Figli della Luna Nuova di Red Owl (/viewuser.php?uid=31841)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Un pianeta azzurro ***
Capitolo 2: *** 2. I profughi di Yuba ***
Capitolo 3: *** 3. Le tre Sapienti ***
Capitolo 4: *** 4. La legge di Huim ***
Capitolo 5: *** 5. Tre giorni ***
Capitolo 6: *** 6. Il segno del sangue ***
Capitolo 7: *** 7. Storia di un ragazzo stupido ***
Capitolo 8: *** 8. Sulla pelle ***
Capitolo 1 *** 1. Un pianeta azzurro ***
Fuori
dall’oblò il panorama sta cambiando. Il nero
infinito dello spazio
esterno è ora quasi completamente inghiottito
dall’abbagliante
verde-azzurro del pianeta verso il quale stanno scendendo.
Nantos-A,
ricorda Annabel, in onore di un qualche sconosciuto dio antico di cui
ignora l’origine. Distrattamente si chiede se esista anche un
Nantos-B o C, o quello che è. Il monitor posto davanti al
suo sedile
le segnala che tra meno di due ore giungeranno alla piattaforma di
atterraggio e, benché non sia una sorpresa,
quell’informazione le
genera uno strano senso di vuoto all’altezza dello stomaco.
Tra
meno di due ore inizierà la sua nuova vita e non
è certa che
quell’idea le piaccia.
Accasciato
sul sedile alla destra del suo, Seth dorme tranquillo, apparentemente
senza una preoccupazione al mondo. Annabel aggrotta le sopracciglia,
mentre qualcosa - invidia o irritazione, non saprebbe dirlo con
certezza - le stringe la gola. Il suo fidanzato è sempre
così
rilassato.
Non che sia un male, ma a volte si chiede se quella rilassatezza non
nasconda in realtà un certo grado di
superficialità.
Annabel
sta ancora fissando il giovane semisdraiato accanto a lei, quando una
figura occupa il corridoio tra le due fila di sedili, attirando la
sua attenzione. “Tè, signorina?” le
chiede la hostess,
un’incantevole giovane donna fasciata in
un’uniforme rosso
ciliegia e con i capelli ramati raccolti in uno chignon raffinato.
Annabel
scuote appena il capo, consapevole del fatto che sul suo volto si sta
disegnando un’espressione ostile. Non le piacciono le ragazze
carine. È più forte di lei.
La
hostess contrae appena le labbra a cuore in un’espressione
dispiaciuta. “Sicura?” insiste con un sorriso
gentile. “Questo
è l’ultimo giro che faccio, poi saremo troppo
vicini
all’atterraggio per potervi servire altro.“
Annabel
sa che quella ragazza sta solo facendo il proprio lavoro, ma non
riesce comunque a reprimere un moto di fastidio. “A posto
così,
grazie” mormora tra i denti, più che mai
consapevole del suo
accento dei bassi fondi, così orribilmente in contrasto con
la
dizione precisa della hostess.
La
ragazza annuisce e passa oltre, spingendo davanti a sé il
carrello
carico di cibi e bevande e riuscendo comunque a mantenere quella sua
aura di grazia ultraterrena. Annabel torna a guardare fuori dal
finestrino, lasciando che la luminosità del pianeta sotto di
lei le
si imprima nella retina e acquieti un poco i suoi pensieri. Odia
quella nave e odia quel viaggio che lei e Seth hanno iniziato da
ormai tre settimane, un susseguirsi infinito di porti e stazioni,
passando da una nave passeggeri a un’altra, separandosi man
mano
dai pochi amici che conosce da tutta una vita.
Sarah
è stata la prima ad andarsene, diretta a una base
scientifica alla
quale il suo QI sopra alla media le permette di accedere. Michael
è
stato l’ultimo: andrà a lavorare in una fabbrica
sul pianeta
industriale QZ-3, un inferno di fumo e metallo che è
però ricco di
possibilità di arricchirsi in fretta, se uno sa dove
guardare.
Anche
lei e Seth sarebbero finiti lì, se non avessero annunciato
in tutta
fretta la loro volontà di sposarsi. Quando il terremoto
aveva
colpito Yuba, danneggiando l’enorme stabilimento chimico che
sorgeva lungo il perimetro sud della città,
l’intera area era
stata evacuata. Quando gli agenti delle Forze Speciali erano venuti a
bussare alla sua porta, avvolti nelle loro tute arancioni e nascosti
dietro a dei caschi che celavano i loro lineamenti, Annabel si era
sentita morire. Non aveva mai amato particolarmente Yuba, in
verità,
né aveva mai apprezzato il pianeta su cui sorgeva,
un’immensa
distesa di pianure, campi di soia e città che esistevano
esclusivamente per garantire manodopera agli enormi stabilimenti
industriali che fornivano materie prime all’intero sistema
solare.
Però era casa sua. Lì era nata da genitori
ignoti, lì era stata
cresciuta dalla Previdenza Sociale, lì aveva conosciuto Seth
e si
era innamorata di lui.
Annabel
non ha mai avuto la pretesa di conoscere o capire le logiche che
sostengono le decisioni governative, ma quando si era trovata di
fronte quegli uomini vestiti di arancione era stata ben consapevole
di una cosa: la sua vita stava per cambiare.
Sulle
prime aveva creduto che le avrebbero semplicemente chiesto di
abbandonare la città, resa ormai inabitabile dai fumi
tossici che
l’avevano invasa, ma lo sguardo preoccupato che aveva letto
negli
occhi scuri di Seth le aveva fatto capire che le cose avrebbero
potuto essere anche peggiori di quello che si era aspettata.
Potrebbero
anche chiederci di lasciare il pianeta,
le aveva detto il giovane tra i denti, ed erano bastati un paio di
giorni per confermare i timori di Seth.
Il
problema era che Epona era un pianeta che poteva ospitare solo un
numero limitato di abitanti e il fatto che Yuba, una delle sue
città
più popolose, fosse improvvisamente avvolta da fumi tossici
significava che un gran numero di persone rischiava di riversarsi in
metropoli già sovraffollate.
Se
ai pochi dirigenti e ai membri delle classi più agiate della
società
era stato permesso, in virtù della loro posizione, di
stabilirsi in
altri insediamenti su Epona, la quasi totalità degli operai
era
stata reindirizzata verso altri pianeti.
Per
alcuni di loro il cambiamento era stato in meglio, ma per molti altri
no: ad Annabel era bastato uno sguardo al volto di Seth per capire
che QZ-3, il pianeta a cui erano stati destinati e di cui non aveva
mai sentito parlare, non era meglio di Epona.
Passeremo
la vita sommersi dal fumo delle ciminiere,
le aveva confidato il ragazzo, guardando con aria rassegnata fuori
dalla finestra dell’anonima camera d’albergo che
era stata loro
assegnata. Se
avessimo un bambino, potremmo evitarlo,
aveva
aggiunto lanciandole uno sguardo in tralice e rispolverando quello
che era stato un argomento di discussione per l’ultimo anno e
mezzo. Non
mandano i bambini in un posto come QZ-3.
Annabel
aveva storto il naso. Aveva ventitré anni e nessuna voglia
di
diventare madre, e a poco servivano le sempre più frequenti
frecciatine del suo ragazzo.
Immerso
nella luce giallognola delle lampade appese alla parete, Seth
l’aveva
guardata in silenzio per qualche istante e poi aveva aggiunto, quasi
sovrappensiero: probabilmente
potremmo evitarlo anche se fossimo sposati, in effetti.
Annabel
aveva riflettuto in fretta e poi si era detta: perché
no?
Del
resto vivevano sotto lo stesso tetto da tre anni e un matrimonio non
era poi diverso da una convivenza.
Dici?
Aveva
chiesto con leggerezza. Quando Seth aveva annuito, lei aveva
scrollato le spalle. E
va bene,
aveva detto. Allora
sposiamoci.
E
così avevano deciso e avevano comunicato la loro decisione
all’ufficiale che gestiva il loro piccolo gruppo di
profughi.
Ancora
una volta, l’intuizione di Seth si era rivelata corretta: la
loro
intenzione di formare una famiglia legalmente riconosciuta li aveva
trasformati da due operai qualsiasi a soggetti giovani e sani adatti
a colonizzare un territorio ancora poco abitato. Nantos-A, aveva
decretato l’ufficiale, un mondo fertile, benché
ricco di paludi,
abitato solo dai discendenti di alcuni antichi coloni che erano
atterrati lì alcuni secoli prima. Serviva del sangue nuovo e
le
giovani coppie erano le benvenute. Si sarebbero sposati una volta
arrivati in quella che sarebbe stata la loro nuova casa,
perché la
cerimonia e la festa che l’avrebbe seguita li avrebbero resi
benvoluti agli occhi degli abitanti del posto.
In
un primo momento, Annabel aveva amato l’idea di vivere tra
erba,
alberi e acqua, ma via via che la nave su cui viaggiavano si
avvicinava a Nantos-A, la ragazza aveva sentito montare in
sé
l’inquietudine.
Adesso
che sono tanto vicini da riuscire a distinguere le foreste, i fiumi e
le praterie che ricoprono la superficie del pianeta, le sue mani sono
umide di un sudore nervoso. Nata e cresciuta nei bassifondi
fuligginosi di Yuba, non ha la benché minima idea di come
sopravvivere in un mondo così poco industrializzato; e Seth
non ha
certo più esperienza di lei. Avranno l’aiuto degli
abitanti del
villaggio nel quale si stabiliranno, ma Annabel non si fida degli
estranei. Non ama i loro sguardi carichi di pietà o di
disgusto, e
ancor meno ama il modo in cui gli occhi di alcune persone scivolano
via dal suo volto, quasi incapaci di sostenere la vista
dell’enorme
macchia violacea che da sempre le copre la metà sinistra del
viso,
estendendosi dalla fronte alla gola.
Il
solo pensiero la spinge a fissare il proprio riflesso evanescente nel
finestrino, pelle chiara - dove non è rosso-viola - occhi
pallidi e
sottili capelli biondi che restano appiccicati alla testa. Labbra
fini, perennemente piegate in una curva severa. Lentiggini che si
vedono solo a destra. La ragazza distoglie lo sguardo.
Due
file più avanti, sul lato opposto del corridoio, una ragazza
che
deve avere più o meno la sua età si contorce sul
sedile. Lei e il
giovane che la accompagna sono tra i pochi passeggeri rimasti. La sua
spessa treccia nera ondeggia a ogni suo movimento e ha un vago
effetto ipnotico. Annabel si scopre a fissarla con troppa insistenza.
Sentendosi
forse osservata, la giovane si volta e la fissa a sua volta. Sul suo
volto dai lineamenti delicati si disegna l’ombra di un
sorriso
timido e nei suoi grandi occhi neri Annabel legge il tentativo di
stabilire un primo contatto, di cercare quel qualcosa in comune che
può unire due sconosciuti.
Annabel
distoglie lo sguardo e torna a studiare la terra che, al di
là del
finestrino, si fa sempre più vicina.
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Capitolo 2 *** 2. I profughi di Yuba ***
Seth
si è svegliato solo pochi minuti prima
dell’atterraggio ed è
ancora un po’ instabile sui piedi. Quando si affacciano alla
scaletta che permetterà loro di scendere a terra, Annabel
è tentata
di afferrarlo per il retro della felpa per evitare che le sue gambe
cedano e che lui ruzzoli indecorosamente fino allo spiazzo di terra
battuta che li aspetta qualche metro più in basso.
Il
giovane si aggrappa saldamente al corrimano e inizia la sua discesa.
La ragazza tira un sospiro di sollievo e poi, in maniera inaspettata,
incrocia lo sguardo della hostess dai capelli rossi. “Buona
fortuna” le dice la donna con un sorriso, e Annabel deve
impedirsi
di rispondere con una smorfia irritata. Per qualche motivo,
quell’augurio le pare di cattivo auspicio.
Appena
mette piede a terra, Annabel viene investita da una folata di aria
umida e carica di un odore che non conosce, dolce e penetrante.
Accanto a lei, Seth sorride e le passa un braccio attorno alle
spalle. “Senti”, le dice, “non
c’è odore di smog! Questo
posto già mi piace!”
Annabel
annusa ancora l’aria e poi si concede un sorriso piccolo, ma
che
Seth sa come intercettare. “È vero”
riconosce. Non è una brutta
sensazione, quella di essere in grado di respirare dell’aria
pulita, ma la ragazza ha imparato con l’esperienza che spesso
la
prima impressione non è quella più corretta. Le
servono almeno un
paio di giorni per stabilire se quel nuovo pianeta sia migliore o
peggiore di Epona, per capire se quel villaggio che l’aspetta
e di
cui ancora non conosce il nome possa rivelarsi una casa migliore di
Yuba.
Il
rumore metallico della scaletta che inizia a ritirarsi nella pancia
della nave attira la sua attenzione e Annabel si volta verso
l’uomo
in uniforme militare che sta scambiando un ultimo saluto con il
pilota: si tratta del Maggiore Nelson, l’ufficiale che li ha
accompagnati per l’ultima tratta. L’uomo fa
scorrere gli occhi
chiari sullo sparuto gruppetto di persone che gli sta davanti. Oltre
ad Annabel e a Seth, ci sono la ragazza dalla treccia nera e il suo
compagno e una famiglia composta da due genitori sulla trentina e tre
bambini piccoli, due femmine e un maschio. C’è
anche una donna
sola, con brillanti occhi neri e lineamenti duri, da falco. Non per
la prima volta, Annabel si chiede che cosa ci faccia lì: non
è
giovane, deve avere almeno sessant’anni, ed è
vestita con abiti
semplici.
Prima
che la ragazza possa porsi troppe domande, il Maggiore Nelson inizia
a parlare. “Vi do il benvenuto su Nantos-A” dice, e
malgrado le
sue siano indubbiamente parole di rito, Annabel crede di scorgervi un
calore e una sincerità che calmano un po’
l’inquietudine che le
fa ribollire lo stomaco. “Come voi, anch’io sono
nativo di Yuba.
L’ho lasciata molti anni fa per viaggiare nello spazio e per
servire la nostra Patria, ma il mio cuore è sempre rimasto
lì. Yuba
è casa. Non è perfetta, ha molti problemi, ma
è casa, e ciò che
le è successo fa soffrire me quanto fa soffrire voi. Il
fatto di
viaggiare così tanto mi ha però insegnato che la
casa non è solo
un luogo fisico, ma anche qualcosa che vive dentro di noi e che ci
portiamo nel cuore.”
Accanto
a lei, Seth annuisce appena e anche la ragazza con la treccia sembra
convinta di ciò che dice il Maggiore. Annabel è
più incerta: non
sa se nel cuore ha Yuba o solo la paura di averla persa per sempre.
“La
città non è perduta” continua Nelson,
quasi le avesse letto nel
pensiero. “Ci vorranno anni e molto impegno, ma
rinascerà. Io
spero che rinasca migliore di prima, più sicura,
più pulita, più
luminosa. Lo spero davvero, anche se so che non tornerò mai
più ad
abitarvi. Lei, però, vivrà per sempre in me ed
è questo ciò che
vi auguro: che possiate portarla sempre nel cuore e che la sua
presenza in voi vi dia la forza e la serenità per iniziare
una nuova
vita, come è stato per me. Ricordate ciò che in
bene e in male vi
ha insegnato e mettetelo in pratica qui per creare delle vite
migliori di quelle che avete lasciato.”
Annabel
si morde le labbra, divisa tra la disillusione e la speranza. Non ha
mai apprezzato particolarmente i discorsi e quello del Maggiore la
mette un po’ a disagio. Vorrebbe dire a qualcuno - almeno a
Seth -
che non è il caso di spendere tante parole per un ammasso di
ferro e
mattoni, che è praticamente impossibile
che
qualcuno che è cresciuto com’è
cresciuta lei ami veramente Yuba.
Una vocina nella sua testa le suggerisce però di stare
zitta, perché
un commento troppo spavaldo rischierebbe di mettere a nudo i suoi
sentimenti e di far capire alle persone che la circondano quanto
profonda sia in realtà la sua sofferenza.
Quindi
Annabel tace e annuisce quando annuiscono gli altri.
Nelson
sorride. “Bene. Detto questo, alcuni dettagli.”
L’uomo consulta
rapidamente il palmare che tiene tra le mani e poi lo ripone nella
tasca della giacca. “Il villaggio in cui abiterete si chiama
Huim e
conta al momento circa duecento abitanti, bambini compresi. La gente
coltiva principalmente l’orzo, ma gli orti rendono bene ed
è
possibile farvi crescere un po’ di tutto, dalle carote, ai
pomodori, alle patate. L’attività principale,
però, è la pesca,
che la gente pratica soprattutto utilizzando delle imbarcazioni
allungate che chiamano frecce.
Il pesce non manca mai.”
Annabel
aggrotta la fronte. Lei non l’ha mai provato, il pesce, e non
può
che sperare che le piaccia. Non che sia schizzinosa, comunque.
“La
struttura sociale è… piuttosto particolare.
Diversa da quella che
conoscete voi, indubbiamente. Come scoprirete, la comunità
è molto
unita: in un certo senso, si potrebbe dire che non esiste
l’individuo, ma che l’unità minima
è il gruppo famigliare.
L’unica eccezione è costituita dalle Sapienti del
tempio, un
gruppo di donne anziane che fungono da ago morale per
l’intera
comunità.”
Gli
occhi di Annabel scorrono verso la donna che viaggia da sola,
cercando di valutarne la reazione. Il suo volto rimane però
impassibile, le rughe profonde come scolpite nella pietra, e la
giovane torna a concentrarsi sul Maggiore: sono informazioni
importanti, quelle.
“Per
quanto riguarda il potere politico…” Nelson esita,
e i suoi occhi
incrociano quelli della giovane madre. “Signore, temo
purtroppo che
tutto l’universo sia paese: come su Epona, anche qui il
potere
politico è nelle mani degli uomini. In maniera esclusiva,
direi, ma
la cosa non deve preoccuparvi, dal momento che dubito che qualcuna di
voi ambisse a diventare capo villaggio o qualcosa del genere.“
Annabel
è percorsa da un tremito di irritazione. Di certo lei non ha
né
l’ambizione né la voglia di buttarsi in politica,
ma che ne sa il
Maggiore Nelson? Pensa forse che le sue umili origini la rendano una
stupida?
Una
mano calda e asciutta le avvolge il polso in una stretta
rassicurante. Istintivamente la giovane alza lo sguardo e incrocia
quello di Seth, che la sta osservando con un’espressione
carica di
affetto. Lascialo
perdere,
sembra dirle il suo sorriso gentile, e Annabel prova un improvviso
moto di gratitudine nei suoi confronti. A volte si dimentica di
quanto ami Seth, ma basta un solo gesto per ricordarglielo.
Stringendogli a sua volta la mano, la ragazza sposta il peso verso il
suo fidanzato, appoggiandosi al suo fianco alla ricerca di calore e
di sicurezza. Il contatto la rasserena all’istante.
Nelson
sta ancora parlando. “... ma ne parleremo più
tardi, non voglio
confondervi con troppe informazioni non fondamentali” dice, e
Annabel si chiede se si sia persa qualcosa di importante. “In
ogni
caso”, continua il Maggiore, “sappiate che non
siete soli: Epona
non vi abbandona. Io non sarò qui con voi tutto il tempo, ma
il
Governo effettuerà delle verifiche periodiche per accertarsi
del
fatto che vada tutto bene. Abbiamo a cuore la salute dei nostri
concittadini. Se dovessero emergere delle serie problematiche,
verremo immediatamente a riprendervi.”
E
quel dettaglio, Annabel deve ammetterlo, è davvero
confortante.
“Ora”,
continua il Maggiore, “un rapido accenno a ciò che
vi aspetta. A
livello abitativo, intendo.”
Così
dicendo, l’uomo estrae nuovamente il palmare dalla tasca e
Annabel
ne approfitta per stringersi un po’ di più a Seth,
mentre un
brivido di eccitazione nervosa le scorre lungo la schiena. Nonostante
tutto, non può negare di essere curiosa di scoprire dove
andrà ad
abitare: non può essere tanto peggio del monolocale in cui
abitavano
a Yuba, incastonato in un vecchio palazzo che conteneva centinaia di
appartamenti identici al loro. A meno che non la costringano a vivere
in una capanna, ovviamente.
“Dunque”
fa Nelson, distogliendo gli occhi dall’apparecchio
elettronico e
portandoli sulla sua piccola platea. “Noah e Holly Gower: a
voi e
ai vostri bambini verrà immediatamente assegnata
un’abitazione
nella zona centrale del villaggio, nell’area dedicata alle
famiglie
con dei figli piccoli. In questa comunità non esiste il
concetto di
educazione come lo intendiamo noi, nel senso che non si va a scuola:
la maggior parte della gente non sa leggere né scrivere. Voi
sarete
naturalmente liberi di continuare a educare i bambini come meglio
credete, ma ci si aspetterà che Conor impari presto a
pescare,
diventando apprendista su una freccia.
Grace dovrà invece imparare a riconoscere le erbe
commestibili e
quelle con virtù medicinali. Lily, infine, è
ancora piccola e la
sua educazione non inizierà prima dei quattro anni. Hai
ancora tempo
per giocare, piccina” aggiunge, rivolgendo un sorriso alla
bimbetta
bruna che lo guarda con gli occhi sgranati.
Di
tutto quel discorso, l’unica informazione che penetra nella
mente
di Annabel è che la gente del posto non
sa leggere:
per la prima volta nella sua vita si sente culturalmente superiore a
qualcuno.
“Kabir
Emami e Kalika Sharma. E anche voi, Seth Rivera e Annabel Jensen. Voi
vi sposerete presto, nel giro di una settimana al più
tardi.” Il
Maggiore si interrompe per un istante e incontra gli occhi dei
quattro giovani, rivolgendo loro un sorriso incoraggiante.
“Ne
approfitto per farvi i miei migliori auguri. Fino al giorno delle
nozze vivrete nella casa comune dedicata agli ospiti. Quando vi
sarete sposati vi verranno subito assegnate delle case nella parte
più esterna del villaggio. Quando e se avrete dei figli,
infine, vi
sposterete nella stessa zona in cui vivranno i signori Gower.”
Infine,
l’attenzione del militare si sposta sulla donna con il volto
da
rapace. “Signora Becker… lei sa già
tutto.” La donna annuisce
e i suoi occhi neri - che forse non sono affatto neri, a guardarli
bene, ma che sono intensi come carboni ardenti - si puntano in quelli
del Maggiore.
Ad
Annabel non piacciono gli estranei, ma quella donna la affascina.
Così come, tutto ad un tratto, la affascina l’idea
di una casetta
tutta per lei, ai margini del bosco, da condividere con Seth. E non
lontano dalla ragazza con la treccia nera, che la sta ancora
guardando con uno sguardo di vaga speranza e che, a pensarci bene, ha
quasi un’aria simpatica.
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Capitolo 3 *** 3. Le tre Sapienti ***
Forse
è un’osservazione un po’ stupida, ma la
prima cosa che la
colpisce è che in quel mondo c’è
così tanto verde. Il Maggiore
Nelson li conduce verso il villaggio e i profughi di Yuba lo seguono
camminando in fila indiana. Quasi senza rendersene conto, Annabel si
ritrova a tallonare Holly Gower, ascoltando ciò che la donna
dice ai
tre bambini che la seguono come anatroccoli, la piccola Lily
attaccata all’orlo del suo cappotto e i due più
grandi subito
dietro.
La
giovane indica di volta in volta un fiore o una pianta e spiega ai
suoi figli che sono cose che non vedranno durante tutto
l’anno,
perché quello su cui si trovano è un pianeta che
ha le stagioni.
Annabel trattiene un’esclamazione di meraviglia. Sa cosa sono
le
stagioni, naturalmente, perché lo ha studiato a scuola, ma
non ha
mai avuto modo di vedere con i suoi occhi gli effetti di un asse
inclinato e di un’atmosfera non del tutto artificiale. Su
Epona non
esistono le stagioni.
Se
fosse solo un po’ più estroversa, chiederebbe a
Holly come fa a
sapere tutte quelle cose sul clima e sulla natura di Nantos-A. La sua
innata ritrosia la porta invece a ignorare la propria
curiosità e a
camminare in silenzio, limitandosi ad assorbire le informazioni che
le giungono alle orecchie.
Dopo
dieci minuti, il gruppetto giunge sulle rive di un grande fiume che
scorre placido e lento attraverso la pianura. Tutt’intorno a
esso
crescono degli alberi sottili, dal tronco chiaro e dalle foglie
minute che vibrano sospinte da una bava di vento, diffondendo
nell’aria un frinire come di campanelli.
“Quelle
sono le frecce”
dice
d’un tratto Nelson, indicando con un dito delle imbarcazioni
lunghe
e basse, dalla forma aerodinamica che ricorda effettivamente una
punta di freccia. Sono tutte costruite con lo stesso legno chiaro, ma
Annabel nota che sui fianchi di ciascuna barca è dipinto un
simbolo
colorato: un doppio cerchio rosso, una stella verde, due linee blu.
Di
nuovo, la ragazza sarebbe tentata di chiedere spiegazioni e, di
nuovo, abbandona quel proposito.
La
mano di Seth scende ancora una volta a stringere la sua. “Ci
guardano come se fossimo degli animali esotici” le sussurra
in un
orecchio, prima di indicare con il mento un punto alla loro sinistra.
Solo
in quel momento la ragazza si accorge con un sussulto che,
seminascosti da un gruppetto di alberi bassi, ci sono tre uomini che
li stanno fissando. Vestono abiti scuri e stivali alti, e tra le mani
tengono i lembi di un’ingombrante rete da pesca. Pescatori,
dunque.
Quello più a destra è il più anziano,
con capelli grigi e la pelle
bruciata dal sole, ma i due che lo accompagnano sono piuttosto
giovani, tra i trenta e i quarant’anni, e seguono il loro
procedere
con l’ombra di un sorriso meravigliato. Uno dei due, un
ragazzotto
biondo con un cappellaccio calato sulla fronte, abbozza un saluto che
Seth ricambia con un cenno del capo. Ad Annabel non sfugge il modo in
cui Kabir si frappone tra la ragazza con la treccia e gli altri
uomini.
La
giovane alza gli occhi al cielo, irritata da quella manifestazione di
possessività.
Man
mano che si avvicinano al villaggio, il numero degli spettatori
aumenta. Annabel vede uomini, donne e bambini con i capelli
scarmigliati e si chiede perché la nave sia atterrata
così lontana
da Huim.
Camminano
per altri venti minuti e infine giungono a un piccolo abitato fatto
di case dalle dimensioni modeste, interamente costruite con lo stesso
legno chiaro utilizzato per costruire le barche. La maggior parte
delle case - ammesso che si possano definire così - ha un
solo
piano, ma ve ne sono alcune più alte, a due piani. Ci sono
fiori ai
balconi, colorati e tutti diversi, e fili per stendere i panni tesi
tra un edificio e l’altro.
Il
tracciato di terra battuta sul quale hanno camminato fino a quel
momento sfuma in un viottolo di ghiaia grigia che scricchiola e
scrocchia sotto i loro piedi. Camminando con il passo sicuro di chi
sa cosa sta facendo, il Maggiore Nelson li conduce verso il cuore
dell’abitato. Infine giungono a una sorta di recinto
circolare: la
palizzata di legno delimita quello che dev’essere il cuore
del
villaggio, uno spiazzo privo di ghiaia e coperto di lastre di granito
lucente. Al centro esatto della piazza sorge un edificio circolare
grande come quattro o cinque delle case presenti nel resto del
villaggio. Quella che si staglia davanti a loro è anche
l’unica
costruzione a non essere interamente in legno: il piano inferiore
è
di solida pietra, fatto di massi regolari accatastati con cura uno
sull’altro, e il tetto è d’ardesia scura.
Nelson
posa una mano sul cancello che permette di accedere all’area
recintata, ma, prima di aprirlo, si volta verso le persone che lo
seguono. “Questa è la casa comune”
annuncia. “Qui incontreremo
alcune delle Sapienti e alcuni degli uomini che siedono nel Consiglio
del villaggio. Poi potrete sistemarvi.”
Annabel
si mordicchia nervosamente il labbro inferiore e d'istinto si
avvicina al fianco di Seth. Avverte che di lì a poco
incontrerà
della gente che potrà in una certa misura decidere del suo
futuro e
la cosa non le piace nemmeno un po’.
L’interno
dell’edificio è luminoso e profumato di legno
aromatico. Le dodici
finestre alte e sottili disposte lungo le pareti inondano la sala di
luci e ombre e Annabel ha quasi l’impressione di trovarsi
ancora
fuori, in mezzo agli alberi. È abituata a osservare
l’ambiente che
la circonda per identificare le eventuali insidie che vi si possono
nascondere e anche in questa occasione avverte l’impulso di
studiare l’arredamento, ma la sua attenzione torna
inevitabilmente
alle tre donne che si stanno avvicinando al gruppo dei profughi.
Sono
anziane, di un’età indefinibile, e camminano
curve, avvolte in
abiti che sfiorano loro le caviglie e in scialli decorati da una
miriade di frammenti di specchio. La prima ha la pelle scura, sul
volto segni di tatuaggi ormai sbiaditi, occhi scuri come il carbone e
ispidi capelli color antracite portati corti. La seconda è
una
matrona mastodontica, più alta della compagna di
più di una testa,
le gambe gonfie di grasso e di liquidi che si intravedono al di sotto
dell’abito leggero che indossa. La terza, infine,
è una donnina
delicata, dalla pelle sottile come cartapesta, pallidi occhi
lattiginosi e una treccia di capelli bianchi che le scende fino alla
vita.
È
la prima delle tre a parlare. “Benvenuti” dice, e
la sua voce
raspa come carta vetrata. “Io sono Nisha, loro sono Mada e
Shiera.
Vi aiuteremo durante i vostri primi giorni qui.”
Le
parole dovrebbero essere incoraggianti, ma il tono in cui le
pronuncia è sbrigativo e Annabel nota che, sebbene si stia
rivolgendo a tutti loro, gli occhi della donna sono fissi sulla
signora Becker. Sembra quasi che la stia studiando; e la sua
espressione non è amichevole.
La
donna più minuta - Shiera, apparentemente - si avvicina al
gruppo
con piccoli passi da uccellino. Si ferma solo quando è a
poche
decine di centimetri da Noah Gower, che si trova all’estrema
sinistra della fila, e ne osserva minuziosamente il volto. Un passo
di lato e la donna fa lo stesso con Holly. Poi sfiora i capelli rossi
di Conor, il naso a patata di Grace. Allunga una mano verso i codini
bruni di Lily, ma la piccola si scosta e corre a nascondersi dietro
le gambe della madre.
Shiera
osserva Kabir, Kalika - e le tocca il vitino da vespa - e infine
giunge ad Annabel. Le dita della vecchia, adunche come artigli,
indugiano sui suoi capelli biondi e opachi, ma la ragazza sa che, in
realtà, sta osservando la macchia che le deturpa il volto.
Forse è
solo una sua impressione, ma le sembra che la donna si soffermi sul
suo aspetto più di quanto non abbia fatto con gli altri e il
sentore
dolciastro del suo fiato le si infila nelle narici.
L’esame
sembra protrarsi all’infinito, ma alla fine Shiera non dice
una
parola e passa a osservare Seth. Pochi istanti e poi torna dalle
altre vegliarde, ignorando completamente la signora Becker.
Annabel
si aspetta che qualcuno parli, ma le tre donne restano in silenzio e
anche Nelson rimane assolutamente immobile, come in attesa di
qualcosa. Passano parecchi istanti - minuti? - prima che la porta
d’ingresso si apra, lasciando entrare due uomini.
Sono
alti, entrambi di mezza età: uno è più
scuro dell’altro, hai dei
lineamenti più eleganti, ma i capelli pettinati alla stessa
maniera
e gli abiti di foggia simile li rendono piuttosto somiglianti
l’uno
all’altro.
“Romed
ed Elko” dice Nisha, a favore dei profughi. “Membri
superiori del
Consiglio.”
I
due passano rapidamente in rassegna il gruppetto di estranei, ma
è
un’occhiata sbrigativa, come se non fossero veramente
interessati a
conoscere quelle persone che risiederanno nel loro piccolo villaggio.
Ad Annabel la cosa sembra strana, oltre che scortese.
“Maggiore
Nelson?” Fa a mo’ di saluto l’uomo con
gli occhi chiari; e il
militare annuisce.
“Sono
io” conferma.
“Gli
uomini ci seguano nell’altra sala” dice
l’altro uomo, quello
dai colori più scuri. “Venga anche lei, Maggiore:
abbiamo alcune
cose di cui discutere.” Non dice cosa devono fare le donne e
Annabel incontra gli occhi di Seth. Non è il tipo di donna
che cerca
costantemente il supporto del proprio compagno, ma in quel frangente
si sente spaesata e pensa che forse l’eterna
tranquillità del
ragazzo può aiutarla a tenere a bada la tensione.
Un
po’ funziona, perché sul viso del giovane
c’è solo una blanda
curiosità. Non sembra turbato e Annabel pensa che, forse,
non c’è
davvero motivo di allarmarsi. Quei due tizi vogliono parlare con gli
uomini. Bene. Nulla di strano. L’aveva già capito,
che sta per
entrare a far parte di una società maschilista.
“Tu
con i bambini vieni con noi” dice Mada, e anche la sua voce
è
grassa, cavernosa. “Ti mostreremo la tua nuova casa e ti
daremo
alcune dritte che ti saranno utili. Tuo marito ti
raggiungerà tra
poco.”
I
Gower si scambiano un’occhiata, poi Holly prende per mano
Lily e fa
cenno a Grace e Conor di seguirla mentre si avvicina alle tre
vegliarde.
Vedendosi
abbandonata, Annabel fa guizzare gli occhi attorno a sé alla
ricerca
di qualcosa che le suggerisca cosa fare, ma Kalika è
più veloce. “E
noi?” chiede con una vocina sottile.
È
Nisha a rispondere. “Voi potete andare di sopra. Troverete
una
stanza con la porta aperta: potete aspettarci lì.”
È
la signora Becker a muoversi per prima e Annabel e Kalika la seguono
in silenzio dopo aver rivolto un ultimo sguardo ai loro fidanzati. Le
scale che percorrono sono strette e interamente di legno, i gradini
scricchiolano sotto ai loro piedi e ogni passo risuona rumorosamente.
In
cima alle scale c’è una porta aperta, come ha
detto la vecchia
Nisha, ed è una sorta di salotto. C’è
un tavolo rotondo ricoperto
da una tovaglia di pizzo e circondato da pesanti sedie di legno, e
dei mobili bassi sono addossati alle pareti. Annabel adocchia la
credenza con le ante di vetro che custodiscono dei bicchieri e si
chiede che tipo di bevanda venga servita in essi.
Kalika
si torce le mani e poi, quasi fosse imbarazzata dal fatto di starsene
in piedi senza fare nulla, scosta una delle sedie e vi si siede,
prendendo subito a giocherellare con l’orlo della tovaglia.
Annabel
non ha voglia di sedersi e per questo raggiunge una delle due
finestre che danno sull’esterno. Riesce a vedere il fiume, da
lì,
e la striscia di terra coltivata che si estende lungo la riva
più
remota, e i boschi al di là di essa. Sullo sfondo, delle
montagne
dolci e regolari - sono più colline, in effetti, che veri e
propri
monti.
Quando
avverte una presenza alle proprie spalle, la ragazza ruota su se
stessa, voltandosi quel tanto che basta per incontrare lo sguardo
della signora Becker. Aveva ragione: i suoi occhi sono grigi, non
neri come le erano sembrati in un primo momento, e alla luce della
finestra i suoi lineamenti sembrano più delicati, meno da
uccello
rapace.
“Io
sono Elsa” le dice, come se l’informazione potesse
essere di una
qualche importanza per Annabel.
La
giovane annuisce. “Hm-hm.”
Sta
per girarsi nuovamente verso la finestra, ma la mano della signora
Becker le afferra il mento in una presa sorprendentemente decisa. Ha
le dita fredde e lisce come la pelle dei pesci. La donna la costringe
a voltare il capo verso destra e Annabel sente i suoi occhi sulla
macchia che le copre la parte sinistra del volto.
“Cos’hai
fatto in faccia?” le chiede, come se le stesse chiedendo come
si è
fatta un taglio su un dito o una sbucciatura sul ginocchio.
Annabel
retrocede di un passo, bruscamente, e si libera dalla presa di Elsa.
“È un angioma” ringhia, chiedendosi
perché si stia degnando di
risponderle. “Ce l’ho da sempre. Dalla
nascita.”
Il
volto della donna si contrae in un’espressione pensosa.
“Hm”
mormora a sua volta, e Annabel non sa come interpretarlo, quel suono.
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Capitolo 4 *** 4. La legge di Huim ***
Quando
Seth e Kabir fanno il loro ingresso nella sala accompagnati da Nisha,
Annabel tira un sospiro di sollievo. Dopo il confronto con Elsa
l’attesa è stata carica di una tensione strana e
la ragazza è ben
lieta di avere un diversivo che le permetta di non pensare troppo a
cosa volesse dire la Becker con quel suo hm.
Anche
Kalika sembra sollevata e balza subito in piedi, raggiungendo a
grandi passi il suo fidanzato. Annabel la imita, sebbene più
lentamente, e si porta al fianco di Seth. Nisha le osserva e, ancora
una volta, la giovane ha l’impressione che gli occhi della
donna si
soffermino su di lei, sul suo volto. Sto
diventando paranoica?
Si
chiede quando vede che Seth sorride placido e senza dar cenno di
preoccupazione.
Nisha
sposta poi lo sguardo su Kabir. “Avete le chiavi, lascio che
siate
voi ad accompagnare le vostre fidanzate nelle vostre camere”
gli
dice, prima di fare un cenno a Elsa. “Signora Becker, se vuoi
seguirmi…”
Annabel
solleva appena un sopracciglio nel notare che la donna non si rivolge
a Elsa con il lei di cortesia e poi segue Seth, che le sta
già
porgendo la mano. Quando lasciano la sala comune, il giovane si china
sul suo orecchio. “Non so come sia questa stanza che ci hanno
assegnato”, mormora con un sorriso, “ma di certo
non può essere
peggiore dell’ultima in cui siamo stati quando eravamo su
Epona,
no?”
“Spero
che sia migliore anche
delle cabine delle navi che ci hanno portato qui” concorda
lei con
un cenno del capo. “Non ne posso più di pareti di
metallo: le
odio.”
Quando
raggiungono la loro camera, che è prevedibilmente accanto a
quella
dell’altra coppia, Annabel si permette di rilassarsi un
po’,
lasciando che la tensione le scivoli via dalle spalle: non si era
nemmeno accorta di aver irrigidito a tal punto i muscoli delle
spalle. Il locale che si apre davanti ai suoi occhi non è
nulla di
eccezionale, ma se
non altro è uno spazio che,
almeno per l’immediato futuro, appartiene a loro due e a
nessun
altro. Annabel nota con un sorriso che è anche piuttosto
accogliente, con le sue pareti e i mobili di legno profumato, il
letto con il copriletto verde chiaro e il tappeto color nocciola,
dall’aspetto morbido.
“Che
te ne pare?” le chiede Seth, guardando con aria soddisfatta
la
stanza.
La
ragazza si stringe nelle spalle. “Non è malaccio.
C’è il
bagno?” Un dubbio terribile l’assale
all’improvviso. “Oddio”,
ansima, “dimmi che c’è il bagno. Non
saremo mica finiti su uno
di quei pianeti che non hanno l’acqua corrente, dove non
esistono
le tubature e dove la gente non ha mai sentito parlare di servizi
igienici, vero?”
Per
un istante sul volto del ragazzo si disegna un’espressione
smarrita
e le sue gote perdono un po’ del loro colore naturale. Seth
si
precipita verso una porta sul lato destro della stanza, la spalanca e
poi esala un sospiro di sollievo. “Siamo salvi” la
informa, con
gli occhi scuri che brillano. “C’è tutto
quello che serve.”
Annabel
lo raggiunge e guarda con gratitudine il WC dall’aspetto
familiare,
il lavandino e la doccia piccola, ma apparentemente funzionale.
“Meno
male” sorride.
Seth
allunga un braccio e glielo fa passare attorno alla vita, attirandola
a sé. “Allora” le dice, chinandosi verso
il suo volto. “Tre
giorni e saremo sposati.”
Annabel
indietreggia di un passo, stupita. “Tre giorni?”
ripete. “Te
l’hanno i due tizi con cui hai parlato?”
Il
giovane annuisce. “A quanto pare sono tutti in subbuglio per
il
fatto che siamo arrivati qui. Romed ed Elko cercavano di mostrarsi
indifferenti, ma in realtà era evidente che fossero ben
felici del
fatto che stiamo portando da queste parti un po' di sangue
nuovo.
Pare che abbiano bisogno di un po' di tempo per organizzare i
dettagli della cerimonia e per questo dobbiamo aspettare tre giorni:
anche loro hanno comunque fretta di vederci sposati e sistemati nelle
nostre nuove case.”
Seth
storce le labbra in una smorfia di insoddisfazione e Annabel abbassa
per un attimo lo sguardo a terra. È evidente che il ragazzo
pensava
di potersi sposare prima e che non gradisce il fatto di dover
aspettare qualche giorno più del previsto. Lei, invece, si
era per
qualche motivo prefigurata un’attesa molto più
lunga. Ora che sa
che tra tre giorni sarà la moglie di Seth, si sente invasa
da una
strana agitazione. Non
sono pronta per sposarmi,
pensa con una punta di panico. Non
sono pronta per cambiare tutto!
Ma
sono timori sensati, quelli? Ha appena lasciato il pianeta sul quale
è nata e cresciuta in favore di un mondo alieno,
completamente
diverso da quello a cui era abituata. La sua vita può essere
davvero
sconvolta più di quanto non lo sia già stata? Lei
e Seth vivono
insieme ormai da anni: che differenza può fare essere marito
e
moglie anziché semplici compagni?
Con
un sospiro, Annabel si costringe a sorridere, mentre i suoi dubbi si
fanno un po’ meno pressanti. “Spero solo che la
cerimonia sia in
forma privata” dice, circondando con le braccia il collo del
giovane. “La folla mi irrita e non mi piace essere al centro
dell’attenzione.”
“Ma
dai?” sghignazza Seth. “Non l’avrei mai
detto!”
Annabel
sbuffa e scioglie l’abbraccio, colpendo senza troppa
convinzione il
compagno al centro del petto. Poi fa per allontanarsi, ma lui
l’agguanta ancora per la vita e si preme contro la sua
schiena,
chinandosi per mordicchiarle giocosamente il collo. Non è un
gigante, Seth, ma Annabel arriva appena al metro e sessanta e lui
deve piegarsi un po' ogni volta che desidera baciarla. “Dove
vai?”
le dice. “Non ti ho ancora raccontato quello che mi hanno
detto
Romed ed Elko.”
Annabel
indugia e reclina inconsciamente la testa di lato, permettendo alla
bocca di Seth di percorrerle la pelle delicata della gola.
“Ti
hanno detto qualcosa di utile?” chiede dopo qualche secondo,
schiarendosi la voce nella speranza che non suoni troppo roca.
È
sempre stato il suo punto debole, il collo.
“Hm-hm”
sospira Seth, distratto. Le sue mani salgono a stringerle i seni, ma
dopo qualche istante la giovane si divincola.
“Non
qui!” sibila, voltandosi per fronteggiarlo.
Per
nulla ferito dal suo rifiuto, il ragazzo inarca comicamente le
sopracciglia scure. “Non qui?” ripete.
Annabel
sbuffa. “Non adesso,
intendo. Non di pomeriggio!”
“Ok”
concede Seth. “Per un attimo ho pensato che volessi arrivare
pura al matrimonio,
o qualcosa del genere.”
Lei
gli rivolge un’occhiata piatta. “Per quello
è un po’ tardi,
non credi?”
Lui
risponde con un gran sorriso che lo fa sembrare ancora un ragazzino,
nonostante i suoi ventisei anni. “Lieto di sentirtelo
dire!”
ridacchia, prendendole il volto tra le mani e posandole un bacio
sulla fronte.
Davanti
a quel gesto affettuoso, Annabel si sente percorsa da
un’ondata di
tenerezza nei confronti del fidanzato. Aggrappandosi alle sue spalle,
si alza sulle punte dei piedi e posa le labbra sulle sue, lasciandovi
un bacio leggero.
“Allora?”
gli dice, quando torna con entrambi i piedi a terra. “Che
cosa ti
hanno detto quei tizi?”
Seth
si lascia cadere sul letto e molleggia un paio di volte. “Mi
hanno
spiegato un po’ come funzionano le cose da queste
parti.”
Annabel
lo conosce bene ed è perfettamente in grado di capire quando
è a
disagio. L’espressione che si dipinge sul suo volto dai
tratti
regolari - non eleganti, ma così sinceri
-
è un chiaro segnale che c’è qualcosa
che lo turba. “E…?” lo
incoraggia allora, sedendoglisi accanto.
Seth
storce la bocca e poi la guarda negli occhi chiari.
“Be’, è
inutile girarci attorno: queste persone ci hanno accolti nel loro
villaggio perché sperano che nel giro di qualche anno
sforniamo
almeno un paio di bambini. A quanto pare il tutto qui gira attorno al
concetto di famiglia e i bambini... non sono un optional,
ecco.”
“Ah.”
Per qualche istante, Annabel è senza parole. Se deve essere
del
tutto sincera con se stessa, non può dire che la cosa la
stupisca: è
abbastanza logico che, in un mondo come quello, le coppie sposate
abbiano dei figli. Il Maggiore Nelson gliel’aveva anche fatto
capire tra le righe, in effetti. Ma il fatto che sia scontata non
rende la prospettiva più piacevole: lei non vuole fare la
mamma. Non
ne aveva voglia su Epona; e non ne ha voglia nemmeno su questo nuovo
pianeta.
Ma
qual è l’alternativa?
Si
chiede, ben consapevole che non ne esiste alcuna. Se non altro,
però,
ha un po’ di tempo per abituarsi all’idea.
“Ho
capito” dice dopo qualche secondo, cercando di aggirare lo
strano
nodo che sembra essersi formato nella sua gola.
“Però
l’iniezione.. voglio dire, la mia iniezione contraccettiva
scade
tra un anno. Non mi sono fatta iniettare l’antidoto, prima di
venire via da Yuba. Non pensavo… sarà un
problema? Credi che
faremmo meglio a procurarcelo?”
Seth
scuote il capo. “No, no” la rassicura.
“È vero che ci hanno
detto che prima abbiamo un figlio e meglio è, ma ci hanno
anche
fatto capire che non c’è tutta questa fretta.
Cioè: se tra
qualche mese tu fossi incinta sarebbero tutti felici, ma se invece
dovessimo aspettare un paio di anni prima di averne uno, non sarebbe
comunque un problema. Non tutte le coppie riescono ad avere un figlio
seduta stante.”
Annabel
si studia le mani per qualche secondo. “Un paio di
anni” ripete
pensierosa. Magari in un paio di anni sarebbe successo qualcosa che
le avrebbe fatto cambiare idea sul il fatto di avere un bambino.
Magari non sarebbero stati necessari un paio di anni: magari un anno
sarebbe stato sufficiente. “Va bene, allora.
Posso… posso
abituarmi all’idea.”
“Oh,
tesoro”, sospira Seth, guardandola con tenerezza,
“non voglio che
tu ti abitui
all’idea:
voglio che tu sia felice di avere un bimbo, che tu lo veda come una
cosa bella, non come un obbligo.”
Lei
gli posa la testa su una spalla. “Con il tempo”
mormora. “Lo
sai come la penso, ma sono sicura che con il tempo si
risolverà
tutto. In fondo, rispetto a Yuba, questo mi sembra un posto migliore
per crescere un bambino.” Ora che non se la sente
più incombere
sopra la testa, la prospettiva le sembra più tollerabile. Magari
un giorno riuscirò anche a farmela piacere,
pensa speranzosa.
Seth
le passa un braccio attorno alle spalle e se la stringe al fianco.
“Non dobbiamo pensarci adesso, comunque. Ci tenevo a dirtelo,
ma
abbiamo tempo.”
La
giovane annuisce. “Quindi non mi cacceranno via a causa della
mia
incapacità di procreare, eh?” chiede, tentando di
assumere un tono
scherzoso.
Il
ragazzo scuote il capo. “Ma certo che no! Anzi, Elko mi ha
spiegato
che le coppie anziane che non sono riuscite ad avere figli vengono
comunque supportate dalla comunità, quindi suppongo che se
non hai
bambini ti guardano male e ti compatiscono, ma non ti cacciano
via.”
Annabel
annuisce. “La cosa è confortante. E… ti
hanno per caso fatto
cenno a quali sono invece le cose che potrebbero portarli a cacciarci
via dal villaggio?”
Seth
si scosta leggermente da lei. “Perché me lo
chiedi? Hai in mente
di darti alla fuga?”
“Ma
no!” sbotta lei. “Vorrei solo evitare di fare
qualcosa di
sbagliato. Non so praticamente niente di questo posto, come faccio a
essere certa che non ci sia qualche strana legge assurda e
assurdamente importante?”
Il
giovane scrolla le spalle. “Va bene, hai ragione. Nemmeno io
ne so
molto, ma, stando a quanto mi hanno detto, le cose che non si possono
fare sono le solite: rubare, ammazzare, far partire una rivoluzione e
roba del genere… dovrebbe essere abbastanza intuitivo,
credo. Ah, e
divorziare, a quanto pare.”
“Divorziare?”
ripete Annabel stupita, cercando di capire come la rottura di un
matrimonio possa essere messa sullo stesso piano dell'uccisione di un
essere umano.
Seth
annuisce. “Già. Cioè, per essere
precisi, non è che il divorzio
sia proprio proibito: è previsto, ma
solo in alcuni casi
limite.” Il ragazzo sorride e stringe un po' di
più Annabel. “Ne
consegue che non ti libererai di me tanto facilmente.”
Annabel
leva gli occhi al cielo. “E quali sarebbero questi casi
limite?”
Seth
si scosta da lei e incrocia le gambe; una postura che è
solito
assumere quando deve concentrarsi. “La faccenda è
complicata, ma
fortunatamente Kabir sembrava per qualche motivo interessato
all'argomento. Vado a memoria: se vuoi più dettagli, ti
conviene
chiedere a lui.” Annabel annuisce e il giovane prosegue nella
sua
spiegazione. “Dunque: innanzitutto la violenza” fa,
spiegando
l’indice come per contare. “Se un uomo picchia la
moglie, la
moglie può chiedere il divorzio. Suppongo che sia valido
anche il
contrario, chiaramente. La violenza dev’essere
però dimostrata: da
quanto ho capito, le tre megere che abbiamo incontrato prima
esamineranno il coniuge maltrattato e stabiliranno se ci sono state
delle violenze o meno.”
Annabel
sbuffa. “Quindi se uno non ti picchia, ma ti tratta come la
sua
schiava non si divorzia, giusto?”
Il
ragazzo storce la bocca. “Io non ho nessuna intenzione di
trattarti
come la mia schiava” mormora, e per una volta nella sua voce
c’è
una nota di incertezza che la fa immediatamente sentire in colpa.
“Non
mi riferivo certo alla nostra situazione! E magari,
poi, sono io
che
ho intenzione di schiavizzare te”
ribatte,
cercando di sdrammatizzare.
Il
turbamento del giovane svanisce come neve al sole. “Ma io
sono già
il tuo servo, tesoro mio” tuba con un sorriso decisamente
esagerato.
Annabel
gli stringe il naso tra indice e pollice. “Sì,
come no.”
“Comunque”,
riprende Seth, liberandosi dalla sua presa, “un altro buon
motivo
per divorziare è la mancanza di compatibilità tra
i due partner.”
“Cioè?”
Seth
sogghigna. “Compatibilità sessuale:
se una o uno rifiuta di dormire con te o se fa veramente schifo a
letto, nel senso che non è in grado di concludere,
allora puoi chiedere che ti venga assegnato un nuovo marito o una
nuova moglie.”
Quelle
parole catturano subito l’attenzione di Annabel.
“In che senso
assegnato?”
“Ah,
giusto: la maggior parte dei matrimoni sono combinati, qui”
spiega
Seth.
“Che
posto di merda” sbotta lei, senza riuscire a trattenersi.
Lui
si stringe nelle spalle. “Già. Per fortuna la cosa
non ci
riguarda. Come stavo dicendo, comunque, la cosa che secondo me
è
assurda è che non si fidano sulla parola: se dici che tua
moglie non
te la dà, per esempio, devi dimostrarlo.”
Annabel
deglutisce. “In… in che senso?”
Il
ragazzo sorride come se la cosa lo divertisse un mondo, ma la giovane
scorge una nota di amarezza nella sua espressione. “Nel senso
che
le solite tre vegliarde, più le loro consorelle, ti
convocano in una
stanzetta e ti chiedono di fare sesso davanti a loro: se uno dei due
si rifiuta, allora la richiesta di divorzio è
valida.”
“Oddio,
che schifo” sibila la ragazza. “E se uno fosse a
disagio? Se non
ci riuscisse perché ci sono un mucchio di vecchiacce che lo
guardano?”
“Non
per niente ci vogliono tre mancate performance prima che la corte
deliberi, per così dire.”
“Questi
sono matti” borbotta Annabel, che inizia a preoccuparsi dei
costumi
della società di cui sta per entrare a far parte.
“Assolutamente”
concorda Seth. “E lo dimostra il fatto che il tradimento
invece non
è
un buon motivo per divorziare: o meglio, lo è, ma deve
protrarsi per
ben dieci anni.”
“Immagino
che un marmocchio sia sempre un marmocchio, e chi se ne frega se
è
legittimo o meno” osserva la ragazza a denti stretti.
“Suppongo
di sì.”
Annabel
si sente stranamente spossata, anche se tutte quelle strane regole
che sul divorzio non riguardano lei e Seth. Non perché abbia
qualche
strana illusione sull’amore eterno, ma perché si
conosce e sa che,
prima di incontrare il suo fidanzato, non si era mai invaghita -
né
tanto meno innamorata - di nessuno. Era arrivata a diciannove anni
senza aver mai vissuto una singola relazione romantica o sessuale. Sa
bene che le possibilità di incontrare qualcun altro che la
faccia
innamorare sono pressoché nulle. Anche perché lei
ama Seth, sebbene
talvolta non sia bravissima a dimostrarlo. In certe occasioni
è
fredda e scostante, e ne è consapevole: fortunatamente lo sa
anche
Seth e l’accetta così com’è.
“C’è
altro?” chiede, reclinandosi sul letto.
Il
giovane scuote la testa. “No. Be’, ovviamente puoi
chiedere il
divorzio se scopri che tuo marito è un assassino o se ti
accorgi che
tua moglie è una cleptomane. In quel caso, il coniuge
colpevole
viene allontanato dalla società.”
Annabel
aggrotta la fronte. “È questa la punizione per i
criminali?”
Seth
annuisce. “A quanto pare sì. Cioè, non
so se esistano anche altre
punizioni, Elko e Romed non me l’hanno detto. Però
pare che il
massimo disonore da queste parti sia essere allontanato dalla
società
ed essere praticamente… cancellato
dalla
storia e dalla memoria collettiva.”
“Come
si chiamava quella cosa che facevano i romani?” chiede
Annabel,
cercando di ripescare dai confusi ricordi dei giorni passati sui
banchi di scuola un aneddoto circa i costumi di un popolo vissuto
millenni prima in un pianeta lontanissimo, culla
dell’umanità.
“Damnatio
Memoriae”
proclama
deciso Seth, che è sempre stato bravo a scuola, sebbene la
sua
estrazione sociale non gli abbia permesso di andare oltre gli studi
obbligatori.
“Esatto,
quella cosa lì” annuisce la ragazza.
“In
effetti qualche somiglianza c’è”
commenta il giovane con un
piccolo cenno del capo.
Annabel
si lascia cadere del tutto sul materasso e chiude gli occhi,
sentendosi sopraffatta dalla stanchezza del viaggio. La conversazione
non le sembra più così importante, adesso. La
mano di Seth le si
posa delicata sullo stomaco. “Vuoi riposare un
po’?” le chiede
lui, sfiorandole con due dita la stoffa leggera della maglietta.
Senza
aprire gli occhi, la ragazza annuisce. “Magari un
pochino”
sussurra. Del resto, non è che in quel posto ci sia molto
altro da
fare.
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Capitolo 5 *** 5. Tre giorni ***
I
tre giorni che li separano dalla data del matrimonio sono frenetici.
Appena arrivata a Huim la ragazza aveva temuto che le ore sarebbero
scorse lente, quasi interminabili nell’attesa che il giorno
delle
nozze arrivasse, permettendo a lei e a Seth di iniziare una nuova
vita lontano dalla casa comune.
La
realtà si rivela ben diversa. La mattina del primo giorno,
Nisha
viene a bussare di buon’ora, chiamandola a gran voce. Quando
Annabel rotola giù dal letto e apre la porta, quasi si
scontra con
la donna, che l’attende con il pugno alzato, in procinto di
bussare
di nuovo, e l’aria combattiva. Alle sue spalle Kalika si sta
strofinando gli occhi, i capelli neri raccolti in una treccia
approssimativa e un’espressione decisamente
assonnata.
“Forza!”
sbotta Nisha, senza nemmeno prendersi il disturbo di salutarla.
“Basta dormire, che dobbiamo iniziare con i preparativi per
il
matrimonio!”
Annabel
boccheggia, indecisa se mandarla al diavolo o se ubbidire come un
bambino che riceve un ordine dalla maestra. Basta uno sguardo degli
occhi infuocati della vecchietta per farla però desistere da
ogni
intento bellicoso, e Annabel incontra sconsolata lo sguardo di
Kalika, che scuote appena il capo.
Non
è il caso di protestare, dunque. La giovane azzarda soltanto
un’occhiata in direzione di Seth, che la sta osservando con
aria
confusa da sotto le coperte. “Il mio
fidanzato…”
Nisha
la zittisce con un cenno imperioso della mano. “Ai giovanotti
ci
penserà Mada. Voi due venite con me.”
Pettinandosi
come può i capelli con le dita, Annabel segue la donna al
piano
inferiore, con Kalika che le sta silenziosamente alle calcagna.
Mentre scendono le scale di legno registra distrattamente che la
giovane mora si muove senza fare il minimo rumore, quasi i suoi piedi
non si posassero sui gradini di legno, ma li sfiorassero
appena.
Nisha
le guida attraverso la stanza nella quale si sono radunati il giorno
prima e le conduce in un locale piccolo, quasi interamente occupato
da un tavolino quadrato. “Sedute” ordina loro,
indicando con un
dito gli sgabelli posti attorno a esso.
Le
due ragazze obbediscono e la donna le lascia sole, uscendo con passi
frettolosi dalla stanza. Appena la porta si richiude alle sue spalle,
Kalika si sporge verso l’altra giovane. “Secondo te
cos’è
questa storia?” le chiede in un sussurro. È la
prima volta che le
rivolge la parola e Annabel nota che ha una voce sottile e un accento
che ammorbidisce le consonanti.
Ad
Annabel non piace parlare con gli estranei, quindi si limita a
scrollare le spalle e a mormorare un non
so
volto
a scoraggiare ogni altro approccio. Non che Kalika le sia antipatica:
è solo che preferisce starsene sulle sue e non perdersi in
discorsi
inutili che non servono a nulla se non a far passare un po’
il
tempo. Nisha tornerà presto e loro scopriranno
perché sono state
portate in quella stanzetta. A che serve fare congetture?
E,
in effetti, la vecchietta ritorna una manciata di minuti più
tardi,
reggendo tra le mani un vassoio di legno su cui sono posate due tazze
piene di un liquido denso e ambrato, due fette di torta e alcune
zollette di zucchero. “La colazione” annuncia
posando il vassoio
sul tavolo.
Annabel
prende una delle due tazze e se la porta al naso, annusandone il
contenuto. “Cos’è?” chiede,
rivolta a Nisha.
“Latte
con estratto di cicoria” replica la vecchia, e la ragazza
posa
immediatamente la tazza sul tavolo, trattenendo a stento una smorfia
di disgusto.
Nisha
nota però il suo gesto e spinge nuovamente la tazza verso di
lei.
“Bevi!” le ordina. “Qui non si spreca il
cibo.”
Annabel
la fulmina con lo sguardo. Non è abituata a sprecare il
cibo, lei:
sa che è prezioso, sa che anche il più misero
filone di pane ha un
costo e sa che il denaro è difficile da guadagnare. A Yuba,
un’ora
in fabbrica le fruttava quindici denari, un filone di pane abbastanza
grande per sfamare lei e Seth per un paio di giorni ne costava otto:
più di mezz’ora passata ad avvitare viti talmente
piccole che a
fine giornata gli occhi le bruciavano. Questo non significa
però che
sia disposta a mangiare qualsiasi cosa le venga messa sotto il naso.
Sta
per replicare quando Kalika lascia cadere una zolletta di zucchero
nell’altra tazza e poi ne sorseggia prudentemente il
contenuto.
“Non è male” dice poi, cercando i suoi
occhi.
Annabel
esala lentamente dal naso, poi prende tre
zollette
di zucchero - le piacciono i dolci - e le fa scivolare nel latte,
sollevando dei piccoli schizzi di liquido ambrato. Malgrado
l’idea
di bere quella roba le dia il voltastomaco, riconosce che è
troppo
presto per intraprendere una battaglia sulle piccolezze.
Tutto
sommato, la bevanda è meno terribile di quanto si
aspettasse. Dolce
- ma è colpa dello zucchero - e con un retrogusto amaro che
ricorda
vagamente quello del caffè. Ha bevuto di peggio.
Mentre
le due ragazze sbocconcellano la torta che è stata loro
offerta,
Nisha spiega quale siano i preparativi per il matrimonio su cui si
devono concentrare:
è tradizione
che durante la cerimonia nuziale gli sposi si scambino dei piccoli
gioielli fatti a mano. Un ciondolo, un bracciale, degli orecchini.
La
vecchia porta loro tutto il necessario - corda, spago, perline e
ganci metallici - e le due giovani si mettono al lavoro. Kalika si
affanna per creare un ciondolo appena dignitoso, ma Annabel trova che
l’impegno non sia gravoso. Ha una buona manualità
e il compito la
diverte. Con dita abili, la ragazza assembla un braccialetto di cuoio
e perline rosso corallo. Forse è una cosa sentimentale, ma
il colore
le ricorda i boccioli di giglio che Seth le ha regalato il giorno del
loro primo appuntamento e le sembra giusto restituirgli il dono il
giorno del loro matrimonio.
Annabel
non si ferma spesso a riflettere sui sentimenti, ma le sembra che ci
sia una strana poesia in quel gesto e quella notte permette a Seth di
fare l’amore con lei, anche se la stanza di Kabir e Kalika
è
separata dalla loro da una parete sottile e lei non può fare
a meno
di pensare che, se non stanno attenti, gli altri due ragazzi
potrebbero sentirli. Ma non è importante, alla fine dei
conti: lei
vuole bene al suo fidanzato e non ha ragione di vergognarsi di nessun
aspetto dell’amore che li lega.
Il
secondo giorno le due giovani lo passano in compagnia di Shiera. I
suoi modi sono più delicati di quelli di Nisha, la sua voce
è più
sottile e meno rauca, eppure ad Annabel quella donna non
piace.
Si
scopre a guardarla con sospetto, incapace di concentrarsi su
ciò che
la vecchietta sta cercando di insegnarle. Poiché in quel
posto si
vive di pesce e Annabel non sa come si faccia a pulire una trota o a
cucinare un’anguilla, Shiera le mostra come incidere il
ventre del
pesce utilizzando un grosso paio di forbici dalla punta acuminata. La
ragazza è però distratta: ha notato che i sorrisi
incoraggianti che
la vecchia le rivolge non raggiungono mai i suoi occhi, e la cosa la
turba. La punta della forbice sfugge al suo controllo e Annabel si
punge un dito: una ferita piccola, ma profonda, dalla quale zampilla
un fiotto di sangue scarlatto. La giovane lo guarda scivolare sul
ventre pallido e immobile del pesce, allargandosi su di esso fino a
scivolare all’interno dello squarcio che lei stessa ha inciso
nella
sua carne. Quella commistione di vita e morte, di sangue umano e
sangue animale tocca qualcosa nelle profondità del suo animo
e
Annabel sente che un presagio le serra la gola.
D’istinto,
la ragazza lascia cadere il pesce sul tavolo, resistendo a stento
alla tentazione di scagliarlo lontano da sé.
“Non
è niente” le dice Shiera, avvicinandosi a lei con
un rotolo di
garza. “Basterà fasciarlo, poi potrai tornare a
lavorare.”
Annabel
lascia che la donna le medichi la ferita, ma si rifiuta di riprendere
in mano la trota. “Mi fa schifo” dichiara,
scegliendo di non
parlare della strana sensazione che l’ha assalita quando ha
visto
il suo sangue scivolare nel corpo morto del pesce. Sa che è
solo
suggestione, un’ombra nata dallo stress e dai molti
cambiamenti che
stanno avendo luogo nella sua vita: non vale la pena spenderci troppi
pensieri, ma, decide Annabel, il pesce lo può preparare
Seth. A lei
nemmeno piace cucinare.
Shiera
non è della stessa idea. “Devi imparare”
le dice con una ruga
profonda che si disegna tra i suoi occhi sbiaditi e già
pesantemente
segnati dall’età. “Come farai a dare da
mangiare a tuo marito,
se non sei capace di pulire il pesce?”
Lei
scrolla le spalle con noncuranza. “A Seth non dispiace
cucinare.
Può pensarci lui: io mi occuperò del
resto.”
La
vecchia la osserva per una manciata di secondi e poi scuote il capo,
ma non insiste, concentrandosi invece su Kalika, che sta
giudiziosamente seguendo le sue istruzioni.
Il
resto della mattinata va meglio: le due ragazze sono già in
grado di
cucire e rammendare, anche se Kalika, che a Yuba era una sarta,
è
ancora una volta più abile di Annabel. Annabel ha un buon
occhio
sulle erbe e una buona memoria che le consente di imparare i nomi
delle piante officinali, entrambe sanno fare di conto e non sono
inclini a sprecare la moneta e nessuna delle due è dotata di
una
vanità eccessiva, anche se Kalika tiene molto ai suoi lunghi
capelli
neri.
Shiera
pare soddisfatta, ma l’umore di Annabel è rovinato
e quando, nel
pomeriggio, Mada le prende in carico e mostra loro quelli che saranno
i loro abiti da sposa, la ragazza non riesce a emozionarsi alla vista
della veste azzurra che la donna le posa tra le mani. È
graziosa,
confezionata con più cura di quanto si sarebbe aspettata e
impreziosita da dei ricami floreali, ma ogni volta che chiude gli
occhi Annabel rivede la pelle del pesce e il sangue che la ricopre.
Quella
sera ne parla con Seth, sperando che la presenza del ragazzo la aiuti
a placare la sua mente agitata. E un po’ funziona,
perché Seth la
rincuora, dicendole che deve solo riposarsi un pochino.
“Quella
vecchia non piace nemmeno a me” le confessa avvolgendola nel
lenzuolo e poi stringendosela al petto. “Sembra tutta carina
e
gentile, ma scommetto che sotto sotto è una
strega.”
Con
le labbra del ragazzo sulla fronte e le sue mani sulla schiena,
Annabel sente che la tensione le abbandona le membra, ma una piccola
parte di essa rimane aggrappata alla sua mente.
C’è un pericolo,
lì da qualche parte: non è ancora in grado di
identificarlo, ma sa
che c’è. Il che forse non è un male:
almeno adesso sa che deve
tenere alta la guardia.
Il
terzo giorno Annabel teme di incontrare di nuovo Shiera e i suoi
occhi pallidi, ma Nisha - è sempre lei che viene a bussare
alla sua
porta di mattina - scuote la testa davanti alla sua domanda diretta.
“No”, le dice, “oggi non tedierete me e
le mie sorelle: tu e
l’altra signorina passerete del tempo in compagnia di Romed,
che vi
educherà sulle regole del villaggio. Vedete di impararle
bene e di
non diventare degli animali
notturni.”
La
giovane aggrotta la fronte, senza riuscire a trattenersi. “Animali
notturni?
Cosa
vorrebbe dire?”
Nisha
sbuffa, apparentemente irritata dalla sua ignoranza.
“È solo un
modo di dire” spiega comunque. “Vuol
dire… ‘vivere
come animali notturni’
vuol
dire essere dei criminali, della gente che è incapace di
vivere
all’interno della società e che deve quindi essere
allontanata da
essa.”
“Ah…”
Annabel annuisce, ricordando ciò che Seth le aveva spiegato
qualche
giorno prima. “Il mio fidanzato mi ha accennato qualcosa a
proposito del fatto che chi fa qualcosa di sbagliato viene
praticamente cacciato dal villaggio.”
La
vecchietta le pizzica un braccio con le dita ossute, facendola
trasalire. “Non basta fare
qualcosa di sbagliato
per
venire mandati via dal villaggio” le dice con sdegno.
“Occorre
fare qualcosa di molto, molto sbagliato, tipo ammazzare
qualcuno.”
Annabel
si strofina con vigore il braccio per disperdere il dolore e fulmina
la donna con gli occhi. “Io non ho nessuna intenzione di
ammazzare
qualcuno” sibila, prima di aggiungere: “Credo.”
“Non
fare la spiritosa, ragazza” la rimbecca Nisha. “Non
è davvero il
caso.”
“E
comunque è un modo di dire stupido” continua la
giovane, incapace
di tenere a bada la propria irritazione. “Non ce li avete i
ratti o
i pipistrelli? Gli animali notturni vivono nel villaggio, quindi il
paragone è idiota.”
Gli
occhi neri di Nisha si puntano nei suoi. “Vengono nel
villaggio,
sì, ma non sono i benvenuti. Di loro non sappiamo nulla, le
loro
vite sono segrete, ignorate, e dimenticate
quando sorge il sole.”
Oh,
pensa Annabel. Damnatio
memoriae,
ricorda, riportando ancora alla mente la conversazione avuta con
Seth. L’arrivo provvidenziale di Kalika la risparmia dal
dover
rispondere e la ragazza lascia cadere la conversazione. Per diversi
minuti, però, sente su di sé gli occhi di Nisha,
che la osservano e
giudicano.
Diversamente
da quanto si sarebbe aspettata, il colloquio con Romed è
individuale
ed è Kalika a entrare per prima. Per un tempo che le pare
interminabile, Annabel siede nella stanza in cui Nisha l’ha
lasciata in compagnia di una brocca d’acqua e fissa le gocce
di
pioggia che scivolano lungo la finestra. Non l’è
mai piaciuta, la
pioggia. Odia l’umidità che le gela la pelle e le
si insinua nelle
ossa, ma ancor più odia la luce grigiastra che le preme
sugli occhi
e sulla mente, la cappa funerea delle nuvole che le pesa
sull’animo,
come per sprofondarlo nel fango.
Quando
finalmente la porta si apre, Annabel è talmente assorta nei
propri
pensieri che si accorge della presenza di Kalika solo quando la
ragazza le sfiora la spalla con i polpastrelli. “Puoi
andare” le
dice con voce gentile.
Per
una frazione di secondo è tentata di chiederle cosa deve
aspettarsi
dall’incontro con Romed, ma poi decide che è
inutile crearsi dei
preconcetti e si allontana da lei con un cenno del capo.
La
stanza in cui l’uomo l’attende è in
tutto e per tutto simile a
quella in cui ha passato i due giorni precedenti. Solo
l’arredamento
è diverso: il tavolo qui è piccolo e basso e non
ci sono sedie, ma
due divani in legno massiccio ricoperti da cuscini foderati da una
stoffa ruvida.
Romed
è seduto su uno di essi e ad Annabel non serve che si alzi
in piedi
per notare che è eccezionalmente alto: le sue gambe sono
talmente
lunghe che, per non urtare il tavolino posto di fronte a lui,
l’uomo
deve tenerle piegate di lato.
Distrattamente
Annabel pensa che da giovane deve essere stato piuttosto attraente.
Ancora adesso le sue spalle sono larghe e dritte, il suo viso ha dei
tratti decisi, ma non sgradevoli, che le rughe
dell’età rendono
ancora più incisivi. Dei baffi curati, neri e sottili,
incorniciano
le sue labbra asciutte donandogli un’aria da condottiero di
altri
tempi. Ha degli strani occhi scuri, allungati e sprofondati nelle
orbite, e i capelli, pettinati all’indietro e fissati sul
cranio
con qualche tipo di olio, devono essere stati neri, un tempo: ora
sono di un grigio scuro sulle punte e argentei alla radice.
Quando
la vede comparire sulla soglia, l’uomo le sorride - Annabel
nota i
canini appuntiti - e le fa cenno di accomodarsi sul divano ancora
libero. “Annabel, giusto?” le dice a mo’
di saluto.
Lei
annuisce. “Annabel Jensen.” Ci tiene a specificare
il proprio
cognome, anche se non è collegato a nessuna famiglia reale:
è solo
un nome assegnatole in maniera casuale dall’addetto della
Previdenza Sociale che per primo ha preso in mano la sua pratica, ma
la ragazza ci è affezionata. È parte di lei e
della sua storia,
così come quel nome, Annabel,
con il quale è stata battezzata in onore della vecchietta
che l’ha
trovata accanto a un cassonetto della spazzatura, mezza morta di
freddo e con ancora il cordone ombelicale attaccato, e l’ha
portata
in ospedale. La sua salvatrice è una donna senza
identità e senza
volto, ma non c’è giorno che la ragazza non le
rivolga un pensiero
grato - anche se è probabile che sia ormai morta da tempo.
“Jensen”
ripete Romed, annuendo come se quel cognome avesse un qualche
significato particolare. “Dovrei spiegarti come funzionano le
cose
qui al villaggio, ma sospetto che il tuo fidanzato ti abbia
già
detto tutto. Non è così?”
La
giovane annuisce. “Sì: Seth mi ha riferito quello
che gli è stato
spiegato il giorno in cui siamo arrivati qui.”
L’uomo
pare approvare. “Benissimo: non amo ripetermi o perdere
tempo.”
Il
suo volto mantiene un’espressione gentile, ma le sue parole
sono
secche e Annabel aggrotta la fronte, incerta su come interpretare lo
stato d’animo del suo interlocutore.
Romed
pare accorgersi della sua confusione e i suoi occhi studiano i
lineamenti di lei. Dopo qualche secondo, l’uomo si sporge
leggermente verso la ragazza. “Quindi dimmi solo una cosa,
Annabel:
hai intenzione di causare problemi?”
La
giovane si sente avvampare. “Io… no,
signore” sbotta dopo
qualche istante, offesa da quell’insinuazione.
“Perché dovrei
causare problemi?”
“Non
lo so” replica l’uomo. “Però
sei giovane e vieni da un posto
molto diverso da questo. Ci si aspetta che tu segua delle regole e
delle convenzioni sociali che ti sono estranee e personalmente non mi
stupirei se dovessi sentire un certo desiderio di ribellione.”
La
ragazza affonda gli incisivi nel labbro inferiore, incerta su come
replicare a quell’osservazione. Romed non ha modo di saperlo,
ma in
passato lei ha effettivamente avuto qualche problema a sottostare
alle regole che le venivano imposte. Ma era giovane e idealista:
adesso le cose sono cambiate. Adesso è cresciuta e ha la
testa sulle
spalle: sa di non avere un carattere facile, ma ha imparato a
controllarlo e a tenere a bada i propri scatti d’ira e
insofferenza.
“Il
mio unico desiderio è quello di vivere in pace”
dice allora. “So
che è probabile che ci saranno delle cose che non mi
piaceranno, ma
so anche che sarò capace di accettarle e di conviverci. Ho
imparato
da tempo a scendere a compromessi con la realtà,
signore.”
Romed
la osserva in silenzio per qualche istante, poi annuisce. “Mi
fa
piacere sentirtelo dire” dice in quello che ad Annabel pare
un tono
sincero. “Non sei una che accetta passivamente le cose, non
è
così?”
Annabel
è presa in contropiede da quella osservazione.
“Non saprei,
signore” replica incerta. In tutta sincerità non
è certa di
conoscere la risposta a quella domanda.
“Mh.”
L’uomo inclina la testa di lato e per qualche istante i suoi
occhi
indugiano sull’angioma sul volto della ragazza.
“Una volta
anch’io mi sono ritrovato in una situazione simile alla tua,
sai?”
La
giovane incontra i suoi occhi. “Sì?”
Lui
annuisce. “Anch’io vengo da un altro pianeta. Sono
stato
costretto a lasciarlo quasi vent’anni fa e non è
stato facile
ricominciare una nuova vita in questo posto; anche perché io
non
avevo il conforto di una moglie con cui condividere le
difficoltà.”
“Oh.”
Come d’abitudine, Annabel limita al minimo le proprie
risposte.
Sarebbe quasi tentata di chiedergli se non ha mai preso moglie, ma la
cosa non le interessa davvero.
“A
differenza tua, io sono venuto qui di mia spontanea volontà
e non
perché non avevo altre alternative”,
continua l’uomo, “ma ho dovuto affrontare comunque
molte
difficoltà. Le cose non sono sempre andate come avrei voluto
che
andassero, ma con il tempo ho imparato che dagli imprevisti non
vengono per forza solo cose brutte. Se sei abbastanza intelligente,
puoi imparare a sfruttarli a tuo favore. Tu sei intelligente,
Annabel?”
È
uno strano discorso e la ragazza desidera sottrarvisi, ma non
può
certo infilare la porta e scappare nella camera che divide con Seth.
“Non lo so, signore. Non particolarmente, credo.”
La
risposta sembra divertire il suo interlocutore. “Io invece
credo di
sì” la contraddice. “Sono certo che
saprai ottenere il massimo
dalle cose che troverai qui. Magari sulle prime non ti piaceranno, ma
poi capirai come trarne vantaggio.”
Annabel
contrae nervosamente le mani. Romed la sta lodando, in un certo
senso, eppure ha l’impressione che l’uomo stia
cercando di
metterla in guardia nei confronti di qualcosa. Ci saranno
difficoltà
lungo la sua strada? È
probabile,
si risponde, ma c’è da aspettarselo, tutto
considerato. E allora
da dove nasce quel senso di disagio che le striscia nel petto? Di
nuovo, la sua mente le ripropone l’immagine del sangue che si
espande sul ventre della trota. Basta!
Si
impone, scuotendo leggermente la testa per allontanare quei pensieri.
“Va
tutto bene?” le chiede Romed, forse confuso da suo silenzio.
Annabel
incontra i suoi occhi. “Sì, signore. Non sono
certa di capire cosa
intende, ma immagino che dovrò prendere le cose come vengono
e
affrontare una difficoltà alla volta, non è
così?”
“Esattamente”
conferma lui. Quando la giovane non aggiunge altro, si reclina
nuovamente sullo schienale del divano. “Hai domande? Qualcosa
in
particolare che desideri chiedermi?”
La
ragazza ci riflette per qualche istante, poi scuote il capo.
“No,
signore.” Forse sarebbe meglio approfittare di
quell’occasione
per chiarire ogni possibile dubbio o perplessità, ma la sua
mente è
stranamente vuota. Grazie a quello che ha appreso negli ultimi
giorni, Annabel sa cosa aspettarsi dalla sua vita futura, almeno a
grandi linee: affronterà i punti poco chiari man mano che
emergeranno, come è sua abitudine fare.
Un
angolo della bocca di Romed si solleva in un sorriso storto.
“La
tua amica aveva un sacco di domande” commenta.
Annabel
si stringe nelle spalle. “Io invece no.” E
Kalika non è mia amica,
aggiunge silenziosamente.
L’uomo
annuisce e poi si alza in piedi. “Meglio così,
allora. Suppongo
che puoi andare: ci vedremo domani, in occasione del tuo
matrimonio.”
Anche
Annabel si alza dal divano, sollevata dal fatto che
quell’incontro
sia giunto al termine. “A domani, signore.”
La
ragazza fa per girarsi, quando l’uomo socchiude la bocca come
per
aggiungere altro. Annabel si interrompe a metà movimento e
corruga
la fronte, invitandolo a continuare. Lui però richiude la
bocca e
scrolla il capo: qualsiasi cosa stesse per dire, ha rinunciato a
pronunciarla.
Romed
le passa accanto ed esce dalla stanza prima di lei. Quando la porta
gli si richiude alle spalle, Annabel la fissa per qualche istante,
incapace di scacciare il sospetto che quelle parole soffocate fossero
importanti..
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Capitolo 6 *** 6. Il segno del sangue ***
Piove
per tutta la notte e poi, poco prima dell’alba, un vento
impetuoso
che spira dal punto in cui sorge il sole spazza via le nuvole.
Annabel non sa se sia l’est - non è sicura che i
punti cardinali
che conosce siano validi anche su quel pianeta - ma quel vento forte
le pare di buon auspicio. Incapace di continuare a dormire, la
ragazza spalanca la finestra e annusa l’aria, lasciando che
le
raffiche decise spazzino via i timori e le incertezze del giorno
prima.
Questo
è il giorno del suo matrimonio. Lei non è mai
stata una di quelle
ragazzine che sognavano delle nozze da fiaba con il principe azzurro,
ma poco importa. Seth non è un principe né un
cavaliere e lei non è
una dama o una principessa, ma il sentimento che li lega non
è per
questo meno forte o importante.
Non
ci sono molte smancerie nel loro rapporto, e i momenti di tenerezza
nascono quasi sempre da un’iniziativa di Seth, ma nel suo
futuro
marito Annabel ha trovato un punto fisso, un qualcosa su cui
costruire il resto della propria vita. A parer suo, non
c’è nulla
di più importante.
L’ululato
del vento sveglia il ragazzo, che si mette a sedere con un gemito.
“Che fai?” le chiede, strofinandosi gli occhi per
allontanare il
sonno.
Annabel
non risponde, ma si stringe nelle spalle, tornando a guardare fuori
dalla finestra. Ci sono dei movimenti dietro di lei, dei passi
leggeri e poi le mani di Seth attorno alla sua vita. “Sei
nervosa?”
le chiede ancora, piegandosi per posarle un bacio sulla tempia.
La
giovane sorride. “No” replica piano, sentendosi
stranamente
rilassata. “Questo vento mi piace.”
Seth
ridacchia. “Parli del vento per non pensare al fatto che
prima di
sera sarai mia moglie?” la prende in giro.
Lei
alza gli occhi al cielo. “No, ormai il pensiero non mi fa
più
nessun effetto: mi sono rassegnata.”
Il
ragazzo lascia cadere la provocazione e la abbraccia un po’
più
stretta, attirandola contro il proprio petto. Annabel sorride e si
lascia stringere, rilassandosi contro il corpo solido del suo
fidanzato. Andrà tutto bene, nonostante le
difficoltà con cui lei e
Seth dovranno fare i conti: se lo sente.
La
cerimonia si svolge nel primo pomeriggio, immediatamente dopo un
pranzo leggero a base di insalata e formaggio di capra. I fidanzati
sono stati separati già a partire dalla colazione: ancora
una volta,
le donne vengono seguite da Nisha, gli uomini da Mada.
La
vecchietta è insolitamente taciturna e Annabel si chiede se
sia
infastidita dal fatto di dover perdere ancora del tempo con lei e
Kalika. Ha l’impressione che sopporti poco la loro
inesperienza e
che abbia una gran fretta di lasciarsi alle spalle quel giorno e di
tornare alla sua vita abituale.
Nemmeno
a me piace passare del tempo in tua compagnia, non credere,
pensa,
lanciandole un’occhiata obliqua mentre Nisha pettina i
capelli neri
di Kalika, sciogliendoli dalla treccia in cui è solita
raccoglierli.
Il costume prevede che le spose si presentino al tempio con i capelli
sciolti, fermati sul capo da una corona di fiori bianchi.
Quando
ha finito di pettinare Kalika, Nisha passa ad Annabel. Le sue dita
tra i suoi capelli sono inaspettatamente delicate, ma nella donna la
ragazza avverte una strana tensione. Seduta sullo sgabello con le
mani raccolte in grembo, la giovane la osserva con la coda
dell’occhio: ha la distinta impressione che ci sia qualcosa
che non
va, ma la vecchietta non dice una parola e Annabel sente crescere in
sé l’inquietudine. Cosa sta succedendo?
Una
volta che la corona è fissata anche ai suoi capelli, Nisha
fa cenno
alle due giovani di seguirla. Come ha già spiegato loro, la
cerimonia non si svolgerà nella casa comune, ma nel tempio
che si
trova al limite del villaggio.
Annabel
pensa che lei e Kalika incontreranno i loro fidanzati solo una volta
giunti nel luogo in cui verranno celebrate le nozze ed è
quindi
sorpresa quando vede che Seth e Kabir le stanno in realtà
aspettando
all’esterno dell’edificio. Non sono soli: con loro
c’è
l’imponente Mada e anche il Maggiore Nelson, che Annabel non
ha più
visto dal giorno in cui sono arrivati su Nantos-A.
Pensavo
che se ne fosse tornato su Epona,
pensa con una punta di sorpresa. Meglio
così, però.
Anche
se non può certo dire di conoscerlo bene, la presenza del
militare
le dà un certo conforto. Le sue sono probabilmente paure
irrazionali, vaghe angosce causate dallo strano atteggiamento di
Nisha, ma Annabel non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che
qualcosa sia fuori posto. Il Maggiore ha promesso di proteggerla. O,
meglio, ha detto che il Governo di Yuma non abbandonerà i
suoi
cittadini dispersi per la galassia. Anche se cerca di non dare troppo
peso a quei pensieri, la ragazza ha il sentore che presto
quell’aiuto
le servirà.
Quando
la vede comparire, Seth fa per avvicinarsi a lei, ma Mada e Nisha si
frappongono tra di loro, costringendoli a mantenere una distanza
rispettabile. Il giovane alza gli occhi al cielo e le rivolge un
sorriso complice al quale Annabel risponde a fatica.
Le
sembra quasi di avvertire nell’aria l’odore del
pericolo.
Inconsciamente la ragazza raddrizza la schiena e allarga le spalle.
Non è una codarda. Se qualcuno cercherà di farle
del male, di
fregarla
in
un qualsiasi modo, è pronta a dare battaglia e a difendersi
con le
unghie e con i denti. Che
ci provino!
Pensa,
stringendo rabbiosamente i pugni.
Quando
il loro piccolo corteo raggiunge il tempio - una sorta di piccola
cappella circondata da salici piangenti - l’umore di Annabel
è
ormai burrascoso. Seth se ne è accorto e continua a
lanciarle
occhiate preoccupate, e anche Kabir la guarda con insistenza.
Per
la prima volta da quando hanno iniziato il viaggio che da Yuba li ha
portati lì, la giovane gli dedica un’occhiata un
po’ più
approfondita. Aveva già notato che era un bel ragazzo, con
la pelle
scura come quella di Kalika, occhi e capelli neri e una barba curata
che gli copre la parte inferiore del volto, ma solo ora scorge in lui
una sorta di tensione vibrante, come un’energia contenuta a
stento
che gli fa brillare gli occhi e che dona ai suoi passi la grazia
elastica di un predatore. All’improvviso, Annabel si sente
messa a
nudo e, cosa per lei assai insolita, si scopre a cercare di avviare
con lui una conversazione silenziosa. Aggrotta la fronte e scuote
impercettibilmente il capo come per chiedergli ‘Che
c’è? Perchè mi stai
guardando?’
Il
volto del giovane rimane però impassibile, come congelato in
quel
suo sguardo intenso che, almeno per una volta, non è
concentrato
sulla macchia che ha in faccia. Annabel ha l’impressione che
Kabir
possa leggerle nel pensiero, se lo desidera, e non sa se la cosa
l’affascina o le fa paura.
Perplessa,
la ragazza gli lancia un'ultima occhiata e poi si concentra sulle
persone radunate nello spiazzo davanti al tempio: non sono gli ospiti
e i curiosi di cui Seth le aveva parlato giorni prima, ma
c’è
comunque una discreta folla.
Si
tratta prevalentemente di donne anziane e tra di esse Annabel scorge
Shiera, ma anche Elsa.
È
per
questo che è venuta qui? Si
chiede stupita. Per
unirsi a queste tizie?
La
cosa non dovrebbe sorprenderla più di tanto, dal momento che
è
evidente che la signora Becker non si è trasferita su
Nantos-A per
creare una nuova famiglia. Ma cosa la distingue dalle migliaia di
anziani che vivevano a Yuba e che sono stati rinchiusi in strutture
protette in orbita attorno a Epona? Cos'ha di tanto speciale Elsa? Si
è guadagnata quel trattamento particolare grazie a una
qualche
conoscenza altolocata o in virtù di qualche
abilità che Annabel non
conosce?
Sono
domande a cui non può trovare una risposta e quindi
accantona la
curiosità, almeno per il momento, spostando lo sguardo su un
altro
dei presenti, un bambino che si aggrappa alla sottana di una delle
donne. Ha quattro o cinque anni - Annabel non è brava a
giudicare
l'età dei ragazzini - ed è assolutamente fuori
posto tra quelle
vegliarde. D'istinto la ragazza osserva la donna che più gli
sta
vicina, cercando di capire se possa essere una parente, magari una
nonna. Ma no: la pelle della vecchietta è ambrata, mentre il
bambino
è pallido come uno straccio e ha grandi occhi chiari, in
netto
contrasto con il lucido caschetto di capelli neri che gli incornicia
il viso.
Strano,
considera
Annabel. La presenza di quel piccolo è oggettivamente una
sciocchezza: ci sono innumerevoli ragioni per cui può
trovarsi lì.
Ma quel fatto rappresenta comunque un'anomalia agli occhi della
ragazza, quasi una conferma che c'è davvero qualcosa che non
va in
quella che dovrebbe essere una cerimonia semplice e senza grossi
scossoni.
La
giovane lascia scorrere lo sguardo tutto attorno a sé per
verificare
che non ci siano altre stranezze ed è in quel momento che si
accorge
che c’è una terza coppia in attesa di venire unita
in matrimonio.
Nessuno gliene aveva parlato, Nisha non aveva mai fatto cenno al
fatto che dei locali si sarebbero uniti alla cerimonia, ma Annabel
suppone che la cosa non sia poi così strana: da quello che
le è
stato raccontato, i matrimoni a Huim sono una faccenda comunitaria.
I
due promessi sposi sembrano un po’ più vecchi
delle altre due
coppie. La donna deve avere qualche anno in più di Seth ed
è di una
bellezza austera: indossa un sobrio abito grigio-verde che mette in
risalto la sua carnagione lattea, i lunghissimi ricci neri e i grandi
occhi verdi dall’espressione seria. Il suo viso ha dei tratti
solenni, eleganti e immobili come se fossero scolpiti nel marmo. La
sua postura parla di un animo fiero, la sua schiena dritta e il capo
portato alto sono agli occhi di Annabel segno di una grande forza
interiore. Inaspettatamente la mente della giovane corre alla
riproduzione di un antico dipinto che ha visto anni prima su qualche
libro di testo: una Madonna
dipinta
da un artista morto da tempo, vestigio di una delle antiche religioni
che gli uomini avevano portato con sé dalla Terra
originaria.
Il
suo fidanzato è decisamente meno interessante.
All’apparenza più
vecchio di lei, è grande e grosso, ma sembra quasi
ripiegarsi su sé
stesso, il capo chino e le spalle ricurve come se il fatto di stare
in piedi in mezzo a tante persone gli risultasse penoso. Ha un viso
dai tratti affilati e tutto sommato ordinari, gli zigomi sporgenti e
il naso a becco, occhi scuri quasi a mandorla, dal taglio vagamente
famigliare, e capelli castani portati alla moda degli uomini del
posto, pettinati all’indietro e fissati sul cranio grazie
all’ausilio dell’olio.
Spero
che Seth non decida di farsi crescere i capelli, perché
starebbe
malissimo,
considera la giovane.
Dei
passi risuonano alle sue spalle e Annabel si riscuote dai suoi
pensieri, ruotando su se stessa appena in tempo per vedere che cinque
uomini si stanno avvicinando al tempio. Tra loro riconosce Elko e
Romed, ma il suo sguardo è immediatamente attirato
dall’uomo di
testa, che veste un abito scarlatto.
Gli
uomini, così come gli abitanti del villaggio che la giovane
ha avuto
modo di incontrare fino a quel momento, sembrano prediligere i
vestiti di colori naturali. A Huim la gente veste nei toni del
marrone, del grigio, del beige, talvolta del verde, del bianco o del
nero, ma i colori più vistosi sembrano essere quasi del
tutto
banditi: il suo abito azzurro e quello di Kalika, color zafferano,
sono le uniche eccezioni in cui si è imbattuta sino a quel
momento.
Le
vesti rosse di quell’uomo sono impossibili da ignorare e
Annabel lo
squadra da capo a piedi, cercando di capire quale posizione ricopra
all’interno delle gerarchie del villaggio: sicuramente
è qualcuno
di importante. A vederlo così non sembrerebbe un
granché: è
anziano e piuttosto in carne, di statura media. Ha un volto largo e
apparentemente gioviale, con le guance rosse e piccoli occhi chiari
dalle palpebre pesanti. Potrebbero essere le rughe che gli circondano
la bocca, ma le sue labbra sembrano piegate in un sorriso
placido.
Annabel
è immediatamente sospettosa: non si fida della gente che
sorride
senza avere un buon motivo per farlo.
Gli
uomini si posizionano a sinistra dell’entrata del tempio - le
donne
sono sulla destra - ma il vecchietto vestito di rosso si avvicina
alle Sapienti e tra le vegliarde serpeggia un mormorio di
eccitazione.
È
Shiera a farsi avanti e a posare le mani sulle spalle
dell’uomo in
quello che è evidentemente un gesto di saluto.
“Benvenuto, Mastro
Leron” gli dice chinando il capo.
L’uomo
ricambia il gesto, serrando le mani paffute sulle spalle ossute della
donna. “Un matrimonio è sempre motivo di gioia,
Shiera”, replica
con voce morbida, “sebbene quest’oggi le
circostanze siano
piuttosto particolari.”
Quel
termine, particolari,
attira l’attenzione di Annabel. Anche Kalika pare allarmata,
e le
due ragazze si scambiano un’occhiata silenziosa. La giovane
mora
sembra sul punto di chiedere spiegazioni a Nisha, ma quella la
precede, voltandosi verso di lei e sussurrando: “Mastro Leron
è il
capo del nostro villaggio. Siate rispettose.”
Ecco
spiegati gli abiti rossi,
pensa Annabel, mentre l’uomo si muove verso di loro con passi
lenti. Fa per avvicinarsi a Kalika, ma esita, fermandosi invece
davanti a Nisha. “Sono già al corrente della
situazione?”
chiede; e Annabel sente il cuore balzarle in gola. Quale situazione?
La
vecchietta scuote il capo, le labbra raggrinzite piegate in una
smorfia di sdegno. “No. Abbiamo pensato che fosse meglio che
glielo
spiegassi lei. Meno problemi.”
Gli
occhi di Mastro Leron si spalancano in un’espressione
scettica.
“Meno problemi per lei, Nisha. So che lei era contraria,
è
corretto?”
La
donna scrolla le spalle. “Ho votato contro, sì. Ma
non importa,
visto che la proposta è comunque stata approvata.”
Kalika
pare incapace di trattenersi oltre. “Quale
proposta?” chiede con
voce tremula.
Il
capo villaggio si volta per osservarla. “Come ti chiami, mia
cara?”
La
giovane arrossisce. “Kalika Sharma, signore.”
“Mastro
Leron” la corregge benevolmente l’uomo.
“Il modo corretto per
rivolgersi a me è Mastro
Leron.”
Lei
annuisce. “Mastro Leron” ripete.
“Bene,
Kalika. Tu e il tuo fidanzato potete entrare nel tempio. Prendete
posto sulle sedie poste davanti all’altare, per
favore.”
Mada,
che ha seguito quello scambio di battute, allunga una mano e tocca
l’avambraccio di Kabir, facendogli segno di seguire Kalika.
Pur
rivolgendo un’occhiata incerta a Nisha e ad Annabel, la
giovane fa
come le è stato chiesto, dirigendosi verso la piccola
cappella.
Annabel
la segue con gli occhi per qualche secondo, poi si rivolge a Mastro
Leron. “Possiamo andare anche noi?” gli chiede.
Lui
la guarda e il sorriso che ancora aleggia sulle sue labbra sembra
svanire. Senza chiedere il permesso, le sue dita si posano sulla
guancia sinistra della giovane. “Tu sei Annabel” le
dice. Non è
una domanda.
Troppo
stupita per scostarsi, la ragazza cerca di incrociare lo sguardo di
Nisha, ma la donna tiene gli occhi puntati a terra, come se tutto
d’un tratto non avesse il coraggio di guardarla in faccia.
La
giovane deglutisce a vuoto, mentre qualcosa di terribile spiega le
ali nel suo petto. “Sì” conferma. Ha la
bocca secca e parlare è
difficile.
“Questo
è il segno del sangue” mormora l’uomo,
facendole scorrere i
polpastrelli lungo l’arco dello zigomo. “Tu puoi
aver dimenticato
le tue vite passate, ma l’Universo non dimentica: questo
marchio è
un promemoria.”
Annabel
boccheggia, lottando per trovare le parole. Di
cosa diavolo sta parlando?
“Cosa
succede?” Anche Seth si è ormai reso conto che
c’è qualcosa che
non va e cerca di raggiungerla, ma Mada gli sbarra la strada,
frapponendosi tra lui e la ragazza. Per una frazione di secondo, il
giovane sembra sul punto di spingerla via, ma poi serra i pugni come
per dominarsi. Kalika e Kabir, fermi sulla soglia del tempio,
osservano la scena con gli occhi sbarrati.
Apparentemente
indifferente a ciò che sta succedendo attorno a lui, Mastr
Leron
continua. “Devi aver compiuto un crimine, in una delle tue
vite
precedenti. L’omicidio di un innocente, forse, o un
tradimento che
ha portato molti alla rovina: solo una colpa assai grave può
averti
procurato un segno simile.”
Annabel
trova le parole. “Questo è un angioma,
razza
di somaro ignorante!” ringhia, ignorando il mormorio
scandalizzato
che si leva dalla folla. “È una malattia,
un difetto dei vasi sanguigni, non una maledizione
o
un… un souvenir
di
una vita precedente!” Non contenta, rincara la dose:
“Vita
precedente che per altro non esiste, come dovrebbe essere evidente a
ogni persona dotata di un minimo di buon senso.”
Forse
non sono le cose migliori da dire al capo del villaggio nel quale si
è appena trasferita, ma la ragazza si sente più
leggera, quasi
soddisfatta. Quella soddisfazione dura poco, però,
perché sul volto
del vecchio si disegna un’espressione che è quasi
di compassione.
“Non pretendo che tu capisca” sospira, togliendole
la mano dal
viso. “Non ancora, per lo meno. Sta a noi guidarti verso la
retta
via.”
Istintivamente
Annabel si porta una mano al volto, spalancando le dita per coprirne
quanto più possibile la parte sinistra. “Cosa
vorrebbe dire?”
chiede con voce tesa.
“L’Universo
ti ha portato qui” afferma l’uomo, e lei si chiede
se l’universo
sia, nella loro concezione distorta della realtà,
un’entità
senziente. “È evidente che questo è
avvenuto per una ragione
precisa: perché tu possa fare ammenda dei tuoi errori
passati e
ripulire la tua anima da ogni colpa. Solo così potrai
iniziare in
purezza il tuo nuovo ciclo vitale.”
Alle
orecchie di Annabel quelle parole suonano minacciose e la giovane
cerca di ricordarsi ciò che Seth le ha spiegato a proposito
del
sistema penale di Huim. Per quanto assurdo possa sembrare, quel
vecchio pare ritenerla colpevole di chissà quale crimine e,
a questo
punto, la ragazza non si stupirebbe più di tanto se il capo
villaggio decidesse di infliggerle qualche punizione.
Esilio?
Pensa,
sbiancando. Non
possono certo cancellare il ricordo della mia esistenza, visto che
sono appena arrivata. Non avrebbe senso.
“Questa
cosa è assurda!” protesta Seth, sporgendosi per
superare almeno
con lo sguardo la sagoma imponente di Mada, ma Annabel gli fa cenno
di tacere.
Con
un respiro profondo, la giovane cerca di parlare con voce chiara e
precisa. “E cosa dovrei fare per espiare queste mie
fantomatiche
colpe?”
Mastro
Leron la guarda negli occhi. “Devi sposare l’uomo
giusto e vivere
con lui una vita pia e irreprensibile. Dimostra di essere capace di
vivere secondo le leggi del villaggio, da’ il tuo contributo
per
renderlo migliore e, alla fine, ogni colpa ti sarà
perdonata.”
Annabel
è certa di aver capito male, perché ha intuito
quello che l’uomo
sta dicendo, ma non
può essere.
“E
Seth è l’uomo giusto, vero?” chiede,
indicando il giovane che
ora pare pietrificato al fianco di Mada. Vorrebbe pronunciare quelle
parole nel tono di un’affermazione, ma non ci riesce: il
dubbio e
l’incertezza le plasmano in una forma interrogativa.
Il
vecchietto scuote il capo e l’espressione dolce con cui la
guarda è
quasi grottesca. “Seth è un bravo ragazzo che non
ha colpe da
espiare” sospira. “Tu devi sposare qualcuno che sia
nella tua
stessa situazione. Un tuo pari.”
Mentre
pronuncia quelle parole, gli occhi di Mastro Leron corrono alla
coppia che Annabel non conosce. La donna vestita di verde rimane
perfettamente immobile, inscalfibile nella sua bellezza altera, ma
l’uomo al suo fianco solleva il capo e, per una frazione di
secondo, incontra lo sguardo della giovane.
Quando
lo vede sussultare e abbassare di nuovo gli occhi a terra, Annabel
capisce di essersi sbagliata. Quei due sono in effetti lì
per
celebrare il proprio matrimonio: i loro futuri sposi, però,
non sono
quelli che aveva creduto lei.
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Capitolo 7 *** 7. Storia di un ragazzo stupido ***
Annabel
scuote più volte il capo. “No” dice,
cercando di scrollarsi di
dosso la sensazione di essere finita in una specie di incubo.
“No,
no, no.”
Mastro
Leron le posa una mano sul braccio, forse nel tentativo di
rassicurarla. “Annabel…”
La
ragazza si ritrae come se fosse stata scottata. “Ho detto di
no!”
tuona, contraendo i pugni. Una rabbia famigliare le divampa nel
petto, infiammandole il volto e mozzandole il respiro. “Non
sposo
un tizio che nemmeno conosco solo perché voi vi siete messi
in testa
che ho ammazzato qualcuno in una vita precedente! Questa è
una cosa
da matti!”
Il
capo villaggio sembra preso in contropiede dalla sua reazione e
retrocede di un mezzo passo, guardandosi attorno come in cerca
d’aiuto. I suoi occhi cadono su Nisha, che però
scrolla il capo
come per dirgli di arrangiarsi.
Seth
scatta in avanti. Mada lo afferra per le spalle, ma il ragazzo
è più
giovane e veloce e si divincola dalla sua presa. Immediatamente le
sue braccia circondano Annabel e la stringono a sé,
tenendola al
sicuro contro il proprio petto. “Voi siete completamente
pazzi”
sibila in un tono che la ragazza non gli ha mai sentito usare.
La
sua rabbia non le permette però di restare ferma in quella
posizione
passiva, lasciando che sia Seth a difenderla. La giovane solleva il
capo e allontana gentilmente il ragazzo da sé, poi si volta
per
fissare Mastro Leron. “È fuori
discussione” ringhia, puntandogli
un indice al petto. “Potete anche scordarvelo.”
L’uomo
sembra senza parole, ma al suo fianco Nisha sospira. “Non
è che tu
abbia tante alternative, ragazza” dice con una voce che
sembra
ancora più ruvida del solito.
Seth
le stringe una mano e Annabel scopre i denti in un ringhio.
“Piuttosto che sposare qualcuno che non conosco”,
scandisce,
“dormo nella fabbrica di Yuba. Anche all’interno
del reattore
principale, se è il caso.”
Un’ombra
si materializza ai margini del suo campo visivo e la giovane si volta
verso la Signora Becker. “Lei lo sapeva” la accusa,
puntando gli
occhi in quelli della donna. “Lei lo sapeva fin da subito:
è per
questo che il primo giorno mi ha chiesto che cosa mi ero fatta in
faccia!”
Elsa
scuote il capo. “Non sapevo che ti avrebbero chiesto di
sposare
Janus. Immaginavo però che il tuo aspetto avrebbe potuto
essere un
problema.”
Per
una frazione di secondo, Annabel si chiede chi diavolo sia Janus, poi
capisce che è il nome dell’uomo che vorrebbero
farle sposare. Non
gliene frega niente.
Seth
fa un passo in avanti, cercando forse di fare scudo alla ragazza.
“Il
suo aspetto non
è
un problema” dice con voce ferma. “Siete voi
ad
avere un problema!”
Elsa
chiude gli occhi e sospira. “Forse è meglio se ne
discutiamo un
attimo con calma e privatamente. È importante che abbiate
ben chiara
la situazione in cui vi trovate.”
Annabel
gonfia il torace. “La situazione è
chiarissima…”
“Annabel”,
la interrompe la donna, “parliamone.”
“E
dove?” chiede Nisha, introducendosi nella
conversazione.
Il
volto della Signora Becker si contrae in un’espressione
grave. “Nel
tempio. È l’unico posto che garantisca un minimo
di privacy.”
Nisha
annuisce. “Mastro Leron”, dice, rivolta al capo
villaggio, “le
dispiace se parliamo un attimo con i due ragazzi?”
“Direi
che è decisamente il caso di farlo.” La voce del
Maggiore Nelson
li fa sussultare e Annabel lancia un’occhiata al volto grave
del
militare, cercando di capire se anche lui fosse al corrente di quello
sviluppo inatteso. L’espressione cupa del suo volto le
suggerisce
però che l’uomo è sorpreso quanto lei
da quell’inaspettato
cambio di programma; e quel particolare le dà un
po’ di fiducia.
“D’accordo”
sospira Elsa. “Andiamo.”
Ancora
fremente di rabbia, Annabel sente su di sé gli sguardi dei
presenti,
ma non vi bada. L’unica cosa importante è la mano
di Seth, che è
scesa nuovamente a stringere la sua. Tutto il resto può
andare al
diavolo. Vorrebbe che scomparissero tutti e che li lasciassero in
pace: se avesse il potere di ridurli in cenere con la sola forza del
pensiero, lo farebbe.
Quando
arrivano alla porta del tempio, la giovane non ha il coraggio di
incontrare lo sguardo di Kalika. Sa che nei suoi occhi neri
leggerebbe pietà e compassione, ma in quel momento vuole
tenersi
stretta la rabbia e l’indignazione, evitando di cadere nelle
spire
dell’autocommiserazione.
“Ma
non vi vergognate?”
La
voce di Kabir è un colpo di frusta, e sulle prime Annabel
pensa che
stia parlando con lei e Seth, ma basta un’occhiata per capire
che
la domanda era rivolta a Nisha. Gli occhi del giovane sono fissi
sulla donna e sembrano ardere come carboni ardenti.
La
vecchietta lo ricambia con un’occhiata altrettanto bruciante.
“Fatti gli affari tuoi, ragazzo” gli
intima.
Le
labbra del giovane si ritraggono sui denti, in una smorfia che sembra
quasi il ringhio di un lupo. “E se invece non avessi voglia
di
farmi gli affari miei?” la provoca. “Non potete
rovinare così la
vita di questi due ragazzi!”
Se
fosse in un altro stato d’animo, Annabel lo
ringrazierebbe.
Durante il tempo che hanno trascorso insieme non si sono mai
scambiati che pochi convenevoli e adesso lui la sta difendendo: la
cosa è commovente, anche se piuttosto sorprendente.
Nisha
non sembra però essere della stessa idea. Anche se
è molto più
bassa di lui, si erge in tutta la sua statura, come se intendesse
sovrastarlo. “Stai forse dicendo che le nostre leggi e le
nostre
tradizioni sono sbagliate? Per caso non ti stanno bene?”
“Esattamente!”
ribatte lui, ma le mani di Kalika gli si stringono attorno alla vita.
“Kabir”
lo richiama la ragazza in tono sommesso. “Kabir.”
Annabel
non riesce ad avercela con l’altra ragazza per il fatto che
sta
richiamando all’ordine il suo fidanzato. Malgrado la tempesta
di
pensieri ed emozioni che infuria dentro di lei, ha riconosciuto la
minaccia nelle parole di Nisha.
Anche
Seth gli rivolge un gesto come per dire che è tutto a posto,
e
Annabel deve fare forza su se stessa per non urlare che non
è così,
che non c’è niente che sia a posto.
Il
Maggiore Nelson coglie la sua agitazione e le sfiora una spalla con
le dita. “Andiamo dentro” le sussurra piegandosi
sul suo
orecchio.
Quando
le porte della cappella si chiudono alle sue spalle, la giovane si
posa le mani sui fianchi. “Adesso voglio capire cosa diavolo
è
questa storia” sbotta, facendo saettare lo sguardo sui
presenti.
“Non
abbiamo nessuna intenzione di fare quello che ci chiedete”
annuncia
nello stesso momento Seth, risoluto.
Il
Maggiore leva le mani e fa loro segno di calmarsi. “Andiamo
con
ordine” dice. “Perché è stato
deciso che la Signorina Jensen -
Annabel
-
debba sposare quell’uomo?”
La
domanda sembra rivolta alla Signora Becker, ma Elsa si limita a
fissare Nisha con aria interrogativa, lasciando che sia lei a
rispondere. Annabel si impone di respirare lentamente, lasciando alla
donna la possibilità di spiegare e di darle qualche elemento
in più
per capire come si sia arrivati a quella decisione. Non che lei abbia
intenzione di accettarla, comunque.
Nisha
chiude gli occhi per un istante e poi esala con forza dal naso.
Annabel non sa dire se sia stanca o solo irritata. “Volete la
spiegazione ufficiale o quella ufficiosa?” fa, con voce
asciutta.
Nelson
non sembra intenzionato a perdere tempo. “Quella che
corrisponde
alla verità” replica in tono secco.
“Benissimo”
annuisce la vecchietta, apparentemente per nulla intimorita
dall’atteggiamento del militare. “La
verità è quella che ha
illustrato Mastro Leron poco fa: la religione ci insegna che i segni
come quelli che la ragazza porta in volto sono simbolo di gravi
peccati commessi nelle vite passate. Quando un simbolo del genere si
manifesta, la persona che lo porta è tenuta a espiare le
proprie
colpe nel modo più opportuno: considerate le dimensioni di
quella
macchia, un matrimonio non è nemmeno la punizione peggiore.
Anzi!”
Annabel
sbuffa sdegnosamente e fa per dire qualcosa, ma Nisha la interrompe.
“La verità”, riprende,
“è anche che Janus è il nipote di
Romed che, nel caso non l’aveste capito, è la
persona che ricopre
la carica più alta qui al villaggio. Dopo Mastro Leron,
chiaramente.”
Il
Maggiore inarca le sopracciglia. “Ah” fa, e ad
Annabel non piace
il suono di quell’esclamazione.
“Sedici
anni fa, quando aveva quindici anni”, riprende la donna,
“Janus
ha ucciso suo padre e suo fratello.”
La
ragazza strabuzza gli occhi davanti a quell’informazione.
“Che
cosa!?”
Nisha
le fa nuovamente cenno di tacere. “Le circostanze sono poco
chiare,
anche perché si tratta di un fatto avvenuto prima che Romed
e il
ragazzo arrivassero sul nostro pianeta. Forse si è trattato
di un
incidente o forse di un’azione volontaria, ma quello che
è certo è
che all'epoca Janus non si è reso pienamente conto di quello
che ha
fatto.”
“Stronzate!”
sibila Seth. “A quindici anni uno non è un
bambino: non è che
uccide qualcuno per sbaglio e non
si rende conto di
quello che fa. Se non si è trattato di un incidente, quel
tipo è un
assassino!”
La
vecchietta lo fissa con il suo sguardo penetrante. “In linea
di
massima potrei essere d’accordo con te”, ammette,
“ma Janus non
è mai stato particolarmente percettivo
da
questo punto di vista. Ci sono cose che, semplicemente…
sembra non
comprendere, ecco.”
Annabel
è sempre più inorridita. “Vorreste
farmi sposare un idiota?”
sbotta.
“Preferiresti
sposare un assassino capace di uccidere a sangue freddo e in pieno
possesso delle proprie capacità mentali?” la
provoca l’altra
donna.
“Preferisco
sposare Seth!” ribatte lei alzando la voce.
“Questo
l’abbiamo capito” sbuffa Nisha, levando gli occhi
al cielo. “Il
problema è che Romed preferisce che tu sposi suo nipote e
che,
guarda un po’, ha convinto le altre Sapienti e tutti gli
altri
membri del Consiglio del villaggio che questa è la soluzione
migliore per tutti! E non c’è proprio niente che
tu possa fare per
sottrarti a questa decisione, quindi ti conviene abituarti
all’idea.
Anzi”, rettifica, spostando lo sguardo su Seth, “vi
conviene
abituarvi all’idea, visto che, come avrai notato,
c’è una sposa
pronta anche per te!”
Annabel
si sente sbiancare e la presa della mano di Seth si fa talmente
stretta da risultare quasi dolorosa.
Il
Maggiore Nelson si schiarisce la voce. “Perchè
Romed ha tanta
fretta di trovare una moglie a suo nipote?”
Nisha
si lascia sfuggire una risatina sarcastica. “Oh, non direi
che ha
fretta,
visto che sono sedici anni che cerca di trovare una compagna al
ragazzo. Quando sono arrivati al villaggio, erano accompagnati da
alcuni soldati provenienti dal loro pianeta natio.”
“Da
quale pianeta ha detto che provengono?” la interrompe Nelson.
La
donna schiocca la lingua. “Romed viene dalla base di
Hesperia, ma
da ragazzo Janus non veniva con lui: non ho mai saputo da quale
pianeta o da quale base provenga. Romed non ama parlare della vita
che conduceva prima di trasferirsi a Huim, ma sappiamo che lui e
Janus vengono da una famiglia potente e che solo per questo motivo il
ragazzo è stato condannato all’esilio e non a
morte. Per questo e,
suppongo, per il fatto che su Hesperia Romed era considerato un
sant’uomo, un sapiente con molti seguaci.”
il
militare annuisce. “Quindi gli è stato permesso di
accompagnare
qui il nipote e di iniziare una nuova vita con lui.”
“Esatto”
dice Nisha. “Naturalmente, dal momento che il ragazzo era a
tutti
gli effetti un assassino, non gli è stato concesso di vivere
al
villaggio. È stato esiliato, com’è
giusto che sia, e da allora
vive in una palafitta sul Lago della Luna.”
“Da
solo?” scappa detto ad Annabel, che, nonostante tutto, cerca
di
immaginarsi come sia possibile che un ragazzino non particolarmente
intelligente e proveniente da un pianeta alieno abbia potuto
sopravvivere tutto solo in mezzo a un lago.
“Da
solo, sì” conferma seccamente la vecchia.
“Suo zio lo aiuta come
può, ma Janus se la cava principalmente da solo. Non
è annegato e
non è morto di fame, quindi immagino che sia in grado di
prendersi
cura di te.”
Io
non ho bisogno di nessuno che si prenda cura di me,
pensa la giovane, mentre la rabbia torna a montare dentro di lei. Né
tantomeno ho bisogno che sia quel tipo a farlo.
Poi
un pensiero attraversa la sua mente:
se
è davvero stupido come dicono, forse potrei trovare un modo
per
liberarmi di lui.
Ma è un’idea che viene accantonata nel tempo di un
battito di
ciglia: lei non lo sposerà mai, quindi non deve preoccuparsi
di come
liberarsi di lui.
“Continuo
a non capire perché Romed vuole che suo nipote sposi
Annabel, però”
insiste Seth, pallido in volto e con la voce strozzata di chi forza
le parole attraverso una gola troppo secca.
“Come
stavo dicendo, Janus è stato esiliato” riprende
Nisha. “L’esilio
però non dev’essere per forza a vita: se una
persona dimostra di
essere in grado di inserirsi nuovamente nella società e se
il
crimine di cui si è macchiata lo permette, è
possibile che ritorni
alla vita di prima.”
“Nel
caso di Janus”, continua la vecchietta, “la sua
giovane età e il
fatto che abbia commesso il suo crimine su un altro pianeta depongono
a suo favore. La famiglia è molto importante per noi, per
cui è
stato deciso che, per interrompere il suo esilio, il ragazzo avrebbe
dovuto dimostrare di essere cresciuto e di essere diventato un uomo
per bene.”
“E
il modo migliore per dimostrarlo è quello di essere un buon
marito”
conclude per lei il Maggiore Nelson. Quando la vecchia annuisce,
l’uomo sogghigna. “La mia ex-moglie avrebbe
qualcosa da dire in
proposito.”
Nisha
scrolla le spalle. “Considerati i suoi trascorsi, non
potevamo
certo trovargli una moglie qualsiasi, però. Ci voleva una
ragazza
adatta. Una ragazza che fosse al suo stesso livello, che fosse stata
condannata per un crimine simile. O che, come nel caso di Annabel,
avesse un marchio che la condannasse al posto nostro.” Gli
occhi
della donna esaminano il volto della giovane con espressione
imperscrutabile. “Abbiamo dovuto aspettare sedici anni, ma
alla
fine sei arrivata.”
La
ragazza scrolla il capo, a corto di parole. “Voi siete
pazzi”
mormora, guardando Nisha con gli occhi sgranati. “Mi dispiace
deludervi, ma dovrete aspettare ancora: io quello non lo
sposo.”
Elsa
sospira e fa per dire qualcosa, ma Nisha è più
veloce. “Se
contesti la decisione di Mastro Leron, del Consiglio del villaggio e
di tutta la cerchia delle Sapienti, non ti verrà comunque
permesso
di sposare Seth: la punizione per questo tipo di insubordinazione
è
l’esilio.”
Annabel
valuta brevemente quell’informazione. Per puro spirito di
contraddizione sarebbe tentata di dire che le sta bene così,
che
preferisce vivere da eremita piuttosto che piegarsi a quella
decisione, ma sa che è una risposta stupida. Lei non
è in grado di
sopravvivere in un ambiente così poco urbanizzato e,
malgrado i suoi
genitori l’abbiano abbandonata quand’era ancora in
fasce, è
sempre stata abituata a fare affidamento sugli altri. La solitudine
la spaventa. E, al di là di tutto, lei vuole
sposare
Seth, anche se la decisione è nata all’improvviso
e solo in
seguito al disastro della fabbrica di Yuba.
Lanciando
un’occhiata di sfida alla vecchia, si volta quindi verso
Nelson.
“Non voglio più restare su questo
pianeta” gli dice in tono
imperioso.
L’uomo
aggrotta le sopracciglia. “Come, scusa?”
La
giovane scrolla impazientemente il capo. “Ho detto che non ho
più
alcuna intenzione di restare qui” ripete.
“Maggiore, l’altro
giorno lei ci ha detto che Yuba non avrebbe abbandonato i suoi
cittadini e che, se le cose si fossero messe male, ci avreste portato
via di qui.”
“Giusto!”
conferma Seth, annuendo con entusiasmo.
“Questa
gente vuole farmi sposare un assassino” riprende la ragazza.
“A
me sembra proprio che le cose si stiano mettendo male, quindi voglio
andarmene. Sono disposta… sono disposta anche a trasferirmi
su
QZ-3, se è il caso: va bene tutto, l’importante
è che io non
debba più sentir parlare di queste fesserie.”
Sul
volto di Nelson si disegna un’espressione costernata.
“Le cose
non sono così semplici, purtroppo” sospira.
“Per portarti via da
Nantos-A devo avere in mano qualcosa di concreto, delle prove
tangibili che dimostrino che la tua sicurezza è a rischio.
Questo
ragazzo, Janus, potrebbe essere un brav’uomo e un buon
marito.”
Annabel
lo guarda incredula. “Ha ammazzato suo fratello e suo
padre”
scandisce. “Come diavolo fa a essere un
brav’uomo?”
“Se
si fosse trattato di un incidente…” azzarda il
militare.
Lei
però lo interrompe. “E, comunque, non è
questo il punto: su Epona
i matrimoni organizzati sono illegali. La gente si sposa
perché lo
vuole, perché è innamorata di qualcuno, e non
perché una congrega
di vecchi rimbambiti e superstiziosi decide che è giusto
così!”
L’uomo
sembra un po’ in imbarazzo. “Umanamente posso
essere anche
d’accordo con te”, mormora, “ma
legalmente non posso aiutarti.
Non ancora, almeno.”
“Cosa
significa ‘non
ancora’?”
mormora Seth con un filo di voce. Il suo tono afflitto stupisce
Annabel, che solo in quel momento si ricorda che anche lui deve
sposare una perfetta sconosciuta. Sino a quel momento hanno parlato
soltanto di Janus
e
il povero Seth non sa nemmeno come si chiami la sua futura moglie.
Non è giusto, naturalmente, eppure Annabel non riesce a
concentrarsi
su di lui: la sua testa è tutta un susseguirsi di io-io-io
che
la fa vergognare.
Il
Maggiore Nelson si passa una mano sul volto. “Un
anno” dice.
“Prima di intervenire, devo aspettare un anno:
così dice la legge.
Se tra un anno le cose andranno male e sarete ancora
dell’idea di
andarvene, vi aiuterò. Non prima, però: se
accontentassimo tutte le
richieste di questo genere, passeremmo il tempo a spostare la gente
da un pianeta all’altro.”
La
giovane si sente in preda a un capogiro e ha per un istante
l’impressione che le gambe non la reggano. “Quindi
non c’è
niente da fare?” mormora, guardando gli occhi chiari del
Maggiore
come se in essi sperasse di trovare delle risposte diverse da quelle
che le ha dato la sua voce.
L’uomo
socchiude le labbra e sul suo volto passa un’espressione
strana. È
velocissima e dura un secondo soltanto, eppure Annabel ha
l’impressione che sia stato un guizzo volontario e rivolto a
lei.
Aggrotta la fronte, ma l’uomo ha già distolto lo
sguardo, mimando
un’indifferenza forse eccessiva.
Una
sottile spira di confusione si mescola allo smarrimento e allo
sconforto e la ragazza si chiede se il militare stia cercando di
dirle qualcosa. Oh, se solo fosse un po’ più brava
a leggere le
persone! “Quindi”, riprende dopo un istante di
esitazione, “mi
consiglia di sposare quell’uomo? O farei forse meglio ad
accettare
l’esilio?”
“Sposalo”
risponde prontamente Nelson. “Mi spiace dirlo, ma temo che da
sola
non sopravviveresti. Mi corregga, Nisha, ma credo che sia
nell’interesse di Janus dimostrarsi un buon marito,
giusto?”
La
vecchietta annuisce. “Naturalmente sì. Romed ci
dice che il
ragazzo soffre la solitudine e che non desidera altro che tornare a
far parte della società: ti tratterà come una
principessa,
credimi.”
Può
anche andare a farsi fottere!
Pensa
furiosamente Annabel, animata da una rabbia cieca nei confronti di
quello sconosciuto che le vogliono a tutti i costi spingere tra le
braccia.
“Non
mi fido” dice scuotendo testardamente il capo. “E
se invece mi
trattasse male? Se fosse violento o fuori di testa?”
“In
quel caso mi contatterai immediatamente” replica subito il
Maggiore
Nelson. “Io verrò spesso al villaggio: una volta
al mese, se mi
sarà possibile. Anche quando sarò via,
però, tu e Seth potrete
contattarmi tramite la Signora Becker: se ci saranno dei problemi o
se uno di voi dovesse sentirsi in pericolo, verrò subito
qui.”
Annabel
chiude gli occhi, consapevole che la strada è ormai
tracciata.
Vorrebbe che non fosse così, ma non è stupida e
sa che la gabbia si
è chiusa attorno a lei senza lasciarle
possibilità di scampo.
Sposerà Janus, perché non ha alternative. Ma
gli renderò la vita un inferno.
La ragazza stringe i pugni e fa un giuramento a se stessa: da quel
momento in poi, ogni secondo della sua esistenza avrà il
solo scopo
di far pentire quell’uomo di aver incrociato il suo cammino.
Sa
essere cattiva, se vuole. Crudele, se l’occasione lo
richiede. E
Annabel prega soltanto che Janus le dia l’occasione di
esserlo.
“E
va bene” annuncia riaprendo gli occhi. “Facciamo
come volete voi.
Sposerò quel tizio.”
Seth
la guarda come se l’avesse accoltellato al petto.
“Cosa?”
sussurra ferito.
Sostenere
il suo sguardo le costa una fatica enorme, ma Annabel incontra i suoi
occhi. “Non abbiamo altra possibilità, Seth. Io
sposerò Janus e
tu sposerai quella donna. E tra un anno ce ne andremo di qui, te lo
giuro, e vivremo la nostra vita.”
Gli
occhi marroni del ragazzo si specchiano nei suoi e la giovane vede
l’istante esatto in cui Seth decide di assecondarla;
probabilmente
perché è anche lui consapevole del fatto che non
esistano
alternative. Il suo viso si contrae in una smorfia di determinazione.
“D’accordo, facciamo così.
Però prima di uscire e sposare
quella donna, voglio parlare un attimo con Annabel. In
privato.”
“Mi
sembra giusto” concede Elsa, conciliante.
Nisha
tira un evidente sospiro di sollievo. “Molto bene”
annuisce
soddisfatta. “Questa è senz’ombra di
dubbio la cosa migliore per
tutti: evitiamo i drammi e prendiamo la strada più semplice,
che non
si sbaglia mai.”
Annabel
la fulmina con lo sguardo, ma si morde la lingua per non risponderle
male.
“Vi
lasciamo soli dieci minuti” mormora ancora la Signora Becker,
facendo danzare gli occhi tra i due ragazzi.
Annabel
annuisce, ma Seth leva improvvisamente una mano in direzione di
Nisha. “Un momento!” dice. “Chi
è la donna che devo sposare?
Vorrei almeno sapere il suo nome, prima di…”
Il
giovane lascia sfumare la frase, ma la vecchietta capisce comunque
quello che vuole dire. “Tua moglie si chiama Liri e ha
ventott’anni, quindi è un po’
più grande di te. È una brava
ragazza. È seria ed è una grande
lavoratrice.”
Seth
non pare convinto. “E perché si sposa adesso?
L’altro giorno
Elko mi ha spiegato che di solito qui i ragazzi si sposano che sono
ancora adolescenti: non è un po’ troppo
vecchia?”
Sul
volto di Nisha passa un’espressione cupa. “Liri
è vedova. Suo
marito è morto in un incidente di pesca tre anni fa: ha
cercato di
salvare un amico che era stato trascinato in acqua da una rete e sono
annegati entrambi. Era un brav’uomo, molto amato qui nel
villaggio.”
Il
giovane arriccia il naso. “E perché non
s’è risposata prima?”
insiste, evidentemente intenzionato a individuare subito un difetto
nella sua promessa sposa.
“Liri
ha un bambino, Haken: il piccolo ha cinque anni ed è
completamente
sordo. Nessuno ha voluto farsi carico di un simile peso, sino a
ora.”
“Oh.”
Seth sembra preso in contropiede da quell’informazione e
Annabel
sgrana gli occhi, sorpresa. Haken,
pensa, e la sua mente le ripresenta subito l’immagine del
bambino
dai capelli neri che ha visto prima tra le Sapienti. Ecco chi era,
dunque, ed ecco perché era lì.
Seth
se ne sta in silenzio, la fronte aggrottata e lo sguardo a terra, e
la giovane si sente percorsa da un brivido strano. Seth
ha sempre voluto un bambino,
pensa, e
adesso se ne ritrova uno tra le mani.
Il
pensiero la fa tremare.
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Capitolo 8 *** 8. Sulla pelle ***
I
minuti che passano da quando Seth e Annabel vengono lasciati soli a
quando i due giovani escono dal tempio sono venti, e non dieci come
anticipato da Elsa, ma nessuno viene a disturbarli.
Annabel
non ha pianto. Gli occhi di Seth si sono velati di lacrime, ma quelli
di lei no. Non c’è motivo di piangere, pensa,
perché quello non è
un addio: è solo un maledetto incidente di percorso, un
inconveniente che supererà e si lascerà alle
spalle come ha fatto
con tanti altri inconvenienti che ha incontrato lungo la sua vita. In
fin dei conti, un matrimonio combinato non può essere
peggiore del
fatto di venire abbandonata in mezzo ai rifiuti un solo giorno dopo
essere venuta al mondo, no? Se è sopravvissuta a quelle
prime
ventiquattro ore a Yuba, sopravviverà anche a
quell’anno a Huim.
Senza contare che, se ne avrà
l’opportunità, intende accorciare
sensibilmente il proprio soggiorno in quel villaggio: ha già
un
piano; deve solo trovare il modo migliore per metterlo in atto.
Seth
posa una mano sulla maniglia della porta e con l’altro
braccio la
stringe un’ultima volta. “Troveremo un modo per
parlarci” le
dice affondando il viso tra i suoi capelli. “Tra un anno ce
ne
andremo da questo posto. Nel frattempo, però, troveremo un
modo per
stare insieme, che a loro piaccia o no.”
“Certo”
annuisce decisa la ragazza. All’improvviso ha una gran voglia
di
uscire fuori e di andare avanti con quella maledetta cerimonia. Prima
inizia e prima finisce,
pensa. La cosa è inevitabile, quindi è meglio
affrontarla in
fretta: sarà come strappare un cerotto. Una volta fatto,
avrà tutto
il tempo per leccarsi le ferite e meditare vendetta.
“Allora
andiamo?” le chiede Seth, con la voce tremula di chi vorrebbe
fare
di tutto, fuorché aprire quella porta.
“Andiamo”
conferma lei. “Non ha senso aspettare oltre.”
Il
giovane spalanca la porta e, malgrado sia determinata ad affrontare
ciò che l’attende a testa alta, Annabel vacilla
nel vedere la
gente radunata davanti al tempio. Non che si siano aggiunte altre
persone rispetto a prima, ma ora gli spettatori le sembrano malevoli
e minacciosi.
Mentre
scende i pochi gradini che separano la cappella dal terreno sul quale
sorge, passa accanto a Kabir e Kalika. Le basta voltare di un poco il
capo per incrociare gli occhi neri dell’uomo, che la studiano
con
una strana espressione che non sa interpretare. Annabel leva
fieramente il capo e sostiene il suo sguardo, sentendo la
necessità
di comunicargli un messaggio. Non
ho paura,
pensa, e spera che Kabir colga il suo pensiero. Forse
pensano di avermi convinta a fare quello che vogliono loro, ma si
sbagliano di grosso.
Kabir
annuisce in modo quasi millimetrico e un angolo delle sue labbra si
solleva in maniera pressoché impercettibile. Ha
capito,
pensa Annabel, e
pare approvare.
Anche se non si sa spiegare il perché, il fatto di avere il
sostegno
del giovane la rinfranca.
Mastro
Leron si fa avanti. Sul viso ha stampato un sorriso gioviale e nulla
in lui lascia intendere che ciò che è accaduto
abbia rovinato il
suo buonumore. “Ottimo” dice, rivolgendo un sorriso
a Seth e ad
Annabel. “A questo punto, direi che possiamo procedere.
Iniziamo
con voi due, se non vi dispiace.”
Così
dicendo, l’uomo rivolge un cenno a Kalika e a Kabir, che
annuiscono
e si dirigono verso il tempio. Quasi tutte le Sapienti si incamminano
alle loro spalle; e lo stesso fanno gli uomini che hanno accompagnato
il capo villaggio, Elsa e il Maggiore Nelson. Rimangono solo il
bambino, due donne di cui Annabel non conosce il nome e Mada, che
riprende il suo posto tra lei e Seth. E, naturalmente, Janus e Liri,
che se ne stanno immobili a ridosso del muro del tempio: lo sguardo
della donna è alto e perso nel vuoto, quello
dell’uomo è fisso
sulla punta dei suoi piedi.
Mentre
le sfila accanto, Romed si ferma per un istante accanto ad Annabel e
lei viene assalita dalla voglia di sputargli addosso. Si trattiene a
stento, quando già la saliva le si è raccolta
dietro le labbra.
Figlio
di puttana,
pensa stringendo i pugni. Adesso il discorso che le ha fatto il
giorno prima assume un senso tutto nuovo e la giovane sente di
odiarlo. Non ha mai odiato nessuno, non veramente, ma non ha dubbi su
cosa sia il sentimento che le brucia dietro lo sterno.
Il
suo volto deve tradire i suoi pensieri, perché
l’uomo scrolla il
capo e la fissa con un’occhiata di disappunto.
“Ieri, quando
abbiamo parlato, mi sei sembrata una ragazza intelligente” le
dice
in tono basso, parlando con una strana cadenza lenta. “Adesso
è il
momento di dimostrarlo, Annabel.”
La
giovane si sente avvampare. Vorrebbe urlare, vorrebbe colpirlo, ma le
parole le si bloccano in gola e, in realtà, non ha davvero
il
coraggio di aggredire fisicamente un uomo adulto. Romed la percorre
da capo a piedi con i suoi occhi neri e poi sparisce anche lui dietro
la porta del tempio, chiudendosela alle spalle.
Il
silenzio nel piazzale è quasi totale e ad Annabel sembra di
udire
soltanto il sibilo del proprio respiro. Per qualche secondo non vede
altro che il terreno sotto ai suoi piedi, poi i suoi occhi si alzano
quasi senza il suo consenso e si posano sul bambino che ancora
stringe tra le mani la gonna della vecchia che gli sta
accanto.
È
oggettivamente un bel bambino, lo deve ammettere. Il visino pallido
è
contratto in un’espressione preoccupata e la giovane si
domanda se
si renda conto di cosa sta accadendo. Chissà
se chiamerà Seth ‘papà’,
si chiede, e il solo pensiero le fa venir voglia di vomitare. Non
ha nessun diritto di farlo!
Pensa,
forse in maniera un po’ irrazionale, provando
l’impulso di
attraversare la piazza e spingere via quel ragazzino dai capelli
neri. Vorrebbe allontanarlo, farlo sparire dalla sua vista,
perché
nel profondo del suo animo avverte che potrebbe essere lui il suo
vero pericolo. C’è infatti un’altra
domanda a cui non osa dar
voce, ma che sta comunque piantando radici nei recessi della sua
mente: chissà
se Seth lo chiamerà figlio.
Annabel
non vuole pensarci - soprattutto non vuole pensare a come le cose
sarebbero state diverse, se l’idea di avere un bambino non le
fosse
sembrata tanto sgradevole, quando ancora erano a Yuba - e allora
segue lo sguardo di Haken fino ad arrivare inevitabilmente a Liri.
Dovrebbe
odiarla così come odia Romed, eppure nei suoi confronti non
prova
altro che una bizzarra curiosità bellicosa. Forse
è colpa di quel
suo sguardo altero, caparbiamente perso nel vuoto, o dei suoi
lineamenti così perfettamente privi di espressione. Quella
donna è
una fortezza di ghiaccio e Annabel prova una minuscola punta di
ammirazione nei suoi confronti. Ha sempre desiderato raggiungere quel
livello di indifferenza nei confronti del mondo, ma i suoi scatti
d’ira e il suo carattere facilmente infiammabile non
gliel’hanno
mai permesso.
La
donna deve sentirsi osservata, perché i suoi occhi
incontrano
brevemente quelli di Annabel. La ragazza sa che non è
educato
fissare la gente, ma si sente all’improvviso coinvolta in una
sfida
a cui non ha deciso di partecipare. Sostiene lo sguardo di Liri e ne
imita la postura, cercando di ostentare la sua stessa fredda
indifferenza. Non si illude di riuscirci: il battito accelerato che
avverte alla base del collo e la tensione che le fa tremare lo
stomaco le fanno capire che è ben lontana dal raggiungere la
compostezza dell’altra giovane.
Non
è poi così importante, però: anche se
non la odia, avverte
comunque la necessità
di
sfidarla, di attirare la sua attenzione e di farle capire che Seth
è
suo e che ha ogni intenzione di lottare per lui.
Non
sentirti troppo tranquilla, bella mia,
pensa, piegando le labbra in una smorfia.
Le
sopracciglia di Liri si aggrottano per una frazione di secondo e
Annabel pensa di essere riuscita a farsi notare, ma l’istante
successivo la donna è già scivolata
nell’indifferenza che ha
ostentato fino a un attimo prima. La ragazza contrae la mascella,
contrariata. Si crede forse superiore a lei? La giovane non riesce a
spiegarselo: è possibile che quella donna sia felice di
sposare un
uomo che non ha mai visto prima di allora? Non può aver
scelto
liberamente di metterselo in casa, soprattutto perché ha
anche un
bambino a cui pensare.
Annabel
espira lentamente dal naso e poi, senza che riesca a evitarlo, i suoi
occhi scivolano verso Janus. L’uomo sembra non essersi mosso
di un
centimetro anche se, ora che lo guarda meglio, vede che dei guizzi
nervosi percorrono di tanto in tanto il suo volto. Patetico,
pensa la giovane, sentendosi sopraffare dal disgusto. Nella sua
volontà di evitare ogni forma di contatto non
c’è nulla della
gelida eleganza di Liri: Janus sembra quasi spaventato,
il suo capo reclinato parla di timore e di desiderio di evitare i
conflitti, non di un percepito senso di superiorità. La
ragazza
sente di disprezzarlo.
Il
tempo scorre lento, quasi vischioso
nell’immobilità dell’attesa,
ma alla fine la porta del tempio si apre rivelando Kalika e Kabir,
che si stagliano sulla soglia tenendosi per mano. Nulla è
cambiato
nel loro aspetto, fatta eccezione per dei lampi di colore dipinti
sulle loro mani. Annabel non ha modo di esaminarli con più
attenzione, perchè una delle Sapienti di cui non conosce il
nome si
frappone tra la coppia e la gente che attende nel piazzale. La
vecchia si incammina verso la strada che Annabel ha percorso per
arrivare lì e i due giovani la seguono senza una parola. La
ragazza
si sarebbe quasi aspettata di incontrare gli occhi di Kabir, ma
l’uomo tiene lo sguardo basso, concentrato sul terreno. Non
che
questo impedisca ad Annabel di notare la tensione delle sue spalle.
Ferma
all’entrata del tempio, Nisha si schiarisce la voce.
“Seth e
Liri: ora tocca a voi” dice, prima di aggiungere:
“Liri, porta
anche il bambino: è giusto che assista.”
A
un cenno della donna che gli sta accanto, Haken trotterella verso la
madre e Annabel si sente sopraffare da un’ondata di nausea. È
tutto vero,
pensa. Sta
succedendo veramente. Qualcosa
nel suo petto si contorce
e
la giovane prova l’impulso di scagliarsi in avanti e di
avvinghiarsi a Seth, impedendogli di varcare la soglia della
cappella.
Ma
no,
si impone, stringendo le mani in un pugno. Questo è il
momento di
tenere la testa bassa, di fingere una rassegnazione che in
realtà
non prova. Il momento di reagire verrà dopo. Lei e Seth ne
hanno
parlato come meglio potevano nel poco tempo che è stato loro
concesso all’interno del tempio: hanno concordato che il modo
migliore per uscire da quella situazione è dichiarare che i
loro
matrimoni non funzionano.
La
sua parte le è chiara: basterà far credere al
Maggiore Nelson che
Janus è una persona pericolosa. Annabel pensa che forse non
ci sarà
bisogno di mentire: non senza una certa preoccupazione, ricorda che
l’uomo è un assassino e che, stupido o meno,
potrebbe essere
davvero uno squilibrato. Spera che non sia così,
naturalmente, ma è
pronta a tutto: è determinata a difendersi con ogni mezzo e
a
scoraggiare qualsiasi tipo di rapporto tra lei e lo sconosciuto con
cui dovrà dividere una casa.
Seth
si trova in una situazione un po’ più complicata:
stando a quanto
ha detto Nisha, Liri è una brava persona e le leggi di Huim
non
dovrebbero consentire il divorzio. Dopo averci riflettuto
rapidamente, i due ragazzi sono giunti alla conclusione che
dovrà
essere Seth a farle desiderare di non avere nulla a che fare con lui.
Come? Annabel non ha una risposta, ma solo un suggerimento: il
ragazzo potrebbe trattare male Haken, portando Liri ad allontanarsi
da lui per proteggere il figlio. Annabel non è
un’esperta di
relazioni madre-figlio, ma è abbastanza certa che
l’istinto
materno della donna possa giocare a loro favore.
Senza
dire una parola, quasi senza nemmeno respirare, la ragazza guarda il
suo fidanzato - il suo ex-fidanzato,
ora - procedere verso la cappella, accompagnato da Liri, che continua
a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, e da Haken, che
invece alza
i grandi occhi chiari sul giovane, un’espressione di sgomento
sul
visetto pallido.
Quando
la porta si chiude alle loro spalle, Annabel permette
all’aria di
defluirle dai polmoni in un sibilo lento. Ancora una volta,
l’attesa
le pare interminabile. Mentre aspetta che venga il suo turno, cerca
di estraniarsi dal mondo. È più facile,
così. Non studia più
Janus e ignora l’ingombrante presenza di Mada che, ora che
non c’è
più Seth, le si è avvicinata, forse con
l’intento di infonderle
un po’ di coraggio. Non sa cosa farsene, della sua vicinanza:
non
ha paura, è solo arrabbiata.
I
minuti scivolano via e si moltiplicano. Dieci, quindici, venti:
Annabel non sa quantificarli, ma il tempo ha ormai perso importanza.
L’esito non può essere che uno ed è
irrilevante che l’attesa
duri un minuto o un’ora.
La
porta si apre, segnalando che la cerimonia si è conclusa. La
ragazza
sente un rumore di passi, ma non alza il capo per osservare
ciò che
sta accadendo. Forse è un errore di cui si
pentirà, ma non desidera
incontrare lo sguardo di Seth e vedere che il giovane è
ormai legato
a un’altra persona: anche se è consapevole che si
tratta di
qualcosa di temporaneo, Annabel sa che quella vista la distrarrebbe,
proprio ora che invece ha bisogno di concentrarsi su se stessa.
Seth
lo rivedrò a breve, si
ripromette. Adesso
vediamo di affrontare questa buffonata.
“Annabel
e Janus: è il vostro turno.”
La
voce di Nisha non la sorprende e la ragazza alza per un attimo lo
sguardo su di lei, sperando che la smorfia che le piega le labbra
esprima appieno il disgusto che prova in quel momento.
Con
la coda dell’occhio vede che Mada sta protendendo una mano
verso di
lei. Senza conoscere l’intento di quel gesto, Annabel scrolla
bruscamente le spalle per sottrarsi al suo tocco e poi marcia verso
Nisha e le scale del tempio. Non si prende il disturbo di guardarsi
attorno: sarà obbediente, ma non compiacente.
Anche
se avverte i suoi occhi su di sé, la ragazza torna a
ignorare la
vecchietta, tenendo invece lo sguardo fisso sulla porta chiusa.
Quello che non può ignorare, però, è
la presenza di Janus che
improvvisamente si materializza al suo fianco: l’uomo
è una massa
scura e silenziosa, alto - Annabel ricorda improvvisamente le gambe
lunghe di Romed - e con un corpo solido.
La
sua vicinanza la opprime, simile a un mantello troppo pesante che
preme sui suoi sensi e sulla sua consapevolezza. La giovane socchiude
per un istante gli occhi nel tentativo di ritrovare il proprio
equilibrio e il giusto livello di indifferenza.
“Andiamo”
borbotta Nisha, facendo loro strada verso l’interno del
tempio. La
donna li scorta sino alle due sedie poste davanti all’altare,
un
semplice pannello di legno dipinto di bianco sul quale spicca un sole
dorato. I raggi dell’astro si allungano fino a lambire i
bordi
della tavola e la vernice è stata lasciata colare lungo lo
spessore
laterale fino a creare delle piccole pozze auree sul pavimento di
pietra della cappella. È un simbolismo piuttosto semplice e
Annabel
si chiede per l’ennesima volta come abbia fatto a finire in
un
posto così primitivo:
forse sarebbe davvero stato meglio andare a lavorare su QZ-3.
Gli
spettatori si dispongono in semicerchio alle loro spalle e Annabel
sente qualcuno mormorare più volte il nome del suo futuro
marito. È
una voce femminile e la giovane cerca di tendere le orecchie per
cogliere il senso del discorso, ma la donna parla in un tono troppo
sommesso perché lei possa distinguere le parole.
Prima
che possa decidere di voltarsi per vedere almeno quale delle Sapienti
stesse parlando, Mastro Leron si fa avanti e si pone di fronte
all’altare, posando su lei e Janus uno sguardo al contempo
solenne
e compiaciuto. “Ed eccoci al terzo matrimonio della
giornata”
sospira come se la cosa lo rendesse infinitamente felice. “Il
più
importante, consentitemi di dirlo: oggi è il giorno del
vostro
riscatto.”
Annabel
non riesce a evitare uno sbuffo sarcastico e anche Janus, ancora in
piedi al suo fianco, si lascia sfuggire un’esalazione quasi
impercettibile. Guarda
un po’,
pensa la giovane, con una punta di irritazione. Pare
che anche lui abbia qualcosa da ridire su questa faccenda. Come se
avesse il diritto di protestare, visto quello che ha combinato!
Il
capo villaggio ignora l’evidente scetticismo dei due giovani
e fa
loro cenno di sedere. Annabel si lascia cadere pesantemente sulla
sedia, ripiegando compostamente sotto sé le gambe e facendo
sparire
i piedi sotto l’orlo dell’abito azzurro che le
hanno fatto
indossare.
Mastro
Leron si avvicina e afferra loro una mano. Quando le dita della sua
mano destra sfiorano il palmo caldo e ruvido del vecchio, Annabel
è
scossa da uno strano tremore. Non le piace che la gente le tocchi le
mani: le sembra una cosa troppo intima,
un gesto che sa quasi di fiducia e controllo.
Le
sue dita hanno un piccolo spasmo involontario, ma l’uomo non
vi
bada e stringe un poco la presa. “Sarò
breve” dice, il che, per
quanto riguarda Annabel, è un’ottima cosa:
malgrado stia cercando
di estraniarsi quanto più possibile da quello che sta
succedendo,
l’atmosfera all’interno della piccola cappella le
sembra farsi
sempre più opprimente ogni istante che passa.
“Normalmente”,
riprende il vecchio, “il rito del matrimonio si basa su una
benedizione. Nel vostro caso, però, dovrete prima dimostrare
di
meritarvela. Oggi ci limiteremo quindi all’aspetto legale
della
vostra unione: poi, se tra un anno le cose tra di voi andranno bene e
avrete dato prova di essere bravi cittadini, completeremo la
cerimonia e voi potrete ricevere la benedizione del Dio Sole.”
Il
Dio Sole,
pensa la ragazza con un fremito di disgusto. Può mai esserci
qualcosa di più banale? Se le bestie fossero in grado di
formulare
un pensiero appena un po’ complesso, anche loro adorerebbero
un Dio
Sole:
questa gente non è migliore degli animali.
All’oscuro
dei pensieri che stanno passando per la testa di Annabel, Mastro
Leron si avvicina ancora di un passo, fino a quando le punte dei suoi
piedi, calzati in delle babbucce rosse, sfiorano quelle dei due
giovani. Con un cenno del capo, l’uomo invita qualcuno ad
avvicinarsi: un attimo più tardi, Shiera lo raggiunge con
uno
scalpiccio. Ha un’espressione solenne disegnata sul volto
scarno e
tra le mani regge un vassoio sul quale sono posate alcune ciotoline
di bronzo.
Mastro
Leron le sorride e poi unisce le mani dei due giovani, palmo contro
palmo. La nuova posizione costringe la giovane a voltarsi leggermente
verso il suo futuro sposo, ma lei si rifiuta di guardarlo in faccia.
“Dita intrecciate, per favore” dice loro il capo
villaggio.
Janus
obbedisce e le sue dita scivolano tra quelle della ragazza. Ha le
mani grandi, decisamente più massicce di quelle di lei, con
dita
spesse, con i polpastrelli più ruvidi anche di quelli di
Annabel,
che ha passato anni a stringere viti senza l’ausilio di
guanti
protettivi. La pelle del suo palmo è calda e asciutta, ma la
sua
presa è debole, quasi non avesse la forza o il coraggio di
afferrarla più saldamente.
La
ragazza potrebbe ritrarre la mano, se lo volesse, e per un istante
è
anche tentata di farlo. È un impulso istintivo e reprimerlo
le costa
fatica. Però lo fa perché, per ora, dimostrare di
essere
collaborativa è essenziale. Le sue dita rimangono
però inerti,
appena curvate in una piega naturale. Non intende toccare
quell’uomo,
se può evitarlo.
La
verità, tuttavia, è che, almeno per il momento,
non può evitarlo:
senza una parola, Mastro Leron le serra delicatamente le dita attorno
alla mano di Janus e poi le sorrise. Annabel irrigidisce la mascella
e non dice niente. Sa di avere le dita fredde e sudaticce e la cosa
la rallegra: il suo tocco dev’essere piuttosto sgradevole.
“Benissimo”
annuisce il capo villaggio, apparentemente soddisfatto di come stanno
andando le cose. “Ora dovete impegnarvi a essere buoni sposi
e
membri produttivi di questa società.”
“Janus”,
continua, rivolgendosi all’uomo che siede accanto ad Annabel,
“prometti di fare quanto in tuo potere per essere un buon
marito?”
Con
la coda dell’occhio, la ragazza lo vede annuire.
“Lo prometto”
mormora. Ha una voce bassa e un po’ roca e la giovane deve
tendere
le orecchie per sentirlo.
“E
prometti”, prosegue Mastro Leron, “di impegnarti
per rendere più
prospero e sicuro il nostro villaggio? Porterai il pesce alle
famiglie in difficoltà, aiuterai a riparare le case che
hanno
bisogno di essere riparate, lavorerai nei campi, se ti verrà
richiesto?”
Prima
di rispondere, questa volta l’uomo esita un attimo.
“Lo prometto”
ripete poi.
“E
Annabel”, fa il capo villaggio, rivolgendosi ora alla
giovane,
“prometti di fare quanto in tuo potere per essere una buona
moglie?”
La
ragazza stringe la mano sinistra in un pugno. “Lo
prometto”
proclama con voce squillante. Nella sicurezza della sua mano serrata,
la punta di mignolo e anulare si incrociano: un piccolo gesto
scaramantico che le dà sicurezza. Prometto
di fare quanto in mio potere per essere una pessima
moglie,
si ripromette mentalmente.
“E
prometti di impegnarti per rendere più prospero e sicuro il
nostro
villaggio? Cucinerai per chi non può permetterselo, filerai
e
tesserai per chi ha bisogno di abiti, lavorerai nei campi, se ti
verrà richiesto?”
Annabel
storce le labbra e incontra lo sguardo del vecchio. “Non so
tessere
né lavorare nei campi; e la mia cucina è
pessima” ammette,
decidendo che la sua onestà sarà apprezzata.
“Ma farò del mio
meglio per imparare.”
“E
noi ce lo faremo andare bene” la rassicura Mastro Leron.
“Le
vostre promesse sono vincolanti” prosegue, afferrando tra due
dita
una delle ciotole che Shiera porta sul vassoio. “Come vi ho
anticipato, oggi non pronuncerò alcuna benedizione, ma sulle
vostre
mani traccerò comunque i segni che ricorderanno a voi stessi
e agli
altri le vostre promesse.”
Così
dicendo, l’uomo intinge l’indice destro nella
ciotola e quando lo
ritrae Annabel vede che il suo polpastrello è ricoperto da
uno
strato di pittura marrone. “Il marrone è per la
terra che ci nutre
e sostiene” dice, e la ragazza ha l’impressione che
la
spiegazione sia tutta a suo beneficio: Janus probabilmente conosce
già il simbolismo di quel colore e di quel gesto. Il vecchio
traccia
una sorta di arco che parte dal polso della giovane - sotto
l’attaccatura del pollice - e termina su quello di Janus,
disegnando due mezzelune sui dorsi delle loro mani.
Mastro
Leron intinge poi il medio in un’altra ciotolina, emergendone
con
il dito coperto di pigmento blu. “Il blu è per
l’acqua che ci dà
il pesce, che ci disseta e che irriga i nostri campi” spiega
l’uomo, tracciando un tratto ondulato sui polsi uniti dei due
giovani, a mo’ di bracciale.
“Il
verde”, prosegue il capo villaggio, intingendo
l’anulare in una
ciotola che contiene quel colore, “è per le piante
che crescono
sulla nostra terra, che sfamano noi e i nostri animali, che ci danno
frescura e legna con cui costruire le nostre barche e le nostre
case.” Partendo dal punto in cui le loro mani sono congiunte,
sotto
l’attaccatura dei mignoli, Mastro Leron traccia una spirale
che
copre le loro dita e arriva a sfiorare i loro polsi, sovrapponendosi
ai simboli che ha tracciato poco prima e sfumandone un poco i colori
ancora freschi.
Il
mignolo dell’uomo si tuffa nella quarta ciotola, quella che
contiene un pigmento rosso. “Il rosso è per il
fuoco che ci scalda
d’inverno e che ci permette di cucinare i nostri
pasti” illustra,
lasciando tracce di quel colore sulle loro nocche e
sull’intera
estensione dei loro mignoli.
Una
volta completata la sua opera, l’uomo fa cenno a Shiera di
allontanarsi. Annabel nota che sul vassoio c’è una
quinta ciotola
che non è stata toccata. Notando forse la direzione del suo
sguardo,
Mastro Leron scrolla appena il capo. “Oggi non
dipingerò d’oro
le vostre mani” spiega. “Se ve lo meriterete, tra
un anno
compiremo di nuovo questa cerimonia e allora potrete portare sulla
vostra pelle anche il segno del sole.”
Ne
faccio volentieri a meno,
pensa la ragazza, osservando il miscuglio di colori e di simboli che
il capo villaggio ha disegnato sulla sua mano. La sensazione della
vernice - o quello che è - che si asciuga sulla sua pelle
è aliena,
sgradevole e appiccicosa: esattamente come il matrimonio a cui
l’hanno costretta.
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