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- Non è curioso? – Il signor Yamazu si sporse un po’ di più dalla scrivania continuando a fissare Vegeta, come a sollecitargli una risposta. Era un uomo corpulento, con pochi capelli sulla testa e un paio d’occhi porcini indagatori tipici di un malavitoso incallito. L’odore di whisky che emanava, unito al fatto che erano solo le dieci del mattino, gli dava semplicemente il voltastomaco, altro che curiosità. - Di cosa? – rispose Vegeta, come se non sapesse perché si trovava lì. Yamazu si sporse ancora un po’: - Non è curioso di sapere cosa fa sua moglie, quando lei non c’è? – domandò nuovamente, stavolta a voce più bassa. - Mia moglie non ha segreti, per me. – - Questo è ciò che crede lei, signor Vegeta. Ogni donna, anche la più pulita, ha dei segreti inconfessabili. – - Sta forse insinuando che…? – Colto di sorpresa, Yamazu alzò le mani e spalancò gli occhi: - Non mi permetterei mai...! Lascio giudicare a lei. In questa valigetta ci sono i DVD dei pedinamenti effettuati da mio nipote in cinque settimane. Duemila euro ed è sua. –
Vegeta fissò Yamazu, poi suo nipote che stava in piedi accanto alla scrivania, con le mani dietro la schiena, poi il suo sguardo tornò nuovamente all'investigatore privato.
C'era soltanto una risposta che poteva dare, e la diede.
Quel pomeriggio, la banca era semivuota. Poche persone erano
accodate agli sportelli, i divanetti accanto all’ingresso erano vuoti. Nessuno
che aspettasse di essere ricevuto dal direttore o dai broker, che
peraltro erano già andati a casa da un’ora lasciando gli uffici (o meglio, i
cubicoli) vuoti.
Vegeta guardò l’orologio. Ancora dieci
minuti, e poi sarebbe potuto andare a casa a vedere la partita, della quale stava seguendo le prime cronache tramite la
radiolina-libro che teneva nel taschino della giacca.
- Vegeta, ho i mandati da firmare
– disse Laura, sopraggiungendogli accanto con il blocco per le firme.
Lui le prese il blocco dalle mani senza
dire nulla, continuando a seguire la telecronaca, quindi iniziò a firmare i
vari mandati.
A un tratto, squillò il telefono. Laura
prese la cornetta e rispose.
- Banca Nazionale, buonasera – una
pausa – Sì certo, glielo passo - disse Laura, porgendogli la cornetta. –
E’ per te, tua moglie. –
- Pronto? –
- Vegeta! Vegeta, amore mio, sono
felicissima! –
- Ehi, che succede? – domandò in
una risata – Hai trovato per caso un vestito nuovo? –
- No, no! No, amore mio. Ho capito una
cosa. Ho capito che ti amo, che è una giornata bellissima, e che voglio… voglio fare l’amore con te! –
- E mi chiami in ufficio per farmi
certe proposte?! Guarda che non sono solo… -
- Ma che t’importa! Sei un uomo sano,
pieno di vita. Dai, ti prego, andiamo nella nostra casa in campagna! –
- La casa di campagna? Bisogna
ripristinare il riscaldamento, come minimo ci saranno i pinguini, a quest’ora. –
- Dai, amore,
non dirmi di no. –
- Anche volendo, non posso. –
- Perché? – domandò Bulma.
- Perché stasera c’è la partita. –
- La partita…? –
- E certo, la partita! Ogni volta tu t’inventi
una scusa per non farmela vedere…! –
- Ma che m’invento… tu non capisci,
Vegeta… -
- Senti Bulma,
io stasera ho la partita, tu fai un po’ quello che vuoi, va bene? Ci vediamo a
casa stasera, ok? Ciao… ciao, ciao. – e riagganciò.
Poi guardò l’orologio.
- Io vado – disse, prendendo la
borsa da sotto la scrivania e tastandosi il petto per vedere se ci fosse ancora
la pistola.
- Senti,
Vegeta? – lo chiamò Laura. Lui si girò e la
guardò.
Con il blocco dei mandati in braccio, lo guardò negli occhi e gli disse: - Se non vuoi più fare l’amore
con tua moglie, perché non ricominci con me? –
A quella proposta, Vegeta roteò gli
occhi nelle orbite e, semplicemente, si girò, avviandosi verso l’uscita.
Il televisore acceso era sintonizzato su Raiuno, dove sfilavano
inquadrature dello stadio Delle Alpi, il campo e gli spalti gremiti di gente.
- Trunks,
dov’è la mia giacca? – chiamò Vegeta, mentre guardava nell’armadio di
camera sua. – Qui, niente – disse, tra sé.
Si diresse in salotto, ma la sedia dove
di solito la teneva, era vuota. Roteò gli occhi e sbuffò: - Trunks!
–
Senza dire nulla, il figlio diciottenne
apparve sulla soglia, reggendo degli altri vestiti che aveva appena finito di
stirare, e che poggiò su una sedia lì accanto.
- Allora? Quante volte devo chiamarti?
Hai visto il mio cardigan…? – poi troncò la domanda, vedendo che il
figlio lo aveva indosso.
Sbuffando,
gli andò vicino e iniziò a sbottonarglielo.
- Quante volte devo dirti di non metterti
le mie cose, eh? – lo fissò con sguardo truce,
ma suo figlio non ricambiò, lasciando che il padre gli togliesse il cardigan
per farlo rimanere con la maglietta bianca.
Gli
portò una mano sulla guancia e gliela carezzò – Abbi pazienza, dai. La
mamma dov’è? –
- Non lo so – rispose, atono.
- Come non lo sai? –
- Non lo so. –
- Vabbè. Senti,
la cassa acustica, dov’è?
- Lo sa la mamma. –
- Eccola, dov’è – disse, trovando
la cassa acustica dietro il televisore, come se fosse stata nascosta – Io
vi dico di non toccare le mie cose, e voi le toccate. Ma che lo fate apposta?
–
Suo figlio non rispose, ma lo udì ciabattare verso la sua stanza, fino a chiudere la
porta. Tornò poco dopo, vestito con un maglione e una camicia, e dei jeans
nuovi.
- E tu dov’è che stai andando? –
- Lo sa la mamma. –
- “Lo sa la mamma”. Sa tutto la mamma,
bella conversazione tra padre e figlio. Complimenti…! –
Trunks
non replicò, ma Vegeta udì la porta aprirsi e poi chiudersi dolcemente. Scosse
la testa, pensando al comportamento del figlio da un po’ di tempo a quella
parte. Chissà se sua moglie sapeva davvero qualcosa? Si ripromise di
chiederglielo non appena fosse tornata, tra un paio d’ore.
Vegeta s’accomodò sulla sua poltrona
reclinabile, col telecomando in mano e un piattino pieno di cracker e formaggio
spalmabile poggiato su un tavolino accanto a lui.
- Dai, che stavolta forse ce la facciamo
a passare in Serie A… -
- Signor Vegeta, io ho finito. – era la voce di Gilda, la loro donna delle pulizie.
- Aaah,
eccone un’altra – commentò sottovoce, roteando gli occhi.
- Le serve altro? –
- No, non mi serve niente, sto
benissimo così! –
- Allora ci vediamo
domani, buona serata. Arrivederla. –
- Vai vai! A
domani! Ciao. –
Ma i buoni propositi di chiedere qualcosa
a sua moglie si spensero non appena il televisore iniziò a trasmettere l’inno
nazionale ed i giocatori che venivano passati in
rassegna dall’occhio della telecamera.
Signore e signori buonasera e benvenuti. Stasera gli spalti sono
gremiti per assistere a quella che sarà la partita più importante, valevole per
la classificazione in Serie A. Fischio d’inizio. Parte il gioco. Testa di Sweda che passa a Franceschelli, che prova a tirare in
porta, ma … no! Traversa!
- Che imbecille. Se cominciamo così…
– imprecò Vegeta tra i denti, nel buio del salotto, mentre spalmava del
formaggio su di un cracker.
Due ore dopo, la partita era finita. In
cucina, mentre lavava il piatto di spaghetti che si era servito, Vegeta udì il
segnale orario del televisore, che annunciava le ore venti. Dopodiché il bumper
della Rai che segnalava la pubblicità prima del telegiornale.
Poi il campanello suonò.
Si asciugò le mani con il canovaccio
appeso alla credenza e andò ad aprire.
- Ciao – disse Bulma, entrando. Tra le braccia reggeva un’antiquata
macchina da cucire.
- Ciao – rispose Vegeta –
Cosa c’è? Perché quella faccia? Hai voglia di litigare, Bulma?
–
Lei non rispose, quindi lui l’incalzò:
- E quella da dove viene? –
- L’ho presa
dalla casa di campagna. Devi sapere che con questa macchina da cucire ci hanno cucito la mia mamma, mia nonna, e la mia bisnonna –
poi, alzando la voce, aggiunse – e ci voglio cucire anch’io! –
- Tesoro, ma è colpa mia se la tua
bisnonna usava la macchina da cucire? Che bisogno c’è di urlare? - Poi gli tornò in mente di chiederle di Trunks
– Senti, sai dov’è andato Trunks? –
- Perché, dov’è andato? –
- Se l’avessi saputo non te l’avrei
chiesto, no? Ha detto che tu lo sapevi. –
Bulma
si appoggiò contro lo stipite della porta e si toccò la tempia, cercando di
ricordare. Poi spalancò gli occhi: - Ah, sì. Penso che sia con quella sua
amica, Pan, mi pare. –
- E bravo il nostro giovanotto, che
comincia a farsi delle amiche. Altrimenti, sempre solo in camera sua e… Ma dove
vai? –
Vegeta seguì la moglie nel disimpegno
che conduceva alla stanza da letto e poi all’ampio terrazzo, dove Bulma era affacciata alle strutture in legno per i rampicanti.
Si avvicinò lentamente, quindi le toccò
i fianchi e lei trasalì.
- Oddio! Mi hai spaventata,
scemo! –
- Cosa stai guardando? C’è un freddo
cane qui fuori, ti beccherai un malanno. Vieni dentro. –
Vedendo che Bulma
rimaneva al suo posto, incuriosito, si affacciò anche lui.
Undici piani più in basso, in strada,
c’era un ragazzo biondo con un impermeabile e le mani
in tasca, che ogni tanto guardava su nella loro direzione. Quando si accorse
che anche loro lo stavano osservando, con nonchalance guardò l’orologio e si
allontanò verso la via, sparendo alla vista.
- Chi è quello? – domandò Vegeta.
- Non lo so. È uno che mi segue, credo.
– ciò detto, Bulma si allontanò ed entrò nella portafinestra
che conduceva al salotto.
Vegeta rimase basito da tale risposta.
Cercando di non tradire la minima emozione, seguì la moglie in salotto e si
accomodò sul divano, prendendo una sigaretta dal pacchetto che aveva lasciato
lì sul tavolino. Di fronte a lui, Bulma era seduta
sulla poltrona con la testa poggiata sulla mano.
- Bulma
– cominciò lui – Tu sai che io non sono geloso. Però… sei rientrata
e sei andata alla finestra, dove c’è un giovanotto biondo che guarda su,
proprio il nostro terrazzo – una pausa – avrò il diritto di sapere
qualcosa? –
- Te l’ho detto, è uno che mi segue.
Quando esco, la mattina, me lo trovo lì. E quando rientro a casa, eccolo di
nuovo. Non so chi sia, non … -
- Ma questo giovanotto ti ha fatto delle
proposte? –
- No. –
- E allora…! Sarà sicuramente un caso,
dai. Quello è un bel ragazzo, starà facendo la posta a una qualche ragazza
della sua età, mica… -
- Ah, perché tu non credi che anch’io potrei
essere desiderata da un bel ragazzo giovane? Perché sono troppo vecchia? –
- Scusa, chi te lo ha mai negato? –
- Tu! Tu me lo hai negato! –
esclamò Bulma puntando il dito contro il marito –
Io ti dico che voglio fare l’amore con te, e tu mi dici che vuoi vedere la
partita! Ecco chi me lo ha negato! –
- Ecco, io lo sapevo che tornavi con la
voglia di litigare. E allora dai, sfogati! –
- Tu… tu non mi capisci più, è questa
la verità. Tu non mi desideri. E allora, se c’è qualcuno che mi desidera al
posto tuo, io sono contenta! – si alzò, e andò verso la camera da letto.
Vegeta allora spense la sigaretta nel
posacenere lì vicino e seguì la moglie, che ancora sproloquiava del fatto che
lui l’aveva lasciata sola per vedere la partita. Continuò per una buona mezz’ora,
finché, una volta stanca, non si mise a letto. Lui fece lo stesso.
Il mattino seguente, Vegeta entrò nella
sua Peugeot 406 e chiuse lo sportello. Avviò il motore e fece per uscire dal
cortile interno del palazzo, per avviarsi al lavoro.
Si fermò per dare la precedenza a
un’altra auto che si era immessa in strada, quando diede una fugace occhiata
allo specchietto retrovisore.
Lui era lì.
Il ragazzo biondo della sera prima si
aggirava nel cortile interno guardando le macchine parcheggiate. Nello
specifico, la Fiat Punto della signora C18, la sua padrona di casa.
Deciso a saperne qualcosa in più,
Vegeta mise il cambio in folle e inserì il freno a mano, scendendo velocemente
dal veicolo.
- Scusi, lei
chi è? – domandò a bruciapelo al ragazzo, che lentamente si voltò verso
di lui. Poteva avere circa qualche anno in più di suo figlio, forse ventitré,
venticinque anni. Aveva gli occhi azzurri e portava un impermeabile alla Humphrey Bogart, dettaglio che stonava decisamente con
la sua giovinezza.
- Come, chi sono io? Chi è lei –
ribatté il ragazzo, per nulla scomposto.
- Qui le domande le faccio io. Guardi
che io l’ho vista, sa, ieri sera, che guardava verso il mio terrazzo. E mia
moglie mi ha detto che lei la sta seguendo. –
- Appunto, sto eseguendo i suoi ordini.
–
- “I suoi ordini”? Io non le ho dato nessun ordine. –
Il ragazzo spalancò gli occhi,
sorpreso: - Ma come, non è stato lei a ordinare il
servizio alla nostra agenzia? –
Confuso, Vegeta scosse la testa, quando
il ragazzo si presentò con il suo biglietto da visita.
- Agenzia investigativa Occhio
Discreto. E perché state pedinando mia moglie? –
- Senta, io
eseguo solo gli ordini. Se vuole avere qualche informazione, telefoni al numero
scritto lì, mio zio le spiegherà tutto. –
- No. Tu adesso vieni con me e mi ci
accompagni, da questo tuo zio. –
- Come vuole. Ho
la macchina parcheggiata qui fuori, mi segua. –
- Col cazzo. Tu vieni con me nella mia
macchina, e vedi di non fare scherzi. Da tuo zio ci andiamo insieme. –
*****
L’agenzia investigativa si trovava poco
lontano dal centro città, in una galleria signorile piena di negozi di
abbigliamento e qualche gioielleria.
Vegeta scese dall’auto insieme al
ragazzo (che gli aveva solo detto di chiamarsi Naruto, passando il resto del
tempo a dargli indicazioni su come raggiungere l’agenzia), quindi lo seguì nella galleria.
Entrarono in un portone nero che si
apriva su un piccolissimo atrio, dove una scala a chiocciola saliva verso
l’alto. Una volta arrivati, c’era un altro portone con un’insegna in plastica con su scritto Occhio discreto – Investigazioni.
Naruto tirò fuori le chiavi dal suo
impermeabile e aprì la porta, invitando Vegeta a entrare.
L’ingresso si apriva su un disimpegno
con due porte, una di fronte all’altra, e un’altra porta in fondo che doveva
essere il bagno. Nell’aria aleggiava un odore di fumo talmente denso che Vegeta
si chiese da quanto tempo non avessero aperto la finestra dopo l’ultima
sigaretta, unito a un sottofondo di liquore che gli fece pensare che il
cartello Agenzia investigativa fosse solo una copertura, quando in
realtà doveva esserci una bisca clandestina.
- Che puzza, c’è qui dentro –
mormorò, ma Naruto non gli rispose, precedendolo e bussando alla porta a
destra.
- Avanti – disse una voce da
dietro la porta. Naruto l’aprì e fece capolino.
- Zio, ho qui un signore che ha bisogno
di informazioni sul caso che stiamo seguendo.
- Entrate – disse, soltanto.
Il cattivo odore proveniva
dall’ufficio, dove alla scrivania era seduto un uomo grasso con le gote rubizze
che stava riempiendo un bicchiere con del whisky che usciva da una fiaschetta.
La scrivania era in disordine, piena di documenti e scartoffie dalle quali
emergeva, come un naufrago in mezzo al mare, una macchina per scrivere
elettrica.
L’uomo si alzò e girò attorno alla
scrivania, porgendo la mano. Vegeta non voleva porgere la mano a quell’essere,
ma inconsapevolmente, frutto di anni di strette di mano ai clienti della banca,
la sua mano si mosse appena e il grassone gliela prese in mano,
stringendogliela come se fosse stato un amico di vecchia data.
- Benvenuto nel mio ufficio! Si accomodi
pure. Mi dica, allora, stiamo procedendo bene? –
- Zio, questo signore è venuto per
chiedere spiegazioni sul caso che stiamo seguendo. –
- L’avevo capito, scemo che non sei
altro! – sbraitò sul nipote, poi tornò a rivolgersi a Vegeta, che nel
frattempo si era seduto su una delle due poltroncine davanti la scrivania
– Cosa voleva sapere? –
- Volevo sapere perché suo nipote sta
seguendo mia moglie. E soprattutto, lei chi è? –
- Come? Non è stato
lei a dare l’incarico? –
- Ma quale incarico! Volete spiegarmi
di cosa si tratta? –
- Senta signor Crilin, se lei è in
imbarazzo per qualcosa, possiamo sistemare tutto. Il suo faccendiere ha parlato
con me, io sono il signor Yamazu, per concordare un servizio di pedinamento di
due settimane per sua moglie. –
Vegeta mise le mani avanti e
intervenne: - Cosa-cosa-cosa? Aspetti un attimo, credo
ci sia stato un terribile equivoco. Io non sono il signor Crilin. –
- Come… come sarebbe a dire? –
- Io mi chiamo Vegeta. Vivo nello
stesso stabile del signor Crilin, che tra l’altro è il mio padrone di casa. Ma
volete spiegarmi perché avete pedinato mia moglie? –
Yamazu si rivolse al nipote –
Naruto. Tu sei sicuro di aver pedinato la signora C-18? –
- No, mia moglie non si chiama C-18, si
chiama Bulma. –
A quel punto, Yamazu si alzò – Ma
si può sapere chi cazzo hai pedinato, tu?! –
strillò, lanciando il cappello al nipote che lo ricevette proprio in faccia.
- Zio, io ho seguito i tuoi ordini. Mi
hai detto di pedinare la macchina della signora C-18, una
Fiat Punto di colore bianco targata BR095RX. –
Allora Vegeta capì immediatamente
– La macchina della signora C-18! Ecco dov’è l’equivoco. Mia moglie aveva
preso in prestito la macchina della signora C-18 perché con la sua ha fatto un
incidente. –
- Ma dice sul serio? – domandò
Yamazu.
- E certo, che le dico,
le bugie? –
Yamazu si grattò la testa, dove
albergavano pochi capelli radi, quindi guardò Vegeta.
- Senta, le andrebbe di vedere una
cosa? –
- Certo. Però prima dovrei
fare una telefonata. -
*****
Nel suo ufficio, Laura era da sola,
alle prese con la fotocopiatrice in cui si era inceppato un foglio di carta,
quando il telefono squillò.
- Banca nazionale – rispose
– Oh, ciao Vegeta. Come? Ah, capisco. Va bene, riferirò. A più tardi.
Ciao. –
*****
Dopo aver avvertito Laura che avrebbe
fatto tardi per via di un contrattempo con l’auto, fu scortato
in uno stanzino dove c’erano un tavolo, un computer portatile e un proiettore
che guardava verso un muro totalmente bianco, con due sedie davanti. Una sottospecie
di cinema.
- Questa è la nostra
saletta audiovisivi. Qui mio nipote monta tutte le sequenze dei
pedinamenti e le riversa su DVD. Si accomodi, le mostro quello che abbiamo
fatto. –
Senza che Yamazu dicesse nulla, suo nipote spense le luci e si accomodò alla cabina
di regia improvvisata. Dopo poco, il muro davanti a loro diventò blu, poi il
proiettore cominciò a mandare le prime immagini.
Sul muro apparve l’immagine nitida
della macchina della signora C-18, con la targa in bella mostra.
- Ecco qui, vede. Qui abbiamo le prime
immagini. Tra poco uscirà la persona che abbiamo ripreso. –
Nel video, la macchina si fermò in un
parcheggio. Poi uscì una gamba con una calza e un reggicalze.
- Io l’ho già
riguardato un milione di volte, questo filmato… questa donna è una vera bomba.
Beato chi se la porta a letto. –
- Eh già, beato lui – incalzò
Vegeta.
Intanto, nel video la donna uscì
dall’auto, e Vegeta sbiancò.
- Oddio, ma quella è mia moglie!
–
- Come, è sua moglie? –
- E certo che è mia moglie! Yamazu! Lei
si è anche permesso di fare degli apprezzamenti!
–
- Oh dio mio, no! Non faccia così
dottor Vegeta, la prego! Possiamo metterci d’accordo. –
- Io le ordino di cancellare
immediatamente tutti quei filmati che ritraggono mia moglie! Ha capito bene?
Guardi che non scherzo. Se lei non li cancella, io la denuncio! –
- Va bene, va
bene! come vuole! – poi tirò una sberla al nipote, che abbassò gli occhi,
imbarazzato.
A quel punto, Vegeta se ne andò senza nemmeno salutare e sbattendo la porta, dal
momento che era anche in ritardo.
Mentre guidava l’auto sulla strada del
ritorno verso casa dopo la giornata lavorativa in banca, Vegeta ripensò a tutto
quanto era successo all’Agenzia investigativa.
Io le ordino di
cancellare immediatamente tutti quei filmati che ritraggono mia moglie! Ha
capito bene? Guardi che non scherzo. Se lei non li cancella, io la denuncio!
Fece un mezzo sorriso pensando a come Yamazu aveva abbassato le orecchie di fronte alla sua
collera. Anche se era stata solo una reazione, come dire, condizionata, era stato
credibile. Tuttavia la sua collera veniva più dal fatto che quel grassone laido
aveva fatto degli apprezzamenti, che per il fatto in sé, di sua moglie che era
stata immortalata in quei filmati.
In
fondo, cosa me ne frega, pensò, non è mica un film porno. Se lui si eccita guardando l’inizio di quel fimato dov’è presente mia moglie,
che sarà mai? L’importante è che non se la porti a letto.
Ma ciò che lo fece sorridere ancora di
più fu il pensiero del suo padrone di casa Crilin,
che aveva messo un investigatore demente alle calcagna di sua moglie per
controllarla. E magari, pensò, mentre
si fermava a un semaforo rosso, Yamazu gli avrà anche
riferito che la sua mogliettina è un angelo, che non tradisce nessuno… ma solo
perché ha seguito la donna sbagliata!
Esplose in una risata fragorosa, di
pancia.
Nell’auto accanto, un signore anziano
si girò a guardarlo, ma lui non se ne accorse, troppo impegnato a sbellicarsi
dalle risate.
- Oh cazzo – mormorò tra sé, tra
un colpo di tosse e l’altro – Erano anni che non mi facevo delle risate
del genere. È proprio vero che questo mondo non cessa mai di regalarci sorprese
– concluse, dominando la sua risarola mentre
con la mano destra ingranava la prima e riprendeva il tragitto verso casa.
*****
Una volta a casa, nel parcheggio vide la
macchina di Bulma, una Peugeot 206 verde bottiglia.
- Ah, finalmente – disse, mentre
faceva manovra per parcheggiare nel suo posto.
Quando scese,
un ragazzo ricciolino lo salutò. Era il figlio del carrozziere, lo riconobbe
anche vestito con pullover e jeans, cioè senza la classica tuta blu sporca di
grasso.
- Buonasera dottor Vegeta, le ho riportato la macchina di sua moglie. –
- Perfetto – rispose –
Quant’è? –
- Ecco il conto, sono millequattrocentoventi e diciotto centesimi. –
- E che cavolo hai usato, ricambi di
platino? –
- No dottore, è che la macchina era
ridotta male. Ho dovuto rifare tutto il frontale, poi la fiancata destra che
era pesantemente danneggiata, poi i cristalli, i paraurti, … -
- Se, se… comunque è un furto. –
- Cosa fa, mi discute sul prezzo?
–
- No no, io
non discuto proprio niente – disse Vegeta, infilandogli il conto nel
taschino del pullover – Anzi, visto che il danno l’ha fatto mia moglie,
se lo paga lei. Arrivederci. –
- Come vuole,
dottore. Arrivederla. – rispose il giovane, allontanandosi verso l’uscita
dal palazzo.
*****
- Amore, sono tornato – esordì,
una volta arrivato alla porta.
- Ciao bello – rispose Bulma dal salotto. Poi sentì due clic di mouse. La sua
signora stava lavorando.
Infatti, quando entrò in salotto, la
vide intenta a battere sul computer portatile, con il dizionario d’inglese chiuso
sul tavolo. Le andò vicino e le posò un bacio sulla guancia. Lei rispose
baciandogli le labbra, sorridendo.
- Stavo finendo la traduzione di questa
tesi di laurea. –
- Vedo. Ah, il carrozziere ti ha
riportato la macchina – disse lui, allontanandosi verso la cucina e
andando verso il frigorifero.
- Bene, finalmente. Era un mese, che ce l’aveva. –
- Eh, ci credo. Sono quasi
millecinquecento euro, che adesso te li paghi tu – mormorò lui,
sottovoce.
- Come hai detto? –
Lui tornò in salotto con una lattina di
birra – Stavo dicendo, lo sai cosa mi è capitato stamattina? –
- No, che cosa? –
Ridacchiando, cominciò a spiegare
– Hai presente quel giovanotto che ieri sera guardava su verso il nostro
terrazzo? –
- E quindi? –
- Devo darti una delusione: non era lì
per te, ma per un’altra donna -, disse, ridacchiando.
- Un’altra donna? – Bulma girò intorno alla scrivania e seguì il marito, che si
era spostato sul terrazzo.
- Chi sarebbe quest’altra donna?
–
Per tutta risposta, Vegeta alzò il dito
della mano destra, indicando in su. Lo stesso fece Bulma, spalancando la bocca in una “O” di sorpresa.
- Attico. –
- La signora C18?!
–
- Hm-hm.
–
- Ma chi è, un suo amante? –
- No, quel ragazzo biondo è un
investigatore, che la segue. –
- Ahhh
– fece lei, battendosi un colpetto sulla fronte – Ma perché?
–
- Eh, perché… perché evidentemente il Cavalier Crilin non si fida di
sua moglie, è geloso. Vuole avere la sicurezza che mentre lui è in giro per il
mondo, sua moglie non si diverta in giro. –
- E chi l’avrebbe mai detto… il Cavalier Crilin, una persona
così colta, così raffinata… - disse Bulma,
rientrando. Il marito la seguì.
- Però non sai la parte divertente
– riprese Vegeta, iniziando a ridere.
- Quale sarebbe? Perché ridi? –
- Ahahah…
devi sapere che quel cretinetti dell’investigatore – altra risata, questa
volta più fragorosa.
Contagiata dalle risate, anche Bulma si mise a ridere – Che ha fatto? –
- Eheheh…!
Per cinque settimane, anziché pedinare la signora C18 – lasciò a metà la
frase, andandosi a sedere sul divano, ridendo ancora.
- Cos’ha fatto?!
–
- Anziché pedinare la signora C18… ha pedinato te! Ahahah! –
Improvvisamente, la risata di Bulma si spense come una candela al vento. – Ha
pedinato… me? –
- Sì! – altra risata – E
non solo…! – Vegeta chiuse la mano in un pugno e cominciò a girarla in
una specie di ruota, come se stesse tenendo una manovella tra l’indice e il
pollice: - zzzzzz… ti hanno pure cinematografata…!
Ahahah! È troppo divertente. –
Il viso di Bulma
aveva perso colore. Le mani le erano diventate fredde, come tutto il resto del
corpo. E suo marito ancora rideva.
- Ma che cos’hai da ridere?! –
- E perché, tu non ridi? Non è
divertente? Ahahah! –
- No! Non è divertente per niente!
Hanno violato la mia vita, la mia intimità! –
- Bulma, ma
che ti prende? Sei bianca come un lenzuolo… -
- Com’è potuto succedere, dico io? Fare
un errore così… così… grosso! –
- Eh, sono cose che possono capitare.
–
- Ma non devono capitare! Ed è capitato
a me! –
- Bulma, ma
hai per caso fatto qualcosa di cui ti devi vergognare? –
- Io? No. No, nel modo più assoluto
– rispose, ma da dietro le lenti degli occhiali, i suoi occhi erano come
quelli di uno scricciolo spaventato.
- Ma com’è potuto accadere…? –
- Praticamente l’investigatore ha
seguito la targa della macchina della signora C18, che tu stavi usando perché
lei ti aveva prestato mentre la Peugeot era fuori uso. –
- Ah, è per questo?!
Allora noi adesso andiamo su, e le riportiamo immediatamente le chiavi di
quella maledettissima macchina, così non ci pensiamo più! –
- Va bene. Le
telefoni tu? –
- No, no. Telefonale tu. Io vado di là
a cambiarmi. –
*****
Il
Cavalier Crilin e sua moglie C18 vivevano all’attico,
in un grande appartamento signorile. I pavimenti erano di un lucidissimo marmo,
dove vi erano poggiate colonne con sopra i più svariati oggetti: vasi,
statuette, sculture pregiate. Sulle pareti dominavano i
colori arancione e verde, quando non erano coperte da quadri antichi
raffiguranti paesaggi o scene di vita all’aria aperta.
Come a sottolineare che non se la
passavano male, anche gli abiti della signora C18 erano molto alla moda: in
casa indossava una camicetta bianca a maniche lunghe e dei pantaloni dello
stesso colore, che davano risalto ai suoi orecchini d’oro e alla collana di
perle che portava al collo.
- Signor Vegeta, Signora Bulma, è un piacere per me vedervi. –
- Signora C18, i miei ossequi –
la salutò Vegeta con un leggero baciamano.
- Prego, accomodatevi. –
Bulma
esordì: - Signora, ci permetta di dire che siamo davvero onorati della sua
amicizia e dei favori che ci concede. –
- Il piacere è mio. –
- Volevamo restituirle le chiavi della
sua auto, che gentilmente ci ha prestato. La ringraziamo di cuore – poi,
porgendo la chiave blu a Vegeta, disse: - Dai la chiave alla signora. –
Vegeta porse la chiave a C18, che la prese sorridendo.
- Oh, grazie a voi. Michele! –
chiamò, e il maggiordomo si avvicinò a Vegeta e Bulma.
- I signori prendono qualcosa? –
- Niente, grazie – disse Bulma.
- Per me un whisky, per favore. –
Bulma
lanciò un’occhiataccia al marito, mentre la contessa non guardava, impegnata a
mettersi in tasca la chiave del veicolo.
- Sa, mia
moglie non beve. È astemia. –
- Ah, capisco. –
- Ehm, Vegeta, queste cose non interessano
alla signora, che sicuramente deve parlarci di cose più importanti. Non è vero?
–
Il sorriso di C18 si smorzò
leggermente. – Effettivamente è così. Voi siete inquilini del mio
appartamento da quasi vent’anni. E per quell’appartamento pagate un canone
davvero ridicolo. –
- Eh beh, effettivamente trecento euro
al mese per quella casa è un po’ poco. –
- Ma cosa stai dicendo? – lo
riprese Bulma – Signora C18, quella cifra non è
ridicola, bensì è parametrata in base alle nostre possibilità. –
- Comunque sia, per lasciare
l’appartamento vi ho offerto trentamila euro. Ora la mia
offerta sale a cinquantamila euro. –
- Beh, mi sembra un’offerta
interessante – commentò Vegeta, poi si rivolse a sua moglie – Tesoro,
tu cosa ne pensi? –
- No, non lo è per niente. Signora, noi
con quei soldi non riusciremmo mai a comprare un altro appartamento. Come
faremmo, dopo? –
- Signora Bulma,
ho dato incarico al mio avvocato di svolgere delle
ricerche su di voi, e ha scoperto che siete proprietari di un immobile in
campagna. È vero o non è vero? –
Presa in contropiede, ma senza
lasciarsi intimidire, Bulma rispose: - Sì, è vero. La
nostra casa di campagna. È la casa dove io sono nata, ma non va bene per
abitarci. Tutt’al più può andare bene per un weekend… -
La signora C18 accavallò le gambe e si
sporse un po’ di più dalla poltrona – Vi pregherei cortesemente di riflettere
sulla mia offerta. Potreste non aver diritto più a niente, se la rifiutate. –
- Ci dispiace signora, ma non possiamo
accettare. –
C18 contrasse la bocca in una smorfia
di disappunto, poi sospirò – Credevo sareste
stati più ragionevoli, dopo tutti i favori che vi ho fatto… -
- Ci dispiace davvero, ma noi … - provò
Vegeta, quando il maggiordomo tornò, annunciando educatamente alla signora che
c’era suo marito al telefono.
- Vi prego di scusarmi – disse, e
sollevò la cornetta del telefono che era sul tavolino lì accanto.
- E’ sua eccellenza?
I nostri rispetti. –
C18 zittì Vegeta con un educato gesto
della mano, quindi iniziò a parlare.
- Pronto, Crilin?
Sì. Ciao, amore. Sì… qui ci sono i nostri inquilini, il signor Vegeta e sua
moglie. Certo… - una pausa, durante la quale C18 fece un’espressione sorpresa –
Sono stata a casa, ieri sera – altra pausa – Non sto
dicendo una bugia, è la verità! –
- Forse è meglio se ce ne andiamo –
mormorò Bulma all’orecchio di Vegeta.
- Hai ragione, meglio – rispose lui,
con lo stesso tono, e lentamente si alzarono. Con un cenno della mano
salutarono la padrona di casa.
Lei li salutò
di rimando, mentre continuava a parlare al telefono.
Mentre si allontanavano verso la porta,
C18 alzò la voce: - Non alzare la voce con me, Crilin. Ti dico e ti ripeto che ero qui, da sola, perché
tutti gli amici erano a guardare la partita. E io mi
annoio! –
Quella mattina, appena arrivato in
banca, Vegeta dovette chiedere al direttore un permesso per assentarsi, a causa
di un’inaspettata telefonata.
Che cavolo vorrà mai
dirmi, tanto da convocarmi con urgenza? Pensava mentre
guidava alla volta dell’Agenzia investigativa.
*****
La seconda volta che varcò la soglia di
quel postaccio, Yamazu e
suo nipote Naruto erano entrambi in piedi dietro la
scrivania del primo, ma ci rimasero per poco. Yamazu invitò Vegeta ad accomodarsi, e a sua volta si
sedette.
- Spero per lei che sia una cosa
importante, visto che mi ha fatto prendere un permesso dall’ufficio quando ho
molto lavoro da fare. –
- Cercherò di essere breve: Si ricorda
il filmato che abbiamo visto insieme l’altro ieri? –
- Mi ricordo. E allora? –
- E allora, quella nel filmato non era
la signora C18. Bensì, era sua moglie. –
- E con questo? –
- Ora, se i DVD contenessero le mosse
della signora C18, i DVD avrebbero un grande valore… Invece… -
- Invece ci sono i segreti di sua
moglie che non interessano a nessuno – intervenne Naruto.
Yamazugli tirò una gomitata nello stomaco: – Stai
zitto – poi tornò a rivolgersi a Vegeta.
- Non è curioso? –
Yamazu si sporse un po’ di
più dalla scrivania continuando a fissare Vegeta, come a sollecitargli una
risposta. L’odore di whisky che emanava, unito al fatto che erano solo le dieci
del mattino, gli dava semplicemente il voltastomaco, altro che curiosità.
- Di cosa? –
rispose Vegeta, come se non sapesse perché si trovava lì. Yamazu si sporse ancora un po’: - Non è curioso di
sapere cosa fa sua moglie, quando lei non c’è? – domandò nuovamente,
stavolta a voce più bassa.
- Mia moglie non ha segreti, per me. –
- Questo è ciò che crede lei, signor Vegeta. Ogni donna, anche la più innocente,
ha dei segreti inconfessabili. E sua moglie non fa eccezione.– - Sta forse insinuando che…? –
Colto di sorpresa, Yamazu alzò le mani e
spalancò gli occhi: - Non mi permetterei mai...!
Lascio giudicare a lei. In questa valigetta ci sono i DVD dei pedinamenti
effettuati da mio nipote in cinque settimane. Lei mi mette sul tavolo duemila
euro ed è sua. –
Vegeta fissò Yamazu, poi suo nipote che stava in
piedi accanto alla scrivania, con le mani dietro la schiena, poi il suo sguardo
tornò nuovamente all'investigatore privato. C'era soltanto una risposta che
poteva dare, e la diede.
- Io non vi do niente! Quella è roba mia, che mi appartiene! Non vi darò un centesimo! –
- Ma che cosa sta dicendo? Questi filmati sono nostri, lei deve
pagarceli se li vuole! –
- Ah, è così? – disse Vegeta alzandosi – Io vado dal mio
amico, l’avvocato Junior. Così vi farà passare lui la voglia di giocare agli
estorsori – urlò, prendendo la porta e andandosene.
*****
- Dottor Vegeta! Dottor Vegeta! – si sentì chiamare dalla
finestra dell’agenzia – Lasci perdere gli avvocati e torni qui! Ci
possiamo mettere d’accordo! Mi dia millecinquecento euro e i DVD sono suoi!
–
Vegeta si girò, arrabbiatissimo, e
rispose – Me li dovrà dare lei, millecinquecento euro, dopo che l’avrò
denunciata! Vi farò pagare anche i danni morali che
avete causato a mia moglie! Conoscerete chi è l’avvocato Junior! –
Entrando in macchina, mormorò tra sé – Ve la faccio chiudere,
questa merda di agenzia – poi avviò il motore e partì sgommando.
*****
- Quel Yamazu è un
bastardo – disse Junior dopo una lunga pausa a seguito del racconto di
Vegeta. Era disteso sul letto della clinica ortopedica dov’era stato ricoverato
dopo esser stato investito da un pirata della strada.
- Prima di riciclarsi come investigatore privato, lavorava come
giornalista sportivo, ma fu radiato dall’ordine per aver truccato i risultati
di un incontro di arti marziali. Che io ricordi, ha avuto diversi processi, è
stato anche condannato in via definitiva per riciclaggio di denaro. Ripeto, un tipaccio. È meglio se lo lasci
perdere… -
Vegeta fece un salto sulla sedia – Come sarebbe a dire?! Junior, tu non capisci. Quello ha dei documenti che
ritraggono mia moglie. Bisogna denunciarlo, portarlo in tribunale! –
- Bravo, così i DVD diventano oggetto di prova. Il giudice li visiona,
e poi se succede qualcosa all’ambasciatore Crilin,
tua moglie ci andrà di mezzo…! –
- Ha anche fatto delle insinuazioni su mia moglie, dice che potrebbe
avere dei segreti… -
- Oh, sciocchezze. Di tutte le donne su questo mondo potrei avere dei
dubbi, ma su Bulma… no, assolutamente. È una tattica
per insinuare in te il germe del dubbio, per farti venire la curiosità di
acquistare DVD da lui. Ti consiglio di lasciarti alle spalle tutta questa
faccenda, negare anche di aver sentito parlare di quei DVD, dimenticarti di
tutto. È il consiglio migliore che posso darti. –
Vegeta sospirò, accomodandosi meglio sulla poltrona. Dalla finestra
filtrava una luce diafana, tipica di un pomeriggio di fine novembre. L’avvocato
Junior, nel suo corpo verde, continuava a fissarlo. Ingessato, con le gambe e
le braccia in trazione sul lettino, poteva apparire anche comico.
- E’ sempre meglio lasciar stare quando si ha a che fare con tizi del
genere – riprese Junior – In tribunale poi, non sai mai come va a
finire. Tu pensa, io ho riconosciuto il pirata della strada che mi ha ridotto
così, ma non lo voglio denunciare, e sai perché? –
Vegeta scosse la testa, con tanto d’occhi.
- Perché io… ho paura della legge. –
- Tu?! Un avvocato! –
- Eh sì. Perché davanti al giudice non sai mai come va a finire. “Lei è
sicuro di esser stato investito?”, “Perché non l’ha
denunciato subito?”, “Perché pensa che potrebbero averle fatto questo?” –
- Già, ma perché non l’hai denunciato? –
- Perché, te lo dico io il perché… perché nessuno di noi è veramente
pulito. –
*****
Le diciannove erano passate da poco. Poco prima di svoltare nella via
di casa, Vegeta scorse dei lampeggianti blu che baluginavano nel buio
rischiarato dalla luce dei lampioni.
Un’ambulanza? Pensò. Poi, come una risposta ai
suoi dubbi, due fanali gli baluginarono nello specchietto, seguiti da un altro
lampeggiante blu. Una gazzella dei carabinieri lo
sorpassò, tagliandogli la strada ed entrando prima di lui nella sua via.
La seguì, e quando imboccò la strada, non credette ai propri occhi.
Davanti al portone di casa sua erano appostate gazzelle dei carabinieri
a volontà, più due furgoni televisivi, con le insegne “RAI” e “MEDIASET” sulle
porte.
Vedendo che l’ingresso era sbarrato, Vegeta rinunciò ad accedere al
portone con l’auto, preferendo parcheggiarla lì fuori sulle strisce blu.
Mentre si avviava al portone, spinto dalla curiosità si avvicinò a uno
dei due furgoni con il portellone aperto. Dentro, c’era un operatore che fumava
una sigaretta e guardava dei monitor da una consolle.
- Scusi, cosa… - provò a dire Vegeta.
L’operatore lo azzittì alzando la mano senza
smettere di guardare il video, quindi gli indicò il monitor.
Vegeta voltò lo sguardo verso il piccolo monitor, vedendo l’immagine di
Enrico Mentana che, dallo studio del TG5, dava la notizia.
- Buonasera telespettatori del TG5. Apriamo questa edizione
straordinaria per un fatto di cronaca. Pochi minuti fa, è giunta la notizia che
il noto magnate della finanza e ambasciatore Crilin,
si è tolto la vita nella stanza di un Hotel di Londra… -
La notizia lo sorprese. Spalancò gli occhi, continuando a seguire il
mezzobusto televisivo.
- Il corpo è stato ritrovato in bagno, davanti allo specchio,
probabilmente freddato da un colpo di pistola alla testa. Ci colleghiamo con l’abitazione
dell’ambasciatore tra poco… -
Sconvolto, Vegeta si allontanò dal furgone, per dirigersi verso casa.
All’ingresso, venne fermato da due carabinieri.
- Alt. Lei dove crede di andare? –
- Sono un inquilino, io vivo qui. –
- Lasciatelo passare – disse una voce di donna – Abita qui.
–
Baba, l’anziana portinaia,
era vestita della sua solita divisa: grembiule a fiori e pantofole.
- Dottor Vegeta – lo salutò la donna con
un cenno del capo.
- Buonasera Baba. –
- Ha visto cos’è successo? Hanno ucciso l’ambasciatore. Una così brava
persona… -
- Eh, ho sentito, sì… brutta storia. –
- Per me ci sono di mezzo i servizi segreti. –
- Può darsi. La saluto, stia bene. –
- Arrivederla, dottore. –
Mentre si dirigeva verso l’androne delle scale, si girò: un macchinone nero, scortato da quattro carabinieri in
motocicletta, stava entrando nel cortile.
Dall’abitacolo scese un uomo, che Vegeta aveva già visto in
televisione: il Ministro degli Esteri.
Andò quindi verso l’ascensore ad aspettarlo.
- Va all’ultimo piano? – gli domandò l’uomo.
- No, mi fermo al penultimo. Io abito al piano di sotto. –
- Ah, bene – rispose questi, introducendosi nell’ascensore.
Vegeta premette il pulsante dell’ultimo piano, poi premette quello del
suo.
Mentre l’ascensore saliva, cominciò a pensare. Che diavolo poteva
essere successo veramente?
- Arrivederla, Onorevole. Grazie della piacevole chiacchierata.
Ossequi… - Vegeta chiuse il cancelletto dell’ascensore a vista, che subito dopo
ricominciò la sua corsa, diretto verso l’attico.
- Vegeta – mormorò Bulma, facendo
capolino dalla porta del loro appartamento – Vieni qui. Che è successo? Fuori
c’è il finimondo. -
- Una cosa abbastanza brutta – rispose, entrando in casa. Bulma rimase ancora un po’ a spiare fuori attraverso lo
spiraglio tra i due battenti, poi si ritrasse e la chiuse quando vide che
dall’attico scendevano altri personaggi vestiti elegantemente, forse politici o
funzionari di stato.
In quel momento, suonò il telefono. Vegeta prese in mano la cornetta e
rispose.
– Pronto? Ah, ciao Junior, sei tu – Una pausa. – Come
dici? –
Bulma si avvicinò per
cercare di capire cosa si stessero dicendo, ma non riuscì a sentire nulla a
causa del suono delle sirene e del televisore acceso. Sullo schermo intanto, la
voce di Emilio Fede commentava le immagini.
- …L’ambasciatore è stato trovato riverso sul pavimento, freddato da un
colpo di pistola alla tempia. Scotland Yard sta indagando sulla pista
dell’omicidio politico, ma finora non ci sono state rivendicazioni… - mentre il
giornalista parlava, scorrevano le immagini, e quando la sequenza si fermò su
una foto del suo padrone di casa Crilin, a Bulma venne la pelle d’oca e prese il braccio sinistro di
suo marito, spaventata.
- D’accordo, allora è come dicevamo prima – confermò Vegeta
annuendo – Dobbiamo fare finta di niente, come se non esistessero. –
Altro cenno affermativo del capo – Sì. Certo. Grazie. Ciao, avvocato.
Ciao, ciao… - poi riagganciò.
- In che senso dobbiamo fare finta di niente? Hanno ucciso
l’ambasciatore, hai visto? Oh Mio dio, mio dio…!
–
- Junior ha visto la televisione, per cui mi ha telefonato per
consigliarmi. Stavamo parlando dei DVD che l’agenzia ha girato su di te.
–
- Ma-ma-ma – balbettò Bulma – Se
c’entrano qualcosa con l’omicidio del dottor Crilin, allora bisogna farli sparire, bisogna distruggerli!
–
- Nooo amore, tutto il contrario…! Li
dobbiamo assolutamente ignorare. Fare finta che non esistano. Chiaro? –
- Sì ma io… io non sono tranquilla – mormorò, per poi accasciarsi
lentamente sul divano, con una mano sulla bocca.
Vegeta si chinò, le prese lentamente
e dolcemente le mani: erano fredde come il ghiaccio.
- Bulma – le disse – Guardami
negli occhi. –
Lei si girò, i suoi occhi erano lucidi.
- Te lo richiedo: hai fatto qualcosa di cui ti devi vergognare? –
- No! Io non ho fatto niente. Te lo giuro! –
Quando Vegeta fece per chiederle altro, s’interruppe a causa del
campanello.
- Chi è, adesso? – domandò lei.
- Non lo so. Tu aspetti qualcuno? –
- No. Vado ad aprire – disse, alzandosi dal divano.
- Oh! Mi raccomando, eh…! Noi non sappiamo niente. –
- Sì. Sì. Va bene. – rispose lei, allontanandosi verso la porta.
Da tergo, Vegeta la osservò aprire l’uscio,
per vedere chi avesse suonato.
- Buonasera signora – la salutò una voce gentile – Mi scusi se la disturbo, ma avrei bisogno di fare una
telefonata. È possibile? –
- Certo, prego – rispose Bulma, ed
entrò un giornalista che Vegeta riconobbe subito.
- Ma lei è HitoshiKinomiya,
vicedirettore del Corriere della Sera! –
- Eh sì, sono proprio io – rispose il giovane giornalista con un
sorriso.
- Prego, si accomodi! Il telefono è da questa parte. –
- Grazie mille. –
- Sì, amore, il dottor Kinomiya farà una
telefonata e poi se ne va, eh? – disse Bulma,
nell’intento di evitare che il giornalista restasse più del necessario in casa
loro.
- Beh, magari desidera un caffè? –
- Ah, vuole … un caffè? – domandò Bulma,
con un’espressione a metà tra lo sconcertato e il sorpreso.
- Un giornalista non rifiuta mai un caffè. Lo prendo volentieri, grazie.
–
- Bene, allora tesoro: vai pure a fare il caffè. –
- Va bene… - disse, allontanandosi verso la cucina.
Il giornalista si sedette sul divano e compose un numero sulla tastiera
dell’apparecchio. Vegeta gli si sedette accanto e gli offrì una sigaretta, che
il ragazzo accettò, ringraziando.
- Buonasera, sono Kinomiya – salutò,
quindi disse – Il caporedattore, per favore. –
Vegeta tese l’orecchio per
ascoltare la conversazione.
- Ciao, sono stato dalla signora C18. Mi ha riferito che ha avuto
l’ultima telefonata con suo marito ieri… - una pausa – Sì. A sentire la
vedova, la telefonata è stata tranquilla… -
A quell’affermazione, Vegeta sghignazzò silenziosamente e scosse il
capo, mentre buttava fuori il fumo della sigaretta.
- Aspetta, aspetta. C’è qui un vicino di casa della signora che nega
che sia stata proprio tranquilla. Eh… sì. –
Pentendosi del suo commento, Vegeta si alzò lentamente e andò verso la
cucina.
- Porca put… - mormorò a mezza voce – Mi
sa che ho fatto un cazzata – disse a Bulma, che
sorvegliava il caffè sul gas.
- Ho visto… Mannaggia a te. Zitto, sentiamo cosa dice – rispose
lei, senza smettere di spiare il giornalista seduto sul suo divano.
Intanto, la conversazione del ragazzo continuava.
- …La signora ha tutto l’interesse ad avallare la tesi di un omicidio
politico, ma io credo che si tratti di una questione tutta familiare… Sì, credo
che il marito sia morto per un movente diverso, ecco. Un intrigo a sfondo
passionale. - Una pausa – …Lo penso perché quando abitavano a Milano, lui
l’aveva fatta seguire da un investigatore… - poi si girò verso il televisore –
Eh, guarda un po’: Emilio Fede ne sta giusto parlando in televisione. Come
avevo scoperto io, nei tabulati telefonici dell’albergo dove alloggiava,
compariva per tre volte il numero di un’agenzia investigativa di qui, l’agenzia Occhio Discreto. Sì… -
- Cristo – bestemmiò Vegeta, portandosi una mano alla faccia.
- Santo cielo – gli fece eco Bulma.
- Sì, certo. Ci vediamo in redazione più tardi. Ciao, grazie. Ciao.
– e riappese la cornetta.
Quasi contemporaneamente, marito e moglie uscirono dalla cucina, lei
reggendo in mano un vassoietto con sopra una tazzina di caffè e una
zuccheriera, che poggiò sul tavolino davanti al divano.
- Quanto zucchero? – domandò Bulma.
- Niente, grazie. Io lo prendo amaro – e prese
la tazzina, poi si mise a guardare i coniugi, in piedi davanti a lui: - Voi
siete molto amici della contessa, giusto? –
- Sì – disse Bulma
- No – disse Vegeta, e allora si guardarono per un momento.
- Avevate mai sospettato di nulla, per caso? –
- Eh, se parliamo di sospetti… - attaccò Vegeta, facendo un gesto con
le mani che indicava hai voglia quanti.
- Ma che cosa stai dicendo? – lo riprese Bulma
– Lo scusi dottor Kinomiya, ma mio marito non sa quel che dice. –
- Ma mi sembra che suo marito stesse avallando la tesi dei sospetti.
Secondo voi c’erano dei dissapori tra la contessa e suo marito? –
- Beh… - fece per rispondere Vegeta, maBulma gli tirò un leggero calcio con la caviglia.
- No, non credo. Li abbiamo sempre creduti una coppia affiatata.
–
- Capisco. Posso farvi qualche altra domanda? –
- Sì certo – Bulma fulminò con lo
sguardo il marito, che la guardò preoccupato.
- No, dottor Kinomiya. Non abbiamo più
intenzione di rispondere ad alcuna domanda, abbiamo anche già detto troppo. Le
abbiamo offerto il caffè e il telefono, ora se vuole scusarci… -
- Ma una domanda sola…? –
- Ci scusi dottore, non è per mandarla via, ma non approfitti della
nostra gentilezza, la prego – disse Vegeta porgendogli il soprabito che
si era tolto.
- Va bene – sorrise Kinomiya, alzandosi
dal divano e rivestendosi – Vi ringrazio di tutto e arrivederci. –
- Oh, dottor Kinomiya…? Per favore non
divulghi i nostri nomi sul suo articolo. –
- Stia tranquilla signora. Non comparirete da nessuna parte. –
- Prego, da questa parte – disse Vegeta, scortando l’ospite alla
porta.
- Buona serata e arrivederci – salutò il giornalista, prima di
girarsi e prendere le scale.
Vegeta chiuse delicatamente la porta. – Perché mi guardi così? ho
sbagliato qualcosa? –
- E me lo chiedi pure? Tutto hai sbagliato,
tu! Ma mi vuoi spiegare perché ogni volta che io dico
“No”, tu devi dire “Sì”? –
- Eh, mi sono sbagliato, scusami… ero confuso. –
Si sedettero entrambi sul divano.
- Tu… tu mi devi spiegare che cosa è successo. E… e lascia stare ‘sto caffè, adesso! –
Vegeta posò la tazzina da cui stava per bere il poco caffè lasciato da Kinomiya e guardò la moglie.
- Tu poi mi devi spiegare che cosa vuol dire intrigo a sfondo
passionale. –
- Un movente a sfondo passionale è quello a cui ho pensato anch’io
ricollegando tutto. Allora… tu prendi un marito, che ha una moglie bella come la
signora C18. Una signora ancora giovane. Cosa fa una signora ancora giovane e
bella, quando il marito è via di casa per lavoro? Esce, frequenta certi giri…
artisti, letterati, gente di un certo livello… e magari scoppia anche la
scintilla della passione… mi segui? –
Bulma annuì.
- …però la bella signora non sa che il marito ha un informatore che
spia le sue mosse. L’informatore vede… e riferisce al marito che sta a Londra.
Gli fa una telefonata e gli dice “Guarda che tua moglie non è stata molto
fedele”. E il marito una sera, va in bagno, allo specchio… e anziché finire di farsi la barba… prende la pistola… - formò una pistola con
la mano e se la portò alla tempia - …e PUM! Si spara una revolverata. È
normale. Un suicidio a sfondo passionale. –
Bulma gemette – Sì…
ma… l’investigatore non stava seguendo la signora C-18…! L’investigatore stava
seguendo me! –
Vegeta spalancò gli occhi. Guardò sua moglie e poi saltò su dal divano
come se avesse preso la scossa.
- Bulma! Ma tu allora mi stai
dicendo che quel poveraccio si è suicidato… per te? Assassina! Che cos’hai
fatto?! –
- No! no! Io non ho fatto niente! Non ho fatto niente! – piagnucolò,
alzandosi anche lei – Non è come dici tu, è stato un omicidio a sfondo
politico! È un complotto! –
Per poco Vegeta non si mise a piangere. Prese Bulma
e l’abbracciò – Sì amore mio, io ti credo! È un omicidio politico, noi
non c’entriamo niente! –
- Sì! Sì! Te lo giuro, amore! Te lo giuro
sulla mia vita! –
Stringendo sua moglie nell’abbraccio, non visto, Vegeta spalancò gli
occhi, pensando: Non me la racconta giusta… c’è qualcosa che non va. E devo
scoprire che cosa.
Quell’affermazione gli risuonava in testa, mentre al volante della sua
auto percorreva la tangenziale, diretto verso l’agenzia investigativa.
Nessuno di noi è veramente pulito.
Lanciò un’occhiata al sedile del passeggero. La ventiquattrore nera era
chiusa, con il suo contenuto al sicuro.
- Se così dev’essere, ebbene, sia – mormorò, sempre più consumato
dal pensiero che sua moglie nascondesse qualcosa. Sicuramente in quei DVD
avrebbe trovato le risposte che cercava.
Ne era più che convinto.
*****
Per la terza volta nella sua vita, fermò la familiare nella piazza antistante la galleria dove si trovava l’agenzia
investigativa. Prese in mano la valigetta, se la mise sulle ginocchia e fece
scattare le chiusure tirando i due grilletti coi pollici.
I soldi erano ancora tutti lì dentro: duemila euro, in banconote da
dieci, prelevati dal suo conto corrente in banca.
Annuì, quindi prese in mano la valigetta e aprì lo sportello.
Fuori, cominciò ad avviarsi verso l’agenzia, quando un’automobile
parcheggiata attirò la sua attenzione.
Una Peugeot 206 verde bottiglia.
Ma guarda, è identica a quella di mia mogl…
Nel momento stesso in cui formulò quel pensiero, la vide.
Bulma era lì, all’ingresso
della galleria, con Yamazu che le correva dietro.
- Signora, la prego! Mi dia almeno cento euro! –
Sua moglie reggeva fra le mani una scatola di cartone: lì dentro
c’erano i DVD che la riguardavano.
- Cento calci nel culo, le do, altroché…! E ringrazi Dio che non ho chiamato i carabinieri! – gridò, all’indirizzo di Yamazu, che se ne stava con le orecchie abbassate e il
cappello in mano. Contrito, o più probabilmente deluso per non aver beccato un
centesimo.
Prima che Bulma potesse accorgersi della sua
presenza, fece velocemente dietrofront e s’infilò nei sedili posteriori della
sua macchina, osservando i movimenti di sua moglie dal lunotto posteriore.
Accovacciato sul divanetto, vide che sua moglie apriva la portiera
posteriore della sua macchina e vi adagiava la scatola. Poi la vide chiudere lo
sportello e infine salire al posto di guida, mettere in moto e fare manovra.
Gli passò accanto, e fu
allora che anche Vegeta scavalcò e saltò al posto di guida. Avviò il motore e
partì all’inseguimento.
*****
Non è niente. Non è niente. Stai tranquilla, va tutto bene.
Va tutto bene. Va… tutto… bene…
Mentre guidava, Bulma continuava a ripetersi
quel mantra, nella convinzione che adesso i DVD ce li aveva lei e nessuno li
avrebbe più rivisti.
Più di tutto, stava pensando a un modo per distruggerli. Come si può
distruggere un oggetto come un DVD? Potrei spezzarli, pensò, salvo poi
desistere dal proposito in quanto sarebbe stato faticoso spezzarli tutti uno
per uno.
Scioglierli in una qualche sostanza? Sì, forse
poteva andare. Ma se avesse sprigionato dei fumi tossici?
La domanda rimaneva anche se avesse deciso di
bruciarli, in più non sapeva se avrebbero mai preso fuoco, anche se sembrava la
soluzione più plausibile.
Si riservò di pensarci in un secondo momento. Per ora, bastava solo
farli sparire.
*****
La 206 verde svoltò nella via in cui
viveva la sua proprietaria insieme al marito che la stava seguendo.
Bulma entrò nel portone e
Vegeta la seguì qualche minuto dopo, per evitare che, vedendolo, s’insospettisse.
Parcheggiò accanto all’auto di sua moglie. Scese velocemente e guardò
sui sedili posteriori attraverso il finestrino: la scatola non c’era.
Sospirando, si avviò verso l’androne d’ingresso. Quando fece per
prendere le scale, un rumore attirò la sua attenzione.
Passi che salivano le scale dallo scantinato: sua moglie vi era scesa,
e ora stava risalendo.
Velocemente, si nascose dietro una colonna, mentre l’ascensore scendeva
e si fermava al piano terra, dove Bulma aprì la porta
e vi entrò.
Quando fu sicuro di essere rimasto solo, Vegeta fece capolino dal suo
nascondiglio improvvisato e si avviò anche lui verso lo scantinato.
*****
La cantina era ingombra di vecchi mobili, su cui erano accatastate
bottiglie vuote e conserve della madre di Bulma, che
regalava loro a cadenza periodica. In un angolo c’era un baule contenente i
vecchi giocattoli di Trunks, troppo piccolo per
contenere anche il suo triciclo dal telaio blu con le ruote rosse, che infatti era accatastato sopra una coppia di sedie
capovolte, reperti di un vecchio ammobiliamento.
- Dove l’hai messa, eh? – mormorò, guardandosi intorno in mezzo
al ciarpame.
Guardò in una cesta: qui erano contenuti libri e quaderni di Trunks, tutti perfettamente in ordine, o comunque non sembrava che qualcuno li avesse spostati per seppellirvici
qualcosa. La richiuse, tornando a guardarsi intorno.
Ragionò un momento: se sua moglie era furba (cosa che dubitava) doveva
aver nascosto la scatola in un posto dove non sarebbe potuta saltar fuori
all’improvviso, come ad esempio un contenitore. Lì di contenitori c’erano solo
il baule con i giocattoli e la cesta con dentro i libri. Ah, e ovviamente,
c’erano le scatole da scarpe con le calzature accantonate della famiglia.
Guardò in quella direzione: nessuna di quelle scatole era quella che
cercava, erano tutte colorate o al più nere, ma non ce
n’era una di semplice cartone.
- Se io fossi mia moglie – sussurrò – dove nasconderei una
scatola poco più grande di una scatola da scarpe? –
Immedesimandosi nel ruolo del suo investigatore preferito, il Tenente
Colombo, cercò di ipotizzare una situazione.
- Allora: lei entra qui e nasconde la scatola. Ci mette poco, circa
cinque minuti scarsi, poiché l’ho vista subito dopo che ho parcheggiato. È entrata
qui. Qual è la prima cosa che ha visto? –
Tornò verso la porta della cantina, quindi la chiuse e poi rientrò. La prima
cosa che vide fu il vecchio materasso di Trunks,
arrotolato sotto la catasta di sedie.
Vediamo se ci ho visto giusto, pensò.
Si accovacciò e provò a spostare il materasso. I suoi occhi s’illuminarono
quando trovò che stava cercando.
Nascosta dietro il materasso, praticamente spinta in fondo, quasi
vicino al muro, c’era la scatola di Yamazu.
Allungò il braccio e la estrasse dal nascondiglio.
E adesso vediamo cosa c’è sotto, pensò, prima di
dirigersi nuovamente verso la sua automobile.
La casa di campagna, come la chiamava sua moglie, era un antico
casolare a due piani in pietra vista, risalente al periodo d’anteguerra.
Quella casa aveva resistito a tante cose: bombardamenti, guerre,
svalutazione economica… e ancora stava resistendo bene agli insulti del tempo.
Era ancora un bel posto dove passare un week-end in tranquillità o per
rifuggire allo stress cittadino.
Vegeta parcheggiò l’auto nel giardino antistante, dove Bulma aveva
tutti i suoi vasi di fiori appoggiati sul cemento di una verandina con le
strutture ornate di rampicanti di edera, che stava lentamente corrodendo il
ferro.
Aprì il bagagliaio: prima di venire lì era passato in banca a prendere
un computer portatile di quelli nuovi e il vecchio proiettore che veniva
utilizzato per le riunioni mensili. Velocemente scaricò la borsa con il
portatile, il telo bianco e il trespolo dove appoggiare il proiettore, con il
tavolino per il computer, e li condusse all’interno dell’abitazione.
Entrò nella sala: qui, era tutto in ordine e pulito come lo lasciavano
sempre. A sinistra rispetto alla porta, c’era un tavolo con un trenino
elettrico incorporato nel plastico di una località di montagna. Vegeta poggiò
delicatamente le carabattole in terra e l’osservò: l’aveva costruito lui stesso
insieme a Trunks, quando era più piccolo. Collegò la spina alla presa e il
trenino elettrico si mise in movimento, oltrepassando montagne e passaggi a
livello. L’ombra di un sorriso malinconico si dipinse sul suo volto, pensando a
tutte le ore passate a decorare il plastico con gli elementi migliori insieme a
Trunks che guardava la creazione con i suoi grandi occhi azzurri di bambino…
Tornando al presente, staccò la spina con un
sospiro e il trenino si fermò.
Si guardò intorno alla ricerca di un punto dove piazzare il trespolo
per il proiettore e, ovviamente, il telo bianco su cui proiettare le immagini.
Spostò un tavolino e vi piazzò il trespolo. E
il proiettore era sistemato.
Ora toccava al telo.
Guardò verso il camino: sulla parete superiore, c’era una fotografia
che li ritraeva tutti e tre, lui, sua moglie e suo figlio in posa. Una
famigliola felice.
Rimosse il quadro e lo poggiò al muro,
utilizzando il chiodo per appendervi il telo bianco. Dopodiché si mise a
collegare i cavi del proiettore con il computer, smanettò un po’ e si preparò
allo spettacolo.
*****
A qualche chilometro di distanza, Laura era in ufficio a compilare dei
moduli a mano, quando a un tratto squillò il telefono.
- Sono alla casa di campagna. Ci starò per
almeno tre giorni, non lo sa nessuno. L’ho detto solo a te. –
- Va bene. Ho capito. –
- Se telefona mia moglie, dille che sono alla sede centrale, a fare i
bilanci. –
- Tua moglie ha già telefonato. –
- Oddio – mormorò Vegeta, dall’altro capo – E che le hai
detto? –
- Che eri alla sede centrale a fare i bilanci. –
- Brava… ti ringrazio. –
- Non c’è di che. –
- Adesso ti saluto, ho delle cose da fare. Ciao, Laura.
- Ciao Vegeta – disse, e riagganciò.
*****
L’interno della casa era freddo. Non potendo accendere i termosifoni,
dovette rimanere con la giacca addosso. Siccome non era abbastanza, andò a
cercarsi anche una coperta dalla stanza da letto al piano superiore.
Nel frattempo, sul video, scorrevano le immagini, che mostravano il
retro della Fiat Punto della signora C18, con la targa in bella vista. Socchiuse
gli occhi per vedere meglio.
- bi-erre, zero nove cinque, erre-ics – scandì,
leggendo la targa del veicolo – La macchina della signora C18. È lì che è
cominciato tutto. Ma dove sta andando…? –
Sul video, la macchina si fermò, e ne venne fuori sua moglie. Il
microfono ad altissima sensibilità catturò la sua voce e quelle intorno senza
che lei se ne accorgesse.
Bulma si era fermata a un bar di un quartiere malfamato. Due giovanotti
seduti al tavolino iniziarono a guardarla.
- E questa…? –
- E’ una falsa magra… guarda che
culo a mandolino… io me la inchiappetterei. –
Vegeta spalancò gli occhi e strinse i pugni, sentendo quegli
apprezzamenti.
- Ciao Jo – salutò la barista.
- Ciao Bulma. Che ti do? –
- Dammi un prosecco. Bello pieno.
–
- Prosecco? Ma Bulma, tu sei astemia… -
Guardò sua moglie tracannare in un secondo il vino e poggiare il
bicchiere, per poi andare al telefono pubblico a gettoni vicino alla porta
d’ingresso, infilare degli spiccioli e comporre un numero.
-Eh, quest’anno ci vorrebbe un miracolo per la nostra squadra…
-
A quel punto, Bulma fece capolino dalla vetrata: - Ehi, “Mandolino”…
chi t’inchiappetti, tu? –
- Ce l’hai con me? –
- Sì, ce l’ho con te e con quello
stronzo del tuo amico. –
- Ma era un complimento… -
- Questi complimenti – riprese Bulma ancora
con la cornetta all’orecchio - li vai a fare a tua sorella. E andatevene a
fare in culo, tutti e due – concluse, e i due tornarono a occuparsi
dei loro affari, probabilmente abituati a essere trattati così da una bella
donna.
- Bulma, non hai mai parlato così, in casa…! –
- Pronto? Sì, sono io. – una pausa. - Non
faccia finta di non conoscermi, ha telefonato tante volte a casa nostra. Non mi
dica che non riconosce la mia voce. – altra pausa - No, non ho
chiamato per litigare. Vorrei solo… parlare. Sono qui, sotto casa sua. Se vuole
possiamo andare qui vicino, da “Mirafiori”. Va bene, l’aspetto lì. Grazie. –
- A chi avrà dato appuntamento? –
*****
La risposta alla sua domanda arrivò alcuni fotogrammi dopo: Bulma era
seduta al tavolo di un ristorante, quasi di fronte all’obiettivo della
telecamera.
Poco dopo, la raggiunse una persona. Quando vide chi era, Vegeta fece
un salto sulla poltrona.
- Laura?! –
- Buongiorno – salutò Laura, accomodandosi
vicino a sua moglie.
- Buongiorno a lei – la salutò di rimando Bulma
- Gradisce un’oliva, un po’ di formaggio? –
- No, grazie. Le dispiace se fumo? –
- Nessun problema. Senti… posso darti del tu, vero? –
- Certamente. Di cosa voleva parlarmi? –
Sul tavolo c’era una caraffa colma di vino, di cui Vegeta non si era
accorto. Da lì, Bulma si riempì un bicchiere quasi fino all’orlo, da cui bevve
prima di rispondere.
- Vedi, io so che tu, da tre anni, sei l’amante di mio
marito. –
Vegeta rimase a bocca aperta.
- Non… non so di cosa stia parlando. Io e suo marito abbiamo
un rapporto unicamente professionale, e… -
Bulma rise: - E’ inutile negare, mia cara. Io lo so. –
Laura sollevò le sopracciglie e non disse nulla, limitandosi a sospirare.
- Lo so perché mio figlio, l’estate scorsa, vi ha visti entrambi nel letto matrimoniale della nostra casa
di campagna. E siccome lui è una personcina educata, non vi ha disturbati. –
- Beh… se è suo figlio a dirlo… allora non posso negarlo. –
- Ma sì che devi negarlo, Laura! – esclamò Vegeta allargando le
braccia.
- Eh sì… però io me n’ero accorta
già molto tempo prima che me lo dicesse mio figlio, lo sa? –
- Ah sì? E da cosa l’aveva capito? –
- Sì, appunto. Da cosa l’avevi capito? – intervenne Vegeta contro
i fantasmi proiettati allo schermo.
- Devi sapere – riprese Bulma interrompendosi per
sorseggiare un altro calice di vino - Che i rapporti tra me e mio marito
sono sempre stati così… come dire? Tiepidi. –
- Tiepidi?! Tiepidi?!
Ma che… Ma che stai dicendo! –
- Poi a un certo punto, mio marito ha cominciato a essere
più… fantasioso, più spigliato. Una sera mi prese, mi
saltò addosso, mi accartocciò, mi buttò per aria…! Fu incredibile. E magnifico.
–
- Magari avrà letto una rivista porno – azzardò Laura,
tirando una boccata di fumo dalla sigaretta.
Bulma scosse la testa guardando negli occhi la sua interlocutrice -
No, no. Non aveva letto una rivista porno… aveva solo conosciuto te. –
- Ahahah… ma è ridicolo, dai. –
- Beh, se proprio vuoi saperlo – rispose Laura -
anch’io mi ero stancata di fare l’amore nella posizione del missionario. –
- La posizione del missionario? E sarebbe? –
Spegnendo la sigaretta in un posacenere lì vicino, Laura rispose -
E’ la posizione classica, canonica: l’uomo sopra, la donna sotto. Siccome mi
ero stancata, un giorno gli ho detto “Vogliamo cambiare un po’?” E gli ho
insegnato qualche nuova posizione. –
- Ecco cosa succede a mettere insieme la moglie e un’amica che parlano dell’uomo… - scosse la testa mestamente, soffocando
una risata – E adesso? -
- Mi porti un altro mezzo litro per favore? –
- Altro vino?! Amore, smettila di bere! –
- Io quelle posizioni le avevo imparate a mia volta da un
ragazzo russo che conoscevo… -
- …e le hai insegnate a mio marito. E poi sai cos’è successo? –
Laura scosse la testa.
- A un certo punto, l’incanto è finito. Circa un anno fa, ha
smesso di toccarmi: s’è ingrassato… si sentiva depresso… tutte le sere si attaccava alla televisione e non c’era verso di smuoverlo.
La televisione… quel maledetto aggeggio infernale che c’impedisce di avere i
nostri rapporti! –
- Credo di sapere perché sia successo ciò… Vedi, un anno fa io ho lasciato tuo marito. Sapevo che la nostra relazione
non poteva avere un futuro, per cui… mi sono fatta da parte. –
- Ma perché l’hai fatto, santo dio,
perché? Almeno quando c’eri tu io e mio marito riuscivamo
a divertirci un po’…! –
- Te l’ho detto, non avremmo avuto futuro. Sarei stata per
sempre la sua amante, niente di più. –
Bulma aveva sospirato.
- In ogni caso, comunque, posso sapere che cosa vuoi da me? –
- Vedi, io ti ho invitata qui oggi,
perché devo chiederti un favore. –
- Che favore? –
- Fra due mesi, esattamente il due gennaio, io mi trasferirò in un’altra città, perché ho trovato un
lavoro. E lascerò Vegeta per sempre. –
Quando udì quella rivelazione, Vegeta si sentì le ginocchia di
pastafrolla. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, quindi crollò sulla
poltroncina.
- Ancora non capisco cosa vuoi da me. –
- Voglio… voglio che tu ti prenda
cura di lui. Che ricominci a frequentarlo, che vi fidanziate di nuovo – lo disse con la voce
rotta, come se stesse faticando a contenere le lacrime - Vegeta è come un
bambino… vive nel suo mondo, non vuole sapere niente… vuole
la sua vita tranquilla. –
- No, Bulma… - mormorò, portandosi le mani agli occhi umidi – No…
questo no. Dimmi che non è vero… - piagnucolò, mentre le immagini si sfuocavano
e lui si rannicchiava in sé stesso.
*****
Con la testa piena di domande, e gli occhi ancora umidi, alle sei e
mezza Vegeta uscì dal casolare, dopo aver sapientemente occultato i DVD e
l’attrezzatura in un posto sicuro della casa.
Quando fece per salire in auto, vide i fari di una macchina che si
avvicinavano. Poiché in quella strada l’illuminazione pubblica non era mai
arrivata, non riuscì a riconoscere chi era. Si augurò con tutto il cuore che
non fosse Bulma, perché altrimenti non sapeva cos’avrebbe fatto.
- Ciao, Vegeta – lo salutò la voce di
Laura, che avanzò reggendo in mano il blocco per le firme dei mandati. Era
vestita con un pesante cappotto di lana bianco, e i suoi capelli corvini erano
sciolti.
- Laura, ma che ci fai qui? –
- C’erano… dei mandati da firmare, e così ho
pensato di portarteli. –
Vegeta prese la penna dal taschino della giacca – Ma ero d’accordo con il direttore, che li firmava lui. Che sei
venuta a fare veramente? – domandò, mentre terminava di firmare.
- Mi era venuta voglia di vederti – rispose, guardandolo negli
occhi e sorridendo – Senti, che ne diresti di andarcene a cena insieme,
stasera? –
- No, grazie… - rispose mestamente.
- Vegeta, guarda che tua moglie ha deciso di lasciarti. –
- Lo so. Lo so che ha deciso di lasciarmi. E so anche che vi siete
viste! “Io lo lascio, tu lo riprendi…” Ma cosa sono io, un pacco postale!? –
- Vegeta… -
Ma lui non l’ascoltò, allontanandosi verso la sua macchina – Tu
non capisci, Laura! Io non posso vivere senza Bulma! Se Bulma mi lascia, io mi
ammazzo! - esclamò, puntandosi l’indice alla tempia, mimando una pistola
– Tu sei giovane, cercatene uno della tua età! – concluse, prima di
salire in macchina e dire un’ultima cosa: - Accidenti a me e a quando mi è
venuto in mente di prendere quei DVD… Almeno prima non sapevo niente, ero
felice! –
Ciò detto, avviò il motore e partì in sgommata, abbandonando Laura che lo guardò stupita andare via, con in braccio il blocco dei
mandati.
Guidava, ma i suoi non erano nient’altro che gesti meccanici dettati
dalla memoria procedurale. Dento si sentiva inquieto come un mare in tempesta,
freddo come il ghiaccio e nero come la notte. Sua moglie, con cui era sposato
da quasi venticinque anni, aveva deciso di lasciarlo… ma il peggio era che
aveva chiesto a colei che era stata la sua amante, di riprenderselo.
In lui si agitavano sentimenti contrastanti: era furioso perché non si
sarebbe mai aspettato tanta sfrontatezza da sua
moglie, ma al tempo stesso si sentiva struggere perché aveva pensato che se lei
se ne fosse andata, lui si sarebbe sentito solo.
- Amore mio, perché vuoi farmi questo…? – domandò al vuoto
dell’abitacolo, mentre lentamente imboccava il portone d’ingresso del palazzo
dove abitava.
*****
Quando sentì suonare il campanello, Trunks
stava finendo di apparecchiare la tavola.
Con calma posò il piatto e ciabattò verso la porta, aprendola.
- Ciao, Trunks – lo
salutò suo padre, entrando.
- Ciao – mormorò il ragazzo, dirigendosi verso la cucina.
- Dov’è tua madre? –
Trunks non rispose, quindi
Vegeta cominciò a togliersi il cappello e il soprabito. Poi andò in camera da letto e si tolse le scarpe, senza però trovare le
pantofole al loro posto.
- Bulmaaa? – chiamò ancora, ma senza
ottenere risposta – Dov’è tua madre, Trunks?
–
Ancora nessuna risposta. Allora si diresse anche lui verso la cucina.
- Trunks – esordì – Siccome io da
giovane ho fatto il rappresentante per un’azienda tedesca, e conosco un po’ la
loro lingua, te lo chiederò in tedesco: woistdeineMutter?! –
- La mamma è giù in cantina – rispose atono.
- Oh, vedi che il tedesco lo capisci? – poi, quando il figlio si
girò, gli guardò i piedi: - E ridammi le mie
pantofole! –
Senza aggiungere niente, Trunks andò vicino
al padre e si tolse le pantofole, andandosene verso
camera sua.
- E’ proprio un vizio, il tuo – esclamò poi Vegeta, mettendosele.
Poco dopo, si aprì anche la porta. Bulma
rimase ferma sulla soglia, con il marito poco più in là, vicino
all’attaccapanni. Rimasero a guardarsi per un lungo istante, finché Vegeta non
ruppe il silenzio.
- Scusa amore, ho fatto tardi. Tutto il giorno a fare bilanci… -
Lo sguardo di sua moglie si spostò lentamente da quello di suo marito
al pavimento, dove c’erano impronte di scarpe infangate.
Lentamente, Bulma entrò e si chiuse la porta
alle spalle.
- E’ inutile che ti giustifichi dicendo che sei stato a fare bilanci
con le scarpe infangate – disse, camminando lentamente verso la cucina
– io non te l’ho chiesto. –
Vegeta la guardò senza dire nulla, quindi andò verso il soggiorno,
appoggiandosi a una delle sedie del tavolo.
- Cosa eri andata a fare giù, amore? –
domandò con nonchalance.
- Ero andata a cercare una cosa che non c’è più – rispose lei,
senza enfasi.
- Eh, in questo condominio c’è sempre qualcosa che sparisce. Te l’ho
detto tante volte, mettiamo un lucchetto, alla porta di quella cantina! –
Mentre versava i tortellini in brodo nei piatti, Bulma
rispose – E a che serve, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati?
–
A quel punto, si sedettero entrambi, mentre Trunks
andava al televisore e si chinava per accenderlo.
- Trunks! – urlò – Vuoi spegnere
quel televisore?! –
Con il cucchiaio in mano a mezz’aria, Bulmalo guardò, e lui guardò lei.
- Quel maledetto aggeggio infernale che ci impedisce di avere i nostri
rapporti! – aggiunse, guardandola.
Lei sostenne il suo sguardo ancora un po’, poi posò il cucchiaio e andò
al televisore, chinandosi anche lei per spegnerlo.
Mentre era in quella posizione, Vegeta ne
approfittò per guardarle il sedere: una forma perfetta, che gli fece pensare a
quando l’aveva conosciuta, tanti anni prima.
Spento il televisore, tornò al suo posto.
- Siccome sento che c’è un’atmosfera strana
– disse Trunks mettendosi un cucchiaio in tasca
e prendendo il suo piatto con entrambe le mani – Io me ne vado a cenare
in camera mia – concluse, girandosi verso la porta.
Rimasti soli, marito e moglie non dissero una parola: Vegeta iniziò a
sorbire il brodo guardando ogni tanto sua moglie, e lei fece lo stesso,
raccogliendo qualche tortellino.
A un certo punto, Vegeta prese il cavatappi e lo usò
per stappare la bottiglia di vino fresco messa in tavola da suo figlio. Mise da
parte il tappo e si versò due dita di liquido rosso.
Poi, fece per versarlo nel bicchiere di sua moglie.
Lei allungò la mano e coprì il bicchiere, guardandolo negli occhi.
- Perché? –
- Lo sai benissimo che sono astemia. –
Con la bottiglia ancora in procinto di versare, Vegeta disse –
Bere un bicchiere di vino a cena, con il proprio marito, non ha mai ucciso
nessuno. –
Bulma guardò suo marito
ancora per un po’, poi lentamente ritrasse la mano, facendo scivolare le dita
sul bordo del bicchiere. Fu allora che Vegeta iniziò a versare.
Poggiata la bottiglia di vino, prese il bicchiere e lo sollevò. Più per
riflesso condizionato che per altro, Bulma fece lo
stesso.
Con entrambi i bicchieri in alto, Vegeta sorrise e avvicinò il suo a
quello della moglie. Il vetro tintinnò.
- Cin – disse, entusiasta, bevendo un piccolo sorso.
- Cin – rispose Bulma, un po’
sottotono. Poi tracannò il bicchiere.
La bocca di Vegeta si curvò in un sorriso furbetto dietro il bicchiere.
Lo posò e versò un altro po’ di vino alla moglie. I
bicchieri tintinnarono un’altra volta.
Bulma tracannò anche il
secondo bicchiere.
- Lo vedi che ti piace? –
Con gli occhi fissi in quelli del marito, Bulma
allungò il bicchiere, che lui le riempì senza esitare.
*****
Più tardi, Trunks era in pigiama, disteso sul
letto con gli occhiali sul naso che leggeva un libro. Un suono attirò la sua
attenzione, tanto che si alzò e, lentamente, uscì dalla stanza.
Ma... cosa fanno papà e mamma? Si chiese, mentre il
corridoio risuonava della loro voce.
...dopo il sogno delle Hawaii, dove
tutti i marinai… attraverso questo mare di cemento / dopo un altro inverno che,
soffia neve su di me / che ho gia freddo se non sono
accanto a te… devi crederci …
Avvicinandosi alla porta del salotto, li vide entrambi di schiena,
sottobraccio l’uno con l’altra, che cantavano una vecchia canzone. Il tavolo
era ingombro di bottiglie di vino vuote, che stavano lì come spettatori a
guardarli cantare.
- Ciiisaraaaà
/ una storia d’amore ed un mondo migliore / ciii saraaà… / un azzurro più intenso ed un cielo più immensooo / ciii saraaà… la tua
ombra al mio fianco, vestita di biancooo… -
Il ragazzo rimase a fissarli nel buio del corridoio, attraverso lo
spiraglio della porta. A quella vista, la sua bocca si piegò verso l’alto,
mentre le mani (una delle quali teneva il segno con l’indice in mezzo alle
pagine) portarono il libro sotto il mento a nascondere il dolce sorriso che
stava nascendo, forse per paura che brillasse troppo e attirasse l’attenzione
dei suoi genitori, distogliendoli dalla loro felicità.
Terminata la canzone, Vegeta si avvicinò a Bulma
e le sussurrò qualcosa in un orecchio: lei si mise a ridere coprendosi la bocca
con una mano, dapprima leggermente, poi talmente forte che suo marito dovette
trattenerla affinché non cadesse dalla sedia.
Erano entrambi ubriachi fradici.
- Che scemo! Ma dai! –
- Era buono, però. Dì che non te ne faresti un altro, dillo! –
- Me lo farei volentieri, ma mi sento rincoglionita… - altra risata.
- Adesso viene il difficile: riuscire ad alzarsi da tavola. –
- Sì, e poi? Dove andiamo? –
- Ce ne andiamo a letto? Ti va? –
- Siiiiì…! – esclamò Bulma, provando ad alzare una mano. Non riuscendoci, colpì
una delle bottiglie, rovesciando un po’ del vino rimasto sulla tovaglia.
- Allora aspetta… ti aiuto ad alzarti. Appoggiati a me… -
- Senti – disse Bulma con la voce
impastata – Mi è venuta un’idea. E se ce ne
andiamo a fare l’amore? –
- Stavo per chiedertelo io – rispose Vegeta alzandosi, sorreggendola.
– Andiamo a letto e ci facciamo una bella scopata… anzi due… anzi tre!
Anzi, scopiamo per tutta la notte! –
- Daaai, dai…! –
Barcollando, raggiunsero la porta, ma essendo troppo
ubriachi, crollarono sulla cassapanca.
- Amore, dai facciamolo qui! –
- Sulla cassapanca? – rise – E va bene, facciamolo qui –
concordò Vegeta, iniziando a baciarla.
Lei lo baciò di rimando, ma purtroppo mise un
piede in fallo e cadde col sedere a terra.
- Amooore, aiutami… -
- Forse è meglio se andiamo in camera. Dai,
manca poco… pochissimo. Ti aiuto… io. –
- Dammi la mano, non ho voglia di alzarmi. –
- Ah, no? E allora... ti porto io! – esclamò, ma anziché
prenderla in braccio, la trascinò tirandola per la mano, mentre lei ancora
rideva.
Naturalmente non misero in atto nessuna delle proposte sessuali, in
quanto troppo stanchi. Però dormirono abbracciati,
scambiandosi ogni tanto qualche affettuoso bacio sulle labbra mentre dormivano.
Nella cucina della casa di campagna, Vegeta sbadigliò sonoramente,
mentre metteva la moka sul fornelletto da campeggio. Quella mattina, quando la
sveglia aveva suonato, lui l’aveva tacitata con un colpo della mano, convinto
che anche sua moglie sapesse delle ferie che si era preso. Poi,
improvvisamente, un sogno gli ricordò che le ferie le
aveva sì prese, ma sua moglie non lo sapeva. Quindi, con la testa che gli
girava a causa del troppo alcol che si era messo in
corpo la sera prima, cercò di mettersi in piedi e vestirsi. Miracolosamente ci riuscì, ma vista l’ora decise di non attardarsi a farsi
un caffè per non insospettire la moglie qualora si fosse svegliata.
Così era partito alla volta della casa di campagna, dove lo attendeva
la visione dei restanti DVD.
*****
Poco dopo, con una tazzona di caffè bollente a scaldargli le mani, e la
solita coperta sulle ginocchia, iniziò la visione dei filmati.
Per tutta la mattinata non vide altro che giornate di Bulma che andava
dal parrucchiere, faceva la spesa o tornava a casa. Poggiò la tazza vuota di
caffè sul tavolino accanto, dove giaceva anche la scatola con gli altri DVD. La
guardò sbuffando: se anche quelli sono così, mi conviene piantare qui tutto
e lasciare perdere, pensò.
Già, ma come la metteva col fatto che Bulma voleva lasciarlo? E con il
suo atteggiamento alla notizia che era stata pedinata? No, ci doveva essere
qualcosa che nascondeva, per questo non doveva arrendersi alla noia delle
giornate-tipo di sua moglie.
Volse di nuovo lo sguardo al telo, dove era proiettato nuovamente il
retro della macchina della signora C-18 guidata da sua moglie.
*****
Nel pomeriggio, quando il sole aveva ceduto il posto al buio già da
qualche ora, Vegeta si era addormentato sulla poltrona, risvegliandosi solo
quando udì le grida lontane ma vicinissime di una donna.
- Fermatela, fermatela, quella
grandissima puttana! –
- Eh?! –
Si svegliò di soprassalto, mentre sullo schermo venivano proiettate le
immagini di un battuage.
- Che cazzo…? –
Velocemente, si alzò dalla poltrona e andò al portatile, manovrando con
il cursore per cercare un punto d’inizio alla sequenza. Una volta trovato,
cliccò su Play e ritornò alla poltrona.
Non si era sbagliato: sua moglie era andata veramente in un posto di battuage.
Mentre la macchina del signor Yamazu seguiva sua moglie, ai lati della strada
sfilavano donne in minigonna e transessuali con boa di piume, intenti a cercare
di fermare le auto di passaggio.
Un brivido gli attraversò il corpo: - Bulma, amore mio, non dirmi che
il lavoro che hai trovato…? –
Con le mani strinse forte i braccioli della poltrona, mentre l’auto
svoltava in un parcheggio, dove però non c’erano donne né transessuali.
- Cosa…? Uomini? –
No, non erano uomini. O meglio, sì. Erano giovani uomini. Ragazzi più o
meno dell’età di suo figlio, dai diciotto ai venticinque anni.
A un certo punto, l’auto di Yamazu fece inversione (probabilmente per
non dare nell’occhio), sistemandosi in modo perpendicolare alla marcia della
Punto, di cui ora Vegeta vedeva il profilo sinistro e sua moglie che scendeva e
si dirigeva verso il bagagliaio.
Frattanto, udì un sussurro di Yamazu: non riuscì a capire cosa aveva
detto a suo nipote, ma quel che è certo è che
l’obiettivo della videocamera si spostò verso una scalinata, dalla quale
scesero due persone. A quel punto, Vegeta si sentì drizzare i capelli sulla
testa.
- Vieni, dai. Non aver paura. –
- Devo… devo proprio? –
Suo figlio Trunks era vestito con un gilet di jeans e una maglietta,
sopra dei jeans neri strappati sulle ginocchia e delle
scarpe da ginnastica bianche. Era accompagnato da un uomo di circa trenta,
forse trentacinque anni, muscoloso e pelato.
L’uomo pelato, a sentire quella domanda, si avvicinò con fare
minaccioso a suo figlio, sussurrandogli parole che non sfuggirono al microfono
da spionaggio che stavano utilizzando i due investigatori.
- Senti, moccioso. Non provare a
ritirarti, perché qui io ci metto la faccia con questo cliente. E se tu non ti
presenti, io non becco niente e tu non becchi la tua
dose. È chiaro? –
- Dose? Che dose?! – balbettò, mentre
continuava a guardare il filmato.
I due erano scesi dalla scalinata e si erano avvicinati a un’auto di
lusso, una Jaguar coi vetri oscurati.
- Eccoci qui, eccellenza – disse il pelato al
finestrino aperto, da cui però Vegeta non riuscì a intravedere chi fosse la
persona alla guida. Poi si spostò, e la voce che lo
salutò era maschile.
- Ciao -, disse l’uomo alla guida - Quanto vuoi? –
- Cento euro – rispose suo figlio.
- No! – urlò Vegeta, portandosi le mani ai capelli – Mio
figlio! Non lui! Non Trunks! –
Mentre nel suo cuore cominciava a montare una rabbia pazzesca nei
confronti di quel pervertito in Jaguar e abbassava lo sguardo, ecco che
l’obiettivo cambiava di nuovo direzione e inquadrava una donna che correva
stringendo qualcosa nella mano destra.
- Bulma! –
- Mamma! No! – esclamò Trunks,
ma Bulma non lo ascoltò.
- Lascialo stare, pezzo di merda!! – urlò sua moglie nel
video, calando il cric della macchina in testa al pelato, che cadde a
terra privo di sensi.
La Jaguar ripartì velocemente, mentre Bulma tirava Trunks per mano,
correndo verso l’automobile.
- Oh mio dio! Bulma! Trunks! Scappate, scappate! – li esortò, con la paura a fior di pelle.
- Fermatela! Fermatela! Quella grandissima puttana! – si sentiva urlare,
mentre l’obiettivo ora tornava al suo lavoro solito, ovvero
seguire la macchina della signora C-18.
L’auto si allontanò parecchio dal luogo del misfatto, fino a fermarsi
in un parcheggio sovrastato da un monumento. Qui, la macchina di Yamazu si
posizionò in modo che l’obiettivo inquadrasse le
persone all’interno dell’abitacolo.
Lì, Trunks aveva la testa abbassata e singhiozzava. Bulma aveva la voce
rotta.
- Come hai fatto a trovarmi, mamma? –
- Ho telefonato a quella tua amica, Pan… mi ha detto che
forse eri lì. E sono stata fortunata – poi, si voltò verso suo
figlio e gli carezzò la guancia - E anche tu. –
- Scusami, mamma… - suo figlio piangeva.
- Ma com’è successo? –
- Ho avuto … una crisi. Questa volta è stata talmente forte
che non ho potuto resistere. –
- Amore, ma erano sei mesi che non ti bucavi. Perché non ti
sei fatto un’iniezione di metadone? –
- Non lo so… Mi sono sentito male, malissimo. –
Qui, incominciò a piangere anche lei.
- Perché non sei venuto da me, se avevi bisogno di soldi?
Perché? Dio mio, perché? –
- Scusami, mamma… non volevo
chiederti altri sacrifici. Hai già fatto così tanto per me… -
- Amore, tu non devi andare da quei porci pervertiti. Quando
hai bisogno di soldi, tu devi venire solo da me. È chiaro? Chiedi aiuto a me! –
- Ma perché non a me? Perché non a papà…? – Domandò Vegeta, con
gli occhi gonfi di lacrime.
Fu suo figlio a girare la domanda alla madre: - E papà…? –
La risposta di sua moglie lo raggelò: - Ma
cosa vuoi da lui, lascia stare… ha i suoi problemi, i suoi pensieri. Non ci
pensare, vieni da me e andrà tutto bene. –
Il filmato si concluse con suo figlio che piangeva forte e abbracciava
la madre, e lei gli accarezzava la testa guardando fuori dal finestrino.
Il filmato successivo mostrava invece la macchina della signora C-18
che accedeva al vialetto della casa di campagna. Vegeta sgranò gli occhi.
A scendere dall’auto questa volta, però, non fu
sua moglie, bensì un ragazzo che non conosceva, mentre suo figlio scendeva dal
posto di guida.
Entrarono nel portone d’ingresso e poi si accese la luce della camera da letto al primo piano.
L’operatore si arrampicò sull’albero di fronte alla finestra, che dava
una visuale perfetta di ciò che succedeva nella stanza.
Suo figlio giaceva disteso sul letto, a gambe divaricate, vestito solo
delle mutande. Accanto a lui, in piedi, il ragazzo suo ospite si stava
togliendo la maglietta.
- Goten – disse Trunks a un certo punto -
Se ti ho portato qui è perché voglio farti una proposta, ma ti prego di non
giudicarmi. –
- Dimmi. Non preoccuparti -, aveva risposto
l’altro, baciando la fronte di suo figlio.
Allora Trunks, dopo averlo guardato negli occhi, si chinò verso il
pavimento (dove forse teneva il suo zaino) e tirò fuori un astuccio, dal quale
estrasse una siringa e un po’ di carta stagnola.
- Ma… - fece per dire il ragazzo, ma suo figlio lo
bloccò con un educato gesto della mano.
- Goten, se vogliamo stare insieme ed essere una vera coppia,
devi sapere tutto di me. E devi accettarmi così come
sono. –
- Trunks… io non sapevo che ti bucavi. –
- Ti faccio schifo? –
- No… no, certo che no, ma… -
- Per favore – disse suo figlio - Se ti
faccio schifo dimmelo, ma ti prego adesso aiutami. Sto male, sono in crisi.
Devi iniettarmi la dose. –
- Io? Ma… perché? –
- Perché devi dimostrarmi che mi ami. Che mi accetti così
come sono. Ti prego, non dirmi di no… - mentre lo diceva,
si mordeva le labbra, e i suoi piedi erano agitati. Suo figlio era in crisi
d’astinenza.
- Trunks, ma io… io ho paura. –
- E di cosa? –
- Se una dose è tagliata male, potresti anche morire –
- Cosa vuoi che me ne importi…? A questo punto… -
Vegeta si coprì la bocca con la mano,
spalancando gli occhi e sentendo un dolore sordo montargli dentro.
- Non… non so nemmeno da che parte cominciare… - mormorò Goten.
- Goten, tu fai scienze infermieristiche. Non dirmi che non
sai come si fa un’iniezione, perché non ti credo. –
Il ragazzo emise un verso di disappunto. - Qui ci vuole un laccio
emostatico… -
- La cintura dei pantaloni! Usa quella! –
Goten si tolse la cintura e la avvolse intorno al braccio Trunks,
stringendo bene finché non trovò la vena e vi infilò
l’ago della siringa con cui gli iniettò la dose.
Nello schermo, Vegeta vide suo figlio voltare il capo verso la
finestra, guardando fisso nell’occhio della telecamera. Il suo viso era
un’espressione spenta, scolorita… ma di calma e beatitudine.
- Gra…zie… -
Furono le ultime parole che Vegeta riuscì a udire, prima di svenire sul
pavimento.
*****
Poco più tardi, salì nella stanza da letto. Qui, il profumo delle
lenzuola pulite si mescolava con l’odore di polvere e di chiuso. Sui mobili e
alle pareti c’erano le foto dei bisnonni di sua moglie che guardavano
l’obiettivo in modo austero… Tutto era in perfetto ordine, come a testimoniare
che era andato tutto bene. Per fortuna. Suo figlio era ancora vivo, la dose non
lo aveva ammazzato.
Vegeta guardò con tristezza il letto dove pure aveva passato tante ore
liete, prima con sua moglie e poi con Laura; finché il suo sguardo si volse
verso la finestra: immerso nella semioscurità, l’albero guardava verso
l’interno della stanza, e lui guardava fuori.
Abbassò il capo, scuotendolo in senso di sconfitta, senza sapere bene
cosa fare.
Maledetti DVD. Maledetto Yamazu.
Maledetta quella puttana di C-18. Maledetto quel coglionazzo
matricolato di suo marito. Maledetti a due a due finché non arrivano a dispari, pensò, battendo
ripetutamente i pugni sul volante a ogni maledizione che gli veniva in mente.
Inoltre, a forza di stare seduto al freddo della casa, un leggero mal
di testa stava iniziando a fare la sua comparsa.
Si massaggiò l’attaccatura del naso con l’indice e il pollice,
chiudendo forte gli occhi.
- Calma – si disse – Calma. Respira, adesso. Respira.
–
Fece almeno cinque bei respiri profondi, a cui per buona misura ci aggiunse
un paio di mormorii gutturali con la bocca, esercizio insegnatogli da un
commilitone quand’era un giovane soldato di leva.
Una volta che fu rilassato abbastanza, aprì lo sportello e scese
dall’auto.
*****
- Amore? – chiamò, togliendosi il giubbotto – Sono a casa!
–
- Ciao tesoro – lo salutò Bulma dal salotto, dove lui la raggiunse. Stava apportando
le ultime correzioni a dei fogli, forse la bozza di un manoscritto.
- Hai fame? –
- No, non ho fame. Dov’è Trunks? Trunks! –
- E’ di là, in cucina… mi sta dando una mano perché Gilda non è venuta.
–
- Dov’è? Dov’è il mio cucciolo? – disse, andando verso la cucina.
Suo figlio era lì ai fornelli, che mescolava del sugo in una
casseruola. Vegeta riconobbe che il figlio aveva di nuovo indossato la sua
giacca da camera.
Gli andò dietro e lo prese dolcemente, abbracciandolo.
- Bello di papà! – esclamò, posandogli uno, due,
tre baci sulle guance.
- Ma… papà… che fai? – ridacchiò il ragazzo, mentre con la mano
destra cercava di non far gocciolare il sugo dal cucchiaio.
- Che succede? –
- Niente, che dovrebbe succedere? È normale quando un padre vuole bene
al proprio bambino. –
- Papà, ho diciotto anni. Non sono più un bambino. –
- Figlio mio, vedi – esordì Vegeta, tirando una sedia e
accomodandosi al tavolo – Io volevo dirti che so tutto di quello che hai
passato – poi alzò lo sguardo. Suo figlio stava in piedi, appoggiato con
una mano al mobile della cucina.
- So che hai avuto problemi con la droga. E so anche che stai con un
ragazzo. –
- Cosa…? Ma…? Chi… chi te l’ha detto? – Trunkslo guardò, poi il suo sguardo si spostò verso la porta
laterale, dove si era affacciata Bulma, a braccia
incrociate.
- Nessuno. Non me l’ha detto mamma, come tu
forse avrai pensato. Lo sapevo già. –
- E come mai non hai mai detto nulla? -
Vegeta sospirò – Eh… perché osservavo e soffrivo in silenzio, per
non doverti caricare anche di quel peso. –
- Oh, papà – disse Trunks –
Sapere che tu mi accetti anche se ho avuto quel
problema, mi fa sentire meglio con me stesso, lo sai? –
- Certo che lo so, figlio mio. Tu sappi solo
che quando hai dei problemi, vieni anche da papà. Io ho fatto le mie
esperienze, posso consigliarti bene.
Trunks non disse nulla,
quindi Vegeta continuò.
- Vedi… anche questo fatto della droga… non è niente. Se papà la sera
si accende uno spinello, o se mamma e papà a Capodanno tirano un po’ di
cocaina… - si chinò sul tavolo turandosi una narice, mimando una sniffata -
…non è la fine del mondo! –
- Ma che stai dicendo?! – lo interruppe Bulma. In quel momento, suonò il campanello.
- Papà, tu non sai cosa dici – disseTrunks, andando verso la porta che comunicava con il
corridoio – La droga è una cosa pericolosissima. E
io col buco, ho visto gente morire. –
Quelle ultime parole risuonarono come un macigno in Vegeta, che rimase
fisso a osservare il figlio che andava ad aprire la porta, finché non si voltò
verso Bulma, che lo guardava a braccia incrociate,
con un’espressione di rimprovero dipinta sul volto.
- Che c’è? Non dovevo dirlo? –
- Eh no. Non dovevi dirlo proprio. –
- Buonasera – salutò una voce, che Vegeta riconobbe subito. Si
alzò, quindi andò verso il corridoio.
- Oh, ciao Goten, che piacere rivederti!
– disse, tendendogli la mano.
- Buonasera a lei – lo salutò
timidamente il ragazzo, stringendogli la mano.
- Papà, ma come fai a conoscerlo, scusa?
–
- Eh… già – si voltò verso Bulma,
sopraggiunta in quel momento - …come faccio a conoscerlo? –
- E io che ne so? – poi si rivolse a Goten – Come sta la mamma, Goten? –
- Sta bene, grazie. Sempre in casa ad aspettare papà. –
- Ah, bene, bene. –
- Mi cambio e usciamo subito – annunciò Trunks
– Se mi aspetti… -
- Sì, sì, tranquillo. Fai con calma. –
- Ah, non restate più a cena? – domandò Bulma.
- Penso di no, mamma – rispose Trunks
dalla sua stanza.
- Beh, bene. Siete giovani, dovrete divertirvi – disse Vegeta,
strizzando l’occhio all’amico di suo figlio, che arrossì violentemente.
- Amore, dai. Così lo fai arrossire. –
- Non si preoccupi, signora – rispose Goten – Grazie, comunque. –
Poco dopo, Trunks uscì dalla sua stanza con
una felpa e dei jeans al posto della tenuta casalinga.
- Be’, è stato un piacere conoscerti – disse Vegeta,
stringendogli di nuovo la mano – Torna presto a casa nostra, mi
raccomando. –
- Non mancherò. Arrivederla, dottor Vegeta. Dottoressa Bulma. –
- Divertitevi, mi raccomando – li salutò
lei, allontanandosi con il marito verso il salotto, chiudendo la porta.
Rimasti soli in corridoio, Goten guardò Trunks con sguardo di sorpresa e contemporaneamente alzò le
spalle, come a dirgli non ho capito bene cosa sia
successo.
Per tutta risposta, Trunksgli
si avvicinò chiudendo gli occhi e gli posò un tenero bacio sulle labbra.
- Ma… cosa stai facendo? – sussurrò Goten
– Non avevi detto che non avremmo mai dovuto
baciarci qui in casa tua…? –
- Sento di poterlo fare. Ho la sensazione che da stasera, le cose
cambieranno. – rispose Trunks sorridendogli, e
poi lo baciò nuovamente, questa volta tenendogli
guance con le mani per impedire che si ritraesse.
Goten rispose al suo bacio,
quindi lo guardò negli occhi.
- Ti amo – disse, poi.
- Io di più – rispose Trunks,
allungando la mano a prendere il borsalino di suo padre appeso
all’attaccapanni.
Goten glielo prese dalla
mano e glielo calò dolcemente sulla testa, sistemandoglielo a mo’ di gangster.
- Mi piaci tantissimo con quel cappello, lo sai? –
- Lo so. Andiamo? –
- Andiamo. –
E uscirono diretti verso la loro serata, chiudendosi delicatamente la
porta alle spalle.
*****
Bulma tornò alla sua
scrivania, quindi Vegeta si sedette sulla sedia che c’era lì di fronte. Si
guardarono per un lungo istante, finché Vegeta non disse: - Senti, ma… come te
lo spieghi che Trunks si mette sempre i miei vestiti?
–
- Non l’hai ancora capito? –
Vegeta scosse la testa.
- Mancanza d’affetto. Sensazione di distanza. Si mette
i tuoi vestiti perché vuole sentirti vicino. Per lui è un modo di comunicare
con te. –
Fece per difendersi dicendo che suo figlio poteva parlare con lui
quando voleva, ma ci ripensò immediatamente.
- Capisco – disse soltanto. Poi aggiunse: - Mi dispiace per
prima. Cioè, del discorso sulla droga… Io non ne so niente, non sono preparato…
mi capisci? –
- Eccome, se ti capisco – disse sua moglie sospirando – Io
l’ho dovuto imparare a mie spese, quando nostro figlio ha cominciato. –
- Ma io te l’ho sempre detto…! Non farlo andare con quei ragazzini
della sua scuola, quelli erano tutti dei delinquenti! –
Bulma scosse la testa –
Trunks non ha scoperto la droga a causa dei ragazzini
della sua età. La prima dose gliel’ha fatta provare un
adulto. E quello sì che era un delinquente. –
- Come…? Di che stai parlando? –
Sua moglie lo guardò con un’espressione
stanca, a metà tra la sufficienza e la sconsolatezza – Devi sapere che
un’estate di cinque anni fa, tu lo mandasti in vacanza da un tuo amico, perché
non ti fidavi dei suoi amici. Cominciò tutto con qualche spinello, mentre la
moglie non c’era… poi la cosa si allargò, e quando nostro figlio tornò, era già
dipendente dall’eroina, e insieme ad altri due ragazzi della sua età aveva
iniziato a spacciare. –
Vegeta rimase in silenzio per un attimo – Ma… quale amico? Di chi
stai parlando? –
- Del tuo migliore amico – rispose solo Bulma,
guardandolo.
- Chi è, l’avvocato Junior? –
Per tutta risposta, Bulma annuì.
Vegeta allora strinse gli occhi, guardando fissa la moglie. Quindi
dalla fondina ascellare tirò fuori la pistola, tirando il carrello per armarla.
Quindi si alzò e andò verso la porta.
- No, con la pistola no…! Dai! Potrebbe partire un colpo…! –
- E deve partire un colpo! – urlò Vegeta con la mano sulla
maniglia – Io vado in clinica e gli sparo in
fronte, a quel grandissimo bastardo! -
- No, ti prego, no! –
- Lasciami, cazzo! –
- Non serve! Ho già fatto io! –
A quel punto, Vegeta si calmò. Chiuse la porta e sua moglie gli prese
di mano la pistola, dolcemente.
- L’ho già punito io – disse di nuovo lei, mentre lui la guardava
portarsi la pistola al seno e inserire la sicura – Una sera l’ho
aspettato fuori dal suo studio in macchina… ho ingranato la marcia… e CIAFF!
L’ho spiaccicato… poi ho fatto retromarcia e gli sono passata addosso una… due… tre! Cinque…! Otto volte! L’ho rotto
tutto… -
- Ma… Bulma…! Allora… allora sei tu il pirata
della strada! –
- Sì. Sono io. È stato lì che ho sfasciato la
206 – disse lei, allontanandosi verso la cucina, lasciando Vegeta con un
palmo di naso.
A quel punto, gli tornarono in mente le parole dell’avvocato: Tu
pensa, io ho riconosciuto il pirata della strada che mi ha ridotto così, ma non
lo voglio denunciare, e sai perché? Perché nessuno di noi… è veramente pulito.
Il terzo giorno, i DVD erano quasi finiti, senza che Vegeta avesse
trovato altro di compromettente rispetto a sua moglie.
Gli ultimi filmati visionati gli avevano mostrato i soliti spostamenti
di routine: Bulma che andava a fare la spesa o che consegnava
i suoi lavori di traduzione; nulla di sconvolgente.
Seduto in poltrona con la sigaretta in mano, stava pensando di dare
forfait all’ultimo DVD rimasto, quando, a un certo punto cambiò idea.
A fargli cambiare idea fu l’incontro di sua moglie con un giovane
ragazzo: capelli lunghi arruffati, vestito casual e occhiali. La sua
particolarità, oltre a quella di indossare un lungo camice medico (segno che
era un laureando in medicina, come Vegeta avrebbe scoperto più tardi), era una
vistosa cicatrice che gli attraversava perpendicolarmente l’occhio destro e
un’altra, a forma di croce, a decorargli la guancia sinistra.
E questo chi è…? Pensò Vegeta spegnendo la
sigaretta nel posacenere sul tavolino.
Si erano dati appuntamento in un parco che
riconobbe essere quello nei pressi della zona universitaria.
- Salve, Yamcha –lo
salutò sua moglie dal video - Come sta? Ho qui il lavoro che mi aveva
commissionato, la traduzione di quella ricerca. –
- Ah, ottimo, ottimo! La ringrazio moltissimo. Quanto le
devo? –
- Sarebbero cento euro. Però, come le dicevo al telefono,
potrei farle uno sconto se mi aiutasse. –
Sorridendo, il giovane annuì: -
Certamente, sarà un piacere. Vengo a casa sua? –
- Oh, no, no... meglio di no. C’è mio marito che è geloso. Se
venissi io a casa sua, invece? –
- A casa mia? – il giovane rise. - Vivo allo
studentato, siamo in sette in una stanza… non riusciremmo mai a lavorare
tranquilli. -
- Già, è vero… - ribatté sua moglie, roteando gli
occhi. Poco dopo, levò la mano e spalancò gli occhi, come se avesse avuto
un’idea.
- Ho trovato! – esclamò - So dove potremmo
andare. Lei è libero domani? –
- Certamente, sono libero tutto il
giorno. –
- Bene, allora. Vediamoci qui domani alle tre, d’accordo? –
- Non mancherò. –
- Benissimo. Ora vado, che devo consegnare altri lavori. A
domani! –
- A domani, Bulma! –
E così, si salutarono, mentre Vegeta si
chiedeva dove mai sua moglie avrebbe voluto portare quel giovane medico.
*****
Nel filmato successivo, Bulma usciva dal
portone della casa di campagna, reggendo un cestino da pic-nic e una giacca. Canticchiava
una vecchia canzone popolare.
Doveva essere una giornata ventosa e fredda, a giudicare dai soffi che
si avvertivano in sottofondo, e anche lei era vestita con il suo cappotto
pesante. Girò l’angolo, portandosi verso il retro della casa, dove c’era il
piccolo molo in legno eretto da alcuni pescatori del luogo, che ogni tanto si posizionavano lì per le loro battute di pesca di fiume.
L’obiettivo della videocamera la seguì, fermandosi poi nei pressi di un
albero, da dove si poteva vedere tutto senza essere visti,
continuandola a riprendere.
In piedi sul molo, con una canna da pesca tra le mani, c’era di nuovo
quel ragazzo.
- Eccomi, Yamcha. Hai pescato
qualcosa? –
- Non me ne parlare… sono qui da un’ora e ho solo preso
freddo. Brrr! –
- Beh, per forza, ti vesti sempre con quel maglioncino…
mettiti questo – disse lei, porgendogli la giacca che reggeva sul braccio.
- Ma… Bulma, quella è la mia giacca! –
- Questa sì che tiene caldo! –
- Eh sì, è un montone. È di mio marito, ma tanto lui non se
la mette più. –
- Come sarebbe a dire “non me la metto più?!” Bulma! – esclamò, allargando le braccia.
- Sediamoci qui, ti va? – disse lei,
accomodandosi sulla panchina che c’era lì sul molo.
- E va bene, allora ditelo che mi volete spogliare proprio di tutto… -
mormorò Vegeta, rimettendo le mani sui braccioli della poltrona.
- Sì, va bene. Hai portato qualcosa da mangiare, vedo. –
- Due cosine, sì. Giusto per lavorare meglio. –
Per un po’, nessuno dei due disse nulla, mentre Yamcha
leggeva il dattiloscritto che Bulma doveva tradurre.
- Riesci a leggere? –
- Sì, sì. Praticamente dice: “La condizione patologica è da
ricercarsi in un eccessivo bisogno di attenzioni del soggetto, che… a causa… di
traumi, aperta parentesi, infantili o di altra natura, chiusa parentesi,
risulta avvertire come un peso la sua stessa
esistenza…” –
- Ah, ecco cos’era quella frase – ribatté lei, mentre
con l’indice della mano destra andava a picchiettare sulla frase, evidenziata
di rosa - Non riuscivo proprio a capire. Grazie. –
Vegeta scosse la testa, ridacchiando: - E io
che mi ero creduto che… Bah. Su una cosa aveva ragione Junior: di tutte le
donne su questa Terra posso avere qualche dubbio, ma non su Bulma.
Beh… Meglio così. – sentenziò, anche se mancava
ancora poco alla fine del DVD.
Si avvicinò al tavolino dove c’era il portatile, premendo “pausa”. Tuttavia,
il suo lato curioso gli disse che forse non sarebbe stata una buona idea.
Finisco di vederlo oppure stacco tutto e me ne vado? Pensò.
Guardò l’orologio: le quattro e mezza. Ce
n’era di tempo, ancora.
- E va bene. Finiamo di guardare questa roba – disse, e cliccò
nuovamente sul tasto “play”.
*****
Nel filmato successivo, l’ambientazione era un’esterna notte, con una
fortissima pioggia che tempestava le macchine ed i
palazzi. La videocamera inquadrò prima la Punto della signora C-18 dove sua
moglie era rintanata, poi il cancello di un giardino, che recava sull’arcata
l’insegna Casa dello Studente.
- Casa dello studente – lesse Vegeta sottovoce. Poi, nel video
apparve Yamcha con il suo cappotto tirato su a
proteggersi la testa, che si guardava intorno, cercando qualcuno (ovviamente Bulma). La trovò grazie a lei che incominciò a suonare il
clacson.
Yamcha allora aprì lo
sportello ed entrò nell’abitacolo.
- Anche di notte lo incontra… - commentò, salvo poi tacitarsi quando
gli attori inconsapevoli iniziarono a parlare.
Bulma piangeva.
- Non devi sentirti così, Bulma
– esordì il ragazzo - Devi pensare al futuro. –
- Come faccio a pensare al futuro, sapendo che lui non ci
sarà più?! –
- Guarda al lato positivo, mia cara: hai la possibilità di
sistemare le cose. –
- No, no. Tu non capisci – piagnucolò Bulma, gli occhi pieni di lacrime - Io non posso vivere
senza di lui, non posso… non posso! –
- Ma di chi stanno parlando? – mormorò Vegeta, con gli occhi
spalancati da una curiosità mista a un senso di paura.
A un certo punto, Bulma si allungò verso i
sedili posteriori e tirò fuori una grande busta gialla che porse a Yamcha, che iniziò a esaminarla.
- Un referto medico…? Ma che…? –
Improvvisamente, si ricordò di quella visita fatta circa tre mesi
prima: tra una cosa e l’altra, si era dimenticato di andare a ritirare il
referto, incombenza di cui per fortuna si era ricordata sua moglie.
- L’ho fatto vedere oggi al nostro dottore. Mi ha detto che
Vegeta ha al massimo tre mesi di vita! –
A quelle parole, si sentì mancare il fiato.
- Non devi preoccuparti,Bulma. Quando tuo marito non ci sarà più, prenderai la
liquidazione della banca, venderai la casa in campagna… e poi, potrai sempre
contare su di me. –
- Ma cosa me ne frega dei soldi, della liquidazione… io la
casa di campagna non la venderò mai! Lì ci sono tutti i nostri ricordi, il suo
trenino elettrico, le canne da pesca, i suoi vestiti… lui è come un bambino…! Io
non posso vivere senza di lui, lo capisci? Non posso! Non posso! – e giù un’altra
scarica di lacrime.
A quel punto, Yamcha non se la sentì di
ribattere, preferendo piuttosto prenderla sottobraccio e abbracciarla
fraternamente.
- Aiutalo – mormorò poi Bulma,
mentre ancora piangeva - Aiutalo, ti prego. –
Aiutalo…
Quando il filmato terminò, lasciando solo lo schermo blu
dell’interfaccia del portatile, Vegeta si alzò lentamente dalla poltrona,
camminando come se le sue gambe, anzi l’intero scheletro pesassero una
tonnellata.
Uscì dalla sala e si ritrovò nell’ingresso, dove si appoggiò contro un
mobile con annessa specchiera. Si guardò: il suo volto era pallido, non sapeva
se fosse per via della malattia che aveva appreso di avere, o per aver appena
appreso la notizia della sua imminente dipartita.
Sempre lentamente, si trascinò verso il portone e uscì all’aria aperta.
*****
Fuori, l’aria era fredda e la luce diafana. Il sole, non ancora
tramontato, era schermato dalla foschia campagnola.
Vegeta guardò il paesaggio circostante con occhi tristi. La sua
attenzione fu attirata da un miagolio alla sua destra. Si voltò. Era Balzhar, il micio bianco della fattoria poco lontana, che
ogni tanto si aggirava per il loro giardino.
- Ciao, Balzhar – lo
salutò, chinandosi a dargli due grattini. Il micio gli
si accoccolò contro la gamba facendo le fusa.
- Beato te – disse Vegeta, alzandosi e allontanandosi lentamente
– Tu sei gatto, ma appartieni al mondo dei vivi. Io invece… con la mia
intelligenza, i miei progetti, i miei sogni… appartengo al mondo dei morti
– mentre camminava, tracciò un arco ideale con la mano, ricomprendendovi
la casa, la sua macchina parcheggiata lì davanti, il giardino… - Tutto questo,
è come se non fosse mai esistito… se solo avessi il coraggio di buttarmi nel
fiume… - mormorò infine, allontanandosi verso il retro della casa.
La campagna era sonnacchiosa e tranquilla. In lontananza, un pastore
passò con il suo gregge di pecore e cane al seguito. Sul molo dove prima aveva
visto sua moglie e il suo giovane amico, adesso c’erano tre pescatori, che
peraltro conosceva. Li vide di sfuggita, troppo preso
dalla tristezza. Ormai al limite, incominciò a piangere.
- Vegeta! – lo chiamò uno dei pescatori
– Con ‘sto tempo cos’è meglio, il cucchiaio o la piuma? –
Lui alzò lo sguardo, pieno di lacrime – Eh?!
–
- Vegeta, è meglio il cucchiaio? –
- Il cucchiaio… Ma che cazzo me ne frega… - mormorò, quindi si girò e
se ne andò, lasciando i pescatori ai loro dubbi.
Rientrato nel casale, si disse che tanto valeva vedere gli ultimi
filmati, prima di…
Per un lungo istante, rimase a fissare lo schermo blu del proiettore in
stand-by, prima che lo stesso entrasse in modalità risparmio energia immergendo
la stanza nel buio, tagliato solo dalle piccole strisce di luce che filtravano dalle
imposte chiuse.
A quel punto tirò fuori l’accendino e con la fiamma si fece strada fino al tavolino del computer, dove c’era
l’ultimo DVD disponibile, datato ventinove novembre.
Lo inserì nel lettore CD
del portatile, e si preparò alla visione.
La macchina della signora C-18 stavolta era parcheggiata in mezzo a
tante altre macchine, nel parcheggio di un ospedale. Bulma
era accanto a un albero, che camminava nervosamente avanti e indietro.
- Bulma! Bulma!
– gridò una voce. L’obiettivo inquadrò sua moglie mentre si voltava
verso il doppio battente dell’ingresso dell’ospedale. Yamcha
stava accorrendo con il lungo camice medico e un referto simile a quello che
sua moglie gli aveva lasciato nel filmato precedente.
- Yamcha! Allora? Che notizie hai?
–
- Notizie meravigliose – disse lui, eccitato –
Guarda, guarda qui. –
- Che cosa? – domandò fiaccamente Vegeta, come se fosse stato lui
nel filmato, e non sua moglie, che stava guardando le lastre senza capire.
- Cos’hai scoperto? –
- Guarda, il codice sulle lastre che ti hanno dato non
corrisponde a quello assegnato al referto di tuo marito! C’è stato un errore,
uno scambio di lastre, hai capito? –
Vegeta spalancò gli occhi e la bocca - Un errore? Un errore?! Ma allora… -
- Questo vuol dire che Vegeta… -
Il giovane medico le sorrise: - Sì, vuol dire che tuo marito sta
bene, è sano come un pesce! –
- Oh mio dio! – esclamò Bulma,
al colmo della felicità. Si portò le lastre al petto e le coccolò come se
fossero state un biglietto vincente della lotteria.
- Allora non devo morire! –
esclamò Vegeta – Sono vivo! Sono ancora vivo! – si alzò dalla
poltrona, togliendosi la giacca – Sento caldo, posso
tornare in banca! Sono tornato alla vita! –
Mentre scorrevano le immagini del giubilo di Bulma,
lui continuò: - Non sto più nella pelle. Questo giovanotto, questo Yamcha, che mi stava anche antipatico, ha compiuto il
miracolo: mi ha restituito alla vita! Come potrò mai ringraziarti,
mio benefattore…! Bulma, amore mio! Scusami per aver
dubitato di te, ma non sapevo. Grazie! Grazie! – concluse, mandando baci
alle immagini proiettate.
- Un telefono! Ho bisogno di un telefono, presto! – disse poi Bulma, mentre Vegeta si sedeva nuovamente in poltrona,
sorridente come non mai, ignaro che il suo sorriso da lì a poco si sarebbe
nuovamente spento.
Nel filmato, l’obiettivo seguì Bulma che
entrava in una cabina telefonica, prendeva fuori il portamonete dalla borsetta
e ne inseriva qualcuna nella fessura mentre si portava la cornetta
all’orecchio.
Dall’altro capo del telefono, rispose
una voce femminile: la voce di Laura.
- Banca Nazionale,
buonasera. –
- Il dottor Vegeta,
la prego! -
– Sì certo,
glielo passo - disse Laura, poi, più in tono più
basso: – E’ per te, tua moglie. –
- Pronto? –
- Vegeta! Vegeta,
amore mio, sono felicissima! –
- Ehi, che succede?
Hai trovato per caso un vestito nuovo? –
- No, no! No, amore
mio. Ho capito una cosa. Ho capito che ti amo, che è una giornata bellissima, e
che voglio… voglio fare l’amore con te! –
- E mi chiami in
ufficio per farmi certe proposte?! Guarda che non sono
solo… -
- Ma che t’importa!
Sei un uomo sano, pieno di vita. Dai, ti prego, andiamo nella nostra casa in
campagna! –
- La casa di
campagna? Bisogna ripristinare il riscaldamento, come minimo ci saranno i
pinguini, a quest’ora. –
- Dai,
amore, non dirmi di no. –
- Anche volendo, non
posso. –
Il volto di
sua moglie si rabbuiò: - Perché? –
- Perché stasera c’è
la partita. –
Come in un dejà-vu, Vegeta comprese ciò che aveva
fatto, e si diede dell’imbecille.
- La partita…?
–
- E certo, la
partita! Ogni volta tu t’inventi una scusa per non farmela vedere…! –
- Ma che m’invento…
tu non capisci, Vegeta… -
- Senti Bulma, io stasera ho la partita, tu fai un po’ quello che
vuoi, va bene? Ci vediamo a casa stasera, ok? Ciao… ciao,
ciao. –
- Che
imbecille, testa di cazzo, Vegeta – si auto-insultò, bisbigliando tra i
denti.
Quel pomeriggio aveva preferito la partita a sua moglie, che adesso,
nel filmato, reggeva la cornetta con aria stanca e un’espressione triste…
mentre Yamcha la guardava attraverso il vetro.
Quando lei si girò, riagganciando la cornetta, lui le sorrise
dolcemente.
Poco dopo, il filmato successivo si apriva con un interminabile tratto
di buio durante il quale Vegeta vide soltanto il tentativo di messa a fuoco
dell’obiettivo.
Dopo circa due minuti, si accese una luce, che agì sul meccanismo di autofocus
della videocamera, rendendo immediatamente tutto più chiaro.
La luce che si era accesa era di un’abat-jour,
per la precisione quella della stanza da letto al piano superiore della casa di
campagna, dove, qualche filmato prima, suo figlio si era fatto iniettare una
dose di eroina dal suo ragazzo.
Questa volta, al posto di suo figlio c’era Bulma,
sotto le coperte.
Nuda.
Vegeta aprì la bocca, facendo per dire qualcosa, ma non gli uscì nulla.
Sua moglie guardò alla sua destra. Come per magia, si accese l’altra abat-jour, illuminando il volto e le braccia
di Yamcha appoggiate alle coperte.
Bulma ora guardava un punto
imprecisato nel vuoto alla sua sinistra, scuotendo impercettibilmente la testa:
Vegeta conosceva quella posa, tipica di quando la consorte era preoccupata.
Accanto a lei, Yamcha prese un pacchetto di
sigarette dal comodino, ne fece uscire una e se l’accese con un fiammifero, che
poi infilò nello stesso pacchetto… poi accese la radiosveglia.
La sintonizzò, e alzò leggermente il volume.
- …posso dire che quello che ho sentito durante questa
partita è stata una grande emozione e voglia di partecipazione da parte dei
ragazzi… però mi rammarico che sia finita così, in pareggio. Va beh, andrà meglio la prossima volta… -
Yamcha storse un po’ il naso
a quel commento, poi disse: - Che stronzi. Hanno pareggiato… -
dopodiché, guardò accanto a sé la ragazza che si era portato
a letto.
Sempre guardando nel vuoto, Bulma allungò una
mano e fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo era sconvolto. Fece spallucce, sospirò e si portò una mano alla bocca, alzando
gli occhi al cielo…
In tutto questo, Vegeta iniziò a torturarsi le mani, guardando in basso
con lo sguardo contrito.
A un certo punto, la sua mano destra andò lentamente alla fondina
ascellare, traendone fuori la pistola, e contemporaneamente alzandosi dalla
poltrona.
Come prima, camminò lentamente verso il corridoio, arrivando fino al
mobile con la specchiera dell’ingresso. Si specchiò: era un uomo di mezza età, con
i capelli lunghi e la barba appena fatta.
Un uomo di mezza età con un impiego in banca, non ricco ma benestante.
Un uomo di mezza età che amava sua moglie… che però era andata a letto
con un altro.
Senza che se ne accorgesse, la sua mano destra si sollevò fino a che la
bocca della pistola non incontrò la sua tempia, mentre gli occhi si riempivano
di lacrime.
L’indice sul grilletto cominciò ad aumentare gradualmente la pressione,
così come la stessa mano che impugnava il calcio della pistola, finché…
Il tuono risuonò forte come una cannonata, tanto che Bulma trasalì.
- Mio dio – mormorò – questo è caduto vicinissimo. –
Poco dopo, il parabrezza incominciò a riempirsi di gocce di pioggia.
Quella strada l’aveva percorsa tante volte nella sua vita: sia coi
genitori che con suo marito, ma anche da sola, come in quel momento.
L’illuminazione che Vegeta si trovasse alla casa di campagna, l’aveva
colta già da un pezzo. Almeno da quando aveva visto il pavimento infangato,
qualche giorno prima. Ma non vi aveva mai dato corso. Adesso invece, stava
andando da suo marito presagendo che se non gli avesse parlato, forse sarebbe stato troppo tardi.
Sterzando, imboccò il sentiero che portava alla casa, facendo marciare
l’auto più piano che poté, affinché le ruote non restassero incagliate
nel fango. In pochi minuti giunse alla fine del sentiero, ma inchiodò
bruscamente quando vide Vegeta fuori, con impermeabile e cappello.
Aprì lo sportello e scese dall’auto sotto la pioggia battente, osservando
suo marito che le dava le spalle, dirigendosi verso il fiume tenendo qualcosa
tra le braccia.
Seguendolo, lo vide in lontananza sul molo dei pescatori, che guardava
di fronte a sé. Lei si fermò accanto all’albero dove tempo prima si era fermato
il nipote di Yamazu per riprendere il suo rendez-vous con Yamcha, quindi
lo vide muoversi come se stesse lanciando qualcosa.
In effetti, qualcosa aveva lanciato: la scatola coi DVD volò giù dal
molo verso il fiume, ammarando con uno “splash”
sommesso, attutito dal rumore della pioggia battente.
Bulma incominciò a
piangere, quindi levò una mano per cercare di chiamarlo.
- Ve… Vege… - ma la sua voce si risolse in
null’altro che un timido mormorio.
Lui non l’udì, continuando a seguire il tragitto della scatola che
veniva portata via dalle correnti, come un criminale
che venga portato via dalla polizia.
Dal suo nascondiglio, lei lo osservò ancora un
po’, poi fece dietrofront verso la macchina asciugandosi gli occhi.
Quando la scatola con il suo contenuto fu abbastanza lontana, Vegeta si
batté le mani come a pulirle dalla polvere e a dichiarare “Ok, questa è fatta”.
*****
Alle 20 di quella sera, Trunks andò ad aprire
la porta di casa dopo che il campanello ebbe squillato.
- Ciao papà – lo salutò sorridendogli
– La mamma è arrivata poco fa, tutta bagnata. –
Vegeta entrò, grondante di acqua, e guardò verso il corridoio: vicino
alla porta del bagno, c’era Bulma, all’angolo,
rannicchiata come una gatta impaurita.
Piangeva.
Lui la guardò per un momento, poi lentamente allargò le braccia, regalandole
un lieve sorriso.
- Amore… - mormorò lei, mentre lui veniva avanti.
Quando lui fu vicino, le scostò i capelli dal viso e la baciò
dolcemente, mentre lei ancora diceva – Amore mi...
–
Il fiato le si mozzò all’improvviso: Lui le
aveva messo le mani al collo e aveva iniziato a fare pressione coi pollici
sulla trachea, continuando a baciarla.
Incapace di parlare, udì una voce chiamarla.
Anzi, chiamarli entrambi.
- Mamma, papà! – li chiamò Trunks – Ma che fate? Da un po’ di tempo vi vedo
sempre flirtare come due ragazzini! Venite, che è pronto! –
Vegeta guardò Bulma, lei lo
guardò di rimando.
- Sì, tesoro – rispose Vegeta – Arriviamo! –
Lentamente, Vegeta abbandonò sua moglie e andò all’appendiabiti per
togliersi l’impermeabile, quindi entrò in cucina. Frattanto, Bulma scivolò silenziosamente in bagno.
- Che profumino – disse Vegeta sollevando il mento – e… hai
cucinato tu? –
- Sì, papà – rispose Trunks con un
sorriso mentre scolava la pasta nella zuppiera – Pennette al ragù. Vedrai
com’è buono. –
Vegeta aveva un sorriso ebete stampato in faccia quando annuì, dicendo
– Meno male che ci sei tu, figlio mio… meno male… meno… male… - e si
sedette al tavolo della cucina, mentre suo figlio portava la zuppiera nel
salotto.
Rimasto solo, il sorriso di Vegeta si sciolse lentamente come neve al
sole: si piegò finché la fronte non toccò la stoffa della manica della giacca e
iniziò a piangere.
Pochi secondi dopo, si sentì toccare la spalla e chiamare “Papà”, ma
non riuscì a smettere di piangere.
- Cos’hai, papà? –
- La mamma – disse, tra le lacrime, poi alzò la testa e cercò di
guardare in faccia suo figlio – La mamma… è… è andata a letto… con un
altro… - e giù altre lacrime, mentre il figlio gli carezzava la nuca.
- La mamma… - ripeté – è andata a letto… con un altro uomo…
Peggio… peggio della morte… -
- Lo so – mormorò solo il figlio.
- Lo… lo sapevi? –
- Sì… Ma è successo una volta sola – gli
disse, sempre continuando ad accarezzargli la nuca e guardandolo negli occhi,
come se i ruoli si fossero invertiti: ora era lui il padre di suo padre.
Vegeta incontrò gli occhi chiari del figlio, che lo guardavano con
dolcezza.
- E poi... non le è neanche piaciuto. – concluse il ragazzo con
un piccolo sorriso.
- No…? –
- No. Me lo ha detto. –
Sospirando, si alzò lentamente dalla sedia asciugandosi le lacrime col
suo fazzoletto, mentre Trunks lo scortava verso la
porta.
- Vieni adesso, la mamma è già a tavola. –
Bulma sedeva con le mani in
grembo, come se avesse fatto qualcosa di male. Quando lui arrivò, si guardarono
per un istante interminabile, finché lui le sorrise, dicendole la prima cosa
che gli venne in mente.
- Beh amore, certo che piove proprio forte, là fuori, eh? –
Lei lo guardò e infine annuì, ma sempre senza
l’ombra di un sorriso.
Poco dopo, quando Goten suonò alla porta
rubando loro il figlio, rimasero soli col televisore
acceso e i piatti colmi di maccheroni.
- Buonasera telespettatori del TG uno. Abbiamo ospite questa sera, in
collegamento con il nostro studio, la Contessa C-18, che deve fare
un’importante dichiarazione. –
Vegeta, che stava per sorseggiare dal calice di vino, e Bulma che stava giocherellando coi maccheroni, si fermarono immediatamente e guardarono verso il teleschermo.
La loro padrona di casa, la Signora C-18, era in piedi nel suo salotto,
quel salotto che Bulma e
Vegeta avevano visto molte volte nei vent’anni che erano stati locatari della
signora. La donna era vestita di una gonna e un cardigan con sotto una
camicetta. Elegante, ma non troppo chiassosa. Insieme a lei, seduta composta
sul divano c’era una ragazzina bionda poco più giovane di Trunks:
sua figlia Marron.
- Volevo… - esordì, guardando perfettamente la telecamera che la
inquadrava – …Anche se non sarei tenuta a farlo, volevo chiarire la mia
posizione rispetto alla vicenda della morte di mio marito. –
A quelle parole, Vegeta continuò a tenere il bicchiere di vino a
mezz’aria, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata a sua moglie: lei
teneva gli occhi fissi sul video, mentre con la forchetta stava letteralmente
sminuzzando i maccheroni.
- Mio marito, l’Ambasciatore Crilin, era
sempre stato un uomo molto geloso. Negli ultimi tempi era venuto a conoscenza
che io consumavo dosi considerevoli di superalcolici, e che mentre lui era in
viaggio in giro per il mondo, io intrattenevo incontri con dei…
degli… delle persone. –
Con una mano, la bella signora bionda si portò una ciocca dietro
l’orecchio, mostrando un bel paio di orecchini di perla.
- …un mese fa circa, mi accorsi di essere seguita da un investigatore,
per cui decisi di essere più cauta nei miei movimenti… ma ciò non servì: una
sera di cinque giorni fa, infatti, mio marito mi
telefonò. Alla telefonata erano presenti anche i coniugi Vegeta e Bulma, miei inquilini. Mio marito cominciò a chiedermi
dov’ero stata, e io gli dissi che ero rimasta a casa…
ma poi, quando i miei ospiti se ne furono andati, io gli rivelai che avevo
passato la serata in compagnia di un mio amico, e che eravamo finiti a letto… -
A questo punto, la contessa abbassò lo sguardo, forse cercando le
parole con cui continuare il racconto.
- …dall’altra parte ci fu un lungo silenzio. Io chiamai il nome di mio
marito più volte, ma non ottenni risposta. Infine, in lontananza, udii l’eco di
uno sparo. Il resto… lo sapete. – Portandosi le mani in grembo, si
sedette sul divano accanto alla figlia, che le prese la mano – Scusate.
Scusatemi… - concluse, mentre il video sfumava su un’immagine della figlia che
prendeva a sé la madre, cercando di consolarla.
Al termine della dichiarazione, il telegiornale continuò normalmente,
al che Vegeta spense il televisore con il telecomando.
- Bulma – chiamò.
- Eh? Che c’è? –
- Hai visto? –
- Sì, ho visto. Io … io non lo so. Non so davvero cosa pensare. –
- Io sì, invece. Come vedi, era come dicevo io… più o meno. –
- Secondo me, però… -
- Cosa? – disse Vegeta masticando un maccherone.
- Secondo me non è del tutto sincera. Chissà che… complotto ha voluto
coprire, con quella dichiarazione. C’è qualcosa sotto di più grosso, ma lei ha
minimizzato tutto così… io la penso così. –
Finendo di masticare il maccherone, Vegeta sentenziò – Quindi tu
non credi che un uomo si possa sparare perché la moglie lo ha tradito, a quanto
ho capito… è questo che mi stai dicendo? –
- Ma no, amore… sto solo dicendo che l’ambasciatore Crilin,
che Dio l’abbia in gloria, non mi sembrava una persona così … cioè, non mi
sembrava uno da spararsi un colpo perché sua moglie lo tradisce. Voglio dire:
ci sono problemi più importanti rispetto a questo… No? –
Vegeta guardò sua moglie per un lungo istante, pensando a quanto era
andato vicino poco fa a fare la stessa fine del suo
padrone di casa, poi si mise a ridacchiare.
- Eheheh – rise – E forse hai
ragione tu, tesoro. E certo: oggigiorno, con tutti i problemi che abbiamo, la
globalizzazione, il terrorismo, la guerra in Iraq, la crisi economica… Se a uno
gli vai a dire che sua moglie va a letto con un altro…
Eh, come minimo si mette a ridere…! –
- Infatti – rispose lei, ridendo a sua volta. Poi cercò di
addentare un maccherone, ma era ridotto in briciole.
- Avvicina il piatto, dai, che ti metto un’altra razione. Quelli li hai
sbriciolati… -
- Eh sì, ero un po’ nervosa… adesso però sto meglio, mi è tornato anche
l’appetito. Senti… amore? Posso chiederti una cosa? –
- Certo tesoro, dimmi pure. –
- E se stasera ce ne andassimo fuori? –
- Va bene. E dove vorresti andare? –
- Al cinema…! È tanto che non mi ci porti. Che ne dici? –
- Ottima idea, amore. Finiamo di cenare e poi ce ne andiamo al cinema,
come quando eravamo giovani. Ti ricordi? –
- Sì, mi ricordo… quando ti tenevo la mano e poi ci baciavamo nel buio…
-
- Bei tempi… -
- Dai amore, facciamolo di nuovo. -
- Tu m’inviti a nozze, signora bella – rispose lui, versandole
poi un goccio di vino nel bicchiere.
E mentre in lontananza suonava una campana, Vegeta continuò a parlare
con sua moglie, di tutte le cose di cui non avevano più parlato da quando nel
loro rapporto si erano intromesse troppe cose, allontanandoli sempre di più,
creando delle crepe che avrebbero potuto compromettere per sempre la loro
unione. Crepe che Vegeta era stato abile a cercare di riparare, ma soprattutto
a non farsi condizionare da esse, semplicemente cancellandole dalla sua vita.
Crepe che adesso, in quel preciso istante in cui Bulma
rideva mentre Vegeta le versava del vino, galleggiavano placidamente nel fiume,
mentre la corrente le portava via lontano, dove non sarebbero servite più a
nessuno.
Sono uno a cui piace imparare. La mia lista di cose da
imparare è ancora lunga, ed ho sempre paura di non essere all’altezza o non
imparare abbastanza.
La scrittura è sempre stata una mia passione, fin da quando ero
piccolo. Tuttavia, mi sento ben lungi dall’essere un bravo scrittore (anche
perché non sono ancora stato pubblicato da un editore e sono pressoché
sconosciuto): così, a Settembre 2020 ho iniziato questo corso di scrittura erogato
da una radio delle mie parti e tenuto da un vero scrittore, nella speranza di
poter conoscere qualcosa di più su questa magica attività.
Alla prima lezione, il “maestro” ci ha parlato della
creatività e come svilupparla. Come? Semplice: bisogna scrivere. E da dove
bisogna partire? Beh, i punti di partenza possono essere tanti: c’è chi si
ispira agli episodi di vita vissuta; chi agli articoli di giornale; chi invece
si ispira ad altri autori.
- Un buon metodo, per iniziare – ci ha detto – è quello
di copiare altri autori: capire quali parole usano, come cominciano, come
finiscono… copiare è un esercizio utilissimo. –
Allora a me è venuta in mente una domanda.
- Secondo te, come allenamento può andare bene provare a… scrivere
di un film? – gli domando, a bruciapelo.
Lui solleva un sopracciglio perplesso, poi chiede – Ma…
intendi scriverlo come una sceneggiatura? O narrarlo? –
- Narrarlo – rispondo.
A quella mia
risposta rotea meditabondo gli occhi, finché dice - …Sì. Certo che va bene. Quando
si vuole imparare a scrivere, l’unica cosa fare è: Scrivere. Scrivere.
Scrivere. –
E così, ora sapete da dove proviene questa storia, che tra l’altro
volevo scrivere da tanto.
Era la prima volta che scrivevo una fiction da un film, e
devo dire che è stato abbastanza difficile: a parte il dover fare ricorso alla
memoria per ricordare l’intreccio della storia, è stato difficile cercare di
ricostruire gli ambienti in maniera letteraria, l’atmosfera dei tempi (il film
ovviamente è ambientato nel 1982, la mia storia invece si svolge circa nel 2000),
i dialoghi… Se devo dirla tutta, non
sono pienamente soddisfatto del mio lavoro: molto probabilmente la rivedrò, modificando
delle parti e magari ripubblicandola, nella speranza che mi piaccia un po’ di più
rispetto a com’è ora. Quel ch’è certo, a parte questi mugugni forse insensati, è
che mi sono divertito a scriverla, scavando nella mia memoria alla ricerca
delle scene salienti (l’ultima che ho visto il film saranno stati tre-quattro
anni fa, quindi non era molto)… Spero anche voi vi siate divertiti a leggerla.
Per ora mi congedo, ma tornerò presto: spero con una storia
originale, ma non mi dispiacerebbe tentare di “adattare” un’altra opera già
famosa (o meno famosa). In ogni caso, se mai lo farò, potete stare certi che
citerò sempre l’autore reale, non essendo mia abitudine la scorrettezza
editoriale.
Arrivati a questo punto voglio ringraziare tutti coloro che l’hanno
letta, ma ancora di più ringrazio quelli che mi hanno fatto sapere cosa ne
pensavano: Mi avete aiutato tantissimo e io m’inchino riverente a voi.
Soprattutto grazie per avermi seguito fino a qui.