We were three.

di JennyPotter99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The werewolf and the medium ***
Capitolo 2: *** That pale guy ***
Capitolo 3: *** Didn’t it eat the organs? ***
Capitolo 4: *** My dreams house ***
Capitolo 5: *** Smell ***
Capitolo 6: *** Upir ***
Capitolo 7: *** The White Tower ***
Capitolo 8: *** Put those guts in that fucking jar! ***
Capitolo 9: *** I didn’t make you like a Blak Eyed Peas girl ***
Capitolo 10: *** True love kiss ***
Capitolo 11: *** He smells like heaven ***
Capitolo 12: *** That magic thing with the eyes ***
Capitolo 13: *** The order of the dragon ***
Capitolo 14: *** The huntress ***
Capitolo 15: *** The popular girl ***
Capitolo 16: *** The sacrifice of the virgin ***
Capitolo 17: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** The werewolf and the medium ***


Sono qui, adesso.
Sto guardando le mie mani tremare e credo che quelle che scendono sulle mie guance siano lacrime.
In realtà non so perché sono dispiaciuta, lo conosco da neanche due mesi.
Eppure, mi dispiace, perché mi rendo conto che si è creato qualcosa di speciale.
Qualcosa che nemmeno lui si aspettava di trovare.
Lui è uno di loro ed io non posso farci niente.
 
Qualche mese prima – Hemlock Grove
 
Hemlock Grove era sempre stata una cittadina strana.
Non mi ero mai resa conto fino a che punto.
Di certo non mi aspettavo di essere al sicuro, ma il coraggio e la sfrontatezza sono sempre stati tratti ben visibili del mio carattere.
Se qualcuno avesse tentato di rubarmi la borsa, gli avrei dato semplicemente un calcio sulle palle.
Questo non vuol dire che i ladri siano solo uomini, però si capisce il concetto.
Mi ricordo una volta, quando avevo 6 anni, ho estratto una caramella dal pacchetto di un supermercato e me la sono messa in bocca.
E’ inteso come rubare?
Beh, la mia gente ruba fin da quando ne si ha memoria.
Siamo stirpe di persone che hanno sempre viaggiato per strada, migrando per il mondo.
La mia famiglia, in particolare, era parente antica dei Pavee, gli irish travels, i viaggiatori irlandesi.
“Era”, perché erano tutti morti, io sono rimasta da sola e non sembravo nemmeno irlandese.
Non ricordavo molto il giorno della morte dei miei genitori.
Avevo solo quattro anni quando è successo.
Erano morti in un incidente casalingo col gas.
La casa era andata a farsi fottere.
Io fortunatamente non mi trovavo lì, ma all’asilo.
E’ lì ho conosciuto Peter.
Non sarei sopravvissuta senza di lui e la sua famiglia.
Un’altra curiosità sui miei genitori, è che erano medium, soprattutto mia mamma.
Sì, quella cosa dove si legge la mano, o la palla di cristallo, per vedere il futuro.
Per questo mi era stato facile integrarmi con la famiglia di Peter: anche sua cugina era medium.
Diceva che lo sarei diventata anche io, molto presto.
Ma gli anni passavano e non c’era nemmeno l’aria di una piccola profezia.
Durante le notti non mi capitava neanche di sognare come fanno tutte le persone.
La cugina di Peter, Destiny, mi aveva cresciuta e ospitata fin da subito.
Destiny abitava nella stessa casa in cui lavorava: chiedeva soldi in cambio di una chiamata dall’aldilà.
Non era una vera truffa, lei lo sapeva fare davvero.
Con i miei genitori non l’aveva mai voluto fare: ho iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa che non voleva dirmi o che voleva che venissi a sapere.
Ma il vero tassello magico della mia vita, era Peter Rumancek.
Peter era come uno di quei ragazzi che conosci da quando hai il pannolino e che diventano inevitabilmente il tuo tipo.
L’ultima volta che lo avevo visto la sua barba aveva iniziato a crescere.
Ricordavo una folta chioma di capelli neri, sbarazzini e un paio di occhi azzurri come il mare.
Era bellissimo.
Durante l’estate non avevo dimenticato il suo volto neanche per un secondo.
Lui viaggiava sempre con sua madre, ma apparteneva ad Hemlock Grove proprio come me.
Alla fine dell’estate, seppi da Destiny che sarebbe tornato alla vecchia roulotte dove viveva con sua madre Lynda.
Il giorno prima dell’inizio della scuola, corsi il più veloce possibile con la mia bici verso l’inizio del bosco, vicino al lago sporco.
A diciassette anni, la bici era l’unica cosa che potevo permettermi, ma, salvo le prese in giro a scuola, non mi dispiaceva il vento tra i capelli.
Insistevo nel dire che non somigliassi per niente ad un irlandese perché i miei capelli erano ondeggianti e rosso rame, sul marrone.
Avrei dovuto essere chiara e invece ero più scura della notte.
Anche Peter veniva preso in giro per la sua eccessiva peluria.
Ma c’era un motivo.
Peter era un lupo mannaro.
E non scherzo.
La prima volta che lo vidi trasformarsi, durante la luna piena, svenni.
Non era mai stata una bella cosa da vedere, ma era la sua natura e una forma che si tramandava di Rumancek in Rumancek.
Non aveva mai avuto paura di lui.
Pedalai fino alla vecchia roulotte e lasciai la bici vicino alla loro auto.
Sulla strada, prima della roulotte e del lago lurido, c’era una piccola discesa che percorsi in fretta.
Fu allora che lui uscì dalla porta: non era cambiato di una virgola.
Stessa corporatura, capelli, barba e il solito abbigliamento da cowboy.
Aveva immaginato quel momento per tutta l’estate e andò perfino come lo aveva progettato.
-Peter!- gridai, correndogli in contro.
Lui sgranò gli occhi, sorridendomi.- Lily!- esclamò, aprendo le braccia.
Gli saltai addosso, avvinghiando le mie gambine al suo bacino.
-Mio Dio, quanto sei bella!- commentò, facendo una giravolta.
-Mi sei mancato.- borbottai, senza volermi staccare.
Peter aveva sempre avuto un buon odore di muschio, quello buono, non quello ammuffito che si può credere.
La sua essenza emanava natura da tutti i pori.
Era una cosa rilassante.
-Sono passati solo tre mesi.- replicò lui, ridacchiando.
Gli diedi una pacca sul petto, riemettendo i piedi per terra.- Che vuol dire?! Sei il mio migliore amico!-
Mi faceva strano dire quelle parole, dato che non lo consideravo affatto come tale.
Fu in quel momento che anche Lynda venne fuori dalla roulotte. -Oh, wow, la piccola Lily.-
Per i Rumancek io ero sempre la piccola Lily, non ero molto cresciuta con l’avanzare dell’età: tutti i miei coetanei erano alti più di me.
-Ciao Lynda.- le dissi, baciandole la guancia.
-Stavo giusto montando l’amaca, fatevi un giro!- continuò, passandoci due birre aperte.
Notai quindi un’amaca legata a due alberi, vicino a delle poltrone impolverate tra le foglie.
Mi sistemai su un lato dell’amaca e Peter dall’altro.
-Allora, che è successo durante l’estate?- mi chiese lui, sorseggiando.
-Niente di che, mi sono annoiata parecchio senza di te…Destiny ha fatto un bel po' di sedute spiritiche…- raccontai, cercando di ricordare.- Le gemelle hanno perso la verginità, hanno messo praticamente i cartelloni.-
-Intendi le figlie dello sceriffo?-
-Sì, quelle due stronzette che si portano con se Christina Wendell come fosse lo strascico di un vestito da sposa.-
Peter mi sorrise, mostrando i canini perfetti.- Tu non ti faresti mai mettere nel sacco da ragazze come loro.-
Gli feci un occhiolino.- Hai afferrato bene: io gli amici so scegliermeli, per questo ci sei solo tu.-
Non era per questo che non avevo altri amici.
Il fatto era che c’era stato sempre e solo Peter.
Parlavo anche con altra gente, a scuola, ma lui era l’unico e il solo.
O forse volevo io che fosse così.
Preferivo averlo accanto in quel modo che dirgli la verità, dirgli che ero cotta da lui da sempre.
Beh, forse non ero poi così tanto coraggiosa.
Non quando si trattava di Peter.
***
Per il primo giorno di scuola, decisi di indossare i nuovi jeans che mi ero comprata con le mance del lavoro.
Ogni tanto l’azienda di giornalismo della città, mi faceva distribuire i giornali per le case di Hemlock Grove.
Per questo la bici.
Sapevo a memoria tutte le case della città: spesso mi soffermavo a pensare a quale avrei comprato una volta cresciuta e trovato un lavoro più stabile.
Se avessi dovuto sognare in piccolo, mi sarebbe bastato un monolocale con un solo piano, ma doveva per forza esserci una cantina piena di alcool.
Se avessi dovuto sognare in grande, invece, o se, beh, avessi vinto alla lotteria, una villa come la reggia dei Godfrey sarebbe stata perfetta.
Ammetto che qualche volta avevo sbirciato dalla finestra, però non ero riuscita a vedere un gran che.
I Godfrey erano praticamente i re di Hemlock Grove.
Al centro della città, ergeva la loro Torre Bianca.
Una cinquantina di piani in cui J.D. Godfrey aveva costruito la sua azienda farmaceutica.
A quanto sapevo, J.D. si era suicidato qualche anno prima, lasciando la moglie e due figli.
Non avevo mai visto i suoi figli, probabilmente frequentavano una scuola privata, dato tutti i soldi che possedevano.
Ogni volta che mi soffermavo a guardare quella torre, credevo che arrivasse fin oltre le nuvole.
Misi il piede sul pedale e continuai verso la scuola.
Lo sceriffo Sworm accompagnò le sue figlie e Christina davanti all’entrata con la macchina della polizia.
Grazie a lui, non succedeva un gran che ad Hemlock Grove.
Da quella distanza, vidi entrare anche Peter e lo salutai con la mano, sorridendo.
Attraversai la strada per arrivare all’entrata, quando invece mi ritrovai stesa a terra.
Un’auto mi venne addosso, facendomi cadere sull’asfalto.
-Cazzo!-
Sentii la fronte bruciarmi e, toccandola appena, capii che mi stava uscendo del sangue.
Mi passai una mano sugli occhi, avevo la vista offuscata per il colpo.
Nello stesso momento, qualcuno scese dalla macchina.
-Ehi, stai bene?-
Sbattei più volte le palpebre e allora mi resi conto che non era una macchina, ma una limousine bella grossa.
Il tizio che mi parlò non era quello che stava guidando, dato che era appena sceso dallo sportello posteriore.
-Bene?! Il tuo cazzo di autista mi ha investito!- esclamai, notando poi che la ruota della bici era tutta storta.- Cazzo, la mia bici!-
-Mi dispiace, la porterò a far riparare.- continuò lui, prendendomi per il polso per farmi alzare.
Sollevai la bicicletta e fu allora che i nostri occhi si incrociarono.
Non era una persona qualunque, quello era Roman Godfrey.
Cioè, no, non mi era fregato un cazzo di chi fosse, mi faceva male la faccia.
Sentii il sangue scendermi sulla palpebra, mentre mi tolsi dalla strada, dopo aver fatto un bel dito medio all’autista.
-Scusa, John è un alcolizzato.- aggiunse Roman, estraendo dalla tasca un fazzoletto di seta.
Me lo avvicinai all’occhio e capii che la ferita era sul sopracciglio.
Meglio così, le mie sopracciglia erano talmente folte che non se ne sarebbe accorto nessuno.
Tornai finalmente a guardare meglio e lo osservai.
Roman era proprio il tipico figlio di papà, pieno di soldi.
Gli stivali marroni e il montgomery nero e lungo.
Ci misi un bel po' per passare dalle sue scarpe al suo viso: era altissimo.
-Sei un cazzo di gigante.- commentai, senza pensarci, probabilmente per via della botta alla testa.
Roman ridacchiò.- Me lo dicono spesso, sì.-
In quello stesso attimo, suonò la campanella della prima ora.
-Beh, signor gigante, vado in classe.- aggiunsi, continuando a premere il fazzoletto.
-Cosa? No! Devi andare in infermeria, potresti avere una commozione celebrale!- esclamò, sbarrandomi la strada.
-Non posso, ho spagnolo alla prima ora e l’anno scorso facevo schifo.- borbottai, asciugandomi velocemente il sangue rimasto.
-Sono Roman, comunque.- mi disse, porgendomi la mano.
La mia non gliela diedi, ma restituii il fazzoletto. -Lo so chi sei.- affermai, prima di correre in classe.
Forse ridargli il fazzoletto insanguinato non era stato proprio una cosa educata: Roman aveva l’aria di chi avrebbe chiamato le guardie del corpo se qualcuno gli avesse fatto un torto.
Corsi nella classe di spagnolo e immaginai che il posto vicino a Peter fosse già occupato.
Infatti, la gemella cattiva si era già ben accomodata.
Peter alzò le spalle e io fui costretta a mettermi vicino a Christina.
-Dove eri finita?- mi domandò lei, mettendosi una ciocca dei suoi lunghi capelli marroni dietro l’orecchio.
-Un coglione mi ha investito e distrutto la bici.- spiegai, prendendo i libri dallo zaino.
-Oh finalmente diremo addio a quel catorcio.-
Christina Wendell non era mai stato un gran che riguardo a simpatia: si capiva perché frequentava le figlie dello sceriffo solo perché erano popolari.
Però era l’unica amica che avevo, salvo Peter.
Per questo ero felice che fosse tornato in città.
Christina si voltò verso il suo banco e lo notò.- Ah, è tornato lo zingaro.-
Alzai gli occhi al cielo, infastidita.- Ti ho detto di non chiamarlo così.-
-Ho sempre notato che avesse l’indice e il medio della stessa lunghezza.-
-E quindi..?-
-E’ tipico dei licantropi.-
Solo io e la famiglia di Peter sapevamo della sua vera natura, non lo avevo mai detto a nessuno e nessun altro doveva saperlo.
Tutta Hemlock Grove sarebbe entrata nel panico, altrimenti.
Avevo letto che i lupi mannari si trasformavano solo con la luna piena: se lo avessero fatto con una luna diversa, ci sarebbero state conseguenze gravi.
Il peggiore era quello di rimanere lupo per sempre.
-Tu leggi troppi libri.- commentai, per sviare il discorso.
-Beh, è carino.-
Lo so Christina, lo so.
A quel punto, ecco entrare in classe la professoressa insieme a Roman.
In confronto a lui, lei pareva uno scoiattolo.
-Allora ragazzi, diamo il benvenuto al nostro nuovo compagno Roman Godfrey.- disse la donna, indicandogli un posto libero al banco parallelo col mio, vicino alla finestra.
Roman fece un cenno con la mano.- Hola.- bofonchiò, prima di togliersi il montgomery e sedersi.
Allora era vero che avrebbe frequentato la mia stessa scuola, mi chiedevo solo perché non fosse rintanato in una di quelle scuole private in cui ci si mette la divisa e i bagni sono più puliti della nostra bocca.
Mi pregai di stare attenta o avrei avuto di nuovo un debito in spagnolo, quando, durante la lezione, mi arrivò una palletta di carta dal banco di Roman, quasi in un occhio.
Mentre io lo guardai male, lui mi fece un sorrisetto.
Aprendolo, lessi la scritta Scusa.
Non avevo bisogno di scuse, ma solo che mi riparasse la bici.
La mia concentrazione se ne andò letteralmente nel secchio perché finalmente riuscii ad inquadrarlo meglio.
Aveva il viso pallido, il ciuffo di capelli biondo scuro sistemato per bene con il gel, gli occhi scavati e azzurri, con le labbra carnose e a cuoricino.
Non avevo mai visto nessuno come lui, era un tipo particolare, proprio come Peter.
E ne esistevano davvero pochi.

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Capitolo 2
*** That pale guy ***


 
Fu verso l’ora di pranzo, quando feci la fila per prendere da mangiare alla mensa, che vidi entrare Roman insieme ad un’altra persona.
Si misero tutti a fissarli, dato che la ragazza accanto a lui era più alta di qualsiasi altra persona avessi mai visto.
Indossava degli stivali neri, un vestitino rosso con un coprispalle nero: il suo viso era coperto per metà da dei lunghi capelli lisci e scuri.
Vidi solo un occhietto marrone e uno sguardo spaventato.
Roman le prese il braccio e, con due vassoi, i due si sedettero ad un tavolo vuoto.
Stessa cosa facemmo io, Christina e Peter.
-Credo sia sua sorella Shelley.- intervenne Peter.
Non mi importava decisamente sapere perché fosse così strana: quando sei la migliore amica di un lupo mannaro, accetti qualsiasi stranezza.
Anche se la prima volta mi aveva fatto svenire, guardare Peter trasformarsi era un vero spettacolo.
Specialmente perché avevo una scusa per vederlo interamente nudo.
-Ho sentito il preside che parlava con loro…- continuò Christina, avvicinandosi col viso come se ci stesse per dire un segreto.- Frequentavano la scuola privata, ma poi lui è stato espulso.-
-Perché?- domandai, sorseggiando dal piccolo bricco di latte.
-Roman scopava con la preside.- sussurrò Christina.
Quasi non mi strozzai.
Peter alzò le sopracciglia, scoppiando a ridere.- Cosa?!-
-Giuro, l’ho sentito con queste mie orecchie.-
Mi pulii l’angolo con la bocca e dopo aver saputo questa cosa, non riuscivo più nemmeno a guardarlo.
***
Uscita da scuola, sapevo benissimo che sarei dovuta tornare a casa a piedi, come faceva Peter.
Le voci su Peter continuavano a girare e in più Christina aveva messo in giro la diceria che fosse un lupo mannaro.
Ma chi ci avrebbe mai creduto, tanto?
Io non le ascoltavo e nemmeno Peter.
-Ci vediamo domani.- mi disse sorridendomi.
Ogni volta che vedevo quello stupendo sorriso, mi rendevo sempre ridicola.
Non sarei mai riuscita a dirgli quando mi piacesse davvero.
Di fatti, andai addosso ad un paio di ragazzi che non avevo visto. -S-Sì, a domani.- balbettai, arrossendo come un’idiota.
Lui girò l’angolo, ma io rimasi a fissarlo fin che non scomparve tra le strade.
-Cosa stiamo guardando?-
Sobbalzai quando mi ritrovai le labbra di Roman praticamente sull’orecchio e mi scansai.- N-Niente!-
Quando mi voltai verso di lui, vidi la mia bici tra le sue manone, come nuova.
-Quando l’hai riparata?- gli domandai, sorpresa e confusa allo stesso tempo.
Lui ridacchiò.- Mica ce l’ho portata io.-
Mi sentii una sciocca a pensare che avesse fatto tutto da solo.- Ti basta schioccare le dita e spargere soldi, eh?-
-Tutti vogliono solo i miei soldi.- commentò, estraendo per l’appunto il portafoglio e porgendomi una banconota da venti.
Non volevo i suoi soldi, mi bastava che la bici fosse riparata per andarci al lavoro. -Non io.- replicai, scansando la sua mano.
Lui sembrava sorpreso, ma decise di non farlo trasparire.- Beh, lascia almeno che mi faccia perdonare in qualche modo: stasera io e mia cugina facciamo un giro al luna park, vieni con noi?-
Prima il suo autista mi investe, poi mi ripara la bici, mi offre dei soldi e infine mi invita ad andare al luna park.
Iniziai a chiedermi perché un tipo del genere fosse interessato a me.
-Ma non sai nemmeno come mi chiamo.- risposi con una smorfia divertita.
-Beh, tu non me lo hai detto.-
Alzai le spalle.- Beh, tu non me lo hai chiesto.-
-D’accordo, come ti chiami?-
Ero un po' riluttante a dirglielo.- Letitia Dimitri, ma puoi chiamarmi Lily.-
Mi prese la mano e ci lasciò sopra un bacio.- Molto piacere Lily. Mi faresti l’onore di venire al luna park con me?-
Assottigliai gli occhi, cercando di capire cosa volesse da me: magari portarmi al letto, stuprarmi, prendere tutti i miei soldi, ma no, che ci farebbe con i soldi, è già ricco.- E io cosa ci guadagno?-
Per fissarmi negli occhi lui doveva per forza abbassarsi leggermente per arrivare alla mia altezza. -Una serata divertente, un po' di zucchero filato e magari ti compro anche un pupazzo.-
In effetti, non era male: sempre meglio che stare a casa, ascoltare Destiny che faceva le sue sedute o stare a masturbarmi pensando a Peter. -Voglio quello grande.-
-Va bene, ci sto. Ci vediamo lì alle nove.-
La limousine si fermò in quel momento davanti a lui, come fosse in un film e quella fosse la sua uscita di scena.
Ridacchiai fra me e me mentre montai sulla bici e tornai a casa.
***
Dover uscire con un ragazzo ricco, mi fece riconsiderare tutto ciò che avevo dentro l’armadio: mi sembravano tutti straccetti da quattro soldi.
Uscendo dalla mia camera, notai che Destiny era occupata in soggiorno, così sgattaiolai nella sua stanza e aprii l’armadio.
Trovai una gonnellina sbarazzina nera niente male e un top abbinato.
Aveva talmente tanti vestiti che non se ne sarebbe nemmeno accorta.
Indossai i calzettoni pesanti, dato che iniziava a fare freddo e le scarpe da ginnastica.
Era già sera quando mi avviai al luna park con il fumo che mi fuoriusciva dalla bocca.
Faceva più freddo di quanto pensassi.
Attraversai il cancelletto e la prima cosa che notai era che il luna park era completamente vuoto.
C’era un silenzio inquietante, mischiato alla musica allegra delle giostre.
Per un attimo mi venne in mente che forse era tutto uno scherzo, che si fosse preso gioco di me.
Ma perché mi dispiace?
Nemmeno lo conosco.
-Bu!-
D’un tratto mi arrivò dalle spalle, facendomi saltare di nuovo.
Istintivamente lo spinsi via.- La smetti di spaventarmi?!-
-Non puoi farci niente, lui è fatto così.-
Apparve una ragazza della nostra stessa età, vestita bene, con gonna e calze bianche, insieme ad un cappotto grigio con la pelliccia.
L’avevo incrociata qualche volta per il corridoio, ma non ci avevo mai parlato.
-Lily, lei è mia cugina Letha.- ci presentò Roman.
Le strinsi la mano gentilmente.- Piacere.-
Anche Letha si guardò attorno stranita.- Ma dove sono tutti?-
Roman ci fece un ghigno soddisfatto.- Mia madre ha pagato per lasciarlo aperto solo per noi.-
Non ci potevo credere: aveva più potere di quanto mi immaginassi.
-Sei davvero un birbantello, Roman!- ridacchiò Letha, scappando verso il chiosco.
Fu in quel momento che notai Roman fissarle il sedere, ma feci finta di niente.
-Credevo che la tua famiglia avesse potere solo alla Torre Bianca.- commentai, passeggiando verso gli stand dove c’erano i pupazzi.
-Se volessi potrei avere tutta la città.- disse lui, prendendo una delle pistole e mirando verso il bersaglio.
Chiuse un occhio e colpì la prima lattina.
Fu grazie a quella frase che capii perché mi avesse invitato lì. -Non hai amici, vero?-
D’un tratto, il suo dito si mosse troppo in là e mancò la seconda lattina.
Sospirò e tirò la pistola sul tavolo.- Fanculo.- borbottò, prima di salirci sopra fino a prendere un grosso peluche d’orso. -Il tuo pupazzo.-
Il suo gesto fu la conferma alla mia domanda, ma probabilmente non voleva parlarne.
-Lo sai che è tua cugina, vero?- aggiunsi, portandomi l’orso al petto.
Lui si aggiustò i capelli, nervosamente.- Sei venuta qui solo per sparare giudizi o anche per divertirti?-
-Beh, ho solo notato che le hai guardato il culo.- osservai.
-E con ciò? I cugini sono sempre la prima cotta di qualcuno.- affermò, allargando le braccia.- Senti, ho ascoltato i commenti di tutti, tutti i giorni in quella fottuta scuola privata e non intendo ricominciare da capo. Quindi, se non ti dispiace, ora andrò a farmi un giro sulla tazza gigante, tu puoi venire con me, oppure ficcarti i tuoi giudizi in quella tua bella seconda di reggiseno e andare a farti fottere.-
Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere senza prendere fiato.
Percepii tanta rabbia repressa nel suo sguardo e, mentre se ne andava, mi fece anche un po' pena.
Sapevo come ci si dovesse sentire essere senza amici.
Alle medie ero sempre quella strana, quella alla quale erano morti i genitori, che girava da sola per i corridoi.
Non sapevo che tipo fosse Roman, ma di sicuro aveva bisogno di persone alla quale voler bene e a me non dispiaceva.
Per di più, mi aveva affascinato quel suo discorso.
Spesso le persone non dicono mai quello che pensano dritto in faccia.
Lui non aveva paura.
Così, lo raggiunsi sopra la giostra che girava, nella grande tazza rosa, sedendomi davanti a lui col pupazzo.
Era ancora tutto rosso per la sfuriata e mi guardò.
-Ho una terza, comunque.- gli dissi.
Lui voleva fare finta di niente, ma scoppiò a ridere e io con lui.
-Ecco gli zuccheri filati!- esclamò Letha, distribuendone uno ciascuno.
Nello stesso momento, la giostra prese a girare in tondo.
-Allora Lily, che mi dici di te?- mi chiese Letha.
Presi un po' di spuma rosa prima di annoiarli sulla mia vita.- Oh beh, niente di che: la solita storia triste dell’orfanella che viene raccolta dalla strada per pietà.-
-I tuoi sono morti?-
-Sì, quando ero piccola: la casa è esplosa e io, beh…Ho perso tutto.-
Certe volte piangevo a ripensarci, ma non più di tanto: ricordavo davvero poco di loro.
-E come conosci Peter Rumancek?- intervenne Roman.
-Sua cugina Destiny mi ospita a casa sua e lui è il mio migliore amico.-
A quel punto, Letha mi diede un pizzicotto con un ghigno.- Non solo amico, da come ne parli.-
Sentii subito le guance andare in fiamme.- Da cosa si è capito?-
Roman mi scruta ancora.- Ti brillano gli occhi.-
Era buffo: Peter mi era piaciuto da sempre, però avevo già perso la verginità l’estate prima.
Io e Destiny eravamo andati al Gone Sis, un campeggio con villaggio e piscina.
Avevo conosciuto Sam, ma non era stato un gran che, in effetti.
Un giovane hippy migrante che se ne era andato pochi giorni dopo.
A 17 anni mi aspettavo solo di trovare la mia anima gemella, qualcuno che mi facesse andare letteralmente fuori di testa, come nei film.
-Beh, io mi tengo ancora la mia amata verginità e aspetto quello giusto.- aggiunse Letha.
Roman le diede dei pizzicotti sui fianchi, ridendo.- Ah, sei ancora vergine, cuginetta!-
Lei lo scansò.- Se lo dici a qualcuno, ti uccido.-
Nello stesso momento, fece una smorfia di dolore, portandosi la mano alla pancia.- Mh, credo di aver mangiato troppo zucchero.-
-Vuoi che ti accompagni a casa?-
-Oh no, chiamo mio padre, voi restate a divertirvi.- replicò, componendo il numero.
A metà della serata, perciò, Letha tornò a casa e io e Roman rimanemmo soli, finendo i nostri zuccheri filati.
Ad un certo punto, dagli altoparlanti si udì una melodia che riconobbi subito.
-Wow, adoro questa canzone: Lord Huron.-
-The night we met.- dicemmo insieme.
Non avevo mai conosciuto nessuno con i miei stessi gusti musicali: io ero una tipa all’antica, compravo un sacco di vinili e costavano anche poco.
Ad un certo punto, mi iniziai a chiedere chi avesse messo la canzone. -Un momento…Credevo che fossimo da soli.-
-No…Ci sono i fantasmi!- esclamò lui, ridendo e scappando via con il peluche.
Risi insieme e lo inseguii fino al parco giochi per bambini, dove c’erano lo scivolo e l’altalena.
-Perciò lei è la figlia del fratello di tuo padre?- gli chiesi e lui annuì subito.- Deve esser stato orribile quando tuo padre si è suicidato.-
-Un po'…Ho trovato io il corpo, avevo quattro anni. Di lui non ricordo niente: è mia madre che ha cresciuto me e mia sorella, quella stronza.-
Mi sedetti su un’altalena e mi venne da ridere.- C’è qualcuno che non odi?-
-Mia sorella: le voglio molto bene, farei qualsiasi cosa per lei.- rispose, iniziando a spingermi.
Da dove ero, alzai la testa e riuscii ad incrociare i suoi occhi. -E te stesso? Non ti vuoi bene?-
Ci mise un po' a rispondere.- Non ne ho bisogno.-
Lo guardai accigliata.- Tutti hanno bisogno d’amore.-
-Questa è una tiritera che si ripetono le ragazze diciassettenni come te che guardano fin troppi film romantici.-
Mi alzai dall’altalena per andargli in contro.- Che c’è di male nel sognare un po'?-
Lui si sfregò le mani per il freddo. -Che poi ti devi svegliare.- sussurrò, togliendomi una ciocca di capelli dalla guancia.
In quello stesso istante, si alzò un venticello fresco e iniziai a sentire uno strano odore.
-Che cos’è questa puzza?- borbottò lui, seguendo la scia.
L’odore portava vicino alla piccola casetta di plastica con la sabbia, dove andavano a giocare i bambini.
A quel punto, capii di aver calpestato qualcosa di molle e viscido.
Arricciai il naso, sperando di non aver sporcato le scarpe, mentre Roman stava dando un’ occhiata nella casetta.
Guardai in basso e…sangue.
Era meglio se avessi schiacciato la cacca di qualche cane.
Mi avvicinai per capire meglio cosa fosse…Era un osso umano.
Imprecai ad alta voce e inciampai fra l’erba, ma Roman fu preparato a prendermi.
-Devo chiamare il 911.- balbettò, più pallido in viso del solito, come se avesse visto qualcosa di orribile.
-P-Perché?-
-Devo farlo e basta, tu non entrare nella casa.- insistette, estraendo il telefono.
Cazzo, non puoi dirmi così, perché io ci vado lo stesso.
Roman si allontanò: non riuscivo a non guardare, ero troppo curiosa.
Lentamente mi avviai alla casetta di plastica e ciò che vidi mi fece strillare.
Era una ragazza con gli occhi spalancati e il corpo maciullato.
Perciò, io sotto le mie suole, avevo il suo sangue.
Di scatto, sentii la mano di Roman coprirmi gli occhi e il suo braccio cingermi la vita per allontanarmi di lì. -Te lo avevo detto di non guardare!-
Avevo il cuore a mille, era orribile.
Non era mai successa una cosa del genere ad Hemlock Grove.
La polizia arrivò circa quindici minuti dopo.
Non riuscivo a non pensare a tutte quelle viscere fuori dal suo corpo, il sangue, gli occhi spalancati.
Mentre lo sceriffo Sworn interrogò Roman, vidi arrivare la macchina di Lynda con Peter a bordo: l’unica persona che avrei voluto vedere in quel momento.
Scese dall’auto e mi corse in contro.- Lily, che è successo?!-
Ero talmente sotto shock che avevo completamente dimenticato di averlo chiamato.
-Non lo so…Eravamo qui e poi l’abbiamo trovata.- bofonchiai, passandomi le mani sugli occhi.
A quel punto, Peter e Roman si fulminano con lo sguardo: neanche si conoscevano, ma era come se si odiassero già.
-Che sei venuta a fare qui? Con lui? Di notte?- mi chiese Peter, aggrottando le sopracciglia.
Fu allora che iniziai a pensare davvero a quello che stessi facendo.
Mi trovavo in un posto buio, di sera, con un ragazzo che nemmeno conoscevo, con una brutta reputazione e una stupida gonnellina da troietta.
-Oh mio Dio…-
Poteva succedere chissà che cosa: il luna park, l’orso, lo zucchero filato, erano tutte cose con la quale potevi comprare benissimo anche un ragazzino; rapirlo, farci chissà cosa.
C’ero cascata come un’idiota.
-Ti porto a casa adesso, okay?-
Peter mi mise la sua giacca sulle spalle e mi accompagnò alla macchina.
Mi voltai un’ultima volta a guardare Roman.
I suoi occhi azzurri erano gelidi.

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Capitolo 3
*** Didn’t it eat the organs? ***


In pochi minuti eravamo a casa e cercammo di non svegliare Destiny.
Peter non era mai entrato in camera mia.
La prima cosa che feci, fu gettare tutti i vestiti che avevo in dosso nel cestino, specialmente le scarpe.
Mi feci una doccia e indossai il pigiama; Peter aspettò gentilmente, analizzando la stanza.
-Wow, hai davvero tanti dischi.- commentò.
-Sono una tipa all’antica.- gli dissi, stendendomi sul letto con un sospiro di sollievo.
Ero contenta di non trovarmi più lì, ma con lui, al sicuro.
-Non uscirò mai più di sera.-
-Non credevo che tu e Roman vi conosceste.- continuò, stendendosi accanto a me.
Ero davvero troppo scioccata per rendermi conto che lui fosse davvero sul mio letto.
-Il suo autista mi ha investito stamattina e mi ha distrutto la bici: lui l’ha fatta riparare e per farsi perdonare mi ha chiesto di venire con lui e sua cugina al luna park.- spiegai, legandomi i capelli in una coda. -Non credevo che fosse una scusa per fare chissà che cosa, alla fine c’era davvero sua cugina.-
Peter alzò le sopracciglia.- E come fai a  sapere che fosse davvero sua cugina?-
Peter fece cadere tutte le mie convinzioni.- Non lo so.-
-Senti, Roman Godfrey è una di quelle persone che se vuole qualcosa, la ottiene senza problemi. E’ un bene che abbiate trovato quel cadavere, avrebbe potuto farti del male o che ne so…Esser stato proprio lui.-
Scossi appena la testa.- No, è stato con me per tutto il tempo.- aggiunsi, tornando a pensare a tutto quel sangue.- Non è stata una persona, credo sia stato un animale, anche se la polizia dice che gli organi erano praticamente intatti.-
Notai che stesse pensando a qualcosa.- Non ha mangiato gli organi?-
-No, è come se…-
-…Volesse che la trovassero.-
Stavo arrivando a dire la stessa cosa.
-C’è qualcosa che tu sai e io no?-
Peter scosse la testa e allargò un braccio.- Solo una supposizione, vieni qui.-
Arrossii leggermente, ma lui non lo notò e mi accomodai sul suo petto caldo.
Sentii che il suo cuore batteva velocemente.- Tu stai bene?-
Si passò un dito sull’occhio, annuendo.- Sì, sì…E’ solo…La luna piena, manca poco e inizio a sentirne gli effetti.-
Alzai gli occhi su di lui, facendogli un sorriso incoraggiante.- Andrà bene, vedrai.-
Lui ricambiò, dandomi un bacio sulla fronte.- Ora cerca di dormire.-
Con te al mio fianco, ci riuscirò sicuramente.
***
Il giorno dopo, fu il rumore di Destiny che aprì la porta a svegliarmi.
-La colazione è pronta!- esclamò, facendomi quasi venire mal di testa.
Mi guardai intorno e vidi che Peter non c’era più.- Dov’è Peter?-
-Di là a vedere il telegiornale.- rispose lei, sedendosi sul letto con un sorrisetto ammiccante.- Allora…L’ho trovato nel tuo letto, stamattina.-
Le sorrisi ingenuamente.- Non è successo niente, abbiamo solo dormito.-
Destiny alzò le spalle.- Beh, un giorno si dorme e un giorno si fa sesso selvaggio.-
Scoppiai a ridere e le diedi una spintarella: Destiny era sempre stata così, non sapevo dove sarei stata senza di lei.
Per questo non volevo dirle ciò che era successo, non volevo farla preoccupare.
Mi preparai per la scuola e poi andai in cucina per fare colazione.
Peter mi mise un po' di cereali dentro una ciotola insieme a del latte.
Al notiziario stavano già dando la notizia della ragazza uccisa: si trattava di Brooke Bluebell.
Un’altra ragazza che avevo visto girare per i corridoi, ma con la quale non avevo mai parlato dato la sua popolarità.
Di fatti era la capo squadra delle cheerleader.
Il tipo perfetto per Roman.
-Stavo pensando che forse potrebbe esser stato un Vargulf.- intervenne Peter.
Destiny si morse un labbro.- Cazzo, in effetti potrebbe.-
Deglutii un po' di latte e li guardai.- Cos’è un Vargulf?-
-E’ un licantropo che si è trasformato troppe volte durante la luna sbagliata. Volta per volta inizi a dimenticare chi sei e cosa fai quando sei trasformato, fin che, alla fine, resti animale per tutta la vita.- spiegò Peter.
In effetti, avevo dimenticato che ci fossero quel tipo di creature ad Hemlock Grove.
-Ce ne sono un po' che vagano per questa città, nei boschi.- aggiunse Destiny. -Beh, ora, andate a scuola, ho dei clienti!-
-Andiamo insieme.- disse Peter, sorridendomi.
-Adesso mi farai da guardia del corpo?- gli chiesi sarcasticamente.
-No, è che ti voglio bene, lo sai.-
Non seppi come prendere quella frase, in realtà: voleva dire che ci teneva a me, ma solo come amica?
Appena uscimmo dalla porta, Peter si bloccò subito.- Che cos’è?-
La chiusi e guardai verso di lui: davanti avevamo il peluche d’orso vinto al luna park.
-Roman lo ha rubato ieri al luna park.- risposi, lasciandolo vicino alla porta.
Da una parte mi dispiaceva perché alla fine mi ero divertita con lui.
Credevo che Roman si fosse aperto con me perché non avesse amici, ma probabilmente mi sbagliavo.
***
Per il corridoio tutti non facevano altro che parlare di Brooke.
Il suo armadietto era stato riempito di fiori e foto.
Non si vedevano molti omicidi ad Hemlock Grove, ma osservai che la gente non era poi così tanto sconvolta, voleva solo spettegolare.
Per esempio, i ragazzi non facevano che prendere in giro la povera Shelley.
Avevo appurato che non riuscisse a parlare, perciò non poteva neanche difendersi.
Indossava al collo un piccolo telefono e un pennino touch: lei digitava ed esso parlava per lei.
Notai che alcuni ragazzi l’avevano circondata e non potei fare altro che intervenire.
-Perché non andate a farvi fottere e la lasciate in pace?- esclamai, mettendomi davanti a lei.
-Torna a succhiare cazzi agli zingari, Dimitri.- ribatté l’altro.
-E tu lavati quella cazzo di bocca quando parli di mia sorella.- intervenne Roman, dandogli una spallata.
Ma il suo compagno non demorse.- Perché sennò tuo padre licenzia mio padre? Ah no, aspetta, si è ficcato una pistola in bocca.- affermò, facendo ridere i suoi amici.
A volte la gente sa essere davvero cattiva.
A quel punto, senza indugi, Roman iniziò a fissare negli occhi il ragazzo.- Bacialo.-
Lui non riuscì a distogliere lo sguardo.- C-Cosa?-
-Bacialo.- gli ordinò Roman.
Così, egli prese le guance del suo amico e lo bacia sulla bocca.
Scoppiai a ridere silenziosamente, non ci credevo che l’avesse fatto veramente.
Tutti si allontanarono subito dopo, mentre a Roman iniziò a sanguinare il naso.
Non ne capii il motivo: non mi disse niente e corse subito in bagno.
Stava diventando sempre più strano.
-Tutto bene Shelley?- le domandai poi.
Lei digitò velocemente col pennino sul telefono e ne uscì una voce robotica.- Sì, grazie.-
Le sorrisi e mi avviai a mensa: non sapevo come se la potesse prendere con una ragazza tanto dolce.
Meglio di suo fratello, sicuramente.
***
Dopo aver pranzato, io e Peter ci avviamo nelle rispettive aule dell’ultima ora.
Attraversando il corridoio e passando davanti al bagno delle ragazze, sentimmo chiaramente dei versi venire da lì dentro.
Erano abbastanza alti e capii che provenivano da una ragazza.
Erano gemiti.
Feci una smorfia di disgusto.- Cristo, che schifo.-
Solo allora notai che Letha se ne era accorta proprio come noi.
Semmai quello fosse il suo vero nome.
Ci ritrovammo tutti imbarazzati.
-E’ davvero quello che sembra.- balbettò Peter.
Letha sorrise timidamente, squadrandolo dalla testa ai piedi e poi se ne andò.
Cosa significa quello scambio di sguardi, scusa?
Successivamente, qualcuno tirò lo sciacquone e la porta si aprì.
Ne uscì Ashley, la mia compagna di laboratorio.
Neanche mi notò: si mise a posto il vestitino di jeans attillato e si avviò in classe, come se fosse una cosa normale.
-Sto per vomitare.- affermai, disgustata.
Subito dopo di lei, ecco uscire Roman, con il ciuffo sbarazzino e la zip aperta.
Non ci credo.
-Ehi, ciao, possiamo parlare?- mi chiese.
-No.- esclamò Peter, guardandolo male.
-Non l’ho chiesto a te, zingaro del cazzo.- replicò Roman, minaccioso.
-Beh, dopo di questa non parleremo mai più.- intervenni, prendendo la mano di Peter per andare in classe.
Era fin troppo: insultare Peter era stata l’ultima goccia.
Forse era meglio non frequentarlo.
Sedermi vicino ad Ashley mi avrebbe fatto piuttosto schifo, ma non avevo altra scelta: erano posti assegnati dall’inizio dell’anno.
-Ciao Lily, ascolta, ho parlato col professor Martin, non mi va più di stare vicino a te, scusa.- mi disse Ashley, cambiando banco.
Meglio così, avrei lavorato da sola, anche se non sapevo quale fosse il suo problema.
Che tutti fossero venuti a sapere quello che era successo la sera prima?
Forse per questo mi fissavano.
Mi sedetti al banco, cercando di evitarli, quando Roman si sedette vicino a me.
-Che stai facendo?- gli domandai confusa.
-Sono il tuo nuovo compagno di laboratorio.- rispose lui, sorridendo prima a me e poi voltandosi verso il banco di Ashley, per farle un occhiolino.
Non ci potevo credere.
-Te la sei scopata nei bagni delle donne solo per fare a cambio di posto con lei?- sussurrai per non farmi sentire dagli altri.
-Era l’unico modo per parlare con te, dato che giri sempre con la tua guardia del corpo.-
Alzai gli occhi al cielo, sospirando: possibile che non ci fosse nessuno che non la pensasse male di Peter?- Peter non è la mia guardia del corpo.-
-E quando gli dirai che sei cotta di lui?-
Mi stava facendo davvero innervosire.- Non lo so e non sono fatti tuoi.-
Successivamente entrò il professore con una teca piena di rospi morti.
Non era proprio una bella visione dopo aver trovato un cadavere nel parco giochi.
-Salve a tutti ragazzi, il giorno che tanto adulavate è arrivato: il dissezionamento di una rana.-
Io no, per niente.
-Forza, venite a prendere i vostri strumenti.-
Mi alzai con Roman, sospirando e ci avviammo alla cattedra per prendere la rana e il bisturi.
-Signorina Dimitri, se preferisce, ecco…Lei può essere esonerata da questa lezione.- mi sussurrò il professor Martin.
Quella era la conferma che qualcuno aveva saputo ciò che era successo.
Però, Roman non esita a prendere tutto.- Ce la facciamo.-
Roman prese tutto l’occorrente, ma io non la smettevo di fissare quella povera rana, anche se era già morta.
Cercai di non pensare alle budella di Brooke, però era difficile dato che il compito consisteva nell’aprirle lo stomaco.
-Faccio io.- continuò Roman, prendendo il piccolo bisturi. -Puoi non guardare se vuoi.-
-Dopo quello che ho visto ieri sera, posso resistere a tutto.-
E lo pensavo davvero.
Credevo che medium e licantropi sarebbero state le uniche cose che avrei visto ad Hemlock Grove e invece ero super preparata a tutto il resto.
Roman la mise a pancia in su e fece un taglio netto dalla testa fino alla fine del corpo, facendo uscire del sangue.
Mi preparai a togliere tutti gli organi e perciò indossai i guanti.
In quello stesso momento, osservai Roman fissare la rana come qualcuno alla quale fa schifo ma non riesce a distogliere lo sguardo.
Proprio come me la sera prima.
Aveva il suo sangue sulle dita e non muoveva le mani.
Pensai che allora non fossi l’unica ad essere rimasta scioccata.
-Stai bene?- gli domandai, afferrandogli il polso.
Lui sbatté le palpebre più volte e annuì.- S-Sì, sto bene.-
Si pulì le mani e mise anche lui i guanti.- Comunque, credo che abbiamo iniziato con il piede sbagliato.-
Alzai le sopracciglia come fosse ovvio.- Davvero?-
-Io non violento le ragazze nei parchi giochi.- affermò, sotto voce.
-Ma fai sesso con loro nei bagni della scuola.- replicai, tirando pian piano fuori gli organi della rana: della spiegazione del professore non sentivo un tubo.
-E’ una cosa naturale: alla nostra età abbiamo gli ormoni impazziti. Io ci sto sempre se una ragazza ci sta.-
In quel momento ripensai a quando aveva cercato di proteggere sua sorella.- Io credo solo che tu sia molto persuasivo.-
Ridacchiò.- Oh, non sai quanto.-
-E parecchio strano.-
-Beh, io voglio mettermi a nudo con te: vieni a cena a casa mia stasera.-
Fui io a ridacchiare dopo quella frase.- Cioè, fammi capire: per dimostrare che non sei un molestatore, mi inviti a casa tua?-
-Ci saranno anche mia madre e la famiglia di mio zio, anche Letha.-
-Semmai è davvero tua cugina.- borbottai tra me e me, ma lui mi sentii.
Storse la bocca. -Cosa vuoi vedere? La sua carta d’identità?-
Da come insisteva pensai che forse volesse davvero redimersi.
Qualcosa mi diceva che dentro Roman Godfrey c’era ancora altro da dover scoprire.
E poi avrei avuto l’occasione di entrare in quella stupenda villa.
-D’accordo, se proprio insisti.-
Lui sorrise entusiasta, mentre suono la campanella.- Bene e vestiti elegante.- affermò, prima di correre via con lo zaino.
Oddio, che cazzo mi metto?

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Capitolo 4
*** My dreams house ***


 
Passai tutto il pomeriggio a frugare nel mio armadio per trovare qualcosa di decente da mettermi.
Il problema non era tanto il vestito, quanto le scarpe.
La famiglia di Destiny era molto allargata e ogni volta, per funerali o matrimoni, ci compravamo sempre qualcosa di elegante.
Trovai perciò un vestito bianco, con tessuto liscio e dei fiori orientali disegnati.
Legai i capelli in una treccia e poi in un’acconciatura stile cipolla.
Rubai qualche trucco da Destiny per colorarmi gli occhi e un po' di lucidalabbra.
Sperai davvero che nessuno si accorgesse delle mie scarpe da ginnastica.
Camminai in punta di piedi dalla camera alla porta per non farmi sentire da Destiny e mi avviai alla villa dei Godfrey, ormai sapevo l’indirizzo a memoria.
Vista da fuori, la casa aveva minimo due piani.
Ad aprirmi la porta fu un vecchietto, vestito di uno smoking.
Lo immaginavo che avessero il maggiordomo.
-Salve, sono Lily, sono qui per la cena.- gli dissi timidamente: non mi era mai capitato di dovermi annunciare.
L’uomo non disse niente, mi aprì solo la porta.
Entrando, la prima cosa che mi accecò fu la bellissima scalinata a chiocciola di legno scuro ricamato.
Sotto di essa c’era un grande specchio che mi fece pentire ancora una volta di aver messo quelle scarpe.
Alla mia destra veniva un buon odore di carne, perciò dedussi che c’erano le cucine.
Alla mia sinistra, intravidi una grande sala con un tavolo e una sedia a capo tavola.
-Signor Godfrey, è arrivata la sua amica!- gridò l’uomo, prima di scomparire chissà dove.
Fu allora che Roman scese dall’imponente scalinata: indossava dei pantaloni neri, una camicia grigia scura e un gilet grigio chiaro.
I capelli ingelatinati come al solito e le scarpe eleganti che mi parvero quelle di un clown.
Ma dopotutto, non sapevo niente di moda.
Vederlo scendere da quella scala, in tutto il suo splendore, mi ipnotizzò per qualche istante.
Avevo visto tanti altri ragazzi nella mia vita, a scuola, al supermercato, ma mai mi avevano fatto dimenticare Peter.
Forse avevo una specie di ossessione.
Quel giorno però, per un solo attimo, successe.
Mi scordai di Peter e nella mia mente, quel ragazzo affascinante scese dalle scale così lentamente da trovarsi in uno di quei film romantici dove poi lui la prende in braccio, la fa roteare e i due si baciano.
Roman non sembrava affatto un tipo da quei film.
Sceso l’ultimo scalino, mi guardò abbastanza sorpreso.- Niente male.- commentò, abbassando poi gli occhi sulle mie scarpe.- Non ci siamo.-
Arrossii come un peperone.- Non avevo scarpe eleganti.-
Mi afferrò subito la mano.- Possiamo rimediare.-
Salimmo le scale talmente in fretta che non capii dove mi stesse portando.
Entrammo in una camera con un bellissimo letto matrimoniale ed un enorme finestra che affacciava sulla città.
-Dove siamo?-
-In camera di mia madre.-
Davanti al letto, c’era anche un armadio colmo di vestiti firmati e altrettante scarpe di ogni colore.
-Mio Dio, siete così ricchi da far schifo.- commentai, toccando i vestiti uno ad uno.
Roman estrasse dal guardaroba delle scarpe rosse con il tacco.- Prova queste.-
Solo a toccarle, le mie mani tremarono.- Stai scherzando?-
-No, a fine serata non si accorgerà nemmeno che mancano.-
Mi morsi un labbro eccitata e mi sedetti sul letto per indossarle: mi accorsi di aver acquisito qualche centimetro d’altezza.
Roman non sembrava più tanto mister gigante.
Feci una camminata per provarle, curiosando in un’altra camera da letto, quella di Shelley.
Era più grande di quella di sua madre, con un letto, un divanetto e una scrivania.
Shelley era dolce come sempre, nel suo vestitino e le borchie.
-Ciao tesoro, come stai?- le chiese abbracciandola.
Lei digitò sul suo cellulare.- Sei molto bella.-
-Tu più di me.- replicai, aggiustandole una ciocca di capelli.
-Non credo che mio figlio ci abbia presentate.-
Mi voltai verso la voce femminile alle mie spalle ed apparve una bellissima donna dai lunghi capelli neri.
Anche lei indossava un vestito bianco, simile al mio, ma molto più elegante, lungo, tanto da nasconderle le scarpe.
La pelle del suo viso era perfettamente liscia: aveva due figli ed era come se gli anni non fossero passati.
In quel momento capii da dove Roman avesse preso il suo fascino.
-Oh, no, io sono Lily, molto piacere.- le dissi, stringendole la mano.
-Spero ti piaccia l’arrosto.- continuò, facendomi uno di quei sorrisi che si vede che sono falsi.
-Sì, io mangio tutto, sono praticamente una carnivora nata.-
Lily, ma che cazzo dici?
Sulla soglia della porta, Roman ridacchiò tra i baffi, nello stesso momento che suonò il campanello.
-Devono essere arrivati gli ospiti.-
Mi coprii la faccia per non far vedere che ero arrossita.- Sono un disastro.-
-Per questo ti ho invitato.- intervenne Roman, nello scendere le scale.- E’ tutto troppo perfetto in questa casa, magari tu puoi portare un’aria nuova. Se davvero vuoi giudicarmi, devi prima vedere come vivo.-
Sulla soglia della porta, c’era Letha con i suoi genitori.
Avevo visto centinaia di cartelloni riguardo Norman Godfrey: sapevo che i proprietari della Torre Bianca fossero lui e suo fratello J.D.
Alla sua morte, sua moglie Olivia aveva preso tutte le sue azioni.
Norman era più affascinante dal vivo: con un accenno di barba, il ciuffo marrone e il sorriso perfetto.
Letha però aveva preso più da sua madre Marie, gli occhi azzurri e i capelli biondi.
Presentandomi a loro, osservai subito come Roman fosse contento di vederla.
Allora era davvero sua cugina.
Accomodandoci a tavola iniziai a sentirmi una stupida per aver pensato il contrario.
La tavola era imbandita di una tovaglia bianca ricamata: Norman ed Olivia si sedettero a capotavola, ai lati i figli, io vicino a Roman con Letha davanti a me, accanto a lei, Shelley.
Cercai di comportarmi bene, anche se non avevo idea di come ci si comportasse in tali situazioni.
Destiny non mi aveva di certo insegnato le buone maniere.
Il maggiordomo mi mise davanti un piatto di pasta con sugo rosso.
Accanto ad esso, due forchette e all’altro lato un coltello.
Non sapevo cosa prendere per primo.
Alzai lo sguardo sui Letha che mi fece cenno di prendere la forchetta posizionata esternamente.
La ringraziai con un sorriso e feci per infilarla nella pasta, ma Roman mi fermò.
Prese il tovagliolo e me lo mise sulle gambe per non farmi sporcare.
-Grazie.- gli sussurrai.
-Allora, come procedono le cose alla Torre Bianca?- domandò Olivia.
-Lo sapresti se ogni tanto ci mettessi piede: ma, comunque, siamo vicini a degli ottimi risultati.- rispose Norman.
-Stanno studiando le cellule staminali per curare il cancro e l’Alzheimer.- mi mormorò Roman.
-Che mi dici di te, Lily?- mi chiese Norman.
In realtà ero molto riluttante e raccontargli la mia vita: in confronto alla loro, la mia era un puntino nero in mezzo all’acqua.
-Beh, niente di che, insomma, spero di diplomarmi quest’anno e iscrivermi alla facoltà di medicina.-
-Bene! Un altro medico!-
Roman mi guardò confuso.- Davvero?-
Io annuii: so cosa stesse pensando.
-E come pensi di fare quando di troverai davanti ad un cadavere vero se non riesci nemmeno a dissezionare una rana?- sussurrò.
-Ci sto lavorando.- risposi imbarazzata.
Non aveva tutti i torti, ma non ci avevo realmente mai pensato.
Credevo che sarebbe bastato vedere il mio migliore amico trasformarsi in un lupo mannaro, vedere le sue cartilagini che si contorcevano e la pelle staccarsi dai muscoli per trasformarsi in un animale.
-E per i ragazzi come va la scuola nuova? Non mi raccontano mai niente questi giovani!- continuò Olivia.
-Ci prendono tutti per il culo, come credi che vada?- borbottò Roman.
Lui la faceva fin troppo tragica.
-I bulli ci sono e ci saranno sempre: è una cosa normale alla scuola pubblica.- commentai, alzando le spalle.
Olivia strinse i pugni sul tavolo.- Se ti fossi tenuto l’uccello nei pantaloni, saresti ancora alla scuola privata.-
Con quella frase calò un tombale e imbarazzante silenzio, fin che non giunse il maggiordomo.
-La seconda portata sarà pronta tra 15 minuti.- annunciò.
Successivamente, Letha allungò la mano verso Roman.- Perché intanto non ci suoni qualcosa col piano, Roman?-
Lui le sorrise, stringendogliela.- Per te qualsiasi cosa, cugina.-
Ci alzammo tutti per avviarci verso il salone della casa: c’erano due lunghi divani in pelle rossa, un tavolino di vetro, con altrettanti quadri sparsi per il muro.
Sotto quello della famiglia Godfrey al completo, c’era un pianoforte in legno lucido.
Mi sedetti sul divano vicino a Letha, curiosa di ascoltare Roman suonarlo.
Si mise seduto e si aggiustò il ciuffo di capelli dalla quale ormai il gel si era seccato.
Chiuse gli occhi per un attimo e prese un bel respiro, prima di iniziare a suonare.
Proprio come la prima volta che l’avevamo ascoltata insieme, riconobbi immediatamente la melodia.
Suonata con le sue mani era la cosa più bella che avessi mai sentito.
-Non credo di conoscere questa canzone.- commentò Letha.
-Io sì…- sussurrai estasiata.- The night we met.-
In quel momento, Norman si alzò e invitò sua figlia a ballare lungo il salone.
I due si avvinghiarono l’uno all’altro e per un attimo mi fecero sentire la mancanza di mio padre.
Mi avvicinai lentamente al piano e mi ci poggiai sopra: le dita di Roman si muovevano da sole, lui non guardava nemmeno.
Fissava me, intensamente, negli occhi.
Premuto l’ultimo tasto, tutta la famiglia applaudì.
In attesa del dolce, salii al piano di sopra per curiosare nell’unica stanza che non avevo visto.
La camera di Roman era più piccola di come mi immaginassi e parecchio disordinata.
Un letto ad una piazza e mezzo, un bagno con un’ampia vasca, una piccola finestra senza balcone e una scrivania con vari disegni.
Su di essa c’era poggiato l’annuario scolastico.
Io non lo volevo prendere: uscire da quella scuola era il mio unico desiderio e di certo non me ne sarei andata in giro a chiedere di firmarmelo.
Sfogliai però le pagine e vidi allora una foto di Brooke e Roman ad una festa.
Una foto del tutto innocua, che mi fece capire però che si conoscessero.
-Attenta ad entrare nella mia camera, potrei stuprarti.- intervenne Roman, lasciando chiudere la porta alle sue spalle.
Feci un ghigno divertito.- Va a fanculo.- ironizzai, osservando i disegni: in particolare, un serpente senza colore, che si mangiava la coda.- Curioso.-
-E’ solo un sogno che faccio ultimamente.-
Conoscevo quel tipo di creatura.- Uroboro.-
Lui mi guardò accigliato.- Cosa?-
-Uroboro: il serpente che si mangia la coda. L’ho letto in qualche libro.- spiegai.
-E che tipo di libri leggi?-
-Se ti dico un segreto, prometti di non ridere?-
Roman si portò due dita incrociate alle labbra.- Promesso.-
In realtà non avrei dovuto dirglielo, ma invitandomi a casa sua, si era abbastanza aperto con me.- I miei genitori erano medium. Sai, visioni, lettura delle carte e tutto il resto…-
Lui sembrò incuriosito.- E tu?-
Scossi la testa, dispiaciuta.- Ed io niente: di questi poteri neanche l’ombra. Destiny dice che arriveranno col tempo, ma credo che me lo dica solo perché sa che non accetterei la verità.-
-Io sono strano e vorrei non esserlo: tu sei normale e vorresti essere strana. Cazzo, facciamo a cambio.- commentò lui.
-Dimmi la verità: perché io?-
Venivamo da due mondi completamente diversi.
-Ancora non lo so.- rispose, avvicinandosi.
-Perciò adesso che succede? Diventiamo amici?-
Alzò lo sguardo su di me e riprese a fissarmi intensamente.- Adesso arriva il momento in cui ti togli il vestito e apri quelle belle cosce.- sussurrò, facendo muovere sinuosamente quelle sue labbra a cuoricino.
Per un attimo pensai di aver capito male, ma no, lo aveva detto davvero.
Istintivamente gli diedi uno schiaffo, mentre del sangue iniziò a colargli dal naso, fino a sporcargli la camicia.
-Può funzionare con Ashley, con le cheerleader, ma io non sono come loro. Con me non funziona.- affermai, osservando il suo sguardo più che confuso.
Avrei voluto andarmene, togliermi quei tacchi alti, senza mai tornare.
Però, mentre giravo la maniglia della porta di casa, pensai che sarebbe stato troppo facile andarmene.
La presi come una sfida: se me ne fossi andata, si sarebbe dimenticato della sua brutta figura in qualche giorno.
No, dovevo fargliela pesare.
Ci sedemmo a tavola per il dolce: una coppa di gelato alla nocciola, con della panna.
Roman scese dalle scale con una camicia bianca pulita e, non appena mi vide, rimase molto sorpreso.
Affondai il cucchiaino nel gelato, mentre lui si sedette accanto a me.
Evitammo di guardarci, però entrambi facemmo un ghigno divertito.
Quando tutti finimmo, Letha si alzò schiarendosi la voce.- Avrei un annuncio da fare.- esordì.- C’è un motivo se vi ho voluto tutti qui.-
Notai che Norman e sua madre assunsero un’aria imbarazzata.
-Beh, forza, sputa il rospo, non lasciarci sulle spine.- intervenne Olivia.
-Sono incinta.-
Il corpo di Roman si gelò.
La bella verginella non era poi tanto verginella.
-Oh, wow, non ce lo aspettavamo.- commentò Olivia.
-Scusate, non mi sento molto bene.- balbettò Roman, uscendo con un pacchetto di sigarette.
-So che è una notizia scioccante, ma è stato un miracolo.- spiegò Letha, entusiasta.- Un angelo mi è venuto in sogno e mi ha messo in grembo questo dolce essere.-
Non credevo a quello che stesso dicendo: eppure era stata davanti a me tutta la sera e non mi parve che avesse bevuto tanto vino.
Calò un tombale silenzio: nemmeno io sapevo esattamente cosa dire.
Pensai solo che Roman dovesse stare malissimo.
Presi la giacca e uscii fuori nel vialetto, dove lui si stava fumando una sigaretta.
Faceva avanti e indietro, con una mano in tasca, aspirando fumo.
Lo affiancai silenziosamente, le scarpe iniziavano a farmi male e lui mi passò la sigaretta.
-Volevo smettere, ma chi se ne frega.- borbottai, facendo un tiro. -Sinceramente, Roman: la tua famiglia è davvero fuori di testa.-
-Benvenuta nel mio mondo.- commentò lui, riprendendosi la sigaretta.
-La ragazza che abbiamo trovato, Brooke, la conoscevi?-
Scosse la testa, sbuffando fumo circolare.
Mi stava dicendo una bugia, ancora.
Come pretendeva che potessi essere sua amica?
Ma, dopotutto, cercavo di capirlo: sua madre era letteralmente una specie di dittatrice, sua sorella una ragazza deforme e sua cugina era proprio fuori di testa, nonostante esternamente sembrasse normale.
-Non te li sai proprio fare gli amici, eh?- borbottai, rubandogli la sigaretta dalle mani per fare un altro tiro, ne avevo bisogno.
Allargò le braccia, come esausto.- Perché continui a giudicarmi?!-
-Perché continui a mentirmi?!- esclamai, arrabbiata, pestando la cicca a terra. -Ho visto l’annuario con la vostra foto!-
Roman assottigliò gli occhi.- Hai frugato nella mia roba?!-
-Sei tu che mi hai chiuso nella tua stanza, perché, ammettilo, l’unica cosa che vuoi è entrarmi nelle mutande!- replicai, questa volta volevo dire esattamente quello che pensavo.
Sorprendentemente lui rise.- Posso averne a centinaia come te.-
-Allora lasciami in pace.- affermai infine, voltandogli le spalle per tornarmene a casa.
Lasciai le scarpe dentro un cespuglio lì vicino: volevo dimenticarmi quella serata.

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Capitolo 5
*** Smell ***


Passai metà della nottata a pensare quello che era successo.
Ero arrabbiata con lui, ma da una parte ero in pena.
Ci riflettei fino a che non arrivai al mio armadietto e vidi una scenetta carina che mi fece venire la pelle d’oca: Letha e Peter stavano ridendo e scherzando fra di loro.
Non avevo idea di come si fossero conosciuti.
Non ero mai stata tanto gelosa in vita mia, quella ragazza era ovunque.
Aprii l’armadietto, prima di commettere un omicidio, quando mi ritrovai Shelley accanto.
-Ehi, ciao tesoro, come stai?- le chiesi, sorridendo.
Anche lei era più alta di me, quindi dovevo per forza guardare in alto.
-Per favore, perdona mio fratello. Lui ha bisogno di amici.- mi disse, digitando sul suo telefonino.
Era così dolce.
Probabilmente lei vedeva in Roman qualcosa che io non ero ancora riuscita a captare.
Magari ci voleva del tempo, forse a Roman serviva tempo per dimostrarmi che poteva essere anche un bravo ragazzo.
Proprio in quel momento, lui ed Ashley entrarono in corridoio, stretti l’uno all’altro come una coppia appena sbocciata.
Non ce lo vedevo Roman fidanzato con qualcuno.
-Ci proverò, Shelley.- dissi alla ragazza, ridacchiando appena.- Noi siamo amiche, no?-
Lei annuì, sorridendo con un grugnito.
Fu quando mi alzai in punta di piedi per baciarle la guancia, che notai la sua pelle assumere una tonalità splendente di blu.
Probabilmente era successo anche la sera prima, solo che non ci avevo fatto caso.
Mentre mi avviai in classe e feci per sedermi accanto a Peter, Christina e le gemelle mi circondarono.
-Non ti sei dimenticata del ballo d’inverno, vero?- mi chiese lei.
-Il tema è anni ’50!- esclamò Alyssa, entusiasta.
In realtà sì, me ne ero dimenticata.
-Non ci sono scuse, oggi pomeriggio vieni al centro commerciale con noi!- continuò Alexa.
Erano insopportabili: ma preferivo darle spago che continuare a ritrovarmele intorno. -Ma certo, ci vediamo lì!-
Sedendomi accanto a lui, notai che Peter se la stava ridendo sotto i baffi.
-Perché non puoi staccargli la testa dopodomani? E’ la luna piena, giusto?- gli domandai, disperata.
-Lo sai che non posso uccidere gli umani, diventerei una specie di demone.- spiegò lui.
-Sono loro i demoni.- commentai, osservando Roman ed Ashley ad un banco più avanti.
Ashley sembrava letteralmente ossessionata da lui, come se le avesse fatto un incantesimo.
Avevo bisogno di parlargli e chiarire le cose, ma dopo quello che era successo a casa sua, non so se lui avrebbe accettato.
Durante la lezione, scrissi Scusa su un bigliettino e glielo lanciai sulla testa.
Lo vidi che lo apriva e lo leggeva, però non riuscii ad intravedere la sua faccia fin che non si voltò verso di me e mi fece un leggero sorriso.
Capii allora che era tutto a posto e ricambiai.
-Dove eri finita ieri sera, ti ho chiamato tre volte, ma era sempre staccato.- continuò Peter.
A Peter non stava tanto simpatico Roman, perciò non gli avevo detto che ero andata a casa.
-Sì, scusa, ho studiato spagnolo e poi mi sono addormentata.-
Lui alzò un sopracciglio.- Lo sai che riesco a percepire dal tuo odore che stai mentendo, vero?
Oh.
-D-Da quando sai farlo?- balbettai arrossendo.
-Da sempre. Dove sei stata?-
Non avevo scampo ormai.- A casa di Roman.-
Lui sgranò gli occhi.- Ma sei impazzita?!-
La sua reazione mi stupì.- Sei geloso, Peter Rumancek?- gli chiesi, rabbrividendo.
-No, insomma, voglio solo proteggerti, lo sai che ti voglio bene!-
Non era proprio la risposta che mi aspettavo, ma me la feci bastare.
-Sta tranquillo, lui è apposto, fidati di me.-
Avere un nuovo misterioso amico e un Peter geloso.
Due piccioni con una fava.
***
Nel pomeriggio, alla fine, fui costretta ad andare al centro commerciale insieme alle gemelle e Christina.
Volevo davvero comprare qualcosa di carino e magari finalmente delle scarpe decenti, perciò feci finta che quelle due oche irritabili non ci fossero.
Anche se era difficile, dato che furono loro a scegliere i vestiti per me.
Io e Christina impiegammo due minuti per tirare su quella maledetta zip.
Uscita dal camerino, Alyssa e Alexa mi guardarono con i brillantini negli occhi.
-E’ perfetto!- esclamarono all’unisono.
Mi andai a specchiare e, dovevo ammettere, era veramente bello.
Un vestito lungo, nero, quasi trasparente, con delle spalline leggere e alcune piume sulla fine della gonna.
-Siamo o non siamo le migliori stiliste della città?- si vantò Alyssa.
-Ti guarderanno tutti!- continuò Alexa.
Anche Christina mi sorrise.- Sei bellissima, forse farai finalmente colpo su Peter!-
Magari aveva ragione, magari era la mia occasione.
***
Quella stessa sera, invece che tornare a casa, mi fermai al fast food con Peter a cenare.
-Perché gli americani sanno fare così bene questi maledetti cheeseburger?- borbottò Peter, addentandolo.
-Perché sono americani.- commentai, mettendomi una patatina fritta in bocca.
Certe volte mi dimenticavo che provenivamo entrambi da antiche tribù di zingari, anche se, ormai, mi sentivo americana in tutti i sensi.
-Quando cala la sera, voglio andare sul luogo dell’omicidio.- continuò, abbassando il tono della voce.
-Perché?-
-I miei sensi sono più sviluppati quando arriva la luna piena: voglio esaminare il posto e vedere se è stato davvero un animale.- spiegò, leccandosi le dita.
L’aria era stata chiusa dai poliziotti: se ci avessero visti, saremmo finiti nei guai.
-Ho fatto un sogno strano, ieri notte.-
-Che bello sognare, vorrei farlo anche io: magari avere qualche visione ogni tanto.- commentai sospirando.
Di scatto lui mi afferrò la mano.- Ehi, non hai bisogno di essere una medium per essere figa.-
Ogni volta che mi toccava, sentivo i fuochi d’artificio nel cuore.
Mi misi timidamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio sorridendogli. -Okay, possiamo farlo, ma se ci beccano siamo morti.-
Lui alzò le spalle.- E allora non facciamoci beccare.-
***
Verso le undici di sera, quando ormai non c’era più nessuno per le strade e con delle scarpe adatte, superammo i nastri della polizia ed entrammo nel parco giochi.
Provavo una leggera adrenalina nel fare qualcosa di vietato.
Peter si accucciò dentro la casetta, dove ormai era rimasto solo sangue secco.
Iniziò a odorare e intinse un dito nel sangue secco, per poi portarselo alla lingua.
-Senti qualcosa?- gli domandai.
-E’ stato sicuramente un animale.- rispose, analizzando le tracce.- E sono quasi sicuro che si tratti di un Valgulf.-
Ora sì che mi sento al sicuro.
-Quindi vuol dire che c’è un altro lupo mannaro ad Hemlock Grove.- appurai.
-Sì, forse è stato morso o forse ha bevuto dall’orma di uno di noi.-
Feci una smorfia di disgusto.- Chi diamine berrebbe dalla terra?-
-Allora sono vere le voci che girano.-
Entrambi sobbalzammo all’indietro quando udimmo una voce alle nostre spalle.
Roman si mise le mani nel montgomery nero, mentre notai la sigaretta già mezza consumata tra le sue dita: era lì da un po'.
-Che cosa ci fai qui?- ringhiò Peter.
-Quello che fate voi: cerco di capire chi è stato.- rispose lui, gettando la cicca. -Quindi è vero che sei un lupo mannaro.-
Aveva sentito tutta la nostra conversazione, perciò era inutile negare.
-Per quanto mi riguarda, potresti essere anche stato tu.- continuò Peter.
Lui rise.- Non sono un licantropo e poi sono stato tutta la serata con lei.- spiegò Roman, indicandomi.
-Sì, ma lei era già morta da un po'.-
Quel botta e risposta iniziava a darmi fastidio.- Okay, adesso basta.- intervenni. -Ormai ci ha scoperti e tre menti sono meglio di due.-
Di certo Roman non era uno di quelli che faceva la spia.
E poi, chi gli avrebbe creduto?
Prima che uno dei due potesse dire la sua, un accecante luce arrivò dalla strada, una volante della polizia.
-Cazzo.-
Mi immaginavo già dietro le sbarre.
-Ci penso io.- affermò Roman, dirigendosi verso l’agente.
Io e Peter ci guardammo confusi: lo avrebbe forse corrotto?
Non estrasse il portafoglio, però.
-Ehi, amico, perché non te ne ritorni a casa?- disse Roman al poliziotto, fissandolo intensamente negli occhi.- Torna a casa, mangia e fai l’amore con tua moglie, okay?-
Detto questo, l’uomo salì in macchina e se ne andò, mentre Roman iniziò a perdere sangue dal naso.
Puntualmente tirò fuori un fazzoletto di seta, lo stesso che aveva dato a me e si asciugò il naso.
Ancora non capivo cosa significasse.
-Grazie.- gli disse Peter, molto confuso.- Adesso devo riportare Lily a casa.- continuò, prendendomi la mano come se mi volesse proteggere da qualcosa.
-Ho fatto un sogno.- intervenne Roman, prima che salissimo nell’auto di Lynda. -Ho sognato un serpente che si mangia la coda, un Uroboro.-
Peter aggrottò le sopracciglia, stranito.- L’ho sognato anche io…-
Due persone che fanno lo stesso sogno non può essere una coincidenza.
Roman si strinse nelle spalle.- Vorrà pur dire qualcosa.-
Peter non disse niente e mi accompagnò a casa.
Sulla soglia di casa, prima di entrare, mi prese il viso fra le mani.
-Promettimi una cosa, promettimi che dopo il ballo d’inverno non uscirai mai da sola di sera, va bene?- mi disse, guardandomi dritto negli occhi.
Non era mai successo.
-Te lo prometto.- affermai, sorridendogli appena.
Quando entrammo, notai che Destiny mi aveva aspettata alzata.
-Finalmente, ma dove siete stati?!-
-Ho una buona e una cattiva notizia.- esordì Peter, sedendosi al tavolo. -Credo che ci sia un Valgulf in città.-
Destiny sbuffò, mentre si riempiva un bicchiere di brandy.- Quegli idioti che credono di poter infrangere le regole senza pagarne le conseguenze.-
-Pensiamo che sia stato lui ad uccidere quella ragazza al parco giochi.- intervenni.
-O anche Roman Godfrey.- aggiunse Peter, facendomi alzare gli occhi al cielo.
Non poteva essere stato lui: c’erano delle coincidenze, sì, ma Roman non era quel tipo di mostro.
-Chi è Roman Godfrey?- domandò Destiny.
-Sono quasi certo che sia un Upir e la notizia buona è che non sa di esserlo.- spiegò Peter.
Non ne avevo mai sentito parlare.- Che cos’è un Upir?-
Dalla spiegazione di Peter, la mano di Destiny si era ghiacciata sul bicchiere, come se qualcosa la preoccupasse.
Alla mia domanda, i due si fulminarono con lo sguardo.
-Niente tesoro, non te ne deve interessare, ora andiamo tutti al letto, è stata una giornata pesante.- rispose Destiny, facendomi uno dei suoi sorrisi falsi.
Non era la prima volta che Destiny si comportava così: l’avevo vista assumere quell’atteggiamento anche tutte le volte che le chiedevo dei miei genitori.
Mi stava sicuramente nascondendo qualcosa.

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Capitolo 6
*** Upir ***


Dato che nessuno sembrava volermi dire che cosa fosse un Upir, decisi di cercarmelo da sola andando nella biblioteca della scuola.
Destiny aveva tantissimi libri, soprattutto sulla magia, ma dovevo sempre andarmeli a prendere di nascosto.
Lessi che un Upir era una specie rara di vampiro.
Non aveva canini, ma si nutriva di sangue.
In più, era capace di soggiogare chiunque volesse per fargli fare qualunque cosa.
Di solito, in ogni film e in qualsiasi libri, i vampiri e i licantropi erano nemici naturali.
Forse per questo Destiny e Peter non volevano dirmi niente.
In pochi giorni, Hemlock Grove era diventata la dimora di nuove misteriose creature.
Ero finita in Twilight.
Ma io ero Bella o una vittima qualsiasi?
In più, Peter insinuava che un Upir frequentasse la nostra stessa scuola.
Dovevo forse averne paura?
Dovevo forse pensare che, da un momento all’altro, qualcuno mi affondasse i suoi denti nel collo?
Il mio pensiero fu interrotto proprio da Peter che si sedette accanto a me.
Velocemente misi il libro nella cartella per non farglielo vedere.
-Ehi, che fai qui? Non ti ho mai vista in biblioteca.- mi domandò, stranito.
-Ripassavo spagnolo, sai che sono una capra.- mi inventai.- E tu che ci fai qui?-
Sorprendentemente, arrossì con un sorrisetto dolce.- Seguo una ragazza.-
Mi venne la pelle d’oca, cosa voleva dire?
-Una ragazza?-
-Una ragazza che potrebbe interessarmi.- spiegò meglio, dandomi una spintarella.
Io non sapevo proprio che dire: dentro di me sperai di essere io, ma non potevo esserne sicura.
Fortunatamente Roman interruppe la nostra conversazione, sedendosi davanti a noi.
Inizialmente, per qualche secondo, ci guardò solo.
-Posso vedere?- domandò poi.
Entrambi capimmo che si riferisse alla trasformazione di Peter: già dalla sera prima ne sembrava interessato.
-Va bene, ma se lo dici a qualcuno, vengo ad ucciderti.- borbottò Peter, digrignando i denti.
Lui si strinse nelle spalle.- Non ho nessuno a cui dirlo.-
A stare nello stesso spazio con loro, mi venne improvvisamente caldo.
C’era sicuramente rivalità tra i due, ma anche qualcosa di più.
***
Arrivò il giorno del ballo d’inverno.
Ero molto soddisfatta del mio vestito e anche delle mie scarpe, comode, non tanto alte.
Destiny mi aiutò a farmi il trucco e quindi notò il libro sul mio comodino.
-Sei testarda, proprio come tua madre.- commentò, sospirando.
Storsi la bocca, imbarazzata, mi ero dimenticata di nasconderlo.
-Ti prego, raccontami di più, sai che sono affascinata da queste cose.- replicai, unendo le mani.
-Cosa vuoi che ti dica? Sono vampiri, creature della notte e molto pericolose: devi promettermi che gli starai alla larga.- mi disse, aiutandomi ad arricciare i capelli.
A me veniva da ridere.- Perché mai dovrei provocare un Upir?-
Destiny si preoccupava fin troppo, tant’è che mi accompagnò lei a scuola.
Ormai era come una mamma per me.
All’entrata della palestra avevano messo un siparietto con tendine luccicanti d’oro, superate quelle, il posto era stato illuminato con una palla da discoteca, un palco dove suonava una band e sulla destra un tavolo pieno di cibo e ponch.
Dato gli ultimi avvenimenti, la metà della sala era circondata da alcuni poliziotti e anche Norman Godfrey, che sembrava stesse tenendo d’occhio sua figlia.
Tutti erano vestiti a tema, perfino Peter, che indosso aveva dei pantaloni a vita alta e una camicia bianca con una cravatta blu.
Mentre chiacchierava con Christina, mi notò e mi salutò con la mano.
Era stupendo.
Successivamente, però, il mio sguardo andò a posarsi su Roman davanti al tavolo del cibo, che stava bevendo dal suo bicchiere.
In dosso aveva uno smoking con un farfallino nero.
Sembrava che qualsiasi abito elegante fosse perfetto per lui.
Alzò in alto il bicchiere per salutarmi e mi avvicinai.
-Perché non ti sei messa questo vestito quando sei venuta a casa mia?- mi chiese subito.
-Perché non ce lo avevo.- risposi ridacchiando.- E poi non sarebbe stato troppo esagerato?-
-No, sei bellissima.- affermò, bevendo tutto d’un sorso.- Questo ponch fa schifo.- borbottò, tirando fuori dalla tasca interna una fiaschetta.
Non ne ero affatto sorpresa.- Sei proprio pieno di risorse.- commentai, osservando Ashley ballare sulla pista da ballo come una pazza.- A lei quanto ne hai dato?-
Roman fece un ghigno.- Un po': non regge l’alcool, la poverina.-
Glielo presi dalla mano e sorseggiai: mi andò giù per la gola, bruciando.- Cristo, ma cos’è?-
-Vodka liscia, la mia preferita, non offendere!-
Mi presi un salatino per cambiare sapore, quando vidi anche Letha con un vestitino corto luccicante: la sua pancia stava crescendo.
-Letha è ancora convinta che un angelo l’abbia messa incinta?-
-Secondo mio zio è stata stuprata, o comunque qualcuno l’ha drogata, facendole pensare questa sciocchezza.- spiegò, si vedeva che era contrariato.
Improvvisamente iniziò a farmi pena: dopo le cose che stavano succedendo in città, poteva essere possibile qualsiasi cosa.
Nello stesso momento, la band iniziò a suonare una canzone lenta e Peter mi venne in contro con il suo sorriso splendente.
-Posso chiedervi un ballo?- mi chiese, porgendomi la mano.
-Assolutamente sì.-
Potremmo ballare tutta la notte, se vuoi.
Andai sulla pista da ballo e mi avvinghiai a lui come un verme all’amo.
-Posso chiederti un parere?-
-Tutto quello che vuoi.-
Sotto sotto sperai che mi rivelasse chi fosse questa ragazza che gli interessava.
-Credi che Letha guarderebbe mai uno come me?-
Mi si gelarono sia le mani che i piedi, non riuscivo a muovermi.
Anzi, andavano da sole, non le controllavo più.
Solo per un secondo avevo creduto che fossi io.
Invece era lei.
Cercai di sembrare normale e di non andare nel panico.
-Non saprei: insomma, lei sembra così sofisticata e tu…-
Mi guardò accigliato.- Zingaro?-
Non sapevo nemmeno cosa stessi dicendo.- N-no, non intendevo che…-
Mi si allontanò subito.- Lascia stare, ho capito.-
Balbettai qualcosa, ma non riuscii a fermarlo.
Io e la mia stupida boccaccia.
Mi ritrovai da sola, sulla pista da ballo, con tutti che si divertivano, tranne me.
Scoppiai a piangere e scappai per il corridoio.
Mi sentivo una Cenerentola rifiutata dal suo principe.
Andai nel bagno delle donne per non essere vista, ma trovai Shelley.
-Scusami, non credevo fosse occupato.- singhiozzai, cercando di non farmi colare il trucco.
Lei digitò sul suo cellulare.- Stai bene?-
Mi specchiai e aggiustai i capelli.- Sono stata un’idiota, Shelley…A credere che lui potesse essere interessato a me.-
-Sarebbero tutti interessati a te.-
Quella frase mi fece sorridere.
-Allora non sai come sono fatti i ragazzi.-
-Un giorno troverai qualcuno che ti amerà per come sei.-
Tirai su col naso e presi una salviettina per asciugarmi il viso.- Grazie Shelley.- le dissi, abbracciandola.
Anche se lo avevo offeso senza volerlo, forse il mio ragionamento non era sbagliato: Letha non era adatta ad uno come Peter.
Gli avrebbe spezzato il cuore.
Perciò, avrei fatto passare la nottata, il giorno dopo avrei chiesto scusa a Peter e sarebbe tornato tutto come prima.
Con questa sicurezza, decisi di tornare a divertirmi alla festa.
Mentre attraversai il corridoio, sentii dei versi provenire dall’aula di spagnolo.
La porta era socchiusa, perciò non esitai a curiosare.
Mi parve un deja-vu.
Oltre al bagno delle ragazze, Roman ed Ashley avevano deciso di benedire anche l’aula di spagnolo, in particolare sulla cattedra.
Qualsiasi altra persona se ne sarebbe andata disgustata, ma io no e non so spiegare il perché.
Probabilmente per la stessa ragione per cui i ragazzi della mia età guardano i porno.
Ashley, seduta sulla scrivania, avvinghiò le gambe attorno al suo bacino dopo che Roman le ebbe alzato il vestito e aperto la zip dei pantaloni.
E mentre Ashley gli lasciava dei baci lungo il collo, Roman estrasse qualcosa dalla tasca.
Dovetti farmi leggermente in avanti per vedere cosa fosse: una lametta.
Iniziò a tremarmi la mano e me la misi sulla bocca per non dire niente.
Ma cosa stava facendo?
Ashley la notò e fece un ghigno divertito.- Sei proprio fuori di testa, Roman.-
In un attimo calarono tutte le mie certezze su di lui, ma solo per un attimo, perché non usò la lametta per ferire Ashley, ma per ferire se stesso.
Si fece un piccolo taglio sulla mano che prese subito a sanguinare.
Lo portò sulla sua spalla nuda e lo spalmò come burro sul pane, per poi leccarlo via.
Non seppi davvero interpretare cosa stessi vedendo: sapevo che Roman era ossessionato dal sesso, ma non fino a quel punto.
Mi voltai senza far rumore e continuai a camminare per il corridoio, più che confusa.
Poi, improvvisamente, un lampo di genio.
Pensai al sangue che scorreva e alla storia degli Upir.
Peter aveva detto che ce ne era uno a scuola, ma che non sapeva di esserlo.
Si sa, i vampiri sono attratti dal sangue.
Vengono sempre rappresentati affascinanti, sicuri di se e in grado di soggiogare le persone.
Proprio come Roman aveva fatto più volte: prima con i ragazzi di scuola, poi con il poliziotto e ci aveva provato perfino con me.
Ed ogni volta gli usciva il sangue dal naso, come se si fosse sforzato.
Mi rimbombò nella testa il fatto che Destiny avesse detto che fossero pericolosi, ma Roman non sembrava esserlo.
Se avesse voluto farmi del male, lo avrebbe già fatto e invece voleva semplicemente essere mio amico.
C’era solo un modo per capire se fosse pericoloso o no: chiederlo a lui.
Per riprendermi da quella scoperta, bevvi un bicchiere di ponch.
Poi, eccolo entrare in palestra, sistemandosi la camicia.
Venne proprio verso di me.
-Che dici se ce ne andiamo? Questa festa è un mortorio.- mi chiese, sospirando.
-Se ti faccio una domanda, prometti che sarai sincero?-
-Lo sapevi che ci può capire se siamo sinceri o no ascoltando il battito del nostro cuore?-
Peter me ne aveva parlato, perciò annuii.
Così, lui mi prese la mano e se la mise sul petto, all’altezza del cuore.- Chiedi pure.-
-Te lo chiederò una sola volta e mai più.- gli dissi, guardandolo negli occhi.- Hai ucciso quella ragazza?-
Si bagnò le labbra e ricambiò lo sguardo.- No.-
La sua bocca si mosse così lentamente che riuscii a vedere la sua lingua toccare il palato e, allo stesso tempo, il suo cuore battere piano.
Non stava mentendo.
Roman non era pericoloso.
Non con me, almeno.
Mi venne da sorridere.- Okay, dove andiamo?-
Lui mi prese la mano, accompagnandomi fuori.- Qualsiasi posto è meglio di qui.-
Non aveva tutti i torti.
Fuori, nel parcheggio, Roman aveva una bellissima auto d’epoca: tettuccio apribile, tre posti, di un rosso acceso.
-Oh mio Dio, ma è stupenda!- esclamai meravigliata.
-Ho scoperto che mia madre usava la limousine per controllare ovunque andassi. Quindi, mi sono comprato questo bel gioiellino.- spiegò, accendere il motore. -E fanculo mamma!-
Scoppiai a ridere e salii accanto a lui.
Era una bellissima sensazione, il vento sul volto e nessuno per strada.
Roman accese la radio e alzò il volume al massimo.
Non avevo mai provato una tale sensazione di libertà.
-Non appena mi diplomo, me ne vado da questa città di merda.- borbottò, aggiustandosi un ciuffo di capelli.
Era una frase che avevo sentito spesso, ma poi nessuno lo aveva mai fatto.
Però decisi di dargli corda.- E dove vuoi andare?-
-Hawaii: c’è sempre il sole, il mare, la vita costa poco e ci sono tante belle ragazze.- spiegò, fermandosi ad un semaforo.
-E mi lasci qui?- gli chiesi sarcasticamente.
A quel punto mi guardò.- Vieni con me.- rispose e sembrava anche serio.- Lily, vieni con me.- ripeté, stringendomi la mano e guardandomi negli occhi.
Era una proposta allettante: niente scuola, niente Letha, niente preoccupazioni, niente Valgulf, niente omicidi.
Ma significava anche niente Peter.
Ci pensai così a lungo che dimenticai di rispondere.
-Pensaci: cosa ci potrebbe dare questa città? Altra gente morta?-
Lily, ma che stai pensando?
Non potevo andarmene da lì.
-E’ che qui c’è tutta la mia vita…- sussurrai, abbassando lo sguardo.
-Lily, non puoi continuare a vivere come se fossi in un film. Le relazioni sono così complicate: anche se funzionasse tra te e Peter, non sei in una favola, non ci sarà un finale felice.- continuò, aggiustandosi continuamente i capelli come fosse un tic.
-Questo può valere per te, non per me! Io non sono innamorato di mia cugina!-
Certo che stasera hai davvero la bocca larga, Lily.
-Va a fanculo!- esclamò e con rabbia scese dalla macchina, in mezzo alla strada.
Fortunatamente non c’era nessuno.
Sospirai, maledicendomi da sola.
-Scusa, mi dispiace, torna in macchina!-
Con le mani tremanti, estrasse dalla tasca il pacchetto di sigarette e se ne accese una.- No, hai ragione.- borbottò, tornando in auto.
Tentò di accendersela, ma gli tremavano le dita.
Gliele accarezzai lentamente, per farlo calmare e poi gli accesi la sigaretta.
-I sentimenti fanno schifo e l’amore fa male, ecco il mio pensiero.-
Non aveva tutti i torti e mi limitai ad annuire.
-Siamo fottuti tutti e due.- commentò infine.
Quella frase fece ridere entrambi: non lo avevo mai visto ridere di gusto e in quel momento notai anche le sue fossette di espressione.
Lo rendevano quasi umano.
Solo allora mi resi conto che ero seduta vicino ad un Upir, però non ne avevo affatto paura.
-Ti accompagno a casa.- disse, premendo l’acceleratore.
-Forse è meglio: voglio farmi una bella dormita.-
La strada era deserta e l’unica cosa che si vedeva erano i fari della macchina.
Roman prese velocità, quando, qualche istante dopo, qualcuno attraversò la strada bruscamente.
Lui fu costretto ad inchiodare per non investirlo e io mi ressi allo sportellone.
-Cristo santo!-
Fortunatamente ne uscimmo tutti illesi, ma vidi l’uomo a terra.
Non esitammo a scendere dalla macchina per controllare che stesse bene.
Dalla sua puzza e dai vestiti, capii che si trattava di un barbone.
Aveva i capelli luridi e l’iride dell’occhio destro infiammato, molto rosso.
-Signore, sta bene?- gli domandai, aiutandolo ad alzarsi.
-Chiamo un’ambulanza.- intervenne Roman, componendo il numero.
Di scatto, egli mi si aggrappò al braccio, sgranando le palpebre.- L’ho visto! Quel mostro!-
Dalle sue parole dedussi che avesse visto il Valgulf.
-E ho visto te…Le tue visioni arriveranno.- bofonchiò, indicandomi col dito insanguinato. -E anche te…L’angelo.- continuò, questa volta riferendosi a Roman.- L’Uroboro! Dovete impedirlo!-
Io e Roman, in quell’istante, ci fulminammo con lo sguardo: quell’uomo non stava proprio delirando.

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Capitolo 7
*** The White Tower ***


Roman non conosceva ancora la mia vera natura, nè la sua, ma io ero convinta che quell’uomo fosse in realtà un medium come me.
O, beh, almeno come Destiny.
Era stato portato nel centro di riabilitazione di Norman Godfrey, costruito dietro la Torre Bianca.
Ma nessuno probabilmente avrebbe creduto alle sue parole.
L’indomani, mi svegliai con delle brutte notizie.
Era stato trovato il corpo di un’altra ragazza nel bosco, uccisa il pomeriggio prima.
Ai notiziari non avevano detto chi fosse stata a trovarla, ma la particolarità, era che questa volta, metà del corpo era scomparso.
Vedevo che Destiny era molto preoccupata.- Mi raccomando, non uscire mai da sola dopo il tramonto, chiaro?-
Sorrisi alla sua preoccupazione e le baciai la guancia.- Te lo prometto.-
Prima di andare a consegnare i giornali come ogni domenica mattina, decisi di approfondire ancora di più i miei studi sui medium.
Avevo ragione riguardo al barbone: tra i medium, i più potenti sono quelli che, fin dalla nascita, posseggono L’occhio.
Il potere di vedere qualsiasi futuro.
E spesso, tutto ciò, porta alla pazzia.
Non conoscevo le sorti di quell’uomo, ma immaginai che fosse già rinchiuso da qualche parte in un ospedale psichiatrico.
Misi la borsa a tracolla con i giornali e iniziai il mio turno mattutino: la casa dello sceriffo Sworn, il centro e così la Torre Bianca.
Era ancora splendida come l’ultima volta che l’avevo vista: i vetri erano stati puliti e la scritta Godfrey, sull’attico, brillava come al solito.
-Ciao Lily.-
Incrociai Norman davanti all’entrata, imbambolata a godermi lo spettacolo.
-Oh, salve signor Godfrey.- lo salutai sorridendo.
-Ammiri le piramidi egiziane?- mi chiese sarcasticamente.
-Sì, ho sempre desiderato entrarci dentro…Per scopi puramente accademici, ovviamente.-
Sì, ma volevo anche curiosare in giro: in pochi sapevano quello che succedeva lì dentro.
-Beh, io devo fare una visitina, perciò possiamo entrare insieme e ti faccio fare un giro.-
Mi brillarono letteralmente gli occhi dalla gioia. -Davvero? Sarebbe bellissimo!-
Lui sorrise per la mia ingenuità.- Vieni dentro.-
Lasciai la bicicletta legata ad un palo e seguii Norman, cercando di trattenermi.
Finalmente capii perché veniva chiamata la Torre Bianca: i pavimenti, i muri e i mobili erano interamente bianchi.
Sembrava di trovarsi in paradiso.
Norman mi condusse accanto alla reception, dove c’era un ascensore trasparente per viaggiare all’interno della torre.
Premette un pulsante e in men che non si dica, l’ascensore scese di qualche piano: lessi sullo schermo S5.
-Devo incontrare un grande pallone gonfiato, ci metterò un secondo.- mi disse Norman.
Passammo attraverso alcuni corridoi, ben sigillati, come se lì dentro ci fosse un gran segreto.
Da una porta ancora più blindata, uscì un uomo orientale, con un camice bianco e un paio di guanti gialli da lavoro.
-Lily, ti presento il dottor Johann Pryce: a mio malgrado manda avanti la baracca.-
L’uomo mi strinse la mano, un po' imbarazzato, come se non capisse cosa ci facessi lì.- Salve, non sapevo fosse giornata di visite.-
-E’ venuta con me, vuole diventare medico anche lei, le faccio fare un giro.- spiegò Norman.- Sono venuto a sapere che Olivia intende far partorire mia figlia qui: scordatelo Pryce.-
D’un tratto, Norman assunse uno sguardo autoritario.
-Sai bene quanto me che è molto difficile far cambiare idea ad Olivia.- replicò Pryce.
Avvertii una certa rivalità tra loro due: credo che non si sopportassero.
Norman fece un ghigno divertito.- Ci penso io.-
-Bene, se volete scusarmi…- continuò il dottore, rimettendosi i guanti.- E’ stato un piacere signorina Lily, ma devo rimettermi al lavoro.-
-Piacere mio.- replicai sorridendogli, anche se ero curiosissima di cosa ci fosse dietro quella porta.
-Vieni, ora arriva la parte divertente.- mi disse Norman, conducendomi di nuovo all’ascensore.
Questa volta, l’ascensore partì verso l’alto e capii subito dove stessimo andando.
Non riuscii a contenere la gioia.- L’attico?- chiesi, mordendomi le labbra.
-Esattamente.- affermò, quasi vantandosi.
Non appena le porte si aprirono, vidi un lungo corridoio, sempre interamente bianco, con un pavimento pulitissimo.
Come prima cosa, sulla destra, un ragazzo in abito elegante sulla trentina.
-Lui è Trevor, il mio assistente.-
Lo salutai con la mano e poi proseguimmo verso una porta a vetri.
-Il mio ufficio.-
Divenne tutto imbarazzante quando ci accorgemmo che il suo ufficio era occupato: Olivia scese dalla sua scrivania, chiudendo velocemente lo specchietto dove si stava guardando per aggiustarsi il rossetto.
-Oh, salve, non sapevo ci fossero visite.- balbettò, aggiustandosi il vestitino bianco sulle cosce.
Forse era meglio non chiedere cosa ci facesse lì.
-Come mai sei qui?- le domandò Norman.
-Volevo parlarti di Letha, magari, ehm…In privato.- rispose lei, squadrandomi dalla testa ai piedi.
Arrossì come un peperone.- C-certo, io tolgo il disturbo.- balbettai, voltandomi immediatamente per andarmene via.
Nello stesso momento, mi apparve davanti Roman in camicia bianca e pantaloni eleganti: era davvero raro non vederlo con abiti simili o comunque casual.
-Ciao Roman, già che ci sei, accompagna Lily fuori.- gli disse lo zio.
Roman alzò gli occhi al cielo.- Faccio anche il maggiordomo adesso.- borbottò, accompagnandomi all’ascensore.
Svanito l’imbarazzo, mi resi conto di esser davvero stata lì.- Questo posto è stupendo!-
-Se non ci lavori: io la chiamo la Merda Bianca. C’è talmente tanta roba che tengono segreta e nessuno vuole dirmi niente.- commentò, mentre l’ascensore scendeva. -Tutto questo fin che non avrò compiuto 18 anni: mio padre ha lasciato tutto a moi.-
Sgranai gli occhi, sorpresa.- Cioè il tra un anno tutto questo sarà tuo?!-
-A Gennaio, sono acquario.-
Io e Destiny avevamo studiato molto bene l’oroscopo.- Oh, ecco perché hai sempre la testa fra le nuvole.-
Lui arricciò il naso.- Non credo a queste cose.- borbottò, accendendosi una sigaretta.- Ho notato che hai visto anche la troia all’azione.-
-C-cosa?-
-Mia madre: era stesa sulla sua scrivania, vero?-
Io non volevo offendere nessuno, però, in effetti, mi era sembrava in atteggiamenti molto intimi.- Beh, praticamente sì…-
-E’ qualche anno che scopano insieme: lei crede che io non lo sappia, ma io lo so.-
Madri che scopano con i cognati, cugine messe incinte dagli angeli e sorelle deformi: cos’altro dovevo scoprire?
Ah, già, figlio vampiro.
A quel punto, mi passò la sigaretta.- Tieni, ci vuole qualche tiro per digerire tutto.-
Scoppiai a ridere e aspirai un po' di fumo: in realtà, avevo smesso l’anno prima, ma ormai Roman mi aveva fatto tornare il vizio.
In quello stesso momento, la volante dello sceriffo Sworn si fermò davanti al marciapiede.
-Proprio voi due stavo cercando.- affermò, scendendo dall’auto.
Sicuramente per quello che era successo la sera prima.
Lo sceriffo Swarn era un uomo cicciottello e paonazzo, che sotto al cappello da cowboy nascondeva la testa rasata.
Sua moglie era morta qualche anno prima, per questo cresceva le gemelle da solo.
-Come mai, quando in questa città succede qualcosa di strano, ci siete sempre voi due?-
Roman gettò via la cicca, grattandosi il mento: solo allora notai che aveva un piccolo cerotto sulla guancia sotto cui c’era una leggera chiazza di sangue. -Mi creda sceriffo, me lo chiedo anche io.-
-Quando potete voglio che passiate alla centrale per dare le vostre dichiarazioni.- continuò, salutandoci poi con un cenno del cappello.
-Sì, signore.- rispondemmo all’unisono.
Successivamente, presi la bici e mi avviai a casa di Peter: anche se non era ancora ben visibile, la luna piena si intravedeva nel cielo.
Da una parte ero contenta di rivedere Peter trasformarsi, ma dall’altra significava affrontarlo riguardo quello che era successo alla festa.
Non potevo perderlo.
Arrivati al lago sporco, lasciai la bici accanto alla macchina di Lynda e scendemmo verso la roulotte.
Quando entrammo, Lynda stava giusto preparando qualcosa da mangiare.
-Ciao Lynda, lui è Roman.- li presentai.
Roman le porse la mano, ma lei non la strinse: era normale che non si fidasse di lui.
-Credimi Lynda, terrò la bocca chiusa.- le disse Roman.
La donna prese delle birre dal frigo e dopo averle aperte, gliene porse una.- Se Lily e Peter si fidano di te, mi fido anche io.-
Non appena si entrava nella roulotte, c’era la cucina, a destra due divani in pelle marrone ed un tavolino, a sinistra, invece, il bagno e le due stanze da letto.
In quel momento, Peter uscì dal bagno bagnato e con l’asciugamano attorno alla vita.
-Ehi.- gli dissi, sorridendo appena.
-Ehi.-
-P-possiamo parlare di quello che è successo ieri sera? Sai che non pensavo quelle cose…- esordii, stringendomi nelle spalle.
Lui mi mise le mani sulle spalle, facendomi un sorriso incoraggiante.- Lo so, sta tranquilla, probabilmente avevi ragione.-
Istintivamente lo abbracciai, godendomi il suo profumo di pulito.- Ti voglio bene.-
-Anche io.- mi sussurrò, baciandomi la fronte.
Quando Peter si fu vestito, ci riunimmo tutti sul divano.
-Ho sognato di nuovo il serpente.- disse Roman, sorseggiando la birra.
-Anche io.- affermò Peter.
-E’ curioso che facciate gli stessi sogni.- commentai, accendendomi una sigaretta: sì, me le ero comprate.
Peter mi guardò male.- Tu non avevi smesso?-
Roman alzò un dito.- Colpa mia, temo.- intervenne ridacchiando appena.- Cosa intendeva ieri quell’uomo quando ha detto che le tue visioni arriveranno?-
Dato che ormai lo aveva sentito, potevo vuotare il sacco.- Di solito i poteri dei medium vengono col tempo, ma io per ora non ho avuto alcun tipo di premonizione.- risposi.- Per come ci ha parlato, penso che fosse un veggente ance lui. Ho notato subito l’occhio destro diverso dal sinistro: l’Occhio è un potere potente per i medium, ma ti fa anche andare fuori di testa.-
Roman finì la birra tutto d’un sorso.- Dobbiamo fermare questo mostro.-
-Prima dobbiamo capire se abbiamo veramente ragione, se è davvero un Valgurf.- intervenne Peter.- Stanotte andrò nel bosco e cercherò le sue tracce.-
A quel punto, Peter strinse i pugni, facendo una smorfia di dolore.
Guardai fuori: si era fatta sera.- Ci siamo?-
Peter annuì e posò la bottiglia, per poi dirigersi fuori.
Uscimmo fuori e lui si distanziò da noi di qualche metro, mentre passai un secchio a Roman.
-A che serve?-
-Io sono svenuta, tu potresti vomitare.-
La luna piena era alta in cielo: Peter prese un bel respiro e iniziò a togliersi i vestiti.
-Scommetto che questa è la parte che preferisci.- mi sussurrò Roman.
In realtà, sì.
Peter non si era mai vergognato.
Si sputò sui palmi delle mani e si mise i capelli all’indietro.
Di scatto, le costole gli si iniziarono a rompere.
Le dita delle mani si contorsero e dalle sue spalle iniziò ad apparire un folto pelo nero.
La bocca gli si dilatò così tanto da uscirne un muso animale, compreso di bava e denti appuntiti.
Peter perse la sua pelle da umano e assunse quella di un lupo, divenendolo a tutti gli effetti.
Notai Roman con il corpo fermo e gli occhi spalancati: quasi la stessa mia reazione.
In qualche minuto, ci ritrovammo davanti a noi un lupo nero, con gli occhi dorati.
Mi avvicinai lentamente e mi piegai su di lui per accarezzarlo: era bellissimo.
Roman alzò un sopracciglio.- Mi state prendendo per il culo?-

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Capitolo 8
*** Put those guts in that fucking jar! ***


Anche Roman era rimasto abbastanza sorpreso dalla trasformazione di Peter, ma l’aveva presa piuttosto bene.
Dopo aver mangiato qualcosa, io e Roman ci addormentammo nella stanza di Peter.
Ammetto che dormire accanto ad un vampiro non era la prima tra la mia lista di cose da fare: però, ogni tanto, aprivo un occhio per controllarlo e lui dormiva profondamente.
Sì, questo tipo di vampiro dorme e non gli dà neanche fastidio la luce del sole.
Credo che non si potessero nemmeno chiamare vampiri.
Ero solita muovermi molto mentre dormivo, di fatti, non furono i raggi del sole a svegliarmi, ma sentire il rumore di un cuore che batteva.
Quando aprii gli occhi, mi ritrovai con la testa sul petto di Roman.
Sapere che era un vampiro con il cuore che batteva era strano, ma non impossibile, dato che avevo letto degli unici modi per uccidere un Upir: togliergli il cuore, bruciarlo o infilzandolo con un paletto di legno.
Oltretutto, un proiettile d’argento bastava a metterlo fuori gioco.
Eppure, io, in Roman, non ci vedevo niente di pericoloso.
Sembrava un bambino mentre dormiva.
Guardai fuori dalla finestra e vidi il lupo nero tornare verso la roulotte, così la svegliai, scuotendolo appena.- Ehi, è tornato Peter.-
Si stropicciò gli occhi e nel frattempo presi i vestiti di Peter per metterglieli a terra.
-L’ho visto!- esclamò come prima cosa.
-Davvero?-
-E’ Vargulf come pensavamo.-
-Allora qualcuno deve fermarlo.- affermò Roman.
Io e Peter ci fulminammo con lo sguardo, carpendo che Roman era abbastanza sicuro di farlo.
-D’accordo, ma non possiamo farlo fin che non sappiamo qual è la sua forma umana.- continuò Peter.- Forse c’è un modo: possiamo vedere i suoi ricordi.-
Non appena Peter disse quella frase, mi venne subito mal di stomaco: sapevo benissimo come poterlo fare e serviva un medium.
-Ti prego no.- bofonchiai schifata.
Roman alzò le sopracciglia.- Potete rendermi partecipe?-
-E’ un rito che può fare solo un medium: consiste nel…Ehm…Cibarsi degli organi della persona e così si può vedere nella sua mente cosa è accaduto prima che morisse.- spiegai, ma Roman non sembrava affatto schifato.
-Peccato che hanno già fatto il funerale.-
-Allora riesumeremo il corpo.- affermò Peter.- Procuratevi un pala: lo faremo, stanotte.-
***
Peter e Roman erano molto decisi a fermare il Vargulf: improvvisamente mi ritrovai in un film d’azione, dove si devono fare le cose illegali per salvare il mondo e non mi dispiaceva.
Finalmente servivo a qualcosa e l’idea che fossi la terza in un trio di licantropo e vampiro, mi eccitava.
Tuttavia, quel giorno, andammo a scuola e ci comportammo normalmente.
Durante la lezione di storia, riflettei sulla vera natura di Roman.
La proiezione di un video sulla guerra faceva sì che nessuno si accorgesse che in realtà non ero attenta.
Iniziai a credere che Roman non volesse fare del male a nessuno, per questo usava la lametta su se stesso e non sugli altri.
Allora non utilizzava le ragazze per andarci al letto, ma per saziare i suoi gusti sessuali.
Malati, aggiungerei.
Povero Roman.
Non sapere il perché sei così attratto dal sangue.
Pensare a Roman, mi faceva anche pensare a Shelley.
Chissà che cosa le era successo.
Ma non mi importava, lei era così dolce e gentile.
Ah, mia cara Shelley, quelle come te ci rimangono sempre fregate.
In quel momento mi guardai intorno e mi accorsi che Christina non c’era.
Mi allungai al banco davanti, dove c’era Alyssa.- Ehi, dov’è Christina?- le sussurrai.
Lei si girò verso di me.- Non lo hai saputo?-
-Saputo cosa?-
-E’ stata lei a trovare il secondo cadavere…-
-Beh, mezzo cadavere.- aggiunsi la sorella.
Santo cielo, doveva essere sconvolta.
Un motivo in più per trovare e uccidere quella bestia.
***
Non appena si fece sera, vestiti come tre ladri che stavano per rapinare una banca, io, Peter e Roman entrammo nel cimitero.
Sulla lapide lessi Melanie Martinez.
Un’altra ragazza popolare alla quale non avevo mai rivolto la parola.
Di certo questo Vargulf aveva ottimo gusto.
Roman si mise a scavare, Peter gli tenne una torcia puntata per fare luce e io controllai che non arrivasse nessuno.
Dalla posizione della tomba, notai che non ero tanto lontano da quella dei miei genitori.
Erano ancora là.
Marienne e James Dimitri.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta che avevo pronunciato, anche solo nella mia mente, i loro nomi.
Fu allora che vidi arrivare una volante della polizia.
-Cazzo!-
Corsi dai due e li spinsi dentro la fossa, abbastanza profonda da nasconderci tutti.
-Che cazzo fai?!-
-Sssh!- esclamai, tappando la bocca di Roman.
Sentimmo i passi del poliziotto e cercammo di stare tutti in silenzio.
Riuscii a vedere la luce della sua torcia e mantenni il sangue freddo.
Fortunatamente, poco dopo se ne andò.
-Mi dispiace, non dovevo coinvolgerti in tutto questo.- commentò Peter, sospirando.
Gli sorrisi dolcemente.- Sta tranquillo, andrà tutto bene.-
Era così dolce nel preoccuparsi di me: percepii un briciolo di speranza, un piccolo spicchio in cui magari lo avrebbe potuto considerarmi più che un’amica.
-Mi togli la mano dalla faccia?- bofonchiò Roman.
-Oh, merda, scusa.-
-Ci siamo, ragazzi.- continuò Peter, togliendo l’ultima terra che era rimasta da una bara bianca.
Quando l’aprì, potemmo vedere il suo corpo.
Il suo ventre era maciullato, la sua pelle bianca e gli occhi fissi nel vuoto, senza le pupille.
Io e Roman ci coprimmo il naso per la puzza, era disgustosa.
Con un gesto secco, dopo aver estratto un coltello, Peter le fece un taglio sul petto e l’aprì.
Alzai gli occhi al cielo per non guardare quello scempio.
-Scusa.- le disse Peter, inserendo il suo stomaco dentro un barattolo di vetro.
La parte più disgustosa era fatta, adesso toccava a Destiny.

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Capitolo 9
*** I didn’t make you like a Blak Eyed Peas girl ***


 
Infilai la chiave nella serratura e tutti e tre entrammo in casa, con Destiny che ci stava aspettando.
La prima cosa che fece, fu fulminare Roman con lo sguardo: gli Upir le stavano davvero antipatici.
-Tu devi essere la medium.- esordì Roman.
Destiny poteva apparire esternamente come una donna sui quarant’anni, capelli neri e ondulati, con uno sguardo sempre attento.
Di fatti, non rispose e gli afferrò subito la mano per leggerla.
-Non ti preoccupare, so che il mio futuro fa schifo.- commentò lui, alzando le spalle.
Destiny lo guardò dritto negli occhi.- Tu non hai idea di cosa sei.- sussurrò: in un attimo, aveva capito che era lui l’Upir. -L’hai portato?- domandò poi a Peter.
Lui annuì e posò il barattolo sul tavolo.
Dalle piantine che Destiny teneva sul davanzale, prese un piccolo bruco e lo inserì nel barattolo.- Ci vorrà un po': fatevi una doccia, puzzate di merda.-
Fortunatamente avevamo due bagni, ma prima che potessi fare un passo, Destiny mi afferrò il braccio, allontanandomi dagli altri due.
Sapevo benissimo cosa volesse dirmi.
-Vi tengo d’occhio.- borbottò, assottigliando gli occhi.
-Destiny, te lo giuro, è del tutto innocuo: se volesse farmi del male, lo avrebbe già fatto e poi non ha idea di essere un vampiro.- replicai, sicura del mio pensiero.
-D’accordo, ma stai attenta.- sospirò lei.
-Te lo prometto.- aggiunsi, baciandole la guancia.
Lei mi scansò schifata.- Vattene, puzzi!-
Scoppiai a ridere e finalmente mi feci una doccia nel bagno della mia stanza, lavandomi via di dosso la terra.
Strizzai i capelli e mi misi un asciugamano intorno al corpo, quando sentii dei passi nella camera.
Roman stava curiosando tra i miei cd, mentre io ero praticamente nuda, come se niente fosse.
-Non ti facevo una tipa da Black Eyed Peas.- commentò.
-P-potresti uscire?! Sono nuda!- balbettai arrossendo.
Lui mi guardò alzando le spalle.- Niente che non abbia già visto.-
Potevo provarci quanto volevo, ma Roman Godfrey non avrebbe mai fatto quello che gli dicevi.- Va bene, m-ma resta girato.-
Lui rimase di spalle, toccando qualsiasi cosa ci fosse sulla scrivania.
Mi vestii in fretta, mettendomi qualcosa di comodo e facendo la coda ai capelli.
Era una situazione davvero imbarazzante.
Mentre indossavo il reggiseno, lo vidi curiosare.
-Ho detto non guardare!- esclamai, diventando paonazza.
Lui ridacchiò divertito.- Allora hai davvero una terza.-
Mi veniva da ridere anche a me, ma non lo feci per non dargliela vinta.- Sei un’idiota.-
Verso l’ora di pranzo, Destiny aprì il barattolo ed estrasse l’insetto: si era ingrandito.
-E adesso?- chiese Roman, ignaro di tutto.
Preferivo non rispondere.
Destiny prese il bruco e lo ingoiò, per poi sedersi su una sedia.
Chiuse gli occhi e abbassò la testa.
Improvvisamente, il suo corpo prese a tremare come in un terremoto.
Peter si inginocchiò davanti a lei e le afferrò i polsi.
Di scatto, alzò la testa e notai che i suoi occhi erano completamente neri.
-No! Lasciami stare! No!- gridò piagnucolando, come posseduta. -Lei è qui, mi ucciderà!-
Successivamente, strinse gli occhi e rigettò sul pavimento, perfino il verme.
Ero abituata a vedere quelle cose, le sue sedute spiritiche finivano sempre così.
-Non è stato male.- commentò, pulendosi il mento.
-Hai detto Lei.- osservò Peter.
-Quindi è una donna.- affermò anche Roman.
Questo ristringeva il campo, ma non ci aveva fatto sapere molto.
***
Per quello che era successo a Melanie, lo sceriffo Swarn aveva emanato un coprifuoco.
Non si poteva uscire di casa dopo il tramonto e la notizia trapelò a scuola.
Sentii l’annuncio tramite gli altoparlanti, mentre prendevo i libri dall’armadietto.
In quel momento, notai Letha e suo padre parlare.
Discutevano ancora sul dove farla partorire: pareva che Olivia l’avesse convinta a ricoverarsi alla Torre Bianca e non in un normale ospedale.
Olivia non mi sembrava tanto una persona che tenesse a certe cose, se non a se stessa ovviamente, perciò non capivo dove fosse il tranello.
Letha si avviò in classe e Norman mi salutò, avvicinandosi.
-Insiste ancora che sia stato un angelo.- esordì, estraendo una fiaschetta simile a quella di Roman.
Quando mi ci misi a pensare, osservai che Norman aveva molti tratti che lo facevano somigliare a Roman.
Le espressioni, il sorriso e gli occhi azzurri.
Olivia non assomigliava per niente a Roman.
Prese un sorso dalla fiaschetta e mi sorrise imbarazzato.- Scusa,  un po' di vodka liscia serve ad affrontare la giornata.-
-Credo che sia meglio così: insomma, è meglio pensare di esser stati benedetti da un angelo che, magari, sapere che ti sia successo qualcosa di terribile.- commentai.
Lui mi mise una mano sulla spalla.- Sei molto saggia Lily: ce ne servono di come te.-
Mi avviai quindi nella classe di scienze: Roman, che di solito arrivava prima di me, questa volta non c’era.
Non lo vidi per tutta la giornata, non rispondeva nemmeno ai miei messaggi.
E nemmeno il giorno dopo venne a scuola.
Iniziai un po' a preoccuparmi.
Niente telefonate, niente messaggi, non era da lui.
Non seppi il perché mi allarmai così tanto, forse ci tenevo davvero a lui, dopotutto eravamo diventati amici ormai.
Andai perfino alla Torre Bianca per chiedere sue notizie, ma Trevor non seppe dirmi nulla.
L’ultima spiaggia fu andare alla villa dei Godfrey.
La sua auto d’epoca era ancora parcheggiata nel vialetto, perciò esclusi che fosse scappato.
Quando bussai alla porta, ad aprirmi fu Olivia, splendente come sempre.
-Ciao Lily.- mi disse con un sorriso malinconico.
-Salve signora Godfrey, Roman è in casa?-
Il suo sorriso scomparve.- Oh, tesoro, non lo hai saputo?-
D’improvviso, la prima cosa che mi balenò nella mente era che il Vargulf lo avesse preso.
-Vieni, entra.-
Olivia mi condusse su per le scale, fino alla camera di Shelley.
Sdraiato su un letto d’ospedale, con vari fili collegati al corpo, c’era Roman, addormentato.
-Che cosa gli è successo?!- domandai scioccata.
Il suo corpo era immobile e i suoi occhi serrati, ma le macchine mi dicevano che era ancora vivo.
-Pryce lo ha trovato che vagava nei suoi laboratori: si comportava in modo strano, come se fosse sotto l’effetto di qualche droga.- spiegò Olivia.
Impossibile, Roman non si drogava.
-Pryce ha dovuto dargli un sedativo e da quel momento non si è più svegliato.-
-E’ impossibile, Roman non ha mai assunto droghe.-
-Eppure nel suo sangue hanno trovato un alto tasso di cocaina.- continuò lei, poggiandomi una mano sulla spalla.- Lo so che è difficile da capire, ma Roman è sempre stato un ragazzo ribelle: tu non lo conosci come lo conosco io.-
In verità, Olivia mi dava l’impressione di non conoscerlo affatto.
-Pregherò perché si risvegli.- disse infine, prima di guardarsi l’orologio al polso.- Oh, è il momento della mia pillola.-
Se davvero i test dicevano che Roman si drogava, doveva per forza esserci della cocaina in camera sua.
Entrai lì e iniziai a cercare: sotto il cuscino, sotto il letto, in tutti i cassetti.
Fin che, sulla scrivania, non trovai uno scrigno argentato: al suo interno, c’era un pacchetto di sigarette mezzo vuoto e, mio malgrado, una bustina di cocaina.
-Cazzo, Roman…!-
La prima cosa che mi venne in mente di fare fu gettare tutto nel water: non riuscivo a concepire il perché si drogasse, ne riuscivo a vederlo ridotto in quel modo.
Decisi quindi di andarmene.
Dirigendomi verso le scale, osservai Olivia nella sua stanza: teneva in mano una fialetta trasparente con del liquido all’interno.
Alzò la testa e se lo inserì nell’occhio.
La sua espressione subito dopo, mi fece capire che suo figlio non era l’unico ad assumere droghe.

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Capitolo 10
*** True love kiss ***


Le giornate passavano: sapevo di dover andare alla centrale di polizia per lasciare la mia deposizione, ma non ero proprio dell’umore.
Soprattutto dopo che ebbi saputo che l’uomo che avevano quasi investito, che si era rivelato esser un certo signor Pullman, si era suicidato nella sua stanza d’ospedale, con una siringa nel cervello.
Avevo ragione, L’occhio ti porta alla pazzia.
Certe volte avrei voluto solo assaggiare cosa significasse essere un medium e invece, niente.
Non facevo che pensare a Roman; nemmeno la compagnia di Peter mi distraeva.
Anche se non poteva sentirmi, decisi di fare una di quelle cose stupide che si fanno nei film drammatici, quando uno dei due si ammala o è sul punto di morte.
Presi alcuni cd dalla mia collezione che a Roman sarebbero di sicuro piaciuti.
Entrata in camera di Shelley, la trovai alla scrivania, con uno sguardo triste.
-Ehi, tesoro, come stai?- le chiesi, abbracciandola.
-Rivoglio indietro mio fratello.- rispose, abbassando lo sguardo.
-Anche io.- ripetei, strofinandole la schiena. -Ho portato un po' di cd, magari gli piacciono.-
Lei mi sorrise e mi indicò lo stereo.
-Gli serve un amica come te.-
Sorrisi di rimando.- Grazie Shelley.-
-Vi lascio soli.- disse infine, chiudendosi la porta alle spalle.
Lasciai che la musica lenta scorresse per la stanza e presi una sedia per mettermi davanti al letto.
Mi faceva strano vederlo così pacato e tranquillo, senza che commentasse su niente.
Non ti starai prendendo una cotta anche per lui, vero, Lily?
Forse per questo mi preoccupavo tanto.
Gli presi la mano, era gelida. -Sei davvero un’idiota.-
Fu allora che collegai certe cose: Roman non mi aveva parlato delle sue dipendenze.
Di solito le droghe ci fanno sentire appagati, soddisfatti.
Ma perché lui avrebbe avuto bisogno di assumerle?
Poteva avere tutto ciò che voleva.
E se era un Upir, una creatura attratta dal sangue degli altri, perché fare del male a se stesso?
Gli strinsi la mano e lo guardai.- Dio…- bofonchiai, osservando la piccola cicatrice del taglio che aveva sulla guancia.- Tu non ti drogavi perché ti piaceva…Ma per far del male a te stesso.-
Ecco perché il tagliarsi da solo.
Roman Godfrey, il narcisista Roman Godfrey, non era un narcisista, anzi, odiava se stesso più di qualsiasi altra cosa.
Gli accarezzai la guancia e mi morsi un labbro, capendo improvvisamente di tenerci davvero tanto, forse troppo.
Aveva solo bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, per questo prendeva così sul serio la causa del Vargulf.
Lui era proprio come me, in cerca di uno scopo.
Mi venne d’un tratto da piangere, mentre guardai il suo viso pallido.- Se ti svegli, ti prometto che sarò la migliore amica che tu abbia mai avuto.-
Mi asciugai una lacrima e senza pensarci gli lasciai un bacio sulle labbra.
Erano così morbidi, fredde e immobili.
Gli rimboccai le coperte e decisi di tornare a casa, non potevo fare molto per lui.
Però, d’un tratto, prima che potessi spegnere lo stereo, mi sentii strana.
Non riuscivo a respirare.
Inizialmente crebbi che fosse un attacco di panico.
Le gambe mi tremarono, non riuscivo a stare in piedi e caddi.
Cercai di parlare, ma mi uscivano solo deboli suoni.
Poi, la vista mi si annebbiò, però solo per qualche secondo.
Fu come entrare in un mondo parallelo: sentivo il legno freddo sulla guancia, però mi parve anche di volare.
Subito dopo, nella mia mente, apparvero una sfilza di immagini.
Un lungo serpente viscido e squamoso, che si cibava della sua stessa coda.
I suoi occhi erano penetranti e, d’un tratto, si trasformarono in quelli di un lupo bianco, dorati, come quelli di Peter.
Successivamente, mi ritrovai stesa sul pavimento, di nuovo nella stessa stanza.
Ripresi fiato e lentamente mi alzai.
L’Uroboro, il serpente che sia Roman che Peter avevano sognato.
Non era stato un sogno, ero sveglia.
Era stata una visione.
Non ci credevo: la mia prima visione.
Ero contentissima e la prima cosa che feci, fu correre a casa per dirlo a Destiny.
-Destiny! Non ci crederai mai! Ho avuto la mia prima visione!- esclamai, saltellando sul posto.
Lei, invece, non sembrava altrettanto felice.- Cosa?-
-Ho avuto una visione, mi sono accasciata sul pavimento, come succede a te, con la bava, le immagini e tutto il resto!- spiegai, anche se non la vedevo sorridere.- Perché non sei contenta?-
Più che contenta, appariva preoccupata.- Certo che sono contenta tesoro.- mi disse, accarezzandomi la guancia.- Ora scusami, tra poco ho un cliente.-
Credevo che anche lei avrebbe fatto i salti di gioia come me e invece nulla.
C’era qualcosa che mi stava nascondendo.
***
Il giorno dopo, da brava amica, decisi di andare a trovare Christina.
Sapere che fosse stata lei a trovare quel corpo maciullato mi fece stare in pena.
I genitori avevano deciso di tenerla dentro la clinica di Norman, fin che non si fosse psicologicamente ripresa.
Aveva per se una piccola stanza tutta bianca, con un letto e un tavolino.
-Ehi, le gemelle malvagie mi hanno detto tutto.- esordii, sedendomi accanto a lei.
Non stava per niente bene: sembrava aver pianto molto, era pallida e la cosa più strana, era una ciocca di capelli che le era diventata tutta bianca.
Però non mi andava di parlarne, per non tubarla ulteriormente.
-Fanno sempre la spia, quelle stronze.- commentò lei, acidamente: non l’avevo mai sentita parlare di loro così.
-Vuoi raccontarmi che è successo?-
 Si portò le gambe al petto e fissò il vuoto.- Ero andata a fare una passeggiata nel bosco, di giorno. L’ho vista quasi subito, appoggiata a quel ramo d’albero. Sembrava finta, fatta di plastica o, che so, un manichino. Ho pensato fosse uno scherzo, che qualcuno ce l’avesse con me e quindi volevo smascherarli.-
Mi fece venire i brividi.
-Mi sono avvicinata e l’ho baciata.- balbettò, disgustata. -Poi ho sentito la puzza e ho capito che non era finta.- piagnucolò.
Sospirai e l’abbracciai per farla smettere di piangere.- Oh, Christina, mi dispiace tanto.-
Nello stesso momento, Norman entrò col camice bianco e un vassoio.- Christina, è ora delle medicine.- disse, per poi accorgersi di me.- Ciao Lily, non sapevo fosse qui.-
-Sono venuta a visitare un’amica.- risposi, mentre lei si asciugò il viso per non far vedere che stesse piangendo.
-A proposito di questo: se non ti spiace, vorrei parlare un attimo con te.- continuò Norman, lasciando a Christina le sue pastiglie.
La salutai con la mano e proseguii con Norman verso un ufficio deserto, probabilmente quello dove si riunivano tutti i dottori, dove c’era anche un distributore per il caffè.
-Hai saputo di Roman?- mi chiese inizialmente.
-Sì…Gli faccio visita spesso e spero che si risvegli.- risposi, torturandomi le mani per l’ansia.
-Se sua madre non l’avesse viziato così tanto, non si sarebbe mai dato alla droga.- commentò, mischiando lo zucchero nel bicchierino col caffè.
Roman era abbastanza sicuro che Norman ed Olivia andassero al letto insieme: chissà perché allora ne parlava così tanto male alle sue spalle.
Mentre uscivamo fuori, osservai i suoi movimenti: somigliava a Roman più di quanto pensassi.
Il modo in cui teneva il bicchiere, si accendeva la sigaretta e i suoi affascinanti occhi azzurri.
Non sentivo minimamente quello che stesse dicendo, perché dentro di me mi salì un dubbio.
Non è che ero finita in una di quelle telenovele in cui la madre piena di segreti non rivela a suo figlio chi sia il vero padre?
Quello che egli crede di essere suo padre è morto, perciò lui non saprà mai la verità.
Non potevo di certo chiederlo a Norman, né tantomeno ad Olivia.
C’era un unico modo: il test del DNA.
Un capello, un’impronta, qualsiasi cosa per colmare quel mio dubbio.
-…So solo che questa città sta diventando pericolosa: ragazzine che muoiono, pazzi che si suicidano.-
-Intende Pullman?- domandai, incuriosita.
-Non credo che fosse completamente pazzo: diceva di aver visto qualcosa, nei boschi…Che forse è la creatura che tutti stanno cercando.- rispose lui, schiacciando la sigaretta.- Mi raccomando, non uscire mai dopo il tramonto.-
Gli feci un piccolo sorriso.- Certo, signore.-
Mi diede una pacca sulla spalla e tornò dentro, gettando il bicchiere nel cestino.
Non appena si fu allontanato abbastanza, lo presi e lo portai con me.
Avevo assoluto bisogno di sapere.

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Capitolo 11
*** He smells like heaven ***


Lo stesso giorno, andai a casa dei Godfrey: mi serviva un pezzetto di Roman, come un capello o qualsiasi altra cosa.
Ad aprirmi fu il maggiordomo e così appurai che Olivia non c’era.
Percorsi la scalinata ed entrai nella camera di Shelley, dove lui riposava ancora dentro quel letto, col suo pigiama a righe di seta.
-Non ci crederai mai, ho avuto una visione finalmente!- gli dissi, mordendomi un labbro. Non sapevo perché parlavo con lui: quel silenzio, probabilmente, mi uccideva. -Chissà se puoi sentirmi.-
Presi quindi un fazzoletto dalla scrivania di Shelley, gli strappai un capello e lo misi all’interno.
In quello stesso momento, entrò proprio lei.
-Ciao Shelley, come stai?- le domandai, abbracciandola.
Mi sorrise e digitò sul suo telefonino.- Ieri notte ha parlato.-
Alzai le sopracciglia sorpresa.- Davvero?-
Annuì con un ghigno divertito.- Ha sussurrato il tuo nome.-
Probabilmente non era stato niente di che: forse dormiva tanto profondamente da sognare e si sa che sogniamo ciò che ci accade durante la giornata.
-Vi lascio soli.- le dissi, dandole una pacca sulla spalla.
No, in realtà non volevo andarmene.
Soprattutto dopo aver saputo quella cosa.
Entrai in camera sua e chiusi la porta per restare da sola, fuori da tutto il resto.
Olivia aveva messo tutto in ordine, per far apparire suo figlio perfetto.
Però, come ogni altro adolescente, non lo era.
Mi sedetti alla scrivania e la prima cosa che trovai, fu un blocco da disegno.
Avevo già notato i suoi disegni, lo faceva davvero bene.
Sfogliandolo, vidi di nuovo il ritratto del serpente, di un lupo e poi, il mio.
Era incredibile come i tratti coincidessero alla realtà.
Decisi di strapparlo e tenermelo nella tasca.
Aprii l’armadio: avevo proprio ragione, non aveva niente che non fosse elegante.
Una dozzina di camicie di tutti i colori, jeans, pantaloni eleganti e due montgomery.
Aveva tutto il suo odore.
Non so dire di cosa sapesse, percepii solo varie sensazioni, varie emozioni.
Me ne portai una bianca al naso: paradiso e inferno allo stesso tempo.
Bello e dannato, come ogni ragazza sognerebbe.
In un attimo, non seppi come, mi ritrovai stesa sul letto, con solo addosso le mutandine e quella camicia.
Il soffitto era colorato di azzurro e in pochi secondi diventai un tutt’uno con quell’odore.
In quell’istante, sentii qualcosa di duro nel cuscino.
Non sotto, proprio all’interno della federa.
Ci misi la mano dentro e trovai una piccola lametta.
Gliel’avevo già vista al ballo d’inverno, usarla su se stesso.
Non avevo mai assaggiato il sangue, né sapevo cosa si provasse.
Chissà cosa ci trovavano gli Upir, ma farmi un piccolo taglio sulla mano e portarmelo poi in bocca, mi fece sentire un po' più vicino a Roman.
Aveva un sapore ferroso, a tratti acre.
Lo feci viaggiare per tutta la bocca, continuando a fissare il soffitto, fino a leccarmi il dorso della mano come fa un gatto per pulirsi la faccia.
Forse stavo impazzendo.
C’era qualcosa di adrenalinico, una qualche sostanza stupefacente nel mio sangue, senza che io lo sapessi?
In quel momento, il colore azzurro del soffitto si trasformò in due pupille ipnotizzanti.
Cominciò ad apparire davanti a me un viso perfetto, con un paio di labbra a cuoricino.
Dalla sua bocca uscì una lingua rosa che andò a leccarmi le bocca, tutta intorno, prima al labbro inferiore e poi a quello inferiore.
Le stesse andarono a finire sul mio collo, lasciandoci baci che mi fecero rabbrividire.
I miei occhi si chiusero spontaneamente, ma sentii le sue dita sbottonarmi la camicia e baciarmi il ventre.
Tutto ciò mi mandò in estasi, facendomi ansimare come mai prima d’ora.
Le sue mani grandi mi spinsero ad alzare il bacino per togliere gli slip.
Mi aprì le cosce delicatamente e sapevo già come sarebbe andata a finire.
Mi venne la pelle d’oca non appena percepii la sua lunga lingua dentro di me.
Feci un leggero balzo all’indietro, continuando a fare versi alti, non mi importava, era bellissimo.
Le sue unghie che mi graffiavano la pelle fu l’ultima cosa che ricordai.
Ad un certo punto, aprii gli occhi: il sole stava tramontando e con me, nella stanza, non c’era nessuno.
Solo io, la camicia slacciata e le mie mani dentro le mutande.
Proprio tipico di me.
Avevo dormito per tutto il tempo.
Strofinai gli occhi e feci per alzarmi, quando notai una presenza accanto a me.
-Una persona si impegna per mettere tutto in ordine e puntualmente c’è qualcuno che combina casini.-
Feci un salto all’indietro quando vidi Olivia, seduta sul letto.
Non ero proprio sola: sperai solo che non avesse visto niente.
Ma con in dosso solo le mutande e la camicia di suo figlio, ogni pensiero sobrio svanì subito.
-M-mi dispiace.- balbettai imbarazzata.
Lei mi sorrise, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.- Mio figlio conquista tante ragazze e non credo che tu sia una di queste.- continuò, storcendo la bocca.- Roman sa distinguere benissimo l’oro dal bronzo, le persone per bene dalle feccia. Perciò…- affermò, guardandomi male. -Ti suggerisco di smetterla di venire ogni giorno al sua capezzale e intasarmi la casa con quel tuo odore da zingara.-
Mi dovetti ricredere su di lei: Roman aveva ragione, era davvero stronza.
E per di più, una persona abbastanza falsa, che mi aveva accolta a casa sua come se le andasse bene.
E invece no.
Si voltò un’ultima volta, indicandosi la bocca.- Ah…Hai un po' di…-
Mi pulii le labbra, accorgendomi che c’era ancora del sangue secco.
Capii che era ora di uscire da quella situazione imbarazzante e tornarmene a casa il più velocemente possibile, indossando i pantaloni e senza nemmeno preoccuparmi di riporre la camicia.
Shelley e la villa erano le uniche cose vere di quel posto.
***
Ottenuto sia il DNA di Norman che quello di Roman, andai nei laboratori dell’ospedale pubblico per farli analizzare.
Bastava qualche minuto, perciò mi sedetti in sala d’attesa.
Pochi istanti dopo, ecco uscire Letha con un sorriso di chi ha appena scoperto di essere incinta.
Sperai non mi notasse, ma invece sì.
-Lily! Ciao! Che ci fai qui?-
-Ehm…Esami del sangue, ogni tanto bisogna dare una controllata.- mentii.- E tu?-
-Ennesima ecografia: è una femminuccia.- rispose contenta.- Pensavo di chiamarla Juliet, come la sorella di Roman e Shelley.-
La guardai confusa: un’altra sorella? -Roman ha un’altra sorella?-
Il suo sorriso divenne malinconico.- Sì, non te lo ha mai detto? E’ nata morta, ma Olivia ha sempre voluto chiamarla Juliet.-
Roman non me ne aveva mai parlato, perciò scossi la testa.
-Deve essere ancora difficile per lui parlarne, anche se non l’ha mai conosciuta. Mi ricordo che J.R. ne era uscito distrutto.- spiegò.- Comunque, già che ci sei…- Improvvisamente il sorriso riapparve.- Volevo chiederti un consiglio: mi piacerebbe sapere cosa piace a Peter.-
Ancora?
Ma non si era arresa?
Credevo che non gli interessasse davvero.
-Ehm, beh…Il suo piatto preferito è la bistecca di cavallo, gli piace giocare ai videogiochi, passeggiare nel bosco, bere la birra e…Oh, non chiedergli di farsi la barba, potrebbe uccidermi.- raccontai.
-Wow, sai davvero tante cose di lui!-
-Lo conosco da quando sono nata, praticamente.-
-Grazie!- esclamò, per poi andarsene.
Dio, Lily, ma che hai combinato?
L’hai praticamente spinta tra le sue braccia.
Con tutto quello che stava succedendo non capivo più niente.
Mi picchiettai sulla nuca per pulirmi, quando passò l’infermiera a darmi i risultati.
-Grazie.-
Non volevo davvero aprirla, ma il dubbio mi assaliva.
Esitai per un attimo e poi lessi.
Dentro di me lo sapevo.
Norman era il vero padre di Roman.

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Capitolo 12
*** That magic thing with the eyes ***


 
Le giornate stavano diventando più pesanti e monotone.
Odiavo ammetterlo a me stessa: Roman mi mancava.
Dava sempre quella spinta al mondo per essere meno noioso.
In pochi giorni era diventato parte della mia vita.
Ci si mettevano poi Letha e Peter che ridevano tra due loro come due piccioncini.
Ero stata davvero un’idiota a dirle tutte quelle cose su di lui.
Sbattei la testa più volte all’armadietto, per punirmi.
-Così diventerai più stupida.-
Cazzo, ma io la conosco questa voce.
Mi voltai ed era proprio lui: non più steso su un letto, con un buffo pigiama a righe, ma davanti a me, con il suo montgomery nero.
-Oh mio Dio!- gridai senza ritegno e lo abbracciai.- Ti sei svegliato!-
Non ci credevo, finalmente.
Quasi non ci speravo più.
Lui sembrava sorpreso.- Sì, non credevo ci tenessi così tanto...-
Non riuscivo a staccarmi da quel profumo di paradiso.
Poi ripensai a tutta la storia che mi aveva detto Olivia e lo scansai.- Sei un vero coglione!- gli dissi, dandogli uno schiaffo sul petto.
-Ahi! E questo perché?!-
-Perché cazzo ti facevi di coca?!-
Roman alzò gli occhi al cielo.- Hai parlato con mia madre, vero?-
Sì, proprio una bella conversazione: mi ha beccata nella tua camera con addosso solo gli slip.
-Non sembrava molto felice di vedermi come la prima volta che sono venuta a cena, ma sì: mi ha spiegato che ti sei intrufolato nel laboratorio di Pryce, comportandoti come un pazzo e che ti ha dovuto sedare.- spiegai, ignorando la campanella della prima ora.
-Tutte cazzate.- ribatté, gesticolando.- Cioè, la prima parte è vera, ma non ero per niente fatto. Ho smesso di prendere quella roba quando ti ho conosciuto. Ma ero così attratto da quello che c’era lì dietro e se solo lui non mi avesse conficcato quel cazzo di ago nel collo, lo avrei scoperto.- raccontò.
Esiste un detto Roman: chi si fa i cavoli suoi, vive a lungo.
-Beh, tu non farlo più, ci hai fatto preoccupare tutti: credevo che non ti saresti mai svegliato.- commentai, ripensando immediatamente a ciò che avevo fatto mentre dormiva. Arrossii come un pomodoro.- N-non ti ricordi niente di quello che è successo mentre ero addormentato?-
Roman strinse le spalle.- Beh, no, dormivo.-
Feci un sospiro di sollievo, quando anche Peter lo notò.
-Chi non muore si rivede!- ridacchiò, dandogli prima il cinque e poi un abbraccio.
Alla fine, anche Peter si era abituato alla presenza di Roman e pensavo che stessero diventando ottimi amici.
-Avete visto i telegiornali stamattina?- domandò Peter.
In realtà, ero talmente triste che non avevo nemmeno acceso la tv.
-Ieri sera hanno ucciso le gemelle.-
-Cazzo.-
Doveva essere stato un duro colpo per lo sceriffo.
-Quindi adesso il Vargulf entra anche nelle case?- borbottò Roman.
Sapere della morte di Alyssa e Alexa mi fece riflettere.
-Un momento… Quindi sta uccidendo soltanto ragazze e per di più della nostra età.- pensai ad alta voce. -Brooke era il capo delle cheerleader, Melanie ha vinto il titolo di reginetta del ballo insieme a Tyler Ferguson, l’anno scorso e le gemelle…Beh… Chi non le conosceva?-
Arrivai quindi ad una conclusione tutt’altro che ovvia.
-Che stai insinuando?-
-Il Vargulf è un adolescente…Un adolescente che odia le ragazze popolari, qualcuno che sa dove abitano Alyssa e Alexa.-
-Bene, questo restringe il campo a praticamente tutte le ragazze della scuola.- sospirò Peter.
-Intendete dire che potrebbe anche essere intorno a noi?- sussurrò Roman, guardandosi attorno preoccupato. -Comunque, stavo pensando ad una cosa: il resto del corpo di Melanie non è stato ancora trovato. Forse, se riuscissimo a capire dove si trova, potremmo cercare degli indizi.-
Bel colpo, Sherlock.
-E come facciamo?- gli chiese Peter.
-Usiamo il tuo olfatto: sei praticamente un segugio. Andiamo a casa di Melanie, ti facciamo odorare le sue mutandine e seguiamo la traccia.- rispose Roman.
Nascosi un sorrisetto divertito, il segno che Roman era davvero tornato.
-Non è una cattiva idea. Meglio sgattaiolare via, prima che qualcuno ci veda.-
Decidemmo quindi di abbandonare la scuola e salimmo tutti sulla macchina di Roman, diretti alla casa di Melanie.
Roman parcheggiò dall’altro lato del marciapiede, accedendosi una sigaretta.
-Come facevi a sapere dove abitasse?- gli domandai, ritrovandomi schiacciata tra loro due.
-Non vuoi davvero saperlo.- bofonchiò, facendo un tiro.
Immaginai allora che ci fosse andato al letto.
-C’è qualcuno che non ti sei scopato?- continuai, rubandogliela dalla bocca.
-Sì, tu.- affermò, assottigliando gli occhi per via del sole.
Quella frase mi fece rabbrividire: avevo pensato a centinaia di volte a come sarebbe stato se fossi andata al letto con Peter.
Ovviamente un magico sogno nascosto nelle più profondità del mio cassetto.
Era diventato normale immaginarlo.
Ma con Roman, beh, non avevo idea di come sarebbe potuto accadere.
Che sto dicendo?
Non ci andrò mai al letto insieme!
A quel punto, davanti la casa passò una vecchietta con il bastone.
-Che ne dite di lei? Sembra molto pericolosa.- intervenne Roman.
Peter alzò un sopracciglio.- Quale parte di Adolescente, non hai capito?-
-Non sappiamo se sia davvero un’adolescente: magari è una vecchietta che da giovane veniva bullizzata dalle ragazze popolari e ora si sta vendicando. Ci potremmo trovare la sua dentiera nell’altra metà del corpo.-
Non riuscii a trattenermi, stavolta e scoppiai a ridere.
Mi seguirono entrambi e quell’istante, capii che eravamo davvero amici.
Noi tre contro un Vargulf.
Christina avrebbe avuto molto materiale per una delle sue storie fantasy.
-Basta, io entro.- esclamò Roman, scendendo dalla macchina.
-Cosa?! Roman! Che vuoi fare?!- gli dicemmo entrambi, seguendolo nel vialetto.
-Ci penso io, d’accordo?-
Quella cosa mi fece capire cosa intendesse fare.
Ormai la chiamavo: la magia degli occhi.
Sapevo che subito dopo gli sarebbe sanguinato il naso, perciò afferrai un fazzoletto, mentre lui bussò alla porta.
Ad aprirci fu il padre di Melanie.
Roman si mise a fissarlo negli occhi.- Chiuditi in camera per un’ora a vederti un bel film porno.-
Detto ciò, l’uomo voltò le spalle e fece come comandato.
Era incredibile.
Non appena il suo naso prese a sanguinare, gli passai il fazzoletto e salimmo al piano superiore.
-Voi andate nella camera, io do un’occhiata in giro.- disse Roman.
Peter aveva notato che gli avevo passato il fazzoletto: mi afferrò la manica, tirandomi dentro la stanza da letto. -Da quanto lo sai?-
In realtà, sapere che non mi avesse detto niente, mi dava ancora piuttosto fastidio. -Ho fatto le mie ricerche dopo che mi hai detto di sapere che c’era un Upir a scuola.- risposi, scansandomi dalla sua presa.- Ho semplicemente fatto 2+2, ma non riesco a capire perché tu e Destiny volevate tenermelo nascosto.-
D’un tratto, lui mi prese le mani.- Lily, io ti voglio bene, voglio solo proteggerti.-
Non capivo quello che mi stesse dicendo.
-Proteggermi da cosa?-
-Ragazzi, in bagno ho trovato questo.- intervenne Roman, interrompendo la nostra conversazione.
Era una specie di invito.- L’ordine del drago.- lessi. -Cos’è l’ordine del drago?-
-E’ una specie di organizzazione cristiana che scova tutte le creature sovrannaturali.- spiegò Peter, mentre Roman aprì vari cassetti.
-Uh, me le ricordo queste.- commentò, avvicinando degli slip rossi al naso di Peter.- Annusa, forza.-
Peter lo scansò arricciando il naso.- Non lo faremo con le mutande!- esclamò, prendendo una maglietta dall’armadio. -Mi serve un posto dove trasformarmi.-
-Cosa?! No! Non c’è nemmeno la luna piena!- esclamai, del tutto contraria.
-Non possiamo aspettare la luna piena, ucciderà altre persone!- replicò lui.
Gli presi la maglia dalle mani.- Se ti trasformi con la luna sbagliata, diventerai un Vargulf anche tu! Dici di volermi proteggere, anche io devo fare lo stesso con te!-
-Ha ragione, non mi va di uccidere anche te, amico.- aggiunse Roman.
-Va bene, la luna piena è domani: ci vediamo da me prima del tramonto.-
Il piano era semplice.
Anche se non so come avrei reagito a trovare le gambe di una persona staccate dall’altra parte del corpo.

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Capitolo 13
*** The order of the dragon ***


Finalmente trovai un attimo libero per andare alla centrale di polizia per dare la mia dichiarazione su quanto successo la sera in cui avevamo quasi investito Pullman.
Un polizotto mi fece sedere ad una scrivania dove c’era una donna, senza divisa, pelle scura, capelli neri lisci e occhi verdi.
Non sembrava per niente un agente di polizia.
-Ciao Lily, sono la dottoressa Clementine Chasseur, sto indagando insieme alla polizia su quello che sta succedendo in città.- si presentò, stringendomi la mano.
Sembrava una donna molto posata, sulla trentina.
-So che tu e Roman Godfrey avete avuto un incidente con il signor Pullman, puoi dirmi che cosa è successo?-
-Sì: stavamo tornando a casa dopo esser stati al ballo d’inverno della scuola e lui è sbucato fuori dal nulla. Sono scesa per vedere se stesse bene, nel frattempo che Roman chiamasse la polizia.- raccontai, quando mi saltò all’occhio il ciondolo che aveva sul collo: un drago.
Lei si annotò tutto quello che dicevo.- Ti ha parlato? Ti ha detto qualcosa?-
Non potevo di certo dirgli che quell’uomo era un medium e che aveva visto sicuramente il Vargulf nella foresta.
-Sì, ma diceva tutte cose deliranti che non ho ben capito.- risposi: cercavo di mentire, ma di dire anche un po' la verità per non risultare sospetta.
Capivo il perché non ci fosse lo sceriffo ad interrogarmi, ma perché chiamare una persona sconosciuta?
Successivamente, un altro agente fece entrare Roman.
-Salve signor Godfrey, benvenuto, so che ultimamente non è stato bene.- esordì lei.
-Sì, l’adolescenza sa? Gli ormoni, la nicotina, gli omicidi.- commentò lui, sarcasticamente.
La donna cercò di rimanere seria e si avvicinò col busto.- Perché non mi parli della sera del ballo d’inverno?-
Roman fece lo stesso, fissandola negli occhi.- Perché invece tu non vai a farti un giro?-
Clementine voltò subito lo sguardo.- Non azzardarti a guardarmi negli occhi, ragazzino.-
Lei sapeva.
Sapeva che Roman era un Upir.
Ma chi diamine era?
Osservai di nuovo il ciondolo e allora capii.
-Lei è dell’ordine del drago.-
-Ne avete sentito parlare allora.- aggiunse lei, accavallando le gambe.
-Cristiani del cazzo.- borbottò Roman, facendo per accendersi una sigaretta.
-Non si può fumare qui dentro.- affermò la donna, stringendo i denti.
Forse era meglio andarsene prima che la situazione peggiorasse.
-Beh, noi vi abbiamo detto tutto quello che sapevamo: non c’è altro.- dissi, alzandomi dalla sedia.
Lei ci sorrise di cortesia.- Se ci serve altro, vi chiameremo.-
Roman ci accese la sigaretta non appena fummo fuori.- Ci mancava anche questa: credi che sappia qualcosa?-
Mi strinsi nelle spalle.- Non lo so.-
***
Come deciso insieme a Peter, un paio di ore prima del tramonto, io e Roman andammo alla roulotte.
-Io non ce la parcheggio la mia macchina sul lato della strada.- borbottò Roman.
Sospirai alzando gli occhi al cielo.- Va bene, allora cerca un parcheggio VIP, ti aspetto dentro.- commentai, scendendo dall’auto.
Mentre percorrevo la discesa, notai che Lynda non c’era, ma c’era qualcun altro.
Dalla finestra riuscii a vedere Peter e Letha sul divano del soggiorno, mezzi nudi, tra le coperte.
Sapevo che sarebbe andata a finire così ed era anche grazie a me.
Ero stata così sciocca a pensare che Peter ed io avremmo potuto avere una vita insieme.
Saremmo stati amici e basta, per sempre.
In un attimo volarono via tutte le mie speranze.
Non riuscivo a muovermi.
Vederli così affiatati, così felici.
-Che ci fai lì impalata?-
La sua voce mi fece tornare alla realtà.
Roman non doveva vederli: ne sarebbe stato più distrutto di me.
Cercai di inventarmi qualcosa.- Ehm, ho bussato, ma non mi ha risposto nessuno: forse non è ancora arrivato.-
Mi postai davanti a lui come un cane che fa la guardia, ma lui notò subito che mi stavo comportando in modo strano.
Mi guardò accigliato.- Ma che dici?- borbottò, scansandomi.
Non dissi nient’altro.
Dentro di me capii che in verità io volevo che lui vedesse.
Volevo che anche lui si accorgesse che Letha non teneva a lui quanto pensasse.
Io lo sapevo, sapevo che loro si frequentavano, però invece Roman non sapeva nulla.
Vidi il suo pugno stringersi con rabbia.- Da quanto va avanti questa storia?-
-Non lo so, non so nemmeno come si siano conosciuti.- risposi, sedendomi su una delle poltrone per assimilare la cosa. -Avevi ragione…L’amore fa male.-
In quell’istante, mi guardò.- Da quanto lo sai?-
Ormai non potevo più nascondermi.- Qualche settimana.-
-E non mi hai detto niente?- balbettò, avvicinandosi minacciosamente.- Non mi hai detto niente?!- esclamò, fissandomi negli occhi.
Il suo grido mi rimbombò nella testa.
Nessuno mi aveva mai urlato in faccia così.
Non sapevo che rispondere.
Non sapevo cosa mi avesse fatto più male: se vedere il ragazzo di cui ero innamorata fare l’amore con un’altra o i suoi occhi così delusi.
Scoppiai a piangere e corsi via.
Percorsi la salita e poi tutta la strada per tornare a casa, fino a rimanere senza fiato, mentre le nuvole si ammassavano in cielo.
Entrando in casa, sentii il primo tuono e sbattei la porta.
-Ehi, che succede?!- mi chiese Destiny.
-Lasciami stare!- gridai, chiudendomi in camera.
Non volevo vedere nessuno, volevo solo piangere fino a non farmi rimanere neanche una goccia d’acqua in corpo.
Non mi interessava di essere zuppa di poggia.
Mi stesi al letto e strinsi il cuscino per un po', fin che non si fece sera e iniziò letteralmente a diluviare.
Le lacrime mi si erano ormai seccate, quando qualcuno bussò alla porta.
-Destiny, non voglio parlare.- le dissi, seccata.
-Sono io.-
Riconobbi la voce di Roman ed andai ad aprirgli.
Aveva anche lui i vestiti bagnati e l’acqua che gli cadeva dal ciuffo.
-Destiny mi ha fatto entrare: non so se perché lo volesse veramente o perché le stessi gocciolando nell’altro.- bofonchiò: stava peggio di me.
Lo feci entrare e decisi che era ora di cambiarmi i vestiti.
Io mi cambiai in bagno e lui in camera: aveva solo i boxer e la camicia quando uscii con una tuta.
Nessuno dei due riusciva a parlare: entrambi ci sentivamo traditi.
L’unica differenza: Peter era il mio migliore amico, Letha era la sua sorellastra.
Presi un asciugamano e lo feci sedere sul letto, asciugandogli i capelli.
Senza gel, il ciuffo davanti gli cadeva leggermente sulla fronte.
Non smetteva di fissare il pavimento; si mosse solo mentre gli sbottonavo la camicia.
-Faccio io.- balbettò, come  se si vergognasse di qualcosa.
Lo guardai stranita, ma continuando a togliere bottone dopo bottone.
Quando gliela tolsi, vidi un lungo taglio verticale sul suo petto, sotto il pettorale sinistro.
Si era fatto male ancora.
-Posso spiegare…-
-Non fa niente.- ribattei. -Non devi spiegare nulla…Ma dovremmo ricucirlo, prima che faccia infezione.-
Annuii appena e così presi i vecchi strumenti da cucito di Destiny: qualche anno fa, quando stentavamo ad andare avanti e nessuna delle due aveva un lavoro, né potevamo permetterci vestiti nuovi, Destiny rattoppava quelli vecchi e intanto mi aveva insegnato a cucire.
Sterilizzai un filo nero con l’accendino e poi lo inserii nel buco dell’ago.
Ci misi un po', dato che sentivo il suo sguardo su di me.
Feci un piccolo nodo e poi infilai l’ago nella sua carne, iniziando a chiudere le due estremità di pelle.
-Dimmi se ti faccio male.- sussurrai, facendolo stendere sul letto.
-Io non sento quel tipo di dolore.- replicò, quasi con dispiacere. -Sono un cazzo di mostro.-
Non posso essere io a dirtelo, Roman.
Non posso dirti quello che sei, non spetta a me.
-Mi hai visto, vero? Mi hai visto farlo?- mi chiese, abbassando lo sguardo.
-Per caso, con Ashley, al ballo d’inverno.- risposi, mostrandogli che non me ne importava più di tanto.
D’un tratto, vidi il suo petto tremare e lui scoppiò a piangere.- Non so che cosa ho che non va.-
Non riuscivo a vederlo in quel modo.- Non hai niente che non va, Roman. Tutti abbiamo le nostre stranezze: quando avevo 11 anni, mi piaceva andare in giro con un calzino diverso dall’altro.-
Ancora con le lacrime agli occhi si mise a ridere. -Cosa?-
-Te lo giuro!- esclamai sorridendo, prima di terminare la cucitura e strappare il filo.
Si adagiai poi due cerotti per coprire la ferita.
Ci guardammo negli occhi per un po' e credo fu grazie a quello scambio di sguardi, che capii di essermi innamorata di lui.
Ah, Lily, sei proprio un disastro.
Allungò una mano verso di me e mi mise una ciocca di capelli ancora umidi dietro l’orecchio.- Sei troppo buona per questo mondo.-
Sorrisi leggermente.- Questo mondo ne ha un po' bisogno.-
Successivamente, con il rumore della pioggia che cadeva sulla finestra, mi adagiai al suo petto.
Lui mi baciò la fronte, cingendomi la spalla col braccio.
Restammo così, in silenzio, fino ad addormentarci.

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Capitolo 14
*** The huntress ***


Fu la suoneria del mio cellulare che mi fece svegliare.
Mi allungai sul comodino per prenderlo: era Peter.
-Lily, ma dove cazzo siete?! E’ un’ora che vi aspetto!- esclamò, piuttosto contrariato.
-Scusa, mi sono addormentata…Arrivo.- risposi, ancora con la bocca impastata.
Non volevo uscire, volevo rimanere così con Roman, ancora per un po', magari per sempre.
Attaccai, sbuffando.
-Andiamo a salvare il mondo.- affermò Roman, sospirando.
Aveva ragione: non mi importava di Peter, dovevamo impedire che il Vargulf uccidesse di nuovo.
Ci mettemmo i vestiti asciutti e raggiungemmo Peter, con la luna piena alta in cielo.
Una volta trasformato, annusò la maglia di Melanie e seguì il suo odore.
Lui correva per il bosco, mentre io e Roman lo seguivamo con la macchina in strada.
Roman guardava prima il lupo nero e poi la strada.
Il tettuccio della sua macchina d’epoca era chiuso e così riuscii a sentire, tra i sedili in pelle, come Roman avesse impregnato tutto del suo odore.
Mi inebriò il naso e credo di essermi anche eccitata per qualche secondo.
Cosa diamine mi stava facendo quel ragazzo?
-Se troviamo questo terribile lupo, poi cosa facciamo?- domandò Roman.
In teoria, avremmo dovuto ucciderlo e tagliargli la testa, ma non sapevo se ne ero in grado. -Non lo so, potrebbe anche ucciderci tutti.-
Lui mi guardò per un attimo.- Hai paura?-
-Un po', sì.-
Continuando a guardare la strada, a quel punto mi strinse la mano.
Mi sentivo un po' più al sicuro.
Seguimmo Peter fino ad un posto desolato: si trattava di capannoni abbandonati ormai da tempo, dove la natura era cresciuta incontrollata e ormai non c’era più nessuno.
Uscita dall’auto, notai una torretta con un’insegna: Acciaieria Godfrey.
-Che cos’è questo posto?- domandai.
-Un progetto di mio padre che non è andato a buon fine. Si sono buttati sulla medicina perché sapevano che gli avrebbe fruttato più soldi.- spiegò Roman, entrando dentro con una torcia.
Si sentiva subito un’orribile puzza di zolfo, data dal vecchiume e da chissà quale altra sporcizia.
Sembrava anche un posto in cui un barbone ci avrebbe volentieri vissuto.
Visualizzammo il lupo nero nel buio e lo seguimmo fino ad una pozzanghera d’acqua.
L’odore di zolfo divenne odore di morte quando trovammo il resto del corpo di Melania.
-Cristo.- borbottai, tappandomi il naso.
-Credo che il Vargulf la stia usando come una specie di tana.- commentò Roman.
-Esatto.-
D’un tratto, una voce femminile apparve alle nostre spalle.
La dottoressa Chasseur ci puntò una pistola contro e noi fummo costretti ad alzare le mani.
-E ora, se non vi dispiace, devo catturare e uccidere il colpevole degli omicidi.- affermò, spostando la mira su Peter.
-Cosa?! No! Non è stato lui!- esclamai, mettendomi tra loro due.
-E’ un licantropo, Lily, il loro istinto gli dice di uccidere.- ribatté lei.
-Ma non Peter, lui è un buono, lei non sa niente!-
-Non capisce, ce n’è un altro più pericoloso!- intervenne Roman, fissandola negli occhi.
Come la prima volta, lei abbassò lo sguardo.- Ti ho detto di non guardarmi negli occhi!- esclamò con rabbia.- Adesso, toglietevi di mezzo.-
Non sapevo cosa fare, lei aveva un’arma, noi no.
Mi voltai verso il lupo.- Scappa!-
Peter corse subito via e Clementine cercò di inseguirlo.
Prima che lo facesse, le presi i capelli e la tirai indietro, cercando di toglierle la pistola di mano.
Partì un colpo che andò in aria: si liberò dalla mia presa, dandomi un pugno sul naso.
Roman mi soccorse, mentre Clementine andò dietro a Peter.
-Stai bene?!-
Sentii il naso sanguinarmi, bruciava un po', ma potevo sopportarlo.- Sì…Cazzo!-
-Vedrai, Peter se la sa cavare.- commentò lui. -Anche se non abbiamo scoperto un cazzo!- esclamò sospirando, passandosi nervosamente una mano nei capelli.
Tornati alla macchina, mi tamponai il naso fin che non smise di sanguinare.- Stupida troia.-
Prima che Roman potesse accendere il motore, il suo telefono squillò.- Letha, stai bene?- rispose, preoccupato.
Sai che mi frega di quella stronza.
-D-D’accordo, vengo subito.-
Lo scontro con la Chasseur mi aveva davvero fatta infuriare, non rispondevo quasi di me.- Che c’è? Le si sono rotte le acque?-
-No, Christina è fuggita dall’ospedale, è a casa sua.- rispose Roman, dirigendosi proprio lì.
Perché Christina sarebbe dovuta scappare?
Tra tutte le cose a cui dovevo pensare, mi ero pienamente scordata di lei.
Dovevo farle visita più spesso.
Entrai per prima e vidi Christina seduta in soggiorno: sembrava stesse molto peggio e oltretutto i suoi capelli erano diventati tutti bianchi.
-E’ venuta nel cuore della notte, si comporta in modo strano…Credo che abbia paura che la creatura venga a prenderla.- spiegò Letha.
Probabilmente, dopo l’uccisione delle gemelle, Christina era convinta che toccasse a lei.
Io e Roman ci fulminammo con lo sguardo: i guai stavano arrivando tutti insieme.
Letha ci osservò.- Voi sapete qualcosa che io non so?-
-Non ti preoccupare, ci pensiamo noi.- le dissi, andando in soggiorno per sedermi accanto a Christina. -Ehi, ciao.-
Aveva lo sguardo fisso sulla tazza di tè e poi lo spostò verso di me.- Ciao, che ci fai qui? Credevo odiassi Letha.-
-Beh, è così, ma ci ha chiamati quando sei venuta qui. Perché sei scappata dalla clinica?- le chiesi, non riuscendo a non guardare i suoi lunghi capelli bianchi.
Che cosa le stava succedendo?
-Non riuscivo più a stare in quel posto…Quelle pillole che mi davano, mi stanno facendo impazzire.- bofonchiò.
Dovevo trovare un modo per riportarla in ospedale senza dirglielo o non ci sarebbe mai venuta.
-Sai a cosa stavo pensando?-
-No...-
-Che Letha possa essere la prossima.-
La sua frase mi fece rabbrividire.
Povera Christina, vedere quel cadavere l’aveva traumatizzata forse a vita.
Però io non potevo fare niente per lei, solo riportarla alla clinica.
-Che ne dici se andiamo al luna park? Ci sono stata con Roman, possiamo divertirci.- le mentii, cercando di essere credibile.
Lei fece un piccolo sorriso.- Mi piace il luna park.-
-Perfetto!-
Una volta esser riuscita a convincerla, presi Roman da una parte.
-Che cosa facciamo con il Vargulf? Non abbiamo alcuna pista.- esordì lui e aveva ragione.
Riflettei per un attimo e l’idea che mi venne, fu abbastanza pericolosa.- Lo attiriamo in un posto deserto, dove nessuno potrebbe vederci e lo uccidiamo.-
-E come lo attiriamo?-
Mi morsi un labbro, un po' spaventata.- Farò io da esca.-
Lui sgranò gli occhi.- Cosa? No! E’ fuori discussione, potrebbe ucciderti!-
Lo guardai negli occhi, tremando.- Allora non lasciare che mi uccida.-
Dentro di se, Roman sapeva che quella era la nostra unica possibilità. -Va bene: prendiamo il suv di Letha, è più grande. Possiamo tornare all’acciaieria dopo aver riportato Christina in ospedale.-
In quel momento, osservai Letha accarezzarsi il pancione.- Non mi fido a lasciarla da sola, portiamola con noi.-
Roman fece un ghigno divertito.- Adesso ti importa di lei?-
-No, ma del suo bambino sì.- affermai, prendendo le chiavi dell’auto sul davanzale. -Guido io.-
E poi perché è una tua parente e porta in grembo tuo nipote, Roman.
Sapevo che per fermare il Vargulf non potevamo di certo farlo a mani nude, ma non credevo che Roman avesse una doppia ascia nel bagagliaio dell’auto.
-Ma che diamine…?-
-Diciamo che è un regalo di mia madre.- affermò Roman, mettendola nel suv.
Per tagliare la testa al lupo, avremmo dovuto legarlo.
Perciò, dopo un tratto di strada, mi fermai davanti al supermercato.
-Andiamo a prendere qualcosa da mangiare.- esordii, continuando a mentire alle due ragazze dietro, a fin di bene.
Io e Roman attraversammo gli scaffali e prendemmo una corda d’arrampicata.
Roman fece per estrarre i soldi, quando vide il cassiere.
-Cazzo.- bofonchiò, cercando di non guardarlo.
-Che c’è?-
-Ti ricordi quella storia di me che mi scopo la preside della mia vecchia scuola?- mi chiese, grattandosi la guancia in maniera imbarazzata.
-Sì…-
-Quello è il marito.-
L’uomo lo aveva riconosciuto subito e lo stava guardando piuttosto male.
Sospirai, cercando di inventarmi qualcosa.
Decisi di alzarmi leggermente le coppe del reggiseno, fino a farle vedere al di fuori della maglia.- Va bene, facciamo questa cosa.- borbottai, prendendo i soldi e avviandomi al bancone.- Salve signore, so che ha avuto un paio di problemi con il mio amico…-
-No, un solo, grosso, fottuto problema.- disse lui, paonazzo in viso.
-Lo so, ma vede…Ci serve davvero questa roba.- continuai, facendogli un sorrisetto.
Lui abbassò lo sguardo da Roman sul mio seno, alzando le sopracciglia.- D’accordo, solo per questa volta: non so come una bella ragazza come te vada in giro con quel coglione.-
Gli diedi i soldi e lo ringraziai, uscendo fuori in fretta: la luna piena si stava alzando sempre di più.
-Non farò mai più una cosa del genere.- commentai, disgustata.
-Beh, ti è riuscita bene.- disse Roman ridacchiando.
-Se lo dici a qualcuno, ti uccido.- lo minacciai, entrando in macchina.
Letha notò subito cosa ci fosse all’interno della busta.- A cosa vi serve una corda? Che cosa sta succedendo?- iniziò a chiedere.- Roman, ti prego, dimmi la verità!-
-Voi volete catturare la creatura…- mormorò Christina.
Ormai ci avevano scoperto.
-E’ l’unico modo per fermare questo macello.- intervenni.
-Ma siete impazziti?! E’ pericoloso!- esclamò Letha.
-Voglio venire con voi!-
Guardai Christina dallo specchietto.- Non posso Christina, devo riportarti in ospedale!-
-Voglio venire anche io!- ripeté, alzandosi dal posto dietro e mettendomi le mani sul volante.
-Cazzo Christina!-
Fortunatamente riuscii a riprendere il controllo dell’auto prima di andare fuori strada, mentre Roman la spinse via.
-Va bene, fate come cazzo volete, vi portiamo tutti lì!- esclamai, troppo seccata da dover preoccuparmi di tutti.
Roman notò che ero su di giri e mi mise una mano sulla coscia.- Ehi, vedrai, andrà bene.-
Svoltai alla curva e raggiunsi le acciaierie Godfrey.

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Capitolo 15
*** The popular girl ***


 
Roman ci condusse tutte in un’ampia stanza con vecchie panche rotte e delle scalette che portavano ad un soppalco dove c’era un organo impolverato.
-E’ una chiesa?- mi accorsi, confusa.
-Sì, gli operai erano persone abbastanza religiose.- rispose Roman, legando la corda ad un vecchio tubo.
-E ora che si fa?- domandò Letha, sedendosi su una delle panche, affaticata.
Voltai lo sguardo verso la luna, ormai era alta in cielo.- Aspettiamo che venga a prenderci.-
Nei minuti successivi, mi misi seduta con Christina sul pavimento, legando la corda fino a farne un cappio.
Non era da me uccidere gli animali, ma dovevo fermarlo.
-Sai che al ballo d’inverno ho scoperto che Tyler Ferguson aveva una cotta per te?- intervenne Christina, giocherellando con i suoi capelli.
La guarda confusa.- Cosa? Non mi ha mai nemmeno rivolto la parola.-
-Sono andata lì come un’idiota per chiedergli di uscire e lui mi ha detto che non ero il suo tipo.-
Tutto ciò mi fece ricordare la mia storia con Peter.
Chissà dov’era finito.
-I ragazzi sono degli stronzi, Christina.- commentai, alzando le spalle.
D’un tratto, la sentii accarezzarmi i capelli.- Hai davvero dei bei capelli.-
-Sono i capelli di una zingara, ricordatelo.-
-Sai, ad inizio anno avevo in testa questa cosa di voler entrare a far parte delle cheerleader: Brooke non mi aveva nemmeno preso in considerazione.- raccontò.
Non me lo aveva mai detto.
-Perché volevi entrare nelle cheerleader? Quelle ragazze sono così false, vogliono solo apparire e tu non sei così.- ribattei, prendendole la mano: doveva esser stato un periodo davvero duro.
-Proprio come faceva Melanie: ricordo ancora quella sera in cui è diventata reginetta del ballo insieme a Tyler…Cazzo, avrei voluto ucciderla.-
Le parole che stava usando non mi piacevano per niente.
-E poi, le gemelle…Dio, quanto le odiavo. L’anno scorso, per Halloween mi hanno portato qui…Volevano spaventarmi, quelle stupide puttane e hanno ripreso tutto…Se lo sono tenuto per se.- spiegò, sputando fra i denti.
Deglutii nervosamente, vedendole l’odio negli occhi.
-Volevo essere più forte di così, volevo farmi valere. Stavo facendo una passeggiata nel bosco, quando l’ho visto: era bellissimo, nero e possente.- continuò, facendomi capire che avesse incontrato Peter durante la luna piena. -Sul terreno c’era la sua impronta….-
Oh mio Dio.
-Christina, che cosa hai fatto…?-
Mi ritornò in mente la visione che avevo avuto nella camera di Shelley, il manto bianco del Vargulf.
Proprio come i suoi capelli.
Era lei.
Divenne seria improvvisamente e mi guardò con degli occhi freddi. -Credevo di volerti uccidere, ma ho cambiato idea, perché sei mia amica e ti voglio bene.- affermò, prendendomi le mani.- E so che odi Letha da morire perché è andata al letto con il ragazzo che ami, perciò uccidiamola insieme, Lily, io e te, quella troia.-
Tutto d’un tratto, le ossa della sua schiena iniziarono a scricchiolare, fino a rompersi.
Le sue unghie divennero artigli sulle mie mani e dalla sua bocca umana fuori uscì il muso di un animale con denti affilati.
La sua pelle cadde e si trasformò in una pelliccia bianca, come quella che avevo visto io.
Ringhiò verso di me e la prima cosa che feci fu mettergli il cappio al collo, scivolando via velocemente.
Ma lei ebbe abbastanza forza da liberarsi e si avventò su di me.
Tentai di tenerla lontana con le gambe, mentre la sua bava cadeva sulla mia faccia.
In quell’istante, Roman la scansò via con l’ascia e mi aiutò a rialzarmi, spingendomi poi dietro di se.
-Dai, vieni, puttana.- la provocò Roman, con l’arma pronta.
Il licantropo prese la rincorsa e gli saltò addosso, atterrandolo.
Roman conficcò la parte legnosa dell’ascia dentro la sua bocca, ma lei era abbastanza forte da spezzarla in due, lasciandolo indifeso.
Le diedi un calcio, facendola volare via e chinandomi su Roman per vedere se stesse bene.
-Grande, ora che si fa?-
-Non lo so!-
Quando il lupo stava per riattaccare, Roman mi strinse a se per proteggermi, ma, a quel punto, un altro lupo si mise in mezzo.
-Peter!-
Era vivo e stava combattendo contro quello bianco, all’ultimo sangue.
Si azzannarono e graffiarono, fino a che Christina non addentò Peter alla gola.
-No!-
Con le zanne piene del suo sangue, il lupo bianco ci corse in contro, ma prima di morderci, qualcuno intervenne: Shelley afferrò l’animale di scatto e, con forza disumana, lo strinse talmente forte fino a soffocarla ed ucciderla.
Non sapevo da dove fosse comparsa, ma ci aveva salvati.
Io e Letha si accasciammo sul lupo nero: avvicinai l’orecchio al suo cuore, non batteva.
-Ti prego, no!-
Gli posai la testa sulle gambe, iniziando a piangere.
Era morto.
Non avevo avuto occasione di dirgli niente.
-Q-Questo è Peter?- mi domandò Letha, scioccata.
Annuii lentamente, accarezzandogli la testa pelosa e ancora piena di quel buon profumo di muschio.
Avrei voluto fare di più, avrei voluto salvarlo.
-Mi dispiace…-
D’un tratto, sulla piattaforma dell’organo, notai lo sceriffo Swarn: aveva visto tutto e la sua pistola era puntata su Shelley.
-No, si fermi!- gli gridai, ma era troppo tardi: sparò due colpi a Shelley e lei, spaventata, fuggì via, rincorsa da Roman.
Era tutto un vero casino.
Ma non mi importava, il mio migliore amico era morto.
Riuscii a malapena a scansare il suo corpo, quando osservai che Christina era tornata umana.
Bisognava tagliarle la testa.
Di cose orribili ne avevo viste abbastanza, quella notte e di certo potevo affrontare anche quella.
Presi da terra la metà spezzata dell’arma con la lama e la strinsi bene tra le mani.
Sentii poi quella di Roman accarezzarmi la spalla.- Facco io…- mormorò.
-No.- affermai, scuotendo la testa.- Ce la faccio.-
Christina, l’unica vera amica che io avessi mai avuto oltre a Peter.
Guardai solo per un attimo, solo per prendere la mira, non riuscii a vedere la sua testa staccata dal resto del corpo.
Lasciai andare l’arma e Roman mi abbracciò, baciandomi la nuca.- E’ finita.-
Già, è finita.
E’ finita con la morte di Peter.
Non riuscivo a smettere di singhiozzare.
Ad un certo punto, Roman mi batté sulla schiena.- Lily, guarda!-
Seguii il suo sguardo e vidi Peter, di nuovo umano, che alzava lentamente la testa.
-Peter!-
Mi sedetti accanto a lui, prendendogli la testa fra le mani, era vivo.
-Abbiamo salvato il mondo?- bofonchiò.
Le lacrime di tristezza si tramutarono in lacrime di gioia.- Sì! Sì è tutto finito!- affermai, abbracciandolo.
Finalmente era finita.
***
Ci volle un po' per spiegare a Letha tutto l’accaduto, ma lei promise di non raccontare mai niente a nessuno.
Come Shelley, anche lo sceriffo Swarn era scomparso.
Capivo il suo dolore per la morte delle figlie: vedendola uccidere Christina, Swarn credeva che Shelley fosse la colpevole.
Ora vagava chissà dove, ferita.
Avrei tanto voluto cercarla, ma delle mie visioni, di nuovo nessuna traccia.
Non ne capivo il perché, per quanto mi sforzassi.
Riuscii finalmente ad accettare la relazione tra Peter e Letha e forse anche Roman.
Era il mio migliore amico e lo sarebbe stato per sempre, malgrado le difficoltà.
E c’era un motivo se riuscivo a passarci sopra: perché il ragazzo del soffitto azzurro, il ragazzo nella stanza, nella villa dei Godfrey, che mi aveva fatto sentire così bene, anche se solo nella mia testa, quello era Roman.
Non che ne fossi felice, di essermi innamorata di lui.
Si dice che al cuor non si comanda, ma Roman era un Upir.
Avevo letto solo alcune cose, non sapevo bene cosa significasse davvero essere un Upir.
Chissà, magari mi ero innamorata di un mostro.

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Capitolo 16
*** The sacrifice of the virgin ***


 
Qualche settimana dopo
 
Le cose sembravano essersi calmate ad Hemlock Grove, anche se tutti cercavano Shelley dopo che lo sceriffo l’aveva incolpata degli omicidi.
Stavo pian piano approfondendo la mia amicizia con Roman, ma sembrava che a Destiny non stesse per niente bene.
Ogni volta che lo invitavo a casa per studiare, era sempre lì a spiarci, con sguardo serio, obbligandomi a rimanere con la porta aperta.
Quel giorno in particolare, Roman estrasse una scatola dallo zaino.- Sicuramente mia madre vorrà fare la tipica cena in famiglia per Natale, perciò ti ho preso questo.-
Lo guardai sorpresa.- Stai scherzando? I-io non ti ho preso niente.- balbettai, arrossendo.
-Non fa niente, so che saprai ripagarmi, un giorno.- ribatté lui, alzando le spalle.
Era una bottiglietta di profumo trasparente.
-E’ lo stesso che metto io.-
Ah, sì, quel buon profumo di paradiso.
Lessi l’etichetta e mi trattenni dal ridere: si chiama davvero Paradiso.
-Mi stai dicendo che puzzo?- aggiunsi sarcasticamente.
-Oh sì Lily, tu puzzi davvero.- affermò ridacchiando.
La sua risata era la cosa più dolce che avessi mai sentito.
D’un tratto mi resi conto come le cose non fossero cambiate.
Anzi, no, erano cambiate, perché Roman era una persona completamente diversa da Peter.
Ma forse, con Peter, non era destino.
La mia famiglia era piena di medium e noi ci crediamo in queste cose.
Successivamente, il telefono di Roman squillò.
-Ciao Letha, stai bene?- le chiese, quando gli si sgranarono gli occhi.- Sta per nascere?! Adesso?! Arrivo!-
La piccoletta stava per venire fuori, perciò ci precipitammo in ospedale.
Alla fine, Olivia aveva convinto Letha a farsi ricoverare nella clinica della Torre Bianca e partorire con il dottor Pryce.
Io, Roman e Peter aspettammo in sala d’attesa.
-Non ci credo… Zio Roman.- esordì Roman, mordendosi un labbro nervosamente.
Nonostante Letha non mi stesse molto simpatica, la nascita di una nuova vita era sempre una bella cosa.
Ed ero grata di farne parte con loro due.
Eravamo in tre contro il mondo e io mi sentivo al sicuro da tutto.
Afferrai le mani di entrambi e me le misi sulle gambe, come a tenerle in salvo.- Ah, i miei due ragazzi.-
La gioia però svanì subito.
Norman venne fuori dalla sala operatoria paonazzo in viso, con le lacrime agli occhi e il naso rosso.
-Che cos’è successo?- domandò Peter, confuso.
Norman non rispose e Roman scattò in piedi, nervosamente.- Che è successo?!- gridò.
Alla seconda volta che non ottenne risposta, Roman entrò in sala operatoria ed io e Peter con lui.
Letha era stesa sul tavolo operatorio, con la testa di lato, gli occhi fissi e il ventre talmente pieno di sangue che stava gocciolando sul pavimento.
Una vista orribile.
Peter scoppiò a piangere e Roman non riuscì a muoversi.
Sentii camminare dietro di me e vidi il dottor Pryce portare via il bambino: non si muoveva e sul piccolo viso aveva una membrava viscida e bianca.
La sacca amniotica.
Non si era salvato nessuno dei due.
Né la madre, né la figlia.
E quel giorno di gioia, divenne un incubo.
***
Non sentii né Peter né Roman per un paio di giorni.
Li capivo, avevano bisogno di tempo per stare da soli.
Quello che avevamo visto non si digeriva facilmente.
Io, invece, ero stata contattata dal dipartimento di polizia e invitata ad andarci.
Non seppi il perché, ma quando mi scortarono nell’ufficio dello sceriffo, notai che il nome era cambiato.
Sulla targhetta c’era il nome di Micheal Chasseur: forse un parente di Clementine, di cui, a proposito, non avevo avuto più notizie da quando aveva cercato di catturare Peter.
Che l’avesse uccisa lui?
-Ciao Lily, sono Micheal Chasseur, il nuovo sceriffo, prego, siediti pure.- mi disse, invitandomi a sedermi.
Confusa, mi sedetti davanti a lui.- Dov’è finito lo sceriffo Swarn?-
-Si è dimesso: dopo quello che è successo alle figlie, non se la sentiva più di lavorare qui.-
Se fosse stato il fratello di Clementine, probabilmente anche lui faceva parte dell’ordine del drago.
Erano molto simili: entrambi con la pelle scura e gli occhi verdi, ma lui, mi parve più minaccioso.
-Speriamo solo che riescano a prendere la colpevole.- continuò.
-Non è stata colpa di Shelley!- invenni subito, ma poi mi ricordai di non poter parlare di Christina, non potevo rivelare quel mondo segreto di Hemlock Grove.
Sempre che lui non lo sapesse già.
-Insomma, almeno credo.- balbettai, per tentare di correggere la mia frase precedente. -Lei è il fratello di Clementine?-
-Esatto, Lily.- affermò, unendo le mani.- Lei è scomparsa.-
Cazzo, Peter doveva averla uccisa veramente.
-Temo che mia sorella abbia sfidato le persone sbagliate: quel tipo di persone alla quale non mi piace che ci si immischi nei suoi affari.-
E questo che centrava con Peter?
-Ma non è per questo che l’ho convocata qui.- continuò, sorridendomi. -Mia sorella mi ha telefonato la settimana scorsa, dicendomi che se le fosse accaduto qualcosa, sarei dovuto esser io ad informarla su quello di cui Clementine stava indagando.-
Ero ancora più confusa di prima.- E si tratta di me…?-
-Tutti noi, all’ordine dal drago, sappiamo la sua storia, signorina Dimitri.-
Questo confermava i miei dubbi.
-Sappiamo che i suoi genitori erano dei medium e che lei è orfana da quando aveva quattro anni.-
Da come mi stava parlando in modo serio, iniziai a preoccuparmi. -Arrivi al punto.-
-Sospettiamo…Anzi, siamo sicuri che i suoi genitori non sono morti per un incidente. Abbiamo riesumato i corpi e…-
-Cosa?! Avete aperto la bara dei miei genitori senza il mio consenso?!- sfuriai, innervosita.
-Il consenso ci è stato dato da una parente stretta…- spiegò lui, prendendo un fascicolo per leggere.- Una certa Destiny Rumancek.-
Ora sapevo perché c’erano certe cose che non mi diceva: stava facendo tutto alle mie spalle.
Avevo paura di sapere cosa avessero scoperto.- E?-
-Il medico legale ha esaminato le loro ferite: i loro corpi sono bruciati, ma sui loro colli, ci sono degli evidenti segni di morsi.- raccontò Micheal.
Oh mio Dio.
Non sta per dire quello che penso stia per dire, vero?
Non è possibile.
Ma si spiegava tutto.
Il perché Destiny e Peter si preoccupavano di come stessi vicino a Roman.
Mi avevano mentito da sempre, tutti e due.
Non riuscivo a respirare, non riuscivo a metabolizzare quella notizia.
-Scusi, non mi sento bene.- bofonchiai, alzandomi lentamente dalla sedia per andarmene.
-Dovrà iniziare a conviverci, signorina Dimitri.- affermò lo sceriffo, prima che girassi la maniglia.- I suoi genitori sono stati uccisi da un Upir.-

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Capitolo 17
*** Epilogue ***


Non capivo.
Non capivo perché tutte quelle bugie.
Per proteggermi da quei mostri?
Non erano tutti mostri, Roman non lo era.
Se qualcuno di loro avesse ucciso i miei genitori, avrebbe voluto dire che ce ne erano sparsi altri per Hemlock Grove o addirittura per il mondo.
Improvvisamente non contò più niente, volevo assolutamente sapere chi fosse stato.
Se solo avessi potuto contattare i miei genitori: purtroppo i miei poteri si accendevano e spegnevano come una candela al vento.
Chiederlo a Destiny?
No, lo avevo fatto troppe volte e poi non avevo intenzione di rivolgerle la parola per un bel po'.
Oh, Roman.
La persona peggiore per la quale prendersi una cotta, in quel momento.
Capii quindi che la mia felicità in amore fosse andata letteralmente a farsi fottere.
Mentre cercai di riprendere il controllo, mi arrivò un messaggio.
Parli del diavolo…
Roman voleva vedermi alla roulotte di Peter urgentemente.
Credevo fosse successo qualcosa e dentro di me sapevo che sarebbe stato difficile rivederlo.
Presi la bici e pedalai verso il bosco.
Notai come prima cosa che la macchina di Lynda non c’era: né le poltrone di fuori, né l’amaca attaccata agli alberi.
Percorsi la discesa ed entrando, il deserto.
C’erano solo i mobili, tutto il resto era scomparso.
E poi Roman, seduto sul divano, con gli occhi rossi dal pianto.
Cosa era successo?
Avevano rubato tutto?
Se ne erano andati?
-I-io non capisco…-
-Nemmeno io…- bofonchiò Roman.- Nemmeno io, cazzo!- gridò, dando un calcio al muro.
Si sistemò i capelli e si asciugò le lacrime sul viso.
Peter se ne era andato senza darci una spiegazione.
Io non sapevo che dire, era veramente troppo da sopportare.
E la cosa peggiore era che anche Roman gli voleva bene: avevano condiviso insieme il grande dolore di perdere una persona cara.
Forse la loro amicizia era stata più stretta di quella tra me e Roman.
Facevano gli stessi sogni, pensavano le stesse cose, erano una cosa sola.
Anche se la storia ci insegna che lupi mannari e vampiri sono nemici naturali.
Loro non lo erano.
Non mi andava di piangere ancora.
Uscimmo fuori e lui si accese una sigaretta nervosamente.
-Mi dispiace se non ti ho chiamato in questi giorni…Avevo bisogno…Di stare da solo.- mi disse, tirando su col naso.
-Non fa niente.- replicai, incrociando le braccia per il freddo.
-Ma adesso non voglio più essere solo.- continuò, con la voce spezzata. -Mia madre si comporta come se non fosse successo niente e la casa mi sembra così vuota senza Shelley.-
Lo avevo già visto in quel modo e sembrava più…umano.
Cercai di non guardarlo negli occhi, non mi ci volevo perdere, non volevo cedere, dovevo dimenticarmelo e basta.
Ma come si fa a dimenticare una persona che ti ha fatto provare tante emozioni?
Fece un ultimo tiro e gettò la cicca, avvicinandosi a me.- Andiamo via per le vacanze di Natale. Andiamo alle Hawaii, andiamo dal sole e dal mare, io e te.-
Era una proposta davvero allettante.
Avrei tanto voluto accettare.
Sembrava una bellissima immagine.
Lasciarsi alle spalle tutte le preoccupazioni.
Non ce l’avevo fatta a non guardarlo negli occhi.
Erano più belli di quanto ricordassi.
Osservai le sue pupille dilatarsi mentre mi fissava.- Lily, vieni con me.-
Ci stava provando forse per l’ultima volta, ma non aveva alcun effetto.
Usai il pollice per pulirgli il sangue che gli cadde dal naso, accarezzandogli la guancia.
-Sai perché con me non ha mai funzionato?- sussurrai, mentre i miei piedi si muovevano da soli per avvicinarmi a lui sempre di più.
Scosse appena la testa, poggiando la fronte sulla sua.
Sentivo il suo profumo entrarmi nelle narici e l’immensa voglia di baciarlo.
-Perché non ne hai mai avuto bisogno.-
Con quella frase, probabilmente, ammisi di essermi innamorata di lui.
Capii che volesse baciarmi, quindi forse anche io gli interessavo in quel modo.
Questo rendeva le cose ancora più complicate.
Mi rese ancora più difficile doverlo allontanare, mettendogli le dita sulle labbra. -Ma ora non posso…- mormorai, girandogli le spalle per correre dalla mia bici, prima di cambiare idea.
Sono qui, adesso.
Sto guardando le mie mani tremare e credo che quelle che scendono sulle mie guance siano lacrime.
In realtà non so perché sono dispiaciuta, lo conosco da neanche due mesi.
Eppure, mi dispiace, perché mi rendo conto che si è creato qualcosa di speciale.
Qualcosa che nemmeno lui si aspettava di trovare.
Lui è uno di loro e io non posso farci niente.
Mentre montai, mi voltai a guardarlo per un’ultima volta: aveva lo sguardo di chi aveva avuto tutto tra le mani per un attimo e poi l’aveva perso.
Ed era stato così.
All’inizio Roman Godfrey aveva tutto: una sorella, una cugina e degli amici.
Ora non aveva più niente e nemmeno io.
Eravamo in tre.
Ci volevamo bene ed eravamo affiatati.
Era cambiato tutto in un attimo.
Eravamo tre.
E adesso…E adesso…
 
CONTINUA…

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