Mille sfumature di Teddy e Victoire

di FalbaLove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Azzurro ***
Capitolo 2: *** Arcobaleno ***
Capitolo 3: *** Opaco Grigio ***



Capitolo 1
*** Azzurro ***


Azzurro
La Tana, famosa casa di Molly e Arthur Weasley, nonostante gli anni trascorsi non era cambiata di una virgola. Le rughe sempre più evidenti sulla faccia della padrona di casa e le perdite sempre più lampanti dei capelli di suo marito lasciavano intendere che oramai erano lontani i tempi in cui i Gemelli Weasley si divertivano a rubare (e modificare) il badge del Prefetto Percival Ignatius Weasley: eppure non c’era giorno in cui teste dai brillanti capelli rossi non affollassero il salotto di quella che da tutti era considerata casa
Ted Remus Lupin, l’unica testa di un azzurro brillante che si distingueva chiaramente dalle altre, guardò con i suoi grandi occhioni marroni le lancette a forma di posate girare con velocità sul grande orologio di casa Weasley. Si lasciò sfuggire una risatina divertita che gli fece perdere il ciuccio malamente tenuto tra le gengive ancora sdentate. Lo osservò rotolare alcuni metri da lui: poi, tacito e calmo, gattonò per riprenderselo. E così, ciucciando, ritornò a fissare assorto e allietato il grande orologio mentre intorno a lui vi era solo silenzio. In effetti era decisamente un evento più che raro trovare della tranquillità in quell’enorme dimora e, a una prima vista poco attenta, pareva che non ci fosse nessuno a parte quel bambino dalla capigliatura brillante e il viso sereno. Poi, mentre le oramai affollate lancette a forma di cucchiai con sopra le facce di tutti i Weasley ritornavano sul pannello “Home”, la porta di casa si aprì sbattendo e un chiacchiericcio agitato e confuso venne accompagnato da una folla di gente. Il salotto, in pochi secondi, si riempì di voci e di persone. Ma Teddy non sembrò badarci neanche minimamente a quel chiasso che oramai, nonostante i suoi due anni, aveva imparato a riconoscere come familiare: continuò a ciucciare imperturbato il suo ciuccio proseguendo a fissare, estasiato e incantato, la pentola risuonare diversi rintocchi, uno per ogni membro della famiglia ritornato. Ted Remus era così, un bambino calmo e sereno, come suo padre, che nessuno ricordava aver mai visto piangere, ma sempre allegro e gentile, come sua madre.
Ad un certo punto una mano sfiorò dolcemente la spalla del bambino facendolo risvegliare da quel suo scrutare così assorto e rapito. Due occhi verdi e brillanti, che il piccolo Lupin conosceva perfettamente, si rispecchiarono nei suoi marroni: un sorriso sincero e involontario si dipinse sul volto del pargolo.
-Teddy, siamo tornati- mormorò dolcemente Harry accarezzando la testa piena di capelli del piccolo Lupin che finalmente parve accorgersi del grande vociare tutto intorno a lui. Una espressione confusa e interrogativa subito balenò sul suo volto osservando come tutti i Weasley fossero raggruppati intorno ai divani: quello che però lo sconvolse di più fu sentire uno strano ronzio che il bambino era sicuro di non aver mai udito prima. Il figlio di James Potter ridacchiò divertito osservando i capelli del piccolo cambiare colore mentre una espressione dubbiosa si dipinse completamente sul suo volto: Ted Remus Lupin avevamo mostrato sin dai suoi primi giorni di vita di essere un Metamorfomagus, abilità che, per sollievo di suo padre, aveva ereditato da sua madre Ninfadora. Il piccolo però, che aveva appena compiuto due anni, non sembrava essere ancora totalmente conscio di questa sua abilità e i suoi capelli, solitamente di un azzurro brillante, sembravano ancora essere in pieno possesso dei suoi stati emotivi.
La mano, calda e sicura, avvolse quella piccola di Teddy aiutandolo a rialzarsi.
-Vieni- disse Harry osservandolo con un luccichio di orgoglio camminare, anche se a fatica, e barcollare.
-Dobbiamo presentarsi una persona- concluse dirigendosi verso la moltitudine di capelli rossi. Il piccolo Lupin osservò allegramente i volti di quelle persone che oramai aveva imparato a considerare come una famiglia: certo lui una famiglia ce l’aveva, sua nonna Andromeda rappresentava oramai il suo unico legame di sangue rimasto ed era tutto per lui, eppure quegli strani individui dai capelli rossastri e il grande Harry Potter, suo padrino e figura più simile che avesse ad un padre, lo avevano sempre trattato come se fosse uno di loro. È questo, nonostante la piccolissima età di quel Metamorfomagus, era da sempre stato il più grande desiderio di quel bambino: appartenere a quei Weasley che tanto gli piacevano, ancora di più del suo ciuccio preferito. Con un enorme sforzo, ancora maggiore rispetto a quello che stava facendo per camminare, si affaticò a far combaciare con loro il suo colore di capelli che si tinse di uno sbiadito arancione. Forse così, pensò, ad occhi estranei sarebbe sembrato uno di loro.
Mentre barcollava tra quelle figure così alte ricevendo ogni tanto delle carezze, notò però come i loro occhi, marroni e azzurri, stessero fissando con insistenza qualcosa poco distante da lui, o per meglio dire qualcuno. Una delle poche figure dalla capigliatura diversa da quella della famiglia puro-sangue era seduta sulla grossa poltrona del salotto. Tra le mani, Teddy osservò, aveva un fagotto di lenzuola candide da cui proveniva i fastidiosi lamenti che continuavano a disturbare le piccole orecchie del bambino.
Fleur Delacour scostò i biondi capelli dal volto e Teddy notò con apprensione come il suo bellissimo viso fosse intaccato da un velo di stanchezza e da profonde occhiaie. Si guardò intorno cercando di notare tra gli sguardi degli adulti una nota di preoccupazione per quell’aspetto così malato della Veela. Però, con suo disappunto, notò invece solo visi e occhiate commosse e felice.
-Oh, Teddì!- mormorò con voce flebile l’affascinante strega storpiando il suo nome con il suo marcato accento francese.
-Vieni, p’tite, non esser timide- mormorò sfoderando un bellissimo sorriso. Teddy aggrottò un sopracciglio guardando il suo padrino: Harry annuì lasciandogli la manina e il piccolo perse per alcuni secondi l’equilibrio. Poi, con fatica e vari barcollamenti, si diresse verso Fleur senza riuscire a darsi una spiegazione per quello che stava succedendo. Infine, con un ultimo sforzo, si aggrappò con le sue manine alla lunga gonna della strega per un quarto Veela.
-Noi vogliamo présenter qualcuno- sibilò dolcemente la bionda allungando il fagotto di lenzuola all’alta figura dai lunghi capelli rossi. Ted Remus ciucciò con impazienza osservando Bill chinarsi verso di lui: all’inizio la sua attenzione fu interamente riservata alle profonde cicatrici che gli ricordavano tanto, troppo quel padre licantropo purtroppo mai potuto conoscere. Poi, però, gli fu quasi inevitabile fissare stranito il punto da cui oramai provenivano quelle urla così acute. E con sua grande sorpresa vide un piccolo volto paffuto, rosso, a causa dei continui lamenti, e contornato da piccoli capelli dorati come il grano: era talmente tanto stupito che si lascò sfuggire dalla bocca sdentata il suo cuccio che, malauguratamente, cadde sulla testolina della piccola creatura facendola smettere di piangere. Susseguirono un paio di secondi di completo silenzio durante i quali un profondo senso di colpa attanagliò il cuore del figlio di Ninfodora mentre i suoi capelli si dipinsero di un rosso pallido. Poi però, a sua grande sorpresa, la piccola creatura, mantenendo gli occhi socchiusi, si lasciò sfuggire quello che pareva un sorriso sdentato.
-Oh, mon amour, sta sorridendo- bisbigliò squittendo Fleur coprendosi con le mani la bocca mentre un mormorio entusiasta e intenerito riecheggiò per tutta la casa.
-Teddy, ti presento Victoire- mormorò con tono paterno Bill sfoderando un enorme sorriso. Teddy aggrottò le sopracciglia sorpreso fissando il più grande dei fratelli Weasley, poi i suoi occhioni marroni ritornarono a scrutare la piccola creatura ora completamente silenziosa.
-V-i-c- sibilò boccheggiando e storpiando ogni singola lettera facendo si che fosse solo chiaro a lui cosa avesse appena detto. Ma così non fu: due occhi piccoli e cristallini si aprirono a fatica mostrando a Ted Remus il colore più bello che avesse mai visto.
-V-I-C- mormorò nuovamente boccheggiando, ma questa volta con molto più entusiasmo. E di fronte a quei due occhietti limpidi e a quella chioma, appena accennata, dorata i capelli del piccolo Lupin si dipinsero di un azzurro brillante: Teddy era ancora troppo piccolo per capire che non serve avere un legame di sangue per formare una famiglia.

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Capitolo 2
*** Arcobaleno ***


Arcobaleno
Due occhi azzurri come il cielo più limpido si soffermarono a guardare, compiaciuti e soddisfatti, il piccolo tavolino completamente imbandito di tazzine e piattini, ovviamente tutti in miniatura. A contorno di quella tavola imbandita vi erano i commensali: pupazzi dalle mille dimensioni, forme e colori erano ordinatamente disposti a semi cerchio. Dall’altra parte, come solo una perfetta padrona di casa sapeva fare, vi era una bambina dai lunghi capelli dorati ora legati in una perfetta treccia.
Victoire strofinò con soddisfazione le manine osservando come tutto fosse perfettamente al suo posto e si compiacque per il lavoro svolto. Poi, senza lasciare che un solo angolo della sua bocca rosea si abbassasse, si sistemò il vestitino lillà che tanto le piaceva indossare. Dietro di lei intanto forti risate e rumori di stoviglie sembravano non turbare affatto l’umore zuccherino e frizzante della bionda: Victoire osservò accigliata per alcuni secondi la tavola perfettamente imbandita da maman e il servizio (buono) di porcellana tirato fuori per quel pranzo in famiglia. Attentamente fissò le rose sapientemente dipinte sulla tazzina di caffè che zia Ginny aveva appena portato alla bocca: poi, quasi con smacco, osservò la plasticità delle sue e sospiro. Certo, non era proprio bello come quello di maman, ma tutti i suoi invitati sembravano sorridere gioiosi e forse, per quella volta, poteva farsi andare bene un servizio così pas cher: dopotutto aveva solo otto anni, aveva ancora tutto il tempo per procurarsi un servizio buono solo per le occasioni speciali.
-Un po’ di tè, Bon bon?- mormorò con voce affabile osservando il volto paffuto e buffo dell’ippopotamo rosa. Senza aspettare una risposta che mai sarebbe arrivata, versò con la sua teiera del liquido giallastro all’interno della tazzina. Poi, con sguardo soddisfatto, si risiedette sulla piccola seggiolina stando ben attenta a non spiegazzare la gonna del vestito e imitando le gestualità di maman.
-Harry, gradisci per caso ancora quelques biscuits? – mormorò Fleur porgendo elegantemente il vassoio di argento pieno zeppo di dolciumi di tutti i tipi. Victoire osservò ammirata quel suo gesto e poi, senza far sciupare il suo sorriso più gentile, si affrettò ad afferrare un piccolo vassoietto su cui erano stati adagiati, ovviamente ordinatamente, biscotti finti di tutti i tipi.
-Biscuits?- disse allegramente cercando di storpiare il suo tono di voce in modo tale che risultasse il più simile possibile a quello di maman. La scimmietta dalla gonna variopinta giustamente non rispose, ma questo non sembrò stroncare minimamente l’entusiasmo della piccola Weasley che adagiò alcuni dolciumi nel piccolo piattino.
-Spero ti piacciono, li ho fatti io ce matin- continuò tenendo l’orecchio ben teso in direzione del grande tavolo della sala da pranzo da dove provenivano quattro voci ben distinte. I suoi genitori, sorridenti e allegri, sedevano da una parte del tavolo parlando animatamente: dall’altro due sedie erano occupate dalla zia Ginny e dallo zio Harry. Victoire osservò con la coda dell’occhio il viso radioso della sua zia preferita per poi scendere sul bellissimo vestito color panna che indossava. Si morse il labbro pensando che sicuramente la zia non aveva niente da invidiare a maman e per un attimo si domandò se mai sarebbe diventata bella anche lei come loro due. Ancora assorta da quei pensieri rivolse un sorriso finto a Menthe, il pupazzo a forma di lucertola e dal capello a cilindro. Improvvisamente però la piccola Weasley percepì una presenza umana dietro di lei.
-Voglio Sucrée- tuonò una voce infantile e lagnosa: Victoire, sorpresa, si girò ad osservare la sua interlocutrice. Una bimba dalla lunga coda rossastra e dalle lentiggini evidenti la fissava con aria imbronciata: le braccia conserte e il nasino alla francese corrugato erano accompagnati da due occhi dal colore così simile al suo, ma decisamente più lucidi.
-No, Dominique. Ci sto giocando io ora- rispose con tono fermo e deciso la bionda ritornando poi ad asservare, con tono affabile, i suoi commensali.
-Ma io lo voglio, ora- continuò con voce sempre più rotta dal pianto la sorella. Victoire sospirò infastidita, ma continuò a non darle retta. Passarono alcuni secondi nel più completo silenzio fino a quando delle urla non attirarono l’attenzione di tutti quanti.
-Voglio Sucrée, dammi Sucrée!- gridò disperata la più piccola Weasley-Delacour cadendo sulle ginocchia e nascondendo il volto lentigginoso tra le mani così che solo la sua capigliatura lisci e rossa ondeggiasse a ritmo dei suoi sospiri.
-Dominique, ma p’tite, che cosa succede?- disse preoccupata sua madre alzandosi dal tavolo e dirigendosi verso la sua secondogenita che non accennava a smettere di piangere.
-È tutta colpa di Victoire, maman. Lei ha così tanti pupazzi con cui giocare e non vuole darmi Sucrée- esclamò a pieni polmoni la piccola peste mentre calde lacrime continuavano a scivolare veloci sul suo nasino alla francese.
-Oh, ma non c’è bisogno di farne una tragédie- sospirò Fleur che, ogni qual volta si preoccupava, perdeva il marcato accento francese che la caratterizzava.
-Ma io la voglio, maman. Io lo voglio!- urlò ancora più forte Dominique buttando le braccia al collo della madre. Gli occhi azzurri e severi delle Delacour si posarono sulla figura di Victoire.
-Victoire, saresti così gentile da prestare Sucrée a tua sorella?- domandò con un tono che la più grande sapeva benissimo non lasciasse repliche. Victoire arricciò il nasino corrucciando la fronte: i suoi occhi fissarono per alcuni secondi la figura in pieno pianto isterico di sua sorella e poi si soffermarono a fissare il commensale più vicino a lei. La capigliatura color arcobaleno di Sucrée, l’unicorno, brillò nelle sue iridi.
-Ma maman, è mio- brontolò cercando di ricacciare indietro le lacrime. Dopotutto aveva oramai otto anni e non era certo consono per una bambina come lei lasciarsi andare al pianto. Sua sorella però, appena cinquenne, non sembrava esserne d’accordo e aumentò ancora di più i sospiri contorcendosi sul petto della loro madre.
-Lo so, mon chèri, ma so anche che sei oramai una bambina grande e che lascerai volentieri Sucrée a tua sorella- ribatté la Delacour piegando le labbra sottili in un sorriso tirato. Victoire sospirò pesantemente mentre oramai gli occhi iniziavano a pizzicarle sempre di più: senza emettere alcun suono afferrò l’unicorno per la criniera e si diresse, silenziosa, in direzione di sua sorella che intanto non accennava a calmarsi. Si fermò a pochi passi da lei e diede una veloce occhiata in direzione della tavola imbandita. Suo padre le sorrise dolcemente annuendo impercettibilmente e a Victoire venne spontaneo bussare sulla spalla di Dominique.
-Tieni- mormorò a denti stretti mentre il viso pieno di moccio e lacrime di sua sorella finalmente lasciò il petto della madre. In un secondo l’espressione contratta dal dolore sparì dal volto della più piccola e al suo posto comparve un ghigno soddisfatto. Senza dire nulla strappò il pupazzo dalla sorella per poi correre fuori in giardino.
-Bravissima, mon amour, hai fatto un ottimo gesto- la ringraziò sua madre accarezzando dolcemente la sua guancia rosea prima di ritornare al tavolo degli adulti. Victoire rimase immobile mentre il chiacchiericcio a tavola ricominciò a riecheggiare per tutta la sala da pranzo: poi, facendo sempre più fatica a trattenere le lacrime, si rigirò verso la sua tavola imbandita. Ora che mancava un commensale, notò, trovava estremamente pacchiano il suo allestimento e in più era certa che i suoi ospiti non sorridessero più come prima. Strisciando i piedi ritornò verso la sua seggiola: se solo James non fosse rimasto a casa con i nonni a causa della febbre, che poi aveva attaccato ad Albus, ora lei non si ritroverebbe con una tavola così poco armonica e asimmetrica.
Ad un certo punto un forte urlo catturò nuovamente la sua attenzione.
-Oh, deve essersi svegliata- esclamò sua zia allontanando dalle ginocchia il tovagliolo e apprestandosi ad alzarsi. Suo marito, però, la precedette.
-Tranquilla Ginny, ci penso io- disse rivolgendole un dolce sorriso. Victoire osservò con occhi dolci e sognanti la galanteria e dolcezza con cui suo zio rivolgeva sempre alla moglie. Sospirò portando le mani sotto al mento e domandosi se anche lei avrebbe trovato mai un Principe Azzurro come era successo a sua mamma e la zia Ginny. La piccola Weasley-Delacour ne era sicura: lei non si sarebbe mai accontentata di un principe qualsiasi. Victoire voleva proprio il Principe Azzurro, con il cavallo e tutto annesso.
-Guardate chi si è svegliato- sussurrò teneramente il figlio di James Potter sollevando delicatamente dalla culla un piccolo fagottino di coperte: due manine rosse si sollevarono in pugnetti sventolandosi verso l’alto.
-Oh, c’est bellissima- esclamò sua madre fissando in estati la terza genita dei Potter. Victoire si alzò in punta di piedi per vedere meglio i pochi capelli rossi e spettinati del suo ennesimo cuginetto.
-Ha i tuoi stessi occhi, Ginny- aggiunse suo padre avvolgendo con un braccio sua moglie e regalandole un tenero bacio sulla guancia. La bionda Weasley scrutò sognante lo sguardo pieno di amore che i suoi due genitori si stavano scambiando sperando, sotto sotto, che la vista di Lily Luna non facesse venir loro la voglia di avere un terzo figlio. Al solo pensiero di avere una seconda sorella come Dominique, Victoire non riuscì a non trattenere un broncio bambinesco che mal si addiceva al tono adulto che inutilmente sfoggiava. Fissò per un’ultima volta i quattro adulti troppo presi dall’infante e decisa si diresse in direzione del cortile: i suoi piedini si susseguirono con passo stizzito mentre alcuni ciuffi biondi come il grano sfuggirono dalla sua treccia. Arricciò il naso fermandosi sulla soglia: sua sorella Dominique aveva già abbandonato Sucrée sull’erba e ora si divertiva a inseguire, senza successo, alcune farfalle. Sbuffando e barbottando si diresse in direzione del pupazzo ignorando completamente una terza figura, decisamente più grande di entrambe, appollaiata su un ramo del grosso salice piangente.
-No!- esclamò una voce stridula non appena la mano di Victoire si chiuse sulla chioma color arcobaleno dell’unicorno.
-Lascialo!- urlò con ancora più forza Dominique correndo a per di fiato verso di lei. La bionda scosse la testa quasi infastidita dalla presenza della rossa.
-Non ci stavi giocando e quindi me lo riprendo- disse con fare adulto, ma la mano paffuta di sua sorella si aggrappò con tutta le forze alla coda del pupazzo.
-Non è vero, ci stavo giocando!- pianse strattonandolo verso di sé, ma questa volta Victoire non avrebbe mollato così facilmente.
-Bugiarda, l’avevi abbandonato a terra e quindi ora me lo riprendo- sentenziò fulminando con lo sguardo quei occhi così simili ai suoi. Dominique batté a terra i piedi stizzita sgualcendo tutto il vestitino verde smeraldo che tanto metteva in risalto i suoi capelli rossastri.
-Ridammelo, ci stavo giocando- sbraitò a pieni polmoni facendo sgorgare quasi automatici dei grossi lacrimoni. Victoire però non badò a questi capricci e continuò a strattonare verso di sé il pupazzo tanto agognato. Poi, con un ultimo strattone, tirò con tutte le sue forze Sucrée verso di sé facendo perdere la presa alla bambina dai lunghi capelli che cadde sonoramente a terra. Intontita dalla caduta improvvisa una grossa smorfia di sofferenza si dipinse tra le lentiggini:
-Mamma!- gridò a pieni polmoni la sorella minore sbattendo infuriata i pugni sulla verde erba.
-Ce n’est pas possibile, cosa succede ora?- esclamò esasperata Fleur mentre i rumori dei suoi tacchi risuonarono sempre più vicini. Victoire si sforzò di far sparire il broncio dal suo visino e si limitò a scostare i biondi capelli dalla fronte.
-Oh mon amour, che è successo?- sibilò Fleur accorrendo in direzione della figlia che non la smetteva di urlare e di scalciare sul manto erboso.
-È stata Victoire, mi ha spinto per riprendersi Sucrée- si lagnò indicando con il dito la sorella maggiore. Lo sguardo severo e spazientito della Delacour fissò Victoire accogliendo tra le braccia la bambina urlante.
-Victoire!- esclamò arrabbiata Fleur serrando le labbra sottili: la piccola bambina bionda deglutì a fatica sentendo la paura aumentare di fronte al suo nome pronunciato in quel modo da sua madre. Però continuò a mantenere la presa ben salda su Sucrée.
-Non è vero, è caduta da sola!- provò a dire, ma la voce le tremò. Fleur intanto aveva preso in braccio Dominique e stava esaminando attentamente i suoi palmi leggermente escoriati.
-Hai superato il limite- la sgridò rivolgendole un ennesimo sguardo di piena disapprovazione. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul volto pieno di lacrime e lentiggini della sorellina.
-Maman, ma io non ho fatto niente! Te lo giuro! Chiedi a Teddy, lui ha visto tutto- gridò perdendo il suo solito autocontrollo e indicando la capigliatura azzurra e brillante che per tutto quel tempo era rimasta in disparte a leggere uno spesso libro. Fleu però non seguì minimamente le parole della figlia più grande.
-Non mettere in mezzo gente che non c’entrano niente. Mi hai deluso molto, mademoiselle- tagliò corto strappandole dalle mani l’unicorno e rientrando in casa. Victoire, piena di rabbia e delusione, si lasciò cadere a terra: sua madre non le aveva creduto, ma la cosa che più la scottava era il fatto che avesse creduto senza battere ciglio a Dominique. Un senso di profonda tristezza attanagliò il suo piccolo cuore e si lasciò andare a un pianto disperato: ora non le importava più niente della tavola imbandita, dei pupazzi che l’aspettavano, di Sucrée e del comportarsi come se non avesse otto anni. Le calde lacrime scivolarono sulla sua pelle color porcellana mentre singhiozzi e sbuffi si fecero sempre più forti. Ad un certo punto però una figura si accucciò a pochi centimetri da lei.
-Non dovresti piangere, tanto non servirà a niente- mormorò Teddy con fare sicuro. Victoire si limitò a tirare su con il naso.
-Lo so che non è bello quando i fratelli minori ti rubano i giocattoli, ma se vuoi posso giocare io con te- continuò pacato e gentile mimando un sorriso sincero con le labbra. La collera e l’irritazione, però, avevano preso pieno sopravvento della piccola Weasley.
-Che ne sai tu di fratelli? James, Albus e Lily non sono tuoi fratelli! Tu hai solo tua nonna e io non voglio i tuoi consigli!- urlò a pieni polmoni mentre le lacrime, magicamente, smisero scivolare sulle sue guancie. Gli occhi marroni e buoni di Ted Remus Lupin la fissarono per alcuni secondi interdetti o tristi, Victoire non riuscì a percepire alcuna emozione, poi, silenziosamente, si alzò lasciandola sola. L’ultima cosa che la bambina vide furono i capelli del ragazzo non più azzurri accessi, ma di un grigio atipico.
Victoire abbassò lo sguardo, colpevole e affranta: le sue parole, brutte parole, ancora le risuonavano in testa. Sapeva benissimo la storia di Teddy e sapeva ancora meglio che quella frase appena pronunciata non la pensava veramente. Teddy non aveva alcun legame con lo zio Harry e la zia Ginny eppure non vi era stato secondo in cui Harry non gli avesse rivolto uno sguardo paterno o un abbraccio pieno di affetto. Tirò su con il naso mentre il labbro inferiore iniziò a tremarle: si sentiva una schiocca mademoiselle, ancora più schiocca dell’insopportabile Dominique e per un attimo ebbe paura che Teddy stesse piangendo tra le braccia dello zio Harry confessandogli tutte le brutte parole che lei gli aveva urlato. Le sue guance si dipinsero di rosso dalla vergogna mentre, a testa bassa, rientrò in casa. Camminò in religioso silenzio, nascondendo il volto dietro i capelli dorati, pronta a ricevere un’occhiata delusa da parte di suo padre e una sgridata completamente in francese da parte di sua madre. Quello che però la sorprese fu però di non sentire i singhiozzi di Lupin, ma degli urletti pieni di gioia. Timorosa si affacciò dallo stipite della porta e improvvisamente i suoi occhi brillarono: Teddy teneva con attenzione in braccio la piccola Lily Luna. La neonata rideva felice cercando di afferrare con le sue piccole dita i capelli del giovane che continuavano a cambiare colore. Gli adulti intanto li fissavano divertiti e inteneriti e perfino sua sorella, stringendo tra le grinfie Sucrée, aveva perso il broncio.
-Teddy- bisbigliò quasi con un cinguettio.
-Possiamo parlare?- sibilò ancora sottovoce senza alzare lo sguardo dalla vergogna. Il giovane Lupin lasciò tra le braccia di Ginny Lily e, prima si raggiungerla, scioccò un tenero bacio sulla guancia paffuta della neonata. Harry lo osservò con occhi intrisi di amore, lo stesso amore che suo padre le rivolgeva ogni sera prima di regalarle il bacio della buona notte.
-Scusami- bisbigliò con imbarazzo fissando con insistenza le sue ballerine piene di terra una volta che il giovane l’ebbe raggiunta.
-Tranquilla Victoire, lo so che quelle cose non le pensavi veramente- le rispose però con maturità il giovane. Victoire, sorpresa da questa sua risposta, alzò lo sguardo confusa: e li lasciò che i suoi innocenti occhi azzurri si rispecchiassero in quelli del suo amico d’infanzia. Un calore puro e casto le scaldò il petto, lo stesso calore che provoca una giovanile e innocente cotta.
-Davvero mi perdoni?- mormorò reprimendo un tremolio delle labbra e il suo interlocutore le sorrise allegramente.
-Se vuoi- disse prendendo una mano della bambina tra la sua.
-Posso giocare io con te- e i suoi capelli si dipinsero di un brillante arcobaleno, lo stesso che animava la criniera del tanto conteso Sucrée. E quel giorno Victoire capì che era molto più divertente giocare con Teddy rispetto che con Sucrée, nonostante fosse un unicorno e il suo pupazzo preferito, che mai si sarebbe lasciata sfuggire un compagno di gioco così prezioso e che forse non si sarebbe accontentata neanche di un Principe Azzurro: lei voleva un Principe Arcobaleno, ma per sua fortuna l’aveva già trovato.

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Capitolo 3
*** Opaco Grigio ***


Opaco grigio
Victoire sospirò per l’ennesima volta lasciando che il suo respiro appannasse la grande finestra della Tana. I suoi occhi azzurri osservarono il paesaggio mentre urla e risate risuonavano dietro di lei: decisamente l’umore che incupiva la piccola Weasley era diverso da quello del resto dei cugini. Dominique e Lucy stavano animatamente giocando con delle barbie fino a quando un annoiato James e un dispettoso Fred avevano ben deciso di rubare i corredi di scarpe e vestiti delle bambole nascondendoli per tutta l’enorme dimora. Molly, la cugina più grande subito dopo di lei, stava leggendo una fiaba alle piccole Rose e Roxanne sotto gli occhi orgogliosi della nonna omonima. Infine, lo zio Ron si era appisolato tenendo tra le braccia il suo secondogenito appena nato e sulle sue ginocchia un pacifico Albus.
Victoire sospirò di nuovo scrutando con attenzione il cielo sempre più di un opaco grigio: si sporse ulteriormente dalla sedia su cui era appollaiata facendo combaciare la punta del suo naso alla francese con il vetro freddo della finestra. Inspirò con sdegno osservando la patina di umidità rendere ancora più opaca quella mattina di primo autunno.
Non era giusto.
Questa era l’unica frase che riusciva a formulare tra i suoi cupi pensieri.
-Vicky- una voca materna e gentile, niente a che vedere con quella che maman aveva avuto durante le ultime settimane causa gravidanza agli sgoccioli, la risvegliò dalla sua apatia.
-Stai bene?- continuò l’unica figlia femmina di Molly e Athur avvicinandosi alla nipote. I suoi occhi, sapientemente truccanti, osservarono amorevolmente quella bambina così bella: non era riuscita a non notare per tutto il pranzo l’alone di tristezza che aveva oscurato il volto della primogenita di suo fratello Bill. Victoire arricciò il naso evitando lo sguardo della zia adorata poi, alzando le spalle, si limitò a sollevare gli angoli della bocca.
-Certo, zia- disse cercando di risultare il più credibile possibile. Ginny scosse la testa divertita quasi sicura che l'umore della nipote fosse peggiorato ulteriormente quando Teddy e Harry era usciti per andare a Diagon Alley.
-Sei proprio sicura?- mormorò nuovamente senza calcare il tono. Victorie si prese alcuni secondi per rimuginare.
-Posso confidarti un segreto? Ma prometti di non dirlo a nessuno- sibilò ricercando lo sguardo della rossa. Ginny annuì vigorosamente cercando di reprimere un sorriso soddisfatto.
-Pensi che Teddy mi dimenticherà appena sarà ad Hogwarts?- il viso della Weasley si illuminò di fronte a quella domanda: la grande amicizia che legava i due era lampante a tutti e il profondo sentimento di affetto che vedeva brillare negli occhi della piccola Weasley-Delacour era ancora più chiaro per una che, come lei, ci era già passata. Ginny si era innamorata di Harry al primo sguardo, un amore innocente e giovanile che poi era sfociato in un sentimento puro e profondo che ancora li legava.
-Perché dici ciò?- le domandò mentre le guance di Victorie si fecero sempre più rosate.
-Perché sono sicura che a Hogwarts troverà altri amici e ben presto mi dimenticherà- mormorò perdendo tutta la sicurezza che, nonostante fosse ancora solo una bambina di nove anni, amava mostrare. Ginny sorrise dolcemente accarezzando i capelli dorati color grano della Delacour: era incredibile come quella bambina le ricordasse lei quando era piccola.
-Oh Vicky, ma non succederà- le disse, ma questa affermazione sembrò non soddisfare affatto Victoire che per tutta risposta corrucciò le sopracciglia.
-Come fai a saperlo? Prima che anche io possa frequentare quella scuola passeranno due anni e intanto Teddy si sarà già scordato di me. Non siete voi, tutti voi, che ripetete sempre come gli anni ad Hogwarts siano stati i vostri anni migliori? Ed è proprio lì che tu hai incontrato lo zio Harry e lo zio Ron si è innamorato della zia Hermione- concluse incrociando stizzita le braccia al petto di fronte alla sentenza blanda della zia.
-Teddy ti adora Vicky- provò a dire Ginny, ma oramai la nipote sembrava un fiume in piena.
-Per ora, ma cosa succederà quando incontrerà un’altra bambina molto più bella di me, molto più simpatica di me e...- ma non riuscì a concludere le frasi che Ginny scoppiò a ridere. Profondamente offesa Victoire la osservò cercare di nascondere le risate dietro la mano, ma oramai era troppo tardi: sdegno e risentimento affollavano il viso della piccola.
-Non ridere!- strillò perdendo la sua compostezza e serrando le labbra in una smorfia indignata.
-Hai ragione Vicky, perdonami- le sussurrò Ginny cercando di riacquistare una espressione seria sul volto. La figlia di Bill e Fleur, intanto, non aveva ancora capito cosa ci fosse di così tanto divertente.
-Allora è di questo che si tratta?-
-Questo cosa?- ribatté offesa arricciando il naso.
-Hai paura che Teddy incontri una bambina a cui vorrà più bene che a te?- continuò Ginny accarezzando dolcemente la guancia della bambina.
-Vicky, posso raccontarti un segreto?- gli occhi azzurri come il cielo della Weasley si illuminarono e si limitò, buona e composta, a risedersi sulla piccola seggiolina. La moglie di Harry Potter si guardò in giro con attenzione, cercando di mantenere la faccia più seria possibile, come se si assicurasse che fossero lontane da orecchie indiscrete.
-Però un segreto che dovrà rimanere tra me e te- ci tenne ad aggiungere per dare più solennità alle sue parole. Victoire annuì con vigore.
-Anche io, quando avevo più o meno la tua età, ho avuto la tua stessa paura- il volto della primogenita di Bill venne riscaldato da un sorriso radioso mentre tutto il suo corpo pendeva dalle labbra pittate di rosso della zia.
-Anche io ho avuto timore che qualche altra bambina rapisse il cuore dello zio Harry ed una volta è anche successo- il labbro superiore di Victoire tremò di fronte a questa sua confessione: si sistemò ancora di più sul bordo della seggiola desiderosa di sapere di più.
-Davvero? E tu cosa hai fatto?- bisbigliò. Ginny sospirò al pensiero di Cho Chang, alle lacrime che non era riuscita a trattenere nel vederli passeggiare insieme per i corridoi e al dolore che aveva provato nel vedere le loro mani sfiorarsi. Erano ricordi così lontani che per un attimo Ginny si domandò se non fossero stati solo un sogno, ma gli occhi smaniosi di Victoire nel sapere di più la riportarono alla realtà.
-Niente- rispose sincera.
-Ho semplicemente aspettato che il suo cuore si liberasse restandogli vicina come amica: e poi, un giorno, l’ho visto guardarmi con occhi diversi come se finalmente si fosse reso conto che non ero solo la sorella del suo migliore amico. Quello che voglio dirti Victoire è che tu nel cuore di Teddy occupi già un posto speciale che nessuna, neanche la bambina più bella del mondo, riuscirà mai a conquistare. Lui ti vuole bene e te ne vorrà per sempre: sarà inevitabile che ad Hogwarts si faccia altri amici e altre amiche, ma tu, tra due anni, lo raggiungerai. Gli starai vicino e lui farà lo stesso con te. Poi, un giorno, lui ti guarderà negli occhi e capirà quanto sei speciale, molto più di quanto lui ora pensa che tu lo sia, e nascerà una bellissima favola-
-Come quella tra un Principe e una Principessa?- la interruppe Victoire i cui occhi oramai erano sognanti. Ginny, divertita, annuì con vigore.
-Grazie, zia- mormorò sincera sfoderando un enorme sorriso radioso.
-Che ne dici, ora che finalmente sorridi, se tornassimo dai tuoi cuginetti per giocare?- le domandò Ginny alzandosi in piedi. Victorie annuì con vigore e afferrò la mano della zia che le sorrise dolcemente.
-Zia?- sibilò dopo aver percorso alcuni passi mentre una espressione dubbiosa nuovamente andò ad intaccare il bel viso della figlia di Bill e Fleur. Si morse debolmente le labbra e si lisciò i capelli come se le fosse ancora rimasto un dubbio di cui proprio non riusciva a liberarsi.
-Ma tutti i maschi sono lenti a capire come lo zio Harry e Teddy?- Ginny si lasciò sfuggire un enorme sorriso divertito stringendo dolcemente la mano della bambina.
-Diciamo che i Potter ci mettono decisamente di più- concluse.


Il giorno dopo gli occhi lucidi di Victoire fissarono con tristezza il suo Teddy.
-Mi dimenticherai?-
-Mai- rispose il bambino il cui naso, a causa del freddo, era leggermente arrossato. Victoire serrò le labbra stringendo con ancora più forza la manina del suo amico da tutta una vita.
-Saremo ancora amici?- ribatté mentre un fischio forte segnò che oramai il treno per Hogwarts stava per partire. Teddy, conscio della grande serietà che Victoire stava mettendo nelle sue parole, sfonderò un enorme sorriso.
-Per sempre- concluse soddisfatto lasciando che i suoi capelli si colorassero di un opaco grigio, che si mischiò con il fumo emesso dalla locomotiva.
E pochi secondi dopo Victoire si era ritrovata a correre per di fiato dietro al treno di Hogwarts: i suoi occhi, azzurri e contornati da lacrime, seguirono la chioma di un opaco grigio anche quando i suoi piedi si fermarono.
-Per sempre- bisbigliò alzando la mano e salutando vigorosamente fino a quando il treno non sparì dietro l’angolo.

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