Il Segreto Del Giglio

di TheGhostOfYou0
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0.Prologo ***
Capitolo 2: *** 1.Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** 2.Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** 3.Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** 4.Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** 5.Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** 6.Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** 7.Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** 8.Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** 9.Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** . Capitolo Undicesimo ***



Capitolo 1
*** 0.Prologo ***


 Premetto di aver già pubblicato pochi capitoli di questa storia diversi mesi fa ma l'avevo lasciata perdere ed eliminata nell'intento di studiarla meglio, arricchiarla e migliorarla.
Ora la ripubblico, rivista e corretta, sperando vi possa piacere.
Buona lettura! 


0.Prologo
 
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.


Firenze, 
Anno Domini 1478.
 
Un silenzio mortale riveste la città.
È una notte fredda, senza tempo e Firenze è prostrata, come una madre che non è stata capace di proteggere i propri figli, ammutolita davanti a tanta violenza, tanto odio, tanta morte.

Firenze, città d’arte e d’amore, s’è trasformata in un cimitero a cielo aperto.
L’ennesimo corpo oscilla, avanti ed indietro, ed il macabro rumore di una corda che si tira e del legno che scricchiola sono gli unici suoni che interrompono l’irreale quiete.
 Fiammetta non osa parlare, non osa piangere e neppure pregare, persino respirare le sembra sbagliato.
 I suoi lunghi capelli si muovono lenti, fluttuano come una macchia colorata nel buio.
 Si muove piano, con la mano pallida afferra una ciocca e la fa scorrere tra le dita, si rende conto che è dello stesso colore del sangue. Sgrana gli occhi, trattiene il fiato e si perde in un ricordo.
I capelli del demonio, aveva detto Francesco, una volta. 
 Aveva sorriso, poi, ma lei sapeva che lo pensava davvero.
Lo pensavano tutti.  

Ed ora sa anche che avevano ragione, perché la sua anima è sporca di sangue.
Avevano ragione, perché Fiammetta avrebbe potuto evitare un inutile strage, ma è rimasta immobile a guardare il suo intero mondo crollarle davanti agli occhi, affascinata dalla morte, corrotta dall’odio e poi svuotata di ogni sentimento.
 Ha aspettato e taciuto.
 Ha peccato.
Ha ucciso, a modo suo. 
Ed in queste ore dense ed interminabili, nel gelo della notte, chiede perdono ad orecchie che hanno smesso di ascoltare e reclama il calore di corpi ormai gelidi.

Ma non ci sarà niente, non per lei.
Lascia di nuovo andare la ciocca, il vento la sposta subito. È forte e freddo, proviene da lontano e non sa dove arriverà, ma lei lo seguirà, perché scappare è l'unico modo che ha per sopravvivere. 
Si ripromette di dimenticare, di cambiare nome, di cambiare storia per essere finalmente libera ma la verità è che non riuscirà mai a cancellare quello che ha visto e provato.
Ogni parola, ogni immagine, ogni sensazione sembra essere scolpita in angoli sconosciti del suo corpo, pronti a riemergere per aprire ferite ancora sanguinanti.
E la verità è che a Fiammetta non rimane altro, se non le sue ferite e la sua memoria.
E la verità è che in tutta questa atrocità, in tutto questo dolore, soffrire è l’unica cosa che la faccia sentire viva. 
 Passa una mano sul suo ventre, osserva la luna, prega che il Signore le possa fare un dono, un ultimo dono, qualcosa che le dia la forza di andare avanti, qualcosa che le faccia trovare del buono in quello che ha vissuto.
Qualcosa che non le somigli affatto, che abbia occhi scuri e capelli liberi dal peccato, che non si porti appresso il peso dei suoi errori, che possa trovare la pace che i suoi genitori non hanno mai avuto.
Un corpo da tenere stretto a se, quando la solitudine sembrerà divorarla.
Non lo merita, ma lo desidera ardentemente. 

Guarda la luna nascosta dalle nuvole di tempesta, un corpo esanime oscilla sopra di lei e ci sono solo loro.
Lei, lui ed  il suo lieve oscillare. 
Fiammetta trema e si stringe in un abbraccio, ma niente potrebbe scaldarla da questo gelo, un vuoto che viene da dentro, che sembra dilaniarla, aprirle a metà il petto.
Quando il vento le porta una voce alle orecchie lascia scappare dalle proprie labbra un verso, un respiro interrotto, e profana il silenzio.
La voce è calda, famigliare, e le sembra stranamente vicina, tanto che teme di poterlo trovare dietro di se solo si voltasse. Non lo fa.
Non  vuole spezzare l’incantesimo.
 Chiude gli occhi, lui le sussurra parole che si perdono veloci, corrono via e lei vorrebbe solo inseguirle, per poterle sentire un ultimo istante.
"Non dovete avere paura, Fiammetta."
 
E se la parole avessero consistenza, vorrebbe stringerle al petto.
 
Quando riapre gli occhi l’ uomo che oscilla la sta guardando. Lo sente sulla pelle. 
Lei ricambia, incoraggia una sfida immaginaria, alza il mento per dimostrargli di non avere paura.
La sua morte, tra tutte, non le ha causato dolore ma le ha portato via la speranza. 
I Medici hanno avuto la loro vendetta, la loro giustizia.
Ora che anche Jacopo de' Pazzi è stato impiccato, tutto è finito.
 Firenze lo sa, c’è un corpo che oscilla a ricordarglielo, come se servisse.
 È lei che l’ ha voluta, quella condanna.
Firenze ha pianto Giuliano e protetto Lorenzo dai suoi nemici.
 Fiammetta avrebbe potuto salvare ognuno di loro ed ora l’ultimo dei suoi peccati è li, davanti a lei.
Oscilla.
 
Con lui è finito tutto e Firenze non è più casa sua.
Lei è viva, seguirà il vento, cercherà di ricominciare, pregherà il suo ventre vuoto perché le dia qualcosa con cui farlo. A volte cercherà di cancellare persino la morte, altre stringerà con forza ogni sbiadita memoria.
 
Fa freddo stanotte e Fiammetta guarda un corpo.
 Si volta, adesso i capelli le coprono il volto ed il collo, la imprigionano, sembrano formare un cappio. Ironico, avrebbe dovuto esserci anche lei, lì,  ad oscillare nella notte.
Morta.
 

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Capitolo 2
*** 1.Capitolo Primo ***


 
Capitolo Primo
 
Nel fuoco danza
La finzione del mondo

Firenze,
Marzo 1469

“Ite, missa est.”
“Deo gratias.”
 
 Fiammetta rispose debolmente alla formula del parroco, lasciando che la propria voce si confondesse con il coro di fedeli e lentamente si accodò per raggiungere sua madre già vicina all’uscita. 
Un brusio di sottofondo la accompagnò fuori dalla chiesa e, non appena ne percepì il calore, le sembrò quasi che il sole stesse baciando la sua pelle, riscaldando piacevolmente le membra intorpidite per il freddo umido all'interno.  Scese le scale guardandosi attorno, mentre la folla le scorreva accanto come un fiume in piena e la facciata della cattedrale incombeva su di lei in tutta la sua magnificenza.
  La maestosità di Santa Maria del Fiore la coglieva impreparata ogni volta e nonostante ormai ne conoscesse ogni dettaglio, avrebbe potuto passare ore con il naso alzato per osservarla.
Le piaceva la sensazione di piccolezza che le procurava l’edificio, la riportava ad una realtà perduta in cui l’uomo non era altro che un minuscolo tassello di qualcosa di più grande, scaturiva in lei sentimenti e riflessioni a cui nessuno l’aveva educata e che sarebbero rimasti segreti nel suo cuore, ma che le suscitavano attrazione e paura allo stesso tempo.
Resistette alla tentazione di soffermarsi sui propri pensieri e continuò a cercare sua madre.
 
  La aspettava al centro della piazza, con l’abito blu scuro ed il volto contratto in un’espressione innaturale. Domandandosi come avesse fatto ad uscire così rapidamente e perché non l’avesse aspettata, percorse i pochi passi che la separavano da lei e la affiancò con un sospiro trattenuto.
  Madonna Canacci ostentava un largo sorriso verso chiunque le rivolgesse un saluto, mentre studiava attentamente i volti che sfilavano davanti a loro, con una luce negli occhi che Fiammetta aveva imparato a conoscere negli ultimi anni e che sempre più la preoccupava.
   La guardò e le venne voglia di scappare via, in qualche posto dove la realtà potesse essere più vera, la sua esistenza più semplice e libera, dove potesse mostrare il proprio risentimento e gridare a gran voce la propria stanchezza.
 La guardò e non vide nulla in lei se non un tremendo, spaventoso vuoto.
  I capelli scuri ben raccolti ed acconciati e l’espressione accondiscendete e rilassata non lasciavano intravedere neppure la più pallida ombra dell’ira accecante che l’aveva posseduta solo qualche ora prima. Le sembrò quasi di un’altra persona. 
Provò una sensazione strana, che non seppe identificare, qualcosa di simile al rimorso, forse la disgusto, magari alla rabbia. Si domandò se non apparisse anche lei così, se non fosse altro che lo specchio di quella donna, se non stesse diventando come lei una maschera serena su un volto distrutto.
 Al solo pensiero portò una mano sui propri capelli ordinati, la lasciò lì per un po’, poi mosse le dita, incerta, ed in un gesto infinito sfilò una piccola ciocca dalla complessa acconciatura.
  “Stai ferma.” La riprese lapidaria sua madre, senza neppure concederle uno sguardo.  
 Fiammetta si voltò verso di lei. Non aveva ancora smesso di sorridere ed i suoi occhi chiari erano fissi, fermi sulle figure lontane di Lucrezia Tornabuoni e delle sue figlie.
“Dovrai apparire al tuo meglio davanti a Madonna Lucrezia.”
La rimproverò. Il suo tono era così freddo che Fiammetta venne scossa da un brivido improvviso e subito nascose dietro l’orecchio la ciocca ribelle, cercando di riparare al danno fatto.
Avrebbe voluto replicare che Lucrezia, così come la sua famiglia, sapevano perfettamente chi fosse, quale fosse il suo aspetto, che l’avevano vista composta ed aggraziata, sorridente, cordiale e ben disposta in più di un’occasione, eppure non era arrivata nessuna proposta per lei e di certo quella Domenica non sarebbe stata diversa da ogni altra.
Fiammetta preferì tacere però, abbassando il capo per scusarsi e pregando, mentre Lucrezia si avvicinava, che quell’ennesima umiliazione avesse presto fine.
 “Madonna Agnese.”  Lucrezia regalò a sua madre un sorriso tanto artefatto e tirato quanto il suo, presto imitata da Bianca e Nannina.
Le due giovani Medici avevano un’espressione divertita che mal mascheravano e si scambiavano sguardi complici. Fiammetta le immaginò ridere e schernirle non appena avessero voltato loro le spalle, riuscì persino a sentire il suono delle loro voci che si univano e si confondevano, così somiglianti da sembrare la stessa, e provò invidia e vergogna allo stesso tempo.
Bianca e Nannina erano simili in tutto: entrambe di una bellezza particolare, con i lineamenti forti che sembravano scolpiti e gli stessi capelli color grano, labbra fine, occhi grandi e scuri come la notte, ma profondi ed intelligenti. Occhi di donne che sapevano quando parlare e come farlo, in grado di combattere per ciò che desideravano e soprattutto nella posizione di farlo.
Donne complici e mai sole.
Fiammetta desiderava avere qualcuno accanto con cui dividere il fardello della sua famiglia ed il peso della discendenza. Avrebbe voluto qualcuno con cui ridere per la strada e a cui stringere la mano nei momenti difficili, ma soprattutto qualcuno a cui tenderla, capace di accettare l’amore che poteva donare.
Qualcuno che la volesse, che l’amasse sempre, con il suo stesso sangue ed i suoi stessi capelli rossi e paure, sogni, destini diversi ma sempre uniti.
 Alzò lo sguardo verso le due sorelle. Bianca non se ne accorse neppure ma Nannina, che ricambiò la sua occhiata, sembrò comprendere il suo turbamento e divenne improvvisamente seria, forse dispiaciuta.
  Fiammetta non seppe davvero come sentirsi, se amareggiata per la sua compassione o grata per la sua umanità, quindi distolse lo sguardo.   
   “Madonna Lucrezia, è sempre un piacere vedervi.”  Salutò Agnese.
 Fiammetta poteva anticipare ciò che avrebbe detto l’una o l’altra prima ancora che aprisse bocca.
Ogni Domenica la stessa conversazione, s’iniziava a vociferare che sua madre fosse stata colta da qualche strana forma d’isteria o di demenza, o che fosse, più semplicemente, disperata.
 Ma non c’era nulla di tutto questo dietro il suo accanimento.
Agnese Canacci era una donna ambiziosa che non era riuscita a realizzare poi molto nelle propria esistenza e voleva più di quanto non avrebbe mai potuto ottenere, vivendo nell’incapacità di apprezzare ciò che il Signore le aveva donato.
Agnese Canacci era, semplicemente, infelice ed eternamente insoddisfatta e Fiammetta temeva più d’ogni altra cosa al mondo di essere come lei, un giorno: triste e vuota.
 Grigia. 
Cercò di allontanarsi da quella ridicola scena, di potarsi con la mente quanto più lontana
possibile, di pensare a qualsiasi cosa pur di non vedere sua madre piegarsi ancora e perdere l’ultima briciola di dignità che le era rimasta.
 
Era colpa sua.  Fiammetta Canacci avrebbe compiuto presto diciotto anni e non aveva ancora trovato marito.
  Mentre quasi tutte le nobildonne della sua età erano sposate ed avevano regalato una discendenza ai propri mariti, Fiammetta non era neppure promessa a qualcuno.
Questo Agnese non poteva accettarlo. Aveva progettato per sua figlia, fin dal primo momento in cui l’aveva stretta tra le braccia, un matrimonio importante e vantaggioso, che risollevasse le sorti della loro famiglia, che le potesse dare il prestigio che meritava, che le donasse la felicità e la stabilità che erano mancate a lei.
  Per questo non si poteva accontentare delle proposte mediocri di piccole famiglie aristocratiche, lei puntava al meglio ed il meglio avrebbe ottenuto: lei voleva un Medici.
     Fiammetta sentiva il peso opprimente della responsabilità schiacciarle il petto in una morsa tale da spezzarle il respiro ed in lontananza i capelli scuri della sua amica Lisabetta Segni ed il sorriso sincero e radioso diretto al marito attirarono la sua attenzione, inchiodandola con una silenziosa accusa.
Quando Lisabetta si accorse di lei, alzò la mano in segno di saluto.
Fiammetta non rispose, gli occhi persi e vacui, fermi nel punto in cui la sua amica si trovava fino ad un istante prima. I suoni erano lontani, le voci poco più che un brusio ovattato e tutto taceva, mentre la sua mente parlava.
 
Tu non ce l’hai fatta.
  Guarda tutto quello che non sarai mai.”

 
Strinse i pugni, così tanto che le unghie graffiarono la pelle morbida.
“Fiammetta.” La chiamò a bassa voce Nannina, per non interrompere Agnese e Lucrezia.
Adesso anche lo sguardo di Bianca era su di lei, enigmatico e dubbioso.
Teneva il sopracciglio alzato, guardava le sue mani stette e le nocche bianche. Fiammetta si ricompose, carezzò la lunga gonna per calmarsi, un gesto spontaneo che ripeteva fin da bambina e poi si voltò verso sua madre,cercando di evitare ogni contatto con la maggiore delle due Medici.
  L’espressione sul volto di Bianca era molto meno cordiale ed amichevole rispetto a quella di Nannina, la metteva a disagio, sembrava rendere più reali i suoi timori e le sue insicurezze.    
 
“E quindi Madonna, vostro figlio non ha ancora deciso di prender moglie?” Domandò Agnese. Fiammetta scosse il capo automaticamente, un gesto  che non passò inosservato alla donna.
 Il suo sorriso cedette per un attimo, appena un battito di ciglia, un impercettibile momento.
Fiammetta lo colse e comprese che una volta tornate a casa sarebbe ricominciato tutto da capo: la rabbia, la frustrazione, la paura di non farcela.
  Non c’era bisogno parlasse, nella sua mente Fiammetta la udì chiaramente ricordarle che dipendeva tutto da lei e che stava fallendo miseramente.
Fiammetta era la sua unica figlia, l’unica che non fosse morta infante per lo meno.
 Era forte, destinata a grandi cose e Agnese puntava ogni cosa su di lei.
 
      “Il mio Giuliano è un uomo difficile, non si accontenta.” Replicò Lucrezia, spostando la sua attenzione sulla giovane Canacci.
Erano parole semplici, messaggio chiaro.  
Non era abbastanza per un Medici, non lo era lei e neppure era la sua famiglia.
“Ad ogni modo ci sono tanti giovani nobili molto più facili da accontentare.” Continuò.
Ma Fiametta aveva smesso di prestare attenzione e, chiusa nel proprio silenzio, riprese ad osservare il punto in cui Lisabetta era scomparsa, cercando un appiglio, un obiettivo, un motivo.  
Tutto ciò che vide furono gli occhi di un uomo che guardava nella loro direzione.
Anzi, guardava proprio lei.
 
 Per un attimo Fiammetta Canacci ebbe la sensazione di essere sola al centro di quella piazza.
Di essere sola in tutto il mondo.
Lei e quegli occhi lontani, riflessi nei suoi. 
 

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Capitolo 3
*** 2.Capitolo Secondo ***


2.Capitolo Secondo
 
Your enemy whisper,
So you have to scream
 
 Entrò nella sala senza accennare un saluto, sembrava che non ci fosse spazio per altri che per lui e quella sua rabbia prepotente, accecante.
 
“Vieri stai …”
Novella Foscari si interruppe e si voltò immediatamente attirata dai passi di suo marito. Erano veloci, lasciavano intravedere tutta la sua collera e a guardarlo da lontano sembrava quasi fosse sul punto di distruggere qualsiasi cosa lo ostacolasse, l’universo intero se necessario. La mantella blu che gli copriva le spalle fluttuava leggera nell’aria, come stesse per volare via, non riuscendo a seguire quel suo muoversi frenetico, quasi nevrotico e Novella, concentrandosi su quell’insignificante dettaglio, si rese conto dei bordi strappati, della piega innaturale e del tessuto stranamente consumato.
Fu sul punto di chiedere, ma poi i suoi occhi azzurri si spostarono sulla sua espressione tesa e contrariata e decise di tacere.
Non lo aveva mai visto così e ne ebbe quasi paura
  Che Francesco Pazzi non fosse un uomo semplice, Novella lo aveva capito già dai primi mesi di matrimonio, anzi, forse dal loro primo incontro, quando suo padre l’aveva presentata a questo giovane banchiere fiorentino che sarebbe stato suo marito solo perché entrambi i fratelli Medici l’avevano rifiutata. Già allora, dal modo quasi riluttante con cui aveva afferrato la sua mano, dal tono basso, il suo continuo borbottio ed i modi scontrosi, non maleducati né tanto meno rudi, ma freddi e scostanti, aveva compreso che la sua non sarebbe stata un’unione serena e che avrebbe dovuto combattere per ottenere quantomeno il suo rispetto.
 Il suo amore non lo chiedeva, non riusciva neanche ad immaginarlo.
 Gli unici momenti che le concedeva erano le notti ed anche queste non erano che il solo adempimento di un dovere. Non conosceva dolcezza, seppure fosse un amante passionale, capace di estasiarla e lasciarla senza fiato, non c’era tenerezza nei suoi gesti né tantomeno cura.
Se ci fosse stata lei o un’altra al posto suo, sarebbe stato uguale. Lui neppure la guardava.
C’era voluto un anno, la nascita di un figlio ed il rischio che entrambi morissero perché Francesco si rendesse conto di avere una famiglia a cui provvedere non solo economicamente, ma a cui regalare stabilità e magari affetto, a cui trasmettere valori. Qualcuno da proteggere, di cui prendersi cura, in cui rifugiarsi se avesse avuto bisogno di un porto sicuro, di amore incondizionato.
Perché Novella in quanto moglie, questo era tenuta a fare e questo era disposta a dargli.
Ma Francesco quel suo dono non lo accettò mai davvero, mai completamente.
Non cercò mai in lei un rifugio.
Era spesso nervoso e preoccupato, costantemente insoddisfatto, ma era anche capace di distinguere il lavoro dal privato, di nascondere i suoi turbamenti e sfoderare all’occorrenza un sorriso affilato, simile ad un ghigno sarcastico. A Novella piacevano quei sorrisi, le erano piaciuti da sempre, da prima che le piacesse suo marito, da prima che lo tollerasse addirittura.  Erano come una piega, uno squarcio perfetto sul suo viso spigoloso, nascondevano mille pensieri ed altrettanti segreti.
 Dopo sei anni di matrimonio, Novella non ne conosceva ancora alcuno.
 Avrebbe voluto, a dire il vero, indagare l’anima di Francesco, liberarlo di quei veli e di quei pesi che sembravano schiacciarlo, ridurlo ad un involucro vuoto, eppure lui non glielo permetteva nonostante nutrisse ormai un profondo, sincero affetto per lei.
 
Probabilmente proprio per questo, perché leggeva anche negli occhi di lei lo stesso sentimento e voleva custodirlo gelosamente.
Perché Francesco Pazzi non aveva paura di niente, tranne che di rimanere solo ed era certo in cuor suo che se solo le avesse svelato la verità dietro i suoi sorrisi, i suoi silenzi e la sua ira, l’avrebbe persa.
Se solo avesse visto di quali pensieri era capace, avrebbe avuto paura di lui.
Non sarebbe potuta fuggire via, in quanto donna, moglie e madre, eppure non gli sarebbe più appartenuta.  Avrebbe avuto il suo corpo, avrebbe avuto i loro figli ma non avrebbe avuto il suo appoggio, la sua devozione e l’avrebbe ridotta ad una prigioniera e nulla di più.
 
Quando Novella provava debolmente a scalfire le sue difese, Francesco le sorrideva, scuotendo il capo, per dirle che non era importante.
Lei sapeva che non era così, ma fingeva di crederci, lasciava che quel suo ghigno le facesse dimenticare la voglia di indagare sui malumori di lui, sostituendola solo un’incontrollabile fame d’amore.
 
In uno di quei sorrisi era stato concepito Vieri, il loro primogenito.
In uno di quei sorrisi Novella Foscari s’era innamorata di Francesco Pazzi.
 
“Cosa succede?” Domandò Novella, alzandosi dalla lunga tavola per raggiungerlo. Lui le dava le spalle e nonostante fosse fermo i suoi muscoli erano visibilmente tesi.
 Tremava.
Si avvicinò lentamente, silenziosa, camminando con il braccio proteso verso di lui e, quando gli fu abbastanza vicina, posò una mano sulla sua spalla, un dito alla volta, timorosa.
 Rimase ferma per alcuni istanti, in attesa di una sua reazione.
Ma lui era immobile, muto, e tutto era come congelato a metà tra un respiro trattenuto ed un’esplosione. Il tempo sembrava essersi bloccato nel mezzo di un istante, persino i bambini osservavano la scena ammutoliti, con gli occhi sgranati, e nonostante non capissero percepivano quasi una sacralità in quel momento.
O forse avevano solo paura.
 
“Francesco.”
Quello di Novella fu un sussurro, la voce le uscì così flebile e strozzata che pensò non potesse essere sua. Era una voce già consapevole di quello che sarebbe successo di li a poco, terrorizzata, scossa, incerta che non le apparteneva. Non le era mai appartenuta.
Non aveva mai temuto suo marito, non ne aveva avuto alcun motivo in tutti quegli anni. Eppure c’era qualcosa di diverso in lui questa volta, qualcosa che non riusciva a distinguere ed identificare, a cui non sapeva dare un nome ma che aveva percepito immediatamente.
E Novella, quando si trattava si sensazioni, non sbagliava.
Francesco si voltò con uno scatto, il palmo della mano aperto fendé l’aria con un suono simile ad uno strappo e si infranse contro il volto di Novella con tanta forza che il suono secco dello schiaffo riecheggiò tra le mura, assieme al gemito della donna, che indietreggiò e si aggrappò al bordo del tavolo per non cadere.
E poi fu di nuovo tutto immobile, se possibile più freddo di prima. Tutto, per Novella, aveva la consistenza di un sogno, persino il dolore le pareva ovattato e lontano.
 Rimase chinata, con gli occhi chiari puntati sul pavimento, la schiena curva,  piegata, spezzata ed i capelli che coprivano il volto e quasi la proteggevano dalla realtà degli eventi.
C’era il volto di Francesco nella sua mente.
Non lo schiaffo, non il bruciore ardente, non la sue dita impresse nella carne morbida ma il suo volto sconvolto, più simile a quello di una bestia feroce che a quello di un uomo.
Le sopracciglia aggrottare formavano rughe profonde sulla fronte, le labbra ridotte ad una linea dritta e sottile, la mascella contratta, i denti stretti, le guance se possibile più scavate, gli occhi che erano due fessure nere, velati d’ un’ ombra sinistra e sconosciuta, cerchiati di occhiaie scure.
E la sua pelle, la sua pelle sembrava andare a fuoco, rossa e tirata che lasciava intravedere le vene sulle tempie e sul collo, così tanto gonfie che sarebbero potute scoppiare da un momento all’altro.
  Quello non era suo marito.
Non poteva essere lui.
 
Francesco aveva ancora la mano alzata, guardava Novella ma non la vedeva. Era una furia cieca la sua, senza colpevoli né innocenti. C’erano solo vittime.
  Fu Vieri a riportarlo alla realtà, con un verso, un mugugno che somigliava ad un vagito, un pianto trattenuto.
Francesco provò per un secondo l’istinto di avvicinarsi a lui, prenderlo per i capelli e tirarlo giù a forza dalla sedia, per insegnarli a comportarsi da uomo, per fargli comprendere da subito che avrebbe visto cose ben peggiori nella sua vita, che gli augurava di vederle perché i grandi uomini sono destinati a soffrire e lui veniva da una famiglia di grandi uomini.
Anche se suo padre non lo era, anche se il loro nome sarebbe stato presto cancellato, anche se stava sbagliando tutto.
I Pazzi erano grandi uomini, in grandi difficoltà e la debolezza tra di loro non era accettabile.
Quello che era successo tra le quattro mura del loro palazzo non era niente rispetto a tutte le difficoltà che avrebbero dovuto superare, perché la politica è un gioco più grande di dieci uomini messi insieme e quando si mischia ai soldi è capace di schiacciarti.
Uno schiaffo non era niente, niente.
Ma non era così per Vieri, perché quella donna piegata era sua madre e l’uomo che lo stava spaventando era suo padre e lui aveva solo cinque anni e fratelli che ormai avevano iniziato a piangere attorno a lui.

Francesco avrebbe voluto zittirli tutti.
E poi buttare giù il palazzo con le proprie mani e rimanere in piedi su quelle ceneri per poter risorgervi.
 
Novella, come l’avesse letto nel pensiero, alzò finalmente il capo, scoprendo dai lunghi capelli biondi la guancia infuocata.
Lo guardò truce, con la coda dell’occhio, inchiodandolo con una tacita accusa da cui non si sottrasse. Ricambiò lo sguardo con altrettanta intensità, cercando di decifrare i suoi stessi contrastanti sentimenti, senso i colpa, odio, rancore. Ma per chi?
 
Non per sua moglie, né per i suoi figli. Forse per se stesso, per quei pensieri che gli ossessionavano la testa, fantasmi lontani, serpenti che sussurravano al suo orecchio e prevedevano catastrofi in un mondo dove il sole ancora sembrava splendere.
Piero de’Medici era morto.
La notizia era riecheggiata a Firenze veloce, smuovendo reazioni contrastanti negli animi dei cittadini: c’era chi credeva fosse giunto il momento della liberazione, chi invece vedeva in Lorenzo una speranza, chi lo riteneva troppo giovane ed inadatto a prendere il posto di suo padre.
Nessuno sembrava vedere qualcosa di diverso in lui, qualcosa che per Francesco era così ovvio da sembrare ridicolo.
Firenze aveva smesso di essere una Repubblica da decenni ormai,  ma con Lorenzo i Medici sarebbero diventati detentori indiscussi del potere, una nuova dinastia di Cesari pronti a governare sulla loro personale Roma.
 Ed il matrimonio di Lorenzo con Clarice Orsini non era altro che l’ennesima conferma dell’espansione rapida del loro controllo e della loro influenza. Non c’era bisogno di tempo per capire, conosceva Lorenzo da sempre e sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per portare avanti la politica di suo nonno Cosimo e di suo padre.
 Perché potevano chiamarla Repubblica, ma di fatto i Medici erano i signori di Firenze e se il debole governo di Piero aveva permesso alla famiglia Pazzi di prosperare, questo non sarebbe durato a lungo.
Francesco lo sapeva.
C’era una voce nella sua testa, a dirglielo.
 
Non si accorse neppure che Novella aveva chiamato la servitù e fatto portar via i bambini e che ora era davanti a lui, dritta, con il petto in fuori, il mento alzato e lo sguardo di un soldato pronto alla guerra che non si doveva permettere di rivolgergli.
Era una donna, dopotutto.
Eppure non le disse nulla, rimase in silenzio a guardare la sua pelle arrossata ed il suo volto tondo e pensò che era bella, che era sua moglie ed era lì per farlo star meglio.
Posò una mano sulla sua guancia, lì dove prima l’aveva colpita forte, carezzò la pelle con il pollice. Lei rimase ferma a guardarlo impassibile ed i suoi grandi occhi lo rimproveravano senza parlare.
Francesco lasciò scivolare la mano sul suo collo, stringendolo appena, poi sospirò.
“Tu sei qui per rendermi felice.” Affermò, cercando di cogliere qualsiasi cosa nel suo sguardo.
Novella non rispose, scosse il capo, si allontanò e lui la lasciò andare cercando di trovare le parole giuste per dirle che aveva bisogno di lei, che non era bravo a parlare con le donne, che di solito non parlava mai davvero con loro, ma bastava il calore del suo corpo a calmarlo ed il sapore dolce delle sue labbra.
 “È tutto ciò che cerco di fare ogni giorno.” Rispose, dopo secondi di teso silenzio. “Ma tu non me lo permetti.”
Francesco la osservò, lesse sul suo bel viso la preoccupazione, la paura, la delusione e quella prepotente paura di rimanere solo gli strinse il petto.
 Capì che non poteva perderla, non per uno schiaffo, non per Lorenzo de’Medici.     
“Piero de’Medici è morto. Lorenzo prenderà il suo posto.” Spiegò,contraendo automaticamente la mascella.
Novella scosse il capo, accennò un sorriso triste ed amareggiato, perché sperava ci fosse qualcosa di serio, qualcosa di importante, qualcosa di grave dietro la rabbia di suo marito.
“Non capisco.” Replicò.
“Ci porteranno via tutto.” Sussurrò Francesco, chinando il capo. “Ci porteranno via tutto.” Gridò, sferrando un pugno contro il tavolo.
“Perché non riesci a vederlo?” Chiese, con la voce salda che lasciava trapelare una sfumatura disperata, spezzata e stanca. La voce di un uomo solo. 
Avrebbe voluto ci fosse qualcosa di grave, dietro la rabbia di suo marito, dietro al suo schiaffo, all’espressione folle che aveva colorato il suo volto, ma non c’era niente se non le sue fantasie morbose.
“Tutto quello che vedo è la tua insensata gelosia, Francesco.”

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Capitolo 4
*** 3.Capitolo Terzo ***


Capitolo Terzo
 
I capelli le erano stati acconciati perfettamente, in un intreccio così stretto che Fiammetta quasi sentiva la pelle staccarsi dal suo volto. Il corsetto le stringeva la vita ed il petto tanto che respirare le risultava non solo faticoso, ma persino doloroso, e doveva limitarsi a respiri brevi e rapidi per non sentire il suo intero corpo ribellarsi a quella bellissima gabbia che sua madre le aveva scelto come abito.
Aveva provato a lamentarsi un paio di volte durante i preparativi, ma Madonna Agnese l’aveva subito zittita, intimando alla servitù di tirare e stringere il più possibile, perché Fiammetta sarebbe dovuta essere perfetta in quell’occasione.
“Più bella ed elegante di come non t’abbiano mai visto.” Aveva detto la donna, sorridendo con approvazione nel guardare la figlia, mentre veniva strattonata e mossa come fosse una bambola.
Fiammetta aveva tenuto gli occhi chiusi per la maggior parte del tempo, incapace di sostenere lo sguardo compiaciuto di sua madre, così accecata da non rendersi conto di star correndo incontro all’ennesima delusione. Non importava quanto fosse bella, elegante o educata. Non importava neppure se avesse attirato o meno l’attenzione di un Medici, non importava perché per una famiglia così ricca alla base del matrimonio c’era qualcosa che veniva prima della bellezza, dell’eleganza e persino dell’affetto e quel qualcosa Fiammetta non lo avrebbe posseduto mai.
Lei non aveva un cognome prestigioso .
I Canacci, nonostante fossero abili mercanti e potessero vantare ingenti possedimenti, erano ormai una famiglia in rovina, destinata a scomparire con quell’unica erede dalla salute cagionevole e l’aspetto malato, carnagione pallida, occhi infossati ed il corpo magro, scavato e dritto come uno stelo, che poco s’addiceva ad una donna capace di regalare una buona prole al suo compagno.
Era lei, tenacemente aggrappata alla vita nonostante le ricorrenti malattie, uno sgradevole scherzo del destino, tanto diversa da sua madre quanto da suo padre, era lei, l’ultima dei Canacci. 
Era lei che li avrebbe distrutti, cancellati per sempre.
Questo non era un segreto tra le famiglie fiorentine e non importava quanto Madonna Agnese si sforzasse si mantenere le apparenze, Fiammetta, a differenza di sua, vedeva gli sguardi che venivano rivolti loro e conosceva le storie che circolavano sulla sua famiglia.
Dicevano fosse maledetta, punita da Dio e plagiata dal demonio. Fortunatamente non erano in molti a crederci sul serio, ma il remoto pensiero bastava a renderli dei reietti, più emarginati di quanto Madonna Agnese avrebbe mai ammesso.
 
“Madre” La voce di Fiammetta uscì tremula, nulla di più che un sospiro leggero e rassegnato.
Non sapeva neanche lei cosa avrebbe voluto dirle, c’erano così tante parole che spingevano per uscire fuori dalla sua gola, si sovrapponevano, correvano veloci nella sua mente, non riusciva ad afferrarle  e tutto quello che ne veniva era quell’urlo trattenuto con chissà quale forza, represso tra il suo petto e la sua gola che, in momenti come quello, premeva per scoppiare.
Agnese sorrise a sua figlia, incurvando le labbra in maniera così genuina e spontanea che Fiammetta dimenticò improvvisamente tutto e rimase a guardarla.
Pareva improvvisamente più giovane e sana.
Le sembrò di tornare bambina, quando era tutto facile e sua madre poteva immaginare liberamente come sarebbe cresciuta la sua creatura, chi avrebbe sposato, quanto sarebbero stati felici in futuro. Si lasciò scaldare dal tepore di quei ricordi vaghi, immagini confuse e sfocate che le bastarono per farla sentire improvvisamente più al sicuro e sostituirono a quella rabbia cieca che la scuoteva un sentimento agrodolce.
Avrebbe voluto davvero essere diversa, poter regalare a sua madre ciò che più desiderava, renderla orgogliosa di lei. Avrebbe voluto possedere il coraggio per imporsi su quella sua follia, che le impediva di accettare ogni altra proposta non venisse da un Medici, e sposare uno dei suoi pretendenti e poi avrebbe voluto bussare alla porta di suo padre, cacciare via le donne che ogni notte scaldavano il suo letto, dirgli di rialzarsi e ricordarsi della sua famiglia e dei suoi doveri.
Ma lei non era mai stata coraggiosa e non lo sarebbe diventata in quel momento.
“Oh Madre” Ripeté, questa volta con un tono diverso, dispiaciuto.
“ Sei bellissima.” Disse semplicemente Agnese, senza staccare gli occhi da lei e Fiammetta quasi si sentì avvampare davanti a quel complimento così inaspettato.
Sua madre non era solita regalarle parole gentili, piuttosto, davanti agli sforzi della figlia di presentarsi al meglio e comportarsi perfettamente, cercava quell’inevitabile, piccolo errore capace di rovinare tutto.
E puntualmente lo trovava.
Quella volta no. Fiammetta non volle neppure chiedersi il perché, non le interessava a dire il vero, voleva solo godersi quel raro momento di gioia tra lei e sua madre, così rimase in silenzio mentre i passi di Betta, la più fidata delle loro servitrici –non che una delle porche rimastegli –rimbombavano per il palazzo silenzioso, troppo grande e vuoto.
Agnese sorrise di più, allungò una mano verso il volto di Fiammetta e vi posò una carezza rapida, che sembrò lasciare un segno sulla pelle di lei.
Fiammetta sbatté le palpebre ripetutamente, confusa, cercando di cogliere il significato di quel gesto tanto raro. Aprì la bocca per domandare ma fu interrotta da Betta, che, affannata, cercava di nascondere la stanchezza ben leggibile sul paffuto volto, paonazzo e sudato.
“Madonna, la vostra carrozza è pronta e vostro marito vi aspetta.”
Agnese ringraziò Betta e la congedò con un gesto della mano, poi si rivolse di nuovo a Fiammetta.
“Ho un’ottima sensazione.” Affermò, raggiante. “Oggi, oggi sarà una giornata molto fortunata per noi.”
 
Fiammetta mosse un passo per uscire dalle sue stanze, strinse i pugni, sospirò maledicendo il corsetto che spingeva contro le sue costole, e si domandò perché il tempo non potesse fermarsi a quell’istante di irreale quiete che avevano condiviso lei e sua madre.
Perché dovesse tornare la solita inaccontentabile ed irrequieta donna, con tutti i suoi vaneggiamenti e le sue sensazioni. Perché fosse costretta a partecipare al matrimonio tra Alfonso de’Bardi e  Bianca Maria Donati, che aveva tre anni meno e tutto quello che avrebbe dovuto possedere lei.
 
Rassegnata salì sulla carrozza, chiedendosi se tutto quello avrebbe mai avuto una fine.
 
 
 
 
 
 
 
La musica le scivolava addosso come acqua, danzava senza ascoltarla davvero, seguendo i passi meccanicamente, con il portamento di una regina e l’eleganza che l’aveva sempre contraddistinta.
Stringeva la mano di Francesco, ma anche quella non le pareva vera. Non voleva guardarlo, aveva smesso di farlo da quando l’aveva colpita. Si era limitata da quel momento a lasciare che il suo sguardo corresse veloce su di lui solo quando era strettamente necessario, senza soffermarsi mai sulle sue espressioni, sui dettagli del volto, la postura, il mondo in lui a sua volta la guardava.
S’era creata un luogo sicuro tra il suo cuore e la sua mente dove non c’era più spazio per suo marito, quello stesso luogo dove lui s’era rifugiato per anni e che li aveva così irreparabilmente divisi, quello stesso luogo che era stato sempre la causa di ogni loro problema ora le apparteneva visceralmente. Novella sentiva il bisogno di ricomporre se stessa, di riscoprire le sue priorità, di dare un senso a tutto quello che le stava accedendo, mutamenti che non credeva avrebbe mai affrontato.
Perché era stata pronta ad innamorarsi di Francesco, ma non credeva sarebbe mai successo il contrario.
Non credeva di poter smettere di amare suo marito.
 
Vivere con lui nelle ultime settimane s’era rivelato più difficile di quanto credesse. Tutto l’affetto e la comprensione che aveva sempre nutrito nei suoi confronti erano sparite improvvisamente, lasciando uno strano vuoto, una sensazione vaga, inafferrabile eppure sempre presente, che l’accompagnava da ogni risveglio per il resto della giornata, finché esausta non s’addormentava, senza permettere al de’Pazzi di sfiorarla neppure con un dito.
Lui non la rimproverava per questo, non aveva neppure provato ad avvicinarla, ma in silenzio e con riguardoso rispetto le lasciava i suoi spazi e anche se non avrebbe dovuto, anche se non avrebbe voluto, Novella si sentiva grata per questo, persino fortunata.
Sapeva che Francesco teneva a lei, che la rispettava, che anche se non lo avrebbe mai ammesso si stava maledicendo per il gesto commesso, ma c’era qualcosa che lui non poteva capire, che non avrebbe capito mai, un dramma che poteva essere solo di una moglie. Era un dolore esclusivo che andava oltre lo schiaffo ricevuto e riguardava la sua incapacità di aiutare l’uomo che amava, di comprenderlo, di alleggerirlo dei suoi drammi. Novella si era resa conto che qualcosa tra loro due non funzionava, c’era questa sorta di invalicabile muro che impediva loro di comunicare sul serio e c’era Francesco, dall’altra parte, logorato di aspettative, gelosie ed ambizioni.
 Aveva provato a parlarne con sua madre in una delle sue ultime lettere, ma la risposta della donna l’aveva fatta sentire più sola ed incompresa di quanto non fosse.
Nessuno si aspettava che l’unione tra il Pazzi e la Foscari fosse un matrimonio d’amore perché nessuno, alla fine, si sposava per amore. Si imparava il rispetto e l’affetto, ma l’amore era qualcosa che non sembrava concesso a persone del loro rango, era superfluo ed ininfluente rispetto alla continuazione ed al prestigio delle loro famiglie. Per questo sua madre aveva risposto alle sue lamentele incolpandola di essere ingiusta con un marito che le stava dando tutto e persino più di quanto ci si aspettasse. La figlia che aveva educato era una donna diversa, che sapeva stare al suo posto e sapeva apprezzare ciò che la vita le donava, eppure Novella non ricordava d’essere mai stata così. Era sempre stata invece piuttosto restia alle imposizioni sociali, incapace di tenere a freno la lingua quando era solo una bambinetta, troppo sognatrice, romantica e di forte temperamento per accettare passivamente decisioni altrui che erano destinate a ricadere su di lei.
Novella Foscari aveva sempre tentato di opporsi: aveva protestato all’annuncio del suo matrimonio, espresso con forza il suo dissenso per quello di sua sorella, troppo piccola per unirsi con un uomo, aveva gridato fino a perdere la voce per la morte di suo padre e chiuso ogni rapporto con suo fratello davanti ai torti subiti.
Poi, una volta sposata e cresciuta, aveva imparato l’arte della diplomazia e del compromesso ma il suo temperamento non era affatto cambiato, aveva solo compreso come gestirlo nel miglior modo possibile.
“Ti ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti?”  La voce di suo marito la destò dai suoi pensieri. Novella si voltò verso di lui, continuando a muoversi in uno schema di passi ripetitivo, automatico.
Francesco accennò un sorriso verso di lei e per un attimo Novella pensò di cedere, perché s’era innamorata di lui proprio per uno di quei sorrisi, un giorno come tanti, quando al posto del tagliente ghigno che regalava a tutti i suoi conoscenti, aveva incurvato le labbra in un’espressione serena, dolce e sincera e l’aveva guardata con gli occhi intrisi d’affetto e adorazione, tanto che aveva quasi sentito bruciare la propria carne lì dove il suo sguardo si posava, scorrendo lentamente dal volto al collo e risalendo su fino alle sue iridi chiare.
Anche in quel momento, Novella poteva sentire la propria pelle bruciare di desiderio e affetto.
Quanto avrebbe voluto poter credere in quell’amore.
“Certo che lo ricordo, come potrei dimenticare?”  Rispose, ritornando ad osservare con disinteresse le coppie che indistintamente danzavano davanti a loro.
La prima volta che s’erano visti avevano danzato insieme, senza neppure rivolgersi la parola, reticenti ed innervositi da quell’unione che nessuno dei due desiderava ed era stata già decisa dalle loro famiglie.
“Anche se non l’ho compreso immediatamente, sapevo dall’inizio che era stata scelta per me la donna migliore. Non la moglie migliore Novella, ma la migliore donna che io abbia conosciuto.”
Lei rimase immobile,  pietrificata mentre la musica si dissolveva nell’aria toccando le ultime note. Era la prima volta che suo marito le diceva così tenere parole, eppure nel suo cuore non c’era più spazio per accettarle e continuare a credere di poter cambiare Francesco era qualcosa che l’avrebbe fatta soffrire per il resto della vita. E lei non voleva.
Certo, non poteva andarsene, non poteva smettere d’essere sua moglie, né negargli il suo affetto ma il suo amore, quello lo avrebbe riversato su se stessa e sui suoi figli.
Il suo matrimonio con Francesco Pazzi non era finito, ma la loro storia, quella forse non era neppure mai iniziata.
“Perdonami.” Sussurrò, staccandosi da lui e muovendosi veloce tra la folla in cerca di un luogo dove poter respirare a pieni polmoni.
 
Fiammetta era in piedi, composta e dritta in maniera quasi artificiale, mentre sua madre conversava con Madonna Lucrezia e Madonna Donati, sorridente e rilassata come non l’aveva mai vista.
Si guardò attorno, tra gli uomini e le donne  che danzavano allegramente nella grande sala , i suoi occhi indugiarono sulle figure degli sposi, così tristemente distanti, così poco intimi che quasi si sentì, per la prima volta, felice non fosse ancora venuto il suo tempo per il matrimonio.
  
Accennò un sorriso tra sé e sé, poi ne rivolse uno sincero a sua madre quando si voltò verso di lei e fece cenno con il capo che si sarebbe avvicinata a Nannina e Bianca. Mosse passi timidi ed incerti verso le sorelle de’Medici cercando le parole per iniziare con loro una conversazione. Non era mai stata brava con le relazioni sociali, ma voleva rendere felice sua madre, leggere nei suoi occhi quello stesso orgoglio che aveva visto durante i preparativi, sentirsi per lei la cosa più importante e preziosa.
Sorrise da lontano alle due, Nannina rispose con allargando le labbra in un’espressione sincera, mentre Bianca si limitò ad una tenue imitazione della sorella, pallida e di pura circostanza, ma a Fiammetta bastò per accelerare il passo ad acquisire sicurezza.
Fu in quel momento che qualcosa la travolse, facendola scivolare a terra con un tonfo sordo. Alzò lo sguardo lentamente, rossa in volto quasi quanto i suoi capelli, ed in quel momento incontrò gli occhi scuri e l’espressione dura ed infastidita di un uomo. Il suo volto era famigliare, scavato e dai lineamenti affilati che gli conferivano un’aria malvagia e pericolosa, un qualcosa di sinistro che Fiammetta non riusciva a decifrare, ma che la metteva in disagio ed in qualche modo la impauriva. I suoi capelli erano lunghi, coprivano la fronte e cadevano sugli occhi tanto che, se non fosse stata a terra, probabilmente non sarebbe riuscita a vederli, ed il suo aspetto era poco ordinato, come avesse corso a lungo.
“Guardate dove andate maledizione.” Le disse, con tono aspro e sdegnato. La sua voce fu per Fiammetta una rivelazione.
 Così trasandato quasi non lo aveva riconosciuto.
 Francesco Pazzi si ergeva davanti a lei in tutta la sua altezza, guardandola come fosse il più misero degli esseri, nella stessa maniera crudele con cui l’aveva guardata fin da quando era poco più che una bambina. Sembrava vedesse in lei il più grande peccato del mondo, quando, a dire il vero, non aveva mai avuto nulla a che fare con lui né tantomeno con la sua famiglia.
Era uno di quelli che ci credeva, nella maledizione della sua famiglia.
Uno di quelli che vedevano nel colore dei suoi capelli il segno della corruzione.
 “I capelli del demonio.” Dicevano. Ma Fiammetta non si sentiva per niente vicina al male, anzi, credeva che se c’era qualcuno lontano da Dio, quella era proprio la famiglia Pazzi.  
Avrebbe voluto rispondergli a gran voce, dirli di prestare maggiore attenzione, che era stato lui a travolgerla e non certo il contrario, ma tutti gli occhi erano puntati su di lei, quelli di sua madre compresa, e Fiammetta non voleva certo dare spettacolo.
Non più di quanto non stesse già accadendo.
“Mi…mi dispiace Messere” Rispose con un fil di voce.
 Lui non la degnò di un altro sguardo e rapido come era arrivato, uscì dalla sala, lasciandola a terra.
Si alzò lentamente, mentre tutti gli invitati avevano preso a chiacchierare tra loro, solo sua madre e Lucrezia continuavano a guardarla e Fiammetta si chiese cosa stessero pensando, se avesse sbagliato tutto come sempre, ma presto si rese conto che il suo comportamento non aveva nulla a che vedere con gli occhi delle donne fermi su di lei.
“State bene?” Domandò una voce dietro di lei. Fiammetta si voltò lentamente, solo per trovarsi davanti Giuliano de’Medici. Lei trattenne il fiato, spiazzata dalla sua presenza e dal suo tempismo. Non era la prima volta che aveva a che fare il giovane Medici, era capitato di conversare con lui in diverse occasioni, ma in quel momento, con sua madre e Lucrezia ad osservarli, le sembrò avere un importanza diversa, le sembrò sbagliato e fuori luogo.
“Si, vi ringrazio.”
“Quell’uomo è la dimostrazione di quanto la ricchezza abbia poco a che vedere con l’educazione.” Affermò Giuliano, voltandosi verso il punto in cui il de’Pazzi era sparito.
“Per fortuna esistono uomini come voi, che dimostrano il contrario.”
Fiammetta non seppe da dove le fossero venute quelle parole, né perché non si fosse trattenuta dal dirle, ma il sorriso che si aprì sul volto dell’uomo le fece capire d’aver detto la cosa giusta, così ricambiò, timida e composta come sempre.
“Bastiano Soderini è un uomo molto fortunato.”
Fiammetta incurvò le sopracciglia confusa e rimase in silenzio, in attesa che Giuliano proseguisse.
 Lui sembrò cogliere la sua perplessità e si affrettò ad aggiungere. “Per il matrimonio.”
Fiammetta sentì le gambe tremare ed il respiro mozzarsi in gola, una strana sensazione all’altezza del petto, simile ad un pesante macigno, prese il sopravvento.
Si voltò verso sua madre, che continuava a guardarla, e comprese ogni cosa.
“Ad ogni modo ci sono tanti giovani nobili molto più facili da accontentare.” Le parole di Lucrezia le rimbombarono nella mente.
Ce l’aveva fatta, aveva convinto sua madre ad accettare una proposta che non fosse la loro e finalmente aveva trovato qualcuno disposto a sposarla.
Finalmente avrebbe reso orgogliosa sua madre, salvato la sua famiglia.
Finalmente.
Allora perché le sembrava di poter morire da un momento all’altro?
 

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Capitolo 5
*** 4.Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto
 
Jacopo Pazzi batté il pugno contro la propria scrivania con forza, scuotendo il capo ripetutamente, con gli occhi puntati sulla figura del nipote, quasi desiderasse colpire lui piuttosto che quel legno. La sua espressione, a metà tra la delusione ed una rabbia feroce, fece dispiacere profondamente Francesco, che composto attendeva la fine dello sfogo dello zio.
“Che vuol dire che abbiamo perso l’appoggio dei Ridolfi?”
Domandò l’uomo, cercando di mantenere nel tono una calma già perduta nelle azioni.
 Si ricompose, aggiustando gli abiti sgualciti, e si voltò verso la grande finestra del proprio studiolo, cercando conforto nel calore di quella splendida giornata che Aprile stava regalando loro.
  Francesco, che fino a quel momento era rimasto chino, ben attento ad evitare lo sguardo dell’altro, alzò la testa lentamente, e con occhi incerti studiò il profilo dello zio, indurito dalla delusione e dal nervosismo che quella complessa situazione gli stava causando.
Tutto quello che aveva temuto si stava lentamente avverando: il carisma, l’abilità e gli intrighi di Lorenzo de’Medici stavano sottraendo importanti clienti al banco de’Pazzi, che senza quegli  investimenti non solo avrebbe perso di credibilità ma si sarebbe avvicinato –forse in meno tempo di quel che immaginavano –al tracollo. Il buon nome della sua famiglia sarebbe stato spezzato via da un uomo come tanti altri che aveva deciso di rendere proprio il mondo, un dittatore sorridente, un serpente ammaliatore da cui Francesco non si sarebbe mai fatto abbindolare.
Eppure pareva essere l’unico a scorgere la verità, persino sua moglie non comprendeva e forse, forse era anche lei, come l’intera Firenze, segretamente attratta dal giovane Medici.
Il pensiero della loro lite attraversò fulmineo la sua mente, ma Francesco lo scacciò.
Novella era una donna e come tale non poteva comprendere, si fermava alla superficie delle cose, non immaginava neppure la portata della partita che la sua famiglia stava conducendo dal momento stesso in cui nome de’Pazzi aveva acquistato il suo prestigio.
Ma Ridolfi, uno dei loro più importanti clienti, era un uomo colto, istruito, perfettamente inserito nei complicati meccanismi della politica e degli affari. Possibile che Lorenzo fosse riuscito ad ingannare persino lui?
No, c’era dell’altro.
Doveva avergli proposto qualcosa di impossibile da rifiutare, doveva averlo incastrato in qualche modo, ma quale? Come scoprirlo?
Francesco si lasciò andare in un sospiro pesante.
La sua capacità di vedere oltre la maschera del de’Medici era sicuramente un vantaggio, forse l’unica cosa che gli avrebbe permesso di non piegarsi all’influenza dell’uomo, eppure non bastava.
Non sarebbe bastato nulla e mentre Francesco sembrava averlo capito dal momento stesso in cui Lorenzo aveva spodestato suo padre, Jacopo ne stava prendendo consapevolezza solo in quel momento, convinto fino alla fine che il loro nome sarebbe bastato a mantenere gli antichi equilibri.
L’idea di essere proprio lui il portatore di tali notizie era un peso non indifferente per Francesco, che avrebbe voluto essere per suo zio null’altro che fonte d’orgoglio e ricchezza.  
Da quando anche suo padre era morto – che Francesco aveva quattordici anni e ancora troppe cose da imparare – Jacopo aveva cresciuto lui ed i suoi fratelli come fossero figli suoi, aveva insegnato loro non solo come essere degli ottimi banchieri, ma anche come essere degli ottimi uomini ed in cambio cosa stava ottenendo?
Uno solo dei tre nipoti lì, a sostenerlo davanti ad un così complicato problema, e per giunta l’unico che non avrebbe voluto con se, forse non all’altezza del suo cognome.
Francesco pensò che se avesse posseduto un quarto dell’abilità e dell’eloquenza di Lorenzo  non si sarebbero trovati in una situazione del genere, sconfitti in partenza, e si sentì in colpa nei confronti dello zio tanto che le parole, davanti al suo sguardo gelido, si incastrarono sulla lingua ed uscirono più incerte di quanto avrebbe voluto.
“Vuol dire quello che avete capito zio. I marchesi hanno intenzione di affidare la gestione delle loro finanze ad un altro banco.”
 “Quello de’Medici devo supporre.” Affermò Jacopo, tornando a sedersi. Francesco annuì.
“Supponente bene. Sono venuto a conoscenza di diversi incontri tra Lorenzo ed il giovane figlio del marchese, pare siano buoni amici ora.”
Dopo alcuni istanti di silenzio, in cui persino i loro respiri parevano essersi interrotti, l’attitudine di Jacopo cambiò radicalmente.
“Cosa suggerisci di fare, Francesco?” Chiese, accennando un sorriso che non aveva nulla di buono e che il giovane aveva imparato a riconoscere fin troppo bene.
Era il segno di una tempesta pronta a scatenarsi senza fare troppo rumore, era un’idea che vorticava nella sua mente e si rifletteva sul suo volto, idea che, se davvero voleva renderlo fiero di se, Francesco doveva comprendere immediatamente.
E lui voleva renderlo orgoglioso, non c’era altro per cui vivesse se non ricompensarlo di tutto quello che aveva fatto per loro. Voleva esser certo che il progetto dello zio s’avverasse, predisporre le carte in tavola nella perfetta combinazione, far si che il nome dei Pazzi non fosse solo grande ma il più grande. Era un compito che Dio aveva affidato a lui ed i suoi fratelli nel momento stesso in cui suo padre era morto e che era finito per ricadere unicamente sulle sue spalle.
Ma non bastavano.
O almeno di questo era convinto Jacopo e non c’era bisogno glielo dicesse. Francesco sapeva, aveva sempre saputo che gli occhi dell’uomo avevano brillato d’adorazione per una sola persona, il suo pupillo, e che, da quando l’aveva perduto, non era più riuscito a credere in altri.
Francesco non gliene faceva una colpa, sperava solo che un giorno la sua lealtà sarebbe riuscita a scalfire il muro  di scetticismo dietro il quale Jacopo s’era rifugiato.  
La lealtà era l’unica cosa che aveva da offrirgli in più di altri. Francesco, che era il più giovane tra i figli di Antonio de’Pazzi ed il più amato dal padre, era anche il più introverso ed ombroso, un uomo ligio al dovere, capace nelle sue mansioni, veloce nell’impararle, ma assolutamente incapace di comprare con le proprie parole il favore altrui e, più d’ogni altra cosa, ispirava la fiducia e la simpatia di pochi. Era un fallimento annunciato fin dalla tenera età, ma mentre suo padre vedeva nel suo pragmatico modo di esporsi una peculiare caratteristica, un pregio che ben si incastrava nei meccanismi del banco di famiglia, Jacopo aveva subito compreso fosse un limite. Aveva cercato di smussare i duri angoli del suo carattere, ma tutto quello che aveva ottenuto era un uomo tanto valido e deciso, quanto incapace di relazionarsi con il prossimo, che non solo in un lavoro  ma in un mondo come il loro –fatto di intrighi ed alleanze , in cui le giuste relazioni erano la chiave del successo – non avrebbe mai potuto lasciare un segno.
Un uomo che, assieme al suo cognome, sarebbe stato dimenticato dalla storia.
Jacopo lo guardò, in attesa di una risposta che non arrivava, mentre il nipote si limitava a scrutarlo, studiando la sua espressione, e se Jacopo credeva stesse cercando in essa la risposta al suo quesito, Francesco in realtà leggeva i suoi pensieri, il rimpianto che, tra tutti i nipoti, fosse rimasto solo lui.
Sapeva d’essere amato dallo zio come un figlio, ma sapeva anche avrebbe voluto vederlo in piedi, di fronte a lui, proprio nella stesa posizione in cui era, affiancato da Guglielmo e Giovanni.
Il primo, da quando aveva sposato Bianca de’Medici, non solo s’era disinteressato agli affari di famiglia, ma era diventato persino pericoloso. Tanto era accecato dall’amore per quella donna che sarebbe bastato un battito di ciglia di lei perché le rivelasse informazioni che non sarebbero mai e poi mai  dovute arrivare a quella famiglia.
Il secondo, invece, era stato suo zio stesso ad allontanarlo per via non solo del temperamento instabile e precario, ma anche per gli scontri continui tra i due, di cui l’ultimo, avvenuto appena qualche anno prima, aveva segnato una frattura irreparabile .
Francesco non sapeva neppure cosa riguardasse, né Giovanni né Jacopo avevano voluto spiegare le proprie ragioni, sapeva solo che era qualcosa di estremamente grave poiché, da quello scontro, suo zio ne era uscito con un marchio sulla carne, una cicatrice che tagliava in due il sopracciglio e la guancia sinistra e che più d’ogni altra cosa aveva spezzato il suo cuore.
Era sempre stato Giovanni la luce dei suoi occhi, il suo preferito, il suo degno erede.
L’unico che forse, ora, sarebbe stato capace di fronteggiare Lorenzo de’Medici.
 
Ma c’era Francesco lì e decise che, se non poteva cambiare il passato o sostituire il fratello, poteva quantomeno provare a costruirsi un suo posto speciale nel banco di famiglia e nel cuore dello zio. 
 “Francesco.” Lo chiamò Jacopo.
Lui lo guardò, accennò un ghigno a sua volta. “Annullare la concorrenza .Se non possiamo competere con i Medici, allora dovremo trovare il modo farli crollare presumo.”
Jacopo annuì, soddisfatto.
“Ma come?” Domandò Francesco.
“Ogni famiglia ha i suoi segreti. Dobbiamo solo capire quali sono i loro.”
 
 
 
Fiammetta guardò il sole svegliarsi lentamente, gli occhi scuri fissi sulla finestra della sua camera, dove dalle tende facevano capolino primi raggi, segno che il giorno era finalmente arrivato. Sperava che la luce l’avrebbe salvata dai suoi pensieri, ma questi sembravano accavallarsi l’uno sull’altro sempre più rapidamente, lasciandola stordita.
Non aveva chiuso occhio, accompagnata costantemente dalla voce di Giuliano che continuava a ripeterle il nome di Bastiano Soderini.
“È un uomo fortunato.” Aveva detto.  Quella frase le era rimasta incisa nella mente, come l’avesse scavata lettera per lettera sulla sua pelle, accompagnata, in un tutta quella confusione, da un sentimento difficile da identificare, o meglio da accettare, ma che le faceva tingere le guance di rosso al solo pensiero degli occhi chiari del giovane Medici.
Avrebbe potuto essere lui quell’uomo.
Fortunato.  Se solo l’avesse voluto quella fortuna sarebbe potuta essere sua, e magari non era neppure troppo tardi, magari, in cuor suo, Giuliano avrebbe voluto fosse così.
Si lasciò pervadere da quella dolce idea per qualche istante appena, prima di ricordarsi che non solo non avrebbe mai potuto sposarlo, non solo avrebbe sposato qualcun altro, ma soprattutto che la gentilezza di lui non poteva in alcun modo corrispondere ad un segno d’amore.
Tutti a Firenze sapevano che il suo cuore apparteneva a Fioretta Gorini, ne erano testimoni le vie dove i due amanti solevano nascondersi per un saluto fugace, le mura tra le quali il loro amore si consumava, le pietre che i loro piedi avevano calpestato correndo nella fretta di raggiungersi ed abbracciarsi. Ne era testimone la città intera, ammutolita dalla potenza dei loro sguardi.
O almeno questo immaginava Fiammetta, lei non aveva mai visto nulla.
Avrebbe voluto.
Avrebbe voluto vedere anche per sbaglio la potenza di quel sentimento che le piaceva immaginare bruciante e che non credeva le sarebbe mai stato concesso.
Ripensò alla sera precedente, alla pessima figura che doveva aver fatto al giovane Medici, all’ incredulità davanti alla notizia del suo stesso matrimonio e quel vuoto improvviso che aveva sentito nel petto, in qualche luogo oscuro che non sapeva cogliere né identificare, ma le aveva provocato un malessere tale da renderla più pallida, emaciata e malata del solito.
E lei era stanca di essere malata, di essere debole, di essere la pedina inconsapevole del gioco di sua madre. Voleva gridare a gran voce contro di lei, voleva rimproverarla nella stessa terribile maniera in cui era stata rimproverata fin da piccola, voleva camminare a testa alta, lasciandosi alle spalle il peso di una donna alla propria deriva.
Magari il matrimonio sarebbe stata la chiave della sua gabbia, il suo permesso di libera uscita, la sua più grande possibilità.
Cercò di trovare conforto in questo eppure sentiva, anzi sapeva, che la libertà non esisteva per donne come lei e che le sue possibilità sarebbero rimaste immutate. L’unica cosa che poteva fare era imparare ad usarle al meglio, prendere esempio da Madonna Lucrezia e le sue figlie.
Fiammetta doveva trasformasi e per farlo non bastava un matrimonio. Doveva rinascere spontaneamente, lasciare che nel suo petto scoppiasse una forza nuova e sconosciuta che le permettesse di lasciare il passato alle spalle.
Una forza che però, si rese conto dopo, non possedeva.
 Perché Fiammetta voleva, voleva tante cose ma quando sua madre si voltava verso di lei orgogliosa, quando vedeva nei suoi occhi quell’amore così a lungo bramato, quando smetteva di essere una nobildonna in rovina e ritornava ad  essere la fiera Agnese Canacci, allora tutta la volontà di Fiammetta spariva, la voce si spegneva, la rabbia si placava e non rimaneva altro che quell’impellente quanto infantile bisogno di essere stretta dalle sue braccia.
E se a sua madre bastava un matrimonio per amarla, allora lei non aveva bisogno d’esser altro che una moglie.
Era più comodo così, persino più giusto.
 
Neppure sera precedente, una volta rientrati a palazzo, era riuscita ad ottenere alcuna spiegazione da Agnese sul perché le avesse taciuto una notizia tanto importante.
Glielo aveva domandato, con quel solito filo strozzato di voce e le mani strette in due pugni, soffocando le grida disperate e le lacrime che minacciavano di traboccare.
Perché fai finta che io non esista? Perché mi tratti come un giocattolo?
Mi sposerò madre, è il mio dovere, non scapperei mai, non chiedo altro, ma rendetemi partecipe di una vita che non sento mia.
“Perché non me lo avete detto?”
Erano le sole parole fosse riuscita a pronunciare, mentre Agnese sorrideva, ignorandola, persa in chissà quali pensieri.
L’inspiegabile affabilità mostrata durante i preparativi, l’ingiustificato affetto… tutto tornava e nulla dipendeva da lei.  Sua madre le voleva bene solo in funzione delle scelte altrui.
“Madre.” L’aveva chiamata ancora.
“Sarai felice.” Era stata la sua unica risposta. “Saremo felici tutti bambina mia.”
Fiammetta si  era voltata dunque verso suo padre in cerca di un appoggio, ma tutto quello che aveva visto era una figura pesante, rotonda che scoordinata muoveva passi lenti ed instabili, le gambe larghe, il portamento più simile a quello di un cinghiale che d’un uomo del suo rango, accompagnato da un borbottio fitto che sapeva di vino e di rovina.
Aveva provato pena per se stessa.
Non si poteva scegliere in che famiglia nascere, bisognava accettarla e basta.
Era un dono del Signore, la famiglia.
 Onora il padre e la madre. Come farlo se loro, per primi, sono tutto meno che onorevoli?
 
Scansò le coperte pesanti e s’alzò di scatto dal proprio letto, poi aprì le tende e lasciò che il sole l’accecasse, riportandola alla realtà.
Doveva uscire.
Non sapeva perché, né dove sarebbe andata, ma sentiva l’impellente bisogno di scappare via dalla sua vita e da quelle mura per tornare a respirare, per cercare delle risposte che nessuno le avrebbe dato mai, per accettare il suo destino senza “se” e senza “ma”, per correre incontro ad una positività che sentiva mancarle ed accogliere la speranza –e la possibilità –di essere felice al fianco di Soderni.
Perché le strade di Firenze, la sua terra, le mura ed i mattoni, fossero testimoni anche della sua storia d’amore con la vita.
E la vita era fuori.
In un impeto di follia si vestì rapidamente, presa da una frenesia che non conosceva si guardò allo specchio, sorridendo davanti al riflesso più disordinato e scomposto avesse mai visto. Silenziosamente, uscì dalla sua camera  con i piedi che parevano più pesanti di macigni, che sembravano trattenerla lì dov’era, implorarla di non scappar via.
“Solo un’ora. Solo un’ora di libertà” Ripeté a se stessa.
 Camminò verso il portone d’ingresso con le gambe che tremavano e minacciavano di lasciarla crollare da un momento all’altro . Lo aprì con le mani inferme, terrorizzata dall’idea che qualcuno potesse fermarla ad un passo da quella tanto agognata meta, ma non c’era nessuno e così in un secondo e senza nessuna apparente conseguenza fu fuori da Palazzo Canacci.
Quella mattina il cielo, il sole e la sua città le parvero più belli che mai.
 
  
Francesco camminava con il passo veloce, guardandosi attorno senza prestare davvero attenzione ai volti che scorrevano davanti ai suoi occhi, il pensiero fermo sulle frasi di suo zio: sconfiggere i Medici tramite i loro segreti.
Era qualcosa di necessario, lo sapeva, come pure sapeva che i metodi usati dalla famiglia per raggiungere e consolidare la propria posizione non erano certamente onesti, eppure l’idea di comportarsi allo stesso modo dei suoi rivali fece vacillare la sua convinzione. Certo, era parte del loro mestiere, ma per quel poco che lo aveva conosciuto, suo padre gli aveva mostrato che la possibilità di agire diversamente esisteva, che si poteva essere banchieri ed essere onesti.
Questo però, come gli aveva insegnato Jacopo, escludeva la possibilità di essere potenti ed i Pazzi meritavano di esserlo.
 Più dei Medici.
Più di chiunque altro.
 
 Francesco si fermò all’improvviso, lo sguardo catturato da una figura famigliare in lontananza, una macchia rossa che si muoveva svelta e sola tra le vie della città.
I capelli del diavolo, li avrebbe riconosciuti ovunque.
Si chiese cosa ci facesse Fiammetta Canacci lì, senza alcun accompagnatore, poi si disse che non era affar suo, ma continuò ad osservarla mentre veniva proprio nella sua direzione, e più lei era vicina più notava qualcosa di molto strano. 
C’era un uomo, dietro di lei. Sembrava seguirla.
“Non è affar tuo.” Si disse, riprendendo a camminare nella direzione opposta.
 
Si fermò di nuovo e sospirò guardando quella macchia rossa allontanarsi sempre più.
Non voleva un morto sulla coscienza, neppure se si trattava di una Canacci.
Decise di raggiungerla. 
 

 
 
 

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Capitolo 6
*** 5.Capitolo Quinto ***


 
Capitolo Quinto
 


“Ve lo hanno mai detto che camminate troppo veloce?”
Una voce la colse di sorpresa, costringendola ad arretrare e voltarsi, gli occhi spalancati dal terrore e gli arti immobilizzati. Ci mise parecchi secondi a realizzare chi fosse l’uomo che, nel fra tempo, le si era affiancato ed ora la guardava, ancora una volta dall’alto, ancora una volta con quell’espressione ostile che sembrava essere costantemente dipinta sul volto.
Francesco Pazzi era comparso all’improvviso ed in maniera totalmente inaspettata e, come ogni volta che le loro strade si incrociavano, Fiammetta ebbe subito chiaro che doveva essere un presagio di sventura.
O forse una sventura essa stessa.
Poteva contare sulle dita di una mano le loro conversazioni ed in nessuna di queste occasioni lui aveva mostrato la più lieve forma di gentilezza nei suoi confronti, anzi sembrava quasi che il de’Pazzi provasse nei suoi confronti una sorta di avversione, un accanimento.
Ogni ricordo dell’uomo era profondamente triste ed aveva sempre avuto la sensazione che gran parte delle voci che circolavano circa la sua famiglia e la loro maledizione, provenissero proprio da loro: i Pazzi.
Arretrò d’un passo  ed ebbe l’immediato impulso di chiedergli cosa volesse da lei, di lasciare che parole ansiose scappassero via dalle sue labbra, di mettersi sulla difensiva, giustificare la sua presenza lì, eppure, con una lucidità che le parve quasi non appartenerle, si morse la lingua e rimase in silenzio, studiandolo.
Aveva occhi così scuri ed affilati che parevano un taglio netto, un ripido, infinito strapiombo  sul suo volto ed in quel momento, fissi com’erano nei suoi, le fecero venire voglia di scappare via quasi fosse una bambina spaventata. Non aveva mai notato quanto potesse essere intimidatorio il suo sguardo, anche se avrebbe scommesso che non era nelle sue intenzioni apparirle in quel modo.
Il suo tentativo di attirare la sua attenzione era stato scontroso –nulla di diverso da quello che si sarebbe aspettata –ma non intimidatorio, anzi, gentile a modo suo e questo, nonostante stonasse con l’espressione dura, la rassicurò abbastanza da farle riacquistare la capacità di rispondere in maniera adeguata.
Cerca la via di mezzo. Si disse. Devi essere cauta, ma non scontrosa. Tu non sei lui.
 
Dopotutto non sapeva cosa volesse da lei ed il fatto che le stesse rivolgendo la parola era quantomeno strano. Poteva essere una trappola, un ricatto, un modo come un altro di raggirarla o deriderla in pubblica piazza.
Su poche persone la sua disperata madre aveva sempre avuto delle riserve –e di più, una sorta di timore –  e la famiglia Pazzi nella sua interezza faceva parte di quella piccola cerchia.
Diceva che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in loro e Fiammetta, nonostante lo credesse solo uno dei suoi tanti vaneggiamenti, si trovò a tenere istintivamente la guardia alta.
In ogni caso nessuno sarebbe dovuto venir a sapere della sua passeggiata e Francesco poteva essere un pericoloso testimone della sua fuga. Pericolosissimo, considerato che lui, a differenza di Fiammetta, era conosciuto da tutti in città e lei, ferma al suo fianco , così ammutolita e spaesata, era esposta in ogni maniera possibile a sguardi curiosi.
 
“Cos’è? Avete perso la parola?” Continuò lui, proprio mentre Fiammetta stava per rispondere dopo istanti di interminabile silenzio.
Balbettò qualche sillaba priva di senso, mentre le guance le si tingevano dello stesso colore dei suoi capelli. Abbassò lo sguardo intimidita, sentendosi stupida e scavando, graffiando con le unghie nella propria mente in cerca di una risposta adeguata per un uomo come Francesco Pazzi, poi però qualcosa colse la sua attenzione.
Le labbra di lui si incurvarono in un ghigno canzonatorio che forse voleva essere un sorriso, forse una risata o forse non voleva essere nulla di tutto questo, ma che la lasciò profondamente colpita.
Era l’espressione più pungente avesse mai visto, qualcosa di così poco puro, così crudele, così strafottente che fece riemergere prepotente nella memoria di Fiammetta un’ immagine lontana e scorticata dal tempo, ma che era capace di ferirla ancora.
Si rivide poco più che fanciulla, con gli occhi di tutti i nobili fiorentini puntati su lei, in lacrime davanti ad un giovanissimo Francesco, che rideva di lei e sembrava aver profetizzato il suo futuro.
La figlia del diavolo.
Voi Canacci, siete feccia.
Nessun uomo sano di mente potrebbe mai volerla.
 
La lingua si mosse da sola, senza che potesse far niente per controllare il tono con cui si rivolse a lui.
“Cos’è?” Chiese ironica, incrociando le braccia al pezzo ed alzando un sopracciglio. “Non ditemi che mi stavate seguendo?” 
Francesco scosse il capo, per niente colpito dall’atteggiamento di lei.
 “Non ho alcun interesse nel seguirvi. Vi ho vista in lontananza e…”
La voce di lui si spezzò. Si guardò attorno un paio di volte e poi prese a fissare un punto dietro di loro, così Fiammetta tentò di voltarsi ma Francesco fu abbastanza rapido da impedirglielo, afferrandola per le spalle e costringendola a camminare via con lui.
“Non mi toccate.” Gridò Fiammetta, spingendolo via con tutte le forze che aveva e facendolo quasi cadere, colto alla sprovvista.
Il de’Pazzi si ricompose rapidamente ed emise un verso roco, frustrato.
Dio solo sa perché stesse aiutando quella ragazzina ingrata, almeno gli stesse rendendo la vita facile! Era stata zitta per una vita, se non fosse stato per quei capelli che si ritrovava ed il suo cognome non avrebbe neppure saputo della sua esistenza, e proprio il giorno in cui decideva di fare qualcosa di buono lei doveva tirare fuori la voce.
Certo era un filo di voce –non tanto per il tono, quanto per la scarsa convinzione – certo una debole protesta, me comunque abbastanza fastidiosa da fargli venir voglia di lasciarla lì, inseguita senza neppure essersene accorta da qualche male intenzionato.
Ma si, non erano certo fatti suoi.
“Scusatemi.” Si affrettò a dire, portandosi le mani sulla bocca, spaventata in maniera visibile da una sua eventuale reazione.
 
“Adesso voi venite con me e non fate storie.”  Affermò autoritario, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo la figura sempre più vicina dello sconosciuto e con una mano stringeva il pugnale nascosto sotto il proprio mantello. Nel notarlo vide chiaramente il terrore dipingersi sul volto di Fiammetta che provò ad allontanarsi da lui, questa volta lentamente, il volto improvvisamente pallido, le membra tremanti.
Francesco la raggiunse senza alcuno sforzo e la immobilizzò cercando di non attirare ancor più l’attenzione, cercando di non farle troppo male ed ottenendo pessimi risultati visto il modo in cui lei teneva gli occhi chiusi, stretti, strizzati fino a deturparle il viso in un’espressione tesa e terrorizzata. Si chiese se un essere tanto stupido ed inutile meritasse il suo aiuto, poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò.
“C’è un uomo che vi segue. Non è di me che dovete avere paura, sto cercando di aiutarvi che voi ci crediate o no.”
Fiammetta sbatté le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il volto del suo salvatore, poi provò a balbettare qualcosa che Francesco non si sforzò neppure di comprendere. Nonostante cercasse di non darlo a vedere tutto in lei sembrava gridare che non si fidava di lui, affatto.
Il de’Pazzi scosse il capo. “Seguitemi.” Le intimò e, senza curarsi più che lei stesse veramente obbedendo ai suoi ordini, iniziò a camminare.
Fiammetta osservò la sua schiena, il mantello scuro che svolazzava, si voltò indietro, in cerca di questo fantomatico delinquente, ma non vide nulla di strano, poi alzò il cappuccio del proprio mantello, dandosi della stupida per non averlo fatto prima e, con una corsa appena accennata, colmò la distanza che la separava da Francesco.
Non era sicura delle sue buone intenzioni, ma se lui aveva ragione uno sconosciuto le pareva un pericolo maggiore rispetto al de’ Pazzi. Dopotutto Fiammetta non era abbastanza importante per essere una sua nemica, non aveva nulla da guadagnare nel farle del male.
Pregò soltanto di aver preso la giusta decisione.

Si mossero fianco a fianco per un po’, sgattaiolando veloci, svoltando ad ogni bivio in una direzione diversa, così apparentemente privi di meta che l’ansia di Fiammetta sembrò prendere il sopravvento, mozzandole il respiro.
Quanto tempo era passato? Quanto era lontana da casa? Chi era l’uomo che la inseguiva e perché proprio lei? Soprattutto, esisteva?
 
Prese un respiro profondo e cercò di calmare il battito impazzito del suo cuore, mentre con la coda dell’occhio osservava il profilo dell’uomo accanto a lei, cercando una qualsiasi risposta alle sue domande. Anche lui appariva teso, pronto a captare ogni singolo movimento e rumore attorno a loro, ogni tanto gettava uno sguardo alle loro spalle senza farsi notare ma non era preoccupato, anzi, sembrava un cacciatore pronto a stanare la preda.
“Perché mi state aiutando?” Chiese Fiammetta.
“Assistere ad un aggressione e non fare nulla per evitarla equivale ad esserne complice. Siete una donna indifesa ed anche piuttosto ingenua, se vi fosse successo qualcosa sarebbe stata colpa mia.”
Rispose lui, con un tono tanto distaccato che alla Canacci risultò difficile credergli. Eppure lo fece. 
“Suppongo di dovervi ringraziare, Francesco.”
“Non avete capito. Non lo faccio per voi, lo faccio per me. Per la mia coscienza.”  
No, certamente non stava mentendo.
 
“Ci sta ancora seguendo. Dovete fare esattamente ciò che vi dico, ascoltatemi bene.” Fiammetta annuì, seppur poco convinta.
“Ci saluteremo. Io andrò a destra, voi a sinistra.”
“Così mi lascerete sola.”Replicò lei. Il pensiero le fece tremare le gambe.
“Fate come dico.” Il tono di Francesco nervoso ed indispettito dalle sue domande e stonava totalmente con l’educato inchino ed il bacio sulla mano con cui la stava salutando. Fiammetta lo guardò, gli occhi che parevano dieci volte più grandi per la paura e l’incarnato pallido come quello di un fantasma, ed il Pazzi ricambiò lo sguardo con uno tanto duro quanto sicuro, che sembrava ammonirla per la sua paura ma che, al tempo stesso, la tranquillizzò.
Non mi abbandonerà, pensò.
 
I due si separarono e Fiammetta mosse passi lenti e traballanti, simili a quelli di una bambina per quella che le parve un’eternità combattendo l’impulso di voltarsi a controllare dove fosse il de’Pazzi. In realtà non passò più di una manciata di muniti prima che qualcuno la costringesse a voltarsi, facendola cadere rovinosamente a terra con un tonfo sordo. Fiammetta lanciò un urlo disperato, tanto forte da farle male alla gola, nella speranza che Francesco la udisse e corresse da lei perché nessuno sarebbe passato per quella vietta oscura e soprattutto, anche se ci fosse stato qualcuno, non l’avrebbero aiutata. La fame rendeva le persone cattive.
L’uomo la fece rialzare in fretta, tirandola su come non pesasse nulla e la zittì, coprendole la bocca con la mano sporca e ruvida, poi la spinse contro un muro.
“State calma.” Sussurrava. Ma più lui le ripeteva quelle parole più lei si dimenava tra le sue braccia, più i mugugni si facevano disperati e le lacrime minacciavano di scendere copiose lungo le sue guance.
Le veniva da vomitare ed  il volto che aveva davanti, tanto vicino al suo percepirne il calore, le fece più paura forse del momento in sé. Gli occhi , così chiari da sembrare quelli di un cieco, sporgevano in maniera quasi innaturale dal viso mortalmente scavato e la pelle era deturpata da rughe tanto profonde da sembrare piaghe.
“Tu.” Disse semplicemente, incurvando le labbra nell’ombra di un sorriso che spaventò ancor più Fiammetta, immobilizzata, schiacciata dal suo corpo, con il fiato dello sconosciuto sulla propria pelle.

L’aria fresca e pulita la colpì come una benedizione non appena Francesco trascinò via l’uomo da lei, scaraventandolo a terra con un gesto rapido. Fiammetta lo guardò accanirsi contro il corpo dell’altro,tirando calci sempre più forti mentre lui cercava di strisciare via, troppo debole persino per rialzarsi.
Quando Francesco estrasse il pugnale e Fiammetta vide la lama scintillare alla luce del sole, la voce le uscì senza che potesse controllarla.
“No” Gridò.
Francesco si immobilizzò e sputando contro l’uomo, senza neppure voltarsi verso di lei per guardarla in faccia, replicò: “E perché mai?”
“Perché non voglio che lo uccidiate.”
Francesco rise e scuotendo il capo si preparò nuovamente a sferzare il colpo.
“ A me non importa quello che volete.”
“Ho detto che non dovete farlo.” Urlò allora, afferrando il suo braccio in modo da fermarlo. Francesco se la scrollò di dosso con un gesto secco e ben assestato delle spalle e lei scivolò a terra.
Solo allora il de’Pazzi posò lo sguardo sulla ragazza. Fiammetta si rialzò velocemente, come nulla fosse accaduto, e rimase in piedi con le mani strette in due pugni. Lo guardava con due occhi febbricitanti, la bocca ridotta ad una linea dritta, la mascella tesa, i capelli rossi alla rinfusa, come fosse appena uscita da un vero scontro corpo a corpo e, per la prima volta da quando la conosceva, sembrava non essere spaventata da lui.
“Ma dico siete impazzita?” Anche lui alzò la voce e mosse un passo verso di lei, il coltello ancora in pugno e l’aria completamente sconvolta dall’evento inaspettato.
“Avreste potuto ferirvi, avreste potuto ferire me. Ma cosa vi prende?!”
Canacci. Un cognome una disgrazia.
Era pazza quanto e forse più di sua madre.
Era stupida, ingenua ed ingrata.  
 
Fiammetta non rispose. Non sapeva cosa le fosse preso, voleva solo che lui l’ascoltasse, voleva solo che lui non uccidesse quell’uomo per colpa sua. Non avrebbe sopportato di portare un tale peso sulla coscienza, proprio come Francesco aveva deciso di non abbandonarla al suo destino per puro egoismo, anche Fiammetta agiva per lo stesso motivo.
Non le interessava realmente la vita di quell’uomo, se fosse morto in altre circostanze non avrebbe avuto nulla di più che la compassione che si deve a tutti i defunti, semplicemente non poteva sopportare che venisse ucciso lì, davanti ai suoi occhi, per lei.
Ma Fiammetta non disse nulla di tutto ciò, non provò a spiegarsi, non avrebbe saputo come farlo: a dispetto di quel suo buon gesto, si sentiva cattiva e si vergognava dei suoi pensieri che, confusa e scossa com’era, le apparivano meschini ed incoerenti.
 
Francesco guadò alle proprie spalle, ricordandosi dello sconosciuto a terra che avrebbe potuto colpirlo in ogni istante, ma lui non c’era più.
“Lo avete fatto scappare.” Sospirò, rivolgendosi a  Fiammetta con più calma, come se la rabbia di prima l’avesse abbandonato d’un tratto. Dopotutto non erano fatti suoi e tutto ciò che sapeva era che non l’avrebbe aiutata mai più.
“Sono sicura che non volesse farmi del male. Voleva soldi, forse cibo…La povertà fa fare cose brutte.” Affermò calma, presa anche lei da quello stesso scarico di tensione che aveva colto Francesco.
Si aggiustò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio per recuperare almeno in parte la dignità perduta  mentre Francesco rimetteva apposto il pugnale e camminava via.
“Vi accompagno. “ Le disse semplicemente.
Si domandò se fosse il caso di spiegarle che se uno sconosciuto l’aveva seguita per chilometri in quel modo non era per fame, né per soldi.
Voleva qualcosa da lei, non c’erano altre spiegazioni.
Poi la vide seguirlo ancora tremante, pallida e spaventata, pensò che per essere figlia del Demonio era un esserino piuttosto fragile e sfortunato, e sperò di sbagliarsi riguardo lo sconosciuto.

“Grazie.”
Eccolo di nuovo. Era un filo di voce tremante, ma era lì.
Francesco lo udì.
Rimase in silenzio.
 

 
 
Questo capitolo è stato per me davvero difficile da scrivere, sia perchè getta le basi del rappoto tra Fiammetta e Francesco (che non sarà per niente scontato nella sua natura) sia perchè stiamo iniziando a intrecciare la rete del segreto attorno a cui ruota la storia. Tutto quello che avete letto fin ora e leggerete ha una precisa funzione nell'economia della narrazione e nulla è lasciato al caso. Spero di fare un buon lavoro. 
Ringrazio chi di voi continua a leggere la mia storia
Spero possa appassionarvi tanto quanto appassiona me.

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Capitolo 7
*** 6.Capitolo Sesto ***


Capitolo Sesto
 
Novella osservò la figura scomposta del marito sulla sedia, la schiena curva, i palmi delle mani a reggere il peso della testa, schiacciata da chissà quali torbidi pensieri.
Rimase ad osservarlo sull’uscio della porta, mordendosi le labbra per frenare l’impulso di correre da lui e carezzare le sue guance, alleviare le pene che lo affliggevano e che, per quanto si sforzasse, non avrebbe mai compreso. Il rumore sordo dello schiaffo risuonò nella sua mente come un monito.
L’ultima volta che aveva provato ad aiutarlo non era finita bene, affatto.
Eppure…eppure lei era sua moglie e lui pareva davvero pentito.
Se Francesco aveva bisogno di lei era suo dovere aiutarlo. Se lo ripeté un paio di volte prima di muovere un passo incerto. Nella grande sala del palazzo de’Pazzi la sua scelta rimbombò e quell’unico passo bastò per essere notata da lui, che scattò rapido, spostando le mani dal suo volto e puntando gli occhi scuri sulla sua figura.
L’espressione di Francesco parve rilassarsi leggermente alla vista della moglie.
Le sorrise, lei ricambiò con dolcezza che bastò a fargli credere potesse essere tornato tutto alla normalità, eppure non era mai esistita alcuna normalità tra loro.
“Siediti.” Indicò la sedia accanto alla propria.
Novella non se lo fece ripetere una seconda volta, si disse che era perché suo marito glielo stava ordinando che lo faceva, ma sapeva perfettamente che se avesse voluto andarsene lui non l’avrebbe fermata, che gli ordini erano sempre stati per lei null’altro che consigli un po’ più sentiti.
Lei era lì perché voleva esserci.
“Tutto bene?” Domandò Novella, afferrando la mano di Francesco e carezzandola con il pollice.
Lui sentì qualcosa di caldo sciogliersi nel suo petto, gli venne voglia di stringere la donna, tirarsela contro fino a farla sparire tra le sue braccia per essere sicuro che nessuno potesse più portargli via la tenerezza che gli stava donando solo sfiorandolo.
Lui annuì, mentendo, perché voleva che nulla turbasse quel momento: non suo zio, non Lorenzo, né l’avventura avuta quella mattina con la Canacci.
“Francesco…” Iniziò Novella, con sguardo e tono accusatori, pronta a tirare fuori dalle sue labbra tutto quello che voleva sentirsi dire.
La guardò, osservò il suo bel viso tondo, le labbra piene e poi la baciò, sfiorando appena la sua bocca, così delicato e casto e, allo stesso tempo, così prepotentemente pieno d’emozioni che Novella si chiese se non stesse vivendo qualche fantasia particolarmente realistica.
Suo marito, quella dolcezza, non l’aveva conosciuta mai.
“Sono stanco.” Le rispose, scostandole i capelli biondi in modo da scoprire il collo. Lì indugiò con lo sguardo, mentre sentiva il desiderio montare prepotente nel suo petto. Deglutì e guardò di nuovo sua moglie negli occhi, ma lei non parve cogliere i suoi pensieri, anzi, attendeva spiegazioni fiduciosa.
“Ho avuto una brutta discussione con mio zio e poi ho dovuto soccorrere Fiammetta Canacci.” Disse sbrigativo, sperando le bastasse.
Novella lasciò andare la sua mano per portarsela al petto. “Perché? Cosa le è successo?” Chiese preoccupata.
“ Un mal intenzionato voleva derubarla ed io l’ho aiutata. Lui è scappato. Tutto qui.”
“Oh povera ragazza.”

Francesco sorrise alla moglie ed annuì, prima di carezzare con due dita il collo scoperto.
Non aveva più voglia di parlare, raccontare, aprirsi. Sapeva che se lo avesse permesso Novella avrebbe iniziato ad interrogarlo, una domanda dopo l’altra, fino a fargli tirar fuori cose timori ed insicurezze che un uomo del suo rango non avrebbe dovuto neppure avere.
O a fargli perdere la pazienza.
E lui non voleva nessuna delle sue cose, voleva solo sua moglie ed il calore del suo corpo.
Voleva stare bene con lei, nulla di più.
 
 Novella sembrò comprendere le sue intenzioni, Francesco glielo lesse in faccia, dove la bocca s’era ridotta ad una linea dritta e tesa, perfetta espressione della cocente delusione che doveva averla colta.
Avrebbe fatto in modo di cancellare il suo disappunto, si promise il Pazzi, avvicinando il volto nell’incavo tra il suo collo e la sua spalla e posandovi un bacio.  
“Francesco…” Provò ad ammonirlo la moglie, senza però spostarsi di un millimetro. Nell’udire il suo nome, Francesco finse di cogliere, più che un tentativo di fermarlo, un’ incitazione timida così le sue labbra presero ad esplorare ogni centimetro di pelle, finché la scollatura del vestito glielo permettesse, delicatamente, cercando di frenare l’istinto che gli gridava di alzarle le gonne e prenderla lì, senza pudore alcuno, per il solo gusto di possederla, di sentirla sua.
Novella chiuse gli occhi e si morse le labbra, divisa tra il piacere che quei baci le provocavano e la voglia di scappar via e piangere tutte le sue lacrime, perché ancora una volta suo marito stava innalzando un muro tra le loro menti e lo stava facendo nel più perfido dei modi: amandola.
“Mi sei mancata.” Le disse, prima di baciarla sulle labbra.
Novella non rispose. Ogni parola che Francesco con tanta fatica le diceva non le pareva altro che un inganno, una bugia, l’ennesimo tentativo di distrarla. La riteneva una stupida, probabilmente un’ingenua.
“Francesco non è questo che desidero…” Provò a spiegarsi, mentre le sillabe si spezzavano insieme al suo cuore.
“Stai zitta.” Replicò lui, mascherando con quel tono dolce, affannato e desideroso parole dure e fredde, che fermarono ogni tentativo di Novella di opporsi ma segnarono la fine definitiva d’ogni forma di ricongiungimento.
C’era solo un grande gelo tra lei e suo marito e Novella tremò al suo tocco.
Si lasciò trascinare per il polso verso le loro stanze, senza neanche guardare dove metteva i piedi, con la nuova consapevolezza che lui, nonostante gli anni condivisi assieme, non la conosceva affatto.
Che, come lui non le aveva permesso di abbattere le sue difese, così non aveva mai neppure provato a leggere lei, che era un libro aperto, che aveva sempre voluto e tentato di essere totalmente trasparente ai suoi occhi.
 
Francesco le fu addosso in un istante, la fece sdraiare sul letto e lì le dolci carezze lasciarono il posto alla passione che lo aveva sempre contraddistinto. I baci divennero ardenti, bruciavano la sua carne, ed i denti marchiavano la proprietà di quel corpo tanto bello e generoso. Fu dentro di lei in un colpo solo, le spezzò il fiato per un secondo e subito si mosse velocemente, mentre ansimava nel suo orecchio frasi d’amore che Novella avrebbe voluto non ascoltare perché era quello – il suo fiato caldo contro di lei, le parole spezzate dal piacere, la voce incrinata, roca, eccitata –era quello che le stava lentamente facendo perdere la ragione e l’avrebbe spinta, di lì a poco, a stringere tra le mani i suoi capelli e graffiare le sua schiena, urlare il suo nome come fosse l’unica parola conosciuta.
L’unica esistente.
Francesco, Francesco, Francesco.  Lo gridò nella sua mente, mordendosi le labbra, stringendo le lenzuola del loro letto, mentre il suo corpo si contraeva al culmine del proprio piacere.
Avrebbe voluto piangere, in quel momento, spaccata a metà da quel suo amore che la stava uccidendo.
Lui si staccò lentamente e senza mai smettere di guardarla negli occhi si lasciò cadere stremato accanto a lei.
“Sei stata brava.”
 Ma lei non aveva fatto nulla, lei non era brava e non era felice di quanto accaduto, si sentiva anzi piuttosto in colpa.
Non avrebbe voluto concedersi in quel modo a lui.
Non con il corpo, quello era un diritto di Francesco, era suo, lo possedeva dal giorno in cui s’erano sposati, ma con la mente, invocando il suo nome con la disperazione di una preghiera.
 
“Ho solo fatto il mio dovere di moglie. Nulla di più.” Rispose, fingendo che il suo cuore non fosse straziato davanti all’espressione confusa e delusa di Francesco.
 
 
 
 
“Cosa ti è venuto in mente?”
Madonna Agnese entrò nelle stanze della figlia spalancandone le porte, i passi pesanti ed il volto contratto in un’espressione che mai prima di quel momento Fiammetta le aveva visto, così rabbiosa e ricca d’astio che si trovò a ringraziare il cielo ci fosse anche Betta nella stanza.
Il solo pensiero di rimanere sola con sua madre in quelle condizioni la spaventava terribilmente.
Betta si scansò dalla sua padrona, lasciando cadere le ciocche di capelli che stava delicatamente acconciando per ridarle un aspetto dignitoso dopo l’avventura di quella mattina.
Avventura che non era passata inosservata quanto Fiammetta avrebbe voluto.
Al suo ritorno aveva trovato suo padre ad aspettarla. Non le aveva rivolto che poche parole e qualche sguardo rassegnato, con gli occhi velati di quell’apatia che lo aveva reso l’ombra di un uomo già da molto tempo ormai – e forse da che Fiammetta avesse memoria –  poi l’aveva messa in guardia.
“Vostra madre vi sta cercando disperatamente.”
“Mi dispiace” Aveva risposto lei, abbassando il capo, mostrandosi pentita di qualcosa che, in cuor suo, avrebbe rifatto nonostante tutto.  Non si era mai sentita così viva come in quei momenti, quando il terrore – prima di essere scoperta dalla sua famiglia, poi dell’incontro con Francesco Pazzi ed infine di essere raggiunta dal suo inseguitore sconosciuto –le aveva attanagliato lo stomaco in una morsa ed il cuore aveva preso a batterle all’impazzata, ricordandole di essere ancora lì, ricordandole di voler continuare a farlo.
Battere, palpitare, avere paura.
Vivere.
Voleva tutto quello, più d’ogni altra cosa al mondo e le era bastato stare lontana da sua madre per capirlo, come per capire che il matrimonio con Bastiano Soderini, per quanto lontano da tutti i suoi profondi e nascosti desideri, era l’unico mezzo che disponesse al momento per staccarsi da lei.
Perché di questo aveva bisogno Fiammetta: fuggire via, imparare a respirare da sola o forse semplicemente farlo, senza il peso di sua madre e delle sue aspettative a schiacciarle il polmoni.
S’illudeva che con quell’ unione finalmente tutto sarebbe finito, che sarebbe stata libera dalle sue responsabilità e dalla sua scomoda famiglia.
Non poteva sbagliarsi di più.
 
“Madre.” La salutò Fiammetta, cercando di mantenersi calma e composta, proprio come Agnese le aveva insegnato a fare. Apparire perfetta, anche nell’errore, anche nella paura, anche nella confusione era l’unica cosa che avrebbe potuto compiacere Agnese.
La perfezione era qualcosa che aveva bramato per sua figlia dal giorno stesso in cui era nata ed ora quella bambina che era sembrata dal primo momento una maledizione, con i capelli del Diavolo, sinistro presagio della sua vera natura –o almeno così si diceva in giro – e quell’aspetto sgraziato, quell’unica figlia che le era sopravvissuta, era una donna che si sarebbe presto sposata e che, alla fine, aveva imparato la più importante delle lezioni: l’apparenza era tutto quello che, in un mondo come il loro, avrebbe potuto garantirle il miglior futuro possibile.
Fiammetta sapeva che se avesse dimostrato a sua madre questo, apparenza e finzione, allora la sua furia sarebbe scemata via con la stessa rapidità con cui l’aveva colta.
“Non hai nient’altro da dirmi?” La ammonì, congedando Betta con una spinta ed un gesto eloquente. Fiammetta avrebbe voluto afferrare la sua serva per il polso, implorarla di non lasciarla sola, ma rimase immobile, con un’espressione serena dipinta sul viso pallido.
Non sapeva di cosa effettivamente Agnese  fosse a conoscenza, se le fosse giunta voce del suo incontro con Francesco Pazzi o dell’aggressione subita, ma sapeva che dalla sua bocca non sarebbe uscita una parola riguardo quegli eventi. Non voleva si preoccupasse inutilmente, non voleva essere rimproverata e più d’ogni altra cosa voleva dimostrarle di essere forte e completamente capace di badare a se stessa e prendere le sue decisioni.
Non era una pedina del suo gioco, o meglio non solo.
Fiammetta Canacci aveva delle volontà, per quanto ben nascoste, e ne aveva più di quante immaginasse.
 
“Mi dispiace madre.” Iniziò la ragazza, alzandosi per trovarsi alla stessa altezza della donna. L’atmosfera tra loro era irreale.
Da una parte Madonna Agnese sembrava sul punto di esplodere per la rabbia, dall’altra Fiammetta la guardava con due occhi scuri impregnati di una calma nuova e privi di quella timida paura di sbagliare che l’aveva sempre trattenuta.
“I miei pensieri mi hanno tenuta sveglia l’intera notte. Avevo bisogno di schiarirmi le idee, avrei dovuto avvisarvi ma non volevo aggiungere altre preoccupazioni a quelle che già avete.” Continuò, in tono dolce, quasi melense, con le parole che uscivano dalle sue labbra tanto morbide e delicate da far vacillare Agnese.
C’era qualcosa di molto strano in sua figlia quel giorno, qualcosa che, anche se non avrebbe dovuto, la spaventò tremendamente.
Sospirò e, comprendendo che la rabbia non l’avrebbe portata da nessuna parte, decise di provare un approccio diverso, di cercare di capire cosa nascondesse Fiammetta.
Alzò la mano lentamente, posando il palmo sulla guancia della ragazza, che la strinse con la propria e chiudendo gli occhi, inclinò il capo beandosi di quella carezza.
“Che pensieri ti fanno così male, mia cara?” Domandò Agnese.
Fiammetta ripercorse velocemente l’intricato labirinto di desideri, angosce e quesiti che l’avevano tormentata durante quella lunga nottata ed immediatamente decise che non avrebbe mai potuto condividerli con sua madre.
Non ora che la sua ossessione per la famiglia Medici sembrava essersi affievolita.
Decise però di sfruttare la domanda della donna a suo favore per comprendere finalmente davvero cosa stesse succedendo attorno a lei e di quale intricato gioco fosse protagonista.
“Mi chiedevo cosa è cambiato, madre. Non fraintendetemi, sono tanto spaventata quanto felice per questo matrimonio.” Mentì Fiammetta.
“Non sembravi così felice.” Asserì Agnese.
La giovane scosse il capo. “Per questo sono uscita, madre. Avevo bisogno di capire, di elaborare, comprendere ed accettare. Dopotutto mi avete preparato per avere il meglio, ed il meglio sappiamo entrambe che non sono i Soderini, allora perché avete accettato? Dopo tanti anni di rifiuti vi siete arresa o c’è qualcosa che non so?”

La mano di sua madre si spostò dalla guancia al mento, afferrandolo tra il pollice e l’indice con più forza del dovuto. “Le donne come te non devono pensare Fiammetta, tantomeno capire, devono obbedire. Questo fa una brava moglie.”
Fiammetta avrebbe voluto chiederle perché quella regola non valesse anche per lei, ma non riuscì ad aprire bocca. Tutta la sua sicurezza era sparita al solo tocco della donna, l’aveva sentita scivolarle via, svuotarle i petto all’improvviso lasciandola lì, a boccheggiare come un animale ferito.   Inoltre, conosceva già la risposta a quella domanda. Sua madre era il marito di se stessa, era l’uomo e la donna, era tutto quello di cui la famiglia avesse bisogno e lo era stato dal momento stesso in cui suo padre, per motivi che forse non avrebbe saputo mai, aveva deciso di non ricoprire più quel ruolo, trasformandosi nell’uomo disinteressato e passivo che conosceva.
     Forse avrebbe dovuto smettere di porsi domande, mettere fine alla sua debole opposizione ed accettare il volere di sua madre ed il proprio ruolo.
Si diede della stupida e dell’incapace.
Non era riuscita a mantenere ferme le sue convinzioni che per poche ore ed era si ritrovava ancora una volta in balia di quello che era stato già scelto per lei.  
Madonna Agnese voleva il meglio, dopotutto l’aveva sempre voluto.
Forse doveva solo arrendersi, fidarsi di lei e delle sue decisioni.
La forza è una dote con cui poche donne nascono, lei non era tra queste e non era mai stata neppure abbastanza intelligente per capire certi meccanismi. Non doveva esserlo.  Come le aveva fatto ben intendere sua madre, non era un sua prerogativa inserirsi nei complessi ingranaggi della politica, una volta sistemata con Soderini non ci sarebbe stato niente di cui preoccuparsi, né per lei né per la sua progenie.
 
“Ad ogni modo.” Continuò Agnese lasciandola andare e dandole le spalle, nascondendo il sorriso furbo che le nacque spontaneo nel vedere la ragazza tornare docile come sempre. “Voglio dirti la verità, così che tu possa metterti il cuore in pace e non abbia bisogno di certe distrazioni, come la passeggiata di questa mattina.”
Fiammetta si lasciò cadere sul letto,annientata. Non aveva conquistato nulla, non era in grado di farlo.
“Il mio cuore è in pace se il vostro lo è madre.” Sussurrò, abbassando il capo.
“Non ho cambiato idea su ciò che desidero per te Fiammetta. Volevo un Medici ed un Medici, in cuor mio, continuo a volere ma questo matrimonio non è stato una mia idea. È stata Lucrezia de’Medici a proporlo, per questo ho accettato.”
Fiammetta aprì la bocca senza riuscire a proferir parola. Perché mai Lucrezia de’ Medici avrebbe dovuto preoccuparsi del suo matrimonio?  Perché avrebbe dovuto aiutare la sua famiglia se prima non aveva fatto altro che evitarle?
E a sua madre non sembrava strano quell’improvviso interessamento, era del tutto cieca o più astuta di quanto credesse?
 
“Perché?”  Chiese semplicemente Fiammetta, senza riuscire a trattenere quel flusso nuovo di pensieri ed energia che la fece alzare di scatto, gli occhi spalancati, vivi.
“Non è compito tuo fare domande Fiammetta. Quello che devi sapere è che tutto questo è assolutamente conveniente per noi, i Soderini sono alleati dei Medici e noi, con questo matrimonio, stiamo per entrare in una cerchia molto ristretta ed influente di famiglie.”
Fiammetta annuì, osservando la madre avvicinarsi alla porta della camera.
“Cerca solo di non rovinare tutto.” Le disse, prima di uscire senza neppure voltarsi, lasciandola più sola e confusa di quanto non fosse mai stata.
 
Si lasciò scivolare ai piedi del letto, strinse le proprie ginocchia in un abbraccio solitario e vi nascose la testa. Le lacrime presero a scendere copiose senza che potesse fare niente per impedirlo, liberandola di tutte le emozioni contrastanti di quella giornata.
Non singhiozzò, non emise un suono, lasciò semplicemente che le lacrime scendessero libere e si trovò a pensare a sua madre, al fatto che presto sarebbe potuta andarsene da quella casa, che Bastiano Soderini poteva essere il suo biglietto da visita per una nuova vita o una nuova prigione e non c’era modo di sapere cosa l’aspettasse.
Cerca solo di non rovinare tutto.
No, non l’avrebbe fatto.
Non avrebbe deluso sua madre, non più. 
 

 
 

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Capitolo 8
*** 7.Capitolo Settimo ***


Capitolo Settimo
 
Prese un respiro profondo prima di muovere un passo all’interno di palazzo de’Medici.
Poteva letteralmente sentire il corpo di sua madre tremare dall’eccitazione accanto a lei, nonostante la calma apparente ed il sorriso educato, mentre suo padre, dall’altro lato, camminava sbilenco, strusciando i piedi a terra e neppure si guardava attorno, disinteressato persino alla magnificenza che sembrava impregnare ogni angolo di quel posto e dalla quale Fiammetta non riusciva a staccare gli occhi, trovandosi a muovere il capo da una parte all’altra mentre venivano guidati verso i giardini, dove Madonna Lucrezia li attendeva con due ospiti speciali.
 
Il giorno era arrivato, finalmente Fiammetta avrebbe conosciuto il suo futuro marito ed il perché l’incontro avvenisse proprio a palazzo de’Medici non era un mistero per la ragazza. Sapeva che quello era l’ennesimo tentativo della famiglia di ricordare ad entrambe le parti chi dovevano ringraziare per quell’unione della quale avrebbero beneficiato tutti, anche se in modi che continuavano a sfuggirle. Era un modo come un altro per ricordare loro a chi dovevano fedeltà, per rimarcare il loro potere, la loro autorità e Fiammetta si trovò ad essere stranamente affascinata da quel gioco sottile, tessuto dalle abili mani di una grande donna. Finì, senza rendersene neppure conto, per provare nei confronti di Lucrezia un sentimento nuovo, più simile all’ammirazione che al timore che le aveva sempre suscitato.
Più simile al rispetto che alla paura.  

Non appena entrarono nei grandi giardini del palazzo Fiammetta riconobbe perfettamente le figure presenti, il suo sguardo scivolò veloce su Madonna Lucrezia e Nannina, per poi posarsi su Bastiano e suo padre, Luca Soderini, che li attendevano con un’espressione indecifrabile.
Fiammetta, che fino a quel momento era stata più tranquilla di quanto si aspettasse, iniziò a percepire la propria ansia e si trovò a stringere tra le mani sudate la gonna nel goffo tentativo di nasconderne l’evidente tremolio. La  pancia aveva preso a farle male, dandole la sensazione di poter vomitare da un momento all’altro.
“Cerca di non rovinare tutto.”
Pensò, continuando a camminare a piccoli passi verso Lucrezia e Nannina che si stavano avvicinando a loro per accoglierli.
“Messere Canacci, Madonna Agnese è un piacere per noi avervi qui in questa speciale occasione.” Li salutò sorridendo Lucrezia, per poi posare gli occhi su Fiammetta, studiandola dalla testa dai piedi con aria compiaciuta.
 
Ovviamente per l’occasione sua madre aveva fatto in modo che Betta la vestisse ed acconciasse nel miglior modo possibile ed avrebbe mentito se avesse detto che, guardandosi riflessa, non si fosse sentita bella come forse era successo solo al matrimonio di  Bianca Maria Donati. Sperò bastasse per soddisfare non solo sua madre, Lucrezia e soprattutto Bastiano e suo padre.
Infondo al suo cuore il desiderio d’essere desiderata da qualcuno ardeva prepotente.
 Nonostante cercasse di reprimerlo in ogni modo  Fiammetta voleva l’amore e continuava a sognare che quel giovane poco lontano da lei potesse finalmente accontentarla.
 
“È un piacere vedere soprattutto voi Fiammetta, raggiante come solo una giovane sposa può essere.” Continuò la Medici, con un tono così sicuro che quasi lei stessa si trovò a crederle e si sentì esattamente così, raggiante ed emozionata all’idea di conoscere Bastiano.
O per lo meno di conoscerlo in quanto suo futuro marito.
 
Aveva idea di chi fosse Bastiano Soderini da quando era una ragazzina e, nonostante non gli avesse mai prestato molta attenzione, non aveva mai avuto nulla da ridire su di lui. Le era sempre parso un giovane dai modi gentili, educato e colto, capace di mantenere un basso profilo e non creare mai alcun tipo di scandalo o controversia.
 Lo guardò con attenzione, in piedi alle spalle di Lucrezia, e non poté far a meno di notare che il suo aspetto non era neppure sgradevole. Questo la fece sorridere.
Aveva grandi occhi azzurri, tondi e leggermente sporgenti che sembravano essere tutto il suo volto, la bocca fine era piegata in un sorriso divertito rivolto al padre, il naso a patata gli dava un aspetto probabilmente più bambinesco di quanto avrebbe voluto, accentuato dalla sua bassa statura, ma quell’aria fanciullesca, infantile quasi, non dispiaceva a Fiammetta, anzi la rassicurava.
La dava l’idea di avere a che fare con uomo buono.
Le dava speranza.
 
“Seguitemi.”
Lucrezia si avvicinò ai Soderini e Fiammetta la seguì immediatamente, subito affiancata da Nannina, che la salutò con un sorriso affettuoso e rassicurante.
Sembrava volerle dire “Andrà tutto bene.”
 
Fiammetta quasi iniziò a crederci, eppure non durò molto. Voltandosi nuovamente verso il suo futuro marito le sue speranze vennero cancellate in un secondo netto e, assieme a loro, il suo sorriso.
Il suo sguardo si incupì e le mani strinsero con più forza la stoffa del vestito, come ogni volta in cui avrebbe voluto gridare, o scappar via, o prendersela con chiunque ed invece doveva rimanere in silenzio, a fingere calma, compostezza e perfezione proprio come le era stato insegnato.
Non le era sfuggita certo l’espressione di disprezzo -o forse più propriamente di disgusto- che aveva attraversato il volto di Bastiano non appena aveva rivolto verso di lei la sua attenzione, e lui, da parte sua, continuava a non far nulla per nasconderla.
Studiava Fiammetta con sfacciata presunzione, facendo scorrere lo sguardo sul suo corpo e poi sul volto. Era così accigliato che Fiammetta pensò gli si sarebbe staccata la pelle dal viso, la sua era bocca contratta ed aveva  l’aria di qualcuno che avrebbe preferito morire piuttosto che sfiorarla con un dito.
E come il suo disgusto non era sfuggito alla giovane Canacci, così non poteva essere sfuggito agli altri presenti, che ora parlavano senza che Fiammetta riuscisse davvero a sentirli, ridotti a suoni lontani, ovattati, appartenenti quasi ad un altro mondo.
Era troppo impegnata a sostenere lo sguardo di Bastiano, a farsi forza, a trasmetterla a lui.
 Non le interessava neanche sapere perché, senza neppure aspettare di conoscerla, aveva deciso di ripugnarla, voleva solo dimostrargli che anche lei poteva provare nei suoi confronti le stesse identiche sensazioni, ma che, a differenza sua, gli avrebbe concesso il beneficio del dubbio.
Il fatto che non avesse altra scelta era secondario, voleva la vedesse per com’era oltre il suo aspetto: buona, disponibile, premurosa ed obbediente.
Ma, allo stesso tempo, tentava in ogni modo di nascondere la sua disperazione e con la voce di sua madre che le rimbombava nella testa tratteneva perfettamente tutte le lacrime che avrebbe versato una volta tornata a casa, guardandosi allo specchio.

Continuò a studiare Bastiano, accennando persino un sorriso malinconico che voleva dire
 “Lo so, non è quello che volevi, non è neppure quello che volevo io ma siamo qui.”
Fiammetta non saprebbe dire cosa dovesse aver compreso lui, ma sicuramente non il suo messaggio, perché la sua espressione non cambiò di una virgola.
I pensieri di Fiammetta si accavallavano, confondendola su ciò che avrebbe voluto e ciò che avrebbe dovuto fare, su ciò che era consono e ciò che avrebbe voluto dimostrare, tra le sue insicurezze che premevano per schiacciarla e ricordarle quanto fosse insulsa e quella possibilità così lontana d’orgoglio che voleva provare ancora.
 
“Fiammetta.” La voce di suo padre la riportò alla realtà. Si voltò verso di lui confusa e disorientata, era raro che lui le rivolgesse la parola e si rese presto conto che doveva essersi persa gran parte della loro conversazione, troppo impegnata a zittire le voci nella sua testa per ricordarsi di dover ancora dimostrare di essere all’altezza e di valere qualcosa. Se non poteva dimostrarlo a Bastiano , avrebbe provato ad attirar quanto meno le simpatie di suo padre.
 Sorrise, intimidita. “Si padre.”
Lui la guardò, poi puntò i suoi piccoli occhi verso Luca Soderini.
“ Messere Soderini ti ha rivolto una domanda mia cara.”
Fiammetta, con le guance che andavano a fuoco, si voltò verso l’uomo che la fissava con occhi identici a quelli del figlio, ma apparentemente più gentili.
“Perdonatemi Messere, ero immersa nei miei stessi pensieri.” Si giustificò.
“Devo immaginare ci siano quindi pensieri più importanti del vostro matrimonio con mio figlio?”
Nonostante le sue parole potessero apparire dure, il tono con lui le pronunciò era stranamente gentile, quasi dolce, sembrava volerla mettere alla prova senza però lasciar trapelare alcuna malizia.
Bastiano sorrise arrogantemente, divertito dalle parole del padre, Fiammetta gli lanciò uno sguardo più sfacciato di quanto avrebbe voluto prima di rivolgersi di nuovo a Luca.
“Oh certo che no. Era esattamente quello che impegnava i miei pensieri…il matrimonio, il sogno di ogni donna dal giorno stesso in cui viene al mondo. È difficile realizzare che sia vero.” Replicò.
“Ma ancora non è vero.” Ribatté Bastiano.
“Non posso che augurarmi che lo sia presto, allora.”
Fiammetta giurò di vedere sua madre sorridere alle sue ultime parole.
“E sono sicuro che sarà così mia cara.” Li interruppe Luca. “Come stavo accennando prima a vostro padre c’è solo una questione che vorrei risolvere con voi.”
Fiammetta annuì, spronandolo a continuare. “Ditemi Messere.”
“Ci sono delle incresciose voci in città sul vostro conto da qualche giorno a questa parte.”
Fiammetta resistette all’impulso di abbassare il capo per la vergogna e continuò a guardarlo proprio come sua madre le avrebbe detto di fare. Poteva immaginare perfettamente che tipo di voci fossero, Il colore dei suoi capelli aveva spesso attirato la curiosità dei più superstiziosi, avevano finito per vedervi addirittura il marchio del demonio stesso. La sua salute cagionevole e l’incredibile coincidenza che, nonostante questo, fosse l’unica figlia dei Canacci sopravvissuta all’infanzia aveva poi alimentato quelle insane idee e così persino il suo aspetto, la pelle diafana, il volto scavato o addirittura la forma degli occhi erano divenuti motivi di scherno e di sospetto.
La disperazione di sua madre, o la sua isteria che fosse, era diventata la pena di una donna che s’era venduta al Diavolo e l’assenza di suo padre era stata trasformata nella prova che avesse perso l’ anima per  i propri peccati.
Fortunatamente non tutti a Firenze la pensavano in questo modo, molti si limitavano a compatirli per la loro rovina economica, per il carattere altalenante di Agnese, che aveva più volte costretto la famiglia alla vergogna, o per l’aspetto malato e l’incapacità di trovare un marito di Fiammetta.
Ormai nulla di quello che veniva detto le faceva più male, non come all’inizio almeno e poi, anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva iniziato davvero a credere di essere maledetta.
Si chiedeva solo per quali peccati.
E di chi.

“Abbiamo saputo del vostro incontro con Francesco Pazzi, ora come potete ben immaginare è increscioso che la promessa sposa di mio figlio si incontri di nascosto con uomo, tanto più se parliamo di un Pazzi. Nulla contro la famiglia, ma non c’è bisogno di fingere, sappiamo perfettamente che ci sono delle divergenze piuttosto…accese, si direi accese, tra loro ed i Medici.
Considerato chi ci sta ospitando in questo momento per il nostro incontro, Fiammetta, ritengo che non sia molto corretto da parte vostra vedere quell’uomo senza che nessuno ne sia al corrente.”
Fiammetta fece un passo indietro e prese a guardarsi attorno mentre tutti gli occhi erano puntati su di lei. Non si aspettava nulla del genere, tantomeno settimane dopo l’accaduto.
Non immaginava neppure che qualcuno ne fosse venuto a conoscenza e, soprattutto, non voleva che sua madre lo sapesse. Non in quel momento.
“Io…” Si ritrovò ancora una volta senza parole, incapace di difendersi o di trovare una giustificazione valida per difendersi da quelle accuse. Le sarebbe bastato dire la verità probabilmente, ma appariva così assurda che dubitava le avrebbero creduto.
“Voi cosa?” La voce di Lucrezia era ancora stranamente dolce, eppure Fiammetta poteva sentire il veleno nascondersi dietro al miele ed ebbe paura del modo in cui la donna la guardava, come fosse colpevole di qualcosa.
“C’è una spiegazione più che ragionevole.” Affermò Nannina, guardandoli tutti a testa alta, con il portamento di una regina. “Inoltre non è vero che nessuno ne era al corrente, io lo sapevo.” Mentì, senza degnare Fiammetta di uno sguardo e sperando, dentro di sé, che l’altra fosse in grado di inventare una scusa convincente per tirarsi fuori da quella spiacevole situazione.
Non sapeva neppure perché fosse intervenuta a suo favore, forse provava pena per lei e non voleva che quell’unica possibilità tanto agognata di prender marito andasse in fumo per qualcosa che, Nannina ne era certa, non era altro che un’ illazione, una voce, un menzogna. Non conosceva bene Fiammetta ma era sicura che non fosse assolutamente quel genere di donna e tantomeno credeva che fosse il tipo da intrattenersi con un uomo come il de’Pazzi.
Non le importavano le voci che circolavano su di lei e neppure quanto strana fosse, Fiammetta era una brava ragazza e Nannina voleva aiutarla come poteva, perché anche se non l’avrebbe ammesso mai avrebbe potuto esserci lei al posto di Fiammetta.
Anche se nessuno l’avrebbe detto condividevano la stessa insicurezza e la stessa timidezza, solo che a Nannina erano state date sin dalla più tenera età le armi per sconfiggerla: la cultura, il potere, una famiglia potente a sostenerla, un nome importante, una sorella con cui condividere gioie e dolori.
Fiammetta era sola, con una madre pazza ed il peso del pettegolezzo ad incurvarle le spalle, ma Nannina sentiva in cuor suo che c’era qualcosa di inespresso in lei, un potenziale nascosto che avrebbe aiutato a svelare.
E poi Bianca era sposata ed innamorata, era madre ed era sempre più distante da lei e Nannina cercava disperatamente un modo per colmare quel vuoto.
 
Fiammetta sospirò e decise che non poteva far altro che confessare dell’aggressione. Non poteva in alcun modo rischiare che, parlando con il de’Pazzi, venisse fuori una versione diversa dalla propria, mettendo in dubbio non solo la sua buona fede ma anche la veridicità delle sue intenzioni nei confronti della famiglia Medici, nei cui affari non aveva alcun interesse ad immischiarsi, tanto più per i Pazzi.
 
“Dopo l’annuncio del matrimonio sono uscita per schiarire i miei pensieri. Come ho già detto, il matrimonio è tutto ciò che ho sempre sognato, ero molto emozionata e avevo bisogno di clamarmi…mentre camminavo Francesco de’Pazzi è comparso dal nulla e mi ha fatto notare un uomo che mi stava inseguendo. Mi ha salvata dall’aggressione di quell’uomo Messere, tutto qui.”
 
“Perché non ne hai parlato?” Chiese Agnese, guardando la figlia preoccupata. Fiammetta avrebbe voluto abbracciarla, era la prima volta che vedeva sua madre realmente dispiaciuta per lei.
Luca Soderini, intanto, sorrideva in una maniera che a Fiammetta non piaceva affatto.
 
“E come potete dimostrare che è vero?”
“Temo dobbiate fidarvi delle mie parole.” Affermò Fiammetta.
“Non è delle vostre parole che non mi fido, Fiammetta, ma non vi è parso strano che Francesco Pazzi passasse lì proprio al momento giusto?”
Fiammetta rimase in silenzio.
“Cosa volete dire?” Intervenne Nannina.
“Voglio dire che è alquanto sospetto che Pazzi abbia preso le difese di qualcuno che ha sempre mal tollerato e che si trovasse lì per caso, pronto ad aiutarla.”
Fiammetta scosse il capo. Non le interessava del de’Pazzi, ma si rifiutava di credere quello che Soderini stava insinuando, non solo perché questo significava che per motivi a lei ancora sconosciuti era al centro di un gioco politico ancor più grande di quello che già immaginava,ma anche perché aveva visto Francesco tentare in ogni modo di uccidere l’uomo.
Forse voleva farlo tacere?
No, no. Fiammetta sentiva in cuor suo che non era così…eppure, eppure le parole di Soderini erano un’ eco nella sua mente.
Erano spaventose, perché se fossero state vere lei sarebbe stata incastrata in un meccanismo sconosciuto e dal quale, proprio per questo, era impossibile uscire.
 
“Pensate dunque che siano stati i Pazzi ad organizzare tutto?” Chiese Lucrezia.
“Non possiamo saperlo con certezza, credo che per ora bisogni solo aspettare. Qualsiasi cosa vogliano, faranno un’altra mossa per poterla ottenere.”

Fiammetta sapeva cosa questo significasse. Se e quando le sarebbe capitato qualcosa, allora avrebbero saputo la verità riguardo i Pazzi e la sua aggressione.
 
Non era più una pedina in quel gioco, era appena diventata un’esca.

  

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Capitolo 9
*** 8.Capitolo Ottavo ***


 Questo è un capitolo di passaggio, ho pensato molto se pubblicarlo, ho provato a modificarlo ma mi sono resa conto che era necessario rimanesse così per dare un maggiore senso ai prossimi. 
Possiamo dire che è l'inizio della chiusura di una prima fase della storia, quella introduttiva, piano piano già con il prossimo capitolo verranno fuori i primi indizi, i piani, i complotti e si entrerà nel vivo. 
Ringrazio tutti voi che continuate a leggere, spero vi piaccia. 


Capitolo ottavo
-Un mese dopo-
Firenze,
 Giugno 1469
 
Novella camminava a capo chino, senza staccare lo sguardo da terra, e più Francesco si voltava verso di lei, nell’intento di comprendere cosa avesse, più sembrava desiderare di poter fuggire al suo sguardo, chiudendosi –anche fisicamente –sempre più in se stessa.
Un parte di lui avrebbe voluto prenderla per le spalle e scuoterla così forte da farle tornare il senno, ricordandole che era comunque sua moglie, non certo una condannata a morte, e che avrebbe dovuto essere felice o quantomeno fingerlo, se proprio non riusciva più ad apprezzare tutto ciò che le dava.
L’altra, quella più lucida e razionale, sapeva che non sarebbe servito ad altro se non ad allontanarla ancora di più. Però così non poteva andare avanti, doveva trovare un modo per convivere con lui e comportarsi come degna compagna di un Pazzi: fiera e splendente.
Quella pallida ombra di donna al suo fianco non era la stessa che aveva sposato, o tantomeno quella che amava. Lei sembrava scomparsa in qualche recondito angolo della Terra, o forse era appartenuta ad un sogno lontano a cui s’era concesso di credere troppo a lungo e dal quale si stava svegliando.
Scosse il capo.
No, non si stava affatto svegliando, non se tutto quello che pensava guardandola era trovare un modo per riaverla indietro, riportarla a sé, dov’era giusto che fosse.
Voleva che lo amasse ancora, di nuovo come all’inizio e desiderava credere che infondo non avesse mai smesso sul serio di farlo.
 
La guardò andare avanti senza di lui, verso l’entrata della chiesa, non la richiamò né la seguì, rimase lì, fermo finché una mano si posò sulla sua spalla. Suo zio Jacopo lo aveva affiancato senza che lui se ne accorgesse, i suoi occhi chiari fermi sulla famiglia Medici che si apprestava ad entrare in Santa Maria di Fiore.
“Li vedi?”Chiese. Francesco annuì, anche se il suo sguardo era stato catturato da una chioma rossa, proprio lì, in mezzo a loro, che però con loro non aveva nulla a che vedere. Fiammetta Canacci li seguiva, conversando con Nannina e Bianca, affiancata da sua madre e suo padre, come fossero un’ unica, grande famiglia. Evidentemente il matrimonio tra lei e Soderini, la cui notizia aveva fatto ormai il giro della città, era più importante per i Medici di quanto immaginassero.
Francesco si domandò perché, cosa avesse da offrire la famiglia Canacci ai potenti Medici.
“Dobbiamo trovare un modo per farli crollare, prima che siano loro a farlo con noi” Disse Jacopo. Ripeteva quella stessa frase da giorni, come fosse una preghiera, un mantra, un modo per ricordarsi di poterlo fare quando in realtà navigavano in acque nere.
Avevano pensato di usare Guglielmo per i loro scopi, ma non solo Francesco –che da sempre aveva provato per quel suo fratello così straordinariamente buono un morboso senso di protezione –voleva tenerlo lontano dai problemi della loro famiglia, anche Jacopo non si fidava affatto di lui, anzi, mal tollerava la sua presenza tanto che, persino in chiesa, fingeva non esistesse.
Considerava la sua fedeltà nei confronti della moglie e della sua famiglia un tradimento imperdonabile.
 
Francesco osservò suo zio, i capelli ingrigiti dal tempo, gli occhi induriti dalle preoccupazioni e decise che se le sarebbe caricate lui sulle spalle, che ne avrebbe liberato Jacopo, che lo avrebbe reso finalmente orgoglioso di lui. Lasciò che un ghigno incurvasse le sue labbra.
L’ultimo rimasto, il più giovane, il più inesperto sarebbe stato l’eroe della famiglia ed il suo nome sarebbe stato ricordato dalle generazioni future, sfuggendo all’oblio della morte e della storia.
L’unico modo per farlo era colpire i Medici dall’interno e la sua via preferenziale aveva lunghi capelli rossi ed era un demone con cui bisognava giocare una partita ben studiata.
Poi lo vide, il modo per entrare nelle grazie di Fiammetta Canacci era proprio lì, seminascosto dietro un muro, con il volto sporco ed i vestiti strappati .
Spiava la ragazza, ancora una volta.
Lo sconosciuto era tornato, come quasi ogni giorno faceva, osservandola mentre entrava ed usciva dalla messa mentre quella sciocca, che  non  sembrava aver imparato nulla dalla sua disavventura,  non se n’era neppure accorta. Francesco si, quasi immediatamente, ma aveva combattuto contro il desiderio di avvertirla o di inseguirlo, sia per il trattamento che aveva ricevuto l’ultima volta che aveva deciso di aiutare la Canacci, sia perché ora era chiaro che volesse qualcosa da lei e lui avrebbe atteso il momento giusto per accompagnarla nella ricerca della verità.
 Non aveva alcun interesse nel sapere cosa ci fosse dietro, l’unica cosa che contava è che, alla fine dei conti, quella disgraziata della Canacci sarebbe stato il lasciapassare per la salvezza della sua famiglia.
O almeno così sperava, dopotutto gli risultava difficile credere che una come lei potesse essere tanto importante da poter cambiare la politica fiorentina.
 
 
La chiesa era fredda, così umida che Fiammetta poteva sentire le proprie ossa implorare pietà e desiderava ardentemente la messa finisse così da poter uscire alla luce del sole.
Si guardò attorno, in cerca della figura di Francesco Pazzi, ma i suoi occhi indugiarono prima su Bastiano, che sedeva poco lontano dalla famiglia Medici, accanto a suo padre. Sentì un tremito scuoterla nel notare che anche lui s’era voltato verso di lei e che sul suo viso era comparsa ancora una volta un’espressione disgustata, che le sembrò artificiale, recitata ad arte per metterla a disagio. Ci riuscì, ovviamente, e nonostante Fiammetta avrebbe voluto replicare con uno sguardo d’ammonizione, si ritrovò istintivamente a  voltarsi dall’altra parte, prestando di nuovo attenzione al sacerdote.
Ma non durò a lungo, con la coda dell’occhio riuscì a notare come Soderini ora non le stesse più rivolgendo alcuna attenzione, e ricominciò ad ispezionare i volti degli uomini seduti dall’altro lato della chiesa, scorrendo più volte tra i banchi sui lineamenti che le parevano tutti uguali e con la paura di essere colta in fragrante. Non voleva che Francesco Pazzi si accorgesse che lo stava osservando né che nessuno degli uomini la notasse a guardarli con insistenza, le sue intenzioni sarebbero potute essere facilmente fraintese, aggiungendo un altro capo d’accusa alla sua già discutibile nomea.
E questo Fiammetta non poteva permetterlo, soprattutto non ora che grazie al matrimonio con Soderini, per questo disastroso potesse essere, e ancor più grazie all’amicizia con i Medici, il suo ruolo nella società fiorentina stava cambiando. Non era certa esattamente del come e ancora non ne aveva avuto una prova concreta, ma quando cresci con gli occhi degli altri puntati addosso, sotto sguardi di sdegno e compassione, ti accorgi della loro assenza quando vengono a mancare.
 Questo stava accadendo, non tanto che la gente avesse smesso di mormorare al suo passaggio o che avessero smesso di credere alle assurde voci sulla sua persona, no. Avevano smesso di farglielo notare, quasi temessero una sua reazione, come se, improvvisamente, potesse essere un pericolo.
Come fosse una donna potente.
Ma lei potente non lo era mai stata, come non lo era Bastiano Soderini.
Lo era chi aveva organizzato il loro matrimonio, lo erano i loro nuovi amici, i Medici. Evidentemente questo bastava.
Sempre più spesso Fiammetta si trovava a domandarsi come mai Lucrezia de’Medici fosse passata dall’evitare lei e sua madre in ogni modo possibile all’invitarle a palazzo, organizzare per lei un matrimonio, trattarle come se, effettivamente, tenesse a loro quando Fiammetta sapeva perfettamente che non poteva essere così.
Cosa era cambiato?
Si chiese se lo avrebbe mai scoperto, se l’avrebbe mai capito o se, più semplicemente, non ci fosse niente da scoprire o da capire, se non fosse lei troppo prevenuta nei confronti di Madonna de’Medici.
E se non stesse commettendo lo stesso errore con Francesco de’Pazzi.
Da quando Luca Soderini aveva insinuato in lei il dubbio che potesse essere lui stesso il mandante della sua aggressione, per quanto avesse provato a reprimerlo, era rimasto incastrato nella sua mente come un parassita, divorandole i sogni, trasformandoli in incubi nei quali i volti di quello sconosciuto e del giovane Pazzi si sovrapponevano e le loro mani grandi stringevano il suo collo con la forza di due uomini, soffocandola lentamente, dandole l’impressione di poterla spezzare da un momento all’altro se solo ne avessero avuto il desiderio.
 Ma ancora una volta non riusciva a trovare una ragione valida per un atto simile.
 Non c’era niente che Fiammetta potesse dare alla famiglia Pazzi che già non possedessero, non c’era niente che potesse fare e tanto meno esisteva motivo per arrivare ad odiarla tanto da fingere un’ aggressione nei suoi confronti.
Sua madre, dopo la conversazione a palazzo de’Medici, aveva preso ad insultare la famiglia, dando per scontato che avesse ragione Soderini e che fossero proprio loro i colpevoli di quella deplorevole azione e persino suo padre, così apparentemente distaccato da ogni cosa, così disinteressato alla vita, era apparso preoccupato per lei e per quanto le era accaduto.
“Dopotutto i Pazzi hanno sempre avuto un’avversione nei confronti della nostra famiglia.”  Aveva detto, guardando fuori dal finestrino della carrozza la città scorrere sotto i suoi occhi ed immaginando la sua Fiammetta sola ed in pericolo per quelle stesse vie.
Avrebbe voluto essere un padre più attento, un uomo migliore, ma ci sono storie e segreti capaci di logorare i caratteri più sensibili, ci sono fallimenti imperdonabili, ci sono vite che smettono di essere tali senza neppure che nessuno se ne renda conto ed un giorno ti svegli e semplicemente non ti interessa più dei tuoi soldi, della tua famiglia e neppure di te stesso.
Vivi per inerzia, perché la vita è un dono di Dio e a volte finisci per peccare, chiederti se sia davvero così e perché mai Dio dovrebbe fare un dono tanto di cattivo gusto come la tua, di vita, un po’ vuota, un po’ inutile, un po’ sbagliata.
 
“I Pazzi sono una famiglia nata dal demonio.” Aveva sussurrato Agnese, stringendo la mano di Fiammetta nella propria e la ragazza aveva evitato di dirle che era esattamente la stessa cosa che dicevano di loro dal giorno stesso in cui era nata.
Però era tutto vero. Era vero che i Pazzi li avevano sempre disprezzati, probabilmente per la loro devozione ai Medici o per essere la vergogna della nobiltà fiorentina, una famiglia in rovina per colpa di un uomo, una famiglia così disperata da lasciare alle donne il compito di risollevarla nell’unico mezzo loro concesso.
Eppure, proprio il loro disprezzo –che neppure avevano mai tentato di mascherare – parve a Fiammetta una prova della loro innocenza, dopotutto non avrebbero guadagnato niente da una famiglia che ritenevano inferiore.  
 
 
“Amen.”
Fu la platea di credenti attorno a lei a riportarla alla realtà, quasi saltò sul suo posto rendendosi conto di aver passato l’intera messa a rimuginare sugli eventi ed il suo scatto attirò l’attenzione di Agnese che le lanciò uno sguardo interrogativo. Fiammetta le sorrise, per rassicurarla.
La donna era molto più attenta ed affettuosa nei suoi confronti, i loro contrasti si erano attenuati e nonostante fosse consapevole che il motivo risiedeva proprio nella sua unione con Soderini, Fiammetta fingeva non fosse così e si lasciava cullare in quell’affetto materno ed in quell’orgoglio che, nonostante il rapporto difficile e la voglia sempre maggiore di raggiungere la libertà, aveva tanto desiderato.

Si voltò nuovamente, notando che la folla già iniziava ad agitarsi in prospettiva della fine della funzione, e scrutò nuovamente i volti dei presenti ma Francesco Pazzi si confondeva tra gli uomini come fosse il più anonimo di questi, quando Fiammetta sapeva che di anonimo non aveva nulla.
Tutto nel suo aspetto era sinistro, duro, forse inquietante. Era come se l’essenza stessa del suo essere fosse stata levigata nei lineamenti taglienti, come se il suo volto fosse una specie di avvisaglia di pericolo. Bastava guardarlo un secondo per rendersi conto che con Francesco Pazzi bisognava misurare sguardi e parole.
Eppure lei lo cercava, imperterrita, perché aveva bisogno di capire, perché c’erano troppe domande senza risposta, perché era convinta di poter chiarire ogni dubbio guardandolo negli occhi, perché, come le aveva detto Luca Soderini, qualsiasi cosa volessero i Pazzi avrebbero fatto un'altra mossa per ottenerla ma dopo settimane Francesco Pazzi non s’era ancora avvicinato a lei in alcun modo.
 
Sentì sua madre spingerla fuori dai banchi di legno e continuando a guardarsi attorno si mosse verso l’uscita,  grata di potersi scaldare alla luce del sole.
Fu allora che lo vide ricongiungersi con sua moglie e capì che sarebbe rimasta sola con i suoi dubbi più di quanto avrebbe voluto. 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 9.Capitolo Nono ***


Capitolo nono
 
Con il senno di poi, se avesse saputo che il giorno del suo matrimonio sarebbe arrivato tanto velocemente, Fiammetta si sarebbe goduta gli ultimi giorni di quella quotidianità che, nonostante le andasse stretta, le era cara e famigliare come i vecchi abiti di quando era ancora bambina.
Avrebbe perso più tempo a guardare il profilo di sua madre ed i passi strusciati di suo padre, avrebbe nascosto il naso tra le proprie lenzuola cercando di imprimerne l’odore nelle mente, toccato le mura del suo palazzo per ricordarne la consistenza e si sarebbe lasciata accudire da Betta per tutto il giorno, accettando come fosse un regalo il dolore delle mani grandi e provate dal lavoro della donna che tiravano i suoi capelli, carezzavano il suo corpo ed i suoi abiti.
Ma Fiammetta non l’aveva neppure visto arrivare il giorno del suo matrimonio, era stato un miraggio lontano, un quadro che aspettava d’esser completato, un’immagine sbiadita che sentiva non appartenerle del tutto, come se quella che doveva recarsi all’altare non fosse lei, ma qualcuno che le somigliava terribilmente.
Probabilmente questo l’aveva tenuta sana e relativamente tranquilla fino a quella mattina, quando al posto di Betta si era trovata una sconosciuta ad acconciarle i capelli con una delicatezza nuova che le suonava sbagliata, quando aveva indossato il suo abito rosso e s’era guardata allo specchio, senza neppure riuscire a riconoscersi.
Era più bella di quanto non fosse mai stata in vita sua, come giusto. Il vestito che indossava era della più pregiata fattura e metteva in risalto, anzi creava delle forme altrimenti inesistenti, gonfiandole il ventre ed il seno. I capelli, tirati  sul davanti per scoprirle il volto, erano lasciati invece sciolti sulle spalle creando uno strano contrasto con il colore del vestito. Tutto in lei era rosso, vivace, intenso, vivo e la faceva risultare allo stesso modo: più viva e colorata che mai.
Avrebbe voluto sentirsi così, eppure non provava nulla. Si lasciava toccare e guardare per la prima volta come se gli occhi non fossero puntati su di lei, persino lo sguardo colmo di gioia di Agnese non sembrò scalfirla. Il suo bisogno di compiacerla pareva lontano, apparteneva già ad un’altra vita.

Solo quando mosse il primo passo all’interno della grande chiesa si rese conto di dove fosse e di cosa stesse succedendo. Precisamente quando incontrò lo sguardo di Bastiano che l’attendeva all’altare e si accorse che per la prima volta non aveva nessuno sguardo di sfida da rivolgerle, nessun disgusto, ma appariva piuttosto rassegnato, come un condannato a morte prima della propria esecuzione.
Più si avvicinava a lui più Fiammetta si vedeva riflessa nei suoi occhi, vedeva lo stesso destino che li accomunava in maniera deliziosamente triste e si sentì confortata e disperata allo stesso tempo.
Si rese conto che stava lasciando alle proprie spalle la sua vita, si rese conto che nonostante tutto non stava succedendo come desiderava lei e tantomeno come desiderava sua madre, che la osservava attenta ad ogni sua mossa e, alla fine dei conti, ancora non pienamente soddisfatta.
Si rese conto che Bastiano non voleva lei e lei non voleva Bastiano, ma forse proprio questo li avrebbe salvati. I loro sentimenti erano esattamente gli stessi, i loro volti l’uno l’esatta replica dell’altro e loro due, così diversi e lontani, erano invece più vicini di quanto fosse riusciti a comprendere fino a quel momento.
Bastiano la odiava perché odiava quello che gli stava accadendo e quello che lei rappresentava: la sua impossibilità di scegliere.
Così quando lo raggiunse finalmente, non distolse lo sguardo da lui, anzi lo guardò fisso nei grandi occhi azzurri cercando di infondergli un coraggio che non possedeva, promettendogli silenziosamente che avrebbero trovato un compromesso.
Lui ricambiò.
 Durò appena un istante, così poco che Fiammetta pensò di averlo immaginato, ma vide il suo sguardo ammorbidirsi prima di tornare duro, serio ed indecifrabile.
Osservò gli invitati alle nozze, come fosse un’ultima occhiata alla sua vecchia vita.
Sua madre e suo padre sedevano in prima fila. Agnese era raggiante e serena in apparenza, ma Fiammetta la conosceva abbastanza da sapere che era tesa e nervosa e che lo sarebbe stata fino a che non fosse finita la cerimonia, perché avrebbe temuto fino all’ultimo istante che quella sciocca di sua figlia potesse rovinare ogni cosa.
Suo padre invece non tentava neppure di nascondere la tristezza che sembrava affliggerlo e che lei non riusciva in alcun modo a spiegarsi. Forse si stava rendendo conto di quanto poco presente fosse stato per lei o di quanto marginale e superfluo fosse il ruolo nelle loro vite, ma ancora neppure questo riusciva a spiegare quegli occhi colpevoli, come l’avesse uccisa con le sue mani e stesse guardando null’altro che il suo corpo.
Fiammetta non poteva saperlo ma in quel momento, mentre era avvolta nel suo abito da sposa, Cesare Canacci non vide una donna ma solo quella bambina, la figlia del demonio, a cui aveva malgrado tutto imparato a voler bene e a cui sua moglie, con la sua passiva complicità, aveva manovrato la vita dal primo momento in cui l’aveva tenuta tra le braccia.
Fiammetta avrebbe potuto essere molto di più e avrebbe potuto non portare addosso a sé il marchio che aveva reso lunghi ed infelici gli anni della sua giovinezza, ma loro non glielo avevano permesso e la colpa aveva preso a divorare Cesare come un morbo particolarmente doloroso mentre lei lo guardava, fiduciosa, sperando di ricevere approvazione da parte sua.
Lui non poteva dargliela.
Non approvava nulla di quello che era accaduto del giorno in cui era entrata nelle loro vite.

Tra la folla Fiammetta notò Giuliano de’Medici ed una fitta di rimpianto le trapassò il petto, facendole immaginare quello che sarebbe potuto essere se solo avesse avuto lui accanto. C’era un’ aura quasi divina a circondarlo, che sapeva si sogni e di bontà, così luminosa che quasi l’accecava.
Sarebbe stata felice, con Giuliano.
Sarebbe stata innamorata, di un marito come lui.  
 
Fiammetta avrebbe voluto studiare tutti i volti presenti, ma il parroco parlava e a lei toccava l’ingrato compito di ripetere quelle formule che l’avrebbero legata per sempre a Bastiano.
Mentre lo faceva era lui che doveva guardare.
Da quel momento non sarebbe potuto esistere nessun altro.
 
 La cerimonia le sembrò breve, forse perché non la seguì veramente, forse perché come sempre Fiammetta s’era rifugiata in quel luogo oscuro e stranamente confortante che era la sua mente, lasciando che le cose semplicemente accadessero. Così, quando furono dichiarati marito e moglie, il senso di straniamento non l’aveva ancora del tutto abbandonata, ma si ritirava piano, a passi lenti, lasciando spazio all’amara consapevolezza.
Bastiano, accanto a lei, rimaneva immobile con il capo chino. Sembrava ancora in attesa che il boia calasse la lama sul suo collo, ma era già successo e non c’era modo di tornare indietro. Fiammetta avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto scuoterlo dal suo torpore, eppure l’unica cosa che le parve giusto fare fu avvicinare la mano a quella di lui, cercandone il calore ed il conforto.
Lui si allontanò bruscamente ed ancora una volta si rifiutò di guardarla.
 
 
 
La grande festa che seguì le nozze fu organizzata a Palazzo Soderini, decorato con addobbi floreali meravigliosi ed adornato di rosso con ogni genere di ornamento possibile.
Era quella, la sua nuova casa.
Il solo pensiero fece tremare Fiammetta. Quel posto bellissimo, in cui ogni cosa gridava agiatezza e ricchezza, sarebbe stato testimone della sua vita futura e, se non si fosse conosciuta abbastanza e non avesse letto negli occhi di Bastiano la profonda scontentezza che lo animava, avrebbe potuto persino immaginarsi felice lì.
Aveva danzato con suo marito, indossando un sorriso di circostanza che era bastato ad ingannare gran parte dei presenti, e, nonostante gli occhi di tutti fossero puntati su di lei, non si era sentita a disagio. Ormai nessuno si poteva più permettere di additarla o giudicarla, aveva la benedizione e l’approvazione dei Medici,  suoi angeli custodi e salvatori.
 
Stanca delle danze, Fiammetta si allontanò dal centro della sala, per cercare un po’ di calma. Si appoggiò con la schiena contro un muro e si permise di fare ciò che in chiesa non le era stato concesso. Osservò i suoi invitati, che sembravano immensamente più felici di lei, uno ad uno, volto per volto.
Lorenzo conversava con Lucrezia Donati in maniera sfacciata, mentre sua moglie Clarice s’intratteneva con Bianca. Fiammetta si trovò a compatire la donna, che appariva visibilmente umiliata e delusa dalla poca attenzione che il marito stava prestando non solo a lei, ma anche al mantenere l’apparenza.
Tutti a Firenze erano a conoscenza del rapporto tra la Donati ed il giovane Lorenzo, nessuno s’aspettava che il matrimonio con Clarice Orsini fosse qualcosa di più che una semplice mossa politica, eppure per un uomo del suo rango, della sua cultura e della sua levatura mostrare in quel modo la sua passione per una donna che non era sua moglie era un gesto di pessimo gusto. Fiammetta si trovò a pensare che il suo biasimo nasceva dal timore più che fondato che sarebbe toccato anche a lei essere la moglie invisibile ed umiliata, per questo provò compassione per Clarice, che tra una parola e l’altra non staccava gli occhi dal marito e dalla bella Lucrezia.
 
Nannina era invece impegnata in una fitta conversazione con suo marito Bernardo Ruccellai e conoscendoli, persino in un occasione come quella, i due erano probabilmente impegnati in animate riflessioni riguardo questa o quell’opera. Il loro rapporto era estremamente particolare, ben diverso da quello della sorella Bianca con Guglielmo de’Pazzi, profondamente tenero, ma era altrettanto ricco di rispetto. Nannina e Bernardo parlavano poco di sé stessi, non si sfioravano mai più del dovuto, ma avevano una connessione mentale che bastava, compensando in maniera ineccepibile la mancanza fisica. Si muovevano e parlavano come fossero la stessa persona, pur mantenendo ognuno le proprie opinioni ed anzi, Bernardo teneva in gran considerazione ogni parere di sua moglie che era per lui la più intelligente tra le donne.
Una volta, durante un banchetto, aveva sentito Bernardo scherzare sul fatto che Nannina fosse la mente di un uomo nel corpo di una donna, tanto era sveglia ed abile in ogni campo.
Fiammetta non sapeva se fosse un complimento, qualcosa in quella frase la disturbava, ma era allo stesso tempo affascinata dal rispetto che l’uomo mostrava per sua moglie.
Si domandò se mai Bastiano avrebbe potuto provarlo per lei.
  
Il suo sguardo si mosse veloce tra le figure familiari nella grande sala e si fermò improvvisamente quando incontrò due occhi chiari che sembravano guardare proprio lei. Il cuore perse un battito, suo malgrado, e le fermezza con cui aveva giurato davanti a Dio che per lei ci sarebbe stato solo suo marito scivolò via veloce quando si accorse che era Giuliano a guardarla, con un’intensità tale da lasciarla senza fiato per alcuni istanti. Era uno sguardo colmo di desiderio, persino lei che non conosceva realmente quel sentimento ne percepiva la potenza ed era più forte e vivida che nelle sue più sfrenate fantasie.
Arrossì, abbassando il capo, poi sbirciò ancora, incapace di porre fine a quel gioco che non sarebbe dovuto esistere.  Lui la trafiggeva con i suoi occhi e a lei sembrava non aver desiderato altro che questo per una vita intera.
Non era Giuliano de’Medici in sé ad attirarla così tanto, ma l’idea che dava: un ragazzo di sedici anni appena che era già più uomo di molti altri, capace di passioni irrefrenabili e sincere, un principe inarrivabile per chiunque, che in quel momento guardava lei.
Giuliano accennò un sorriso e fu allora che la longilinea figura di una donna passò accanto a Fiammetta e tanto più la donna si avvicinava, tanto più il sorriso di lui si apriva.
Solo in quel momento Fiammetta capì non solo che la donna doveva essere stata affacciata sull’uscio della porta, proprio dietro di lei, fino a quel momento, ma anche che pur di evadere dalla realtà s’era persa ancora una volta in un sogno che non le apparteneva, in uno sguardo che non era per lei.
La donna, anche lei giovanissima come Giuliano, non aveva bisogno di presentazione alcuna, la sua bellezza era stata decantata per tutta Firenze fin dal suo arrivo, solo pochi mesi prima, quando si era unita in matrimonio con Marco Vespucci. Aveva lunghi capelli dorati, che illuminavano il viso pallido, gli occhi erano grandi e vivaci, le guance piene e rosee, la figura aggraziata e delicata.
Ogni cosa in lei sembrava dipinta da Dio in persona e non si poteva rimanere immuni al suo fascino che, data l’età, sarebbe continuato a sbocciare nel corso degli anni.
La vide camminare verso Giuliano e superarlo, non senza voltarsi verso di lui, lanciandogli un’occhiata che non era in alcun modo fraintendibile, un misto di curiosità e fascinazione che diede a Fiammetta la sensazione di star vedendo sbocciare un amore come quello di Paolo e Francesca, adultero, sbagliato, tragico ma impossibile da controllare.
Non immaginava neppure quanto vicina fosse alla realtà.
Il suo pensiero non corse a Fioretta Gorini, non c’era spazio per lei in quella storia, non in quel momento. L’amore perfetto che Fiammetta sognava ora lo vedeva, proprio davanti ai suoi occhi, e lei non era altro che un’impotente spettatrice.
Simonetta Vespucci era il desiderio di Giuliano, una donna con cui nessuna avrebbe potuto mai competere, un angelo caduto dal cielo per illuminare i loro giorni. Qualcosa che lei non avrebbe potuto mai potuto eguagliare.
Avrebbe voluto lasciarsi andare a quel dolore sordo, alla sensazione del suo cuore stritolato dalla morsa feroce della vergogna e del risentimento, avrebbe voluto vivere il lutto sei suoi sogni che svanivano per potersene costruire di nuovi, ma non ebbe neppure il tempo di disperarsi che una voce la fece sobbalzare.
Una voce che conosceva piuttosto bene.
“Le mie felicitazioni. Sono rimasto stupito del vostro invito, ad essere sincero”
 Francesco de’Pazzi era accanto a lei, poggiato contro il muro con le braccia incrociate al petto. Nonostante si stesse congratulando con lei, il suo viso era inespressivo e non c’era alcun reale interesse o sincerità nelle sue parole. In un primo momento Fiammetta ebbe l’impulso di andar via, per sottrarsi agli sguardi incuriositi, ma poi vide Luca Soderini sorriderle da lontano, in maniera appena percepibile. Fiammetta sapeva cosa voleva dirle, non doveva curarsi di salvare le apparenze o la reputazione, quello era il momento che Luca aveva previsto sarebbe arrivato: la grande mossa della famiglia Pazzi, la conferma dei suoi timori.
Non aveva bisogno che Francesco parlasse, sapeva che era lì per chiederle qualcosa ed il pensiero che fosse stato lui il mandante della sua aggressione le fece accapponare la pelle, ingrandendo il suo desiderio di fuggire via.
Ma non poteva, non poteva assolutamente.
“Mi avete salvato la vita, era il minimo che potessi fare.”  Rispose, lasciando che un sorriso tanto timido quanto falso incurvasse le sue labbra.
Doveva assecondare il suo gioco.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***




Capitolo decimo
 
Quando aveva ricevuto l’invito di Lorenzo de’Medici, appena qualche settimana prima delle sue nozze, Fiammetta s’aspettava che l’avesse invitata per discutere con lei del matrimonio, rivelandole finalmente quale fosse il prezzo che doveva pagare per quell’unione.
Aveva continuato ad esserne convinta per tutto il tragitto fino al palazzo di famiglia e poi all’ufficio di Lorenzo, dove lui l’attendeva seduto composto dietro la sua grande scrivania, con un sorriso enigmatico sul volto allungato che le aveva fatto temere, per un istante appena, di essere finita nella tana del lupo.
Ma non c’era niente di cui aver paura, no? Quello che aveva davanti era l’erede di una dinastia buona e giusta che da sempre la sua famiglia aveva ammirato ed aiutato, quello che aveva davanti  era l’uomo che le stava permettendo di rinascere .
 Doveva essergli riconoscente.
 Qualsiasi cosa le avesse chiesto, Fiammetta avrebbe dovuto farla.
 
  “Siete la benvenuta Fiammetta.” L’aveva salutata  con la confidenza di un vecchio amico, lasciandola spiazzata mentre si accomodava, invitata da un gesto di lui, su un elegante poltroncina dell’altro lato del tavolo.
“Vi ringrazio Messere.” Aveva risposto, con il capo chino, composta, riservata e visibilmente a disagio. Lorenzo si era lasciato andare in una risata.
“Per voi sono Lorenzo, mia cara.”
Fiammetta aveva annuito, sempre più confusa da quella paradossale situazione.  Mesi prima sua madre avrebbe dato qualsiasi cosa perché lei scambiasse due parole con uno dei fratelli Medici, ora era seduta davanti al maggiore di loro, autorizzata a chiamarlo per nome come fossero intimi.
Non le sembrava vero.
Probabilmente non lo era. Un ronzio nella sua testa, un tarlo martellante e fastidioso, le ripeteva che loro non erano assolutamente intimi e men che meno pari.
No, c’era qualcosa di molto importante che le veniva nascosto, qualcosa che andava oltre la sua comprensione, altrimenti non le avrebbe usato tanta gentilezza.
 Non a lei, la figlia del diavolo.
 
“Volete sapere perché vi ho fatto chiamare, immagino.” Aveva continuato, spezzando un silenzio che Fiammetta non avrebbe altrimenti interrotto, troppo intimidita da lui e spaventata dall’idea di sbagliare.
Si era limitata ad annuire.
“Mia madre mi ha informato della vostra disavventura e dell’aiuto che avete ricevuto da Francesco Pazzi.”

Fiammetta aveva spalancato gli occhi, colta alla sprovvista. Non immaginava che quella vicenda potesse essere così importante da destare l’interesse di Lorenzo de’Medici e, a dirla tutta, avrebbe preferito fosse accantonata e dimenticata da tutti.
Non era successo nulla, quel giorno, eppure il mondo intero si comportava come quello che le era capitato fosse un evento di primaria importanza.
Come se fosse le chiave, la soluzione a qualche curioso mistero di cui lei non sarebbe mai venuta a conoscenza.
 
“Voglio come prima cosa dirvi che sono molto dispiaciuto per quanto accaduto e, nonostante l’aspra rivalità tra di noi, sono felice della presenza di Pazzi al vostro fianco quel giorno…salvifica, quasi miracolosa direi.”
Lorenzo si alzato e aveva iniziato a camminarle attorno. Fiammetta aveva semplicemente evitato di guardarlo mentre rispondeva timidamente.
“Si messere… sarei morta altrimenti.”
“E ditemi, Fiammetta, non vi è sembrato sospetto che proprio lui fosse presente in quel momento? E che un uomo come lui si sia speso tanto per aiutare, concedetemi il termine, una come voi?”
Fiammetta non aveva replicato immediatamente,  si era lasciata andare in un piccolo sospiro del quale si era pentita immediatamente, poi, tenendo gli occhi bassi, aveva provato a formulare una frase che avesse un senso.
Non voleva lasciar intravedere agli occhi del Medici la guerra mentale che dal giorno dell’incontro con Luca Soderini combatteva.
Non sapeva di chi fidarsi.
Una parte di lei era realmente convinta delle buone intenzioni, per quanto paressero assurde, di Francesco, l’altra non riusciva a smettere di sognare le sue mani attorno al suo collo, che lo stringevano forte e senza esitazione, uccidendola.
E poi, quell’attenzione da parte di Lorenzo, le appariva spaventosamente sospetta.
 
“Si, è piuttosto strano. Ma non credete che davanti ad una donna in pericolo, seppure questa fosse la vostra peggiore nemica, anche voi agireste in questo modo?”
Il volto di Lorenzo si era contratto in un sorriso forzato, che non nascondeva il fastidio davanti a quella velata, timida, implicita provocazione.
Fiammetta lo aveva messo sullo stesso piano del Pazzi, ma loro erano uomini molto diversi.
Lorenzo era un giusto.
Francesco era solo un codardo, oltre che un nemico.   
“ Io sono un uomo d’onore, si può dire lo stesso di un Pazzi?”
 
Fiammetta aveva abbassato il capo mortificata, e tanto era bastato a  Lorenzo per calmarsi.
Quella ragazza gli serviva.
Si era avvicinato di più a lei, poi si era abbassato  e aveva posato una mano sulle sue ginocchia. Sapeva che quel gesto poco consono l’avrebbe lasciata interdetta ma era convinto che le attenzioni di un uomo come lui sarebbero bastate a conquistarne la fiducia. Eppure non sembrava  essere così.
Lei lo guardava con i suoi grandi occhi scuri spaventati e confusi come quelli di un animale in trappola.

Per appena un momento Lorenzo aveva esitato, rimanendo con le dita immobili sul vestito di lei, guardandola e domandandosi se valesse la pena sacrificarla in quel modo.
Se potesse farcela.
Si era ripreso immediatamente, Lorenzo, perché era un capo e aveva il peso della sua città sulle spalle. C’ era una guerra silenziosa che doveva essere combattuta per il bene di tutti, per la prosperità dei giusti, per la sopravvivenza della sua famiglia, l’unica che sapesse come governare Firenze.
Un giorno anche Fiammetta lo avrebbe ringraziato.
 
Aveva un sogno Lorenzo, quello di costruire una Firenze migliore, non solo più giusta, ma anche più bella.
Voleva che il suo nome e la sua Firenze rimanessero incisi nella storia, voleva ne fossero tasselli fondamentali, voleva che il suo nome riecheggiasse nelle strade e nelle piazze nei  secoli dei secoli.
 
“Luca Soderini sospetta che sia tutto organizzato, mia cara, ed io sono d’accordo con lui. È importante capire cosa possa volere da voi Francesco Pazzi, per la vostra stessa sicurezza. Non credete Fiammetta?”
“Certo, Messere.”
 “Bene, mi fa piacere sapete che siete d’accordo. Io voglio aiutarvi e tenervi al sicuro, dopotutto state per sposare uno dei miei più fidati alleati.”
“Ve ne sono grata.” Fiammetta non credeva ad una sola delle parole che stava pronunciando il Medici, sapeva perfettamente che della sua incolumità non gli interessava affatto
 
“Non posso proteggervi da solo Fiammetta. L’unica che può scoprire cosa voglia da voi Francesco Pazzi siete voi stessa.”
 
 “Come posso fare?”
“Voglio che lo invitiate al vostro matrimonio e voglio che assecondiate le sue richieste.
Vi do un consiglio, mia amica preziosa, l’unico modo per sconfiggere un nemico è conoscerlo meglio di come conoscete voi stessa.”
 
 
 
“Mi avete salvato la vita, era il minimo che potessi fare.” 
Francesco Pazzi, immobile accanto a lei, si lasciò andare in una piccola risata di scherno che non sorprese affatto Fiammetta, ma che le fece comunque venir voglia di mettere quanta più distanza possibile tra lei e l’uomo. Frenò l’impulso di scappare via e, con una credibilità che non credeva di possedere, si rivolse a lui. Il tono melense, più dolce di quanto necessario, ricordava quello di una bambina e per un secondo appena fece ammutolire Francesco mentre Fiammetta lottava contro sé stessa per pronunciare quelle parole semplici che non le appartenevano affatto.
Erano troppe per una come lei, abituata a rispondere con i suoi silenzi.
“Non dovete riderne, è quello che avete fatto ed io non posso che esservene grata. Avessi qualcosa per ricambiare, ve lo darei.”
 Il silenzio calò tra i due. Francesco la guardava come se stesse cercando un modo adeguato per risponderle, gli occhi scuri che si muovevano veloci da una parte all’altra del suo volto studiandone l’espressione intimidita ed innocente.
Era proprio una ragazzina, stupida per di più.
Illusa, anche.
Viveva in un mondo tutto suo fatto di buoni sentimenti, dove il suo piccolo gesto era un eroico salvataggio e lei una principessa in pericolo.
Gli sembrò doveroso e quasi compassionevole ricordarle che non era affatto così.
“Vi ho già detto che non l’ho fatto per voi, Fiametta. Anche se i vostri amici dicono il contrario.” E con un cenno del capo indicò Lorenzo de’Medici. “Io sono un uomo d’onore. Non avrei permesso che vi accadesse qualcosa di grave, neppure se siete voi.”
E non c’era bisogno che lo dicesse, Fiammetta sapeva cosa voleva dire: neppure se siete maledetta.
Rimase stupita per qualche istante.
 Non si aspettava gentilezza dal de’Pazzi, ma se realmente voleva qualcosa da lei perché trattarla in quel modo? Non aveva alcun senso.
 
“Bene. È tempo che torni da mio marito.”
Come in ogni occasione in cui non sapeva come comportarsi, Fiammetta optò per la fuga. Era comodo, scappare via quando non c’erano più parole sensate da pronunciare, quando i silenzi non sarebbero stati nulla più che imbarazzanti ammissioni di debolezza.
Quando eri pietrificata davanti ad un nemico che non riuscivi a comprendere e che, a dirla tutta, non sapevi neppure se fosse davvero tale.
 
“Aspettate.” La richiamò Francesco non appena la vide muovere i primi passi.
Fiammetta si voltò di nuovo e lo vide lì, fermo, con la schiena ancora contro il muro, le braccia incorniciate ed un ghigno divertito in volto che sembrava accusarla di essere una codarda ed un’incapace.
Aveva capito che stava fuggendo da lui, che infondo lo temeva ancora.
Fiammetta si diede della stupida, mentre gli occhi furbi di Lorenzo attraversarono la sua mente come un monito, assieme alle sue parole: “ L’unica che può scoprire cosa voglia da voi Francesco Pazzi siete voi stessa.”
Era vero.
Era forse l’unica cosa vera le avesse detto quel giorno Lorenzo.
Solo lei poteva scoprire cosa volessero i Pazzi e fino a che punto si sarebbero spinti per ottenerlo. Era una questione che la riguardava in prima persona e nonostante apparisse più come la personale crociata delle due famiglie l’una contro l’altra, le conseguenze sarebbero ricadute su di lei in un modo o nell’altro.
Doveva vederci chiaro. Voleva farlo.
Stava abbracciando il compito che Lorenzo le aveva affidato.
 
“Che volete?”
Francesco inclinò la testa da un lato e tornò serio.
“Solo che stiate attenta.”
Fiammetta incurvò le sopracciglia in un’espressione confusa, poi prese coraggio ed azzardò una risposta che mai avrebbe pensato di poter rivolgere ad un uomo, tanto più ad un Pazzi.
Il tono pungente e sarcastico delle sue parole la stupì tanto che le sembrò fossero uscite sole dalle sue labbra, superando barriere che per anni l’avevano protetta dal dire ciò che realmente pensava.
Si sentì mortificata, impaurita dalla reazione avrebbe potuto avere lui, eppure straordinariamente libera.  
“Oh certo, anche questo per il vostro onore immagino, avete deciso di tirarlo fuori tutto insieme. Sono stupita Messere, ho sempre creduto non possedesse nulla di più che cattive intenzioni.”
Francesco non si aspettava quella risposta, non dalla docile Fiammetta.
Rimase spiazzato, poi si avvicinò a lei, scuro in volto.
L’afferrò con un braccio, guardandosi intorno per controllare che nessuno se ne accorgesse, ma l’unica a guardalo era Novella, dall’altra parte della sala, e l’espressione delusa e ferita sul suo volto fece quasi gioire Francesco.
Che guardasse pure, che credesse quello che voleva, che lasciasse la sua mente viaggiare per mille congetture.  Meritava di soffrire, meritava si sentire suo marito scivolare via dalle sue mani, così magari si sarebbe decisa ad apprezzare ciò che aveva.
“Mi fate male.” Protestò Fiammetta, senza però sottrarsi alla sua stretta. Non voleva dare spettacolo e poi doveva conquistare la fiducia del Pazzi e non era certamente sulla buona strada.
Francesco allentò la presa ma non la lasciò andare e si avvicinò a lei abbastanza perché nessuno li sentisse.
“L’ho rivisto più volte, il vostro aggressore intendo, prima e dopo la messa. Vi segue Fiammetta, da settimane.”
 
Fiammetta si morse il labbro inferiore, si allontanò da Francesco, a disagio per la vicinanza che sembrava aver attirato l’attenzione di tutti, e si guardò attorno per incontrare gli occhi di Giuliano.
Questa volta stava guardando lei senza ombra di dubbio e senza ombra di dubbio, con quel cenno appena visibile del capo, stava cercando di infonderle un coraggio che lui sapeva perfettamente mancarle.
Era stato lui a calmarla quando, una volta uscita dall’ufficio di Lorenzo, si era lasciata cadere a terra, con la testa che vorticava per il caldo soffocante e le mille preoccupazioni.
Tutto era cambiato così velocemente nella sua vita, mentre lei rimaneva immobile.  Tutto le scorreva tra le mani senza che lei stringesse e decisioni prese da altri condizionavano la sua intera esistenza, senza che nessuno si preoccupasse davvero per lei.
 
“State bene?” Aveva chiesto Giuliano, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Fiammetta aveva annuito, ma senza rimettersi in piedi, anzi aveva posato la testa sulle proprie ginocchia e chiuso gli occhi sperando che il mondo smettesse di girare attorno a lei e si fermasse, per aspettarla e farle riprendere fiato.
“Non mi sembra sapete.”
Giuliano si era seduto accanto a lei e l’aveva guardata, pallida e provata. Sapeva cosa suo fratello le stava chiedendo e sapeva che la Canacci non era mai stata tanto vicina a quel mondo di intrighi e sotterfugi.
 “Mi dispiace per quello che vi sta facendo fare mio fratello. Ma sono sicuro che serve anche per proteggervi.”
Fiammetta l’aveva osservato, spiazzata, ma l’aveva lasciato continuare senza dire nulla.
 “Non vi succederà nulla, lo prometto. Avete la mia parola.”
 
 
Fiammetta rivolse il suo sguardo nuovamente a Francesco.
“ È strano che ve ne siate accorto solo voi.”
“E chi doveva farlo? Voi, che non vi siete accorta d’essere seguita neppure la prima volta?”
Per quanto odiasse ammetterlo, il Pazzi aveva ragione e la sua risposta fu sufficiente a rimettere Fiammetta al suo posto, di nuovo chiusa nel suo silenzio.
“Parliamone da un’altra parte.” Propose Francesco, indicandole con il capo il corridoio che conduceva all’uscita della sala. Fiammetta scosse il capo istintivamente, spaventata all’idea di rimanere sola con lui. Francesco sembrò percepirlo, perché la tranquillità abbandonò presto il suo volto riducendolo ad una maschera di fastidio e nervosismo, come se la legittima paura di lei l’avesse in qualche modo ferito.
O almeno questo credeva Fiammetta, certo non poteva immaginare che lo sforzo che il Pazzi stava compiendo per essere cortese con lei fosse letteralmente uguale a quello che stava spingendo lei a non scappare via a gambe levate.
Uguale tanto nella difficoltà quanto nelle intenzioni.
“Non posso certo venir via con voi durante il mio matrimonio. È già abbastanza grave che io stia conversando con voi in questo modo.” Si affrettò a giustificarsi Fiammetta.
Francesco sembrò non ascoltarla neppure.
Voleva che quella conversazione avvenisse proprio lì? Bene, l’avrebbe accontentata.
“Cosa vuole da voi?” Incalzò.
“Non lo so”
“Che segreti nascondete Fiammetta?” Continuò, con lo stesso tono accusatore.
“Io non ho segreti.” Replicò lei, inchiodandolo con uno sguardo truce.
Non le piaceva lo spettacolo che stavano dando, non le piaceva che stessero avendo quella conversazione proprio il giorno delle sue nozze e non sopportava gli sguardi di Lorenzo, che la controllava da lontano ricordandole di rimanere al suo posto.
“Potrei anche credervi, siete più brava di quel che credessi a mentire. Peccato che ci deve essere un motivo se uno sconosciuto vi segue da così tanto tempo.”
“Non so quale sia. Non capisco perché vi interessi tanto però.”
“Volevo solo aiutarvi visto che nessun altro sembra disposto a farlo.”
E, silenzioso com’era arrivato, Francesco si allontanò da lei, lasciandola sola con la sensazione di aver fallito sulle spalle e gli occhi dei Medici e dei Soderini che si rifiutavano di staccarsi da lei, continuando a giudicarla.
Non era nulla di più che una pedina e neppure quella vincente.
 


Nota Autore: 
Dopo una piccola pausa per rimettere le idee al loro posto, un viaggio a Firenze che ha riacceso la mia passione e una piccola inversione di rotta ( mi sono resa conto che i capitoli stavano diventando pesanti, prolissi e ripetitivi) ho deciso di riprendere in mano questa storia. Dovrete sopportare altri due capitoli che serviranno a finire di porre le basi del nostro castello, poi la storia assumerà un ritmo diverso 
Spero continuerete a seguirmi :)

 

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Capitolo 12
*** . Capitolo Undicesimo ***


Capitolo undicesimo
 
I battiti furiosi del suo cuore scandivano un tempo altrimenti immobile ed infinito. Da quando lei e Bastiano avevano messo piede nella camera matrimoniale un silenzio pesante era calato tra loro. Guardavano il grande letto a baldacchino senza riuscire a muoversi, ancora intontiti dal carico che, con poche semplici formule del sacerdote, era caduto sulle loro spalle.
Erano sposati, uniti nella vita e nella morte e nessuno dei due aveva ancora capito il perché.  
Fiammetta trovò il coraggio di voltarsi verso suo marito e lo osservò cercando di ritrovare quella familiare amarezza che avevano condiviso durante le nozze, ma ciò che vide la lasciò sorpresa.
Era vera e propria rabbia, che contraeva il suo volto in un’espressione tutt’altro che rassicurante, ed era la stessa rabbia prepotente che anche Fiammetta provava ma  non riusciva ad esternare. Forse perché lei, a differenza di Bastiano, non aveva mai avuto molte possibilità, forse perché alla fine dei conti le era andata meglio di quanto potesse immaginare, forse perché era sempre stato il suo destino ed il fatto che lo sentisse stretto e sbagliato non era altro che lo stupido capriccio di una ragazzina.
Per lui era diverso.
Bastiano aveva perso molto più di quanto lei potesse capire per colpa della loro unione.
Un uomo del suo rango avrebbe potuto avere una moglie non solo più bella, ma anche con una migliore reputazione ed una dote maggiore, invece era rimasto incastrato con lei per il volere di persone ancor più potenti a cui non era importato nulla di lui, della sua reputazione, del suo status sociale.
Aveva perduto la possibilità di prestigio e non solo, la possibilità di scegliere una moglie che gradisse e a cui potesse imparare a voler bene quantomeno.
Una che gli portasse lustro, non vergogna.
Fiammetta era dispiaciuta per questo e avrebbe voluto condividere con lui il dolore, per sentirlo più vicino e più amico, per iniziare a conoscerlo eppure, nonostante fosse certamente meno disgustato da lei rispetto ai loro primi incontri, non poteva certo illudersi l’astio nei suoi confronti fosse sparito solo perché ora erano formalmente uniti davanti gli occhi di Dio.
Non significava nulla.
Lo aveva visto tante, troppe volte, per credere che un giuramento fosse capace di modificare i sentimenti di un uomo.
 
“Mi state fissando.” Disse Bastiano, lasciando che le parole fluissero atone dalle sue labbra. Non era un’ accusa la sua, ma una semplice constatazione che lasciò spiazzata Fiammetta. Non sapeva come rispondere mentre l’imbarazzo che le divorava le guance era ben visibile alla luce soffusa delle candele ora che gli occhi di lui erano fermi sul suo volto.
“Mi dispiace.” Sussurrò. “È solo che non so come comportarmi.”
Bastiano incurvò le labbra in un sorriso sghembo, avrebbe voluto farle notare che neppure lui s’era mai sposato, non è che sapesse bene come funzionasse, ma sicuramente non era difficile immaginare cosa sarebbe dovuto succedere quella notte.
Evitò di prenderla in giro, però, e cercando di cancellare il senso di nausea che gli attanagliava lo stomaco al solo pensiero di toccarla, si avvicinò di qualche passo.
“Sedetevi.” Ordinò, spingendola con delicatezza al bordo del letto.
Fiammetta obbedì, senza proferir parola. Era estremamente nervosa, poteva sentire ogni muscolo del suo corpo irrigidirsi davanti alla consapevolezza di quello che stava per accadere e alla paura di non sapere, effettivamente, a cosa andasse incontro. Nessuno le aveva mai spiegato nulla.
Nessuno ne parlava mai.
Era disdicevole, sbagliato in ogni maniera possibile, eppure desiderò in quel momento che qualcuno le avesse spiegato cosa le sarebbe successo sul quel letto, tra le mura di quella camera sconosciuta, sola per la prima volta in vita sua.
 
L’altra parte di lei, quella che segretamente bramava la libertà e la vita, era curiosa ed eccitata all’idea di diventare finalmente donna e pregava che assecondando i desideri di Bastiano lui avrebbe iniziato a volerle bene davvero.
 
Bastiano rimase in piedi di fronte a lei, la osservava con gli occhi tondi che sembravano più grandi del solito mentre passava le dita sul suo volto in una specie di carezza, che era più un modo di studiarla, ancora una volta, scoprirne in lineamenti.
 Fiammetta chiuse gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo, illudendosi che quel contatto fosse l’inizio di quel qualcosa in più che tanto agognava.
 
Bastiano le afferrò le spalle, la spinse indietro, verso il centro del letto ed in un istante le fu sopra incastrandola in una gabbia di arti meno spaventosa di quanto Fiammetta immaginasse.  Si guardarono ancora una volta negli occhi, prima che Bastiano posasse le  labbra su quelle di lei con forza, premendo il volto contro il suo con le mani, immobilizzandola ulteriormente, senza darle la possibilità di sottrarsi nonostante Fiammetta non lo avrebbe fatto mai.
Era il suo dovere, era la sua unica possibilità, era il suo compito.
Fiammetta ora doveva essere una brava moglie.
Così si lasciò travolgere dalla passione del marito che ora muoveva il bacino contro le sue gonne, provocandole una strana sensazione di calore tra le gambe, facendole desiderare di eliminare gli strati di vestiti che li dividevano. Se avesse avuto la lucidità necessaria sarebbe arrossita dei suoi pensieri e se ne sarebbe immediatamente pentita, ma riusciva a malapena a respirare e non aveva né tempo né voglia di ragionare, troppo impegnata ad elaborare tutte quelle cose nuove che stava sperimentando. Erano troppe e tutte così intense da farle venire da vomitare, metterle lo stomaco sotto sopra fino al punto di non sapere più dove fosse lei e dove iniziasse lui, il letto, le coperte alle quali si appigliava con tutte le forze per non perdere la ragione.
Era peccato, lasciarsi andare.
Era peccato che provasse quella bruciante sensazione, eppure non riusciva a contenerla.
Non era ancora successo niente, Fiammetta lo intuiva, eppure il suo ventre in fiamme ed il volto di Bastiano affondato tra i suoi seni scoperti, che ricopriva di baci centimetro per centimetro, sembravano già abbastanza, sembravano già il culmine di un piacere nuovo che la faceva vergognare tremendamente ma che le faceva domandare come avesse fatto a sopravvivere senza.
Non era solo una questione di carne.
Era l’idea di sentirsi, per appena qualche minuto, apprezzata ed amata.
Di sentirsi il centro del mondo dell’uomo che la stringeva –anche se non era così – e di sapersi irrimediabilmente e totalmente sua.
Finalmente Fiammetta apparteneva a qualcosa, a qualcuno, aveva un suo posto ed una sua funzione.
 
Bastiano finì di spogliarla con irruenza.
Aveva smesso di guardarla, Fiammetta lo notò solo in quel momento, quando lui con un colpo solo affondò in lei, senza alcuna preparazione, senza preoccuparsi di farle male. Il dolore arrivò immediatamente e fu così forte ed improvviso che non riuscì a trattenere un piccolo urlo, o a fermare qualche lacrima che s’era formata agli angoli degli occhi. Il piacere s’era trasformato in una nausea che la lasciava frastornata e stordita e le impediva di assecondare i movimenti del marito, così lei rimaneva immobile, come una bambola, con gli occhi scuri spalancati e la bocca socchiusa.
Il bruciante piacere aveva lasciato presto spazio ad un bruciore vero e proprio, che si mischiava con l’eccitazione che cresceva lenta, ma che sembrava già sapere non sarebbe stata soddisfatta.
Dopotutto non era quello il suo compito.
Lei non doveva essere soddisfatta, doveva solo dargli un figlio.
Il piacere era qualcosa che apparteneva agli uomini.
 
Fiammetta si lasciò riempire del calore del corpo di Bastiano. Il dolore scemava via piano, poi tornava ad ondate assieme alla nausea, e lui continuava a tenere gli occhi chiusi mentre lei non riusciva a staccare gli occhi dal soffitto o a muoversi per il dolore, per la pena, per la tristezza di quel momento che non le apparteneva.  
Non c’era violenza nei  movimenti di Bastiano, anzi quasi le riservava una sorta di cura, eppure lo sentiva così lontano, così distante, da comprendere immediatamente che quella cura non era per lei.
Bastiano stava immaginando un’altra donna al suo posto.
Si sentì sporca e ferita, poi una domanda le ronzò nella testa: non avresti voluto anche tu qualcun altro?
Scosse il capo, cercando di allontanare il pensiero di Giuliano de’Medici e del suo sorriso gentile, poi, con un coraggio che non credeva avrebbe mai trovato e la voce spezzata dai respiri affannosi, si rivolse a suo marito.
“Guardatemi.” Gli disse, in una richiesta quasi disperata, allungando una mano che carezzare il suo volto.
Lui non la ascoltò, la scacciò via malamente senza rispondere e si lasciò andare in lei, inarcò la schiena mentre si liberava con un verso strozzato .
Solo quando crollò tra le lenzuola sfatte trovò la forza di guardarla, come lei gli aveva domandato.
“Non fatelo mai più.” Ordinò. “Non parlatemi più in certi momenti.”
Fiammetta non disse nulla, non annuì neppure, lo guardò a basta svuotata definitivamente di ogni sentimento.
 
Bastiano si avvicinò a lei, silenzioso, passò una mano sulle braccia magre, poi sul ventre piatto, sulle costole sporgenti ed i seni piccoli, con una smorfia sussurrò. “Sembrate quasi un uomo, ma per lo meno siete docile ed ubbidiente. Non mi darete problemi.”
“Non mi amerete mai, vero?” Sussurrò Fiammetta, con la voce tremante.
Era sull’orlo di un pianto fin troppo trattenuto.
“Siete ancora una bambina se credete davvero che l’amore esista, Fiammetta.”
 
Esisteva, lo sapeva anche Bastiano. Solo che l’amore non rendeva felici, non era eroico e bello come nei poemi, non c’era nessuna Elena pronta a scappar via per amor suo, né Penelope ad aspettarlo per anni fedelmente.
L’amore era una tragedia, il più delle volte vissuta da una sola delle due parti, un sogno irreale a cui si aggrappano gli uomini per non impazzire ed il più delle volte ciò che li fa impazzire davvero.
No, Bastiano non avrebbe amato più.
Il suo cuore era lontano, irraggiungibile, fuori da ogni portata.
Tra le braccia di qualcun altro.
 
“Suppongo che sia arrivato il mio momento di crescere allora.” Replicò lei, sorridendo amara.
Non poteva immaginare quanto avesse ragione.
Era  arrivato davvero il momento di crescere.
Si girò dall’altra parte, dando le spalle a Bastiano, e decise che la sua vita iniziava in quel momento.
 
 

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