Shiawasenashi

di Belarus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #01. Invito ***
Capitolo 2: *** #02. Nuvole ***
Capitolo 3: *** #03. Colazione ***
Capitolo 4: *** #04. Ago e filo ***
Capitolo 5: *** #05. Diversità ***
Capitolo 6: *** #06. Viaggio ***
Capitolo 7: *** #07. Vento ***
Capitolo 8: *** #08. Caffetteria ***
Capitolo 9: *** #09. Quadro ***
Capitolo 10: *** #10. Halloween ***
Capitolo 11: *** #11. Cucciolo ***



Capitolo 1
*** #01. Invito ***


br>Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Invito
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: Primo capitolo della mia raccolta e oui, magari qualcuno la ricorda o forse no. L'avevo già pubblicata qualche anno fa per un altro Writober, ma era finita nel dimenticatoio e avendo ripreso a scrivere dopo secoli ho deciso di renderle onore e pubblicare ancora. Partecipa all'iniziativa del mese di Fanwriter e alla Blanklist, non sarà giornaliera, ma proverò ad essere più presente possibile avendo parecchi capitoli pronti. Detto ciò, passiamo ad Aya che il mio OC storico ormai, ma per chi non conoscesse Teru Teru Bouzu, la long che scrivo da un decennio ormai, sappiate che questa raccolta è un AU in cui è una sventurata, più o meno, tenryubito finita in una Tokyo alternativa e nello specifico, nell'officina di Kidd. Sperando qualcuno, boh, apprezzi, io ritento in onore della mia adorabile e ormai vecchia, coraggiosa ragazza ribelle.




#01. Invito





«Sono la figlia ribelle. L’anatema sulla nostra famiglia. La reincarnazione della Morte nera. Futura adepta dei Rivoluzionari per il colpo di stato e portatrice di vergogna. Potrei distruggere il mondo solo schioccando le dita, non possono finanziarmi neanche indirettamente.» fece presente con marcata ovvietà, studiando distratta il soffitto umidiccio della rimessa dal cofano del pick-up blu sul quale si era seduta mezz’ora prima.
Occhiali ancora abbassati sul viso e sporco di grasso sino alla fronte, riemerse da sotto l’asse a lavoro terminato, approfittandone per sbirciarle neanche troppo in segreto le gambe scoperte per via della gonna.
«Quindi ti hanno tagliato i viveri. Mi sembra una buona logica da ricchi per farti redimere.» gracchiò con una smorfia, tirando indietro le ciocche rosse con l’elastico degli occhiali.
Nel vederlo di nuovo torreggiare di fronte a sé Aya fece spallucce e piegò appena il viso.
«Se a me importasse qualcosa di non poter più comprare l’intero arcipelago Florian solo per avere papaye giganti fresche ogni giorno a colazione, ma sanno che non è così. Per cui ricominceranno a cercarmi… non puoi lasciare una famiglia come la mia. Non da viva e con le quote aziendali intestate.» ricordò, più a se stessa che a lui e le scappò un sospiro pesante alla sola idea. .
Dall’alto dei suoi due metri e delle batoste prese nella sua breve vita, Kidd la osservò mordicchiarsi la bocca e un pensiero lo investì, facendogli lanciare di mal grazia la rivettatrice nel carrello degli attrezzi.
«Che si fottano loro e tutta la classe dirigente di Marijoa. Puoi stare da me.» annunciò serio, facendo scappare a Killer la saldatrice accesa di mano
«Davvero?!» chiese incredula Aya, il sorriso trattenuto a stento per l’entusiasmo.
Non le aveva mai sopportate le stronzate dei ricchi. Credevano sempre di potersi permettere qualsiasi cosa, di poter dettar legge su chiunque solo perché avevano un conto in banca schifosamente pieno e uno o due mummie in famiglia che si diceva avessero compiuto grandi cose. Come se ne sapessero poi qualcosa della vita vera loro e loro mummie, di come ci si guadagnava da mangiare o di quanto si doveva sputar sangue in quella lurida città per pagare un cazzo d’appartamento di sessanta metri quadri. Quella dannata donna poteva restare da lui quanto voleva, se lo meritava anche solo per aver dormito davanti al laghetto del parco in cui si erano conosciuti e se la cosa avesse fatto incazzare qualcuno della sua famiglia tanto meglio. Dovevano solo provare ad andare a recuperarla sin dentro casa sua, sarebbe stato felice di aprirgli la testa a colpi di crick.
«Noi non abbiamo un letto libero.» s’intromise Killer, evidentemente intenzionato a fermarlo.
«Posso usare il divano o una poltrona o il tappeto del salotto se ne avete uno, lo zerbino, una coperta?» la buttò lì Aya, guardandoli ad intermittenza con la buona volontà di chi si farebbe andar bene qualsiasi cosa.
A Kidd scappò da ridere nel sentirla ovviare a quel modo. La dannata avrebbe dormito persino nel cesso della metro pur di mandare a fanculo la propria famiglia e tutti i progetti nei quali volevano incatenarla.
«Siamo sempre solo uomini dentro quell’appartamento.» insistette imperterrito Killer ed era vero, se non si annoveravano le volte in cui abbordavano qualcuna.
E tanto sarebbe potuto bastare per troncarla definitivamente lì. Con un’altra. Non con lei.
«Per me non è un problema. Non guardo film romantici, di pizzi e lustrini ne ho avuti per troppi anni e negli ultimi mesi ho dormito in capsule hotel che evitavano persino i pendolari ubriachi.» ammise serafica e Killer si bloccò assorto a guardarla davanti a tanta noncuranza.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Quella pazza aveva abbandonato volontariamente una vita di lusso a Marijoa, rinunciando al nome di famiglia e a tutti i soldi che aveva in banca più quelli che in futuro avrebbe ereditato, per andarsene libera in giro. Cosa gliene poteva importare di chi frequentavano o di dove avrebbe dormito?
«Hai altro con cui provare a terrorizzarla?» lo spronò Kidd, trattenendosi a stento dal ridergli in faccia.
Sebbene indossasse ancora la maschera da saldatura, Killer gli rifilò una delle sue peggiori occhiatacce, ma ad Aya sfuggì o forse se ne infischiò, troppo elettrizzata all’idea d’avere finalmente un alloggio.
«Bene! Allora prima di andare a raccattare la mia roba ai coinlock, per ringraziarvi passo al mini market per riempirvi di papaye fresche il frigo con gli ultimi soldi di mio padre! A dopo!» salutò sorridente, strappando a Kidd l’ennesima risata, mentre sgusciava fuori dall’officina alla sua solita velocità.
«È una pessima idea.» lamentò greve Killer, quando lui si fu convinto a rimettersi all’opera.
«Dici sempre che dovrei essere più gentile con le donne e adesso invitarne una sarebbe una pessima idea?»
«Quando te lo dico non mi riferisco all’offrir loro di vivere da noi.»


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Capitolo 2
*** #02. Nuvole ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Nuvole
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Trafalgar Law; Pirati Heart
Note: Seconda shot della raccolta, questa volta tutta incentrata su Law, più o meno. Nella mia AU è il vicino di Kidd, il suo appartamento infatti come scoprirete è esattamente di fronte a quello di Kidd sebbene siano separati da una piazza e i due beh, hanno il rapporto che hanno anche nel manga, solo con la complicanza Aya. Ho dedicato il capitolo a Law dato che oggi è il suo compleanno e una cena fuori, anche se post fuga come in questo caso, mi sembrava adatta. Spero qualcuno possa apprezzare e ringrazio quelli che hanno letto la prima shot dal più profondo del mio arido cuoricino~ Merciiiii~




#02. Nuvole





Si conoscevano da appena mezza giornata ed aiutarla a nascondersi, nell’astanteria dell’ospedale, da una pattuglia di ronda che la cercava per riportarla di peso a casa non era di per sé un incontro ottimista, ma già l’avevano invitata ad uscire. Con l’autocontrollo di un branco di adolescenti in piena crisi ormonale e fregandosene del fatto che fosse la donna di Eustass-ya, scattavano da un lato all’altro del tavolo come schegge impazzite e in meno di cinque minuti avevano riempito il tavolo dell’Awashima’s Restaurant di così tanta roba tipica del quartiere da minacciare di farlo spezzare in due per il peso. Ma a lei ovviamente la cosa divertiva, la divertiva da morire glielo si leggeva in viso, dal modo in cui arricciava il naso, dal tono della sua risata, cristallina e disinteressata. Stava gioendo come una bambina tra altri bambini e per quanto Law fosse ormai rassegnato e abituato al fracasso dei suoi amici, non lo era affatto all’idea di star seduto di fianco alla donna di quello zuccone piantagrane di Eustass-ya.
«Queste patatine hanno un sapore strano…» la sentì commentare tra un morso e un altro, inclinando il capo rossiccio per osservare ciò che reggeva tra le dita sottili.
«Sono nuvole di drago, non patatine. Dentro ci sono granchio e gamberi piccanti disidratati.» puntualizzò, mandandone giù una nell’attesa del proprio pesce senza staccarle gli occhi di dosso.
Le teneva tra due dita, quasi aggiungerne una in più non sarebbe stato bene. Non era disgustata, anzi, ma i suoi modi avevano qualcosa di strano, qualcosa che per quanto Law si sforzasse non c’entrava nulla con quella testa calda del suo vicino di casa e tutto con il luogo da cui lei veniva invece. Era una sorta di distacco che dovevano averle inculcato, ogni movimento calcolato e misurato quasi l’avesse recitato dopo anni d’allenamento e prove. Era impeccabile, nello starsene seduta e nel fare conversazione. Una bambola da esposizione che dall’esposizione però, era scappata. E sulle sue gambe per di più.
Non gli c’era voluto molto per fare due più due, era senza modestia abbastanza intelligente da trarre conclusioni e d’altronde, le voci su quella ragazza di nobile famiglia svanita nel nulla mesi prima avevano fatto il giro dell’intera città. Era venuta persino la Marina a cercarla nel loro quartiere, eppure nulla. Nessuno ne aveva saputo niente e le autorità ancora la cercavano, in una impresa quasi del tutto impossibile in una città come quella, con i suoi angoli ciechi e la moltitudine di problemi che la attanagliavano. Ce l’avrebbero fatta se lei avesse recitato il suo copione, ma ad Aya – Law lo stava vedendo con i suoi occhi – il copione andava bene nella forma, non nella pratica. Come o cosa avesse finito per fare insieme ad uno come Eustass-ya a lui non era chiaro, di certo però finché se ne sarebbe stata sotto la sua ombra non l’avrebbero ripresa neppure da morta. Aveva avuto difficoltà persino lui, trovandola sotto un lettino, nel suo reparto, durante il suo turno, non confidava che i metodi di persuasione degli idioti in divisa lo superassero in alcun modo. Aveva tirato ad indovinare e da quello che aveva sentito, si era immaginato solo una ragazzina viziata, ignara di come girava davvero il mondo lontano dal piedistallo su cui l’avevano fatta nascere e sull’orlo del pianto per una condizione cui non era abituata. Non si sarebbe sorpreso sino a quella mattina di scoprire che l’avevano ritrovata cadavere in qualche canale vicino al fiume, nelle zone del porto con tre o quattro sorpresine addosso lasciate da dei gentiluomini o su un marciapiede, sfruttata, su lungo le strade che portavano fuori città. La vita girava a quel modo in fondo, Law lo aveva sperimentato a proprio discapito e fare affidamento su chi sta ai piani alti è persino peggio dello scavarsi una fossa da soli. Eppure Aya era lì. Era di fianco a lui, sana e salva, rideva e aveva persino stretto un rapporto con uno degli uomini meno socievoli di tutto il continente. Com’era successo? Che cosa aveva di speciale in fondo da cavarsela là dove altri sarebbe sprofondati? Perché qualcosa, qualcosa di grosso, doveva averlo per aver fatto breccia in un duro d’orecchie come Eustass Kidd e di certo, non stava nascosto sotto la camicetta. Law non aveva un’ottima opinione del suo rumoroso vicino, ma gli riconosceva occhio nelle scelte di vita, perché in una qualche bizzarra maniera erano le sue stesse scelte. E più si sforzava, più non capiva e voleva, pretendeva di sapere. Per questo aveva accettato di invitarla a cena, gli si era persino seduto di fianco e… e si era perso qualcosa a giudicare dal silenzio che gli regnava attorno in quel momento.
Ignara dei suoi pensieri, Aya stava ad occhi sgranati fissandosi le mani e all’altro capo del tavolo, Penguin e Shachi si contrassero in una smorfia quasi di dolore fisico.
«Abbiamo pensato potessero piacerle ecco… ha detto che ama il cibo piccante… siamo stati sgarbati, sumimasen.» si scusò dopo un lungo momento di silenzio Penguin per entrambi e insieme abbassarono la testa sin quasi a toccare con i loro cappelli i piatti.
Riallacciato al discorso, Law si toccò il ponte del naso e tra la testa che pulsava per quelle scenate assurde in cui solo i suoi amici, quasi fratelli, potevano andare a ficcarsi, la guardò in silenzio, affatto intenzionato a metter bocca nella questione pur di soddisfare la propria curiosità.
Era un gioco pericoloso, si rischiava più di una litigata con una sconosciuta prendendosi quel genere di confidenze con qualcuno che veniva da quelle famiglie, ma aveva il sentore che non sarebbe andato di nuovo tutto da copione.
E Aya difatti li osservò stupita e riuscì, sforzandosi senza ragione per di più, a trattenere la risata che le avevano provocato evidentemente solo un misero istante prima di esplodere cristallina.
«Sgarbati?! Le adoro! Da oggi saranno il mio snack preferito! Volete mettere la prospettiva di masticare le scaglie di drago strappate a mia madre? È un sogno che diventa realtà!» approvò entusiasta, pulendosi le dita dalla polvere rosa che vi era rimasta appiccicata.
«Ma non sono scaglie vere O-jochu.» precisò come una voce fuori campo Bepo, ricevendo uno scappellotto da manuale da Shachi e Penguin che quasi lo ribaltò dalla panca su cui stava seduto, benché fosse di molto più grosso di entrambi.
«Lo sa brutto stupido, scherzava per tirarci fuori dall’impiccio!» strepitarono all’unisono, già dimentichi della figuraccia cui erano scampati.
«Sumimasen…»
E in quel caos ritrovato e familiare, Trafalgar si girò completamente a guardarla, mentre si portava una mano alla bocca per non esplodere tra quell’euforia e gli parve quasi che Aya fosse sempre stata lì, in quel posto tra lui e Shachi, a ridere e cercare di calmare i suoi amici dall’azzuffarsi come bambini al tavolo di un ristorante cinese. Eppure si conoscevano da così poco, di lei sapeva lo stretto indispensabile e di certo era sufficientemente pericoloso da rendere palese che no, non avrebbe dovuto fissarla a quel modo, ma non riusciva né tantomeno voleva smettere. E non lo fece neppure quando Aya si girò a ricambiare l’occhiata con un sorriso genuino che le arricciò il naso persino più di quanto non avessero fatto le risate.
«Portatemi qui più spesso, vi va?» si sentì proporre di colpo e gli parve quasi un invito del destino a saziare la sua curiosità, il che era assurdo considerato che lui al destino non credeva affatto.
«Aye.» acconsentì appena udibile tra il caos, ma già con un ghigno, mentre il cameriere arrivava in soccorso a separarli con il suo piatto di pesce alla griglia fumante.
Dove diavolo l’aveva trovata Eustass-ya?






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Capitolo 3
*** #03. Colazione ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Colazione
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Killer.
Note: È un pochino banale come shot questa volta, ma mi andava di pubblicarla comunque per far vedere il punto di vista di Aya sulla questione trasferimento e l'avevo già scritta tempo fa, per cui non mi andava di accantonarla e basta. Sto proseguendo seguendo un filo logicoe a tratti temporale, ma non prendetela come una narrazione day to day. Ringrazio dal più profondo del cuore chi vorrà lasciarmi un commento, chi lo ha fatto per le scorse pubblicazioni e chi si ferma a leggere. Mi date voglia di continuare, quindi merciii~ e ci risentiamo tra due giorni con un nuovo aggiornamento.




#03. Colazione





Dopo mesi trascorsi su materassi ad acqua, poltrone reclinabili, futon polverosi e sacchi a pelo bucati, la sua schiena aveva gioito del poter sprofondare sul divano di Kidd e sebbene ci fossero parecchi avvallamenti di dubbia creazione, una molla accanto al bracciolo sinistro che cigolava subdola nei momenti meno probabili e l’avessero rivestito di un color melanzana da far accapponare la pelle, quella mattina si era svegliata riposata come non mai. Era tornata operativa all’alba, quando ancora non si udiva neppure il rombo affaticato delle centrifughe della lavanderia giù in strada e a compensare c’era il russare roco di Kidd dalla camera accanto. Aveva rimesso al proprio posto i cuscini sul divano, riportato in avanti il tavolinetto di vetro scheggiato, piegato le coperte e aperto la tapparella affinché l’aria circolasse un po’. Tutto il più in fretta possibile, affinché i due dall’altra parte non se la ritrovassero tra i piedi ad oziare, prima di scendere in strada per aprire l’officina.
Non aveva voglia di recitare la parte dell’ospite invadente né aveva intenzione di farli – o farlo, dato che Killer non nascondeva il suo disappunto – pentire dell’invito stranamente gentile che le aveva concesso.
Per cui ad operazioni terminate aveva acciuffato un cambio dalla sacca e si era chiusa in bagno per una doccia, uscendone ad una velocità lampo già pronta di tutto punto con l’intenzione di correre a comprare qualcosa per colazione in segno di ringraziamento. Le sarebbe piaciuto cucinarla da sé, ma non aveva mai avuto modo d’imparare a fare un solo uovo o una ciotola di riso, cosa che era evidentemente in grado invece di fare in maniera eccellente Killer.
«Questa non me la aspettavo.» sbottò sbalordita senza riuscire neanche a dargli il proprio buongiorno, osservando prima il minuscolo tavolo della cucina imbandito e poi il biondo, armato di mestolo e grembiule, che faceva sfrigolare del bacon in una padella.
Era uno spettacolo a tratti inquietante e Aya sapeva che avrebbe dovuto ringraziare qualcuno per non averci rimesso il cuore, no, non nel senso romantico del termine, ma in quel momento le risultava difficile persino starsene là. Perché era chiaro che quei due sapessero badare perfettamente a loro stessi o quantomeno si fossero arrangiati con il tempo a farlo, ed era anche vero che Killer, silenzioso, spaventoso o ostile che fosse, era chiaramente una persona responsabile, ma da quello al vederlo occuparsi della colazione… magari non avrebbe dovuto pensarla a quel modo, i suoi erano pregiudizi e i pregiudizi non andavano mai bene, specie se si doveva mostrare gratitudine, ma… non ce la faceva. Era strano.
Sbadigliando e tastandosi i muscoli del collo indolenziti, Kidd riemerse dal suo antro buio in boxer e canotta, spostandola dalla soglia della cucina di peso senza neppure chiedere permesso, prima di andare ad accasciarsi sulla propria sedia.
«Non lusingarti troppo donna, fa lo stesso tutte le mattine anche senza qualcuna a guardarlo.» borbottò galante, cominciando ad infilzare dai vari piatti sistemati sul tavolo per creare una pila nel proprio.
Troppo stupita per piccarsi della prima battuta del giorno, si ritrovò a sgranare gli occhi persino più di prima.
Tutte le mattine? Non era una cosa del momento? Un improvviso slancio di creatività data dall’ora o da un sonno migliore di altri?! Insomma, non si aspettava d’essere oggetto di particolari attenzioni, d’altronde le piaceva stare con loro anche per quel disinteresse sconcertante e non c’era ragione logica di credere che fosse stata la sua presenza ad ispirarlo, ma pensava fosse… fosse… doveva essere pazza lei evidentemente. Sua madre glielo ripeteva di continuo. Era una persona orribile.
«Fate colazione così ogni singolo giorno?» domandò comunque incredula, sporgendosi per osservare le omelette perfettamente soffici, i pancakes dorati, le fette tostate con marmellata, le ciotole di riso profumatissime, la caraffa del caffè e la teiera con i loro rivoli di fumo ondeggianti.
«Perché di solito i rozzi poveracci che sputano sangue per campare non fanno colazione?» la incalzò Kidd, mentre Killer lasciava scivolare con una mossa da chef mancato il bacon croccante nel suo piatto.
«No, è che…» cominciò imbarazzata, fermandosi a guardarli quando il rosso trangugiò d’un sol colpo tutto e la testa minacciò di saltargli via per un’occhiata esasperata di Killer che lo fece grugnire «… stavo per andare a prendervi io la colazione, ma avevo in mente qualcosa tipo caffè nero come la morte e quello che capita. Non un buffet alla Whole Cake.» ammise.
Impegnato a masticare, Kidd le concesse appena un’occhiata ed un’alzata di spalle prima di tornare a concentrarsi sulla colazione, fu Killer che inaspettatamente, dopo quelle che le parvero ore, le porse un piatto con un respiro pesante.
«Kidd butta giù quello che capita. Sarebbe andato bene comunque se glielo avessi messo davanti sul tavolo.» la rassicurò metallico, spogliandosi dal grembiule per sedersi a sua volta.
Scioccata per l’ennesima volta in quella breve mattinata, lo guardò in silenzio e non seppe proprio che dire.
Killer che cucinava era tanto da metabolizzare all’alba, ma Killer che le chiedeva di sedersi e le passava persino la colazione era troppo. E se non fosse stato per ciò che gli era uscito di bocca, sicuramente ci sarebbe davvero rimasta secca, ma lo aveva fatto con una tale tragica serietà da uomo rassegnato che ad Aya scappò di colpo una risata che altrettanto inaspettatamente lo coinvolse in un soffio divertito.
Estraneo a quell’imprevista complicità, Kidd rialzò gli occhi per fulminarli, la bocca ancora piena e i capelli che sparavano in direzioni contrarie.
«Fate comunella ora, stronzi?!»



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Capitolo 4
*** #04. Ago e filo ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Ago e filo
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd.
Note: Sprazzi di quotidianità matrimoniale – che non c’è sia chiaro, ma a me piacciono tanto -. Sappiate comunque che Aya è una provetta ricamatrice{?!}, lo ha imparato da Ko, la sua balia i là con gli anni di cui sentirete parlare ancora in altre oneshot, e prende la strana abitudine, stando con Kidd, di sistemargli i vestiti e di sistemarli anche al resto della comitiva che gli va giù. E no, non sono sessista e Aya non è la principessa della torre che si intrattiene in questo genere di lavoretti “femminili”. Lei lo fa perché sa farlo bene e a suo modo, si rende utile e ricambia. Detto questo, ringrazio comunque coloro che sono passati a leggere, chi ha inserito la storia tra ricordate, preferite e seguite {ogni tanto fatevi sentire, anche solo con un messaggio privato se vi va} e vi do appuntamento a martedì con una nuova shot~ au revoir~




#04. Ago e filo





Accovacciata davanti alla finestrella della cucina, con una maglia di due misure più grandi e i riccioli raccolti in quella specie di nido per uccelli, gli sembrò tanto una delle vecchine che si vedevano al quartiere storico in prossimità del fiume. Non la si sentiva, in casa era una specie di fantasma, ma te la ritrovavi tra i piedi appena giravi l’angolo, acquattata sempre a far chissà cosa nel più totale silenzio e per uno come lui, che faceva casino anche togliendosi le scarpe, era sorprendente. Di quelle ciabatte rattrappite aveva anche un po' le movenze d’altri tempi, la misura nei gesti tramandata da secoli che piegavano la schiena e che a lei arrivavano da chissà dove, perché dubitava fortemente che le avessero fatto seguire un qualche corso pur di non apparire troppo “comune”. Ma a dispetto delle aspettative la dannata lo era, lo era in una maniera talmente spiazzante da aver fatto deporre l’ascia di guerra persino a lui, la notte in cui si erano conosciuti.
Se ne stava concentrata sull’ammasso di stoffa che teneva con cura sulle gambe, gli occhi fissi su di un punto, mentre le mani si muovevano con precisione minuziosa, ma troppo preso dal fissarla in quel momento tutto suo, Kidd ci mise un po’ a capire cosa stesse facendo.
«Cosa cazzo stai cucendo sulla mia tuta da lavoro, donna?!» sbottò in allerta, superando la soglia per andarsi a parare di fronte a lei con l’intenzione di controllare che non gli stesse applicando qualche boiata.
No, no. Il suo lavoro era il suo lavoro. Magari non era niente di rilevante, non comportava miglioramenti per il genere umano o quelle robe lì, ma era un lavoro di tutto rispetto e lui per di più aveva una fama da mantenere. Non si sarebbe ficcato in officina con una tuta cosa addosso che lo facesse sembrare, e sentire, un moccioso covato dalla propria mammina, col cazzo!
Aya si raddrizzò di colpo nel sentirlo, evidentemente ignara d’esser stata in sua compagnia sino ad allora e per un momento rimase con il filo sospeso a mezz’aria, guardandolo assorta – forse per via dei capelli afflosciati dalla doccia o per l’asciugamano che aveva stranamente deciso di usare per coprirsi –.
«La sto riparando, era piena di strappi e buchi. Non ho aggiunto nulla, puoi anche calmarti.» specificò alla fine con aria un po' offesa, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro.
Con la propria roba non era strafottente come tutti credevano dandogli un’occhiata spiccia delle loro, cercava di preservarla più che poteva. Era una premura su cui nessuno là fuori per le strade avrebbe scommesso mezzo berry, alla gente piaceva da matti addossargli stronzate che non lo riguardavano davvero e d’altronde, oltre le loro schifose routine, non sembravano neppure contemplare l’idea di faticare per ottenere anche il minimo sindacale e in quella città il minimo era persino cosa mettersi addosso. Costava tutto più di quanto avrebbe dovuto, pareva che i negozianti si facessero di chissà quale porcheria prima di appiccicare i prezzi ed era facile che in officina si ritrovasse agganciato qualcosa di troppo o strisciasse su una lamiera. Una combo piazzata a tavolino, ma al momento non erano le contraddizioni che gli facevano girare le palle il punto.
«Perché sai rammendare i vestiti?» domandò incredulo, squadrandola dall’alto dei suoi due metri.
Le sue mani non avrebbero dovuto mantenersi… pure e soffici o quelle stronzate lì?! A quelli nati come lei, quelli con un conto in banca che avrebbe potuto comprare – e succedeva cazzo – il negoziante con tutta la sua famiglia, altro che vestiti, non erano permesse bassezze simili. Non lo sapeva per certo, ma ne era sicuro. Se ne andavano in giro camminando su dei maledetti tappeti, se si bucavano un dito c’era il rischio che scoppiassero in una nuvola di profumo e bolle.
«Ho imparato per sistemare quelli che mi compravano i miei genitori.» spiegò Aya in un’alzata di spalle.
«Con tutti i fottuti soldi che hanno i tuoi, ti rifilavano roba bucata?!» insistette persino più incredulo, facendola ridacchiare di colpo.
«No Kidd, ma… non hai idea di quanti pizzi, lustrini e merletti ci fossero sopra da togliere! Sembrare una torta nuziale non era la mia massima aspirazione quotidiana.» sorrise, in un improvviso brivido freddo di raccapriccio che strappò una risata anche a lui.
Certo che no. Avrebbe dovuto immaginarselo, in fondo si era piazzata da lui con una sacca da palestra con quattro cambi messi in fila e non batteva ciglio nel chiedergli in prestito roba quando non l’aveva. Persino le donne che rimorchiava nei locali quando andava a divertirsi, il giorno dopo si restauravano di sana pianta tirando fuori tonnellate di idiozie dalle loro borsette, ma a lei non importava. A quella dannata donna non importava di dare un’immagine di sé piuttosto che un’altra, erano sforzi inutili per la sua testolina arruffata e se non avesse avuto quella schifosa perfezione innata di cui era ignara, se ne sarebbe di certo sbattuta di sembrare una pezzente. Era anche per quello che a Kidd era andata a genio dal primo secondo, perché per lei le cose importanti e su cui concentrarsi erano altre.
La vide strappare con i denti un eccesso di filo e posato l’occorrente, rialzarsi finalmente, per posargli la tuta sulle spalle in punta di piedi per controllare che fosse tutto in regola.
«È come nuova! Direttamente dall’atelier Aya Mononobe! » stabilì alla fine, arricciando il naso in un nuovo sorriso e la mano di Kidd scattò famelica attorno al suo viso per trattenerla e stringere quel tanto che bastava dal sentirla sua sotto le dita.
Maledetta, fottutissima donna. Non era decisamente una delle vecchine che si vedevano sulle porte al quartiere storico, ma per qualche assurda e folle ragione si permetteva addirittura di prendersi cura di lui e benché non lo avrebbe mai ammesso, dopo una vita a badare a sé stesso la cosa non gli dispiaceva per niente.



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Capitolo 5
*** #05. Diversità ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Diversità
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd.
Note: Dunque, dunque… questa shot è più lunga delle altre e non escludo possano essercene altre che la supereranno, ma mi sono soffermata per dare una chiave di lettura su Aya. C’è un attimo del suo passato in questa oneshot e avevo il desiderio impellente di far sentire quanto sia felice e angosciata dalla sua libertà al tempo stesso. Essere braccata da una famiglia come la sua, dalla Marina – che qui è la polizia cittadina – a volte la fa sentire fuori posto, le provoca dolore, ma si sa, a tutto o quasi c’è una medicina. Quindi beccatevi Kidd che fa proposte oscene agli incroci e Aya che si sente morta perché le hanno messo le bacchette dritte sul take away (una roba tremenda in Giappone eh! Non fatelo mai, ma proprio mai! Ò – Ó) Un ringraziamento come sempre a chi legge, recensisce o passa soltanto, merci mes amis~




#05. Diversità





Nel mondo che aveva abbandonato, di corsa e in segreto, lei era quella diversa. Quella da evitare. Non è che facesse chissà cosa per esserlo e ciò di cui la si accusava non era, a suo parere almeno, poi tanto tragico. Ovviamente però i suoi genitori non la pensavano così, sua sorella non la pensava così, i suoi parenti vicini e lontani, i conoscenti, i vicini, gli amici degli amici dei suoi. C’era un’intera città a pensare il contrario e per un po’ Aya si era chiesta con coscienza cosa ci fosse esattamente in lei che non andava. La sua famiglia aveva avuto grandi piani per il suo futuro: doveva crescere bella, a modo, distaccata e inarrivabile per chiunque, tranne che per coloro che lo avessero meritato con agganci giusti e un conto in banca da far raccapriccio; a quel punto avrebbe dovuto sposarsi, sfornare qualche bambino che portasse avanti il nome della loro famiglia e allora, solo allora, avrebbe potuto godersi in pace gli anni che le restavano con i trastulli più in voga. Una prospettiva senza dubbio rosea. Aveva provato ad accontentarli, si era impegnata, ma per quanto provasse, non le riusciva. In lei c’era sempre qualcosa che stonava, un dettaglio, una frase di troppo, abitudini difficili da nascondere, quella sua palese avversione verso il sistema in cui si era trovata a nascere e che non mancava più o meno velatamente di criticare. E poi beh, c’era la sua inguaribile voglia di scappare che più di una volta l’aveva resa preda succulenta per inseguimenti da togliere il fiato ai migliori action movie del millennio. Quella vita le sarebbe stata stretta, l’avrebbe uccisa, lo sapeva e così aveva fatto l’unica cosa che andasse fatta: se n’era tirata fuori. Laggiù, nascosta nell’ombra dei grattacieli lucidi dentro cui avrebbe dovuto trovarsi, nessuno badava più di tanto a lei: cosa sognasse di fare, chi volesse diventare e a che costo, erano aspirazioni misere in confronto a ciò per cui la gente comune faticava ogni singolo giorno tra quelle strade umidicce. Lei era solo una di tredici milioni, un fantasma tra i fantasmi, eppure sapeva che non sarebbe durato a lungo. Glielo ricordò quell’auto.
La osservò sfrecciare lussuosa per la via commerciale ignorando i semafori sino a fermarsi ad una decina di metri da lei e strinse i denti attorno al labbro, il guardrail freddo che pungeva sotto le gambe e il marciapiede, occupato a quell’ora solo da pendolari diretti in stazione che la ignoravano con sguardi vuoti.
«Qualcuno che conosci?» s’informò nel raggiungerla Kidd, intercettando serio e con occhio allenato l’auto.
«Chi lo sa, forse sono solo di passaggio per i quartieri alti… cos’è?» mormorò con un sospiro pesante, osservando l’incarto giallo che l’altro le stava quasi schiantando in faccia pur di distrarsi.
«La cena, Killer ha da fare stasera.» borbottò il rosso, la fronte aggrottata.
«Non ha l’aria invitante…» giudicò Aya, estraendo con una piccola smorfia le waribashi che vi avevano infilzato in mezzo e persino in verticale, proprio mentre l’auto ripartiva in uno stridere di gomme peggiore di poco prima.
Quel suono le fece perdere un battito ed entrambe le bacchette le volarono via di mano, dritte dentro una pozzanghera scintillante per i neon dei palazzi. La seguì in silenzio, finché non si vide più nulla per la via alle sue spalle, se non altri mezzi meno costosi, autobus e qualche taxi illuminato e solo allora cercò di recuperare le sue posate, ma erano ormai zuppe e raccattarle da terra sarebbe stato persino meno igienico del pescarle dal grande contenitore dove stavano rinchiuse solitamente.
Le era passato improvvisamente l’entusiasmo per quella passeggiata imprevista e non aveva del tutto a che fare con quello che obiettivamente non era uno dei manicaretti da manuale di Killer. Certo, l’aspetto imprecisato e quelle bacchette da funerale non l’aiutavano, ma in altri momenti avrebbe fatto comunque i salti di gioia per una simile novità e dovette giungere alla stessa conclusione anche Kidd.
«Fosse per te andresti avanti felice solo con quelle schifezze piccanti. Mangia o impara a cucinare, cazzo.» ringhiò polemico, passandole le proprie waribashi e tirandola su affinché si desse una mossa.
Non era da lei starsene ferma impalata e trascorrere il resto della notte davanti quel chiosco psichedelico neppure lontanamente ammissibile, per cui lo seguì senza troppe storie.
«Cucinare non rientrava nei miei piani per il futuro e non mangio solo quelle…» bofonchiò a guance gonfie.
«Neanche nei miei sfamarti, ma eccoci qua. Ora ficcatelo in bocca.» le ordinò Kidd e tre dei quattro salaryman fermi con loro all’incrocio si girarono per guardarlo sconvolti.
Se il quarto non fece lo stesso fu solo perché era davvero troppo sbronzo per capire persino di trovarsi lì, Aya ne era sicura, ma quella piccola constatazione non l’aiutò comunque a non sprofondare per la vergogna.
Lei era abituata ai modi pittoreschi di Kidd, li trovava persino divertenti, ma il resto del mondo…
«Che cazzo avete da guardare voi? Volete un invito a cena?!» li rimise al loro posto il rosso e lei lo tirò per il giaccone, il segnale acustico del semaforo che li incitava a togliersi dai piedi.
«Kidd per piacere, possiamo…?» quasi lo supplicò stanca.
I tre poveretti rimasero ammutoliti a guardarli, mentre si avviavano sulle strisce, decidendo forse fosse il caso di mettere distanza tra loro e al termine del tempo concesso per attraversare furono ancora lì. L’unico ad essersi smosso paradossalmente era stato l’uomo ubriaco, ma il suo slancio di vita improvviso aveva avuto come unico risultato quello di farlo crollare contro le macchinette della linea tre di un convenience store. Aya lo osservò con una smorfia, prima di regalarne una a Kidd che ignaro stava per voltargli le spalle.
A Kidd importava dell’opinione che la gente aveva di lui. Ad intermittenza però e su argomenti ben precisi. Passare per il rozzo scimmione che dava direttive indecenti in strada non rientrava tra quelli evidentemente.
«Cos’è quell’espressione adesso, hm?» s’informò scocciato, vedendola ancora ferma.
«È che… tu sai sempre come rendere indimenticabile ogni cosa.» appurò con piatto sarcasmo, mentre lui buttava giù l’ultimo pezzo della sua cena fritta e imprecisata.
«E tu come farne una tragedia, siamo a posto, no?!» le fece il verso, strappandole via la porzione intatta che ancora teneva in mano per gettarla in quello che ovviamente era un cestino solo per lui.
La donna del negozio di manicure, osservò con sdegno il contenuto colare sulla graziosa pianta che aveva sistemato davanti l’entrata e tentò di aprire bocca, ma le uscì un verso imprecisato nel vedere quasi a rallentatore anche il cartone dell’asporto scivolare in una chiazza bruna sulle mattonelle della strada.
«Faceva davvero cagare. Come diavolo si fa a vendere della roba di merda del genere?! Ah! Andiamo a prendere qualcosa al mercato, così Killer avrà di che rompere e tu potrai mangiare rafano anche stasera… non sia mai che il tuo cazzo di stomaco rimanga senza qualcosa che lo mandi a fuoco e magari ti togli anche quel broncio dalla faccia.» lamentò tutto da sé e sarebbe stato nella norma, se non le avesse passato con indifferenza una mano tra i riccioli della frangia a ciuffo per darle gratis un look simile a quello che senza dubbio doveva aver pagato oro sonante la donna delle manicure per il suo cane.
Non lo faceva spesso, quasi mai a dirla tutta. Kidd non era un tipo da effusioni pubbliche o gesti premurosi, lo innervosivano e imbarazzavano data la poca affinità con la sua natura. Le volte in cui Aya si ritrovava con le sue mani addosso erano… beh, di solito non per la strada o con altri a guardarli, per quanto poi esibizionista ed egocentrico lo fosse, ma di certo non erano carezze. Quei raptus di gentilezza incontrollata erano rari, un po’ goffi e terminavano talmente in fretta da lasciarle sempre il dubbio che fosse successo davvero, eppure le scaldavano il cuore. Perché venivano da qualcuno che non li regalava facilmente, perché erano preziosi e per nulla dovuti, perché avrebbero dovuto esserlo d’altronde? Negli anni che aveva trascorso lontano da quella città così piena di differenze, solo un’altra persona le aveva dimostrato tanto e anche allora Aya aveva pensato lo stesso.
Lei era quella diversa. Era quella da evitare. Le carezze non le spettavano, erano premi per chi riusciva in tutto e lei era in grado solo di deludere in tutto. Un giorno forse lo avrebbe fatto anche con Kidd, un giorno magari il suo sogno da fantasma tra i fantasmi sarebbe finito e le sarebbe rimasto solo il ricordo appannato sul finestrino d’un auto lussuosa. Eppure in quel momento, mentre Kidd marciava su per la strada, un po’ per allontanarsi con la mano che l’aveva toccata ficcata per bene nel giaccone di dubbio gusto e la gente che si scostava per non essere buttata giù a spallate, Aya si sentì meglio. Anche Kidd era diverso, diverso da lei e diverso dagli altri. Tutti in quella città erano un po’ diversi a modo loro e a chi più chi meno importava dell’opinione altrui, ma il mondo era bello per quello e poi, chi decideva cosa fosse normale e cosa no? A lei ad esempio le maniere di Kidd andavano bene… più o meno.
«Ne voglio due.» stabilì di corsa, aggrappandoglisi senza riflettere troppo al braccio.
«Hai deciso di mettere su peso, donna?»
«Ho fame…»
«Così la pianti di fare quei bocconi che sembrano cibo per uccelli.»
«Solo perché li taglio e non li ingurgito alla cieca, non vuol dire che siano cibo per uccelli.»
«Perché, che problemi hanno i tuoi denti?»
«I miei denti stanno be-Oh kami… Lasciamo perdere.»
E nel sentire un piccolo sorriso snervato affiorarle sulla bocca, decise di rivalutare quella passeggiata.
Era tutto normale. Lei era normale, i battibecchi con Kidd erano normali. A modo loro, ma lo erano. La sua era una normalità diversa e le andava benissimo così. Non l’avrebbe scambiata con nulla al mondo.




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Capitolo 6
*** #06. Viaggio ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Viaggio
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd.
Note: Nella mia testa era un misto tra mad max fury road e un viaggio da film di terza categoria negli states, com’è venuta fuori così non chiedetemelo e d’altronde ha poca importanza. Il punto è che ad Aya piace da matti fare gite e Kidd se la porta dietro perché anche non volendo è come quei cagnolini che provi a lasciare in casa quando hai da fare, ma loro sono subdoli e ti passano in mezzo alle gambe, così ti ritrovi in pose assurde e adieu dignità. Un messaggio profondo per una shot profonda. E dopo questa, i saluti di rito a chi passa, si aggiunge, recensisce, sparisce, vi adoro tutti, sul serio~ ci sentiamo tra due giorni zuccherini!




#06. Viaggio





Maledetto, inutile, incapace. Che quel fottuto miserabile fosse maledetto! Si erano messi in viaggio all’alba per arrivare in quel buco di fogna dimenticato da Dio e solo per avere i pezzi di ricambio da montare prima di fine mese. La colazione era andata a farsi benedire e il pranzo lo avevano fatto in auto pur di non perder tempo, ma no. Ovvio che no. Perché se era lui a fare le cose come si deve per una cazzo di volta, doveva esserci qualcun altro a fare la stronzata. Avrebbe dovuto fiutarla quando erano arrivati la fregatura, quel maledetto li aveva fatti aspettare in strada per il resto del pomeriggio prima di degnarsi a parlare.
«Sette fottute ore di macchina per niente. Sette fottutissime ore di macchina!» latrò scocciato, macinando quei due metri scarsi di marciapiede dove avevano montato le tende.
Sia chiaro, a lui stare in auto piaceva. Che fossero ferme o in movimento, con le auto passava tre quarti della sua giornata, sputava volentieri sangue per la sua officina e quella era la prova. Non era stato il lungo viaggio a farlo incazzare, non era quello il punto!
«Gliel’ho fatto presente.» annuì Killer, seguendolo con la calma piatta di un artificiere davanti a una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro.
«È già sera e non ho ancora quel cazzo di pezzo! Sono venuto fino a qui solo per quello!» sbottò alla fine, serrando i pugni in una tacita minaccia che il suo migliore amico accolse con un assenso.
Erano andati lì per lavorare diamine! Per guadagnare, per tagliare i tempi morti e i costi di spedizione che in quella fottuta regione erano più alti della benzina da comprare per il pieno. Perché cazzo quell’idiota gli aveva dato appuntamento per quel giorno se non era sicuro di avere tutto?!
«Ha detto che i fornitori hanno rimandato senza avvisarlo, non ha colpe, ma li ha chiamati. Davanti a me. Il pezzo arriverà domattina, fanno una deviazione sulla tabella per noi. Ho fatto in modo capissero che era importante.» lo quietò Killer, serrando le braccia sul giubbotto da biker e Kidd a quell’ultima precisazione annuì soddisfatto, seppellendo l’ascia di guerra.
Di Killer si fidava. Killer era il suo migliore amico, gli avrebbe affidato la vita, altro che officina. Se diceva che avrebbe avuto tutto domattina, allora avrebbe avuto tutto domattina. E poi conosceva i suoi metodi di persuasione, gli piacevano, erano efficaci come i suoi, solo meno rumorosi. L’idiota se li era meritati.
«Quindi restiamo qui?» s’intromise la voce di quella dannata donna, facendoli trasalire tutti.
«Quando sei ritornata?» chiese stordito Wire dalla portiera posteriore, guardandola mentre si arrampicava sul cofano con quel suo bel vestitino bon-ton come se nulla fosse. Kidd la guardò fare spallucce con indifferenza, le gambe nude che penzolavano e l’aria serafica di sempre.
«Si può sapere dove cazzo eri finita donna?! Non posso badare anche a dove vai, maledizione!» abbaiò scocciato, rifilandole una scia dell’arrabbiatura di poco prima.
Giusto per farle capire che aria tirava, perché era evidente che a lei sembrasse più che altro una gita scolastica. A lei tutto sembrava una gita scolastica. Non faceva altro che sparire e andarsene in giro senza avvisare, c’erano mattine in cui Kidd arrivava in salotto e si chiedeva sé se la fosse sognata per qualche birra di troppo o chissà che altro. Era un vizio il suo.
«Ho fatto un piccolo giro della periferia, volevo prendere i mezzi per il centro, ma mi sarei allontana troppo e non sapevo quando vi sareste sbrigati. Allora restiamo a dormire?» insistette a chiedere con una punta di eccitazione nel tono che non sfuggì a Heat, accovacciato sul muro di fronte l’auto con la sigaretta in bocca.
«In cinque in auto, davvero emozionante.» le sbuffò contro, cercando come sempre di stroncarle l’entusiasmo.
E in quell’occasione avrebbe anche avuto ragione, se non fosse che alla dannata quell’euforia non crollava neppure a sprangate e sembrava piuttosto che volesse ringraziarlo per avergliela servita su un piatto d’argento, ferma lassù a scrutarli con aria innocente. E lei d’innocente aveva solo quella, perché era ovvio semplicemente a guardarla che la sua testolina doveva aver partorito qualche idea delle proprie per strada.
«Io in realtà avrei visto un motel tre incroci più su, accanto alla stazione di servizio. Aveva il parcheggio riservato e uno spaccio. Potremmo prendere qualcosa da mangiare, passare la notte lì e domattina sbrigare i vostri affari con quel tipo….» la buttò lì in una nuova alzata di spalle, guardandoli ad intermittenza quasi a voler sondare il terreno.
Era perfetto, assolutamente perfetto. Non si sarebbero spostati di molto, non avrebbero perso tempo in inutili ricerche in giro per quella periferia schifosa, potevano fare il pieno per il giorno dopo e anche cenare. Neanche se avessero vinto alla lotteria di fine anno gli sarebbe potuta andar meglio, ma quella proposta suonò comunque un po’ a tutti inaspettata, persino conoscendo da chi era venuta e… strana. Cazzo se lo era.
«Vuoi andare in un motel?!» domandò Wire, girandosi a guardarla con incertezza.
E lo stesso fece Kidd, perché si, la sapeva perfettamente capace di dormire in un capsule hotel, in ryokan ed internet café, sapeva degli alberghi che non erano alberghi, ma un motel…
«Almeno saremo più comodi, ma anche la macchina a me va bene se non vi va.» si difese sentendosi fissare.
«È un motel di periferia davanti a una pompa di benzina, Aya. La moquette puzzerà di vomito e in bagno, sempre che ci sia, ci saranno scarafaggi grossi come cani.» puntualizzò Wire, con uno di quei sospiri esausti che cacciava fuori ogni volta che doveva ragionare con lei. Puntualmente però, lei finì per focalizzarsi altrove e la presunta comodità di quella bettola passò in secondo piano, quando sollevò entrambe le sopracciglia per squadrare quello che tutti ormai chiamavano “la sua balia personale”.
«Tu hai paura degli scarafaggi? Sul serio? Tu?» s’informò, mentre Wire incassava come suo solito il colpo e a Kidd scappò una risata.
«Intendeva che è comodo solo per chi deve farsi o vuole… un certo genere di compagnia occasionale.» chiarì Killer per il loro povero amico, misurando le parole in uno slancio di compostezza.
Considerando dove si trovavano, drogati e puttane erano il minimo sindacale nel quale si sarebbero potuti imbattere, ma evidentemente alla dannata la cosa importava meno che a tutti loro, dato che annuì lenta e saputa solo per una frazione di secondo prima di tornare a trattenersi a fatica dal sorridere.
«Le stanze però hanno le chiavi e puoi chiuderle, c’è la tv via cavo, costa una miseria e nessuno s’impiccerà di quello che facciamo. I suoi vantaggi ce li ha.» continuò imperterrita, neanche l’avessero pagata per promuovere lo spot pubblicitario di quella bettola in culo al mondo.
«Stai morendo dalla voglia di ficcarti là dentro.» tagliò corto Kidd, trattenendosi a stento dal riderle dietro.
Era una maledetta pazza e poco c’entrava che per lei fosse tutto una novità da sperimentare, le piacevano cose assurde e si elettrizzava per banalità che avrebbero mandato in pappa il cervello a chiunque. Non c’era posto ormai in cui andasse e dove lei non si ficcasse in mezzo, non aveva fatto altro che sorridere per sette ore di auto, cazzo, solo guardando fuori dal finestrino! Figuriamoci se si lasciava scappare l’opportunità di fare una roba del genere. Era una specie di mostruoso caterpillar per quelle robe.
«Non ho mai fatto un viaggio così, sembra una cosa da film!» trillò, sprizzando entusiasmo verso di lui neanche fosse una teenager al suo primo pigiama party e quello tutto sembrava tranne un pigiama party.
«Come no, da film porno.» puntualizzò infatti Heat, ricevendo appena un’occhiataccia da lei e Killer che fece ridere di nuovo Kidd.
Era inutile che glielo facessero notare, per lei era assurdo che a Heat sembrasse strano e persino fuori luogo che lo avesse investito un pensiero come quello. Non si era fatta problemi ad andarsene di casa con due cambi dentro uno zaino e senza la minima idea di dove andare o cosa fare, un motel in confronto le sembrava un luna-park e l’entusiasmo era proprio quello.
«Allora possiamo? Ci andiamo?» quasi lo supplicò, sporgendosi dal cofano ormai a carte scoperte.
Ed ignorando il sospiro spossato di Wire per quel brio immotivato e il verso di disappunto di Killer, Kidd le ridacchiò contro quasi del tutto dimentico dell’idiota che l’aveva lasciato a mani vuote in quella lurida città.
«Solo tu potevi elettrizzarti per una boiata simile!» sghignazzò in un assenso e la vide quasi gettarsi dal proprio posto con un salto, macinando qualche metro per l’entusiasmo prima di voltarsi a chiamare la sua fidata ed esasperata spalla.
«Wire vieni, andiamo avanti per prendere qualcosa da mangiare! Grazie, grazie, grazie!» li salutò elettrizzata, senza aspettare oltre il bruno, che rassegnato si staccò finalmente dalla portiera per andarle dietro come un’ombra silenziosa.
Ancora ridendo, Kidd li seguì con lo sguardo allontanarsi di qualche metro, prima che Killer gli si affiancasse.
«È…» cominciò incerto, guardandoli sparire dietro l’angolo.
«Pazza. Completamente.» finì per lui Heat con una smorfia indecifrabile.
«È Incredibile come tu abbia un’idea peggiore dell’altra con lei.» completò ugualmente, ignorando l’altro.
E per contro Kidd decise di ignorare lui. Già se la vedeva, la faccia ebete del ciccione disadattato della reception, intento a seguire chissà quale talk di serie B alla tv, quando avrebbero preso una camera unica sino al giorno dopo: quattro come loro, con quelle espressioni che facevano da pessimo biglietto da visita e una come lei… ah, cazzo! Sarebbe stato un miracolo se non si fossero trovati in una centrale della Marina prima delle due di notte e fanculo i pezzi di ricambio, era divertente!



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Capitolo 7
*** #07. Vento ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Vento
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Sono in ritardo… chiedo venia, non sto sparendo ve lo assicuro, ma ho degli impegni che mi rubano tempo prezioso e ho potuto rimediare solamente oggi. Ad ogni modo è una shot in cui succede e non succede nulla, c’è una fase di stallo, ma mi piaceva l’idea di mettere Kidd e Law faccia a faccia, per cui eccoveli con sommo dispiacere di Aya che se ne sta là in mezzo a farsi schiaffeggiare dal vento. Come sempre ringrazio chi legge, chi ha aggiunto addirittura la storia a preferite, lette e ricordate, e ovviamente Heaven che recensisce imperterrita dandomi iniezioni di coraggio. Un abbraccio e alla prossima mes amis~



#07. Vento





A lei piaceva passeggiare. Vedere come cambiava la città ad ogni angolo, scoprire cosa poteva nascondersi in una piazza incastrata tra gli edifici, salire in cima al tetto di un grattacielo per sbirciare i dintorni, erano tutte azioni banali che non potevano essere compiute da un auto, un tram o sulla metro. Prendere i mezzi le sembrava un po’ una stregoneria, saltavi a bordo lasciandoti un minimarket alle spalle e quando scendevi, ti ritrovavi di fronte la banchina del porto senza aver davvero capito cos’era successo in mezzo. Nelle rare occasioni in cui la sua famiglia decideva di schiodarsi dal loro palazzo pieno di lusso e inutilità per andare altrove, le veniva sempre imposta quella tipologia di trasferimento lampo. Certo, non con quei mezzi così economici e democratici, ma sempre stregonerie erano ai suoi occhi. A loro d’altronde importava la metà – per qualche ora, giorno al massimo – non come ci si arrivava o cosa c’era oltre le porte perché, come sua madre ripeteva sempre: “Cosa mai potrà esserci là fuori di superiore a ciò che abbiamo già?!”. Tutto avrebbe voluto replicare Aya, ma rinunciare a spiegar loro come stavano le cose era meno doloroso del sentirsi insultare o peggio, restare chiusa in casa a riflettere sulle presunte grazie che le avevano concesso i suoi amati e generosi genitori. Per cui adesso che poteva finalmente scegliere di camminare lo faceva sempre, fosse stato anche per attraversare mezza città, ma con quel vento aveva dovuto arrendersi anche lei con la sua perseveranza. Ci aveva provato a dirla tutta, Law, che aveva incontrato per caso alla fine del turno in ospedale, l’aveva accontentata finché non avevano raggiunto le sponde del fiume e una folata aveva minacciato di scaraventarli di sotto dopo averli tramortiti con cinque o sei rami di ciliegio strappati dagli alberi. A quel punto l’aveva fisicamente ficcata nella metro di peso senza interpellarla, i capelli scarmigliati come non mai e qualche foglia di troppo dove non avrebbe dovuto.
«Sembra una tempesta tropicale! Non è ancora neppure la stagione giusta!» lamentò Shachi, riparandosi il viso con la falda del cappello e un braccio alzato, mentre sbucavano nuovamente nella piazza in cui sia lei che Law abitavano.
Non era molto grande, in una zona economica come quella era quasi impossibile trovare spazi ampi al di fuori dei parchi, ma lo era comunque a sufficienza da fare incanalare il vento tra i palazzi e creare più scompiglio del dovuto. Come poi se mancassero le difficoltà date dal meteo lì, ogni volta che pioveva era come stare in mezzo all’oceano in burrasca… stando al balcone della cucina, la prima volta che aveva visto tutta quella pioggia cadere a dirotto aveva avuto l’impressione d’essere su una nave che sarebbe colata a picco da un momento all’altro.
«È colpa del vortice di bassa pressione previsto per questo week-end, lo dicevano anche al notiziario della mattina. » s’intromise Penguin, tirando su il bavero del giaccone.
A quella precisazione Shachi gli scoccò esasperato un’occhiataccia, fermandosi un attimo a squadrarlo.
«Il notiziario del mattino?! Cosa sei mio nonno?! Dovresti proprio trovarti una ragazza fissa Pen! Aspetta, Aya-sama lei non ha un’amica disponibile per caso? Sarebbe meraviglioso!» s’informò curioso, fissandola con una tale attesa da farla ridacchiare.
«Glielo chiedi per lui o per te?» bofonchiò con innocente curiosità Bepo e a Shachi venne di colpo un tic all’angolo della bocca nell’essere stato scoperto.
Si trattenne dallo scoppiare del tutto per non farlo vergognare oltre, mentre crudeli invece Penguin e Law lo affossavano da buoni amici quali erano con frecciatine e ghigni saputi, ma ci pensò seriamente su, valutando se potesse esserci una qualche possibilità di un incontro organizzato.
Sfortunatamente però lei non era la persona adatta. Non era mai stata popolare in quel senso, non lo era stata in passato quando i rapporti erano quasi obbligati pur di fare bella figura e non lo era neppure nel presente. La sua lista attuale di amiche, incontrate per caso e per cui era ancora incredula, si riduceva a due nomi soltanto e se una pianificava ancor prima del fidanzamento fantasiosi matrimoni, l’altra aveva la spiacevole abitudine di pianificare ormai solo funerali. Non aveva molte altre conoscenze femminili purtroppo e quelle con cui era solita parlare non le avrebbe definite certo amiche, qualche volto noto haii, magari nel quartiere o nella zona commerciale due incroci più su. C’era la nipote della proprietaria della lavanderia, la bionda con il caschetto che aiutava la vecchia Nyon-ba ogni tanto e di cui Aya non aveva ancora capito la parentela ammesso che vi fosse, le sorelle del palazzo di fronte con quelle assurde acconciature, la ragazza del piano di sopra, ma quella era strana persino per i suoi standard… no, non era proprio la persona adatta a combinare appuntamenti. Però conosceva qualcuno che una lista parecchio più fornita l’aveva!
«Temo proprio di doverti deludere Shachi, gomen. Ma potrei chiedere ai ragazzi in officina! Non conosco esattamente dettagli e rapporti, ma direi che hanno di certo più successo di me nel campo!» rifletté con i capelli che le schiaffeggiavano le guance arrossate e mentre Law la osservava in silenzio con una strana espressione, il destino le venne in contro, spingendo Kidd a cacciar fuori la testa dalla rimessa buia in cui lavorava quasi si fosse sentito chiamare all’appello.
«Kidd!» lo salutò, ritrovandosi d’istinto a sorridere nel rivederlo.
Con la tuta da lavoro lercia e sbottonata, incurante dell’abbassamento di temperatura causato dal vento, lo vide voltarsi nella sua direzione con la solita aria scocciata, ma qualcosa dovette andargli di traverso poiché dopo un attimo di blocco, Aya lo vide letteralmente marciare a passo di carica verso il loro gruppetto, armato di un crick. Avvertì Shachi aggrapparglisi al braccio in uno slancio di disperazione e persino Penguin si mise in allerta, convincendosi a raddrizzare il collo dal colletto dentro cui se n’era stato rintanato a causa delle folate eccessive tra i palazzi.
«N-no Aya-sama, davvero, va bene così!» provò a fermarla Shachi, cacciando fuori un verso strozzato da animale morente quando il rosso gli si parò davanti e la tirò indietro per l’altro braccio.
Aya spostò lo sguardo da Shachi a lui, nel tentativo di rimproverarlo per la scarsa educazione che lo contraddistingueva soprattutto in circostanze pubbliche come quella, ma Kidd nemmeno se ne accorse, troppo impegnato in quella che pareva una sfida d’occhiate con Law.
«Trafalgar.»
«Eustass-ya.» e aveva decisamente sbagliato avversario.
Ammirata per quel “maturo” scambio di saluti sui cui toni era decisamente il caso di sorvolare ignorando persino la curiosità di sapere che avessero tanto da puntarsi, si mise in mezzo, lottando con i riccioli perché non le offuscassero la vista in quel suo tentativo di migliorare il clima. Della conversazione almeno, perché quello meteorologico era bello che andato.
«Kidd… tu o uno dei ragazzi, conoscete per caso qualche ragazza libera, senza troppa passione per i localini, divertente, bella ma magari con dei gusti appena appena più sobri dei vostri?» chiese imperterrita, più che convinta che potesse esserci una minima possibilità.
Le ragazze che frequentavano e in cui lei si era imbattuta non erano esattamente ciò che immaginava piacesse a Shachi o Penguin, ma doveva pur esserci qualcuna che andava bene.
«Perché Trafalgar, non riesci a trovarti una donna?» lo provocò divertito Kidd, persistendo nel puntarlo.
«So fare da solo Eustass-ya, ma sei gentile a preoccuparti per me.» ghignò Law, altrettanto provocatorio e sebbene a lui fosse riuscito mantenere la calma lo stesso non si poté dire di Kidd che scattò come una molla per chissà cosa in quella frase tanto banale.
E non stava andando bene, affatto. Era come assistere ad una negoziazione tra due paesi in guerra da secoli, solo che lì il buon senso era inesistente e non impediva a nessuno di venire alle mani, cosa che sarebbe di certo avvenuta a giudicare dalle vene sul collo di Kidd.
«Sono gentile a non toglierti a pugni dalla faccia quel cazzo di sorrisetto, ma posso comunque ripensarci.» minacciò, stringendo la presa sul crick e Aya decretò fosse decisamente abbastanza per quel giorno.
La discussione era ormai ad un punto morto e se quei due non si fossero separati lì ci sarebbe stato anche qualcun altro morto, tanto valeva per il bene di tutti troncarla e andare a ripararsi da quel vento.
«E con questo io direi che è ora di andare… per favore.» incitò Kidd, piantandogli le mani sul torace per fargli muovere almeno un passo indietro.
Per un lungo momento tuttavia i suoi spintoni furono vani e lui rimase immobile, al centro della piazza, minacciando Law con la sola presenza, mentre dal suo canto il moro non pareva voler fare diversamente.
Se ne stava là, immobile con quel suo ghigno autografato, studiando Kidd come avrebbe fatto con un esperimento umano e lei con un interesse altrettanto bizzarro che le fece chiaramente sentire i suoi occhi addosso, mentre spingeva indietro e a vuoto il rosso. Poi, così come aveva cacciato fuori la testa dall’officina, Kidd si sbloccò stranamente e dopo averla arpionata per un polso senza darle il tempo di salutare, ritornò indietro trascinandola con sé tra un grugnito scocciato e l’altro.
«Kidd... ce la faccio, davvero! Sono venuta a piedi dalla fermata della metro! Non mi porta via il vento!» provò a rassicurarlo, sentendosi una bambina nell’esser tenuta per mano da lui.
«Come se fosse il vento il cazzo di problema.» borbottò Kidd, la fronte aggrottata e la mascella ancora serrata, ma lei non riuscì a distinguerne le parole.
«Cos’hai detto? Non ti sento se borbotti con queste raffiche.» si scusò, facendolo scoppiare del tutto.
«Muovi il tuo fottuto culo donna!»




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Capitolo 8
*** #08. Caffetteria ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Caffetteria
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Izou.
Note: Lo ammetto, questa è una delle mie shot preferite della raccolta. Non so bene spiegarvi perché, credo sia un misto tra Aya che si trova innocente a far chiacchiere con Izou, Kidd che scatta solo lui sa perché all’idea, Heat che tenta modi alternativi per uccidere la gente o l’atmosfera della caffetteria. Quella l’avevo ideata anni fa per un’altra mia racconta, ma l’idea è naufragata per cui eccola qui. Godetevela spero, come ho fatto io nello scriverla e ci si risente nel fine settimana con un altro aggiornamento~ vi adoro, sappiatelo.



#08. Caffetteria





Il tonfo della sua testa che cozzava contro il cofano motore fu peggiore della scarica di dolore che lo attraversò per il colpo, ma niente, niente sarebbe potuto essere peggiore di ciò che le sue orecchie avevano appena sentito tra una spinta di frizione e l’altra.
«Stavo controllando l’asse della Valiant, ha insistito lei.» se ne lavò le mani Heat, persistendo nel tinteggiare con indifferenza la carrozzeria grigia della Supra di quarta generazione che la proprietaria del conbini aveva lasciato loro tre giorni prima.
Era colpa sua se stava succedendo. E di Heat certo, ma soprattutto sua! Perché Heat non faceva segreto di non sopportare Aya e sì, mandarla al macello così, senza un briciolo di rimorso, era da lui, ma quella schifosa cagna cui era impossibile scampare neppure per mezzo berry e una fetida porzione di tonkatsu umidiccio, aveva preso in pieno la macchinetta Santori in fondo alla strada per parlare con un’amica. “Non era mai stato lì quell’aggeggio infernale!” aveva sbuffato scocciata dalla calca, quando le avevano chiesto come diavolo avesse fatto a non vederla. Il cemento era ancora appiccicoso, c’erano state birra scadente e soda ovunque per giorni. Birra, soda e soprattutto caffè. In lattina e dal sapore disgustoso, ma quello era il loro caffè, l’unico che loro dell’officina azzardavano a comprare pur di non scularsi da là dentro e quella strega infoiata glielo aveva divelto con una smorfia e uno scoppio di chewing gum. Se non avesse avuto la sua fottutissima macchina da sistemare e quindi berry a volontà da spillarle, Kidd l’avrebbe strozzata. Questo era ciò che aveva pensato sino a due minuti prima, adesso, quasi quasi andava direttamente a strozzarla e la macchina se la teneva per rivendere i pezzi.
«Heat no. La caffetteria no!» biascicò tra lo sconsolato e il preoccupato Killer, ma Kidd non sentì il resto della conversazione né vide se Heat diede segno d’essersene fregato almeno un po’.
Era già per strada, in un misto di corsa e marcia da guerra, con la tuta da lavoro unta di olio per i freni e la testa che pulsava non si sapeva bene sé per l’isteria del momento o il colpo che si era auto inferto poco prima, diretto verso quell’antro di perdizione e morte che stava sulla strada principale, due incroci più su della sua officina. Nel tempo del tragitto, abbatté a spallate chissà quanta gente, i loro lamenti non gli arrivarono neppure alle orecchie, ma in compenso avvertì distintamente i propri denti digrignare per il nervosismo quando raggiunse quello che avrebbe fatto invidia ad un tropical bar di Busan.
La “Wa Co House”, abbreviazione di Wano Coffee House, che Kidd e la sua combriccola avevano ribattezzato amichevolmente WC House, era l’unica vera caffetteria del loro quartiere. Una chicca uscita dalle tasche della Whitebeard Society, che aveva attirato stuoli di ragazzine adolescenti sghignazzanti, presunti intellettuali e il cielo solo sapeva, decine di altri idioti strampalati da ogni dove pronti a posare il culo sui suoi divanetti in pelle pregiata per il resto delle loro merdose giornate. Era un tripudio di foglie di ginkgo, palme, tappezzerie dubbie, ninnoli e luci a tutte le altezze possibili, piazzate a casaccio con l’unico scopo di fartici finire impiccato alla prima distrazione. Per non parlare di quell’odiosa balena sorridente che riempiva un’intera parete e sotto cui la gente persisteva a scattare selfie idioti che ammorbavano i social. Kidd e i suoi c’erano entrati dopo una settimana dall’apertura, intenzionati a comprare del caffè decente invece del piscio della loro macchinetta, ma erano bastati cinque minuti d’orologio perché cominciassero a sognare ad occhi aperti di dargli fuoco con dipendenti dentro. Soprattutto con dipendenti dentro. Specialmente con quel dipendente dentro.
«-e così gli ho detto: “Kami, rimettilo al suo posto o qualcuno si farà male!” Oh, avresti dovuto vedere la sua faccia!» lo sentì raccontare ambiguo come suo solito e un brivido gli corse giù per la schiena vedendo che ad ascoltarlo al bancone c’era quella dannatissima donna.
Izou. Ex campione nazionale di kenjutsu per sei anni di fila, in realtà un ammasso di trucco e movenze da periodo Edo che faceva a pugni con la sua vita sessuale libertina persino per gli standard non standard di Kidd – della quale per altro non avrebbe mai voluto sapere nulla, ma purtroppo non era stato così –. Sembrava uscito direttamente da uno di quei drama in costume di terza categoria che mandavano dopo pranzo nei week end e di sicuro sarebbe stato meglio lì, piuttosto che a servire i tavoli. Tavoli che tra le altre cose non serviva neppure a pagarlo, lui “intratteneva”. Così aveva detto con voce suadente a lui e Killer tra uno sventolio di ventaglio e l’altro, quattro minuti prima di dare avvio a una sequela di proposte e frasi dubbie per cui Kidd ancora provava raccapriccio dopo due anni.
«Ha cacciato fuori quell’espressione tipicamente sua e per carità, io lo avrei anche assecondato, ma sarebbe stato così poco gentile come spettacolo. Non trovi anche tu?» continuò a ciarlare, scostando con fare da geisha navigata una ciocca sapientemente sfuggita all’acconciatura elaborata.
Non resistette più. Aveva visto già abbastanza per i suoi gusti e non aveva nessuna intenzione di starsene là ad origliare chissà quale schifosa conversazione sui suoi incontri notturni o tantomeno scoprire se aveva dato modo ad Aya di farsi un opinione a riguardo. L’avrebbe tirata fuori da quell’incubo, non gliel’avrebbe lasciata tra i suoi guanti in lattice personalizzati neppure un altro mezzo secondo.
«Esci. Muoviti.» esordì di punto in bianco, piombando sul bancone della Wa Co House neanche avesse dovuto bombardarlo.
«Kidd.» trasalì Aya, cercando di restare in equilibrio tra lo sgabello che le ruotava sotto il sedere e Kidd che la sollevava per un braccio di peso pur di allontanarla.
Izou ebbe un breve momento di confusione vedendolo piombare all’interno, reazione che condivise più o meno con una buona parte della clientela presente a quell’ora e a cui venne quasi un mezzo infarto temendo si trattasse di una rapina, mentre l’altra metà degli ospiti – gente della cerchia del vecchio baffuto – lo guardava con semplice curiosità. Poi però, tra una pirouette e l’altra di Aya, lo riconobbe e poggiò il mento candido sul palmo della mano, squadrandolo con quell’espressione che avrebbe fatto invidia ad un esame della prostata.
«Ed eccolo qui il nostro ragazzone fortunato.» lo salutò e a Kidd bastò tanto per capire che doveva aggiungere una nuova voce alle ragioni per cui gli stava sul cazzo.
«Tappati quella fogna, Izou. Subito.» lo minacciò, sentendo all’istante la mano di Aya schiantarglisi sul braccio sollevato a mezz’aria affinché si calmasse.
«Kidd.» lo chiamò nuovamente, poggiandoglisi per un secondo con la fronte sul braccio abbassato.
Ma lui non ci badò neppure, intento com’era nello scambiarsi occhiatacce con Izou, che affatto scomposto dalle sue pessime intenzioni, si era addirittura sollevato in una posa da prima donna per fronteggiarlo.
«Tranquilla cara, conosciamo tutti qui Kiddo-kun. Contavamo fossi più rilassato e socievole ora che questo dono divino allieta le tue giornate-» cominciò a ruota libera, facendo voltare Aya di scatto.
«Come?» chiese leggermente confusa, non si capì mai se per il nomignolo o l’allusione.
«-ma mi sembra chiaro, come a tutti d’altronde, che tu abbia bisogno di qualcosina in più. Senza nulla voler togliere a lei ovvio, posso darti qualche suggerimento in merito alle pratiche che sarebbero più adatte per distendere il tuo caratteraccio? Specie con il lavoro estenuante che fai e il sudore che grondi in quest’antiestetica tuta che ti ostini a portare-» insistette tra le risatine malcelate dei quattro coglioni che lo spalleggiavano là dentro e se non fosse stato per quella dannata donna, che gli si aggrappò letteralmente ai fianchi pur di trattenerlo, avrebbe commesso una strage seduta stante.
«Se non la pianti subito di sfornare stronzate invece che quei tuoi schifosi caffé, giuro che faccio il giro del bancone! E col cazzo che ti basterà il trucco per sistemarti di nuovo quella tua faccia di merda!» ringhiò fuori di sé tirando giù una sedia e Izou gli rifilò un sorrisetto tagliente di quelli che avrebbero fatto invidia persino a quell’altro odioso del suo vicino.
«Cos’è, una proposta?» mormorò con un tono che gli gelò il sangue e mentre Aya emetteva l’ennesimo verso di dubbio per la piega della situazione, Kidd si abbandonò ad un urlo di frustrazione.
«Ah! Muovi il culo donna, muoviti! Fuori, fuori!» sbottò di nuovo, senza aspettare un secondo di più.
Se gli avesse messo le mani addosso, quel maledetto coglione truccato sarebbe stato capace persino di farselo piacere! Per poco certo, giusto il tempo di aprirgli in due quell’acconciatura da battona d’epoca, ma non ci voleva neppure pensare! Non voleva più vederlo in quell’orrida faccia né sentire la sua voce da teatro o quel lezzo di acqua marina e menta che si respirava là dentro! Dovevano andarsene, andarsene subito e non rimettere mai più piede in quella zona del quartiere finché non avesse trovato il modo di fargli esplodere il locale per togliersi lui e i suoi compari dai coglioni per sempre.
«Cos-Aspetta Kidd, devo prendere-» provò ad opporsi Aya accennando a tornare verso il bancone in legno chiaro, ma finì solo per ritrovarsi caricata in spalla come un sacco.
«I caffè!» andò loro dietro Satch, il cuoco della caffetteria, cercando di passarle il vassoio con i caffè che Heat aveva ordinato per quella mattinata di merda.
«Devo prendere i caffè, Kidd aspetta!» continuò a lamentarsi, smettendo di colpo di agitarsi però quando il rosso svoltò l’angolo della strada rischiando di frantumarle la testa contro un palo.
«Mai più. Non rimettere mai più piede in quel maledettissimo posto, mai più!» masticò a denti stretti, tenendosela sulla spalla con una mano per ritornare a passo di carica in officina e mettere quanti più metri possibili tra loro e quella caffetteria delle disgrazie.
Da quando se l’era portata in casa pareva essere scoppiata una congiura ai suoi danni e lui era nato già dapprincipio senza pazienza. C’erano marines che la perseguitavano, quel coglione di Trafalgar e i suoi amichetti scemi che sbucavano dal nulla solo per ronzarle attorno a tutte le ore del giorno e della notte, gente con cui Kidd non aveva scambiato mezzo saluto – e a cui lei ovviamente invece aveva dato confidenza – che metteva bocca nei suoi affari senza una cazzo di ragione. La vecchia vietnamita della lavanderia accanto l’appartamento ad esempio, non poteva uscire il naso fuori dalla porta per andare in officina che era lì pronta a fargli presente che non stava bene una donna in casa con troppi uomini. Come fossero cazzi suoi poi se ad Aya importava o no! E ora Izou e i suoi compari. Loro dovevano aver aspettato solo il momento giusto per pestargli le palle, era ovvio, molto da loro.
«Potrei sapere, gentilmente, perché mi hai trascinata via a quel modo? Izou è stato gentile con me. Mi ha dato il benvenuto nel quartiere con un sorriso, cosa che molti, non hanno fatto. Mi ha o dovrei dire, aveva, preparato un latte macha senza che lo chiedessi e ha promesso di portarmi alla sua prossima seduta di… face slimming, credo, non ho ben capito, c’entrava della ginnastica facciale, ad ogni modo. Immagino perché ti dia sui nervi, ma è stato carino-» provò a spiegargli Aya, quando la schiantò giù davanti l’officina.
E Kidd tirò senza neppure ascoltare il resto un calcio di proporzioni bibliche ad un copertone.
Le aveva proposto di partecipare alla sua prossima seduta di che?!
«Fottutissima troia del conbini!» inveì fuori di sé, lasciandola ammutolita davanti l’entrata.
«… e tu. Se succede qualcosa, quanto è vero che sei mio amico, ti uccido Heat.» lo freddò quando s’incrociarono sulla soglia, trovando l’approvazione di Killer e Wire.
«Izou no. Non era proprio il caso.»
«No. Izou non è mai il caso.»




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Capitolo 9
*** #09. Quadro ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Quadro
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: E per la serie I Grandi Cliché della storia abbiamo: i calendari osé nelle officine. Questa shot mi sono divertita molto a scriverla perché è idiota, ammettiamolo, ma si svolge in quella modalità di narrazione che a me piace moltissimo, cioè il malinteso. Che sia culturale, linguistico, generazionale e chi più ne ha più ne metta, io li adoro. Il prompt era incentrato sui quadri e mentre mi scervellavo su come conciliare la mancanza di quel genere d’interesse culturale in Kidd con Aya che trova avvincente anche un saggio della Crusca, ho avuto una visione mistica{?!} della Grande onda di Kanagawa e beh, la cosa è degenerata. Spero vi piaccia e grazie come sempre a chi ha letto, recensito, aggiunto la storia tra le seguite. Ci si sente presto mes amis~




#09. Quadro





Quel pomeriggio, approfittando della mancanza dei due padroni di casa, aveva appena avuto il tempo per una doccia prima che Kidd mandasse in fumo i suoi cinque minuti di dominio sull’appartamento, chiamandola con un colpo ben assestato di scopa al tetto dell’officina di sotto. Le era venuto un accidente, come sempre d’altronde da quando lui aveva scoperto di poterla chiamare comodamente da lì, ma la notizia che le aveva dato poco dopo era stata elettrizzante persino per lei e trascinata dall’entusiasmo del rosso si era persino dimenticata d’asciugare i capelli. Così adesso, mezz’ora più tardi, era pronta a far ritorno dal centro città carica di snack della peggior specie, cibo da asporto raccattato un po’ ovunque per accontentare i gusti di tutti e un sacchetto biodegradabile di Mos Burger che si stava già biodegradando tra le sue mani, mentre Kidd la accoglieva tronfio all’interno dell’officina appena ristrutturata.
«Allora, sembra un’officina per ricconi adesso o no?» chiese orgoglioso, mostrandole il frutto di quattro giorni di duro lavoro e Aya si abbandonò ad un sorriso nel guardarsi attorno.
L’inondazione era arrivata improvvisa, durante il fine settimana precedente. Il meteo prevedeva solo pioggia e le autorità della zona si erano mobilitate previdenti data la situazione dei drenaggi in quella parte della città, ma la situazione era precipitata chissà come in ogni caso. Le cisterne che avrebbero dovuto far defluire l’acqua sotto il porto non avevano retto e con una densità di popolazione da accapponare la pelle, abitazioni che sfidavano le leggi fisiche oltre che architettoniche e scarichi rotti, l’acqua era venuta fuori da ogni angolo. Aya aveva piazzato stracci – e non – ovunque in casa per salvare il salvabile, mentre Kidd e Killer cercavano di mettere al sicuro l’officina, ma era stata una lotta impari. Era finita sommersa e con lei tutto il materiale dentro, così entrambi avevano dovuto rimboccarsi le maniche a capo chino, consci che se non si fossero dati una mossa nessuno li avrebbe aiutati e ci sarebbero andati sotto per l’intero mese estivo. Grazie ai kami però, per quanto duro fosse stato il colpo subito, Kidd l’aveva presa come un modo per rifarsi, migliorare addirittura. Beh, non subito ovvio… gli c’era voluta qualche ora di non proprio garbate parole che il vicinato avrebbe tramandato ai posteri come una leggenda metropolitana e per cui Aya aveva visto sbarrare finestre per non riaprile più, ma alla fine era andata bene. Benissimo a giudicare dal risultato.
«Sono sinceramente ammirata. Non puzza quasi più di umido! C’è davvero da festeggiare!» si complimentò, guardandosi attorno con sempre più stupore ad ogni passo.
L’officina per Kidd e Killer era tutto, Aya lo aveva capito dal primo istante in cui vi aveva messo piede. Era il loro lavoro, la loro vera casa, un covo in cui fare baldoria con la loro comitiva e il loculo in cui sotterrarsi quando qualcosa andava storto. L’avevano affittata anni addietro da un omino che alla fine gliel’aveva venduta per il terrore di averci sempre a che fare e sistemata alla meglio con quel poco che avevano, aggiungendo e riparando, sacrificio dopo sacrificio, ogni volta che avevano qualche berry in tasca in più. Sebbene i loro sforzi sino ad allora fossero stati più che commoventi però, la Victoria Punk era rimasta tragicamente un garage umido e uggioso, privo di finestre e con un gabbiotto da carcere come ufficio, in una zona della città sottomessa ai palazzi da ricchi che li circondavano e con ben due scarichi fognari piazzati dietro l’angolo pronti a strabordare a tradimento alla prima occasione. Fino a quella sera almeno.
«Dopo tre mandate di colore, deve solo provarci a tornare.» quasi minacciò il soffitto Kidd e ad Aya scappò una mezza risata, mentre si faceva largo tra le uniche due auto parcheggiate per la lucidatura.
Avevano ridipinto le pareti – di un colore dubbio, ma lo avevano fatto –, riordinato gli scaffali e aggiunto qui e lì pannelli da far invidia ad una sala delle torture, il pavimento in cemento era stato colato di tutto punto dalla scivola d’accesso, l’illuminazione migliorata, le grate dei condotti di scarico ampliate.
«E avete cambiato il divano.» notò sbalordita, passandogli accanto.
«L’abbiamo fregato alla ragazzetta del negozio di tatuaggi, quella col pupazzo rattoppato che parla.» precisò chissà perché Wire, sedutoci sopra con una bottiglia di birra in mano e l’aria di chi si prende una pausa dopo troppe ore di lavoro.
«Non aggiungere altro ti prego.» lo zittì con una mano Aya prima che scendesse nei dettagli, mentre Kidd la superava sbracciandosi nell’indicare il resto delle migliorie seminate un po’ ovunque.
«C’è un sistema di videosorveglianza agganciato direttamente all’appartamento, così posso controllare anche da lì, sensori per le fughe di gas, un carrello elevatore appena uscito dalla fabbrica.»
Non aveva mai ben capito cosa se ne facessero di un sistema di videosorveglianza, stando proprio sopra l’officina e con la reputazione poco brillante che avevano, più che nel quartiere, nella città in genere, ma non era il caso di lanciarsi in un simile dibattito proprio in quell’occasione.
Per cui Aya lo seguì sorridente nel suo gironzolare e benché capisse purtroppo meno di quanto avrebbe voluto di ciò che le stava elencando con aria orgogliosa, non le riuscì di trattenerlo dal parlargliene, soddisfatto com’era per il lavoro e gli sforzi degli ultimi giorni. Significava tanto per lui, quello lo sapeva bene e vederlo così di buon umore per i suoi risultati tanto sudati le rallegrò il cuore.
«Avete fatto le cose in grande. Sono felice per te Kidd, per voi! Ve lo meritate, lavorate sodo tutti i giorni fino a tardi e quell’inondazione non ci volev-… stanno appendendo un quadro in ufficio? Avete comprato un quadro per l’officina?!» si bloccò di getto, quasi pietrificata.
Nel misero spazio, chiuso per metà da pareti di plexiglass, in cui avevano alloggiato documenti, inventario, cassaforte e un tavolaccio da far invidia ad un macellaio, due degli uomini dell’officina e ormai parte della comitiva di Kidd, si stavano affaccendando contro la parete. Avrebbe anche potuto fraintendere, perché sì, quella sarebbe stata davvero una svolta da far accapponare la pelle, ma erano armati di chiodi, martello, avevano persino una livella verdognola. Stavano sul serio appendendo un quadro!
«Un po’ più a destra, te l’ho detto due secondi fa idiota!» berciò uno di loro, proprio mentre Aya li raggiungeva boccheggiando per lo stupore incontrollato.
Di quel passo la Victoria Punk non solo sarebbe stata un’officina degna di tale nome, ma addirittura quella sciccheria da ricconi che tra le risate Kidd le aveva illustrato per spillare soldi a quelli che stavano ai piani alt-…
«È…» farfugliò tuttavia, interrompendo il flusso dei suoi pensieri con Kidd alle spalle che già se la rideva.
«Un capolavoro.» appurò convinto uno dei due geni e lei si ritrovò a sollevare un sopracciglio incerta.
«Più di uno direi! Fronte e retro!» sghignazzò cafone il compare, suscitando l’approvazione degli altri.
Quello sì che avrebbe dovuto immaginarlo, in fondo era stata lei ad alzare l’aspettativa oltre il limite della logica. Era una conclusione ovvia, naturale quasi, degna del clima che malgrado le migliorie si respirava là sotto e tra quelle menti mancate, ma chissà per quale bizzarra ragione così non era stato. E ora, immobile con i sacchetti della cena ancora tra le mani e i capelli arruffati dall’umidità di quella sera estiva, si ritrovava a contemplare con dubbio il titolo solenne stampato tra le cosce di una a dir poco succinta e accaldata Boa Hancock che riemergeva dalla schiuma del mare con uno sguardo che pareva sfidarla. O commiserarla. Aya non ne era esattamente certa, quella donna aveva qualcosa che non andava e di sicuro non era il costume da bagno striminzito. Doveva essere quel titolo, doveva per forza essere quel titolo perché chiunque avesse avuto quella brillante, surrealistica, sarcastica e culturalmente elevata trovata meritava d’essere annegato. Haii, annegato. Non c’erano mezze misure, non era un’esagerazione, era la punizione legittima ad un affronto culturale e perché no, anche parecchio sessista se proprio si voleva essere sinceri.
«Devo proprio farmelo un giro a Kanagawa prima o poi.» sospirò estasiato il supervisore ai lavori pubblici, toccandosi con mal grazia il cavallo dei pantaloni prominente.
“Le dodici vedute del monte”. Lo avevano davvero messo in vendita al pubblico come “Le dodici vedute del monte”. Qualunque fosse stato il salario di Boa Hancock per quella trovata, era stato comunque troppo poco rispetto a ciò che le avevano fatto inscenare.
«Ed è l’unica cosa che riusciresti a farti!» lo ammutolì Heat, sbucando con quel suo fare da cadavere tra le risate generali, senza che lei riuscisse a capacitarsi di avergli sentito fare quel genere di battuta con tanto slancio.
«Oh! Adesso è dritto!» gioì finalmente l’ultimo complice, scendendo dalla sedia su cui era stato appollaiato per ammirare dalla dovuta distanza la sua opera di precisione.
«Ci puoi scommettere che lo è!»
Mancava solo che lo chiudessero in una teca e ci piazzassero un cordino di velluto rosso sotto, per evitare gli approcci troppo diretti. Sempre che ne fossero capaci…
«Altro che “La grande onda”, dovevano intitolarlo “Il grande caz-»
… e no, non lo erano per niente.
Così con un sorriso forzato e a occhi chiusi quasi tanto bastasse per non sentire altro, ruotò su se stessa, lasciandosi Boa Hancock in costume, le onde del mare in burrasca e quel cenacolo di critici d’arte improvvisato alle spalle per dirigersi qualche metro più in là e dare finalmente le giuste attenzioni al sacchetto di Mos Burger che le si stava liquefacendo a contatto con la pelle: “M come la nobiltà della Montagna, O per il cuore profondo dell’Oceano ed S, simbolo di una passione bruciante come il Sole”.
L’aveva scelta bene la cena, non c’era che dire. Adatta.



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Capitolo 10
*** #10. Halloween ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Halloween
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: Io amo halloween ma odio i film horror. Li trovo inutili e non sono mai riuscita a vederne più di dieci minuti, lo confesso. Finisco stoicamente per cambiare stanza quando mi capita di incrociarne mezzo, per cui a nome mio: onore ad Aya a cui non solo non fanno né caldo né freddo, ma si azzarda anche a criticare con Kidd che nella mia testa è un patito del genere. Detto ciò, mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento e prometto una nuova shot a metà settimana. Ringrazio come sempre chi legge, chi passa, chi va e viene. Vi adoro zuccherini~




#10. Halloween




Erano appena quasi le due di notte, ma Killer lo aveva mollato per andare a riposare nella sua camera. La bruciatura alla spalla che si era procurato il giorno prima insieme a lui lo stava torturando, Kidd lo sapeva, glielo leggeva in faccia come nessun altro avrebbe mai potuto e per quanto gli rodesse il culo in quel momento, non ce l’aveva fatta a costringerlo a restare sveglio. Sapeva quanto il suo migliore amico odiasse imbottirsi di antidolorifici e cazzo, un cuore alla fine ce l’aveva anche lui! Avevano rischiato di bruciarsi vivi entrambi con quella maledetta bombola ad iniezione, erano coperti da bende dalle costole in su e per quanto quel look si addicesse a quel giorno dell’anno, non c’era proprio un accidenti di cui ridere. Quell’anno sarebbe andata così, si sarebbe strafogato di robaccia a tema per ammazzare la noia, in tuta e ciabatte per stare comodo e niente maratona di horror insieme fino alla mattina seguente, se li sarebbe guardati da solo, anche se solo in realtà non era affatto.
« “La tomba sulla collina”… non è un gran titolo per un film di successo.» considerò Aya, sbucando da dietro il divano con una busta di popcorn di una marca impronunciabile e altri quattro sacchetti di generi di prima necessità che gli avrebbero fatto scoppiare lo stomaco più delle pillole che gli avevano rifilato al pronto soccorso.
Piedi sul tavolo e birra alla mano, Kidd la guardò scocciato sistemarglieli attorno come fossero una cazzo di composizione floreale, con addosso ciò che rimaneva del suo costume da halloween, una parrucca bianca piena di trecce complicate che a lui andava giù almeno quanto Killer fuori combattimento.
Eccola là la sua compagnia dell’anno. Non aveva niente contro di lei, d’altronde era stato lui a darle corda per primo, ma quella sera aveva delle tradizioni da rispettare, come in molte altre giornate dell’anno e dato che la sua stessa pazienza aveva dubbi in merito alla propria esistenza, non poteva farsela andar giù tanto in fretta. Era un tipo abitudinario lui, magari non lo si credeva a guardarlo e la sua routine quotidiana non era esattamente rigida, ma aveva i suoi punti fermi anche Kidd e tali dovevano rimanere per il bene dell’intera umanità. Killer era uno di quelli e avrebbe piantato su il peggior fracasso di cui era capace se quel briciolo di coscienza che ancora teneva duro in lui, non gli avesse messo un freno per il bene del suo migliore amico. Non era la fine del mondo in fondo, poteva farcela. Forse… ah! Fanculo!
«Se te la fai sotto sloggia, non cambierò film solo perché il tuo stomaco regge meglio le commedie sui matrimoni felici.» ringhiò sulla difensiva, smanettando con il lettore streaming per avviare il film e l’intero impianto audio che aveva istallato da sé con pezzi raccattati ovunque.
Seduta lì di fianco, Aya gli riservò un’occhiata impassibile, raggomitolandosi nella coperta che si era gettata sulle spalle magre per coprirsi.
«Sei un pelino sessista, te l’hanno mai detto?» s’informò con un sopracciglio sollevato e dopo aver socchiuso gli occhi per un secondo, con le mani che prudevano attorno alla birra, Kidd si girò per scoccarle un finto sorriso su cui avrebbero davvero potuto girare un horror.
Solo a lei, dannata donna, venivano fuori quelle stronzate quando era di cattivo umore. Aveva un radar.
«La nostra principessa di casa trova un pugno più adatto?!» le fece il verso e la vide raggelarsi sul divano.
Per il nomignolo non di certo per la minaccia, Kidd ci avrebbe scommesso la testa. Non l’aveva mai sconvolta essere trattata in un modo piuttosto che in un altro.
«Non chiamarmi mai più in quel modo.» sibilò infatti.
«Chiuditi la bocca allora o sparisci.»
Affatto toccata dal tono e dalla piega della serata, Kidd la osservò mettersi un pò più comoda e mentre con aria imperturbabile fissava lo schermo, lui tornò ad armeggiare con connessioni e programmazione, intenzionato a starsene là al buio e mandarla a quel paese per la sua perseveranza.
Se voleva rompere le palle stesse pure in salotto, ma avrebbe comunque tolto le tende dopo la prima mezz’ora di film e meglio per lei, se non si faceva venire in mente di urlare o lanciare roba contro lo schermo perché le avrebbe dimostrato sul serio quanto sapeva essere equo quando gli giravano le palle.
Continuò a pensarla a quel modo per mezz’ora e anche più. I fotogrammi andavano, la trama proseguiva con i suoi attori dall’aria smorta e travagliata, aveva fatto fuori per il nervoso un pacco di popcorn al caramello e almeno quattro lattine di roba imprecisata per togliere quel sapore dalla bocca dopo essersene pentito, eppure quella donna era ancora là. Immobile e con aria attenta, non aveva staccato gli occhi dallo schermo per mezzo secondo e dopo aver pensato che fosse così spaventata da non potersi smuovere, a Kidd erano cominciati a venire dei dubbi. Illuminata dalla luce fluorescente dello schermo che la faceva sembrare un pelo di troppo uno spettro con quella schifosa parrucca da cinque berry, pareva più critica e dubbiosa sull’andamento della storia che terrorizzata.
«Perché sta sistemando un’offerta?» chiese di colpo dopo due ore nette, bisbigliando per non disturbare chissà chi poi e Kidd tornò a guardare il film, cercando il filo che aveva perso per colpa sua.
«Per il morto.»
«Quindi sono due…» la sentì biascicare ancora e aggrottò la fronte.
Che?! Di che diamine stava farneticando? Il morto era uno e uno sarebbe rimasto. Lo aveva già visto quel film, un paio di anni prima, non era un granché tra tutti quelli in circolazione, ma per cominciare una maratona andava bene ed era meno noioso di quelli in cui si accoltellavano o macellavano ogni trenta secondi. A Kidd il sangue faceva impressione quanto una chiazza di olio per motore sui pantaloni, ma quelle robe splatter alla fine diventavano una palla, per questo le lasciava per ultime ad halloween. Andavano benissimo quando ti eri già rotto le palle e cominciavi ad avere sonno. Il film che stavano guardando in quel momento invece, era più progettato per mettere ansia, non succedeva chissà cosa, ma l’atmosfera era quella giusta: un figlio che va a recuperare il corpo di suo padre in un villaggio tra le montagne e dopo aver incontrato un monaco di cui nessuno conosce l’esistenza, rimane da solo con il cadavere, in una città abbandonata dagli abitanti proprio per il lutto. Era tutto buio, angosciante, pieno di bisbigli e movimenti fuori schermo di troppo che avrebbero dovuto rivoltare lo stomaco e che invece Aya stava guardando con la smorfia che si sarebbe potuta avere davanti ad un cazzo di comizio politico! Porca troia, lui era abituato a ridere, la tradizione con Killer era nata per quello, ma lei… maledizione, lei non avrebbe dovuto starsene là impalata! Certo, sarebbe durato poco, mancavano cinque o dieci minuti alla scena chiave del film e quella era uno schifo progettato a tavolino, gliel’avrebbe tolto a morsi il sangue freddo.
Così muto, fece esplodere l’ennesimo pacco di robaccia nei paraggi e continuò a guardare lo schermo, mentre il figlio si svegliava nel pieno della notte e dopo aver sentito dei rumori di troppo se ne andava dritto dal padre morto. Morto e in compagnia ora del monaco, che se ne stava piangendo sopra il corpo a mangiare budella e fegato con gli occhi pieni di lacrime e la pelle nera quanto il cadavere.
«Ti avevo detto di sloggiare.» borbottò a bocca piena, senza girarsi, sentendola finalmente smuoversi dalla sua posa da meditazione.
Aveva fegato e lo stomaco più forte di quanto non si sarebbe scommesso a una prima occhiata, ma doveva cedere, era ovvio e quella roba era stata più che sufficiente. Killer al suo posto avrebbe agguantato la ciotola degli snack per scaramanzia, gli avrebbe rifilato uno o due borbottii per la scelta schifosa e Kidd si sarebbe fatto una risata. Da lei non poteva aspettarsi lo stesso, che avesse tenuto duro sino ad allora e senza urlare era già tanto.
«Dovrei ascoltarti di più in effetti… questo film è-…» lamentò scontata Aya di fianco a lui e Kidd si passò il dorso bendato della mano sulla bocca, liberandosi del sapore in eccesso di conbini sulla lingua. .
Disgustoso, terrificante e bla bla bla. Le sapeva già quelle cose e gliene fotteva meno di niente, a lui quella roba piaceva, lo distraeva. In una maniera che non tutti avrebbero condiviso e che molti avrebbero trovato poco rassicurante o indice del pessimo carattere con cui era nato, ma a lui stava bene così. Se ne fotteva se gli altri non condividevano i suoi gusti e le sue opinioni, c’era Killer a spalleggiarlo di solito e tanto bastava anche in quella loro piccola routine. Se a quella donna non andava giù, poteva trovarsi altro da fare e abbandonare l’idea di fare le veci del suo migliore amico. Avrebbe anche potuto dare un altro genere di piega alla serata rovinata in partenza se proprio voleva starsene con lui,i suoi lati positivi d’altronde li aveva anche lei. Tolta quella cazzo di parrucca ovviamente, non aveva nessuna voglia di fottersi una Targaryen, un Witcher o qualsiasi altra roba fosse quella cosa da cui si era travestita alla meglio per la giornata.
«Puoi sempre muovere il culo e fare altro, donna.» propose schietto e senza il minimo tatto, ma Aya non parve neppure sentirlo o magari non afferrò il doppio senso.
Kidd aveva sempre quel dubbio quando si trovavano in quel genere di situazioni. Non che gliene fregasse qualcosa, semmai avesse voluto arrivare al punto non avrebbe certo chiesto il permesso o atteso che fosse lei a prendere l’iniziativa, ma la dannata pareva fregarsene quasi quanto del resto.
«È davvero…» la sentì cercare le parole adatte, gli occhi fissi sul protagonista che cedeva dando la reliquia di suo padre al monaco in modo che si riconciliassero insieme per morire del tutto.
Lo sapeva cos’era e lo aveva saputo anche lei quando si era impuntata nel volergli fare compagnia. Non si azzardasse a fare critiche o versetti isterici, non voleva nessuno tra i piedi che ne facesse in quella serata.
«È un horror. Deve fare paura e non-»
«Non fa paura, è solo privo di logica.» sentenziò critica e Kidd ci mise un secondo di troppo per afferrare.
Stava facendo sul serio?! Non si stava lamentando del genere, ma della trama? In un fottuto horror?! Cercava un senso in un film la cui sceneggiatura probabilmente era stata scritta da un disagiato in qualche periferia di un’altra città straniera e girato con attori che nessuno avrebbe pianto se fossero stati trucidati nella realtà?! Quella roba doveva essere una merda, se l’avessero fatta di qualità con molta probabilità non sarebbe neppure arrivata nelle sale. Chi cazzo vedeva un horror movie per la trama accattivante?!
«Forse perché non c’è e non deve esserci. Devi fartela sotto e fine della questione, a chi frega perché?»
«Tu hai paura?» s’informò piatta voltandosi a guardarlo.
Assorto e non proprio certo d’aver sentito, Kidd la squadrò dall’alto dei centimetri che li separavano anche da seduti e se non avesse avuto davanti chi aveva davanti, probabilmente avrebbe messo anche il resto del suo corpo sul fuoco scommettendo che quella domanda idiota sarebbe stata il principio di una scopata come il cielo comanda sul suo divano. Perché no, una di quelle serate da manuale horror in cui i protagonisti fottono come se non ci fosse un domani e il domani poi non arriva per colpa di qualche maledizione, una chiamata al telefono, un serial killer, il vicino con problemi psichiatrici. Trafalgar sarebbe stato perfetto per quel ruolo, Kidd aveva l’impressione di vederselo già davanti mentre tirava fuori un bisturi dai sui cazzo di jeans dopo averli spiati dalla finestra. Ma non era quello il caso purtroppo e il suo orgoglio si era appena sentito pestare i piedi da quella dannata.
«Come cazzo ti passa per la testa che possa farmela sotto?!» ringhiò scontroso, vedendola girarsi del tutto, in ginocchio tra i cuscini e con quella coperta ancora attorcigliava alle spalle.
«È questo il punto. È solo brutto ed era chiaro dai primi venti minuti che era il vecchio il jikininki. Gli abitanti del villaggio non hanno detto nulla perché non gliel’ha chiesto, il ché è sconveniente e poco plausibile dato che sono in pochi e lui arriva da una grande città. Gli avrebbero chiesto di presentarsi e la cosa si sarebbe risolta arrivando subito al punto del monaco, lui l’avrebbe scoperto e avrebbe capito facilmente che era lì per il cadavere di suo padre. Così è solo un’accozzaglia di elementi che non metterebbero paura neppure a un bambino, non c’è sorpresa… è… non voglio essere offensiva ma, è scadente.» sputò fuori tutto d’un fiato.
Lo faceva sempre. Stava zitta per metà della giornata, in un silenzio talmente profondo da non fare avvertire neppure la sua cazzo di presenza nei paraggi e per l’altra metà gli riversava nelle orecchie una tale quantità di parole da farlo quasi diventare sordo. Con logiche, discorsi e turbe mentali che potevano piantare le tende solo nella sua testolina e quella era l’ennesima dannata prova, perché lui lo sapeva, lo sapeva che tutto quel fare da critico cinematografico stava venendo da un jikininki piazzato là per terrorizzare e che lei trovava fuori posto. Non le passava per la mente che quel genere di cose non potessero realizzarsi, che fossero fantasie, racconti, che ciò che aveva letto a Marijoa non avesse niente a che fare con la vita reale.
«Ma che diavolo di problema hai?!» lo disse più tra sé e sé, che aspettandosi una risposta, ma Aya viaggiava su binari suoi e in fondo era per quello che gli era andata a genio dal primo secondo.
«Nessuno… non mi dispiace il genere, ma questo non era affatto… non ne hai altri da guardare? Qualcosa che sia davvero… spaventoso?» domandò piatta giocherellando con un pacco di nuvole di drago e alle sue orecchie parve proprio una sfida bella e buona.
Non solo si era presa la briga di criticare – una stronzata certo, ma lo aveva fatto –, faceva anche la voce grossa adesso e per cosa? Aveva retto a un film che non rientrava neppure nella lista dei venti più agghiaccianti di cui disponeva nella sua libreria virtuale. Stava sbagliando di grosso a sfidarlo e se ne sarebbe resa conto con gli interessi, perché parola sua, l’avrebbe castigata a colpi di strepiti e accettate su pellicola per aver fatto la voce grossa con lui e nel suo territorio.
«Ne ho a palate fino a domattina donna.» annunciò con una nuova luce negli occhi che poco o niente aveva a che fare con il riflesso dello schermo.
«Oh siano ringraziati i kami, diamoci da fare, abbiamo tutta la notte da passare. Vuoi un’altra birra prima di trovare qualcosa che mi spaventi davvero?» chiese serafica, aggirando il divano per andare a sbirciare in frigo e nel vederla là, a smanettare conciata a quel modo, Kidd agguantò nuovamente il telecomando scorrendo titolo dopo titolo.
Non era Killer e quella non sarebbe stata la sua solita maratona di horror di halloween, ma poteva trovare comunque qualcosa con cui divertirsi.




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Capitolo 11
*** #11. Cucciolo ***



Titolo: Shiawasenashi - La morte felice
Genere: Generale, Commedia.
Prompt: Cucciolo
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd.
Note: Io li ho avuti questi orrendi, pedanti, pretenziosi animaletti in bit e ho trascorso giornate di dolore a causa loro, almeno finché non mi hanno rifilato due o tre trucchetti per non farli estinguere alla velocità dei dinosauri con il meteorite. Ma e dico ma, ho scoperto solo in un mio viaggio di qualche anno fa che in realtà il loro scopo era più nobile, istruttivo e sessista. I tamagotchi in Giappone sono per tutti, ti insegnano la cura al prossimo, ma alle ragazze insegnano ad avere prontezza con cuccioli o bambini… l’accoppiata mi ha inquietata per giorni, vi lascio immaginare e altrettanto è accaduto nella mia mente pensando a Kidd con uno di quegli affari in mano. Detto ciò, grazie a chi passa, legge e recensisce, mi scaldate il cuoricino~




#11. Cucciolo




Quando era rientrata non vi aveva badato più di tanto. Aveva trascorso quasi tutta la giornata in giro, dopo aver fatto, per pura e sconsiderata curiosità, un viaggio di un’ora in metro e aver preso la bellezza di ben tre autobus pur di raggiungere le colline che si trovavano a nord della città. La visita del complesso dei templi era stata piacevole, l’aveva rilassata e messa di buonumore e lo stesso poteva dire di quella della foresta sacra sul fiancone che scendeva sino al villaggio. Lì secondo quanto le avevano detto si rifornivano i monaci e a quel punto, dopo essere trascorso il tempo giusto per rimuginarci sopra, Aya si chiedeva di cosa si rifornissero dato che quell’unica via di abitazioni che chiamavano villaggio in realtà si era rivelata più che altro un’attrazione per turisti pronti a metter mano al portafogli. Lei non aveva portafogli né aveva avuto intenzione di spendere qualcosa, ma passeggiare lì era stato comunque bello e aveva avuto i suoi vantaggi in qualche modo. La donna che lavorava in uno dei ristoranti vicino alla fermata dei bus, un tipino ancora sulla cresta dell’onda cui nessuno osava ribattere neppure per errore tra gli avventori della zona, le aveva offerto una collaborazione momentanea dopo aver saputo che era in cerca di un lavoretto da sua figlia, una bimbetta tremenda almeno quanto sua madre con cui Aya aveva finito per fare amicizia all’istante. Le sarebbe piaciuto lavorare lì, con quell’aria gelida a farle pizzicare le guance e quei templi a pochi passi. Così era rimasta un po’ nei paraggi e un po’ era andata a zonzo per valutare quel colpo di fortuna, purtroppo però il buonsenso le aveva suggerito che le sarebbe costato ogni giorno un organo del proprio corpo soltanto per essere raggiunto con i mezzi e così aveva dovuto rinunciare. Si era resa conto dell’ora solo facendo la strada a ritroso, salendo sugli stessi bus che aveva preso all’andata e vedendo il sole sparire dietro le cime degli alberi e i cavi delle funivie. Quando finalmente era rientrata in casa, era già sera e la cena quasi sul punto d’esser pronta, per cui le era toccato far di corsa una doccia come se la stessero inseguendo perché di solito, se mancava il momento esatto per accaparrarsi il minimo indispensabile, il suo piatto finiva per rimanere vuoto o andare a qualcuno dei ragazzi di sotto in officina che era rimasto a dormire e dopo quella scarpinata, un tè o una busta di cibo pronto del conbini non le andava.
Così, ancora non perfettamente in ordine come avrebbe voluto prima di rilassarsi, aveva legato i capelli alla meglio e indossato qualcosa di comodo, agguantando il piatto che Killer le offriva dalla cucina senza pensarci due volte. Eppure quella cena, era stata più tranquilla del consueto e lo era stata per un’unica e semplicissima ragione: Kidd non si era messo a tavola.
Seduto sul divano, con una fascetta a tenergli su le ciocche rosse scarmigliate e una tuta pesante, aveva mangiato ciò che il suo migliore amico gli aveva poggiato accanto, sul bracciolo con tanto di birra, senza degnarli della minima considerazione. Aya lo aveva guardato stranita per un secondo, ma non si era fatta molte altre domande quando Killer, senza che lei avesse dovuto chiedere, le aveva svelato l’arcano.
«Videogioco, lo ha recuperato allo spaccio di Donquixote.»
«Oh.» si era limitata ad esclamare, proseguendo con la propria cena.
Per essere uno che ad una prima occhiata pareva dedito solo a risse, frequentazioni dubbie e incontri poco romantici in bar da mezzo berry, Kidd trascorreva il tempo libero in molti modi: adorava la musica, “tutta la buona musica” come diceva senza traccia di vergogna a prescindere dal genere in questione e alla prima occasione accendeva l’impianto che aveva modificato personalmente per ascoltarne un po’ insieme all’intero vicinato, perché mantenere le orecchie integre sino alla vecchiaia, non era una scelta contemplata; leggeva, stranamente, anche se erano per lo più letture settoriali le sue e spaziavano dalle ultime avanguardie di meccanica, al risultato di qualche sfida di Davy Back Fight andata male, sino ai risvolti meno politicamente corretti del Governo mondiale; poi c’erano le sue creazioni artistiche riciclate da qualche pezzo di ricambio, oggetti dall’utilità imprecisata e dubbia che servivano nei momenti meno probabili, quando si sfiorava l’orlo della disperazione per qualche catastrofe o un tracollo domestico e che lui fabbricava in mutande a colazione, sul pianerottolo, appena uscito dalla doccia o in camera propria all’una di notte per agevolare il sonno. E poi c’erano i videogiochi. Era bravissimo con i controller, ad Aya che si limitava per una scelta non propria solo a guardare, sembrava sempre che gli input venissero dalla sua testa piuttosto che dalle dita delle mani, aveva una sorta di dono naturale. Con i ragazzi dell’officina, ma soprattutto con Killer – ogni sera prima di dormire, perché era di rito – giocava con qualsiasi cosa, anche se i suoi preferiti erano gli sparatutto dato che in qualche contorta maniera lo rilassava sentire il frastuono dei caricatori e delle esplosioni. Scoprire quindi che non si era schiodato dal divano per smanettare con il suo nuovo acquisto, non la stupiva più di tanto, era l’euforia del momento.
In realtà avrebbe dovuto fiutare che qualcosa non andava poi così da copione, gli indizi in fondo c’erano, a partire da quel famigerato entusiasmo che avrebbe dovuto sfoggiare e che era piuttosto un ringhio basso, continuo, un po’ come quello di una belva inferocita, sino alle decine di aggeggi già fuori uso tra i cuscini del divano. Ma Aya il divano lo aveva guardato a malapena, quel tanto che serviva per sapere che c’era Kidd sopra e non sarebbe andata a dormire tanto presto e aveva continuato a cenare. Poi aveva aiutato Killer a togliere le cose dalla tavola e si era messa a rassettare la cucina, perché di quella parte si era offerta d’occuparsene lei, così da regalare al biondo una pausa ogni sera dopo aver preparato per tutti. Il punto era che Killer, la sua pausa l’aveva terminata da un pezzo: aveva guardato la tv, aveva fatto la doccia e l’aveva salutata per andarsene a letto e Kidd era ancora lì. E c’era rimasto per un’altra ora, finché allo scoccare della mezzanotte, neanche fosse uscito dal peggior libro di favole per bambine, era esploso in un ringhio frustrato da mettere i brividi e aveva lanciato il suo nuovo giocattolino contro il maxischermo che aveva piantato in salotto.
Terrorizzata, più dal rumore improvviso che dalla sua espressione – che certo comunque non era delle migliori del suo ampissimo repertorio – lo squadrò mentre se ne stava in piedi davanti al tavolinetto da caffè, puntando con astio la fonte delle sue pene serali: un ovetto color menta, con tanto di catenina per poterlo agganciare a zaini, giacche, portafogli, chiodi alle pareti e persino piloni della luce. Ovetto che per di più suonava e si lamentava…
«È un tamagotchi quello?» domandò stranita e vagamente inquietata.
Lo aveva visto giocare praticamente con tutto quello che c’era in commercio nelle sue serate games, ma quello, no, quello non se lo sarebbe mai sognata né tantomeno voleva cominciare quella sera. Perché era… insomma… haii, era… Kidd con un tamagotchi proprio no.
«È una trappola per soldi, ecco cosa! Sono ore che faccio di tutto e queste dannate bestiacce non fanno altro che crepare in continuazione! Gli do da mangiare e crepano, gli do da bere e crepano, ci gioco e crepano, ho pulito persino la loro merda e crepano! Si ammalano di fottutissime malattie inesistenti da un momento all’altro e crepano!» abbaiò fuori di sé in risposta, serrando i pugni come se avesse dovuto uccidere qualcuno.
Cosa che in effetti, da quanto raccontava, aveva già fatto ripetutamente e Aya non se ne stupiva poi tanto. Per quanto i comandi di quel gioco fossero basilari, da quanto ne sapeva era difficilissimo far superare a quei “cuccioli alieni” la pubertà per arrivare all’età adulta, erano un concentrato di sventure in bit.
Oltrepassato comunque il trauma della scoperta, beh, le venne da ridere, ma si controllò appena in tempo, giusto per non aggiungere altro all’espressione di seria offesa morale che Kidd stava sbandierando ai quattro venti nel centro del salotto e per un moto genuino di empatia nei suoi confronti.
«… hai provato a fare tutto insieme?» azzardò dalla soglia della cucina, vedendolo finalmente girarsi con un’espressione indecifrabile.
«In ordine intendo.» aggiunse. Quantomeno per dargli un indizio perché sembrava seriamente confuso.
Non aveva mai giocato con nulla di simile, ai suoi genitori non sarebbe mai piaciuta l’idea che potesse essere lei ad occuparsi di qualcun altro, lo avrebbero di certo ritenuto denigrante e offensivo nei confronti del buon nome di famiglia, per cui non era un’esperta in materia, ma neanche Kidd che se ne intendeva sembrava poi così tanto sintonizzato sul pezzo.
«Eh?» sbottò infatti, guardandola come se avesse avanzato chissà quale assurda ipotesi.
Evidentemente gli stava sfuggendo un concetto fondamentale, la base del gioco.
«Lo scopo credo sia accudirlo, crescerlo. Come faresti con un cucciolo, se lo rimpinzi di roba e basta non gli fa bene. Temo sia naturale che si ammali.» suppose e sul viso di Kidd si delineò una smorfia imprecisata.
«Vinco se lo cresco.» ripeté quasi in trance, un sopracciglio inesistente sollevato e l’altro no.
Dalla soglia e già in pigiama, Aya annuì in silenzio con la tazza in mano.
Le sfuggiva il nesso dietro la salute tanto cagionevole di esseri che presumibilmente erano stati spediti sulla terra da chissà quale galassia lontana anni luce da loro, ma neanche in merito a quello era preparata e in ogni caso, chiunque avesse progettato quegli affari pensando di educare un bambino alla cura del prossimo, di certo non aveva tenuto in considerazione Kidd.
«Ah! Fanculo!» lamentò scocciato dopo aver assimilato la spiegazione, calciando via uno degli ovetti che giacevano anche tra i suoi piedi per schiantarlo in un altro angolo dell’appartamento.
E Aya ebbe l’assoluta certezza che lì, oltre la mezzanotte di quel giorno, si stava chiudendo definitivamente la parentesi tamagotchi di Kidd, della quale avrebbero un po’ tutti fatto a meno volentieri, compresi quei poveri alieni. Eppure, nonostante quell’evidente ed ovvio sviluppo, rimase comunque basita quando lo vide ficcarsi una mano in tasca per tirarne fuori un altro di color lavanda e lanciarglielo con il tatto che lo contraddistingueva, minacciando di farlo finire immerso nel tè della tazza o peggio di far finire il tè addosso a lei.
«Dove vai?» s’informò, tenendo l’uovo già accesso nella mano libera, mentre Kidd imboccava il corridoio di mezzo metro scarso che lo divideva dal bagno e dalla sua camera da letto con passo pesante.
«È roba da donne, mi sono rotto. Badaci tu, vado a dormire.» la liquidò.
«Mi stai mollando il tuo tamagotchi?!»
«È come avere un cucciolo, dagli qualcosa e mettilo a letto. Ci ho pensato io tutto il giorno, tocca a te.» se ne lavò del tutto le mani, rigirandole la frittata con una tale indifferenza da lasciarla ammutolita.
Sola, ad eccezion fatta dell’uovo che le aveva appena mollato, rimase a fissare il vuoto creatosi di fronte a sé senza sapere davvero che fare o come reagire. Aveva avuto – sebbene di sua iniziativa – una giornata troppo lunga per andar dietro alle trovate di Kidd o battibeccarci e a quell’ora non sarebbe comunque stato corretto nei confronti di Killer. Decise quindi di posare la tazza nel lavabo vuoto e soprassedere, avrebbe riordinato quel caos di pulcini tumulati alla meglio e poi si sarebbe messa a dormire, più o meno come stava per fare Kidd in quel preciso moment-
«Cos’hai da suonare adesso?» mormorò tra sé, osservando l’uovo color lavanda, da cui proveniva un suono leggero, ma deciso.
Si era schiuso, bene… ma quando?! Chi gli aveva detto nulla? Insomma, avrebbe prima dovuto premere qualcosa lei, no? Decidere di cominciare quantomeno a giocare. E aveva già fame poi? Quella a terra era…
«Oh kami, no…» biascicò afflitta, accasciandosi tra i cuscini al posto che era stato di Kidd.
Chiunque avesse inventato quel gioco era un mostro.




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