Melyanna, Amato Dono

di Dilo_Dile2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogni e Illusioni ***
Capitolo 2: *** Ricordi e Dolori ***
Capitolo 3: *** Parole e Sorprese ***
Capitolo 4: *** Pioggia e Memorie ***
Capitolo 5: *** Pianto e Solitudine ***
Capitolo 6: *** Amici e Decisioni ***
Capitolo 7: *** Ferite e Sofferenza ***
Capitolo 8: *** Niente è cambiato ***
Capitolo 9: *** Incontri ***
Capitolo 10: *** Scontri ***
Capitolo 11: *** Non Lasciarmi ***
Capitolo 12: *** Ultimo Legame ***
Capitolo 13: *** Partenze ***
Capitolo 14: *** Rabbia e Speranza ***
Capitolo 15: *** Sacrificio ***
Capitolo 16: *** Gesti e Carezze ***
Capitolo 17: *** Silenzio ***
Capitolo 18: *** Soli ***
Capitolo 19: *** Perdono ***
Capitolo 20: *** Mancanza ***
Capitolo 21: *** Stelle ***
Capitolo 22: *** Ricominciare ***
Capitolo 23: *** Questo non è un aggiornamento ***



Capitolo 1
*** Sogni e Illusioni ***



SOGNI ED ILLUSIONI

 

La bambina se ne sta affacciata alla finestra in punta di piedi, poiché la sua statura non le permette di arrivare bene al davanzale; il tenue sole mattutino illumina il suo viso ed una leggera brezza le scompiglia il fini boccoli dorati.

Da giorni ormai lo stava aspettando: si svegliava presto tutte le mattine e passava qualche ora a guardare fuori, poi i suoi genitori si alzavano e quindi doveva lasciare la sua postazione; ma durante tutta la giornata sfuggiva alla sorveglianza della madre e si rifugiava nel cortile d'ingresso ad attendere il suo amico.

D'improvviso qualcosa attira la sua attenzione, come un suono di lievi passi sul terreno: aguzza le sue piccole orecchie da Elfo e sente che il rumore si fa sempre più forte ad ogni secondo: quello non è il fruscio delle delicate movenze elfiche, sono gli zoccoli di alcuni cavalli che percuotono il terreno.

Il cuore della bambina batte velocemente quando si precipita in corsa verso il cancello d'entrata, noncurante di essere ancora in camicia da notte e scalza o di non aver chiesto il permesso ai genitori: è da troppo tempo che non lo vede. Sfreccia tra gli Elfi ignorando i loro rimproveri e trascurando perfino quelli di Elrond. Arrivata nel cortile si ferma un attimo a guardare ogni singolo Elfo appena sceso da cavallo, nella più vivida speranza di trovarlo. Il cuore impazzisce di gioia e subito la piccola riprende la corsa verso il tanto atteso amico.

-Legolas! Legolas!- Esclama con la sua vocina dolce e squillante. Il giovane elfo dai capelli chiari si volta e, arrivata davanti a lui, prende in braccio la piccola.

-Aiwe gil nín! (Mia piccola stella!)- La bambina si stringe a lui mentre le da un affettuoso bacio sulla guancia.

In quel momento la bambina sapeva che non sarebbe mai rimasta sola, perchè aveva il suo principe accanto a lei.
 

Mi sveglio d'improvviso mettendomi istintivamente seduta sul mio giaciglio: dopo aver passato delle ore a cercare di prendere sonno ero riuscita finalmente ad entrare nel dormiveglia tipico degli Elfi, ma di nuovo, come ogni notte, i ricordi mi hanno assalito lasciandomi incapace di riposare, e ogni volta il protagonista è sempre lo stesso: Legolas. Scaccio via quel pensiero e mi avvicino al mio compagno, seduto non lontano da me.

-Va' a riposarti Aglar, faccio io il turno di guardia.- Mi siedo accanto a lui ma non risponde, lasciando gli occhi puntati sul cielo stellato.

-Mi hai sentito? Prendo io il tuo posto.- Stavolta si gira verso di me, fissandomi con i suoi luminosi occhi verdi.

-Sono tre giorni che non ti riposi e mangi poco- Si decide a dire. -Devi avere la forza di combattere se ce ne sarà il bisogno.-

-Aglar non preoccuparti per me, io so...-

-Perché non dovrei farlo? Tu sei mia amica e non ti ho seguito in questa missione per lasciarti morire.- Mi prende entrambe le mani nelle sue e mi guarda con intensità: nel suo sguardo c'è apprensione, speranza, paura.

-Che ti succede Melyanna? Da quando siamo partiti non sei più la stessa: sorridi ancor meno di prima, non canti più...-

Continua a guardarmi negli occhi, supplicandomi in silenzio di confidargli ciò che mi affligge. É logico che lo voglia sapere: è il mio compagno di viaggio, ma oltre a questo è uno dei miei pochi e veri amici. Ricordo che fu il primo sconosciuto con cui parlai quando decisi di passare qualche tempo a Bosco Atro, terra di mio padre. Ma non ho la forza, stavolta, di parlargli dei miei dolori, di quello che è accaduto prima della nostra partenza da Imladris.

La vista si appanna e il volto del mio amico pian piano sfuma tra il cielo e gli alberi dell'Eregion1; poi torno a vedere nitidamente, ma una lacrima scende lungo la mia guancia.

-Scusami Aglar... Io non ci riesco... Non ce la faccio... Ti prego...- Farfuglio tra le lacrime che scorrono con prepotenza. Lascio le sue mani per coprirmi il volto: in pochi mi hanno visto piangere e lui, anche se è una delle persone più vicine a me, non è tra quelle. Non voglio che pensi che io sia debole, non deve farlo.

Le sue dita delicate scostano una ciocca di capelli dal mio viso bagnato, fermandola dietro l'orecchio, e si posano sulla mia guancia.

-Non dirmi niente se non vuoi, ma piangi, sfogati, urla: tenerti tutto dentro farà solo peggio, e so che è troppo tempo che lo fai, te lo leggo negli occhi.-

Lentamente abbasso le mani e guardo il mio compagno mentre cerco di trattenere le lacrime.

-Vuoi rimanere con me stanotte?- La sua voce è gentile e sincera, come quella di un vero amico; ne ricordo però un'altra, un tempo comprensiva e fraterna, ma che poi è divenuta fredda e insensibile.

Piango ancora più forte, incurante delle probabili presenze di nemici: appena Aglar mi stringe a sè mi lascio andare a quel gesto e nascondo il viso contro il suo petto. Con le dita tremanti mi aggrappo alla sua casacca come se lui fosse la mia unica speranza e lascio uscire lacrime di tristezza e pianto.

Quando rimangono solo i singhiozzi, mi lascio trascinare nel sonno di Estë2, troppo stanca anche solo per ricordare.

 

***




1 Eregion: detta anche "Agrifogliere", è una regione della Terra di Mezzo a sud di Gran Burrone, delimitata a est dalle Montagne Nebbiose, a ovest dal fiume Bruinen e in seguito Cardolan, e a sud dal fiume Glanduin.

2 Estë: dell'ordine dei Valar e detta anche la Gentile, è Signora della Pace e della Guarigione; il suo dono è il riposo.




Angolo dell'autrice:
Salve, questa è la mia prima fanfiction che pubblico anche se non è niente di particolare. I dialoghi in elfico probabilmente hanno qualche (se non molti) errore, comunque cercherò di limitarli al minimo. Vorrei aggiornare la storia ogni settimana, ma non so se con l'inizio della storia sarò in grado di farlo. Vi ringrazio tantissimo di aver letto almeno questo capitolo e vi invito a recensire, anche per farmi presenti eventuali errori o incoerenze.
Un saluto a tutti, elfi e nani, uomini e hobbit, e ci vediamo al prossimo capitolo.
Diletta

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Capitolo 2
*** Ricordi e Dolori ***


RICORDI E DOLORI


-Perché hai sistemato le mie cose?- Domando ad Aglar mentre mi siedo sulla coperta: il mio compagno sta sistemando i nostri bagagli sui due cavalli. Ovviamente finge di non sentirmi, l'ha sempre fatto, e rimango così ad osservare la sua chioma ramata perfettamente liscia.

-Devi essere riposata per oggi- Finalmente mi degna di una risposta. -E poi sembravi così serena e tranquilla che sarebbe stato un peccato svegliarti.- Mi rivolge un sorriso e poi torna al suo lavoro. Arrossisco fino alla punta delle orecchie al ricordo di quello che è successo stanotte, ma Aglar mi è stato di grande aiuto, anche se non sono riuscita confidargli i miei problemi.

Lascio a malincuore la calda coperta di lana che mi ha protetta del freddo della notte e mi dirigo alle sponde del fiume Cardolan1, nei pressi del quale ci siamo accampati. L'acqua è parzialmente ghiacciata e mi permette così di specchiarmi, tanto per controllare le mie condizioni. Aglar aveva ragione, sono cambiata davvero molto da quando siamo partiti da Imladris, anche se forse lui non intendeva un mutamento fisico: i miei occhi sono inespressivi e spenti, la pelle più pallida; i vestiti, che un tempo calzavano a pennello, sono più larghi, segno che ho perso un po' di peso, e un altro segnale dell'improvviso dimagrimento sono le guance leggermente scavate. I capelli poi non sono mai stati così poco curati: sembra passata un'eternità dall'ultima volta che li ho lavati decentemente e non voglio nemmeno immaginare la quantità di nodi che si sono formati. Ma durante un viaggio non si ha il tempo di pensare a certe cose, e mi affretto quindi ad intrecciare la mia lunga chioma.

-Ehi principessa! Quanto ci metti con quei capelli?- Domanda Aglar scherzosamente venendomi incontro.

-Tu fai presto a parlare, non hai una matassa arruffata in testa.- Rispondo dopo aver fermato la treccia.

-Dai non definirli così! A me piacciono molto, e non tutte hanno la fortuna di avere i capelli come i tuoi.- Continua afferrando una ciocca sfuggita alla pettinatura -Forza andiamo, il viaggio sarà lungo: per stasera dobbiamo raggiungere Tharbad2 e domattina attraverseremo il Glanduin3. Se la fortuna è dalla nostra parte, incontreremo dei Dunedain alla vecchia città.-

Entrambi montiamo sui nostri cavalli e procediamo a passo sostenuto. Mi sto allontanando sempre di più da Gran Burrone, la mia casa, ma soprattutto da Elrond, che mi ha cresciuta come una figlia quando sono rimasta sola; mi ha dato tutto, un'istruzione come guaritrice, mi ha insegnato a combattere rendendo i miei movimenti più veloci, fluidi e letali, ma soprattutto mi fatto sentire in famiglia quando sono rimasta sola accogliendomi come se fossi anch'io un frutto dell'amore tra lui e Celebrian: mi ha risollevato dall'abisso e non mi ha più lasciato. Ora invece fuggo da quella dimora, lasciandomi alle spalle tutto ciò che è stato per buttarmi in questa missione da cui probabilmente non tornerò: non rimarrò cieca alla morte e alla distruzione, non resterò a guardare la rovina della Terra di Mezzo per poi andarmene nelle Terre Beate.

Una lacrima scende lenta lungo il mio viso, ma il vento l'asciuga portandola lontano, forse sulle tombe dei miei genitori, o forse si poserà sulla guancia di un padre che vede sfuggire sé la vita dei propri figli.

Continuiamo a cavalcare per ore fermandoci solamente per far riposare i cavalli e consumare un pasto frugale.

Le prime stelle fanno capolino sul cielo rosa e blu del tramonto quando, davanti a noi, appaiono le rovine di una città un tempo gloriosa: Tharbad, ricco centro commerciale nella seconda era, ora è soltanto un cumulo di macerie usato ogni tanto dai raminghi come come rifugio e punto di difesa. Dei piccoli focolari ardono tra le mura diroccate, segno che c'è qualcuno nella città.

-Che ti dicevo?- Esclama Aglar -Raminghi! Se gli diciamo che siamo amici di Aragorn probabilmente ci faranno entrare.-

Continuiamo ad avanzare fino a che, arrivati in prossimità di quelle che un tempo erano le porte principali, scendiamo da cavallo. Un uomo incappucciato spunta fuori dai rovi puntando contro di noi un arco; subito viene seguito da altri armati alla stessa maniera.

-Chi siete voi, uomini che venite armati quando il sole muore?- Domanda il primo con voce potente.

-Siamo viaggiatori.- Risponde Aglar. Si toglie il cappuccio e, con un cenno della mano, mi indica di fare lo stesso. -Lei è Melyanna di Gran Burrone, figlia di Brethil, e io sono Aglar figlio di Tarcil di Bosco Atro. Siamo amici di Aragorn.-

L'uomo davanti a noi abbassa l'arco e, imitato da tutti gli altri, scopre il suo volto.

-Benvenuti, Aglar e Melyanna. Una stella brilla al momento del nostro incontro.-

Dopo un adeguato saluto un uomo porta i nostri cavalli alle scuderie ed entriamo nella città: alcune case sono state pulite dai detriti ed usate come magazzini, armerie o dormitori; per le strade sono stati allestiti punti di ritrovo e i ponti per accedere all'isola nel fiume sono stati ricostruiti, ma gli unici segnali dell'antica gloria sono gli affreschi che ancora rimangono sui muri e la fattura degli edifici.

Veniamo condotti attraverso diverse strade e vicoli, per poi entrare in un grande edificio di cui sono rimasti solo un paio di piedi delle mura, ma al centro di esse arde un falò e intorno una dozzina di uomini stanno mangiando. Arrivati in mezzo a loro veniamo presentati viene offerto del cibo che, ovviamente, accettiamo più che volentieri.

Aglar sta parlando animatamente con un ramingo di nome Cador, dai capelli e l'incarnato nettamente più chiari di quelli dei suoi compagni, riguardo a Thranduil e ai suoi “capricci”; io, di fianco a lui, non posso fare a meno di ridere perchè, bisogna dirlo, la sua imitazione del re è egregiamente perfetta.

-No aspetta aspetta!- Lo interrompe Cador soffocando le risa -Ti prego, fai di nuovo la parte del vino.-

Aglar alza il mento in modo altezzoso e comincia a muovere le mani e a parlare come il re: -Su Galion, sbrigati a portarmi un'altra bottiglia di Dorwinion, la vita a palazzo è così stressante!- Tutti scoppiano in una risata generale ed io non posso essergli più grata di adesso: nonostante tutto, riesce sempre a farmi sorridere.

Dopo aver finito di mangiare rimaniamo tutti seduti in cerchio e decido quindi di dedicarmi alla cura delle mie armi; ma, mentre sto affilando la lama della spada, sento una voce nella mia testa: “Il giovane ti sta osservando, è tutto il tempo che lo fa.” Mi volto verso il mio compagno e vedo che sorride divertito, poi sposto lo sguardo sugli altri uomini ed incrocio quello di colui che, effettivamente, mi stava fissando, perché quando ho guardato nei suoi grandi occhi azzurri ha abbassato la testa arrossendo. “Mi sa che hai fatto colpo.” Dice ancora nella mia mente.“Ma piantala, deficiente.” Controbatto dandogli una gomitata sul braccio.


-Cosa vi spinge verso queste contrade?- Ci domanda Celehadal; il capo dei raminghi ci ha portato in un luogo appartato dove possiamo spiegargli la meta e il motivo del nostro viaggio.

Aglar mi guarda un attimo: “Non dire niente né della Compagnia né dell'Anello.” Io gli rivolgo uno sguardo d'assenso e poi comincio a parlare: -Siamo partiti da Gran Burrone diciotto giorni fa: abbiamo seguito il corso prima del Bruinien e poi del Cardolan; domani attraverseremo il Glanduin... Diretti a Minas Tirith.- Celehadal ci guarda per un attimo, quasi stupito dalla mia affermazione.

-Perché lo fate?- Interviene -Voi siete giovani per la vostra razza e avete la possibilità di salvarvi salpando per Aman, perché volete partecipare ad una guerra che non vi appartiene?-

-Se questo è il destino della Terra di Mezzo- Continuo con tono più deciso -Allora è di tutti coloro che vi dimorano; noi siamo nati in questi boschi e colline, abbiamo viaggiato tra i monti e le valli di queste regioni, è questa la terra in cui siamo cresciuti ed è nostro dovere difenderla fino a che ne avremo le forze. Anche se forse non è una gran cosa, vogliamo fare la nostra parte nella Guerra.-

-Le tue sono parole degne di onore e rispetto che non tutti gli Eldar meriterebbero. Ora andate a riposarvi, per voi domani sarà una giornata faticosa.- Il capitano si alza augurandoci la buonanotte e torna dai suoi uomini.

Ripenso a ciò che ho detto, al motivo che mi ha spinto ad allontanarmi dalla mia casa, al perchè ho preso questa decisione: forse, se Legolas non mi avesse rivolto quelle parole, adesso sarei su una bianca neve diretta alle Terre Imperiture4. Cerco di scacciare quel ricordo ma, nella mia mente, le immagini dei suoi occhi freddi e il suo sguardo insensibile mi tormentano continuamente.

-Aglar, ti devo parlare.- Esco dalla “stanza” seguita dal mio compagno e ci dirigiamo alle sponde del fiume. Per un attimo rimango seduta a guardare il tenue bagliore delle stelle, ma infine mi decido a parlare, perchè, se non lo faccio adesso, non ne avrò mai più la forza.

-Vuoi sapere perchè sono partita? Il motivo è anche quello di prima, sì, ma... La mia decisione è dovuta a qualcos'altro.- Qualche lacrima comincia a scendere lungo le mie guance. -All'inizio sarei voluta partire insieme alla Compagnia, ma Elrond ha scoperto la mia motivazione e mi ha impedito di farlo.-

-Immagino che il pretesto sia stato Legolas.- Interviene Aglar, anche lui con gli occhi puntati sugli astri di Varda5.

-Sì... Beh, ovviamente io non ero d'accordo con la sua scelta visto che sarei stata soltanto d'aiuto, ma poi...- Mi prendo qualche secondo per asciugare il viso -...Poi Legolas mi ha convinto a non seguirli.-

-Cosa ti ha detto?- Domanda, allarmato dalla mia voce improvvisamente flebile.

-Io per lui non sono niente... Tutto ciò che ha fatto per me lo ritiene uno sbaglio, non avrebbe dovuto lasciare che mi affezionassi così tanto...- Le lacrime aumentano e a loro si aggiunge anche qualche singhiozzo; mi volto verso il mio amico che ora mi sta guardando con aria triste e sorpresa.

-Aveva gli stessi occhi gelidi di suo padre... Lo stesso sguardo distante... Io sono solo uno sbaglio.-

E per la seconda volta mi ritrovo a farmi consolare da lui, stretta fra le sue braccia e con le sue dita ad accarezzarmi i capelli.

 

***




1 Cardolan: fiume che divide l'Eregion a ovest dalle terre dell'Eriador

2 Tharbad: città fondata nella Seconda Era dai Númenoreani nel punto d'incontro tra i fiumi Cardolan e Glanduin, doveva la sua ricchezza al commercio su le acque
fluviali; divenne disabitata e sopravvisse solo come punto di difesa dei Dúnedain.

3 Glanduin: fiume che nasce dalle pendici delle Montagne Nebbiose, divide l'Eregion dal Dunland e, unendosi con il fiume Cardolan, formano il fiume Inondagrigio.

4 Terre Imperiture: altro nome per le terre di Aman.

5 Varda: dell'ordine dei Valar, è la Signora delle Stelle.




Nota dell'autrice:
Avevo detto che avrei pubblicato il capitolo la prossima settimana, ma non potevo più aspettare e visto che era già pronto... Comunque stavolta e molto più lungo del primo, anche perchè la situazione viene chiarita un po' meglio.

Un saluto a tutti, elfi e nani, uomini e hobbit, e ci vediamo al prossimo capitolo.
Diletta

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Capitolo 3
*** Parole e Sorprese ***


PAROLE E SORPRESE


-Melyanna.- Una voce fredda e decisa alle mie spalle richiama la mia attenzione. Mi volto e, con sorpresa, trovo Legolas che mi fissa con uno sguardo mai visto sul suo volto; anche la sua voce è cambiata improvvisamente, diventando simile a quella di suo padre, troppo per i miei gusti.

-Che c'è Legolas?- Appoggio l'arco e le frecce con cui mi stavo allenando all'albero vicino e mi giro completamente verso di lui.

-Ho sentito dire che vorresti partire con la Compagnia, non è così?- Continua con lo stesso accento indifferente.

Arrossisco temendo che abbia scoperto le mie ragioni: -Beh... Sì, non ho intenzione di rimanermene con le mani in mano aspettando la rovina.-

-In realtà io credo che dovresti rimanere qui, la guerra è una faccenda da uomini.-

-Ma cosa stai dicendo Legolas?- Domando interdetta dalla sua affermazione -Sei stato tu ad insegnarmi a combattere e a non...-

-Certo- M'interrompe. -Ed è stato uno sbaglio, come ogni cosa che ho fatto per te.-

Il cuore sembra fermarsi nel petto, la mente si rifiuta di credere veritiere quelle parole pronunciate con tanta freddezza da sembrare irreale. Continuo a guardarlo e nei suoi occhi non vedo più una luce benevola e fraterna, sulle sue labbra non si stenderà un sorriso scherzoso.

-Cosa hai fatto? Hai bevuto troppo vino.- Continuo, cercando di trovare un senso a tutto quello che sta accadendo.

-Non sono ubriaco. Ti sto solo dicendo che ho scoperto i sentimenti che provi per me e che sono non ricambiati.- Quell'ultima parola arriva come un pugno nello stomaco e mi lascia incapace di parlare. Senza che me ne renda conto gli occhi si fanno pesi e le mani tremano.

-Cosa ti sta succedendo...- Quelle parole escono quasi come un sussurro dalla mia bocca mentre tengo gli occhi bassi. -...Perché mi stai dicendo tutto questo?-

-Perché tra noi due è finita Melyanna. Addio.- Si volta e torna sui suoi passi, impassibile; alzo lo sguardo e osservo la sua figura longilinea allontanarsi, con la mente sconvolta e il cuore a pezzi. Poi qualcosa si fa spazio nel petto come se volesse uscire ad ogni costo, una sensazione strana ma impossibile da contrastare.

-Io ti credevo diverso, e invece sei proprio come lui! Sei come tuo padre!- Gli urlo addosso tutta la rabbia che ha causato, mentre le lacrime mi bagnano il viso. Legolas si ferma e per un attimo sembra volersi voltare, ma poi continua indisturbato sulla sua strada lasciandomi al mio dolore e completamente sola.
 

*

In piedi, davanti al fiume Glanduin, osservo il cielo che lentamente si tinge di rosa e arancione; le stelle stanno svanendo per lasciare il posto al frutto di Laurelin1. Alcune lastre di ghiaccio galleggiano sul fiume, ma neanche un filo di vento ne smuove le acque.

Stretto nel mio pugno c'è un gioiello, piccolo, ma carico di ricordi. Apro la mano e guardo il ciondolo: è una piccola stella d'oro con incisa la runa della lettera “M” ed un minuscolo diamante incastonato. È stato il regalo che Legolas mi ha fatto alla mia nascita e da quel momento l'ho sempre indossata: era come se, portandola, lui fosse sempre con me e sentivo lo stesso senso di protezione che provavo quando mi stringevo a lui. Ma ora non sento più niente di benevolo, solo un peso all'altezza del petto dove un grande vuoto si allarga lentamente.

Un lievissimo fruscìo dietro di me mi distrae dai miei pensieri; lascio scivolare la collana in una tasca della casacca e mi volto verso il cespuglio alle mie spalle.

-Vieni fuori, so che sei lì.- Il giovane ramingo, che mi stava osservando ieri sera, esce goffamente dal rovo, paonazzo in volto.

-Perdonatemi mia signora- Si scusa mentre libera i vestiti da spine e foglie. -Non intendevo spiarvi, ero solo curioso.- Continua inchinandosi con fare mbarazzato.

-Puoi darmi del tu, non preoccuparti. Qual'è il tuo nome?-

-Araleth...- Il ragazzo mi viene in contro torturando con le dita un lembo della casacca. Visti insieme io e lui potremmo sembrare coetanei, ma i suoi anni su questa terra probabilmente non superano i venti.

-Cos'è che ti attirava?-

-Beh, ho sentito molte cose su voi Elfi, e alcune voci dicono che voi non piangete e non dormite.- Confessa rivolgendo uno sguardo ad Aglar che, avvolto in una coperta, se la sta dormendo alla grande.

-Diciamo che non sono notizie autentiche ma hanno un po' di verità in loro: il nostro non è un vero e proprio sonno, è come una specie di dormiveglia, e non abbiamo bisogno di riposarci spesso quanto voi...- Un grugnito di Aglar m'interrompe -Ma se viaggiamo dormiamo più profondamente.- Solo in quel momento mi accorgo di avere le guance bagnate dalle lacrime e gli occhi gonfi.

-Riguardo al piangere... Non ci capita spesso di farlo, ma se succede...-

-Vuol dire che è qualcosa di veramente profondo...- Completa la frase lui.

-Sì...- Guardo i suoi occhi azzurri e li vedo carichi di apprensione.

-No, non preoccuparti, non è così grave... È stata solo una grande delusione.- E, con mia grande sorpresa, mi ritrovo a parlargli di tutto quello che è successo senza alcun problema, come se lo conoscessi da sempre. Quando ormai finisco di raccontare il sole è già sorto. Avergli confidato tutte le mie sofferenze è stato liberatorio, mi ha fatto veramente bene.

-Se vuoi la mia opinione, per me lui è un grande idiota.- Alla sua affermazione mi scappa un sorriso. Per un secondo rimane a fissarmi con gli occhi che brillano, ma poi riprende a parlare: -Chi sarebbe tanto stupido da lasciarsi sfuggire un'occasione del genere? E come ti ha trattata poi! Se fossi stato io al suo posto non avrei esitato a...- Improvvisamente si ferma, rendendosi conto di aver rivelato troppe cose. Rimaniamo in silenzio ad osservare l'orizzonte; anche se il sole splende e non c'è un alito di vento dovrebbe fare molto freddo, almeno non per me, visto che il giovane si stringe tutto tremante nel suo mantello rammendato.

-Pensi che sia giusto combattere?- Domanda all'improvviso -Pensi che morire per queste terre sia degno d'onore?- Distolgo gli occhi dal cielo e guardo i suoi, che in essi portano lo stesso colore e lasciano trapelare dubbi e paure.

-Non è né per giustizia né per gloria che ho intrapreso questo viaggio: le guerre hanno portato via a me e alla mia gente più del dovuto, ma sono nata tra le cascate e i ruscelli di Gran Burrone, tra gli alberi di Bosco Atro sono diventata una guerriera, e anche se sono territori elfici apparterranno per sempre alla Terra di Mezzo; credimi se dico che se cadessero nella rovina anche il mio cuore lo farebbe. Un giorno sentirò il richiamo del mare e partirò per le Terre Beate, e sentirò le campane di Valmar2, il suono dei limpidi torrenti che cadono sulla roccia, il fruscìo delle foglie nei boschi, e per quanto possano essere incantevoli, non eguaglieranno mai quelli che per anni ho ascoltato. Combattere è giusto, ma per veri motivi: non farlo per la gloria anche se verrai ricordato in canti, perchè se gli uomini cadranno, chi potrà cantare quelle ballate? Lotta invece per quello che ti sta a cuore, che sia l'amore, un amico o la patria: sono quelle le cose che ti fanno andare avanti quando hai toccato il fondo.-

Lui non risponde, ma rimane immobile a guardarmi con i suoi grandi occhi, quasi stupito dalle mie parole; non posso dargli torto, visto che non avrei mai avuto il coraggio di fare un discorso del genere in situazioni normali.

-Io devo svegliare Aglar: abbiamo deciso di andarcene presto per evitare...- Ma un improvviso bacio di Araleth mi costringe ad interrompere il discorso; sento il sapore rustico delle sue labbra fredde che cercano le mie, la corta barba ispida che solletica le mie guance, e le sue mani ruvide sui miei fianchi. Per qualche secondo assapora quel contatto, poi si stacca da me e le sue gote arrossiscono violentemente e, dopo aver farfugliato un “Addio”, se ne va, quasi correndo, all'interno della città.

Rimango come paralizzata nella posizione in cui mi ha lasciato. Passo un dito sulle labbra e riesco a sentire un velo di gelo sopra di esse: non è stato certo il mio primo bacio, ma sicuramente ha fatto il suo effetto.

Appena mi volto per svegliare il mio compagno, mi ritrovo il suo viso a pochi centimetri dal mio e quasi mi viene un colpo al cuore.

-Per tutti i Valar! Aglar! Quando ti sei svegliato?- Esclamo portandomi una mano al petto.

-Né troppo tardi né troppo presto; il mio istinto mi ha destato al momento giusto.- Risponde con un sorrisetto divertito stampato in faccia.

-Non dirmi che... Hai visto tutto? Ed'i'ear ar'elenea! (Per il cielo e per le stelle!)- Mentre il mio amico ride a crepapelle, io arrossisco fino alla punta delle orecchie.

-Che ti dicevo ieri sera?- Mi fa presente quando riesce a trattenere le risate.

-Chissà quale scommessa avrà fatto con i suoi compagni... Forza, sistema le tue cose: avrai tutto il tempo del mondo per prendermi in giro quando avremo attraversato il fiume.-

Dopo esserci congedati da Celehadal ci vengono riconsegnati i cavalli e, attraversato uno dei grandi ponti, arriviamo finalmente nel Dunland3; siamo arrivati in una terra dove il pericolo è sempre dietro l'angolo e nessuno può essere considerato alleato. Lasciandoci alle spalle l'ultimo rifugio dell'Eriador, Aglar ed io ci addentriamo tra le brulle colline di questa regione selvaggia.
 



***




1 Laurelin: l'Albero d'Oro di Valinor che stillava una rugiada aurea; dopo la sua morte, dai suoi tronchi spuntò un frutto, Anar, che fu traportato nel cielo e divenne il Sole.

2 Valmar: detta anche "dalle mille campane", è la città dei Valar.

3 Dunland: regione delimitata a ovest delle montagne nebbiose, a nord dal fiume Glanduin e a ovest dall'Antica Via Sud, in prossimità del regno di Rohan.

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Capitolo 4
*** Pioggia e Memorie ***


 PIOGGIA E MEMORIE

 

La pioggia continua a cadere da un paio d'ore e non accenna a voler diminuire: il diluvio è iniziato proprio quando ho dato il cambio per il turno di guardia ed ora sono costretto a starmene sotto l'acqua, protetto solamente dal mantello. Le gocce sono così fitte che mettono a dura prova anche la mia vista elfica; poi, all'improvviso, un forte tuono fa sussultare i miei compagni che stanno dormendo. Io però rimango fermo, quasi impassibile, ma dentro di me riaffiorano ricordi che avevo cercato di dimenticare.

Il temporale si abbatte su Gran Burrone, i tuoni sono così forti che fanno tremare i mobili e i lampi illuminano a intermittenza la stanza. D'un tratto la porta si apre e una piccola figura entra a corsa nella camera intrufolandosi nel mio letto.

-Melyanna! Cosa ci fai qui? Sai bene che Ada e Nana1 non vogliono che tu esca di notte.- Rimprovero la piccola mettendomi seduto sul letto.

-Ho paura Legolas...- Sussurra tra le lacrime.

-E di cosa hai...- Ma un forte boato interrompe la mia domanda e la bambina si rifugia contro il mio petto. Continua a piangere disperata mentre farfuglia qualcosa che però non riesco a capire; circondo con le braccia quel corpicino tremante cercando di rassicurarla.

-Vuoi tornare da Nana?- Le chiedo dopo che si è tranquillizzata un po'.

-No... Voglio rimanere qui con te.- Mi guarda con i suoi grandi occhi blu notte, così dolci che non riesco a resistergli. Mi sdraio di nuovo e lascio che si accoccoli accanto a me, poi accarezzo con tocchi delicati i suoi morbidi capelli. Fuori dalla finestra la pioggia continua a cadere e i tuoni non diminuiscono, ma lei sembra averne meno paura.

-Ho fatto uno strano sogno Legolas...- Dice ad un certo punto rompendo il silenzio -C'era Ada sdraiato in terra, e aveva la casacca tutta macchiata di rosso, ma Nana si arrabbia se sporchiamo i vestiti. Ada l'ha fatta arrabbiare così tanto che Nana si è messa a piangere.- Nell'oscurità della stanza guardo stupefatto la piccola: se il suo fosse soltanto "uno strano sogno" sarebbe solo il frutto delle sue paure più profonde e remote; però negli Eldar queste visioni non sono mai prive di significato ed è evidente che lei ha visto la morte del padre, ma il dono della preveggenza è raro anche tra noi Elfi e non ho mai avuto notizia di qualche manifestazione nei bambini.

-Hai mai fatto un sogno?- Domanda ancora distraendomi dai miei pensieri; tira verso di sé la coperta fino a lasciarmi senza, ma non m'importa.

-Sì, ne ho fatti tanti. Vuoi sapere qual'è il mio preferito?- Lei si stringe di più a me, facendomi capire che vuole sentire la mia storia.

-C'era una radura nel bosco, con tanti piccoli fiori che sembravano stelle colorate scese in terra e mille uccellini cinguettavano melodie svolazzando tra i rami; poi ho sentito una voce, era più dolce del miele ma forte come il mare. Una fanciulla cantava parole d'amore mentre ballava a piedi nudi, ed io la guardavo come si guarda la luna, poiché la sua bellezza era pari a quella di Isil2: i suoi capelli erano una cascata d'oro, le labbra morbide, e il corpo era così delicato nel suo abito blu...- Sento che il respiro della bambina è più profondo e la sua presa sui miei vestiti è diminuita.

-'Quel hui, aiwe gil nín. (Buonanotte, mia piccola stella.)- Poso un bacio sulla sua fronte, e, dopo aver sfiorato la stellina che porta al collo, la stringo a me.

-Qualsiasi cosa succeda, io non ti abbandonerò.-


 

Il cuore si stringe a tutti quei ricordi, ma quell'ultima frase mi distrugge completamente: rivedo le sue mani che tremano, i suoi grandi occhi blu carichi di rabbia, delusione e disperazione, e quelle troppe lacrime che forse non sfogherà con nessuno. Tutto ciò che ho fatto è stato per il suo bene: anche se è una ragazza forte, abile nel combattere e coraggiosa, non potevo permettere che mi seguisse in questo suicidio, perchè questa missione può chiamarsi solo così; nessuno di noi sa se l'Anello andrà distrutto e nemmeno se avremo la possibilità di tornare a casa.

Io ti credevo diverso, e invece sei proprio come lui! Sei come tuo padre!” Quella frase viene ripetuta nella mia mente in ogni momento, e sento di nuovo la sua voce che lasciava trapelare rancore e disprezzo, tutto ciò che non avrei mai voluto. Forse sono stato duro, ma quando si vuole proteggere chi si ama, lo si fa anche a costo di rompere ogni legame; così sono riuscito a tirare fuori una voce fredda e pungente, uno sguardo tagliente ma insensibile. Sono diventato veramente come mio padre. Se fossi riuscito a convincerla, Elrond la farà salpare per Aman, dove l'aspetterebbe una vita migliore.

Quello che però fa più male è il pensiero di non poter più vedere la persona che per me è stata una sorella, un amica e... Non l'ho mai vista come qualcosa di più di quella che è stata, ma ripensando al mio sogno ho capito che era lei la fanciulla che ballava, e a quel ricordo mi batte forte il cuore, troppo forte. L'unica cosa di cui sono certo è che mi ama, e mi avrebbe seguito fino alla morte se solo avesse potuto; è ancora giovane e questa è una fortuna, perché se fosse stata più grande probabilmente non avrebbe retto il mio rifiuto. Eppure ho causato del dolore in lei, gliel'ho letto negli occhi, ma anche in me qualcosa si è smosso; avrei voluto dirle parole rassicuranti, avrei voluto abbracciarla ed accarezzarle i capelli, ma non l'ho fatto. Vederla piangere mi ha distrutto.

Prima che possa fermarle, le lacrime mi rigano il volto, ma la pioggia le fa scivolare via, l'unica che può consolarmi adesso. Ignorando il mio compito di sentinella ripenso a tutti i momenti passati insieme a Melyanna, l'unica che mi ha rubato il cuore fin dal primo momento.

*

-Posso?- Domando aprendo leggermente la porta e sporgendo un po' la testa. Indil è seduta sul letto coperta dalla trapunta, i suoi lunghi capelli biondi non acconciati sparsi sulla schiena e le spalle; tra le sue braccia sta un piccolo involto di coperte bianche.

-Entra pure Legolas.- Risponde indicandomi una sedia accanto a lei su cui posso sedermi. La madre mi porge il fagotto.

-Vuole conoscerti: le ho sempre parlato di te e adesso non vede l'ora d'incontrarti- Mi dice con un sorriso dolce; un po' titubante allungo le mani e la prendo in braccio. Appena la vedo sento il mio cuore stringersi dalla tenerezza: la bambina è così piccola e fragile che tra le mie braccia sembra scomparire, ma dentro di me sento che diventerà forte e coraggiosa. Accarezzo il suo visino paffuto e una manina si stringe intorno al mio dito. Poi d'improvviso apre gli occhi: sono ancora grigi, come quelli di ogni neonato, ma con una tonalità tendente al blu. Le sue labbra piccole e rosse si stendono in un dolce sorriso, poi si addormenta ma non mi lascia la mano. Indil sorride mentre ripensa a qualche vecchio ricordo.

-Come si chiama?- Le chiedo.

-Melyanna, è un bel nome vero?-

-Sì, è un bellissimo nome...- Continuo a tenerla in braccio e accarezzo i suoi fini capelli biondi -Melyanna, amato dono.-
 

***

 

1 Ada e Nana: in lingua elfica, significano "papà e mamma".
2 Isil: è il nome che gli Elfi hanno dato alla luna.


ANGOLO AUTRICE:

Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo! Lo so lo so, vi ho fatto aspettare, ma sono stata trattenuta. 
Con grande sorpresa appare Legolas, che non è poi così freddo... Comunque spero che mi perdonerete: ho cambiato il tempo atmosferico del viaggio, perchè la compagnia è quasi arrivata nell'agrifogliere e lì non piove, ma la pioggia mi serviva.
Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo al prossimo.
Diletta
 

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Capitolo 5
*** Pianto e Solitudine ***


PIANTO E SOLITUDINE
 


Pochi, troppo pochi stanno tornando dalla missione: tutti con la testa china, i vestiti laceri e gli occhi vacui. Un orribile presentimento, come un nodo allo stomaco, si fa spazio dentro di me e il cuore batte così forte che ne percepisco distintamente i palpiti. Molti Elfi stanno abbracciando commossi le loro mogli o figli, mentre alcuni si avvicinano ad altri e gli comunicano la terribile notizia. Scruto ogni cavaliere, ogni arciere, ogni araldo, ma non trovo gli occhi blu di mio padre. Poi Elrond mi viene in contro, con la spada e l'armatura ancora sporche di sangue nero.

-Melyanna...- I suoi occhi grigi sono lucidi e carichi di apprensione. Il cuore si ferma, il corpo s'irrigidisce, la mente si svuota da tutti i pensieri per lasciare spazio ad un unico straziante grido: Ada non è morto.

-No... No!- Urlo voltandomi in corsa; le lacrime scendono lungo il mio viso mentre percorro corridoi, portici e cortili senza sapere dove andare. Asciugo il mio pianto quasi con violenza, perché Ada non se n'è andato: lui mi verrà in contro uscendo da un cespuglio e mi prenderà in braccio, poi mi darà un bacio sulla fronte e mi porterà a cavalcare tra i ruscelli e le colline, e la notte aspetterà con Nana che mi addormenti.

Mi blocco. Le lacrime cessano di scorrere ed ogni emozione sembra lasciare il mio cuore, l'unica cosa che smuove il mio corpo è un forte brivido. In una lunga stanza sono disposte diverse barelle su cui giacciono corpi senza vita. La realtà mi viene sbattuta in faccia, fredda come il vento invernale e dolorosa come uno schiaffo. Vedo Nana piegata in avanti sopra un lettuccio, con i suoi lunghi capelli biondi sparsi ovunque senza un ordine; si volta verso di me e il suo sguardo straziato dal dolore mi distrugge.

-Aiwe nín... (piccola mia)- Mi chiama con voce rotta e prosciugata da ogni emozione. Ma non mi accorgo della sua mano tesa e tremante che m'invita ad avvicinarmi, e nemmeno di Elrohir che mi sta venendo in contro: vedo solo l'Elfo steso sulla lettiga, i lunghi capelli castani sporchi di fango e sangue, gli occhi blu nascosti dalle palpebre immobili, e il suo petto dilaniato da una grande ferita il cui sangue macchia la casacca di rosso.

La stanza sfuma davanti a me, tutto sembra roteare in un vortice confuso e nauseante, il mio nome gridato da Elrohir sembra un lontano soffio di vento. Le mie gambe si muovono quasi autonomamente e corro, corro tra paesaggi familiari ma che adesso sembrano estranei, corro tra gli Elfi che mi richiamano cercando di fermarmi, corro fino a che il cuore sembra voler esplodere e nemmeno io so se per la fatica o il troppo dolore. Mi lascio cadere sull'erba e le lacrime si fondono alla rugiada del mattino. Tutto sembra sparire e rimango sola, con la testa che vuole scoppiare, il corpo tremante, gli occhi pesi e il cuore vuoto.

Non so quanto tempo sia passato, ma il cielo è diventato scuro e punteggiato da qualche stella; vedo la figura snella e forte di Elrohir avvicinarsi a me; con estrema facilità mi solleva dal prato per portarmi all'interno.

-Non voglio tornare dentro, ti prego lasciami qui.- Sussurro stringendomi al suo petto. Il giovane si ferma per sedersi su una panchina; continuo a tenere le mani strette sulle sue vesti e il viso nascosto tra le sue braccia.

-Dobbiamo tornare Melyanna, ti ho cercato per tutto il giorno.-

-Non voglio tornare Hir... Non voglio tornare...- Le sue braccia forti mi circondano, ma si alza e si dirige verso uno degli ingressi. Incapace di ribellarmi, mi lascio andare a quel gesto e cado in un sonno privo di sogni.

*

Sei silenziosa oggi.” La voce di Aglar nella mia mente mi riporta alla realtà: da quando siamo entrati nel Dunland ci limitiamo a parlare così per non attirare eventuali nemici. Guardo il mio compagno di fianco a me, ma poi torno a concentrarmi sul cielo stellato.

È il giorno...”

Sì...” Lo interrompo prevedendo la sua domanda.

Per tutti i Valar, mi dispiace... Io non volevo...” Si scusa. “Vuoi parlarne?”

No, ma ti ringrazio. Scusami, voglio stare un po' da sola.” Mi alzo vado in un posto appartato; mentre mi allontano, sento un sospiro dispiaciuto da parte di Aglar. Non è colpa sua e mi dispiace di averlo trattato così: c'è sempre stato ogni volta che ne avevo bisogno, spesso mi sono confidata con lui e in questi giorni mi è stato di grande aiuto, ma in questi casi non si può essere aiutati, bisogna aspettare che passi, piangere per sfogarsi, ma da soli, soprattutto se il dolore è ancora forte.

Ero molto giovane quando successe e quindi sono riuscita a “superare” la perdita di mio padre, ma ero anche abbastanza grande per capire che lui non sarebbe più tornato e che, di lì a poco, mia madre lo avrebbe raggiunto nelle Aule di Mandos1. Qualche giorno dopo, infatti, Nana si lasciò andare, e quando la vidi sembrava immersa in un sonno dolce e tranquillo. Rimasi sola, senza una famiglia.

*

Sento bussare alla mia porta, ma non rispondo; rimango seduta sul davanzale della finestra ad osservare gli strani disegni delle nuvole. Di nuovo i colpi sul legno.

-Non ho fame.- Dico con tono neutro a chi mi sta disturbando. Ma la porta si apre, senza che io ne abbia dato il permesso, e rimango con lo sguardo rivolto all'esterno; dei passi leggeri si avvicinano a me e una mano delicata si posa sulla mia spalla.

-Va' via Legolas, non ho fame.- Ripeto con più insistenza.

-Vuoi venire fuori?- Chiede con gentilezza mentre si siede davanti a me.

-Non voglio vedere nessuno: se esco cominceranno a farmi domande e a parlare con me, ed io non voglio.- Mi volto a guardare il mio amico:si è tolto gli abiti eleganti per indossare quelli da viaggio.

-Ma non incontreremo nessuno, te lo prometto. Usciremo con il mio cavallo e andremo un po' in giro, sempre se ti va.- Guardo i suoi occhi grigio azzurri e li vedo speranzosi ma coperti da un velo di tristezza.

-Saremo solo io te?-

-Sì, gil nín. (stella mia). Allora, vuoi venire?- Annuisco leggermente. -Tu cambiati, io ti aspetto fuori.- Mi da un bacio sulla fronte ed esce. Scendo dal davanzale e, lentamente, mi tolgo il vestito verde riponendolo con cura nell'armadio: era l'abito preferito dai miei genitori, dicevano che stesse molto bene con i miei capelli e il mio sorriso.

Dopo essermi vestita esco fuori e con Legolas andiamo alle scuderie: Marillie, la sua cavalla dal manto color perla, ci sta aspettando. Il mio amico monta dietro di me e poi partiamo: attraversiamo il sentiero d'entrata di Gran Burrone ed i cancelli; le due guardie non ci fermano e quindi continuiamo aumentando il passo. L'ultima volta che ho cavalcato è stato con mio padre: lui sul suo fiero destriero bianco e grigio mi seguiva con calma, mentre io, sulla mia giovane cavalla color cioccolato, lo sfidavo a fare una gara; dopo un po' d'insistenza accettò e ci lanciammo in una corsa fatta di risa e incitamenti, ma, come ogni volta, vinse lui. “Stai migliorando, tra poco mi darai del filo da torcere.” Al pensiero di non poter più fare una corsa con mio padre qualche lacrima spunta sul mio viso.

Ci lasciamo alle spalle le abitazioni di Gran Burrone ed entriamo in un bosco; uccellini bruni e gialli svolazzano intorno a noi, gli zoccoli di Marillie corrono sulle foglie cadute dagli alberi e il vento porta via le mie lacrime. Il passo rallenta fino a fermasi del tutto e mettiamo piede in una radura verde punteggiata da fiorellini bianchi. Legolas si toglie gli stivali e, rimasto a piedi scalzi, si siede con la schiena poggiata ad un albero; lo seguo, anch'io senza scarpe, e mi appoggio contro il suo petto mentre con gesti delicati mi accarezza i capelli.

-È stata colpa mia...- Sussurro tra lacrime silenziose.

-Cosa stai dicendo Melyanna?- Domanda stupito dalla mia affermazione; con una mano sotto il mento mi fa alzare la testa, così che possa guardarmi negli occhi.

-L'ho sognato, anni fa, ma non sapevo cosa volesse dire. Se avessi capito cosa fosse a quest'ora loro sarebbero qui con me, io non sarei sola.-

-Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Loro saranno sempre con te, quando guarderai le stelle, quando sognerai: ti proteggeranno sempre.-

-Ma non sento più niente, Legolas, solo un grande vuoto dentro di me che divora ogni cosa: sogni, ricordi, tutto...- Comincio a tremare, ma non è il freddo a farmi rabbrividire.-Fa tanto male...-

Le sue braccia mi circondano ed un caldo tepore all'altezza del petto attenua leggermente i miei brividi.

-Lo so, aiwe nín (piccola mia), so che il dolore ti lacera il cuore: senti freddo, vuoto, hai paura di rimanere sola, ma devi essere forte. Sarà dura, più di qualunque cosa, ma io sarò con te anche quando non mi vedrai.- Le sue dita sfiorano il ciondolo che porto al collo.

-Rimani con me, ti prego non andartene...- Quelle parole escono come un sussurro mentre le lacrime scorrono copiose; lui non risponde ma comincia a cantare:

I ngîl cennin erthiel
Ne menel aduial,
Ha glingant be vîr
Síliel moe.

I ngîl cennin firiel
Ne menel aduial,
And-dúr naun i fuin a galad firn
Naegriel moe.

An i natha
An i naun ului
A chuil, ann-cuiannen
Am meleth, perónen.

 

(Ho visto una stella sorgere alta nel cielo della sera,
Appesa come un gioiello,
Brillare dolcemente.

Ho visto una stella scomparire nel cielo della sera,
L'oscurità era troppo profonda e così la luce morì,
Soffrendo dolcemente.

Per quello che avrebbe potuto essere,
Per quello che non è mai stato.
Per una vita lungamente vissuta
Per un amore donato a metà.)

*

-Melyanna!- La voce quasi disperata di Aglar grida il mio nome e d'improvviso sento il cozzare dell'acciaio. D'istinto mi alzo e sfodero la spada, sempre appesa alla cintura, e corro verso il nostro accampamento.

-Aglar!- Urlo appena vedo che il mio compagno sta lottando contro quattro Orchi più grandi e robusti del normale; subito lo raggiungo e cominciamo a combattere fianco a fianco. Ci sovrastano con la loro altezza e la forza che possiedono è superiore alla nostra, ma noi siamo più agili e veloci, il che ci dà un grosso vantaggio.

Mentre combatto, sento una sensazione all'altezza dello stomaco che passa al petto e comincia a bruciare, e una rabbia cieca s'impadronisce di me: i movimenti si fanno più rapidi ma non per questo meno potenti, la spada saetta a destra e a sinistra con furia sempre crescente. Mi concentro solo su un obbiettivo: ucciderli tutti. Non mi accorgo del taglio sul braccio, non sento il dolore dei calci che mi colpiscono ovunque; i miei colpi continuano a lacerare carne e a rompere ossa, fermanfosi solo quando vedo dei miei due avversari a terra e senza vita.

-Melyanna! Ndengina! (Melyanna! Uccidilo!)- Mi volto e vedo Aglar sollevato per la gola da uno degli Orchi e con la schiena contro la roccia. In pochi secondi il mio pugnale va a conficcarsi nel cranio di quell'essere e il mio compagno cade a terra; gli corro incontro e cerco di tirarlo su.

-Aglar stai bene? Riesci a parlare?- Gli domando preoccupata.

-Sto benissimo... Tranquilla.- Fissa i suoi occhi verdi nei miei con fare rassicurante. -Grazie per avermi salvato la vita.- Aggiunge mentre cerca di mettersi in piedi, ma una smorfia di dolore distrugge i suoi propositi.

-Sei il solito orgoglioso, mellon nín (amico mio); non riesci nemmeno ad alzarti e dici di star bene.- Passo un braccio intorno alla sua spalla e lo faccio alzare. -Quelli erano esploratori, esploratori molto strani. Non possiamo proseguire: nelle vicinanze potrebbero esserci branchi di Orchi pronti ad attaccarci e tu non puoi viaggiare in queste condizioni.-

-Neanche tu sei in ottima forma.- Risponde dopo aver notato la ferita sul braccio e i passi vacillanti. In fretta nascondiamo le carcasse degli Orchi tra i rovi e mettiamo tutte le nostre cose sui cavalli.

“Grazie ancora per quello che hai fatto per me” Replica mentre cerca di trovare una posizione non dolorosa sul suo destriero.

“E mi devi anche ringraziare? Se tu te ne vai chi mi prenderà in giro facendomi sorridere?” Rispondo in modo sarcastico per non arrossire.

“Ti voglio bene.” Mi rivolge un sorriso carico di affetto. Stavolta non posso fare niente per nascondere il mio imbarazzo e, abbassato lo sguardo, non rispondo. Aglar ride sommessamente e continuiamo la nostra cavalcata alla ricerca di un rifugio.
 

***

1 Aule di Mandos: chiamate anche Aule d'Attesa, è il luogo in cui gli spiriti degli Elfi vanno dopo la morte, presiedute da Námo, Vala della  Morte e del Destino.

NOTA DELL'AUTRICE: 

Eccomi di nuovo qua con questo nuovo capitolo! Ho scritto di più (e alle 4:00 di notte) ma almeno ora sapete qualcosa di più sul passato di Melyanna. Spero di aver descritto bene i suoi sentimenti che prova dopo la morte dei genitori. 
Forse per un po' di tempo non potrò aggiornare la storia, ma cercherò di fare il prima possibile.
Tanti saluti
Diletta

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Capitolo 6
*** Amici e Decisioni ***


AMICI E DECISIONI


-Melyanna rimarrà a Imladris, com'era in volere di sua madre.- Esclama Elrond diventato improvvisamente nervoso; i suoi occhi grigi si sono fatti più scuri e tempestosi. Mio padre, d'altro canto, se ne sta seduto comodamente sul suo scranno, con le testa inclinata poggiata su una mano.

-Ma non dobbiamo dimenticare che era desiderio di suo padre che lei passasse qualche tempo a Bosco Atro, e poi la ragazza è molto affezionata a Legolas, ha bisogno di lui più di chiunque altro adesso.- Risponde, e nella sua voce, stranamente, c'è una nota di tristezza. Mio padre aveva sempre definito Melyanna come una bambina, poiché ha poco più di trecento anni; ma stavolta no, stavolta l'ha chiamata “ragazza”, come se, da un momento all'altro, fosse diventata adulta.

-In questo caso i miei figli si prenderebbero cura di lei.- Controbatte il signore di Gran Burrone al limite della pazienza; le sue mani si stringono talmente forte intorno ai braccioli della sedia che le nocche sbiancano. I due si squadrano in cagnesco, l'uno con gli occhi burrascosi mentre l'altro con lo sguardo gelido: sembra che, al posto di due nobili Elfi, abbia davanti dei bambini capricciosi che si litigano un gioco. Elladan ed Elrohir, seduti dalla parte opposta del tavolo, hanno la mia stessa espressione imbarazzata e spazientita.

-Piantatela per favore!- Esclamo, incurante del fatto che sto alzando la voce con due signori elfici, nonché con mio padre; quest'ultimo mi rivolge uno sguardo freddo e contrariato.

-Sembrate due ragazzini invece di due sovrani, e questa discussione sta andando avanti da ore! Perché non lasciamo che sia lei a decidere il suo futuro?- Alla mia domanda percepisco un lievissimo fruscio provenire dal corridoio. Elrond e Thranduil si guardano per un attimo e sembrano arrossire leggermente.

-Scusateci, ci siamo comportati in modo ridicolo, soprattutto se la situazione è così grave. Credo che tu abbia ragione Legolas: Melyanna è abbastanza matura per prendere questa decisione. Ti dispiace andarla a chiamare?- Un ulteriore rumore richiama la mia attenzione.

-Non credo che ce ne sia il bisogno.- Rispondo tenendo gli occhi fissi sulla porta. -Puoi entrare Melyanna.- Tutti si voltano confusi verso di me, ma il cigolio dei cardini li fa muovere verso l'entrata: Melyanna è ferma sulla soglia della stanza, i lunghi capelli biondi completamente sciolti le coprono parte del viso, e indosso ha il vestito verde foresta, il suo preferito, mentre gli occhi sono puntati sui suoi piedi nudi.

Non le arriva nessuna predica o brontolata per aver origliato, solo sguardi comprensivi. Mi alzo per andare da lei e incrocio i suoi occhi: scuri come due pozzi, hanno perso la loro caratteristica luce allegra e giocosa ed ora, guardando in quelle iridi scure, mi accorgo di avere davanti un'Elfa diversa, un'Elfa cresciuta.

Non abbiamo neanche il tempo di fare una domanda che lei ha già la risposta pronta: -Voglio andare a Bosco Atro.- La sua voce è ferma e decisa ma le sue mani tremano convulsamente intorno alla veste sottile. Elladan fa per alzarsi e controbattere ma viene bloccato prontamente dal fratello.

-Perché vuoi partire? Non ti trovi più bene qui a Imladris?- Domanda Elrond in tono tranquillo.

-A quanto ho sentito mio padre avrebbe voluto che ci andassi.- Risponde con gli occhi lucidi.

-Il viaggio fino alle dimora di re Thranduil è molto pericoloso: non può essere solo quello il motivo.- Continua Elladan, mentre Elrohir gli lancia un'occhiata di rimprovero; lei abbassa la testa e, tra le ciocche disordinate di capelli, riesco a vedere i suoi occhi sull'orlo del pianto.

-Forse è meglio se continuiamo domani, è tardi ormai.- Concludo, cercando di posare una mano intorno sulle spalle di Melyanna, ma lei si scansa uscendo a passo spedito dalla stanza. La seguo senza congedarmi dagli altri e la trovo così rannicchiata sul davanzale di una grande finestra.

-Aiwe gil nín... (Mia piccola stella...)- Sussurro passandole una mano sul braccio nudo: la sua pelle è pallida e fredda. Si volta e fissa i suoi grandi occhi blu e lucidi nei miei e mi accorgo solo ora delle scure occhiaie che li circondano: probabilmente non dorme da giorni.

-Non riesco a dormire, la casa è così vuota... Non si sente neanche un rumore...- La sua voce è incerta, il corpo trema e gli occhi sono ricolmi di lacrime, ma, per l'ennesima volta, non vuole lasciarsi andare.

-Vuoi rimanere con me?- Propongo tendendole una mano. Lei non risponde ma, senza esitazione, ricambia il gesto: mi stupisco di quanto sia debole la sua presa.

Arrivati nella mia camera le passo degli abiti più pesanti e lei, senza pudore, si toglie il vestito poco adatto per l'inverno rimanendo in intimo: il suo corpo si sta già trasformando in quello di una donna.

-Perché vuoi venire a Bosco Atro? Desideri rimanere con me?- Le domando dopo esserci coricati nel letto; non risponde e rimane voltata di schiena.

-Perché non parli?- Anche stavolta nessuna risposta.

-Non serve a nulla tenersi tutto dentro: devi aprirti se vuoi stare meglio.- Ribatto ancora, sperando di riuscire a sbloccarla. Lentamente si gira verso di me: -Tu con chi ne hai parlato?- 

Quella domanda mi spiazza del tutto: quando mia madre morì avevo più o meno la sua età, ma non mi sono mai aperto con nessuno. Ricordo ancora le notti in cui sentivo mio padre piangere da solo nella sua stanza, e tra le lacrime e i singhiozzi strazianti chiamava il suo nome, pregando i Valar di rimandarla indietro, ma questo accadeva solo quando nessuno, oltre che a me, poteva vederlo o sentirlo; i sudditi da allora lo considerano più freddo e calcolatore. Ma quello che non si lasciava andare ai sentimenti ero io, neppure quando mio padre si sfogava con me; cercavo di annientare il dolore con allenamenti estenuanti ed ore di studio, e al termine di queste giornate mi gettavo esausto sul letto sprofondando in un sonno inquieto. La perdita però era troppo forte per essere ignorata e molte volte me ne andavo da solo nel bosco, ritrovandomi con gli occhi gonfi e arrossati, le guance bagnate dalle lacrime il corpo tutto tremante.

Per lunghi anni sono andato avanti così, tenendo i giorni occupati fino al limite per non avere il tempo di ricordare: ma poi è arrivata lei, la figlia del Capitano della Guardia e grande amico di mio padre. Abitava insieme a sua moglie Indil in una casa non lontano dal palazzo, ma l'aria di Bosco Atro le opprimeva l'animo, poiché era abituata agli alti mellyrn1 di Lothlórien, e non riusciva a concepire figli; Brethil la guardia e la sua amata Indil furono così gentilmente accolti da Elrond di Gran Burrone e tra questi boschi e cascate hanno dato alla luce la loro unica figlia: Melyanna.

Quando il messaggero ci annunciò la nascita della bambina, io e mio padre siamo subito partiti per Imladris e, quando ho preso quel fagottino tra le braccia, la mia vita è cambiata; per passare più tempo con lei mi sono trattenuto a lungo nella dimora di Elrond e, per concessione di mio padre, andavo spesso a fargli visita, perché la sua voce, il suo sorriso, la sua risata, hanno curato le mie ferite.

-Con nessuno...- Rispondo mestamente. -Ma tu hai scacciato via tutto il dolore racchiuso dentro di me. Non voglio che tu compia i miei stessi errori, perché credimi, la cosa più straziante è ritrovarsi a piangere da soli con l'ardente desiderio di avere qualcuno accanto. Tu sei la mia speranza, la mia gioia, la mia stella.-

Nel buio della stanza vedo i suoi occhi brillare sotto i flebili raggi lunari; allargo le braccia e lei, quasi istintivamente, ci si rifugia dentro e pian piano le sue lacrime mi bagnano il petto. Le circondo la schiena delicatamente, come se avessi paura di farle del male, ma sotto il mio tocco la sento tremare.

-Non posso rimanere qui, Legolas.- Risponde interrompendo il pianto. -Ogni cosa mi ricorda loro e tutti i momenti felici vissuti insieme in questa dimora ... Come potrò tornare a vivere se ogni albero, ogni prato mi riporta alla mente i ricordi?- Il silenzio scende sulla camera ma lei non si stacca da me, rimanendo accoccolata contro il mio petto mentre le accarezzo i capelli, come quando era piccola.

I suoi respiri si fanno più profondi tanto da farmi credere che si sia addormentata; poi, ad un certo punto, la sua voce assonnata rompe la quiete: -Legolas, voglio imparare a combattere...- E cade in un sonno profondo. Per un attimo la guardo confuso, mentre, a fatica, cerco d'immaginare Melyanna, la mia dolce Melyanna, con indosso l'armatura e le armi imbracciate.

*

-Dovresti venire a riposarti, i giorni passati sono stati estenuanti.- Aragorn mi ha raggiunto nel prato vicino al padiglione in cui dormiremo. Mi volto verso il mio amico: il suo viso non è più cupo e sembra che il peso di innumerevoli fatiche e preoccupazioni abbia abbandonato le sue spalle forti; i capelli neri sono puliti e ordinati mentre addosso porta degli abiti elfici. Torno a guardare le chiome degli alberi per evitare il suo sguardo indagatore.

-Noi Elfi non abbiamo bisogno di dormire quanto voi, vi raggiungerò più tardi.- Il mio amico, insoddisfatto della risposta, si siede sul tappeto di foglie dorate.

-Sarai pure un Elfo, mellon, ma in quanto a bugie non sei mai riuscito ad ingannarmi.- ripete dopo essersi sdraiato al mio fianco. -So che qualcosa ti turba e lo fa dall'inizio del viaggio; perché non vuoi parlarmene?- Guardo stupefatto il mio amico specchiandomi nei suoi occhi azzurri e limpidi: ho cercato di tenere nascosto ogni mio sentimento e pensavo anche di esserci riuscito; ma Aragorn ha vissuto a stretto contatto con gli Elfi ed è molto più sensibile degli altri nel percepire le emozioni.

-Non c'è niente che non va.- Rispondo cercando di giustificarmi, ma la mia voce, diventata improvvisamente incerta, mi tradisce; lui non si scompone minimamente e torna a guardare gli alberi. Ho fatto di tutto per nascondere i miei sentimenti, usando anche la stessa freddezza di cui mi sono servito per convincere Melyanna a rimanere a casa; tutti mi hanno sempre visto come uno dei tanti Elfi, incapace di provare emozioni e per questo incapace anche di capirle, ma con Aragorn è sempre stato diverso: dopo così tanti anni passati insieme è impossibile non accorgersi dei dolori dell'altro, anche se ben celati. Nessuno, però, deve sapere cos'è successo prima della nostra partenza, neppure lui, il mio più caro amico: forse voglio solo lasciarmi tutto alle spalle, voglio poter terminare questa missione sapendo che lei si trova al sicuro tra i boschi di Gran Burrone e che, se accadesse il peggio, partirà per Aman dove potrà trovare qualcuno in grado di amarla come io non sono riuscito a fare. Di nuovo la vedo, con i suoi lunghi capelli color dell'oro, gli occhi come un cielo stellato pieni di vita, e sento il suo dolce profumo di miele, quella fragranza che sembrava solo un vago ricordo; ma stavolta non sono le mie braccia a stringerla e proteggerla, non sono le mie dita a carezzarle le guance, non sono le mie labbra a baciarle la fronte.

-Allora perché Melyanna non è venuta a salutarci alla nostra partenza?- Le chiome degli alberi si fanno più vaghe e sfumate mentre il cuore martella nel petto: vorrei poter piangere, urlare a tutti il mio dolore, ma continuo a ripetermi “Non qui, non adesso.”. Ho perso il conto, ormai, di tutte le volte che ho pensato e ripensato a quelle parole per non crollare. “Non puoi continuare a tenerti tutto questo dolore dentro, Legolas: neppure gli Elfi sono indistruttibili. Se continui così, arriverà un momento in cui non riuscirai più a sopportarlo.” Fu Aragorn a dirmi queste parole in una sera di uno dei tanti viaggi fatti insieme, una della tante volte in cui volevo allontanare il dolore. Sa benissimo che quel momento è arrivato e che non resisterò ancora a lungo al passato che per tanto tempo ho cercato di ignorare. Lascio andare un sospiro intriso di dolore.

-Ti prego Legolas, parla... Non posso continuare a vederti così. So che stai male per lei.- La sua voce è esasperata, quasi supplichevole.

Lascio che i ricordi s'impadroniscano della mia mente e con voce tremante e insicura comincio a parlare: -Non dimenticherò mai le lacrime che le hanno bagnato il viso, i suoi occhi mi tormentano ogni giorno, così belli da sembrare irreali. Lei mi ama, Aragorn.- Il mio amico sgrana gli occhi, sorpreso dalla mia affermazione.

-È sempre stata accanto a me e non mi sono mai accorto di niente... È stato Elrond a dirmelo e mi ha informato del fatto che volesse di partire insieme a noi; in parte il suo desiderio era dovuto alla mia presenza nella Compagnia e mi pregò di fare tutto il possibile per persuaderla a non seguirci. Non sapevo cosa fare, se confessarle tutto quello che mi avevano riferito o se pregarla di attendere il mio ritorno al sicuro, ma alla fine ho deciso di fare ciò che mi pareva più giusto, perché non permetterei mai che metta a rischio la sua vita, non di nuovo.- Continuo a parlare con le lacrime che lentamente mi rigano le guance, lacrime calde e amare che però non voglio fermare. Aragorn ascolta ogni singola parola, guardandomi con occhi sinceri e a tratti dispiaciuti.

-L'ho fatto per lei, Aragorn, per i suoi genitori, per Elrond... Ma le ho spezzato il cuore, l'ho delusa profondamente...- Sopraffatto dal dolore, mi siedo contro il tronco di un mellyrn e nascondo la testa tra le braccia; le mie mani stringono forti la stoffa dei vestiti mentre tutto il corpo trema.

Aragorn si mette di fianco a me e sento la sua mano ruvida e calda sulla mia spalla; quel gesto, seppur semplice, m'infonde sicurezza e, come se niente fosse successo, smetto di tremare. In un altra situazione probabilmente mi avrebbe dato torto e sarebbe iniziata una litigata, ma sa che adesso ho solo bisogno di qualcuno che mi dia sicurezza.

-Sei sicuro di non amarla?- Alzo la testa di scatto e fisso gli occhi in quelli azzurri del mio amico. Per un attimo miriadi di immagini dei momenti passati con Melyanna mi invadono la mente e il cuore sembra voler saltar fuori dal petto, ma un improvviso moto di rabbia scaccia via tutti questi pensieri. Mi alzo di scatto allontanando bruscamente la sua mano: -Ma come ti viene in mente?- Esclamo quasi indignato. -Io non merito il suo amore e non merito neanche di amarla! Se fosse stato come dici tu non mi sarebbe neanche passato di mente di farla soffrire in questo modo! Perché dici questo?- Nonostante gli stia urlando contro e lo stia trattando male, lui si avvicina e il suo sguardo è straordinariamente calmo e serio, nei suoi occhi si legge tutta la regalità della sua stirpe. Abbasso la testa come se fossi intimorito da lui.

-Guardami Legolas.- Di nuovo le sue mani afferrano le mie spalle, ma stavolta con maggior vigore; il corpo però ha ricominciato a tremare e, serrati i pugni lungo i fianchi, torno a fissarlo.

-Avresti mai avuto il coraggio di rivolgerle quelle parole, avresti mai rotto ogni legame con lei solo per proteggerla, avresti mai mentito a te stesso se tu non l'avessi amata?- Un fortissimo brivido percorre tutta la schiena, poi i muscoli si rilassano, schiudo i pugni e il corpo non freme più; di nuovo qualche lacrima mi bagna le guance, seguita da altre ed altre ancora, fino a che non mi lascio andare ad un abbraccio di Aragorn. Con le sue braccia robuste strette intorno alla schiena, piango ogni dolore che in questi anni ho cercato di ignorare: la morte di mia madre, la successiva freddezza di mio padre, tutte le battaglie e gli scontri in cui ho perso persone care e amici, lo sguardo di Melyanna vuoto e inespressivo.

Quando sento di essere sfinito, mi lascio condurre verso il mio giaciglio, e tra le voci tristi e delicate delle fanciulle mi lascio cullare da Estë, con un ultimo rassicurante ricordo del dolce sorriso di Melyanna.
 

***

1 Mellyrn: alberi dalla chioma dorata che crescono a Lothlórien.


ANGOLO AUTRICE: 
Eccomi di nuovo qua dopo tutto questo tempo di attesa. Sono stata in vacanza e al mio ritorno ho avuto un bel po' da fare con lezione ed altre faccende, ma meglio tardi che mai, giusto?
Il capitolo è per la seconda volta dal punto di vista di Legolas: nel flashback si capisce il motivo della partenza di Melyanna per Bosco Atro mentre dopo  viene centralizzato il rapporto di amicizia tra lui ed Aragorn. 
Spero che questo capitolo un po' più lungo vi sia piaciuto e vi invito a recensire anche per farmi presenti errori, dubbi, incoerenze... Qualsiasi cosa.
Tanti saluti a tutti
Diletta

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Capitolo 7
*** Ferite e Sofferenza ***


FERITE E SOFFERENZA

 

-Ehi! Puoi essere un po' più delicata? Ti ricordo che non è pelle di Orco quella che stai toccando!- Esclamo dopo l'ennesima fitta di dolore proveniente dalla schiena.

-Ed io ti ricordo che hai preso un bel colpo alla schiena e che devi rimetterti al più presto .- Risponde non smettendo però di “massaggiarmi” i muscoli doloranti con una miscela di erbe mediche e neve. -Devo metterci un po' di energia oppure dovremmo rimanere qui per qualche settimana. Hai sopportato molto più di un semplice mal di schiena.- Lascio andare la testa sulla coperta di lana che mi separa dal pavimento freddo della grotta: appena abbiamo trovato un rifugio abbastanza sicuro e nascosto, Melyanna ed io abbiamo acceso un piccolo fuoco e subito dopo si è messa ad armeggiare con delle erbe prese dalla sua bisaccia; poi mi ha intimato di togliermi la casacca e stendermi, cominciando così quella che, più che “cura”, io chiamerei “sfogo della rabbia”.

-Elrond in persona avrebbe fatto la stessa cosa, mellon (amico), quindi non lamentarti.- Sbuffo sonoramente guadagnandomi così una pacca sulla nuca; affondo il viso tra le braccia e sorrido leggermente, mentre le sue mani, solitamente delicate ma ora ben lontane dall'esserlo, indugiano e premono nei punti più dolorosi e contratti.

Da quando siamo arrivati Melyanna ha parlato pochissimo concentrandosi soltanto sul suo lavoro. Silenziosa, con lo sguardo corrucciato e a volte persino scontrosa: so benissimo che quando fa così è preoccupata ma non vuole darlo a vedere. Ormai ho perso il conto di tutte le volte che ci siamo salvati la vita a vicenda, ma mai come oggi il suo aiuto è stato tanto repentino: le dita massicce dell'orco si sono strette attorno al mio collo sottile, la vista si annebbiava sempre di più e il mondo cominciava a sfumare; sapevo perfettamente che quell'essere avrebbe fatto sì che morissi in modo lento e doloroso e stavo quasi per arrendermi al mio destino, quando il pensiero è andato a Melyanna: non potevo lasciarla sola dopo tutto quello che ha perso. D'istinto ho gridato, svuotando i polmoni della poca aria che vi era rimasta. Tutto è diventato buio e l'unica cosa che sono riuscito a vedere sono stati gli occhi di Melyanna infuocati dalla rabbia; d'un tratto la presa sul mio collo è svanita e con una caduta di schiena ho toccato di nuovo terra. Se in questa vita i Valar mi hanno fatto un dono, credo proprio che sia lei.

Le sue mani smettono di muoversi ma, con un dito, percorrono la cicatrice ancora ben visibile che parte dalla spalla destra per arrivare fino a mezza schiena.

-Dovresti ricordartela, non è di molto tempo fa.- Esordisco dopo dei lunghi minuti di silenzio; continua ad indugiare sulla ferita, probabilmente immersa nei ricordi.

-So perfettamente quando te la sei procurata e ti avrei volentieri strozzato quando riprendesti conoscenza.- Risponde leggermente seccata mentre si allontana da me e si siede vicino al fuoco.

-Quel giorno non sembravi della stessa opinione.- Di tutta risposta mi lancia la casacca in pieno viso. Mi rivesto lentamente per limitare al minimo il dolore ai muscoli ma continuando a guardare Melyanna che sistema le erbe nella sacca: sulla manica sinistra della sua veste c'è una chiazza scarlatta piuttosto grande che le arriva fino al gomito. Si è presa cura di me ignorando le sue ferite, ma adesso non sembra che abbia intenzione di medicarsi.

-Melyanna, la tua ferita?- Lei non mi guarda, ma riesco a vedere i suoi occhi persi nel passato; non è da lei trascurasi in questo modo. Recupero un paio di garze e, scostandole la camicia e la casacca, le bendo il braccio ferito: per qualche secondo mi guarda perplessa, poi si concentra di nuovo sulle fiamme danzanti del focolare.

-Ti ho quasi visto morire quel giorno e tutti quelli a seguire, finché non hai riaperto gli occhi.- La sua voce, seppur flebile, sovrasta il crepitio del legno e le sue mani sono strette attorno a qualcosa che però non riesco a vedere. -Ho passato ogni attimo accanto a te temendo che le mani di Mandos potessero portarti via all'improvviso e sapendo che tutto ciò era accaduto solo perché non sono rimasta vicina quella volta.- Le mie mani si fermano: davvero pensa che sia stata colpa sua? Non mi ha mai parlato di tutto quello che ha fatto e provato nei giorni in cui non avevo ancora preso conoscenza e ricordo poco di quelli successivi; ma uno degli sconnessi sprazzi di memoria che rimarrà sempre impresso nella mia mente è l'immagine del suo viso, stanco e segnato da dolore e sofferenza, e dei suoi occhi che, seppur solcati da profonde occhiaie, brillavano di una gioia pura e inaspettata.

-Non pensavo che tu avessi sofferto così tanto, non per me...- Chiudo il bendaggio e le risistemo i vestiti. -Mi dispiace di aver revocato questo dolore, ma non sentirti colpevole per qualcosa che non era in tuo poter impedire.- Le sue mani si stringono ancora di più attorno al misterioso oggetto.

-Se fossi morto, dalle Aule di Mandos non mi sarei pentito della mia scelta.- Melyanna si volta si scatto, confusa dalle mie parole: solo ora mi accorgo di non averle mai detto di come mi sono ferito quasi mortalmente.

-Ho scelto io di dividermi da te, ed ho anche disobbedito al nostro capitano seguendo un'altra truppa. Sono rimasto accanto a Legolas, sempre pronto a difenderlo: sapevo che, se non fosse sopravvissuto alla battaglia, il dolore ti avrebbe sopraffatto e non avresti saputo resistergli.- Mi sistemo accanto a lei, fissando lo sguardo tra i caldi colori del focolare; negli occhi della mia amica si dipingono un tripudio di emozioni: dolore, sorpresa, rabbia.

-Credi che non sarebbe successa la stessa cosa se fossi stato tu a morire?- Domanda con un tono lievemente alterato. -Sei il più grande amico che ho! Come puoi...-

-Ma tu lo ami Melyanna!- Il mio urlo riecheggia contro le pareti di roccia, e lei con una mano si asciuga il viso turbato. Mi maledico mentalmente per aver tirato in ballo non uno, ma due argomenti che la fanno soffrire: da quando siamo partiti da Tharbad non abbiamo più affrontato la storia di Legolas, ma il suo perenne dolore si è manifestato nel poco parlare e negli occhi spenti. Per un attimo sembra che le sue mani allentino la presa, ma poi se le porta al cuore, ancora chiuse a pugno, e si lascia sfuggire un sospiro carico di dolore. Il cuore mi si stringe nel petto e per poco non mi lascio andare anch'io a qualche lacrima, ma non è di questo che ha bisogno: lei adesso è piccola e fragile come un foglia che penzola da un ramo, devo aiutarla, darle sicurezza.

Appoggio una mano sulla sua guancia e le sistemo un ricciolo dorato dietro l'orecchio: quel gesto, delicato e semplice, le è sempre piaciuto e spesso le sue guance su sono arrossate sotto le mie dita, ma adesso la sua pelle è fredda nonostante il calore del fuoco.

-Questo non è amore... È solo un'infatuazione che ben presto svanirà...- Ripete quelle parole come se qualcuno le avesse pronunciate prima di lei, e qualche lacrima prende a scorrere liberamente sul suo viso. Con un braccio l'attiro a me stringendola contro il mio petto, mentre con l'altro le circondo la schiena tutta tremante.

-Perché dici questo, amica mia?- Lei non ricambia la stretta, tenendo ancora le dita serrate. -Perché stai alzando delle mura attorno al tuo cuore?- Premo la guancia contro i suoi capelli, lasciando che un'unica lacrima mi scenda lentamente sulla pelle; so che non devo, so che sbaglio a lasciarmi andare proprio adesso, ma davanti ad un'amica che rinnega i propri sentimenti e soffrire per questo non riesco a trattenermi.

-Sto solo cercando di proteggermi...- Le sue labbra si muovono contro il mio petto e la voce è più attenuata di quanto non sia già; le sciolgo la lunga treccia, passando le dita tra i capelli ormai di un colore indefinito tra il biondo e il castano, ma sempre lunghi e con grandi boccoli. Forse voglio solo tranquillizzarla, forse voglio solo che si lasci andare o soltanto sentirmi vicino a lei, ma non succede niente di tutto questo: continua a fremere percorsa da lunghi brividi ma lascia uscire solo qualche lacrima abilmente soppesata e, nonostante sia così vicina a me, il suo chiudersi in sè stessa la fa sentire più lontana di qualsiasi stella del firmamento.

Alza la testa, guardandomi con i suoi grandi occhi tristi, e finalmente mi mostra l'oggetto nascosto nel suo pugno: un piccolo ciondolo dorato a forma di stella brilla alle luce fiamme mandando ovunque i suoi riflessi.

-Perché l'hai tolta? Tu... Tu l'hai sempre indossata...- Quel gioiello è il suo tratto distintivo e non se n'è mai separata, né durante il bagno, né durante le battaglie: portandola con lei sentiva la presenza di Legolas come se fosse lì presente.

-Voglio e che tu la butti... Io non ci riesco... Ti prego, fallo per me...- Continua a fissarmi con lo guardo supplichevole, con le fredde gote bagnate dal pianto. Prendo in mano la collana, sfiorandone con le dita le forme semplici ma accurate, la minuscola runa e il piccolo diamante intagliato: è un oggetto tanto piccolo quanto grazioso e carico di ricordi, gettarlo sarebbe quasi come distruggere una parte di lei. Guardo il suo viso, poi il ciondolo, e poi nuovamente i suoi lineamenti delicati, indeciso se lasciare che dimentichi ogni cosa oppure incitarla a sperare.

-No.- Rispondo dopo lunghi secondi in cui solo lo scoppiettio della legna faceva rumore. -Non posso.- Ripongo il monile nel suo palmo bianco racchiudendolo tra le mie mani, nettamente più calde rispetto alle sue. Alla mia affermazione gli occhi le si fanno nuovamente lucidi.

-È troppo importante per te, te l'ha dato Legolas.-

-Proprio per questo voglio liberarmene: come posso dimenticarlo se qualcosa che ho perennemente intono al collo mi ricorda lui?- Sentendo la sua voce così supplichevole e vedendo i suoi occhi tanto disperati, un'altra fitta mi attraversa il petto.

-Posso tenerlo io se vuoi, ma gettarlo no. So che sembra impossibile ma... Il mio cuore mi dice che lo rincontreremo prima della fine, e se fai questa scelta la rimpiangerai per sempre. So che lo vorresti rivedere, almeno un'ultima volta.- Nonostante la situazione, un lieve sorriso sconsolato le increspa le labbra.

-Da quando hai iniziato a leggermi nella mente?-

-Non l'ho mai fatto, ho solo guardato i tuoi occhi.- I suoi occhi... Per quanto cercasse di celare i sentimenti a volte erano troppo forti perché non si manifestassero in quelle grandi iridi blu; il suo sguardo ha ospitato mille emozioni, dal timido sorriso nato grazie ad un complimento, al fuoco di rabbia nascosto in fondo al cuore che improvvisamente usciva ruggendo come un leone. 

Era abile nel nascondersi dietro una maschera di freddezza lasciando che gli altri ignorassero la sua storia e non si lasciava andare neanche con me, solo con Legolas lo faceva: lui le sussurrava qualcosa all'orecchio, la stringeva a se facendola sfogare e chiusa tra le sue braccia sembrava delicata come una farfalla, poi si allontanavano nel bosco lasciandosi, per poco tempo, tutto il mondo alle spalle. Non avevano bisogno di parlare, si capivano solamente guardandosi negli occhi. Sapevo che il passato incombeva su di lei, ossessivo e crudele, invadendola con troppi ricordi e dolore: di tutto questo allora sapevo veramente poco e rimanevo così nascosto a guardarli, sentendomi incredibilmente inutile e impotente.

C'erano poi quei momenti in cui i suoi occhi erano invasi da qualcosa di altrettanto profondo ma più scaltro e tagliente, nuove lacrime scorrevano sul suo viso, un dolore diverso oltre a quello delle perdite le lacerava il cuore: ma era sola, nascosta da qualche parte del regno intenta a svestirsi della sua fredda armatura e ignara della mia presenza. Ho capito allora per chi avrebbe sofferto per molti anni.

-Tienilo tu, allora... Non riesco più a portalo.- Lascia cadere il ciondolo tra le mie mani guardandolo per un'ultima volta con occhi carichi di memorie; voltandosi di nuovo verso il fuoco, mi lancia un chiaro messaggio di non voler parlare. Sospiro e mi allaccio la collana per non perderla e, forse un giorno, potergliela restituire.

*

I possenti ruggiti dell'enorme orso nero riempiono l'aria annunciando la fine della battaglia; il Mutatore di Pelle si piega prendendo tra le braccia il corpo inerme di Thorin Scudo di Quercia, portandolo via da questa distesa di morte. Non si sentono grida di giubilo o canti di vittoria, solo le urla straziate dei feriti e dei morenti, pianti di chi ha appena perso un amico se non sé stesso. La valle alle pendici di Erebor è intrisa del sangue di Elfi, Nani, Uomini ed Orchi, trafitti, mutilati o decapitati, ma tutti morti alla stessa maniera.

Una mano tremante afferra il mio stivale e il sangue mi si gela nelle vene: Magor, un mio compagno, è steso a terra e con una mano che cerca, inutilmente, di bloccare il copioso flusso di sangue che esce dallo stomaco; i suoi occhi scuri sono sbarrati e in preda al panico, il viso, un tempo candido, è macchiato dal nero sangue di Orco e dal suo che fuoriesce ad ogni colpo di tosse.

-Magor!- Mi abbasso su di lui, tirandogli su la testa e posando la mano sullo squarcio sanguinante: sento le viscere e la carne viva pulsare sotto le mie dita e trattengo a stento un conato di vomito. Il taglio è troppo grande per poter essere curato.

-Melyanna... Melya... nna...- Avvicina un palmo sporco alla mia guancia attraversata da un taglio, ma si ferma bruscamente a mezz'aria, cadendo poi sul ventre aperto; la luce se ne va dai suoi occhi. Il cuore sembra smettere di battere nel petto, lascio andare la sua testa sul terreno fangoso e barcollando mi rimetto in piedi. Quanti altri dei miei compagni sono morti? Quanti Elfi hanno perso la loro vita immortale?

Le battaglie non sono come ce le raccontavano da bambini e questo l'ho capito troppo presto, ancor prima di scendere in campo: non c'è gloria nel vedere morire i propri compagni, non c'è onore nel versare sangue, ogni guerriero è impotente davanti ad un'anima che lascia queste terre. Tutti coloro che sono morti hanno lasciato coloro che amavano promettendogli di tornare, ma chi sarà adesso ad asciugare le lacrime di quei bambini? Chi tenderà una mano a quelle mogli e madri distrutte? Chi darà conforto a quei padri tanto orgogliosi quanto fragili? Ovunque posi lo sguardo vedo le barbe strappate e imbrattate dei fieri Nani, occhi scuri e occhi chiari della mia gente fermi a guardare il vuoto, i volti degli Uomini deformati da smorfie di dolore e paura; tutti caduti per mano degli Orchi e dei Mannari. Per un attimo un barlume della rabbia che mi aveva abbandonato pochi minuti fa ritorna ad avvelenarmi il cuore, ma due pensieri improvvisi mi attraversano immobilizzando la mia mano già pronta sull'elsa della spada, due nomi troppo importanti per me: Aglar e Legolas.

Comincio a correre con il cuore in gola ed una nauseante sensazione di vuoto all'altezza dello stomaco; vado più veloce di quanto le mie poche energie rimaste e la gamba ferita possano permettermi. Ho perso di vista Legolas dal momento in cui è iniziata la battaglia, mentre Aglar è rimasto accanto a me per quasi tutto il tempo, fino a quando non è sparito nel nulla, lasciandomi a combattere da sola e con la paura sempre crescente; potrebbero essere tra tutti questi corpi riversi a terra senza vita, ma mi rifiuto di pensare agli occhi come il cielo di Legolas inespressivi e a quelli verdi di Aglar svuotati della loro allegria.

Scruto ogni singolo Elfo presente nel campo cercando disperatamente i loro sguardi, ma non li trovo; qualcuno mi riconosce e mi chiama, altri cercano di fermarmi, ma le loro voci mi giungono sempre più ovattate e soffocate dalle urla ed altri orribili suoni che mi rimbombano nella testa.

Due braccia forti mi bloccano facendomi quasi cadere, le dita chiare e sottili macchiate di sangue a stringere la mia armatura; mi volto per guardare in faccia chi mi ha fermato ed incontro gli occhi color ghiaccio di Thranduil, il suo volto più pallido del solito striato di sangue nero.

-Lasciami andare! Lasciami!- Nonostante la mia intenzione di urlare, la voce è così debole da morirmi in gola. Cerco di divincolarmi, ma lui non accenna a voler diminuire la presa, guadandomi tristemente.

-Devo trovarli... Devo trovare Legolas!- Al sentire il nome di suo figlio i suoi occhi si colmano di preoccupazione e socchiude le labbra. Approfitto di questo suo momento di debolezza per sfuggire da lui, correndo tra i cadaveri ed i guerrieri.

-Melyanna!- La sua voce profonda è sempre più vicina mentre continuo questa folle corsa con le membra tremanti, ma la ignoro, fino a quando le mie gambe non si fermano; il re sopraggiunge venendomi accanto, trattiene il respiro per ciò che presenta davanti a noi: Legolas è in piedi, su un lato della testa i suoi capelli chiari sono inzuppati di sangue che arriva a bagnargli anche la guancia, i vestiti sono sporchi e strappati, i suoi occhi sono sull'orlo del pianto poiché tiene tra le sue braccia affaticate il corpo di Aglar, la sua armatura spaccata in due e il capo riverso all'indietro, la chioma ramata infangata e sciupata in molti tratti.

Il cuore batte sempre più lentamente ma il sangue continua a fluire fuori dalle ferite, la testa gira e non riesco più a distinguere chi nella valle è morto oppure vivo; le gambe cedono definitivamente e cado tra le svelte braccia di Thranduil. Con gli occhi pesi ed umidi guardo quelli del re, ed una piccola goccia che sembra essere una lacrima scende sul suo viso.
 

Sento il sangue pulsarmi nell'orecchio mentre, con la testa premuta contro il cuscino, reprimo i singhiozzi e le lacrime; da fuori si possono solo sentire dei deboli sospiri, ma dentro di me infuria una tempesta, terribile e schiacciante, e non posso pensare ad altro se non ad Aglar e a quanto sembrasse fragile tra le braccia di Legolas. Non riuscivo a capire se fosse vivo oppure morto e tutt'ora non so niente di lui; quando mi sono risvegliata mi trovavo già qui, nella tenda del re, sotto numerose coperte, curata e pulita, mentre fuori ci sono guerrieri che lottano tra la vita e la morte. Continuo a torturare la mia mente provando a pensare a cosa sarebbe successo se non l'avessi perso di vista o se fossi stata lì a proteggerlo come ogni volta, immaginandomi il momento in cui la sua armatura si è spezzata in due sotto il colpo di chissà quale arma e rifiutandomi di credere ad una vita senza quei sorrisi allegri e beffardi, quegli occhi furbi e gentili, le risate, le prese di giro, ad una vita senza di lui. Affondo ancora di più il viso nel guanciale e mi stringo sotto le coperte isolandomi da dall'inverno, dalla guerra, dal dolore.

Il telo che chiude l'entrata lascia passare una folata di vento gelido che mi fa rabbrividire anche se circondata da tanta lana; un lieve fruscìo di vesti annuncia l'ingresso di qualcuno. Seguono altri rumori che non riesco a distinguere, poi delle dita fredde ma delicate si posano sulla mia guancia ferita.

-Auta i lóme... (La notte sta per finire...)- Quella voce, profonda e vellutata, può appartenere solo a Thranduil.

-No... Questa notte non finirà...- Gli occhi del re sono lucidi e velati di tristezza, più espressivi di quanto non siano mai stati. -Cos'è successo?- Lui sospira sedendosi sul letto , non staccando però la mano dal mio viso.

-Scudo di Quercia e i suoi eredi sono morti, Daín è il nuovo Re Sotto...-

-Voglio sapere cos'è successo ad Aglar.- Mi alzo a sedere sul giaciglio, fissando il mio sguardo nel suo; la gamba destra manda acute fitte di dolore ma le ignoro, resistendo ai tentativi del re di farmi stendere nuovamente.

-Melyanna...- Sospira sconsolato scuotendo la testa. -...Non sappiamo se sopravviverà.- Un forte colpo allo stomaco mi toglie il fiato -É stato ferito da un poderoso fendente che è penetrato a fondo nella carne. I guaritori sono riusciti a chiudere la ferita ma...- Altre lacrime stanno scorrendo lungo le mie guance. -... Ha perso molto sangue ed è ancora privo di sensi.- Ogni singola energia lascia il mio corpo così che quando lui mi stringe le spalle facendomi affondare nuovamente tra le coperte,  non oppongo resistenza. Per un tempo indefinito rimane accanto a me mentre mi accarezza i capelli, poi i lembi della porta si aprono di nuovo.

-Adar (Padre), siete atteso da Bard e Daín nella prima tenda dell'accampamento.- Le sue dita indugiano ancora sulla mia guancia per qualche secondo, poi si alza e, dopo aver indossato il mantello pesante, esce dalla tenda lasciandomi con Legolas. Subito occupa la stessa posizione del padre, ma mi permette di poggiare la testa sulle sue gambe.

-Perché tutti coloro che amo se ne vanno?- Legolas mi prende una mano nelle sue stringendola delicatamente.

-Se ci sono stati dati questi dolori, allora possiamo anche sconfiggerli, e tu sei molto forte, più di quanto credano tutti.-

-A cosa serve la forza quando non ti rimane più nulla per cui andare avanti? Per cosa si può combattere quando tutti se ne vanno?-

-Puoi combattere per chi ti ama.-
 

***



ANGOLO AUTRICE:
Prima di tutto mi scuso per il tremendo ritardo, ma con la scuola ho veramente pochissimo tempo per scrivere ed ho approfittato di queste poche ore libere.
Comunque... Questo capitolo è narrato dal punto di vista di Aglar, e quindi è una novità; essendo un personaggio molto importante volevo farlo interagire con Melyanna in maniera più profonda, quindi ho deciso di far vedere cosa ne pensa lui di tutta questa faccenda. Probabilmente ci saranno altri capitoli su di lui, ma non vi prometto niente. La seconda parte invece è di nuovo incentrata su Melyanna e viene spiegata l'origine della cicatrice di Aglar e anche soprattutto un punto fondamentale della loro amicizia; l'argomento della Battaglia delle Cinque Armate verrà poi approfondito anche dal dal punto di vista di Legolas.
Informazioni sull'età dei personaggi: durante la Guerra dell'Anello Melynna ha 713 anni mentre Legolas ne ha 3008 (non ho seguito quindi l'età che a grandi linee hanno usato nel film) ed Aglar invece ha aapena qualche anno in più di Melyanna; la protagonista riamne orfana a appena 300 anni (circa 12 per un umano secondo i miei calcoli) e partecipa alla battaglia di Erebor quando ne ha 636.
Fatemi sapere se questa novità vi è piacita e, come sempre, vi invito a recensire.
Diletta

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Capitolo 8
*** Niente è cambiato ***


NIENTE È CAMBIATO

 

Il prato è punteggiato da piccoli fiori dai curiosi petali blu e azzurri, ma gli stami sono sottili e dorati; ne colgo uno e lo tengo sulla mano aperta, sorprendendomi di quanto sia piccolo e fragile nel mio palmo. Tra le sue sfumature rivedo gli occhi di Melyanna, sfiorando la corolla liscia sembra quasi di carezzarle la pelle. Credendo di essere solo, comincio a cantare con voce sommessa:

 

I ngîl cennin erthiel
Ne menel aduial,
Ha glingant be vîr
Síliel moe.

 

(Ho visto una stella sorgere alta nel cielo della sera,
Appesa come un gioiello,
Brillare dolcemente.)

Ripeto quella piccola strofa per qualche minuto fino a quando qualcuno non m'interrompe.

-Chi è la fanciulla a cui pensi, mastro Elfo?- Mi volto e vedo la robusta figura di Gimli piazzata accanto a un albero: la barba e i capelli sono puliti e lasciati sciolti, la spessa cintura è libera dal peso della sua ascia e sotto le folte sopracciglia i suoi occhi castani mi scrutano. Stringo con delicatezza il fiore portandomelo al petto.

-Cosa ti fa pensare che stia pensando a qualcuno?- Rispondo cercando di nascondere ogni emozione.

-Oh andiamo, a chi vuoi darla a bere orecchie a punta?- Esclama venendomi incontro. -Voi Elfi sarete anche troppo melodrammatici, romantici, per un piccolo errore ne fate una tragedia, ma sai cosa ti dico? Se c'è una cosa in cui tutte le razze di questa terra si somigliano quello è l'amore.-

-No, lei è... È...- Un'amica? Una sorella? No, è molto, molto di più, ma nemmeno io voglio confessare l'evidenza; ciò che provavo quando la vedevo insieme ad Aglar non era semplice gelosia fraterna, perché quando mi stava molto vicino tremavo ed ogni volta che la guardavo il cuore impazziva. Ho sempre ignorato ogni cosa, credendo che innamorarmi di lei fossa une delle più remote possibilità; ma, sin dal momento in cui aprendo gli occhi mi ha guardato per la prima volta, ha piantato nel mio cuore un seme piccolissimo che con il tempo è cresciuto con radici sempre più grandi, sempre più fitte.

-I tuoi occhi non mentono anche se cerchi di nascondere tutto. Non capisco perchè voi Elfi siate così chiusi e cocciuti!-

-Questa non l'avevo mai sentita: un Nano che dà del caparbio ad un Elfo!- Ribatto sorridendo leggermente.

-Allora per dimostrare il contrario ammetti che ami questa fanciulla.- Conclude in tono risoluto; il sorriso se ne va dal mio sguardo, i suoi occhi che brillano per la vittoria.

-Io non... Ma perché sto parlando con te di queste cose?- Sbotto infine alzandomi in piedi.

-Aspetta Legolas!- Esclama all'improvviso; la sua voce, quasi esasperata, ferma i miei passi. -So che tra le nostre razze non corre buon sangue, che tuo padre ha imprigionato il mio e tutto il resto ma... Questa guerra riguarda tutti e se non mettiamo da parte questi vecchi rancori daremo solo vantaggio al Nemico.- Il suo viso diventa paonazzo. -Se non lo facciamo noi della Compagnia, chi altro potrà?-

Mi avvicino a lui, stupito da tali parole che mai ho sentito pronunciare da un Nano; lui mi guarda dal basso con i suoi scuri occhi piccoli e acuti, in attesa di una risposta. Ricordo benissimo i suoi antenati, i Durin tanto testardi che non demordevano neanche sotto minaccia di reclusione a vita, ma Gimli non è così: anche se nelle vene scorre in parte quel sangue, lui non è accecato né dall'opera delle sue mani né dall'odio, sa essere testardo più di tutti noi assieme ma con una buona dose di parole si lascia sempre convincere, e ha dimostrato di essere un ottimo compagno. Pensandoci bene, non è poi così male come Nano.

-Io... Io ti chiedo perdono.- Sussurro tenendo gli occhi bassi. -Mai ho udito parole tanto giuste né dalla mia gente né dalla tua. Sono stato irrispettoso nei tuoi confronti molte volte, ma non mi rendevo conto di ciò che dicevo.-

L'espressione di Gimli va dal dubbioso al sorpreso, poi il suo volto diventa così rosso da confondersi con la barba ed i capelli: -Beh... Ammetto che nemmeno io ho detto parole proprio... gentili verso te e tuo padre...- Risponde prendendo a sfregarsi le sue grandi e tozze mani.

-Ma non posso parlarti dei miei dolori.- Riprendo, voltandomi nuovamente.

-Perché no? Noi della Compagnia dovremmo aiutarci gli uni con gli altri e tu...-

-Tu non puoi capire! Noi Elfi amiamo una volta sola nella vita e molto...- Stavolta è lui ad interrompermi: comincia a battere le mani e a ridere con il suo fare chiassoso.

-Ma cosa stai facendo?- Domando mentre guardo perplesso la sua reazione.

-Lo hai ammesso! Ami quella fanciulla!- Riprende a sghignazzare sotto i baffi. Rimango immobile e sento le mie guance prendere fuoco.

-No! Gimli... Hai capito male...- Ma ogni scusa è vana, anche se il Nano smette di ridere per un momento.

-Fidati mastro Elfo, riconosco un innamorato quando lo vedo. Ma guardati! Sei più rosso di un rubino appena estratto, e che mi caschi la barba se i tuoi occhi non brillano quando parliamo di lei! Caro mio orecchie a punta, sei proprio cotto a puntino.-

Cerco di ribattere, ma dalla mia bocca non esce alcun suono, perché tutto quello che ha detto è maledettamente vero: in molti hanno avuto sospetti su questa cosa, Aragorn, Arwen, Elrond perfino, ma ho sempre negato tutto anche a me stesso; ed ora lui, un Nano, l'ultima persona con cui avrei mai pensato di parlare, viene a fare chiarezza nel mio cuore con i suoi modi rudi e inusuali.

-Lei è molto più giovane di me, è appena entrata nell'età adulta.-

-Tra noi Nani capita spesso che ci siano queste differenze, e poi voi avete tutta l'eternità davanti.-

-È troppo complicato da spiegare...- Rispondo cercando di evitare altre domande; Gimli però estrae la sua pipa da una tasca della tunica e la riempie di tabacco:- Se è per questo, abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Allora, chi è la fortunata?-

*
 

-Principe Legolas!- Il giovane corre verso di me e s'inchina frettolosamente; i suoi occhi color ambra sono oscurati da un velo di preoccupazione.

-Che succede Taras?-

-Melyanna... Non la vedo da quando è iniziata la battaglia. Voi... Voi l'avete vista?- Il suo tentativo di celare l'agitazione è tradito dalla voce improvvisamente vacillante.

-Sta' tranquillo, è viva e non ha riportato grandi ferite.- Il viso gli si illumina all'istante: quando Melyanna è arrivata a Bosco Atro ha avuto difficoltà ad integrarsi con gli abitanti a causa delle sue caratteristiche così diverse dalle loro; con il passare del tempo però in molti, soprattutto tra gli Elfi, hanno cominciato ad apprezzare quei capelli dorati e quegli occhi blu, un po' troppo per i miei gusti. Lei non se ne è mai accorta, ma quando non vede viene seguita da molti sguardi.

Poi vengo allarmato da un brutto presentimento: -Non l'hai vista neanche al recupero dei caduti?-

-No, mio signore, nemmeno al conteggio delle truppe.-

-Per tutti i santi Valar!- Esclamo guadagnandomi un'occhiata sorpresa da parte di Taras. -Ma questa è diserzione!- L'ordine del codice militare parla chiaro: chiunque sia in grado di trasportare carichi e non è richiesto altrove, deve obbligatoriamente recarsi sul campo, dopo un giorno dalla fine della battaglia, per recuperare i corpi dei propri compagni caduti per onorarli con una degna sepoltura. Ci sono pene severe per chi non la rispetta.

-Sei andato a cercarla?-

-Sì- Riprende il giovane -L'ho cercata ovunque, anche nella sua tenda, ma non c'era.-

Non ha mai disobbedito agli ordini e mai lo avrebbe fatto, a meno che non sia stata una cosa molto importante per lei. E d'improvviso capisco tutto: -Hai provato nelle tende dei guaritori?-

-Sì, ma non mi hanno lasciato entr- Mio signore!- Comincio a correre mentre Taras mi viene dietro e cerca di fermarmi, ma non lo ascolto e continuo a cercare il grande padiglione dell'infermeria. Il giovane mi raggiunge, più affaticato di me: -Mio principe, non la lasceranno mai entrare...-

-Andiamo Taras! Sono il figlio del re!-

Attraversiamo tutto l'accampamento quando arriviamo davanti alle grandi tende bianche e, prima che Taras possa trattenermi, entro dentro: ovunque io guardi ci sono feriti e feriti disposti su numerose brande, hanno tagli sul viso o su tutto il corpo, alcuni sono mutilati o ricoperti da fasciature candide; c'è chi urla, chi piange, chi si dimena e i guaritori vanno in tutte le direzioni medicando, pulendo, disinfettando.

-Mio principe- Un Elfo alto e con i capelli raccolti mi viene in contro. -Mi dispiace ma devo chiedervi di lasciare la tenda: c'è un ordine preciso e voi non ne siete esclusi.- In qualche modo, sono intimorito dai suoi occhi bruni: è più alto e possente di me e riesco a scorgere, sulla pelle lasciata scoperta dalla tunica bianca, alcune lievi cicatrici. Forse un tempo è stato un guerriero.

-Uno dei miei soldati ha disertato un ordine e sono venuto qui per portarla davanti al re.- Rispondo, servendomi di tutta l'autorità che possiedo.

-Qui ci siamo solo noi ed i feriti, state solo perdendo tempo.-

-No, mastro guaritore, so che lei è qui. Forse l'avete scambiata per una di voi perchè anche lei pratica quest'arte: è giovane e non molto alta, con lunghi capelli biondi e occhi blu. Non può sbagliarsi.- Lui mi guarda ancora perplesso, e sta per andarsene quando una voce delicata lo ferma.

-Mio signore, io l'ho fatta entrare.- Una guaritrice piuttosto minuta si avvicina a noi. -Ha chiesto di Aglar ed io l'ho portata da lui.- L'elfo le rivolge un lunga occhiata penetrante, poi mi dice di seguirlo e c'incamminiamo in mezzo ai feriti.

Quando riconosco Aglar, il cuore perde un battito: è steso a pancia in giù e con la schiena lasciata scoperta, la ferita risalta sulla sua pelle più pallida che mai, gli occhi immobili, le labbra hanno perso il loro tipico sorriso. Ma non riesco a vedere Melyanna.

-Non è qui, come vedete.- Esordisce il guaritore. -Adesso dovete uscire.- Rimango però a guardare il corpo inerme di Aglar e ripenso al suo coraggio, alla sua determinazione nel combattere per proteggermi, al suo grido agghiacciante quando l'ascia di un Orco gli ha spaccato l'armatura.

-Mio signore...- All'improvviso la voce del guaritore si blocca; alzo gli occhi dalla branda per incrociare quelli di lei, del colore di una notte tempestosa e cerchiati da profonde occhiaie, specchi di dolore e spavento.

-Cosa ci fai qui?- La mia voce è dura e lei sussulta, lasciando cadere le bende che aveva in mano. Non risponde, continuando a rimanere troppo distante da me, come se mi temesse.

-Mio principe, conosco le sue capacità curative e le ho dato lavoro.- Un Elfo, più anziano del primo, si avvicina a noi: -Porta con lei le conoscenze mediche di Gran Burrone e grazie ad esse ha salvato molte vite: ha lavorato ininterrottamente per tre giorni.- Le rivolgo uno sguardo severo facendole abbassare la testa, ma nonostante tutto ammiro il suo gesto.

-Aveva degli ordini ben precisi e non li ha rispettati. Deve seguirmi.- Lei guarda prima tutti noi, poi si ferma su Aglar e gli occhi le si fanno lucidi.

Il tragitto per arrivare alla sua tenda è silenzioso, nessuno si azzarda a parlare e non ci guardiamo negli occhi.

-Cosa pensavi di fare?- Esclamo poco dopo che siamo entrati. -Ti rendi conto della gravità della cosa?- Rimane sulla sua branda, in silenzio, con le mani che torturano un lembo della veste bianca.

-Melyanna ascoltami.- Volta la testa lentamente e mi guarda con i suoi occhi di tempesta. -Perchè hai disobbedito agli ordini?-

-Quei soldati sarebbero morti se non ci fossi stata io.-

-Non hai risposto alla mia domanda.- Continuo alzando la voce. Di nuovo silenzio. Si alza zoppicando e noto che sulla tunica, all'altezza della gamba sinistra, ci sono diverse macchie di sangue. È già pronta con ago e filo quando glieli prendo di mano. Dopo che si è seduta di nuovo sulla branda le libero la coscia dalle bende insanguinate e scopro che sono saltati quasi tutti i punti di sutura.

-Non hai nemmeno cambiato le fasciature.- La rimprovero mentre ricucio il taglio.

-Era più urgente che curassi quegli uomini, il mio è un problema minore.-

Mentre le sistemo la benda le mie dita prendono a scorrere sulla sua pelle diventata improvvisamente calda, più liscia e morbida di un petalo di rosa; accarezzo le sue gambe perfette e trema, fremo nel toccare le sue carni ormai bollenti e il cuore sembra impazzire, ma alzati gli occhi sul suo viso, tutto svanisce: la vedo di nuovo bambina, con grandi occhi lucidi e blu e le guance arrossate, lo sguardo confuso, il petto che si alza e si abbassa velocemente. Finisco di medicare e mi allontano da lei, turbato da questi sentimenti che mai ho provato nei suoi confronti: la sua è una bellezza ritenuta rara nel nostro regno, e la sua indole da guerriera la rende più attraente agli occhi degli Elfi. Per quanto io possa pensare le stesse cose non sono mai arrivato a desiderarla; eppure, con la sua pelle nuda sotto le dita, il mio cuore è cambiato.

-Sono andata lì per Aglar.- La voce di Melyanna è titubante; le do le spalle e appoggio le braccia sul piccolo tavolo, mentre, con una mano nei capelli, sfioro la ferita da poco rimarginata per ignorare qualcosa di strano che mi si agita nel petto.

-Se dovesse morire io non lo sopporterei.- La sensazione si fa sempre più forte e bruciante e premo le dita contro il taglio; sembra quasi che io sia... Geloso.

-È troppo importante per me.- Lascio cadere bruscamente le mani stringendole forte ai bordi del tavolo.

-Lo ami?- Nessuna risposta.

-Lo ami?- Chiedo più insistentemente; rivedo Melyanna che sorride ad Aglar, i loro movimenti coordinati e affiatati, le loro risate, gli occhi che brillano, i gesti, le carezze.

-Perché mi chiedi questo?- Mi volto verso di lei e perdo il controllo.

-Perché ho visto come vi guardate e cosa fate! Quegli sguardi non li rivolgi a tutti! Tu lo ami, e quello che hai fatto ne è la prova!- Sento il viso andare in fiamme e gli occhi farsi pesanti, ma lei mi riporta alla realtà perchè sul suo volto è dipinta l'espressione più delusa che abbia mai visto.

-Dici di conoscermi meglio di chiunque altro e poi pensi questo di me?- Tutta la rabbia mi abbandona e, assalito dai sensi di colpa per quello che le ho fatto, mi siedo accanto a lei.

-Perdonami, sono molto stanco e non ero in me.- Con mia grande sorpresa appoggia la testa alla mia spalla e mi stringe il braccio.

-Anch'io devo chiederti scusa- Riprende con voce stanca. -Anche se questo non sminuisce la mia diserzione.-

-Riferirò tutto a mio padre, anche delle vite che hai salvato, ma a questo penseremo domani. Ora devi riposati.- Si rannicchia sul lettuccio e la copro con una coperta pesante, ma, appena mi allontano da lei, mi afferra una mano.

-Legolas... Legolas rimani. Non riesco a dormire da giorni, sogno ogni notte la battaglia.- Guardo i suoi occhi spaventati e non riesco a resistergli. E così, dopo tanto tempo, passo di nuovo la notte accanto a lei, senza coperta perchè l'ha presa tutta per sé, con le sue mani ed il suo viso poggiate sul mio petto; al collo porta ancora la collana che le ho regalato. È bello sapere che, nonostante tutti questi anni, niente è cambiato.
 

***



ANGOLO AUTRICE:
Eccomi, come sempre, in ritardo, ma vi prego... perdonatemi. Nonostante ci abbia messo tanto, mi sono divertita un mondo a scrivere questo capitolo, soprattutto le scene con Gimli e Legolas  ahahahahahah. Mi piace pensare ad un Gimli come "consulente d'amore", tuttavia neanche un Legolas geloso non mi dispiace; l'ho reso un po' cattivello, lo so, ma ci stava.
Nel prommissimo capitolo se ne vedranno delle belle, ma non voglio dirvi altro. Spero che questo vi sia piaciuto, fatemelo spere nelle recensioni oppure correggete qualche mio errore.
Un bacio 
Diletta.

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Capitolo 9
*** Incontri ***


 

INCONTRI

 

Non possiamo più rimanere in questa grotta ormai: le provviste cominciano a scarseggiare e non possiamo accendere il fuoco perchè abbiamo finito qualsiasi tipo di combustibile ; siamo Elfi, sì, ma questo freddo pungente colpisce anche noi. Decidiamo di partire la mattina del settimo giorno, sfidando tutti i possibili pericoli che offre la vicinanza alle montagne. Procediamo a piedi conducendo a mano i cavalli, poiché dobbiamo eliminare le loro impronte sulla neve, dirigendoci verso sud-ovest.

Nei pressi dell'Antica Via Sud1 il terreno non è più ricoperto di neve e la vegetazione è composta solamente da qualche ciuffo d'erba secca sulla terra brulla; il clima è nettamente più caldo rispetto a quello sulle montagne. Montiamo a cavallo e osserviamo con attenzione il paesaggio davanti a noi: scorgiamo le scure acque del fiume Isen2, avvelenate da chissà quale maleficio, e le ultime vette delle Montagne Nebbiose3, ma per il resto tutto sembra desolato.

-C'è fumo a est!- Esclama Aglar indicando un punto nei monti in cui dovrebbe trovarsi Isengard. Aguzzo la vista e noto che un scia di fumo nero si sta alzando verso il cielo.

-Quali diavolerie sta mettendo in atto Saruman...- Sussurro a denti stretti.

-Gandalf ci aveva avvertiti del tradimento dello Stregone Bianco: sta creando nuove macchine da guerra e incrocia Orchi, Goblin e Uomini per generarne una più resistente e spietata, e per fare tutto questo distrugge pian piano la foresta di Fangorn.-

-Avremmo difficoltà a passare la Breccia di Rohan4, se è vero quello che dici.-

Cavalchiamo per una giornata fino a quando non ci fermiamo vicino ad un insenatura del fiume Isen molto, forse troppo, vicina ad Isengard. Davanti a noi piccoli isolotti ricoperti da ciuffi d'erba sono perennemente bagnati dalle onde del canale: i Guadi dell'Isen5. Immergo una mano nell'acqua torbida e scopro che ciò che la rovina non è semplice fango, ma una strana poltiglia nera.
La notte è già scesa su di noi, ma, in questo angolo di cielo, non brilla neanche una stella.

Io e Aglar ci nascondiamo in un'insenatura tra le rocce, stando ben attenti che i cavalli non facciano rumore e stringendo la spada, pronti per ogni evenienza. Aglar, seduto vicino a me, ha lo sguardo perso nel firmamento buio; però, appesa al suo collo, brilla una stella. “Sono qui” Sembra dirmi “Anche se ogni luce si spegne, io rimarrò con te.” La voce di Legolas nella mia testa è dolce e rassicurante, ma allo stesso tempo risuona falsa e insidiosa, capace di ammaliare ogni singolo senso. Eppure, nonostante tutto quello che è successo, sento la mancanza dei suoi sorrisi, della piacevole sensazione delle suo tocco sulla pelle, il limpido colore dei suoi occhi... Tutti questi ricordi sono deturpati da uno sguardo freddo, da una voce assente, da parole taglienti.

-Una notte senza stelle non è una notte.- Aglar interrompe i miei pensieri parlandomi nella mente.

-Siamo sopravvissuti a notti di sangue, possiamo farlo anche con questa.- Rispondo, intuendo che sotto questa semplice affermazione ci sia qualcosa di più.

-Ho sempre amato le stelle, e la loro assenza mi rattrista, soprattutto dopo che...- S'interrompe bruscamente, ma riesco ad intuire le successive parole.

-... Dopo che le hai guardate insieme a Lingwe.- Il mio amico arrossisce violentemente e sgrana gli occhi, stupito dalla mia affermazione. -E scommetto che non le hai detto niente di quello che provi.- Sorrido leggermente, divertita dalla sua espressione. -Ti leggo negli occhi, amico mio, come fai tu.-

Aglar si rilassa un po', ma continua a stringere l'elsa della spada: -Era così bella sotto la luce della luna- Riprende a parlare con voce sognante -I suoi occhi brillavano, la sua pelle risplendeva... Mi sembrava impossibile che avesse accettato il mio invito; forse l'avrà fatto per compassione, ero solo guarito da qualche giorno, ma insieme a lei ogni dolore pareva vano. Io la amo ma sono soltanto un Silvano, non penso che sia l'amore che si merita.- Sospira e il suo sguardo si rabbuia. Se l'amore di un Silvano non vale quello di un nobile minore, figuriamoci quello di un principe; anche se il mio sangue è per metà quello di un Galadhrim6, è comunque in tutto e per tutto sangue Silvano. Se Legolas ricambiasse, non ci sarebbe permesso di amarci.

-Sai, non guardo le stelle insieme a Legolas da più di trecento anni.-

-Seriamente?-

-Sì... In effetti, è da più di trecento anni che non le guardo con nessuno da quando... Da quando è morto mio padre...- La mia voce vacilla appena nell'accennare quell'episodio; Aglar prova a dire qualcosa ma subito s'interrompe. -L'ho fatto anche con altri, ma era soprattutto una cosa speciale tra noi due: mi raccontava innumerevoli storie sugli astri, sul cielo... Mi manca tutto questo.- Ricordo l'espressione divertita e fiera sul suo volto quando, per la prima volta, gli chiesi di parlami di Eärendil7 invece delle fiabe sulle principesse elfiche; la sua voce profonda ma melodiosa é impressa a fuoco nella mia mente, impossibile da dimenticare. Da quando se n'è andato, non ho più voluto mirare le stelle con qualcuno, sebbene mi sia stato richiesto più volte: il cielo notturno è diventato il mio rifugio, il solo e silenzioso testimone di un dolore troppo profondo per essere espresso.

-Adesso che siamo solo noi due il cielo è buio.- Riprendo dopo una riflessione silenziosa.

-Almeno manterrai invariata la tua collezione di “rifiuti di inviti a veder le stelle”.- Un tempo avrei riso della sua battuta, ma tutto ciò che è successo sta congelando il mio cuore; persino al pensiero della morte dei miei genitori non riesco a piangere. La freddezza per i ricordi è solo il primo passo verso la lunga e lenta apatia per ogni emozione.

*

Il portone d'ingresso cigola leggermente e si chiude facendo pochissimo rumore; i passi percorrono il corridoio fermandosi davanti alla porta della mia stanza. Mi avvalgo di tutte le mie capacità recitative per simulare una dormita più che credibile, e ci riesco, perché sento di nuovo camminare. Quando sono abbastanza lontani, decido di alzarmi dal letto e di scoprire se quei passi appartengono a mio padre; infatti, nascosta dietro ad una colonna, lo vedo entrare nella sua camera, dove Nana sta già dormendo. Poi percepisco delle voci sommesse e mi acquatto dietro l'uscio per sentire e vedere meglio.

-Ti ho svegliata?- Riesco a vedere le mani di Ada mentre accarezzano delicatamente i capelli di Nana che, ormai sveglia, si è seduta sul letto.

-No, ti stavo aspettando...- Posa una mano sulle sue e il suo sguardo esprime una muta domanda: “Dovrai partire?”.

Lui rimane silenzioso per qualche secondo, poi le afferra il viso e se lo porta al petto, abbraccia il suo corpo delicato e, affondando la testa nei suoi capelli dorati, per la prima volta lo sento piangere. Il cuore perde un battito. Mi lascio scivolare lungo il muro e premo una mano sulla bocca per reprimere i singhiozzi. Ada dovrà partire, e i nemici che affronterà sono forti e numerosi: c'è la possibilità che non torni.

-Brethil... Brethil...- Sussurra Nana tra le lacrime, lacrime che prendono a scorrere anche sulle mie guance.

-Imladris è in pericolo, voi siete in pericolo. Elrond ha bisogno di me, sono uno dei suoi migliori guerrieri.- Riprende Ada, lasciando che Nana gli accarezzi il viso.

-Ma anche noi abbiamo bisogno di te...- Ada si china su di lei e posa un bacio umido di pianto sulle sue labbra. Le braccia e la schiena forti che tremano, gli occhi gonfi e bagnati, la voce vacillante: non l'ho mai visto così nudo.

-Indil...- Sussurra sulla sua bocca.

-Melyanna dorme?- Ada annuisce e torna a baciarla con più passione, facendo scorrere sulle sue mani sui suoi fianchi e slacciandole la veste; in pochi secondi lei gli toglie la casacca e accarezza i suoi muscoli tesi. So cosa stanno facendo, Nana me lo ha spiegato quando sono diventata una donna: il loro è il gesto più bello e puro dell'amore, e per questo non non sono turbata. I loro movimenti sono lenti, intrisi di dolore e promesse troppo illusorie per poter essere espresse.

Mi allontano dalla porta lasciando che si amino tanto profondamente, forse, per l'ultima volta; sdraiata sul letto, sento il suono dei loro baci, i loro sospiri e le loro parole. Per la prima volta scopro cosa siano la paura e la solitudine, e piango in silenzio, da sola.

*

La notte del trentunesimo giorno dalla nostra partenza da Gran Burrone, avvistiamo un gruppo di Uomini a cavallo si dirige verso il luogo in cui siamo accampati: nonostante siano a qualche ora da noi, riusciamo a contarne circa cinquecento: tutti sono molto alti, possenti e chiari di capelli, i loro destrieri sono fieri ed impetuosi, portano armature dall'aspetto pesante, come le loro armi, ornate di verde e oro e sugli scudi risplendono cavalli bianchi. Sono senza dubbio cavalieri di Rohan. Gli Orchi non li hanno ancora avvistati né si preoccupano di eventuali attacchi: si ritengono troppo temuti per essere messi alle strette. D'altro canto io e Aglar ci prepariamo a partire, poiché l'imminente scontro potrebbe servire da diversivo per la nostra fuga.

Le compagnie si avvicinano sempre di più ad ogni secondo che passa: dapprima percepiamo leggerissimi scalpicci di zoccoli, poi tonfi pesanti sul terreno e, infine, il trambusto della terra percossa dai cavalli. Mi sporgo appena oltre la parete rocciosa che ci protegge e vedo che i soldati si sono fermati ai Guadi, poi il capitano e un centinaio uomini si dirigono dell'altra parte. Gli Orchi, però, sembrano essere scomparsi. I guerrieri più giovani si guardano intorno spaventati, ma il capitano è fiero e risoluto, segno che ha combattuto contro molti nemici.

In sella ai nostri cavalli, io ed Aglar ci copriamo il volto con il cappuccio e incocchiamo le frecce, sperando di passare inosservati; c'è un silenzio quasi opprimente, e per esperienza so che non accadrà nulla di buono.

D'improvviso il sibilare di una freccia, poi un guerriero cade da cavallo: la battaglia ha inizio. Partiamo al galoppo, approfittando del tumulto iniziale, e subito raggiungiamo l'altra sponda; ma prima di oltrepassarla mi giungono alle orecchie grida orribili e trionfanti di molti Orchi. Mi volto e noto con orrore che i soldati di Isengard sono quasi il doppio di quelli di Rohan: nonostante ci siano molti arcieri tra loro, gli Uomini non riescono a respingere il nemico e il capitano ordina la ritirata. Aglar, intanto, ha già raggiunto la terraferma e mi guarda con fare interrogativo: si aspetta che io lo raggiunga. Quegli Uomini stanno morendo, ed io non ho forse intrapreso questo viaggio per fare la mia parte nella Guerra?

Mi volto completamente e scocco una freccia che colpisce l'occhio di un Orco; sprono il cavallo, diretta al centro del conflitto. Dietro di me il mio compagno lancia altri darti, come se mi avesse letto nel pensiero, e ognuno di essi abbatte un nemico. I cavalieri di Rohan, intanto, si sono accorti della nostra presenza e, soprattutto i più giovani, prendono a combattere con più forza e audacia. Ma la volontà e il coraggio non bastano quando i nemici sono così tanti: ben presto le compagnie sono costrette a dividersi e, mentre la maggior parte degli Uomini si sposta sulla riva orientale, altri si posizionano su quella occidentale mentre il capitano e qualche compagnia rimangono al centro del fiume, fulcro della battaglia.

Le mie frecce sono finite e, lasciato andare il cavallo, impugno la spada; insieme ad Aglar, raggiungo il capitano; dapprima ci rivolge occhiate diffidenti, ma quando vede che gli Orchi e i Mannari cadono sotto i nostri fendenti, sembra più che lieto della nostra presenza.

Il tempo passa, e le speranze di vittoria diminuiscono ad ogni secondo: sempre più Uomini giacciono morti nell'acqua. Le parole di Aglar sono vere: questi non sono Orchi normali, sono più robusti e resistenti, come gli esploratori che ci hanno attaccato nel Dunland e, anche se dalla nostra parte abbiamo l'agilità, i loro colpi sono pesanti ma veloci.

Mi volto un attimo verso est e quasi la spada scivola dalle mie mani per l'orrore: a terra, nel fango, ci sono innumerevoli corpi di soldati e cavalli, gli Orchi che ne mutilano le carni e l'acqua che si mescola al loro sangue.

-Glamhoth anglennar! (Stanno arrivando!)- Grido istintivamente nella mia lingua, ma il suono della mia voce basta a far voltare gli altri verso il pericolo. Le compagnie della sponda occidentale ci raggiungono per un ultimo, disperato attacco. Mentre corro verso lo scontro frontale sono tentata di fuggire, di salvarmi invece di morire in una battaglia che non mi appartiene, ma poi vedo accanto a me guerrieri feriti e mutilati e nonostante tutto nei loro occhi arde la voglia di combattere: abbandonarli sarebbe come tradirli.

Stringo l'impugnatura talmente forte da farmi male e, quando un Mannaro mi si para davanti, affondo la lama nel suo collo lanciando un urlo quasi animalesco. La paura che provavo fino a qualche secondo fa svanisce completamente e una rabbia bellicosa prende il suo posto: ogni mio colpo ferisce e uccide, continuo a mulinare la spada ignorando le ferite e la stanchezza.

Gli Orchi ci stanno accerchiando, ormai sembra che la fine sia giunta ed io maledico la mia stupida impulsività; non so dove sia Aglar, ma il pensiero che si trovi tra i caduti non mi passa nemmeno per la mente. D'improvviso si sente il suono possente di un corno e altre compagnie di soldati sembrano apparire dal nulla; gli Orchi, vedendo che adesso sono in netta inferiorità, fuggono verso Isengard, senza un briciolo d'onore.

-Non dico che dobbiamo farne un consiglio, ma magari potresti rendermi partecipe delle tue intenzioni la prossima volta?- Aglar mi si piazza davanti, i capelli arruffati, il viso sporco e una ferita lieve sul braccio, ma vivo. In altre occasioni lo avrei abbracciato per la contentezza di vederlo salvo, ma stavolta mi limito ad abbassare lo sguardo. Prima che possa trovare una valida risposta al mio gesto, il capitano delle compagnie ci raggiunge. Per un attimo mi guarda con stupore, poi comincia a parlare: -Sono Elfhelm, Maresciallo del Mark. I soldati mi hanno detto che il vostro intervento è stato fondamentale oggi, anche se purtroppo i nemici erano molto più numerosi. Chi siete, dunque, e da dove venite?-

-Il mio nome è Aglar figlio di Tarcil, e lei è Melyanna, figlia di Brethil.- Risponde prontamente il mio amico. -Veniamo da Gran Burrone e viaggiamo in direzione di Minas Tirith.-

-Non si vedono molti viaggiatori di questi tempi- Riprende Elfhelm -Ma credo di aver capito che siete dalla nostra parte. Se volete, possiamo ospitarvi a palazzo, perché possiate riposare prima di riprendere il viaggio.-p

Sto per rispondere affermativamente ma Aglar mi scocca un'occhiata che dice tutto: -Io e la mia compagna ne parleremo e vi faremo sapere, Mio Signore. Intanto potremmo accompagnarvi, siamo di strada.- Il capitano annuisce con la testa.

-Cos'è accaduto, Mio Signore?- Domando nel momento in cui Elfhelm sta per andarsene. -Perché il vostro capitano aveva deciso di attaccare gli Orchi proprio in questo punto?-

-Da sempre i Guadi dell'Isen sono stati un punto fondamentale della difesa di Rohan e da tempo Théodred, il figlio del re, voleva renderli sicuri. Purtroppo...- Lo sguardo del possente capitano si rabbuia -Il principe è morto, Mia Signora.-

*

Alla fine, io ed Aglar abbiamo deciso di restare per qualche giorno a Edoras8, poiché avevamo bisogno di riposo dopo un mese di viaggio. Ma la situazione al Palazzo d'Oro non è delle migliori: il re Théoden sembra succube di qualche maleficio, e non di una malattia come dicono i domestici. Pare molto più vecchio di quanto non sia e se ne sta trasandato e stanco tutto il giorno seduto sul trono, in balìa dei “consigli” di Grima, detto Vermilinguo, il che dice tutto sul suo conto. A Medusel9 ho però potuto curare meglio le mie ferite e quelle di Aglar, fare finalmente un bagno che si rispetti dopo così tanti giorni e riposare il fisico e la mente.

Ho conosciuto Éowyn, la principessa e nipote del re, e subito mi è sembrata una fanciulla triste e chiusa in se stessa, ma gli altri la considerano fredda; la morte del cugino l'ha scossa profondamente, più di quanto non lasci intravedere. La notte del mio arrivo passavo per caso davanti alle sue stanze e l'ho sentita piangere; sono entrata senza chiedere il permesso ma a lei non è dispiaciuto, perché si è stretta a me e ha pianto per tutta la notte. Solo in quel momento ho capito quanto fosse veramente sola. Da quando sono arrivata cerco di rendermi utile e, dato che non posso unirmi alle compagnie dei soldati, aiuto come posso, soprattutto occupandomi degli animali e della salute delle persone.

Sono nella stalla insieme a Éowyn e stiamo pulendo i cavalli: Ilyalisse, la mia cavalla, nitrisce con gioia ogni volta che passo la spazzola sul suo pelo. La principessa, accanto a me, sta fissando il pugnale che porto alla cintura.

-Chi ti ha regalato quel pugnale?- Domanda dopo un po'. Estraggo la lama dal fodero e gliela mostro: i suoi occhi azzurri percorrono minuziosamente ogni centimetro dell'arma, indugiando sulle rune incise nel metallo.

-Apparteneva a mio padre, anche la spada era sua. Ho ereditato molto da lui.- Éowyn si volta, quasi imbarazzata per la sua domanda, ma poi torna di nuovo a guardarmi.

-Come mai tu combatti e possiedi delle armi? Voglio dire, da noi solo agli uomini è permesso, noi donne svolgiamo i lavori domestici...- Dice con una certa delusione sul finale, ma il suo sguardo rivela una grande curiosità.

-Non sono l'unica a saper combattere tra le Donne Elfo, ma non ce ne sono neanche molte come me. La nostra forza fisica spesso è pari a quelle degli uomini, abbiamo una buona mira e uno spirito combattivo innato, per questo ci addestrano. Gli Uomini ancora non l'hanno capito.- “Ed è meglio così” stavo per aggiungere, ma quando ho visto l'espressione fiera di Éowyn ho deciso di lasciar perdere e di non spaventarla con discorsi sulle battaglie.

-Io sono nata e cresciuta tra uomini d'armi.- Riprende, mentre riempie di biada le mangiatoie. -Non mi hanno mai permesso di toccare qualsiasi lama che non fosse un coltello da cucina ma...- Si guarda intorno come per assicurarsi che non ci sia nessuno. -Ma non per questo non ho mai maneggiata una, mi hanno insegnato infatti.- Ride appena e arrossisce, mettendo così in risalto gli occhi chiari. Sto per ribattere qualcosa quando vedo, fuori dalle scuderie, decine di persone che corrono in direzione del palazzo.

-Cosa sta succedendo?- Chiede la principessa, confusa quanto me. Lascio cadere la spazzola e corro in mezzo alla folla, Éowyn dietro di me. Arrivate alle porte, vediamo che le guardie sono alle prese con contadini e massaie curiose, ma mi lasciano passare poiché sono in compagnia della principessa. La scena che ci appare davanti agli occhi è a dir poco inusuale: alcune guardie del palazzo sono a terra, forse prive di sensi, mentre altre stanno dietro ad una figura ammantata di bianco; il re sembra schiacciato contro il suo trono. Éowyn, vedendo che suo zio è in pericolo, non aspetta un attimo e si precipita in suo aiuto, ma viene prontamente bloccata da Aragorn... Aragorn?! Sì, è proprio lui, e non molto lontano c'è Gimli seduto sopra Grima, e l'uomo strano vestito di bianco sembra proprio essere Gandalf. Ma se ci sono loro, allora...

Il cuore prende a battere come non aveva mai fatto, mentre una parte di me vorrebbe rivederlo ad ogni costo, ma un'altra desidera fortemente che questo non accada. La curiosità però prevale su tutto e scruto febbrilmente tutti i presenti nel salone nella speranza di trovarlo.

Ed è lì: provato eppur più forte, i lunghi capelli biondi solitamente impeccabili adesso leggermente disordinati, senza il suo fedele arco ma comunque temibile. Legolas è qui.

Non riesco a vedere il suo sguardo, in un certo senso non lo desidero, perché la sua attenzione è rivolta ad Aragorn che ha appena lasciato andare Éowyn. Il ramingo si accorge di me e la sua espressione cambia improvvisamente. Legolas si volta e mi vede: i suoi occhi grigi sono un mare in tempesta ed io non riesco a muovermi.
 

***



1 Antica Via Sud: antica strada che parte dai Bianchi Poggi, ne La Contea, e arriva nei pressi del fiume Isen.
2 Fiume Isen: fiume che nasce dalle Montagne Nebbiose e, dopo aver attraversato Isengard, piega a ovest in corrispondenza della Breccia di Rohan.
3 Montagne nebbiose: catena montuosa che percorre buona parte della Terra di Mezzo e separa l'Eriador dalle Terre Selvagge.
4 Breccia di Rohan: un passaggio tra le Montagne Nebbiose che conduce sia a Isengard che a Rohan.
5 Guadi dell'Isen: un passaggio in corrispondenza della Breccia di Rohan.
6 Galadhrim: popolo silvano che abita a Lórien.
7 Eärendil: padre di Elrond, fu colui che, nella Prima Era, riuscì a raggiungere Valinor e a chiedere aiuto ai Valar nella Guerra contro il Male. A lui sarà poi imposto di non tornare più nelle Terre Mortali ma gli viene concesso di navigare nell'aria con la sua nave e, nella Terra di mezzo, verrà poi chiamato Stella del Mattino.
8 Edoras: capitale del regno di Rohan e sede del palazzo reale.
9 Meduseld: detto anche Palazzo D'oro, è la dimora del re.


Nota dell'Autrice:
Dopo un'interminabile attesa eccomi di nuovo qui, ma nonostante tutto ho mantenuto le promesse e il titolo parla già da solo.
Melyanna e Aglar partecipano alla Battaglia dei Guadi dell'Isen e si recano ad Edoras e FINALMENTE la nostra protagonista incontra Legolas. Lo so, lo so, vi ho fatto aspettare, ma tendo sempre a far allungare le cose e devo ancora imparare a gestire una storia a capitoli. Spero che possiate perdonarmi.
Fatemi sapere cosa vi aspettate da questo incontro (o dovremmo dire scontro?), sono curiosa di scoprire le vostre congetture. Come sempre, se ci sono errori o incoerenze che mi sono sfuggite fatemele notare in una recensione, le critiche costruttive sono ben accette.
Al prossimo capitolo
Diletta

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Capitolo 10
*** Scontri ***


 

SCONTRI


La vedo appoggiata ad una colonna, pietrificata dal mio sguardo, che mi fissa spaventata; anch'io resto a guardarla, perché mai e poi mai avrei pensato d'incontrarla. La credevo al sicuro a Imladris, ignara di ogni pericolo o triste sorte, è invece è qui, più magra e pallida e con graffi sul viso e sulle braccia. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato inutile, la sofferenza che le ho causato è stata vana. Penso a tutti i pericoli che può aver corso, a tutte le volte in cui la sua vita può esser stata in pericolo, e sento la rabbia crescere lentamente dentro di me. Come ha potuto lasciare tutti coloro che la amano e gettarsi in qualcosa per cui non è pronta? Sta buttando al vento tutto ciò che abbiamo fatto per lei, i sacrifici, le promesse.

Muovo un passo nella sua direzione, ma appena si accorge del mio gesto scappa via correndo tra le guardie, i suoi lunghi capelli che mandano mille riflessi dorati alla luce delle torce. La seguo, Aragorn e Gimli non cercano di fermarmi; esce dal palazzo ma sembra non sappia dove andare, e questo la rallenta.

-Melyanna!- La chiamo sperando che si fermi, ma neanche si volta. Aumento la velocità e finalmente la raggiungo: le afferro un braccio e la blocco, lei però lancia un grido di dolore.

-Lasciami! Lasciami!- Si dimena cercando di andarsene, ma non allento la presa; stringo l'altro polso e la immobilizzo contro un muro. Gli occhi le si fanno lucidi ed è sul punto di piangere, poi vedo, sotto le mie dita che tengono fermo il braccio, allargarsi una macchia di sangue sulla manica della casacca. La lascio andare ma, con mia sorpresa, non scappa, rimanendo rannicchiata contro la parete, come un animale in balìa del suo cacciatore.

-Perché sei qui?- Domando, e la mia voce risulta più fredda di quanto non sia mai stata, seppur dentro di me ribolle la rabbia. Non risponde, e questo mi irrita ancor di più.

-Rispondimi!- Il tono della mia voce la fa sussultare. Ancora silenzio.

-Pensi che questa non sia la mia guerra vero?- Quando mi volto a guardarla mi accorgo che i suoi occhi rivelano qualcosa che non ha mai detto o che, forse, ha scoperto durante il suo viaggio. -Pensi che sia troppo giovane, troppo fragile, troppo inesperta... Adesso voglio dirti una cosa: la guerra, questa guerra, è di quelli che darebbero di tutto per la propria terra, che hanno visto la morte in faccia e gli è rimasta dentro; la guerra è di quelli che non hanno niente da perdere, perché ciò che avevano lo hanno donato a chi hanno amato.- Le sue parole, la sua sicurezza, mi colpiscono come una freccia dritta nel petto. Cosa è successo alla Melyanna insicura e taciturna che conoscevo? Davvero le mie parole l'hanno cambiata così tanto? Ma lei cosa ne sa della guerra? Ha partecipato ad una ed una sola vera battaglia, non può pretendere di essere tanto matura da prender parte ad un conflitto così grande.

-E tutto quello che abbiamo fatto per te non significa niente? Ti sei forse dimenticata di tutte le volte che sono stato accanto a te, dei tuoi genitori, di ciò che ti abbiamo insegnato? Vuoi che vada tutto perduto?-

-Ti dimentichi che mi avete anche insegnato a combattere.-

-È vero, e non avremmo mai dovuto farlo.- Socchiude le labbra per dire qualcosa, ma non parla: forse le sono tornate alla mente le immagini del nostro ultimo incontro. -Tuo padre non avrebbe voluto che tu partecipassi neanche ad un qualsiasi conflitto. Certo, ti ha iniziato alle armi perché sapeva che sarebbero arrivati tempi bui e avresti avuto bisogno di difenderti, ma cosa direbbe se ti vedesse adesso?-

-Parli come se tu non c'entrassi niente: non sei forse stato tu a lasciare che mi addestrassero e che entrassi nell'esercito? Sono cresciuta, Legolas, e ho l'età per prendere le decisioni che mi riguardano da sola.- La sua voce così sicura non fa altro che scatenare la mia ira e quasi perdo il controllo.

-Sciocca! Ecco quello che sei, una bambina capricciosa e sciocca che vuole solo mostrarsi agli altri! Va', combatti e muori combattendo se è questo che desideri!- Se i suoi occhi potessero parlare tirerebbero fuori il peggio di lei, ma è solo una breve scintilla che scompare subito, cedendo il posto a qualcosa di meno forte e deciso. Le sue dita si stringono intorno al braccio ferito, piccoli rivoli di sangue scorrono sulla mano; abbassa lo sguardo e sospira, un soffio carico di sofferenza, e quando rialza gli occhi vedo che un'unica lacrima le bagna la guancia. Non ci abbracceremo e non ci chiederemo perdono come è successo in passato, non stavolta.

-Mi hai deluso.- Sibilo a denti stretti allontanandomi da lei. Sento il suo pianto soffocato, il peso delle sue lacrime sul cuore, ma non torno indietro.

 

Torno a palazzo e lentamente la rabbia scivola via da me ma il rimorso comincia a farsi sentire: l'ho ferita, di nuovo, forse inutilmente. Sono tentato di tornare indietro, di stringerla forte tra le braccia e di prometterle che rimarrò sempre accanto a lei, ma deve capire che ha sbagliato e deve farlo da sola. Stringo i pugni e continuo a camminare, quando una voce molto familiare m'interrompe.

-Principe Legolas!- Un giovane elfo dai capelli ramati mi viene in contro.

-Aglar...- Sussurro guardandolo di sbieco. -Cosa ci fai tu qui? Perché non sei tornato a Bosco Atro?- Se prima ero riuscito a calmarmi, adesso riprendo ad innervosirmi. Devo ad Aglar la mia stessa vita e gli voglio molto bene, ma da quando lui e Melyanna sono cresciuti la loro intimità è divenuta molto profonda: non si possono ignorare le occhiate che si rivolgono ed io ho perso il conto di tutte le volte che li ho trovati a dormire stretti l'uno all'altra, soprattutto quando erano più piccoli. A corte e tra i soldati si sono sparse strane voci sul fatto che la loro fosse qualcosa di più di una semplice amicizia. Ne ho parlato con lei ed ha negato tutto, ma i miei dubbi sono svaniti solo quando Elrond mi ha rivelato ciò che Melyanna, in segreto, provava per me; adesso però i sospetti tornano più forti di prima.

-Ho... Ho seguito Melyanna.- Risponde, forse intimorito dal mio sguardo. -Non avrei mai permesso che partisse da sola.-

-E così invece di fermare il suo capriccio lo hai assecondato... Un comportamento degno di una giovane matricola direi.- Ripensando alle parole che ho appena pronunciato riesco a sentire un eco della voce di mio padre.

-Mio signore, Melyanna è per me come... una sorella.- Alla sua esitazione sento che il corpo comincia a fremere. -Aveva tutte le ragioni per partire, ma i tempi sono funesti ed è pericoloso viaggiare da soli.-

-Dovevi assere tu ad annunciare a mio padre la partenza, sai?- Lo informo, spostando lo sguardo sul cielo. -Si fidava molto di te.-

-Legolas, io...-

-Dici di amarla come una sorella, allora perché non hai fatto tutto ciò che era possibile per tenerla al sicuro?- Sbotto guardandolo dritto negli occhi. -Perché le hai permesso di mettere in pericolo la sua vita?- In un impeto di rabbia mi avvicino pericolosamente a lui, ma subito mi fermo e noto che una sua mano è stretta intorno al manico del pugnale; i suoi occhi verdi screziati di turchese mi fissano con stupore e paura. Gli volto le spalle, e m'incammino quasi correndo dentro al palazzo.

-Almeno io non le ho spezzato il cuore.- La giovane voce di Aglar mi giunge ben più potente di un sussurro, e le sue parole mi tormentano la mente e il cuore.
 

***



Angolo dell'Autrice:
Ooooook... Questo capitolo mi è venuto completamente di getto, per questo l'ho pubblicato così presto. Ed ecco che arriva il tanto atteso scontro tra i due: perdonatemi per aver fatto un Legolas così cattivo e st... ma è indispensabile per la storia.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, anche se un po' corto.
A Presto
Diletta

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Capitolo 11
*** Non Lasciarmi ***


NON LASCIARMI

 

Ad ogni passo che muovo mi avvicino sempre di più al campo di addestramento e il nodo che si è formato all'altezza dello stomaco si stringe fino a diventare insopportabile, il rumore del mio cuore sovrasta il suono dei piedi sul terreno. Muoio dalla voglia di allenarmi, ma allo stesso tempo ho paura, paura dei miei nuovi compagni e del capitano, dei loro giudizi, paura di non essere all'altezza di ciò che sto per intraprendere, e quest'ansia mi sta torturando con estrema lentezza.

Legolas mi ha detto che le reclute saranno circa una cinquantina e avranno più o meno la mia età, e questo è alquanto strano considerando la frequenza con cui noi Eldar facciamo figli; Ada e Nana mi hanno raccontato che a Imladris, quando sono nata, la gioia era così grande che tutto, anche gli avvenimenti oscuri di quei tempi, sembrava essere di poco conto. Ada e Nana... Darei qualsiasi cosa per averli accanto adesso a consigliarmi, a rassicurarmi. Solo a rammentare il loro nome il cuore perde un battito e le gambe si bloccano, lacrime a lungo tenute nascoste minacciano di bagnarmi le guance: vorrei potermi lasciar andare, ma continuo a ripetermi che non è utile piangere al mio primo giorno di addestramento. Stringo con forza le palpebre e riprendo a camminare con più decisione.

In pochi minuti raggiungo l'entrata del campo già gremito di ragazzi che parlano tra loro: sembrano tutti così affiatati e in sintonia che le mie poche speranze di integrarmi bene tra loro cominciano a sfumare. Tutti hanno portato con loro almeno un'arma e sono vestiti con i colori della foresta; guardo i miei abiti azzurri e argentei, tipici di Gran Burrone, e sento le guance andare in fiamme. Un'infame codardia s'insinua nella mia mente e la tentazione di fuggire è fortissima, ma non ferirò il mio orgoglio in questo modo, non adesso che sono appena arrivata.

Bel modo di iniziare un addestramento.” Penso, mentre, con il cuore in gola, varco il cancello. Tutti i presenti si voltano verso di me, nessuno escluso; mi scrutano con i loro occhi curiosi mentre attraverso il campo. Il terrore ritorna inaspettato e devo combattere con tutte le mie forze per non darmela a gambe e guadagnarmi, così, un'umiliazione ancora più pesante. Per la prima volta, mi sento a disagio nei miei vestiti, nelle mie usanze, nel mio corpo: tra di loro io sono come una mosca bianca. C'è chi sussurra all'orecchio del compagno, chi fa commenti inopportuni, chi invece si limita a fissarmi divertito; avanzo a testa bassa, la tristezza e il senso di solitudine che provo da giorni si amplificano e si trasformano in lacrime, ma sono già abbastanza avvilita e non voglio che mi deridano ancora. Maledico mentalmente Legolas, che mi ha impedito di portare le armi di mio padre: forse, se avessi avuto anche solo il pugnale, mi avrebbero rispettata.

Mi siedo sulla staccionata, lontana da tutti, e in pochi secondi ogni cosa torna alla normalità; è triste sentirsi soli quando non si ha nessuno accanto, ma la solitudine in mezzo a così tante persone è ancora peggio.

Rimango immersa nei miei tristi pensieri fino a quando tutte le reclute si muovono frettolosamente mettendosi sull'attenti; capisco che, molto probabilmente, sta per arrivare il comandante, e mi affretto ad imitarli schierandomi, a malumore, in prima fila. Il ragazzo accanto a me si volta a guardarmi: i suoi capelli rossi ramati ravvivano gli occhi verdi che, con mia sorpresa, non sono attraversati da una luce maligna, ma da comprensibile curiosità e da qualcos'altro che non riesco a comprendere.

Il capitano fa il suo ingresso nel campo: è un Elfo alto e robusto con lunghi capelli castani raccolti in una pratica coda, indossa dei semplici vestiti da allenamento; ma ciò che di lui incute timore è lo sguardo, più affilato e tagliente della lama che porta alla cintura. Veniamo scrutati con assoluta freddezza e, quando i suoi occhi si fermano su di me, un brivido di paura mi percorre la schiena.

-Mettete via le armi.- Ordina con una calma quasi innaturale. Tutti, tranne me, depongono i loro armamenti ai piedi del comandante, poi riformano le file, più impauriti che mai. In quel breve lasso di tempo l'Elfo non ha fatto altro che fissarmi con indifferenza.

-Se pensate d'imparare subito ad usare un'arma vi sbagliate.- Riprende a parlare mentre sfila il lungo pugnale dal fodero. -La prima cosa di cui ha bisogno un guerriero è la mente.- Passa il dito appena sopra il filo della lama. -Ma la mente da sola non può esistere, deve vivere in un corpo forte- Il palmo della sua mano stringe il taglio del pugnale e non si muove fino a quando un rivolo rosso non scende lungo il suo polso; lui non se ne cura e la richiude a pugno. -Insensibile al dolore.- Un breve silenzio segue alla sua dimostrazione di apatia.

-Io vi insegnerò ad essere veloci e scattanti ma anche resistenti, con me imparerete a dominare il dolore e le vostre emozioni, ad obbedire ai superiori e a servire il re. Io sono il capitano Seregon, e non aspettatevi clemenza da parte mia.-

 

Appena noto la fontana in vicino alla staccionata mi ci precipito, bevendo con avidità più acqua possibile; bagno il viso e il collo, ricoperti di sudore, e lascio che il sole filtrato dai rami asciughi la mia pelle. Mi lascio cadere sulla panchina più vicina, rilasso i muscoli doloranti e chiudo gli occhi, completamente esausta. Le tre ore di allenamento hanno prosciugato tutte le mie energie, che a causa del mio poco mangiare non sono molte, e attivato in maniera intensiva ogni singolo muscolo; c'è stato un momento in cui ho creduto di star per svenire. Ma nonostante tutto la fatica mi ha permesso di non pensare a ciò che mi è successo, la mente si è chiusa ai brutti ricordi; mi sono concentrata unicamente sugli esercizi che il capitano ci ordinava, o meglio, urlava. Fortunatamente, per adesso, si astiene dal fare commenti sarcastici.

Le altre reclute si sono dimostrate molto diffidenti nei miei confronti, e questa ostilità si è stata più intensa negli esercizi di coppia; solo il ragazzo dai capelli rossi si è offerto di allenarsi con me.

Nonostante questo, non ho ancora scambiato una parola né con lui, né con gli altri.

Un gruppo di ragazzi mi ha circondata senza che me ne accorgessi e tra di loro c'è anche qualche femmina, ma i loro sguardi minacciosi mi fanno sentire vulnerabile. Mi fissano per qualche secondo e non cercano minimamente di nascondere le loro risatine sarcastiche. Uno di loro mi si avvicina e afferra un lembo della mia casacca.

-Sei forse cresciuta in mezzo a torrenti e cascate per vestirti così?- Chiede, come se si fosse rivolto ai compagni e non a me. Vorrei rispondergli che sì, sono cresciuta veramente in luoghi simili, ma la voce mi muore in gola quando il gruppo scoppia a ridere; le loro risate maligne riecheggiano nella mia testa, il respiro si fa corto e gli occhi bruciano. Un'insistente voglia di piangere si contrappone al senso di orgoglio che solo oggi ho scoperto di avere.

-Scommetto che non riesce nemmeno ad arrampicarsi su un albero.-

-E che non riesce a tenere in mano un arco!-

-Questa principessina non sa nemmeno cosa voglia dire sporcarsi.-

Continuano per qualche minuto ma che sembrano ore lunghissime. Nel momento in cui sento di non poter resistere più a tanta derisione, qualcuno arriva in mio soccorso.

-Non avete altro da fare che tormentarla?- I ragazzi si voltano verso il giovane Elfo fulvo che, intanto, mi sta fissando con occhi caritatevoli.

-Non intrometterti.- Sibila un Elfo dai lunghi capelli neri.

-Vi credete superiori- Riprende il rosso -Ma in questo modo mettete soltanto nudo la vostra stupidità.- Il gruppo rimane interdetto, ma poi se ne vanno tutti in silenzio lanciandoci occhiate colme di astio. Ora che siamo rimasti soli mi sento molto più tranquilla, ma non posso impedire a qualche lacrima di inumidirmi gli occhi.

-Va tutto bene?- La sua voce non è molto profonda, ma leggera e delicata. Vorrei poterlo ringraziare per la sua gentilezza e per il suo coraggio, ma mi limito a scuotere mestamente la testa e ad allontanarmi da lui.

Cammino lentamente verso il locale mensa; vedo un tavolo su cui stanno numerose ciotole ricolme di stufati e ne prendo una, ricordando i consigli di Legolas sul mangiare dopo un lungo addestramento. Le mie mani tremano così tanto che un po' di zuppa cade a terra.

Trovo un posto abbastanza isolato e mi siedo, mescolando lo stufato con il cucchiaio di legno e rimanendo a fissarlo senza neanche assaggiarlo: in questi giorni sto mangiando veramente poco e ci sono delle volte in cui non tocco nemmeno un pezzo di pane; Legolas mi rimprovera per questo, ma mi capisce e fa di tutto per aiutarmi. Dopo l'allenamento mi sentivo affamata come non lo ero da tempo, adesso però il mio stomaco è di nuovo chiuso e non riesco a mandar giù nient'altro che le mie lacrime.

Le parole di quei giovani Elfi mi hanno fatto soffrire più di quanto pensassero, probabilmente; sono sicura che il loro non è un cuore maligno, sono solo diffidenti con gli estranei, ma perché deridermi in quel modo, perché ridere del mio aspetto? Loro non sanno cosa ho passato, quanto mi senta distrutta e vuota dentro.

Una seconda ciotola si posa sul tavolo e il giovane Elfo dai capelli come il fuoco si siede di fronte a me; comincia a mangiare con una notevole voracità e mi guarda di sottecchi mentre le sue guance si imporporarono sempre di più. Cerco di mandare giù una cucchiaiata di stufato ma ottengo solo un colpo di tosse e un riflesso di vomito; lascio cadere la stoviglia nel piatto e lo allontano da me. Lui alza la testa e mi fissa dubbioso, poi ritorna a mangiare.

-Grazie...- Sussurro per rompere il silenzio imbarazzante tra noi due. -Grazie per avermi difeso...- È la prima volta che parlo con qualcuno da quando sono arrivata a Bosco Atro.

Il ragazzo mi guarda, visibilmente imbarazzato, e lascia perdere il suo pranzo: -Figurati... Molti di noi sono ostili verso gli stranieri a causa dell'isolamento in cui viviamo, ma loro stavano esagerando. Ti hanno fatto soffrire?- Annuisco mentre cerco di trattenere le lacrime.

-Non farci caso: le ragazze sono solo invidiose mentre i ragazzi...- S'interrompe e fa un sorrisino, arrossendo ancora. -Beh... Non se ne vedono tante come te qui da noi.-

-Che vuoi dire?-

-Voglio dire che sei rara, se non rarissima.- Tossisco nervosamente e sento il viso avvampare, poi vedo che le sue guance sono diventate rosse quanto i capelli.

-Perdonami- Balbetta imbarazzato -Io non... Non volevo essere così... Così impudente... Sono stato...-

-Non scusarti, ciò che hai detto mi ha fatto piacere. Almeno tu hai delle parole... Carine per me.- Sorride gentilmente e i suoi occhi verdi brillano.

Continuiamo a parlare per circa un'ora e, man mano che passa il tempo, ci leghiamo sempre di più: gli parlo di Imladris, dei suoi fiumi e boschi, della sua gente, di Elrond e di quanto sia saggio; fortunatamente, non mi domanda il perché della mia partenza da “quel luogo meraviglioso”, come lo definisce lui, e gliene sono molto grata. Quando scopre che sono amica di Legolas mi riempie di domande riguardo a certe voci strane che girano nel regno. Scopro che lui ha due fratelli più piccoli, delle vere pesti, che i suoi genitori servivano entrambi il re come guerrieri e che ha ereditato i capelli rossi da sua nonna.

La sua loquacità è così contagiosa che riesco ad aprirmi come non farei mai con gli sconosciuti e, dopo parecchi giorni, sono tornata a sorridere e a consumare un pasto decente.

-Legolas mi starà aspettando- Esordisco notando che, tra i rami intrecciati degli alberi, il sole è ormai alto nel cielo. -Devo andare. Non sai quanto mi abbia fatto piacere parlare con te. A domani- Mi alzo in piedi e lo saluto secondo le maniere di Gran Burrone.

-Aspetta!- Mi richiama lui. -Abbiamo parlato per tutto questo tempo e non ci siamo detti i nostri nomi.- Lo guardo perplessa e mi rendo conto che non so come si chiami.

-Il mio nome è Aglar, figlio di Tarcil.-

-Io sono Melyanna, figlia di... Brethil.- Rispondo, sperando che non si sia accorto della voce tremante.

-Allora a domani, Melyanna.- Riprende portandosi una mano al petto. Inclino la testa in segno di congedo e mi dirigo a palazzo, con il cuore alleggerito un poco dai ricordi e un lieve sorriso sulle labbra.

*

Aglar è in piedi nel cortile di Meduseld: mi da le spalle, poiché ignora la mia presenza, con le braccia, che tante volte mi hanno stretto, intrecciate al petto; il vento muove i lunghi capelli fulvi e le vesti intorno al corpo snello, forte e accogliente allo stesso tempo. Sulla pelle riesco ancora a sentire le sue timide carezze, le labbra portano il lontano sapore dei nostri pochi baci incerti dell'adolescenza, quando ancora non eravamo pienamente consapevoli dei sentimenti che ci legavano. Erano semplici gesti dell'infanzia, me ne rendo conto, ma dolci e sinceri.
Spesso mi domando se abbia fatto la scelta giusta lasciandolo andare, se il nostro non fosse stato solo un gioco ma un frutto acerbo che sarebbe maturato; abbiamo abbandonato quella strada anni fa, quando abbiamo cominciato a capire cosa ci fosse veramente tra di noi, ma è stato l'inizio della nostra amicizia, profonda, tenera e intima. Non mi ha mai fatto soffrire, si è sempre fatto in quattro per vedermi sorridere e molto spesso c'è riuscito, ed io mi ostino a seguire qualcuno che mi ama, forse, solo come un fratello, e non può essere altrimenti: ci sono stati troppi ostacoli che non gli hanno permesso di sviluppare qualcosa di più intenso.
 È veramente amore quello che provo per Legolas o solo un'infatuazione che adesso arde come paglia al fuoco ma che, ben presto, svanirà? Forse sono soltanto attratta dallo splendido principe e non dal suo cuore, o forse è un naturale effetto di un rapporto così stretto. Forse ho la felicità davanti agli occhi ma non riesco a vederla.

-Melyanna- Mi chiama voltandosi verso di me. -Cosa ti è successo?- Riprende alludendo al braccio ferito. Lo raggiungo e rimango accanto a lui, con lo sguardo perso all'orizzonte.

-Legolas.- Rispondo semplicemente. -Abbiamo parlato.- C'è così tanta preoccupazione negli occhi di Aglar che mi si stringe il cuore. Rimaniamo entrambi in silenzio mentre il vento ci sferza il viso.

-Forse sono io il problema.- Esordisce all'improvviso; i suoi occhi esprimono una strana malinconia.

-Che vuoi dire?- Domando perplessa.

-Che sono io l'ostacolo che impedisce a te e a Legolas di amarvi.-

-Perché dici questo Aglar? Non sai quanto ti voglia bene.- Rispondo, voltando con la mano il suo viso verso di me. -Sei come un fratello per lui.- Sospira chiudendo gli occhi.

-Prima forse, adesso non ne sono più sicuro.- Fa una breve pausa e si scosta leggermente da me; sotto il palmo, sento la mancanza della sua pelle liscia e calda. -È diventato freddo e ostile e oggi stava per aggredirmi... Penso reagisca così al dolore, come suo padre.-

-Quale dolore? Non credo che senta la nostalgia di casa, ha fatto viaggi ben più lunghi di questo, ed ha tutti i suoi amici accanto a se.- Nella mia mente si forma un'altra amara teoria: e se avesse lasciato dietro di sé un'amante? So che ne ha avute altre e che ne ha tutto il diritto, ma il pensiero che ami così tanto qualcun'altra da soffrirci in questo modo... Non voglio nemmeno pensarci.

-No Melyanna, sei completamente fuori strada.- Continua Aglar come se mi avesse letto nel pensiero; sorride divertito, nonostante la piega che ha preso il discorso. -Come fai ad essere così cieca? Non capisci che sta male per te?- Lo fisso sconcertata e il mio cuore perde un battito.

-No... Non è così. Le sue parole mi hanno lacerato il cuore, voleva solo sbarazzarsi di me!- Esclamo allontanandomi da lui.

-Melyanna ascoltami ti prego...-

-Tu non hai visto i suoi occhi, non hai sentito la sua voce! L'ho deluso... Io non sono niente, niente!- Grido ormai fuori controllo; non mi avrebbe mai rivolto simili parole se avesse avuto premura di me, e non c'era un briciolo di questo sentimento in lui. Lui ama un'altra, una fanciulla più bella, dolce e nobile; io sono soltanto un intralcio al loro amore.

-Calmati Melyanna!- Aglar mi prende il viso tra le mani e mi accarezza le guance. -Calmati.- Lentamente mi sciolgo sotto il suo tocco, il pollice va ad asciugare una lacrima spontanea e smetto di tremare. -Ho parlato con lui e mi guardava in modo strano: ho fatto il tuo nome e sembrava... non so, geloso. Poi ha perso il controllo, anche se non mi ha fatto niente, ma ho capito tante cose: ha provato a fare di tutto per farti rimanere a casa, fuori dal pericolo, anche a costo di rompere ogni legame con te. Sono sicuro, Melyanna, che tu hai il primo posto nel suo cuore.-

Le parole mi muoiono in gola e rimango in silenzio a guardare come incantata i suoi occhi fiduciosi e sinceri. Non mi ha mai mentito, e non vedo perché debba farlo proprio adesso. Il suo sguardo m'infonde speranza ma non voglio cedere, come farebbe invece la mia parte più volubile; ci saranno altre delusioni, altri dolori, e non voglio illudermi per poi soffrire di più.

-E perché pensi di essere un ostacolo?-

-Lui crede che tra noi due... Insomma...- Tossisce nervosamente e si gratta la testa. -Che noi due siamo qualcosa di più che amici, e sembra che questo lo irriti molto.- Pensavo che i suoi dubbi fossero svaniti dopo la battaglia, credevo che si fidasse delle mie parole, e invece continua a scambiare ogni semplice gesto d'amicizia in un'espressione romantica.

-Lo pensa da sempre.- Rispondo con voce flebile. -In fondo lo siamo stati, ma eravamo poco più che bambini.-

-Lo so...- Sposta lo sguardo nuovamente sul cielo. -Ma se io non fossi qui forse non ti avrebbe trattata... così.- Sfiora la ferita sul braccio. D'istinto gli afferro le mani e le stringo disperatamente, sui suoi occhi scende un velo e socchiude la bocca per parlare.

-Non dirlo Aglar, non dirlo nemmeno.- Sussurro guardandolo dritto negli occhi. -Gli hai salvato la vita, mi hai salvato la vita. Se tra me e Legolas nascerà qualcosa di più sarà solo grazie a te. Lascialo pensare, lascialo sfogare, ma ti prego non lasciarmi.- Sul suo viso arrossato dal vento spunta una lacrima e, prima che possa lasciarlo, lo stringo a me accarezzandogli la schiena. Si rilassa tra le mie braccia, come quando eravamo piccoli, e ricambia il gesto. Sono mutati i nostri corpi, sono mutati i nostri cuori, ma di una cosa sono sicura: accanto a me ho un amico che darebbe la sua vita per me, e per ora non posso chiedere di più.

***

 

Angolo dell'Autrice:
Perdonatemi l'attesa, ma il capitolo prima era stato scritto troppo velocemente e dovevo compensare. Come nel precedente, ho lasciato la trama in sospensione e mi sono soffermata sull'aspetto emotivo dei personaggi; devo dire che mi piace un sacco scrivere di Melyanna e Aglar (non più di Melyanna e legolas ovviamente) perchè la loro non è un'amicizia come le altre. Come ho scritto, quando ancora erano molto giovani hanno avuto un periodo in cui pensavano di essere innamorati (e forse ve lo aspettavate) ed è stato prorprio grazie a questo che il loro legame è diventato così forte. So di non essere un grande cosa in fatto di dolcezza, ma mi sto esercitando con loro due :p. Nei prossimi capitoli affronterò anche l'argomento "Aglar e la sua donzella", appena accennata qualche capitolo fa.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e v'invito a lasciare una recensione.
A presto
Diletta

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Capitolo 12
*** Ultimo Legame ***


 

ULTIMO LEGAME

 

Arod è docile sotto i miei tocchi, più di quanto non sia mai stato con questi uomini di Rohan; lo libero dai finimenti e dalla sella pesante, spazzolando il suo corto pelo chiaro. Sbuffa contro la mia mano quando gli accarezzo il muso.

-Che pelo magnifico.- Sussurro nella mia lingua. -Un fiero destriero di Rohan.-

-Non sei stato così gentile con lei.- Irrompe una voce dietro di me che blocca i miei movimenti. Aglar entra nelle scuderie e si dirige verso il suo cavallo, riempiendogli la mangiatoia di biada; ha lo sguardo indecifrabile e non incrocia mai il mio.

-Ti prego Aglar...- Sibilo stringendo la spazzola tra le mani.

-Perché la tratti così?- Esclama esasperato voltandosi verso di me, i suoi occhi non sono più impassibili. -Cosa ti sta succedendo, Legolas?-

-Non è affar tuo ciò che faccio.-

-Certo che è affar mio, se i tuoi capricci gravano su di lei. Troppe volte ha pianto tra le mie braccia in questi giorni, e non sei l'unico che le vuole bene.-

-Capricci?- Ripeto guardandolo dritto negli occhi. -Capricci? Dimmi Aglar, hai mai amato qualcuno?- Domando, anche se conosco già la risposta.

-Sì...- Sussurra intimorito e perplesso. -Amo una ragazza.- Per un attimo, a quell'affermazione seppur ovvia, tremo impercettibilmente.

-E se Me... Se questa ragazza si trovasse in grave pericolo e solo tu potessi salvarla, lo faresti?-

-Sì.- Risponde senza indugio.

-A qualsiasi costo? Anche se tu dovessi lasciarla, anche se lei dovesse soffrire per questo, solo per il suo bene?- A quel punto il suo viso si rabbuia, e annuisce in silenzio.

-Allora fai in modo che non ci segua in battaglia.- Rimane silenzioso e si volta di nuovo verso il suo destriero, il suo sguardo turbato.

-Non ho mai dubitato delle sue abilità, né del suo coraggio.- Continuo avvicinandomi ad Aglar. -Ma in battaglia il più grande dei guerrieri può morire come l'ultimo, e non voglio che questo sia il suo destino.-

-Ma se uno di noi non tornasse...- La sua voce delicata è incerta; riesco a percepire la sua paura, l'insicurezza che trapela da ogni parola. Aglar: giovane, inesperto e innamorato.

-Nutre un grande affetto nei miei confronti, forse mi ama...- Riprendo anche se, ormai, non credo più a ciò che sto dicendo. -Ma il bene che vuole a te non è certo minore. Tutto ciò che ho fatto, le parole... Orribili che le ho rivolto, non sono mai state dettate da cattiveria: ho sempre voluto solo e soltanto il suo bene fin dal primo momento in cui l'ho vista, per questo l'ho allontanata da me, Aglar.-

-Perché Legolas? A cosa le serve tutto questo dolore?- Quando si volta verso di me, i suoi occhi sono lucidi e colmi d'incertezza, dolci come poche cose sanno essere in questo mondo. Non mi stupisco di ciò che Melyanna prova per lui: è sensibile e gentile, non le ha mai fatto del male. È il suo l'amore che si merita.

-Ad alleviare quello della mia morte, se non dovessi tornare.- Sospira e trattiene a stento una lacrima. Mi avvicino a lui e stringo le mani sulle sue spalle. -Ma tu, Aglar, tu che sei l'unico che le sia rimasto, non fare questo: due abbandoni possono essere strazianti come due morti. Promettimi che rimarrai sempre accanto a lei, promettimi che non la lascerai cadere nel buio.-

Aglar è smarrito dalle miei parole e muove le labbra, incapace di risponder. D'improvviso, mi accorgo della veemenza con cui ho parlato, e mi allontano da lui, non prima però di aver posato una carezza di pietà sui suoi capelli fiammeggiati. Non deve provare il dolore di una perdita così pesante, nessuna promessa deve vincolarlo al rimorso.

-No... No, agisci secondo il tuo cuore. Ora va', torna da lei.- Fa per andarsene ma, senza preavviso, mi stringe in un forte abbraccio, e subito dopo si allontana.

Lo guardo mentre s'incammina verso il palazzo, la sua chioma rossa mossa dal vento: so che lui potrebbe proteggere e amare Melyanna come io non posso fare, so che è il meglio che lei possa avere, ma non sono ancora pronto a lasciarla andare per sempre. C'è ancora un unico filo che ci unisce, un filo forte e spesso, ed io non voglio spezzarlo.

 

Raggiungo Aragorn e Gimli nell'armeria di Meduseld: il ramingo sta già indossando una lucente cotta di maglia e un elmo tipico di Rohan è posato vicino a lui; Gimli invece ne porta uno in testa e scruta con aria ammirata un piccolo scudo verde ornato di un cavallo bianco. Solo quando Aragorn si volta per osservare degli archi appesi al muro si accorgono di me.

-Legolas, ti stavamo aspettando.- Esclama venendomi in contro. -Ho trovato una cotta che dovrebbe andarti bene, e ce n'è anche una abbastanza piccola per Melyanna.- Continua porgendomene due; lo ringrazio con un cenno del capo e le prendo tra le mani, lasciando che il metallo mi raffreddi le dita e rimanendo a guardarle per un tempo indefinito.

-Avanti. Provala!- Mi sprona Gimli con la sua voce tonante. Slaccio lentamente la casacca, e altrettanto lentamente infilo la protezione: è più pesante e meno accurata di quelle che sono abituato a portare, ma è comunque meglio di niente.

Guardo me stesso e poi i miei compagni, che annuiscono compiaciuti e cominciano a parlare della battaglia, di tattiche e dei cavalieri di Rohan, ma non riesco ad ascoltare una singola parola: penso soltanto a Melyanna. Starà qui, al sicuro in questo palazzo, ma forse non la rivedrò mai più. Ho già provato queste sensazioni alla partenza da Imladris, ma non così forti, non così vere. So che devo lasciarla andare, ma soffro quando non mi è vicina e il mio lato egoista andrebbe di corsa da lei, la stringerebbe forte e fuggirebbero insieme verso le Terre Immortali; ma non posso abbandonare questi uomini, non posso abbandonare Aragorn, non adesso.

La mente, però, torna inevitabilmente indietro di tanti anni, quando una bambina dai capelli come l'oro aspettava con impazienza le mie visite e si nascondeva tra le mie braccia durante un temporale, quando una bambina dagli occhi di tempesta piangeva la morte dei genitori stringendosi a me e pregandomi di restare, quando una ragazza ormai fatta donna cercava timidamente le mie mani per non crollare. Lei ha ancora bisogno di me, ha bisogno di qualcuno con cui affrontare i fantasmi del passato ma non dimenticarli, e questa è l'unica cosa che Aglar non può darle; non ha mai provato il dolore immenso che provoca una tale perdita, non saprebbe trattare i suoi crolli e le sue paure.

Devo tornare da lei, solo io posso aiutarla, solo io posso guarirla.

“Qualsiasi cosa succeda, io non ti abbandonerò.”

Rimani con me, ti prego non andartene...”

“Sarà dura, più di qualunque cosa, ma io sarò con te anche quando non mi vedrai.”

“Legolas... Legolas rimani.”

“Puoi combattere per chi ti ama.”

La cotta di maglia scivola dalle mie dita cadendo a terra in una miriade di trilli metallici: fisso le mie mani, pallide e fredde, che adesso tremano convulsamente.

-Che succede Legolas?- Domanda Gimli venendomi vicino. Aragorn si abbassa per raccogliere la maglia ferrea e me la porge di nuovo, fissandomi con preoccupazione; le palpebre pesano e gli occhi bruciano.

-Melyanna non verrà.- Riesco solo a dire, prima di allontanarmi dall'armeria. Aragorn non mi segue, perché sa che adesso ho bisogno di stare da solo e non vuole confondermi con i suoi pensieri. Sperava nella presenza di Melyanna per la sua ottima mira e l'eccellente uso della spada, ma non voglio che rischi la sua vita, non voglio veder morire, ancora una volta, qualcuno che amo.

*
 

Riesco a sentire lo scalpiccio di numerosi passi sul terreno foglioso mentre il rumore del temporale mi riempie le orecchie: alcune voci gridano il mio nome, i cani da caccia abbaiano.

Rimango acquattato dietro la roccia raggomitolandomi tra il fango e le foglie umide: il sole è tramontato tre volte da quando mio padre è guarito, da quando sono scappato da palazzo, da quando ho visto Nana distesa sul letto, bianca e fredda.

Le lacrime si aggiungono alle gocce di pioggia che bagnano il mio viso; mi accascio contro la pietra e piango ancora, tremando per il freddo e per il dolore, con le membra deboli e il cuore svuotato di ogni altra emozione.

Una voce possente ma armoniosa sovrasta ogni altro suono chiamandomi non con il mio titolo, ma per nome.

-Legolas! Legolas!- Vorrei uscire e lasciarmi cadere tra le sue braccia, ma non ne ho la forza.

-Brethil... Brethil sono qui... Brethil...- Sussurro tra i singhiozzi. Qualcuno si avvicina di corsa verso il mio nascondiglio; il Capitano delle Guardie mi vede e si toglie prontamente il mantello. D'istinto, tendo le braccia verso di lui e vengo avvolto nella spessa stoffa.

-Legolas... Non farlo mai più...- Mi rimprovera lui con voce intrisa di tristezza mentre mi prende in braccio. Guardo nei suoi grandi occhi blu, ma stavolta li trovo spenti, privi della fierezza che lo contraddistingue.

-Dov'è Nana?- Brethil non risponde, continuando a camminare nel fango. -Brethil dov'è Nana?- Nonostante sia il guerriero più valoroso dell'esercito, nonostante abbia sconfitto molti nemici, chiude gli occhi e si lascia andare un gemito straziante, e non ho bisogno di altre risposte. Mi stringe con tutta la forza che ha ed io mi aggrappo a lui con tutta quella che mi resta.


***

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Prima di iniziare devo chiedervi scusa per l'immenso ritardo, ma ho avuto molto da fare e ho potuto scrivere poco. In più, questo capitolo è stato maledettamente difficili ma non so spiegarmi il perché.
Tornando alla storia... Ecco che compare Legolas un'altra volta, meno duro e freddo (anche lui avrà dei sentimenti, che diamine!) e il primo flashback sulla sua infanzia, anche se tratta di un argomento piuttosto doloroso, ovvero la morte di sua madre: quando Legolas la scopre in fin di vita, scappa nel bosco e viene ritrovato dopo tre giorni da Brethil, il padre di Melyanna, che come avevo già detto, all'epoca è il Capitano delle Guardie nonchè amico intimo di Thranduil e di sua moglie.
Inoltre, anche stavolta ho scelto di seguire il libro: infatti, secondo lo scritto solamente i cavalieri partono per il fosso di Helm, mentre il popolo rimane a Edoras. Ad Aragorn, Legolas, Gimli e Gandalf è poi concesso di attingere all'armeria del re per la battaglia.
Spero che questo capitolo vi sia piacito, vi invito a recensire e ci vediamo al prossimo
Diletta

 


 

 

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Capitolo 13
*** Partenze ***


PARTENZA

 

Sventolano le verdi bandiere di Rohan, i cavalli bianchi ricamati sopra di esse sembrano quasi galoppare nel vento, desiderosi di raggiungerci e cavalcare verso i monti insieme a noi. L'oro del palazzo splende sotto il pallido sole, lo stesso che Éowyn porta nei capelli; alta e fiera, la Bianca Dama è come un'orgogliosa e antica regina degli Uomini, bella come una fanciulla elfica dal corpo di un giglio esile.

Non si muove, non parla, è immobile davanti al possente palazzo di Meduseld; guardo per l'ultima volta i suoi occhi grigi come il freddo acciaio, come il cielo piangente, e mi allontano insieme agli altri cavalieri. Cavalco in sella ad un destriero che non è mio, indosso un'armatura che non mi appartiene, verso una battaglia che non dovrebbe interessarmi, ma ormai sono qui e non posso tornare indietro.

-Non è venuta a salutarci.- La voce di Legolas, che avanza vicino a me, interrompe il nostro silenzio; la sua non è una domanda, ma un'affermazione. Il suo volto è greve, rabbuiato da un peso a me ignoto. -Avrei voluto vederla, un'ultima volta... Ma forse... Forse è meglio così.- Aumenta il passo e raggiunge la testa della fila.

Accanto a me, sulla sua cavalcatura, Aglar mi guarda con occhi pieni di preoccupazione e annuisce impercettibilmente: Legolas non si è accorto della mia presenza. Ho nascosto i capelli sotto un elmo tanto grande da cadermi sugli occhi, con una fascia ho stretto il seno e i vestiti larghi hanno contribuito a camuffare le forme femminili; ho poi dovuto lasciare i vestiti, le armi e il cavallo nelle mani di Éowyn, non senza un grande sforzo, portando con me solo un fine stiletto, regalatomi anni fa da il mio ultimo istruttore Huntor, celato tra la casacca e la cotta di maglia.

Tutti, intorno a me, mi credono un ragazzo appena adolescente al servizio di un guerriero elfico, appunto Aglar; ma intorno a me ci sono troppi cavalieri che non hanno l'età per una battaglia, alcuni sembrano bambini e scompaiono sotto gli armamenti, la paura e l'ansia è dipinta nei loro occhi.

Sono troppo giovani, sarebbero dovuti rimanere a Edoras.” Penso guardando Aglar. Volge lo sguardo prima sui guerrieri, poi di nuovo su di me.

Gli eserciti nemici sono troppo numerosi, Rohan non dispone di abbastanza uomini per fronteggiarli.” Torna a dare un occhiata in giro. “É meglio se non parliamo quando c'è Legolas in giro, potrebbe scoprirti.” Gli rivolgo uno sguardo d'assenso e torno a guardare la strada.

Quando Aglar, qualche ora fa, è entrato nella mia stanza, aveva il volto afflitto e combattuto, ed ho subito capito che c'era qualcosa che non andava; seduto sul letto, mi ha osservato in silenzio mentre mi sistemavo in vista della partenza, ma poi il suo mutismo è diventato insopportabile. Nonostante le numerose domande che gli ponevo, mi guardava come se non riuscisse a rispondere, o meglio, come se non sapesse cosa rispondermi, fino a quando non mi ha tolto, quasi con prepotenza, la cintura a cui stava appesa la spada.

-Tu non... Tu non verrai in battaglia...- Mi ha detto con una voce che tradiva la forza del suo gesto. Vedendolo con le armi di mio padre tra le mani, le armi con cui ho combattuto per molti anni, un improvviso moto di rabbia mi ha fatto agire senza pensare: l'ho spinto con forza mandandolo a scontrarsi contro il muro e lui, per la sorpresa, ha lasciato andare la cintola.

-Melyanna!- Ha esclamato confuso mentre mi riprendevo le mie cose.

-Sai che non devi toccare le mie armi. Io partirò, con o senza il tuo permesso.-

-Non è del mio permesso che hai bisogno.- Ed ha cominciato a parlarmi dell'incontro tra lui e Legolas e del desiderio di lui che io non partissi; così, lui ed Éowyn mi hanno vestito con vecchi armamenti e si sono assicurati che non destassi sospetti. Non riuscirò mai a scordare gli occhi della giovane principessa che mi guardavano imploranti, pregandomi di restare con lei, ma non ha cercato di fermarmi: in quel momento, mi vedeva come la donna che sarebbe voluta diventare, una guerriera tra gli uomini.

-Arriverà il tuo momento, Éowyn, ma adesso il tuo popolo ha bisogno di te.-


 

La notte è già scesa su di noi dopo ore ed ore di cavalcata senza soste; il primo giorno di viaggio è stato sfiancante per i giovani, ma, anche se io mi sento solo lievemente spossata, devo fingere la stanchezza. Con discrezione, io ed Aglar ci siamo allontanati dal gruppo, riparandoci dietro una roccia abbastanza grande.

La luna brilla alta e grande nel cielo, solitario lume sul manto nero, e la sua luce ricade su di noi, sul metallo sciupato facendolo brillare come argento, sui capelli di Aglar rossi come deboli fiamme, sul ciondolo a forma di stella il cui diamante risplende. Distolgo lo sguardo dal mio compagno, troppo bruscamente perché lui non se ne accorga.

-Qualcosa ti turba?- Domanda mentre, con una mano, mi toglie con facilità l'elmo: alcune ciocche di capelli sfuggite alle trecce raccolte ricadono intorno al viso e sule spalle.

-Niente che tu non sappia già.- Rispondo in tono neutro, rigirandomi tra le mani un pugnale smussato; ah, se potessi avere la mia spada leggera, il pugnale sottile e l'arco! Se potessi cavalcare con Ilyalisse e senza dovermi fingere un altro! La fascia è così stretta da rendermi difficoltoso il respiro, la cotta di maglia è pesante e l'elmo si muove in continuazione sulla testa: odio dovermi nascondere.

-Certo che la vista degli Uomini è alquanto limitata, se non riescono ad accorgersi di te.-

-Che mi dici di Legolas, allora?-

-Legolas non sembra più lo stesso, non credo stia molto bene...- Sussurra quasi tra sé e sé. -Ma come fanno a non capire che le tue labbra, le guance, il naso, sono quelle di una donna? Ma l'importante è che nessuno ti abbia scoperto e ti abbia adocchiata.- Conclude guardandomi in modo strano.

-Cosa vuoi dire?- Domando, rivolgendogli uno sguardo confuso.

-Anche i tuoi occhi fanno brutti scherzi se non ti sei accorta ti tutti quei Rohirrim che ti guardavano di nascosto, lanciandoti sguardi fugaci e parlottando tra loro.-

-Ma smettila...- Ribatto sorridendo appena.

-Uno di loro è venuto da me chiedendomi se noi due fossimo fidanzati, e quando gli ho risposto di no sembrava molto sollevato.- Continua parlando con enfasi. -Ovviamente gli ho vietato di corteggiarti, c'è già un ramingo del nord in lista.-

Non riesco a trattenermi e comincio a ridere: è una risata leggera, controllata, ma vera. Subito Aglar mi imita, tappandosi la bocca con la mano per non farsi sentire, ma ben presto ci ritroviamo stesi in terra a contorcerci per il riso. Ritorniamo un po' bambini, quando passavamo le giornate nel bosco a correre e farci scherzi e ci lasciavamo cadere, infine, sull'erba soffice, stanchi ma felici.

Quando riusciamo a smettere di ridere, rimaniamo distesi l'uno accanto all'altra, ansimanti e con le guance doloranti; i raggi lunari illuminano il viso giovane e delicato di Aglar, le gote rosse e i capelli scompigliati lo fanno sembrare più vivo.

-Quanto tempo è passato da quando non ci divertivamo così?- Domanda infine posando la testa sul mio grembo e accoccolandosi contro di me; le sue labbra sono curvate in un lieve sorriso. Prendo tra le dita una ciocca dei suoi capelli rossi, rigirandola lentamente tra i polpastrelli.

Non rispondo, ma sappiamo entrambi che è ormai da molti anni non ci concedevamo un momento puramente felice: l'insana magia che cominciava a propagarsi a Bosco Atro, la Battaglia dei cinque Eserciti e il male che stava nascendo a sud, sono soltanto gli esempi più importanti dell'incupimento dei nostri animi. La morte di numerosi compagni e la vita in bilico di Aglar sono state poi le cause del mio ritorno a Imladris: avevo bisogno di stare in posti tranquilli, lontana da tutti i ricordi che rievocavano il dolore della battaglia. I giorni passavano e io non vedevo mai Legolas ed Aglar, se non per un paio di visite fatte per recare messaggi a Elrond.

Poi c'è stata la mia fuga da Gran Burrone ed Aglar che mi ha voluto seguire ad ogni costo; non mi chiese spiegazioni, non cercò di fermarmi, montò semplicemente a cavallo e non ascoltò le mie proteste. Ed ora, in questo mese di viaggio, le occasioni di riposo sono state più uniche che rare, e i pochi momenti di tranquillità hanno ceduto il posto a quelli di pianto.

C'è qualcosa in lui che riesce a sollevarmi da questi momenti, mi sta sempre accanto e vuole solo il mio bene: mi chiedo se non sia lui il mio destino.


 

Aglar sembra essersi addormentato a giudicare dai respiri profondi; scivolo da sotto di lui e mi sistemo sul fianco, vicina al suo corpo.

Nonostante l'ora sia tarda e il mio compagno stia già dormendo, non riesco a prendere sonno: nella mia testa ci sono troppi dubbi, troppe domande che chiedono una risposta. Ciò che provo per Legolas sembra vacillare, qualcosa in me è cambiato: non sento più il bisogno di averlo accanto quando sto male o in qualsiasi altro momento, c'è Aglar adesso.

Scuoto la testa tentando di rispondermi, ma non posso negare che l'affetto che provo nei confronti del mio compagno sia tanto profondo da sfiorare la linea sottile che divide l'amicizia e l'amore. Neanche il suo aspetto passa inosservato, con i suoi lunghi capelli rossi, gli occhi verdi, le labbra carnose e quel sorriso malandrino e dolce che sempre gli illumina il viso.

Si muove nel sonno e socchiude appena le labbra colorite, frutto rosso e invitante tra bianchi rami. Guidata dall'istinto, poso un dito sulla sua bocca percorrendone i solchi e il contorno, e la trovo liscia e calda; abbandono la mano sulla sua guancia e mi avvicino a lui fino a quando non sento il suo respiro sulla pelle. Annullo la minima distanza che c'è tra di noi e premo le mie labbra sulle sue: un sapore dolce e leggero mi riempie la bocca e ne voglio sempre di più.

D'improvviso, prima che possa staccarmi da lui, vengo schiacciata contro il terreno: Aglar è sopra di me e non lascia la mia bocca, ricambiando i baci con più passione e stringendomi i fianchi con le ginocchia. Le sensazioni piacevoli di pochi secondi fa svaniscono del tutto e, premendo le mani contro il suo petto, lo spingo sull'erba, facendolo rotolare.

-Aglar!- Grido mentre mi passo una mano sulla bocca.

-Melyanna?- Si siede di fronte a me e, d'un tratto, sembra rendersi conto di ciò che è appena successo. -Oh per i santi Valar! Stavo facendo un sogno e mi sembrava così... Così reale, e non so cosa mi sia successo io... Io non volevo...-

-Aglar, Aglar non preoccuparti.- Lo rassicuro prendendogli le mani: in fin dei conti lui non ha nessuna colpa e il suo gesto non è stato né violento né dettato da strani pensieri, non mi farebbe mai una cosa del genere.

-É stata colpa mia.- Confesso sentendo le guance scaldarsi, il suo sguardo è più confuso di prima. -Stavi dormendo ed io... Ti ho baciato...- Le sue mani s'irrigidiscono tra le mie.

-Melyanna, c'è qualcosa che devi dirmi?- Domanda con voce incredula; non posso stare ancora in silenzio, non posso tenermi dentro tutti i dubbi neanche per un secondo in più.

-Non so più cosa provo Aglar! Io... Io non riesco a capire se l'amore che provo per Legolas è reale e se quello che c'è tra noi è solo amicizia. Tu sei sempre così buono con me, non hai mai voluto che io stessi male, mentre Legolas... Legolas mi sta distruggendo!-

-Il mio ruolo nella tua vita è stato minimo se si confronta a quello di Legolas.- Risponde Aglar rilassandosi e accarezzandomi le mani. -Io non posso neanche provare a immaginare il dolore che hai dovuto sopportare da bambina, e so che lui ti è rimasto accanto per aiutarti a sopportare quel peso insostenibile. Poteva lasciare che fosse qualcun altro a consolarti, invece si è preso cura di te e lo sta facendo tutt'ora, credimi.-

Come si fa a non fidarsi di quegli occhi gentili e sinceri, di quelle mani che ti stringono con delicatezza? Ma io non ci riesco, non stavolta: sono troppo ferita per poterlo fare. Mi limito ad annuire silenziosamente.

-Che sapore hanno le mie labbra?- Chiede, forse per alleggerire l'atmosfera, lasciandomi però stupita.

-Sono dolci e morbide. Piacevano anche a Lingwe nel tuo sogno?- Aglar arrossisce all'istante e borbotta qualcosa che, però, non riesco a capire. Se parliamo di Lingwe, non sento il minimo segnale di gelosia.

Appoggio la testa contro la sua spalla e lui mi abbraccia con dolcezza. Insieme aspettiamo il sorgere del sole per partire di nuovo e, forse, non fare più ritorno.


***

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Al contrario del capitolo precedente, questo mi è venuto praticamente subito, probabilmente scrivo meglio dal punto di vista di Melyanna ma, ormai, devo far parlare anche Legolas.
Melyanna non si smentisce e sfugge di nuovo alla sorveglianza di Legolas. Ed ecco che i dubbi si fanno sempre più profondi, tanto che lei non riesce più a capire cosa prova per le persone che più gli stanno a cuore e... Bacia Aglar! Ovviamente lui non glien fa una colpa nè si lascia trascinare troppo dalla situazione (Lingwe è sempre al centro del suo cuore!).
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, ci rivediamo al prossimo.
Diletta

 

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Capitolo 14
*** Rabbia e Speranza ***


RABBIA E SPERANZA

 

 

-Più forza in quei movimenti. State concentrati o vi ferirete. Magor, più decisi quegli affondi.- La voce tonante del capitano Seregon sovrasta il cozzare delle spade: è da un po' di giorni, ormai, che ci ha permesso di allenarci con armi vere ed affilate e tutti stanno imparando a maneggiarle; nonostante i fendenti siano ancora goffi e lenti, sono poche le volte in cui qualcuno si lascia disarmare o si ferisce. Ma, mentre i miei compagni migliorano giorno per giorno, io posso solo sperare che la spada non mi cada di mano.

Mentre penso a questo, un movimento di Aglar fa scivolare l'impugnatura dalle mie dita. Guardo con frustrazione prima l'arma riversa a terra e poi il mio amico che, per l'ennesima volta nell'arco dell'allenamento, è riuscito a disarmarmi: all'inizio non me ne sono curata, ma adesso sta diventando stancante.

Sospiro rassegnata e sollevo nuovamente la spada. Aglar mi concede la prima mossa, un affondo debole che para con facilità, e poi parte al contrattacco. Sento tremare le braccia ad ogni colpo subìto e la mia forza di volontà scivola via lentamente lasciando il posto alla demoralizzazione.

-Piega le gambe Melyanna. Taras, più precisi quei fendenti. Equilibrio Melyanna. Mornon controllati.- Il capitano si ferma di fianco a me, i suoi occhi penetranti scrutano ogni mio singolo movimento.

-Non andare troppo indietro con la schiena e tieni i piedi ben saldi a terra.- Il senso di umiliazione cresce ad ogni osservazione . -Mettici più forza in quegli affondi, non è un fiore quello che tieni in mano.- Aglar para un colpo e, ruotando la spada, fa cadere la mia a terra.

Tutti si voltano verso di me ed io abbasso lo sguardo, sentendo le guance avvampare per la vergogna; Aglar mi fissa con occhi colpevoli e si china per ridarmi l'arma, ma Seregon lo ferma con un gesto della mano.

-Raccoglila.- Ordina lui con la sua voce fredda, immobile di fianco a me. Rimango ad osservare la lama a terra mentre, con i pollici, accarezzo i palmi delle mani già ricoperti di piccoli calli: mi sono esercitata per ore ed ore fermandomi solo quando le pelle si sbucciava e sanguinava, ma a nulla sono valsi tutti i miei sforzi.

-No.- Rispondo con fermezza alzando lo sguardo su di lui: assottiglia gli occhi e mi guarda con aria furiosa, perché nessuno prima di adesso aveva mai osato contraddirlo, lui che è l'istruttore più severo e inflessibile di tutti. Aglar scuote la testa impaurito e i miei compagni trattengono il fiato. Le gambe tremano e sono tentata di obbedire, ma un improvviso moto d'orgoglio mi fa desistere.

-Raccoglila ho detto.- Continua lui, incenerendomi con lo sguardo.

-È inutile, non sono portata per maneggiare la spada.- Per qualche secondo sostengo i suoi occhi di fuoco, ma quando lui si piazza davanti a me, sovrastandomi con il suo corpo possente, mi risulta impossibile continuare a sfidarlo.

-Raccogli la spada, adesso.- Pronuncia ogni parola con estrema lentezza e furore. Tremo così tanto che, appena impugno nuovamente l'arma, la lama oscilla visibilmente.

-Non azzardarti più a dire una cosa simile.- Il capitano si dirige verso Aglar che gli cede prontamente il posto e la spada. -Tu sei Melyanna, figlia di Brethil di Bosco Atro, Capitano delle Guardie e miglior spadaccino del regno. In te c'è il sangue di un grande guerriero, la forza pura scorre nelle tue vene.- Rimane per alcuni secondi a scrutarmi con severità, poi, d'improvviso, si scaglia contro di me caricando un colpo.

Un brivido di paura mi percorre e, guidata dall'istinto, impugno l'elsa con due mani parando un fendente che altrimenti, temo, mi avrebbe spaccato la testa; Seregon però non si accontenta e continua a premere contro la mia lama. Rimango così tanto sotto sforzo che le braccia vacillano pericolosamente, quando finalmente il capitano si ritira tornando alla sua posizione iniziale. I battiti sono veloci e i muscoli deboli, ma stringo il ferro con forza per non lasciarlo cadere, non adesso che sono riuscita a resistere.

-Guardami Melyanna.- La sua voce si è fatta improvvisamente roca e gutturale e, alzati gli occhi su di lui, mi accorgo con orrore che il suo viso è sfigurato, ma gli altri sembrano non farci caso: il suo corpo possente è diventato basso e tozzo, la pelle è nera, gli occhi sono gialli e grandi denti storti sporgono dalla bocca ghignante.

L'Orco corre verso di me brandendo il suo spadone ricurvo, ma, prima che possa agire, cerco d'infilzarlo con un affondo che però viene intercettato; continuo a parare colpi mentre una forte rabbia cresce all'altezza del petto espandendosi per tutto il corpo: l'istinto di difesa, l'istinto di uccidere. Urlo con tutto il fiato che ho in me e parto al contrattacco; i miei fendenti sono forti anche se imprecisi, ma la bestia sembra arretrare davanti alla mia furia improvvisa.

-Io ho ucciso tuo padre!- Grugnisce mostrando le sue orribili zanne. Aumento la forza dei miei colpi, ignorando i crampi alle braccia e le lacrime che hanno cominciato a bagnarmi il viso, e un grido d'odio esce dalle mie labbra quando la lama penetra nel suo braccio fetido. Lascia andare l'arma e sussulta, ma la sua voce è troppo delicata per appartenere ad una bestia simile e il sangue che sgorga dalla ferita è rosso.

Di fronte a me non c'è un Orco, ma il capitano Seregon che si sorregge l'arto ferito, il suo sguardo è confuso e sorpreso. La paura e la rabbia hanno ingannato la mia mente distorcendo ciò che vedevo e facendomi credere che un Orco mi stesse attaccando, invece era solo il capitano che voleva testare le mie capacità.

Rimango immobile con la spada stretta tra le mani sudate e tremanti, le gambe improvvisamente molli e il cuore a mille; tutta la convinzione e la rabbia, che fino a pochi secondi fa avevano animato i miei movimenti, svanscono quando Seregon sposta il suo sguardo su di me. Si asciuga la mano sulla tunica senza però fare il minimo lamento e Aglar, che sembra lo spavento fatto persona, si allontana da lui: i suoi grandi occhi verdi mi guardano con apprensione, temendo le conseguenze del mio gesto.

Il capitano si piazza davanti a me con fare pericoloso ma, fuori da ogni mia aspettativa, sorride leggermente e mi porge la mano destra.

-Il tuo sangue non mente, Melyanna figlia di Brethil. L'ultimo Elfo che mi disarmò e ferì fu proprio tuo padre, tanti anni fa.- Mormorii increduli si levano tra i miei compagni che, in precedenza, si erano riuniti intorno a noi per assistere allo scontro. Afferro la sua mano con titubanza, sorprendendomi nel sentirla così calda, grande e ruvida in confronto alla mia, e non posso fare a meno di pensare che sembra molto più bello e giovane quando sorride.

-Hai abbastanza forza per maneggiare una spada e rabbia per combattere- Continua stringendo di nuovo il braccio ferito. -Ma devi imparare a controllare le tue emozioni, lavoreremo anche su questo.- Dopodiché ci congeda in anticipo e si allontana per farsi medicare la ferita.

Aglar mi sta aspettando all'uscita del campo, ma gli faccio un cenno con la mano di attendere ancora un po'. Mi dirigo verso la panchina su cui sta seduto Seregon mentre il guaritore del campo gli benda il braccio; i suoi occhi non sono più freddi e calcolatori, ma attraversati da vecchi ricordi.

-Puoi tornare a casa Melyanna, l'allenamento è finito.- Mi anticipa con la sua voce profonda.

-Volevo soltanto scusarmi per il mio comportamento irrispettoso e per avervi ferito, signore.- Rispondo cercando di non incrociare il suo sguardo penetrante mentre lui mi guarda con fierezza e divertimento.

-Accetto le scuse per come ti sei rivolta ad un superiore, ma non posso accettarle per avermi fatto questo.- Continua alludendo al taglio sanguinante.

-Signore, mi dispiace... Credevo che voi foste un Orco... Non intendevo farvi del male.- L'ansia mi pervade completamente al solo pensiero di ciò che potrebbe dire al re. Seregon, però, ride sommessamente scuotendo la testa.

-C'è mai stata una punizione per chi è riuscito a sconfiggere qualcuno più forte di lui? Se tuo padre battendomi ha accresciuto il mio orgoglio tempo fa, tu adesso mi hai reso più umile facendomi capire che anche il più piccolo può vincere contro il più forte.- Nel suo sguardo c'è una luce diversa, una luce più gentile, e il viso sembra essersi rilassato un poco. -Il re saprà quello che hai fatto e sta' sicura che se interverrà sarà solo in tuo favore: era tanto che aspettava che qualcuno mi battesse e il fatto che sia stata tu lo renderà felice. Ora va', Aglar ti sta aspettando.- Accenno un inchino e raggiungo il mio amico.

-Melyanna... È stato fantastico!- Esclama Aglar su di giri. -Eri così... Così decisa, e la spada sembrava cantare nelle tue mani. Devi venire a cena da noi stasera, Ada non ci crederà mai se sarò io a raccontarglielo.- Continuo a camminare in silenzio, sorridendo appena della sua allegria e ripensando a ciò che è successo: non riesco ancora a credere di aver disarmato il capitano e che lui non mi abbia punito, ma quello che mi rende ancor più felice sono le cose che mi ha raccontato su mio padre; anche se sono soltanto delle allusioni, ne ha parlato con fierezza e rispetto e nei suoi occhi non c'era né pietà né tristezza, solo una lieve malinconia.
Thranduil e Legolas mi hanno parlato dell'insofferenza che c'era tra mio padre e Seregon ma non si sono soffermati molto sui particolari: mi hanno solo informato della gelosia che quest'ultimo provava nei suoi confronti e come da questa fosse nata un'inimicizia tra di loro, ma anche che Seregon ha sofferto molto dopo la sua morte e che, probabilmente, abbia trasformato il suo rimorso in freddezza.

Se quello che mi hanno detto corrisponde al vero, vuol dire che sono riuscita ad aprire una breccia nelle mura costruite attorno al suo cuore e adesso non possono che cadere.
 

*
 

In piedi sulle mura del Fosso di Helm osservo le stelle oscurarsi: grandi nubi scure e cariche di pioggia celano, sospinte dal vento, la luna e le stelle, come se neanche il cielo sperasse in una nostra vittoria. In fondo, che speranze abbiamo di riuscita? Siamo solo un pugno di Uomini, tra cui forse solo la metà sa realmente combattere, contro l'intera forza di Isengard. È stato Mithrandir a convincere re Théoden a scendere in battaglia ma, anche se so che le sue decisioni non sono mai affrettate e che in lui arde la fiamma dell'antica saggezza, guardando questi ragazzini dagli occhi chiari e turbati, con le armature troppo grandi per le loro membra esili, non posso fare a meno di pensare che non ci sarà un'alba per noi.

"Anche il più piccolo può vincere contro il più forte." Le parole del mio vecchio istruttore mi tornano alla mente, ma non hanno più lo stesso effetto di una volta. 
Se la fine di questo popolo dovesse arrivare stanotte, non mi sottrarrò al filo delle spade nemiche, non senza combattere fino all'ultimo; darei tutto per coloro che amo.

Il mio vero aspetto è celato ma non m'impedisce di rimanere accanto a loro, forse la mia unica ragione d'esistenza: alla mia sinistra, Aglar scruta l'orizzonte in attesa di percepire il minimo segnale dell'arrivo delle schiere nemiche mentre sfiora con le dita il piumaggio candido di una freccia; non ha ancora indossato il semplice elmo che gli è stato messo a disposizione e i suoi capelli rossi si muovono come fiamme intorno al viso candido, i lineamenti delicati appena contratti in uno sguardo serio e concentrato. Non c'è niente che i suoi occhi verdi possano nascondermi e ora più che mai riesco a leggere in essi tutti i suoi dubbi e le sue paure, ma c'è ancora speranza in quelle iridi che ne portano il colore: speranza di tornare dai genitori e dai fratelli, speranza di riabbracciare la sua amata Lingwe.

Tra noi due, lui è sempre stato il più ottimista e spensierato, sognante e dal facile sorriso, mentre io sono silenziosa e riservata, dai pensieri più cupi e realistici, e non può che essere altrimenti: Aglar ha sempre avuto una famiglia da cui tornare, a cui affidarsi nei momenti bui e che gli è sempre stata accanto; così, dopo aver vissuto in un nido di felicità e amore, tende sempre a vedere il lato bello della vita. A me questo non è stato concesso, non ho avuto una madre con cui confidarmi, un padre che mi proteggesse e dei fratelli da accudire; Elrond è stato colui che più di tutti si avvicina ad una figura paterna ma, nel periodo in cui ho vissuto a Bosco Atro, non ho avuto altri che Legolas.

Poi è arrivato lui, il ragazzino dai capelli rossi allegro e impetuoso che ha alleggerito di un poco il mio immenso dolore, donandomi piccoli e semplici gesti che hanno rallegrato la mia esistenza vuota e buia.

-Promettimi una cosa.- Gli ho detto stamattina quando il sole stava sorgendo. -Promettimi che non rischierai la tua vita per me.- Aglar si è sciolto dall'abbraccio e mi ha guardata, quasi offeso dalle mie parole.

-Come puoi pensare che non ti proteggerò?- Ha sussurrato allontanandosi da me e dandomi le spalle. -Non ti ho seguita soltanto per la guerra, Melyanna: saperti lontana, in balìa di tutti i mali di questa terra...- Non ha concluso la frase, ma ha sospirato serrando i pugni lungo i fianchi. -Non posso farlo.-

-Mi avresti seguito se tu avessi avuto la certezza che Lingwe ti amasse?- È rimasto seduto, il corpo improvvisamente rigido attraversato solo da qualche tremito impercettibile. Poi la sua risposta è arrivata più lieve di un sussurro.

-No...- Mi sono seduta accanto a lui e ho visto una lacrima scendere sul suo viso sempre sorridente. Gli ho passato un braccio intorno alla spalla e subito ha ricambiato il gesto, appoggiando la testa al mio petto e abbandonandosi all'abbraccio. Abbiamo aspettato l'alba in silenzio, lasciando che fossero i nostri spiriti a parlare: c'era troppo da dire, troppo per poter essere espresso a parole.

Aglar ha ancora tanto per cui vivere, mentre a me rimane solo lui e un amore sofferto: non potrei mai perdonarmi la sua morte.

Alla mia destra, invece, c'è lui, lui che, nonostante tutto il dolore, nonostante tutte le lacrime, non riesco a evitare: alto e fiero, Legolas tiene lo sguardo davanti a sé, i suoi occhi grigio-azzurri così simili a quelli di suo padre nella loro freddezza e imperscrutabilità, il bel volto pallido; il vento gioca con i capelli che spuntano da sotto l'elmo verde e oro creando un intrico di fili biondi, muove il mantello attorno al suo corpo longilineo risaltandone le spalle e le gambe, le dita chiare e affusolate stringono l'arco di Lórien, strumento leggiadro ma letale nelle sue mani.

Nonostante io sia rimasta sempre vicino a lui da quando siamo arrivati alla fortezza, non ha percepito la mia presenza, neanche adesso che sono accanto a lui; forse mi sto camuffando perfettamente, ma come può un Elfo non riconoscere il portamento e i gesti di un altro Elfo? Fino a non molto tempo fa riusciva a comprendere ogni mia singola emozione solo guardandomi negli occhi, sentiva che ero insieme a lui anche se non mi vedeva, anche se non c'ero; ed io ho scaldato le sue mani fredde, ho ridato vita al suo cuore fermo, carico di dolore, sanguinante, e in silenzio parlavo con lui. Il legame che si è creato in così tanti anni, tessuto grazie all'amore e all'amicizia, non c'è più, perso o andato distrutto, ed io non provo più quel piacevole pizzicore allo stomaco nel vederlo, né i suoi occhi m'infondono sicurezza, ma il mio cuore continua a battere: qualcosa è rimasto, un filo sottile che m'impedisce di lasciarlo.

Lo osservo da sotto l'elmo che mi cade sugli occhi ma che non m'impedisce di ammirare il suo splendore, mal celato dai vecchi armamenti, e la luce, seppur fredda, del suo sguardo che penetra le tenebre. D'un tratto la punta delle sue orecchie trema leggermente, corruga la fronde e serra le mascelle, mentre le sue dita corrono alla corda tesa dell'arco. Aragorn, in piedi di fianco a lui, ed Aglar si accorgono dei suoi movimenti improvvisi e si voltano nella sua direzione.

-Man mathach? (Cosa senti?)- Domanda l'Uomo, anche se intuisce già la risposta.

-Glamhoth anglennar. (Stanno arrivando.)-
 

*
 

Corro a tutta velocità per i corridoi degli appartamenti reali ignorando la fatica dell'allenamento appena concluso; le guardie mi seguono con lo sguardo ma non mi fermano, poiché sanno che posso girare liberamente in questi luoghi per concessione del re.

Continuo a correre fino a quando non raggiungo la porta che conduce alle stanze del principe e finalmente mi fermo, il cuore che batte velocemente e le guance tirate in un ampio sorriso: dovrei essere in camera a riposare, come sempre mi raccomanda Legolas, ma i miei momenti di felicità sono così rari che voglio condividerli con lui.

-Legolas, sono io.- Esclamo bussando sul legno, ma nessuno risponde. -Legolas?- Tutto tace.
Apro la porta ed entro nell'ampio corridoio delle sue camere: un silenzio opprimente aleggia sui mobili semplici ma regali, sui chiari drappeggi di tende e coperte, sull'acqua immobile della vasca da bagno, e il sorriso è scomparso dalle mie labbra poiché un'inquietudine che non mi appartiene mi ha appesantito l'animo. Legolas non è da nessuna parte, non si sta riposando seduto vicino al fuoco né sta sulla finestra a leggere un libro. Ho guardato ovunque, tranne che nella camera da letto.

D'improvviso un singhiozzo, proveniente da quella stanza, mi fa sussultare. Mi dirigo velocemente in quella direzione ed apro la porta, senza bussare, rimanendo immobile davanti a ciò che vedo: Legolas è seduto sul letto, le braccia appoggiate sulle ginocchia e la schiena ricurva, tutto il suo corpo trema come sotto il peso di un grande supplizio; tra le mani stringe un foglio vecchio e sciupato su cui continuano a cadere le lacrime scivolate dal suo volto pallido. I singhiozzi si fanno più numerosi e ad essi si aggiungono sospiri e gemiti.

Mi siedo accanto a lui guardando la pergamena: anche se i colori sono sbiaditi, riesco ancora a distinguere la figura di una donna con i capelli chiari e incoronata di foglie, un vestito rosso orna la sua figura e lunghe ciglia ne incorniciano gli occhi grigi; i tratti del disegno sono incerti e tipici di una mano infantile, come lo è anche la scritta nera all'angolo del foglio: Nana (Mamma).

Una fitta di dolore mi attraversa il cuore e lotto contro una lacrima che sta per bagnarmi le guance. Sposto una mano sul viso umido di pianto di Legolas e lo volto verso di me: le sue labbra socchiuse non emettono più alcun suono, ma gli occhi arrossati gridano una muta richiesta d'aiuto. Getto le braccia al suo collo e lo stringo forte a me, così forte che riesco a sentire il suono del suo cuore lacero, così forte che faccio mio il suo pianto e il suo dolore; lascia andare il disegno che anni fa aveva fatto per sua madre e si accascia contro di me, passando le dita fredde tra le ciocche dei miei capelli scompigliati e asciugando le lacrime ai miei vestiti.

Così torna il passato, meschino e crudele, a tormentare il cuore dei feriti, gettando tristezza anche sul più dolce dei ricordi. Nella mia mente si materializza l'immagine di un bambino Elfo dai capelli biondi e dal sorriso dolce e spensierato che illumina i suoi occhi azzurri, che corre verso la madre mentre, tra le candide manine, tiene una pergamena colorata vivacemente; la donna si volta verso il figlio e lo prende in braccio, baciandolo sulla fronte.

Legolas si stacca da me, fissando il suo sguardo nel mio, sull'orlo del cedimento.

-Gil nín... Aiwe gil nín... (Mia stella... Mia piccola stella...)- Sussurra accarezzandomi una guancia. -Perché hai smesso di sorridere? Riprendi, ti prego, riprendi che il tuo riso sana il mio cuore.- Nonostante sia più propensa alle lacrime, le mie labbra si curvano in un sorriso, e, nel vedere gli occhi di Legolas illuminarsi, una debole risata esce spontaneamente.

Lascio che si stenda sul letto e che posi la testa sulle mie gambe; libero i suoi capelli sottili dalle trecce e lui passa le dita tra le mie, stringendole debolmente. In breve tempo si addormenta ed io, dopo avergli tolto gli stivali e risposto con cura la pergamena, poso una coperta sopra di lui.

-Né guerra né odio né morte m'impediranno di starti accanto, perché tu sei parte della mia anima, parte del mio cuore.-


 

***


 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Prima di parlare del capitolo, vorrei soffermarmi su alcuni errori che solo ora mi sono accorta di aver commesso.
Il primo riguarda il nome Melyanna: lo avevo trovato nell'indice delle parole in elfico presente ne Il Silmarillion e mi è sembrato molto bello e più che adatto al mio personaggio; qualche giorno fa ho scoperto che questo nome, oltre a significare "amato dono", è la traduzione Quenya di Melian.
Il secondo invece riguarda le età degli Elfi: nel racconto ho scritto che Melyanna rimane orfana quando ha circa trecento anni, età che io ho fatto corrispondere ai dodici anni negli uomini; facendo ricerche su internet ho poi scoperto che gli Elfi raggiungono la maturità del corpo verso i cinquant'anni.
Ho letto queste informazioni su Wikipedia ma credo che se ne parli in History of Middle-earth, libri che io non ho ancora letto; mi scuso con voi e spero che questi errori non abbiano influito negativamente sulla storia.
Passiamo al capitolo: abbiamo scoperto che la rabbia di Melyanna nel combattere deriva dalla morte del padre e che nessuno, nemmeno il severo Seregon, riuscirà a controllarla del tutto; e Seregon che finalmente mostra i suoi sentimenti (evviva!). Non poteva poi mancare il sad moment, con Legolas che ricorda la madre e Melyanna che lo consola.
Prima di concludere, vorrei ringraziare bellomia, Celaena Sardothien, fredfredina e Ila1992 che hanno inserito la mia storia tra le seguite e anche AnnyWolf99, Antimony, didi_95, Fede Serecanie, Fjorleif, jess chan, m0nica, michela30, Sabry_Ace_Will_Never_Die, sarina89, SLVF, strix e Thranduil_Oropherion che mi seguono

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere in una recensione
Diletta

 

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Capitolo 15
*** Sacrificio ***


 

SACRIFICIO

 

Una freccia rasenta il mio braccio lasciando un taglio dove non arriva la cotta di maglia; abbasso la testa per controllare la gravità della ferita e un altro dardo s'infrange contro l'elmo: la lesione non è grave, solo una lieve bruciatura da cui esce poco sangue. Aglar si volta verso di me guardandomi di sfuggita e subito torna a tendere il suo arco contro i nemici sotto le mura, non senza soppesare con attenzione come e quando lasciar andare la corda: non ci rimangono molte frecce, dobbiamo scegliere accuratamente chi uccidere.

Carico l'arco e mi appoggio alla merlatura delle mura, preparandomi a lanciare, e Legolas mi si affianca: con un movimento fluido e veloce, afferra un dardo dalla faretra e, dopo averla incoccata, lascia la corda con un sibilo acuto. Dallo scintillio di soddisfazione che attraversa i suoi occhi gelidi, capisco che ha raggiunto l'obiettivo: Legolas non sbaglia mai un colpo.

Per qualche secondo rimango a guardarlo, incantata dal suo sguardo freddo e letale, dal rumore del suo respiro affannoso sotto la pioggia, dal suo petto che si muove velocemente: adesso nel suo cuore non c'è posto per i sentimenti, il suo spirito di guerriero sta prendendo il sopravvento tutto ciò che c'è di sensibile in lui. Mi volto prima che possa accorgersi di me e mi sporgo leggermente dai bastioni: la valle brulica delle schiere di Isengard, Uruk-hai armati con pesanti corazze, orribili Orchi e Mezzorchi, Uomini selvaggi del Dunland, figure scure e striscianti che si accalcano uno sopra l'altro nel vano tentativo di arrampicarsi sulle mura, e le loro frecce s'infrangono continuamente sulla roccia.

La mia mano freme sulla corda del vecchio arco mentre sento la rabbia ardere in me e per poco non lascio andare la freccia. Chiudo gli occhi per un attimo cercando di calmarmi e di riprendere il controllo delle mie azioni: non è il momento di lasciarsi andare all'istinto, mi ripeto sospirando profondamente. Torno di nuovo a guardare la valle e trattengo a stento un grido: un gruppo consistente di Orchi si è avvicinato al cancello e, con un ariete, stanno cercando di buttarlo giù. Qualcuno degli Uomini vicini a me si accorge del pericolo e invoca l'aiuto dei due capitani, ma, prima che la disperazione s'impadronisca dei loro cuori, Aragorn ed Éomer balzano in mezzo ai nemici, le loro spade sguainate emanano un solo bagliore. Grida di esultanza si alzano sulle mura quando le bestie fuggono davanti alla furia del principe di Rohan e del Capitano del Nord ma, mentre stanno per rientrare nei cancelli, un Orco si avvicina pericolosamente ad Aragorn pronto a trafiggerlo con la sua rozza lama, ma l'Uomo, voltato di spalle, non se ne accorge.

Accade tutto in pochi secondi: Legolas porta la mano alla faretra ma le sue dita sembrano afferrare il vuoto, poiché ha esaurito le frecce; la sua maschera di freddezza si distrugge e un'espressione di orrore sfigura il suo viso pallido. Sa che la distanza è troppo lunga perché gli arcieri di Rohan possano uccidere l'Orco, ma non sa che io sono accanto a lui; miro velocemente alla testa della bestia e lascio andare la corda. Il dardo sfreccia nell'aria finendo dritto nel suo occhio.

Mi allontano velocemente prima che Legolas possa voltarsi verso di me: poteva riconoscermi, mi dico, ma se non avessi agito Aragorn sarebbe morto. L'ho conosciuto quando era appena un bambino, ancora ignaro del suo vero nome e del destino che avrebbe dovuto seguire, libero da qualsiasi fardello. Mi ha aiutato a sopportare il peso della battaglia e dell'amore che, anche allora, provavo per Legolas, ed io l'ho visto crescere e diventare un uomo, l'ho visto innamorarsi.
 

*
 

La luce del sole morente, filtrando dai vetri colorati, illumina tutta la biblioteca creando giochi di ombre tra gli innumerevoli libri e mobili, stendendo veli chiari e luminosi sulle pergamene vuote e passando tra i morbidi filamenti delle piume. Le grandi finestre, aperte per metà, lasciano passare lievi aliti di vento carichi di profumi.

Abbandono la testa contro il muro e chiudo gli occhi, beandomi della brezza che mi rinfresca il viso e mi smuove i capelli; osservo Imladris dal davanzale su cui sono seduta, gli ultimi raggi di sole che bagnano i sinuosi edifici e gli alberi. Dopo pochi secondi, riprendo a leggere il libro che tenevo in grembo, un vecchio volume regalatomi da Elrond quando, qualche anno fa, sono tornata in questa dimora.

Sono cambiate tante cose da quando ho lasciato Bosco Atro: qui, al sicuro nella valle, il male non può toccarmi e i ricordi della battaglia e dei miei compagni morti non mi tormentano più come prima; ma sapevo che, tornando a casa, avrei dovuto affrontare un dolore più antico e profondo senza che Legolas o Aglar potessero aiutarmi. Rientrare nella mia casa vuota e sileziosa è stato un duro colpo per me; ogni cosa sembrava essere rimasta al proprio posto da anni, ma non c'era neanche un filo di polvere sui mobili e gli oggetti. Passare la notte nel letto in cui i miei genitori si sono amati e hanno riposato insieme ha riportato alla mente tanti, troppi ricordi, e ho pianto a lungo nel tentativo di trovare un contatto con Legolas. Sospiro ripensando a tutte le volte che ho sentito il forte desiderio di ascoltare di nuovo la voce soave del mio principe, di poter soltanto passare le dita tra i suoi capelli chiari, ma non ho potuto.

Il rumore della porta mi desta dai miei pensieri: Estel è entrato nella biblioteca e tra le mani tiene un piccolo fiore bianco.

-Estel, vieni a sederti.- Il ragazzo segue il mio consiglio e si sistema su un cuscino adagiato contro la grande finestra. Rimane silenzioso e con gli occhi abbassati, sfiorando i petali del fiore con le dita; le sue guance, ricoperte da barba rada e morbida, sono lievemente arrossate.

-È per una fanciulla?- Domando alludendo a ciò che porta con sé. Quando Estel era ancora un bambino si divertiva ad intrecciarmi i capelli con i fiori e spesso me ne donava qualche piccolo mazzo, ma se quello fosse stato un regalo per me non avrebbe esitato a darmelo.

-Melyanna... Sei... Sei mai stata innamorata?- Domanda invece, fissandomi con i suo grandi occhi azzurri e limpidi. La sua richiesta mi prende del tutto alla sprovvista, tanto che il libro mi scivola dalle mani: l'immagine di Legolas appare di nuovo nella mia mente, il suo sguardo dolce, le sue labbra morbide.

-Sì, lo sono anche adesso.- Rispondo, cercando di nascondere il turbamento.

-E quanto ci hai messo a capirlo?- Continua lui, un po' più rilassato. Non ho mai saputo quando i sentimenti per Legolas si siano tramutati in amore: forse è stato quando mi sono sentita ardere di gelosia nel vederlo in compagnia di una donna, oppure quando, per puro caso, l'ho scorto uscire dalla vasca da bagno e i miei occhi si sono soffermati sul suo corpo candido e slanciato.

-Non lo so Estel, forse lo sono da sempre.- Il ragazzo sembra confuso dalla mia risposta e sospira, scostandosi i capelli dal viso.

-Che speranze ho di essere ricambiato?- Continua quasi in sussurro, accarezzando con le dita i petali candidi. -Cosa sono io per una fanciulla così nobile e bella? Non sono un grande guerriero, né uno studioso e neanche bravo con le parole. Sono solo un Uomo.- Abbandona il fiore sul cuscino e stringe le ginocchia al petto, poggiandoci sopra la testa.

-Estel...- Poso una mano sulla sua testa e gli accarezzo i capelli, intristita dalle sue parole. -Hai un animo nobile, sei gentile e sensibile, e, lasciamelo dire, anche molto bello.- Sorride appena e arrossisce ancor di più per i miei complimenti, ma subito il suo viso si rabbuia di nuovo.

-Chi è lei?- Sposta lo sguardo su di me e il mio cuore si stringe nel vedere la straziante dolcezza dei suoi occhi chiari.

-È una persona a te molto cara...- Si ferma un attimo, indeciso se continuare o meno a parlare. -Lei è Arwen, figlia di Elrond.-

Trattengo a stento un sussulto al sentire il suo nome: se non avessi scorto un amore sincero nel suo cuore, gli consiglierei di lasciar perdere e di cercare la felicità insieme ad un'altra donna. La bellezza di Arwen è così leggiadra e sublime da assere paragonata a quella di Lúthien Tinúviel, sua antenata: i suoi capelli sono come il manto della notte trapuntato di luce lunare, le mani petali di gigli bianchi e gli occhi come il cielo prima di una nevicata. Ogni suo gesto è dettato da bontà e saggezza ed ha sempre una parola gentile per tutti. Nessun uomo, però, è riuscito a fare breccia nel suo cuore, ed Elrond è molto protettivo nei suoi confronti: non credo che possa concederla in sposa a qualcuno tanto facilmente.

-Lo sapevo...- Mugugna lui voltandosi dall'altra parte.

-Estel...- Lo chiamo passando una mano sul suo braccio, ma lui non risponde.

-Aragorn.- Sento i suoi muscoli irrigidirsi e lentamente alza il capo. -Aragorn ascoltami.- Torna a guardarmi, lievemente intimorito dal tono della mia voce improvvisamente duro.

-Non perdere mai la speranza, Aragorn, perché sarà lei a guidarti quando le tenebre incomberanno su di te. Per questo sei stato chiamato Estel. Non pensare alle difficoltà che potrei incontrare, vivi questo amore ogni giorno come se fosse l'ultimo della tua vita: dalle piccole attenzioni e gesti semplici e vedrai che un giorno il suo cuore potrà ricambiare i tuoi sentimenti.-

Estel mi fissa, stupito dalle mie parole, e una lacrima scende lungo il suo viso.

-Spero che sia di felicità.- Gli dico asciugandogli la guancia; sorride e stringe la mia mano nella sua, per poi alzarsi e consegnarmi il fiore.

-Portalo ad Arwen, ma non dirle che è un mio dono. Lei capirà.-

-Va bene Estel, sono sicura che lo apprezzerà molto. Va' a riposarti adesso, sembri molto stanco.- Annuisce ed esce dalla biblioteca, sorridendomi un'ultima volta prima di andarsene.
 

*

 

Il sangue dell'Orco sgozzato mi sporca il viso, la sua testa rotola ai miei piedi; la allontano da me con un calcio prima di infilzarne un altro. Il nemico ha assediato le mura e centinaia di soldati isengardiani si stanno riversando sui bastioni. Gli uomini di Rohan sono possenti cavalieri e abili arcieri, ma non possono niente contro questo esercito smisurato. Nonostante che innumerevoli Orchi siano stati uccisi e le loro scale e ramponi gettati indietro, continuano ad assalirci in numero sempre maggiore.

Non molto distante da me, Aglar mulina la sua spada con leggerezza e precisione uccidendo qualsiasi nemico, il rosso del sangue si confonde con quello dei suoi capelli, adesso bagnati dalla pioggia. Riesco a vedere una lieve ferita sul sopracciglio ed una sulla spalla, ma lui non se ne cura molto e continua a combattere. Mi rivolge uno sguardo fugace appena i nemici gli lasciano un attimo di tregua; saperlo vivo alleggerisce non di poco il mio cuore.

-Attento!- Grida Legolas alle mie spalle. Ci metto un po' prima di capire che sta avvertendo me, troppo. Vengo schiacciata a terra da un corpo pesante e non riesco a muovermi; sento due paia di mani enormi sul mio collo e le sue grida agghiaccianti sopra di me. Il cuore batte all'impazzata quando le sue dita cominciano a stringere e un urlo mi muore in gola. D'improvviso la pressione svanisce e la bestia cade a peso morto su di me, prima che, con un calcio, venga fatto rotolare al mio fianco.

Mi prendo qualche secondo per respirare, ma la mano di Legolas si posa sulla mia spalla e mi volta quasi bruscamente; cerco di non guardarlo, ma è impossibile sfuggire ai suoi occhi così freddi e spietati.

-Sta' più attento la prossima volta, ragazzo.- Mi avverte, tendendomi una mano peraiutare ad alzarmi. Io la rifiuto e mi tiro su da sola: se la stringessi potrei tremare e lui si accorgerebbe di me. Afferro la spada mezza arrugginita e smussata e torno a respingere i nemici oltre le mura.

Riesco a sentire gli occhi di Legolas puntati su di me da quando ho salvato Aragorn: sa che un Uomo non avrebbe mai potuto scagliare una freccia con tanta precisione e adesso nutre dei dubbi sulla mia identità. Nonostante questo, mi è sempre rimasto vicino per difendermi e non poche volte sono stata tentata di sfilarmi l'elmo e rivelarmi. Non so quale potrebbe essere la sua reazione e, in un certo senso, ho paura di scoprirlo.

La pioggia continua a cadere incessante, ma gli Uomini sembrano acquistare maggior coraggio, poiché gli Orchi arretrano inspiegabilmente e sempre in meno attaccano le mura. Aragorn continua a incitare i guerrieri correndo per tutta la lunghezza dei bastioni e offrendo la sua spada là dove serve. Non mi sorprendo che i Rohirrim1 lo seguano: il suo sguardo, la sua voce e il suo carisma sono ricchi della regalità che scorre nel suo sangue. Lo sento arrivare e fermarsi vicino a Legolas; si appoggia alla spada e respira profondamente, ora che ci è concesso un attimo di tregua. Mi avvicino ad Aglar, tendendo però le orecchie a ciò che il principe e il Dúnadan2 stanno dicendo.

-Sembra che i nemici si stiano ritirando, ma non credo che sia una ritirata.- Spiega l'uomo. Legolas annuisce leggermente e si volta verso di me.

-Gimli dov'è?- Chiede non vedendo il Nano.

-Non so dove si trovi.- Risponde, e nella sua voce c'è una nota di paura. -Cosa c'è?- Domanda dopo, preoccupato dall'espressione dell'amico.

-Mentre eri impegnato a difendere i cancelli insieme a Éomer, un Orco alle tue spalle ha cercato di ucciderti.- Spiega il principe spostando gli occhi su Aragorn. -Ma è stato trafitto da una freccia... Scagliata da quel giovane.- Conclude indicandomi con un cenno della testa.

-Gli porgerò la mia gratitudine se riusciremo a sopravvivere a questa notte.-

-Non è questo il punto, Aragorn.- Riprende innervosito, poi abbassa il tono della voce e si avvicina al suo orecchio, ma riesco comunque a capire le sue parole. -Neanche il miglior arciere degli uomini sarebbe riuscito a fare un lancio così preciso e forte da questa distanza, men che meno un ragazzo.-

Aragorn mi guarda appena: -Cosa temi?-

-Ciò che temi anche tu.- Risponde dopo un sospiro. Un forte brivido percorre la mia schiena e vedo Aglar irrigidirsi all'improvviso: anche lui sta ascoltando la conversazione.

-Non lo so... Sei lei fosse qui lo sentirei, non so se capisci: ogni volta che si trovava vicina a me percepivo la sua presenza anche senza vederla.-

-Non sei riuscito a sentirla a Meduseld, eppure si trovava a pochi passi da te.-

-No... Ho avvertito i suoi passi, la sua voce, ma ho creduto che fosse solo frutto della mia immaginazione. Non può essere qui.-

-C'è un solo modo per scoprirlo.- L'uomo si rialza in piedi e sembra voler raggiungermi, ma, prima che possa muovere anche solo un passo, si blocca, un'espressione di orrore e sgomento è dipinta sul suo viso. E finalmente capisco: i soldati di Saruman non hanno abbandonato le mura a causa nostra, no, sono troppi per essere sconfitti in così poco tempo. Ci stanno lasciando solo l'ultima briciola di speranza prima della fine.

Per un istante, un bagliore rosso illumina l'oscurità, poi l'esplosione. Cado sbattendo la testa e rimango stordita per qualche secondo. Tossisco mentre cerco di rimettermi in piedi e capire quello che sta succedendo, ma vengo urtata dagli Uomini che, in preda al panico, hanno cominciato a correre per quello che resta della cinta muraria; Aglar, che è riuscito ad aggrapparsi ad un merlo, mi afferra prima che possa crollare di nuovo a terra e mi porge una domanda silenziosa.

-Stai bene?- Annuisco debolmente non staccando lo sguardo dai suoi occhi: è confuso ed ha paura, nonostante la sua natura elfica, ed io non posso rassicurarlo, perché non riesco a capire cosa sia successo.

-Hanno aperto una breccia nelle mura!- Grida qualcuno. -Sono entrati nella Cinta!-

Il cuore riprende a battere velocemente, il fiato si fa corto e la mano, d'istinto, corre a stringere l'elsa della spada. Cerco con lo sguardo Legolas e Aragorn, ma la polvere e il fumo mi fanno lacrimare gli occhi; non riesco a vederli e neanche a sentirli tra le urla di sgomento.

-Aglar dobbiamo ritirarci.- Gli dico sciogliendomi dalla sua presa. -Devi guidare tu questi Uomini, non hanno un comandante. Loro ti seguiranno.- Mi guarda per un attimo e respira profondamente, prima di sfoderare di nuovo la sua lama e levarla in alto.

-Ritirata! Ritirata nel Tromabtorrione!- La voce di Aglar è possente come non l'ho mai sentita, eppure ancora delicata come quella di un fanciullo. Tutti i guerrieri sembrano ascoltare le sue parole e si voltano per obbedire all'ordine, ma, una dopo l'altra, decine e decine di scale vengono appoggiate alla roccia e, come un un'onda scura, gli Uruk si riversano sulle mura. E sento la rabbia salire, farsi bruciante ed esplodermi nel petto; non dovrei farmi prendere dall'istinto, ma potrebbe essere la mia ultima battaglia e c'è troppo furore dentro di me perché non si riversi su questa feccia.

Il primo Uruk cade trafitto allo stomaco, il secondo sgozzato e il terzo muore decapitato. Non riesco a rendermi conto di come faccia a proseguire senza cadere, sia per la stanchezza che per le ferite. Quando raggiungo le scale che portano al cancello, mi rendo conto di essermi staccata dal gruppo e di aver perso Aglar: potrebbe essersi fermato per cercarmi, ma non avrebbe mai messo a repentaglio la vita di tutti quegli Uomini, non dopo che aveva promesso.

Mi nascondo in una piccola nicchia nel muro, al riparo dei nemici, e aspetto il momento giusto per entrare e mettermi al riparo nel Trombatorrione. Aragorn, in piedi sugli ultimi scalini, stringe in una mano Andúril3, la sua spada, e il bagliore della lama leggendaria spaventa non poco il nemico; gli ultimi fuggitivi riescono così a mettersi in salvo, ben difesi dal Dúnadan e da Legolas che, vicino a lui, tende il suo arco pronto ad abbattere chiunque si avvicini. Entrambi sono feriti, ma Legolas sembra aver subito più colpi, forse nel tentativo di difendere l'amico: la cotta di maglia deve essersi rotta sotto un colpo pesante e adesso una lunga scia di sangue sporca la sua casacca, oltre ad una ferita sulla coscia destra; Aragorn, però, è visibilmente stanco e provato dalle lunghe fatiche.

Il ramingo si guarda intorno per assicurarsi che nessuno sia rimasto indietro e, vedendo che tutti sono rientrati, si volta e sale gli ultimi gradini, ma la spossatezza lo fa inciampare. A poco serve l'unica freccia di Legolas che uccide solo uno dei tanti Orchi che cercano di afferrare l'Uomo.

Di nuovo, senza pensare, mi getto tra le braccia della morte per loro e, correndo fuori dal mio nascondiglio e piazzandomi dietro la mischia, sfilo il vecchio elmo lasciando che i capelli, sciolti dalle trecce, ricadano sulla schiena.

-Sono Qui! Venite a prendermi!- Grido con tutto il fiato che ho in corpo. La mia voce risuona tra le mura e tutto sembra fermarsi per qualche istante: gli Orchi smettono di cercare di afferrare Aragorn e si voltano lentamente verso di me; l'Uomo riesce ad alzarsi ma il suo viso è ancora più turbato, e Legolas, Legolas mi fissa con gli occhi sbarrati, le labbra socchiuse e il volto pallido di paura. Perché sa cosa fanno gli Orchi quando hanno davanti una donna sola: sa che non la uccideranno, la faranno prigioniera e se ne approfitteranno, uno ad uno per lunghe ore. Sa che sono una facile esca per loro, eppure preferirei sopportare tutte le pene di questo mondo piuttosto che vederli morire.

Sono più stupidi di quanto non sembri” Penso mentre gli Orchi mi corrono in contro. In pochi istanti mi abbasso e afferro uno scudo da terra e, prima che possano prendermi, compio l'atto più avventato della mia vita: mi piego in avanti e corro contro di loro, colpendoli alle gambe. I primi, presi alla sprovvista, cadono a terra, ed io continuo a procedere nella mischia quasi indisturbata, spinta da una forza a me sconosciuta. L'adrenalina scorre nelle mie vene e non riesco a sentire né dolore né fatica.

A circa metà percorso, mi faccio spazio a colpi di spada, ma i nemici sono comunque troppi per essere respinti da una sola persona; alcuni che mi si parano davanti cadono a terra prima che io possa colpirli, tutti trafitti da una freccia veloce e precisa. Legolas deve aver recuperato qualche freccia.

Gli ultimi Orchi cedono facilmente alla mia furia e, scappando alle grinfie di chi è rimasto, balzo dentro ai cancelli seguita da Legolas e rotolo a terra, sul pavimento di roccia; Aragorn chiude prontamente le porte e altri Uomini accorrono per rinforzarlo con travi.

Rimango distesa per qualche secondo, lasciando che l'euforia scivoli fuori da me. Respiro a fondo e chiudo gli occhi: nonostante abbia appena sfiorato la morte, non mi sono mai sentita così bene, così viva. Se non fossi stata tanto impulsiva, probabilmente mi sarei fatta cogliere dal panico e sarei scappata verso una morte certa; ho preso il nemico alla sprovvista e sono riuscita a fuggire.

Ma gli Orchi non sono i soli ad essere confusi e sbalorditi da ciò che è appena successo: riaprendo gli occhi, mi accorgo che Uomini di tutte le età mi hanno circondata, scrutandomi con meraviglia. Bisbigliano tra di loro, increduli per quanto è accaduto, ma alcuni sembrano intimoriti: sono molte le voci che girano in questi luoghi sulle donne elfiche. Cerco di mettermi in piedi ma, per la prima volta, percepisco la stanchezza e le gambe cedono; un giovane mi viene in contro e mi aiuta ad alzarmi.

-Mia signora.- Dice con voce esitante. -Siete stata fantastica.- I suoi occhi chiari mi guardano pieni di ammirazione.

-Ti ringrazio.- Rispondo appoggiandomi a lui, che sembra più che contento di accogliermi tra le sue braccia.

La folla davanti a me si dirada e Legolas, seguito da Aragorn, si piazza davanti a me: il suo viso è sconvolto, sorpreso e deluso allo stesso tempo, gli occhi sono però carichi di una preoccupazione profonda e viscerale. Rimane completamente immobile, salvo per il viso che si muove lentamente nell'osservarmi. Mi scosto dal ragazzo e mi avvicino a lui, con il cuore che batte a mille.

-Legolas io...- Tento di dire, ma un forte schiaffo fa morire le mie parole in gola. Volta la testa di lato per il colpo subito e d'istinto le mie dita corrono a posarsi sulla guancia destra, dove la mano di Legolas ha lasciato un segno bruciante. Fa più male di quanto non dovrebbe, forse perché avevo già incassato un pugno su quel lato del viso, o forse perché è stato proprio lui a farmi del male; non aveva mai alzato un dito su di me, neanche per i fatti più gravi, ed ora lo ha fatto dopo che li ho salvati da morte certa. Vorrei piangere, ma un'inspiegabile forza interiore, la stessa che mi ha spinto a colpire gli Orchi, me lo impedisce.

-Ho solo cercato di proteggervi...- Sussurro guardandolo dritto negli occhi, con le lacrime che stanno per bagnarmi le guance: è furioso, e ancora la mano con cui mi ha colpito trema.

-Sei solo una sciocca! Sai cosa avrebbero fatto se ti avessero preso? Ti avrebbero usato violenza, Melyanna, avrebbero oltraggiato il tuo corpo così...- Si ferma un attimo e si copre il viso con le mani, come ad allontanare un'immagine orribile dalla sua mente. -Solo i Valar sanno se ne saresti uscita viva.-

-Io ti salvo la vita e tu mi fai ancora del male? Non era abbastanza?- Ma alle mie domande non c'è risposta. Mi allontano da loro barcollando come un'ubriaca, scacciando via il giovane che tenta di sorreggermi e ignorando tutto intorno a me.

Arrivata fuori dalla loro portata di occhi e orecchie, mi accascio a terra sopraffatta dal dolore e dallo sgomento, ma non piango. La battaglia non è ancora finita.


 

***



 

1 Rohirrim: abitanti di Rohan.
Dúnadan: in Sindarin "Uomo dell'Ovest", nom con cui spesso è chiamato Aragorn.
3 Andúril: in Sindarin "Fiamma dell'Ovest", è la spada forgiata dai frammenti di Narsil, appartenuta a Elendil, antenato di Aragorn.



ANGOLO AUTRICE:
Prima di tutto vorrei scusarmi per il ritardo. Saranno passati più di due mesi dall'ultima volta che ho aggiornato la storia: so che è tanto tempo, ma ci sono stati alcuni problebi personali che non mi hanno permesso di scrivere, oltre alla difficoltà che ho trovato nel portare a termine questo capitolo e ai vari blocchi che ho riscontrato. Non riuscivo a buttare giù niente che mi piacesse e neanche questo mi soddisfa molto, ma non riuscirei a scrivere qualcosa di meglio, almeno per ora, e mi è sembrato giusto farvi leggere qualcosa dopo così tanto tempo. Ho cercato di tenere fede al libro, infatti Éomer è presente per tutta la battaglia, ma mi è riusltato molto difficile seguire tutti i passaggi canonici e quindi ho deciso di tagliare qualche parte e "aggiustarmi" un po' le altre, anche se so che il lavoro non è dei migliori.
Spero però che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante tutto, e che le "sorprese" non siano fuori luogo. 
Inoltre vorrei ringraziare dreamy_Allis che ha inserito la mia storia tra le seguite, nessia87 tra le preferite e Alyson_00 per avermi messo tra gli autori preferiti.
Mi scuso ancora per il tremendo ritardo
Diletta 

 

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Capitolo 16
*** Gesti e Carezze ***


 

GESTI E CAREZZE


-... E le proprietà della calendula sono molteplici, ad esempio... Melyanna?- Il richiamo di Elrond mi scuote dai miei pensieri. Mi volto di scatto verso di lui e incrocio il suo sguardo indagatore.

-Sì?- Rispondo cercando di usare il tono più innocente possibile.

-Le proprietà della calendula.- Ripete pazientemente mostrandomi una pergamena illustrata con un grande fiore giallo e arancione.

-Sì, le proprietà della calendula...- La sua domanda è sicuramente un trabocchetto: conosco quella pianta e gli usi che se ne possono fare, ma la mia mente sembra essersi svuotata e non riesco a concentrarmi.

-Melyanna, c'è qualcosa che non va? Oggi sembri distratta.- Elrond si siede davanti a me spostando i vecchi tomi dal tavolo per vedermi meglio.

-No, niente, solo... Ho una strana sensazione.-

-Forse è meglio se sospendiamo la lezione, continueremo un altro giorno.- Conclude cominciando a sistemare i libri sugli scaffali.

-Mi dispiace di avervi fatto perdere tempo, mio signore.- Mi scuso mentre raduno le mie cose.

-Non devi scusarti. Apprendi molto in fretta e fino ad ora mi hai dato solo soddisfazioni, e passare del tempo con te non è affatto una perdita di tempo.- Mi sorride e, non sapendo cosa rispondere e sentendo le guance scaldarsi, sorrido anch'io.

Avvolgo il mantello attorno alle spalle e, imbracciati i libri, mi dirigo verso l'uscita della biblioteca.

-Melyanna, un'ultima cosa.- Mi richiama Elrond.

-Sì mio signore?- Vi volto verso di lui. Si avvicina a me e posa una mano sui miei capelli.

-Non chiamarmi più 'mio signore' e non darmi più del voi. So che non posso essere come un padre per te, ma io ti considero come una figlia. Ti sei lasciata dietro molte sofferenze da quando sei tornata ma ne porti altre nel tuo cuore; se vorrai parlarne ricordati che puoi fidarti di me.- Posa un bacio sulla mia fronte. Sento gli occhi farsi lucidi e abbasso lo sguardo, incapace di proferire anche una sola parola.

-Va' a casa adesso, sta facendo buio.- Lo ringrazio con un sussurro ed esco velocemente.

Un vento gelido sferza il mio mantello gettando all'indietro il cappuccio e scompigliandomi i capelli; alcuni fogli sfuggono alla mia presa e volano a qualche metro da me. Sbuffo e mi chino per riprendere una pergamena ma una folata la fa turbinare in aria portandola ancora più distante. Sbuffo sconsolata e, rimettendomi in piedi, rincorro le pagine ormai in balia del vento.

-Melyanna! Che stai facendo?- Esclama una giovane voce. Afferro l'ultimo foglio rimasto libero e mi volto: il piccolo Estel è fermo sotto un arco del portico e mi fissa con un sorriso a stento trattenuto.

-Non ridere Estel, capiterà anche a te quando dovrai portare tanti libri a mano.-

-Perché sei uscita così presto dalla lezione con Elrond?- Domanda il bambino venendomi in contro.

-Non ero molto concentrata.- Rispondo imbracciando meglio i fogli e i manuali. -E tu invece? Che ci fai fuori con questo freddo?-

-Nana mi avrebbe fatto studiare l'arpa se fossi rimasto in casa.- Risponde strusciando lo stivale in terra. Scuoto la testa divertita, ripensando a tutte le volte che Estel ha saltato le lezioni di musica con Lindir.

-Vuoi venire con me?- Annuisce energicamente e mi corre in contro, ma il mantello e la sciarpa, forse sistemati male per la fretta di uscire, cadono a terra lasciandolo scoperto dal freddo. Sorrido mentre lo raggiungo e, inginocchiandomi davanti a lui, raccolgo i suoi vestiti e glieli aggiusto in modo che non possano più cascare.

-Non sono l'unica maldestra stamattina.- Abbassa gli occhi e arrossisce, ma quando gli scompiglio scherzosamente i capelli sorride di nuovo. Mi alzo e passo un braccio attorno alle sue spalle ancora strette ma che un giorno, prevedo, diverranno ampie e forti. Camminiamo in silenzio, si sentono appena i passi leggeri di Estel sul selciato e i suoi respiri lenti; ogni tanto incrocio i suoi occhi chiari, limpidi e gentili, occhi che appartengono ad una stirpe antica e nobile.

Arrivati davanti alla mia casa, lui si stacca da me e ispeziona con attenzione il muro di pietra bianca e i mattoni a vista, la porta intagliata in legno di abete e le finestrelle, la giovane betulla bianca piantata in giardino e i piccoli gigli sui davanzali.

-Non ti senti sola in questa casa?- Domanda mentre, seduto tra i cuscini davanti al fuoco scoppiettante, osserva ogni particolare del salone. -È tutto così silenzioso...-

-Un po'... Ma ci farò l'abitudine.- Rispondo porgendogli una tazza di latte caldo. Un tempo non era tutto così tranquillo, così vuoto. Un tempo mi svegliavo con il profumo del pane appena cotto e del miele e, scesa in cucina,ascoltavo mia madre canticchiare sottovoce mentre preparava la colazione, e una voce più profonda si univa alla sua, leggera e carezzevole: la voce di mio padre. Coglieva un fiore dalla finestra e glielo appuntava sui capelli, sempre cantando, poi le cingeva i fianchi con le sue mani grandi e forti e si chinava per baciarla. Un tempo potevo leggere un libro al suono dell'arpa di Nana e addormentarmi con le storie dei Tempi Antichi che raccontava Ada. Un tempo, in questa piccola casa, si poteva percepire l'amore. Il fuoco del camino non basta a scaldare queste mura fredde e tutti i miei tentativi di ridare vita alla casa sono stati vani, perché nessuno ha più cantato, nessuno ha più suonato.

Verso un po' di latte anche per me e mi sistemo vicino a Estel. Il calore si propaga dalla punta delle dita per tutto il corpo, ma non raggiunge il mio cuore. Nessun fuoco, oltre a quello delle sue mani, può farlo; le sue mani chiare, decise ed esperte per impugnare l'arco, calde e leggere per accarezzare. Quasi un anno è passato da quando, per l'ultima volta, le sue dita hanno indugiato tra i miei capelli; mai i suoi occhi erano stati tanto belli e tristi, mai le sue labbra sulla mia pelle tanto incerte.

-Sono già tornati gli uomini dalla perlustrazione?- Irrompe Estel all'improvviso spostando l'attenzione dalla tazza alla finestra davanti a sé.

-Perché? Non è troppo...- Non riesco a finire la frase che il cuore mi balza nel petto: i suoi battiti si alternano al rumore scalpitante di zoccoli. Un lieve tepore mi nasce nel petto ed esplode fino ad arrivare alle guance, alle mani, per tutto il corpo.

Lascio andare la tazza vuota sul pavimento e corro fuori di casa; Estel mi segue ed esclama qualcosa, ma non riesco a sentirlo. Corro senza curarmi degli altri Elfi che stanno passeggiando, scavalco muretti e salto aiuole, e finalmente arrivo ai cancelli: lontano, quasi confuso tra gli altri cavalieri, c'è Legolas che, appena sceso da cavallo, scruta intorno a sé, impaziente di trovare qualcosa o qualcuno.

Mi blocco incrociando i suoi occhi e tutto il mio impeto svanisce, spazzato via dal quieto azzurro delle sue iridi. Immobile, con il cuore che rimbomba nel petto, lo vedo lasciare le redini della sua cavalcatura, il respiro si fa corto e affannoso e lui si avvicina sempre di più facendosi spazio tra i compagni; un brivido mi percorre la schiena quando arriva davanti a me e posa una mano sul mio viso, calda e arrossata a forza di tenere le briglie. Lascio che una lacrima da tempo trattenuta bagni la sua pelle e in pochi secondi mi lascio andare ad un pianto liberatorio, noncurante di chi ci sta intorno; Legolas mi getta le braccia al collo e mi stringe a lui, piangendo affonda il viso nei miei capelli. Per pochi secondi, scanditi dal battito dei nostri cuori di nuovo uniti, per un attimo troppo breve, percepisco un forte calore salire dalle mani, posate sulla sua schiena, fino al centro del petto.

-Melyanna...- Sussurra allontanandosi da me per guardarmi negli occhi. Mi sorride e lo sguardo gli si illumina: -Sei cambiata così tanto in così poco tempo.- Continua scostandosi ancora di più ma senza lasciarmi le mani; il suo sguardo percorre tutto il mio corpo soffermandosi su dettagli del vestito, sui capelli intrecciati, per tornare di nuovo sui miei occhi. Ma solo adesso che l'euforia è diminuita noto il suo viso stanco e le occhiaie scure, le sue spalle impercettibilmente curve e il leggero tremore delle sue dita.

-Legolas...- Lui aggrotta le sopracciglia e si sporge un po' dalla mia spalla.

-E tu chi sei?- Domanda gentilmente mentre un leggero sorriso nasce sulle sue labbra. Mi volto e vedo Estel che si è nascosto dietro di me; quasi mi ero dimenticata che mi aveva seguita.

-Estel.- Risponde timidamente mostrandosi a lui. Nonostante il tono della sua voce, guarda Legolas dritto negli occhi e tiene alta la testa.

-Mae govannen Estel. (Ben incontrato Estel)- Lo saluta alla maniera elfica inginocchiandosi per arrivare alla sua altezza. -Io sono Legolas.- Estel compie lo stesso gesto e china la testa in segno di rispetto: probabilmente ha percepito la sua natura regale.

-Melyanna, devo parlare con Elrond.- Dice con tono più grave alzandosi in piedi; annuisco, preoccupata dal suo sguardo, e lo guido dal Signore di Imladris. Il piccolo ci segue in silenzio e non stacca mai gli occhi dal principe, guardandolo con curiosità e ammirazione.

Cosa è successo?” Domando silenziosamente. Punta di nuovo gli occhi su di me e stavolta anche Estel percepisce la sua angoscia.

Abbiamo vinto una battaglia, ma la guerra è ancora lunga.” Sospira e posa una mano sulla mia spalla, stringendola leggermente.

 

Sono passate ormai più di due ore da quando Elrond, Legolas e i membri del consiglio si sono chiusi nella sala riunioni per ascoltare e discutere le infauste notizie del principe. Ancora non mi è stato riferito niente, ma mi è bastato sfiorare il suo pensiero per comprendere la gravità della situazione: raramente l'ho visto così stanco e provato.

Estel intanto ha continuato a parlare per tutto il tempo, atteggiamento abbastanza inusuale per un bambino silenzioso e introverso come lui. Da quando Legolas è sparito dalla portata delle sue orecchie, mi ha sommerso di domande: voleva sapere ogni cosa, dalla sua discendenza al nome del suo cavallo, per non parlare della sua ammirazione per le armi che ha portato con sé. Sta per pormi l'ennesima domando quando l'Elfo in questione, seguito da Elrond, ci raggiunge in cortile; Estel ammutolisce ma segue ogni suo movimento.

-Estel- Esclama Elrond con aria di finto stupore. -Non pensavo di vederti qui, credevo che avessi una lezione con Lindir.- Il piccolo sbianca e socchiude la bocca, incapace di trovare una giustificazione, ma l'Elfo accenna un sorriso.

-Se ti sbrighi riuscirai a tornare a casa prima che il tuo maestro ti trovi: l'ho visto girare per i corridoi gridando il tuo nome.- Estel scende in fretta dalla panchina su cui siamo seduti e si allontana, non prima di accennare un inchino in direzione di Legolas.

-I tuoi uomini sono già stati alloggiati nelle loro stanze. Ne desideri una per te o preferisci stare da Melyanna?- Domanda il signore di Imladris dopo aver perso di vista il bambino.

-Andrò da Melyanna, se lei lo vorrà.- Risponde Legolas guardandomi; non rispondo ma, afferrata la sua mano e congedandoci da Elrond, ci allontaniamo verso la mia casa. Nessuno di noi parla: lui si guarda intorno, catturando con lo sguardo ogni nuovo particolare, ricordando i momenti passati in questi luoghi; a me basta sentirlo vicino e reale, non come una sensazione latente chiusa nel mio cuore. Stringo ancora di più la sua mano, intrecciando le mie dita con le sue; percepisco di nuovo un lieve tepore che scalda la mia pelle fredda e arrossisco quando le sue labbra si posano sui miei capelli. Camminiamo in silenzio sotto le timide stelle del crepuscolo.
 

*
 

La calda luce del sole e un forte mal di testa mi destano da un sonno inquieto. Apro gli occhi a fatica e noto Aglar seduto vicino a me.

-Ben svegliata.- Sussurra scostandomi una ciocca di capelli dal viso madido di sudore.

-Dov'è Legolas?- Domando all'improvviso alzandomi di scatto sulla branda.

-Legolas sta bene, le sue ferite non sono gravi.- Risponde con voce rassicurante. -Ora torna a stenderti, sei ferita.-

Lascio che le sue mani mi spingano di nuovo tra le coperte e me ne rimango in silenzio. L'aria è fredda in questa piccola stanza e la debole luce che entra da una finestrella illumina appena lasciando ben poco calore; sopra un tavolino, vicino alla porta, ci sono diverse garze e bende, nonché erbe, ciotole e altri attrezzi da guaritore.

-Aglar?- Il mio amico si volta verso di me sistemandosi la benda attorno al capo. -Cosa è successo?-

-Il nemico è stato respinto, nessuno Orco è sopravvissuto.- Smette di parlare e, guardandomi negli occhi, aggrotta le sopracciglia, come ad interpretare i miei pensieri.

-In molti sono caduti.- Riprende poco dopo. -Ma ancora di più hanno trionfato. Aragorn ed Éomer li hanno guidati alla vittoria.- Non rispondo ma traggo un profondo respiro di sollievo: anche lui è vivo.

-Mi hai fatto preoccupare.- Prorompe dopo lunghi istanti di silenzio. -Quando non ti ho trovata tra i guerrieri che mi seguivano una profonda angoscia mi ha assalito, ma sapevo che ce l'avresti fatta. Ho saputo anche ciò che è accaduto davanti al cancello, piccola sconsiderata che non sei altro.- Sorride e mi stringe una mano mollemente posata sulla coperta. I ricordi riaffiorano lentamente, lasciandomi il tempo di rivivere ogni singolo istante, ogni emozione.

-Ti hanno detto anche di...- Non concludo la frase ma Aglar annuisce e la gioia se ne va dai suoi occhi.

-La voce non è stata sparsa.- Si affretta ad aggiungere. -Solo gli uomini che si trovavano lì ne sono a conoscenza.-

-Non m'importa di chi lo sappia o meno, voglio solo capire perché mi ha fatto questo. Perché vuole vedermi soffrire ancora?- A stento riesco a parlare perché di nuovo sento il bisogno di piangere. Porto le dita al viso e premo leggermente contro la guancia tumefatta: il livido mi provoca dolore, ma non quanto il ricordo della sua mano che mi percuote.

-Non credo che Legolas volesse farti del male.- Sussurra timidamente Aglar abbassando lo sguardo. -Lui non voleva che partecipassi alla battaglia per paura di perderti. Sei apparsa all'improvviso in mezzo a tutti quegli Orchi, come avrebbe dovuto reagire?-

-Anche io ho paura di perderlo, Aglar, ma non per questo gli ho fatto del male.-

-Melyanna...- Tenta di rispondere, ma qualcuno lo interrompe aprendo la porta: Aragorn è in piedi sulla soglia con i capelli scombinati e i vestiti ancora sporchi dalla battaglia.

-Come stai?- Domanda senza però entrare nella stanza.

-Bene, sono soltanto un po' tramortita.- Annuisce e sospira, come a voler cercare il coraggio di parlarmi. Finalmente mi guarda, ma i suoi occhi non promettono niente di buono.

-Ti prego di seguirmi Melyanna. Legolas ha bisogno di te.-

 

***



 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Dopo mesi di assenza sono riuscita a pubblicare. Non ho scusanti per tutta questa attesa, considerando che anche il penultimo capitolo è arrivato dopo troppo tempo. Il capitolo sarebbe dovuto essere molto più lungo, considerando il tempo che mi sono presa, ma avrei aggiunto solo fatti inutili che sarebbero risultati solo pesanti per la narrazione; non accadono molti fatti importanti, poichè è solo un capitolo di passaggio che serve ad introdurre il prossimo capitolo, che cercherò di pubblicare il prima possibile. Prima di concludere, volevo domandarti se vi piacerebbe leggere, una volta finita questa, una storia sui personaggi "secondari"; parlerà dell'amicizia tra Thranduil e Brethil, il padre di Melyanna, come entrambi abbiano conosciuto l'amore, di Indil e del suo passato e di tante altre cose. Fatemi sapere in una recensione se vi piacerebbe ma vi avverto: conoscete già la sorte di molti personaggi quindi sarà una storia per gran parte drammatica.
Vorrei ringraziare RazaghenaShirleyJordanJ per aver inserito questa storia tra le seguite e Antimony ed elenaricci13 per averla messa nelle preferite.
Spero che il ritardo non influisca negativamenta sulla mia storia e che continuiate a leggerla.
Diletta

 


 

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Capitolo 17
*** Silenzio ***


 

SILENZIO
 

Lascio cadere gli stivali fangosi e la casacca sporca sul tappeto, appoggio le armi sulla scrivania e mi getto sul letto; affondo il viso in uno dei tanti cuscini appoggiati contro la testata, inspirando a fondo il profumo ancora fresco del sapone. Sciolgo con lentezza le trecce, passando ogni tanto le dita sulla cicatrice, e snodo i lacci della blusa intrisa di sangue e sudore.

Tre settimane di caccia sono state estenuanti: interi giorni di marcia, lotte continue contro Orchi in fuga, nidi di ragni da distruggere e solo poche ore di riposo. Il Capitano ha saputo gestire al meglio tutte le truppe, ma l'efficienza della missione è dovuta in gran parte all'esperienza dei guerrieri che vi hanno partecipato: il re ha infatti deciso di congedare per qualche tempo i soldati più giovani, in modo che possano riprendersi dal trauma della battaglia. È stato un errore farli combattere alle pendici di Erebor, un errore imprevedibile e inevitabile: nessuno si aspettava uno scontro armato così violento quel giorno, e mio padre, con il consiglio del Capitano delle Guardie, ha deciso di farsi scortare dai combattenti da poco usciti dall'addestramento in modo che imparassero a gestire una situazione di tensione. Purtroppo niente è andato come previsto e, nonostante i rinforzi giunti dal bosco, molti Elfi, poco più che ragazzi, hanno perso la vita, e il cuore di mio padre è diventato ancora più cupo.

Chiudo gli occhi e sospiro, ormai abbandonato all'idea di dormire con indosso i vestiti e senza fare il bagno, e quasi subito il piacevole tepore del sonno mi avvolge; ma, prima di assopirmi, sento bussare, anche se i colpi sul legno sono quasi impercettibili. Mi alzo, trattenendo a stento un'imprecazione, e cammino barcollando verso l'ingresso.

-Lingwe.- Esclamo stupito aprendo la porta: la giovane e minuta guaritrice alza il viso per guardarmi: il suo volto delicato e i capelli scuri sono appena illuminati da un cerino che porta in mano.

-Perdonatemi, mio principe.- Si scusa evitando i miei occhi. -Non volevo disturbarvi mentre stavate...- Il suo sguardo si sposta sul mio petto scoperto e arrossisce vistosamente.

-Non preoccuparti, non stavo per fare il bagno.- Rispondo sbadigliando e affrettandomi a richiudere la blusa. -Cosa posso fare per te?-

-Come sapete io e Melyanna ci stiamo prendendo cura di Aglar. Si sta riprendendo in fretta, ma raramente lei è uscita dall'infermeria da quando siete partito. Ha mangiato e dormito quel tanto che le è bastato per continuare a lavorare. Non sapevo che fare, ho pensato di dirvelo...- Sospiro appoggiandomi allo stipite della porta.

-Hai fatto bene.- Concludo ricomponendomi. -Portami da lei.- La giovane annuisce e mi precede lungo il corridoio: cammina velocemente e quasi faccio fatica a starle dietro con i miei passi lenti e stanchi.

Prima di entrare nell'infermeria, si volta verso di me e posa l'indice sulle labbra, in segno di silenzio; la grande stanza è fiocamente rischiarata dai candelabri appesi al muro; quasi tutti i letti sono occupati dai feriti della battaglia, alcuni appena visibili sotto le coperte, altri che si lamentano nel sonno.

Lingwe mi indica un giaciglio in fondo alla camerata che, dai capelli rossi sparsi sul cuscino, riconosco come quello di Aglar. Ci avviciniamo in silenzio e noto, di fianco a lui, una figura rannicchiata su una sedia e con la testa appoggiata sulle ginocchia: Melyanna. Gli occhi sono chiusi, le lunghe ciglia chiare lasciano sottili ombre sulle guance e la debole luce fa brillare le sue labbra, ma le sopracciglia sono contratte, gli angoli della bocca abbassati e il respiro troppo veloce.

-Come sta Aglar?- Le domando guardando il giovane dormire: il lenzuolo è stato spinto in fondo al materasso e le braccia stringono il cuscino. Sopra un piccolo tavolino, qualcuno ha lasciato un mazzetto di fiori di bosco e qualche animaletto di pezza.

-Ha fatto grandi progressi da quando siete partito: riesce quasi a sedersi e parla anche troppo per lo stato in cui si trova. È un ragazzo speciale.- La sua bocca s'incurva appena nell'ultima frase. Nei suoi gesti c'è qualcosa di più della semplice professionalità, lo vedo dal modo in cui gli rimbocca le coperte, dalle sue dita che sfiorano il suo viso, che indugiano tra i suoi capelli.

Sì, è un ragazzo davvero speciale e dovrei essere solo contento se Melyanna lo scegliesse come compagno di vita, eppure... Stringo inconsciamente una mano sulla sua spalla; lei si sveglia di scatto e si guarda intorno, senza però accorgersi di me.

-Lingwe... Perdonami non dovevo addormentarmi.- La sua voce è rotta da pesanti sospiri.

-Non preoccuparti.- La rassicura con un sorriso. -Hai fatto un ottimo lavoro, ti meriti un po' di riposo. Legolas è passato a prenderti.- Si volta verso di me e, anche se al buio non riesco a decifrare il suo sguardo, percepisco una profonda angoscia.

-Ti accompagno nella tua stanza.- Le dico aiutandola a rialzarsi. Non risponde, non annuisce, ma si limita solo a seguirmi fuori dall'infermeria. Alla luce più intensa del corridoio noto sul suo viso quei particolari che mi erano sfuggiti: le ombre scure sotto gli occhi arrossati, la pelle pallida e i capelli poco curati.

-Melyanna... Hai bisogno di mangiare?- Le domando e prendo il suo silenzio come una risposta affermativa. Camminiamo lentamente verso le cucine, i miei passi irregolari, i suoi leggerissimi. Avvicina timidamente una mano alla mia, i dorsi si sfregano impercettibilmente, le dita fredde accarezzano le mie nocche arrossate, prima di stringerle tra le sue. Un contatto leggero a cui mi ero abituato, ma che, adesso, basta a imporporarmi le guance e a farmi tremare le gambe.


 

Melyanna è seduta sul grande tavolo di legno e mi osserva mentre imburro una fetta di pane per poi ricoprirla con la marmellata; appena gliela porgo, l'afferra e comincia a mangiarla con gusto biascicando un grazie nella mia direzione. Mi sistemo accanto a lei, aspettando che finisca.

-Va meglio?- Le domando dopo che ha ingoiato l'ultimo boccone. Annuisce ma non aggiunge altro, fissando lo sguardo sul pavimento. È difficile interpretare i suoi silenzi, talvolta neanche a me è concesso di entrare nei suoi pensieri. Da piccola, quando ancora non conosceva il dolore, si confidava sempre con me anche per le cose all'apparenza meno importanti; ora invece il suo cuore è diventato uno scrigno chiuso e solo pochi possono aprirlo.

-Melyanna?- Mi fissa con i suoi grandi occhi blu, gli stessi occhi che, tanto tempo fa, mi supplicavano di restare insieme a lei. Socchiude appena la bocca e si morde un labbro arrossito dalla marmellata prima di parlare.

-Legolas io...- L'attesa mi sta straziando, il cuore sembra voler esplodere nel vederla così, dolce e impaurita allo stesso tempo. -Voglio tornare a casa, Legolas, a casa mia.-

Il silenzio cala su tutta la cucina, si sente solamente il suo respiro e il battito del mio cuore. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non pensavo che sarebbe stato adesso. Bosco Atro è stata la casa di suo padre, non la sua: lei ama le limpide cascate e il profumo dei fiori, il fruscio delle foglie giovani sugli alberi, la luce delle stelle. Ha imparato a sopportare l'ombra opprimente di questi alberi, a soffocare il dolore con la vita impegnativa del guerriero, ma adesso c'è qualcosa di troppo forte per poter essere ignorato.

-Continuo a vedere la sofferenza di chi ha perso un caro, il tormento dei feriti.- Riprende parlando con voce bassa. -Non passa ora che non ripensi a quel giorno, a quel maledettissimo giorno... Tutta quella morte...- Ammutolisce e i suoi occhi sembrano vuoti; le sue dita percorrono ripetutamente la cicatrice sulla gamba, ormai rimarginata, sotto la stoffa sottile della veste, la ferita che io stesso ho curato.

-Ho bisogno di stare in pace, lontana da tutto questo.- Riprende alzando lentamente lo sguardo su di me. Si aspetta che io parli, ma non posso far altro che osservarla impotente: non posso far niente stavolta, niente di fronte alle sue paure.

-Se ne sei sicura...- Annuisce e cerca di nuovo le mie mani; le stringe debolmente e percepisco le stesse sensazioni di poco fa. -Parleremo con mio padre e farò in modo che tu stia meglio.-

Usciamo dalla cucina e ci dirigiamo verso la sua camera. Sono tentato di stringerla forte a me, di non lasciarla andar via. Dopo tutti questi anni, sembrava quasi che fosse sempre vissuta qui: se non fosse stato per il suo aspetto e il leggero accento nel parlare sarebbe potuta passare per una vera Silvana, e il suo passo deciso e delicato, la sua voce soave mentre cantava, i suoi timidi sorrisi, sono diventati piccoli gesti entrati nella mia quotidianità.

Il legame tra le nostre anime si è rafforzato, il nostro rapporto è diventato ancor più profondo, quasi da non poter essere definito a parole, e per questo la sua partenza sarà ancora più dolorosa. Una profonda tristezza attanaglia il mio cuore, il mio cuore incerto e addolorato.

Entra nella sua stanza e, prima di chiudere la porta, posa un debole bacio sulla mia guancia: mi ritrovo ad accarezzare con le dita il punto in cui le sue labbra si sono posate sulla mia pelle, a cercare di imprimere quella sensazione nella mente. Mi ritrovo a piangere al pensiero che, tra poco tempo, non potrò più averla accanto a me.


 

*

 

La porta cigola leggermente e una giovane ragazza entra nella stanza reggendo tra le mani una scatola di legno.

-Chi sei?- Lei indietreggia, impaurita dal tono aggressivo della mia voce.

-Sire Aragorn mi ha detto che avete bisogno di cure...-

-Non ho bisogno di niente!- La piccola cassa cade dalle sue mani e lei abbassa lo sguardo. La porta si apre di nuovo, stavolta in modo più irruente, e Aragorn prorompe nella stanza; sposta il suo sguardo austero prima su di me e poi, addolcendolo, guarda la giovane intimorita. Si abbassa e, dopo averle ridato la cassetta, la accompagna fuori.

-Si può sapere cosa ti è preso?- Esclama sbattendo la porta. -Sei ferito e hai bisogno di cure, perché non accetti alcun aiuto?- Non rispondo, ma torno concentrarmi sul debole fuoco che brucia nel camino.

Si avvicina a me, non abbastanza per vedermi in viso. -Lascia allora che sia io a curarti se non ti fidi di qualcun altro. Le tue ferite si stanno infettando.- Continua con tono più pacato. Allunga una mano verso il mio petto, sfregiato da una lunga ferita non molto profonda ma che sta assumendo un brutto aspetto; allontano bruscamente il suo braccio da me, voltandomi di schiena.

-Legolas!- Esclama al limite della sopportazione. -Ti stai comportando come un bambino.-

-Non merito...- Sussurro alzando la testa. -Non merito tutta questa premura, dopo quello che le ho fatto.- Davanti ai miei occhi appare di nuovo Melyanna che, con una mano premuta sulla guancia già contusa, mi fissa con le lacrime agli occhi.

-No, non te lo meriti se rifiuti così l'aiuto di chi potrebbe occuparsi di altri feriti invece di un Elfo caparbio come te.- Esclama uscendo con passi pesanti.

Il silenzio cala di nuovo dalla stanza, disturbato appena degli scricchiolii del legno al fuoco e dai rumori provenienti dal piano di sotto. Troppo silenzio, troppo vuoto in me. Il silenzio entra nel mio corpo, mi riempe le orecchie, il petto, il cuore, m'impedisce di respirare. Il silenzio fa riaffiorare i ricordi, straziandomi l'anima, strappandomi lacrime amare. Il silenzio, compagno del dolore, che penetra nella mia carne, che sferza la mia pelle fredda e sporca, che fa tremare le mie mani.

Ho sempre avuto paura del silenzio, la soffocante assenza di rumore mi ha terrorizzato fin da bambino: c'era silenzio quando attendevo il ritorno dei miei genitori dagli scontri, c'era silenzio quando mi portarono da mi padre dopo la morte di mia madre, c'era silenzio quando il dolore s'impadroniva di me. I silenzi delle persone, poi, sono più sconvolgenti della loro rabbia, più potenti delle parole. Gli occhi di Melyanna velati di lacrime, le sue labbra chiuse, hanno sempre avuto i potere di disarmarmi tanta era la disperazione che troppe volte si è tenuta dentro. Gli stessi occhi, che un tempo mi cercavano e sorridevano nel vedermi, ora mi evitano e, quando non lo fanno, mi lanciano sguardi ostili e delusi.

Sfioro con le dita le ferite ancora sanguinanti creando una leggerissima scia rossa tra il petto e la coscia: un tempo sarebbe stata lei a curarmi, ma non desso. Perché dovrebbe aver premura di chi le ha fatto del male?

La porta si apre di nuovo: riconosco i passi stanchi e decisi di Aragorn ed altri ben più leggeri, quasi impercettibili... Mi volto e vedo, oltre la figura possente dell'Uomo, una più piccola ma non meno forte: Melyanna tiene tra le mani la stessa scatola che portava la ragazza, la treccia scomposta adagiata sulla spalla, la blusa e i pantaloni sporchi di sangue e fango, i grandi occhi puntati a terra neanche mi sfiorano.

-Non mi hai lasciato altra scelta.- Prorompe Aragorn avvicinandola a me. -Almeno smetterai di fare il bambino.- Le da una pacca sulla spalla e se ne va, lasciandoci soli. Di nuovo il silenzio ci avvolge isolando i nostri pensieri. Abbasso gli occhi, evitando di guardarla: il livido che le ricopre la guancia destra mi raggela il cuore. Rimane per qualche attimo immobile, poi appoggia la scatola sul tavolo e la apre, estraendo gli strumenti necessari e ordinandoli davanti a lei.

-Dovresti toglierti i pantaloni.- Dice all'improvviso senza staccare gli occhi dal suo lavoro.

-Come?- Mi giro verso di lei, riscosso dai miei pensieri: il cuore batte più forte, forse per la richiesta che mi ha appena fatto o forse per averle rivolto di nuovo la parola.

-I pantaloni.- Riprende, lanciandomi uno sguardo fugace. -Dovresti toglierti i pantaloni, non posso curarti la ferita sulla coscia se li hai addosso.- La sua voce sembra calma ma il tono basso e l'impercettibile tremore delle labbra mi suggeriscono il contrario.

Annuisco e, mentre lei immerge alcune bende in una soluzione di acqua e sale, mi slaccio i pantaloni: li sfilo con lentezza, il sangue sulla stoffa sporca le mie gambe. La ferita, ora più visibile, si rivela più grave di quanto non pensassi: nonostante quella sul petto sembri poco preoccupante, questa è più profonda e la pelle intorno ad essa presenta strane sfumature blu. Lascio cadere l'indumento vicino alla sedia, dove già avevo gettato la camicia, e torno a sedermi: stringo le ginocchia con le mani, gli arti sono più magri e le ossa più sporgenti da quando sono partito. Melyanna non mi guarda, continua a lavorare all'apparenza indisturbata, ma le mie guance avvampano e tutto il mio corpo trema; non dovrei avere vergogna di rimanere nudo davanti ad un guaritore, ma lei...

-Brucerà un po', ma è necessario.- Si inginocchia davanti a me portando le garze bagnate: appena le posa sulle ferite la carne esposta sembra prendere fuoco. Trattengo a stento un grido mordendomi il labbro e chiudo gli occhi, aspettando che il bruciore passi, ma aumenta ad ogni secondo e, inconsciamente, le stringo una mano sulla spalla. Si ferma all'improvviso, un brivido le percorre la schiena fermandosi contro il mio palmo, i suoi occhi, per qualche attimo, si alzano sul mio viso; la fisso per momenti interminabili, osservo ogni singola sfumatura più chiara dell'iride, le lentiggini appena accennate sulle guance, le ciglia ancora umide di lacrime.

Non mi accorgo del tempo che passa, il dolore sembra quasi una debole ombra; le dita di Melyanna, appena ruvide sotto i polpastrelli, sfiorano con delicatezza la mia pelle provocando qualche lieve tremito, le sue mani calde premono leggermente sul mio petto, sulla coscia. Mi perdo in lei, nei suoi gesti gentili, nelle sue labbra socchiuse, e tutto sembra tornare indietro, quando nessun livido le deturpava il volto e solo le carezze lambivano le sue guance.

Torno alla realtà solo quando il suo calore mi abbandona: le ferite sono state disinfettate, cucite e fasciate con bende candide e lei è sul punto di alzarsi. Allungo una mano e la poso sul suo viso, dove l'ho colpita, muovendo appena le dita lungo la tempia e la bocca; abbassa lo sguardo e sospira appena, chiudendo gli occhi, sembra quasi che si spinga contro di me. La vista si appanna, sorrido appena, ma lei scuote la testa e si allontana, lasciandomi con il braccio teso e le lacrime a sostituire il sorriso. La guardo mentre mi riconsegna i vestiti, mentre risistema gli attrezzi nella scatola, mentre apre la porta.

-Melyanna.- Dolce è il suo nome sulle mie labbra bagnate di pianto. Si volta lentamente verso di me rivolgendomi un ultimo struggente sguardo prima di andarsene.

Di nuovo silenzio.


 

***



 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Questa volta sono riuscita a pubblicare in un tempo decente, ma questo capitolo mi ispirava particolarmente ed era da un po' di tempo che non vedevo l'ora di scriverlo. Come nel precedente, la storia è ancora ferma al Fosso di Helm perché ho voluto dare spazio alle emozioni di Melyanna e di Legolas; spero che i capitoli più riflessivi siano comunque graditi.
Appare però la famigerata Lingwe, l'amata di Aglar: per adesso, si sa che è una giovane nobile ma anche un'abile guaritrice, più precisamente quella che si è presa cura di Aglar insieme a Melyanna. Ricambierà l'amore dell'elfo dai capelli rossi?
E poi di nuovo la parte riflessiva e sentimentale, con Legolas torturato dal rimorso e Melyanna che, nonostante tutto, non riesce a stargli lontana.
Ci possono essere alcuni errori a livello di trama, come gli elfi, coetanei di Aglar e Melyanna che ho considerati appena usciti dall'addestramento: qualche capitolo fa avevo commesso un errore riguardo alla loro età, aumentanto di molto gli anni della maggiore età.

Ringrazio elenaricci13 per aver recensito il capitolo precedente e, infine, dedico questo capitolo alla mia carissima amica Antimony, che mi sprona a scrivere e che mi sostiene sempre.

Al prossimo capitolo

Diletta

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Capitolo 18
*** Soli ***


 

SOLI
 

-Numerose pattuglie di Orchi sono state avvistate a sud dell'Antica Via Silvana. Ho già dato l'ordine di eliminarle, ma quelle bestie stanno diventando più astute e scaltre, non si faranno catturare facilmente. Credo che ormai sia inutile lasciarne qualcuno vivo, le loro intenzioni ci sono già note da tempo.- Il re, con le mani intrecciate davanti al viso e gli occhi chiusi, seduto dietro alla scrivania del suo studio, ascoltò con attenzione il resoconto di Berthad, il capitano delle guardie.

-Dovremmo dare l'ordine di abbandonare le case più vicine ai confini.- Alzò lo sguardo sul suo interlocutore parlando con voce bassa e controllata.

-Mio signore, e dove potranno vivere tutte quelle persone?- Domandò il capitano, confuso dalle parole del suo sovrano.

-Chi ne ha più bisogno potrà alloggiare a palazzo: feriti e malati, donne incinte, famiglie con bambini...- Riprese alzandosi dal suo scranno. -Abbiamo inoltre bisogno di fabbri, guaritori, stallieri... Chi sarà in grado di svolgere compiti simili troverà riparo qui.-

-E per quanto riguarda gli altri?-

-Chi potrà sarà ospitato da parenti e amici, e le case di caccia saranno rese abitabili.- Berthad non sembrava ancora molto convinto e il re si accorse della sua espressione dubbiosa.

-Il nostro popolo ha sempre vissuto all'ombra del pericolo, ma adesso siamo in piena guerra, voglio che i miei sudditi sappiano la verità.- Lo sguardo del re divenne penetrante e serio. -Non sappiamo se le nostre forze saranno sufficienti per contrastare il nemico e chi vive ai margini del regno è in grave pericolo.- Si fermò un attimo ad osservare l'espressione il suo sottoposto: rispetto ai precedenti capitani della guardia, che dopo Brethil si erano succeduti in molti in tutti quegli anni, lui era il più giovane ma tra tutti il più tenace e risoluto, tanto che il re credeva che quell'incarico fosse da sempre destinato a lui. Dietro quegli occhi scuri, celata in quel momento dall'incertezza, Thranduil poteva scorgere un fiamma di ardimento e decisione. Lo conosceva fin da quando era bambino e giocava insieme a suo figlio; li aveva visti crescere e diventare uomini, sempre insieme.

Ricordava la prima volta che lo aveva visto: lui e sua moglie stavano cercando Legolas da ore, tutta la corte si era mobilitata per ritrovare il giovane principe, ma nessuno era riuscito nell'incarico. Ad un certo punto, quando la disperazione stava per sopraffare i due sovrani, Galion era giunto trafelato e gli aveva fatto cenno di seguirlo; li condusse nelle cantine e videro, nascosti in uno spazio vuoto tra le botti con una coperta sopra le loro teste a mo' di tenda, il piccolo Legolas insieme ad un bambino dagli occhi e i capelli molto scuri: Berthad. Il principe stava leggendo, pronunciando le parole con la difficoltà di un bimbo piccolo, un libro sulle storie antiche mentre l'altro ascoltava l'amico con attenzione tenendo tra le mani una candela. Thranduil non ebbe il cuore di rimproverare o punire Legolas per averli fatti preoccupare tanto, perché raramente l'aveva visto giocare con altri bambini e capì subito che quel piccolo aveva qualcosa di speciale.

Al pensiero di suo figlio, una fitta dolorosa gli attraversò il cuore e d'istinto chiuse gli occhi.

-Va tutto bene, sire?- Domandò il giovane, notando l'improvviso cambiamento del re.

-Sì... Sì non preoccuparti. Ora puoi andare, Berthad.- Rispose forzando un sorriso per rassicurarlo. Il giovane accennò un inchino e si avviò verso la porta, ma prima di uscire si rivolse nuovamente al sovrano.

-Sire.- Thranduil si voltò a guardarlo con fare interrogativo. -Legolas manca anche a me e sono molto preoccupato per lui. Voi non siete solo.- Il re non fece in tempo a rispondere che il capitano se n'era già andato chiudendo la porta alle sue spalle.

Il vuoto cadde sulla stanza, niente faceva rumore: le candele si consumavano con lentezza, da fuori non proveniva alcun suono, né il battito d'ali di qualche gufo, né il fruscio delle poche foglieancora rimaste appese agli alberi. Non sentiva le voci della servitù, non percepiva più i passi leggeri dei membri della corte. Tutto taceva.

Thranduil odiava i momenti in cui si trovava solo nelle sue stanze, senza niente che lo tenesse occupato e con la mente libera di vagare nei ricordi. Riusciva a rimanere sveglio per molti giorni, ispezionando tutte le carte che ingombravano la scrivania, leggendo molti libri e sistemandoli in vari modi nella libreria, ordinando gli oggetti in modo quasi maniacale; ma quella sera tutto era al proprio posto, aveva già esaminato a fondo i rapporti e i documenti e i libri, ormai, poteva recitarli a memoria.

Si guardò intorno e i suoi occhi si fermarono proprio dove non avrebbe voluto: osservò l'ampia finestra al centro della camera da letto che si affacciava sulle cime degli alberi, dove Virin, sua moglie, si sedeva per leggere o solo per pensare; non gli fu difficile rivederla lì, con indosso una semplice veste da notte e il capo libero dal peso della corona, tra le sue mani un vecchio volume che non si stancava mai di leggere. Ricordò che anche Legolas faceva la stessa cosa, addormentandosi spesso in bilico sul davanzale.

Scostò lo sguardo in fretta, ma non c'era un singolo centimetro di quelle stanze che non gli ricordasse loro: l'angolo in cui stava il tavolo da toeletta dove Virin si specchiava e dove lui spesso le spazzolava i capelli, così lunghi e chiari, e si soffermava sul suo collo, sulle sue spalle, gustandone con le labbra la pelle morbida e calda; gli scaffali dove il piccolo Legolas compiva scalate immaginarie su picchi lontani e dimenticati, il grande tavolo in legno di ciliegio che aveva ospitato battaglie giocose con spade di legno, pasti intimi, lunghe parlate, amori improvvisi e impazienti. Il letto matrimoniale, tra le cui coperte lui e sua moglie si erano amati, avevano accolto il loro bambino dopo un brutto sogno o durante un temporale, dove il re aveva pianto fino allo sfinimento nel percepire la presenza della sua amata svanire.

Chiuse gli occhi e uscì dalle sue stanze quasi di corsa e, con il respiro affannoso, si diresse verso l'infermeria, il primo posto che gli venne in mente; mentre camminava, sentì le gambe tremare, il sudore scendere lungo il collo e il cuore oppresso da un peso invisibile. Allora la rabbia lo prese, perché erano anni che le sue debolezze non gli si ripresentavano: provò rabbia verso sé stesso, rabbia verso la guerra, rabbia verso suo figlio, il suo unico figlio e tutto ciò che gli era rimasto, che lo aveva lasciato per una missione suicida. “C'è bisogno del tuo aiuto qui, Legolas, ogni giorno muoiono soldati e da solo non riesco a sostenere il peso del regno. Perché te ne sei andato? Perché mi hai lasciato solo, Legolas?” Pensò il sovrano asciugandosi in fretta gli occhi.

Raggiunge le stanze dell'infermeria ma, prima di entrare, notò una giovane donna accucciata vicino alla porta dell'infermeria: dapprima non capì chi fosse, poiché aveva il viso nascosto tra le braccia, ma quando la sentì singhiozzare la riconobbe subito.

-Lingwe.- La chiamò dolcemente il sovrano. La ragazza puntò lo sguardo sull'imponente figura del re e, quando si rese conto della situazione, si alzò di scatto, asciugandosi il viso e sistemandosi la veste bianca da guaritrice.

-Perdonatemi sire.- Si scusò in fretta, senza però riuscire a controllare la voce tremante. -Torno subito al mio dovere.- Fece per rientrare ma Thranduil la fermò.

-Non te ne saresti mai andata se avessi avuto qualcosa da fare, ti conosco.- Lingwe rimase in silenzio, trattenendo a stento altre lacrime. -Sfoga il tuo dolore, tu che puoi farlo.- Thranduil la vide esitare, voltarsi e guardarlo con la coda dell'occhio, poi curvare le spalle e appoggiare la mani contro il muro. Sospirò a lungo, cercando di non piangere, ma appena il re posò titubante una mano sulla sua spalla, si lasciò andare ai suoi turbamenti: si voltò di nuovo e, senza pensare, si strinse al corpo del sovrano, l'unico che i quel momento poteva capirla.

Thranduil rimase interdetto per qualche secondo da quel gesto inaspettato e non seppe bene come agire. Lingwe non era mai stata poi così diversa dalla bimba gracile che seguiva il padre durante le riunioni e consigli; certo, era maturata moto, ma era rimasta minuta e aveva mantenuto quel sorriso, che rallegrava la giornata a chiunque. e l'animo sensibile capace di intenerirsi davanti ad un fiore che sboccia. Eppure non aveva mai avuto motivo di celare i suoi sentimenti, neppure nei momenti più difficili, perché allora si stava nascondendo?

Lingwe smise di piangere e riprese il controllo di sé stessa, si allontanò dal re e si asciugò il viso e, abbassando lo sguardo, riprese a parlare: -È così che ci si sente? Ti manca il fiato, il cuore sembra smettere di battere per poi ripartire fino a soffocarti, le lacrime sgorgano prima che si possano fermare e tremi, tremi fino a quando le gambe non cedono e ti ritrovi a terra, vuoto, solo. È così che ci si sente?-

Il re chiuse gli occhi per un attimo, il sangue riprese ad uscire dalle vecchie ferite mai rimarginate ma si affrettò a mostrarsi, ancora una volta, guarito; non poté però trattenere la malinconia che sempre gli attanagliava il cuore.

-Sì.- Rispose, e non seppe più cosa aggiungere. La guardò e capì che da tempo le sue labbra non si stendevano in un sorriso, un raggio di luce che i feriti cercavano nella loro sofferenza, capì di non essere solo, che la guerra non si era portata via solo Legolas, Virin, Brethil, ma tanti figli, amori, amici.

Legolas manca anche a me e sono molto preoccupato per lui. Voi non siete solo.”

Lingwe non disse altro: si allontanò con un cenno del capo, più di ringraziamento che di rispetto, e rientrò nell'infermeria. Per un attimo, il sovrano si sentì sollevato dalla conversazione con la ragazza, ma subito dopo un peso ancora più grande gli calò sulle spalle: la responsabilità verso ogni vita che a lui aveva giurato fedeltà, che contava sulla sua saggezza.

Sospirò, e tornò alla sue stanze inutili, al suo letto freddo, alla sue lunghe notti solitarie.

 

*

 

I feriti dormono nell'oscurità, immersi nelle nebbie delle erbe mediche e nei deliri della sofferenza: alcuni si muovono costantemente sopra i loro giacigli, gemendo quando sfiorono le ferite. Altri invece non riposano affatto: scrutano il buio con gli occhi spalancati, afflitti dagli incubi e dal dolore.

Dopo aver curato Legolas, Aragorn mi ha portata qui dicendomi che i guaritori avevano bisogno di aiuto. Un vecchio guaritore, Eforwine, si è avvicinato a me con lo sguardo ostile e, ignorando ciò che gli diceva Aragorn, mi ha afferrato le mani le ha scrutate per qualche minuto, rigirandole tra le sue e avvicinandosele agli occhi.

Hai le mani di un guaritore” Mi ha detto, prima di affidarmi subito un giovane uomo con una freccia piantata nel fianco.

Adesso, dopo due giornate di lavoro, controllo gli uomini durante la notte, per dare loro aiuto o accertarmi che non si facciano del male inconsapevolmente. Non sono stati due giorni facili per me: da tempo, ormai, non mi capitava di imbattermi in ferite tanto gravi e mai prima d'ora ho dovuto amputare un arto, ma almeno ho tenuto la mente libera da ogni pensiero.

La notte sta per finire, le stelle a oriente sbiadiscono lasciando il posto a nuvole rosate, e il chiarore della luna scompare ai raggi del sole nascente che penetrano dalle strette finestre e a poco a poco illuminano la stanza; riesco a intravedere, tra le ombre dei guerrieri ancora addormentati e i deboli fasci di luce, i vecchi stivali che indosso incrostati di sangue e fango, le mani screpolate e arrossate, la treccia scomposta e arruffata. Porto una mano al viso per sistemare una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le mie dita si posano, di nuovo, sulla guancia destra: ormai non sento più dolore e il livido deve essere scomparso, ma non posso evitare di ripensare al preciso istante in cui la mano di Legolas mi ha colpita.

Non credevo che potesse aver raggiunto un tale livello di freddezza nei miei confronti e per questo, quando mi ha guardata con gli occhi colmi di lacrime e rimorso, quando mi ha accarezzato il viso e le labbra con lentezza, avrei voluto abbandonare la testa contro le sue gambe e lasciarmi andare alla sua dolcezza, al calore del suo corpo tremante. Ma ho avuto paura che tutto potesse scomparire in un attimo, che potessi soffrire ancora, e me ne sono andata.

-Melyanna, sono tornati.- Aglar entra nella stanza e si avvicina a me: ha passato gli ultimi due giorni ad aiutare i Rohirrim in qualsiasi cosa gli chiedessero e anche lui adesso è stanco e trasandato quanto me.

-Devo rimanere qui, se succedesse qualcosa...-

-Ti chiamerò io se ci sarà bisogno di te.- Mi interrompe lanciando uno sguardo fugace ai feriti e facendomi intendere che non si muoverà di qui.

-È successo qualcosa?- Gli domando, non convinta del suo sguardo strano.

-No, non preoccuparti...- Risponde in modo affatto convincente. Lo guardo un attimo di sbieco e, dopo aver sussurrato un grazie, esco dalla camera diretta verso i cancelli.

Una piccola folla è riunita intorno al re e alla sua scorta di ritorno da Isengard, ma la mia altezza non mi permette di vedere bene oltre le teste di questi possenti guerrieri; avanzo facendomi spazio tra di loro e quando giungo nel centro, non ho il tempo di meravigliarmi per l'assenza di Mithrandir e, al contrario, della presenza di uno dei quattro Hobbit della Compagnia, perché vengo raggiunta dai due figli di Elrond: Elladan ed Elrohir.

-Hir... Dan... Cosa...- Balbetto, cercando di reprimere il tremore alle gambe; non riesco a decifrare il loro sguardo, troppo simile a quello del padre quando cerca di contenere la rabbia, ma quando finalmente si fermano di fronte a me, Elrohir mi stringe forte a sé e sospira a fondo, senza pronunciare una parola.

-Nostro padre è molto preoccupato. Te sei andata all'improvviso senza lasciare tracce, ha persino maledetto chi ti ha insegnato a viaggiare in tale segretezza.- Esclama Elladan quando il fratello mi libera dalla sua calda stretta.

-Perché siete qui?- Domando, ancora stupita da quanto è appena successo.

-Abbiamo radunato un gruppo di Dúnedain dopo aver saputo che la Compagnia si trovava in difficoltà.- Spiega Elrohir indicando con un cenno della mano un manipolo di uomini alti e robusti, più dei soldati di Rohan, che prima non avevo notato: il loro volti sono oscurati dal cappuccio dei mantelli neri e se ne stanno in disparte dietro il re e i suoi omini, mantenendo sempre l'atteggiamento fiero e umile tipico degli Uomini del Nord.

Sposto lentamente lo sguardo su di loro e d'improvviso, all'ombra di una cappa scura, incrocio due grandi occhi azzurri e subito il giovane arrossisce e abbassa lo sguardo.

 

***

 


NOTE DELL'AUTRICE:
In ritardo. Ancora. E il capitolo non mi convince per niente. Ancora.
Il capitolo è pieno di novità e per questo ho paura di quel che può venirne fuori, ma ormai quel che è fatto è fatto.
Innanzi tutto, ho aggiunto un altro punto di vista, quello di Thranduil, ma in terza persona e non più al presente: avevo già scritto qualcosina in terza persona (il sogno di Melyanna all'inizo del primo capitolo) ma spero che, in questo caso, non strida con il resto della storia; la prima persona per me è come un esperimento, ma spesso faccio fatica a scrivere in questo modo. 
Abbiamo di nuovo Lingwe, che ha rivelato qualcosa in più sui suoi sentimenti, e ho anche "rivelato" il nome della moglie di Thranduil , Virin.
La seconda parte... Non so bene cosa abbia scritto: o presferito, in questo caso, seguire il libro, dove, al ritorno da Isengard, il re e chi con lui incontrano un gruppo di Uomini del Nord insieme a Elladan e Elrohir, e si recano di nuovo al Fosso di Helm. E alla fine di nuovo sorprese (spero vi ricordiate di lui).
Rinnovo l' ''offerta" della storia che seguirà questa, che sarà incentrata sulla vita e l'amicizia di Thranduil e Brethil, ma che poi spazierà a tanti altri personaggi.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto e se la mia idea vi "stuzzica"

A presto (spero)
Diletta

 


Aggiunta dell'ultimo minuto: per la fretta e per l'orario in cui ho pubblicato mi sono dimenticata di ringraziare Tauriel02 per aver inserito la mia storia tra i preferiti (perdonami ti prego).

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Capitolo 19
*** Perdono ***


 

PERDONO


 

-Dov'è...?- Domando all'improvviso, ma Elladan m'interrompe prima che possa finire di parlare.

-Aragorn? Si è recato dal re con Halbarad, il loro capo... Melyanna, c'è qualcosa che non va?- Chiede vedendo il mio sguardo vagare freneticamente sulla piccola folla.

-No, io... Devo tornare dai feriti.- Rispondo allontanandomi da loro. Non era Aragorn che stavo cercando.

Cammino freneticamente per i corridoi, assalita da un'ansia improvvisa e inspiegabile, il cuore sembra impazzito e più mi manca il fiato, più aumento la velocità dei miei passi, fino a quando le gambe cominciano a tremare violentemente costringendomi a fermarmi. Appoggio la schiena contro il muro e premo una mano sul petto. Sento il sangue pulsare in ogni parte del corpo: le punte delle dita, le orecchie, le guance. Non capisco il perché di questa reazione improvvisa, so solo che la paura di non trovarlo più ha fatto rinascere in me emozioni che credevo non avrei più provato.

-Maledizione... Sussurro tirandomi in piedi e respirando a fondo, ma solo quando percepisco il suono familiare dei suoi passi, lievissimo fruscio di foglie cadenti, i tremori si calmano, il cuore torna a battere normalmente e, per un attimo, lascio sfuggire qualche lacrima.

-Melyanna...- Il mio nome scivola sulle sue labbra come miele, rendendolo così dolce, bello, e facendomi dubitare della mia forza di volontà. -Sei ferita.- Sussurra fermandosi dietro di me.

-Non è niente di grave.- Mi volto lentamente verso di lui ma non incrocio i suoi occhi. -Tu come stai?-

-Va tutto bene, sono solo... Stanco. Vorrei riposarmi un po'.- Abbasso lo sguardo e mi sposto di lato, per lasciarlo passare, ma lui rimane fermo e, senza guardarmi, afferra la mia mano, portandomi con lui. Il suo tocco è insicuro e tremante, quasi non stringe le mie dita, ma io continuo a seguirlo senza lasciarlo.

Ci fermiamo in un angolo appartato vicino alle scale e ci sediamo appoggiati al muro. Solo quando lui chiude gli occhi alzo lo sguardo sul suo viso: osservo le lunghe ciglia chiarissime, le palpebre sottili e le labbra morbide, il taglio più affilato della mascella e la linea elegante del collo, i capelli raccolti in una treccia scombinata sulla spalla, e la camicia slacciata sul petto. Aspetto che i suoi respiri diventino più profondi e i suoi muscoli si rilassino, allora poso la testa sulla sua spalla e stringo il suo braccio, cercando di non svegliarlo; Legolas però si muove, sento uno scivolare di stoffa e poi mi copre con il suo mantello.

-Ti prego perdonami.- Sussurra prendendomi tra le sue braccia e baciandomi la fronte. -Perdonami per tutto.-


 

Lasciamo il Fosso di Helm poco dopo mezzodì, diretti verso Dunclivo; io e Aglar ci siamo uniti ai Dunedain, insieme ad Aragorn, Gimli e Legolas, mentre il re e i suoi uomini sono partiti per Clivovalle poco dopo di noi.

Il viaggio procede tranquillamente, ma un'aria greve è calata sulla compagnia fin dalla partenza: Aragorn ci ha raggiunti con lo sguardo cupo e, dopo aver parlato con Gimli e Legolas, è montato in sella e non ha più proferito parola. D'altro canto, Aglar non perde il suo sorriso e si intrattiene con un piccolo gruppo di Uomini tra i quali spunta Cador, con i suoi capelli chiari; Araleth, invece, rimane a testa bassa, ascoltando solo in apparenza i discorsi dei suoi compagni, e ogni tanto volta il capo, guardandomi di sfuggita. Nonostante lui si nasconda sotto il cappuccio, riesco a scorgere il suo viso segnato dalle intemperie e dai giorni passati all'aperto, la barba più lunga e folta di quando l'ho lasciato, l'azzurro dei suoi occhi meno luminoso.

Cavalco in fondo alla compagnia, leggermente distaccata dagli altri, e osservo Aglar sorridere, come se non fosse minimamente preoccupato del nostro viaggio, ma devo parlare con lui prima di procedere in qualsiasi modo: siamo partiti insieme e non voglio lasciarlo. Mentre penso a questo Legolas rallenta il passo e si affianca a me; mi tende una mano, senza però guardarmi, ma i suoi occhi sono mesti e le sue guance rosse. Un lievissimo calore si propaga dalle sue dita ruvide alle mie quando gliele stringo e quando il suo pollice mi accarezza dolcemente le nocche.

Non voglio lasciarlo..


 

Passiamo per Edoras ma sostiamo solo brevemente per consumare un pasto frugale. Procediamo sotto il sole tiepido di metà pomeriggio; una lieve brezza accarezza l'erba dei campi, come un pettine tra capelli biondi, soffiandoci sul viso aria nuova e fresca, l'odore umido della pioggia. Il tempo è sereno e tranquillo, ma gli uomini divengono più cupi più ci avviciniamo a Dunclivo; anche Aglar, che cavalca di fianco a me, ha smesso di sorridere. Decido allora di parlare con Aragorn.

Appena ci fermiamo per far riposare i cavalli, mi avvicino a lui, aspettando che nessuno ci stia intorno.

-Qual'è la nostra meta?- Domando a bassa voce con tono quasi spazientito. -Sembra che tutti lo sappiano, ma a me nessuno ne ha parlato.- Lui mi rivolge uno sguardo preoccupato.

-Ti rivolgi così all'erede di Gondor?- Esclama un uomo intromettendosi nella nostra conversazione; i suoi occhi scurissimi mi guardano con avversione mentre i capelli neri nascondo in parte il suo volto corrucciato. Legolas, lontano da noi, alza la testa di scatto e assume uno sguardo vigile.

-Attento a come parli, Foran.- Lo ammonisce Aragorn con tono severo. -Ha tutto il diritto di rivolgersi a me in questo modo, e bada a non nominarmi più con i miei titoli: questi tempi sono sufficientemente crudeli.- Pronuncia le ultime frasi quasi con un sussurro. L'uomo ammutolisce, ma continua a guardarmi con occhi freddi e ostili.

-Se rimarrai a Dunclivo, allora potrai unirti a Rohirrim; saresti comunque libera di scegliere la tua strada.- Riprende parlando più pacatamente. -Ma se decidi di seguirmi, sappi che la via non sarà semplice da percorrere, né ci sarà speranza di giungere alla fine, eppur non abbiamo altra scelta che il sentiero dei morti.- Socchiudo leggermente le labbra e trattengo il respiro: si dice che quella strada non lasci passare alcun mortale, ma Aragorn non avrebbe preso una decisione così drastica se non avesse avuto altra scelta.

-Troppo impressionante per te?- Domanda ancora Foran, senza nascondere un sorrisetto compiaciuto nel notare la mia reazione.

-Non sono preoccupata per me stessa, ma per coloro che amo.- Il mio sguardo d'istinto si posa su Legolas che, intanto, si è avvicinato a noi. Tutti gli uomini hanno gli occhi puntati su di me ed io, per la prima volta, mi sento quasi scomparire tra questi possenti guerrieri. Foran resta interdetto per qualche momento, ma subito sfodera il suo sguardo malizioso e, voltandosi verso Araleth, che fino ad ora è rimasto nascosto tra gli altri, esclama: -Sentito fratello?- Non aggiunge altro, ma il suo silenzio è più tagliente delle parole. Il giovane mi fissa, mortificato da ciò che ha detto suo fratello. Non hanno un singolo carattere in comune: Foran è alto e fosco, con bruni capelli corti e scarmigliati e la pelle scurita dal sole, gli occhi come braci ardenti e la barba lunga, il viso scarno. Il minore, invece, possiede ancora un impercettibile ricordo di fanciullezza in fondo ai suoi occhi azzurri, i lineamenti non si sono del tutto induriti sotto la barba ancora morbida, nonostante la lunghezza, e i capelli, più chiari, scendono quasi morbidamente sulle ampie e fragili spalle. Il giovane arrossisce vistosamente e anche io non posso fare a meno di sentirmi in imbarazzo.

-Se Aglar sarà d'accordo, allora ti seguiremo.- Riprendo a parlare con Aragorn, spostando così l'attenzione su di lui.

-Ha già espresso il desiderio di seguirmi. Potete cambiare idea in qualsiasi momento.-

-Bene.- Concludo allontanandomi dal gruppo che si è formato a causa della discussione. Mentre sistemo i bagagli sulla groppa del mio cavallo, Legolas mi si avvicina: non parla, ma il suo sguardo esprime mille domande.

Cosa è successo?” Mi guarda con apprensione, preoccupato da quanto appena accaduto.

Non adesso...” Rispondo. La mia mano cerca istintivamente la sua, nascosta tra le pieghe del mantello. La stringe, poi se la porta al viso e ne bacia il palmo; rimaniamo così per lunghi attimi, le sue labbra calde contro la mia pelle fredda, forti brividi lungo tutto il corpo, e i suoi occhi brillano quando alza di nuovo il suo sguardo su di me.

Il cielo a occidente si tinge di tenui colori: l'arancione, il rosa e il viola si mescolano all'azzurro, spuntano timide stelle d'oro, e sembra di cavalcare sotto un'immensa volta affrescata iuminata da piccole candele. Ben presto un manto scuro cala sulle nostre teste e solo la luce della luna ci guida per la strada verso Dunclivo.


 

***


 

NOTE DELL'AUTRICE:
Mi scuso con tutti voi se non sono riuscita a pubblicare il capitolo prima di oggi: in questi quattro mesi il tempo che ho avuto di scrivere è stato veramente poco e ho dovuto dare la priorità ad altre cose. Questo è ciò che sono riuscita a tirar fuori, spero che vi piaccia.
Ringrazio Grace18 e solemiosole per aver inserito la mia storia tra le preferite, Gabrielle Pigwidgeon, martina 2906 e Oldhineth00 tra le ricordate e LaPlouie tra le seguite.
Diletta

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Capitolo 20
*** Mancanza ***


MANCANZA

"I feel like my life is blashing by
And all i can do is watch and cry
I miss the air, i miss my friends
I miss my mother; I miss it when 
Life was a party to be throw
But that was a million years ago"
-Adele, Million years ago

 

L'accampamento di Dunclivo è illuminato soltanto da pochi focolari appena visibili nel buio. I nostri cuori sono ancora più cupi mentre cavalchiamo, nessuno parla, persino i cavalli sembrano avvertire il pericolo; Aragorn però procede in testa alla compagnia e, nonostante le spalle abbassate tradiscano la sua profonda preoccupazione, cavalca deciso verso l'ignoto, dandoci la forza di seguirlo.

All'entrata dell'accampamento, rischiarata solo da un fioco lume, spicca l'esile figura di Éowyn, immobile e severa nelle sue vesti bianche che quasi brillano nella notte. Ci accoglie con benevolenza e premura, per nulla intimorita dalla presenza dei Dunedain, più alti persino dei possenti guerrieri di Rohan e dall'aspetto così nobile che quasi incute paura; la sua voce però trema leggermente quando parla, come se soppesasse ogni parola prima di esprimersi.

-Sire Aragorn, non aspettavamo il vostro ritorno con simili compagni. Purtroppo possiamo offrirvi soltanto qualcosa da mangiare e dei giacigli preparati in fretta.- Dice osservando gli uomini che, scesi da cavallo, rimangono silenziosi e pazienti alle spalle del loro capo, ed Elladan ed Elrohir, con le loro vesti argentee e i volti luminosi nonostante l'oscurità; non si sorprende della presenza di Legolas, in piedi d fianco ad Aragorn e Gimli, né di Aglar, che, se non fosse per i capelli rossi che sfuggono da sotto il cappuccio, sparirebbe in mezzo agli alti uomini del Nord. Non si accorge invece di me, avvolta nel vecchio mantello, praticamente invisibile tra i guerrieri.

-Il vostro aiuto è più prezioso di quanto immaginiate, mia signora. Un pasto e un focolare saranno più che necessari.-

-Domani vi saranno preparate sistemazioni più comode.- Aggiunge la dama mentre ci incamminiamo all'interno dell'accampamento.

-Non ce ne sarà bisogno, signora: il nostro cammino non si fermerà qui a Dunclivo.- Il volto di Éowyn si adombra, ma ella non fa domande e ci guida in silenzio verso il padiglione dove sono stati arrangianti dei tavoli e acceso un focolare.

Il passo dei Dunedain è lieve sull'erba: avanzano in silenzio, i loro lunghi mantelli neri ne avvolgono completamente i corpi possenti ed eleganti, scivolano sul terreno producendo lievi fruscii. Procedono così, confondendosi nella notte, simili a fantasmi di antichi re del passato, e gli uomini intorno a noi, intimoriti, si nascondono nelle proprie tende.

-Prego, sistematevi qui. Vi porto qualcosa di caldo da mangiare.- Aragorn la ringrazia ancora accennando in un inchino e gli uomini lo imitano. Si allontana velocemente ed io decido di seguirla, senza che gli altri se ne accorgano; si ferma vicino ad un gruppo di donne, forse le cuoche, e chiede loro di far scaldare lo stufato avanzato per il sire e i suoi uomini e di prepararne altro se necessario.

Si volta per tornare sui suoi passi ma, vedendomi, trasalisce e si ferma: in un primo momento non riconosce gli abiti larghi e i vecchi armamenti che lei stessa mi ha fornito, tanto sono intrisi di sangue, fango e polvere, ma poi sembra accorgersi della treccia che esce scompostamente dal cappuccio e il suo sguardo si illumina.

-Melyanna...- Sussurra avvicinandosi a me. Scopro il mio volto e lei fa per abbracciarmi, ma io la fermo in tempo.

-Sono tutta sporca, non voglio che ti si rovinino le vesti.- Le spiego aprendo il mantello e mostrandole i miei vestiti. -Il sangue è difficile da lavare.-

-Oh Melyanna.- Sussurra ancora con gli occhi bassi, prendendomi le mani. -Non ti avevo vista ed ho temuto il peggio.-

-Ho solo qualche ferita, non preoccuparti.- Poso una mano su suo viso e lei annuisce, accennando un sorriso.

-Ti preparo qualcosa per lavarti, se vuoi.- Aggiunge dopo qualche secondo di silenzio, esaminando le miei mani annerite e i pantaloni insanguinati.

-Te ne sarei eternamente grata.- Éowyn allora sorride e mi fa cenno di seguirla. Entriamo nella sua tenda, per nulla diversa dalle altre, e mi dice di sedermi sulla sua branda; poi apre una piccola cassa ai piedi del giaciglio ed estrae un fagotto annodato con cura.

-Ho portato con me tutte le tue cose, non volevo lasciarle incustodite.- Mi porge l'involto e, aprendolo, trovo i miei vestiti puliti e piegati, insieme agli stivali, il pugnale e il sacchetto con le medicazioni. -Le altre armi sono insieme al tuo cavallo.-

-Io...- Sussurro, passando le mani sul manico della lama.

-Laggiù c'è dell'acqua e un po' di sapone.- Continua, indicandomi una tinozza all'angolo della tenda. -Non è molto ma è tutto ciò che posso offrirti.-

-Eowyn, non so come ringraziarti.- Alzo lo sguardo sul suo volto segnato e pallido, colmo di emozioni, e sulle sue labbra tornate ad abbassarsi. Conosco la tristezza che adombra il suo sguardo, la paura e la determinazione in fondo ai suoi occhi: quanto dolore ha dovuto sopportare, chiusa nel gelo del palazzo? Quante volte è rimasta in silenzio, senza poter reagire, nel buio della sua stanza?

-È il minimo che possa fare.- Risponde prima di lasciare la tenda.

Rimango qualche secondo ferma sulla branda, osservandomi intorno, un po' imbarazzata per dovermi lavare con le cose di un'altra persona, ma poi il desiderio di sentirmi di nuovo pulita prende il sopravvento e comincio a spogliarmi, gettando i vestiti a terra. Ora riesco a vedere tutti i danni della guerra sul mio corpo: ovunque i lividi sono ancora visibili anche se svaniscono velocemente; uno più grande e scuro si allarga all'altezza delle costole, forse sono incrinate. Una ferita al braccio destro m'impedisce di muovere bene le dita e quella alla coscia sinistra, più profonda, lancia acute fitte di dolore ogni volta che vi sposto il peso sopra. Non si chi mi si sia preso cura di me dopo che sono svenuta ma, a giudicare dai punti quasi de tutto saltati e dallo stato delle ferite, è stato un lavoro fatto di fretta; nei giorni seguenti, poi, sono stata così impegnata che non ho pensato neanche a medicarmi. Ora le bende sono sporche di sangue e plasma, fa male persino doverle staccare dalla pelle.

Quando riesco a togliermi tutto di dosso comincio finalmente a lavarmi: con difficoltà, riesco a eliminare ogni traccia di sangue, fango e polvere e la pelle torna al suo normale colorito, seppur leggermente arrossata. Disinfetto le ferite con il sale, elimino il filo dellecuciture e applico nuovi punti, poi le avvolgo in bende pulite, massaggio i lividi con la pomata che settimane fa avevo preparato per Aglar e indosso i miei vestiti.

È così strano potersi dedicare certe attenzioni in momenti difficili come questi: sono lontana da casa da più di due mesi ormai, ogni giorno devo lottare per sopravvivere e il futuro mi è ignoto, ma quando posso riposarmi e la mente è libera da ogni preoccupazione, tornano i ricordi, la nostalgia delle persone amate, e ripenso a Elrond, ad Arwen, che è rimasta sola, alla famiglia di Aglar, ai suoi fratelli, a sua madre, che mi ha sempre trattata come una figlia, e mi sento tremendamente egoista. Io, che credevo di non aver niente da perdere, ho abbandonato tutto ciò che avevo di più prezioso e sottratto la gioia ai miei amici. Mi sono allontanata da tutti, perfino da chi avrei voluto ritrovare. D'istinto porto una mano al collo, dove prima tenevo il ciondolo di Legolas, ma non sento più niente.

Esco dalla tenda e raggiungo gli uomini che, seduti ai tavoli, si ristorano mangiando stufato e bevendo birra: Éowyn, seduta vicino ad Aragorn e Gimli, ascolta con attenzione i racconti della battaglia al Fosso di Helm, mentre altri Dunedain parlano dei loro viaggi attraverso le Terre Selvagge, ma i suoi occhi rimangono fissi sul loro capitano; Aglar parla con altri Uomini mentre continua a bere birra senza neanche assaggiare lo stufato. Ha il viso rosso e gli occhi lucidi, le sue mani tremano leggermente: non ha mai stato bravo a reggere l'alcol. Lontane dalla luce del focolare che arde vicino a noi s'intravedono le figure di Legolas e dei figli di Elrond che conversano tra loro: parlano così piano che a stento riesco a percepire le loro voci leggere e fruscianti.

Mi siedo ad uno dei tavoli più vuoti, dove gli uomini mangiano in silenzio e, tanto sono immersi nei loro pensieri, neanche si accorgono di me. Rimango sola per qualche minuto, quando all'improvviso Cador si siede di fronte a me e mi porge una scodella fumante.

-Nessuno di noi ha molta fame, ma chissà quando potremmo mangiare di nuovo.- Mi dice con un mezzo sorriso. Guardo lo stufato, indecisa, ma poi ricordo ciò che Legolas mi diceva sempre prima degli addestramenti, allora comincio a mangiare a piccole cucchiaiate.

-Grazie Cador.- Sussurro alzando gli occhi su di lui; sposta lo sguardo sui suoi compagni, poi di nuovo su di me, con nervosismo e imbarazzo.

-Devi dirmi qualcosa?- Domando, vedendolo in difficoltà. Si guarda intorno, lancia un'occhiata agli uomini seduti vicino a noi e, quando si accorge che si curano della nostra conversazione, si sporge lievemente verso di me.

-Araleth.- Sussurra con gli occhi spalancati e le sopracciglia alzate. D'istinto, lo cerco tra gli uomini: è seduto insieme al fratello e ad un guerriero più anziano: anche loro mangiano in silenzio, ma i loro gesti incerti e lenti, i loro occhi carichi di parole, perfino quelli foschi di Foran, tradiscono paure e indecisioni. Se Cador vuole parlarmi di lui, è evidente che ormai tutti si sono accorti dei suoi sguardi silenziosi e fissi su di me.

-Perché vuoi parlarmi di lui?- Riprendo con voce altrettanto bassa.

-Ho visto come ti guarda e mi preoccupo per lui. Non so fino a dove si spingano i suoi sentimenti ma... Questo non è un bene, è pericoloso.-

-Me ne sono accorta anch'io...- Rispondo abbassando lo sguardo: Cador potrebbe leggere nei miei occhi i ricordi di quel bacio freddo e inaspettato.

-Non so se è successo qualcosa tra di voi, non voglio saperlo, ma ti prego, non dargli alcuna speranza, nessun minimo segnale di interesse, niente che possa fargli pensare a qualcosa di più di quello che può esserci.-

-Non preoccuparti- Alzo gli occhi sul suo viso. -Non avrei mai fatto niente di simile.-

-Lo so.- Sembra concludere, e sposta lo sguardo altrove, lontano dal focolare; poi guarda di nuovo verso Araleth e riprende a parlare. -Scusa se ti ho detto queste cose, ma voglio bene ad Araleth e non voglio che soffra ancora.- I suoi occhi celano altre parole ma non c'è bisogno che glielo chieda perché riprenda a parlare.

-Quell'uomo che vedi, vicino a loro, Forhar, è il padre di Foran.- La sua voce è bassa e cadenzata, come a voler soppesare ciò che dice. -Ma non è il padre di Araleth.- La sua rivelazione, in realtà, non mi stupisce più di tanto: sebbene i loro tratti somatici siano simili, affini a quelli di tutti i Dunedain, tutto del più giovane, persino l'espressione, differisce dagli altri due.

-I suoi genitori furono uccisi dagli Orchi durante un'incursione quando era molto piccolo, Forhar e sua moglie decisero di prenderlo con loro. Lui e Foran però non hanno mai avuto un buon rapporto, specialmente dopo la morte della madre...- Cador tace, lasciando in sospeso le ultime parole della frase.

-Anche io voglio bene ad Araleth, anche se non lo conosco bene: mi ha ascoltato quando più ne avevo bisogno e gli sono infinitamente grata, ma non potrò mai ricambiare i suoi sentimenti.-

-Lo so.- Annuisce con sguardo comprensivo, come se già avesse capito, mi stringe la mano e si alza, sedendosi con i suoi compagni intorno al falò.

Sei un buon amico, Cador”

*

L'infermeria sembra che sia stata invasa da tutti gli Elfi di Bosco Atro: in molti sono venuti a salutarmi, non pensavo che così tante persone tenessero a me. Ci sono tutti: i miei compagni di addestramento, più o meno guariti dalle ferite della battaglia, i miei istruttori, Seregon per primo, i miei vecchi insegnanti, i guaritori, i compagni di studio, persone di corte e del popolo, Galion, i cuochi. Seduto sul suo solito letto, Aglar sorride timidamente guardando Lingwe che, vicina a lui, tiene in braccio Emlin, il suo fratello più piccolo; intorno a lui c'è il resto della famiglia, Tarcil e Gwileth, i suoi genitori, e i fratelli Lhain e Lagor. Ci sono tutti, tutti tranne Legolas: a lui non sono mai piaciuti i saluti e so che soffre molto ogni volta; così abbiamo parlato da soli di tante cose che non ci siamo detti in tutti questi anni, siamo stati a lungo in silenzio, un silenzio carico di pensieri, guardandoci negli occhi, stringendoci l'uno all'altra, e poi ho lasciato che si addormentasse sul mio petto, come un bambino, e me ne sono andata in silenzio.

Ora tutti mi guardano, alcuni sorridono mestamente, altri si asciugano gli occhi alle maniche dei vestiti, altri ancora non si vergognano di mostrare apertamente le lacrime.

-Amici- Esordisco, commossa dalla loro profonda dimostrazione di affetto. -Questo non è un addio, noi ci rivedremo, ma ora devo tornare a casa.- È difficile non chiamare casa Bosco Atro: qui ho imparato a combattere, a orientarmi tra gli alberi contorti e foschi della foresta, ho conosciuto persone speciali, ho gioito, sofferto e scoperto nuove emozioni, ma, nonostante tutto, non mi sono mai abituata all'aria malsana del bosco, alla vita nascosta e sotterranea, alle continue incursioni di nemici, alla morte che quotidianamente ci veniva sbattuta in faccia. Bosco Atro è una parte di me, ma io non appartengo a questo luogo.

-Non vi dimenticherò, non dimenticherò nessuno di voi.- Nessuno parla, ma basta guardare i loro sguardi per poter leggervi i pensieri. Mi volto verso Aglar e a stento riesco a trattenere le lacrime: avrebbe voluto accompagnarmi a Imladris ma non si è ancora rimesso del tutto e i guaritori, anche io, glielo hanno impedito; nonostante in lui sia visibile la sofferenza della malattia, i suoi occhi continuano a sorridere e a brillare di speranza.

Lo ringrazio con un cenno del capo, lo ringrazio per tutto, e lui fa altrettanto, sorridendomi.

Mi volto, guardando per l'ultima volta tutte quelle persone, parte della mia vita, ed esco dall'infermeria. Mornon mi aspetta fuori dalla porta, pronto per il viaggio, quasi impaziente; appena mi vede, afferra i miei bagagli e ci dirigiamo verso i cancelli. Mi ero ripromessa che non avrei osservato ogni dettaglio inciso nel legno, che non avrei percorso con gli occhi gli intrighi dei rami, che non mi sarei riempita del forte odore del bosco, muschio, terra e pioggia, dolci foglie verdi e funghi, ma il mio sguardo vaga implacabile per imprimere nella memoria anche le gocce di rugiada sulle tele dei ragni.

-Melyanna- Mornon posa una mano sulla mia spalla e con la sua insolita dolcezza mi riporta alla realtà. -I cavalli sono pronti, è ora di andare.- Annuisco e lo seguo. Accarezzo Ilyalisse, come a volerle dire che finalmente torniamo a casa, e afferro con forza le briglie per salirle in groppa, quando sento una voce alle mie spalle.

-Melyanna!- Legolas corre giù dalle scale, scompigliato, con la camicia mezza sbottonata e senza scarpe. -Melyanna!- Continua, come un disperato. Arriva d fronte e a me posa le sue mani tremanti sul mio viso, guardandomi con grandi occhi persi.

-Legolas...- Sussurro asciugandogli le guance rigate di lacrime. -Così complichi tutto.- La mia voce vacilla e il cuore accelera i battiti, i nostri visi sono così vicini...

Chiude gli occhi e preme le labbra sulla mia fronte, trattenendo il respiro, con le sue dita tra i miei capelli. Rimango immobile in un turbine confuso di emozioni, incapace anche di lasciarmi andare, poi lui mi afferra per i fianchi e mi posa sul cavallo, spronandolo a correre più veloce che può.

L'ultima cosa che riesco a vedere prima che gli alberi si chiudano dietro di noi, sono i suoi occhi, il dolce tormento dei suoi occhi.


 

***



 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Sono tornata dopo l'assenza più lunga da efp che abbia mai fatto. Quest'anno la scuola mi ha assorbito completamente e purtroppo, soprattutto negli ultimi mesi, ho scritto pochissimo. Ovviamente la colpa è mia, che ho deciso di pubblicare una storia prima che fosse copletata o almeno a buon punto. La storia è ben lontana da essere definita persino nella mia mente, sono combattuta su molte cose e spesso è l'emozione de momento a dettare legge e quindi, per un motivo o per un atro, tutto procede molto lentamente. Mi spiace enormemente di non poter essere puntuale come mi ero riproposta agli inizi, ma ho sempre cercato di dare il meglio in ogni parola che scrivevo. Spero che il capitolo non sia noioso (questa è una mia paura costante), anche se sono spuntati pesonaggi nuovi, come la famiglia di Aglar, che acquisterà sempre più importanza nella storia, e persoanggi già menzionati, come Lingwe, Seregon e Mornon (chi se lo ricorda?). Gli ultimi capitoli non sono andati molto bene, anzi ho perso anche alcuni lettori, ma vogio ringraziare _Kassandra_ che ha inserito la mia storia tra i preferiti. Ringrazio anche tutti coloro che continuano a leggere la mia storia, nonostante tutte le mie mancanze, veramente un grazie dal cuore.

Diletta









 

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Capitolo 21
*** Stelle ***


STELLE

"So honey now
take me into your loving arms
kiss me under the light of thousand stars
place your head on my beating heart
I'm thinking out loud
Maybe we found love by where we are"
-Ed Sheeran, ​Thinking out loud

 

I Dúnedain si stringono nei loro mantelli scuri e allungano i piedi verso il fuoco: l'inverno è quasi giunto al termine, ma le notti passate all'aperto mettono a dura prova gli uomini. Il focolare è l'unica fonte di luce e di calore dell'accampamento; il crepitare del legno, le scintille scoppiettanti, i movimenti guizzanti delle fiamme i soli rumori che rompono la veglia silenziosa di questa notte, oltre al lieve frusciare del vento e i versi di qualche animale notturno.

Alcuni si sono già coricati, Aglar primo fra tutti, gli altri si sono riuniti intorno al fuoco; come in un tacito accordo, nessuno parla: qualcuno fissa le falene che testardamente continuano a vorticare troppo vicine alle fiamme e, in un istante di imprudenza, svaniscono tra le braci, altri fumano la pipa con lo sguardo perso nelle spirali di fumo, altri ancora si guardano, come assorti in silenziose confessioni.

Il cielo è limpido questa notte, non c'è nessuna nuvola a nascondere gli astri, le stelle sono così luminose che sembrano oscurare persino la luna. Non c'è mai stata una notte così bella e disperata.

Mentre osservo le pallide cinture di luce nel cielo e seguo la scia delle stelle cadenti, percepisco un lieve formicolio alle dita e un tenue calore all'altezza del petto; mi volto quel tanto che basta per riuscire a scorgere Legolas, con il capo all'indietro rivolto verso l'alto, i lunghi capelli scarmigliati sparsi sulle spalle, gli occhi traboccanti di luce.

Per un attimo, i nostri sguardi si incontrano, unendo le nostre anime per la prima volta dopo così tanto tempo. Di nuovo, per un istante, io e lui soltanto, e tutto sembra perdere di significato, per un brevissimo sfuggente istante.

-Melyanna.- La voce di Aragorn mi riporta bruscamente alla realtà. -Canta qualcosa per noi, qualcosa di leggero.- Tutti gli uomini si voltano verso di me e Legolas distoglie lo sguardo: le sue guance sembrano arrossire, ma forse è solo il riflesso del fuoco sulla sua pelle.

-Non sono molto brava.- Rispondo sommessamente abbassando la testa. Non ho il dono del canto, non come lo aveva mia madre: la sua voce era come quella del pettirosso, non allegra e impetuosa come quella dei ruscelli, ma come brezza che dolce accarezza la pelle e smuove i petali dei fiori; soffocata dai canti più potenti e articolati, solo in pochi si sono fermati ad ascoltare il suo. Così mio padre si innamorò di lei.

-Cantiamo insieme.- Gli sguardi di tutti si spostano su Legolas, e ora il suo viso sembra bruciare dall'imbarazzo. Si alza in piedi, tentando inutilmente di nascondere il nervosismo, e, avvicinatosi a me, mi porge una mano. Allungo il braccio tremante verso di lui e gliela stringo, le mie dita sfiorano il suo polso e percepisco il palpitare frenetico del suo cuore; usciamo dal cerchio di uomini ed io mi siedo su un ceppo, mentre lui si sistema con la schiena contro il legno. Inclina il capo, guardandomi negli occhi per un istante, poi inizio a cantare:

Hön'marën kena-uva kala
Indönya ullumeá
Nör'ande sëra mi lorien

Îm'eri ratö naya
Larya nîn mëlissè
Le sinte îma sinomë

Ána sama lemî oloorë
Le ar'uunèr ana kaurë
Uur'anor wannëa
Isilme va'arya
Telume siila tere
Na'are utumno wanya
Erüma, helkàda
Raanè ressè
Lörna à'kuilä
Vàrna mi'olör
Türma ei ràumo
Sinomë”

Sento il mio corpo vibrare e Legolas, con il volto poggiato sulla mia gamba, sussulta: la sua voce, il tocco delle sue mani su di me, mi fanno tornare indietro di tanti anni, a quando ero una bambina e lasciava che mi addormentassi sul suo petto. Il cuore si riempie di una gioia indescrivibile, troppo grande perché solo io ne sia partecipe. Con le dita sfioro il suo collo, lui afferra la mia mano e vi lascia un bacio lieve: le sue labbra sono fredde e screpolate, ma in quel gesto percepisco che i suoi sentimenti sono come i miei, che quel legame, che credevo perduto per sempre, invece è ancora là, dove lo abbiamo lasciato.

Il canto cessa. Gli occhi di tutti gli uomini sono su di noi, qualche lacrima bagna i loro volti, persino Foran si asciuga gli occhi; di fianco a lui, Araleth, con sguardo piangente e ferito, ci osserva nell'oscurità, in silenzio. Legolas però non lascia la mia mano: per una volta, non gli importa cosa pensano gli altri, se quello che sta succedendo sia giusto o sbagliato, vuole solo poter essere libero e amare, senza soffrire. Si alza in piedi e mi porta lontano dal fuoco, dove solo le stelle illuminano i nostri volti: corriamo leggeri sull'erba fredda, voliamo trasportati dalle stesse ali e dagli stessi pensieri.

All'improvviso si ferma e si volta verso di me: il suo volto è reso più pallido dalla luce fredda delle stelle, gli occhi bagnati dalle lacrime sembrano catturarne tutto il chiarore e restituirlo con nuovi colori, come una gemma nelle mani del più abile artigiano.

-Melyanna, io...- La sua voce sommessa preannuncia una lungo discorso, ma adesso la via al suo cuore non mi è più preclusa, conosco già il suo pentimento e il suo profondo dolore.

-Non adesso Legolas, non è più necessario.- Lui ammutolisce, guardandomi con quei grandi occhi da bambino e le labbra socchiuse, umide di pianto. Prima che possa rendermene conto, il mio corpo aderisce al suo, con una volontà che non è più mia, e senza pensare poso la mia bocca sulla sua, le mie braccia strette intorno al suo corpo, le sue dita tremanti sulle mie guance. L'emozione è così forte che le gambe, tremando, cedono; lui mi sostiene per la vita e china il capo su di me: tutto il suo calore mi avvolge, i movimenti gentili delle sue mani irrequiete, l'impeto dolce dei suoi baci.

Si allontana un poco da me e riprendiamo a respirare: persino alla pallida luce delle stelle il suo volto appare arrossato. Appoggio le mani sul suo petto e percepisco tutto il suo corpo palpitare. O forse sono le mie mani che tremano, il mio cuore a fremere?

-Cosa ci siamo negati per tutto questo tempo...- Sussurro posando la fronte sulla sua spalla. Lievi le sue labbra mi sfiorano il collo e le sue dita tra miei riccioli, lente, scivolano sui fianchi, sulle ossa ormai sporgenti del bacino. Sarebbe dovuto essere così da tanto, da quando uno sguardo sfuggente ci aveva fatto tremare e le carezze indugiavano, timorose. Ma solo ora ci siamo trovati, oltre ogni parola e incomprensione, in terre sconosciute e lontani da casa, in questa bella notte di stelle così luminose da oscurare persino la luna.
 

***
 

ANGOLO DELL' "AUTRICE":
Torno dopo una vitacon un capitolo che più corto non si può per farvi sapere che sono ancora viva e che la storia continuerà.
Non sono brava a scrivere scene romantiche come queste, spero non sia venuta fuori una cosa troppo banale.
La canzone non è di mia invenzione, ci mancherebbe: si chiama "Lullaby From a Distant Land" ed è scritta in Quenya. L'ho trovata su youtube e i suoi creatori mi hanno concesso di usarla per questa storia. Ho provato a tradurla in italiano, ma per paura di rovinare il testo ho lasciato perdere; comunque qua sotto vi lascio il testo in inglese e il link se volete ascoltarla (merita davvero, quindi magari fateci un salto).


My heart shall see light
Our hearts shall be forever
Go forth, rest in dreamland
I'll soon be there
Wait for me my love
You know I'm here
To join you in dreams
You have nothing to fear
Fiery sun, begone
Moonlight, protect us,
Heaven's star, shine through,
Flame of hell, vanish
Lonely voice, cold and bare
Wandering alone,
Asleep, yet awake
Safe in dreams
Shelter from the storm
Here


https://www.youtube.com/watch?v=zFp9qGtqrbw

 

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno continuato a seguire la mia storia e ad attendere un capitolo, nonostante il mio egoismo. Ringrazio SaraGreta_24 ed Emma Wayne per averla inserita tra i preferiti, FantasyAnimeManga96 e di nuovo Emma Wayne tra le seguite, e ancora Emma Wayne per averla aggiunta alle storie ricordate, avermi messo tra gli autori preferiti e per avermi spinto a continuare a scriverla. Spero di non aver deluso le vostre aspettative.
Diletta

 


 

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Capitolo 22
*** Ricominciare ***


RICOMINCIARE


 

-Sono stato il primo?- Sussurra Legolas con il volto premuto sul mio petto. Sorrido e affondo il naso tra i suoi capelli, ma non rispondo.

-Avanti, so che no è così- Arrossisco leggermente al ricordo di quei giorni lontani.

-Provai per Aglar un tenero affetto e i suoi baci pudici e lievi addolcivano un poco i miei dolori. Di Mornon condividevo una sofferenza bruciante e sentimenti di incomprensione; durante i nostri incontri fugaci ci sentivamo capiti, uniti. Ma non è mai stato come con te.-

Legolas ride sommessamente e alza la testa, guardandomi negli occhi. -Siamo stati degli sciocchi.- Riprende mestamente. -Ci siamo fatti trascinare chi non poteva completarci e li abbiamo illusi, siamo stati male e abbiamo fatto soffrire, solo perché non abbiamo voluto dare ascolto a noi stessi. Noi, che sapevamo leggerci nell'animo, non abbiamo capito la cosa più importante.-

-Non volevamo accettare i nostri sentimenti.- Stavolta sono io a guardarlo, e affondo le dita tra i suoi capelli, sciogliendoli la treccia e accarezzandogli la nuca; lui chiude gli occhi e mi lascia fare.

-Tu quando l'hai capito?- Domanda di nuovo, muovendo appena le labbra.

-Non lo so... Forse l'ho sempre saputo.- Legolas si irrigidisce, come a rendersi conto di quante volte, in mia presenza, si sia dimostrato più che amichevole con qualche fanciulla o l'abbia seguita con lo sguardo. -Non hai alcuna colpa. Come avresti potuto immaginarlo? Ero molto giovane e mi sentivo così insignificante che neanche speravo di essere ricambiata.-

-Io invece ho soffocato a lungo i miei sentimenti: innamorarmi di te sembrava la più lontana delle ipotesi, insomma, ti ho vista crescere... È strano.-

-Non così strano, dopotutto. Non sono più una bambina.- Legolas scioglie la stretta dai miei fianchi e si siede, poggiando la mano destra sul terreno e allungando le gambe; nei suoi occhi si riflettono le stelle e le sua pelle risplende di luce lunare. Il suo sguardo mi accarezza le gambe, i fianchi...

-Legolas...- Mi siedo anche io e subito mi attira a sé in un bacio impetuoso, mentre le sue braccia mi cingono la schiena. Quando mi lascia, tutto il mio corpo trema e il viso avvampa.

-Legolas... Io...- Balbetto e anche lui arrossisce, evitando il mio sguardo. -Non ci sono ancora abituata...-

-Perdonami.- Mi prende una mano e la tiene nelle sue. -Ma sento che potrei perderti da un momento all'altro. Adesso noi siamo qui, sotto questo cielo limpido che sembra proteggerci, come se non ci fosse nessuna guerra, nessuna battaglia disperata, e invece la notte sta per finire e non sappiamo se la prossima alba sarà portatrice di morte o di speranza. Sento che ho ancora così tante cose da dirti, non voglio che continui a vedermi come un... Come un...- Serra le palpebre e qualche lacrima bagna le sue ciglia. Allungo la mano libera sulla sua guancia e le dita si inumidiscono. -Melyanna... Vorrei poterti spiegare tutto.-

-Anche io ho molto da raccontarti. Abbiamo ancora tempo.- Lui mi guarda di nuovo e i suoi occhi esprimono tutti i sensi di colpa, tutto il dolore che ha provato nel farmi soffrire. Poso un lieve bacio sulle sue labbra e mi siedo di fronte a lui a gambe incrociate. -Allora, chi comincia?-

*

-Entra, Legolas.- Elrond, seduto di fronte al fuoco, mi invita ad accomodarmi sullo scranno accanto a lui. Guardo titubante il breve tratto che mi separa dall'ingresso delle sue stanze, poi avanzo e mi sistemo dove mi ha indicato. Il volto del signore di Imladris non è sereno, le sopracciglia aggrottate incupiscono la sua fronte candida, le labbra sono immobili e serrate.

-Ti ho fatto chiamare- Esordisce dopo alcuni attimi di silenzio -Per parlare di colei che a entrambi sta a cuore.-

-Cosa è successo a Melyanna?- Domando allarmato, ma Elrond posa una mano sulla mia spalla, tranquillizzandomi.

-Melyanna sta bene, ma è il suo cuore che mi preoccupa. Cosa sa della missione?-

-Io le ho solo detto che dovrò partire, il resto lo ha appreso da sé.- Mi guarda con aria grave, come per volersi accertare della veridicità delle mie parole. Subito il mio pensiero va a Melyanna, al suo sguardo ostinatamente imperturbabile che mi ha rivolto quando le ho annunciato la mia partenza e alle lacrime che le sono salite agli occhi.

-Ho voluto dirglielo subito, non mi sembrava giusto tenerla all'oscuro.-

-Non è solo di questo che voglio parlare.- Elrond si alza in piedi e rimane di fronte al comino: la luce calda del fuoco ombreggia il suo volto, facendolo sembrare ancora più accigliato. -Da quanto tempo Melyanna è innamorata di te?-

Sobbalzo sulla sedia e il mio cuore batte più veloce. -Melyanna innamorata... di me?- Balbetto, in misto di confusione e turbata felicità. -No, vi state sbagliando: la amo come si ama una sorella prediletta, ed così anche per lei, ma non c'è niente di più.- Le mie parole sembrano non convincere il signore di Imladris, come non riescono a convincermi di non aver mai cercato con occhi impazienti la forma adorabile delle labbra di lei, di non mai provato brividi improvvisi e piacevoli quando, negli abbracci, il suo corpo morbido aderiva al mio ed io sfioravo i suoi fianchi con la punta delle dita.

Elrond mi fissa dubbioso mentre il mio viso si arrossa sempre di più, ma non controbatte, né fornisce argomentazioni alla sua affermazione.

-Temo che lei possa fuggire seguirvi di nascosto.- Esordisce dopo qualche secondo di silenzio. -Non me lo ha detto apertamente ma, nel suo sgomento, non ha potuto celarmi i suoi pensieri.-

I miei ricordi tornano a più di settant'anni fa, alla battaglia alle pendici di Erebor, e all'orrore e alla morte passati sopra di noi; Melyanna ne è rimasta così turbata da essersene voluta andare da Bosco Atro, lontana da tutto ciò che potesse ricordarle quei giorni tremendi. Non era pronta per una battaglia del genere, qualcosa in lei è appassito, la sua allegria, sempre più rara dopo la morte dei genitori, è sparita completamente. Questa guerra va ben oltre le nostre capacità: la nostra unica speranza è questa missione disperata da cui non sappiamo neanche se ne usciremo vivi. non posso permettere che riviva di nuovo tutto quel dolore.

-Non ho il cuore di tenerla segregata, né servirebbe a molto, temo, ma lei deve rimanere al sicuro, qui a Imladris.- Elrond si alza in piedi e si volta verso il camino, nascondendomi il suo viso. -Sua madre mi fece promettere, quando ormai sapeva che a sua anima non sarebbe rimasta a lungo sulla terra, che l'avrei protetta ad ogni costo da una morte come quella di suo padre e che, quando i tempi fossero divenuti bui, l'avrei fatta salpare per Aman1 il prima possibile. Ho già rischiato abbastanza lasciando che partisse per Bosco Atro, anni fa.- Torna a guardarmi, con occhi carichi di apprensione. -Presto molti della mia gente lasceranno Imladris per recarsi ai Porti Grigi: lei deve partire con loro, Legolas, ma non darà ascolto a me.-

-Come posso io trattenerla?- Gli domando, mentre mi asciugo una lacrima prima che possa bagnarmi la guancia.

-Lei non vuole seguire la Compagnia, vuole seguire te. Sei l'unico che sa parlarle e che lei ascolta: trova un modo, qualsiasi, per farla rimanere a casa. Non voglio perdere anche lei.- Le sue parole, da severe che erano, si sono trasformate in una supplica.

-Farò tutto il possibile, mio signore, anche se potrei non rivederla più.- Mi alzo, portandomi di fronte a lui.

-Se la guerra terminerà in favore del bene, allora vi rincontrerete sulle bianche spiagge del Reame Beato. Ma se la missione fallisse e tu dovessi trovare la morte...- Un brivido mi corre lungo la schiena -Qualsiasi siano i sentimenti che prova per te, forse solo al di là del mare potrebbe trovare requie alle sue pene.-

Abbasso il capo annuendo, poi mi congedo, augurandogli una notte serena.

-Buona fortuna, Thranduillion2- Mi dice quando sto per attraversare la soglia.

-Grazie signore- Rispondo, e mi allontano con il cuore greve.


 

 

***

1 Aman: a ovest dela Terra di Mezzo, "al di là del mare", ospita il Reame Beato, dimora dei Valar.
2 Thranduillion: in sindar il suffisso -ion significa "figlio di", quindi letteralmente "figlio di Thranduil"



NOTE DELL'AUTRICE:
È passato di nuovo ancora troppo tempo e questo capitolo non mi piace un granché, ma ve lo dovevo. Non è un periodo bellissimo per me ed è stato difficile finire questo capitolo, ma scrivere mi aiuta un po' e forse riuscirò a pubblicarne un altro in tempi più brevi.
Nel prossimo capitolo, i nostri eroi saranno finalmente usciti da Rohan (finalmente) e si avvicina un momento cruciale per la storia, ma non posso dirvi nulla. Per quanto riguarda il personaggio di Mornon, è già stato nominato in capitoli passati ma non pretendo che ve lo ricordiate: per ora vi basta sapere che è un elfo silvano di Bosco Atro e vorrei approfondirlo, prima o poi.
Vorrei ringraziare ArUmOsS94 per aver inserito la mia storia tra le preferite, _Kassandra_ per averla messa tra le ricordate, Fedezammilepetiteauteur e di nuovo 
ArUmOsS94 per seguirla. Ringrazio inoltre tutti coloro che continuano a leggere e a recensire nonostante io non mi stia comportando bene nei vostri confronti.

Alla prossima (spero presto)
Diletta

 

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Capitolo 23
*** Questo non è un aggiornamento ***


È tanto tempo che penso questa cosa ma non ho avuto il coraggio di dirla fino ad adesso.

La storia di Melyanna si ferma qui, non avrà ulteriori aggiornamenti. Ho provato a lungo a scrivere nuovi capitoli ma non ce l'ho fatta, semplicemente perché ormai questa storia non mi appartiene più. Ho pubblicato il primo capitolo all'età di quattordici anni e adesso ne ho venti: sono passati tanti anni, io sono cambiata e la storia con me, ma arrivata a questo punto so che è meglio fermarmi, non continuare a pubblicare capitoli sempre più rari che non scrivo più con la stessa passione di prima.
Non fraintendetemi: ho amato profondamente scriverla, creare ogni personaggio e situazione. Ci ho messo molto impegno, spesso andando a rileggermi passi de Il Signore degli Anelli o cercando cose su internet per essere il più accurata possibile. Spesso ho fatto degli errori, e per quello che è stato possibile ho cercato di rimediare e di chiedere perdono. Ma il problema più grande, come ho spiegato più volte, è stato il voler pubblicare tutto subito, senza aver chiaro in testa il fine della storia, o banalmente un ordine dei fatti sensato; per questo i capitoli sono molto diversi da loro e testimoniano la mia crescita come scrittrice, ma la trama ne ha risentito fortemente. C'erano molte cose che avevo in mente per questa storia, ma non riesco a vedere la me di ora nei capitoli già scritti e non mi sembra giusto stravolgerli completamente.
Non voglio però andarmene da questo sito; ho in mente da molto tempo altre storie che credo meritino di essere raccontate (dopo che avrò ben definito la trama e i passaggi fondamentali, si intende), quindi è molto probabile che mi rivedrete ancora.
Mi scuso profondamente con tutti voi che avete seguito la storia e che aspettavate un seguito, ma credo sia meglio mettere un punto fermo invece di tanti punti di sospensione. Mi scusi per tutti i ritardi nelle pubblicazioni, i silenzi e gli errori grossolani, e sopratutto per non essere riuscita a completare questa storia che (non ci credo neanche io) qualcuno ha amato.

Prima di andare, vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito fino a qui, chi fino ad un certo punto e poi se n'è andato, chi anche solo per una lettura; chi ha recensito ogni capitolo, chi ogni tanto si è fatto sentire e chi, invece, mi ha letto in silenzio. Ringrazio Anaire, Allyson_00, AnnyWolf99, Antimony, ArUmOsS94, bellomia, Celaena, didi_95, dreamy_Allys, elenaricci13, Elfa_89, ElveSoul, Emma Wayne, FantasyAnimeManga96, FediSerecanie, Fjorleif, fredfredina, Gabrielle Pigwidgeon, Girl_Hufflepuff, Giuly_Starike, GothicGaia, grace18, Ila1992, jess chan, Jocy, Kanako91, _Kassandra_, lapetiteauteur, La Plouie, martina 2906, m0nica, michela30, nessia87, Oldineth00, Razaghena, Sabry_Ace_Will_Never_Die, SaraGreta24, ShirleyJordanJ, Sinenomine, solemiosole, SLVF, Tauriel_02, Thranduil_Laufeyson (scusatemi se ho dimenticato qualcuno). Grazie di tutto, non sapete quante gioie mi avete dato.

Concludo scusandomi ancora, ringraziandovi, e augurandomi che un giorno ci risentiremo.

Un abbraccio a tutti
Diletta

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