago:
 
- Stai zitto, Yann! -
 
Yann dette una lieve spallata ad Alistair: - Hai ragione, deve essere davvero provata là signora…credo sia la prima volta che mi chiama per nome. -
 
- Si-sicuro sia un b-buon segno? -
 
Roxanne a quel punto esplose; prese a sbattere i piedi, agitare le braccia sottili e pallide, contrarre la bocca in un fastidioso sibilo.
 
- Io sono costretta qui, con voi due, mentre loro sfruttano il mio orologio! Dovevo esserci io lì…io! Ma no…ora è arrivata quella…quella stronza e improvvisamente Roxanne Borgin non conta più nulla! -
 
Spossata, la Mangiamorte si accasciò su una panchina - Per anni ho dedicato il mio tempo alla causa…ho investito energie, lavoro intensivo, ore di sonno! E per cosa?! Per essere spodestata dalla prima arrivata?! -
 
Yann ed Alistair si lanciarono un’occhiata. Era la prima volta che la strega si sbottonava un minimo da quando avevano avuto la sfortuna di incrociare il suo cammino, il che fece supporre loro che avrebbero dovuto cavalcare l’onda. Così cautamente Yann abbandonò l’ironia, sedette ben distante da Roxanne ma ugualmente a lei si rivolse:
 
- Ci hai mai pensato che forse questa causa di cui tanto parli sia quella sbagliata? -
 
Roxanne non credette alle sue orecchie. Come aveva potuto quel sanguemarcio soltanto permettersi di mettere in dubbio gli ideali in cui aveva sempre creduto? Si concesse qualche momento per percorrere rapidamente il suo passato, prima di ridurre in brandelli Yann con la cruciatus.
Il pensiero di Regulus arrivò spontaneo, come un faro nella notte: il suo bel viso gentile, i suoi occhi placidi e sempre pronti a percorrerla, come se Roxanne fosse una cosa sua di diritto, come se lei esistesse solo in sua presenza, ma senza arroganza o superiorità. Era naturale vivere per lei e che lei respirasse per Regulus; ancora una volta si chiese come fosse possibile che lui fosse sparito così, di punto in bianco, nel nulla, senza lasciarle nemmeno uno straccio di lettera.
Più di una volta si era risposta che quel comportamento non era da lui e che gli unici che facevano sparire le persone nella massa informe dell’oblio erano proprio i Mangiamorte come lei; ma così come quella risposta arrivava alla testa, subito la strega era pronta a ricacciarla nel profondo, perché non era possibile. Era vero, Regulus si era comportato in maniera anomala nel periodo che li separava dal matrimonio imminente ed ogni tanto la sensazione che lui avesse qualcosa da dirle era forte. Che fosse successo qualcosa che l’aveva fatto tornare sui suoi passi?
E come succedeva ogni qualvolta che Roxanne tentava di indagare più a fondo nel suo passato, le fitte alla testa cominciavano a farsi violente.
Alistair spalancò la bocca e cominciò a tremare davanti alle urla lancinanti della Mangiamorte, che si reggeva la testa mentre ringhiava di dolore.
 
- Yann! Ha q-qualcosa c-che non va! La d-dobbiamo a-aiutare! -
 
In un’altra occasione Yann non avrebbe esitato ad approfittarsene, rubando la bacchetta a Roxanne; eppure quella volta non ci riuscì. Cinse la vita di Roxanne con un braccio, mentre con una mano prese a massaggiarle delicatamente la cute rivestita di folti capelli neri.
 
- Scusami, lo sto facendo per te. – Sussurrò Yann che con maestria infuse una notevole quantità di calore laddove la mano toccava il fianco. Roxanne urlò più forte, ma questa volta per il dolore provocato da Yann.
Ma con quello, le fitte alla testa scemarono, fino a sparire del tutto e nel punto in cui Yann l’aveva scottata, non rimase che un lieve formicolio.
Yann Reinhardt aveva appena coscientemente aiutato Roxanne Borgin.
 
*
 
Se quell’incontro fosse casuale o meno, Cora non avrebbe saputo dirlo. Ma era evidente che il Giardino volesse che lei arrivasse proprio lì, nel punto in cui fra l’unione del rubino delle rose ed il bianco dei gigli, c’era Alon Morgan che si guardava intorno con curiosità, probabilmente in attesa dell’arrivo di qualcuno. La strega deglutì, prima di compiere i passi necessari a raggiungerlo. Quando quella si fece abbastanza vicina, Alon le rivolse prima uno sguardo contrariato, dopodiché si rabbonì e si limitò a guardare altrove. La bella strega prese un grande respiro e trattenne uno sbuffo. Non era abituata a chiedere scusa, no davvero, ma sentì che quello fosse il momento per fare un’eccezione.
 
- Posso? – chiese con cautela ed attese un qualsiasi tipo di cenno da parte di Alon. Il ragazzo inizialmente valutò l’idea di ignorarla, ma non era affatto nella sua natura comportarsi in quel modo. Il confronto con William lo aveva calmato si, d’altro canto sentiva di provare ancora del risentimento per quella strega, che si comportava con loro come se fosse superiore a tutto e tutti. Ma Alon dava sempre almeno una seconda possibilità e sentì che non farlo con Cora, che si trovava nella sua stessa condizione, sarebbe stato sbagliato. Così incrociò le braccia e puntò gli occhi verdi in quelli di lei:
 
- Parla. – Si limitò a dire, lapidario. Cora non se lo fece ripetere due volte:
 
- Sono venuta qui…cioè ti ho visto e ho voluto approfittarne per chiederti scusa, - borbottò – mi sono comportata in una maniera sciocca e tu non lo meriti affatto. -
 
- Nessuno di noi dal sangue misto lo merita. Se il tuo intento è quello di scusarti solo con me che dirti… posso accettare le tue scuse, ma sarà la tua forma mentis a dover cambiare. –
 
Per Cora era difficile accettare quelle parole; in lei era in atto un forte cambiamento e di questo mutare faceva parte la consapevolezza che, probabilmente, era colpa dell’ambiente in cui era cresciuta il motivo per cui ragionava così. Se qualcosa di buono era successo in quel luogo spaventoso, era di certo l’avere avuto la possibilità di rendersi conto da sé che a parità di condizione, non sussisteva alcuna differenza fra l’uno e l’altro. Il suo sangue puro non le aveva evitato di essere rinchiusa lì. Il suo rapporto con il dottore men che meno. Cora era esattamente come Alon, Jules e tutti gli altri. William era stato un valido mezzo per raggiungere quella consapevolezza: lui le aveva concesso la possibilità di comprendere ciò che era nascosto sotto la spessa coltre della supremazia e l’aveva fatto raccontandole il suo passato, senza tergiversare e omettere ma, specialmente, senza vergogna. Ora era giunto il suo turno, perché voleva che Alon e gli altri capissero. Preso coraggio, Cora mosse ancora qualche passo verso il giovane, assunse un’espressione provata e parlò nuovamente:
 
- Hai voglia di ascoltare la mia storia? -
 
Alon si rese subito conto che la strega stava compiendo uno sforzo incredibile e che se aveva realmente deciso di aprirsi con lui, ci doveva essere un serio motivo. La seconda possibilità. Alon fu fermamente convinto di dovergliela concedere e lo avrebbe fatto ascoltandola senza interrompere il flusso dei pensieri, con l’assoluta capacità di comprensione di cui era dotato. Annuì e fece cenno alla strega di sedersi sotto un albero di tiglio poco distante da loro; fu sotto l’ombra piacevole delle fronde folte ed inebriati per l’intenso profumo della fioritura, che Cora aprì il suo cuore senza rimostranze.
 
*

 
- In piedi McCall, è ora della passeggiata. -
 
Nel sentire la voce di Adrian Reed a richiamarla, Odette scattò in piedi. Era sicura che si sarebbe quantomeno beccata una tacca sulla sua piramide, in quanto non era possibile che Elyon Yaxley non avesse spifferato il suo piano. Ma il Mangiamorte sembrava sereno e prestava, come sempre, ben poca attenzione ai prigionieri, tranne quelli che gli facevano perdere le staffe. Il medimago rimase in stato d’allerta e appena scavallata la cella, gettò dietro di sé uno sguardo alla lettera rho incisa nella lastra di marmo posta sopra l’entrata. Dai Mangiamorte aveva sentito soprannominare ogni cella: la sua era quella de “La Verità”. Non ci voleva molto per capire il motivo per il quale fosse soprannominata così. Odette aveva questa incredibile dote di saper leggere la mente di chiunque; non essendosi mai autodenunciata al Ministero, aveva evitato che i funzionari la assillassero per mettere il suo potere al servizio della comunità.
Odette era sempre stata restia ad utilizzare troppo e troppo spesso la lettura del pensiero, perché nonostante il carattere apparentemente aperto e gioviale, era una persona molto riservata e non si sentiva di invadere la privacy altrui. Certo, in quella situazione avrebbe dovuto e voluto farlo: capire cosa nascondessero i Mangiamorte, lottare con tenacia contro le barriere del dottor Steiner, quello sì che sarebbe risultato utile. Ma fino a quel momento le era parso impossibile e molto rischioso, anche se il fatto che Adrian non dava mostra di di essere a conoscenza del suo piano, l’aveva sicuramente rilassata. Forse Elyon aveva avuto ragione ad impedirle di leggere la mente di Reed, ma non per questo non avrebbe dovuto ritentare e quale migliore occasione se non quella, in cui si trovava sola con lui?
Nero. Buio. Era impossibile. Per quanto Odette si sforzasse, mentre seguiva i passi del burbero Mangiamorte, non riusciva a cavare un ragno dal buco: la mente del mago era totalmente schermata.
 
- Magari non ti frega un cazzo, - la roca e profonda voce di Adrian interruppe bruscamente i suoi tentativi di lettura del pensiero – comunque oggi è il trentuno dicembre. Non vedo l’ora di risbattervi dentro e andare festeggiare come si deve. -
 
C’era un che di beffardo nella voce di Adrian Reed che avrebbe dovuto mandarla fuori di testa. Ma conoscere la data di quel giorno aveva risvegliato qualcosa in Odette, anche se non riusciva a capire cosa.
 
Capodanno… perché il trentuno dicembre le diceva qualcosa?
 
Quella bomba sexy di Melissa Beckham l’aveva invitata alla festa organizzata per capodanno e Odette si sentiva al settimo cielo. Non aveva fatto altro che spedirsi gufi con Lucas e nelle disordinate pergamene che i due amici si scambiavano, si spiegavano sgrammaticate esultazioni e reciproche richieste di consiglio sul come vestirsi per presentarsi alla villa barocca di Melissa. Proprio mentre si trovava davanti allo specchio provando l’ennesima combinazione di “canotta di iezzo minigonna tacchi”, sentì un morbido bussare alla porta. Jonathan, suo padre, entrò con un lieve sorriso sul volto e una pergamena spiegazzata fra le mani; non ci volle molto per capire cosa stesse pensando il mago, davanti al quale Odette arrossì vistosamente.
 
“Scusami tesoro, l’ho aperta per sbaglio… non c’era il mittente e stavo attendendo una lettera dai nonni. Sai come sono sbadati, ho pensato si fossero dimenticati di scrivere il loro nome… “
 
Odette strappò la pergamena dalle mani del padre e nel leggere le prime parole che Lucas le aveva scritto, il colorito passò dal rosso pomodoro al carminio più acceso.
 
‘Melissa cadrà ai tuoi piedi se ti metti quella fottuta minigonna che abbiamo comprato la settimana scorsa!’
 
“Papà… credo di doverti dire… “
 
Jonathan si era già seduto sul letto disordinato della figlia; il suo sorriso rassicurante e bonario la portò a sospirare. Suo padre era sempre stato un uomo buono e comprensivo ed aveva dimostrato di amarla incondizionatamente, nonostante il caratterino agitato e controverso che Odette aveva dimostrato di possedere dalla più tenera età.
 
“Va bene, lo faccio. “
 
“Dettie, stai calma, non hai commesso nessun crimine, o almeno non in questo frangente!” Ridacchiò lui, spezzando la tensione con quella battuta. A differenza della madre lui era davvero un uomo buono; perché non si fosse mai confessata, non sapeva dirlo. Aveva diciotto anni ed aveva da poco iniziato la specializzazione in medimagia; era una figlia tutto sommato responsabile e stava intraprendendo un percorso che avrebbe reso fieri i suoi genitori, non c’era nulla di cui vergognarsi. Eppure non ci riusciva, proprio no. Boccheggiò per un bel po’ di tempo, si mangiucchio le unghie appena verniciate, smaniò con le gambe. In tutto quell’arco di tempo Jonathan rimase in silenzio, rispettando la delicatezza del momento. Fu solo quando nella stanza calò uno spesso silenzio, segno del fatto che sua figlia non sarebbe riuscita a spiccicare una sola parola, che decise di parlare:
 
“Allora, è molto carina questa Melissa? Da quello che scrive il tuo amico Lucas parrebbe proprio di si.”
 
Odette sgranò gli occhi scuri e, con la bocca semi aperta, roteò il viso in direzione del padre. Il mago sorrise e la incalzò nuovamente: “Beh? Non hai nemmeno una foto da mostrarmi? Ti assicuro che me ne intendo di belle donne, guarda tua madre!”
 
Non c’era bisogno di aggiungere altro. D’improvviso Odette si sciolse totalmente e nel tentativo di mascherare gli occhi lucidi al padre scattò in piedi, alla ricerca frenetica di una bella foto in movimento che mostrava Melissa Beckham, dalla lunga chioma color cioccolato, fluttuare su una scopa. Fra i due quella che sapeva leggere la mente altrui era lei, ma Odette capì che suo padre non aveva alcun bisogno di farlo e anche se ne fosse stato in grado, Odette non avrebbe avuto alcun motivo di schermare la propria mente, con lui.
 
Un passo dopo l’altro, Odette si era ritrovata a ricordare quel momento che aveva davvero cambiato la sua vita; suo padre era stato così comprensivo che la strega capì quanto fosse stato sciocco e limitante tenere per sé la sua omosessualità, come se fosse un peccato da non confessare. Inoltre con l’aiuto di quel ricordo, capì quale era il motivo per cui il trentuno dicembre fosse così importante.
 
- Per caso mi stai portando da Evangeline? – chiese spontaneamente lei, affiancandosi ad Adrian con le mani congiunte dietro la schiena. Il Mangiamorte le lanciò un’occhiata in tralice:
 
- Oggi non è previsto un incontro tra voi due. La ragazzina incontrerà qualcun altro, mentre tu ti limiterai a rompere il cazzo a me. -
 
Odette aggrottò le sopracciglia, ma non rispose a tono per non provocare Reed. Le sarebbe piaciuto passare quella giornata in compagnia di Evie. Sperò almeno che la ragazza non rimanesse sola, nel giorno del suo diciottesimo compleanno.
 
*
 
Non ricordava più cosa volesse dire provare nausea, ma il pasto servitole poche ore prima aveva riportato la sensazione alla memoria. Mazelyn era provata, molto provata. Per mesi, tranne in una sola occasione, a cadenza di tre o quattro giorni un Mangiamorte si era presentato alla sua cella con delle sacche di sangue che l’avevano sostentata a dovere. Quel giorno però avevano deciso (e molto probabilmente era stato quel dottore) che un’altra persona doveva essere punita con la morte. Un uomo tutto d’un pezzo era stato portato da lei da qualcuno che indossava la maschera tipica dei Mangiamorte; Maze era abbastanza convinta non si trattasse né di Adrian Reed, né di Roxanne Borgin. Certo, pensare non era semplice perché in quel momento la sete era totalizzante e a ben poco servì la forza di volontà. Dopo qualche minuto sotto incitazione del Mangiamorte, il vampiro aveva stretto gli occhi e si era scaraventata sul mago offerto a lei. “L’Ordine è vivo”, queste le ultime parole pronunciate dal povero mago, prima di essere assaltato da Maze.
In quel momento quelle quattro parole rimbombavano nella sua testa come i postumi di una brutta sbronza. Per questo quando William si presentò nella sua cella, Mazelyn ringhiò minacciosa.
 
- Non ti voglio qui dentro… va via! -
 
Ma Will rimase impassibile. La guardò vagamente accigliato ed attese che le sbarre dietro di lui si richiudessero, prima di fare qualche passo ed afferrare la sedia in metallo posta davanti allo scrittorio della cella.
Maze sentiva ancora il sapore metallico del sangue insinuato fra i denti e nonostante gli occhi fossero puntati sulle proprie scarpe, era certa che William la stesse fissando. La sete se ne era andata, ma non era certa che la frenesia non si sarebbe riaffacciata.
 
- Lo sai che non siamo noi a decidere dove e quando spostarci. Come stai? -
 
Una risata amara anticipò la risposta: - Bene! Non vedi? Sprizzo gioia da ogni poro! – con un colpo deciso Mazelyn alzò la testa e William fu costretto a reprimere un sussulto: nel turbinio di capelli scuri, due occhi di brace lo fissavano arroganti e la bocca, morbida e invitante, era piegata dal disgusto. Qualcosa di grosso doveva essere successo a quella ragazza, qualcosa che Will non aveva la forza di immaginare. Si guardarono a lungo loro due; l’unico respiro era quello di William, regolare e placido, in perfetta antitesi con il tumulto emotivo di Maze.
 
- Posso aiutarti, se me lo concedi. In fondo ti devo ancora un favore: se non ci fossi stata tu a salvarmi, quel giorno in cui Lucas ha perso la ragione, probabilmente ora sarei poltiglia per i maiali. -
 
Maze si prese del tempo prima di rispondere. Quel William non le aveva chiesto nulla, quindi le fu naturale pensare che dovesse trovarsi davanti ad un uomo molto intelligente, in grado di soppesare le parole e capire quale fosse il momento migliore per parlare. Ancora il silenzio a dividerli, poi Maze dichiarò funerea: - Al mio problema non c’è soluzione, non vedo come possa essermi utile un mago, per giunta senza bacchetta. –
 
William incurvò la schiena e si sporse verso di lei; la ragazza percepì che in lui non risiedeva paura e la cosa la tranquillizzò, proprio come era successo giorni prima con il babbano, Alistair.
 
- Puoi non fidarti e continuare a soffrire, nessuno te lo vieta. Ma se mi lascerai tentare, ti assicuro che niente di male ti accadrà. -
 
Provare o non provare? Ma alla fine cos’è che aveva da perdere, Maze? Nessuno di loro si trovava rinchiuso per propria volontà e probabilmente l’unico modo che avevano per sopravvivere era tentare di aiutarsi a vicenda. Così con un impercettibile movimento del capo, il vampiro acconsentì e lasciò avvicinare William che sedette accanto a lei.
Il mago dovette chiudere gli occhi, perché il fascino della ragazza era per lui praticamente ingestibile, a quella ridicola distanza. Quando la sua mano sfiorò la spalla di Maze, Will rabbrividì; avrebbe dovuto sospettarlo, ma non si era comunque preparato al contatto gelido con la pelle di lei. La pelle di un vampiro. Quando era stato salvato da lei di certo non si era messo a ragionare sulla sua temperatura corporea, ma in quel momento, nella piccola cella della fenice, quel contatto lo disturbò.
Con quello arrivò un dolore fortissimo, che lo colpì allo stomaco, alla gola e alla testa: sentì la gola seccarsi, le viscere strizzarsi, il corpo freddarsi. Ma doveva resistere se non avesse voluto andare incontro alla morte. Svolse il suo compito in tempo record riuscendo ad assorbire tutto il dolore che padroneggiava in Maze; davanti agli occhi attoniti della ragazza, Will sputò dalla bocca il vapore più tetro e scuro che avesse mai visto che schizzò via da lui come una nuvola scossa dal vento gelido di una tempesta imminente.
 
*
 

Fu un momento drammatico. Joshua sentì di impazzire dentro quel corpo che non era il suo ed il motivo era il terrore che lesse negli occhi di Lucas, quando l’auror si trovò davanti sua zia, o meglio due persone identiche a lei. Era molto tempo che Lucason non la incontrava, ma aveva studiato le sue foto alla perfezione, fino al minimo dettaglio, data la smodata “passione” che Martha sembrava avere nei suoi confronti.
A Joshua era stato ordinato di non fiatare, ma solo di sorridere. Se lo avesse fatto la strega gli aveva assicurato che nulla di male sarebbe stato fatto loro (per quanto potesse fidarsi delle parole di quella pazza).
 
- Cosa… - Lucas si zittì nel momento in cui Robert Steiner lo invitò a sedersi. Il dottore teneva saldo l’orologio di Roxanne in una mano, mentre con l’altra mosse la bacchetta ed incarcerò Lucas con corde e bavaglio.
 
- Non siamo qui per una riunione di famiglia, Lucas. Non ci sarà bisogno di muoversi, specialmente di parlare. -
 
Gli occhi limpidi di Robert finirono su Joshua; come potesse riconoscerlo, questo era un mistero, visto che in quel momento era identico a Martha Heathcote sia nell’aspetto che nel vestiario. Il metamorfo fece come gli era stato ordinato: si limitò a sorridere lievemente e passare lo sguardo da Robert a Lucas. Martha, la vera Martha, tentava di mantenere la calma, ma Joshua in piedi al suo fianco riuscì a percepire dei leggeri spasmi, indice di quanto quella si stesse trattenendo dal non attaccare Lucas.
 
-Devi solo stare buono, - specificò il dottore con tono rassicurante nei confronti di Lucas – il più fermo possibile. Come ben sai la terra non ti risponde, fin tanto che ti trovi all’interno di questa cella, quindi ogni tentativo di chiamarla in tuo soccorso sarà inutile. –
 
Robert spostò l’attenzione sulle due donne e ad entrambe regalò uno dei suoi migliori sorrisi:
 
- Fatevi pure avanti, ora. -
 
Joshua non oppose resistenza; sapeva che assecondare il dottore fosse l’unica speranza che avevano di uscire illesi da quella situazione. Così mosse dei passi in direzione di Lucas e con lui anche Martha si mosse; Robert Steiner teneva lo sguardo fisso sull’orologio dorato con aria assorta, mentre Lucas cominciò ad iperventilare. Joshua sentì il sangue gelare nelle vene. Conosceva da anni Robert Steiner e lo aveva sempre apertamente detestato; ma mai avrebbe creduto che l’amico di suo padre sarebbe arrivato a rapirlo e torturare lui ed una persona a lui cara. Mai.
 
Gli occhi di quell’uomo gli avevano sempre fatto paura. Robert Steiner frequentava da sempre casa sua, da che ne avesse memoria. Che suo padre Alfred fosse un forte simpatizzante di Voldemort non era di certo un mistero e l’unica cosa che gli aveva impedito di prendere il marchio, era stata la sua salute cagionevole. Per questo Joshua diffidava di chiunque suo padre frequentasse, non per ultimo Robert Steiner, che ogni qualvolta incontrava sembrava studiarlo come fosse una cavia da laboratorio. Joshua aveva tentato di tenersi alla larga da lui e da ogni frequentazione di suo padre; per questo quando Alfred lo invitò a non fare più ritorno a casa, il giovane metamorfo non poté che sentirsi sollevato. Finalmente era libero di seguire la sua strada, libero dal peso di una famiglia che appoggiava il Signore Oscuro e che avrebbe fatto di tutto per questi ideali. La reazione che ebbe Joshua fu più che spontanea: il ragazzo, volenteroso di allontanarsi il più possibile dall’ambiente in cui era cresciuto, aveva deciso di rifugiarsi nel mondo babbano; con i babbani non c’erano i problemi con cui si era sempre scontrato e fra loro il metamorfo sentì di potersi mimetizzare alla perfezione.
Diventare maestro fu gratificante per lui ed i bambini a cui infondeva nozioni gli regalavano gioie che mai e poi mai aveva sentito di provare. Tra loro Joshua si sentiva davvero se stesso, senza bisogno di ricorrere al metamorfismo. Quest’ultimo passò dall’essere una necessità ad un diletto, qualcosa che per molto tempo aveva fatto parte di lui e a cui non aveva intenzione di rinunciare, sicuramente, ma senza che la trasformazione fosse la moneta da giocarsi in situazioni di pericolo.
Eppure, nonostante gli anni trascorsi lontani dalla famiglia, era successo in ben due occasioni che Robert Steiner bussasse alla sua porta e tentasse di usare il suo aplomb per convincerlo a tornare sui propri passi.
 
‘ Ragazzo mio, ti assicuro che abbiamo bisogno di molte più persone come te. Il Signore Oscuro tornerà e quando accadrà saprà ripagare chi gli è diventato fedele. Pensaci bene.’
 
Al loro primo incontro, nonostante la paura che Robert aveva scatenato in lui, Joshua tentò di mostrarsi cortese e riuscì a congedare il dottore con la promessa di pensarci su.
Ma il loro secondo incontro fu un vero e proprio scontro, durante il quale Joshua alzò molto la voce e intimò Robert Steiner di lasciarlo stare, perché lui non era e non sarebbe mai stato come loro e che l’unica cosa a cui aspirava era una vita tranquilla, lontana dal mondo magico quanto più possibile. Joshua non dimenticò mai lo sguardo glaciale che Robert gli concesse, prima di offrirgli l’ultima, tagliente frase: ‘ Allora dovrai fare molta attenzione, d’ora in avanti’ .
 
Ricordò quelle parole con amarezza, Joshua. Più si avvicinava a Lucas, più sentiva di aver sbagliato a non prestare troppa attenzione alle minacce di Robert. Lui, che si riteneva tanto intelligente e razionale, in quel momento stava facendo il gioco di quel malato e non sarebbe stato il solo a pagarne le conseguenze.
 
- Ancora un po’. – ordinò Robert senza staccare gli occhi dall’orologio; ma il dottore represse un’imprecazione, quando la vera Martha, distante ormai solo pochi centimetri da Lucas che la guardava terrorizzato, sfoderò la bacchetta e gliela puntò contro:
 
- Creperai sotto le mie mani, orrido scherzo della natura! -
 
- Verdammnis! Martha, fermati! -
 
Non fu necessario per Joshua intervenire in alcun modo: con una rapidità ammirevole, Robert Steiner estrasse la bacchetta e disarmò la Mangiamorte senza sforzo, facendola peraltro schiantare contro la parete. A quel punto Joshua tornò alle sue vere sembianze, mentre contemporaneamente Lucas fu libero dall’incarceramus.
 
- Scusami… scusami! Mi hanno obbligato! –
 
Joshua non riuscì più a trattenersi e gli occhi si colmarono di lacrime, mentre si inginocchiava davanti a Lucas, stringendo i pugni sulle sue gambe.
 
- Va tutto bene, ehi… -
 
- Non fate un solo passo. -  Il tono del dottore era perentorio. Lentamente i due voltarono il capo nella sua direzione e lo fissarono muti; Robert teneva la bacchetta sfoderata verso di loro, mentre con una mano tratteneva Martha, semisvenuta.
 
- Rimanete… - Robert si interruppe di botto appena un leggerissimo fischio partì dalla tasca in cui aveva riposto l’orologio. Se non fossero stati in silenzio, probabilmente nessuno di loro sarebbe stato capace di sentirlo. Con un braccio tratteneva Martha e stringeva la bacchetta, con la mano libera estrasse l’orologio, che guardò con sguardo assorto per qualche secondo. Joshua e Lucas lessero lo sgomento e la felicità nel suo sguardo, nonostante Robert tentasse di mascherarlo.
 
- Dumm… - Robert Steiner ripose con tutta fretta l’orologio nella tasca, ordinò ai due di rimanere nella cella e uscì con rapidità da essa, trascinandosi il corpo tramortito di Martha Heathcote sulle spalle. Joshua e Lucas rimasero pietrificati nella loro posizione, tentando di capire qualcosa di quello che era appena successo loro.
 
*
 
Era da un po’ che aspettava, Evangeline. Chi o cosa, come al solito non sapeva dirlo, ma oramai aveva fatto l’abitudine ad aspettarsi davvero di tutto, tanto che la paura di quel luogo era ormai un lontano ricordo. Il sole si rifletteva nei suoi occhi chiari e giocava con il riflesso dei suoi capelli, che riflettevano di docili sfumature rossastre, illuminando il viso diafano. Passava le dita sull’erba soffice mentre tentava di tenere la mente sgombra dai cattivi pensieri, che troppo spesso, ormai, si affacciavano per punzecchiarla.
Un rumore di fronde le fece spostare l’attenzione, fino a quel momento dedicata allo sbattere frenetico delle ali di un’ape, intenta a catturare il polline da una delle tante margherite che la circondavano.
Si aspettava l’arrivo di uno dei Mangiamorte, non certo di Victor che tra un impropero e l’altro cercava di liberare i capelli da rametti e foglie che si erano aggrappati a lui.
 
- Vicky? Ma cosa… -
 
Victor ci mise pochissimo a raggiungerla e solo quando arrivò a pochi centimetri da lei recuperò il fiato.
 
- Maledetto Giardino, maledetti percorsi impossibili! Che cazzo, mi sembra di concorrere alle magiolimpiadi! -
 
Come spesso accadeva in presenza del magigiornalista, Evie scoppiò a ridere di cuore; ma la risata durò poco, perché il ragazzo allungò le mani e la tirò su con un gesto sgraziato.
 
- Mica sono un pupazzo…ehi, calmo! Perché sei tanto agitato? -
 
- Stai zitta e ascoltami. – disse lui con concitazione – Io non lo so se usciremo mai vivi da qui. Non so se anche solo uno di noi due si salverà, va bene? Ma oggi… oggi è il tuo compleanno e io sto per fare una cosa da perfetto imbecille quale, ovviamente, non sono. -
 
- Ti sei ricordato il mio com… -
 
Evie non riuscì a concludere la frase, perché Victor strinse il suo viso fra le mani lunghe e la guardò per un brevissimo istante, prima di incurvarsi un bel po’ ed incollare la bocca sulla sua.
Evie non oppose resistenza, ma percepì nettamente il suo cuore accelerare nei battiti, pronto ad esploderle in petto.
Evie, per una volta, lasciò che Victor si comportasse da imbecille e alle sue labbra cedette, come fossero la genesi di un nuovo, speranzoso e meraviglioso futuro, al sapore di libri, inchiostro e carta straccia.
 


Buongiorno cari. Come quasi sempre accade, questo capitolo si alterna fra gioie e dolori (dalla maledetta zia di Lucas a questo epilogo che spero non sia risultato troppo sdolcinato).
Di materiale per porvi delle domande ve ne ho fornito parecchio, spero. Elyon avrà parlato con Adrian? Che cosa succede a Roxanne? E poi: vi piacciono Evie e Victor?! Io li ADORO.
Ho ben poco da dire, la parola sta a voi.
Per il prossimo capitolo niente voti, ovviamente scriverò di Cora e Maze.
A presto.
 
Bri

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Capitolo 14
*** La pallida luce della paura ***


DISCLAIMER
Questo capitolo contiene scene di violenza e linguaggio scurrile che potrebbe urtare la sensibilità di chi legge.
 
CAPITOLO XII
La pallida luce della paura
 
Madeline Boxton era chiusa nel suo ufficio da più di 5 ore. Un paio di volte avevano provato a bussare alla sua porta, ma il solo ringhio sputato dalle sue labbra era bastato per far desistere chiunque avesse tentato di distrarla. Cinque mesi, cinque lunghi mesi erano passati dall’inizio delle indagini su quel gruppo di maghi e streghe scomparsi nel nulla, da un momento all’altro; cinque mesi in cui i progressi erano stati ben pochi e Madeline cominciava a soffrire la situazione. Erano 17 anni che svolgeva quel lavoro ed era la prima volta che avevano deciso di metterla a capo di un’indagine. La strega aveva deciso che avrebbe risolto il caso in quattro e quattr’otto, per dimostrare di essere valida tanto quanto i suoi supervisori, se non di più; purtroppo le sue rosee previsioni erano andate ben presto all’altro mondo. L’unico elemento che aveva in mano era un documento recuperato al Ministero, direttamente nella Stanza del Tempo. Per ottenere la suddetta documentazione, Mad aveva dovuto metterci tutta se stessa. “Stupidi idioti, galoppini del Ministro.”, masticò fra sé e sé, mentre fumava con nervosismo. Con la sigaretta stretta fra le labbra e gli occhi semichiusi per evitare che il fumo le ustionasse le cornee, il capo auror passava lo sguardo dal documento al dossier contenente i nomi degli scomparsi. Persino un babbano sembrava essere coinvolto nella questione, un certo e più che anonimo Alistair Gordon. Sfogliò l’intero dossier con nervosismo eccessivo; se avesse continuato a passare più ore in quell’ufficio muffito che nel suo comodo appartamento, probabilmente l’avrebbero presto trasportata al San Mungo per sedare una crisi isterica.
- Lucas Heathcote… un gran bravo ragazzo e un valido auror, spero che tu sia vivo. -
Mad proseguì nello scandagliare i nomi, fino a soffermarsi, rigida, sulla foto di William. Spense quel che era rimasto della sua sigaretta, abbandonò il documento del Ministero ed infine, con presa rigida, strinse la foto del mago, che la guardava sornione, al solito particolarmente scapigliato.
“Tu guarda il destino che cosa mi ha combinato. “  Per Madeline pensare a Gideon fu inevitabile. Ricordava quel William, di qualche anno più piccolo di lei, occupare la stanza degli ospiti di Gideon e Fabian.
Mad pensava di averla superata; ormai era molto tempo che non pensava a Gideon con costanza, ma evidentemente avere a che fare con quella sorta di fratello adottivo, aveva scatenato nella strega un atavico malessere.
- Al diavolo, ho bisogno di farmi una bevuta. – Dichiarò a voce altra. Abbandonò sulla scrivania l’intera documentazione, afferrò il mantello e con un colpo di bacchetta spalancò la porta:
 
- Hestia! – gridò con voce acuta. Poco dopo l’auror apparve sul ciglio della sua porta; allacciate le braccia sotto il seno, accennò un lieve sorriso verso la collega.
 
- Hai deciso di uscire da questo tugurio? Godric sia lodato! -
 
- Tu scherzi, ma io ho assoluto bisogno di… -
 
- Berti una birra. – Hestia Jones portò dietro l’orecchio una ciocca ramata, con fare vago: - Si dia il caso che io abbia appena staccato. Andiamo forza, ho scovato un pub niente male: brutte facce ma ottima birra per te e gin di qualità per me. -
 
Madeline lanciò un ultimo sguardo alla foto di William Lewis, prima di avvicinarsi alla collega:
 
- Brutti ceffi… è esattamente ciò di cui ho bisogno. – La strega infilò il mantello e a seguire guardò l’altra con cipiglio: - Non sarà mica un’altra delle attività di mister Murray, spero. -
 
A quella domanda, Hestia si apprestò a cambiare argomento. Sorvolare sarebbe stata la cosa più giusta da fare.
 
*
 
Adrian non era mai stato uno di molte parole. Aveva sempre preferito i fatti, in modo da essere in grado di esternare ciò che la sua bocca non riusciva a dire; parlare, confrontarsi, specialmente spiegarsi gli avevano procurato sempre non pochi problemi e il più delle volte otteneva il contrario di quanto avrebbe voluto. Con Elyon ad esempio era sempre stato così. Fin da quando non erano che ragazzini, era sempre stata lei a parlare per entrambi, dando fiato a quella bocca larga quanto più possibile e dimostrando, per altro, di essere munita di un’acutezza e un’intelligenza che, Adrian, di certo non sentiva di possedere. Fin quando i due erano stati in rapporti più o meno sereni, il povero bastardo aveva tratto giovamento dalla capacità della strega. Ma quando qualcosa si era incrinato fra di loro (colpa di lei, quella stronza), non aveva saputo mutare l’amaro nella bocca in forma verbale. Così il risentimento nei confronti di Elyon era aumentato a dismisura ed era iniziato un logoramento tale che Adrian, incapace, aveva coltivato a dismisura.
Specialmente in quel contesto, il mago non sapeva come comportarsi: troppe e ingarbugliate informazioni erano arrivate a lui e se inizialmente aveva pensato di essere in grado di affrontare il suo compito di carceriere con distacco, in quel momento non ne era più sicuro. Sentiva puzza di marcio, ma Adrian non riusciva a capire realmente da dove provenisse quell’olezzo; da una parte c’era Elyon, che non gli aveva mai fornito una sola certezza nella vita ma che, a detta sua, si era mossa in direzione ostinata e contraria soltanto per salvaguardarlo. Dall’altra c’era Robert, per lui un fratello maggiore, quasi un padre, che però stava dando prova di mettere in discussione ogni tipo di affetto in favore della causa. Inizialmente Adrian era riuscito a non sbottare, sapendo che una delle celle di quel macchinoso laboratorio era riservata ad Elyon e questo solamente perché Robert gli aveva fatto credere che la strega fosse una facinorosa ribelle, che di certo non teneva a nessuno di loro, tantomeno a lui.
Ma poteva davvero fidarsi di Robert Steiner? No, Adrian non ne era più sicuro. Aveva visto sua madre avvizzire nella sua pazzia senza che quel suo cugino avesse mai mosso un dito per intervenire in suo favore. Bonnie non era più in sé da un pezzo, ma a Robert questo con ogni evidenza non importava. Come non importava dello stesso Adrian, probabilmente. Tutte le volte che il dottore lo aveva tirato fuori dai guai, forse lo aveva fatto solamente per avere un proprio tornaconto. Alla fine Adrian gli serviva, perché era lui che spesso faceva tutto il lavoro sporco; Roxanne era la mente e per lei si che Robert mostrava di provare un affetto speciale ed era chiaro che non permetteva alla collega Mangiamorte di immischiarsi in affari troppo loschi con la volontà di salvaguardarla. Ma con Adrian, Steiner non si faceva mai alcun problema.
Con quei pensieri che ormai da un po’ ronzavano nella testa, Adrian si avviava all’ufficio del dottore nel cuore della villa. Si accese una sigaretta, fottendosene delle ammonizioni di Robert a tal riguardo.
 
- Ti aspettavo… oh mein gott, è necessario fumare? -
 
Adrian sedette su una sedia e poggiò le braccia sullo schienale rivolto verso il dottore: - Mi sono rotto i coglioni di questo posto. – Il Mangiamorte allungò la sinistra con la sigaretta trattenuta fra indice in medio in direzione di Robert: - Sono mesi che stiamo lavorando su questo progetto e i risultati si contano su una mano. Cazzo Robert, se solo mi dicessi un decimo di quello che vuoi ottenere magari riuscirei ad aiutarti davvero! –
 
Robert Steiner, seduto compostamente dietro la sua scrivania, si alzò con calma e, portate le mani dietro la schiena, si voltò verso la finestra; gli occhi, glaciali e reattivi, puntavano oltre la siepe di cinta del Giardino.
 
- Questo è il motivo per cui non mi fido di fornirti troppe informazioni. Sei irrequieto e imprevedibile Adrian e questo, purtroppo, va a discapito del nostro progetto. -
 
- Me ne fotto! – Adrian si alzò di botto; non sopportava che Robert gli desse le spalle: - Incomincio a credere che questo tuo fantomatico progetto non sia che tutta una messinscena! Ti annoiavi, non è vero? Ed hai pensato bene di tirarci in mezzo a questa storia, questo… ridicolo giochetto! – Adrian riprese fiato, prima di tornare ad alzare la voce: - Questi maledetti sfasamenti temporali… non ce n’è stato uno davvero rilevante, se non quando quel damerino di Selwyn e la ragazzina Montague si sono dati agli scambi di lingua… e noi a fare il pubblico! Ogni volta che li faccio incontrare mi sento un fottuto guardone pervertito… maledetto Salazar, come mi sono ridotto. – concluse poi, affondando di nuovo sulla sedia.
 
- È qui che ti sbagli… - Il volto di Robert si dipinse di un tetro sorriso. La sua mano estrasse la bacchetta, che ondeggiò con movimento lento verso la finestra. – Fino ad ora abbiamo supposto che le emozioni forti siano causa di sfasamenti temporali, non convieni con me? Abbiamo provato con la paura… come nel caso di Lucas Heathcote e la dolce Martha, ma non abbiamo avuto risultati. -
 
Adrian seguiva, ora più calmo, la bacchetta continuare a muoversi; sembrava una danza buia e solenne.
 
- Ma per nostra fortuna, abbiamo capito che un sentimento ben più forte della paura ha causato uno sfasamento molto, molto potente. Secondo te lascerei l’Eroe e l’Incantatrice fare quello che vogliono senza un ben preciso scopo? Valutando attentamente la situazione, alla luce di quello che successe il trentuno dicembre, sospetto che se dovesse crescere un sentimento di forte amore fra i due, potremmo ottenere grandi cose. -
 
Qualcosa di simile a un grugnito uscì dalla bocca di Adrian, segno che stesse, sebbene malvolentieri, seguendo il ragionamento.
 
- Ebbene, stiamo andando per tentativi ragazzo mio, lo capisci? Le mie sono solo ipotesi, non ho nulla di certo in mano. Necessito, per quanto possibile, di una prova empirica. Ora… ponendo in essere che un sentimento tanto potente quanto l’amore sia in grado di causare uno sfasamento temporale, sai dirmi per caso quale altro sentimento potrebbe riuscirci? -
 
Adrian fece ancora un tiro, prima di rispondere senza davvero riflettere: - Che vuoi che ne sappia. Magari il rancore, o l’odio. –
 
- Ben detto. La tua risposta è corretta. – Robert compì un ultimo movimento con il legno e, con quello, lo sguardo di Adrian si indirizzò automaticamente su quella bolla che racchiudeva il Giardino. Si alzò con impeto e si affiancò a Robert con celerità. Il dottore sorrise ancor più, mentre il cielo del labirinto mutava rapidamente: il sole che risplendeva incessantemente in quella gabbia stava tramontando, lasciando posto al crepuscolo.
- L’odio può rivelarsi il detonatore ideale. Ma per azionarlo mi sono servito di elementi esterni alla situazione, altrimenti avrei potuto fallire. -
 
- Ma cosa… si sta facendo notte. Non capisco dove vuoi arrivare. -
 
- Sono sicuro che riflettendoci puoi arrivarci, mio caro ragazzo. -
 
Gli occhi di Adrian correvano da una parte all’altra, alla ricerca di un piccolo dettaglio, in mezzo alla debole luce crepuscolare, che lo aiutasse a comprendere. Poi li vide: erano distanti, molto distanti, ma fu comunque in grado di riconoscere due esseri umani che discutevano con animosità. Un dettaglio, seppur ridicolo, lo fece sussultare; una chioma lunga, che riverberava di fuoco persino al crepuscolo. Adrian sentì il cuore saltare nel torace.
 
- Elyon… - sussurrò con timore, come se a pronunciare quel nome, fosse lui stesso ad innescare il detonatore di quell’orribile espediente.
Non perse un solo secondo in più: senza aggiungere altro, Adrian Reed si fece indietro, per poi correre via, con la volontà di raggiungere la strega il prima possibile.
E Robert lo seguì con lo sguardo, per poi tornare di nuovo a guardare il Giardino dall’alto, con le mani congiunte dietro la schiena ed un sorriso soddisfatto in volto.
“ Sbrigati Adrian, la luna sta sorgendo. “
 
*
 
Elyon stava per impazzire. Lo sentiva, erano vicini a scoprire qualcosa di molto grosso, qualcosa che, forse, li avrebbe fatti uscire da quel posto; ma se persone come la Dagenhart erano decise a non collaborare, allora sentiva sarebbero morti prima ancora di tentare una fuga. Camminava stizzita, non sapeva nemmeno lei dove stesse andando. Quel Giardino cambiava forma ogni volta e mai una sola occasione le era sembrato che un luogo corrispondesse a un altro.
 
- Ma guarda guarda chi si vede… riconoscerei la tua camminata nervosa a miglia di distanza. -
 
Non poteva essere. Elyon si immobilizzò nel momento esatto in cui quella voce arrivò alle sue spalle. La conosceva bene quell’inflessione spocchiosa e sempre divertita; come il tono baritonale, inconfondibile. Sudore freddo cominciò a imperlarle la fronte; Elyon sperò con tutta se stessa si trattasse solo di un incubo, uno dei tanti che infestavano la sua testa da quando era stata catturata.
 
- Questo non è… possibile. Robert non arriverebbe a tanto. -
 
Una risata roca, quella di Fenrir Greyback: - E invece guarda un po’… il tuo dottorino alla fine dei conti ha punito te e premiato me, dolce Ellie. –
 
La strega si voltò, furibonda; i suoi occhi verdi, sottili come una lama, puntarono in quelli di Fenrir. Era lui, lo era davvero.
 
- Non permetterti di chiamarmi così… che diavolo ci fai qui? -
 
- Ritrosa come tuo solito; non mi stupisce tutta questa rabbi , non deve essere semplice essere rinchiusi qui. – L’uomo si guardò intorno, accennando un sorriso: - Non sei contenta che qualcuno ti sia venuto a trovare? Ti starai annoiando a morte qui, tutta sola. -
 
- Vai via! – L’urlo di Elyon coincise con un fremere della terra sotto i piedi di Fenrir Greyback, che alzò subito le mani e ridacchiò appena: - Ehi, calmati bambina… non stiamo giocando ad armi pari, non ti pare? Vedi di fare la brava ancora un po’, sono venuto qui per farti sfogare. -
 
 Tutta la rabbia di Elyon si espresse con il movimento convulso del suolo, che dava l’idea di spaccarsi da un momento all’altro. Ma qualcosa la distrasse, qualcosa che non si sarebbe mai aspettata e che la trasse in contropiede: per la prima volta da quando aveva messo piede nel Giardino, il cielo stava mutando ed il sole, prima alto e caldo, cominciò a tramontare.
 
- Non è possibile… - sussurrò la strega, agghiacciata, mentre guardava quello spettacolo della natura. Sapeva bene cosa sarebbe presto accaduto.
 
- Di un po’, non ti mancava la luna? -
 
- Io… Steiner è impazzito! Non… non ho più preso la pozione antilupo… non ho… -
 
In pieno stato confusionale, Elyon neanche si accorse che Fenrir si era fatto vicino e con un gesto troppo sciolto, le alzò il mento e la guardò, ghignando: - Oh, non ti servirà, bambina: fra poco ci divertiremo da matti, proprio come ai vecchi tempi. –
 
*
 
Martha schiuse gli occhi con grande fatica. Probabilmente aveva perso per qualche secondo i sensi, visto che scontrò lo sguardo con la faccia preoccupata di Alistair, chino su di lei:
 
- Martha… p-per fortuna… ci hai f-fatti preoc-c-cupare! -
 
Spostando lo sguardo alla sua destra, riconobbe anche Alon e Jules, aggrappata tenacemente al collo del ragazzo. Qualcosa non andava, ne era più che certa.
 
- Sto… bene; Al, per piacere aiutami…
 
Il babbano aiutò la strega a rimettersi in piedi e le permise di aggrapparsi a lui.
 
- Cosa è successo? Come mai sei svenuta? – Pigolò con preoccupazione Jules.
 
- Qualcuno… qualcosa… - Martha portò le dita a stringere l’incipit del naso e prese a massaggiarsi con delicatezza; un forte mal di testa era arrivato in concomitanza di quella percezione negativa a cui non aveva saputo far fronte.
 
- Calma, non agitarti… Al, falla sedere, recupero le scarpe di Jules. -
 
Mentre Alon si allontanava con la tassorosso, Alistair trovò un piccolo masso su cui fare accomodare Martha. La strega lo ringraziò, poi gli afferrò il polso e lo fissò con gli occhi sgranati, cosa che lo mise in soggezione:
 
- Ascoltami… credo che qualcuno sia entrato nel Giardino, qualcuno con pessime intenzioni e… -
 
Il tramonto improvviso zittì Martha, che sussultò assieme a tutti gli altri. I quattro alzarono lo sguardo verso il cielo e osservarono il sole farsi rosso e tiepido.
 
- Ma cosa diamine… non è possibile! -
 
- Merda… forza, andiamo! – Martha, nonostante la spossatezza, si alzò; aggrappata ad Alistair ordinò ai tre di seguirla: il suo sguardo puntava un punto ben preciso del Giardino, con la certezza che sarebbe stata quella, la via giusta da seguire.
 
*
 
- Il sole sta tramontando… questa è una cosa impossibile! -
 
No, niente era impossibile, non per Robert Steiner. Questo pensò Joshua nel sentire l’esclamazione di Lucas. La prima sensazione che trasse dall’inaspettato tramonto, fu di sollievo. Qualcosa in lui gli stava dicendo che la sua vita stava tornando alla normalità; ma quella piacevole sensazione passò immediatamente, lasciando invece il posto al terrore dovuto a quel cambiamento. C’era un motivo, se il sole stava lasciando spazio alla notte, un motivo legato ai malvagi piani del dottore.
 
- Steiner… starà escogitando qualcosa. – William tolse le parole di bocca a Joshua, il quale annuì: - E sospetto non sia nulla di buono. Come potrebbe, del resto? -
 
- Dici che c’entra Steiner? Non è che finalmente qualcosa ha compromesso il meccanismo magico di questo posto? -
 
Lucas era abituato agli imprevisti. La sua, seppur breve, carriera da auror, gli aveva permesso di entrare a contatto con realtà molteplici e a prendere in considerazione ogni tipo di eventualità.
 
- Non credo… voi non lo conoscete bene come… come lo conosco io. – Cora si aggiunse al coro; nella sua voce un’amarezza dettata dalla consapevolezza che quell’uomo era davvero capace di ogni cosa. Ci aveva messo del tempo per realizzarlo, ma ormai era ben consapevole che ognuno di loro non era che un pezzo della sua scacchiera e Cora, purtroppo, non faceva eccezione.
 
- Sono d’accordo. La notte… c’è un motivo. – William non perse lo sguardo del sole, ormai giunto al crepuscolo. Poi qualcosa lo portò a schiudere la bocca e sgranare appena gli occhi: - E se… Elyon… -
 
Joshua fu l’unico a cogliere al volo i pensieri di William. Senza pensarci su afferrò il braccio teso di Lucas, con la volontà di attirare la sua attenzione: - Luke… Elyon è un licantropo. Capisci cosa vuol dire questa cosa? –
 
Dapprima interdetto, Lucas assunse un’espressione di terrore quando si rese conto cosa volesse dirgli Joshua. Se stava arrivando la notte, con ogni probabilità sarebbe sorta la luna piena. Se fosse sorta la luna piena, allora…
 
- Merda! Dobbiamo andare subito da lei! – Gridò Lucas. Si era ormai affezionato a quella sua vicina di cella, nonostante quella fosse risultata una strega irascibile e piena di storture. Ma anche lei era nella loro stessa condizione e con il passare dei mesi, Lucas si era reso conto di quanti meravigliosi pregi nascondesse quell’agitata e sboccata donna. Avrebbe quindi fatto di tutto per far si che non le capitasse qualcosa di male, a lei e a nessun altro.
 
- Siamo d’accordo quindi… forza, andiamo. –
 
Fu William ad aprire la fila, camminando verso il punto in cui, non troppo tempo prima, avevano visto sparire Elyon. Cora fu pronta a stargli al passo: - Senti Will… e se dovessimo, ecco… se al nostro arrivo fosse già trasformata? Non credi che questo è esattamente ciò che vorrebbe Steiner? Magari vuole fare in modo che Elyon ci attacchi. Non so se questa sia una buona idea. –
 
Cora aveva perso il suo fare tipicamente algido e distaccato e William colse la paura nel suo sguardo; le poggiò una mano sulla spalla, prima di rivolgersi a lei con tono conciliante: - Ascoltami Cora, non accadrà nulla di male, o almeno faremo in modo sia così. Però Elyon è una nostra compagna, abbiamo il dovere di sostenerla. Sono sicuro lei farebbe lo stesso per noi, nonostante apparentemente potrebbe non sembrare. –
 
Cora era titubante, ma decise di assecondare William.
Ma qualcosa impedì loro di proseguire oltre: fatto un passo più del necessario, il Giardino cambiò repentinamente forma ed un imponente muro di pietra grezza si issò fra il gruppo e il sentiero che avevano deciso di seguire.
 
- Credo che il Giardino non abbia intenzione di farci proseguire. – Dichiarò Joshua, gli occhi cristallini puntati su di esso. Era evidente che Robert Steiner non voleva che si mettessero in mezzo; tentarono di girare intorno al muro, di scovare un punto fragile, o uno squarcio nelle siepi che li circondavano, ma fu impossibile proseguire oltre.
Rimasero isolati, con la sola luce della luna piena, ora alta in cielo, ad illuminare i loro volti sconvolti.
 
*
 
Odette fu testimone di quel voto infrangibile, senza proferire parola. Roxanne Borgin, inaspettatamente, le aveva permesso di leggerle la mente, così che il medimago non ebbe bisogno di alcuna spiegazione aggiuntiva. Nell’ispezionare la mente di quella Mangiamorte, Odette si scontrò con dubbi, supposizioni e paure; possibile che il dottore non si fosse fatto un benché minimo scrupolo a raggirare anche una sua fedelissima? Odette non era mai entrata a contatto con una mente così: una volta avuto il via libera da Roxanne stessa, la strega aveva tentato di leggerla quanto più possibile, senza però riuscire a capire quali piani nascondesse per loro Robert Steiner. Evidentemente Roxanne aveva su di sé un potente incantesimo scherma, che aveva fatto in modo di celare quella parte dei pensieri che cucivano il misterioso motivo per cui si trovavano rinchiusi lì.
Ma Odette fu comunque in grado di leggere tanto altro: percepì la Roxanne bambina, poi quella adolescente. Vide con nitidezza il volto di un bel mago dal sangue Black e si commosse nell’apprendere della sua improvvisa scomparsa. Apprese, sgomenta, di quando colui-che-non-deve-essere-nominato pose il marchio nero sul suo braccio candido, un braccio di ragazzina e fu lì che provò orrore. Arrivò infine a quella sera in cui Roxanne Borgin realizzò di essere stata obliviata, con ogni probabilità. I segni dell’oblivion erano per Odette più che scontati: enormi buchi oleosi aveva riscontrato nella testa della Mangiamorte, buchi che lei stessa non era riuscita ad ispezionare; essi coincidevano con il viso arrogante di un uomo molto maturo e con quell’amore che Roxanne aveva perduto per sempre.
Quando riemerse da quella difficile lettura, Odette aveva gli occhi lucidi. Era vero, Roxanne Borgin era la loro carceriera e si era dimostrata perfida, in più di un’occasione. Ma se la sua vera natura fosse stata un’altra? C’era la possibilità effettiva che la strega avesse perseguito un tale percorso in quanto forzatamente (e segretamente) obbligata. Per questo acconsentì, infine, di fare da testimone al patto tra Roxanne e Yann; quest’ultimo, ne uscì non poco provato.
 
- Cos’hai? Qualcosa non va? – sussurrò Odette, mentre Roxanne riponeva la bacchetta e si apprestava a fare un brevissimo giro perlustrativo sotto forma di falco pellegrino, per accertarsi che occhi indiscreti non avessero assistito a ciò che era appena avvenuto.
 
- Sono sempre stato abituato a scappare per mettermi in salvo; a fuggire dalla paura. – Yann prese una pausa ed osservò il proprio polso, sul quale poco prima corde invisibili si erano strette, per sugellare il voto fatto con Roxanne. – Ho sempre creduto nel mio spirito di autoconservazione e ti assicuro che è proprio quello ad avermi salvato la pelle in più di un’occasione. -
 
Odette ascoltava ed annuiva, silenziosamente. Quando gli occhi scuri di Yann seguirono il volo del falco, Odette fece altrettanto, continuando ad ascoltarlo: - Ma ora un sacco di certezze si sono sgretolate e ti confesso che sto tornando ad avere paura. –
 
- Ma ora abbiamo una possibilità; con la Mangiamorte dalla nostra, noi… -
 
- È proprio lei che mi fa paura, ma non nel senso che intendi tu. – Poi Yann alzò una mano e tornò a spostare lo sguardo su Odette : - Per piacere non farlo, non leggermi la mente. Ho bisogno di tenermi questa cosa per me. -
 
La strega annuì nuovamente, rispettando la volontà di Yann, recluso nella Stanza del Padre. La rapidità con cui il falco pellegrino tornò da loro e riprese la forma di Roxanne, li lasciò stupiti. Yann inarcò un sopracciglio, mentre la strega correva nella loro direzione, più agitata che mai. Ma non sembrava rivolgersi propriamente a loro: agitata e tremante tirò fuori quel suo orologio.
 
-  C’è qualcosa che non va… cosa diavolo sta combinando? – disse, quasi fra sé e sé. Il motivo di quel comportamento fu presto chiaro ai due; con il calare del sole, l’agitazione raggiunse alti livelli.
 
- Venite con me, dobbiamo muoverci. – Ordinò lapidaria Roxanne ai due. Nel frattempo poco distante da loro, Victor ed Evie si erano alzati dal loro letto d’erba ed entrambi passavano lo sguardo freneticamente dal solo al gruppo dei tre.
 
- Borgin! – gridò Victor, mentre si avvicinava a loro, - Cosa cazzo sta… -
 
Ma la domanda del magigiornalista rimase sospesa a metà: una grande e folta siepe si frappose fra loro, creando un muro impossibile da scavalcare.
 
- Cosa sta succedendo?! Parla, presto! - Yann scosse Roxanne per le spalle; la strega lo guardò quasi impaurita: - Io non lo so… non lo so! – Poi la paura mutò presto in rabbia: la Mangiamorte sguainò la bacchetta e cominciò a lanciare molteplici incantesimi contro la siepe; nemmeno uno di quelli andò a buon fine.
 
- Merda! – stridulò infine, sconfitta. Il Giardino, o meglio Robert, non aveva nessuna intenzione di farla spostare da lì.
 
*
 
Per Maze fu come tornare nell’incubo che era stata la sua vita prima del Giardino. Quel sole che tanto aveva amato stava tramontando, di nuovo. D’improvviso provò freddo, anche se sapeva non essere possibile; da quando era stata morsa, tutte le sensazioni e le funzioni vitali si erano annullate e la sua temperatura corporea era rimasta a qualche grado sopra lo zero.
Vide Victor agitarsi e correre verso la Mangiamorte, Yann e Odette. Vide Evangeline tallonarlo con aria turbata. Quando decise di alzarsi anche lei, un grande muro verdeggiante si era issato fra loro tre e gli altri, un muro contro cui le grida di Victor Selwyn si infransero, inutilmente.
 
- Che cosa facciamo?! Cosa sta succedendo?! Vicky… Vicky che ti succede?! -
 
Evangeline sembrava molto preoccupata. Come non esserlo, del resto? Il sole se ne stava andando e al suo posto, lenta, perfettamente sferica e luminosa, la luna. Victor inizialmente apparve non reagire. Era immobile, davanti a quella siepe ed Evangeline poteva percepire il respiro affannoso. Quando la ragazza gli cinse il braccio con la mano, Victor si girò di scatto:
 
- Dobbiamo metterci al riparo, il dottore starà organizzando qualcosa di grosso. -
 
Davanti lo spaesamento di Evie, Victor provò un moto di rabbia: - Andiamo, ti ho detto! Non dobbiamo perdere tempo. –
 
La ragazza lo guardò con quegli occhi luminosi e sgranati; era strano: per la prima volta Victor la guardava alla luce della luna, così tanto simile a lei. Pallida, fragile e maestosa allo stesso tempo, bella come mai l’aveva percepita tanto bella. Si morse il labbro, pentito di quel suo scatto d’ira; era paura, quella di Victor Selwyn. La paura lo aveva fatto reagire così. Con tutta la delicatezza di cui era capace, alzò le mani per prendere il viso di Evangeline e su di lei si incurvò: - Scusami non volevo gridare, ma non è il momento di farci prendere dal panico, lo capisci? Andiamo, rimaniamo vicini e non ci accadrà nulla di male, te lo garantisco. -  
 
Evangeline annuì, rabbuiata. Quel cambiamento repentino l’aveva terrorizzata; aveva capito anche lei che ad accompagnare il sorgere della luna doveva esserci qualcosa di terribile. Si voltò cauta verso Mazelyn rimasta fino a quel momento ad attenderli e nei suoi confronti fece un segno d’assenso: - Andiamo, seguiamo il sentiero. –
 
Un sentiero obbligato, il loro. Ad ogni passo dei tre quello si modificava, come sempre. Al buio era tutto più complicato, visto che rischiarono di inciampare in più di un’occasione, ma anche avessero voluto prendere un altro percorso, magari meno ostico e più illuminato, non avrebbero potuto. Si arrestarono all’improvviso, tutti e tre col cuore in gola, quando sentirono un vociare sommesso. Poi un calpestare di foglie e rametti, un lieve fruscio. Maze si mise subito all’erta con la volontà di ampliare i propri sensi e Victor ed Evie tentarono di imitarla, purtroppo con scarsi risultati.
 
- Vicky! -
 
La voce di Jules li fece sussultare, ma anche tranquillizzare; il sentiero si apriva in un piccolo spiazzo che, a sua volta, si apriva su altre quattro stradine. Era da una di queste che videro spuntare la piccola tassorosso, che fece cenno loro di seguirla e di fare piano.
Qualche passo dopo arrivarono da Martha, Alon ed Alistair. Martha e Victor si guardarono con estremo sollievo.
 
- Non dovevi andare da sola. – Alon fu pronto ad ammonire Jules; le era stato chiesto di rimanere ferma al suo posto, ma la ragazzina aveva, al solito, fatto di testa sua.
 
- Qualcuno di voi sa cosa sta succedendo? – Bisbigliò Evie, intimorita. Purtroppo scossero tutti la testa. Victor si avvicinò a Martha e la osservò a lungo: - Cosa ti è successo? -
 
- Non ti sfugge niente, vero Selwyn? – rispose Martha, accennando un mite sorriso. -
 
- Sei pallida come un canovaccio appena smacchiato, direi che anche un cieco se ne accorgerebbe. -
 
Martha afferrò il polso dell’amico e con stanchezza gli raccontò di ciò che aveva percepito. Il sorriso di Victor scomparve d’improvviso. Parlò quindi a quel gruppo allargato, dichiarando che sarebbero dovuti rimanere uniti e si sarebbero dovuti guardare le spalle a vicenda. Nessuno doveva allontanarsi o prendere iniziative; dicendo questo fissò con preoccupazione Jules, la quale annuì controvoglia.
Mentre decidevano come procedere, un frastuono assordante catturò la loro attenzione: strappi, grida, ringhi. Era tutto vicino, troppo vicino.
 
*
 
Elyon aveva sperato con tutta se stessa che la sua trasformazione non sarebbe mai più avvenuta. Ormai detestava prendere quella forma, che tanto dolore aveva causato sia a se stessa che a tanti altri esseri umani. Ma senza la pozione antilupo e con la luna piena alta in cielo, la strega non poteva fare niente. Puntò lo sguardo in quello di Fenrir, caricandosi di tutto l’odio che spingeva dentro di lei; lo osservò sorridere vittorioso, poi cominciare a trasformarsi e mentre lo osservava, sentiva la ragione abbandonarla. Anche il suo corpo stava reagendo alla luna, esattamente come quello del licantropo dinanzi a lei. I vestiti si lacerarono in fretta e le ossa si deformarono, così come una folta pelliccia fulva andò a ricoprirle tutto il corpo. Spalancò la bocca per gridare qualcosa, ma quella era ormai diventata altro: fauci affilate e ingombranti ne presero il posto, fauci pronte ad attaccare e squarciare il nemico che, davanti a lei, era diventato la bestia che conosceva bene.
Aveva lavorato a fondo, Elyon, per mantenere la lucidità anche in fase di trasformazione. C’era riuscita in più di un’occasione, perché con lo sforzo era riuscita ad ottenere grandi risultati; ma quello era un caso diverso. In primis era passato molto tempo dall’ultima volta che si era trasformata; inoltre con quel repentino mutare del cielo, non era riuscita a prepararsi adeguatamente alla notte che sarebbe arrivata. La natura del licantropo stava prendendo il sopravvento su di lei ed Elyon stava perdendo.
Così la testa si annebbiò totalmente e l’unico pensiero che rimase, vivido, a gridare in lei, non era che attaccare e distruggere qualsiasi cosa si fosse messa in mezzo al suo cammino.
 
*
 
- Avete sentito?! – Alon raramente provava paura, ma in quell’occasione in cui si sentiva più braccato che mai, quella era arrivata ad ammantarlo; con la paura, però, sopraggiunse anche l’enorme senso di protezione nei confronti dei compagni che gli stavano accanto e che con lui si stavano, lentamente, avvicinando al punto dal quale provenivano i rumori prima, gli ululati poi. Pensò che in quel momento avrebbe volentieri voluto la sua bacchetta, quella che qualche anno prima aveva gettato in mare con la volontà di non reperire mai più, ma che sua sorella aveva recuperato per lui. Ora quella bacchetta gli era stata requisita e, con ogni probabilità, distrutta per sempre. Ma avevano comunque il vantaggio di possedere ognuno di loro delle doti speciali che altri maghi non possedevano; un piccolo pensiero positivo in una melma di tetre considerazioni.
Quello che apparve al gruppo, però, smontò totalmente la sua vena positiva: erano licantropi, senza alcun dubbio, che ululavano e giravano in tondo aspettando che uno dei due facesse la prima mossa. Uno era più grande e con il pelo molto scuro, venato di grigio in alcuni punti adiacenti al muso, l’altro era più piccolo, dal folto pelo fulvo, ma sembrava più agile anche se senza ombra di dubbio più guardingo. Alon e gli altri rimasero immobili, ma il povero Alistair non riuscì a risparmiarsi un singulto:
 
-Q-q-q-que-que-quelli s-so-so… -
 
Se qualcuno fra di loro era più attanagliato degli altri dalla paura, quello era senz’altro Alistair. Ebbene il babbano ormai ne aveva viste di cotte e di crude e tra bacchette, poteri speciali, trasformazioni in animali, vampiri e chi più ne ha più ne metta, quasi era arrivato a ritenere tutto quello “normale”. Ma i licantropi no. Alistair non riuscì proprio a trattenersi. Jules, meno impaurita di lui ma pur sempre tremolante, si mosse nella sua direzione e gli diede una lieve gomitata, poi sussurrò: - Fanno paura… ma devi stare calmo e, possibilmente, zitto. –
Già. Perché i licantropi sembravano non essersi accorti della loro presenza, o almeno non davano prova di essere interessati a loro, visto che continuavano a misurare l’altro, pronti ad attaccare. Però era meglio non sfidarli, visto che di vie di fuga non ne avevano più: il Giardino era mutato ancora, chiudendo il gruppo in una sorta di radura assieme a quei mostri.
Poi accadde.
Fu il licantropo più piccolo, ad attaccare per primo. Quello partì con ampie falcate, scuotendo la terra ad ogni zampata; mirò subito alla gola del più grosso il quale, di tutta risposta, con una spallata respinse il nemico senza alcuno sforzo.
 
- È Elyon… è Elyon Yaxley, sicuramente! – Sussurrò con veemenza Martha a Victor, che annuì: - Hai ragione, deve essere lei. Ora cosa facciamo? Non possiamo lasciare che… -
 
-Fermatevi! –
 
Un urlo roco arrivò a sorprenderli. Poi un’intensa luce rossa, scagliata contro il licantropo più grande che guaì dal dolore.
Con l’arrivo di Adrian Reed, la bestia fulva per un momento si immobilizzò e guardò nella sua direzione, ma quella distrazione si rivelò quasi fatale, in quanto Fenrir Greyback, mostruosamente reattivo, si riprese subito dal colpo inferto dal Mangiamorte e fu proprio contro di lui che cominciò a correre.
 
- Posso provare a persuaderli! – Al diavolo le raccomandazioni; in tutto quel trambusto non c’era più tempo da perdere. Evie non aveva mai provato ad usare la propria persuasione verso qualcosa di… inumano, ma avrebbe dovuto tentare.
 
- Non se ne parla! Non sono esseri umani quelli lì, i tuoi occhioni dolci e la tua voce suadente saranno totalmente inutili! -
 
- Ma così finiranno per ammazzare qualcuno, probabilmente uno di noi! – Evangeline si sentiva impotente. Impaurita, terrorizzata in realtà ed impotente. Che Victor fosse preoccupato per lei era una cosa legittima, ma sapeva che se non avesse agito presto, probabilmente si sarebbe fatta fagocitare dal terrore e avrebbe finito per essere attaccata senza essere in grado di difendersi. Evie era una che si difendeva sempre molto bene, ma tolta la sua arma più tagliente, nulla le rimaneva in mano.
Intanto lo scontro fra i licantropi imperversava furioso; appena Greyback aveva provato ad avvicinarsi ad Adrian, Elyon si era scagliata su di lui senza alcuna pietà. Un primo morso andò a fondo: i canini affondarono sulla schiena dell’altro, che guaì ancora una volta e tentò di scrollarsi di dosso Elyon. In quel momento Adrian, a pochissimi metri di distanza da loro, cominciò a gridare, la bacchetta nuovamente puntata:
 
- Spostati! Non potrò colpirlo con te sopra! -
 
Quelle parole furono inutili. Probabilmente Elyon aveva perso totalmente la ragione. Rimaneva aggrappata alla schiena di Greyback che si dimenava forsennato, fino al punto di riuscire a disarcionarla e scagliarla esattamente davanti Adrian. Il Mangiamorte a quel punto osservò il licantropo fulvo; era ferito, probabilmente l’altro l’aveva colpita a dovere. Ma tentò comunque di rimettersi celermente in piedi, anche se Greyback aveva già guadagnato terreno.
 
- Ellie… lo so che sei tu, lo so che mi ascolti… ti prego, lasciami fare! Fatti salvare la vita una fottuta volta! -
 
Elyon guaì, se di dolore o per tentare di rispondergli, Adrian non sapeva dirlo. Poi Greyback attaccò di nuovo: saltò con un balzò sull’altra, che si trascinò dietro anche Adrian.
 
- Basta, dobbiamo fare qualcosa! – Alon si mosse in avanti, ma proprio mentre stava per richiamare i propri poteri, Martha lo bloccò: - Fermati Alon! Rischieresti solo di ferire Elyon! Non possiamo intervenire! -
 
- Come puoi pensare di rimanere a guardare?! Elyon è una nostra compagna, ha bisogno di sostegno! -
 
- Appunto per questo non è bene interagire! -
 
- Ci penso io. -
 
Il gruppo si voltò in direzione di Mazelyn, rimasta fino a quel momento in disparte. Jules fu la prima ad andare verso di lei: - Che vuol dire che ci pensi tu? No, è troppo pericoloso persino per te! –
 
- Jules ha ragione, nessuno di noi può nulla in questo momento. – Evie si aggiunse, stringendosi al fianco della compagna di scuola. A quel punto su Alistair a marciare verso il vampiro. Spostava freneticamente gli occhi dai suoi, al suolo: - Io… io s-so di voi g-giusto attraverso l-la l-le-letteratura ecco. Ma se q-qualcosa di vero c’è in q-quei ro-romanzi beh… v-vampiri e li-licantropi sono nemici n-naturali e c’è una po-possibilità che tu, che tu… - Ma Mazelyn li sorprese con un sorriso. Scrollati i lunghi capelli neri, diede un buffetto sulla guancia di Alistair, che assunse una riconoscibile sfumatura rosso fuoco nonostante il buio della notte: - Stai tranquillo cocco. So quello che faccio e poi beh… credo sia il momento di fare davvero qualcosa per il gruppo. -
 
Inutili furono le rimostranze degli altri. Quello, per Maze, era davvero il modo per ripagare tutti loro e per riscattare se stessa. Da quando si era ritrovata chiusa in quel giardino, il vampiro aveva provato tutta una serie di emozioni che aveva dimenticato. Era stata aiutata, supportata, compresa. Per la prima volta dopo tanto tempo, Mazelyn aveva capito di essere ancora in grado di legarsi a qualcuno, nonostante la morte di suo fratello l’aveva portata a credere il contrario. Con passi lenti, fluidi e fare seducente, il vampiro si avvicinò ai licantropi e al Mangiamorte, semi svenuto dopo il coinvolgimento con l’impatto brutale.
 
- Ehi, cucciolotto! Che ne dici di giocare un po’ con me, ora? -
 
Fenrir Greyback, pronto a sferzare l’ennesimo colpo nei confronti di Elyon, sempre più sofferente ma instancabile nel tentare di porsi a barriera di Adrian, si immobilizzò ed annusò l’aria. Gli occhi di brace scattarono verso Maze, che lo guardava con le mani poggiate ai fianchi ed un sorriso malandrino: - Allora? Quanto vuoi farmi aspettare? –
 
Fenrir Greyback amava poche cose; tra queste la sfida e le forti emozioni erano sicuramente sul podio. Fu dunque chiaro per quale motivo, nonostante avesse la sconfitta definitiva di Elyon a portata di mano, decise di cambiare il proprio obiettivo. Ringhiò sommessamente e prima di scattare nella direzione del vampiro, ululò alla luna, colei che aveva reso possibile quell’epico scontro.
Mazelyn era munita di una forza sovraumana, per questo resistette in più di un’occasione ai colpi violenti del licantropo, che continuava ad attaccare senza pietà.
I reclusi del Giardino osservarono lo scontro con fiato sospeso, terrorizzati alla sola idea di pensare ad un esito diverso, rispetto a una vittoria da parte del vampiro. Fra tutti Alistair era il più coinvolto; ammonì se stesso quando pensò che c’era dell’incredibile in quello che stava guardando, come se una pellicola cinematografica avesse preso vita davanti ai suoi occhi. Guardava terrorizzato il licantropo allargare le fauci per strappare via la testa di Mazelyn. Osservava meravigliato lei, che si spostava come stesse danzando.
Ma un mugugno, poi una luce verde, la distrassero. Adrian Reed aveva ripreso i sensi, nonostante il sangue colasse copiosamente dalla propria testa; aveva tentato di attaccare Greyback, scagliando contro di lui una maledizione senza perdono, ma aveva fallito. Quell’imperdonabile distrazione si rivelò fatale.
Un unico, feroce morso. Poi sangue, troppo sangue, cosparse il corpo di Mazelyn, che si afflosciò a terra e lì rimase, immobile.
 
- No…. Non… -
 
- Maze! -
 
Urlarono tutti il nome del vampiro, ma lei non si mosse.
 
- Non è p-possibile, n-non… no! – Alistair spostò Jules che aveva cercato di trattenerlo e d’impulso cominciò a correre verso il corpo privo di vita di Maze.
 
- Fermati Al! – Gridò Alon. Ma Alistair non voleva ascoltare. Era sempre stato molto solo e non aveva mai avuto dei veri amici; ma da quando era entrato nel Giardino, l’infermiere aveva scoperto il sentimento d’amicizia; prima Joshua e Yann, poi Mazelyn. Lei era una sua amica e lui non le avrebbe voltato le spalle.
 
- Ricordati del tuo potere! – gridò ancora Alon, che gli stava correndo dietro, - Tu hai… hai toccato Jules, non sappiamo cosa potrebbe accadere, ma io non posso permetterti di mettere in pericolo la vita di Jules! -
 
Fu a quel punto che Alistair si arrestò. Se avesse toccato Mazelyn, forse lei sarebbe tornata in vita, ma a discapito della tassorosso, l’ultima persona con cui era entrato fisicamente a contatto. Fu così che Alistair rimase coi pugni stretti, a guardare da lontano il corpo inerme del vampiro. Avrebbe potuto arrivare a toccare Greyback per poi passare a Maze, ma le probabilità di sopravvivere al contatto diretto con il licantropo erano davvero infinitesimali, se non addirittura nulle. Sentì calde lacrime salate sgorgare dagli occhi, mentre la mano di Alon si posò sulla sua spalla:
 
- Mi dispiace amico. -
 
Ancora un ululato, poi un lamento. Il licantropo fulvo aveva guadagnato tempo ed energie ed era tornato ad attaccare. Greyback si trovava in evidente stato di difficoltà, stremato dallo scontro appena avvenuto con Mazelyn e in quel momento era Elyon ad essere in vantaggio; quella gli fu addosso, la bava che colava dalle fauci sguainate.
Poi un forte tremore scosse il terreno e gli alberi; persino il cielo sembrò perdere qualche stella.
Per qualche secondo, si era tutto fermato, come cristallizzato. Adrian Reed sembrava una statua di cera, piegato dietro di Elyon e con la bacchetta puntata verso di loro, un grido inciso sul volto.
Greyback pietrificato sotto il peso di Elyon, con la bocca aperta ancora sporca del sangue di Maze.
 
- Cosa… come è possibile? Victor, dimmi che non sono l’unica a… -
 
- Il tempo… il tempo si è fermato, ma solo per Reed e il licantropo; noi altri… -
 
Mentre i presenti si scambiavano veloci occhiate perplesse successero due cose: Alistair, cercando di sfruttare la situazione, corse verso Greyback con la volontà di toccarlo, mentre Elyon, dapprima immobile, scrollò il testone e puntò poi alla gola scoperta di Fenrir.
Infine un fischio, assordante, costrinse tutti in ginocchio. Un suono acuto, che penetrava la testa.
E poi il buio.
 


Buonasera a tutti. Come promesso, con Settembre sono arrivata anche io con la pubblicazione del nuovo capitolo. Non vi nego, però, di essere molto triste e amareggiata. Come avrete potuto notare, ho dovuto eliminare un personaggio e personalmente, arrivata a questo punto della storia, è stato davvero difficile. Purtroppo le regole sono ben chiare: dopo tre capitoli di totale assenza, l’oc dell’autore scomparso sarebbe stato eliminato. Beh, sono passati più di tre mesi e i famosi tre capitoli dall’ultima volta che l’autrice di Maze si è fatta viva; io ho pubblicato lentamente ed ogni volta ho sperato in un cenno, che purtroppo non è arrivato, nemmeno in forma privata.
So che avere a che fare con la morte di un personaggio non è facile per nessuno, nemmeno per chi legge; ma come voi ben sapete questa è una storia a sfondo horror e questa ne è la conseguenza.
Detto questo, spero che in generale il capitolo vi sia piaciuto. State capendo cosa succede? Avete supposizioni riguardo a ciò che vuole ottenere Robert Steiner dai nostri poveri reclusi? Sarei felice di sapere la vostra, mi dareste la giusta carica per proseguire dopo ciò che è accaduto con questo capitolo.
Infine volevo aggiungere un paio di cose: il capitolo inizia con Madeline Boxton, già apparsa in precedenza; lei è la capo auror che dirige le indagini sugli scomparsi. Con lei appare Hestia Jones, che io ho in mente in un certo modo da sempre. Ai più attenti (e specialmente per chi ha seguito “Di Ghiaccio e Tempesta”, o partecipa all’interattiva della Signorina Granger “The vengeance of Sins”) non sarà sfuggito un altro nome: Madeline allude ad un certo signor Murray e Hestia fa la vaga. Ebbene si, quel signor Murray è un cammeo dedicato al mio personaggio Louis Murray, a cui dedicherò una mini long appena chiuderò questa interattiva e “Sex Education”. Niente, mi andava di rendervi partecipi. Vi lascio con le immagini di Mad, Hestia (si, per come la immagino io Hestia ha i capelli rossi) e di quel figlio di… buona donna di Greyback (quest’ultimo prestavolto già lo pubblicai e mi fu fornito da Mademoiselle Anne). Devo purtroppo lasciarvi i link perché il sito che utilizzavo non permette più di caricare gratuitamente le immagini. Se avete il mio stesso problema e avete una soluzione alternativa a TinyPic condividetela con me, ve ne prego!
Spero di avervi risolto un po’ di dubbi, ma ancor più spero che non sparisca nessuno di voi!
Ah, mancano 4 capitoli alla fine della storia, ve la butto lì.
Un abbraccio, a presto.
Bri
 
Madeline Boxton (prestavolto Veronica Moral)
 
http://es.web.img3.acsta.net/r_1280_720/pictures/17/05/11/09/59/550085.jpg
 
 
Hestia Jones (prestavolto Rose Leslie)
 
https://www.telegraph.co.uk/content/dam/women/2016/06/04/98049121_Rose_Leslie_for_DT_Features_portal_trans%2B%2BtM3ZXxV42fQENILgObxjOFzt7SZsQQ7h3oKyATfgi0w.jpg
 
 
Fenrir Greyback (prestavolto Jeff Bridges)
 
https://www.goldenglobes.com/sites/default/files/articles/cover_images/jeff_bridges_20081.jpg

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Capitolo 15
*** Memoro ***


CAPITOLO XIII
Memoro
 
Il dolore arrivò ben prima della vista. Adrian accompagnò il risveglio ad una lunga sequela di bestemmie; sentiva ogni angolo del proprio corpo dolere e la fronte, laddove percepì, sfiorandola, del sangue rappreso, pulsava incessantemente. Si tirò su a fatica e sedette su quel letto che subito riconobbe non essere il proprio; una misera brandina, scomoda. Intorno a lui una cella semibuia ospitava uno scrittoio vuoto e una sedia di legno fragile.
 
- Ma cosa cazzo… - Si avviò claudicante alla porticina dietro la quale era nascosto un bagno modesto; sciacquò il viso più volte, prima di alzare gli occhi di cristallo e guardare la propria immagine riflessa allo specchio: una grossa crepa in concomitanza con l’attaccatura dei capelli era nascosta dietro lo strato di sangue che aveva in parte tirato via con l’acqua. Asciugò alla bene e meglio il viso e subito tornò nella cella. Quindi era così che dovevano sentirsi i reclusi: soli, sperduti e in trappola, pensò mentre si avviava alle sbarre della cella che lo ospitava. Guardò oltre di esse, nel tentativo di riconoscere qualche elemento per permettergli di orientarsi. Poi tutto d’un tratto ricordò cosa fosse successo:
Lo scontro fra i licantropi. Elyon ferita. La morte del vampiro.
Ma i suoi ricordi erano fermi in un punto specifico e sembravano non volersi fare nitidi. Cosa fosse successo, non lo sapeva. L’unica cosa che ricordava, ma per quanto ne sapeva poteva anche sbagliarsi, era quel pezzo di merda di Greyback che assaliva Elyon.
Mentre gli occhi cercavano freneticamente qualcuno all’infuori di quella cella e la mascella serrata non dava pace all’arcata dentale, Adrian sperò di essere condotto da Robert il prima possibile. Quel bastardo lo aveva raggirato, ingannato ed infine sfruttato per i propri scopi. La consapevolezza che Elyon avesse ragione, stranamente, gli provocò una gutturale risata isterica, che sapeva di sangue stantio.
A Robert non era mai fregato nulla di lui, né di nessun altro. Il Dottore aveva uno scopo ben preciso ed aveva dimostrato di essere capace di passare sopra a qualsiasi relazione instaurata, pur di raggiungere i propri obiettivi. Adrian non si riteneva una persona particolarmente brillante, ma non credeva che il cugino di sua madre sarebbe arrivato a quel punto. Per molto tempo aveva rivisto in Robert un perfetto sostituto di quel pavido di suo padre ed era genuinamente convinto che il mago fosse arrivato ad affezionarsi davvero a lui.
Sputò oltre le sbarre della cella; un grumo rosso macchiò l’erba brillante che cresceva rigogliosa oltre la cella.
Robert Steiner lo aveva allevato per accondiscendere alle sue esigenze; lo aveva manovrato come un burattino, facendo leva sul bisogno di affetto e certezze e appena ne aveva avuto l’occasione, lo aveva ridotto alla stregua di carne al macello.
La risata che sgorgò dalla bocca screpolata di Adrian Reed si fece più intensa: forse gli sarebbe costata la vita, ma giurò a se stesso che Robert Steiner avrebbe pagato per ciò che aveva fatto ad Elyon e a lui.
 
*
 
Erano passate due, forse tre ore, da quel tramonto totalmente inatteso. Lucas aveva scalciato, gridato. Si era fatto coraggio ed aveva provato ad usare i propri poteri con consapevolezza, ma non aveva avuto nessun tipo di successo, se non lo sbatacchiarsi di qualche rigogliosa fronda. Era vero, Joshua aveva ragione: il Giardino non aveva alcuna intenzione di farli muovere da lì, eppure il temperamento focoso del giovane Auror aveva, al solito, preso il sopravvento e nonostante Joshua e William lo avessero pregato in più di un’occasione di non agitarsi tanto (gli sarebbero servite tutte le energie possibili, nel caso fossero dovuti scappare), Lucas non aveva dato loro ascolto. Infine, stremato e con la gola arsa, si era lasciando andare.
Joshua lasciò che Lucas si sfogasse. I suoi occhi grandi e chiari, vigili e reattivi, mai avevano abbandonato l’imponente figura di Lucas. Il metamorfo era di gran lunga più razionale e sapeva bene che qualcuno doveva mantenere la calma; quando vide Lucas arrendersi e gettarsi seduto sull’erba che si era fatta umida, visto il repentino sorgere della luna che aveva strappato via i regolari e caldi raggi solari, aspettò qualche secondo. Poi si avvicinò a lui, si accucciò al suo fianco e rimase in silenzio. Dopo gonfi respiri, Lucas si abbandonò ad un pianto isterico. Rideva e piangeva, L’Auror e passava in continuazione quelle sue mani grandi sul viso, per scacciare via le lacrime. Disse di essere un cretino, un idiota. Affermò che mai e poi mai lo avrebbero riammesso fra le file degli Auror, visto che aveva dimostrato la totale incapacità di far fronte alle prove a cui il dottore li poneva continuamente. Se mai fosse uscito di lì, sicuramente lo avrebbero radiato. Rise ancor più, Lucas, perché anche quella era una gran cazzata. Non sarebbero mai usciti da quell’incubo, mai!
William e Cora si lanciarono sguardi in più di un’occasione, titubanti sull’eventualità di intervenire o meno; ma Joshua riuscì a fare fronte a quella situazione con estrema maestria. L’algido maestro mal sopportava di vedere Lucas ridotto in quelle condizioni e ancor più detestava di sentire, nitido, l’affetto per il ragazzo ingombrarlo tanto.
Lucas gli toglieva lo spazio. Ma Joshua riuscì ad accettare che sentiva di essere ben felice di mettere da parte le sovrastrutture che aveva faticosamente costruito con il tempo, in favore di quel mago che lo aveva stordito fino a fargli provare una vasta rosa d’emozioni.
Tramite la sua presenza, Joshua aveva imparato ad amare un po’ più se stesso. Lui, che si era rifugiato nel mondo dei babbani per fuggire a tutto ciò che odiava di più, aveva trovato in Lucas la luce del mondo magico.
Lui, che mai aveva accettato la sua omosessualità con pragmatismo, aveva capito che non avrebbe mai potuto provare ciò che sentiva per Lucas, nei confronti di una donna.
Se anche fossero dovuti rimanere in quella prigione primaverile, probabilmente non gli sarebbe importato.
Per questi motivi allungò la mano per stringere quella di Lucas, che si calmò, stupito, con quel gesto.
 
- Andrà tutto bene, te lo prometto. – Si limitò a dirgli, aprendo il viso ad un sorriso delicato, morbido e rassicurante.
Poi la Mangiamorte si era presentata a loro pallida come uno straccio logoro, proprio quando la luna stava sparendo per lasciare nuovamente il posto al sole. Sembrava sconvolta, nonostante fosse evidente che tentava di mantenere un contegno. Nessuno dei quattro aveva mai visto Roxanne Borgin conciata in quella maniera, ma non uno solo fra William, Cora e Joshua ebbe il coraggio di dire qualcosa. Fu Lucas a farsi avanti, con ritrovata forza. Urlò nella sua direzione, pretendendo una qualunque spiegazione per quanto era appena successo.
 
- I nostri compagni stanno bene? Ed Elyon… con questa fottuta luna, dannazione! –
 
Roxanne indurì lo sguardo e tese le labbra in una morsa, come a voler trattenere una vasta gamma di vocaboli fuori luogo.
 
- Seguitemi in assoluto silenzio. Vi riporto nelle vostre celle. – Solo in quel momento si soffermò su Lucas, che ispezionò lungamente: - Tu più di tutti farai bene a tenere cucita questa tua boccaccia, siamo intesi? –
 
Così erano stati nuovamente smistati, ognuno nella propria cella. Lucas, però, non aveva preso sonno. Aveva atteso, di contro, che ci fosse qualche tipo di movimento nella cella adiacente alla sua. Temeva infatti che fosse successo qualcosa ad Elyon e sperava con tutto se stesso di sbagliarsi.
Guardava le sbarre con occhi febbrili ed il fiato corto, in attesa. Poi sentì dei rumori. Lucas si scagliò contro la cancellata della cella e tentò di capirci qualcosa, nonostante la visuale non fosse delle migliori. Vide, poi, due figure incappucciate e con le lavorate maschere dei Mangiamorte a coprire il volto, trasportare il corpo apparentemente esanime di Elyon, fin dentro la cella.
 
- Ehi! Cosa le avete fatto?! Bastardi! – Gridò con quanto più fiato aveva in corpo, ma nessuno dei due rispose alle sue parole. Lucas continuò a fare un gran baccano, mentre quelli trasportavano il corpo di Elyon nella cella finché poi, una volta usciti, non si avvicinarono alla sua. La figura più imponente dei due, colui che sfiorava la sua altezza, si rivolse a lui, lapidario e glaciale: - Vieni con noi, senza opporre resistenza. Non costringerci a schiantarti. –
 
Lucas ricercò la voce rassicurante di Joshua dentro di sé. Pensò che il metamorfo gli avrebbe di certo consigliato di rimanere calmo e di assecondarli e così lui fece. Lasciò che i Mangiamorte aprissero la sua cella e lo scortassero lungo un breve percorso, fino ad arrivare ad una porta di metallo rossa di ruggine, posta sulla più alta delle siepi che avesse mai visto in quel luogo.
Varcò la soglia e superò i cunicoli spaventosamente ventosi, fino ad arrivare all’interno della villa del dottor Steiner. Fu in quell’anticamera che i suoi occhi si fecero larghi di meraviglia: Joshua, dai capelli color cielo in tempesta, era affiancato da Robert Steiner, che lo osservava quasi curioso, senza lasciar trapelare l’ombra di un sorriso. Quegli occhi freddi come smeraldi appena lavorati, baluginanti di follia, lo ispezionarono lungamente, prima di parlare.
 
- La smetterai presto, di fare tutto questo chiasso. –
 
*
 
“ Amore… dove sei? “
 
Martha si guarda intorno. La stanza è buia e mettere a fuoco è praticamente impossibile. Deve essere notte e lei non ha dormito che una manciata di ore. Liscia le lenzuola del letto, nel posto accanto al suo: sono fredde, il che vuol dire che suo marito è in piedi da molto tempo. Con un colpo di reni si tira su e rimane seduta, cercando di focalizzare l’arredo della sua stanza da letto. Non riesce nemmeno a capire dove sia la finestra, evidentemente Phil deve aver abbassato le tapparelle a tal punto che nemmeno un timido raggio lunare sia in grado di raggiungere la stanza. La voce, quella voce, però, è la sua. E torna a chiamarla.
 
“ Martha, ti prego non nasconderti, abbiamo bisogno di te… io, ho bisogno di te! “
 
Non è allarmato, il tono di Phil. Più che altro triste, bisognoso. Sembra una preghiera rivolta con disperazione a qualcuno di importante.
 
“ Non farmi spaventare! Sono qui, vieni! “ Risponde lei, con assoluta ovvietà. Tenta di scendere dal letto, ma non ci riesce. È come se la metà inferiore del suo corpo sia paralizzata; è in quel momento che incomincia ad agitarsi. Qualcosa non va.
Il respiro si accorcia e Martha stringe i denti, mentre tenta ancora di spostare il corpo.
 
“ Phil! Aiutami… non riesco a muovermi! “
 
“ Martha… amore! Dove sei? Torna a casa… torna a casa da me. “
 
Possibile che non la ascolti? Eppure, seppur lievemente distorta, come sé quella provenisse da una vecchia radio, Martha è certa che la voce di Phil sia vicina, molto vicina. Che stupido scherzo ha architettato? È tutto buio, troppo buio e il suo corpo non reagisce e il panico corre a mordicchiarla. Tenta di calmarsi e cerca con disperazione i ricordi dentro la mente confusa. Cosa ha fatto la sera precedente?
Il panico diventa terrore, quando si rende conto che non ha nessun ricordo di quanto accaduto solo una manciata di ore prima.
 
“ Abbiamo una pista, signor Butler… ma non voglio dargli false speranze. Però ci stiamo lavorando: riusciremo a riportare da lei sua moglie, o almeno faremo di tutto per farlo. “
 
Di chi è quella voce? Non l’ha mai sentita prima di quel momento. Una donna, una strega, sta parlando con Phil. Ma di cosa diavolo parlano? Lei è lì! Nella loro stanza matrimoniale buia come il punto più profondo dell’universo, incapace di muoversi da quel letto.
 
“ Sono qui! Philip ti prego, ho bisogno di aiuto! Aiutami! “
 
“ Mi fido di voi… riportatela da me. Da me… “
 
“ Le mie gambe… le mie gambe non si muovono! Ho paura Phil… ti scongiuro vieni qui!”
 
E mentre riesce a muovere appena il piede destro, un rumore sordo arriva dalla finestra e con quello, la luce abbagliante del sole che quasi l’acceca.
 
Spalancò gli occhi e si tirò su di scatto. Stava iperventilando. Martha mosse scattosa il capo da un lato all’altro di quella che riconobbe essere la cella che la ospitava ormai da mesi. Era stato un sogno, o meglio un incubo. Non era nella stanza da letto di casa sua, non era paralizzata, non c’era Phil, il suo Phil, a chiamarla con disperazione, né nessuna donna a rassicurarlo.
Martha scoppiò a piangere. I singhiozzi riecheggiavano da un muro all’altro, mentre i ricordi del sogno andavano sommandosi a quelli, reali e concreti, dello scontro fra i due licantropi e Mazelyn Zabini, che aveva drammaticamente portato alla morte di quest’ultima.
 
*
 
Per Elyon era come se migliaia di spilli roventi la stessero trafiggendo in tutto il corpo. Il dolore acuto l’aveva portata a svegliarsi di soprassalto; certo, ci era abituata, visto che ogni volta che usava il proprio potere speciale, la sua stessa carne si ribellava ad esso procurandole ematomi, ferite ed escoriazioni. Ma era la prima volta che era arrivata ad uno scontro quasi fatale, che aveva messo in tale pericolo lei e…
 
- Adrian! – Gridò, d’istinto. Si alzò dalla brandina e a fatica raggiunse il bagno. Guardò il proprio viso riflesso nello specchio: era gonfia e livida e del sangue raggrumato si condensava intorno alla bocca, aspra e arsa. Bevve una lunga sorsata d’acqua, sciacquò ripetutamente il viso non curandosi di bagnare qualche ciocca vermiglia. La mente intanto s’impegno in un fitto e doloroso percorso a ritroso, nel tentativo di ricordare ogni singola cosa fosse successa durante quell’inaspettato plenilunio. Non sapeva quanto tempo fosse passato e per quanto avesse dormito, sapeva solo che era successo qualcosa di troppo assurdo.
Per un momento il tempo si era congelato. Ma non per tutti, quello era ovvio. Ad esempio lei poteva muoversi, anche Alistair aveva potuto farlo… ma Adrian e Fenrir si erano come congelati e no, non c’era di mezzo nessun incantesimo, in quanto anche l’aria s’era fatta immobile.
 E questo era accaduto solo a seguito della morte di Mazelyn Zabini. Ma no, non era stato così per tutti. Fenrir aveva subíto il tempo, così come Adrian.
Adrian. Elyon aveva assoluta urgenza di sapere come stesse; niente, assolutamente niente era più importate, in quel momento, di saperlo vivo.
 
- Yaxley! –
 
Elyon si pietrificò. Quella voce le fece dimenticare, per un momento, persino di essere un unico agglomerato di dolore. Ogni sua parte del corpo doleva in maniera innaturale, ma quello non era nulla in confronto a quella voce, che l’appellava con ira.
Perché, nonostante fosse chiusa ormai da chissà quanto nel carcere d’erba viva che Robert aveva messo su ad opera d’arte, non erano venute in contatto che una sola volta, per giunta in un incontro altamente spiacevole.
Diede un’ultima fugace occhiata allo specchio, prima di aprire la porta del bagno e rimettere piede nella cella. Gli occhi corsero alle sbarre: le iridi glaciali di Roxanne Borgin s’erano fatte sottili e la inchiodavano in una sensazione di rabbia furente. La bocca di Roxanne, sempre generosa nel riservarle parole poco gentili, si allargò a mostrare le file candide di denti stretti in una morsa funesta.
 
- Cosa ti è saltato in mente?! Non potevi startene buona e, chessò, farti ammazzare senza mandarci di mezzo Reed?! –
 
Elyon fu alle sbarre con pochi balzi, incurante del dolore che non la lasciava in pace. Quelle arpionò, in stretta ferina e non titubò ad agganciare lo sguardo della donna.
 
- Dimmi che è vivo! Dimmi solo questo… - il digrigno dei denti masticò le parole. Roxanne la squadrò, furibonda più che mai e poi rispose in un sibilo: - Certo che è vivo, ma per miracolo! Grazie a te, però, ora mi ritrovo senza il mio collega più fedele. Sappi che se poco ci è mancato che perdesse anche la vita, è per colpa tua! – Roxanne si distaccò dalle sbarre e si guardò intorno con rapidità. Ad Elyon, comunque, quell’attacco non l’aveva scalfita: sapere che Adrian fosse vivo era l’unica cosa che contasse davvero, anche se le parole nebulose della Mangiamorte le fecero presto scattare un campanello d’allarme.
 
- In che senso?! Cosa gli ha fatto Robert? Parlami Roxanne, devo sapere! –
 
La strega dalla lucida chioma color pece la fissò sprezzante, prima di sibilare che Adrian Reed non era che ormai condannato ad occupare una delle umide celle di quel Giardino. Prima di andarsene, si voltò di nuovo a fissare Elyon la quale, sgomenta, non aveva abbandonato la tenace presa delle sbarre: - Che tu sia maledetta, Elyon Yaxley. –
Elyon non ebbe la forza di controbattere. Sapeva, nel suo profondo, che Roxanne avesse ragione perché per quanto non avesse colpa diretta, se Adrian c’era andato di mezzo, non era che colpa sua.
 
*
 
Evangeline si sentiva stordita,  contratta da fortissime emozioni negative che non esitavano a lasciarla stare. Sedeva nella sua cella tentando di ritrovare le energie che ciò a cui aveva assistito le aveva sottratto con poco riguardo. Accanto a lei, con sguardo assente, sedeva Jules e difronte, con atteggiamento svogliato, Cora perdeva lo sguardo sulla piramide ancora illibata sul suo scrittoio.
 
- Sei proprio una ragazza per bene, Montague, - disse Cora, con tono divertito, - non ti sei beccata nemmeno una punizione, a quanto vedo. –
 
- Perché, vorresti dirmi che la principessa Dagenhart ha perso la verginità della sua piramide? – rispose affilata lei, come suo solito. Prima che Cora potesse controbattere con acidità, Jules si intromise: - Sapete, io un paio ne ho. Chissà che succederà, quando si colmerà. –
 
- Nulla di buono, immagino. – quasi sussurrò in risposta Evangeline, mentre la testa correva alla nitida immagine della cella di Victor, nello specifico il fotogramma della sua piramide, colma a rasentarne la punta. Non aveva assoluta intenzione di indugiare ancora su quel pensiero, perché se niente di buono sarebbe accaduto con il colmarsi di quella che i loro carcerieri usavano come metro di misura per le loro punizioni, allora voleva dire che quell’idiota di Vicky stava rischiando grosso.
 
- Comunque… ho bisogno di confidarmi con voi. – Bisbigliò Jules, che aveva di nuovo perso lo stupore dal viso, contratto invece in un’espressione che la rendeva molto più grande dei suoi quattordici anni. Evangeline la ispezionò a lungo e poi, con gesto delicato, le carezzò la spalla, incitandola a parlare.
 
- Insomma… Maze… Maze è… morta. – Le parole frammentate fecero scoccare uno sguardo fra Cora ed Evie. La prima annuì, seria. – Si, è così. Sei spaventata? –
 
Jules annuì e prese a stropicciare le mani sul suo vestitino di seta azzurra, che le lasciava scoperte le ginocchia pallide: - Lo sono, si. Voi non lo siete? –
 
- È normale esserlo… - rispose allora Evie. Jules aveva aperto l’argomento che le aveva portate ad ammutolirsi in uno strano silenzio per giorni. Giorni passati, fra l’altro, nella più totale solitudine delle loro celle, fino a quel giorno in cui un paio di Mangiamorte muniti di maschera e mantello avevano condotto Cora e Jules nella sua cella.
 
- Ma io non ho paura per me stessa, sapete? È la morte di voi altri, che mi preoccupa. Se dovesse succedere qualcosa a voi, o a Martha, a Yann, Victor o… o ad Alon, ecco… io non credo reggerei. –
 
Cora studiò la tassorosso con ingenua curiosità. Anche lei aveva paura, una paura agghiacciante, in realtà; ma il suo primo pensiero era andato a se stessa, ancora una volta, o almeno questo era ciò che aveva creduto fino alla confidenza di Jules. In realtà anche lei si era resa conto di temere non tanto per se stessa, quanto per i suoi compagni. Che senso avrebbe avuto, del resto, avere salva la pelle se sorte ben peggiore fosse capitata a persone che, valutò fra sé, erano riuscite a scucire buoni sentimenti da parte sua? Passò frettolosamente una mano intorno agli occhi, a cacciare quelli che Evie e Jules avevano riconosciuto essere grossi lacrimoni pronti a sgorgare. L’erede Montague accennò un sorriso e con la volontà di smorzare almeno un po’ quella che sembrava avviarsi ad una conversazione molto pesante, prese a canzonarla bonariamente.
 
- Non vergognarti di possedere un cuore anche tu, Cora. Butta fuori, su! –
 
La reazione istintiva e naturale di Cora fu quella di aggredire, verbalmente e non, Evangeline. Eppure si stupì ella stessa nel ritrovarsi a piangere e ridere al contempo. Jules, la quale inizialmente aveva riservato per Evie uno sguardo di rimprovero, si era poi imbambolata a osservare la stravagante reazione di Cora. Non seppe nemmeno lei perché, ma si trovò a commuoversi a sua volta; evidentemente la reazione si esagerata, ma vivida ed umana di Cora l’aveva smossa più di quanto avrebbe immaginato.
Così Evangeline si ritrovò con la bocca schiusa dallo stupore, a fissare le due piangere e ridere senza alcun tipo di ritegno.
Cosa avrebbe potuto fare, se non lasciarsi andare alle emozioni anche lei e condividere con loro un bel pianto liberatorio ed una fragorosa risata?
 
*
 
Roxanne tentava di frenare il fiatone e la fastidiosa tachicardia, con profondi respiri. Il termine pericoloso non era affatto sufficiente a descrivere il gesto sconsiderato che aveva appena commesso. Era nauseata da se stessa, ma oramai aveva deciso, con lucidità, che sarebbe dovuta andare fino in fondo a quella faccenda.
A seguito dell’entrata di Fenrir Greyback nel Giardino, appena ne aveva avuto l’occasione Roxanne si era presentata con furia cieca nello studio di Robert Steiner. Era davvero raro che la Mangiamorte si mostrasse iraconda, ma in quell’occasione l’ira aveva preso il sopravvento. Urlò a Robert di essersi sentita umiliata e ferita per non essere stata messa al corrente del suo piano e che mai e poi mai, avrebbe pensato che lui avrebbe potuto trattarla così.
 
“Sono costernato Roxanne, ma credimi che se l’ho fatto è stato solo per non permettere ad Adrian di arrivare alla conoscenza del mio piano. Se così fosse stato non avremmo ottenuto questi risultati incredibili.”
 
“Sai che non avrei aperto bocca! Credevo ti fidassi di me, Robert!”
 
“Sei la persona di cui mi fido più al mondo, mia bella Roxanne; è della debolezza umana, che non mi fido e tu, nonostante sia quasi impeccabile, avresti comunque potuto essere influenzata dal rapporto con Adrian Reed. Ora non fare quella faccia, mi spezzi il cuore… pensa al grande passo che abbiamo raggiunto: abbiamo congelato il tempo.”
 
Roxanne aveva impiegato tutte le sue energie per calmarsi e fingere di essere tornata in sé. Doveva dimostrare a Robert Steiner che si fidava ancora ciecamente di lui e delle sue decisioni. Non doveva fargli minimamente sospettare di tramare qualcosa di grosso, nei suoi confronti, altrimenti si sarebbe anche lei ritrovata chiusa in una di quelle celle. Mantenere il sangue freddo, era dunque l’unica soluzione e con quello spirito razionale e determinato, si era recata nella sua stanza in piena notte, la settimana successiva. Aveva liberato un muto incantesimo insonorizzante e con la bacchetta ancora stretta nelle mani, si era avvicinata cautamente al letto in cui Robert riposava composto. Fissò a lungo i suoi lineamenti rilassati, mentre la mano libera scivolò nella tasca del suo mantello scuro, dal quale estrasse una minuscola ampollina nella quale riverberava un liquido d’un pallido celeste. Senza indugiare ancora, aprì l’ampolla, trattenne il respiro e riversò il contenuto sul viso di Robert, consapevole che la pozione avrebbe assicurato al mago un sonno continuativo di molte ore. Solo a quel punto gli occhi chiari ricercarono la bacchetta di Robert, custodita sul comodino posto al suo fianco.
Roxanne la afferrò e corse via dalla stanza di Robert; non interruppe mai la sua corsa, che fu giusto rallentata dai cunicoli ventosi e nebulosi che dividevano la villa dal Giardino.
Oltrepassata la porta di ferro rossastro di ruggine si fermò per riprendere fiato: sentiva il cuore in gola e lo stomaco sottosopra, ma non aveva tempo da perdere; così sfilò le eleganti décolleté laccate del blu intenso della notte e proseguì la sua corsa.
Yann dormiva d’un sonno agitato; poteva capirlo, Roxanne, dal modo in cui si rigirava sulla branda. Accennò un sorriso spontaneo, che si obbligò subito a ritirare nella rigidità delle labbra mentre, ancora affannata, lanciò l’incantesimo contro le sbarre per aprire la cella. Odette, al suo fianco, tentava di capirci qualcosa: la strega era stata svegliata dalla Mangiamorte, affannata e isterica, la quale le aveva ordinato di seguirla in assoluto silenzio. Aveva farfugliato che avrebbero dovuto fare in fretta e non perdere nemmeno un prezioso minuto del tempo che avevano a disposizione.
Fu con lo sferragliare del ferro che il mago aprì di colpo gli occhi, che si scontrarono con la figura di Roxanne, in piedi al suo fianco e la mano tesa nella sua direzione, a porgergli la bacchetta del dottor Steiner.
 
- Facciamolo, adesso. –
 
*
 
Erano passati giorni dalla morte di Maze. A questo, Alon, non aveva mai smesso di pensare un solo istante. Ormai si era abituato a quella condizione terribile e nonostante i momenti di scoramento e tristezza, era comunque riuscito a scovare il pensiero positivo, grazie anche all’aiuto delle persone che condividevano quella sofferenza con lui. Era arrivato alla conclusione che in qualche modo ce l’avrebbero fatta, che unendo le forze sarebbero usciti di lì e che tutti, ma proprio tutti, si sarebbero potuti salvare. Eppure uno di loro ci aveva rimesso la vita ed ironia della sorte, a farlo era stata colei in cui la vita non scorreva da un po’ di tempo. Mazelyn era stata eroica, ma un carissimo prezzo aveva pagato per il suo coraggio.
Si maledì, Alon, per non essere intervenuto, ma come avrebbe potuto? Doveva pensare a difendere gli altri, a mettersi in salvo. Doveva proteggere Jules.
Cosa avrebbe potuto fare?
Questa domanda si era fatta spazio in lui in maniera alquanto insolente e gli aveva tolto il sonno più di quanto aveva fatto la stessa immagine raccapricciante del corpo esanime di Mazelyn Zabini. L’unica questione che lo aveva fugacemente allontanato dal rimorso di non aver fatto abbastanza, fu il pensiero di quanto successo a seguito della morte del vampiro: il tempo si era fermato, maledizione. Ne era certo, non era stato frutto della sua immaginazione. Nonostante non avesse più avuto alcun contatto con il resto dei presenti allo scontro fra i due lupi mannari, che immaginava fossero svenuti come lui a seguito di quel suono assordante, Alon era sicuro di cosa avesse percepito. Il tempo si era cristallizzato davvero, ma non per i reclusi: solo gli “esterni”, ovvero l’altro lupo mannaro e Adrian Reed avevano subito quel blocco temporale.
Perché il tempo si era fermato?
Perché su di loro non aveva avuto effetto?
C’entrava qualcosa con la loro reclusione?
Il ronzio fastidioso di quelle domande senza risposta, fu interrotto con l’apparire, dopo giorni di solitudine, di un paio di figure incappucciate e con il volto coperto da maschere d’argento liquido. A malo modo gli era stato ordinato di uscire dalla cella e di seguirli in silenzio ed Alon aveva obbedito, anche se avrebbe voluto non farlo.
Così, in quel momento, Affiancato dai due Mangiamorte, il tritone camminava in silenzio, nella sola speranza che se avesse fatto come gli era stato detto, la situazione non sarebbe peggiorata. Dentro di sé, infatti, sentì che non lo stavano conducendo da nessuno dei prigionieri, altrimenti sarebbe stata la Borgin, magari, a prelevarlo dalla cella della Madre, oppure Adrian Reed.
Gli occhi di denso verde scorsero le rive del lago che tanto bramava nei suoi sogni, ma chissà come mai, non fu affatto felice di quella visione. Forse perché mentre camminava, percepì una strana sensazione, come se il corpo avesse attraversato una parete liquida.
 
- Alon! Scappa! –
 
Il sangue raggelò la rete capillare del suo corpo maestoso, appena quella voce che parlò in marino, arrivò alle orecchie. Non poteva essere, sua sorella non poteva trovarsi lì. Non ci pensò un secondo di troppo a correre verso il lago, fregandosene delle bacchette che i due Mangiamorte tenevano strette nei pugni.
E nell’avvicinarsi, gli occhi si sgranarono nel constatare che la testa di sua sorella emergeva dalle acque placide del lago; l’espressione di Alissa era un groviglio di terrore.
 
- Alissa! Cosa ti hanno fatto?! Come ti hanno trovata?! – Gridò con quanto fiato avesse in gola, lui. Dalla sorella, però, non ricevette alcuna risposta, perché d’un tratto era come se la sirena fosse stata trascinata nell’acqua con la forza. Alon si spogliò e si tuffò; era magnifico come, ogni qualvolta entrava a contatto con l’acqua, il suo corpo assumesse nell’immediato le sembianze marine, ma al contempo fu terribile non poter dare importanza a quel cambiamento. Alon nuotò con forsennata rapidità, alla ricerca della sorella che, nonostante la scarsa ampiezza del lago, ci mise molto tempo a trovare.
Girò, invano, affannandosi nel cercarla, fin quando quasi non si scontrò con un groviglio di catene, strette senza pietà intorno al corpo della sorella, che fluttuava inerme sotto di esse.
 
- Oh no… no! Tesoro, ci sono io, sono qui, sono qui!- Alon tentò di sbrigliare Alissa da quella condizione, ma smise appena si rese conto che la piccola sirena sembrava… esanime. Sentì l’aria mancargli, così come i sensi venirgli meno, ma non poteva permettersi di cedere allo svenimento, non in un momento così. Le acque iniziarono a piegarsi intorno ad Alon e queste si insinuarono fra i ganci delle catene facendosi pesanti come piombo, nel tentativo di spezzarle e salvare sua sorella.
 
- Alon… povero ibrido… guardami. –
 
Troppo concentrato su quelle catene, Alon aveva allontanato lo sguardo dal viso della sorella. Ma quella voce, che si era appena rivolta a lui, non aveva nulla a che vedere con quella melodiosa di Alissa. Era lasciva, affilata, maschile. Lentamente gli occhi risalirono a cercare il viso della sirena. Ma al suo posto, un volto pallido e scavato lo fissava con un ghigno.
Non più Alissa, ma Lord Voldemort in persona era lì a fissarlo e deriderlo, divertito più che mai dal terrore che coglieva nel viso del tritone le cui grida arrivano a superare le acque.
E con le grida di terrore, tutto intorno a lui sembrò fermarmi e lord Voldemort non era più lui, bensì un essere informe ed immobile, che si perdeva nelle catene, rimaste sospese e perfettamente immobili nel bel mezzo dell’acqua di quel lago cristallizzato nel tempo.
 
*
 
Yann rigirava la bacchetta di Robert Steiner tra le mani con sguardo torvo. Di tanto in tanto guardava Odette, seduta al suo fianco e poi Roxanne, seduta compostamente sulla sedia della sua cella; poteva cogliere, nel suo volto tirato, agitazione, paura, stanchezza, rabbia, ma anche eccitazione. Si chiese se, davvero, i motivi di quei mal di testa erano stati scatenati da una qualche perdita di memoria dovuta ad un oblivion scagliato su di lei dal dottor Steiner, o se stesse prendendo un’enorme cantonata. In entrambi i casi, comunque, non sarebbe andata bene. Se fosse stato così, Roxanne Borgin avrebbe retto alla scoperta della verità? E se invece non lo fosse stato? Yann non voleva prendere in considerazione quella opzione, perché qualcosa, dentro di lui, si stava lentamente convincendo che quella donna non potesse essere così orribile; doveva essere stata vittima degli eventi, ecco. Doveva essere così.
 
- Yann, dobbiamo sbrigarci. – Il tono risoluto della strega lo riportò alla realtà. Odette passò rapidamente lo sguardo da Yann a Roxanne e fu a quest’ultima che si rivolse: - Ne sei sicura? Avrò libero accesso? Insomma… se dovessi ricordare qualcosa posso riportare tutto ad Yann? -
 
Roxanne annuì. La sicurezza con cui lo fece, assottigliò i sensi di colpa che si stavano aprendo la strada in Odette, la quale era convinta che esplorare in maniera tanto intima la mente di qualcuno, nonostante questa fosse quella della Mangiamorte che collaborava a tenerli sotto scacco, era quasi inaccettabile.
Con un grande sospiro, Yann si alzò in piedi e puntò la bacchetta contro Roxanne, la quale ricambiava lo sguardo senza l’ombra del timore.
 
- Pronta? –
 
- Lo sono. –
 
Yann dovette fare un paio di tentativi, prima di riuscire a produrre il giusto incanto con quella bacchetta che non gli apparteneva.
 
- Memoro! –
 
Il raggio dorato sgorgò dalla punta della bacchetta di Robert Steiner e come un sinuoso serpente, raggiunse la tempia di Roxanne. Gli occhi della Mangiamorte si sgranarono ed Yann rabbrividì, nel cogliere il velo dorato che coprì l’iride.
 
- Non se ne parla, tu farai come ti ho detto, stupida donna! –
 
Gli occhi curiosi della piccola Roxanne spiavano, da un angolo della stanza, i suoi genitori discutere. Trattenne il fiato e ascoltò una delle rare liti che avvenivano fra i due. Pronta ad uscire, chiusa nel suo cappottino di ermellino, attendeva che la madre la richiamasse.
 
- È troppo piccola, non può passare tutto il tempo al negozio, non le fa bene e lo sai anche tu! –
 
Martin Borgin sbatté una mano sul tavolo di noce scuro, lamentando poi un dolore fitto. – Sai benissimo che Caractacus non lo permetterebbe mai… mi sbatterebbe fuori senza farsi il minimo problema! Lo conosci meglio di me… - le parole dell’uomo assunsero una sfumatura allusiva, - Sai bene che non accetta essere contrariato, tantomeno che Roxanne venga allontanata da lui. –
 
- Non dico che non debba più venire, ma potrebbe prendere lezioni private in vista del suo ingresso ad Hogwarts… -
 
- Al negozio apprende molto di più di quanto farebbe con un qualsiasi insegnante privato. –
 
- Martin… -
 
- Taci ti ho detto! Ora andatevene, io qui ho da fare. –
 
 
Roxanne era stata accolta con calore da Caractacus e proprio quest’ultimo gli chiese di spostarsi a giocare in un'altra ala del negozio, di modo che lui potesse scambiare due parole da adulti con la sua mamma. Ma Roxanne non era una stupida: aveva capito che nell’aria ci fosse qualcosa che non quadrasse e per questo, dopo aver finto di allontanarsi, rimase invece all’ascolto. E spiò. Ancora.
 
Vide sua madre sfilare il cappotto e non avere nemmeno il tempo di abbandonarlo accanto al bancone, che suo zio l’aveva afferrata per i fianchi ed aveva affondato la bocca nell’incavo niveo fra la spalla e il collo. Sua madre mugugnò e lo allontanò con garbo; sembrava intimorita.
 
“ Può vederci, lo sai. “
 
“ E sia! È giunto il momento di ristabilire l’ordine. Voi due appartenete a me soltanto, lo sappiamo entrambi, Ludovica! “
 
“ Può sentirti! “ Sua madre tappò d’istino la bocca di suo zio con entrambe le mani, che l’uomo tirò via con un gesto violento. Le strinse i polsi e la tirò a sé; il rantolo cagnesco che uscì dalla bocca di Caractacus, fece sussultare Roxanne e portò ella stessa a tapparsi la bocca per non farsi sentire dai due.
 
“ Non mi importa niente… lo hai capito o no? Quella bambina… non può essere il frutto del seme di quell’idiota di Martin e io non ho intenzione di permettergli ancora di arrogarsi diritti su di lei… e su di te. “
 
La madre tremò sotto la presa salda del suo padrino e Roxanne fu presa per un momento dall’istinto di intervenire. Ma la strega fece una cosa che la fece desistere: lo sguardo si rabbonì, poi si fece languido mentre slacciò lentamente una mano dalla presa aggressiva dell’uomo. Quella stessa mano scivolò lentamente verso il basso, in un punto che Roxanne non poteva seguire con lo sguardo. Sentì solo Caractacus sospirare con veemenza, mentre sua madre accostava la bocca al suo orecchio per sussurrargli qualcosa di incomprensibile.
Roxanne si allontanò, stando bene attenta a non farsi sentire. Non voleva vedere oltre.
 
* La mente compie un balzo e tutto si fa buio. Poi un nuovo scenario si apre a Roxanne. Un nuovo, fondamentale, pezzo del puzzle. *
 
Il viso scavato di Regulus riverberava alle fiamme del camino. Roxanne passò una mano fra i suoi capelli lucidi, cercando di recargli maggior conforto possibile. Ciò che il suo amato aveva scoperto, dopo mesi di ricerche, li aveva spezzati; tutte le loro certezze, gli ideali in cui credevano, la fiducia che avevano riposto nei confronti di Lord Voldemort erano sfumati sotto il peso di quell’orripilante rivelazione.
 
“ Questo è… mostruoso. Mostruoso, Roxanne. Non siamo che pedine nelle mani di un mostro. Credevo davvero che la supremazia del sangue puro fosse la risposta al caos da cui il nostro mondo è governato, ma ora mi chiedo: a quale prezzo? “
 
Roxanne era un groviglio di sensazioni dolorose; come avrebbero fatto ad accettare l’inaccettabile? Regulus era sempre stato un fedele sostenitore di Lord Voldemort. Lui si era ricavato un posto d’onore fra i suoi eletti e Roxanne si sentiva gonfia d’orgoglio per questo. Ma più passava tempo al suo fianco, più all’orgoglio di Regulus di sostituiva la preoccupazione: sempre più crimini venivano commessi per far sì che Lord Voldemort acquisisse potere e poi… e poi la parola ‘immortalità’ usciva dalla bocca del Signore Oscuro con troppa facilità.
Fu così che Regulus venne a conoscenza di una potente magia oscura che Lord Voldemort aveva compiuto per allungare il passo verso l’immortalità. Regulus non fu mai specifico, ma non riuscì a non confidarsi almeno in parte con la propria compagnia, colei che in una manciata di mesi sarebbe diventata sua moglie. Così come crollarono tutte le certezze di Regulus, specularmente si sgretolarono quelle di Roxanne, perché la magia oscura che aveva compiuto Lord Voldemort superava abbondantemente i limiti d’accettazione della coppia.
 
“ Dobbiamo parlarne a Steiner, lui ha un grande ascendente su molti dei nostri alleati. Dobbiamo far cambiare loro idea! “
 
Regulus spostò il mesto sguardo sulla compagna ed un sorriso intriso d’amarezza gli solcò il volto: “ Credi davvero che Robert Steiner non lo sappia già? “
 
 
Galeotta fu la missiva che Regulus le inviò. Dopo un piano perfettamente orchestrato dei due futuri coniugi, Regulus Black partì nemmeno un paio di mesi prima del loro matrimonio. Lui avrebbe tentato di trovare dei contro incantesimi a questa potente magia nera, mentre Roxanne avrebbe sopperito alla sua assenza, calandosi la maschera da perfetta Mangiamorte. Del resto  Roxanne Borgin non aveva fatto altro per tutta la vita: non le sarebbe stato difficile giocare un ruolo che non le apparteneva, ancora per un po’.
Così i giorni passavano e lei tentava di non far trapelare la preoccupazione che cresceva a livelli esponenziali; tentava di distrarsi al negozio, mentre attendeva un cenno da parte di Regulus che si, arrivò, ma sotto una forma che lei non si aspettava.
Il campanello della porta risuonò in maniera sinistra, lasciando intendere che un cliente aveva appena varcato l’uscio del negozio. Non si stupì affatto di vedere Robert Steiner, che conosceva dall’infanzia. Il sorriso le illuminò il volto e la voce cinguettò melodiosa: “ Robert, che piacere vederti qui. Dove hai lasciato quel cane sciolto di tuo nipote? “
 
L’uomo ricambiò il sorriso, le mani allacciate dietro la schiena. “ Ho pensato di occupare Adrian in altre faccende, per oggi. Ho bisogno di parlarti, Roxanne… credi sia possibile chiudere per un po’ il negozio? “
 
La strega assottigliò per un momento lo sguardo, ma subito lo rabbonì; chiuse il negozio e fece strada a Robert, conducendolo nel suo piccolo ufficio.
 
“ Accomodati pure. “ Fece lei, prendendo poi posto dietro la scrivania maniacalmente ordinata. Robert Steiner sedette dinanzi a lei, ma non disse una sola parola; si limitò invece a slacciare la giaccia ed estrarre una pergamena dal sigillo infranto, che con movimento cauto consegnò a Roxanne. “ Credo che tu debba leggere questa, prima di tutto. “
 
Nel riconoscere il sigillo in ceralacca, il respiro le si mozzò in gola. Quella era una lettera di Regulus, ne fu consapevole ancor prima di spiegarla con mani tremanti.
 
‘ Amore mio.
 Questi sono stati giorni ardenti, difficili, a tratti insopportabili. Senza di te al mio fianco, pronta a sostenere la mia missione, ho creduto più volte di non farcela. Eppure ieri sono finalmente giunto ad un punto cruciale: c’è l’abbiamo fatta Roxanne, ho trovato qualcosa di molto importante. Non hai idea di quanto sia stato complicato recuperarlo, in quanto le protezioni poste su quel luogo divorato dall’oscurità mi hanno messo a dura prova. Ma c’è l’ho fatta, è finalmente nelle mie mani. Tornerò presto da te ed insieme troveremo una soluzione per distruggerlo. Questo sarà il mio regalo di matrimonio per te.
Aspettami, tornerò presto.
Tuo,
 
R. A. B. “
 
Roxanne deglutì. La lettera ricadde sulla scrivania, mentre i suoi occhi infuocati risalirono, fino a scontrarsi nuovamente con quelli di Robert Steiner.
 
“ Questa lettera… hai avuto il coraggio di appropriarti della mia corrispondenza. Come ti sei permesso? “
 
“ Credimi dolce Roxanne… “ L’uomo non perse mai la sua compostezza, “ È solo un bene che questa lettera sia finita in mano mia. Sarà solo Regulus Black a pagare a caro prezzo questo tradimento; con me dalla tua parte sarai salva. “
 
L’ira accecò lo sguardo della strega. Cosa volesse intendere con quelle parole, Roxanne non aveva intenzione di scoprirlo. Di una cosa però era certa: avrebbe agito in fretta, prima che Robert Steiner avesse la possibilità di spifferare il loro piano e colpire Regulus.
Ma Roxanne non fece in tempo ad estrasse il suo legno: Robert teneva il suo stretto saldamente nella destra, puntato contro di lei:
 
“ È meglio per tutti noi, mein geliebter : Oblivion! “
 
Fu come riemergere da una lunga apnea. La testa era diventata improvvisamente pesante e tutti i ricordi che Robert Steiner aveva rimosso, erano tornati con prepotenza ad occupare la mente: ricordò di aver scoperto chi fosse il suo vero padre e come le sue mani avevano indugiato in più di un’occasione sul suo corpo acerbo. Ricordò la scoperta di Regulus. Finalmente, con estremo dolore, capì perché egli non era mai tornato da lei, a consolidare la promessa di quel matrimonio.
Era stato Robert: lui l’aveva sfruttata, aveva fatto in modo che rimuovesse, dimenticasse, solo per sopire l’odio nei confronti di Caractacus e Martin, che avrebbe contribuito ad allontanarla dalle file del Signore Oscuro. Aveva invece alimentato il rancore nei confronti di Regulus e con quello, avrebbe concentrato tutte le sue energie a servire Lord Voldemort. E Robert sarebbe stato presente, per supportarla, coltivarla, aiutarla. Sarebbe stato il fratello maggiore che non aveva mai avuto, sarebbe diventato il suo primo punto di riferimento, pronto a scacciare il dolore e i rimpianti.
E con quella consapevolezza arrivarono le grida e i singhiozzi più disperati. Yann accantonò la bacchetta, giusto in tempo per accogliere Roxanne Borgin fra le sue braccia, fra le quali aveva continuato a singhiozzare con disperazione.
 
- Perdono… chiedo… chiedo perdono. – disse nel pianto. Yann guardò Odette, che aveva passato tutto quel tempo a riportare ad Yann, con estrema difficoltà, tutti i ricordi celati di Roxanne. Per Odette era stato terribilmente difficile non interrompersi, perché quelle scoperte l’avevano colpita nel profondo quasi quanto avevano fatto con Roxanne stessa.
Yann non disse nulla, ma fece una cosa per lui impensabile: strinse Roxanne nel suo abbraccio e con voce burbera e profonda, le assicurò sarebbe andato tutto al proprio posto.
 
*
Quello che gli era stato riportato da Victor Selwyn, era qualcosa di troppo difficile da comprendere, persino per una mente aperta come quella di William. Dopo giorni di silenzio e isolamento, William era stato condotto alla cella di Alistair assieme al magigiornalista: al loro arrivo avevano trovato Alistair in stato pietoso. Era evidente che il ragazzo avesse alle spalle una manciata di ore di sonno e che avesse rinunciato a consumare dei pasti completi. Se possibile era diventato ancora più magro e pallido e gli occhi non si erano che ridotti a due fessure in spessi rigonfiamenti. Victor, che aveva assistito allo scontro avvenuto fra Elyon e Fenrir Greyback, si era assicurato di aggiornare con puntualità William, mentre quest’ultimo, dopo essersi offerto per ascoltare anche le parole gonfie di angoscia di Alistair, con il suo potere lo aveva liberato almeno un po’ dalle proprie pene, tirandogli via il dolore e facendo in modo che il ragazzo crollasse in un sonno ristoratore.
Come ogni qualvolta che usava il proprio potere, in quel momento Will verteva in una condizione difficile, ragion per cui si era sdraiato sul suolo freddo della cella e tentava di ritrovare il giusto equilibrio fra la mente e il corpo. Victor, particolarmente pallido anche lui, lo osservava incuriosito.
 
- Senti, - Disse Victor, mentre le mani lunghe e ossute massaggiavano lo stomaco. – Sai dirmi da quando hai scoperto di possedere questo tuo dono? -
William lanciò un’occhiata stanca a Victor, seduto a terra di fronte a lui. Il lieve russare di Alistair accompagnava quella conversazione.
 
- Di preciso non saprei dirtelo… penso di essere stato un ragazzino, la prima volta che sono riuscito, inconsapevolmente, si intende, ad usarlo… ed ogni volta è come fosse la prima. Perché me lo chiedi?– Concluse con un mugugno. La nausea non sembrava passare e sperava che Victor riuscisse a distrarlo a dovere. Il mago seduto dinanzi a lui continuava a massaggiare lo stomaco e William notò che i suoi respiri si erano allungati, come se stesse trovando la forza di resistere a un dolore acuto: - Tu… sai del mio piccolo problema che probabilmente mi condurrà ad una morte più che precoce? -
 
William aveva imparato a conoscere Victor Selwyn, ben prima di incontrarlo in quel luogo maledetto. Per la precisione, la prima volta che aveva avuto l’onore di parlare a tu per tu con l’erede dei Selwyn, fu in occasione di un’intervista che quest’ultimo era riuscito a strappargli. Will conosceva di vista quel ragazzo allampanato e strafottente, ma mai lo aveva incontrato in veste ufficiale. In quella specifica occasione William Lewis capì che un libro non dovrebbe mai essere giudicato dalla copertina, anche se lui non si era mai concesso di farlo. Con lucida analisi, pensò che Victor sembrasse tutta un’altra persona, visto da fuori. Ad una conoscenza preliminare, si sarebbe potuto affermare che quel ragazzo fosse tutto fumo e niente arrosto e che la presunzione, l’arroganza e il sarcasmo nascondessero fragilità e superficialità. Invece dopo un pomeriggio passato a farsi rivoltare come un calzino dalle abili domande di Victor ed una serata finita in uno dei bar più loschi della Londra magica, il musico si rese conto che ci fosse un mondo intero, dietro il viso spigoloso dell’altro. Ed in questo mondo era instillata una piccola bomba ad orologeria, di cui Victor si ritrovò a parlargli in maniera pressappochista e banale. Non aveva dunque compreso la gravità della situazione e si augurò che quell’affermazione, da parte di Victor, non fosse che l’ennesima dimostrazione della sua abile dote nell’attingere allo humor nero.
 
- Cosa intendi? – Chiese dunque con cautela William, ma Victor alzò lo sguardo in maniera pensierosa e apparentemente, sembrò cambiare argomento: - Pensavo che qualcosa deve essere andato storto, ad un certo punto… - Gli occhi neri piroettarono verso il basso ed infine si scontrarono con quelli chiari di William, che tentava di mettersi faticosamente a sedere: - Secondo te in che mese siamo? Se non sbaglio dovremmo essere ai primi di Febbraio… - Ridacchiò poi, - Sette mesi… sono chiuso qui dentro da sette mesi. -
 
- Ti va di dirmi come mai mi hai posto quella domanda, poco fa? -
 
Alistair mugugnò nel sonno e si rigirò su un fianco. Per qualche momento Victor si soffermò ad osservarlo: - Chissà se lui si è mai reso conto prima di saper fare cose fuori dal comune… e chissà se… - Victor tornò a puntare l’attenzione su William, il quale ricambiava con la solita espressione sorniona: - Sai Lewis… sono abbastanza convinto che i primi subdoli segni della mia malattia siano spuntati… poco prima del primo scudo che ho prodotto. Non ci ho mai dato peso prima… ma è qualche tempo che penso che questa si, che potrebbe essere una strana coincidenza. –
 
Gli occhi di William si appesantirono sotto le sopracciglia. Victor, nel riscontrare quell’espressione, accennò un sorriso:
 
- So che hai capito quello a cui mi riferisco, signor Lewis, ma in realtà non è di questo che voglio parlare. -  Victor si inclinò nella sua direzione e a quel punto Will notò quanto spessi fossero i cerchi neri intorno ai suoi occhi. – Invece voglio parlare di come il caro dottore abbia scoperto che riusciamo a controllare il tempo, perché è evidente che sia così, non trovi? E allora mi chiedo… se siamo in grado di congelarlo, credi sia possibile viaggiare all’interno di questa nostra linea temporale? -
 
 



Chi non muore si rivede, direte voi. Buon pomeriggio cari lettori, finalmente sono tornata! Pensavate di esservi liberati di questa storia? Beh, vi sbagliavate di grosso.
Eviterò di dirvi quanto il tempo a mia disposizione non sia affatto sufficiente a mantenere un dignitoso ritmo di pubblicazione; questo capitolo è stato scritto pagina dopo pagina nell’arco di un mese di tempo, perché oramai lavoro una media troppo alta di ore al giorno e se al conto aggiungiamo mangiare, dormire e farsi pure la doccia beh… questo è il risultato!
Detto questo eccomi qui. Stiamo scoprendo un sacco di cose, non vi pare? Finalmente è stata fatta luce sulla storia della povera Roxanne e spero che la sua trama vi sia piaciuta, nonostante la tragicità della sua storia. Ah… fortuna che esiste Yann, a questo mondo!
Piccolissimo appunto: ho compiuto una ricerca approfondita sulla questione, ma non ho trovato il nome dell'incantesimo che riporta la memoria. Sappiamo però per certo che tale incantesimo esiste, in quanto Hermione stessa pare lo usi per riportare la memoria ai suoi genitori. Quindi ho scelto di assegnare io questo nome all'incantesimo di "recupero della memoria". 
Per il resto la morte di Maze ha portato scompiglio, domande, Mangiamorte rinchiusi (povero Adrian, tesoro mio), ma questo non sta impedendo al Dottor Steiner di portare avanti i suoi esperimenti (Alon, altro povero tesoro mio).
E niente, la fine si avvicina (meno tre capitoli). Vi do una piccola anticipazione: nel prossimo capitolo si darà un’altra risposta fondamentale (e no, non è “42”. Ok se non conoscete Guida galattica per autostoppisti questa cosa non avrà alcun senso per voi): parleremo di un oggetto a punta, di eroi e di scudi.
Prima di chiudere voglio fare un po’ di pubblicità ad una os scritta e pubblicata da Demoiselle Anne: indovinate chi sono i protagonisti di questa storiella dalle tinte rosse? Proprio loro: Elyon e Adrian!
Io l’ho amata e mi piacerebbe aveste l’opportunità di leggerla anche voi, nel caso vi fosse sfuggita. Vi lascio il link qui di seguito.
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3866099&i=1
 
 
Per il resto spero che le vacanze natalizie mi concedano di scrivere un altro capitolo, visto che ci stiamo avviando alla conclusione. Mi manca tanto scrivere, specialmente di questa storia qui.
Fatemi sapere la vostra, vi mando un abbraccio.
 
Bri

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Capitolo 16
*** La Piramide ***


CAPITOLO XIV
La Piramide

 
 
Il gin scivolava rapido lungo il collo della bottiglia quasi finita. Le pupille allacciate nel mare cristallino delle iridi lo guardavano con distrazione e con altrettanta disattenzione, la mano recuperò il bicchiere colmo, fino a portarlo alle labbra abbondanti. La gola non pizzicava più, anestetizzata dall’alcolico  ingurgitato a più riprese, durante l’arco della serata. Il rintocco del bicchiere poggiato sulla scrivania collimò con un bussare perentorio alla porta del suo studio e su di essa, lo sguardo di Louis ricadde, prima di incitare l’uomo a farsi avanti.
Loby varcò la soglia con aria stanca. La serata era stata agitata all’interno del locale ed il mago aveva dovuto sfoderare la bacchetta in più di un’occasione, per scacciare alcuni rumorosi avventori con le tasche ormai vuote.
 
- Capo… la rossa è di nuovo qui. Dammi l’ok e la sbatto fuori a calci in culo. Non ne posso più questa notte, ho proprio bisogno di andare a dormire. -
 
Louis Murray accennò un sorriso e con un movimento meccanico portò una sigaretta alla bocca. Anche lui si sarebbe dovuto sentire a pezzi, ma la stanchezza raramente arrivava a sollecitargli il sonno.
 
- Falla entrare. Tu e Joan occupatevi degli incantesimi di protezione, alla chiusura ci penso io. -
 
Loby schiaffò una mano sulla pancia abbondante con soddisfazione, - Sicuro? –
 
- Buonanotte Loby. -
 
La laconica risposta scacciò il briciolo di senso di responsabilità rimasto allacciato al mago più anziano: - Va bene, buonanotte a te, capo. –
 
Attraverso il fumo che scivolava via dalla bocca, Louis vide la figura della giovane auror sostituirsi a quella di Loby; la strega allargò un sorriso divertito sul viso, dopodiché chiuse la porta dello studio alle sue spalle. Con passo pesante (come era possibile che una figura tanto minuta facesse tutto quel trambusto, Louis Murray non sapeva spiegarselo) Hestia si avvicinò alla scrivania e prese posto sulla sedia di larice collocata dinanzi ad essa.
 
- Prego, accomodati pure. – Disse con ironia Louis, accompagnando le parole con un vago gesto della mano che tratteneva la sigaretta. – Ti offrirei da bere, ma immagino che tu sia in servizio, come tutte le volte che ti presenti a scombinare le mie serate, del resto. -
 
Hestia tirò i lunghi capelli rossi dietro le orecchie e sorrise di nuovo. – Veramente per sua fortuna, signor Murray, sono qui in veste ufficiosa. Ergo: accetto volentieri qualsiasi schifezza tu stia bevendo, anche se vedo che le scorte scarseggiano. –
 
Louis appellò un bicchiere, lo colmò e lo passò ad Hestia, la quale buttò giù una lunga sorsata senza battere ciglio. Il mago scosse appena la testa e trattenne un sorriso; mai aveva conosciuto una donna meno elegante di Hestia Jones e di donne, lui, ne aveva incontrare molte durante i suoi trent’anni di vita. Sistemò gli straccali e dopo aver buttato giù un altro sorso di gin, tornò ad incastrare gli occhi in quelli di lei:
 
- Deduco che non sia comunque venuta per farmi compagnia; avrai di meglio da fare alle tre del mattino. Dunque dimmi… cosa posso fare per te, signorina Jones? -
 
Hestia non si diede la briga di chiedere a Louis Murray di versarle un altro bicchiere. Ci pensò da sé, facendo scuotere ancora una volta il capo corvino del mago: - Perspicace anche a quest’ora della notte. Colpita e affondata. Siamo soli? –
 
- Sentiti libera di far straparlare la tua bella bocca rossa. -
 
- Ebbene… - Hestia si piegò in avanti, incrociando le braccia sulla scrivania e riducendo la distanza con il mago: - Immagino che tu sia al corrente delle sparizioni avvenute in Inghilterra. Persone più o meno conosciute a noi auror sono iniziate a sparire intorno allo scorso luglio. -
 
- Leggo anche io i giornali. Victor Selwyn era il direttore della Gazzetta del Profeta, la sua scomparsa non è rimasta inosservata. -
 
- Selwyn è solo uno di loro. Io parlo anche di… -
 
- La figlia di Trevor Montague, o quella di quel brav’uomo di Aleister Dagenhart. – Louis accese un’altra sigaretta, prima di continuare a parlare, non curandosi del fumo gettato sul viso di Hestia: - O della ex compagnia di Fenrir Greyback, la Yaxley. -
 
- Sei più informato di quanto sospettassi, Murray. Di un po’… sei immischiato anche in questa faccenda? -
 
 Il bel volto dell’uomo si arricciò, per qualche istante, in un’espressione disgustata: - Con chi pensi di avere a che fare? –
 
Hestia alzò le mani in segno di resa, per poi tornare nella sua posizione tanto ambigua. Louis notò che la strega si era avvicinata a lui ancor più: - No… non è roba per te questa qui, so bene che in un modo tutto personale anche tu hai un codice d’onore. –
 
- Bene. Se ti stavi chiedendo questo, hai avuto la tua risposta. – Stizzito, Louis indicò la porta: - Ora puoi andare a dormire e lasciar stare anche me; ne ho sentite abbastanza di stronzate, questa sera. -
 
Hestia ignorò il gesto di Louis: - Salazar ballerino, quanto siamo permalosi! Rimetti a cuccia l’orgoglio e stammi a sentire: dobbiamo venire a capo di questa storia… pensiamo che gli scomparsi siano ancora in vita e sospettiamo di sapere chi ci sia dietro all’intera faccenda. – Hestia rabbonì lo sguardo e con un lieve scatto si sporse ancor più verso Louis che di contro aveva rilassato la propria espressione: - Ma non abbiamo alcuna prova, né abbiamo idea di dove tenga i prigionieri. Ora… dato che il tuo bel faccino mi è sembrato alquanto risentito poco fa, immagino che tu ne sappia abbastanza di questa storia, altrimenti non ti saresti inalberato in quel modo. –
 
Louis spense la sigaretta, prima di incrociare le mani davanti al viso ed inarcare notevolmente un sopracciglio: -E se anche fosse così, cosa ti lascia credere che rilascerei informazioni al Ministero? –
 
Hestia spianò le mani sulla scrivania e con un movimento agile, che fece scivolare le ciocche vermiglie davanti al volto, accostò il viso al suo:
 
- Ho ragione di credere, signor Murray, che saresti più che felice se la sottoscritta chiudesse un occhio rispetto a qualche prova che ho ottenuto a tuo sfavore. Roba che potrebbe causarti qualche problemino indesiderato. -
 
Louis mantenne la neutralità del viso, anche se la mano sinistra, istintivamente, prese a giocherellare con una ciocca dell’Auror: - Sono certo che tutto si potrebbe risolvere con l’aiuto delle giuste persone, ma chère. Mi spiace molto, ma i tuoi timidi tentativi di mettermi all’angolo non sono sufficienti. –
 
-…e poi sono davvero convinta che tu non condivida affatto il modus operandi del nostro ricercato. Abbiamo bisogno di te per salvare quelle persone, Louis. –
 
- Oppure ho solo voglia di farti un favore; chissà che non venga ripagato, prima o poi. -
 
La ciocca vermiglia si incastrò intorno all’indice del mago; su di essa era posato lo sguardo, mentre la voce profonda si rivolse di nuovo ad Hestia: - Prova pure a chiedere, signorina Jones. Se sarai abbastanza fortunata sarò in grado di risponderti. –
 
L’Auror percepì il cuore aumentare i battiti, ma non seppe dire se il motivo fosse sentirsi di un passo più vicina alla verità, oppure se fosse colpa delle dita di Louis Murray, che non la smettevano di giocare con i suoi capelli. Decise di non pensarci oltre e domandò, con voce ferma:
 
- Cosa ne sai di Robert Malus Stainer e del luogo in cui si nasconde? -
 
*
 
Accarezzò il braccio, laddove le linee infuocate di rosso antico, blu oltremare e spesso nero invecchiato, andavano ad intrecciarsi in un faro bidimensionale. Quando decise di rendersi tela per quel primo tatuaggio, il primo di molti, Victor non aveva ancora compiuto i diciotto anni. “Perché proprio il faro?”, si ritrovò a chiedergli Evangeline molti mesi prima, in un tempo in cui il loro amore strano, faticoso e fuori luogo non era che polline nascosto gelosamente fra i petali della loro prigione. Victor non seppe dare una risposta concreta. I fari lo avevano sempre richiamato con vigore; costringeva i suoi genitori a visitarli, durante le loro vacanze passate nei paesi scandinavi. La Norvegia ne era costellata e ogni qualvolta ne scorgeva uno, il giovane mago si lasciava andare ad uno dei suoi rari sospiri. Quale fosse il richiamo dell’ancestrale ed evocativa immagine, poteva solo supporlo. Sentiva, difatti, di necessitare costantemente di una guida che illuminasse per lui il percorso più adatto, nella burrasca della sua vita.
Fu proprio all’interno di un faro, che si ritrovò catapultato durante l’adolescenza, quando era certo di trovarsi nell’accogliente dormitorio che condivideva con i compagni serpeverde. Il buio in cui doveva trovarsi immerso era rischiarato da quel bagliore baluginante che sciabordava da un lato all’altro del mare, prestando soccorso ai naviganti e segnalando che lì si trovava un attracco sicuro.
Non seppe mai darsi spiegazioni in merito a quell’episodio, fino ad allora. Victor aveva aperto gli occhi su molte, moltissime questioni oramai di vitale importanza.
 
-Sento il fruscío dei tuoi pensieri. –
 
Victor virò lo sguardo; gli occhi incisi nel buio incontrarono quelli dell’incantatrice al suo fianco, brillanti come il mare abbracciato dal bagliore del faro. Le labbra di Evie, sempre generose nell’elargirgli sorrisi, si piegarono verso l’alto mentre la sua mano, piccola e fragile, andava a ricercare quella di lui.
Non amava il contatto fisico, Victor Selwyn, ma di Evangeline non avrebbe mai fatto a meno. Desiderava di affondare in lei, dopo averle sottratto ogni singolo pezzo di stoffa. Voleva spostarle i capelli da un lato, baciarle e succhiare quel suo collo tanto candido, agguantare il seno che sospettava perfetto. Avrebbe desiderato contarle ogni singolo neo presente sulla schiena, stringerle le cosce, morderle, se ne avesse sentito l’esigenza. L’avrebbe fatta morire, morire di piacere e le avrebbe permesso di sovrastarlo con la carica che sentiva presente nella graziosa studentessa.
Invece, Il magigiornalista, era costretto a limitarsi a scambiare con lei lunghi baci affannosi, o a stringerle le mani, come stava facendo lei in quel momento, neanche fosse un adolescente in preda agli ormoni.
Avrebbe voluto dirle che quel faro, che si era fatto tatuare anni fa, stava attendendo la sua venuta.
Sei tu il mio faro, ora l’ho capito. Sono le tue labbra mai stanche e i tuoi occhi vigili, il tuo carattere forte, che mai si fa piegare da questo luogo corrotto. È la tua voce chiara, che incanta chiunque la ascolti.
Avrebbe voluto dire tutte quelle cose, Victor, ma si limitò a sbuffare e tirarla a sé, in una stretta goffa: - Non stai mai zitta, ragazzina. Goditi il silenzio per una volta. –
 
Evie liberò una risata graziosa e si aggrappò alle sue spalle. Sarebbe rimasta così, in eterno, con le narici infilate nell’incasso del suo collo ad aspirarne quel profumo oramai tanto familiare. Probabilmente suo fratello Graham, nello scorgerla in quell’atteggiamento, sarebbe corso a fare la spia ai genitori e suo padre si sarebbe indignato e l’avrebbe rimproverata. Ma lei avrebbe risposto a tono, perché Evangeline non era più una bambina da proteggere, sempre che lo fosse mai stata. Da che ne aveva memoria, aveva sempre pensato lei a difendere se stessa e il suo potere ne era la prova tangibile; se avesse voluto, avrebbe potuto piegare chiunque alle sue volontà e se avesse avuto il vago sentore della sua imminente cattura, in quel triste giorno d’agosto, non avrebbe di certo permesso al dottore di portarla via e rinchiuderla lì. Un solo sguardo e quell’uomo si sarebbe assoggettato a lei. Il turbinio dei pensieri di Evangeline, sempre più tristi e consumati dai rimpianti, fu interrotto dal fruscío delle parole di Victor: - Lo so con certezza, , - Lei adorava quel vezzeggiativo che Vicky aveva preso ad utilizzare, - il motivo per cui il dottore ci ha portati qui. Noi siamo speciali, sai, e no, non c’entrano queste strane capacità che possediamo, o almeno credo con fermezza che queste siano la conseguenza di un’altra incredibile dote che ci appartiene. –
 
Fu in quel momento che Evangeline si scostò piano da lui, per avere la possibilità di guardarlo dritto negli occhi. La cella di Victor era silenziosa, accompagnata solo dal delicato mormorio degli insetti i quali, placidi, svolazzavano da un fiore all’altro.
- Parla allora, aiutami a capire. – Lo incitò. Victor tirò indietro i capelli in un gesto automatico, prima di tornare a parlare con il suo tono profondo e lievemente sporcato di raucedine. Negli ultimi tempi, nonostante le medicine, la sua situazione fisica sembrava peggiorata.
 
- Vì… sono sicuro che siamo in grado di viaggiare nel tempo. Pensaci bene: ognuno di noi ha subìto episodi di sbalzi temporali e poi quello che è successo in seguito alla morte di Maze… il tempo si è congelato, eppure noi non ne abbiamo risentito. Solo Adrian Reed e il licantropo… solo loro. – Victor si zittì. Sapeva che non ci sarebbe stato bisogno di dire altro, in quanto a quel punto Evie doveva già aver compreso tutto. La conferma arrivò tramite gli occhi sgranati di lei la quale, concitata, gli strinse entrambi i polsi: - Merda! Quindi gli esperimenti che il dottore ha condotto su di noi… gli incontri non sono mai stati casuali. – La strega si prese qualche secondo per riflettere, prima di tornare a parlare: - Il dottor Steiner deve aver capito che c’è qualcosa che ci permette di piegare il tempo. Ma certo… -
 
- Sospetto siano le forti emozioni. Ragiona: perché terrorizzare Lucas, perché scatenare l’odio di Elyon o di Alistair… e perché fare avvicinare… -
 
- Noi due. – Concluse, sgomenta, Evie.
 
- Ci hanno osservati, spiati… hanno messo alla prova le nostre emozioni. – Victor risultò chirurgico, nella sua spiegazione: - E nessuno dei nostri legami è nato casualmente. Siamo stati delle cavie, un po’ come Pavlov fece con gli esperimenti sui cani. Conosci un po’ di psicologia babbana? –
 
- Mi stupisce che la conosca tu, bel purosangue. – Scherzò Evangeline, invitandolo comunque a proseguire.
 
- Il riflesso condizionato, questo il nome dato dallo scienziato. Una reazione che viene scaturita da un elemento esterno verso un animale costretto in cattività. L’animale si abitua a questo elemento esterno e lo associa ad un preciso stimolo. Questo ha fatto con noi il dottore. –
 
- Stimolarci… per produrre una reazione! – Completò Evangeline, sconvolta da tale verità. Le cose dovevano stare così; se era vero che su un piano latente, i reclusi erano soggetti portati alla modifica del piano temporale, con i giusti stimoli avrebbero potuto sviluppare tale capacità.
 
- Vicky… credi saremmo in grado di… muoverci nell’arco temporale?-
 
A questa domanda, Victor non ebbe il tempo di rispondere: dei passi pesanti e un rumore assordante preannunciarono l’arrivo di due figure, mascherati come ogni Mangiamorte che si rispetti. Il più minuto dei due aprì la cella di Victor e parlò nascosto dalla maschera, rivolgendosi poi ad Evangeline: - Devi venire con noi, Montague. – Sentenziò. La strega sussultò ed istintivamente strinse la mano di Victor: - Cosa volete da me? Non ho nessuna intenzione di seguirvi! –
 
- Non fare queste scene e muoviti, non sono così magnanimo come quel coglione di Reed, sai? –
 
- Avete sentito la signorina o avete le orecchie intasate? Lei non va da nessuna parte. – Victor accennò un sorriso storto, si alzò dalla branda e si pose davanti Evangeline con le braccia incrociate.
 
- Spostati Selwyn, immediatamente! – ringhiò l’altro, sguainando la bacchetta nella sua direzione. In un’altra situazione Evangeline si sarebbe opposta, ma sapeva che per colpa  della salute cagionevole, Victor non avrebbe resistito ad un attacco da parte dei due. Fu irrazionale e istintivo e presto si sarebbe pentita della sua avventatezza; perché Evie non ci pensò due volte a scavallare Victor e puntare lo sguardo sul Mangiamorte che puntava il legno nella sua direzione. Gli occhi si assottigliarono e la voce si fece d’un tratto melliflua: - Farai come ti dico… -
 
Ma il mago più alto ci mise un attimo a sfoderare la propria bacchetta e incarcerare Evangeline, la quale crollò a terra, soffocata da corde invisibili. Victor si lanciò sconvolto contro i due, nel tentativo di apporre il proprio scudo che riuscì, ma solo in parte. L’incanto riuscì a scarcerare Evie, ma lasciò libertà di manovra al Mangiamorte appena stordito dal potere di Evangeline.
 
- Te la sei cercata, razza di idiota… -
 
Il mago trascinò rapidamente il compagno Mangiamorte fuori dalla cella, che richiuse subito dopo. Mentre Victor tentava di dare sostegno ad Evie, l’uomo sferzò la bacchetta ed un lampo di luce punto contro la punta della piramide di Victor. Anche l’ultima tacca si colmò.
La cella si sigillò e, come la teca di un acquario, si riempì di liquido verdognolo ed oleoso. Evangeline si tappò d’istinto il naso ma poco dopo si rese conto di riuscire a respirare liberamente. Chi sembrava invece subire l’effetto dell’inondazione fu Victor, che strinse le mani intorno alla gola e annaspò, fino a perdere i sensi nel momento esatto in cui la cella parve svuotarsi e tornare alla propria normalità.
 
*
 
Erano stati due giorni terribili, per Alon. Due giorni passati sotto uno stato di continua tortura. Aveva capito troppo tardi dove i Mangiamorte volessero arrivare, mettendolo così a dura prova. Quella che aveva creduto essere sua sorella (un molliccio sfruttato per l’occasione) si era poi trasformata nell’immagine che la sua mente traduceva con Lord Voldemort e durante un momento di puro terrore, trovatosi al cospetto del Mago Oscuro, il tempo si era cristallizzato. Era successo davvero, anche se l’atipico evento era durato non più di qualche secondo; purtroppo per Alon, gli esperimenti su di lui non erano finiti lì. Per due giorni, appunto, era stato costantemente posto sotto tortura e l’apice arrivò quando a lui fu avvicinata Jules. Quando la vide arrivare, inizialmente il mago-tritone provò una gioia istintiva, che gli fece esplodere il petto. La osservò camminare leggerissima nella sua direzione, con il lieve sorriso che osservò spuntarle sul volto non appena lo riconobbe. Eppure l’istante dopo Alon vibrò di rabbia. Era davvero ingiusto che facessero questo a loro, ma ancora di più era insopportabile che ci andasse di mezzo anche la Tassorosso. Temette che avrebbero usato la sua persona per fargli provare dolore e per scatenare, ancora una volta, l’arresto del tempo e dovette reprimere il tremore quando il pensiero della tortura di Jules arrivò alla mente.
Ma una gioia estatica, probabilmente sintomo ormai della follia dilagata nella testa, lo colpì violentissima, non appena percepì che Jules non era stata portata lì in qualità di vittima sacrificale, bensì per osservare lui. I Mangiamorte lo colpirono duramente, con più maledizioni cruciatus e le urla di Jules non placarono quell’atto drammatico.
Giunti a quel punto volevano stimolare la stessa reazione da parte di Jules, era ovvio. La ragazza scatenò tempeste e tornado, ma fu colpita solo quel tanto che bastasse per non farle prendere il totale controllo delle avverse condizioni climatiche.
Puntavano all’arresto temporale.
Sfortunatamente, quello non avvenne. Ormai privo di sensi, Alon fu ricondotto nella propria cella e per molti giorni non rivide più Jules. Incontrò Martha, passò molto tempo con William, ma di Jules nemmeno l’ombra.
Che fosse risultata inutile per quegli esperimenti? Avevano deciso di disfarsi di lei?
Il terrore di quel pensiero lo accompagnò per giorni interi e gestire il dolore era diventato ormai insopportabile. Lui doveva proteggerla, ma non ci era riuscito. Arrivato ad un totale stato confusionale, per Alon era quasi impossibile riprendersi.
Non mangiava quasi più ed i suoi lunghi capelli chiari erano diventati opachi, come il suo sguardo che aveva perso la limpidezza del mare. Fu in quella condizione penosa che lo trovò Yann, nel bel mezzo di una piccola radura. Il magifabbro accelerò il passo nella sua direzione, fino a fermarsi in piedi davanti ad Alon, seduto a terra e con le mani fra i capelli. Il giovane non lo guardò; si limitò a sussurrare qualche parola:
 
- Non ce la faccio più. -
 
Alla luce di quanto successo con Roxanne, delle rivelazioni legate alla strega, Yann aveva trovato una nuova carica. Indiscutibilmente da un lato sentiva crescere la preoccupazione nei confronti di quella (ormai ex) Mangiamorte. Temeva difatti che il dottore avrebbe scoperto tutto, nonostante Roxanne lo avesse rassicurato, giorni prima, dicendogli che era andato tutto bene: tornata alla stanza di Robert, aveva riposizionato la sua bacchetta nell’esatto punto in cui l’aveva prelevata, mentre quel bastardo continuava a dormire sotto l’effetto della pozione somministrata da lei. Yann temeva l’arguzia del dottor Steiner, ma ormai conosceva Roxanne Borgin ed aveva capito quanto quella fosse intelligente; non si sarebbe fatta fregare, lei. Avrebbero trovato insieme un modo per distruggere la trappola costruita da Robert Steiner, ma avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile e della piena lucidità degli ospiti del Giardino. Per questo motivo non poteva accettare che Alon o chiunque altro riversasse in una condizione simile.
 
- Certo che ce la fai, ragazzo. – Masticò Yann in risposta a quel disperato farfuglio.
 
- Non posso farcela, la paura mi sta divorando. – Con inesorabile lentezza, Alon abbandonò la presa dai capelli ed alzò lentamente il viso, puntando gli occhi verdi in quelli scuri di Yann. Preso un minimo di coraggio, il più giovane raccontò all’altro delle sue preoccupazioni riguardanti Jules.
 
- La piccoletta sta bene, l’ho incontrata un paio di giorni fa. -
 
Solo a quel punto Alon sembrò riprendere colorito. Scattò in piedi e afferrò le spalle di Yann con vigore; nonostante lo staccasse di molto in altezza, Yann accennò un sorriso, perché la giovane età dell’altro emergeva da ogni suo movimento.
 
- Davvero sta bene?! Ne sei certo?! Oh, Tosca sia lodata! -
 
Alon si lanciò ad abbracciare Yann il quale, rigido come sempre, si limitò a concedergli qualche colpetto sulla schiena.
 
- Sta bene, ma è molto arrabbiata. Mi ha raccontato cosa vi hanno fatto gli sgherri di Steiner, non deve essere stato facile, per te. -
 
- Non mi importa, io sto bene. Ma come… come hanno potuto fare questo a lei? È solo una ragazzina, ha quattordici anni, non dovrebbe trovarsi qui, non dovrebbe subire tutto questo... è inaccettabile. -
 
- Nessuno di noi dovrebbe trovarsi qui. – Yann si guardò intorno, prima di stringere una spalla di Alon: - Però tu non devi buttarti così giù, devi ritrovare la grinta; con questo atteggiamento non aiuterai proprio nessuno, tantomeno Jules. -
 
Il viso particolarmente pallido di Alon assunse una sfumatura rossa di vergogna e un lieve broncio ne scurì i tratti.
 
- Hai ragione, sono davvero uno stupido. Un inutile stupido. -
 
Yann roteò gli occhi al cielo. – Non sei stupido, tantomeno inutile. Solo un po’ troppo emotivo, forse. Ora ascoltami, ho bisogno di darti un po’ di novità. Grosse, grossissime novità, dopodiché dobbiamo iniziare a mettere su un piano. –
 
- E queste novità da dove spuntano fuori? – Tutta la tristezza di Alon era improvvisamente evaporata. Rimase invece altamente stupito, quando Yann gli raccontò non solo di Roxanne e di come Steiner era riuscito a raggirare anche lei: Alon dovette sedersi di nuovo, non appena Yann gli riferì le poche, sebbene fondamentali, informazioni, di cui Roxanne era a conoscenza a proposito del malefico piano di Robert Steiner.
 
*
 
Cora si massaggiava la fronte, mentre il racconto di Odette scivolava dalle labbra con una velocità con la quale era ben difficile stare al passo. Mettere insieme i pezzi non era affatto semplice, ma Odette si dimostrò un’ottima oratrice; d’altronde con il suo lavoro, che la portava a dover fornire spiegazioni ai propri pazienti, doveva aver sviluppato una capacità notevole.
Martha, di contro, teneva le braccia incrociate e puntava lo sguardo vagamente stralunato sulla figura della dottoressa e appena quest’ultima prese una pausa, fu pronta ad intervenire:
 
- Odette… ma tu sei proprio sicura di quello che hai sentito? -
 
- Io non l’ho solo sentito, Martha… io ho letto i suoi ricordi, mentre questi venivano a galla grazie al controincantesimo di Yann per l’oblivion al quale, a quanto pare, è stata sottoposta a più riprese dal dottor Steiner! – Odette intrecciò i lunghi capelli scuri in una cipolla, nel tentativo di contrastare l’agitazione. Erano passati molti giorni dall’ultimo contatto umano che aveva avuto ( per altro avvenuto sempre con Yann) e quasi aveva perso le speranze di poter incontrare di nuovo qualcuno. L’esigenza quindi di raccontare i fatti alle due streghe era diventata tanto impellente che, quando aveva visto Cora e Martha sotto le fronde di un melo in fioritura, aveva dovuto trattenersi per non urlare. Era quindi giunto il momento di parlare di tutto ciò che sapeva, senza tralasciare nessun tipo di particolare.
Non appena Odette concluse il racconto, premurandosi di tenere per sé i dettagli più dolorosi della vita di Roxanne (che sarebbero ad ogni modo risultati irrilevanti per le due), Martha spostò la propria attenzione su Cora.
 
- Tu ne sapevi qualcosa? -
 
- E perché dovrei sapere qualcosa proprio io? – Chiese con lieve stizza Cora, non riuscendo però a nascondere un lieve rossore del volto.
 
- Beh, - Martha prese ad incalzarla: - Forse perché sei l’unica, fra noi tre, che abbia mai avuto in precedenza rapporti con Robert Steiner? Forse perché frequentavi i salotti esclusivi delle famiglie purosangue? -
 
- Per quanto ancora verrò condannata per il mio passato, eh?! – Fu impossibile, per Cora, non perdere un minimo le staffe. Era stanca di sentirsi giudicata in continuazione, anche se finalmente le fu chiaro cosa volesse dire trovarsi dall’altra parte ed essere colei verso cui si punta il dito.
Martha non dette peso a quella scintilla che stava per far scoppiare Cora, ma proseguì con pazienza a fornirle spiegazioni: - Vedi di calmarti Cora… qui nessuno ti sta giudicando. Ti sto semplicemente spiegando che le tue frequentazioni passate… -
 
- Non volute da me! Non è colpa mia se… -
 
- Si lo so, non è colpa tua se sei cresciuta in quella famiglia, detto questo i fatti non cambiano: per colpa  dei tuoi genitori sarai pur venuta a contatto con qualche pettegolezzo riguardante Burke, o la relazione di Roxanne con l’erede Black. -
 
- Qualcosa, si… ma ecco, credevo fossero solo pettegolezzi. Del matrimonio sfumato mi era arrivata la voce, ma non avrei mai creduto che sotto si nascondesse una storia così. – Cora si rabbuiò e abbassò lo sguardo. Improvvisamente tutte e tre le streghe, si zittirono. Ognuna di loro pensò a cosa volesse dire trovarsi nella situazione di quella donna e non fu affatto piacevole. Fu Odette la prima a spezzare il silenzio: - Triste… è davvero molto triste. Non voglio assolvere da ogni sua colpa la Borgin, ma è stato davvero straziante leggere i suoi ricordi e penso che, se fossi stata al posto suo, non so quanto sarei riuscita a non sporcarmi le mani. -
 
- Io la capisco. – Si intromise Cora. Ed era vero: lei era forse l’unica che poteva comprendere davvero la posizione di Roxanne e il perché la sua vita aveva preso quella piega. Era difficile vivere in quell’ambiente e riuscire a non venire piegati, corrotti, assoggettati.
 
- Forse, ad oggi, Roxanne Borgin è stata la vittima del dottore che ci ha rimesso di più, – disse Martha – quell’uomo è senza alcun tipo di scrupolo. -
 
 - E ti assicuro che è ben capace di confondere e portare le persone dalla propria parte. Dalla sua ha l’intelligenza, certo, ma anche un fortissimo carisma, motivo per il quale molti… molti di… di noi – La voce di Cora si spezzò per un istante; il suo sguardo era basso, colmo d’imbarazzo – non sono riusciti a resistergli. Io sapete… mi sono sentita lusingata dalle attenzioni che mi riservava, nonostante potesse essere mio padre. -
 
Indebolita dalla tenerezza, Odette carezzò la spalla di Cora- Suvvia cara, non è stata colpa tua. Fortunatamente ora hai capito con chi hai a che fare, meglio tardi che mai, no? –
 
- Tardi lo è sicuramente… - Disse Cora, in un sospiro stanco, - Se avessi aperto prima gli occhi, forse non sarei arrivata a questo punto. Forse non sarei qui dentro… -
 
Anche Martha si dedicò ad un ampio sospiro: - Anche se non ci fossi finita tu qui dentro, sicuro la tua cella sarebbe stata occupata da qualcun altro. Ora dobbiamo smetterla di pensare al passato; dobbiamo piuttosto ragionare su cosa accadrà in futuro e come sarà meglio muoverci. A tal proposito, ho qualcosa da raccontarvi anche io. –
 
Odette e Cora rimasero in silenzio per tutto il tempo che Martha dedicò a raccontare loro di quel suo strano sogno.
 
- Tu, cara mia, hai un dono assai raro. – Odette prese di nuovo a sistemare i capelli, - Sono sicura che quello non è stato solo un sogno! E questo, per quanto mi riguarda, non è che un dato più che positivo. Gli Auror si stanno occupando del caso e se stanno parlando con i nostri familiari, vuol dire che niente è ancora stato archiviato! -
 
- Il tuo entusiasmo mi commuove Odette, ma io non sono affatto sicura che quel sogno voglia dire qualcosa. Forse è stato solo un terribile incubo; - Martha prese ad intrecciare le dita intorno ad una ciocca chiara sfuggita alla coda, - Forse è solo il mio inconscio che lavora con frenesia, perché soffre per la distanza da Phil… -
 
- O forse hai visto oltre il velo della dimensione in cui siamo rinchiusi. – Continuò con vigore Odette, prima di prendere di nuovo le redini del discorso: - Comunque ora che ne abbiamo la possibilità e prima che ci rispediscano nelle nostre celle, è il caso che ci confrontiamo su quel poco che la Borgin ha riferito a Yann e la sottoscritta, riguardo il piano del dottor Steiner. -
 
- Giusto, mi sembra un argomento di non poco conto. – Rispose Martha, mentre Cora si limitò ad annuire.
 
-Bene. – Odette si fece più vicina a loro, con fare cospiratorio: - Come vi stavo accennando prima, pare che il dottore abbia la convinzione che, insieme, potremmo essere in grado di viaggiare nel tempo… -
 
*
 
Una cosa stava imparando Alistair, all’interno di quella prigione fatta di fiori e foglie: mantenere il controllo di sé. In che mese si trovava? Aprile? Probabilmente. Il che voleva dire che fossero passati circa otto mesi dalla sua reclusione. Otto mesi, nell’arco di una vita, non sono poi molti, ma in un contesto distopico come quello in cui si muoveva il babbano, erano molti. La vita grigia e piatta che aveva condotto fino allo scorso Agosto, aveva assunto una piega totalmente diversa: Alistair aveva scoperto che un intero mondo si nascondeva dietro un muro inconsistente di magia. E non solo aveva appreso dell’esistenza dei maghi e di creature che, fino a quel momento, risiedevano solo nei racconti fantasy: Alistair aveva scoperto di possedere un potere micidiale, terribile e specialmente incontenibile. Aveva dunque imparato, con il passare dei mesi, a provare sempre meno paura; il ricordo dei bulletti sempre pronti a torturarlo per il suo aspetto e la sua indole mansueta lo faceva oramai sorridere. Alistair non avrebbe mai e poi mai utilizzato il proprio potere per nuocere volontariamente a qualcuno, ma si sarebbe rinfrancato se avesse avuto la possibilità di prendersi delle piccole rivincite personali, magari spaventando a morte qualcuno che in passato si era dimostrato per lui una palla al piede. Sarebbe andato dai suoi genitori e, con rinnovato spirito, avrebbe detto loro di non avere un perdente come figlio, bensì un portento naturale.
Purtroppo, tutte quelle considerazioni erano davvero poca cosa al momento. Dopo lo scontro fra licantropi, poche cose avevano importanza ormai. Alistair aveva incominciato a fare suo il valore dell’amicizia prima con Joshua, poi con Yann; infine era arrivata Mazelyn Zabini a stravolgerli la vita. Un vampiro! Pensava, senza capacitarsene ancora. Chi avrebbe mai detto che sarei diventato amico di un vampiro? Ma qualcuno aveva pensato bene di strappargliela via. Alistair era ancora dannatamente scosso e al solo ripensare a quel corpo esanime, gli salivano le lacrime.
Era inoltre accaduto che Yann, giorni e giorni dopo la morte di Maze, gli raccontasse di quanto successo con Roxanne. Nonostante lo sgomento, dentro di sé Al non poté che gioire, in quanto ogni qualvolta che era entrato in contatto con lei, aveva percepito qualcosa difficile da riportare in forma verbale: una vocina piccina, che gli diceva che Roxanne Borgin non fosse quella donna malvagia che sembrava in apparenza. La stessa vocina che scatenava degli ambigui tumulti allo stomaco perché si metteva a gridare, quando lei lo sfiorava per caso o imprimeva gli occhi glaciali in quelli di lui.
In poche parole, Alistair fu grato alle parole di Yann, perché almeno poteva giustificare quella parossistica sindrome di Stoccolma: non si era preso una cotta per un mostro, Alistair, ma per una donna che aveva avuto la sfortuna di camminare lungo il sentiero di una vita terribile e piena di insidie.
Tutto questo tumulto di emozioni, Alistair non lo riversò su Yann, ma si trovò con piacere a confidarsi con William, durante il loro incontro in un angolo di giardino particolarmente florido.
Nel sentire la timida confessione di Alistair, le cui orecchie nel nominare Roxanne erano diventate di un bel rosso ciliegia, William non si risparmiò un sorriso. In primis perché Alistair gli faceva proprio tenerezza; la sua natura di babbano, la sua giovanissima età e su tutto il fatto che si fosse ritrovato prigioniero nel mondo magico, tutto di lui lo inteneriva. Così come la sua cotta per Roxanne Borgin, quella stessa strega che lui conosceva sotto tutt’altra veste. Gli avrebbe risposto di vedere il lato positivo, di confidare in Roxanne e di sperare che, collaborando con la talpa sarebbero presto usciti di lì.
Purtroppo William non ebbe il tempo di proferire parola. Fu proprio Roxanne ad arrivare da loro, posata e ferma, nonostante Will cogliesse nel suo sguardo una scintilla di terrore. Nel vederla arrivare, Alistair si mise subito in piedi.
 
- I-io sai…ho s-sa-sap… -
 
Roxanne deglutì e, per quanto incapace di mascherare totalmente le proprie emozioni, mantenne fermezza nella voce. I suoi occhi brillanti saltarono dall’uno all’altro, per poi trovare fermezza in quelli placidi di William:
 
- Purtroppo dovete seguirmi. Non un solo cenno a niente, ci siamo capiti Lewis? Robert Steiner è molto più furbo di quanto immaginiate e non ci metterà nulla a capire qualcosa. Ora, Alistair… -
 
Roxanne si concentrò sul babbano e, come spesso accadeva, nei suoi confronti ammansì lo sguardo ed il tono: - Vedrai qualcosa che non ti piacerà, ma so che puoi farcela. Devi… farcela, o non saremo più in grado di collaborare in alcun modo. Mi hai capita? Al… -
 
Il babbano sembrò assente per qualche istante, ma alla fine annuì, così che Roxanne poté dedicargli un sorriso: - Mi fido di te. Forza, andiamo. –
 
L’interno della villa era silenzioso e quieto. Diversamente fu la stanza in cui entrarono. In essa, distanziati, vi erano Joshua e Lucas, ambedue legati e imbavagliati. Sembravano… storditi, agli occhi di Alistair. Il cupo tremolio di alcuni candelotti sospesi che delineavano con torve danze i profili dei due sfortunati compagni di disavventure, lanciò una scarica elettrica lungo la schiena di Alistair, il quale ricercò lo sguardo di William, bene attento a non concentrarsi su Roxanne, al suo fianco sinistro e apparentemente alquanto placida.
Che brava… come riesce a dissimulare bene, valutò dentro di sé Al, ma la riconoscibile voce sporcata da un lieve accento tedesco, lo distrasse dai suoi pensieri.
Seduto in un angolo della stanza, su una poltrona di tessuto ricamato, Robert Steiner teneva le mani congiunte dinanzi a sé ed osservava con la medesima placidità di Roxanne i nuovi ospiti. La richiesta da parte del dottore venne limpida e categorica: era stato chiesto a William (o per meglio dire ordinato) di usare il proprio potere, per far sì che Joshua e Lucas si liberassero dal loro fardello.
Con grande sorpresa di Alistair, William si rifiutò. Solo più tardi, lontani dalla villa, il cantastorie spiegò ad Alistair che mantenere una categorica negazione era stata la mossa migliore. Era infatti chiaro che il dottore, seppur minaccioso, non si sarebbe mosso in loro sfavore: quello non era stato che l’ennesimo esperimento per tentare di provocare un altro smottamento temporale, ma a seguito della perdita di un elemento, Robert Steiner si sarebbe ben guardato dal rischiare di perdere un’altra delle sue cavie.
Solo dopo uno scambio serrato fra il dottore e William, il primo andò a concentrarsi su Alistair, che inquadrò con sguardo meno severo, seppure l’ira da cui era scosso per la negligenza di William era palpabile:
 
- E tu, Alistair? –
 
- i-io? – Singhiozzò il babbano.
 
- Anche tu negheresti di usare il tuo dono, se te lo chiedessi? –
 
Alistair ringraziò dentro di sé Roxanne, quando quest’ultima intervenne per evitare di farlo rispondere:
 
- Conosco molto bene Alistair, Robert… sono più che certa che, qualora ce ne fosse bisogno, non rischierà la propria vita per remarti contro. È un bravo babbano. –
 
Nonostante Alistair fosse consapevole che il tono di Roxanne (lo stesso che avrebbe lui stesso usato parlando di un cane randagio) fosse voluto per assecondare Robert, provò comunque una piccola fitta nel petto.
Quando Robert Steiner li congedò, concordando a Roxanne l’autorizzazione per riportare i due nelle rispettive celle, Alistair si sentì sollevato solo a metà. In quella stanza buia che puzzava di sangue pesto, infatti, Alistair aveva abbandonato due suoi compagni. A poco servì la consapevolezza di saperli ancora vivi.
Era vero ciò che diceva William Lewis?
Sarebbero mai usciti, da quell’inferno?
 
*
 
Dopo qualche attimo di stordimento, un paio di battiti di ciglia particolarmente decisi e il rapido scorrere delle dita sui capelli, Evangeline si rese conto di stare bene. Si chiese se stesse sognando, o meglio, se si fosse appena risvegliata da un sogno. Ciò che era accaduto era un fatto assai strano: per quale motivo le era sembrato che la cella di Victor si fosse trasformata in una piscina? Non era possibile fosse accaduto, in quanto i suoi vestiti non erano rimasti appiccicati alla pelle ed i suoi capelli scuri erano più asciutti che mai. Si, probabilmente doveva essere svenuta per qualche assurdo motivo; eppure era strano che Victor non fosse corso in suo soccorso.
Le pupille si guardarono intorno con frenesia, saltando in pieno le sbarre della cella, oltre le quali non si trovavano più i due Mangiamorte di guardia. Comunque Evie non avrebbe dedicato loro nemmeno uno sguardo, presa com’era dalla ricerca di Victor.
E poi lo vide.
Il magigiornalista era steso a terra, ricoperto da una strana e oleosa sostanza, che lo rendeva lucido alla vista. I suoi occhi erano chiusi e i suoi capelli ricadevano disordinati intorno alla nuca. Evangeline, per un momento, sentì il sangue gelarsi nelle vene. Perché Victor, pallidissimo in volto, con la bocca semischiusa a lasciar intravedere gli incisivi leggermente storti, le braccia inermi, abbandonate a terra, sembrava…
Morto.
No, non poteva essere, non proprio ora che si erano trovati, non in quel modo. Non poteva essere morto, come morta era Freya.
Freya.
Il respiro, per qualche istante, mancò di colmare i polmoni, perché il pensiero della morte di Victor, unito al ricordo di Freya, annullò ogni piccolo istinto vitale. Solo quando vide il tessuto della camicia quadrettata del mago tendersi appena sopra il torace magro, Evangeline istintivamente tornò a respirare. Victor era vivo, quindi. Era solo svenuto ma, diamine, era vivo! Con ritrovato ardore, Evangeline tirò su i capelli che legò distrattamente sopra la testa, prima di chinarsi sul corpo del ragazzo e cominciare a scuoterlo per le spalle con delicatezza. Quella strana sostanza da cui era ricoperto il mago le si appiccicò sulle dita, ma Evangeline non le dette peso.
 
- Vicky… Vicky… - Sussurrò, nella speranza che il ragazzo aprisse presto gli occhi. Mentre tentava di risvegliarlo, Evangeline ricordò d’improvviso quale fosse il motivo per il quale, probabilmente, lei era rimasta stordita e Victor aveva perso i sensi. D’un tratto ricordò di aver tentato di usare il proprio potere su uno di quei due bastardi e che Victor si era messo in mezzo per evitare a lei stessa di essere attaccata. Poi uno dei due aveva pensato bene di colpire la piramide.
Evie si arrestò e ricercò nell’immediato l’oggetto sopra la scrivania del ragazzo, ma la piramide non c’era più. Guardandosi allora intorno, la strega notò un leggerissimo pulviscolo argentato che ricopriva a manto ogni superfice della cella. Possibile mai che la piramide fosse esplosa? Tornò a quel punto su Victor e questa volta cominciò a scuoterlo con maggiore vigore.
 
- Per l’amor di Salazar, ti devi riprendere, Victor! – Aveva accantonato ogni tipo di riguardo, in favore della volontà di far rinvenire il compagno. Avrebbe desiderato possedere la propria bacchetta; con il legno in mano sarebbe stato molto più facile fargli riprendere i sensi. Per un momento capì cosa volesse dire non possedere la magia. Fino ad allora l’aveva desiderata ardentemente, ma mai come in quel momento Evie aveva sentito la necessità impellente di manovrare la magia.
 
- Ti ho detto di riprenderti, cazzo! -
 
Mossa dal terrore e con i nervi ormai a pezzi, Evangeline dette un’ultima sonora scrollata al corpo apparentemente esanime, per poi concludere con un sonoro ceffone sulla sua guancia scavata. Il suono saltò da una parete all’altra e rimbombò a lungo, nel silenzio assordante in cui erano immersi.
E proprio nel momento in cui sentì le lacrime giungere agli occhi, un vago lamento sboccò dalle labbra di Victor, che lentamente aprì gli occhi scuri.
 
- Cielo… sei vivo… sei vivo, stupido di un Selwyn! -
 
- Ahia… - si lamentò lui, portando la mano a massaggiare la guancia colpita; in seguito, ancora visibilmente frastornato, puntò lo sguardo nel suo. Sentire la sua voce, pensò Evangeline, avrebbe dovuto farle esplodere nel petto una gioia incontenibile.
Invece furono spavento, angoscia e disorientamento a colpirla, quando le parole di Victor la raggiunsero:
 
- Non c’era bisogno, sono vivo. Ma vorrei… vorrei capire chi cazzo sei e come ti sei permessa di colpirmi, ragazzina. -
 
*
 
L’ ansia è l’emozione provata di fronte a una sensazione di minaccia reale (es. minaccia alla persona) o figurata (es. minaccia all’autostima). È una risposta normale e innata di attivazione, caratterizzata da un aumento della vigilanza e dell’attenzione che ha l’obiettivo di prepararci ad affrontare il pericolo percepito predisponendoci a una risposta di attacco o fuga.
 
Per la prima volta in tutta la sua vita maledetta, Adrian Reed comprese a pieno il significato della parola ansia. Fino al giorno in cui Robert Steiner aveva permesso a quel sacco di pulci di Greyback di mettere piede nel Giardino, Adrian aveva sempre sottostimato questa parolina con cui molte persone a lui conosciute solevano riempirsi la bocca.
 
“Ci sputo sopra all’ansia! E dovresti farlo anche tu, dannata isterica!” aveva detto una volta ad Elyon, mentre si stavano preparando per infilarsi di soppiatto nel locale di uno dei più pericolosi gangster del mondo magico, nella speranza di convincerlo a collaborare con Robert. Elyon aveva finito per torturarsi talmente tanto il lobo dell’orecchio da farlo gonfiare come uno stantuffo, motivo per il quale Adrian non si era risparmiato di ridere a perdifiato guadagnandosi, infine, un pugno sul naso che fortunatamente (grazie alla sua agilità) lo aveva colpito solo di striscio. Ovviamente aveva smesso di ridire e avevano preso a litigare, come sempre.
L’ordinaria amministrazione che lo legava ad Elyon gli mancava, terribilmente. In realtà non gli importava niente di passare le sue giornate sulla branda appartenuta a quella vampira, come non gli interessava aver perso totalmente la fiducia in Robert Steiner. Anzi, era imbestialito con l’uomo, come mai lo era stato con chiunque altro in vita sua, sebbene lo stato di furia era ben conosciuto ad Adrian.
Ma ad accompagnare la rabbia cieca nei confronti di Robert, che sentiva crescere giorno dopo giorno, vi era l’ansia.
Un peso insopportabile, pari a quello di un blocco di cemento, si era adagiato sul suo petto e aveva deciso di non spostarsi da lì nemmeno per pochi minuti.
Tutta quell’ansia era generata dal pensiero di sua madre Bonnie, lasciata sola a macerare nella sua follia e da quello di Elyon, della quale non aveva avuto più alcuna notizia diretta dal giorno dell’incontro/scontro con Fenrir Greyback. Una volta Roxanne era arrivata alla sua cella, fermandosi però solo per pochi minuti. Gli aveva infatti detto che Robert le avesse caldamente consigliato di non fargli visita, in quanto nel bene o nel male, Adrian era una persona a lei cara, con il quale aveva instaurato un saldo legame nel tempo e vederlo recluso non le avrebbe fatto bene. La traduzione dal vocabolario tipico di Robert alla lingua comune era la seguente: “Stai alla larga da lui, perché potrebbe rivoltarti contro di me.” Per quel motivo Roxanne si era guardata bene dal contraddire Robert, sapendo per altro di essere controllata da quei due Mangiamorte che il mago aveva richiamato a proprio servizio, per colmare il vuoto lasciato da Adrian e in vista, inoltre, dell’attuazione finale del piano organizzato ormai da troppo tempo.
Quindi le uniche informazioni che Adrian era riuscito ad ottenere dalla ex collega, furono che Elyon stesse bene (nonostante Roxanne glielo confermò con aria stizzita e indispettita) e che Robert Steiner aveva combinato qualcosa di grosso anche a lei.
Sapere che Elyon fosse sana e salva lo aveva tranquillizzato, certo, ma ciò non bastò a fargli mettere l’anima in pace. Roxanne gli aveva inoltre promesso che avrebbe pensato lei a Bonnie, ma Adrian sapeva quanto malvagio potesse essere Robert Steiner e alla preoccupazione per le ritorsioni nei confronti di sua madre ed Elyon, andò sommandosi anche quella nei confronti di Roxanne.
Passarono giornate intere in cui Adrian sentì spesso crollare i nervi. Mangiava poco, fumava molto e non riusciva a dormire, con quella fottuta luce che non lasciava mai il Giardino.
Fu durante il boccheggiare della settima sigaretta della giornata, che Adrian sentì lo sferragliare delle sbarre. Fino a quel momento non gli era stato mai e poi mai permesso di uscire, ragion per cui saltò in piedi, appena percepì il suono della cancellata che si apriva. Di accompagnatori non ce n’erano, il che voleva dire che il Giardino aveva composto un percorso per lui, per condurlo chissà dove e chissà con chi.
Adrian infilò rapidamente la maglia bianca a maniche corte che fino a poco prima era abbandonata sciattamente sul cuscino e trattenendo la sigaretta fra le labbra, si affrettò a correre fuori dalla cella. Finalmente gli era concesso uscire di lì e non avrebbe atteso un solo minuto.
Un passo dopo l’altro, Adrian vide il Giardino formare camaleontici corridoi di gerbere rosse e bianche, tappeti di vivide violette, muri di vite americana e con quelle ondate di colori, scoppiavano i profumi più intensi. Era conscio, l’ex Mangiamorte, che non sarebbe stato lui a scegliere il percorso da intraprendere, così che non tentò neanche una volta di imporsi, limitandosi invece ad accelerare il passo, in modo da poter raggiungere la meta scelta per lui nel minor tempo possibile.
Si fermò solo alla fine di un corridoio di rose, che si chiuse alle sue spalle in un batter di ciglia.
 
- Ad…-

 
 
Sorrise d’istinto, mentre quel che rimaneva della sigaretta cadde nell’erba e Adrian non si premurò nemmeno di spegnerla. Quel sussurro appena accennato sapeva bene a chi appartenesse.
 
- Ellie. -
 
Adrian si volse alla propria destra e rimase fermo, con quello stupido sorriso ad increspare il viso coperto di barba rossastra, mentre gli occhi sormontati dalle folte sopracciglia puntarono lei.
La vide, rannicchiata a terra con un braccio stretto intorno alle ginocchia coperte dai jeans consumati e la mano libera sospesa sopra l’erba. Della gramigna si muoveva convulsa in direzione del palmo candido e Adrian sapeva che fosse Elyon, a farla crescere così. L’uomo calcò il viso spigoloso di lei, cinto da quegli indistinguibili capelli cangianti di fuoco e tagliato dallo sgomento di chi ha visto resuscitare un cadavere.
Era proprio bella, la sua Ellie.                                                                            
Non un’altra parola saltò dalle labbra che scoprivano appena i denti candidi, ma un balzo, agile e nervoso, raddrizzò il corpo longilineo della strega che esitò qualche istante, prima di correre con la forza di una leonessa nella sua direzione.
Fu allora che Adrian spalancò le braccia, per accogliere con un’unica e salda stretta la donna che amava.
I suoi capelli profumavano come i campi d’estate; quell’odore lo ricordava bene, Adrian Reed, perché ogni volta che aveva avvicinato il naso lungo a dell’Amortentia, la pozione glielo aveva sempre rimandato indietro.
Come aveva fatto a sopravvivere senza contare le vertebre della sua schiena segnata dalle cicatrici, senza affondare nella sua criniera vermiglia, senza quella pelle candida da saggiare, così come le labbra piene.
Come era sopravvissuto senza i suoi occhi brillanti di lucente verde, senza la sua voce vibrante e le sue dita nervose.
Se lo chiese, Adrian, mentre sentiva le braccia di Elyon aggrappate al suo collo, nell’arduo intento di non lasciarlo andare via. La allontanò appena da sé con grande sforzo, ma giusto il tempo di rimirarla appena, prima di agganciarsi alla sua bocca, affamato di un suo bacio.
Lo fecero, di baciarsi come dei ragazzini. Con la stessa voglia e con la disperazione di due amanti separati per troppo tempo.
La amava fortemente, ormai non poteva più negarlo a sé stesso ed era conscio non l’avrebbe fatto nemmeno con lei, non più. Sarebbero stati dalla stessa parte, fino alla fine e avrebbero lottato contro tutti i mostri che avrebbero osato mettersi ancora una volta fra di loro. Perché Adrian e Elyon erano sbagliati, sporchi, maledetti, ma insieme erano perfetti e solo la morte avrebbe potuto spingerli lontani.
Un applauso cadenzato e ritmico li costrinse a staccare le labbra screpolate dall’affannoso bacio; fu allora che Adrian strinse un fianco di Elyon e si volse, con coraggio, in direzione di quel rumore.
Robert Steiner continuava ad applaudire, arrestandosi solo una volta ricevuta l’attenzione di entrambi. Sorrise, il dottore, nel guardare i due innamorati che si erano appena ritrovati. Sorrise di un sorriso malvagio e spaventevole, prima di parlare loro:
 
- Ora che ho la vostra attenzione, meine lieben, gradirei che mi seguiste. Con voi non voglio farlo, quindi non costringetemi ad usare la bacchetta. -

 

 
*Rapidissima premessa: so che sono saltate tutte le immagini pubblicate nel corso del tempo. Provvederò a sistemarle piano piano, ma intanto ho pensato di pubblicarne in questo capitolo, così per rinfrescarvi un po' la memoria.*

Cari lettori.
No, non sono sparita, non potrei mai abbandonare questa storia, specialmente ora che è quasi giunta al termine. Purtroppo nei mesi passati ho avuto a malapena il tempo di vivere qualche ora senza pensare al lavoro e ad altre brutte cosine; ora, durante questa tragedia che ha colpito tutti noi, ho almeno trovato il tempo di riprendere in mano il Giardino e questo è il risultato.
Avrete notato che i personaggi di Lucas e Joshua sono apparsi fugacemente; non mi dilungherò in eccessive polemiche, ma ho piacere a spiegarvi il perché di questa mia scelta: so che tutti voi amate questa coppia, ma avevo destinato, per loro, una brutta fine. Le loro rispettive autrici, difatti, sono sparite per mesi, salvandosi giusto alla pubblicazione dell’ultimo capitolo in quanto mi hanno lasciato due righe scarse di recensione a testa. Ora, nel rispetto delle regole, io ho deciso di non eliminare Lucas e Joshua come successo per Maze, proprio per questa loro apparizione, ma per rispetto mio e vostro, che siete sempre così presenti, carine ed accorte nei confronti di questa storia, mi è sembrato giusto dedicare a questi due oc il minor spazio possibile. Del resto avete visto con quale frequenza ho pubblicato gli ultimi capitoli; sono passati MESI tra un capitolo e l'altro e francamente mi sento un po’ presa in giro, perché non penso non si abbia avuto il tempo nemmeno per scrivermi una frase e per assicurarsi che l’oc costruito (suppongo con amore), abbia il finale che merita.
Detto questo, tornando a noi e a questa storia, sappiate che io sono a pezzi. Scrivere questo capitolo è stato difficilissimo e ancor più, temo, lo sarà il prossimo, ovvero l’ultimo prima dell’epilogo. Stiamo tirando le somme e io ho piacere nel ringraziarvi, per essere stati con me fino ad oggi: per aver fatto congetture, avere amato, compreso, apprezzato ognuno di questi oc. Davvero, non ho abbastanza parole per ringraziarvi.
Ok, ora che mi sono un po’ sciolta, voglio fare un pochino di spam: come già accennato precedentemente, Louis Murray è un mio oc e sicuramente, assieme a Matilda, ha un posto speciale nel mio cuore. A lui inizierò a dedicare una mini long (o meglio, due mini-long) di cui già ho pubblicato il prologo tempo fa. Vi lascio il link, sperando che abbiate il piacere di fare un saltino da lui.
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3876248&i=1
 
 
Quindi: siete pronte al gran finale?
 
Io non molto, per questo vi chiedo di tenermi per mano.
 
Bri

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Capitolo 17
*** Il Dottore ***


 
 
CAPITOLO XV
Il Dottore

 
‘ Liebe (1) Bonnie,
Perdona ancora una volta questo mio inglese, ma sto studiando per migliorare la mia lingua e il mio scritto, così quando arriverò in Inghilterra parleremo bene.
Ho ricevuto la tua ultima lettera e sono stato molto contento: sai Bonnie, credo che il tuo aiuto per me è importante e spero tanto di conoscere presto tutte le persone di cui tu mi ha parlato, Lui per primo, ma bisogna che io aspetta ancora un po’.
Sono felice di sapere che der kleine Adrian abbia di salute, anche se tu mi dici che il suo animo è (come tu hai detto) “turbolento”. Sono molto curioso di conoscere presto questo bambino e di abbracciare te, è tanto tempo che noi due non ci vediamo, forse da quando sei venuta qui in München, ormai nove primavere dietro.
Volevo darti sicurezza: i miei bagagli sono quasi tutti pronti e fra tre settimane arrivo con la passaporta che mi porta in Londra. Ci vediamo presto.
 
Robert Malus Steiner,
 
Il giovane apprendista medimago piegò la pergamena con la meticolosità che gli era propria, prima di inserirla in una busta color crema sulla quale era impresso il nome di Bonnie Reed, sua cugina. Affidata al suo miglior gufo, il ragazzo si guardò intorno mentre, al di fuori della finestra della sua camera, il rapace stagliava il cielo particolarmente terso, sfiorando i tetti degli edifici di Monaco. Era tutto pronto e presto, molto presto (era difficile mantenere un contegno, tanto era la frenesia che lo pervadeva) il giovane Robert sarebbe arrivato in Inghilterra.
I suoi genitori ambedue provenienti da facoltose famiglie purosangue, inizialmente avevano preso il suo interesse nei confronti di questo mago che si faceva chiamare ‘Lord Voldemort’ in maniera positiva; eppure man mano che arrivavano loro notizie da parte di alcuni parenti siti in Inghilterra, fu abbastanza normale cambiare il proprio punto di vista. Questo Lord Voldemort mostrava difatti idee oltranziste - troppo invero - e la schiera di personaggi che lo circondavano apparivano assoggettate a lui. Più che streghe e maghi pronti a condividere i concetti che vi erano alla base della dialettica di questo mago così potente, sembravano le sue marionette.
Ma Robert, giovane e indipendente, aveva seguito passo dopo passo i movimenti di Tom Riddle e quando una sera di ritorno dal proprio tirocinio, informò i suoi cari di volersi recare in Inghilterra, Azius e Hester non ne rimasero affatto sorpresi. Così, a malincuore, videro il figlio armeggiare con i propri bagagli, pronto per lasciare Monaco e raggiungere la cugina in terra anglosassone.
 
 
Le labbra si stesero in un sorriso delicato mentre il passo, che non mostrava nessuna frenesia, si manteneva regolare. Davanti a Robert, estremamente teso e con le braccia strette intorno all’ampio torace, Adrian si girava di tanto in tanto solo per osservare Elyon, la quale procedeva alla destra di Robert. Le espressioni di entrambi non lasciavano spazio all’immaginazione, rimandando rabbia, tensione, delusione, ma Robert non dava a queste molto conto, anche se non gli sarebbe affatto dispiaciuto intravedere un velo di paura da parte di almeno uno dei due. Eppure il dottore conosceva molto, molto bene sia Adrian che Elyon e infondo al proprio animo, sapeva che non avrebbe dovuto aspettarsi una simile emozione. Ne avevano passate talmente tante, nelle loro povere vite, che l’unico modo per far provare loro paura non era che quello che stava attuando Robert: minacciare l’incolumità dell’amato. Fin tanto quindi che i due si muovevano insieme (e incolumi) era sicuro non avrebbero tremato.
Mentre si avvicinavano alla porta corrosa di rossa ruggine che li avrebbe condotti all’interno della villa, Robert soppesò la figura di Adrian, il cui volto che cominciava ad essere segnato dalle prime rughe, celava i tratti fisionomici di quel ragazzino che aveva visto crescere.
 
“Moooom! È tornato! È tornato Robert!”
 
Adrian abbandonò il piccolo cappio a terra, con il quale stava tentando la cattura di alcune lucertole che tentavano di godere del sole che illuminava il giardino del villino dei Reed. Corse in direzione dell’Audi dalla quale scese il giovane medimago: quest’ultimo aveva il viso illuminato da un ampio sorriso e una scintilla di eccitazione bruciava gli occhi verdi. La bellissima Bonnie si affacciò dal portone del patio: si pentì subito di aver lasciato il proprio viso sprovvisto di trucco, così come di non aver acconciato i lunghi capelli biondi; dall’auto, al fianco di Robert, vide spuntare Igor. Non se l’aspettava affatto in realtà, visto con quale lentezza giungeva a fare visita a lei e suo figlio. Eppure sentì il cuore cominciare a battere fortissimo, come ogni volta che il compagno dagli stessi capelli di Adrian, metteva piede in quella sua prigione dorata. Differente fu invece la reazione di Adrian: il ragazzino frenò l’entusiasmo di ricongiungersi con il cugino tedesco non appena capì che quello non fosse solo. Igor, rosso d’imbarazzo, tentò di avvicinarsi ad Adrian, ma quest’ultimo scappò via non dando peso al tanto sgridarlo di Bonnie; non che a lei interessasse davvero che Adrian costruisse un rapporto sincero col padre; temeva invece la brutta figura davanti all’uomo che amava, ma fortunatamente a spezzare la tensione del momento fu Robert il quale disse qualcosa in tedesco con voce particolarmente allegra per poi passare all’inglese, invitando entrambi ad entrare dentro casa.
Davanti a del bourbon, Robert cominciò a narrare del suo primo incontro con Lord Voldemort in persona.
 
“Tutto grazie a Igor! Si è dimostrato davvero buono amico, mia cara cugina! Non pensavo mai che dopo nemmeno ein jahr(2), Lord Voldemort mi abbia incontrato! “
 
Igor, di tutta risposta, piegò le labbra in un sorriso sbieco ed alzò il bicchiere in direzione di Robert, nonostante gli occhi cerulei puntavano Bonnie: “L’ho fatto con piacere. Non appena gli ho parlato di te, il Signore Oscuro si è mostrato molto interessato; Bonnie cara… “ disse, passando dichiaratamente a lei, “Ha detto che sarebbe perfetto, se avesse fra i suoi più personalità come quella di Robert. Non solo un medimago promettente e uno scienziato dalle affinate capacità analitiche, bensì una mente sopraffine! Avresti dovuto vedere come si è mostrato interessato a lui… e fidati di me: Lord Voldemort difficilmente mostra reale interesse per qualcuno.”
 
Bonnie si sforzò di sorridere, nonostante sentisse il petto andare in fiamme; da un lato sperava che l’accostarsi di Robert ai Mangiamorte avrebbe fatto si che anche lei guadagnasse qualche posto di rilievo, dall’altra sentiva la gelosia galoppare. Lei non aveva mai conosciuto Lord Voldemort, tantomeno buona parte delle personalità purosangue con cui si accompagnava. Ancora una volta, fu Robert a scrollare via i pensieri malevoli dalla sua mente, rivolgendosi direttamente a lei: “Ha detto che, insieme, possiamo fare grandi cose, perché le nostre teste… come è che ha detto lui, Igor?”
 
“Viaggiano sullo stesso binario.” Gli andò incontro Igor, mantenendo quel sorriso sghembo che tanto faceva girare la testa a Bonnie. La strega si abbandonò ad un sospiro, prima di scolarsi il bicchiere e riempirlo di nuovo; non le restava che sperare in Robert: in fondo se il ragazzo era riuscito ad entrare in contatto con Lord Voldemort, il merito non era che suo e se davvero fosse rientrato nelle grazie del Signore Oscuro, avrebbe dovuto ricambiare il favore. Sorrise con fiducia, Bonnie, mentre sentiva un'altra ondata di bourbon scaldarle la gola: finalmente le porte del successo le se sarebbero spalancate davanti e con quelle, sperava fortemente, la totale abnegazione da parte di Igor il quale travolto dall’eccitazione, da lì a qualche ora, l’avrebbe fatta sua nella camera da letto posta al piano superiore.
 
Adrian fu il primo ad attraversare il cunicolo in cui imperversavano venti violenti; lo aveva percorso decine e decine di volte, ma era la prima da prigioniero. Uscito da lì, la sola cosa che gli premette fu voltarsi indietro, in attesa di vedere sbucare Robert e Elyon, la quale non aveva abbandonato la sua rigida espressione, sebbene fosse lievemente frastornata. Le ampie vetrate dell’androne a cui si accedeva dal cunicolo, rimandavano una fioca luce rossastra, merito del sole in tramonto, che stava lasciando spazio alla notte. Mentre seguiva Robert, Elyon si chiese se quella sarebbe stata una notte di luna piena, nonostante non lo credesse affatto; in prossimità di quella, difatti, il suo corpo le rimandava sempre dei segnali ben chiari e la frenesia si incastrava fra le fauci, come volesse prepararla ad un sontuoso banchetto. No, rispose a se stessa: questa deve essere una notte senza luna.
I tre camminarono a lungo, attraversando l’enorme edificio lungo tutto il suo intero perimetro: passarono per sale buie e dismette, altre invece sistemate a regola d’arte, con evidenti segni di vita vissuta; calpestarono il marmo di un laboratorio che odorava di disinfettante e Elyon non ebbe il coraggio di guardarsi sufficientemente intorno, con la paura di cogliere indizi di qualche sevizia, magari nei confronti di Lucas, che non vedeva ormai da tantissimo tempo. Infine, proprio nel momento crepuscolare, il gruppo di tre varcò la soglia di un chiostro, circondato da una serie di colonne di marmo delineate da foglie d’acanto e capitelli erosi dal tempo. Al centro di esso, illuminati dalle ultime luci, vi erano legati e imbavagliati Lucas e Joshua i quali, nello scorgere il dottore, cominciarono ad agitarsi, tentando persino di urlare qualcosa che i bavagli assopirono.
 
- Calmatevi, cari ragazzi. Noi non siamo che i primi ospiti, ma dobbiamo aspettare gli altri, prima di dare il via alle danze. -
 
*
 
Quando Martha vide arrivare un paio di uomini incappucciati di nero (non sapeva dire se fossero i Mangiamorte che erano ormai soliti frequentare il Giardino oppure no), avvicinarsi a lei, Odette e Cora, non poté dire di non aspettarselo. Capitava sempre più di frequente, difatti, che qualcosa in lei scostasse il velo che divideva la realtà tangibile, da un altro piano fisico e temporale. Martha era sempre stata abbastanza scettica, in realtà; non era mai stata una grande fan di sé stessa, sotto quel punto di vista e delle sue doti extraordinarie (come amava chiamarle Phil) non si fidava più di tanto. Eppure, nei lunghi mesi passati nella prigione verdeggiante, pare che essi si fossero potenziati in qualche modo.
Per questo motivo, Martha ordinò prima del tempo a Odette di tacere; la strega si era bloccata e dopo qualche secondo aveva sgranato gli occhi e guardato la bionda come se fosse tutto chiaro e Cora aveva assistito al muto scambio fra le due, mantenendo un sopracciglio molto inarcato. Ci sarebbe mancato che a lei arrivasse fra capo e collo una profezia e il club delle acute sarebbe stato al completo.
 
- Posso sentire i loro pensieri,- bisbigliò la medimago, - stanno cercando proprio noi. –
 
E di fatti, di lì a poco, videro sbucare dietro una siepe, proprio due figure nerovestite. Con grande stupore dei due uomini, le tre si fecero trovare in piedi, con le braccia conserte ed espressioni alquanto minacciose. Martha, al centro fra le tre, fece un passo avanti e prese la parola: - Bene, signori, dove volete portarci? –
 
 
*
 
Elyon si guardò intorno e rimase fortemente spaesata dalla visione di quel chiostro, che a breve si sarebbe immerso nel buio della notte. Mentre su di Adrian venne posto subito un incarceramus, che lo obbligò ad inginocchiarsi a terra, lontano dal colonnato circolare, Elyon obbedì all’ordine di Steiner di occupare un capitello avulso della colonna, sul quale era impresso il simbolo η. Il dottore, invece, si incamminò verso Joshua e Lucas, mentre ondeggiava la bacchetta con un movimento placido: da essa un getto di luce dorata fece fluttuare via i due, allontanandoli dal centro del chiostro.
 
-Questo non è il posto che spetta a voi. – Si limitò a dire, mentre i due uomini ricadevano mollemente in un angolo buio di quel chiostro. Elyon seguì il fluttuare con lo sguardo; era difficile non reagire in alcun modo, ma sapeva benissimo che Robert si sarebbe aspettato un movimento falso da uno di loro due. Pregò, infatti, che Adrian non facesse colpi di testa: dovevano aspettare il momento opportuno per sperare di farla franca.
Ma Robert, in realtà, non stava prestando attenzione né a Elyon, tantomeno ad Adrian; le pupille avevano ridotto le iridi a fili sottili, mentre percorrevano la figura tramortita di Lucas; pensò che Martha sarebbe dovuta arrivare da un momento all’altro, come da accordi. Da un lato Robert si era pentito di aver coinvolto la strega in tutta quella faccenda, visto la reazione che ebbe quando incontrò il nipote; dall’altro il dottore non poteva negare a se stesso che, se era giunto a quel punto, se era stato in grado di maturare  le conoscenze tali da permettergli di costruire il Giardino, era anche per merito della Mangiamorte.
 
 
Martha era stata l’ennesima rivelazione, per Robert; certo, la giovane donna non poteva essere paragonata alla grandiosità di Camilla, ma il mago tedesco capì dal loro primo incontro, che la strega seguace di Lord Voldemort gli sarebbe tornata molto utile. La Mangiamorte si trovava ad un gradino inferiore rispetto Bellatrix Lestrange, era cosa ovvia a chiunque, eppure questo non aveva mai impedito alla donna di investire ogni briciolo di se stessa per accontentare il Signore Oscuro, facendole presto guadagnare fama e rispetto. Con lei, il giovane Steiner aveva intrapreso lunghe conversazioni in merito alla conservazione della purezza del sangue magico e si era sentito piacevolmente appagato, nel riscontrare che le sue idee non proprio convenzionali, riguardo all’impiego della magimedicina, erano state accolte da Martha con ampio consenso. Inizialmente le confidò quasi con timidezza le modalità con cui avrebbe manipolato la magiscienza per intervenire sulle creature magiche così dette “inferiori” (Licantropi e Centauri non erano esclusi dalla conta), in un certo qual modo impaurito da una possibile reazione di sdegno da parte della giovane strega dai lunghi capelli dorati; eppure Martha lo lasciò piacevolmente stupito, arrivando addirittura a parlargli del nipotino ancora in fasce, di cui lei si sarebbe sbarazzata più che volentieri. Robert Steiner, affascinato dalla strega e dal ruolo che ricopriva, aveva presto iniziato a corteggiarla con la classe che gli era propria e Martha ci aveva messo ben poco a cadere vittima del fascino di questo brillante dottore tedesco, nonostante Robert avesse da subito chiarito che non avrebbe mai e poi mai anteposto la propria vita personale alla missione dei Mangiamorte. Di metter su famiglia, in buona sostanza, non se ne sarebbe mai parlato. Ma la relazione fra i due funzionò immediatamente proprio perché ciò che li univa non era di certo l’amore nei confronti dell’altro, bensì quello riposto nell’ideologia ancorata a Lord Voldemort.
Quando giunse il nefasto 1981, Robert e Martha erano già fortemente legati; seppur un iniziale sgomento fosse sopraggiunto loro, una volta appresa la notizia della scomparsa di Lord Voldemort a seguito dell’incontro con i Potter, non persero mai totalmente la fiducia: Robert, che aveva già iniziato a porre la propria attenzione allo studio delle anomalie delle dinamiche temporali, decise di buttarsi a capofitto sull’argomento, fermamente convinto che prima o poi sarebbe riuscito a trovare il modo di sfruttare il tempo a proprio piacimento. Martha fu la sua fedele alleata. Fu lei, una mattina di ottobre del 1984 a presentarsi da lui con un paio di antichi testi, provenienti dall’oracolo di Delfi.
 
“Mi avevi chiesto di approfondire le tue ricerche. Penso che qui dentro potrai trovare del materiale molto interessante.”
 
Robert afferrò i tomi con piglio circospetto e prese a sfogliarli con cura, delicatezza e tutto il rispetto che dei testi tanto antichi meritavano. Come Martha fosse arrivata a possederli, non era una domanda che Robert avrebbe posto alla bionda strega che lo guardava con un sorriso soddisfatto e che, non appena lo sguardo chiaro di lui prese a concentrarsi sulle lettere di greco antico, finì per puntualizzare: “immagino che molti abbiano pensato sia solo una leggenda, ma potrebbe non essere così: si parla chiaramente di uomini e donne in grado di camminare nel tempo. Cronos stesso benedisse i primi… “
 
Il mago interruppe il flusso di parole con uno stizzito gesto della mano: aveva esigenza di approfondire da sé. Nonostante Martha fosse visibilmente contrariata, si limitò a borbottare qualcosa, prima di lasciare Robert solo nel suo studio, con l’interessante lettura fra le mani.
La bacchetta fece il proprio lavoro, traducendo in simultanea l’arcaica lingua e l’uomo impiegò poco tempo a individuare la porzione di testo di suo interesse.
 
*Cronos, padrone del tempo, decise di premiare un essere umano e una creatura marina che si erano perdutamente innamorati, ma che per ovvie ragioni di diversità di specie non erano in grado di procreare. Cronos decise così di fare loro dono di una figlia, ma in cambio avrebbero dovuto sacrificare la cosa più preziosa che avevano e, pegno ancora peggiore, avrebbero dovuto donare loro figlia a lui come sposa, una volta che avesse compiuto la maggiore età. Presi dal momento, la coppia decise di acconsentire, sacrificando una rarissima fenice appartenente alla famiglia dell’umano; così la notte a seguire, sulla spuma del mare del loro nido d’amore, planò una culletta e da essa un vagito dolce scaldò il cuore degli amanti: avevano ricevuto loro figlia, come promesso dal dio del tempo; no, non era una bambina come le altre, ma una splendida creatura capace di librarsi in volo a piacimento. Gli anni passarono e la bambina crebbe felice, ricoperta d’amore. Alle porte del suo quattordicesimo compleanno, però, i genitori non si sentirono pronti a staccarsi da lei; così corsero a chiedere aiuto all’oracolo del piccolo paese ellenico e la donna, munita di un occhio velato, predisse un futuro nefasto per la ragazza, se i genitori si fossero ostinati a non cederla a Cronos; aggiunse però, con grande sollievo dei due innamorati, che se avessero rinchiuso la giovane all’interno di una delle torri magiche del paese e avessero utilizzato una chiave speciale consegnata da lei stessa, per chiudere la porta d’ingresso, il dio non sarebbe riuscito a trovarla.
Così fecero. La ragazza passò due anni rinchiusa in quella gabbia possente, che la tutelava da un lato, ma che le impediva la libertà dall’altra. Ebbene, una calda notte d’estate, la giovane decise di librarsi oltre la finestra della torre e spiccò il volo, ma nell’esatto istante in cui volò fuori di lì, i sottoposti di Cronos la trovarono. A nulla servì tentare di scappare, perché le semidivinità che la catturarono erano ben più forti di lei. Durante il tragitto che l’avrebbe condotta dal dio Cronos, la ragazza urlava e cantava delle sue disgrazie e la sua magica voce arrivò, per buona sorte di lei, alle orecchie di un eroe che stava compiendo incredibili gesta nel Peloponneso. Il ragazzo si fece trascinare dall’onda luminosa della voce di lei, speronò il suo cavallo e corse in quella direzione, appena in tempo per far saltare l’imminente matrimonio con il dio del tempo.
Cronos, adirato, lanciò potenti incantesimi contro il mortale ma quest’ultimo –a seguito di un grande servigio- aveva ricevuto da Atena uno scudo speciale, molto simile a quello della stessa dea, con il quale l’eroe riuscì a respingere ogni sorta di incantesimo. L’ultimo rimbalzò indietro e finì per colpire il dio, segregandolo infine nelle profondità della terra e riuscendo a salvare la giovane donna. Durante lo scontro e grazie al magico scudo, una parte dei poteri di Cronos vennero assorbiti dai due giovani: essi furono in grado di camminare lungo le linee temporali. I due giovani figliarono, e trasmisero il potere alle generazioni future.*
 
 La lettura della breve favola, lasciò molto pensieroso il dottor Steiner. Sebbene lui fosse un uomo di scienza, la sua mente non riusciva a separarsi dal pensiero che si trattasse pur sempre di trascrizioni dell’Oracolo di Delfi e che del vero doveva essere nascosto all’interno del linguaggio nebuloso e costruito. Le dita presero a massaggiare le tempie sporcate di capelli sottili e chiarissimi: e se questo potere, questa antica magia fosse davvero passata di generazione in generazione? Sarebbe esistito ancora oggi qualcuno che avesse conservato dentro di sé, in maniera latente, un barlume di questo atavico dono? La sua curiosità non riuscì ad arrestarsi a quel pensiero così, dopo aver ordinato all’elfo domestico di portargli una tazza di caffè, Robert era tornato a concentrarsi sulla lettura. Non ricavò altro di utile, all’interno del testo ma quella stessa notte, mentre stringeva i fianchi di Martha esplodendo con lei in un magnifico amplesso, una rivelazione riverberò nella mente: se fosse esistito qualche essere umano in grado di giocare con il tempo, sapeva dove avrebbe potuto trovare quell’informazione.
 
*
 
Non seppe spiegare a se stesso la gioia che provò quando incontrò, dopo alcuni giorni di lontananza, il magifabbro. Alistair quasi non sembrò fare caso al fatto che, al suo fianco, ci fosse Roxanne, con un viso scuro in volto. Il babbano uscì dalla sua cella e si gettò ad abbracciare Yann, il quale ormai si stava abituando sempre di più agli slanci calorosi di questi giovanotti pervasi dalle emozioni. Quando si staccarono, Alistair volse il capo verso Roxanne e non riuscì ad evitare che le sue orecchie andassero a fuoco. La donna però non sorrise; al contrario il suo volto era contrito e la tristezza fluttuava nei suoi occhi chiari, rivolti a lui con attenzione.
 
- C-credo c-che non stia su-succed-d-dendo nulla di b-buono, vero? -
 
Yann premeva il palmo della mano sulla spalla sporgente di Alistair, mentre guardava Roxanne con complicità e rassegnazione. Lei, di contro, trattenne un sospiro, prima di rivolgersi al giovane babbano: - Devi venire con noi Alistair… ordini del dottore. –
 
- Ti ho detto che troveremo una soluzione, non fare quella faccia. – Yann ammorbidì il tono solitamente sempre tanto burbero, quando si rivolse alla strega; quest’ultima annuì, ma Alistair notò che la tristezza non l’aveva abbandonata.
 
-Volete s-spieg-garmi c-cosa succede? D-dove s-s-stiamo andando? –
 
La risposta non arrivò né da Roxanne, tantomeno da Yann. Alistair stava cominciando ad innervosirsi e non capiva il motivo per il quale i due sembravano tenergli nascosto qualcosa di molto grosso. Quando arrivarono alla porta consumata, che Alistair aveva attraversato parecchie volte nel corso dei mesi di prigionia, si bloccò di botto, pretendendo qualche tipo di spiegazione. Yann si accostò a lui, spalla a spalla e sussurrò con voce roca, mentre Roxanne anticipava i due nell’attraversamento dei cunicoli ventosi.
 
- Siamo strettamente sorvegliati. Anche io non so molto, ma credo che oggi inizierà la fase due degli esperimenti di Robert Steiner. -
 
Alistair si ammutolì; sentì un brivido gelido, poi un improvviso calore pervadergli il volto. Qualunque cosa fosse quella fase due, pensò mentre tentava di lottare contro il vento all’interno del cunicolo, non sarebbe stato affatto semplice affrontarla.
 
*


 
Per la prima volta da quando era stato portato nel Giardino, ad Alon fu permesso di uscire dai confini di esso. Il ragazzo era stato prelevato da un Mangiamorte che non aveva mai visto prima, accompagnato da William il quale, al solito, aveva dipinta sul volto una rilassata espressione di rassegnazione. Assieme giunsero ad una porta malconcia che Alon sospettò essere il congiungimento con un’ala a lui sconosciuta, superarono i cunicoli ventosi e giunsero all’interno di un grande atrio. Fu subito evidente che le condizioni climatiche non fossero le stesse del Giardino; probabilmente erano arrivati in un luogo “reale”, forse lo stesso in cui soggiornavano i Mangiamorte e lo stesso dottor Steiner. Passo dopo passo, Alon tentò di rivolgere delle domande a William, ma ad ogni tentativo il Mangiamorte lo redarguiva, fino ad arrivare a minacciarlo sul serio: dovevano starsene zitti e seguirlo senza comunicare.
Non c’era assolutamente nulla di buono, in quella situazione. L’atmosfera era tesa, come se una forte umidità rarefacesse l’aria al punto di permettere con difficoltà la respirazione. Il sole oltre i vetri che mostravano l’esterno, sembrava basso e in procinto di tramontare: era un tramonto vero, non come quello artificiale che aveva preceduto l’arrivo della luna, il giorno in cui Mazelyn Zabini perse la vita. Alon cominciò a sentire brividi di freddo; che quella fosse paura? Probabile fosse così.
Quando il grande chiostro si aprì alla loro vista, William si concesse di sgranare appena gli occhi: il sole dipingeva sanguigne linee sui capitelli posizionati in circolo e alberi scheletrici, sebbene la primavera entrante avrebbe dovuto ricoprirli di verdi foglie gravide, proiettavano ombre oblunghe su di essi, come presagi di morte. William notò con estremo stupore che alcuni dei suoi compagni erano posizionati su alcuni dei capitelli posizionati in circolo, mentre tre capitelli in parte ancora vuoti, uno di fianco l’altro costituivano il nucleo. C’era Elyon, che torturava nervosamente il lobo dell’orecchio mentre lanciava occhiate a Adrian Reed, trattenuto da corde invisibili ai margini del chiostro. C’era Alistair, in piedi su uno dei capitelli in linea all’interno del cerchio, che tremava visibilmente anche a metri di distanza. C’era Yann, braccia incrociate e sguardo torvo e quando lui e Alon giunsero, il dottor Steiner ordinò al Mangiamorte che li aveva condotti fin lì di posizionarli a dovere. Alon finì sul capitello opposto a Yann, mentre lui si guadagnò il posto al fianco destro dell’ibrido. L’atmosfera si faceva sempre più tesa, perché il dottor Steiner non permise a nessuno di loro di porgli alcuna domanda. Addirittura il mago arrivò a lanciare un incantesimo silenziatore a Lucas e Joshua, che erano stati estromessi da quell’inquietante cerchio e si trovavano legati l’uno all’altro al lato opposto rispetto a dove si trovava Adrian Reed. Due Mangiamorte camminavano avanti e indietro, passando vicino agli ostaggi e minacciandoli di tanto in tanto di non tentare mosse azzardate, come dare sfoggio di atti eroici improvvisati.
La situazione mutò rapidamente quando tornò Roxanne Borgin, seguita dal passo leggero di Jules; nel vederla arrivare sia Yann che Alon tirarono un sospiro di sollievo e lo stesso William non riuscì a trattenere un sorriso. Solo a quel punto Robert Steiner allargò il sorriso, così come le braccia e si rivolse alla tassorosso la quale, d’istinto, aveva allungato il passo in direzione di Alon nella speranza di guadagnarsi un posticino al suo fianco:
 
- Piccola mia, quello non è posto per te. – Accompagnato da un tetro sorriso, Robert indicò il capitello che rappresentava l’ombelico del cerchio, - A te, adorata Jules, spetta il posto d’onore. Da brava, vai lì. -
 
Jules guardò Alon con gli occhi lucidi, in una muta richiesta d’aiuto. Al ragazzo si spezzò il cuore. Avrebbe voluto dire qualcosa, mettersi in mezzo e pretendere che Jules gli rimanesse accanto, ma qualcosa dentro di sé lo stava avvisando di non dire una sola parola; se si fosse ribellato, probabilmente sarebbe stato estromesso dal cerchio come Lucas e Joshua e a quel punto non sarebbe potuto essere di alcun aiuto per Jules, né per nessun altro. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma sentiva che non doveva commettere passi falsi. A quel punto allungò una mano in direzione della giovane tassorosso e solo dopo che lei ricambiò la stretta con le dita piccole e fragili, lui sussurrò: -Fai come ti dice. Io sono qui, sarò sempre qui. Non mi muoverò di un passo, intesi? –
 
Jules avrebbe voluto rispondere. Si sentiva frastornata, destabilizzata e impaurita come non mai; però decise di essere forte e di credere alle parole di Alon che non l’aveva mai tradita in tutti quei mesi e che le aveva sempre dimostrato sincero affetto. Passò un polso sugli occhi, per asciugarli per bene dai goccioloni salati che avevano imperlato la linea inferiore (Alon deglutì e si trattene dal non piangere a sua volta) e con titubanza abbandonò  la mano di lui. Passò invece a fissare quel capitello sul quale era scolpita una grande gamma, poi si incamminò e vi ci si posizionò sopra, solo dopo aver fissato Alistair, tremante al suo fianco ma che tentava anche lui di trasmetterle conforto con lo sguardo.
Robert annuì con soddisfazione. Aveva avuto il timore che quella ragazzina che aveva visto crescere si fosse ribellata e che lui avrebbe per questo dovuto prendere degli spiacevoli provvedimenti. Non aveva alcuna intenzione di fare del male a Jules e non solo perché una minuscola parte di lui era arrivata ad affezionarsi a quella strana streghetta volante: Jules era colei che aveva portato Robert Steiner a rintracciare e catturare i reclusi di quel Giardino. Jules Airgood, lo sentiva, sarebbe stata la sua arma, senza la quale non sarebbe stato in grado di portare a termine l’esperimento.
 
All’interno del suo studio, nel corso degli anni passati in Inghilterra, avevano messo piede un largo numero di pazienti con problematiche di ogni genere, difficilmente diagnosticabili. Robert Steiner era diventato famoso per la sua capacità di trovare sempre e per chiunque la giusta diagnosi, portando spesso e volentieri il paziente se non proprio alla guarigione, quantomeno al miglioramento o alla stabilizzazione. Fu la conoscenza di Jules che mandò per la prima volta in tutta la sua carriera, Robert Steiner totalmente in confusione. I genitori della piccina si erano decisi a portarla da lui dopo aver sentito tanto parlare delle capacità del giovane luminare, speranzosi di trovare per lei una soluzione al più presto. Quel che accadde il giorno in cui Jules Airgood quasi distrusse il suo studio, Robert se lo sarebbe ricordato per sempre; eppure non era la sua capacità di volare, o di manovrare l’elemento dell’aria, ad averlo fatto tanto legare alla piccina. Con il passare del tempo, incontro dopo incontro, anno dopo anno, Robert si rese conto che la piccola Jules possedesse un’altra strana capacità. Durante un piccolo ma innocuo esperimento, accadde qualcosa di molto insolito: Robert sapeva di essere sempre rimasto all’interno dello studio, mentre Jules a seguito dell’ingerimento di una mistura in fase di sperimentazione, si impegnava con tutta se stessa per rimanere ancorata al pavimento. Eppure si ritrovò a sbattere le palpebre, come frastornato, con in corpo una strana sensazione di torpore.
 
“Sono tornata.” Si limitò a cinguettare la piccola. Il dottore sentiva la manina della strega strattonargli un angolo dei pantaloni e notò con stupore che aveva di nuovo le sue pesanti scarpe di ferro ai piedi.
 
“Tornata?” chiese poi, tentando di mantenere un tono rilassato, seppure l’agitazione lo aveva colto di sorpresa. A quel punto Jules, che aveva gli occhi lucidi – segno evidente che dovesse essere spaventata per qualche oscura ragione – si aggrappò con forza alla sua gamba. Spinta a confidarsi da Robert e calmata dalle carezze che l’adulto dedicava al capo di riccioli biondi, Jules sbottò: “Ti sei congelato! Non ti muovevi più… niente si muoveva più! “ gridò fra i singhiozzi. Per quanto Robert insistette, non era stato capace di far spiegare meglio la paziente, che congedò con un lecca lecca ai lamponi e un confortevole abbraccio.
 
All’appuntamento di rito del mese successivo, la piccola Jules si sorprese nel notare che il dottore non fosse solo; difatti una bellissima donna dai lunghi capelli corvini e un sorriso rassicurante sedeva accanto a lui: nelle sue dita, teneva stretto un orologio dorato, a cui l’adulta allungava occhiate che lei non era in grado di comprendere.
 
Kleine wolke (3) , non avere timore: lei è una mia grande amica! Le ho parlato così tanto di te, che non vedeva l’ora di conoscerti. Si chiama Roxanne; ti andrebbe se rimanesse con noi, durante l’ora che passeremo insieme? “
 
Robert conosceva ormai bene la sua paziente e sapeva che, dopo un primo momento di timidezza, non avrebbe detto di no.
La presenza di Roxanne si dimostrò fondamentale: Robert Steiner diede a Jules un comune succo di mirtilli, ma si premurò di farle credere che era una nuova medicina e che avrebbe dovuto impegnarsi ancor più rispetto alla volta precedente, per tentare di ottenere dei risultati. La bambina di soli  9 anni non colse l’inganno e accettò di intraprendere quella nuova via. Sfortunatamente l’esito non fu lo stesso della volta precedente eppure, proprio quando l’ora che avevano a disposizione stava per scadere, Roxanne strinse il polso di Robert Steiner, mentre gli occhi chiari rimasero saldamente legati alle lancette del suo orologio magico che presero a vibrare con solerzia.
 
“È successo qualcosa di anomalo Robert, ne sono sicura!” La voce di Roxanne risultò incrinata e febbrile. Evidentemente si era dovuta contenere più del dovuto e solo una volta che Heron aveva recuperato la figlia per riportarla a casa, la Mangiamorte si era sentita libera di sfogarsi.
 
“Lo sapevo… quella ragazzina è un angelo, una benedizione!” Robert si alzò di scatto e portò le mani alla nuca, in un raro gesto di esaltazione, “Lo capisci mia cara? Questo è un segno! Sapevo che il tuo magnifico orologio avrebbe reagito in sua presenza, lo sapevo! Non mi resta di capire per quale motivo… che sia dovuto alla sua condizione speciale? Oppure… “ Il mago iniziò a camminare avanti e indietro per lo studio –massaggiandosi il mento- , mentre Roxanne lo osservava con attenzione: “… Oppure potrebbe essere il contrario. Il contrario, si. “
 
“Questa volta non credo di riuscire a stare dietro ai tuoi pensieri.” La strega accennò un sorriso, poi si alzò e sistemò con accuratezza maniacale il proprio abito, “ Ma credo che tu abbia bisogno di riflettere da solo. Se avrai ancora bisogno di me, sai dove trovarmi.” Concluse prima di congedarsi con un bacio sulla guancia, un gesto che palesava la reale amicizia che legava i due. Robert quasi non fece caso al fatto di essere stato lasciato solo. In quel momento non faceva altro che ripercorrere con la mente gli incontri con Jules, sentendo nel suo profondo che si trovava sulla strada giusta: sarebbe stata lei la soluzione ai suoi interrogativi, l’arma che lo avrebbe portato alla vittoria. Doveva solo capirne la ragione.
 
*
- Tu sei proprio sicura delle indicazioni che ti ha dato quel delinquente? –
 
Hestia tolse dalla chioma vermiglia una manciata di foglie rimaste incastrate durante l’attraversamento di un tratto boscoso, prima di bisbigliare nei confronti della collega: - Quante volte hai deciso di farmi questa domanda? Hai deciso di seguire la mia pista, quindi non capisco perché continui a borbottare da quando siamo uscite dal Ministero. –
 
- Beh, ti rendi conto che il nome Louis Murray non è affatto una garanzia? Potrebbe averti tirato un brutto scherzo, nonostante tutto. Ma quelli sono muli? – La donna dai tratti spagnoli assottigliò gli occhi in direzione di tre asini che pascolavano, sereni e indisturbati, in una grande radura.
 
- Hai riconosciuto i tuoi simili, che brava! – la elogiò Hestia, prima di beccarsi uno scappellotto dietro la nuca: - Vorrei ricordarti che sono a capo della missione, dovresti portarmi più rispetto. -
 
- Ma se ci ubriachiamo insieme almeno una volta a settimana… sono anni che hai perso di credibilità Mad. Comunque non ti fiderai del signor Murray, ma ti fidi di me, o sbaglio? E io sono sicura che lui non mi abbia mentito. Lo so. -
 
Madeline evitò di indagare oltre. Negli ultimi tempi, ogni volta che si nominava Louis Ludwig Murray, Hestia diventava particolarmente evasiva e tesa. Aveva deciso di fidarsi della sua amica e collega e di seguirla, quindi, lungo il percorso che le avrebbe dovute condurre nei pressi di questa fantomatica Villa. Pare che quella specie di capobanda di Birmingham le avesse indicato più o meno (purtroppo molto meno che più) il luogo in cui doveva trovarsi Robert Malus Steiner. Un luogo nei pressi della cittadina di Amersham, con ogni probabilità nascosto da incantesimi celanti e a cui non bisognava girare intorno utilizzando la magia, se non avessero voluto essere scoperte. Per questo avevano girato per ore a piedi, alla ricerca di qualcosa in quella zona che potesse mascherare l’edificio in cui si nascondeva il dottore. Mentre Hestia continuava a berciare, sparando una lunga quantità di sciocchezze, Madeline venne attratta da un rudere, che affacciava su una strada dismessa, seppur praticabile.
 
- Forse ci siamo! – Madeline cominciò a correre, nascondendosi fra un cespuglio e l’altro, in direzione del rudere. Hestia, di suo, la guardò con un sopracciglio molto inarcato, prima di guardarsi intorno e decidere di seguirla. A tutti gli effetti, quella poteva essere l’abitazione che stavano cercando. La conferma arrivò loro quando videro spuntare da un angolo del rudere, un uomo sulla mezza età, che scrollava il capo da un lato all’altro con circospezione. Un uomo che Madeline riconobbe all’istante essere Faretrus Glome, ricercato dagli Auror per aver infranto un numero considerevole di leggi magiche e con la fama di essere un nostalgico dei tempi di Lord Voldemort. Le due si scambiarono un’occhiata eloquente così, passetto passetto, arrivarono ad accerchiare il mago, al quale prese un gran colpo quando percepì la punta della bacchetta di Hestia Jones contro la sua schiena:
 
- Se non vuoi fare una brutta fine e ci tieni a rivedere i tuoi figli ancora una volta, ti consiglio di rivelarci subito alla Villa. – La voce velenosa di Mad, assieme a un sorriso sottile, fecero deglutire rumorosamente Faretrus: era stato fregato proprio per bene.

 
*
 
Era difficile resistere ai singhiozzi. Quella piramide a tutti gli effetti doveva contenere un potentissimo incantesimo obliviante, che aveva portato Victor a dimenticarsi del tempo trascorso all’interno del Giardino e con esso, delle persone conosciute durante il corso di quei mesi. Per Evangeline tale consapevolezza fu la goccia che fece traboccare il vaso. Victor era stato per lei un balsamo di felicità e grazie a lui era riuscita a mantenere il controllo di sé e scacciare quelle nuvole nere, che avevano oscurato il cielo della sua vita. E ora? Cosa sarebbe accaduto? Sarebbe stato possibile tornare indietro da quell’incantesimo? Non lo sapeva e oltretutto aveva paura a chiederselo. Quando furono portati nel chiostro, la giovane Montague si trovava in uno stato semi catatonico; non riusciva a guardare Victor, che sbraitava e pretendeva gli venisse fornita una spiegazione. Tentò di dirgli di calmarsi, in un raro momento di lucidità, ma si trovò a trattenere i gemiti quando quei bastardi che li stavano conducendo all’interno della villa, per farlo stare buono, lo avevano colpito con una maledizione cruciatus che lo aveva reso praticamente una larva.
 
Questo è solo un incubo, solo un tremendo incubo. Tentò di ripetere a se stessa Evie. La verità però la conosceva bene e forse negarla a se stessa sarebbe stato dannoso, oltre che inutile. Tanto valeva prendere coraggio per essere in grado di affrontare la situazione attuale e quello che sarebbe successo di lì a poco, di cui Evangeline sentiva l’olezzo.
Ma era difficile riuscire a ragionare davvero quando la testa sovrabbonda di pensieri che schizzano da un lato all’altro. Mentre veniva fatta entrare nel chiostro, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era che fino a qualche ora prima era in compagnia di Victor e che poco dopo lui non ricordava più nemmeno il suo nome.
Devi essere forte, devi essere forte continuava a ripetersi mentre seguiva con meccanicità l’ordine di posizionarsi sul capitello segnato dalla lettera lambda.
Forte, molto più di così. Sei una Montague, niente di tutto questo può sgretolarti. Al massimo… al massimo ammaccarti un po’. Ferirti, sì. Sbucciarti il cuore per l’ennesima volta. L’ennesima volta, l’ennesima volta.
 
- Vi starete chiedendo cosa sia successo al nostro magigiornalista con la lingua lunga, non è vero? -
 
Le parole di Robert Steiner, riportarono Evangeline su un piano reale. Con difficoltà rimise la vista a fuoco e alzò lo sguardo verso il dottore, chinato su Victor a stringergli le spalle da dietro, mentre il ragazzo sembrava quasi un cane remissivo. Colpa della crucitus, pensò Evie provando una fitta di dolore.
 
- Il problema è che non possiamo permetterci colpi di testa, cari miei. Ragion per cui ho avuto l’idea di creare qualcosa che sarebbe stato in grado di frenare i più facinorosi di voi. Quella piramide, che ognuno di voi possiede nella propria cella, altro non è che un contenitore d’incantesimi. Essa è stata programmata per esplodere e rilasciare un potente oblivion, se si sono raggiunte dieci ammonizioni. -
 
- Perché? – Fu William a porre la domanda, senza apparente esitazione, - Cancellarci la memoria non è dannoso, per voi? -
 
Robert sorrise nel sentir parlare William. Allontanò le mani dalle spalle di Victor che immediatamente afferrò le gambe con le braccia lunghe e si chiuse in se stesso, quindi si avviò verso William, con passo rilassato: -Ha ragione signor Lewis. Cancellandovi la memoria, perdo tutti i progressi ottenuti nel corso di questi mesi, rendendovi inutili allo scopo ultimo. Ma dovete sapere che il mio è un gesto di estrema magnanimità: piuttosto che eliminarvi, preferisco cancellare le vostre memorie e resettarvi. –
 
-Tzk… non lo fa per noi, lo fa perché ha bisogno di noi. Ci usa come cavie da laboratorio, ucciderci risulterebbe una grave perdita. – Questa volta fu Yann a prendere la parola. William notò che il sorriso di Robert Steiner, in piedi al suo fianco, era diventato più teso, finto.
 
- Cancellarvi la memoria è per me come eliminarvi. Perdete di utilità, lo capisci, ometto dalla mente semplice? Però sarebbe più rischioso mantenervi sensienti e facinorosi. Che quanto è successo con il signor Selwyn sia di monito a tutti voi. -
 
Una risatina isterica attirò l’attenzione di Robert. Il dottore si girò, per permettersi di puntare gli occhi in quelli dalle iridi di intenso verde di Elyon. La donna sorrideva in maniera inquietante e per un momento Robert Steiner provò la spiacevole sensazione di trovarsi fuori posto:
 
- Sei sempre stato bravo a trovare nuovi giochetti e a sfruttare le persone, non è vero Robert? Dovevo capirlo molto prima… del resto piacevi così tanto a mia madre! Come avresti potuto essere una persona migliore di lei? -
 
Il ricordo di Camilla, Maurice e la stessa Elyon lo colse di sorpresa, amaro come il fiele. Grazie a Camilla si era evoluto, arrivando ad essere ciò che era. E grazie a Elyon, aveva avuto la possibilità di aggiungere un altro importantissimo, fondamentale mattone, per far sorgere il Giardino.
 
Penetrare all’interno del Ministero non era stata un’impresa semplice. Non importava che Robert fosse entrato a tutti gli effetti a far parte della cerchia ristretta del Signore Oscuro: gli Auror e L’Ordine della Fenice erano ancora in grado di tenere ben protetti i luoghi potenzialmente utili allo scopo dei Mangiamorte; fra tutti, rientrava senza ombra di dubbio l’Ufficio Misteri in tutte le sue Stanze. Eppure Robert doveva trovare il modo di accedere in tutta libertà all’Ufficio Misteri, nello specifico alla Stanza del Tempo.
La fortuna, comunque, sembrò girare dalla sua parte e questa prese il nome di Elyon Olivia Yaxley, figlia di Maurice Yaxley. Camilla Marie Fawley.
Il primo incontro con quest’ultima, donna di una bellezza lontana dall’umana comprensione, avvenne a ridosso del suo arrivo in Inghilterra: Camilla era molto più di una comune strega, ella era una medimaga di grandissime capacità, a capo del reparto di Lesioni da incantesimo ed il correlato reparto speciale Janus Tickey. Lo stesso reparto, invero, a cui venne affidato il giovane specializzando, che da principio rientrò nelle grazie della sua mentore.
Robert non si soffermò all’aspetto esteriore della donna, bensì capì presto che le potenzialità di Camilla erano infinite e da lei avrebbe potuto apprendere e ricevere molto, se solo si fosse fatto furbo. Non fu semplice, inizialmente, in quanto se Camilla dimostrò subito di subire il fascino del giovane mago straniero, lo stesso capitò proprio a Robert; ai suoi occhi, lei racchiudeva tutto ciò che una strega avrebbe dovuto possedere: intelligenza, caparbietà, gelida fermezza di spirito, bellezza e quella giusta dose di potere che gli sarebbe tornata presto utile. Inoltre un dettaglio non di certo irrilevante andava ad aggiungersi ad un puzzle praticamente completo: Camilla era la moglie di Maurice Gregory Yaxley, facoltoso impiegato all’interno del Ministero, nonché fratello di uno dei più fedeli Mangiamorte di Lord Voldemort. Sarebbe stato Maurice, infine, a fornirgli l’opportunità di agire indisturbato nel Ministero, anche se per mano della sua unica figlia Elyon.
Robert non aveva mai avuto una grande considerazione di Maurice Yaxley, considerandolo un mago senza spina dorsale, incapace di svolgere anche il più semplice dei compiti, nonché un inutile ingombro al potenziale di Camilla, (e infatti la sua attuale condizione vegetativa non poteva che rallegrarlo); eppure aveva generato una figlia come Elyon: una mina vagante, un licantropo, ma munita di un potere unico. La giovane donna, che pendeva dalle sue labbra, aveva deciso di aiutarlo a penetrare nel Ministero giocandosi la carta del padre. Essendo l’unica erede di Maurice, aveva preso appuntamento per recuperare dei documenti di suo padre e si era fatta accompagnare da Robert, in veste di medimago di riferimento. Una volta entrati nel Ministero e raggiunto il piano sottostante a quello dell’Ufficio Misteri, Elyon si era occupata di scatenare un terremoto di modesta potenza, in modo da distrarre funzionari e Auror, compresi quelli a guardia degli Uffici. A quel punto, Robert riuscì ad entrare nella Stanza del Tempo. Così, mentre penetrava in quella sala rivestita di un mistero stagnante, ma dall’irresistibile fascino, Robert percepì con nettezza la scarica di adrenalina scrollargli le membra: dopo due anni di studi, finalmente aveva la possibilità di comprovare le sue supposizioni.
Avrebbe voluto perdere tempo nel guardarsi intorno,  sfogliare quanti più manuali quell’incredibile fonte di tesoro conteneva, abbeverarsi con le scritture vergate da potenti maghi che avevano passato la loro intera esistenza a studiare la grandiosità del tempo. O ancora, avrebbe desiderato aprire le vetrine contenenti il numero ormai esiguo delle giratempo custodite con gelosia dal ministero, per poterne studiare i magimeccanismi, anche se sapeva bene che non sarebbero state utili al suo scopo. Si sarebbe immerso nei ricordi fluttuanti degli studiosi, adoperando il grande pensatoio intarsiato di brillanti e smeraldi, posizionato nell’ombelico di quella maestosa stanza. Ma Robert era conscio di non aver a disposizione se non una manciata di minuti, cosicché sfoderò la sua bacchetta e con un incantesimo non verbale individuò il faldone di suo interesse. Esso si disincastrò dal polveroso archivio in legno massello che lo conteneva e arrivò infine fra le sue mani, rese tremanti dal desiderio di conoscenza. Il medimago non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto, mentre gli occhi brillanti di vittoria scorrevano le pagine, ansiose di trovare le informazioni desiderate. Infine sentì il cuore accelerare nel battito, quando la pagina 1408(4) si rivelò essere lo scopo ultimo della sua ricerca:
 
Episodi di sfasamento temporale avvenuti in Inghilterra. Anni di competenza 1982-1992
 
Justine Solman – 1982 – Liverpool
Morgan Rolls – 1982 – Salisbury
Geordie Borgin – 1983 – Preston
Glenda Hollström – 1984 – Londra
Lucas Heathcote – 1984 – Hogwarts
Odette Cassandra McCall – 1985 – Hogwarts
Glenn Amelia Marlow – 1985 – Bath
Victor Selwyn – 1985 - Londra
Sonne Roth – 1986 – Canterbury
Jules Airgood (c.s.) – 1986 – Londra
Joshua Hollens – 1987 – Hogwarts
Ellettra Jean Scrimgeour – Oxford – 1988
Cora Dagenhart – 1988 – Londra
Mazelyn Athena Zabini (c.s.) – 1989 – Londra
Yann Reinhardt – 1990 – Londra magica
Alistair Gordon (b.)- 1990 – Londra
Astrid Birch – 1991 - Durham
William Herman Lewis – 1991 – Nottingham
Alon Morgan (c.s.)– 1991 – Hogwarts
Elyon Olivia Yaxley – 1992 – Londra
Evangeline Annabel Montague – 1992 – Londra
Lucille Vila Björk – 1992 - York
Martha Sophie Zeller - 1992 - Culloden Moor
 
A vederlo da fuori, chiunque sarebbe stato in grado di leggere nel sorriso di Robert Steiner la gioia e la vittoria. Vibrante d’estasi, il dottore puntò la bacchetta alla tempia destra, mentre la mano libera recuperò un’ampollina di cristallo lucido all’interno del taschino, nella quale ripose il ricordo appena estratto dalla sua memoria; riconobbe all’istante alcuni dei nomi segnati sul registro e la notizia non fece che far schizzare l’adrenalina alle stelle.
Conservato il ricordo ripose il faldone al proprio posto e dopo aver gettato un’ultima occhiata alla Stanza del Tempo, uscì con compostezza. Sarebbe stata questione di poco tempo, ma avrebbe rintracciato quanti più possibili casi, ne valeva l’esito positivo del suo esperimento.
 
*
 
- Facile come bere un bicchier d’acqua! – Nonostante tentasse di mantenere un tono mediamente basso, la voce di Hestia riecheggiò, sbattendo da una parete all’altra dell’atrio dell’imponente villa. Lei e Madeline avevano sospettato che gli incantesimi celassero una sorta di magione, ma a giudicare da come essa si era a loro rivelata, la realtà aveva di gran lunga superato le aspettative.
 
- Sssshh… parla piano! Anzi, evita proprio di farlo. Dobbiamo sbrigarci, non credo proprio che quel Glome rimarrà stordito a lungo. Vieni, proviamo ad andare per di qua. -
 
Le due streghe salirono al piano superiore della villa e tentarono di spalancare ogni porta lungo il loro cammino, ma nessuna di esse voleva saperne di aprirsi. Dopo tanto girare, decisero di tornare al piano terra e di orientarsi verso un lungo corridoio sul quale vetrate di colori accesi, rimandavano il tramonto dal mondo esterno. Madeline cercava di mantenere il sangue freddo, ma era davvero difficile: erano mesi che lavorava sul caso delle persone scomparse e finalmente sembrava essere arrivata al nocciolo della questione. Dovevano solo essere molto silenziose, mantenere la calma e…
 
- Chi diavolo saresti voi due? E che ci fate qui? -
 
Svoltato l’angolo del corridoio, Madeline e Hestia si trovarono faccia a faccia con una strega dal viso maturo, di una bellezza costruita e dai lunghi capelli biondi; puntava la propria bacchetta nella loro direzione, pronta a sferrare incantesimi.
Madeline deglutì; aveva visto decine di fotografie di Martha Heathcote, nel corso degli ultimi dieci anni e sapeva bene quanto la strega fosse imprevedibile, iraconda e temibile.
 
*
 
Odette quasi trasecolò, una volta entrata nel chiostro al fianco di Martha e Cora. D’altronde, la scena non era delle migliori e nonostante avesse assistito alle cose più assurde, nel corso degli ultimi mesi, la sua mente stentò a metabolizzare la scena. Quando si rese conto che Lucas e Joshua erano abbandonati in un angolo, tramortiti, cacciò un grido:
 
- Lucas! Josh! – D’istinto affrettò il passo nella loro direzione, ma uno dei due Mangiamorte che aveva scortato lei e le altre due streghe fin lì, la placcò brutalmente. Fu costretta a seguire le indicazioni del Dottor Steiner, che con lentezza inesorabile e le mani allacciate dietro la schiena, si stava avvicinando a loro.
Intanto Martha lanciava sguardi frenetici intorno a sé: vide Jules e Alistair al centro di quello strano cerchio fatto di persone e pietre e con rabbia constatò che Victor era rannicchiato nell’angolo opposto rispetto a Joshua e Lucas, vicino a Adrian Reed che si dimenava, nel tentativo di liberarsi di corde invisibili. Che diavolo gli era successo? In quelle condizioni, Martha non lo aveva mai visto. Il suo amico Victor era sempre stato fin troppo vitale, persino nei momenti più acuti della sua malattia che all’interno del Giardino era vistosamente peggiorata. I suoi pensieri furono distratti dal dottore, ormai di fronte alle tre. Robert si posizionò davanti Cora, fece un cenno ai due Mangiamorte (che subito trascinarono Martha e Odette fino al cerchio) e indugiò con lo sguardo sul viso dell’erede dei Dagenhart. Un sorriso precedette le parole che Cora percepì amare come il fiele:
 
- Mia cara, prenditi un momento per guardarti intorno. – Il dottore passò un braccio intorno alle spalle di Cora e allargò l’arto libero in maniera eloquente: - Sappi che tutto questo è stato possibile solo grazie a te. Tu sei stata la molla d’attivazione. -
 
Cora aveva preso a tremare di rabbia. Ormai sapeva bene che Robert Steiner altro non era che un mostro e che aveva trattato ognuno di loro alla stregua di animali da laboratorio. Tutto quello che avrebbe voluto fare, Cora, sarebbe stato tirare una bella gomitata a quell’uomo spregevole e gridargli qualsiasi cosa le fosse passata per la mente. Ma era consapevole che nell’agire così non ne avrebbe ricavato nulla: vari Mangiamorte erano presenti in quel chiostro su cui ormai non splendeva più il sole. Era lo stesso marmo a riflettere la luce di una luna sottile. Anche volendo reagire, non possedeva una bacchetta. Si limitò quindi a non guardarlo negli occhi e ad attendere che Robert arrivasse al punto.
 
- Tu non potrai ricordartelo, ma credo che dentro di sé la bella Cora abbia sempre saputo cosa successe quel giorno che fui io a trattenerla dal rovinare a terra. Lo ricordi, vero Cora? -
 
La strega lo guardò di sbieco. Sospettava di aver detto qualcosa, probabilmente di aver pronunciato una profezia piccina. Purtroppo Cora non era pronta al racconto di Robert Steiner, che riportò a lei e a tutti loro cosa era successo tempo prima.
 
 
Fu come vedere comporre un puzzle davanti ai propri occhi a tutta velocità. Cora Dagenhart, proprio lei, non era che la voce dell’Oracolo, che avrebbe dato il via a tutto. Ancora una volta, come spesso era successo nell’arco degli ultimi vent’anni, quando Robert aveva avuto la fortuna di conoscere Cora, capì che era stato il fato a spedirla a lui, in un gesto di magnanima volontà. ‘Non è che il volere divino, il segno che a tutto c’è una risposta.’
Robert Steiner era convinto di agire nel giusto. Lo seppe nel momento stesso in cui venne a conoscenza dell’esistenza di Tom Riddle, o per meglio dire Lord Voldemort, il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi. Lo capì quando prese la decisione di trasferirsi in Inghilterra, per avere la possibilità di avvicinarlo e di asservirsi a lui. Lo capì quando Lord Voldemort iniziò a prenderlo in considerazione e a fidarsi di lui. Poi le conferme arrivarono con il corso del tempo, attraverso l’avvicendarsi degli eventi che lo avevano condotto, come la voce di un dio, ad approfondire gli studi sul tempo e di conseguenza, a conoscere quel caleidoscopio di persone che avevano ingravidato il suo progetto.
E per tornare a Cora, la strega fu colei che più di tutti lo aveva spinto a perseverare, grazie a quell’involontaria profezia che uscì dalle labbra folgorate dal rossetto vermiglio, che probabilmente Cora aveva deciso di utilizzare per far si che il suo sorriso irretisse il maggior numero dei presenti all’evento organizzato dai suoi genitori.
Nel momento esatto in cui Cora pronunciò con voce altisonante la profezia, Robert comprese quale fosse il motivo per cui si era sentito spinto nella sua direzione: ella non era che una ragazzina, che nulla se non una fiorente bellezza innegabile avrebbe potuto concedergli. No, non era attrazione, quella che il dottore provava nei suoi confronti. Era qualcosa di alto, inizialmente indecifrabile. Era il destino.
Cosa, se non una forza superiore, lo avrebbe dovuto condurre a quel momento specifico, a sostenere la giovane strega che aveva perso l’equilibrio e che per non rovinare a terra si era aggrappata con tenacia al suo braccio?
Tutto, in quel momento, perse di consistenza; la voce di Cora, che Robert avrebbe poi ascoltato centinaia di volte attraverso lo scandagliare del proprio ricordo, aveva fagocitato il mondo tutto. Gli occhi fattosi velati avrebbero spaventato chiunque, la voce raschiante avrebbe fatto scappare via il più impavido degli eroi. Ma ogni singola parola era un dono prezioso e Robert, da quel momento, avrebbe associato per sempre quegli occhi e quella voce al più sublime degli amplessi.
 
“Apri gli occhi, Ariano stregone:
l’Oscuro Signore tornerà a camminare,
ancora una volta fai tua la ragione
così che il tempo dorato, saprai infin sfruttare.
Raccogli i vettori e muovili a modo,
l’Arma che fluttua sfodererai,
ma a Padre e Madre fare attenzione dovrai
per non sentire del cappio il nodo.
L’Occhio che tutto vede avviserà del peccato,
l’Incantatore griderà a perdifiato,
la Torre Tua di nasconderla tenterà
e il Fuoco dello Spirito aprirà il tuo inferno celato.
Guardati bene dal perduto Eroe,
che dello Scudo servirsi potrà
per strapparti via la Vergine arma illibata
asservita, al momento, alla tua oscurità.
Se concludendo abile sarai nell’atto
L’equilibrio ristabilire potrai,
Il Signore Oscuro risorgerà, vedrai,
Ma solo se il Giardino Segreto conterrà l’impatto.”
 
Da quel momento, fu tutto semplice: sapeva che esistevano persone che avevano la facoltà di giocare con il tempo. Aveva dalla sua parte i fedeli Mangiamorte di Lord Voldemort che altro non aspettavano che qualcuno si adoperasse per riportare il loro leader in vita. Aveva la capacità di creare un laboratorio perfetto, adatto a permettergli di procedere con ogni sorta di esperimento avesse ritenuto opportuno per raggiungere il proprio obiettivo. Robert Steiner avrebbe creato il Giardino Segreto e avrebbe fatto in modo che la profezia pronunciata da Cora si fosse avverata. Sarebbero bastati una dozzina di elementi, forse anche di meno, per saltare da un anno all’altro e arrivare a tirare via Lord Voldemort dal suo futuro già scritto, già avvenuto.
Era giunto il momento di mettersi all’opera.
 
Alla fine di quel tremendo racconto, Yann cercò Roxanne con lo sguardo: ciò che lesse nella donna, seppure al solito era abilissima a mascherare i propri veri sentimenti, era sgomento. Roxanne non era neanche lontanamente a conoscenza della profezia pronunciata da Cora, come probabilmente era all’oscuro di buona parte di quell’esperimento, che Robert Steiner prese a spiegare con solerzia.
 
- Voi tutti possedete un dono rarissimo. In tutta l’Inghilterra esisteranno una sessantina di elementi come voi. Ebbene, ragazzi miei, ormai avrete capito che siete in grado non solo di congelare il tempo, bensì di muovervi all’interno di esso! – Robert fece incontrare le mani con entusiasmo. – E questo, lasciatevelo dire, è meraviglioso. Ora non ci resta che metterci al lavoro, l’Oscuro Signore risorgerà grazie a tutti noi! -
 
Elyon cercò di girarsi verso Adrian, tentando di non farsi vedere. Ma uno dei Mangiamorte le strinse una spalla e la intimò di prestare attenzione.
 
- Le cose andranno così, - il dottore indicò Jules: - La mia splendida Jules, che fin da bambina ha mostrato delle capacità sbalorditive, sarà il vostro “parafulmine”: raccoglierà la vostra energia e riuscirà a creare una bolla, all’interno della quale ci troveremo il caro Alistair e io, mentre Roxanne con il suo orologio e questi altri uomini di fiducia si occuperanno di controllare che non spezziate il flusso. -
 
Mantenendo un aplomb invidiabile, Roxanne  accennò un sorriso, prima di rivolgersi a Robert: - Ho bisogno che ti spieghi meglio… devo sapere esattamente cosa andrai a fare con il babbano, per assicurarmi che abbiate il tempo necessario per agire. –
 
Il dottore annuì e spalancò entrambe le braccia: - Credevi vi avrei lasciati all’oscuro? – A quel punto si allontanò da Cora, in piedi sul capitello di sua assegnazione e visibilmente sconvolta da quanto aveva appena raccontato, così raggiunse Jules, Alistair e Roxanne al centro del cerchio: - Questo non è che il primo vero esperimento che condurremo, ma chissà se la buona sorte sarà dalla nostra. Ebbene… grazie alla forza concentrata in Jules, io e Alistair saremo in grado di tornare al momento in cui, sfortunatamente, l’incantesimo di quella Lily Evans protesse Harry Potter, facendo rimbalzare l’anatema mortale su Lord Voldemort. Sarà perfetto… perfetto, sì. – Robert Steiner si prese un momento, prima di inchiodare gli occhi gelidi in quelli impauriti di Alistair: - Noi arriveremo proprio in quel momento e tu, mio caro Alistair, userai il tuo tocco magico su Harry Potter e Lord Voldemort! A quel punto l’infante morirà, come era giusto che fosse e l’Oscuro Signore rimarrà in vita! –
 
*
 
- Dannata stronza! –
 
Hestia dovette ammettere che quella lurida Mangiamorte se la cavava più che bene con i duelli. Nonostante fossero in due contro di lei, era riuscita non solo a evitare ogni tipo di attacco, inoltre aveva spedito al mittente un paio di brutte fatture, facendo gemere di dolore sia lei che Madeline.
Probabilmente le Auror avrebbero dovuto giocare in maniera più scorretta, visto che Martha Heathcote stava esibendo il repertorio al completo delle maledizioni senza perdono, più qualche altra fattura sconosciuta ai più.
Madeline invece avrebbe voluto catturarla e portarla immediatamente al Ministero; quella era una strega ricercata da anni e probabilmente non avrebbe mai più avuto a disposizione la ghiotta possibilità di catturarla. Eppure se si fosse concentrata su di lei, gli sforzi fatti per arrivare a quei risultati sarebbero andati in fumo.
Forse avrebbe potuto mandare Hestia e proseguire da sola.
 
- Ti… conviene… lasciarci passare! – Madeline evitò l’ennesima maledizione. Che stupida era stata, avrebbe dovuto riferire il proprio piano al suo superiore e portare con sé un più nutrito gruppo di Auror. Il problema era che non le avrebbero mai permesso di seguire la pista lanciata da quel criminale di Louis Murray e lei per prima non avrebbe permesso che dei suoi colleghi finissero nei guai a causa di una sua azione tanto sconsiderata.
Fortunatamente quella grandiosa strega di nome Hestia Jones, riuscì a mettere definitivamente al tappeto Martha Heathcote; aveva lanciato un grido di guerra, un’imprecazione che avrebbe intimidito il peggior manigoldo dei bassifondi di Londra e l’aveva colpita con una potenza tale, da lasciare Madeline esterrefatta. Con il fiatone e un sorriso di vittoria, Hestia si girò verso Mad e lanciò uno sguardo al grande portone a chiusura del corridoio, proprio quello verso cui, sospettava, si stava incamminando la Mangiamorte prima di incontrarle.
 
-Credo… credo sia… lì. Forza Maddie, andiamo… ad incastrare… -
 
- Risparmia il fiato e muoviti! -
 
Hestia seguì con gli occhi sgranati la sua collega correre verso il portone di cupo ebano, poi scosse il capo e borbottò fra sé: - Ma guarda tu… neanche mezzo complimento, stronza. –
 
*
 
- Erano secoli che non parlavo più così tanto… è stato decisamente stancante. – Dalla bocca di Robert uscì una risatina che raggelò tutti i reclusi del Giardino. Evangeline era totalmente sconvolta e avrebbe voluto correre in direzione di Victor, per fare in modo che il ragazzo si riprendesse. Martha aveva avuto lo stesso istinto, eppure qualcosa in lei la distrasse dal pensiero dell’amico: mentre Robert Steiner si spingeva in spiegazioni, la strega venne assalita da un forte senso di nausea e percepì la vista annebbiarsi. Poi, come era successo altre volte nel corso del tempo, il paesaggio intorno a lei si modificò, diventando estremamente più vivido: riuscì a vedere oltre le pareti del chiostro, oltrepassare i corridoi bui, aprire porte e porticine. Poi sussultò: qualcuno aveva squarciato il velo incantato che ricopriva il luogo in cui erano nascosti. Non era stata in grado di riconoscere nessuno, eppure le parve di percepire quella voce di donna che aveva sentito in quell’angosciante sogno lucido in cui c’era anche Phil. Dovevano essere amici, persone buone. Forse qualcuno che li stava cercando per portarli in salvo. A quel punto Martha attirò l’attenzione di Odette, in piedi sul capitello alla sua destra.
 
-Psss… -
 
Odette, rapita e disgustata al contempo dall’esposizione del Dottore, ci mise un po’ prima di capire che Martha stava cercando di chiamarla. Quando si girò nella sua direzione, la bionda portò l’indice alla tempia, che prese a picchiettare.
 
- Lo so, sta fuori di testa… - Sussurrò Odette, riferita al dottor Steiner. Martha a quel punto alzò gli occhi al cielo, sconsolata, prima di tornare ad insistere. Picchiettava la tempia e lanciava occhiate al portone d’ingresso del chiostro. Solo dopo ripetuti tentativi, Odette capì che doveva concentrarsi su qualcosa al di là del portone e finalmente Martha poté sospirare e confidare nelle capacità della medimaga.
 
- Ora  direi che è giunto il momento di procedere: Roxanne, l’orologio. Tieniti vicina a Jules per cortesia e se noti qualcosa di strano da quel tuo incredibile marchingegno, non esitare a dirmelo. Sai che non vorrei mai che la piccola ci rimettesse più del dovuto!-
 
Nel sentire quelle parole, sia Yann che Alon scattarono. Furono entrambi fermati da due Mangiamorte, ma il più giovane non dava cenno di volersi placare:
 
- Sei un bastardo! Non puoi usarla come fosse di tua proprietà, finirai per ammazzarla! -
 
Odette colse l’occasione del trambusto che si era venuto a creare e tentò di chiudere la mente alle voci intorno a sé, per poter canalizzare la lettura del pensiero oltre il portone. Martha la guardava con apprensione, fin quando sorrise nel vedere Odette sgranare gli occhi e rivolgersi a lei: - Ci sono, sono due! –
 
Le due streghe non dissero altro, per non rischiare di essere scoperte. Annuirono vicendevolmente, pronte a intervenire.
Nel frattempo Roxanne si era ammutolita, nel vano tentativo di trovare in fretta una soluzione, che impedisse a Robert di compiere quel mostruoso esperimento. Era abbastanza sicura che non sarebbe riuscito alla prima occasione e che quindi avrebbe avuto modo, ora che era venuta a conoscenza di tutto il piano di lui, di mandare all’aria il progetto senza che nessuno di loro ci rimettesse la vita. Ma se invece avesse funzionato?
Pensa Roxanne... sei una delle streghe più brillanti della tua generazione, devi trovare la…
Un dolore acuto, una fitta lancinante la colpì esattamente in mezzo alla fronte.
 
- Ma che diamine… - Roxanne si massaggiò la fronte e poi si guardò intorno, bypassando il trambusto che stavano tirando su Yann e Alon e si soffermò sul volto teso di Elyon Yaxley, la quale fece dei rapidi gesti convulsi che Roxanne, tutto sommato, riuscì a tradurre con fai qualcosa! La bacchetta! La bacchetta!
Nel suo intimo, Roxanne aveva sempre considerato Elyon una strega grandiosa, dall’intelligenza spiccata. Era doloroso ammetterlo, ma era così. Ma quando agiva in quella maniera quasi si sentiva rinfrancata visto l’astio che provava nei suoi confronti: cosa diavolo pensava avrebbe potuto fare, affiancata da Robert e da un manipolo di Mangiamorte?!
 
- Basta! – La voce del dottore fu come un tuono dal poderoso clangore. Yann e Alon smisero lentamente di agitarsi e tutti i presenti, sia reclusi che Mangiamorte, dedicarono timorosa attenzione a Robert Steiner.
 
- Non perdiamo altro tempo… - il medimago parve aver riacquistato la calma, - E iniziamo l’esperimento. Alistair, rimani al mio fianco. Jules, piccola Jules… se riuscirai a comportarti bene, ti prometto che lascerò vivi i tuoi amici; ma devi concentrarti come non hai mai fatto prima, mi sono spiegato? E voi altri… - Robert scandagliò uno ad uno con lo sguardo, - Ora dovete concentrarvi su Jules e su lei soltanto. Sappiate che se riusciremo nell’intento, c’è la possibilità che la nostra dimensione arrivi a collimare con l’altra, quella in cui l’Oscuro Signore tornerà a nuova vita! E sappiate che ognuno di voi potrà avere un posto d’onore fra i suoi alleati. Ora basta perdere tempo: iniziate! -
 
Dopo un’iniziale titubanza e un sonoro sprono da parte dei Mangiamorte che si trovavano al di fuori del cerchio, gli ospiti del Giardino segreto abbandonarono le rimostranze e fecero come chiesto loro. La luna illuminava i loro capitelli e giocava d’ombra sui loro visi provati. Uno ad uno iniziarono a produrre fremiti che Roxanne percepì istantaneamente, visto che le lancette del suo orologio presero ad oscillare da destra a sinistra. Quella era una reazione che non aveva mai visto prima d’ora.
Delle onde di luce bluastra spiccarono dai loro toraci, in direzione di Jules; la tassorosso stringeva i pugni e cercava sguardi rassicuranti da coloro con cui aveva condiviso gli ultimi mesi. Mano a mano i fasci di luce la colpirono con dolcezza, creando una reazione di piacevole calore all’interno del corpo.
 
- Sta funzionando… - Gli occhi di Robert brillavano d’entusiasmo. Stentava a credere che anni di studio lo avevano infine condotto a quel momento lì. Frenare l’eccitazione era un’impresa ardua.
 
Ma quale orrore provò, non appena sentì un frastuono assordante provenire dall’ingresso del chiostro; degli schiantesimi avevano fatto saltare in aria il portone d’ebano.
 
- Fermi, qualsiasi cosa stiate facendo! -
 
Madeline pensò che quella che nella testa di Hestia probabilmente era una frase a effetto, dovette essere risultata davvero molto stupida. Ma di tempo per rimuginare sulle facoltà dialettiche dell’amica non ce n’era;  la strega rimase infatti sconvolta dalla vista di quel chiostro, tanto che quasi rischiò di prendersi in pieno le fatture lanciate dai Mangiamorte a confine del cerchio.
 
- Non spostatevi! Continuate! – Sconvolto, seppur caparbio, Robert mantenne il sangue freddo; non aveva idea di cosa sarebbe accaduto se il cerchio si fosse rotto di botto. I Mangiamorte e le due Auror iniziarono a duellare senza sosta, mentre si avvicinavano pericolosamente al luogo in cui era ancora rannicchiato Victor Selwyn. Evangeline non resistette; la vista di un paio di maledizioni che schizzavano vicino al mago le fecero accantonare ogni rimostranza. Non avrebbe mai permesso che il mago venisse colpito, ci avrebbe rimesso la sua stessa vita se fosse stato necessario.
Fu in quell’istante che si scatenò il vero caos: mentre Evangeline si fiondava su Victor nel tentativo di proteggerlo con il suo stesso corpo, l’onda luminosa si scollegò da lei e venne totalmente assorbita da Jules, che lamentò un affanno.
A quel punto Roxanne decise di approfittarne; doveva fare qualcosa e in fretta. Senza ragionarci, infilò l’orologio nella tasca ( le lancette erano impazzite e vorticavano in maniera convulsa) e afferrò la propria bacchetta, con rapidità scagliò un incantesimo per liberare Adrian dall’incarceramus e immediatamente dopo puntò il legno contro Robert. Quest’ultimo si distanziò da Jules e Alistair e tese di rimando la bacchetta. Gli venne automatico, anche se mai si sarebbe aspettato di veder reagire Roxanne. Non contro di lui. Inarcò un sopracciglio e tentò un tono conciliante:
 
- Roxanne… cosa stai facendo? -
 
- Devi liberarli al più presto. Guarda Jules, non resisterà a lungo. -
 
I due cominciarono a girare in circolo, mai disattendendo lo sguardo dell’altro e con le bacchette tese.
 
- Ma cosa diavolo dici! Non possiamo rinunciarci ora! Devi tornare in te Roxanne, devi… -
 
- Io so tutto. So quello che mi hai fatto. So di… mio padre e… e di Regulus. Sei ancora in tempo Robert, ancora in tempo… gli auror sono qui, costituisciti, subito! -
 
Le pupille vibrarono nei cerchi glaciali di Robert. Da quanto tempo Roxanne era a conoscenza di quello che aveva fatto? E come aveva fatto a scoprirlo?
 
 
 
- Ad! - Non appena Roxanne lo aveva liberato, Elyon aveva mandato al diavolo le raccomandazioni di Robert ed era scesa dal capitello. Anche in quel caso, il fascio di energia venne assorbito di botto da Jules. Ancora stordito, Adrian tossì con forza nel tentativo di recuperare quanto più ossigeno possibile. Fra un colpo di tosse e l’altro percepì l’immagine di Elyon correre verso di lui, per poi immobilizzarsi e crollare a terra fra tremori violenti: la strega era stata colpita da un crucio lanciato da uno dei Mangiamorte in direzione delle Auror, già messe a dura prova dallo scontro con la Mangiamorte di prima.
 
 
L’attenzione di Martha venne totalmente assorbita da Jules; non aveva solo percepito che qualcosa non andasse: Man mano che le persone si staccavano dal cerchio, Jules si colmava di tutta la loro energia. In quel momento  delle piccole scosse elettrice rivestivano il corpo della giovane strega la quale, urlante di dolore, si era rannicchiata sul suo capitello. Martha gridò in direzione di Alon: - Alon ti prego! Fai qualcosa! –
Il ragazzo scese dal proprio capitello e corse in direzione di Jules; non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare, ma non aveva intenzione di lasciare che la strega subisse ancora.
 
-Alon! – Mentre gridava il suo nome fra i singhiozzi, Jules allungò una mano nella sua direzione; da essa esplose un fulmine, che colpì Alon in pieno petto, facendolo sbalzare lontano di molti metri, inerme.
Fu il turno di William, sarebbe toccato a lui cercare di aiutare Jules a venire fuori da quella situazione. Aveva capito che l’ennesima variazione di posizione avrebbe comportato ulteriore danno a Jules, per questo decise di rimanere sul capitello e tentare di usare il proprio potere a distanza. Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto, ma d’altro canto non gli importava; avrebbe sacrificato volentieri la propria vita per salvare quella della piccola. Concentrandosi, tentò di assorbire ciò che stava distruggendo la giovane strega; inizialmente sembrò anche funzionare, ma l’energia era troppo potente, troppo. Era l’energia di otto maghi e streghe concentrata unicamente su di lei, non sarebbe riuscito a strappargliela via. Il tentativo andò presto in fumo e anche William venne scagliato via, privo di conoscenza, al fianco di Madeline che aveva appena battuto uno dei Mangiamorte.
Jules, nel frattempo, continuava a gridare di dolore; rannicchiata in se stessa, con la testa fra le ginocchia e le mani nei capelli gonfi di atipica elettricità, percepiva il calore dentro di sé aumentare a dismisura.
Quelle grida, quella vocina straziata, arrivarono alle orecchie di Victor. Evangeline era sopra di lui, a cercare di proteggerlo con il proprio corpo, come meglio poteva, mentre la battaglia fra Auror e Mangiamorte imperversava intorno a loro.
Victor non aveva dato cenni di riprendersi, ma quella voce arrivò a lui, facendolo sbilanciare oltre il confine della perdizione segnato dalle maledizioni che lo avevano colpito.
Gli occhi scuri si sgranarono e la bocca si schiuse, mentre la sua mente andava a ripescare i ricordi lontani.
 
“Stai bene?”
Vivida, la sensazione dei boccoli chiari fra le sue dita.
“Mi chiamo Jules.”
Jules… era il suo angelo. No, credeva lo fosse.
“Ma non è un nome da maschio?”
 
Frenetiche, raffiche di ricordi ad affollargli la mente.
 
“Sei la prima persona che incontro.”
“Mi aiuteresti? Così ti mostro una cosa.”
 
Leggera leggera, vola leggera l’angioletto.
 
“Scusami, mi aiuteresti a scendere?”
Era così graziosa, quella ragazzina, che Victor sentiva avrebbe fatto qualsiasi cosa lei avesse chiesto. Qualsiasi, come fosse un tesoro da proteggere.
 
Un tesoro da proteggere. Jules, non è un nome da maschio? L’arma e lo scudo. Colei da proteggere.
 
-J…Jules… Jules! Aaargh… -
 
La testa si gonfiò, perché i ricordi si ammassarono, avidi di occupare ogni spazio disponibile: gli occhi di Jules, il suo sorriso e la sua mano piccina. Poi tutti gli altri: i Mangiamorte, Martha, William, Mazelyn e Cora… poi Evangeline. La sua Vì.
Victor ricordava, ricordava ogni cosa. Strinse i capelli di Evangeline, stretta su di lui e ne annusò a pieno il profumo; intorno a loro lampi di luce d’ogni colore.
 
- Sono qui, ci sono… - bisbigliò stanco. Evangeline sgranò gli occhi e questi subito si riempirono di lacrime, appena realizzò le parole dette dal mago. Si baciarono, brevemente e con foga. Non c’era tempo per dedicarsi all’altro purtroppo, perché Jules stava soffrendo e Victor fu consapevole, improvvisamente, che sarebbe stato lui a salvarla. Doveva farlo.  
 
 
Adrian non ebbe la possibilità di riprendere totalmente il respiro. Elyon, la sua Ellie, era stata colpita da qualcosa che la stava facendo urlare di dolore. Il mago si alzò a fatica, massaggiò la gola e si guardò intorno con rapidità; per un momento il suo sguardo si soffermò su Robert e Roxanne, che giravano in tondo come due fiere pronte all’attacco, mentre la piccola Airgood urlava di dolore. Ma lui doveva prima capire chi aveva colpito Elyon.
Erano rimasti in piedi quattro Mangiamorte, a lottare strenuamente contro quelle due Auror che avevano fatto irruzione nella villa. Adrian portò istintivamente la mano a tastare le tasche, alla ricerca della propria bacchetta che, ovviamente, non aveva con sé.
Pazienza, si disse con rassegnazione, mentre scrocchiava le dita delle mani e si avvicinava al mangiamorte più vicino a Elyon, la quale pareva lentamente riprendersi. Le vene del collo si erano gonfiate e la testa aveva preso a pulsare con forza. Smise solamente quando riuscì a cogliere di sorpresa il bastardo che aveva colpito Elyon, sferrandogli prima un gancio, poi l’altro, facendo volare via la maschera dal viso. Intanto che continuava a colpire il mago, da cui naso e bocca schizzava il sangue, Adrian gridò in direzione delle Auror:
 
- Muovetevi! Portate via tutti quelli che potete, lei per prima! – E come se nulla fosse, tornò a sfogare la sua ira sul corpo del Mangiamorte.
 
 
 
Victor si alzò a fatica, cercando di evitare ogni incantesimo scagliato dalle due parti. Evangeline si alzò a sua volta e gli afferrò la mano: - Dobbiamo andare! –
 
Victor accennò un sorriso stanco: - Mettiti al riparo, io devo fare una cosa. – Per un momento Evie pensò che avrebbe potuto usare il proprio potere per convincere il mago a seguirla; ma la luce che brillava nei suoi occhi la fece desistere. Probabilmente Victor sapeva quello che faceva. Corse allora in direzione di Cora, visibilmente terrorizzata. La strattonò e le ordinò di seguirla.
Ora Victor guardava in direzione di Jules; la ragazzina continuava ad urlare e l’energia usciva e entrava dal centro del suo petto, come un’onda che si allunga e ritrae sulla sabbia.
Il resto fu automatico, non ci fu nemmeno bisogno di ragionare: Victor, la fronte imperlata di sudore e il colorito più pallido che mai, allargò le braccia. Dentro di sé urlò, mentre una mezzaluna dorata si allargava da parte a parte, sempre di più, fino a fiondarsi contro Jules e ad avvolgerla come una confortevole coperta.
Lo scudo di Victor ebbe effetto immediato: Le scariche elettriche uscirono dal corpo della Tassorosso, per poi essere assorbite dallo scudo che si infranse, riducendosi a pulviscolo rilucente.
 
 
Odette approfittò della guerriglia e corse in direzione di Joshua e Lucas, ancora semi incoscienti. Accarezzò rapidamente la nuca dell’amico e con metodicità sbrigliò le corde che li tenevano intrappolati. Lucas aprì un solo occhio e riuscì a bisbigliare un ringraziamento.
 
- Risparmia le energie. – Odette si girò verso Martha e la chiamò a gran voce; aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per portare via quei due ragazzoni. La bionda arrivò assieme a Cora ed Evangeline, che intanto lanciava sguardi dietro di sé, ammirando l’azione eroica compiuta da Victor e gioendo per la sua buona riuscita. Intanto le Auror erano riuscite a battere altri due Mangiamorte; ne mancava solo uno.
 
- Forza, tiriamoli su! Uno…due… tre! -
 
Con Joshua furono più fortunate, ma spostare la mole mastodontica di Lucas risultò decisamente più complicato. A quel punto Evangeline tentò la sorte; magari il suo potere avrebbe funzionato nonostante tutto.
 
- Seguimi Lucas, cammina con le tue gambe, puoi farcela. -
 
 
 
Victor afferrò il corpicino di Jules. Si rese conto di star piangendo, solo nel momento in cui la ragazza, senza più un briciolo di forza, accennò un sorriso.
 
- L… lo sapevo, saresti… saresti stato il mio eroe. -
 
Alon era stato fortunatamente reinnervato da Hestia, giusto in tempo per assistere all’epica scena di salvataggio da parte di Victor. Riuscì a trovare la forza di avvicinarsi ai due. Victor alzò gli occhi nella sua direzione, due pozzi neri circondati da cerchi violacei.
 
- Prendila… sono sfinito. -
 
Alon non se lo fece ripetere due volte, così allungò le braccia e si tirò Jules addosso, la quale si aggrappò al suo collo con quel briciolo di vita che le era rimasta incollata.
 
- Vic, dobbiamo andare! -
 
Cora e Odette sostenevano Joshua, mentre Martha sorreggeva Victor e Evangeline guidava Lucas con la propria voce. Il gruppo arrivò da Madeline e Hestia; quest’ultima era presa a dar battaglia con l’ultimo Mangiamorte ancora in piedi, mentre Madeline si era occupata di reinnervare William, che appena aprì gli occhi, aggrottò le sopracciglia:
 
-Ehi…io ti conosco… tu sei… -
 
Madeline accennò un sorriso. Il volto era graffiato, sporco di sangue e un paio di bernoccoli ne avevano storpiato un po’ i lineamenti. – Penseremo dopo a chiacchierare, ora dobbiamo andare via. Forza, appoggiati alla mia spalla. –
 
Con fatica, William seguì le indicazioni dell’Auror. Il chiostro era ormai praticamente distrutto e ancora Roxanne Borgin e il dottor Steiner erano presi da un acceso scambio di battute. William lanciò un’occhiata a Elyon, fra le braccia di Adrian Reed, per poi passare a Yann il quale si stava avvicinando a loro.
 
- Voi andate,- disse a Will – Io rimarrò qui. Ho fatto una promessa e ho intenzione di mantenerla.
 
- Non se ne parla! Verrete tutti con noi, subito! – Madeline era stanca e provata dalla battaglia, ma non aveva perso il suo polso. Yann dedicò a lei giusto un’occhiata, prima di tornare a rivolgersi a Will: -Assicurati che siano tutti in salvo il prima possibile. -
 
- E il ragazzo laggiù? – Madeline indicò Alistair con il viso. Yann scosse la testa: - Anche lui non si muoverà di qui. Terremo impegnato il Dottor Steiner, ma è pericoloso continuare a stare qui e voi siete tutti troppo deboli, non potete combattere ancora. Andate ad avvisare gli Auror e portate i rinforzi, tanti rinforzi… temo che arriveranno presto altri Mangiamorte. -
 
Così, malconci, sfiniti, claudicanti, Odette, Cora, Martha, Alon, William, Joshua, Lucas, Victor e Jules scapparono assieme alle due Auror da quel luogo del terrore, che per mesi li aveva tenuti prigionieri.
 
Purtroppo le previsioni di Yann erano giuste. Al chiostro arrivarono altri tre Mangiamorte, fortunatamente quando il gruppo più grande era già riuscito a scappare. A quel punto Yann corse nella direzione di Alistair, che non riusciva a staccare gli occhi da Roxanne e il dottore e lo trascinò lontano, nel tentativo di ripararlo. Adrian invece era sfiancato dopo la lotta alla babbana con il suo ex collega, ma più carico che mai e appena vide apparire le ombre nere, strinse le spalle di Elyon e si inclinò quel tanto per guardarla negli occhi:
 
- Sei sempre stata una testa dura, Elyon Yaxley. Ma per una cazzo di volta dammi retta e vattene! Io tenterò di distrarli come posso e di aiutare Roxanne, ma non permetterò che qualcuno di questi stronzi ti faccia del male. -
 
Elyon pensò bene di rispondere con la risata più cristallina che la sua gola avesse mai prodotto: - Tu invece sei sempre stato un po’ tonto, Adrian Reed. Lascia che sia io quella a prendere le decisioni fra i due, che ne dici? E ora smettila di dire cazzate; l’unico modo per farmene andare via senza di te, è morta ammazzata. –
 
Non era quello il momento di litigare, anche se Adrian avrebbe dato sfogo ai suoi pensieri più che volentieri. Ma era anche la forza e la temerarietà di Elyon, che l’avevano fatto innamorare in quella maniera che non avrebbe mai creduto possibile. Recuperate due bacchette dai Mangiamorte abbattuti, Adrian ne passò una a Elyon e subito dopo le strinse la mano.
 
- Insieme? -
 
Lei annuì e la stretta delle dita si fece ancora più forte: - Insieme. –
 
 
 
- So che dentro di te sei ancora fedele al Signore Oscuro, Roxanne. -
 
Robert e Roxanne avevano cominciato a sfidarsi, sebbene il primo non aveva sferrato attacchi mortali, a differenza della strega che non si era risparmiata nulla.
 
- Forse un tempo, ben prima di sapere da Regulus cosa si nascondesse dietro il suo piano di conquista. Ma sei un uomo molto intelligente Robert; sai benissimo che avevo cambiato la mia bandiera, altrimenti non ti saresti premurato di obliviarmi. -
 
Ogni botta e risposta era accompagnato da una fattura.
 
- Perché eri giovane e accecata dall’amore, ecco perché! Roxanne, sai bene che ti ho sempre considerata come una sorella. Avevi bisogno di una guida, quella guida che i tuoi genitori non ti hanno mai fornito! Io ho visto il tuo potenziale, non potevo permettere che… -
 
- Risparmiati le tue manfrine! Tu che parli d’amore… non sai nemmeno che cosa sia. Non hai mai provato affetto per nessuno, tantomeno rispetto! -
 
- Questo non è vero. – Per la prima volta, Roxanne capì che Robert stesse vacillando nelle emozioni. – Tu non sei mai stata come gli altri. La mia famiglia, le donne… quando parli di mancanza di affetto hai ragione, ma non hai mai fatto parte di tutto questo. -
 
La mano di Roxanne tremò appena. Non era semplice non cedere alle moine di quell’uomo che aveva passato la sua esistenza a raggirarla, facendo finta di prendersi cura di lei. Aveva capito il suo gioco, ma nonostante questo sentì un briciolo di pietà affacciarsi nel suo intimo.
 
 
 
Yann ordinò a Alistair di rimanere dietro quella grande quercia, così si avvicinò silenzioso ai Mangiamorte che stavano duellando contro Elyon e Adrian. Dalla bacchetta di uno dei due partì un lampo di luce verde in direzione di Adrian, ma Elyon fu più veloce: la terra tremò furibonda e una grande roccia si frappose fra Adrian e l’incantesimo, che la colpì e la mandò in frantumi. Accertato che i due avessero la situazione sotto controllo, tornò a controllare Roxanne; il terzo Mangiamorte si stava avvicinando alle sue spalle con la bacchetta sguainata.
 
No, non posso permetterlo!
 
Il magifabbro corse in quella direzione e si attaccò al collo del Mangiamorte che cominciò ad urlare in preda alle ustioni. Riconoscendo il grido di Yann, Roxanne si distrasse e si voltò di scatto verso i due.
 
- Yann! Vattene! -
 
Robert vibrò di rabbia. Il Mangiamorte si rigirava a terra, urlando di dolore e tenendo le mani sulla parte lesa del proprio corpo. Guardò infine Yann, che ricambiò lo sguardo.
 
- L’amore ti rese debole al tempo e ti ha resa debole di nuovo. Lo faccio per te, ti libererò da questo fardello… Avada Kedavra! -
 
La maledizione partì in direzione di Yann, ma Roxanne la ricevette al posto dell’uomo, mettendosi in messo in un gesto di grande eroismo. Poi crollò a terra.
Era morta.
 
L’urlo di Yann risuonò assieme a quello di Alistair, che lo aveva seguito a sua insaputa. Il più giovane corse verso il corpo inerme e si gettò su di esso, fra i singhiozzi.
Adrian e Elyon erano appena riusciti a sconfiggere i due Mangiamorte, quando l’urlo di dolore rapì la loro attenzione.
Elyon non poteva crederci. Vide Roxanne a terra, probabilmente morta. Su di lei, Alistair singhiozzava a dirotto e in piedi Yann continuava a ripetere che non poteva essere, non era vero. Roxanne non poteva essere morta, non per salvargli la vita. La collera si impossessò definitivamente del licantropo. Robert Steiner aveva disseminato dolore, solo morte e dolore; era giunto il momento di finirlo.
Neanche pensò di possedere la bacchetta con cui si era battuta fino a poco prima. La strega si scagliò su Robert, ma il dottore fu pronto a lanciarle contro uno schiantesimo, che la spedì addosso a Adrian, facendoli rotolare a terra e guadagnando il tempo necessario per darsi alla fuga.
Ma seppur dotato d’astuzia e intelligenza, Robert Steiner aveva sottovalutato un fattore molto importante, che gli sarebbe costato la vita.
Si, perché Alistair aveva abbandonato il corpo di Roxanne e si era posizionato alle spalle di Robert, intento a ricacciare indietro Elyon e Adrian.
 
- Un grande errore sottovalutare noi babbani. – Le parole uscirono fluenti dalla bocca di Alistair, senza nemmeno un balbettio, - Noi, a differenza di voi maghi che vi impigrite a usare la magia, dobbiamo imparare a sfruttare le risorse che abbiamo a disposizione. -
 
Nel voltarsi, Robert si trovò faccia a faccia con Alistair. Nonostante gli occhi gonfi di pianto, Alistair si aprì in un grande sorriso: - Vai all’inferno, fottuto bastardo! –
 
Robert non riuscì a evitare le mani di Alistair Gordon che gli strinsero il viso. Se avesse potuto esprimere un ultimo pensiero, prima di morire grazie al potere di Alistair, probabilmente il dottor Steiner avrebbe pensato che sarebbe stato inaccettabile, morire per mano di un babbano.
Non appena Robert crollò a terra, occhi sbarrati e un’espressione imbestialita sul volto, il chiostro e la villa cominciarono a tremare.  Nel frattempo Yann aveva preso in braccio Roxanne, e aveva accostato l’orecchio al suo cuore. Esplose di gioia, nel constatare che questo aveva ripreso a battere.
 
- Dobbiamo… dobbiamo scappare, in fretta! Morto quel bastardo, questo posto crollerà presto a pezzi. Era la sua magia a tenerlo in piedi! -
 
Fu Adrian ad avvisare gli altri. Tirò su Elyon, mentre Yann faceva lo stesso con Roxanne e assieme ad Alistair, i cinque corsero all’impazzata fuori dal chiostro e poi lungo i corridoi i cui muri si aprivano in crepe profonde e perdevano l’intonaco. Si gettarono oltre il portone e fecero giusto in tempo a voltarsi: la villa che custodiva il Giardino Segreto, crollava davanti ai loro occhi increduli.
 

 
 
1 - Liebe - Dolce
2 - ein jahr – un anno
3 - Kleine wolke – piccola
4 - Piccolo omaggio a Stephen King

Ci siamo. Siamo giunti alla fine. Credo che partorire sarebbe stato più facile.
Ciao a tutti e ben ritrovati. Lo so, è passato molto tempo dall’ultima pubblicazione, ma credo sia inutile perdere tempo a spiegare quanto questo lungo periodo sia stato strano, pesante, destabilizzante. Quindi eviterò manfrine.
Invece ora voglio solo gioire, gioire con voi perché finalmente siamo giunti al gran finale. Avrei così tante cose da dire che, stranamente, in questo momento non me ne viene nemmeno una. Posso solo dirvi che come una stupida mi sono commossa in più parti, mentre stendevo questo capitolo. Ho cercato di rendere giustizia a tutti i personaggi che mi sono stati cari e che ho cercato di adottare un po’ come fossero figli miei. Lo so, c’è ancora l’epilogo e di tempo per ammorbarvi con le mie note a margine ne ho ancora.
Ma intanto volevo iniziare a ringraziarvi per essere stati con me fino alla fine (e fino alla morte di St-ronz-einer; Em non ti ringrazierò mai abbastanza per questo nomignolo).
Spero davvero che tutti i passaggi siano stati chiari. Io il piano l’ho immaginato fin dall’inizio, ma questo finale, in tutti i suoi passaggi, è il frutto dell’evoluzione dei vostri e miei oc, che neanche io credevo possibile.
E ora non vedo l’ora di leggervi nelle vostre bellissime recensioni ( prometto che mi impegnerò per rispondere a tutte). Inizio con l’abbracciarvi ora, ma sappiate che mi staccherò solo all’epilogo.
 
Bri

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


EPILOGO
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.
 
14 Aprile 1995
 
Quando gli Auror arrivarono sul posto, della villa e del Giardino non era rimasto che un cumulo di macerie. Le indagini proseguirono per lungo tempo: la squadra riuscì a reperire libri, qualche quaderno di appunti, un paio di oggetti incantati e ben undici bacchette, in quello che doveva essere stato lo studio di Robert Malus Steiner. Inoltre, con raccapriccio, recuperarono anche alcuni effetti personali fra i calcinacci delle celle che avevano ospitato i tredici reclusi, fra cui un paio di pesanti scarpe in ferro battuto. Nell’esplorare le celle, scoprirono in questo modo che all’appello, tra coloro che erano usciti vivi da quell’inferno, mancasse una persona.
 
 
Il momento della riconciliazione con i propri familiari, strinse il cuore di molti dei sopravvissuti al Giardino. Quando Heron e Justine erano stati avvisati che la loro ragazza era stata ritrovata e che in quel momento sostava, sana e salva, al Ministero della Magia, la coppia si apprestò immediatamente a smaterializzarsi, per raggiungere l’accesso all’edificio. La corsa interna, per raggiungere il piano e l’aula a loro indicata, sembrò infinita. Erano passati mesi dalla scomparsa di Jules e ogni giorno, no, ogni minuto, era pesato loro come un macigno.
Quella porta aperta e la voce della loro bambina, giunse come un vero e proprio miraggio. Sembrava serena, si disse Justine nell’ascoltare quel suono delizioso, mentre tratteneva con forza la mano di Heron per non rischiare di crollare a terra per l’emozione. Tremavano, entrambi.
 
- … E allora mi hanno ordinato di lasciare la mia cella la prima volta… è stato brutto, avevo paura e… -
 
- Jules… mon amour… -
 
Con una coperta leggera a cingerle le spalle, Jules scattò immediatamente in piedi, seguita dallo sguardo di Alon che era seduto al suo fianco, di Yann, dal volto tumefatto al quale stavano applicando le prime cure e da tre auror che avevano iniziato a interrogare i superstiti presenti in quella stanza. I reduci del Giardino erano stati smistati per essere soccorsi e sottoposti a un primissimo interrogatorio; inutile dire che né Alon né Yann avevano preso in considerazione l’idea di staccarsi da Jules.
 
- Mamma… papà… -
 
In un volteggiare di capelli chiari, Jules si gettò nelle braccia dei genitori, pronti ad accoglierla fra le lacrime che irroravano i loro volti senza soluzione di continuità. Alon e Yann rimasero in silenzio, a osservare quel ricongiungimento cercando di trattenere a loro volta le lacrime e con un pizzico di malinconia a farli brillare.
Alon, il cuore ricolmo di pura gioia, nel vedere con i propri occhi Jules riunita alla sua famiglia; da quando l’aveva incontrata, non aveva fatto che desiderare con tutto se stesso che la ragazza riuscisse a mettersi in salvo, a costo della sua vita. Le sue preghiere, infine, erano state accolte. Si chiese, il giovane, quando anche lui si sarebbe potuto ricongiungere con la sua famiglia. Sospettava ( anzi, ne era più che certo) che Alyssa stesse soffrendo da impazzire la sua assenza, non sapendolo né vivo né morto; stessa cosa valeva per Blue e sua madre.
Yann, di suo, sapeva che nessuno sarebbe arrivato al Ministero per ricongiungersi a lui e non solo perché le sue erano origini babbane. Probabilmente la maggior parte del suo vecchio clan di Sinti, non si preoccupava affatto se lui fosse vivo o morto, ma Yann ormai da tempo aveva smesso di soffrire per questo motivo. L’unico suo pensiero, in quel momento, era la sorte di Roxanne, che si era spontaneamente consegnata agli Auror non appena erano arrivati lì.
 
- Venite con me! – Intanto la famiglia riunita aveva smesso di singhiozzare e Jules, con spirito ritrovato, strattonava le mani dei genitori affinché si avvicinassero a Yann e Alon, - Devo presentarvi due persone molto speciali. Heron, Justine, loro sono Alon e Yann; senza di loro e tutti gli altri, sapete, io non sarei qui. -
 
Heron e Justine, ancora apertamente sconvolti, si lasciarono trascinare da Jules. I due studiarono con attenzione quelle due figure: se di Alon rimasero stupiti dalla stazza, ma riconobbero in lui un viso giovane e gentile, lo stesso non poterono dirsi di Yann, dal volto accigliato, i lineamenti duri e tumefazioni da scontro sparse in tutto il corpo. E con estremo stupore di quest’ultimo, che Justine si avvicinò a lui e lo abbracciò con forza.
 
- Non vi ringrazierò mai abbastanza per avermi riportato Jules sana e salva. -
 
Yann si lasciò stritolare da quella donna bellissima (aveva compreso da chi avesse ereditato l’aura irresistibile la piccola) e tossicchiando imbarazzato, lanciò uno sguardo a Alon che, nel frattempo, era avvolto dall’abbraccio di Heron. Quello, valutò fra sé, era senz’altro vero amore.
 
*
 
Graham fu il primo a avviluppare la sorella con un abbraccio da mozzare il fiato. Per tutti quei mesi i suoi genitori avevano tentato di rassicurarlo, ricordandogli quanto forte fosse sua sorella la quale se la sarebbe cavata senza ombra di dubbio. A un certo punto Graham aveva smesso di credere a quelle parole; dentro di lui era iniziato un processo di rassegnazione, dolorosissimo, ma che lo aveva aiutato a non impazzire per l’improvvisa scomparsa di Evangeline. Lo stupore, quindi, nell’apprendere che non solo sua sorella era ancora viva ma che stava bene, lo aveva fatto capitolare. Aveva bisogno di una prova empirica, la dimostrazione che fosse davvero lei, che fosse sopravvissuta. Così, quando arrivarono al Ministero, il resto delle persone che circondavano Evie scomparvero come d’incanto: c’era solo lei, in carne e ossa, viva.
Contro ogni previsione, anche Cora ricevette lo stesso trattamento da parte dei suoi familiari; in assoluto, la giovane fu sorpresa dall’estenuante abbraccio del padre il quale, fra i singhiozzi, non aveva smesso di tenerla attaccata a sé. In quel momento Cora non aveva le forze per riversare su di lui la sua rabbia e per accusare i genitori di averla spinta fra le braccia di un maniaco perverso. Non sapeva nemmeno se lo avrebbe fatto mai, in realtà. Ora non voleva che bearsi di quell’abbraccio caldo; uno così, in realtà, non lo aveva mai ricevuto in tutta la sua vita.
 
- Dove sta? Fatemelo vedere, subito! -
 
La voce allarmata di Adam, seguito dal passo celere di Sophie, scosse i presenti. Cora era circondata dalla sua famiglia, altrettanto valeva per Evangeline la quale, di tanto in tanto, si lanciava occhiate con Victor. Il capo redattore della Gazzetta del Profeta, invece, era al fianco di Martha che lo stava assistendo mentre un medimago lo stava visitando. Nel sentire la voce del padre, Victor alzò una mano e accennò un sorriso:
 
- Sono qui ma vi prego… niente abbracci eccessivi, non mi sento troppo in forma… -
 
Martha roteò gli occhi; possibile che Victor riusciva a essere sgradevole anche in una situazione come quella? Nonostante tutto si ammorbidì in un sorriso, non appena Sophie e Adam si avvicinarono a loro e, fregandosene di quanto aveva appena detto il figlio, lo abbracciarono con forza. La strega perse lo sguardo intorno a sé: Evangeline si era lasciata andare a un pianto nervoso ma distensivo; Cora aveva fatto lo stesso e immaginava che la stessa cosa stesse avvenendo, chissà in quale altro luogo del Ministero, per Odette.
Lei invece era ancora in attesa. Guardò la fede nuziale che cingeva l’anulare sinistro, nella speranza che anche per lei sarebbe arrivato presto il momento di ricongiungersi al grande amore della sua vita.
 
*
 
Odette si era finalmente ricongiunta con i propri cari. L’emozione era stata indescrivibile, ma una vena di malinconia non esitò a calcarle il viso quando, nell’allontanarsi dal Ministero, aveva salutato il suo amico Lucas il quale, stremato ma felice, stringeva a sé Joshua. Lucas in effetti poteva contare sui suoi familiari e sui colleghi che, una volta ritrovato, lo avevano accolto come fosse un vero eroe. Ma Joshua? Sapeva bene, Odette, che il metamorfomago fosse più che solo nella vita al di fuori del Giardino.
 
- Aspetta un attimo papà, devo fare una cosa. – Dichiarò proprio sulla soglia d’uscita. Suo padre non avrebbe voluto allontanarsi un altro istante da lei, ma conosceva bene sua figlia e era più che certo che volesse fare qualcosa di importante.
 
- Ti aspetto fuori, poi andiamo a prenderci un gelato. Sono sicuro che muori dalla voglia di mangiarne uno! -
 
Odette annuì, sorrise di cuore e corse di nuovo dentro. Compì un percorso a ritroso, fino a giungere nella sala in cui si trovavano ancora Joshua e Lucas; quest’ultimo stava scacciando un’infermiera che pretendeva di portarlo via per essere visitato a dovere, mentre continuava a raccontare ai colleghi, che lo ascoltavano in stato di adorazione, le peripezie degli ultimi mesi. Invece Joshua era ancora solo, seduto accanto a una delle ampie finestre, a osservare timidamente il panorama al di fuori. Odette affrettò il passo e arrivò davanti al giovane; solo a quel punto Joshua sembrò accorgersi della sua presenza.
 
- Odette, ma non eri andata… -
 
La medimaga lo afferrò per un polso e lo strattonò per farlo alzare, dopodiché non ci pensò su due volte, prima di abbraccialo.
 
- Non sei più solo, hai capito? Se quel maledetto giardino ci ha insegnato qualcosa, Joshua, è che la famiglia non è sempre e solo quella che ci capita. -
 
Per qualche istante il mago rimase immobile, come se quell’abbraccio equivalesse alla morsa di un boa. Eppure dopo poco si sciolse e seppur con iniziale ritrosia, ricambiò l’abbraccio di quella che era ormai diventata una cara amica.
 
*
 
- Ti ho detto che mi sento bene, dico sul serio. -
 
William, sorriso malinconico e sguardo a mezz’asta, stava subendo la strana apprensione dell’auror Madeline, nonostante fosse evidentemente quest’ultima ad avere maggior bisogno di cure, visto che era ridotta come un colabrodo. La donna, comunque, non aveva voluto sentire ragioni e aveva obbligato William a seguirla fino al suo studio personale, dove aveva fatto arrivare un maginfermiere che avrebbe dovuto visitarlo.
 
- Stai zitto Lewis. Forse la cosa non ti è ben chiara ma qui sono io che comando e quindi ti ordino di farti visitare. Ogni tipo di protesta non è consentita. -
 
William accennò un altro sorriso e lasciò quindi che quel giovane lo visitasse. Intanto, il suo sguardo aveva preso a vagare per la stanza e gli occhi chiari fermarono la loro corsa solo quando impattarono su una foto che ritraeva Mad e Gideon Prewett stretti in un abbraccio, davanti a una delle librerie di Diagon Alley. Fu a quel punto che William collegò i pezzi e capì per quale motivo lei sembrava tenerci così tanto alla sua salute. Madeline era stata la compagna di quello che poteva considerare come un fratello e che era stato ucciso, assieme al gemello, da alcuni spietati Mangiamorte.
L’uomo decise di mettere da parte quell’argomento; sospettava, infatti, che avrebbero avuto altre occasioni in futuro per parlare di Gideon.
Un brusco bussare alla porta pose fine allo sciabordio dei suoi pensieri. Senza neanche attendere una risposta, Hestia Jones entrò: la nuca rossa fasciata, un occhio bendato ma nonostante questo sembrava sprizzare energia da tutti i pori. Fra le mani teneva un pretzel più grande di lei, che di tanto in tanto sbocconcellava con avidità.
 
- Mi trovo costretta a farti i miei complimenti, auror Jones: la soffiata fornita dal tuo contatto si è rivelata posarsi su basi fondate. -
 
Nel sentire il linguaggio formale con cui Mad si era approcciata a lei, scatenò prima un’alzata di sopracciglio, poi una risata di gusto. Madeline sbuffò nel vedere pezzetti di pretzel masticati spargersi sul pavimento del suo studio.
 
- Finalmente, maledetta infame! Pensavo non mi avresti più detto nulla! -
 
- Che c’è, ti aspetti per caso una medaglia al valore?! Guarda che siamo state in grave pericolo! Se fossimo state correttamente informate che ci saremmo andate a infilare in un luogo zeppo di Mangiamorte, in cui era impossibile lanciare patronus per chiedere soccorsi, non saremmo ridotte in questo modo e nessuno avrebbe avuto modo di darsela a gambe! -
 
- Se ti riferisci a quell’Adrian, la sua fuga mi sembra il male minore. Lo hai visto con i tuoi stessi occhi aiutare la lupacchiotta a abbattere i Mangiamorte! A proposito di lei… ma che fine ha fatto? – Continuò Hestia, velatamente (ma neanche troppo) stizzita.
 
William sospettava di sapere dove si trovasse in           quel momento Elyon, ma si guardò bene dal dare forma ai propri pensieri. Era consapevole, infatti che al contrario di Roxanne Borgin, se Adrian si fosse costituito, avrebbe dovuto passare decenni all’interno di Azkaban.
 
 
- Vedi di trovarla il prima possibile. Puoi chiedere al tuo amichetto tuttologo magari, però questa volta, mia cara, fatti dire tutto quello che potrebbe esserti utile!
-
- Ma non ti sta proprio bene niente allora! Cosa vuoi che ne sapesse di quella situazione! Sei una vera ingrata, sai? -
 
Le due auror presero a bisticciare con animosità davanti agli occhi sconcertati del magifermiere e quelli pacati di Will. Quest’ultimo sorrise; era tanto tempo che non si divertiva così.
 
*
 
Seduto sulla poltroncina scolorita di una piccola anticamera, Alistair si era perso a guardarsi intorno. Roxanne si era costituita un paio di ore prima e da quel momento lui si era ritrovato in stato semi catatonico. Gli era stato ordinato di attendere e nessuno gli aveva detto “chi” o “cosa”, dovesse attendere. Dopo tutto quello che era successo, comunque, Alistair non sentiva la premura di andare via. Fuori dalla prigionia del Giardino non aveva molto, se non qualche collega e la sua vecchia amica d’infanzia e non era nemmeno certo che i suoi genitori si fossero preoccupati per la sua scomparsa.
 
- Alistair Gordon, se non sbaglio. -
 
Sentendosi richiamato, il babbano alzò lo sguardo e puntò l’attenzione sul mago che lo aveva appellato. Un uomo minuto, particolarmente distinto e se non fosse stato per quegli strani capelli color vinaccia, avrebbe potuto tranquillamente scambiarlo per un qualsiasi funzionario statale della Londra non magica.
 
- Si… sono… sono io. -
 
- Prego, mi segua signor Gordon. -
 
Alistair seguì il mago senza chiedere nulla. Mentre attraversavano i lunghi corridoi animati, notò che varie streghe e maghi, al suo passaggio, interrompevano le chiacchiere e le proprie mansioni per dedicare a lui l’attenzione. Ma se fino a otto mesi prima Al sarebbe rimasto spiazzato da un simile comportamento, ora era così abituato a essere osservato, che la questione non gli faceva né caldo né freddo. Arrivarono, dunque, a una grande porta dorata, sulla quale svettava una targhetta d’ottone, con sopra inciso “Ministro della Magia C. O. Fudge”. Il mago bussò alla porta e subito, dall’altra parte, una voce allegra gli rispose di entrare pure.
 
- Finalmente ci conosciamo! -
 
Il babbano non fece in tempo a indietreggiare, che quello che aveva intuito essere il Ministro della Magia in persona gli aveva già afferrato la mano e aveva preso a scuoterla con veemenza.
 
- Per me è un grandissimo onore averla qui signor Gordon, un grandissimo onore, oh si! Ma la prego, si sieda, non stia lì in piedi! -
 
Alistair tossicchiò e le sue orecchie assunsero il tono di un vivido rosso. Il Ministro della Magia Fudge, che non si era nemmeno degnato di presentarsi, né tantomeno di assicurarsi che stesse bene, passò la successiva ora a sciogliersi in complimenti inopportuni e coprirlo di domande ancora più inopportune. Alistair non era uno sciocco e sospettava che il mondo magico sotto questo aspetto funzionasse esattamente come il suo: insomma, il Ministro non aveva nessun diritto di coprirlo di domande in assenza di un suo avvocato o di altri testimoni. Capì in fretta, Al, che le domande convergevano tutte in un punto ben specifico; stavano cercando subito il modo di incastrare Roxanne, senza perdere ancora tempo. Fu dopo l’ennesimo silenzio di risposta che Fudge si irrigidì e ben presto il tono e i modi concilianti se ne andarono all’inferno.
 
- Lei deve rispondermi signor Gordon, è nostro diritto sapere, per i baffoni di Merlino! -
 
Fu a quel punto che Alistair si alzò: - Se n-non volete altro, io ora andrei. Sapete, ho passato g-gli ultimi mesi r-recluso insieme a un gruppo di maghi… ho bisogno di schiarirmi le i-idee. –
 
- Bene. – Fudge strinse le labbra: - A breve le arriverà una lettera in cui verrà richiamato a testimoniare nel processo contro Roxanne Borgin. -
 
- Vorrà d-dire che ci vedremo di nuovo. Con permesso. -
 
Mentre lasciava quel luogo, Alistair sorrideva. Il suo tartagliare stava sparendo, come per magia e sentiva il coraggio crescere dentro di sé. Avrebbe fatto di tutto per far uscire Roxanne da innocente, il Ministro poteva giocarci tutto il palazzo.
 
*
 
Philip venne svegliato di soprassalto dall’urlo di uno strano animale argentato. Gli era stato assegnato il turno di notte e lui, dopo essersi occupato di un paio di casi davvero complicati, era infine crollato sulla branda di quella stanzetta umida, che usava assieme ai suoi colleghi per riposare un po’ quando ce n’era l’occasione. Con un gesto automatico scattò in piedi pronto a gestire l’ennesima emergenza; ci mise un po’ a mettere a fuoco e comprendere che non era stata la maginfermiera di turno a destarlo, bensì un patronus a forma di volpe, che gli girava intorno con frenesia.
 
- Recati subito al Ministero. È stata ritrovata tua moglie. -
 
Il cuore arrivò alla gola e occupò quel posto con arroganza, togliendogli per qualche momento il respiro.
 
- Martha…? Martha è… oddio. -
 
- Sbrigati, poltrone! – Urlò la volpe con la voce di donna, prima di dissolversi in una nuvola d’argento.
 
- Aspetta! Martha è… viva?! Ehi, aspetta! -
 
Ogni tentativo di richiamare il patronus fu totalmente inutile, visto che quello si era già dissolto. Tutto, intorno a Philip, perse di consistenza. Corse fuori dalla stanza mentre sfilava via il camice che abbandonò a terra; corse verso la reception del suo reparto e gridò che doveva essere sostituito perché era appena stato richiamato al Ministero. I suoi colleghi, che volevano molto bene a Philip, lo incitarono neanche avesse vinto la coppa del mondo di Quidditch.
Fuori era ancora buio ma il ragazzo, che stava correndo a perdifiato verso il primo punto di smaterializzazione utile per il Ministero, notò che le primi luci dell’alba sembravano voler fare capolino oltre i palazzi del San Mungo.
Sarebbe stato un giorno di gioia oppure stava per cadere in un baratro profondo, dal quale non sarebbe più stato in grado di risalire?
 
*
 
Nella sala non era rimasta che lei. Victor era stato immediatamente trasferito al San Mungo, per ulteriori accertamenti sul suo stato di salute mentre Evangeline, nonostante la ritrosia della ragazza a lasciare che la separassero da lui, aveva fatto ritorno a casa con la famiglia. Si erano lasciati, i due, con un abbraccio soffice, davanti agli sguardi sbigottiti delle reciproche famiglie, con la promessa che Evie sarebbe andata all’ospedale appena possibile.
Martha cosa avrebbe dovuto fare? Tornare subito nel suo appartamento? Dove avrebbe trovato Philip? Stava lavorando, o stava dormendo, oppure…
Poi sentì, chiarissima, una voce nella sua testa. Quella voce che lei conosceva così bene, ma che era distante da lei nello spazio almeno di venti metri. Chiedeva di lei, la nominava.
E si faceva vicina, sempre più vicina, come una lucina che prende il coraggio di respirare.
E poi lo vide: Philip spalancò la porta di quella stanza senza esitare, il viso rosso per il tanto correre e gli occhi lucidi, che puntarono subito su di lei.
 
- Sei… sei… -
 
Martha non gli dette il tempo di dire una sola parola. Saltò in piedi come una furia e a ogni passo, gli occhi si gonfiavano di lacrime nuove, pronte a sgorgare. La sensazione che percepì l’istante in cui suo marito la afferrò, fu di pura estasi.
La stretta delle braccia di Phil. I suoi capelli che profumavano di pulito. I suoi singhiozzi a bagnarle la bocca che, con foga, ricercava quella di lui.
Phil era la sua panacea e finalmente, dopo otto mesi, Martha si convinse che tutto sarebbe andato bene. Era viva, lo era con lui.
 
*
 
29 Aprile 1995
 
 
Il processo contro Roxanne Borgin si svolse velocissimo. Purtroppo, la ex Mangiamorte era rimasta l’unica verso cui il Ministero poteva riversare la sua sconfitta nei confronti di Robert Steiner, un uomo che per anni li aveva soggiogati e che per mesi aveva giocato a scacchi con loro. Non potendosela prendere con lui o con i Mangiamorte di cui avevano ritrovato i corpi, dovettero ripiegare solo su Roxanne.
E Adrian? Di lui, dal crollo della villa, non vi erano più tracce. Ma Roxanne non gliene fece di certo una colpa; al contrario, era stata proprio lei a ordinargli di fuggire all’istante, perché se lei era consapevole di avere forti attenuanti a suo favore, lo stesso non avrebbe potuto dire Adrian.
Durante lo svolgimento del processo vennero chiamati a testimoniare tutti coloro che erano stati rinchiusi all’interno del Giardino: Evangeline fu la prima a essere interrogata, poi fu il turno di Alon, poi di Lucas.
Elyon si limitò a contraddire ogni singola stupida domanda formulata da parte dell’accusa: quel povero magiavvocato aveva avuto la presunzione di poter rigirare le parole del licantropo a proprio piacimento, ma Elyon non solo non si era mai contraddetta, ma aveva fatto anche in modo di mandarlo totalmente in confusione, al punto che  l’ometto si trovò a scusarsi con lei, cosa che la fece ridere più del dovuto. Solo in un momento aveva vacillato: quando avevano provato a chiederle se sapeva che fine avesse fatto Adrian Reed. Fortunatamente Elyon aveva dalla sua l’arte dell’occlumanzia e quindi nessuno riuscì a tirarle fuori nemmeno un piccolissimo dettaglio.
Ma furono tre le testimonianze che fecero pendere l’ago della bilancia in favore di Roxanne: quella di Alistair, di Yann ma specialmente di Odette.
Se con il primo dei tre, la giuria a tratti esitò, ritenendolo vittima di una sorta di Sindrome di Stoccolma, le parole del magifabbro ribaltarono la situazione: del resto Yann aveva sancito un voto infrangibile con Roxanne e aveva assistito alla sua redenzione.
Ma quando venne chiamata a testimoniare Odette, fu quello il momento in cui, realmente, Roxanne passò da carnefice a vittima.
In fondo Odette aveva letto i ricordi di Roxanne, ripercorrendo la sua intera esistenza, fin dai primissimi anni di età, passando per la manipolazione e l’obliviazione da parte di Robert. Una volta dimostrato che i ricordi di Odette non fossero distorti, la sentenza era solo una formalità.
 
- Roxanne Borgin, la preghiamo di alzarsi in piedi per accogliere la sentenza. -
La bellezza di Roxanne, se possibile, risultò ancora più disarmante in quel contesto agli occhi di Yann il quale, da testimone e spettatore, era presente nella sala. Sentiva il corpo fremere e solo una stretta della spalla da parte di Elyon, in piedi al suo fianco, servì a distenderlo un minimo.
Roxanne non abbandonò mai la compostezza e la classe innate nella sua persona: si era costituita con piena consapevolezza e aveva deciso di affrontare quel processo senza cercare di scagionarsi. Voleva venisse fatta giustizia e nonostante tutto, per quante giustificazioni potesse avere, aveva compiuto una serie di passi falsi che l’avevano portata sulla via impervia e corrotta. Per questo accolse la sua sentenza senza battere ciglio.
 
- La giuria ha analizzato il suo caso con cura, signorina Borgin. Non fosse per le sue molteplici attenuanti, che abbiamo riconosciuto come concrete e attendibili, lei sarebbe destinata a passare buona parte del resto della sua vita in prigione. -
 
Yann trattenne il fiato, ansioso. Dovevano arrivare al punto.
 
- Visto e considerato quale potere ha esercitato su di lei Robert Malus Steiner e le ripercussioni che  si sono riversate sulla sua vita: Roxanne Borgin, lei è condannata a scontare 10 mesi a Azkaban. -
 
Yann e Elyon si scambiarono uno sguardo; sorridenti e mediamente sereni, anche se avrebbero preferito che Roxanne non scontasse nemmeno un giorno di detenzione, potevano dire di aver raggiunto la vittoria.
 
- Ora devo andare. Stammi bene Yann. -
 
- Anche tu, Elyon. -
 
*
 
14 Aprile 1999
 
Il calore emanato dal braciere non lo tangeva minimamente, anzi: Yann amava quella sensazione, così come il riverbero della fiamma che s’assopiva nella brace viva. Era dall’alba che lavorava senza sosta nella sua fucina e, non fosse stato per un tossicchiare e un picchiettare sulla sua spalla, non si sarebbe nemmeno reso conto che era quasi ora di pranzare.
Nel voltarsi un sorriso malandrino e un paio di occhi blu erano lì, pronti per lui. Roxanne teneva le braccia incrociate, in attesa di essere presa in considerazione.
 
- Sono le dodici e quindici e Al è già arrivato. Per quanto io adori quando ti riduci così… - L’indice di Roxanne roteò in maniera eloquente nella sua direzione, - …credo che i nostri ospiti non la pensino esattamente come me. -
 
Una risata quasi burbera uscì dalla bocca di Yann, che intanto aveva abbandonato gli strumenti del mestiere, per poi stringere la vita di Roxanne con un braccio. Di tutta risposta la donna rise, per poi passare a un sussurro che fece impazzire il magifabbro: - Sarò costretta a cambiarmi, ora… -
 
- Possiamo sempre lasciare il bambino agli altri, mandare tutto al diavolo e passare le prossime due ore sotto la doccia. -
 
- Oppure potete degnarci della vostra presenza e rimandare i vostri affari intimi a un altro momento, che ne dite? -
 
La voce scanzonata di Victor bloccò le effusioni della coppia, così Yann e Roxanne si voltarono verso di lui. Il magigiornalista era poggiato allo stipite dell’entrata della fucina e al suo fianco, aggrappata al suo braccio, c’era Evangeline che fece spallucce, prima di parlare: - Non è colpa nostra, è stato Al a farci entrare. Strano ma vero siamo arrivati in orario. –
 
- Fosse per te staremmo ancora a gironzolare per casa senza reale motivazione. – Sottolineò Victor, in favore della compagna.
 
- Quindi il pranzo è stato spostato qui? Non farà troppo caldo? - Questa volta fu Odette a prendere la parola: alle sue spalle Vila, una ragazza dai lunghi ricci castani e la pelle d’ebano salutò il gruppo con calore, mentre aggrappato alla sua gamba c’era un bambino di circa due anni. Quest’ultimo non appena vide Yann, corse verso di lui urlando “papino!”, ma Roxanne lo tirò su al volo: - E no Loras, se papà ti prende in braccio ora dovrò cambiarti per la terza volta nell’arco della mattinata e non ne ho alcuna intenzione. Forza, usciamo di qui. -
 
Yann lanciò uno sguardo sornione al gruppo variegato che seguiva sua moglie lungo il vasto giardino che divideva la fucina, dalla modesta villetta. Accennò un sorriso, si premurò di spegnere il braciere e si chiuse la porta alle spalle.
 
 
 
Una doccia veloce e Yann fu di nuovo nel piano inferiore di casa sua, intento a compiere uno slalom per evitare i giochi di Loras; non bastavano quelli che aveva già, pensò Yann, ci mancava che ognuno dei suoi amici ne portasse di nuovi.
Una volta nel porticato, venne immediatamente accolto da una voce dolce e sbarazzina:- Per fortuna sei arrivato! Al non la smetteva più di chiedere di te. Incomincio a pensare che dovrei essere gelosa. -
 
Fu Martha, appena arrivata al fianco di Phil, a rispondere a Marceline, la ragazza di Alistair: - Mi domando chi non dovrebbe essere geloso di Yann. – Poi Martha sorrise e prese posto accanto a Evie, che la abbracciò con calore, - è bello rivedervi. –
 
Philip invece raggiunse Vicky, la cui attenzione era momentaneamente catalizzata da Loras: seduti entrambi sull’erba, il magigiornalista sembrava parlargli come se il bambino fosse già in procinto di diplomarsi. Di tutta risposta Loras gli fece una pernacchia e nominò la parola cacca per almeno sei o sette volte di seguito.
 
- Non te la cavi troppo bene con i bambini, amico mio. -
 
Victor alzò lo sguardo su Philip, così si rivolse di nuovo a Loras: - Perdona l’interruzione; dammi cinque minuti e tornerò da te per parlare dei massimi sistemi che muovono il mondo della defecazione. –
 
- Sei disgustoso! – Urlò Evangeline dalla tavolata di legno, prima di versare del vino per sé e Odette.
 
 Victor si alzò; i due amici si guardarono a lungo e poi si abbracciarono. – Ti trovo bene Vicky, vedo che le cure stanno facendo effetto. Sono contento. –
 
- Sono utili a rinforzare lo scudo e diminuire la carica batterica. Non me la cavo male. Tu come stai? Non ci vediamo da un po’, van. -
 
- Mi piacerebbe lavorare di meno e viaggiare di più. Poi, ecco… - Phil si guardò intorno e poi tornò a fissare l’amico di una vita. Victor notò che era diventato rosso.
 
- Ecco cosa? -
 
- Beh, oggi Martha e io vogliamo fare un annuncio e… -
 
- Ehi voi due! – Roxanne, sguardo letale o voce minacciosa, puntò l’attenzione sulla coppia di amici. – Dato che è arrivato anche Will che ne dite di muovervi e degnarci della vostra presenza?! -
 
Will, accompagnato dall’auror (e compagna da due anni) Mad, salutò Victor con un cenno del capo. Quest’ultimo tornò con lo sguardo su Philip: - Da quando si è sposata con Yann è diventata ancor più minacciosa. Roxie ci riserva sempre più sorprese. – Detto ciò, Victor si caricò sulle spalle Loras e si avviò verso la tavolata; prima di sedersi, però, si voltò di nuovo verso Philip: - Quindi devo farvi le congratulazioni? –
 
Per poco Phil non si strozzò; non gli fu dato il tempo di aggiungere altro, comunque, in quanto Roxanne pretese che tutti i presenti prendessero posto a tavola. Il sole splendeva alto nel cielo e filtrava tra le foglie d’edera che tappezzavano il reticolato di legno sotto il quale erano seduti.
 
- Aspettate, dov’è Alon? – Chiese Alistair, mentre prendeva in braccio Loras, passatogli da Victor come fosse un sacco di patate.
 
- E Jules? – Si aggiunse Martha, carezzando sovrappensiero il ventre.
 
- Arriveranno, non temete. Invece Dettie, cosa ci dici di Lucas e Joshua? Notizie del loro viaggio? -
 
- Quei due se la cavano bene. Ho con me le cartoline che ci hanno spedito dalla Nuova Zelanda, dopo che avremo mangiato ve le faccio vedere. – Odette sorrise sorniona, mentre carezzava i capelli della sua compagna.
 
- Mica male come viaggio di nozze. – Commentò Madeline, la quale si stava già versando il secondo bicchiere di vino.
 
A quel punto Victor si alzò, arrotolò le maniche della sua camicia, sistemò gli straccali e alzò il calice: - Beh, mentre aspettiamo gli altri due possiamo comunque brindare, no? –
 
- Ma che razza di maleducato! Stavate brindando senza di me?! -
 
Tutti si voltarono verso il viale da cui provenivano le grida indignate di Cora, assurdamente vestita con semplici jeans, scarpe da ginnastica e viso ripulito dal trucco. La strega raggiunse Victor e fu a quest’ultimo che gli regalò uno schiaffetto dietro la nuca, prima di rivolgersi agli altri: - Scusate, il mio ultimo paziente della mattina mi ha dato un gran da fare. – Così afferrò un bicchiere e si preparò a brindare con i compagni.
Tutti i presenti si alzarono, ognuno innalzando il proprio bicchiere. Solo il calice di Martha conteneva dell’acqua invece che del vino, ma nessuno, per il momento, ci fece caso.
 
- Alla nostra famiglia! – Pronunciò Victor per primo.
 
- Alla nostra famiglia! – Seguirono gli altri in coro. Mentre riprendevano posto, Yann accennò un sorriso a Roxanne, seduta al suo fianco: - A Elyon piacerebbe questa situazione, non trovi? E poi sarebbe fiera di te: questo giardino sta crescendo più rigoglioso che mai. -
 
- Elyon fiera di me? – Roxanne si dedicò a una risata di cuore, - Anche se fosse, non credo me lo direbbe mai! Giusto Ad poteva averci a che fare. Ora che ci penso, è qualche giorno che non ho loro notizie. Credi dovrei preoccuparmi? -
 
Yann scosse il capo e carezzò la schiena della moglie: - Non credo proprio. –
Così il magifabbro passò lo sguardo su ognuno dei partecipanti a quella che era diventata una tradizione irrinunciabile. Era chiaro, a chi conosceva il mago, quanta commozione risiedeva nel suo sguardo scuro.
Nonostante più di qualcuno mancasse all’appello, la sua inaspettata, folle, male assortita famiglia, gli colmava l’animo di un sentimento così caldo e piacevole, che nessuna fiamma ardente avrebbe mai potuto fare di meglio.
 
*
 
Isole Perhentian, Malesia, 14 Aprile 1999
 
 
Il mare dormiva placido, in un tepore umido e soleggiato. Dal baracchino di legno accostato a una grande struttura ospitante un numero ridicolo di avventori, proveniva una musica soft che contribuiva a rendere l’atmosfera paradisiaca.
 
- Signor Shelby, la sua stanza è pronta. Vuole che i bagagli suoi e della sua signora siano portati dentro? -
 
L’uomo, un babbano malese che a malapena arrivava alle sue spalle, si rivolse a lui in un inglese rigido, ma pulito.
 
- Faccia un po’ come le pare. Per ora io e la mia signora dobbiamo consumare i primi di una lunghissima lista di gin tonic. Li metta sul mio conto e già che ci siamo, mandi il ragazzo da noi fra una decina di minuti. -
 
- Ho capito bene? Dieci minuti, signor Shelby? Non crede che… -
 
- Quanto e in quanto tempo io e la signora Shelby decidiamo di tracannare i suoi fottuti cocktail annacquati, sono affari nostri. -
 
- Certo… certo signor Shelby, mi scusi signor Shelby. – Nel voltarsi, l’uomo scosse il capo. “Inglesi”, sussurrò sprezzante fra sé, mentre si avviava verso i bungalow che affacciavano sulla spiaggia chiara.
 
- Ma pensa tu. Ringrazia che ci sia qualche povero disperato come noi costretto a passare le sue giornate in questo posto dimenticato dal mondo. Maledetto idiota. -
 
Adrian, cappello di paglia in testa e costume rigorosamente nero, sedette scomposto sul lettino e allungò uno dei due cocktail che teneva in mano alla sua destra. 
Elyon, intenta a prendere il sole nel suo costume a righe bianco e rosso, spostò appena la falda larga del suo cappello e afferrò il cocktail con un sorriso: - Possibile tu non riesca a rilassarti nemmeno in un paradiso terreste come questo? Dannata me e quando ho deciso di darti una mano a nasconderti. –
 
- Sono quattro anni che mi segui come fossi un cagnolino fedele. – Sputò Adrian in un ghigno divertito: - Ormai è assodato che sono irresistibilmente affascinante, nonché bellissimo. -
 
- Bada a quello che dici, signor Shelby, che a gettare in mare questa ridicola paccottiglia che probabilmente hai trovato dentro delle patatine stantie, ci metto meno di un secondo! - rispose secca Elyon, mostrando l’anulare sinistro, cinto da una fede nuziale.
 
- Paccottiglia?! Ho impegnato una delle mie pistole per comprartelo, maledetta ingrata! -
 
- Allora forse dovresti chiederla indietro. – La strega si sporse verso di lui, mostrando uno dei suoi sorrisi più affilati: - Ti hanno fregato, Ad. Questo non varrà nemmeno uno zellino. -
 
Inutile dire che Adrian rispose con una reazione eccessiva, maledicendo lei, il dannato cocktail che teneva in mano e il giorno in cui aveva deciso di tradire Robert Steiner in favore dell’amore che provava per lei. Prima però che il mago potesse alzarsi in preda a una delle sue ricorrenti scene madre, Elyon gli afferrò un polso e lo attirò a sé, rischiando peraltro di farlo cadere a terra. Mosse poi le labbra piene in un fluire di languide parole: - Quarantatré anni suonati e ancora non hai acquistato un minimo di ironia. Sai che c’è, Adrian Reed… - il nome e il cognome, Elyon si premurò di sussurrarlo sulla bocca di lui: - Hai proprio ragione: io, da te, non mi staccherò mai. Cascasse il mondo. E ora fammi un favore… -
 
Adrian, totalmente annichilito dal suadente suono delle parole di Elyon, si stava già preparando a caricarla in spalla per portarla nel loro bungalow: quello che sarebbe successo poi, non sarebbe stato un finale adatto ai bambini. Ma quale sorpresa spuntò sul suo viso nel momento in cui Elyon non solo lo spinse via, bensì tracannò il cocktail in una solo volta e poi, con gesto secco, lo allungò verso il marito: - Vai a prenderne un altro, lo sai che l’aria di mare mi mette sete. –
 
Volarono parole terribili e cumuli di sabbia che Adrian si premurò di calciare; nonostante questo il mago si alzò e, fra una bestemmia e l’altra, si avviò verso il baracchino di legno. Elyon non si scompose mai e lo segui da dietro le lenti scure degli occhiali da sole; solo quando lo vide sufficientemente lontano, pose una mano accanto alla bocca e urlò: - È anche per questo che ti amo! –
 
- Stronza! – Fu la delicata risposta di Adrian, prima di chiedere un altro cocktail per lei. Ma Elyon non se la prese. Sapeva bene che quello era il modo di suo marito per rispondere “anche io ti amo, mia cara Ellie”.
 
*
 
Spiaggia di Fistral, Newquay, 14 Aprile 1999
 
Le dita, agguantate dalla fredda sabbia di quella spiaggia solitaria, giocavano a cercar sassolini colorati e i polmoni raccoglievano l’aria ricca di salsedine. Non c’era nessuno a condividere quello spazio incontaminato, o almeno per il momento. Jules si tirò su e dopo aver pulito le mani dai granelli di sabbia, passò una di esse dietro la nuca scoperta dal taglio irregolare e lasciò lo sguardo in direzione del mare. Quest’ultimo si muoveva allo stesso ritmo del vento, che la strega accoglieva come fosse una benedizione.
Gli occhi dai riflessi dorati ispezionarono le onde, in attesa.
Poi, d’un tratto, sentì una voce che pronunciava il suo nome. Quella voce conosciuta, che aveva il suono di casa, arrivò dalla sua destra e fu in quella direzione, che Jules mosse subito lo sguardo. Così lo vide.
I capelli lunghi parevano il corpo stesso del sole, tanto erano luminosi e dorati; il sorriso e i suoi occhi verdi esprimevano la felicità di vederla lì, presente a quell’appuntamento che i due non avrebbero mancato per nessun motivo al mondo.
Alon, il suo Alon, di nuovo con lei.
 
- Finalmente sei arrivata!- Gridò, il tritone, mentre allargava le braccia in attesa di accoglierla.
Non poteva aspettare ancora, non ci sarebbe riuscita e, del resto, non ci sarebbe stato alcun motivo. Jules allungò le mani per sfilare le scarpe d’ottone che le cingevano i piedi. Le abbandonò sulla spiaggia, sotto lo sguardo curioso e fiero di Alon e fu verso quest’ultimo che la ragazza corse. Si aggrappò al suo collo, esposta in una risata sprizzante felicità pura e Alon rise con lei, incapace di fare altrimenti.
 
- Ti stavo aspettando. – Sussurrò lui, fra i suoi capelli color del grano, mentre le braccia la stringevano a sé, come se il corpo di Jules fosse fatto di delicato vetro soffiato.
 
- Sono qui, non me ne vado più.- Furono le morbide parole di Jules, prima di avvicinare la propria bocca a quella di Alon e posarvi sopra un bacio leggero, ma che sapeva di vita.
 
 


 
Siamo davvero giunti all’Epilogo. Cari partecipanti, cari lettori. Questo epilogo, proprio come l’ultimo capitolo, da tempo era scritto nella mia testa. Ma come ogni cosa a cui tengo moltissimo, non ero pronta a tirarlo fuori; capitemi: abbandonare questi ragazzi, che sono vostri quanto, oramai, miei, è un lutto che non mi sento di portare, ma che credo sia necessario perché voi, che mi avete seguita, supportata e incitata per tutto questo tempo, lo meritavate molto più di quanto lo meriti io. Avrei voluto scrivere ancora pagine e pagine su tutti loro, ma non avrebbe avuto senso, non in questa sede. Il Giardino Segreto si conclude oggi e io vi ringrazio con tutto il mio cuore per essere stati con me fin proprio alla fine. Sappiate che prestandomi i vostri oc, mi avete fatto un dono grandissimo.
E ora un po’ di cosine: il lieto fine è arrivato per tutti; Roxanne, la mia ragazza che è maturata in una maniera che nemmeno io, agli albori di questa storia, ritenevo possibile, ha scontato la sua pena e ha finalmente incrociato la sua vita con quella di Yann, che nella mia testa l’ha amata quasi dal primo momento, da quel loro assurdo incontro all’odor di testosterone (rido ancora, a ripensarci). Questa è senza ombra di dubbio una delle coppie che più amo e ringrazio Eniente per avermi fatto dono di un personaggio splendido come Yann.
Philip e Martha? Beh, chi è che non ha da subito fatto il tifo per il loro ricongiungimento? Martha è un altro di quei personaggi che meritavano tutto il meglio. Spero di averle reso giustizia e di aver regalato a Em un finale apprezzabile. Ma poi, Martha è forse forse in dolce attesa?! Ma noooo Bri, non lo aveva capito nessuno! Grazie mille Em, per essere sempre ststa presente. Questo è il mio regalo per te.
Victor e Evangeline. Francy, tesoro, ti ringrazio con tutta me stessa per esserti fatta carico di Victor, uno degli oc a cui ho dato vita che amo di più al mondo, ma anche uno dei più complicati. Senza una Evie al suo fianco, non credo proprio che avrebbe fatto una bella fine.
La coppia che scoppia, i folgorati cani pazzi di questa faccenda: si, sto parlando OVVIAMENTE di Elyon e Adrian. Anne, cara amica; tu sai che Elyon ha conquistato un pezzo del mio cuore dal primo istante e non solo per il personaggio che si incastrava alla perfezione in questa storia tetra, ma specialmente per l’amore e la passione che hai impiegato nel costruirla. Tu lo sai che senza di lei, questa storia non sarebbe stata la stessa. Sai anche che (stesso discorso di Victor), il mio povero Adrian non avrebbe di certo avuto un lieto fine, senza di lei. Quindi ti ringrazio per Elyon e per essermi stata vicina sempre.
Vabbè ragazzi, parliamone: Jules e Alon erano predestinati dall’inizio. Io lo sapevo, Shiori lo sapeva e che cosa dovrei dire se non che sono meravigliosi? Tempo fa, in uno dei capitoli, specificai una nota sule Veele: queste creature hanno un compagno a loro predestinato. Beh, Jules, dal sangue Veela, è stata legata a Alon dalla nascita, aveva solo bisogno di crescere e raggiungere un’età consona. Insomma, per me Alon è speciale, e ringrazio Shiori per aver assecondato questa mia passione.
Ma non parliamo solo di coppie fatte e finite: Alistair e Odette, i miei amori grandi, coloro che sono stati fondamentali non solo per far uscire tutti sani e salvi dal Giardino: loro hanno fatto in modo che a Roxanne, la mia Roxie, venisse data una seconda possibilità. Senza di loro non sarebbe stato possibile, quindi ringrazio anche Cara e Keira. Grazie!
Ma anche Joshua e Lucas, o Cora, così come Mazelyn, sono un po’ come figli miei. Sono stati utilissimi ai fini della trama e (nello specifico Lucas, ragazzone mio), hanno aiutato a portare un po’ di colore spirituale a quel grigio Giardino. Senza di loro non sarebbe stato lo stesso, quindi ringrazio Lady White Witch, Lady Maria, Ssailorjupiter e a SlytherinPricess.
Infine ringrazio tutti coloro che hanno seguito la mia storia silenziosamente e anche quelli che mi hanno scritto in privato, facendomi avere la loro graditissima opinione.
Insomma, al solito le mie note sono infinite, ma potevate aspettarvi qualcosa di diverso?
Ok, mi asciugo i lucciconi. Passiamo alle questioni piacevoli! Ho in mente di scrivere, in futuro, alcune Os dedicate ai personaggi del Giardino. Questo ovviamente se pensate possa farvi piacere scoprire un po’ più da vicino cosa è successo a buona parte dei nostri ragazzi. Insomma, fatemi sapere cosa ne pensate!
Inoltre mi prendo un minuscolo angolino per segnalarvi una storia interattiva che ho tirato su con due care amiche di efp: ChemestryGirl,  Demoiselle An_ne e la sottoscritta si sono gettate in un progetto folle a sei mani! Se volete darci uno sguardo, vi lascio il link qui sotto. Come si dice: si chiude una porta, si apre un portone, no?
 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3929227
 
Grazie, grazie e ancora grazie.
 
Bri

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