Profumo d'autunno

di NarcissisticDramaQueen
(/viewuser.php?uid=1140945)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riflesso ***
Capitolo 2: *** Cerchio ***
Capitolo 3: *** Pagine ***
Capitolo 4: *** Girasole ***



Capitolo 1
*** Riflesso ***


1. RIFLESSO
 
Il pungente dolore di un taglio di vetro, questo si sente ad amare la persona sbagliata. L’ho capito tardi, forse troppo tardi. La lunga stasi che ha preceduto la mia realizzazione ha reso impossibile riprendersi. Infatti, lei ancora adesso splende nei miei pensieri come una stella nel cielo notturno. L’eleganza dei suoi movimenti, le linee sinuose del suo corpo e il colore intenso dei suoi occhi inebriano i miei sensi, nonostante la freddezza dei suoi rifiuti. Un secco “no” avrebbe fatto meno male, ma lei non mi ha mai concesso nemmeno quello. Mi resta solo il pungente dolore di un taglio di vetro, mentre il sangue cola dalle nocche ferite. Il taglio inizia a pulsare. Il dolore diventa sordo, martellante. Prima di medicarmi, rimango qualche minuto a osservare i rivoli vermigli serpeggiare tra le mie dita. Una goccia scivola lungo l’indice e si va a infrangere proprio su uno dei tanti cocci sparsi sul pavimento. Vedere la sua immagine perfetta imbrattata di sangue mi fa quasi scoppiare a piangere. È chiaro che il mio gesto sia stato impulsivo, mi sento davvero in colpa.
Mi prendo la testa fra le mani. Cos’ho fatto, cos’ho fatto...
Il pentimento dura finché non mi torna alla mente il suo comportamento. Io l’ho sempre e solo lusingata, ho coltivato la sua bellezza con regali costosi. Se le sue labbra sono rosse come rose, è perché io le ho volute così. Se i suoi capelli profumano di lavanda e al tocco son di seta, è perché io li ho voluti così. Se la sua figura è così magra e snella, è perché io ho fatto la fame.  Lei deve a me tutto ciò che è, perché io mi sono presa cura di lei. Soltanto io.
Che cosa mi ha dato in cambio? Sorrisi e parole dolci, dietro una barriera invalicabile.
Ingrata, crudele, maledetta!
Sento di odiarla. No, io la amo. Come potrei non amarla? Si è insinuata così a fondo nella mia mente da diventare parte di me, come una punta avvelenata. Il suo tarlo ha scavato troppo in profondità per poter essere estirpato. Mi accorgo di star stringendo così forte i miei capelli da aver strappato due ciocche.
Ho bisogno di uscire, respirare aria che non sia inquinata dalla sua presenza. So bene che rischio d’incontrarla per strada, ma farò attenzione a evitarla. Mi chiudo il cancello alle spalle e alzo lo sguardo verso il cielo. Rosa, arancio e violetto, di quanti magnifici colori è sfumato questa stasera. Ricaccio indietro un pensiero sublime, lei che danza nell’aria tersa del tramonto. Ho deciso che la eviterò e perciò terrò fede al mio proposito. Fuori fa freddo, ma non m’interessa, rientrare in casa significherebbe solo crogiolarsi in pensieri malsani. La via principale è quasi deserta, oltre a me ci sono solo due coppie di persone. Camminano a braccetto, chiacchierando spensierati. Avverto un moto d’invidia.
Perché non posso avere anch’io quello che hanno loro?
Una coppia mi passa di fianco, sono così immersi nella loro conversazione da non accorgersi nemmeno della mia presenza. Che odio!
Continuo a camminare, senza una meta precisa, mi sembra di star trascinando i piedi da ore. Le vie sono pregne di un buon odore di cibo. Penso a come sarebbe cenare con lei. Sento una risata lontana, cristallina, e m’immagino sia la sua. Me la immagino con un bicchiere di vino in mano, che ride serena, mentre mangiamo insieme. È strano che non l’abbia ancora intravista. Lei è ovunque io vada. Alzo lo sguardo dall’asfalto e finalmente la scorgo. È di fronte a me, circa trenta metri più avanti. Rimango sul posto qualche istante, voglio pensarci su prima di correrle incontro. Dopotutto, mi ero ripromessa che non sarei andata a cercarla. Adesso però è lì, di fronte a me, che sembra chiamarmi. Come posso resisterle?
La raggiungo il più in fretta possibile, rapita dalla sua semplice presenza. Urto una persona che m’impreca contro, ma non ci bado. Per me esiste solo lei.
Eccola finalmente a una spanna da me, ma che aspetto orribile! Ha i capelli scompigliati e il rossetto sbavato, per non parlare di quel brutto taglio sulle nocche. Mi guarda con le guance rigate di lacrime e gli occhi colmi di dispiacere. Come ho potuto ridurla così? Che persona orrenda sono! Cerco di avvicinare una mano per asciugarle il viso, ma me lo impedisce, come ha sempre fatto.
«Mi dispiace infinitamente!» le dico. Le parole mi muoiono in gola, soffocate da un groppo di lacrime. Anche lei inizia a piangere. Non tollero questa vista.
All’improvviso, si apre una porta e di fronte a me compare un uomo alto, con un’espressione preoccupata dipinta tra le rughe.
«Signorina, ha bisogno d’aiuto?»
Io esito per qualche secondo di troppo e noto il suo cipiglio diventare impaziente. Tuttavia, deve essersi accorto della mia confusione, perché il tono resta gentile.
«La prego, entri» Si fa da parte e con un ampio movimento del braccio mi invita in quello che presumo essere il suo locale. Ci sono una trentina di persone sedute ai tavoli e tutte, nessuna esclusa, sono voltate verso di me. Sento i loro occhi addosso, tanto da provare un forte disagio. Mi squadrano con una grande varietà di sensazioni stampate in faccia. C’è chi è incuriosito, chi ride mal celatamente, chi scuote la testa con disappunto e chi finge di ignorarmi, lasciando però trapelare dalle occhiate fugaci un nauseante misto di pietà e senso di superiorità.
«I-io» Cerco le parole più adatte, massaggiandomi una tempia. «La ringrazio, sto bene.»
Dopo aver tagliato corto, ritorno sui miei passi senza aspettare una risposta. Sento l’uomo gracchiare un poco convinto“ne è sicura?”, ma sono già lontana.
Ritorno verso casa il più in fretta possibile, mi rendo conto di star correndo solo quando sento il respiro mancarmi. Non rallento, ormai sono quasi arrivata. Apro il cancello e mi fiondo in casa. Per terra ci sono ancora i frammenti dello specchio e gocce del mio sangue.
Ho il fiato corto e questo suono ritmico riempie la stanza. Nonostante ciò, sono tranquilla, perché so cosa fare.
Non permetterò mai più che accada qualcosa di simile, non permetterò mai più che si riduca in quel modo. Mi medico la ferita sulla mano e mi preparo con attenzione. Deve essere bellissima, perché stanotte finalmente staremo insieme. Per sempre.
Una volta pronta, esco di nuovo e mi dirigo fuori città. Nel luogo in cui mi sono innamorata di lei.
Una volta arrivata, il sole è ormai quasi del tutto sparito sotto l’orizzonte. Dietro le colline il cielo è scuro, ma fittamente puntellato d’argento. Sto camminando tra gli alberi da diversi minuti, accompagnata solo dal frinire delle cicale, quando scorgo la radura. La nostra radura.
Sembra un luogo descritto in una fiaba, ameno. La chioma di un vecchio salice sfiora e disegna gentili fregi sulla superficie di uno specchio d’acqua. I colori dell’autunno sono infiammati dagli ultimi raggi di un sole morente, mentre il crepitio delle foglie aranciate sembra richiamarmi a sé. Prendo un respiro profondo, inalando il profumo umido del bosco fino in fondo all’anima: sono pronta a vederla.
M’inginocchio sul bordo della polla e non posso fare a meno di sorridere. Quant’è bella sotto la luce della luna! Esito un istante, ma poi prendo coraggio e allungo una mano. Le nostre dita si sfiorano e subito la sua immagine vacilla come una candela al vento.
«Non te ne andare, aspettami.»
«Voglio stare con te, solo con te.»
Avvicino il viso all’acqua. Non tento di baciarla, perché so che sparirebbe tra mille increspature. Voglio raggiungerla.
Mi basta guardare i suoi occhi per fugare ogni dubbio. Dopo essermi rimessa in piedi, inizio a svestirmi. Il mio corpo nudo rabbrividisce sotto i sospiri del vento, ma non mi tiro indietro. Tengo gli occhi serrati e lascio che l'acqua mi inghiotta poco a poco, finché ogni suono, ogni colore, non diventano solo uno spettro di un mondo lontano. Sento i capelli sciogliersi e fluttuarmi intorno mentre il freddo mi abbraccia. Per la prima volta, sono un tutt’uno con quel riflesso irraggiungibile.

 
N.D.A.

Boo! Non so nemmeno io quanto tempo è passato dall'ultima roba scritta/pubblicata/letta, ma ho voluto sfruttare questa challenge autunnale per provare a """rimettermi in pista""" (quando mai ci sono stata lmao) perché i blocchi creativi sanno essere davvero frustranti! Spero davvero di riuscire a scrivere qualche cagatina tutti i giorni da qui al 31 :) 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cerchio ***


2. CERCHIO
 

L’inchiostro del giornale cominciava a sciogliersi sotto i colpi della pioggia. Pezzi di carta si sfaldavano a ogni passo, quel riparo improvvisato non avrebbe retto ancora per molto. In realtà, la sua precaria utilità si era esaurita diversi minuti prima, ma Kai non ci aveva nemmeno fatto caso. I suoi pensieri erano fissi altrove. Scappare, andare via. Dove di preciso? Questo non lo sapeva. Solo di una cosa era certo: rimanere inchiodato lì sarebbe stata la sua rovina.
Un pensiero s’impose d’un tratto sugli altri.“Con cosa pago il biglietto del treno?”
Non smise di correre, sondò tutte le opzioni che la sua mente gli stava proponendo e giunse a un’unica conclusione: “Ma cosa me ne frega! Eviterò il controllore e basta!”
Svoltato l’angolo per arrivare alla stazione, urtò contro qualcuno con tanta forza da essere sbalzato all’indietro e atterrare sul didietro. Anche l’altra persona aveva risentito dell’urto, ma riuscì a mantenere l’equilibrio.
«Mi scusi, non l’avevo vista.» Come risposta gli giunse una voce familiare. «Kai?»
Kai alzò gli occhi «Andrea!» esclamò, una nota di sollievo nella sua voce stanca. «Cosa ci fai qui?»
Andrea si stava massaggiando il petto, dove l’amico era andato a schiantarsi, ma non voleva farglielo pesare. Lo osservò con sguardo a metà tra l’interrogativo e il divertito. Indicò con l’ombrello un punto lungo il marciapiede opposto.
«Io vivo dall’altra parte della strada, ricordi?» rispose tranquillo.
Kai si diede mentalmente del rimbambito. Certo che ricordava. Aveva fatto quella strada almeno un milione di volte da quando aveva quanto, tre anni? Due? Da tutta la vita? Erano più le volte che era rimasto tutto il giorno a giocare a casa di Andrea che quelle che aveva passato a casa propria.
«Tu invece hai intenzione di rimanere seduto in quella pozzanghera?»
Kai si riscosse, rendendosi conto di avere l’acqua persino nelle ossa. Si alzò in piedi e accartocciò il giornale, ormai ridotto a poco più che poltiglia.
«Io voglio andarmene di qui» sussurrò.
Andrea spostò l’ombrello in modo da riparare anche lui dalle insistenti sferzate della pioggia. Da quella distanza ravvicinata, notò un livido che la penombra della sera aveva nascosto. «È stato di nuovo quello stronzo di tuo padre, vero?»
Kai si toccò istintivamente lo zigomo leso. «Tu che dici?»
Andrea sospirò a fondo, con rabbia. «Dai, andiamo a casa.»

L’aria tiepida della stanza era impregnata da un dolce odore di cioccolata. Kai si stava passando l’asciugamano sui capelli. Non era stato zitto un attimo da quando aveva messo piede in casa.
«Non ce la faccio più!» diceva «Io da qui me ne devo andare o finisco con il lasciarci la pelle!»
Andrea si era limitato ad annuire e a passargli una coperta, dei vestiti asciutti e ora si apprestava a porgergli una tazza fumante.
«Dove vorresti andare di preciso?» domandò semplicemente.
Non c'era malizia nella sua voce, tuttavia, quella domanda più che banale fu sufficiente a interdire Kai. «Io...»
«Non ci hai pensato?» lo interruppe Andrea.
Il suo tono nascondeva ora una punta di saccenteria che non passò inosservata. «Non ti azzardare a farmi la predica» ringhiò Kai.
Andrea sospirò di nuovo, questa volta come se avesse a che fare con un bambino troppo testardo. «Non era mia intenzione, volevo dirti che puoi restare qui finché non hai deciso» replicò.
Kai affondò il viso nella tazza per nascondere l’imbarazzo. «Oh... Ti ringrazio» mugugnò.
«Non preoccuparti, tu faresti lo stesso per me» Si diresse verso la grande finestra del salotto. Casa sua si trovava al ventesimo piano, da quell’altezza si poteva vedere tutto il centro città. Kai lo raggiunse tenendo la coperta sulle spalle e la tazza stretta tra le mani.
«Da qui non sembra poi tanto squallida.»
Le decine di lampioni e fanali si riflettevano sulla coltre di pioggia, illuminando palazzi, macchine e asfalto come se fosse tutto scolpito nell'ossidiana.
Andrea si voltò a guardarlo. «Come va il viso? Hai bisogno di un cerotto?»
«No.»
«Guarda che lo vedo che in mezzo al livido c’è una ferita.»
«Sì, ma non è niente!»
Inutile dire che dopo due minuti di battibecco erano seduti entrambi sul divano e Andrea gli stava applicando con cura delle steri strip.
«Ahi!»
«Non fare il bambino» lo ammonì Andrea. «Con cosa cazzo ti ha colpito quello stronzo?»
Kai esitò a rispondere. «Un’abat jour.»
«Che pezzo di merda.»
Nonostante la situazione, un sorriso nostalgico incurvò le labbra di Kai. «Quante volte mi hai rattoppato?»
Andrea si stese sullo schienale, un’espressione concentrata sul volto.
«Pff, ora che me ci fai pensare, troppe per ricordarsele tutte» fece una pausa e si scurì in viso. «Ma preferivo quando si trattava solo di cadute dalla bici» Un silenzio pesante iniziò a gravare nella stanza. Fu Kai a esordire con una risatina.
«Che c’è di così divertente?»
«Nulla, stavo pensando che mi sembra di conoscerti da sempre.»
Andrea ghignò a sua volta, ma con scherno. «Beh, è così, non mi ricordo nemmeno come o quando ti ho conosciuto»
Il suo sorriso si fece genuino, affettuoso. «Ci sei sempre stato.»

«Beh, io mi ricordo del foglietto che mi regalasti, magari è stato quello il nostro primo incontro?»
«Il foglietto con la scritta enigmatica?» domandò Andrea stupito.
«Allora te lo ricordi! Sai che ce l'ho ancora?
» Kai era così entusiasta che i suoi occhi parevano brillare. Scosse la testa, come per rimettere a posto i pensieri. «Comunque non è solo questo» Si fermò per trovare le parole giuste. «Mi sembra di conoscerti anche da prima.»
I loro sguardi s’incrociarono. «Ti sei ubriacato con quella cioccolata?» domandò Andrea, cercando di mascherare l’imbarazzo dietro l’umorismo.
«Può darsi» Kai si avvicinò così tanto che entrambi potessero avvertire il respiro dell’altro sulla propria pelle. Chiusero gli occhi all’unisono e si lasciarono andare in un tenero bacio. Da quanto l’avevano desiderato? Difficile dirlo.
«Vieni via con me» mormorò Kai.
Andrea si scostò e distolse gli occhi. «Sai che non posso» Sentì le mani di Kai stringersi sulle proprie spalle.
«Perché no? Non è rimasto niente qui per te... Per noi.» 
Andrea non disse nulla. «Questa città ci ucciderà entrambi» insistette Kai.
«Questa era la casa dei miei genitori, non posso lasciarla» Il tono di Andrea si era fatto lapidario, freddo. Kai lo conosceva bene quel tono e sapeva che non l’avrebbe smosso di un millimetro. Tale consapevolezza accese in lui una sensazione di sconfitta che si addensò in un groppo in gola.
«Tu vivi in un ricordo» riuscì a dire, prima che la voce s’incrinasse sotto il peso delle lacrime. 
«Sei sopravvissuto all'incidente, ma ti stai lasciando morire.»
Come risposta ricevette un silenzio doloroso. Andrea gli dette le spalle e si avviò verso la sua stanza, dove si chiuse a chiave. Quando ne uscì la mattina seguente, Kai non c’era più. Lo chiamò più volte, scese in strada a gridare la propria disperazione attraverso il suo nome. Arrivò a fare l’impensabile.
«Pronto, sono Andrea, Kai è in casa?»
«No, non si vede da ieri.»
«La ringrazio.»
Fece un tiro profondo dalla sigaretta e si lasciò sprofondare sul divano. Ripensò alle parole di Kai per trovare in quei ricordi un qualunque indizio sul dove trovarlo. Ma era inutile: non sapeva nemmeno lui dove andare.
Un piccolo pezzo di carta abbandonato sul tavolino di vetro attirò la sua attenzione. Come aveva fatto a non notarlo? Spense la sigaretta e lo afferrò febbrilmente.


 
Un cerchio non ha inizio e non ha  fine
 
Quella dannata frase gli fece piombare addosso il peso dei ricordi e, soprattutto, di quello a cui aveva rinunciato. Ripensò a quando aveva messo in mano a Kai il misero foglietto, quella che sembrava una vita prima, e scoppiò in lacrime. Si sciolse in un pianto straziante, perché in cuor suo sentiva che non l'avrebbe più rivisto. Infatti, sia Andrea che Kai vissero ancora a lungo, ma in quella vita non si rincontrarono mai. Proseguirono su binari paralleli per decine di anni. Trovarono lavoro, si sposarono ed ebbero figli e nipoti. Ciononostante a entrambi, in situazioni diverse e da persone diverse, venne posta la stessa domanda:
“Come descriveresti la tua vita?”
Ed entrambi dettero la stessa risposta:
“Incompleta”


 
***
 
Il fumo della sigaretta disegnava delle forme sinuose che andavano a dissolversi come se non fossero mai esistite. Osservarle era rilassante.
“Vorrei essere rimasto a casa con i miei” pensò il ragazzo. “Chissà che razza di scapestrato sarà il coinquilino!” Lanciò un’occhiata alle macchie di muffa sul soffitto e alle crepe sui muri. “Non che l’appartamento sia meglio.”
Il citofono gracchiò sgraziatamente, ma lui non si mosse. La serratura era scassata, perciò il portone era perennemente aperto. Bastava solo che il nuovo arrivato se ne accorgesse. Dopo qualche minuto, dei passi pesanti iniziarono a riecheggiare nell'atrio e sulla rampa delle scale, accompagnati da sbuffi di fatica.
“Col cacchio che mi alzo per aiutarlo, tanto è aperta anche la porta.”
Sull’uscio comparve un ragazzo più o meno della sua stessa età. Aveva i capelli appiccicati al viso dal sudore e le guance accaldate per lo sforzo. Lasciò cadere a terra le valige con un lungo sospiro. «Buongiorno! Mi chiamo Kai!» esordì gioviale, tendendo la mano verso il coinquilino.
Quest’ultimo si decise ad andargli incontro e, nel farlo, lo squadrò dalla testa ai piedi. «Io sono Andrea, tanto piacere.»
Kai si grattò la testa con la mano libera, lasciandosi sfuggire una risatina amichevole, ma colma di disagio. «Non ci siamo già visti per caso?»
Andrea rimase spiazzato, ma esibì a sua volta in un sorriso cordiale.«Sai, Kai, stavo pensando la stessa cosa.»
Si chinò per aiutarlo con i bagagli e un pezzetto di carta gli cadde dal taschino della camicia.
«Hey, hai perso qualcosa!» Kai raccolse il foglietto e rimase a fissare la scritta con la confusione più pura dipinta sul volto.

Un cerchio non ha inizio e non ha fine


La voce di Andrea lo riportò al presente. «Oh, puoi tenerlo se vuoi.»
Sorrise. Si sentiva felice, sollevato, ma non avrebbe saputo spiegare il perché. Piegò il foglietto e se lo mise in tasca. Sentiva il bisogno di tenerlo con sé, da subito e per sempre.

La testa di Andrea fece capolino dalla cucina. «Vuoi della cioccolata calda?» domandò.
Kai annuì con fervore e si lasciò cadere sul divano con un grugnito di stanchezza. Andrea lo raggiunse poco più tardi e gli porse una tazza fumante. 
«Senza panna è incompleta, ma...» Kai lo interruppe con un verso sdegnato. «Scherzi? È perfetta!»
Andrea prese a sua volta un sorso dalla propria tazza. «Hai ragione» ammise.

È vero, era come se quella situazione l’avessero già vissuta, ma al tempo stesso sentivano tutti e due che questa volta sarebbe andata meglio.
 

N.D.A.

 
E anche il secondo giorno è andato e io già fatico a star dietro ai tempi (mi sa che avrei dovuto prepararmi in anticipo delle storie ahahah), ma non mollo! A costo di scrivere 31 merdate, porterò a termine la challenge (anche perché chi minchia le leggerà mai lmao).

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pagine ***


PAGINE

 
Quando aveva scoperto di essere speciale? Tina si faceva spesso questa domanda. Si era messa parecchie volte a scavare nei suoi ricordi, sempre più indietro negli anni, nei secoli, forse addirittura nei millenni, ma la risposta le sfuggiva. Dopotutto, aveva vissuto parecchio e di avvenimenti da tenere a mente ne aveva davvero tanti. Senza contare tutti i cambiamenti epocali che aveva visto. Non era certa di aver assistito all’estinzione dei dinosauri, perché altrimenti se la sarebbe ricordata. Oppure era stata molto più noiosa di quanto la gente pensi. In ogni caso, era stufa di dimenticare. Certo, non che avrebbe potuto fare molto per impedirlo. Era speciale per certi versi, senza dubbio, ma la memoria non era un archivio infinito nemmeno per lei.
Sbuffò indispettita. “Non voglio dimenticare” pensava e ripensava. C’era la luna piena quella sera, dava un’atmosfera ancora più malinconica al momento che stava passando. Alzò gli occhi verso il candido astro. Per quanto possa sembrare sciocco da dire, si rivedeva in quella grossa palla di niente sospesa nel vuoto siderale. Eterna, lontano dal mondo e circondata da miliardi di altri corpi con cui non poteva stare. Sola.
«Come fai a sopportare tutto questo?»
La luna sembrava davvero osservarla dall’alto della sua posizione, o forse era solo l’egocentrismo di Tina a farglielo credere. Fatto è che una risposta non la ricevette. Rimase lì in quel luogo ancora a lungo. Era un bel posto, con legati dei bei ricordi. Negli instanti che passava lì, con le gambe ciondoloni nel dirupo e profumo di felci e funghi nelle narici, le sembrava di avere solo quei bei ricordi. Quelli che vale la pena conservare e che le davano forma, in un certo senso. Se la sua stagione preferita era l’autunno era perché in autunno aveva conosciuto Lara. In autunno avevano passato bei momenti, scaldando caldarroste nel camino e bevendo tè accoccolate sotto le coperte. Questi erano i ricordi che avrebbe voluto tenere con sé per sempre, ma che cosa sono i ricordi di una vita a fronte delle rivoluzioni sociali e delle estinzioni di massa? Tina avrebbe ricordato solo quello che il mondo avrebbe ricordato, perché la memoria di una persona sola non è niente dinnanzi all’inesorabile scorrere delle ere. Chissà, magari un giorno avrebbe conosciuto un’altra Lara, e la sua stagione preferita sarebbe diventata l’estate. Chi poteva assicurarle che non ne avesse già conosciute a bizzeffe di Lara e che un tempo la sua stagione preferita non fosse stata la primavera? Il solo pensiero la paralizzava in una sensazione di puro terrore.
Con la testa immersa in questo guazzabuglio angosciante attraversò il bosco per avviarsi verso casa. Teneva gli occhi bassi, osservando le foglie brunite che calpestava. “Mi sento proprio come voi.”

«Sono a casa!» annunciò.
L’assenza di risposta le fece intendere che Lara dormiva già. Non vedeva l’ora di raggiungerla tra le dolci braccia del sonno. Aveva un gran bisogno di cadere nell’oblio per qualche ora e, ironicamente, dimenticare.
Aprì la porta della stanza da letto come se potesse scardinarla. Il problema era che cigolava come un disgraziato stritolato da una schiacciasassi, quel rumore infernale avrebbe svegliato anche i morti di giornata. Prima che potesse imprecare ulteriormente contro la porta e sui cardini arrugginiti, notò che Lara non stava affatto dormendo. Era seduta nel letto, avvolta in una copertina color lillà e con un quadernetto rosso in mano.
Alzò gli occhi verso Tina, che a vedere il suo sguardo offuscato si preoccupò a morte, ma il sorriso affettuoso di Lara la tranquillizzò.
«Ciao, tesoro» disse «Non ti ho sentita entrare.»
Tina le posò un bacio sulla guancia rugosa. «Scusa se ho fatto tardi.»
«Eri nel nostro posto speciale?» La voce di Lara era diventata tremante, il peso degli anni l’aveva resa flebile, ma conservava ancora quel pizzico di malizia che riusciva a far avvampare Tina d’imbarazzo. «F-forse..» Trovò nel quadernetto rosso un perfetto espediente per cambiare discorso. «Piuttosto, che stavi facendo tu?»
Lara tirò un lungo sospiro, chiuse il quaderno e iniziò a tamburellare le dita sulla copertina.
«Tina, io non voglio dimenticare» aggrottò la fronte per un istante e si corresse «Non voglio dimenticarti.»
Quelle parole giunsero al petto di Tina come una lancia, una scossa di emozioni così intense che faticò a inghiottire le lacrime.
«Sono vecchia e sento la memoria che comincia a sfaldarsi» proseguì, con un sorriso triste sulle labbra e malinconia sotto le ciglia nivee.
«Sto scrivendo un diario, diciamo» Le sfuggì una risatina beffarda. «Sto provando a scrivere tutto» Lanciò un’occhiata furbetta a Tina. «Proprio tutto, da quando ti ho conosciuta.»
Tina si stese accanto a lei nel letto, avvolgendole le spalle in un caloroso abbraccio. Non disse nulla però, si gustò quel momento come se fosse l’ultimo della sua vita. Fu di nuovo Lara a rompere il silenzio. «Quando tirerò le cuoia, completerai tu le pagine restanti?»
Tina lasciò finalmente scorrere le lacrime e affondò il viso nel golfino di Lara.
«Lo prendo come un sì, in fin dei conti, il dover tirare le cuoia è proprio ciò che ci differenzia.»

«Non dire così» bofonchiò Tina, con la faccia ancora seppellita nella lana.
«Ma è la verità, tesoro, devi accettarla» replicò Lara baciandole i capelli. «Ci sei già passata?»
Tina riemerse dal golfino e tirò su con il naso. «Prima di te io non volevo avvicinarmi a nessuno» Gesticolò come per indicare tutto ciò che la circondava «Per evitare questo!» Prese un respiro profondo «Ma prima ancora... Non mi ricordo.» Lasciò scivolare gli occhi sulle mani di Lara e sul quadernetto che stringevano. «Ma d'ora in avanti ci saranno pagine e inchiostro a ricordarmi.»

 
N.D.A.
 
Storiella più corta delle altre. Il buon proposito di tenere l'autunno come tema centrale sta andando a farsi benedire ma paziena, sono contenta di aver scritto qualcosa già per tre giorni di fila. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Girasole ***


4. GIRASOLE

 
Sento le dita tiepide dell'aurora svegliarmi dal torpore notturno. Alzo il capo verso oriente e ti vedo, disco lucente di bellezza sanguigna. Seguo la tua orbita con occhi ciechi per sentire il calore sui petali. Sei gioia, mi dai vita. Nell'alto del cielo ti tramuti in oro bollente, ma mi accarezzi ancora con dolcezza materna. In quell'istante sento che siamo fatti della stessa materia, ti specchi su di me e io mi rimiro in te. Sei stanco e inizi a scendere, ti infiammi di luce aranciata. Chino il capo per seguirti oltre l'ovest, ma ti spegni.
La notte è scura e fredda senza di te.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3936572