Redamancy

di Carmaux_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 ***
Capitolo 2: *** #2 ***



Capitolo 1
*** #1 ***


1
 

Incontriamo, a volte, persone che non conosciamo affatto,

ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo,

un grande interessamento sebbene non si sia scambiata ancora una parola.

(Fëdor Dostoevskij)


 

La prima volta che l'aveva incontrato l'aveva guardato senza vederlo: una macchia rubra con un piccolo schizzo di grigio aveva fatto capolino nella sua visione periferica e, sul momento, aveva persino voltato la testa per identificarla con maggiore attenzione. L'aveva relegata in secondo piano, tuttavia, come i suoi occhi avevano abbandonato quegli spalti sgangherati per tornare a concentrarsi sulla partita che stava arbitrando.
Si era già distratto a sufficienza durante i primi due quarti della partita, lasciandosi sfuggire più di un'infrazione. Giocatrici, allenatori e anche qualcuno del pubblico non avevano mancato di farglielo notare e Riccardo non aveva potuto fare a meno di sperare che nessuno volesse esternare nuovamente il suo disappunto una volta negli spogliatoi.

Aveva soffiato nel fischietto, decretando un altro fallo. La ragazzina, la nuca rasata e il resto dei capelli, tinti di verde, raccolti in una coda alta, gli si era avvicinata allargando le braccia come a voler contestare. A Riccardo era bastato scuotere appena la testa perché quella si allontanasse sbuffando. Raramente si trovava a discutere, in campo. Paradossalmente, quando si trovava in mezzo alla frenesia dello sport si sentiva più rilassato che mai: il caldo era intenso e il sudore che gli appiccicava la maglia alla schiena era estremamente fastidioso, ma la sua mente era calma. Non sentiva il bisogno di alzare la voce e quasi non si riconosceva nel ragazzo che, seduto ad una scrivania, sentiva costantemente il bisogno di tamburellare con i piedi per tenere a bada il nervosismo e l'ansia.
Dopo una partita, per quanto stanco, tornava a casa sempre di buon umore.

Anche quella sera.
Si era fatto una rapida doccia negli spogliatoi e il buon umore non lo aveva abbandonato nemmeno quando aveva notato che la maledetta tinta arancione che rovinava i suoi capelli non accennava ancora a dare segni di cedimento. La stessa ragazzina a cui aveva fischiato l'ultimo fallo della partita – o, per meglio dire, a cui aveva fischiato la maggior parte dei falli delle ultime dieci partite che aveva arbitrato – la prima volta che l'aveva visto con la testa color evidenziatore aveva ridacchiato compiaciuta: «Che stile, arbitro!»
Odiava quel colore ma dopo una partita persino quell'emorragia oftalmica che il parrucchiere si era ostinato a definire “tinta” non sembrava più così male.

Era arrivato a casa e si era schiantato a letto con il sorriso sulle labbra, ma si era risvegliato meno di un paio d'ore dopo.
Ormai capitava sempre più spesso: la mente si risvegliava, iperattiva, e l'ansia che da subito lo assaliva gli mozzava il respiro, accelerando il battito cardiaco. Una volta in quelle condizioni, poteva continuare a rigirarsi nel letto per ore, brancolando fra le sue elucubrazioni mentali: il fruscio delle lenzuola, che finivano per attorcigliarsi attorno al suo corpo dandogli l'impressione di soffocare, sembrava mimare il rumore dei suoi respiri stanchi e frustrati.

Non aveva mai sofferto d'ansia, ma il pensiero di essere rimasto così indietro con lo studio riusciva a mozzargli il fiato dandogli un tremendo senso di nausea. Non aveva idea di come avrebbero potuto reagire i suoi genitori: se già normalmente gli riservavano una fredda indifferenza dovuta alla scelta del corso di laurea – niente di più lontano dalle ispirazioni paterne – non osava immaginare quale sarebbe stata la loro reazione se fosse finito fuori corso. Non era sicuro che gli avrebbero pagato le tasse di un altro anno accademico.

E certo i suoi guadagni come arbitro di basket non avrebbero coperto la spesa...

Questi erano i pensieri che lo tormentavano di notte e che, di conseguenza, lo portavano ad affrontare ogni giorno – quello compreso – con la stanchezza tipica di un insonne, situazione che certo non migliorava la sua prestazione studentesca.

Circolo vizioso del cazzo..., rifletté fra sé e sé, sopprimendo uno sbadiglio.

«Non ti pare di esagerare con gli zuccheri?» Francesco, seduto al suo fianco al tavolino del bar di fronte all'università, lo distolse da quei pensieri indicando la brioche e il topping di panna montata che nascondeva un alto bicchiere di caffè. «Sei già sufficientemente irrequieto di natura: non hai bisogno di peggiorare la situazione.»

Riccardo alzò gli occhi al cielo: «Non ti stavo ascoltando: dicevi?»

«Ti farebbe meglio mangiare meno adesso e non saltare il pranzo, come tuo solito: ti risparmieresti tanti pomeriggi di mal di stomaco.»

«Non mi sono mai lamentato del mal di stomaco.»

«Come io non mi lamento del tuo disordine e del casino che lasci in cucina anche quando tocca a te lavare i piatti, ma questo non cambia la realtà dei fatti.»

Riccardo fece finta di niente e prese un sorso della sua bevanda calda. Sentendo lo sguardo di Francesco su di sé, sbuffò di nuovo: «Che vuoi ancora?»

La risposta del miglior amico lo lasciò di stucco: «C'è qualcuno che ti spia.»

Corrugando la fronte, seguì la traiettoria dei suoi occhi: «Chi? Il roscio*

Lo aveva adocchiato di sfuggita, qualche minuto prima, quando era entrato nel bar, notandolo unicamente per l'insolito colore dei suoi capelli – e per un momento si era fermato a osservarlo, come colto da un ricordo – ma era tornato subito a concentrarsi sulla propria colazione.
Quando si voltò per capire di chi Francesco stesse parlando, intercettò il suo sguardo e questi, alla cassa con il portafoglio in mano, aveva alzato una mano per salutarlo.

«Lo conosci?», gli domandò il siciliano, abbassando la voce.

«Io? Chi l'ha mai visto!»

Il ragazzo dai capelli rossi, pagato il proprio ordine – glielo avrebbero preparato in un paio di minuti – si avvicinò e Riccardo incontrò i suoi occhi grigi.
Era sicuro di non averlo mai incontrato, eppure aveva la paradossale impressione di averlo effettivamente già visto da qualche parte.
Quegli occhi grigi... non era la prima volta che li vedeva.

«Non pensavo di trovarti qui», esordì lo sconosciuto, rivolgendosi al romano.

«Ci conosciamo?»

«Hai arbitrato una partita di basket femminile ieri sera, giusto?»

«E tu che cazzo ne sai?!», esclamò Riccardo, indispettito.

«Beh, non passi esattamente inosservato», rispose il rosso alludendo, con un cenno del capo e il tono divertito, ai suoi capelli arancioni, ancora vittime dell'ultima scommessa fatta con Francesco. Quest'ultimo non riuscì a trattenere uno sbuffo compiaciuto e, in risposta, ricevette un calcio sugli stinchi.
Nel frattempo, lo sconosciuto riprese la parola: «Hai fischiato un fallo a mia sorella.»

Riccardo aveva già avuto modo di conoscere la vendetta di chi riteneva non avesse svolto un buon arbitraggio – un paio delle sue magliette si erano irrimediabilmente macchiate a causa delle bibite che gli erano state rovesciate addosso – per cui, sentendo quelle parole, ritenne opportuno allontanare il proprio caffè, spostandolo al capo opposto del tavolo.

Con sua immensa sorpresa, tuttavia, sul viso del rosso prese forma uno sguardo di approvazione: «Hai fatto bene! Gioca in modo troppo violento: glielo diciamo sempre, a casa.»

Colto alla sprovvista, sul momento non seppe cosa rispondere per cui rimase in silenzio, leggermente sbigottito.
Il ragazzo si limitò a sorridere per l'ultima volta, a ritirare il suo caffè, finalmente pronto, e ad andarsene con un ultimo cenno di saluto.
Riccardo, le labbra leggermente schiuse e le sopracciglia impennate, aggrottò la fronte: «Questo non mi era ancora mai capitato.»

*

Le sedie di quel baretto non erano mai state particolarmente comode, ma non gli importava.
Si era svegliato troppo presto e, non riuscendo a riprendere sonno, era uscito di casa e aveva preso posto ad uno dei tavolini della solita caffetteria di fronte all'università.
Per ingannare l'attesa prima delle lezioni aveva tirato fuori dallo zaino uno dei suoi manuali, nella speranza di recuperare almeno parte delle lezioni arretrate... non che si sentisse motivato. Non più.
Gli piacevano i suoi studi – aveva litigato ferocemente con i suoi genitori per potersi iscrivere alla facoltà di chimica di Milano – eppure proprio il ricordo di quei continui diverbi non faceva che scoraggiarlo.
Osservò le stesse due pagine di testo per dieci minuti, continuando a dimenticarsi di quanto letto non appena arrivava ad un punto fermo. All'ennesimo tentativo fallito, incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la testa, sbuffando e sbadigliando: in pochi minuti il torpore si impadronì di lui e si appisolò.
Forse per cinque minuti, forse per un'ora: non avrebbe saputo dirlo.

Si risvegliò solo quando una mano si appoggiò sulla sua spalla, scrollandolo leggermente e mitigando quella sonnolenza: «Colazione?»

«Come?», biascicò schiudendo gli occhi appannati e sollevando a fatica la testa. Impiegò qualche istante prima di riuscire a mettere a fuoco la figura che gli si stagliava davanti e che aveva incontrato di persona ormai quasi tre settimane addietro, prima di riconoscere quegli occhi grigi.

«Caffè.»
Il ragazzo dai capelli rossi aveva preso posto di fronte a lui, appoggiando sul tavolino due bicchieri. Avvicinandogli quello da cui spuntava un ricciolo di panna montata, sorrise: «A giudicare dal tuo aspetto, credo tu ne abbia bisogno.»

«Oh...»

Con un gesto automatico cercò il portafoglio, ma il ragazzo scosse la testa: «Non ti preoccupare: offro io. Non sapevo che caffè ti piacesse, mi ricordavo solo della panna montata: spero che vada bene.»

Ancora un po' intontito, Riccardo assottigliò lo sguardo: «Non è che lo hai avvelenato perché ho continuato a fischiare falli a tua sorella nelle ultime tre partite?»

«Chi può dirlo», rispose il rosso riducendo gli occhi ad una fessura e lanciandogli una teatrale occhiataccia. Con un gesto altrettanto plateale portò alle labbra il proprio bicchiere e ne bevve un lungo sorso. «Onestamente non pensavo che ti ricordassi di me.»

«Diciamo che non passi esattamente inosservato, roscio», rispose Riccardo, indicandogli la testa con un sorrisetto beffardo, recuperando le parole che lui stesso gli aveva rivolto tre settimane prima.

«A questo proposito: è da quando ti ho visto la prima volta che mi domando di che colore siano davvero i tuoi capelli.»

Questa volta era stato Riccardo a lanciargli uno sguardo risentito. Era perfettamente consapevole di essere terribilmente osceno con quella testa che sembrava esser stata colorata con della vernice acrilica: non aveva bisogno di qualcuno che continuasse a rigirare il coltello nella piaga.

«È stata solo una stupida scommessa con il mio migliore amico.»

«Sento di doverlo chiedere: scommessa vinta o persa?»

«Chi può dirlo...»

Scambiandosi uno sguardo divertito, si resero improvvisamente conto di non conoscere nemmeno i reciproci noni.
La naturale spontaneità della conversazione intavolata con quello che, a tutti gli effetti, era ancora un totale sconosciuto aveva fatto sorridere Riccardo: era da tanto tempo che non si trovava in sintonia con qualcuno che non fosse Francesco.

Dov'è la fregatura?

Avendo forse intercettato i sui pensieri, anche il rosso aveva alzato un angolo della bocca: «Mattia.»

«Riccardo.»

Nell'immaginario grafico che rappresentava la sua giornata, la freccia arancione che, per una volta, sembrava aver deciso di volare alto, cadde improvvisamente in picchiata non appena Mattia tirò fuori dal proprio zaino un libro probabilmente per seguire il suo esempio e recuperare qualche minuto di studio in sua compagnia. Come aveva adocchiato la parola “legislazione”, Riccardo aveva distolto lo sguardo, infastidito.

Eccola, la fregatura.

«Ho sbagliato caffè?», domandò Mattia, notando il suo improvviso cambio di espressione.

Per un momento lo odiò: come poteva rispondergli male quando lui non faceva che mostrarsi disponibile?

«Senti, roscio, non ce l'ho con te. Anzi, grazie per la colazione, davvero. È solo che non mi vanno a genio gli studenti di legge. In generale.»

Mattia non si scompose: «Questo razzismo di facoltà a cosa è dovuto?»

Mi ricorda i miei genitori.
La freccia arancione sfondò il pavimento: «Sono cazzi miei.»

Di nuovo, il ragazzo rimase imperturbabile: «Ero solo curioso: la cosa, fortunatamente, non mi tocca.»

Corrugando la fronte, Riccardo rilesse con più attenzione il titolo del manuale: “Legislazione dei beni culturali”.

Mattia sorrise: «Cosa dice la tua politica in proposito? Puoi stringere amicizia con un aspirante archeologo disoccupato?»


 


 

*roscio è una parola del dialetto romano che significa, molto semplicemente, “dai capelli rossi”


 


 

Angolino autrice:

Buona sera! ^^

Benvenuti in questa nuova piccola raccoltina! ^^ Prende ispirazione da una challenge che avevo trovato tempo fa su internet e che prevedeva di scrivere alcune storie che ripercorressero i piccoli passi compiuti dalla propria otp (o da una coppia a scelta), a partire, chiaramente, dal primo incontro ^^

Era da una vita che non scrivevo su questi miei personaggi! Sebbene non li abbia mai “dimenticati”, per un motivo o per l'altro non sono mai riuscita a pubblicare niente in proposito.
Mi sono mancati tantissimo!!! *^* E, dato che hanno aspettato UNA VITA per scoprire qualcosa in più su di loro, un pensiero speciale va alle care Soul, Kim e Sabriel!

Per quanto riguarda Mattia... beh, tra Francesco che studia medicina e Riccardo che studia chimica, avevo bisogno di qualcuno con il quale sentirmi più in sintonia AHAHAHA per cui ho deciso di renderlo un mio “compagno di facoltà”! AHAHAHAHHA

Spero che questo primo capitolo (primo di quattro soltanto '^^) vi sia piaciuto o che, almeno, vi abbia strappato un sorriso.

Ringrazio chiunque mi dedicherà qualche minuto! <3

Un bacione a tutti quanti! ^^

Carmaux


 

P.S. Questo capitolo partecipa alla challenge “Just stop for a minute and smile” indetta da Soul_Shine sul forum di efp

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Capitolo 2
*** #2 ***


2

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Ama la goccia che fa traboccare il vaso.

È nascosto lì dentro ogni bel cambiamento.

(Gemma Gemmiti)


 

Lanciò un'occhiata allo schermo del computer, osservò per l'ultima volta il documento che aveva aperto.

Le sue dita, poco prima, avevano indugiato a lungo sulla tastiera finché non si era fatto coraggio e aveva compilato in fretta tutti i campi del documento come se temesse di cambiare idea in corso d'opera.
Era solo uno stupido laboratorio extracurricolare, pensò mentre lo chiudeva per spostarlo nel cestino: perché inviare la richiesta di partecipazione lo mettesse così in ansia, non lo capiva. Neanche si trattasse di inviare il curriculum.

Scosse la testa e tornò alla scrivania.

Era la cosa migliore: magari avrebbe avuto tempo in futuro per interessarsi alla cristallografia.
Adesso la cosa più importante era passare Chimica Organica II.

Riaprì il manuale su cui stava studiando fino a poco prima e recuperò il segno.

Una notifica fece illuminare il suo cellulare, distraendolo immediatamente:

“Nuovo messaggio da Roscio – ore 15.47:

Ho trovato un master veramente interessante in Inghilterra!”

Riccardo alzò gli occhi al cielo, sorridendo: era almeno il terzo messaggio di quel genere che riceveva in quella settimana.

“Di cosa si tratta questa volta?”, digitò rapidamente.

Archeologia marittima.”

“Sarebbe?”

Sarebbe esattamente quello che sembra: archeologia subacquea.”

“Tipo... dei fondali?”

Esatto!”

“Quindi andresti in giro per l'oceano ad esplorare relitti come la Sirenetta? Hai già anche i capelli rossi!”, lo provocò, divertito.

NON COME LA SIRENETTA!”

“Ma scusa”, rifletté Riccardo, colto da un pensiero. “Non sai nemmeno nuotare!”

So come andare a fondo: in fin dei conti è questo che serve.

Roscio!

Che c'è?! Chiaramente prima mi iscriverei ad un corso di nuoto! Non sono mica pazzo!”

Riccardo avrebbe potuto scommettere che, dall'altro capo del cellulare, Mattia stesse sorridendo.
Sorrideva costantemente, al punto che Riccardo si domandava se non gli facesse mai male la faccia.
Il più delle volte non era sicuro che parlasse sul serio ma, che lo prendesse in giro o meno, chiacchierare con lui era piacevole: era simpatico, senza essere invadente nemmeno quando gli scriveva alle tre del mattino. O meglio... quando, qualche settimana prima, Riccardo aveva dormito in camera di Francesco – colpa di una perdita dal soffitto della propria camera che gli aveva infradiciato il letto – e si era dimenticato di silenziare il cellulare, l'amico si era rigirato fra le coperte imprecando in siciliano e domandandogli chi fosse lo “stronzo maledetto” che gli aveva mandato quattro messaggi di fila a quell'ora empia. Per Riccardo, al contrario, ogni volta che il sonno lo rifuggiva – situazione nella quale si ritrovava fin troppo spesso – trovare un'inaspettata notifica da parte di Mattia significava trovare anche un po' di serenità.
Nel buio, più di una volta si era trovato a ingrandire l'icona della sua immagine personale per osservare quel suo sorriso che la barba, sempre ben curata, non faceva che mettere in risalto o per studiare quel grigio così insolito per due occhi curiosi e intelligenti come i suoi.

Sorrise a sua volta: “Ne sei sicuro?”

Certo!
Dovrei chiederlo io a te, piuttosto!”

“Perché?”

Sei ancora sui libri?”

“Sì... perché?”

Mi viene l'ansia per te!”

“Non sono neanche le quattro!”

Ci sei su da questa mattina! Smettila e rilassati. O giuro che verrò personalmente ad occuparmi del problema!”
Riccardo scosse la testa pensando, per un momento fugace, che quella soluzione non gli sarebbe dispiaciuta. Non fece in tempo a rispondere che gli arrivò un nuovo messaggio: “Sai che ci sono dei quaderni apposta per studiare chimica?”

“E come sarebbero?”

A esagoni. Sai, ci sono i quaderni a quadretti, i quaderni a righe... e quelli a esagoni!”

“Mi stai prendendo in giro.”

Quando mai ti prendo in giro?”

“Per esempio quando dici di voler fare l'archeologo con le pinne e non sai nemmeno nuotare!”


 

*


 

Nonostante stesse tamburellando con una gamba, la sua mano era ferma mentre prendeva appunti. Stava finendo di disegnare la struttura di un composto quando qualcosa lo urtò bruscamente, facendogli rovinare la pagina con un segnaccio. Prima che potesse insultare il malcapitato si sentì sfilare le cuffie dalla testa.

«Ma che musica ascolti che non ti accorgi di quello che ti succede attorno?»

«Mattia?» esclamò alzandosi mentre quello indossava le cuffie appena rubate.

«A momenti mi ammazzavo sul tuo borsone della palestra e neanche hai alzato la testa!»

Riccardo lanciò un'occhiata alla camera notando che, effettivamente, il borsone non si trovava più dove lo aveva lasciato ma si era completamente ribaltato, segno che Mattia doveva esserci inciampato sopra per poi aggrapparsi alla sua sedia per non capitolare in terra.

«Vorrei sapere come puoi studiare chimica ed essere così disordinato.»

Punto sul vivo, Riccardo fece il gesto di recuperare le proprie cuffie, ma come afferrò i padiglioni, Mattia imitò il suo gesto, bloccandogli lì le mani: «Aspetta: mi piace questa canzone. Di chi è?»

«Si può sapere cosa ci fai qui?!»

«Come sarebbe? Te l'avevo detto che sarei venuto.»

Riccardo non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea che Mattia facesse sul serio quando gli aveva detto che si sarebbe presentato a casa sua per distrarlo dallo studio. Innanzitutto, come discernere la serietà dalle facezie in una conversazione come quella che avevano avuto appena qualche ora prima? In secondo luogo, perché scegliere lui quando aveva tanti amici con cui trascorrere la serata, magari andando al cinema o a fare un aperitivo?

Sentendo i ciuffi dei capelli rossi di Mattia solleticargli le dita, Riccardo ritrasse le mani con un gesto improvvisamente impacciato.

«Come sei entrato?» domandò voltandosi per non dare a vedere il suo imbarazzo.

«Mi ha aperto Francesco.»

Sbattendo le palpebre, Riccardo cercò di nascondersi mentre controllava l'orologio – ogni venerdì il suo migliore amico non rientrava a casa prima delle sette di sera per via delle lezioni – ma invano.

«Non hai fatto nemmeno una pausa?» lo interrogò Mattia, infatti, per poi allungare una mano a tastargli la guancia: «E dire che sembri davvero umano.»

«Sono sotto esame» bofonchiò il più giovane, indietreggiando appena.

«Se vuoi una mano basta chiedere.»

«Ma tu non sai niente di chimica.»

«Ehi! Ho preso 6- nell'ultima verifica di chimica del liceo!»

«Ah, beh: in questo caso...»

«Posso essere utile in altri modi», dichiarò il maggiore togliendosi finalmente le cuffie e restituendole al proprietario.

Senza sapere bene per quale motivo, quest'ultimo si sentì arrossire. Si diede immediatamente dello stupido: oltre al fatto che stava facendo la figura dell'idiota, nelle parole di Mattia non c'era alcuna malizia, nemmeno nel tono di voce. Quando, infatti, riprese la parola, non fece che confermare i pensieri di Riccardo: «Anche solo per tenerti un po' di compagnia mentre studi. Oppure per darti questo...»

Infilò una mano nella tasca interna della giacca e ne tirò fuori un piccolo quaderno.
Quando vide le sopracciglia di Riccardo impennarsi, sorrise: «Te l'avevo detto che i quaderni ad esagoni esistevano davvero.»


 

*


 

Non aveva pensato che la serata sarebbe finita così.

Un attimo prima andava tutto bene e Riccardo si era ritrovato a sorridere mentre Mattia discorreva del più e del meno con Francesco agitando leggermente un involtino primavera impalato su una sola bacchetta.
E poi, di punto in bianco, aveva perso l'appetito. Aveva tormentato la sua porzione di riso alla cantonese fino a quando non si era ridotto ad un ammasso di chicchi scorporati dal resto del condimento e impossibili da raccogliere se non singolarmente e, senza rendersene nemmeno conto, aveva incassato la testa fra le spalle.

Non lo aveva mai infastidito sentirli parlare di studio o dei rispettivi successi scolastici o delle loro aspettative per il futuro. Al contrario, era sempre felice di vederli esaltati: Francesco perdeva quella maschera di imperturbabilità che lo definiva e il suo tono solitamente placido diventava concitato; Mattia, dal canto suo, era sempre così appassionato quando parlava che, sebbene a Riccardo non interessasse niente di quella gente morta millenni prima che Mattia tanto trovava affascinante, non poteva che ascoltarlo.

Quello che non si sarebbe aspettato era di vederli improvvisamente “coalizzarsi” contro di lui.
Contro”, così come “coalizzarsi” non erano le parole giuste – si rendeva perfettamente conto che non lo facevano con cattive intenzioni – eppure avrebbero dovuto saperlo...

«Alla fine ti sei iscritto?» gli aveva domandato Mattia attaccando il maiale in agrodolce.

«No: ho cambiato idea.»

«Perché?»

So già che non ce la farei.
«Non ho tempo.»

«Sono poche ore alla settimana, in realtà» gli aveva fatto notare Francesco, beccandosi un'occhiataccia. Forse così facendo voleva spronarlo ma, cazzo, quello era davvero il modo peggiore: era così stanco di sbandierare e dover giustificare i propri fallimenti.

Il resto della conversazione aveva preso a rimbombare nella sua testa. Ogni domanda una fitta alla tempia: «A dirla tutta non si sovrappone nemmeno con gli orari delle sue lezioni», «Sembra fatto apposta!», «Gliel'ho detto: è perfetto per quel corso!»

Fosse stato da solo con Francesco probabilmente avrebbe risposto male, consapevole del fatto che l'amico – lui solo – non se la sarebbe presa ma che, al contrario, l'avrebbe interpretato per quello che era, un semplice sfogo per sbollire un po' della frustrazione che infuriava dietro la maschera.

In quel momento, invece, si morse una guancia e forzò un sorriso: l'ultima cosa che doveva fare era lasciarsi sfuggire qualche commento dai toni sarcastici o acri.

Non voleva che Mattia se ne andasse.

Non avrebbe saputo dire il perché, ma trovava la sua presenza tranquillizzante... rassicurante.

Era rimasto in silenzio fino alla fine, quando Francesco non gli aveva ricordato che quella sera era il suo turno di lavare i piatti e che, nel mentre, lui avrebbe cominciato a “fare un po' di riscaldamento” sulla sua vecchia console di gioco in vista di un improvvisato torneo videoludico indetto quasi dal nulla durante la cena.

Stava sfregando l'ultimo piatto rimasto nel lavandino quando sentì Mattia appoggiargli una mano sulla spalla: «Ehi?»

«Ehi. Pensavo ti stessi “allenando” con Francesco.»

«Scusa per prima: non volevo metterti a disagio. Devo imparare a misurare la temperatura prima di aprire bocca.»

Quelle parole lo colsero leggermente in contropiede: non era certo un attore, ma tutto sommato pensava di aver dissimulato sufficientemente bene il proprio malessere. In secondo luogo, l'ultima cosa che si sarebbe aspettato dopo essere stato taciturno per tutta la sera erano delle scuse. «No, non...»

«Ti senti bene?»

«Sì.» Come no. «Che domanda è?»

«Che domanda è la tua: nessuno ti chiede mai come stai?»

A dire il vero no.
Certo... sì, i suoi genitori ogni tanto glielo domandavano, al telefono, ma con lo stesso interesse con cui si discorre del tempo quando non sa che cosa dire.
A pensarci era da un bel po' di tempo che qualcuno a parte Francesco gli rivolgeva quella domanda preoccupandosi davvero di quale sarebbe stata la risposta.

«Hai gli occhi tristi.»

Distolse lo sguardo, forse troppo velocemente. «Ho gli occhi che ho: sono sempre così.»

«Non è vero: quando giochi a basket o quando arbitri i tuoi occhi sono luminosi.»

Non rispose: non avrebbe saputo cosa dire, in ogni caso. Si limitò a scrollare le spalle.

«Senti,» riprese il maggiore. «non per rigirare il coltello nella piaga...»

No, ti prego: sono troppo stanco...

«Ma perché hai cambiato idea sul partecipare a quel corso? Me ne avevi parlato tanto.»

«Perché non ho tempo per dedicarmici.»

«Sono tre ore a settimana.»

«D'accordo: vuoi sapere come stanno le cose?» sbottò improvvisamente mollando il piatto e voltandosi verso di lui che, colto alla sprovvista da quello scoppio improvviso, sussultò arretrando di un passo. «Da un lato c'è Francesco, che dà un esame dopo l'altro passandoli a pieni voti e trovando il tempo di dedicarsi a quello che vuole. Dall'altro ci sei tu che fra un paio di mesi ti laurei, che qualunque progetto ti venga in mente lo porti a termine.. e che sorridi sempre, che cazzo! Come se andasse sempre tutto bene! Fanculo! E in mezzo ci sono io, che sono un casinista, che sono disorganizzato e che qualunque cosa faccia non rispecchia mai le aspettative. Mai!»

Sentì la voce graffiare e immediatamente si pentì di quello sfogo.
Avrebbe dovuto continuare a mordersi la lingua e ad ingoiare bile.

«Le aspettative di chi?»

«Che fai, infierisci?! Vuoi un elenco in ordine alfabetico?» esclamò, sentendo gli occhi diventargli lucidi.

«No, no, io... scusami. Intendevo solo che ti sento sempre parlare di quello che vogliono gli altri e mai di quello che vuoi tu.»

«Forse è meglio imparare a camminare prima di provare a correre. Quando dici che sono “solo tre ore a settimana”, non mi incoraggi: mi fai sentire uno schifo. Per voi è una sciocchezza; a me sembra un ostacolo insormontabile anche se in realtà è una stronzata.»
Dimenticatosi del fatto che indossava ancora i guanti, si passò una mano fra i capelli castani che si impigliarono nella plastica umida. Sospirò, scuotendo la testa. «Non sono risentito nei vostri confronti, dico davvero. Non lo sono mai stato. È solo che ogni tanto mi pesa sapere di essere l'ultima ruota del carro.»

«Non volevo ferirti.»

«Lo so.»
Non si rese nemmeno conto di averlo detto ad alta voce. Le parole erano semplicemente uscite da sole. Sapeva bene che Mattia era diverso dai suoi genitori: non parlava per il gusto di farlo sentire inadeguato... motivo per cui si sentiva ancora più in colpa per averlo reso vittima del proprio sfogo.

«Non riesco a capire perché tu abbia una così bassa stima di te...» riprese il maggiore. «È normale che capiti di sentirsi tristi, abbattuti e stressati: questo non ti rende mica inferiore a chiunque altro. Ti annebbia semplicemente la mente.»

Mattia allungò una mano e appoggiò delicatamente l'indice sulla fronte di Riccardo.

«È come quando dai troppi input ad un computer: va a finire che si sovraccarica, non capisce più niente e si blocca. L'unica cosa da fare è spegnere e riavviare.»

Riccardo sentì lo stomaco aggrovigliarsi e deglutì a vuoto quando, nell'allontanare nuovamente la mano, l'archeologo sembrò quasi accarezzargli i capelli.

«Spero che prima o poi tu possa vederti come ti vedo io...»
Per la prima volta da quando si conoscevano, Riccardo vide Mattia distogliere lo sguardo per puntare gli occhi in terra. «o come ti vede Francesco» concluse quest'ultimo schiarendosi la voce. «Io credo che tu abbia molto da offrire. Per quel che vale, superi di gran lunga le mie aspettative.»

Non fece in tempo a rispondere.
A dire il vero avrebbe anche avuto il tempo di rispondere, se non fosse rimasto imbambolato come uno stupido a guardarlo: come faceva ad essere confortante e destabilizzante allo stesso tempo? Com'era possibile che, allo stesso tempo, riuscisse a tranquillizzarlo e a mandarlo in subbuglio?
Inoltre, il pensiero che Mattia fosse quasi arrossito – o era stata solo la sua immaginazione? – lo scombussolava ancora di più...

Non riuscì a formulare nemmeno una parola prima che il rosso gli appoggiasse nuovamente una mano sulla spalla e, dopo averla stretta, si defilasse per raggiungere Francesco in salotto.

La pensò soltanto, mentre un timido sorriso illuminava finalmente il suo viso: Grazie.


 


 


No you don't know what its like
When nothing feels alright
You don't know what its like to be like me
To be hurt, to feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one there to save you
No you don't know what its like
Welcome to my life


Angolino autrice:

Buon San Valentino a tutti! ^^

Eccomi qui con il secondo capitolo! Ci ho messo una vita ad aggiornare, chiedo scusa. Non si bene il motivo, ma mi sono completamente bloccata per un sacco di tempo e, nonostante avessi già in mente tutto, non riuscivo a scrivere nemmeno una riga -.-

In ogni modo, mi è uscito un po' più introspettivo di quanto avessi preventivato, ma la piccola dose di hurt/comfort che ne è derivata mi soddisfa abbastanza!
Ci tenevo ad approfondire il personaggio di Riccardo sotto questo aspetto – che avevo cominciato ad analizzare con una mia vecchia storia, Fantasmi di sale – prima di spostarmi su lidi più interessanti e maliziosi (che non mancheranno, comunque, nei prossimi capitoli ^^).

Spero che nel complesso questo secondo capitolo vi sia piaciuto!

Detto questo – mi starò sicuramente dimenticando qualcosa XD – vi faccio di nuovo gli auguri!

Grazie a chiunque leggerà fino a qui e mi dedicherà qualche minuto! ^^

Un bacione! ♥♥♥

Carmaux


 

P.S. A quanto pare i quaderni ad esagoni esistono davvero! XD


 

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