Drowned deeds - Gesta annegate

di SOI_7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La testa del serpente ***
Capitolo 2: *** Il generatore ***
Capitolo 3: *** La morsa ***
Capitolo 4: *** Vite annegate ***
Capitolo 5: *** Il commissario Hardy ***
Capitolo 6: *** Doppio fallimento ***
Capitolo 7: *** La dottoressa Hurley ***
Capitolo 8: *** Cluster ***
Capitolo 9: *** Davide e Golia ***
Capitolo 10: *** La sirena del New Jersey ***



Capitolo 1
*** La testa del serpente ***


 








 

DROWNED DEEDS - GESTA ANNEGATE

Capitolo 1 – La testa del serpente
Nella vecchia palazzina abbandonata riecheggiavano i passi di un uomo in fuga, speranzoso di potersi nascondere dai suoi inseguitori. L’uomo, sulla cinquantina, era vestito in abiti trasandati e aveva un aspetto poco curato, per cui avrebbe potuto tranquillamente fingersi un barbone e passare inosservato in quel luogo desolato. Purtroppo, la palazzina era semidistrutta e non vi era accesso ad altre stanze al di fuori dell’androne principale. L’uomo si guardò attorno, alla ricerca di un possibile nascondiglio, quando una voce femminile rimbombò.
 
 “Smith!”
 
 L’uomo trasalì, spaventato, e si voltò alla ricerca della fonte senza, tuttavia, trovare nessuno.
 
 “Sappiamo che sei lì dentro, è inutile che provi a nasconderti!”
 
 Il battito cardiaco dell’uomo di nome Smith accelerò. Si diede una rapida occhiata attorno, ma non vi erano scappatoie e le scale erano crollate, per cui non avrebbe potuto nemmeno fuggire al piano superiore. Era in trappola.
 
 Tre torce in lontananza si avvicinarono a lui, rivelando tre poliziotti, inclusa quella che doveva essere la donna che lo aveva chiamato. Era una ragazza giovane, dall’aspetto non doveva avere più di trent’anni, aveva lunghi capelli castani raccolti con un codino e occhi di un azzurro così acceso da impedire a Smith di mantenere il contatto visivo. I tre poliziotti erano tutti armati di pistola, ma nessuno di loro la teneva puntata verso di lui. Smith alzò comunque entrambe le mani.
 
 “Vi prego, lasciatemi andare!” disse, ansimando.
 
 “Smith, sei stato sorpreso in pieno commercio illegale di armi. Sei stato perfino filmato mentre trattavi con esponenti della mafia. Non esiste alcun modo per scagionarti” rispose la poliziotta, dura.
 
 “Non è per la galera, io… non posso! Se verrà a sapere che la trattativa è fallita, ucciderà me e la mia famiglia!” replicò Smith, sempre più spaventato. La ragazza socchiuse gli occhi.
 
 “Lavori per lui?”
 
 Smith non rispose, ma dall’espressione che assunse era evidente che si era lasciato scappare un’informazione che sarebbe dovuta rimanere segreta. La poliziotta posò la torcia e tese la sua mano sinistra verso Smith, facendo un passo avanti, ma l’uomo si agitò ancor di più.
 
 “Smith, gli stiamo dando la caccia da mesi. Se tu potessi darci qualche informazione che possa permetterci di arrivare a lui, potremmo ammorbidire la tua pena” disse, incoraggiante. “Possiamo offrirti ogni tipo di protezione che ti serve, e fare in modo che rimanga segreto”
 
 “È tutto inutile! Lo saprà comunque!” urlò Smith, ormai preso dal panico. “Lui sa tutto, è sempre un passo avanti, e non è in nessun luogo! Non potete fare nulla per fermarlo!”
 
 La poliziotta esitò. Era evidente che l’uomo fosse opposto a qualunque forma di collaborazione.
 
 “Smith…”
 
 La ragazza fece un ulteriore, debole passo avanti, ma Smith estrasse una pistola dal suo cappotto. I tre poliziotti puntarono rapidamente le loro armi verso di lui, ma l’uomo, invece di aprire il fuoco su di loro, puntò la pistola sotto la propria mandibola, e premette il grilletto. Il boato riempì l’androne, seguito da un silenzio agghiacciante, interrotto solo dal tonfo del cadavere di Smith, accasciato sul pavimento.
 
 La poliziotta rimase impietrita a fissare il corpo, con un’espressione a metà tra lo sconvolto e l’inorridito, dopodiché emise un sospiro carico di rabbia. Estrasse il suo walkie-talkie dalla fondina, per poi attivarlo.
 
 “Tenente Aqua Sanderson a centrale: Smith è morto. Passo”
 
-----o-----
 
Di ritorno dalla fallimentare missione, il tenente Aqua Sanderson decise di concedersi una doccia ristoratrice, nella speranza che le facesse scivolare di dosso il rammarico. Tuttavia, l’acqua calda riuscì soltanto a renderla meno adirata. Uscita dalla doccia, la ragazza si avvolse il corpo con un asciugamano, per poi darsi una gettata d’acqua gelata sul volto nel tentativo di darsi una svegliata.
 
 Fissò il suo riflesso nello specchio. Era palesemente spossata, principalmente a causa delle ultime ronde, e le parole di Smith rimbombavano ancora nella sua testa.
 
 “Lui sa tutto, è sempre un passo avanti, e non è in nessun luogo”
 
 Strinse le sue mani a pugno. Erano quattro mesi che lei e tutto il corpo di polizia gli stavano dando la caccia, ma ogni volta che erano vicini a trovare una pista, qualcosa andava storto. Che fosse un colpo o un attentato inspiegabile, senza tracce e sempre prima dell’arrivo della polizia, i tasselli portavano sempre alla stessa persona: il pluriricercato Oliver Ursine.
 
 E ora, con il suicidio di un possibile testimone, Ursine l’aveva di nuovo lasciata a mani vuote.
 
 “Aqua, tesoro, sbrigati che la cena è quasi pronta!”
 
 La voce della madre di Aqua Sanderson interruppe i pensieri della poliziotta. Si asciugò rapidamente i capelli con il phon e si vestì, per poi scendere al piano di sotto, dove i suoi genitori l’aspettavano a tavola.
 
 “Scusatemi!”
 
 “Non c’è bisogno di scusarti, è solo che rischi di fare tardi per la prossima ronda…” disse la madre, mentre versava una porzione di arrosto nel piatto di Aqua, “…però potevi almeno indossare la divisa DOPO aver cenato” aggiunse, guardando la figlia già in abiti da lavoro.
 
 “Te la lascerò immacolata, tranquilla” rispose sbrigativa Aqua, prendendo posto e inforcando l’arrosto. Suo padre, intanto, era distratto dal notiziario alla TV, il quale stava riportando gli avvenimenti di quel giorno stesso, incluso il suicidio di Smith.
 
 “Il tizio che avete inseguito oggi,” disse all’improvviso, “lavorava per quel terrorista a cui date la caccia da mesi?”
 
 “Oliver Ursine, si” rispose Aqua, con un filo di amarezza.
 
 “Cavolo, tesoro, lo state cercando da una vita. Possibile che non abbiate fatto nessun passo avanti?” chiese suo padre, comprensivo. Aqua scosse la testa.
 
 “Ci abbiamo provato e riprovato, ma quel criminale è più furbo del demonio. Non lascia alcun indizio od oggetto che ci permetta di risalire a lui, i suoi complici perdono sempre la vita misteriosamente prima che possiamo interrogarli, anticipa ogni nostra mossa, non ha indirizzo o abitazione e agisce sempre in assenza di testimoni oculari”
 
 “Sapete almeno com’è fatto?” chiese sua madre.
 
 “Si, abbiamo un suo identikit, ma è letteralmente tutto ciò che abbiamo, oltre il suo nome e i crimini commessi finora. Non sappiamo nemmeno il luogo di nascita”
 
 “Però penso abbiate capito a cosa miri, visti i suoi colpi” azzardò suo padre. Aqua sospirò.
 
 “Difficile dirlo, finora i suoi delitti sono stati alquanto… sconnessi. O si trattava di furto d’armi, o di omicidi a persone legate all’intelligence, rapine o legami con traffici illegali. Non riusciamo a capire a cosa punti di preciso, la nostra ipotesi più azzardata è che tutti questi attacchi servissero per ottenere oggetti o informazioni per un obbiettivo più grande, ma che non ha ancora deciso di attuare” rispose. I suoi genitori si adombrarono alla sua risposta, ma la ragazza cercò subito di tranquillizzarli.
 
 “Lo prenderemo comunque, prima o poi! Ci serve soltanto una pista migliore!”
 
 “Oh, Aqua, non lo metto in dubbio, ma non è per quello che siamo preoccupati” disse sua madre. “Lo siamo per te”
 
 “Per me?” disse Aqua, lasciandosi scappare una risata. “Fa parte del mio lavoro, mamma, non posso tirarmi indietro”
 
 “Certo che no, ma dal modo in cui parli di quest’uomo, se è davvero così intelligente e pericoloso come dici, potrebbe diventare un’ossessione per te fino a quando non lo avrete catturato” rispose la madre, apprensiva.
 
 Aqua la fissò. Da un lato capiva il suo discorso, ma dall’altro non poteva sottrarsi al suo dovere. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro il giorno in cui decise di diventare poliziotto, e mettere al sicuro la città, inclusi i suoi genitori, veniva prima della sua salute, fisica o mentale che fosse.
 
 “Non dovete preoccuparvi,” disse, infine, “quel pazzoide non mi avrà mai, né avrà mai la mia lucidità mentale… o quel poco che ne resta, ormai” aggiunse, abbozzando un sorriso. La madre, suo malgrado, ricambiò il sorriso. Aqua finì l’ultimo boccone di arrosto, e si alzò.
 
 “Devo scappare, la ronda inizia tra poco e ne avrò fino alle due di stanotte” disse, sbrigativa.
 
 “Mi raccomando, fai sempre attenzione” le raccomandò suo padre.
 
 “Lo faccio sempre e sempre lo farò!” rispose la figlia. Diede un bacio sulla guancia ad entrambi i suoi genitori, dopodiché lasciò la propria abitazione.
 
-----o-----
 
Erano le 01:42 quando la volante di Aqua stava percorrendo una stradina di campagna, non molto lontana dal centro urbano, come ultimo tratto della ronda prima della sua conclusione. Insieme a lei vi erano i due suoi colleghi che l’avevano affiancata durante la caccia a Smith. Il poliziotto seduto sul retro sbadigliò sonoramente.
 
 “Un altro quarto d’ora e anche stanotte possiamo chiuderla qui” disse, palesemente assonnato.
 
 “Non so come tu faccia ad avere sonno dopo oggi” replicò il poliziotto al volante. “Io ancora non riesco a togliermi dalla testa la scena di quel tizio che si ammazza pur di non farsi arrestare”
 
 “Beh, ormai è andata, possiamo arrovellarci finché vogliamo, ma non cambierà quanto accaduto” rispose l’altro.
 
 “Senz’altro, ma non è qualcosa che vedi tutti i giorni. Ti rendi conto di quanto Ursine gli mettesse paura? Deve essere un autentico mostro per portarlo a tanto”
 
 “Come se i suoi attentati non fossero abbastanza” intervenne Aqua. “Vi ricordo che ha tentato di uccidere il sindaco tre volte”
 
 “Oh, e chi se lo scorda!” Disse il poliziotto al volante. “Prima con un colpo di cecchino, poi avvelenando un buffet e infine causando un incidente automobilistico. Ci credo che il sindaco non esca più di casa da un po’”
 
 “E in nessuno dei tre attentati siamo riusciti a risalire a lui” disse l’altro poliziotto. “Ma come diamine fa? Neanche tracciando la traiettoria del proiettile, quando ci hanno provato il proiettile risultava provenire dal cielo”
 
 “Non credo che Ursine sappia volare” disse Aqua, seccata.
 
 “Chi può dirlo? Sto cominciando a dubitare perfino della sua esistenza, a questo punto” disse il poliziotto al volante. Prima che gli altri potessero rispondergli, l’auto ebbe un sussulto, e continuò il suo percorso pendendo leggermente a destra.
 
 “Che è successo?” chiese Aqua.
 
 “Credo che abbiamo forato una ruota. Fermiamoci un istante e controlliamo, dovremmo avere una ruota di scorta nel bagagliaio” rispose l’altro. L’auto si fermò e i tre poliziotti scesero.
 
 In effetti, la ruota anteriore destra era completamente sgonfia. Aqua si accovacciò per osservare la ruota da vicino, alla ricerca del foro e la sua causa. Nello pneumatico vi era un buco di circa un centimetro di diametro, grande giusto quanto un proiettile. Gli occhi della ragazza si dilatarono, allarmati ma, prima che potesse dire qualunque cosa, un bagliore di fari investì il gruppo e un camion apparve dal nulla, diretto a tutta velocità verso di loro. Aqua riuscì solo ad urlare un “Attenti!” e a balzare in avanti nel tentativo di schivare la vettura, ma il camion colpì comunque in pieno la loro auto. Aqua fu sballottata a circa una decina di metri, mentre i suoi colleghi furono completamente investiti dallo schianto. La ragazza, tramortita, tentò di rialzarsi, rimanendo impietrita alla vista dei loro cadaveri, appena visibili sotto la loro volante. La cosa più sconcertante, tuttavia, era che il camion fosse privo di conducente. Chi aveva tentato di ucciderli doveva aver lasciato andare il veicolo a tutta velocità, per poi lanciarsi fuori all’ultimo istante.
 
 Aqua si rimise in piedi e si avvicinò zoppicando, impugnando la sua pistola, quando scorse in lontananza una figura avvicinarsi, avvolta dalle tenebre. La ragazza puntò la pistola verso di lui.
 
 “Resta dove sei!”
 
 L’uomo, tuttavia, non si fermò, e continuò a dirigersi verso di lei. Alla debole luce dei lampioni, Aqua riuscì a vederlo meglio.
 
 Indossava un lungo cappotto nero, al di sotto del quale era visibile un giubbotto antiproiettili. Il suo volto era inconfondibile: capelli corti pettinati di lato, barba rasata finemente e due occhi freddi e spietati che incorniciavano un volto dall’espressione impassibile. Indossava guanti in pelle nera e impugnava nella mano sinistra una pistola standard, modificata con un silenziatore e un mirino telescopico. Un brivido percorse la schiena di Aqua: dopo mesi, finalmente lo aveva davanti.
 
 Oliver Ursine puntò la pistola verso la ragazza, la quale si lanciò maldestramente alla sua sinistra, schivando i colpi, dopodiché si mise al riparo della carcassa della sua auto, ansimando. Esitò per qualche secondo, dopodiché si sporse, puntando la pistola in avanti, ma Ursine era sparito. Confusa, la ragazza si guardò attorno, finché un oggetto metallico di forma cilindrica non toccò la sua nuca. Aqua si immobilizzò, e alzò lentamente le mani in alto.
 
 “Ho saputo di Smith. Una fine spiacevole, devo dire. Spero ne siate contenti” disse Ursine. La sua voce era fredda tanto quanto la sua espressione, cosa che non aiutò l’agitazione che Aqua provava in quel momento.
 
 “Che cosa vuoi da me?” chiese, sforzandosi di mantenere il controllo.
 
 “Cosa ti fa credere che voglia qualcosa da te?” chiese Ursine.
 
 “Se non avessi voluto qualcosa, mi avresti già ucciso”
 
 “I criminali si dividono solo in assassini o ladri, giusto?” rispose lui, sempre gelido.
 
 “Perché? Tu cosa ti ritieni?” chiese Aqua, con tono di sfida. Ursine rimase calmo.
 
 “Non ha importanza. Vivere di etichette è da ipocriti. Voi tutti, in fin dei conti, lo siete. Per voi un uomo che ruba del denaro o uccide qualcuno è un criminale, eppure un politico che nega le cure a chi non può permettersele o riduce la gente in povertà rimane un onesto cittadino”
 
 Aqua non rispose. Non era neanche sicura di dove volesse andare a parare, ma non le piaceva quella conversazione.
 
 “Io non posso accettare di vivere in uno stato a cui stia bene un simile sistema. Certo, potrei uccidere il leader, come del resto ho già tentato, ma col tempo ho capito che non servirebbe a nulla. Morto un politico se ne fa un altro, quasi sempre della stessa pasta. E tutto questo perché siete VOI a volerlo. VOI eleggete queste persone, perché credete che siano la giusta leadership per gli Stati Uniti, perché sperate che vi liberino dalla criminalità, senza accorgervi che i veri criminali sono loro… e voi, a vostra volta”
 
 Il discorso di Ursine era delirante e lucido al tempo stesso, il che lo rendeva ancor più agghiacciante.
 
 “Dove vuoi arrivare?” chiese Aqua.
 
 “Il mio scopo” continuò Ursine, “è mettere a nudo questa ipocrisia che attanaglia gli americani. Voglio porre fine a questo sistema marcio che autoalimenta corruzione e criminalità, ma voglio che sia la società stessa a farlo finire, crollando da sola sotto lo sguardo inorridito del mondo intero. Vedi, si dice spesso che per uccidere il serpente definitivamente, bisogna tagliargli la testa. Io non sono d’accordo. Così ucciderai un solo serpente, ma la sua progenie, la sua discendenza, continuerà ad esistere, pronta a generare nuovi serpenti da eliminare. L’unica soluzione è uccidere il serpente, insieme alla madre e alle sue uova”
 
 Aqua impiegò qualche secondo ad assimilare quelle parole, ma si fece coraggio e voltò leggermente la testa in modo da guardarlo con la coda dell’occhio.
 
 “Sappi che non te lo permetterò”
 
 Ursine emise un piccolo sbuffo divertito, dopodiché colpì violentemente la nuca di Aqua con il calcio della pistola, facendole perdere i sensi.
 
-----o-----
 
“Tenente! Si svegli!”
 
 Aqua riaprì lentamente gli occhi. Una fitta intollerabile alla nuca, simile a un coltello conficcato nel suo cranio, la attanagliava, mentre le immagini dinanzi a lei venivano lentamente rimesse a fuoco dalla sua vista. La carcassa della sua auto e il camion erano ancora lì dove li aveva lasciati, ma non c’erano più i corpi dei suoi colleghi, né vi era traccia di Ursine. Una volante della polizia e alcuni membri della scientifica erano sul luogo, intenti ad analizzare la scena del delitto.
 
 La ragazza si alzò gemendo, portandosi la mano dietro la nuca, e guardò finalmente il suo interlocutore, un sergente della sua unità.
 
 “Diamine che male… come mi avete trovato?”
 
 “Abbiamo tentato di contattarvi, ma non abbiamo ottenuto risposta. Il commissario Hardy ci ha mandati in perlustrazione lungo tutto il percorso della ronda, finché non siamo giunti qui. Abbiamo trovato i due veicoli distrutti e…” disse il sergente, con una nota di rammarico nella voce. “L’ambulanza ha già portato via i loro corpi”
 
 Aqua chinò il capo, amareggiata per la fine dei suoi colleghi. Cercò di accantonare subito il senso di colpa, per poi fare mente locale su quanto accaduto: la ruota forata, il camion… e Ursine.
 
 “Avete visto un uomo con un cappotto nero mentre venivate qui?” chiese.
 
 Il sergente scosse la testa. “Abbiamo trovato solo lei, tenente. Non ci sono tracce di altre persone nella zona”
 
 “Impronte?”
 
 “Nessuna”
 
 “DNA? Segni di mani sul volante del camion?”
 
 “Niente, davvero. Chiunque sia stato, sapeva il fatto suo” disse, infine, il sergente.
 
 Aqua si adombrò. Quel bastardo l’aveva fatta franca ancora una volta.
 
 Ma perché non aveva ucciso anche lei?
 
 “Ha idea di chi possa essere stato, tenente?”
 
 La ragazza non rispose, ma si rese conto solo in quel momento che le sue mani stavano tremando.

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Capitolo 2
*** Il generatore ***


Capitolo 2 – Il generatore
 
Erano trascorsi due giorni dall’incontro con Oliver Ursine e, anche se non erano avvenuti altri attacchi, Aqua si sentiva comunque nervosa. Il fatto che l’anarchico l’avesse lasciata in vita le faceva temere possibili ripercussioni future ai danni suoi, dei suoi colleghi o della sua famiglia. Inoltre, vederlo con i suoi occhi, sentire la sua voce, le sue motivazioni e, soprattutto, osservarlo operare sul campo avevano totalmente ridimensionato l’opinione che si era fatta di lui, rendendolo ancor più temibile di quanto non fosse già.
 
 Stava nuovamente riflettendo sui recenti eventi nel suo ufficio, quando un poliziotto bussò alla porta.
 
 “Avanti”
 
 “Tenente, il commissario Hardy vorrebbe vederla nel suo ufficio quanto prima” disse il poliziotto, sporgendosi dall’uscio. La ragazza si limitò ad annuire, dopodiché si alzò e si diresse verso l’ufficio del commissario.
 
 Il commissario Stephen Hardy era intento a leggere alcuni documenti. Era un uomo sulla cinquantina, di carnagione scura, con corti capelli e una barba dai bordi ben definiti. All’ingresso di Aqua alzò subito lo sguardo.
 
 “Oh, eccoti qui, Aqua” disse, mettendo da parte il documento.
 
 “Voleva vedermi?” chiese la ragazza.
 
 “Sì, figliola. Siediti pure, questa chiacchierata sarà un po’… lunga” disse Hardy, indicando la sedia di fronte alla sua scrivania. La ragazza esitò un paio di secondi, dopodiché si sedette.
 
 “Come ti senti, figliola?”
 
 Aqua fu sorpresa dalla domanda. “Ehm… bene. Perché?”
 
 “Mi hanno detto che da quando c’è stato l’incidente non fai altro che stare da sola e non parlare con nessuno” disse il commissario. Aqua spostò lo sguardo verso sinistra.
 
 “Non è nulla, commissario. Sono solo ancora scossa, ma mi passerà”
 
 “Se hai bisogno di qualche giorno di riposo, Aqua, possiamo sostituirti tranquillamente. Sei uno dei miei elementi migliori, non voglio che il lavoro ti consumi” disse Hardy, apprensivo. Aqua scosse il capo. “Sto bene, davvero. E sono pronta per il prossimo incarico!” disse, decisa. Hardy inarcò un sopracciglio, ma prese la sua risposta per buona.
 
 “Se ne sei certa…” disse. “Te la senti di accettare un incarico speciale per domani?”
 
 Aqua annuì. Hardy riprese il documento che stava leggendo poco fa.
 
 “Allora… innanzitutto, devo raccomandarti di tenere per te le informazioni che sto per darti. Si tratta di roba del governo, altamente classificata, quindi conosci la procedura”
 
 “Non ci sarà nessuna missione, capito” disse Aqua. Hardy emise lo sbuffo di una risata, dopodiché continuò.
 
 “Il governo è entrato in trattative con una multinazionale francese per la vendita di un prototipo di generatore in grado di emettere e manipolare i campi elettromagnetici. Si tratta di qualcosa di veramente grosso, non è un semplice disturbatore di dispositivi elettronici: quest’affare emette campi così potenti che potrebbe sollevare auto con il solo magnetismo se venisse applicato ad una gru, potrebbe trasmettere una registrazione ad un intero continente interferendo con le radio, per non parlare di possibili applicazioni in ambito energetico. Tuttavia, proprio perché è un prototipo, non è stato ancora divulgato nulla al riguardo. L’azienda francese l’ha comprato da noi per un ammontare di quasi due miliardi di dollari, e conta di perfezionarlo ulteriormente per affiancarlo ai loro reattori nucleari e condurre maggiori esperimenti sulla fusione.
 Ora, siccome quest’affare deve essere consegnato, ma è roba segreta, abbiamo fissato un incontro con i francesi domani mattina, al molo. Il generatore è stato mischiato con una partita di scorie tossiche da smaltire al di fuori dal territorio americano, per cui la nave francese si fingerà un cargo di rifiuti e riceverà il generatore insieme ad essi. Mi segui?”
 
 “Hm-hmm”
 
 “Il tuo compito è abbastanza semplice: dovrete effettuare voi la consegna. Nessun esponente del governo o della sua equipe di ricerca sarà presente sul luogo onde evitare sospetti, quindi assicuratevi che vada tutto liscio e nessuno interferisca, perché quell’affare non è solo importantissimo per la trattativa: è anche una potenziale arma, e sarebbe un disastro qualora finisse nelle mani meno adatte”
 
 “Ursine?” chiese la ragazza. Il commissario annuì lentamente.
 
 “Non abbiamo la certezza che sappia dell’esistenza del generatore ma, considerati i suoi precedenti e la sua dannata abilità a sapere sempre tutto prima di noi, non mi stupirei se si presentasse sul luogo. Non importa a che costo, non deve avere quel generatore. Tutto chiaro?” disse, infine. Aqua esitò per qualche secondo, mordendosi un labbro.
 
 “Aqua, ripeto quanto detto prima: se non te la senti, posso sostituirti tranquillamente” disse Hardy.
 
 “No, commissario, va benissimo. Accetto l’incarico” rispose la ragazza. Il commissario sospirò.
 
 “E sia, allora. L’appuntamento è domattina alle 8:30 al molo vicino al commissariato, la nave francese arriverà circa un’ora dopo. Ovviamente porterai la tua unità con te, mentre il generatore e le scorie saranno già sul luogo. Questo è tutto” concluse Hardy. Aqua annuì, dopodiché si alzò e fece per lasciare l’ufficio, quando Hardy la richiamò un’ultima volta.
 
 “Aqua?”
 
 “Sì?” chiese la ragazza, voltandosi.
 
 “Focalizzati solo su quello che ti ho detto, mi raccomando” disse Hardy, apprensivo.
 
 La ragazza lo fissò, perplessa, e si limitò ad annuire. Hardy sembrava spaventosamente sua madre, in quel momento.
 
-----o-----

L’indomani mattina Aqua si recò al molo insieme alla sua nuova unità -costituita da tre sergenti- con un quarto d’ora di anticipo. Il molo distava solo dieci minuti d’auto dal commissariato, il quale si ergeva anch’esso nell’area costiera di Atlantic City, su di un promontorio che sovrastava tutta la costa. Il molo era praticamente isolato, vi erano soltanto un paio di barche attraccate ed una schiera di scogli, incluso uno particolarmente grande, simile ad un faraglione. Il luogo perfetto per uno scambio top secret.
 
 Come anticipato da Hardy, i container di rifiuti tossici erano già presenti e nessuno si trovava sul posto, in quanto era fondamentale impedire che qualcuno sospettasse il coinvolgimento del governo nella consegna. Aqua e i tre sergenti scesero dalla loro volante e si avvicinarono ai container, per controllarne lo stato.
 
 “Sono giusto tre, tenente” disse uno dei sergenti. “Il generatore si trova in uno di essi, ma non ci è stato detto quale”
 
 “Apriteli tutti e tre, voglio assicurarmi che sia effettivamente al loro interno” disse Aqua. I suoi sottoposti aprirono gli sportelloni dei tre container, osservandone il contenuto. Mentre in quelli di destra e sinistra vi erano solo dei barili gialli, contrassegnati dal classico simbolo di alta tossicità, il container centrale aveva al suo interno uno strano apparecchio elettronico, grande tre volte il motore di un’automobile, pieno di bobine, cavi e un enorme “obbiettivo” centrale simile a una macchina fotografica. Non vi erano dubbi che fosse quello il tanto segreto dispositivo.
 
 Aqua lo osservò attentamente per qualche secondo, chiedendosi quale potesse essere il suo reale potenziale distruttivo, nelle mani di Ursine. “Va bene, richiudete tutto”
 
 I tre sergenti eseguirono l’ordine. La ragazza tirò un sospiro di sollievo: il fatto che il generatore fosse ancora lì significava che Ursine non era ancora giunto sul luogo.
 
 “La nave arriverà tra un’ora, scegliete un lato del molo e tenetelo d’occhio” disse Aqua. “Non sappiamo se e quando Ursine attaccherà, ma potrebbe farlo da qualunque direzione, quindi non abbassate la guardia”
 
 I tre sottoposti si disposero dietro ai container, mentre Aqua rimase al centro della piattaforma, guardandosi attorno. Estrasse la sua pistola dalla fondina: questa volta quel pazzoide l’avrebbe trovata pronta.
 
 So che vuoi questo generatore, bastardo. Prova anche solo ad avvicinarti.
 
 Rimasero in allerta per circa un quarto d’ora, senza nessun segno di vita nei paraggi. L’unico suono che interrompeva quel silenzio teso era il rumore delle onde, e la cosa rendeva Aqua tutto fuorché tranquilla.
 
 “Tenente… siamo davvero sicuri che Ursine lo sappia? Ovviamente non lasceremo il posto finché non avremo consegnato il carico, ma… insomma, come può saperlo?” chiese uno dei sergenti.
 
 “Come fa sempre, Harold. Nessuno lo sa, ma ci riesce sempre, per cui è più semplice impedire il disastro piuttosto che risolverlo” disse Aqua, continuando a guardarsi attorno.
 
 Ma il suono delle onde continuava ad essere l’unico segno di attività. Sembrava anche che stesse aumentando la sua intensità, divenendo più simile al rumore di un ventilatore acceso.
 
 Aqua si accigliò: quel suono non era normale.
 
 Si voltò verso gli altri poliziotti, che sembravano anche loro perplessi da quello strano rumore, quando improvvisamente un oggetto avvolto da una coltre di fumo piombò tra di loro dall’alto. L’oggetto continuò ad emettere fumo, che pian piano si sparse attorno a loro, offuscando la loro vista e limitando il loro respiro.
 
 “Fumogeno!” disse Aqua, tossendo. “Imbevete un fazzoletto d’acqua e portatevelo al naso!”
 
 I tre sergenti eseguirono l’ordine, abbandonando la loro copertura e sporgendosi dalla piattaforma per bagnare un fazzoletto di stoffa, mentre Aqua trattenne il respiro, si diresse verso il fumogeno e lo calciò in mare, facendo sì che portasse la coltre di fumo con sé. Non appena la visibilità dell’area migliorò, tuttavia, un proiettile attraversò la testa del sergente di nome Harold, uccidendolo.
 
 “Harold!” esclamò Aqua allarmata, dopodiché si voltò verso gli altri due sergenti. “Mettetevi al riparo!”
 
 I due sergenti si precipitarono verso i container per rimettersi al coperto, ma altri due proiettili riservarono loro la stessa fine di Harold. Aqua non poté che guardare la scena, impietrita, mentre un quarto proiettile le sfiorò i capelli. La ragazza imprecò e si lanciò dietro un container, ansimando. Anche se non ne aveva la certezza, solo un uomo poteva aver orchestrato così minuziosamente quell’attacco, dal momento che il fumogeno era stato solo un diversivo per farli uscire allo scoperto e renderli bersagli facili.
 
 Stava succedendo di nuovo. Ursine l’aveva trovata ancora una volta, e l’aveva nuovamente privata dei suoi compagni. Non aveva idea di come ci fosse riuscito, ma l’aveva di nuovo messa in trappola.
 
 Aqua si sporse lentamente da dietro il container, ma un quinto colpo sfrecciò di fronte al suo naso, costringendola a ritornare al riparo. Il suo cuore stava battendo a velocità allarmante, mentre il suo cervello stava analizzando tutte le possibili opzioni: non poteva uscire dal suo riparo, altrimenti Ursine l’avrebbe uccisa sul colpo, né poteva rimanere lì a lungo, altrimenti Ursine sarebbe venuto personalmente a farla fuori, e soprattutto non poteva sperare di resistere fino all’arrivo della nave. Tuttavia, anche Ursine sapeva di dover fare in fretta, sicché non avrebbe mai potuto far fuori tutto l’equipaggio della nave da solo. Se il criminale avesse lasciato il suo nascondiglio, Aqua avrebbe potuto giocarsi il tutto per tutto in uno scontro ravvicinato.
 
 La ragazza decise di spostarsi dietro un altro container. Muovendosi, attirò altri proiettili su di lei, ma riuscì a non farsi colpire e a passare dietro il container centrale, quello in cui era custodito il generatore. Rimase lì nascosta per cinque minuti, durante i quali cercò di resistere alla tentazione di sporgersi e rispondere al fuoco, quando dei passi in lontananza destarono la sua attenzione. Si voltò verso la sua destra, e poté finalmente vedere il suo avversario per la seconda volta.
 
 La ragazza si alzò immediatamente e puntò la pistola verso Ursine, che a sua volta teneva la propria puntata verso Aqua. I due rimasero immobili, con le armi rivolte l’uno contro l’altro, a fissarsi.
 
 “Sei coriacea, tenente” disse Ursine, come al solito gelido.
 
 “Questa è l’ultima volta che ti lascio uccidere altri innocenti” sbottò la ragazza.
 
 “Sono morti per ingenuità, non li chiamerei propriamente innocenti”
 
 “STA’ ZITTO!”
 
 Ursine avanzò di un passo, mentre Aqua si irrigidì.
 
 “Come hai fatto a trovarci?” ringhiò Aqua.
 
 “Credevi che ti avessi lasciata in vita per pietà?” disse Ursine. “Sapevo di questo prototipo da tempo, ma avevo bisogno di una pista per ottenerlo a colpo sicuro. Non è stato facile, ma l’idea di ottenere queste informazioni dalla polizia stessa si è rivelata vincente”
 
 Aqua era confusa dalle parole del criminale. “Di che diamine parli? Perché ti interessa questo generatore?”
 
 “Come ti dissi durante il nostro primo incontro, il mio fine ultimo è fare in modo che questa società si distrugga da sola sotto lo sguardo inorridito del mondo. Io ho solo acceso la miccia che distrusse Roma, ma alla fine saranno i romani e i cristiani a farsi guerra, mentre io li osserverò eliminarsi a vicenda”
 
 “…una miccia?” chiese Aqua, sempre più perplessa.
 
 “Non hai ancora capito? Sei tu la miccia, tenente. Ho messo una cimice nel tuo walkie-talkie mentre eri priva di sensi” disse Ursine, lasciandosi sfuggire un debolissimo sorriso. “Avresti dovuto assicurarti di essere pulita, prima di tornare in centrale”
 
 Aqua si sentì dannatamente stupida: la missione era fallita e altri tre poliziotti erano morti, il tutto per un suo errore.
 
 “Temo che il commissario dovrà rimangiarsi le sue parole, dopo averti definita uno dei suoi elementi migliori” continuò Ursine, beffardo.
 
 Quelle parole, insieme ai sensi di colpa, fecero perdere il controllo ad Aqua. Aprì rapidamente il fuoco sul criminale, il quale incassò un paio di proiettili con il giubbotto che lo proteggeva e riuscì a mettersi al riparo dietro un altro container. La ragazza lo inseguì, per poi sporgersi lentamente dal container dietro cui Ursine si era nascosto, ma non trovò nessuno. Un braccio avvolse la sua gola da dietro, tentando di soffocarla. Aqua perse la sua pistola e si divincolò, cercando di liberarsi dalla presa, ma Ursine era molto più forte di lei. Guardò il container alle loro spalle con la coda dell’occhio, dopodiché si piegò in avanti, destabilizzando l’equilibrio del criminale, per poi camminare all’indietro e fargli sbattere violentemente la schiena contro la parete del container. L’urto fece perdere la presa ad Ursine e la pistola gli cadde di mano, mentre il portellone del container si aprì e alcuni barili di scorie si riversarono in mare, liberando il loro liquido verdastro. Aqua approfittò dell’attimo di confusione di Ursine per calciare via la sua pistola e iniziare una serie di pugni su di lui, ma il criminale si ricompose rapidamente e cominciò a pararli, finché non afferrò il braccio destro di Aqua e sferrò anche lui un pugno al volto della ragazza, atterrandola. Ursine estrasse, poi, un coltello dalla sua giacca, e si avventò su di lei, tentando di pugnalarla. La ragazza bloccò il coltello con entrambe le braccia, mentre la lama era a un paio di centimetri dal suo volto e, usando tutta la sua forza, riuscì a spingerla all’indietro, facendo sì che colpisse il volto di Ursine. Il criminale barcollò all’indietro, portandosi una mano al volto, mentre Aqua si asciugò la guancia dallo schizzo di sangue che l’aveva colpita, dopodiché si guardò rapidamente attorno.
 
 Nonostante avesse strappato qualche colpo ad Ursine, finora era riuscita solo a temporeggiare. Il suo avversario era molto più forte di lei e le forze la stavano abbandonando sempre di più, per cui non sapeva fino a che punto avrebbe resistito prima che Ursine non l’avesse uccisa e si fosse impossessato del generatore. Istintivamente, si voltò alle sue spalle per guardare il container, e notò le scorie verdastre che galleggiavano in mare. Le parole di Hardy riaffiorarono nella sua testa.
 
 “Non importa a che costo, non deve avere quel generatore”
 
 Aqua decise rapidamente il da farsi. Si alzò, spinse con le ultime forze che le rimanevano il container del generatore e lo fece cadere in mare, tra le scorie, dopodiché si accasciò sulla piattaforma, stremata, mentre un “NO!” si levò alle sue spalle.
 
 Ursine si era rimesso in piedi. Aveva un vistoso taglio sulla guancia destra che andava dalla mandibola a fin quasi la palpebra inferiore e, per la prima volta da quando Aqua lo aveva incontrato, la sua espressione era allarmata, cosa che riuscì a strappare un sorriso alla ragazza. Purtroppo, questa soddisfazione durò poco, poiché Ursine caricò ringhiando verso di lei e le afferrò le braccia. Aqua cercò di divincolarsi, ma era troppo esausta. L’anarchico la trascinò oltre la fine della piattaforma e la lasciò cadere in mare, nel mezzo delle scorie tossiche che si erano riversate poco prima. Si rimise in piedi, ansimante, osservando il corpo di Aqua sprofondare lentamente tra la melma verdastra, dopodiché si guardò attorno, in modo da assicurarsi che nessuno lo vedesse, raccolse pistola e coltello e si allontanò.

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Capitolo 3
*** La morsa ***


Capitolo 3 – La morsa
 
Tre anni dopo.

Valerie giunse in aula dieci minuti prima dell’inizio della lezione, in quanto sapeva che buona parte dei posti sarebbero già stati occupati e avrebbe rischiato di rimanere in ultima fila. In effetti il suo istinto non la tradì, poiché oltre l’ultima fila, completamente deserta, erano rimasti giusto pochi posti liberi tra la quinta e la seconda fila. Si diresse verso la quinta, dove c’era un posto vuoto sull’estrema destra, lateralmente a un gruppo di ragazzi intenti a discutere di chissà cosa.
 
 “He-hem… ragazzi, scusate se vi interrompo. Questo posto è libero?” chiese Valerie, impacciata.
 
 Il ragazzo a sinistra del posto libero si voltò verso di lei, con un’espressione palesemente seccata. “No, mi dispiace, è già riservato”
 
 “Ma… non c’è nessuno zaino” obbiettò Valerie.
 
 Di tutta risposta, il ragazzo prese il suo zaino e lo lasciò cadere di peso sulla sedia libera. Valerie sentì il sangue salirle alla testa.
 
 “Ok, messaggio ricevuto…”
 
 Furiosa, si diresse verso l’ultima fila, quando sentì qualcuno chiamarla più indietro.
 
 “Pssst! Valerie!”
 
 La ragazza si voltò, osservando la mano alzata di suo fratello Trent, seduto in seconda fila. Valerie lo raggiunse, notando che le aveva tenuto il posto.
 
 “Potevi almeno avvisarmi!” protestò la ragazza.
 
 “Ci ho provato, ma il telefono non ti prendeva… e poi dov’eri finita? Appena siamo arrivati qui all’università ti ho persa di vista!” replicò suo fratello.
 
 “Non ti riguarda” tagliò corto Valerie. Trent alzò gli occhi al cielo, ma non toccò più l’argomento.
 
 I due fratelli avevano avuto un percorso opposto nell’ambientarsi al loro primo anno di università. Mentre per Trent fu più semplice e rapido, per Valerie era ancora difficile riuscire anche solo a farsi rivolgere la parola dai suoi colleghi. Lei, al contrario di suo fratello, era molto più impacciata ed irascibile, per cui cercava di ridurre al minimo le interazioni sociali, visto che i suoi colleghi non erano il massimo della simpatia. Una discrepanza curiosa tra loro due, considerando che a prima vista sembravano due gocce d’acqua: entrambi magri, con capelli neri e occhi castani, che si spostavano insieme e sedevano assieme ad ogni lezione.
 
 In quel momento arrivò finalmente la professoressa di biologia marina, una donna bassa con capelli a caschetto ed enormi occhiali ottagonali. La sua voce stridula fece da contorno ad una lezione particolarmente soporifera sui protozoi e le alghe unicellulari, a cui Trent e Valerie prestarono attenzione come la si presta ad una gara di corsa tra lumache. Alla fine della lezione, la professoressa assegnò loro un compito per casa: raccogliere dei campioni di acqua marina a distanza progressiva dal porto e osservarne la fauna microscopica, per poi portare a lezione una relazione con tanto di fotografie.
 
 “E come li prendiamo dei campioni a largo del porto? A nuoto?” chiese Trent sbuffando, mentre si dirigevano verso l’aula della lezione successiva.
 
 “Ci sono delle barche a motore attraccate al molo vicino al commissariato. Sono perennemente legate, quindi credo che non appartengano a nessuno. Possiamo usare quelle per allontanarci di qualche decina di metri e prendere campioni diversi di acqua marina” replicò Valerie, sistemandosi il codino fra i capelli.
 
 “Sì, Valerie, ci stavamo giusto chiedendo se magari al largo avresti trovato qualche posto libero la prossima volta che c’è lezione!” disse una ragazza passando al loro fianco, insieme ad un gruppetto di amiche che sghignazzavano. Valerie si impiantò sul pavimento, mentre il volto le diveniva scarlatto. Trent la afferrò per il braccio.
 
 “Lasciale perdere, non ne vale la pena” disse, saggiamente, per poi trascinarla con sé. Valerie continuò a osservare con la coda dell’occhio il gruppetto di ragazze, ma seguì ugualmente il fratello.
 
-----o-----

Dopo pranzo, Trent e Valerie chiesero in prestito l’auto dei loro genitori e si diressero al vecchio molo vicino al commissariato. Valerie preferì cedere la guida al fratello, sebbene detestasse il suo vizio di sintonizzare ossessivamente la radio sui canali di cronaca.
 
 “Almeno per una volta, potresti evitare? Sono giusto dieci minuti di viaggio” disse, seccata. Trent la ignorò, focalizzato con gli occhi sulla strada e con le orecchie sulla radio.
 
 “…alla vigilia del terzo anniversario della morte del tenente Aqua Sanderson, uccisa accidentalmente durante una rapina. La ragazza viene ricordata per il suo coraggio e per la sua dedizione al corpo di polizia, che l’hanno sempre contraddistinta nonostante la giov-“
 
 Valerie spense la radio, stufa.
 
 “Ehi!” protestò Trent.
 
 “Sappiamo questo storia a memoria, ogni anno la sentiamo. E comunque siamo arrivati, trova posto e scendiamo” tagliò corto sua sorella.
 
 Il luogo era deserto come sempre e il mare era fortunatamente calmo, nonostante il cielo fosse totalmente grigio. In ogni caso, entrambi non avevano intenzione di trattenersi a lungo, vista la tediosità del compito. Parcheggiarono l’auto vicino la piattaforma, lasciarono i loro telefoni nel cruscotto per paura che potessero finire in acqua e salirono su una delle due barche abbandonate, sperando che ci fosse carburante nel motore.
 
 “Tira la cinghia” disse Trent, mentre posava il suo zaino sulla barca. Al suo interno vi erano tre barattoli di vetro per la raccolta dei campioni,  rendendolo piuttosto pesante da portare sulla schiena. Valerie tirò la cinghia del motore un paio di volte e, con gradita sorpresa dei due fratelli, si mise in moto, borbottando come un’auto d’epoca.
 
 “Direi che per una volta siamo fortunati” disse Valerie, raggiante. “Io mi metto alla guida, tu preleva un primo campione adesso, prima che ci mettiamo in moto”
 
 Trent tirò fuori uno dei barattoli dallo zaino, lo immerse in acqua in modo da riempirlo, e lo riposò. Valerie attese che finisse, dopodiché si mise al timone della barca, mentre il fratello la slegò dall’ormeggio, e poterono finalmente partire.
 
 Il mare era quasi una tavola, per cui la navigazione risultò semplice. Tuttavia, non sapevano fino a che punto avrebbero dovuto allontanarsi per trovare un campione d’acqua sufficientemente diverso da quello a riva. Valerie portò, quindi, la barca a circa 100 metri dalla piattaforma, per poi fermarsi in mezzo al mare.
 
 “Ok, prendi un altro campione”
 
 Trent ripeté l’operazione che aveva effettuato a riva, per poi contemplare, controluce, il barattolo pieno.
 
 “Secondo te è abbastanza diversa la popolazione microscopica di questa roba?” disse, perplesso.
 
 “Che intendi dire?” chiese sua sorella, alzando un sopracciglio.
 
 “Proviamo ad allontanarci a 200 metri dal molo. Al largo avremo maggiori probabilità di trovare acqua diversa”
 
 Valerie alzò gli occhi al cielo. “Non mi va di allontanarmi troppo, Trent, il tempo non è neanche dei migliori. Non vorrei che il mare si agitasse”
 
 Trent si tamburellò le labbra con l’indice, pensieroso. “Hai ragione, facciamo 150 metri e torniamo subito a riva” disse, infine. Valerie fece una smorfia senza, tuttavia, obbiettare, e mise di nuovo in moto l’imbarcazione. Si allontanarono di altri 50 metri dalla loro posizione, per poi rifermarsi in pieno mare aperto. Trent riempì l’ultimo barattolo, soddisfatto.
 
 “Ok, con questa siamo a posto” disse, rimettendo il barattolo nello zaino e chiudendo la cerniera. “Mi auguro di trovare alghe rare come minimo”
 
 “Ti andrà bene se troverai alghe, punto” disse Valerie, seccata, quando un rumore simile ad una ventola destò la sua attenzione.
 
 “Oh no, non dirmi che inizia a piovere…” disse, alzando gli occhi verso le nuvole.
 
 Ma sul suo volto non cadde neanche una goccia, il che era piuttosto strano.
 
 “Facciamo in fretta e torniamo al molo” la esortò Trent. Valerie girò il timone e fece dietro front, quando scorse in lontananza un motoscafo nero, su cui vi era un uomo avvolto in un lungo cappotto, intento a tirare su dall’acqua una specie di sonda. L’uomo rivolse il suo sguardo verso di loro, dopodiché si mise anche lui al proprio timone.
 
 “E quello chi diavolo…”
 
 Il fianco sinistro della barca di Valerie e Trent esplose in un turbinio di schegge di legno. I due fratelli urlarono spaventati, dopodiché Trent si avvicinò per osservare cosa fosse accaduto. Sul fianco della barca vi era un grosso foro di proiettile. Il ragazzo si voltò verso sua sorella, terrorizzato.
 
 “Che aspetti? Metti in moto e andiamo via da qui!”
 
 Valerie inchiodò sull’acceleratore e diresse la barca a tutta velocità verso il molo. L’uomo misterioso, a sua volta, accese il motore della sua barca e li inseguì. Trent si girò in modo da vedere il loro inseguitore, notando con disappunto che la sua barca era molto più veloce della loro.
 
 “Di questo passo ci raggiungerà in pochi minuti!” urlò alla sorella.
 
 “Ma perché ce l’ha con noi?”
 
 “Non lo so, ma tu pensa a guidare!”
 
 Un altro proiettile colpì la loro barca, stavolta sfiorando il fianco destro, portando Trent e Valerie ad abbassare istintivamente la testa. Trent si spostò a poppa, sempre mantenendosi al riparo, e cercò di osservare meglio il loro inseguitore, ormai abbastanza vicino. Aveva capelli corti castani, occhi gelidi e una vistosa cicatrice sulla guancia destra, inoltre impugnava una strana pistola dalla canna lunga e una specie di mirino. L’uomo puntò nuovamente la sua arma verso di loro.
 
 “Valerie, ho avuto un’idea! Cerchiamo di muoverci a zig-zag! Saremo più difficili da colpire!” urlò Trent. Valerie annuì e cominciò a muovere il timone in maniera casuale, facendo muovere la barca come ubriaca. I continui ballottamenti dell’imbarcazione cominciarono a far venire la nausea a Trent, ma il ragazzo cercò di resistere. Alcuni proiettili sfrecciarono al loro fianco, ma nessuno colpì l’imbarcazione. Finché il motore era intatto, pensò Trent, c’era ancora speranza.
 
 L’uomo tornò alle redini del timone e virò verso la sua sinistra, spostando la barca lungo una traiettoria a curva. Valerie lo osservò, perplessa da quella manovra.
 
 “Che sta facendo?” chiese.
 
 “Non lo so, forse si è arreso” disse suo fratello, osservando la barca nera.
 
 Ma il loro inseguitore cominciò rapidamente a virare verso destra, e un timore si impadronì di Trent.
 
 “Vuole tagliarci la strada! Valerie, accelera!”
 
 “Sono già al massimo, più di così questa carretta non va!” replicò la ragazza, ma ormai la barca nera era vicinissima.
 
 “VALERIE!”
 
 La punta della barca nera sfondò il fianco dell’imbarcazione dei due fratelli, riducendola in brandelli, e l’urto fece perdere i sensi a Trent e Valerie, che caddero in acqua.

Dopo aver fermato la sua barca, l’uomo rimase per un paio di minuti ad osservare i corpi dei due fratelli mentre sprofondavano lentamente, dopodiché fece marcia indietro e si diresse verso il molo, lasciando Trent e Valerie sul fondale, in balia dei pesci.

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Capitolo 4
*** Vite annegate ***


Capitolo 4 – Vite annegate
 
“Ehi”
 
 Trent riprese lentamente conoscenza. “Riprendere conoscenza”, tuttavia, era un’analisi ottimistica, poiché la sua vista era completamente offuscata e le immagini vorticavano velocemente attorno a lui.
 
 “Ehi, riesci a sentirmi?”
 
 Un dolore lancinante gli tormentava la testa, quasi come se avesse le tempie in una pressa. Oltretutto, l’ambiente attorno a lui era completamente grigio, il che non aiutava a fargli capire dove si trovasse.
 
 “EHI!”
 
 La testa gli girava troppo, si sentiva quasi di impazzire…
 
 Dopo cinque minuti, le immagini si rimisero finalmente a fuoco e la testa smise di girargli, anche se il dolore non lo abbandonò del tutto. Riuscì comunque a distinguere una sorta di soffitto scavato nella pietra, mentre davanti a lui vi era il volto di una giovane ragazza dai lunghi capelli castani e occhi di un azzurro sorprendente.
 
 “Va tutto bene?” chiese la ragazza, facendo intuire a Trent che fosse stata lei ad averlo chiamato poco fa.
 
 “Io… argh, mi fa un po’ male la testa, ma sto bene, credo…” disse Trent, tentando di alzarsi, ma la ragazza lo fermò.
 
 “No, aspetta! Riprendi prima fiato, siete stati privi di coscienza in acqua per parecchio tempo” disse lei, apprensiva. Trent le diede retta, limitandosi a puntellarsi con i gomiti, e ne approfittò per guardarsi attorno.
 
 Si trovavano in quella che sembrava una enorme grotta rocciosa, piuttosto umida, con i riflessi dell’acqua marina che si proiettavano sulle pareti. Il rumore delle onde, insieme a continue gocce che cadevano, accompagnavano l’ambiente.
 
 “Dove siamo?” chiese.
 
 “Siamo nello scoglio gigante” disse la ragazza. “Non tutti lo sanno, ma in realtà è cavo al suo interno, e comunica con l’esterno attraverso un piccolo canale. Appena vi ho visti sul fondo del mare, ho fatto il più in fretta possibile per portarvi qui, dove potevate respirare di nuovo”
 
 Trent rimase confuso dalle parole della ragazza, ma improvvisamente ebbe un flash, ricordando quanto accaduto a lui e a Valerie.
 
 “Ehy, dov’è mia sorella? Hai detto che hai salvato entrambi!”
 
 “È proprio dietro di te, non si è ancora svegliata ma sta bene” disse la ragazza, indicando un punto alle spalle di Trent. Il ragazzo si voltò, vedendo il corpo di Valerie, sdraiata in posizione supina ma comunque in grado di respirare, e un moto di sollievo lo riscaldò dall’interno.
 
 “Cos’è successo in superficie?” chiese improvvisamente la ragazza. “Come siete finiti sul fondale?”
 
 “Beh, noi…” iniziò Trent, voltandosi, quando si bloccò all’istante dopo aver visto per la prima volta la sua salvatrice nella sua interezza.
 
 La ragazza non indossava alcun tipo di indumento. Aveva, piuttosto, due grandi conchiglie rosse che le coprivano pudicamente il petto a mo’ di reggiseno, sostenute da delle alghe che le avvolgevano, mentre dalla vita in giù, al posto delle gambe, aveva una enorme coda di pesce color verde smeraldo.
 
 Il cervello di Trent si inceppò per una decina di secondi buoni, incapace di processare quello che stesse vedendo, dopodiché lui urlò terrorizzato, la ragazza urlò a sua volta e, mentre Trent indietreggiò strisciando, lei si tuffò all’indietro, sparendo nel pavimento in uno schizzo d’acqua.
 
 Forse era ancora privo di coscienza e quello che stava vedendo adesso era un’allucinazione della sua mente, o forse si era lasciato prendere troppo dalla sorpresa e aveva dato per reale quello che probabilmente era un banale costume, ma in quel momento l’unica cosa che il suo cervello aveva registrato era di aver visto una sirena.
 
 Una vera sirena.
 
 Si, era sicuramente in preda alle allucinazioni.
 
 Un mugolio alle sue spalle lo avvisò che Valerie si stava finalmente risvegliando, forse proprio grazie al suo grido di poco fa.
“Cacchio, che dolore alla testa… mi sento come se mi avessero colpito con una mazza chiodata” disse, digrignando i denti.
 
 “Valerie…” disse Trent, con tono cauto, senza distogliere lo sguardo dal punto in cui la sirena era scomparsa, “Ti prego, qualunque cosa tu veda, non gridare”
 
 “Eh? Che diamine dici? E poi dove siamo? Non ricordo nulla…” rispose sua sorella, massaggiandosi le tempie. Proprio in quel momento, tuttavia, la testa della presunta sirena riaffiorò dal pavimento. Con mente più lucida, Trent capì che in realtà c’era una sorta di pozzanghera, probabilmente il modo in cui la grotta all’interno dello scoglio comunicava con il mare.
 
 “Cos’è stato?” chiese la misteriosa ragazza, guardandosi attorno.
 
 “Come sarebbe a dire, ‘Cos’è stato’?? Hai idea di cosa abbia appena visto?” sbottò Trent, furioso e agitato al tempo stesso. La sirena lo fissò per qualche secondo, dopodiché abbassò lo sguardo, improvvisamente seria.
 
 “Ah, già…” disse, imbarazzata. “Non ci avevo pensato…”
 
 Trent si sentì improvvisamente in colpa verso di lei. Shock a parte, aveva comunque salvato loro la vita, non meritava una reazione simile nei suoi confronti.
 
 “No, aspetta… non volevo offenderti. È solo che… insomma, è strano per me, capisci?” disse, impacciato.
 
 “Sì, lo so…” replicò lei, sempre con lo sguardo abbassato.
 
 “Trent, ma chi…?” intervenne Valerie, ma suo fratello levò la mano in alto, facendole segno di aspettare. “Te la senti di uscire?” disse, rivolto alla sirena, la quale titubò per un paio di secondi, dopodiché annuì, uscì fuori dall’acqua e si sedette sul bordo della pozzanghera. Valerie esplose alla vista della sua coda.
 
 “MA CHE CA…“
 
 Trent le tappò immediatamente la bocca. “Che cosa ti avevo detto poco fa?” sbottò, furioso. Valerie lasciò estinguere dietro la mano di suo fratello la seconda parte della sua imprecazione, al cui termine si liberò la bocca e prese fiato, fissando con gli occhi sbarrati la sirena, la quale aveva assunto un’espressione colpevole.
 
 “Ok, scusatemi, devo essermi fatta spiazzare dall’effetto sorpresa” disse Valerie, traendo poi un profondo respiro. “Sei un’animatrice, no? È un costume quello” chiese, con un tono che lasciava chiaramente intendere che ci sperasse. La sirena fissò un punto vuoto dinanzi a lei.
 
 “No, non è un costume…”
 
 La mandibola di Valerie si abbassò di qualche centimetro, ma si ricompose subito. “No, aspetta, deve essere uno scherzo… le sirene non esistono” disse, lasciandosi sfuggire una risata.
 
 “Non sono una sirena” replicò la sua interlocutrice, sempre fissando il vuoto.
 
 Valerie era sempre più perplessa. “Ma… se la coda è vera come dici…”
 
 “Valerie…” intervenne Trent, ma sua sorella lo ignorò. La sirena alzò gli occhi.
 
 “Sì, la coda è vera, ma non so cantare, non mi nutro di marinai, non sono la figlia di Nettuno e non parlo con i pesci, d’accordo?” replicò, seria.
 
 Valerie sbatté le palpebre più volte, ormai completamente confusa. “Quindi non ci farai del male?” chiese.
 
 “Valerie!”
 
 “CHE C’È?” urlò contro Trent, stanca di essere continuamente interrotta.
 
 “È stata lei a salvarci!” esclamò suo fratello.
 
 Valerie si sentì profondamente stupida. Fissò con gli occhi spalancati Trent per qualche secondo, dopodiché si voltò verso la presunta sirena. “Oh, ti prego, mi devi scusare… non sapevo…” disse, profondamente rammaricata.
 
 “Non fa nulla, tranquilla” disse la misteriosa ragazza, calma. “Ma immagino di dovervi delle spiegazioni. Sedetevi”
 
 I due fratelli presero posto a terra, dall’altro lato della pozzanghera, e fissarono la loro interlocutrice, che tirò un profondo respiro, quasi a farsi coraggio.
 
 “Il mio nome è Aqua Sanderson”
 
 “EH??” esclamarono all’unisono i due fratelli. Aqua chiuse gli occhi e annuì in silenzio.
 
 “Ma dovresti essere morta da tre anni a seguito di una rapina!” esclamò Trent.
 
 “Questa è la versione ufficiale, l’ufficiosa è più… complessa” disse Aqua. “Siete liberi di non credermi, ovviamente, ma le cose stanno così”
 
 “Ma come è successo?” chiese Valerie. Aqua sospirò.
 
 “Tre anni fa non c’è stata nessuna rapina. Ero coinvolta in un progetto top secret del governo, per il quale mi era stato affidato l’incarico di consegnare un generatore sperimentale insieme a delle scorie radioattive come copertura. Purtroppo, quel generatore era finito nel mirino del terrorista Oliver Ursine, il quale ha fatto irruzione il giorno della consegna”
 
 “Oliver Ursine? Quello che ha causato tutti quegli attentati anni fa?” chiese Trent. “Ma credevo fosse stato arrestato, non si hanno più notizie di lui da…”
 
 “Da tre anni, per l’appunto. Diciamo che, malgrado tutto, sono riuscita a rovinare i suoi piani gettando il generatore in acqua insieme alle scorie. Tuttavia, non la prese molto bene, e mi lasciò annegare tra i rifiuti tossici, convinto di avermi uccisa.
 Quello che né io né lui sapevamo, è che quelle scorie avrebbero avuto un effetto totalmente diverso su di me. Non ho idea di cosa sia successo, ma in qualche modo il mio DNA si è fuso con quello dei pesci che erano in acqua, e… quando ho ripreso conoscenza, mi sono ritrovata così. È assurdo, lo so!” disse Aqua, tetra.
Trent e Valerie non risposero. La storia che avevano appena sentito era semplicemente folle, neanche nei fumetti di supereroi avevano mai letto qualcosa di simile. Il tono di Aqua, tuttavia, era assolutamente serio, il che li spinse a concederle il privilegio del dubbio.

“Cos’è successo dopo?” chiese Trent.
 
 “Ursine fuggì, credendomi morta, e rinunciò al generatore. Non è mai stato arrestato, nessuno ci è mai riuscito. Io, intanto, sono stata costretta a nascondermi per questi tre anni. Dio solo sa cosa mi succederebbe se mi vedesse qualcuno, ho già rischiato grosso mostrandomi a voi… ma non potevo lasciarvi annegare” rispose Aqua, e i due fratelli provarono un moto di senso di colpa al pensiero di averle fatto perdere la sua copertura.

“Alla fine, mi hanno pubblicamente dichiarata morta e hanno affossato la storia del generatore, e forse è stato meglio così: se Ursine sapesse che sono ancora in vita, potrebbe fare qualcosa ai miei genitori per arrivare a me. E di certo non credo possa far loro piacere sapere che la loro figlia è diventata un…”
 
 La sua voce si spezzò, ma era chiaro quale parola volesse dire. Seguì una pausa di silenzio carica di rammarico, dopodiché Valerie si avvicinò ad Aqua e la abbracciò, mentre la ragazza scoppiò in singhiozzi. Trent rimase immobile, a riflettere sulle parole che aveva appena sentito.
 
 La vita di Aqua non era stata spezzata, ma completamente distrutta. Non poteva neanche immaginare cosa significasse non solo perdere la propria famiglia, ma anche ritrovarsi completamente diversa e dover vivere nella paura, nascondendosi da tutto e tutti, per tre anni. Per quanto tutto fosse così surreale, la disperazione della ragazza aveva spazzato via ogni possibile dubbio.
 
 “Ehi… per la cronaca,” disse, “tu non sei un mostro. Un mostro non avrebbe mai rischiato la propria copertura pur di salvare due sconosciuti”
 
 Aqua si lasciò scappare una risata. Valerie lo prese come un segno di ripresa, e si sentì autorizzata a lasciarla. Nel farlo, notò una vistosa cicatrice sul braccio destro della ragazza, e si chiese come se la fosse procurata. Evidentemente, in quei tre anni aveva dovuto lottare non solo per non farsi scoprire, ma anche per la propria sopravvivenza.
“Non hai idea di quante persone apparentemente altruiste si siano rivelate criminali, nella mia carriera” disse l’ex poliziotta, asciugandosi gli occhi. “Ma vi ringrazio, davvero”
 
 “Siamo noi che dobbiamo ringraziare te,” disse Valerie, “altrimenti ora saremmo a fare compagnia alle alghe”
 
 “A proposito,” disse Aqua, “cosa stavate facendo al largo? E come siete finiti qui, soprattutto? L’unica cosa che ho sentito è stata un boato provenire dalla superficie, per poi trovare voi e i frammenti della vostra barca”
 
 “Stavamo raccogliendo campioni per una ricerca assegnataci dalla nostra università,” disse Valerie, “ma all’improvviso un uomo su una barca nera ha cercato di ucciderci”
 
 Aqua si accigliò. “Uccidervi?”
 
 “Non chiederlo a noi, eravamo distanti e non gli stavamo dando alcun fastidio, era quasi come se la nostra sola presenza fosse un problema per lui”
 
 Aqua inclinò la testa e socchiuse gli occhi, fissando Valerie. “Dimmi com’era fatto quest’uomo”
 
 “Oh, beh” intervenne Trent, “non era vicinissimo, quindi abbiamo visto ben poco. Ricordo solo che aveva un lungo cappotto nero, capelli castani corti, una cicatrice enorme sulla guancia destra e una pistola…”
 
 “…una pistola con mirino e silenziatore?” chiese Aqua, improvvisamente allarmata. I due fratelli la guardarono, perplessi.
 
 “Come lo sai?” chiese Trent.
 
 Aqua non rispose, ma i suoi occhi si spalancarono e cominciò ad ansimare, portandosi una mano al petto.
 
 “No, no, no, no…”
 
 “Ehm… Aqua… chi era quell’uomo?” chiese Valerie, preoccupata.
 
 “È tornato” disse Aqua.
 
 “Chi?”
 
 “Oliver Ursine”
 
 Calò un silenzio gelido. Anche Trent e Valerie, adesso, cominciavano ad essere allarmati.
 
 “Non è possibile…” disse Trent. “Perché è uscito allo scoperto solo ora?”
 
 “Non ne ho idea, ma se era nei paraggi significa che stava sicuramente cercando qualcosa. Ursine non si sposta mai a vuoto, e cerca sempre di uccidere ogni possibile testimone oculare, ecco perché vi ha attaccati” rispose Aqua, agitata.
 
 “Forse stava cercando di nuovo il generatore?” ipotizzò Valerie. “Sono passati tre anni, l’acqua dovrebbe essere stata purificata dalle scorie, ormai”
 
 “Ma il generatore dovrebbe trovarsi al molo, allora, non al largo” replicò Trent.
 
 “Se Ursine era al largo, significa che non l’ha trovato al molo. Può darsi che la corrente l’abbia trascinato più lontano” replicò sua sorella.
 
 “È un’ipotesi plausibile… ma, se anche fosse, il generatore non si trova più qui” disse Aqua. Trent e Valerie la guardarono, sorpresi.
 
 “Come sarebbe?” chiese Trent.
 
 “L’anno scorso la polizia stessa lo ha recuperato dal fondale. Lo so perché l’ho visto” spiegò Aqua. “Se Ursine stava veramente cercando il generatore quando vi ha attaccati, significa che non sa nulla”
 
 “Ma potrebbe dedurlo, no?” chiese Valerie. “Solo tu e la polizia sapevate di questo generatore, a quanto ho capito, e se lui ti crede morta…”
 
 Aqua si morse un labbro, ma non rispose. Le coincidenze erano troppe, e il timore era più che lecito. “Dobbiamo metterci in contatto con la polizia e avvisarli. Ursine ha sempre agito in largo anticipo rispetto a noi, questa potrebbe essere l’occasione giusta per batterlo sul tempo per una volta”
 
 “Concordo” disse Trent, alzandosi. “Prendo il telefono dall’auto e chiamo il commissariato”
 
 “No, non potete” lo ammonì Aqua. Trent la guardò, sorpreso. “Queste sono informazioni estremamente riservate, non dovreste saperle. Anche nell’ottica di una soffiata in buona fede, se chiamaste voi la polizia, potrebbero sospettare che siete complici di Ursine”
Trent aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non riuscì a proferir parola.
“Cosa possiamo fare, allora?” chiese Valerie.
 
 “Voi? Nulla. Dovete rimanere fuori da questa storia, per la vostra incolumità. Sarò io a chiamare il commissario” disse Aqua, con praticità.
 
 “EH? SEI IMPAZZITA?” urlò Valerie. “Ti ricordo che tutti ti credono morta da tre anni!”
 
 “Lo so… ma sono l’unica al corrente di questa storia, quindi solo io posso espormi. Se riuscissi a convincere il commissario sulla veridicità di ciò che gli sto dicendo, a quel punto potremmo far mobilitare la polizia e rafforzare la sicurezza di quell’affare, ovunque lo tengano custodito. L’unica nota negativa è che probabilmente dovrò parlargli di persona” replicò Aqua, con scarso entusiasmo.
“Oh, no no no no… non puoi pensare che possa funzionare” disse Valerie, lasciandosi scappare un sorriso senza allegria.
 
 “Al telefono penserebbe che si tratti di uno scherzo. Di persona sarà tutto più semplice da spiegare. Dovrò solo cercare di risolvere la cosa in fretta, perché nelle mie attuali condizioni…” si interruppe.
 
 “Cosa?” chiese Trent, preoccupato.
 
 “Ecco… diciamo che oltre la coda, anche la mia respirazione non è più la stessa, e non sono in grado di resistere per più di un paio d’ore fuori dall’acqua senza soffocare” concluse Aqua, con una smorfia.
Nessuno dei due fratelli sembrava convinto del suo piano. L’ex poliziotta sospirò.
 
 “Ragazzi, so quel che faccio, credetemi. Conoscevo bene il commissario, è una brava persona, con le giuste parole sono certa che mi crederà. So che non è granché come piano, ma dovete fidarvi di me!”

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Capitolo 5
*** Il commissario Hardy ***


Capitolo 5 – Il commissario Hardy
 
Erano le 17:03 quando Valerie, Trent e Aqua raggiunsero il retro del commissariato. Non avevano proferito parola per tutto il viaggio, poiché i due fratelli potevano immaginare quanto Aqua fosse tesa all’idea di riaffrontare la sua vecchia vita e uscire allo scoperto, oltre alla paura di non essere creduta. Rimasero tutti e tre in automobile, dando un’occhiata al commissariato, sufficientemente calmo. Valerie tirò fuori il suo smartphone dal vano portaoggetti, dopodiché lo passò ad Aqua.
 
 “Sei veramente sicura di volerlo fare?” le chiese, prima di darglielo. Aqua inspirò profondamente, per poi annuire. Valerie, forse ancora speranzosa in un suo ripensamento, assunse un’espressione amareggiata, ma le consegnò comunque il telefono. Sfiorandole la mano, notò che le dita di Aqua erano stranamente lisce, come se non avessero impronte, ma dedusse che probabilmente era una conseguenza della mutazione.
 
 “Non ci impiegherò molto” disse Aqua, digitando il numero personale del commissario, dopodiché poggiò il telefono all’orecchio, mentre il cuore le batteva all’impazzata.
 
 Come avrebbe reagito il commissario? Avrebbe riagganciato? Avrebbe tracciato il numero e mandato la polizia? In ogni caso, nessuno di questi scenari giustificava una resa.
 
 Dopo cinque squilli, una profonda voce maschile rispose.
 
 “Pronto?”
 
 “Parlo con il commissario Hardy?” chiese Aqua, sforzandosi di mantenere una voce calma.
 
 “Questo non è il numero per le denunce. Si rivolga alla centrale…”
 
 “Stephen, sono Aqua”
 
 La frase le uscì di bocca quasi da sola. Ci fu una pausa carica di tensione, finché Hardy non la spezzò.
 
 “…se è uno scherzo, non è divertente” disse, gelido.
 
 “Non è uno scherzo, credimi. Sai bene che questo numero non è disponibile al pubblico”
 
 “Aqua Sanderson è morta tre anni fa, non provare a prendermi in giro. Chi sei? Come hai ottenuto il mio numero?” replicò Hardy, il cui tono era sempre più nervoso. Aqua iniziò ad agitarsi, temendo che Hardy avrebbe riagganciato da un momento all’altro, finché non le venne in mente qualcosa in grado di dimostrare la sua identità.
 
 “Nel mio armadietto” disse, con tono calmo, “avevo lasciato un medaglione, con dentro una foto di me insieme ai miei genitori. Dovrebbe essere ancora lì, a meno che non lo abbiate svuotato e restituito la mia roba a loro”
 
 Calò nuovamente il silenzio. Aqua non era sicura di cosa stesse accadendo dall’altro lato del filo, ma era sicuramente la chiamata più difficile a cui avesse mai partecipato. Fu nuovamente Hardy a riprendere la conversazione, ma stavolta il suo tono non era più rigido.
 
 “Cristo, Aqua, sei davvero tu?” disse, con voce debole. Aqua si sentì rincuorata.
 
 “Sì, Stephen, sono davvero io. Perdonami se mi faccio viva solo adesso… letteralmente”
 
 “Ma cosa diamine ti è successo? Perché sei sparita?”
 
 “Preferirei che ne parlassimo da vicino. Se per te va bene, possiamo darci appuntamento sul retro del commissariato, tra dieci minuti. Per favore, vieni da solo… spero tu capisca”
 
 “Assolutamente, tranquilla. Ci vediamo tra dieci minuti”
 
 Hardy riagganciò. Aqua esalò un sospiro liberatorio e si afflosciò sullo schienale del sedile, scaricando tutta la tensione che aveva accumulato. “Mi ha creduta… non riesco ancora a crederci”
 
 “Sei stata grande, davvero” disse Valerie, compiaciuta. “Spero che da vicino reagisca altrettanto bene”
 
 “Già… prepariamoci ad altre spiegazioni imbarazzanti…” disse Aqua, alzando gli occhi al cielo. “Adesso scendo dall’auto, voi allontanatevi il più possibile da qui”
 
 “Perché?” chiese Trent.
 
 “Non dovete in alcun modo permettere che vi possano considerare complici. E questo significa anche trovarvi sul luogo dell’incontro. Inoltre, ho chiesto ad Hardy di venire da solo, devo fare altrettanto per una questione di fiducia reciproca” spiegò Aqua. Trent e Valerie sembravano in procinto di protestare, ma Aqua aprì la maniglia della portiera, anticipandoli.
 
 “Andate, non preoccupatevi”
 
 La ragazza si lasciò cadere dall’auto e rimase seduta per terra, ad attendere. Trent sbuffò e mise in moto l’auto, contrariato, mentre Valerie continuò a fissare Aqua dal finestrino man mano che si allontanavano da lei.
 
 Se durante la telefonata Aqua si era sentita agitata, adesso lo era almeno il triplo. Hardy avrebbe potuto darla per matta una volta spiegato come si era ridotta così, il che sarebbe stato una vera tragedia: era fondamentale che venisse a sapere di Ursine e mettesse al sicuro il generatore, la sua opinione sulla coda di Aqua o sulla sua storia erano irrilevanti.
 
 Trascorsero alcuni minuti di attesa, dopodiché Aqua sentì in lontananza il suono di passi in avvicinamento.
 
 “Aqua, sei lì?” chiese, da dietro l’angolo delle mura, una voce che Aqua riconobbe per quella di Hardy. La ragazza alzò preventivamente le mani, per dimostrare di non essere armata.
 
 “Sì, Stephen, sono qui”
 
 I passi si interruppero. “Sei sola?” chiese Hardy, senza spostarsi dalla sua posizione.
 
 “Sì, non c’è nessuno. Puoi venire”
 
 Il commissario esitò per un paio di secondi, dopodiché voltò l’angolo, con la pistola puntata in avanti. Aveva un po’ di barba in più e portava gli occhiali ma, a parte quello, era identico a tre anni fa. Alla vista di Aqua si lasciò scappare un sospiro di sollievo, e abbassò l’arma.
 
 “Oh, ragazza mia, sei viva davvero” disse Hardy, avvicinandosi a lei. Aqua abbassò le mani e i due si concessero un abbraccio, felici di essersi ricongiunti.
 
 “Mi dispiace tanto, Stephen. Avrei voluto dirti tutto, ma era troppo pericoloso” disse Aqua, rammaricata.
 
 “Tranquilla, figliola, l’importante è che tu sia sana e salva” disse Hardy, comprensivo. La lasciò andare e si accovacciò a terra, squadrandola. “Ma che cosa ti è successo? E come mai indossi questo costume?” Chiese, perplesso.
Aqua si rabbuiò e abbassò lo sguardo, mentre lo stesso imbarazzo provato con Trent e Valerie la pervadeva nuovamente.
 
 “Non è un costume, Stephen…” Disse, tetra. Hardy rimase in silenzio per qualche secondo, per poi lasciarsi scappare una risata.
 
 “Dai, Aqua, non è il momento di scherzare” disse, pragmatico, ma la ragazza non rispose né alzò lo sguardo, il che fece svanire lentamente il sorriso dal volto del commissario.
 
 “Figliola, forse sei scossa da quello che ti è successo, di qualunque cosa si tratti, ma cerchiamo di rimanere seri, non puoi dirmi che questa cosa che indossi…”
 
 “Strappami una squama” disse Aqua all’improvviso, sempre con la testa china.
 
 “…cosa?”
 
 “Fa’ come ti dico, per favore”
 
 Confuso, Hardy, afferrò in maniera incerta una squama dalla coda di Aqua e tentò di tirarla via, trovando un’inaspettata resistenza. Tirò con più forza fino a strapparla via, suscitando un gemito di dolore da parte della ragazza, e portò la squama davanti a sé, osservandola meglio e notando che la radice era insanguinata.

La visione fu come una doccia fredda per Hardy, che capì lentamente come Aqua non stesse affatto scherzando.
 
 “…Cristo santo, Aqua… ma come…?”
 
 “NON LO SO!” urlò Aqua, ormai con le lacrime agli occhi. “Non so cosa mi sia successo, ero al molo per la consegna del generatore, Ursine ha fatto irruzione e ha ucciso gli altri, mentre ci siamo affrontati le scorie sono finite in mare e ho gettato il generatore in acqua per impedire che se ne impadronisse… quando l’ha scoperto mi ha buttata in mezzo alle scorie e… e mi sono risvegliata così!” disse, con voce stridula.

Hardy non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito, gli sembrava tutto troppo assurdo, ma la disperazione di Aqua e ciò che aveva appena visto erano inequivocabili.

Forse era il caso di mettere da parte la razionalità per un attimo e venire incontro alla ragazza.
 
 “Aqua, figliola… non ho la più pallida idea di cosa ti sia accaduto, ma possiamo provare a risolvere la cosa. Voglio dire, non credo sia reversibile, nemmeno il più grande chirurgo potrebbe ridarti le gambe, immagino, ma possiamo almeno fare in modo che tu non debba più nasconderti, magari per vie legali, non so… ma adesso che sei qui, possiamo aiutarti. Non sei sola” disse Hardy, incoraggiante.

Aqua riuscì a calmarsi e si asciugò gli occhi, rincuorata dalle sue parole.
 
 “Ti ringrazio, Stephen, davvero… ma c’è qualcosa di più importante a cui devi pensare, adesso” disse, con tono apprensivo.

Hardy sorrise, confuso. “Cosa c’è di più importante del ritrovare una mia collega che credevo morta?”
 
 “Ursine” disse Aqua, sbrigativa. Hardy smise di sorridere.
 
 “Che significa?”
 
 “È tornato, Stephen. È di nuovo sulle tracce del generatore. So che l’avete estratto dal fondale l’anno scorso, ma sai bene quanto pericoloso sia quel pazzo e come riesca sempre a ottenere tutto ciò che vuole, quindi, TI PREGO, ovunque teniate quell’affare, proteggetelo ad ogni costo prima che lo scopra”
 
 Aqua detestava dover inondare il commissario di così tante notizie così rapidamente, ma il tempo non era dalla sua parte. Hardy la fissò, sorpreso, ma poi scosse la testa. “Non so come tu abbia saputo questa cosa, ma non c’è bisogno di preoccuparti. Il generatore è in un posto impenetrabile. Lo abbiamo messo in un caveau al di sotto del commissariato ed è costantemente sorvegliato, anche se ci provasse sarebbe inutile, perché solo noi sappiamo dove si trovi”
 
 Aqua non sembrò convinta della risposta di Hardy, ma il commissario insistette. “Fidati, Aqua. Quell’affare è al sicuro, non devi preoccuparti”
 
 La ragazza si limitò ad annuire. “D’accordo”
 
 “Ah, tra l’altro…” disse improvvisamente Hardy, frugando nella sua tasca. “Ho qualcosa per te”
 
 Tirò fuori una catenina d’oro, a cui era appeso un piccolo medaglione dalla forma ovale, grande un paio di centimetri. Lo porse ad Aqua, che lo prese, stupefatta.
 
 “Era ancora nel tuo armadietto, la tua roba è pressoché intatta. Diciamo che… non ho mai creduto te ne fossi andata davvero” disse Hardy, facendo spallucce. Aqua era commossa, ma cercò di non lasciarsi scappare altre lacrime.

“Grazie, Stephen… non so davvero cosa dire”
 
 Il commissario Hardy le posò una mano sulla spalla. “Non preoccuparti, ragazza mia. Sistemeremo anche questo, te lo prometto”
 
 Aqua abbozzò un sorriso, senza dire nulla, quando all’improvviso uno sparo esplose alle sue spalle, e un foro comparve sulla fronte di Hardy.
 
 “STEPHEN!”
 
 Il commissario si accasciò, mentre Aqua cercò, invano, di ottenere segni di vita da lui.
 
 “Stephen, no… rispondi, ti prego! Non andartene!”
 
 Ancora una volta, il suono simile a quello di un ventilatore si ripresentò. Aqua si voltò istintivamente, e vide un drone nero sfrecciare sopra la sua testa. Una pistola cadde dall’alto, finendo sul cadavere di Hardy. La ragazza rimase impietrita, a fissare il corpo privo di vita del suo capo e amico, con le mani insanguinate e il cervello paralizzato.
 
 Un rumore di numerosi passi si avvicinò man mano verso di lei, finché un gruppo di tre poliziotti non svoltò l’angolo, attirato dallo sparo, e notò Aqua e il cadavere di Hardy.
 
 “FERMA DOVE SEI!”
 
 “Cosa… No, aspettate! Non è come sembra! Fermatevi!” esclamò Aqua, ma i poliziotti si avventarono su di lei e la placcarono a terra. Dopo averla ammanettata, la trascinarono in commissariato, ignorando le sue proteste, mentre un poliziotto rimase a controllare il corpo di Hardy.
 
 Nel frattempo Trent e Valerie, che erano rimasti in lontananza ad osservare la scena dalla loro auto, erano ribollenti di rabbia. Valerie aprì di colpo la portiera alla vista dei poliziotti che portavano via Aqua, ma Trent le afferrò il braccio, fermandola.
 
 “No, Valerie! Ferma!”
 
 “Lasciami, non possiamo lasciare che la portino dentro!” Protestò Valerie, tentando di divincolarsi.
 
 “Non possiamo! Ce lo ha detto anche lei! Rischiamo di essere arrestati anche noi!” Replicò Trent, cercando di farla ragionare.
 
 “E cosa avresti intenzione di fare, allora? Farla marcire in prigione?” Disse lei,
 rabbiosa.
 
“No,” rispose Trent, cercando di rimanere calmo, “ma non le saremmo di alcuna utilità, se finissimo in prigione anche noi”
 
 Valerie non rispose, ma il ragionamento di Trent filava. Rivolse un’ultima occhiata avvelenata al commissariato, vibrante di rabbia, dopodiché abbassò il braccio che Trent le teneva, lasciandogli intendere di aver desistito.
 
 “Torniamo a casa, prima che i nostri genitori si preoccupino. Penseremo con calma a un modo per farla scagionare” propose Trent. Valerie rimase in silenzio, e suo fratello lo interpretò come un sì. Mise in moto l’auto, dopodiché si diressero verso casa.
 
-----o-----
 
Subito dopo esser stata portata in commissariato, Aqua subì una sequela di umiliazioni. Oltre ad averla inondata di domande, dalle quali si guardò bene dal rispondere, perquisirono il suo corpo senza alcuna premura e tentarono di staccarle la coda con la forza, convinti che si trattasse di un costume, fino ad arrendersi non appena si accorsero che le stavano solo infliggendo dolore. Alla fine, la lasciarono da sola nella stanza da interrogatorio e chiusero la porta a chiave, non prima di averla inondata di insulti a metà tra la matta e lo scherzo della natura.

Aqua si trovava lì da ormai una mezz’ora buona, seduta al tavolo con le mani ammanettate e la coda che dondolava nervosa, mentre i suoi occhi viravano continuamente verso l’orologio sul muro, preoccupata che le sue due ore stessero per scadere.
 
 Alle 18:22 la porta della stanza finalmente si aprì e fece il suo ingresso una donna in abiti formali, con un fascicolo tra le mani. Aveva capelli biondi corti e voluminosi, due orecchini di perle e un volto rigido, ma rivolse comunque un sorriso striminzito ad Aqua, il che non la mise per nulla a suo agio. Evidentemente avevano optato per lo sbirro buono.
 
 “Salve, sono il tenente Phoebe Morgan. Lei dovrebbe essere Aqua Sanderson, stando a quanto mi hanno riferito, giusto?” disse, con tono forzatamente amichevole. Aqua si limitò ad alzare un sopracciglio, disgustata al pensiero che quella fosse la sua sostituta dopo la sua scomparsa.
 
 “Vorrei porle alcune domande, visto che da quando è stata portata qui non ha risposto a nessuno dei quesiti che le sono stati fatti dagli altri membri del corpo di polizia” disse il tenente Morgan, sedendosi all’altro lato del tavolo. Aqua rivolse una rapida occhiata all’orologio, dopodiché si lasciò andare sullo schienale della sedia, poggiando le mani ammanettate sul tavolo.
 
 “Tenente, la informo che nelle mie attuali condizioni non sono in grado di sopravvivere per più di due ore fuori dall’acqua senza soffocare, e sono già passati 85 minuti, quindi non mi faccia perdere troppo tempo” replicò Aqua, gelida.
 
 Il tenente Morgan assunse l’espressione di uno che ha appena mangiato qualcosa di particolarmente disgustoso, ma non smise di sorridere. Aqua fu lieta di aver messo in chiaro chi dettasse le regole dell’interrogatorio.
 
 “Molto bene” disse la sua interlocutrice, sfogliando i fascicoli. “Partiamo dal principio: lei dovrebbe essere morta da tre anni, eppure si presenta qui, affermando di essere la stessa Aqua Sanderson che lavorava in questa unità, e di avere questa… condizione” disse, alludendo alla coda.

Aqua si limitò a dire un “Hm-hmm”.
 
 “Ora, i nostri uomini hanno detto di averla trovata sul retro del commissariato, insieme a Stephen Hardy. Come mai eravate lì?”
 
 “Avevo appuntamento con lui, necessitavo di riferirgli informazioni riservate” disse Aqua, tenendosi sul vago.
 
 “E immagino abbia fissato questo appuntamento per telefono”
 
 “Naturalmente. Hardy mi aveva dato il suo numero personale, quando lavoravo qui”
 
 “Ed è stato sempre Hardy a portarla sul luogo?” disse il tenente, socchiudendo gli occhi.
 
 Aqua esitò. Non poteva dire come erano andate davvero le cose, o avrebbe rischiato di incriminare anche Trent e Valerie.
 
 “Sono venuta da sola” rispose Aqua.
 
 “Con quali gambe?” chiese l’altra, sarcastica.
 
 “Forse non l’ha notato, tenente, ma ho ancora le braccia, per muovermi”
 
 “Certo… e quindi immagino che le abbia usate per trascinarsi dalla riva più vicina fino al retro del commissariato. Una gran bella impresa, in vista dell’omicidio che si era prefissata”
 
 “Non ho ucciso io Stephen Hardy” replicò Aqua, gelida. Il tenente Morgan la ignorò.
 
 “Immagino che trascinarsi sia stato ancor più difficile con una pistola in mano”
 
 “Non ero armata”
 
 “Può darsi… ma sulla pistola non c’erano impronte. E, stando a quello che i nostri agenti hanno riscontrato quando l’hanno perquisita, ci risulta che lei non le abbia. Non più, almeno” disse l’altra.
Aqua ebbe un tuffo allo stomaco, rendendosi conto di essere stata incastrata.
 
 “Le impronte non c’erano,” rispose, con calma forzata, “perché l’arma non era nelle mani di una persona”
 
 “Non era nelle mani di una persona” ripeté il tenente, fissandola.
 
 “Esatto. Mentre parlavo con Hardy, un drone alle nostre spalle gli ha sparato ed è volato via, lasciando la pistola sul suo corpo” disse Aqua, ma la versione che aveva fornito non sembrava convincente nemmeno a lei. Il tenente Morgan, di tutta risposta, aggrottò la fronte.
 
 “Un meccanismo molto conveniente, per affossare ogni sospetto di omicidio”
 
 “Le ho già detto che non ho ucciso io il commissario Hardy” ripeté Aqua, mentre la rabbia cominciava a montarle.
 
 “Ad ogni modo,” proseguì l’altra, “non mi ha ancora detto cosa aveva di così importante da riferire ad Hardy, al punto da tornare dalla morte dopo tre anni e trascinarsi fino a qui”
 
 Aqua fissò un angolo vuoto, riflettendo. Il tenente Morgan non le avrebbe mai creduto ma, ora che Hardy era scomparso, era vitale che la polizia mettesse al sicuro il generatore. Se almeno lei l’avesse ascoltata, ci sarebbe stata una flebile speranza di fermare Ursine.
 
 “Dovevo informare Hardy di un imminente tentativo da parte del terrorista Oliver Ursine di appropriarsi del generatore di onde elettromagnetiche andato perso tre anni fa e recuperato l’anno scorso” disse, andando dritta al sodo.
 
 La risposta spiazzò il tenente. “E lei come…”
 
 “Lo so e basta. Non è quello il punto. Il punto è che quell’affare va messo al sicuro e protetto. Hardy non c’è più, ma almeno lei deve ascoltarmi!”
 
 Il tenente Morgan la fissò, smettendo di sorridere per la prima volta. Inspirò, dopodiché mise a posto i fascicoli.
 
 “Senta, posso accettare il fatto che si sia incastrata in qualche costume o abbia qualche malattia che non le permetta di respirare, ma non posso credere a questa storia… un terrorista scomparso da tre anni che si ripresenta dal nulla alla ricerca di un aggeggio che non dovrebbe esister, e di cui ha misteriosamente scoperto i piani, il tutto per negare un omicidio ai danni di un suo ex collega…”
 
 “Oh, per l’ultima volta, NON HO UCCISO IO IL COMMISSARIO HARDY!” urlò Aqua, sbattendo le mani sul tavolo. Le due donne rimasero in silenzio a fissarsi, l’una tremante di rabbia e l’altra accigliata, finché il tenente Morgan non si alzò, sospirando.
 
 “Verrà messa in isolamento finché non avremo fatto luce su questo caso. È tutto”
 
 Fece per uscire, mentre dalla stessa porta entrarono due poliziotti, che tolsero le manette ad Aqua, la presero per le braccia e la trascinarono via. La ragazza fu portata lungo i corridoi dove venivano rinchiusi i detenuti comuni, e molti di essi la insultarono al suo passaggio, usando appellativi come “Matta”, “Triglia” o “Principessina”, finché non venne portata in un corridoio isolato, le cui pareti erano dipinte interamente di bianco e al cui termine vi era solo un’unica, piccola cella. I due poliziotti la portarono di fronte ad essa, dove Aqua poté vedere che avevano messo una piccola vasca piena d’acqua, dopodiché aprirono le sbarre.
 
 “Benvenuta nella tua nuova casa, sardina” disse uno dei due poliziotti, sogghignando.
 
 La vista della squallida cella e il trattamento che aveva ricevuto fino a quel momento fecero salire l’adrenalina ad Aqua, la quale decise di provare un ultimo, disperato tentativo di fuga. Con le mani libere, sferrò due potenti pugni negli stomaci dei due poliziotti, per poi aggrapparsi alle loro cravatte e fare peso su di esse. I due si scontrarono con le loro teste e caddero sul pavimento insieme ad Aqua, intontiti.

La ragazza ne approfittò per strisciare via e scappare, quando improvvisamente il fiato cominciò a mancarle e le sue forze iniziarono a diminuire. Ansimante, alzò gli occhi verso l’orologio appeso alla parete di fronte a lei, vedendo che erano le 19:04. Le due ore erano scadute.
 
 Con le poche forze rimaste, Aqua si trascinò indietro verso la cella, mentre la fame d’aria aumentava sempre di più. I due poliziotti si rimisero in piedi, ridendo di gusto alla scena, finché la ragazza non raggiunse finalmente la vasca e vi si lasciò cadere dentro, stremata. L’acqua al suo interno impregnò la sua pelle e le sue energie tornarono a poco a poco, mentre l’affanno svanì di pari passo. Emerse dalla vasca e si appoggiò al bordo, ansimante.
 
 “Spero che ti piaccia, perché rimarrai qui per un bel po’, cara” disse uno dei due poliziotti, per poi chiudere le sbarre. I due viscidi uomini si allontanarono sghignazzando, dopodiché chiusero la porta alla fine del corridoio. Aqua era rimasta da sola, nella sua cella, con gli occhi iniettati di sangue e l’umiliazione cocente. Serrò i suoi pugni con forza, e si rese conto che per tutto questo tempo aveva tenuto il medaglione stretto nella sua mano destra.
 
 Il silenzio del braccio d’isolamento fu interrotto dal suono dei suoi singhiozzi.

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Capitolo 6
*** Doppio fallimento ***


Capitolo 6 – Doppio fallimento

Due giorni dopo la morte di Hardy, il commissariato tornò lentamente alla sua routine. Le ronde ripresero, le unità vennero riorganizzate e i turni di guardia vennero ripristinati. Nessuno sospettava un secondo attacco a distanza di pochissimi giorni, il che rappresentava un’occasione d’oro per colpire.
 
 Oliver Ursine aveva lasciato la sua barca ormeggiata ad uno scoglio ai piedi del promontorio, dopodiché utilizzò un rampino per arrampicarsi fino a pochi metri dalla cima. Agganciò la propria cintura alla fune e si tolse il passamontagna, per poi estrarre una sorta di palmare dalla tasca.
 
 Era stato più fortunato di quanto sperasse, poiché aveva scoperto l’ubicazione del generatore grazie ad una semplice ricognizione via drone. Tuttavia, l’ultima cosa che si aspettava era che il tenente Sanderson fosse ancora viva. Per non parlare di ciò che le era successo, ammesso che non fosse tutta una montatura.

Non aveva idea di come ci fosse riuscita, né di cosa le fosse accaduto, ma la sua sopravvivenza rappresentava una potenziale minaccia per la riuscita del suo piano.
 
 Seccato, Ursine fece scrocchiare le ossa del collo, cercando di calmarsi. Uccidendo il commissario e facendo arrestare Sanderson, in teoria si sarebbe risparmiato una possibile seccatura per un po’, ma la sola idea che, per la prima volta, un testimone fosse sopravvissuto da quando lui aveva iniziato la sua attività gli dava sui nervi.

Sanderson avrebbe scontato anche quest’affronto, a tempo debito.
 
 Accantonò questi pensieri ed accese il palmare, focalizzandosi sulla sua missione. Delle immagini in visione notturna apparvero sul display, mentre un drone, a cui era stato fissato un taser attivabile via remoto, raggiunse lentamente la sua posizione. Ursine utilizzò un cursore sul touchscreen per dirigere il drone sopra il commissariato, ad un’altezza sufficiente per impedire che le guardie lo notassero, dopodiché perlustrò l’area con la videocamera dell’apparecchio. L’ingresso era sorvegliato da due poliziotti, mentre sul retro vi era un grosso spiazzale con delle auto parcheggiate e una sorta di scantinato, con una guardia al suo ingresso.

Un luogo decisamente troppo anonimo, per richiedere sorveglianza.
 
 Ursine inarcò un sopracciglio, al pensiero di come fossero stati così ingenui da rendere l’ingresso al caveau così inosservato e così ovvio al tempo stesso. Ripose il palmare nella tasca e sganciò la cintura dalla fune, per poi continuare la sua arrampicata fino alla cima del promontorio, dopodiché infilò di nuovo il passamontagna e poggiò la schiena alle mura del commissariato. Riprese nuovamente il palmare e indirizzò il drone sulla verticale della guardia, per poi farlo abbassare lentamente di qualche metro. La guardia non si accorse di nulla, il che strappò un debole sorriso ad Ursine. Pigiò un’icona sul palmare e il taser ancorato al drone sparò i suoi dardi, che colpirono la guardia. L’uomo non riuscì ad emettere grida di aiuto, ma fu preso da violente convulsioni, finché non si accasciò a terra, svenuto.
 
 Soddisfatto, Ursine diresse il drone nuovamente in alto, in modo che nessuno potesse vederlo, e ripose il palmare in tasca, dopodiché si avvicinò alla recinsione dello spiazzale e aprì un foro nella rete con una tenaglia, per poi avvicinarsi lentamente al corpo della guardia. Frugò nelle sue tasche, finché non trovò un tesserino, quindi ispezionò la porta dello scantinato. Non c’erano serrature o maniglie, ma sulla destra della parete era presente una specie di lettore per badge. Ursine passò il tesserino che aveva rubato nel lettore, e la porta fece uno scatto.
 
 Il criminale entrò di soppiatto, portando con sé il corpo della guardia, dopodiché richiuse la porta. L’illuminazione all’interno era molto debole, per cui inforcò un visore termico e si mosse con cautela lungo quelle che sembravano le scale che portavano al caveau. Continuò il suo percorso lentamente, cercando di silenziare al massimo il suono dei suoi passi, quando scorse dietro un angolo due sorgenti di calore. Dovevano esserci altre guardie all’interno.
 
 Ursine tirò fuori la sua pistola dalla fondina, per poi poggiare la schiena dietro la parete. Le due guardie non sembravano averlo notato, per cui poteva rischiare di esporsi sfruttando l’effetto sorpresa. Svoltò subito l’angolo, facendo sobbalzare i due poliziotti, e colpì entrambi alla trachea con la sua pistola silenziata. Le due guardie si accasciarono boccheggiando, mentre il sangue zampillava dalla loro gola. Ursine scavalcò i loro corpi, dopodiché si ritrovò di fronte ad una parete blindata. Tolse il visore termico per osservarla meglio: anche questa porta era priva di maniglie o serrature.

Che fossero stati così stupidi?
 
 Ursine trovò il lettore sulla parete sinistra, dopodiché passò il tesserino come aveva fatto all’ingresso. La porta blindata fece uno scatto e si mosse di qualche centimetro, suscitando uno sbuffo divertito nel criminale. Aprì manualmente la porta e si introdusse nel caveau, al cui centro, poggiato su un tavolo, vi era il generatore, ancora intatto. Prima di avvicinarsi, Ursine si tolse lo zaino e frugò al suo interno, tirando fuori due mine a detonazione a distanza, e ne piazzò una sulla parete a sinistra della porta del caveau. Avvolse il generatore con la fune e agganciò quest’ultima alla sua cintura, per poi piazzare la seconda mina sulla parete posteriore del caveau. Si allontanò di un paio di metri, dopodiché estrasse un detonatore dalla fondina della cintura e  lo attivò. La mina esplose con un boato assordante, sollevando una nube di detriti rocciosi e fumo, diradato il quale venne fuori un enorme foro scavato nella parete di pietra che si affacciava sul mare. Ursine portò il generatore verso il bordo dello strapiombo, dopodiché lo spinse giù, facendolo precipitare e venendo trascinato dal suo peso, finché non tirò una funicella dal suo zaino e fece aprire un paracadute, il quale rallentò la sua discesa e permise a lui e al generatore di atterrare dolcemente sulla sua barca, ancora ormeggiata ai piedi del promontorio. Ursine si sfilò il passamontagna, impassibile, e slegò la barca dallo scoglio a cui era ormeggiata, per poi metterla in moto ed allontanarsi. Mentre era alla guida, tuttavia, estrasse il palmare e controllò lo spiazzale tramite il drone ancora in ricognizione. Un gruppo di poliziotti si stava precipitando verso l’ingresso del caveau, attirati dall’esplosione.
 
 La polizia aprì l’ingresso dello scantinato e trovò il corpo privo di coscienza della prima guardia, dopodiché si precipitò, allarmata, verso la porta del caveau, dove trovò i corpi privi di vita degli altri due poliziotti, nonché la porta spalancata, il generatore sparito e l’enorme foro creatosi nella parete rocciosa. I poliziotti, confusi e allarmati, perlustrarono l’area in cerca di possibili tracce lasciate dall’autore del delitto.
 
 Ursine attese circa sette minuti, dopodiché attivò la seconda mina, facendola detonare assieme ai poliziotti nel caveau.
 
-----o-----
 
Approfittando del loro giorno libero, Trent e Valerie si recarono al carcere dove Aqua era rinchiusa intorno alle 10:30. Trent rimase in auto ad attendere sua sorella, in quanto solo una persona alla volta poteva fare visita ai detenuti. All’ingresso, stranamente, non chiesero il legame di parentela tra Valerie e Aqua, cosa che tutto sommato sollevò la ragazza. Presentò le sue generalità, fu perquisita e infine accompagnata verso il braccio di isolamento.
 
 Durante il percorso nei corridoi dove erano presenti le altre detenute, Valerie non poté fare a meno di sentire i loro discorsi che, guarda caso, vertevano proprio sulla nuova arrivata.
 
 “Secondo te come si è procurata quella coda? Lei dice che è veramente parte del suo corpo”
 
 “Come no, le credi anche? Si sarà incastrata in un costume e non riesce più ad uscirne… oppure se l’è incollato apposta, matta com’è…”
 
 “Ma era una poliziotta”
 
 “E quindi? Anche i poliziotti impazziscono. Se è arrivata a uccidere il suo ex capo…”
 
 “E se fosse vera? Magari hanno fatto qualche esperimento su di lei”
 
 “In quel caso sono felice che sia in isolamento, perché non voglio avere a che fare con quello scherzo della natura”
 
 Valerie strinse i pugni, trattenendo l’impulso di rispondere alle detenute. Alla fine, dopo qualche minuto, la guardia che l’aveva scortata aprì una porta alla fine del corridoio, facendole cenno di entrare.
 
 “Per motivi di privacy rimarrò qui, ma vi tengo d’occhio, quindi niente scherzi” la ammonì, minaccioso. Valerie si limitò ad annuire, dopodiché percorse il corridoio bianco e arrivò al cospetto della cella. Aqua era immersa nella vasca, con la schiena poggiata al muro e intenta a fissare il vuoto, ma sorrise subito alla vista di Valerie, la quale si sedette per terra a gambe incrociate.
 
 “Ehi”
 
 “Ehi…” rispose Aqua.
 
 “Non ti chiedo come vada perché sarebbe stupido, ma mi auguro almeno che non ti importunino” disse Valerie, non sapendo cos’altro dire.
 
 Aqua inarcò le sopracciglia. “Sicuramente meglio qui che con le altre detenute. Credo che mi farebbero a pezzi, come minimo, soprattutto se tra loro c’è qualche testa calda che ho arrestato io anni fa”
 
 “Immagino di sì” disse Valerie, sospirando.
 
 “Comunque sia,” continuò Aqua, con tono di rimprovero, “non avresti dovuto venire. Normalmente le visite sono riservate ai familiari, se ti avessero chiesto che legame di parentela abbiamo avresti rischiato grosso”
 
 “Oh, beh…” replicò Valerie, facendo spallucce, “Potevo sempre dire che sei mia cugina”
 
 Aqua sbuffò.
 
 “E, in ogni caso, ci tenevo a venire anche perché non mi andava giù il fatto che abbiamo dovuto abbandonarti” disse Valerie, dura.
 
 “Questa storia riguarda me, Valerie, voi non c’entrate nulla”
 
 “Non è comunque giusto ciò che ti è successo. Non lo accetto… sei stata incastrata e non hanno esitato neanche un istante a dichiararti colpevole”
 
 “Probabilmente avranno dato per scontato che chi è diverso è marcio” disse Aqua, fissando il muro davanti a lei.
 
 “Aqua… no…” disse Valerie, impacciata, ma la ragazza la ignorò.
 
 “Com’è che mi hanno chiamata sui telegiornali?” chiese con un tono tagliente, sempre fissando il muro.
 
“Ti prego, non dare retta a quella roba anche tu…”
 
 “Valerie” la ammonì Aqua, alzando lievemente la voce. Valerie esitò qualche secondo, dopodiché abbassò il capo, amareggiata.
 
 “Ti hanno chiamata ‘La Sirena Killer’…”
 
 Aqua emise una risata senza allegria. Valerie si avvicinò alle sbarre, decisa.
 
 “Possono dire quello che vogliono su di te, ma non cambia la realtà dei fatti. Noi sappiamo che sei innocente!”
 
 “Beh, non serve a molto se nessuno ti crede, a quanto pare, visto che Ursine ha preso comunque il generatore” replicò l’ex poliziotta, tetra. Valerie non voleva toccare l’argomento, ma era abbastanza palese che, da quando Aqua lo aveva saputo, non avesse pensato ad altro.
 
 “Hai fatto tutto quello che potevi per impedirlo, Aqua… ormai è andata. Non devi continuare ad essere tu quella che dovrà occuparsene”
 
 “Dici? Nessuno ha preso sul serio questa minaccia, e nessuno farà nulla di concreto per fermarla” replicò Aqua, voltandosi verso Valerie.
 
 “E quindi che cosa vorresti fare? Ormai sei qui”
 
 “Ancora per poco”
 
 Valerie non era sicura di aver capito bene. “Che?”
 
 “Ho intenzione di evadere. Stanotte” disse Aqua, gelida. Valerie trasalì, ma cercò di non alzare la voce, voltandosi in modo da assicurarsi che la guardia non avesse sentito nulla.
 
 “Sei definitivamente impazzita??” disse Valerie sottovoce. “Come diamine hai intenzione di evadere?”
 
 “Anni di esperienza ti insegnano a cavartela in ogni situazione, Valerie… e no, non mi servono necessariamente le gambe per farlo” disse Aqua, incrociando le braccia. Valerie scosse la testa.
 
 “No, mi dispiace, ma è una follia quello che vuoi fare. Rischi di farti ammazzare per davvero, stavolta”
 
 “Sono sicuramente più utile lì fuori che qui dentro, Valerie. L’unica persona che poteva darmi un aiuto concreto è morta e la polizia non mi ha voluto ascoltare. Solo io so come fermare quel folle”
 
 “Non posso permettertelo” protestò Valerie.
 
 “Non ho intenzione di finire qui i miei giorni mentre quel pazzo è libero di compiere un altro attentato da un momento all’altro, soprattutto ora che ha quell’arma. E, in ogni caso, tu non devi dire o fare un bel niente. Sia tu che Trent avete già rischiato grosso per colpa mia, non voglio che interferiate” concluse Aqua, con tono rigido.

Valerie avrebbe voluto tentare ancora di farla ragionare, ma era evidente che ormai la ragazza avesse preso la sua decisione.
 
 “Fine della visita” urlò la guardia dalla fine del corridoio. Valerie gli rivolse un’occhiataccia, dopodiché si rimise in piedi.
 
 “Spero che tu sappia ciò che fai” disse ad Aqua, tetra, dopodiché si allontanò verso la porta.
 
 Aqua la seguì con la coda dell’occhio, pensando alle sue parole. Apprezzava sicuramente la sua apprensione, ma Valerie e Trent avevano rischiato di morire proprio perché lei non era stata in grado di fermare Ursine tre anni fa.

Anche per il loro bene, era di vitale importanza che ponesse fine a questa storia una volta per tutte.
 
-----o-----

Alle 22:45, la guardia incaricata di sorvegliare il braccio di isolamento diede un’ultima controllata alle altre celle, assicurandosi che tutte le detenute stessero dormendo, dopodiché aprì la porta del corridoio bianco ed entrò, facendo roteare le chiavi tra le dita. Con suo estremo disappunto, la sirena era fuori dalla vasca, il che significava che non stesse ancora dormendo.
 
 “Ehi, che ci fai ancora sveglia? Fila a dormire!” abbaiò alla detenuta, la quale, tuttavia, rimase immobile.
 
 Insospettito, il poliziotto tirò fuori il manganello e si avvicinò alla cella, quando, a metà strada, notò che la sirena era sdraiata sul pavimento priva di sensi. Allarmato, si precipitò per controllare meglio. La detenuta era stesa supina, con la bocca semiaperta e gli occhi chiusi, inoltre il torace era immobile, il che significava che non respirasse. Un improvviso timore colse la guardia, al pensiero che la detenuta si fosse tolta la vita soffocando volutamente fuori dalla vasca, e subito immaginò le possibili ripercussioni su di lui per non averne impedito la morte mentre era in servizio. Si guardò attorno, sempre più agitato, nella speranza che nessuno avesse ancora notato il corpo, dopodiché allungò la mano attraverso le sbarre per poggiarla sul collo della sirena e sentirle il polso carotideo, in modo da assicurarsi del decesso.
 
 Aqua aprì gli occhi e afferrò fulmineamente la cravatta della guardia, per poi tirarla contro le sbarre e farle sbattere violentemente il cranio contro di esse. Il poliziotto non ebbe neanche il tempo di gridare e, dopo l’urto, scivolò lentamente sul pavimento, privo di sensi. Aqua si rimise seduta, ansimando, dopodiché perquisì le tasche della guardia attraverso le sbarre, finché non trovò le chiavi della cella. Facendosi forza con i muscoli della coda, riuscì ad arrivare alla serratura e ad aprirla, dopodiché prese anche la pistola dalla fondina della guardia, temendo la presenza di altri poliziotti, e fece per allontanarsi, quando un pensiero la colse.

Si voltò verso la sua cella, dove vide il medaglione dei suoi genitori ancora poggiato sulla mensola. Aqua lo prese e lo contemplò tra le mani per qualche secondo, dopodiché lo legò al suo polso destro a mo’ di bracciale e abbandonò la cella.
 
 Al suo stato attuale Aqua non poteva spostarsi velocemente, ma solo trascinarsi, il che risultò paradossalmente un punto a suo favore, dal momento che rendeva i suoi movimenti molto più silenziosi. Inoltre, la guardia aveva dimenticato di chiudere la porta del corridoio prima di avvicinarsi alla sua cella, il che eliminò anche il rischio di creare ulteriore rumore aprendola. La ragazza riuscì finalmente ad abbandonare il braccio di isolamento e ritrovarsi nei corridoi comuni, dopodiché svoltò a destra, dove si trovava una condotta dell’aria, ovvero il suo biglietto per abbandonare il carcere. Continuò a trascinarsi verso la condotta, quando alcune voci affiorarono dal corridoio opposto.
 
 “Vai a vedere perché ci mette così tanto!”
 
 Almeno tre persone, a giudicare dai passi in avvicinamento, stavano per raggiungere la sua posizione. La condotta non era molto distante, ma con la sua velocità di spostamento l’avrebbero comunque raggiunta in poco tempo. Aqua continuò a spostarsi, cercando di aumentare velocità, ma non fu sufficiente.
 
 “E tu che diavolo… Venite! La detenuta è fuggita!” esclamò una voce maschile alle sue spalle.
 
 Aqua si voltò verso le guardie e puntò la sua pistola contro di loro, portandoli a fare altrettanto.
 
 “Getta quell’arma!” tuonò una delle guardie. Aqua lo ignorò e si guardò attorno, riflettendo rapidamente su cosa fare. Era in inferiorità numerica e non era abbastanza veloce da seminarli, per cui l’unica opzione rimasta era attuare un diversivo.
 
 “Ho detto getta quell’arma!”
 
 Aqua puntò la pistola contro la lampada del soffitto, per poi aprire il fuoco e farla esplodere, facendo avvolgere il corridoio dall’oscurità. Fortuna volle che nessuno dei tre poliziotti avesse portato con sé la propria torcia.
 
 “Non vedo più nulla!”
 
 “Aprite il fuoco davanti a voi e fatevi luce con gli spari! Non deve fuggire!”
 
 Una serie di spari si riversò nel buio, illuminando brevemente il corridoio ad ogni colpo. Le guardie speravano di colpire Aqua alla cieca, il che significava che la ragazza doveva muoversi. Continuò a strisciare verso la condotta, tenendo la testa bassa nella speranza di non essere colpita. Alcuni proiettili fischiarono vicino le sue orecchie in maniera allarmante, finché ad essi non si aggiunse il rumore di passi in avvicinamento. Aqua decise di seguire la loro stessa strategia, per cui si voltò e cominciò a sparare anche lei alla cieca, mentre col braccio libero continuava a trascinarsi verso la condotta. La sua intuizione si rivelò vincente, poiché i suoi colpi costrinsero i tre poliziotti a mettersi al riparo e interrompere la loro avanzata. Un proiettile dell’ex tenente suscitò un grido di dolore da parte di una delle guardie, seguito da un tonfo, e Aqua sorrise beffarda, finché il grilletto della pistola non cominciò ad andare a vuoto. Il caricatore si era svuotato.
 
 “Cazzo!”
 
 Ormai era arrivata alla condotta, per cui gettò la pistola e aprì il pannello con entrambe le mani mentre le pallottole continuavano a pioverle addosso, finché un proiettile non le colpì una costa sul fianco sinistro del torace. Aqua urlò dal dolore, mentre le guardie, consapevoli del fatto che la fuggitiva era ormai disarmata, avevano ripreso la loro corsa e l’avevano quasi raggiunta. Con uno sforzo disumano, Aqua si infilò nella condotta, mentre il dolore della ferita le avvolgeva la gabbia toracica come filo spinato. La ragazza scivolò lungo tutta la condotta in maniera rocambolesca, per poi sbucare in superficie e cadere dallo strapiombo del promontorio, precipitando in pieno mare aperto.
 
-----o-----

Erano ormai le 23:30, e Trent e Valerie si trovavano al molo da almeno mezz’ora. Subito dopo la sua visita in prigione, infatti, Valerie si era consultata con suo fratello ed entrambi avevano deciso di recarsi al molo quella sera stessa, sicuri che Aqua si sarebbe messa nei guai durante il suo folle piano di fuga. Trent sedeva sul bordo del molo, con gli occhi fissi sul mare, mentre Valerie girava in tondo sulla piattaforma, incapace di rimanere calma.
 
 “Di questo passo scaverai un fosso circolare” disse suo fratello.
 
 “Non so come tu faccia a essere così tranquillo” replicò lei, continuando a camminare.
 
 “Non sono tranquillo, infatti” disse Trent, serio. “Ma sto cominciando a credere che stiamo perdendo tempo”
 
 “Io non la abbandono, Trent”
 
 “Non parlo di abbandonarla, Valerie! Intendo dire che, se veramente le fosse successo qualcosa, probabilmente non riuscirebbe a lasciare l’edificio e venire allo scoglio”
 
 Valerie si fermò. Odiava quando suo fratello aveva ragione.
 
 “Restiamo altri dieci minuti, per fugare ogni dubbio. L’abbiamo già lasciata da sola una volta, una seconda volta non me la perdonerei mai”
 
 “Abbiamo fatto solo ciò che ci ha chiesto, Valerie, non l’abbiamo abbandonata” disse Trent, continuando a fissare il mare.
 
 “Per me è lo stesso, visto il risultato” replicò lei, seccata.
 
 “Valerie…”
 
 “No, non iniziare, Trent, ne abbiamo già parlato a casa”
 
 “Ok, Valerie, ma…”
 
 “’Ma’ niente, Trent! La mia posizione non cambia…”
 
 “Valerie, guarda il mare!” esclamò suo fratello, fissando l’orizzonte. Valerie guardò anche lei, finché non notò un corpo trascinato dalla corrente, che galleggiava in posizione prona, seguito da una scia di sangue. I due fratelli si avvicinarono per guardare meglio il corpo, notando una coda scintillante verde.
 

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Capitolo 7
*** La dottoressa Hurley ***


Capitolo 7 – La dottoressa Hurley
 
Trent e Valerie caricarono il corpo di Aqua sulla loro auto e si diressero a tutta velocità verso l’ospedale più vicino, il New Jersey Hospital. La ragazza respirava ancora e il battito era ancora percepibile, ma il colore pallido della sua pelle era segno che avesse perso abbondante sangue. Una volta giunti all’ospedale, Trent prese il corpo di Aqua ed entrambi si precipitarono all’ingresso del pronto soccorso, che era stranamente vuoto. All’accettazione vi era solo un dottore basso e corpulento, con un’incipiente calvizie.
 
 “Scusi, può aiutarci?” chiese Valerie al dottore, con tono agitato. Il dottore li guardò e si avvicinò a loro, fermandosi a metà strada alla vista del corpo di Aqua.
 
 “La nostra amica è stata ferita al torace da un proiettile, ha perso molto sangue!” disse Trent. Il medico continuò a fissare il corpo, senza dire nulla, dopodiché sospirò.
 
 “Mi dispiace, ma non posso aiutarvi” disse, tetro.
 
 “Come sarebbe a dire?” chiese Trent, sbalordito. “Non mi dica che la ferita è troppo grave…”
 
 “No, la ferita è curabile, ma… insomma, non voglio assumermi questa responsabilità” tagliò corto il medico.
 
 “E perché mai?” sbottò Valerie, che stava iniziando a scaldarsi.
 
 “Perché ha un’accusa di omicidio alle sue spalle, e ora anche di evasione! Non voglio rischiare che la polizia ci consideri complici!” replicò il medico.
 
 “Ma di che diamine sta parlando? Questa ragazza ha bisogno d’aiuto! Ha o non ha fatto il Giuramento?” esclamò Trent, allibito.

“Cosa succede qui?” chiese da lontano una voce femminile.
 
 Una dottoressa si avvicinò al gruppo, attirata dalla loro lite. Era una donna abbastanza giovane, dagli occhi verdi e capelli biondi legati a chignon.
 
 “Rebecca, questi ragazzi si sono presentati con la… la fuggitiva, dicono che abbia ricevuto una ferita d’arma da fuoco al torace” disse il medico corpulento. La dottoressa fissò attentamente Aqua, avvicinandosi di qualche passo. L’attenzione che stava impiegando nell’osservarla fece preoccupare ulteriormente Trent e Valerie, che temevano un rifiuto anche da lei.
 
 “Portami una barella, Bob. La operiamo subito” disse la dottoressa.
 
 “Ma Rebecca…” protestò il medico di nome Bob.
 
 “Non si nega mai aiuto ad un paziente, Bob. Il resto viene dopo” lo rimproverò la dottoressa. Trent e Valerie si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo. Il dottore di nome Bob si limitò ad obbedire, prendendo una barella dal corridoio e spingendola verso i due fratelli, che vi poggiarono dolcemente il corpo di Aqua.
 
 “Sapete come si è fatta questa ferita?” chiese la dottoressa.
 
 “No, l’abbiamo trovata in questo stato che galleggiava in acqua priva di sensi” disse Trent. La dottoressa sentì il polso di Aqua, senza mostrare emozioni, dopodiché si rivolse nuovamente a Bob.
 
 “Mi serve una sacca di sangue gruppo AB+. Prepara anche la sala operatoria, dobbiamo farle una lastra d’urgenza per controllare lo stato degli organi interni e rimuoverle il proiettile”
 
 I due fratelli si chiesero come la dottoressa conoscesse il gruppo sanguigno di Aqua, ma accantonarono il pensiero in vista di un’urgenza più impellente.
 
 “Dottoressa…?” intervenne Valerie, incerta.
 
 “Mi chiamo Rebecca Hurley, scusate se non mi sono presentata. Ditemi” rispose la dottoressa.
 
 “Dottoressa Hurley, la nostra amica non può respirare fuori dall’acqua per più di due ore. Non so quanto tempo vi serva per l’intervento, ma l’abbiamo trovata venti minuti fa, quindi cercate di idratarla, se potete, o morirà soffocata” disse Valerie, apprensiva. La dottoressa si accigliò lievemente, sorpresa da questo dettaglio clinico, ma non obbiettò.
 
 “Nessun problema, le faremo delle infusioni di soluzione fisiologica. Ora scusatemi, ma dobbiamo portarla in sala operatoria. Voi attendete qui, vi chiamerò io quando avremo finito” disse la dottoressa Hurley. Trent e Valerie annuirono, dopodiché i due medici portarono la barella in un altro corridoio, facendo chiudere le porte alle loro spalle.
 
 Trascorse un’ora, durante la quale Trent e Valerie rimasero in silenzio ad attendere. Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare, troppo preoccupati per l’esito dell’intervento, sebbene la dottoressa avesse fatto una buona impressione ad entrambi. Alla fine, la porta del corridoio dove i due medici avevano portato Aqua si aprì, rivelando la dottoressa Hurley, in tenuta chirurgica. Trent e Valerie si alzarono immediatamente e le si avvicinarono.
 
 “Dottoressa?” chiese Valerie.
 
 La dottoressa Hurley si tolse la mascherina chirurgica, mentre anche il medico di nome Bob usciva dal corridoio. “Guarirà. Le abbiamo rimosso il proiettile, chiuso la ferita e i valori di emoglobina sono tornati a livelli normali dopo la trasfusione. Per fortuna la pallottola è rimasta incastrata nella costa e non ha colpito il polmone sinistro, anche se ha perso comunque molto sangue e necessita di riposo, ma è fuori pericolo” disse, un po’ esausta ma comunque sorridente.
 
 Trent e Valerie si sentirono come se avessero lasciato un macigno che portavano sulle spalle, sollevati dalla tensione. Il medico di nome Bob, tuttavia, aveva osservato attentamente le mani della dottoressa Hurley mentre aveva esposto ai due ragazzi l’esito dell’intervento, notando che si era ripetutamente strofinata le dita in maniera nervosa, un dettaglio che i due fratelli non avevano colto.
 
 “Grazie infinite, dottoressa” disse Trent. “Quando possiamo farle visita?”
 
 “Non adesso, si è già risvegliata dall’anestesia ma sta riposando… È molto debilitata, quindi preferirei farla riprendere prima di vedere altre persone” rispose la Hurley. I due fratelli annuirono.
 
 “Adesso scusatemi, ma devo tornare momentaneamente nel mio ufficio. Vi avviserò non appena potrete visitarla” concluse la Hurley, congedandoli e tornando nel corridoio. Bob, tuttavia, la seguì.
 
 La dottoressa Hurley si tolse la divisa chirurgica nel suo ufficio, affannata, e si sedette alla sua scrivania, leggendo la cartella clinica di Aqua. Bob irruppe nel suo ufficio senza bussare.
 
 “Rebecca”
 
 “Bob?” chiese lei, sorpresa.
 
 “Cos’è successo in sala d’attesa poco fa?” chiese Bob, sospettoso.
 
 “Niente, perché?” chiese la Hurley, abbozzando un sorriso, ma Bob non se la bevve.
 
 “Ti ho vista, mentre parlavi con i due ragazzi. Eri palesemente nervosa, e ti conosco fin troppo bene da sapere cosa ti passa per la testa, quando fai così”
 
 La dottoressa Hurley smise lentamente di sorridere, dopodiché sospirò.
 
 “Hai visto la radiografia al torace della paziente?”
 
 “Sì… perforazione della quarta costa sinistra e pneumotorace con collasso del polmone sinistro. Quindi? È un quadro tipico”
 
 “Sicuramente, se non fosse per un piccolo dettaglio: nonostante lo pneumotorace, la ragazza respirava ugualmente. O meglio, non aveva dispnea o altri segni di soffocamento, nonostante il suo polmone sinistro fosse totalmente inutilizzabile” disse la Hurley.

Bob corrucciò le sopracciglia. “Sai che non si tratta di una paziente comune, vero?”
 
 “Sì, lo so, ma non è questo che mi incuriosisce. Vorrei cercare di capire più a fondo questa condizione”
 
 “Rebecca… ne abbiamo già parlato” l’ammonì Bob, ma la Hurley scosse il capo.
 
 “No, Bob… sai che per me è importante. Ad ogni modo stai tranquillo, voglio solo fare degli esami più approfonditi. Tutto qui” concluse la dottoressa. Bob si guardò attorno, quasi come se cercasse aiuto per farle cambiare idea, ma alla fine si arrese, sbuffando.
 
 “Falle firmare il consenso informato” disse, per poi lasciare l’ufficio.
-----o-----

La dottoressa Hurley autorizzò Trent e Valerie a fare visita ad Aqua circa mezz’ora dopo. La ragazza era stesa sul lettino, con una flebo di soluzione fisiologica attaccata al suo braccio destro e il petto avvolto da una fasciatura di garza, sotto la quale era visibile una grossa medicazione al lato sinistro. Il suo sguardo era rivolto al soffitto, immobile.

I due fratelli presero posto vicino al suo letto, ma non riuscivano a trovare parole di conforto. L’aria che si respirava nella stanza era dannatamente pesante.
 
 “La dottoressa che ti ha operata sembra essere davvero in gamba” disse improvvisamente Valerie.
 
 “Non sono sicura di averla riconosciuta. Dopo l’anestesia, era tutto confuso” disse Aqua, con voce debole.
 
 “Immagino…” rispose Valerie, rammaricata.
 
Seguì una pausa imbarazzata, che fu Aqua ad interrompere.
 
 “Suppongo abbiano già comunicato alla radio la mia evasione” disse, sempre fissando il soffitto.
 
 “Ci tieni davvero a saperlo?” disse Trent, tetro. “Tanto non cambia nulla”
 
 “Cambia per me” rispose Aqua, con una leggera alterazione della sua voce.
 
 “Aqua, hai rischiato di morire, adesso basta con questa storia. Sarà la polizia a pensarci” disse Valerie, cercando di farla ragionare.
 
 “La polizia…” disse debolmente Aqua, con tono sarcastico. “Per favore, non fatemi ridere, o rischio di far riaprire i punti di sutura”
 
 Trent e Valerie ammutolirono. Era evidente che Aqua fosse troppo demoralizzata da quanto accaduto. Per fortuna, la porta della stanza si aprì ed entrò la dottoressa Hurley, risparmiando loro l’onere di continuare la conversazione.
 
 “Allora, come va la ferita?” chiese ad Aqua.
 
 “Stavo meglio quando non ce l’avevo” disse Aqua, fissando la Hurley con la coda dell’occhio. La dottoressa emise uno sbuffo divertito, mentre giocherellava con una boccetta di fisiologico tra le dita.
 
 “Lei sarebbe…?”
 
 “Sono la dottoressa Rebecca Hurley, primario del reparto di Medicina d’urgenza e Pronto soccorso. Ho preso io in incarico il suo intervento”
 
 “Ah, quindi è lei quella che mi ha preso a schiaffi per svegliarmi dall’anestesia…” disse Aqua, alzando le sopracciglia. La dottoressa rise, dopodiché si rivolse a Trent e Valerie.
 
 “Ragazzi, se non vi dispiace dovrei scambiare quattro chiacchiere con la vostra amica da sola”
 
 “Ehm… riguardo cosa?” chiese Valerie, perplessa.
 
 “Oh, tranquilli, devo solo parlarle dell’esito dell’intervento e la prognosi, nulla che non riferirò anche a voi dopo” disse la Hurley con tono leggero, tradito nuovamente da gesti di nervosismo, che Aqua notò.
 
 “Come vuole. Aspettiamo in sala d’attesa, allora” disse Trent. La Hurley annuì, dopodiché i due fratelli abbandonarono la stanza, lasciandola da sola con Aqua. La dottoressa si avvicinò alla flebo, ormai quasi vuota, e staccò la boccetta di fisiologico.
 
 “Mi hanno detto che necessita di essere reidratata ogni due ore, quindi devo somministrarle altra soluzione fisiologica” disse la Hurley. Aqua si limitò a fissare il soffitto.
 
 “Lei non è qui per discutere con me della mia prognosi” disse improvvisamente.
 
 La dottoressa si immobilizzò, rivolgendole un’occhiata fugace, per poi riprendere ad armeggiare con la flebo. “A voi poliziotti non si può tenere nascosto nulla, vero?”
 
 “Fa parte del lavoro” si limitò a dire Aqua. La Hurley sbuffò.
 
 “Ad ogni modo… sì e no. Nel senso che sono qui anche per quello, ma non è l’unica cosa di cui vorrei discutere con… posso darti del tu?” chiese. Aqua annuì.
 
 “Molto bene… dunque, come penso tu abbia intuito, ti abbiamo rimosso la pallottola che avevi nel torace, ricucito la ferita e fatto una trasfusione per recuperare il sangue che hai perso. Ora sei teoricamente fuori pericolo, ma devi comunque cercare di riposare ed evitare movimenti bruschi per impedire che si riapra la ferita. Normalmente ti farei rimanere ancora un altro paio di giorni, ma la polizia ti ha già dichiarata come fuggitiva alle reti locali, quindi ora hai una duplice accusa sul tuo conto insieme a quella di omicidio, il che rende la tua permanenza qui… problematica”
 
 “Mi sta dicendo che deve consegnarmi alle autorità?” disse Aqua, accigliata.
 
 “Veramente volevo farti dimettere prima del loro arrivo” disse la Hurley facendo spallucce. Aqua si voltò verso di lei, confusa.
 
 “Non mi va che un innocente venga condannato ingiustamente, soprattutto dopo quello che ha passato” continuò la dottoressa.
 
 “E lei come fa a sapere che io sia innocente e la polizia non abbia ragione?” chiese Aqua, sospettosa.
 
 “Ho i miei motivi” replicò la Hurley, ma ad Aqua non sembrò bastare come risposta. La dottoressa finì di sostituire la fiala di fisiologico, dopodiché prese posto su una delle due sedie su cui si trovavano Trent e Valerie poco fa.
 
 “Ricordi la rapina alla City National Bank cinque anni fa?” chiese la Hurley.
 
 “Certo… tre rapinatori armati e una donna come ostaggio. Riuscimmo a sventare la rapina e salvare la donna accerchiando i rapinatori prima che riuscissero a fuggire. Perché me lo chiede?”
 
 “Perché,” continuò la dottoressa, “quella donna presa in ostaggio era mia madre”. Aqua la fissò, sorpresa.
 
 “Forse sono troppo ingenua, ma non riesco a immaginare che la stessa poliziotta che ha salvato la vita a mia madre possa essere diventata un’assassina. Non me la bevo. Sono sicura che in qualche modo ti abbiano incastrata. Ecco perché non posso accettare che ti catturino” concluse la Hurley. Aqua non rispose, ma era sinceramente colpita dalla dottoressa.
 
 “Ora, come ho già detto, normalmente richiederesti due giorni di degenza, tuttavia la polizia sta già perlustrando il perimetro del commissariato, e non ci vorrà molto prima che si spinga altrove e cominci a perquisire anche gli ospedali limitrofi, visto che hai riportato una brutta ferita, per cui la mia intenzione è quella di farti lasciare quest’ospedale stanotte stessa. Ovviamente distruggerò i tuoi referti e negheremo che sei passata di qua”
 
 Aqua inarcò un sopracciglio. “Si sta esponendo più di quanto dovrebbe, dottoressa. Non sono mica stata condannata a morte”
 
 “Tu dici? Ti ricordo che tecnicamente tu non sei più “umana”, non nel senso legale del termine, almeno… non hai più neanche le impronte digitali. Quindi non abbiamo la certezza di come applicheranno il Codice penale su di te, e potrebbero essere molto meno indulgenti di quanto crediamo” le fece osservare la Hurley.

Aqua ammutolì: non aveva pensato a questa evenienza.
 
 “Ah, c’è un’altra cosa” continuò la dottoressa. “Prima di operarti, ti abbiamo sottoposta a delle indagini di primo livello, roba di routine ovviamente. Ciò che è interessante, tuttavia, è l’esito che ne è uscito, in particolare dalla radiografia del tuo torace”
 
 “Cioè cosa?” chiese Aqua, preoccupata.
 
 “Allora, credo tu sappia cosa sia uno pneumotorace. In pratica è il passaggio dell’aria esterna nella gabbia toracica a seguito della formazione di un foro nella parete, una condizione che porta a far collassare il polmone, schiacciato dalla pressione dell’aria esterna. Questo è ciò che ti è successo, eppure… non stavi soffocando. Non saprei come spiegartelo, per il quadro che avevi non dovevi nemmeno essere in grado di respirare, eppure stavi bene, il tuo sangue era ossigenato a sufficienza e non avevi sintomi da soffocamento” disse la Hurley, sorpresa delle sue stesse parole.
 
Aqua era perplessa. Stando alle parole della dottoressa, era come se fosse un morto che cammina, e non le era chiaro se ciò fosse un bene o un male.
 
“Quando, poi, i tuoi amici mi hanno detto che necessiti di essere idratata ogni due ore, una lampadina si è accesa nella mia mente. La mia teoria è che i tuoi polmoni non siano più il mezzo principale con cui respiri, ma l’acqua, e questo spiegherebbe come mai anche con un polmone collassato tu stessi relativamente bene, finché idratata”
 
 “Quindi mi sta dicendo che ho i polmoni ma è come se non li usassi?” chiese Aqua, che sembrava iniziare a capire finalmente.
 
“In sostanza, sì. Deve esserci qualcosa nella tua pelle che le permette di ottenere l’ossigeno dall’acqua, bypassando la respirazione polmonare in qualche modo. Quando sei disidratata, probabilmente, i tuoi polmoni tentano di riprendere la loro funzione originale, ma non ci riescono. Vorrei cercare di capire perché” concluse la Hurley.
 
 “E come mai le interessa scoprirlo?” replicò l’ex poliziotta.
 
 “Ecco… diciamo che ho una mezza teoria su quale sia il meccanismo preciso e, se riuscissi a scoprirlo con certezza, potrei anche trovare una possibile cura… niente di trascendentale!” Alzò subito le mani alla vista di Aqua, che aveva spalancato gli occhi. “Si tratterebbe solo di una terapia per permetterti di respirare anche fuori dall’acqua, perché ovviamente non posso invertire quello che ti è successo, qualunque cosa sia. Ho bisogno di meno di quanto pensi: una biopsia alla tua cute e ad un polmone, poiché ho già il tuo sangue dall’emocromo che ti abbiamo fatto prima di operarti e, purtroppo, non abbiamo tempo per un’indagine genetica. Tuttavia, potresti raccontarmi nel dettaglio cosa ti è accaduto di preciso, visto che molto probabilmente si è trattato di un incidente e non ti è semplicemente venuta voglia di fare il cosplay della Sirenetta”
 
 Aqua scoppiò a ridere, ma il dolore della ferita la interruppe. La dottoressa Hurley si avvicinò a lei, apprensiva.
 
 “No, non si preoccupi, sto bene” la tranquillizzò Aqua. “Tutto qui?”
 
 “Beh… sì. Non posso fare granché, non essendo una ricercatrice, però posso perlomeno restituire un minimo di normalità alla tua vita, per quanto possibile. Non è una garanzia, ma…” disse la dottoressa, abbozzando un sorriso, sebbene sapesse che non era molto come soluzione.
 
 Aqua non rispose subito, ma impiegò qualche secondo ad assimilare le parole della Hurley. Da quando aveva subito la mutazione, la sua vita poteva a stento essere definita come tale. Non poteva più camminare, non poteva più mostrarsi al mondo e, soprattutto, era costretta a vivere dipendendo dall’acqua, pena la morte certa.

Non avrebbe mai più riavuto ciò che aveva prima, ma… un barlume di normalità, qualcosa che potesse permetterle di vivere senza la paura di morire e dover rimanere negli abissi in eterno, era più di quanto sperasse.
 
 “Posso capire se hai paura, si tratta pur sempre di un’incognita, quindi se non v…“
 
 “Accetto” disse Aqua, decisa.
 
 “Cos… ne sei sicura?” disse la Hurley, spiazzata.
 
 “Assolutamente sì, dottoressa. Se esiste anche solo una possibilità, sono disposta a rischiare”
 
 La dottoressa sorrise. “Molto bene, allora. Ti farò firmare un documento per il consenso e poi effettueremo le biopsie. Faranno un po’ male, devo avvisarti”
 
 “Ci sono abituata” disse Aqua, ironica.
 
-----o-----

Aqua fu dimessa come d’accordo e Trent e Valerie vennero messi al corrente dalla Hurley su ciò che lei e la ragazza si erano dette in loro assenza, dopodiché la riportarono alla grotta. Appena arrivati lì, la ragazza si sedette sul bordo della pozzanghera e immerse la coda, sospirando.
 
 “Ti fa ancora molto male la ferita?” chiese Trent.
 
 “È sopportabile” disse Aqua, muovendo il braccio sinistro, come per testare la sua soglia del dolore. “In servizio ho subito ferite peggiori, anche se in quel caso i soccorsi arrivavano quasi subito”
 
 “Dai, tutto sommato sono stati rapidi. La dottoressa Hurley è davvero brava, raramente ho visto medici così” disse Valerie. Aqua annuì, ripensando alla sua conversazione con la Hurley.
 
 “Mi dovete scusare se sono stata fredda con voi, mentre eravamo in ospedale… ero ancora scossa per quanto accaduto in carcere” disse Aqua.
 
 “Lo abbiamo immaginato, tranquilla” disse Trent, scuotendo la testa. “Credi che la dottoressa riuscirà davvero a trovare quella cura di cui ti ha parlato?”
 
 “Non ne ho idea,” disse Aqua, “ma da come ne ha parlato, pare che abbia già le idee chiare. Non ne capisco molto di queste cose, quindi mi affido alla sua preparazione”
 
 “Avete parlato per un bel po’, ora che ci penso” osservò Valerie, e un dubbio affiorò nella testa di Aqua.
 
 “Valerie… che ore sono adesso?” domandò, preoccupata.
 
 Valerie tirò fuori il suo smartphone dalla tasca e controllò l’orario, per poi sbiancare lentamente.
 
 “…le due e dieci” disse, con un filo di voce.
 
“COSA FATE ANCORA QUI??” urlò Aqua, allarmata. “I vostri genitori vi ammazzeranno, tornate subito a casa!”
 
 Trent e Valerie non se lo fecero ripetere due volte. Si alzarono e si misero in cammino ma, prima di lasciare la grotta, Valerie si voltò verso Aqua.
 
 “Aqua!”
 
 “Cosa?”
 
 Valerie le lanciò un oggetto bluastro di plastica, che Aqua prese al volo, scoprendo che si trattava di un vecchio Nokia 3310.
 
 “Ci sono i nostri numeri salvati nella rubrica, se hai bisogno! Ci sentiamo domani!” esclamò Valerie, per poi scappare via insieme a Trent. Aqua li guardò allontanarsi, con ancora il telefono tra le mani, e un sorriso lo comparve sul volto.

Per la prima volta, dopo tre anni, si sentiva di nuovo parte di una famiglia.
 

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Capitolo 8
*** Cluster ***


Capitolo 8 – Cluster
 
Erano le 22:15, e Oliver Ursine era ancora intento a svolgere i suoi esperimenti sul generatore di onde elettromagnetiche. I suoi test finora erano stati alquanto infruttuosi, poiché l’unica cosa che era riuscito a comprendere era come innescare un blackout istantaneo che colpisse l’intero palazzo. Purtroppo, il generatore non possedeva comandi a distanza o regolatori, era un meccanismo di tipo on-off che poteva essere avviato solo dal pannello dell’ordigno stesso.

Stremato dai test, Ursine decise di concedersi una pausa, per cui prese posto alla sua scrivania e accese il suo notebook.

Piuttosto che sfogliare le notizie di cronaca, ormai infestate dall’evasione di Sanderson, preferì consultare alcuni vecchi dati che aveva raccolto dai siti del governo settimane fa. Collegò, quindi, una pendrive al notebook e aprì un file di testo, scorrendolo passivamente.

All’interno del file c’erano abbastanza informazioni per scatenare una nuova Guerra Fredda. I test condotti dal governo su prototipi mai rivelati al pubblico, sia civili che bellici, erano interminabili.
Ursine trattenne un moto di disgusto. Tutto quel potere illegittimo nelle loro mani era inconcepibile, così come riteneva inconcepibile che all’intera popolazione stesse bene.

Ammesso, ovviamente, che la popolazione ne fosse a conoscenza.

L’uomo sospirò. Ormai aveva ben chiaro il da farsi, e presto il suo piano avrebbe preso vita. L’unico modo per porre fine a quel circolo vizioso di gente ipocrita e governi corrotti era innescare un conflitto tra entrambe le parti, e il primo passo per riuscirci era tirare fuori il peggio delle persone, in modo da costringere le istituzioni a sopprimerle.

Il suo flusso di pensieri si interruppe alla vista di una sezione del file che non aveva mai notato prima.
 
 Prototipo di esoscheletro matr. AX3430007H

Data di produzione: XXXXXXX

Luogo di produzione: XXXXXXX

Specifiche: INVERTITORE E MODULATORE DI CAMPI MAGNETICI ADIBITO A DISPOSITIVO DI PROTEZIONE INDIVIDUALE PER LAVORI PRESSO CENTRALI ELETTRICHE

Ingegnere incaricato: DR. DAVID NORMAN

Stato del dispositivo: SCONOSCIUTO
 
Ursine rilesse il fascicolo almeno tre volte, soffermandosi in particolare sulla voce “Modulatore di campi magnetici”. Forse aveva trovato ciò di cui aveva bisogno.

L’uomo si alzò, frugò in una valigetta degli attrezzi e tirò fuori una tronchese e uno strano dispositivo dotato di display, dopodiché si avvicinò al generatore, tagliò uno dei suoi fili e collegò manualmente i monconi di rame al dispositivo. Accese il generatore e pigiò alcuni tasti sul dispositivo, notando con soddisfazione che il generatore non si avviò ma, al contrario, alcuni numeri apparvero sul display che aveva appena collegato.

Ursine premette un altro tasto, facendo attivare il generatore ad una frequenza debolissima. L’ordigno iniziò a tremare e ad emettere un suono simile a quello di un hard disk in movimento, mentre le luci della stanza iniziarono a sfarfallare, il display del notebook venne pervaso da glitch grafici e dagli altoparlanti dello stesso partirono dei suoni assordanti. Accigliato, il terrorista schioccò le dita, e poté sentire un altro schiocco, ancor più forte, partire dagli altoparlanti, per cui dedusse che si trattava di una versione amplificata dei suoni che avvenivano attorno al generatore stesso.

Un debole sorriso apparve sul volto di Ursine. Sembrava che ormai il dado fosse tratto. Un ultimo equipaggiamento, e nulla lo avrebbe più fermato dal conseguimento del suo piano.

Presto, Atlantic City si sarebbe annichilita con le sue stesse mani.
 
-----o-----

 “…in punizione?” chiese Aqua, con una punta di colpevolezza nella voce.
 
 “Sì, ci hanno proibito di usare l’auto per un mese. Prevedibile, ma che possiamo farci?” disse Valerie dall’altro lato della chiamata, un po’ seccata.
 
 “Diamine, mi dispiace davvero…”
 
 “Non dirlo neanche per scherzo, meglio un mese senza auto che avere te morta dissanguata… ah, tra parentesi, scusa se il telefono che ti abbiamo dato è un… fossile. Abbiamo rovistato tra quelli abbandonati dei nostri genitori, e questo era l’unico ancora funzionante” disse Valerie.
 
 “Fa nulla, almeno so che la batteria durerà a lungo” replicò Aqua, sorridendo suo malgrado.
 
 “Oh, poco ma sicuro, anche perché non credo tu abbia prese elettriche nella grot…” disse Valerie, interrompendosi al suono di alcune voci in lontananza che Aqua non riuscì a decifrare. “Mi sta chiamando mia madre, devo attaccare. Cercheremo di venire da te il prima possibile, appena ci liberiamo”
 
 “Non stuzzicate ulteriormente i vostri genitori” la avvertì Aqua, per poi agganciare.
 
 La ragazza sospirò, ripensando agli eventi della scorsa notte. Era riuscita ad evadere e ad uscirne viva quasi per miracolo, anche se le rodeva aver coinvolto per l’ennesima volta Trent e Valerie. Si toccò istintivamente la medicazione, al pensiero di come sarebbe potuto andare a finire se non l’avessero ritrovata in acqua.

In più, adesso il mondo intero sapeva di lei e della sua fuga, il che la rendeva un bersaglio mobile e complicava ulteriormente il suo obbiettivo di fermare Ursine.
 
 Un’idea le balenò nella testa. Esplorò il menu del Nokia, finché non trovò la funzione “Radio”, e la attivò.
 
 “…ancora nessuna traccia della fuggitiva Aqua Sanderson, evasa di prigione questa notte e scomparsa senza lasciare tracce. Le autorità dichiarano che la fuggitiva aveva riportato una ferita d’arma da fuoco, tuttavia non è stato trovato il suo corpo dopo aver perlustrato tutto il versante costiero, e il personale del New Jersey Hospital ha confermato di non aver visto passare nei loro reparti la fuggiasca o di averle prestato assistenza…”
 
 “Grande, dottoressa!” esclamò Aqua, con un sorrisetto.
 
 “…contano di riuscire comunque a trovare la Sirena Killer, considerata la minaccia che rappresenta per la comunità. La fuggitiva, infatti, porta su di sé l’accusa di omicidio del commissario Stephen Hardy, ritrovato morto a seguito di un colpo di pistola sulla fronte. Sanderson non ha confessato di aver commesso l’omicidio, ma dopo la sua evasione…”
 
 Aqua spense la radio per evitare la nausea a seguito di ulteriori calunnie sul suo conto, dopodiché posò il Nokia. Nel farlo, il suo sguardo si posò sul medaglione che teneva ancora legato al polso destro. La ragazza lo avvicinò a sé e lo aprì, per guardare meglio la foto al suo interno.
 
 La foto era stata scattata il giorno in cui entrò a far parte del corpo di polizia. Ritraeva lei, al centro, in divisa, mentre ai suoi lati vi erano i suoi genitori, un po’ più giovani ma comunque felici e fieri di lei. Sembrava trascorsa una vita, da allora.
 
 Aqua avrebbe tanto voluto rivederli, anche un’ultima volta, ma sapeva bene quanto fosse pericoloso, senza contare che molto probabilmente i suoi genitori non avrebbero neanche avuto il coraggio di incontrarla, in quelle condizioni.

La ragazza non poté fare a meno di chiedersi se avessero creduto o meno alle accuse sul suo conto. Probabilmente, ora si starebbero vergognando di lei.
 
 Aqua socchiuse gli occhi e strinse forte le mani al punto da far scrocchiare le dita, mentre una rabbia cocente le montava dentro, quando un rumore di passi in lontananza interruppe i suoi pensieri.
 
 “Aqua?”
 
 “Sono qui, ragazzi” rispose la ragazza, dopo aver riconosciuto la voce di Trent. I due fratelli la raggiunsero, affannati. Era palese che fossero venuti a piedi.
 
 “Scusa il ritardo, ma non è stato facile trovare una scusa per venire” disse Trent, con il fiatone. “Come va la ferita?”
 
 Aqua fece spallucce. “Ormai è quasi indolente. Non era necessario venire, comunque, soprattutto se avete dovuto farlo a piedi” li rimproverò.
 
 “Camminare ci farà bene, ma non andrò a mentire: senza automobile non sarà facile, d’ora in poi” disse Valerie con una smorfia, sedendosi all’altro lato della pozzanghera. Trent alzò un sopracciglio, guardandola sospettoso.
 
 “Perché? Cosa dovevi farci con l’auto?”
 
 “Beh… aiutare Aqua, no?” disse Valerie, evitando lo sguardo del fratello.
 
 “Sicura?”
 
 “Eh? Sicura, certo!”
 
 “Guarda che ti ho vista dopo la lezione l’altro ieri, mentre parlavi con Steve. Vi siete dati appuntamento?”
 
 La faccia di Valerie diventò lentamente paonazza, finché non esplose.
 
 “Anche se fosse, che male c’è?” sbottò.
 
 “Nulla, assolutamente” disse Trent, alzando le mani con finta noncuranza. “Però, se proprio dovevi sceglierne uno, tanto valeva optare per un ragazzo motorizzato”
 
 “Sì, la fai facile, tu! Per una volta che un ragazzo non mi tratta come lo zimbello del corso e mi dà una possibilità, tu ti metti pure a fare lo schizzinoso” replicò Valerie. “Fin troppo comodo, quando hai successo con la gente… voi non potete capire che significa vivere da emarginati…”
 
 “Ah, no?” disse improvvisamente Aqua, fredda.
 
 Valerie si rese conto di aver detto qualcosa di immensamente stupido. “Oddio, Aqua, non mi riferivo a te… certo che lo capisci, io… sono un’idiota…” disse, impacciata.
 
 “Fa nulla, tranquilla” rispose Aqua, con tono piatto. “Cambiando discorso… ora che la situazione si è calmata, vorrei approfittarne per attuare il piano che avevo in mente contro Ursine”
 
 Valerie e Trent deglutirono. Anche se ingenuamente, speravano ancora che Aqua si fosse arresa.
 
 “Aqua, ne sei veramente sicura?” disse Trent, cauto.
 
 “Vi ho già detto che sono l’unica in grado di fermare quel pazzo. La polizia è talmente impegnata a darmi la caccia da essersi dimenticata che c’è un terrorista a piede libero e con un’arma ad alta tecnologia. Chi dovrebbe occuparsene?”
 
 “Sta diventando un’ossessione per te, Aqua. Pensaci bene” disse Valerie, guardandola preoccupata.

Aqua la osservò, rivivendo un dejà vu di quando sua madre le disse la stessa cosa, tre anni prima. Quel ricordo rafforzò ancor di più la sua volontà di attuare il piano che aveva in mente.
 
 “Ci ho già pensato a sufficienza, Valerie. A dire il vero, è da quando mi trovavo in carcere che lo sto mettendo a punto, e stavolta dovrebbe andare tutto liscio”
 
 “Ehm… sicura?” chiese Trent, poco convinto. “Non vorrei sbucassero altri droni di Ursine”
 
 “So quel che faccio, tranquilli” disse Aqua, alzando una mano. Trent e Valerie non erano ancora del tutto sicuri, ma smisero di protestare.
 
 “Allora… sul versante costiero, a circa 100 metri dal molo, vive un ex detenuto, rilasciato quattro anni fa per buona condotta. Fu arrestato per hacking illegale, commercio di armi sul Deep Web e cyberfrode aggravata, ma quando fu preso vuotò il sacco e fece nome e cognome di tutti i suoi complici e acquirenti, il che velocizzò la sua scarcerazione. Il suo nome è Vincent Taylor, ma nei suoi anni d’oro si faceva chiamare con il nomignolo di ‘Cluster’.
Da allora, che io sappia, non ha più avuto altri problemi con la legge, ma fonti a noi vicine ci dissero che stava continuando ad effettuare acquisti da alcuni commercianti esteri, in particolare apparecchiature tecnologiche provenienti dalla Cina. Tutta roba pulita, stranamente, anche se non abbiamo mai capito cosa volesse farne. Sospettavo che stesse per rimettersi in attività illegali, ed ero anche pronta ad iniziare altre indagini su di lui, ma subito dopo venne Ursine, e le nostre priorità cambiarono. Poi, tre anni fa, è successo quel che è successo, e…” disse, indicandosi la coda con una smorfia.
 
 “Quindi credi che abbia ripreso a trafficare?” chiese Trent.
 
 “Non ne ho la certezza, ma l’esperienza mi insegna che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Una cosa è sicura: Ursine non acquista da lui. Le nostre indagini non hanno mai fatto saltar fuori possibili collegamenti tra i due criminali, senza contare che Taylor è talmente vigliacco da tenersi alla larga dai pezzi grossi del terrorismo. Probabilmente Ursine non avrebbe nemmeno avuto bisogno di rubare il generatore, se avesse avuto Taylor come fornitore, il che mi garantisce un margine di tranquillità nel parlargli”
 
 Trent si accigliò. “Parlargli? E di cosa?”
 
 “Dal momento che ormai Ursine ha il generatore e non c’è modo di rintracciarlo -almeno finché non lo userà per qualsivoglia attacco- è fondamentale trovare un modo per rendere inoffensivo quell’arnese. Non ne conosco il reale potenziale distruttivo, ma non possiamo sperare di fermare Ursine senza prima privarlo della sua arma principale. Taylor potrebbe darci una mano in questo compito” concluse Aqua.
 
 “E tu dai per scontato che accetti?” disse Valerie, scettica.
 
 “No,” rispose Aqua, “ma un poliziotto non deve sempre ‘chiedere’, può anche ‘convincere’, se necessario” disse, con una punta di malizia.
 
 Trent e Valerie si scambiarono un’occhiata fugace, dopodiché si alzarono entrambi. “Immagino che ti serva uno strappo, ma al momento non possiamo fisicamente portarti lì” disse Trent, con una punta di amarezza.
 
 “Non ce n’è bisogno, posso arrivare all’abitazione di Taylor via mare. Immagino, però, che sarei un’ingenua a chiedervi di aspettarmi qui” disse Aqua, sorridendo suo malgrado.
 
 “Ursine ha distrutto una delle due barche attraccate al molo, ne resta ancora un’altra che possiamo usare” disse Valerie con semplicità.
Aqua sbuffò divertita, scuotendo la testa alla testardaggine dei due fratelli.
 
-----o-----

La barca superstite del molo era ancora funzionante, il che permise a Trent e Valerie di appropriarsene per raggiungere il luogo indicato da Aqua, mentre la ragazza preferì spostarsi autonomamente via mare in modo da non essere vista. L’abitazione di Taylor si trovava in un quartiere abbandonato, lontano da occhi indiscreti e, stando alle informazioni di Aqua, l’ex hacker trascorreva buona parte del suo tempo in garage. Giunti sul posto, i due fratelli attraccarono la barca e attesero l’arrivo di Aqua, dopodiché, assicuratasi che nessuno li vedesse, Valerie prese la ragazza sulle sue spalle e raggiunsero il garage di Taylor, alla sinistra del quale vi era un citofono con una piccola telecamera a muro sopra di esso. Non vi erano dubbi che il soggetto fosse particolarmente paranoico.
 
 Trent pigiò il pulsante sul citofono ma, dopo un’attesa di qualche secondo, non ebbe risposta. Guardò perplesso Valerie e Aqua, che gli fecero cenno di riprovare. Stavolta, una voce gracchiante rispose dall’altro lato.
 
 “Levatevi dalle palle!”
 
 “Senta, noi volev…” iniziò Trent, ma l’uomo dall’altro lato chiuse il citofono. Il ragazzo emise un verso di stizza.
 
 “Trent, fa’ parlare me, per favore” disse Aqua. Trent si fece da parte e Valerie si avvicinò in modo da permettere ad Aqua di parlare al citofono, dopodiché premette nuovamente il pulsante.
 
 “Allora siete sordi?” sbottò nuovamente l’uomo dall’altro lato del citofono.
 
 “Taylor, aprici la porta del garage, vogliamo solo parlare” disse Aqua.
 
 “Col cazzo che ti apro, Sanderson! Non voglio farmi arrestare per complicità!”
 
 “Potresti finire in galera ugualmente, se non collabori… non vorrai mica farmi sfuggire che stai nuovamente facendo affari illegali con la Cina, spero”
 
 “…come cazzo lo sai?” chiese Taylor, con tono allarmato.
 
 “Affari miei. Adesso apri, o faremo una segnalazione anonima alla polizia” replicò Aqua, minacciosa.
 
 Taylor non rispose, ma borbottò qualcosa di incomprensibile, di cui riuscirono solo a cogliere un “Figlia di” seguito da un’altra parola poco chiara, dopodiché la porta del garage cominciò lentamente a sollevarsi.
 
 “Come facevi a sapere che stava davvero trafficando?” disse Valerie sottovoce.
 
 “Non lo sapevo” rispose Aqua, sempre sottovoce.
 
 Il garage di Taylor era un autentico caos. Oltre alla scarsa illuminazione e l’assenza di finestre, vi era un enorme tavolo centrale invaso da oggetti elettronici di ogni tipo: schermi, tastiere, cavi, telecomandi, telefoni e altra roba irriconoscibile. Inoltre, c’erano solo un paio di sedie, una TV ancorata alla parete sinistra ed una serie di scope e vanghe poggiate al muro. Dall’aria viziata che si respirava era evidente che quel posto non veniva pulito da mesi.
 
 Vincent Taylor si trovava all’altro lato del tavolo, in piedi, con le braccia conserte e un’espressione infastidita. Aveva grossi occhiali rotondi, capelli lunghi e sporchi e una folta barba, il tutto corredato da una camicia hawaiana al di sopra di una canottiera bianca.
 
 “Allora? A cosa devo la visita della Regina di Atlantide?” disse, con tono sarcastico.
 
 “Vivi davvero qui?” disse Aqua, con una nota di disgusto, mentre Valerie la lasciava sul pavimento.
 
 “Beh, dopo che mi avete rovinato la reputazione è un po’ difficile guadagnarsi da vivere, sai com’è…” replicò Taylor, acido. “Sono lontani i giorni in cui ero Cluster, quindi ora sono costretto ad arrangiarmi”
 
 “Non siamo stati noi ad obbligarti a sporcare la tua fedina” rispose Aqua, incrociando le braccia.
 
 “Non farmi la morale, Sanderson! All’epoca potevo anche essere invischiato con cybercriminali, ma ormai ho chiuso con quella roba. Adesso tutto ciò che compro è per uso personale”
 
 “Uso personale da commerci illegali?” chiese Aqua, accigliata.
 
 “Hai mai provato a procurarti un pezzo bandito dal territorio americano?” rispose Taylor, sollevando un aggeggio che sembrava un mix tra un sifone e un trasformatore. La ragazza fece roteare gli occhi, annoiata.
 
 “Non mi interessano i tuoi passatempi, sono qui per un altro motivo”
 
 “Beh, hai un gran bel coraggio a venire da me, ora che anche tu hai la fedina sporca”
 
 “Non entrerò nei dettagli di quanto mi è successo, anche perché non credo proprio che mi daresti retta”
 
 “Darti retta? A me non importa nulla se sei innocente o meno, tienimi solo lontano dai guai! Che tu sia veramente un’assassina, un’evasa, una sirena o qualunque cosa che spieghi che fine hanno fatto le tue gambe, tienimi fuori” rispose Taylor, seccato.
 
 “Dovrai fare uno strappo per me, temo, perché ho bisogno del tuo aiuto” replicò Aqua.
 
 Taylor sbuffò. “E perché mai dovrei aiutarti?”
 
 “Fammici pensare… perché potrei spifferare cosa fai, perché mi servi per sventare un attentato imminente, perché la persona in questione potrebbe colpire anche te un giorno, perché altrimenti ti spacco la faccia…” disse Aqua con finta noncuranza, contando ogni punto con le dita. Taylor, di tutta risposta, posò l’arnese sul tavolo, sbattendolo con forza.
 
 “Non dirmi che sei ancora sulle tracce di Oliver Ursine” disse con una nota di disappunto.
 
 “Ha preso un prototipo di generatore di campi elettromagnetici, e probabilmente lo userà per trasformarlo in un’arma” disse Aqua, seria.
 
 “Sì, lo so cos’è, avevo già letto di questo progetto anni fa durante i miei accessi sui siti governativi” rispose Taylor. “E quindi cosa dovrei fare?”
 
 “Beh, visto che sei così esperto di tecnologia, speravo potessi darmi un modo per neutralizzare quell’affare in qualche modo, così da rendere Ursine inoffensivo” concluse Aqua, con semplicità.
 
 Taylor la fissò per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere. “Divertente, davvero…”
 
 “Taylor, ascolta…”
 
 “No, ‘Taylor’ il mio culo, Sanderson!” abbaiò lui, facendo il giro del tavolo e arrivando a pochi centimetri da Aqua, in modo da guardarla negli occhi e puntarle il dito contro. “Io non mi faccio coinvolgere nella tua vendetta personale contro quello psicopatico, ho già rischiato grosso anni fa cantando per voi, adesso non ti permetto di venire qui a chiedermi favori, anche perché non sei neanche nella condizione di minacciarmi, visto che non riesci manco a reggert…”
 
 Prima che Taylor potesse finire la frase, Aqua afferrò fulmineamente una delle scope appoggiate alla parete, la usò per colpire i polpacci dell’ex hacker in modo che cadesse di schiena e lo placcò sul pavimento, schiacciandogli la trachea con l’asta della scopa, il tutto in pochissimi secondi. Trent e Valerie, che per tutto quel tempo erano rimasti in silenzio, sussultarono alla velocità della scena e indietreggiarono di qualche passo, spaventati.
 
 “SO ANCORA CAVARMELA, COME BEN VEDI!” abbaiò Aqua, aumentando la pressione sulla gola di Taylor. “Adesso smettila di farmi perdere tempo con queste stronzate, o giuro che ti faccio marcire in galera!”
 
 “Va bene, va bene, ho capito, ma lasciami prima che soffochi!” boccheggiò Taylor, che stava diventando violaceo. Aqua socchiuse gli occhi e lo fissò per qualche secondo, dopodiché gettò via la scopa, mentre Taylor si girò su di un fianco, tossendo e ansimando. La ragazza si voltò verso i due fratelli, sentendosi vagamente dispiaciuta per aver mostrato loro questo suo lato, dopodiché riportò la sua attenzione su Taylor, guardandolo in cagnesco.
 
 “Allora, cosa hai deciso di fare?”
 
 Taylor si rialzò barcollando, massaggiandosi la gola. “Mettiamo caso che io accetti… che garanzie mi dai?”
 
 “Lasciarti libero e vivo non ti basta?” disse Aqua, inarcando un sopracciglio.
 
 “Non mi riferisco a quello! Se il tuo piano fallisse e Ursine scoprisse che ti ho aiutata, darebbe la caccia anche a me! Voglio la tua parola che questa collaborazione rimanga tra noi, perché non voglio avere niente a che fare con quel pazzo!”
 
 “Esistono gerarchie tra criminali?” chiese Trent, perplesso. Taylor si voltò di scatto verso di lui, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.
 
 “E tu che cazzo vuoi?”
 
 “Loro sono con me, Taylor” disse Aqua, minacciosa. Taylor emise un verso di stizza, ma si calmò.
 
 “Non è una questione di gerarchie… Ursine si è guadagnato il terrore anche degli altri criminali, per via della sua… instabilità. Non è quel genere di persona con cui puoi scendere a patti, dipende sempre se gli servi o meno. Io ero un pesce piccolo, quindi non sono mai finito nella sua rete, e soprattutto non sono un assassino come lui, Sanderson può confermarlo”
 
 “Questo è vero” gli concesse Aqua.
 
 “Quindi rispetterai le mie condizioni?” chiese Taylor.
 
 “Solo se rispetterai le mie” rispose Aqua, guardandolo negli occhi. L’ex hacker mantenne il contatto visivo per qualche secondo, in silenzio, dopodiché si voltò verso il suo tavolo, frugando tra la miriade di componenti elettronici.
 
 “Allora, quell’affare può generare un campo magnetico di almeno 15 Tesla, da quel che so. Contrastarlo è letteralmente impossibile, ci vorrebbero strumenti di polarità opposta e con la stessa intensità, e non ne abbiamo. L’unica cosa su cui posso agire è il meccanismo di attivazione stesso. Che io sappia, non aveva un’interfaccia o dei controlli manuali, e dubito che Ursine lo comanderà da remoto, considerato quanto pesi quell’affare. Sarebbe una zavorra enorme da portare in giro e lo renderebbe un bersaglio facile. Molto più logico che utilizzi il controllo a distanza, ed è su quello che dobbiamo agire”
 
 “E se lo attivasse da vicino?” chiese Aqua.
 
 “Prega che non lo faccia, altrimenti siamo fottuti” rispose Taylor con una smorfia. “Le implicazioni offensive di quell’affare sono enormi, basta un qualunque oggetto metallico o digitale ed ecco che lui potrà usarlo a suo favore”
 
 “In che senso?” domandò Valerie, preoccupata.
 
 “Hai mai provato a farti una risonanza magnetica con un oggetto metallico in corpo?” le chiese Taylor. Valerie non rispose, e non ci teneva a saperlo.
 
 “Tornando a noi, posso realizzare un disturbatore che interferisca con l’attivazione a distanza. Non posso agire sui campi magnetici, perché quelli emessi dal generatore lo sovrasterebbero, quindi devo optare per gli infrarossi. Se tutto va bene, Ursine non dovrebbe essere in grado di attivare quell’affare a distanza, anche se dovrete essere fisicamente presenti sul posto” concluse Taylor.
 
 “Benissimo” disse Aqua, incoraggiata. “Quanto tempo ti serve?”
 
 “Almeno 24 ore”
 
 “24 ore??? Taylor, Ursine può colpire da un momento all’altro!”
 
 “Oh, ma guarda, Ariel sa usare la logica! C’è bisogno che me lo dica tu??” sbottò Taylor, infastidito. “Non posso fare più in fretta di così, non so su che frequenza operi quell’affare, quindi devo trovare una soluzione universale con i pezzi che ho a disposizione”
 
 Aqua si morse il labbro. Era una magra consolazione, ma non avevano piani migliori. “E va bene, prenditi il tempo che ti serve, ma non più di un giorno. Domani ripasseremo a controllare se questo disturbatore è pronto, chiaro?”
 
 “Sissignora” sbottò Taylor, alzando gli occhi al cielo. “Ora, col vostro permesso, dovrei lavorare”
 
 Aqua si imbronciò, dopodiché si voltò verso i due fratelli. Valerie annuì, capendo che era ora di andare, e riprese Aqua sulle spalle, dopodiché il trio si allontanò dal garage di Taylor.
 
 “Posso dire che Taylor è un po’ un…” iniziò Trent.
 
 “…un coglione?” rispose Valerie, con tono funebre.
“Non sei solita usare questo linguaggio” osservò Aqua. “Comunque, questo è il meglio su cui possiamo contare adesso, quindi cerchiamo di non essere esigenti”
 
 Valerie stava per risponderle, quando il suono della vibrazione del suo cellulare la interruppe. Trent le tirò fuori il telefono dalla tasca.
 
 “È la dottoressa Hurley!” disse, leggendo il display.
 
 “Passamela” rispose Valerie, e suo fratello le poggiò il telefono sull’orecchio destro.
 
 “Pronto?”
 
 “Valerie? Sono la dottoressa Hurley. Ti disturbo?”
 
 “Assolutamente no, dottoressa, mi dica”
 
 “Ho delle novità in merito alla terapia sperimentale di cui avevo parlato ad Aqua. Potete raggiungermi in ospedale in giornata?”
 
 “Ehm… ecco… in verità, dottoressa, siamo momentaneamente senza auto, quindi siamo impossibilitati a muoverci” disse Valerie, amareggiata.
 
 “Oh, non c’è problema, posso venire anche io da voi. Ditemi solo dove”
 
 “Eh? Ah, certo… può raggiungerci al grande scoglio vicino al molo” rispose Valerie, spiazzata.
 
 “Il grande scoglio, capito. Cercherò di raggiungervi quanti prima. A presto” disse la dottoressa, per poi riagganciare.

Sia Trent che Valerie fissarono Aqua, che aveva ascoltato la conversazione e stava guardando un punto fisso nel vuoto, in silenzio.
 
 “Aqua, vuoi…”
 
 “Andiamo allo scoglio” rispose la ragazza, con tono meccanico. I due fratelli si guardarono, per poi dirigersi verso la loro barca.
 
-----o-----

Una volta giunti alla grotta, il trio attese un quarto d’ora, dopodiché la dottoressa telefonò nuovamente Valerie in modo da farsi guidare verso il luogo preciso. La ragazza si allontanò, per poi tornare poco dopo insieme alla Hurley, la quale era vestita in abiti informali e aveva tra le mani un grosso scatolo bianco.
 
 “Scusatemi, ho cercato di liberarmi quanto prima. Quindi… è qui che vivi?” chiese, guardandosi attorno.
 
 “Non è casa ma è casa” fece spallucce Aqua. La dottoressa posò lo scatolo a terra, dopodiché si accovacciò alla destra della ragazza, mentre Trent e Valerie seguivano la conversazione in religioso silenzio.
 
 “Come va la ferita? Mi auguro tu non abbia fatto movimenti bruschi”
 
 “Assolutamente no” mentì spudoratamente Aqua. La dottoressa non voleva certo sentirsi dire da lei che aveva tentato di soffocare un uomo con una scopa.
 
 “Se lo dici tu… in ogni caso, sono qui per portare buone nuove riguardo le mie indagini” La dottoressa inspirò prima di continuare. “Partiamo dal principio: le biopsie che ti ho chiesto. Diciamo che i referti sono stati… interessanti. Cercherò di dirtelo in parole povere, ma non è del tutto semplice, visto che la tua è una condizione assolutamente unica.
 La tua pelle è pressoché identica a quella di un essere umano normale, ma al microscopio ho notato la presenza di molti pori che si approfondano fino al derma, cioè lo strato di pelle dove sono presenti i capillari. Sono abbastanza certa che sia tramite quei pori che tu assorba l’acqua, e la vicinanza con i capillari mi fa credere che il tuo sangue catturi l’ossigeno presente nelle sue molecole, forse la tua emoglobina è mutata, ma è difficile dirlo, visto che dall’emocromo i parametri sono tutti normali. Quello che, però, mi ha colpita è la biopsia polmonare. Sembrerebbe che i tuoi alveoli siano ancora intatti, solo che le loro cellule sono mutate in modo che producano molto più muco del previsto. In sostanza, è come se avessi una sorta di fibrosi cistica” concluse la Hurley.
 
 “Non ci ho capito molto, ma se ho ben inteso, i miei polmoni funzionano ancora, hanno solo questo… muco, giusto?” chiese Aqua, incerta.
 
 “Precisamente. Credo che l’ossigeno presente nell’aria sia ancora utilizzabile dal tuo sangue, ha solo un’affinità maggiore per quello presente nell’acqua, un po’ come il monossido di carbonio che ha affinità maggiore rispetto all’ossigeno libero. Serve solo riattivare la respirazione polmonare”
 
 La dottoressa aprì la scatola che aveva portato e, dopo avervi frugato al suo interno, tirò fuori una fialetta con dentro un liquido trasparente.
 
 “Questo è un mucolitico ad alta concentrazione, ti ho praticamente prescritto come off-label i farmaci della fibrosi cistica. Unico neo: vanno assunti continuamente, mentre ti trovi in superficie, ma l’autonomia che ti garantiscono va ben oltre le tue attuali due ore, e -soprattutto- non devi rinunciare alla respirazione subacquea” disse, porgendo la fialetta ad Aqua. La ragazza contemplò il farmaco tra le sue mani, senza dire una parola.
 
 “Lo so, non è un granché come soluzione, avrei preferito anche io trovare una cura definitiva, ma anche per la fibrosi cistica ci sono ancora indagini in corso. Forse, con un po’ di tempo in più, un giorno potremo trovare di meglio…” tentò di scusarsi la Hurley.
 
 “Dottoressa” la interruppe Aqua, senza alzare lo sguardo.
 
 “Sì?”
 
 “…grazie” fu l’unica cosa che la ragazza riuscì a dire.

La Hurley la fissò per qualche secondo, dopodiché sorrise, stringendole la mano. Trent e Valerie rimasero colpiti dall’umanità della dottoressa.
 
 “Ti ho lasciato una scorta sufficiente per mesi” disse la Hurley, alzandosi. “Non so quanto ti vorrai trattenere fuori dall’acqua, nel caso terminassero fammi un fischio”
 
 “Lei sa che da adesso in poi sarà il mio medico curante, vero?” disse Aqua, ironica.
 
 “Oh, beh,” fece spallucce la Hurley, “se non altro potrò dire che ho come assistito una sirena. Adesso vi devo lasciare, se avete dubbi non esitate a chiamarmi”
 
 “La accompagno io fuori” disse Valerie, alzandosi. Le due donne si allontanarono dalla grotta, mentre Trent aprì la scatola e vi sbirciò all’interno.
 
 “Ci sono una marea di confezioni di farmaci!” disse, stupefatto. “Mi sa che dovrai portarli con te in una cintura o roba simile”
 
 “Sì, ci manca solo questo” ridacchiò Aqua. “Se mi vedesse qualcuno, penserebbe che ho delle munizioni con me, e già mi immagino i titoloni dei notiziari: ‘Aqua Sanderson, la Sirena Killer, in giro a mano armata’!” disse, con tono sarcastico.
 
 Trent rise a sua volta, quando le parole della ragazza gli riportarono in mente un dubbio che aveva da tempo.
 
 “Aqua?”
 
 “Hm-hm?”
 
 “Posso chiederti una cosa? Come mai… ehm… insomma, perché ti chiami così? Non è un nome comune” chiese Trent, un po’ impacciato.
 
 “Come hai ragione…” Disse Aqua, sospirando con un sorriso. “Non ti nascondo che alle elementari e alle medie ho ricevuto una valanga di insulti per via del mio nome… ma quando mia madre vide il colore dei miei occhi, appena nata, volle assolutamente chiamarmi così, perché diceva che i miei occhi erano come l’acqua di mare”
 
 Trent la guardò, sorpreso da quella storia e da come Aqua si fosse illuminata nel parlare di sua madre.
Era evidente che le mancasse tantissimo.
 
 Un rumore di passi annunciò il ritorno di Valerie. “Direi che è andata meglio del previsto, abbiamo la terapia e un possibile modo per fermare Ursine” disse, soddisfatta. “Che altro resta da fare?”
 
 “Tornare a casa” disse Aqua, seria. “Siete già via da un po’, non vorrei che i vostri genitori vi proibissero di uscire in generale, automobile o meno”
 
 “Va bene, mamma, come vuoi” replicò Valerie. Trent si alzò a sua volta. “Ci sentiamo domani per tornare da Taylor” disse ad Aqua, la quale rispose salutandoli con la mano, dopodiché i due fratelli lasciarono la grotta.
 
 La minaccia di Ursine sembrava insormontabile fino a quel momento, pensò Aqua, ma le cose erano cambiate. Aveva una possibile arma per fermarlo e, ora, anche un modo per combatterlo ad armi quasi pari, sul suo territorio.

Aqua sospirò e si sdraiò sulla pietra nuda, fissando il soffitto della grotta e stringendo la fiala che aveva ricevuto dalla Hurley. Non era ancora detta l’ultima parola, ma forse c’era finalmente speranza per porre fine a questa storia e salvare la città.
 
 Una volta per tutte.

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Capitolo 9
*** Davide e Golia ***


Capitolo 9 – Davide e Golia
 
Erano le 19:30 quando il ricercatore David Norman, dopo una intensa giornata di lavoro, stava riordinando il suo studio. I suoi occhi gli bruciavano a causa del periodo prolungato che aveva trascorso al computer, per cui non vedeva l’ora di cenare e mettersi a letto, in modo da concedersi un sonno ristoratore. Stava giusto richiudendo alcuni fascicoli, quando qualcuno bussò alla sua porta.
 
 “Chi è?” chiese.
 
 “Tesoro, sono io, apri” disse una voce femminile, che riconobbe per quella di sua moglie.
 
 Norman si recò ad aprire la porta ma, non appena la spalancò, un colpo violento alla nuca gli fece perdere i sensi.
 
 Dopo un tempo indefinito di buio, gli occhi di Norman si riaprirono lentamente. Il ricercatore si rese conto di essere legato al suo letto, impossibilitato a muoversi, mentre, di fronte a lui, c’era un uomo girato di spalle, intento a sfogliare i suoi appunti alla scrivania.
 
 “Ehi, chi sei tu? Perché mi hai legato?” chiese Norman, spaventato. Tentò di divincolarsi, ma le funi erano troppo strette.
 
 “I suoi appunti sono molto interessanti… dovrebbe conservarli con più cura” rispose l’uomo, con tono freddo.
 
 “Cosa hai fatto a mia moglie? Ho sentito la sua voce poco fa!”
 
 L’uomo si voltò, rivelandosi finalmente. Norman sbiancò: il suo aspetto era inconfondibile, sicché lo avevano mostrato una miriade di volte alla TV negli ultimi giorni.
 
 Oliver Ursine tirò fuori un registratore dalla tasca del suo cappotto, dopodiché premette un tasto.
 
 “Tesoro, sono io, apri” fu la registrazione riprodotta dal dispositivo.
 
 Ursine premette nuovamente il pulsante e ripose il registratore in tasca. “Lei ha qualcosa che mi interessa, signor Norman”
 
 “Non ho niente per te!” replicò Norman, sempre più spaventato. Ursine lo ignorò.
 
 “So che stavate lavorando su una tuta speciale da usare come protezione nelle centrali elettriche sottoposte a forte elettromagnetismo. Si basava su invertitori di polarità, ma non ha mai lasciato la fase sperimentale. Eppure, mi stavo chiedendo… cosa accadrebbe, se uno degli invertitori usasse una polarità uguale al campo magnetico che investe la tuta?”
 
 Norman era confuso da quel discorso, quando una lampadina si accese nella sua testa.
 
 “Non vorrai usarla per controllare i campi emessi dal generatore che hai già rubato?” chiese, allarmato.
 
 “Dov’è quella tuta?” chiese Ursine, avvicinandosi al letto.
 
 “Non esiste più, è stata smantellata tempo fa dopo risultati deludenti” disse Norman, sudando. Ursine lo fissò, senza trasmettere emozioni, dopodiché piantò una lama nella mano del ricercatore, facendolo urlare dal dolore.
 
 “E va bene, te lo dirò! Si trova al magazzino dell’aeroporto, in un container con il simbolo del governo!” disse Norman, ansimando. Ursine tirò fuori la lama dalla mano di Norman, contemplando per qualche secondo, dopodiché la affondò anche nel suo avambraccio, scatenando un secondo grido di dolore.
 
 “Non ho mentito, te lo giuro! Puoi controllare tu stesso!”
 
 “Oh, so bene che non ha mentito, però lo ha fatto poco fa… e a me non piacciono i bugiardi” rispose Ursine, gelido. Norman strinse i denti, cercando di sopportare il dolore.
 
 “Perché fai tutto questo? Cos’è che vuoi?” chiese, con una nota di panico nella voce.
Ursine non rispose, ma tirò fuori la lama dal suo avambraccio e si avvicinò lentamente al suo volto, dopodiché strisciò il coltello lungo la carotide di Norman, ormai in preda al terrore.
 
 “Voglio che il mondo guardi questa città con la stessa paura e disgusto con cui lei mi guarda ora” rispose Ursine.
 
-----o-----

Come pattuito il giorno prima, Trent, Valerie e Aqua si recarono nuovamente all’abitazione di Taylor, nella speranza che il disturbatore fosse pronto. Quando bussarono al citofono non ricevettero risposta, ma la porta del garage si aprì senza cerimonie. Una volta entrati, trovarono Taylor incollato alla TV, intento ad ascoltare i notiziari. Aqua si schiarì la voce, attirando l’attenzione dell’ex hacker.
 
 “Prendi una sedia e accomodati” disse, sempre senza schiodarsi dalla TV.
 
 “Cosa segui con così tanta attenzione?” chiese Aqua sospettosa, mentre Valerie la lasciava sulla sedia.
 
 “Stanotte un ricercatore del governo è stato assassinato. Lo hanno trovato morto nel suo appartamento, con la gola sgozzata. Nessun indizio sul possibile assassino” disse Taylor, teso. “Mi gioco le palle che si tratti di Ursine, e voglio capire cosa volesse da quell’uomo”
 
 Aqua si rabbuiò di fronte alla notizia, ma alla fine si limitò a sospirare. “Se speri di saperlo tramite i telegiornali, temo che lo comunicheranno solo quando sarà troppo tardi, quindi non tormentarti. Ora possiamo parlare di quell’affare su cui dovevi lavorare?”
 
 Taylor sbuffò, dopodiché si voltò verso di lei e cominciò a frugare in mezzo alle cianfrusaglie presenti sul tavolo, finché non tirò fuori uno strano apparecchio a metà tra un telecomando e un walkie-talkie, dotato di un’enorme manopola circolare.
 
 “Sono riuscito a costruire un disturbatore con un raggio d’azione di 25 metri. Con questo puoi impedire l’accensione di qualunque apparecchio elettronico, ma c’è un piccolo problema: siccome non so su che frequenza lavori quel generatore, dovrai sintonizzarlo manualmente sul posto, finché non avrai trovato quella giusta”
 
 Aqua non sembrava del tutto convinta. “Mi stai dicendo che devo girare quella manopola finché non vedo il generatore smettere di funzionare? Pensi che Ursine mi darà il tempo per farlo?”
 
 “Non posso fare di meglio, Sanderson. Quell’affare era top secret, e non potevo sintonizzare il disturbatore alla cieca. Dovrai arrangiarti” replicò Taylor, snervato. In quel momento, la sigla di un altro telegiornale partì dalla TV.
 
 “Dio mio, quanti notiziari ci sono a quest’ora?” chiese Aqua, alzando gli occhi al cielo.
 
 “Non è un notiziario,” disse Taylor, fissando lo schermo preoccupato. “È un’edizione straordinaria”
 
-----o-----

Nell’orfanotrofio di Atlantic City, situato nei pressi del centro urbano, si stava consumando il pranzo come consuetudine per quella fascia oraria. I bambini erano intenti a mangiare le cibarie fornite dalla mensa, mentre gli operatori giravano tra i tavoli per controllare che tutto fosse in ordine.

Un’operatrice, passando vicino alla finestra, notò un furgone di colore scarlatto fermarsi di fronte all’edificio, in pieno divieto di sosta. L’autista, di cui non riuscì a distinguere il volto, rimase nel veicolo e si mise a cincischiare con il suo telefono. L’operatrice stava considerando di andare da lui e intimargli di liberare il posto, quando un boato assordante partì dalla stanza a fianco alla mensa, facendo tremare la terra e causando la caduta di svariati calcinacci dal soffitto. I bambini si nascosero immediatamente sotto i tavoli, mentre gli altri operatori corsero verso il luogo dell’esplosione, allarmati, solo per trovare la porta chiusa.

Erano intrappolati lì.
 
 Pochi minuti dopo l’esplosione, alcune volanti della polizia si recarono all’orfanotrofio, mentre un paio di reporter si trovavano già sul posto, ad esporre quanto accaduto in diretta.
 
 La polizia parcheggiò e uscì dalle proprie auto, tirando fuori le pistole, quando videro un uomo intento ad aprire il vano del furgone rosso, rivelando al suo interno un bizzarro aggeggio simile al motore di un’auto, ma molto più grande. L’uomo indossava una strana tuta con svariate pouch su torace, schiena e arti. Quando si voltò verso di loro, scoprirono che si trattava di Oliver Ursine.
 
 “APRITE IL FUOCO!” urlò un poliziotto. Prima che gli spari iniziassero, Ursine premette un pulsante sul suo avambraccio, facendo partire un ronzio dall’arnese presente nel camion. I colpi diretti verso di lui rimbalzarono come gomma e tornarono violentemente verso i loro mittenti, facendo saltare i vetri delle volanti e colpendo alcuni poliziotti, uccidendoli. I loro walkie-talkie e gli smartphone che tenevano in tasca esplosero come bombe, facendo urlare di dolore altri agenti, mentre parti dei loro corpi saltavano in aria e andavano a fuoco. Le stesse volanti oscillarono, quasi come mosse dal vento, mentre sulle telecamere dei reporter le immagini venivano disturbate.

Ursine camminò lentamente verso il centro dello spiazzale, ignorando la distruzione che aveva seminato, dopodiché portò una mano verso la propria bocca e l’altra in direzione dei reporter.
 
 “Abitanti di Atlantic City,” disse con tono calmo, mentre l’elettromagnetismo del generatore trasmetteva la sua voce al microfono del reporter, “vi sta per essere offerta la possibilità di effettuare uno scambio vantaggioso. In questo orfanotrofio, lo stesso dove si trovano i bambini che da tanto tempo attendono una famiglia, ma di cui avete dimenticato perfino l’esistenza, ho piazzato tre cariche esplosive, di cui una è già stata fatta saltare poco fa. Le persone all’interno dell’edificio sono impossibilitate ad abbandonarlo e, qualora attivassi le altre due bombe, l’intera struttura crollerebbe, mietendo ulteriori vittime insieme a quelle che ho già ucciso. Ho intenzione di far esplodere le cariche a mezzanotte di oggi stesso, a meno che non accogliate la mia richiesta: voglio che mi portiate qui la Sirena Killer. Morta.
Non ha importanza come, tanto immagino che la vita di una già acclamata assassina valga ben poco, in confronto a quella di decine di bambini dimenticati da Dio. Avete poco tempo per trovarla, quindi vi consiglio di darvi da fare per setacciare la città. Vi avverto che non saranno accettate interferenze dall’esterno: se altre forze dell’ordine giungeranno qui, farò saltare le bombe all’istante, quindi riflettete bene prima di fare passi falsi.
Per ogni evenienza, farò saltare le comunicazioni nel raggio di sei miglia. Buona caccia” aggiunse, con un mezzo sorriso, dopodiché pigiò nuovamente il tasto sul suo avambraccio.
 
 Un’onda EMP partì dal generatore e si espanse a macchia d’olio, facendo spegnere ogni dispositivo digitale nel suo percorso. Gli smartphone si disattivarono, le TV smisero di funzionare, i telefoni fissi divennero muti, i computer si spensero. Ogni cosa nel raggio di sei miglia sprofondò nel blackout più totale.

Soddisfatto, Ursine di sedette su un muretto, congiungendo le mani, e aspettò.
 
-----o-----

Taylor, Aqua e i due fratelli avevano osservato la scena alla TV, impietriti. Quando il collegamento saltò, Taylor si precipitò verso la TV e la scollegò dalla presa elettrica.
 
 “Spegnete i vostri telefoni!” esclamò, preoccupato.
 
 “Cosa… perché?” chiese Trent, anche lui allarmato.
 
 “Possono usarli per tracciarci, sbrigatevi!”
 
 I due fratelli rimasero ammutoliti, dopodiché tirarono fulmineamente i loro telefoni dalla tasca e li spensero. Aqua era livida di rabbia.
 
 “Ecco a cosa gli serviva quel generatore, voleva intrappolare la città nella sua rete e sottoporla a un ricatto!” disse Valerie, furibonda.
 
 “Non è un semplice ricatto, il suo disegno è molto più ampio. È sempre stato questo il suo obiettivo, istigare il marcio della gente per creare tensione e conflitti interni con le istituzioni. Lo avete sentito anche voi: vuole dimostrare che sono disposti ad uccidere una persona pur di salvare dei bambini che normalmente sono abbandonati a sé stessi, solo per pulirsi la coscienza” disse Aqua.
 
 “E quindi come lo fermiamo? Adesso l’intera città ti starà dando la caccia!” chiese Trent.
 
 “Vorrà dire che li batteremo sul tempo, dando a Ursine ciò che vuole”
 
 “COSA??” urlarono all’unisono i due fratelli.
 
 “Lui vuole far passare al governo l’idea che questa gente sia composta da assassini da sopprimere. Presentandomi spontaneamente non gli darò modo di farlo, e potrò affrontarlo faccia a faccia una volta per tutte”
 
 “Aqua, hai visto cosa può fare con quella diavoleria, e anche senza il generatore saresti in svantaggio rispetto a lui. È un suicidio!” disse Trent, ansimando.
 
 “Quegli ostaggi moriranno se non lo faccio. Non c’è altro modo” concluse Aqua, dopodiché si rivolse a Taylor.
 
 “Mi serve una cintura portaoggetti per le mie medicine… e anche per le munizioni”
 
 “Munizioni?” chiese Trent.
 
 “Se devo andare all’altro mondo, che Ursine venga con me” rispose Aqua, fredda.
 
 “Aqua… no!”
 
 Valerie afferrò il polso di Aqua e la guardò negli occhi, spaventata. L’ex poliziotta si limitò a restituirle lo sguardo, impassibile.
 
 “Non devi diventare un’assassina, faresti il suo gioco in questo modo. Tu sei migliore di così!” disse Valerie, con sguardo supplichevole.
 
 Aqua rimase per qualche secondo a guardarla negli occhi, socchiudendo i propri, senza lasciar trapelare emozioni.

Per la prima volta, sotto lo sguardo delle iridi azzurrissime della sua amica, Valerie era spaventata da lei.
 
 “Taylor, che armi possiedi?” chiese Aqua, senza distogliere lo sguardo da Valerie. La ragazza, demoralizzata, chinò il capo, mollando la presa dal polso dell’ex poliziotta.
 
 “Ho una Glock 44, penso dovrebbe esserti sufficiente” rispose Taylor, frugando su una mensola.
 
 “Andrà bene”, rispose Aqua. Taylor le porse una cintura con numerose fondine disposte lungo tutta la sua lunghezza, dopodiché le poggiò la pistola sul tavolo. Aqua si allacciò la cintura alla vita, inserì il caricatore nella pistola e tirò indietro il carrello dell’arma, emettendo un soddisfacente “clack”.
 
 “Un’ultima cosa: mi dovrai dare uno strappo sul posto” disse Aqua.
 
 Taylor fece una smorfia. “La signorina gradisce anche un caffè e un cornetto?” disse, sarcastico.
 
 “Ti risulta che possa andarci da sola?” replicò Aqua, infastidita. Taylor si adombrò, ma non replicò.
 
 “Veniamo anche noi” disse Trent. Aqua si voltò verso i due fratelli.
 
 “Ragazzi, no! È troppo pericoloso per voi! Restate qui!”
 
 “Te lo scordi! Non ti lasciamo lì a morire da sola!” replicò Valerie.
 
 “Ursine ha già tentato di uccidervi una volta, e non aveva nemmeno il generatore! Almeno voi, mettetevi in salvo!” cercò di farli ragionare Aqua.
 
 “Abbiamo iniziato questa storia insieme, la finiremo allo stesso modo” replicò Valerie, con semplicità.
 
 Aqua voleva controbattere, ma i due ragazzi erano più testardi di lei.

Tirò un sospiro di esasperazione e annuì, dopodiché il gruppo si diresse all’auto di Taylor. 

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Capitolo 10
*** La sirena del New Jersey ***


Capitolo 10 – La sirena del New Jersey
 
Taylor guidò a tutta velocità in direzione dell’orfanotrofio, mentre Trent, Valerie e Aqua osservavano le strade, preoccupati. Le automobili erano ferme, le luci spente, le insegne disattivate. Era tutto deserto e silenzioso in maniera surreale, come se la vita fosse tornata a prima della scoperta dell’elettricità.

Aqua cercò di mantenere un profilo basso, temendo che qualcuno potesse riconoscerla da dentro i finestrini, mentre la sua mente lavorava frenetica al pensiero di Ursine, pronto ad attivare le cariche da un momento all’altro.

Il suo avversario aveva già ucciso diverse persone nell’arco di un’ora, e adesso altre rischiavano di ricevere lo stesso destino. Era più forte, astuto e preparato di lei sotto ogni punto di vista. Se Aqua avesse fallito contro di lui, nulla lo avrebbe più fermato dal creare ulteriore distruzione e anarchia in Atlantic City.

L’auto di Taylor parcheggiò di fronte all’orfanotrofio, nascosta dietro le carcasse delle volanti della polizia uccisa da Ursine. Aqua scese dall’auto, raccomandando agli altri di rimanere lì, e si trascinò lentamente verso lo spiazzale, dove Ursine si trovava in paziente attesa, seduto su un muretto, con le mani ancora congiunte e lo sguardo vigile. Alla vista della ragazza, tuttavia, si lasciò sfuggire un sorriso.
 
 “Non hai indugiato un istante, pur di salvare la faccia a questa gente” disse, gelido come al solito. 

Nel frattempo, i reporter erano rimasti a debita distanza dalla piazzola, speranzosi di poter tornare a riprendere la scena una volta tornata l’energia elettrica, ma Aqua li notò in lontananza.

“Allontanatevi da qui, è troppo pericoloso!” esclamò la ragazza. 

Tuttavia, prima che i reporter potessero rispondere o muoversi, Ursine puntò verso di loro la sua mano, facendo partire dalle loro telecamere un ronzio che li spaventò.

“Nessuno esce e nessuno entra da qui, Sanderson. Dammi solo un motivo, e li faccio saltare in aria” disse il terrorista con tono minaccioso. Un rivolo di sudore scivolò lungo la tempia destra della ragazza, che non poté far altro che guardare i reporter in trappola, dopodiché si voltò verso il suo avversario.
 
 “Tieni fuori quegli ostaggi, questa faccenda riguarda me e te” disse Aqua, fermandosi vicino ad una volante.
 
 “Come al solito guardi il mondo attraverso la serratura di una porta” rispose Ursine con tono di superiorità. “Credi che, presentandoti qui, tu abbia risolto il problema? Sappiamo entrambi che questo conflitto può concludersi in un unico modo: la morte di qualcuno, che sia io, tu o gli orfani”
 
 “Ragionamento da perfetto assassino, per uno che ritiene di non esserlo” commentò Aqua, inarcando le sopracciglia.
 
 “La morte è il messaggio più potente che si possa mandare ad una società, Sanderson. I più grandi stravolgimenti dell’umanità sono nati da omicidi: è bastato uccidere un arciduca per scatenare un conflitto mondiale, così come è servito uno sterminio nucleare per finirne un altro. La morte genera paura, risentimento, vendetta. I migliori moventi per una rivolta. Dovresti saperlo anche tu, visto che mi è bastato uccidere il commissario Hardy per distruggerti”
 
 Aqua serrò i pugni, al pensiero della morte di Hardy. “Non ha funzionato del tutto, evidentemente, visto che sono ancora qui” replicò, socchiudendo gli occhi.
 
 “Eliminarti non era nei miei piani iniziali, a dirla tutta non sapevo nemmeno che fossi sopravvissuta. Ho mandato quel drone in ricognizione non appena ho scoperto che il generatore non fosse più sul fondale, dando per scontato che solo la polizia potesse averlo portato via. Sono anni che uso i miei droni per ottenere le informazioni che mi servono e far fuori chi mi è scomodo” disse, abbozzando un sorriso beffardo. “Tuttavia, quando ho visto te e il commissario parlare, non nascondo che ho fatto fatica a crederci, sia perché fossi sopravvissuta, sia per le tue… bizzarre condizioni. Passato lo sgomento iniziale e dopo aver carpito l’ubicazione del generatore dalla vostra conversazione, ho pensato comunque di sfruttare l’occasione per sistemarti e avere campo libero. Sai, è stato ironico che proprio tu mi abbia permesso di trovarlo… e adesso, sempre grazie a te, il mio disegno prende finalmente forma. Ci sono già state delle vittime: i parenti chiederanno giustizia, le istituzioni useranno il pugno di ferro per reprimere il malcontento. Sarà solo l’inizio dello stravolgimento che tanto attendevo”
 
 Aqua stava cominciando a fremere dalla voglia di pestarlo.

“Distruggi le istituzioni uccidendo gente innocente?” chiese con tono di sfida, quando Ursine si alzò.
 
 “Distruggo le istituzioni costringendole a reprimere i cani rabbiosi che governano, Sanderson. Aizza la folla e un intervento sarà necessario. Il conflitto è inevitabile… ed io, in questo mondo o nell’altro, osserverò l’inizio della guerra civile, così come lo farà il resto del mondo adesso, mentre due mostri generati dalla stessa società si affrontano fino alla morte” concluse, avvicinando l’avambraccio a sé, pronto ad attivare il generatore.

Aqua, allarmata, tirò fuori il disturbatore e cominciò a girare la manopola alla cieca, ma non servì a nulla: una scarica EMP investì l’area, riattivando tutti i dispositivi elettronici, incluse le telecamere dei reporter, mentre le centraline delle volanti esplosero come petardi, facendo frantumare i vetri delle portiere. Aqua si coprì la testa dalle schegge di vetro, dopodiché Ursine tirò fuori la sua pistola e la puntò verso di lei.
 
 La ragazza si lanciò dietro la volante alla sua destra, mentre i proiettili colpirono l’asfalto nel punto dove si trovava poco fa. Tirò fuori dalla fondina la pistola che Taylor le aveva dato, quando un dubbio la colse. Invece di affacciarsi verso la posizione di Ursine, puntò la pistola alle proprie spalle e sparò alla cieca. Un rumore di passi la fece voltare in tempo per vedere la sagoma di Ursine mettersi al riparo: il bastardo stava per adottare la stessa tattica che utilizzò durante il loro primo incontro.

Aqua rimase in ascolto, ansimante, senza lasciare il suo riparo, quando una serie di colpi diretti verso la carrozzeria della volante destò la sua attenzione. La ragazza era perplessa da quegli spari, ma subito un timore la colse: Ursine voleva far saltare in aria l’auto colpendone il serbatoio.

 Fece per allontanarsi il più in fretta possibile, ma era troppo tardi. All’esplodere dell’auto, l’onda d’urto la spedì a pochi metri più avanti, facendola atterrare al suolo, mentre il fuoco divampava alle sue spalle. Aqua sollevò il busto da terra, tramortita e dolorante, e si voltò alla ricerca di Ursine, ma il terrorista sembrava svanito tra le fiamme.
 
 La ragazza impugnò la pistola e si avvicinò lentamente, guardandosi attorno in cerca dell’anarchico, quando altri spari giunsero nella sua direzione. Aqua strisciò velocemente dietro un calcinaccio, finché il fumo non si diradò e non poté finalmente vedere Ursine, il quale si stava avvicinando verso di lei con la pistola puntata. Aqua aprì il fuoco su di lui, ma il suo avversario attivò nuovamente il generatore, facendo rimbalzare le pallottole verso di lei. La ragazza si rimise al riparo, mentre i suoi stessi colpi si infrangevano sul calcinaccio che le faceva da protezione. Ansimante, tirò nuovamente fuori il disturbatore e girò ancora una volta la manopola, quando delle mani le afferrarono le spalle e la tirarono fuori dalla sua copertura. Ursine la gettò a terra e cerco di prenderla a pugni, ma Aqua parò i suoi colpi e lo colpì al collo, frastornandolo e facendogli perdere la pistola, per poi sferrargli un colpo di coda sulle gambe e farlo cadere. I due si avventarono l’uno contro l’altro, cercando di strangolarsi a vicenda, quando Ursine le sferrò una gomitata nello stomaco e la spinse via con un calcio. Il disturbatore cadde dalle mani di Aqua, che tentò di recuperarlo strisciando, ma Ursine la immobilizzò per terra, schiacciandole la coda, dopodiché allungò la sua mano, tesa sopra di lei.

La ragazza non capì cosa stesse per fare, finché il suo sguardo non si posò sulla pistola di Ursine, che giaceva in lontananza, e intuì le sue intenzioni: il criminale voleva attirare a sé i caricatori nella cintura di Aqua, in modo che trapassassero il corpo della ragazza e la uccidessero.
 
 Ursine premette un tasto sul suo avambraccio e Aqua chiuse gli occhi, preparandosi alla fine, ma non accadde assolutamente nulla.

Confuso, Ursine continuò a premere nervosamente il tasto sull’avambraccio, senza ottenere alcun risultato, quando i suoi occhi si posarono prima sul disturbatore, ancora per terra, poi su Aqua, che lo salutò con la mano, sorridendo beffarda.
 
 Approfittando dello sgomento del suo avversario, la ragazza girò su sé stessa, facendo perdere l’equilibrio ad Ursine, dopodiché ricaricò fulmineamente la sua pistola e la puntò contro Ursine, il quale era indietreggiato di qualche passo e aveva entrambe le braccia in alto, impugnando un detonatore nella sua mano sinistra. I due rimasero immobili, a fissarsi.
 
 “Cosa stai aspettando?” disse Ursine.
 
 Aqua digrignò i denti, irrigidendo le braccia.
 
 “Sono qui, disarmato, con il detonatore, pronto a far saltare in aria l’orfanotrofio. Non avrai un’altra occasione per farmi fuori una volta per tutte” continuò lui, con tono malizioso. “Sei già stata accusata di omicidio, tanto vale dare credito a questa diceria. Una morte in più sulla tua fedina non sarebbe nulla se riuscissi a salvare quei bambini”
 
 Aqua stava tremando di rabbia. Non avrebbe avuto una chance migliore per eliminare Ursine, ma non riusciva comunque a premere il grilletto.
Tirò lentamente il cane della pistola, e un sorriso comparve sul volto del criminale.
 
 Proprio in quel momento, Trent e Valerie apparvero dal nulla e si avventarono alle spalle di Ursine, immobilizzandolo e tentando di strappargli il detonatore di mano. Aqua fu presa di soprassalto, ma non poté comunque aprire il fuoco, in quanto temeva di colpire accidentalmente uno dei due fratelli. Valerie riuscì ad appropriarsi del detonatore e lo gettò via, ma Ursine fece forza su Trent, caricandolo sulla schiena e gettandolo a terra, stordendolo, dopodiché afferrò la sua pistola da terra e sparò a Valerie.

La ragazza non emise nemmeno un gemito di dolore, ma il suo volto si paralizzò, come se il tempo si fosse fermato, per poi accasciarsi a terra, immobile.

“VALERIE!!!” urlò Aqua, sconvolta, ma la ragazza non si mosse. Nel frattempo, Ursine si rimise in piedi e tentò di fuggire verso il generatore, in modo da riattivarlo manualmente.
 
 Un odio mai provato pervase Aqua, che cominciò a sparare a ripetizione sul criminale. Un primo proiettile colpì la sua mano sinistra, facendogli perdere la pistola, mentre un altro arrivò al suo polpaccio destro, facendolo zoppicare. Trascinandosi in avanti, Aqua continuò a sparare, furibonda, finché anche la gamba sinistra di Ursine non venne compromessa e il criminale fu impossibilitato a muoversi. Ursine si voltò di schiena, finché la ragazza non arrivò di fronte a lui, con la pistola puntata contro la sua fronte, ansimante e livida.
 
 I due si fissarono per qualche secondo, finché Ursine non sorrise.

“Ce l’hai ora il coraggio?” disse, trattenendo il dolore delle ferite.
 
 “Stai zitto” ringhiò Aqua.
 
 “Questa gente continuerà ad essere in pericolo finché vivrò, lo sappiamo entrambi. Una vita per migliaia: fa’ ciò che devi e premi quel grilletto!” disse Ursine.

Aqua stava tremando vistosamente. Digrignò i denti, esitando per qualche secondo, finché non chiuse gli occhi e gettò via la pistola, urlando. Il sorriso sul volto di Ursine svanì lentamente, sostituito da un’espressione a metà tra il disgusto e la delusione.
 
 “Lo sapevo… hai preferito salvare la tua immagine piuttosto che questa città. Sei un’ipocrita, come tutti”
 
 “Io non devo dimostrare nulla a nessuno!” urlò Aqua, furiosa. “E non mi importa cosa la gente penserà di me, non permetterò mai che io diventi un mostro come te!”
 
 Ursine sembrava ancor più furibondo di lei, nonostante il suo volto fosse ancora impassibile.
 
 “Potete rinchiudermi in qualunque prigione, riuscirò sempre ad evadere” sussurrò Ursine, minaccioso. Ansimante, Aqua tirò fuori una fiala dalla sua cintura e inghiottì il farmaco, per poi gettarla via.
 
 “Fuggi quante volte vuoi, mi troverai sempre pronta a fermarti” replicò lei, gelida. Ursine non rispose, ma era percepibile il suo disdegno.

Il suono di una sirena della polizia giunse in lontananza, dopodiché una volante parcheggiò lì vicino. Tre poliziotti si avvicinarono a loro e ammanettarono Ursine, mentre Aqua sospirò e chiuse gli occhi, alzando entrambe le mani, consapevole che avrebbero portato via anche lei.
 
 “No, lei è pulita”
 
 Confusa, Aqua aprì gli occhi e si guardò attorno, vedendo due poliziotti sollevare Ursine per le braccia e Taylor, Trent e Valerie avvicinarsi verso di lei. La ragazza aveva la coscia sinistra totalmente insanguinata e zoppicava, ma era ancora viva. Un poliziotto si avvicinò ad Aqua.
 
 “Aqua Sanderson, abbiamo ricevuto una segnalazione da parte di Vincent Taylor non appena Ursine è stato impossibilitato a muoversi” disse l’agente, mentre Taylor salutò Aqua con la mano da lontano. “Ha anche rivelato che Ursine ha confessato di aver ucciso Stephen Hardy, versione confermata dai reporter che si trovavano qui. A nome del corpo di polizia, le dobbiamo delle scuse” concluse, un po’ imbarazzato.
 
 Aqua rimase intontita dalla mole di informazioni che la stavano investendo. Valerie era viva, Ursine era stato arrestato e lei era stata scagionata. Ammutolita, si voltò verso Taylor e i due fratelli.
 
 “Voi siete completamente pazzi” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
 
 “Mai pazzi quanto te” disse Trent, sorridendo. “Quindi ora sei libera?”
 
 “Ammesso che si possa chiamare libertà… adesso tutti sanno di me, non potrò più neanche uscire in superficie… già vedo i ricercatori pronti ad aspettarmi al molo per effettuare esperimenti su di me” disse Aqua, demoralizzata.
 
 “A questo possiamo porre rimedio” intervenne il poliziotto. “Possiamo chiedere al sindaco di effettuare una conferenza stampa in cui spieghi tutta la situazione. Almeno dal punto di vista legale, sarebbe tutelata”
 
 Aqua rifletté su quelle parole. “Hardy mi propose la stessa cosa, prima di morire” osservò.
 
 “Immagino non ci sia modo migliore per rendere onore alla sua memoria, allora” disse Valerie, trattenendo il dolore della ferita.

Aqua non rispose, ma un senso di serenità la stava lentamente riscaldando. Poteva finalmente essere libera, senza doversi nascondere.

L’incubo era finito.
 
 I due poliziotti che avevano portato via Ursine lo spinsero a forza sul sedile posteriore della loro volante.
 
 “Fine dei giochi, stronzo! Avrai tutto il tempo per riflettere, ora che il tuo piano strampalato è fallito” disse uno di loro. Ursine rimase impassibile, rivolgendogli il suo sguardo.
 
 “Ne è davvero sicuro?” disse, gelido.
 
 L’agente non capì quella domanda, ma la ignorò e chiuse la portiera, per poi mettere in moto l’auto e portarlo via.
 
-----o-----

Fu difficile stabilire quale fu il momento più bello della conferenza del sindaco. Iniziò celebrando la fine della tempesta, di come il temibile terrorista Oliver Ursine fosse stato finalmente catturato e di come l’orfanotrofio fosse stato messo in salvo. Spese anche un minuto di silenzio, per commemorare le vittime mietute da Ursine, incluso il commissario Hardy, di cui esaltò il coraggio e gli anni di onorato servizio. Infine, narrò di come Atlantic City e tutto il New Jersey fossero debitori ad Aqua Sanderson, la sirena ingiustamente accusata di omicidio, che aveva rischiato la vita per fermare Ursine e salvare gli orfani, dimostrando inestimabile coraggio e degna fiducia da parte di tutta la città, la quale le avrebbe concesso la cittadinanza onoraria e piena libertà, nel rispetto della sua persona e della sua vita.
 
 Terminata la conferenza, Aqua spense la radio del Nokia e lo posò, sorridendo. Era anche più di quanto sperasse.

Istintivamente, contemplò nuovamente il suo medaglione, pensando ai suoi genitori.

Ora non dovevano più vergognarsi di lei.
 
 Un rumore di passi in lontananza annunciò l’arrivo di Valerie e Trent. I due fratelli entrarono nella grotta, salutando Aqua da lontano, la quale ricambiò loro il saluto, tuttavia rimasero in disparte invece di sedersi di fianco a lei come loro solito.
 
 “La conferenza del sindaco è stata davvero bella” disse Trent.
 
 “Assolutamente, non mi aspettavo che avrebbe parlato anche di Hardy” osservò Aqua, annuendo.
 
 “Non ti aspettavi nemmeno la cittadinanza onoraria, se vogliamo dirla tutta” disse Valerie, con un sorriso beffardo. Aqua ridacchiò.
 
 “Aqua…” disse Trent, con tono incerto. “Abbiamo portato due persone con noi. Ci tenevano a vederti”

Aqua si accigliò, confusa, quando due individui adulti entrarono nella grotta. La ragazza ebbe un tuffo al cuore e i suoi occhi si spalancarono alla loro vista: erano i suoi genitori.
 
 “Mamma… Papà…”
 
 I genitori di Aqua, abbozzarono un sorriso, impacciati, dopodiché suo padre si precipitò da lei e la abbracciò, seguito da sua madre.
 
 “Tesoro mio, non riesco ancora a credere che tu sia viva...” disse suo padre, commosso.
 
 “Mi dispiace davvero tanto… avrei voluto dirvi tutto, ma avevo troppa paura che vi potessero fare del male, e temevo non mi avreste accettata” disse Aqua, con voce stridula.
 
 “Non devi dirlo neanche per scherzo, Aqua” disse sua madre. “Tu sei nostra figlia, e lo sarai sempre, nel bene e nel male… e noi siamo fieri di te”
 
 Aqua la guardò, raggiante, e annuì, non sapendo cos’altro dire.
 
 “Adesso cosa farai?” le chiese suo padre.
 
 “Bella domanda” rispose Aqua. “Ora che non devo nascondermi più, ho tre anni della mia vita da recuperare, e mi si parano avanti infinite possibilità… a cominciare dal non dover più avere paura di vedervi”
 
 “Naturalmente ti verremmo a trovare il più possibile, tesoro” disse sua madre. “Non devi rimanere più da sola”
 
 “A tal proposito,” intervenne Trent, “noi saremmo felici di accompagnare Aqua da voi, di tanto in tanto… ammesso che per voi vada bene”
 
 “Ma certo che per noi va bene, anzi… potete anche venire da noi e trattenervi tutti per cena, oggi stesso” replicò la madre di Aqua.
 
 “Sarebbe anche ora” disse Aqua, sarcastica. “Sono tre anni che mangio solo alghe e pesci!”
 
 Tutti nella grotta risero, e anche Aqua si unì a loro.
 
 Finalmente, dopo tanto tempo di paura e solitudine, poteva tornare a vivere.

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