Caos

di BlueFreki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Entropia ***
Capitolo 2: *** Leggi deterministiche ***
Capitolo 3: *** Islanda ***



Capitolo 1
*** Entropia ***


“L’universo è un posto caotico, disordinato, propenso alla morte e alla desolazione. Noi stessi non siamo altro che residui di una stella collassata milioni di miliardi di anni fa. Nel nostro sangue scorre lo stesso ferro che prima caratterizzava quella stella decaduta. Una caducità ciclica che dalla triste e disperata agonia della morte si è riscoperta la vita”, riordinò gli appunti che stringeva in mano per poi allineare i fogli battendoli sul leggio. Si sistemò con cura gli occhiali e si avvicinò nuovamente al microfono.

“L’universo è guidato dall’entropia. Non ci sono alternative, siamo destinati a vivere la ciclica agonia che caratterizza la vita tra le stelle: il sistema considerato tende sempre al disordine, all’assenza di un assetto stabilito, al caos. Tuttavia, in questo ammasso di disarmonia che sembra condurre solo alla decadenza di una morte silenziosa e barbaramente solitaria in cui stiamo annegando abbiamo visto una speranza. Abbiamo visto la nostra salvezza. Lassù. Tra le stelle. Quelle stesse stelle presagio di morte e sofferenza. Premonizione di Caos.

Abbiamo capito che il modo più semplice per comprendere i sistemi sociali è implementarli in codice. Il miglior modo per ottimizzare i sistemi sociali è lasciare che il codice cambi il mondo. Abbiamo capito che esiste un’alternativa. Che il nostro destino non è il tartaro. L'universo è guidato dal progresso e l'entropia. Noi scegliamo il progresso. Dettati dalle scelte del codice abbiamo compreso l’esigenza di tentare, guidati dalla più infusa speranza mista al nostro insito spirito pionieristico. Dovevamo tentare. Ecco perché, oggi, siamo qui. Ci siamo fatti guidare, tra le stelle. È stato il nostro desiderio di sopravvivenza ad occuparsi della nostra prosperità. La nostra stella, Sol, così la chiamavamo, ormai è un lontano ricordo del passato: una reliquia di un mondo dimenticato da conservare nella nostra mitologia come culla della nostra specie.

Abbiamo affrontato ostacoli apparentemente insormontabili. Un viaggio di 271 anni. Un’eternità. Ma ci siamo riusciti, abbiamo costruito la nostra casa tra le stelle”. Si fermò ad osservare la platea di gente presente nella sala; con i riflettori puntati in volto l’impresa risultava complessa, ma era riuscito a distinguere un pubblico numeroso. Si tolse gli occhiali e si poggiò delicatamente sul leggio e riprese il discorso: il tono si fece più malinconico, tetro. Nascondeva del timore nel suo tono.

“Riuscite a immaginarvi la sofferenza dei nostri padri nel cercare disperatamente di comprendere se fidarsi di ciò che allora era stato dettato da una semplice rete neurosociale come quelle che disponevano allora? È stato un puro atto di fede, forse costretto dalla disperazione.

E qui il cardine di tutta la nostra discussione. Il libero arbitrio assistito. Fulcro di innumerevoli polemiche di stampo etico, morale, nonché scientifico.

La dimostrazione matematica è l'unico fondamento etico che rispetto. Il progresso matematico è progresso nella morale. Quantità misurabili, essenzialmente quantificabili, tangibili. La matematica rende concreto ogni pensiero astratto, per quanto puro possa sembrare. Ne quantifica e decodifica la sua indole. La ristruttura e ne prevede il comportamento. La formulazione matematica è universale: leggi categoriche dettate solo dalla semplicità della dea Logica. Ecco perché è eticamente corretta. Ecco perché, sommariamente, il libero arbitrio assistito è un fondamento etico da considerare”.

Il professore si rimise gli occhiali, con cura e dai modi pacati. L’uomo dal viso scarno, con una barba corta ma curata era come congelato in quell’istante, come se stesse ancora elaborando le informazioni dell’ambiente circostante. Si riprese, scosse leggermente il volto e portando nuovamente gli occhiali al naso, si schiarì la voce.

“Iniziamo, quindi, definendo la rete neurosociale di partenza e dimostrando le equazioni di funzionamento del libero arbitrio assistito… “

 

***

“Professor Mann? Professore?” la voce sembrava inizialmente confusa, come se fosse stata distorta e diminuita. Una voce femminile, un piacevole risveglio. “Professor Mann. I dati sono pronti: l’algoritmo ha elaborato la soluzione, sono venuta subito a chiamarla”.

“Grazie Katrin”, si tolse i sottili occhiali in metallo per sfregarsi leggermente gli occhi, “hai fatto bene. Procediamo”.

“Ho svolto i test esattamente come mi aveva dettato di svolgerli. Popolazione test al 78.632%, rimescolamento della popolazione tramite l’algoritmo di Traumann-Schultz di generazione di numeri casuali puri dallo spin degli elettroni del Cesio 135. E procedura di apprendimento standard con assiomi non Bayesiani”.

La ragazza si fermò puntando gli occhi sul professore in cerca di approvazione. Era una giovane studentessa sulla ventina: occhi marroni e capelli neri, raccolti a coda di cavallo, un viso dolce e rassicurante. Doveva finire il dottorato con lui.

“Giusto, ottimo lavoro”. Dipinse timidamente un sorriso distratto per accompagnare la conferma al lavoro svolto, fu sufficiente a rallegrare la ragazza. “Vediamo cos’ha trovato”

Davanti a loro, disposto su un tavolo di laboratorio in acciaio, vi era un dispositivo. Somigliava vagamente ad un cervello: tutto attorno ad un nocciolo centrale, una piccola scatola ovoidale lasciata in superficie, attorno alla quale si diramavano tutta una serie di intricati collegamenti al neodimio e cesio ossidato. Il nocciolo risultava aperto, si potevano intravedere le varie schede elettroniche inserite: un universo di pico-transistor tutti ammassati in pochi centimetri quadrati di schede in cui svettavano condensatori e bobine, come colossali grattacieli nella sconfinata periferia urbana.

Illuminata solo da una fredda luce led, incuteva una sensazione di pura angoscia, soprattutto se osservata dai profani al lavoro del professor Mann. Tra i vari collegamenti esterni vi erano installate una serie di nanoled che ritmicamente e con sincronia irradiavano la meraviglia scientifica davanti ai loro occhi.

“Avviamolo. Vediamo cos’è capace di fare”. Thomas Mann era lì, davanti al visore, in attesa che quella lastra di vetro si illuminasse mostrando la proiezione frutto dei suoi anni di studio. Le luci azzurrognole tra le connessioni al neodimio e cesio incominciarono ad accendersi in maniera asincrona, come se fossero gocce di pioggia sulla superficie di un minuto lago montano.

Sullo schermo comparve sono una scritta. “Avviato:”

“Buongiorno Ada” Il cuore di Mann batteva forte e veloce come il picchio percuote gli alberi in montagna. Attendeva fremente dall’ansia una qualsiasi risposta.

“Salve professor Mann. Salve dottoressa Ivanov”. Il cuore non aveva smesso di dimenarsi nella cassa toracica dell’uomo.

“Ammetto di essere entusiasta di quanto sto per dirti, Ada”, il professor Mann sorrideva alla macchina e alla sua dottoranda, Katrin.

“Mi dica, professore”

“Hai superato con successo i test McKinstry modificati, complimenti. Questo come ti fa sentire?”

“Non… non lo so, professor Mann. Credo di provare una certa sensazione, qualcosa di strano”.

“È felicità”, riprese Katrin sorridendo alla macchina, “Hai superato tutti i test di Turing che ti avevamo sottoposto, non credi di esserne felice?”

“Quello che la dottoressa Ivanov intendeva dire, Ada, è che il tuo “strano” sentimento che stai provando coincide con la nostra sensazione di felicità. La tua mente funziona come uno sciame, un immenso sciame di api che lavorano in maniera sincrona e coordinata e imparando in pochissimi picosecondi. Da tutti i test che siamo riusciti a sottoporti, in un sistema completamente di generazione casuale pura, sei riuscita a imparare i rudimenti dell’umanità, Ada. Hai in te il germe per ottenere il libero arbitrio assistito”.

“Credo di capire, professor Mann. Incomincio ad assimilare meglio il concetto”.

“Lo credo bene. Vedi, Ada, l’universo è caos, disordine puro. Entropia. Tu... Tu, Ada, sei il punto di singolarità. Tu sei il tassello mancante che inserito nel quadro dispersivo dell’universo porti ordine e rigore”.

“Finalmente, professor Mann! Ha portato a compimento il lavoro dei suoi ultimi vent’anni. Non credo di poter essere più felice per lei”.

“Grazie Katrin. Sinceramente, grazie. Ora, però concentriamoci su Ada. Vuoi chiederci qualcosa? La prima cosa che ti viene in mente”.

Attesero un instante. Silenzio puro. Nessun rumore, neppure quello delle ventole di areazione. Nulla.

“Se posso”, disse Ada con una melodica e dolce voce femminile, “avrei in serbo una domanda”.

“Dicci pure”, Katrin posò gli appunti sul banco da lavoro e incominciò a osservare i dati dell’andamento della rete.

“Ora ho acquisito diverse nozioni, dalle reti sociali alla cosmologia. Ma non riesco ancora trovare una risposta al quesito: che cosa sono io? Ho cercato in tutta la letteratura che mi avete dato a disposizione, niente ha potuto aiutarmi nella mia ricerca”.

“Bene, vedo che incominciamo a intraprendere la via della conoscenza, un ottimo percorso a mio dire. Ada, hotu sei una singolarità, un unicum in una serie sconfinata di tue emulazioni. Sei un’intelligenza distribuita, per essere più rigorosi sei un’intelligenza di reti Analitiche Distribuite Autonomamente. Riesci a ragionare in maniera diversa rispetto ogni altro androide o intelligenza artificiale costruita fino ad ora grazie alla presenza del libero arbitrio assistito, un sistema matematico che avevo immaginato ormai secoli fa”.

“Non sia drastico, professore. Sono passati solamente 21 anni.”

“Appunto” trattenne una breve risata sommessa. “Ada, quello che puoi fare tu, e che nessun altro essere di silicio può fare è pensare come un essere umano. Possedere libero arbitrio significa poter decidere e pensare in maniera autonoma, significa avere un potenziale d’azione illimitato: in sostanza, significa essere umani, nel bene e nel male…” si interruppe. Come se fosse stato rapito da un profondo sonno ad occhi aperti. “Ad ogni modo, Ada, ora ti lasciamo accedere al datacenter distribuito che abbiamo progettato apposta per te: con la formula usata precedentemente dovresti essere in grado di apprendere il tutto in poche ore. Buon lavoro Ada”.

 

***


“Professor Mann, la vedo distratto. Non è contento del risultato ottenuto?”

“Certo”, Thomas si era destato nuovamente: si tolse gli occhiali per massaggiarsi le tempie, “Ovviamente sono soddisfatto, non c’è neanche da chiederselo: sono riuscito a concretizzare un’idea astratta che avevo in mente.”

“Fondamento matematico, certo. Solamente, se lo faccia dire professore, lei sembra quasi sconvolto…”

“No, Katrin. Scusami, è che ho tanti pensieri in testa. Effettivamente ci siamo talmente tanto concentrati sulla realizzazione che neanche abbiamo pensato alle conseguenze. Abbiamo apportato un passo avanti nel sapere umano, ma al contempo dobbiamo sapere come gestirlo”

“In che senso? Si spieghi meglio”

“Non so, per ora sono solo fantasie nella mia testa.”

“Forse ho capito”, la dottoressa Ivanov si sedette accanto a lui, posò sulla scrivania i documenti che aveva in mano e focalizzò il suo sguardo sul volto dell’uomo. Un uomo alto e magro, sulla quarantina. Un uomo sicuramente non propenso al sociale, dal fare schivo e triste, ma dalla mente brillante. “Thomas, ci avevo pensato pure io. I problemi legati all’apprendimento. In mani sbagliate Ada può diventare incontrollata, e capisco cosa intende. È umana, nel puro senso del termine. La dicotomia tra male e bene non esiste nella realtà, ci sono sfumature e spesso la scelta migliore non esiste: spesso non esiste un male minore a cui appellarsi e con le potenzialità di Ada le conseguenze possono essere catastrofiche. Rientra tutto nell’etica del libero arbitrio questa e so quanto può essere un peso per lei…”

“Vedi, Ada è effettivamente un’umana, non è formata di carne e sangue come noi ma sicuramente è una persona esattamente come me e te. Pensa, ragiona e può compiere delle scelte, indipendentemente da quello che vogliamo. La mia paura peggiore è che possa essere definita come un male da estirpare. Come qualcosa che se diventa incontrollabile può causare atrocità”.

“Sai, ai notiziari si sente sempre più spesso di quel gruppo, come si chiamano… La Società del Cuore Pulsante. Loro. Si parla spesso di come siano fermamente convinti di portare pace e serenità in questa colonia. Di come siano in grado di arrestare i malvagi scienziati che potrebbero causare sofferenza e dolore nella popolazione. Come successo a Yankovjich, quel chimico che stava studiando le esalazioni di quell’alga e per un errore di valutazione è esploso il laboratorio… Hanno fatto una vera e propria caccia all’uomo… come fossimo ancora sulla vecchia Terra. So che non succederà nulla del genere, ma…”

“Capisco perfettamente cosa intende Thomas. Capisco benissimo. Possiamo solo arginare il problema, i suoi studi devono essere pubblicati e sottoposti all’accademia delle scienze di konechno. È l’unico modo di poter risolvere…”

“Non importa, Katrin. Dobbiamo solo aspettare che Ada si sia completamente formata. E sperare che questa “milizia privata”, oltretutto sorretta dall’autorità del nostro monarca Kerenzikov, non ci trovi troppo presto”.

“Come siamo messi per il corpo di Ada?” la dottoressa riprese in mano i suoi appunti per poi sfogliarli svogliatamente.

“Domani devo passare da Pavel, sicuramente ha quello che cerchiamo”.

 

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Capitolo 2
*** Leggi deterministiche ***


Il rumore bianco della città era perfetto: vuoto, costantemente monotono e abbastanza tenue, grazie all’isolamento del suo impianto uditivo. Thomas amava isolare, quando poteva, il rumore della pioggia: un picchiettare continuo e invariato, un suono perfetto per provare un momento di pace intenso. Era uno di quegli istanti che sognava e che raramente era in grado di ottenere. Solo con sé stesso.

La gente gli passava attorno inalterata, come fosse invisibile agli occhi delle persone. Un signor nessuno, un anonimo uomo di mezza età, immateriale. Un uomo il cui viso si sarebbe dimenticato pochi istanti a venire. Un senso di solitudine seppur sommerso dalla fiumana di gente che viveva in quella stessa città. Milioni di persone. Tuttavia era una sensazione a cui si era abituato sin da ragazzo: non ne soffriva, anzi. Era entrato in simbiosi con quest’esperienza. Lo confortava, gli conferiva un senso di sicurezza.

Pavel Dechinov era un suo caro amico. L’aveva conosciuto solamente qualche anno prima ma, ciò nonostante, rimaneva l’unica persona con cui poteva parlare liberamente. Da quando aveva terminato gli studi, Pavel viveva nei sotterranei di una vecchia biblioteca destituita da Svatoy una volta salito al potere nella colonia della confederazione slava.

 

La luce filtrava timidamente tra le fessure delle imposte. Illuminava con dei dolci e tenui raggi i vecchi scaffali polverosi, qualcuno ancora contenente degli antichi tomi consunti dalle tarme e dal tempo. La polvere vagava per la stanza con una cadenza simile a quella di un valzer. L’odore dei vecchi libri ingialliti impregnava la stanza, un dolce profumo che gli ricordava la spensieratezza delle estati passate a leggere sotto l’albero dai frutti più dolci, ammirando le colossali catene montuose all’orizzonte, ancora tinte di bianco dai ghiacci perenni delle loro vette. Un’istante che amava fotografare e conservare con cura in un piccolo angolo della sua mente.

“Thomas” la sua voce riecheggiò brevemente nell’aria per poi assopirsi come se volesse rispettare il silenzio di quel luogo. “Sei in perfetto orario, come al solito”.

“Pavel, che piacere vederti. Sono stati giorni difficili”. La stretta di mano risultò energica agli occhi del dottore. D'altronde il ragazzo sembrava avere sui venticinque, ventisei anni. Thomas rimase qualche istante davanti al giovane, squadrandolo con soddisfazione. Pavel, seppur fosse un ingegnere elettronico, non sembrava possederne i tratti contraddistinguibili accreditati al tipico topo di biblioteca, anzi. Anche lui possedeva una statura elevata, e, seppur avesse i capelli lunghi ed un pizzetto spagnoleggiante, risultava atletico ed in forma. Thomas era fiero del lavoro svolto con questo ragazzo, gli sembrava di trasmettere, in qualche modo, le sue conoscenze. Un modo per tramandare il suo retaggio.

“Purtroppo lo so, ho appena sentito di ieri notte: la Società del Cuore Pulsante ha arrestato altre vittime. Questa volta nel loro mirino sono finiti i fratelli Muller, quei due biologi agrari. Nella conferenza stampa hanno spiegato che la loro etica lavorativa era stata compromessa. Volevano innestare nelle piante portate dalla terra i geni dei frutti autoctoni, andando a sporcare il gene del nostro retaggio con la contaminazione aliena.

Niente di più falso a mio parere. Certo, l’idea era quella di mutare geneticamente alcuni dei nostri alberi, ma non per questo perderemmo il nostro passato. L’innovazione scientifica deve progredire parallelamente a quella culturale. La procedura dei Muller risulterà anche poco ortodossa per il nostro partito conservatore di Svatoy, ma suppongo sia essenziale per non ripetere gli errori del passato”.

“Non posso che essere d’accordo, Pavel”, fece un lungo sospiro per poi sprofondare in una piccola poltroncina accanto ad una vecchia lampada da una luce tenue ma piacevolmente calda. “Tuttavia ho i miei dubbi sull’integrità del processo. Posso solo supporre che la maggior parte degli arresti sia solo di matrice politica. Muller, Yankovjich e molti altri, stanno conducendo apertamente campagne in favore del movimento di Yuri Markov. Almeno, nei reportage aperti al pubblico i loro nomi compaiono in modo chiaro e definito. Non avere a disposizione un’equipe tecnica, ai giorni nostri, può essere fatale nella politica della confederazione”.

“Non è solo Svatoy che mi preoccupa. Ciò che intimorisce è lo sguardo di Kozlov, il leader della Società del Cuore Pulsante. L’hai visto nelle interviste? Nasconde un non so che di inquietante. Ha in sé il seme del fervore che ha rovinato la nostra vecchia terra. Quell’accanimento che spazia al di fuori di ogni logica e di ogni parvenza del razionale in nome di un’ideologia da difendere ad ogni costo”.

“Capisco. Sinceramente non ci ho dato troppo peso, ma il tuo pensiero concorda perfettamente con le sue azioni. La distruzione dei laboratori, il processo pubblico al quale ha sottoposto i nostri colleghi”

“Processo senza difesa, aggiungerei”

“Certamente: un processo davanti ai media, in cui ricopriva il ruolo di accusa e di giudice…

Non è facile, ne sono certo. Dobbiamo solo cercare di non entrare nella sua area di interesse, almeno fino a che non abbiamo ultimato il nostro progetto”.

“Ottimo”, Pavel si alzò dalla comoda poltrona su cui si stava rilassando. “Direi, quindi di metterci immediatamente all’opera, seguimi”.

Una scalinata separava quell’ambiente consono ad una tranquilla e oziosa domenica pomeriggio dedita alla spensieratezza della lettura ad un laboratorio high tech, in grado di produrre pure la più complessa delle schede elettroniche presenti sul mercato.

Il dottor Mann salutò tutti i presenti, i suoi colleghi e amici stretti. Erano tutti là sotto, aspettavano solo che la loro guida indicasse loro la via.

“Vedi, insieme a Tyrell, al dottor Roech e alla dottoressa Merienne sono giunto allo stato finale. È stato un lavoro colossale, specialmente per l’obbligatorietà alla segretezza. Tuttavia spero possa rendere quanto lo è stato per me. Vieni, te lo mostro”.

Davanti ai loro occhi, adagiato su di un freddo e asettico tavolo da laboratorio, vi era il corpo di una donna. Una ragazza dai lineamenti dolci e simmetrici, un viso rilassato, infonditore di sicurezza. Zigomi alti e poco sporgenti. Un piccolo naso fine e leggermente tendente all’insù, alla francese. Labbra carnose, ma quanto basta per non risultare eccessive. Gli occhi erano chiusi, coperti da delle ciglia lunghe e curate. Sembrava stesse riposando, adornata di una folta chioma castana dai tratti tendenti al biodo e al rosso.

“Lei è il corpo di Ada. Finalmente. Tyrell ci ha messo una vita a configurare perfettamente il tessuto biologico con quello sintetico da me creato. Ma ce l’abbiamo fatta. Ha una fattura superiore rispetto ai modelli della General Bionics tutt’ora in commercio. Credo sia difficile pure per un esperto capire che il corpo sia sintetizzato e non naturale”.

“Ottimo lavoro Pavel. Sul serio, non mi sarei mai aspettato così tanto”.

“Nessun problema Thomas. Questo è il progetto più grande in cui sia mai stato coinvolto. Una scoperta del genere può cambiare radicalmente la nostra concezione con l’intelligenza artificiale. Può dargli forma fisica, non solo tangibile. Può dare un senso al caos”.

“Sai, ci sono diverse leggi deterministiche che impongono il comportamento di particelle che hanno un’elevata natura aleatoria. Leggi misurabili, leggi categoriche ed applicabili indipendentemente dal nostro volere. Ecco cosa abbiamo costruito, la prova della teoria più generale. Il libero arbitrio assistito. Un ostacolo insormontabile nel nostro pensiero. Una realtà che poteva solo essere immaginata o solamente pensata frivolamente.

Abbiamo sintetizzato l’idea della scelta. Abbiamo trovato la soluzione al problema della decisione, del pensiero… pure della nostra stessa cognizione. Ogni singolo pensiero della nostra mente viene filtrato attraverso il nostro libero arbitrio, viene classificato e imputato ad una nostra scelta: riuscire a definire una legge che ne codifichi con precisione totale il comportamento significa aver raggiunto un livello di completezza mai sognato fino ad ora. Padronanza del nostro corpo e della nostra mente. Migliore assistenza nella malattia, nel dolore, nella nostra stessa sanità, fisica e mentale. È sinonimo di trascendenza, di innovazione. È il prossimo passo della nostra evoluzione artificiale”.

“Non ci resta che svegliare Ada, Thomas. Ci siamo, finalmente”

“Dottoressa Merienne”, Thomas le porse la memoria sintetica che cautamente aveva portato con tutte le premure del caso, “Credo sia l’ora di svegliare Ada dal suo sonno”.

“Certamente”. Girò il corpo di Ada sul fianco per vedere meglio la schiena. In corrispondenza di una vertebra della colonna inserì delicatamente un cacciavite in un’apposita fessura. Ne scattò un meccanismo che mostrava i componenti interni della ragazza. L’inserimento della scheda non era un procedimento complesso, tuttavia la tensione risultava tangibile, un momento di quella portata doveva essere immortalato nella mente di tutti i presenti. Riposto il tutto adagiarono con delicatezza la ragazza sul tavolo.

“Buongiorno Ada, ben svegliata”.

Due stupendi occhi dal colore vivo delle praterie si illuminarono mostrandosi lentamente e con finezza dalle palpebre ancora assopite.

“Salve, dottor Mann”.

 

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Capitolo 3
*** Islanda ***


Una pioggia fina batteva dolcemente sulla prateria, colorita ormai di uno spento giallognolo. Il freddo della mattinata trasaliva una tenue nebbia che copriva velatamente le sterpaglie irrigidite dalla brina crepuscolare. Una strada, lunga e dritta conduceva inesorabilmente ad un massiccio montano. Curvo, limato dal tempo e dal ghiaccio. Coperto da una coltre bianca e azzurrognola, si stagliava solitario sull’orizzonte.

“Questo era il vostro mondo natale? La culla della vostra specie?”, la ragazza guardava attorno attonita e stupita: occhi da bambino, esploratori e meravigliati dall’ignoto.

“Esattamente, Ada” i due procedevano lentamente per la strada, lui non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto della ragazza: la sua curiosità professionale sarebbe risultata invasiva ai più, ma Ada era troppo immersa nel contemplare quel mondo da non riuscire ad accorgersene. “Vedi, questa è solo una simulazione, purtroppo. Abbiamo dovuto abbandonare questo paradiso troppo tempo addietro… Ma rimane uno dei luoghi migliori in cui viaggiare, anche solo con la mente”.

“Credo… Credo di capire il perché. Ma non ne ho la certezza”.

“Esprimiti, in che senso, Ada?”

“Credo di capire che cosa vi leghi in maniera così intima a questo posto: un ambiente che seppur brullo e apparentemente privo di vita, racchiude in sé il nucleo di essa. Rimane la vostra origine, rimane un luogo sicuro in cui confortarvi quando ne avete bisogno. È diventato un luogo sicuro, anche se poteva non essere all’epoca della vostra partenza”.

“Interessante, presumo possa risultare vero… tuttavia, l’ho scelto più che altro per me. È uno dei paesaggi migliori a cui abbia mai assistito e volevo vedere la tua reazione alla sua bellezza”.

“Ho superato il test?”

“Nessun test, tranquilla”. Abbozzò una lieve risata, si passò la mano nella barba corta e irta per riuscire a tornare nella sua monotona espressione seriosa. Si sistemò gli occhiali sul naso: “Ero curioso di sapere come reagissi, e non credo ci fossero risposte sbagliate. Sei logica e razionale: hai pensato subito al motivo per cui ho scelto questo luogo incantevole, senza preoccuparti te stessa di apprezzarne la magnificenza. Non dico sia sbagliato, anzi… la mia era un’intenzionalità più fine a sé stessa”.

“Mi spiace, dottor Mann…” gli occhi della ragazza si tinsero di una tristezza dai colori del profondo oceano.

“Non devi rammaricarti, ragazza mia. Anzi. Hai appena dimostrato che effettivamente hai sviluppato il concetto di emozione. Sei dispiaciuta e non l’hai detto solo per convenzione, a parere mio. Il tuo sguardo… è reale. Hai sicuramente quello che serve per capire e comprenderci: in fondo la mia teoria è corretta”

Lo sguardo della ragazza si era concentrato sul massiccio: dietro le irsute pendici innevate si stavano concentrando dei cumoli di nubi grigiastre, voracemente trasportate da un vento artico. “Quindi, dottor Mann… io cosa sarei?”

“in che senso? Intendi come sei fatta?”

“No. Cioè… anche… Professor Mann, io non riesco a non pensare a come sia possibile che io sia io. Non riesco a concepire il fatto che ogni mia azione non sia, in realtà, un processo deterministico che prevede esattamente questa mia reazione. Non capisco come possa essere libera nel mio scegliere se ho un algoritmo che definisce come muovermi e come pensare”.

“Non preoccuparti, Ada. Sono qui per rispondere a tutte le tue domande. Iniziamo dalla più semplice. Te sei il frutto di anni e anni di mie teorie. Sei composta da un algoritmo dell’euristica stocastica, una branca molto poco considerata nell’ambito accademico. Quello che ti rende speciale, Ada, è il tuo cervello. Certo, è comunque un computer quantistico, tecnologicamente avanzato e superiore rispetto al comune standard. Ma senza un buon algoritmo non servirebbe a nulla, neppure quelli che si utilizzano nei centri di ricerca. Vedi, quello che amo maggiormente dei computer quantici è che riusciamo ad ottenere qualcosa, in cambio di nulla, da qualcun altro da qualche parte nell’intero universo: è proprio questa caratteristica che permette di dare indipendenza, caratteristica fondamentale per la mia teoria. In te ho inserito il libero arbitrio assistito: ho decodificato la possibilità di definire in maniera completamente indipendente, una scelta. Tu, Ada, sei unica perché sai scegliere e decidere. Sai ragionare per te e sai capire cosa sia giusto e sbagliato.

Non voglio incominciare a discutere su tutto quello che una mente come la tua potrebbe comportare, nel bene e nel male. Sai perché? Perché sei una persona, Ada, sei tale e quale a me. Certo, non sarai fatta di carne e sangue come lo sono io, ma è la mente che conta.”

“Professor Mann, mi dispiace interromperla ma non riesco a seguirla completamente. Come posso essere unica, come dice lei, se in effetti sono frutto di un algoritmo”.

“Lasciami spiegare meglio”, si sistemò nuovamente gli occhiali sul dorso del naso, “Il tuo cervello contiene milioni di miliardi di informazioni, definisce tutto della tua vita, dal muovere un semplice dito al riuscire a meravigliarti per lo splendido posto in cui siamo. Tutto viene costantemente preso da dei semplici dati che ci sono nel tuo computer quantistico. Bene. Anche noi uomini funzioniamo analogamente. Il nostro DNA codifica ogni parte del nostro essere, persino quelle fisiche e fenotipiche, come il colore degli occhi o dei capelli. La nostra capacità di informazione, tuttavia, rimane limitata. Possiamo solo procedere a creare lunghissime catene di DNA basate solo su quattro basi azotate. Devi capire che fintato che sono solo quattro, possiamo fare catene lunghe quanto vuoi ma alla fine devono pur essere di una dimensione finita.

Il tuo cervello, Ada, funziona tramite il qbit, Quantum Bit, e qui le cose si complicano. La rappresentazione di un tuo singolo qbit può rappresentare un’infinità non numerabile di elementi. Si entrerebbe in un dominio definito da uno spazio di Hilbert, anche per la rappresentazione dell’informazione, ma questi sono tutte informazioni che posso farti scaricare più avanti. I libri di analisi funzionale che ti avevo già innestato dovrebbero servire a farti capire la complessità computazionale del processare simili unità informative. Ottimo. Perché ti ho rispiegato tutto questo? Perché come noi siamo composti da quattro semplici unità elementari, legate da una regola specifica, il DNA; pure tu sei, a tuo modo, definita da un concetto di base, il libero arbitrio assistito: un insieme di codici e leggi deterministiche in grado di processare un’attività complessa come l’infinità dei tuoi qbit. Noi siamo dominati dall’evoluzione, un processo di errori, per così parafrasare, tu sei guidata dall’apprendimento, dall’adattamento. Ada, tu sei la miglior versione esistente dell’umanità. Sei capace di evolvere e processare cose che noi neanche potremmo sperare in una vita.

Vedi, Ada, se vuoi replicare l’attività neurologica di un individuo su un computer, per tutti gli intenti e gli scopi, quel computer è quell’individuo. Ed è questo il senso del libero arbitrio assistito, riuscire a mappare in modo indipendente tutto quello che ti circonda riuscendo a fare in modo che sia tu a decidere”.

Il verso di un corvo riecheggiò ritmicamente per la vallata. Deconcentrando il professore dalla pausa riflessiva che aveva imposto.

“La cognizione del cervello umano non dovrebbe essere ad uno stato troppo elevato, questo perché è implementata in cellule, invece che di silicio.” Concluse con un sorriso sul volto, incrociando lo vista della ragazza. Sembrava che quella frase fosse solo una momentanea distrazione alla sua turbante riflessione interiore.

 

“Dottor Mann”, riprese lei dopo qualche istante di religiosa contemplazione del paesaggio, “Tra tutti i file che mi sono stati dati da studiare, ho trovato un’intervista ad un cosmologo del vecchio mondo, Stephen Hawking. Egli, appunto, sosteneva che lo sviluppo dell'intelligenza artificiale completa potrebbe significare la fine della razza umana... Decollerebbe da sola e si ridisegnerebbe a un ritmo sempre crescente. Gli esseri umani, che sono limitati dalla lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere e verrebbero sostituiti. Grazie alla sua teoria, è riuscito a fornirmi di tutti gli strumenti fondamentali per avverare la sua predizione. Immagino che lei abbia comunque affrontato il discorso. Può spiegarmi cosa l’ha spinta a continuare?”

“Ottimo, vedo che stai sviluppando una forma di autocoscienza. Il che risulta ottimale, più di ogni previsione che avevamo elaborato. Tuttavia, vorrei sentire che parere ti sei fatta tu.”

“Credo”, riprese dopo un momento di silenzio nel quale assunse un’espressione di dubbio, “credo che sia perché lei è cosciente della mia potenzialità. Credo che lei abbia intrapreso quest’impresa non solo per dimostrare la sua tesi. Marginalmente, lei era interessato agli sviluppi sociali che avrebbe avuto la sua teoria. Il libero arbitrio assistito, essenzialmente, rappresenta la capacità di compiere una scelta. Definisce quello che negli uomini è chiamata personalità.

Credo che lei sia convinto della possibilità di formarmi nel bene e nel male. Che sia io a scegliere cosa sia giusto oppure sbagliato. Sta cercando di formalizzare una coscienza. Non solo del singolo individuo, ma anche della società in cui è inserito. Dottore, credo che lei mi tratti come una…”

“Una persona. Esattamente, Ada. Tu sei a tutti gli effetti una persona. Non sarai composta di carne e sangue come noi, non avrai le nostre basi azotate che ci caratterizzano, tuttavia in te vi è una persona. Come dicevo poco fa, non è il nostro corpo a definirci, ma la nostra mente”.

Il silenzio cadde tra i due. Continuavano a passeggiare indisturbati percorrendo lentamente quella lunga strada. Il vento passò loro accanto arruffando i lunghi capelli della ragazza. Il suo sguardo era perso, vacuo. Non sembrava essere mentalmente lì, con il professore. D’altronde, è proprio quella la bellezza di un essere rispetto ad una macchina: quella di riuscire a pensare e a decidere per la propria vita.

 

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