赤毛の王子 - The red-haired prince

di Xion92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il figlio del fuoco ***
Capitolo 2: *** La minaccia più grossa viene dal basso ***
Capitolo 3: *** Cuore a metà ***
Capitolo 4: *** Non improvvisare, ma pianificare ***
Capitolo 5: *** Un principe si riconosce dall'influenza che ha sul popolo ***
Capitolo 6: *** La regina e la principessa ***
Capitolo 7: *** Dove il mare e il cielo si fondono ***
Capitolo 8: *** Spiraglio di luce in fondo al tunnel ***
Capitolo 9: *** La rottura ***
Capitolo 10: *** La prima impressione ***
Capitolo 11: *** Distanza sociale ***
Capitolo 12: *** Come un principe dovrebbe rapportarsi coi sudditi ***
Capitolo 13: *** Il primo principe ***
Capitolo 14: *** Come i capelli rossi influenzano il carattere ***



Capitolo 1
*** Il figlio del fuoco ***


Se avete sempre amato il personaggio di Kairi nonostante il discutibile modo in cui è stata trattata nella serie...
Se pensate che il Radiant Garden sia un mondo fantastico che valga la pena approfondire...
Se vi piacciono le storie di formazione e crescita...
Se le questioni di governo e politiche vi intrigano...
...allora questa storia probabilmente vi piacerà! Buona lettura!
Spiegazione maggiore alla fine del capitolo.

 


Prologo - Il figlio del fuoco


“Così come coloro che disegnano e’ paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti e, per considerare quella de’ luoghi bassi, si pongono alto sopra ‘ monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, e a conoscere bene quella de’ principi, conviene essere populare.” – Introduzione al Principe
 

Era notte. Una notte fonda e cupa, senza stelle. Non si vedevano perché il cielo era coperto da spesse e pesanti nubi. Nubi da temporale, portate dal vento forte. Un temporale parziale. Le persone sapevano che le tempeste di quella stagione non portavano mai la pioggia, ma solo fulmini. Fulmini pericolosi nella stagione secca, perché la possibilità di incendi era alta. Ma era anche vero che le zone più a rischio erano quelle delle campagne, al di fuori della città capitale, dove i contadini avevano da tempo finito di mietere i raccolti e i campi aridi non erano coperti che da stoppie secche. La popolazione rurale, nella sua saggezza primitiva, nel corso degli anni e delle generazioni era arrivata a comprendere le conseguenze di quel fuoco che si verificava così spesso in estate. Ed aveva capito che per l’agricoltura era benefico: terminato l’incendio, la cenere fertilizzava la terra, che dopo la successiva stagione delle piogge avrebbe potuto produrre un raccolto ancora più ricco. Quindi i contadini non temevano gli incendi. Dovevano solo stare attenti che fra i campi e i loro villaggi ci fosse la terra nuda, senza residui di materiale incendiabile, e per il resto lasciavano che la natura facesse il suo corso. Così era stato nelle isole rurali del regno del Radiant Garden, e così sarebbe sempre stato.

E quello che, in una di quelle isole, le persone si aspettavano che sarebbe avvenuto, avvenne: un fulmine più potente degli altri squarciò il cielo e colpì un albero secco che prese fuoco, e le fiamme, aiutate dalle raffiche di vento, si diffusero nei campi dove non rimanevano altro che i rimasugli del grano. Nessun paesano si allarmò, e tutti continuarono a dormire, perché il fuoco non poteva arrivare alle loro poche case di pietra e malta. Solo una bambina, di quattro anni, che dormiva insieme alla sua nonna nella loro semplice casetta di gente di campagna, si svegliò impaurita e corse a guardare dalla finestra. Quando vide quel bagliore rosso in lontananza nei campi, insieme alle scintille e al fumo che si innalzava, venne presa dai tremori.

“Nonna! Svegliati, nonna!”, corse vicino al letto della sua anziana parente, scuotendola per il braccio. “C’è il fuoco, ho paura!”

Era la prima volta che quella bambina vedeva un incendio così grosso in vita sua. Anche nell’anno precedente ce n’erano stati, ma non ricordava che fossero stati così intensi.

“Dobbiamo scappare, nonna! Andiamo a dirlo ai vicini!”

La nonna aprì assonnata gli occhi, alzò la testa dal cuscino e diede un’occhiata alla finestra.

“È soltanto uno dei tanti incendi che colpiscono la campagna nella stagione secca, tesorino”, la rassicurò con la sua voce roca. “Non avere paura, non arriverà fino a qui. Domattina sarà tutto finito e non ci sarà altro che cenere nei campi. Ora torna a letto, su.”

La bambina, terrorizzata, pestò un piede. “Non riesco a tornare a letto, ho paura! Quel fuoco è cattivo, ci mangerà tutti!” E subito scoppiò in un pianto disperato e pieno di singhiozzi.

La nonna si tirò su a sedere, stringendosi nella sua vestaglia, e fece un mezzo sorriso. “Il fuoco non è sempre cattivo. Di certo è forte e feroce, e distrugge, ma in certi casi è nostro amico, come adesso.”

La bambina la guardò stranita, tirando su col naso. Non sembrava crederle. “Ma nonna… questo qui è diverso. È molto più grosso e feroce. È molto… molto!” Concluse, tenendo le braccia allargate per dare l’idea, non riuscendo a trovare le parole per descrivere la sua impressione.

Allora la nonna si alzò, si avvolse nel suo scialle e si avvicinò alla finestra, con la nipotina attaccata al braccio. Strizzò gli occhi rugosi per vedere meglio e fissò le fiamme che si erano ingrossate ancora, divorando le stoppie nei campi.

“Hai ragione, tesoro. Questo incendio è diverso da molti altri che ho visto nella mia lunga vita…” mormorò, riflessiva.

La bambina alzò gli occhi verso di lei. “E… allora?”

La nonna guardò verso di lei e sorrise. “Beh, forse Kaji è tra quelle fiamme, adesso. È il suo elemento, dopotutto.”

La bambina appariva confusa. Aveva sentito molte storie raccontate da sua nonna, ma quel nome non se lo ricordava. “Chi è Kaji?”

“Il grande principe del nostro regno”, rispose la nonna, misteriosa. “Non di adesso, ovviamente. Di molte generazioni fa. Ha avuto il suo nome dal grande incendio che divampò nel castello della città la notte in cui nacque. Sono sicura che c’è lui tra quelle fiamme laggiù.”

La bambina, che ormai non sembrava più così spaventata, si mise a fissare il fuoco lontano, sforzando la vista. Dopo qualche minuto, tornò a fissare la nonna.

“Io non lo vedo”, disse delusa.

“Concentrati di più”, la esortò la vecchia, accarezzandole la testa. Subito la bambina tornò a fissare le fiamme, cominciando a mostrare un certo grado di eccitazione.

“Brava”, annuì l’anziana donna. “Ora concentrati sul fuoco, senza avere paura. Sta’ molto attenta ad ogni sfumatura delle fiamme. C’è molto da dire su Kaji. Alcuni dicono che è ancora vivo. Certi dicono che in realtà non è mai esistito. Altri dicono che è una vampata che appare negli incendi. Ma nei nostri villaggi, si raccontano spesso storie su quel potente uomo, il principe dai capelli rossi, il più grande sovrano che abbia mai governato il Radiant Garden. Riesci a vederlo?”

La bambina, che quasi non respirava per la tensione, distolse gli occhi dall’incendio lontano e guardò la nonna. “Non sono sicura…”

“Guarda ancora attentamente, e lo vedrai”, la incoraggiò la nonna, e iniziò con voce sommessa il suo racconto, mentre seguitava a guardare attraverso il vetro le fiamme insieme alla bambina. “Avvenne in una notte molto simile a questa. Una notte estiva, secca, con un temporale senza pioggia, con solo tuoni e fulmini, che innescano il fuoco. Di solito gli incendi estivi scoppiano nelle campagne, ma quella volta era stato diverso. Era stato nel castello dei nostri sovrani, al tempo in cui era ancora il principe Ansem a governare. Il sovrano, i suoi assistenti e il resto degli abitanti del castello erano riusciti ad allontanarsi prima dell’arrivo dei soccorsi; ma Kairi, la nostra principessa che da qualche mese era tornata al suo popolo, bellissima e saggia come suo padre, era rimasta intrappolata, ed era riuscita a trovare scampo nei giardini sul retro, dove il fuoco non riusciva ancora ad arrivare. Lì si era preparata a dare alla luce suo figlio. C’era qualcosa di misterioso ed eccitante in quelle fiamme. Stava per succedere qualcosa di importante.”

La donna smise di guardare l’incendio che si propagava nei campi, per volgere lo sguardo alla sua nipotina. La bambina la guardava con gli occhi sbarrati, completamente rapita dal racconto.

“E… e quindi la principessa ha fatto nascere il suo bimbo così? Tutta da sola, senza nessuno che la aiutava? Proprio vicino all’incendio?”

La nonna annuì con solennità.

“E lo chiamò Kaji, perché Kaji vuol dire incendio, gli diede il nome di quel fuoco selvaggio in cui era nato. I suoi capelli appuntiti erano rossi, più accesi di quelli di sua madre, e mentre cresceva diventando un uomo, brillavano di un rosso scarlatto alla luce del sole. Kairi sapeva che, essendo un principe destinato a governare un intero mondo, avrebbe dovuto combattere per tutta la sua vita...”

La bambina allora si aggrappò al braccio della donna, non più per paura ma per eccitazione. “Dimmi ancora, nonna! Voglio sapere del principe Kaji! Mi racconti di lui?”

La vecchietta sorrise e alzò gli occhi al soffitto. “Ti prometto che te lo racconterò domani, se adesso vai a letto e non avrai più paura del fuoco.”

Non fece quasi in tempo a finire di parlare. La bambina corse verso il suo letto, sistemato vicino a quello della nonna, e si tuffò sotto le coperte.

“Ricorda che l’hai promesso”, disse con voce importante, prima di lasciarsi andare al sonno.

“Così va meglio”, sospirò la nonna. Si mosse anche lei per tornare a dormire ma, prima di farlo, volse il capo per guardare un’ultima volta quell’immenso fuoco dalla finestra. Nei suoi occhi stanchi e appannati si rifletté il rosso delle fiamme, e mentre continuava a guardare l’incendio, la donna piegò la testa in un inchino rispettoso, prima di andare a letto anche lei.

Fuori, nel buio della notte e nel silenzio del mondo rurale, il fuoco continuava a bruciare, a sprizzare scintille e improvvise vampate salivano verso il cielo. Ci fu un movimento veloce nel tremolio di quel calore bruciante. Il profilo di un uomo si distinse a malapena nel movimento delle fiamme. Un uomo che, anche dal suo semplice apparire, dava un’idea di potenza, con i capelli dritti in tante ciocche e una lunga e pesante sciarpa avvolta attorno alle spalle. La figura, con le fiamme appena dietro di sé, diede un’occhiata fiera e veloce alle terre bruciate che gli si aprivano di fronte, prima di voltarsi di scatto e sparire di nuovo nel fuoco in cui era immersa.


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Un prologo che già svela un bel po’ di robe. Ma quello che conta in questa storia è il come, non tanto il cosa. Ma di cosa tratta questa fan fiction?
Si tratta di un remake di un’altra fan fiction che avevo scritto almeno dieci anni fa, quando ancora non esisteva nemmeno Days, e che partiva dagli stessi presupposti: Kairi qui è la figlia di Ansem il saggio (è una vecchia teoria che girava ai tempi di KH2 e che ho deciso di ripescare, ecco perché il “what if” nell’introduzione), di conseguenza è la vera principessa del Radiant Garden e ad un certo punto della storia ha un figlio di nome Kaji. Questi sono i punti in comune, ma da qui in poi il tutto prenderà una piega molto diversa. Inoltre in questi dieci anni sono usciti quattrocento triliardi di giochi, quindi ovviamente tutta la narrativa sarà diversa dalla vecchia storia.
Perché questa fan fiction? Prima di tutto come omaggio verso il personaggio di Kairi, che è sempre stata la mia preferita nonostante sia stata trattata così ingiustamente da Nomura, e anche per esplorare un tema a mio avviso interessante: i film Disney ci hanno abituati alla figura del re buono, giusto, che normalmente regna su un territorio in pace, è amato incondizionatamente dai sui sudditi, fa la bella vita, è in una situazione quasi utopica e bla bla. Ma siamo sicuri che per un sovrano il compito di governare sia così facile e piacevole? In realtà, anche in tempi che all’apparenza sembrano di pace, il compito di guidare un regno è una lotta continua e faticosa, e vanno seguiti un metodo e una strategia precisi per tenersi stretto il proprio potere. Questa è la parte più importante di questa fan fiction, che per i temi trattati è fortemente ispirata a “Il Principe” di Machiavelli, come si intuisce leggendo la citazione iniziale. Quando si entrerà nel vivo della parte politica della storia, tutte le situazioni che si verificheranno saranno prese dal libro, e ogni capitolo avrà in cima una citazione che anticiperà il contenuto del capitolo stesso, come è avvenuto per il prologo.
Questo è in sostanza il presupposto della storia, ambientata subito dopo KH3, e vuole essere uno spin-off concentrato sul solo mondo del Radiant Garden e sul suo governo da parte di tre generazioni di sovrani (Ansem, Kairi, Kaji), quindi la parte relativa a KHUX sarà ignorata. Un avviso poi sui personaggi: Kairi e il “nuovo personaggio” (che sarebbe Kaji) che ho segnato nell’introduzione sono solo i due protagonisti, in realtà di personaggi ce ne saranno molti altri. Kaji sarà l’unico nuovo personaggio importante completamente inventato da me, ci saranno altri personaggi “nuovi” per KH che però erano già esistenti, appartenenti al franchise Disney o Final Fantasy, e che sicuramente già conoscete. A parte Kaji quindi, non ci sarà nessun nuovo personaggio di rilievo.
Il mondo del Radiant Garden, dove si svolgerà quasi tutta la storia, verrà approfondito e ampliato, a cominciare dal prologo: nel gameplay non si nota, ma se guardate gli artwork del mondo visto dall'alto, vedrete che in realtà la città col castello si trova su una fortezza galleggiante, e sono presenti molte isole sullo sfondo. Ho immaginato che la città sia la capitale, e le isole intorno siano la parte rurale con dei villaggi meno sviluppati.

Il rating in teoria dovrebbe essere giallo, non arancio, ma visto che ancora non so bene come scriverò un paio di capitoli più forti lascio l’arancio per sicurezza.
Spero che questa storia possa piacervi, fatemi sapere che impressione vi dà!
 

 

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Capitolo 2
*** La minaccia più grossa viene dal basso ***


Capitolo 2 – La minaccia più grossa viene dal basso


“A uno principe è necessario avere il populo amico, altrimenti non ha nelle avversità rimedio.” – Capitolo IX

 

Nel regno del Radiant Garden stava finendo la stagione secca. Presto sarebbe iniziata la brutta stagione, con le sue piogge che avrebbero rifornito di acqua il regno e fatto ricrescere la vegetazione ormai morta. I grandi prati dei vari giardini erano marroni, spogli e brulli, visto che non c’era nessuna specie di fiore che potesse resistere alle alte temperature della stagione secca. Invece che dai fiori, i prati erano pieni di erba secca, crepe e polvere. Ed in quell’afa della giornata appena cominciata, il principe Ansem, incurante del caldo, con la sua divisa regale e con il segno del comando che si usava in quel regno, cioè la sua spessa sciarpa rossa avvolta attorno alle spalle e i due capi lasciati lunghi sul petto e sulla schiena, si apprestò a compiere il suo giretto mattutino.

Era un’attività che aveva sempre svolto fin da quando era un giovane principe, per incominciare la giornata incontrando personalmente i suoi sudditi, ed era sempre stato per lui un vero piacere. Ma adesso, da quando era tornato nel suo regno dopo anni di assenza, lo metteva a disagio, e questo malessere aumentava man mano che passavano i giorni. Non tanto per il caldo così intenso che rendeva quasi difficoltosa la respirazione: Ansem si era fatto anziano, ma era ancora in grado di sopportare le temperature afose. Erano altre cose, più sottili, che lo inquietavano.

Nella grande piazza di fronte al castello era giorno di mercato. Le bancarelle erano piene di prodotti agricoli provenienti dalle isole al di fuori della città capitale, e attorno ad esse era gremito di signore e ragazze che erano lì dalle prime ore dell’evento, per evitare che i pezzi migliori venissero portati via dalle concorrenti. C’era un gran vociare di chiacchiere, saluti e tentativi di contratto, ed era tutto uno spingere, un accalcarsi e un cercare di farsi strada per arrivare davanti ai banconi e vedere meglio la mercanzia. Ansem non scese nella piazza, ma rimase più in alto sui gradoni, fissando incerto ma conciliante la folla sotto di lui. Ad un certo punto, una donna, per caso, alzò gli occhi e lo notò. La sua espressione, da affaccendata qual era, divenne sbigottita e interruppe il tentativo di contratto in cui era impegnata. Quasi come per seguirla, tutte le altre persone nella piazza alzarono lo sguardo, per dirigerlo verso il loro sovrano. Se fino ad un attimo prima c’erano stati un gran chiasso e un chiacchiericcio continuo, ora si sarebbe potuta sentire volare una mosca. Ansem ne approfittò subito, e alzò con fare calmo una mano aperta all’altezza della spalla.

“Auguro un buon giorno a tutti voi, miei sudditi. È bello vedere tanta vivacità già di prima mattina!”

Le persone non risposero a quell’affettuoso saluto. Anzi iniziarono a scambiarsi occhiate l’un l’altra, a mormorare tra loro, ed alcuni lanciarono al loro principe uno sguardo diffidente. Pochi altri lo guardarono con disapprovazione. Non erano sguardi propriamente ostili, eppure Ansem si sentì un brivido lungo la schiena quando si rese conto di essere guardato in quel modo. Senza più forzare la situazione aggiungendo altro, si ritirò con passo dignitoso per rientrare nel castello, chiudendo i cancelli in fondo alla scala dietro di sé. Soltanto quando le inferriate furono serrate il sovrano sentì riprendere il vociare tipico del mercato e la tensione scivolargli di dosso.

Il vecchio principe tirò un gran sospiro affranto e si coprì il viso rugoso con la mano. Rimase così per alcuni secondi prima di salire le scale per tornare all’interno del palazzo. In cima alla rampa, accanto al portone, stava ritto Aeleus, una delle due guardie, che si mise sull’attenti all’arrivo del suo sovrano. Ansem lo guardò dubbioso.

“Dilan ha smontato?”

“È andato di sopra a prendere il bambino, maestà, ormai è ora che si alzi”, rispose pronto Aeleus. “Ma sarà subito di ritorno.”

Ansem annuì, ed entrò dal portone senza aggiungere altro. Appena dentro, prese la piccola porta accanto all’entrata che portava nei sotterranei. Percorse il lungo intrico di labirinti di corridoi che si snodavano sotto il castello e che conosceva a memoria da anni, per ritrovarsi nel suo laboratorio, dove i suoi apprendisti già lo stavano aspettando dentro i loro camici bianchi.

Even stava pulendo l’attrezzatura sul tavolo di lavoro, e guardò sorpreso il suo principe che era appena entrato.

“Vostra maestà!”, esclamò sorpreso. “Avete già finito il giro mattutino? Avete fatto presto!”

“Ho… ho deciso di non proseguire, stamattina”, confessò Ansem affranto. “Non me la sento. Non me la sento più.”

“Ma cosa vi è successo, maestà?”, chiese allarmato Ienzo, scostandosi il ciuffo dagli occhi per vederlo meglio. “Non vorrei sembrarvi scortese, ma sembra che vi abbiano scaricato addosso altri vent’anni…”

“Non sei scortese, stai dicendo la verità”, ammise Ansem. “È diventato tutto troppo pesante… non ci riesco.”

“Maestà, sapete che con noi potete confidarvi”, lo rassicurò Even. “Diteci cosa vi affligge.”

Ansem annuì. “Va bene, ma prima fatemi… sedere…” sospirò, cercando una sedia. Subito Ienzo gliene porse una imbottita, e Ansem vi si lasciò cadere a peso morto, come un povero vecchio.

Il sovrano guardò con profondo affetto i suoi due apprendisti, che lo fissavano con apprensione. “Ora, sapete quello che è successo anni fa, vero? Quello che abbiamo fatto… quello che io ho fatto…”

“Oh…” sospirò Ienzo. “Dovete proprio ricordarcelo, maestà? E’ vero, abbiamo sbagliato, ma abbiamo rimediato, noi e anche voi. Avete riparato al danno che avete fatto a tutte quelle persone che abbiamo incrociato sulle nostre vie. Anche Naminé sembra che si trovi molto bene a Crepuscopoli insieme ad Axel, Isa, Xion, Roxas e gli altri loro amici. Non avete proprio nulla di cui rimproverarvi.”

Ansem annuì. “Hai ragione, Ienzo. A livello morale è una questione chiusa, almeno personalmente. Ed anche per voi è così, è vero. È giusto che certe cose, una volta che si è fatto ammenda, vengano dimenticate. Ma il popolo… i sudditi, loro non dimenticano.”

Ienzo alzò gli occhi al cielo. “Ci avevate già accennato la cosa, maestà, che eravate preoccupato per questo. Ma i sudditi… loro al massimo dovrebbero prendersela con noi. Siamo stati noi a far cadere il Radiant Garden nel caos, anni fa, voi avete cercato di impedircelo, e questo lo sapete bene.”

Ansem scosse la testa. “Il principe è responsabile di ogni cosa che succede nel suo regno, bella o brutta che sia. Anzi, se è brutta è ancora più responsabile, ed anche se la colpa non è sua.”

Even allora cercò di rassicurarlo: “la gente dimentica in fretta, maestà. Lasciate passare qualche altro mese, vedrete poi come vi saluteranno con calore, come facevano una volta.”

Il vecchio principe sospirò e lo fissò con i suoi profondi occhi arancioni. “Magari avessi ragione. Ma sono anziano, sono stato il principe regnante di questo mondo per molti anni, e so bene come ragionano le persone. Esse dimenticano solo se fai loro qualcosa di buono. Ma appena fai uno sbaglio, è finita. Non dimenticheranno più. Puoi far loro del bene per tutta una vita, ma al primo sbaglio, non si fideranno più di te, come se non avessi mai fatto nulla di buono per loro, e quello sbaglio te lo ricorderanno finché ci sarai. E…” esitò un momento prima di proseguire, a voce più bassa e affranta. “…e io sto cominciando ad avere paura. Sì, ormai ve lo posso confessare, ho paura ad uscire dal castello.”

Even e Ienzo si guardarono. “Ci eravamo accorti, maestà, che eravate sempre meno propenso ad uscire. Se mettessimo un letto nel laboratorio, potreste vivere qui dentro.”

Ansem tirò un gran respiro, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il viso nelle palme delle mani. “Che razza di principe sono…? Esco sempre meno perché ho timore dei miei sudditi, lo ammetto. Se il popolo non è soddisfatto del suo sovrano, basta un niente perché esso venga ucciso proprio da loro. Ma se esco sempre meno, loro penseranno ancora di più che dei miei sudditi non mi importi nulla.”

Ienzo allora cercò di confortarlo, ma il suo tono era innervosito. “Quegli ingrati dei vostri sudditi non hanno proprio nulla di cui lamentarsi. Di Heartless non ne appaiono più, il Radiant Garden si sta risollevando, anche se lentamente, le tasse che imponete sono basse… che altro possono volere?”

“Ah, le tasse… era meglio se non le nominavi, caro Ienzo”, rispose Ansem, affranto. “Ieri sera i funzionari mi hanno fatto rapporto. Una quantità sempre maggiore di sudditi sta inziando ad evitare di pagarle.”

“Cosa?!” esclamarono esterrefatti Even e Ienzo all’unisono.

“Non è certo per via dei soldi in sé che mi preoccupo, il Radiant Garden si riprenderà lo stesso, anche se ci vorrà molto più tempo”, aggiunse Ansem. “Ma per il significato che ci sta dietro. Non è che non le pagano perché non hanno i soldi. Ma perché non vedono più in me un’autorità da rispettare.”

“In questo caso, maestà”, suggerì Even, stringendo il pugno. “Credo che si debba rispondere alla durezza con la durezza.”

“Ma come potrei, Even?” sbottò il vecchio principe. “Sono in una polveriera. Un minimo torto ai sudditi e tutti mi si rivolteranno contro. Ho le mani legate, non c’è modo che io, adesso, da solo, possa risolvere questa situazione.”

La pesante conversazione venne interrotta da un veloce scalpiccìo di piedi, e nel laboratorio entrò di corsa un bimbetto, di circa quattro anni, con lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. Subito dietro di lui sbucarono Dilan e Aeleus, e il primo riuscì a fermarlo acchiappandolo per un braccio.

“Ahia, Dilan, mi fai male!”, strillò il piccolo con voce acuta.

“Perdonate, maestà, se vi abbiamo interrotto”, si scusò l’uomo mettendosi sull’attenti accanto ad Aeleus, con ancora il braccio del bambino stretto nella sua mano guantata. “Il piccolo ci era sfuggito.”

Il viso del principe si illuminò a vedere quella scena. “Kain!”, esclamò alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il bimbo. Lo liberò dalla presa della guardia e lo sollevò in aria, tenendolo stretto sotto le ascelle.

“Eccolo qui, il mio erede!”, esclamò, e tutta la tristezza sembrava averlo abbandonato. Il bambino rideva e si stava divertendo un mondo.

“Oh, maestà, che bel gesto è stato da parte vostra adottare questo orfanello, come ai tempi avete fatto con me…” disse con calore Ienzo. “È con noi solo da qualche settimana, ma è molto sveglio e si è adattato bene.”

“In te, forte e intelligente Kain, ripongo tutte le mie speranze”, gli disse solennemente Ansem, sollevandolo più in alto. “Per me ormai non c’è più niente da fare, ma tu sarai la nuova luce di questo regno.”

“Ed è vero, maestà, che un giorno diventerò il principe del Radiant Garden?” chiese eccitatissimo il bambino.

“Certamente, Kain, sarai tu il prossimo principe dopo di me, appena avrai un’età sufficiente per governare”, annuì Ansem. “Se i sudditi non hanno più fiducia in me, l’avranno in te, e con te al governo, la loro fiducia per la nostra dinastia verrà recuperata tutta.”

“Ma se voi siete il principe, maestà, e io sono il vostro erede, allora sono già un principe anch’io!” rise il bambino.

Anche Ansem si mise a ridere. “Ma il principe di cosa, Kain, che ancora non comandi niente? No, per ora non sei un principe, ma appena ti avrò ceduto una parte di governo lo sarai. Dovrai aspettare un po’.”

“Perdonate, maestà, a proposito…”, si intromise cauto Even. “Capisco bene il discorso che fate, ma secondo me, scegliere un bambino così piccolo è stato azzardato. Ci sono molti adulti prestanti e capaci tra il volgo. Prendete quello Squall… o Leon… o come si chiama?”

“Non posso scegliere un uomo già adulto, che è cresciuto in mezzo al popolo e potrebbe aver assorbito il suo odio verso di me”, rispose Ansem risoluto, mettendo Kain per terra. “Se prendessi lui come erede, e lo facessi vivere nel castello con noi per istruirlo sul governo, non ci metterebbe nulla ad uccidermi. Inoltre sai bene che io non so combattere, e non c’è nulla di più appetibile per un pretendente al trono che uccidere il proprio principe più debole di lui. Ecco perché ho bisogno di un bambino, perché possa abituarsi a me fin da subito senza odiarmi.”

“A vedere la realtà dei fatti, non sembra proprio che lui vi odi, maestà. Ve lo posso assicurare, non sembra che abbia nulla contro di voi”, obiettò Even.

“E’ parte del popolo. Non posso considerarlo in modo diverso dagli altri. Sono vecchio, Even… conosco la mente degli uomini meglio di chiunque altro, e a meno che ne fossi sicuro al cento per cento, non metterei mai la mia vita nelle mani di qualcuno da cui non posso difendermi”, insisté Ansem. Non poteva certo dare torto al suo apprendista, in fondo era vero che, per quel poco che conosceva Squall, non aveva percepito alcun odio da parte sua. Ma ormai la sua mente era arrivata ad un tale livello di chiusura dovuta alla paura, che non se la sentiva di rischiare.

“Siete prudente, maestà”, osservò Aeleus. “Ma così, minimo dieci anni li dovrete aspettare, prima che Kain possa prendere almeno una parte del vostro potere.”

“Hai ragione”, annuì il vecchio principe. “Ma non posso farci niente. Posso solo attendere, e sperare che l’odio del popolo verso di me non aumenti e rimanga stabile.”

“Pensate che la situazione non degenererà in questi anni?”

“Se starò attento e mi comporterò con cautela, non peggiorerà. Avrò sempre le mani legate, questo sì. Ma dovrò solo tenere duro finché Kain non sarà diventato grande.”

Even e Ienzo si guardarono incerti. “Eppure…” azzardò il più giovane. “Eppure sapete bene che avete un’ottima candidata, già pronta, che non aspetta altro che tornare. Ve l’avevamo detto già da prima che sceglieste Kain.”

“Oh”, sospirò stancamente Ansem. “Dobbiamo proprio ritirare fuori questo discorso?”

“Ma maestà, non si capisce perché vi facciate scrupoli. Quella ragazza è la scelta più adatta…”

“Kairi!” lo interruppe brusco il vecchio principe. “Ha un nome.”

“Sì, certo, Kairi”, si corresse Ienzo. “Ha tutti i requisiti. È giovane ma non troppo, non ha vissuto quasi mai nel Radiant Garden e non ha memoria dello stato di oscurità in cui è caduto il regno; non prova rancore e sono sicuro che non tramerebbe mai contro di voi.”

“Esatto”, annuì Even. “È o non è una delle sette ragazze dal cuore puro? Una con un cuore così non potrebbe mai comportarsi come il volgo.”

“Credete, maestà, è perfetta! Una persona del genere al vostro fianco farebbe tornare alta la fiducia del popolo verso di voi all’istante”, incalzò Ienzo.

“Lo so, miei fedeli assistenti, so bene tutto quello che mi state dicendo”, ammise Ansem. “Ma non posso avere la sfrontatezza di farle una richiesta simile. Dopo quello che le ho fatto…”

“Forse vi state facendo troppi scrupoli”, obiettò Dilan. “Se la richiamaste, sarebbe per il bene vostro e del regno, e siete pur sempre suo padre.”

“Ed è meglio che questa cosa resti tra noi”, disse risoluto il principe, con gli occhi che gli stavano diventando lucidi. “Già mi sento abbastanza in colpa di non aver mai badato a lei quando era piccola e di averla sempre lasciata insieme a sua nonna, perché io ero troppo preso dai miei studi per considerarla. E quando è finita in quell’altro mondo, ero troppo preso dai miei desideri di vendetta per pensare di cercarla e riprenderla con me. Ma poi… non ha ricordi di questo posto, né di me. Si è trovata una nuova casa, con nuovi amici, ed ha una nuova vita. Sarò suo padre, ma non sono nessuno per stravolgere il suo equilibrio solo perché farebbe comodo a me. Dobbiamo comportarci come se lei non esistesse.”

“Non pensavo che vi faceste tutti questi problemi… un tempo, per raggiungere i vostri scopi passavate sopra a cose molto più grosse…” mormorò Ienzo.

“È vero, è vero”, cercò di interromperlo Ansem, sbrigativo. “Ma non voglio più comportarmi come un tempo. Mettere i miei interessi personali sopra la felicità di mia figlia…” La sua voce si incrinò per il dispiacere. “Voi non avete idea… quanto mi sia costato ignorarla l’unica volta che ci siamo visti. Non mi aspettavo che si fosse fatta così grande, e la tentazione di rivelarle tutto è stata forte. Ma non posso… capite che non posso?”

I quattro uomini più giovani si scambiarono occhiate. “Avete ragione, maestà. Scusate, ci siamo lasciati trasportare. La devisione finale spetta a voi”, assentì Even, controllando il tono.

“E poi... nessuno di noi ha figli, ma penso che capiamo quello che provate come padre”, aggiunse Ienzo.

“Già, ma questo piccoletto…” accennò deliziato Dilan con la sua voce profonda scossa dal divertimento, mentre teneva sollevata la propria lancia per evitare che Kain ci arrivasse. Il bambino sembrava molto attratto da quell’arma e ogni tanto faceva un salto per cercare di toccarla.

“La tua lancia è bellissima, Dilan! Mi insegnerai ad usarla, un giorno?” chiese emozionato.

“Quando sarai più grande, Kain, adesso sarà meglio che pensi a giocare”, rispose la guardia, con pazienza.

“Ma presto sarò un principe, Dilan!” disse freneticamente il bimbo. “E devo imparare a combattere. Sennò come potrò difendermi?”

“Visto?” disse Ansem con voce d’approvazione. “Ora non ditemi che non è un buon candidato anche lui.”

“Beh, sì”, ammise Ienzo. “Dopo Kairi, Kain è la scelta migliore, sicuro.”

Ansem tirò un gran sospiro, si alzò e si avvicinò al suo armadietto per prendere il proprio camice. “Su, miei apprendisti, è ora di rimetterci al lavoro. Dilan, Aeleus, tornate al vostro posto, e tu Kain torna pure a giocare. Sarò da te fra un paio d’ore.”

La questione sembrava ormai chiusa, ma, nel mezzo del lavoro, Ienzo chiese, più parlando a se stesso che agli altri due: “chissà quei ragazzi come sono messi, adesso?”

Ansem sospirò, alzando la testa da quello che stava facendo. “Ho sentito il mio amico, Re Topolino, l’altro giorno. Sembra che si stiano assestando bene, nelle loro nuove vite. Non ci sono più problemi di alcun tipo. Ma mi ha detto una cosa strana... Kairi sembra molto triste.”

I due apprendisti assunsero un’aria perplessa. “Triste? Per che motivo? La guerra è finita, i mondi sono in pace, la vita è ricominciata…”

Ansem scosse la testa. “Non lo so... nessuno lo sa. Ma chissà... perché non è felice come gli altri?” si chiese pensieroso, alzando lo sguardo al soffitto.

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Un appunto su un concetto linguistico che verrà usato di continuo per tutta la ff: la terminologia usata in questa storia cerca di avvicinarsi il più possibile al libro di riferimento. A cominciare dal termine “principe” (e principessa), che non ha il significato odierno di “figlio di un re”, ma ha il senso che gli dà Machiavelli. Ossia deriva dal latino princeps che vuol dire “comandante”. Per fare un esempio, nel Principe, anche Achille e Mosé sono definiti tali dall’autore, ed è lo stesso motivo per cui Kain, pur essendo stato scelto da Ansem come suo erede, non è ancora un principe: perché ancora non comanda niente. Tuttavia, nella storia, per fare un distinguo senza confusione tra chi è semplicemente un principe e chi è proprio il capo del Radiant Garden, utilizzerò il termine “principe regnante” per indicare quest’ultimo, quello che normalmente definiremmo il re. Gli altri reali che già hanno un ruolo di comando ma non sono i capi assoluti del mondo saranno principi e basta.

Kain è basato sul personaggio di Kain Highwind di Final Fantasy IV. Nel gioco originale, Kain è un orfano adottato dal re di Baron insieme a Cecil, il protagonista. I due crescono insieme come amici, ma Kain col tempo diventa geloso di Cecil, sia per motivi di carriera, sia per la vita sentimentale. Questo lo porta a guardare Cecil sempre meno come un amico e sempre più come un ostacolo. Dico solo questo di Kain, ma dovrebbe bastare per far capire che ruolo avrà nella storia. E a proposito: Kain, in originale, appartiene alla classe del cavaliere dragone, ed usa le lance per combattere. È per questo che in questo capitolo è così attratto dalla lancia di Dilan (e Xaldin, il suo Nessuno, è proprio basato sulla classe del dragone).

Inoltre un chiarimento che faccio subito, visto che in questo capitolo cominciano a venire fuori i primi concetti politici. Tutto quello che verrà scritto in questa storia riguardo la politica rappresenta strettamente il pensiero di Machiavelli, tutto quello che troverete sarà preso paro paro dal libro. Ciò vuol dire che quello che scriverò non rappresenterà il mio pensiero, io non penso assolutamente che il modo di comportarsi del principe del trattato sia accettabile o che certe considerazioni sulla natura umana siano vere. Ma quello che l’autore scrive, io riporto, indipendentemente dalla mia opinione personale.

Ah, un'altra cosa: visto che KH ha parecchi personaggi ed eventi e non mi ricordo proprio tutto bene, può darsi che ogni tanto mi capitino degli sbagli in proposito. Nella caratterizzazione, avvenimenti o cose simili. Se doveste accorgervene, vi sarei grata se me lo faceste notare, che correggerò subito!

Grazie mille per aver letto, al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 3
*** Cuore a metà ***


Ciao! Premessa molto molto importante: io non so scrivere cose romantiche. Brutta verità, ma è così. E "purtroppo" (per modo di dire) alcuni capitoli romantici funzionali alla trama saranno necessari. Giusto qualcuno e poi si ripartirà con la trama principale. Tuttavia, nonostante la mia inettitudine in proposito, dedico questi pochi capitoli seguenti a Kairi e Sora, una delle coppie fittizie che preferisco in assoluto. Se anche a voi piace questa coppia, godeteveli, perché dopo questo e un paio d'altri non ce ne saranno praticamente più (o almeno, non ci sarà più Sora). Spiegazioni ulteriori in fondo. Buona lettura!

 

Capitolo 3 – Cuore a metà

“Non si vorrebbe mai cadere per credere di trovare chi ti ricolga.” – Capitolo XXIV

Un altro giorno era arrivato. E si prospettava pieno di vuoto, come tutti quelli che lo avevano preceduto. Non c’erano orizzonti di miglioramento. Anche se la giornata doveva ancora iniziare, Kairi sapeva che sarebbe andata così. E sarebbe sempre stato così. Non si sentiva più la forte ed energica ragazza di una volta. Tanto per cominciare, doveva fare degli sforzi sovrumani per togliersi le coperte di dosso al momento di svegliarsi, e per mettere i piedi giù dal materasso doveva imporselo nel cervello, mentre una volta spesso era già in piedi prima che la sveglia suonasse. Ora svolgeva la sua vita di routine trascinandosi fiacca, senza voglia, senza convinzione, senza scopo, con la visione del mondo intorno a lei coperta da un filtro grigio sullo sguardo che non le cadeva mai. Una volta invece era stata la più energica ragazza delle isole, tanto che, al momento di avviarsi per la scuola, camminava talmente veloce che le sue compagne faticavano a tenerle dietro. Ora non mangiava quasi più, o se lo faceva era perché suo padre adottivo la costringeva. Spesso era lui stesso che si rassegnava ad imboccarla pur di farle mandare giù qualcosa. E non poteva essere altrimenti. La vita di Kairi sembrava divisa tra gli impegni obbligatori, che doveva per forza svolgere, e il letto. Tornava da scuola, e invece di mettersi a tavola col padre raccontandogli animatamente delle sue avventure quotidiane, come faceva una volta, filava dritta in camera e si lasciava cadere sul materasso, tenendosi gli occhi coperti col braccio, oppure, se non se li copriva, rimanendo a fissare il soffitto senza espressione.

Il padre, che era il sindaco delle Isole del Destino ed era un uomo comprensivo e di buon cuore, aveva notato questo suo strano comportamento. Dopo alcune settimane che andava avanti così, in cui aveva cercato in tutti i modi di cavarle di bocca una parola, le aveva proposto di portarla da uno psicologo, per vedere se almeno lui potesse farci qualcosa. Ma non c’era stato verso. Kairi si era rifiutata con uno sdegno e un’indignazione non comuni per una normale e modesta ragazza cresciuta in un piccolo paese.

“Non ho niente che debba essere scoperto o trovato da un dottore. Voglio solo stare da sola. Ti prego, papà, lasciami in pace.”

Nemmeno le sue compagne di scuola ed amiche da una vita erano riuscite a capire cosa avesse. Lei non si era confidata con loro. Semplicemente le evitava, come se non le conoscesse e i suoi problemi non le riguardassero. Non usciva più con loro il pomeriggio, ed anzi, non usciva di casa proprio. Le uniche volte in cui lo faceva spontaneamente era quando prendeva la sua barchetta e si dirigeva tutta sola sull’isola piccola, usata un tempo da lei e i suoi amici come campo di gioco. Quell’isoletta era deserta adesso, e non era più frequentata da nessuno, perché lei e i suoi amici erano grandi, e i bambini della generazione successiva alla loro erano ancora troppo piccoli per arrivare fino a lì. Meglio. Almeno nessuno poteva disturbarla mentre vagava senza meta sulla spiaggia, ascoltando il suono delle onde che si infrangevano. Camminava avanti e indietro sulla sabbia dove l’acqua non arrivava, tenendo gli occhi bassi, oppure a volte si spingeva fino all’isola ancora più piccola, con la palma. Arrivata lì, si arrampicava sul tronco, si sdraiava a pancia sotto, stringeva le braccia intorno al legno e strofinava le guance contro la corteccia dura, fino a riempirsi gli zigomi di graffi. Nonostante Kairi, nella sua profonda tristezza, non piangesse mai, solo in quell’occasione non riusciva a trattenersi e si lasciava andare ad un pianto silenzioso, senza singhiozzi né versi. I posti in cui si dirigeva erano sempre e solo questi due. Nel rifugio segreto non andava mai. L’aveva fatto una volta, e appena si era accorta di una certa cosa era uscita di corsa, tenendosene poi alla larga come se al suo ingresso fossero nascoste delle trappole. Il motivo era tanto semplice quanto agghiacciante, anche se in un certo senso scontato: dai muri erano spariti dei disegni. Non tutti, solo qualcuno. Quelli che lei e Riku da piccoli avevano fatto c’erano tutti, non ne mancava nemmeno uno. Erano altri ad essere scomparsi. E soprattutto un disegno in particolare, che in origine era su uno spazio piccolo, quasi a livello del terreno, vicino alla porta del loro mondo. Kairi se lo ricordava benissimo. Era il disegno di due visi, di una bambina e di un bambino, di profilo che si guardavano. Qualche anno prima, c’era stata un’aggiunta postuma di due mani stilizzate che si scambiavano un frutto di paopu, nel concretizzarsi di una leggenda molto sentita su quelle isole. Ma ora quel disegno non c’era più. E non era certo un brutto scherzo, non era che qualcuno lo avesse cancellato, Kairi ne era sicura. I tratti col gesso non erano stati tolti, ma non erano stati proprio fatti. La roccia era levigata e perfettamente pulita. Era come se quel disegno non fosse mai esistito.

Questo per Kairi era stato un colpo al cuore, e quando l’aveva verificato coi propri occhi aveva sentito un dolore al petto così forte che si era quasi accasciata a terra per il male. E la cosa ancora più brutta era che quella sofferenza non poteva condividerla con nessuno. Ricordava perfettamente chi l’aveva salvata, il suo aspetto, la sua voce, il suo odore, e la sua mente era piena di ricordi di tutti gli anni passati insieme. Solo che era l’unica. Riku, pieno di preoccupazione per lei, le stava sempre addosso, cercava di capire cosa avesse e l’aveva sollecitata in tutti i modi possibili per farla aprire con lui. E questo si capiva: Riku era sempre stato il suo migliore amico fin dall’infanzia, e quindi Kairi aveva accolto con piacere i suoi tentativi di aiuto. Ed era stato il primo con cui aveva parlato, il giorno in cui era riapparsa. Ma quando, alla prima richiesta di Riku di spiegazioni, lei gli aveva rivelato cos’era a farla stare così male, lui l’aveva guardata stranito, come se fosse stata una presa in giro. Ed aveva detto poche parole, ma che avevano avuto l’effetto di una pugnalata al petto per Kairi.

“Sora? Chi è Sora?”

L’aveva chiesto con tono confuso e imbarazzato, ed era chiaro che non c’era nulla in quelle parole che indicasse che stesse scherzando o cercando di prenderla in giro. E Kairi aveva avuto un bel tentare di spiegargli, di convincerlo che nella loro vita c’era stato un altro ragazzo e non erano mai stati solo in due.

“Cosa stai dicendo? Io e te siamo migliori amici fin da bambini. Questo lo so, tutti lo sanno”, aveva affermato Riku, senza nessun dubbio nella voce. “Guarda, Kairi, che puoi dirmi il vero problema che hai. Non c’è bisogno che ti inventi strani personaggi per nascondere quello che ti fa stare male. Dimmi.” L’aveva detto col tono più sincero, gentile e disponibile possibile, ma quelle parole così genuine le avevano fatto ancora più male.

Erano soli in quel momento. Gli altri amici erano a festeggiare e divertirsi sulla spiaggia dell’isola piccola, lei era sola sulla palma, afflitta, e lui l’aveva presa da parte. Kairi non era riuscita ad accettare quelle frasi.

“Ma cosa mi dici, Riku, cosa mi dici?!” era scoppiata in lacrime, coprendosi gli occhi con le mani. “Come fai a non ricordarti? Sora è il tuo migliore amico, siete come fratelli voi due, eravate amici da prima che arrivassi io sulle isole. Come puoi ora infangare la sua memoria così?”

Kairi non credeva di aver mai visto Riku così imbarazzato. E se n’era resa conto, sentendosi agghiacciata: il ragazzo stava dicendo quello che per lui era la verità. Era vero che non conosceva Sora, era vero che non l’aveva mai incontrato e non aveva mai avuto nulla a che fare con lui, almeno dal suo punto di vista. E sicuramente in quel momento doveva aver pensato che la sua amica doveva aver subito un qualche trauma psicologico per uscirsene con certe frasi. Lei allora si era asciugata le lacrime, e si era diretta con passo deciso verso il gruppo di ragazzi che giocava sotto il ponte di legno. Era determinata a vederci chiaro. Non poteva crederci. Non voleva accettare che Sora potesse venire dimenticato da qualcuno. Lui che si era fatto un sacco di amici nel suo viaggio, e che dava all’amicizia un grandissimo valore. Non poteva venire ripagato in questo modo, non lui. Certamente gli altri si ricordavano benissimo di Sora e di tutto quello che aveva fatto per loro. Avrebbero cercato una soluzione per farlo tornare, tutti insieme.

“Aqua, ti ricordi di Sora, il ragazzo che ti ha salvata dall’oscurità? Axel, non ti ricordi di lui? In una delle pause dagli allenamenti, mi avevi detto che ti faceva venire in mente Roxas. E voi, Pippo e Paperino? Avete viaggiato dovunque insieme.”

Ma nessuno aveva memorie di lui. In effetti, avrebbe pensato poi Kairi, il fatto che se ne stessero a giocare e festeggiare spensierati mentre Sora era disperso chissà dove, magari anche morto, avrebbe avuto un che di strano altrimenti. Aqua le si era avvicinata e le aveva posato una mano sulla fronte, come per sentire se avesse la febbre, o qualcosa che la faceva delirare. Kairi l’aveva guardata esterrefatta e si era scostata da lei. La maestra allora le aveva parlato con tono accomodante, come una sorella maggiore.

“Kairi, sei sicura di stare bene? Perché sei così afflitta e disperata? Dovresti essere contenta, come noi. La pace nell’universo è tornata, ognuno di noi si è ripreso la propria vita, e stiamo festeggiando tutti insieme. Perché non ti rallegri?”

L’aveva detto con tono dolce e incoraggiante, ma Kairi si era sentita la nausea salirle dallo stomaco.

“Aqua, perché... perché mi dici questo? Ma non provi nemmeno un po’ di riconoscenza per il ragazzo che ti ha salvata?” le aveva chiesto con la disperazione nella voce.

Aqua l’aveva guardata perplessa, poi aveva girato lo sguardo verso Riku, che nel frattempo li aveva raggiunti.

“Certo che sarò riconoscente a Riku per tutta la vita, per avermi salvata.”

Kairi aveva spalancato la bocca e sbarrato gli occhi. Aveva provato a parlare, ma lì per lì non ci era riuscita. Appena ripresa, aveva volto lo sguardo verso gli altri.

“Axel, non ti ricordi che Sora ti faceva venire in mente Roxas?”

Lui aveva alzato le spalle. “Devi aver frainteso. Ti avevo detto che Roxas mi ricordava solo Ventus, e non c’era in mezzo nessun Sora.” Si toccò la tempia. “Vedi di memorizzarlo meglio questa volta.”

Esasperata, Kairi aveva guardato Pippo e Paperino. Loro due avevano scosso la testa imbarazzati. “Abbiamo sempre viaggiato da soli, noi due e basta.”

“Ma... ma...” aveva boccheggiato Kairi. Si era girata di nuovo verso Riku. “E chi ha chiuso, quella volta, la porta di Kingdom Hearts?”

“Ma è ovvio, no?” aveva risposto Riku sbalordito. “Io e Topolino dall’interno, e Pippo e Paperino ci hanno aiutato dall’esterno. Poi Topolino l’ha chiusa dall’interno col Keyblade, tutto qui.”

“A tutti voi...” aveva insistito Kairi, guardando i ragazzi. “Sora è stato indispensabile nella battaglia contro Xehanort. Se non fosse stato per lui, sareste stati spacciati.”

“Non c’è stato proprio nessun Sora nella battaglia finale”, aveva sbottato Terra con voce infastidita. “E non è molto gentile da parte tua mettere in dubbio la nostra abilità di guerrieri.”

Per un altro po’, Kairi aveva cercato di rievocare ricordi di Sora nella mente degli amici. Ma non c’era stato modo. Per ogni situazione di cui parlava, a cui Sora era strettamente collegato, i ragazzi avevano pronta una spiegazione alternativa che faceva combaciare il tutto alla perfezione comunque. Kairi si era sentita svuotata e fiacca. Allora era vero... nessuno si ricordava di Sora. Anzi, era come se non fosse mai esistito.

Ma lui era esistito, Kairi ne era sicura come era sicura di avere i capelli rossi. I suoi compagni l’avevano fatta quasi passare per una poveretta, una che per riempire chissà che vuoto si andava ad inventare amici immaginari. E lei ormai lo sapeva: non c’era nessuno, oltre lei, a conservare intatte le memorie di Sora e a ricordare ogni momento passato con lui. Ma questo era quasi un male: Kairi soffriva terribilmente per la sua scomparsa, e non poteva nemmeno piangerlo con i suoi amici, non poteva cercare il loro conforto, altrimenti sarebbe passata per pazza. Non era la prima volta che succedeva una cosa simile. Anche due anni prima tutti si erano dimenticati di lui, e allora era successo anche a lei. Solo che poi lei aveva recuperato i ricordi, e anche se lui non c’era, l’attesa era stata un qualcosa intriso di speranza e fiducia. Totalmente diverso da ora. Ora Kairi aveva addosso solo disperazione e impotenza, nella cupa consapevolezza che non sarebbe mai più tornato. E lei aveva tutti i ricordi, mentre invece della sua esistenza era stata cancellata ogni traccia. Dall’ambiente intorno, dai luoghi in cui era stato, dalla mente dei suoi amici. Kairi ogni tanto veniva presa da una prospettiva che la terrificava: che un giorno anche lei, a furia di non vederlo più, potesse dimenticarsi di lui; dei suoi occhi, del suo odore, del suo tocco, della sua voce... ogni volta che ci pensava, la ragazza si sentiva terrorizzata fin nel midollo delle ossa, e così ogni volta che poteva, ogni volta che la sua mente non era impegnata in altro per motivi di forza maggiore, faceva andare i ricordi a lui. Ripartiva fin dal principio.

Si ricordava della prima volta che l’aveva incontrato. Aveva quattro anni, era appena stata strappata alla sua casa natìa, e si trovava riversa sulla spiaggia. Non c’era nessuno ancora e non era stata notata, perché era mattina presto. Un bambino molto mattiniero però le si era avvicinato. Lei, che stava rinvenendo, aveva sentito lo scricchiolio dei suoi passi sulla sabbia.

“Tu... chi sei?” aveva sentito una tenera voce infantile. Allora aveva aperto piano gli occhi. Vedeva appannato, ed essendo sdraiata a pancia sotto, non aveva notato altro che la sabbia bianca.

Il bambino l’aveva toccata sul braccio.

“Da dove vieni?” aveva sentito che le stava chiedendo ancora. Kairi aveva sbattuto ancora le palpebre un paio di volte, finché non era riuscita a vedere nitido, e solo a quel punto aveva sollevato la testa per guardare chi le aveva parlato.

La statura, il colore della maglietta o dei pantaloncini che indossava, i capelli... non aveva notato nulla di tutto ciò in quel primo momento in cui l’aveva visto. La prima cosa che aveva incrociato, nel momento in cui aveva alzato la testa, era stato lo sguardo. Aveva visto due iridi così azzurre come era sicura che il cielo non era stato mai. Due occhi grandi, curiosi, dolci e gentili, che emanavano simpatia, e nel momento in cui Kairi vi si era specchiata, aveva avvertito una sensazione strana. Qualcosa che non aveva mai provato prima, ne era sicura, e che non aveva più provato guardando nessun altro bambino. Si era sentita una scossa lungo la spina dorsale, i brividi percorrerle la schiena, le piccole mani tremare e il cuore accelerare i battiti. Erano passati molti anni, ma ricordava quelle sensazioni come se fossero avvenute il giorno avanti. Era rimasta dei lunghi, lunghissimi secondi incantata a fissare quegli occhi chiari, e in quegli attimi aveva percepito che anche il bambino a cui appartenevano doveva star provando una sensazione simile alla sua: aveva visto che le sue pupille si erano dilatate mentre le fissava lo sguardo di rimando, e le era sembrato di notare un lieve tremore provenire dal suo corpicino. Era stata tutta una questione di pochi secondi. Subito dopo, il bambino si era riavuto e, con un gran sorriso, le aveva teso una mano per aiutarla ad alzarsi. Ma in quei pochi secondi in cui si erano fissati negli occhi, era scattato qualcosa. Qualcosa che da quel momento in poi era stato spontaneamente messo a tacere per via del loro essere bambini, ma che non si era mai spento. Kairi aveva poi fatto amiciza con Riku, con altri bambini della loro età, era stata adottata dal sindaco e si era inserita bene nella comunità. Ma con Sora era sempre rimasto qualcosa di speciale. Spesso, lui la veniva a chiamare, e poi senza andare a cercare Riku né nessun altro, si avventuravano nei luoghi più remoti delle loro isole. A Sora piaceva atteggiarsi: anche se lì in giro non c’era nulla di pericoloso, la guidava col petto gonfio attraverso boschetti e arbusti, tenendosela stretta per mano appena dietro di sé, inventando ogni due per tre dei nemici immaginari che poi fingeva di fronteggiare col suo spadino di legno, com’era tipico per la loro età. Kairi, divertita, stava al gioco e, fingendosi impaurita, supplicava il suo eroe di salvarla. Una volta che il nemico era stato battuto con fatica e con non pochi melodrammi da parte del maschietto, Kairi riconoscente gli si avvicinava, lo abbracciava stretto e gli schioccava un gran bacio sulla bocca. Nessuno dei due trovava nulla di strano in questo, per quanto erano piccoli. Sora accoglieva il bacio con un po’ di rossore e ricambiava l’abbraccio ridendo, poi, non essendoci più pericoli, ripartivano di corsa attraverso i boschetti di palme e i prati, e Sora la teneva sempre stretta per mano. Quando erano stanchi si fermavano, Sora la tirava vicino a sé e si metteva a farle il solletico nei suoi punti più sensibili, che aveva scoperto poco tempo dopo averla conosciuta. Kairi, un po’ ridendo e un po’ indispettita, cercava di ribellarsi mettendosi anche lei a fare il solletico a lui, finché tutti e due, esausti e presi dalle risate, crollavano sdraiati a terra. Allora, stesi sul fianco e improvvisamente silenziosi, Sora la abbracciava stretta, mettendosi ad accarezzarle il viso e i capelli. Erano coccole fatte senza alcuna malizia o secondo fine: erano due bambini che si volevano bene ed era tutto lì. Kairi accoglieva quelle effusioni con grande piacere, e ricambiava accarezzando anche lei le guance del suo amico, ed ogni tanto tirandogli affettuosamente una ciocca di capelli. Erano carezze innocenti, che però riservavano solo a loro due. Kairi non aveva mai fatto una cosa simile con nessun altro, neppure con Riku, che pure era il suo migliore amico. Ed ogni tanto, durante quelle coccole, capitava che accadesse la stessa cosa che si era verificata lo stesso giorno in cui si erano conosciuti: la bambina, così vicina a lui da sfiorare le sue ciglia con le proprie, incrociava il suo sguardo e, benché durante la vita quotidiana si guardassero di continuo senza che avvenisse nulla di diverso, in quei momenti particolari, abbracciati a terra, solo loro due nel silenzio della natura, mentre si guardavano negli occhi una scossa elettrica li attraversava, e Kairi si sentiva di nuovo i brividi e la pelle d’oca nonostante ci fossero trenta gradi all’ombra, percepiva quella scarica lungo la schiena e il cuore battere più forte. Solo che ora che era abbracciata a lui, sentiva con chiarezza che anche al bambino il cuore batteva all’impazzata contro il petto, i brividi facevano tremare anche il suo corpicino e sentiva che faceva fatica a respirare in modo regolare. Era un fenomeno che non durava che pochi secondi. Un attimo, ed erano già tornati i marmocchi ridanciani di sempre. Erano troppo piccoli per capire quello che provavano in quei momenti brevi ma di grande intimità. Ma quel sentimento, che aveva colpito Kairi come un fulmine il giorno in cui si era specchiata negli occhi di quel buffo bambino, le era rimasto nel cuore, ed era cresciuto insieme a lei. Non sapeva cos’era che le faceva provare quelle sensazioni in certi momenti. Sapeva soltanto che erano emozioni piacevoli che la facevano stare bene, e aspettava con trepidazione il momento in cui quello strano fenomeno si sarebbe ripetuto. Questo per un paio d’anni. A sei anni, quando la loro consapevolezza era aumentata, avevano smesso di abbracciarsi e di darsi goffi baci sulla bocca, e quei momenti intimi fra loro due erano cessati.

Ma, silenzioso nei loro cuori, il fuoco ardeva ancora. Era solo stato messo a tacere per un periodo indefinito di tempo, ma, in modo inconscio, entrambi sapevano che un giorno si sarebbe risvegliato. Kairi, man mano che abbandonavano i loro corpi di bambini per diventare ragazzi, vedeva Sora essere sempre più turbato in sua presenza, soprattutto dopo che Riku si era imposto come il ragazzo più forte ed abile dell’isola. La ragazza credeva di sapere perché: Riku aveva iniziato a mostrarsi interessato a lei, ma, sebbene Kairi gli volesse un bene dell’anima, perché era sempre stato come suo fratello maggiore, non gli aveva mai rivolto quello sguardo che invece aveva rivolto a Sora così tante volte. Tanto che non capiva come potesse Sora farsi venire dei dubbi. Ma forse era perché aveva verso Riku un complesso di inferiorità. Kairi aveva cercato di farglielo passare proponendogli di partire solo loro due con la zattera che stavano costruendo, ma Sora, ancora ingenuo, non aveva afferrato.

E poi, da lì, era successo di tutto: gli Heartless avevano attaccato la loro casa, lei, che era stata colpita, aveva trovato il modo di salvarsi il cuore nascondendolo nella persona che amava; lui si era sacrificato una prima volta per salvarla, e lei, grazie alla propria luce, era riuscita quasi subito a farlo tornare umano; si erano separati con un po’ di dolore nel cuore, ma mitigato dalla speranza che sarebbero un giorno riusciti a rivedersi; prima, lei gli aveva dato il proprio portafortuna, che aveva costruito con delle conchiglie disegnandoci poi sopra il viso di Sora, e lui le aveva promesso che gliel’avrebbe riportato. Kairi non aveva motivo di dubitare della sua parola, ed era rimasta fiduciosa. C’era stata una cosa che le aveva fatto prendere consapevolezza su ciò che provava: aveva visto un giorno, quasi per caso, il disegno che avevano fatto da bambini su una parete della loro grotta. E c’era stata una modifica: una mano tendeva una stella verso di lei. Kairi si era messa a piangere: sapeva bene che quell’aggiunta l’aveva messa lui, e che essa aveva un significato preciso, che in quel momento lei aveva compreso. Sì, anche lei sentiva le stesse cose per lui, da quando l’aveva incontrato la prima volta, e per dargli conferma aveva fatto anche lei una modifica: aveva disegnato anche lei un frutto di paopu verso la sua bocca, però lei, per dimostrare la profondità dei suoi sentimenti, lo aveva disegnato ancora più grosso. Dopodiché, lo aveva aspettato per un anno intero man mano che riacquisiva i ricordi che nel frattempo erano andati perduti, ed alla fine era riuscita a ritrovarlo. Ricordava benissimo l’emozione che aveva provato nel ritrovarlo così cresciuto, come cresciuta era lei, come si fosse sentita emozionata trovandoselo di fronte, e senza riuscire a trattenersi gli era corsa incontro, abbracciandolo stretto. Mentre lui ricambiava l’abbraccio, premendo la testa contro la sua, Kairi aveva risvegliato dentro di sé il ricordo del suo tocco e del suo odore, e in quei pochi attimi in cui erano stati stretti in quell’abbraccio, aveva ritrovato tutte le sensazioni che lui le dava un tempo, ma amplificate. Erano poi stati separati di nuovo, ma dopo poco si erano ritrovati sulle loro isole, e Kairi aveva visto in Sora la stessa forte emozione che c’era in lei, mentre lo guardava correre per raggiungerla, solo per essere poi fermato dai suoi amici che pure lo stavano aspettando; subito dopo aveva mantenuto la sua promessa ridandole il suo portafortuna. Kairi si era chiesta molte volte cosa Sora avrebbe fatto se fosse riuscito ad arrivare fino a lei. Non gliel’aveva chiesto le settimane successive però, perché l’aveva visto insicuro e timido quando era intorno a lui. Tutta la spavalderia che lo caratterizzava sembrava scomparire quando c’era anche lei. Le parlava poco, e non la guardava quasi più negli occhi. Non sapeva perché si comportasse così; forse aveva visto il disegno della grotta e si vergognava? O forse si era sbagliata, e in tutto quel tempo che erano stati separati i suoi sentimenti si erano affievoliti? Kairi non poteva entrargli nella testa e non poteva saperlo, ma sapeva bene cosa desiderava lei. Aveva ormai sedici anni, e tutto quello che era stato intorno a loro fin da quando erano piccoli, e che col tempo era cresciuto con loro, l’aveva capito. Perciò aveva deciso di fare lei la prima mossa, proprio la sera prima della battaglia finale. Se poi questo avesse portato a un loro riavvicinamento, o avesse rovinato il loro legame, Kairi non poteva prevederlo. Ma non voleva più aspettare.

Quando, trovandosi eccezionalmente sola con lui, gli aveva teso un frutto di paopu con un sorriso complice, Sora si era ritrovato spiazzato. Intimamente, Kairi era stata presa da un moto di paura: era vero che aveva accettato la sfida, indipendentemente dal risultato, ma ora che lui non stava avendo la reazione che desiderava, il timore che davvero il loro legame potesse finire rovinato dalla propria avventatezza le aveva afferrato le viscere. Aveva cercato allora di fare un passo indietro, per dare modo ad entrambi di uscire da quella situazione in modo pulito. “Domani sarà la nostra battaglia più dura... voglio solo essere parte della tua vita a qualunque costo. Tutto qui.” Non poteva dirgli quello che intendeva sul serio, con quel frutto che gli stava tendendo. Ma, dopo qualche altro istante, l’espressione tesa di Sora si era sciolta, sorridendole le aveva promesso che l’avrebbe protetta, e Kairi con un gran sollievo aveva giurato la stessa cosa. Pronti a legare per sempre le loro vite, si erano tesi i due frutti incrociando le braccia, e mentre staccavano il proprio pezzo con un morso avevano continuato a fissarsi negli occhi. Neanche una volta che la promessa era stata suggellata avevano smesso: seduti vicini, avevano continuato a guardarsi, mentre il tramonto sul mare li illuminava di rosso e arancione. Ed in quel momento, con loro due da soli ed il silenzio intorno, si era ricreata quell’atmosfera che c’era stata tante volte fra loro quando erano piccoli. Kairi vedeva che gli occhi azzurri di Sora erano lievemente appannati, e la guardavano con uno sguardo pieno di dolcezza, venerazione e devozione. Kairi era consapevole dei propri sentimenti verso di lui, ma ora era diventata consapevole anche dei suoi: quelli erano gli occhi di un uomo innamorato. E di nuovo, dopo tanto tempo in cui non era più successo, aveva percepito quel magnetismo che li attirava l’uno all’altra, il forte battito del proprio cuore, i brividi che la scuotevano in modo lieve, quella deliziosa scossa elettrica lungo la spina dorsale... e c’era stata anche un’altra cosa. Per la prima volta, fissando le pupille del ragazzo, Kairi aveva avuto come una visione: una visione breve, ma per lei piena di significato. Si era vista donna adulta, con Sora, anche lui adulto, al proprio fianco. Erano insieme, in una casetta piccola sull’isola, un po’ più lontana dalle altre, ed era un’abitazione tranquilla ed intima. Mangiavano insieme allo stesso tavolo; dormivano insieme nello stesso letto; facevano insieme le faccende di casa; uscivano, e camminavano a piedi scalzi sul bagnasciuga, fianco a fianco, con le mani e le dita intrecciate, lasciando che l’acqua rinfrescasse loro i piedi. Dopo aver camminato per un po’, con lo stesso tramonto di quella sera ad illuminarli, Sora si fermava e la abbracciava stretta, baciandola sulla bocca. Terminata quella visione, Kairi si era sentita gli occhi pizzicare, ma quel sogno le aveva fatto capire quello che più al mondo desiderava: stare insieme a Sora, per tutta la vita, vivere insieme a lui, essere la sua compagna. Era un desiderio sincero, puro e ardente nel suo cuore. Non sapeva razionalmente se anche Sora avesse lo stesso desiderio, ma lo poteva intuire da come la guardava. Aveva sentito che anche lui desiderava essere il suo compagno e poter vivere insieme a lei. Non c’erano state parole fra loro due, ma da come si guardavano, non ce n’era stato bisogno. Kairi aveva provato l’intenso impulso di avvicinarsi, stringersi a lui e baciarlo sulle labbra, come aveva fatto tante volte, con uno spirito diverso, quando era piccola; e vedeva anche negli occhi di lui lo stesso ardente desiderio. Ma alla fine non si era mossa: se lo avesse baciato, avrebbe dovuto distogliere lo sguardo dal suo, e non ci riusciva. Gli occhi di Sora la tenevano incatenata al suo posto, l’unica cosa che poteva fare era continuare a guardarli, e la stessa cosa stava valendo per lui, la ragazza lo aveva sentito.

Kairi non era sicura che Sora avesse capito quanto era profondo il sentimento che sentiva per lui. Sapeva ora, con assoluta certezza, che anche lui la amava, almeno quanto lei amava lui, ma non si fosse reso ben conto di quanto lei amasse lui. Ne aveva acquisito consapevolezza dopo, quando lei aveva mantenuto la propria promessa, salvandolo col suo atto d’amore, e lo aveva guidato con la sua luce verso i loro amici recuperati. Non sapeva cosa gli fosse passato per la testa in quel momento o che visione avesse avuto: mentre lo teneva per mano, si era girata verso di lui quando lo aveva sentito sussultare, e l’aveva guardata con degli occhi increduli che dicevano: ‘davvero mi ami così tanto?’ Al che anche lei aveva risposto con uno sguardo: ‘ci sei arrivato, stupidone!’. Quando erano tornati dai loro amici, Sora le aveva tenuto stretta la mano anche se ormai non ce n’era più bisogno, come per voler ufficializzare la loro relazione davanti a tutti. Era un momento difficile in cui rischiavano la morte, ma mai in quel momento Kairi era stata così felice.

Dal momento in cui Xehanort le aveva spezzato la schiena, Kairi ricordava solo il buio. Ma, nel momento in cui, in qualche modo, era riuscita a riaprire gli occhi, sentendosi volare verso il basso, la prima cosa che aveva visto era stata lui, la prima cosa che aveva sentito era stata la sua voce che chiamava il suo nome. Era notte, il cielo era pieno di stelle, e mentre lei continuava a volare piano in giù, aveva visto Sora volare verso di lei, cercando di raggiungerla, tendendo le mani e con il sollievo, la felicità e l’impazienza nel viso. Si era sentita il cuore batterle come impazzito: aveva capito in un attimo quello che era successo. Sora l’aveva salvata. Un’altra volta. Aveva di nuovo fatto di tutto per lei, riuscendo a riportarla indietro nonostante Xehanort l’avesse quasi uccisa, in virtù dell’amore che avevano entrambi capito di provare l’uno per l’altra. Allora anche lei aveva teso le braccia verso di lui, chiamandolo forte e piena di emozione, ed un attimo dopo aveva sentito il proprio corpo sbattere contro quello di Sora, tanto da farlo sbilanciare all’indietro. Aveva stretto le braccia dietro la sua schiena e appoggiato la testa sulla sua spalla, tenendo gli occhi chiusi, ed aveva sentito un braccio di Sora tenerla stretta a sé, e l’altra sua mano sulla testa che le accarezzava i capelli. Kairi a quel punto era stata sicura che Sora avesse sentito quando forte le stava battendo il cuore: non era mai più successo, da quando erano piccolini, che lui le facesse delle carezze, per giunta così amorevoli e dolci. Era certo però che Kairi stesse sentendo i battiti del cuore del ragazzo, e dio se erano forti. Avrebbe voluto rimanere così con lui per sempre, sospesi nell’aria in quel silenzio assoluto, con i loro corpi stretti, le braccia che avvolgevano l’altro e le dita di Sora che passavano fra i suoi capelli, ma dopo un po’ lei iniziò a staccarsi. Voleva vederlo. Voleva guardarlo in viso. Sora aveva acconsentito a scostarsi da lei, ma le aveva preso le mani per mantenere comunque il contatto. Kairi era rimasta stupita: non aveva mai visto il viso di Sora così. Aveva un’espressione quasi da ubriaco mentre la guardava, era completamente perso, ancora di più di quella sera sul loro albero. Se qualcuno in quel momento avesse chiesto a Kairi di spiegare cosa fosse l’amore, lei avrebbe risposto: guarda il viso di questo ragazzo. Kairi aveva sentito di nuovo, fortissimo, il desiderio di avvicinarsi ancora a lui e baciarlo, ma quel maledetto Xehanort li aveva interrotti prima che potesse farlo. Sora, continuando a tenerla stretta per le mani, aveva ringhiato fissando il loro nemico che si stava formando, ma poi l’aveva guardata di nuovo, e la sua espressione arrabbiata era tornata ad essere subito tenera e amorevole. Non ce la faceva proprio ad essere arrabbiato mentre la guardava, anche se i suoi sentimenti negativi erano rivolti ad un altro. “Kairi, sei pronta?”, le aveva chiesto convinto. Lei all’inizio era rimasta interdetta: già una volta, si ricordava, gli aveva chiesto di poter combattere insieme a lui, quando erano più piccoli e lei aveva trovato rifugio alla Città di Mezzo. Ma lui non aveva voluto, sostenendo che sarebbe stata un impiccio. Adesso invece si fidava talmente tanto di lei e delle sue capacità che, invece di dirle di stare indietro, che ci avrebbe pensato lui, le aveva chiesto di combattere al suo fianco. Resasi conto di questo, Kairi aveva sorriso convinta, esclamando di sì. La battaglia che era seguita, per quanto difficile fosse stata, la ricordava con un misto di gloria e piacere: ora che aveva potuto combattere sola insieme al ragazzo che amava, aveva dato sfoggio e sfogo di tutte le abilità che aveva imparato durante l’allenamento, riuscendo a tenere testa a Xehanort insieme a Sora. Prima, Xemnas era riuscito a catturarla perché prima l’aveva indebolita con un attacco che le aveva risucchiato le energie, ed anche perché era chiaro che aveva avuto paura di lei: sia Sora, che Roxas che Xion avevano provato ad attaccarlo, questi ultimi due addirittura insieme, e non avevano potuto far nulla, ma lei era riuscita a metterlo in difficoltà. Ora che aveva potuto mostrare a Sora quanto era abile anche lei in battaglia si sentiva fiera di sé. Non avrebbe mai dimenticato l’attacco combinato che qualche volta aveva fatto insieme a lui, quando la battaglia si faceva difficile: nessuno dei due era in grado di volare da solo, ma tenendosi stretti, un’ala di luce e ricordi per ciascuno, erano in grado di sostenersi ed attaccare il loro nemico. E quando avevano vinto, Kairi aveva sentito che quella era stata la loro vittoria. La vittoria che segnava la fine della guerra, di tutti quelli che si erano messi fra loro due e che segnava l’inizio della loro relazione. Povera ingenua, lei che ancora non sapeva del terribile destino che attendeva il suo amato e pensava che da quel momento sarebbero stati sempre insieme…

Infatti, durante quegli avvenimenti, Kairi non si era posta la questione del perché lui avesse voluto stare solo insieme a lei, invece di riunirsi ai loro amici, pur guardandoli da lontano. In quei momenti l’unica risposta che si era data, assai plausibile, era perché, essendo ormai una coppia ed amandosi, Sora desiderava avere un po’ di intimità con lei, portandola a visitare alcuni delle centinaia di mondi che avrebbero voluto vedere e godersi insieme. Quanto aveva amato quei momenti insieme a lui, guardando i fuochi d’artificio al Castello Disney, a restituire Chirity a Ventus nella Terra di Partenza, a mangiarsi un ghiacciolo insieme nel tramonto di Crepuscopoli, al Radiant Garden a liberare dal proprio corpo il cuore di Naminé… si era sentita, in tutto quel tempo, più felice che in qualunque altro momento della sua vita, e sapeva che quello, per loro due, era solo l’inizio. O almeno, Kairi così sognava. Infatti, mentre erano di nuovo alle Isole del Destino, seduti sul tronco di palma a guardare il mare al tramonto, con le dita delle mani intrecciate, Kairi aveva sentito che la sua stretta si era fatta più forte. Una stretta che conteneva una forte emozioni. La ragazza allora si era girata per guardare Sora, che le aveva rivolto uno sguardo profondamente innamorato, ma, non sapeva in quel momento perché, anche tristezza. Si era così persa nei suoi occhi che nel primo attimo non aveva nemmeno capito quello che le aveva detto, ma, quando si era resa conto che le parole da lui pronunciate erano “ti amo”, non era riuscita a trattenersi e si era messa a piangere, sorridendo. Su quel tronco il frutto di Paopu li aveva uniti in matrimonio, e quelle parole segnavano l’inizio della loro vita insieme. Il suo futuro, lei lo vedeva accanto a lui, insieme a lui. Erano entrambi due giovani impazienti. Un anno, massimo due, e avrebbero potuto farsi la loro casa e la loro famiglia. Ma, prima che lei potesse aprire bocca e rispondergli “ti amo anch’io”, l’orrore le aveva fatto gelare il sangue nelle vene. Aveva visto il suo innamorato, il suo Sora, svanirle letteralmente sotto gli occhi, lasciandola lì, sola e disperata.

 

E tutto questo era stato per colpa sua. Sora non c’era più perché aveva dovuto salvarla. Perché aveva fatto quella scelta, come aveva potuto volersi sacrificare di nuovo in questo modo? Anzi, no: perché lei, che aveva voluto aiutare i suoi amici in battaglia, alla fine era risultata essere la causa di morte del ragazzo che amava? Anche se sapeva razionalmente che la colpa non era stata sua e che poi si era riscattata, a livello di emozioni non era riuscita a darsi pace. Ora era dilaniata dalla depressione per la sua perdita e dai tremendi sensi di colpa che sentiva verso di lui. Era come se le avessero strappato un pezzo di cuore. Viveva ma non viveva. Ed ogni giorno che passava si sentiva sempre più sprofondare. Soltanto la notte, con l’aiuto della stanchezza e del sonno, riusciva a stare un po’ meglio, perché il cervello le giocava brutti scherzi. La sua immaginazione galoppava e sognava, con desiderio sempre più intenso, che Sora fosse lì con lei. Come quando erano bambini e crollavano esausti dopo una lunga corsa, lo sognava lì sdraiato nel suo letto, al suo fianco, che la abbracciava al suo corpo forte e solido, le passava le dita fra i capelli e le accarezzava il viso con le sue mani rese ormai ruvide dalle tante battaglie, sempre guardandola con quegli occhi azzurri che avevano il potere di farla emozionare più che qualunque altra parte del suo corpo. Certe notti, quando il desiderio verso di lui era ancora più forte e intenso del solito, lui la baciava sulla bocca, e lei rimaneva stretta in quel gesto tenendo gli occhi chiusi, sentendo delle forti sensazioni propagarsi nel corpo; lui le accarezzava dolcemente le spalle e i fianchi facendo scorrere la mano sotto la sua camicia da notte, e lei si sentiva venire la pelle d’oca ogni volta che le sue dita la sfioravano. Non provava vergogna nel sentire quelle emozioni insieme a lui. Quella dolce illusione era tutto ciò a cui poteva ancora attaccarsi, e ogni volta che Sora si trovava insieme a lei, gli si aggrappava stretta, come per pregarlo di rimanere lì, e sperando che quando avesse aperto gli occhi la mattina dopo l’avrebbe trovato ancora al suo fianco. Si addormentava tremante ed accaldata, godendo della sua compagnia. Ma ogni mattina era di nuovo sola, e quando si rendeva conto di aver solo sognato si sentiva ancora più giù rispetto al giorno precedente.

Andò avanti così per settimane, mesi, nemmeno lei sapeva quanto tempo stesse passando. Finché un giorno, passando davanti allo specchio della sua camera, per la prima volta osservò sul serio l’immagine che vi era riflessa, invece di guardarla distrattamente come era solita fare. E rimase sorpresa: vide il riflesso non più di una ragazza come quella che ricordava di essere, ma l’immagine di una giovane che stava fiorendo in una donna. Si era alzata di altri centimetri, il viso le si era assottigliato, i capelli le erano ricresciuti ed ora le arrivavano di nuovo alle spalle, la vita le si era stretta ancora, i fianchi le si erano allargati e anche il seno le era cresciuto. Kairi si sentiva sbalordita: quella non era lei. Non poteva essere lei. Lei non aveva quell’aspetto lì. Come poteva essere cambiata così tanto in pochi mesi? Ma ci mise poco ad arrivare a una spiegazione: era un fenomeno che alla loro età succedeva spesso. Aveva assistito altre volte, negli anni precedenti, a ragazze più grandi di lei che vedeva ancora acerbe, poi le perdeva di vista per pochi mesi, e quando le capitava di rivederle erano diventate donne. Si avvicinò allo specchio, guardando la giovane riflessa e fissandola negli occhi. Quegli occhi sempre blu come il mare più profondo, che un tempo erano stati brillanti e vivi ed ora erano quasi opachi dalla tristezza. Kairi però, spostando lo sguardo da essi e osservando con più attenzione il suo corpo di giovane donna, raggiunse una nuova consapevolezza, che la fece scuotere dal suo torpore. Tornò a guardare i propri occhi, che si erano scrollati di dosso quel velo di apatia e stavano cercando di riempirsi di qualcos’altro.

“Ma non ti vergogni neanche un po’?” parlò molto seriamente. “Tu stai diventando adulta senza neanche accorgertene, e Sora è disperso chissà dove. E cosa fai tu? Osservi il tempo passare, senza cercare di rimediare.”

Socchiuse gli occhi abbassando la testa, e quando li riaprì vide che le sue iridi blu erano ora piene di determinazione.

“Nessuno si ricorda di lui e nessuno lo andrà a cercare. Solo io posso farlo. E lo farò!”

Presa da quella frenesia che l’aveva sempre caratterizzata e che negli ultimi tempi l’aveva abbandonata, si avvicinò alla finestra, la aprì per far cambiare l’aria viziata della stanza, e quando il vento fresco le accarezzò le guance, guardò il cielo azzurro, quello stesso azzurro degli occhi del suo innamorato.

“Vedrai, ti troverò. Ovunque sarai. Ti riporterò a casa con me, e potremo vivere felici insieme, io e te”, promise solennemente.

--

Ora vi chiederete: cosa caspita è successo? Beh, avete visto il trailer del DLC che è uscito da poco? Girano diverse teorie in proposito, a me è piaciuta molto quella che dice che Sora ha "riavviato" il tempo per salvare Kairi e di conseguenza nessuno si ricorda più di lui, tranne lei. Effettivamente, perché alla fine sono tutti felici e contenti se lui è morto? Però badate bene che prendo per buona questa teoria più che altro perché è perfetta per la trama che sto scrivendo, visto che mi permetterebbe di tenere Sora fuori dalla storia senza che tutti quanti si stravolgano per cercare di ritrovarlo: la trama della fan fiction non parla della ricerca del modo di salvare Sora, ma di tutt'altro, quindi ho bisogno che ne stia fuori (poverino, gli voglio un bene dell'anima, mi dispiace anche parlare di lui così...). Meglio non cercare comunque di entrare nella testa di Nomura: è impossibile che riusciamo NOI a prevedere quello che farà LUI. Quello è uno che una ne pensa e cento ne fa. Quindi è assai probabile che il DLC, quando uscirà, sbugiarderà questa teoria in pieno.

Un particolare che ho deciso nello sviluppo: KH non ci spiega né ci fa vedere come Kairi e Sora si siano innamorati o quando, quindi ho scelto un po' la via del "colpo di fulmine", per dare un'impostazione speciale alla loro relazione fin da subito. Trovo infatti un po' inverosimile che due bambini, cresciuti come semplici amici e niente di più, poi si innamorino da grandi: se cresci fin da piccolo con un bambino del sesso opposto, finisci per considerarlo come tuo fratello, è difficile che l'amicizia si evolva in amore. Quindi ho scelto questa via, anche basandomi su una doppia pagina inedita del manga, dove fa vedere che è Sora a trovare Kairi per primo.

Al prossimo aggiornamento e grazie!

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Capitolo 4
*** Non improvvisare, ma pianificare ***


Capitolo 4 – Non improvvisare, ma pianificare


“Quel principe, che si appoggia tutto in su la fortuna, rovina come quella varia.”- Capitolo XXV

 

“Ma insomma, Kairi...” sbuffò Riku, mentre reggeva una pila di volumi ed enciclopedie impilati l’uno sull’altro tra le braccia, tenendosi in un malfermo equilibrio per evitare che rovinasse tutto a terra. “Mi vuoi... mi vuoi dire a cosa ti serve tutta questa roba?”

“Tu non ti preoccupare. Porta dentro”, lo incitò Kairi, sulla porta di casa propria. “Anzi, prima dammene un po’.” Tolse una buona metà di libri dalle braccia del suo amico, che tirò un sospiro di sollievo. “Puoi appoggiarli sulla mia scrivania”, gli disse guidandolo in casa sua. “Ti ringrazio tanto, non sai che gran favore mi hai fatto!”

Una volta che il ragazzo si fu liberato da quel peso, si asciugò il sudore dalla fronte. “Non hai risposto alla mia domanda, però. Il maestro Yen Sid è stato felice di sapere che desideravi leggere i suoi libri, è sempre contento quando qualcuno vuole acculturarsi dalle sue fonti. Ma come mai?”

“Oh...” alzò le spalle Kairi, vaga. “Così.”

“Come, così?” aggrottò le sopracciglia Riku. Poi gli venne da sorridere appena. “Cos’è, devo cavarti fuori la risposta?”

Kairi incrociò le braccia e sollevò appena la testa, socchiudendo gli occhi. “Oh, non oserai!”

“Ah, no?”, le chiese lui con tono giocoso. Le andò vicino e la afferrò, cercando di stuzzicarla sui fianchi, come usava fare spesso quando erano più piccoli.

Kairi, ridendo quasi fino alle lacrime, cercò di liberarsi dalla sua stretta, ma con Riku non era così facile come con Sora. Non riuscì neanche a fargli il solletico di rimando, cosa che invece con Sora le era sempre riuscita abbastanza semplice.

“Va bene, va bene, basta!” lo pregò tra le risate.

“Mi dirai il motivo, allora?” incalzò Riku, senza mollarla.

“Te lo dico, te lo dico!” assicurò Kairi, senza smettere di ridere.

Allora Riku la lasciò andare, e la ragazza ci mise pochi attimi per riprendersi. Vedeva che Riku era contento, e indovinò il motivo: era di sicuro stato molto preoccupato per lo stato d’animo e la depressione della sua amica, e vederla di nuovo allegra e luminosa come prima doveva essere per lui un grande sollievo.

“La verità, Riku, è che mi va di esplorare gli altri mondi”, gli spiegò.

Riku, sorpreso, alzò un sopracciglio. “Tutto qui?”

“Che altro ti aspettavi che ci fosse?”, chiese Kairi, sorpresa.

“Mah... non so...”, mormorò lui. “Sei sicura che sia tutto qui?”

“Senti, mio caro”, lo riprese lei, con tono di superiorità. “Hai passato gli ultimi due anni in giro per i mondi, no? Ebbene, di tutti quei mondi, io non ne ho mai visto mezzo. Ti pare così strano che abbia voglia di vedere dei luoghi che non siano queste isole?”

“Ah, no no, per carità”, alzò le mani Riku, messo in allarme dal tono vagamente scocciato dell’amica. “Ma questi libri?”

“Voglio solo informarmi sui vari tipi di mondi, la loro storia e i loro usi, prima di partire. Non posso certo visitarli tutti, quindi devo fare un’accurata selezione”, spiegò Kairi, e il suo tono fu talmente convincente da togliere i dubbi che Riku aveva.

“Ma vuoi davvero andare da sola? È meglio che io venga con te. Ti divertiresti di più, e una ragazza da sola... non so... grande come sei diventata, non si sa mai.” obiettò.

Kairi fece una risata e gli diede una pacca sulla spalla. “Non preoccuparti, sarà un viaggio breve, non starò via molto. È una cosa che ho bisogno di fare da sola, ma non pensare per questo che non ti voglia bene, eh.”

Riku le fece un sorrisetto compiaciuto. “Quando pensi di partire?”

Kairi ci pensò su. “Non lo so, fra qualche giorno.”

“Ricordati di chiamarmi al cellulare se ci fosse un problema qualsiasi”, si raccomandò Riku.

Kairi si sentiva lusingata da tutte quelle premure. Riku era sempre stato un caro amico, e anche se il suo cuore batteva per un altro ragazzo, Kairi si sentiva legata a lui come non avrebbe potuto essere nemmeno con un fratello maggiore.

Tuttavia, Kairi sentiva che non poteva lasciare che venisse con lei. Non poteva rivelargli il motivo per cui desiderava veramente partire. Se gliel’avesse detto, Riku avrebbe pensato sul serio che la sua amica fosse uscita di senno. Magari avrebbe parlato di nascosto con suo padre, e magari il suo genitore, preoccupato per la sua sicurezza, avrebbe potuto addirittura chiuderla in camera in modo che non facesse pazzie. Meglio che se ne stesse buono e tranquillo a casa, credendo che lei si stesse divertendo. Non si ricordava di Sora, e quindi non aveva senso che lei cercasse di coinvolgerlo nella sua ricerca. Quello era un compito che spettava a lei e lei soltanto.

 

Rimasta sola, Kairi tirò un gran sospiro e si mise al lavoro. Prese il primo volume dalla pila di libri, si sedette sul letto con le gambe incrociate, mise il tomo davanti a sé e tenne alla sua destra un quaderno vuoto, con la penna in mano. Preparato il materiale, cominciò a leggere con attenzione. Era questo quello che ora doveva fare: d’accordo che era determinata più che mai a ritrovare Sora, ma sapeva che doveva procedere per gradi. Il suo innamorato, le poche volte che dopo le sue avventure erano riusciti a stare insieme, le aveva parlato con grande entusiasmo di tutti i mondi in cui era stato, e Kairi aveva capito molto bene che molte di queste visite ai vari luoghi, per cercare di trovare il tal oggetto o la tal persona, venivano spesso fatte in modo abbastanza casuale. Lei non aveva intenzione di seguire questo metodo: c’erano un’infinità di mondi là fuori, e se si fosse messa ad esplorarli tutti, senza un piano dietro, così come veniva, avrebbe perso un sacco di tempo. Quello che si era prefissata, invece, era di raccogliere tutte le informazioni possibili su ogni mondo conosciuto, così da poter avere già una buona dose di indizi e la prova che una certa visita sarebbe stata proficua o meno già da prima di partire da casa. Ringraziò mentalmente Yen Sid, che aveva gli scaffali delle librerie della sua torre pieni di enciclopedie, e quindi di sicuro in quelle che si era fatta portare c’erano delle informazioni utili che le sarebbero servite.

Kairi rimase alzata fino alle tre di notte, tenendo accesa solo la luce sul comodino, con la schiena curva e gli occhi che le bruciavano di stanchezza, appuntando ogni cosa di interessante che trovava su quei libri. Scoprì che esisteva un mondo in cui re malvagio si era reincarnato in un calderone nero; un altro composto da una fitta giungla dove un ragazzo era stato allevato da una famiglia di lupi; uno composto da soli animali antropomorfi che vivevano come gli uomini ed un altro simile alle Isole del Destino, con delle isole tropicali, la cui popolazione aveva paura di navigare oltre la barriera corallina. Si appuntò ogni cosa dei mondi che trovò, le caratteristiche, gli abitanti, se ci fossero cose collegate al soprannaturale... ma nulla le fece pronunciare le parole “è questo il mondo giusto!”. Alla fine crollò esausta, senza togliere le carte dal letto e senza nemmeno spegnere la luce. Si svegliò il mattino dopo stanca morta e con la schiena rotta. Ma per tutte le notti successive, e in ogni attimo di tempo libero, continuò il suo lavoro senza pause né riposo.

Certe volte, si diceva che era una stupida a comportarsi in questo modo: perché non prendere e buttarsi all’avventura, lasciandosi trasportare dagli eventi ed esplorando un mondo dopo l’altro alla ricerca di una soluzione, invece di consumarsi le meningi nello studio? Ma Kairi sentiva che c’era qualcosa di antico, di ancestrale addirittura, che le scorreva nel sangue, e che era al di sopra del carattere irruento che poteva aver sviluppato negli anni. Era un qualcosa che quando a lei, esasperata per la mancanza di risultati, veniva da chiudere il libro esclamando “basta, adesso parto e si vedrà”, la teneva bloccata al suo posto, e le diceva che no, non era quello il metodo giusto, non bisognava agire senza pensare. Bisognava riflettere bene, studiare, prima di trasformare il pensiero in azione. Basarsi solo su ciò che la fortuna le avrebbe portato l’avrebbe condotta al fallimento. Kairi non sapeva da dove le veniva questo istinto così saggio, tuttavia alla fine decise di obbedirgli e, in alcune settimane, portò a termine la sua analisi sui vari mondi esistenti. Dopo aver concluso lo studio e buttato giù schemi sul quaderno, analizzando i vari elementi dei mondi, cominciò una spietata selezione. Eliminò dall’elenco che aveva stilato prima i mondi che non le erano di interesse, poi quelli che potevano avere degli elementi che forse la potevano aiutare, infine tolse quelli che potevano avere qualcosa di più. Alla fine rimase un solo mondo che la convinceva più degli altri.

“Il mondo dell’Olimpo!”, esclamò a notte fonda, seduta sul letto e distrutta dalla fatica. “Mondo governato da un pantheon di dèi, tra di loro c’è un dio dell’aldilà. Addirittura un dio dell’aldilà! Chi meglio di lui potrà aiutarmi a ritrovare Sora? Ma... questo libro dice che questo dio... come si chiama? Ade ... non è in buoni rapporti col resto degli dèi, ed ha anche combattuto contro Ercole... che dovrebbe essere un semidio figlio di Zeus, il capo degli dèi.”

Kairi pensava di sapere chi fosse Ercole. Sora gliel’aveva accennato in uno dei suoi tanti racconti. Dunque Ade aveva combattuto contro Ercole, l’eroe di quel mondo e amico di Sora... cosa poteva suggerirle che sarebbe riuscita ad ottenere il suo aiuto, per di più per salvare un suo vecchio nemico?

Eppure aveva trovato la soluzione, almeno a livello teorico. Il giorno successivo si dedicò alla parte pratica: come fare per far sì che gli dèi di quel mondo le dessero una mano? Cercare Ercole, l’eroe di quel mondo, semidio e figlio del capo degli dèi, per pregarlo di accontentare la sua richiesta? E come avrebbe potuto? Se quell’uomo avesse avuto memorie di Sora, sarebbe stato più che volenteroso di riportare in vita il suo amico, ma era sicuro che, se lei gliel’avesse nominato, il nome di Sora non gli avrebbe detto niente. Il riportare nel mondo dei vivi qualcuno doveva essere qualcosa di complesso. Altrimenti chiunque avrebbe potuto rivolgersi agli dèi pregandoli di riportare in vita un caro scomparso, e non poteva certo essere così.

L’unica soluzione che a Kairi venne in mente era di fare qualcosa di rilevante, di utile per quel mondo, per far sì che Ercole, la persona più importante dopo gli dèi, la prendesse in considerazione e si offrisse di ricompensarla. E a quel punto lei avrebbe fatto la sua richiesta. Non aveva idea però, così in anticipo, di che problemi quel mondo era afflitto. Poteva anche darsi che fossero in tempo di pace, e nessuno avesse bisogno di lei. Inoltre, Kairi sapeva di non essere molto brava nel combattimento: era vero che aveva combattuto contro Xehanort, ma se l’era cavata bene solo perché c’era stato Sora con lei. Se fosse stata da sola, era sicura che le cose sarebbero andate molto diversamente. Si rese conto che più di così, prima di partire, non poteva pianificare. Doveva andare lì e sperare che accadesse qualcosa che le desse l’opportunità di spiccare.

Quando il grosso fu preparato, la ragazza andò a chiamare Riku.

“Sono pronta a partire”, gli spiegò con tono allegro. “Puoi chiedere al Re Topolino che mi presti una delle sue gummiship? Una piccola andrebbe bene. Gliela riporterò subito.”

A Riku venne da ridere. “Sei proprio determinata ad andare, eh? Hai avvisato tuo padre?”

“Non ancora, in realtà...” accennò Kairi. “Ma sono sicura che non avrà niente da dire. È molto contento di vedermi così ripresa, e di sicuro penserà anche lui che un viaggetto mi farà bene.”

Il ragazzo allora annuì, anche se non sembrava molto convinto. “Va bene, chiamerò Topolino e vedrò cosa si potrà fare. Speriamo che voglia farti questo favore, ma penso che accetterà.”

Verso sera, tornata a casa, Kairi vi trovò suo padre. Anche lui era appena rientrato dal lavoro, e si stava riposando sul divano del soggiorno. L’uomo alzò gli occhi dalla rivista che stava leggendo.

“Figliola!”, esclamò sorpreso e con un poco di preoccupazione nella voce. “Come ti senti, oggi?”

“Bene, babbo”, rispose Kairi, e si sentì sincera mentre lo diceva. Il suo stato fisico ne era una dimostrazione, per quanto si era fatta grande e si era rinforzata. “Dovrei... dirti una cosa”, aggiunse, pensando che era giunto il momento di chiedergli il permesso di partire.

“Dimmi pure, Kairi”, la invitò suo padre, chiudendo la rivista e facendosi attento. “Ti è successo qualcosa?”

“Sì... cioè, no”, si corresse subito lei. “Vorrei solo chiederti il permesso per... andare da una parte.”

Il padre accennò una risata. “Cara, fra poco farai diciassette anni. Davvero mi stai chiedendo il permesso per andare a farti un giro?”

“Non hai capito”, si spiegò la ragazza. “Voglio dire che volevo andare... solo per qualche giorno, intendo... fuori da queste isole.”

All’uomo si tesero i lineamenti del viso. “Cosa intendi, figliola?”

Kairi, un po’ a disagio, si torse le mani dietro la schiena. “Ma sì. Intendo che volevo andare a vedere un altro paese, così... come viaggio di piacere.”

Sapeva di non contravvenire all’ordine, dicendogli quelle cose: suo padre era il capo delle Isole del Destino. A differenza degli altri abitanti, era consapevole dell’esistenza di altri mondi al di fuori del loro. Il sindaco si strofinò gli occhi col pollice e l’indice, in un gesto pensieroso. Kairi non lo interruppe mentre rifletteva: sapeva che suo padre la reputava una ragazza svelta, intelligente e in gamba, e non le avrebbe negato questa esperienza.

“Kairi, sai che ho una grande opinione di te, l’ho sempre avuta”, disse il padre infine. “Ma ancora sei molto giovane. Sei sicura di quello che stai dicendo?”

“Assolutamente”, rispose subito lei. “Non hai visto tutti quei libri in camera mia? Li ho presi in prestito per poter scegliere la destinazione migliore. A livello di sicurezza, di servizi... cose così.”

“Ah, erano per quello, allora?” mormorò il sindaco. La sua voce si fece rinfrancata quando riprese a parlare. “Sì, ricordo che anche da piccola eri così. Sempre in giro, non stavi mai a casa, e ricordo che insieme a Riku progettavate di andarvene con una zattera. Era solo un gioco, lo ricordo bene, né io ne i suoi genitori abbiamo mai preso la cosa sul serio.”

Al sentire che nemmeno da suo padre il nome di Sora veniva nominato, Kairi si sentì il cuore improvvisamente stringere, ma fu questione di un attimo: era proprio per quello che stava cercando di partire, perché Sora tornasse tra loro e potessero essere felici insieme.

“Sì, quindi... posso?”, chiese, iniziando a mostrare impazienza.

“Beh...” fece suo padre. “Hai scelto accuratamente il luogo dove andrai? Sei sicura che non ci siano pericoli? Sai dove andrai a dormire? Starai molto attenta?”

“Certamente”, annuì Kairi con decisione. “Sarà solo per qualche giorno. Non dovrai preoccuparti di niente.”

Il sindaco tirò un gran sospiro ad occhi socchiusi, poi si alzò dalla sedia e la abbracciò stretta. “Va bene, figliola. Sono del parere che ogni giovane dovrebbe farsi le sue esperienze. Se andare via per qualche giorno ti farà felice, allora vai.”

Kairi respirò di sollievo e abbracciò suo padre di rimando. “Tornerò il prima possibile”, gli assicurò. E mentalmente aggiunse, con ancora più convinzione: ‘e non sarò da sola’.

 

Tre giorni dopo, Riku la chiamò sulla spiaggia dell’isola piccola. “Kairi, prendi la tua roba e muoviti, che la gummiship è arrivata!”

Kairi aveva preparato la valigia, con i cambi di biancheria, già da tempo. Per sicurezza, visto che al momento non ne aveva uno migliore per il combattimento, si mise il suo vecchio abito rosa che le aveva preparato Yen Sid mesi prima, anche se ormai le andava un po’ corto e le stringeva sui fianchi e sul seno. Trascinò la valigia fuori casa e la caricò sulla sua barchetta di legno, remando poi con energia per raggiungere l’isoletta.

Nascosta nella spiaggia sul retro, erano approdate due gummiship: una grande e una più piccola, attraccata a rimorchio della prima. Dalla prima stava scendendo Paperino, e Riku assisteva dalla spiaggia.

“Riku!”, esclamò Kairi, raggiungendo il suo amico. “È arrivata, finalmente! Re Topolino è stato davvero gentile a farmi questo favore. Ma... questa è davvero troppo grande per me.”

Riku si mise a ridere. “Ma no, la tua è quella più piccola dietro. Adesso Paperino te la lascia e poi tornerà al Castello Disney.”

“Paperino!”, lo accolse Kairi con un gran sorriso. “Come vanno le cose a casa? Sei venuto da solo? Pippo non è con te?”

“Quack!”, esclamò l’anatra, mettendosi a ridacchiare e facendo strani rumori col becco. “No, Pippo non è venuto. È in un periodo un po’... delicato della sua vita.”

Riku e Kairi erano perplessi. “Periodo delicato?”

Paperino allora assunse un’aria complice e fece loro cenno di avvicinarsi. I due ragazzi, incuriositi, si piegarono per farsi più vicini a lui. L’anatra si mise una mano vicino al becco e abbassò la voce.

“Sentite questa... fra un po’ Pippo diventerà padre.”

Kairi e Riku si rialzarono di scatto. “Cosa?!” esclamarono all’unisono, scioccati.

“Quack, quack, è proprio così!”, esclamò allora Paperino, sbellicandosi dalle risate. “Da non crederci, vero?”

“Già... davvero...” sussurrò il ragazzo, con gli occhi sbarrati.

“E quindi sono venuto solo io”, aggiunse il papero. “Anzi, quando sua maestà ha chiesto chi volesse fare il piacere di portare la gummiship, mi sono offerto subito. Cerco sempre di allontanarmi ogni volta che posso dal castello.”

“E come mai?” chiese Kairi, curiosa.

“Eh...” disse vago Paperino con voce scoraggiata, lasciando le braccia ciondoloni. “Sapeste... che elementi ti ritrovi in famiglia e che devi sopportare. Ma adesso vieni, Kairi, ti faccio vedere come funziona questo trabiccolo.”

La guidò su per la rampa della gummiship più piccola, la fece entrare, la portò nella sala di comando ed iniziò a mostrarle i vari pulsanti e leve. Kairi ascoltò con attenzione, e riuscì a comprendere senza fatica le varie funzioni.

“Cosa molto, molto importante”, le disse l’anatra tra una spiegazione e l’altra. “Quando atterri, stai bene attenta ad abbassare gradualmente la potenza del motore. Una volta, quell’impedito di mio cugino è atterrato – con un’altra gummiship che poi abbiamo dovuto rottamare, ovviamente – tenendo la potenza al massimo. Non ti dico che macello ha combinato, quack! Ci ha devastato il giardino, oltre a rompere la navicella! E quante altre ne combina! Poi tutto tranquillo, come se tutti i disastri che provoca fossero di poca importanza! Uh, non farmene parlare! Perché sono venuto io a portarti la gummiship? Perché così me lo sono scrollato di dosso per un po’! Giuro che quando passa il limite gli strappo quel berretto rosso che si porta sempre in testa e glielo faccio mangiare, quack! Ma perché mi stai facendo parlare di mio cugino? Mi viene il nervoso e basta!”

Man mano che il papero parlava, la sua voce si faceva sempre più isterica e rabbiosa, cominciando a starnazzare come era suo solito quando si alterava.

“Ma in realtà...” cercò di interromperlo Kairi, non sapendo se fosse più opportuno sentirsi imbarazzata o divertita. “Non ho iniziato io a parlarne.”

“Ah...” fece Paperino, calmandosi d’un colpo. Riprese a spiegare alla ragazza le regole del funzionamento della gummiship, intervallandoci in mezzo delle frasi stizzite: “maledetto lui, quel figlio d’una gallina, non so se esisterà mai nell’universo qualcuno capace di sopportarlo...”

“Paperino!”, lo richiamò Kairi.

“Sì, sì, giusto, giusto...” si riprese subito lui. E via così.

“Allora, avete finito?”, chiese Riku, quando i due furono scesi dalla navicella. “Kairi, hai capito tutto?”

“Sì”, annuì lei. “Penso di aver capito tutto.”

“Molto bene!”, assentì soddisfatto Paperino. “Comunque, come dicevo, mio cugino...”

“Paperino!” esclamarono Riku e Kairi insieme, e il papero si azzittì.

Riku si rivolse allora alla sua amica. “Kairi... mi raccomando, sta’ attenta. Telefonami se dovesse esserci qualche problema. Una parola, e sarò lì prima di subito”, si raccomandò con voce apprensiva.

Kairi si sentì toccata nel rendersi conto di quanto Riku le volesse bene. Senza trattenersi, lo abbracciò stretto. “Sta’ tranquillo, andrà tutto bene. Vedrai, saremo di ritorno ancora prima che tu te ne renda conto.”

Riku appariva confuso. “Saremo?”, chiese, dubbioso.

Kairi ridacchiò, staccandosi da lui. “È una sorpresa. Vedrai.” Era talmente sicura della buona riuscita della sua impresa che si era sentita di spingersi più in là, anticipando a Riku il ritorno del loro amico d’infanzia.

 

Senza esitare un attimo di più, conclusi i saluti e i ringraziamenti corse su per la rampa della navicella, sistemando la valigia in un angolo. Si sedette al posto di comando e, dopo aver fatto partire i motori, facendo come Paperino le aveva insegnato, cominciò a far partire con cautela la gummiship. Fece un saluto con la mano al papero e al ragazzo rimasti sulla spiaggia, che ricambiarono e, quando fu abbastanza in alto, diede un’accelerata dirigendosi verso lo spazio.

“Dunque... queste sono le coordinate del Monte Olimpo...” mormorò ricordandosi il codice scritto nel libro di Yen Sid, e che aveva imparato a memoria per sicurezza. “Inseriamole nel navigatore... e via!”, esclamò, premendo il tasto dell’accelerazione fino in fondo. Presto le Isole del Destino non furono altro che un puntino azzurro nell’immensità del cosmo, e la ragazza intraprese il suo viaggio, concentrata ed attenta sul suo obiettivo, senza nemmeno girare un attimo la testa per ammirare il panorama degli astri e delle costellazioni intorno a sé.

 

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Domanda facile facile: chi è il papero Disney preferito dal pubblico, in Italia, per lo meno? Sarà anche Paperino, ma c'è un altro papero che gli fa un'agguerrita concorrenza!

A parte questo: mi correggo su un'informazione che ho dato nel capitolo scorso. I capitoli romantici saranno leggermente di più, non un paio soli. Pensavo che me la sarei sbrigata in fretta, invece per fare tutto in modo abbastanza dettagliato ci vorrà un po' di tempo.

Cercherò di fare arrivare il prossimo capitolo presto, grazie mille a tutti per il vostro supporto!

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Capitolo 5
*** Un principe si riconosce dall'influenza che ha sul popolo ***


Capitolo 5 – Un principe si riconosce dall’influenza che ha sul popolo


Nello spazio la concezione del tempo era qualcosa di relativo: non c’era nulla che potesse far capire quanto tempo durasse un viaggio. Si poteva solo fare affidamento all’orologio integrato nel quadrante del pannello dei comandi. Kairi vi gettò un’occhiata stanca e appesantita: non aveva voglia di calcolare le ore, ma stimò che era approssimativamente mezza giornata che guidava. Era sfinita, ma si consolò col pensiero che fra poco sarebbe arrivata a destinazione.

“Avanti... appari... appari...” incitò a mezza voce, scrutando in lontananza per scorgere il mondo dell’Olimpo.

Non pensava minimamente allo spettacolo delle costellazioni e degli altri mondi che le vorticava intorno: non era lì per divertirsi e per turismo, e doveva restare concentrata sul suo obiettivo. Ecco perché, solo quando davanti a lei iniziò a farsi sempre più grande il mondo in cui era diretta, la sua tensione si distese.

“Sono arrivata!”, esultò, mentre tutta la stanchezza la lasciava per far posto alla determinazione. Presa dalla frenesia, stava per accelerare, ma poi le venne in mente l’indicazione di Paperino. Non voleva mica finire come il suo problematico cugino! Perciò rallentò la potenza del motore e si avvicinò con cautela.

Ancora non era atterrata, ma già la giovane donna notò qualcosa di strano: aveva studiato i libri di Yen Sid nei dettagli, e aveva letto sul mondo dell’Olimpo che era un paese molto soleggiato e luminoso, ed anche Sora gliel’aveva confermato coi suoi racconti. Invece, avvicinandosi, era chiaro che era avvolto da una spessa coltre di nubi. Ancora non poteva sentirne la temperatura, ma appariva come una zona decisamente non calda. Che il volume avesse riportato un’indicazione errata? O forse era lei che aveva sbagliato ad impostare le coordinate e quello era un altro mondo? Diede un’occhiata al quadrante delle coordinate.

“No, è tutto giusto. È proprio il mondo ad essere fatto così.”

Non restava altro che scoprire la vera motivazione di questo cambiamento così drastico. Era assai probabile che fossero gli Heartless la causa di tutto questo, e doveva essere pronta a combattere. Stavolta si sarebbe fatta valere, non ci sarebbe stata creatura dell’oscurità che avrebbe esitato ad affrontare, pur di riavere indietro Sora.

Atterrò con cautela in una zona tranquilla al di fuori della città principale, Tebe, in modo che la navicella passasse inosservata. Appena mise il piede fuori, un vento freddo le sferzò il viso, e la ragazza, con un brivido, rientrò immediatamente. Controllò il termometro che misurava la temperatura esterna: dieci gradi. Era molto più freddo rispetto alle isole su cui era cresciuta, ma Kairi aveva imparato dai suoi studi che c’erano popolazioni che erano abituate a vivere a temperature di svariati gradi sotto lo zero, quindi quel tempo in cui era arrivata non era brutto in senso assoluto. Recuperò dalla valigia una giacca pesante, che si era portata per sicurezza nonostante il libro di Yen Sid assicurasse che era un mondo caldo, prima di scendere.

Quando fu a terra, imbacuccata nel suo giaccone, si guardò intorno per iniziare a farsi un’idea: il cielo era tutto grigio di nubi pesanti, i vari prati e campi non erano rigogliosi come il libro le aveva spiegato, e c’erano ovunque pozzanghere e rigagnoli, segno che in quel periodo doveva star piovendo spesso. In giro non si vedeva nessuno, e non si notava traccia di Heatless. Ma non c’erano neanche le persone: nemmeno un contadino col carretto. Forse erano tutti rintanati nelle proprie case? Kairi allora pensò che forse avrebbe dovuto andare dritta verso la città per cercare Ercole, ma decise di approfittare di una casetta di contadini che aveva scorto poco lontano. Prima voleva farsi un’idea della situazione, e quale modo migliore se non chiedere ai cittadini?

La casetta era molto semplice, di mattoni, e circondata da campi spogli e fangosi. Kairi vi si avvicinò e bussò alla porta di legno. Sentì dall’altra parte un passo strascicato, ed una signora di mezza età, tremante nel suo grembiule, venne ad aprirle. Kairi lì per lì non seppe cosa dire.

“Ah, ehm... sono... una viandante che passava di qui, non avreste per cortesia un po’ d’acqua da bere?”

“Oh, sì, di acqua ce n’è finché vuole, signorina”, annuì gravemente la donna. “Se mi avesse chiesto del cibo, già sarebbe stato diverso...” aggiunse tristemente. “Entri pure”, concluse, con la voce riscaldata dal calore tipico della popolazione rurale.

Kairi la seguì, ed entrò in un grande stanzone, con pareti di pietra e soffitto con le travi di legno, dove tre bambini, avvolti in una coperta, cercavano di riscaldarsi vicino al camino. La donna riempì una tazza di legno con l’acqua presa da un catino e la porse alla ragazza.

“Grazie...” mormorò Kairi. “Ma signora... c’è per caso qualche problema da queste parti? Io vengo da lontano, e avevo saputo che il clima in questa zona era caldo, soleggiato...”

“Uuuh!”, fu l’improvviso commento della signora, alzando le braccia al soffitto, tanto che Kairi fece un balzo all’indietro per lo spavento. “Doveva, doveva essere così, signorina, ma da alcune settimane non lo è più. E tutto per colpa dei nostri dèi... loro e le loro tresche. Ma sì, cosa gliene importa a loro? Tanto siamo noi poveracci che soffriamo.”

“Cioè, è colpa dei vostri dèi se il tempo è peggiorato?”, chiese Kairi, davvero incuriosita.

“Sì... ma non me ne faccia parlare, da qui a passare alle bestemmie è un attimo, e la mia famiglia è sempre stata religiosa e devota”, chiuse il discorso la donna in modo solenne.

“Certo, mi rendo conto... ma quindi adesso quali problemi ci sono, esattamente?” chiese Kairi. Non poteva credere che una temperatura non poi così fredda fosse davvero un problema per la popolazione. “Non farà mica così freddo...” azzardò.

“Non farà così freddo?!” esclamò brusca la donna, e i tre bambini rannicchiati poco distanti lanciarono a Kairi uno sguardo indignato.

“C’è stato un crollo di venti gradi di temperatura così, da un giorno all’altro... noi non siamo abituati ad un clima così rigido. È da un mese ormai che tutto è cambiato... noi abbiamo freddo... e i nostri campi... le nostre verdure non crescono più. Vede, signorina, noi non siamo abituati a mettere da parte il cibo, perché era sempre estate, tutto l’anno, e i nostri campi davano raccolti abbondantissimi di continuo. Ma adesso con questo freddo... il riso, i legumi, i peperoni, le melanzane, i limoni, i cetrioli, gli spinaci... e tutto il resto... non abbiamo più niente”, concluse affranta, prendendosi la testa fra le mani. “Ovviamente prima che i nostri campi si rovinassero siamo riusciti a mettere da parte qualcosa, ma sappiamo che questo inverno – così chiamano la nuova stagione – durerà per altri due mesi, e le nostre scorte dureranno per un altro mese al massimo. Dopo ci toccherà morire di fame.”

Kairi si sentiva addolorata per loro. “Ma non potete chiedere a qualche altra famiglia di darvi un po’ del loro cibo?”

La donna rise una risata amara. “Le altre famiglie sono messe esattamente come noi. Ognuno pensa per sé. Non ci daranno niente.”

“Ma... ma...”, cercò di ragionare Kairi. “Ercole!”, esclamò a un tratto. “Lui non è l’eroe di questo posto? Non ha pensato a una soluzione?”

“Oh, Ercole...” sospirò la donna. “Certo, lui è un vero eroe, ma ha una grande forza di cuore e muscoli, che in questa situazione non possono molto. Non ci sono nemici da combattere, e lui non può farci proprio nulla.”

“E in città come è messa la situazione?” chiese ancora Kairi. Voleva farsi un’idea il più precisa possibile della situazione di quel mondo.

“Sono messi come noi, anzi, forse peggio. Perché noi, vivendo in campagna, siamo riusciti a mettere da parte più scorte rispetto a loro. Le loro finiranno almeno una settimana prima delle nostre.”

Kairi ritenne di aver raccolto informazioni sufficienti. Ringraziò tanto per l’acqua e fece per lasciare la casa. Quando fu sul portone diede un’occhiata ai campi intorno. Forse poteva farsi un’idea ancora più precisa. Si girò verso i bambini.

“Uno di vuoi vuole venire con me per mostrarmi la vostra terra?”

“Io! Io!” saltò su quello che pareva il più piccolo. Sembrava già aver dimenticato la sciocchezza che Kairi aveva detto prima. “Mamma, posso accompagnarla?”

“Tesoro, fuori fa freddo, dovresti stare vicino al fuoco...” obiettò la donna.

“Ma cammineremo veloce, così mi potrò scaldare. Vero, ehm...?”

“Kairi”, si presentò la ragazza. “E tu, come ti chiami?” gli chiese gentilmente.

Il bambino arrossì e abbassò la testa. “Ehm... Ulisse... per uno dei nostri eroi...”

“Che bel nome!” sorrise Kairi, stringendogli la mano. “Signora, glielo riporterò subito. Mi farò solo mostrare da Ulisse come sono fatti i vostri campi.”

 

Una volta fuori, il bambino, che non doveva avere più di sette anni, accompagnò Kairi mostrandole quelle che fino a poche settimane prima, a suo dire, erano state terre rigogliose.

“Guarda invece adesso come sono brutte... tutte piene di fango, e le piante che ci avevamo coltivato sono tutte marcite. Poi fa così freddo che i cereali e le verdure non possono certo crescere...”

Passando per il bordo dei campi, dove la terra era un po’ rialzata e quindi si riusciva a non affondare nel fango fino allo stinco, Kairi notò però che, soprattutto nei margini, la vegetazione non mancava affatto, semplicemente era diversa da quella che i greci abitualmente coltivavano. E tra tutte le piante che crescevano, ne notò un paio che ricordava di aver visto nei suoi libri. Una era una pianta piena di foglie venose verde scuro, mentre l’altra sembrava quasi un bastone, ma era chiaro che non lo fosse. Le venne in mente che molte popolazioni che vivevano nei climi rigidi basavano molto la loro sopravvivenza su quelle piante.

“Ulisse, fermati un momento”, disse la ragazza al suo piccolo accompagnatore, e si accovacciò davanti alle piante. “Tu queste le conosci?”, chiese al bambino che si era fermato anche lui, toccando le foglie verdi.

“Mmmh...”, fece il piccolo, pensieroso. “In realtà no, non ho mai visto quelle piante... eppure conosco tutte quelle selvatiche che crescono da queste parti.”

Kairi si mise a ridere. “È perché queste due crescono solo col freddo, e in questo ultimo mese probabilmente sei uscito poco di casa, per questo non le hai viste. Questa qui con le foglie si chiama cavolo, mentre quest’altra a bastone è la cipolla selvatica. E scommetto che qui attorno è pieno di queste piante, e chissà quante altre specie selvatiche esistono che si possono mangiare.”

Ulisse spalancò gli occhi. “Tu dici davvero che queste foglie si mangiano?”

“Ma certo”, assicurò Kairi. “L’ho letto in un libro solo qualche giorno fa. Dai, raccogliamo queste due, poi prova a cercarne altre. Le porteremo a casa tua e proveremo a prepararle.”

Il bambino, dopo aver osservato con attenzione le piante che Kairi aveva trovato, schizzò via verso i campi, e meno di mezz’ora dopo era di ritorno con le braccia piene di cavoli e cipolle selvatici.

 

“Mamma, mamma, guarda cosa ti abbiamo portato!” annunciò Ulisse trionfante entrando in casa, lasciando cadere sul tavolo della cucina il suo bottino.

“Figliolo, santo cielo, cosa sono queste erbacce?” chiese indispettita la donna, colta di sorpresa. “Io sono indecisa tra il preparare molto cibo per non farvi fare la fame e il farne poco per risparmiare, e tu mi porti in casa questa roba?”

“Queste sono piante commestibili, signora”, spiegò Kairi, che era entrata anche lei, dopo essersi pulita le scarpe sul bordo dei gradini. “Se le cuoce in padella o ci fa una zuppa, può venirne fuori un pasto molto saziante. Provi a prepararle, vedrà che oggi non avrà neanche bisogno di toccare le scorte.”

La donna guardò la ragazza stupita, ma subito gli altri due bambini si alzarono da davanti al camino, correndo loro incontro. “Mamma, mamma, ascolta Kairi! Vediamo se sono buone!”

La madre allora decise di dar loro ascolto, e riuscì a preparare con successo sia una zuppa che una spadellata di verdure con ciò che Kairi e Ulisse avevano portato a casa. Visto che le loro scorte non erano state toccate, anche Kairi fu invitata a mangiare con loro. A tavola, Ulisse era molto eccitato e non la finiva più di parlare e raccontare.

“Mamma, vedessi quanti cavoli e quante cipolle ci sono nei campi dietro casa! Secondo me, anche se ci mettiamo a raccoglierli tutti insieme, non potranno mai finire!”

“Questa sì che è una buona notizia...” sospirò la donna. “Se cucinerò principalmente quelle cose integrandole con le scorte che abbiamo, riusciremo a mangiare a sufficienza fino alla fine dell’inverno.” Guardò Kairi. “Non so davvero come ringraziarla, signorina... ha fatto davvero molto per la mia povera famiglia. Non conoscevo quelle piante che chiama cavoli... non le avevo mai viste né mangiate prima.”

Kairi sorrise, un po’ vergognosa. “Grazie, ma non penso di aver fatto niente di eccezionale”, rispose con modestia. “Avete mangiato bene, bambini? Avete ancora fame?”

“Siamo pieni, siamo pieni! Ed era buono e caldo!”, esclamarono i piccoli, e la madre emise un respiro di sollievo ed emozione.

“Finalmente i miei figli potranno andare a letto con la pancia piena, ed io senza troppe preoccupazioni per la testa. Kairi, visto che sei stata così gentile con la mia famiglia e adesso sono più tranquilla, potrò raccontarti quello che è successo a questo mondo così disgraziato...”

Kairi, contenta che la signora avesse iniziato a darle del tu, si fece più attenta, ben decisa a non perdersi nulla della spiegazione.

“Devi sapere, mia cara, che nel nostro mondo tutto quello che succede a livello di clima e tempo è governato dagli dèi. Ora, la bella stagione, quella bella e calda estate che noi amiamo, è governata dalla dea Demetra. Demetra ha una bellissima figlia, di nome Persefone. Ed è talmente bella che nemmeno Ade, il dio dei morti, è rimasto impassibile al suo fascino. Ebbene, un giorno Ade ha rapito Persefone contro la sua volontà per farne la sua regina. Visto che la poverina aveva fame, una volta arrivata negli inferi ha mangiato tre chicchi di melograno che Ade le aveva offerto, senza sapere che chi mangia qualcosa nell’oltretomba poi dovrà rimanerci. Per questo, quando il fratello di Ade, il supremo Zeus, è intervenuto per riavere indietro la bella Persefone, ormai il danno era fatto. Sua madre Demetra allora ha minacciato di far arrivare una perenne cattiva stagione sul nostro mondo se non avesse riavuto indietro sua figlia. Allora Zeus è riuscito ad arrivare a un accordo con Ade: visto che Persefone aveva mangiato solo tre chicchi, quello sarebbe stato il numero dei mesi che sua figlia avrebbe passato nell’oltretomba come regina dei morti; per il resto dell’anno sarebbe stata di nuovo con sua madre. Ecco perché adesso c’è questo inverno così terribile: siamo ad un mese che Persefone è nell’oltretomba, e sua madre Demetra è triste ed abbattuta perché non ha sua figlia con sé, ecco perché non manda più la bella stagione. D’ora in poi le cose saranno così, ogni anno. Dovremo imparare ad abituarci, ma è così difficile...”

Kairi ascoltava a bocca aperta senza sapere cosa dire. Che dio egoista, questo Ade, che aveva rapito una ragazza contro la sua volontà ed indirettamente aveva provocato l’arrivo della brutta stagione nel suo mondo. E questo era il dio a cui doveva supplicare di restituirle Sora? Come poteva sperare che un individuo del genere le avrebbe prestato attenzione?

Ma non pensò molto agli dèi e ai suoi problemi. C’era ora qualcos’altro che le occupava la mente: le sofferenze e i disagi degli innocenti cittadini non erano rimasti senza effetto su di lei, e la ragazza sentiva che i loro problemi stavano occupando un posto sempre più grande nella sua mente. Aveva risolto i guai di una famiglia, chissà se sarebbe stata in grado di fare qualcosa anche per le altre? Era vero che lei era una donna sola, straniera, che nessuno degli abitanti aveva mai visto prima, e le persone di quel mondo erano talmente tante che non sarebbe mai riuscita ad aiutarle tutte e a risolvere quel problema per tutti. Ma almeno, se avessero saputo che esistevano piante commestibili che crescevano anche in inverno... il suo piccolo contributo lo avrebbe dato.

“Grazie, signora, è stata molto esauriente. Ora vorrei continuare il mio viaggio verso Tebe. Può indicarmi la strada, per favore?”

“Non è difficile, basta che segui la strada sterrata a destra di casa nostra. Tebe si trova ad un paio di chilometri.”

Kairi allora uscì subito e proseguì la sua strada quasi di corsa, mentre i bambini, sulla porta, la salutavano sbracciandosi. Proseguì senza rallentare, mentre il vento freddo spazzava la campagna, sul sentiero di fango pieno di pozzanghere, passando accanto ai campi vuoti ed a occasionali boschetti dove invece gli arbusti erano rigogliosi. Quando scorse le prime case di pietra della città, tirò un gran sospiro di contentezza. La sua felicità però durò poco, perché camminando per le grandi vie acciottolate non riuscì a scorgere nessuno in giro. Trovò però la cosa abbastanza scontata: se per i greci quei dieci gradi erano un tempo così brutto, era normale che si fossero tutti rintanati in luoghi chiusi per stare più al caldo. Osservò in giro gli alti palazzi della città ellenica, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per portare un po’ di sollievo alla popolazione. Mentre si poneva questa domanda, vide passare finalmente una persona: una donna con i capelli lunghi e castano scuro, che teneva delle fascine sotto le braccia. Al suo fianco zompettava una piccola creatura simile ad una capra, anche lei con dei rami fra le braccia.

“Ma quello è un fauno!”, esclamò Kairi. “Non sarà mica Filottete, il maestro di Ercole? L’avevo letto sul libro, e anche Sora me l’aveva accennato...”

Si avvicinò, cercando di attirare la loro attenzione. “Scusate, ehm... signora... e signor fauno... posso chiedervi un’informazione?”

Appena la ebbe notata, la piccola creatura spalancò gli occhi, lasciò cadere le fascine e in un lampo le fu davanti. “Anche due, signorinella”, le disse subito, tutto suadente, squadrandola da varie parti. “Possiamo avere l’onore di averla come ospite? Se le può interessare, la mia stanza è la più calda della casa.”

“Fil, non cominciare subito!”, lo sgridò la donna, afferrandolo per la coda e tirandolo indietro. “E tu chi sei, ragazzina?” chiese poi a Kairi con un tono più gentile.

“Ecco, io... avrei bisogno di parlare con Ercole. Voi lo conoscete?” chiese Kairi.

“Ercole è mio marito”, disse la donna. “Io mi chiamo Megara. Ma adesso lui non c’è. È andato sul Monte Olimpo da suo padre, per pregarlo ancora di fare qualcosa per rimediare a questo brutto tempo.”

“Zeus può fare qualcosa? So quello che è successo... è per la dea Persefone, vero?”

“Sì”, sospirò Megara. “Ercole vuole chiedere a Zeus di fare qualcosa con Ade, perché restituisca Persefone a sua madre una volta per tutte. Ma non servirà a niente. Non è la prima volta che ci va. Ormai gli accordi tra Zeus e Ade sono stati fatti, e più oltre non sarà possibile andare.”

Kairi abbassò la testa, pensierosa. Dunque era vero che nemmeno Ercole, l’eroe più forte di quel mondo, poteva fare nulla.

“Posso chiedere dove state andando?”, chiese allora.

“Stiamo portando a casa la legna. Per il fuoco, sai”, spiegò Megara.

“E la signorina naturalmente potrà accompagnarci e sedere alla nostra tavola”, aggiunse subito Filottete. “Ed anche... beh, se vuole... dormire nel nostro letto... ahia!”, esclamò subito dopo, visto che la sua accompagnatrice lo aveva tirato per le corna.

“Meg, cosa ci sarà mai di male?” domandò stizzito alla sua accompagnatrice. “Del resto non si dice che rossa di capelli...?” non fece in tempo a finire la frase, perché Megara per farlo star zitto lo aveva afferrato tappandogli la bocca.

“Non starlo a sentire”, disse Megara scocciata. “Però naturalmente puoi venire con noi. Sei una forestiera, e anche nelle difficoltà per noi greci l’accoglienza è importante.”

Kairi ringraziò sentitamente e si avviò in loro compagnia. Durante il tragitto le riuscì di sbirciare all’interno delle finestre delle case. Da quello che riuscì a vedere, capì che le persone avevano freddo, che i vestiti che avevano non erano abbastanza pesanti e la legna che possedevano non era sufficiente per scaldare al meglio le loro case. Infatti, anche se i fuochi dei camini erano quasi tutti accesi, le persone tremavano di freddo lo stesso. Passarono anche davanti ad un grande ed imponente edificio, senza pareti ma pieno di colonne, gremito di gente.

“Che cos’è quello?” chiese curiosa Kairi.

“È il tempio dedicato alla dea Demetra”, rispose Megara. “Vedi quanta gente c’è? È perché le persone la stanno pregando di essere clemente e di far tornare la bella stagione. Ma lei non ascolterà. È troppo addolorata per la mancanza di sua figlia, e solo quando Persefone tornerà da lei tornerà anche il caldo.”

Kairi allora si fermò e guardò l’edificio, pensierosa.

“C’è qualcosa che non va?”, chiese Megara, impaziente di proseguire. “Queste fascine pesano, sai.”

“Stavo pensando... questo edificio può ospitare un gran numero di persone. Ho visto che i cittadini fanno fatica a scaldare le loro case, perché ognuno di loro non ha abbastanza legna. Ma se si radunassero in questo tempio, e negli altri della città, e si accendessero dei fuochi all’interno mettendo la legna in comune, forse riusciranno a stare più caldi, almeno per gran parte della giornata.”

“Come?”, chiesero dubbiosi Megara e Filottete insieme.

In quel momento però Kairi sentì che il pensiero che le era venuto poteva essere una parziale soluzione al problema. Forse nessuno dei cittadini la sarebbe stata a sentire, ma almeno poteva provare a proporglielo. Lasciò i suoi due accompagnatori e corse verso il tempio. Si fece strada tra la gente ammassata a spintoni, arrivando alla piattaforma rialzata su cui era costruita la statua della dea. Montò sullo scalino in modo da poter essere vista da tutti, e fece sentire la sua voce.

“Cittadini di Tebe, ascoltatemi!”, gridò.

Le persone, che avevano la testa china nella loro cupa preghiera, alzarono il capo e rimasero scioccate.

“Una straniera... in piedi, in alto, vicino alla statua della dea Demetra...!”

E subito i loro visi si corrucciarono in una smorfia di rabbia. “Come ti permetti, cos’è questa mancanza di rispetto?! Scendi subito di lì!”

Kairi venne presa da un moto di paura. Si era fatta prendere dal desiderio di aiutare quelle persone, e non aveva pensato al fatto che avrebbero potuto sentirsi offese dai suoi modi.

“Aspettate!”, sentì un’altra voce di donna alzarsi sopra le altre. Kairi vide con sollievo Megara, seguita dal fauno, spingere da parte la folla per portarsi davanti alla piattaforma. “Non arrabbiatevi con lei, non aveva intenzione di offendervi!”

Le persone ebbero un freno. “È la moglie di Ercole... allora se lo dice lei...” Sembravano interdette tra l’offesa che Kairi aveva inferto al loro sentimento religioso, e al blocco emotivo che Megara stava ponendo. Kairi approfittò della loro indecisione per andare avanti nel suo discorso.

“Ascoltatemi! Sono arrivata da poco e ho saputo della grande sfortuna che vi è capitata. Sono molto abbattuta per la vostra situazione, e condivido il vostro dolore. Ma sono riuscita a farmi un po’ un’idea, e ho in mente delle soluzioni che forse in parte vi potranno aiutare. Guardatevi intorno... che meraviglioso tempio avete!”, ed allargò le braccia, guardando il soffitto per dare l’idea dell’imponenza dell’edificio. “Per voi che abitate in città non è facile procurarsi la legna sufficiente per scaldare le vostre case. Ognuno di voi, da solo, non è in grado di provvedere a se stesso. Ma rendetevi conto di quante persone possono stare qui dentro! Se metterete in comune le vostre scorte di legna, e le userete per accendere dei fuochi sparsi all’interno di questo tempio, potrete scaldare uno spazio solo, in cui possono stare molte più persone! Anche se la vostra dea è addolorata per sua figlia, sono sicura che sarà felice nel vedervi usare lo spazio dedicato al suo culto per poter stare meglio. E per quanto riguarda il mangiare... sono stata presso una famiglia di contadini, in campagna. Erano preoccupati per le loro scorte di cibo, e sono sicura che anche voi stiate soffrendo la fame. È normale, i cereali e le verdure che crescono d’estate adesso non ci sono più. Ma ascoltate! Nei campi e nei boschi che circondano Tebe, è pieno di vegetali selvatici che crescono bene nel freddo, ad esempio il cavolo, ma sono sicura che ce ne siano anche altri. Chi abita in campagna, provveda a trovarli, e faccia poi commercio in città di tutto quanto di commestibile la natura offre. Se mischierete queste piante alle scorte che avete, riuscirete ad arrivare fino alla fine dell’inverno senza soffrire la fame. E anche quando l’estate sarà arrivata, preparatevi per l’inverno successivo! Coltivate tutte quelle piante che nella brutta stagione crescono bene, così che per la prossima volta non ci sarà la fame. Sono sicura che ce la potrete fare! Guardate che magnifica città e magnifici palazzi siete stati in grado di costruire! La vostra civiltà è qualcosa di magnifico! Siete stati attaccati ed invasi in passato, e siete ancora qui, in piedi e forti! E sono sicura che insieme riuscirete a cavarvela anche questa volta!”

Aveva parlato a voce alta, con il fervore che le andava aumentando nella voce, senza esitazione, e col viso che le diventava sempre più congestionato man mano che parlava. Alla fine tacque, stravolta e col fiatone, sentendosi la fronte bagnata di sudore, il corpo tremante e improvvisamente stanco. Guardò giù: tutta l’attenzione della gente era rivolta esclusivamente a lei, non si sentiva volare una mosca, gli occhi di tutti erano sbarrati e catturati dalla sua figura. Kairi scorse delle lacrime negli occhi di qualcuno. I visi non erano più abbattuti e tristi, ma si erano illuminati di sollievo e speranza. Si meravigliò di se stessa: da dove le era venuta quella parlantina così sciolta, quella passione nel preoccuparsi per una popolazione che non aveva nulla a che fare con lei, quel prendersi a cuore i loro problemi?

Non riuscì per il momento a trovare la risposta a queste domande, perché nel silenzio di tomba che si era fatto, tra la popolazione che la guardava rapita, si distinse una persona. Era in fondo, e facendosi strada stava cercando di arrivare più vicino alla statua. Le persone, appena si resero conto di chi si trattava, si fecero da parte per farla passare, con un modo di fare rispettoso. Kairi allora capì che si doveva trattare di Ercole, il semidio eroe di quel mondo. L’uomo, alto, possente e muscoloso, salì sulla piattaforma e le si avvicinò.

“Sono arrivato quando avevi già iniziato il tuo discorso, ma penso di essere riuscito a sentirne una buona parte. Come ti chiami, signorina?” Non sembrava arrabbiato, anzi, pareva molto accomodante e gentile.

“Ehm... Kairi, signore”, rispose lei, cercando di dare un tono sicuro alla propria voce.

L’uomo annuì e si girò verso il pubblico. “Ho due notizie da darvi, una cattiva e una buona. La cattiva è che con mio padre Zeus, di nuovo, non c’è stato nulla da fare. Non sarà possibile riavere indietro Persefone prima del tempo, e quindi l’inverno durerà quello che dovrà durare. Ma la buona notizia ce l’avete di fronte a voi: Kairi ha parlato saggiamente. Anche se non possiamo riavere il caldo che avevamo prima, possiamo ingegnarci per cercare di tenere duro fino alla fine. Non siete d’accordo?”

Tutte le persone, a cui tutta la tristezza e la rassegnazione parevano essere sparite, risposero con animo a quella domanda e con rinnovato vigore.

“Sì! Giusto! Ben detto! Ha ragione! Ce la possiamo fare!”

Ercole si girò di nuovo verso Kairi. “Hai dato ottimi suggerimenti al popolo, Kairi. Erano in realtà consigli intuibili e magari qualcun altro ci avrebbe pensato, ma non conta molto cosa hai detto, ma come l’hai detto. Io per esempio non so parlare così bene e con quell’animo. Scommetto che se avessi provato a dire a queste persone le stesse cose che hai detto tu, non avrei riacceso in loro la stessa speranza. Adesso bisogna vedere se il popolo seguirà davvero i tuoi consigli, ma è una questione secondaria: sei stata molto gentile a prendere a cuore i nostri problemi, anche se sei una straniera. Per questo credo che meriti una ricompensa. Cosa ti piacerebbe avere in cambio del calore che hai diffuso tra questa gente?”

Kairi era rimasta senza parole e guardava Ercole con gli occhi blu sbarrati. Veramente lui la voleva ricompensare solo per quel discorso che aveva fatto? Non aveva combattuto contro Heartless o nemici, aveva solo diffuso un po’ della propria luce a quel popolo affranto e depresso, e Ercole le voleva dare un premio? E cosa poteva chiedergli?

La donna ci mise alcuni secondi per fare mente locale e farsi tornare in mente il motivo per cui si trovava lì. Presa com’era stata a concentrarsi sui problemi del popolo greco, si era dimenticata lo scopo della sua missione.

“In realtà... quello che vorrei è poter parlare col dio della morte, Ade. È questo quello di cui ho bisogno”, disse col tono più fermo possibile.

Ercole, stupito, fece un passo indietro. “Vuoi parlare con mio zio Ade? Perché? Vuoi chiedergli di restituire Persefone? Kairi, sei davvero gentile e disponibile, davvero, ma credimi, sarebbe tutto inutile. Ade non la restituirà mai, e ha un accordo con mio padre.”

“No, non è per Persefone”, rispose Kairi. “È per il mio innamorato. È morto, e voglio chiedere ad Ade la grazia di farlo tornare in vita.”

“Oh...” si sentì la voce commossa di Megara. Si era arrampicata anche lei sulla piattaforma e si era avvicinata ai due. “Megafusto... anche tu sei andato da Ade a riprendermi quando sono morta. La ragazza si merita questo premio.”

Ercole appariva confuso e incerto. “Chiedere di riavere qualcuno dal regno dei morti è qualcosa di grosso”, mormorò. “Però è vero che l’ho fatto anch’io, senza prima chiedere prima nulla a nessuno, ed inoltre ho promesso a questa ragazza una ricompensa...”

Allora annuì a Kairi. “Ti porterò all’ingresso dell’oltretomba, da dove potrai scendere sotto terra per incontrare Ade. Sarà lui poi a decidere se esaudire il tuo desiderio o no.”

Kairi si sentì il cuore battere all’impazzata. Ce la stava facendo! Stava riuscendo nella sua missione. Un passo importante era stato fatto! Ora doveva solo convincere Ade a restituirle Sora. Fece un profondo inchino rispettoso.

“Mille grazie, grande Ercole.”

L’uomo annuì e fischiò tenendo due dita in bocca. Dopo pochi secondi, dal fondo della sala arrivò a volo come un razzo un cavallo con la criniera azzurra e due possenti ali. L’animale atterrò di fianco al suo padrone e rimase in attesa. Ercole afferrò Kairi sotto le ascelle, e senza sforzo alcuno la caricò sulla schiena dell’equino. Poi montò anche lui dietro di lei. “Tieniti forte alla criniera”, disse a Kairi. Schioccò la lingua e diede una tallonata sui fianchi della bestia, e il cavallo spiccò di nuovo il volo, dando una fortissima accelerata. Kairi dovette afferrarsi ai crini dell’animale con entrambe le mani, per la paura di cadere. Ma il cavallo fu talmente veloce che prima che la donna potesse rendersene conto, era già giunto a destinazione: Kairi, riavutasi dallo spavento, vide per prima cosa l’entrata di una caverna che si apriva su un punto nascosto del monte Olimpo, alla sua base.

Ercole smontò ed aiutò anche Kairi a scendere. “Questo è l’ingresso dell’ade. Io non potrò accompagnarti, perché la città di Tebe ha bisogno della mia presenza e non posso abbandonare i cittadini adesso. Ma tu tieni bene a mente queste parole, Kairi, e riportale ad Ade appena lo vedrai: che tu sei sotto la mia protezione, e che nessuno dovrà alzare un dito su di te. Ade non sarà obbligato ad esaudire il tuo desiderio, questa è una scelta che spetterà a lui, ma, se deciderà di non farlo, dovrà lasciarti uscire dall’oltretomba incolume, senza far nulla per impedirtelo. Guai a lui se entro tre giorni non sarai tornata in superficie, che lo tenga bene a mente. Hai capito bene tutto?”

Kairi annuì decisa. Era in una botte di ferro, non poteva accaderle nulla di male: anche se Ade non era certo un dio magnanimo, sapeva che, con la protezione di Ercole dalla sua, non avrebbe potuto farle del male o impedirle di uscire. Ma, affacciandosi nell’imbocco della caverna, che scendeva nelle profondità della terra, nel buio più totale, si sentì un brivido di paura lungo la schiena, e sentì che i piedi le si erano come congelati, impedendole di avanzare. Tirò un gran respiro per farsi coraggio.

“Sora... ricordati di Sora... è per lui che lo stai facendo”, mormorò alcune volte ad occhi chiusi per ritrovare un po’ di coraggio. Non appena sentì che le piante dei piedi non erano più costrette a stare attaccate al suolo, riaprì gli occhi e si mosse subito, scendendo dritta e a testa alta per la profonda scalinata.

 

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...come prima cosa scusate la battuta a sfondo sessuale che ho fatto accennare a Fil. Ma non ho saputo resistere!

Qui abbiamo la prima interazione di quella che diventerà il secondo principe della storia con una massa di persone, anche se non sono i suoi sudditi. A questo punto qualcuno che ha letto il trattato originale potrebbe grattarsi la testa e chiedersi: “ma questa ff non era basata sul Principe?”. E io rispondo: sì, ma non è certo Kairi ad avere quel tipo di carattere lì. Se avessi fatto comportare lei come il Principe di Machiavelli, avrei piazzato un bel OOC a caratteri cubitali nell’introduzione. Sarà un altro personaggio (penso si sia capito quale) ad impersonare il Principe. Infatti la citazione a Machiavelli a inizio capitolo stavolta non c’è. C’è però una piccola somiglianza col trattato: Machiavelli dice che gli uomini guardano l’apparenza, piuttosto che la sostanza. Per questo quando qui Kairi ha fatto il suo discorso, anche se le persone non la conoscevano e non avevano nessuna idea di lei, ne sono rimasti impressionate: perché è capace di parlare e fare discorsi convincenti ed articolati. Ora, Kairi in realtà sembra ed è, perché ha veramente a cuore il benessere di queste persone (lo ripeto: non è lei ad assomigliare al Principe di Machiavelli), ma avrebbe potuto anche essere indifferente alla loro sorte, fare lo stesso discorso per prendere consensi e il popolo sarebbe rimasto impressionato lo stesso. La butto un po’ là: non succede la stessa cosa anche nella politica moderna?

Conoscete il mito di Ade e Persefone? È un mito inventato dai greci per spiegare l’origine del ciclo delle stagioni. Ci sono delle versioni in cui lei rimane prigioniera di Ade per sei mesi (quindi autunno e inverno), e altre solo per tre (solo inverno), ed ho scelto il secondo.

Spero che questo capitolo vi sia sembrato convincente ed abbastanza esauriente, diciamo che volevo concentrare tutto in un capitolo solo, quindi su alcune cose sono andata un po’ veloce. Ah, inoltre: più avanti (molto più avanti) ci saranno altri mondi Disney ma, come ho fatto qui, attingerò parecchia roba dalle fonti originali, come mitologia e romanzi su cui sono basati i cartoni.

Scusate se ci ho messo parecchio ad aggiornare, cercherò di far prima d’ora in poi! Grazie per il vostro supporto!

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Capitolo 6
*** La regina e la principessa ***


Ciao a tutti, belli e brutti! Metto una nota per una roba che mi ero scordata di far presente l’aggiornamento scorso. Ho cambiato il titolo della storia, perché quello vecchio mi pareva troppo generico e non era un granché. Il titolo di adesso è doppio giapponese-inglese, ma quello giapponese ha un’ambiguità che nel titolo inglese si perde: il giapponese non ha genere né numero, quindi il titolo (akage no ōji) potrebbe voler dire sia “i principi dai capelli rossi” sia “il principe dai capelli rossi”, riferendosi quindi o a Kairi e Kaji insieme, o solo a Kaji. Non può invece riferirsi solo a Kairi, perché principessa si dice in un altro modo (ōjo). Nella traduzione in inglese (e italiana) questa ambiguità non c’è, ho scelto quindi solo Kaji per l’assonanza del titolo con “Il principe” (col titolo in inglese, “the prince”, ovviamente), anche perché è al principe del trattato che Kaji è collegato. Come a dire che Kaji è quel principe, solo che in più ha i capelli rossi.

Ho aggiunto anche un’immagine in cima al prologo, andatela pure a vedere. Ogni tanto faccio dei disegni che illustrano la storia, alcuni li coloro e altri no. Quelli venuti meglio li allegherò ai capitoli corrispondenti.

 

Capitolo 6 – La regina e la principessa

 

Quanto erano profonde quelle scale? Kairi cercava di darsi una risposta verosimile nella mente, ma dopo poco comprese che sarebbe stato inutile. Aveva cercato, all’inizio, di provare a tenere il conto dei gradini, ma dopo alcuni minuti aveva perso il conto ed aveva lasciato perdere. Se i suoi sensi contavano ancora qualcosa, doveva essere da più di mezz’ora che scendeva quella scalinata senza fermarsi mai. Ci fosse stata almeno una ringhiera, o un appiglio, per potersi tenere. Invece non c’era niente di niente, e quelle scale erano anche scivolose, e la ragazza almeno ogni dieci passi correva il rischio di sdrucciolare e farsi altri cinquanta scalini cadendo in avanti. Doveva camminare con cautela, tenendo i muscoli irrigiditi e le gambe ferme, senza distrarsi un attimo, per evitare di farsi male. Oltretutto lì sotto era così buio che doveva procedere a tentoni, senza la minima idea di dove stesse andando. Per quello che ne poteva sapere, sarebbe potuta anche finire a sbattere col naso contro un muro. Inoltre, non c’era il minimo segno di vita in quella grotta. Né pipistrelli, o creature che vivono al buio, nulla di nulla. C’era un silenzio così assordante che Kairi sperò con tutta se stessa che quella tortura finisse presto. Andava avanti senza fermarsi, ma dentro si sentiva morire di paura. L’unica cosa che la spingeva a proseguire era il pensiero di Sora, e la sicurezza che presto l’avrebbe rivisto e sarebbe tornata a casa con lui.

“Sora, tieni duro... sto arrivando... ancora un po’ e ci siamo...”

Ma del resto, come avrebbe potuto convincere Ade, il dio della morte, a restituirglielo? Forse avrebbe dovuto combattere contro di lui e sconfiggerlo per dargli una dimostrazione del suo valore? No... lei, che impugnava il Keyblade da poco, battersi contro un dio? Era vero che, poco tempo prima, aveva combattuto contro Xehanort, ma allora aveva avuto al suo fianco Sora, stavolta era da sola. L’unica cosa che poteva venirle in aiuto era la sua parlantina svelta, brillante e coinvolgente. Era riuscita a monopolizzare l’attenzione di un popolo intero, perché con Ade non avrebbe potuto?

A furia di ripetersi queste domande senza trovare risposta, perse ancora di più il conto di quanto tempo ci stesse mettendo. Alla fine, appoggiando un piede davanti all’altro, sentì che non stava più scendendo, ma camminando in orizzontale. Si stava sentendo le gambe a pezzi e doloranti, ma la scalinata era finita! Kairi guardò indietro alzando la testa; da quanto era scesa in basso non riusciva a scorgere nemmeno l’entrata della grotta, così che neppure uno spiraglio di luce filtrava in quel luogo. Non le restava che proseguire. Dopo pochi passi, le parve di vedere, molto lontano, una luce provocata da varie torce appese al muro. Le torce illuminavano uno stretto passaggio, posizionato subito dopo una grande sala. La donna sospirò di sollievo: finalmente un’indicazione su dove andare! Ma non fece in tempo a muovere un altro passo, che il suono di un basso e minaccioso ringhio la inchiodò sul posto.

Senza osare neppure respirare, Kairi girò la testa con cautela, visto che non era riuscita a capire da che direzione provenisse il suono. Mossa inutile, visto che si trovava nel buio più totale e non si riusciva a distinguere nemmeno ad un metro di distanza... finché, una decina di metri più in là, distinse chiaramente tre paia di occhi infuocati che la fissavano con cattiveria. Tre paia di occhi... il cane! Si era scordata del cane guardiano. Cosa poteva fare? Non poteva certo mettersi a parlare con quell’animale dicendogli di non attaccarla perché era sotto la protezione di Ercole.

Kairi non riuscì a razionalizzare quello che accadde poi. Dovette essere il puro istinto di sopravvivenza a farle staccare i piedi da terra per dare uno scarto di lato, nel momento stesso in cui le fauci della testa più vicina a lei scattarono in avanti per azzannarla. La ragazza, per lo slancio preso, cadde riversa sul fianco, ritrovandosi più vicina alla parte della grotta debolmente illuminata. Grazie a quella poca luce, riuscì più o meno a distinguere il suo nemico. Era un bestione alto almeno dieci metri, con delle zanne lunghe quanto il suo braccio e degli artigli affilati come cesoie alla fine delle zampe. Per istinto di difesa, evocò il suo Keyblade e si preparò alla lotta. La sua mente cercò di iniziare a lavorare per trovare una strategia per batterlo, ma dopo un secondo si rese conto che era impossibile. Inesperta com’era, non aveva nessuna possibilità di riuscire a sconfiggerlo. Cerbero diede un colpo laterale con la zampa, e Kairi riuscì a schivarlo saltando nel buio basandosi sul suono emesso da quel movimento veloce. Si sorprese lei stessa di quello che era appena riuscita a fare, ma aveva coscienza di non poter essere così fortunata da riuscirci una seconda volta. Doveva trovare un riparo, ma dove?

‘Se vado sotto di lui’, ragionò velocemente ‘non potrà né graffiarmi né mordermi.’

Con uno scatto di reni, partì verso la bestia, che era rimasta un attimo perplessa nel vedere che la sua preda stava correndo verso di lei invece che lontano da lei. Quell’attimo di esitazione bastò a Kairi per posizionarsi sotto il suo ventre ed avere un attimo di tregua.

Cerbero, di pessimo umore perché non riusciva più a trovare la ragazza, iniziò a calpestare furiosamente con le zampe, nel tentativo di schiacciarla. Kairi, basandosi sul solo rumore emesso dalle botte che il cane dava contro il terreno, riuscì più o meno a mantenersi sotto il suo ventre. Cosa poteva fare ora? Doveva andarsene via da lì, al più presto. Tornare indietro per le scale? Questo non l’avrebbe fatto mai! Andare avanti? Per cosa, per farsi inseguire per tutto l’oltretomba? Mentre cercava di mantenere il controllo, stravolta per la paura e la confusione, le venne da gettare l’occhio oltre la coda di Cerbero, dove c’era la zona illuminata. Si rese allora conto che, a partire da quelle torce, la sala si stringeva in un corridoio, dove certamente il cane non sarebbe riuscito a passare. Poteva essere la salvezza! Doveva scattare al momento opportuno per svignarsela. Mentre ragionava così, sentì la sgradevole sensazione di chi è stato scoperto. Guardò in su, per il poco che riusciva a distinguere, e quello che vide la agghiacciò: Cerbero si era alzato ritto sulle gambe posteriori, ed ora che l’aveva vista, mirava di atterrare con le zampe anteriori esattamente dove stava lei. Non c’era più tempo per pensare! Kairi scattò in una capriola passando sotto le gambe del cane, cercando di dirigersi verso il corridoio con le torce. Corse come non aveva mai corso in vita sua, mentre sentiva dietro di sé il tonfo tremendo delle zampe del bestione che atterravano. Appena imboccata l’entrata che portava al passaggio, sentì un enorme peso liberarsi sal suo petto: era fatta! Aveva evitato il guardiano degli inferi! Pur continuando a correre, notò che stranamente le pareti del corridoio si stavano illuminando di rosso. Intuendo con orrore quello che stava succedendo, frenò di botto e si girò: Cerbero aveva sputato una potente fiammata verso di lei in un ultimo tentativo di fermarla, e il fuoco stava per raggiungerla! Terrorizzata alla prospettiva di morire bruciata, Kairi con la prontezza di spirito data dall’istinto di sopravvivenza, puntò il Keyblade verso la vampata, e cercando di ricordare i pochi insegnamenti che Merlino era stato in grado di darle, gridò “Protect!” ad occhi strizzati. Percepì un gran calore passarle vicino ai fianchi, ma non sentì la pelle bruciare. Quando dopo una decina di secondi aprì gli occhi, il fuoco era finito, e un istante dopo la barriera protettiva che era riuscita ad alzare intorno si ruppe. Tirò un gran sospiro di sollievo: ora era veramente finita! Si girò di nuovo e riprese a correre, sempre più nelle profondità degli inferi, mentre Cerbero ringhiava di rabbia e frustrazione dietro di lei.

Andò avanti per quelle che, nella sua mente, parvero ore, lungo quel corridoio infinito che sembrava non sarebbe terminato mai. Le gambe le dolevano terribilmente, ma non aveva intenzione di fermarsi: Sora non poteva aspettare ancora, e lei si sentiva morire dal desiderio di rivederlo e di stringersi a lui. Così, per non dover badare alle brutte sensazioni che le dava quel percorso sempre uguale e che non accennava a terminare, si mise a pensare a quello che avrebbe fatto una volta che se lo sarebbe ritrovato davanti: come prima cosa lo avrebbe abbracciato, su questo non c’erano dubbi. Lo avrebbe stretto così forte da affondargli le unghie nella pelle, e gli avrebbe detto quanto le era mancato e quanto si era impegnata per poterlo ritrovare; sarebbero ritornati a casa insieme, avrebbero rinfrescato la memoria ai loro amici dimostrandogli che lui era stato un tassello fondamentale della guerra contro Xehanort e, una volta finita questa faccenda, avrebbero potuto dedicarsi alle cose più piacevoli: ormai tutti e due avevano compreso fino in fondo di amarsi, lui prima di scomparire glielo aveva anche detto, e quindi avrebbero avviato la loro relazione con calma e senza fretta, procedendo per tappe. Già Sora aveva scelto di passare i suoi ultimi momenti con lei, portandola a visitare alcuni di quei mondi che tanto avevano desiderato di poter vedere insieme, e quindi da lì la strada era spianata: avrebbero iniziato a uscire insieme magari in modo leggero e poco impegnativo, di pomeriggio, per prendersi un gelato. Magari dopo un po’ avrebbero iniziato anche ad uscire la sera, avrebbero passeggiato sulla spiaggia al tramonto, sotto le stelle, tenendosi la mano e parlando di tante cose di loro due. Quando si fossero sentiti pronti e ci fosse stata la giusta atmosfera, si sarebbero stretti l’uno all’altra, baciandosi e toccandosi. Dopo di ciò, sarebbe avvenuto quello che sapeva prima o poi sarebbe dovuto accadere, sempre con i giusti tempi e quando si fossero entrambi sentiti pronti.

“A parte che...” disse all’improvviso Kairi a voce alta mentre proseguiva il suo cammino, realizzando qualcosa di importante nella mente.

Era un pensiero che prima d’ora non l’aveva neppure sfiorata: aveva ripensato a quanto era cresciuta lei negli ultimi mesi, e come da ragazza era diventata ormai donna. Ma questo con lei era avvenuto perché era viva e la vita per lei era passata. Ma lui... la sua vita si era interrotta quel giorno in cui era sparito. Anche l’avesse riportato indietro, sarebbe stato nelle stesse identiche condizioni di allora, come se tutto quel tempo per lui non fosse trascorso. Un po’ come era successo con Aqua e Ventus, che dopo dieci anni erano rimasti sempre uguali. Con un veloce calcolo, Kairi stabilì che ormai doveva averlo superato in altezza, e lei fisicamente era ormai adulta, mentre lui ancora doveva essere lo stesso ragazzo mingherlino di prima. Al solo pensiero, le venne da ridere di cuore. Quanto si sarebbero imbarazzati quando si fossero finalmente rivisti? Forse lui si sarebbe vergognato tanto da non volerla nemmeno abbracciare. Quanto avrebbe riso poi la gente, nel vederli andare in giro insieme, mano nella mano, lei una giovane ormai donna e lui così palesemente più giovane e basso di lei?

“Non importa, se rideranno si faranno del buon sangue”, concluse Kairi con una scrollata di spalle. “Io lo amo lo stesso, e lo prenderò così come lo ritroverò.”

“Beh, effettivamente si dice che chi si accontenta gode”, la apostrofò una vocetta beffarda.

Il primo istinto di Kairi, riavutasi all’improvviso dai suoi pensieri, fu di mandare il proprietario della voce a quel paese, ma poi si rese conto che era la prima volta, da quando era scesa lì sotto, a sentire qualcuno parlare.

“Chi è?” chiese diffidente.

“Oh, Pena, Pena, questo non sarebbe dovuto accadere”, aggiunse un’altra vocetta, questa agitatissima. “Come ha fatto a superare il guardiano? E cosa farà il padrone quando si accorgerà che una donna è scesa qua sotto? Te lo dico io: ci trasformerà in bistecche e ci darà da mangiare a Cerbero, ecco cosa!”

“Ma il padrone nemmeno se ne accorgerà se la sistemiamo qui ed ora”, aggiunse la prima voce, sicura di sé, e Kairi sentì a quel punto un suono che sembrava quello di dita che scrocchiavano.

Recuperò in fretta il controllo. “Fermi!”, disse con voce forte, con un tono molto simile ad un ordine. Queste erano creature senzienti. Con loro poteva parlare. “Sono sotto la protezione di Ercole in persona. Non potete farmi alcun male. Se mi capiterà qualcosa, ve la dovrete vedere con lui.”

“Oh, no, no!”, gemette la seconda voce. “E adesso che facciamo? Non solo Ade ci trasformerà in cibo per cani, ma Ercole pure sarebbe capace di spedirci fin sulla Luna!”

A Kairi venne un singulto: avevano nominato Ade!

“Conoscete Ade?”, chiese, a disagio perché non riusciva a distinguere bene con chi stesse parlando. Le due creature fecero dei passi in avanti, e a quel punto Kairi riuscì a vederle, perché un po’ di luce in quel corridoio c’era. Erano due mostriciattoli, uno verde e magro con delle lunghe corna, l’altro di un colore più scuro e bello pasciuto.

“Un po’ di rispetto quando parli del padrone, signorina”, la rimproverò il mostro grasso.

“Sì-sì, solo noi possiamo mancargli di rispetto quando parliamo di lui e lui non può sentirci”, aggiunse il mostro verde.

Kairi decise che, se voleva sperare di ottenere qualcosa da quei due, era meglio stare al loro gioco.

“Certamente, il signor Ade, volevo dire. Sono qui per fargli una cortese richiesta. Potreste essere così gentili da portarmi da lui?”

I due mostri si guardarono, e le loro espressioni non erano per nulla convinte. Kairi decise di giocare un’altra carta.

“Se no me ne vado da qui e tolgo il disturbo. Ercole mi sta aspettando proprio qua fuori...”

A quelle parole, il mostro verde afferrò l’altro per le spalle, con gli occhi terrorizzati. “Sentito, Pena? Ercole è proprio qua fuori! Se lei uscirà e gli racconterà tutto, lui se la prenderà con noi perché non l’abbiamo portata da Ade, e se la uccidiamo ce la vedremo brutta con lui lo stesso. Che facciamo, che facciamo?”

“E levami le mani di dosso!”, gridò il mostro scuro, dando uno spintone all’altro. “Non ci resta altra scelta”, e guardò Kairi con uno sguardo scocciato. “Se la portiamo da Ade, lui poi di sicuro se la prenderà con noi. Ma di sicuro meglio finire ammazzati da lui che da Ercole. Seguici.”

“Ma...”, fece il mostro verde, dubbioso. “Sono le uniche due scelte?”

“Tu zitto”, gli diede una rispostaccia il mostro grasso.

Kairi, soddisfatta di come si stavano evolvendo le cose, seguì i due piccoletti con passo deciso, anche se dentro di sé aveva ancora paura. Aveva però compreso che in quanto a parlare non se la cavava affatto male e, se avesse sfruttato questa sua abilità nel modo giusto, sarebbe riuscita anche a convincere il dio della morte a renderle Sora.

Camminarono per un altro po’ lungo il corridoio, fino ad arrivare ad un alto portone, nero, decorato con motivi lugubri. Ora si vedeva abbastanza bene, perché le torce erano diventate via via più frequenti mentre si avanzava. Pena si avvicinò con cautela al portone e batté appena due volte con le nocche.

“Pena! Panico!”, tuonò una voce dall’interno così forte che i due mostri si gettarono a terra coprendosi la testa con le mani, e Kairi fece non uno, ma tre passi indietro. “Il prezioso tempo che mi sono abbassato a concedervi ogni giorno, per oggi è finito! Filate via!”

“Ma-ma-ma...” cercò di rispondere il mostro verde, che Kairi aveva capito chiamarsi Panico. “Mio signore, abbiamo... un’ospite qui...”

“Cosa?!” ruggì la voce al suo interno. “E ancora non l’avete buttato nell’abisso della morte?”

“Non possiamo, mio signore... è sotto la personale protezione di Ercole... se le facciamo del male, si vendicherà...” gemette Panico.

“Le? Una donna, allora? Molto curioso! Fatela entrare!” La voce ora aveva assunto una certa vena di curiosità.

Pena e Panico allora spinsero con fatica ognuno un’anta del portone, spalancandole su un’ampia sala, illuminata da una miriade di torce appese ai muri. Kairi vide che, in fondo allo stanzone, su un piano rialzato stavano due imponenti troni. Su quello a destra sedeva un figuro dalla pelle azzurro-grigia avvolto da un vestito nero, con una fiamma azzurra al posto dei capelli e sul viso un ghigno beffardo e curioso, mentre a sinistra stava seduta quella che sembrava una ragazza giovane dall’aspetto gentile, con la pelle fucsia, in una tunica bianca e con un cappello a forma di fiore da cui spuntavano lunghi capelli biondi. Entrambi emettevano una luce tenue, e Kairi comprese che dovevano essere i sovrani degli inferi, Ade e Persefone.

Ade unì le dita delle mani e il suo ghigno, alla vista dell’ospite, divenne ancora più provocatorio.

“Bene, bene”, iniziò unendo le dita delle mani. “E chi abbiamo qui? Da quando Megara è stata salvata da Megafusto non sono più capitate altre mortali nei bassifondi. Se il mio nipotone ti ha preso sotto la sua protezione, allora sarai una persona importante. A cosa dobbiamo tanto onore?”

Kairi percepì subito l’ironia nella sua voce, ma decise di parlare nel modo più rispettoso e reverente possibile. Si fece avanti e si inchinò profondamente.

“O grande e potente Ade, salute a lei e alla sua nobile consorte...”

“Sì, sì, poche chiacchiere”, fece annoiato Ade, intimandole con la mano di sbrigarsi. “Qual è il motivo per cui ti sei spinta fin quaggiù?”

Kairi si tirò su e parlò nel modo più espressivo possibile. “Sono venuta quaggiù per farle una richiesta, signore. Il mio compagno è morto, e la prego, con tutta me stessa, di concedergli un’altra possibilità, riportandolo in vita.”

Ade e Persefone si girarono per guardarsi increduli, poi Ade si schiarì appena la gola come se stesse per scoppiare a ridere, ed invece appoggiò con noncuranza un gomito al bracciolo della poltrona e la guancia alla mano chiusa a pugno.

“Credo che l’aria invernale lassù abbia fatto male anche a te, piccinina”, commentò col tono un poco compatito. “Pena! Panico! Portate la nostra ospite nel suo giusto posto,” aggiunse maligno.

“Sono sotto la protezione di Ercole!”, esclamò Kairi, risoluta. “Se entro tre giorni non sarò tornata su, la sua vendetta sarà terribile! Può acconsentire o meno alla mia richiesta, ma non può impedirmi di andarmene.”

“Dannazione...” ringhiò Ade, stringendo i pugni e battendoli sui braccioli del suo trono.

Kairi, che non voleva sprecare così quella preziosa opportunità, approfittò del momento di blocco di Ade per proseguire nella sua richiesta. “Per favore, ascolti quello che ho da dirle.”

Ade la guardò con odio e disprezzo, ma poi, contenendosi, alzò le spalle roteando gli occhi verso il soffitto. “Beh... suppongo che non abbiamo di meglio da fare, vero?” disse con un tono fin troppo benevolo per l’espressione che aveva.

“Grazie mille”, disse Kairi, che ormai non sentiva più né l’incertezza né la paura, e guardò sia Ade che Persefone prima di ricominciare a parlare. “Dovete sapere che il mio compagno non è morto per un incidente o una malattia, ma per un atto nobile e ammirevole. Io rischiavo di morire, ero praticamente condannata a morte, e lui ha fatto la scelta lucida di salvarmi, dando la sua vita pur di riavere indietro la mia.”

“Hm, questo mi ricorda qualcosa...” commentò Ade con un tono vagamente irritato.

“Alla fine è riuscito in quello che voleva, mi ha riportata a casa sana e salva, ma lui è rimasto condannato... e noi siamo ancora ragazzi, siamo giovani, e avevamo capito di amarci poco prima che lui morisse... il destino ci ha separati prima che potessimo stare insieme. E lui è il ragazzo che meno al mondo si merita una fine simile. È gentile, simpatico, spontaneo, è forte, coraggioso ed ha un grande senso di giustizia. Non posso dirvi a parole quanto è speciale, perché se lo facessi finirei domani. Ma aveva tutta la vita davanti ed è morto nel modo più ingiusto che ci fosse, e si merita un’altra possibilità. Merita di vivere insieme a me, a casa nostra, sulle nostre isole tropicali piene di sabbia, di palme, di cielo azzurro e di mare; da quando non c’è più il mio cuore è vuoto, niente ha più un senso per me... se potesse tornare in vita, anche la mia vita sarebbe salva, non solo la sua. Vi prego, dategli un’altra possibilità e restituitemelo... ve lo chiedo in ginocchio.”

E a quelle ultime parole Kairi si piegò sulle ginocchia, chinando la testa.

“Dunque, ragazza”, rispose Ade con voce annoiata. “Se si merita un’altra possibilità o no lo decido io, non tu. E dalla descrizione – anche troppo dettagliata –  che mi hai dato ho capito che questo ragazzo non è proprio il mio tipo. È morto? Uno in meno! Almeno l’universo sarà un po’ meno inquinato da gente come lui.”

Al solo sentire la parola inquinamento accostata a Sora, a Kairi andò il sangue alla testa e, rialzatasi, fece per rispondere, ma poi le venne da girare la testa verso Persefone. La regina, invece di avere il viso scocciato di Ade, aveva gli occhi lucidi e presi da quello che Kairi aveva appena raccontato, sebbene non dicesse nulla.

“Perciò, ecco quello che ti dico, signorinella: tornatene subito da dove sei venuta senza voltarti. Il tuo amato ragazzo rimarrà dov’è”, sentenziò Ade.

Kairi, sebbene sentisse nel cuore un grande dolore per la vanità della sua ricerca, invece di controbattere rabbiosa rispose con una ferma dignità rimanendo in silenzio: era vero che questo viaggio non aveva portato a nulla, ma solo questo. Già protendeva la mente al futuro: sarebbe tornata a casa, avrebbe ripreso le sue ricerche sui mondi fino a trovarne un altro che poteva rispondere alle sue esigenze. Se Sora non poteva recuperarlo dall’Olimpo, l’avrebbe trovato in un altro modo, ed era certa che finché non ci fosse riuscita non si sarebbe fermata.

Fece per girarsi ed andarsene, quando sentì la voce gentile di Persefone: “aspetta, caro, la nostra ospite è chiaramente stanca. Perché non la facciamo riposare un po’ qua da noi prima di rimandarla su?”

Kairi stava per rispondere che non aveva bisogno di riposare e che era sua intenzione andarsene il prima possibile, quando un’occhiata di intesa della regina la azzittì.

“Persefone, tesoruccio”, rispose Ade, alzando gli occhi al soffitto. “Vuoi sporcare ancora l’oltretomba con la presenza di una mortale?”

“Dai, caro, già non hai acconsentito alla sua richiesta, almeno falla un po’ dormire. Cosa ti costa?”

Ade non sembrava per niente convinto, allora la regina appoggiò un dito sul braccio del marito. “Fallo per me”, gli chiese con gli occhi languidi.

Ade volse la testa coprendosi la faccia con la mano. “Ma guarda te... che cuore-di-panna dovevo andarmi a scegliere come regina” ringhiò stropicciandosi gli occhi col pollice e l’indice. “Pena! Porta la ragazza in una delle stanze per gli ospiti. Quella dove dormono le Moire quando vengono a trovarci andrà bene.”

Con l’aria di chi deve portare a termine un compito sgradito, Pena afferrò Kairi per il polso, trascinandola più avanti per un altro corridoio con svariate porte, fermandosi poi davanti ad una di esse. La aprì, rivelando una stanza abbastanza spartana con tre letti singoli.

“Questa è la tua stanza. Buonanotte e sogni d’oro!” La spinse dentro e chiuse con malgarbo la porta alle sue spalle.

Kairi, rimasta sola, si sentiva così confusa e frastornata da non sapere neppure cosa pensare. Sapeva solo che, nonostante i suoi sforzi, aveva fallito nel suo intento di convincere Ade a restituirle Sora, e l’unica cosa che desiderava era andarsene da lì al più presto per ricominciare daccapo le sue ricerche in un altro mondo. Ma la regina... le aveva detto di rimanere da loro a dormire per una notte, e l’aveva fatto guardandola in un modo così strano e complice che Kairi non sentiva di poter fare altro che obbedire. Sentendo un gran mal di testa e una stanchezza improvvisa, si tolse gli stivaletti e si buttò sdraiata su uno dei letti. Del resto era vero che era stanca, e al limite una buona dormita prima di ripartire le avrebbe solo fatto bene...

Venne svegliata da un gentile bussare alla porta. Si tirò su a sedere, strofinandosi gli occhi con la mano. “Chi è?”

“Sono io, sono Persefone”, sussurrò una voce femminile dall’altra parte della porta.

A Kairi salì il cuore in gola, si alzò subito, si infilò di nuovo le scarpe e si precipitò ad aprirle. Vide la giovane regina, bella e regale, nella sua tunica bianca e con quel buffo cappello a forma di fiore sulla testa. Persefone si mise un dito sulla bocca. “Mio marito dorme. Posso entrare?”

La ragazza subito si fece da parte, e quando la regina fu dentro si affrettò a chiudere la porta. Persefone si avvicinò al letto e vi si sedette. “Come ti chiami?”, chiese sorridendo, parlando normalmente ora che Ade non poteva sentirle.

L’ospite si inchinò profondamente. “Kairi, maestà.”

“Come hai fatto ad arrivare quaggiù da noi, Kairi? Mio cugino Ercole ha voluto farti un favore?”

Kairi sentiva che con quella dèa poteva parlare normalmente. Non le sembrava arrogante e sarcastica come Ade. “No, è stato un premio per aver aiutato la popolazione, che è flagellata dall’inverno.”

“Oh...” mormorò Persefone, abbassando appena la testa. “Sono così addolorata per quello che è successo. Quelle persone non meritavano di soffrire per via di una tresca che è avvenuta tra noi dei... e tu sei stata davvero gentile e di buon cuore a volerli aiutare.”

“Dispiace anche a lei vivere in questo modo, vero?” si permise di chiedere Kairi. “Quando mi hanno raccontato quello che è successo, mi sono sentita male per lei.”

Persefone ci riflettè prima di rispondere. “In realtà no, sai? All’inizio è stata dura, è vero, ma ora sono contenta di stare qui. Ade mi ama molto, anche se a prima vista non sembra, ed anch’io gli voglio bene e mi sono affezionata a lui. Ma non vedo l’ora che finiscano i prossimi mesi. Mi manca mia madre, e mi manca il mondo in superficie, con la sua luce, la sua vita e i suoi colori...” Guardò Kairi dritto negli occhi. “Per questo prima mi sono sentita toccata dal tuo discorso. Il tuo compagno merita di vivere insieme a te nel mondo della luce, e deve poter godere ancora di tutto quello che la vita può dargli. Ecco perché voglio aiutarti.”

Kairi si sentì mozzare il respiro, e non riuscì nemmeno a rispondere alla dea.

“Anche se mio marito è contrario, non importa. Adesso sta dormendo, e non si accorgerà di un’anima in meno. Figurati, in diciotto anni non si è accorto nemmeno che, tra i morti, l’anima di mio cugino che credeva fosse stato ucciso mancava! Te lo riporterò io. Sono pur sempre la regina dei morti, in fondo. Non so fare tutto quello che sa fare Ade, ma questo dovrebbe essere abbastanza facile.”

Kairi, per l’emozione, quasi si gettò ai suoi piedi. “Non so davvero come ringraziarla...”

Persefone fece un risolino. “Vuoi dirmi come si chiama il tuo compagno, Kairi?”

Kairi si tirò su e si asciugò un occhio. “Sora...”

La regina annuì. “Bene, aspettami qui una decina di minuti, che vado a controllare.”

Si alzò e uscì dalla stanza, chiudendo piano la porta. Kairi rimase in attesa in quella stanza e, benché ci fosse il silenzio assoluto, man mano che attendeva sentiva sempre più forte il rumore del sangue che le pulsava nelle orecchie. Dovette mettersi a camminare avanti e indietro per scaricare la tensione. Era quasi fatta... fra pochi minuti avrebbe stretto di nuovo Sora tra le braccia. Sentiva che via via i propri pensieri si andavano sgretolando, senza riuscire a fare nemmeno un ragionamento concreto. L’unica cosa che in qualche modo riuscì a formulare era che alla fine, il tutto era stato abbastanza facile. Forse anche troppo. Ma certo era stato merito dei suoi studi fatti prima di partire, sennò a quest’ora chissà in quali mondi doveva trovarsi a vagare, prima di trovare quello giusto?

Quando sentì di nuovo la porta aprirsi, sentì anche le proprie gambe cedere, e per fortuna si trovava vicino al letto in quel momento, così crollò sul materasso. Ma tutta la tensione e l’eccitazione che aveva provato in quei minuti si trasformarono di colpo in delusione quando vide che Persefone era tornata da sola.

Kairi fece fatica anche a far arrivare le parole alla bocca. “E... Sora...?”, chiese, avendo paura a sentire la risposta.

“Mi dispiace molto, Kairi, ma non ho trovato nessuno con quel nome...” mormorò afflitta Persefone. “E io che credevo...”

Sebbene il proposito della ragazza alla prospettiva di fallire in quel mondo era di ripartire subito daccapo con un altro, questa volta la tensione e l’aspettativa per lei erano state troppo forti. Chinò la testa appoggiandola sul palmo della mano, lasciando andare dei forti singhiozzi senza lacrime.

“Aspetta, aspetta, ancora non è detto”, si affrettò a consolarla Persefone. “Se è morto è impossibile che non si trovi qui. Sei proprio sicura che sia morto? Raccontami cos’è successo di preciso.”

Dopo essersi calmata a fatica, Kairi recuperò lucidità e fermezza e cercò di spiegare quel poco che sapeva alla regina: “ha usato il potere del risveglio per salvarmi... perché il mio cuore era andato perduto. E poi, non è più riuscito a tornare indietro.”

“Ah, ma allora la cosa è diversa. Avresti dovuto dirmelo”, rispose Persefone, con la voce sollevata. “Ecco perché non l’ho trovato tra i morti.”

Kairi era incredula. Questo contraddiceva ciò in cui aveva creduto fino a quel momento. “Vuol dire che Sora... non è morto?”

Persefone scosse la testa. “Del potere del risveglio so molto poco... cerca di capire, sono regina da appena un mese, non so tutto quello che sa mio marito. Ma da quello che so, non si muore usando il potere del risveglio.”

Kairi, col tono di voce preso dall’agitazione, rispose: “cosa devo fare allora, per poterlo riavere indietro, maestà? Dove devo cercarlo? Dove si trova?”

“In una dimensione che non è la nostra. In un luogo in bilico tra la vita e la morte, che non è né l’una né l’altra”, rispose la regina. “È comunque un luogo in qualche modo legato alla morte, sebbene non lo sia del tutto. Ecco perché ho un minimo di controllo su quel posto. Posso provare ad aprire un varco per fartelo temporaneamente raggiungere.”

La dea rimase in piedi alcuni minuti, ad occhi chiusi, come in stato di rilassamento, ma Kairi sentiva che in realtà si stava concentrando e lo sforzo mentale che stava facendo era notevole. All’improvviso, Persefone allungò le mani in avanti, sempre ad occhi chiusi, senza lasciare andare la propria concentrazione, e dopo un po’ che aspettava, Kairi calcolò mentalmente che almeno una mezz’ora doveva essere passata. Finalmente, davanti alle mani della regina si materializzò un varco che emetteva luce. Sembrava uno di quei varchi delle creature dell’oscurità, ma questo era bianco e luminoso. Persefone, esausta, crollò a sedere sul letto, sudata ed ansimante.

“Ci sono riuscita...” riuscì a dire tra un respiro e l’altro. Dopo essersi ripresa, disse a Kairi, che si era messa in piedi: “ascoltami bene: questo varco avrà una durata di ventiquattro ore. Hai un giorno di tempo per trovare Sora.”

Kairi, con la mente in sovraccarico per tutte le cose che stavano accadendo insieme, la guardò perplessa: “così tanto...?”

“Non è un mondo piccolo, quello... tutte quelle ore ti serviranno nel caso non dovesse essere nelle vicinanze.”

Kairi annuì e, presa dalla foga, stava per tuffarsi in quel varco senza nemmeno ringraziare la dea, ma Persefone la fermò, prendendola per un braccio e girandola verso di sé: “aspetta, non ho finito. Le poche cose che so in proposito è giusto che le sappia: mi raccomando, non sforare con le ore che ti sono concesse. Tra un giorno, il varco si chiuderà, rendendo impossibile per chi si trova dall’altra parte il tornare di qua. E ricordati... hai una sola possibilità. Quello che ho appena fatto va oltre quello che normalmente si potrebbe fare, è un tabù, e non potrò assolutamente farlo una seconda volta. Nessuno potrà riaprirlo dal mondo reale, neanche mio marito. Quindi usa questa opportunità al meglio, perché una volta che il passaggio si sarà chiuso, non ci sarà modo di riaprirlo. Per utilizzare il varco, posizionati nel centro dove la luce è più forte, e attendi circa un minuto. Questo funziona sia per andare che per tornare. La luce del varco diventerà via via più debole man mano che il tempo passerà, così potrai avere un’idea di quanto tempo ti resta. Hai capito tutto, Kairi?” Il suo tono era estremamente serio.

La ragazza aveva ascoltato la regina con tanta attenzione che durante il suo discorso non aveva sbattuto gli occhi nemmeno una volta. “Sì, è tutto chiaro. Non c’è altro?”

“Non c’è altro. Se si fosse trattato di riportarlo dal regno dell’oltretomba, avreste dovuto percorrere a ritroso la strada da te fatta per arrivare fino a qui, e tu non avresti dovuto girarti per guardarlo fino a che non foste usciti, ma non è questo il vostro caso. Puoi guardarlo tranquillamente quando sarai là.”

Kairi sorrise a quelle parole e a quella prospettiva.

“Questo è tutto quello che so. Mi dispiace non poterti dire di più, ma se tutto andrà come penso debba andare, le informazioni che ti ho dato dovrebbero essere sufficienti.”

“Davvero, maestà”, si riebbe Kairi. “Non so come ringraziarla...”

“Non perdere tempo”, la interruppe Persefone spingendola lievemente. “Il tempo ha cominciato a scorrere, non sprecare neppure un altro minuto.”

Kairi le lanciò un’intensa occhiata per poter esprimere la gratitudine che non aveva né il tempo né il modo di esprimere in altra maniera, e si posizionò al centro della sorgente luminosa. Vide la figura della regina e la stanza cupa attorno a lei farsi sempre più sfocate, e sentendosi lacrimare gli occhi per la visione distorta strizzò le palpebre.

Quando un paio di minuti dopo le riaprì, la dea e la camera lugubre erano sparite. Si trovava nell’immensità di uno spazio aperto, dove non c’era altro che acqua ferma. Acqua, acqua tutto intorno, e sopra la testa un cielo diurno con delle innocue nuvole. Fece alcuni passi avanti, poi guardò in basso e le venne quasi un colpo: sembrava proprio un mare quello su cui poggiava i piedi, eppure andava giù solo per un centimetro o due, rimanendo ben salda sulla superficie. Come se si trovasse su una immensa pozzanghera più che su un mare.

Dietro di lei, la sorgente luminosa era forte e splendente. Ma a parte quella, non c’era altro lì intorno. Solo cielo e mare, mare e cielo, all’infinito.


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Ho dimenticato di chiarire un punto importante, anche se forse è venuto fuori anche prima: nella mia fan fiction KHX e tutto quanto a esso collegato non esiste (più che non esiste, non viene preso in considerazione. Nomura mi ha un pochettino rotto, giusto un po’), il filmato segreto a Shibuya non esiste e Yozora non esiste. In realtà vedrete che tutto quello che ho deciso in proposito (come il destino di Sora) è puramente funzionale alla trama della ff, non ho la pretesa di prevedere quello che nel canon ne sarà di lui. Spero almeno di aver inteso bene la parte di KH3 che parla del mondo finale e di averla correttamente riportata, senza contraddizioni con la trama originale.

Persefone esiste nel film Disney di Hercules, anche se è solo una comparsa sullo sfondo. Eccola qui. In realtà ho notato che nel cartone c’è una piccola incongruenza a livello mitologico (in realtà in quel film ce ne sono una marea), dove Ercole da giovane, mentre si allena, affronta una prova in inverno e c’è una caterva di neve e di gelo. Ma visto che per la religione ellenica l’inverno ha iniziato ad esistere col rapimento di Persefone, ed invece nel film per tutto il tempo lei è felice e tranquilla insieme a sua madre (sì, c’è anche Demetra nel cartone)... da dove spunta quell’inverno?

Quello che succede nel capitolo è liberamente basato sul mito di Orfeo ed Euridice: Euridice è una ninfa che muore venendo morsa da un serpente, allora Orfeo scende fino negli inferi per chiedere la sua grazia ad Ade e Persefone, riuscendo a commuoverli e convincerli con la sua bellissima musica (qua invece si convince solo lei, Ade di Disney non è facile alla persuasione come quello originale). Anche l’accenno di Persefone all’uscire dall’oltretomba senza guardare in faccia la persona morta è un riferimento al mito, perché questa era la prova dovuta affrontare da Orfeo. Il poveretto però fallisce, si gira per guardarla ed Euridice sparisce di nuovo. Kairi almeno non dovrà affrontare questa prova.

A presto, grazie per il vostro supporto!

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Capitolo 7
*** Dove il mare e il cielo si fondono ***


Ragazzi! Ma avete visto il trailer nuovo del DLC? Come avevo perfettamente immaginato, la teoria che mi era piaciuta molto sull’interpretazione del finale e che avevo adottato per questa ff non si è rivelata giusta, ma oh: se Nomura ci prende gusto a venderci i giochi a pezzettoni non possiamo farci niente se mettiamo su teorie senza gli elementi per supportarle. Quindi niente, chiedo a voi magnanimi lettori di accettare che questa ff vada su una “linea” diversa rispetto al gioco. Già comunque se ne discostava per alcuni punti, questo è solo uno in più. Ma comunque... Kairi giocabile, ragazzi! Una cosa che aspettavo tipo dai tempi del primo gioco. E non sembra affatto debole come è apparsa nel tre.  Ed anche quando lei nel mondo finale dice “che bello”, e Sora intanto la guarda cotto e palesemente pensando “tu sei bella”! Vediamo e speriamo...

Tornando a noi: questo capitolo è lungo tipo il doppio della lunghezza normale dei capitoli che scrivo di solito, ma non mi sentivo di spezzare in due questa parte di storia. Sì, via che lo sapete: l’unica in cui appare Sora. Perché, uno potrebbe chiedersi, per scrivere un capitolo lungo la metà di questo ci metto tipo tre settimane, mentre per questo ci ho messo di meno? Perché gli altri capitoli sono ragionati e quindi richiedono il loro tempo, questo qui è... solo cuore ed emozioni. Seriamente, credo che una roba così spontanea e passionale come questa non la scriverò mai più. Ho dovuto davvero staccare il collegamento cervello-dita per buttare giù una cosa del genere. Comunque una consolazione: non ci saranno altri capitoli come questo, per questo è così pieno e “pesante”, ho concentrato tutto in uno. Per cui, agli allergici al romanticume, chiedo di sopportare stoicamente. E vi metto anche un disegno che ho fatto di Sora come appare in questo capitolo. Lo metto sopra perché non mi piace piazzare le immagini in mezzo ai capitoli spezzando la lettura. Ci vediamo giù!

 

Capitolo 7 – Dove il mare e il cielo si fondono


Mare, mare e ancora mare; cielo, cielo e ancora cielo. Kairi si trovava in quello strano luogo da neanche cinque minuti e già le stava venendo il mal di testa. Non per uno strano effetto di quel mondo, ma perché quel posto le dava una sensazione di infinito che la schiacciava: era un mondo diviso in due parti. C’era lo stesso identico paesaggio, all’infinito verso l’orizzonte. Non si scorgevano isole o pezzi di terra, le uniche altre cose che sembravano presenti oltre al mare e al cielo erano le nuvole sparse in alto, che scorrevano piano, spinte da un vento fresco e leggero. L’acqua era ferma, e le nubi vi si riflettevano come su uno specchio, tanto che pareva quasi che ci fossero due cieli, uno sopra l’altro. Anche in lontananza, si faceva fatica a tracciare una linea di demarcazione, perché sembrava che i due elementi si fondessero, e non ci fosse un vero stacco fra di loro. A parte le sue sensazioni di smarrimento, era indubbio che fosse un posto meraviglioso: prima di arrivare lì, si era immaginata un luogo lugubre, sinistro e spaventoso, ed invece era questo lo spettacolo magnifico che si ritrovava. Kairi tra l’altro aveva l’impressione di essere già stata in quel posto, ma era un ricordo sfocato e lontano, a cui non riusciva a dare una forma. Forse dopo che Xehanort le aveva spezzato la schiena e prima che Sora la salvasse. ‘Se non altro’, pensò ottimista ‘non può certo venirti la depressione in un posto del genere. Ora...’

La donna si guardò bene in giro, per avere un’idea delle dimensioni di quel mondo e se ci fossero dei confini, ma non si vedeva nulla che potesse far sospettare che quella distesa d’acqua a un certo punto finisse. Sora poteva essere dovunque. Kairi sapeva che non poteva perdere minuti preziosi, ma allo stesso tempo un pensiero la terrorizzava: che, allontanandosi troppo, si sarebbe trovata senza punti di riferimento e, tornando indietro, non avrebbe più trovato il passaggio per tornare nel mondo reale. L’idea di rimanere persa in quel mondo, per quanto bello, sola e bloccata, senza trovare Sora e senza poter tornare indietro, le faceva ghiacciare il sangue. Ancora peggio sarebbe stato trovarlo e poi non trovare più il passaggio, rimanendo bloccati in quel luogo tutti e due.

Senza osare muovere un passo in avanti, come per paura che muovendosi avrebbe già perso la fonte di luce, iniziò a chiamare a bassa voce:

“ehm... Sora?... Sora...”

Nessuno le rispose. Riprovò a chiamare il suo nome, più volte, alzando sempre di più la voce, fino a ritrovarsi a gridare con quanto fiato aveva in gola, nella speranza che lui la sentisse e rispondesse, e sentendosi amareggiata un attimo dopo, quando si rendeva conto che la sua voce non era riuscita a raggiungerlo. Quelle grida si disperdevano nell’immensità del cielo, senza arrivare al destinatario.

“Non posso rimanere ferma qui... sicuramente si trova da un’altra parte. Ma se mi allontano, mi perderò...”

Alla fine decise che, se voleva avere la speranza di ritrovare Sora, doveva correre il rischio. Aveva già rischiato scendendo nell’Oltretomba, contro Cerbero prima e fronteggiando Ade poi, e doveva farlo ancora una volta. Doveva camminare lentamente, mettendo un piede davanti all’altro cercando di formare una linea retta, rimanendo concentrata e senza distrarsi neppure per un attimo. Sarebbe bastato mettere una volta un piede appena storto, fare una piccola curva, e sarebbe finita. Tirò un gran respiro e deglutì, ma prima di proseguire, da quanto era sudata e stravolta per la tensione, si tolse il vestito rosa che le aveva dato Yen Sid, rimanendo con la canottiera bianca e i pantaloncini neri. Non riusciva a capire perché si era messa quel vestito addosso, ora che era diventata quasi adulta e le stringeva. Finora l’aveva sopportato, ma la prospettiva di camminare per delle ore con quella roba addosso non le piaceva per nulla. Si tolse anche gli stivaletti, lasciandoli vicino al vestito e appoggiando con sollievo i piedi nudi nell’acqua fresca. Almeno non avrebbe sentito dolore e stanchezza ai piedi se si fosse trovata a camminare per molto tempo. Non avendo una preferenza, a partire dal passaggio di luce scelse un punto a caso e iniziò a camminare, lentamente e con cautela, appoggiando i piedi più dritti che poteva. Doveva evitare, oltretutto, che il riflesso delle nubi che scorrevano la fuorviasse facendola curvare per sbaglio. Era una tortura andare avanti in quella maniera, dovendo stare sempre con la testa china per controllarsi i piedi. Dovette sforzarsi all’inverosimile per evitare di partire di corsa, gridando forte il nome del suo innamorato nella speranza folle di trovarlo. Ogni tanto, comunque, si fermava per chiamarlo, ma non era la stessa cosa. Non seppe neanche lei per quanto tempo andò avanti in quel modo. Si maledisse per non essersi portata dietro un orologio. Potevano essere passati dieci minuti come due ore. L’unico sollievo che provava era il fresco dell’acqua su cui poggiava la pianta dei piedi. Dopo un altro po’ che camminava, si fermò. Non aveva nessun elemento per stabilire che Sora non fosse ancora più in là, ma sentì che era inutile proseguire. Doveva tornare indietro fino al punto di partenza e prendere un’altra direzione. Con la massima attenzione, fece un mezzo giro su se stessa e, tenendo lo sguardo puntato in avanti, iniziò la strada di ritorno.

Una cosa notò mentre percorreva il percorso inverso: era stanca, quello sì, ma nonostante la fatica non le era ancora venuta sete. Nemmeno un po’. Il che era parecchio strano, perché lei era una persona che si assetava abbastanza presto quando compiva sforzi fisici. Anche nel percorso di ritorno camminava controllandosi i piedi e chiamando Sora di continuo, ma ancora non rispondeva nessuno. Ad un tratto le venne un moto di paura: le pareva che il tempo che stava impiegando per ritornare fosse più lungo del tempo di andata. Se avesse smarrito la strada? Andò avanti un altro po’ e fu presa da un gran senso di sollievo quando vide il passaggio luminoso, con a fianco il suo vestito rosa piegato e gli stivaletti neri. Almeno non si era persa! La lietezza che provava svanì però quando si rese conto che la sua luminosità si era affievolita, anche se di poco. Stavolta Kairi dovette lottare contro se stessa per impedirsi di correre a casaccio per trovare il suo amato. Quando era entrata in quel varco per arrivare in quella strana dimensione, non le era neanche venuto in mente che forse non sarebbe riuscita a trovarlo. Le bastava arrivare in quel mondo e lui era lì. Si era sbagliata... Ma doveva stare calma, anche se era difficile, e tentare ancora.

Scelse il verso opposto a quello da cui era venuta e, tirando un gran respiro, iniziò di nuovo a camminare, immergendo i piedi nell’acqua di mare senza sabbia e senza fondo. Almeno non si poteva dire che la temperatura di quel luogo non fosse piacevole: se non fosse stato per la drammaticità della situazione, Kairi si sarebbe di certo seduta nell’acqua per godersi un po’ quel cielo azzurro che tanto gli ricordava gli occhi del suo amore. Ma non aveva tempo per perdersi in queste cose: doveva trovare Sora il prima possibile ed andarsene con lui subito.

Non camminò molto stavolta. Forse un terzo del percorso che aveva preso prima. Perché, a un certo punto, le parve di scorgere qualcuno. Qualcuno che stava seduto nell’acqua, di profilo rispetto a lei. Con una gamba distesa, l’altra piegata verso il petto e un braccio appoggiato sul ginocchio; stava fissando il mare. Forse era un abbaglio dato dalla luce? Ma andando avanti di poco ed arrivando a circa duecento metri di distanza, il cuore le balzò in petto. Quei capelli dritti in tante ciocche non le poteva confondere con quelli di nessun altro. Non si era accorto di lei. Kairi cercò di chiamarlo ma, nonostante non provasse sete, la bocca le si era seccata e non riuscì ad emettere alcun suono.

“So... Sora...? Sora!” riuscì a chiamare dopo alcuni tentativi andati a vuoto.

A quel nome, la persona seduta a terra sussultò e girò la testa verso di lei, scuotendola appena come se avesse preso un abbaglio. Era proprio lui! Kairi non riuscì più a contenersi e partì di corsa, ridendo tra sé e sé della relativa semplicità con cui era riuscita a ritrovarlo. Erano solo duecento metri di distanza, ma a Kairi sembrò di correre per ore. Non vedeva l’ora di raggiungerlo e di gettarsi fra le sue braccia. Probabilmente l’urto che gli avrebbe dato lo avrebbe gettato a terra, ma non le importava. Il suo cuore fremeva e il desiderio di poterlo di nuovo guardare e toccare era troppo forte perché potesse rallentare. Sora nel frattempo si era alzato in piedi, e per questo, quando Kairi fu a una ventina di metri da lui, una sorpresa e uno sbigottimento improvviso la colsero, e la donna interruppe la sua corsa di colpo, ansimando di fatica, guardandolo con gli occhi sbarrati, e rendendosi conto che no, un urto dato dal suo corpo non sarebbe di certo bastato a buttarlo a terra.

Era Sora? Non poteva essere che lui. Quei capelli castano scuro dritti in tanti ciuffi disordinati, gli occhi azzurri che la fissavano increduli e sbalorditi, la pelle scurita dal clima tropicale del suo mondo natìo, la collana a forma di corona sul petto... sì, era lui. Ma non era come se lo ricordava, e come si aspettava di ritrovarlo. Kairi ricordava come, percorrendo il corridoio dell’oltretomba, aveva riso tra sé e sé al pensiero di ritrovarlo più giovane di lei, mingherlino ed aspettandosi di averlo ormai superato in altezza. La persona che aveva di fronte, invece, era più alta di lei, anche se non di molto, e Kairi calcolò che la differenza era di più o meno mezza testa. Il viso aveva perduto ogni rimasuglio di rotondità ed infanzia, ed era formato ora da linee dritte e squadrate. Il collo si era ingrossato, le spalle erano più larghe e robuste e le braccia molto più muscolose. I muscoli del torace erano spessi e forti, e la sua intera figura emanava potenza e virilità. Aveva ancora la vecchia canottiera grigia coi bordi bianchi, senza più la giacca, che probabilmente si era tolto perché ormai non gli entrava più. Anche i pantaloni erano quelli che portava prima, anche se ora gli arrivavano appena sotto il ginocchio, rivelando che anche le gambe si erano ispessite e irrobustite. Le scarpe non le aveva neanche lui, o perché ormai non gli entravano più, o perché aveva voluto dare un po’ di sollievo ai piedi, come lei. Anche i bracciali erano scomparsi, e sul dorso delle sue mani si vedevano chiaramente le ossa che sporgevano. Non aveva raggiunto la stazza e la muscolatura di Riku, e probabilmente non ci sarebbe mai riuscito visto che era di costituzione più contenuta, ma era comunque una differenza notevole rispetto a prima. Era cresciuto anche lui... anche lui aveva avuto uno scatto di crescita come l’aveva avuto lei, e in quei mesi si era lasciato alle spalle tutto ciò che faceva ancora di lui un ragazzo.  Ora era un giovane adulto, così come lo era lei.

Kairi deglutì e si decise a parlare per prima, anche perché Sora sembrava così stravolto ed incredulo da non riuscire a fare la prima mossa.

“Sora, sei... sei tu?” Era una domanda stupida. Era chiaro come il sole che fosse lui, ma ora che lo ritrovava così cresciuto e diverso da come se lo ricordava, le sembrava quasi che si trattasse di un’altra persona, che non fosse lui. Aveva progettato di abbracciarlo, di stringerlo a sé appena lo avesse rivisto, e invece se ne stava lì impalata a bocca aperta senza sapere cosa dire.

Ripresosi dallo shock, anche Sora riuscì a parlare. “Kairi, sì... certo che sono io”, e lei sussultò ancora, perché la voce che era uscita dalla sua gola era proprio quella di un uomo, e non aveva più l’intonazione da ragazzo che ricordava. Sora dovette intuire quello che Kairi stesse pensando, perché diede un’occhiata imbarazzata al proprio riflesso nell’acqua. “Sono... un po’ cambiato, ma sono sempre io.” Alzò la testa e la guardò, meravigliato. “Ti sono ricresciuti i capelli... sei cresciuta anche tu...” mormorò con la voce roca.

I due giovani si guardarono dritti negli occhi, incrociando i loro sguardi, e nel momento in cui Kairi si immerse in quell’azzurro che, prima di partire per il suo viaggio, credeva non avrebbe mai più rivisto, ogni suo dubbio e timore si dissolsero. Era Sora! Era il suo Sora! L’aveva ritrovato, ed era lì di fronte a lei! Presa dalla foga, si staccò dal suo posto per correre verso di lui ed abbracciarlo, e nello stesso istante anche lui fece uno scatto per raggiungerla. Kairi si gettò fra le braccia di quell’uomo che credeva all’iniziò di non aver riconosciuto, e mentre Sora la stringeva a sé tanto forte da farle mancare il respiro, lei premette il proprio corpo morbido contro quello forte del giovane, tenendo i denti serrati e stringendo gli occhi. Gli affondò le unghie nella pelle della schiena, appoggiando la testa sulla sua spalla e aspirando forte vicino al suo collo. Sentì di nuovo il suo odore, il profumo del mare e della salsedine del loro mondo, che negli anni aveva impregnato la pelle del ragazzo fino a diventare il suo odore, e che lei conosceva da quando era piccola. Era odore di casa e di tempi felici passati, sebbene adesso quel dolce e innocente profumo fosse mescolato alla fragranza intensa e virile della pelle di un uomo adulto. Kairi si sentì qualcosa nelle ossa che si ammollava mentre aspirava quell’odore, e in quel momento per lei diventò il profumo più buono ed appagante che avesse mai sentito. Sentì che Sora aveva premuto la guancia contro la sua testa, e invece di stare in silenzio come faceva lei, che deglutiva ed ingoiava le lacrime, ripeteva il suo nome in un mormorio.

“Kairi... Kairi...” sussurrava quasi, e il modo in cui lo diceva le mandava dei brividi tremendi lungo la spina dorsale. Rimasero abbracciati stretti per tanto tempo, con gli occhi chiusi, senza nessun rumore a parte i loro cuori che battevano, i respiri e i bisbigli di Sora che per Kairi erano come il vento leggero che soffiava nelle loro isole. Kairi sentì, dopo un po’, che la fronte, a cui era premuta la guancia di Sora, si stava bagnando. Capì di cosa si trattava, e rimase immersa in quell’abbraccio, stretta a quel corpo robusto e solido che ogni tanto si scuoteva lievemente in un singhiozzo.

Alla fine, con riluttanza, Kairi staccò il viso dal collo dell’uomo e alzò un po’ la testa per poterlo guardare bene in viso. Ora che lo vedeva così da vicino, si sentì che le gambe quasi non la sostenevano più. Era stato un bel ragazzo anche prima, ma ora che lo vedeva in tutta la pienezza dell’età adulta appena raggiunta, Kairi si rese conto che non doveva esistere nessun uomo, in nessuno dei mondi esistenti, che poteva equipararlo in quanto a bellezza. Le sue guance erano bagnate, e i suoi occhi azzurri, sotto i ciuffi di capelli scuri, erano pieni della consapevolezza di chi si è lasciato dietro l’età dell’innocenza. Non erano più gli occhi allegri e spensierati che aveva avuto da ragazzo, ma erano velati di una leggera tristezza e malinconia. Erano lucidi, arrossati e umidi e guardavano Kairi in un modo che, lei ne era sicura, se lui non la avesse tenuta salda per le braccia si sarebbe accasciata a terra.

“Ti ho trovato, Sora...” riuscì a dire tra i singhiozzi. “Avevo paura... che non ti avrei mai più rivisto... di averti perso per sempre...”

Sora la strinse forte di nuovo, premendole la mano sulla testa in modo che Kairi potesse appoggiarsi ancora al suo collo. “Siamo insieme adesso... non pensarci più... siamo di nuovo insieme...” mormorò con la voce rotta. Kairi sentì un grande sollievo nel suo tono, e comprese che anche lui si era tormentato in quel tempo al pensiero di non rivederla più. Sora aspettò che Kairi si calmasse e il suo respiro tornasse regolare prima di staccarla da sé.

“Cosa ci fai qui?” le chiese sorpreso. “Come hai fatto...?”

Ora che la magia dell’incontro era finita, a Kairi tornò in mente tutto. “Sono venuta a prenderti! È stata la regina Persefone ad aprire il varco per questo posto. Suo marito Ade non voleva che io ti salvassi, ma lei mi ha concesso il suo aiuto. Abbiamo solo una possibilità per uscire di qui.”

Sora la guardò incredulo. “La moglie di Ade...? Tu sei andata a parlare con Ade da sola? Lo stesso Ade che ha cercato di uccidermi così tante volte?”

“Sì, ma non è stato facile. Prima ho aiutato la popolazione dell’Olimpo che era in pericolo a causa dell’inverno, così Ercole mi ha premiato dandomi il permesso di parlare con lui. Sapevo che era il mondo giusto, ho studiato per settimane dai libri di Yen Sid prima di scegliere quello”, spiegò Kairi in modo confuso.

Il giovane la fissava sbalordito e con gli occhi spalancati.

“Sora, sapessi!” esclamò Kairi, con l’urgenza nella voce. “Sapessi a casa! Ci credi che nessuno si ricorda di te? È proprio come... non lo so... come se non fossi mai esistito. Anche per i tuoi amici più stretti, anche per Riku! Ma adesso torniamo a casa e gliela rinfreschiamo noi la memoria!”

Lo afferrò per la mano. “Dai, vieni! Ti riporto io! Il varco durerà meno di ventiquattr’ore, dobbiamo muoverci!” Fece per mettersi a correre a testa alta, per guidare Sora verso la salvezza, quando un dubbio la fece frenare. Si girò vergognosa verso di lui. “Ehm... da che direzione sono venuta?”

A quelle parole, la malinconia abbandonò gli occhi di Sora, che ritrovarono la loro gioia originaria, propria del suo carattere, e rise una fresca risata. Kairi si sentì lo stomaco in subbuglio: erano la stessa allegria e freschezza che la avevano fatta tanto innamorare di lui. “Da là”, rispose accennando col mento ad una direzione, guardandola in un modo così intenerito che Kairi dovette scuotere la testa un momento per mandare via la nebbia che le stava tornando al cervello.

“Andiamo, allora!”, esclamò puntando il dito verso l’orizzonte, mettendosi poi a correre e tirandogli la mano.

“Agli ordini, comandante!” rispose Sora allegro, stando al suo gioco e seguendola nella sua corsa.

I due giovani andavano veloci, ma Kairi era così presa dal desiderio di tornare al varco di luce che riusciva a tenersi più avanti di Sora. In tutto il tempo della corsa non gli lasciò mai la mano, ed era decisa a non mollargliela senza una ragione più che valida. Si sentiva così bene che le pareva quasi di volare, invece di correre. Era quasi fatta: qualche altro minuto, e sarebbero tornati insieme a casa, nelle loro isole, dove avrebbero potuto stare sempre insieme, come aveva visto nella sua visione quando si erano scambiati i frutti di paopu.

“Sora... ma tu lo sapevi... che Paperino ha un cugino scemo?” gli chiese mentre correva, girando la testa verso di lui, giusto per iniziare ad informarlo di tutte le cose che avrebbe trovato una volta uscito di lì.

Sora apparve sorpreso. “No, non mi ha mai detto di avere un cugino... è strano scoprirlo adesso.”

“Si vede che se ne vergogna tanto da non volerne parlare con nessuno... Ma non hai sentito la parte migliore! Sai... che Pippo sta per avere un figlio?” incalzò Kairi.

“Come... un figlio? No, questa è bella!” esclamò incredulo Sora, quasi inciampando per la sorpresa mentre le stava dietro.

“Non mi credi? Ma guarda che faccia tosta! Appena arriviamo te lo faccio dire da lui!” lo stuzzicò Kairi fingendosi sdegnata, e sentì Sora ridere di cuore dietro di lei.

“Mi sono perso un po’ di cose in questi mesi, vero?”

“Un po’ sì. Ma adesso le recuperiamo tutte! Dovrai metterti d’impegno per mantenere il passo, pigrone che sei!”, disse Kairi, decisa.

“Kairi, mi è mancato molto... il tuo carattere provocatorio”, lo sentì dire dietro di sé con la voce improvvisamente morbida, e ringraziò di essere davanti a lui, perché non avrebbe potuto nascondere il forte rossore che le era venuto sul viso.

In pochi minuti, arrivarono nei pressi della sorgente di luce, dove ancora stavano per terra l’abito rosa e gli stivaletti neri della ragazza.

“Eccola! Eccola lì!” gridò Kairi. Si fermarono quando furono di fronte al passaggio, provocando schizzi d’acqua con i piedi e guardando ammirati lo splendore della sua luce.

Sora si girò verso Kairi e, con un sorriso galante, fece un inchino tendendo la mano verso il varco.

“Dopo di voi, principessa”, disse reverente.

“Non fare lo stupido”, si mise a ridere Kairi, sentendosi arrossire di nuovo. Raccolse il vestito e gli stivaletti sotto un braccio, poi si avvicinò e lo prese per mano, intrecciando le dita alle sue. “Andiamo insieme.”

Sora la guardò intensamente negli occhi, e annuì. Si portarono entrambi nel centro della luce, e rimasero in attesa. Kairi fu sollevata nel vedere che il mondo intorno stava iniziando a sfocarsi, ma la voce allarmata ed impaurita di Sora bloccarono la sua felicità.

“Kairi!” esclamò il giovane spaventato, ed uscì subito dalla luce tirandosela dietro.

“Ma che fai?” chiese Kairi, un po’ irritata.

“Ti stavi dissolvendo”, spiegò lui, con la voce nervosa. “Stavi scomparendo, ma io no.”

La giovane donna spalancò gli occhi. “Come, tu no?”

Guardò atterrita il varco. “Non può essere, sarà stato... un malfunzionamento. Riproviamo.”

Si misero di nuovo al centro del passaggio, ma si ripeté lo stesso avvenimento: il varco funzionava correttamente con Kairi, ma su Sora sembrava non avere effetto.

“Forse non funziona perché siamo entrati insieme. Vai prima tu”, tentò ancora Kairi, mentre una disperazione sempre più grande le stava afferrando le viscere.

Provarono a fare così, ma quando Sora entrò nel varco, non si verificò nessun effetto.

“Non è possibile, non è possibile...” ripeteva Kairi come un disco rotto, rifiutandosi di credere a quello che stava succedendo. Ripassò mentalmente quello che Persefone le aveva detto, ma non ricordava che avesse ipotizzato qualcosa di simile. Forse era una possibilità che nemmeno la regina dei morti poteva sapere. Per un attimo le venne in mente di andare lei avanti da sola per trovare Persefone e chiederle aiuto, per poi tornare a recuperare Sora, ma poi le venne in mente che, anche se la dea non l’aveva specificato, poteva darsi che il passaggio si sarebbe chiuso appena lei fosse passata, anche se il tempo non era finito. Non poteva rischiare.

“D’accordo, Sora”, disse Kairi, cercando di recuperare il controllo ed appoggiando con tutta la fermezza che riuscì a trovare i suoi vestiti a terra. “Abbiamo un sacco di tempo. Pensiamo con calma a una soluzione, deve esserci un modo.”

“No, non c’è”, rispose Sora a quel punto, con una voce inaspettatamente calma. Calma e rassegnata, senza espressione.

Kairi lo guardò stupefatta. Quando mai era successo che Sora si arrendesse così velocemente? “Deve esserci una soluzione, c’è sempre”, insisté.

Ma Sora scosse la testa. “Ho voluto essere speranzoso quando ho provato a passare, ma mi immaginavo che sarebbe andata così.”

“E perché?” Kairi cercava di essere tranquilla, ma si sentiva la disperazione salire sempre di più.

“Perché lo sapevo che usare il potere del risveglio portava ad una punizione terribile. Che non è morire. Sono intrappolato qui, non c’è modo per me di uscire, non ne esistono. Non soffro fisicamente in questo posto, come vedi c’è luce, la temperatura è quella giusta e questo mondo è bellissimo. Ma sono separato da tutti quanti, le persone che conosco non si ricordano più di me, tutto quello che può essere una prova della mia esistenza è stato riscritto in modo da far combaciare gli avvenimenti anche senza di me. Ed inoltre qui il tempo scorre. Non si sente né la fame né la sete, non ho bisogno di mangiare, ma è come stare in una eterna prigione. Da cui non si può uscire, in cui non puoi vedere nessuno, e per i tuoi vecchi amici non esisti e non sei mai stato niente. Forse sarebbe meglio morire, ma non è possibile...” Sora aveva parlato con gli occhi chiusi e il viso contratto, parlando con calma e fermezza, ma la sofferenza nella sua voce era palpabile. Per uno come lui che dava un’importanza fondamentale al legame tra le persone, la prospettiva di essere strappato dalla mente di tutti era di certo il peggior destino che potesse esistere.

Kairi aveva ascoltato ad occhi sbarrati, sentendosi morire. Ora si spiegavano molte cose... tutto tornava. Dalla sua mancanza del senso della sete nonostante avesse faticato molto, alla mancanza di prove che Sora fosse mai esistito, al fatto che nemmeno i suoi amici più stretti si ricordassero di lui, al fatto che lui fosse cresciuto, seguendo il trascorrere naturale del tempo.

“Ma io mi sono sempre ricordata di te!”, protestò. “Perché io sì e loro no?”

“Perché usando il potere del risveglio ho salvato il tuo cuore. Ecco perché solo tu ti ricordi di me. Ma... sarebbe stato meglio se non ti fossi ricordata nemmeno tu”, aggiunse Sora, guardandola con tristezza.

“Questo non dovevi dirlo”, replicò Kairi arrabbiata. “Come puoi dirmi una cosa simile? Saresti più contento se ti avessi dimenticato anch’io?”

“Sì”, annuì Sora con sicurezza. “Non staresti così male, adesso. Avresti continuato la tua vita senza neppure pensare a me, e saresti stata felice.”

Kairi abbassò la testa pensierosa, scuotendola scoraggiata. Ma dopo un po’ che rifletteva, le venne in mente un’idea. Un’idea folle e pazza, com’era pazzo l’amore che sentiva per lui. Prima di trovare Sora il pensiero di rimanere bloccata in quel posto la terrorizzava, ma dopo quello che era venuto fuori... Era vero, seguendo questa idea non avrebbero potuto stare nelle loro isole come avevano sempre desiderato, ma non voleva dire...

Deglutì e si fece più vicina a lui, e parlò con voce rassicurante e ferma. “Questo non cambia niente. Non puoi tornare? Non ha importanza, in fondo. Se tu non puoi tornare, io posso restare.”

Sora, a quella proposta, la guardò esterrefatto. “Questo mai, Kairi!” le disse con una forte decisione nella voce.

“Perché no?” chiese lei, che ormai non riusciva nemmeno più a ragionare con lucidità. ”Non c’è nessuna regola che me lo può vietare, nessuno ci può impedire di stare insieme, almeno così.” Guardandolo poi bene in viso, capì cosa intendeva in realtà. Questa consapevolezza le fece male. Si sentì respinta e rifiutata. “Sora... non vuoi... non vuoi stare insieme a me?” chiese con un filo di voce, avendo paura a sentire la risposta.

Sora socchiuse gli occhi e aspettò un po’ prima di rispondere, come se cercasse di raccogliere quello che voleva dire. “Kairi... stare con te è la cosa che desidero di più al mondo. E non m’importerebbe dove possiamo stare insieme. Finché sei tu, un posto vale l’altro, mi sento a casa ogni volta che sto con te. Ma non posso lasciare che tu rimanga qui.” Aprì gli occhi e la fissò dritta nelle pupille. “Se tu rimani, per quale motivo dovrei trovarmi in questo posto? Mentre sono qui, io voglio sapere che la mia punizione sia servita a qualcosa. Voglio pensare che tu sia felice nel mondo reale. Se restassi con me, sì, sarei contento perché saremmo insieme, ma credimi, mi verrebbe il disgusto ogni volta che guarderei il mio riflesso. Sarebbe stato un sacrificio inutile. Ti prego, torna indietro almeno tu”, le disse indicandole il varco.

Kairi sentì un moto improvviso di disperazione pervaderle il corpo. Il solo pensiero di doversi separare di nuovo da Sora in quel modo brutale, ora che finalmente si erano ritrovati, la uccideva dentro.

“No, no!” scoppiò a piangere, perdendo il controllo che era riuscita bene o male a mantenere fino a quel momento. Gli si addossò con disperazione, stringendolo forte e premendogli il viso nel petto, con le lacrime che le scendevano copiose dagli occhi serrati. “Non voglio... non posso vivere senza di te, non ci riesco... lascia che io stia con te, Sora, è tutto quello che desidero. Non voglio altro, non mi importa di vivere sulle nostre isole o di avere intorno tante persone. Voglio solo stare con te, casa mia sei tu...”

Sora la abbracciò, premendosela contro in una stretta così disperata che per un attimo Kairi pensò che le avrebbe risposto di sì. “Kairi, anch’io... anch’io voglio stare con te.” La sua voce era spezzata dal dolore. In quel giovane appena diventato uomo non c’erano più quella spensieratezza e quella leggerezza di carattere che aveva avuto da ragazzo. Quella prospettiva di eterna dannazione e di separazione da lei e da tutti lo aveva profondamente cambiato. “Non sai quanto lo desidero, è tutto quello che ho sempre voluto. Ma non è possibile, devi accettarlo...”

Kairi tirò su col naso. “Perché... perché hai fatto una cosa simile? Perché hai accettato un destino crudele come questo?” chiese tra i singhiozzi.

Il corpo di Sora si irrigidì per un attimo a quella domanda. “...perché? Mi chiedi perché?” Se la staccò dal petto, le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi con intensità. “Kairi, lo sai il perché. Lo sai benissimo.”

Kairi lo fissò tremante senza rispondere, sentendo le unghie dell’uomo che le entravano appena nella pelle delle guance. Certo che lo sapeva il perché. Ma l’amore che Sora provava per lei era così enorme e sconvolgente che razionalmente non riusciva ad afferrarlo, ecco perché gli aveva fatto quella domanda.

“Kairi, sentimi bene... so che non mi crederai, ma non è vero quello che hai detto prima. Tu sei una donna forte, sei molto più forte di me.”

A Kairi, se non si fosse trattata di una situazione drammatica, sarebbe venuto da ridere. “Cosa... cosa dici, Sora? Io più forte di te? Mi prendi in giro?”

Sora annuì serio, senza staccare gli occhi dai suoi. “Sai perché ne sono sicuro? Non soltanto perché hai affrontato un viaggio per trovarmi, senza nessun aiuto, sei scesa nell’oltretomba e hai fronteggiato Ade, tutto da sola. Ma per un altro motivo: tu saresti capace di vivere senza di me.”

Kairi, senza rispondere, cercò di fare no con la testa, anche se l’uomo gliela teneva ferma.

“Non dire che non è vero, Kairi. Adesso ti sembra che sia così, ma credimi, ritroverai la tua felicità, e troverai la tua strada, anche senza di me. Io invece so che se fossi al tuo posto non ci riuscirei. Senza di te mi sentirei smarrito e non farei che inciampare nel buio, senza nessuna luce che mi guidi, è questo uno dei motivi per cui ho fatto la mia scelta. Tu sei forte, non immagini quanto sei forte. Vedrai, troverai il tuo posto nella vita, e sarai felice di nuovo, quando mi avrai lasciato andare. Io voglio solo che tu sia felice. Quando penserò che tu stai bene, sei contenta e al sicuro nel nostro mondo, avrò tutto quello che mi servirà.”

“Non... non ti lascerò andare. Non ti lascerò mai andare”, rispose Kairi, liberandosi dalle sue mani e tornando ad abbracciarlo stretto.

“Kairi, ti prego... fallo per me. Non rimanere qui. Se rimarrai qui, sentirò di non avere più una dignità né un senso. Mi farai morire dentro. Lascia che io sia felice sapendoti nel mondo reale. Non devi avere nessun rimpianto, hai fatto tutto quello che hai potuto, ed io ti sarò sempre grato per questo.” La costrinse a guardare in su per far sì che lo vedesse negli occhi. Kairi vide che il suo sguardo era pieno di sofferenza, tristezza e dolore, ma era anche estremamente serio. “Vai, Kairi. Più rimani qui, più sarà doloroso. Non pensarci, vai subito.” Nonostante le sue parole, Sora non la lasciava andare. Kairi intuì una contraddizione forte fra la parte razionale del giovane, che aveva tirato fuori coi suoi discorsi, e quella emotiva, che lo spingevano a trattenerla con sé.

Ragionando utilizzando solo il suo cervello, senza mettere in mezzo i sentimenti, la donna si rese conto che Sora aveva ragione: lui si era sacrificato per lei, e adesso se lei fosse rimasta in quella prigione con lui il suo sacrificio non sarebbe servito a niente. Ma non ce la faceva a lasciarlo andare, non riusciva a staccarsi da lui.

“Ma come faccio… a lasciarti qui? Cosa farai, da solo, senza poter vedere nessuno? Non posso, non posso abbandonarti qui.”

“Kairi”, replicò lui con tono rassicurante. “I nostri amici a casa stanno bene? Tutti quanti? Riku, Paperino, Pippo, e gli altri compagni? Sono allegri? Vivono felici le loro vite?”

“Sì”, dovette ammettere Kairi. “Sono tutti felici, e stanno bene…”

“Allora a me basta questo. Non mi porto nessun rimpianto dietro. Anche se non posso vederli, e loro non si ricordano di me,  sapere che stanno bene mi basta, e mi rende felice”, la confortò Sora, anche se non si capiva quanto ci fosse di vero in quell’affermazione .

Kairi però non voleva accettare che l’altruismo e il senso di sacrificio del ragazzo arrivassero fino a quel punto, e che davvero sapere che i suoi amici fossero felici anche senza di lui gli bastasse. 

“Sora... abbiamo condiviso il frutto di paopu, ricordi? I nostri destini sono legati per sempre. Un giorno ci rivedremo, lo so che ci rivedremo...” Non voleva accettare. Cercava di attaccarsi a qualunque cosa, anche ad una leggenda simbolica, per illudersi che un giorno, anche se non ora, si sarebbero ritrovati e avrebbero potuto stare insieme.

Sora la strinse più forte, e Kairi vide che scuoteva la testa affranto. “Non ci rivedremo mai più. Per quanto la leggenda dei frutti di paopu sia splendida, le regole del potere del risveglio sono più forti. Kairi, prima ti libererai da queste illusioni ed accetterai le cose come stanno e prima guarirai.”

Quelle parole fecero uscire altre lacrime dagli occhi della donna, e Kairi si strinse a Sora così forte che, sebbene lui fosse più grosso di lei, temette di soffocarlo. Ma dopo quella stretta, si sentì svuotata, con i brividi, una gran debolezza che la prendeva, inerme e indifesa. Era stata forte nella sua ricerca fino a quel momento, perché sapeva che per trovare Sora ci potevano essere diversi metodi, se uno avesse fallito avrebbe riprovato con un altro fino a riuscire, ma ora che l’aveva trovato e si trovavano a un passo dal traguardo, senza possibilità di scampare da quel destino crudele, ogni forza le era scorsa via. Guardò in su, fissando con un amore sconfinato quell’uomo con cui era destinata a non rimanere, e per cui si sentiva impazzire. Va bene, si sarebbe separata da lui, come lui desiderava. Ma se le avesse tolto le braccia da intorno ora, sarebbe crollata a terra. Sentiva il forte bisogno di lui e del suo amore prima di lasciarlo. Almeno un gesto di tenerezza, una coccola, qualunque cosa.

“Sora, per favore...”, mormorò con un filo di voce, “mi accarezzi i capelli come facevi quando eravamo piccoli?”

Sentì il corpo di Sora irrigidirsi a quelle parole, ed il giovane la staccò leggermente da lui sostenendola per le spalle. Kairi lo guardò negli occhi e vide che a Sora, insieme alla disperazione e al rimpianto che aveva in viso, si stavano riempiendo gli occhi di struggimento per i ricordi dei tempi passati, in cui tutto era stupendo e semplice, di tenerezza per lei, che fino a quel momento aveva fatto tutto quello che aveva potuto per lui ed ora che non c’era più niente da fare la ritrovava fragile e bisognosa di conforto, e di quell’amore che si era acceso per lei dal primo momento in cui l’aveva vista e che con gli anni era cresciuto senza mai fermarsi. Sora lasciò andare un braccio dal corpo della donna per portare la mano verso la sua testa ma, appena si rese conto che Kairi non ce la faceva a sostenersi, la strinse di nuovo, accasciandosi, riuscendo a mantenersi in qualche modo seduto con lei nell’acqua. Solo a quel punto, tenendola ancora stretta a sé col braccio sinistro, l’uomo sollevò l’altra mano e iniziò a passarla fra i capelli rosso scuro di Kairi, che in quei mesi le erano ricresciuti fino alle spalle. Nel momento in cui le dita di Sora le toccarono la testa, Kairi venne presa da un brivido: non era possibile contare il numero dei nemici che il giovane aveva ucciso in quegli anni, con quel Keyblade che teneva impugnato con entrambe le mani, eppure con lei il suo tocco era leggero e delicato. Sora le infilava piano le dita tra i capelli, facendole poi scorrere verso il basso, e intanto entrambi si fissavano negli occhi sentendo di nuovo, dopo mesi che avevano anelato con struggimento e nostalgia l’uno verso l’altra, quella scossa elettrica che si trasmetteva tra di loro nei pochi momenti intimi che riuscivano ad avere. Kairi credeva di non aver mai visto, in vita sua, un uomo con uno sguardo del genere: c’erano tenerezza, dolcezza e amore, che lei sapeva di poter trovare nei suoi occhi quando la guardava, ma in più, notò che le sue pupille stavano iniziando a bruciare, leggermente e lentamente. Le vedeva tremolanti e dilatate, e la fissavano in un modo da farla sentire ancora più svuotata e scossa di quanto già non fosse. Notò che ora, quando le dita di Sora arrivavano alla fine dei suoi capelli, indugiavano un momento prima di tornarle sopra la testa, e questa incertezza man mano che passava il tempo diventava sempre più palpabile. Kairi si sentì il cuore schizzare forte dentro il petto quando Sora, invece di rimetterle le dita fra i capelli, gliele posò sulla guancia, iniziando ad accarezzargliela piano. Si sentì quasi svenire per il modo in cui la toccava: le tornarono in mente, come un turbine, le sensazioni che provava quando erano piccoli e lui la accarezzava allo stesso modo. Allora le manine di Sora erano morbide e lisce, nei suoi buffi tentativi di fare una coccola alla sua amica del cuore, ma la sua goffaggine lo portava a darle a volte quasi dei piccoli schiaffi più che sfiorarla gentilmente; adesso Kairi invece sentiva sul viso le mani forti e ruvide di un uomo, che la toccavano e la accarezzavano in modo amorevole e tenero, ma anche premendo più forte, certe volte, facendo intuire alla giovane donna quali fossero i suoi sentimenti e le sue sensazioni più intime e profonde. Quando, dopo alcune carezze sulla guancia, con la punta o col dorso delle dita, il tocco dell’uomo scivolò appena sotto l’orecchio sfiorandole il collo, Kairi si sentì il cuore impazzire e dei tremori scuoterle il corpo. Si strinse più forte a lui, sollevando una mano, con cui fino a quel momento aveva tenuto strette le sue spalle, e anche lei gli accarezzò piano il viso asciutto, sentendo la sua pelle rovinata e irregolare dovuta al suo essere uomo e alle tante piccole cicatrici che si era procurato in tutte le sue battaglie e avventure. Il corpo di Sora tremò quando le dita di Kairi gli toccarono il viso, e lui chiuse gli occhi, cominciando a respirare in modo appena più affannoso. Kairi sentì che i brevi e leggeri ansimi di Sora stavano diventando anche i suoi, e che c’era qualcosa di forte, a cui era impossibile resistere, che la spingeva ad avvicinarsi ancora di più a lui. Si abbandonò a quella sensazione socchiudendo gli occhi, facendo aderire il proprio corpo, morbido e delicato, a quello solido e robusto del giovane, ed entrambi, cercandosi il viso, ad occhi chiusi trovarono le labbra dell’altro;  nel momento in cui si toccarono sentirono come un flusso potente scorrere dall’una all’altro, in un andare e tornare che li portò a cercarsi ancora, a darsi baci più lunghi e profondi, che spinse Kairi a leccare delicatamente il labbro inferiore del suo compagno e Sora a far scivolare la lingua tra le labbra della donna, accarezzando la sua con la propria. I loro respiri, presi all’improvviso tra un bacio e l’altro per evitare di soffocare, diventavano sempre più affannosi, sempre meno simili a respiri e sempre più simili a degli ansimi. Le loro mani ora non si accarezzavano più con delicatezza il viso come avevano fatto fino a quel momento: passavano sui loro corpi, cercandosi, toccandosi, sentendosi, affondando le unghie nella pelle che iniziava a bagnarsi di sudore, e tentando di tenere l’altro ancora più stretto a sé di quanto fosse possibile. Kairi sentiva le mani ruvide di Sora, che stavano diventando sempre più calde, passare sulle sue spalle, sulla schiena, sui fianchi, anche se fra le mani di lui e la pelle di lei c’era il tessuto della canottiera bianca della ragazza. Erano le stesse sensazioni meravigliose che sentiva in quelle notti insonni prima della sua partenza, quando lo immaginava nel letto di fianco a sé, che la toccava e la accarezzava allo stesso modo. Solo che, nei suoi sogni, Sora non emanava tutto quell’ardore mentre le posava le mani sul corpo. Kairi non avrebbe mai potuto immaginare che da un ragazzo come lui, che da più piccolo era l’innocenza fatta a persona, che fino a prima di scambiarsi i frutti era così timido e schivo quando si trovava con lei, potesse venire fuori una passionalità del genere. Sentiva dentro di sé quel flusso di energia che stava cercando di trascinarla ancora di più verso di lui, e sperando di poter calmarlo, si strinse a Sora con tutto il corpo, per quanto l’essere seduti nell’acqua di sghembo potesse permetterglielo, baciandolo con tutta la foga e il desiderio che stavano crescendo dentro di lei. Quando, esausti, si staccarono, guardandosi per la prima volta in viso dopo quella passione che era scoppiata fra loro quasi all’improvviso, si presero un minuto per guardarsi ed ammirarsi. Sora aveva gli occhi stravolti e pregni di un parziale appagamento, ansimava mentre il petto gli si alzava ed abbassava e, anche se aveva la pelle scura, il rossore sui suoi zigomi era evidente. Kairi non sapeva neppure come si stava sentendo, perché in quel momento tutto il resto dell’esistenza aveva smesso di esistere per lei, anche lei stessa e le sensazioni che doveva star provando. Ai suoi occhi e nella sua percezione, in quel momento, esisteva solo lui.

“Kairi...” gemette Sora, avvicinando il viso al suo e toccandole la fronte, penetrandole gli occhi coi suoi. “Sei... non lo so nemmeno io... tu per me sei tutto... sei tutto, capisci cosa vuol dire? Non posso spiegarti... non ci riesco... come posso fare per farti capire... quello che provo?”

“Non c’è bisogno”, mormorò Kairi, con la voce alterata dall’amore e dal desiderio. “Non devi spiegarmi niente. Lo so già. Tutto quello che hai fatto per me... lo so... quanto mi ami.”

Sora annuì sorridendo con gli occhi, grato per la comprensione che gli stava dimostrando. “E...” aggiunse. “L’avevo capito quando mi avevi salvato... al cimitero dei Keyblade... ma voglio esserne sicuro ancora, perché non mi sembra quasi vero. Ti prego, dimmi... se anche tu mi ami.”

Kairi gli prese il viso tra le mani, fissò i suoi occhi blu scuro in quelli azzurri del giovane e gli parlò seriamente, riuscendo ad esprimere meglio di lui quello che provava. “Sora... io ti amo più di chiunque altro, ti amo da sempre, dalla prima volta che ti ho visto. Ti ho amato sempre di più man mano che il tempo passava, e anche adesso... mi sto innamorando di te sempre di più, ancora di più di prima. Sai cos’è che desidero di più al mondo? Poter vivere insieme a te. Ma non semplicemente nelle nostre isole, nello stesso mondo. Vorrei avere una casa insieme a te, mangiare al tavolo con te, dormire nello stesso letto con te, affrontare le piccole difficoltà della vita insieme a te, ogni giorno. Desidero essere la tua compagna... e completare la mia vita con la tua.”

Sora aveva iniziato a tremare leggermente mentre lei parlava e le lacrime gli avevano riempito gli occhi. “Kairi, anch’io...” tentò di spiegarsi mentre le accarezzava il viso. “Anch’io desidero questo, più di ogni altra cosa al mondo... quando ci siamo divisi il frutto di paopu, ho visto le stesse cose che mi stai dicendo... ti voglio nella mia vita, ti voglio al mio fianco, non voglio lasciarti mai più...”

Forse non sapendo in che altro modo farle capire l’intensità e la serietà dei suoi sentimenti, la strinse forte tra le braccia caricando su di sé il peso della giovane donna, e si lasciò cadere insieme a lei di lato, finendo col fianco nell’acqua bassa.

Kairi si ritrovò con la guancia e tutta la parte sinistra del corpo bagnate dell’acqua di quel mare in cui si trovavano, ma i brividi febbrili che stava avendo non erano dovuti allo sbalzo di temperatura, ma al fatto di essere sdraiata insieme all’uomo che amava. Il fatto che la superficie su cui si trovavano non fosse delle più comode non le importava. Aveva la testa all’altezza della sua, e si guardavano comunicandosi con lo sguardo quello che le parole non avrebbero potuto arrivare ad esprimere. Appena Sora si rese conto del fatto che parte del viso di Kairi era nell’acqua, stese il braccio destro per farvi appoggiare sopra la guancia della donna in modo che rimanesse all’asciutto, e con l’altro braccio la attirò verso di lui, riprendendo a baciarla. Questa volta non c’erano l’urgenza e la fretta che lo avevano afferrato prima, ma si prese il suo tempo per assaggiarla, leccarle appena le labbra, gustare il suo sapore, tenendo gli occhi socchiusi e riprendendo ad accarezzarle il corpo sopra il tessuto della canottiera. Kairi si sentiva scottare come se avesse avuto la febbre alta. Lo teneva abbracciato al collo, affondandogli le mani nelle ciocche ispide di capelli bruni, assaporando il gusto forte e virile delle sue labbra che la cercavano con una lenta passione, e appena lui si staccava un momento per prendere aria, lei subito si riattaccava a lui, sentendo un fuoco che le consumava il corpo da dentro. Dopo un po’ che si scambiavano quei baci lenti e trasudanti sentimento e desiderio, Sora allacciò le gambe attorno a quelle di Kairi, premendo il bacino contro il suo. Infilò un dito sotto una spallina della canottiera della donna, abbassandogliela e allontanando il viso dalla sua bocca, iniziando a baciarle piano la spalla. La giovane si sentì venire la pelle d’oca nei punti in cui Sora la toccava con le labbra, e questa sensazione si intensificò quando sentì che la mano sinistra dell’uomo era scivolata sotto la sua canottiera e le si era poggiata sulla pelle umida della schiena. Kairi sentiva che stavano passando il punto di non ritorno, ma il desiderio e l’amore che la trascinavano verso di lui erano troppo forti; anche opponendosi, non sarebbe mai riuscita a vincerli. Dopo aver sentito per alcuni secondi le mani aspre di Sora accarezzarle con leggerezza la schiena, lasciandole delle scie bruciate dove arrivavano a scorrere, Kairi portò le mani sui fianchi del giovane, sfilandogli la canottiera dai pantaloni e appoggiando piano le dita affusolate sui suoi addominali, percorrendogli poi il torso fino ad arrivargli al petto, sentendo con emozione e calore il battito impazzito del suo cuore, e quanto era diventato forte e muscoloso in quei mesi di distanza da lei. Sora, a quel tocco sulla sua pelle, lasciò andare un verso che Kairi non aveva mai sentito: un sospiro che conteneva un desiderio intenso, un amore ed una passione sconfinati. Le mani di Kairi sotto i suoi vestiti gli fecero perdere il relativo controllo che aveva mantenuto fino a quel momento. Tornando a stringerla tra le braccia, la sospinse dolcemente fino a farle toccare la superficie d’acqua con la schiena, sollevandosi poi e portandosi con tutto il corpo sopra il suo. Appena questo spostamento fu concluso, per un attimo la lucidità sembrò tornare nella mente dei due giovani, e Sora, ansimante, guardò Kairi, sdraiata sotto di lui, mentre un lampo di incertezza e insicurezza gli attraversava gli occhi. In quel momento, la collana dell’uomo a forma di corona, che pendeva verso il petto di Kairi, toccò il ciondolo a forma di goccia che lei aveva sempre portato fin da bambina, e su cui Aqua aveva lanciato un incantesimo di protezione. Nel momento in cui il metallo della corona di Sora toccò il pendente a forma di goccia di Kairi, quest’ultimo reagì emettendo una luce tenue. Kairi e Sora distolsero gli occhi l’una dall’altro per osservare quello strano fenomeno e, nel momento in cui tornarono a guardarsi, ogni traccia di dubbio ed esitazione era sparita dagli occhi di Sora.

Il giovane si abbassò abbracciandola stretta, premendo il suo intero corpo contro quello della donna, baciandole il collo da sotto l’orecchio fino alle clavicole, e con una mano sollevò la leggera canottiera di Kairi, appoggiandola poi sul suo ventre tenero e vellutato, e salendo fino ad accarezzarle i seni morbidi e delicati. Kairi in quell’istante sentì il puro istinto, il desiderio forte ed ancestrale travolgerla. Realizzò dentro di sé quello che voleva: desiderava sentire di appartenergli, di essere un tutt’uno con lui, di fondersi con lui, di realizzare tra i loro corpi quello che i loro cuori erano già da tempo. Sentiva che non ce l’avrebbe fatta più ad aspettare: l’amore che la consumava era troppo intenso per permetterle di trattenersi ancora. Afferrò con le mani i lembi della canottiera grigia di Sora, e tirando verso l’alto cercò di sfilargliela. Sora acconsentì subito a quel tentativo, liberandosi di quell’indumento che ormai, insieme al resto delle cose che indossavano, non era diventato altro che un’ulteriore barriera fra loro due, qualcosa che gli impediva di stare insieme, mantenendoli separati. Kairi ammirò con ardore il corpo muscoloso, adulto e virile di Sora, abbandonandosi poi a lui e lasciando che le sue mani le sfilassero la canottiera e il reggiseno. Era la prima volta da quando erano piccoli che si stavano iniziando a vedere nudi, ma Kairi si rese conto di non provare vergogna davanti a lui: la stava vedendo nella sua essenza, nella sua femminilità, senza barriere che la celassero ai suoi occhi. E lo sguardo di Sora era venerante mentre la guardava e la ammirava, accarezzandole e baciandole piano le spalle, il collo, il seno e il ventre. Kairi sentiva che la stava adorando, con quelle carezze e quei baci, e il desiderio già forte che sentiva di appartenergli divenne ancora più intenso. Prese con le dita la catena della sua collana, tirando piano giù verso di lei per farlo abbassare, sentendo i muscoli forti di Sora premere contro il suo seno morbido e i battiti dei loro cuori che si confondevano. Desiderava abbandonarsi a lui, lasciare che lui la prendesse e la amasse come un uomo ama la propria donna, e abbassò le braccia fino a cingergli i fianchi, stringendo il bacino del giovane contro il suo e sentendo la sua eccitazione attraverso gli indumenti che ancora portavano. Sora, mentre le baciava le labbra sempre più preso dalla passione, con una mano, alla cieca, trovò il lembo dei pantaloncini neri della donna, tirando verso il basso e sfilandoglieli senza difficoltà. Subito dopo si cercò l’allaccio dei propri pantaloni, e se li tolse con un calcio quasi liberatorio, tornando poi ad abbracciare stretta la sua donna, baciandola con le labbra ormai diventate bollenti, come un affamato che trova del cibo dopo giorni di digiuno, e stringendosi a lei come un naufrago che si aggrappa all’ultimo pezzo di legno per evitare di affondare. L’unica cosa che portavano ancora addosso erano le loro collane. Ora che non c’era più nulla che si frapponeva fra loro, nemmeno degli indumenti, Kairi, che dentro si sentiva sciogliere, sentì la forza, il vigore, la virilità e il desiderio nel corpo rovente del suo compagno. Sentì quanto la voleva, quanto anelava a lei, quanto desiderava farla sua e quanto bramasse di unire il proprio corpo a quello della donna. Kairi gli espresse a sua volta quel desiderio, pregandolo in silenzio di esaudirlo stringendogli i fianchi con le gambe. Il loro primo tentativo di unione fu difficoltoso: alla prima spinta del suo amato, Kairi sentì un dolore bruciante partirle dal loro punto di congiunzione e diffondersi poi in tutto il corpo. Sora parve sentire la sofferenza della ragazza e, spaventato, fece per staccarsi da lei, ma Kairi prese con rabbia e indignazione quel male che le era venuto nel momento più bello della sua vita, in cui stava cercando di congiungersi all’uomo che aveva amato fin da quando era piccola. Lo interpretò come un ulteriore tentativo, anche da parte del suo stesso corpo, di tenerla lontana dal suo amore, di non permettere che la loro unione avvenisse. Con le mani, bloccò la schiena di Sora, impedendogli di allontanarsi da lei, e lo tirò di nuovo a sé, stringendo gli occhi e serrando i denti sotto le labbra lasciate rilassate, senza curarsi del dolore che avrebbe di sicuro sentito. La fitta che provò fu lancinante, ma sopportò senza irrigidire i muscoli e senza dare segno a Sora del male che provava. Ma, quando i primi istanti acuti furono passati, la giovane donna sentì il dolore gradualmente abbandonarla, e un meraviglioso senso di completezza pervaderla. Aprì lentamente gli occhi e guardò il viso di Sora, che dopo che Kairi lo aveva stretto di nuovo a sé era rimasto immobile, interdetto e non sapendo cosa fare. Le vennero le lacrime di commozione e gioia: in quel momento erano un tutt’uno. Non c’era più nulla a dividerli, nemmeno a livello fisico, nessuna barriera che ora poteva tenerli separati. Sospirando di felicità, accarezzò sulla guancia il suo compagno per rassicurarlo, invitandolo con gli occhi a riprendere da dove si era interrotto. Sora allora, distendendo la sua espressione e sorridendole sollevato, si abbassò di nuovo su di lei, abbracciandola e dandole dei baci intensi sul collo. Kairi, sentendosi le ossa diventare molli e la forza quasi abbandonarla per la loro unione appena iniziata, inclinò la testa da una parte per dare maggiore spazio al suo compagno e lasciò cadere un braccio nell’acqua, tenendolo vicino alla testa e con la mano leggermente aperta. Subito Sora raggiunse la mano di Kairi con la propria, posandola sopra la sua ed intrecciando le sue dita forti a quelle sottili della donna, mentre continuava a baciarla lentamente e con passione e le sensazioni di piacere tra loro due, con le tenere spinte che lui aveva iniziato a dare dentro di lei, crescevano e crescevano.

Da quel momento, per Kairi pian piano la concezione del mondo e della realtà iniziò a dissolversi. Inerme, sdraiata su quel mare che si estendeva all’orizzonte e con il cielo sopra di lei, trovava le sue risposte e i suoi perché guardando negli occhi il suo innamorato, vedendoci dentro l’infinito e quel futuro che dentro di sé bramava di poter vivere con lui. Contemplava le sue visioni perdendosi nello sguardo di Sora, che la fissava nelle pupille di rimando, comunicandole amore, desiderio, passione e voglia di lei, di tutta la sua persona, mentre nell’unione perfetta dei loro corpi si faceva strada nel suo grembo, dapprima incerto e in modo irregolare, poi acquisendo sempre più sicurezza, decisione e regolarità, e dei lievi e dolci sguazzi ogni volta che spingeva gli rivelavano che la sua donna lo desiderava almeno quanto lui desiderava lei, e provava un intenso piacere almeno pari al suo. Si guardavano per degli istanti interminabili, poi tornavano ad accarezzarsi e baciarsi, Sora intrecciava le dita a quelle di Kairi, e Kairi, emettendo dei teneri gemiti appagati che facevano perdere la testa al suo compagno, sentiva, nelle lievi pulsazioni che percepiva nel grembo, una fusione completa di loro due. Dei loro corpi, dei loro cuori e delle loro anime. Sentiva che lei come entità distinta non esisteva più, come non esisteva più lui. C’era qualcosa di nuovo, qualcosa che stava nascendo dalla loro unione, un incastro perfetto dei loro spiriti, e che, ne era sicura, nessun tipo di lontananza fisica avrebbe potuto dividere. Sora, che a volte veniva preso dagli spasmi, quasi la loro unione lo portasse alla pazzia, premeva la guancia contro quella di Kairi, mormorandole all’orecchio tutto l’amore che riusciva a tirare fuori dal suo intimo. Kairi, che si sentiva scuotere dai singhiozzi per l’emozione e la felicità, sussurrava a sua volta all’orecchio del suo amato tutto ciò che provava per lui, e tutto quello che stava provando in quel momento, facendo aumentare gli spasmi e gli sconvolgimenti del giovane. La loro unione andò avanti ancora, e ancora, finché Sora, preso da un’ondata improvvisa che non si aspettava, si aggrappò a Kairi con tutta la forza che aveva, come se avesse paura dell’emozione che stava per affrontare, e strizzando gli occhi, quasi preso dalle convulsioni, lasciò andare con dei forti versi liberatori tutta la tensione che aveva accumulato fino a quel momento. Le sue spinte divennero in poco tempo meno potenti, fino a cessare, e il giovane si accasciò, lasciando cadere la testa sulla spalla di Kairi ed ansimando sfinito come dopo un lungo combattimento. Kairi era ancora presa dall’estasi, e ci mise un po’ per accorgersi che la magia dell’unione si era conclusa. Girò la testa per vedere in viso il suo innamorato: gli occhi di Sora, che fino a poco prima avevano bruciato di passione e ardore, ora erano due pozze vuote di un colore esausto, e la guardavano con un amore stremato, mentre il battito impazzito del suo cuore si calmava e ritrovava gradualmente il suo ritmo normale. La donna subito lo strinse a sé, lasciando che appoggiasse la guancia sul suo seno, accarezzandogli piano le spalle e lasciando che si riposasse, mentre Sora, sospirando di contentezza e appagamento, socchiuse gli occhi. Kairi si sentiva felice, in ogni fibra di sé: anche se la loro unione si era conclusa e i loro corpi non erano più uniti, sentiva, nel proprio grembo, dove fino a pochi attimi prima era stato lui, una meravigliosa sensazione di calore, che la scaldava da dentro e la confortava. Era come se Sora fosse ancora dentro di lei, non importava che fisicamente non lo fosse più. Dunque era questo l’amore... questo voleva dire unirsi al proprio compagno, all’uomo con cui era cresciuta, di cui era innamorata fin da quando erano piccoli e con cui aveva sognato di condividere la propria vita. Constatò come non avesse provato il minimo imbarazzo mentre era stata con lui. Nessuno sguardo di Sora, nessun punto in cui l’aveva toccata, nessun verso che aveva emesso, nessuna parola che le aveva sussurrato e nessun bacio che le aveva dato l’aveva fatta vergognare: l’intero atto era stato per loro due qualcosa di puro e limpido come l’acqua cristallina, nient’altro che la naturale conseguenza degli abbracci e delle carezze che si erano dati all’inizio. Genuino, sano e trasparente come il loro legame. Con una mano tremante, gli scostò i ciuffi di capelli umidi da davanti agli occhi, e sollevando con fatica la testa, gli diede un lungo bacio sulla fronte bagnata di sudore.

Mentre lo coccolava, le venne da girare la testa e guardare il varco di luce. Era ancora luminoso, ma meno rispetto a prima e, ora che la bolla che la racchiudeva insieme a Sora era scoppiata, Kairi si sentì pervadere di nuovo dall’angoscia e dal dolore lacerante al pensiero della loro imminente separazione. Strinse forte a sé il suo compagno, e mormorò a denti stretti:

“Sora... non voglio... non voglio lasciarti... voglio restare con te...”

Sora, con cautela, si tolse da sopra di lei e si lasciò andare sdraiato nell’acqua al suo fianco. Si mise sul lato e strinse al suo corpo sudato e bagnato la giovane donna, parlando a voce bassa e in modo apparentemente deciso, ma la sua sofferenza e il suo dolore erano molto chiari.

“No, Kairi... ne abbiamo già parlato... guarda il varco, la luce si sta abbassando... è ora... non rimandare ancora...”

Ma nonostante questo non accennava a lasciare andare la presa su di lei. Quel rapporto d’amore che avevano appena avuto, il primo delle loro giovani vite, invece di calmare la loro fame gliel’aveva solo fatta aumentare. Kairi non smetteva di toccare, accarezzare e baciare il corpo e il viso del suo amato, e Sora, benché fosse stato esausto fino a pochi attimi prima, era un giovane adulto forte e vigoroso, pieno di energia, e nelle sue vene il sangue scorreva potente. Dopo qualche minuto, tutta la stanchezza lo aveva abbandonato, ed aveva ripreso di nuovo a cercarla e baciarla, con la passione che stava tornando ad essere alta e palpabile, era tornato a coprire di nuovo col proprio corpo quello di Kairi, cercando una nuova unione con lei. Ma dopo alcuni attimi, in cui il pensiero razionale era stato a loro estraneo, Sora sembrò riprendersi improvvisamente e, guardando con sofferenza la sua donna, scosse la testa. “Kairi, no... è solo peggio... dopo soffriremmo ancora di più...” Kairi, sentendo dentro di sé la brama e il desiderio dell’amore del suo compagno, lo pregò tenendolo stretto. “Ti prego, ancora... amore mio... ancora una volta...” Sora, scosso dai brividi di desiderio, guardò combattuto Kairi sotto di lui, la sua pelle chiara, la rotondità delle sue forme, il rosso delle sue labbra e dei suoi capelli, quelle iridi dello stesso blu del mare di casa loro... le sue pupille avevano ripreso a bruciare, ma qualcosa di razionale sembrava trattenerlo. Infine, si abbassò di nuovo su di lei, e la guardò seriamente negli occhi. “Una volta, Kairi... un’altra volta sola...” Kairi lo fissò di rimando, ed annuì. Era un accordo inutile, e lo sapevano bene tutti e due.

I due giovani amanti rimasero insieme per tutto il tempo che fu loro concesso. Non si alzarono mai in piedi, ma rimasero sdraiati nell’acqua, consumando il loro amore con ardore e disperazione, senza quasi mai smettere, con l’angoscia terribile nei loro cuori che ogni volta avrebbe potuto essere l’ultima. Sora, in virtù del suo corpo giovane e pieno di energia, aveva bisogno solo di pochi minuti per riprendersi e ritrovare le forze per poter ricominciare ad amare la sua compagna. Avevano tante ore da poter spendere insieme, visto che Kairi non aveva usato molto del tempo concesso per ritrovare il suo amato. Si prendevano con la passione che trasudava dai loro corpi, si calmavano per poco, giacendo uno tra le braccia dell’altra, usando quel tempo di ripresa per parlare dei loro sentimenti, di quello che avrebbero sognato fare se gli fosse stato concesso di poter vivere insieme: dalle cose più banali, come poter avere un letto morbido e asciutto con delle coperte calde in cui poter rifugiarsi invece di quel pavimento bagnato e scomodo in cui erano completamente esposti, a quelle più importanti, come il loro desiderio di poter girare i mondi insieme come avevano sempre sognato, e godersi tutto ciò che contenevano nella pienezza del loro legame appena concretizzato. Ma, appena a Sora ricominciava a scorrere in corpo il primo sprazzo di desiderio, tornava a sdraiarsi sopra Kairi per poter fondersi di nuovo con lei e darle il suo amore. Passarono il loro tempo così, baciandosi, esplorandosi, leccandosi, succhiandosi, gustandosi e unendosi, mentre la disperata sete che sentivano l’uno per l’altra cresceva invece di estinguersi. Dopo alcune ore erano esausti, ma non si stancavano mai: quando sentivano di non farcela più, si prendevano una mezz’ora per poter dormire abbracciati e premuti l’uno all’altra, toccandosi ed accarezzandosi anche nel sonno. Nei pochi momenti in cui non erano persi uno negli occhi dell’altra, Kairi girava la testa verso il varco che splendeva a pochi metri da loro, e constatava ogni volta con orrore come, mano a mano che il tempo passava, la sua luce fosse sempre meno forte e intensa. Allora, presa dalla disperazione, chiedeva al suo amato di lasciare che restasse lì con lui, per poter vivere insieme senza doversi più separare, ma ogni volta lui negava dicendole che doveva andarsene al più presto, solo per poi stringerla ancora più forte, contraddicendo le parole che aveva appena detto. C’era amore nei loro gesti, ma si rendevano conto, quasi con rassegnazione, che quel sentimento era sporcato dalla consapevolezza che era l’unica volta in cui gli era concesso il paradiso. Kairi cercava ancora di trovare una risposta al motivo per cui erano destinati a dover sopportare tutto quel dolore, sebbene sapesse che era inutile cercarla.

“Perché deve succederci tutto questo? Forse abbiamo commesso un crimine che dobbiamo pagare, e non lo sappiamo?”, chiese a bassa voce in uno dei loro momenti di riposo, mentre stava abbracciata stretta a Sora accarezzandogli le spalle bagnate di acqua e sudore.

“Non lo so... penso che non lo sapremo mai...” rispose amareggiato Sora, scostandole i capelli dalla fronte. “Potrebbe anche essere tutto un brutto scherzo di qualcuno che sta al di sopra di noi, e non possiamo farci niente... è sempre così... tutte le volte che riusciamo a stare insieme, arriva sempre qualcosa che ci separa. Forse è scritto nelle stelle, chi lo sa?”

“Ti penserò e ti sognerò sempre, Sora”, promise Kairi appoggiandogli la guancia contro il petto. “Fino al giorno in cui morirò. E non smetterò mai di pormi queste domande.”

“Io spero invece che mi dimenticherai il prima possibile”, rispose con la voce spezzata l’uomo. “Non sprecare la tua vita pensando a come starò o a cosa ne sarà stato di me. Devi essere felice, è questo che voglio, ed è per questo che trovo un senso al fatto di rimanere qui.” La tirò più in su per poterla vedere in faccia. “Non rinunciare neppure a una cosa per me. Se dovessi...” tirò un gran respiro. Si capiva che stava facendo una fatica immensa a pronunciare quelle parole. “Se dovessi incontrare un uomo... che possa farti felice... non devi respingerlo perché pensi a me, mi hai capito?”

Kairi lo guardò con un’aria perplessa, come se Sora avesse parlato una lingua strana e lei non avesse capito bene. Non commentò in alcun modo quello che lui aveva detto, perché le sue parole andavano fuori da ciò che lei poteva concepire nella mente. L’unica cosa a cui pensò, in quel momento così oscuro per lei, fu il malsano desiderio di non aver mai imparato cosa volesse dire innamorarsi ed avere quell’amore ricambiato.

Sora gettò lo sguardo verso il varco, la cui luce che emanava era sempre più debole. “Kairi, è tardi, il tempo sta per scadere”, le disse con l’urgenza e l’ansia nella voce.

Kairi gli si aggrappò stretta: sapeva che quel pezzo di cuore che le si era ricomposto nel momento in cui si era unita a lui le si sarebbe strappato di nuovo se l’avesse lasciato. “Voglio stare ancora con te... un’ultima volta.”

Ma questa volta Sora scosse la testa con decisione. “No, devi andare subito.” Si tirò su a sedere, e allungando il braccio afferrò i vestiti che erano stati gettati poco distanti, e che ora erano zuppi d’acqua. Kairi era ancora sdraiata a terra: nonostante la temperatura di quel luogo fosse buona e non facesse freddo, nel momento in cui il corpo caldo di Sora si era scostato dal suo, era stata presa da un brivido che la faceva tremare. Il giovane la guardò con gli occhi che erano il ritratto del suo cuore spezzato. “Dai, vieni, ti aiuto a rivestirti”, la incitò con dolcezza, prendendola per i fianchi e aiutandola a tirarsi su. A Kairi tutto questo parve un’agonia: ogni capo di vestiario che si rimettevano indosso era una barriera in più che il destino stava mettendo fra di loro. E quello che le faceva ancora più male era la consapevolezza che in realtà non era qualcosa di superiore, questa volta, che si apprestava a separarli, ma una loro precisa scelta. Anzi, più una scelta di Sora che la sua. Quando furono rivestiti come prima di lasciarsi andare all’amore, Sora la prese per mano, tirandola appena per guidarla verso il passaggio, visto che lei non sembrava in grado di muovere un passo da sola. Arrivati lì davanti, Kairi si strinse forte a lui, cercando ancora una volta il calore del suo corpo, e Sora la abbracciò stretta. Era l’ultima volta che avrebbero potuto farlo, e Kairi nella stretta dell’uomo percepì tutto il suo dolore, il suo rimpianto e la sua tremenda sofferenza. “Ricordati, Kairi... ricordati sempre quello che ti ho detto... tu sei forte...” lo sentì mormorare al suo orecchio. Lei annuì ad occhi chiusi, e i due innamorati si diedero un lungo e interminabile bacio, facendolo durare il più possibile per tentare di rimandare ancora la loro inevitabile separazione. Kairi percepì in quell’ultimo gesto d’amore tutto il sentimento, il desiderio e la voglia di lei che Sora provava, e anche lei, afferrandogli le spalle, tramite quel bacio, l’ultima volta che avrebbe sentito nella sua vita il sapore delle sue labbra, cercò di comunicargli tutto quello che provava per lui, e che avrebbe per sempre provato per lui. Quando staccarono le labbra, gli occhi tristi di Sora luccicavano mentre la guardavano. Era un’agonia anche per lui. “V... vai lì al centro, Kairi...” la sospinse appena all’indietro per farla inglobare dalla luce ormai tenue. “Ti terrò la mano fino alla fine...” era una consolazione minuscola rispetto a quello che stava per succedere loro. Il varco luminoso iniziò lentamente ad avere effetto sul corpo della ragazza, e Kairi iniziò a vedere sempre più sfocato. Si sentiva la morte negli occhi, ma continuò a fissare lo sguardo del suo amato, senza riuscire né volere a interrompere il loro contatto visivo, mentre teneva le dita sempre più trasparenti intrecciate alle sue ancora solide e nitide, stringendole più forte che poteva, sebbene sapesse che era inutile cercare di trattenergliele. Nonostante la sfocatura, vide che negli occhi e nel viso di Sora la sofferenza e l’incertezza aumentavano e, proprio un momento prima che il corpo di Kairi sparisse, il giovane con uno scatto improvviso l’afferrò per il polso e la tirò fuori dal fascio di luce, catturandola con le braccia e stringendola forte a sé. L’effetto del teletrasporto svanì e il corpo di Kairi riprese immediatamente consistenza.

Kairi era sbalordita. Cosa gli era saltato in mente? Perché l’aveva tirata fuori da lì? Sentì che qualcosa dentro Sora aveva ceduto, mentre la accarezzava in tutto il corpo e la baciava sulla fronte e sui capelli era scosso dai singhiozzi. Ma stavolta non erano poche lacrime che scendevano silenziose come era accaduto ore prima: stava piangendo senza nessun tipo di freno o di controllo, i versi che lasciava andare tra un singhiozzo e l’altro erano pieni di sofferenza e desiderio. “Non andare, amore mio, non andare... resta con me, resta con me... non lasciarmi...” la stava pregando, nonostante Kairi avesse espresso fin dall’inizio il desiderio di restare lì con lui. Sora aveva cercato di far prevalere il cervello e la razionalità in quella scelta fino alla fine, ma all’ultimo, proprio nell’atto del distacco, il suo cuore e le sue emozioni avevano avuto la meglio su di lui, e il suo desiderio si era allineato a quello di Kairi. La donna, insieme al calore del corpo del suo innamorato e al battito impazzito sotto il suo petto, sentì che quel pezzo di cuore che le si stava strappando di nuovo via era tornato al suo posto, e una felicità e un senso di sollievo immani pervaderla. Abbracciò stretto Sora, piangendo anche lei, ma di contentezza. “Rimango, amore, rimango qui con te... non andrò via, non ti lascerò mai...” Appoggiò il viso contro il suo collo, mentre lui continuava a baciarle la testa con foga, bisogno e desiderio e, dopo averle ripreso la mano, intrecciava le dita con le sue. Kairi, mentre con una completa pace stava appoggiata con la guancia alla sua spalla, godendosi il suo calore e le sue effusioni, guardò con gli occhi appannati il paesaggio intorno a loro. Non era altro che cielo e mare, mare e cielo che si toccavano e si univano. Nemmeno la linea dell’orizzonte si vedeva, non c’era un confine fra i due elementi, ma si fondevano in un continuo dove non si capiva dove finiva uno ed iniziava l’altro. Come loro due. Ancora poco e il varco dietro di lei si sarebbe chiuso. Già fantasticava sulla vita meravigliosa che avrebbe potuto vivere col suo amore. Il fatto che fosse una vita chiusa in un limbo non le importava: era con lui, lui era casa sua, e a lei non serviva altro. Ma, dopo i primi attimi di foga, i baci di Sora si fecero sempre più incerti e meno convinti, fino a cessare. La donna alzò appena gli occhi, e lo vide fissare il varco di luce ormai quasi spenta davanti a lui, e alle spalle di Kairi. I suoi occhi stavano lottando, anche se parevano immobili. Quello che accadde poi fu questione di pochi attimi: Kairi sentì le forti braccia del giovane sollevarla di peso mentre la abbracciava, e lui fare un passo in avanti, finendo nel centro del passaggio insieme a lei.

Nel momento in cui Sora l’aveva pregata di restare lì insieme a lui, tutta la preparazione mentale alla loro separazione, lenta e faticosa, che in quelle ore Kairi era riuscita bene o male a mettere in piedi, si era infranta fino all’ultimo pezzo. Così che ora, ritrovandosi in procinto di tornare nel mondo reale, venne colta completamente impreparata. “Sora, lasciami!”, protestò disperata, cercando di divincolarsi per poter uscire da quella luce prima che il passaggio avesse effetto. Ma Sora era più forte di lei, e le sue braccia muscolose erano come dei lacci, che la tennero ferma immobile dov’era, stretta a lui, impedendole di sfuggire. Kairi riuscì solo a girare la testa per vedere il viso del suo compagno. L’ultima cosa che riuscì a carpire furono gli occhi di Sora, due pozzi sfocati ed appannati, pieni di amore e di dolore dato da una decisione sofferta e definitiva. Nel tempo di pochi attimi, tutto finì.

Kairi sbatté alcune volte gli occhi e la sua vista tornò velocemente a fuoco. Quel limbo di cielo e mare era sparito, e Sora con esso. Era rimasta sola, di nuovo, nella stanza cupa e buia con i tre letti dell’oltretomba. Il varco luminoso si era chiuso.


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Ed è nel modo peggiore possibile che chiudo la prima parte della storia, cioè quella introduttiva. Un cerchio si chiude e un altro si apre, si dice. Per Kairi sarà la stessa cosa.

Siete rimasti sconvolti dai contenuti del capitolo? Mi difendo così: il target della storia è l’arancione. Sono del parere che se si sceglie un target, sia dovere morale dell’autore essere il più precisi e dettagliati possibili nei limiti imposti dal target scelto. È inutile scegliere un certo colore e poi essere vaghi come se invece dell’arancio si fosse scelto il giallo, per dire. In ogni caso, come si vede, non sono stata esplicita in nessun modo, ho cercato di far risaltare di più le emozioni dell’atto puramente fisico, non so quanto ci sia riuscita.

Beh, forse Sora e Kairi saranno destinati a non stare insieme, e la storia non parlerà della loro coppia ma di tutt’altro, tuttavia ho voluto utilizzare questo unico capitolo per riversarci tutto il mio affetto per loro. Credo di aver amato questa coppia da quando avevo... boh, 16 anni? E di amarla proprio perché è così tragica e crudele. Ho sempre trovato Sora davvero molto dolce con Kairi, e non so se avete notato che dal momento in cui si dividono i frutti, smette di essere timido con lei e diventa parecchio più audace: la tocca, la guarda innamorato (a proposito: lo sguardo che le rivolge nella scena dei frutti della versione giapponese è molto più innamorato di quella occidentale), le tiene la mano ogni volta che può, flirta palesemente con lei... diciamo che qui, visto che sono più grandi, ho solo amplificato la cosa. Alcune frasi del capitolo sono prese dalla canzone “Written in the stars” di Elton John dal musical di Aida, di cui ho fatto un video sokai con i sottotitoli qualche mese fa, ed è una canzone che penso riassuma alla perfezione questa coppia. Eccolo.

Adesso prima di fare il prossimo aggiornamento devo fare un po’ di world building del Radiant Garden, quindi è probabile che ci metterò un po’ di più. Grazie mille per il supporto, fate sapere se questa prima parte di storia vi è piaciuta!

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Capitolo 8
*** Spiraglio di luce in fondo al tunnel ***


Capitolo 8 – Spiraglio di luce in fondo al tunnel


“Uno principe debbe tenere delle coniure poco conto, quando il populo gli sia benivolo: ma quando gli sia nimico e abbilo in odio, debbe temere d’ogni cosa e di ognuno.” – Capitolo XIX

 

“Che cosa?!, Kairi si è ammalata?!” saltò su Ansem.

“Purtroppo sembra di sì, maestà”, riferì preoccupato Ienzo. “Ho controllato la corrispondenza sul computer e me l’ha fatto sapere Re Topolino. È stato Riku a dirglielo.”

Ansem si fece avanti e lo afferrò per le braccia. “Dimmi di più! Che cos’ha di preciso?!”

Ienzo, nonostante non avesse nessun motivo per temere il suo principe, era visibilmente intimorito, visto che era un uomo abbastanza piccolo, mentre Ansem invece lo sovrastava, e così agitato era ancora più impressionante.

“Non lo so con certezza, ma sembra che siano almeno tre settimane che non mangia quasi più. Si è talmente indebolita che fatica anche a svolgere le normali attività quotidiane.”

Il vecchio principe gli tolse le mani di dosso e scosse la testa affranto. “Perché? Perché fa così? Nessuno è riuscito a capire che cos’ha?”

“No, mio sire, non vuole parlare... Riku è disperato ed è molto preoccupato per lei, ma lei non apre bocca nemmeno con lui. L’unica cosa che dice ogni tanto è che non vuole più stare lì e vuole venire via, ma Riku non capisce il perché.”

Ansem rimase col viso abbassato, in silenzio, per un lungo periodo di tempo. “Va bene, Ienzo, torna pure alle tue occupazioni. Io... vado a prendere un po’ d’aria.”

Il vecchio principe uscì dal laboratorio, percorse i corridoi e salì le rampe di scale con l’intenzione di raggiungere la parte superiore del castello. Per fortuna che Even, vicino alle scale che portavano ai piani superiori, aveva piazzato delle piccole costruzioni a forma di stella che emanavano una luce blu, che fungeva da teletrasporto. Ansem si avvicinò ad una di esse e la toccò, ritrovandosi al piano superiore. Era fortunato che Even fosse così ingegnoso, perché non si sentiva più così giovane ed in forze per affrontare tutte quelle rampe di scale fino in cima. Poté così arrivare su una delle torri senza affaticarsi troppo. Il Radiant Garden si trovava in piena stagione delle piogge: il cielo era cupo e nero e l’acqua cadeva a secchiate sul regno. Era sempre così quando finiva la stagione secca: quasi tutte le precipitazioni si concentravano in soli quattro mesi. Dopo sarebbe tornato il bel tempo, ma ancora era presto. Il sovrano si affacciò dalla balaustra, stretto nel suo camice bianco e con i due capi del mantello rosso avvolto alle sue spalle che venivano sollevati dalle raffiche di vento. Strinse forte il bordo bagnato in mattoni del parapetto finché le nocche gli diventarono bianche, ed aspirò forte l’aria carica di umidità.

“Figlia mia, figlia mia... che cosa ti è successo?...” si chiese, abbattuto. “E dire che ti avevo lasciato alla tua vecchia vita, senza rivelarti niente del tuo passato, proprio perché sapevo che così saresti stata felice...”

“Maestà, maestà!”, sentì una vocetta impaziente dietro di sé. Una persona piccola di statura gli arrivò dietro dopo aver salito le scale di corsa, e sollevandosi sulle punte dei piedi gli tirò il capo del mantello che gli pendeva sulla schiena.

“Kain, non adesso...” lo allontanò Ansem con una mano, senza guardarlo e continuando a fissare l’orizzonte.

“Ma maestà!”, protestò il bambino, pestando un piede. “Avevate promesso che mi facevate vedere le isole laggiù, oggi. Devo sapere tutto del regno, no? Lo dicevate voi.”

“Kain, devi stare buono... oggi non me la sento... torna giù, fai il bravo”, gli disse Ansem con tono paterno ed accomodante, facendogli una carezza distratta.

Il principe Ansem era perso nei suoi pensieri e non si rese conto che gli occhi marroni di Kain si erano riempiti di delusione. “Allora vado di sotto da Dilan...” disse solo il bambino prima di andarsene.

Ansem tornò a contemplare dall’alto il suo regno: dai giardini reali immediatamente sotto il castello, alla cittadina ed ai suoi quartieri, alla grande piazza del mercato dove avvenivano le riunioni per le comunicazioni importanti, agli ampi giardini, normalmente curati dai suoi sudditi, ed ora inzuppati d’acqua... e il suo sguardo spaziò fino alle imponenti mura che circondavano la città, più oltre sul mare di acqua dolce increspato dalla pioggia, fino all’orizzonte, dove si trovavano le varie isole, disabitate o con i villaggi dei contadini.

“Kairi...” mormorò. “Se solo potessi riaverti con me... se potessi riportarti nella tua vera casa, nel mondo a cui appartieni... chissà, forse staresti meglio...”

Ma quanto aveva fatto stare male sua figlia? Sia quando era piccina, non stando mai con lei e lasciandola insieme a sua nonna, come se la bambina fosse stata una paesana qualsiasi, sia quando gli era stata portata via, lasciandola perdere nel nuovo mondo in cui si era trovata, perché lui era troppo impegnato nei suoi piani di vendetta per preoccuparsi di lei. Con che faccia tosta ora poteva avere il coraggio di presentarsi da lei e dirle la verità? Ansem finora aveva cercato di comportarsi come se Kairi non fosse mai esistita, ma l’idea di proporle di tornare a vivere con lui gli solleticava sempre di più la mente.

“Ti ho lasciata dov’eri, perché ormai avevi trovato una famiglia ed altri amici, ed eri felice” parlò Ansem, come se lei fosse lì e potesse sentirlo. “Ma adesso per te le cose stanno andando male. Non so cosa tu abbia, ma dici che nel mondo in cui vivi non vuoi più stare... allora... chissà, forse mi perdoneresti anche, e accetteresti di stare con me.”

Aveva incontrato solo una volta Kairi, quando la ragazza aveva quindici anni. Ansem era rimasto sbigottito quando l’aveva vista, ed aveva dovuto fare del suo meglio per nasconderlo, perché non si aspettava di ritrovarsela così cresciuta. Si era dovuto trattenere per evitare di rivelarle la verità, ma si era reso conto che non avrebbe portato nessun vantaggio, né a lei né a lui, il fatto che lei venisse a conoscenza del suo passato. Le avrebbe sconvolto la vita e basta, e non lo avrebbe mai seguito, visto che non le avrebbe portato nessun vantaggio. Era dura però, comportarsi come un sovrano senza eredi. Ansem non avrebbe mai adottato un orfano come Kain, se avesse avuto ancora una discendente legittima. Oltre al fatto che i suoi sudditi avevano preso male la notizia che la loro futura principessa era ancora dispersa: certo, per le persone era facile dimenticare cose che non le riguardavano direttamente, ma Kairi era qualcosa di speciale. Infatti, da piccola non aveva vissuto come una dei reali, nel castello ma, stando con sua nonna, era sempre in mezzo al popolo. Quindi i sudditi si erano affezionati molto a quella bimba così bella, simpatica e amabile, così diversa da suo padre. Il fatto che Kairi fosse stata loro portata via era uno dei motivi per cui avevano iniziato ad odiare il vecchio principe. Riaverla di nuovo fra loro avrebbe aggiustato tante cose.

“Sei sempre stata una scelta migliore rispetto a Kain... sei già grande e saresti un’ottima principessa. Cosa darei per riaverti qui con noi...”

“Maestà, maestà!”, sentì una vocetta allegra, che stavolta non proveniva da dietro di lui. Guardò in basso, nello strapiombo. Poco dopo, un musetto di pelliccia bianca grondante pioggia, con un pon pon rosso sulla testa spuntò da sotto la balaustra. L’animaletto si mise in piedi sul parapetto e si scrollò l’acqua dal muso.

“Che succede adesso, Mog?” chiese stancamente Ansem. “Mi hai già fatto rapporto prima.”

“Certamente, maestà, kupò!” esclamò il moguri, portandosi una zampa alla fronte imitando il saluto militare. “Ma mi premeva di avvisarvi che con questo tempaccio non è che si stia bene molto in giro, kupò. E quindi, beh, tra una cosa e l’altra, si finisce che si sta rifugiati sotto le grondaie. E stando sotto le grondaie, si sente un po’ quello che la gente dice, kupò. E si sente che la gente ne ha abbastanza come te della pioggia...”

“Mog...” sospirò Ansem socchiudendo gli occhi. “Arriva al punto.”

“E sì, beh, come dicevo...” si affrettò a riprendere il moguri “stando là sotto ho sentito un po’ di chiacchiere in giro. Parlavano anche di voi. E beh, kupò... non erano molto lusinghiere... ho ritenuto opportuno venirvelo a riferire.”

Ansem sospirò forte, sentendosi ancora più stanco. “Niente di nuovo, insomma... faccio bene a non uscire mai... un passo falso, e me li ritroverei tutti addosso.”

“Volete che vi faccia compagnia, kupò?” chiese Mog, mettendosi a sedere sul parapetto.

“Dimmi, Mog... secondo te sono un pessimo principe, vero?”, chiese piano Ansem, aspettandosi un po’ di calore e supporto in quel momento così delicato.

“Non sia mai, kupò!” esclamò sdegnata la bestiolina. “Insomma, avete regnato saggiamente per tanti anni, e poi...” iniziò a fare la conta sulle dita delle zampe. “Avete fatto esperimenti dall’etica dubbia, lasciato che Xehanort rapisse vostra figlia senza mai riportarla al suo popolo, abbandonato il vostro regno e i vostri sudditi per motivi di vendetta lasciando soccombere il Radiant Garden nell’oscurità, kupò, e non vi fate mai vedere in giro, quasi che dei vostri sudditi non vi importi nulla. Insomma, sono errorini da niente, potrebbe farli chiunque. Perché qualcuno dovrebbe avere qualcosa contro di voi, kupò? Quelle lì erano chiacchiere isolate.”

Ad Ansem, man mano che il moguri parlava, si era affossata sempre di più la testa tra le spalle. Tirò un forte sospiro e tenne le palpebre abbassate cercando di restare calmo. Quello che lo faceva irritare era che Mog non lo stava provocando di proposito, ma era sincero nel suo parlare, e si stava anche impegnando. Quel moguri certe volte era talmente sciocco che Ansem non capiva perché, tanto tempo prima, avesse affidato a lui il compito di ricognitore. Forse perché era l’unico in quel mondo capace di volare. Ma non aveva la forza nemmeno per arrabbiarsi. In quel momento, anche una bestiolina del genere poteva andare bene come interlocutore.

“Sei stato gentile a tirarmi su il morale, ti ringrazio”, disse, cercando di suonare il più sincero possibile.

“Ma vi pare! È dovere del vostro umile servo essere di conforto al proprio signore, kupò. Sapete che avrete sempre il mio supporto morale!”, esclamò Mog, molto fiero di sé, congiungendo le zampe e chinando la testa.

Ansem si consolò parzialmente ragionando che, purtroppo, non era colpa del moguri, lui stava facendo del suo meglio.

“E dimmi... cosa penseresti... se mia figlia tornasse nel nostro regno?”

L’animaletto inclinò la testa di lato e scosse un orecchio. “Intendete Kairi? Oh, se posso darvi un consiglio, la riporterei qui subito subito. Avreste un’erede fresca e pronta a diventare la nuova principessa. Pensate con Kain quanti anni dovreste aspettare invece, kupò!”

Ansem annuì. “Questo è vero. Grazie, Mog, mi sei stato utile.”

Il moguri, con un gran sorriso, si congedò dal vecchio principe e svolazzò via nella pioggia, sostenendosi con le sue alucce e cercando un riparo asciutto.

Ansem restò a ragionare lì un altro po’ e poi tornò nel suo laboratorio, pensieroso e riflettendo su quello che sapeva e su quanto Mog gli aveva detto.

“Ienzo, Even...” disse appena entrato. I suoi due apprendisti smisero con le loro occupazioni e si girarono a guardarlo, attenti. “Cosa ne dite se...?” Tirò un gran respiro. “Sì, insomma... se chiedessi a Kairi di tornare a vivere con noi?”

“Maestà!”, esclamò Even, sorpreso e sollevato. “Come mai questo cambio di idea così improvviso?”

“Non ho cambiato idea!”, precisò Ansem. “Ci sto pensando. Voglio sapere il vostro parere, prima. Sapete quanto mi fidi di voi.”

“Se volete la mia opinione, sire”, disse Ienzo, “andrei da lei quanto prima. Ne avevamo parlato tempo fa. Sapete che il popolo non è contento della situazione in cui ci troviamo. Una nuova principessa solleverebbe la loro fiducia e la loro opinione sulla vostra famiglia. Inoltre, dicevate che non avete più possibilità di decidere quasi nulla di persona, perché la vostra figura è compromessa. Kairi avrà di sicuro ereditato la vostra saggezza, e con un minimo di preparazione, potrebbe diventare la principessa in qualche mese. Allora potrete passarle una parte del comando e lei potrà cercare di aggiustare le cose che nel regno vanno storte, al posto vostro, e il popolo si calmerà. Che ne pensate?”

“Hai assolutamente ragione, Ienzo”, annuì Ansem. “Diciamo che non volevo rivelarle nulla, perché non volevo guastare la sua felicità...”

“Ma maestà”, intervenne Even. “Questo è il punto. Kairi non è felice, dove si trova. Non ha detto lei stessa a Riku che vorrebbe venire via dal loro mondo? A questo punto, non mi farei più molti problemi. Qui con noi potrebbe ritrovare la sua felicità, qualunque sia il motivo della sua tristezza di adesso.”

“L’unico problema in tutto questo è Kain”, commentò Ienzo, grattandosi una tempia. “Sappiamo tutti quanto è eccitato ed impaziente all’idea di diventare principe... ci rimarrebbe molto male.”

Ansem scosse la testa. “No, non sarebbe un problema. Conoscete la legge, no? Ci possono essere più principi nella linea di successione, chi vieterebbe a Kairi e Kain di essere principi insieme? Lui è più giovane di lei, comunque diventerebbe principe regnante dopo di lei. Soltanto se Kairi dovesse avere un figlio Kain verrebbe escluso dalla linea di successione.”

Even fece un mezzo sorriso. “E secondo voi Kairi eviterebbe di sposarsi ed avere figli per tutta la vita solo per fare un piacere a Kain e mantenerlo nella linea? Lo so che ha il cuore puro, ma non penso che arriverebbe fino a questo punto.”

“Risparmia le parole”, lo interruppe il vecchio principe, facendo un gesto come a voler scacciare una mosca. Era un argomento fastidioso. “E comunque, da qui a quando Kain avrà l’età per regnare potrà succedere di tutto, inutile fasciarci la testa prima di romperla. Intanto, non è affatto detto che Kairi accetterà di venire con noi.”

“Dunque avete deciso, maestà?” chiese Ienzo, speranzoso. “Avete deciso di dirle la verità e riprenderla nel regno?”

Ansem fissò i suoi apprendisti coi suoi caldi occhi arancioni circondati da rughe, poi uscì dal laboratorio, percorse i corridoi ed uscì dal portone.

“Aeleus!”, esclamò alla guardia. “Dov’è Dilan? Perché non è qui con te?”

“È col bambino, maestà. L’ha portato un momento in camera per distrarlo un po’, visto che sembrava arrabbiato e qui è tutto tranquillo.”, esclamò rispettoso l’altro uomo. “Devo chiamarlo?”

“No, basti tu. Fai preparare la mia gummiship. La voglio pronta entro domattina”, ordinò il vecchio principe.

 

Erano passate tre settimane da quando Kairi era ritornata a casa. Era uscita dall’oltretomba senza farsi notare ed aveva riportato la gummiship al Castello Disney senza dare spiegazioni a nessuno. Alle Isole del Destino aveva ripreso la sua vecchia vita, almeno in teoria. Ma le cose per lei erano profondamente cambiate. Aveva perso tutta la sua grinta e il suo coraggio, e non aveva più nemmeno la profonda tristezza e nostalgia che caratterizzavano le sue giornate prima della partenza. Semplicemente, era un guscio vuoto. Svolgeva quello che doveva fare in modo meccanico e senza emozioni, quando qualcuno le parlava i suoi occhi lo attraversavano come se davanti a sé non avesse nessuno, e il suo viso pareva aver perso la sua capacità di esprimere sentimenti. L’unica cosa che era cambiata era il suo rapporto col cibo: si contentava solo di bere qualche sorso d’acqua ogni tanto, e se prima di partire bene o male riusciva a buttare giù qualcosa perché suo padre la imboccava, ora rifiutava anche questo. In quelle tre settimane i quarantotto chili del suo peso forma si erano ridotti a quarantacinque.

“Kairi, dimmi, dimmi cos’hai!”, la implorava Riku, disperato, afferrandola per le braccia e guardandola con estrema preoccupazione. “Dimmi cosa posso fare per aiutarti!”

Kairi lo guardava stranita e non rispondeva. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Come poteva spiegargli che aveva appena perso l’amore della sua vita, quello stesso uomo che era stato il migliore amico di Riku ma di cui adesso lui non ricordava nemmeno l’esistenza? Kairi non aveva bisogno di un altro colpo al cuore come questo. Non voleva parlarne con lui. Non voleva parlarne con nessuno. Si era rifiutata di dire qualcosa a suo padre, alle sue amiche d’infanzia. Anzi, meno gente aveva intorno a sé e meglio stava. Sulle isole il tempo era bello tutto l’anno, ma a lei pareva di non vedere più i colori. Non c’era più nulla che poteva farla reagire ed emozionare, per lei nulla contava più qualcosa. Sentiva che dentro non aveva più niente, e non aveva più la spinta per fare niente. Una volta, presa da uno sprazzo insolito di autoconservazione, aveva provato a mangiare qualcosa, ma una sensazione di malessere terribile l’aveva travolta, ed aveva dovuto smettere. Anche il suo corpo spossato rifiutava il cibo. Ogni tanto ancora usciva di casa, camminando estranea a tutto quello che succedeva intorno a lei, ma quando alzava gli occhi al cielo azzurro delle loro isole, si sentiva gli occhi bruciare, senza però piangere, perché ormai le lacrime non le venivano più. Dovunque andasse, in ogni angolo delle loro isole, c’era qualcosa che le ricordava Sora o qualcosa che avevano fatto insieme. Magari una pietra dove lui si era seduto, o un tronco d’albero a cui usava appoggiarsi, o un angolo dove era sua abitudine giocare da piccolo. Kairi passava, guardava quei posti caratteristici e si sentiva l’anima sprofondare nel buio, semmai ne avesse avuta ancora una. Questi momenti di profonda depressione in cui vedeva tutto nero si alternavano come niente a momenti di profonda gioia: il suo corpo ormai debilitato e stanco faceva di tutto per farla aggrappare alla vita, e così capitava a volte che Kairi vedesse vicino a lei l’unica persona che avrebbe potuto renderle la felicità e la voglia di tornare a vivere.

“Ah, ma allora sei qui con me...” mormorava con un filo di voce, sorridendo in un modo che era solo l’ombra del suo sorriso aperto di una volta. Allungava tremante una mano, e sentiva il tocco forte e sicuro di lui, che in piedi vicino a lei, le sorrideva innamorato coi suoi occhi azzurri ed adulti, le accarezzava il viso, e lei sospirava sentendo di nuovo le sue mani ruvide e calde sulle guance.

A volte ripensava alle cose che si erano detti nelle loro pause per riprendersi, quando stavano sdraiati abbracciati su quel mare che li sosteneva. Quando parlavano di quello che avrebbero fatto se avessero potuto vivere insieme come desideravano. Passando lentamente ai confini del paese, sulla spiaggia, Kairi individuava un punto un po’ distante dalle altre case, con la vista direttamente sul mare. Allora si girava verso di lui e gli chiedeva, curiosa di sapere la sua opinione: “ecco, non dicevi che avresti preferito una casetta piccola, un po’ separata dalle altre, in modo che potessimo stare più tranquilli? Che ne pensi di quel punto, vogliamo farla costruire lì?” E Sora la guardava, con quello sguardo che riservava solo a lei, con gli occhi che avevano perso tutta la loro tristezza ed avevano ritrovato la loro allegria e serenità di sempre, e annuiva sorridendo, col viso pieno di speranza e fiducia nell’avvenire. Anche Kairi gli sorrideva. “Sapevo che ti sarebbe piaciuto il posto. Vedrai, saremo felici nella nostra casa, noi due.” Si sedeva poi sulla spiaggia, fissando il mare, tenendo una una mano nella sua. “Sai che so cucinare bene, vero? Ho imparato da piccola, preparavo un sacco di cose per te e Riku, ti ricordi? Vedrai, quando vivremo insieme mi alzerò prima di te e ti farò la colazione tutte le mattine.” Sora le sorrideva allettato all’idea e le parlava, e la sua voce era così concreta e viva che per Kairi non c’era nessun dubbio che lui fosse lì. “Ma anch’io so cucinare, sai? Ho imparato a farlo nella mia ultima avventura.” “È vero”, annuiva Kairi. “Sì, me l’hai detto, mentre ci riposavamo.” “Però non è sempre così facile”, precisava Sora. “Per esempio, le uova sono un po’ difficili da rompere nel modo corretto.” Kairi allora si metteva a ridere, e rideva con il suo cuore tornato intatto e la sua anima ritrovata. “Rompere le uova difficile? Sei tanto bravo in tutto e mi cadi su queste cose? Va bene, vuol dire che tu preparerai tutta la colazione tranne le frittelle, quelle le lascerai a me. Se riuscirai a svegliarti presto intendo, che non è scontato. Pigrone che sei!” Sora si metteva a ridere nel suo modo allegro e fresco, anche se un po’ diverso dal solito per la sua voce di uomo adulto, e avvicinandosi i due si davano un lungo bacio, uno dei tanti che nella loro vita insieme si sarebbero dati.

Kairi si crogiolava così nei suoi sogni e nelle sue allucinazioni, gli unici momenti in cui era davvero felice perché tutto della sua percezione le diceva che Sora era lì con lei. E tuttavia, non mangiava e diventava sempre più debole col passare dei giorni. La notte era ancora una volta il suo unico rifugio, perché, ora che sapeva davvero com’era stare insieme a Sora e fare l’amore con lui, lo vedeva e lo sentiva con magnifica esattezza di fianco a sé, finalmente in un letto comodo e asciutto, con dei cuscini morbidi dove affondare la testa e delle coperte calde che li proteggevano, anche se era un po’ stretto per contenere due persone. Kairi, abbracciata a lui, sentiva di nuovo le sue mani, il sapore caldo delle sue labbra, il suo profumo intenso e virile mischiato con la salsedine e le parole che le sussurrava all’orecchio. Saperlo lì di fianco a lei le permetteva anche di non impazzire al pensiero che lui in quel momento, in realtà, si trovava in quel limbo infinito, lontano da tutto e da tutti, completamente solo e senza nessuno a tenergli compagnia se non i suoi ricordi e rimpianti. “Quand’è che tornerai e starai con me per sempre?” gli chiedeva stesa di fianco a lui, mentre gli baciava il collo. “Presto, devi solo aspettarmi. Tornerò sempre da te, non importa quanto ci vorrà”, era la sua risposta sempre uguale. Kairi così ogni giorno aspettava, nell’incertezza fiduciosa che la faceva trascinare da un giorno all’altro, perché il suo corpo e la sua mente si rifiutavano di affrontare la realtà per quella che era, e cercavano di costruirle intorno delle illusioni. Ma, man mano che il tempo passava, la terribile realtà si faceva sempre più strada dentro di lei: Sora non sarebbe mai tornato, e lei non l’avrebbe rivisto mai più. Tutti i dialoghi che aveva regolarmente con lui, in realtà erano dei monologhi, e pur nella disperazione della sua mente, la donna si rese infine conto che, facendo così, non stava rispettando la volontà del suo amato. Cos’è che lui voleva da lei? Che vivesse la sua vita e tornasse ad essere felice senza di lui. Doveva trovare un’altra strada, una strada che non comprendesse una casa insieme a lui e i viaggi per i mondi insieme a lui, e lui nella sua vita.

Questo però Kairi lo sapeva a livello razionale. Ma il suo corpo stava cedendo, il suo cuore stava cedendo, e tutto dentro di sé tranne il ricordo delle parole di Sora la trascinavano in un abisso che le impediva di ripartire. Era come se fosse incapace di nuotare, e Sora fosse sempre stato il suo salvagente. Ora che non c’era più, per Kairi era come affogare. In uno dei suoi rari momenti di lucidità, si rese conto che, se voleva ripartire, doveva trovare l’appoggio di qualcuno. Ma di chi? Kairi era sensibile ed intelligente, e non ci mise molto a rendersi conto che a nessuno degli altri guerrieri con cui aveva combattuto importava granché di lei. Forse Lea... ma no, nemmeno lui. Le era stato amico soltanto durante la sessione di allenamento, ma dal momento che aveva ritrovato Xion, Roxas e Isa, i suoi vecchi amici, non si era fatto più sentire né vedere. Aqua? Era troppo impegnata a recuperare il tempo perduto con Ventus e Terra, nemmeno lei avrebbe avuto tempo o voglia. Naminé? Si era unita al gruppo di Lea a Crepuscopoli, senza più preoccuparsi della persona da cui si era originata. Erano tutti felici. Tutti tranne lei. A lei restava Riku. L’amico del cuore a cui voleva un bene dell’anima e che le voleva un bene dell’anima. Ma, paradossalmente, era quello di cui lei sopportava meno la presenza. Non per colpa sua o del suo carattere, poveretto. Ma per il fatto che, per lei, il fatto che lui non si ricordasse di Sora e si comportasse come se lui non fosse mai esistito era un dolore troppo grande da sopportare. Ogni volta che erano insieme e Riku le dava dimostrazione che per lui non era esistito un altro amico al di fuori di loro due, Kairi sentiva il cuore sbriciolarsi in tanti pezzettini. Perciò, per cercare di evitare di sentire ancora più male, cercava di vederlo il meno possibile. Sapeva che era sbagliato in fondo quello che stava facendo, e che Riku soffriva molto per questo. Ma Kairi non poteva spiegargli niente, né aprirgli il suo cuore e dirgli quanto stesse male: non voleva che Riku potesse pensare che fosse pazza o chiedesse a suo padre di mandarla in terapia. Preferiva soffrire da sola e portare questo dolore senza condividerlo con nessuno. Solo una volta, quando proprio non ce l’aveva fatta più, si era lasciata sfuggire un suo desiderio con Riku: andare via da quelle isole. Riku ci era rimasto male, perché l’aveva indirettamente interpretato come un desiderio di allontanarsi anche da lui. Ma Kairi non ce la faceva più ad andare avanti in quel modo: se davvero voleva rendere onore al suo innamorato, ripartendo con la sua vita, non poteva farlo sulle Isole del Destino. Quel mondo era un macigno per il suo cuore. Dovunque si girasse, c’era qualcosa che le ricordava lui, quando cercava di allontanare la mente da Sora e di pensare a qualcos’altro, vedeva o sentiva o percepiva qualcosa che glielo riportava alla mente. Quelle isole erano piene di lui, ed anche se le prove della sua esistenza erano state cancellate, i ricordi in Kairi rimanevano. Desiderava poter ripartire da capo da un’altra parte, in un mondo completamente privo delle tracce del suo amato, un posto dove lei nemmeno impegnandosi avrebbe potuto farselo venire in mente. Questa era la base, la condizione necessaria senza la quale sarebbe stato impossibile per lei ripartire. Ma come poteva fare? Prendere ed andarsene in un mondo a caso? Senza conoscere nessuno, senza un supporto? E come avrebbe giustificato la cosa con suo padre e con Riku? Tutte queste domande la tenevano bloccata nel suo limbo, impedendole di reagire e di fare qualunque cosa, mentre il suo sguardo si svuotava, il suo peso diminuiva e i capelli rosso scuro diventavano opachi e si staccavano appena li sfiorava.

Il giorno successivo in cui al Radiant Garden era stata recepita la notizia, la gummiship del principe Ansem si avvicinava al mondo delle Isole del destino. Aveva scelto di venire da solo, senza i suoi apprendisti, senza Kain e senza nessuno. Nonostante in tutti quei mesi si fosse portato appresso il bambino ovunque per fargli imparare più cose possibili, adesso sentiva che sarebbe stato un estraneo nelle interazioni fra lui e sua figlia. Se Kairi avesse accettato di seguirlo, avrebbe di certo dovuto conoscere Kain, ma lo avrebbe fatto con più calma, una volta tornati nel loro mondo. Ora doveva vedersela da solo. Per una volta, si era tolto il camice: indossava la divisa che tutti i principi del suo regno, con delle variazioni a seconda del compito di ognuno, portavano. Nel suo caso, era una giacca color panna con le maniche lunghe, che copriva parzialmente, lasciandola scoperta sul davanti, una maglia nera. La giacca era legata davanti con dei lacci di cuoio incrociati e in vita portava la cintura con la fibbia a forma di cuore, il simbolo della sua casata. Intorno al collo, sulle spalle, aveva sempre avvolta quella via di mezzo fra sciarpa e mantello, e da essa, a coprirgli le spalle, c’erano due placche metalliche con lo stesso cuore che aveva sulla fibbia. Inoltre, semplici pantaloni neri e scarpe di cuoio, nere anche quelle. Non era una divisa complicata, la loro.

Atterrò con cautela sulla spiaggia dell’isola più grande, dove si trovava il paese. Non aveva pensato ad un modo per nascondere la gummiship, ma sapeva che era una cosa inutile. Per trovare Kairi, avrebbe dovuto comunque presentarsi ai nativi, e loro avrebbero comunque saputo che veniva da fuori. Quindi era il caso di presentarsi come si conveniva ad un sovrano, mantenendosi però sul vago senza dire esplicitamente che esistevano altri mondi. Come si immaginava, la gente iniziò ad uscire dalle case e circondò la navicella tenendosi però a distanza, confusa ed atterrita. E quando Ansem uscì dalla gummiship, camminando sulla rampa ed appoggiando i piedi sulla sabbia, le persone si ritrassero intimorite. Era certo che non avevano mai visto nulla di simile in vita loro.

“Per favore!” disse Ansem alzando la voce, in modo che tutti potessero sentirlo. “Non abbiate paura, vengo in pace. Vorrei parlare col prin... volevo dire, col capo di queste Isole. Dove posso trovarlo?”

Subito le persone si iniziarono a guardare l’un l’altra, mormorando fra loro. Un signore più distinto degli altri spiccò tra la folla. “Sono il sindaco delle Isole del Destino”, rispose, staccandosi dal gruppo e avvicinandosi a lui. “Vedo che è venuto in amicizia. Le do il mio benvenuto”, lo accolse stringendogli la mano. “So che viene da un altro mondo”, disse poi a bassa voce in modo che gli altri non potessero sentire. “Come posso esserle d’aiuto?”

“Vede... sto cercando una ragazza di nome Kairi. Sapete dove la posso trovare?” chiese allora Ansem, rispettoso.

Il sindaco allargò appena gli occhi e si girò verso la folla intimorita. “Potete tornare nelle vostre case, cittadini. Qui va tutto bene, aiuterò io il nostro ospite.”

Le persone tirarono un gran respiro di sollievo e la massa rapidamente si dissolse. Quando sulla spiaggia furono rimasti solo i capi dei due mondi, il sindaco chiese al vecchio principe: “posso sapere con chi sto parlando?”

“Certamente. Sono il capo del mondo di Radiant Garden”, rispose l’altro, abbassando brevemente la testa.

“E perché desidera vedere Kairi?” chiese il sindaco, non troppo convinto.

“Ho... bisogno di parlarle”, rimase sul vago Ansem.

“Kairi è mia figlia. Ma adesso sta molto male e non è nelle condizioni di vedere nessuno.” Come capo delle Isole del Destino, anche il sindaco sapeva essere autoritario.

“È per questo che sono venuto. Forse dopo che le avrò parlato, starà un po’ meglio”, cercò di convincerlo Ansem.

“Le ripeto, signore: questa sua visita è un onore per noi, ma mia figlia sta male e non può ricevere visite.”

“Signore! Signor sindaco!” sentirono una voce di giovane uomo poco distante. Il sindaco si voltò: era Riku che arrivava di corsa.

“Oh, Riku!” esclamò sorpreso e sollevato Ansem appena lo vide.

“Come? Tu lo conosci, Riku?”, chiese sorpreso il sindaco.

“Sì. Non deve preoccuparsi, signore, Ansem il saggio è una persona di cui possiamo fidarci. Qual è il problema?”, chiese al principe.

“Riku... ho bisogno di vedere Kairi”, disse ancora Ansem.

“Tornavo proprio da casa sua”, rispose Riku, intristito. “Sta molto male, non c’è verso di tirarla su o convincerla a mangiare.”

“Esatto, Riku”, annuì il sindaco. “Per questo stavo cercando di far capire al nostro gentile ospite che non è il caso...”

“Ma signore”, lo interruppe Riku. “Se Ansem vuole parlare con lei, sicuramente è un motivo importante. Si fidi, io lo conosco bene, non sarebbe mai venuto qui per cose futili o per farle perdere tempo. Lasci che veda Kairi.”

Il sindaco guardò prima Riku, poi Ansem, ed infine sospirò socchiudendo gli occhi.

 

Kairi in quel momento era chiusa nella sua camera. La sua casa si trovava distante dalla spiaggia, e non si era accorta dell’arrivo di Ansem. Era abbattuta e in uno dei suoi momenti di dormiveglia: Riku era appena andato via, anche se avrebbe voluto restare. Era lei che lo aveva allontanato facendogli capire sottilmente che tutto quello che voleva era restare sola. Era distesa sul letto, sopra le coperte, girata verso il muro, facendosi dei segnetti sull’avambraccio con le unghie dell’altra mano. Non premeva abbastanza da ferirsi, ma con quel poco di dolore che provocava lasciando quei segni le sembrava di poter allontanare il male che sentiva dentro, almeno un po’. D’altra parte, ogni volta che si premeva l’unghia sulla pelle, immaginava la mano di Sora che cercava di trattenerle il polso, pregandola di non farlo e di reagire a tutto quel dolore che stava provando. Ma non poteva farne a meno. Nemmeno le parole che Sora le aveva detto riuscivano a farla un po’ riprendere. Sentì a quel punto la porta di casa che si apriva.

“Kairi, sei in camera?” Era la voce di suo padre.

“Babbo, stai fuori... non ho voglia di uscire...” rispose lei con voce stanca.

“Abbiamo un ospite che chiede di te”, aggiunse il sindaco.

“Mandalo via”, rispose semplicemente Kairi. Sapeva che era scortese e che non era opportuno comportarsi così, ma in quel momento non le importava.

Sentì a quel punto la porta della sua camera aprirsi senza tanti preamboli, e qualche passo deciso che sembrava lasciato da qualcuno che aveva appena perso la pazienza. Si girò di scatto.

“Riku, che ci fai di nuovo qui?”, gli chiese sorpresa e lievemente irritata. Il giovane era in piedi vicino al suo letto e la guardava duro.

“Kairi, adesso tu ti alzi da quel letto e vieni di là. Se non lo fai, ti faccio alzare io. C’è Ansem, è venuto sulle Isole apposta per parlare con te.”

Kairi era sbigottita. “Ansem?” chiese tirandosi su a sedere con fatica. “Sì, ma... quale Ansem?”

Riku alzò gli occhi al soffitto. “Ansem il Saggio. Il capo del Radiant Garden.”

“Lui? Vuole parlarmi?” Kairi si affrettò ad alzarsi in piedi, e seguì Riku nel salotto, dove il sindaco aveva già fatto accomodare il loro ospite.

In quel momento Kairi si vergognò di non essersi data una sistemata: aveva indosso la stessa maglietta e gli stessi pantaloncini che aveva messo anche il giorno prima, e non si era nemmeno data una spazzolata ai capelli. Non era così che si riceveva un ospite importante. Ma stranamente Ansem, appena la vide, allargò appena gli occhi arancioni, come se avesse avuto una visione. Non diede troppo mostra del suo stupore, rimanendo nella discrezione tipica di un vecchio sovrano. Kairi si avvicinò a lui e fece un profondo inchino.

“Ansem il Saggio... è tanto tempo che non ci vediamo più. Le do il benvenuto in casa nostra, e mi scuso per non essere... insomma... messa così bene.”

“Non c’è problema”, rispose rassicurante il vecchio principe. “Sono... felice di rivederti, Kairi.”

Kairi si stupì a quella frase. Perché mai avrebbe dovuto essere felice di rivederla? L’aveva vista di sfuggita solo una volta, e non avevano mai interagito prima d’ora.

“Quanti anni hai adesso, Kairi? È passato parecchio tempo, e non ricordo bene” le chiese Ansem.

“Quasi diciassette”, rispose Kairi, senza capire il perché di quella domanda.

 Ansem allora annuì con lo sguardo pensieroso, e si alzò in piedi.

“Siete stati gentili ad accogliermi in casa vostra, ma avrei bisogno di parlare con Kairi... da solo.”

“Da solo?” chiese il sindaco, un po’ stupito e un po’ sospettoso. Anche Riku era sorpreso, ma cercò di rassicurarlo.

“Stia tranquillo, conosco bene Ansem il Saggio, non ha cattive intenzioni. Se vuole parlare con Kairi da solo, avrà un motivo più che valido.”

“Grazie”, disse il principe, chinando appena la testa. Poi si girò verso Kairi, che lo guardava preoccupata. “Perché intanto non mi fai vedere un po’ qua attorno? Sembra davvero una bella cittadina, la vostra.”

Kairi si sentì male a quella richiesta. Percorrere nel dettaglio i luoghi in cui lei era cresciuta con Sora? E magari spiegarli al sovrano in modo accurato? Farsi venire in mente altri ricordi di lui? Tuttavia si rese conto che Ansem non lo faceva apposta, doveva averglielo proposto solo per rompere il ghiaccio. Evidentemente era una questione lunga e delicata.

“Certamente”, rispose allora, cercando di celare la sua sofferenza. “Aspetti, vado a darmi una sistemata.”

Si preparò in cinque minuti, almeno per avere un aspetto più accettabile agli occhi del loro importante ospite. Sì mise una maglietta smanicata e una gonna discreta, perché mettersi i pantaloni lunghi era fuori questione, date le alte temperature di quelle isole. Era da tempo che non si metteva più quella gonna, e visti i chili che aveva perso, se la dovette stringere di più di quanto era abituata a fare per far sì che non le cadesse. Si diede una pettinata ai capelli in disordine e tornò in sala. Non sapeva quanto effettivamente il proprio aspetto fosse migliorato, visto che il suo corpo smagrito non la aiutava di certo in questo senso, ma notò che Ansem la guardava con una certa insistenza. Kairi si sentì un po’ a disagio, ma capì che non era uno sguardo malizioso, anzi, più che altro meravigliato, e quindi non vide motivo di preoccuparsi.

Una volta fuori, Kairi scelse una via a caso in mezzo al paese, iniziando ad illustrare al suo accompagnatore i vari luoghi, gli ambienti, le piazze e gli scorci, mentre gli abitanti che incrociavano li guardavano sospettosi e preoccupati. Spiegava senza entusiasmo, cercando di allontanare Sora dalla mente, in attesa che Ansem, che camminava in silenzio di fianco a lei, si decidesse a dirle il vero motivo per cui era venuto lì. Certo non per un tour gratuito delle Isole del Destino.

“...e quella è l’isola più piccola dove...” inghiottì la saliva che le si era raccolta in bocca. “Dove io e i miei amici giocavamo da piccoli.”

Il giro dell’isola principale era finito ed erano arrivati sulla spiaggia, e Kairi stava indicando l’isoletta  che più di ogni altra cosa custodiva i ricordi del suo amato. Sperò con tutto il cuore che Ansem non le chiedesse di portarlo a vedere anche quella. Il suo cuore non avrebbe retto. Ma il vecchio principe non le chiese questo. Fece invece un commento.

“È davvero bello il tempo qui. Non come da me, dove in questi mesi non fa altro che piovere. Sai che anche nel Radiant Garden ci sono molte isole? Non sono come queste però. Sono montuose e disabitate, oppure pianeggianti con dei villaggi rurali.”

“Davvero?”, chiese Kairi, fingendosi interessata. In realtà la sua mente aveva mostrato uno spiraglio di curiosità. Aveva dei ricordi nebbiosi riguardo il suo mondo natìo, ma non ricordava la presenza di isole. Ricordava vagamente solo la città.

“Dimmi, Kairi, cosa ti ricordi del Radiant Garden? Lo sai che sei originaria di quel luogo, vero?”

Kairi annuì. “Sì, questo lo so. Mi ricordo... le vie acciottolate. E le mura. E i giardini coi fiori. Ma altro...”

“E non hai mai sentito il desiderio di tornarci?”, indagò Ansem.

Kairi scosse la testa. “Non sentivo questo desiderio. Anche se non sono originaria di queste isole, ero felice qui, e lo sono sempre stata, prima che... prima che...” Non riuscì a trattenersi e si appoggiò una mano sulla faccia, singhiozzando piano. “Scusi... non volevo...” mormorò poi, cercando di darsi un contegno.

“Non importa”, la rassicurò Ansem. “Non c’è bisogno di dirmi il motivo per cui stai così male, se non vuoi. Ma dimmi... non ti trovi più bene qui? Non ti piacciono più queste isole?”

“No”, rispose subito Kairi, scuotendo la testa. “Vorrei tanto... vorrei tanto andarmene. Non voglio più stare qui. Ma... non saprei dove andare, né cosa fare.”

“E se ti dicessi che potresti tornare a vivere nel Radiant Garden?”, chiese Ansem a quel punto, guardandola fisso.

Kairi si tolse la mano dalla faccia e lo guardò stupita. “Al Radiant Garden? Senza nessuna conoscenza, da sola, così?”

“E ti dirò di più”, aggiunse Ansem. “Se ti dicessi che potresti vivere non come una semplice cittadina, ma potresti esserne la principessa, fra non molto?”

A Kairi venne da sorridere, nonostante la tristezza. “Signore, sono già una principessa. Ce ne sono altre sei come me.”

Ansem scosse la testa. “Non intendevo in quel senso. Principessa come capo di un mondo. Tu un giorno potresti governare tutto il Radiant Garden.”

Stavolta Kairi non riuscì a trattenersi e rise davvero, anche se mantenendosi nei limiti del rispetto verso l’anziano ospite. Le venne in mente, inoltre, che era la prima volta che rideva da quando aveva perso Sora. “Io, principessa del Radiant Garden? E perché dovrei esserlo? È vero che ho il cuore puro, ma per il resto sono una ragazza qualsiasi. Non tutte le principesse del cuore sono principesse davvero. Non ho proprio niente di particolare.”

“Ne sei sicura?”

“Certamente”, annuì Kairi. “Il sovrano di quel mondo è lei, io cosa c’entro?”

Ansem non rispose a quella domanda, ma le rivolse un’occhiata che aveva qualcosa di autoritario e affettuoso al tempo stesso. Kairi conosceva bene quello sguardo, perché spesso suo padre adottivo la guardava allo stesso modo. Spalancò gli occhi, incredula. “No... non è possibile...” mormorò, quasi senza emettere voce e sentendosi svuotare.

“E invece è così”, annuì Ansem, mentre i suoi caldi occhi arancioni erano lucidi. “Kairi, quando eri piccola... avevi solo quattro anni... Xehanort ti ha portato via da me e dal nostro regno. Non puoi ricordarti di me, perché ero così impegnato coi miei esperimenti da non rivolgerti mai le attenzioni che meritavi. E anche quando ho scoperto dov’eri finita... non ti sono più venuto a cercare. Un po’ perché ero troppo occupato a cercare di vendicarmi, e un po’ perché sapevo che qui comunque saresti stata felice. Ma sei comunque mia figlia. Kairi, so che mi sono comportato in modo orribile con te, e se volessi perdonarmi... sarebbe l’onore più grande che un vecchio principe come me potrebbe avere.” Per quanto la sua corporatura lo permetteva, Ansem fece un profondo inchino davanti alla ragazza.

Kairi era sbalordita nel vedere un sovrano come lui inchinarsi così davanti a lei. Dunque, il mistero si era risolto... Ansem il saggio in realtà era suo padre? Erano quelle le sue origini? Il sangue reale le scorreva nelle vene? E lui era venuto apposta per rivelarglielo? Effettivamente le mancava solo quel tassello per ricostruire le sue origini fino in fondo. Aveva sempre saputo di non essere nativa delle Isole del Destino. A quattordici anni aveva scoperto che il suo mondo originario era il Radiant Garden. E adesso, a diciassette anni, scopriva chi era suo padre e che ruolo avrebbe dovuto avere lei in quel mondo, se fosse rimasta. Il puzzle era completo.

“Sono venuto apposta”, continuò il principe “perché ho saputo che stai molto male, e che vorresti venire via da qui. Me l’hai confermato di nuovo. E allora è bene che tu sappia... le cose da noi non vanno per niente bene. Tutti i miei sudditi ti amavano molto quando eri piccola, e tutti noi vorremmo tanto che tu tornassi al mondo a cui appartieni. Sono sicuro che sei una ragazza giudiziosa e intelligente, e sono convinto che con te al mio fianco il nostro regno potrebbe risollevarsi in poco tempo. Per questo, te lo chiedo con l’umiltà di un povero vecchio. Vuoi tornare al tuo mondo di origine, per diventarne la principessa e governarlo con saggezza? Non sarai mai sola: ci sarò io, i nostri funzionari e i nostri sudditi ti saranno vicini, e lì potrai trovare la tua felicità e la tua strada, ne sono sicuro.”

Kairi, a cui stava girando la testa per le troppe informazioni ricevute in un colpo solo, non riuscì ad afferrare immediatamente la gravità di quello che Ansem le aveva appena detto: era indebolita e deperita, e la sua percezione, che stava cercando di tenerla attaccata alla vita, le fece afferrare in modo completo una cosa sola, ossia che il principe le stava offrendo di ripartire da capo in un altro mondo, che non conservava nessuna traccia di Sora. Che Ansem fosse suo padre, che l’avesse trascurata ed abbandonata da piccola, che lei fosse la principessa perduta di un regno erano concetti che al momento non la toccavano. Quel sovrano le stava offrendo la nuova vita che tanto cercava su un piatto d’argento. Anzi, la stava addirittura pregando perché accettasse.

“Vengo”, rispose semplicemente, ma con tono convinto.

Quella semplice parola fece sbalordire il vecchio principe. “...Come hai detto?”

“Ho detto che vengo con lei”, insisté Kairi. “Anche subito.”

Ansem era sempre più esterrefatto. “Acconsenti in questo modo? Non sei arrabbiata con me per quello che ti ho fatto? Quello che ti ho detto non ti sconvolge? Non vuoi rifletterci un po’ prima di decidere?”

Kairi negò con la testa. “In questo momento no. Adesso voglio solo andarmene di qui... per favore, mi porti con lei!”

Ansem, che era stato colto di sorpresa, fece un passo indietro. Evidentemente non si aspettava che le cose sarebbero state così facili. “Non posso portarti con me adesso, Kairi. Devo preparare il regno e il castello al tuo arrivo, e... sicuramente anche tu dovrai prepararti e salutare un po’ di persone. Non vorrai venire via ed abbandonarle di colpo?”

Kairi allora rifletté. Il vecchio principe aveva ragione. Non poteva prendere ed andarsene in quel modo. Doveva prima parlarne con suo padre e tranquillizzarlo sul suo avvenire. Ed anche salutare Riku e le sue amiche d’infanzia. Era probabile che non li avrebbe rivisti più per molto tempo, ma non se ne preoccupava. Voleva tagliare ogni collegamento con quella terra e con quelle persone, solo così avrebbe potuto smettere di soffrire. Era tempo di tornare alle proprie radici, cioè in quel mondo che l’aveva vista nascere e trascorrere i primi anni di vita. In questo modo avrebbe potuto, forse, mettere Sora in secondo piano nella sua mente e ricominciare da capo.

“Va bene, signore”, annuì, più calma. “Aspetterò tutto il tempo che serve. Mi promette, però, che tornerà a prendermi?”

Ansem annuì. “Ti prometto che fra una settimana sarò di nuovo qui. Tu preparati un po’ di vestiti, ci vorrà del tempo prima che ti possa dare una divisa simile alla mia. Questa la indossano i principi, ma prima di diventarlo voglio che impari bene come è fatto il regno ed i problemi che ha. Solo allora ti darò una parte di governo e diventerai una principessa.”

Kairi annuì. “Farò del mio meglio per essere di aiuto alla popolazione.”

Ansem sorrise. “Questo volevo sentire. Adesso vieni, ti accompagno a casa. È giusto che tuo padre adottivo sappia.”

“No”, lo fermò Kairi. “Lei vada pure, non si disturbi. Glielo dirò io da sola. È sempre stato un uomo comprensivo, sono sicura che capirà la mia decisione. Ed anche se dovesse essere contrario, non lascerò che mi trattenga.”

Ansem la guardò a lungo, con i suoi caldi e comprensivi occhi arancioni. “Molto bene. Come vuoi tu. Tornerò fra una settimana.” La squadrò poi attentamente, e quando riprese a parlare, non aveva più il tono paterno e accomodante di prima, ma quello più autoritario di un sovrano. “Però una cosa voglio che tu faccia mentre mi aspetti. Sei davvero deperita, e questo non va bene. Non va bene per la tua salute, e non va bene se tornerai a vivere fra noi. Dovrai fare un’ottima prima impressione al popolo, quando ti vedranno per la prima volta. I sudditi vogliono come prima cosa che il loro sovrano sia in grado di proteggerli, se invece la prima cosa che vedranno di te sarà che non riesci nemmeno a reggerti in piedi per la debolezza, inizieranno subito a sparlare di te e non si fideranno. Quindi dovrai sempre mantenerti in buona salute e in ottima forma fisica. Voglio che in questa settimana in cui non ci vedremo, tu metta su almeno un paio di chili. Se quando tornerò ti troverò come sei ora, non ti porterò con me. Chiaro?”

Kairi lo guardò, stupita da quell’improvviso cambio di tono, ma annuì. Doveva? D’accordo. Se mangiare e rimettere su peso era il prezzo da pagare per andarsene via dalle isole, l’avrebbe fatto, anche se il solo pensiero di mandare giù un boccone le faceva venire i conati.

Ansem dovette ritenere abbastanza surreale il dialogo che avevano appena avuto, perché non si avvicinò a Kairi, non la abbracciò, né le mostrò il suo affetto in alcun modo. Sembrava scosso, come se non avesse previsto che le cose sarebbero andate in quel modo. La gummiship del vecchio principe non era distante da quella spiaggia.

“D’accordo. Allora ci vediamo fra una settimana. Preparati mentalmente e riposati, Kairi, perché una voltà che sarai tornata nel nostro regno ci saranno molte cose da fare.”

Kairi stava per dirgli che lo avrebbe accompagnato alla navicella, ma Ansem la fermò. “Non preoccuparti, vado da solo. Tu torna a casa e mangia. Sono...” la guardò per un po’ prima di continuare. “...davvero felice che tu abbia accettato”, concluse col tono addolcito, e si allontanò, ritto e con il portamento consono di un sovrano.

La ragazza rimase lì ferma a guardarlo, e si avviò per tornare a casa solo quando fu certa che fosse partito. Si sentiva frastornata ed in subbuglio, ora che era rimasta sola. Durante il dialogo col signore che si era rivelato essere suo padre biologico, aveva avuto il cervello quasi staccato, ma ora ripercorse tutti i passaggi e le frasi che si erano detti. Ansem il saggio, suo padre... se non gliel’avesse detto lui non l’avrebbe mai pensato. Non si assomigliavano per niente: lui biondo e con gli occhi arancioni, lei rossa e con gli occhi blu. Nemmeno i lineamenti erano simili. La ragazza non si sentiva minimamente coinvolta dalla scoperta, visto che quel principe per lei non era mai stato nulla, era in pratica un completo estraneo, e di certo non lo sentiva come suo padre. Per ora, per lei era solo l’ancora di salvezza che poteva strapparla via da quelle isole. Forse in futuro ci avrebbe stretto un legame, ma per ora, per lei questo era. Doveva fidarsi di lui se voleva andarsene, anche se per quello che ne poteva sapere, poteva anche solo trattarsi di un vecchio pazzo che le aveva raccontato un sacco di sciocchezze. E dunque lei era destinata dalla nascita a governare un regno... era la figlia di un principe, e quindi essere una principessa avrebbe dovuto essere la sua strada fin dall’inizio. Ma cosa voleva dire davvero essere una principessa? Kairi non ne aveva idea. Aveva una visione parziale, distorta e stereotipata della regalità, e ragionadoci su un attimo si rese conto che la vita, per un principe che aveva sulle spalle un regno intero, non poteva essere così facile. Anzi, doveva trattarsi di una grande responsabilità. Ansem non le aveva certo offerto di tornare sul trono così, perché gli andava, ma era chiaro che la sua presenza era necessaria al benessere del Radiant Garden. Kairi si sentì impaurita: non aveva mai comandato in vita sua, l’unica cosa di vagamente simile al comando che aveva avuto era stato il suo ruolo di organizzatrice quando da ragazzina stava con Sora e Riku. Loro erano la forza lavoro che raccattavano attrezzi e provviste per la zattera, lei si occupava dell’inventario e dei consigli. Ma governare un popolo non poteva essere la stessa cosa. Chissà se avrebbe portato al miglioramento del regno, o lo avrebbe condotto alla rovina? La ragazza si passò una mano sulla fronte, sospirando. Per ora erano questioni che non potevano avere risposta. L’unica cosa che era chiara, e che alla fine le importava più di tutto, era la consapevolezza che avrebbe cambiato vita ripartendo da capo in un altro mondo, e che poteva aver trovato la sua strada. Forse, si azzardò a pensare, se tutto fosse andato come doveva andare, in un futuro molto lontano sarebbe tornata ad essere felice. Come Sora voleva da lei. Anche se ora le sembrava impossibile.

“E allora?” le chiesero insieme Riku e il sindaco, ansiosi, appena fu entrata in casa. “Cosa ti ha detto? È andato via? Cosa voleva?” insisté il babbo, visto che Kairi aveva lo sguardo perso e non rispondeva.

Ma Kairi voleva fare una cosa importante prima di dare spiegazioni. Un compito difficile, ma Ansem le aveva detto che lo doveva eseguire. Scansando suo padre adottivo, si recò in cucina, aprì il frigo e tirò fuori una grossa ciotola di macedonia, piena di frutta tropicale fatta a pezzi. La appoggiò sul tavolo, prese un cucchiaio e la guardò fisso. Sentì una sensazione terribile di nausea salirle fino alla gola. Il suo stomaco ormai era talmente chiuso che anche la sola vista del cibo la faceva vomitare. L’istinto di rimettere via quella frutta fu forte. Ma Ansem le aveva detto che doveva riprendere peso, sennò non l’avrebbe portata con sé. O questa frutta, o rimanere su quelle isole, dove il ricordo persistente del suo innamorato perduto l’avrebbe affossata sempre di più, fino a farla morire. Allora tirò un gran respiro, trattenne il fiato per qualche secondo, imponendo alla nausea di non intromettersi, ed immerse con decisione il cucchiaio nella macedonia, cominciando a mangiare velocemente, inghiottendo quasi senza masticare, mentre il sindaco e Riku la guardavano esterrefatti.

 

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Piccola modifica che ho fatto al personaggio di Kain. Se avete presente FFIV, sapete che quel simpatico individuo indossa quasi sempre l’armatura e l’elmo, e quindi non gli si vede mai la faccia. Avevo dato per scontato quindi che avesse gli occhi azzurri, invece ho notato poi, dai pochi screenshot che esistono di lui senza elmo, che li ha marroni in realtà. Cosa assai strana e curiosa per un personaggio principale di FF, ne sono contenta però. Ritroviamo un po’ di normalità, tra tutti questi personaggi pieni di occhi blu e azzurri.

Ed abbiamo in questo capitolo un grande ritorno! Chi ha letto una decade fa l’altra storia magari si ricorda ancora. Come potevo non rimettere Mog, il moguri scemo? Anche se qui il ruolo che avrà sarà più limitato. Nella storia vecchia, era praticamente il guardiano/migliore amico di Kaji, qui invece non sarà così, visto che Kaji non sarà un marmocchietto per tutto il tempo, ed il ruolo di amici passerà ad altri personaggi che, dai capitoli scorsi, penso che si sia capito quali saranno. Tra l’altro: quando dico Mog, io me lo immagino così, non come vengono rappresentati i moguri in KH, dove sembrano dei pupazzi inespressivi più che degli animali.

Chiarimento sull’affermazione che ai guardiani della luce di Kairi non importa: ma voi avete visto l’ultima scena del gioco? Dove Kairi era morta e Topolino, il ratto infame, diceva tutto tranzollo “è finita”, e tutti calmi e felici ad annuire? Dove solo Sora si preoccupava per lei e di riportarla indietro e a nessuno fregava nulla? Ecco, io non dimentico. A mio parere si meritano l’oblio eterno solo per questo motivo. Per Riku però, nonostante sia stato infame come gli altri, riserverò un trattamento diverso, visto che, come avrete notato, sto cercando di fargli recuperare il bel rapporto di amicizia che aveva con Kairi nell’1 e che nel 3 è andato perduto (notato che non si parlano nemmeno una volta, vero? Nomura!). Speriamo che al Radiant Garden quella poveretta possa trovarsi gente più meritevole.

Nonostante il tema del capitolo non sia esattamente allegro, una mezza battuta sulle uova sono riuscita a ficcarcela dentro. Ragazzi, ma come si fa? Giuro che nel giochino di Remy sono riuscita a fare tutte le ricette, tranne quelle dove dovevi rompere le uova. Santo cielo! Le uova di KH battono pure Sephirot in quanto a difficoltà.

Auguro un buon Natale a tutti voi ragazzuoli, e mi raccomando: se preparerete voi il mangiare, e farete cose con uova, fatele rompere ad un esperto, lo dico per voi!

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Capitolo 9
*** La rottura ***


Ciao a tutti, belli e brutti! Non sono morta, eh. In effetti ho aggiornato con mooolto ritardo. Ma ora vi spiego com’è andata. Prima ero in sessione d’esame e ho pensato praticamente solo all’università. Poi, a due giorni dalla fine della sessione, mi si è rotta la scheda video del pc, che così ha concluso i suoi 8 anni di onorata carriera. Ho dovuto comprarne uno nuovo, e per salvare i miei dati il tecnico ci ha messo quasi due settimane. Quindi non ho più potuto aggiornare. Ma adesso ce l’ho fatta, ho il computer nuovo, la sessione è finita e posso riprendere normalmente.

E a proposito: è uscito il Re:mind proprio nei giorni in cui il mio pc era morto, pensate che gusto doversi guardare i filmati sul cellulare. Però vabbè. Voglio parlare un po’ di questo dlc, ma, per evitare spoiler, lo farò solo alla fine del capitolo. Buona lettura!

 

Capitolo 9 – La rottura


“E debbesi considerare come e’ non è cosa più difficile da trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo di introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimico tutti quegli che degli ordini vecchi fanno bene, e ha tiepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbero bene: la quale tepidezza nasce dalla incredulità degli uomini, e’ quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza.” – Capitolo VI


Nel Radiant Garden, Even e Ienzo stavano riordinando il laboratorio alla conclusione della loro giornata. Lavoravano in silenzio, mentre ogni tanto un tuono più forte degli altri faceva rimbombare il soffitto.

“Quando pensi che tornerà?” chiese Ienzo al più vecchio, mentre si toglieva il camice.

Even alzò le spalle. “Chissà quanto ci vorrà per convincerla...” iniziò a ragionare.

Ma, come per contraddirlo, la porta del laboratorio si aprì, ed apparve Ansem, con la giacca e la barba bionda gocciolanti di pioggia.

“Maestà!”, esclamarono insieme i due apprendisti. “Siete già tornato? Com’è andata? Com’è stato rivederla dopo tutto questo tempo?”

Il vecchio principe, con lo sguardo abbastanza interdetto, scosse appena la testa e si toccò la tempia con un dito.

“Ha detto di no?” gemette Ienzo, in ansia.

“Al contrario”, rispose Ansem. “Ha accettato subito. Ed anzi, vi dirò di più. Sono stato io a doverle dire di aspettare una settimana sulle Isole del Destino, in modo che noi potessimo preparare tutto per il suo arrivo. Se fosse stato per lei, in questo momento sarebbe già qui con noi.”

I due apprendisti non ci volevano credere. “No, maestà, ci state prendendo in giro... com’è possibile? Non ha posto nessuna obiezione? Non ha sollevato nessun problema? Non era scioccata?”

“Niente di tutto questo”, scosse la testa Ansem. “Le sono stato vicino nemmeno due ore e già non la capisco... sicuramente ha dei problemi, perché una reazione come la sua non era umanamente possibile.”

“Come l’avete trovata, maestà?” chiese curioso Even.

“Male”, rispose affranto Ansem. “È molto magra, quei bei capelli rossi che ricordavo ora sono opachi, e guardando bene ho visto che ha un braccio pieno di segnetti... chissà cosa ha passato per essersi ridotta così. Ma visto che non vuole parlarne con nessuno, non possiamo saperlo.”

“Questo è rischioso”, temette Even, accarezzandosi il mento. “Se i sudditi dovessero vederla in quelle condizioni...”

“Non preoccuparti, ci ho pensato io”, lo interruppe Ansem. “Le ho ordinato di rimettere su un po’ di peso prima della prossima settimana. Vedrete che quando tornerò a prenderla, avrà già un aspetto migliore.”

“E a parte questo, che impressione vi ha fatto?”, chiese curioso Ienzo.

“Beh...” mormorò Ansem. “I problemi psicologici che ha devono essere pesanti per essersi ridotta in quello stato, ma quello che più conta è che possa diventare una brava principessa. E Kairi ha mostrato così tanta voglia di trasferirsi qui e ne sembrava così convinta che non posso che esserne soddisfatto. Quindi dobbiamo rallegrarci, miei cari apprendisti!”, aggiunse, con un tono così allegro e disteso come negli ultimi mesi non aveva mai avuto. “Presto ci sarà una nuova principessa con noi, e dobbiamo preparare bene tutto per il suo arrivo.”

“La nuova principessa? La nuova principessa?” chiese una vocetta petulante dietro il vecchio principe, e un musetto bianco e peloso si affacciò in alto, sotto lo stipite della porta d’entrata.

“Mog?” esclamò Ansem, girandosi di scatto. “Mi sei venuto dietro?”

“Sì, sì, kupò, ho sentito tutto!”, esclamò il moguri eccitato, sbattendo le alucce con forza e girando attorno ai tre uomini. “Siete stato davvero saggio a seguire il mio prezioso consiglio, kupò! Kairi presto sarà di nuovo fra noi, e ne sono molto felice! Tutto il popolo ne sarà felice! Vado ad avvertire tutti, anche se con questa brutta pioggia non ci sarà molta gente in giro, kupò!”

Ma, appena fece per mettere in atto quello che si era proposto, Ansem, dimostrando dei riflessi assai sviluppati per la sua età, stese il braccio svelto e lo acchiappò per un’ala.

“Non ti ho dato l’ordine, Mog”, lo rimproverò. “E la mia volontà è che tu mantenga l’assoluta segretezza, finché Kairi non sarà qui. Il popolo non deve saperlo in anticipo.”

“Scelta curiosa la vostra, maestà”, commentò Even, mostrando interesse nel tono. “Posso sapere come mai?”

“È semplice”, rispose Ansem, lasciando andare l’ala del moguri, che andò a posarsi sopra un armadio. “È vero che i sudditi non mi sopportano più e desiderano molto il ritorno di Kairi, tuttavia bisogna pensare che questo porterà a un cambiamento degli ordinamenti. E questo è un passaggio delicato che va gestito bene. Nonostante in teoria i sudditi sarebbero felicissimi della prospettiva del ritorno di mia figlia, dal momento che sapessero che sarà una cosa che succederà davvero le loro reazioni sarebbero diverse. Anzi, abituati come sono al mio governo, potrebbero prendere la notizia in modo tiepido e basta. Gli uomini hanno poca fiducia nelle proposte nuove, finché non gli è possibile toccare con mano le conseguenze. Ecco perché non voglio annunciare l’arrivo di Kairi prima che lei sia effettivamente qui. Voglio che i sudditi tocchino subito con mano cosa voglia dire averla tra di noi. Capite?”

“Maestà, voi conoscete davvero la mente e il cuore degli uomini”, commentò Ienzo, impressionato. “Ma non state un po’ esagerando?”

“No, caro Ienzo”, scosse la testa Ansem. “Tu pensi di sapere cosa il popolo desidera, ma adesso ti dico cosa direbbero se Mog si mettesse a volare in giro ad annunciare che Kairi fra una settimana tornerà. Direbbero: ma ormai ci eravamo stabilizzati con questo governo. Direbbero: ma non stavamo poi così male. Direbbero: ripeterà gli stessi errori di suo padre. Direbbero: sarà anche peggio di lui. Questo direbbero e questo penserebbero, se gli dessimo questa settimana di tempo per rifletterci. Ma se presenteremo loro Kairi direttamente, senza che i loro cuori siano intiepiditi dalle riflessioni sbagliate che potrebbero fare prima, vedrete che accoglienza calorosa le daranno! Soprattutto se lei si metterà subito al lavoro dimostrando loro che sarà una principessa molto migliore di me.”

“È questo il motivo per cui non avete voluto annunciare al popolo che avevate adottato Kain allo scopo di farne il vostro erede?” chiese Ienzo. “Loro ancora pensano che l’avete fatto per farne un apprendista come noi.”

“Esatto”, annuì Ansem.

“Straordinario!”, cinguettò Mog dall’alto del suo armadio. “Ma quanto è grande, saggio e magnifico il nostro principe, kupò?”

Ansem lo ignorò. “E a proposito di Kain... non posso applicare a lui lo stesso ragionamento. È giusto che, almeno in parte, sappia.” Si voltò verso il moguri. “Vai a chiamare Dilan, e digli di portarmi il bambino”, gli ordinò. “Lo aspetterò nel mio studio personale.”

Mog si mise sull’attenti poggiandosi una zampa sulla fronte. “Signorsì, signore!”, e sfrecciò via.

Ansem allora uscì dal laboratorio, percorse un tratto di corridoio sotterraneo e, quando arrivò a un bivio, cambiò direzione, arrivando alla porta che dava nel suo studio, una stanza circolare di dimensioni modeste con una scrivania e le pareti coperte di scaffalature di libri. Si sedette con un sospiro ed aspettò. Pochi minuti dopo sentì bussare ed entrò Dilan, che teneva il piccolo Kain per mano. Quel tardo pomeriggio gli aveva fatto indossare una felpa pesante e i pantaloni lunghi, perché l’umidità nell’aria era molta. Così combinato, il bimbo sembrava già più grande di quello che era. L’imponente uomo spinse leggermente avanti con una mano il bambino, poi uscì dalla stanza facendo un inchino, chiudendo la porta.

Kain guardò emozionato il vecchio principe, aspettando. Si capiva che l’emozione di essere davanti ad Ansem stava avendo la meglio su di lui, ma, per essere un bambino di quattro anni e mezzo, riuscì a mantenersi fermo e controllato.

Ansem si mise a ridere a vederlo così impaziente. “Vieni, vieni avanti, Kain”, lo chiamò con un cenno.

Subito il piccolo obbedì, cercando di arrivare col naso al bordo della scrivania, e si soffiò un ciuffo di capelli biondi che gli era caduto sugli occhi curiosi ed ambiziosi.

“Adesso ti dico una cosa”, iniziò Ansem dando un tono di mistero alla sua voce. “Anzi, un segreto, Kain. Un segreto di Stato. Da qui a una settimana, dovrai tenere la bocca chiusa. Mi prometti che non ne farai parola con nessuno?”

Kain tirò un gran respiro e si tappò la bocca con entrambe le mani, spalancando gli occhioni azzurri, fremendo di eccitazione, ed annuì.

Ansem si alzò dalla scrivania, lo raggiunse e si abbassò, portando la testa all’altezza della sua. “Il segreto è questo”, disse in tono confidenziale, mettendogli una mano sulla spalla. “Fra una settimana verrà una persona a stare da noi. Una persona molto, molto importante.”

Kain si tolse le mani dalla bocca e lasciò andare un’esclamazione di sorpresa. “Un ospite importante. E chi è, maestà? Il vostro amico, Re Topolino, che viene a farci visita?”

“No”, rise Ansem. “Ancora più importante.”

“Chi può esserci di più importante di Re Topolino?” si mise allora a riflettere Kain, incrociando le braccia e abbassando la testa.

“Non puoi indovinarlo, Kain, perché non la conosci e non ne sapevi niente”, gli disse Ansem, intenerito.

Kain alzò la testa e batté le mani. “È una donna, allora!”

“Esatto”, annuì Ansem. “Una ragazza di diciassette anni molto importante. Si chiama Kairi.”

“Beh”, commentò Kain, fiero. “Darò a questa Kairi l’accoglienza che ci si aspetta da un futuro principe. Con tutti gli onori! Così...” e si inchinò con reverenza. “Così si fa con gli ospiti importanti. E poi le prenderò la mano e gliela bacerò. Perché con le ospiti importanti donne bisogna fare anche questo”, disse ripetendo tutto quello che gli era stato insegnato. Ansem rimase impressionato a constatare con quanta abilità e in quanto poco tempo aveva impiegato ad imparare l’etichetta.

“Ma Kain, non hai capito bene. Kairi non è un’ospite. Rimarrà a vivere per sempre con noi nel castello.”

Kain mostrò stupore a quella precisazione, e aspettò in silenzio che il vecchio principe gli desse spiegazioni.

“Devi sapere, Kain, che Kairi è mia figlia”, disse Ansem seriamente.

Kain spalancò la bocca. “Voi avete una figlia?” chiese incredulo.

“Esatto” annuì Ansem. “Per tanti anni è stata lontana dal nostro regno, ma adesso potrà tornare da noi, e... e fra poco sarà la principessa del Radiant Garden.”

Kain abbassò la testa, ragionando su quanto Ansem aveva appena detto. “Ma... e io?”, chiese con la voce contrariata.

“Ebbene... adesso ancora sei piccolo, e non potresti certo essere un principe”, rispose Ansem, accomodante.

“Sì, ma quando sarò grande?”, insisté Kain, agitandosi.

“Tempo al tempo, Kain. Stai correndo troppo. Non pensarci per ora, e goditi la tua infanzia. Se ne riparlerà quando sarà il momento”, gli disse Ansem con tono paterno, accarezzandogli la testa.

Il vecchio principe non osò essere più preciso. Era vero che, in linea del tutto teorica, Kain una volta adulto sarebbe potuto essere un principe insieme a Kairi, ma era anche vero che Kairi, giovane e bella com’era, probabilmente avrebbe attirato l’attenzione di qualche bel ragazzo del regno. Si sarebbe sposata ed avrebbe messo al mondo un figlio suo che avrebbe continuato la linea di sangue, escludendo Kain da ogni possibilità di successione. E questo sarebbe potuto succedere ben prima che Kain raggiungesse l’età giusta per governare. Non era detto che avvenisse, ma non poteva nemmeno escluderlo. Quindi non poteva sbilanciarsi con lui, né da una parte né dall’altra.

Kain non rispose a quella vaga esortazione del vecchio principe, ed abbassò la testa, con lo sguardo indurito e rabbuiato. Il suo corpo si era fatto rigido e le mani, allungate lungo i fianchi, si erano strette a pugno.

“Su, adesso vai di sopra, da bravo”, lo esortò conciliante Ansem. “Ricordati che ho grande aspettative su di te, mi aspetto che accoglierai bene Kairi come si conviene ad uno del tuo rango.”

Kain alzò gli occhi, annuì appena, e fece un inchino rispettoso prima di allontanarsi da lui.

Ansem tirò un gran sospiro quando fu rimasto solo. “È solo un bambino”, si rassicurò. “Tempo due giorni, e si sarà già scordato tutto. Ma adesso è tempo di preparare tutto per l’arrivo di mia figlia, a cominciare dalla sua stanza, e dovrò prendere appuntamento col sarto migliore della città per prenderle le misure per la sua futura divisa, appena sarà arrivata.”

 

Era una serata tersa, calda e ventilata sulle Isole del Destino. Kairi, dopo essersi spogliata ed aver tirato un gran respiro, salì sopra la bilancia del bagno. La sua tensione si distese quando vide che il suo peso si era alzato a quarantasei chili.

‘Mancano ancora tre giorni prima che Ansem ritorni...’ pensò. ‘Devo prendere almeno un altro chilo, altrimenti non mi porterà con sé.’

Da quando era rientrata a casa, quel pomeriggio in cui si era incontrata con suo padre biologico per la prima volta, Kairi, facendo uno sforzo tremendo, aveva colto ogni occasione buona per buttare qualcosa nello stomaco. Poteva essere qualunque cosa: frutta tropicale, gelati, piatti di riso, di funghi e di pesce preparati in tutti i modi... il suo stomaco pian piano si stava riaprendo e le stava tornando l’appetito, anche se il peso che le schiacciava il cuore la tirava in basso. La depressione che sentiva purtroppo non si poteva curare col cibo: solo andare via da quelle isole e cominciare un altro tipo di vita avrebbe potuto aiutarla, e la ragazza sperava che andarsene al Radiant Garden potesse essere un primo passo.

Ma non poteva, di punto in bianco, ripartire da capo cercando di scacciare Sora a tutti i costi dalla sua mente. Lui sarebbe stato sempre nel suo cuore e nei suoi pensieri, anche se forse col tempo il dolore della sua perdita si sarebbe affievolito, e Kairi non aveva nessuna intenzione di scacciarlo come se non fosse mai esistito. Aveva il diritto di sapere, più di ogni altra persona, quello che le stava succedendo. Perciò, quando fu il momento di andare a dormire, prima di infilarsi sotto le coperte si sedette alla sua scrivania con carta e penna. Non avrebbe mai letto quello che gli avrebbe scritto, ma per lei non aveva importanza. Le piaceva illudersi nella mente che, in qualche modo, quello che stava per mettere su carta, tramite chissà che potere paranormale, potesse arrivargli nel limbo in cui ora si trovava. Succhiò l’estremità della penna per un paio di minuti ed iniziò a scrivere.

Mio adorato,

non è passato molto tempo da quando ci siamo separati. All’inizio è stato molto difficile, come già sai, ma forse ora ho una possibilità di ricominciare. Te l’ho già scritto, che Ansem il Saggio mi ha rivelato di essere mio padre, e che è giusto che io prenda il mio posto originario come principessa del Radiant Garden. Ci pensi? Ricomincerò tutto daccapo in un altro mondo, e prenderò un’altra strada rispetto a quello che avevamo immaginato insieme. Sei offeso per questo? Ti dispiace che possa partire di nuovo da zero in un mondo che non è casa nostra? So che non lo sei, perché tu per primo hai cercato di convincermi di agire così, prima di dividerci. Ma un po’ vorrei che lo fossi. Sì, un po’ mi sento in colpa. Lo sai che la mia vita era con te, e che era una vita insieme fianco a fianco, che desideravamo fin da quando eravamo bambini. Che diritto ho di rifarmi una vita da sola, cercando di tenerti ai margini? Sento che il mio periodo di lutto per la nostra separazione è durato troppo poco. Dovrei mantenermi nel dolore ancora di più, pensando sempre a te. So che dovrebbe essere così. E tuttavia, non posso. Non rispetterei quello che tu volevi da me, e se continuassi a soffrire per te, so che morirei. Non era questo che volevi, e se ripartirò da capo al Radiant Garden, lo farò nel tuo nome.

L’altro giorno ho parlato con mio babbo. No, non con Ansem. Parlo di mio padre adottivo, che mi ha cresciuto. Gli ho spiegato quello che il vecchio principe mi ha rivelato, e gli ho detto che avrei voluto seguirlo, per prendere il mio posto sul trono di quel regno. Il babbo era scioccato, ma anche addolorato per le mie parole. Forse ha pensato che con lui non mi trovassi più bene. Allora l’ho abbracciato e gli ho detto che, per me, solo lui sarebbe sempre stato il mio adorato babbo. Ad Ansem non credo che riuscirò mai ad arrivare a dare del tu, né a chiamarlo in modo diverso da padre, forse. E gli ho detto che non avevo niente contro di lui e che non avrei potuto avere un genitore migliore, ma era arrivato il momento per me di tornare alle mie origini. Il babbo è stato comprensivo. Mi ha dato la sua benedizione, mi ha detto che per lui io sono sempre stata una principessa, e mi ha pregato di non dimenticarmi di lui. Certo che non lo dimenticherò. Sarà sempre e solo lui la persona che sentirò come padre. Mi ha commosso come, dopo la tristezza iniziale, si sia dato da fare per aiutarmi a scegliere le cose da portarmi dietro. Ma non abbiamo dovuto lavorare molto. Solo qualche cambio di vestiti, ed anzi, ho dovuto farmene fare alcuni pesanti apposta, perché al Radiant Garden il clima è più freddo di qui. Non mi porterò nulla dietro. Lascerò tutti i miei ricordi qui. Tutte le cose che ho mi ricordano te, ed è giusto che rimangano nella mia cameretta originaria, come in un tempio, senza che nessuno le tocchi. Non mi porterò niente di te dietro. Solo il tuo ricordo. Domani parlerò con Riku. Lui ancora non sa niente, non ho voluto dirgli subito tutto. Ma dovrò affrontarlo, prima di trasferirmi. Domani sera ti farò sapere cosa ci siamo detti.

Ti penso sempre, e sei sempre il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi.

La tua Kairi

La ragazza appoggiò la penna, passandosi la mano sulla fronte e sentendosi la mente svuotata. Scrivere quelle lettere le faceva bene, le permetteva di togliersi un gran peso dalla testa e dal cuore quando le sembrava di essere stata troppo tempo senza parlare a Sora. Lenire la sofferenza per la sua mancanza poteva andare bene, ma Kairi non sarebbe mai stata in grado, né era sua intenzione, proseguire la sua vita come se lui non fosse mai esistito. Questo lo potevano fare gli altri, ma non lei. Se il suo destino non era stare con lui, ma essere la principessa di un mondo, bene, avrebbe governato quel regno nel suo nome. E avrebbe governato il Radiant Garden con giustizia, correttezza e bontà, e sapeva che Sora sarebbe stato fiero di lei, se lo avesse fatto. Adesso però veniva il difficile: Riku. Era complicato descrivere il comportamento di Riku di tutti quei mesi. Il ragazzo era sempre stato il migliore amico di Sora, ed aveva avuto con lui un legame speciale fin da quando erano piccoli, già da prima che i due maschi incontrassero Kairi per la prima volta. Ma, ora che la memoria di Riku non conservava traccia dell’esistenza di Sora, sembrava che Kairi avesse preso il suo posto nella sua mente. Kairi sapeva che, a parte Sora, sarebbe stato difficile trovare qualcuno che la amasse come la amava Riku. Era un ragazzo un po’ chiuso che non esternava i propri sentimenti, ma Kairi sapeva che, per lei, sarebbe anche stato capace di buttarsi nel fuoco. E lei verso di lui sentiva un tremendo senso di colpa: in quei mesi, in un modo o nell’altro, non aveva fatto altro che trattarlo male. Non l’aveva fatto apposta, ma lo aveva respinto, gli aveva fatto capire che la sua compagnia non le era gradita, voleva allontanarlo, non condivideva con lui i suoi segreti e i suoi malesseri. Riku infatti, per quanto le volesse bene, sembrava essere arrivato al limite della sopportazione. Però era stato zitto e non le aveva espresso la propria frustrazione, anzi, in quei mesi, sentendo la forte debolezza della ragazza, sembrava quasi essersi immolato per lei, standole vicino in tutti i modi possibili nonostante lei lo respingesse, e cercando di esserle da supporto per quanto poteva. Kairi non sapeva come mettere le cose con lui. Fra pochi giorni se ne sarebbe andata per sempre dalle Isole del Destino, e, per poter ripartire da capo in modo pulito, aveva bisogno anche di allontanarsi da lui. Non per sempre, ovviamente. Solo per un po’. Fintanto che la fase più acuta di dolore per la perdita di Sora non fosse passata. Poi era certa che, quando il male dentro di lei si fosse affievolito, non le avrebbe più dato tanto dolore il vederlo e il constatare come Sora, per lui, avesse cessato di esistere. Pregando il suo compagno di darle la forza per affrontare il loro amico, Kairi spense la luce ed andò a dormire.

La ragazza si agitò nell’incertezza per tutta la notte, e per buona parte del giorno dopo. Non sapeva come porre la questione al suo amico: Kairi sentiva che l’aria, fra loro due, si era fatta col passare delle settimane sempre più tesa, e che la corda che lei, per tutto quel tempo, aveva involontariamente tirato, era sul punto di spezzarsi. Ora veniva la parte più difficile di tutte. Come poteva far capire a Riku quello che voleva fare e come si sentiva, raccontandogli una storia a metà? Kairi era sicura che, se fosse rimasto un ricordo di Sora nella mente dell’amico, il più grande sarebbe stato il primo a venirle incontro e a capire la sua sofferenza. Ma, senza il pensiero del suo innamorato a giustificarla, come poteva Riku accettare una decisione del genere? Kairi passò tutta la giornata a cercare di prepararsi un discorso, ma si rese conto che non ci riusciva. Forse ce l’avrebbe fatta se l’interlocutore non fosse stato proprio lui, se fosse stato una generica persona. Allora sì, sarebbe stato piuttosto facile per lei. Ma non con Riku. Con lui doveva essere spontanea e basta, sperando con tutto il cuore che il ragazzo avrebbe cercato di capirla, per l’ennesima volta, senza infuriarsi. La giovane donna passò tutto il giorno facendo avanti e indietro per casa, in preda al nervosismo, e fermandosi ogni tanto per prendere qualcosa dalla dispensa e buttarla nello stomaco, come suo padre le aveva ordinato. Si consolava parzialmente pensando che ogni boccone che ingurgitava era una speranza in più che Ansem la portasse con sé. Infine, fissò un orario. Alle sei del pomeriggio sarebbe andata a chiamare Riku e gli avrebbe parlato. Quando però arrivò l’ora stabilita, Kairi, sudando freddo, posticipò di un quarto d’ora, e poi di un altro e di un altro ancora. Andando avanti così, tentennando, arrivarono le nove di sera.

“Basta, lo devo fare!” esclamò infine Kairi, alzandosi dalla sedia da dove fino a quel momento aveva fissato le lancette dell’orologio, e salutando velocemente il babbo si infilò i sandali e prese la porta con decisione.

Fuori faceva caldo, anche se meno rispetto a quando c’era luce. Spirava una brezza leggera che rinfrescava appena l’aria e smuoveva i capelli rossi della ragazza, e le isole erano immerse nel buio. Nel paese, solo le luci dei lampioni e quelle che filtravano dalle tende delle case rischiaravano la strada. Kairi, che si era avvolta in una felpa leggera per proteggersi dalla frescura del vento, si avviò cercando di mantenere la mente pulita. La casa di Riku purtroppo stava dall’altra parte del paese, così la ragazza fece in tempo a rimuginare sulla sua situazione dall’inizio alla fine prima di arrivare alla porta dell’amico. Nemmeno le interrogazioni a scuola con i professori più indisponenti le avevano mai messo così tanta ansia. Tanto che, quando dovette suonare il campanello, dovette sforzarsi di tenere ferma la mano che tremava appena per centrare il pulsante. La finestra al primo piano si aprì e la testa di Riku, con i capelli grigi mossi dal vento, si affacciò e guardò giù.

“Kairi!”, esclamò sorpreso, spalancando gli occhi. “Cosa fai qua a quest’ora?”

“Ciao, Riku”, iniziò lei. Non le sembrava un buon punto di partenza dirgli che gli doveva parlare. “Avevo voglia di fare una passeggiata, vuoi accompagnarmi?”

Lui la guardò stranito per un momento, ma poi annuì. “Aspettami, arrivo subito”, e la sua testa sparì.

Kairi in quel momento si sentì una miserabile. Riku era tranquillo a casa sua, a farsi i fatti suoi, magari si stava rilassando, arrivava lei senza preavviso per chiamarlo, lui invece di dirle che non aveva voglia di uscire diceva che sarebbe sceso subito, e lei stava per dirgli, riducendo il discorso all’osso, che per un po’ non lo avrebbe voluto vedere. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Così, quando se lo vide comparire di fronte ben vestito e sistemato per il dopo cena, decise che l’unica soluzione, a quel punto, era arrivare fino in fondo.

“Ti trovo meglio, Kairi”, si complimentò lui. “Hai rimesso su peso, vero?”

“Sì, un po’”, annuì lei. “Ci vieni a fare un giro con me?”

“Certamente”, rispose subito il ragazzo. Poi incrociò le braccia e sollevò il mento. “Ma ad una condizione”, disse con tono altezzoso e appena scostante.

“Cosa?” chiese Kairi, temendo in parte che Riku già ce l’avesse con lei, anche se ancora non gli aveva detto niente.

“Devi dirmi cosa ti ha detto Ansem l’altro giorno.”

Kairi non voleva aprire subito quel discorso. “Altrimenti?”, chiese tentennante.

Riku, prima che lei potesse rendersene conto, la acchiappò. “Altrimenti ti succede questo”, le disse con tono giocoso, mettendosi a farle il solletico nei punti che sapeva dove lei soffriva di più.

Subito tutto il cattivo umore che aveva pervaso la mente della ragazza fino a un attimo prima sparì, e Kairi iniziò a ridere come una matta e a cercare inutilmente di dibattersi, ma con Riku non c’era verso: ormai si era fatto uomo, era più alto di lei di almeno una testa, ed era talmente grosso e muscoloso che avrebbe potuto far svenire senza fatica un avversario anche solo stringendolo tra le braccia.

“No, dai, Riku, basta!”, protestò Kairi tra le risate e le lacrime.

“Ti arrendi allora?” chiese Riku senza smettere di toccarla.

“Sì, sì, mi arrendo!”

“Me lo dici quello che ti ha detto Ansem?” insisté lui senza mollarla.

“Te lo dico, te lo dico”, rispose ansimando Kairi, e solo a quel punto il suo amico la lasciò andare.

Kairi rimase alcuni istanti a tirare dei gran respiri per riprendersi. Non avrebbe mai augurato a nessuno di ritrovarsi bloccato da Riku mentre gli faceva il solletico. Per fortuna che erano stati solo in due, negli anni, a dover subire quella tortura.

“Riku, sei qualcosa…” gemette tra gli ansimi. “Almeno con Sora mi era più facile liberarmi, quando mi faceva il solletico lui…”

Si rese immediatamente conto che non avrebbe mai dovuto dire una cosa simile.

“Eh? Come dici?” chiese Riku ridendo, evidentemente convinto che Kairi avesse appena fatto una battuta che lui non aveva capito.

Ecco fatto. Le era bastato rievocare un bel ricordo di Sora che Riku le aveva fatto venire in mente, seguito dalla constatazione che il suo innamorato nella mente dell’amico non esisteva più, per finire di nuovo nello sconforto. No, non era possibile andare avanti così. Se prima aveva avuto qualche dubbio sulla decisione di prendere le distanze da Riku, ora non ne aveva più.

“Facciamo che ti dico dopo quello che ci siamo detti io ed Ansem”, disse però, riprendendo il suo contegno. Prima aveva bisogno di calmarsi del tutto.

“D’accordo. Dai, ti porto in giro”, propose Riku. “Andiamo sull’isola piccola.”

Kairi venne presa da un brivido e si sentì bagnare la schiena di sudore freddo. “…Perché proprio lì?”

“È da tanto che non andiamo più”, rispose lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Anzi, non è vero. Sei tu che non ci sei più andata. Io ogni tanto ancora ci vado. Dai, andiamoci insieme. Come quando eravamo piccoli. Prendiamo la barca, che ci vuole?”

Kairi non seppe cosa rispondere. Già, in fondo che ci voleva? All’atto pratico, niente. Solo che il suo cuore sarebbe sprofondato se lo avesse fatto. Quell’isoletta che più di ogni altra cosa conservava i ricordi del suo compagno, i ricordi di loro due insieme, ed i ricordi di loro tre insieme, ma di cui ora Riku non ricordava più nulla. No, non voleva andare su quell’isola. Ma non se la sentì, in quel momento, di inventarsi una scusa.

“Va bene, andiamo”, annuì, cercando di suonare tranquilla.

Riku, in modo molto cavalleresco, si offrì di caricarla sulla sua barchetta. “State tranquilla, signorina, che il ruolo di mozzo non vi si addice”, la prese scherzosamente in giro, invitandola a prendere posto sull’imbarcazione.

A Kairi, nonostante tutto, si scaldò il cuore nel vedere con quanto calore Riku cercasse di mantenere forte il legame che c’era fra loro due e quanto fosse gentile e affabile con lei. D’accordo, lei avrebbe fatto quello che doveva fare, ma per certi versi non le faceva affatto piacere doversi separare da lui per un certo periodo. Soltanto quando furono arrivati a destinazione e furono scesi dalla barchetta, i pensieri su Riku lasciarono la sua testa per tornare prepotentemente a Sora. Si guardò in giro, riconobbe le capanne di legno dentro cui avevano dormito col sacco a pelo, i fuochi che facevano sulla spiaggia, il punto in cui lei si metteva sempre per fare da arbitro per le corse dei suoi due amici, la cascatella di acqua dolce dove si buttavano per bere e rinfrescarsi quando ne avevano abbastanza dell’acqua salata, l’imbocco della grotta dove c’erano i loro disegni e quello di loro due che si scambiavano i frutti di paopu e che ora era sparito, e poco più in là, illuminata dalle stelle, l’isoletta ancora più piccola, con la palma per traverso, dove lei e Sora si erano uniti nel loro simbolico matrimonio e dove lui aveva passato gli ultimi istanti nel mondo reale. Kairi sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma si consolò pensando che, visto che non c’erano lampioni su quell’isola, Riku non poteva accorgersene.

“Kairi, che ne dici se andiamo a sederci sulla palma? Come facevamo sempre.”

Eccolo lì. Kairi non poté fare a meno di chiedersi se, in qualche modo inconscio, Riku lo facesse apposta. Ma no, non poteva essere. Anzi, tutto quello che stava facendo aveva solo lo scopo di farla stare meglio e passare dei bei momenti con lei. Come poteva fargliene una colpa, se non si ricordava di Sora?

“Va bene, andiamo”, annuì docilmente, sforzandosi di mantenere ferma e tranquilla la voce.

Ma quando, dopo pochi minuti, si ritrovò seduta sul tronco d’albero, con Riku poco sotto, in piedi, appoggiato con la schiena al legno, e lei constatò ancora una volta come al proprio fianco non ci fosse nessuno, il suo cuore rischiò seriamente di cedere. Era lì, a fissare il mare notturno, e lui non c’era. Non ci sarebbe stato più per lei, lei non ce la faceva più a stare lì, e si rese conto che tirare questa faccenda ulteriormente per le lunghe l’avrebbe solo fatta soffrire di più.

“Riku… volevi sapere cosa mi aveva detto Ansem il saggio, vero?” sentì che diceva la propria voce, senza che il suo cervello le avesse ordinato di parlare.

Nella poca luce delle stelle, vide Riku volgere la testa verso di lei e fissarla attento.

“Ebbene… Ansem mi ha rivelato di essere mio padre. Sì, insomma… che quindi io avrei il diritto di essere la principessa del Radiant Garden. Mi ha chiesto di tornare a vivere con lui… nel mondo da cui provengo.”

Cercò di decifrare l’espressione di Riku. Aveva gli occhi sbarrati e pieni di stupore. “Kairi, quindi tu… Ansem è tuo padre…? Sei sua figlia…?”

Lei annuì. “Esatto. Era venuto apposta per dirmi questo.”

“Non lo avrei mai pensato… non me lo ha mai detto…” mormorò il ragazzo. “E come mai, tutto d’un tratto?”

“Pare che nel Radiant Garden ci siano un po’ di problemi. Si aspetta che io lo aiuti a risolverli”, cercò di spiegarsi lei brevemente.

“E cosa gli hai risposto?”, chiese Riku con tono serio.

“Beh…” mormorò Kairi. “Gli ho detto che vado… con lui.”

Ora si aspettava che Riku si innervosisse. Che le chiedesse perché non volesse più stare lì nel mondo in cui era cresciuta, come mai avesse accettato subito senza pensarci, se avesse intenzione di abbandonare anche lui, e perché non gliene avesse parlato prima.

“Non c’è nessun problema”, rispose invece Riku dopo un po’, con tono rassicurante, al che Kairi si meravigliò.

“Come?”, chiese, visto che non era certa di aver capito bene.

“E’ comprensibile che tu voglia tornare nel mondo dove sei nata. E’ vero che sei cresciuta qui, ma le tue radici sono nel Radiant Garden. D’altra parte lo sapevamo da tempo. Sai una cosa? Iniziavo proprio ad annoiarmi in questo piccolo mondo. Le nostre avventure sono finite, ma qui è rimasto tutto uguale. Sarò davvero felice di accompagnarti e vedere come te la caverai al governo”, disse con tono genuino. “Beh, quando costruivamo la zattera, tu facevi l’inventario ed io raccoglievo le provviste e l’attrezzatura, quindi se non altro ti sai organizzare”, concluse in una risata.

Kairi si sentì andare nel panico. Riku stava fraintendendo tutto. “No, non hai capito”, rispose con voce più decisa. Si lasciò scivolare giù dal tronco e gli si mise di fronte. “Riku, io… vado da sola. Forse non mi ero spiegata bene…”

Riku alzò un sopracciglio con aria perplessa e combattuta, ma rispose, cercando di tenere il tono fermo: “certo, capisco che tu voglia affrontare questo distacco da sola. Allora verrò a trovarti appena ti sarai sistemata, va bene?”

Kairi allora abbassò lo sguardo e scosse lievemente la testa. “No, Riku… non voglio che… che tu venga a trovarmi…” mormorò.

“Eh?” chiese allora Riku, e stavolta il suo tono non era tranquillo.

Kairi dovette leccarsi le labbra prima di proseguire, perché le erano diventate secche. “Sì, vado da sola, e voglio stare da sola anche là…” Alzò lo sguardo e vide che gli occhi di Riku si erano rabbuiati. “Ma… ma non per sempre”, si affrettò ad aggiungere. “Solo per qualche mese…”

“Ah sì, eh?” chiese Riku, con la voce indurita e completamente diversa dal tono usato prima. “Te ne vai al Radiant Garden da sola, senza più volermi vedere, e poi forse, magari chissà, fra qualche mese, vorrai rivedermi, è così, eh? Dimmi un po’, Kairi, mi hai mai visto la scritta welcome stampata sulla schiena?” aggiunse con sarcasmo.

“No, Riku, no, ti prego…” cercò di recuperare Kairi, sentendo che la situazione le stava sfuggendo.

“Sai una cosa, Kairi? Sono settimane, anzi mesi, che ti comporti in questo modo incomprensibile. Più io cerco di mantenere il rapporto con te, più sembra che tu provi gusto a provocarmi. Allora dimmi le cose come stanno una buona volta, ce l’hai con me? Ti ho fatto qualcosa di male?”

“No, non mi hai fatto niente”, rispose riluttante Kairi.

“E allora perché ti comporti in questo modo… così odioso?” sbottò Riku a quel punto.

Kairi deglutì. Non sapeva cosa rispondergli. Non riuscì ad inventarsi nessuna spiegazione che potesse essere per lui plausibile.

Riku scosse la testa. “Kairi, sei sempre stata una mia cara amica, ma questo non ti autorizza a trattarmi in questo modo, come se fossi qualcosa che si prende, si mette da parte e poi si riprende quando ti gira. Io ho sopportato, per te ho fatto di tutto, ma questo è troppo.” Kairi sentì molto chiaramente la rabbia nel suo tono, ma nonostante questo il ragazzo non sfogava la propria rabbia, parlava a bassa voce. Questo la faceva sentire ancora più a disagio di quanto avrebbe dovuto essere se avesse urlato. “Sai che ti dico, allora? Fa’ come ti pare. Vai pure al Radiant Garden, stai con tuo padre, diventa la principessa e governalo nel modo che ti sembrerà più giusto. Ma se vuoi tanto stare da sola, allora rimanici. Tu vai per la tua strada e io per la mia, e non contare più su di me. Anch’io ho la mia dignità, e non lascerò che tu me la calpesti in questo modo, mi spiego?”

Kairi non seppe nemmeno lei come riuscì a trattenersi dallo scoppiare a piangere. Indagò gli occhi di Riku per cercarvi uno spiraglio di comprensione, ma il suo sguardo si era serrato e non vi trovò nemmeno un po’ di calore. Senza aggiungere altro, Riku si voltò e iniziò a percorrere il ponte di legno.

“Su, datti una mossa”, la esortò. “Se non ti muovi, ti lascio qui. E non sto scherzando.”

Kairi, che stava iniziando ad essere presa dai tremori, seguì Riku a testa bassa e, per tutto il viaggio di rientro all’isola principale, seduti nella barchetta, i due ragazzi tennero lo sguardo separato, entrambi fissandosi i piedi, lui remando e lei tenendosi le mani strette in grembo, con una tensione fra loro due che si tagliava col coltello. Appena arrivati, Riku legò l’ormeggio della propria barchetta e si avviò verso casa senza nemmeno salutare Kairi, e la ragazza, rimasta sola, scese dall’imbarcazione e vi si appoggiò, stravolta.

A quel punto i tremori e i brividi che le agitavano il corpo aumentarono, il sudore freddo le bagnò ancora di più la fronte e la schiena, ed una morsa tremenda le afferrò le viscere. La giovane donna si piegò in due per il dolore, sentendosi tornare su quello che aveva mangiato prima, e dovette afferrarsi al bordo della barca per evitare di crollare a terra. Lentamente si lasciò scivolare seduta sulla sabbia, e scoppiò infine a piangere, lasciando andare tutte le emozioni e la disperazione che sentiva. Non ce l’aveva fatta. Aveva provato a porre la questione a Riku cercando, ancora una volta, di far sì che la corda non si rompesse, ma era stato troppo. Per lui, che era sempre stato molto orgoglioso, era stato un affronto troppo grande, e non era riuscito a sopportare oltre. Kairi si rese conto, ora, che per la prima volta era davvero rimasta sola. Nella sua vita, aveva sempre fatto parte di un trio di amici. Aveva prima perso il primo di loro, proprio nel momento in cui aveva trovato la felicità con lui, ed ora aveva perso anche il secondo. Forse sì, forse in futuro sarebbe riuscita ad andare avanti senza Sora, ma ad un prezzo molto salato. Lo scoppio di pianto in breve tempo si esaurì, e continuò a far scendere le lacrime in silenzio, rimanendo seduta sulla sabbia. Sì, era da sola, d’ora in poi lo sarebbe sempre stata, e il suo più caro amico d’infanzia, che tanto aveva fatto per lei, le aveva infine voltato le spalle. Ma si sentiva in parte consolata. Sapeva che ora c’era qualcosa di diverso, qualcosa di più alto che doveva raggiungere: il benessere di un intero mondo, di un regno e della sua popolazione, presto avrebbe gravato sulle sue spalle. Aveva sperato che, passati quei primi mesi più duri, Riku avrebbe acconsentito a starle vicino, ma così non era stato, e sentiva di non poterlo neppure biasimare: la colpa in fondo era stata sua, e del modo in cui lo aveva trattato per tutto quel tempo, anche se non l’aveva fatto apposta. Alla fine, raccogliendo i pezzi della propria dignità, si rimise in piedi, e cercando di mantenersi il più stabile possibile, si incamminò verso casa, dove, una volta giunta, crollò sul suo letto senza nemmeno cambiarsi e mettersi il pigiama, e senza avere la forza di scrivere un’altra lettera a Sora per raccontargli l’esito della sua discussione. Stranamente però, questa notte, al contrario di quelle precedenti, la passò senza sogni e senza incubi. Ora che l’esito con Riku c’era stato – anche se nel modo peggiore che avrebbe potuto immaginare – dopo il suo pianto liberatorio la tensione le era scivolata via di dosso, e si sentiva troppo stanca e spossata perché ci fosse spazio, nella sua mente, per un sogno, bello o brutto che fosse. Quindi si addormentò subito, senza più tormenti, e dormì come non le succedeva più da settimane.

Arrivò infine la mattina tanto attesa. Appena scesa dal letto, Kairi corse in bagno per pesarsi. Tirò un gran sospiro di sollievo. Quarantasette chili. Era fatta. Aveva raggiunto il peso minimo che suo padre le aveva richiesto. Questo significava solo una cosa: che da quel giorno, non avrebbe più visto il tramonto delle Isole del Destino, quel tramonto che era così bello e romantico e da cui, da qualche settimana, sfuggiva di continuo tappandosi in casa finché non era terminato. Si vestì con i suoi soliti abiti leggeri, perché si sarebbe cambiata mettendosi vestiti più pesanti sulla gummiship, durante il viaggio. Fece un’abbondante colazione giusto per essere sicura, poi si vestì, afferrò la valigia, in realtà abbastanza leggera, e si precipitò sulla spiaggia ad aspettare. Non dovette attendere molto. Dopo nemmeno un’ora, scorse un luccichìo nel cielo, e dopo pochi attimi, la navicella di Ansem atterrò sulla sabbia. Le persone uscirono velocemente dalle loro case, piene di curiosità, anche se non più spaventate come l’ultima volta, perché avevano capito che quello straniero non aveva atteggiamenti ostili. Presto attorno alla gummiship si raggruppò tutto il paese, perché la popolazione era consapevole del motivo della seconda visita di quell’imponente uomo: il sindaco, che era stato il primo a sapere da Kairi, aveva mantenuto la riservatezza, rivelando poi ai suoi cittadini che sua figlia se ne sarebbe andata solo dopo che lei aveva avuto il suo confronto con Riku. Le persone avevano appreso con dolore quella notizia: Kairi, anche se non era nativa di quei luoghi, era sempre stata una bambina prima ed una ragazza poi, gentile, amabile e disponibile verso tutti. Il pensiero di perdere una persona del genere aveva gettato la popolazione delle isole nella tristezza. Tuttavia, le persone capivano che arriva sempre il momento in cui un individuo deve tornare alle proprie origini, e se Kairi voleva tornare nel luogo a cui apparteneva, era giusto che seguisse questa sua volontà.

Ansem, con la sua divisa regale color panna, i pantaloni scuri e il mantello rosso avvolto sulle spalle, scese sulla passerella ritto e dignitoso, poggiando infine i piedi sulla sabbia fine. Kairi, con la valigia stretta in mano, si staccò allora dalla folla e venne avanti, a testa alta.

“Kairi”, la salutò Ansem con un sorriso compiaciuto. “Fatti vedere… ti trovo molto meglio dell’ultima volta che ti ho vista. Hai recuperato un po’ di peso?”

“Sì”, annuì lei. “Peso più di quarantasette chili adesso.”

Il vecchio principe annuì. “Si vede. Molto bene. Allora sei pronta a partire?”

“Sì. Sono pronta quando volete”, affermò Kairi, decisa.

“Allora possiamo andare. Hai salutato tutti?”

Kairi si girò e guardò in viso, una per una, le persone che si erano fermate a guardarla. Riconobbe il suo babbo, le sue amiche d’infanzia, i vicini di casa, i commessi dei negozi, i professori di scuola… sì, i giorni prima aveva salutato tutti e non ne mancava neppure uno. Si staccò un momento dal vecchio principe per riavvicinarsi a quello che, ai suoi occhi, era il suo vero babbo, per riabbracciarlo un’ultima volta.

“Figliola cara…” mormorò il sindaco, toccato, stringendola forte. “Mi raccomando, segui sempre i tuoi sogni e il tuo cuore… sii felice, nella tua nuova casa… e ogni tanto pensa al tuo babbo.”

Kairi annuì in silenzio, trattenendo il pianto, e si allontanò in modo definitivo da lui, riavvicinandosi ad Ansem. Gettò uno sguardo all’intorno, concentrandosi sul paesaggio. Non avrebbe mai più rivisto quelle isole, quella era l’ultima occasione in cui poteva osservare quella spiaggia fine, quel mare così blu, quelle palme piene di frutti succosi, e quel cielo così azzurro e terso. Ma, da parte sua, non vedeva l’ora di lasciarsi tutto questo alle spalle. Quindi si girò, senza più voltarsi, e iniziò a seguire il vecchio principe sulla passerella, tenendo stretta la valigia. Ma, arrivata a metà rampa, una strana sensazione la colse. Ora che si trovava più in alto, si fermò e si girò di nuovo, guardandosi in giro con apprensione. Ed infine, lo vide. Scorse Riku che si manteneva distante dalla folla, seminascosto dall’angolo di una casa, e che osservava la sua amica d’infanzia che se ne andava. Dal luogo in cui era cresciuta e da lui. Kairi, in un ultimo tentativo di riconciliazione, cercò una connessione col suo sguardo, ma, appena il giovane uomo si rese conto che Kairi stava cercando di fissarlo negli occhi, volse la testa, senza più permetterle ulteriori tentativi di recupero. Kairi allora abbassò il capo, affranta per qualche secondo. Non c’era più niente da fare. L’aveva perso. Anche se non riusciva a spiegarsi perché fosse venuto a vederla partire, se veramente non gli importava più niente di lei.

“Vieni via, Kairi?”, la voce del vecchio principe la riportò alla realtà.

Kairi, che già si sentiva gli occhi ricominciare a pizzicare, scosse allora la testa per mandare via ogni sentimento negativo che le stesse tornando. No, non doveva esserci posto ora, dentro di lei, per i brutti pensieri. Se doveva cominciare una nuova vita, doveva farlo partendo nel migliore dei modi. Quindi, guardando per l’ultima volta con affetto la folla radunata di sotto, finì di salire la rampa tenendo il mento alto e con passo dignitoso, come si conveniva ad una principessa, ed entrò nella gummiship. Abbandonò la valigia in un angolo e prese posto in un sedile allacciandosi le cinture, rimanendo in silenzio mentre suo padre azionava i comandi e la navicella partiva, allontanandosi per sempre dal mondo in cui la ragazza era cresciuta.

 

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Allora, ragazzi, parliamo del dlc. No, non mi metterò a parlare dei contenuti, e del prezzo troppo alto, e di tutte quelle cose che sono venute giustamente fuori nelle recensioni. Parlerò solo di quelle parti che possono rapportarsi a questa storia. Intanto dico che questo dlc va ovviamente a cozzare con certe scelte che avevo preso sulla base di ipotesi, ma mesi fa non si poteva certo sapere cosa avesse in testa Nomura. Visto però che certe cose nuove sono impossibili da ignorare, i prossimi giorni andrò a modificare un po’ i capitoli scorsi, in modo da rendere la storia più in linea con quello che è il canon. In realtà, per quanto riguarda i capitoli futuri, non cambierà praticamente nulla, sono più quelli passati che hanno un collegamento con la storia del tre. Queste sono le cose che, rispetto al tre, rimarranno diverse e quindi comprese nel what if: Ansem è il padre di Kairi; Sora viene dimenticato da tutti tranne che da Kairi, quindi nessuno si preoccupa di cercarlo; Kairi ovviamente va al governo, non si fa addormentare per un anno, e col passare del tempo cresce, non rimane identica come nel dlc perché Nomura non c’ha voglia di fare i modelli nuovi.

Ecco qui le cose che mi hanno colpito del dlc e che quindi andranno ad influire sulla storia:

- Numero uno. Ragazzi, ma quanto è badass Kairi nel combattimento? Porca miseria! Ci credo che nel tre non le hanno fatto fare niente! Se prendeva in mano la situazione avrebbe sconfitto lei MX da sola! Ho adorato il suo forte spirito di iniziativa anche se un po’ insicura (“please work!” adorabile), quando para il colpo di Xion proteggendo Lea, e soprattutto riesce a mettere in difficoltà Xemnas! Quando invece sia Sora, che Xion che Roxas erano stati respinti come niente (quindi andrò a fare per questo delle leggere modifiche alla storia, dove finora avevo raffigurato Kairi come totalmente inesperta. Non è così, e la storia dovrà adeguarsi di conseguenza). Poi viene data anche una spiegazione sul perché Xemnas sia riuscito a catturarla: perché prima le aveva fatto quell’attacco che usa anche nel 2, in cui imprigionava Sora privandolo delle sue energie. Poi tutte le tecniche che usa nel combattimento, lancia il Keyblade e ci si teletrasporta vicino, usa la forza bruta invece della magia, e ragazzi, il suo attacco combinato con Sora, è assolutamente magnifico! Inoltre è basato sull’uccello Jian, della mitologia cinese con un’ala sola, che ha bisogno di appoggiarsi alla compagna per poter volare, e rappresenta moglie e marito (quindi, sommando il tutto, debbo pensare che loro due simbolicamente siano già sposati nel tre. Forse il paopu ha proprio il valore di un matrimonio). Grazie, Nomura!

- E a proposito: per quanto riguarda la Sokai, Nomura ci è andato giù pesante, ma di brutto! Ho adorato ogni singola scena di Sora e Kairi in questo dlc, tutte le volte che si toccano e si tengono per mano, il modo in cui si guardano di continuo (c’è un punto in cui Kairi guarda Sora in un modo che sembra stia per saltargli addosso xD), quell’abbraccione così intimo che si danno (con tanto di Sora che le accarezza la testa), Sora che ha questa bella evoluzione in cui, al contrario dell’1 in cui le diceva di stare da parte perché sarebbe stata un intralcio, ora si fida talmente di lei da volerla al suo fianco nella lotta, i primi appuntamenti che hanno alla fine, Sora che finalmente le fa vedere i vari mondi come voleva fare nell’1… e alla fine, tra l’altro, Sora dice qualcosa a Kairi prima di sparire. Posso immaginare cosa… quindi niente, ragazzi, posso dire che dal mio punto di vista sono completamente soddisfatta. Immagino che quando Nomura, anni fa, aveva detto che non sapeva scrivere cose romantiche stesse dicendo cazzate. Quindi ora Sora e Kairi stanno ufficialmente insieme senza più nessun dubbio (semmai il 3 ne avesse lasciati, il che dubito), probabilmente sono anche simbolicamente sposati, e non vedo l’ora di scoprire come Nomura svilupperà la loro relazione nei prossimi giochi. Tra l’altro ha già detto in un’intervista che un indizio per il prossimo gioco è nella schermata del dlc, e visto che lì ci sono solo Kairi e Sora, non penso ci siano molti dubbi. Ma con calma, però… che prima Kairi ha un principato da governare!

- Incredibile: gli altri personaggi positivi mostrano un po’ più di interesse per le sorti di Sora e Kairi. Questo me li ha fatti un po’ rivalutare e riappacificarmi con loro (non badate al brutto litigio con Riku del capitolo, che si rifarà grandemente in seguito. Tra l’altro vogliamo parlare del sorrisone che fa nel finale rifatto del dlc, quando vede Kairi e Sora insieme? Perché Riku li approva, da bravo migliore amico!), e soprattutto mi ha soddisfatto che Sora, nel canon, sembra sia rimasto davvero intrappolato nel Mondo Finale, a vedere il filmato segreto in cui vince contro Yozora, quindi è la stessa scelta che ho fatto io. Mi è piaciuto anche che i personaggi abbiano ipotizzato lo scordarsi di lui come una possibilità concreta che alla fine però non è avvenuta, quindi diciamo che un pochino mi ero avvicinata. Questo almeno mi fa sembrare le scelte che ho fatto per la storia un po’ meno assurde.

Concludo dicendo che, purtroppo o per fortuna, questo dlc mi ha fatto avere un ripensamento su una decisione sofferta che avevo preso all’inizio riguardo questa storia. Niente, dopo aver visto certe scene, non posso proprio rimanere su quello che avevo deciso riguardo un certo personaggio. Quindi, se alla fine di tutto gli eventi in questa ff andranno in modo un pochino diverso e senza dubbio più positivo, ringraziate il signor Nomura che ha calcato la mano. 

Ciao a tutti, spero di riuscire ad aggiornare presto!

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Capitolo 10
*** La prima impressione ***


Allora ragazzi, come vanno gli arresti domiciliari? Scusate se ci ho messo tanto, questo capitolo è stato difficile per me, vista la quantità di cose che ci ho buttato dentro. Attenzione: vista l’uscita del re:mind, d’ora in poi i capitoli di questa storia conterranno dei lievi spoiler. Siete avvisati!

 

Capitolo 10 – La prima impressione

 

“Li uomini mutano volentieri signore, credendo migliorare; e questa credenza li fa pigliare l’arme contro a quello; di che e’ s’ingannono, perché veggono poi per esperienza avere piggiorato.” – Capitolo III


Ma quanto era lontano il Radiant Garden dalle Isole del destino? Questo si chiedeva Kairi mentre, sul sedile con le cinture di sicurezza bene allacciate, osservava incuriosita suo padre , seduto davanti a lei che le dava le spalle, mentre guidava la navicella. Era pur vero che era stata già al Radiant Garden, mesi e mesi prima con Sora, per liberare il cuore di Naminé prima di tornare sulle isole, ma allora non avevano usato la gummiship per spostarsi, così che la ragazza non si era davvero resa conto di quanto in realtà i due mondi fossero distanti. Mentre si faceva questa domanda, Kairi non riusciva a smettere di pensare a Riku. Sarebbe stato meglio per lei se al momento della partenza non l’avesse rivisto, almeno avrebbe potuto metterci una pietra sopra. Conosceva troppo bene il suo amico d’infanzia per non rendersi conto che lui provava un affetto troppo grande per lei per chiudere in un modo così brusco. Ed infatti, il fatto che fosse stato presente al momento della sua partenza glielo aveva confermato. Riku non voleva troncare con lei, ma il suo orgoglio lo aveva spinto a comportarsi in quel modo, e Kairi non poteva certo biasimarlo: chiunque altro, al suo posto, avrebbe perso la pazienza ben prima. E tuttavia, Riku non aveva voluto farsi avanti per parlarle, e lei non si era avvicinata a lui per riconciliarsi. Si erano guardati, lui aveva distolto lo sguardo, e tutto era finito lì. Kairi avrebbe potuto in realtà risolvere la faccenda in un modo semplice: raccontargli tutta la verità. Ma c’era una cosa in particolare che la tratteneva dal farlo: la consapevolezza che, se Riku non l’avesse presa per pazza e avesse creduto sul serio a quello che lei sapeva, avrebbe di sicuro iniziato a cercare Sora in ogni modo, per poter riavere il suo migliore amico indietro. Quando invece Kairi sapeva benissimo che, per quanto ci potessero provare, non c’era modo di salvare il suo innamorato, e quindi se Riku si fosse messo a cercarlo avrebbe sprecato la sua vita e basta. No, come Sora le aveva detto, era molto meglio così. Era meglio che Riku, e tutti gli altri, ne restassero all’oscuro. L’unica su cui gravava tutto il peso della sofferenza per la sua scomparsa era lei. Ma, per il loro bene, lo doveva sopportare e ci si doveva abituare. Ora, con Riku non sapeva come sarebbe andata a finire. Per il momento sapeva che non lo voleva né sentire né vedere. Più avanti? Si sarebbero riparlati? Avrebbero riallacciato i rapporti? O forse non si sarebbero visti mai più? Kairi per ora non voleva pensarci. Una nuova vita la aspettava, ed era a questa, ora, che doveva prestare attenzione.

“Quindi…” iniziò incerta, ed Ansem sussultò, perché era la prima volta che il silenzio fra loro due veniva rotto da quando il viaggio era iniziato. “Posso sapere… ehm… padre… che tipo di mondo è il Radiant Garden? Come funzionano le cose là?”

Il vecchio principe, senza voltarsi, annuì. “Hai ragione, Kairi. Prima di arrivare è bene che tu sappia un po’ come funzionano le cose. Hai fatto bene a chiedere.”

A Kairi metteva un po’ a disagio il fatto che fosse costretta a parlare con Ansem senza poterlo guardare in faccia, ma non poteva alzarsi dal suo posto e dovette accontentarsi.

“Per quanto riguarda l’assetto del regno, lo potrai capire meglio quando sarai arrivata, vedendolo coi tuoi occhi. Per quanto riguarda il governo invece, sappi che il Radiant Garden è una monarchia assoluta che può essere retta da uno o più principi. Però ce n’è sempre uno più importante degli altri, chiamato principe regnante, e tutte le decisioni organizzative ultime spettano a lui, se c’è un’indecisione o un dubbio, così come il potere legislativo, che gli altri principi non hanno.”

“E il principe regnante siete voi, vero?” chiese Kairi, che ascoltava con attenzione.

“Esatto. Di principi ce ne possono essere anche due o tre in realtà, e se ce n’è più di uno, il principe regnante assegna a ciascuno di loro una parte del governo. Così il particolare principe dovrà curarsi solo dei compiti che gli sono stati assegnati, e finché rimane limitato a quelli, non dovrà rendere conto al principe regnante per ciò che vorrà applicare, ma sarà tutto a sua discrezione. Per quanto riguarda quel particolare ambito, avrà potere esecutivo e giudiziario, mentre il potere legislativo spetterà al solo principe regnante. Mi spiego?”

“Sì”, annuì Kairi. Ricapitolando: monarchia assoluta, un principe più in alto gerarchicamente degli altri, che poteva assegnare parti di governo agli altri principi, e un principe più in basso a livello di gerarchia, una volta ottenuto un particolare potere poteva usufruirne liberamente senza rendere conto a chi stava più in alto.

“Naturalmente finora il problema non si è posto, perché da quando sono diventato principe regnante, sono stato sempre l’unico”, riprese Ansem. “Ma governare da soli un regno così vasto come il Radiant Garden non è facile. Ecco perché è meglio che i principi in totale siano due o anche tre, a seconda dei casi. Così il lavoro è molto più alleggerito.”

“E un principe nuovo come viene scelto? Viene eletto dal popolo?” chiese Kairi.

Ansem rise divertito a quell’ipotesi. “No, Kairi. Il popolo non può certo prendersi una così grossa responsabilità. Mi raccomando, i sudditi non vanno così sopravvalutati, intellettualmente parlando.”

“Certo…” annuì Kairi, a cui quell’ultima frase non sembrava molto chiara e, in un certo senso, nemmeno troppo gentile.

“No, la successione avviene per linea ereditaria. Tu sei mia figlia, e quindi è giusto che diventi tu la nuova principessa, e così succederà anche a chi verrà dopo di te.”

Kairi capì immediatamente dove suo padre voleva arrivare. “Padre, non… non succederà”, esclamò. “Io non voglio sposarmi”, aggiunse, ancora più convinta.

“Tranquilla, figliola”, cercò di placarla Ansem, senza voltarsi. “Non devi certo farlo immediatamente. Puoi prenderti tutto il tempo e gli anni che vuoi. Il Radiant Garden è pieno di bei ragazzi prestanti, sono certo che almeno uno di loro ti piacerà, e allora potrai sposarlo ed il sangue della nostra famiglia potrà mantenersi.”

Kairi scosse la testa, con l’orrore nel cuore a quella prospettiva. “No, signore, non mi sono spiegata. Non voglio sposarmi. Né ora né mai. E’ una scelta precisa che ho fatto, che non dipende da quanto siano belli o in gamba i ragazzi del Radiant Garden. Quindi devo dirvi fin da subito che non darò al regno un erede di sangue. E’ l’unica condizione che chiedo per poter restare con voi. Altrimenti potete riportarmi indietro. Io non voglio sposarmi!”

Ansem allora girò la testa e la guardò perplesso. “Sei stata molto convincente”, commentò. “Non preoccuparti, questo non cambierà le cose. In via del tutto eccezionale, quando non c’è un erede di sangue, il principe regnante sceglierà lui stesso un altro erede che possa continuare la linea. E sei fortunata, Kairi: ne abbiamo uno già pronto che ci aspetta al Radiant Garden.”

Kairi tirò un gran sospiro di sollievo e si accasciò sul sedile. Era stata brusca con suo padre, questo era vero, ma non aveva potuto fare altrimenti: il solo pensiero di sposarsi con un uomo che non fosse Sora e avere un figlio che non fosse suo era per lei inconcepibile. Avrebbe preferito mille volte ritornare nelle Isole del Destino e continuare a soffrire piuttosto che andare incontro a un futuro simile. Ma Ansem le aveva appena detto che c’era qualcun altro nel regno che si sarebbe preso la responsabilità di continuare la linea della loro famiglia, quindi per quello che la riguardava, era tutto risolto.

“Chi è questa persona, se posso chiedere?”

“La conoscerai. E’ un bambino che ho adottato un po’ di tempo fa, quando ancora non avevo preso in considerazione l’idea di farti tornare. E’ piccolo, ma è molto sveglio ed intelligente. Quando crescerà sarà principe insieme a te. Ed è un bene questo, non vedeva l’ora di poter assumere questo ruolo. Quando gli ho detto che saresti tornata e saresti diventata tu la principessa mi è sembrato che ci fosse rimasto un po’ male.”

“Bene!”, annuì Kairi, sollevata. Perché no? L’idea di avere un collaboratore più giovane di lei non le dispiaceva. Avrebbe potuto darle una mano, e se era davvero così entusiasta all’idea di diventare principe, si poteva solo pensare che avrebbe fatto un ottimo lavoro.

“La successione generalmente avviene in base all’età, salvo motivi particolari che devono avere una giustificazione valida. Questo vuol dire che, dopo di me, sarai tu la principessa regnante del nostro regno”, aggiunse Ansem.

Kairi iniziò a mostrare però un certo disagio. “Non… vi sembra un po’ presto per parlarne? Insomma, ancora devo vedere il mondo che dovrò governare.” Era riuscita ad abituarsi all’idea di essere una dei capi del mondo, ma l’idea di esserne la capo assoluta per ora la intimoriva.

“Hai ragione Kairi, tempo al tempo. Prima bisogna vedere come te la caverai come semplice principessa, anche se non ho dubbi che svolgerai un ottimo lavoro”, la incoraggiò Ansem.

Kairi non rispose a quell’affermazione, riuscendo solo ad augurarsi che il vecchio principe avesse ragione.

“Siamo quasi arrivati. Vedo già il Radiant Garden in lontananza. Stringi la cintura, atterriamo”, annunciò Ansem.

Kairi, emozionata, afferrò con entrambe le mani i braccioli del sedile, preparandosi all’atterraggio. La Gummiship attraversò una spessa coltre di nubi, e la ragazza vide avvicinarsi un mondo ricoperto di acqua, con tante isole sparse sulla sua superficie, e qualcosa di isolato che spiccava. Riconobbe immediatamente il castello che d’ora in poi sarebbe stata la sua casa, e la città che si era sviluppata intorno alle sue mura. Il mondo era però grigio e cupo, gli ampi appezzamenti di terreno non erano ricoperti dai fiori che ricordava. Pioveva forte, e i vari giardini erano zuppi d’acqua. In giro non si vedeva nessuno. La Gummiship si avvicinò con cautela vicino alle porte del castello, e quando ebbe completato le operazioni, Ansem spense il motore.

“Non preoccuparti di quello che hai visto, il Radiant Garden non è sempre così. Siamo in piena stagione delle piogge, ma passerà”, la tranquillizzò. “Fuori fa freddo ed è umido. Vuoi metterti i vestiti pesanti che ti sei portata?”

Kairi annuì, slacciò la cintura di sicurezza, afferrò la valigia e si rifugiò nel bagno della navicella. Ansem intanto aprì il portello ed abbassò la rampa. Di sotto, incuranti della pioggia, si erano già raccolti le due guardie e i due apprendisti. La navicella era atterrata proprio accanto alle mura del castello, e i cancelli che conducevano alla residenza reale erano chiusi, quindi nessuno del popolo poteva accostarsi a loro.

“Vi siete assicurati che dentro sia tutto in ordine?”, gridò Ansem da in cima alla rampa.

“Tutto è in ordine e sistemato, maestà”, assicurò Aeleus.

Il vecchio principe annuì e si girò. Guardò sbigottito sua figlia che era appena uscita dal bagno. Si era messa una maglia bianca con le maniche lunghe, una gonna pesante lunga fino al ginocchio, degli stivali più alti che le coprivano anche gli stinchi, ed ora si stava infilando un impermeabile rosa chiaro e nero che le arrivava fino al ginocchio, stretto in vita. Sua figlia era davvero splendida, ed Ansem non poté fare a meno di pensare a quello che gli aveva detto prima. Altroché non volersi sposare, lui era sicuro che appena i ragazzi che abitavano quel regno avessero visto che meraviglia si trovavano per principessa, si sarebbero assaliti l’un l’altro pur di conquistarla. Ma se era la volontà di Kairi rimanere da sola, non sarebbe stato certo lui a cercare di farle cambiare idea.

“Vieni, Kairi, sarà meglio che tenga un ombrello”, le disse, porgendogliene uno dal portaombrelli vicino all’uscita. “Fuori la pioggia è molto fitta.”

Kairi, seguendo suo padre, tenendo stretto l’ombrello sopra la sua testa resistendo alle raffiche di vento e appoggiando cauta i piedi sulla rampa bagnata, si avviò verso le quattro persone raccolte sotto. Appena furono arrivati, subito le due guardie li scortarono dentro il portone del castello, all’asciutto. Quando fu all’interno, Kairi si diede una rapida occhiata in giro: quel castello era un po’ diverso da come se lo era immaginato. Aveva un’atmosfera piuttosto cupa, anche se si trovavano nello stanzone principale e c’erano parecchie finestre e vetrate, e di certo il brutto tempo non aiutava. L’ampia sala portava a un trono fissato in fondo, e dai due angoli in fondo della sala, a destra e sinistra, partivano due corridoi, che sicuramente portavano in altre aree del castello, e due ripide rampe di scale che portavano ai piani superiori; di fianco a ciascuna di esse c’era un grosso cristallo blu splendente. E vicino al portone d’ingresso c’era invece una stretta scala che portava al piano inferiore, probabilmente il laboratorio.

La ragazza distolse lo sguardo dall’ambiente intorno, per vedere le persone che l’avevano accolta. Erano quattro uomini, due di essi, con un camice bianco, erano chiaramente gli apprendisti di Ansem, gli altri due, imponenti e con una divisa nera, dovevano essere le guardie del castello. Kairi chiuse l’ombrello e si inchinò profondamente davanti a loro. “Sono molto onorata di conoscervi”, iniziò. “Prego, prego, non dovete inchinarvi così”, disse reverente l’apprendista coi capelli lunghi e biondi. “Non dimenticate che siamo noi a doverci inchinare a voi.” Kairi stava per dire che non si disturbassero, ma i quattro uomini fecero un rispettoso inchino davanti a lei, col solo effetto di farla sentire ancora più in imbarazzo. Un frullio d’ali ruppe quell’austerità silenziosa.

“Chi è appena arrivato, kupò! Cosa vedono le mie fosche pupille?” chiese eccitatissima una vocetta, e subito dopo Mog entrò a razzo dal portone, scrollandosi l’acqua dalla pelliccia.

“Mog, sii discreto, mia figlia è appena arrivata”, cercò di placarlo Ansem, che era entrato in quel momento e di fianco a cui le guardie si erano allineate rispettose.

Mog non sembrò sentirlo e iniziò a svolazzare curioso attorno alla ragazza. “Quindi voi siete la figliola del nostro principe, kupò? Sicuro, sicuro, mi ricordo bene di voi! Come eravate piccola e carina, kupò! E guardate ora che splendida ragazza siete! Certo non si può dire che abbiate preso da vostro padre, eh?”

“Mog!” lo richiamò severamente Ansem. “Vedi di non farti riconoscere subito.”

“Oh, sì! Certo!” esclamò agitato l’animaletto mettendosi sull’attenti e facendo il saluto militare. “Ora, signore… posso dare la notizia al popolo, kupò?”, mettendosi già in posizione per partire alla massima velocità.

“Non ancora. Aspetta il mio ordine”, gli disse Ansem, e Mog con un sospiro fece uscire tutta l’aria con cui si era caricato, afflosciandosi con le ali ciondoloni.

In tutto questo, Kairi non aveva potuto fare a meno di mettersi a ridere coprendosi la bocca con la mano. Quella creaturina già le stava simpatica. Le sembrava l’unico accenno di follia in quel castello per ora un po’ troppo cupo.

“Kairi, è un onore riavervi qui con noi”, continuò l’apprendista più anziano. “Il mio collega Ienzo forse non si ricorda di voi, ma io vi ricordo molto bene. Siamo davvero lieti del vostro ritorno, e presto lo saranno anche i sudditi.”

“Lasciate stare i sudditi, per ora”, lo interruppe Ansem. “Prima c’è qualcun altro a cui pensare. Dilan, sai dov’è Kain?”

“Dovrebbe essere nella sala da pranzo, ormai è ora di mangiare, e lui va sempre lì un po’ prima”, rispose una delle guardie. “Non aspetta che sia il personale a doverlo chiamare” aggiunse con una punta di orgoglio.

Ansem annuì. “Giusto, è ora di pranzo. Kairi, per i pasti abbiamo la sala da pranzo al piano terra. Tu, io, Even, Ienzo, Kain…” il vecchio principe interruppe la frase vedendo il moguri, sospeso a mezz’aria, agitare la zampa sollevata per richiamare la sua attenzione. Roteò verso il soffitto gli occhi. “… e Mog, prenderemo insieme i pasti. Ma prima che tu vada a sistemare le tue cose, è giusto che incontri Kain, prima. E’ parte della famiglia, e quando sarà grande lavorerà insieme a te.”

Kairi annuì sorridendo. “Sono davvero curiosa ed impaziente di conoscerlo.”

“Brava”, approvò Ansem. “Dilan, vai a prenderlo.”

La guardia annuì e si allontanò verso i corridoi, tornando dopo poco tenendo un bambino di cinque anni o poco meno seduto in bilico sulla spalla. Kairi lo osservò bene: aveva lunghi capelli biondi legati, gli occhi azzurro ghiaccio brillanti e, per via dei pantaloni lunghi e il bel vestitino che portava, sembrava più grande della sua età. Quando furono a una decina di metri di distanza, Dilan lo mise per terra e lo spinse leggermente avanti verso Kairi, che lo guardava piena di simpatia. Il bimbo doveva essersi già reso conto della persona cui si trovava di fronte, e la guardò con un poco di diffidenza, ma poi si fece avanti, si inchinò profondamente, le prese il polso e le baciò il dorso della mano.

“Voi siete Kairi, la figlia del nostro principe, vero? Io sono Kain, e sono onorato di conoscervi. Spero che questo castello sia di vostro gradimento”, disse, col tono di chi ha imparato a memoria la parte.

Ansem si mise a ridere di gusto a quelle parole. “Sei stato bravissimo, Kain, ma non c’è bisogno di essere così teso. Rilassati, Kairi non ti mangia mica.”

Anche Kairi rise, e si abbassò per poterlo vedere meglio. “Sì, io sono Kairi, e tu sei, se non ho sentito male…” lasciò cadere la frase per dare alla voce un tono di mistero. “Ma sì! Tu sei il futuro principe, vero?”

Kain spalancò gli occhi incredulo, e si girò verso Ansem.

“Sì, Kain, mi ricordo quello che ti ho detto. Sai che in genere funziona che il ruolo di principe si trasmette di genitore in figlio, e quindi avevo lasciato in sospeso la cosa con te. Ma Kairi qui ha qualcosa da dirti”, e il vecchio principe fece un cenno verso la figlia.

“Devi sapere che io non ho nessuna intenzione di sposarmi”, annunciò allora Kairi, col tono un po’ impostato, al bambino.

Kain parve perplesso. “Non volete sposarvi? E perché?”

“Perché non mi va”, rispose semplicemente la ragazza, mantenendo un tono di simpatia. “E quindi sai come funziona, no? Niente marito, niente figli, e come si farà se non ci sarà nessun figlio mio che possa proseguire la linea?”

“Oh!” saltò su allora Kain, alzando la mano. “Io! Ci sono io!” esclamò emozionato.

“Esatto”, annuì Ansem. “Quando sarai grande, sarai anche tu un principe e governerai insieme a lei.”

“E già!”, esclamò Kairi. “Come faccio sennò, tutta sola? Un bravo aiutante come te mi ci vuole. E poi chi dice che non diventerai un principe regnante anche tu? Non sei molto più giovane di me, e quando sarò troppo stanca del mio ruolo, so che potrai prendere il mio posto.”

“Sei contento allora, Kain?” chiese Ansem soddisfatto al bambino.

Kairi vide Kain assumere un atteggiamento riflessivo, mettendosi a braccia conserte e socchiudendo gli occhi per riflettere su tutto quello che gli era stato appena detto. Era ancora piccolo, e un certo sforzo mentale di rielaborazione ancora gli era necessario.

“Quindi… per me non cambierà niente, maestà? Sarò comunque il principe del regno?” chiese infine, aprendo gli occhi.

“Sì, per te non cambierà niente”, assentì Ansem. “L’unica differenza sarà che avrai un’ottima collega al tuo fianco”, aggiunse ridendo. “Ma un giorno sarai principe regnante anche tu. Sei più giovane di Kairi, in fondo, e sarai tu a proseguire la nostra dinastia.”

L’espressione di Kain si aprì allora in un gran sorriso sollevato, e il bambino batté le mani tutto contento, ridendo e lasciando andare tutta la compostezza che aveva avuto fino a poco prima. La sua felicità era arrivata a tal punto che si slanciò in avanti gettando le braccia al collo della ragazza, che lo abbracciò stretto. Anche Kairi si sentì contagiata da quella felicità: era passato del tempo dall’ultima volta in cui aveva visto qualcuno così contento.

“Andremo d’accordo, noi due”, assicurò Kairi, passandogli le dita fra i capelli biondi. “Sei davvero un bel bambino, e mi sembri anche molto svelto! Mio padre ha scelto bene il prossimo erede”, si sentì di aggiungere.

“Su questo non c’è dubbio”, annuì Ansem. “Allora, Kairi, cosa ne pensi della tua nuova famiglia? Ti abbiamo fatto una buona prima impressione?”

Kairi staccò il bambino da sé e si rimise in piedi. Guardò i visi dei presenti uno per uno: Ansem, Kain, Even, Ienzo, Aeleus, Dilan e Mog. Era l’unica donna in mezzo a tutti quei maschi. Ma le mettevano addosso una buona sensazione. Non erano come suo padre adottivo, non erano come quello che avrebbe potuto essere Sora se fossero rimasti insieme, ma erano un buon punto di partenza.

“Non avrei potuto chiedere di meglio”, affermò.

I presenti sorrisero lieti a quelle parole, e anche gli occhi arancioni del vecchio principe mostrarono gioia, stringendosi appena e facendo aumentare le rughe agli angoli. Si voltò poi verso una delle guardie.

“Aeleus, mostra a mia figlia la sua camera. Ho fatto già preparare tutto i giorni scorsi dal personale, ovviamente senza spiegarne lo scopo. Kairi, dovrai solo sistemare i tuoi vestiti.”

Girò poi la testa verso il moguri. “Mog… adesso puoi andare. Vola per tutti e quattro i quartieri della città, suona tutti i campanelli e avvisa tutte le famiglie. Devi dire che alle due ci sarà un importante annuncio, che si radunino tutti nella piazza principale. Che lascino le loro occupazioni se serve, non deve mancare nessuno.”

Mog, a quelle parole, facendo fatica per trattenere la sua eccitazione, fece il saluto militare e sfrecciò via dal portone.

Aeleus, l’uomo più grosso ed imponente che Kairi avesse mai visto, più di suo padre, più dell’altra guardia di nome Dilan, guidò allora Kairi su per le scale in fondo al salone, portandole senza fatica la valigia. La scalinata, notò Kairi, rispecchiava l’ambiente generale del castello: manteneva una certa cupezza e ripidezza che non stonavano con la bizzarria del castello visto dall’esterno, così pieno di torrette asimettriche e ingranaggi, non poi così dissimile dalla Fortezza Oscura in cui era stata una volta. Era chiaro che non era stato pensato come un palazzo residenziale, comodo e confortevole, ma come una struttura difensiva, forse perché il Radiant Garden in passato era stato spesso oggetto di attacchi. La ragazza allora ne approfittò per dare una veloce stima dell’architettura interna man mano che la guardia la accompagnava. Nonostante l’esiguo numero di abitanti del castello, la fortificazione era molto ampia, e dedusse che fosse così per poter ospitare comodamente la popolazione cittadina in caso di attacchi al regno. Sapeva, per quel che si ricordava e da quello che aveva visto mesi prima con Sora, che la città stessa era fortificata, e il castello lo era a sua volta, con un muro che lo divideva dalla città. Le stesse scalinate, notò Kairi, erano strette per evitare che gli assalitori potessero salire tutti insieme, e vide che alcuni scalini erano di altezza diversa gli uni rispetto agli altri. Un modo per confondere chi saliva di corsa? Arrivati al piano superiore, i due percorsero un corridoio lungo e stretto, con delle finestre poste sul muro in alto che garantivano la luce. Kairi vide che in alto c’erano anche dei lampadari di vetro molto particolareggiati, ma al momento, inspiegabilmente, erano spenti. “Questa è la stanza di vostro padre. Davanti alla sua c’è quella di Kain”, spiegò l’uomo brevemente, indicando una porta scura lungo il corridoio che percorrevano. “La vostra è dalla parte opposta, perché possiate stare più tranquilla.” Kairi dovette percorrere così il lungo corridoio, ed arrivati in fondo, Aeleus le aprì una porta laccata di bianco e con delle decorazioni piene di curve e riccioli, uno spiraglio di colore chiaro in tutta quella cupezza.

Ma, quando fu entrata nella propria stanza, Kairi non poté evitare di lasciarsi sfuggire un verso di meraviglia. L’interno della camera non rispecchiava affatto l’ambiente cupo che c’era nel resto del castello. Il pavimento era coperto di parquet invece di mattonelle in modo da evitare il freddo, le pareti erano dipinte di un rosso cupo e caldo, gli armadi che coprivano un muro erano di legno intarsiato e decorato, una porta posta di fianco ad essi portava in un’altra stanza con raffinati servizi igienici, e con la testata rivolta verso il muro opposto c’era quello che, agli occhi di Kairi, era il più bel letto che avesse mai visto: un letto alto, a due piazze, con due tendine di baldacchino, col copriletto dello stesso rosso cupo delle pareti, e con le colonnine di legno intarsiate e dipinte di vernice dorata. Dello stesso rosso erano anche le pesanti tende sull’ultimo muro, che lasciavano scoperte le ampie finestre. Vicino alla porta d’ingresso, c’era un’elegante scrivania di legno scuro e decorato. Anche questa stanza aveva un bel lampadario appeso al soffitto, anche se spento. Kairi era così sbalordita che rimase a bocca aperta senza riuscire a parlare. Solo il suono della valigia appoggiata in un angolo la fece tornare in sé.

“Non so… davvero come descriverla… non ho mai visto una stanza così bella…” boccheggiò.

“Sua maestà l’ha sistemata e fatta abbellire senza badare a spese, anche se economicamente non sono tempi facili”, spiegò Aeleus. “Vi manderò su del personale che possa aiutarvi a sistemare i vestiti.”

“No no, non ce n’è bisogno, ho davvero poche cose con me”, lo fermò però Kairi. “Posso fare da sola.”

Aeleus annuì. “Allora vi manderò a chiamare quando il pranzo sarà pronto. Penso che ancora una mezz’ora ci vorrà”, disse uscendo e chiudendo con discrezione la porta, nonostante la sua mole.

Come prima cosa, la ragazza si diresse verso il lato con le finestre. La luce era spenta e fuori, le pesanti nuvole da temporale che continuavano a far cadere acqua sul Radiant Garden non facevano filtrare molta luce, ma lei voleva comunque ammirare il panorama. Restò sbalordita per lo spettacolo: sotto la sua finestra, molto più sotto, c’era un vasto appezzamento di terreno strutturato a gradoni, con molti alberi spogli. Kairi dedusse che si doveva trattare di un lussureggiante giardino, ma vista la brutta stagione, di fiori non ce n’erano al momento. Poteva solo immaginare di che sfarzosa bellezza doveva risplendere quel giardino quando fosse tornato il bel tempo. Più oltre si scorgeva, attraverso l’acqua e la foschia, l’intera città, fatta di casette più o meno benestanti a seconda di dove si trovavano, strade principali ampie e tortuosi vicoli, giardini al momento spogli, le massicce mura fortificate che la chiudevano dall’esterno, il mare d’acqua dolce increspato per la pioggia di cui suo padre le aveva parlato, e più lontano, molto lontano, che si scorgevano appena nella nebbia, delle isole affioravano dalla superficie. Ecco la sua casa di origine, a cui era tornata e in cui avrebbe abitato d’ora in avanti. Ecco il mondo che, anche grazie a lei, sarebbe dovuto rifiorire ed andare verso la prosperità. Non sapeva ancora bene in che modo avrebbe potuto farlo, ma era ben decisa a fare più del suo meglio per riuscirci. Visto che la luce che entrava dalla finestra non era molta, dato il brutto tempo, Kairi si avvicinò al muro per accendere l’interruttore della luce, ma si rese conto che non andava. La luce non funzionava. Mancava l’elettricità? Lo avrebbe chiesto al vecchio principe più tardi. Allora, sentendosi stanca improvvisamente, si avvicinò al letto, lasciandocisi cadere di schiena, e rimase a fissare il soffitto, dello stesso rosso cupo dei suoi capelli. Quel materasso era morbidissimo, molto più confortevole del rustico letto di casa sua, ma le sarebbero di sicuro serviti alcuni giorni per abituarsi.

Nel silenzio assoluto della sua camera, Kairi percepì un eco della pesante umidità che doveva esserci nell’ambiente esterno. D’altra parte lo sapeva: lì il clima non era come quello caldo, ventilato, asciutto e tropicale delle sue isole, ma ci si doveva abituare. Mai e poi mai sarebbe tornata indietro. Se era vero che nel Radiant Garden la stagione delle piogge durava quattro mesi, lei si sarebbe abituata anche al freddo e all’umidità che si sarebbe sentita penetrare nelle ossa. Ma con la sua vecchia vita aveva chiuso, e da quel momento avrebbe guardato solo avanti.

Come a volerle far smentire quella decisione che aveva preso, il suo cervello le giocò ancora un brutto scherzo. Kairi constatò infatti come quel letto fosse largo, morbido, caldo confortevole, ed anche intimo, una volta tirate le tende del baldacchino. Se solo avesse avuto Sora lì con lei… quanto avrebbe voluto stare lì sdraiata con lui per potersi abbracciare ed accarezzare, stretti uno all’altra… non fece nemmeno in tempo a rendere ben chiara in mente quell’immagine che già gli occhi le si erano riempiti di lacrime e il petto aveva iniziato a farle male.

“No, basta, non devo pensarci adesso”, disse a voce alta, coprendosi la faccia con le mani. Più tardi gli avrebbe scritto un’altra lettera per raccontargli quello che stava vivendo, in modo da tenerlo aggiornato sulla sua vita, ma da quel momento non poteva più permettere che il suo cuore spezzato dominasse le sue giornate. Non dopo aver saputo il compito e il ruolo che avrebbe dovuto avere d’ora in poi.

Per fortuna, in quel momento sentì bussare alla porta. Kairi si tirò su a sedere e si asciugò velocemente la faccia. “Avanti!”

Con sua grande sorpresa, entrò Kain, un po’ intimidito. Il viso di Kairi si alleggerì quando vide il bambino. “E tu?” gli chiese ridendo.

Il bambino recuperò il suo contegno e si mise in piedi rispettoso sulla porta. “Sua maestà mi incarica di dirvi che il pranzo è pronto.”

Kairi non poté fare a meno di mettersi a ridere di fronte a tanta formalità, proprio con lei che fino al giorno prima era stata una ragazza come tante altre. Si alzò e, raggiunto Kain, lo acchiappò tra le braccia, dandogli un gran bacio sulla testa. “Sei adorabile!”, esclamò.

Kain era visibilmente imbarazzato da quella reazione, ma non si ribellò, anzi mostrò di gradire le attenzioni della giovane donna. ‘Chissà da quanto tempo non riceve un abbraccio da qualcuno che non sia un uomo?’ non poté fare a meno di chiedersi Kairi. Kain, sciolto l’abbraccio, la prese discretamente per mano. “Venite, vi faccio vedere dov’è la sala da pranzo”, le disse con galanteria, tutto fiero di poterle mostrare cose che lui sapeva e lei no. La condusse giù per le scale, poi per il corridoio in fondo alla sala principale, dove si trovava la stanza da pranzo, separata dalla cucina. Il locale era ampio, al muro erano appesi piatti laccati e decorati, ed anche le credenze appoggiate ai muri, dentro cui c’erano stoviglie raffinate, erano intagliate con cura e in modo particolareggiato. Il tavolo era in pesante legno scuro ed antico, e intorno ad esso erano già seduti a capotavola il vecchio principe, nella sua divisa reale, i suoi due apprendisti, senza il camice ed eleganti anche loro, col loro fazzoletto viola infilato nel colletto della giacca, e Dilan, una delle guardie, di fianco ad Even. Kain lasciò la mano di Kairi e corse a sedersi di fianco a Dilan, mentre Kairi prese posto accanto a Ienzo. Mog non c’era, probabilmente perché era ancora impegnato nel portare l’avviso ai sudditi.

“E Aeleus, ehm… padre?” chiese Kairi. Chissà quanto ci sarebbe voluto perché si abituasse a chiamarlo così.

Ansem stava per rispondere, quando Kain alzò veloce la mano. Il principe ridacchiò sotto i baffi e gli diede la parola.

“Signorina, perché le guardie non possono staccare tutte e due nello stesso momento, sennò il castello resterebbe senza sorveglianza. Fanno a turni, un giorno una e un giorno l’altra. Quella che non è a pranzo con noi mangerà dopo quando quella che è con noi le darà il cambio”, disse tutto d’un fiato Kain, sparando le parole come una mitragliatrice.

“Eccellente, Kain”, approvò Ansem. “Possiamo cominciare a mangiare, allora.” Suonò il campanello vicino al suo piatto, e subito tre camerieri, tutti ben vestiti ed eleganti, entrarono con dei grossi piatti da portata. Nessuno di loro fece domande od osservazioni al vedere la nuova arrivata, ma Kairi si rese conto subito che le loro espressioni erano vagamente sconcertate. Ciascuno di loro mise una porzione di cibo nei piatti di ogni commensale, posarono quindi i vassoi sul tavolo e si ritirarono con discrezione.

“Tutti i membri del personale sono ovviamente sudditi pagati”, spiegò subito Ansem. “Quelli che servono i pasti fanno parte dei ceti benestanti, quelli che si occupano delle pulizie e della manutenzione sono di origine più modesta. Bene! Buon appetito”, concluse con tono allegro.

Kairi, abituata com’era ai cibi semplici delle Isole del Destino, sulle prime non riuscì neanche a capacitarsi di cosa si trovasse nel suo piatto. Riuscì a distinguere un pezzo di torta salata con un ripieno ricco e abbondante, forse besciamella e carne mescolati ed una fetta di chissà che tipo di formaggio con sopra un paté di cui non riuscì a distinguere la composizione. Poco oltre il suo piatto uno dei camerieri aveva posato una ciotola di zuppa aromatica, e Kairi ebbe il vago sospetto che tutto questo non doveva essere che l’antipasto. Erano tre cibi che non aveva mai visto nella sua vita: nelle isole dove aveva vissuto fino a poco prima, così calde e soleggiate, era impensabile nutrirsi in quel modo pesante o mangiando zuppe bollenti. Ma anche attraverso il mangiare la sua nuova vita sarebbe cambiata e si sarebbe lasciata alle spalle il passato e tutto ciò a cui era abituata, perfino i sapori. Quindi, cercando di imitare il modo composto con cui gli altri si servivano, tagliò un pezzo di formaggio cosparso di paté e provò ad assaggiarlo. Ora, la ragazza non seppe bene cosa provò: era un mix di gusto e consistenza che non aveva mai sentito, e tutto quel miscuglio di sapori diversi e nuovi nella sua bocca che non riuscì neanche a distinguere fra loro, le diede uno strano effetto, forse unito al fatto che era da relativamente pochi giorni che il suo stomaco si era riaperto. Sentì all’improvviso una forte ondata di malessere attraversarle il corpo, e si piegò di colpo in avanti coprendosi la bocca con la mano, sentendosi le lacrime salirle agli occhi e la fronte bagnarsi di sudore.

Ansem, a quella vista, balzò in piedi. “Kairi, cos’hai?!”, chiese allarmato, perdendo quella compostezza regale che lo caratterizzava di solito.

I due assistenti e Dilan erano sorpresi, e Kain scese dalla sua sedia per accorrere al suo fianco. “Signorina! Come state?” chiese con la sua vocetta, allungandosi per riuscire a darle dei colpetti sulla schiena. “Vi è andato di traverso?”

Kairi ansimò alcune volte, cercando di regolarizzare il respiro, e dopo alcuni attimi sentì che tutto, nel suo corpo, stava tornando alla normalità. “Sto bene, sto bene…” disse appena fu di nuovo in grado di parlare, mettendosi seduta composta come prima. Anche Ansem, dopo aver sospirato di sollievo, si rimise a sedere, e Kain si arrampicò di nuovo sulla sua sedia. “Non farmi prendere questi spaventi, Kairi, ormai ho una certa età, faccio fatica a sopportarli.” “Scusate, è che… non sono abituata a questo genere di cibi”, si giustificò la ragazza. “Va tutto bene”, annuì il vecchio principe. “Ti abituerai anche a questi. Tutti i pasti che prenderemo saranno simili a questo.”

Kairi assentì e provò di nuovo a mangiare il pezzo di formaggio che aveva lasciato a metà. Stavolta, nonostante il mix di sapori fosse esattamente lo stesso di prima, il suo fisico non accusò nessun malessere né nessuna reazione anomala, e lo finì senza fatica. “A proposito, padre… la camera che mi avete dato è davvero meravigliosa. Dovrò abituarmi anche a tutto quel lusso, ma… ho notato che la luce non si accendeva. Per caso non funziona?”

L’espressione del vecchio principe si intristì appena a quella domanda. “E’ uno dei problemi che ha il Radiant Garden ultimamente. I sudditi non pagano più le tasse, e anche molti servizi primari non si riescono più a coprire. Noi siamo i reali, quindi l’elettricità per i bisogni che abbiamo la possiamo ancora usare, ma per quanto riguarda la luce nelle stanze, la attiviamo solo quando cala la sera, per evitare di sprecarla.”

Kairi avrebbe voluto chiedere di più, ma il padre la fermò. “Non parliamo di queste cose sgradevoli adesso. Ce ne sarà di tempo perché tu possa apprendere anche le cose meno belle di questo regno.”

“Giusto!”, intervenne Kain. “Parliamo di una cosa bella, invece. Dilan! Dopo mi fai vedere come usi la tua lancia?”

La guardia seduta di fianco a lui ridacchio con la sua voce profonda. “Perché ti interessa così tanto?”

“Perché è bellissima!”, esclamò il bambino. “Ricordati che dovrò imparare a combattere al più presto. Sua maestà mi ha detto che potrò scegliere l’arma che preferisco, e ho deciso che voglio usare una lancia come la tua!”

“Quanta fretta, Kain”, rise anche Ansem. “Ti ho già detto che ancora sei troppo giovane per iniziare a combattere.”

“Ma io non voglio aspettare”, protestò il piccolo. “Cosa dicevate, maestà? Un principe è al servizio dello Stato. E lo Stato merita di essere difeso”, aggiunse con orgoglio.

“Kain”, concluse stancamente Ansem. “Fa’ silenzio e mangia, su.”

“Comunque Kain ha ragione, maestà. E’ opportuno che un principe sappia combattere”, commentò Even.

“Già”, annuì Ansem, mangiando a testa china. “E’ stato uno dei tanti errori che ho fatto… non aver mai imparato a combattere. Ma per Kairi, qui, sarà diverso. Tu sai combattere, vero?”, chiese alzando poi il capo e guardando la figlia.

“Sì”, annuì Kairi. “Non sono molto brava, però.”

“Provvederemo anche a questo”, rimase sul vago Ansem.

Kairi rimase pensierosa per un po’ prima di riprendere a mangiare, interrogandosi sulle tante cose che i suoi commensali davano per scontato e che invece per lei erano del tutto incomprensibili.

 

Il pranzo continuò ancora con la portata principale, un arrosto ben condito, e varie verdure cotte e crude, ed alla fine Kairi era così piena che a stento riuscì a tirarsi su dalla sedia. Tutto quel cibo di un tipo così diverso da quello cui era abituata non le faceva venire voglia di rimpinzarsi, ma ogni volta che accennava a dire che ne aveva abbastanza, suo padre le ripeteva “devi ancora rimetterti in forze”, e così aveva dovuto finire tutto. Kain, al contrario suo, pur mantenendosi composto finì tutto con gusto, affermando alla fine che, se avesse continuato a mangiare così, sarebbe diventato adulto molto più in fretta e quindi sarebbe diventato principe prima.

Si erano appena alzati tutti da tavola quando Mog, con la pelliccia gocciolante, entrò nella sala da pranzo passando per la porta di servizio.

“Maestà… anf… tutti i sudditi sono stati debitamente avvertiti, kupò…” ansimò, scrollandosi l’acqua di dosso.

“Molto bene”, annuì Ansem. “Kairi, fra un’ora i sudditi si raduneranno tutti nella piazza. Nessuno di loro sa che tu sei qui, né che sarai la nuova principessa. Dovrai far loro una buona prima impressione.”

“Cosa?”, chiese Kairi, iniziando ad agitarsi. “E cosa… dovrei fare?”

“Niente di difficile. Quando c’è un annuncio importante da fare, lo si fa dal balcone principale che si affaccia sulla piazza. Io spiegherò brevemente tutto ai sudditi, e tu dovrai presentarti a loro. Non sarà complicato, ma andrà fatto bene. Ricordati che i sudditi non sono persone di testa, ma di pancia, una pessima prima impressione ai loro occhi potrà pregiudicare tutto il tuo futuro lavoro. Quindi cerca di lasciare una buona immagine di te nella loro mente.”

“Ma… allora dovrò prepararmi un discorso… qualcosa…” boccheggiò Kairi, ansiosa all’idea di essere sottoposta a giudizio da una massa di persone così numerosa.

“Puoi prepararti qualche frase o improvvisare, non ha importanza, alla fine”, le spiegò suo padre. “Ciò che conta è che ti mostri sicura di te. Ricordati sempre questo, Kairi: i sudditi vogliono essere governati da qualcuno forte e che sappia il fatto suo. Una delle cose fondamentali che il popolo vuole è sentirsi protetto. Anche se ancora non sei brava a combattere, non importa. Loro guarderanno quello che sembri, non quello che sei. Perciò cerca di trasmettergli questo.”

Kairi ci ragionò un po’, poi annuì. “Come mi devo vestire?”

“Così stai benissimo. Sei molto bella ed elegante, e i sudditi vedranno che sei in buona salute e sarai in grado di difenderli. Quando sarai una principessa, avrai una divisa simile alla mia, ma ancora non lo sei e non puoi portarla.”

“Vale anche per me!”, intervenne Kain, che era lì vicino.

“Vale anche per te, Kain”, confermò Ansem, passandogli la mano sui capelli biondi.

Kairi annuì allora, cercando di mostrarsi sicura di sé. Era pur vero che, non molto tempo prima, aveva parlato dall’alto di un pulpito a una buona fetta della popolazione di Tebe, facendo un discorso convinto che li aveva conquistati, senza la minima fatica, ma era anche vero che era stata una cosa totalmente improvvisata. Ora che sapeva in anticipo che avrebbe dovuto incontrare un’intera popolazione e che tutti le avrebbero puntato gli occhi addosso, la cosa non le andava molto a genio. Ma se era quello che doveva fare, lo avrebbe fatto, sperando che i suoi futuri sudditi non l’avrebbero giudicata negativamente.

“Maestà!” Kairi non si era nemmeno accorto che, mentre lei e suo padre parlavano, Ienzo ed Even erano usciti dalla stanza da pranzo, ed ora il più giovane di loro era riapparso, visibilmente emozionato. “C’è una chiamata da parte di Re Topolino. Venite giù nel laboratorio.”

“Re Topolino?” esclamò Ansem. “Vengo subito.”

“E’ per Kairi, signore”, aggiunse Ienzo. “Vuole salutarla e augurarle personalmente buona fortuna per il suo futuro ruolo.”

“Gentile da parte sua”, commentò Ansem. “Kairi, avevo già avvisato Re Topolino qualche giorno fa. Ho mantenuto il segreto col mio popolo, ma lui è un esterno ed è un mio vecchio amico.”

“Oh, certo”, annuì Kairi. Era molto sorpresa che il Re avesse chiamato appositamente per parlare con lei. Seguì quindi con circospezione il vecchio principe e i due assistenti giù per le scale e poi per i corridoi che portavano al laboratorio.

Una volta dentro, Ienzo la guidò verso il grosso schermo del computer addossato a una parete. Da lì, il grosso viso da roditore antropomorfo del Re osservò compiaciuto la ragazza che si avvicinava.

“Kairi! Che piacere per me rivederti! Ho saputo dal principe Ansem che presto anche tu sarai una principessa. Anche per me è stata una sorpresa scoprire che sei sua figlia. Allora ti auguro con tutto cuore una vita felice nel Radiant Garden!”, disse con calore Re Topolino.

“Maestà”, lo salutò Kairi inchinandosi rispettosa. “Grazie mille per le vostre parole. Vogliono dire molto per me.”

A quel punto la ragazza, rialzando la testa, vide chiaramente che qualcuno cercava di spingere da parte, in modo discreto, il Re. Dopo poco, anche le facce di Pippo e Paperino riuscirono ad entrare nell’inquadratura.

“Kairi! Che bello vederti! Come sei cresciuta!”, esclamò Pippo, con la voce commossa. “Sei una donna ormai. Mi dispiace di non essere venuto sull’isola insieme al mio amico la volta scorsa, ma sai… qui ho un po’ da fare, a-yuk!”

“Non preoccuparti”, disse Kairi, che aveva ritrovato il buonumore. “Ho saputo la notizia… deve nascere tuo figlio, vero?”

“Oh, sì”, annuì Pippo. “E non è che, visto che ancora non è nato, possa riposarmi sugli allori, no. C’è da preparare la sua stanzetta nel castello, e poi tutti i vestitini, e il poppatoio, i giocattoli, gli oggetti per la cura, informarsi su chi potrà aiutarmi a badarlo… è così difficile con i bambini, Kairi. E ancora non è nemmeno nato”, sospirò infine. Si vedeva che era stanco.

“Non ne dubito”, confermò Kairi. “Ma sono molto felice per te!”

“Già, non si possono avere che gioie dalla propria famiglia”, si asciugò una lacrima Pippo.

“Quack, ma non mi dire!”, protestò Paperino, irritato. “Famiglia? Puah! Se ti dicessi che razza di elementi girano nella MIA… se vuoi ti regalo anche mio cugino, così avrai due bambini da badare, non uno, altroché!”

Proprio in quel momento, in sottofondo si sentì un fracasso tremendo e tutti e tre gli animali girarono la testa allarmati. Paperino sospirò rassegnato.

“Questo è lui. Adesso si è messo in testa di iniziare a praticare yoga, ma il suo problema è che appena gli viene voglia, si mette a farlo dovunque si trovi… non riesce ad entrargli in quella testaccia piumata che se si trova in una stanza piccola con altre cose non può mettersi a fare quelle pose strane. Avrà sicuramente colpito qualcosa e ribaltato tutto. Si vede che tenendo sempre quel berretto in testa non gli si arieggia abbastanza il cervello, quack…” disse freneticamente, nervoso. “Kairi, scusa. Ti faccio i miei complimenti ma… adesso vado a insegnargli due cosette alla mia maniera”, aggiunse con l’espressione corrucciata, scrocchiandosi le dita. “Permetti?”

“Oh, ma certo”, disse Kairi, quasi ridendo, e il papero scomparve dall’inquadratura.

Re Topolino fece un gran sospiro e concluse la telefonata: “tutti noi qui, anche la regina Minnie, Paperina, e tutti gli abitanti del castello, ti auguriamo buona fortuna.”

“Yuk, a presto, Kairi! Ti prometto che quando il mio piccolo sarà nato e avrò un po’ di respiro verrò a trovarti, e porterò anche lui. E… anche Paperino, se se la sentirà di lasciare suo cugino qui senza sorveglianza”, aggiunse Pippo.

“Grazie, amici, grazie di cuore”, disse Kairi commossa, prima che re Topolino e suo padre si salutassero, per poi chiudere la telefonata.

“Fra meno di mezz’ora saranno le due. Vai nella tua stanza a prepararti, Kairi, verrò a prenderti io quando sarà ora”, la invitò suo padre.

Mentre si dirigeva nella sua camera per darsi una pettinata e sistemarsi, Kairi rifletté: forse allora non era vero che ai suoi amici non importava di lei. Anzi, alcuni di loro l’avevano chiamata subito, appena arrivata al Radiant Garden, per farle gli auguri per la sua nuova vita. Che si fosse sbagliata e li avesse giudicati male? Almeno alcuni di loro. La voglia e la frenesia di mettersi a scrivere un’altra lettera a Sora per descrivergli come si sentiva era tanta, ma si rese conto che non ne aveva il tempo. Infatti, si era appena finita di rinfrescarsi e pettinarsi alla toilette nella stanza adiacente a quella da letto che suo padre bussò alla porta.

“Kairi, ci siamo, i sudditi sono tutti riuniti nella piazza ed aspettano. Vieni, è ora che tu ti presenti.”

Ogni pensiero riguardo i suoi amici o Sora abbandonò all’istante la mente della ragazza, e lei ricominciò a sentirsi vagamente in ansia. “Arrivo”, esclamò al padre fuori dalla stanza, e andò ad aprire la porta per raggiungerlo. Anche Ansem era ben sistemato, con i capelli e la barba biondi curati, la giacca color panna a maniche lunghe con i lacci sul davanti legati, i pantaloni neri e le scarpe lucide, e il mantello avvolto sulle spalle gli dava un’aria rispettabile e distinta. “Devo… sistemarmi ancora?”, chiese Kairi, timorosa di essere da meno.

Il suo vecchio padre si prese qualche istante per ammirarla. “Sei perfetta. I nostri sudditi non potrebbero chiedere di meglio.”

Kairi, arrossendo appena, seguì allora il padre per i corridoi del primo piano, fino ad arrivare ad un’ampia stanza con una porta-finestra che dava sul balcone. Le due guardie, Dilan e Aeleus, erano ritte una per lato della porta, i due assistenti, Even e Ienzo, che teneva Kain per mano, erano in disparte ed aspettavano attenti. Il vecchio principe allora si fece avanti, uscendo sul balcone, su cui era installato un microfono per far sì che tutti da sotto potessero sentire, ed assicurandosi che Kairi fosse dietro di lui, si schiarì la voce e cominciò:

“miei cari sudditi. E’ passato tanto tempo da quando vi ho voluti riuniti nella piazza principale, ed è un immenso piacere per me vedere che siete venuti tutti, nonostante la pioggia e l’umidità. La più grande forza del Radiant Garden è sempre stato il suo popolo, ed ora voi qui me lo state dimostrando. Come sapete, sono state poche le volte nella mia vita in cui ho richiesto una riunione del genere, ed è sempre stato solo per le occasioni importanti. Ebbene, questa di oggi è un’occasione importante. Perché sappiate che oggi ho scelto chi sarà la persona che, da adesso in poi, sarà al mio fianco nel governo del regno. Vieni avanti, cara”, invitò poi facendo un cenno dietro di sé.

Kairi deglutì e venne avanti, di fianco a suo padre, guardando ciò che c’era oltre il parapetto di marmo. Vide uno strapiombo sullo spiazzo che precedeva l’ingresso del castello, con la sua lunga scalinata col cancello che dava sulla piazza. Attraverso la foschia e la pioggia vide distintamente, ammassato nella piazza, un numero impressionante di persone, che si proteggevano con l’ombrello o l’impermeabile. La ragazza rimase impressionata: facendo una stima veloce, era almeno quattro volte la popolazione delle isole dove aveva sempre vissuto. Anche se non riusciva a vedere i lineamenti dei loro visi, si rese conto di avere tutti i loro occhi puntati addosso. Iniziò a tremare leggermente, ma sperò che non si notasse.

“I più grandi fra voi sicuramente si ricorderanno di Kairi, la mia figliola”, proseguì Ansem. “Tanti anni fa mi è stata strappata via da colui che ha gettato il nostro mondo nell’oscurità. Ma ora, dopo tutto questo tempo, è di nuovo fra noi, e fra poco sarà pronta ad assumere il ruolo di principessa, ma mi aiuterà nel governo fin da subito. Kairi, saluta i nostri sudditi”, esortò infine il vecchio principe.

Pur sentendosi confusa ed imbarazzata, a Kairi tornarono allora in mente le parole del padre. Fatti vedere sicura, anche se non lo sei. Allora fece un passo avanti verso il parapetto, in modo che il popolo vedesse che non sentiva la necessità di stare attaccata ad Ansem. C’era il microfono sul bordo della ringhiera, e non aveva bisogno di urlare, ma parlò comunque con la voce più sicura che riuscì a tirare fuori.

“Saluto tutti voi, cittadini del Radiant Garden. E’ per me un grande onore essere tornata qui, dopo tutti questi anni. Sono ancora giovane e inesperta, ma sappiate che tutto quello a cui tengo ora è il vostro benessere. Farò tutto quanto è in mio potere per guidare questo regno verso la prosperità, e per proteggervi. Spero di ricevere da parte vostra tutto l’appoggio e il sostegno che mi serviranno, perché il Radiant Garden possa andare verso un brillante futuro”, concluse.

Rifletté sulle parole che aveva appena detto. Chissà se aveva pronunciato delle sciocchezze e si era appena coperta di ridicolo davanti a tutti? Era così in ansia che osava appena respirare. Ma, dopo alcuni secondi di silenzio assoluto, udì un gran fracasso provenire dalla piazza. Era il suono di un applauso, forte ed entusiasta.

Kairi lasciò andare un sospiro di sollievo, insieme a tutta l’ansia che le pesava sulle spalle, e d’istinto alzò un braccio con la mano aperta in segno di saluto, con l’effetto di rendere ancora più forte l’applauso.

“Hai visto?”, le disse Ansem, emozionato. “Già ti hanno preso in simpatia. Te la caverai bene, figliola.”

Aspettò che l’applauso terminasse e poi si riavvicinò il microfono alla bocca. “Sono davvero lieto che abbiate accolto con tutto questo calore il ritorno di mia figlia. Vedrete che le cose d’ora in poi andranno molto meglio. Ora potete tornare alle vostre occupazioni. Grazie di essere venuti!”

Rientrò poi dentro il castello, seguito da Kairi con gli occhi stravolti. Subito Mog iniziò a svolazzarle attorno, facendo inchini su inchini. “Ma quanto vi vuole bene il popolo, kupò! Presto avremo una magnifica principessa, e la gente smetterà di dire malignità sui nostri reali!”

“Kairi, sei stata bravissima”, si congratularono i due apprendisti, andandole vicino. Kairi si guardò in giro. Le due guardie, benché sull’attenti di fianco alla porta-finestra, avevano un’espressione soddisfatta in viso, e la servitù si era raccolta sull’entrata della stanza, guardando la ragazza con espressione scioccata.

“Kairi, sono fiero di te, è andato tutto per il verso giusto”, sospirò di contentezza il vecchio principe. “Forse ora potrò riprendere ad uscire da questo castello senza che mi senta addosso l’odio dei miei sudditi…” aggiunse più piano.

“Non posso crederci… padre, tutti gli abitanti del Radiant Garden mi stavano guardando…” boccheggiò la ragazza.

“Pff”, disse subito Kain. “Quelli non erano tutti gli abitanti. Solo quelli della città. Poi ci sono tutti quelli che abitano sulle isole”, le spiegò con aria saputa.

“Oh”, disse sorpresa Kairi. “Perché loro non sono venuti?”, chiese al padre.

Ansem rimase sul vago a quella domanda. “Presto ti accorgerai che non tutti i cittadini del Radiant Garden sono uguali, figliola. Non tutti sono tenuti a prendere parte alle novità della vita politica.”

“Maestà”, si sentì chiamare un membro del personale. “E’ arrivato il sarto che avevate richiesto.”

“Benissimo, fallo entrare”, approvò Ansem. “Kairi, devi sapere che qualche giorno fa ho preso appuntamento col miglior sarto della capitale. Ti prenderà le misure e ti preparerà una divisa simile alla mia. Così fra qualche mese, quando sarai pronta, potrai indossarla e sarai ufficialmente la principessa di questo regno.”

Kairi annuì, emozionata al pensiero di avere anche lei un’uniforme così elegante. Da quello che suo padre aveva detto, aveva capito che non sarebbe stata una divisa identica, ma avrebbe avuto delle differenze. Ma di sicuro la giacca chiara e il mantello rosso avvolto attorno alle spalle sarebbero rimasti.

Poco dopo entrò nella stanza un uomo basso, anziano d’età, con radi capelli bianchi, occhiali piccoli e rotondi ed una borsa sottobraccio. Appena vide il vecchio principe fece un inchino. “Vostra maestà”, e si girò verso Kairi. “Sua altezza reale, permettetemi di misurarvi per poter confezionare la vostra divisa.”

“Certamente”, annuì Kairi. “Possiamo andare nella mia camera.” Disse così perché si vergognava a spogliarsi davanti a tutte quelle persone. Il vecchio sarto annuì e la seguì per i corridoi.

Una volta arrivati, Kairi si tolse tutto quello che aveva addosso rimanendo solo con la biancheria, e il sarto, dopo aver tirato fuori il metro, carta e penna dalla sua borsa, iniziò a misurarle la vita, i fianchi, il petto, ampiezza delle spalle, lunghezza delle gambe, delle braccia e del busto, annotando poi ogni cosa.

“E’ il vostro peso forma questo, vero? Siete davvero in buona salute”, commentò mentre scriveva.

Kairi fu contenta che l’anziano sarto avesse constatato anche lui quanto ora fosse sana e con la carne nei punti giusti. “Sì, è il mio peso forma”, annuì, ripensando con soddisfazione a quanto si era ingozzata negli ultimi giorni solo per mettere su qualche chilo.

Il vecchietto rise sommessamente la sua gentile risata da anziano. “Vedete di non ingrassare mentre attendete di indossare la vostra divisa, visto che devo farvela su misura. Oh scusate, non volevo essere indiscreto, ma siete così giovane… potreste essere mia nipote.”

Kairi si sentì arrossire, ma fu contenta di quello che il sarto le aveva detto. Un’eccessiva formalità non le piaceva, e le faceva piacere che un suddito si prendesse la libertà di fare una battuta insieme a lei, anche se presto sarebbe stata una dei capi del regno.

“Non preoccuparti. Starò molto attenta”, rise per tranquillizzarlo.

 

Una volta che anche questa faccenda fu terminata, tutti tornarono alle loro occupazioni, e Kairi si sentì improvvisamente stanca per le tante emozioni che aveva dovuto affrontare quel giorno. Tornò quindi in camera per farsi un sonnellino, ma si era appena stesa sul letto che sentì di nuovo bussare alla porta.

“Avanti!”, rispose.

Stavolta fu il moguri che fungeva da informatore ad entrare. “A-ehm, volevo informarvi che c’è un’altra chiamata per voi. Dovreste andare giù di sotto, kupò”, disse Mog rispettoso.

“Un’altra?” chiese Kairi sorpresa.

Una volta nel laboratorio del padre, Kairi rimase sbalordita nel vedere lo schermo del computer. “Axel! E anche voialtri… Roxas, Naminé, Xion… Isa, ragazzi!”, esclamò.

“Ehi Kairi!”, esclamò Axel dall’altra parte, con un ghigno divertito. “Non potevi certo iniziare la tua nuova carriera senza un bell’augurio da parte nostra!”

“Pippo e Paperino ci hanno avvisati, Kairi, così ti abbiamo chiamato subito”, spiegò Roxas, evidentemente contento per lei.

A quel punto Axel, col suo solito modo di fare senza vergogna, emise un lungo fischio. “Però, quanto si è fatta grande la nostra Kairi! E’ diventata una donna davvero niente male! Che dite ragazzi, se me la sposo diventerò principe anch’io?”

Kairi fece una risata divertita al solo pensiero, e si godette con piacere gli auguri di buona fortuna che ognuno di loro le fece. “Come vi state trovando voi? Vi trovate bene a Crepuscopoli? Naminé, come ti sembrano i tuoi nuovi amici?”

“Non avrei potuto chiedere di meglio”, rispose entusiasta l’altra. “E pensare che prima ero così sola… adesso invece ho tante persone intorno a me, e sono veramente felice!”

Kairi fu lieta di sentire quelle parole da lei. “Ti verremo a trovare, Kairi”, intervenne Xion. “Siamo stati occupati e presi dalla nostra nuova vita ultimamente, ma siamo pur sempre tutti amici”, assicurò.

Kairi dovette trattenersi per non lasciarsi sfuggire una lacrima. Si era sbagliata. Non era vero che a tutti loro non importava nulla di lei.

“Ah, Kairi, ho dato a Ventus la notizia prima di chiamarti. Vedrai che presto ti contatteranno anche loro”, aggiunse Roxas.

Kairi annuì. “Grazie! Grazie per gli auguri, ci vedremo presto, va bene?”

“Noi non ci scordiamo mai di un amico, l’hai memorizzato?” disse Axel, toccandosi una tempia.

Kairi continuò a sorridere e ridacchiare anche quando ebbe chiuso la comunicazione. Ma le emozioni non erano ancora finite: infatti, come Roxas le aveva già detto, arrivò presto un’altra chiamata attraverso il computer, a cui Kairi rispose immediatamente.

“Kairi!” esclamò una voce femminile appena la comunicazione fu avviata. “Ma guardati! Sei davvero tu?”

Kairi sentì bene l’emozione nella voce dell’altra donna, e anche il suo viso sul computer ne era uno specchio.

“Maestra Aqua!”, la salutò. “Sì, sono io! Come stai? Ci sono anche Ventus e Terra lì con te?”

“Sì, ci siamo anche noi”, si introdusse nell’inquadratura il ragazzo uguale a Roxas, e anche Terra riuscì a far entrare il suo viso. “Vogliamo farti i migliori auguri!”

“Ed inoltre…” aggiunse Aqua. “Kairi, sei davvero diversa dalla prima volta in cui ti ho vista da piccola.”

“Aqua, devo ringraziarti”, disse allora Kairi inchinandosi. “Se non fosse stato per te, non sarei mai arrivata sulle Isole del Destino.” ‘E non avrei mai incontrato Sora’, aggiunse mentalmente.

“Probabilmente è così. Ti ho subito presa a cuore da allora, e anche adesso per me sei speciale. Volevo sapere… probabilmente dovrai combattere per difendere i tuoi sudditi. Sei ancora inesperta nel combattimento, vero?”

“Già”, annuì Kairi. “Non sono molto brava.”

“Allora che ne dici di ricevere un allenamento come si deve da una vera maestra del Keyblade?”, le chiese Aqua, con tono emozionato. Si vedeva che ci teneva davvero che Kairi accettasse.

Kairi allora si girò verso suo padre, che era lì fermo ad ascoltare. “Padre, che ne dite?”

Ansem allora annuì. “Direi che è un’ottima idea. Un principe saggio deve saper combattere. Ci metteremo d’accordo.”

Kairi si voltò di nuovo verso lo schermo. “Sì, maestra, non vedo l’ora di iniziare!”

“Allora io e te ci vedremo presto”, garantì Aqua. “Non ci saranno problemi per me. Sai che con la mia armatura posso viaggiare tra i mondi senza problemi.”

Kairi dovette asciugarsi gli occhi con il dorso della mano prima di ringraziare per poi chiudere la conversazione.

 

Dopo la prima cena insieme a quella che d’ora in poi sarebbe stata la sua famiglia, Kairi tornò in camera sua. Come suo padre le aveva accennato, ora che il buio era calato sul regno la luce elettrica era tornata disponibile nel castello, anche se Kairi si rese conto con sgomento, guardando dalla finestra, che solo alcune case del Radiant Garden erano illuminate, forse quelle delle persone più ricche. Era sua intenzione andare a dormire presto, perché il giorno dopo si sarebbe svegliata di buon mattino e sarebbe uscita fuori per la prima volta, per girare per la città, conoscere i suoi futuri sudditi e rendersi conto dei loro problemi, e sarebbe stata fuori tutta la mattinata, indipendentemente dal tempo atmosferico. Aveva dato per scontato, una volta arrivata lì, che i vestiti che si era portata dietro fossero gli unici che aveva, ma, aprendo l’armadio per sistemare la valigia, si rese conto che non era così. I cassetti, infatti, avevano un buon assortimento di camicie da notte di tessuto pregiato e pizzo, molto eleganti e femminili, completamente diversi dalle semplici camicie da notte che aveva sulle isole. Non aveva idea di come potessero esserci vestiti su misura per lei già pronti in quell’armadio, in fondo suo padre non l’aveva fatta misurare per poterle cucire la divisa in modo perfetto? Ma dedusse che le camicie da notte, essendo un indumento da portare mentre si dormiva, non avevano bisogno di tutta quella precisione nelle misure che una divisa ufficiale necessitava. Probabilmente il vecchio principe le aveva fatte cucire dopo averla incontrata la prima volta basandosi sulle misure ad occhio che era riuscito a ricavare guardandola.

Scelse quindi, per questa notte, una camicia color rosa chiaro che aveva trovato nel cassetto, lunga fino a sotto le ginocchia, smanicata e coi bordi pieni di pizzo, e si rimirò nello specchio appeso ad una delle pareti. Con un pizzico di orgoglio, non poté fare a meno di notare quanto i suoi amici che l’avevano rivista dopo tanto tempo avessero ragione. Anche se non aveva ancora raggiunto il suo pieno sviluppo, erano lontani i tempi in cui era una ragazzina acerba e in crescita, ed il fatto che, alimentandosi di nuovo, la carne le fosse tornata dove prima mancava, non faceva che esaltarla. Si vide i capelli rosso scuro, ormai più lunghi delle spalle, i fianchi che si erano un po’ allargati e la vita che si era stretta, la pelle chiarissima e il petto che aveva raggiunto le proporzioni giuste per una donna adulta. Dedusse che ormai, in quanto ad altezza, doveva essersi però fermata. Negli ultimi mesi aveva avuto uno scatto di crescita impressionante, passando in poco tempo da adolescente a giovane donna, ma pensò che, da quel momento in avanti, non sarebbe più cambiata, almeno non tanto. Anche se era cresciuta in altezza, era comunque rimasta più bassa di Aqua, e di sicuro non l’avrebbe mai raggiunta. Ma non era l’altezza che ora le importava, ma i muscoli: i prossimi giorni avrebbe ripreso a combattere ed allenarsi, e avrebbe continuato sempre a farlo, con l’aiuto della donna più grande. Visto che non c’era nessuno in camera con lei, si lasciò andare a qualche vanteria ammirando il proprio riflesso, e notò che la camicia da notte le aderiva parecchio addosso. Pensò, con un misto di divertimento e tristezza, che se Sora fosse stato lì con lei avrebbe avuto ben poco tempo per rimanere a guardarsi allo specchio. Sentì un gran prurito alle mani. Doveva assolutamente raccontargli com’era andata la giornata.

Andò quindi a sedersi alla scrivania, dello stesso legno antico ed intarsiato della sala da pranzo, e cercando nei cassetti vi trovò dei quaderni vuoti ed alcune penne a inchiostro liquido. Aprì il primo quaderno, e cominciò a buttare giù tutto quello che si sentiva di voler raccontare al suo innamorato. Gli descrisse come prima cosa tutta la sua giornata, dal momento in cui si era svegliata al mattino al dopocena, soffermandosi sulle sensazioni di smarrimento, di curiosità verso la sua nuova casa, di accettazione dei nuovi membri della sua famiglia e del sollievo che aveva provato nel constatare che occupava ancora un posto nei pensieri dei suoi vecchi amici. Gli descrisse i cibi che aveva mangiato, com’era l’interno del castello e il grande senso di responsabilità che si sentiva addosso. Infine si sentì di aggiungere ciò che non la convinceva.

I miei futuri sudditi mi hanno accolto davvero benissimo. Avessi sentito come applaudivano quando mi sono presentata! Eppure non ne capisco il motivo… non sanno niente di me, non sanno che carattere ho, che intenzioni ho, cosa vorrò fare di questo regno… non sanno se effettivamente porterò questo mondo a migliorare o a peggiorare, quindi che motivo avevano di essere così contenti di me? Forse perché inconsciamente credono che un nuovo principe sia meglio di quello vecchio, anche se poi l’esperienza dirà loro che non è così e in realtà la loro situazione è peggiorata. O forse perché già stanno talmente male che non pensano di poter cadere ancora più in basso, e sanno che da qui in poi potranno solo risalire…

Ed in effetti, qui le cose sembrano funzionare in modo molto diverso da casa nostra, e non vanno per niente bene. Forse ciò è dato dal fatto che il posto in cui siamo cresciuti era piccolo. C’era una sola isola abitata, con un quarto della popolazione della sola capitale del Radiant Garden, e fra noi ci conoscevamo tutti, tutti noi abitanti eravamo sullo stesso piano, nessuno era sopra l’altro, e mio padre adottivo si prendeva cura di noi come se fossimo stati tutti suoi figli. Al Radiant Garden è diverso… le persone non sono affezionate al loro stato, non pagano le tasse, e di conseguenza manca l’elettricità. Pensa, adesso sto guardando fuori dalla finestra, e gran parte della città è completamente al buio! Eppure è ancora piuttosto presto, non è possibile che siano già tutti a dormire… ma già solo dalle luci accese nelle case, si capisce chi è più ricco e chi più povero, chi può permettersi la luce in casa e chi non può permettersela… non ho chiesto a mio padre del riscaldamento, ma penso che sia la stessa cosa. E ti dirò di più. Oggi, quando mi sono presentata al popolo, era presente solo la popolazione della capitale. E tutto il resto della gente, i contadini che abitano sulle isole, dov’era? Perché non sono venuti? Forse nemmeno lo hanno saputo. Eppure era un evento importante, anche loro saranno i miei sudditi… questa è la prova che qui i cittadini non sono tutti uguali. Se vivi nella capitale e sei ricco, stai meglio. Se vivi nelle isole o appartieni alle fasce più basse, avrai dei disagi. Questo finora sono riuscita a capire. Ci sarà tanto lavoro da fare… ma so che, tenendoti sempre come punto di riferimento, riuscirò a dare di nuovo una dignità a questa gente, senza distinzione tra l’uno e l’altro. Usando gli ideali di giustizia che ti erano così cari. Se fossi qui, io ora sarei sulle isole con te e non sarei mai tornata al Radiant Garden, ma se per assurdo lo avessi fatto, chissà che grande aiuto e supporto saresti stato per me nel governare questo mondo. Però non devi preoccuparti, non sarò da sola: ti ho già detto di Kain, vero? E’ un bambino delizioso, molto sveglio, attento e pieno di desiderio di diventare principe. Tu non potrai mai aiutarmi nel mio compito, ma fra una decina d’anni ci sarà lui. Spero davvero che, quando sarà adulto, riuscirà a dare una continuità alla mia famiglia, sai che io non potrei mai farlo senza di te…

Kairi voleva ancora aggiungere qualcosa, ma sentì che il polso e la mano le facevano così male che non riusciva nemmeno più a tenere ferma la penna. Aveva scritto almeno sei pagine fitte senza fermarsi mai. Col braccio che le tremava appena, mise quindi via tutto nei cassetti della scrivania, spense la luce della camera e si sdraiò nel grande letto a baldacchino, morbido e lussuoso, cercando di ignorare l’umidità che appesantiva l’aria e tentando di pensare solo alle cose belle e nuove che aveva provato quel giorno, ma il ricordo del suo innamorato le turbò ancora una volta il sonno.


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Nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, ho cambiato di nuovo il colore degli occhi di Kain. Pare che ci siano diverse versioni del colore dei suoi occhi e, sebbene sia stata contenta di vedere che qualche volta viene raffigurato con gli occhi marroni, ho constatato purtroppo che la stragrande maggioranza delle volte, tra cui in dissidia, ha ancora gli occhi azzurro chiaro. Quindi niente, lasciamoglieli azzurri.

Ebbene sì comunque, dopo il re:mind non potevo proprio continuare ad avercela con gli altri personaggi. Con il finale completo mi è stato chiaro che non sono affatto menefreghisti come pensavo. Quindi sono stata ben felice di riscattarli. Aqua, come penso si sia capito, avrà un ruolo preponderante rispetto agli altri. Anche per dare alla povera Kairi una compagnia affine a lei: credo infatti che, per la quasi totalità della storia, Kairi sarà l’unico personaggio femminile di rilievo, tutti gli altri protagonisti o personaggi ricorrenti e importanti saranno maschi.

Che dire ragazzi, ce ne è voluto, ma siamo finalmente arrivati alla parte che piace a me. Quella concentrata sul governo, insieme alle varie tipologie di sovrani che possono presentarsi a capo di uno stato. Ansem, come si è capito da tempo, rappresenta il principe decaduto che ormai ha perso completamente la fiducia del popolo e non può fare niente o quasi per risollevarsi o redimersi agli occhi della gente. Vediamo cosa farà adesso Kairi per riscattare il nome della sua famiglia davanti ai sudditi.

Sappiate comunque che oltre a scrivere disegno anche, quindi nei periodi in cui non pubblico potrei mettere dei disegni. Sarebbero spoiler (per quanto spoiler ciò possa essere perché il canovaccio di trama è molto chiaro), vi metto l’ultimo che ho fatto linkato qui sotto, quindi chi non vuole “spoilerarsi” niente può evitare di vederlo. Link

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Capitolo 11
*** Distanza sociale ***


Capitolo 11 – Distanza sociale

 

Kairi dormiva ancora quando sentì bussare timidamente alla porta. Sollevò appena una palpebra, assonnata. Non aveva dormito bene, quella notte: il ricordo di Sora l’aveva tormentata ancora. Strabuzzò gli occhi nel buio per guardare l’orologio sul comodino di fianco al letto. Dovette sforzarsi un po’ per leggere il quadrante, perché le pesanti tende di velluto erano tirate e non filtrava nemmeno un po’ di luce dalle ampie finestre. No, erano solo le sei del mattino. Aveva stabilito di alzarsi alle sei e mezzo. Ancora non era ora, era troppo presto perché qualcun altro degli abitanti del castello fosse in piedi. Perciò chiuse di nuovo gli occhi, tirandosi su il lenzuolo che durante la notte le era scivolato via di dosso. A quel punto sentì di nuovo bussare, più forte questa volta. Si tirò su a sedere. Allora non se lo era immaginato.

“Avanti…” rispose assonnata.

La porta si aprì con cautela e sulla soglia apparve Kain, col suo pigiama coi pantaloni e maniche lunghe, le pantofole ai piedi e i capelli biondi sciolti sulle spalle.

“Kain, cosa fai qui?”, chiese Kairi stupita. “Hai bisogno di qualcosa? Ti senti male?”

“No, no, Kairi”, rispose il bambino, che dopo la prima giornata insieme era entrato del tutto in confidenza con lei chiamandola solo per nome, pur mantenendo il voi per rispetto. “Avevate detto che oggi volevate andare in giro per il regno, vero? Portatemi con voi, per favore!”, la pregò a mani giunte.

“Kain…” sospirò Kairi. “Ti porterò volentieri con me, ma ancora è presto, torna a dormire”, lo invitò.

Senza stare a vedere se le avrebbe obbedito, si sdraiò di nuovo a pancia sotto, sentendosi davvero stanca. Dopo poco udì dei passi leggeri avvicinarsi, qualcosa che tirava le coperte e un attimo dopo tutto il peso del bimbo sopra la sua schiena.

“Kain, ma cosa fai…?” protestò senza convinzione.

Il bambino si mise a cavalcioni sopra la ragazza, ed iniziò a darle dei colpetti sulle spalle. “Forza, Kairi, forza!”, la esortò ridendo, perdendo sempre di più la propria timidezza. Era chiaro che Kairi gli piacesse proprio. “Un giorno voi ed io regneremo insieme questo mondo, non vi ricordate? Dovete conoscerlo bene, ed io stamattina sono qui pronto ad accompagnarvi per mostrarvelo!”, aggiunse molto orgoglioso.

Anche Kairi si mise a ridere sommessamente, con la testa affondata nel cuscino. “Il Radiant Garden non scappa mica se dormi una mezz’ora in più, lo sai?”

Kain allora scese dalla schiena della ragazza e si sdraiò a pancia sotto di fianco a lei, imitando la sua posa. Col viso scrutò nel cuscino per cercare di cogliere il suo sguardo.

“Oh-oh, abbiamo una futura principessa davvero pigrona qui!” commentò ingrossando il tono.

Kairi non riuscì a trattenersi dal ridacchiare ancora di più a quelle parole, ma un’improvvisa malinconia la colse: quel bambino le ricordava tanto Riku. Anzi, quelle erano più o meno le parole che il suo vecchio amico le diceva, quando erano ragazzini. Che era pigra quanto Sora. Si rese conto, una volta che ebbe formulato quei pensieri, che se fosse rimasta ancora nel letto la tristezza l’avrebbe colta di nuovo. Doveva alzarsi in piedi e darsi da fare, per scacciare i pensieri. Quindi si sollevò a sedere di colpo, e Kain, lì di fianco, la guardò stupito.

“Bene, allora andiamo giù di sotto a far colazione”, disse col tono più vivace. “Poi mi aspetto che questo bel cavaliere mi accompagni per il regno e me lo mostri”, aggiunse rivolgendo una dolce occhiata al bambino.

Kain distolse lo sguardo guardando in basso, ma Kairi vide benissimo, anche nella penombra, il suo imbarazzo. “Ma certo”, rispose subito il piccolo. “Vi farò vedere tutto tutto.”

La ragazza allora si stiracchiò e si alzò, scostando le tende del baldacchino. “Puoi andare giù in sala da pranzo allora, io mi devo vestire.”

E, mentre si avvicinava alla finestra per tirare le tende, sentì la voce di Kain dietro di sé, un po’ imbarazzata ma convinta, dire: “E’ un peccato che non vi volete sposare, Kairi… altrimenti vi sposavo io da grande.”

Kairi, sorpresa, girò la testa per guardarlo, ma il bambino era sparito. La ragazza riuscì a sentire il suo passo in corsa allontanarsi per andare nella stanza da pranzo.

“Che tipo”, commentò, non sapendo se essere meravigliata o ridere. Quel bambino l’aveva davvero presa in simpatia. Certo quella dichiarazione non aveva niente di serio, molti bambini della sua età dicevano cose simili a ragazze grandi, ma le faceva capire che Kain era davvero ben disposto verso di lei. No, veramente, la giovane donna si sentiva davvero tranquilla al pensiero di avere al suo fianco una persona simile, fra una quindicina d’anni.

“Ma ora è ancora presto per pensarci”, disse a voce alta mentre si vestiva. Ed intanto osservò, attraverso le finestre, il suo nuovo mondo. Era tutto grigio, e pioveva come il giorno precedente, anche se con intensità minore, e non sembravano esserci raffiche di vento.

“Perfetto”, annuì allora Kairi. “In questo modo dovrei essere in grado di fare un giro della città senza bagnarmi troppo.”

Mentre si preparava, visto che la luce che entrava dalla finestra non era sufficiente, accese la luce della stanza per vederci meglio, ma dopo pochi minuti si spense da sola.

“Hanno di nuovo tolto l’elettricità…” mormorò la ragazza a bassa voce, pensierosa.

 

Dopo essersi lavata e vestita, si avviò quindi verso il piano di sotto per mangiare. Ora che il suo stomaco aveva ripreso il via, sentiva che aveva bisogno di parecchia energia per affrontare bene la mattinata, specialmente con un clima umido e freddino come quello. Nella grande sala da pranzo in penombra ancora non c’era nessuno, solo Kain appollaiato su una sedia. A quel punto a Kairi venne un dubbio: forse doveva aspettare che si svegliassero tutti prima di fare colazione? Ma dalla cucina si affacciò una giovane cameriera, col grembiule e la crestina.

“Signorina”, si inchinò rispettosa. “Siete mattiniera. Di qua stiamo preparando. Sedetevi pure, che adesso apparecchiamo e vi serviremo da mangiare.”

Kairi guardò prima la tavola, poi Kain seduto, ed infine di nuovo la cameriera. “Lascia che vi aiuti”, le disse sorridendo.

L’altra ragazza le rivolse uno sguardo sbigottito e fece un passo indietro. “Ma cosa dite, signorina? Noi siamo solo dei servi del popolo, voi siete la futura principessa, siete la figlia del nostro principe.”

“E allora?” insisté gentilmente Kairi. “Ho comunque due mani come voi. Se vi aiuto, facciamo prima.” Si voltò poi verso il bambino. “E se ci aiuta anche Kain, le mani saranno quattro”, aggiunse allegra.

Ma quel bimbo, così carino e gentile come Kairi l’aveva conosciuto, ebbe a quel punto una reazione che la giovane donna non si aspettava. Aggrottò le sopracciglia bionde e fece no col dito. “Kairi, le cose non funzionano così. Ognuno nel regno deve avere il suo ruolo, e questo non è il nostro”, disse, col tono più adulto di come l’aveva di solito.

“Ecco”, annuì la cameriera. “Vedete che anche il signorino Kain è ragionevole? Sedetevi tranquilla, che qui ci pensiamo noi.”

Ma Kairi non volle saperne di restare lì a guardare mentre vedeva il personale lavorare, e vista l’assenza di suo padre ne volle approfittare. I cuochi e i camerieri in cucina rimasero a fissarla incredula mentre lei, incurante dei loro sguardi, spremeva le arance e spalmava la marmellata sulle fette di pane.

“Beh? Cosa avete da guardarmi in quel modo?” chiese a un certo punto alzando lo sguardo, mentre i servi si lanciavano delle occhiate perplesse. “Non sono mica così diversa da voi, sapete? Rimettetevi a lavorare anche voi, insieme faremo prima.”

A quel comando, istantaneamente i cuochi ripresero i loro compiti senza porre più domande, anche se era evidente il loro disagio nell’averla lì con loro. Quando la brocca della spremuta fu piena, la cameriera di prima fece per prenderla e portarla in sala, ma Kairi gliela tolse dalle mani. “La porto io, tu continua pure qui”, la invitò.

Kairi fu sicura di vedere un leggero rossore sul viso dell’altra ragazza mentre abbassava gli occhi. La cameriera annuì in silenzio e rimase in cucina. Mentre andava in sala con la brocca, vide che Kain era ancora seduto sulla sua sedia. “Perché intanto non vai a prendere la tovaglia ed apparecchi?”

“Ve l’ho già detto, Kairi”, insisté Kain. “Quello che state facendo è sbagliato. Va bene avere a cuore il popolo, ma non bisogna dar loro così tanta confidenza. Poi si mettono strane idee in testa.”

“Ma questo è assurdo”, protestò Kairi con disappunto. “Chi ti ha detto una cosa simile?”

“Il principe Ansem”, rispose con orgoglio Kain.

“Mio padre…?” mormorò la ragazza, stupita. “Perché dovrebbe mai pensarlo?”

Kairi sapeva davvero poco di suo padre biologico e del suo modo di governare, ma le poche cose che aveva sentito da lui in quei pochi giorni non le erano piaciute per niente. Ecco quello che era riuscita a capire dal suo modo di ragionare: che riteneva i sudditi incapaci di provvedere a loro stessi, che le differenze nette fra le varie tipologie di cittadini non avessero niente di strano, addirittura che non importava che le popolazioni alla periferia del regno venissero escluse dalla vita politica, e che non era corretto aiutarli quando avevano bisogno. Veramente suo padre le voleva indicare che questa era la via giusta? Ma no, non era possibile. Decise, mentre apparecchiava la tavola con le posate d’argento, che all’ora di pranzo avrebbe parlato meglio con lui, perché non voleva credere che un principe così rispettabile e con una così vasta esperienza nel governo potesse ragionare in quel modo meschino.

Intanto i camerieri avevano portato da mangiare, e Kairi si stupì della gran quantità di cibo che poteva stare su quella tavola anche a colazione. Prima, mentre preparava il succo e i panini con la marmellata, non aveva fatto molto caso a tutto il resto del cibo che i cuochi stavano cucinando, ma ora vide che stavano portando latte, caffè, orzo, miele, affettati, uova sode e innumerevole altre cose. Per lei, che nella sua vecchia casa era abituata a fare colazione solo con frutta tropicale e relativi succhi, fu una sorpresa vedere tutta quella varietà.

“Credo che dovremo mangiare senza aspettare mio padre, visto che dobbiamo partire”, disse a Kain.

Il bambino non se lo fece ripetere, e cominciò a versarsi il latte nella tazza e a prendere i panini con la marmellata. “Così divento grande prima”, si limitò a spiegare iniziando a riempirsi la bocca.

Kairi ancora doveva abituarsi a quel cibo così calorico, pesante e diverso da quello cui era abituata, quindi fu più lenta di Kain nel mangiare, ed infatti era solo a metà quando il bambino balzò giù dalla sedia strappandosi il tovagliolo.

“Andiamo, andiamo, Kairi”, iniziò a ripetere a voce alta, tirando la ragazza per il polso con tutte e due le mani. Kairi si volse a guardare i camerieri con uno sguardo d’intesa, e notò con piacere che quelli, invece di rimanere impostati ed impassibili come avevano fatto durante i due pasti presi in precedenza, le rivolsero un timido sorriso. Forse perché suo padre stavolta non c’era. Forse perché si era messa al loro livello aiutandoli in cucina, non poteva saperlo ma quella loro espressione più morbida la confortava.

“Arrivo, arrivo, Kain, lasciami finire”, cercò allora di placare il bambino cacciandosi in bocca l’ultima fetta di pane con la marmellata, mentre il piccolo continuava a tirarle l’altra mano.

“Cosa succede qui?” esclamò a quel punto imperiosa una voce maschile. “Kain, ti sembra il modo di comportarti?”

Veloce come l’aveva afferrata, Kain lasciò andare all’istante il polso di Kairi e tornò a sedersi al suo posto di corsa, rimanendo a testa bassa.

“Buongiorno, padre”, fece un inchino con la testa Kairi. “Vi avevo avvisato ieri sera, ricordate?”

“Buongiorno, Kairi. Sì, mi avevi detto che avresti fatto un giro per il regno stamattina. Brava, fai molto bene. Questo è lo spirito giusto con cui partire. E’ giusto che i sudditi ti conoscano e ti avvicini un po’ a loro. Porterai con te anche Kain, no?”

“Certo”, annuì la ragazza. “Non penso che lui voglia stare qui nel castello”, aggiunse ridendo, vedendo come il bambino, sebbene seduto, tenesse stretti i bordi della sedia e scalciasse impaziente.

“Ti chiedo solo una cosa, Kairi, devi farmi un favore”, aggiunse Ansem. “Per favore, se parlerai con i sudditi, metti una buona parola per me. Verifica un po’ come si sentono nei miei confronti, ora che sei tornata. Dopo vorrei uscire anch’io a fare un giretto, ma preferisco aspettare che torni a riferirmi. Per la mia sicurezza, capisci.”

“Sì, capisco”, mentì Kairi. Per la sua sicurezza? Il suo vecchio padre temeva i suoi sudditi? Al punto di aver paura di uscire di casa?

“Andiamo, Kain”, disse allora, alzandosi e tendendo la mano verso il bambino, che subito scese dalla sedia imbottita e corse al suo fianco, mettendo la manina nella sua. “E grazie mille per la colazione”, aggiunse verso i camerieri, chinando la testa verso di loro. Vide Ansem aggrottare appena le sopracciglia a quell’atto, ma visto che non aggiunse altro nemmeno lei gli disse niente.

“Un’ultima cosa, Kairi”, la chiamò Ansem mentre i due si allontanavano. “Mi raccomando, non dire al popolo che anche Kain diventerà principe, un giorno. Se qualcuno chiede, dì che diventerà uno dei miei apprendisti.”

“Cosa? Perché?” chiese stupita Kairi, voltandosi. “Perché dovrei mentirgli?”

“Te lo spiego dopo. Ora vai, figliola”, le disse con tono morbido il vecchio principe.

“Sì, Kairi, mi raccomando”, ripeté Kain, mettendosi l’indice davanti alla bocca e guardandola serio. “E’ un segreto.”

 

Così, la ragazza ed il bambino uscirono dalla porta principale del castello, avvolti nelle loro giacche e tenendo un grosso ombrello sopra la testa. Salutarono le due guardie ai lati del portone, che fecero loro rispettosamente il saluto militare, e si avviarono. La pioggia si era calmata, ed ora cadeva dal cielo senza violenza, ticchettando leggermente sulle strade lastricate di pietra.

“Bene bene bene, e chi abbiamo qui di prima mattina, kupò?”, chiese una vocetta allegra sopra di loro.

I due futuri principi guardarono in su, e videro Mog arrivare svolazzando, con la pelliccia gonfia di umidità.

“Buongiorno, Mog”, salutò Kairi con rispetto.

“Sì, sì, buongiorno!”, salutò il moguri, mettendosi di fronte a loro tenendosi a mezz’aria e portandosi la zampa alla fronte. “Stavo giusto venendo a fare colazione, ma… siete già fuori? Avete mangiato senza di me, kupò?”

“Sì, abbiamo mangiato tutto, sono rimasti solo gli avanzi!”, esclamò Kain con voce melodrammatica. “Ti consiglio di correre, Mog, se non vuoi che finiscano anche quelli!”

Il moguri, con un’espressione alquanto preoccupata, si premette le guance con le zampe e schizzò via.

Kairi allora guardò il bambino alzando un sopracciglio. “Gli hai detto una bugia”, lo riprese.

“Sì, perché quel moguri non si sopporta”, spiegò Kain. “Se non gli dicevo così, ci veniva dietro per tutto il giorno. Ed io mi rompevo. Veniva anche a voi il mal di testa, perché quello non finisce mai di parlare dei fatti suoi.”

“D’accordo”, acconsentì Kairi alzando gli occhi al cielo. “Ma ricordati che se vuoi governare devi essere leale e sincero con i tuoi sudditi. Non si deve mentire in questo modo.”

“Beh, non è che funziona proprio così”, replicò Kain. “Se ci guadagni, perché no?”

E, prima che Kairi potesse replicare, la afferrò per la mano e la trascinò giù per la grande scalinata che portava al cancello. Kairi era sicura che anche quel principio glielo avesse messo in testa suo padre, anche se non ne aveva nessuna prova, e decise di lasciar stare, per il momento. Uscendo dal cancello principale, la ragazza si rese conto che doveva esserci qualcosa di particolare nella piazza. Il grande spiazzo era infatti gremito di bancarelle, occupate da uomini dai modi grezzi che urlavano con la loro voce potente i prodotti che componevano la mercanzia: frutta, ortaggi e cereali, per lo più. Attorno alle bancarelle, affaccendate e dai modi composti, si stringevano signore e ragazze di tutte le età, cercando di accaparrarsi la merce migliore ad un buon prezzo. Kairi non conosceva ancora nessuna di loro, ma basandosi sul loro aspetto riuscì a capire all’incirca a quale ceto del popolo appartenevano. Alcune di loro, poche, erano vestite con giacche dal tessuto più ricercato e da gioielli di discreta qualità, mentre altre, un numero maggiore, avevano dei vestiti semplici e non indossavano gioielli ed accessori. Decise che, se voleva fare bene il suo dovere in quel mondo, la prima cosa che doveva fare era incontrare personalmente i suoi futuri sudditi, perciò, anche se un po’ nervosa, strinse più forte la manina di Kain e si diresse verso di loro con passo deciso.

Una signora di mezza età, con i capelli raccolti in una crocchia, fu la prima a notarla. “Signore, guardate chi c’è stamattina!”, esclamò, emozionata e stringendo forte al petto la busta col pane appena comprato.

“E’ la futura principessa, cla che m’avete detto”, disse in modo sgrammaticato un tizio baffuto che stava a una bancarella di verdure. Si capiva che non aveva nulla a che fare con le signore che compravano da lui. “Ma se sa, noi dell’isole semo sempre gli ultimi a sapé le cose…” brontolò.

“E’ Kairi, è Kairi!” si diffuse presto la voce tra le donne che affollavano la piazza, e tutte lasciarono perdere i loro acquisti per avvicinarsi alla nuova arrivata. Kairi si trovò ben presto circondata da quella folla emozionata, che la ammirava piena di aspettative, e si sentì addosso una pressione assurda, ma cercò di non darlo a vedere. Quelle donne non sembravano affatto intimorite da lei. Anzi, una, sulla cinquantina, si avvicinò più delle altre e le pizzicò una guancia in modo affettuoso, come se fosse stata una sua parente.

“Ma come ti sei fatta grande, carina!”, le disse con un tono che, se fosse stata sua zia, avrebbe usato senza variazioni di sorta. “E pensare che io ti ho vista che eri piccolina così, quando ancora non eri alta nemmeno la metà di me.” Si rivolse poi a una sua comare di fianco a lei. “Carissima, non è vero che si è fatta una bellissima donna, la nostra Kairi?” “E’ proprio bella!” assentì l’altra. “E tu, bellissima, ti ricordi di noi?” le chiesero untuose.

Kairi si stava sentendo bruciare di imbarazzo e vergogna. Non sapeva nemmeno se assecondarle dicendo che si ricordava di loro, o dir loro la verità. Ci pensò Kain a risolvere: lasciata la mano della ragazza, si mise davanti a lei dando delle spinte alle donne più vicine a loro. “Rispetto, signore: è così che si parla alla futura principessa?”, chiese irritato. “Ma Kain…” cercò di placarlo Kairi. “Non essere scortese.” Il bambino allora si voltò verso di lei. “Mantenete la distanza, Kairi, ricordatevelo!”

La giovane donna allora si rese conto che doveva prendere in mano la situazione. Alzò la voce per farla risuonare sul forte vociare emozionato attorno a lei: “è un vero piacere per me incontrarvi di persona. Sono uscita dal castello così presto perché ci tenevo a conoscervi tutti, uno per uno. Volevo come prima cosa assicurarmi che steste bene.”

“Avete sentito?” dissero fra loro le donne del popolo, emozionate. “Questa futura principessa ha tutte le carte in regola! Guardate come tiene a noi! Vuole sapere se stiamo bene!” La loro contentezza e soddisfazione cresceva sempre di più man mano che il tempo passava, e Kairi fu sicura che qualcuna avesse aggiunto, subito dopo con tono rabbioso, “non come suo padre…”.

Kain allora ricominciò a tirare la mano di Kairi. “Dai, andiamo via, che voglio farvi vedere la città”, la spronò impaziente.

“Kain, sta calmo”, lo fermò però Kairi. “I sudditi sono più importanti della città in sé. Quella la guardiamo dopo. E-ehm… calmatevi, per favore!”, riuscì infine ad esclamare, placando temporaneamente la folla che si era accalcata attorno a lei. Era comprensibile che tutte quelle persone volessero conoscere meglio la donna che avrebbe governato il loro mondo per i decenni a venire, ma non le rendevano le cose più facili, in quel modo. “Una di voi vuole essere così gentile da spiegare come vanno le cose qui? Ho notato che manca l’elettricità, e allora…”

“Uuuh”, la interruppero lugubri le donne che, dai vestiti che indossavano, era evidente fossero dei ceti sociali più bassi. “Signorina, non ce ne parlate… da dove possiamo cominciare?”

“Intanto da questo”, suggerì un’altra. “Kairi, noi non abbiamo niente contro di voi e contro questo tesoruccio di bambino, sia chiaro, ma vogliamo che vi rendiate conto che vostro padre è il peggior principe che ci sarebbe potuto capitare!”

“Avevo immaginato che non vi andasse molto a genio…” la assecondò Kairi, notando con piacere che, ora che la conversazione era avviata su questioni più serie, la ressa si era sedata e poteva perlomeno respirare.

“Non ci va a genio? Signorina, è chiaro che non avete abitato questo regno, negli ultimi anni”, scosse la testa una ragazza.

“No, ma ho saputo per altre vie quello che è successo. E’ stata colpa di mio padre, dite?”

“Certamente, e di chi, sennò?” chiesero altre tre donne, insieme. “Quindi, per dovere di correttezza, ci teniamo a farvi sapere che non apprezziamo per nulla che sia lui il principe del Radiant Garden. Figuratevi, nemmeno si fa vedere più in giro. Si mostra in pubblico una volta ogni quindici giorni, se va bene. A quello lì non importa niente di noi. Cosa aspetta ad abdicare e a farvi diventare principessa immediatamente? Qualunque cosa facciate, farete certamente un lavoro migliore del suo.” “Esatto, e mio marito la pensa come me. Anche i suoi colleghi e i suoi amici. Tutti la pensano così!”

Kairi si rese allora conto che il suo vecchio padre aveva ragione ad essere così timoroso nei confronti del popolo e a starsene sempre rintanato. In quel momento si trovava in una polveriera. Un minimo passo sbagliato, e tutti i cittadini sarebbero insorti. Ma adesso che c’era lei, poteva cercare di mediare un po’.

“Guardate, io sarò più che felice di aiutare a sistemare ciò che in questo mondo non va, e il vostro benessere sarà la mia massima priorità”, assicurò, seria. “Però voi, in cambio, dovrete impegnarvi ad essere più indulgenti con mio padre. Lui è sinceramente dispiaciuto di tutti gli errori che ha commesso, anche se non lo volete più come principe, lasciate che possa girare in mezzo a voi con tranquillità e possa prendere un po’ d’aria in città. Ha governato per tanti anni, ormai è anziano e vorrebbe poter godersi la vecchiaia. Lo perdonerete?”

Le donne, interdette, si scambiarono delle occhiate dubbiose. “Non possiamo perdonarlo, signorina. Ma, visto che ce lo chiedete con il cuore, ci impegneremo a sopportarlo. Purché voi prendiate in mano il governo del regno il prima possibile”, decisero infine.

Kairi allora annuì contenta. Era chiaro che più di così non si poteva fare. Lo avrebbe riferito ad Ansem appena fosse rientrata nel castello. Rimase però stupita di quanto il suo vecchio padre fosse detestato, anche solo per il fatto che gran parte dei cittadini la volessero subito come principessa pur non sapendo praticamente nulla di lei. Era chiaro che, ai loro occhi, chiunque in quel momento sarebbe stato meglio del vecchio principe.

“E adesso ditemi un po’ degli altri problemi”, le invitò. Si rese subito conto, però, che aveva fatto male a parlare genericamente di altri problemi. Forse avrebbe dovuto essere più specifica, perché quelle donne iniziarono subito a riversarle addosso una questione dopo l’altra, senza nemmeno darle il tempo di ragionare sulle cose dette.

“Manca l’elettricità.” “E il riscaldamento.” “I generi di prima necessità hanno prezzi sempre più alti.” “Tanto che ho dovuto ridurre le porzioni di mio figlio, voi mi dite se vi sembra giusto?” “Le case sono vecchie e vanno ristrutturate, ma non si trova nessuno che lo faccia.” “La paga dei nostri mariti operai è sempre più bassa.” “Ora che ci penso, una volta la stagione delle piogge non era così umida…” “I fiori crescevano più belli…” “E il nostro principe è un menefreghista!”

Poteva bastare. La ragazza ragionò che, se i problemi che le presentavano quelle persone le venivano posti in quel modo, non sarebbe mai riuscita a trovare una possibile soluzione. Si stava sentendo soffocare e la testa le faceva male. Sussurrò al bambino che stava stretto a lei e si premeva le mani sulle orecchie: “Kain, andiamo via”, poi interruppe la fiumana di informazioni sconnesse che le stavano arrivando. “Credo di aver capito, più o meno. Rifletterò bene su quello che mi avete detto e vi farò sapere.”

Senza aspettare una loro reazione, afferrò Kain per la mano e lo trascinò quasi di corsa via di lì, infilandosi in una stradina che portava in uno dei quartieri, mentre le donne, che non si erano neanche accorte che Kairi si era allontanata, continuarono a parlare fra loro e a cianciare di questo o di quello.

Appena girato l’angolo, la ragazza si fermò col bambino di fianco, ansimando sfinita.

“Ve l’avevo detto di non fermarvi, Kairi”, la ammonì Kain, incrociando le braccia.

“Ma è assurdo”, protestò Kairi. “Come possono sperare che dia loro una mano, se si comportano così?”

“Perché loro sono così”, le spiegò Kain. “Il popolo non ha un grande cervello, non bisogna pensare che siano al pari nostro. Io lo so.”

“Adesso basta, Kain”, lo interruppe Kairi, arrabbiata. “Non devi parlare in questo modo dei nostri sudditi. Sono quelli che abbiamo il compito di aiutare e proteggere, non puoi trattarli come se fossero degli stupidi.”

Kain la guardò imbronciato. “Ma è la verità… sennò perché hanno fatto così?”

“Erano solo un po’ confusi ed emozionati per avermi incontrata, tutto qui”, alzò le spalle Kairi. “Dai, un po’ con qualcuno dei sudditi ho parlato. Qualcosa sono riuscita a capire, ma ho bisogno di approfondire, sennò non sarò mai in grado di aiutarli. Intanto vuoi mostrarmi un po’ questa parte della città, Kain, visto che ci siamo?”, aggiunse conciliante. Quel bambino le stava simpatico, e non aveva voglia di rimanere a lungo in discordia con lui.

“Oh, sì!”, esclamò Kain, rallegrandosi. Si era già scordato la piccola discussione appena avuta con la ragazza, e le prese la mano in modo molto galante. “Venite, vi faccio vedere il quartiere più vicino.”

“Quanti quartieri ci sono in città?” iniziò ad informarsi Kairi.

“Quattro”, rispose subito Kain. “Quello che vi faccio vedere oggi è quello sud-est.”

“Sì chiama proprio così? Che strano nome per un quartiere…”

“Poi ci sono il quartiere nord, est e sud-ovest”, elencò Kain. “Questo qui che vi faccio vedere è il più bello.”

Tenendola stretta per la mano, il bambino iniziò a guidarla per l’intrico di vicoli in cui si trovavano, fino a finire su una stradina un po’ più larga, su cui iniziavano ad affacciarsi le abitazioni. Kairi esaminò con attenzione tutto ciò che vedeva mentre camminavano. La strada lastricata di mattonelle era regolare e ben tenuta, senza pietre rotte o con grossi dislivelli, e anche le case che si susseguivano sulla strada, benché ammassate fra di loro, non davano un’idea di oppressione o di spazi troppo angusti. Quelle donne di prima avevano detto che le case erano vecchie e bisognose di ristrutturazione, ma a lei non sembrava proprio che queste qui fossero decadenti. Anzi, i tetti spioventi avevano tutte le tegole, i tubi della grondaia erano ben assicurati e facevano defluire l’acqua senza problemi, e le finestre sbarrate avevano i loro vasi decorati, che probabilmente nella bella stagione dovevano essere pieni di bei fiori, ma ora erano vuoti e zuppi d’acqua. Alcune case, più grandi delle altre, avevano addirittura un pezzetto di giardino sul davanti, anche se ora era tutto un pantano pieno di fango. Per le stradine non c’era nessuno, vista la pioggia e la temperatura non favorevole, ma Kairi non riuscì proprio a riscontrare in quelle viuzze il malessere generale che quelle donne le avevano descritto, né quelle che suo padre le aveva accennato. Anzi, a ben guardare, in alcune finestre la luce era perfino accesa. Dunque?

Aveva bisogno di parlare con qualcuno. Non poteva chiedere a Kain delucidazioni su quanto aveva appena visto, lui era troppo piccolo per poterle dare un quadro completo. Se almeno avesse visto qualcuno in giro… ma le strade erano deserte, i bambini dovevano essere a scuola, gli uomini al lavoro, e le donne forse erano rintanate in casa per sfuggire all’umidità. Solo dopo aver girato il quartiere un altro po’, Kairi vide la porta di una bottega al pianterreno lasciata socchiusa. Strinse più vicino a sé Kain. “Adesso entriamo lì, voglio un po’ parlare col proprietario”, gli disse. Chiuse l’ombrello e bussò alla porta, entrando poi con discrezione. “E’ permesso?” Rimase stupita da quello che vide. Da fuori le era sembrata una piccola bottega grande poco più di un garage, ma dentro si rese conto che l’ambiente era molto più spazioso. Le luci erano tutte accese e l’elettricità non sembrava avere problemi. I muri erano rivestiti di scaffali impilati di panni e stoffe, e tutt’attorno erano disposti in ordine dei bancali a cui stavano sedute delle donne che cucivano, concentrate nel loro lavoro. Kairi ne contò più o meno una ventina. Prese com’erano da quello che stavano facendo, nemmeno si accorsero che lei e Kain erano entrati. Ma il proprietario, un signore sui cinquant’anni, vestito con cura, la notò subito.

“La futura principessa! Siete passata nel nostro laboratorio! Che grande onore per me!” esclamò con calore. Le andò vicino e si inchinò con rispetto.

Anche le donne al lavoro alzarono gli occhi e fecero per congratularsi con lei, ma il proprietario, con un tono molto diverso da quello usato con Kairi, le riprese: “non distraetevi, continuate a lavorare!”, al che le operaie obbedirono immediatamente. Si rivolse poi, con un gran sorriso, a Kairi. “Ho assistito ieri alla vostra presentazione. Che devo dire, signorina, tutti noi siamo felicissimi che siate tornata a casa, e siamo ansiosi di vedervi presto prendere il vostro posto di principessa.”

“E’ proprio per questo che sono entrata”, spiegò Kairi. “Come sapete, sono arrivata solo ieri, e avrei bisogno che qualcuno mi spieghi un po’ come funzionano le cose qui.”

“Certamente”, annuì con gran piacere l’uomo, evidentemente lieto che Kairi avesse scelto proprio lui per quel compito. “Siete nel quartiere sud-est adesso, ed è sicuramente il quartiere più benestante del Radiant Garden. Intendiamoci, anche il quartiere sud-ovest è messo molto bene… ma noi siamo tutta un’altra cosa rispetto a loro”, aggiunse orgogliosamente.

Ora che c’era calma e si stava rivolgendo solo ad una persona che le forniva informazioni, la mente di Kairi registrò immediatamente le notizie: in quel quartiere non sembrava esserci niente fuori posto semplicemente perché dei quattro era il più ricco. E c’era forse del campanilismo tra i quartieri del Radiant Garden?

“E qual è il vostro lavoro, signore?”

“In questo quartiere vivono le famiglie più ricche del Radiant Garden. Intendiamoci, non siamo ricchi come voi aristocratici, ma non possiamo certo lamentarci. I commercianti della città vivono tutti qui intorno. Io mi occupo del commercio dei vestiti e delle stoffe, e come vedete grazie a me possono avere lavoro anche tutte queste persone”, spiegò, accennando alle donne che cucivano.

“Interessante”, annuì Kairi. Lontana com’era dai prodotti che venivano preparati, vide che alcuni di essi erano pregiati e di buona fattura, mentre altri erano di colori più spenti e fatti con stoffe di qualità inferiore. “E con chi commerciate, signore?”

“Oh, ci occupiamo di rifornire di vestiario e coperte tutto il Radiant Garden”, continuò il commerciante. “E ci occupiamo anche del commercio con le isole, ovviamente.”

“Le isole?” volle sapere Kairi. Aveva sentito parlare varie volte di queste isole del Radiant Garden, ma non aveva approfondito la questione, finora.

“Ma sì”, disse il commerciante, col tono di qualcuno che sta per affrontare un argomento sgradevole. “Sapete, la fascia più bassa della popolazione, costantemente ai margini della vita politica di questo regno. Non sono venuti neanche alla vostra presentazione, ve ne siete accorta, no?”

“Lo sapevo”, annuì Kairi. “Ma solo perché nessuno li aveva avvisati, suppongo.”

“Fidatevi, non sarebbe cambiato niente”, insisté il signore. “Pensate ai chocobo, per esempio. Sapete, quei grossi uccelli gialli che vivono nella foresta su una delle isole. Li avreste invitati, quelli?”

“Ma che paragoni sono…?” chiese Kairi con un filo di voce, sempre più sbalordita.

Kain alzò di scatto la mano. “Io lo so, io lo so! Gli animali non vengono a queste assemblee. E neanche i contadini.”

“Esatto, giovanotto”, annuì il commerciante, scompigliandogli i capelli in modo affettuoso.

Kairi decise che ne aveva abbastanza. Non sarebbe riuscita a stare dentro quel laboratorio un attimo di più. “Grazie mille per le informazioni che mi avete dato, ma adesso dobbiamo andare”, disse sbrigativa, affrettandosi a riprendere la mano di Kain.

“Potete passare quando volete, signorina. Sarebbe un onore per me potervi vendere le nostre stoffe migliori…” incominciò a dire con tono untuoso il proprietario, facendo inchini su inchini, mentre Kairi si apprestava a uscire. Ma, prima che girasse le spalle, una cosa catturò la sua attenzione: una delle operaie cercava nervosamente qualcosa. Cercava sul bancale, tra le pieghe del grembiule, per terra, ma non trovava niente. Chissà cosa stava cercando? Ma, con la sua vista giovane ed acuta, la ragazza notò, vicino ai piedi calzati in scarpe modeste della donna, un ago scintillante. Doveva esserle caduto e non poteva continuare il lavoro. Allora si avvicinò svelta, si piegò sulle ginocchia e chinò la fronte per raccogliere meglio l’ago, e lo porse alla donna che la guardava sbalordita.

“Prego, signora”, la invitò Kairi incoraggiante.

L’operaia la guardò boccheggiante per qualche altro momento, prima di sporgere la mano rovinata e tremante per prendere l’ago. Aveva un’espressione talmente sconvolta che non riuscì nemmeno a ringraziare. Kairi, perplessa, si guardò attorno. Tutte le altre donne avevano interrotto il lavoro e la fissavano sbalordite. Il padrone aveva una faccia che sembrava che il mondo si fosse capovolto, e Kain la guardava con aria di disapprovazione.

“Beh…” fece Kairi, iniziando a sentirsi a disagio. “Noi andiamo. Vieni, Kain.”

Si diresse verso la porta, afferrò la mano del bambino e lo trascinò fuori, sentendosi gli occhi di quelle persone ancora puntati addosso. Chiuse la porta con un gesto quasi liberatorio. Non ci voleva credere. Non poteva credere che quel commerciante – che probabilmente rispecchiava il pensiero dei suoi colleghi –, suo padre, e Kain pensassero tutti che dei cittadini avevano un certo valore ed altri valevano meno. Ed addirittura che tutti si sconvolgessero perché, per aiutare una donna, aveva chinato la testa di fronte a lei. Non le piaceva assolutamente questo modo di ragionare, e in quel momento decise che, pur con tutte le problematiche che il Radiant Garden poteva avere, quello in cui si sarebbe impegnata di più sarebbe stato l’abbattimento delle differenze fra i sudditi. Non tanto in benessere e qualità della vita: era ovvio che chi faceva certi lavori ed apparteneva a certi ceti sociali avesse un diverso tenore di vita. Ma non voleva che, solo perché uno aveva meno soldi e magari viveva ai margini del regno, venisse per questo considerato una persona di valore inferiore. Non poteva esistere che il lavoro rispecchiasse la persona. Il giorno che suo padre l’avesse nominata principessa del Radiant Garden, tutti i sudditi sarebbero stati presenti, nessuno escluso.

“Kairi, a cosa pensate?”, chiese Kain stupito, e Kairi si accorse che stava andando talmente veloce che se lo stava quasi trascinando dietro, allora rallentò l’andatura.

“A niente… ma mi vuoi spiegare qualcos’altro, Kain?”

Non aveva quasi finito di parlare che, da un portone di legno massiccio un po’ rialzato, a cui si accedeva per mezzo di alcuni scalini, uscì un uomo giovane, alto, con pantaloni e giacca neri, i capelli lunghi e castani e una cicatrice che gli attraversava la faccia. Kairi si fermò di colpo. Le sembrava di aver già visto quell’uomo. Il ragazzo la vide subito.

“Kairi!”, esclamò sorpreso. Si girò verso l’entrata della casa e chiamò. “Ehi, venite a vedere chi c’è!”

Subito una ragazza, che doveva essere poco più grande di Kairi, con i capelli corti e neri, uscì fuori e, emozionata, non prese neanche un ombrello per ripararsi dalla pioggia. Le andò vicino e le afferrò la mano con entrambe le proprie, dando quasi uno spintone a Kain.

“Kairi! Che piacere, che piacere rivederti! E’ davvero, davvero un piacere! Sono Yuffie, ti ricordi? Ti abbiamo visto ieri, sai? Eravamo nella piazza insieme a tutti gli altri cittadini, ed è stata una vera sorpresa quando abbiamo visto che eri tu.”

In tutto questo, non aveva smesso per un attimo di agitare il braccio di Kairi, che stava iniziando a sentirselo staccare dalla spalla. Anche quando finalmente le mollò la mano, ormai Kairi aveva preso talmente il via che continuò a sollevare ed abbassare il braccio come se l’altra glielo stesse tenendo ancora stretto. Allora Kain, che guardava la scena davvero divertito, ridendo le afferrò la mano per fermarla.

“Vacci piano, Yuffie”, commentò l’uomo, avvicinandosi.

“E voi siete…” iniziò Kairi, senza sapere come proseguire, visto che non si ricordava il nome di quello strano ragazzo sfregiato.

“Oh, lui è Squall”, si intromise Yuffie. “Una volta si faceva chiamare Leon, ma ora che è tornato nel suo mondo di origine ha ripreso a usare il suo vecchio nome, vero?”, chiese dando di gomito al fianco dell’uomo, che sembrava infastidito. “O meglio… noi lo chiamiamo col suo vecchio nome, indipendentemente da quello che vuole lui”, aggiunse con una risatina.

“E’ un vero piacere rivederti, Squall”, salutò cortesemente Kairi. “Adesso mi ricordo di te. Quella volta alla Città di Mezzo… vero?”

“Già”, annuì Squall. “Qualche anno fa.”

“Kairi!”, esclamò a quel punto una ragazza con lunghi capelli castani, un fiocco verde e vestita di rosa. “Che bello che sei passata di qui! Ma venite dentro, che fa freddo”, invitò.

La futura principessa, riprendendo la mano di Kain, seguì gli altri ragazzi dentro la casetta.

Dentro, la casa era talmene piena di cianfrusaglie che le diede un gran senso di disordine. Vide un uomo di mezza età, seduto al computer, biondo e con uno stecchino in bocca, un altro uomo, giovane, vestito di nero, alto e con gli stessi capelli a punta di Sora, però biondi; ed una donna, con i capelli lunghi e neri.

“Siete la figlia del nostro principe”, esclamò sorpresa la donna. “Kairi, giusto? Yuffie mi aveva parlato di voi”, e fece un breve inchino. “Io sono Tifa. Lo spilugone qui vicino a me è Cloud, e quest’altro è Cid.”

“Anch’io sono lieta di conoscervi”, disse Kairi, inchinandosi a sua volta.

“Avete portato anche Kain con voi?”, chiese Cloud, guardando il bambino. “E’ un po’ che non ti si vede in giro.”

“Non è colpa mia se sua maestà non esce più. E non posso andare in giro da solo. Ma adesso che c’è Kairi sarà tutto diverso!”, esclamò il piccolo, attaccandosi al braccio della ragazza.

“E’ stato un gesto gentile da parte di Ansem adottare Kain”, commentò Squall. “I suoi genitori sono morti un paio di anni fa, quando al Radiant Garden c’è stato un feroce attacco da parte degli Heartless.”

“Kain…” mormorò Kairi, scioccata. “Non sapevo che i tuoi genitori avessero fatto una fine così orribile…” E si chinò per abbracciarlo stretto.

“Ma io sto bene!”, cercò di tranquillizzarla il bambino. “E quando sarò grande, farò tutto quello che posso per far sì che certe cose non succederanno più!”

Kairi capì che si stava riferendo al suo futuro ruolo di principe, anche se, essendo in presenza di sudditi, si era guardato bene dall’accennare in modo esplicito la cosa.

“Sì, una volta questo mondo era una topaia!”, commento in modo grezzo Cid. “Non è che ora sia molto meglio, intendiamoci.”

“Sapete, Kairi, quando vostro padre ancora era lontano dal regno, siamo stati noi a cercare di prendere in mano la situazione e cercare di far riprendere a Radiant Garden un po’ del suo antico splendore”, spiegò Aerith

“Voi… voi avete preso in mano le redini del governo?”, chiese Kairi, impressionata.

“Già”, annuì Tifa, soddisfatta. “Nessuno di noi è un principe, ma siamo stati piuttosto bravi. Anche se abbiamo solo messo la prima pietra. Ora questo lavoro spetta ai reali. Non ci occupiamo più di queste cose, ma continuiamo a mantenere i contatti fra noi e a vederci regolarmente per discutere delle questioni del regno.”

“Così, in caso di problemi, potremo intervenire”, aggiunse Yuffie, grintosa. “Non ci sono più stati attacchi di Heartless ultimamente, ma in caso dovesse succedere, noi saremo pronti. Siamo esperti nel combattimento, e siamo in grado di ricevere qualunque nemico esterno.”

“Ma non dobbiamo dimenticarci dei cittadini”, disse Aerith. “E’ importante anche quello che facciamo con loro. Quando vediamo che il malcontento e l’odio verso il nostro principe supera un certo limite, cerchiamo di parlare con loro per calmarli. Penso che sia anche grazie a questo che non sia scoppiata nessuna sommossa, nel frattempo.”

Kairi era rimasta impressionata. Ecco delle persone che potevano veramente darle una mano: che conoscevano bene il Radiant Garden, i disagi e i problemi dei cittadini, gli altri problemi che il regno sicuramente aveva, esperti nel combattimento e che avevano già preso in mano il governo per un breve periodo di tempo. E, soprattutto, che non facevano parte dell’aristocrazia, quindi non avevano di sicuro quella visione fredda e distaccata dal popolo che aveva suo padre. Anzi, erano essi stessi parte del popolo, quindi quali persone potevano essere migliori di loro per iniziare a far fronte ai problemi del regno?

Ma Kairi non fece in tempo ad iniziare a chiedere ulteriori informazioni, che Aerith chiese: “cara… avete già visto come sta vostra nonna?”

Kairi si sentì mancare l’aria a quella domanda. Sua nonna… le ci vollero alcuni secondi perché riuscisse a concretizzare nella mente il pensiero che un tempo aveva avuto una nonna. Una figura nebulosa si materializzò nel suo cervello: ricordava vagamente l’immagine di una signora anziana, bassetta e un po’ curva, coi capelli grigi raccolti in una crocchia, un lungo abito viola col grembiule e gli occhi di un blu intenso come i suoi. Ed era accompagnata da un gradevole profumo di lavanda. Ma da quando era stata portata via dalla sua casa natale ed aveva iniziato la sua nuova vita, non aveva più pensato a lei. Forse perché aveva dato per scontato che nel frattempo fosse morta. Allora era ancora viva? E perché nessuno l’aveva avvisata?

“Dov’è? Dov’è lei adesso?” chiese affannata, impaziente di sentire la risposta, e nella foga strinse così forte la mano di Kain che il bambino gridò di dolore e si liberò dalla sua presa.

“Non vive qui”, rispose Tifa. “Sta in una casetta un po’ isolata, nel quartiere est. Ma non lo sapevate?”

“No…” boccheggiò Kairi. “Lei… non sa che sono qui?”

“Non credo…” mormorò Aerith. “Sapete, ormai è molto vecchia ed è quasi cieca per la cataratta. Non si interessa più della vita politica del regno, sta sempre tappata in casa perché la cecità le rende i movimenti molto difficili. E’ talmente isolata da tutti che dubito che qualcuno si sia preso la briga di andarla ad avvisare. Era una delle cose che avremmo fatto oggi, ma voi siete capitata prima che potessimo farlo.”

“E mio padre? Perché lui non l’ha avvisata?” riprese il fiato Kairi. Non voleva credere che il vecchio principe l’avesse tenuta all’oscuro dell’esistenza di sua nonna.

“Credo che tuo padre non abbia colpa, Kairi”, sospirò Cloud. “Lui e tua nonna non hanno mai avuto quasi nessun rapporto. Forse nemmeno si ricordava della sua esistenza, dopo essere tornato al suo regno. Non siate arrabbiata con lui, di certo non l’ha fatto di proposito.”

Kairi non stette a cercare altre spiegazioni. “Portatemi da lei, presto”, ordinò quasi, nonostante la gentilezza che l’aveva finora caratterizzata.

 

Il quartiere est era diviso dal quartiere sud-est da un ampio giardino, che partiva dalle mura del castello ed arrivava alle mura esterne della città, tagliando la capitale in due come il raggio di un cerchio. Si occupò Aerith di accompagnare Kairi, lei sotto il suo ombrello, Kairi e Kain sotto il loro, fino al limite del quartiere sud-est, per poi entrare nel giardino. Un grosso muro divideva le abitazioni dalla parte verde, con solo un’apertura munita di cancello a fare da collegamento, ed entrando Kairi si rese conto della grandezza e dell’imponenza esagerata di quel giardino, come doveva essere durante la bella stagione. Era immenso, con stradine acciottolate che tagliavano la terra, vi erano statue e sculture astratte sparse in giro, fontane ora spente ma comunque piene di acqua piovana, ed ovunque gradoni su gradoni, anch’essi pieni di terra e di aiole. Ora era tutto impastato e sporco di fango e di malta, ma Kairi giurò a se stessa che quando fosse tornato il bel tempo, avrebbe trascorso lì il suo tempo libero.

Le due donne e il bambino camminarono con cautela lungo le stradine, per evitare di imbrattarsi troppo le scarpe, fino a raggiungere il muro opposto con il cancello che portava nel quartiere est. Aerith ne approfittò per spiegare a Kairi di cosa si trattava: il quartiere est era meno claustrofobico di quello sud-est, era composto da strade più grandi, ed erano frequenti le aiole e i giardini.

“Gli abitanti di quel quartiere sono meno benestanti di quelli del quartiere dove viviamo noi”, spiegò. “Ma hanno comunque un tenore di vita soddisfacente. Hanno un forte gusto del bello, e ci sono vere e proprie gare fra le famiglie per decidere chi ha il giardino più decorato. Quando è primavera c’è anche una fiera in questo quartiere, che culmina con una gara in cui le varie famiglie partecipanti si sfidano fra loro per farsi valutare il giardino. I lavori più diffusi sono due: gli operai lavorano nell’impianto di depurazione delle acque che sta sotto la città, e gli altri si occupano della manutenzione e della cura dei giardini di tutta la capitale.”

“L’impianto di depurazione è statale o privato?”, volle sapere Kairi.

“Statale. Ma ultimamente le cose non vanno bene: i cittadini non pagano le tasse, così anche le paghe degli operai non sono più sufficienti. Così le famiglie sono sempre più frustrate e pagano ancora meno, ed è tutto un circolo vizioso”, spiegò Aerith tristemente.

Kairi annuì. Avrebbe pensato anche a questo. Ma prima voleva rivedere sua nonna. Si sentiva il cuore pulsare nelle orecchie e il corpo tremare, tanto che strinse così forte la mano di Kain che allentò un po’ la presa solo quando arrivarono alle sue orecchie le proteste del bambino.

Aerith aveva ragione: nella bella stagione il quartiere est doveva essere stupendo: Kairi vide che le case erano grandi, disposte in bell’ordine, ognuna col suo pezzo di terra sul davanti. Alcune l’avevano più grande ed altre più piccolo, a seconda dello spazio disponibile, ed ora erano solo pantani di fango, ma Kairi si rese conto, anche solo per com’erano decorate e curate le case, che gli abitanti dovevano tenere molto all’estetica delle loro abitazioni. Addirittura c’era una gara, in primavera, in cui le famiglie si sfidavano per il giardino più bello? Camminando sui ciottoli bagnati, alla ragazza iniziarono a tornare man mano in mente alcune cose della sua infanzia. Provava una sensazione strana: era come una parte buia della sua mente che si rischiarava. Le sembrava di riconoscere certi scorci, alcuni particolari delle case, delle prospettive… anche se in giro non c’era nessuno, riconobbe con chiarezza anche le abitazioni di alcune famiglie.

“Riconosco quella casa!”, esclamò all’improvviso, fermandosi, ed indicando una bella casetta col giardino tutt’intorno. “Lì abitava quella signora così gentile che mi regalava sempre le caramelle all’orzo…”

“Sì”, annuì Aerith. “Vi ricordate bene. Quando ero piccola e passavo di qui, regalava sempre qualche dolcetto anche a me.”

“Allora andiamo a chiedergliene altri adesso? Ho fame!”, propose Kain, davvero interessato.

“Adesso no, abbiamo una cosa più importante da fare. Dopo”, lo calmò Kairi.

Da lì in poi, Kairi non ebbe più bisogno che Aerith le indicasse la strada: la casina di sua nonna era un po’ isolata dalle altre, più piccola, con il suo bel giardinetto. Quando la ragazza aprì il cancelletto, si bloccò per l’emozione, ed iniziò a tremare.

“Cosa c’è, Kairi? Siete emozionata?”, le chiese gentile Aerith.

Kairi provò a negare, ma la donna più grande sembrò comprendere. “Aspettate, vado a suonare io. Così per voi sarà più facile.”

Si avvicinò alla porta di legno e suonò il campanello, e dopo pochi istanti Kairi sentì dentro un passo strascicato ed affaticato che aveva qualcosa di familiare. La porta si aperse e alla ragazza quasi si fermò il respiro. Eccola lì, sua nonna. Vecchia, piccola e curva. Quando la vedeva da bambina le sembrava alta ed imponente, ma ora si rese conto che era davvero bassa. Forse, per quanto la vecchiaia l’aveva rattrappita, ora le arrivava alle spalle o poco più. Indossava un vestito sobrio, con la gonna che arrivava fino ai piedi, un grembiule bianco, aveva i capelli ormai bianchi legati in una crocchia e gli occhi che spuntavano fra le rughe della faccia, una volta di un blu vivace, erano ora coperti da una patina biancastra.

“Sei tu, Aerith? Ho riconosciuto i tuoi passi…” disse incerta la vecchietta, tendendo la mano rugosa e ossuta, tremante per la vecchiaia.

“Sì, signora, sono io”, rispose la donna, prendendogliela. “Sono passata per vedere come state. Posso entrare?”

“Entra, entra”, la accolse con calore la vecchia, facendosi da parte. “C’è qualcuno con te, cara? Ho sentito altri passi oltre ai tuoi…”

“Sì, c’è una… amica, con me. Può entrare anche lei?”

“Casa mia è casa anche vostra”, assentì la vecchietta, ma quando Kairi fece qualche passo verso di lei per dirle qualcosa, la nonna piegò la testa, intristita. “Oh, la mia nipotina faceva proprio questo rumore quando appoggiava i piedi…” Con una mano si asciugò gli occhi imbiancati, e disse, cercando di mantenere il tono fermo: “Ma è passato tanto tempo ormai, le speranze e i sogni di una povera vecchia fanno brutti scherzi… come ti chiami?” chiese a Kairi, guardandola in viso ma senza riconoscerla, perché ormai non ci vedeva quasi più.

Kairi, sopraffatta dall’emozione, deglutì senza riuscire a rispondere.

“Cara, per favore, dovresti parlare…” insisté gentilmente la nonna. “Purtroppo non riesco quasi a vederti, quindi dimmi qualcosa…”

A quel punto la gola della ragazza si sbloccò, anche se con fatica. “Nonna…” riuscì a buttar fuori.

Il corpo dell’anziana donna iniziò a tremare, e lei dovette appoggiarsi al muro. “Questa assomiglia un po’ alla voce di Kairi… ma non può essere davvero Kairi…”

La ragazza si rese conto di quanto la cecità avesse reso fine il suo udito. Non poteva credere, infatti, di avere una voce simile a quella di quando aveva quattro anni, eppure sua nonna era riuscita a riconoscerla.

“Sono io, nonna”, ripeté. “Sono Kairi.”

La nonna allora, col viso sconvolto, allungò le braccia per toccarle la faccia e i capelli, facendo scorrere i ciuffi tra le dita, come a poterli riconoscere dal tatto. Kairi rimase impietrita sul posto, senza fiatare, mentre l’anziana donna continuava ad ispezionarla con le mani.

“Sei Kairi, sei proprio Kairi!” concluse con la voce rotta quando ebbe finito, e le due donne si buttarono le braccia al collo, stringendosi forte. “Sei viva, allora! Sei tornata, mia cara bambina! Avevo quasi… perso le speranze…”

Kairi sentì di nuovo nel naso un odore inconfondibile, l’odore della lavanda che la nonna chiudeva nei sacchetti e metteva poi nei cassetti della biancheria. Avrebbe voluto stringerla ancora più forte, ma temeva di farle male, visto quanto ora era anziana e fragile. Le veniva da piangere, ma riuscì a trattenersi: aveva già versato tante lacrime i giorni e le settimane prima, e per motivi che erano legati ad avvenimenti tristi. Ora era intenzionata a non farlo, ed era decisa a non farlo più, non per un momento come quello, che voleva rimanesse gioioso e basta. Ma, staccandosi dalla sua anziana parente, si rese conto che lei non si era trattenuta affatto: i suoi occhi non vedevano, ma erano pieni di lacrime, che scendendo le rigavano le guance rugose.

“Riesco a distinguerti a malapena, Kairi… ma come sei cresciuta… sicuramente devi essere bellissima”, singhiozzò toccandole la guancia.

“Lo è, signora”, intervenne Aerith, che si era emozionata anche lei. “Dovreste vederla, è senza dubbio una delle ragazze più belle della città.”

“Non avevo dubbi, non avevo dubbi”, disse allora contenta la nonna. “Grazie, Aerith, di avermela riportata. Desideravo tanto riaverla accanto a me, nella mia vecchiaia, era tutto ciò che volevo…”

“E’ stato un piacere, per me. Ascolta Kairi, se vuoi… posso accompagnare io Kain a casa. Penso che voi due abbiate molte cose da dirvi”, suggerì Aerith.

“Sì, grazie, mi faresti un favore”, annuì Kairi. Si rivolse poi a Kain, che stava già iniziando ad annoiarsi. “Ti riporterà a casa Aerith, va bene? Stai un po’ con mio padre, poi oggi pomeriggio faremo un altro giro. Digli che sarò al castello per l’ora di pranzo.”

Kain, alla prospettiva di un’altra passeggiata con Kairi, non ebbe niente da ridire, e seguì docile Aerith fuori dalla porta.

“Vieni, Kairi, vieni a sederti”, la invitò la nonna con la voce tremante e, anche se Kairi ci vedeva e lei invece era quasi cieca, la prese per mano e la guidò verso il salotto, piccolo e raccolto, in cui c’erano due poltrone un po’ logore. Guardandole, a Kairi tornò in mente tutto.

“Questo è… il soggiorno dove giocavo da piccola quando fuori pioveva…” mormorò, guardandosi attorno con gli occhi spalancati mentre i ricordi le tornavano via via. “E su questa poltrona qui… mi sedevo sempre io.”

“Esatto”, annuì la nonna. “Anche se eri piccola, non volevi mica il seggiolino come facevano tutte le bambine della tua età. Tu volevi stare seduta in una bella poltrona, come i grandi. In tutti questi anni, non ho mai voluto toglierla, perché ho sempre avuto la speranza che un giorno saresti tornata.”

Kairi, profondamente toccata, andò allora a sedersi al suo vecchio posto, mentre la nonna occupò l’altro. La ragazza rimase a fissare il tappeto consunto, gli scaffali pieni di oggettini di legno, i quadri di paesaggi alle pareti, mentre sentiva la pioggia continuare a battere leggera sulla finestra.

“Dimmi, bambina mia, cos’hai fatto in tutti questi anni… e come mai sei tornata solo ora?”

Kairi rifletté su cosa raccontare alla sua anziana parente. Dirle che aveva combattuto contro un potentissimo maestro del Keyblade? Che lui era riuscito quasi ad ucciderla? Che qualche anno prima aveva perso il suo cuore? No… alla poveretta non avrebbe retto il cuore a sentire che alla nipote erano accadute certe cose. Meglio andarci piano. Le raccontò quindi solo la parte più lieta della sua vita, ossia che era stata portata in un altro mondo composto da isole tropicali, che lì era stata adottata, si era fatta molti amici ed aveva vissuto un’infanzia felice.

“Quando sono arrivata lì mi ricordavo solo il mio nome e nient’altro, per questo non sono mai venuta a cercarti in tutti questi anni, nonna…” si sentì in dovere di precisare.

L’altra annuì. “Non c’è bisogno che me lo dici, non sono arrabbiata con te. Se non sei mai tornata a casa, hai di sicuro avuto i tuoi motivi.”

“E adesso sono di nuovo qui perché… beh, Ansem è venuto da me per rivelarmi quello che non mi ricordavo, ossia che è mio padre e che il mio posto è sul trono di questo regno. E così ho accettato di seguirlo. Se tutto va bene, fra qualche mese sarò la principessa del Radiant Garden, e quando avverrà, voglio che tu stavolta venga alla cerimonia, nonna. Anche se non potrai vedermi, potrai sentirmi.”

La nonna si asciugò allora gli occhi pieni di rughe. “Ah, Kairi… lo sapevo che il tuo destino sarebbe stato questo. E dire che tuo padre quando eri piccola non ti badava mai… ti lasciava sempre a me, lui era troppo occupato dai suoi studi. Non ho una buona opinione di lui, anche per quello che ti ha fatto.”

“Sì, ma io non sono tornata per fare un piacere a lui, ma perché voglio avere a cuore questo popolo ed aiutarlo il più possibile”, rispose Kairi, convinta. “Nonna, ascolta, perché non lasci questa casetta e vieni a vivere nel castello? Staresti più vicina a me, ed avresti molte comodità che qui non hai.”

Ma la vecchietta scosse la testa. “Sei molto gentile, bambina, ma ormai sono troppo vecchia per cambiare le mie abitudini. Ho sempre vissuto in questa casa e voglio continuare a viverci, non potrei mai trasferirmi nel castello. E poi, adesso che ci vedo così poco, vivere in un ambiente che conosco bene per me è meglio.”

“Allora ti verrò a trovare tutti i giorni, nonna, vuoi?” propose Kairi.

“Oh, sì”, si rallegrò la nonna. “Sono sempre così sola… so che avrai molto da fare, ma se potrai stare un po’ con me quando hai tempo, mi farebbe molto piacere.”

“Verrò di sicuro”, la tranquillizzò Kairi. “E tu cos’hai fatto in tutti questi anni, nonna cara?”

“Cosa ho fatto io…? Beh, nipotina, ho vissuto la mia vita di sempre. Con tutte le mie abitudini che ho costruito negli anni. Non è cambiato proprio nulla. Tranne una cosa: ho continuato a sperare di poterti rivedere, prima di morire”, sorrise la nonna. “E vedo che sono stata ripagata.”

Kairi divenne pensierosa a quella risposta: quello che le aveva detto sua nonna le ricordava qualcosa. Era proprio la situazione in cui si trovava lei ora. Tranne per il fatto che lei stava cercando di smettere di sperare. Forse perché lei era meno forte della sua anziana parente? O forse per evitare di soffrire troppo? Non sapeva se rivelarle il suo segreto, ma alla fine si decise: quella era l’unica sua parente rimasta, a parte suo padre. Era la donna che l’aveva cresciuta, accudita e l’aveva consolata quando piangeva e aveva paura. Anche se ora aveva quasi diciassette anni, Kairi sentì di nuovo il bisogno della sua vicinanza e del suo supporto. Forse, restando sul vago, almeno a lei avrebbe potuto aprirsi per avere un consiglio, e forse anche solo confidarsi l’avrebbe fatta stare meglio, in fondo la nonna aveva vissuto la sua stessa situazione.

“Ascolta, nonna… volevo dirti una cosa… che mi fa stare male”, iniziò incerta.

“Cos’è che ti fa stare male, tesorino?”, le chiese subito preoccupata la vecchietta.

“Pensa, nonna… di essere innamorata di un ragazzo. Fin da quando sei piccola, perché vi siete incontrati quando eravati bambini. Cresci insieme a lui, quando siete diventati grandi decidete di stare insieme, ma lui ti viene portato via e non c’è nessun modo di riaverlo indietro… come ti sentiresti? Cosa faresti?” Non sapeva bene come mettere tutta la faccenda, se essere più precisa o meno. “Forse… non mi sono spiegata bene, non so.”

“No, tesoro, ti sei spiegata bene. E’ una cosa che ti è successa?”

“Sì…” mormorò Kairi.

“E mi dici che questo ragazzo non è morto, è solo lontano da te? E che non c’è modo di riportarlo indietro?”

“Esatto”, annuì la ragazza.

“Hai provato a fare di tutto per poterlo salvare? E nonostante questo, non c’è stato niente da fare?”

“Sì. E’ per questo che sono così disperata, anche se non sembra. Cerco di tenermi sempre occupata in modo da non dover pensare, è per questo in realtà che ho accettato di tornare”, spiegò Kairi, sentendo che stava iniziando a piangere. Non c’era niente da fare. Non poteva affrontare quell’argomento senza sentirsi trafiggere il cuore. “Ho fatto, ho fatto, ma non è servito a niente. Non sono riuscita a riportarlo a casa con me, e io… senza di lui, mi sento così vuota… non ci dormo la notte… come posso andare avanti così, nonna?” Si coprì la faccia con le mani, piangendo e bagnandosi i palmi di lacrime, mentre cercava disperatamente di darsi un contegno, col solo risultato di far aumentare i singhiozzi invece di farli calare.

La nonna allora, nonostante i suoi acciacchi, al sentire il pianto della nipote si alzò prontamente ed andò a sedersi vicino a lei, nonostante lo spazio fosse stretto, abbracciandola forte.

“Povera bambina mia… si vede che lo ami davvero tanto” la confortò. “Posso dirti una cosa, nipotina: quando hai fatto tutto il possibile per poter riavere indietro questo ragazzo, e nonostante questo non ci sei riuscita, non hai niente da rimproverarti. Se c’è anche solo una possibilità, allora quello che devi fare è continuare a provare. Ma se hai fatto tutto quello che hai potuto e non puoi fare altro, allora l’unica cosa che puoi fare è aspettare.”

Kairi tirò su col naso ed abbracciò anche lei sua nonna. Le venne in mente che quello era stato lo stesso identico discorso che Sora aveva fatto quella volta a Chirity, prima di riportarlo da Ventus. Erano frasi logiche, che avevano senso, ma…

“Ma non ha senso aspettare, nonna… lui non tornerà… non importa quanto aspetterò… lui non tornerà mai più”, scosse la testa, sentendo altre lacrime che le facevano bruciare gli occhi.

“Perché non dovrebbe riuscire a tornare? E’ forse morto, per caso?”

“No… ma non cambia molto… in passato è stato separato da me altre volte, e siamo sempre riusciti a riunirci, ma questa volta è diverso”, disse la ragazza, affranta.

“Ricorda, Kairi, solo i morti non possono tornare. Se è riuscito a tornare da te altre volte, allora ci riuscirà ancora un’altra volta, se ti ama”, sorrise la nonna. “Perché ti ama, vero?”

“Sì, mi ama da morire”, assentì Kairi. In tutti i sensi. “E anch’io…”

“Allora, tesoruccio, non devi essere triste”, le disse la nonna con tono più allegro. “Se lui ti ama come dici, e come sembra che sia, troverà il modo di tornare da te. Sai, io conosco leggende di tanti mondi, non solo del nostro, e so che esistono addirittura delle isole dove crescono frutti gialli a forma di stella. Ecco, si dice che se due innamorati si imboccano l’un l’altro con questo frutto, saranno uniti per sempre. Ma non serve avere per forza una leggenda alle spalle, basta anche solo la volontà di stare insieme.”

“Nonna, io… ho vissuto su quelle isole che dici, quel ragazzo era di lì. E ci siamo scambiati due frutti, prima che… prima che…”, e non riuscì a proseguire, riprendendo a singhiozzare. “Ma le leggende sono solo leggende, questa è la verità.”

“No, Kairi, questo non è vero. Cosa ti ho insegnato quando eri piccola? Dietro ogni leggenda c’è un fondo di verità. Adesso che so anche questo, te lo posso dire con sicurezza: un giorno voi due vi rincontrerete”, le disse serenamente la vecchietta.

Kairi la guardò con gli occhi blu spalancati ed arrossati. “Ne sei davvero sicura, nonna? O lo dici solo per consolarmi?”

La nonna si poggiò una mano sul petto. “Ne sono sicura. Puoi fidarti di quello che dico.”

“Ma quando pensi… che accadrà?”

“Questo non posso saperlo, tesoro”, rispose però la nonna. “Potrebbe essere domani. Potrebbe essere fra un anno. O fra dieci, o venti. Ma ne sono sicura, come sono sicura che in questo momento fuori sta piovendo. Tu vivi la tua vita serenamente, cerca di essere una buona principessa e di portare la felicità a questo popolo allo sbando, e vedrai… te lo ritroverai davanti quando meno te lo aspetterai”, le disse incoraggiante, accarezzandole il viso. “Non è successa la stessa cosa con me? Quando ti hanno portata via da me, ho continuato con la mia vita e a fare le mie cose, ma non ho smesso mai per un attimo di sperare che saresti tornata. E oggi, eccoti qui. Con lui succederà uguale”, le sorrise. Allora Kairi, smettendo di piangere, le sorrise di rimando rasserenata, anche se non sapeva quanto la vecchietta riuscisse a vederla. “E adesso soffiati il naso, su”, aggiunse la nonna porgendole un fazzoletto di stoffa ricamato.

Kairi obbedì, sentendosi un po’ più leggera rispetto a prima. La sofferenza era ancora grande, anzi, le sembrava che al suo cuore mancasse proprio un pezzo che le era stato brutalmente strappato, e ancora le sanguinava copioso, ma un sottile fascio di luce di speranza, con cui sua nonna l’aveva appena illuminata, stava cercando di arginare un po’ quel dolore che sentiva. Avrebbe fatto come la nonna le aveva detto: si sarebbe dedicata anima e corpo al Radiant Garden, al popolo e alla soluzione di ogni problema che si fosse presentato. Da quel momento in avanti, il benessere e la felicità dei suoi futuri sudditi per lei sarebbero stati al primo posto. Nonostante Sora le avesse detto molto chiaramente che non doveva mantenere viva la speranza di rivederlo, addirittura di sposare un altro uomo, per smettere prima di soffrire, decise invece di fare come la sua anziana parente le aveva saggiamente detto: fare ciò che si era prefissata nella vita, senza però mai lasciar spegnere nel cuore la speranza di rivedere il suo innamorato, ed avrebbe continuato a scrivergli tutto quello che pensava, per mantenere vivo il loro rapporto anche se non poteva vederlo né sentirlo.

“Nonna, ti ricordi quella leggenda che mi raccontavi sempre? Me la racconti ancora una volta?”, le chiese speranzosa. Adesso che era entrata di nuovo nella sua vecchia casa, tutto quanto le era tornato alla mente. Ma quella storia, benché la conoscesse parola per parola, voleva sentirla ancora. In quel momento ne aveva bisogno.

“Ancora, cara?” sospirò la nonna, anche se si capiva che non ne era infastidita.

“Sì, per favore…” insisté Kairi.

“Bene, allora. Molto tempo fa, le persone vivevano in pace…” iniziò a raccontare la vecchietta. Kairi rimase ad ascoltare, presa dal tono di voce che la nonna utilizzava nei suoi racconti, che non era cambiato per niente rispetto a tredici anni prima. Forse faceva solo un po’ più fatica a parlare. Si emozionò una volta che fu arrivata alla fine: tutto quello che le aveva detto la nonna le sembrava una metafora sul suo rapporto con Sora. Ora doveva continuare a credere e sperare, e un giorno si sarebbero rivisti, come la sua anziana parente le aveva predetto.

“E’ davvero una bella storia, nonna, mi ha fatto tanto bene risentirla. Ne conosci altre, vero?”

“Sì, il Radiant Garden ha tante leggende, tesoro. Noi della città ne abbiamo molte, ma i contadini sulle isole ne hanno ancora di più. Ogni tanto una leggenda meno significativa delle altre muore nell’oblio, ma altre, quelle che hanno per protagoniste persone e vicende grandiose, quelle non moriranno mai. Chissà se in futuro ne nasceranno altre, in aggiunta a quelle che abbiamo già?”

“Deve esserci prima una persona più grande ed importante delle altre perché possa nascerci attorno una leggenda”, aggiunse Kairi.

“Mmmh… hai in mente qualcuno, tesoro?”, chiese la nonna.

“Beh… mio padre è stato principe di questo regno per tanto tempo. Forse lui”, suggerì.

La nonna stranì un momento l’espressione, poi fece una breve risata divertita. “Molto bene, Kairi, ho capito la battuta. Ma adesso è ora di pranzare. Vuoi restare con me?”

Kairi guardò fuori dalla finestra. C’era un po’ di foschia, ma sembrava aver appena smesso di piovere. “Mi piacerebbe, nonna, ma ho promesso a mio padre che sarei tornata per pranzo. Tornerò domani a trovarti, va bene?”

“Sì, tesoro. Passa, quando hai tempo. Hai rallegrato la mia vita, tornando qui. Vedrai, illuminerai anche quella di tutti gli altri abitanti”, la abbracciò la nonna.

Kairi rifletté su quelle parole ed aspettative che le risuonavano nelle orecchie, e con un ultimo abbraccio si congedò dalla sua vecchia parente, incamminandosi poi per tornare al castello.


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Brevi appunti: ebbene sì, in questa fan fiction c’è Cloud. Lo so che teoricamente non dovrebbe esserci perché KH2 chissà dove l’ha portato, ma è stato un sipario che non è stato mai risolto. Speravo che il re:mind desse finalmente una risposta su dove fosse finito quel pover’uomo, invece Nomura se n’è strafregato. Allora coccone stai a sentire: i tuoi buchi di trama risolviteli da per te, io se me li metti e poi non li risolvi li ignoro e pace.

Poi c’è da fare un appunto su un concetto che d’ora in poi sarà sempre presente. Nelle interazioni col popolo, vediamo Kairi parlare con molte persone diverse. Queste persone però saranno identificate o con la loro professione, o dalla loro appartenenza sociale, o da altri particolari. A parte i personaggi di FF, nessuno dei sudditi avrà mai un nome proprio, questo per una scelta precisa: ossia il popolo (come nel Principe) è visto come una massa, non come un insieme di individui. Anzi, il popolo stesso è come un personaggio, buono o cattivo a seconda delle circostanze.

Ansem si sta rilevando un personaggio un po’ ambiguo. In questa storia ci sarà molta ambiguità da parte di chi comanda (a parte Kairi, perché il suo personaggio non lo permette), ed anche se un principe vuole come obiettivo finale il bene del suo popolo (lo scopo di essere un principe è proprio questo, essere al servizio dello stato), non è detto che abbia una buona opinione o fiducia nello stesso. Specie se è formato da una massa di gente che appena le cose vanno male ti si rivolta contro. Ansem in particolare mi sembra molto adatto per questo ruolo, anche se il suo stato di principe ormai odiato dal popolo non gli consente libertà di manovra: ha mantenuto questa ambiguità da “fine giustifica i mezzi” (anche se brrr, Machiavelli non ha mai scritto questa frase) per tutta la serie di giochi, e ho deciso di mantenerla, un po’ annacquata, anche qui. Anche se questa sua visione comprende solo il popolo generico, e ne è esclusa la sua famiglia. Comunque più avanti approfondirò il suo modo di ragionare, che non è poi così sbagliato.

Per quanto riguarda la nonna di Kairi: sentivo che questa storia avesse bisogno del suo personaggio, perché è Kairi stessa ad avere bisogno di lei. E’, diciamo, l’unico personaggio a poter entrare in empatia con lei, e a livello di sentimenti la sua unica parente e l'unica con cui si possa confidare. Ansem è suo padre ma, se avete notato, non le è vicino col cuore, ma più in modo “professionale”.

Un appunto sulla “coppia” di questa storia: sarebbe bello (per dire…) che da adesso in poi Kairi pensasse solo al RD e basta, senza più distrazioni. Purtroppo il ricordo di Sora continuerà a tormentare questa povera ragazza, perché io penso che una separazione così brutale nemmeno in anni e anni si riesca a superare. Quindi, anche se di fatto, a livello pratico, non c’è come coppia nella storia (è un po’ impossibile trattare una coppia quando manca uno dei componenti), a livello spirituale comunque rimane, perché Kairi manterrà sempre vivo questo legame, lei è un personaggio che per sua natura non può vivere senza il compagno. Non c’è Kairi senza Sora (e viceversa), e quindi anche se lui non c’è nella narrazione la loro coppia comunque in qualche modo si mantiene. Perché sì, questa è una storia a sfondo politico, ma i sentimenti dei personaggi saranno comunque in primo piano, e non ci saranno solo vicende inerenti al governo e basta.

Al prossimo aggiornamento, spero di non metterci troppo tempo!

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Capitolo 12
*** Come un principe dovrebbe rapportarsi coi sudditi ***


Ehilà, sono tornata!

Questa volta è stata un'assenza lunga, ma sono in un periodo in cui devo dare cinque esami, finora ne ho dati solo tre, quindi per scrivere non avevo molta ispirazione. Questo capitolo è un po' corto, perché tutta la parte sull'esplorazione della città ho deciso di metterla nel prossimo, così potrò farlo più lungo. Starete notando forse una cosa, da un certo punto in poi le citazioni del Principe non le ho più inserite a inizio capitolo, nonostante questo qui, per esempio, sia pieno di concetti machiavellici. Questo perché sto tenendo da parte le citazioni per più avanti, quando il tutto potrà avere un riscontro nella storia. E' inutile che applichi certi ragionamenti e citazioni quando la protagonista è Kairi, che come avete visto ha un modo di comportarsi e pensare completamente opposto a quanto dice il trattato. Qui ci sono solo concetti teorici, ma l'applicazione pratica di tali concetti ancora no. Buona lettura!

 

Capitolo 12 - Come un principe dovrebbe rapportarsi coi sudditi


Camminando svelta verso il castello, tenendo l’ombrello chiuso perché al momento cadevano solo poche gocce, Kairi, pensierosa, teneva la testa bassa. Non avrebbe mai creduto di poter incontrare di nuovo sua nonna; era da molto tempo che non pensava più a lei. Quando era piccola non se ne ricordava; più tardi aveva riacquisito alcuni ricordi, ma a quel punto aveva dato per scontato che ormai fosse morta. Quella scoperta le aveva fatto respirare l’anima, che in quelle due giornate, e nelle settimane precedenti, si era sentita soffocare. Era ben decisa, ora, a recuperare tutto il tempo perduto con lei, e si prese l’impegno di andarla a trovare tutti i giorni, con qualunque temperatura o condizione atmosferica; e, qualunque cosa avesse avuto da fare, sarebbe stata con lei almeno un’ora. Era impaziente di scoprire quali altre fiabe e leggende conosceva la sua adorata parente, e di farsi raccontare di più sulla vita quotidiana del suo nuovo mondo.

Ragionando così, mentre era ancora nel quartiere est, si sentì chiamare. Non si rese subito conto che sulla strada acciottolata c’era qualcuno oltre a lei, perché teneva lo sguardo basso, essendo persa nei suoi pensieri. Ma, quando guardò chi l’avesse chiamata, non fece fatica ad identificare la donna davanti a cui si era chinata, poco prima, per raccogliere l’ago. La donna era avvolta nei suoi abiti modesti ma senza buchi e toppe, e non aveva alcun ombrello con sé. Si avvicinò a Kairi e fece un profondo inchino davanti a lei.

“Signorina, non so se vi ricordate… grazie per prima… non so davvero cosa dire…” mormorò, incespicandosi.

“Ma non dovete ringraziarmi”, la tranquillizzò Kairi. “Era solo un ago. Avrei dovuto lasciavi lì a cercare senza poter finire il lavoro?”

“No, ma…” rispose la donna, confusa. “Se ci fosse stato vostro padre… probabilmente se avesse visto l’ago, me lo avrebbe indicato perché poi potessi raccoglierlo io. Sì, vostro padre in passato ha fatto del bene a questo mondo e a noi, sebbene non lo ricordi quasi nessuno, eppure… lui manteneva una certa distanza da noi. Voi siete aristocratici, siete principi… non dovreste stare con la fronte china davanti a una persona modesta come me.”

“E questa è una legge scritta?”, volle sapere Kairi.

La sarta era allibita. “No, non c’è scritto da nessuna parte, ma… si sa… si è sempre fatto così.”

“Beh, se non c’è una legge che lo vieta, non vedo perché dovrei evitare di fare di tutto per aiutare le persone che un giorno governerò”, spiegò Kairi con pazienza. Era incredibile. Le sembrava quasi di star spiegando un concetto elementare e scontato ad una bambina.

La donna la guardò scioccata, poi si asciugò gli occhi col dorso della mano. “Scusate, non dovrei reagire così… ma non credevo… di poter meritare un’attenzione simile da una futura principessa.”

Kairi stava per rispondere che l’aveva fatto a prescindere, e non perché lei se lo fosse meritato, quando ricominciò a piovere fitto all’improvviso. Subito la ragazza aprì l’ombrello per proteggersi, ma si accorse che la sarta non ne aveva uno.

“Non avete un ombrello, signora?”

“Oh, sì che ce l’ho, ma sapete, stamattina fra tutto quello che dovevo fare me lo sono scordato… che sciocca sono stata… ma casa mia è a due minuti da qui, ci metterò poco”, le sorrise l’altra.

“Allora venite qua sotto con me, se mi dite dov’è casa vostra vi accompagno io”, propose subito Kairi.

“Oh, ma signorina…” fece un passo indietro la donna. “Davvero, non posso permettervelo…”

Kairi allora, stufa, si avvicinò a lei e le mise l’ombrello sopra la testa. “Su, ditemi dove abitate”, le disse spiccia.

“Fra… fra tre incroci a destra…” rispose la sarta frastornata, e si avviò, con Kairi di fianco che reggeva l’ombrello su tutte e due, fino ad arrivare a una casa, un po’ più grande di quella della nonna della ragazza, anche questa col suo giardino pieno di fango, e dall’aspetto curato, anche se modesto. La donna aprì la porta di casa, dove l’accolsero due bambinetti. Il più grande si coprì la bocca con la mano quando vide Kairi.

“Mamma, ma lei è la futura principessa!” esclamò emozionato, e il più piccolo la guardò incantato.

“Bambini, voglio che quando la signorina Kairi sarà diventata la principessa del regno, le portiate il massimo rispetto. E’ stata così gentile per ben due volte con me oggi, tanto che mamma non sa come ripagarla. Signorina… è ora di pranzo e sta piovendo… non vorreste rendere onore a questa casa fermandovi a mangiare con noi? Le cose che mangiamo sono semplici, è vero… ma è il minimo che possa fare per ripagarvi.”

“Sì, sì!”, esclamarono eccitati i due bambini. “Restate con noi a pranzo, restate!”

Kairi era sorpresa: fermarsi a mangiare in una casa comune, dove c’erano cibi semplici e avrebbe potuto iniziare a conoscere in modo più tranquillo qualcuno del popolo? L’offerta la allettava molto, ma…

“Mi dispiace, signora, il vostro invito mi fa molto piacere, ma oggi ho promesso a mio padre di tornare a pranzo al castello. Ma se volete, dopo lo avviso, così potrò fermarmi domani.”

I bambini mostrarono di essere rimasti molto male a quella obiezione, e si guardarono intristiti.

“Su, su, non fate così”, si affrettò a consolarli Kairi. “Facciamo così, vi prometto che domani verrò. Verrò di sicuro. Però voi dovete smettere di fare quelle facce.”

La luce illuminò di nuovo i visi dei due bambini, e anche quello della madre.

“Ed io vi prometto, signorina, che vi farò trovare quanto di meglio abbiamo. Bambini, è meglio che la nostra futura principessa venga domani. Con la casa così in disordine come è oggi, come potremmo darle l’accoglienza che si merita?” aggiunse la donna.

Kairi si mise a ridere a quelle parole, e si abbassò per avere la testa all’altezza di quella dei bambini. “Allora oggi mi promettete che aiuterete la mamma a pulire la casa? Guardate che domani controllo, eh”, disse facendo la voce severa.

“Puliremo tutto noi!”, esclamarono convinti i due bimbi, e la madre guardò Kairi entusiasta, mentre si salutavano e la futura principessa riprendeva la strada di casa.

 

Ora Kairi si sentiva quasi allegra: a parte qualche resistenza dovuta alla formalità che aveva avuto quella donna, tutta la vicenda le sembrava quasi come se fosse potuta accadere con una vicina di casa. Come se si fosse appena trasferita in un altro paese, come una normale cittadina, e stesse cercando di familiarizzare con il vicinato. L’idea di poter pranzare con una famiglia modesta, come d’altronde era sempre stata anche lei, poter mangiare cibi semplici e genuini invece che quelli sofisticati che preparavano al castello, poter chiacchierare normalmente e servirsi in modo spontaneo senza dover aspettare i camerieri… tutte queste prospettive la facevano stare bene. Ed inoltre, pensò poi, ne avrebbe approfittato per chiedere a quella sarta che problemi stesse attraversando la sua famiglia. Era vero che il Radiant Garden di problemi ne aveva, ma lei voleva partire con le risoluzioni delle varie questioni partendo proprio dal basso, cioè dai sudditi, magari quelli più modesti. Il resto sarebbe venuto dopo.

Quando entrò nel castello e poi nella sala da pranzo, trovò che suo padre, Kain e gli altri erano già a tavola.

“Scusate se ho fatto tardi…” iniziò rivolgendosi al padre.

“Non preoccuparti, ci siamo seduti solo adesso, dobbiamo ancora iniziare a mangiare”, la tranquillizzò Ansem.

“Intendiamoci, dobbiamo iniziare a mangiare perché vi stavamo aspettando”, precisò Kain, ridacchiando, e il vecchio principe gli rivolse un’occhiataccia che lo zittì.

“Invece di dare da dire alla nostra futura principessa, parliamo di te, piuttosto, kupò, visto che ci siamo”, intervenne Mog, innervosito, e si alzò dal suo posto per piazzarsi, svolazzando, di fronte alla faccia del bambino. “Stamattina mi hai detto che i prodotti della colazione erano quasi finiti. Ebbene, io sono arrivato qui e non era vero, kupò!”

Kain però non si scompose di una virgola, e rispose tranquillo: “mi sa che stamattina eri un po’ assonnato, Mog, e non hai capito. Io ho detto che erano rimasti solo gli avanzi.”

“E quindi, non era vero, kupò”, insisté il moguri, sempre più nervoso.

“Ma con avanzi non intendevo mica che era rimasta robaccia. Se tu pensi che gli avanzi sono solo gli scarti, non è colpa mia. Un avanzo vuol dire solo meno di prima. E prima di uscire dal castello, c’era molta più roba di quando sei arrivato tu”, spiegò calmo Kain. “Anzi, se non ti avvisavo stamattina, forse ne trovavi ancora meno.”

“Oh…” mormorò allora Mog, calmandosi. “Allora, se la intendevi così, non ho proprio nulla da dire, kupò. Ti ringrazio tanto per avermi fatto questo favore”, e tornò docile a sedersi al suo posto.

“Dovresti riflettere bene”, aggiunse Kain “prima di dubitare di quello che ti dice qualcuno che voleva solo aiutarti”, e Mog annuì, con un’espressione contenta sul muso.

Kairi era rimasta impietrita. Era vero che Mog non era proprio una cima, ma Kain, nonostante i suoi cinque anni scarsi, era riuscito a raggirarlo in una maniera incredibile, mantenendosi tranquillo, calmo e sicuro di sé. Addirittura era riuscito a convincere Mog che gli aveva fatto un favore, invece di mentirgli spudoratamente pur di toglierselo di torno, e ne era uscito in un modo completamente pulito, anzi, aveva addirittura rafforzato la propria immagine.

Ansem, invece di rimproverare il bambino per la menzogna appena detta come Kairi si aspettava, si limitò ad alzare gli occhi al soffitto, e disse poi con tono stanco: “Kairi, per favore, vieni a sederti, che mangiamo.”

 

Durante il pasto, ricco e pesante com’era normale per un pranzo da aristocratici, Ansem iniziò ad indagare su quello che Kairi aveva fatto durante la mattinata.

“Allora, figliola, cosa mi racconti di bello?”, le chiese in tono affabile.

Kairi fu contenta di quella domanda, perché era certa che iniziare a parlare con suo padre di quello che aveva notato nel regno le avrebbe dato l’opportunità di avvicinarsi un po’ a lui, magari anche di stringerci un legame.

“Ho incontrato mia nonna”, rispose subito, decidendo di partire dalle notizie migliori, almeno dal suo punto di vista. Anche se sapeva che per Ansem non doveva essere così, e in un certo senso voleva testare la sua reazione.

Il padre apparve smarrito a quella risposta. “Tua nonna…? Kairi, tua nonna è ancora viva?” chiese, agitato e in apprensione.

“Sì”, rispose la ragazza. “Pensavate… che fosse morta? E’ per questo che non mi avevate detto di lei quando sono tornata qui? Ho saputo di lei per altre vie.”

“In realtà no”, rispose affranto il vecchio principe. “A dire il vero, non mi ricordavo nemmeno più di lei. Con tutto quello che è successo, mi è passata completamente dalla testa…” e chinò lo sguardo, fissando il piatto.

“Kairi, tuo padre e tua nonna non hanno mai avuto un buon rapporto”, cercò di giustificarlo Ienzo. “Se non ti ha detto di lei, è perché davvero non se ne ricordava, devi crederci. Non prendertela con lui.”

Kairi sapeva che forse avrebbe dovuto arrabbiarsi o almeno mostrarsi offesa per quello che Ansem le aveva detto, ma alla fine non ci riuscì. Sua nonna aveva avuto ragione: il vecchio principe non le aveva tenuto nascosta la sua vecchia parente di proposito, e non poté fare altro che credere alla sua buona fede. A vederlo, le sembrava davvero dispiaciuto.

“Ma anche se non siamo mai andati d’accordo, sono felice che ti abbia cresciuto per quello che ha potuto, e che tu l’abbia ritrovata”, disse Ansem. “Puoi dirle… che se vuole, può venire qui a vivere con noi, se la cosa ti fa piacere.”

“No, non vuole, gliel’ho già chiesto io”, scosse la testa Kairi con tono sereno. “E’ molto vecchia ed ormai è quasi cieca, vuole restare nella sua casetta. Ma andrò a trovarla tutti i giorni.”

Ansem sembrò capire dal tono della ragazza che Kairi non ce l’aveva con lui, e le sorrise rinfrancato. “Hai qualcos’altro da raccontarmi? Hai visto qualcosa di interessante, stamattina?”

“Sì, giusto. Ho convinto alcuni dei sudditi a cercare di essere indulgenti con voi. Loro hanno accettato, ed i prossimi giorni ne parlerò con le altre persone che incontrerò. Vedrete che in poche settimane potrete tornare ad uscire liberamente, e nessuno avrà più da ridire su di voi”, spiegò Kairi. “Ad una condizione, però: i sudditi vogliono che, in cambio, io diventi la principessa del Radiant Garden al più presto.”

Ansem ascoltò attentamente, poi annuì, alleggerito. “Certo, provvederemo il più presto possibile. Vedrai che in un paio di mesi sarai pronta.”

“Grazie, Kairi, di aver fatto da intermediaria”, chinò la testa Even, rispettoso. “Era davvero sconfortante vedere il nostro principe così impaurito al pensiero di uscire. Adesso vedrete che le cose andranno meglio, maestà”, aggiunse, rivolto ad Ansem.

“Oh, la nostra Kairi è arrivata proprio al momento giusto, kupò”, canticchiò Mog, davvero soddisfatto. “Vedrete adesso le cose come andranno bene, il Radiant Garden tornerà ad essere il grande regno che era un tempo.”

“Suvvia, Mog, non credo di aver fatto niente di eccezionale, ho solo parlato con i cittadini con gentilezza”, lo calmò Kairi con modestia.

“Giusto, dici che hai parlato coi sudditi, vero? Cos’altro ti hanno detto?” volle sapere suo padre.

“Beh… un po’ di cose, di problemi che hanno… ma non è che ci abbia capito molto”, mormorò Kairi. “Parlavano tutti insieme, ed era un po’ un problema stargli dietro. Poi ho incontrato Squall e i suoi amici…”

“Hai incontrato Squall?” la interruppe Ansem, mostrando una certa ansia nella voce. “Squall è una delle persone più forti di tutto il Radiant Garden. Dimmi, Kairi… come ti è sembrato? Ce l’aveva con me? Ha mostrato di avermi in odio?”

Kairi ci pensò un po’ su. “No, non mi sembra. Mi è sembrato molto tranquillo, e non ha detto niente contro di voi. Anzi, lui e i suoi amici si sono impegnati durante i mesi scorsi a calmare il popolo ogni volta che si scaldava troppo, così mi hanno detto.”

Allora Ansem tirò un sospiro di sollievo. “Dunque loro sono dalla mia parte… è bello non dover temere i più forti guerrieri del nostro regno.”

“Ve l’avevamo detto, maestà, che vi preoccupate troppo”, commentò Ienzo con tono leggero.

Kairi riuscì appena a carpire da quelle parole quanto suo padre dovesse aver vissuto nel terrore per tutti quei mesi. Anche se sapeva che avrebbe dovuto provare un certo risentimento verso di lui per averla praticamente abbandonata quando era piccola, in realtà le faceva quasi pena.

“Ah, volevo anche avvisarvi di una cosa: domani non ci sarò a pranzo, ho promesso ad una sarta a cui prima ho fatto un favore di rimanere a mangiare a casa sua. Così conoscerò di più anche la sua famiglia e i problemi che hanno”, aggiunse, contenta.

Kain ridacchiò appena coprendosi la bocca con la mano, gli assistenti di Ansem si volsero preoccupati a guardare il loro principe a quelle parole, e ad Ansem si irrigidì il corpo per un attimo, tenendo sospeso il cucchiaio a mezz’aria per una frazione di secondo prima di proseguire. Il vecchio principe non commentò in alcun modo questo annuncio, e Kairi ne rimase stupita: non era stato lui stesso ad esortarla a conoscere meglio i suoi futuri sudditi? Perché non le mostrava approvazione? Il pasto da quel momento proseguì in silenzio, e non uscì più una parola dalla bocca dei commensali. Kairi si sentiva vagamente a disagio: da come il dialogo fra loro era iniziato, si aspettava che suo padre avrebbe voluto sapere tutto nei minimi dettagli, invece la sua curiosità pareva essere sfumata.

Ma quando il pranzo fu finito, Ansem, alzatosi da tavola, disse a Kairi: “vorrei andare su in cima alla torre a prendere un po’ d’aria, mi accompagni?”

Alla futura principessa parve di aver già sentito qualcosa di simile: già un’altra volta Ansem le aveva fatto un discorso importante – in quel caso, le aveva rivelato di essere suo padre – usando una passeggiata come scusa per stare soli. Evidentemente quindi doveva fare una chiacchierata con lei anche stavolta.

“Certo”, annuì allora.

“Vengo anch’io!”, si mise subito in mezzo Kain, avvicinandosi a loro e stringendo il braccio di Kairi.

“No, tu no”, lo allontanò Ansem con garbo. “E’ una cosa tra me e mia figlia. Stai pure insieme a Dilan intanto, visto che, a parte Kairi, è quello che ti sta più simpatico. Quando avrò finito con lei te la lascerò, sarà tutta tua, va bene?”

Quella prospettiva bastò a calmare Kain, che si affrettò a raggiungere la sua guardia preferita.

Ansem allora, con Kairi al suo fianco, uscì dalla sala da pranzo mentre i suoi apprendisti si preparavano a tornare al lavoro. Si diresse verso le stelle blu poste di fianco alle ripide scale che portavano ai piani superiori, e sua figlia lo seguì: Ansem le aveva detto il giorno prima che lui ormai non saliva più le scale normalmente, ma utilizzava questi teletrasporti installati da Even per non affaticarsi troppo.

Una volta arrivati su una delle torri, padre e figlia uscirono sul balcone. L’aria era satura di umidità, il cielo era sempre grigio ed aveva ripreso a piovere in modo copioso. Rimasero un po’ ad osservare dall’alto le case e i giardini spogli e inzuppati d’acqua del loro regno, senza parlare, ascoltando lo scroscio della pioggia.

“Padre…” iniziò Kairi, giusto per rompere il silenzio tra loro due. “Quando pensate che finirà questo brutto tempo?”

“Eh, ancora ci vuole”, sospirò il vecchio principe. “Un altro paio di mesi. Ma pensavo che se il popolo ti vuole così tanto come principessa, sarebbe giusto fissare la cerimonia di incoronazione appena sarà ricominciata la primavera. Nel Radiant Garden finirà la brutta stagione e con te al governo tornerà il sole. Avrebbe un forte valore simbolico. Che ne dici?”

“Penso che possa andare”, annuì Kairi. “Ma ho appena cominciato, padre, prima voglio entrare di più in contatto coi sudditi e capire di preciso quali problemi hanno.”

“Ed è proprio di questo che volevo parlarti. Kairi…” fece Ansem, girandosi verso di lei. “Kain mi ha raccontato quello che è successo con i sudditi, e me l’hai confermato anche tu con quello che mi hai detto prima.”

“Sì, ho cercato di familiarizzare con loro”, annuì la figlia. “Non… non ne siete contento?”, chiese poi, rendendosi conto che il tono che aveva appena usato il vecchio principe aveva qualcosa di non esattamente lieto.

“Sì che ne sono contento, anzi, fare la conoscenza dei sudditi e stare in mezzo a loro è la prima cosa che un buon principe deve fare. Io stesso facevo un giro per la città tutte le mattine quando ancora non mi odiavano. Però bada bene… è il come lo si fa che è importante.”

Kairi lo guardò fisso con aria perplessa, senza riuscire a capire.

“Devi tenere a mente, quando ti rapporti con il popolo, che dovresti mantenere una certa distanza tra te e loro. Ho visto anch’io come ti sei comportata con la servitù stamattina, e Kain mi ha raccontato che addirittura ti sei chinata a raccogliere un ago che era caduto ad una sarta.”

“Ma non avrebbe potuto continuare a lavorare, se non lo avesse ritrovato”, protestò Kairi, contrariata. “Non potevo certo lasciarla perdere.”

“Certo che no, infatti non ho detto questo. Però avresti potuto indicarle l’ago che poi avrebbe raccolto lei, non chinarti tu”, precisò Ansem, con la pazienza di un sovrano che ne ha passate tante.

“Ma… non c’è nessuna differenza”, insisté Kairi.

“Certo che c’è una differenza, ed è fondamentale, anche se tu ovviamente non puoi saperlo ancora. Hai tanto da imparare…” sospirò il vecchio principe. “Ascolta, figliola, devi tenere sempre bene a mente una cosa quando interagisci col popolo: tu sei la principessa. Loro sono i sudditi. La differenza è tutta qui. Chinare la testa di fronte a loro ha un significato intrinseco che alla fine vi mette alla pari, e questo non va bene. Prendiamo poi la tua idea di rimanere a pranzo da quella famiglia per capire i problemi che hanno: il fine dietro è giustissimo, ma a questo scopo ho predisposto da molti anni che il lunedì mattina sia giorno di udienza. Il castello è aperto per qualche ora e i sudditi, dietro appuntamento, possono entrare a presentarmi i loro problemi. Ovviamente però con tutte le formalità del caso, il principe deve stare seduto sul suo trono e il suddito deve essere davanti a lui a una certa distanza, in modo che la differenza di stato sia ben chiara. Quando sarà lunedì mattina, ti farò vedere come funziona, e quando sarai principessa, potrai farlo anche tu.”

Kairi rimase in silenzio per un po’, cercando di rielaborare tutto quello che il suo vecchio padre le aveva detto. “E i sudditi sono soddisfatti di questo metodo?”

“Suppongo di sì, anche se negli ultimi tempi non si è più presentato nessuno. Come sai, non sono molto ben visto ultimamente.”

“Ma è un modo di fare a mio parere troppo freddo, distaccato… Cosa c’è di male se una principessa vuole essere amica delle persone che governa, vuole essere vicina a loro e avere a cuore i loro problemi? Io non voglio mettere una barriera tra me e loro, voglio stare in mezzo a loro, essere loro amica.”

Il vecchio principe si stropicciò gli occhi col pollice e l’indice prima di rispondere. “Kairi, il modo in cui vuoi governare è molto bello e nobile, credimi. Anch’io, tempo fa, mi ero illuso che questo fosse il modo giusto di fare. Ma purtroppo, figliola, il mondo e le persone non sono come ce li immaginiamo noi. Le tue intenzioni sarebbero perfette se questo regno fosse composto di gente buona, come buona sei tu. Ma le cose non stanno così. Tu sei così perché non hai oscurità dentro di te, ma tutte le altre persone ce l’hanno, in un modo o nell’altro. Gli uomini intrinsecamente sono malvagi, anche se a prima vista non sembra, e in mezzo ad un popolo di malvagi la prima cosa che devi fare è proteggerti. E il modo migliore di proteggerti è anche incutere un giusto timore ai sudditi. E’ anche per questo che voglio che tu impari a combattere al meglio al più presto”, le spiegò con tono fermo, scuotendo la testa con gli occhi socchiusi.

Ma quell’ultima frase fece inorridire la giovane donna. “Mi state dicendo… che io dovrei mettere paura a quella gente? E’ per questo motivo che dicevate che i sudditi non vanno sopravvalutati? Per questo volete che io combatta? E tutte quelle altre cose che non mi tornavano? Kain ha tutte le sue strane convinzioni perché gliele avete trasmesse voi?”

Il suo tono adesso era irritato, anche se stava cercando di contenersi.

“Non agitarti, Kairi. Ti ripeto, il tuo modo di ragionare andrebbe bene in un mondo ideale, ma nel mondo in cui ci troviamo non funziona, te lo posso assicurare. Non fraintendere Kain, è un bravo bambino che non ha cattivi pensieri o intenzioni, se ti pare che certe volte si comporti in modo strano sappi che lo fa solo allo scopo di tutelarsi. Perché purtroppo è questo che col popolo bisogna fare. Per cui, ecco come dovresti fare anche tu: conosci i sudditi e cerca di capire i loro problemi, ma non entrare troppo in confidenza con loro, non dar loro l’idea che tu sia una loro amica, perché non lo sei e non devi esserlo” disse Ansem, mantenendosi calmo.

“A me questo modo di governare non piace, e voglio cambiarlo”, affermò Kairi, decisa. “Non posso andare contro la mia natura e le mie convinzioni, trattando i sudditi come inferiori a me. Ho provato oggi a trattarli come amici, ed ho avuto risultati molto positivi. State tranquillo, maestà, vedrete che il mio modo di fare risolleverà il regno, qualunque problema abbia. Non preoccupatevi troppo, anche Ienzo prima ve l’ha detto.” Quando si innervosiva, non le riusciva proprio di continuare ad imporsi di chiamare Ansem padre, come si era prefissata di fare.

Ansem non riuscì più a rispondere davanti al tono deciso, fermo e al carattere forte della figlia. Inoltre si erano appena ritrovati e non aveva nessuna intenzione di mettersi subito a litigare con lei. Non poté quindi fare altro che annuire combattuto.

“Suppongo che il mio tempo ormai stia giungendo alla fine. Se sei convinta che con questa politica otterrai dei buoni risultati, allora provaci. Può darsi che il tempo darà ragione a te e torto a me, chi può dirlo”, disse con tono indulgente.

Kairi sorrise rinfrancata a quelle parole, e chinò la testa davanti al principe. “Grazie, padre. State tranquillo e dimenticate i brutti pensieri. Lasciate fare a me. Sono sicura di aver scelto la strada giusta, e presto ve ne accorgerete.”

La ragazza fece per tornare dentro il castello, ma Ansem le chiese ancora: “quindi domani rimarrai a mangiare da quella famiglia che dicevi?”

“Sì”, annuì lei. “Gliel’ho promesso. I bambini di quella donna sono davvero adorabili, ci tenevano tanto. Chiederò anche a Kain se vuole venire.”

“No, Kain… meglio se lo lasci qui. Vai tu sola”, la fermò Ansem.

Kairi non si preoccupò di chiedere al padre il perché. Alla fine non aveva molta importanza che anche Kain ci fosse o meno. Lui in fondo era piccolo e doveva ancora crescere, avrebbe avuto tutto il tempo per familiarizzare coi sudditi in futuro.

“Allora intanto oggi pomeriggio gli chiederò di mostrarmi gli altri due quartieri, va bene?”

Ansem annuì. “E stasera, prima di cena, chiama Aqua col computer di sotto. Devi cominciare ad allenarti seriamente, ti ricordi?”

“Sì”, disse la ragazza, convinta. “Ma lo farò per proteggere il regno se dovesse servire, non per altri motivi.”

“Sì, è un buon motivo anche quello”, le sorrise lievemente Ansem. “Ora vai pure con Kain. Noi ci vediamo stasera.” Rimase sul balcone a respirare l’aria fresca e satura di pioggia, mentre la figlia tornava di sotto.

 

Kairi scelse stavolta di prendere le scale, senza usare il teletrasporto. Scendeva gli scalini e non capiva. Non riusciva proprio ad entrare nella testa del vecchio principe. Fare paura ai sudditi per ottenere da loro rispetto… no, non poteva essere così che funzionavano le cose. Per quello che aveva imparato durante la sua vita, il rispetto di qualcuno si poteva ottenere essendo, e non soltanto mostrando di essere, giusti, leali e preoccupandosi del suo benessere. Lei voleva certamente che i suoi futuri sudditi la rispettassero, ma non perché avevano paura di una punizione da parte sua. Kairi sentiva di non poter sopportare che il mondo dove avrebbe abitato d’ora in poi fosse così pieno di ingiustizie, di ineguaglianze, di persone più deboli che dovevano sottomettersi davanti ai più forti. Se il modo di fare di suo padre aveva nel tempo funzionato ed era riuscito a costruire un regno che comunque reggeva, tanto di guadagnato per lui. Restava il fatto che ad un certo punto qualcosa non aveva funzionato, o il Radiant Garden non si sarebbe ridotto così. Qualcosa nella metodologia di Ansem si era inceppato, e nonostante questo lui era così pieno di paure da non volere che lei scegliesse una strada diversa. Kairi sentì il proprio orgoglio, che era intrinseco nel sangue reale che le scorreva in corpo, affiorare con fierezza. Se suo padre non si sarebbe convinto con le sue parole, ci avrebbero pensato i fatti: non aveva intenzione di mettersi di nuovo a discutere con lui. Si sarebbe dedicata solo al regno, e gli avrebbe presentato direttamente i risultati. Lei non lo avrebbe convinto che si sbagliava, glielo avrebbe dimostrato. E la prima cosa che doveva continuare a fare, in quei giorni e quelle settimane, era conoscere per bene il posto in cui viveva, nei minimi particolari. E per questo andò subito a cercare Kain.

Lo trovò fuori dal portone del castello, piazzato sulle spalle di Dilan mentre gettava sguardi fieri intorno a sé. Era chiaro che per un bimbo così piccolo il poter stare appollaiato sopra un bestione alto quasi due metri doveva essere davvero una conquista. La guardia cercava di fare il suo dovere ignorando il piccoletto petulante che, anche da sopra le sue spalle, non faceva altro che tentare di richiamare la sua attenzione perché aveva voglia di chiacchierare. Ma Dilan quando era in servizio non poteva distrarsi, anche se quel bambino gli stava sempre attaccato.

“Kain”, lo chiamò Kairi, andando vicino ai due. “Dilan non è mica un cavallo.”

“Kairi!” esclamò emozionato Kain appena la vide, e saltò giù dalle spalle dell’uomo, che tirò un sospiro di sollievo. Le si avvicinò, abbracciandola alla vita e strofinando la testa sul suo fianco.

“Il mio cavaliere vuole accompagnarmi a vedere gli altri quartieri oggi pomeriggio?”, chiese Kairi cercando di trattenere le risate, stringendolo forte a sé.

“Non avete che da chiedere”, rispose galante il bambino. “Il Radiant Garden è grande. Io lo conosco tutto!”

 

Appena Kairi fu sparita dalla sua vista, Ansem socchiuse gli occhi e tirò un gran sospiro stanco. Erano solo due giorni che Kairi era lì con loro, e già iniziavano a venire fuori i problemi. Si vedeva che quella ragazza non era stata cresciuta da lui ed era una persona completamente diversa da quello che si aspettava. Era vero, il popolo aveva dimostrato grande entusiasmo quando era tornata. Era vero, lei era più che intenzionata a portare il regno verso la prosperità. Sì, era del tutto possibile che sarebbe riuscita a fare un lavoro anche migliore del suo. Eppure proprio quello che, in principio, il vecchio principe aveva individuato come suo punto di forza, ossia il suo cuore puro che non le permetteva di covare odio verso di lui – e che quindi tutelava lui nei confronti della figlia –, adesso Ansem lo percepiva come qualcosa che forse, in futuro, le avrebbe portato svantaggio.

Con la mente confusa, tornò ai piani inferiori e scese nel laboratorio, raggiungendo i suoi assistenti.

“Maestà?”, chiese Ienzo, preoccupato, guardando il suo principe. “Avete parlato con Kairi?”

“Eh…” fece Ansem.

“Non siete più contento che è tornata?” alzò un sopracciglio Even, con una certa ironia nella voce.

“No, certo che sono contento, sono felicissimo che sia qui”, rispose subito Ansem, irritato. “Ma iniziamo già con i problemi. Ho cercato di farle capire il modo corretto di comportarsi con i sudditi, ma non ha voluto sentire ragioni. E io che credevo che si sarebbe comportata secondo le mie direttive… invece è proprio testarda.”

“Un po’ come voi, maestà. Se vi mettete in testa un obiettivo, nulla vi farà cambiare idea”, gli fece notare Ienzo, sorridendo leggermente.

“E’ vero”, ammise Ansem. “Avrà preso da me. Ma lei è davvero intenzionata a trattare i sudditi come se fosse alla pari con loro. Non che abbia qualcosa in contrario per principio, ma è perché tengo a lei e voglio tutelarla che mi sono preoccupato, capite?”

“Io non mi preoccuperei troppo”, rispose Even, alzando le spalle. “Il popolo non la odierà di certo se terrà questo comportamento. E’ questa la questione che vi premeva di più, no?”

“Certo, il popolo non la odierà di sicuro, anzi, la amerà come non ha mai amato nemmeno me nei miei anni migliori. Una principessa che li aiuta, ha cuore i loro problemi e in più li tratta come amici. Cosa potrebbero volere di più?”

“E allora?”, chiese Ienzo.

“E allora, con la malvagità e l’oscurità che cova nel cuore degli uomini, posso solo immaginare cosa succederà. Tutti le vorranno bene finché le cose andranno bene, ma se Kairi non capisce che l’unico modo di farsi rispettare dai sudditi è metter loro paura, succederà che, alla prima difficoltà, le volteranno tutti le spalle. Come hanno fatto con me.” La voce del vecchio principe era davvero turbata, adesso. “E io non voglio che le succeda questo. E’ la mia figliola, e anche se non la conosco ancora bene, tengo a lei. Se dovesse succederle qualcosa, non potrei far niente per aiutarla.”

Even alzò le spalle a quello sfogo. “L’unica cosa che potete fare, maestà, è lasciare che impari da sola sulla propria pelle.”

“Giusto”, approvò Ienzo. “L’avete avvisata. Di più non potete fare. Ha solo diciassette anni e viene da un contesto molto diverso dal nostro, lasciate che faccia le sue esperienze e impari a cavarsela da sola.”

“Già”, ammise Ansem. “Lei ormai è adulta, non posso cambiarla più di tanto. L’importante è che non influenzi troppo Kain con le sue idee. Per questo le ho impedito di portarselo dietro al pranzo con quella famiglia di domani. Lui è bene che certi limiti se li fissi nella mente.”

“E’ piccolo ed è facilmente malleabile”, commentò Even, accarezzandosi il mento. “Potete crescerlo come volete, maestà.”

Ansem annuì. Parlare coi suoi assistenti gli faceva sempre bene, erano gli unici con cui poteva confidarsi a cuore aperto. Ripensò al bambino che viveva con loro, che in poco tempo si era affezionato a Kairi in un modo che lui non avrebbe mai creduto possibile. Forse per il fatto che Kain fosse un orfano, stava inizando a vedere Kairi come una mamma, con un misto di infatuazione e possesso che per un bambino della sua età era accettabile. E dire che, prima di presentargliela, aveva avuto paura che avrebbe potuto detestarla. Sapeva che al piccolo avrebbe fatto molto bene stare con lei, doveva passare il tempo con una persona che potesse in qualche modo sostituire la madre che aveva perso, in modo che potesse crescere come un bambino equilibrato. Ma il vecchio principe era deciso ad occuparsi lui stesso dell’educazione di Kain, quando fosse stato il momento. Già il suo modo di comportarsi che lo portava a mantenere quella giusta distanza dai sudditi lo aveva avviato sulla buona strada. Lo avrebbe preparato al meglio perché potesse diventare, in futuro, un perfetto principe. Lo avrebbe fatto per il bene del regno e per il bene di Kairi, perché Kain potesse aiutarla e proteggerla da un’eventuale rivolta del popolo quando fosse diventato grande.

 

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... tra l'altro non sarà il protagonista, ma certo anche Kain ha qualcosa in comune col pensiero di Machiavelli, ed anche Ansem. Ansem perché ha imparato sulla sua pelle negli anni cosa vuol dire governare, e Kain perché è ancora un piccolo facilmente influenzabile. Non so quanta autoconsapevolezza ci sia nel suo comportamento, in effetti. Ma vedremo più avanti. Di certo nessuno dei due è in condizioni di applicare questi princìpi, Ansem perché col popolo ha le mani legate, e Kain perché è ancora un bambino e non è un principe, anche se, nel suo piccolo, è comunque in grado di dimostrarli e cominciare a dare un'idea di cosa si tratti.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Il primo principe ***


Ciao a tutti! Ultimamente vado abbastanza a rilento con gli aggiornamenti, è che ho parecchi impegni e faccio fatica ad organizzarmi con la scrittura. Spero che il prossimo capitolo riuscirò a metterlo prima. Buona lettura!

 

Capitolo 13 – Il primo principe

 

“Coloro e’ quali solamente per fortuna diventano di privati principi, con poca fatica diventono, ma con assai si mantengono; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano; ma tutte le difficultà nascono quando e’ sono posti.” (Capitolo VII)


La pioggia cadeva copiosa sul Radiant Garden quel pomeriggio. Le pozzanghere sul lastricato delle strade erano numerose ed ampie, e rigagnoli d’acqua scorrevano dappertutto. Kairi era contenta che i suoi stivali avessero il fondo così spesso, altrimenti si sarebbe trovata i piedi inzuppati dopo pochi secondi. Camminava tenendo l’ombrello con una mano e Kain stretto vicino a sé con l’altra, in modo che non si bagnasse nemmeno lui.

“Avanti, Kairi, avanti!”, la incitava Kain, tenendole la mano ed indicandole la strada col braccio teso e il dito puntato. “Adesso devo farvi vedere il quartiere sud-ovest!”

A Kairi quel bambino piaceva moltissimo, e vederlo tutto preso com’era a farle da guida e da scorta in quel mondo per lei nuovo nonostante fosse così piccolo le metteva molta tenerezza.

“Quanti ne abbiamo visti, finora?”, gli chiese, giusto per metterlo un po’ in difficoltà.

Kain si arrestò a quella domanda, e perplesso iniziò a contare sulle dita.

“Allora, abbiamo visto quello sud-est… poi quello est… e allora, questo qui che vi faccio vedere adesso è il terzo! Sì!” esclamò alla fine con tono soddisfatto, riprendendole la mano.

La ragazza sperò di trovare qualcuno in giro per le strade, nonostante la pioggia. Affidarsi all’aiuto di Kain lo gratificava molto, ma sapeva che non poteva chiedere tutte le informazioni necessarie ad un bambino così piccolo.

Quando ebbero sceso la scalinata davanti al castello ed ebbero oltrepassato il cancello, si ritrovarono nella piazza principale dove si erano affacciati quella mattina. Stavolta non c’era nessuno, perché il mercato dei contadini era finito, le bancarelle erano state smontate e il brutto tempo non incoraggiava certo qualcuno a frequentare la piazza.

Lasciandosi guidare da Kain, Kairi prese la strada opposta a quella che avevano imboccato la mattina. Invece di girare a sinistra, andarono a destra, incontrando il primo gruppo di case, che segnava l’inizio del quartiere.

“Cosa mi dici del quartiere sud-ovest, Kain?”, chiese Kairi, mentre si guardava in giro nell’attesa di incontrare un passante.

“Ah, so tante cose, perché me le ha spiegate sua maestà”, si affrettò a rispondere Kain. “Qui ci sono… la scuola. Voglio dire, non è che c’è solo una scuola nel Radiant Garden, tutti i quartieri ne hanno una, ma quella che c’è in questo quartiere è la migliore. Ci vanno i maestri più bravi di questo mondo.”

“interessante”, commentò Kairi. “E poi?”

“Poi, poi c’è l’università. Anche quella è molto importante. Poi c’è l’ospedale. E i musei. E il teatro. E tutti i locali dove i ragazzi escono la sera”, spiegò Kain, cercando di ricordarsi tutto per bene.

Da quella spiegazione raffazzonata, Kairi capì che quello doveva trattarsi del quartiere della città in cui erano concentrati i servizi ai cittadini e la movida, ed era il quartiere più giovanile della capitale. Guardandosi in giro mentre camminavano, vide infatti un sacco di localini e pub, oltre a ristoranti di ogni categoria, dai più eleganti ai più economici per studenti – tutti sbarrati, visto che era ancora presto e non c’era nessuno in giro. No, qualcuno vide: un ragazzo poco più grande di lei, con sotto braccio la sua cartella, probabilmente piena di quaderni e scartoffie, che camminava sotto il suo ombrello.

“Quello deve essere uno studente dell’università. Perché l’università infatti è proprio laggiù”, le spiegò Kain.

“Che fortuna!” esclamò Kairi, e si avvicinò al ragazzo. “Scusami!”

Il giovane girò la testa e, appena la vide, si bloccò meravigliato, facendole subito un rispettoso inchino.

“La futura principessa! Che onore incontrarvi, vi ho visto ieri dalla piazza insieme agli altri cittadini”, la salutò con sicurezza, recuperando il suo controllo in pochi istanti.

“Il piacere è mio”, gli sorrise Kairi, avvicinandosi a lui. “Sei di fretta?”

“Assolutamente no”, rispose il ragazzo, e mentre anche lui le sorrideva, Kain, imbronciato, lasciò la mano di Kairi mettendosi davanti a lei. “Come mai siete da queste parti con questo tempaccio? State facendo una passeggiata?”

“Sì, diciamo che sto esplorando la città in questi giorni. Voglio conoscerla bene e conoscere bene anche tutti voi, in modo da poter avere un’idea migliore del posto e poter essere d’aiuto”, spiegò con gentilezza Kairi.

“Com’è bello sentirvi dire queste parole”, commentò con allegria il ragazzo. “Lui è Kain, vero? Il bambino che ha adottato il principe Ansem.”

“Sì, visto che conosce la città, mi accompagna spiegandomi alcune cose”, rispose Kairi, accarezzando Kain sulla testa, che tuttavia continuava a tenere la sua espressione contrariata.

 “Se volete, vi posso accompagnare io stesso per il quartiere, lo conosco bene, e posso spiegarvi tutto quello che vedete”, propose il ragazzo.

“Grazie”, ne fu lieta Kairi. “Kain, perché fai quel muso? Non hai visto come è gentile? Dì grazie anche tu e continuiamo insieme, dai.”

“Beh…” aggiunse il giovane. “Visto che vi mostrerò io questa zona, non avete più bisogno che Kain venga con voi. Possiamo riportarlo al castello, e vi farò vedere un sacco di posti carini del quartiere. Vedrete, vi piaceranno molto. Così potrò anche… conoscervi meglio con più calma.”

A Kairi venne come prima cosa da chiedere perché avrebbe mai dovuto riportare Kain indietro, senza portarlo con loro, ma poi, guardando meglio il ragazzo negli occhi, vide qualcosa che la mise a disagio: lo sguardo di quel ragazzo non era solo desideroso di fare un piacere alla sua futura principessa, ma era pregno di interesse. Interesse per lei come ragazza, non come futura sovrana. Un tipo di sguardo che aveva una vaga somiglianza con quello di Sora quando la guardava, anche se non possedeva nemmeno un decimo dell’intensità di quello del suo innamorato. Presa da un moto di orrore, afferrò di nuovo velocemente Kain per la mano e, sentendosi avvampare, si congedò in fretta.

“In realtà, credo di aver cambiato idea. Andremo avanti solo io e Kain, ma grazie mille per la tua gentilezza. Me ne ricorderò!”, e proseguì a passo svelto, trascinandosi dietro il bambino, che stava dimostrando di non starci capendo niente. Mentre si allontanava dal suo futuro suddito, si rese conto, a giudicare dall’ultimo sguardo che gli aveva rivolto, che quel ragazzo ci era rimasto malissimo.

Dopo aver girato l’angolo si rifugiò sotto una tettoia e si appoggiò con la schiena al muro, ansimando.

“Kairi, non avevate capito che gli piacevate?” le chiese Kain. “Come mai poi gli avete detto di no?”

“Perché… perché…” boccheggiò lei. Si rese conto di non essere stata affatto gentile con quel giovane, e se ne vergognò. Alla fine non aveva fatto niente di male: aveva visto in lei una bella ragazza che poteva piacergli, e aveva cercato di invitarla a fare un giro per poterla conoscere meglio. Ma il solo pensiero di essere desiderata da qualcuno in quanto donna la faceva sentire vergognosa e sporca. A quel punto le tornarono in mente le parole che Ansem le aveva detto il giorno prima: che il Radiant Garden era pieno di bei ragazzi, lei avrebbe potuto sceglierne uno che fosse piaciuto anche a lei per poterlo sposare. Ed il primo pretendente a modo suo si era fatto avanti. Solo il giorno successivo al suo arrivo. Chissà quanti altri ne avrebbe incontrati col passare del tempo, che ci avrebbero provato con lei.

“No, no, non voglio, non voglio”, negò decisa, scuotendo la testa e strizzando gli occhi.

“Ecco”, annuì Kain, soddisfatto. “Quei brutti palloni gonfiati! Avete visto quello lì? Sembrava che non aveva mai visto una ragazza in vita sua.”

Kairi aprì gli occhi a quelle parole e abbassò lo sguardo verso di lui. L’angoscia e il senso di vergogna l’abbandonarono e si sentì l’animo più leggero. Ogni volta che pensava che Kain le avesse suscitato il massimo di tenerezza possibile, inevitabilmente il bimbo si superava: era così stoico, così impostato ma così spontaneo appena allentava la cinghia. Si chinò per prenderlo in braccio e stringerlo a sé.

“Sai già che non voglio sposarmi, Kain, ma se mai cambierò idea, mi sposerò con te”, gli promise solennemente e strizzandogli l’occhio.

Il bambino arrossì violentemente e nascose il viso nella spalla della donna, tenendola stretta.

La ragazza decise allora di stuzzicarlo un altro po’. “Sbaglio o non ti piaceva tanto che quel ragazzo ci stesse provando con me? Avevi un broncio… non vuoi dividermi con nessuno, eh?”

Kain allora diede una risposta che non si aspettava. “Sì…” borbottò “ma non solo per quello… se vi sposate con qualcuno e fate un figlio, io poi non posso più essere un principe. Sono ancora piccolo, ma la legge la conosco.”

“Giusto”, ammise Kairi, che aveva creduto che l’espressione contrariata che il bambino aveva tenuto prima era dovuta esclusivamente alla gelosia. Lo stava considerando solo come un bambino di cinque anni, e si era quasi dimenticata quanto fosse ambizioso, pur essendo così piccolo. “Beh, non preoccuparti, non c’è pericolo per questo. Sei più tranquillo adesso?”

Kain staccò la faccia dalla spalla della ragazza e la fissò in viso. “Ma siete proprio sicura che non vi sposerete? Sicura sicura?”

Kairi alzò gli occhi al cielo prima di rispondergli, sentendosi emotivamente sfinita. Ora riusciva a capire come mai suo padre ogni tanto avesse l’aria stanca quando si trovava a dover discutere con lui. Non credeva di aver mai visto dei livelli così alti di paranoia ed ansia in un bambino di quell’età. “Sicura sicura.”

Kain allora si tranquillizzò, e Kairi lo tenne in braccio un altro po’, osservando la pioggia che veniva giù, e pensò con la mente più serena a quello che era successo. Sentiva ora di non avere problemi, né di doversi sentire in colpa. Se fosse piaciuta ai ragazzi del Radiant Garden perché era bella, gentile e di uno stato sociale più alto, si facessero pure avanti. Lei, ovviamente con garbo, li avrebbe sempre respinti finché non si fossero arresi. Voleva proprio vedere chi avrebbe avuto più resistenza! L’unica cosa di cui si dispiaceva era che, scappandosene così, aveva perso una preziosa occasione di chiedere a quel giovane delle informazioni sull’università e di come andassero le cose lì. Poteva anche andare direttamente nella sede universitaria per fare qualche domanda, ma decise di passare oltre: quel luogo doveva essere pieno di altri ragazzi come quello appena passato, e se ci fosse andata si sarebbe trovata nella stessa situazione del mercato di quella mattina, anzi, peggio.

“Sarà il caso di proseguire, che dici?” chiese al bambino, mettendolo giù. “Perché non mi porti a vedere dov’è l’ospedale?”

“Bisogna andare da quella parte”, rispose Kain, indicando una direzione verso una strada un po’ più grande. “Perché volete andare all’ospedale, Kairi? Vi sentite male come ieri?”, chiese con l’apprensione nella voce.

“No, tesoro”, gli sorrise Kairi, compiaciuta che quel piccoletto si preoccupasse così tanto per lui. “Volevo solo andare a trovare le persone malate. Anche loro meritano di ricevere una visita dalla loro principessa, non trovi?”

“Sì”, annuì Kain, e le prese la mano. “Poi loro visto che erano lì dentro non vi hanno nemmeno vista quando vi siete presentata. Venite, vi ci porto.”

Camminando per un’altra decina di minuti, presto i due si trovarono di fronte all’ospedale. Un grande edificio su due piani, più chiaro degli altri, che si apriva su un piazzale.

‘Se in questo regno mancano l’elettricità e il riscaldamento, come faranno quei poveretti?’, si chiese a quel punto Kairi. Lo avrebbe scoperto presto.

Una volta entrati, tutti gli infermieri ed i dottori che erano nell’atrio, appena videro la ragazza quasi si presero un colpo. Subito chinarono la testa rispettosi, profondendosi in saluti e complimenti. Kairi non era abituata a tutti quei riguardi, e chissà quanto ci avrebbe messo ancora per evitare di imbarazzarsi.

“Come mai siete venuta, signorina?”, le chiese un’infermiera. “Vi sentite male?”

“No no”, rispose Kairi. “Volevo solo sapere come funzionava l’ospedale, se avevate dei problemi, e magari anche fare una visita ai pazienti, se è possibile.”

“Oh, come siete altruista ed empatica”, commentarono commossi i presenti. Kairi giurò di sentire anche qualcuno borbottare “non come suo padre”, ma non se ne curò.

“Venite, venite pure”, si fece avanti la stessa infermiera di prima, mantenendo però da Kairi una certa distanza fisica. “Sarò onorata di spiegarvi tutto, ed anche di farvi vedere i pazienti. Il primo pomeriggio è proprio l’ora delle visite.”

Kairi, che non aveva intenzione di mantenere quella fastidiosa barriera invisibile fra lei e i suoi futuri sudditi, si avvicinò di più alla donna chiudendo quella distanza, mentre Kain, dietro di lei, attaccato alla sua mano cercava inutilmente di tirarla indietro. L’infermiera si mostrò un po’ a disagio per il fatto che la futura principessa si stesse comportando come una ragazza qualsiasi, ma non lo diede troppo a vedere.

“Scusate se vi ho interrotto”, disse intanto Kairi al resto del personale intorno a lei. “Riprendete pure il lavoro, fate come se non ci fossi”, al che i presenti si dileguarono, come se lei avesse appena dato un ordine perentorio invece che un gentile invito. Nella stanza rimasero solo lei, Kain e l’infermiera con cui aveva stabilito un contatto.

Kairi si guardò attorno con curiosità e notò con piacere che le lampade erano accese e l’elettricità sembrava funzionare.

“Qui non avete problemi di elettricità, vero?” Poi le venne in mente che non aveva nemmeno ben chiaro come funzionasse la distribuzione di elettricità in quel regno. “Ehm, scusate… sono un po’ ignorante, sono arrivata solo ieri… mi potete spiegare come funziona la distribuzione di elettricità?”

L’infermiera rimase un momento interdetta, e Kairi interpretò la sua esitazione come una conseguenza del fatto che lei si fosse appena scusata. “Beh, l’elettricità viene generata dal reattore che si trova più a nord, fuori del quartiere. La distribuzione è statale, cioè pubblica, e normalmente viene pagata con le tasse. E’ un sistema che se funziona a dovere è molto efficiente, perché è tutto compreso nel proprio quantitativo di tasse, e quindi l’intera popolazione della capitale verrebbe coperta.”

“E invece?”, chiese Kairi, curiosa ed attenta.

“Il problema è che a seguito del periodo buio degli ultimi anni, la fiducia del popolo verso il principe vostro padre, e quindi verso lo stato, è crollata. E di conseguenza la gente non paga più le tasse, gli operai che lavorano al reattore non possono essere più pagati, e la distribuzione dell’elettricità è diventata molto difficoltosa.”

“Ma se il reattore ha delle difficoltà, come mai alcune case, quelle delle persone benestanti, hanno l’elettricità?”, chiese Kairi.

“Perché il problema sta tutto nella mancanza di danaro che faccia funzionare il reattore come si deve. Di fatto ormai la distribuzione dell’energia è diventata privata. Le persone ricche pagano i gestori della fabbrica perché provvedano esclusivamente all’elettricità per le loro case. Ovviamente, perché dovrebbero mettersi a pagare per tutti? E quindi chi può permetterselo ha l’elettricità, chi è più povero si deve arrangiare. La stessa cosa vale per la vostra famiglia”, spiegò affranta l’infermiera.

“E voi?”

“Da noi è abbastanza precaria la cosa. Ovviamente i tagli ci sono stati in ogni settore e servizio, energia, scuola, sanità, tutto. Quindi anche noi, non avendo più soldi, facciamo molta fatica a tirare avanti. Normalmente possiamo permetterci l’elettricità, ma a volte ci sono dei black-out che sono molto pericolosi per i nostri pazienti attaccati alle macchine. I posti letto sono sempre meno, tanto che ultimamente abbiamo dovuto fare una selezione in base all’età e alla gravità della malattia…”

“Ma è terribile!”, commentò Kairi indignata. “E tutto perché i cittadini si rifiutano di pagare la loro quota? Non capiscono che così facendo fanno del male a tutti e anche a loro stessi?”

“Ma l’uomo dentro di sé è oscurità e malvagità, lo sapete, Kairi”, intervenne Kain, che stava ascoltando.

“Perdonate se mi permetto, signorina”, precisò l’infermiera. “Ma la colpa di tutto questo è di vostro padre, non del popolo. Ovviamente non mi riferisco in alcun modo a voi, anche voi siete stata una vittima della sua incompetenza, in fondo.”

Kairi avrebbe voluto replicare, ma rimase zitta. Era un’altra conferma di quello che aveva già sentito: le cose andavano male, la colpa era di chi governava. Si rese conto ancora una volta di quanto suo padre fosse odiato dai suoi sudditi. Tutte le volte che si diceva nella mente che il vecchio principe forse era un po’ troppo paranoico ed esagerato, puntualmente, tramite la voce di uno del popolo, veniva fuori invece la conferma che quel poveretto aveva ragione. Per ora comunque poteva bastare. Aveva ottenuto qualche informazione che le poteva servire.

“Mi potete portare a vedere i bambini? Ci sono bambini ricoverati?”

“Certo, li abbiamo, ma per fortuna sono pochi”, annuì l’infermiera. “Venite pure.”

Kairi, tenendo Kain per mano, la seguì quindi per i corridoi puliti e illuminati, fino ad arrivare in una grande stanza, dove c’erano una decina di lettini, su cui stavano sdraiati bambini dai quattro ai dieci anni, che sonnecchiavano o si intrattenevano leggendo un libro. Alcuni avevano la flebo al braccio, altri avevano una gamba fasciata, altri non sembravano avere nulla di particolare o grave. Appena videro Kairi rimasero perplessi a guardarla: visto che non avevano assistito alla cerimonia del giorno prima, non l’avevano mai vista e non sapevano chi fosse.

Ma uno dei bambini esclamò emozionato: “è la principessa! La mamma ieri quando è venuta a farmi visita ha detto che ha i capelli rossi! Sono sicuro che è lei!”, e gli altri subito a fargli eco: “anche la mia mi ha detto così! Siete la principessa, vero? Siete Kairi?”

Kairi si illuminò a vedere tutti quei piccoli, e senza aspettare che l’infermiera la presentasse si fece avanti lei stessa. “Esatto, bambini”, annuì. “Anche se ancora non sono la principessa, in realtà. Ieri non vi ho visti alla cerimonia, quindi sono passata io per venire a trovarvi”, spiegò con un sorriso quasi materno.

“Venite da me! Venite da me!” iniziarono ad agitarsi i bambini eccitati, tendendo la mano verso di lei.

“State tranquilli, verrò da tutti quanti”, li rassicurò Kairi, iniziando dal bimbo più vicino a lei, che non doveva avere più di sei anni.

“C’è anche Kain!” esclamò contento un altro bambino un po’ più grande, vedendo chi accompagnava la ragazza. “Kain, come si vive al castello?”, gli chiese. “Il principe ti tratta bene?”

“Certo!”, annuì convinto Kain. “Sua maestà mi sta insegnando un sacco di cose.”

“Ma sei sicuro che ti fa mangiare sempre? Non è che ti fa fare la fame?”, chiese sospettoso il bambino allettato.

Kairi ascoltò a metà quel dialogo, giusto per rendersi conto di come la cattiva fama di Ansem non risparmiasse nemmeno i sudditi più piccoli, che erano arrivati ad assimilare falsità e bugie sul suo povero padre. Ma ormai i confini tra verità e menzogne si erano fatte così sottili che si mischiavano l’una con le altre, ed era scontato per quei bambini credere che Ansem fosse un cattivo tutore, che affamava il bambino che aveva preso in custodia, anche se era evidente che Kain fosse forte e scoppiasse di salute. Sentendosi ancora una volta male per il vecchio principe, si rivolse al bambino a cui si era avvicinata, che aveva la fronte fasciata.

“Cosa ti sei fatto, tesoro?”, gli chiese premurosa, piegandosi per avere la testa all’altezza della sua.

“Stavo giocando sui gradoni della fontana e poi sono caduto…” mormorò vergognoso il bimbo.

“Oh, ma guarda te…” commentò Kairi, accarezzandogli la mano. “Ti fa molto male?”

“No, forse domani mi rimandano a casa… principessa, è vero che resterete sempre con noi?” volle assicurarsi il bambino.

“Certamente!”, esclamò Kairi mettendosi una mano sul petto con solennità. “Sono tornata da poco e non ho intenzione di andarmene più.”

“E ci governerete molto meglio del principe che abbiamo adesso, vero?”, insisté il bambino.

“Beh…” fece Kairi, a disagio com’era sempre quando sentiva i sudditi attaccare il vecchio principe in modo più o meno diretto. “Non vi deluderò, promesso”, disse, non sentendosela di screditare anche lei il suo povero padre con un più diretto “sì, certo”.

Kairi rimase con i bambini per una mezz’ora buona, tenendo loro compagnia e chiacchierando con loro, e quando infine lasciò l’ospedale con Kain si sentì felice di aver portato un po’ di luce sui loro visi sofferenti.

 

Una volta uscita con la promessa di tornare presto a trovarli, Kairi si ritrovò pensierosa: aveva notato che Kain aveva chiacchierato, con le distanze che gli erano proprie, con alcuni bambini che si trovavano in quella stanza. Ciò voleva dire che probabilmente si conoscevano già da prima, anzi, il modo familiare con cui quei piccoli malati si erano rivolti a lui le facevano intuire che potevano aver avuto qualche rapporto già da prima che Kain venisse adottato da Ansem. Ma allora perché Kain continuava a mantenere segreto il suo stato di futuro principe anche con loro? Le venne in mente che quella mattina si era proposta di chiederlo ad Ansem, ma alla fine se ne era scordata. Beh, Kain sembrava abbastanza ferrato sulle questioni del regno. Probabilmente lo sapeva anche lui.

“Kain, ascolta… sai che tutti quei bambini mi hanno riconosciuta come futura principessa. Perché con te non l’hanno fatto?”, iniziò per introdurlo al discorso.

“Perché non lo sanno”, rispose tranquillo Kain.

Kairi alzò gli occhi al cielo, che nel frattempo aveva smesso di piovere. “Ovviamente. Intendevo dire, perché non glielo dici?”

“Perché se glielo dico poi loro lo vanno a dire alle loro mamme e poi lo saprà tutta la città”, disse ancora Kain, col tono di chi afferma l’ovvio.

“E d’accordo”, insisté Kairi. “Ma perché la città non lo deve sapere? Che c’è di male?”

“Perché se lo vengono a sapere, poi mi staranno sempre con gli occhi addosso per giudicarmi e trovare ogni errore che posso fare. Sua maestà me l’ha spiegato molte volte: se ero suo figlio, dovevo fare attenzione ad ogni cosa che facevo davanti ai sudditi, perché loro stanno sempre a osservare quello che fa chi li governerà. Con voi per esempio lo stanno già facendo, ma voi diventerete principessa fra poco, quindi non vi dovete preoccupare. Io invece devo aspettare almeno dieci anni: pensate di passare tutto quel tempo a non dover mai sbagliare. Sarebbe bello secondo voi?”, spiegò Kain con aria saputa.

“No, in effetti no…”, ammise Kairi. “Quindi non essere figlio di mio padre ti ha salvato, in un certo senso. Se i sudditi non sanno che sarai un principe, potrai essere più libero di muoverti e crescerai più sereno.”

“Esatto”, annuì Kain. “Ma se sei davvero il figlio di un principe, non lo puoi tenere nascosto e devi stare molto attento fin da quando sei piccolo. Perché la legge dice che la successione si fa col sangue, quindi tutti lo sanno che il principe sarai tu.”

“Ho capito”, sospirò Kairi. Si stava rendendo conto che essere un principe in quel mondo non doveva essere affatto facile. A quante cose doveva fare attenzione un sovrano per essere ben visto dai suoi sudditi! Anche se, non poteva fare a meno di pensarlo, tutto questo le sembrava esagerato: d’accordo giudicare un vecchio principe che effettivamente aveva fatto errori, ma come si poteva pensare che dei sudditi giudicassero da subito un bambino piccolo solo perché fra dieci o quindici anni li avrebbe governati? Kain ed Ansem erano prudenti, forse fin troppo. Lei era invece decisa a tenere un atteggiamento più rilassato nei confronti del popolo: era piena di buona volontà e sincera voglia di essere di aiuto, quindi non doveva avere ragione di preoccuparsi.

“E adesso dove mi porti, Kain? C’è qualcos’altro che mi vuoi mostrare in questo quartiere?”

“Beh, adesso non c’è molto da vedere. Di sera qui è pieno di gente, quando la stagione è bella. Come vedi, adesso è tutto chiuso”, spiegò il bimbo.

“Allora proseguiamo. C’è un altro quartiere che mi devi mostrare, vero?”

“Sì, ma…” Kain le lasciò la mano e iniziò a contare sulle proprie dita. “Per arrivarci dobbiamo attraversare prima i giardini, poi la zona della fabbrica, poi la piazza della fontana, e poi saremo arrivati. Se andiamo oltre, torniamo nel quartiere est che avete visto stamattina.”

“Ho capito, è tutto un giro in circolo intorno al castello”, commentò Kairi, e gli prese di nuovo la mano. “Dai, andiamo.”

 

Come Kain aveva detto, appena superato il quartiere della movida si incontrarono i giardini pubblici. Attraversandoli, Kairi si rese conto che erano molto simili a quelli che aveva visto quella mattina: cinti da possenti mura, costruiti su gradoni e terrazze, con sentieri intricati e lastricati che si facevano strada tra le aiole. Girando lo sguardo verso l’imponente castello alla loro destra, a Kairi parve di vedere qualcosa di familiare.

“Guarda Kain, quella lassù credo che sia la mia stanza!”, esclamò, indicando la propria finestra.

“Esatto”, annuì il bambino. “Avete visto che avete i giardini proprio sotto?”

“Ma in realtà c’è un muro che ci separa dal castello…” obiettò Kairi.

“Certo, perché in questi giardini qui possono venirci tutti. Poi abbiamo i nostri, che sono chiusi e la gente da fuori non può entrare. Non so se hai visto, quando si esce dal portone si scendono le scale. Poi c’è una piazza piccolina, e se vai ancora più giù arrivi alla piazza grande.”

“Sì, ho presente”, annuì Kairi.

“Ecco, dalla piazzetta piccolina ci sono due sentieri, uno di là e l’altro di qua. Portano tutti e due ai nostri giardini, che sono molto più belli di questi. La vostra stanza è sopra quello di… di…”

Si fermò, perplesso, guardandosi le mani indeciso.

“Immagino che, se stiamo in piedi davanti al portone del castello, sia quello di sinistra”, si mise a ridere Kairi, davvero divertita. Erano in momenti come quelli in cui si ricordava che Kain, per quanto sveglio e pronto che fosse, era in fondo un bambino di cinque anni.

“Esatto, quello!”, rispose subito Kain riprendendo la propria sicurezza. “Da qui non ci si può andare, ma comunque adesso non c’è niente da vedere e da farci. E’ pieno di fango come qui. Dovete andarci nella stagione bella, invece.”

Attraversarono tutti i giardini, e Kairi, curiosa, volse la testa stavolta sul lato sinistro.

“Oltre le mura c’è subito l’acqua? Cioè, il mare?”

“Sì, ma sopra c’è l’acquedotto. Ci si può anche camminare, sulle mura”, spiegò il bambino.

“E ci sei mai salito?”

“Veramente no… ma sua maestà mi ha detto che da lassù si vede bene tutto intorno. Anche i nemici se arrivano.”

“Allora dovrò fare un giro anche lì. Un’altra volta, però”, aggiunse Kairi.

 

Una volta superato il parco pubblico con le sue mura, Kairi rimase impressionata da un grosso edificio, sicuramente una fabbrica, che si stagliava di fronte a loro. Era enorme, tanto che da solo sembrava occupare quasi un quinto della superficie cittadina, coprendo buona parte della zona posteriore del castello. A differenza del resto della città, aveva un aspetto avanzato e tecnologico, proprio di un sistema all’avanguardia ed efficiente.

“E questo cos’è?”, chiese emozionata.

“Ah, è la fabbr… no, com’è che si chiama? Il reattore!” esclamò Kain, soddisfatto di riuscire a ricordare una parola così difficile.

“E serve per…?”

“Ah, l’energia. Elettricità, riscaldamento, tutto. Ma non so molto altro…” disse Kain, esitante.

“Allora adesso andiamo a chiedere”, propose Kairi, e si avvicinò al grosso edificio, tenendo Kain per mano. Una volta arrivata davanti al portone serrato, suonò il campanello, e subito le venne ad aprire il portiere, un uomo massiccio e robusto, anche se non quanto le due guardie del castello, facendole un grande inchino.

“La futura principessa… che onore avervi qui. Siete venuta a vedere come funziona il reattore?”

“Sì, purtroppo non ne so molto. Mi potete spiegare un po’ in generale?”

“Guardate, l’interno della fabbrica non è un posto adatto per una signorina come voi. Si respira un’aria pesante…” esitò il portiere.

“Oh, non importa, possiamo rimanere fuori. Adesso non piove, tanto.”

“Beh, signorina, il reattore è come se fosse il motore del regno, per dirla in breve. Serve a rifornire di elettricità e riscaldamento la città. Per l’acqua invece abbiamo costruito l’acquedotto. Vedete le mura che chiudono la città? L’acquedotto corre là in cima per tutta la loro lunghezza, si raccoglie l’acqua piovana e quella del mare su cui la città è costruita. Poi…” e a quel punto l’uomo pestò forte il piede sul lastrico della strada “… il depuratore sotto di noi fa il resto del lavoro, rendendo l’acqua potabile e distribuendola alla popolazione. Poi le acque usate vengono nuovamente depurate e rilasciate nel mare.”

“Ma è fantastico!”, commentò ammirata Kairi. “Siete veramente tecnologici. Ma… ho saputo che le cose non vanno molto bene, vero? Per quanto riguarda l’energia, l’elettricità, tutto…”

“Esatto”, annuì affranto il portiere. “Qualcuno vi ha spiegato cos’è successo?”

“Sì, diciamo di sì.”

“Allora ve lo rispiego io, che se ve l’ha spiegato il nostro principe sicuramente vi siete fatta un’idea sbagliata. Lui è così bravo ad inventarsi le cose e a discolparsi facendo ricadere la responsabilità sulla povera gente”, commentò l’uomo con una nota di disgusto nella voce.

“Ah… certo”, annuì Kairi, col suo solito disagio quando udiva uno del popolo dare contro a suo padre biologico. Gettò un’occhiata a Kain, per timore che il bambino tirasse fuori il proprio carattere e si mettesse a litigare col portiere della fabbrica. Ma Kain rimase tranquillo al fianco della ragazza, senza mostrare alcuna reazione, e Kairi si rese conto di quanto sapesse rimanere controllato, e di quanto fosse capace di tenere la bocca chiusa se le circostanze lo richiedevano.

“Beh, signorina, dovete sapere che molti anni fa in questo regno le cose andavano per il verso giusto. Ognuno aveva il suo posto nella società e i beni essenziali erano garantiti a tutti. Infatti il reattore e il depuratore sono strutture statali: si reggono con i contributi di tutti, e quindi tutti ricevevano quello di cui avevano bisogno. Lo stesso valeva per la sanità e l’istruzione, ovviamente. Poi, è successo che vostro padre ha lasciato che il nostro mondo cadesse nell’oscurità, e quando finalmente ne siamo usciti fuori era tutto in rovina: non funzionava più niente, i cittadini erano abbandonati a loro stessi, perché vostro padre ha pensato alle sue stupide questioni personali invece che al benessere del suo popolo, e quindi se n’è andato senza nemmeno voltarsi indietro. Noialtri siamo rimasti da soli, ad arrangiarci. Così in assenza del depuratore e del reattore, la gente si è inventata dei metodi per ottenere comunque quello che serviva: raccogliendo acqua piovana con i catini, raccogliendo acqua dal mare e depurandola con metodi casalinghi, usando il camino per scaldare la casa e l’olio per accendere il fuoco… insomma, nel periodo in cui questo mondo era allo sbando, senza più un ordine, noi da soli, senza il governo di un principe, siamo riusciti comunque a tirare avanti. Abbiamo sistemato poi tutto per conto nostro, ricostruendo la città e rimettendo in piedi il reattore, il depuratore e l’acquedotto, ma fino a quel momento siamo stati senza e ce la siamo cavata comunque.”

“Siete stati davvero forti, sia nel corpo che nello spirito”, commentò Kairi ammirata.

“Certamente, il Radiant Garden è un mondo forte ed orgoglioso, e questa potenza interiore scorre in ogni suo abitante. Anche in voi, non dovete badare a quello che ha fatto vostro padre”, aggiunse il portiere. “Una mela marcia non può certo contaminare un’intera famiglia.”

Kairi, sudando freddo, sperò con tutto il cuore che Kain continuasse a restare buono senza lanciarsi in improperi contro quell’uomo. “Ehm… andate pure avanti”, lo invitò.

“E dunque, venendo al punto, quando vostro padre è tornato, ha cercato di comportarsi come se non fosse successo niente. E’ arrivato, ha trovato il nostro mondo che si stava faticosamente cercando di rimettere in piedi con solo le nostre forze, ed ha ripreso tranquillo il suo posto di principe aspettandosi da noi cieca obbedienza come era successo fino a prima che se ne andasse. Ma ormai noi avevamo capito con chi avevamo a che fare; avevamo capito che non potevamo aver fiducia nel suo governo, e quindi siamo andati per la nostra strada. Dubitiamo che se gli dessimo i nostri munny lui li utilizzerebbe per qualcosa di utile. Come si fa a fidarsi di uno che ci ha trattati così?”

“Certo, mi rendo conto”, commentò Kairi. La prima cosa che le venne da chiedersi fu: ‘ma come mai queste persone parlano in questo modo orribile di un capo di stato che ha in teoria potere di vita e di morte su di loro? Per di più davanti a sua figlia che potrebbe riferirgli tutto?’

E da qui le venne una domanda ancora più oscura: ‘forse mio padre non ha nessun modo per farsi rispettare? Non ha un esercito? Qualcuno che lo possa proteggere e far eseguire le leggi, visto che non sa combattere?’

No, evidentemente no: se avesse avuto un pur vago modo di imporre il proprio potere, di certo nessuno dei sudditi avrebbe osato parlare così liberamente male di lui, né avrebbe evitato i pagamenti con così tanta sfacciataggine e orgoglio.

“Ma ecco… non pensate che evitando di pagare le tasse poi le cose siano peggiori?” provò ad indagare. “Sono stata in ospedale prima per esempio, ed hanno dei problemi nel riuscire a curare tutti. E mi hanno anche detto che qui con la distribuzione dell’energia fate fatica… vero?”

“Per certi versi questo può essere visto come un problema, certo”, ammise il custode. “Qui lavoriamo poco, di conseguenza molti operai sono a spasso e l’energia la si produce solo per le famiglie che possono permettersela privatamente. Ma credeteci, sottometterci all’autorità di vostro padre sarebbe un colpo molto peggiore per noi, soprattutto per il nostro orgoglio. Il Radiant Garden è un popolo di persone fiere. Stiamo meglio a dover affrontare qualche problema di tipo pratico, piuttosto di doverci piegare davanti a qualcuno che non se lo merita.”

“Ma quei soldi che paghereste andrebbero solo a vostro vantaggio”, cercò di farlo ragionare Kairi. “E’ denaro che verrebbe usato allo scopo di farvi stare meglio.”

Ma il custode scosse la testa. “Conoscendo vostro padre, non ne sarei così sicuro. Con tutto quello che ha fatto in passato, nessuno pensa che sarebbe in grado di impiegarli per aumentare il nostro benessere. L’unica cosa di cui siamo certi è che pagando avremmo ancora meno soldi per noi.”

Kairi a quel punto ebbe un quadro della situazione molto più chiaro. Non importava quante promesse e tentativi di riconciliazione suo padre avrebbe potuto fare ai cittadini: ormai il loro rapporto era rotto. Il vecchio principe era odiato da tutti, nessuno si fidava più di lui, e il popolo non avrebbe mai accettato di privarsi di una parte di denaro cedendola a lui con fiducia. Anche se questo significava accrescere le disparità e i disagi tra i cittadini. Era per questo che chi aveva abbastanza soldi poteva permettersi i servizi forniti dal reattore: perché pagava direttamente la fabbrica senza passare per il tramite di suo padre. A quel punto, nella mente di Kairi, iniziò a delinearsi, a grandi linee, anche una soluzione: le cose non sarebbero mai migliorate in quel mondo, finché il solo principe fosse stato Ansem. Forse davvero anche il solo diventare ufficialmente una principessa e quindi un nuovo punto di riferimento per il popolo avrebbe potuto iniziare a spingere qualcuno a versare le tasse di nuovo.

“Grazie mille per la vostra spiegazione, signore. Ora il tutto mi è molto chiaro”, si congedò dal custode.

“E’ stato un piacere, signorina. Per favore, fate in modo di diventare presto una principessa. Ne abbiamo bisogno tutti”, la incitò l’altro, con una certa ansia nella voce.

 

Allontanandosi con Kain dal reattore, Kairi notò che l’espressione di Kain era cupa e pensierosa.

“Kain, a cosa pensi? Sei rimasto male per quello che ha detto quel signore?”

“No, erano tutte cose che già sapevo”, rispose Kain con voce tranquilla. “Avete visto, Kairi? Adesso sapete qual è la cosa peggiore che può succedere a un principe?”

Kairi credeva di aver capito, ma voleva sentirselo ripetere da lui per avere le idee ancora più chiare. “Me lo dici tu?”, chiese fermandosi.

Allora Kain disse serio: “questo lo so bene, perché sua maestà me lo ha fatto imparare a memoria.” E continuò con la voce impostata, senza sbattere gli occhi nemmeno una volta e guardando fisso un punto davanti a sé: “la cosa peggiore che può succedere a un principe è essere odiato dal popolo. Un principe può essere amato, e questo va bene. Un principe può essere temuto, e questo va ancora più bene. Un principe può essere temuto e amato insieme, e questo è ancora ancora più bene. Ma se il principe viene odiato, per lui è finita. Non c’è più niente da fare.”

Kairi iniziava a capire nel concreto cosa significassero queste parole. O almeno, lo stava capendo per quanto riguardava l’ultima parte. Era solo una giornata che era in mezzo al popolo, e l’odio dei sudditi per suo padre lo percepiva nell’aria, senza quasi bisogno che si mettessero a parlare. Del resto, non aveva nemmeno dubbi su quale sarebbe stata la strada che avrebbe preso lei.

“Se devo scegliere, allora farò in modo che i sudditi mi amino. Che ne pensi, Kain?”, gli chiese in tono leggero.

Kain annuì con aria saputa. “E’ una buona cosa. Sua maestà ha detto che va bene essere amati. Non è la cosa migliore, ma comunque va bene.”

Kairi capì a cosa si stava riferendo: suo padre l’aveva detto prima anche a lei. Per lui sarebbe stato meglio essere temuti, ma era una strada che alla giovane donna pareva orribile. Mai, mai avrebbe fatto sì che i suoi futuri sudditi la temessero e tremassero mentre passava per la strada. Non era questo il modo in cui avrebbe mantenuto il proprio potere.

“Andiamo avanti, allora?”

“Sì”, annuì il bambino. “Dopo il reattore c’è la fontana. Andiamo.”

Ora, dicendo semplicemente fontana, uno poteva immaginarsene cento tipi diversi. Kairi si era figurata in testa una semplice piazza con una semplice fontana piazzata in mezzo. Ma quando vide ciò che realmente intendeva Kain, rimase a bocca spalancata: era una fontana che copriva i tre quarti del pavimento della piazza, addossata al muro e a gradoni irregolari. Rimase impressionata più per le sue dimensioni che per i giochi d’acqua che in teoria avrebbe dovuto fare, perché era spenta. Pareva non funzionare, come molte altre cose in quella città. Nonostante questo, gli spiazzi erano comunque pieni dell’acqua piovana. Dal pavimento ricoperto d’acqua, attraverso un canaletto l’acqua eccedente finiva in una grata nel muro al livello del pavimento, che probabilmente la scaricava nel depuratore o direttamente nel mare.

“E questo non è niente”, esclamò soddisfatto Kain. “Adesso non funziona, ma quando va è molto più bella. Spruzza l’acqua dal pavimento, e si possono usare gli spruzzi per saltare fino ai gradoni più sopra. E da lassù…” indicò uno spiazzo rialzato attaccato alle mura, con una porticina “da lì si può andare all'acquedotto. Per far prima, sennò bisogna fare tutto il giro dalle torri.”

Infatti Kairi ricordava di aver visto, passando per i quartieri, delle torri che interrompevano il cammino delle mura. Forse erano di vedetta.

“E cosa si fa qui, Kain? E’ solo per bellezza?”

“Beh, ci si fanno anche le gare. Sapete, i quartieri si sfidano spesso, e di solito usano questa piazza.”

“Ho capito”, annuì Kairi. Certo, con il campanilismo che aveva subodorato tra quei quartieri, l’unico modo per dargli sfogo erano gare frequenti di vario tipo. “Peccato che sia spenta. Se funzionasse, sarebbe magnifica.”

Andando avanti, arrivarono infine all’ultima tappa del loro percorso: arrivati sul limite della piazza, Kain indicò le fitte case che si aprivano sulla strada. “E qui inizia il quartiere nord. L’ultimo.”

Kairi si ritrovò davanti l’ultimo dei quattro quartieri. Ma, fin dai primi passi, quello che trovò la impressionò: infatti non aveva per nulla l’aspetto caratteristico e ordinato degli altri tre. Tutti gli altri erano ordinati, con le case ben disposte, di bell’aspetto e non avevano parti rovinate. Si vedeva che erano abitati da gente che erano di ceto sociale medio. Invece questo qui… si ritrovò a camminare in stradine e viuzze strette, con case ammassate l’una sull’altra, senza l’ombra di un giardino o di un vaso da fiori alle finestre. I tetti erano rovinati, alcuni tubi della grondaia erano rotti, i tombini sembravano essere intasati, tanto che in alcuni punti dove la strada era in leggero declino si formava un ristagno di acqua piovana. Le strade erano rovinate e le mattonelle erano sfasate l’una rispetto all’altra, tanto che la ragazza doveva guardare dove metteva i piedi per evitare di inciampare. Anche i muri delle case erano molto semplici e spogli, senza decorazioni né una mano di pittura. Kairi, passando, riuscì a sbirciare da una finestra che era al pian terreno. La luce era spenta, probabilmente perché quella famiglia non poteva permettersi l’elettricità. Erano accese invece alcune lampade ad olio, che illuminavano una cucina assai modesta, con un tavolaccio di legno e una stufa a legna, anche quella senza la minima decorazione o buon gusto.

“Come faranno questi poveretti a scaldarsi e illuminare la casa?...” mormorò. “Faranno con la legna? E l’olio dove lo prendono?”

“Li comprano dai contadini. Non costano tanto”, spiegò Kain.

“Certo, sicuramente costa meno che pagare il reattore per avere la loro quota” annuì Kairi.

“Qui ci vivono gli operai della fabbrica e del depuratore. Quando ancora facevano gli operai”, aggiunse Kain.

Kairi capì quello che intendeva: quasi nessuno lavorava più in quei due impianti, perché, come le aveva detto il guardiano, le paghe non erano più sufficienti, sempre per il fatto che nessuno versava più un munny di tassa.

Andarono avanti, e Kairi si guardò in giro abbattuta. Si sentiva desolata allo stesso modo di quel posto. Si vedeva che era il quartiere più povero del Radiant Garden. Non era affatto radioso come il nome suggeriva.

“Speriamo di incontrare qualcuno che possa spiegarmi qualcosa…” disse guardando le viuzze vuote.

“No, ma che, scherzate?” sbottò Kain. “Qui ci abita la gentaccia. Meglio attraversarlo al più presto”, aggiunse tirando la ragazza per la mano.

Camminando svelti, arrivarono al confine del quartiere, entrando in quello est, che avevano visitato quella mattina. Kairi ritrovò con sollievo le casette ordinate, gli ambienti spaziosi, le strade intatte e i giardini davanti alle porte.

“Bisogna che domani a pranzo mi faccia una bella chiacchierata con quella famiglia. La signora potrà spiegarmi meglio, in un ambiente più tranquillo.”

Ma era soddisfatta: in una giornata aveva fatto il giro completo della città, dei suoi quartieri e dei suoi ambienti principali. Certo non aveva visto l’impianto di depurazione e l’acquedotto ancora, ma era sulla buona strada. Iniziava a scendere il buio. Per quel giorno poteva bastare.

 

“Siamo rientrati!”, annunciò Kairi quando misero piede nel castello, togliendosi la giacca bagnata.

Però non le rispose nessuno. “Kairi, sua maestà e gli assistenti ancora sono di sotto, non vi hanno sentito. Ma adesso verranno su, è quasi ora di cena”, le disse Dilan da fuori.

“Non c’è bisogno, gli vado incontro io”, rispose Kairi, e prendendo la porta di fianco all’entrata scese per i corridoi sotterranei, raggiungendo suo padre che si stava giusto togliendo il camice in quel momento.

“Buonasera, padre”, disse rispettosa Kairi fermandosi quando lo vide, facendo un inchino.

“Bentornata, Kairi”, si allietò il vecchio principe. “Hai passato un buon pomeriggio?”

“Sì, sono riuscita a parlare con il portinaio del reattore e ho visitato altri due quartieri. Credo di aver capito meglio la natura dei problemi del nostro regno.”

“Molto bene”, annuì Ansem. “Ancora è presto per te per cercare di risolverli, però. Continua a conoscere i sudditi come hai fatto finora. Insomma… intendo… come pensi che sia giusto. Quando sarai principessa, potrai agire.”

Kairi annuì, convinta. Kain, che era di fianco a lei, intervenne: “e pensate, Maestà, che c’era un tipaccio che voleva portarla in giro a vedere il regno. Ci pensate?” Kairi non fece in tempo a farlo stare zitto.

“Ma è ovvio, kupò!”, esclamò Mog, che era spuntato dall’angolo proprio in quel momento. “La nostra principessa è talmente bella che nessun ragazzo del regno può resisterle, kupò! Ho visto, ho visto!”

“Tu hai visto?”, gli chiese stupita Kairi.

“Certo! Io sono la spia ufficiale del principe, kupò, ho occhi e orecchie dappertutto!” si vantò il moguri.

“Intendi che ce li hai quando si tratta di spettegolare e non li hai per le cose importanti”, lo corresse impassibile Ansem, incrociando le braccia.

Kairi e Kain non poterono evitare di mettersi a ridere a quell’intervento, e Kairi disse al vecchio principe: “padre, non gli ho dato corda, ma vi avevo già avvisato.”

“Certo, Kairi, non preoccuparti”, annuì Ansem. “Se non vuoi, è una scelta tua. Tanto chi abbiamo qui, eh?”, aggiunse affettuoso tendendo la mano verso Kain, che si fece avanti contento, prendendogliela. “Eh, Kain, che bisogno ha la nostra Kairi di sposarsi quando ha un bel principe come te al suo fianco?”

Kain, a quelle parole, si vergognò e abbassò imbarazzato il viso. “Ma maestà… io non sono ancora…”

Ansem lo accarezzò sulla testa e si rivolse alla figlia: “visto che sei quaggiù, chiama pure Aqua col computer. Ti ricordi, no? Dovrai allenarti con lei. Dille che ovviamente la pagheremo.”

Kairi annuì ed entrò nel laboratorio. Ienzo ed Even stavano mettendo a posto l’attrezzatura, quando il più giovane interruppe quello che stava facendo rivolgendosi alla ragazza. “Ho sentito. Vi riaccendo il computer e avvierò la comunicazione con la Terra di Partenza. Vedrete che risponderanno.”

Mentre l’uomo armeggiava con l’apparecchio, Kairi si sentiva una certa inquietudine addosso: parlare con Aqua la faceva sentire emozionata. Era una maestra del Keyblade esperta e temibile, ma allo stesso tempo era gentile e mite con le persone che conosceva e gli amici. Kairi si sentiva in forte debito con lei: era per merito suo se aveva incontrato Sora quando era piccola, dopotutto. Ma ora che la pace era tornata, forse lei, insieme a Terra e Ventus, aveva programmato altre cose da fare. E se avesse rifiutato? E se le avesse detto che era troppo occupata e non aveva tempo per allenarla…?

“Sì, pronto? Pronto?”, chiese una voce femminile dall’altra parte dello schermo. Ienzo era riuscito ad agganciarsi al loro mondo.

“Devo ancora far partire lo schermo, Kairi, voi intanto iniziate a parlare”, la invitò Ienzo, continuando a premere tasti e bottoni, concentrato.

“Ah, sì… Aqua, mi senti? Sono Kairi!” rispose subito la ragazza.

“Kairi! Ti sento ma non ti vedo. Come va nel tuo nuovo mondo?” chiese entusiasta la voce di Aqua.

Dopo alcuni segni disturbati sullo schermo, finalmente le immagini divennero nitide ed apparve la donna più grande, con i suoi capelli blu e la divisa da combattimento col simbolo della sua scuola.

“Ecco, ti vedo! Anche oggi ti trovo bene, Kairi”, continuò con calore Aqua.

“Sì, va tutto bene in questo regno, anche se non fa altro che piovere”, rispose Kairi, sentendo la tensione alleggerirsi. Aqua certe volte non sembrava affatto una maestra, dal suo modo di comportarsi, ma una qualunque ragazza, senza che trasparisse dalla sua persona superbia o superiorità. “Come stanno Terra e Ventus? E tu?”

“Tutto bene anche oggi. Ehm… Terra mi ha detto che ha ricevuto una chiamata da Riku… non mi hanno spiegato bene però, hanno tenuto la cosa fra loro, ma sono riuscita a sentire qualcosa. Riku mi sembrava turbato. Kairi, cos’è successo?”

Kairi volse la testa, sentendosi a disagio. Non voleva parlare di quell’argomento, e non voleva sentire parlare del suo ormai non più amico. Almeno non ora che la ferita era fresca.

“Ehm… cose fra noi… lasciamo perdere. Ascolta, Aqua, volevo chiederti… visto che ancora ho molte cose da imparare in fatto di combattimento… se potessi insegnarmi. Insomma, tu sei una maestra del Keyblade, e io devo imparare a combattere per bene per poter difendere il mio popolo. Saresti disposta ad allenarmi? Non gratis, ovviamente.”

Normalmente Kairi non era così impacciata nel parlare, ma il fatto che Aqua le avesse riportato in mente Riku l’aveva distratta.

Aqua la guardò per un attimo stupita. “Kairi, certo che ti darò lezioni di combattimento, per tutto il tempo che ti servirà. Ma non parlarmi di soldi. E’ molto nobile il motivo che ti spinge a voler combattere, ed inoltre tu ed io una volta abbiamo combattuto insieme: è grazie a te ed ai tuoi amici se io e Ven siamo salvi, quindi non voglio proprio sentir parlare di pagamento. Quando vorresti cominciare?”

Kairi era rimasta allibita. Era anche grazie a lei se Aqua e Ven erano salvi? Che razza di costruzione si era fatta nella mente per giustificare il fatto che Sora non esistesse? E lei purtroppo non poteva nemmeno correggerla, data la situazione.

“Aqua, ho bisogno di un allenamento prolungato, non posso farti fare un servizio del genere gratis. Guarda che Ansem il denaro ce l’ha, non fare complimenti.”

In realtà non sapeva nemmeno quanto fosse vera quell’affermazione. Di certo, con la crisi economica che flagellava il Radiant Garden, nemmeno le casse del principe regnante dovevano essere ben piene come una volta. Ma se poco prima suo padre l’aveva rassicurata che Aqua sarebbe stata pagata, non aveva motivo di non fidarsi della sua parola.

“Ti ripeto che non voglio denaro”, ripeté Aqua. “Non per allenare te. Ogni quanto vorresti fare?”

Kairi non sapeva cosa dirle. Se l’avesse pagata le avrebbe detto tutte le mattine per un paio d’ore, ma sapendo che Aqua voleva allenarla gratis non se la sentiva di chiederle di farlo così spesso.

Aqua parve capire il motivo della sua indecisione. “Non preoccuparti, verrò domattina e combatterai un po’ con me in modo che possa giudicarti. Poi deciderò io quanto avrai bisogno di allenamento, va bene?”

Kairi le sorrise annuendo, lieta che l’altra l’avesse tolta da quell’impaccio. “Ma vuoi venire tu, Aqua? Abbiamo la gummiship, quindi se vuoi…”

“No, non preoccuparti. Con la mia armatura posso viaggiare per i mondi in modo molto veloce, senza bisogno di carburante o di tirare fuori la navicella dal deposito. Ci metterò poco”, la rassicurò Aqua.

Kairi allora le fece un inchino, chinando la testa in segno di rispetto. “Grazie, maestra. Allora ci vediamo domattina verso le nove, va bene?”

“Va bene”, annuì Aqua, prima di chiudere la telefonata. “Buona cena, Kairi, ci vediamo domani.”

“E’ una ragazza molto modesta ed altruista”, commentò Even, che aveva seguito la conversazione interessato.

“Sì, lo è”, confermò Kairi. “Sono certa che farà un ottimo lavoro.”

 

Dopo cena, Kairi si sentiva un po’ stanca, ma ancora era presto per andare a dormire. Le venne in mente che la sera prima, in effetti, si era rintanata in camera subito dopo aver mangiato. Ma stasera aveva voglia di stare un po’ in compagnia.

“Cosa fate di solito dopo cena?”, chiese a suo padre mentre i camerieri sparecchiavano.

“Stiamo nella biblioteca a leggere e rilassarci. Lì c’è il camino acceso ed è davvero piacevole passare un’oretta prima di andare a dormire”, le spiegò suo padre.

Allora a Kairi, che ancora non aveva esplorato il castello da cima a fondo perché era stata quasi sempre fuori, venne in mente che c’era una biblioteca gigantesca, piena zeppa di libri antichi, e qualche volta da piccola sua nonna l’aveva portata lì per cercare dei libri un po’ più facili per iniziare ad insegnarle a leggere. Anche se la nonna non faceva parte della famiglia reale, aveva comunque il permesso di accedere al castello, quando era in compagnia di Kairi.

Così quando suo padre, insieme agli assistenti, la accompagnarono nella grande sala col camino che diffondeva calore, rimase stupita da quanto si ricordasse bene di quel posto. Scaffali su scaffali di volumi vecchi e consunti che arrivavano fino al soffitto, e vicino al camino erano posizionate alcune imponenti poltrone rivestite di velluto, con dei tavolini di legno rotondi accanto.

Kain, che era abituato a quell’attività del dopo cena, corse verso gli scaffali più bassi che contenevano dei libri per bambini, e ne scelse uno.

“Sto imparando a leggere”, spiegò a Kairi mentre si andava a sedere su una poltrona. “Non è tanto difficile, in realtà.”

Ansem e i suoi due assistenti avevano già i loro libri abituali per lo studio, quindi fu Kairi quella che dovette impegnarsi a cercare un testo che le andasse a genio. Scorse con attenzione i titoli di quei tomi complicati: libri di miti, di geografia, di filosofia, di architettura, di matematica, chimica, fisica, qualunque disciplina esistente sembrava che lì ci fosse. Alla fine scelse un libro di storia del Radiant Garden, parecchio pesante e con le scritte un po’ sbiadite, ma forse avrebbe potuto imparare qualcosa di nuovo e di utile dai governi precedenti. Anche se non aveva chiesto nulla ad Ansem e lui non le aveva accennato niente, non era possibile che lui fosse il primo principe del Radiant Garden: ce ne dovevano essere stati altri prima di lui.

Si avvicinò al camino e prese posto nella poltrona rimasta vuota, tra Ansem e Kain, che erano già immersi nella lettura. Stare vicino al calore che veniva da quel fuoco era davvero piacevole: decise che sarebbe rimasta lì per un buon lasso di tempo, dopo tutto quel freddo e quell’umidità che aveva subìto durante la giornata se lo meritava. Iniziò quindi a leggere il libro dall’inizio, ma ci trovò delle frasi così inutilmente astruse e complicate, scritte con dei termini antichi e ambigui, che dopo poco le venne il mal di testa. Perciò saltò un po’ di pagine, decisa a fermarsi quando avesse trovato qualcosa che catturava la sua attenzione. E alla fine trovò un nome che la incuriosì: Esecar. In realtà tanti altri personaggi storici che aveva intravisto mentre sfogliava avevano nomi particolari, ma quel nome aveva qualcosa… che lo faceva sembrare diverso da tutti gli altri. Così decise di scoprire chi fosse questa persona, e perché il suo nome fosse scritto sulle pagine di quel libro.

Purtroppo la sua curiosità si affievolì di poco appena si rese conto che l’autore di quel testo non aveva certo il dono della sintesi, e dovette scorrere i fatti narrati in modo veloce, ma le cose fondamentali le capì: un tempo, secoli e secoli fa, il Radiant Garden non era un regno. Era un mondo abbandonato a se stesso, che non aveva neppure un nome, in cui il territorio su cui si trovava l’attuale capitale non era unito come adesso. Il castello non esisteva, e i quattro quartieri erano in realtà paesini diversi in perenne lotta e rivalità fra loro per accaparrarsi le poche risorse disponibili. I capi delle quattro cittadine erano inetti, che spogliavano le popolazioni invece di governarle, e che fomentavano la discordia, tanto che tutto il territorio era pieno di corruzione, congiure e violenze. In questo caos era sorto quest’uomo, che si era contraddistinto per la sua grande intelligenza, astuzia ed ambizione. Si era dimostrato subito un leader nato, e col suo grande carisma era riuscito a catturare in poco tempo l’attenzione e la fiducia delle quattro cittadine, riuscendo a far sì che le persone lo considerassero addirittura più importante della gente che le governava. Le persone infatti ne avevano abbastanza di soffrire per colpa degli incompetenti che avevano per capi, ed avevano riconosciuto Esecar come un’autorità superiore quasi all’unanimità, perché peggio di così non potevano stare. Questo Esecar si era reso conto che le popolazioni non avrebbero mai potuto raggiungere un ordine e una stabilità se avessero continuato a rimanere in lotta fra loro; così si era innalzato al di sopra dei suoi concittadini, ponendosi al di fuori dei continui screzi campanilistici, ed era riuscito a gettare le basi di un’unità fra gli abitanti di quella che sarebbe poi diventata una sola città; anche se i quattro paesini – che in seguito sarebbero diventati i quattro quartieri della capitale – erano ancora capeggiati dalle solite persone incapaci. Tuttavia Esecar era più in alto di loro, si era creato il proprio potere su tutti e quattro i paesi, ed era quindi noto nella storia per essere stato il primo principe del Radiant Garden. Kairi ritrovò la sua curiosità verso questo grande uomo, del fatto che fosse divenuto un capo perché il popolo l’aveva scelto per le sue caratteristiche, e proseguì la lettura per scoprire una qualche sua azione che potesse esserle di ispirazione.

Ebbene, il tutto non era avvenuto in modo così liscio come aveva all’inizio pensato: il principe Esecar si era reso conto appunto che le quattro cittadine appena unite erano governate da gente inetta. Giudicò quindi necessario, perché trovassero pace e divenissero totalmente obbedienti alla sua autorità, di dar loro un buon governo. Così dunque scelse in una di queste cittadine un uomo più duro e risoluto degli altri, Roamir, fece di lui il suo primo ministro e gli concesse grandi poteri, mentre lui invece si occupava delle faccende più tecniche, come innalzare mura di protezione, costruire case più robuste e dotare la nuova città di una nuova tecnologia, oltre a creare i primi giardini decorati, perché lui stesso era un forte amante delle cose belle: fu lui a scegliere il nome per il suo nuovo regno, citando i radiosi campi pieni di fiori che dopo poco tempo erano spuntati ovunque e che sarebbero rimasti come caratteristica di quel mondo. Roamir, intanto, in breve tempo si conquistò una gran fama, quasi al pari di quella di Esecar, e rese i quattro popoli un unico popolo, pacifico e unito. Esecar da parte sua fece un altrettanto ottimo lavoro per quanto riguardava la parte tecnologica. In seguito però il principe, guardando al suo ministro, si rese conto che non fosse più necessaria una simile autorità, perché rischiava di diventare odiosa, ed era convinto che la durezza che Roamir aveva utilizzato col popolo poteva far crescere nei sudditi un feroce odio che poi avrebbero rivolto contro di lui, perché era Esecar il principe. Quindi era opportuno che lui stesso riprendesse in mano le redini del potere, ma prima, per eliminare i rancori del popolo ed ingraziarselo, volle mostrare a tutti che, se crudeltà c’era stata, questa non era responsabilità sua ma del suo ministro. Trovò un pretesto a suo carico, e una mattina lo fece mettere a morte nella piazza principale. La ferocia della sua esecuzione fece rimanere il popolo soddisfatto e senza fiato allo stesso tempo, e il principe Esecar riprese i pieni poteri su tutto il Radiant Garden.

Kairi, dopo aver letto la crudele e spietata conclusione della vicenda, ritrasse velocemente le mani dal libro come se fosse fatto di fuoco, e il volume cadde sul pavimento, facendo un gran fracasso ampliato dal rimbombo nella grande sala. Ansem, Even, Ienzo e Kain sussultarono e si voltarono di scatto, spaventati, guardando Kairi perplessi.

“No… non è niente, scusate”, si giustificò Kairi, a disagio.

“Sei sicura di stare bene, figliola? Forse è meglio che vai a letto”, la invitò suo padre, alzando un sopracciglio. Poi aguzzò gli occhi arancioni, ormai con una vista non più buona come qualche anno prima, e notò il libro che sua figlia aveva lasciato cadere. “E’ per qualcosa che hai letto in quel testo?”

“Sì”, ammise allora Kairi. “Il… il primo principe e il suo ministro…”

“Oh”, fece Ansem, sollevato, dando un’occhiata d’intesa ai suoi apprendisti. “E’ un antenato che conosco bene. Non so nemmeno quanti secoli fa sia accaduto, ma Esecar è stato l’uomo che ha fondato la nostra dinastia. Pensa, figliola, che lui è stato l’unico principe della nostra famiglia ad aver avuto gli occhi arancioni, come i miei. Nessuno dei nostri antenati li ha più avuti, io sono stato il primo ad ereditarli, dopo chissà quante generazioni.” Poi notò che l’espressione di Kairi era ancora allibita, e che non si era affatto lasciata distrarre da questi particolari. “Non devi averla a male con lui per quello che ha fatto, figliola. E’ il duro compito del governo. Un principe deve fare tutto, e sottolineo tutto, per poter ottenere le grazie del popolo e rimanere pulito ai suoi occhi.”

“Capito?”, incalzò Kain. “Tutto tutto!”

“Ma…” obiettò Kairi. “Questo Esecar quindi ha raccontato al popolo di allora una cosa falsa… come mai allora l’inganno che ha fatto è scritto nero su bianco su questo libro? Non c’è la preoccupazione che qualcuno possa accorgersene?”

“Oh, ma i sudditi non li leggono mica questi libri della nostra biblioteca”, rispose Ansem, indulgente.

“Non li leggono mica!”, ripeté a pappagallo Kain.

“E sui libri che studiano è riportata la versione che lui ha raccontato, che è quella che li fa stare bene e mantiene la stabilità nel regno. Ma in realtà, anche se il popolo lo venisse a sapere, non interesserebbe più a nessuno. E’ passato troppo tempo, alla gente interessa il governo di adesso, non quello di secoli e secoli fa”, spiegò Ansem col suo fare sapiente e saggio. “Se fosse un avvenimento recente con un principe attuale sarebbe diverso, ma sai, la gente dimentica in fretta ciò che non la riguarda direttamente.”

“Direttamente!”, esclamò Kain, tutto felice di appoggiare il vecchio principe in tutto quello che diceva.

Kairi rimase per un po’ in silenzio a fissare il fuoco nel camino, poi annunciò: “vado a dormire. Buonanotte, ci vediamo domattina. Domani viene Aqua alle nove.”

Ansem annuì e si rivolse al bambino. “Vai anche tu, che inizia a farsi tardi.”

 

Chiusa nella sua stanza e seduta sul suo letto, pronta per andare a dormire, Kairi ragionava su quello che aveva letto e su quello che suo padre le aveva detto, oltre a ciò che aveva appreso dalle persone con cui aveva parlato quella giornata. Avrebbe tanto voluto poter affermare che quello che diceva Ansem, e Kain di conseguenza, fosse sbagliato ed orribile. Ma ora, pur provando dentro di sé un grande ribrezzo per quel modo di fare, nella sua mente, uno spiraglio di senso in tutto questo parve trovarlo. Il senso era guardare il fine in tutto quello che si faceva, piuttosto che i mezzi con cui si tentava di raggiungerlo? Forse veramente in mezzo a un popolo come quello, questa era la via giusta? Ma il suo cuore rigettò con forza quell’ipotesi. Non era il suo modo. Non avrebbe mai fatto così. Aveva deciso come avrebbe agito, avrebbe continuato su quella strada.

Eppure, la consapevolezza di essere completamente sola nella strada che avrebbe intrapreso la faceva sentire vuota e smarrita. Si era aspettata, nella settimana preparatoria alla partenza, che lei e suo padre si sarebbero trovati d’accordo sulla politica con cui governare quel mondo, che avrebbero agito insieme, sostenendosi l’un l’altro ed agendo in sintonia. Ed invece aveva trovato l’esatto opposto: un padre freddo ed austero che aveva una visione della vita e della politica completamente opposta alla sua, e che, sebbene le avesse dato la piena libertà di agire, non la appoggiava, e probabilmente, quando fosse diventata una principessa, avrebbe dovuto svolgere i suoi compiti da sola, senza l’aiuto del suo anziano padre.

Fu in quel momento che le tornò in mente Sora: quel pomeriggio non ci aveva quasi pensato perché aveva avuto molte cose da fare ed era stata sempre occupata, ma adesso che la prospettiva della solitudine, soprattutto nelle sue convinzioni e nel suo modo di agire, riaffiorava, sentì di nuovo fortissimo il desiderio di lui. Non aveva mai pensato, prima di partire, che anche in quella vita nuova sarebbe potuta essere in un certo senso sola. Seduta sul bordo del letto, con gli occhi chiusi e le mani strette in grembo, rivolse una silenziosa preghiera al suo compagno: torna presto, vienimi a prendere! Andiamo a vivere insieme nelle nostre isole, nel nostro mondo, che è casa nostra. Voglio vivere con te una vita semplice e sobria, come una persona normale, come avremmo voluto… Ma come poteva illudersi che quella preghiera servisse a qualcosa? Lo sapeva benissimo che non lo avrebbe rivisto mai più.

Fu in quel momento che le tornò in mente quello che sua nonna le aveva detto quella mattina: un giorno rivedrai il tuo compagno, le aveva detto. Quello della nonna era stato un discorso molto bello, intriso di luce e speranza, ma che andava totalmente in contrasto su quanto il suo innamorato le aveva detto quando erano riusciti a vedersi. Lui le aveva detto chiaramente che non c’era modo per lui di uscire da quella stupenda prigione, spronandola a lasciarlo andare in modo che potesse andare avanti con la sua vita. La nonna invece le aveva detto sì di andare avanti con la propria vita, ma senza mai perdere la speranza di poterlo rivedere. Quindi non potevano aver ragione tutti e due. Doveva scegliere a chi dei due dare fiducia, e seguire quella strada senza voltarsi indietro, perché sapeva che l’incertezza era la cosa peggiore. Come poteva sua nonna, con solo un racconto così approssimativo e senza sapere cosa fosse successo, essere certa che Sora un giorno sarebbe riuscito a ritornare da lei? Allo stesso modo, come poteva Sora avere la certezza che non avrebbe avuto modo, in futuro, di uscire da quel mondo di mare e cielo? Ma alla fine sentì dove virava il suo cuore: aveva ragione sua nonna. Non poteva essere altrimenti, lo sentiva anche lei. Sora di certo le aveva detto che non si sarebbero visti mai più per via di quello che provava per lei. Kairi conosceva Sora meglio di chiunque altro, e sapeva che, nel dubbio, lui non avrebbe mai potuto lasciare che lei si consumasse per un tempo indefinito nell’attesa di rivederlo. Sicuramente le aveva detto di dimenticarlo solo per proteggerla, perché non sprecasse la propria vita nell’attesa di vederlo tornare. Ma ora che sua nonna le aveva parlato, ripensandoci, Kairi sentì di aver trovato la via giusta: non sprecare la propria vita aspettando senza fare niente, ma nemmeno convincersi di averlo perduto per sempre. Sì, come la nonna le aveva detto, sarebbe passato molto, molto tempo prima che avrebbe potuto rivederlo. Ma lo sentì come una certezza: quel giorno sarebbe arrivato. Non sapeva quando, ma sarebbe arrivato. E quando fosse arrivato, sarebbe tornata insieme a lui sulle loro isole, la loro vera casa. Avrebbe mentito a se stessa se avesse affermato che aveva deciso di trasferirsi nel Radiant Garden solo per tornare alle sue origini e solo per il bene della popolazione: se Sora fosse rimasto con lei, non ci sarebbe mai e poi mai tornata.

Un timido bussare alla porta interruppe il suo flusso di pensieri. Dai colpetti dati all’uscio, riconobbe subito chi si trovava nel corridoio. “Kain, sei tu? Entra!”, esclamò ricomponendosi.

Il bambino, col suo pigiama, i capelli biondi sciolti e un’espressione timida, aprì lentamente la porta guardandosi i piedi nudi.

“Cosa c’è? Hai sete? Vuoi che ti accompagni in cucina?” gli chiese Kairi, sorridendogli.

“No, ehm… mi chiedevo… sì insomma, io volevo sapere… se magari… potevo…” mormorò Kain, impacciato ed incespicando le frasi.

“Su, cosa c’è? Non devi avere paura di me, ormai mi conosci”, lo invitò Kairi, incoraggiante.

“Sì, ecco… mi lasciate dormire con voi stanotte? Solo stanotte, giuro!”, esclamò allora Kain, sbloccandosi e facendo d’un fiato la sua richiesta.

Kairi allargò appena gli occhi a quella domanda, e fece una risata divertita, dimenticandosi la sua tristezza di poco prima. “Vuoi dormire con me? E cosa sei, il mio amante?” gli chiese per stuzzicarlo.

Quando vide che ci era riuscita, e Kain pieno di vergogna si era coperto la faccia arrossata tirandosi su la maglia del pigiama, si intenerì.

“Vieni, vieni pure. Tanto il letto è grande, ce ne starebbero due, di bambini come te.”

Kain, sollevato, col viso pieno di gioia mosse qualche passo verso il letto…

“Aspetta!”, lo fermò Kairi, con tono austero.

Kain si bloccò e la guardò con gli occhi sbarrati.

“Ti sei lavato i denti?”, gli chiese dura la ragazza.

Il bambino annuì appena, intimidito.

L’espressione di Kairi si ammorbidì e gli fece cenno di avvicinarsi. “Allora vieni pure!”

Kain a quel punto corse verso di lei e saltò a quattro zampe sul materasso morbido, infilandosi sotto le coperte.

“Come mai vuoi dormire con me?”, gli chiese Kairi, mettendosi sotto le coperte anche lei.

“E’ che sono solo… non riesco a dormire… e poi… e poi… con voi sto bene…” mormorò Kain con la voce piena di imbarazzo.

“Ma che amore!”, commentò Kairi, compiaciuta. “Tiri i calci quando dormi? Oppure russi?”

“No, lo giuro”, si affrettò a rispondere Kain.

“Allora buonanotte, dormi bene”, gli augurò la ragazza, sistemandosi su un fianco girata verso di lui. Dopo poco, sentì il corpicino caldo del bimbo addossarsi a lei e le sue braccine stringerla sulle spalle. Come se fosse stata sua madre. Kairi rimase sorpresa all’inizio, ma poi anche lei lo abbracciò stretto, sentendosi felice che qualcuno stesse così vicino a lei dopo tutto quel tempo in cui era stata costretta a dormire da sola.

Con Kain vicino, nonostante la grande distanza di vedute che avevano, non si sentiva più demoralizzata come prima. Si rese conto che, spaziando con la mente andando troppo in là nel tempo, per lei sarebbe stato solo peggio. Una cosa per volta. E la prossima a cui avrebbe dovuto pensare era l’allenamento di domattina. Nonostante sapesse di non essere molto forte, si addormentò determinata: Aqua, se non domani, si sarebbe resa conto col tempo che lei sarebbe stata perfettamente in grado di difendere il suo futuro regno.

 

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Note: il personaggio accennato di Esecar in realtà non è altro che il nome Cesare anagrammato. L’avvenimento che Kairi legge sul libro è la trasposizione di una parte del capitolo 7 del Principe, in cui il personaggio è Cesare Borgia, duca del ‘400, figlio del papa dell'epoca, particolarmente crudele e senza scrupoli. Machiavelli nel suo libro racconta di tantissimi principi suoi contemporanei, del mondo antico o mitologici, ma Cesare Borgia è IL principe ed il più importante di tutti, tanto che un intero capitolo del libro è dedicato solo a lui. Se volete sapere di più su questo personaggio e la sua adorabile famiglia vi consiglio di guardare una di due serie televisive, che hanno entrambe più o meno lo stesso titolo (“Borgia” e “I Borgia”), e sono entrambe del 2011, ma una è francese e l’altra canadese. Io ho guardato alcune puntate di quella francese ed è fatta davvero molto bene, anche se certamente si prende alcune libertà storiche in nome dell’intrattenimento. Per inciso, in entrambe le serie appare Machiavelli e l’ultimo episodio di quella canadese è intitolata proprio “il principe”.

Allo stesso modo, il nome del primo ministro di Esecar, Roamir, è l’anagramma di Ramiro de Lorqua, il primo ministro di Cesare Borgia.

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Capitolo 14
*** Come i capelli rossi influenzano il carattere ***


Capitolo 14 – Come i capelli rossi influenzano il carattere


Quando Kairi aprì gli occhi la mattina dopo, la prima cosa di cui si rese conto era che Kain si era svincolato dalle sue braccia, si era preso tutte le lenzuola lasciandola scoperta, aveva infilato la testa sotto le coperte fin quasi alla fine del letto e aveva appoggiato i piedi sul cuscino. Quando vide che se li stava ritrovando quasi in faccia, Kairi sobbalzò e diede una pacca sul sedere del bambino attraverso il piumone.

“Kain, come sei messo?”, lo rimproverò con una voce ancora assonnata. “Allora non è vero che la notte non ti muovi.”

Il bambino subito si svegliò e si affrettò a rimettere capo e piedi nell’ordine giusto.

“Scusate, Kairi”, sbadigliò facendo sbucare la testa, con i capelli lunghi tutti arruffati, ed appoggiandola sul cuscino.

“Oggi non ti sei svegliato prima di me?” gli chiese Kairi, curiosa.

“No, nel vostro letto si sta comodi. Quindi ho dormito”, e fece per richiudere gli occhi.

“Non riaddormentarti”, lo scosse Kairi per la spalla. “Sai che c’è oggi? Viene Aqua ad allenarmi.”

“Viene Aqua ad allenarvi…” ripeté Kain in un mormorio. “E chi è Aqua? Quella coi capelli blu con cui avete parlato ieri?”

“Sì. E’ una brava maestra del Keyblade. Mi insegnerà a combattere come si deve.”

“Anche voi avete il Keyblade?”, chiese Kain, che stava iniziando a svegliarsi sul serio.

“Esatto. E tu che arma vorrai usare, quando sarai grande?”, gli chiese Kairi.

“La lancia”, rispose con sicurezza Kain. “Come quella di Dilan. Sapete come si attacca con la lancia, Kairi?”

“No, come?”, chiese lei, incuriosita.

“Dall’alto. Si usa per fare un gran salto, alto mille metri, usando il vento e l’aria, e poi bum!, si cade sul nemico con la punta in giù!”, rispose con entusiasmo il bimbo, ormai completamente sveglio, dando una forte manata sul cuscino per dare l’idea della potenza del colpo.

Kairi sorrise. “Adesso, mille metri mi sembrano un po’ troppi. Però ho capito.”

“I guerrieri che combattono così si chiamano dragoni, sapete? Hanno tutta un’armatura bellissima addosso che sembra un drago. E io sarò come loro. Sarò il primo principe a combattere così!”, affermò orgoglioso lui.

“E come farai con la divisa?” gli chiese ancora Kairi, sempre più divertita.

“Ah… ehm…” fece a quel punto il bambino, trovando un inceppo nelle sue aspirazioni. “Beh, terrò sempre addosso la divisa, e quando dovrò combattere mi cambierò e mi metterò l’armatura! Sì!”, esclamò poi, felice di aver trovato una soluzione.

“Mi sembra che tu abbia le idee già molto chiare”, disse Kairi scompigliandogli ancora di più i capelli. “Ma una semplice spada non ti piacerebbe di più?”

Kain scosse la testa con decisione. “No! Voglio la lancia! Voglio combattere usando il vento!”

“Va bene, vuoi la lancia”, annuì Kairi, alzando gli occhi al soffitto. “Adesso alziamoci e andiamo a mangiare, su.”

Prima di alzarsi dal letto però, Kairi pensò ad una cosa: lei era una persona con il sonno molto leggero a cui bastava un niente per svegliarsi, anche quando era molto stanca. Per questo la sera prima aveva chiesto a Kain se tirava calci, russava o si muoveva mentre dormiva. Invece, stranamente, questa notte, nonostante il bambino avesse vagato per tutto il letto, le avesse strappato le coperte e le avesse addirittura quasi messo i piedi in faccia, lei non si era accorta di nulla. Quando mai aveva avuto il sonno così pesante? Era vero che il giorno prima aveva avuto una giornata molto intensa e piena di novità ed emozioni, ma non era certo la prima volta in vita sua che andava a letto esausta, eppure aveva sempre avuto il sonno leggero. Per lo meno, se si fosse ritrovata nel letto un bimbo irrequieto che si muoveva da tutte le parti si sarebbe svegliata di sicuro. Stanotte invece aveva dormito di un sonno così profondo che nemmeno tutti i movimenti di Kain erano riusciti a disturbarla. Meglio. Almeno la notte seguente – perché era sicura che Kain le avrebbe chiesto ancora di dormire con lei – e quelle successive avrebbe dormito comunque bene nonostante la sua presenza.

Adesso era ora di andare di sotto prima che si svegliassero tutti gli altri: come il giorno prima, voleva dare una mano al personale della cucina per preparare la colazione.

 

A tavola, Kain faceva fatica a stare seduto fermo. Si agitava sulla sedia e scalciava impaziente.

“Dopo viene Aqua! Ci pensate, maestà? Viene ad allenare Kairi! Potrò vedere Kairi che picchia un avversario!” ripeteva senza riuscire a stare zitto.

I presenti mangiavano con una passiva rassegnazione e facendo finta di non sentirlo. Ansem si era seduto di fianco a lui, e ogni volta che Kain esagerava gli mollava uno scappellotto sulla nuca. Kain stava buono per un po’ e poi riattaccava con il suo nastro di parole emozionate.

“Non è che devi farti chissà che idee, Kain, Aqua oggi mi metterà solo alla prova per vedere il mio livello. Non aspettarti la battaglia del secolo”, gli disse Kairi appoggiando sul piatto la sua fetta biscottata con la marmellata.

“E se continui a comportarti così, kupò, la farai solo innervosire”, aggiunse Mog, succhiandosi la zampa sporca di zucchero.

“Kain”, lo richiamò con calma Even. “Vuoi comportarti come uno del tuo rango, o no?”

Quelle poche parole dell’apprendista ebbero l’effetto che tutti i richiami di Ansem, Kairi e Mog non avevano avuto. Appena a Kain tornò in mente che in futuro sarebbe stato un principe, si rimise composto sulla sedia, serio e soffocando la sua agitazione.

“Grazie”, sospirò Ansem, guardando il suo apprendista. “Non sono nemmeno le otto del mattino e già sono stanco. Kain, devi imparare a darti una regolata.”

Kairi, ridacchiando, allungò una mano per prendere un’altra fetta biscottata ricoperta di marmellata dal vassoio al centro della tavola.

“Non state esagerando un po’?”, chiese Ienzo nel frattempo. “Ehi, signorina, parlo con voi.”

“Eh?”, gli chiese Kairi, sorpresa, con la mano tesa. “Esagerando?”

“E’ la dodicesima”, rispose Ienzo, guardandola perplesso.

Ad Ansem, che stava bevendo il caffè, andò la bevanda di traverso e, senza perdere la sua dignità regale, tossì con discrezione nel palmo della mano alcune volte prima di recuperare la sua normale compostezza.

“Figliola, dodici fette? So che ti avevo detto di riprendere a mangiare, ma non esagerare, se ti riempi troppo tutto in una volta poi non riuscirai a muoverti come si deve.”

“Ma non è vero che sono dodici…” protestò Kairi, non troppo convinta, perché non aveva tenuto il conto.

“Invece sì, vi ho osservato e le ho contate”, rispose Ienzo con sicurezza.

“Maestà”, commentò Even con ironia “Vostra figlia ha interiorizzato bene il concetto di rimettere su peso.”

“Ma non devi neanche eccedere nell’altro senso, Kairi”, si raccomandò il vecchio principe. “Se sono già dodici, fai basta, o ti faranno male. Mangerai di più a pranzo.”

“Ma in realtà…” provò a ribattere Kairi, ma quando vide che il suo vecchio padre la fissava con uno sguardo severo che non ammetteva repliche, annuì e lasciò stare la fetta biscottata.

“Ah-ah, Kairi è una mangiona e non lo sapevamo!”, non poté evitare di commentare Kain, perdendo la sua forzata compostezza e battendosi una mano sulla coscia. “Attenta che poi la divisa non vi entra!”

“Tu non ricominciare”, lo ammonì Ansem. “Ci manca solo che non le entrerà la divisa quando sarà ora, gliel’ho fatta fare sulla misura del suo peso forma.”

 

Kairi, pronta e solo con una maglietta e dei pantaloncini addosso, poco prima delle nove si mise davanti al portone del castello ad aspettare, con le guardie dritte accanto a lei, ognuna da una parte. Per la verità quella mattina faceva abbastanza freddo, ma lei era sicura che durante la prossima ora si sarebbe mossa parecchio e si sarebbe scaldata per bene, e quindi non si era preoccupata di vestirsi leggera.

Quando scoccarono le nove, i presenti videro qualcosa che, nel cielo bucava la coltre di nubi grige, e il profilo di Aqua, con la sua armatura argentea addosso e a cavalcioni del suo Keyblade opportunamente trasformato, apparve in un bagliore di luce e in pochi attimi atterrò davanti a Kairi. Aqua smontò dalla sua arma e l’armatura si dissolse.

“Maestra!”, la salutò Kairi con rispetto avvicinandosi, e Aqua la abbracciò stretta in modo affettuoso. “Puntualissima, vedo!”

“Che bello rivederti!”, esclamò la ragazza più grande, stringendola a sua volta. “Certo, non potevo di sicuro arrivare in ritardo per una persona come te! Hai dormito bene stanotte?”

“Sì, ma ero un po’ emozionata per oggi”, annuì Kairi. Si meravigliò di constatare come ormai la differenza di altezza tra loro due non fosse più molta, anzi, ormai Kairi l’aveva praticamente raggiunta.

“Aqua!”, la salutò il vecchio principe, con Kain di fianco a lui, uscendo dal portone, ben vestito, con la giacca color panna a maniche lunghe, le placche d’armatura sulla spalla, la cintura stretta in vita, i pantaloni neri e la sciarpa rossa girata due volte attorno alle spalle. “Che onore ricevervi come ospite!”

“Principe Ansem”, salutò Aqua facendo un rispettoso inchino.

Anche Kain si avvicinò e, come aveva fatto con Kairi due giorni prima, salutò l’ospite prendendole la mano e baciandogliela.

“Oh, ma chi abbiamo qui?”, chiese divertita Aqua, compiaciuta da quel bimbo così rispettoso, chinandosi per avere la testa all’altezza della sua.

“Il futuro principe”, rispose Kairi, lanciando un’occhiata di intesa alla maestra. A lei poteva dirlo, visto che Aqua non faceva parte del popolo di quel mondo e non avrebbe potuto in alcun modo creare dei problemi a Kain.

“Ma allora non c’è dubbio su chi sia la persona più importante fra i presenti”, aggiunse Aqua, e chinò la testa davanti al piccolo. “I miei rispetti, altezza.”

Kain voleva fare lo stoico, ma a quell’inchino si emozionò e girò la testa imbarazzato, con le guance arrossite.

Le due ragazze si misero a ridere, e Aqua chiese a Kairi: “dove pensavi di volerti allenare?”

“Aspetta, Aqua”, la interruppe Ansem. “Kairi ieri sera mi ha detto. Ma non devi preoccuparti, non ho intenzione di lasciarti fare questo servizio gratis.”

“State tranquillo, maestà, è una cosa che faccio con piacere”, rispose Aqua con modestia. “Non voglio denaro da voi, non c’è problema.”

Ansem allora la guardò con rispetto e si inchinò davanti a lei, nonostante fosse il principe regnante di quel mondo. “Sappiate che sarete sempre la benvenuta e sarà per noi un onore ospitarvi ogni volta che vorrete.”

Aqua annuì e si rivolse a Kairi. “Allora?”

“Ma veramente… non so…”, rifletté la più giovane, pensierosa. “Abbiamo dei giardini privati, ma adesso piove. Forse è meglio trovare una stanza dentro il castello.”

“No, invece va benissimo”, assicurò contenta Aqua. “Tieni conto, Kairi, che ti potrà capitare di combattere con qualunque condizione atmosferica. Pioggia, neve, caldo, tutto. Quindi se piove, c’è fango e si scivola, tutto ciò mi permetterà di valutarti con un parametro in più. Sennò sarebbe troppo comodo, non pensi?”

“Oh, certo”, annuì subito Kairi. A questo non aveva pensato. Effettivamente era vero: l’allenamento doveva rispecchiare le vere condizioni di battaglia. Lei non sapeva dove avrebbe combattuto più avanti, quando o contro che nemici. Era il caso quindi di prepararsi a tutto.

“Allora andiamo in uno dei nostri due giardini privati, d’accordo”, assentì, e si girò verso suo padre.

“Tranquilla, figliola, io e i miei apprendisti ci prenderemo una pausa dal lavoro e vi verremo a vedere”, la rassicurò Ansem. “Adesso ti apro il cancello. E tu…”, volse lo sguardo in basso di fianco a sé. “Cerca di non distrarre Kairi. Altrimenti ti riporto dentro”, ammonì Kain.

 

Una volta nel giardino privato della famiglia reale, che era più piccolo di quelli pubblici ma comunque abbastanza grande per poterci svolgere un combattimento, pieno di fango e col terreno scivoloso per l’acqua piovana, Aqua si portò da un lato mettendosi alla massima distanza da Kairi. La pioggia batteva implacabile sulle due ragazze, ma non era molto potente, così che, parlando a voce alta, potevano sentirsi a vicenda. Il vecchio principe, con Kain stretto a sé, e i due apprendisti, stavano in disparte vicino al cancello, al sicuro sotto i loro ombrelli.

Aqua evocò il suo Keyblade, ed anche Kairi richiamò il suo.

“Allora, Kairi”, gridò Aqua dalla sua postazione. “Quello che voglio adesso è che mi attacchi, per vedere a che punto sei.” Poi socchiuse appena gli occhi, in maniera rilassata. “Come sai, essendo donne non possiamo contare molto sulla forza fisica, ecco perché personalmente concentro il mio stile sulla magia, e penso che anche per te…” Mentre parlava in modo tranquillo e noncurante, quasi desse l’impressione di non preoccuparsi per nulla dell’avversaria che aveva di fronte, sentì un veloce rumore dato dallo sguazzo sul fango, ed aprì in tempo gli occhi per vedere Kairi precipitarsi addosso a lei come una scheggia, col Keyblade pronto e un’espressione concentrata e determinata sul viso. Aqua venne presa talmente alla sprovvista che non trovò neanche il tempo di parare: dovette fare uno scatto all’indietro per sfuggire al colpo di Kairi. Evitato quello, si preparò a contrattaccare, ma Kairi non le diede un attimo di tregua e non le lasciò il tempo di organizzarsi. Subito diede un fendente, poi un altro e un altro, che Aqua riuscì ad evitare sempre per un soffio, ma senza comunque riuscire a rispondere. Le combo della futura principessa erano veloci e precise: due colpi erano dati rapidi tenendo l’arma con una mano sola, e per il colpo finale, con una specie di incantesimo, il Keyblade le si staccava dalla mano, quasi dissolvendosi faceva dei cerchi rapidi attorno a lei, potendo potenzialmente colpire tutto ciò che le stava attorno. Solo grazie alla sua grande abilità, Aqua riuscì a schivare e parare tutti quei colpi.

“Va bene, va bene, basta!”, le comandò la più grande dopo un po’ che andava avanti in questo modo.

Kairi obbedì e si fermò, ansimando leggermente e senza alleggerire l’espressione.

“Accidenti”, commentò sorpresa Aqua. “Cosa volevi dimostrare con questo?”

“Non lo so…” rispose Kairi, che si stava calmando. “Non penso nemmeno di averlo fatto in modo del tutto consapevole… ti ho visto lì, sapevo che eri la mia avversaria e dovevo combatterti, e mi sono sentita una grande forza dentro. Scusa se sono partita all’improvviso…”

“No, la colpa è stata mia. Quando è ora di combattere, non bisogna mai chiudere gli occhi. E’ che ti avevo sottovalutata.” La rassicurò Aqua. “Comunque ho visto quella forza che dicevi. Non hai usato nemmeno un incantesimo. Ti trovi meglio a combattere usando la forza fisica? E’ una cosa molto strana… anche se abbiamo uno spirito forte, siamo comunque donne, lo sai.”

“Sì, mi trovo meglio con gli attacchi fisici. E mi sembra che funzionino. Non so perché…” cercò di spiegarsi Kairi.

“Va bene, adesso il perché non è importante. Quello che conta è che trovi uno stile tuo. Se ti trovi meglio con la forza invece che con la magia, va bene lo stesso, basta che sia efficace.”

Kairi fu contenta che la sua nuova maestra non cercasse di forzarla a cambiare il suo stile di combattimento cercando di farlo assomigliare al proprio, ed annuì con rispetto.

“Woah, avete visto? Avete visto tutti?!”, si sentì gridare dal bordo campo in modo eccitato. “Guardate Kairi come mena!”

E a quel punto la voce severa e profonda di Ansem rispondere: “Kain, se non la finisci subito, questo giardino non lo vedi fino a primavera.”

Le due donne risero divertite, e Aqua disse: “vogliamo continuare? Torna al tuo posto. Stavolta non mi farò trovare con la guardia abbassata.”

Kairi annuì e, con la pioggia che continuava a infiltrarsi tra i suoi capelli, offuscandole la vista e inzuppandole i vestiti, si preparò di nuovo, irrigidendo i muscoli e fissando negli occhi la sua avversaria, altrettanto pronta e concentrata. A un guizzo negli occhi di Aqua, Kairi decise di utilizzare l’altra tecnica in cui era abile. Con un veloce movimento della mano, lanciò il Keyblade verso di lei e, quando fu arrivato vicino alla donna più grande, si teletrasportò in un fascio di luce, riapparendo vicino alla sua arma, riafferrandola e menando dei forti colpi.

Aqua, esterrefatta dall’utilizzo di una tale tecnica, benché fosse concentrata non si aspettava una mossa simile, e quindi le ci volle un po’ per potersi riprendere ed iniziare a riuscire a parare. Appena ebbe un attimo di respiro, evocò un campo di forza attorno a sé per allontanare Kairi e riuscire a riorganizzarsi. “Firaga!”, gridò lanciando un incantesimo contro la sua allieva. Kairi riuscì a pararsi in tempo evocando anche lei il medesimo campo di forza di Aqua.

“Sei brava, Kairi… non avevo mai visto niente di simile all’attacco di prima” commentò Aqua, impressionata. Senza fermarsi, lanciò altri tipi di incantesimi elementali contro di lei, e Kairi riuscì a pararli o ad evitarli quasi tutti, sfruttando anche il modo particolare che lei utilizzava per sfuggire ai colpi: scivolare con i piedi, e il terreno fangoso su cui si trovava in questo la aiutava. Non si sentiva in difficoltà: una volta aveva combattuto contro Xehanort, con l’armatura addosso e armato con un gran numero di Keyblade – anche se con l’aiuto di Sora. Cosa poteva mai essere a confronto una piccola lotta con Aqua che voleva solo testare il suo livello e non stava nemmeno usando tutte le techiche che conosceva? Oltretutto la forza fisica e l’agilità erano proprio gli elementi su cui aveva scoperto di poter puntare.

Dopo alcuni minuti, Aqua si fermò. “Pausa!”, gridò. Kairi, obbediente al comando della sua maestra, si fermò anche lei, e rimase a guardarla col fiatone, ma sentendosi forte e sicura di sé. Allora, cosa pensi, Aqua? Si chiese fra sé e sé, ansiosa di sapere il suo giudizio. Mi reputerai capace di difendere il Radiant Garden?

“Ho visto che hai una buona tecnica di attacco e sai anche parare piuttosto bene”, si complimentò Aqua. “Ma adesso voglio vedere come te la cavi con la magia. Mi attaccherai con le magie e basta, senza usare la forza, vediamo se riuscirai a prendermi.”

“In realtà…” obiettò allora Kairi. “Non sono molto brava con la magia, ti avviso. Non è il mio forte, ecco.”

“Questo lo vedremo. Non dobbiamo trascurare nulla.”

Posizionandosi di nuovo al loro posto, al via della più grande Kairi subito scelse una magia elementale. “Firaga!” gridò, sprigionando una forte vampata dalla punta del Keyblade. Aqua, che su questo era ferrata, lanciò un’idroga di potenza maggiore, riuscendo a spegnere le fiamme prima che arrivassero a lei. Subito Kairi, senza darle tregua, lanciò una thundaga, ed Aqua riuscì ad evitare anche quello parando con un campo di forza. Similmente, Kairi le lanciò contro tutte le magie che conosceva, ma Aqua riuscì a schivarle tutte.

“Basta così!”, mise lo stop dopo altri quattro o cinque attacchi. “Sei brava, Kairi! Ovviamente in questo non puoi superarmi, io sono specializzata nelle magie, ma anche i tuoi attacchi sono di alto livello. Perché dubiti delle tue capacità?”

Kairi fu piacevolmente sorpresa da questo giudizio, e allo stesso tempo non seppe cosa rispondere: non era sua abitudine ritenersi sicura su cose in cui era convinta di avere carenze, e non aveva pensato, prima d’ora, che gli attacchi di magie elementali fossero cosa per lei. Era convinta e consapevole della sua potenza fisica e della sua agilità, ma aveva sempre ritenuto la magia come un fattore secondario. Adesso invece Aqua le stava dicendo che era brava anche in quelle, e sentì il suo orgoglio, proprio del suo stato regale, affiorarle nel sangue, sorridendo soddisfatta.

“Credevo… di non essere molto capace in quanto a magia”, cercò di spiegarsi. “Ma forse mi sottovalutavo.”

 “Direi”, annuì Aqua, incoraggiante. “Adesso voglio valutare la tua resistenza fisica. Voglio che per i prossimi minuti eviti gli incantesimi di parata e usi solo la tua velocità per evitarmi. Non dovrai contrattaccare, ma solo sfuggirmi, così le volte che riuscirò a prenderti, potrò farmi un’idea precisa di quanto riesci ad accusare i colpi. Quindi metti via il Keyblade.”

“D’accordo, ci provo”, annuì Kairi. Questa era difficile: la battaglia tremenda che aveva sostenuto contro Xehanort le aveva fatto capire in modo chiaro quali fossero i suoi punti di forza e quali no e, senza possibilità di sbagliare, ricordava bene come la resistenza non fosse esattamente uno di questi. Ma la sua maestra la doveva valutare, quindi non poteva tirarsi indietro. Fece sparire la sua arma e rimase in attesa, concentrata. Aqua subito si avvicinò a lei, dando colpi precisi cercando di centrare diverse parti del suo corpo. Kairi, che era agile, sfruttando il terreno fangoso e scivoloso riuscì ad evitare parecchi colpi, ma sentì comunque alcune botte arrivarle addosso. Prima un braccio, poi la spalla, poi il fianco, la schiena, una gamba… nonostante i colpi fossero forti, riuscì ad accusarli senza cadere a terra, nonostante il tempo di ripresa per lei non fosse così scontato, e anche se le riusciva difficile, cercò di continuare ad evitarli.

“Hai una resistenza discreta”, giudicò alla fine Aqua. “Diciamo sufficiente. Ma è normale per una donna con la tua fisicità. Ci lavoreremo, vedrai che col tempo riuscirai ad accusare ancora di più senza che ti calino le energie. Facciamo un esercizio più leggero, adesso?”

Kairi però non si sentì soddisfatta di quel giudizio che la sua maestra le aveva dato. Forse Aqua aveva ragione quando diceva che lei era più capace di quello che pensava di essere. Con la magia era stato così, perché con la difesa non doveva essere lo stesso? “Ho ancora parecchie energie!”, le rispose, cercando di mostrare che le sue forze non erano affatto calate. “Continuiamo ancora un po’ con questo. Vedrai che ce la faccio.”

“Kairi, non ti sforzare!”, la ammonì Ansem dal bordo campo.

“No, va bene così”, rispose Aqua. “Mi piaci, Kairi, sei davvero coraggiosa e determinata, quando ti rendi conto delle tue capacità. Se proprio vuoi, continuiamo ancora con questa prova.”

Kairi, sorridendo compiaciuta, annuì, preparandosi a proseguire. Sentiva di essere ancora in forze e con energie sufficienti: dopo tutti quei complimenti e la prova indiscutibile della sua abilità, si stava iniziando a sentire più sicura di sé, e non voleva che la sua maestra si facesse un’idea sbagliata, pensando che non avesse abbastanza resistenza.

Evitò ancora con successo parecchi colpi, prendendone comunque qualcuno su punti già toccati in precedenza, ma non se ne curò molto. Poteva sopportarli. Ed infine, approfittando di un suo momento di ripresa da una scivolata, Aqua mollò una spadata tenendo la mano bassa ed orizzontale, centrando il ventre dell’altra ragazza, un punto che prima non era mai stato toccato. Era un colpo forte sì, ma non comunque più potente degli altri che le aveva dato in altre parti, anzi, forse vista la zona delicata, ci aveva messo anche meno potenza.

Ma non appena Kairi sentì il colpo sulla pancia, un forte dolore, che le afferrò le viscere e si propagò per tutto il suo corpo, la fece rimanere paralizzata. Era talmente intenso che i polmoni le si svuotarono senza nemmeno lasciarle la forza per gridare. Sentì i muscoli delle gambe non rispondere più, e cadde riversa sul fianco, nel fango, boccheggiando senza fiato, mentre l’acqua sporca le entrava negli occhi e nella bocca.

“Kairi, scusa!”, sentì gridare allarmata la voce di Aqua. Subito la sua maestra mise via il suo Keyblade e le si avvicinò, abbassandosi per controllarla. “Kairi, come stai? Mi dispiace, non credevo che ti avrei fatto così male…”

Kairi, che aveva il fiato spezzato e non riusciva nemmeno a parlare, istintivamente si strinse il ventre con le braccia quasi sperando di mandare via quel dolore terribile, ma non c’era niente da fare. Era come se qualcosa dentro di lei si fosse schiantato. Sentì il terreno vibrare, qualcuno che correva nel fango, e dopo poco vide i piedi di suo padre, di Kain e degli apprendisti vicino a lei.

“Kairi!” Questo era Ansem. “Kairi, figliola, riesci a dirmi qualcosa?”

“Kairi, Kairi!” gridò Kain, avvicinandosi, buttandosi in ginocchio incurante del fango che gli sporcava i pantaloni e gettandole le braccia al collo. “E’ stato un colpo forte quello, stai bene?” e fece per accarezzarle la pancia, forse nella speranza che avvenisse come quando si aveva un crampo: con un massaggio passava, a lui era capitato tante volte. Ma Kairi, senza sapere nemmeno in modo razionale perché, pur con il dolore che sentiva, riuscì ad allungare un braccio verso di lui ed afferrò la mano del bambino prima che potesse raggiungerle il ventre, allontanandola. Non voleva che nessuno la toccasse lì, e non sapeva spiegarsene la ragione, anche perché sentiva che, dopo i primi attimi tremendi, il dolore lentamente stava iniziando a lenirsi. Poteva anche lasciare che Kain le esprimesse il suo affetto in quella maniera, ma non voleva. Era come se dovesse proteggere qualcosa da chiunque non fosse lei.

“Figliola, adesso stai buona e tranquilla, che ti portiamo in ospedale”, disse Ansem, cercando di mantenere il tono controllato, e si girò verso il cancello per chiamare una delle due guardie.

“No, per una cosa così leggera non servirà”, intervenne Aqua, ed evocò di nuovo il Keyblade, puntandolo verso la ragazza. “Curaga!”, gridò, facendo uscire dalla sua arma un fascio di luce e scintillii verdi.

Kairi sentì che il dolore al ventre le stava velocemente passando, e dopo pochi attimi riuscì senza fatica a sollevarsi. Si tirò su a sedere e lentamente si rimise in piedi, sentendo l’acqua e il fango gocciolarle dai capelli e dai vestiti. Alzò lo sguardo e vide che tutti la stavano guardando con apprensione. Kain si stava tenendo la mano che Kairi gli aveva allontanato con l’altra, con in viso un’espressione così ferita che lei quasi si sentì in colpa, e dovette distogliere gli occhi da lui.

“Stai un po’ meglio?”, le chiese ansioso suo padre. Kairi lo guardò in viso ed annuì. Non stava mentendo per farli smettere di preoccupare. Non sentiva più nessun tipo di dolore, Aqua era stata così brava col suo incantesimo da averla rimessa completamente in sesto.

“E allora perché vi tenete ancora la pancia?”, chiese Ienzo, con voce dubbiosa.

Solo allora Kairi si rese conto che non si era più tolta le braccia dal ventre per tutto quel tempo, e se prima poteva essere giustificabile, perché premere sulla parte dolorante attenuava un po’ il dolore, adesso che si sentiva di nuovo bene non c’era motivo perché continuasse a stringersi la parte che prima le faceva male. Ebbe la stessa sensazione di prima, che istintivamente stesse cercando di proteggere qualcosa di specifico, e questo qualcosa non era lei o una parte del suo corpo. Anche se non era di certo un pensiero cosciente che aveva formulato. Allora si tolse finalmente le mani di dosso, allineandole ai fianchi.

“Grazie, maestra, adesso sto di nuovo bene”, chinò la testa davanti ad Aqua. “Vogliamo… riprendere?”

“Tu oggi non riprendi proprio niente”, le disse perentorio suo padre, con la preoccupazione nella voce. “Non voglio vederti stramazzare di nuovo come è successo prima. Adesso stai tranquilla nel castello e riposati. Riprenderai la prossima volta, sarà Aqua a decidere quando.”

Kairi si stupì di come suo padre mostrasse di essere davvero preoccupato per lei, e decise di non insistere. Forse, a parte quel piccolo incidente, Aqua aveva avuto una chiara dimostrazione delle sue capacità.

“Maestra, è ancora presto, vuoi fermarti un po’ con noi?”, le chiese.

“Volentieri”, annuì Aqua, sorridendo. “Non ho mai visto da dentro il castello del Radiant Garden, sarà un piacere vedere la tua nuova casa.”

“Almeno ci diamo una lavata, che non fa che stiamo con tutto questo fango addosso”, scherzò Kairi, tornata di buon umore.

 

Mentre si avviavano verso l’entrata, Aqua, ora al sicuro sotto l’ombrello retto da Kairi di fianco a lei, alzò gli occhi verso l’imponente costruzione, con sguardo ammirato.

“Certo che questo castello è davvero bizzarro, non trovi? Io ho visto in passato castelli di altri regni, del regno di Aurora, di Biancaneve, di Cenerentola… ma il tuo è di certo il più particolare.”

“Sì”, annuì Kairi. “Con tutte queste guglie e costruzioni strane, quella macina sul davanti… non è qualcosa che si vede in ogni mondo.” Chissà se anche tutto questo era stato voluto da quello strano principe di cui aveva letto la sera prima?

“Ma a modo suo dà una grande idea di potenza. Sembra qualcosa fatto apposta per intimorire chi lo guarda”, commentò Aqua.

Allora Kairi capì che forse l’aspetto del castello aveva quello scopo lì: forse era come una rappresentazione del potere di chi governava, e avere timore davanti a quel castello equivaleva ad avere timore del principe. La politica di quel regno era sempre stata questa, in fondo.

Una volta dentro, Kairi fu felice di accogliere Aqua nella sua camera. Le due donne non avevano molta voglia di stare in compagnia degli altri abitanti del castello: stare un po’ da sole, tra ragazze, avrebbe fatto bene a tutte e due. Kairi, in fondo, si sentiva molto sola in quel gigantesco castello in cui la sua nuova famiglia era composta da uomini molto più grandi di lei e da un bambino piccolo. Sentiva il bisogno di un’amica della sua età, e sperò che Aqua lo capisse.

Dopo essersi lavate e riscaldate a turno nel bagno collegato alla camera di Kairi, la più giovane si sedette sul letto e lasciò la poltrona alla più grande. Kairi era curiosa di conoscere il giudizio che le avrebbe dato la sua maestra. Sperò che il suo stramazzo a terra dell’ultima parte dell’allenamento non influenzasse troppo il suo voto.

“Allora, Kairi”, disse scherzosa Aqua. “Com’è che hai voluto che io ti allenassi? Di cosa pensavi di avere bisogno?”

Kairi era interdetta. Non riusciva a capire cosa significasse quella frase. “Ecco… di tutto?”, azzardò.

Aqua alzò appena lo sguardo al soffitto. “Guarda, ti dico subito che credo di aver compreso perché Xehanort ce l’avesse tanto con te, quella volta.”

Kairi, curiosa anche lei di sapere il motivo, la fissò, attendendo che proseguisse.

“Perché se ti avesse lasciata fare, probabilmente saresti bastata tu per sistemarlo”, sorrise soddisfatta.

Kairi si sentì arrossire e girò il viso, non riuscendo a guardarla. “Non esagerare, maestra… non credo di essere così brava come dici.”

“In realtà non vedo proprio cos’altro potrei insegnarti io che tu non sai. Sì, forse a perfezionare ed affinare qualcosa, ma mi sembra che tu abbia delle basi ottime. Questo è il mio giudizio”, sentenziò la più grande.

Kairi allora la guardò di nuovo apprensiva. Questo stava forse a significare che Aqua non sarebbe più tornata e non sarebbe più stata con lei?

“Ma mi rendo conto che anche delle buone abilità si possano perdere, se non ci si tiene allenati”, continuò la maestra. “Quindi, se per te va bene, verrei qui due volte alla settimana per allenarmi una mattinata con te. Vedrai che in questo modo migliorerai e non ti dimenticherai nulla di tutto quello che sai.”

Kairi si sentì enormemente sollevata. Capì il motivo delle sue parole: in parte era vero ciò che aveva detto, ma sapeva anche che Aqua era una donna dotata di una grande empatia, e di sicuro aveva percepito il senso di solitudine e smarrimento in cui si trovava Kairi, in quel mondo nuovo, e non aveva intenzione di lasciarla sola, senza una figura amica vicino. Perciò, senza riuscire a trattenersi, si avvicinò a lei e la abbracciò al collo, con riconoscenza.

“Grazie, maestra… mi rende davvero felice il tuo giudizio. Facciamo così, allora.”

Anche Aqua la strinse forte di rimando, e Kairi sentì un forte affetto nel suo abbraccio. Era sicura che Aqua non si era mai dimenticata di quando l’aveva incontrata da piccola, le aveva trasmesso la capacità di impugnare il Keyblade e le aveva lanciato l’incantesimo di protezione per difenderla dalle minacce che avrebbero invaso il suo mondo. In qualche modo, quel loro primo incontro le aveva legate, ed era un vincolo che, con buona probabilità, coltivandolo nel modo corretto, sarebbe nel tempo diventato più forte.

Quando Kairi tornò a sedersi, Aqua le chiese come si stesse trovando in quel mondo per lei nuovo, e Kairi, felice di poter raccontare le sue impressioni a qualcuno, le descrisse nei minimi dettagli tutto quello che aveva visto in quei pochi giorni. Le descrisse come le erano sembrati i quartieri, gli abitanti, suo padre e Kain, ed anche i problemi che era riuscita a carpire dalle bocche dei sudditi. Aqua ascoltava interessata, facendo ogni tanto qualche domanda per avere un chiarimento, visto che Kairi aveva tante cose da dire, e passava velocemente da un argomento all’altro senza seguire un ordine preciso.

“Secondo te”, le chiese infine Kairi “faccio bene a voler governare in questo modo? Volendo essere un’amica dei sudditi, e non cercando di mettere loro paura?”

Si sentiva in tensione: l’opinione della sua maestra per lei voleva dire molto, e se anche lei, oltre a suo padre, le avesse dato un’opinione negativa, forse avrebbe sul serio dovuto riconsiderare tutte le decisioni che aveva preso.

“Penso che la tua decisione sia giustissima, Kairi”, annuì Aqua, convinta. “Non sono e non sarò mai una principessa, ma se fossi al posto tuo, farei esattamente come te, seguendo i tuoi ragionamenti. Non si può pensare di governare un popolo mantenendolo nella paura, sarebbe una cosa davvero orribile. I sudditi devono fidarsi di te e sapere che potranno sempre contare su di te. Quindi hai tutto il mio appoggio.”

Kairi sospirò di contentezza. Aqua era d’accordo con lei. Per lei non c’era più nessun dubbio. Avrebbe continuato nel modo che aveva deciso, senza più porsi domande.

“E a te, come vanno le cose a casa?”, si informò poi Kairi. “Terra e Ventus stanno bene?”

“Sì, stanno bene tutti e due, Ventus è diventato grande anche lui e non ha più bisogno di me, ormai. E’ anche per questo che sono contenta di aver trovato un’allieva come te”, le sorrise Aqua, e Kairi ne fu contenta: per quello che sapeva, Aqua aveva sempre avuto un forte istinto materno verso Ventus, e adesso che lui era cresciuto, forse stava trovando in lei un suo sostituto, qualcuno di cui occuparsi in futuro.

“E Terra… beh, ti ho detto, lui e Riku si sono messi in contatto e li ho sentiti un po’ parlare. Sembra che vadano molto d’accordo. Sei proprio sicura di non volermi dire cos’è successo?”, chiese Aqua preoccupata. “Nemmeno Terra ha voluto dirmelo, penso che Riku si sia confidato con lui e sia una cosa che hanno deciso di tenere per loro.”

Kairi ci pensò un po’ su. Confidarsi anche lei con Aqua, come Riku aveva fatto con Terra? Aprirsi confessandole tutto o tenersi questo peso per sé? Alla fine, decise di non dirle nulla. Si sentiva terribilmente in colpa per come erano andate le cose con il suo amico, e parlare di lui e pensarci l’avrebbe fatta stare ancora peggio, senza la possibilità di risolvere comunque niente.

“No, guarda… preferisco di no” mormorò a testa bassa.

Aqua non cercò oltre di convincerla. “Quando vorrai, sai che sono qui. Deciderai tu se parlarmene o meno, in futuro. Io non te lo chiederò di nuovo.”

Kairi si sentì molto sollevata da quelle parole e dalla comprensione che la sua maestra le dimostrava. Forse più avanti le avrebbe spiegato quello che era successo con Riku, ma ora non se la sentiva. Anche se sapeva perfettamente che la colpa del loro litigio era sua, per il momento associava il ragazzo solo a sensazioni negative: la sofferenza perché non si ricordava di Sora, il risentimento per il modo freddo e rabbioso in cui era stata trattata, la consapevolezza che lui adesso aveva preso un’altra strada e con lei non avrebbe più voluto avere a che fare… da una parte Kairi sentiva il desiderio di riappacificarsi con lui, dall’altro non lo voleva più vedere, ne pensare a lui o sentirlo nominare. In realtà, pensava che la spaccatura fra loro due che si era creata non si sarebbe potuta riempire in alcun modo. Doveva accettarlo e tirare avanti: era inutile restare attaccata alla propria vita passata. Solo il ricordo del suo innamorato ancora la faceva guardare indietro. Se non fosse stato per quello, avrebbe volentieri cancellato tutto.

Le due ragazze restarono insieme fino all’ora di pranzo: Kairi le mostrò la sua stanza, facendo attenzione a non farle vedere la lettera che aveva scritto due sere prima a Sora, e dopo che Aqua si fu ambientata rimasero a chiacchierare di cose più leggere: Kairi era molto curiosa verso i mondi che componevano l’universo, qualcuno era riuscita a vederlo insieme a Sora prima che lui sparisse, ma sapeva che ce n’erano molti altri di cui non sospettava nemmeno l’esistenza. Quanto avrebbe voluto visitarli tutti insieme al suo innamorato, se solo lui ci fosse ancora stato. Non potendo farlo, volle sapere da Aqua tutti i dettagli sui vari mondi che lei aveva visitato ormai tredici anni prima, e Kairi ascoltò con grande piacere e trasporto la descrizione di tutti quei paesaggi, quei castelli, quelle persone che la sua maestra aveva aiutato, e tutto quello che aveva fatto nel frattempo per cercare di salvare i suoi amici.

Solo per caso, dopo poco tempo che parlavano, buttò un occhio all’orologio sul comodino.

“E’ quasi ora di pranzo!”, esclamò sorpresa. “Quanto siamo state qui a parlare?”

“Ormai sono due ore”, rispose contenta Aqua. “E’ volato il tempo.”

“Maestra, grazie per essere stata con me, ma adesso devo andare”, le disse Kairi, alzandosi sentendosi di fretta. “Ho promesso a una famiglia del popolo che oggi sarei stata a mangiare da loro.”

“Che cosa bella!”, commentò Aqua. “Vedrai, sarai una principessa fantastica, Kairi. Anch’io vado, Terra e Ventus mi aspettano per pranzo. Noi ci rivediamo fra tre giorni, va bene?”

“Sì”, annuì Kairi. Entrambe le donne erano contente, perché tutte e due avevano trovato nell’altra un soddisfacimento a un bisogno che avevano: Aqua aveva trovato una nuova persona di cui occuparsi, e Kairi aveva trovato una nuova amica con cui poter rilassarsi, essere in sintonia e trovare un attimo di respiro agli impegni del regno.

 

Una volta fuori, le due ragazze si separarono, Aqua partì verso casa sua usando il suo Keyblade come mezzo di trasporto, e Kairi si diresse verso la casa di quella sarta che aveva aiutato il giorno prima, cercando di non correre per evitare di arrivare spettinata e sudata. Cercando di adeguarsi al suo futuro ruolo, mantenne un passo sicuro e dignitoso, pur evitando di lasciar trasparire alcunché che potesse sembrare intimidatorio. Se qualcuno l’avesse incrociata per strada, avrebbe subito capito che la sua futura principessa era una donna sicura di sé e forte, ma che non aveva intenzione di far del male o minacciare nessuno. Visto che però era ora di pranzo e per di più pioveva, non incontrò nessuno, e superò in fretta i vari gruppi di case per ritrovarsi di fronte all’abitazione della famiglia a cui il giorno prima aveva promesso di venire per un pranzo.

Tirò un gran respiro per calmarsi, visto che aveva camminato con passo veloce per tutto il tragitto, e suonò il campanello di fianco all’entrata.

“E’ arrivata, è arrivata!”, sentì gridare due vocette da dentro, e subito dopo la porta si aprì, con il fratello più grande che nel frattempo dava uno spintone a quello più piccolo per poterlo allontanare da lei.

“Buongiorno, bambini!”, li salutò allegra Kairi, piegandosi leggermente sulle ginocchia per mettersi alla loro altezza. “E’ tornata la mamma?”

“Entrate, entrate pure!”, si sentì a quel punto, e Kairi, con i bambini che le facevano spazio tra un inchino e l’altro, entrò nella casetta dopo essersi asciugata le scarpe. “Bambini, fate accomodare la nostra ospite. Scusate, signorina, se non vengo ad accogliervi, sto sorvegliando la zuppa perché non si bruci.”

“Non vi preoccupate”, rispose Kairi, sentendosi in qualche modo contenta: se una futura principessa si presentava a casa di un suddito, ci si aspettava che la padrona di casa mollasse tutto e venisse a fare inchini su inchini, tremabonda e sottomessa, e invece, visto che la donna si era resa conto che da Kairi non c’era da temere, la stava trattando come un’ospite normale, di riguardo sì, ma non certo come ci si aspetterebbe per un reale. Contenta che il concetto di non farsi temere fosse passato, chiese ai piccoli: “allora, avete aiutato la mamma a mettere a posto?”

“Sì, sì, ho fatto tutto io!”, si vantò il più piccolo.

“Brutto bugiardo, non è vero, ho messo a posto io, tu stavi a guardare e basta!”, protestò il grande, e diede un altro spintone al fratello, che si mise a piagnucolare.

“Su, su, non si risolvono queste cose con la violenza”, li ammonì Kairi. “Siete stati bravi tutti e due, ne sono sicura.” Poi guardò dentro una delle stanze che si affacciavano sul breve corridoio, e notò un divano un po’ logoro e un tavolino di legno al centro della stanza. Intorno, c’erano alcuni scaffali con dei libri per bambini e uno scatolone con dei giocattoli che avevano un che di vissuto.

“Questo è il salotto?”

“Sì, e di là c’è la cucina, venite!”, la invitò il più grande e la guidò stando davanti a lei, mentre il piccolo era alla retroguardia.

Kairi vide che c’era un grande tavolo, sempre di legno, al centro della cucina, e in un angolo c’erano i fornelli su cui la sarta che aveva conosciuto il giorno prima stava mescolando la minestra.

“Signorina Kairi!”, la salutò la donna lasciando per un attimo il suo lavoro ed inchinandosi. “E’ quasi pronto. Sedetevi pure, mentre la zuppa si stringe.”

“A capotavola vi dovete mettere!”, disse subito il bimbo piccolo. “Al posto d’onore!”

Kairi guardò la tavola e vide che era stata apparecchiata in modo modesto ma con tutta la cura a cui quella famiglia era possibile. I piatti erano di coccio, con qualche crepa, e le posate erano di semplice stagno, ma il tutto sembrava molto pulito.

“Grazie mille ancora per l’invito, non vedo l’ora di mangiare insieme a voi”, salutò contenta la signora.

“Purtroppo vi dovrete un po’ adattare, signorina, lo so che voi aristocratici non siete abituati ai nostri ambienti…” si scusò in anticipo la donna, portando la minestra sul tavolo.

“Oh, no, al contrario”, si affrettò a fermarla Kairi. “E’ al castello che non mi trovo molto bene. Tutti quei camerieri che servono, e tutti quei cibi raffinati che non si capisce nemmeno che roba è… mi trovo molto meglio in una casa e dei cibi semplici come i vostri.”

I due bambini la guardarono a bocca aperta, ed anche la madre sembrava interdetta come il giorno prima. “Ma il nostro pranzo è davvero molto modesto”, cercò ancora di mettere le mani avanti. “E’ una zuppa di legumi e cereali, e poi ci sono le patate arrosto e le erbe che ho comprato al mercato dei contadini stamattina, passate in padella. Dovete scusarmi, so che non ci crederete, ma di solito preparo solo il primo, a meno che non ci sia una festa. Questo generalmente è il pranzo della domenica…”

“Vi assicuro che va bene”, insisté Kairi. “Sembra molto più appetitoso di quella minestrina che ho mangiato l’altro giorno a pranzo.”

“Però bisogna dire una cosa”, aggiunse il ragazzino, con un certo orgoglio nella voce. “Non sarà un pranzo da ricchi, ma la quantità è tanta. Io e mio fratello non ci alziamo mai con la fame.”

“E questo è quello che conta”, commentò contenta Kairi, scompigliandogli i capelli. “E’ pronto, quindi? Ho veramente molta fame. Sapete, stamattina mi sono allenata nel combattimento…”

Alla famiglia si illuminarono gli occhi a sentire quelle parole, e la sarta invitò Kairi a prendere posto, mentre riempiva di zuppa i piatti.

Guardando gli altri commensali, Kairi non poté fare a meno che in quella stanza mancava qualcosa, o qualcuno.

“Dov’è vostro padre?”, chiese ai bambini.

“Babbo è al lavoro adesso”, spiegò il più grande. “Lavora nel reattore. Fa la pausa pranzo lì. Una volta lui e gli altri operai lavoravano a tempo pieno e c’erano molti più soldi. Adesso il reattore non va quasi più. Lui non è stato licenziato come molti altri, però deve far produrre solo l’energia per le persone ricche, quindi lavora poco e lo pagano poco, e anche noi abbiamo molti meno soldi rispetto a prima…”

“Su, tesoro, non fare la vittima, adesso”, lo rimproverò sua madre. “Noi in questo regno siamo nella fascia media della popolazione, non è proprio il caso di parlare in questo modo davanti alla principessa.”

Kairi non sapeva se sentirsi compiaciuta per il fatto che quella donna riconoscesse già la sua autorità al punto da chiamarla principessa anche se ancora non lo era, o angosciata per il fatto che le avesse detto che la loro famiglia si trovava nella fascia media. Era questo che la fascia media poteva permettersi per pranzo? Una zuppa di legumi e cereali? E che soltanto la madre lavorasse con continuità e il marito arrancasse? Come dovevano essere messi i più poveri, allora?

“Buon appetito a tutti!”, augurò, scacciando i suoi pensieri, ed immerse il cucchiaio nella minestra.

Il sapore di quel cibo era molto diverso da tutto ciò che aveva mangiato finora: era cresciuta in delle isole tropicali e calde, e da loro non erano certo contemplate le zuppe; al castello certe preparazioni erano troppo semplici perché potessero venire servite all’aristocrazia. Ma in quel piatto di zuppa, Kairi ritrovò quel sapore familiare e conviviale, libero da etichette e regole, che aveva caratterizzato la sua vita fino a pochi giorni prima. Ricordò come, nei suoi pasti precedenti, quei cibi raffinati e quasi indefiniti erano arrivati quasi a disgustarla. Questi sapevano di famiglia e di casa, anche se non conosceva quasi quelle persone con cui stava pranzando, e mangiò con gusto il suo piatto, mentre la madre dei bambini la guardava incredula. Evidentemente il vedere un membro della famiglia reale apprezzare così tanto un cibo così modesto era troppo anche per lei.

“Allora, altezza… accennavate prima che vi state allenando nel combattimento?”, chiese con discrezione.

“Sì”, annuì Kairi quando ebbe finito la zuppa. “Potrei averne ancora, se ce n’è? Era davvero buonissima!”

“E come no? La pentola è ancora piena per metà, possiamo tutti riempirci il piatto due volte. Sono davvero felice che vi piaccia”, si complimentò la sarta, affrettandosi a riempirle il piatto di nuovo.

“Dicevo, mi sto allenando perché per me combattere è una cosa fondamentale. Mio padre mi ha detto che non ci sono più Heartless in giro, ma non si può mai sapere, per il futuro. Voglio essere io a combattere in prima persona per proteggervi”, spiegò Kairi.

“Avete sentito, bambini?”, disse ammirata la donna ai figli. “Avete sentito come la nostra principessa tiene a noi?”

“Sì! Siete davvero grande, altezza!” approvarono i due bambini, che nel frattempo avevano finito anche loro la propria porzione.

“A proposito, signora… mi può spiegare come funziona la sicurezza in questo regno? Non lo so, c’è un esercito, qualcosa…?”

“Una volta c’era”, rispose tristemente la donna. “Ma si è sciolto con la caduta nell’oscurità del nostro mondo, e poi non è più stato ripristinato. Sarebbe stato inutile. Nessun soldato avrebbe più obbedito a vostro padre. Potete capire come ci sentiamo sicuri… quei brutti mostri oscuri non sono più apparsi, ma chissà, più avanti… gli unici che fra noi sono in grado di difenderci sono Squall e i suoi amici, ma si contano sulle dita di una mano, quindi immaginate…”

“Certo, capisco”, annuì Kairi. Era uno dei problemi su cui avrebbe presto messo le mani: occorreva un esercito efficiente per quel mondo, sia per dare sicurezza ai cittadini sia nel caso gli Heartless avessero attaccato di nuovo. Ed inoltre era il caso di potenziare anche il sistema di difesa del castello e delle mura. Ci avrebbe riflettuto.

“Per il resto noialtri non ci possiamo lamentare”, continuò la sarta. “Purtroppo a livello pubblico mancano tutti quei supporti che con un normale fluire di soldi sarebbero normali e scontati. Si parla di sanità e di istruzione, ma anche di riparazioni delle case, delle strade, dei servizi… per questi motivi, la povertà aumenta, e di conseguenza i soldi sono sempre di meno. E’ un ciclo chiuso, purtroppo.”

Alla fine i discorsi tornavano sempre lì. Se i sudditi avessero pagato la loro quota, nel tempo e negli anni le cose si sarebbero aggiustate. Certo c’erano altre cose da fare, ma quello era il punto principale. Ma il problema adesso era un altro: se fra due mesi lei fosse diventata principessa, avrebbe avuto il potere di imporre anche lei una tassa ai cittadini. Però già loro in teoria ne avevano una, data da suo padre, e comunque non la pagavano. Se ne avesse decisa lei stessa un’altra forse le cose non sarebbero cambiate. Era davvero quella di obbligare la via più giusta per ottenere qualcosa?

“E voi la pagate la vostra quota di tasse, signora?”, chiese con noncuranza.

“Certo che no”, rispose il ragazzino al posto della madre. “Già dobbiamo sfamarci noi, figuriamoci se facciamo a meno dei soldi per pagare quella stupida tassa.”

La madre lo fulminò con lo sguardo per il linguaggio che aveva usato, e Kairi insisté: “ma da quello che so, la tassa non è uguale per tutti, ma è ridimensionata a seconda del reddito della famiglia. Non vi risulta?”

“Sì, è così”, annuì la donna. “In realtà ne ho discusso, in passato, con mio marito. Penso che, usando solo la razionalità, pagare sarebbe la cosa giusta da fare. Se lo facessimo tutti, il nostro regno potrebbe riprendersi col tempo. Ma mio marito è stato molto più deciso di me: se il nostro principe una volta ci ha abbandonati e ha lasciato che il nostro mondo decadesse nell’oscurità, come possiamo essere certi che quei soldi verranno usati bene? Nel dubbio, comunque ce ne priveremmo, e ci servono. La fiducia va meritata, altezza, e vostro padre non è stato in grado di governare con giudizio questo regno. Quindi ora non può aspettarsi che tutti chinino la testa davanti a lui. Qualunque cosa succeda, il popolo del Radiant Garden sarà in grado di tirare avanti.”

Kairi non fece più domande in proposito, perché aveva già ottenuto la sua risposta: il fatto che i cittadini pagassero non dipendeva dagli obblighi, ma dalla fiducia che provavano verso chi li governava. Non guardavano ai possibili vantaggi che avrebbero avuto per loro, ma al principe e se lo reputassero degno o meno. Una volta principessa, lei non avrebbe imposto loro nulla. Si sarebbe invece meritata la loro fiducia e la loro stima, ed era certa che poi avrebbero preso spontaneamente a pagare. E a quel punto, col tempo, le cose si sarebbero sistemate.

“E che mi dite dei contadini? E’ da loro che vi rifornite per il mangiare, giusto?”

I bambini fecero una smorfia a quella domanda, come se Kairi avesse appena pronunciato una brutta parola.

“Ah…” fece la donna, come se si fosse toccato un argomento un po’ scomodo. “Diciamo che sono quelli che, col loro lavoro, sfamano noi abitanti della capitale.”

“Ma quanti sono?”, chiese Kairi.

“Sono un numero considerevole, forse anche più di noi che abitiamo in città”, rispose la donna, pensierosa. “Le isole sono tante, alcune sono vicine tra loro, altre distanti e remote, anzi, so che ce ne sono alcune, quelle più lontane, i cui abitanti non sono soggetti alle nostre leggi, e vivono solo fra di loro, senza alcun contatto con noi.”

“E quindi sopravvivono coltivando?”

“Per il mangiare fanno tutto da soli, vengono qui solo per vendere i loro prodotti al mercato. Sapete, vivendo ai margini della società, non devono nemmeno pagare le tasse, perché il loro servizio per la collettività già lo fanno, coltivano il mangiare. E d’altra parte fra di loro usano il baratto, non gira soldi nei loro villaggi.”

“E allora perché vengono qui a vendere le cose a voi?”, chiese Kairi, cercando di elaborare il meglio possibile quelle informazioni.

“Perché sulle loro isole non ci sono servizi, di alcun tipo. Né ospedali, né negozi o occupazioni in generale. Il loro unico compito è spaccarsi la schiena nei campi. Perciò se hanno bisogno di qualcosa vengono qui e se la devono pagare, visto che non pagano le tasse a prescindere. Per lo stesso motivo, devono pagare se vogliono farsi curare in ospedale, anche se non molto. Ti parlo in condizioni di normalità, ovviamente. E’ anche il motivo per cui non hanno una tassa da pagare. Perché dovrebbero pagare per qualcosa di cui non possono usufruire, se tanto sulle loro isole non c’è nulla?”

“Ma quindi… come fanno a procurarsi acqua corrente, luce o riscaldamento, se questi sono servizi limitati alla città?”, chiese Kairi, quasi inorridita.

“Fanno senza. Ma non preoccupatevi, altezza, loro sono abituati da secoli a vivere in questo modo primitivo”, cercò di rassicurarla la sarta, che si era accorta del suo stato d’animo. “Questo tipo di vita non gli fa così impressione come a noi. Hanno solo un modo di vivere diverso, tutto qui.”

Kairi a quel punto decise che non poteva, dopo tutte quelle affermazioni, così cariche di noncuranza e mancanza di rispetto, lasciare che la parte di popolo che abitava sulle isole restasse così ai margini. Era ormai chiaro che gli abitanti della città nutrivano un forte disprezzo verso di loro, ed era sua intenzione porvi un rimedio. Forse prima avrebbe dovuto pensare alla situazione della capitale, ma in seguito si sarebbe occupata anche dei contadini.

“C’è da dire però, altezza”, concluse la donna, sospirando “che in questo periodo sono quelli messi meglio. Semplicemente perché non hanno subito nessun cambiamento nel loro modo di vivere. Vivevano in modo primitivo prima, e vivono così ancora adesso. La mancanza di denaro e di servizi nella capitale non li ha toccati molto. Certo, non possono più curarsi in ospedale, dato che per richiedere una cura bisogna pagare salato, e la stessa cosa vale per i negozi da cui si rifornivano, ma per il resto vivono in modo uguale a prima.”

 

Kairi resto ancora per un’ora in quella famiglia, mangiando con gusto insieme a loro le patate e le erbe, ridendo e scherzando coi bambini, come se fosse stata davvero una componente della loro famiglia, e quando fu arrivato il momento di salutarsi, i bambini si attaccarono al suo braccio pregandola:

“tornate, tornate presto a mangiare con noi!”

“Tornerò certamente”, assicurò Kairi. “E’ stato uno dei pranzi migliori cui abbia partecipato. Se non disturbo, ovviamente.”

“Ma vi pare?” si affrettò a dire la madre. “Potete tornare tutte le volte che volete. Anzi, se vi piacciono così tanto i pasti semplici del popolo, ho tante amiche nel quartiere che sono molto curiose al vostro riguardo e, come noi, sarebbero più che felici di ospitarvi a pranzo. Per conoscere meglio la futura principessa, capite.”

“Se lo faranno, ne sarò molto felice!”, assentì Kairi. “Parlate con loro e fatemi sapere. Per me, stare insieme ai miei sudditi e conoscerli uno per uno è il punto da cui bisogna partire.”

“Avete sentito, bambini?”, disse ammirata la donna. “E’ così che un principe degno di questo nome deve parlare. Arrivederci, altezza, vi farò sapere.”

E Kairi si allontanò, sazia e appagata, da quella modesta casa, mentre i bambini si sbracciavano per salutarla, come se fosse stata una loro cugina o una zia.

Quando si fu allontanata, rifletté su che strada prendere: tornare subito al castello o passare prima da sua nonna? Ci mise poco a decidere.

 

“E allora la mia nuova maestra mi ha detto di darle un attacco frontale. Eravamo una di fronte all’altra nel giardino privato, pioveva, era pieno di fango e ci fissavamo. Riesci a visualizzare la scena, nonna?”

“Oh, sì, molto chiaramente”, assentì la vecchietta compiaciuta, mentre beveva il suo the, seduta su una delle due poltrone nel salottino. Erano già due ore che Kairi era lì, seduta anche lei sulla sua poltrona, e parlava e raccontava, ma non si stancava mai della compagnia della sua vecchia parente. Suo padre e il regno potevano aspettare.

“E a quel punto è successa una cosa strana”, continuò Kairi. “Non ho nemmeno aspettato che Aqua mi desse il via. L’ho vista lì, sapevo che era la mia avversaria, ed ho sentito un gran desiderio di lottare venirmi dentro. Quindi sono partita all’attacco senza esitare un attimo. Non capisco proprio cosa mi sia successo…”

“Oh, ma è facile”, rispose la nonna, con l’aria di chi la sapeva lunga. “E’ comprensibile, da chi ha il tuo colore di capelli.”

“Come dici?”, chiese Kairi, perplessa.

“Ma certo, è una cosa che si sa da sempre. Una persona con i capelli rossi ha un’incredibile potenza e ferocia. E questo vale anche per te.”

“Pensi che sia per questo?”, mormorò Kairi. Effettivamente, ora che ci pensava, anche Lea aveva i capelli rossi, ed anche lui era particolarmente feroce nel combattimento. “Ci sono altre persone con i capelli rossi nel nostro mondo, nonna?”

“In passato ce n’erano una o due, ma al momento, nessuno, che io sappia. Di certo sei la prima della famiglia reale ad averli. Ma non hai bisogno di conoscerne altre per essere certa di quello che ti dico. E’ per questo che hai attaccato la tua maestra senza esitare. Voi con i capelli rossi siete speciali. Vedrai, quando combatterai contro quei brutti mostri per difenderci, se dovessero apparire, dimostrerai a tutti quanto potrai essere abile nella lotta”, spiegò la nonna, come se già sapesse in anticipo quello che sarebbe successo più avanti.

Kairi trovava difficile credere ad una spiegazione del genere, nonostante tutto. Come poteva un semplice colore di capelli essere collegato alla ferocia ed alla potenza? D’accordo, forse le storie e le leggende del Radiant Garden dicevano questo, ma c’era comunque un confine tra la realtà e la fantasia che era saggio non superare. Questa volta decise di non dar troppo credito al discorso della nonna, e lo interpretò più come una spiegazione poetica che altro.

 

Kairi rimase da sua nonna ancora un po’, poi fece un altro giro per i quartieri per esplorarli con più calma per conto proprio senza nessun bambino attaccato al braccio, e solo all’ora di cena tornò al castello. Quel posto non le piaceva molto, e preferiva stare il più possibile fuori, anche se pioveva e faceva freddo. Non raccontò a suo padre o agli altri come era andata a pranzo, e si tenne le sue considerazioni per sé. Al vecchio principe bastò sapere che la figlia aveva imparato cose nuove ed era stata bene, e poi non volle sapere altro.

La sera, quando fu ora di andare a dormire, la ragazza, chiusa in camera sua, si sedette alla scrivania e prese un foglio pulito. Il giorno prima era stata talmente occupata che non aveva scritto per niente a Sora, quindi l’avrebbe fatto stasera. Ma in modo diverso: le volte precedenti in cui gli aveva scritto, l’aveva fatto più che altro per se stessa, come per sfogarsi, buttando giù in modo disordinato tutto quello che le veniva in mente, in fretta e furia, senza far caso al modo in cui lo faceva, sentendo amareggiata che il suo amato, in ogni caso, non avrebbe mai potuto davvero leggere quelle parole. Stavolta invece aveva fatto proprio ciò che la nonna le aveva detto: un giorno lo avrebbe certamente rivisto. Forse fra molti anni, ma sarebbe successo. E come poteva pensare di potersi ricordare tutto quello che le sarebbe accaduto in quel lasso di tempo? Sora si meritava di sapere come passava la sua vita e i suoi pensieri, e stavolta Kairi doveva scrivere pensando che, quando Sora fosse tornato, avrebbe letto davvero quello che adesso avrebbe scritto.

Quindi si prese il suo tempo per organizzare i pensieri e fece per iniziare a scrivere sul Radiant Garden, lo svolgimento della giornata, i suoi pensieri e i suoi sentimenti, in modo calmo e con la migliore calligrafia. Ma quando appoggiò la punta della penna sulla carta, sentì un timido bussare alla porta. Capì immediatamente chi era. In realtà si stava chiedendo da qualche minuto quando si sarebbe rifatto vivo. Quando le aveva detto, la sera prima, che sarebbe stato solo per una notte, non ci aveva creduto neppure per un attimo.

“Entra, Kain”, esclamò.

La porta si aprì ed apparve il bambino, in pigiama come la sera prima. “Ecco, Kairi, io pensavo…” iniziò.

“Dai, vieni, vieni, ti ho capito”, gli fece un cenno, condiscendente, e Kain, molto più a suo agio rispetto alla sera prima, si avvicino e balzò sul letto, infilandosi sotto le coperte. Kairi, seduta alla scrivania, dava le spalle al letto, e fu contenta che Kain fosse di nuovo di buon umore: per il fatto che quella mattina gli aveva afferrato la mano e l’aveva allontanata da lei, il piccolo le aveva tenuto il broncio per tutto il resto della giornata, ma ora sembrava essergli passato.

“Tu dormi adesso, Kain. Io devo scrivere  una cosa.”

“Ma io voglio dormire con voi, Kairi”, protestò Kain, contrariato. “Venite anche voi.”

“Dopo, ti ho detto”, ripeté Kairi con pazienza. Lei stava con i sudditi e con gli altri abitanti del castello per tutto il tempo. Ma quella mezz’ora che si ritagliava la sera per scrivere era solo sua, e di Sora. Nemmeno Kain aveva il diritto di interromperla.

Kain allora saltò giù dal letto e le prese il braccio, tirandola leggermente. “Dai, venite a letto. Dai!”, continuò a lagnare.

“Finiscila!” esclamò brusca Kairi, con un tono così imperioso ed arrabbiato che il bambino si ammutolì all’istante. La ragazza si pentì subito, di nuovo, del proprio comportamento. Non le era mai capitato di passare da uno stato di calma ad uno arrabbiato in così poco tempo, e non riusciva nemmeno a spiegarsene la ragione. Era la stessa cosa che era capitata quella mattina, quando aveva allontanato Kain da sé senza alcun motivo. Ed adesso gli aveva urlato contro. Come aveva potuto?

Il bambino si rabbuiò in viso e gli si inumidirono gli occhi, e tornò di corsa sotto le coperte, tirandosele su fin sopra la testa e senza emettere più un suono. Kairi provò un gran senso di vergogna, ma lo stato di confusione in cui si trovava non le permise di scusarsi. Cercando di allontanare il pensiero dalla testa, si concentrò totalmente di nuovo sulla lettera al suo innamorato e a quello che doveva scrivergli e, con la massima attenzione, trascrisse nella sua migliore calligrafia tutto quello che era successo quel giorno e i suoi pensieri, tenendo a mente che un giorno lui tutto questo lo avrebbe letto. Quando ebbe finito, dopo mezz’ora, mise la lettera nel cassetto insieme all’altra che aveva scritto la scorsa giornata e andò a controllare Kain. Nel frattempo si era addormentato, tenendo gli occhi coperti con un braccio nonostante la luce non potesse dargli fastidio, visto che si era coperto completamente. Il suo corpo era irrigidito e il suo respiro irrequieto. Kairi, sentendosi turbata, si sdraiò di fianco a lui e, come per scusarsi, lo tirò a sé abbracciandolo stretto. Solo allora il corpo del bambino si ammorbidì e il suo respiro divenne tranquillo e regolare.

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…Dicevo che avrei fatto più in fretta e invece, per vari motivi, ci ho messo molto tempo per scrivere e pubblicare questo capitolo. Me ne scuso tanto.

In compenso, adesso è passato il primo periodo di ambientamento di Kairi, ha conosciuto meglio il “clima” del suo regno, suo padre, Kain e ha un’idea solida della situazione generale, quindi dal prossimo capitolo in poi la trama andrà avanti in modo più veloce.

Inoltre, ho finito l’immagine che va bene come cover della storia, l’ho messa in cima al primo capitolo al posto di quella vecchia. Chi ha letto il Principe capirà immediatamente cosa vuol dire quel disegno, ma sarà chiaro comunque a tutti più avanti nella narrazione.

Il concetto dei capelli rossi che influenzano il carattere in termini di ferocia e carattere è una credenza di molte culture, per esempio anche gli antichi Egizi lo credevano. In Italia invece un tempo si credeva che le persone coi capelli rossi fossero figlie del demonio o comunque cattive, un esempio è in Rosso Malpelo: “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone.”

Forse si noterà una lieve contraddizione tra le capacità combattive di Kairi qui e quella dei primi capitoli. Il fatto è che avevo scritto i primi capitoli quando ancora non era uscito il Re:mind e non si sapeva bene come Kairi combattesse, quindi avevo dato per scontato che fosse non molto brava. Invece poi dal DLC si scopre che è un mostro nel combattimento, e quindi ho adottato definitivamente quella linea lì.

Al prossimo aggiornamento!

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