I mille volti dell'amore

di Red Saintia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aiolia e Marin ***
Capitolo 2: *** Sigfried e Hilda ***
Capitolo 3: *** Saga e Saori ***
Capitolo 4: *** Shun e Ikki ***
Capitolo 5: *** Kairos e Tenma ***
Capitolo 6: *** Orfeo ed Euridice ***
Capitolo 7: *** Shiryu e Shunrey ***
Capitolo 8: *** Pandora e Radamante ***
Capitolo 9: *** Degel e Seraphina ***
Capitolo 10: *** Aiolos e Aiolia ***
Capitolo 11: *** Seiya e Shaina ***
Capitolo 12: *** El Cid e Sisifo ***
Capitolo 13: *** Artemide e Athena ***
Capitolo 14: *** Deathmask ed Helena ***
Capitolo 15: *** Aiacos e Violate ***
Capitolo 16: *** Shion e Dohko ***
Capitolo 17: *** Kanon e Saga ***



Capitolo 1
*** Aiolia e Marin ***


“Sei certa di voler continuare, il sole è tramontato ormai?”

“Sono più che certa, e non sottovalutarmi cavaliere, stai smorzando la potenza dei tuoi colpi credi che non me ne sia accorta?”

Lui sorrise asciugandosi la fronte.
“Ti accontento subito sacerdotessa, non mi faccio di certo pregare.”

In un attimo furono di nuovo vicini l’agilità e la destrezza di Marin nell’evitare i suoi colpi lo incitarono ad impegnarsi ancora di più. Per Aiolia era un gioco non certo una battaglia, un amichevole allenamento a lungo promesso e troppo spesso rimandato.
Si erano dati appuntamento all’arena quel tardo pomeriggio e dopo i saluti di rito era cominciata tra loro una lotta di sguardi più che di colpi. I pugni potenti del leone contro gli artigli affilati dell’aquila.
Un leggero colpo all’addome la fecero indietreggiare di qualche passo, si rimise subito in posizione d’attacco spiccando un salto che mancò il volto di Aiolia di pochi millimetri.

“Hai delle belle gambe Marin, ma non riuscirai a colpirmi.”

“Questo lo vedremo…”

Fu di nuovo lei a fare la prima mossa sferrando una serie di pugni che Aiolia evitò sorridendo divertito. Marin si innervosì perdendo la concentrazione, e il suo ultimo attacco venne fermato dalle mani del cavaliere che le serrò i pugni in una stretta.

“Sei agile e veloce non c’è che dire, eppure sono ancora in piedi, dichiarati sconfitta sacerdotessa.” disse attirandola più vicino a se.

“Non sono sconfitta, e la tua troppa sicurezza è stato il tuo sbaglio più grande.”
Sembrava volesse cedere alla stretta delle braccia di Aiolia, ma così non fu. Non appena il cavaliere allentò la presa, convinto che si sarebbe arresa, Marin fece forza sulle sue spalle balzando all’indietro e con un calcio alle gambe lo fece cadere a terra posizionando il tacco della sua armatura all’altezza del collo di Aiolia.

“Sei a terra cavaliere di Leo.”

Lui sorrise alzando le mani in segno di resa.
“Sei stata furba mi hai battuto, risparmiami ulteriori umiliazioni ti prego.”

Marin allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi in segno che il combattimento era terminato.
“Grazie per la prova che mi hai concesso Aiolia.”

“Di niente, il piacere è stato mio…” prese la mano della sacerdotessa fingendo di alzarsi e invece la trascinò giù con sé.
La fanciulla si ritrovò a terra e Aiolia era sopra di lei che cercava in qualche modo di percepire il suo sguardo attraverso quell’impenetrabile maschera.

Marin non disse nulla, provò ad alzarsi ma il cavaliere non glielo permise bloccandole i polsi.
“Cosa fai Aiolia? L’allenamento è finito ed io devo andare adesso.” disse con po’ di ansia nella voce.

“Non ce nessuna fretta Marin, non hai compiti ai quali adempiere e ormai il giorno volge al termine. Piuttosto, perché non ti togli quella maschera e mi lasci vedere il tuo volto?”
Aiolia allungò una mano verso il suo viso ma lei la spostò con uno schiaffo.

“Cosa dici? Sai che questo non è possibile vuoi condannare entrambi allo stesso destino di Seiya e Shaina?”

“E cosa ci sarebbe di male? Io non voglio di certo ucciderti, e nemmeno tu credo voglia farlo. L’altra scelta che rimane non la trovo poi così terribile.” rispose lui sfiorandole la spalla.

“Non voglio vincoli Aiolia, e non voglio che tu ne abbia verso di me. Amare una persona deve essere una scelta libera, non qualcosa imposto. Non potrei mai accettarlo.” rispose

“E chi ti dice che la mia non sia una libera scelta?” ribatté Aiolia con la sua solita sicurezza.
Marin smise di divincolarsi, puntando il suo viso negli occhi del giovane. Lui la lasciò libera di potersi muovere e lei sollevando la schiena gli buttò le braccia al collo piangendo sommessamente.

Aiolia la strinse a se baciandole i capelli.
“Perché piangi adesso? Ti ho forse offesa?”

“No di certo, e che in queste settimane ho temuto di averti perso. L’illusione di Saga che ti ha colpito, la battaglia alle dodici case. Non sapevo se saresti tornato da me come il cavaliere nobile e generoso che ho sempre conosciuto.”

“E invece sono tornato. Tornerò sempre dalla persona che più di tutti ha sempre creduto in me e mi ha sostenuto nelle difficoltà.”
Marin si sciolse dal suo abbraccio solo per potergli accarezzare il viso.

“Sei l’unica che mi è sempre rimasta accanto quando tutti mi guardavano con disprezzo e sospetto. In te ho trovato la forza per comprendere la verità.”

“Non potrei mai dubitare di te lo sai.”

“E io non voglio più fare a meno di te…” le sfiorò il collo con le mani, scendendo lungo la schiena, lei rabbrividì sotto quel tocco ed emise un sospiro sommesso.
Aiolia provò di nuovo a toglierle la maschera e di nuovo venne fermato.

“Ti prego non qui…” si voltò puntando lo sguardo verso i dodici templi e Aiolia capì cosa intendeva.
Si alzò sollevandola tra le braccia, lei si strinse a lui ancorando le mani al suo collo e poggiando il viso sul suo petto. In breve entrambi scomparvero in direzione della quinta casa.

Era calata ormai la sera e il tempio del Leone era illuminato solo da fioche luci, si faceva molta fatica a vedere in quell’oscurità che via via diventava più fitta.
“Aspetta, cerco di illuminare meglio la stanza.” Disse Aiolia, ma lei lo trattenne per un braccio.

“Ti assicuro che non serve, così va benissimo.”

“Ma tra un po’ non si vedrà nulla?” rispose perplesso

“E ciò che voglio. Io ti conosco fin troppo bene, e tu non hai bisogno di sapere di più di quello che già conosci. Eccetto i miei sentimenti, quelli puoi facilmente percepirli.”

Marin spense con un gesto le restanti luci della stanza nella quale si trovavano. Solo un pallido raggio di luna appena accennato nel cielo illuminava quell’oscurità. La sacerdotessa si sfilò la maschera poggiandola accanto al letto.
Restò nella penombra in modo che del suo volto fossero visibili solo tratti indistinti.
Fece avvicinare Aiolia e mise la mano di lui all’altezza del suo cuore. I battiti accelerati e il respiro che le sollevava leggermente i seni fecero perdere il controllo al giovane che da sempre la desiderava con tutto se stesso.

“Anche se il mio volto è celato da una maschera ascolta i battiti del mio cuore, loro ti diranno la misura dell’amore che ho per te.”
Il cavaliere le toccò finalmente quel viso da tanto tempo agogniato cercando di percepire i lineamenti nell’oscurità. Le sfiorò le labbra con un dito costringendola ad aprirle per poi richiuderle tra le sue.

La strinse a sé continuando a baciarla. Marin finalmente sentiva il sapore della sua bocca, era come aveva sempre immaginato, calda e passionale. Aiolia la distese sul letto cominciando ad accarezzarla dolcemente. Non le sembrava vero di essere tra le sue braccia.
Lei che come tante altre sacerdotesse aveva trascorso la sua vita tra insegnamenti e campi di battaglia poteva finalmente lasciarsi andare a qualcosa di puro e sincero come l’amore di un uomo.

Il cavaliere la spogliò con dolcezza dei suoi abiti da allenamento accompagnando le sue mani da molteplici scie di baci lasciate sul corpo. Lei lo accarezzò dolcemente lungo la schiena e intorno alle larghe spalle. Quando nel buio i loro volti si cercarono di nuovo fu lei ad aiutarlo a liberarsi dei suoi abiti, solo le loro mani e la percezione che avevano l’uno dell’altra permetteva di trovarsi in quell’oscurità.
Aiolia si chinò su di lei baciandole il collo e scendendo fino a giungere ai seni, lei percepì il calore del petto di lui su di sé aumentando il respiro già ansimante. Le mani del giovane si fecero più audaci e bramose accarezzandole le gambe lunghe e muscolose fermandosi lungo l’intimità della sua compagna, che fermò con uno scatto la sua mano.

“Tu hai imposto le regole oggi. Lascia però che a condurre il gioco sia io adesso.” le disse lui con voce roca e sommessa.

“Va  bene… mi sembra una richiesta equa.” rispose sorridendo.

Lasciò la mano di Aiolia che finalmente fu libero di continuare ciò che aveva cominciato. Marin fu come travolta da un vortice di emozioni, e così lui quando finalmente la vide rilassata e a suo agio entrò in lei.
Non potè vedere l’espressione del suo viso, ma dalla sua voce fu facile intuire che percepiva un pò di dolore, così fu molto cauto ed attento permettendole di abituarsi a quella nuova sensazione.

I movimenti in principio lenti e dolci si tramutarono ben presto in passione e desiderio. Marin strinse entrambe le gambe alla schiena di lui intimandogli di continuare. Le loro lingue si cercavano ardenti e fameliche in quei baci a lungo cercati. Aiolia si sollevava a tratti con la schiena per non pesarle troppo sul corpo, e in uno di quei frangenti la sacerdotessa ribaltò la situazione spingendo il leone sotto di sé e prendendo lei il comando della situazione.

Si adagiò sopra di lui muovendosi sinuosamente. Lui la prese per i fianchi e lei serrò le mani per non farlo muovere.
“Sei fantastica Marin… non fermarti ti prego.” e lei non lo fece

Audace e sicura di sé si muoveva inebriata da quella sensazione fino a quando arrivò per entrambi il culmine del piacere che li colse stanchi ed appagati.
Il bagliore della luna era diventato più intenso e nel timore di essere vista si mise di spalle accanto a lui nel letto tastando accanto a se con le mani per ritrovare la sua maschera. Dopo qualche secondo ci riuscì e la rimise subito sul volto.
In atteso che il suo respiro si regolarizzasse il cavaliere cercò di godere appieno quella meravigliosa sensazione che provava solo standole accanto.

“Non è necessario tutto questo lo sai?” le disse

“Lo so, ma credimi è meglio così…”

“E se io ti dicessi che ti amo e voglio che tu stia con me, non cambierebbe niente lo stesso?”

“Ti risponderei che ti amo anch’io, e lo sai, lo hai sempre saputo anche se non te lo mai detto. Ma l’amore è un lusso che non possiamo permetterci di vivere quindi cerchiamo solo di godere dei pochi istanti felici che abbiamo. Io sono tua Aiolia, lo sono sempre stata. La mia anima ti appartiene da tanto tempo ormai, e adesso anche il mio corpo sarà il custode di questo sentimento.”

“A volte non pensi che sia ingiusto sacrificare la propria felicità in nome di un ideale?” rispose lui

“E’ la vita che abbiamo scelto e nel bene e nel male bisogna affrontarla.”

Aiolia l’attirò a sé baciandole le spalle continuando ad accarezzarle il corpo ancora nudo.
“Sei l’unica che potrebbe farmi del male in questo momento anche solo rifiutandomi.” la strinse forte appoggiando la testa alla sua schiena.

“Allora non hai nulla da temere perché non accadrà mai.”
Il cavaliere le cinse le braccia costringendola a voltarsi, le sforò il viso percependo di nuovo il tocco freddo e rigido della maschera. Rimase un po’ contrariato da quella distanza che quell’oggetto metteva tra loro, così non ci pensò due volte agendo d’istinto.

Le tolse la maschera scaraventandola sul pavimento.
“Aiolia ma cosa?...” le chiuse le labbra con un dito

“Ascoltami, domani alla luce del sole saremo ciò che vuoi. Tu tornerai ad essere la sacerdotessa dell’aquila ed io il cavaliere d’oro della quinta casa. Ma finché la notte è nostra complice tu sei mia e voglio che il tuo viso resti scoperto al mio tocco, perché perdermi tra le tue labbra è una sensazione meravigliosa e non voglio rinunciarci.”

Marin gli accarezzò il volto, e lui percepì che stava piangendo.
Stavolta fu lei a baciarlo prendendogli le mani e avvolgendole intorno al suo corpo. Le loro bocche cominciarono una danza ben conosciuta ormai, non ci fu bisogno di risposte, quella era la migliore che lei potesse dargli.
I loro corpi furono di nuovo stretti l’uno sull’altro in quella che per entrambi era la più esplicita dichiarazione dei loro sentimenti.
L’alba li sorprese ancora teneramente abbracciati, i primi raggi che filtravano da una delle finestre illuminarono il viso di Marin, che riaprì gli occhi. Aiolia invece dormiva ancora.

Restò a guardarlo per qualche istante sorridendo istintivamente vedendolo in tutta la sua disarmante bellezza. Gli sfiorò i capelli baciando delicatamente le sue labbra.

“Grazie per questa splendida notte amore mio…” sussurrò appena, per non svegliarlo.
Si rivestì in fretta, rimise la maschera sul viso scomparendo silenziosamente dalla quinta casa.

Aiolia riaprì gli occhi, aveva rispettato la sua scelta, fingendo di dormire ed evitando di vedere apertamente il suo volto. Si strinse tra le lenzuola di quel letto disfatto, si sfiorò le labbra respirando a fondo.
Le parole che pronunciò rimasero le silenziose custodi di quell’incontro, nutrendo la segreta speranza che fosse solo il primo di molti altri.
“Al nostro prossimo incontro sacerdotessa guerriero…”




Un ringrazimento speciale a coloro che hanno avuto il piacere di leggere questa storia d'apertura. Marin e Aiolia per me sono davvero una coppia mancata, legati da un filo sottile e troppo presi dal loro ruolo per viversi pienamente. Quindi... questo regalo speciale glielo scritto io. Permettetemi, in conclusione, di aggiungere solo una cosa. Questa storia la dedico ad un'amica speciale che da tempo attendendeva di leggerla, grazie davvero per il sostegno e l'apprezzamento che mi hai sempre dimostrato, è per merito tuo (e di un'altra pazza scrittrice che adoro) se oggi sono qui. Te la dedico con il cuore e con sincero affetto. Grazie a tutti... alla prossima. 
 

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Capitolo 2
*** Sigfried e Hilda ***


I suoi occhi di un azzurro terso e limpido si perdevano nella maestosità e nell’irruenza di quelle acque, il mare Artico sul quale sorgeva la sua Asgard terra ospitale con gli stranieri quanto difficoltosa nella quale vivere.
Da sempre governata dal dio Odino al quale la sua celebrante elevava ogni giorno accorate preghiere affinché il suo clima permettesse condizioni di vita più agiate per i suoi abitanti.
Nobile e fiera Hilda di Polaris aveva rinunciato a tutto pur di proteggere la sua gente ed assicurare loro una vita serena. Eppure da alcuni giorni pensieri cupi e oscuri tormentavano la sua mente, non sapeva dare una spiegazione a quella strana inquietudine che rendeva il suo animo così angustiato.

Inginocchiata ai piedi della statua del suo dio calde lacrime le rigavano il volto mentre chiedeva a Odino la forza di portare avanti il suo compito. Il freddo pungente la fece rabbrividire per un attimo e quando si strinse le braccia intorno alle esili spalle per darsi un pò di riparo trovò altre mani più che familiari ad accogliere le sue.
Sigfried le poggiò un mantello addosso per ripararla dal freddo, lei non ebbe l’impulso di voltarsi subito poiché conosceva bene il cosmo del cavaliere e il tocco dolce e protettivo di quelle mani che tante volte avevano dissipato i suoi dubbi e le sue incertezze con un semplice abbraccio.

“Mia regina dovreste essere a palazzo a quest’ora, la notte cala in fretta in questo periodo e con essa il gelo che sarebbe preferibile evitare.” le disse mentre le sue mani ancora le cingevano le spalle.

Hilda si alzò lentamente voltandosi verso di lui.
“Avevo necessità di pregare Odino, sentire la sua presenza mi da conforto.” rispose

“Avete bisogno di conforto mia signora? Non né vedo il motivo. Ad Asgard le cose procedono come sempre, la nostra gente è forte e capace di affrontare le insidie del rigido clima.”

Lei abbassò lo sguardo come se non condividesse la tranquillità del suo cavaliere e fece qualche passo in direzione degli immensi blocchi di ghiaccio perenni che ricoprivano gran parte della città.
“Ci pensi mai Sigfried a come sarebbe vivere in un clima più mite e temperato, vedere campi rigogliosi e il sole che riscalda il tuo viso?” il suo sguardo divenne triste e malinconico. “Io ci penso sai, ci penso spesso ma non per me, per la mia gente e per mia sorella. Vorrei dare loro una vita diversa…”

Il cavaliere comprendeva bene le preoccupazioni di Hilda, per lei il benessere della sua gente aveva la priorità su tutto, persino su se stessa e lui per quel che gli era possibile le era sempre accanto. Negli anni avevano imparato a conoscersi reciprocamente a condividere gioie e dolori delle loro vite vincolate da un destino fatto di sacrifici e rinunce.

“Ormai vi conosco bene e so che non pensereste mai a queste cose se non ci fosse un motivo reale che turba la vostra mente.”

Lei lo osservò addolcendo lo sguardo, era vero la conosceva bene più di chiunque altro. Da tempo ormai il loro rapporto aveva assunto una forma più importante, più intima. Un legame che non si sarebbe mai spezzato.
Non avevano mai avuto bisogno di confessarsi apertamente i propri sentimenti, non ce n’era bisogno. Ogni sguardo, ogni carezza era la dimostrazione di qualcosa nato spontaneamente come un fiore selvatico che non ha bisogno di cure eccessive per sbocciare ugualmente.

La giovane regina si strinse una mano sul cuore guardando il giovane che le era di fronte come se confessando le sue paure queste potessero realmente materializzarsi.
Avrebbe voluto raccontargli i suoi timori ma tacque, inspiegabilmente non voleva dargli altre preoccupazioni, visto le sue già numerose incombenze come cavaliere. Cercò di mascherare con un sorriso le sue paure.

“Non temere mio amato Sigfried le mie ansie sono solo frutto di dubbi che ogni tanto annebbiano il mio giudizio, ma poi scompaiono grazie alla presenza di Odino ed alla tua che sei sempre al mio fianco.” gli disse  accarezzandogli il volto.

“Di questo non dovete mai dubitare Hilda, la mia vita è vostra, proteggerò voi e la gente di Asgard contro qualunque invasore.”

“Grazie cavaliere, come sempre mi sei di conforto. Posso farti una richiesta adesso?”

“Tutto ciò che desideri mia regina. Chiedi pure…” rispose, concedendosi una confidenza con le parole che raramente gli era propria.

I suoi occhi si persero nello sguardo di lui, così fiero e valoroso, così autentico.
“Stringimi a te Sigfried, tienimi tra le tue braccia. Le sole che mi danno conforto e tranquillità.” era quasi una preghiera la sua, un desiderio espresso con timore e imbarazzo, un desiderio che veniva dalla donna che era in lei. Un ruolo troppe volte messo in secondo piano dal suo essere la celebrante di Odino.

E lui lo fece senza esitazione, senza pensare che qualcuno avrebbe potuto vederli. Il loro sentimento era stato sempre vissuto in privato, lontano da occhi indiscreti che avrebbero potuto  malignare.
Ma in quel momento lei aveva bisogno del suo uomo, e lui dimostrò ancora una volta quanto tenesse a lei come donna e non solo per ciò che rappresentava. Le asciugò le lacrime che scendevano copiose sul suo viso prendendole dolcemente tra le mani.

“Finché avrò vita tu non sarai mai sola, il mio amore sarà sempre un porto sicuro nel quale rifugiarti.”

Le spostò leggermente il mantello per stringerla a se facendola aderire perfettamente al suo corpo e la baciò.
Era quello che desiderava, annegare i suoi dubbi e le sue paure tra le sue labbra, le uniche che le concedevano calore in quel clima perennemente freddo. Hilda si strinse a lui accarezzandogli i capelli, i loro respiri leggermente alterati dalla passione di quel momento davano maggiore intensità a quel bacio che sembrava il preludio di ben altri piaceri.

Le mani di lui correvano lungo la sua schiena fino a raggiungere i suoi fianchi risalendo poi lentamente lungo la linea del collo dove in un attimo si spostarono anche le labbra di Sigfried, fino a perdersi nel dolce profumo dei suoi capelli.

Poi d’un tratto lei trovò la forza di fermarlo.
“Come vorrei perdermi per sempre tra le tue braccia dimenticandomi di tutto…”

“Le mie braccia sono pronte ad accogliervi ogni qual volta mi vorrai mia regina.”

“Volerti per sempre credi sia una richiesta un pò troppo pretenziosa?”

“Per sempre e anche oltre amore mio…”  disse baciandola di nuovo sulle morbide labbra. “Vieni rientriamo a palazzo adesso, ti staranno cercando tutti. Continueremo questa piacevole conversazione in un luogo più appropriato.”

“Hai ragione, va pure avanti, sistemo l’altare di Odino per le celebrazioni di domani e ti raggiungo.”

“Come desideri, non tardare però mi raccomando.”

Hilda sfiorò un ultima volta il viso del suo cavaliere guardandolo allontanarsi in direzione del castello.
Mentre la fanciulla era intenta a sistemare l’altare del dio, nel cielo si addensarono nubi tetre ed oscure il mare che ricopriva Asgard si tramutò in vortice. Hilda si voltò ma non fece in tempo a scappare, fu travolta da quella forza a lei sconosciuta che la intrappolò nelle sue spire fino ad annullare la sua volontà.

Cercò di opporsi con tutte le sue forze ma a nulla valsero i suoi sforzi. Si trovò preda di quei flutti che la lasciarono svenuta e inerme accanto alla statua di Odino.

Nessuno si era accorto di nulla, tutti ignoravano ciò che si era verificato nel giro di pochi minuti. Solo un cavaliere, nascosto tra gli anfratti degli enormi ghiacciai, aveva assistito alla scena. Il cavaliere che padroneggiava il taglio mortale e sinistro dell’ametista, Alberich di Megres.
Il suo sguardo astuto ed indagatore capì subito che la sua regina era stata preda di un sortilegio ad opera di qualcuno di molto potente. La prova tangibile risiedeva proprio nell’anulare della fanciulla, da sempre privo di qualsiasi oggetto superfluo, adesso era adornato da un anello che emanava sinistri bagliori.



Seconda "coppia" di questa raccolta. Anche loro, a dire il vero, mi piacciono molto. Trovo che incarnino alla perfezione l'immagine di dama e cavaliere. Due caratteri fieri e nobili, devoti alla propria terra per la quale darebbero la vita. Eppure si nota, anche nei piccoli gesti il legame particolare che c'è con Sigfried. Ho regalato loro un momento d'intimità e confidenza che si racchiude in un casto bacio e nella promessa di restare sempre accanto alla donna e a ciò che essa rappresenta. Spero davvero vi possa piacere, grazie ci risentiamo presto.
 

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Capitolo 3
*** Saga e Saori ***


Il tempo trascorre relativamente veloce quando si è impegnate ad adempiere ai propri doveri, d’altronde le sue priorità in quanto dea venivano sempre prima di tutto, ormai ne era ben consapevole.
Gli anni che seguirono la fine della guerra contro Hades videro Athena impegnata nella ricostruzione del Santuario insieme ai cavalieri sopravvissuti. Grazie al potere dello scettro di Nike la giovane dea riuscì a riportare in vita i dodici cavalieri d’oro scomparsi dinanzi al Muro del Lamento e aiutò, con non poche difficoltà, a risvegliare il cosmo dormiente di Seiya ferito quasi mortalmente dal dio degli Inferi.
Ci volle molto tempo perché il Grande Tempio riacquistasse la sua antica bellezza e magnificenza, ma Saori si impegnò con tutte le sue forze. Il cavaliere dell’Ariete, Mur, venne nominato dalla  dea nuovo Gran Sacerdote ricevendo il benestare anche dai propri compagni. Kiki, invece, ben presto avrebbe preso il suo posto come custode della prima casa.

Trascorsero cinque anni nei quali la pace sembrava ormai regnare in tutta la Grecia. Per Saori, invece, era tempo di svestire gli abiti della dea e dedicarsi alla fondazione che suo nonno le aveva lasciato in eredità anni prima.
Una mattina come tante ricevette una lettera,  il suo diciottesimo compleanno era trascorso da circa tre mesi e visto che aveva ormai raggiunto la maggior età la sua presenza era richiesta a Tokyo dove avrebbe dovuto amministrare la fondazione Grado essendone la legittima erede.
Saori decise di partire esattamente un mese dopo l’arrivo di quella lettera. Il Grande Tempio era al sicuro, protetto dai cavalieri d’oro e sotto la guida di Mur. Non c’era niente che la trattenesse in quel luogo. Il cavaliere di Pegasus, dopo il suo risveglio, si era sempre più avvicinato a Shaina e lei  che aveva sperato in un futuro diverso per entrambi si era fatta da parte lasciando che Seiya fosse libero dal vincolo che li legava.
Anche se il suo cuore soffrì molto per quella scelta.
 
                                                     *******
 
Per Saori l’arrivo a Tokyo fu come piombare in un altro universo, abituata ormai alla vita riservata e ovattata che conduceva al Santuario. Aveva dimenticato tutto il movimento e la frenesia di una grande città. Le persone impegnate che correvano veloci da una parte all’altra senza neanche accorgersi di chi gli era accanto, era un nuovo inizio una nuova fase della sua vita, un modo per ricominciare e lasciarsi tutto alle spalle.

“Buongiorno milady, ben alzata.”

“Buongiorno a te Tatsumi... allora suppongo tu sia già pronto per elencarmi gli impegni della giornata non è vero?”

“Signorina Saori non siate sempre così ombrosa, vi siete impegnata molto in questi mesi e avete ottenuto ottimi risultati. Dovreste essere fiera di voi stessa.”  rispose il suo fedele maggiordomo.

Saori quasi non lo ascoltò, bevve il suo cappuccino in silenzio pronta per uscire.
Il tragitto che tutte le mattine la portava dalla villa nella quale risiedeva agli uffici della fondazione era piuttosto breve. Ormai era abituata a quella routine quotidiana e durante il percorso spesso era solita leggere le lettere che periodicamente Mur le inviava dal Santuario.
Salì come di consueto nel suo ufficio  dove ad attenderla c’era la sua segretaria, una giovane ragazza sui venticinque anni di nome Sakura.

“Buongiorno signorina Kido.”

“Buongiorno a te Sakura, dimmi pure cosa c’è in programma oggi.”

“Nulla di particolarmente gravoso direi, solo la riunione trimestrale del consiglio d’amministrazione alle 10:30 e poi siete libera. Inoltre dovremmo organizzare il ricevimento per il vostro compleanno signorina.”

Saori la guardò con aria perplessa
“Non ho molta voglia di festeggiare per la verità, ti farò sapere nel caso cambiassi idea. E’ tutto quindi?”

“Direi di si… ah, solo un ultima cosa, quasi me ne dimenticavo. C’è un giovane in sala d’aspetto, è qui da questa mattina presto. Dice di conoscerla e si trova a Tokyo apposta per vederla.”

Lo sguardo distratto e assente di Saori cambiò di colpo.
“Ti ha detto per caso il suo nome?”

“Sì, ha detto di chiamarsi Saga…”

La giovane trasalì, cosa ci faceva lui a Tokyo? Forse era successo qualcosa al Santuario? Mille pensieri, in breve, affollarono la sua mente.
“Fallo entrare Sakura, grazie.”

La ragazza salutò con un cenno Saori ed uscì.
Lei si alzò dalla sua scrivania pochi istanti prima che bussassero alla porta.
“Prego avanti.” rispose.

La porta si aprì lentamente e lei si ritrovò davanti uno splendido giovane con un leggero pantalone blu che gli calzava come un guanto e una camicia bianca di lino leggermente sbottonata che metteva in risalto il suo fisico statuario. Saori ne rimase affascinata.
“Buongiorno milady come state?”

“Saga ma come… perché sei qui? E’ forse successo qualcosa, il Santuario è in pericolo?” chiese allarmata.

“No… no state tranquilla. Non è successo niente di tutto questo. E’ solo che…” non era sua abitudine indugiare ma rivederla dopo tanti mesi lo mise a disagio.

“Cosa? Parla pure non avere timore.”

“Beh, domani è il vostro compleanno e avevo desiderio di farvi gli auguri di persona, visto che il vostro ritorno al Santuario non è previsto entro breve tempo.”

Saori rimase non poco stupita da quelle parole.
“Sono lusingata davvero, il tuo è stato un pensiero davvero gentile. Ma ti prego dammi del tu, qui non siamo al Grande Tempio io sono semplicemente Saori e come tale voglio essere trattata.”

“Come desiderate…ehm, come desideri.”
Lei sorrise di fronte al suo imbarazzo.

“Ti ci abituerai vedrai. Allora vediamo… hai fatto un sacco di strada per arrivare qui a Tokyo, il minimo che possiamo fare è pranzare insieme. Sei d’accordo?”

“Mi farebbe molto piacere.”

“Benissimo, lascia che io termini la riunione che avevo in programma e andiamo. Vedrai ti porterò in un posto molto carino.”
Lo salutò con un leggero abbraccio e uscì dalla stanza.

 
Cercò di liberarsi dai suoi impegni il prima possibile, e quando uscì dalla sala riunioni lui era lì ad aspettarla. Saori gli sorrise e lui ricambiò.
“Possiamo andare adesso…” lo prese sotto braccio uscendo dall’edificio.
Si spostarono con i mezzi pubblici e la giovane gli mostrò i posti più caratteristici della città. Saga rimase sorpreso da quella vita frenetica, in effetti si sentiva un po’ spaesato. Si fermarono in un ristorante del centro a mangiare qualcosa e lei guardandolo cercò di stemperare il silenzio che si era creato.

“Come procedono le cose al Santuario? Mur mi tiene informata ma sò che non mi direbbe mai nulla che possa preoccuparmi.”

“E da me cosa ti aspetti che ti dica Saori?”

Lei lo guardò negli occhi.
“La verità Saga… solo quella.”

“Allora puoi stare tranquilla la vita procede serena e tutti svolgono il loro compito al meglio. Anche tu sembri aver trovato la tua dimensione ideale.”

“Tu credi? Io cerco di fare del mio meglio ma non è semplice, fortunatamente ho molte persone che mi aiutano.”

Il giovane smise di mangiare e Saori si accorse che probabilmente non gradiva molto la cucina locale.
Si coprì la bocca cercando di smorzare un sorriso divertito.
“Perché ridi? Cosa ho fatto?”

“Credo che sia meglio che torniamo alla villa, ti farò preparare qualcosa che sia di tuo gradimento, non voglio certo farti morire di fame.”

“Scusami e che non sono abituato a questi sapori.”

“Non scusarti sei venuto a trovarmi e sarai mio ospite.”
Tornarono alla residenza di Saori e nel tragitto parlarono di tante cose. La fanciulla gli confidò delle difficoltà avute ad abituarsi a quella nuova vita e Saga non le nascose che da quando lei non era più presente al Santuario si era creato un vuoto incolmabile.

Sembrava come se il tempo si fosse fermato. Si guardavano entrambi negli occhi ed era come se non si fossero mai lasciati, si ritrovarono stranamente più complici di prima. E Saori apprezzò davvero la vicinanza di quel cavaliere che da sempre incuteva in lei un certo fascino e mistero.
“Eccoci arrivati, sentiti pure libero di fare ciò che vuoi.” Dopo pochi istanti Tatsumi si palesò nella stanza avendo udito la voce di Saori.“Oh bene. Tatsumi abbiamo ospiti oggi, per favore puoi mostrargli una delle stanze? Credo che Saga voglia rinfrescarsi.”

“Benvenuto cavaliere di Gemini.” L’uomo lo guardò con occhi freddi. Non aveva scordato ciò che era successo anni prima e vederlo accanto a lei gli provocava un certo disappunto.

“Felice di rivederti sempre in forma Tatsumi.”

“Signori io vado… ho ancora del lavoro da terminare, ci vediamo più tardi…ah per favore Tatsumi fa in modo che mangi qualcosa, oggi non ha toccato cibo. Ciao… a dopo Saga.”

La vide allontanarsi e pensò ancora una volta di aver perso un'altra occasione per poterle parlare in modo sincero sul motivo reale di quella visita.
Finalmente ebbe tempo di consumare un pasto a lui gradito, di farsi un bagno e dare un’occhiata in giro. Vedeva spesso persone entrare e uscire dalla camera di Saori e pensò che in fondo anche lontano dal Santuario la sua vita non fosse affatto facile.
 
La giornata era trascorso in modo frenetico e Saga si trovò a guardare il sole tramontare da un ampia terrazza. D’un tratto vide dei camerieri affaccendati nell’imbandire un tavolo per due. Inizialmente non capì cosa stesse accadendo.
“Come mai questo tavolo?” chiese ad una delle cameriere.

“La signorina Saori ci ha detto di prepararlo per voi, a breve scenderà per la cena.”

“Oh… grazie" rispose sorpreso.
Mentre ancora osservava i movimenti frenetici dei domestici udì una musica in sottofondo, era una dolce melodia suonata al piano forte. Seguì quelle note salendo una lunga rampa di scale. Si ricordò della passione di Saori per quello strumento e in breve si trovò davanti alla porta della sua camera. Bussò leggermente.

“Avanti…”

“Scusami non volevo disturbarti e che non ho avuto più occasione di vederti da questo pomeriggio. Volevo sapere come stavi.”

Lei si alzò dal piano e Saga non potè che ammirarla in tutta la sua semplice e ipnotica bellezza. Un abito leggero le lasciava scoperte le spalle, aveva i capelli legati in una coda e un sorriso che da sempre gli scaldava il cuore.
“Sto bene, e che suonare mi rilassa e mi mette in pace con me stessa.”

“C’è forse qualcosa che ti turba Saori?”

“Sinceramente non lo so. Sono rimasta sorpresa dalla tua visita, questo si. Tra tutti  i cavalieri del Grande Tempio sei l’ultimo che mi aspettavo di vedere.”

“Forse avresti avuto più piacere nel rivedere Seiya?” chiese, quasi provocandola.

“Ho smesso di aspettare Seiya da tanto tempo ormai…”

“E questo ti rattrista?”

“Inizialmente si, mi faceva soffrire. Ma adesso sono felice per lui.”

“E tu… sei felice Saori?”

“Non so cosa sia realmente la felicità, la cerco ma è come se mi sfuggisse dalle mani.”
Si avvicinò a lui guardandolo con espressione seria. Avrebbe potuto leggere ogni suo singolo pensiero ma non lo fece, un po’ per correttezza, e poi perché quegli occhi così intensi che in quel momento la guardavano erano già una chiara risposta alle sue domande.
“E tu sei felice Saga? Hai la possibilità di una vita adesso, di realizzare ciò che vuoi. Anche se non so cosa desideri realmente.” disse sorridendo e allontanandosi leggermente.

Il cavaliere la fermò stringendole il braccio, a quel tocco Saori ebbe un sussulto.
“E se ti dicessi che è te che voglio, che ti ho sempre voluta e che da quando sei andata via sette mesi fa ho cercato in tutti i modi di dimenticarti di convincermi che era una follia desiderarti così tanto. Poi si è avvicinato il giorno del tuo compleanno e in me è cresciuta la voglia di rivederti. E per questo che sono venuto fin qui, questa è la verità, e adesso se vuoi puoi anche sbattermi fuori per ciò che ho detto.”

Saori rimase a fissarlo incredula, lui le lasciò il braccio ma lei si avvicinò ugualmente.
“Non ho alcun motivo per mandarti via. Sei stato onesto, e io sò che le tue parole sono sincere. Mi dispiace se la mia lontananza ti ha provocato sofferenza.”
Gli sfiorò il viso e gli occhi del giovane si addolcirono al solo tocco di quella mano.

“Ho giurato a me stesso che non ti avrei mai più nascosto nulla e quindi volevo che tu sapessi. Che tu sia Athena o Saori io voglio restarti accanto. Non ti chiedo di ricambiare ciò che sento, sarebbe troppo, permettimi almeno di starti vicino, solo questo.”
Non si era mai concessa di vederlo in modo diverso, temeva ciò che poteva sentire per lui una volta smessa la sua armatura d’oro. Eppure adesso era di fronte a lei e il suo sguardo non le era indifferente, bensì mostrava tutta la fierezza e la forza di un sentimento a lungo celato.

Un improvviso trasporto, dovuto anche alle parole che lui le aveva detto, incentivarono il gesto di Saori che si sollevò leggermente sulle punte dei piedi baciandolo sulle labbra.
L’improvviso stupore di Saga durò appena il tempo di stringerla tra le braccia e sentirla finalmente tutt’uno con il suo corpo. Le labbra della fanciulla inizialmente impacciate si lasciarono guidare da quelle del cavaliere e in breve le loro mani correvano veloci sui loro corpi frementi.

“Non sai quanto a lungo ti ho desiderato, ma temevo un tuo rifiuto.” Le sue parole si perdevano calde e ansimanti sulla linea del collo di lei.

“Io non osavo sperare che i tuoi sentimenti per me potessero cambiare in questo modo.” Lui la zittì baciandola nuovamente.

Saga le bloccò il viso tra le sue possenti mani, lei trattenne il respiro leggermente intimorita.
“Ho capito troppo tardi che il sentimento che mi legava a te era qualcosa che non potevo mascherare con l’odio, e adesso non voglio più nascondermi. Se questo è il luogo nel quale hai scelto di stare io ti resterò accanto perché vivere senza poterti vedere è qualcosa che non posso sopportare.”

Non ci fu nessuna cena in terrazza quella sera.
La servitù lasciò tutto così com’era e Tatsumi ebbe, almeno in quell’occasione, la delicatezza di non andare a cercare la giovane milady.
Trascorsero la serata nella camera di Saori, abbracciati l’uno all’altra in quel letto che faceva da cornice ad un sentimento che aveva il sapore di una piacevole e inaspettata scoperta. Parlarono tutta la notte, si confidarono i loro timori e le loro paure, stavano imparando a conoscersi come semplici uomo e donna.

Quando l’enorme orologio che troneggiava nel salone suonò i rintocchi della mezzanotte Saga si sciolse dal dolce abbraccio di Saori alzandosi dal letto. Si avvicinò alla sua giacca lasciata su una sedia e ne estrasse un astuccio all’interno.
“Auguri mia dea, questo è per te, per il tuo diciannovesimo compleanno.”

“Riesci sempre a sorprendermi, grazie, ma non dovevi sentirti in obbligo.” disse lei baciandolo sulle labbra.

Saori lo aprì con l’entusiasmo di una bambina, era molto raro che qualcuno le facesse un regalo.
“Oh… ma è stupenda, ti ringrazio davvero tanto è un incanto. Mettimela subito ti prego.” Lui le spostò i lunghi capelli da un lato e le allacciò una splendida collana sottile e delicata che aveva un punto luce come pendente di color azzurro, della stessa tonalità dei loro occhi.

“Ti dona molto.”

“Hai buon gusto cavaliere.”

“Sciocchezze, sei tu che rendi preziosa ogni cosa che indossi.”
“Saga…”

“Dimmi” le rispose accarezzandole i capelli.

“Tu credi che possa davvero funzionare tra di noi?”

“Io so solo che voglio provarci con tutto me stesso a renderti felice, e te lo dimostrerò.”

“E’ incredibile…”

“Cosa?”

“Il senso di sicurezza e protezione che provo tra le tue braccia.”

Lui la strinse a sé poggiando la testa sulla sua spalla.
“Non dubitarne mai, darei la mia vita per te lo sai.”

“Grazie.”

Le voltò leggermente il viso per poterla guardare negli occhi.
“Adesso che ti ho ritrovata non ti lascerò più andar via. Tanti auguri amore mio.” le disse sorridendole, mentre i loro sguardi si perdevano in quel sentimento appena sbocciato.




Eccomi di nuovo, una coppia inusuale e nuova per me. Loro non sono la mia OTP, però mi piace sperimentare e trovo che insieme non siano poi così tanto male. Una storia che si colloca in un futuro dove le guerre sono terminate e ognuno cerca, come può, di ritagliarsi un ruolo in una nuova vita tutta d'affrontare. Seiya l'ho affibbiato a Shaina, e per me è stato un dolore immenso... ma dovevo, per dare un senso a tutto il contesto, spero davvero vi possa piacere. Alla prossima... con personaggi dai legami ben diversi.
 

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Capitolo 4
*** Shun e Ikki ***


Non era di certo il luogo nel quale si aspettava di rivederlo, né che invece di parlare avrebbero combattuto, quello era l’ultimo dei suoi pensieri. Eppure adesso si trovavano faccia a faccia pur senza le loro cloth i loro cosmi divampavano di una luce brillante e forte che abbracciava il cielo e rischiarava tutt’intorno.
Destinati a rivedersi in un arena da combattimento com’era accaduto anni prima, quando l’addestramento li aveva separati e un amaro destino li aveva fatti reincontrare su fronti opposti.

Adesso non era più così. L’esperienza, la forza, il coraggio maturato in mille battaglie li aveva resi uomini e pienamente consapevoli della loro potenza. Non era uno scontro quello che si apprestava a  cominciare ma una dimostrazione di poter finalmente camminare con le proprie gambe ed essere l’artefice del proprio destino.

“Lo sai che non puoi battermi vero fratello?”

“E questo chi lo dice?”

“Lo dico io e dovrebbe bastarti.” La spavalderia era senz’altro una delle caratteristiche di Ikki.

Shun sorrise non essendo minimamente intimorito.
“Vediamo allori se i lunghi periodi di riposo che ti concedi hanno prodotto i loro  frutti. Attaccami sono pronto.”
Il cavaliere bruciò il suo cosmo ponendo la catena in difesa del suo corpo. La fenice immortale era pronta ad attaccare e non si sarebbe risparmiata neppure con lui.

Una serie di calci ben assestati cercarono di penetrare la barriera difensiva di Shun senza riuscirci. Ikki indietreggiò.
“Lo ammetto sei davvero abile, la tua difesa sembra quasi non avere punti deboli.”

“Ed è così fratello, la battaglia negli Inferi e lo stesso Hades mi hanno temprato. Dimentica ciò che ero e stupisciti di ciò che sono diventato. Nebula Chain!

La catena avvolse Ikki stringendolo in una morsa che gli impediva qualsiasi movimento. Per la prima volta il cavaliere della fenice vedeva una nuova luce negli occhi di suo fratello. Non più timori, non paura o indecisione ma la risolutezza di chi è convinto delle proprie azioni e si batte per difendere chi è nel giusto.

“Dovrò impegnarmi allora… e non sai quanto ciò mi renda felice.” Divampò il cosmo della fenice fino a creare un aura di fuoco intorno al suo corpo, la catena divenne incandescente e Shun dovette mollare la presa.

“Preparati fratello la fenice sarà implacabile. Ho Yoku Tensho!” maestose e potenti le ali di Phoenix si librarono in tutta la loro potenza, Shun non indietreggiò preparandosi a parare il colpo.

“Fatti avanti. Rolling Defense!” la catena smorzò la potenza del colpo ma l’impatto fu inevitabile, il cavaliere di Andromeda si ritrovò inginocchiato sulla sabbia dell’arena.

“Allora ti arrendi?” gli disse con un sorriso di sfida

“Neanche per sogno…” chiuse gli occhi per un attimo concentrando tutta la propria forza. Il suo cosmo divenne immenso avvolgendo ogni cosa intorno a sé fino a raggiungere Ikki.

Il cavaliere della fenice sorrise, sapeva che stava per lanciare il suo colpo più potente e ne fu orgoglioso.
“Ti aspetto Shun mostrami di cosa sei capace.” Allertò la difesa sapendo bene che il potere della sua nebulosa poteva essere devastante.

“E’ finito il tempo delle incertezze Ikki, i dubbi appartengono ad un passato lontano, ho accettato il mio destino. Non lo temo più, da ciò che mi è accaduto ne ho tratto la forza per essere all’altezza dei miei compagni. Guardami fratello ti renderò fiero di me. Nebula Storm!”

Ikki  provò a fermare il colpo con tutte le sue forze, ma non ci riuscì, la potenza della nebulosa rilasciata da Shun era dilagante ne fu travolto e scaraventato dal lato opposto dell’arena. Il cavaliere di Andromeda richiamò a fatica il suo potere precipitandosi accanto al fratello, stava per aiutarlo a rialzarsi ma istintivamente ritrasse la mano.
Ikki, ancora intontito dall’impatto, se ne accorse sollevandosi da solo e mettendosi seduto.

“Sai Shun il fatto che tu sia diventato più forte e sicuro di te stesso non significa che devi rinnegare la tua natura.”

“Scusami credevo solo che…” si interruppe

“Cosa? Che ti volessi freddo e insensibile. Credi che voglia questo per te?” Shun abbassò lo sguardo sentendosi un po’ in difficoltà.“E’ vero, in passato te ne ho fatto una colpa, tacciandoti di essere debole e insicuro, ma sei stato proprio tu insieme agli altri cavalieri a farmi capire il mio errore. La bontà d’animo non è una debolezza ma forza dalla quale si può attingere nei momenti di difficoltà. E tu ne sei uno splendido esempio fratello.”

Ikki tese la mano verso suo fratello sorridendogli e Shun ricambiò quel sorriso con la sua solita schiettezza.
“Le tua parole mi riempiono di gioia.” Si scambiarono un breve ma intenso abbraccio nel quale non servivano parole ma era comunque racchiuso tutto.

“Allora… dovrò starci attento con te, se senza la tua armatura sei riuscito ad atterrarmi figuriamoci indossandola.”

“Ma dai non esagerare, sai che non forzerei mai la mano, a meno che non fosse necessario.”

“Si lo so, e questo ti fa onore.” Si fermò per un attimo guardando suo fratello con aria serena. Shun si accorse di non averlo più al suo fianco e si voltò.

“Cosa ce? Perché ti sei fermato? Guarda che gli altri ci aspettano.”

“Non è niente è solo che…”

“Cosa?”

“Sei cresciuto Shun, lo vedo chiaramente per la prima volta. Adesso non avrai più bisogno di me.” Disse con un po’ di rimpianto.

“Sciocchezze, avrò sempre bisogno di te… se non altro per allenarmi.” Rise dandogli una spinta con la spalla.

“Credi che mi farei atterrare di nuovo così facilmente?”

“Chissà… chi può dirlo.” rispose

“Ma tu sentilo che presuntuoso.” mise sù una delle sue espressioni imbronciate e infilò le mani in tasca.

“Non arrabbiarti la prossima volta ti lascerò vincere.” lo provocò Shun

“Si come no, credici pure…” disse fingendosi seccato.

Lasciarono l’arena dirigendosi verso Rodorio dove avrebbero incontrato gli amici di sempre, non per lottare stavolta, ma semplicemente per godere del calore della loro amicizia.



Salve a tutti cari lettori, abbandoniamo per un attimo le coppie innamorate e i romanticismi vari per parlare di qualcosa di altrettanto profondo, il rapporto fraterno. Chi conosce il personaggio di Shun sa che è un po' dipendente da Ikki , sia perchè il suo animo rifuge ogni tipo di violenza, sia perchè l'autore originale ha evidenziato molto queste sue caratteristiche. In questa storia ho voluto evidenziare la sua crescita... come uomo e come saint, mi sembra anche giusto. Anche un personaggio di fantasia deve avere una certa crescita psicologica e Shun di esperienza ne ha maturata davvero tanta. Spero che la storia vi piaccia, un saluto e ci risentiamo presto.
 

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Capitolo 5
*** Kairos e Tenma ***


“E’ incredibile… mantieni ancora una tua coscienza. Nonostante tutto il tuo cosmo possiede ancora un barlume di energia, sei davvero un essere meraviglioso.”

Fluttuava in una dimensione a lui sconosciuta. Non aveva la percezione del proprio corpo eppure avvertiva un energia provenirgli da dentro e quella voce… si quella voce così dannatamente familiare.
“Dove sono?” chiese

“Cosa importa dove sei, la tua battaglia è giunta al termine. Sei morto!”

“Morto?” ebbe un sussulto

“La tua ostinazione ti ha portato ad una fine ineluttabile. Tu sei stato l’artefice del tuo destino, io… da buon burattinaio ti ho messo solo sulla giusta strada.”

“Chi sei? La tua voce sembra quella di…”

“Apri gli occhi Tenma di Pegaso, puoi farlo, almeno questo ti è concesso.”

Non era sicuro di potersi fidare ne che farlo sarebbe stata una buona idea. Ma lui aveva sempre seguito il suo istinto e quindi lo fece.
“Sei tu! Lo sapevo la tua voce mi è irritante anche in questo luogo sconosciuto."  Sorrise beffardo facendo un leggero inchino con il suo cappello a cilindro. “Cosa vuoi da me Kairos? E dove mi hai portato?”

“Che figlio smemorato che mi ritrovo. Credevo conoscessi i miei poteri sai che posso fermare il tempo e modificare gli eventi a mio piacimento.”

“Ma tu hai detto che io sono…”

“Morto! E lo sei figliolo, lo sei per davvero. Tu, la giovane di nome Sasha e quell’insulso ragazzino di nome Alone, siete tutti morti.”
Tenma lo vedeva, chiaro come la luce del sole era suo padre Yoma o per meglio dire solo il corpo era il suo, lo spirito la voce che gli parlava così fredda innaturale così lontana era di Kairos il dio bandito dal suo stesso fratello.
“E’ per mio volere che ti trovi ancora qui. Il tuo spirito avrebbe già potuto riposare nella beatitudine dell’Elisio ma io dovevo… anzi volevo parlarti un’ultima volta.”

“Tse… io non ho nulla da dirti, non vedo proprio il motivo per il quale tu mi trattenga qui.”

Kairos gli si avvicinò, ancora una volta la spavalderia di quell’umano lo sfidava, neanche la morte aveva posto un freno a quella sua arroganza.
“So bene che non hai niente da dirmi, ma fallo come un favore verso colui che un tempo chiamavi padre.”

“Padre… detta da te questa parola perde totalmente di significato.”

“Testardo di un umano. Ti trovi al cospetto di un dio, l’artefice, il fautore della guerra sacra alla quale hai scelto volontariamente di partecipare. A quale scopo poi? Stolto, sciocco come solo chi è guidato da futili sentimenti può essere. Per salvare un amico… e adempiere ad una promessa.”

Il suo sguardo non aveva niente di umano, era un dio quello che gli parlava pur non aprendo bocca. Un dio antico come la terra stessa, un essere superiore che era stato schernito e sottovalutato dai suoi stessi simili. E la sua vendetta era stata abilmente e pazientemente costruita.

“Credi che io mi penta delle mie scelte? Mai! Questo mai. Non avrai la soddisfazione di sentire una sola parola di pentimento dalle mie labbra. Sasha e Alone erano la mia famiglia, io ho promesso loro che li avrei sempre protetti e lo fatto. Sì, lo fatto.”

“A quale prezzo cavaliere di Pegaso. Tutta la tua fatica, tutto il tuo dolore non ti hanno evitato la morte. Tu hai fallito i tuoi amici hanno perso la vita, il Santuario è un cumulo di macerie, la tua impresa è stata una disfatta totale.”
Non aveva forze, sapeva che era solo il potere di Kairos a tenerlo in vita ad ancorarlo in quel luogo a lui sconosciuto.

Eppure il suo cosmo brillava in quell’oscurità, nella desolazione dove lui lo aveva condotto per fiaccare il suo animo e disperdere le sue speranze, lui lottava e ancora una volta avrebbe fatto udire la sua voce.
“Dovrei spiegare il valore di un’amicizia ad un dio che gioca con la vita degli altri per puro divertimento? No… non lo farò. E’ vero siamo morti, ma Alone adesso è libero e io lo rivedrò un giorno lo so. Il signore degli Inferi non ha avuto la sua anima e non l’avra mai. La nostra promessa valeva di più delle nostre vite. Quelle le abbiamo donate volentieri a chi verrà dopo di noi.”

“Sciocco sentimentale tu non sei un dio, non hai il potere di vivere in eterno, hai sprecato la tua giovane vita per un ideale.”

“Ti sbagli Kairos, chi verrà dopo di me erediterà Pegaso l’armatura del cavallo alato. L’armatura che ha protetto Athena. Con lei erediterà anche parte del mio spirito e della mia anima. Sarà lei stessa a rendere immortale il suo possessore.”

La distorsione spazio tempo creata da Kairos sembrava sgretolarsi. Tenma vedeva come una luce filtrare dal suo interno, quasi come se provenisse da un luogo lontano. Il dio era visibilmente seccato, anche la sua anima momentaneamente risorta era solo ciò che restava del suo potere che ormai era intrappolato tra i grani del rosario di Asmita.
“E pensare che sono stato io a farti diventare ciò che sei, peccato che anche da morto tu ti ostini a stare dalla parte sbagliata.”

“Tu non hai creato niente e non mi hai fatto diventare ciò che sono. Hai tracciato il mio cammino è vero, ma le scelte le ho fatte sempre da solo seguendo il mio cuore e gli insegnamenti di mia madre.”

Kairos ebbe un sussulto, Tenma parlava della donna che Yoma aveva sposato durante la sua vita terrena. Colei che aveva fatto ottenere l’armatura divina al giovane Pegaso.
“Donna insulsa e ostinata.”

“No ti sbagli, era una donna forte e determinata. Era una madre. Mia madre.”

“Vedo che parlarti è solo una perdita di tempo. Non sei cambiato e mai lo farai. Dissolviti allora, raggiungi pure coloro che chiami amici e accontentati del ricordo sbiadito che avranno di te coloro che ti hanno conosciuto.”

“Credimi Kairos chi mi ha conosciuto non si dimenticherà di me facilmente, sono uno che lascia il segno…”
Rise il dio del tempo, di quell’umano la cui volontà non poteva essere piegata nemmeno da una divinità. Un po’ lo invidiava, Kairos non avrebbe mai avuto quello che aveva Tenma e forse ciò che provava in quel momento era un sentimento terribilmente umano anche per un dio.

“Sfacciato fino alla fine cavaliere di Pegaso. Credo che questa caratteristica sarà tramandata al tuo successore.”

“Lo spero tanto Kairos… lo spero davvero tanto.”

L’essenza del dio del tempo stava svanendo, la sua figura così come lo spazio intorno era appena percettibile. Tenma si sentiva incredibilmente stanco ma felice, una luce calda e avvolgente sembrava sollevare il suo spirito.
Chiuse gli occhi e li sentì accanto…
Così vicini, così legati alla sua anima, Sasha e Alone erano lì per lui e lo sarebbero sempre stati. Sempre uniti, sempre insieme com’era stato in vita adesso lo era anche in quell’immensità fatta di luce e stelle che accoglieva i loro cosmi dormienti.




Buondì a tutti. Duello verbale tra Kairos/Yoma e Tenma di Pegaso. Il dio che ha dato un contributo notevole allo scatenarsi della guerra sacra contro Hades. Mi piaceva l'idea di questo confronto, un po' padre/figlio se vogliamo, e ne è venuta fuori la caratteristica predominante dei cavalieri delle tredici stelle, ovvero la testardaggine.
Un ultima cosa, per chi non conoscesse Lost Canvas vi dico brevemente che la divinità malvagia di nome Kairos si è reicarnata nel corpo di Yoma, padre biologico di Tenma. Da qui la frase sarcastica "...figlio ingrato" 
Grazie a chiunque abbia il piacere e la voglia di leggere questa storia. Alla prossima

 
 

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Capitolo 6
*** Orfeo ed Euridice ***


I suoi passi erano lenti e ponderati, non aveva alcuna fretta, e d’altronde perché avrebbe dovuto averne. Era un tragitto ben noto quello che ormai lo conduceva da lei.
Niente era cambiato in tutto quel tempo e niente sarebbe cambiato per quello restante che gli dei avrebbero concesso loro. Sentiva l’erba e i minuscoli fiori selvatici flettersi sotto i suo i passi, era una sensazione piacevole che lo faceva sentire vivo in contatto con quel mondo esterno così effimero ed ingannevole che non rimpiangeva ma che spesso anelava.

Ad esso erano legati ricordi, profumi e sensazioni che la mente non voleva cancellare e che rendevano il suo cuore pieno di tristezza e di affanno.
Come ogni giorno, da un tempo ormai infinito guardava lo scenario che gli si stagliava davanti, un luogo tranquillo e sereno nel quale si potevano ammirare le stelle in un cielo limpido e terso.
Era lì che si trovava, lì che era stata confinata, e la sua anima era rimasta al suo fianco per tutto quel tempo e sempre lo sarebbe stata. Quasi al confine della seconda prigione si trovava l’unico posto degli inferi in cui era concesso, a chi vi si recava, di provare un certo sollievo nell’animo e nella mente respirando un aria fresca e inebriandosi del dolce profumo che la piccola vegetazione tutt’intorno regalava.

Orfeo la vide da lontano, fermandosi ad osservarla prima di avvicinarsi. Aveva gli occhi chiusi e gli sembrò che una lacrima velasse il suo imperturbabile viso.
Lui si avvicinò mostrando così la sua presenza, e lei come fosse improvvisamente destata dai suoi pensieri alzò la testa incrociando lo sguardo di lui. Orfeo le sorrise sedendosi sul costone di roccia che ormai faceva da palcoscenico al suo triste concerto.

“Buongiorno amor mio, mi aspettavi?” le disse. Gli occhi di lei si illuminarono al solo udire la sua voce.

“Certo, come sempre mio dolce amore. Anche se ogni giorno che passa il mio cuore si strugge pensando al triste destino che tu stesso hai deciso di condividere con me.”

“Non darti pena Euridice, a me basta restarti accanto, il luogo non ha alcuna importanza. Noi due siamo destinati a rimanere insieme e così sarà sempre.”

“Questo è il mio destini Orfeo, ma tu… tu avresti potuto avere una sorte diversa da questa. Eri uno dei cavalieri più forti al servizio del Santuario, la tua musica era puro incanto per coloro che ti ascoltavano. Dolce miele che lambiva i sensi per i tuoi amici e fatale ed implacabile per tutti quelli che contrastavano il tuo cammino.”
Orfeo ascoltava quelle parole osservando la sua lira. Quello strumento così dolce e soave quanto letale, se usato per offendere.

Sulla terra tutti erano ammaliati dal suono che ella produceva, uomini e animali udendo quelle note trovavano pace e quiete. L’animo si liberava dal fardello della quotidianità per bearsi di quel suono celestiale.
Alcuni credevano che fosse stato il divino Apollo in persona a fargli dono di quello strumento, compiacendosi delle enormi doti di quell’uomo e del suo animo sensibile.

“Tu sai bene, mia amata, che la mia musica aveva un senso solo perché tu eri la fonte d’ispirazione, lo sei sempre stata e senza di te nulla per me aveva più senso.”

“Se solo non mi avessi mai incontrata…” rispose abbassando il capo. L’unico gesto che le era concesso in quell’involucro di pietra nel quale la meschinità e l’invidia altrui l’avevano confinata.
Il suo corpo era prigioniero, ma non la sua anima, non i suoi sentimenti. Quelli il sommo Hades e il suo infernale esercito non avrebbero mai potuto mutarlo o rinchiuderli, non avevano potere su un cuore tanto puro.

“Euridice se non ti avessi mai conosciuta la mia musica sarebbe stata solo un accozzaglia di inutili note, un suono senza armonia, una melodia senza sentimento. Tu hai dato un senso a tutto questo ed è solo per te che la mia lira suona e suonerà sempre.”

Lei sorrise adesso, sapeva che le sue parole erano sincere e che nonostante gli costasse grande fatica restare in quel luogo non glielo avrebbe mai fatto pesare. Per lei era diverso, non apparteneva più al mondo dei vivi, qualcosa in lei si era spento per sempre non appena aveva varcato i cancelli degli Inferi. Solo la vicinanza di Orfeo aveva alleviato la sua pena e reso più leggeri l’inesorabile trascorrere dei giorni.

“Grazie amore mio, non ci sono parole che possano descrivere quanto profondo sia il sentimento che provo per te.” chiuse gli occhi Euridice provando a respirare i profumi tutt’intorno e ad ascoltare quella quiete che come per magia anticipava l’inizio della musica suonata dal suo amato.

Orfeo cominciò a pizzicare le corde della sua lira e fu come se il tempo si fermasse. Dolce suono che invitava a riflettere, a pensare, a pentirsi. Note che vibravano fin nel profondo dell’animo. Lo stesso Hades le conosceva bene, e fu proprio per il turbamento provocatogli da quello strumento che concesse ad Orfeo di restare negli Inferi.
Per vegliare su Euridice e allietare se stesso con quella melodia ogni qual volta lo desiderasse.

Il cavaliere continuava ad eseguire la sua musica, non avrebbe mai smesso finché le sue dita lo avessero supportato e fino a quando Euridice fosse stata lì per ascoltarlo. Non l’avrebbe mai lasciata sola. Non aveva potuto salvarla quando erano nel mondo dei vivi, ma lo avrebbe fatto dalla solitudine e dall’angoscia del regno dei morti.

“Ascolta queste note amore mio… lascia che il mio amore ti pervada arrivando attraverso queste note. Finché tu sarai qui ad ascoltarmi la mia lira suonerà per te. E quand’anche il destino deciderà di liberarti da questo supplizio io ti raggiungerò e finalmente nulla potrà più separarci, né la cattiveria dell’uomo né l’ingiuria degli dei. Le nostre anime si eleveranno al di sopra di tutti cullandosi al dolce suono del nostro amore.”




Loro rappresentano forse l'unica coppia "ufficiale" dell'universo Saint Seiya. Benchè la loro storia sia ripresa dai racconti della narrativa classica credo che siano stati resi più che bene dall'anime. Un amore breve il loro che può godere solo di pochi attimi di felicità condivisi, che non potrà mai essre vissuto appieno ma che li tiene indissolubilmente legati l'uno all'altra. Ho sempre voluto scrivere su di loro, e credo che questa raccolta sia più che adatta per inserirli, spero di averli resi al meglio. Grazie come sempre, un saluto a tutti.
 

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Capitolo 7
*** Shiryu e Shunrey ***


Avevano trascorso tante notti insieme proprio come quella. Stretti l’uno all’altra contemplando le costellazioni e il cielo terso che sembrava rischiarare l’intera altura di Goro-ho del candido e lucente bagliore lunare.
Non era destinato a durare a lungo quel momento lo avevano sempre saputo lei lo aveva sempre percepito. Gli era rimasta accanto da quando erano solo ragazzi era abituata alle sue partenze, molto meno ai suoi ritorni.
I periodi di pace non sono destinati a durare a lungo è una cosa che sapevano bene, eppure inizialmente tutte quelle stelle cadenti in quel cielo sgombro di nuvole non lasciavano presagire che di lì a breve qualcosa di oscuro li avrebbe avvolti.

Abbassò lo  sguardo, non aveva il coraggio di guardarlo in viso per dargli l’ennesimo addio.

“Sapevi che sarebbe successo, come sai che il mio posto adesso è accanto ai miei compagni.”

“Il fatto che lo sappia non significa che debba rallegrarmi la cosa.”

Shiryu la capiva molto bene, quante volte le sue preghiere e il suo sostegno gli avevano salvato la vita tante…troppe forse.
“Il maestro è andato via, credo d’intuire dove fosse diretto.”

“Certo, in battaglia dove vuoi che sia? Il fatto che anche lui si sia deciso a combattere non lascia presagire nulla di buono.” disse Shunrey

“Forse è così, forse davvero questa è la sfida decisiva tra le forze oscure e noi cavalieri della speranza.”
Lei strinse le mani camminando nervosamente lungo la montagna. “Perché sei così turbata Shunrey, cosa c’è di diverso rispetto alle altre volte. Non hai mai reagito così, sei sempre  stata comprensiva?”

Lei provò a parlare ma qualcosa trattenne le sue parole. Dubbi e incertezze che rendevano il suo cuore pesante oltre che triste per quella partenza.
“E che… mi chiedo quando finirà tutto questo. Per quanto tempo ancora dovrete sacrificarvi in nome della giustizia. Sei pur sempre un uomo Shiryu non puoi trascorrere la tua vita a combattere. Questo non è giusto.”

“Dimentichi che prima di essere solo un uomo io sono un cavaliere di Athena, il mio compito è difendere la dea e la terra da qualunque minaccia. So che ti chiedo tanto, ma vorrei il tuo sostegno anche questa volta. Dimmi che mi aspetterai ti prego?”

Si avvicinò alla fanciulla abbracciandola di spalle e poggiando dolcemente il viso sulla sua spalla.
“Ti amo Shunrey, tutto ciò che sono io lo devo a te ed al maestro Dohko, ma tu in modo particolare sei quella che da sempre mi da la forza di combattere e non arrendermi.”

Lei si commosse, ma non volle pensare che quelle fossero parole d’addio no, non lo avrebbe permesso. Si fece coraggio e gli diede un ulteriore motivo per tornare da lei.
Prese le mani di Shiryu e le fece scivolare dolcemente sul suo ventre.
“Non dubitare mai del mio sostegno cavaliere, io sarò sempre al tuo fianco. E noi aspetteremo il tuo ritorno.”

“Noi?”

Può una semplice parola avere un effetto così prorompente ed esaltante da far battere il cuore senza controllo? Shiryu non lo sapeva, ma lo scoprì in quel momento.
Voltò la fanciulla e mai come in quell’istante avrebbe voluto vedere i suoi splendidi occhi e perdersi nell’immensità di quella dolcezza.

“Vorresti forse dire che tu?” l’emozione gli impedì di esprimersi liberamente.

“Si e così, lo sono, noi aspettiamo un bambino. Sarai padre Shiryu.  Adesso hai una ragione ben più grande che ti riporterà da me, non dimenticarlo.”

“Sarò padre… che parola meravigliosa. Amore mio in questi tempi così oscuri e costellati di atrocità la notizia che mi hai dato è come se illuminasse il mio cammino. Grazie, grazie Shunrey per il bellissimo dono che mi stai facendo.”

Un abbraccio forte e dolce allo stesso tempo suggellò per sempre quel momento. Una nuova vita stava per nascere, qualcuno al quale tramandare tutti gli insegnamenti appresi, da veder crescere come un giovane uomo o una splendida donna. Sarebbe stato il destino a decidere.

Le sfiorò il viso e la baciò, lei si strinse alle sue spalle con tutta la forza che aveva, non avrebbe mai voluto lasciarlo, ma sapeva che non sarebbe stato giusto.
“Verrà un giorno in cui niente, nessuna guerra nessun nemico ci separerà più. Saremo solo tu, io e il nostro bambino. Tra queste montagne costruiremo la nostra felicità e nessuno ce la porterà via.”

Le asciugò le lacrime baciandola tra i capelli e respirando il dolce profumo della sua pelle affinché la sua mente ne avesse memoria per i giorni a venire.
“Aspetterò quel giorno amore mio, come attenderò fiduciosa il tuo ritorno e quello del vecchio maestro.”

Era ora di andare adesso, l’incessante caduta di stelle in direzione del Santuario presagiva che la battaglia sarebbe cominciata di lì a breve. Raccolse lo scrigno con la sua armatura, guardò per un attimo l’impetuoso scorrere dello cascata la stessa che lo aveva reso cavaliere. E il suo pensiero per un istante andò al suo venerabile maestro Dohko. Cosa faceva in quel momento?

“E tempo che io vada Shunrey…”

“Lo so.”

“Tornerò… tornerò da voi, è una promessa.”

“E tu mantieni sempre le promesse, non è vero cavaliere?”

“Sempre, amore mio.” Si chinò per un istante e le baciò il ventre mentre lei gli accarezzò i capelli.

“Abbi cura di te.” le disse

“Anche tu, Dragone…”

Si voltò dandole le spalle, esitò un istante, ma non tornò sui suoi passi. Scomparve tra le acque della cascata come il suo maestro prima di lui.
Alla giovane fanciulla non restò altro che farsi forza e pregare affinché coloro che l’avevano vista crescere presto sarebbero tornati per gioire insieme nel vederla diventare madre.




Loro sono la coppia per eccellenza, non si può negarlo, anche se sperare in qualcosa di più di sguardi languidi e parole appena accennate in Saint Seiya è come chiedere la luna. Questo dialogo tra Shiryu e Shunrey è antecedente alla guerra contro Hades ed ho volutamente inserito la gravidanza della ragazza richiamando così la serie Omega dove compare, appunto, il figlio della coppia. Spero come sempre che sia stata una piacevole lettura. A presto
 

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Capitolo 8
*** Pandora e Radamante ***


L’eco dei suoi passi frenetici e rabbiosi riecheggiava per tutto il palazzo, batteva furiosamente il bastone del suo tridente sul pavimento lucido. Non una parola usciva dalle sue labbra, serrate in un ghigno inespressivo e collerico.
Solo il furore dei suoi occhi brillanti e accesi dava la misura del disappunto che provava in quel momento. Cheshire la vide arrivare da lontano e si prodigò in un inchino pronto ad eseguire eventuali ordini.
Lei non lo degnò di uno sguardo, camminando oltre, come se il piccolo specter non fosse stato nemmeno presente.

Aprì un ampia porta che dava in un immenso salone, le finestre alte e spesse erano ricoperte da pesanti tendaggi che filtravano solo quel tanto di luce che bastava per poter vedere adeguatamente.
Richiuse la porta alle sue spalle sospirando profondamente, gettò il suo tridente a terra serrando le mani l’una nell’altra cercando di contenere la rabbia.

“Com’è potuto succedere, come? Minos uno dei tre giganti degli Inferi, il potente Grifone battuto da un cavaliere di Athena. Un misero cavaliere… no, non è possibile è una cosa inconcepibile. Quella dannata deve aver usato qualche trucco non c’è altra spiegazione.”

Rimuginava su quanto era accaduto al Grande Tempio, le era stato comunicato della sconfitta di Minos e di alcuni specter al suo servizio tra i quali Niobe un sottoposto di Radamante.
Quale spiegazione avrebbe dato al suo signore per un simile fallimento, e cosa avrebbero detto Hypnos e Thanatos una volta venuti a conoscenza di questa cosa.

Il suo sguardo si posò sulla grande arpa che si trovava nel salone, si avvicinò sfiorandola appena, sentiva la rabbia crescere in lei. Si sedette e cominciò a suonare.
In un primo momento la musica partì lentamente e Pandora concentrandosi sulle note chiuse gli occhi lasciando che le sue mani pizzicassero le corde dolcemente. Poi l’incalzare della melodia rese tutto più frenetico e il suo umore, non certo dei migliori, la portò in un tocco a spezzare una delle corde dell’arpa ferendosi le dita.

“Dannazione!” Esclamò dando un calcio allo sgabello sul quale siedeva scaraventandolo verso il centro della stanza.
La frustrazione stava prendendo il sopravvento, lei non ammetteva fallimenti soprattutto quando riponeva piena fiducia in qualcuno. Si teneva la mano ferita dalla quale cominciava a perdere sangue.
“Quella maledetta e i suoi ridicoli difensori me la pagheranno! Farò in modo che di loro non resti neppure il ricordo.”

I rumori inconsulti uditi all’interno del salone allarmarono Cheshire che si precipitò dalla sua padrona servizievole come sempre.

Bussò alla porta.
“Lady Pandora sono io…” disse, aprendola lentamente.

“Cosa vuoi? Non ti ho fatto chiamare.”

“Lo so mia signora, ma mi chiedevo se non aveste bisogno dei miei servigi.” Chiese maliziosamente

Pandora sorrise stizzita
“Sei irritante e invadente come sempre Cheshire…” poi pensò “Ma forse potresti farmi un favore.”

“Sono ai vostri ordini, ditemi pure.”

“Va a chiamarmi Radamante, trovalo e fallo venire qui subito. Ho urgenza di parlargli.”

“Sarà fatto mia signora, corro.” Il piccolo specter uscì dalla stanza sparendo in un attimo lungo gli ampi corridoi.

Pandora camminava nervosamente lungo tutto il salone, la ferita bruciava e piccole gocce di sangue caddero sul nero pavimento.
“Si… lui sarà l’araldo della mia vendetta. Bruceranno e di loro non rimarrà traccia.”

Di nuovo un bussare alla porta. Il cosmo oscuro e potente del giudice della Viverna era inconfondibile.
“Entra pure.”

“Mia signora, mi avete fatto chiamare?” Pandora si voltò e lo vide inginocchiato ai suoi piedi, era sprovvisto della sua surplice, indossava un’elegante tunica con intarsi viola e dorati allacciata in vita e scoperta sul torace in modo da lasciare i pettorali scolpiti piacevolmente in vista.

Pandora lo osservò con un sorriso compiaciuto.
“Ti ho forse distolto da ben altri piaceri Radamante?”

“Assolutamente no mia signora. Discutevo nella mia camera con Valentine dei piani per la battaglia quando poi…”

“Poi cosa?”

“Ho saputo della sconfitta di Minos che mi ha sorpreso non poco, e poi Cheshire è venuto a chiamarmi.”

“Alzati pure Radamante.”
Lui si guardò intorno vedendo la furia che la donna aveva sfogato poc’anzi su alcuni oggetti. Notò anche l’arpa rotta e la ferita di Pandora.

“Capisco e comprendo la vostra collera mia signora, ma non temete mi occuperò io di rimettere le cose nella giusta direzione. Quest’affronto sarà vendicato, così come il nobile Minos.”

“Era quello che volevo sentire, sapevo di poter contare su di te. Sei l’unico che riesce a capirmi senza che io apra bocca.”

Il giudice si avvicinò alla donna e lei non si mosse di un passo. Erano l’uno di fronte all’altro.
“Permettetemi… Lady Pandora.” Le prese la mano ferita notando il vistoso taglio. Lei non spostò lo sguardo dal viso del giudice soffermandosi su ogni suo piccolo movimento.

Radamante con un gesto secco strappò un lembo della sua tunica fasciando la mano della sacerdotessa.
Lei continuò a guardarlo senza dire nulla.
“Ecco, così andrà meglio mia signora.”

“Non dovevi, è solo un graffio nulla di che.”

“Lo so ma non voglio che neppure una goccia del vostro prezioso sangue vada versata in vano.”

Lei sorrise compiaciuta, sapeva di avere un forte ascendente sul giudice infernale e d’altronde neanche lui le era indifferente. Lei, da sempre abituata a comandare e ottenere ciò che voleva, aveva bisogno di lui in quel momento. Della sua sicurezza del suo coraggio, della sua devozione.

Pandora non era abituata a chiedere o ad elemosinare attenzioni, lei prendeva quel che bramava e adesso era lui l’oggetto del suo desiderio.
I loro sguardi s’incrociarono l’uno nell’altro, nessuno avrebbe ceduto a quella tensione fatta di forza e desiderio, loro erano specter, gli impulsi governavano le loro vite e l’istinto prendeva inevitabilmente il sopravvento.

Pandora lo attirò a se afferrandolo per i capelli, era ad un soffio dalle sue labbra, il giudice poteva sentire il suo caldo e avvolgente respiro sul collo.
“Mi condurrai alla vittoria Radamante, calpesterai con le tue ali chi oserà sfidare me e il sommo Hades? Giuramelo.”

“Lo giuro mia signora, la mia vita e nelle vostre mani, compiacervi è il mio unico desiderio.”

“Bene… era quello che volevo sentire.”
La sacerdotessa lo strinse più forte baciandolo con foga senza minimamente preoccuparsi della sua reazione, che ovviamente non si fece attendere. Le labbra di Pandora si muovevano sinuose e voraci su quelle del giudice mentre lui la strinse sui fianchi attirandola a sé.

I suoi seni avvolgenti e morbidi avvertirono il tocco del torace di Radamante, la fanciulla non si attardò a spostare le mani sull’apertura della tunica scoprendo  interamente le spalle di lui.
Il giudice la lasciò fare, completamente preso dal fascino oscuro e ammaliante della donna. La afferrò per le natiche sollevandola tra le sue braccia, lei si avvinghiò al suo uomo baciandolo dolcemente sul collo. La trascinò su un ampio divano del salone gettando a terra i cuscini che si trovavano sopra.

La tunica di Radamante venne tolta completamente dal giudice lasciandolo nudo davanti agli occhi estasiati di Pandora. In un attimo si abbassò sul corpo fremente della donna sollevandole la veste e accarezzandole le lunghe e tornite gambe.
Le mani dello specter indugiarono sul corpetto del vestito che venne strappato con un gesto, scoprendo completamente i suoi seni. Sapeva bene come provocarle piacere e lei non poteva far altro che gemere ad ogni suo tocco.

Inarcò la schiena lasciando che le sue braccia l’avvolgessero.
“Tu non sai… non immagini che donna stupenda sei.” le disse, perdendosi nel calore dei suoi seni.

“Dimostramelo allora. Fammi vedere l’irruenza del nobile Radamante.” Disse sfidandolo.
Gli occhi del giudice brillarono nell’oscurità incombente della stanza. La sollevò leggermente e la fece sua.

Pandora trattenne il respiro mentre lui si muoveva con un ritmo sempre più intenso dentro di lei. La sacerdotessa assecondava ogni suo gesto mentre le mani di Radamante affondavano lungo il suo corpo quasi volessero fondersi con esso.
I loro volti si guardarono per un istante fermando il movimento frenetico delle loro labbra.
“Sei meravigliosa…”

“Non serva parlare lo sai.”

“No… non serve.” Gli intimò di continuare e lui lo fece.

Erano un unico corpo in quel momento mentre sudati e frementi raggiunsero insieme l’apice di quel piacere che li rendeva così maledettamente umani così dannatamente imperfetti. Eppure in quel momento quell’imperfezione era l’unica cosa che li faceva sentire vivi e faceva provare loro quello strano sentimento chiamato felicità.
Radamante giaceva ancora tra le braccia della sacerdotessa con la testa poggiata sul suo ventre mentre lei gli accarezzava i capelli.
“Grazie per questo dono Radamante.”

“Non ringraziarmi lo sai che sei l’unica donna che potrei mai…”

“No non dirlo, ti prego.”

“Perché?”

“Perché siamo in guerra, e la guerra travolge e fagocita tutto, anche il più puro dei sentimenti. Il nostro obbiettivo è portare alla vittoria l’armata del sommo Hades. Tutto il resto lo terremo per noi custodendolo come il più prezioso dei segreti.”

Lui chiuse gli occhi, e anche in quel caso obbedì a colei che le era superiore in grado.
“Come desideri mia signora.”

Intanto una voce dall’esterno della stanza…
“Lady Pandora… mia signora ci siete?”

“Cosa vuoi Cheshire?”

“Devo parlarvi urgentemente si tratta del sommo Hades.”
A quel nome la donna scattò in piedi spostando improvvisamente il giudice infernale. Aprì un armadio tirandone fuori una vestaglia con la quale si coprì.

Andò alla porta in tutta fretta aprendone appena uno spiraglio in modo da non lasciar intravedere Radamante ancora completamente nudo.

“Parla dunque, cosa è successo?”

“Il sommo Hades non si trova più a palazzo, alcune guardie lo hanno visto dirigersi verso il Santuario di Athena.”

“Cosa! Da solo?”

“Così sembra. Nessuno era con lui neppure Kagaho.”

“Maledizone…” disse spalancando inavvertitamente la porta, proprio mentre Radamante si rivestiva della propria tunica.

“Ci sono problemi?” chiese.

“Niente che non possa risolvere, tranquillo.” rispose lei.

“Cheshire prepara immediatamente la carrozza e chiama Violate, io arrivo subito.”

“Agli ordini mia signora.” Disse correndo in tutta fretta.

Pandora rientrò nella stanza e Radamante le si avvicinò.
“Va tutto bene?” le chiese

“Devo andare adesso…” disse sfiorandogli il volto.

“Io vengo con te.”

“Non ce n’è bisogno, rimani al castello e riorganizza l’esercito, ci sarà Violate in caso di bisogno.”

“Come vuoi, se è questo quello che desideri. Ti prego solo di essere prudente.”

Lei fece un cenno con la testa raccogliendo il suo tridente dal pavimento, apprestandosi a lasciare la stanza. Radamante la fermò trattenendola per un braccio dandole un ultimo bacio. Pandora lo afferrò per le spalle concedendosi nuovamente prima di tornare ai suoi doveri.

“Tornerai da me mia signora?”

“Ogni volta che mi sarà possibile.” rispose accennando un sorriso.

Richiuse la porta alle sue spalle ritornando a quelli che da sempre erano i suoi doveri.
Dopo diversi minuti il giudice guardò fuori dalla finestra e vide la carrozza pronta con Cheshire alla giuda. Pandora impeccabile, armata di tutto punto si apprestava a riportare a palazzo il suo signore, non prima di aver posato un ultimo sguardo su colui al quale aveva donato il suo cuore.



Loro sono una coppia che mi piace molto. Ovviamente quando scrivo di Pandora e Radamante i miei personaggi di riferimento sono quelli di Lost Canvas, per il semplice fatto che sono caratterizzati meglio e si prestano a mille interpretazioni. Chi dice che gli specter non possano amare? Anche di un amore puramente fisico, io credo che il loro sia un modo differente e singolare di esprimere ciò che sentono, ma ugualmente intenso e passionale. Ecco perchè ho concesso loro questo atto di pura felicità. Grazie a chi avrà il piacere di leggere, alla prossima.
 

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Capitolo 9
*** Degel e Seraphina ***


Nell’ultimo periodo non aveva avuto molto tempo da dedicare a se stesso ne alle persone a lui care. Sotto suggerimento di Sage teneva il cielo in costante osservazione come se di lì a breve qualcosa sarebbe dovuto accadere.
Dal canto suo Degel non faceva troppe domande, non era sua abitudine, anche se non era difficile percepire l’ansia che affliggeva il Gran Sacerdote. Nonostante tutto la missione che gli era stata affidata in quei giorni l’accettò di buon grado perché significava rivedere persone alle quali era legato da un sincero affetto e al contempo avrebbe rinsaldato i rapporti di alleanza con la gente del nord.

“Mi farebbe piacere se tu mi accompagnassi Kardia, il viaggio sarà meno tedioso in tua compagnia e poi potrei tenerti d’occhio.” gli disse provocando di sicuro una sua reazione stizzita che di fatti non tardò ad arrivare.

“Scherzi? Non ho nessuno intenzione di prendermi un accidenti in quelle lande desolate. E poi la tua più che una missione è una visita di cortesia perciò non fa per me. A limite potrei intervenire solo se ti dovessi togliere dagli impicci.” gli rispose addentato una mela con fare scocciato.

“Quando mai hai dovuto togliermi dagli impicci Kardia? Non ricordo davvero.”

“Non ricordi perché ti ostini a riempirti la testa con quelle cose da intellettualoide che leggi. Almeno stavolta la tua vista sarà allietata da qualcosa di meglio dei libri, qualcosa di concreto e tangibile.”

Degel stava ultimando le cose da portare con sé nel suo bagaglio e gli rivolse un occhiata interrogativa.
“Sii chiaro a cosa ti riferisci?”

“Non fare il finto tonto, so bene che a Blugrado c’è una certa Seraphina con la quale hai un legame speciale.”

Il cavaliere sistemò le ultime cose riponendo anche la propria armatura. Era incredibile come, seppur non esternando mai apertamente i propri sentimenti, Kardia riuscisse sempre a cogliere anche le più piccole sfumature del suo cuore. Usandole ovviamente per metterlo in palese imbarazzo, cosa che accadeva molto di rado.
“Il rapporto che c’è tra me e Madamigella Seraphina non è affar tuo. Tornando a noi, sei ancora dell’idea di non voler venire?”

“Si… si cambia pure discorso come tuo solito. Comunque resto al Santuario, magari porto in giro Sasha a bighellonare un po’ per le taverne di Rodorio.”

Degel sospirò al solo sentire quelle assurde affermazioni.
“Ricordati che stai parlando della divina Athena, portale rispetto. E ti prego… escludi le taverne dal tuo giro turistico.” disse dirigendosi verso l’uscita dell’undicesimo tempio.

“Si come no…” rispose lo Scorpione con voce sommessa per non farsi udire.

“Stammi bene Kardia, cerca di non combinare disastri e sappi che la prossima volta ti ci porterò di peso con me a Blugrado vedrai.”

“Io non ne sarei così sicuro.” gli urlò da lontano.

“Vedrai… è una città incantevole.” lo salutò con la mano mentre anche Kardia prendeva la sua direzione verso la tredicesima casa lasciandosi scivolare addosso un invito che, per il momento, non stuzzicava minimante il suo interesse.


 
Bella lo era davvero. Blugrado e quel suo cielo perennemente grigio e azzurro al tempo stesso. Un clima rigido e ostile come pochi, eppure era una città che emanava un fascino tutto suo. Fiera ed indipendente teneva buoni rapporti con tutte le terre confinanti grazie al suo governatore Garcia suo figlio Unity e la dolce Seraphina che da sempre era ambasciatrice di pace per il suo paese.
Degel si era addestrato in quei luoghi, aveva temprato il suo carattere e ampliato le sue conoscenze, il legame con quella città era fatto di anni di sacrificio, di promesse scambiate sotto le stelle con il suo amico Unity e di un ricordo che custodiva gelosamente nel cuore. Gli occhi di Seraphina, due splendide gemme chiare come l’acqua di un lago e limpide come le sorgenti nelle quali si può riflettere la propria anima.

Era da tempo che non si rivedevano, lui aveva assunto a pieno titolo il suo ruolo di cavaliere d’oro e lei era rimasta nella sua città come futura erede di quelle terre. Tutto ciò che lei poté donargli, prima della sua partenza, fu un bacio. Un candido bacio che Degel aveva accolto come la più dolce e sincera dimostrazione del profondo legame che li univa. Con l’animo scaldato da quell’immagine che spesso aveva calmato la sua profonda solitudine, il cavaliere si apprestava ad entrare nella sala principale del palazzo dove il governatore lo attendeva.

L’incedere fiero ed elegante di Degel fece voltare tutti i presenti che lo guardarono come ipnotizzati da quella presenza che, pur senza la sua scintillante armatura dorata, avanzava nell’immensa sala spedito e sicuro.
“Ben arrivato cavaliere di Athena e amico sincero di queste terre. La città di Blugrado ti accoglie tra le sue braccia e ti porge il più caloroso dei bentornato.”

Degel si prodigò in un breve inchino omaggiando soprattutto Seraphina che aveva notato alla destra di suo padre.
“Vi ringrazio governatore, è per me un vero piacere rivedervi tutti e fungere ancora una volta da messaggero tra Atene e le città del nord.”

“Dimmi Degel quali notizie e ci porti dalla calda ed assolata terra di Grecia.” chiese Garcia.

“Tutto ciò che vi necessita sapere il sommo Sage lo ha riportato in questa missiva che mi ha affidato e che ora vi consegno.”
Il cavaliere estrasse il plico dalla tasca interna del soprabito e lo consegnò al governatore. Solo in quel momento, quando i convenevoli di rito furono terminati, Degel ebbe modo di guardare la giovane fanciulla con maggiore attenzione.

Uno strano brivido lo percosse lungo tutto il corpo quasi come un presagio oscuro e nefasto, sperava con tutto il cuore che la sua fosse solo una preoccupazione priva di fondamento. Una cosa era evidente però, e lui con estremo dolore non poté negarla. Seraphina era cambiata…
I suoi occhi da sempre pieni di vita e brillanti di luce ed energia si erano velati, come se un ombra fosse calata d’improvviso su quel volto che da solo era pura luce per tutta la città di Blugrado.

Unity, che conosceva bene il suo amico, si accorse subito del cambiamento nel suo sguardo. Lo aveva percepito. Degel aveva capito che in sua sorella qualcosa era mutato e quello fu la dimostrazione di come, nonostante la distanza, il loro legame fosse rimasto ben saldo.
Non voleva e non poteva pensarci, non in quel momento. Le sue priorità in veste di rappresentante del Santuario di Grecia erano altre, e nonostante la preoccupazione avesse ormai preso possesso del suo cuore si trattenne a lungo a colloquio con il governatore Garcia.

L’uomo considerava Degel quasi come un figlio, essendo cresciuto con Unity nutriva per lui un affetto speciale. Dopo aver consumato un lauto pasto preparato apposta per il loro gradito ospite finalmente l’erede di Blugrado ebbe modo di parlare con il suo amico d’infanzia in maniera più confidenziale.
“Allora Degel ti fermerai qui stanotte voglio sperare?”

“Se la mia presenza non vi crea troppo disturbo mi piacerebbe molto.”

“Tu non disturbi mai, e poi da quando sei qui finalmente gli occhi di mia sorella hanno ripreso vita.”
Quelle poche e semplici parole diedero al cavaliere la conferma ai suoi sospetti, la fanciulla che ricordava portava addosso un grave fardello. Adesso il suo cuore aveva necessità di andare in fondo a quella storia.

“Spiegati Unity, cosa affligge Madamigella Seraphina dimmelo ti prego?” non nascose più la sua ansia, d’altronde a cosa sarebbe servito.

Il giovane si voltò di spalle nascondendo deliberatamente l’espressione triste dei suoi occhi.
“Mia sorella è malata Degel. Ormai è da tempo che lotta contro una malattia che la sta spegnendo lentamente. La sua terra, la sua amata Blugrado sono state la sua condanna, il clima troppo rigido e instabile hanno minato il suo corpo delicato. E noi siamo impotenti, la vediamo solo deperire giorno dopo  giorno senza poter far nulla.”

Degel non riuscì a dire una parola, il suo volto da sempre imperturbabile non esprimeva alcuna emozione. Se solo Unity avesse potuto ascoltare il suo cuore invece, si sarebbe accorto di quanto esso tradisse la glacialità della sua espressione.
“Vuoi forse dire che è condannata?” quanto gli costarono quelle parole, le aveva pronunciate con una fatica immane.

Unity si voltò guardando finalmente negli occhi il suo amico. “Preferirei non pensarci, ringraziamo piuttosto di ogni giorno in più trascorso con lei considerandolo un dono degli dei.”

Parole amare e troppo dolorose da mandare giù. In cosa si era trasformato quel viaggio? Di certo non in un incontro allegro e felice, ma nella scoperta di qualcosa di infausto e inevitabile. Un silenzio pesante era calato tra i due amici nessuno osava proferire parola, solo il vento con il suo incessante sibilo faceva udire la sua voce.
Dei passi leggeri e cadenzati attirarono l’attenzione dei due ragazzi verso un punto preciso dell’ampio balcone. Unity la riconobbe subito, e da amorevole fratello qual’era si tolse il mantello che indossava poggiandolo delicatamente sulle sue spalle.

“Sorella non dovresti uscire all’aperto senza essere adeguatamente coperta.”

“Sei sempre troppo premuroso Unity, ti ringrazio comunque. Anche se coprirmi ormai servirebbe a ben poco.” il ragazzo abbassò lo sguardo abbozzando un leggero sorriso per quelle parole che suonavano come un inevitabile sentenza.

“Degel…è un immenso piacere per me rivederti, ormai è dal ricevimento di Madame Garner che non ci vedevamo, suppongo tu sia stato impegnato?” il cavaliere la raggiunse con la sua consueta eleganza nei movimenti prendendole la mano tra le sue e salutandola con un casto baciamano.

“Troppo tempo è passato da quando i miei occhi hanno ammirato qualcosa di così bello. Felice di rivedervi Madamigella Seraphina.” lei sorrise incapace di staccargli gli occhi di dosso.

“Durante l’addestramento avrebbero dovuto insegnarvi a mentire meglio cavaliere. Sicuramente quella non è una delle tue capacità.” rispose la fanciulla considerando quelle parole solo come una mera cortesia.

“Faresti meglio a rientrare sorella, quest’oggi la temperatura è davvero troppo rigida.”

“Ti prego di non trattarmi come se fossi di vetro fratello. Sono malata è vero, ma ho tutta l’intenzione di proseguire la mia vita fino a quando gli dei lo vorranno. Non lascerò di certo che la mia malattia pregiudichi i miei doveri. Dico bene Degel?”

Un animo nobile e combattivo degno della splendida fanciulla che ricordava e che aveva rapito il suo cuore.
“Parole più che giuste Madamigella.” rispose.

Unity si arrese a quell’alleanza di intenti e capì dai loro sguardi che avrebbero desiderato un momento solo per loro, così il ragazzo decise di congedarsi discretamente lasciando sua sorella alle cure del cavaliere.
“Seraphina io raggiungo nostro padre per vedere se necessita del mio aiuto, mi raccomando solo di non attardarti troppo.”

“Non lo farò te lo prometto.” disse la giovane

“Bene. Degel l’affido a te.” il cavaliere annuì e mentre Unity rientrava all’interno del palazzo la fanciulla si strinse al braccio del giovane passeggiando al suo fianco.

Scesero una scala laterale che dal balcone conduceva direttamente ad un giardino privato del palazzo. A causa del clima rigido erano poche le piante e i fiori che vi crescevano, ma tutto era tenuto con la massima cura ed attenzione.
Finalmente entrambi poterono parlarsi liberamente.
“Vedi questi fiori Degel, sembrano così fragili così delicati che anche un semplice soffio di vento potrebbe spazzarli via. Invece sono qua, ancorati alla terra a questi luoghi e fioriscono ogni anno nonostante le temperature proibitive.”

Il cavaliere si chinò accanto alla ragazza sfiorando con la propria mano sia quella di lei che la camelia accarezzata da Seraphina.
“Tu sei come loro, appartieni a queste terre e combatterai affinché non ti portino via.”

“Non posso sopportarlo, ho cercato di farmene una ragione, ma più ci penso e più non riesco a non pensarci.”

“Non ti lascerò affrontare tutto questo da sola, sarò al tuo fianco finché me lo concederanno.” lei gli accarezzò il volto e il gelo, che per ragioni diverse, apparteneva ad entrambi sembrò quasi riscaldare i loro cuori.

“Non è la mia malattia che mi spaventa cavaliere. Quella l’ho accettata e ci convivo di buon grado. Ciò che non sopporto è che questa potrebbe essere l’ultima volta che ti vedo…” non riuscì a trattenersi, aggrappandosi con tutte le sue forze a lui.
Lo strinse sperando in quell’abbraccio di dissipare tutte le sue paure e i suoi timori. Degel che non era abituato a simili esternazioni d’affetto si sentì improvvisamente pervaso da un calore avvolgente. Solo lei era capace di toccare così profondamente il suo animo, la sua sola presenza da ragazzo lo ripagava di tutti i sacrifici dell’addestramento. Cosa avrebbe fatto quando non avrebbe più potuto rivedere quel volto angelico.

“Non piangere ti supplico, noi ci rivedremo ancora. E quand’anche il destino volesse separarci io troverò il modo di tornare da te. Non mi perderai mai te lo prometto, non potrei vivere in un mondo dove tu non ci sei più.” le asciugò il viso con il dorso della mano, e in un attimo le lacrime della fanciulla divennero dei cristalli di ghiaccio.

Il viso di lei arrossì leggermente cullandosi nel dolce suono della voce di lui. Poi d’improvviso l’amara realtà fece repentinamente irruzione in quel mondo ovattato nel quale si erano rifugiati. Uno spasmo improvviso la fece tossire violentemente costringendola a piegarsi in due dal dolore. Degel la sorresse aiutandola a riprendere pian piano il controllo del proprio corpo respirando lentamente.

Furono degli attimi concitati nei quali Seraphina stava quasi per perdere conoscenza.
“Sta calma, forza respira lentamente… così piano, piccoli respiri.” la fanciulla strinse forte le mani del cavaliere.

“Tranquillo Degel adesso passa…” gli disse cercando di rimettersi in piedi “purtroppo mi capita spesso ormai ci sono abituata.”

“Unity ha ragione non dovresti stare fuori con questo freddo.”

“Credimi, adoro mio fratello e il fatto che si preoccupi per me. Ma se dipendesse da lui dovrei starmene perennemente a letto e non sarebbe proprio da me.”

“E cos’è che vuole allora l’ambasciatrice di Blugrado?” Seraphina lo guardò come poche volte si era concessa di fare, e solo quando erano da soli.

“Molto poco a dire il vero, ma quel poco me lo farò bastare per tutti i giorni in cui dovrò restarne senza. Voglio che mi stringi tra le tue braccia e che mi prometti che non mi dimenticherai mai.”

Perché quelle parole, perché ancora una volta sembrava che quello tra loro dovesse essere un addio? Non voleva ammetterlo né con lei né con se stesso, ma le sue braccia si mossero incontrollate esaudendo quel bisogno impellente di Seraphina e ammettendo per la prima volta da quando era lì che forse il loro era davvero un addio.

Se così doveva essere avrebbe reso quell’incontro speciale per entrambi, non gli sarebbe bastato stringerla a sé, non più. Le sollevò delicatamente il viso sfiorandole le labbra con le dita, a quel semplice tocco lei tremò leggermente. Poi fu come respirare ossigeno puro quando le labbra di Degel si poggiarono sulle sue, fu come sentirsi libera, appagata e viva.
Il cuore le batteva così forte che temeva anche lui lo avrebbe sentito, si perse tra le sue labbra conservando per sempre in esse tutta la dolcezza di quel momento.
Degel l’avvolse tra le sue possenti braccia e la condusse nelle proprie stanze prima che l’arrivo del tramonto peggiorasse le condizioni atmosferiche. Il cavaliere non aveva scordato la sua missione diplomatica, ma fu felice di aver avuto modo di poter restare con lei anche se per breve tempo. Non si aspettava di ricevere una notizia così devastante, ma il suo ruolo gli imponeva di tenere da parte i propri sentimenti e lui di certo non era tipo da contravvenire agli ordini ricevuti.
 
Ebbe occasione di rivedere Seraphina prima della sua partenza l’indomani mattina, ma l’intimità del giorno precedente aveva ceduto il posto a rigidi protocolli di palazzo che in breve avevano messo una certa distanza tra loro.

“Degel rassicura pure il Sommo Sage, ciò che custodisce e protegge Blugrado non cadrà in mano al nemico, qualsiasi esso sia. Questo è il nostro compito e lo porteremo avanti fino in fondo.”

“Ve ne siamo grati governatore, il Gran Sacerdote sarà felice di saperlo.”

Il cavaliere si rivolse a Unity e vedendo la tristezza del suo amico anche il suo animo si incupì.
“La promessa che ci scambiammo è sempre valida amico mio. Proteggi la gente di Blugrado e veglia su Seraphina.”

“Lo farò Degel non dubitare.”

La giovane intanto si teneva leggermente in disparte coperta dal suo mantello. Il cavaliere le si avvicinò.
“Sarai sempre nei miei pensieri, promettimi che ti prenderai cura di te stessa.”

Mai come quella volta il semplice salutarsi sembrava per entrambi un addio definitivo.
“Te lo prometto, se anche tu farai lo stesso cavaliere.”
Un leggero ed accennato sorriso furono la risposta che Seraphina dovette farsi bastare. Degel raccolse le sue cose e si incamminò verso la nave che lo avrebbe ricondotto in Grecia.

Li osservò prima di congedarsi da loro; il governatore Garcia, Unity e la dolce Seraphina. Diede loro le spalle e non si voltò più indietro, quella era l’immagine che voleva serbare nei suoi ricordi, tutto ciò che ne sarebbe conseguito non avrebbe intaccato in alcun modo quel momento.
In quel attimo stranamente pensò a Kardia, a quanto la sua irriverenza e il suo sarcasmo gli sarebbero stati di sollievo in quel frangente.

“Testardo di uno Scorpione, la prossima volta ti ci porterò di peso con me.”

Il vento soffiava agitando le vesti di Seraphina e gonfiando le vele della nave, sarebbe stato un viaggio di ritorno breve, pensò.
L’avrebbe rivista un giorno… in un modo o nell’altro sarebbero stati di nuovo l’uno tra le braccia dell’altro, e forse sarebbe stato per sempre. Quella mattina l’irruento vento di Blugrado portò via con sé anche le uniche lacrime che il cavaliere del Acquario si concesse di versare nel corso della sua vita.



Salve a tutti. Allora...per chi non lo sapesse Degel è il cvaliere d'oro dell'Acquario di Lost Canvas, la ragazza protagonista insieme a lui della storia appare sia nel manga classico che nel volume extra dedicato a Degel. Mi piaceva ed icuriosiva ampliare un po' questo rapporto che io trovo fatto di molti silenzi e parole appena accennate, c'è un legame tra di loro, ma purtroppo l'approssimarsi della guerra farà precipitare le cose. Non scrivo spesso dei personaggi di Lost Canvas quindi spero di averli resi al meglio, grazie di cuore a chiunque leggerà. A presto

 

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Capitolo 10
*** Aiolos e Aiolia ***


“Un’insolita pace pervade i miei sensi… è strano, inusuale, eppure così piacevole così a lungo cercata. Il luogo in cui mi trovo mi è sconosciuto, eppure non ne ho timore, sento che non c’è pericolo qui. Il clamore e il fragore della battaglia sono lontani adesso, il nostro dovere è stato compiuto. Ad altri spetta il compito di preservare la pace sulla terra.
Guerrieri più che degni si sono dimostrati Seiya e gli altri cavalieri di bronzo, sono felice di aver combattuto al loro fianco. Eppure nonostante tutto avrei voluto più tempo… tempo per poter parlare con te, fratello. Tante sono le cose che avrei voluto dirti ma il fato ci è nemico, non lascia spazio a chiarimenti ed emozioni, ingoia tutto in modo così vorace e frenetico che niente resta di ciò che vorremmo esternare.
Dove sei fratello? Anche tu ti trovi in questo limbo silenzioso nel quale l’oblìo regna sovrano. Solo ricordi mi restano della nostra breve vita insieme, ricordi di giorni felici, di carezze rubate alla severità degli allenamenti. Di notti insonni nelle quali la tua sola presenza bastava a quietare il mio animo. Di promesse fatte sotto un cielo stellato, nel quale le tue possenti ali gareggiavano in magnificenza con le stelle del firmamento. Di rimpianti, rimorsi e ancora rancore, di menzogne, di vergogna, di dolore.
Se potessi chiedere agli dei di esaudire un desiderio l’unica cosa che il mio cuore chiederebbe è poter combattere al tuo fianco Aiolos, dividere con te l’ardore della battaglia, dimostrarti di essere cresciuto con i tuoi insegnamenti ed essermi temprato con la forza che tu mi hai trasmesso. Che splendida realtà sarebbe, se solo tutto ciò non rimanesse unicamente un desiderio inespresso.
Cerco di liberare il cuore e la mente dall’oppressione e dal dolore del tuo ricordo… ma qualcosa mi tiene indissolubilmente legato al tuo volto, come un richiamo, un magnete che mi attrae come una forza sconosciuta. No, non è sconosciuto anzi… adesso lo sento, lo percepisco, un cosmo che mi è così affine ma infinitamente superiore, Aiolos fratello sei tu?
Non dirmi o fato beffardo che tutto ciò è frutto della mia fantasia. Parla ti prego, lascia che io oda la tua voce per cullarmi nel suono che tanto caro mi fu fin dall’infanzia.”

 
“Non sei solo fratello mio, non lo sei mai stato. Ogni battaglia, ogni nemico che tu hai affrontato io l’ho vissuto con te.
Sono orgoglioso dell’uomo che sei diventato. Hai vissuto nella giustizia, servito la tua dea e fatto ammenda degli errori commessi. Un cosmo caldo, potente e avvolgente ho percepito standoti accanto. Non hai nulla da farti perdonare, la fragilità e i dubbi dell’ animo umano ci spronano a migliorare noi stessi, e tu lo hai fatto, lo hai fatto sempre. Non è dimenticanza quella in cui ci troviamo, ma un luogo di quiete e riposo nel quale vi sento tutti vicini…
Sì, vicini proprio come in quel frangente nel quale dodici cosmi brillanti e uniti nella causa hanno risuonato insieme per squarciare il lugubre velo dell’ oscurità. Quieta il tuo animo Aiolia, non rimuginare su colpe che non ti sono proprie. Qualcuno più in alto di noi ha deciso del nostro destino, noi siamo solo un effimero strumento di un disegno più grande. Perdona coloro che credi nemici e pensi ti abbiano fatto torto. Io l’ho fatto tanto tempo fa e non ho rimpianti per la strada che ho scelto di percorrere.
Non lasciare che la pace tanto agoniata venga turbata da rancori e vendette. Il nostro compito adesso è proteggere i giovani cavalieri di bronzo che si apprestano ad affrontare un potente ed antico nemico. Il nostro cosmo li guiderà come sostegno costante durante la battaglia.
E credimi fratello… se il destino un giorno per qualche oscuro motivo dovesse di nuovo metterti in difficoltà tu guarda al tuo fianco, perché è lì che mi vedrai, pronto per sostenerti e proteggerti . E se gli dei lo vorranno a lottare ancora una volta insieme per la giustizia.”

 
“Parole sagge le tue Aiolos, che mostrano chiaramente quale fosse il ruolo che ti sarebbe spettato fin dall’inizio. La speranza e la fiducia che da sempre ti hanno guidato sono le caratteristiche che mi fanno riconoscere in te il fratello che ho sempre adorato e al quale ho tentato di somigliare in tutto questo tempo.
Anche adesso che siamo puro spirito e parliamo solo attraverso ciò che resta del nostro cosmo tu sei capace di indicarmi la strada giusta da seguire.”

 
“Non hai bisogno che io te la indichi, ne devi cercare di somigliarmi Aiolia. La tua unicità è quella che ti distingue e il tuo valore lo hai ampiamente dimostrato. Porta sempre vivi dentro di te gli insegnamenti che ti ho donato, e saranno per me la più grande soddisfazione.”

 
“Lo farò fratello, lo farò sempre…”

 
Tutto di nuovo era silenzio, tutto sembrava tacere. L’aura familiare che gli aveva parlato fino a qualche attimo prima sembrava svanita. Adesso il cavaliere di Leo avrebbe davvero potuto bearsi in quella tranquillità a lungo cercata, sapeva che Aiolos gli era vicino, e che sarebbe bastato volerlo e lui si sarebbe palesato.
Ma gli dei sono imprevedibili e beffardi, usano i mezzi più strani e gli espedienti più improbabili per raggiungere il loro scopo.
Una luce abbagliante rischiarò come in pieno giorno il luogo in cui lo spirito di Aiolia, e con molta probabilità anche quello degli saint, si trovava. Un enorme potere attirava la sua stessa essenza verso quella luce, voleva resistergli ma non vi riuscì. Troppo potente e allo stesso tempo attraente era quella luce che sembrava volesse ridargli nuova vita.
Ne fu vinto e trascinato in essa inesorabilmente

“Aiolos… fratello mio” le uniche parole che riuscì a pensare nel suo subconscio prima di perderne memoria.
 
Il luogo nel quale si trovava gli era sconosciuto. Avvertiva su di sé uno strano e pungente freddo. Si rialzò da terra accorgendosi di essere ricoperto di neve.

“Non capisco… dove mi trovo? Che luogo è mai questo?”

Si portò una mano alla testa, avvertiva un forte dolore e la sensazione di voler ricordare qualcosa d’importante che sentiva perduto. La sola cosa che gli era chiara fu l’immagine di lui insieme agli altri undici cavalieri d’oro che convergevano il proprio cosmo sulla freccia di Sagitter, poi più nulla… solo un enorme deflagrazione e il buio unito ad un silenzio irreale.
Doveva muoversi, e doveva farlo in fretta. Sentiva il gelo entrargli nelle ossa, com’era possibile? Sapeva di essere morto negli Inferi, lo sapeva bene ne era pienamente consapevole eppure quelle sensazioni che provava erano così vivide, così vere.

Vide da lontano delle fioche luci e un sentiero che poteva essere percorso a piedi. Forse lì avrebbe trovato rifugio e qualcuno disposto a dargli delle spiegazioni. Si sentiva stranamente stanco e spossato, come se avesse compiuto una fatica immane. Cominciò a camminare tra la neve, più per inerzia che per forza di volontà. In un angolo buio della sua mente una sola frase sembrava risplendere chiara e fulgida come un fulmine dorato.

“Se un giorno il destino dovesse metterti di nuovo in difficoltà tu guarda al tuo fianco, perché è lì che mi troverai.”

Parole profetiche che scaldavano il cuore in quelle terre impervie ed innevate che presto avrebbe scoperto portare il nome di Asgard…



Un dialogo a due... un dialogo attraverso il cosmo tra due fratelli che il destino ha separato in modo troppo repentino e prematuro. La voglia, il desiderio e la necessità di dirsi tante cose si mescolano hai sentimenti e all'angoscia dell'ignoto. Sarà il maggiore, come suo solito, a confortare il fratello più piccolo. Si ritoveranno... e il desiderio di Aiolia sarà esaudito (chi ha visto Soul of Gold sa di cosa parlo) per adesso ciò che guida entrambi è la speranza e la fiducia in loro stessi. Grazie a tutti, e spero che la storia scritta dal mio punto di vista vi possa piacere.
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Seiya e Shaina ***


Improvvisamente quella casa ai piedi del Grande tempio le sembrava infinitamente grande. Spesso si era trovata a pensare che quello non fosse il posto per lei… troppo soffocante, troppo stretto, troppo claustrofobico per contenere la sua rabbia… il suo furore.
L’unico che riusciva, con piccoli gesti, a mitigare l’irruenza del suo carattere era Cassios. Già… Cassios, era da tempo che non pensava a lui e si sentì meschina per questo. Lui aveva sacrificato se stesso per lei che rappresentava il suo mondo, la sua vita. Lei invece aveva saputo solo donargli le sue lacrime e il rimorso di non averlo compreso mai fino in fondo.

Adesso che il clamore delle battaglie era sopito e i nemici di Athena sconfitti aveva finalmente tempo di pensare, di riflettere, ma c’era troppo silenzio… troppa solitudine. La ferita alla schiena le provocava ancora fastidio, segno indelebile dell’ennesimo sacrificio che era stata disposta a compiere per amore di quel ragazzo che un tempo vedeva come acerrimo nemico.
Com’era beffarda la vita, mai avrebbe creduto di provare un tale ardore, un trasporto così intenso e passionale per qualcuno. Quelli erano sentimenti che lei riversava solo nella furia della battaglia, quando gli artigli del Cobra Incantatore ghermivano il nemico senza lasciare scampo. Tutto invece sembrava così inutile adesso, così lontano. Si alzò dal letto nel quale cercava di quietare i suoi pensieri.

“Basta adesso! E’ tempo di guardare avanti. Ti sei rammollita sacerdotessa guerriero? Non è da te abbandonarti a tristi ricordi o aggrapparti a vane speranze. Torna ad essere ciò che eri.”

Ma che cos’è che era veramente? Da tempo ormai se lo chiedeva. Era un guerriero, una donna, cosa? Avrebbero mai convissuto insieme queste due metà di una sola persona… Disse tra se quelle parole e per un attimo pensò che Cassios fosse lì con lei per ascoltarla e sostenerla. Non era così. L’eco della sua voce si perse tra le mura di quella casa, e un brusco movimento acuì il dolore della ferita. Chiuse gli occhi relegando quella sensazione in un angolo della sua mente.

Uscì di corsa quasi correndo, sbatté la porta cominciando poi a camminare furiosamente. Si sentiva soffocare, i battiti accelerati e il fiato corto per quei sentimenti che urlavano dentro il suo petto come fa il vento quando con il suo sibilo sovrasta ogni altro suono. Camminò senza una meta precisa, l’istinto la guidava e lei si lasciava trasportare… d’altronde lo aveva sempre fatto. Era stata tacciata d’insubordinazione, di essere una ribelle sovversiva e nonostante questo niente l’aveva fermata, era sempre andata dritta per la sua strada, fino a ritrovarsi tra le braccia del suo amato nemico.

Finalmente si fermò, sollevò lo sguardo e mise a fuoco un luogo che a lungo le era appartenuto, perché per molto tempo quel posto era stato la sua casa. Il luogo che le avrebbe permesso di diventare ciò che aveva sempre desiderato essere, una guerriera, abile e forte al pari di un uomo. Il campo d’addestramento femminile. Un posto inaccessibile a molti, proprio perché al suo interno vi erano solo giovani ragazze.

Anche lì però tutto era deserto e silenzioso. Mayura, la sensei che addestrava le future sacerdotesse, era stata richiamata al Santuario da Athena in persona poiché sia Shaina che a Marin era stato concesso della dea un periodo di riposo per sanare le numerose ferite delle battaglie.
Tutte gli allenamenti erano stati sospesi fino a nuovo ordine, la sabbia dell’arena era compatta e immobile. Shaina si aggrappò alle recinsioni di quel campo d’addestramento e la sua mente cominciò a vagare in ricordi lontani ormai persi nel tempo. Ricordi fatti di sacrificio, sofferenze, privazioni e dura lotta. Strinse la mano più forte attorno alle grate di ferro chiedendosi come avesse fatto a smarrire la strada per tanto tempo. Sarebbe bastata una sola vita per porre rimedio al male commesso? Forse non avrebbe mai trovato una risposta che placasse i rimorsi della sua coscienza.

Cercava comunque di andare avanti, doveva farlo, per se stessa e per colui che aveva anteposto la sua vita alla propria. Per cosa aveva lottato altrimenti se non per combattere il buio e l’oscurità che per tanto tempo avevano annichilito il suo animo. Che differenza c’era altrimenti tra il freddo e l’odio che aveva imparato a covare e il calore di quell’abbraccio, il dolce tepore della sua pelle che le avvolgeva corpo ed anima, la luce di quelle tredici stelle che la strinsero in quel bosco di Nuova Luxor e sembravano non volerla più lasciar andare.
Istintivamente si portò una mano al petto, come se con quel gesto potesse riuscire a frenare il suono irrefrenabile del suo cuore.

Poi d’improvviso tutto tacque in lei. Alzò lo sguardo in posizione d’allerta, si irrigidì sentendo dei passi avvicinarsi alle sue spalle. Attese qualche istante… giusto il tempo necessario affinché lo sconosciuto fosse ad una distanza ravvicinata per colpirlo. Si voltò con scatto felino in posizione d’attacco il Cobra Incantatore avrebbe mietuto un’altra vittima.
Non fu così invece…

“Sta calma sacerdotessa guerriero, vengo in pace” un sorriso scanzonato e fanciullesco accompagnato da due braccia alzate in segno di resa la fecero tendere come la corda di un funambolo. Dovette fare forza su se stessa prima di lasciare la sua posizione.

“Seiya, cosa ci fai qui?” avrebbe voluto dire mille altre cose ma non riusciva ad essere lucida.

“Ti cercavo…” disse semplicemente

“Come hai fatto a trovarmi?”

“Ho pensato potessi essere qui, visto che nella tua abitazione non c’era nessuno. E poi questo è il luogo più vicino dove saresti potuta andare.”

“Sono davvero così prevedibile e scontata” disse, denigrando se stessa.

Lui fece qualche passo nella sua direzione ma Shaina indietreggiò d’istinto. Che le prendeva? Aveva paura sì, aveva dannatamente paura e non voleva ammetterlo.
“Tutto si può dire di te Shaina tranne che tu sia prevedibile, anzi… sei una delle poche persone che riesce sempre a sorprendermi.”

Che modo strano aveva di parlarle, perché le sembrava così insolitamente dolce ed armonico il suono della sua voce, che le prendeva ne era sorpresa. Perché poi? I loro incontri erano sempre avvenuti nel corso di una qualche battaglia. Adesso invece non c’erano nemici da affrontare o divinità da sconfiggere, perché allora stava sulla difensiva?
Indietreggiò ancora finché la schiena non sfiorò la recinsione alle sue spalle.

“Cosa vuoi Seiya? Perché mi cercavi?”

Lui inclinò un po’ la testa, come se quelle parole lo sorprendessero non poco.
“Strano che proprio tu mi faccia questa domanda?”

“Che vuoi dire?” ribattè lei

“Fosti proprio tu ha dirmi di venirti a cercare una volta sconfitto Arles…”
Era vero, non poteva negarlo, sulla scala che collegava la casa di Pisces a quelle del Gran Sacerdote. Parole dette da lei che di certo non aveva scordato “…altre battaglie sono seguite a quella, nemici sempre più agguerriti e forti. Adesso però siamo in periodo di pace, e sono qui come ti avevo promesso. Sono tornato.”

Non l’aveva scordata. Perché poi un angolo della sua mente credeva di si invece. Shaina seguiva con lo sguardo, coperto dalla maschera, l’avanzare di Seiya. Le era vicino adesso… troppo vicino, trattenne il respiro quando il suo sguardo malinconico la osservò cercando di penetrare l’inespressività di quel volto coperto.
Non capì subito le sue intenzioni, lo vide sollevare una mano lentamente e Shaina si ritrasse come scottata da qualcosa d’incandescente. Poi fu un attimo. Il suo viso venne liberato dalla maschera, che cadde a terra con un tonfo sordo. I suoi splendidi occhi verdi tremavano come foglie in quel momento. Sentì che lentamente si facevano umidi di lacrime perché adesso si perdevano in quelli scuri di Seiya che con l’avvento del tramonto assumevano un colore rossastro.

Il ragazzo le sfiorò il volto con il dorso della mano, lei socchiuse gli occhi e una lacrime le sfuggì bagnando la mano di lui. La voce di Shaina da sempre così forte ed imperiosa uscì dalle sue labbra come fosse un sibilo proveniente da un luogo lontano.

“Sei tornato…” di nuovo le sue braccia strette intorno a lei, di nuovo quel calore che tanto le era mancato. Il suo cuore batteva un ritmo calmo e regolare adesso perché sentiva vibrarle accanto la parte che le era da sempre mancata.

“Se ciò che mi dicesti tempo fa a Nuova Luxor non è cambiato, e se hai smesso di volermi uccidere a tutti i costi, io sono tornato Shaina… sono tornato per te.”

Serviva davvero una risposta a quella domanda? No davvero. Seiya lo sapeva bene, era bastato guardarla negli occhi per capire che non c’era odio nel suo cuore, forse non c’era mai stato. Erano splendidi occhi smeraldo che avevano sofferto, avevano patito con lui le sofferenze delle battaglie, e nel profondo celavano solo un infinito amore. Le sfiorò la schiena nel punto dove sapeva bene essere stata colpita, Shaina strinse le unghie nella maglia di lui senza emettere un fiato poggiata sul suo petto dove avrebbe voluto rimanere per sempre.

“Lascia che sia io a lenire le tue sofferenze Shaina, affidati a me e placa i rimorsi del tuo cuore.”

“Seiya io… io non credevo, non speravo più” le parole le morirono sulle labbra
Lui le sollevò il viso agganciando i suoi occhi a quelli di lui.

“Non smettere mai di credere in me, non farlo. Non sei più sola adesso, è finito il tempo delle lacrime, ora è il nostro tempo e non voglio sprecarne neppure un attimo.”

Cos’era quel calore, quella dolcezza che percepiva? Sì, era ciò che aveva sempre desiderato. Le labbra di Seiya catturarono le sue facendosi dolcemente strada in esse. L’iniziale pudore di Shaina si perse nella tenerezza e in quel senso di protezione che avvertiva ogni qual volta era tra le sue braccia.
Un bacio cercato e desiderato da tempo, che rappresentava la somma dei loro sentimenti. Un bacio che era una promessa… di esserci sempre qualsiasi cosa dovesse accadere da quel momento in avanti. Seiya si separò per un attimo dalla sua bocca tenendole però il viso con entrambe le mani.

“Lo sai che di quella maschera non ne hai più bisogno in mia presenza?”

Lei sorrise abbassando lo sguardo.
“Si lo so, eppure non riesco a farne a meno è più forte di me.”

“Ti ci abituerai. Non puoi nascondere la tua vera essenza dietro quella maschera, hai un’anima troppo bella per mortificarla con quell’oggetto.”

“Mi prendi in giro Seiya? Ti burli di me?”

“No, non potrei mai. Ma sei troppo testarda per rendertene conto.”

“Tu che definisci testarda me? Siamo arrivati all’inverosimile allora?”

“Hai ragione, detto da me non è credibile. Ma mi piaci anche per questo. Perché dentro di te arde il mio stesso indomito fuoco.”

“Già… il fuoco della battaglia” rispose lei

“E non solo quello da oggi in poi” concluse Seiya cingendole le spalle. “Ti va di andare a casa insieme?”

Quelle parole sembravano un sogno, sembravano come qualcosa di effimero che finalmente diventava reale, udibile e non solo frutto di vane speranze alle quali per mesi si era aggrappata. Il suo cuore divenne più leggero e pieno di speranza.
Ci sarebbe stato un nuovo inizio si… lo avrebbero creato e scritto insieme. E qualsiasi avversità da lì in poi fosse capitata li avrebbe trovati uniti insieme, non solo come sacerdotessa e cavaliere ma anche come uomo e donna.

“Sì, andiamo a casa Seiya…”

La maschera rimase lì in terra dove il giovane l’aveva lasciata cadere. In quel caldo e tenue tramonto greco non tornavano a casa il cavaliere di Pegaso e la sacerdotessa dell’Oficuo, ma semplicemente Seiya e Shaina…



Allora... in molti aspettavano questa storia, e io sapevo che prima o poi avrei dovuto scrivere di loro perchè era inevitabile. Ora, chiariamo che loro non sono la mia OTP anzi... tutt'altro direi, nonostante questo ammetto che questa storia mi piace, provo uno strano brivido quando la rileggo e credo che questo sia dovuto al fatto che ho espresso esattamente ciò che sentivo. Spero che le fan di questa coppia rimangano soddisfatte, io ce l'ho messa tutta e spero di aver reso giustizia ad entrambi. Grazie davvero, a presto.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** El Cid e Sisifo ***


Non era mai stato particolarmente socievole ne un tipo loquace al quale piacesse la compagnia. Il suo sguardo, i suoi pensieri erano sempre rivolti altrove. Nessuno riusciva mai ha capire cosa gli passasse per la testa, troppo ermetico ed isolato dal mondo era il suo animo perché qualcuno potesse scrutarci dentro.
Da quando poi era tornato dalla missione affidatagli da Hakurei la malinconia aveva preso il sopravvento sul suo volto, segno tangibile di chi sa che da lì a breve la sua vita potrebbe cambiare e prendere una svolta inaspettata e definitiva.
Solo un cavaliere riusciva, seppur brevemente, ad interagire con lui. Solo uno era capace di fargli perdere quell’aura di serietà e compostezza che sempre lo accompagnavano, solo Sisifo, cavaliere del Sagittario.

Lo sguardo fiero ed altero dritto davanti a se, fermo, immobile nella sua consueta postura d’attacco. Il braccio sguainato come una lama tagliente pronta a fendere qualsiasi cosa si trovasse nel suo raggio d’azione. El Cid del Capricorno si trovava sulle sponde del fiume che bagnava Rodorio, come sempre alla ricerca della perfezione che tanto bramava.

“Non dovresti essere qui?” la voce giunse alle spalle del cavaliere fermandolo solo per una frazione di secondo. Non c’era bisogno che si voltasse, aveva percepito il cosmo del Sagittario già molto prima che lui si palesasse.

“Tu non dovresti essere qui! Ti credevo da Hakurei intenti a preparare piani di battaglia?” gli rispose

“E perché mai? Non siamo in guerra…”

“Il Santuario combatte sempre la sua personale guerra Sisifo. Che sia interna o esterna alle sue mura qui siamo sempre in allerta, altrimenti non sarebbe possibile preservare la pace.”
Il Sagittario sorrise sedendosi sul costone di roccia dal quale El Cid continuava a lanciare la sua lama sacra.

“Hakurei mi ha detto che ti aveva concesso qualche giorno di riposo. So che la tua ultima missione ti ha lasciato non poche ferite.”

“Sciocchezze! Sto benissimo. Riposerò quando sarò morto, adesso non ho tempo, ci sono cose che mi premono di più da ottenere e riposando non le avrò di certo.”

“Perché non dici la verità… perché non mi dici cosa ti passa per la testa. Non è un segno di debolezza sai condividere i propri pensieri?”

“Tu pensi cose che non esistono, e per di più stai disturbando il mio allenamento. Non c’è niente da dire, niente di cui valga la pena parlare.”

“E’ qui che ti sbagli El Cid. Tu pensi che il dovere di un cavaliere sia solo obbedire, eseguire gli ordini e ambire alla perfezione…”

“Certo, è naturale, questa è la vita che abbiamo scelto questa è la strada che bisogna seguire per raggiungere i propri obbiettivi.”

“No ti sbagli non è così. Non è solo questo almeno… tu dimentichi una cosa importante. I cavalieri del Grande Tempio si distinguono per ben altre qualità. L’amore, il sacrificio, la misericordia verso il prossimo e la speranza che ognuno può essere salvato. Bisogna metterci il cuore nelle battaglie El Cid, non solo la forza.”

Il cuore… finalmente il braccio del cavaliere del Capricorno, che per tutto il tempo aveva continuato a fendere le acque del fiume, si fermò. Non guardò negli occhi Sisifo, ne aveva timore perché sapeva bene che il suo compagno era capace di guardarci attraverso, ed egli aveva paura di ciò che vi avrebbe letto osservandoli.
“Ho rivisto una persona nella mia ultima missione… una persona con la quale sono cresciuto da ragazzo. Abile a forgiare e maneggiare la spada, sarebbe diventata un’eccellente maestra se il destino glielo avesse concesso.”

Lo sguardo di Sisifo si rabbuiò
“Se l’hai incontrata perché ne parli al passato?”

“Perché lei non era più quella che ricordavo. Perché una malattia incurabile ha spento prematuramente la sua giovane vita. Quella che ho rivisto non era la vera Mine, ma un ricettacolo della giovane che era un tempo.”

“Quindi è lei il tormento che ti porti dietro dalla tua ultima missione?”

“Non solo lei… anche il ricordo di un amico che sacrificò il suo futuro per permettere sia a me che a lei di vivere.” lo sguardo di El Cid si assottigliò, e un fendente violento staccò di netto un costone di roccia che precipitò a picco nel fiume.

“Se sono la rabbia e il rimorso a guidare il tuo braccio amico mio temo che la perfezione che cerchi sia ancora molto lontana.”

“Cosa puoi saperne tu di cosa si prova ad affrontare amici d’infanzia ed essere costretti ad annientarli perché orami appartengono all’oscurità? Le tue sono vane parole Sisifo.”

“Forse non posso comprendere fino in fondo il tuo dolore El Cid, ma so cosa significa avere un peso sul cuore e conviverci giorno dopo giorno con le possibili conseguenze che un simile fardello può comportare.”

Stavolta il Capricorno non poté far a meno di guardare il proprio compagno, notando come il suo volto sempre sereno e prodigo di parole gentili si fosse rattristato d’un tratto.
“Sono parole poco chiare le tue. Spiegati meglio?”

“Non adesso amico mio, ma ti prometto che al mio ritorno ne riparleremo.”

“Ritorno? Che vuoi dire… dove sei diretto?”

“In Italia… il Gran Sacerdote a breve mi darà ulteriori indicazioni per il viaggio. E se lo scopo per il quale parto andrà a buon fine… non tornerò da solo.”

Stavolta fu El Cid che cercò di capire cosa celasse l’animo del cavaliere del Sagittario. Era chiaro che qualcosa lo turbasse, ma lui non era un tipo che facesse pesare le proprie preoccupazioni sugli altri.

“Quindi il nostro incontro di oggi non è casuale… sei venuto apposta per salutarmi?”

“Più che salutarti sono venuto per accertarmi che tu stessi bene e che i fantasmi del tuo passato non intaccassero il tuo spirito.”

“Puoi star tranquillo. Il mio spirito è saldo e il mio braccio presto sarà una lama perfetta contro la quale nessun nemico potrà opporre resistenza. Questa è una promessa che feci a Mine e al mio amico Felser, e ho tutte le intenzioni di mantenerla.”

“Sono felice per te  ad El Cid, il valore dell’amicizia è un sentimento nobile che ci sprona ad andare avanti. Però vorrei darti un consiglio…” lo sguardo silenzioso e guardingo del Capricorno attendeva con ansia di capire cosa Sisifo volesse dire. “Dovresti prendere con te degli allievi… si, dei giovani promettenti con voglia d’intraprendere l’arte del combattimento e della disciplina.”

“Cosa? Degli allievi, ma che vai blaterando?”

“Avanti, non essere il solito musone testardo. Tu hai tanto da insegnare. Nell’arte della disciplina e della spada sei un maestro… e poi” si fermò per un attimo osservando El Cid e regalandogli uno di quei caldi sorrisi che dissipano ansie e preoccupazioni.

“Che vuoi dire, e poi?” gli intimò di continuare il Capricorno.

“Degli allievi gioverebbero al tuo carattere chiuso e irascibile. E’ si, ti farebbero proprio bene…”

“Che assurdità! Come se avessi tempo da perdere.” rispose

“Non è tempo perso quello che dedichiamo agli altri El Cid. Ciò che tramandiamo attraverso di noi è il nostro retaggio che le future generazioni potranno perpetuare, così che una parte di noi possa vivere in eterno attraverso i nostri insegnamenti.”

Il perché le parole di Sisifo lo scuotessero sempre così tanto non seppe mai spiegarselo, era come se il cavaliere del Sagittario fosse capace di instaurare una tale empatia con il suo interlocutore da lasciare un segno indelebile.
El Cid ripensò a Lacaille… i giovane incontrato in missione. Figlio di uno spadaio, che tanta ammirazione provava per lui. Ripensò agli occhi di quel ragazzo così fulgidi e carichi di speranza, la sua voglia d’imparare, di crescere e apprendere attraverso gli insegnamenti di suo padre. Forse le parole di Sisifo non erano poi tanto sciocche, forse adesso acquistavano un significato importante anche per lui.

“Ti saluto amico mio… ci vediamo al mio ritorno. Spero che per allora tu abbia raggiunto ciò che davvero cerchi.”

“Buon viaggio Sisifo” furono le sole parole che riuscì a dire, ma il Sagittario sapeva che sperare in un comiato più caloroso da parte sua sarebbe stato impossibile.

Spalancò le ali dorate in direzione del tredicesimo tempio senza voltarsi indietro. Sapeva che El Cid avrebbe ripreso l’allenamento che lui aveva inavvertitamente interrotto. Voleva parlargli prima della sua partenza e c’era riuscito. El Cid sapeva ascoltare, e anche se non lo dimostrava, faceva tesoro dei consigli che Sisifo gli impartiva.
Per la prima volta entrambi si ritrovarono a pensare la medesima cosa, ovvero che la giustizia e il bene comune per tutto il genere umano avevano saputo unire spiritualmente anche due caratteri così diversi come i loro.



Eccomi tornata con un duo che mi piace molto (e che mi è stato gentilmente suggerito da Elena Fanti, che ringrazio di cuore)
Un rapporto d'amicizia che non ha bisogno di lunghi discorsi o altisonanti propositi, basta poco... anche uno sguardo. Perchè spesso tra amici è così, in special modo per chi come loro condivide propositi e battaglie. Due caratteri diversi ma complementari che si sorregono a vicenda nelle loro diversità, e che anche in un semplice "arrivederci" racchiudono l'essenza di un sincero affetto. Grazie mille, ci rivediamo presto.

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Artemide e Athena ***


Il Tempio della dea della Luna era un luogo accessibile a pochi. Non era sua consuetudine ricevere visite, a meno che non fossero state espressamente richieste.
Sua sorella però aveva affrontato un lungo viaggio per giungere in quel luogo, non sarebbe andata via senza vederla e soprattutto senza esporle la sua richiesta. Bardata ancora nella sua armatura divina, Athena spalancò le porte del sacro Tempio. I suoi passi erano accompagnati solo dal monotono e continuo scorrere di cascate d’acqua che avvolgevano l’intero mausoleo al centro del quale vi era il trono di Artemide.

Gli occhi della dea, rimasti chiusi fino a qualche attimo prima, si aprirono lentamente agganciando con il verde smeraldo delle sue iridi quelli cerulei di sua sorella. L’incedere di Athena terminò a pochi passi dal trono. Un breve scambio di sguardi fu il solo saluto che entrambe si concessero.
Poi, in segno di rispetto e trovandosi in un luogo a lei estraneo, Athena si inchinò poggiando sulla nuda pietra lo scudo e lo scettro di Nike.

“La tua visita giunge inaspettata quanto inattesa sorella. L’eco della battaglia che ti ha visto vincitrice risuona ancora tra le mura di questi templi. Parla dunque, cosa ti porta dinanzi alla mia persona?” il fruscìo delle vesti di Artemide seguivano il lento movimento della dea, che adesso più che mai desiderava scrutare il volto della sua giovane interlocutrice.

“Artemide… non sono qui in veste di nemica, ne per muoverti accuse o dissensi. Solo una cosa mi preme, e solo quella ti chiederò.”

Lo sguardo della dea della Luna si assottigliò. Doveva essere qualcosa d’importante ed impellente perché Athena si recasse personalmente a chiedere il suo intervento. La curiosità e l’ormai certezza di essere quanto mai indispensabile per sua sorella, la resero loquace e infingarda.
“Alzati pure Athena, riconosco il tuo valore di dea e protettrice della pace sulla terra. Non c’è bisogno che ti inginocchi dinanzi a me. Parla dunque, ed esponi la tua richiesta.”

“Grazie sorella. Come ben sai la battaglia contro Hades è stata cruenta e difficile, molte vite di valorosi cavalieri si sono spente affinché la giustizia e la pace tornassero sovrane…”

“E dunque?” incalzò Artemide

“Forse una di queste vite può essere ancora salvata, forse siamo ancora in tempo. Il cavaliere di Pegaso giace tra la vita e la morte colpito dalla spada del dio degli Inferi. Ho bisogno del tuo aiuto per cambiare il corso degli eventi.”

Gli occhi di Artemide cambiarono radicalmente espressione. Un senso di rabbia e muta vendetta adesso animavano le sue azioni, agire con prudenza però era fondamentale. La dea conosceva bene la predilezione di suo padre Zeus per quella fanciulla, inimicarsi il re degli Dei sarebbe stata una mossa azzardata, soprattutto in un frangente delicato come quello.

“Athena… la tua presunzione mi sorprende al quanto. Così come la tua richiesta.”

“Non è presunzione la mia, è solo una richiesta per riparare ad un torto ingiusto, compiuto solo per fini di giustizia.”

“Giustizia? Giustizia dici. Tu vieni qui a disturbare la quiete del mio Tempio, recando ancora addosso il divino sangue di Hades a chiedere clemenza per colui che ha contribuito alla sua morte?” Non vi fu risposta udibile, solo lo sguardo fiero ed altero di Athena diedero conferma a quelle parole. “Folle! Sei folle se credi che muoverò un solo dito per salvare la vita di quel cavaliere deicida. Troppo ha osato, ha sfidato forze delle quali non è degno neppure di calpestare la medesima terra. Il suo destino è segnato, dovrà languire fino a che il veleno della sacra spada di Hades non spegnerà l’ultimo battito del suo impuro cuore.”

“No! Non lo permetterò!” l’eco improvviso della foga di quell’affermazione risuonò nell’intero Tempio, facendo tremare anche l’algida Artemide, che in quella voce per un attimo riconobbe il piglio imperioso del divino Zeus.

“Tu Athena… tu vorresti impedire che tutto ciò si compia? A tanto ti spingi per ottenere i tuoi scopi, deve essere una vita più che preziosa quella di questo cavaliere se ti preme tanto?”

“Ogni singola vita per me è preziosa, che sia di un cavaliere o di un semplice essere umano. E se posso porre rimedio ad un fine ingiusta ed immeritata io devo tentare, e fare l’impossibile.”

Una risata beffarda e sarcastica fu la risposta a quelle parole al quanto elusive. Artemide non si sarebbe accontentata, se Athena si era spinta a tanto lei avrebbe fatto lo stesso dimostrando l’inadeguatezza della fanciulla nel ricoprire il proprio ruolo.
“Non si può cambiare il corso degli eventi sorella, tu più di chiunque altro dovresti saperlo. Manipolare il tempo è prerogativa di una sola divinità… e lui non asseconderà mai la tua richiesta.”

“E’ questa dunque la tua risposta? Devo dedurre di dover far a meno del tuo aiuto… la tua sola parola potrebbe essere un sostegno alla mia richiesta. Sei una dea amata e temuta sull’intero Olimpo, se solo tu…”

“Io cosa? Pretendi forse che interceda in tua vece affinché venga ridata la vita a colui che potrebbe decretare la fine di tutti noi? Questa è follia!”

“Le intenzioni di Seiya non sono mai state di arrecare offesa agli dei. Il suo compito è quello di difendere il genere umano e la giustizia. E’ solo per questo che si è sempre battuto, e di certo non è un motivo valido per perdere la vita.”

“Lui si è battuto per la giustizia dici? Bene… per cosa ti batti invece tu, Athena? Chi è colei che si è presentata oggi dinanzi a me, la dea della giustizia o la donna? Quale ardore muove la tua richiesta…”

Parole dirette e feroci come lame che trapassano la corazza divina della fanciulla e giungono al cuore. Gli occhi tremanti e lucidi di lacrime a stento trattenute non passarono inosservate ad Artemide che finalmente intuì di aver colto nel segno. Dal canto suo Saori sapeva bene che dalla sua risposta sarebbe dipesa la sua stessa vita, e se le fosse capitato qualcosa il destino di Seiya sarebbe stato segnato irrimediabilmente.
La fanciulla impugnò di nuovo lo scettro e il suo scudo. Non aveva tempo da perdere, se Artemide non voleva comprendere sarebbe andata di persona a cercare chi poteva aiutarla.

“Sorella, ti rammento che io sono Athena, ed amministro la giustizia sulla terra per volere di nostro padre Zeus. Io sono dea tra gli uomini e la mia natura è divina quanto umana, perché la forza che è dentro di me è intrisa dell’amore degli uomini. Per quell’amore io mi batto, lo stesso amore che ha mosso le azioni del cavaliere di Pegaso. E che tu voglia o meno io lo salverò, con o senza il tuo aiuto.”

“Sfuggente ed evasiva come sempre, la tua permanenza tra gli uomini ha fatto sì che ne acquisissi i medesimi difetti. Sei testarda… degna figlia di nostro padre. Ma il tuo sentimento così miseramente terreno ti perderà Athena, tu sei una dea… l’effimera vita terrena non dovrebbe neanche turbare i tuoi pensieri. E invece tu ti disperi, e ti umili per salvare un volgare e stolto umano. Ti compiango sorella…”

“Tieni per te la tua compassione Artemide, non so che farmene. Parlerò con Chronos in persona, finanche con Zeus se occorre, ma non mi arrenderò. Se c’è qualcosa che ho imparato da Seiya, è che finché nel nostro cuore arde anche solo una scintilla di vita c’è sempre speranza, c’è sempre modo di compiere un miracolo. Addio Artemide, non sprecherò ulteriormente il mio prezioso tempo spiegandoti ciò che non puoi comprendere.”

Le ultime parole di Athena furono pronunciate quando ormai la fanciulla dava già le spalle alla sua divina sorella, che furiosa di rabbia per quella insolenza stringeva con rabbia il suo scettro.
“Osi darmi le spalle Athena?! Pensi di trovare altrove l’aiuto che cerchi? Nessuno ti aiuterà, nessuno salverà il tuo prezioso cavaliere. Il suo destino è scritto ormai, le tue sono patetiche illusioni.”

Le parole urlate in un impeto di superbia da Artemide non smossero minimamente Saori, che ormai era quasi fuori dal Tempio della Luna. Prima di abbandonare quel luogo però, decise di chiarire il suo pensiero una volta per tutte.

“Non c’è nemmeno bisogno che mi volti per osservarti Artemide. La paura governa il tuo volto, lo so. Tu sai bene che l’era delle divinità sta per giungere al termine. Forse non è il destino di Pegaso ad essere segnato, ma il nostro. La differenza sostanziale tra noi è che io non temo di scomparire, se è questo il prezzo da pagare perché lui viva sono disposta a dare la mia vita con gioia. Ma tu questo non puoi capirlo… a divinità come te certi sentimenti sono preclusi. Penso quindi, che tra le due quella che merita compassione sia tu Artemide…”

Mettere a tacere la dea della Luna era impresa assai ardua. Eppure l’incontro che inizialmente per Artemide aveva il tacito sentore di una sottomissione da parte di Athena, si era rivelato invece un’amara sconfitta per lei su tutti i fronti.
Forse la dea cominciava a comprendere il perché quella fanciulla fosse la prediletta di Zeus e per la prima volta provò un sentimento molto umano e poco divino… l’invidia.





Eccomi tornata con questa raccolta. Due sorelle... e non solo, calcano la scena in questo capitolo. Due dee dal animo così diverso, Athena chiede clemenza per il suo primo cavaliere. Artemide punta nell'orgoglio e fiera della posizione che occupa glielo nega. Uno scambio di battute che spero apprezziate, così come spero di aver differenziato al meglio le due personalità di queste fanciulle. 
Ci tengo a specificare che non ho attualmente letto il manga in cordo, Next Dimension, conosco solo alcune notizie riferite da terze persone. Se vi sono similitudini o attinenze con la storia originale sono del tutto involontarie. Grazie come sempre a chiunque avesse il piacere di leggere. A presto

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Deathmask ed Helena ***


Finalmente dopo tre serate sfortunate quella sembrava essere la volta buona. Era l’ultimo giro di carte e lui aveva tra le mani una scala reale di cuori.
Quando arrivò il suo turno abbassò le carte sul tavolo e sul suo viso si stampò un’espressione beffarda di vittoria. Le imprecazioni degli altri giocatori risuonarono per tutta la locanda, è sì, quella era proprio la sua serata. Lanciarono le carte per aria e si allontanarono in direzione del bancone abbandonando il loro fortunato avversario.

“Avanti perché ve la prendete tanto, si vince e si perde non è mica la fine del mondo se vi ho alleggerito un po’ stasera.” Alzò il bicchiere che conteneva ancora del liquido scuro all’interno e bevve tutto d’un fiato. Raccolse, con mani avide, tutta la vincita dal tavolo pronto a lasciare quel posto… quando fu interrotto.

“Ti è andata bene stasera…” disse il nuovo arrivato.

“Ah… di nuovo tu. Ma non ti stanchi mai di seguirmi, vuoi per forza farmi da balia?”

“Idiota! Se alloggiamo entrambi nello stesso posto mi sembra logico incontrarsi.” rispose

“Fa come ti pare, tanto stavo per andarmene.” replicò incamminandosi in direzione dell’uscita.

“Aspetta! Ho una cosa da chiederti.”

“Se proprio devi…” disse seccato

“Tu sai quello che sta succedendo qui, Aiolia te ne ha parlato. Cosa hai intenzione di fare?” chiese

“Vuoi davvero saperlo? Ho intenzione di starmene per i fatti miei, godermi la vita finché dura, senza dovermi preoccupare di nessuno.” Aprì la porta e uscì all’esterno, l’aria della sera era gelida. Il suo amico lo seguì.

“E così te ne tiri fuori? Non vuoi farti coinvolgere e preferisci fare lo spettatore pur sapendo che quello che accade qui è sbagliato e fonte di sciagure!” gli urlò contro.

Death si voltò di fronte al suo interlocutore agitando le dita della mano che crearono dei tenui fuochi bluastri tutt’intorno.
“Ascoltami bene Aphrodite, non venirmi a dare lezioni di morale o a farmi la predica, non ne ho bisogno. Questa non è la nostra guerra, noi non siamo i salvatori di queste terre.” disse, con i suoi soliti modi tutt’altro che concilianti.

Il cavaliere dei Pesci non si arrese però, perché sapeva bene di essere l’unico a cui lui dava retta.
“Allora perché siamo tornati in vita me lo spieghi? C’è uno scopo, un fine a tutto questo. O credi di essere tornato vivo e vegeto per bere a sbafo e giocare d’azzardo?”

“E che ci sarebbe di male? E’ un piacevole diversivo. Ti saluto adesso, non ho più voglia di ascoltarti.” gli voltò le spalle cominciando a camminare lentamente.

“Deathmask! Mi auguro almeno che tu faccia buon uso di tutto quel denaro.”

“Tranquillo… finirà nel posto giusto” si perse nell’oscurità della sera lasciando Aphrodite riflettere su ciò di cui avevano parlato.


 
Nonostante i notevoli benefici di cui, da un po’ di tempo a questa parte godeva la città di Asgard, il clima soprattutto di sera era sempre molto rigido. Gli abitanti ormai abituati a convivere con quelle temperature erano soliti chiudersi in casa al tepore di un piacevole fuoco.
C’era una casa in particolare dove non era solo il calore del camino a riscaldare l’atmosfera, ma in modo particolare le persone che vivevano al suo interno. Helena era la sorella maggiore di cinque figli, dopo la morte dei genitori fu lei a prendersi cura dei fratellini più piccoli. Le condizioni economiche non erano delle migliori e di certo Asgard non forniva lavori remunerati a sufficienza per sfamare quattro bimbi piccoli.

Eppure Helena non si perdeva mai d’animo, si alzava tutte le mattine con il sorriso sulle labbra pronta a fare del suo meglio. Da qualche tempo, grazie all’aiuto di Andreas Riise e i benefici portati dall’Yggdrasill, la città sembrava rinata a nuova vita. I commerci si erano intensificati e le persone beneficiavano di condizioni di vita più favorevoli.
La giovane fanciulla, inoltre, godeva da qualche giorno dell’aiuto inaspettato di un giovane misterioso che poneva davanti alla porta di casa un sacchetto con del denaro all’interno. Anche quella sera, dopo aver messo a letto i suoi fratelli, Helena sentì dei passi fuori l’uscio di casa. Decisa a scoprire l’identità dello sconosciuto si affrettò alla porta girando in tutta fretta la maniglia. Intravide così il volto di qualcuno che cercava di allontanarsi in tutta fretta.

“No aspetta! Non andartene ti prego…” l’accorata voce della giovane lo fecero fermare  “… non so come ringraziarti per il denaro che ci porti, e sinceramente non immagino il perché tu lo faccia, ti assicuro che non ce n’è bisogno. E’ vero non abbiamo molto di cui sfamarci, ci sono giorni molto più duri degli altri ma insieme, io e i miei fratelli, c’è la siamo sempre cavata.” disse

“Buon per te ragazzina, ma non credo che un po’ d’aiuto in più ti faccia male. Tanto a me questi soldi non servono nemmeno” rispose, cercando riparo nel buio della notte.

“Capisco, non hai una famiglia? Sei solo?” lui non rispose “Scusami, sono stata troppo indiscreta. Io mi chiamo Helena comunque, qual è il tuo nome?” chiese lei, accostando la porta e avvicinandosi all’uomo. “Avrai almeno un nome?” domandò. Lui avvertì la sua vicinanza e si voltò guardandola dritta in viso come poche volte aveva osato fare e sempre di nascosto.

“Beh… un nome vero e proprio non saprei, mi chiamano Deathmask da sempre, e a me sta bene così…” le rispose

“Che nome buffo, e che strano tipo sei…” disse Helena

“Diciamo che non sono il tipo con il quale le giovani ragazze come te dovrebbero intrattenersi a parlare” cercò di scoraggiarla cercando di terminare la conversazione.

“E perché mai? Io non giudico dalle apparenze, e poi tu sei stato sempre gentile con me e con i miei fratelli. Non ho motivo di pensare che tu possa essere una brutta persona”

Fu sorpreso da quelle inaspettate parole, così inusuali per lui.
“Saresti la prima a dirlo” stava per andarsene per la sua strada, quando lei lo trattenne per un braccio.

“Aspetta! Ti va di passeggiare? Solo per un po’…”

Non sapeva cosa risponderle, pensava tra se ad una possibile scusa da accampare. “Una passeggiata a quest’ora? E i tuoi fratelli se dovessero svegliarsi e non trovarti?” ecco la scusa perfetta, pensò.

“Sta tranquillo, sanno che quando non ci sono non devono allontanarsi da casa” rispose prontamente.

“Fa come vuoi, se non è un problema per te, non ne creerò di certo io” le disse scrollando le spalle.
Camminarono affiancati e forse un po’ in imbarazzo, per le stradine di Asgard scarsamente illuminate. Lui che non era di certo abituato a conversare non sapeva che dire. Helena percepì il suo imbarazzo e decise di parlare per prima.

“Tu non sei di queste parti. Cosa ti porta ad Asgard?”

“Ancora non lo so di preciso, ma credo che presto lo scoprirò” le rispose

“Non ami molto chiacchierare vero?”

“A te invece piace tanto… e si vede” lei arrossì a quell’osservazione

“E che trascorro la maggior parte del tempo con i miei fratelli quindi ogni tanto mi fa piacere conversare con qualcuno più o meno della mia età, e quindi mi faccio prendere un po’ la mano.”

“Non ti stanca doverti sempre prendere cura degli altri, lavorare così tanto per quattro soldi” chiese, e lei lo guardò come se avesse detto un’assurdità.

“E perché mai? Io lavoro per i miei fratelli, per non far mancare loro nulla e perché capiscano che con il sacrificio e la buona volontà si ottengono le cose.”

Deathmask la guardò quasi stupito. Non si spiegava come in una semplice ragazza dall’aspetto così fragile e cagionevole potesse nascondersi una tale forza e una volontà così ferrea nell’aiutare il prossimo.
Arrivarono quasi senza accorgersene alla piazza principale del paese, l’unica che sembrava rimanere illuminata per tutta la notte. Le bancarelle, che il mattino seguente sarebbero state aperte per la gente del posto e per i visitatori, erano chiuse. Accanto erano poste le casse della merce da esporre non appena fosse giunta l’alba.

“Pare che le cose siano cambiate qui ad Asgard per voi, la città sembra rinata” chiese un po’ dubbioso.

“E’ vero, il nuovo celebrante di Odino, Andreas, ha portato grandi benefici a questa terra grazie anche all’Yggdrasill, adesso anche noi possiamo sperare in un futuro meno duro e faticoso” spiegò la giovane entusiasta.

“Tu sembri avere molta fiducia in lui, non ti è mai venuto il dubbio che possa essere tutto un inganno?”

“Perché sei così negativo. No, non lo mai pensato, perché ho fiducia in Andreas. Come ho fiducia in te.” rispose

“In me? E cosa c’entro io adesso…”

“Anche tu vuoi apparire quello che non sei. Tu sembri arrogante e prepotente, vuoi far credere che non ti importi di niente e di nessuno ma non è così.”

“Cosa vuoi saperne tu? Non mi conosci affatto, non sai di cosa sono capace, ne del male che ho causato a molti. Tu vedi quello che vuoi vedere” le rispose in modo arrogante. Ma Helena non si lasciò intimidire da quell’atteggiamento.

“Forse è vero io non ti conosco. Ma so che hai cercato di aiutare me e i miei fratelli semza chiedere nulla in cambio. So che qualcosa ti tormenta e non sai bene che strada prendere. Ecco, questo è quello che vedo di te.”

Quella ragazza rappresentava una continua fonte di sorprese per il cavaliere. Si fermò nel bel mezzo della piazza e la osservò. Nessuno si era mai soffermato a cercare di capirlo o comunque comprendere ciò che provava, tutti lo vedevano unicamente per ciò che era sempre stato, una persona cinica ed egoista. A quella fanciulla però, non interessava il suo passato, lei lo vedeva per quello che era adesso, forse se avesse saputo la verità sarebbe fuggita inorridita, o forse no…

Di certo era una ragazza speciale che lo aveva molto colpito. Aveva compreso più cose lei del suo animo, in quei pochi giorni ad Asgard, che i suoi compagni in anni trascorsi assieme sui campi di battaglia. La neve cominciava a cadere lenta ma in modo fitto ricoprendo pian piano le strade e le bancarelle della piazza. Helena fu scossa da un brivido di freddo.

“E’ meglio tornare prima che ti venga un malanno” le disse, e lei annuì semplicemente incamminandosi verso casa.

Lui era assorto nei suoi pensieri e non si accorse che la giovane lo osservava insistentemente in silenzio. Poi si voltò…
“Cosa c’è? Perché mi guardi in quel modo?” lei arrossì sentendosi scoperta.

“Oh… scusami non volevo essere sfacciata è solo che…” si fermò un po’ intimorita

“Avanti, hai parlato per tutto il tempo e adesso ti fai pregare?” rispose nel suo solito modo sempre diretto.

“Credo che le mie parole ti abbiano turbato in qualche modo e me ne dispiace. Ma se posso darti un consiglio…” disse con un filo di voce.

“Tanto se ti dico di no sono sicuro che lo farai comunque… quindi avanti, parla pure” lei sorrise e capì che non era in collera.

“Capita spesso nella vita di non sapere che scelta fare o qual è la strada da seguire. Ma alla fine quello che conta è guardarsi dentro e capire qual è la cosa giusta per noi stessi, quella che rende il nostro animo sereno e quieta il nostro spirito. Pensaci.”

“Sei davvero saggia per essere solo una ragazzina…”

Si affrettarono a rientrare percorrendo quasi di corsa l’ultimo tratto di strada che li avrebbe riportati a casa di Helena.
“Per fortuna siamo arrivati in tempo prima che la neve aumentasse…” disse, scrollandosi di dosso alcuni fiocchi  “…meglio che vada adesso, buonanotte.” Infilò le mani nelle tasche e s’incamminò per tornare alla taverna dove alloggiava.

La ragazza lo osservò per un attimo poi mentre stava per aprire la porta e rientrare in casa si voltò e gli corse dietro.
“Aspetta fermati!” Death si fermò ma senza voltarsi, così lei gli si parò davanti.

“Ti rivedrò domani al mercato?”

“Chissà… forse” rispose

“Io penso di sì…” disse, allungandosi leggermente sulle punte dei piedi e baciandolo dolcemente sulla guancia.

Gli regalò uno dei suoi sorrisi insieme a quel tenero bacio, poi corse via in casa.

Solo quando fu rientrata il cavaliere si voltò, certo ormai che lei fosse al sicuro e che non potesse guardare il suo volto. Si toccò la guancia ripensando a quel bacio, una delle poche cose belle e sincere che avesse mai ricevuto. Stranamente il suo sguardo, sempre così cupo ed imperscrutabile, si addolcì.

“Buonanotte Helena, a domani…” disse tra sè

L’indomani però sarebbe stato molto diverso, qualcosa di oscuro si annidava ad Asgard, e per il cavaliere di Cancer presto sarebbe finito il tempo degli indugi. Avrebbe fatto la sua scelta, guidato da un sentimento diverso stavolta, l’affetto e la fiducia che una giovane donna aveva saputo infondere nel suo cuore.



Eccomi tornata da queste parti. Sono stata a lungo assente ma non per pigrizia, mi sono giustamente dedicata anche ad altro, ma non dimentico di certo i miei amati Saint. Deathmask...odiato da molti per il suo comportamento tutt'altro che cavalleresco, amato da me in modo particolare. Perchè io adoro le persone imperfette e com scheletri nell'aramdio, e lui ne ha davvero tanti. Uno stralcio di un incontro che è sì avvenuto, ma non in modo così approfondito. Ho immaginato cosa si sarebbero detti se questi due personaggi avessero avuto modo di interagire di più. Death cercava una motivazione per tornare a combattere, ed Helena gliene ha fornita più di una. Spero davvero di averli resi al meglio e che la storia vi piaccia. Vi prometto che tornerò ad essere più costante nelle pubblicazioni. Grazie di cuore, a presto.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Aiacos e Violate ***


Questa storia partecipa alla Challenge “Angst vs Fluff:The war” indetta dal gruppo Facebook Il Giardino di Efp.

 
Angst:Prompt 17 Raccogliere una lacrima tra le dita

 
“Sono stanco… spossato, vuoto. Come se qualcuno, non so come, fosse riuscito a trovare la mia anima persa ormai in recessi di cui non ho memoria, e l’avesse strappata con violenza dal mio corpo. Ecco… è così che mi sento, e mi chiedo ancora che senso ha per me vivere adesso.
Mi trascino a fatica da giorni ormai. Le ferite bruciano ancora, il mio corpo risente la fatica della battaglia affrontata. Ma adesso c’è qualcosa dentro di me che prima non c’era. Una nuova consapevolezza, una certezza alla quale non avevo mai pensato e che fa male…fa male dall’interno. Sono solo, e per la prima volta questa sensazione mi spaventa e mi opprime come non mi era mai successo.
Cado, inciampando volutamente o per la stanchezza tra la corteccia ramificata di un albero. Il mio viso percepisce l’odore di terra ed erba fresca… vorrei trovare pace, e per questo non mi rialzo, non ne ho la forza.”

“Dovreste riposare mio signore, non siete in condizioni di continuare. Rialzatevi e riposate all’ombra di questo albero. Poi saprete cosa fare.”

“Questa voce… ma cosa. No! Non può essere, non sei tu. Tu sei morta, io lo so per certo perché… perché…”

“Perché mi avete stretta tra le braccia regalandomi ciò che di più bello i miei occhi potessero vedere, il vostro sguardo che mi accarezzava l’anima.”

“Allora… sei davvero tu? Se sei qui, ed io sento la tua voce, vuol dire che anch’io sono…”

“No, non lo siete mio signore. Voi siete vivo, e dovete continuare ad esserlo perché non è ancora giunto il tempo che voi lasciate questa terra.”

Sollevo lo sguardo facendo forza sui miei muscoli ormai allo stremo. Io devo sapere, devo capire se questa è realtà o l’inizio di un’insana follia. Una lieve brezza muove i rami degli alberi che mi sono intorno. Così come alcuni petali di fiori volteggiano in miriadi di colori tutt’intorno mischiandosi con il nero di lunghi capelli che mi sferzano il viso e che anticipano la visione del suo volto.

Il volto della mia seconda in comando, la donna più indomita e coraggiosa che abbia mai conosciuto. La mia Violate. Il suo viso è sereno, forse come non lo era mai stato, ha fatto di tutto per compiacermi. Per assecondare i desideri di un folle che credeva di ottenere rispetto ed onore solo con la forza. Ancora non so se tu sia realtà o solo frutto della mia fantasia. Vorrei dirti tante cose, eppure le parole faticano a trovare il giusto modo per uscire dalle mie labbra.
Solo dopo interminabili minuti di silenzio, nei quali i suoi profondi occhi si perdono cercando i miei, riesco ad esternare una semplice affermazione.

“Mi dispiace, perdonami.” tu mi guardi come se avessi detto un’assurdità inconcepibile, e perdi l’iniziale dolcezza che avevi, assumendo uno sguardo che ben conosco e che rappresenta la risolutezza del tuo animo.

“Io perdonarvi? Non c’è nulla di cui io debba perdonarvi. Abbiamo compiuto il nostro dovere fino in fondo, non c’è nulla di cui io mi penta. Voi siete il mio generale, colui che mi ha fatto spiccare il volo. Mai avrei potuto alzare il mio pugno contro di voi.”

“Se l’avessi fatto forse Hades ti avrebbe concesso una seconda vita, una possibilità di rientrare tra le sue grazie.”

“E per ottenere ciò avrei dovuto ghermire la vostra vita? No mai! Non mi sarei mai macchiata di una simile vigliaccheria. La mia vita ormai era già persa… ma la vostra può ancora percorrere una strada diversa.”

“Io ero il tuo comandante, un tuo superiore. E non ti ho protetta… ti ho mandato morire. Ti ho sacrificata, come ho fatto con tutti gli uomini al mio comando. La mia crudeltà è stata la vostra rovina.”

“No, non vedetela in questo modo mio signore. Io sono una specter, un soldato, e i soldati muoiono in battaglia. E’ un rischio che tutti conoscono ed accettano di buon grado. Voi non siete stato la mia rovina. La vostra forza è stata la mia salvezza da una vita altrimenti fatta di miseria e umiliazioni. Voi avete dato un senso alla mia esistenza. Voi mi avete salvata.”

Quelle parole furono il primo istante di sollievo che provavo da giorni. Come se grazie ad esse quel senso di oppressione che soffocava il mio animo si fosse improvvisamente alleggerito. Forse avevo bisogno che fosse lei a dirmelo, forse… avevo bisogno del suo perdono.

“Guardami… sono l’ombra patetica di ciò che ero. Come un pallido spettro di me stesso che vaga senza avere un posto nel mondo. Eppure… anche adesso tu mi porti rispetto mantenendo lo stesso rigore e le stesse distanze che ci separavano in battaglia.”

“Io non ho dimenticato ciò che siete stato, e ciò che ancora sei per me, Aiacos.”

La sua mano mi sfiorò le vesti logore, soffermandosi sulle ferite che incrociavano il suo sguardo e velavano i suoi occhi. Quanta forza, e quanta sofferenza c’era in quella donna. Lo avevo sempre saputo, eppure mai una volta ho esternato ciò che sentivo realmente per lei.

“Non posso più fregiarmi di quel nome. Non appartengo più all’esercito Infernale. Sono un misero essere umano che vaga come un’ombra in un mondo al quale non sente di appartenere.

“C’è sempre tempo per trovare il proprio posto in questo mondo. Hades vi ha concesso la vostra umanità credendo di darvi la giusta punizione mortificando il vostro orgoglio. E allora voi dimostrategli che può esserci fierezza e onore anche nell’essere un semplice uomo. Non è una surplice a stabilire la misura della tua grandezza mio signore, ma quello che senti dentro di te.”

“Lo sai che stai salvando per la seconda volta, Violate?” sì, credo che in fondo lo sapesse. Come sapeva bene che non ero io la sua salvezza, ma lei la mia.

Non sapevo quanto ancora mi restasse da vivere, non sapevo neppure se ce l’avrei fatta a superare il mio passato e a guardare avanti. Ma avrei tentato, lo avrei fatto per lei e per quegli occhi che nonostante tutto riuscivano ancora a guardarmi con orgoglio, rispetto e forse… amore?
Fu in quel preciso istante che la mia mano si mosse, forse perché inconsciamente sapevo che quella malia sarebbe scomparsa di lì a poco. O forse perché raccogliere con le mie dita quell’unica lacrima sfuggita ai suoi occhi, per me aveva il sapore amaro di un silenzioso addio.

“Sarò sempre ai vostri ordini, mio generale.”

“Vorrei che tu non dovessi andare… vorrei che il tempo si fermasse, ora! Vorrei…” o sì, desideravo tante cose adesso. Cose che prima ritenevo futili e prive di significato e che invece adesso acquistano un valore inestimabile.

“In un modo o nell’altro io sarò sempre al vostro fianco. D’altronde… sono pur sempre le vostre ali.”

Già… un ricordo amaro che incurvò appena la linea delle mie labbra che si chiusero in un sorriso sghembo di rimpianto.

“Ti rivedrò un giorno?”
Lei mi guardò, spostando poi lo sguardo verso la natura impetuosa e libera che ci circondava.

“Mi rivedrai quando giungerà il tempo. Fino ad allora, ogni qual volta il vento accarezzerà il tuo viso, tu saprai che io cammino al tuo fianco…”

E così la sua voce e i suoi occhi… come quella lacrima, si persero nel vento, e lei scomparve. Sapevo che se avessi aperto gli occhi non l’avrei più rivista, ed ebbi paura. Qualcosa però mi costrinse a farlo. Avevo le mani sollevate nel gesto di afferrare qualcosa. Quando mi ridestai da quello strano torpore riuscii a capire cosa fosse.
Ero seduto, non so come, con la schiena poggiata al tronco di una quercia secolare. E tra le mani stringevo delle ciocche lunghe e lucenti di un colore che era la perfetta mescolanza del nero più intenso ed il viola brillante. Erano i suoi capelli, i capelli di Violate, l’unico ricordo portato con me dopo che spirò tra le mie braccia.

Li avvicinai al mio volto per sentirne la consistenza e cercare in essi un po’ del suo calore, della sua essenza. Poi, una folata di vento mi scosse riportando improvvisamente alla mente parole udite pochi attimi prima. Parole, che adesso, sapevo appartenere solo ad un mio flebile sogno. Allora capii che dovevo lasciarli andare… liberi, come lei era sempre stata.
Aprii le mani e un attimo fuggirono via. Non per sempre però. Li avrei ritrovati, ad ogni soffio di vento avrei avvertito la sua presenza e la sua forza.
Adesso lo sapevo, il nostro non era un addio, era solo un modo diverso per restare insieme.




Vi avevo promesso che sarei tornata presto ed eccomi con una delle mie OTP . Un giudice infernale (ex giudice in effetti, perchè in Lost Canvas Alone gli toglie i poteri di stella malefica) e Violate , unica specter donna dell'universo Saint Seiya. Ho inserito questa storia nella Challenge del Giardino perchè credo che con il tema angst calzi a pennello. Poi, ovviamente, sarete voi a giudicare. In ogni caso io questi due li adoro letteralmente! Spero quindi di avervi trasmesso un po' di quello che ho provato io nel momento in cui ho scritto di loro. Grazie davvero a chiunque avesse piacere nel leggerla. A presto
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 16
*** Shion e Dohko ***


 
Pioveva quel giorno...una pioggia fitta ma leggera, sembravano lacrime scese dal cielo che si mescolavano al sangue ed alla polvere del nostro viso.
Ci reggevamo a stento in piedi, io e Dohko, le armi ancora impugnate saldamente tra le mani, il corpo stanco e l'animo straziato.
Ci sedemmo sotto il colonnato della prima casa, sollevammo lo sguardo e ciò che vedemmo credo che nessuno di noi due possa mai dimenticarlo.
Non fu la devastazione a spaventarci e a rendere sgomento il nostro cuore, a quella eravamo abituati, la guerra è sinonimo di distruzione. Ciò che i nostri occhi accolsero ed impressero nella mente fu...il senso di solitudine, di vuoto, di smarrimento. 
Non c'era più nessuno, nessuno dei nostri compagni, nessuno degli apprendisti. Non c'era più Athena, né Tenma né l'acerrimo nemico.
Ci avevano lasciati soli con un fardello di solitudine e rimpianto addosso che pesava come un macigno.

Avremmo potuto fare di più? Saremmo dovuti morire con loro?
Abbassai lo sguardo e chiusi a pugno le mani. Il volto di Manigoldo che mi lanciava l'elmo del Gran Sacerdote apparve nitido davanti a me, ed io...ebbi paura.
Allora non ero ancora bravo a celare i miei sentimenti e il mio stato d'animo, fu per questo che Dohko mi guardò e lesse sul mio viso ciò che non sapevo mascherare.

"Siamo rimasti soli...amico mio."

Le lacrime offuscarono la mia vista.
"Già". Ben misere parole furono le mie, ero come svuotato e non sapevo né come né da dove attingere nuova forza per continuare.

"Speravo in qualcosa di diverso, che almeno alcuni di noi sopravvivessero, che Tenma e Sasha..." non terminò la frase, e non credo ce ne fosse bisogno. Da tempo ormai tutti sapevamo l'affetto fraterno che legava Dohko a Tenma. Avrebbe dato la sua vita per lui, ma il destino aveva deciso diversamente quella volta.
La sua voce quasi rotta dal pianto solo pochi attimi prima, riacquistò la risolutezza che lo caratterizzava. Una prerogativa che gli ho sempre invidiato, insieme al rimpianto di non avermi mai confessato i suoi dubbi e le sue angosce.

"Dobbiamo ricominciare lo sai non è vero?" mi disse

"Suppongo di sì."

Si alzò in piedi dritto davanti a me.
"Ascoltami bene Shion. I nostri compagni sono morti per uno scopo, per un ideale. Noi dobbiamo preservare la loro memoria e portare avanti il loro messaggio. Non sarà facile, ma dobbiamo riuscirci."

Fu in quel preciso istante che capii da dove attingere nuova forza. Lo avevo sempre avuto accanto a me senza rendermene conto.
"Le nostre strade dovranno diversi lo sai?"

"Certo che lo so. Spero però non pretenderai di essere chiamato Sommo Shion semmai dovessimo rivederci?" Rise...in quel suo modo così schietto, aperto e sincero. Una risata che mascherava la tristezza, forse perché sapeva che ne avevo bisogno.

"Non sarò mai all'altezza del mio nobile maestro, né potrò mai essere uno stratega come Sage. In verità Dohko...io non so da dove cominciare." ed era la verità. Anche chi mi aveva preceduto si era ritrovato a ricominciare da zero facendo affidamento su nuovi compagni. Sage e Hakurei avevano uno scopo che li aveva accompagnati per una vita intera. Io...cosa avrei fatto.

"Tu non devi essere allo loro altezza. Tu devi essere te stesso e ricominciare da coloro che sono sopravvissuti. Da Teneo, Selinsa, Agasha e tutti quelli che aspettano una parola gentile e di conforto dal Sacerdote di Athena. Loro sono il futuro, noi...siamo il filo rosso che terrà unita la passata generazione con quelli che verranno dopo."

Improvvisamente l'armatura non mi sembrò più così pesante da portare. Mi alzai, scrollandomi la polvere di dosso.
"Sei sempre stato un grande oratore Dohko, forse Sage avrebbe dovuto scegliere te come suo successore."

"Oh..no no per carità, io non ci so fare con i giovani. Tenma ha portato via con sé la poca pazienza che ancora mi era rimasta, e sinceramente...non me la sento di essere una guida per nessuno. Athena mi ha incaricato di sorvegliare la torre delle 108 stelle malefiche ed è quello che farò. Se dovesse servire stavolta mi troveranno pronto e agguerrito." 

"Sarò solo ad accogliere i nuovi cavalieri d'oro..." dissi, quasi rammaricato.

"Te la caverai ci scommetto."

"Anche Yuzuriha e Yato sono sopravvissuti ma non posseggono più il cosmo per combattere."

"Meglio così Shion. Quei ragazzi hanno tutto il diritto di vivere una vita normale, e forse è un bene che tante cose rimangano loro ignote."

"Sì, lo penso anch'io. Non sarà facile portare la veste sacerdotale e conoscere un giorno la nuova Athena, ma il fatto che ci sia anche tu da qualche parte a condividere il mio  stesso destino mi conforta. Racconterò questa guerra sacra Dohko. Chi verrà dopo di noi deve conoscere le storie di chi li ha preceduti, sono vite di cui vale la pena scrivere."

"Sono d'accordo, e sicuramente in te troveranno un ottimo narratore."

Non so per quanto tempo ci fermammo a parlare sotto quelle colonne, forse avremmo continuato ancora a lungo se qualcuno non ci avesse interrotto. Cercavamo di farci forza a vicenda, ma il futuro era incerto e noi sapevamo che c'era la possibilità di non rivederci mai più. Eppure nessuno dei due ne fece parola.

"Ehilà...Sommo Shion, Sommo Dohko, siete salvi. Vi ho ritrovato finalmente, temevo il peggio." ci corse incontro il giovane Teneo, il futuro successore di Rasgado del Toro. La luce che emanavano i suoi occhi era il chiaro segno che sarebbe stato anch'egli un grande Aldebaran.

"Teneo...ti trovo bene, ottimo! Sarai una buona spalla per il nuovo Gran Sacerdote, ed io sarò più tranquillo sapendoti al suo fianco."

"Ci lasciate quindi? Perché mai Sommo Dohko?" disse sinceramente sorpreso. 

"Non temere ragazzo, se servirà vi raggiungerò in un attimo. Sta tranquillo Shion ti spiegherà tutto." Si voltò verso di me, e per un attimo seppi inconsciamente che quello era un addio.

"Devo andare adesso...ti affido il Santuario Shion abbine cura, ed abbi cura di te. Non sarà facile, ma neppure impossibile."

"Cercherò di fare del mio meglio, tu però non combinare troppi guai in giro d'accordo? Sei sempre il cavaliere di Libra in carica d'altronde, e se dovessi richiedere la tua presenza debbo poter contare su di te."

"Su di me potrai sempre contare lo sai, però se puoi cerca di farne a meno." La solitudine che sentivo dentro di me era solo una minima parte di quella che doveva provare lui. Io potevo contare su Teneo e gli altri ragazzi, Dohko invece era completamente solo. Eppure neanche per un solo istante mi fece pesare quella differenza.
Seppi che si era stabilito nel villaggio di Goro-Ho in Cina, dopo un lungo peregrinare. I giorni, i mesi passarono inesorabili. L'aura protettiva del suo cosmo veniva a farmi visita di tanto in tanto, per un saluto o solo quando avvertiva una mia incertezza o timore.

Non sto scrivendo questo aneddoto nei libri che comporranno gli annali del Santuario, lo faccio per una mia memoria personale.
Dopo tanti anni...la memoria diventa un qualcosa che bisogna tenere sempre viva e vigile.

Non ho più rivisto Dohko, almeno fino ad oggi. L'immagine che ho di lui resta unicamente quella di quando lasciò il Santuario. Non ci siamo mai detti addio...
Forse perché sapevamo che in un modo o nell'altro ci saremmo rivisti. Forse perché allora...eravamo stati un po' codardi nel non farlo, o semplicemente perché sapevamo che quello non era un addio ma l'inizio di una grande e nuova avventura. 








Che bello tornare da queste parti. Mancavo da questa raccolta da troppo tempo, e un po' me ne dispiace. Io però sono fatta così. Se i personaggi non cominciano a parlarmi nella testa non riesco a scrivere. Sono loro che mi suggeriscono pensieri e parole, ed è così che è nata questa sorta di storia raccontata sotto forma di diario scritto da Shion dell'Ariete. Mi spiace se in molti credevano che sarebbe stata una ship romantica, io non li vedo così, ma semplicemente come due compagni di battaglia che si sono travati da soli ad affrontare un nuovo inizio. Spero comunque che la mia personale visione di questo duo possa piacervi, in compenso cercherò di essere più costante con gli aggiornamenti. Grazie in anticipo a chiunque avrà piacere nel leggere, a presto.

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Capitolo 17
*** Kanon e Saga ***


Entrò di soppiatto, guardandosi intorno furtivamente, chiaramente non voleva essere visto da occhi indiscreti. Era stato poche volte in quel luogo e sempre per breve tempo, non si sentiva a suo agio in quelle quattro mura ed ogni volta un senso di oppressione e rabbia lo bloccava fino a farlo star male.

Tutto era in ordine, silente...

Segno che il custode di quella casa fosse ancora preso dagli allenamenti oppure occupato in qualche incaricato affidatogli dal Gran Sacerdote. Decisamente era una cosa che mal digeriva. Obbedire ciecamente ad ordini che non condivideva per una pseudo dea che non erano neanche certi si sarebbe un giorno palesata. Non riusciva a comprendere la scelta di suo fratello nonostante più volte gli avesse manifestato il suo dissenso l'unico risultato era stato che la discussione sfociasse in un litigio.

Quella non era la sua casa...non era il suo tempio, quella era la dimora del cavaliere di Gemini. E benché entrambi appartenessero alla stessa costellazione il fato aveva fatto in modo di favorire suo fratello nell'ascesa verso la gloria, relegando lui ad una mera comparsa.

Sorrise beffardo Kanon, perché lui al destino manipolato dagli dei non ci aveva mai creduto, e forse era lì per quello, per scoprire se dietro la tanto decantata santità di suo fratello si nascondesse qualche ombra tenuta accuratamente celata.

La camera da letto era in perfetto ordine, qualche scritto lasciato qui e là e vari oggetti occupavano un anonimo scrittoio. La sala da pranzo aveva il medesimo aspetto. Quasi si sorprese di tanta banalità mascherata da rettitudine. Kanon credeva fermamente che ogni essere umano fosse portato per sua natura a tradire ed ingannare. L'uomo si costruisce da solo la sua strada ed è artefice del suo destino, può aggirare qualsiasi ostacolo semplicemente eliminandolo come un fastidioso contrattempo.

Si fermò al centro della sala principale guardandosi intorno.

"A questo ambivi fratello mio? Puoi davvero ammettere a te stesso che hai sacrificato la tua intera vita per questo?"

L'eco della sua voce risuonò nella terza casa, e per la prima volta comprese che c'era davvero poco da invidiare di quel ruolo al quale non era mai stato destinato.

Forse era per questo che si trovava lì, per dimostrare a sé stesso che non serbava rancore o invidia. Per comprendere che la vita di suo fratello Saga non era solo onore e gloria, ma anche sacrificio e rinunce. Voleva convincersi di questo, perché l'alternativa significava odiare il suo stesso sangue per quello che gli aveva tolto, e benché lui non fosse un sentimentale di natura questa eventualità quasi lo disgustava. Era ormai deciso ad andar via, quando la sua attenzione fu attirata da una stanza all'apparenza più piccola delle altre, la cui porta al contrario del resto non era stata chiusa in precedenza. Non esitò ad entrarvi, seppur convinto non fosse poi tanto diversa dalle altre. Invece dovette ricredersi.

Quel luogo sembrava il cuore pulsare dell'intero tempio, si avvertiva l'energia e il cosmo di Saga, evidentemente suo fratello era solito trascorrervi molto tempo. C'erano molti libri, di ogni genere e argomento, e quella fu la vera sorpresa. Non immaginava che suo fratello si interessasse a certe cose...in verità si rese conto che di Saga conosceva davvero molto poco.

Sarebbe dovuto uscire di lì, si era trattenuto già oltre il dovuto. Eppure gli occhi caddero su di un tomo particolarmente antico lasciato aperto su un vecchio tavolino accanto ad una poltrona. Le pagine ingiallite scritte però in modo accurato e preciso lo incuriosirono ulteriormente. Lo maneggiò con cura notando una cosa che ben conosceva.

"Questo...questo marchio è il sigillo che i Sacerdoti di Athena appongono sugli scritti destinati agli annali del Santuario? Che diavolo ci fa questo testo antico qui?"

Non ci volle molto per capire che quel tomo era stato trafugato da suo fratello. Decise...che valeva la pena leggerne qualche pagina per scoprire il motivo di un gesto tanto rischioso e azzardato da parte del cavaliere di Gemini.

La lettura di quel testo lo coinvolse a tal punto da estraniarlo da tutto il resto. Solo quando ormai fu innegabilmente scoperto si accorse della presenza alle sue spalle...

"Che cosa ci fai tu qui? E soprattutto con le mie cose tra le mani?"

Non si scompose minimamente, né diede cenno di essere allarmato, si limitò a riporre ciò che stava leggendo senza neppure voltarsi.

"Ben tornato fratello...non è molto cortese da parte tua accogliermi in questo modo così ostile e sgarbato."

"Se ti intrufoli in casa mia senza permesso lo è eccome invece!"

"Casa tua?" ripeté "Un tempo mi dicesti che dovevo considerare questo tempio anche casa mia. Che non vi era ragione per la quale una dimora così grande non potesse essere abitata da due persone, oltretutto fratelli! Ma forse la tua visione delle cose è cambiata adesso..."

Saga strinse i pugni cercando stavolta di misurare le parole.

"Ricordo perfettamente ciò che dissi, ed era la verità. Sarebbe ancora così se tu non usassi questi tuoi modi furtivi e se non mi avessi più volte palesato la tua avversione per le regole imposte dal Grande Tempio."

"Regole...comportamento, dovere, virtù. Me ne hai parlato fino allo sfinimento. Ma non sono queste le cose che faranno echeggiare il tuo nome nei secoli a venire, non è questo che tornerà alla mente delle persone quando ricorderanno chi eri." Si alzò voltandosi faccia a faccia verso suo fratello. Era come specchiarsi in una fonte d'acqua limpida e cheta. Ciò che invece Saga vedeva di rimando osservando il suo gemello, era il riflesso di acque torbide che presto sarebbero mutate in dilagante tempesta.

"E tu vorresti essere ricordato così? Come un uomo che si nasconde nell'ombra, tramando, cercando di carpire debolezze e segreti per arrivare ai suoi scopi. Ben miserabile vita è la tua...ti compiango."

Credeva almeno di smuovere il suo orgoglio con quelle parole, ciò che ottenne fu solo un sorriso sarcastico di rimando.

"Non c'è peggior demone di colui che soffoca il suo vero io dietro la maschera della rettitudine. Sei bravo in questo Saga...lo sei da molti anni ormai. Un oratore zelante ed integerrimo, incanteresti le menti più eccelse. E dimmi...è per accrescere la tua conoscenza che questo tomo si trova nelle tue stanze e non nell'archivio della tredicesima casa. Dove in realtà dovrebbe essere?"

Solo allora Saga si rese conto che ciò che suo fratello stava leggendo con tanta attenzione era il libro che lui aveva segretamente preso senza il permesso di Shion.

"Tu parli troppo, e a sproposito. Non devi intrometterti in cose che non ti riguardano!"

"Oh...ma queste mi riguardano eccome. Ci sono racconti ed aneddoti davvero interessanti in questo scritto. Fatti accaduti oltre 240 anni fa...non dissimili a quelli attuali."

Kanon aveva sempre avuto il potere di innervosire Saga con i suoi discorsi, stavolta però non fu rabbia quella che avvolse l'animo del giovane dall'armatura dorata, bensì...paura.

"Quegli eventi non mi riguardano il alcun modo. Quel libro si trova qui per pura curiosità personale, nient'altro. Lo restituirò quanto prima."

"Giustificati pure quanto vuoi fratello, se serve a placare i tuoi rimorsi. Se ti fosse stato concesso leggerlo...non lo avresti di certo trafugato. Perché è questo quello che hai fatto vero? Lo hai preso senza permesso perché bramavi conoscere il destino di chi ci ha preceduti, ammettilo!"

"Non ho bisogno di giustificare niente. Conoscere i fatti del passato può impedire che certi errori avvengano in futuro. Tutto qui."

"Errori? Tu definisci errori quelli narrati in questo libro? Ribellarsi al volere del Gran Sacerdote in carica e di tutto il Santuario. Assassinare le pizie di Apollo e usurpare la tredicesima casa macchiando le mani di un fratello di sangue tu li chiami errori? Chissà se Shion è dello stesso avviso. Forse dovremmo chiederglielo?"

" Taci miserabile! Tu che semini odio e menzogna su qualsiasi cosa o persona posi lo sguardo cosa puoi saperne..."

Lo afferrò per il bavero della maglia e Kanon sentì nel suo tocco una potenza che non aveva mai avvertito.

"Non puoi negare che il destino di quei due somigli al nostro. Nati entrambi sotto la stella doppia di Gemini. Uno destinato alla luce, l'altro all'oscurità. La loro gloria è stata strettamente legata alla loro distruzione. Due facce della stessa medaglia che perseguivano lo stesso obbiettivo con mezzi differenti. Siamo noi Saga...io lo so, e lo sai anche tu. Lo sai da quando hai letto quelle pagine. Il destino di un uomo è legato alla costellazione d'appartenenza, non puoi negarlo in eterno."

"Sei un folle...io non sono un assassino, le mie mani non sono lorde di sangue. Se tu avessi condiviso il mio pensiero adesso il tuo posto sarebbe qui in questo Tempio. Ma tu hai preferito vivere da cane sciolto...senza regole né legge. Non mi coinvolgerai nei tuoi deliri Kanon."

"Sarei dovuto restare qui e farti da servo? Era questo che volevi? Avrei dovuto osservare giorno dopo giorno la tua ascesa mentre a me restavano le briciole. No...questo è il destino che tu volevi per me. Non certo quello che io voglio realizzare."

"Sciocco, come puoi pensare una cosa del genere. Sei sangue del mio sangue, saresti stato trattato con tutti gli onori."

"Ma sarei sempre stato il secondo! Io non sono secondo a nessuno, né mai lo sarò! Io non mi farò usare come quel Defteros, non sarò un burattino nelle mani di un manipolatore. Costruirò il mio destino da solo e con ogni mezzo se sarà necessario."

Saga lo lasciò andare, sapeva che non sarebbe mai riuscito a placare l'astio che suo fratello covava nei suoi confronti e ne fu molto amareggiato.

"Che tu ci creda o meno, non mi sono mai reputato superiore a te Kanon. Ma se oserai levare la mano contro il Santuario troverai in me il tuo peggior nemico."

Kanon si ricompose osservando il gemello e avviandosi verso l'uscita.

"Mio amato fratello se il presente non sarà troppo dissimile al passato credo che il Santuario dovrà preoccuparsi di eventuali avventori interni più di quelli esterni. Sai...quello scritto è stato molto illuminante."

"Ti avverto Kanon, se mai ci rivedremo non tollererò più discorsi del genere, e ti pregherei vivamente di non ripresentarti più qui in mia assenza o ti farò imprigionare."

"Non temere...non ho più ragione di venire tra queste patetiche e umide mura. La prossima volta che ci rivedremo sarai tu a cercarmi fratello, anche se temo...che sarà già troppo tardi. Goditi la gloria prima della caduta. Stammi bene..."

Uscì in silenzio, così com'era venuto. Saga quasi non se ne accorse, il suo sguardo perso tra le pagine di quell'antico tomo.

"Ho fatto male a prendere questo libro. Cercavo chiarezza e risposte, invece..."

Lo ripose dove nessuno avrebbe potuto trovarlo, promettendo a sé stesso che lo avrebbe riconsegnato quanto prima. Per la prima volta si ritrovò a pensare se il destino di una costellazione accomunasse in qualche modo tutti quelli nati sotto di essa, e tremò.

"Non farei mai nulla contro la dea né contro i miei compagni. Eppure..."

Eppure quella dea che tanto attendevano non si era ancora palesata, e se anche così fosse stato si trattava comunque di una neonata, seppur dotata di poteri divini, come avrebbe eventualmente affrontato un'orda di nemici. Il dominio sulla terra da millenni era oggetto di contese tra gli dei maggiori. Troppe avide mai volevano estendersi su di essa. Che male c'era in fondo desiderare un unico ordine, un unico sovrano in grado di governare con risolutezza e forza.

Strinse la testa tra le mani e si lasciò scivolare sul pavimento freddo di quella stanza.

"Scaccia da te questi pensieri Gemini...io non sono così, non ho lottato una vita intera per mandare tutto in frantumi."

'Ma non lo hai fatto neppure per accontentarti..non puoi negarlo. Tu sei destinato a grandi cose.'

"Chi è là, chi ha parlato?." nessuno rispose, perché non vi era nessuno nella terza casa. Il cosmo di Kanon era lontano, ciò che aveva udito era come la voce silente di una coscienza addormentata che tentava di destarsi.

"Sto forse impazzendo?" si chiese alzandosi, madido di sudore ed ansia. Ogni volta che si incontrava con Kanon era come se un'aura oscura calasse sul suo cuore.

Si spogliò delle sue vestigia dorate e si concesse un bagno ristoratore, sperando di annegare in quel tepore dubbi ed incertezze.

"Io so chi sono, e so cosa voglio" disse tra sé. Ma era davvero così? O forse Kanon aveva saputo scrutare nei suoi occhi qualcosa di latente che presto o tardi sarebbe emerso.

Forse, per quanto possiamo celare il nostro essere, ci sarà sempre qualcosa o qualcuno che spingerà la leva giusta per farlo riemergere. La vera lotta nella vita di tutti i giorni sta proprio nel far convivere l'angelo e il demone che è in noi sotto la medesima carne.





Eccomi tornata come promesso. Spazio ai fratelli stavolta, Saga e Kanon si incontrano e scontrano verbalmente alla terza casa. Noi conosciamo solo il frangente in cui Kanon propone al fratello l'assassinio di Shion e della piccola Athena. Io ho immaginato un colloquio più ampio e dettagliato in cui i due si scontrano sui loro diversi punti di vista riguardo ciò che davvero vogliono ottenere. Il destino dei cavalieri di Gemini in tutte le varie serie di Saint Seiya è sempre stato irto di difficoltà, scontri, perdite e tradimenti. Ovviamente sappiamo bene come sono andate poi le cose, in questa storia però ho cercato di scavare un po' più a fondo a livello caratteriale. Spero che ciò che ho scritto vi piaccia, a presto e grazie.

 

 

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