雨の歌- Il canto della pioggia

di H0sh1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


雨の歌- Il canto della pioggia

分裂- Scissione

La tempesta infuria fuori di casa: il suo impeto trafigge il silenzio, scuote la vetrata sottile. In lontananza, riconosco il fulgido splendore di un fulmine e, poco dopo, il rombo del tuono di cui si è fatto annunciatore; le goccioline di pioggia, piccine, cadono e si abbattono fitte sulla finestra.

Anche il cielo, come il mio cuore, si sta struggendo.

Adoro la pioggia, amo il profumo che porta con sé, assieme con il silenzio e la quiete che calano sulla città, l'unico frangente nel quale la vita, frettolosa, sembra affievolirsi un po'. Anche in questo momento, rannicchiata sul letto, tra le lenzuola, riesco a notarlo tra la foschia: la luce dei fari delle auto, giù in strada, si rifrange attraverso le stille, creando un sinistro alone gialligno; chi è stato colto impreparato dallo sfogo della volta celeste corre a perdifiato, infagottato nel cappotto, cercando riparo sotto i balconi delle case e dall'acqua alzata dalle macchine che passano.

Ditemi, padre, anche lì da voi il cielo piange?

«Rie.»

D'un tratto, una voce sottile, spezzata da tempo, rompe la mia contemplazione. Ho avuto un leggero sussulto quando l'ho udita; la mano è ancora ferma sul cuore, il quale ha perso un battito per via della sorpresa. «Scusami, non volevo.» torna a parlare nuovamente, avendo notando il mio scossone. 

Tiro un sospiro per placare la corsa del cuore, lascio che un mezzo sorriso, forzato, mi si allarghi sul viso: «Non fate quella faccia, madre, non preoccupatevi. Avete bisogno di qualcosa?»

«No, cara. Solo, il pranzo è in tavola.» mi risponde, dall'altro capo della stanza.

Anche lei, come me, prova a metter su un sorriso, fingendo che tutto stia seguendo la propria normalità, ma sappiamo entrambe che, dietro di esso, non vi è nulla di vero. La realtà è che, insistentemente, ci ostiniamo da tempo a nascondere la polvere sotto il tappeto.

«Va bene, arrivo subito.»

Con passo felpato, mi lascia nuovamente sola e, per un ultimo, effimero attimo, torno ad osservare il cielo plumbeo, il quale ha iniziato a piangere di meno.

Sono passati tre mesi, padre, tre mesi senza alcuna risposta. Siete impegnato? Mi piace pensarlo, sapete? È sempre meglio che credere vi sia successo qualcosa.

Solo Buddha sa se avete davvero ricevuto le mie ultime, disperate lettere, se le avete lette.

Sento gli occhi pizzicare, non riesco a bloccare per tempo le lacrime salate che va a percorrere le gote; impedire al dolore atroce, nato al solo pensiero, di stringere lì dove una volta risiedeva la gioia, ora abitata solo dal vuoto. Il tormento ha attaccato nuovamente, come se una mano invisibile avesse trafitto il mio animo con un tizzone ardente.

Vorrei solo sapere se state bene, se avrò mai la possibilità di rivedervi.

Anche il più piccolo degli sforzi, di recente, mi richiede ormai assai fatica, persino alzarmi dal letto. Nel farlo, la bambolina che riposa sul cuscino si accascia su un lato, mi guarda con i suoi vuoti occhi neri e la sua solita espressione allegra.

La scruto e il senso di malinconia mi assale più forte; il tizzo infuocato penetra più in profondità, avvicinandosi sempre più vicino all'aridità portata dall'oblio. Torno sui miei passi, mi siedo sul bordo del letto e la prendo in mano. La osservo per alcuni secondi, ma poi mi rialzo e la rimetto al suo posto. La sua sola vista mi provoca strazio.

Ogni cosa che vi riguarda, padre, provoca uno strazio che non so come combattere.

Mi lascio la stanza buia alle spalle e scendo al piano inferiore, lì dove la mamma mi sta attendendo, già seduta al tavolo. Imbocco l'entrata della piccola cucina e prendo il mio posto, di fronte a lei. Anche i suoi occhi sono spenti, proprio come quelli di Milly, e penso che non potrebbe essere diversamente: la luce che li irradiava gli è stata strappata via anni fa.

«Buon appetito.»

Le bacchette sono allora libere di cozzare contro le scodelle di ceramica, il rumore che accompagna una pigra chiacchierata sulla mattinata. Lei dice di aver incontrato la signora Fuijī a fare compere, questa mattina, che sembra essere invecchiata di colpo, come Urashima quando ha aperto la scatola.*

Agguanto un boccone di pesce grigliato e la mamma prende un sorso d'acqua mentre io, di contro, le racconto più o meno quello che è successo a scuola: nulla di che, una giornata tranquilla, come tutte quelle che l'hanno preceduta.

«Grazie per il pasto.»

Alla fine di tutto, rassettiamo assieme la cucina, nel silenzio che è inesorabilmente calato, dopo che tutto ciò che avevamo da dire è stato espresso. Sciacquiamo le scodelle, le asciughiamo e le rimettiamo al proprio posto.

Risalgo di nuovo in camera, riprendo il mio posto sul letto, accanto alla finestra, dove posso tornare a perdermi nella pace portata dalla pioggia. Il cielo non ha smesso di piangere, anche se, ora, sembra essersi placato ulteriormente. Stesa sulle lenzuola, fresche di bucato, osservo le sue lacrime farsi a gara verso il basso, lungo la vetrata della finestra.

Ancora, mi chiedo quando avrà fine questa guerra.

Quando potrò riabbracciarvi, sentire di nuovo il vostro calore? Quando questo vuoto nel petto lascerà spazio ad una ritrovata gioia?

Vorrei mi deste una risposta, avere la certezza che, presto, tornerete a casa.

Prego Buddha ogni notte, affinché almeno questi pensieri possano arrivarvi e toccarvi.

Un trillo lontano, alto, interrompe il mio flusso di preghiera: sembra essere il campanello di casa. Che Buddha abbia prestato ascolto alle mie suppliche?

Questa volta alzarmi dal letto non mi richiede poi così fatica, grazie alla curiosità e alla speranza che hanno bussato alle porte del vuoto: dato l'orario, non può essere altri che il signor Oogawa con la posta. 

Scendo le scale frettolosamente e, quando vedo la mamma alla porta, intenta a parlare con il postino e prender da lui una busta, sento gli occhi inumidirsi di gioia.

Quella, sono sicura, è vostra.

E l'oblio, per un breve attimo, torna a riempirsi di quella serenità ormai persa da tempo. Scendo allora l'ultimo gradino, scuoto la mano e dono un sorriso come saluto al signor Oogawa il quale noto, tuttavia, non lo accoglie con la sua solita giovialità. Anzi, i suoi occhi castani sono velati, leggermente arrossati, come se si fosse lasciato andare in un pianto dirotto.

Non capisco cosa stia succedendo. 

Mi volto di scatto verso mia madre, che ha già aperto la busta e sta leggendo il contenuto. E mi sento raggelare quando, d'un tratto, sbianca e ricade al suolo. 

Con il cuore in gola, mi gettò al suo fianco - il panico me la serra -, ma riesco a tenerlo sotto controllo. Ho dovuto imparare a soggiogarlo. Le alzo la testa e la poso sulla mie gambe, mentre sento il signor Oogawa, sulla porta, chiamare l'aiuto dei vicini di casa.

Le prendo una mano nelle mie: è così fredda.

Sono vostre notizie, sono arrivate! Ma, allora, perché tutti sembrano cadere a pezzi?

State bene... vero?

È qui.

È arrivata. La lettera, padre, è qui. È arrivata.

Buddha deve avermi ascoltato, se il signor Oogawa è giunto qui, oggi. E, allora, perché il cielo ha ripreso a piangere più forte?

* * *

*Urashima Taro: personaggio della letteratura giapponese il quale, una volta aperta la scatola donatagli dalla regina del regno sottomarino che egli ha visitato, invecchia di colpo di trecento anni.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


雨の歌- Il canto della pioggia

通夜 - Veglia

A nulla è valso il tentativo di celare il rossore che tinge i miei occhi: niente ha sorbito l'effetto sperato, nessuna maschera è stata in grado di coprire il mio dolore.

Non ho realizzato fino a che questi miei occhi non hanno visto da sé.

I nostri vicini, i signori Sasaki, richiamati dal grido d'aiuto del signor Oogawa, hanno chiamato al più presto l'ambulanza, mentre lui mi aiutava ad adagiare la mamma sul divanetto nel salotto, e aveva atteso con me fino a che i paramedici non sono arrivati.

«Mi dispiace tanto, Rie.» l'ho sentito mormorare, quando gli ho consegnato il bicchiere d'acqua che mi aveva chiesto. Ha preso un lungo sorso, come a voler buttar giù il magone. «Davvero.»

Non sono riuscita a sentire nulla.

Solo un grande vuoto.

Mi sarei aspettata di sciogliermi in un pianto inconsolabile, ma quello stesso oblio ha risucchiato tutto, persino la tristezza, la rabbia.

Non c'è stato bisogno per la mamma, fortunatamente, di recarsi in ospedale, ha avuto solo un mancamento dovuto allo sconcerto della notizia.

Da quando si è svegliata, tuttavia, non ha fatto altro che piangere. Le sono stata accanto, assorbendo l'amarezza delle sue lacrime; le ho stretto le spalle e, al mio contatto, il dolore è dilagato più forte.

Eppure, di fronte a cotanto struggimento, non sono riuscita a versare una lacrima, una che fosse una. Forse, penso, perché il mio animo si è rifiutato di credere ad una baggianata simile.

È falso. Non c'è nulla di vero.

Ma poi ho visto.

Al rientro della salma, la speranza - quel fievole, piccolo barlume che ancora, ho compreso a posteriori, mi animava -, che mi ha permesso di non cadere a pezzi del tutto, si è spenta definitivamente.

Solo allora, colta dall'inevitabile verità, le mie maniche si sono bagnate.*

Le gambe non hanno retto e, in quel momento, sono stata io a cadere a terra, sopraffatta dal destino infausto. È stato il momento di mia madre di sopprimere lo struggimento, di assorbire il mio fiume in piena, di carezzarmi il capo.

Nessuno dei suoi gesti, tuttavia, è riuscito a placare la tempesta che è infuriata in me, e che in me, ancora, permane.

E il cielo, ancora una volta, è tornato a piangere.

Anche ora sento il ticchettio delle gocce sulla finestra del bagno.

Tic. Tic. Tic.

Insistenti, sono l'unico rumore che squarcia il silenzio in casa.

Sistemo l'obi nero, che è calato un po' giù, ed esco dalla stanzetta. Mi dirigo vero il santuario domestico, lì dove Kobayashi Shoichi attende che il suo viaggio verso il regno di Amida abbia inizio.

La veglia è giunta al termine, i sutra sono stati letti e le condoglianze accolte. Adesso siamo solo io e lui.

Percorro la stanza a piccoli passi fino ad arrivare al suo capezzale, dove mi inginocchio. Sistemo per bene il kimono funerario sotto le gambe, di modo che non mi dia fastidio, e osservo ciò che un tempo animava questa casa.

Sì, Buddha mi ha ascoltato, in un certo senso: è di nuovo qui, è tornato a casa, ma mai avrei creduto che le cose sarebbero andate in questo modo.

Dove troverò conforto, adesso che siete andato via?

Ho riletto le lettere - durante la notte di attesa -, stretto Milly al petto, eppure nessuno di essi è stato in grado di infondermi conforto.

Non avrei creduto possibile che sarebbe arrivato, per me, il momento di inumidire le labbra di mio padre, di adornare il tavolo con incenso e fiori. La venuta dell'eterna notte in cui avrei dovuto vegliare su di lui.

Mi volto, lo scruto in viso.

Sembrate così sereno, padre mio. Se non avessi visto il vostro petto trafitto a morte, senza pietà, se non fosse immobile, giurerei che state dormendo.

Cosa mi rimarrà di voi?

Noto che il pugnale che regge è leggermente storto, per cui mi sporgo in avanti quel tanto che basta per permettere alle mie mani di raddrizzarlo. A contatto con la pelle, percepisco il gelo che permea questo corpo senza vita e, inevitabile, il cuore salta un battito. L'ennesimo negli ultimi giorni.

Accanto alla salma, sul tavolino basso che ho di fianco, c'è una foto, quella che, solitamente, teniamo in salotto. Non so perché sia qui, non ricordo neanche se sia stata io a mettercela, ma la prendo comunque. La studio, passo i polpastrelli lungo la cornice d'argento e percepisco un leggero sorriso, malinconico, agghindare il mio volto. La giro verso mio padre, come se possa ancora vederla.

«La ricordate, vero?» chiedo, affranta nel non sentire alcun suono spirare dalle sue labbra.

Siamo ritratti io e lui: mi sta tenendo in braccio, stretta al petto in un tripudio di fasce; i suoi occhi sono colmi di gioia e ha stampato in viso un largo sorriso, quello di cui ho più sentito la mancanza.

È stata la mamma a raccontarmi la storia di questa fotografia: temevate di vedermi cadere e andare in pezzi, come se fossi stato un pregiato vaso di porcellana. Avevate timore di tenermi in braccio per paura di ferirmi con il vostro amore. E io mi chiedo, come avete potuto pensare anche solo un istante di esserne in grado?

Adesso, dinnanzi a voi, ora più che mai, vorrei sentire ancora una volta il vostro abbraccio. Solo un'ultima volta.

Mi perdonerete se le lacrime hanno iniziato a sgorgare, vero? Perdonerete la debolezza di questa vostra figlia?

Anche oggi, così come quel lontano giorno, non riesco ad arginare il tumulto di emozioni che covo dentro al cuore, esso non ha potuto far altro che esplodere.

Dodici novembre, millenovecentoquarantuno: il giorno in cui tutto è cambiato.

Ci hanno sempre insegnato che i mutamenti della natura, della vita, sono quanto di più bello abbiamo, il segno inequivocabile che il mondo gira e va avanti. Ma come può la morte essere considerata bella?

Anche quel giorno il signor Oogawa aveva bussato alla nostra porta con la posta, ed era stato mio padre ad aprire l'uscio e farsela consegnare. Incuriosite, io e la mamma l'avevamo seguito all'ingresso, e ricordo lo sguardo accigliato di papà che studiava la busta che stringeva in mano, come fosse cambiato con la stessa velocità di un battito d'ali di farfalla.

Qualcosa si è rotto, quel giorno. La mattina consolava la mamma mentre io cercavo in tutti i modi di essere forte, (così come voi mi avete insegnato). Ma al sopraggiungere delle tenebre, quando l'uomo è più debole, gli argini si rompevano nel cuore del sonno.

Le mie maniche continuavano a bagnarsi, ma voi le avete sempre asciugateNessuno, tuttavia, ha mai asciugato le vostre.

Porto la mano in avanti, i polpastrelli percorrono la delicata stoffa della tuta che lo avvolge.

Mi rendo conto solo ora del mio egoismo, così grande che non mi ha permesso di ascoltare la sua paura, il dolore di rivivere ancora una volta l'orrore e la morte che la guerra porta con sé.

Tuttavia, sorridevate.

Perfetto padrone delle sue emozioni, l'uomo che ora giace dinnanzi a me non aveva mai permesso ad esse di prendere il sopravvento, di dominarlo. Ciò che io, in uno sciocco tentativo di emulazione, non sono stata in grado di fare.

Avete lasciato un vuoto troppo grande, padre.

Adesso, chi asciugherà le mie maniche?

* * *

*maniche bagnate: espressione usata nella letteratura giapponese con la quale si descrive una donna (o anche un uomo) che piange.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


雨の歌- Il canto della pioggia

お別れ – Addio

La carta non ha mai potuto sostituirlo, anche se, al suo interno, erano contenuti i suoi pensieri, le sue emozioni e il suo stesso essere.

L'inchiostro su carta, di certo, ha allietato ogni inizio del mese; ha fatto qualcosa per riempire l'oblio, ma il suo sforzo non è stato sufficiente. Vedere il signor Oogawa attraversare il vialetto di casa è da sempre stata una gioia immensa, un po' come se fosse mio padre stesso ad attraversare la piccola via acciottolata.

Avida, ho sempre letto le righe che mi ha scritto. Gelosa, le ho conservate tutte nel secondo cassetto della scrivania.

Seduta nella sala d'attesa, non riesco a bloccare le immagini che quelle righe evocano. Ho sempre cercato di immaginare ciò che mio padre vedeva ed è stata proprio una delle ultime a farmi sentire l'orrore, a vedere le sue paure prendere forma. In essa, non mi ha solo aggiornata sulla vita al fronte, c'era un particolare in più: una confessione, l'ammissione di quello stesso terrore che aveva cercato di soppiantare per il nostro bene.

Tanti, amici e parenti, hanno provato a consolare il mio animo, dopo che è partito per la guerra, ma nel mio cuore il sole non è mai tornato a risplendere. Ad ogni nuova missiva, faceva capolino tra le nuvole, ma durava per poco, prima che esse tornassero ad oscurarlo del tutto.

I mesi si sono susseguiti lentamente; la speranza di rivederlo era sempre forte, in me, troppo baliosa perché la tempesta potesse buttarla giù e, finalmente, il giorno del mio diciottesimo compleanno è accaduto il miracolo.

Liscio le gonne del kimono nero che sono tornata ad indossare, con un veloce sguardo saettato alla mia destra noto la mamma fissare la porta che conduce al crematorio. Imbambolata, sembra svuotata di tutto. Lascio che i ricordi mi investano, per concedere un attimo di pace al mio cuore.

Nessuno lo attendeva e, anche quella volta, la mamma aveva avuto un mancamento, era svenuta sul pavimento per la troppa emozione. È ancora così vivido che mi sembra di riviverlo qui, adesso. Anche in quel momento la tempesta era esplosa all'esterno e, quando l'ho riabbracciato, dopo quasi un anno, la gioia è stata tale che il sole ha scacciato via la pioggia.

È stato il giorno in cui mi ha donato Milly: tra le mani, stringeva una piccola bambolina di porcellana, agghindata con un vestito rosso tra le quali pieghe si nascondevano pizzi e merletti bianchi, sul volto ricadevano i lunghi capelli corvini. Conservo anche lei con grande gelosia.

Il primo settembre dell'anno scorso, però, il sole è scomparso per sempre. Il signor Oogawa non si è presentato alla nostra porta e ammetto che, in un primo momento, non vi ho dato troppo peso. Ho pensato che, forse, sarebbe arrivata il giorno successivo, ma così non è stato.

Era stata la mamma a dirmi di stare tranquilla, che probabilmente non avesse avuto tempo per scrivere e, per un po', ho creduto avesse ragione. Ma anche il mese dopo nulla. E poi quello dopo, e quello dopo ancora.

È per questo, padre, che non avete più scritto? Perché la vita vi è stata strappata dal petto?

Quale che sia la ragione, adesso non ha più importanza.

Riemergo dai ricordi, dolci o amari che siano, e torno nella stanza asettica in cui attendo. Anche io volto il capo verso l'entrata del crematorio, come se mi aspettassi di veder uscire un addetto da un momento all'altro.

Non ho avuto neanche il coraggio necessario per guardarvi andare verso il mare di fiamme. Anche in questo, devo avervi delusoMi chiedo se io sia davvero degna di frugare tra le vostre ceneri, porvi nell'urna che ho qui stretta.

Qualcosa sembra mettere fine all'arido silenzio che aleggia nella stanza, mi volto verso la fonte di quei passi che rimbombano nell'ambiente.

«Signor Oogawa, cosa ci fate qui?» chiedo, al limite dello sconcerto, mentre il postino si avvicina. Anche la mamma si gira, stupita tanto quanto me.

L'uomo si sorregge la visiera del cappello e si prostra in un leggero cenno di saluto. «Ho una cosa per te.» mi risponde con un sorriso malinconico. «Posso sedermi?»

Asserisco con il capo, stringendo l'urna al petto e lo seguo con lo sguardo, si siede sulla sedia accanto alla mia. Percepisco poi mia madre fare capolino dalla mia spalla – sento il suo fiato sul collo. Questa volta, pare che sia il signor Oogawa ad aver fatto il miracolo.

Dalla tasca della divisa, tira fuori una busta bianca e stropicciata, come se fosse stata maltrattata nel trasporto. Me la porge, ma io esito a prenderla.

«È andata persa da tempo, ma l'ho ritrovata! A quanto pare, il signor Kobayashi non ti ha deluso neanche stavolta.»

È lei. L'ennesima, forse l'ultima.

Rimango a fissarla ad occhi sbarrati mentre l'uomo me la sventola di fronte e la mamma dietro di me mi incoraggia: «Avanti, Rie. Aprila.»

Quando tocco la busta, quando inizio a leggerne il contenuto, in qualche modo che non riesco a spiegarmi, il mio vuoto sembra farsi più piccolo.

Guadalcanal, Fronte nord – 13 Agosto 1942

Cara Rie,

sento, dal profondo del cuore, di dover iniziare queste righe con le mie scuse. Probabilmente sarai preoccupata nel non vedere più nessuna lettera arrivare e di questo sono profondamente addolorato: ti ho fatto una promessa, figlia mia, ma il fato non mi ha reso semplice il compito. Il conflitto si sta inasprendo, la linea nemica avanza sempre di più. Nel mio animo, ormai, non alberga altro che il timore che queste possano essere le mie ultime parole. Non voglio mentirti, non ti nasconderò che, forse, non farò mai ritorno. Ed è in questa ottica, con l'animo devastato al solo pensiero di non potervi più abbracciare, che ti lascio queste ultime parole:

non piangere per me, perché questo è il destino che sono stato chiamato a compiere. Tempi bui ci attendono, ed è proprio per questo che il mondo avrà bisogno di una luce nell'oscurità. Ricorda, figlia mia, "se vivi piangendo è una vita, se vivi ridendo è una vita". Anche se il dolore sarà grande, te ne prego, non privare il mondo del tuo sorriso, della tua dolcezza. Non temere di sentirti sola perché niente a questo mondo, neanche la morte, potrà separarmi dalla mia benedizione. Sorridi, piccola mia, perché io non ti lascerò mai.

Papà

Poche parole, le sue parole. Sono entrate tutte, una per una. Si sono trasformati in quei blocchi che riempiono il vuoto. Il sole, timidamente, fa capolino tra le nuvole.

Asciugo le lacrime con la manica del kimono, incontro gli sguardi inteneriti delle persone che mi circondano. La mamma mi stringe nelle spalle, il petto scosso dai singhiozzi: presumo l'abbia letta anche lei, da sopra la mia spalla.

Il calore, dopo tempo, è tornato ad ardere nell'animo.

Queste non sono solo le sue ultime parole: racchiuso in essa, vi è il suo ultimo desiderio. Ed io, mossa dall'amore che provo, non posso non tentare di esaudirlo. Devo farlo.

Se vivi piangendo è una vita, se vivi ridendo è una vita.

La porta sulla sinistra si apre, un addetto richiama la nostra attenzione: è tutto pronto.

Col petto all'infuori, mi alzo dalla seduta, stringendo ancora più forte la pesante urna che reggo. Ringrazio infinitamente il signor Oogawa per avermi consegnato quella piccola luce che mi ha permesso di risorgere. È fievole, sarà mio compito alimentarla e accrescerla.

È questo ciò che volete, no?

Rientrate nel crematorio, della bara e delle spoglie mortali di mio padre non è rimasto granché. Sia io che mia madre, con animo più quieto, ci avviciniamo piano, impugniamo le bacchette che il ragazzo – incredibilmente giovane per lavorare in un luogo cupo come questo – ci porge.

Partiamo dal basso, così come vuole la tradizione, travasando i resti dell'uomo più importante che abbia messo piede sulla terra. Con le bacchette in mano, le falangi imbrattate di cenere, mi sembra di sentire una stretta sulla spalla.

È una sensazione così concreta, fuggevole. Mi volto, perfino, sicura che qualcuno mi abbia stretto la spalla, ma non c'è nessuno, dietro di me.

Volto di nuovo il capo in avanti, verso destra, lì dove giacciono i resti del suo cranio. Sorrido.

Siete voi, vi ho percepito. Lo so.

Anche oggi, il cielo piange dirotto, ma mai come ora, nel mio cuore, il sole immerge tutto nei suoi caldi raggi.

Che il vostro spirito possa aiutarmi ad esaudire la vostra richiesta.

Che il vostro spirito possa guidarmi e proteggermi, come avete sempre fatto.

Che il vostro spirito possa riposare in pace.

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