Scintille nel buio

di shilyss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Scintille nel buio

 

 

 

 

 

I

 

 

C’è un momento particolare in cui gli occhi registrano il lento e graduale passaggio dalla notte al giorno. L’oscurità si dirada, il cielo nero torna a essere blu, poi azzurro e, infine, i primi raggi del sole scaldano l’aria, la colorano di rosa e d’oro, la tingono di sfumature incantevoli che, per un solo istante, bloccano il respiro, fanno sobbalzare il cuore. Rannicchiata su una poltrona, con le braccia a cingerle le ginocchia, Sigyn si accomiatò con un leggero sorriso dallo spettacolo del sole che sorgeva sul fiordo di Asgard. Aveva fatto lo stesso con il colore delle rose, con le sontuose montagne che emergono dal mare, con i boschi imponenti che, d’inverno, la neve rendeva candidi e immacolati. Ogni giorno tributava il suo muto addio a qualcosa, cercando, al tempo stesso, di fare caso a ogni dettaglio, particolare, aspetto. Il modo in cui il suo gatto ammiccava e socchiudeva gli occhi mentre lei gli spazzolava il pelo morbido, la lucentezza delle pietre che adornavano la sua collana preferita, l’affresco che spesso ammirava nella sala del trono di Odino, l’acqua che scendeva dalle cascate poste a settentrione, la silhouette elegante dei drakkar ormeggiati al porto.  A lui, però, non sapeva dire addio – non riusciva, non voleva.

Scese dalla poltrona cercando di ridurre al minimo lo scricchiolio provocato dai piedi nudi sul pavimento di legno. L’insonnia era una condizione che l’aveva sempre afflitta, fin da quando viveva ancora nella casa di suo padre. Ad Asgard era riuscita a trovare qualcuno che la condividesse. Nelle notti invernali infinitamente lunghe, il solo fatto di leggere anche solo un libro nella medesima ala della biblioteca con lui, in perfetto silenzio, spesso l’aveva calmata tanto da traghettarla in un sonno ristoratore e quieto, proprio lì, in mezzo ai libri scritti fittamente, alle pergamene arrotolate che custodivano incantesimi e segreti e poemi. Si mosse nella penombra, allungando le mani per orientarsi meglio e raggiunse a tentoni la camera da letto; invece d’infilarsi sotto il groviglio delle coltri calde e confortevoli, ancora calde d’amore, le oltrepassò e raggiunse la finestra per scostare la tenda. Le serviva uno spiraglio, solo una piccola lama di luce del primo mattino, quel tanto che bastava per scorgere il suo volto senza, però, svegliarlo.

C’era solo un’immagine da cui non poteva – non riusciva – ad accomiatarsi. Tentava di farlo da giorni, settimane, mesi, ma le serviva più tempo. Più di quanto ne avesse ancora a disposizione, almeno – il mondo diveniva ogni giorno meno nitido e preciso.

Loki dormiva supino e Sigyn gli si accostò, facendo attenzione persino al proprio respiro. Aveva perso il conto delle notti trascorse guardandolo alla luce fioca di una candela. Probabilmente, si era decisa a smettere di farlo nel momento in cui aveva compreso che non gliel’avrebbe detto. E lui non sarebbe mai riuscito a perdonarla, per questo.

 

Fissò la sua figura con gli occhi spalancati, impazienti, avidi di cogliere ogni singolo particolare del suo viso affilato e bello, virile, di cui aveva imparato ad amare ogni particolare. Conosceva a memoria la linea diritta del naso, la cicatrice fine e bianca che gli tagliava il sorriso sbieco e perfido – labbra ironiche, sottili, di cui anche al buio avrebbe riconosciuto il sapore, assaggiate mille e mille volte. Bocca bugiarda che a volte sapeva d’idromele e, all’inizio, non aveva amato – il loro primo bacio sapeva di metallo. Un sussulto le scavò il cuore, basso e doloroso: quel ghigno si sarebbe smarrito, nel reticolo delle sue memorie inghiottite dal buio? Il suo destino era venire sepolto dall’inevitabile oblio che, alla fine, avrebbe dipinto di nero anche i ricordi?

Le si appannò la vista, ma con un gesto rapido della mano scacciò subito via le lacrime. Loki era bello; quando dormiva, poi, pareva persino sereno. Non era più l’uomo tormentato, catturato dalla brama di potere e sempre dedito agli intrighi che aveva accanto durante il giorno, ma un ragazzo addormentato, il principe affascinante che le aveva fatto una corte serrata disobbedendo a un genitore esigente e accorto. Lo aveva notato fin da quando era sceso dal drakkar assieme a Odino e a suo fratello.

S’impresse nella mente l’arco leggermente aggrottato delle sopracciglia scure, lo zigomo affilato, la mascella diritta, per poi scendere giù, verso il collo, le spalle ben sviluppate di guerriero, il petto nudo ampio e largo che s’abbassava al ritmo lento del suo respiro regolare. Sulla pelle alabastrina dell’Ase spiccavano i segni chiari delle cicatrici rimediate nelle passate battaglie. Anche quelle conosceva a memoria, perché le aveva consolate con le labbra, una per una. La prima volta che le aveva sfiorate non sapeva ancora di amarlo.

Non riusciva a smettere di guardarlo e di bere ogni suo particolare, così come non era più capace di stenderglisi di fianco, stringerlo in un abbraccio e, semplicemente, dormire. In fondo, anche lasciarsi avvolgere e cullare nel dolce nodo dei sogni era come vivere nel buio che l’avrebbe inghiottita per sempre e Sigyn non voleva questo.

Loki avrebbe considerato il suo silenzio come un tradimento, perché dagli altri pretendeva una fedeltà incondizionata e assoluta, lui che non credeva in niente. Si sarebbe messo a sostenere che omettere è mentire e lo avrebbe fatto quando lei non avrebbe più potuto vederlo né scorgere se il dolore gli velasse lo sguardo. Poi avrebbe parlato del loro passato e di ciò che aveva fatto e detto.

 

All’inizio era stato un lampo di luce percepito con la coda dell’occhio, nient’altro. Non ci aveva nemmeno fatto caso. Si era passata una mano sul viso, come per scacciare via la scintilla che rappresentava il primo sintomo evidente di un male senza rimedio. Poi, l’intensità e la frequenza di quei bagliori improvvisi era aumentata e, con essi, gli altri disturbi; il mondo attorno a lei aveva iniziato inevitabilmente a perdere la sua nitidezza, a farsi incerto e sfocato, piatto – qual era la reale distanza delle cose?

La sentenza era calata come una mannaia sulla sua testa il giorno in cui si era resa conto di non riuscire più a distinguere le rune che componevano le frasi. Non avrebbe più potuto leggere: la malattia – la maledizione – era diventata qualcosa di reale e tangibile, drammaticamente vero. E se non esisteva alcun rimedio in tutti i Nove Regni, perché dirglielo? Loki avrebbe tentato di rintracciare una cura che non c’era semplicemente perché era incapace di accettare che il fato, a volte, è ingiusto. Doveva sempre intervenire, combattere, lottare, truffare il destino, specie se c’era il seiðr di mezzo. Solo che ci sono volte in cui non esistono scappatoie o alternative e bisogna accettare ciò che le Norne, impietose, hanno filato per noi. Presto, le tenebre l’avrebbero avvolta per sempre, privandola di ogni luce. E, allora, tanto valeva abituarsi, iniziare a prendere confidenza con il nero eterno e con l’oscurità e dire addio a tutto il resto – anche all’amore.

Loki si mosse appena ed emise un sospiro. Il suo sonno leggerissimo era l’ennesimo lascito delle notti passate con l’orecchio teso a captare rumori durante le lunghe campagne militari volute dal giusto Odino, delle ambascerie rischiose intraprese fin da quand’era ragazzo. Non si era mai tirato indietro di fronte a niente, nemmeno al cospetto degli ordini più biechi. Sollevò le palpebre quel tanto che bastava per metterla a fuoco e le accarezzò un fianco fasciato dal raso, indugiando appena sulla curva disegnata dal suo corpo, per poi fermarsi e aggrottare la fronte. Stava fissando una donna che si era reso conto di aver perso. Colpa del suo intuito di lupo, affinato in anni di trappole evitate e tese.

“Sei già sveglia. Perché?” Una domanda inquisitoria, sottile, detta tirandosi su col busto e puntellandosi su un gomito. La luce fredda dell’alba accarezzava i suoi muscoli guizzanti e nervosi, perfetti.

“Avevo sete,” mentì lei.

Gli occhi del dio degli inganni erano d’una sfumatura di verde incantevole, bellissima, che a Sigyn faceva pensare immediatamente alla trasparenza dell’acqua. Luccicavano maliziosi, ma spesso si velavano d’ombre scure – dolori senza nome, cupi come la sua anima nera, ire brucianti e corrosive più della bava acida di certi serpenti immensi che vivevano nelle profondità della terra.

Lui non le credette e si alzò con un gesto fluido dal letto. Si vestì rapido e prese la coppia di pugnali che portava sempre con sé, lasciandola nella stanza che li aveva visti amarsi innumerevoli volte con addosso la consapevolezza che un destino ineluttabile pesasse su di loro.

Avrebbe potuto tornare indietro e interrogarla come sapeva fare, estorcendole la verità grazie alla sua abilità retorica e a un paio d’inganni ben piazzati, ma aveva scelto di approntare un’altra strategia, decisamente più crudele, che si adattava meglio al suo spirito fiero e arrogante. S’allontanò cautamente, ma prima d’infilare la porta e uscire si voltò appena per regalarle un’occhiata lunga, attenta, indagatrice.

Sigyn fu tentata di dirgli la verità. Strinse tra le dita le coperte ancora intrise di loro, schiuse le labbra per confessargli quel segreto di cui era a conoscenza solo il guaritore del palazzo e Odino, ripensò alle frasi graffianti e vere del dio delle forche.

E se Loki, di fronte alla sua malattia, l’avesse davvero fissata con occhi freddi, gelidi, privi di comprensione, carichi di pietà? Se non l’avesse più guardata come una donna, ma come una sventurata inferma? Peggio che sopportare la cecità imminente, c’era solo avvertire il freddo distacco di un uomo che non la voleva più accanto a sé perché guastata, ascoltare la falsa cortesia con cui l’avrebbe allontanata da sé, compatendola. Si sarebbe messo ad argomentare la sua tesi con la stessa abilità retorica con cui, una sera ormai lontanissima nel tempo, si era chinato verso suo padre convincendolo – obbligandolo – ad accettare una proposta indegna che l’aveva fatta tendere sulla sedia. Alla luce fioca delle torce, un ghigno perfido e spavaldo gli aveva increspato le labbra sottili. Era spaventosamente sicuro di sé e della forza del suo esercito. Di fronte a lui, il re di Asgard, Odino, si era lisciato la barba, soddisfatto del patto appena stretto.

“Chi di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa, non priva, però, di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una notte intera nonostante le gravasse sul cuore, sullo stomaco, sulla gola, tanto da impedirle persino di deglutire. Era andata via dalla casa di suo padre con indosso gli abiti e i gioielli della festa: un vestito di velluto scarlatto le fasciava il corpo snello, un diadema inutilmente sontuoso le brillava sulla fronte. La ragazza avrebbe voluto strapparselo di dosso e mettersi a gridare e a maledire tutti, i Vanir perdenti e gli Æsir vittoriosi; invece, era rimasta dov’era, seduta con grazia sul drakkar salpato dal molo con la prima marea utile, il mantello avvolto strettamente attorno alle spalle, le labbra serrate.

Loki aveva ghignato con quel suo sorriso sbieco che lei non amava ancora. “Avrebbe importanza?”

Le si era avvicinato, porgendole un corno d’idromele che lei aveva rifiutato allontanando il viso. “Mia signora, hai preferenze, forse?”

 

Lo lasciò andare via con mille frasi e altrettanti discorsi fermi nella gola. I passi di Loki si fecero sempre più lontani e distanti. Di contro, i pensieri di Sigyn divennero più lucidi e netti, come la vista che le sfuggiva. L’alba aveva lasciato posto a un mattino grigio e freddo, carico di nubi, simile a quello che aveva illuminato Asgard il giorno in cui vi aveva messo piede per la prima volta. Non sarebbe più dovuta entrare in quelle stanze, anche se lui l’avrebbe detestata, per questo. Sarebbe stato crudele, sfoggiando tutto il suo disappunto alimentando vecchie gelosie – quella, mai sopita, verso Sif, per esempio – e dilettandosi in nuove. Poi, un giorno, l’Ase avrebbe scoperto il vero motivo della loro rottura, finendo così per regalarle una fredda indifferenza che l’avrebbe ferita più di tutto il resto. Lo conosceva, lo sapeva – amare qualcuno voleva dire apprezzarne le imperfezioni, i difetti, le storture e conoscerne i moti dell’animo. Il cielo coperto e grigio accolse quella sua ultima decisione; raccolse i propri indumenti sparsi a terra la notte prima con un sorriso mesto. Odino avrebbe tratto un sospiro di sollievo.

 

 

Loki lasciò scorrere le belle dita di mago sulle lame lucide dei suoi pugnali, palesando così il suo manifesto disinteresse per la missiva arrotolata davanti a lui. Aveva ancora i muscoli tesi e contratti per il rapido e violento allenamento avuto con Thor. Suo fratello lo aveva intercettato lungo le scale che conducevano all’armeria proponendogli uno scontro e lui, ovviamente, non si era tirato indietro, sfogando sull’altro tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni. I fendenti precisi si era mescolati alle punzecchiature fatte al solo scopo di deconcentrarsi l’un l’altro, ma l’apparizione improvvisa di un messo proveniente da Vanheim, alla fine, aveva distolto lui dal combattimento. Si era ritrovato con la schiena a terra, un forte dolore allo sterno e Mjollnir a sfiorargli il mento.

Thor era scoppiato in una risata fragorosa e soddisfatta e gli aveva teso la mano. Per un momento, uno solo, il gioco si era tramutato in qualcos’altro e l’ingannatore si era rifiutato di accettare l’aiuto offertogli. Era solo un allenamento, eppure il suo spirito s’era infettato di un risentimento sordo e senza nome – no, bugia, non glielo voleva dare perché era ingiusto e meschino, profondamente indegno. Uno che si faceva vivo sempre più spesso e che Loki doveva inghiottire come si fa con una medicina amara, perché tenere tutto sotto controllo era l’unica cosa da fare per non farsi mangiare vivi dal caos.

“Perché non la apri?” inquisì Balder alzando un sopracciglio.

Loki non smise di passare i polpastrelli sulla lama piatta di una delle sue armi favorite. “So già cosa c’è scritto in quella lettera, fratello. Vuole che gliela restituisca perché non siamo stati ai patti,” spiegò con lentezza. Un sorriso freddo e beffardo gli increspò le labbra. Sigyn non era più sua, quella mattina ne aveva avuto la certezza, eppure non intendeva affatto cederla.

 

Cos’era successo, tra loro? Fino a qualche settimana prima, se si fosse svegliato accanto a lei l’avrebbe attirata a sé affondando il naso alla base del collo, per farla tremare e sciogliere insieme, per accendere una brama che la notte acuiva; le sue mani si sarebbero posate sul suo corpo snello e caldo e reattivo facendolo tendere dal desiderio. Un tempo, l’avrebbe agguantata per intrappolarla sotto di sé o si sarebbe beato della sua bellezza invitandola a stare sopra di lui. Ora non più – Sigyn gli sfuggiva, faceva di tutto per evitarlo. La notte prima la passione di un tempo era tornata: l’aveva cercata – si erano cercati – corrosi dalla gelosia reciproca, dalla lontananza, dalla serie di sguardi che, come scintille nel buio, si erano lanciati in mezzo a un banchetto gremito di gente di cui a loro non importava nulla. Avevano sentito l’esigenza di slacciare l’uno gli abiti dell’altra, frenetici e ansiosi, per aversi in fretta, in nome di qualcosa che non era né dolce né tenero, ma che seguiva impulsi impazienti e bassi tali da far fremere le vene dei polsi, le gambe, la pelle tutta.

Lei l’aveva accolto sforzandosi di soffocare ogni ansito – tentativo inutile, la tradiva il suo corpo inarcato, proteso, disponibile, come sempre, fin dalla prima, lontana volta, in cui le dita di Loki le avevano sfiorato le labbra, regalandole un tremito nuovo e sconosciuto che aveva raggiunto ogni terminazione nervosa, arrivando persino all’anima e sconvolgendola con pensieri inopportuni – una parte di lei aveva sperato che non si fermasse e fosse tanto spavaldo da assaggiare la sua bocca. Invece, Loki non l’aveva baciata, quella volta; si era limitato a quel contatto lieve e bruciante a un tempo, accompagnato dal ghigno consapevole di chi sa di stare portando il caos, compiacendosi per il brivido improvviso che lei non era riuscita a camuffare. C’era stato uno sguardo, però. Lungo, intenso, sfacciato. Di sfida.

“Sarebbe un peccato, se Padre Tutto decidesse di donarti a qualche valoroso Ase tanto presto.”

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

E che è ‘sta storia? Una mia cara amica, qualche tempo fa, mi ha dato un prompt. Sigyn doveva essere affetta da una malattia agli occhi e perdere gradualmente la vista. La notte, sarebbe dovuta rimanere a fissare Loki addormentato, per imprimere nella sua mente la sua immagine. Ho adorato questa immagine propostami e ho cominciato a pensare a una storia – ho iniziato a scriverla – con l’idea che dovesse essere una shot. Tuttavia, con questi presupposti, la storia non decollava. Scrivevo e mancava qualcosa. Oggi, l’illuminazione. Mancava che non poteva essere una shot. Ora, nonostante abbia già più o meno in mente dove voglia andare a parare, ve la faccio leggere sperando che vi piaccia tanto da lasciarmi un commentino o inserirla in una lista, tutte cose che sono l’ossigeno nostro, per noi povere Autrici. Come avrete letto, la condizione di partenza è un po’ differente dal solito e dovrebbe trattarsi di un pre: Thor, con tutti i drammi del caso. Loki e Sigyn qui non sono sposati e lei sta perdendo un senso a causa di una malattia/maledizione… per il resto, leggetela, il primo capitolo dovrebbe aver messo un sacco di carne al fuoco, ma poi che ne so!

Piccola comunicazione di servizio: ovviamente Solo un accordo e Tesori torneranno le prossime settimane. La seconda è quasi agli sgoccioli e, una volta terminata, riprenderò anche con le altre mie long, che non ho dimenticato.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  

Vi ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥ Un'altra volta ancora: leggetela, se vi va ♥ ^^

Ricordo che Vanheim con questo ordinamento sociale, politico e culturale è una mia idea: vi pregherei di non utilizzarla ♥. Anche il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Vostra,

Shilyss

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

“Non siamo? Non sei,” lo corresse con una punta di fastidio Balder il Buono. Il terzo figlio di Odino non desiderava rimanere invischiato nelle trame contorte dell’ingannatore. Loki, beffardo e insolente come suo solito, sedeva mollemente su una poltrona, con i talloni sfacciatamente poggiati sul legno della scrivania. Non aveva ancora riposto nel fodero i pugnali con cui giocherellava – lame lucide, letali, abituate a colpire i punti vitali degli avversari. Il gesto, in realtà, tradiva una sorta di fastidio. Non era la prima volta che la famiglia di Sigyn gli scriveva, ma lui era rimasto sordo a ogni loro richiesta e, per fortuna, anche Padre Tutto.

E Balder non si capacitava di questo. Avrebbe voluto afferrare il fratello per il colletto e scuoterlo, imponendogli – implorandolo – di fare l’unica cosa giusta, consapevole, tuttavia, che non sarebbe mai riuscito a scalfire lo spirito volitivo dell’altro, incapace di vedere la crepa nascosta dietro il ghigno irriverente che Loki sfoggiava.

L’ingannatore assottigliò gli occhi. “Sei forse superstizioso, adesso?”

“No. Lungimirante e responsabile, piuttosto. E non cieco come Thor,” puntualizzò.

Loki, divertito dalla frecciata, inclinò leggermente il capo di lato. “O come nostro padre.”

Balder contrasse ogni singolo muscolo di fronte a quell’illazione. “Non l’ho detto.”

Un guizzo ferino scintillò negli occhi verdi dell’ingannatore. Voleva cacciare, e la sua preda, davanti a lui, aveva appena infilato il piede dentro una trappola. “L’hai pensato,” l’incalzò sporgendosi appena e facendo sparire i lunghi coltelli. Sfidare Lingua d’Argento sul piano retorico significava incorrere in una sconfitta, sempre.

“È un processo alle intenzioni? È uno dei tuoi soliti trucchi? Divertiti con qualcun altro, fratello.” Balder indietreggiò, sebbene fosse perfettamente consapevole che aumentare la distanza fisica tra lui e il mago non l’avrebbe messo al riparo dalle sue parole sferzanti e, purtroppo, dolorosamente vere. Odino era un sovrano lungimirante, severo, capace, ma assegnava puntualmente le imprese più ardite a Loki e a Thor, escludendolo. I suoi fratelli maggiori erano decisamente troppo orgogliosi e alla perenne ricerca della gloria personale uno, di un’occasione per menare le mani l’altro. Eppure, nonostante i palesi difetti, tutto lasciava presupporre che la corsa all’Hliðskjálf fosse una sfida che riguardava solamente loro. Ne sarebbero stati davvero degni? Una volta, Balder si era fatto coraggio e aveva domandato all’austero genitore per quale ragione non lo mettesse alla prova, spedendolo in una delle missioni da cui i fratelli tornavano spesso leggermente ammaccati, certo, ma senza dubbio vittoriosi e allegri: non poteva immaginare, ingenuo com’era, che l’ilarità ostentata dai due era dovuta, fin troppo spesso, all’idromele bevuto per dimenticare ferite e compromessi, dolori e mostruosità.

La risposta di Odino era stata precisa e netta, inappellabile. Loki e Thor erano cresciuti insieme. I lunghi anni trascorsi ad addestrarsi, a combattere e a giocare assieme li avevano resi una squadra collaudatissima e affidabile. Litigavano continuamente a causa dei loro caratteri fieri, certo, ma di fronte al pericolo sapevano guardarsi le spalle a vicenda e fare fronte comune. Con loro Odino era stato più severo ed esigente, preso com’era dall’idea che dovesse forgiare due futuri re. Li aveva spinti a divenire adulti più in fretta, caricandoli di responsabilità forse anche prima del tempo – ma erano figli della guerra, loro, nati nel momento in cui il conflitto contro re Laufey era all’apice della sua violenza. Inserire un terzo elemento avrebbe rischiato di creare attriti e dissonanze. Balder li avrebbe rallentati e, come se non bastasse, era davvero troppo giovane: rimanere nella Válaskjálf, la sala del trono di Asgard, rappresentava un onore, un privilegio, un compito essenziale di cui essere orgogliosi. I suoi impazienti e iracondi fratelli, sempre pronti a contraddire e a sfidare la pazienza di Odino, non si erano opposti a tale decisione.

 

“Quanto rancore, ragazzino,” sibilò Loki tenendolo d’occhio con fare sornione. Si alzò in piedi con un gesto fluido e prese con sé la pergamena arrotolata. Non gli interessava quella conversazione: dal suo altero punto di vista, le pretese di Balder erano quelle di un bambino furioso che voleva giocare a fare l’adulto. Dimenticava, o non gli interessava ricordare, che alla sua età lui e Thor erano già considerati eroi degni di essere cantati dai bardi. Stirò le labbra in un sorriso sghembo, amaro. Molte delle sue imprese, le più temerarie e spaventose, quelle che gli avevano ghiacciato l’anima e il sangue e portato via il cuore, non sarebbero mai state rievocate a un banchetto. Le avrebbe ricoperte l’oblio, perché la grandezza di Asgard aveva un costo altissimo. Odino gliel’aveva spiegato stringendogli la spalla e sussurrandogli complimenti scarni che non avrebbe mai pronunciato ad alta voce. Thor andava a uccidere a est i Troll e i Giganti e, al suo ritorno, tutti lo acclamavano per il coraggio e l’audacia dimostrati. A Loki sarebbe rimasto il resto – il regno oscuro e dai contorni indefiniti della politica, del non detto, del seiðr mormorato a fior di labbra. Un ruolo che a volte gli andava stretto e tirava e stringeva, che sempre più spesso lo lasciava insoddisfatto – la gloria non splende su chi lavora nell’ombra e agisce d’astuzia. Tutto questo il giusto Balder, l’abile spadaccino, il figlio nato in un periodo di pace dall’animo tranquillo e solare, che obbediva sempre ai suoi genitori e rispettava ogni legge, non poteva capirlo. La sua unica ribellione era stata chiedere di andare a farsi ammazzare prima del tempo, ponendosi sullo stesso piano degli altri fratelli più scaltri ed esperti. Per lui, il mondo non aveva le mille sfumature che il dio dell’inganno aveva visto con i suoi occhi: si divideva in giusto e sbagliato, noi e loro. Una visione miope che faceva arricciare le labbra di Loki e lo aveva convinto una volta di più a non mettersi in mezzo, evitando così di perorare la causa del ragazzo. E Thor, tronfio com’era, aveva finito per fare un ragionamento non troppo dissimile.

La voce di Balder gracchiò fin oltre la porta già oltrepassata.

“Perché non fai mai la scelta giusta, Loki? Liberala, lasciala vivere in pace.”

L’ingannatore si fermò, ma scelse di non voltarsi. “Altrimenti?” sorrise.

 

 

Loki aveva l’età di Balder quando si era preso Sigyn.

Era una notte d’estate e lei indossava un abito rosso. Di quella sera ricordava fin troppi dettagli. Il sapore del vino che gli scivolava in gola, per esempio: dolce, inebriante, fresco, versato in coppe d’oro intarsiate con pietre preziose e perle. Thor gli disse che preferiva bere nei corni, li trovava più comodi. Lui rispose che quella bevanda stordente andava portata con loro ad Asgard a ogni costo. Risero complici e lei, seduta accanto a sua madre, li sentì e rivolse a entrambi un’occhiata di fuoco, carica di curiosità, rancore, e dispetto insieme. Loki l’aveva osservata a lungo, durante il banchetto: si guardava attorno nervosa e spesso giocherellava col cibo, rispondendo a monosillabi ed evitando di guardare chicchessia, ma quando, come in quel momento, alzava lo sguardo dal piatto, i suoi occhi scintillavano, rivelando un animo appassionato e vibrante. E, soprattutto, al contrario delle sue sorelle non si credeva al sicuro. L’ingannatore le regalò il suo miglior ghigno sbieco alzando il calice nella sua direzione – brindando a lei e alla recente vittoria degli Æsir. Sigyn strinse le labbra e raddrizzò le spalle appena lambite dalla stoffa cremisi: lo detestava e la sua sola presenza le incuteva un terrore sordo. E di questo, Loki era più che soddisfatto.

 

Il piano da proporre a Padre Tutto cominciò a delinearsi nella sua mente in quel preciso istante. Dapprima fu un abbozzo che gli gironzolava nella testa, ma poi prese forma, sostanza, peso, divenendo reale, fattibile. Intrigante, persino. Ne ripercorse i passaggi più e più volte, immaginando le obiezioni che gli sarebbero state mosse e prevedendo le risposte, e più si cimentava nel dialettico intrico, più si esaltava. Si leccò le labbra ritrovandovi il gusto del vino speziato, chiedendosi distrattamente come sarebbe stato baciarla, valutando una dopo l’altra le numerose alternative che gli si ponevano davanti. I genitori di Sigyn non avevano accolto Odino e la sua corte col sorriso sulle labbra, affatto. Si erano limitati a tenere lo sguardo basso, consapevoli di aver mancato a uno degli accordi stipulati con Asgard, spaventati all’idea di quello che Padre Tutto avrebbe chiesto o fatto loro. Gli Æsir si ergevano a protettori dei Nove Regni, contrastando qualsiasi avversario o invasione, sacrificando le loro vite e versando il proprio sangue per garantire una pace e una prosperità universali. In cambio, com’era naturale e giusto che fosse, pretendevano annualmente tributi sottoforma di raccolti, omaggi e soldati da spedire al fronte, all’occorrenza. Nulla di tutto ciò era stato inviato da Sigurdr, nel corso degli ultimi due anni. Anzi, durante l’ultima campagna militare l’assenza di una parte degli alleati aveva messo in seria difficoltà l’esercito di Odino. Ecco perché Padre Tutto era lì. Per ristabilire l’ordine, per ricordare agli amici e ai nemici che i patti andavano rispettati sempre, fino in fondo, a qualunque disperato costo. Alcuni l’avrebbero chiamata vendetta.

Thor non sollevò il capo mentre Loki si sporgeva verso Odino per metterlo a parte della brillante idea che aveva avuto. Era abituato ai suoi guizzi crudeli e geniali, del resto. Spesso non condivideva i modi del fratello, vero, ma questi ultimi erano sempre finalizzati a ingigantire la potenza di Asgard e il prestigio della loro famiglia: a volte il dio del tuono aveva la sensazione che l’altro ballasse troppo vicino al baratro che separava il bene dal male, che i suoi bei discorsi pendessero sempre più verso un pragmatismo fin troppo spietato, ma finiva per mettere puntualmente a tacere quel pensiero insistente. Finché Padre Tutto appoggiava i suoi modi andava tutto alla perfezione – un giorno lontano, Thor avrebbe scoperto sulla propria pelle che l’animo feroce di Loki poteva arricchire o distruggere gli Æsir, ma non era quello il momento né il giorno.

Il banchetto si stava concludendo. Odino, come avveniva sempre più spesso, ascoltò con grande attenzione le parole sagaci mormorate dal figlio. Tra le mani stringeva un calice mezzo colmo. Lo vuotò con un paio di sorsi generosi senza palesare alcuna emozione, ma il dio dell’inganno colse con soddisfazione il brillio fugace che attraversò l’unico occhio del genitore.

“Quale delle quattro?” s’interessò il sovrano.

Loki lasciò scorrere lo sguardo su Sigyn, rigidamente seduta a poca distanza da loro. Si compiacque della tensione che individuava nella schiena rigida, ammirò sfacciatamente la scollatura generosa che evidenziava il seno piccolo e ben fatto, il viso dai lineamenti piacevolmente delicati, le folte trecce d’oro che le arrivavano fin sotto ai seni. Lei dovette sentire gli occhi dell’Ase su di sé, perché sollevò le ciglia scure e, rossa in volto, lo fissò a sua volta. Li legava una tensione sospetta, bassa, viscerale, di cui nessuno dei due era pienamente consapevole, nemmeno il principe. Un legame vibrante e sconosciuto che li avrebbe distrutti, un giorno, rendendo vera una storia antica. Quella sera l’aveva scelta perché lo detestava e per lo sguardo infuocato che gli aveva rivolto, bruciante come quello che le stava regalando lui in quel momento. Deglutì. “La più giovane,” mormorò facendo attenzione che nessuno gli leggesse le labbra. “Sigyn.”

Odino si volse appena verso di lui. “Perché?”

 “Non dispone di una dote congrua per tutte. Non la farà mai sposare. La vuole sacrificare agli antenati,” ragionò rapidamente. Fece una pausa, perché ciò che gli era parso di cogliere era poco più di un sospetto suggeritogli dal suo intuito – dal seiðr. “Ha la scintilla,” sibilò, “o è l’unica che potrebbe averla.”

 Il sovrano fece scorrere il pollice su uno degli intarsi della coppa, sovrappensiero. Avvertiva anche lui la presenza di qualcosa, nella ragazza. Riconobbe la validità del piano proposto, rifletté su quanto Loki, a forza di imitarlo, studiarlo e stargli accanto, avesse finito per assomigliargli tanto da parlare e pensare come lui. Valutò rischi su cui forse il suo giovane e arrogante figlio non aveva riflettuto abbastanza o che, forse, non reputava così pericolosi come in realtà erano – la ragazza era carina, dopotutto – e annuì solenne.

“È un buon piano, Loki. Se anche non l’avesse, noi ci garantiremo l’assoluta fedeltà del suo clan.”

 

Il giovane dio dell’inganno non perse tempo. Si fece riempire nuovamente la coppa con il buon vino speziato dei Vanir e si avvicinò con un sorriso sornione a Sigurdr, incurante del ritmo sempre più lento e ipnotico dei canti, degli sguardi curiosi che lo seguivano con manifesto interesse Parlare di affari e strategie a quell’ora della notte sarebbe stato un vantaggio solo per lui, ancora lucido nonostante l’alcool. Il suo ospite, preso totalmente alla sprovvista, stanco per la lunga giornata e desideroso di compiacere gli Æsir, sarebbe capitolato dopo qualche obiezione, cui lui avrebbe risposto in maniera sferzante e arguta. Inappellabile. Loki, grazie alle sue trame argute e alla sua capacità dialettica, avrebbe trionfato pubblicamente.

Sigurdr aggrottò la fronte, sorpreso dall’elegante familiarità con cui l’Ase gli si sedette accanto, intimorito dal suo mezzo sorriso appena accennato, sbieco e sornione.

“Esulta, nostro buon amico: Padre Tutto ha deciso che ti perdonerà per la tua codardia,” esordì Loki poggiandogli una mano sulla spalla.

L’uomo impallidì e scosse la testa: fino ad allora nessuno aveva fatto menzione del mancato invio dei soldati, ma in cuor suo sapeva che, presto, l’argomento sarebbe emerso. Il fatto che a tirarlo fuori senza alcun preambolo fosse proprio lo scaltro Loki, però, aveva in sé qualcosa di oscuro e inquietante a un tempo – merito anche della scintilla folle che gli brillava negli occhi, decise.

“Non è stata codardia, principe,” si difese Sigurdr. “C’è stata una carestia. Sono anni difficili – voi lo sapete. Non ho più figli maschi che mi aiutino,” spiegò. Era teso e a disagio, eppure si sforzava di mantenere il controllo della situazione e comportarsi come il capo che era.

“Siamo a conoscenza di tutto, sì.” Loki giocherellò con la coppa. “Ma non hai inviato neanche un uomo. Avresti potuto dimostrare la tua lealtà in modo simbolico. Noi ne abbiamo persi molti, di soldati.”

Tutti sapevano che il dio dell’inganno aveva rischiato di morire, nell’ultima battaglia. Si raccontava che era stato suo fratello Thor, a salvargli la vita. Se lo era issato in spalla sebbene tutti gli avessero detto che aveva perso troppo sangue ed era inutile soccorrerlo. Sigurdr si era ben guardato dall’indagare quanta verità ci fosse in quella storia. Loki era lì, davanti a lui, pericoloso e beffardo più di quanto si diceva fosse, a pochi passi dal possente fratello e dal furbo genitore.

“Cosa posso fare per Asgard e per Padre Tutto?”

“E per i Nove Regni,” lo corresse Lingua d’Argento. “Abbiamo scelto qualcosa di tuo, che ti appartiene, ma sono certo che cederai senza troppe storie,” spiegò lentamente, leccandosi le labbra che sapevano di vino. Pareva una fiera pronta a scattare di fronte alla sua preda. “Lei,” disse, rivolgendole un ghigno lupesco. “Sigyn.”

Così fu dato il via a una serie di eventi che avrebbero scosso la casa di Asgard e Lingua d’Argento più di quanto non avesse fatto il terribile colpo che gli aveva squarciato il fianco durante l’ultimo scontro. Si era ritrovato steso sul tavolaccio dei guaritori a farsi ricucire un fianco squarciato, imprecando tra i dolori, tremando per gli effetti devastanti di un fendente infettato con una magia scura e corrosiva. Era sopravvissuto a stento e la cicatrice gli tirava ancora.

Sì, Loki aveva l’età di Balder quando si prese Sigyn scoprendo che non avrebbe mai potuto averla davvero.

 

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

Qualche precisazione: il fatto che il padre di Sigyn sia Sigurdr è un mio headcanon. Non sono riuscita a capire di chi sia figlia ‘sta benedetta ragazza e non voglio utilizzare nomi che non compaiono nell’Edda o che non siano ufficiali, quindi se tanto devo inventare, almeno invento di mio. Che Loki abbia una cicatrice deturpante al fianco è un mio headcanon presente anche in “Ossessioni, whisky e oro/Tesori.” Per il personaggio di Balder, consideratelo un po’ come un OC con qualche commistione tra il fumetto e il mito.

Come avrete capito, essendo una pre-Thor alcune interazioni tra i personaggi sono DIFFERENTI: esempio? Loki che, per ora, va d’accordo con Odino. Ciò significa che ci saranno alcuni momenti iconici, più avanti e che questa è anche un po’ una mezza sfida per me, che li racconto sempre almeno da Avengers in poi. Qui abbiamo avuto un lungo flashback e qualche piccolo, piccolissimo indizio sul perché Sigyn stia diventando cieca.

 

Colgo l’occasione per ringraziarvi dell’affetto, del sostegno e della presenza. Il sostegno, per chi scrive, è importante mettere su carta una storia è condividere un pezzo di cuore, di anima, di noi. E quando, come in questo caso, si abbandona la “comfort zone”, la questione si fa ancora più spinosa!

Per chi lo volesse, ci sono le liste in alto a destra, oppure lasciate una recensione ♥!

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  

Vi ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥ Un'altra volta ancora: leggetela, se vi va ♥ ^^

Ricordo che Vanheim con questo ordinamento sociale, politico e culturale è una mia idea: vi pregherei di non utilizzarla ♥. Anche il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Vostra,

Shilyss

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

La prima reazione di Sigurdr[1] fu quella di scuotere il capo con veemenza. La seconda, pregare le Norne che quello fosse un orribile incubo. Loki gli si era seduto accanto con malagrazia e protraeva il corpo agile e asciutto verso di lui simulando una confidenza che non c’era. Il suo aspetto piacevole si scontrava con la ferocia ben visibile nel sorriso laterale e negli occhi di lupo. Gli mise una mano sulla spalla resa fragile dagli anni e la strinse appena, in un gesto di finta complicità che lo fece rabbrividire – in realtà, lo aveva intrappolato.

Pensò di alzarsi e andarsene, ma la presa di quello che, in fin dei conti, era solo un ragazzo, era fatta d’acciaio. “Lei no,” boccheggiò.

“Sii ragionevole, amico mio,” insistette l’Ase dondolando la coppa che ancora reggeva nell’altra mano. “La nostra non è esattamente un’offerta e poi, diciamocelo: è quanto di meglio le potrebbe capitare. Ti rimangono quattro figlie e hai fatto fidanzare solo la maggiore. Non puoi garantire a tutte loro una dote congrua, di questo tuo piccolo regno non rimarrebbe nulla. Le renderai ancelle, le spedirai a servire gli spiriti degli Antenati, dico bene?” Inclinò il capo e allargò ancora di più il suo ghigno. “Avanti, Sigurdr. Siamo fin troppo generosi,” notò.

Il vecchio guerriero s’accigliò. Aveva ragione. Quello del furbo figlio di Odino era un ragionamento esatto, assolutamente puntuale, ma frutto di deduzioni che partivano da basi maledettamente incomplete.

“Non lei. L’ho promessa,” confessò. “Scegline un’altra, mio principe.”

Le musiche non erano cessate e così il rumore dei calici e delle stoviglie. Buona parte dei commensali presenti nell’ampia sala avevano smesso di prestare attenzione al dialogo tra il padrone di casa e il suo altero ospite, ma alcuni continuavano a seguirli, tentando di leggere l’andamento della discussione nello sguardo vitreo di Sigurdr, nella mascella serrata di Loki.

“A chi?” domandò l’Ase gelido.

L’altro deglutì, sostenendo a fatica l’occhiata severa e giudicante dell’ingannatore. “A cosa,” lo corresse.

 

Per un momento, la portata di quelle due parole aleggiò nell’aria. Poi, Loki Odinson comprese perfettamente l’allusione e si ritrasse, quasi che il contatto e la vicinanza con Sigurdr potessero contagiarlo in qualche modo. Fissò la ragazza, e fu quello il momento in cui la sua mente svelta gli suggerì che lei era perduta, chiedendosi al contempo quanto sapesse di ciò che le sarebbe toccato in sorte. Mentre sosteneva il peso delle sue occhiate critiche – sconvolte, capaci di trapassarla e leggerle fin dentro il cuore – Sigyn aveva gli occhi accesi e le guance rosse. Il modo sfacciato e diretto in cui lui l’osservava certamente l’offendeva ed era palese che temesse per suo padre. Fremeva dalla voglia di sapere cosa stava succedendo, senza immaginare che era tutto già successo.

Loki spostò lentamente lo sguardo su Sigurdr. “Tu sei pazzo, tu sei una maledetta carogna. Ci porteremo via tua figlia, subito,” decise rapido, a denti stretti. “Stanotte verrà con noi o ti giuro sull’Yggdrasill che non resterà in piedi una sola pietra, della tua casa.”

 

L’ingannatore non minacciava mai a vuoto. Le sue parole spesso nascondevano la verità o la mescolavano in maniera irriconoscibile con la menzogna, ma non quella sera, non mentre giurava di fargli del male.

“Appartiene a loro,” spiegò Sigurdr in un sussurro.

“Mio nonno Bor il Grande ha bandito queste pratiche.”

Di fronte a quella battuta secca e orgogliosa, che non ammetteva repliche, il vecchio guerriero abbassò lo sguardo. “Sei disposto a sfidare l’oscurità?” domandò, ma non era affatto convinto che l’arrogante Loki o gli Æsir avrebbero potuto bloccare un rito mezzo compiuto.

Lingua d’Argento raddrizzò ancora di più la schiena. “Siamo disposti a far rispettare la legge.”

“Ci saranno delle conseguenze. E lei, lei non sa ancora niente.”

Loki socchiuse gli occhi. “Ci sono sempre, conseguenze,” ricordò caustico. Volse il capo verso Sigyn alzando il tono della voce affinché tutti lo sentissero. “Sei nostra, d’ora in avanti. Sei…”, s’inumidì le labbra e scelse di mentire, no, di dire quella che aveva ritenuto essere la verità fino a una manciata di minuti prima. “Sei la nostra ricompensa per il mancato aiuto di tuo padre, l’assicurazione che non mancherà mai più ai patti,” concluse.

Lei impallidì, schiuse le labbra, sgranò gli occhi, si coprì il collo nudo con la mano piccola e delicata. Era evidente come non si aspettasse di essere l’oggetto della discussione. Le risate e i canti scemarono lentamente assieme a tutti gli altri rumori propri del banchetto; rimase solo un mormorio continuo e basso, insistente. La madre della ragazza boccheggiò e scosse la testa, le sorelle si guardarono l’un l’altra ansiose, stupite, inorridite.

La prima a parlare, la sola a rispondere a Loki, fu Sigyn.

 

Le era stato detto di non dare alcuna confidenza ai feroci Æsir in generale, ai principi in particolare: erano sfrontati, arrogati e pericolosi più dei lupi – e l’ingannatore la fissava come fosse uno di loro. Si prendevano tutto ciò che volevano perché erano figli di un ladro, di un pirata. Un’occhiata di troppo, un segnale sbagliato inviato nella loro direzione, avrebbe vanificato del tutto e inesorabilmente la rigida educazione trascorsa presso le ancelle che servivano gli Antenati. Si trattava di un luogo dove tutte le nobildonne di Vanheim trascorrevano buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza, ma che per le figlie nubili di Sigurdr sarebbe diventato il posto che avrebbero chiamato casa: il loro destino era quello di rimanere chiuse dentro un chiostro[2] a ricamare arazzi e scene tratti dai poemi, a servire gli altari innalzati generazioni prima, in un’esistenza priva di scossoni o di turbamenti che si sarebbe dipanata sempre uguale a se stessa attraverso lo studio, la contemplazione e l’oscura arte della divinazione, una branca del seiðr nota solo a Odino e malvista dagli altri Æsir.

Sigyn era stata messa in guardia da sua madre più volte quella sera e le precedenti. Le sue occhiate pungenti e la malcelata curiosità che dimostrava verso gli ospiti erano sconvenienti e pericolose, ma come poteva isolarsi come le sue sorelle e non ascoltareguardare quello che capitava attorno a lei? Conduceva un’esistenza troppo riservata per non stupirsi anche solo osservando le armature leggere sfoggiate da Thor o da Loki. Due ragazzi audaci, forti, decisi, che si comportavano da padroni in casa sua e avevano mille storie da raccontare e altrettante opinioni da sostenere a testa alta. Attività in cui si dilettavano con una certa soddisfazione a poche sedie di distanza da lei, approfittando dell’enorme prestigio guadagnato sul campo di battaglia. Di Loki dicevano che fosse un bugiardo, ma nondimeno la sua abilità retorica era in grado d’inchiodarla alla sedia catturando tutta la sua attenzione. Non era sempre d’accordo con lui, anzi, non lo era quasi mai. Lingua d’Argento era troppo pragmatico, crudele e sfacciato per i suoi gusti. Provocava per divertirsi, oppure assecondava i suoi interlocutori solo per convincerli con un paio di mosse intelligenti a dargli ragione, confondendoli. Sigyn trovava che si divertisse troppo – che giocasse traendone un piacere insano. Riteneva i suoi modi eccessivamente manierati, ma non poteva nascondere di ammirare la sicurezza sfoggiata come un abito, la forza sottesa dietro ogni singolo movimento della sua figura agile e scattante, perennemente pervasa da una tensione feroce. Non osservarlo era impossibile, ma quando le avrebbero chiesto se il suo fosse stato un amore a prima vista, si sarebbe messa a ridere mestamente scuotendo il capo. Loki era capace di catturare l’attenzione di tutta la sala e, per lei, seguire ogni suo movimento o parola era sempre stata una necessità oscura, forse, ma inizialmente priva di sentimento. Ne era convinta.

 

Quella sera sentì di aver disonorato il clan cui apparteneva facendosi notare, non resistendo all’impulso di spiare quello scorcio di mondo di cui si era concessa un breve assaggio. Il modo in cui l’Ase la fissava mentre decideva del suo destino la turbò, facendola sentire nuda e vulnerabile – una sensazione sconosciuta, mai provata, capace, però, di scuoterla dentro. Immaginando che le fosse rimasto ben poco da perdere, gli rispose. “Vorreste prendermi come ostaggio. Chiamate le cose col loro nome, vi prego.”

Loki non si aspettava che lei ribattesse con tanta franchezza. Allargò il perenne ghigno che gli increspava le labbra scoprendo i denti bianchi e regolari. “Qualcosa del genere, sì,” ammise con una punta di compiacimento. “Da stasera sei la nostra ospite,” concluse con gelida cortesia.

“Devo deludervi,” s’impose lei. “Parlate con una futura ancella. Servirò gli antenati.”

Qualsiasi brusio cessò nella sala o, almeno, così parve a Sigyn. Loki vuotò fino all’ultimo goccio il suo vino e poggiò sul tavolo la coppa con studiata lentezza, poi si leccò le labbra per catturarne ancora il sapore speziato e, infine, si alzò in piedi sfoggiando un certo fastidio. Era un uomo alto e asciutto e da vicino le sembrò ancora più imponente; riconobbe in lui gli atteggiamenti del capo militare, del guerriero, e pensò che se la sua prima battuta lo aveva divertito, la seconda doveva essergli parsa tremendamente inopportuna.

“Verrai ad Asgard. Lo deciderà Padre Tutto una volta che sarai giunta lì, cosa sarai,” ribadì mortalmente calmo.

Nessuno intervenne per bloccare Loki. Odino osservava la scena lisciandosi la barba canuta, Thor, che si diceva non sempre approvasse i metodi del fratello, pareva deciso a non immischiarsi nella questione, suo padre si guardava le mani senza proferire parola.

Sigyn sentì che sua madre le tirava una manica del vestito bisbigliandole qualcosa, ma non riuscì a comprendere cosa le dicesse e, forse, non le importò. Provare curiosità verso un mondo di cui conosceva pochissimo non significava voler abbandonare ogni certezza per un paese lontano e straniero, alla mercé di un popolo di razziatori feroci che credevano di vantare diritti su tutti i Nove Regni. Sigyn era amata dalle sue sorelle e aveva sempre ritenuto che fosse un onore servire gli Antenati, ma se anche avesse desiderato per sé un destino diverso, certo non le sarebbe mai passato per la mente di finire tra gli Æsir in veste di ospite, qualunque cosa significasse. Aveva stretto un voto che non era disposta a sciogliere, pur rendendosi conto che il mancato aiuto di Sigurdr necessitava realmente di un tributo. Eppure quella ricompensa non poteva, non doveva essere lei. Loki non aveva lasciato presagire alcunché riguardo il suo futuro, limitandosi a fare quello che faceva sempre: nascondere la verità decorandola con belle parole, ma c’era qualcosa, in lui, che la spaventava. Dicevano che fosse un mago abilissimo, oltre che un feroce guerriero e un politico sagace, ma che avesse in sé qualcosa di storto, di sbagliato. Si alzò anche lei nonostante le gambe le tremassero e sua madre tentasse di farla rimanere seduta, cercando di cancellare il presentimento che le mordeva il cuore, d’impedirsi di essere l’ennesima preda che, come tutte le altre, cadeva nella trappola delle frasi inappellabili di Lingua d’Argento.

“Voi non capite. Ho stretto un voto. Papà!?” chiamò in cerca d’aiuto.

Un guizzo ilare e cattivo attraversò gli occhi quasi trasparenti dell’Ase. Doveva trovare terribilmente divertenti le sue rimostranze.

Suo padre levò gli occhi grigi su di lei. Le parve improvvisamente vecchio e debole, stanco. Un’impressione non del tutto nuova, in verità, che si era fatta strada in Sigyn dal momento in cui aveva rivisto il genitore dopo aver lasciato il palazzo delle ancelle per presenziare alla visita di Padre Tutto. Lo aveva trovato più curvo e magro rispetto al loro ultimo incontro, ma alla luce delle candele che rischiaravano la sala del banchetto quell’impressione iniziale si rafforzò ulteriormente: si accorse che i solchi sul viso dell’uomo si erano fatti più profondi, le spalle fragili. Era spaventato e il contrasto con la figura altera e forte di Loki le parve ingiusto. “Obbedisci. Ti prego, Sigyn, obbedisci,” sospirò Sigurdr in qualcosa che era a metà tra l’ordine e la supplica.

Sua madre riuscì a farla sedere di nuovo e lei la guardò scuotendo il capo.

“Io non posso… non posso. Tutti voi lo sapete!”

“Zitta, per favore, sta’ zitta,” la redarguì quella stringendole le spalle. “Mio principe,” intervenne fissando l’Ase, “è un onore. Abbiatene cura,” aggiunse con un tremito.

Il dio dell’inganno rispose con un cenno condiscendente del capo. Non bevve più per quella sera, ma parlò a lungo con Odino e con Thor, facendo attenzione che nessuno li ascoltasse.

Sigyn rimase sveglia tutta la notte pensando agli occhi di Loki e alla febbre impaziente che vi aveva letto dentro.

 

 

“Se ne accorgerà. Lo scoprirà. Forse già sospetta qualcosa; non mi stupirebbe.”

Odino diede da mangiare ai suoi corvi. Huginn beccò qualche seme e volse il capo lucido e nero verso di lei con uno scatto rapido, mentre Muninn saltellò sul davanzale sbattendo le ali.

Sigyn annuì. Dalla distanza in cui era non riusciva più a distinguere i dettagli del piumaggio dei due volatili; presto si sarebbero trasformati in macchie scure e sfocate. Schiuse le labbra – aveva ancora addosso l’odore di Loki e il sapore dei suoi baci sfacciati, esigenti, dolci e feroci. Una storia d’amore dovrebbe finire quando il sentimento scompare, si dissolve; non quando divampa e brucia il cuore e le vene, tenendo in ostaggio la mente. Le sarebbe mancato – già sentiva nostalgia di lui nonostante avessero passato la notte insieme. Loki, dal canto suo, si sarebbe imposto di non cercarla mai più per difendere il proprio orgoglio ferito, per rinfacciarle d’averla salvata e, al tempo stesso, punirla – punirsi, perché tutto ciò che aveva fatto per lei non era servito a nulla. Come dono le avrebbe regalato un sorriso laterale e soddisfatto e qualche battuta impertinente, ma i suoi occhi, per le Norne, si sarebbero posati su di lei rivelando la loro ferocia. E Sigyn avrebbe voluto ricordare, di Loki, non il suo sguardo freddo di lupo, ma quello sfrontato e brillante che le rivolgeva quando la neve iniziava a imbiancare i tetti di Asgard o prima di baciarla a tradimento – di ghermirle le labbra in un assaggio perfido e irresistibile. Una storia d’amore: era davvero così che poteva definirsi la relazione in cui erano rimasti incastrati? Lui avrebbe storto il naso di fronte a una definizione che tentava d’ingabbiare al suo interno troppe cose. In un altro momento, Sigyn stessa avrebbe stentato nel pronunciare quella parola proibita, ma in quel freddo mattino decise che sì, era stato amore. Chiuse gli occhi: meglio il rancore della pietà, si ripeté mentalmente. Meglio il disprezzo che saperlo a rischiare la vita per evitare un destino ineluttabile.

“Lo so,” sospirò. “Ma per allora, non potrà più fare niente.”

“Sa essere crudele,” proseguì Odino. Non le parlava in quel modo per dissuaderla dai suoi propositi, tutt’altro: cercava solo di presentarle un quadro verosimile di ciò che sarebbe successo da lì in avanti, preparandola alla reazione di quello che era sempre stato un principe spavaldo e volitivo, incapace di cedere anche solo un granello di terra che ritenesse suo. L’avrebbe fraintesa e, all’inizio, si sarebbe rifiutato anche solo di pensare al perché del suo abbandono. In fondo, quella mattina Sigyn aveva già avuto un preciso assaggio delle decisioni di Loki. La spiccata perspicacia del dio dell’inganno svaniva spesso di fronte all’immagine che gli restituiva lo specchio perché, in fondo, anche lui era cieco e il suo spirito fiero non era privo di crepe e cicatrici pronte a sanguinare, ma a spaventarla di più era il suo intuito.   

“So bene anche questo, Padre Tutto. Non saprà niente.” Aveva appena preso una delle decisioni più difficili della sua vita. Un tempo aveva litigato ferocemente con Loki per una questione simile: lui sosteneva che la verità andasse dosata e valutata, lei pretendeva dal prossimo una sincerità schiacciante, forse inizialmente dolorosa, certo, ma migliore di una menzogna protratta nel tempo. Parlavano di loro stessi e non lo sapevano e le Norne, gelose, beffarde, disinteressate, alla fine avevano fatto in modo che le parti si invertissero.

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Care Girls,

Stavolta posto con un po’ d’anticipo perché il Natale imminente e certe altre storie mi terranno un po’ impegnata, ma non temete! La vostra Autrice ha già in serbo per voi un regaluccio di Natale e qualche aggiornamento extra, quindi drizzate le antenne.

Allora, come avrete capito c’è ancora un bel po’ di carne al fuoco, qui. Sto cercando di mantenere la narrazione su due fronti: quello che è stato prima e quello che succede ora che Sigyn ha dato il due di picche a Loki. Vi prometto che alla fine tutto tornerà, anche il più piccolo dettaglio ^^.

Posto rapidamente sperando non ci siano refusi, in caso rileggo domani mattina – abbiate eventualmente pietà ♥.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Quando pubblichiamo vediamo le visualizzazioni, ma non sappiamo se la storia piace o no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere è condividere con voi un pezzo di anima e di cuore. Bastano undici parole o un clic nelle liste per rendere quest’attività esaltante, a volte drammatica e solitaria, sempre necessaria, perlomeno un po’ meno solitaria.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

P.S.

È diventata una long. Mannaggia a me! :P

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Il nome è un mio headcanon.

[2] La parola è di origine latina e credo si adatti al contesto comunque medievaleggiante della shot.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 Capitolo 4

 

L’ennesima supplica condita da parole forti e promesse oscure riguardo un destino avverso e ineluttabile: questo era il succo delle righe vergate da Sigurdr con una grafia larga e tremolante. La vecchiaia lo stava ghermendo; i pomi di Iðunn non sortivano più il loro effetto e, probabilmente, a peggiorare le condizioni dell’uomo c’era il futuro oscuro di quella sua figlia più piccola, che non aveva saputo proteggere per due volte. Le dita di Loki strinsero la pergamena fino a farla scrocchiare. Ci aveva pensato lui, maledizione. Se Sigyn era ancora viva, se non le era capitato nulla di orrendo, era stato per il suo intervento, nient’altro – in quello stesso momento, la ragazza stava facendo tutto ciò che era in suo potere per spezzare ogni vincolo esistente tra loro, ma questo Loki non poteva saperlo.

 

Gli si chiedeva di restituirla, di lasciare che il suo destino si compisse, di liberarla; non poté fare a meno di piegare le labbra in una smorfia sbieca, trattenuta. Era una richiesta scorretta, ipocrita, che gli veniva mossa comunque troppo tardi. Ma Sigurdr, che lo accusava da tempo e senza mezzi termini di aver disonorato l’onore di sua figlia rendendola, di fatto, la propria concubina, faceva finta di essersi dimenticato quanto fossero costate a lui, Loki stesso, le numerose informazioni incomplete che gli aveva dato. Parlava della figlia considerandola come l’ancella che, per fortuna, non era ancora diventata, incapace di comprendere quello che per il dio dell’inganno era ormai palese: ciò che lei possedeva non poteva essere immolato né condiviso.

Balder, caparbio, lo aveva raggiunto. “Tutti i Nove Regni parlano del sacrilegio che hai, avete compiuto. Ci saranno delle conseguenze.”

Loki gli rifilò un’occhiata feroce e divertita insieme. “E quindi? Ci sono sempre delle conseguenze. Hai forse paura di sporcare il tuo bel mantello color neve[1]?” lo canzonò.

“Tu e Thor non potete costantemente far finta di ignorare le leggi e i costumi dei Nove Regni. Non è giusto che vi affidiate alla fortuna,” insistette il più giovane, pur sapendo fin troppo bene che la sua era una battaglia persa in partenza. Suo fratello non gli avrebbe dato retta in nessun caso, soprattutto su Sigyn. Aveva versato e perso troppo sangue per ammettere che la sua vittoria, in verità, non valeva niente e che lei, una volta libera, era comunque condannata a rinchiudersi a vita tra quattro mura di pietra a pregare degli spiriti morti da secoli. Riteneva che la ragazza gli spettasse con la stessa tronfia arroganza con cui era sempre stato abituato a pretendere ogni cosa, e se nemmeno Thor si sentiva in animo di contraddirlo, le speranze che arrivasse spontaneamente a cederla si facevano pressoché nulle.

“Noi siamo nati per essere re,” replicò difatti l’ingannatore tra i denti riprendendo a camminare. “Le leggi le emaniamo e, quando sono ingiuste, le cambiamo. Altrimenti, Sigurdr non avrebbe nessuna figlia da reclamare,” ricordò perfido scoccando un’occhiata feroce al ragazzo.

 

A volte, Loki si svegliava di colpo nel cuore della notte, certo di aver recuperato brandelli della memoria che aveva smarrito. Succedeva anche quando c’era lei, che dormiva con la testa poggiata sul suo petto e gli cingeva il torace col suo braccio esile e delicato. Fissava il buio e tentava di ricomporre lo schema d’immagini che lo avevano destato cercando di calmare il proprio respiro, ma quelle durante la veglia sbiadivano, sparendo di nuovo nel limbo che le aveva cacciate fuori. Ogni tanto, però, qualcosa s’affacciava nella sua mente e vi rimaneva aggrappata con forza. Nessuno sapeva di quegli incubi né dei pochi ricordi che gli galleggiavano ancora in testa; nemmeno Sigyn si era mai accorta di nulla, continuando a riposare tranquilla stretta contro di lui. Loki le sfiorava con la punta delle dita la bella treccia bionda sparsa sul cuscino, giocando con i ciuffi che sfuggivano all’acconciatura e riflettendo su ciò che la sua memoria imperfetta gli suggeriva[2]. A volte credeva di trovare un significato a tutte quelle visioni, ma il risultato di quei ragionamenti gli pareva sconcertante e ingiusto – spaventoso. Altre, scuoteva la testa e sbuffava indispettito imponendosi di tornare a dormire, archiviando tutto come brandelli di fantasie inutilizzabili. Alcune notti, invece, si alzava con addosso la sensazione che qualcosa d’orribile e imminente stesse per capitargli; allora si metteva a leggere, a tentare incantesimi oscuri, a rispondere per conto di Padre Tutto alle molte missive che giungevano a palazzo, a ricontrollare i bilanci di Asgard e, se quella strana sensazione ancora non se ne andava, sfoderava i suoi lunghi pugnali, afferrava una lancia e si andava a esercitare nella terrazza su cui s’affacciavano i suoi appartamenti, incurante della brezza notturna che sapeva di mare. Resisteva bene al freddo – più di tutti gli altri, persino più di Thor – e non si era chiesto mai il perché.

Sigyn lo raggiungeva quasi sempre dopo una manciata di minuti, avvolta in una delle sue calde giacche troppo lunghe e larghe che le arrivavano fino quasi alle ginocchia, con i lunghi capelli scarmigliati sparsi sulle spalle. Scoccandogli un bacio assonnato lo invitava a tornare da lei. Non sospettava nulla degli incubi, ma la sua assenza la destava, come se rimanere a letto e dormire le fosse intollerabile, se non c’era lui vicino – forse Loki si sbagliava, forse lei sapeva e non diceva nulla, preferendo rimanergli accanto in silenzio che fargli domande.

Deglutì. La vicinanza estrema li aveva resi amanti. Le Norne si erano divertite a intrecciare volutamente i loro destini, trasformando il suo corteggiamento sfacciato, sì, ma giocoso, in una necessità, un bisogno. E una notte, semplicemente, dilaniato dal desiderio e corroso dal piacere che sarebbe scaturito dallo sfiorare con le labbra la sua pelle di seta, le curve dolcissime, la bocca ansimante, non era stato in grado di resistere all’impulso d’averla nonostante fosse intoccabile – proprio perché era intoccabile. Non c’era stato un secondo in cui non fosse stato perfettamente consapevole che, varcando quel limite, avrebbe violato un numero infinito di norme e precetti, ma baciare Sigyn intrappolata sotto di lui e lasciar scorrere finalmente le dita sul suo corpo solo vagheggiato, stretto e toccato, sì, ma unicamente per proteggerla, si era rivelato qualcosa di superiore alle aspettative – d’irrinunciabile.

Il solo ripensarci gli provocò una fitta di desiderio bassa e dolorosa. Erano stati a letto insieme anche quella notte, certo, ma lei era distante, già persa – non come la sera lontana in cui gli si era offerta.

 

“Hai dato a Sigurdr la tua parola, Loki. Gli hai promesso che avresti lasciato che facesse l’ancella e compisse il suo destino,” gli ricordò Balder fissandolo con i suoi occhi cerulei. “Possibile che non t’importi niente nemmeno delle conseguenze che si abbatteranno su quella terra? Suo padre ha ragione – devi restituirla. Un futuro re mantiene le promesse,” lo accusò dopo un secondo, uno solo, di esitazione.

L’ingannatore si fermò di nuovo, colpito da quell’allusione. La corsa per il trono tra lui e Thor si era aperta ormai da anni e il fatto che Mjollnir, il martello sacro, non fosse spettato a lui, aveva rappresentato un profondo smacco. Di più, era una ferita aperta che non smetteva di sanguinare e di dolere, infettando lentamente tutto il resto, evocando fantasmi che gli sussurravano all’orecchio come, semplicemente, non fosse degno.

“Lui è stato il primo a mentire; sono quasi morto due volte, per le sue omissioni,” scandì Loki a denti stretti. Superava il fratello in altezza e il suo fisico slanciato e asciutto pareva sempre sul punto di scattare, tanto che il più giovane fece un passo indietro. “Ho intravisto i cancelli di Hel, grazie a quell’idiota. L’hai dimenticato?”

Balder scosse la testa in segno di diniego. Ci sono cose che non possono essere cancellate nemmeno volendo e restano impresse nella mente distruggendo ogni precedente equilibrio. I suoi fratelli maggiori non erano invincibili né immortali, anzi: sanguinavano, soffrivano, morivano – sbagliavano – come tutti gli altri. “Ma della scintilla noi non gli abbiamo mai detto niente,” mormorò in risposta.

Lingua d’Argento sollevò il mento e raddrizzò ancora di più la schiena. “Perché solo noi Æsir sappiamo individuarla,” si vantò tronfio. “Lei è libera da tempo,” concluse seccamente. “È qui perché vuole rimanerci – può andarsene quando vuole.”

Finito di parlare, non attese alcuna risposta. Si allontanò a passi svelti e decisi lungo i corridoi del palazzo, consapevole che Balder, stavolta, non avrebbe osato seguirlo. L’allusione alla morte vista troppo da vicino creava baratri di sensi di colpa troppo grandi anche solo per essere guardati.

“Sei un bugiardo,” sospirò il più giovane dei figli di Odino vedendo allontanarsi la figura principesca di Loki col suo mantello verde cupo addosso.

Aveva ragione: l’ingannatore era riuscito ad accettare che non avrebbe lasciato andare Sigyn una notte d’inverno. Aveva appena finito di fare l’amore con lei ed erano ancora avvinghiati l’uno all’altra, uniti, ansanti, scossi dalla necessità di togliersi i vestiti, di scoprirsi l’un l’altro la pelle, di aversi, fondersi, scontrarsi. Fuori dalle coperte si gelava.

Se solo fosse stato in grado di resisterle.

 

 

 

Loki Odinson avrebbe dovuto impedirsi di desiderare Sigyn fin da quando lei, insolente, altera e stretta in un mantello da viaggio, si era messa a fare ipotesi sul suo futuro. Erano su un drakkar in rotta verso Asgard, e la figlia di Sigurdr, nonostante facesse di tutto per non darlo a vedere, soffriva il freddo ed era terrorizzata da quello che era senza dubbio il suo primo viaggio in mare. A chiunque sarebbe parso evidente come la spaventassero le lunghe onde d’argento tagliate dalla prua della nave svelta e lo spettacolo della distesa d’acqua sferzata dal vento. Si era aggrappata a un supporto di legno con la stessa fiera disperazione di una gatta sull’orlo di una tinozza e, dedusse l’Ase, probabilmente le onde lunghe solcate tanto agilmente dal drakkar sortivano un terrificante effetto sul suo stomaco.

“Chi di voi due?” esordì caustica lanciando un’occhiata in direzione di Thor[3].

Loki le si avvicinò ridacchiando, dimostrandole di avere un equilibrio felino, anzi, da pirata: la ragazza indossava ancora il bell’abito di velluto rosso della sera precedente e i gioielli con cui si era adornata i capelli e le braccia. Nel timore che i suoi genitori o altri cercassero di farla sparire, Padre Tutto l’aveva fatta condurre immediatamente nell’accampamento degli Æsir, vietandole persino che si cambiasse per indossare vestiti più consoni per un viaggio. Una scelta che Loki aveva ritenuto saggia e ponderata, ma che faceva sembrare quello di Sigyn un rapimento o una vendita. Ma era qualcosa di diverso, in fondo? Lei era il risarcimento preteso per un accordo non rispettato, l’ostaggio chiesto a garanzia della futura fedeltà di Sigurdr, ma anche l’offerta da donare a un incubo orrendo. Scosse la testa scacciando via quel pensiero, ma valutando, al contempo, quanto sarebbe stato interessante scontrarsi con qualcosa di così antico e feroce.

“Avrebbe importanza?” Le porse un corno d’idromele che lei rifiutò allontanando il viso. Rispondeva sempre alle sue facezie con sdegno e osava fissarlo come si guarda un suddito, non un pari. “Mia signora, hai preferenze, forse?” alluse perfido. Sigyn era stanca, infreddolita, spaventata, ma ancora bella – quella riflessione l’avrebbe condotto fino ai cancelli di Hel, ma Loki questo ancora non poteva immaginarlo.

“Prima mi portate via dalla mia casa e poi mi insultate con queste insinuazioni,” sibilò la ragazza battendo i denti.

Avrebbe voluto aggiungere qualche altra battuta sferzante, l’ingannatore glielo lesse in quegli occhi grigi che lo fissavano con lo stesso sguardo carico d’odio della sera precedente. Era stata educata per essere un’ancella di Vanheim, del resto. Per lei, gli Æsir non erano altro che dei mercanti barbari privi di morale, dei pirati sanguinari dediti a un numero infinito di scorrerie. Se non aveva aggiunto nulla, era per il timore evidente di essere punita in qualche modo. Picchiata, magari. Loki increspò le labbra in un sorriso sbieco. Il mantello di Sigyn era troppo leggero.

“Nessuno dei due, mia signora. Padre Tutto non legherà la sua casa con la tua,” concesse infine.

“La mia casa…” ripeté la ragazza con voce amara, puntando lo sguardo a terra. Era stato quasi un bisbiglio, un pensiero espresso con un tono troppo alto, ma il dio dell’inganno lo aveva captato ugualmente. Si domandò con disgusto cosa volesse dire sentire di essere stati usati dalla propria famiglia, rifletté sul fatto che Sigyn viveva nella menzogna. Credeva di essere stata ceduta da suo padre agli Æsir e di stare andando incontro a un futuro orrendo, fatto probabilmente di schiavitù e di violenze, quando il fatto di trovarsi lì, con loro, in mezzo al mare, rappresentava la cosa più vicina alla salvezza cui potesse auspicare. Rimproverava al genitore di averla venduta a degli alleati esigenti, senza sapere che avrebbe dovuto odiarlo per ben altre ragioni. Solo che lei non aveva la benché minima idea che il suo essere educata come ancella non aveva mai avuto il reale scopo di farle servire gli antenati, quanto di mantenerla abbastanza pura da essere utilizzata per qualcosa di peggiore. Loki vuotò il corno che lei aveva rifiutato poco prima, lasciando che l’idromele gli scivolasse in gola, leccandosi le labbra per trattenere ogni singola goccia della bevanda. Quand’è che Sigurdr aveva deciso di usare la figlia più piccola per un rituale proibito? I giorni in cui piangeva nella culla, quelli in cui, bambina, giocava con le sorelle o più avanti, dopo che era diventata una giovane donna? Si tolse dalle spalle la pelliccia di lupo che portava sopra il mantello e gliela gettò senza grazia in grembo.

“Fossi in te eviterei di congelare,” spiegò spiccio.

 

Lei lo fissò guardinga e sfiorò con una mano il pelo soffice, come se si aspettasse che dietro quel gesto cortese fosse celata una trappola, ma nonostante il vento gelido resistette all’impulso di coprirsi le spalle con un indumento dell’Ase. Tratteneva ancora il suo calore – lo poteva sentire sulle ginocchia – e non desiderava avvolgere il suo collo in qualcosa che apparteneva a quell’uomo spavaldo dagli occhi rapaci e le labbra perennemente piegate in un ghigno divertito.

“Che progetti avete voi Æsir per me?” insistette.

“Lo scoprirai presto. Indossala.” La voce di Loki si era fatta severa e il suo tono aveva perso ogni ombra d’ilarità.

Sigyn s’irrigidì ancora di più. “Me lo stai ordinando?”

“Sì,” fu la sua risposta secca. “Noi non siamo la cosa peggiore che poteva capitarti,” aggiunse con una smorfia.

“Lascia che sia io a decidere, principe Loki.” Balbettava dal freddo. Articolare ogni parola le costava una fatica immensa. Avrebbe potuto ostinarsi nel non indossare la pelliccia offerta e ritrovarsi il giorno dopo con la febbre alta e la gola in fiamme, ma valutò che la propria salute fosse più importante dell’orgoglio. Per affrontare l’imminente futuro aveva bisogno di essere lucida e in forze. Senza smettere di fissare negli occhi il dio degli inganni, si avvolse il pelo di lupo ancora caldo attorno al collo sottile, alle spalle tremanti, al seno, ma quando sentì sulla pelle la carezza lieve del mantello, sussultò. Avvertiva l’odore di Loki su di sé, aveva il suo profumo virile e sconosciuto addosso. Era qualcosa che aveva temuto e a cui non era preparata – un contatto indesiderato capace di farla vibrare, scuotendola nel profondo. Era come se lui l’avesse stretta tra le braccia, se le sue dita le stessero sfiorando la gola, le spalle e la scollatura senza farlo davvero, fantasticò senza riuscire a capire perché la sua mente viaggiasse in direzioni sconosciute e pericolose.

“Temo che alla fine sarai d’accordo con me,” concluse l’ingannatore, ma il suo tono si era fatto tetro, carico d’insondabili promesse oscure che Sigyn sul momento non capì. Tutto avrebbe acquisito un senso solo dopo molto tempo.

 

Il principe si allontanò per andare a discorrere con Odino sulla prua del drakkar. Il vento s’insinuava impietoso sotto i loro mantelli facendoli turbinare e volteggiare, ma i due non sembravano affatto disturbati dall’aria sferzante e salmastra. Erano troppo assorbiti dalla loro conversazione. Non era semplice ricoprire il ruolo di figlio e di suddito insieme, specie con un sovrano esigente e furbo come Odino, che non aveva mai esitato dal pretendere il suo sangue o quello di Thor. Parlarono a lungo, e a un occhio attento come quello del dio del tuono, che li osservava poco lontano, non sfuggirono alcuni lievissimi segni d’impazienza di Loki, come le labbra arricciate in un mezzo sorriso tirato, le sopracciglia che s’inarcavano a fronte delle considerazioni spietatamente sagge di Padre Tutto, il leggero nervosismo che trapelava dal modo in cui l’ingannatore carezzava l’elsa di uno dei lunghi pugnali che portava appesi lungo i fianchi. Rispondeva con frasi brevi e secche ai lunghi discorsi del genitore, segno evidente di come questi ultimi lo stizzissero. La natura di suo fratello era selvaggia e feroce come quella di tutti gli Æsir, decise Thor, solo che, al contrario di lui, suo fratello era fin troppo bravo a mascherarla. Dopo qualche minuto il diretto interessato abbandonò la prua per dirigersi lesto nella sua direzione. Nel breve tragitto, colse l’occasione per dare qualche ordine perentorio al resto della ciurma – lei no, non la guardò.

“Nostro padre ti ha dato una bella strigliata,” commentò il tonante. Prese un pezzo di carne essiccata da una bisaccia e ne offrì un po’ all’altro.

Loki sollevò il mento e prese a mangiare. “Le definirei più raccomandazioni superflue.”

“Su di lei?”

“Anche,” fu la laconica risposta di Lingua d’Argento. “Teme dimentichi che è una mezza ancella maledetta,” rise seccamente.

“Le stai sempre intorno e non la perdi mai d’occhio,” notò Thor. “Ho pensato anche io che te la volessi sbattere,” ammise dandogli una pacca sulla spalla.

Loki serrò la mascella e lo fissò a lungo prima di rispondere. Sapeva che era intoccabile. Lo aveva ribadito a suo padre e lo stava spiegando a suo fratello. Sigyn poteva – doveva – essere solo guardata da lontano, perché a prescindere dalla scintilla e dall’osceno rituale di Sigurdr, aveva iniziato un percorso che l’avrebbe condotta a vivere un’esistenza separata dal resto del mondo. Che lo facesse ad Asgard o a Vanheim non aveva alcuna importanza. “È troppo fedele al suo culto anche solo per lasciarsi baciare, neanche fosse stata già iniziata. Non sarebbe affatto divertente,” sostenne con una smorfia. Mentiva. Un groviglio oscuro in cui spiccavano, mescolati assieme, il desiderio e la gelosia gli graffiò il petto. Lei era intoccabile. Lo sarebbe rimasta anche ammesso che il disastro di Sigurdr fosse stato arginato. Era persa in ogni caso.

Thor annuì. “Quindi ci hai pensato.”

“Per accantonare l’idea,” puntualizzò l’ingannatore.

“Perché l’hai chiamata mezza ancella? Loro non hanno un’iniziazione. Entrano e servono gli Antichi. Credevo funzionasse così,” insistette l’altro.

Loki deglutì. “Certo che ce l’hanno, che dici. C’è un giuramento. Un momento in cui possono scegliere, in cui sono formalmente ancora libere, ma…”

“Ma?”

“Ma nessuna ha mai deciso di andarsene,” concluse il dio dell’inganno. “E lei, comunque, è stata promessa a ben altro.”

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Care Girls,

Questa storia viaggerà molto spesso tra il presente, in cui Sigyn sta diventando cieca e Loki pare abbia sconfitto qualcosa di tremendo (quella cosa?) al passato dove lei preferirebbe buttarsi da una rupe anziché essere toccata da lui. Qual è il destino di questa ragazza? Lo scoprirete. Di certo c’è che qualsiasi cosa Loki faccia Sigyn pare destinata comunque a una vita contemplativa lontana da lui – io, che so come andrà a finire, ho riletto tre volte il capitolo e vi assicuro che c’è una fo***a logica.

Posto rapidamente sperando non ci siano refusi, in caso rileggo domani mattina – abbiate eventualmente pietà ♥.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Quando pubblichiamo vediamo le visualizzazioni, ma non sappiamo se la storia piace o no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere è condividere con voi un pezzo di anima e di cuore. Bastano undici parole o un clic nelle liste per rendere quest’attività esaltante, a volte drammatica e solitaria, sempre necessaria, perlomeno un po’ meno solitaria.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

P.S.

La settimana prossima preparatevi perché uscirà il capitolo 35 di Solo un accordo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Grazie a serica che mi passa informazioni sui fumetti ho scoperto che sì, nei comics Balder viene preso in giro da Loki et alii per via del mantello bianco Potevo non usarlo? La conversazione si riallaccia ai capitoli 1 e 2, dove Loki, per l'appunto, parla con Balder.

[2] Acconciatura di notte? Sì, grazie. La vostra Autrice ha i capelli molto lunghi – sono ancora lunghi dopo averli recentemente tagliati di ben dieci centimetri – e posso garantirvi che con ciocche lunghe dormire con una treccia molle o una coda bassa è una necessità oggettiva.

[3] Questa scena era stata abbozzata e leggermente rievocata nel capitolo 1 di questa storia. ^^

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Il dio dell’inganno sapeva perfettamente di essere brillante e astuto e, a detta di suo padre, era proprio questa consapevolezza a rappresentare uno dei suoi peggiori difetti. Fiero e sicuro di sé com’era, tendeva spesso a fare troppo affidamento sulle proprie capacità o su quelle di Thor. La colpa di ciò era attribuibile, almeno in parte, alla spavalderia che i due principi sfoggiavano nonostante, già da alcuni anni, sulle loro spalle gravassero molte delle incombenze del regno di Asgard. Odino aveva fatto di tutto per forgiare nel ferro e nel fuoco il carattere dei suoi figli maggiori, ma la sensazione d’essere invincibili e immortali non aveva abbandonato i petti tronfi dei due ragazzi, né avrebbe potuto farlo, del resto. Era la necessaria corazza che i due dovevano indossare per dimenticarsi di tutte le volte in cui, coi volti macchiati di terra e sangue, avevano visto morire sotto i loro occhi amici d’infanzia e commilitoni – in fondo, la vittoria porta sempre e comunque con sé il sapore acre della morte. A battaglia finita, non restava loro che bere fino a stordirsi, raccomandando a mezza voce alle anime dei soldati caduti in battaglia di festeggiare allo stesso modo nel Valhalla dove, un giorno, avrebbero finito per ritrovarsi tutti. Ma quando il prezzo da pagare affinché Asgard continui a essere il faro splendente cui guardano tutti i Nove Regni cola dalle proprie ferite, caricarsi ancora più d’orgoglio e pretendere d’avere voce in capitolo nelle più svariate decisioni diventa più facile.

Loki Odinson era stato cresciuto con la promessa di essere nato per diventare re: ne aveva il sangue e la stoffa. Forse era anche per colpa di questa radicata consapevolezza se si mostrava sempre più insofferente alle regole imposte e, più in generale, a tutto ciò che limitava la sua libertà. Padre Tutto lo aveva messo in guardia, ammonendolo di stare il più possibile lontano da Sigyn e di non dimenticare mai, nemmeno per un istante, chi lei fosse e quale destino le spettasse. Il dio dell’inganno si era risentito per quel rimprovero che riteneva privo di senso. Non gli mancavano le ragazze e non aveva certo bisogno di correre dietro proprio a quella. Se non fosse stato per la sottile vibrazione scaturita dalla presunta scintilla, era certo che non si sarebbe mai accorto di quegli occhi rotondi che lo biasimavano a ogni passo, di quelle labbra arcuate in un’espressione carica di disprezzo. Sì, Loki ad alta voce ribadiva il suo disinteresse argomentandolo con una serie di discorsi molto accurati e ben fatti, ricacciando con forza dentro di sé ciò che Odino aveva intuito: una verità che s’infilava nei suoi pensieri più profondi, scoprendo desideri che si alimentavano di se stessi e dolevano come nervi scoperti. Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell’ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.

 

Lo spazio ristretto del rapidissimo drakkar faceva sì che il dio dell’inganno si ritrovasse il suo delicato ostaggio dai capelli d’oro davanti agli occhi ogni minuto. Sigyn teneva il mento affondato nella pelliccia che le aveva donato cercando di prendere confidenza con i rollii della barca, con i suoi spazi stretti e circoscritti in cui ogni palmo era funzionale a qualcosa e, soprattutto, non lo perdeva di vista neanche per un istante. Era abituata a condurre una vita riservata e ritirata, ben diversa da quella tipica delle Æsinne in generale, delle valchirie in particolare. L’equipaggio la metteva in imbarazzo e, sebbene facesse di tutto per conservare un atteggiamento dignitoso e adatto a una nobildonna, il suo disagio era palese. La vita aveva perso ogni punto di riferimento o certezza esistente. Era una prigioniera – la figlia di un uomo che aveva mancato di mandare aiuti agli Æsir impegnati in una battaglia. Si corresse: di un traditore. Sigyn era abbastanza intelligente da riuscire a immedesimarsi bene nei punti di vista altrui. Gli uomini di Odino la guardavano e pensavano sempre più spesso ai loro fratelli caduti in battaglia, ai loro amici torturati a morte o resi storpi. Come lei, si chiedevano quale destino Padre Tutto le avrebbe riservato alla sua corte, perché nella storia dei Nove Regni c’erano stati ostaggi costretti a morire d’inedia in una torre e altri ridotti in schiavitù. Alcuni, invece, avevano indossato catene fatte d’oro sottoforma di corone che gli avevano cinto il capo, ma lei sarebbe dovuta diventare un’ancella e servire gli antenati; Odino non poteva davvero ignorarlo o dimenticare la sua vocazione[1]. Persa in questi ragionamenti, affondava ancora di più il naso nella folta pelliccia ceduta da Loki dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso furbo, che dopo averla strappata alla sua famiglia ostentava una fredda distanza.

Dopo quel dono le si avvicinò solo in un’occasione. Il tremendo viaggio in mare era quasi terminato e un uomo grande e grosso, spaventoso, aveva iniziato a raccontare ad alta voce di un figlio perduto nella battaglia che i Vanir avevano disertato. Lavorava e parlava e Sigyn, immobile, non poté fare a meno di pensare che si rivolgesse in qualche modo anche a lei e volesse farle conoscere le conseguenze delle azioni di suo padre. Non si accorse che Loki le si era accostato finché non lo vide sedersi. I suoi movimenti erano fluidi e veloci a un tempo e sembrava fatto per stare in mare esattamente come pareva creato apposta per catturare l’attenzione di chiunque a un banchetto.

“Vecchio mio, ricordo quel giorno. È stata una bella morte. Onorevole,” sentenziò. “Il Valhalla lo ha accolto.”

Portava con sé degli strumenti di misurazione. Prese a lucidarli con cura usando un panno, controllando con dita agili e svelte il funzionamento degli ingranaggi.

L’uomo scosse la testa e spostò alcune casse. “Non ho più una stirpe grazie a Sigurdr, Loki.”

L’ingannatore si fermò. “Siamo pirati e guerrieri, non contadini. Credi che quattro Vanir avrebbero fatto la differenza? Che ci avrebbero salvati?” lo rimproverò.

“A me bastava, mio principe, che versassero anche il loro sangue o ci ricoprissero d’oro tanto da nascondere le armature dei nostri caduti. Invece abbiamo preso poche casse sonanti e una ragazzina,” sbottò il soldato.

“Abbiamo ottenuto quello che ci serve,” tagliò corto Lingua d’Argento. Il suo tono secco e perentorio non ammetteva ulteriori repliche.

Sigyn vide l’uomo irrigidirsi per la preoccupazione di aver irritato il proprio comandante e forse futuro re, chinare la testa e borbottare che, in fondo, lui combatteva e pescava e non capiva niente di politica. Loki lo seguì con lo sguardo finché non lo vide confondersi col resto dell’equipaggio sulla poppa, per poi proseguire con la sua occupazione meticolosa. La ragazza prese a fissarlo di sottecchi. L’essergli seduta di fianco, la possibilità di scrutare tanto da vicino il suo profilo elegante e virile a un tempo, generava in lei l’oscura volontà di allontanarsi e fuggire. Era il responsabile del caos che aveva sconvolto la sua esistenza privandola dell’affetto delle sue sorelle, delle compagne, dei genitori che prima vedeva di rado, ma che ora, con buona probabilità, non avrebbe rivisto mai più. Una vita che a conti fatti era lontana dall’essere perfetta, certo, capace tuttavia di offrirle sicurezze ora svanite. Quante volte, affacciata alle strette finestrelle della sua stanza sobria e priva di qualsiasi vezzo principesco, lei e sua sorella Astrid[2] avevano fantasticato leggendo qualche libro proibito che parlava di viaggi per mare e di esplorazioni? Quante avevano riletto qualche passo di una preghiera o di una poesia cogliendo l’insondabile e sconosciuta passione che animava il poeta e che, talvolta, trascendeva i versi parlando d’altro? Soffocando le risate nel buio, sotto le coperte, immaginavano possibilità in cui era lecito crogiolarsi proprio perché irreali. Accadeva solo pochi giorni prima. Strinse le gambe accarezzandosi le ginocchia con le dita intorpidite dal freddo per evitare di sfiorare, con la sua gonna di lana rossa, i pantaloni di pelle dell’altro.

“Quindi vi servo. L’hai ammesso,” mormorò con un filo di voce. Scappare da un drakkar era impossibile, tuttavia, parlando, avrebbe potuto estorcere informazioni all’Ase e zittire il resto, perché quando lei e le sue sorelle avevano aperto il baule che conteneva i bei vestiti da indossare in occasione della visita di Odino, l’entusiasmo aveva acceso i loro occhi. Sigyn ricordava di aver individuato immediatamente l’abito rosso pretendendolo per sé, ignara che gli occhi del dio degli inganni vi si sarebbero posati sopra troppo spesso.  

“Tuo padre ci avrebbe dato più volentieri l’oro che te,” le confessò Loki con quel suo sorriso sghembo e canzonatorio che un giorno avrebbe trovato irresistibile e ora, invece, l’inquietava.

“Hai preteso me al solo scopo di fargli un torto?” insistette.

Il principe cadetto di Asgard scosse la testa e riprese la sua minuziosa lavorazione su un astrolabio utile a calcolare le rotte. “Non era una visita di piacere, la nostra. Lo abbiamo punito, sì,” ammise senza nascondere il proprio compiacimento. “Sigurdr ci ha negato il suo aiuto violando un accordo. Non sarebbe cambiato niente e, in ogni caso, abbiamo vinto, ma eravamo soli quando non dovevamo esserlo,” puntualizzò feroce, squadrandola con una freddezza che la turbò, ma che stava imparando a riconoscere.

Il drakkar eseguì una virata brusca e Sigyn si ritrovò per un momento schiacciata contro il petto largo dell’Ase. La presa di Loki era decisa, sicura, forte. Avvertì il suo corpo asciutto che le impediva di perdere l’equilibrio, conobbe per la prima volta il tocco delle sue dita, respirò il profumo della sua pelle mischiato al vento di mare. Si scostò immediatamente sistemandosi meglio la pelliccia di lupo. Il principe degli Æsir registrò con una certa soddisfazione il suo turbamento e lasciò che si allontanasse, ripristinando le necessarie distanze.

“Girati,” le suggerì. “Potrebbe valerne la pena.”

Lei si voltò verso il mare color argento e vide, in mezzo ai flutti, la sagoma grandiosa di una balena e poi di una seconda e di un’altra ancora. Piena di meraviglia, si accorse che non due, ma un intero branco nuotava poco distante dalla barca di Odino, incurante di loro e maestoso. Era uno spettacolo sorprendente, fantastico, che la ragazza non aveva mai visto. Gli immensi cetacei nuotavano sollevando le schiene lucide e le gigantesche code, inabissandosi nelle acque ghiacciate.

“Fidati delle mie parole,” sibilò Loki. “Approfitta di ciò che hai o potresti avere, anziché rimpiangere quello che hai perso.”

Sigyn distolse l’attenzione dalle balene e aggrottò la fronte. Il dio degli inganni la spaventava. Non lo capiva. In lui si mescolavano assieme i modi brutali del predone che era con quelli cortesi del principe di sangue reale.

“Stai cercando di dirmi che dovrei accontentarmi di essere il vostro ostaggio? La tua prigioniera?” lo sfidò.

L’Ase parve non gradire affatto l’ultima battuta e scelse con cura le parole da dirle. “Sto cercando di dirti che poteva capitarti di peggio che venire con noi ad Asgard,” spiegò infine prima di allontanarsi con i suoi strumenti verso Thor e la prua affilata del drakkar. Sigyn osservò la sua figura agile e ammantata di scuro. Nei giorni precedenti al terribile banchetto in cui era stata decisa la sua sorte, lei e le sorelle avevano ascoltato decine di storie sugli arroganti ma capaci Æsir. Astrid rideva, invitandola a riconoscere la feroce bellezza di quei volti virili e rudi dai lineamenti regolari e piacevoli da osservare, la prestanza dei loro corpi asciutti scolpiti dalle battaglie. Lei scuoteva la testa con finta esasperazione – ti incuriosiscono perché sono diversi da noi e vanno in giro con armi e armature, perché acconciano i capelli e le barbe con le trecce, sorella mia, ma è sconveniente guardarli; è gente senza morale né regole, guarda quanto bevono, ascolta le battute che fanno, la rimproverava con un brivido incrociando per un istante lo sguardo aguzzo e verde di Loki, che s’inumidiva le labbra col corposo vino rosso di Vanheim.

 

Si era fatta mille idee riguardo a ciò che le sarebbe capitato su quella nave o ad Asgard, le peggiori delle quali le erano state messe in testa nel breve tempo concessole per accomiatarsi dalla sua famiglia. All’istintiva sfiducia verso gli Æsir si era mescolato il terrore vago verso un imprecisato numero di violenze; avendo trascorso buona parte della sua vita dentro un luogo riparato, da quando era su quel maledetto drakkar si era ritrovata a pensare a tutte le storie, spesso orrende, che le ancelle più anziane bisbigliavano durante le passeggiate per spiegare, alle ragazze più giovani come lei, quanto fosse tremendo il mondo fuori da quelle mura. Secondo il loro punto di vista, vivere servendo gli Antenati, in pace e in tranquillità, con la possibilità di studiare e dipingere e suonare a proprio piacimento, rappresentava un enorme privilegio. Sigyn aveva sempre creduto che scrivere del mare senza averlo mai visto fosse un compromesso da stringere con la propria immaginazione e riteneva un suo preciso dovere obbedire al volere dei suoi genitori; si era imposta di mettere a tacere qualsiasi velleità o vanità, eppure, quando Astrid o qualche altra delle sue sorelle o compagne la spingeva a immaginare, a fantasticare sui luoghi oltre le mura che lei non avrebbe mai visitato, il suo cuore si riempiva per un istante di una nostalgia senza nome. Era davvero giusto rinunciare a un mondo mai visto? Privarsi della possibilità di viaggiare e vedere cascate e montagne e precipizi e valli e distese immense di neve? Chiedersi per sempre che sapore avessero le labbra di un uomo? Un giorno avrebbe scoperto com’erano quelle di Loki, ma intanto quel pensiero ozioso la spaventò più dei movimenti bruschi del drakkar e delle occhiate truci degli Æsir. L’immensa distesa oceanica poteva essere descritta e immaginata da una mente fervida ed essere verosimile, ma l’odore di sale, gli spruzzi d’acqua, il sole che accarezzava le onde e il loro mutare colore – da azzurro a verde a grigio come la lama d’un coltello no, non poteva essere raccontato nella sua totalità e nessun quadro, racconto o poema poteva suggerirle l’incanto e la meraviglia dello spettacolo del sole che s’affondava nell’acqua. Leggendo aveva vissuto decine di vite differenti, ma le immagini proposte non avevano fatto altro che alimentare la sua voglia di assaggiare il mondo, di conoscere, scoprire, chiedersi cosa volessero dire i poeti quando raccontavano le loro storie in cui verità e fantasia si mescolavano indissolubilmente. Come faceva Loki, del resto: piegava la realtà al suo volere insinuando, omettendo, spingendo gli altri a seguire il suo punto di vista. Il paragone tra gli scrittori e il principe la indispettì. Che convogliasse buona parte delle sue attenzioni su di lui era, probabilmente, inevitabile. Si trattava dell’unica persona con cui si era ritrovata a scambiare più di un paio di parole e il principale responsabile del caos che aveva distrutto ogni sua certezza. L’idea di pretendere che gli fosse ceduta come risarcimento era sua; un diritto di cui si era fregiato per via della grave ferita che l’aveva quasi ucciso e da cui era riuscito a rimettersi completamente: poteva un uomo agonizzare in un letto da campo e sfoggiare, pochi mesi dopo, un ghigno tanto protervo e beffardo? Sigyn non nutriva alcuna fiducia né in Loki, celebre per i suoi intrighi, né negli altri Æsir o in Padre Tutto. In un certo senso, però, l’ingannatore rappresentava una sorta di sicurezza, per lei. Quell’uomo era brutale e perfido, bugiardo e calcolatore, infido e arrogante, ma riteneva che non l’avrebbe presa per i capelli e strattonata né picchiata e non solo perché il suo mantello di pelliccia le sfiorava le guance o per i suoi modi incredibilmente cortesi, ma freddi più delle onde gelide solcate dal drakkar. C’era qualcosa di più che la ragazza non riusciva ad afferrare.

Loki era imprendibile, sfuggente, incomprensibile, spesso adombrato da pensieri oscuri e sorrisi studiati ad arte. La guardava e l’evitava, nascondendole il segreto di un destino segnato – ma di questo, lei ancora non aveva alcuna contezza. Sigyn decise che lo temeva, ma anche in questo c’era qualcosa di profondamente sbagliato – ne aveva paura, ma non poteva fare a meno di osservarlo.

Le labbra di Loki erano sottili e sardoniche.

 

 

Sigyn aveva viaggiato per mare molte volte, da allora. Ne conosceva ogni sfumatura di colore e insidia. Pensò che lo avrebbe attraversato un’ultima volta ancora ammirandone la grandiosità, riempiendosi gli occhi malati e maledetti con la sua grandezza. Su suggerimento di Odino aveva preso la decisione di agire in fretta, prima che Loki, col suo feroce istinto da lupo, finisse per cogliere altri segnali di quello che le sarebbe successo, impedendole di partire. Doveva approfittare delle poche ore concessale da un consiglio di stato in cui Padre Tutto lo aveva coinvolto adducendo la necessità di vedere all’opera i suoi due futuri re. Il pensiero le fece arcuare le labbra in una smorfia di disappunto; la promessa di lasciare il trono di Asgard al più degno fatta a due ragazzini dagli occhi brillanti aveva avuto diverse conseguenze, non tutte positive; l’efficace squadra che si era venuta a creare tra Loki e Thor, cui bastava una sola occhiata d’intesa per allestire piani efficaci e terribili a un tempo, si era lentamente avvelenata con la competizione. Come si fa a salvarsi a vicenda, a guardarsi le spalle, quando si è stati cresciuti per imporre la propria volontà assieme al rivale più amato, al fratello con cui si è condiviso quasi ogni cosa? Quanto era lecito che durasse un simile affiatamento, se sporcato dall’ambizione? Thor era coraggioso, leale e dotato di un gran cuore, ma si dimostrava spesso superficiale e vanesio; in più occasioni, per fare sfoggio delle sue abilità, aveva messo in pericolo coloro che avrebbe dovuto guidare e proteggere. Loki, dal canto suo, era capace e intelligente, ma si divertiva a manipolare chiunque gli capitasse a tiro ed era fin troppo spregiudicato. La sua vittima preferita era Thor, ma se quando Sigyn era giunta ad Asgard le era sembrato che i due fratelli dessero tutto sommato poca importanza al trono che l’energico Odino continuava a tenere saldamente, ora pretendere l’Hliðskjálf era più che un dovere per i due figli di Padre Tutto[3]. Sigyn sospirò dirigendosi rapida verso il baule posto ai piedi del letto. Loki stava diventando sempre meno degno di sedervisi e questo anche per colpa sua e di ciò che aveva fatto per lei, con lei. Le servivano solamente poche cose, una manciata d’oggetti utili per il viaggio. Tutto il resto era bene che lo lasciasse lì dov’era, ad Asgard. Ben riposti dentro il mobile in legno erano racchiusi i frammenti di un’esistenza che non sarebbe mai riuscita a dimenticare; riempì una sacca da viaggio con l’indispensabile, ma indugiò quando, sul fondo, riconobbe una tunica verde che, certamente, tratteneva ancora il profumo della pelle del suo possessore. La sfiorò con la punta delle dita ricordando il giorno in cui l’aveva presa per tenerla con sé e fu per quello che non s’accorse del cigolio della porta che si apriva, dei passi felpati che calpestavano il tappeto soffice. Sobbalzò solo quando sentì scricchiolare il pavimento di legno sotto il peso di un paio di stivali maschili.

Si voltò di scatto e l’immagine per un momento le parve sfocata – colpa delle lacrime traditrici che le velavano gli occhi o della maledizione che rendeva ogni ora più difficile vedere?

“Mia signora, sei in partenza!?”

La voce di Loki era canzonatoria e carica di sarcasmo. Quando riuscì a metterlo a fuoco, riconobbe il viso affilato, il portamento fiero, le labbra arcuate in un sorriso feroce, lo sguardo gelido di lupo – si può amare ogni dettaglio di qualcuno? Anche se ci fissa con furiosa delusione? Si sollevò da terra spolverando con un gesto rapido la gonna.

“Mio padre ti ha scritto ancora,” gli rispose evitando la domanda. “Non mi hai detto nulla, stavolta.”

Loki, le braccia incrociate dietro la schiena, allargò il suo ghigno. “Nemmeno tu, dolce Sigyn.”

 

 

Continua…

L’angolo di Shilyss

Care Girls,

Ma Buon Anno!

Allora, vi avevo promesso un nuovo aggiornamento di Accordo, lo so, e oggi pomeriggio anziché infilarmi nella ressa dei saldi (dove sono già andata, non pensate), proseguirò il capitolo 35 che è a metà, ma questo capitolo 5 si è scritto praticamente da solo. Ancora prosegue l’alternanza tra passato e presente che spero non vi risulti troppo ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete com’è).

Ora: se leggete attentamente vi accorgerete come ovviamente Sigyn non sappia nulla del destino tremendo che le toccherà e ragiona con le informazioni in suo possesso; d’altro canto, viene detto che Loki non è probabilmente più degno di salire sul trono di Odino anche per colpa di Sigyn. Anche, non solo per. Diciamo che la “questione Sigyn” non ha aiutato, ecco ♥.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

P.S.

La settimana prossima preparatevi perché uscirà il capitolo 35 di Solo un accordo. Per davvero, stavolta XD, GIURO.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] In uno degli scorsi capitoli Loki fa una battuta suggerendo per Sigyn un destino diverso (dice “è un peccato che Odino dovrà darti presto a un Ase.” Non si tratta di un’incongruenza XD).

[2] Astrid è la sorella di Sigyn solo nelle mie storie (Confessioni, Solo un accordo e Scintille). È un mio headcanon.

[3] Essendo una storia ambientata pre-Thor i caratteri di Loki e di Thor sono quelli dei primi quindici minuti del film; l’arroganza e la vanità del dio del tuono sono ad ogni modo un canone scaldico – spesso viene punito o si trova in difficoltà perché è uno spaccone. Sui difetti del caro Loki stendo un velo pietoso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Sigyn incassò il colpo con grazia. Non era stupita che l’Ase l’avesse raggiunta. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato anche mentre ragionava con Odino della sua necessaria partenza – lo sentiva nella parte più profonda del cuore, che lasciare Asgard senza affrontarlo era impossibile, ingiusto. E Loki, del resto, era come quei lupi astuti che fiutano le trappole e ci girano attorno tanto da sembrare che siano pronti a cadervi, per poi sfidare con uno sguardo beffardo il cacciatore. Lo amava anche per questo, così come aveva imparato ad apprezzare ogni cosa di lui – dalle battute pungenti alla piega divertita delle labbra sottili, passando per il modo elegante e forte con cui le belle dita di mago sottolineavano un pensiero o un concetto. Aveva finito per innamorarsi anche della risata che concedeva a Thor o agli altri commilitoni e del modo in cui aggrottava la fronte quando era concentrato su un incantesimo o un trattato, dell’attenzione con cui chiudeva la corazza di pelle intrecciata sul suo corpo asciutto e scattante – quand’era successo? Si era persa, ma non ricordava dove né come.

“Lasciami andare, stavolta,” mormorò muovendo un passo nella sua direzione.

Il principe cadetto le regalò uno sguardo offeso e aprì le braccia. “È quello che vuoi? Assecondare le patetiche richieste di un uomo che ti ha sacrificata?” inquisì con voce cattiva.

La ragazza s’impose di non ribattere. Da ogni sua risposta, Loki avrebbe carpito informazioni e dettagli che era importante rimanessero celati il più a lungo possibile. Mentire non era nella sua natura e una parte di lei continuava a premere affinché si confidasse con l’ingannatore, rivelandogli la maledizione.

Amore mio, non riuscirò più a vederti. Verrò inghiottita dalle ombre e questo sarà solo l’inizio – quello che toccherà a me direttamente. Amore mio, lo faccio solo per proteggerci. Non possiamo stare insieme, non dobbiamo – ma tu questo lo sai, lo hai sempre saputo e me lo hai tenuto nascosto. Le frasi le rimasero incastrate in gola, sulle labbra.

“Deve pagare fino alla fine per quello che ti ha fatto,” insistette Loki avvicinandosi al letto che aveva accolto i loro sospiri e su cui ora erano piegati pochi abiti da viaggio.

Sigyn scosse la testa. “Asgard non è la mia casa,” spiegò decisa. “Sono un’ancella. Tu puoi continuare a pensare che stia solo obbedendo al volere dei miei genitori, ma non è così. Io ho la vocazione. Devi accettarlo.” Pagheremo tutti. Pagheremo noi.

Loki sorrise e inclinò la testa di lato, come per osservarla meglio. “Bugiarda. Sei un’adorabile bugiarda. E tenti di mentire a me,” sentenziò con un pizzico di compiaciuto divertimento.

Diceva la cruda verità, nient’altro che questo – la sincerità di Lingua d’Argento era aspra quanto le sue menzogne dolci. La ragazza non si scompose. “Credi ciò che vuoi.”

L’ingannatore incrociò le braccia al petto e annuì senza smettere di guardarla – di ammirarla con qualcosa di simile alla nostalgia. Gli aveva parlato di vocazioni, doveri, sentimenti pii e devoti, tirando fuori un argomento noto a entrambi, buono solo a replicare conversazioni già fatte, ribadendo punti di vista osservati mille volte sotto ogni angolazione possibile. Loki non credeva in niente che non fossero i meri fatti, e non era disposto ad accettare l’idea che qualcuno, uomo o donna, dovesse immolarsi per placare creature antiche e affamate come l’Yggdrasill. Per lui, le ancelle erano il retaggio di un’usanza antica e terribile, la cui fortuna era legata prevalentemente al fatto che, consegnando le loro figlie femmine ai templi degli antenati, le famiglie nobili evitavano di vendere i loro beni fondiari per pagare le ingenti doti altrimenti necessarie per un matrimonio. Certo, entrare nell’ordine era considerato un privilegio e un onore perché non tutte ne erano degne, ma Loki era un politico troppo sagace e smaliziato per non vedere il marcio nascosto dietro quell’istituzione millenaria. Sigyn non aveva mai condiviso una visione tanto cinica: forse, come le diceva il principe, la questione la riguardava troppo da vicino perché potesse darne una lettura oggettiva.

Una sera osò domandargli se lui, una volta divenuto re di Asgard, intendesse abolire l’ordine delle ancelle. A sorpresa, l’ingannatore si mise a spiegarle che non ne aveva le benché minima intenzione. La cura degli Antenati faceva parte dell’ordine costituito ed era sancita da una serie di leggi sacre e antichissime. La riforma fatta da Bor non andava toccata, aggiunse seguendo con le dita la forma rotonda dei suoi fianchi coperti solo da un lenzuolo. La penombra che avvolgeva la stanza, rischiarata soltanto dalle fiamme che crepitavano lente nel camino, non riuscì a nascondere il brillio soddisfatto che illuminava lo sguardo del dio dell’inganno: Sigyn gli aveva fatto intendere che lo considerava degno del trono.

“Leggi che tu stai violando,” lo punzecchiò con una voce bassa, la testa poggiata sul cuscino.

La risposta di Loki era stata perfida, la mano si era fatta più audace, ghermendo le rotondità. “Quello che vale per te non vale per gli altri.”

Si era già persa, allora. Per certi versi, lo odiava più di quando l’aveva conosciuto, per altri meno. Si era già infilata nel suo letto perdendo ciò che l’avrebbe resa un’ancella degna, senza opporsi, anzi, volendo, cercando e sognando lui. Quando era cambiato tutto? E come poteva, ora, alzare di nuovo lo scudo della vocazione? Era una bugiarda, Loki aveva perfettamente ragione. Spaventata, messa alle strette, ogni giorno più legata al mondo di tenebra che la reclamava.

Schiuse le labbra, ma non fece in tempo ad aggiungere nulla, perché lui l’anticipò.

“Stavolta non ti fermerò. Non verrò a salvarti, non correrò in tuo aiuto,” le promise con voce roca e calma a un tempo, scandendo ogni parola con decisione. “E, dopo che oltrepasserai il cerchio, non potrò farlo nemmeno volendo.[1]

Sigyn strinse tra le dita un lembo della gonna. La sicurezza sfoggiata fino a qualche istante prima era venuta definitivamente meno di fronte alle ultime parole taglienti ed esatte dell’Ase. Le sole e le uniche che poteva concederle senza tradire la sua natura orgogliosissima e fiera.

Negli occhi verdi dell’altro lesse il rancore, il desiderio e il biasimo – non era cambiato niente, non sarebbe mai cambiato niente, tra loro. Avrebbe continuato a volerla per sé in quella sua maniera sfacciata, infischiandosene di ogni legge, divieto o morale. Di nuovo, lottò contro l’impulso di rivelargli della maledizione incipiente e della vista che calava ogni giorno di più; di come provasse già una nostalgia feroce di lui e del mondo intero, della paura che provava per le ombre che, presto, l’avrebbero inghiottita precipitandola in un mondo di tenebra. Cosa sarebbe successo se avesse osato raccontargli la verità, ignorando i suggerimenti di Padre Tutto? Loki avrebbe lottato per lei, all’inizio. Poi, l’avrebbe associata a una cocente sconfitta finendo per detestarla e si sarebbe dedicato a nuove imprese, perché era nato per essere re, non per porgere la mano a una donna cieca sussurrandole la via. L’amore, anche il più forte, spesso non regge ai colpi inflitti dalle Norne: se non nutrito in maniera adeguata si sfalda e sbiadisce fino a spegnersi. E poi, Sigyn non poteva permettere che anche lui pagasse, no. L’idea l’atterriva più di ogni altra cosa.

“Lo so. Non è stata una scelta facile, la mia,” ammise.

“La vita è piena di scelte difficili,” fu la replica secca, carica di molto altro. “Ma questa è la peggiore che potevi prendere. Per chi, poi? Sigurdr ti ha venduta prima che ti reclamassi e tu ora torni per lui, per loro – una banda di vigliacchi a cui avremmo dovuto tagliare la testa per ciò che hanno osato promettere senza che ne avessero l’autorità. Hanno ciò che meritano, ma saranno soli, stavolta. Sarete soli.”

Per noi. Per te. Torno per te.

La sua voce roca vibrò d’ira, perché Loki aveva un animo che s’infiammava molto velocemente, lei lo sapeva bene. Era uno stratega sagacissimo e spavaldo che sapeva controllare le proprie emozioni mescolandole abilmente grazie al suo temperamento riflessivo, ma, dentro, bruciava. Era per quel motivo che non l’avrebbe fermata. Considerava uno smacco il fatto che lei se ne andasse ed era troppo orgoglioso per darle una ragione inappellabile per restare. Ma se anche fosse rimasta, se la maledizione non si fosse abbattuta su di lei togliendole lentamente e ineluttabilmente la vista, che destino avrebbero avuto, insieme? Nella migliore delle ipotesi, sarebbe diventata la strana, deliziosa strega che il principe si era preso come amante e a cui erano legati una serie di aneddoti succosi che parlavano di oscure avventure, nulla più. Un’ancella che si era corrotta non poteva desiderare altro che vivere ai margini, in attesa che la gente ne dimenticasse il volto o la storia: un’eventualità che, oltretutto, la presenza carismatica di Loki rendeva improbabile.

L’aveva chiamata bugiarda e a ragione: la vocazione di Sigyn si era persa quando aveva fissato negli occhi una maledizione, quando Loki si era messo a giocare con certi misteri che erano più grandi di lui, su cui nemmeno l’immensa sapienza di Padre Tutto poteva nulla. Aveva smesso di essere un’ancella finendo tra le sue braccia – così era diventata una donna. Scoprendo di desiderare e amare un uomo, facendo scorrere le proprie labbra sui muscoli tonici e scolpiti del principe che l’aveva perduta, ammettendo con se stessa di aver soffocato per troppo tempo l’istinto che la spingeva a cercarlo anche solo per contraddirlo. Smarrendosi si era ritrovata, ma a un prezzo troppo alto. Conoscere il mondo era doloroso. Rinunciarci, lo era ancora di più.

“Cos’è cambiato?” inquisì l’Ase, incapace di fidarsi, dolorosamente astuto. Mosse un passo verso di lei e le concesse una lenta carezza sulla guancia. Un gesto che le fece male più di quanto avrebbe fatto uno schiaffo, perché Loki raramente si esponeva tanto e quell’attenzione aveva il sapore dolceamaro di un addio.

“Non è mai cambiato niente,” sospirò Sigyn. “Sapevamo da sempre sarebbe arrivato questo momento. Abbiamo commesso un sacrilegio tremendo e non ne siamo pentiti.”

Le labbra dell’Ase si stirarono in un ghigno furbo e breve. “Dici davvero? È cambiato tutto, invece. Tu non sei più l’intoccabile ancella presa in ostaggio da un popolo di pirati, ma sei l’amante di uno di loro. Non puoi accostarti agli altari degli Antenati né servire come sei stata educata a fare. Hai perso questo presunto privilegio in cambio della tua vita.” L’aveva detto tra i denti, sfoggiando una tranquillità solo apparente. Era una questione d’orgoglio, d’attrazione e di molte altre cose.

“Ora sei tu il bugiardo,” l’accusò Sigyn. “Dici che ho avuto in cambio la mia vita, ma non è così,” proseguì senza riuscire a nascondere un brivido tale da farle tendere la schiena. “Gli apparterò per sempre e lo sai. Non sarò mai libera,” sussurrò abbassando talmente tanto la voce da dubitare che Loki l’avesse sentita. “È un inganno in cui ci siamo adagiati abbastanza.”

Il sorriso laterale del principe si congelò in una smorfia ferina. L’ultima frase era una pugnalata al cuore, a una ferita ancora aperta e dolorante che sanguinava copiosa. La ragazza aveva spalancato la porta sbarrata di un compromesso che sapeva di ferro e di sangue. Uno capace di ricordare a Loki che Sigyn non era mai stata sua, nemmeno quando aveva disobbedito apertamente agli ordini di Odino, neanche nelle notti in cui i loro corpi si erano intrecciati nella frenesia dell’amore.

“Quella notte ho visto la Voluspa. Tutta la profezia,” proseguì muovendo un passo verso di lui nel tentativo, vano, di cancellare l’impatto della frase precedente.

L’Ase scacciò la rivelazione con un gesto secco del braccio. “Frammenti che non comprendi. Ne abbiamo parlato già.”

“Se,” azzardò Sigyn abbassando di un tono la voce, “se quella cosa dovesse tornare, un giorno?”

Loki dilatò le pupille verdi e strinse la mascella. Tutto il suo corpo si tese istintivamente all’idea, tanto che qualcuno, osservandolo, avrebbe potuto dire che lo scaltro e spavaldo figlio cadetto del grande Odino pareva spaventato.

“Non lo farà. Non esiste più,” ribatté deciso, come se la forza racchiusa in quell’affermazione potesse decidere il destino filato dalle Norne o scacciare il terrore che il solo pensiero faceva nascere nel suo petto fiero. Anche i guerrieri più valorosi avevano paura. Il dio dell’inganno lo aveva scoperto a sue spese, quando, poco più che un ragazzo e con un’arma troppo pesante in mano, aveva partecipato alla sua prima battaglia. Gli eroi, quelli di cui i bardi cantavano ai banchetti, inghiottivano il timore e affrontavano la morte e il dolore lanciandosi contro i loro avversari, consci che ogni colpo inferto o subito poteva essere l’ultimo.

“Ma io resterò sempre sua, non è vero?” insistette Sigyn.

“Se è quello che mi stavi chiedendo,” replicò l’Ase gelido, “tu possiederai per sempre la scintilla.”

La ragazza sorrise debolmente. “Sai che è per questo che me ne devo andare,” aggiunse aggrottando la fronte e riprendendo a piegare i pochi effetti che avrebbe portato con sé. “Lo hai sempre saputo.”

Un’ancella avrebbe potuto essere dispensata dal prendere i voti o scegliere, nel biasimo collettivo, di tornare alla vita secolare[2], ma la scintilla cambiava ogni cosa: rendeva pericoloso o impossibile, a seconda dei casi, sciogliere certi vincoli.

La replica dell’ingannatore giunse immediata e sarcastica. “Puoi farmene una colpa, se vuoi.”

Sigyn pensò al modo in cui era venuta a conoscenza di ciò che suo padre le aveva fatto. A quel pensiero il ventre le si contrasse in una morsa dolorosa, perché era certa che tutti i tradimenti e gli inganni del principe degli Æsir non potevano eguagliare quello fattole da colui che l’aveva messa al mondo e usata, nient’altro. Loki aveva violato ogni possibile regola, nascondendole per più tempo possibile sia della scintilla che della promessa, ma l’aveva fatto per lei, solo per lei. Le sue menzogne non gli avevano impedito di sfoderare i suoi lunghi pugnali e di combattere una battaglia spaventosa e persa in partenza, ma che pure era stato tanto spregiudicato e folle da intraprendere.

“No,” decise. “Ci sono segreti che non possono essere rivelati.”

L’ingannatore non poté fare a meno di replicare nel più affilato dei modi. “Gli stessi che nascondi tu?” disse, avvicinandosi fino a sfiorarle con le dita il collo, il mento, le labbra appena schiuse. Sigyn non gli rispose per non rivelare il tremore della sua voce, ma sostenne il suo sguardo con fierezza. Si era ripromessa di non mostrargli alcuna crepa e ci stava riuscendo, ma il suo tocco, per le Norne, come sempre la fece tremare. Lui continuò a carezzarle la pelle fissandola con una punta di ferocia e rimpianto, finché non incontrò la sottile stola di seta che Sigyn portava al collo, sfilandogliela di dosso con un movimento secco e leggero. Un pegno, voleva un pegno che sapesse di lei, che trattenesse una traccia del suo profumo per ricordare d’averla avuta – amata, forse. Se l’avesse stretta tra le sue braccia e baciata, se le avesse gridato contro il suo dolore o ammesso ciò che il suo sguardo bruciante come il ghiaccio e il fuoco talvolta tradiva, allora, forse, la ragazza sarebbe crollata, confessandogli della maledizione, ma Loki era troppo orgoglioso per lasciar trapelare altro. Strinse tra le dita la sciarpa di seta e si congedò da lei non prima di averle ridato il sottile pezzo di stoffa – non era più importante e tutto ciò che aveva fatto per salvarla si era rivelato vano. La stola rimase nella stanza anche dopo che lei se ne era andata, poggiata su una panca. Diverse sere dopo, il dio dell’inganno ne avrebbe saggiato nuovamente la consistenza con le dita.  Se l’orgoglio che gli infiammava il petto non avesse offuscato la sua perspicacia, forse Loki avrebbe potuto cogliere alcuni degli indizi sparsi che Sigyn non era riuscita a celare. Per farlo, però, sarebbe dovuto prima venire a patti con gli incubi che ancora lo tormentavano e con una consapevolezza spaventosa e amara più del fiele. Lo avrebbe capito più avanti – troppo tardi, forse.

 

 

Sigyn aveva letto innumerevoli descrizioni di Asgard, la splendida capitale di Ásaheimr, ma decise che nessuna pagina scritta poteva spiegare a fondo la meraviglia e la grandezza di un palazzo fatto interamente d’oro, che pareva essere stato costruito unicamente per far morire d’invidia i giganti di ghiaccio e quelli di fuoco. Le volte a sesto acuto degli immensi corridoi erano altissime, molto più del necessario, e ovunque c’erano arazzi, affreschi e opere d’arte. Uno in particolare decorava la volta della sala del trono di Odino e raffigurava la sua famiglia al completo, Loki compreso. Sigyn, col naso all’insù e ancora la pesante pelliccia del dio degli inganni addosso, chiese ad alta voce le ragioni di quello sfarzo eccessivo. Dicevano addirittura che Padre Tutto avesse una sala immensa, giù nei sotterranei del castello, dove custodiva un numero incalcolabile di reliquie, tutte sottratte ai popoli che lui e suo padre Bor avevano sottomesso nel corso delle loro conquiste e razzie. A far storcere il naso a Sigyn non era solamente l’educazione propria delle ancelle, incentrata su una sobrietà che sfociava in uno stile di vita estremamente parco, ma anche la differenza tra il palazzo di Odino e quello, immensamente più modesto, di Sigurdr. Era nata in un castello grande e spazioso, immerso nel verde di uno tra i più ricchi feudi in cui era divisa Vanheim, ma i bei mosaici che decoravano le sale principali della sontuosa abitazione e la vita semplice e frugale che la sua famiglia conduceva differiva totalmente dall’eleganza e dalla grandezza della dimora reale di Asgard.

Loki, che la seguiva a pochi passi di distanza, non si era certo lasciato sfuggire l’occasione di risponderle.

“È quello che siamo. Un popolo di potenti conquistatori, di grandi guerrieri. Proteggiamo tutti i Nove Regni e con questo sfarzo che a te pare sprecato, assurdo, lo ricordiamo a chiunque venga qui. È una strategia – è sempre tutta una strategia.” Si era accorto che lei stava fissando uno degli affreschi che lo ritraeva. “Trovi che l’artista abbia fatto un buon lavoro?”

Sigyn si era voltata verso di lui scrutando attentamente le labbra ironiche e sottili, il naso diritto, la mascella squadrata, gli zigomi alti e affilati come gli uomini del Nord, soffermandosi sugli occhi mobili ed espressivi, d’un verde chiarissimo.

“Non so decidermi. È difficile catturare il tuo sguardo,” ammise, riconoscendo dentro di sé che era bello e stringendosi ancora di più nel mantello di pelo; la terra degli Æsir era stupenda, ma il clima rigido la rendeva inospitale – e fissare a lungo il figlio cadetto di Odino le lasciava sempre addosso una strana sensazione di disagio.

“Così tutto quest’oro è qui per dimostrare – ostentare – la vostra potenza.”

“La ostentiamo, sì,” concordò Loki lentamente, divertito dalla sua irriverenza. “Ma sono abbastanza certo che anche nella sobria dimora di tuo padre e con i nostri severi abiti da viaggio vi abbiamo messo in soggezione.”

“Il modo in cui mi guardavi era sfacciato e irriverente. Sono un’ancella, Loki. Siete un popolo di pirati, ma persino voi Æsir conoscerete il significato della parola sacrilegio, immagino.”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

Mi spiace per la lunga attesa. Il capitolo era pronto, ma la real life, si sa, s’infila sempre dove non dovrebbe (datemi una settimana di tempo e arriveranno i nuovi aggiornamenti).

Ancora prosegue l’alternanza tra passato e presente che spero non vi risulti troppo ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete com’è).

Andando avanti nella storia spiegherò meglio com’è quest’ordine delle Ancelle, perché Loki negli scorsi capitoli ha detto che forse Odino avrebbe dato Sigyn a un Ase, ma fino ad adesso si è parlato della sacralità del corpo delle ancelle e via dicendo. Ecco, ne sono consapevole e fa parte del grande disegno della mia mente bacata♥.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

 

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Questa frase vi ricorda qualcosa? Sì. Il capitolo 12 della mia long “Solo un accordo.”

[2] Il termine secolare si usa per indicare la vita laica (del secolo) rispetto a quella spirituale.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Sacrilegio. Una parola che sapeva di sale ed era rimasta attaccata addosso a Loki durante tutto il viaggio in drakkar, incollandosi alla pelle e all’anima. Aveva affrontato a viso aperto l’idea di portarla via dalla sua casa reclamandola in nome di un patto non mantenuto – cosa sarebbe diventata, allora? Una concubina, una protetta o che altro? – ma quel sacrilegio cui lei faceva riferimento non era nulla rispetto all’altro veto, insormontabile e spaventoso. La fissò scuotendo la testa e ridendo tra sé. Sigyn, ignara di tutto, lo guardava con un misto di paura e disprezzo. Gli aveva risposto a tono, ma al giovane ingannatore non era sfuggito come la ragazza avesse spostato il discorso dal piano generale a quello particolare. Lui parlava degli Æsir, lei di loro due. Di più, aveva ravvisato delle intenzioni irriverenti e scortesi nello sguardo feroce che le era scivolato addosso la sera in cui l’aveva pretesa. “Non siamo così barbari come credi, piccola Vanir. Come tu non sei ancora un’ancella,” puntualizzò con voce roca, tentando di piegare la realtà con le parole e scacciare via i pensieri scomodi e inopportuni che lo assalivano, indegni del principe che era.

Avrebbe potuto rimetterla al proprio posto negando ogni cosa e tacciandola d’essere una bambina con la testa tra le nuvole che aveva letto troppi poemi. Preferì non farlo. La scelta gli provocò un brivido particolare, lo stesso che lo scuoteva qualche istante prima di affondare i suoi pugnali affilati nella carne degli avversari, recitare un incantesimo, compiere una malefatta.

Tutto intorno a loro il sole che s’inabissava nel fiordo spandeva una luce rossa e dorata capace di donare sfumature di colore inaudite alle acque gelide che circondavano Asgard, alle montagne che la proteggevano e in mezzo cui s’insidiava il mare.

La ragazza non poté fare a meno di soffermarsi nuovamente sull’incanto di quella terra aspra, selvaggia e bella come nessuna, che in quelle ore stava imparando a conoscere e ad ammirare, suo malgrado. Alcuni tamburi lontani, accompagnati da un coro di voci maschili e femminili, annunciavano che i festeggiamenti per il ritorno di Odino erano già cominciati. Strinse le labbra. “Avrei giurato alla fine dell’estate, se non vi fosse venuto in mente di prendermi in ostaggio.”

Loki non parve colpito dall’accusa. “Non è solo colpa nostra.”

“Pago comunque per gli errori degli altri,” insistette lei, distogliendo l’attenzione dal tramonto per spostarla sull’Ase. Il senso di colpa la stritolava. Non aveva nemmeno avuto modo salutare Astrid e le altre sorelle. Pensò alla quiete familiare del tempio, dove le giornate venivano scandite da sempre con un ritmo uguale a sé stesso. A quell’ora si iniziava a pregare per poi a cantare fino all’ora di cena. Ci sarebbe stato un posto vuoto – il suo – e ogni compagna avrebbe rivolto un pensiero a lei, che, lontana da quel luogo di pace e virtù, stava perdendo la benevolenza degli Antenati mancando ai suoi doveri.

“Tutti paghiamo per le scelte degli altri,” sentenziò Loki interrompendo bruscamente i suoi pensieri.

Lei inarcò un sopracciglio. “Anche un principe di Asgard?”

L’Ase pensò a quando lo avevano steso su un tavolaccio per ricucirlo – all’alcool ingollato per stordirsi e attenuare il dolore, ai due guaritori che lo tenevano fermo mentre un terzo cercava di salvargli la vita, alle grida soffocate. Con una mano sfiorò la parte della corazza di pelle sotto cui c’era ancora la cicatrice. Non si era mai sentito così vivo come nel momento in cui la morte lo aveva accarezzato con le sue dita e, ogni tanto, sentiva la necessità di accertarsi che la cicatrice fosse ancora lì, dove l’aveva lasciata.

“Più di quanto pensi. Se la nostra intenzione fosse stata fare di te una schiava o disonorarti in qualche modo, lo avremmo già fatto,” concluse, per fugare quell’ombra di terrore che le velava lo sguardo da giorni e che, fino ad allora, aveva trovato tutto sommato divertente mantenere viva.

Sigyn si rilassò appena, tanto da dare modo a Loki di cogliere distintamente il sospiro di sollievo che seguì la rivelazione. Studiando il profilo delicato della ragazza, pensò che lei avrebbe dovuto sapere tutto, ogni cosa, compresa la maniera in cui Odino intendeva fugare ogni dubbio sull’esistenza della scintilla.

Sacrilegio. Di nuovo quella parola gli seccò il palato, ma aver desiderato di volerla per sé non equivaleva a disonorarla. Per colpa della maledizione, non poteva più nemmeno prendere in considerazione l’idea di corteggiarla fino a farla capitolare per il gusto becero e irrinunciabile, quello sì, di conquistare l’ancella che lo fissava con disprezzo. Un giorno, Sigurdr avrebbe finito comunque col considerarla peggio di una prostituta, iniziando una fitta corrispondenza a senso unico con Loki fatta di insulti, suppliche, minacce e promesse, ma non era ancora il tempo.

S’infilò due dita nel colletto della corazza intrecciata per allentarlo e respirare meglio, scacciando la fastidiosa sensazione di avere il respiro mozzato che lo perseguitava dal fatidico banchetto dei Vanir. L’interessante gioco cui si era prestato quando aveva deciso di accostarsi a Padre Tutto chiedendo lei si stava trasformando in qualcosa di tremendamente complicato – in una rete che lo avrebbe stretto nelle sue maglie fino a stritolarlo – ma questo, Loki era troppo spavaldo e sicuro di sé per immaginarlo.

 

Quella notte Sigyn rise davanti al fuoco, ma non ballò. Spinto da Frigga, Balder, che all’epoca era solo un bambino, le si era avvicinato per mostrarle alcuni dei suoi giocattoli. La ragazza si lasciò distrarre dalle figure intagliate nel legno del più giovane dei principi di Asgard e finì per rigirarsi tra le dita una deliziosa statuina che raffigurava un cavallo differenziandosi però dalle altre. La mano che l’aveva intagliata era dotata di un certo talento artistico, decise. L’animale era rappresentato in una posa dinamica, con le zampe anteriori sollevate e la criniera mossa da un vento invisibile. Le ricordò certi poemi che parlavano di eroi che sconfiggevano mostri, ma non solo: la figura intagliata le suggeriva una sensazione di libertà. Fece scorrere i polpastrelli sul fianco del cavallo.

“Me l’ha fatto mio fratello,” s’inorgoglì il bambino. Sigyn glielo rese, intuendo che si dovesse trattare di un regalo molto amato, forse raro.

“Quale?” chiese, ma nel suo cuore conosceva già la risposta. Lo aveva visto aggiustare e pulire, con le sue dita svelte e abili, astrolabi e altri strumenti utili alla navigazione[1].

“Loki,” confermò Balder, distratto e felice di riavere il giocattolo.

La ragazza alzò gli occhi cercandolo tra la folla, oltre il falò che guizzava di fronte a lei, tra le ombre degli invitati ubriachi e curiosi. La sua figura alta e slanciata, sempre così diritta e fiera, non c’era da nessuna parte. Sigyn strinse le labbra. Il dio dell’inganno la spiazzava. Di più, la confondeva per via della sua natura infida, brillante, sempre portata alla doppiezza. Le sue frasi affilate e secche dimostravano un’intelligenza acutissima, cui si sposava un talento per le arti magiche che era leggendario. Di lui si dicevano troppe cose e lei temeva che fossero vere tutte quante – Loki si crogiolava palesemente in questo, sfoggiando con abilità i panni del principe e del predone, del mago e del guerriero: troppi contrasti fusi in una sola persona capace di trafiggerla con lo sguardo e donarle, un momento dopo, il suo mantello di pelliccia. Lo detestava e non avrebbe più ripreso in mano il cavallino di legno, ma si accorse che il fatto di non sapere dove fosse la rendeva meno sicura di sé e tesa. Si disse che aveva bisogno di tenerlo d’occhio perché non si fidava di lui, capace di tagliare la gola di un nemico col sorriso sulle labbra e, poco dopo, costruire un giocattolo per un bambino. Si figurò la scena dell’ingannatore che si sedeva accanto al fuoco a raccontare storie mentre, con uno dei suoi coltelli affilati, lavorava il legno con fare sicuro, ritrovandosi a tremare sotto il manto nero che ancora indossava.

 

Sigyn non poteva saperlo, ma in quel preciso istante Loki stava parlando di lei. Al riparo da sguardi indiscreti, ragionava con Padre Tutto su come accertarsi che possedesse davvero la scintilla. La sensazione acuita dal seiðr che infiammava le vene di entrambi andava appurata in via ufficiale. Una volta fatto ciò, bisognava occuparsi rapidamente dell’assurda promessa di Sigurdr.

“C’è un antico manoscritto che parla del rito e della promessa. Consultalo – dovrai tradurlo, è scritto in rune più antiche delle nostre,” suggerì Odino, imperscrutabile nella penombra.

Loki annuì. Era naturalmente portato per lo studio e l’idea di cimentarsi nell’analisi dei testi più antichi di Asgard lo entusiasmava, ma era pensieroso e inquieto. Mosse un passo in avanti, nel buio. “Potrebbero volerci giorni. Che ne faremo di lei, nel frattempo?”

Anche il suo volto affilato era oscurato dalle tenebre notturne, ma il re degli Æsir, col suo unico occhio, era capace di scavare fin nel cuore di quel figlio che gli assomigliava in maniera dolorosa.

“Potrà servire i nostri altari, per ora.”

L’ingannatore piegò le labbra in una smorfia di fronte alla risposta laconica. Così Sigurdr in qualche modo avrebbe vinto, e del suo piano originario, già mutato e distorto all’inverosimile, non sarebbe rimasto davvero più nulla. Per un mago come lui la traccia lasciata dalla scintilla era come un irresistibile profumo che si spandeva nell’aria, ma era stato lo sguardo sfrontato e offeso di Sigyn a rendere stuzzicante l’idea di gettare il caos nell’ordinata vita di quella contessina che riteneva un grande onore l’essere rinchiusa a vita tra quattro mura a respirare incensi e a pregare. Voleva che si sporcasse col mondo e smarrisse ogni sicurezza. Il cuore di Loki era fatto anche di questo: di sussulti oscuri e di ragionamenti così affilati da tagliare più di un coltello – che affronto sarebbe stato, per quell’alleato pavido e bugiardo, sapere che la sua figlia più giovane era nelle sue mani, sola, nella fredda e feroce Asgard che dominava sui fiordi. Il vestito di lei, rosso e attillato sul seno e sulla vita stretta, lo aveva fatto indugiare in pensieri sfacciati, che la sdegnosa ritrosia di Sigyn e il suo essere quasi un’ancella rendevano solo più interessanti. Era prima di sapere che era stata condannata a un destino atroce, ma quando Sigurdr aveva parlato rivelandogli l’orribile patto, l’unica cosa che Loki aveva potuto fare era stata strapparla comunque via da quel destino in nome delle leggi di Bor, del buonsenso, della malizia. Ma ora che l’aveva portata con sé ad Asgard cosa fare di lei, come e quando dirle cosa l’aspettava? Odino pareva intenzionato a non rivelarle nulla, trattando la ragazza come l’ennesima reliquia rubata a un popolo che non si era piegato abbastanza di fronte al suo potere, ma lui, che incontrava quegli occhi grigi tutti i giorni ricacciando in gola ogni desiderio inopportuno era davvero del medesimo parere?

 

No. Come succedeva ormai sempre più spesso, il giovane comandante della cavalleria degli Æsir non condivideva le scelte spesso fin troppo conservative del padre. In questo aveva un alleato in Thor, sempre pronto a dare battaglia e a intervenire dove fosse necessario – ed era sempre necessario, per lui, si ritrovò a pensare con un moto di fastidio.

“Così suo padre tirerebbe un sospiro di sollievo. Saperla ancella qui o a Vanheim non gli farà alcuna differenza,” constatò con una punta di dispetto nella voce. “Ci considererà deboli, padre.”

Il re non raccolse la provocazione. “È maledetta. Non c’è posto migliore, per lei.”

E poi, pensò Loki, agli Æsir serve la scintilla. “Tu credi che esista un modo per salvarla?”

“È comunque un nostro dovere provarci. Le leggi ce lo impongono.” Il vecchio sovrano sospirò. “Non è tua, Loki. Non guardarla come se lo fosse.”

La replica del principe cadetto fu rapida e sfrontata. “L’ho guardata come la concubina che avrei dovuto prendermi per la promessa mancata di suo padre. E tu eri d’accordo proprio perché avremmo potuto sfruttare la sua scintilla. Ma era prima di sapere della promessa. Niente di più. Non ti fidi del mio buonsenso, padre?” ironizzò allargando le braccia. “Non sono senza controllo come altri, che non conoscono il senso della misura,” concluse senza nascondere una punta di risentimento.

Odino replicò stancamente. “Loki, a chi ti riferisci, di grazia?”

L’ingannatore s’inumidì le labbra. “A nessuno,” mentì con un brivido, perché ogni contrasto che s’instaurava tra lui e il genitore aveva il potere di fargli tremare le vene dei polsi, come se l’affetto e la stima di Padre Tutto fossero qualcosa di non necessariamente scontato. Le altre parole, quelle che avrebbe dovuto dire e che, un giorno avrebbe pronunciato davvero, rimasero a vorticare nella sua testa. A Thor. Che giustifichi e proteggi sempre nonostante le sue intemperanze.

 

Loki e Odino non si dissero nient’altro. Tra loro rimase un discorso sospeso, un’incomprensione velata d’amarezza che nessuno dei due aveva il desiderio di affrontare. Lingua d’Argento tornò a mescolarsi con gli ospiti del banchetto. Reggeva un corno d’idromele con cui cercava di scacciare la tensione dell’ennesima discussione quando incrociò Sigyn. Balder le saltellava intorno reggendo i suoi giocattoli e lei, vedendolo, s’irrigidì, come sempre. Lo scrutò aggrottando la fronte e spostando lo sguardo dal suo volto visibilmente tirato all’alcool.

“Non sarai ubriaco, spero.”

“Che carina! Ora ti preoccupi per me,” ironizzò beffardo. “Noi Æsir reggiamo bene l’idromele. Vuoi assaggiare?” propose offrendole il corno. Balder gli si mise di fianco, perché i suoi fratelli maggiori esercitavano, su di lui, un fascino tutto particolare. Provava una soddisfazione inaudita nello stare loro accanto e nell’osservare da vicino le placche delle armature decorate con lupi e draghi marini, le else luccicanti e ben lucidate di asce e pugnali e spade.

Sigyn deglutì. “Le ancelle non bevono. Credevo te ne fossi accorto,” alluse, riferendosi ai giorni in cui Sigurdr li aveva ospitati.

“Avanti, assaggiane un sorso. Ci sono sacrilegi peggiori da commettere,” insistette l’Ase sfoderando il migliore dei suoi sorrisi laterali. “Ti scalderà.”

Lei scosse la testa. “Mi confonderà,” decise, e Loki si soffermò sulle ciocche d’oro che le sfioravano le guance, il collo e il seno che intuiva sotto l’abito.

“Se anche fosse,” le spiegò con voce roca, “non potrei farti nulla. Odino ha deciso. Da domani potrai pregare quanto vorrai presso i nostri altari.”

Sigyn, sorpresa, non replicò e accettò il corno, avvicinando le labbra al bordo. Lasciò che il liquido le bagnasse appena, assaporando così l’idromele corposo e forte a un tempo. L’ingannatore non aveva smesso di fissarla come se volesse rapirla di nuovo, ma non fece nulla, allontanandosi con la scusa che doveva studiare certe carte.

 

Il giorno dopo, Loki la vide mentre pregava presso l’altare, avvolta in un abito di lana candido come la neve, come si confaceva alle ancelle del suo rango. Dopo il giuramento il colore da indossare sarebbe stato diverso, cambiando a seconda del rango di appartenenza. Si appoggiò a una colonna e rimase a guardarla, osservandola mentre si muoveva tranquilla, priva di quel fuoco che aveva spesso mentre gli parlava. Era serena. Non fece nulla per richiamare la sua attenzione, ma decise con un sospiro esausto che avrebbe fatto di tutto per togliersela dalla mente. Gli girava la testa dalla stanchezza, i suoi occhi erano cerchiati di scuro e non aveva fatto altro che trascrivere e tradurre rune illeggibili e, soprattutto, inutili, scritte su pergamene mezzo divorate dai topi. Nonostante i buoni propositi, sentiva la necessità impellente di continuare a cercare, in mezzo ai libri e alle incisioni del tempo che era stato, una traccia, una soltanto, che gli indicasse come agire per spezzare la maledizione. Sigyn non si accorse della sua presenza. Si voltò verso la colonna presso cui Loki aveva sostato solo dopo che lui se n’era andato.

 

 

Erano passati anni da allora. Balder uscì dalla consueta visita mattutina fatta a sua madre con il volto scuro per la preoccupazione. Loki e Thor non erano ad Asgard e, a detta di Frigga, non si vedevano dalla sera precedente, dopo che Padre Tutto aveva annunciato l’intenzione di nominare a breve e in via ufficiale il suo erede diretto. La notizia improvvisa era riuscita a scuotere il palazzo fin nelle sue fondamenta. Nell’ascoltare la novità, Thor si era alzato dalla sedia proponendo un fragoroso brindisi e riempiendo il corno suo e quello di Loki d’idromele fino all’orlo. Al fratello preferito aveva passato un braccio attorno al collo e dato una violenta pacca sulla spalla, dicendo che sarebbe stato un re magnanimo, capace di tollerare tutte le sue bravate. L’ingannatore, sorpreso dalla decisione paterna e forse già perso nei suoi vorticosi ragionamenti, sul momento si era limitato a stirare le labbra in un ghigno breve. Solo dopo qualche istante e con la gola scaldata dall’alcool aveva replicato con arguzia alla sicurezza di Thor. Certo, lui poteva stringere tra le mani una delle più potenti reliquie che gli Æsir avessero mai avuto, ma impulsivo e spaccone com’era anche con Mjollnir avrebbe fatto ben poco. Magari era lui, Loki, colui che avrebbe governato Asgard in futuro.

“Non ci contare troppo, fratellino,” era stata la risposta di Thor

L’ingannatore roteò platealmente gli occhi. “Con te Asgard sarebbe in guerra un giorno sì e l’altro pure. Immagino già i disastri che mi toccherebbe sistemare dopo,” scherzò. A un osservatore molto attento non sarebbe sfuggito lo sforzo che il principe cadetto stava facendo per sfoggiare una tranquillità che, certo, in quel momento non gli apparteneva. Sapeva di essere stato spregiudicato. Era consapevole che il fatto di non riuscire a impugnare Mjollnir era un punto a suo sfavore nella nomina a futuro re. Padre Tutto gli riconosceva molte cose – l’intelligenza, l’abilità nel convincere e trattare col prossimo, una spiccata abilità col seiðr che aveva quasi del prodigioso, eppure il suo unico occhio, raramente benevolo, più spesso gelido e feroce, si posava più a lungo e con maggiore soddisfazione su Thor che su di lui. Loki era troppo astuto per non averlo notato da tempo; solo, si era sforzato di razionalizzare quell’impressione, cercando ovunque prove che la convalidassero o la smentissero. Dal loro padre suo fratello aveva ereditato il corpo massiccio e poderoso, i lineamenti del volto, i colori. Inoltre, anche se per pochi mesi, vantava i diritti tipici dei primogeniti. La sua somiglianza con Odino, invece, era prettamente caratteriale e interessava sia certi atteggiamenti esteriori come il modo di guardare, ridere o bere, sia i gusti più profondi, le preferenze a tavola, il modo di ragionare, l’abilità nel ferire il prossimo, anche. Condividevano gli stessi difetti ed entrambi ne erano più che consapevoli.

Sia Loki che Thor fremevano da tempo, premendo affinché il genitore si risolvesse nello scegliere il più degno tra loro. In questo modo, Asgard avrebbe potuto iniziare finalmente una nuova era. Da troppo tempo Padre Tutto governava puntando a conservare il suo potere anziché accrescerlo: si era fatto cauto e andava dicendo che il compito degli Æsir non era espandere i propri commerci fino ai confini dei Nove Regni e anche oltre né di raccogliere – razziare – nuove reliquie, ma di garantire la pace e la prosperità propria e degli alleati. I principi pensavano che questo ragionamento fosse un segno inequivocabile che il loro padre fosse stanco e troppo vecchio per governare. Di più, era una decisione egoista: Odino aveva avuto modo di sfogare la sua sete di conquista combattendo per una vita intera e fermandosi solamente dopo l’ultima, terribile, guerra contro re Laufey, quando già da molti anni ricopriva il ruolo di sovrano e condottiero ed era divenuto un genitore A loro, ai suoi figli che aveva tirato su per essere re, negava il piacere e il dovere di combattere semplicemente perché lui non amava più farlo. I due fratelli negli ultimi anni si erano scontrati fin troppo spesso con l’augusto e severo dio delle forche su questa stessa questione: scalpitavano per agire e venivano tenuti faticosamente a freno dall’autorità paterna. La dolorosa vicenda che aveva riguardato Sigyn, poi, aveva esasperato soprattutto l’animo di Loki, lasciando che un’amarezza senza fondo gli infettasse il petto. Per reclamarla e impedire che il suo destino tremendo si compisse era sceso fin dove le radici dell’Yggdrasill traevano nutrimento. Aveva dato prova di essere un maestro nell’uso del seiðr, riuscendo a recitare un incantesimo così oscuro e potente che persino Odino ne era rimasto colpito e spaventato. Di nuovo, non si era tirato indietro di fronte alla necessità di versare il proprio sangue per Asgard, seppure tutelandosi il più possibile grazie alla sua lingua svelta e arguta, ma tutto questo non era bastato né a sollevare Mjollnir né a essere degno agli occhi del suo re, anzi. Sarebbe stato meglio agire nell’ombra.

Da quando Sigyn se n’era andata, Loki non l’aveva più cercata né nominata. Inizialmente, Thor si era sforzato di convincerlo a indagare meglio sui motivi di quella che a lui sembrava più una fuga che una decisione ponderata con cura. Si era persino offerto di aiutarlo nella ricerca: erano o no fratelli, alleati, amici? Loki, con la voce secca di chi non ammetteva repliche e il tono deciso che aveva rubato a Odino, gli si era avventato contro invitandolo a farsi i fatti propri. Lei – si era guardato bene dal pronunciarne persino il nome – non significava assolutamente niente. L’aveva presa come ostaggio, un tempo, ma lui non vestiva i panni del suo carceriere. Era libera di andarsene quando e come voleva. Ed era ciò che aveva fatto. Era seguita una breve rissa da cui entrambi erano usciti con qualche livido e un paio di ferite lievi.

Di tutto questo, Balder il Buono aveva colto solo il desiderio di primeggiare dei due scaltri e scalmanati principi. Crescendo aveva scoperto di comprenderli sempre meno e, nonostante li cercò a lungo, non riuscì a trovarli da nessuna parte. Immaginò che avessero deciso di festeggiare l’imminente decisione a modo loro, cimentandosi in qualche impresa folle e pericolosa che sarebbe valsa loro il biasimo e la meraviglia di tutti. Non pensò a Sigyn né alla storia che la riguardava e nemmeno alle conseguenze che la scelta di un erede avrebbe causato a tutti loro.

 

Continua…

 

 

 

Amore, quando ti diranno

Che ti ho dimenticato,

e anche se sarò io a dirlo,

quando io te lo dirò,

non credermi.

(Pablo Neruda)

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

Eccomi, finalmente!

Ullalà! Siamo a un punto di svolta, ve ne siete accorti? Il prossimo capitolo sarà anche PoV Sigyn, vi avverto.

Allora, ricapitolando: Loki voleva prendersi come concubina l’ancella Sigyn. Lei aveva la scintilla, ma meglio così. Odino era d’accordo – sarebbe stato un sacrilegio, ma non gravissimo: lei non aveva ancora giurato. La rivelazione di Sigurdr porta tutto su un altro piano. Sigyn è totalmente intoccabile e la scintilla peggiora le cose ♥. Lei ovviamente non sa ancora niente di questo (nel passato) ed è concentrata su ciò che sa. Scusate lo spiegone, ma non avete idea delle fisime che mi sono fatta.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Occhio che la settimana prossima torniamo nel 1982: non mancate <3

 

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Come negli scorsi capitoli, sul drakkar.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

L’unica cosa rimastagli di Sigyn era una sciarpa di seta che tratteneva ancora il profumo dolce della sua pelle. Loki l’aveva stretta tra le dita valutandone la consistenza alcune sere dopo che lei se n’era andata. Sedeva stravaccato su una poltrona, con le gambe allungate sopra un tavolino basso. Cercava un trattato di storia e il suo sguardo era caduto sulla stola sottile. Il primo impulso era stato quello di calpestarla, stracciarla, gettarla nell’ampio camino dove guizzavano le fiamme. Non gli riuscì, ma non osò nemmeno accertarsi davvero se quel pezzo di stoffa sapesse ancora di lei. Non desiderava rievocare il suo ricordo e sapeva benissimo che l’unico modo per liberarsi definitivamente e per sempre della sua ombra era cancellarla dalla testa. L’odore di Sigyn sapeva delle notti in cui il desiderio di possederla l’aveva avvelenato tanto da spingerlo fin sulla soglia della sua stanza o del tempio per fissare i suoi occhi grigi sgranati per lo stupore, le labbra schiuse e invitanti. Serrò con più forza le dita attorno a quel lembo d’eterea stoffa rosa immaginando di vederlo bruciare nel caminetto. Nella penombra rischiarata appena dal fuoco ricreò la scena nella sua mente mille volte – lui che lanciava la stola tra le fiamme e guardava la seta bruciare, distruggendo ogni traccia di lei, scacciando via il suo fantasma. Giurò che l’avrebbe fatto, ma chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale della poltrona. Era un bugiardo, dopotutto.

 

Le sere erano trascorse una dopo l’altra, trasformandosi in settimane e poi in mesi. Era certo di non ricordare più che profumo avesse la pelle di Sigyn – bastava non pensarci e confonderlo con quello di un’ancella che non le assomigliava affatto o di Sif stessa e poi stordirsi con l’idromele, le battaglie e i viaggi. Nessuna delle sue amanti, però, si svegliava e, non trovandolo nel letto, lo raggiungeva sulla terrazza spazzata dal vento per cingergli i fianchi e posare la fronte sulla sua spalla[1]. La notte, certo, a volte lei tornava. Veniva a reclamare le attenzioni che lui si rifiutava di darle durante il giorno, quando la estrometteva dai suoi pensieri e scuoteva la testa per scacciarla dalla sua mente. S’infilava negli incubi che avevano per oggetto l’orrore che per lei, solo per lei aveva affrontato, incantevole ed eterea come la ricordava, sfacciata come era stata solo poche volte. Non la chiamava per nome nemmeno in quei momenti, ma spesso si svegliava con un sussulto e la sensazione di averla stretta tra le braccia fino a pochi istanti prima. Solo che Sigyn era perduta così come era stata intoccabile.

Un principe come lui, che ambiva a sedersi sul trono di Odino, non avrebbe dovuto commettere un errore così plateale e assurdo, eppure non era nella natura di Loki pentirsi di qualcosa che aveva scelto di fare volontariamente. Assumersi la responsabilità di azioni decise in fretta apparteneva al suo carattere fiero e pragmatico di giovane uomo abituato a comandare armate. Di pirata che non sapeva accontentarsi dei tesori che già aveva e ne bramava continuamente altri. O desiderava per sempre quelli che le Norne avevano scelto di negargli.

Si sciacquò la faccia con l’acqua gelida del torrente presso cui si erano accampati. Thor stava dando da mangiare ai cavalli e, vedendolo finalmente sveglio, lo interrogò. “Quanto abbiamo? Tre giorni?”

Loki piegò le labbra in una smorfia tirata. “Non più di due, temo.”

“Beh, potresti raccontare che abbiamo trovato un grosso cinghiale a cui dare la caccia,” propose l’altro. “Non sarebbe la prima volta.”

Sul viso affilato dell’ingannatore si affacciò un mezzo sorriso. “Poi dovremmo scovarne davvero uno. O dire che ce lo siamo fatti scappare.”

Thor alzò le spalle. Il problema non lo riguardava – come era possibile non riuscire a cacciare un animale da esibire come trofeo[2]? – e, grazie alla sua immensa tracotanza e alla smodata fiducia in se stesso, era sempre portato a credere che il fato filato per lui fosse pieno solamente di occasioni fortunate, fatte apposta perché le cogliesse. L’atteggiamento di Loki gli risultava spesso sgradito, perché il fratello, al contrario suo, agiva sempre con una circospezione ragionata e selvatica al tempo stesso. Rifletteva su ogni possibile variabile ed era sempre pronto a frenarlo, individuando tutte le falle e i pericoli presenti nei suoi piani spesso azzardati. L’ingannatore non era pavido, anzi: in più di un’occasione le sue trovate erano state giudicate molto più che folli e audaci e, per Thor, non esisteva un compagno d’avventure migliore di lui, anche se non aveva nessuna intenzione di dirglielo. Il fatto era che Loki, prima d’agire, doveva valutare ogni potenziale rischio. La sua cautela era indispensabile affinché i colpi di testa di Thor non generassero disastri giganteschi: si erano trasformati in una squadra perfetta – o lo erano stati da sempre, abituati com’erano a giocare insieme prima, a combattere l’uno al fianco dell’altro poi.

“Ci penseremo quando sarà tutto finito,” liquidò la questione Thor.

Loki si avvicinò al suo cavallo carezzandogli il muso e cogliendo l’occasione per rimettergli la sella. “I corvi di nostro padre ci hanno già intercettati.”

“Ma Heimdall ci coprirà. E questa sembra, a tutti gli effetti, una battuta di caccia. Lo hai detto anche tu.”

Loki si voltò nella sua direzione e annuì impercettibilmente.

 

La sera prima erano entrambi più che brilli quando aveva fatto il suo ingresso il messo proveniente da Vanheim. Scherzavano e ridevano prendendosi in giro, accaldati per il troppo idromele ed esaltati da una notizia che attendevano da anni, ma che, forse, non li avrebbe stupiti. L’inatteso straniero era un uomo piccolo, basso e tarchiato, vestito modestamente nonostante il rango, che prima di porgergli rapidamente una pergamena arrotolata li aveva scrutati con un misto di odio e rispetto. Vedendo il sigillo, Loki aveva inarcato un sopracciglio sorpreso; gli era fin troppo noto, perché il suo studio aveva pullulato per anni del medesimo timbro in ceralacca. L’idromele aveva improvvisamente smesso di fargli girare la testa e  si era ritrovato, lucido e con un sudore gelido a scorrergli lungo la schiena, a chiedersi perché. Mandò via il messaggero con un cenno del capo e quello fu ben felice di assecondarlo, non prima, però, di avergli lanciato un’altra occhiata in tralice che non lo stupì particolarmente. Lingua d’Argento sapeva di portarsi dietro una fama nera; se ne faceva un vanto, crogiolandosi all’idea d’incutere rispetto e terrore nei suoi avversari. Veniva guardato con sospetto perché era troppo abile col seiðr e per quella capacità spaventosamente efficace di rigirarsi in bocca i discorsi piegando al suo volere re e imperatori. Facevano paura la rapidità con cui maneggiava le sue lame affilatissime e la violenta precisione dei suoi fendenti. Anche la sua ferocia in battaglia era ben nota, perché si mischiava con una sagacia lupesca che raramente lasciava scampo. Non brillava della stessa luce di Thor, ma nei Nove Regni gli venivano riconosciuti molti meriti, forse più che ad Asgard. Qui, gli evidenti difetti sembravano offuscare le ben note virtù. Loki era troppo subdolo, sfacciato ed eccessivamente dedito allo studio delle arti magiche, ma, soprattutto, spesso agiva in maniera efferata, come quando aveva corrotto un’ancella facendola diventare la sua amante.

Anche Thor, accanto a lui, aveva riconosciuto lo stemma inciso. “Che aspetti ad aprirla?”

“Io e Sigurdr non abbiamo questioni irrisolte,” era stata la risposta decisa dell’ingannatore, pronunciata guardando diritto davanti a sé.

“Potrebbe riguardare lei. O tutti noi.” La mano di Thor si era posata sulla sua spalla, trasmettendogli una stretta fraterna che voleva essere d’incitamento o storpiarlo, a seconda dei punti di vista. “Fratello,” proseguì il tonante, “non pensare nemmeno di andarti a rifugiare in qualche anfratto per leggerla da solo.” 

L’ingannatore si tese. Non desiderava che l’altro fosse presente nel momento in cui avrebbe rotto lo stemma, ma sapeva che sarebbe stato complicato e pericoloso liberarsene. Se solo quel messo idiota avesse avuto la delicatezza di attendere che fossero a tu per tu, prima di dargli la missiva, avrebbe potuto leggere con calma. E decidere. Agire per proprio conto non gli dispiaceva, anzi: gli consentiva di muoversi liberamente senza che nessuno lo giudicasse o si mettesse in testa di contraddirlo od ostacolarlo. “Hai mai sentito parlare di corrispondenza privata?” sibilò.

“Loki,” l’avvertì Thor abbassando di un tono la voce. “Non ho voglia di rimediare alle tue cazzate[3]. Non stasera.”

“Le mie cazzate!?” L’ingannatore stirò le labbra in un sorriso feroce e privo di divertimento per poi irrigidirsi. “Stiamo davvero parlando di ciò che faccio io, Thor?” domandò avvicinandosi. “Chi è incapace di controllarsi, a chi ho dovuto salvare la vita solo una settimana fa? Rammentamelo, te ne prego,” concluse sarcastico.

“Chiudi quella bocca,” lo zittì Thor spazientito. “Perché rifiuti il mio aiuto, adesso? Sono stato sempre dalla tua parte.”

Loki incassò male l’ordine e, forse, anche il rimprovero che sapeva d’ingratitudine. Contrasse la mascella e puntò addosso all’altro il suo sguardo verde e insolente. “Ti atteggi già a re di Asgard?” domandò con una calma che celava a malapena il fastidio.

 

Il dio del tuono non lasciò che il tono beffardo dell’ingannatore lo scalfisse. “A possessore di Mjollnir, a fratello maggiore.”

 Lo conosceva da tutta la vita. Ricordava l’origine del suo ghigno e il suono della sua voce quando non era ancora roca e maschile. Non colse, però, la scintilla ferina che illuminava gli occhi dell’altro sempre più spesso – un giorno, incrociando le sue armi con quelle del fratello, l’avrebbe vista, scoprendo un’ira che Loki era stato bravo a celare o, forse, lui non aveva scorto nonostante l’evidenza. Non sarebbe mai riuscito a sciogliere tale dubbio, ma quella sera l’ingannatore era ancora l’alleato migliore che avesse mai avuto e nessun sospetto gli velò il cuore, anzi. Era irritato. Agire da solo era sciocco e rappresentava una perdita di tempo inutile.

Loki scosse la testa e alzò il mento quasi volesse sfidarlo. “Non ho bisogno del tuo aiuto,” decise.

“Ah no?” Il primo figlio di Odino incrociò le braccia al petto. “Non è strano ricevere una lettera col sigillo di Vanheim proprio oggi!?”

L’altro proruppe in una risata fredda e canzonatoria. “Hai paura?”

“E tu credi nel caso?”

“Allora, se ci tieni, aprila e leggila pure,” si stizzì Lingua d’Argento. “Con quel gran bastardo di Sigurdr non ho niente a che spartire, te lo ripeto.” Con un movimento rapido delle belle dita di mago, Loki ruppe il timbro e porse la pergamena arrotolata al fratello.

Thor si mise a leggere e, dopo un minuto interminabile di silenzio, gli allungò la missiva. “Riguarda te.”

Il dio dell’inganno deglutì e con gli occhi scorse rapidamente le righe scritte con una grafia rotonda, alta e pomposa. Sugli ultimi paragrafi si soffermò per più tempo, quello che bastava a valutare il da farsi mentre s’inumidiva le labbra sottili. “Stasera tutti festeggiano, compreso nostro padre. Partirò immediatamente, nessuno ci farà caso. È un ottimo momento per andare a caccia,” l’avvisò lentamente.

Thor si passò una mano tra i capelli e masticò un’imprecazione. “Verrò con te. Sarà più plausibile. E poi, forse potrebbe servire un chiamate aiuto.”

Loki scosse il capo senza rispondere nemmeno alla battuta dell’altro. Thor credeva che la sua sola presenza sarebbe bastata a risolvere ogni cosa. Riteneva che evocare folgori e dare pugni a destra e a manca fosse la chiave di tutto. Credergli era facile: non si era mai stupito che i Tre Guerrieri e tutti i capi delle armate Æsir lo considerassero il giusto successore di Odino e vedessero naturalmente nella sua figura una guida. Per trascinare le folle lui doveva parlare, convincere, irretire, ammaliare. A Thor bastava esistere e mostrare con quanta abilità riusciva a far volare un tronco più lontano di tutti. Assottigliò le palpebre come se volesse metterlo a fuoco: perché voleva accompagnarlo? Per ricoprirsi ulteriormente di gloria e proteggere lui, il fratellino furbo e dalla lingua lunga? Perché non credeva che, da solo, ce l’avrebbe fatta? O per tenerlo d’occhio in nome di una primogenitura capace solo di mettere in evidenza quanto Thor fosse un principe arrogante, eccessivamente spavaldo, cocciuto e incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse il lanciarsi a testa bassa contro i propri avversari? Loki non rispose né a se stesso né al fratello. S’incamminò lungo i solenni corridoi del palazzo seguito dall’altro. E lui, che difetti aveva lui? Era degno di succedere a Padre Tutto? Non era ugualmente arrogante e sfacciato, come tutti gli Æsir? Non desiderava primeggiare, esattamente come Thor? Non si faceva beffe dei suoi avversari, non incantava i suoi interlocutori con un’efficacia spaventosa? Gli Æsir non cantavano con soddisfazione le sue gesta, non ridevano orgogliosi rievocando i trucchi abilissimi con cui aveva contribuito a rendere Asgard grande? Gli tornò in mente Sigyn, quando arricciava le labbra e scuoteva la testa dicendogli che sì, lui era davvero il principe di un popolo di pirati arroganti e antipatici e poi, di seguito, il sorriso di lei, aperto, solare, largo. E le labbra morbide e i capelli d’oro.

“Noi siamo i grandi principi degli Æsir. Combatteremo insieme anche questa volta,” gli mormorò Thor fiero e soddisfatto, bramoso di dimostrare una volta di più la sua potenza.

“Ma certo,” rispose Loki distante, con la mente già altrove.

 

 

Erano partiti subito dopo, cavalcando quasi tutta la notte e concedendosi solamente qualche breve ora di riposo prima dell’alba. Il viaggio si era svolto perlopiù in silenzio, come se l’oscurità e l’idromele avessero seccato i palati di entrambi. Loki era per sua natura loquace – spesso fin troppo – e adorava punzecchiare il fratello; in un altro momento, l’escursione notturna sarebbe stata l’occasione ideale per una serie di scherzi e battutacce, ma la lettera di Sigurdr gli aveva messo addosso un malumore palese ed evidente. Solo al mattino, dopo che i corvi di Odino li avevano individuati con i loro occhi piccoli e neri, i due principi avevano ripreso il discorso interrotto la notte precedente ragionando sul da farsi.

“In effetti, la nostra è una caccia. Quel vecchio impiccione di Heimdall non avrà nemmeno bisogno di mentire a Odino,” osservò acutamente Loki finendo di stringere la sella. Montò a cavallo con un movimento fluido e spronò l’animale con un colpo deciso dei talloni.

“Piantala di avercela con lui,” lo redarguì il dio del tuono infilando uno stivale nelle staffe.

L’ingannatore, già partito al trotto, si voltò increspando le labbra in una smorfia. “È lui che dovrebbe piantarla di avercela con me.”

“Se fossi meno bugiardo, calcolatore e infido,” ribadì Thor, “o gli tirassi qualche scherzo in meno e, soprattutto, se non cercassi sempre di agire per conto tuo, di nascosto... beh, allora forse…”

“Se ho agito da solo è perché non potevo fare altrimenti,” fu la replica secca di Loki.

Il primo figlio di Odino si voltò verso il fratello seguendone il profilo diritto. “Non volevi che lo sapesse perché era un piano assurdo.”

La risposta fu accompagnata sfoggiò un sorriso sbieco eppure luminoso. “Non lo sono sempre tutti?”

 

 

Un appuntamento segreto non poteva che svolgersi in un luogo defilato, posto possibilmente a metà strada tra due regni. Ásaheimr era un susseguirsi di fiordi da cui spuntavano montagne imponenti dalle cime perennemente ricoperte di neve, piantate nel terreno come fossero i denti del gigante Ymir – e così, in effetti, recitavano le antiche leggende; una volta, Loki aveva ironizzato sul fatto che costui dovesse avere un’arcata veramente mostruosa, per aver creato le catene di cui erano ricche soprattutto le terre degli Æsir, degli Jotnar e, in misura minore, dei Vanir[4]. Aveva peggiorato la cosa beffandosi dell’aspetto probabilmente grottesco e spaventoso della figura mitica. Era stato irriverente e Odino lo aveva punito, ma lui non si era pentito affatto – non ritrattava mai niente di ciò che usciva dalle sue labbra sottili e beffarde, preferendo convincere i suoi interlocutori a dargli retta alla luce di nuove considerazioni, che a ignorare quanto detto in precedenza. Il cielo era grigio: uno specchio d’argento che si rifletteva nel mare stretto tra le scogliere e le montagne, puntellato dal verde cupo degli abeti che arrivavano fin quasi alla rena. Thor disse che nel giro di qualche ora sarebbe piovuto. Loki registrò la bellezza offerta del fiordo e la sua imponenza, ma senza dimostrare alcuna enfasi evidente. I suoi occhi mobili e verdi parevano catturati principalmente dalla struttura circolare di fronte a lui, alta e massiccia Erano a diverse miglia dal confine settentrionale con Vanheim; per raggiungerne la capitale avrebbero fatto prima a usare il Bifrost o a intraprendere la via del mare, come fatto anni prima[5].

I figli di Odino videro due uomini completamente avvolti nei loro mantelli di lana avvicinarsi a loro. Il più alto si tirò giù il cappuccio che gli copriva il volto. Era Sigurdr. Il suo aspetto tradiva le preoccupazioni, il dolore e l’orrore che lo avevano segnato negli ultimi anni, ma Loki, osservandolo, non provò alcun tipo di pietà. Il suo petto era carico solo di rancore e, di questo, non se ne stupì affatto. Il padre di Sigyn si era tramutato in un vecchio stanco, segno tangibile di come l’effetto dei pomi di Iðunn scemasse di fronte alla sofferenza[6]. Ma il Vanir era il solo e unico responsabile della propria sventura. Lo sapeva il principe di Asgard come lo sapeva l’uomo di fronte a lui. Negli occhi di Sigurdr non c’erano gioia o sollievo: nonostante nella sua lettera avesse pregato l’ingannatore di raggiungerlo, la sua vista gli era intollerabile. E l’Ase non si aspettava niente di meno.

“Speravo che mi avresti ascoltato,” gli confessò l’uomo con una voce mesta che non apparteneva al ricordo che il dio dell’inganno aveva di lui.

“La mia è perlopiù curiosità, Sigurdr,” sostenne severo Loki. Lo squadrò da capo a piedi con malcelato disgusto. “Il tempo non è stato clemente con te, vecchio,” notò crudele.

“Stavolta dici il vero,” ammise l’altro. “Ma non è per me che siamo qui.”

L’ingannatore non replicò. Sollevò il mento come se volesse sfidare l’antico alleato, mentre Thor prendeva la parola al posto suo. “Spicciati. Dicci perché hai scritto.”

“Le mie figlie servono gli Antenati in questo tempio,” spiegò Sigurdr. “Tutte. Anche Sigyn.”

Loki non mostrò alcuna reazione. Il nome di lei gli scivolò sulla pelle come se non significasse nulla. Quando prese la parola sotto lo sguardo attento del fratello e del Vanir lo fece con una tranquillità spiazzante. “Ma è quello per cui è nata, a sentire te. Perché mi dovrebbe riguardare, come mai mi hai chiesto di provvedere?”

Il vecchio sospirò. “Le ancelle vivono possedendo lo stretto indispensabile. Non hanno a loro disposizione beni né ricchezze. È grazie alla carità altrui se possono servire gli Antenati.”

“Lo so. Io le chiamerei donazioni, piuttosto,” lo interruppe Loki girandogli attorno come un lupo con la preda. “Fatte dalle famiglie che provvedono ampiamente a mantenere anche all’interno di questi presunti luoghi di povertà e penitenza uno stile di vita a volte principesco. Mi sbaglio? Non è forse vero che le ancelle più anziane e ricche vivono circondate dagli agi? I loro vestiti hanno forme e colori mortificanti, ma sono fatti di velluto e con le lane più pregiate. Ostentano una povertà inesistente,” terminò con una smorfia.

“Le abitudini secolari spesso entrano anche nel mondo spirituale, sì,” ammise Sigurdr.

La replica dell’Ase fu una risata canzonatoria. “Ma c’è ben poco di spirituale, qui.”

Il Vanir s’incupì e raddrizzò le spalle fino a quel momento curve. Chiamare lo sfacciato figlio di Odino per chiedergli quel tipo di aiuto era un’umiliazione che aveva tentato fino all’ultimo di evitare. Era convinto che Loki avesse accettato d’incontrarlo solo per il piacere sottile di vederlo piegarsi e supplicare, come già era stato costretto a fare in passato. “Quanto ancora vuoi allungare la lista dei tuoi sacrilegi, principe di Asgard? Siamo qui perché tu hai profanato ciò che apparteneva agli Antichi.”

 “Oh, di molto,” ghignò l’Ase divertito stirando le labbra sottili e perfide, “se fosse utile a qualcosa, brucerei fino alle fondamenta questo posto orrendo.[7]

Sigurdr s’irrigidì terrorizzato. Aveva riconosciuto la verità nel tono fintamente ilare dell’altro. “Sarebbe un altro dei tuoi gesti sconsiderati.”

L’ingannatore provò un piacere evidente nel vedere la paura velare gli occhi del Vanir. “Lascia che ti dia un consiglio, vecchio mio. Bada a ciò che hai fatto tu. Cosa c’entro io con le ipocrisie di un culto che serve solo a schiavizzare delle ragazze?”

“Sigyn vive qui, ma la sua esistenza è più povera e misera delle sue compagne. Non recupererà mai il prestigio che aveva quando l’hai portata via. È impura, è stata la tua amante e ne pagherà per sempre le conseguenze. Tutto ciò che posso versare per lei viene incamerato in offerte volte a placare gli Antenati. L’inverno vicino al confine è lungo e rigido. Hai commesso un sacrilegio per cui non esiste il perdono. E lei… lei non ti scriverà mai per chiederti aiuto.”

Loki incrociò le belle mani di mago dietro la schiena. Non pensò alla decisione di Odino di cui, in fondo al petto, forse conosceva già la risposta né alla stola di seta chiara. Una pioggia sottilissima e fastidiosa iniziò a cadere su tutti loro.

 “Questo avete fatto alla scintilla? Voglio una prova che lei è qui.”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

I miei piani variano di minuto in minuto, come quelli di Loki. Perdono!

Anzitutto, sono in fibrillazione/estasi/paura/terrore per la nuova serie su Loki (l’ho condivisa ovunque, sia su fb che su Twitter. Seguitemi ♥, ho lo stesso nome.

Poi, una parola sul capitolo: siamo ancora nel momento presente, in cui Loki e Thor si dileguano da Asgard dopo la notizia dell’imminente incoronazione. La scena era troppo lunga per inserire la parte relativa al passato, ma non temete: ci sarà occasione molto, molto presto.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive. Non vi mangio e sono quasi le due di notte. Posto a quest’ora, ebbene sì (domani mattina rileggerò sperando di non aver scritto aberrazioni).

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Abbiate pietà che sto postando nel cuore della notte e dormirò circa cinque ore. Vi giuro che le prossime sono “Tesori” e “Accordo.”

 

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Come visto qualche capitolo fa.

[2] Come già detto in precedenza: questa parte della storia è ambientata prima del banno di Thor da Asgard: la caratterizzazione del personaggio risente di questo fatto e appare volutamente come spaccone e arrogante. Nella storia si fa riferimento alla caccia, alle pellicce e a cose simili: ovviamente non rispecchia la mia opinione

[3] “Ma come, sono déi e gli fai dire le male parole?” Sì, perché sono due fratelli di pari età che stanno litigando. Del resto, anche Dante nella Commedia unisce un linguaggio aulico con uno più becero, quindi se lo fa il padre della lingua italiana chi sono io per contraddirlo? Nessuno <3. In più in Thor: Ragnarok Lok, vedendo Thor, dice “oh, cazzo.”

[4] Mi riferisco alla cosmogonia norrena.

[5] Mi riferisco al viaggio menzionato nei capitoli precedenti.

[6] Per Iðunn vi rimando alla mia storia “Del dolce sapore di una maledizione.”

[7] Tiè è la prima volta che uso la citazione della minuscola clip del Super Bowl ♥ è tutto il giorno che la condivido/retwtitto, fateme fangirla’ pure a me.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

 

“Se la incontrassi, le faresti del male. Di nuovo,” sentenziò Sigurdr torvo. La pioggia continuava a cadere insistente e leggera, fastidiosa e gelida.

Loki gli puntò addosso i suoi occhi lupeschi. “Mi stai chiedendo dell’oro,” puntualizzò a denti stretti. “Oro per aiutarla,” proseguì, ma in gola aveva un’altra parola, una che l’avrebbe ferita mortalmente e che la sua mente acutissima e scaltra aveva comunque pronunciato. “Davvero pensi di potermi chiamare e pretendere che non mi accerti con i miei occhi della situazione?”

 “Sei responsabile di quanto le è successo. L’hai portata via da me, dalla sua famiglia, dal suo destino,” ricordò il vecchio con una voce bassa e cantilenante, segno inequivocabile di come avesse pronunciato quella stessa invettiva un numero infinito di volte – dal giorno in cui Sigyn era salita sul drakkar degli Æsir con ancora l’abito rosso del banchetto indosso.

Loki scattò verso Sigurdr con un gesto rapido e violento, tanto inaspettato che il Vanir non fece in tempo nemmeno a cacciare un grido. L’ingannatore lo aveva afferrato per una spalla e stordito con un colpo al fianco capace di mozzargli il respiro, per poi tirargli i capelli affinché esponesse la gola pulsante. Su quella premette l’affilatissima lama di un pugnale.

“Tieni a freno il tuo odio per me, vecchio,” sibilò. “Hai osato pensare che io, Loki di Asgard, fugga dalle mie responsabilità? Sono il figlio di Odino, non uno qualunque dei tuoi patetici Vanir.” Fece una pausa, ma senza lasciar andare l’uomo. “È viva grazie a me.”

Immobilizzato, Sigurdr provò a cercare con lo sguardo Thor. Il principe era accigliato, ma pur intuendo le intenzioni del fratello fino ad allora non aveva fatto nulla per fermarlo, e non c’era da stupirsi per questo. Lui sapeva ogni cosa e, nonostante disapprovasse, aveva seguito Loki fino in fondo, rifiutandosi di abbandonarlo. Erano una squadra. “Basta così, fratello,” intervenne il dio del tuono. “Sigurdr, non puoi chiedere il suo aiuto senza una garanzia. Noi figli di Odino siamo pronti a prenderci ogni responsabilità, ma non siamo degli idioti.”

Loki non liberò immediatamente Sigurdr. Lottò contro l’impulso di premere più a fondo la lama e vendicarsi dell’uomo; sarebbe stato piacevole vederlo soffocare nel suo sangue zampillante e osservarlo morire. Dovette compiere uno sforzo immane per lasciarlo andare – non era nella sua natura inquieta quel tipo di clemenza e della sua ferocia incontrollabile era cosciente da tempo. Da quando Thor, l’impulsivo e guerrafondaio Thor, a volte lo scuoteva per il braccio dicendogli che era inutile infierire. Era come se il caos di cui era portatore lo avviluppasse a sé, ghermendolo e scatenando una furia che, a mente fredda, a volte Loki stesso trovava spaventosa.

Forse era per questo che non era ancora degno di succedere a Odino; suo fratello, per quanto ugualmente spavaldo e molto meno razionale, non trascendeva mai laddove lui oscillava verso l’oscurità. Un giorno non sarebbe più riuscito a trattenersi e la sua ira sarebbe stata totale, mescolandosi a un’inquietudine che alcuni avrebbero liquidato come follia, ma che in realtà aveva origini più dense e oscure e complesse.

Deglutendo mollò la presa e diede uno spintone al vecchio per allontanarlo da sé. “Facci strada,” ordinò.

Sigurdr gli rivolse un’occhiata carica di odio, paura e di un’accusa che l’Ase non volle leggere. Con le dita nodose si massaggiò il collo e la spalla rialzandosi a fatica, per poi incamminarsi con passo malfermo vero le mura del tempio, seguito a breve distanza dai due figli di Odino.

Thor mise una mano sulla spalla del fratello. “Credi che incontrarla sia una buona idea?” mormorò facendo attenzione che il Vanir non lo udisse.

Loki piegò le labbra in una smorfia amara. “Vederla. Non incontrarla. Ha scelto.”

Il dio del tuono annuì e tramutò la stretta in una pacca fraterna sulla schiena: un gesto d’incoraggiamento che voleva dire molto più dei bei discorsi cui non era certo avvezzo – sono qui, dalla tua parte, non ho dimenticato.

 

 

Il tempio era stato costruito senz’altro dai giganti di ghiaccio, in uno dei rari momenti di pace tra loro e gli Æsir. Loki ne osservò le volte a sesto acuto sfiorando con lo sguardo la lavorazione dei capitelli, lo stato di conservazione degli affreschi stratificati gli uni sopra gli altri. Registrava dettagli, individuando nelle figure sbiadite le storie raccontate sulle volte e sulle immense pareti che li circondavano. Ostentava una rilassatezza che non era altro se non una maschera indossata ad arte, capace di ingannare tutti tranne Thor: a lui non sfuggirono il volto tirato e la mascella contratta, né gli occhi mobili e guardinghi del fratello. Il nervosismo del primo figlio di Odino era evidente. Riteneva giusta la posizione di Loki, ma varcare le porte della costruzione era una pretesa che puzzava di profanazione. Erano lì per osservare e accertarsi che Sigyn non fosse morta da un pezzo, d’accordo, ma preferiva l’azione all’esplorazione e tutta quella faccenda lo innervosiva: un conto era combattere contro mostri, giganti, eserciti, troll o un insieme variegato di tutte queste cose, un altro era immischiarsi in faccende di magia e di mistero. Giunsero in un’immensa sala riccamente decorata e più sontuosa delle altre: ovunque c’erano candelabri in bronzo alti come un uomo e reliquie contenute in magnifiche teche di cristallo e bronzo. L’aria era satura dell’odore intenso della cera, dell’incenso e di qualche altro intruglio che veniva bruciato. I due Æsir occhieggiarono incuriositi in direzione dei tesori – erano pur sempre pirati, dopotutto, ma la loro attenzione fu presto catturata dalla figura di un uomo che avanzava deciso verso di loro. Per un momento, l’unico rumore distinguibile fu quello dei loro passi che rimbombavano sul marmo rosso come le pareti; una strisciante sensazione di pericolo percorse la schiena di entrambi. Avevano consegnato ogni arma all’ingresso, ma il dio del tuono era assolutamente certo che il fratello si fosse casualmente dimenticato qualche pugnale addosso. Scommise che lo nascondeva nello stivale.  

 

Nel momento in cui l’uomo li aveva quasi raggiunti, aprì le mani rivolgendo in alto i palmi. Loki assottigliò le palpebre, valutandolo con un dispetto a malapena celato. Thor comprese immediatamente il perché e fu scosso dallo stesso brivido che tese i muscoli dell’altro. Ecco il proprietario del serraglio. I capelli completamente bianchi e le sottili rughe che gli incorniciavano lo sguardo rendevano difficile stabilire la sua età, mentre l’aspetto ascetico non celava la forza palpabile unita a una personalità volitiva. L’abbigliamento sontuoso, composto da una lunga tunica di broccato finemente decorata e un mantello di pelliccia fulva, era un chiaro indizio della sua posizione all’interno del tempio.

“Ecco i coraggiosi figli di Odino,” sorrise loro. “Sono Kalfr, il custode degli Antenati,” si presentò.

Sigurdr, che era un passo avanti a loro, si chinò a terra fino a toccare con la fronte il pavimento di marmo, ma i due Æsir non lo imitarono.

“Ecco il padrone di casa,” esordì invece Loki con una nota ilare e giocosa che contrastava col suo ghigno sbieco.

“Siamo qui perché Sigurdr ci ha chiesto aiuto per sua figlia Sigyn,” spiegò Thor prendendo la parola. “Vogliamo solo accertarci che stia bene.”

“La scintilla sta bene. Questa è la sua casa,” sospirò Kalfr con un sorriso. “Quella in cui avrebbe dovuto vivere senza che gli affari del mondo la turbassero,” osservò fissando Lingua d’Argento.

“Se non fossimo intervenuti sarebbe morta,” ricordò l’ingannatore.

“Sigurdr ha senz’altro sbagliato nello stringere un patto così orrendo,” concesse il monaco. “Le sue azioni hanno provocato dolore – ho pregato a lungo gli Antenati affinché aveste pace.”

Il principe cadetto fremeva. “Ne siamo lusingati. Dov’è lei? Voglio vederla.”

“Sigyn vive una vita di meditazione, preghiera ed espiazione. Incontrarti la turberebbe.”

Thor lanciò un rapido sguardo al fratello. L’ostentata calma di Loki lo impensieriva. Si trattava di una maschera tenuta saldamente su da un sorriso beffardo e appena accennato, pronto però a esplodere in una risata sarcastica e cattiva. Lo vide scoprire i denti bianchi e regolari e allargare le braccia in un gesto conciliante e sicuro rubato a Odino in persona.

“Lo immagino, ma ho portato da Asgard un sacco pieno di oro e di gemme, Kalfr. Per lei.”

Gli occhi scuri dell’altro fissarono la bisaccia colma che l’Ase si era slacciato dalla bandoliera valutandone a mente il peso.

“Tu non la stai salvando,” precisò. “Rimedi alla profanazione che hai fatto, principe. Apprezzo la tua buona volontà, tuttavia.” Kalfr corrugò la fronte ed emise un lungo sospiro. “Potrai vederla e parlarle attraverso la grata, come tutti gli ospiti. La manderò a chiamare e dopo andrete via.”

 

 

“Ti aiuterei volentieri a spaccare ogni pietra di questo posto,” ammise Thor per spezzare la tensione e dimostrare al fratello una vicinanza che non era solo fisica, ma anche d’intenti.

Loki gli rivolse un’occhiata rapida e attenta. “Continuo a sostenere che sarebbe uno spettacolo magnifico,” sibilò tetro. “Ma dubito che nostro padre ne sarebbe contento.”

Il parlatorio era a pochi passi da loro, in un locale spoglio cui si accedeva passando per un lungo corridoio, affrescato con cupe danze macabre volte a ricordare come anche gli Æsir fossero destinati a morire. Alcune figure apparivano scrostate, altre fissavano i due giovani principi con le loro pupille senza luce dai colori sbiaditi. Scheletri abbigliati come guerrieri e principi e regine ballavano in eterno sbeffeggiando i vivi e ogni loro desiderio terreno, conquista, sogno. L’ingannatore ne studiò i volti uno per uno, annotando mentalmente tutti i dettagli che avrebbero permesso una corretta interpretazione dei soggetti raffigurati come il colore dell’abito, le rune che decoravano una particolare spada, le armi impugnate, perdendosi per un momento nell’intrico di figure rovinate. Con gli occhi cercava anche le tracce di una profezia antica: una contro cui si era scontrato e che gli aveva strappato via un pezzo d’anima, lasciandolo esposto e furioso, preda di visioni e incubi. E lui non era – non poteva essere – vittima di niente, neanche dell’orrore inenarrabile che si annidava tra le radici marcite dell’Yggdrasill. Era il figlio di Odino nato per essere re e comandare. Eppure, le figure rappresentate negli affreschi continuavano a fissarlo con le loro espressioni indecifrabili piatte e immobili, con i loro visi più lunghi di quanto non avrebbero dovuto essere.  Cacciò via una serie di pensieri scomodi giusto in tempo per prestare attenzione a Thor.  

“Non c’è nessun piano, nemmeno uno dei tuoi trucchi?” l’incalzò quello. Il tonante sperava, dentro di sé, che il fratello si liberasse dalla tensione che gli gravava sulle spalle sempre diritte e regali, rivelando la gelida furia che a volte gli scintillava negli occhi verdi.

“Ha scelto d’andarsene,” rispose invece l’ingannatore con voce secca e fare spiccio. “E non sono qui per rimangiarmi quanto le ho detto. Salvarla non è nei programmi – l’ho già fatto una volta.”

“Loki, avanti, non crederai che…”

“Non ci provare,” l’avvertì Lingua d’Argento. Si era fermato e aveva parlato con un tono basso, roco, privo di qualunque vena divertita o giocosa, carico, invece, di una nota sinistra, come le sue pupille chiarissime. Non era certo la prima volta che Loki si rivoltava in tal modo contro il primo figlio di Odino, anzi. Accadeva sempre più spesso, ogni volta che il dio del tuono, forte della sua primogenitura e dei diritti che gli derivavano da Mjollnir, lo ammoniva, contraddiceva o gli intimava di stare al suo posto e di chiudere la bocca. Suo fratello mal tollerava ricevere ordini in generale, da lui in particolare. In battaglia o nelle situazioni di pericolo erano capaci d’intendersi con uno sguardo soltanto, ma quella connessione spettacolare era figlia di uno scontro perenne, fatto di affetto, competizione, rivalsa e molto altro ancora. Erano uniti da un legame complicato e strettissimo, che spesso doveva trovare il suo sfogo in una serie di litigate violente e feroci che si concludevano davanti a un paio di corni d’idromele con le nocche spaccate, qualche contusione sparsa e un paio di lividi piuttosto evidenti.

Il fatto era che Loki non gli riconosceva naturalmente alcun ruolo specifico e non dava per scontato che Thor dovesse essere il capo della combriccola: da sempre lo sfidava, lo punzecchiava, ignorando totalmente qualsiasi tipo di autorità, facendo fin troppo spesso di testa propria. Adorava combattere con lui e partecipare alle sue avventure, ma da pari. Se l’altro voleva circondarsi di una banda di adulatori e fare lo spaccone, che facesse pure. C’erano Sif o Fandral o Hogunn per questo. Con lui se lo poteva scordare.

Così come Lingua d’Argento riconosceva i limiti caratteriali del fratello, neanche a Thor sfuggivano i suoi molti ed evidenti difetti, primi tra tutti l’orgoglio e l’insana abitudine a voler sempre raggirare il prossimo. Fu tentato di scaraventarlo al muro e spaccargli la faccia, ma riuscì a trattenersi: in fondo, il male che, presto, Loki avrebbe inferto a se stesso sarebbe stato peggiore di qualsiasi pugno sul naso.

“Fai quello che ti pare, idiota insolente,” decise. Così lasciò che il fratello lo superasse per raggiungere, finalmente, la sala troppo ampia dove avrebbe incontrato Sigyn. Una più spoglia, con i muri dipinti di un color ocra sbiadito e l’intonaco rovinato, avvolta in una penombra opprimente e fastidiosa.

 

 

L’ingannatore aggrottò la fronte: l’ambiente era diviso a metà da una fitta grata e il rumore sordo che facevano i suoi stivali calpestando il pavimento gli suggerirono che ogni sospiro o parola scambiati con l’ancella sarebbero stati amplificati dall’acustica della stanza. Lei ancora non c’era. Loki si fermò a pochi passi dalla fitta rete di ferro e guardò verso la porticina da dove l’avrebbe vista comparire. Fu tentato di dirle perché Sigurdr lo aveva chiamato. Assaggiò ognuna delle frasi da rivolgerle come si trattasse di un buon sorso d’idromele, pregustando il sarcasmo feroce che le avrebbe riversato addosso fin quando fu raggiunto da uno scalpiccio leggero. Lo aveva voluto lei, eppure.

Se n’era andata per obbedire a un padre ingiusto e vile. Raddrizzò la schiena e attese che comparisse. Serrò la mascella quando vide palesarsi tre figure, strinse le palpebre quando due di esse rimasero sulla soglia, nascoste, e una, sottile e cauta, avanzò verso la grata.

Ricordò com’era quando aveva deciso di portarla via con sé, ad Asgard. L’abito rosso, i folti capelli color dell’oro tenuti a malapena a bada da un paio di trecce laterali, il collo lasciato libero da ogni gioiello, le braccia tintinnanti com’era nell’uso di Vanheim. Aveva pensato che fosse bella. Osservandola oltre la rete di ferro cercò nel suo volto pallido lo sguardo fiero e impertinente che l’aveva colpito, ma Sigyn, più magra di quanto ricordasse, evitava di guardarlo. Il vestito che indossava non era quello tipico delle ancelle, ma uno informe, di stoffa più grezza, che nascondeva il corpo spossato. I begli occhi grigi, prima sottolineati dalla polvere nera che ne esaltava la sfumatura ardesia, erano segnati dalla stanchezza, i capelli costretti in una treccia severa che lasciava involontariamente libere alcune ciocche chiare.  Si chiese perché non gli puntasse addosso quel suo sguardo sfacciato e inquisitore, dove fosse finito il suo spirito altero, di principessa, come mai rimanesse a pochi passi da lui, senza dirgli una parola. Possibile che le punizioni e le mortificazioni subite l’avessero piegata così tanto?

Esibì un sorriso forzato e si avvicinò di un passo per seguire la linea delicata del naso, per riappropriarsi dell’immagine di lei che arricciava le labbra offesa. “Mia signora, quanto tempo. Le preghiere ti consumano?” ghignò – insinuò. Come avevano osato ridurla così, come era riuscita a ridursi così.

Sigyn, finalmente, alzò il capo verso di lui e impallidì, aggrappandosi alla grata con le dita sottili. “Loki,” boccheggiò, “perché sei qui?”

Non lo aveva apostrofato con lo stesso tono insolente che usava ad Asgard quando, pur essendo un ostaggio, godeva di una libertà mai provata prima; c’era una sfumatura diversa nella sua voce, una che l’eco della stanza catturò con sé e che Loki colse, ma non seppe come interpretare. Ebbe un presentimento oscuro, ma lo ignorò. L’acutezza di pensiero per cui era famoso in tutti i Nove Regni era offuscata dall’ira e dall’orgoglio bruciante. Ecco come mai sul momento non volle considerare che l’ancella lo aveva riconosciuto solo sentendolo parlare. Preferì dirsi che fosse sotto l’effetto degli intrugli del tempio – sentì lo stomaco contrarsi in un groviglio basso e oscuro, a quel pensiero.

“Avevo delle questioni ancora aperte con Sigurdr,” le confessò crudele e impietoso. “Stavolta l’ho ascoltato io.”

Si avvicinò di più al telaio di ferro tanto da posare sopra il metallo la pelle e respirare il suo odore indimenticato, dolce e inebriante, sentire su di sé il suo respiro rotto. Lei era tesa, sconvolta. L’Ase poggiò le dita sopra le sue e l’ancella non si mosse, ma quel contatto fece tremare entrambi di rancore e desiderio e nostalgia. Loki non poteva immaginare che Sigyn non fosse più in grado di distinguere il verde chiarissimo dei suoi occhi nemmeno da quella distanza. Sembra che io debba pagare per te, per averti avuta. Pare che mi spettino i compiti di un marito o di un amante o di entrambi. Che ironia. Ricordò Kalfr e il suo sorriso sicuro e pensò che il custode si stesse divertendo alle sue spalle. Decidere d’incontrarla non era un’opzione o un capriccio, ma un passaggio inevitabile, per quanto insidioso. Era l’unico modo per riuscire a dimenticarla, a estirparsela dall’anima fingendo che non fosse mai esistita. Ecco quello che avrebbe dovuto fare un re. Privarsi d’ogni inutile debolezza a qualsiasi costo.

 

C’era stato un tempo in cui aveva creduto che assecondare impulsi e passioni fosse l’unico modo per liberarsene. Non aveva funzionato.

Scelse con cura le parole. “Sembra che io debba pagare per aver offeso gli antenati[1],” le rivelò a denti stretti, sfiorandole con la mano libera la guancia serica e violando, per l’ennesima volta, le distanze tra loro. Di nuovo l’antica e irresistibile tensione li scosse insinuandosi sotto la pelle, infiammando loro le vene e i nervi.

Sigyn non riuscì a fuggire da quel tocco né a lasciare la grata: sussultò quando le dita di Loki le accarezzarono le labbra e pensò che fosse crudele, come la sua voce secca e roca.

“Eravamo in due. Non devi dare più niente agli antenati,” sostenne fiera. “Ho lasciato il tuo mondo.”

 

C’era stato un tempo in cui si era sforzato di resisterle: lei aveva preso possesso della sua testa trasformandosi in un’ossessione, in un bisogno che non si era placato nemmeno quando l’aveva tenuta finalmente tra le braccia. Si ripromise di bruciare una volta per tutte la stola di seta che teneva in un angolo dimenticato della sua stanza, ad Asgard.

 Dietro la grata che avrebbe potuto facilmente distruggere col seiðr, c’era la donna per cui aveva lottato e versato il proprio sangue di principe e futuro re. Ghignò, immaginando per un momento, uno solo, di portarla via. Solo che Sigyn aveva scelto la sua vocazione e lui, Loki di Asgard, era troppo orgoglioso e fiero per dimenticare che la decisione di andarsene e di diventare un’ancella spettava unicamente a lei. Che vivesse la vita che credeva di meritare.

“Ma il tuo mondo non ha lasciato il mio. Sigurdr non è della stessa opinione. È venuto a cercarmi, supplicandomi di salvarti un’altra volta, scintilla,” spiegò beffardo. “E ora so il perché,” aggiunse. “Che ti fanno, qui? Per cosa ti fanno pregare?”

Il viso di Sigyn scolorì improvvisamente. Tentò di allontanarsi e fu allora che l’Ase s’accorse definitivamente che gli occhi di lei seguivano la sua voce e non il suo sguardo. Loki deglutì, ma non chiese. Non era ancora il momento.

 

Se l’ancella fosse riuscita a cogliere la tensione che congelava le labbra sottili dell’ingannatore, a riconoscere almeno una delle ombre che gli velavano lo sguardo, avrebbe compreso e gestito meglio l’incontro. Poteva, certo, indovinare parte di ciò che Loki pensava dal tono spiacevole con cui parlava di Sigurdr, ma l’assenza quasi totale della vista e lo sgomento provato nel ritrovarlo all’improvviso a pochi passi da lei – così diversa e prostrata rispetto alla donna che lui aveva conosciuto e amato – la resero più cieca di quanto già non fosse. Non poteva spiegare o giustificare o difendersi. Lui avrebbe potuto capire e perdersi.

Per favore, lascia questo posto e ignora tutto il resto. Dimentica me,” concluse, sforzandosi di mantenere un contegno che avrebbe voluto, in realtà, abbandonare. Lui non sapeva ancora niente, altrimenti la sua reazione sarebbe stata diversa – più furiosa. Sconvolto, l’avrebbe accusata di tradimento, lei, che gli era stata così disperatamente fedele da rinunciare a lui, a loro, alla libertà. Loki era un’ombra indistinta, una macchia sfocata di cui non riconosceva più i tratti. Era una voce ammaliante e carica d’ira, incapace di consolarla e di confessarle la delusione che gli graffiava il petto. Poteva sentire l’orgoglio di cui l’ingannatore era intriso nel modo in cui imprigionava le dita tra le sue. Era e sarebbe rimasto per sempre il pirata sfacciato che l’aveva portata via dalla sua casa, ma anche colui che era riuscito a salvarla, impedendole di finire immolata a quanto di più oscuro c’era nei Nove Regni. Un qualcosa contro cui Loki si era scontrato e che aveva esaltato il suo naturale cinismo, accentuato il suo modo spregiudicato di guardare il mondo e le cose, abbassato, forse prima del tempo, il suo personale confine tra il bene e il male. Si era sempre fregiato di aver agito esclusivamente per la propria gloria personale, per la corrosiva sete di sapere che lo animava, eppure. Prima che potesse annegare nella nostalgia, lo sentì abbandonarsi a una risata secca e sarcastica, che gli uscì dal petto mentre ancora teneva le dita intrecciate alle sue. Com’era il sorriso di Loki? Le sue labbra sottili e astute si allargavano in un ghigno sbieco, che gli scopriva i denti bianchi e regolari dandogli un’aria furba, insolente e divertita insieme. Lo ricordava ancora.

“Era questo quello che volevi, mia signora? Sei libera adesso? Qui l’incubo è finito?” s’interessò. Avrebbe voluto dirle che era diventata insipida e scialba come una rosa appassita, ma scoprì con fastidio di trovarla incantevole anche così.

Sigyn serrò le labbra, continuando a sperare che non s’accorgesse del suo sguardo vuoto. “E i tuoi incubi, Loki, sono finiti? Mi basta sapere questo.”

“I miei incubi non cesseranno mai più, temo. E quando diventerò re, troverò un modo per usare opportunamente la tua scintilla,” le promise. La voce gli vibrava d’orgoglio e, lentamente, la lasciò libera, senza domandare cos’avesse spento i suoi occhi.

Gli tornarono in mente parole antiche, appartenenti a un’antica profezia. Sigyn gli aveva mentito.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

Abbiamo scoperto qual è stato il destino di Sigyn. Anche in questo capitolo siamo rimasti nel presente, ma. Abbiamo scoperto o confermato cose. Il dialogo tra Sigyn e Loki è stato complicato da scrivere e proseguirà anche nel prossimo capitolo, sappiatelo!

Tengo molto a questa storia, quindi spero di aver fatto un buon lavoro e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate <3 per me è molto importante **.

 

Vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Occhio che la settimana prossima torniamo (per davvero, stavolta) nel 1982: non mancate <3

 

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Riprende volutamente le frasi sopra.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

 

Sigyn era diventata cieca. La consapevolezza gli attraversò la mente con lucida precisione. Comprendendo che lei non lo vedeva davvero, si concesse di scrutarla soffermandosi sulle nocche che si aggrappavano convulse alla grata, sul respiro corto e nervoso, sulle labbra tremanti e, infine, sugli occhi velati di lacrime fiere, ma fissi e senza luce. Si domandò come avesse fatto a perdere la vista e decise che fosse colpa di Kalfr o che si trattasse di un qualche tipo di sacrificio volto a espiare la sua presunta colpa. Una sorta di bieco contrappasso che gli fece storcere la bocca in una smorfia carica di disprezzo. Oppure. Il pensiero lo gelò, caricandolo al contempo di una furia fredda. L’eco di un ricordo vago, sepolto da qualche parte nella sua testa, camuffato dal rancore e dal desiderio, prese a pungolarlo con insistenza. Pensò agli incubi che avevano tormentato entrambi e che ancora non lasciavano andare lui. Alla scintilla si erano spenti gli occhi. Sembrava l’inizio di un poema composto da un buon bardo – c’era un’antica profezia su una luce che smetteva di brillare, da qualche parte, sì, ma dove, anzi perché?

In fondo, si ripeté, lei aveva scelto, preferendo essere una delle serve di Kalfr che.

Il pensiero si interruppe dolorosamente a metà, perché Loki non aveva mai voluto definire cosa fosse, anzi, fosse stata per lui Sigyn; ogni termine gli era sempre parso inadatto – e alcuni, come certi incantesimi proibiti, erano semplicemente impronunciabili.

E poi, lei avrebbe dovuto essere sincera in nome di quello che avevano trascorso, della lotta contro il tempo e il destino combattuta da entrambi. Invece era evidente come si stesse trattenendo, soffocando la verità con l’ostinazione che le era propria – quella sì, non gliel’avevano ancora portata via. Ad Asgard lo avrebbe affrontato sfidandolo come aveva fatto troppe volte, certa che lui non sarebbe riuscito a farle del male – ma una volta, per le Norne, una volta l’aveva fatto. E ancora non riusciva a pentirsi per quel gesto, come non avrebbe provato alcun rimorso all’idea di quello che stava per farle.

Era un inganno lecito, dopotutto: doveva sapere cosa si celasse dietro la maschera che lei, incauta, incantevole, perduta, gli stava mostrando. Gli serviva una conferma, una che desse un senso alla fuga di lei, alla decisione di trascorrere il resto della propria vita sfruttata dentro le quattro mura marcite e affrescate di un tempio.

Le rivolse un sorriso breve e mesto, uno che l’ancella non poté cogliere, non privo di una punta di velenosa ironia. “Che i tuoi antenati ti proteggano, allora.”

Sigyn s’irrigidì e rispose al commiato con un cenno lieve del capo, ma i suoi occhi erano puntati verso il basso, in direzione del pavimento di pietra su cui, presto, avrebbero cominciato a rimbombare i passi, sempre più distanti, dell’Ase. O, almeno, così lei avrebbe creduto.

Il seiðr era una forza capace di alterare la realtà, di acuire le percezioni, di sanare e disfare in egual misura. Ma, soprattutto, infiammava le vene del figlio cadetto di Odino, sinistramente portato a ogni arte che ne prevedesse l’uso.

 

Sigyn non vide Loki andar via. Non poteva più. Rimase in ascolto dei suoi passi che si allontanavano, riconoscendo la cadenza tipica degli stivali dell’ingannatore, secca e decisa come il principe che era. Lo amava ancora e non avrebbe smesso mai. Poggiando la fronte sulla grata metallica, rimpianse i baci ansiosi scambiati di nascosto, il corpo tonico e scattante contro cui si era stretta per troppe notti, i sospiri rotti che li avevano traditi. E poi l’odore, il profumo inebriante e ritrovato della sua pelle misto al cuoio dell’armatura intrecciata, che l’aveva ferita riportando a galla tutto questo e molto altro ancora.

Si odiò per la sua debolezza, per ogni singolo momento perduto che avrebbe voluto di nuovo afferrare, prezioso perché effimero, breve, irripetibile. Il rumore si affievolì sempre di più fino a diventare indistinguibile o, forse, era Sigyn stessa che non riusciva a concentrarsi tanto da sentirlo. L’incontro con Loki, inaspettato e doloroso, era riuscito a spiazzarla, a spezzarla. L’aveva detestato con tutte le sue forze, evitando ogni contatto, convincendosi che anche lui la disprezzasse. Era stata ingannata dal suo stesso cuore che aveva confuso il fastidio con l’amore. I passi sicuri di Loki ormai erano spariti; l’ancella lasciò il reticolato di ferro per tornare dalle sue consorelle immobili, silenziose e certamente giudicanti, che l’avrebbero guidata fino nella sua stanzetta. Un compito che senz’altro consideravano ingrato – che valore poteva avere, per loro, occuparsi di un’ancella impura, ai loro occhi doppiamente colpevole? Decise che non le interessava. L’importante era che Loki se ne fosse andato. Tutto il resto rappresentava il male minore. Raggiunse la sua cella e finalmente si ritrovò da sola con i suoi pensieri.

Nella voce dell’ingannatore aveva rintracciato una punta d’amarezza che l’aveva colpita, incuneandosi in mezzo al petto, lì, dove credeva che le preghiere e le mortificazioni avessero seccato ogni cosa. Per un momento, di fronte alle sue frasi taglienti, Sigyn si era convinta che il principe avrebbe commesso qualcosa di così irreparabile e sciocco da distruggere ogni suo – loro – sacrificio. Invece, per fortuna, era troppo orgoglioso e sicuro di sé per portarla via. Ad Asgard l’aveva avvertita che non sarebbe mai più corso a salvarla ed era riuscito a mantenere la promessa, lui che tendeva fin troppo spesso a ingannare le Norne e gli Æsir grazie alle reti infide dei suoi ragionamenti. Sì, nel tono beffardo e secco di Loki c’era rancore. Si era allontanato da lei una volta per tutte – per sempre. Si chiese perché facesse ancora così male, ma non fece in tempo a cercare alcuna risposta. Qualcosa – qualcuno l’afferrò per la vita e le tappò la bocca prima che potesse anche solo gridare, immobilizzandola. Annaspò, immersa com’era in un mondo fatto d’indefinite ombre grigie, finché non avvertì una bocca sfiorarle l’orecchio. Il suo corpo rispose a quel tocco con un sussulto.

“Come mai adesso sei cieca, Sigyn?”

Era lui. Sentì le sue dita sfiorarle le labbra e smise di opporre qualsiasi resistenza. Loki la sostenne, trattenendola contro di sé, come se lei avesse potuto sfuggirgli o cadere. Erano stati amanti, un tempo, e ora si trovavano vicini, senza barriere o sguardi indiscreti a proteggerli da loro stessi, dall’impulso antico che li aveva traditi, condannandoli. E di fronte a una verità inammissibile. Si domandò se anche lui provasse un brivido intriso di nostalgia, al ricordo, se l’improvvisa vicinanza fosse dolorosa come lo era per lei. Avrebbe dovuto immaginare o intuire che incontrarla non gli sarebbe bastato; astuto com’era, si era senz’altro accorto della maledizione e voleva saperne di più, perché nessuna cosa poteva rimanere celata al furbo dio dell’inganno. Fuggire, alla fine, non era bastato, pensò con orrore, perché la scelta di lasciare Asgard era stata fatta per mille ragioni, certo, non ultima quella, egoistica, di proteggere lui. E questo, il fiero principe di Asgard non lo avrebbe mai tollerato. Scelse di eludere del tutto la domanda e si sforzò di riprendere l’antico contegno di un tempo. “Mi hai teso un agguato. Perché?”

Immaginò l’espressione di Loki: una smorfia breve e laterale. “Lì non eravamo soli. Lì hai mentito.”

 “Va’ via. Ti prego.”

Lui non allentò la presa. “Per questo hai sacrificato ogni cosa, hai lasciato Asgard? Per vivere in modo miserabile, odiata da tutti per aver osato guardare il mondo? No, io dico che c’è di più. Questa è una punizione di quell’uomo o peggio,” dedusse tetro. La verità in bocca a Loki aveva un sapore amarissimo. Era sale su una ferita aperta. “La tua vocazione ti ha rovinata e tu vuoi mentirmi ancora,” concluse gelido. Con la mano libera cedette di nuovo alla tentazione di sfiorarle nuovamente la guancia umida e i capelli costretti nella treccia, come aveva fatto poco prima nel parlatorio. Li preferiva sciolti, ribelli, caotici e non l’aveva dimenticata, ma la stava lasciando – voleva farlo e bruciare ogni ricordo di lei, di loro.

“Lasciami andare,” ribadì Sigyn con una forza che, presto, le sarebbe venuta meno. “Non è niente di tutto questo: è una malattia, sarebbe successo comunque,” cedette.

L’aveva quasi detto. La voce dell’Ase s’abbassò, caricandosi di una promessa oscura. “Dovrei solo usare l’incantesimo giusto, per scoprire che mi nascondi,” considerò, alludendo a una delle arti più crudeli che sapeva usare, quella che consentiva di leggere nel cuore e nelle anime delle persone.

Una violazione brutale e dolorosa per entrambi, lei lo sapeva. “E io dovrei solo gridare più forte,” gli mormorò in risposta.

Loki si concesse una risata breve e secca. “Se avessi voluto chiamare qualcuno in tuo soccorso l’avresti già fatto, mia scintilla.”

“Non tua. Di questo posto, degli Antenati. Sua.”

Avvertì la stretta dell’ingannatore farsi più ferrea; pensò che fosse un abbraccio feroce, l’ultimo.

Le rispose dopo un tempo che le sembrò infinitamente lungo. “C’è un’antica profezia,” iniziò infine Loki con voce distante, carezzandole con le labbra la fronte. “Che parla dell’oscurità che calerebbe su Asgard in caso si offuscasse una luce. Parla di te e tu lo sapevi.”

Era un’accusa. Sigyn sfiorò la mano dell’ingannatore che ancora le cingeva la vita e volse appena il capo verso di lui. Avrebbero potuto baciarsi, se avessero voluto. Erano talmente vicini che sarebbe bastato pochissimo – Loki avrebbe dovuto cercarle le labbra, lei sollevarsi in punta di piedi. Non avvenne, nessuno dei due violò lo spazio proibito.

“Ho attraversato il cerchio,” ammise Sigyn. “Niente di tutto questo conta più.”

Il principe degli Æsir non rispose immediatamente. Se l’ancella avesse potuto vederlo, non le sarebbe sfuggito il modo in cui aveva serrato la mascella virile, il respiro trattenuto, il lampo che offuscò i suoi occhi chiari. “Menti ancora, ma non sul rito,” stabilì. La lasciò andare con un gesto secco. “Avresti dovuto dirmelo prima. Se ti fossi fidata, Asgard ti avrebbe protetta.” Non si era esposto personalmente, non l’avrebbe mai fatto. E aveva giurato di non correre in suo aiuto – ma del resto non poteva, non più. Lo assalì una furia gelida, perché tutto quello che aveva rischiato per lei si era rivelato vano. L’aveva persa, gli era sfuggita – e Sigyn aveva preferito rifugiarsi nel Tempio, anziché metterlo a parte di quanto stava accadendo.

“A che prezzo, Loki? Tutto quello che potevamo fare è stato fatto.”

Non l’hai sconfitto, ma solo ingannato. È una maledizione, la mia. È la maledizione.

L’Ase sollevò appena il mento in un gesto di sfida. “Abbiamo già pagato un prezzo molto alto.”

“No,” insistette lei, “tu non hai idea.”

E quell’ultima affermazione, Sigyn lo sapeva, alludeva solo a una cosa.

“Ti prenderà, non è vero?” Il tono canzonatorio e la scelta precisa del verbo lasciavano trapelare, a lei che non poteva più vederlo, la misura di una collera tenuta a malapena a bada. Le girò attorno con le mani incrociate dietro la schiena, scrutando la verità rivelata Il sarcasmo feroce di Loki la investì in pieno. “Sembra che alla fine questa sia stata la tua scelta: non lottare. Eppure, come vedi, il tuo destino mi riguarda ancora, in qualche modo,” sottolineò perfido. L’ultima frase che le disse bruciava d’ira. “La mia trappola non ha funzionato, dico bene? Mio padre lo sapeva?” inquisì. Rise seccamente. “Certo che lo sapeva.”

Non erano domande che attendevano una risposta e l’ingannatore non attese di riceverne ulteriori. Gli bastò osservare il viso stravolto dell’ancella che si mordeva le labbra per non parlare e quei suoi occhi grigi e vuoti che non potevano più posarsi su di lui. Si era preso Sigyn e non aveva potuto averla: non era riuscito a strapparla a un destino orrendo, non era stato in grado di spezzare le catene di un vincolo ignobile. Se ne andò senza voltarsi, maledicendo Sigurdr, le Norne, lei e persino suo padre, così giusto e lungimirante da nascondergli una verità tanto orrenda e importante. Non era l’unica e Loki non poteva immaginare quanto i segreti di Odino fossero incatenati l’uno all’altro. Lo avrebbe scoperto, poi.

 

 

 

 

 

Loki si era preso Sigyn, ma non poteva averla[1]. Era il trofeo intoccabile di una guerra vinta che gli era costata sangue e un’orrenda ferita, quasi mortale. Se la situazione in cui era invischiato non lo avesse riguardato tanto da vicino, avrebbe trovato tutto molto ironico. Sapeva esattamente quali fossero gli spostamenti della ragazza durante la giornata, ma i molti doveri di natura politica e militare in cui era costantemente impegnato e la precisa volontà di frequentarla il meno possibile facevano sì che, agli occhi della mancata ancella, lui fosse una presenza sfuggente, poco più di un’ombra fugace. L’osservava da lontano, tuttavia. Era un suo preciso compito tenerla d’occhio in virtù del potere che emanava: la scintilla che Sigurdr, incautamente, aveva promesso a un abisso di antico terrore senza sapere neanche di averlo fatto[2]. Prima o poi lo avrebbe scoperto comunque, ma per il momento Padre Tutto aveva deciso di tenere nascosta persino alla diretta interessata quella circostanza sfortunata o magnifica, a seconda dei punti di vista.

 

Gettando uno sguardo nel giardino sottostante, Loki la vide passeggiare tenendo per mano Balder, l’inconsapevole spia che le aveva messo alle calcagna. Al fratellino piaceva moltissimo la compagnia di Sigyn. Con lui la ragazza era gentile e al più piccolo dei figli di Odino piacevano i suoi modi dolci e l’accento musicale di un altro paese; si divertiva a mostrarle il palazzo e a raccontarle qualche aneddoto che finiva inevitabilmente per riguardare Loki, Thor e le loro bravate, spesso punite dal re degli Æsir in maniera a volte anche severa. Ascoltandole, Sigyn pareva divertirsi moltissimo e spesso scoppiava in risate allegre e genuine. Come in quel momento.

L’ingannatore la vide buttare il capo indietro e coprirsi la bocca col dorso della mano in un gesto grazioso che non poté evitare d’osservare – o ammirare. Era abituato a vederla tesa, guardinga, ammantata in un contegno che si sposava benissimo col suo ruolo di ancella e di ostaggio di rilievo trattenuto contro la sua volontà ad Asgard; quella visione rilassata gli apparve come inedita e interessante, ma pericolosa. Ecco perché sfruttava Balder: in cambio di un paio di storie spaventose e qualche giocattolo in legno il bambino, senza nemmeno accorgersene e per vantarsi con lui della sua nuova amicizia, gli raccontava per filo e per segno cosa la incuriosiva, le piaceva o detestava.

Mentre Sigyn rideva ancora, Balder alzò gli occhi verso la terrazza e lo vide. Immediatamente, dato che aveva ereditato il difetto di Thor di non sapere quando tenere la bocca chiusa, iniziò a sbracciare e a chiamarlo, catturando anche l’attenzione di Sigyn, che si voltò verso di lui. Loki assottigliò le palpebre indispettito. Non desiderava essere visto, ma ormai tanto valeva scendere da loro e far finta di nulla. Maledisse mentalmente quel piccolo impiastro, che non appena vedeva lui o il fratello iniziava a perseguitarli con la sua presenza più pressante e invadente di un’ombra. Subiva il fascino di entrambi e non vedeva l’ora di diventare un guerriero come loro e, nel frattempo, li sfiancava. Gli corse incontro trascinando Sigyn per una mano.

“Loki, Loki! Dille che è vero che hai scommesso con i giganti a chi mangiava di più!” saltellò esagitato.

Quella citata da Balder era una disavventura che veniva raccontata spessissimo ai banchetti e suscitava sempre molte risate e battute per via della sua trivialità, sebbene sul momento fosse stata un’esperienza a dir poco spaventosa e agghiacciante.

L’ingannatore guardò la ragazza: lei lo fissava con occhi ridenti e aveva le guance rosse, in attesa che lui confermasse o smentisse la buffa storia; i folti capelli le ricadevano sciolti sulle spalle – un intrico color dell’oro leggermente ondulato in cui sarebbe stato bello affondare le dita, pensò.

“È vero, sì,” ammise tranquillo incrociando le braccia dietro la schiena.

“Ed è vero anche che sei stato tu a proporre una sfida tanto strana? Dovevi avere molta fame,” s’interessò Sigyn con un lampo giocoso nello sguardo. Continuava a tenere il bambino per mano ed era evidente come la presenza di Balder accanto a lei la tranquillizzasse.

Loki rise brevemente e s’inumidì le labbra, in cerca di una risposta altrettanto arguta. Lei cercava di coniugare l’immagine altera e fierissima che aveva conosciuto a Vanheim con quella, più scanzonata e allegra, che le proponevano i racconti del più giovane dei figli di Odino. Nel suo interessarsi alla curiosa vicenda c’era una punta di sfida, la stessa che lo aveva ammaliato e colpito al banchetto di Sigurdr, ma velata da una rara quanto preziosa ilarità.

“Io e Thor non mangiavamo da almeno un giorno. Ci è sembrato un buon modo per farci ospitare,” spiegò stirando le labbra sottili in un ghigno laterale. Anche i suoi occhi scintillavano divertiti, ma questo, lui, non poteva saperlo.  

 Sigyn lo squadrò da capo a piedi e si fece più seria. “Però hai anche perso,” lo punzecchiò.

Lo stava valutando. Aveva messo alla prova la sua pazienza, in cerca dei limiti che poteva varcare e di quelli che, invece, era bene non oltrepassare. E la vicenda, si rese conto, le interessava unicamente perché rappresentava una divertente sconfitta. Balder doveva averla stordita con decine di racconti diversi – tutti caratterizzati dalla presenza di incontrovertibili vittorie – ma l’unico su cui lei si era soffermata era quello che lo vedeva uscire perdente.

“Sì, ma alla fine ci siamo rifatti. Occorre sempre trarre insegnamento dalle disavventure,” spiegò affabile, regalandole un sorriso sbieco e divertito, affascinante. Sigyn rispose increspando appena le labbra verso l’alto e annuendo; evidentemente aveva trovato la sua risposta arguta al punto giusto. Loki fece per andarsene, rispondendo brevemente alla raffica di domande di Balder su quando si sarebbe allenato con Thor e se poteva venire a vederli e se voleva dargli qualche lezione di tiro con l’arco, ma prima che si allontanasse Sigyn lo richiamò.

“Avrei qualcosa anche io da domandarti,” iniziò con un pizzico di disagio nella voce.

Loki inarcò un sopracciglio, ma gli venne spontaneo continuare a comportarsi in maniera affabile. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione e che lei lo guardasse come aveva fatto, con un misto di stupito divertimento, piacevole come il tagliente occhieggiare di cui lo aveva fatto oggetto nelle ultime settimane. “Spero non riguardi qualche altro curioso episodio delle mie gloriose gesta,” ironizzò.

Lei scosse il capo. “No, purtroppo. Ho rotto la chiusura di un bracciale,” spiegò. “È un regalo di mia madre. Magari sapresti indicarmi un buon fabbro.”

Lo sguardo di Sigyn si era velato d’ombre: il riferimento alla famiglia da cui era stata strappata cancellò immediatamente l’atmosfera allegra di poco prima. Aveva praticamente sempre vissuto rinchiusa in un palazzo assieme alle sue sorelle e alle compagne, perlopiù lontana dai genitori, ma l’ingannatore sapeva che le ancelle ricevevano frequenti visite dai loro parenti più prossimi. Immaginò che la madre di Sigyn venisse in visita almeno una volta al mese per portarle dolci, abiti, libri e altri piccoli regali. “Lo hai con te? Fammelo vedere,” s’interessò.

Lei tirò fuori da una tasca della gonna il gioiello e glielo porse, facendo attenzione che le loro dita non si sfiorassero. Loki lo esaminò. Era lo stesso che le aveva visto tintinnare al braccio la sera in cui aveva deciso di pretenderla come pagamento per il proprio sangue versato. Sentì qualcosa agitarsi nel proprio petto, ma non si chiese se, tornando indietro, avrebbe ripetuto il gesto di portarla via. Una voce dentro di lui gli suggerì che sarebbe caduto comunque nell’identica rete, anche sapendo della scintilla e dell’atto orrendo di Sigurdr – e pensarci gli fece venire la nausea.

“Posso riparartelo facilmente io,” si espose dopo un momento. “Se non hai paura che possa incantarlo con qualche stregoneria, s’intende.”

 

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Siamo in quarantena e, se mi avessero detto due mesi fa che sarebbe successa una cosa del genere, non ci avrei mai creduto. Mi sembra di vivere in un film e credo che per voi sia lo stesso (tra l’altro essendo una che guarda tanti, tanti film anche horror questa situazione mi sa davvero di surreale). Nei primi giorni della quarantena, nonostante abbia aderito con forza allo slogan e alle direttive all’#iorestoacasa sono stata presa dallo sconforto e neanche i miei amatissimi Loki e Sigyn sono riusciti a tirarmi su. Ho il cuore da un’altra parte, vicino e lontano.

 

Ma rifugiamoci ad Asgard: Loki non ha salvato Sigyn nel presente. Aveva detto che non lo avrebbe fatto e non lo ha fatto.

Tornano, invece, i momenti nel passato, che da adesso in poi riprenderanno con forza alternandosi al presente. Capiremo, così, a cosa sia stata promessa Sigyn, i tentativi di Loki per salvarla e cosa effettivamente rappresenti la Scintilla, questa caratteristica di cui Sigurdr era, inizialmente, all’oscuro, ma che nel presente conosce. Con la quarantena rileggerò la storia daccapo, ma v’assicuro che tutto torna e tornerà. Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

Penso che il prossimo aggiornamento sarà “Solo un accordo,” e vi invito a fare un giro sulla storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove va l'anima quando moriamo?

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Torniamo al passato! ^^

[2] Nel presente Sigurdr sa della scintilla, gli è stato detto, ma nel passato, come viene evidenziato nei primi capitoli, no.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

 

 

Sigyn lo fissò per un momento di sottecchi. Non si fidava di lui e schiuse le labbra per rispondergli a tono, ma poi cambiò idea e scelse una frase forse altrettanto pungente, ma più faceta. Dovette pensare che era prigioniera, un ostaggio suo: gli porse il braccialetto.

“Se tu lo incantassi davvero, non faresti altro che confermare l’opinione che ho su di te,” l’avvertì.

 Gli occhi di Loki lampeggiarono incuriositi. “Ma se non lo facessi, di certo non inizieresti a fidarti,” rise. Stanco di quella discussione di cui non capiva il senso, Balder gli tirò un lembo della casacca. Si annoiava e non capiva il gioco di battute e di sguardi che intercorreva tra i due. Sigyn con suo fratello era diversa, più tesa e controllata. Gli sembrava che provasse antipatia per lui e Loki, dal canto suo, faceva di tutto per indispettirla, ma in modo diverso da come si muoveva quando voleva stuzzicare Thor o qualcun altro. Era come se si spiassero l’un l’altro parlando una lingua che gli era sconosciuta. Il bambino non poteva captare la tensione esistente tra l’ingannatore e il suo premio perduto; di fronte alla sua impazienza, Loki alzò teatralmente gli occhi e gli scompigliò la corta zazzera bionda.

“Adesso vai, impiastro. Non sei la mia ombra,” sibilò. Fece sparire il gioiello nella tasca interna della casacca, ma nonostante l’avvertimento Balder era ancora lì, a dondolarsi da un piede all’altro.

“Al tramonto tu e Thor combatterete? Possiamo venire alla cerimonia?” insistette. Loki arricciò le labbra. Si trattava di un’esibizione rituale, una sorta di danza feroce fatta con le armi in pugno, necessaria per quietare le anime dei defunti e placare gli spiriti, fatta anche per propiziare il raccolto e celebrare la prosperità del regno di Odino. Si trattava di un blót, una cerimonia che lei non aveva mai visto capace, di certo, di incuriosirla e spaventarla al tempo stesso: al termine del rito ci sarebbe stato un sacrificio lecito, ben diverso da quello che.

Serrò la mascella. Non era ancora riuscito a trovare una via di fuga valida o efficace che la salvasse. Loki la vide impallidire, a disagio. A quell’ora lei officiava i suoi servizi. L’idea che fosse così devota lo irritò, perché gli antenati che lei pregava non l’avrebbero liberata dal suo destino, anzi. “Per oggi le sei stato dietro abbastanza,” decise, rivolgendosi al fratello.

Si era imbattuto nelle antiche cronache redatte quando il regno di Bor era giovane, smarrendosi nei rari resoconti dei rituali che suo nonno, disgustato, alla fine aveva proibito con forza. Si trattava per la maggior parte di racconti incompleti, spesso confusi, pieni di omissioni e, il principe lo intuiva, di menzogne. Erano lasciti di tempi oscuri e brutali, ricchi di caos. Imbattendovisi, l’animo di Loki aveva oscillato tra l’orgoglio per il pugno di ferro con cui il predecessore di Odino aveva legiferato spazzando via usanze oscene e una curiosità sfacciata verso il tetro caos che mostravano. In fondo, la conoscenza era sempre inebriante, come l’idromele vagamente speziato che gli scorreva in gola durante i banchetti. Era uscito da quelle ore di studio forsennato con la testa che gli girava per la stanchezza e per le troppe idee in testa; non aveva nessuna soluzione a portata di mano e solo una domanda in gola, una che lo pungeva spingendolo ad agire in una direzione contraria ai voleri di Padre Tutto. Lei quanto sapeva?

Aveva raccolto un gran numero d’informazioni tradotte faticosamente a lume di candela, ma tutte concordavano che la scintilla possedeva sicuramente una seppur vaga coscienza di sé, una cognizione capace d’indirizzarla verso una qualche forma di consapevolezza, esattamente come avrebbe fatto un raggio lunare nella tenebra notturna.

Si allontanò, ma gli parve di avere gli occhi di Sigyn addosso; non si voltò per scoprirlo. Lei era intoccabile e persa e Loki, che l’aveva desiderata il tempo di una sera, non volle ricordarsi di quanto fosse desiderabile. Non era niente: c’erano ragazze più belle di lei, senza maledizioni addosso, che lo avrebbero accolto con piacere nei loro letti. Cosa avrebbe fatto di Sigyn se si fosse trovato davanti una semplice ragazza avviata a servire gli antenati? Si sarebbe divertito a trascorrere con lei qualche notte, senza dubbio, ma poi avrebbe fatto ciò che faceva con tutte. L’immaginazione gli concesse una visione breve e fervida di quel momento e si ritrovò a ghignare da solo in uno dei molto corridoi di Asgard, al pensiero di lei e di quel suo sguardo sprezzante. Avrebbe spezzato le sue resistenze, , prendendosi qualcosa che spettava a un altro, ma che lui si era guadagnato, aveva meritato. E poi? Si sarebbe abituato alla sua presenza, finendo per trovarla noiosa. Priva della novità, spogliata dall’aura d’intoccabilità e di nobiltà che aveva sfoggiato presso la casa di suo padre, Sigyn si sarebbe trasformata in una delle molte dame che giravano per Asgard. E lui avrebbe contato ognuno dei suoi difetti, domandosi come avesse fatto a invaghirsi di lei, seppur brevemente e in maniera del tutto superficiale. I ragionamenti di Loki erano così: lucidi, pragmatici, tanto realistici da sfiorare il cinismo. Nel mondo non c’era giustizia: le leggi degli Æsir erano fatte per riportare l’ordine, ma il caos premeva da ogni lato per divampare, esplodere e far nascere un nuovo equilibrio, spaventoso perché ignoto. Non indagò, però, sul perché giudicasse tanto essenziale starle a debita distanza. Obbedire agli ordini di suo padre gli era sempre pesato – eppure, in quel preciso frangente, sentiva che si trattava di una misura giusta e necessaria.

 

Il bracciale cui Sigyn teneva tanto era un gioiello delizioso, di splendida fattura. La maglia, finemente cesellata, ospitava una serie di gemme splendenti e d’incredibile purezza viola, verdi e gialle. La chiusura era rotta, ma Loki, chino sulla scrivania del suo studio che fungeva anche da laboratorio, riuscì a sistemarla con facilità quella stessa mattina. Mentre teneva tra le dita il monile, si sorprese di quanto fosse piccolo di circonferenza. Sigyn aveva il polso delicato e sottile di una fata dei racconti. Non se n’era accorto, anche se un paio di volte l’aveva aiutata a scendere e a salire dal drakkar offrendole la mano. In un’occasione la barca aveva eseguito una virata brusca e lei gli era piombata addosso, certo: in quel momento, Loki aveva impedito che cadesse stringendola istintivamente a sé e accorgendosi di quanto fosse leggera e minuta. Immaginò di nuovo quello che le sarebbe successo e arricciò le labbra in una smorfia, tenendole serrate finché non finì di aggiustare il gioiello. Era poco più di una ragazzina, maledizione.

Non gli piaceva l’idea di cercarla per restituirle il bracciale e così lo ripose nella bandoliera e si ripromise di darglielo non appena gli fosse capitata a tiro. Era stato cortese con lei perché era pur sempre un ostaggio di riguardo: girare per le fucine era qualcosa che non le competeva[1]. In più, non si fidava affatto di Sigurdr, che certamente non sarebbe rimasto con le mani in mano ad attendere che la disgrazia si abbattesse sul suo feudo. Se Sigyn non avesse intrapreso ognuno degli orrendi passi che l’avrebbero portata verso quell’essere, lui, che l’aveva promessa, sarebbe stato il primo a pagare. E questo, a Loki, non sarebbe dispiaciuto affatto.

 

Sigyn aveva davvero osservato a lungo Loki, seguendolo con lo sguardo finché non era sparito. Non riusciva a smettere di fissarlo, controllarlo, studiarlo. In quanto ospite trattenuta con la forza, non aveva un completo e libero accesso a ogni angolo del palazzo di Asgard. Durante il giorno poteva muoversi più o meno liberamente entro alcuni spazi circoscritti che il principe evitava accuratamente: le era concesso passeggiare nei giardini di Frigga, cucire assieme a lei e recarsi al tempio a pregare, ma per qualsiasi altro spostamento al di fuori delle sue stanze doveva necessariamente essere accompagnata. Nei mesi seguenti, Odino le avrebbero dato l’illusione di poter andare ovunque volesse tranne che negli appartamenti abitati dalla famiglia reale, certo com’era che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarla a scappare – assolutamente sicuro che, in ogni caso, lei non lo avrebbe mai fatto, ma in quelle prime, rapide settimane Sigyn era ancora trattata e considerata come una prigioniera straniera da guardare a vista. La figlia di Sigurdr era abituata a condurre la sua esistenza nello spazio circoscritto di un tempio, come ogni brava ragazza di Vanheim; in teoria non avrebbe dovuto provare nostalgia della libertà negata. Non poteva mancarle una galoppata disperata sulle brulle collinette che circondavano i fiordi di Asgard, né rimpiangere il vento salmastro che si godeva dalle scogliere a picco sul mare, eppure ogni cosa della terra degli Æsir la spaventava e l’attraeva a un tempo: provava l’indicibile desiderio di conoscere il mondo selvaggio in cui era capitata e verso cui provava una curiosità incredibile. All’inizio si era lasciata stupire dall’impatto delle montagne che si ergevano dalle onde e dalla sontuosità del palazzo di Asgard fatto di legni pregiatissimi e d’oro, ricoperto d’incisioni e affreschi che celebravano le vittorie di Bor e della sua stirpe tutta, Loki e Thor compresi. Poi, col passare dei giorni, aveva iniziato a registrare con grande curiosità ogni dettaglio di Asgard e dei suoi abitanti: l’affascinavano i loro abiti di foggia barbarica, con i mantelli bordati di pelliccia e le tuniche pesanti, fermate da grosse cinture in cuoio e da splendide fibule. Scoprì, suo malgrado, di trovare belle le raffigurazioni stilizzate che ornavano armi e armature, la colpì la moda d’intrecciare i capelli in una maniera tanto diversa da quella di Vanheim. Quello governato da Odino era un popolo austero e feroce, ma non privo di un’eleganza sobria e guerresca.

L’unica cosa che la turbava era il sorriso scaltro e indecifrabile di Loki, che pareva perennemente sul punto di canzonare o ferire, salvare o condannare. Sigyn sapeva di dovere la sua prigionia a lui. Non riusciva a dimenticarsene nemmeno per un istante. Lo temeva, eppure anche dopo che erano scesi dal drakkar aveva continuato a cercarlo con gli occhi, come se l'osservarlo nella sua casa potesse proteggerla in qualche modo. Lui si faceva vedere raramente, ma quando capitava che lo scorgesse, qualcosa dentro di lei si scioglieva e, allo stesso tempo, il suo corpo veniva scosso da una tensione violenta e incontrollabile, da un fremito basso fatto di paura e dispetto.

La prima sera in cui era arrivata ad Asgard non era riuscita a chiudere occhio nonostante la stanchezza. Dopo aver trascorso tanti giorni in mare senza esserne abituata soffriva la terraferma[2], ma soprattutto temeva la nuova realtà che le si prospettava davanti. Le era stata data una camera ampia e soleggiata, che si affacciava sugli stessi giardini che le sarebbero diventati tanto famigliari, arredata semplicemente e senza sfarzi particolari, ma stendendosi nel letto, quello sì, su cui campeggiavano numerose coperte e pellicce per difenderla dalle temperature rigide della notte, si era domandata, tendendo l’orecchio a ogni più piccolo rumore, quanto fosse realmente al sicuro. Nessuno aveva turbato la sua tranquillità e lei, verso l’alba, era finalmente caduta in un sonno breve e tormentato, popolato d’immagini del suo passato più recente.

 

Quando Loki individuò Sigyn tra la gente venuta ad assistere al sacrificio e al seguente rito diede immediatamente la colpa a Balder, quel moccioso insistente e frignante che gli girava sempre attorno, ma in realtà si sbagliava: la ragazza era venuta fino all’hov, l’antica costruzione dalle pareti interne decorate con l’oro dove si celebravano i riti Æsir, per volere di Frigga in persona. Lui e Thor, nudi fino alla cintura armati e di due lunghe spade ciascuno, avevano il respiro corto per la recente lotta rituale che avevano intrapreso. Sui loro corpi scolpiti e asciutti, ancora tesi per lo sforzo della recente esibizione, il sudore che imperlava i muscoli si mescolava alla cenere che si erano sparsi sul volto e sul torace contratto. Loki, col petto che s’alzava e s’abbassava rapido, la vide e sollevò il mento quasi come se volesse sfidarla. Lei lo fissava curiosa dall’alto in basso regalandogli l’ennesimo sguardo di fuoco, strettamente avvolta in un mantello di lana, i pensieri schermati dietro il suo portamento severo, di principessa. Contrariamente a quanto aveva creduto all’inizio, gli piacque che Sigyn lo vedesse in quel momento, scarmigliato e feroce; si chiese anche da quanto stesse assistendo alla cerimonia e cosa, eventualmente, pensasse dello scontro, facente parte della sua fase più spettacolare. L’ingannatore avrebbe potuto scoprire cosa si celasse nella sua testa, ma poi avrebbe sollevato il velo che circonda i pensieri più profondi di ogni individuo e lei, alla fine, gli sarebbe parsa meno interessante. O troppo, il che era sbagliato lo stesso. Il blót era in pieno svolgimento e Thor richiamò la sua attenzione schiarendosi la voce. Al soffitto erano appesi i corpi delle vittime già sacrificate, al centro della sala gremita bolliva, grazie al fuoco alimentato da nove tipi differenti di legno, il calderone pieno dell’idromele speziato che avrebbe connesso, per un momento, il mondo dei vivi con quello dei morti, in un banchetto dove fantasia e ragione si sarebbero confusi. La mente svelta dell’ingannatore si soffermò sull’amarezza di certe analogie. Lei fissava – giudicava – il rito, ignara che presto avrebbe fatto parte di uno ancora più sanguinario e spaventoso. Credeva certamente che l’adorazione e il rispetto che tributavano ai loro antenati lei e gli abitanti di Vanheim fossero più pacifici e clementi del barbaro spettacolo cui stava assistendo, invece anche lei faceva parte dello stesso orribile disegno che rendeva schiavi tutti loro. Non doveva essere lì.

La vittima sacrificale era stata un magnifico animale e Odino e il sacerdote si imbrattarono le mani nel suo liquido caldo e vermiglio, bagnando le pareti scintillanti d’oro, le statue di Bor, gli intarsi dove i drakkar dalle bellissime prue decorate con mostri marini si intersecavano con raffigurazioni dell’Yggdrasill. Il sangue fu asperso sulla folla, raggiungendo Loki e Thor in prima fila, macchiando anche lei. Poi fu il turno dell’idromele nel calderone, il cui profumo già inebriava gli spiriti invisibili. Bevve per primo Odino e poi fu il turno di Frigga e del fratello e suo. Fu lui, già inebriato dal sapore dolciastro e fortemente speziato della bevanda calda, a cercare Sigyn offrendole il corno. Rifletté che era la terza volta in cui le porgeva da bere e che stava diventando una curiosa abitudine[3]. Lei abbassò le ciglia su di lui trattenendo persino il respiro; fece scorrere lo sguardo sul petto largo e ben sviluppato dell’Ase, sull’addome segnato dalla linea ben definita dei muscoli, sulle braccia agili, quasi volesse contare i segni sparsi delle cicatrici antiche e leggere che lo segnavano. Esitò, rifiutandosi di diventare parte integrante del rito. Loki piegò le labbra in una smorfia. L’effetto dell’idromele cominciava a stordirlo leggermente e si sentiva la testa leggera e pesante assieme.

“L’hai già fatto. Bevi,” le intimò.

Sigyn era spaventata e scosse la testa. Due trecce appuntate sulla testa alla maniera degli Æsir le scoprivano il visto delicato, su cui spiccavano gli occhi grandi, rotondi e dolci, il naso leggermente a punta e le labbra esaltata da un piccolo neo. Loki le fissò immaginando di sfiorarle con la punta delle dita o con le proprie e mandò giù un altro sorso davanti a lei. Il seiðr, aggrappato alla sua anima, infilato nel suo sangue, reagì facendogli tendere ulteriormente la schiena già dritta. Poteva sentire ancora più distintamente come Sigyn fosse la scintilla e quanto l’oscurità si apprestasse a ghermirla. Si sentì vivo, potente, invincibile.

“Non è la stessa cosa,” spiegò lei. “Quello era un semplice banchetto.”

Loki le infilò una mano tra i capelli, ghermendola per la nuca, compiacendosi del contatto con quella massa soffice e scarmigliata, color dell’oro. “Non puoi assistere a un nostro blót senza farne parte,” disse tetro, consapevole che Sigyn, in quanto ancella, sapeva. I riti degli Æsir, al contrario di quelli dei Vanir, non prevedevano che vi fossero spettatori, ma solo partecipanti.

“In questa sala sta avvenendo una cerimonia magica. Ci sono i vostri antenati.” Nella voce della ragazza c’era una nota urgente, di paura. Avrebbe voluto liberarsi, l’ingannatore lo sapeva, ma si sarebbe trattato di un gesto inutile. S’accorse che l’effetto dell’idromele benedetto cominciava a fare effetto, che gli spiriti dei morti, sottoforma di ombre, iniziavano a prendere forma attorno a lui. Molti di loro erano giganti perché alcuni tra gli Æsir avevano sangue Jotnar, nelle vene – e lo stesso Odino era stato generato da Bestla, una figlia di Jotunheim.

“Lo so. Dovrò costringerti, se non lo farai,” l’avvertì porgendole, per l’ennesima volta, il corno decorato con scene di battaglie e cacce – le sue, quelle vissute con Thor.

Sigyn si decise e, abbassando lo sguardo, accostò le labbra piene e morbide al bordo su cui lui aveva posato le sue, di nuovo. Fino all’ultimo desiderava essere padrona delle sue scelte, anche se era un’ancella e l’obbedienza avrebbe dovuto guidare ognuna delle sue azioni. Voleva essere libera da lui, che l’aveva pretesa e ora la tratteneva.

Bevve fino all’ultima goccia, finché non le tremarono le gambe e lui dovette sorreggerla, stringendola a sé. Lo sguardo di Sigyn era vacuo e il suo profumo dolce lo inebriò, ma si maledisse tenendola tra le braccia perché erano troppo vicini; lei aveva la pelle morbida e bianca e, buttando il capo all’indietro, gli offrì il collo dalla linea elegante e la scollatura generosa, dove spiccava la curva del seno bianco che seguiva il ritmo del suo respiro improvvisamente accelerato. Loki avrebbe voluto baciarla, toccarla e scoprirla. Desiderò spogliarla dell’abito, ammirarla senza nulla indosso, strapparle via quell’aria d’intoccabile sdegno che la circondava. Pretenderla per sé, perché lei doveva essere il suo pagamento, non la più brillante delle fiamme destinata a bruciare e a consumarsi fino a spegnersi. Avrebbe commesso un sacrilegio – voleva farlo lì, ora, senza attendere oltre – ma fu distratto dagli occhi di Sigyn, improvvisamente lucidi.

Gli sfiorò la mascella sbarbata e imbrattata di cenere, le labbra.  “Noi non moriremo insieme,” rivelò in un sussurro.

Il dio degli inganni deglutì e non rispose, in attesa.

“Tu avrai ciò che chiedi e sarà la tua maledizione,” proseguì l’ancella accarezzandogli il collo e poi il petto nudo.

Una fitta di desiderio l’avvolse costringendolo a uscire, a immergere la testa pulsante in un secchio d’acqua gelida. S’accorse di aver trascinato con sé Sigyn: l’aria pungente della sera pareva averla risvegliata completamente, e ora lei sbatteva gli occhi sorpresa, passandosi una mano sulla fronte. Era pallida e sconvolta, confusa e infuriata. Serrò le labbra inumidendosi le guance e il collo.

“Non toccarmi mai più,” l’avvertì, fuggendo, per la prima volta, il suo sguardo.

Gli antenati erano apparsi anche a lui. Lo avevano chiamato re, ma nelle loro voci non c’era alcuna traccia di gioia.

Non le avrebbe restituito il bracciale riparato né quella sera né le seguenti. Non le disse neanche che era stata lei a toccarlo, mentre lui si era limitato a tenerla tra le braccia.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

#iorestoacasa e continuo a restarci, consolandomi con i miei amatissimi Loki e Sigyn e provando a risollevare l’umore anche a voi, anche se la storia sta prendendo (finalmente) le pieghe dark con cui l’ho pensata. Poiché non c’è nessuna descrizione gratuita ritengo che il rating arancione vada bene. Mi dispiace che ci siano fantasmi e spiriti, preferirei parlare d’altro in questi giorni e sono vicina a tutti voi perché siamo tutti nella stessa barca ♥♥, però purtroppo era impossibile sostituirli.

Siamo rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e, anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta colpa di Loki, come sempre. Le leggerete nei prossimi capitoli, però ^^.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà. Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter ;)

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti e rituali. Il blót esiste, ma gli darò/gli ho dato delle accezioni in più che considero personali headcanon.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

Stavolta vi ASSICURO che il prossimo aggiornamento sarà “Solo un accordo:” avendo tutto il weekend libero può darsi che la aggiorni prima e, intanto, vi invito a fare un giro sulla storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove va l'anima quando moriamo?

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] In realtà in una mia storia Sigyn nelle fucine ci va eccome. È “Di fuoco e di desiderio.” <3

[2] Succede veramente! ^^

[3] La prima, negli scorsi capitoli, è quella in cui Sigyn sul drakkar rifiuta, la seconda ad Asgard, quando Sigyn beve dopo un momento di reticenza (quando Balder le fa vedere il cavalluccio). Non è che mi manca la fantasia, ma ha un senso. ^^

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

 

Non toccarmi mai più, gli aveva detto. L’aria era fredda e loro ancora accaldati, lucidamente consapevoli di aver perso una parte di se stessi nella sala dell’hov. Sigyn non sapeva quale forza l’avesse spinta a pronunciare le parole che aveva rivolto al dio degli inganni. Era stato uno squarcio nelle tenebre del futuro, un buco nella tela filata dalle Norne. Era la prima manifestazione della scintilla, che solo l’ingannatore e il suo furbo padre avevano avvertito. Lei non era al corrente di niente, ma aveva percepito, finalmente, che qualcosa di oscuro e sbagliato la corrodeva, rendendola simile al principe degli Æsir.

Ne ebbe paura.

Smarrita e barcollante, raccolse le poche forze rimaste e tentò di allontanarsi, di fuggire, ma Loki la bloccò afferrandola per il polso.

“Altrimenti?” le sibilò con voce roca costringendola a sollevare le ciglia verso di lui. “Cosa puoi farmi, tu?”

Sigyn non rispose e l’Ase s’ avvicinò fino a sfiorarle la bocca, a respirare il suo sospiro. Scelse d’ignorare la tensione che gli scuoteva i nervi ogni volta che i loro corpi annullavano le distanze: doveva scoprire se la sentiva anche lei. Avrebbe potuto commettere un sacrilegio inammissibile, perché Sigyn era un’ancella vicina al giuramento, ma, di fatto, ancora libera. Era la scintilla. Intoccabile, come tutte le cose proibite e, per questo motivo, necessaria più dell’aria. Osò posare le dita sulle sue labbra piene, oscillare sul filo sottile che separava il desiderio dal sacrilegio, il lecito dall’illecito, sfruttare il tatto per saggiare quanto fossero morbide, umide, dolci. Le sollevò il mento – che lo guardasse in faccia, che ripetesse l’avvertimento con quel suo sguardo ardente di principessa. La sentì sussultare, perdersi, scoprire l’identica fitta che mordeva lui. Ghignò soddisfatto – il caos li avvolgeva, ne aveva avuto la conferma – e la fissò con negli occhi una luce di sfida. L’odore della sua pelle aveva qualcosa d’inebriante – miele e vaniglia.

“Sono un’ancella,” gli rispose infine con implacabile alterigia.

Il principe di Asgard fece una smorfia. L’incanto era stato rotto. “Non ancora.” Si allontanò di un passo senza lasciare il suo polso sottile, di fata. “Non per sempre. Non giurerai, non prenderai mai i voti. Non puoi,” predisse – rivelò, a denti stretti, con voce cattiva, mentre un pensiero urgente, impossibile da rivelarle, gli martellava nella testa – se lo facessi, lui ti vedrebbe e capirebbe cosa sei; pretenderebbe subito il tuo sacrificio e noi non avremmo tempo di fare niente.

Il viso di Sigyn perse ogni colore. Si sentì tradita. “Siete un popolo di barbari senza morale né decenza,” esplose.

“E tu un nostro ostaggio.”

“Nostro? O tuo?” alluse con un tremito delle labbra. Era terrorizzata, in trappola, e lo riteneva il solo responsabile delle proprie sventure; Sigurdr aveva commesso un imperdonabile errore negando i propri aiuti ad Asgard, ma era stato Loki, solo Loki, a pretendere che li seguisse.

L’ingannatore guardò quelle labbra piene che avrebbe desiderato assaggiare, la pelle bianca e invitante del seno che si alzava e abbassava rapida sotto il vestito. Le lasciò il braccio, perché un futuro re doveva essere in grado di controllarsi. E poi, toccarla era un’empietà.

“Mio no, mai,” sostenne con forza. Vide un lampo di smarrimento negli occhi di Sigyn; fino a quel momento aveva provato più a volte a interrogarlo circa il proprio destino, ma il principe era stato sempre vago, evitando accuratamente di risponderle. E ora, lei non aveva in mano che i cocci di una serie di ragionevoli sospetti. Decise di infierire, di mentirle. Ghignò e la fissò con insolenza, dall’alto in basso. “Ma sarebbe un peccato, se Padre Tutto decidesse di donarti a qualche valoroso Ase tanto presto, non trovi anche tu?[1]

La sua voce vibrò d’orrore al pensiero, ma lei non se ne accorse, troppo offesa da quella battuta bugiarda, che la consegnava a chissà che esistenza opaca e imposta, certamente più crudele della vita di clausura che le sarebbe spettata. Si convinse che Loki avesse agito spinto unicamente dalla precisa volontà di farle del male e abbandonò ogni contegno, riducendo nuovamente la distanza tra loro. “Sfacciato, profanatore, ladro! Avevi detto che potevo servire gli antenati!”

L’Ase incassò l’insulto con un certo dispetto e irrigidì la mascella affilata. Piccolissimi fiocchi bianchi danzavano tra lui e Sigyn, ancora accaldati ed ebbri d’idromele, con addosso l’odore pungente degli incensi speziati e il loro, mescolato, pericoloso. Non poteva biasimarla, perché ogni sua certezza aveva la consistenza di un sogno destinato a dissolversi, eppure la detestava per il suo profumo di miele e vaniglia, per la sua bocca ben disegnata, per la sua assurda fede in qualcosa che, alla fine, non l’avrebbe salvata. Tenerla tra le braccia non gli era bastato. “Per ora. Non è il tuo destino, spiacente.”

La secchezza della frase colpì Sigyn facendola avvampare. Aveva colto nella sua voce del gelido sarcasmo e nei suoi occhi chiari una punta d’ingiustificato rancore.

“Purché non sia stare con te, mi andrà tutto bene,” ribatté rabbrividendo per il freddo e per l’idea.

Loki inclinò il capo fissandola con irata sorpresa; non si aspettava di suscitare tanto disprezzo, eppure, in qualche modo, la cosa lo divertiva. Sigyn sentiva sempre il bisogno di ribadire come non gradisse la sua presenza. Aveva ancora il fiato corto e gli occhi accesi, ma qualche ciocca si era sfilata dalle trecce e le ricadeva, libera, sul viso. Era bella.

Riprese il controllo di sé e allacciò le mani dietro la schiena gonfiando il petto. “Cos’hai visto nella sala?”

L’ancella mancata scosse la testa e strinse le labbra. “Non lo so.”

“Mi hai parlato,” insistette.

Sigyn si sfiorò il collo e la gola, come se le mancasse l’aria. Le era rimasta addosso la sensazione strisciante di aver osservato o sentito qualcosa, mentre era nella sala, tra le braccia dell’Ase; una sorta di presagio che, calmandosi e concentrandosi a dovere, avrebbe potuto recuperare dalla memoria, ma che la presenza di Loki rendeva impossibile afferrare. Lui catalizzava ogni sua attenzione, fissandola con un’intensità spiazzante e privandola di ogni protezione. Davanti a lui si sentiva esposta, nuda, fallibile, ma mostrarsi vulnerabili davanti al figlio cadetto di Odino era pericoloso. Col suo intuito di lupo avrebbe saputo individuare ogni crepa nascosta nella sua anima e infilarci dentro il veleno. Un giorno, Sigyn si sarebbe mostrata a Loki priva di ogni difesa, ma non era quello il momento.

“Non lo ricordo. L’idromele era troppo forte.”

L’Ase, forse, non le credette. Strinse le palpebre come se volesse guardarla meglio. “Stammi il più possibile lontana, in futuro,” suggerì, per poi incamminarsi a passi larghi verso la foresta, il buio, la notte che non temeva – aveva sempre trovato le tenebre confortevoli e l’oscurità non era riuscita a spaventarlo mai, nemmeno durante l’infanzia.

“Non sono io che ti cerco,” puntualizzò lei. “Hai qualcosa di mio.”

Loki si fermò girandosi appena. “L’ho stregato.”

“Lo rivoglio,” insistette Sigyn decisa. L’effetto dell’idromele e del rito era stava svanendo rapidamente grazie al freddo. Notò che l’ingannatore aveva ancora i capelli umidi e non soffriva il freddo. Non si chiese il perché.

Lo vide annuire e incamminarsi nuovamente verso gli alti alberi col suo passo svelto e altero. Ne osservò il portamento fiero dovuto alle spalle diritte e all’andatura decisa, ma provò un senso di smarrimento quando la sua figura ammantata di nero svanì nel folto del bosco: l’immensa vastità di quei luoghi selvaggi la spaventava – c’erano frassini millenari, grotte e sentieri dove non si udivano rumori a eccezione della foresta stessa, che respirava.

 

Quella sera le fu concesso di cenare nelle sue stanze; spiluccò appena e imputò la mancanza d’appetito agli sconvolgimenti della giornata. Provò a leggere un libro di liriche, ma non le riuscì di concentrarsi. Le frasi e le rime scorrevano davanti ai suoi occhi perdendo il loro significato. Pensò con rabbia a lui, che l’aveva ingannata. Non era diverso da suo padre: era un pirata a cui piaceva giocare con le vite altrui, distruggendole. Spense il lume che era comunque troppo tardi, infilandosi tra le coperte ancora fredde. Avrebbe dovuto farle scaldare alla cameriera che si occupava di lei, ma se n’era dimenticata.  Rabbrividì e si tirò su le coltri fino a coprire quasi completamente la testa. Nel segreto del letto, prima di addormentarsi, si sfiorò le labbra con la punta delle dita perché lui le aveva accarezzate, ripensando all’unico momento sopravvissuto all’oblio del blót – lei che gli toccava il petto largo e forte, di guerriero.

 

Non si videro per giorni. Balder, un mattino, venne a cercarla nell’ampio giardino su cui si affacciavano le sue stanze per mostrarle l’ennesimo giocattolo creato da Loki: un bellissimo drakkar in miniatura con tanto di timone a poppa e vela quadrata, simile a quello su cui Sigyn aveva viaggiato per giorni. Di nuovo, non poté non notare l’abilità con cui era stata costruita la nave; per creare certi dettagli, l’ingannatore aveva dovuto per forza infilarsi tra l’occhio e il naso una qualche lente d’ingrandimento e, quindi, intagliare con precisione gli uomini, i remi, la fiera prua decorata con un serpente marino. Gli chiese dove fosse il fratello, ma il bambino rispose con un’alzata vaga di spalle. Arrivò a chiedergli se avesse lasciato detto di consegnarle qualcosa, un messaggio o un oggetto, ma Balder non sapeva niente. Sigyn decise che doveva scoprire quale fosse il suo destino e chiese di poter vedere Odino – riteneva fosse giusto conoscere almeno il nome del valoroso Ase sacrilego cui pareva essere destinata. La conversazione con Padre Tutto, però, non avvenne mai.

 

L’aria di Asgard era gelida, il suo vento tagliente come le lame che gli Æsir portavano sempre appese alla cintura o infilate negli stivali. Il palazzo di Odino e il fiordo un mattino si ricoprirono di bianco, il cielo divenne grigio e senza luce. Sigyn non aveva mai visto così tanta neve in vita sua: s’incantò di fronte allo spettacolo stupendo dei giardini candidi e immobili, della foresta che sembrava appartenere a un sogno o a una fiaba. In mezzo a quello stupore, scoprì che Loki si era assentato da Asgard, ma non seppe mai il perché. Sembrava che il figlio cadetto di Odino fosse solito compiere viaggi e ambascerie dall’obiettivo apparentemente oscuro, che forse avevano a che fare con la sua spaventosa abilità nell’utilizzare il seiðr. Era stato nel corso di una di queste missioni che il suo sorriso si era fatto più tagliente, i suoi ragionamenti più spietati, ma tutto ciò a Sigyn sarebbe stato raccontato dopo.

Il mondo era ancora avvolto in un bianco e gelido mantello quando l’ingannatore tornò. Lei si stava avviando verso le sue camere dopo essere stata presso gli altari degli antenati e, istintivamente, si ritrasse dietro una colonna per vedere senza essere vista. Loki irruppe nel cortile mentre era ancora in sella al suo cavallo nervoso e sbuffante, dal pelo scuro come il suo mantello, e scherzava pesantemente con il fratello maggiore, venuto ad accoglierlo. Doveva aver compiuto qualche impresa particolare, perché di fronte a una battuta di Thor buttò il capo all’indietro e rise di gusto. Sigyn, nonostante tremasse per il freddo, non si mosse dal suo pur blando nascondiglio. Non avrebbe mai immaginato che Loki potesse ridere così. Sfoggiava perennemente un sorriso arrogante e sarcastico, carico di veleno. Il suo intento era quasi sempre volto a ferire o irretire il malcapitato interlocutore di turno, ma, nascosta dietro una colonna, Sigyn scoprì che il giovane principe degli Æsir sapeva lasciarsi andare a un moto di pura, assoluta gioia, priva di doppi fini. Celata al suo sguardo intelligente e indagatore, ne studiò il profilo affilato e regolare, virile, soffermandosi sulla mascella squadrata e sugli zigomi taglienti. Notò la sicurezza che accompagnava ogni suo gesto, colse la pacca gentile che diede al cavallo dopo essere smontato agilmente di sella. Ogni movimento del suo corpo nervoso e scattante sprigionava forza. Le battevano i denti per il freddo – colpa dell’abito troppo sottile che doveva indossare per officiare riti da cui presto sarebbe stata esclusa, ma scelse di rimanere dov’era per non permettere agli occhi di Loki di violarla con uno dei suoi sguardi rapaci. L’Ase parlò a lungo con suo fratello e non la notò. Era troppo preso da una conversazione che assomigliava più a un monologo, in cui il primo figlio di Odino si limitava a rispondere a monosillabi e ad ascoltare l’altro, tutto preso ad accompagnare ogni concetto o racconto con i movimenti misurati e calzanti delle belle mani di mago. L’argomento era lei, ma questo Sigyn non poteva saperlo.

 

Loki Odinson non era tornato da un viaggio di piacere. Era riuscito a rientrare ad Asgard prima che il tempo peggiorasse drasticamente e una tormenta invernale, la prima della stagione, si abbattesse con violenza sul fiordo. Alcuni giorni prima aveva finito di tradurre e trascrivere gli antichi tomi che parlavano di una profezia legata alla scintilla, ma alcune informazioni non tornavano, erano contraddittorie e particolarmente oscure. Di ciò aveva parlato a lungo con Padre Tutto e, alla fine, entrambi erano arrivati alla stessa considerazione; occorreva trovare una copia della pergamena consultata, possibilmente più antica, per capire se le informazioni combaciavano o si era trattata di una svista del copista[2]. Un lampo d’orgoglio gli infiammò lo sguardo al ricordo. Il lieve sorriso che aveva increspato le labbra nascoste dalla barba di suo padre gli aveva suggerito come il suo lavoro fosse stato apprezzato. A voler essere onesti, la ricerca si era rivelata un eccesso di zelo; le due pergamene erano differenti in qualche punto, ma su una cosa concordavano assolutamente: il destino di Sigyn era segnato, a meno di non tentare un qualche atto violento, folle e disperato.

Increspò le labbra in una smorfia e si massaggiò il collo. Era notte fonda e oltre le finestre sprangate infuriava la tormenta. Si versò l’ultimo goccio d’idromele nel corno sperando che gli facilitasse il sonno e tornò a posare gli occhi sul trattato scritto dal nano Brokk di Nidavellir su come rendere più veloci le navi da guerra[3]. Intinse la penna nel calamaio e aggiunse l’ennesima chiosa, dedicandosi poi ad appuntare su una pergamena stesa una serie di considerazioni che avrebbe fatto leggere a Padre Tutto. Un timido bussare interruppe il suo lavoro rompendo l’atmosfera sospesa. Credette di essersi sbagliato e rimase in attesa, ascoltando il silenzio rotto unicamente dal vento che fischiava schiantandosi contro il palazzo, col braccio sollevato e la penna stretta tra le dita; una goccia d’inchiostro cadde creando una macchia tra un paragrafo e l’altro dei suoi appunti e il colpo si ripeté. Si alzò con un movimento fluido, senza dimenticare di recuperare velocemente uno dei suoi pugnali più affilati; non aspettava visite e Thor bussava in modo diverso, seguendo un codice antico messo a punto quand’erano bambini. Se qualcuno osava cercarlo a quell’ora, doveva trattarsi di un’emergenza o un imprevisto grave. Attraversò con delle ampie falcate le stanze sobrie ed eleganti assieme, che portavano i segni sfacciati della sua personalità intrigante, fiera e curiosa: tappeti di Vanheim, qualche trofeo di guerra, armi, astrolabi, compassi, pergamene, libri e ogni sorta di curiosità e di stranezza raccolta in giro per i Nove Regni. Quando aprì la porta si trovò di fronte a una delle serve più anziane di sua madre. Torcendosi le mani e chiedendogli perdono mille volte per averlo disturbato, lo informò che Sigyn si era sentita male e aveva bisogno di un guaritore o di una pozione capace di abbassarle la febbre. Loki inarcò un sopracciglio e quella proseguì, raccontando che la tormenta rendeva impossibile andare a cercare i guaritori; nel palazzo, al momento, non c’era nessuno che s’intendesse abbastanza di medicamenti a parte lui. Il primo cerusico disponibile sarebbe arrivato solo all’alba.

Loki piegò le labbra sottili in una smorfia infastidita e seguì la serva lungo i corridoi del palazzo, camminando rapido tra i pannelli di legno affrescati e i mosaici arricchiti con l’oro, trafugati da città assoggettate e poi distrutte. Aveva portato con sé nient’altro che il tomo oggetto del suo studio e un paio di ampolle, di quelle che era solito infilare nel suo scarno bagaglio: non era un guaritore, ma conosceva molte delle rune che sanavano il corpo e aveva studiato accanto ai migliori di loro, perché un principe di Asgard doveva sapere come ricucire una ferita e curarsi in caso di stretta necessità. Chi usava il seiðr in questo era avvantaggiato, specie se poi, come lui, si dilettava nel creare veleni. Non si sarebbe mai mosso dalla sua stanza se lei non fosse stata un ostaggio incredibilmente prezioso, preteso e perduto al tempo stesso.

 

La stanza di Sigyn era avvolta nella penombra e ben scaldata, ma non possedeva quasi nulla di lei. C’erano dei libri sulla scrivania, che l’Ase conosceva molto bene perché venivano dalla ricca biblioteca di Odino, qualche schizzo abbozzato dei paesaggi di Asgard, di discreta fattura, l’abito bianco di lino indossato dalla ragazza quel pomeriggio. Loki osò sfiorarne il tessuto leggero e, alzando lo sguardo, incontrò un oggetto che non si aspettava di trovare. Il cavallino di legno che aveva intagliato per suo fratello. Balder doveva averglielo regalato e lei, chissà perché, lo teneva in bella vista sulla toeletta, accanto al pettine e a qualche fermaglio. Si avvicinò al letto, concentrando l’attenzione su Sigyn. I bei capelli biondi erano sparpagliati sul cuscino e malamente legati con un nastro scuro da cui sfuggivano numerose ciocche. Le dava fastidio persino la luce della candela e teneva gli occhi chiusi, ma quando lui ordinò alla serva di prendere un bicchiere d’acqua e qualche goccia d’idromele forse riconobbe la sua voce, perché schiuse le palpebre rivelando gli occhi grigi e lucidi. Batteva i denti dal freddo nonostante le fossero state date altre coperte e provò a dirgli qualcosa d’incomprensibile.

Loki le mise una mano sulla fronte: scottava. Mormorò delle rune e si fece dare dalla donna accanto a lui un paio di pezze che al tocco delle sue dita divennero tanto fredde da sembrare fatte di ghiaccio. L’ancella mancata, sentendo la stoffa gelida sulla fronte, emise un sospiro di sollievo.

“Non sei abituata al freddo di Asgard. Chiederò che ti vengano dati abiti più pesanti – noi queste temperature non le sentiamo neppure,” le spiegò l’ingannatore mescolando rapido il contenuto delle boccette con l’acqua, ma lei a malapena l’ascoltava.

Sigyn schiuse le labbra riarse e la serva lei si accostò sollevandole la testa e le spalle con la delicatezza che avrebbe riservato a una figlia o a una bambina, aiutandola a bere la pozione. Loki l’aveva addolcita aggiungendo dell’idromele, ma non era riuscito a togliere del tutto il sapore fastidioso e acre degli ingredienti uniti insieme. Osservò la scena e pensò che non le era mai sembrata tanto vulnerabile come in quel momento. Alzandosi, la camicia da notte si era tirata scivolandole sulla spalla e l’Ase si ritrovò a fissare l’inaspettata pelle morbida e bianca che segnava il principio dolcemente rotondo di un seno, l’ombra scura della punta che quasi sfiorava l’orlo della camicia. Deglutì e distolse lo sguardo, tentando d’ignorare la fitta di desiderio che lo aveva ghermito. Pensò al piacere che avrebbe provato se solo avesse potuto stringerla e far scorrere le labbra su di lei, accarezzando con la bocca ogni dettaglio, lambendole quell’areola rosata solo intravista, ma era maledetta – sospirò e scacciò il pensiero violento.

“Puoi riposare,” ordinò spiccio alla serva. “Non mancano molte ore all’alba.”

La donna gli lanciò una lunga occhiata interrogativa e uscì senza proferire parola. Dopo che se ne fu andata, l’Ase avvicinò una poltrona e s’accomodò accanto al letto, ma non troppo. Aprì il grosso volume scritto da Brokk e riprese lo studio dove l’aveva interrotto, gettando di tanto in tanto un’occhiata a Sigyn, finalmente addormentata.

 

Le rune avevano cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi quando la voce flebile e impastata di lei, poco più che un sussurro, non lo risvegliò immediatamente. Il vento, ormai, soffiava con meno intensità, segno che la tormenta stava cessando.

“Che ci fai qui?”

“Sono rimasto per controllare che la pozione che ti ho dato non ti avvelenasse,” ghignò chiudendo il libro con un gesto secco. Si alzò per posarle una mano sulla fronte; scottava ancora, ma molto meno di prima.

Lei sgranò gli occhi, in visibile imbarazzo per la stanza avvolta nella penombra notturna, per essere sola con lui, per il tocco gelido delle belle dita dell’Ase, per il sudore che le era rimasto addosso mentre la temperatura scendeva. Loki le tastò anche il collo con un gesto leggero e misurato; Sigyn non si accorse della tensione che lo irrigidiva scorgendo il suo petto che si alzava e abbassava sotto la camicia da notte, delle labbra strette in una smorfia contenuta.

“È il caso che tu beva un altro goccio di pozione,” le disse per smettere di guardarla, di pensarla. Piegò la testa di lato offrendole il calice e, nell’atmosfera sospesa di quell’ora tra la tenebra e la luce, le loro dita si sfiorarono. “Sembra che i nostri incontri debbano incominciare sempre con io che ti offro da bere. È seccante,” considerò l’Ase[4].

Sigyn bevve e si lasciò ricadere tra i cuscini, sfinita. “Non ti ho detto tutto quello che ho visto nella sala, durante il sacrificio,” gli confessò. “Credo di aver ricordato alcuni dettagli. C’era qualcosa, accanto a me.” Rise, girando la testa verso di lui, e raccontò quello che a chiunque sarebbe sembrato un delirio incomprensibile – parlò di un fantasma che le sussurrava di come si sarebbe svegliato come lei, con lei – ma che seccò il palato di Loki e fece accelerare il suo respiro.

“Dimmi di più,” ordinò, valutando seriamente se fosse il caso di violare i suoi ricordi con qualche incantesimo.

Sigyn s’irrigidì. Ogni percezione del futuro era svanita, ricacciata via dalla sua coscienza più o meno vigile. Nel momento in cui aveva rivelato il resto della visione avuta tra le braccia dell’Ase, quella era scomparsa definitivamente. Il tono del principe, poi, l’aveva spaventata. Che voleva da lei? “Tu mi hai strappata dalla mia casa. Tu sei quasi morto per colpa di mio padre. Perché non prendi per te ciò che hai preteso?”

Un lampo attraversò gli occhi dell’Ase, ma lei non poté notarlo.

“Lo vorresti.” fu la risposta sfacciata.

“Mi offendi e mi tormenti. La mia devozione è tutta per gli antenati,” ribatté Sigyn con la poca forza che aveva, tirando fuori da sotto le coperte il polso sottile, di fata.

Loki le guardò a lungo il braccio delicato, la mano affusolata. Si mosse per allungarle un’altra pezza gelida senza alcuna grazia. “Non te l’ho domandato.” Era arrivata al punto da avere una qualche percezione del suo destino e mantenere il segreto rischiava di essere controproducente. Sfilò da una tasca della bandoliera il bracciale che aveva riparato e lo mise accanto al letto, sul comodino.

“Sarebbe stato meglio per tutti, presumo, ma vedi, non possiamo: sei la scintilla. Farti fare l’ancella come se niente fosse è impensabile.”

Sigyn aveva seguito con gli occhi il suo gesto.  Lo fissò, febbricitante e sconvolta. “Tu sei un bugiardo. Le scintille non esistono più. Sono streghe. Le hanno bruciate tutte.”

Un sospiro. “Tu sei l’ultima di loro.”

 

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Sono giornate difficili per tutti. Il tempo scarseggia – lo smart working è pesante e le distrazioni ridotte – e scrivere e leggere sono le sole cose che mi tengono a galla. Poi ci siete voi ♥. Ero titubante sulla scena della febbre di Sigyn e spero che non mi odierete per averla inserita – anche se il suo è un malanno di stagione dovuto all’estremo freddo di Asgard a cui non è abituata. Sono giorni difficili e stiamo soffrendo tutti, pertanto ogni riferimento a quanto sta accadendo è straziante, ma la scrittura serve a evadere, la letteratura a ricordarci la vita com’era e come deve tornare a essere.

 

Ne approfitto per mandare un messaggio: Loki è un discreto pozionista e in quanto soldato conosce i rudimenti del soccorso, ma ascolta i guaritori e chi ne sa più di lui. Fate lo stesso ♥ e #iorestoacasa continui a essere il vostro mantra.

 

Adesso mi chiuderò nuovamente con i miei amatissimi Loki e Sigyn. Siamo rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e, anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta colpa di Loki, come sempre. In realtà, sto ragionando su come inserire il presente perché a un certo punto la storia deve piotta’, come diremmo a Roma.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho riletto tutte le loro battute affinché tornasse). Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.

 

Parafrasando l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il blót esiste, ma gli darò delle accezioni in più che considererò headcanon. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Questa frase chiudeva uno dei primissimi capitoli della storia, riallacciandosi con i ricordi sparsi di Loki e di Sigyn. Se vi tornano espressioni e battute è voluto in questo senso.

[2] Loki sta facendo il filologo. I suoi dubbi sono leciti, così funziona quando si ha a che fare con le pergamene. Tutto ciò che viene detto su pergamene e simili è frutto di esperienze personali.

[3] Questa cosa di Loki insonne è un mio headcanon: ritorna in “Tutte le tue bugie”, “Confessioni,” “Solo un accordo,” e qua.

[4] È un leitmotiv di questa storia; Loki offre da bere a Sigyn numerose volte nella storia e qui ironizza sulla frequenza di tali scene che hanno un valore simbolico (lei rifiuta, bagna le labbra, beve perché obbligata, beve perché capisce che non le vuole fare del male). Dato che è una storia dark ogni tanto un qualche elemento più “da commedia” secondo me ci sta.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

 

 

Il corno d’idromele era quasi vuoto, ma Loki scelse di non riempirlo. Alla sua scintilla si erano spenti gli occhi. Era seduto su una comoda poltrona, con le gambe allungate su un tavolo basso, davanti a un camino acceso. Non era lì per scaldarsi, anzi, l’aria troppo calda lo infastidiva, ma le fiamme guizzanti su cui aveva puntato gli occhi somigliavano alla sua anima furente. Sfiorò con i polpastrelli le ricche decorazioni del recipiente fissandone la meticolosa lavorazione, ma con la mente era altrove. Le sue dita avevano carezzato la pelle di lei, calda, profumata, indimenticata. Dove ora c’erano l’argento e l’osso prima c’era stata Sigyn – e toccarla non era mai stata un’azione priva di conseguenze. La maledisse perché aveva fallito e non era riuscito a salvarla, perché non aveva smesso di desiderarla[1]. Non erano bastati gli abiti umili, l’aria dimessa o la treccia mesta che imprigionava la massa d’oro dei suoi capelli. Era e sarebbe rimasta, per sempre, la ragazza sfacciata vestita di rosso che l’aveva fissato a un banchetto come se si trovasse al cospetto non di un principe o un guerriero o un mago, ma di un ragazzo insolente. Lo disapprovava, eppure non aveva perso l’occasione per osservare con curiosità ogni cosa di lui, dal modo in cui portava il corno alle labbra al fluido movimento delle sue mani quando voleva sottolineare un concetto, per arrivare ai dettagli della sua armatura decorata con draghi e serpenti. E lui se n’era accorto, che le sue sorelle tenevano gli occhi bassi e lei no, era l’ultima a chinarli, la sola a incrociare il suo sguardo. Allora Sigyn si smarriva: di fronte alla piega ironica del suo sorriso che voleva dire tutto e niente, che prometteva e irretiva.

Ma ora quello sguardo non esisteva più. Ed era qualcosa che gli arroventava l’anima pensare che lei fosse altrove, che si spogliasse dei suoi stracci davanti a Kalfr e lui non potesse far nulla per impedirlo. Appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi raccogliendo le idee, ordinandole grazie alla sua mente febbrile, rapida. Se non fosse stato il fiero figlio di Odino si sarebbe lasciato sfuggire un sospiro o una maledizione, ma era nato per essere re: una simile debolezza non era nemmeno contemplata – s’inumidì le labbra raccogliendo l’ultima traccia d’idromele.

 

Era tornato ad Asgard la notte prima, senza neanche togliersi gli stivali, precipitandosi nella parte più oscura della biblioteca per capire, per vedere l’inchiostro rossastro seccato sulla pergamena formare le parole che aveva dimenticato, anzi, ignorato, perché era più facile raccontarsi una consolante menzogna che togliere il velo dalla realtà. E lui, questo, lo sapeva meglio di chiunque altro; in troppe occasioni aveva sfruttato il bisogno di illudersi proprio delle sue vittime per ingannarle fino alla fine, con poco sforzo.

L’archivio, di notte, era spaventoso, ma Loki non temeva l’oscurità. Lasciava che lo avvolgesse, consapevole che nel buio si nascondevano ombre e fantasmi e colpe. Era sensibile a certe percezioni per colpa del seiðr che, ogni tanto, gli rendeva possibile scorgere i punti di contatto tra questo mondo e quello della spaventosa Hela dalle due facce, minaccioso e oscuro[2]. Aveva rovistato tra le pergamene arrotolate e accatastate le une sulle altre impaziente, nervoso, veloce, come se il tempo potesse scivolargli via dalle dita, a lui, che era un figlio degli Æsir. Si era ritrovato tra le mani il documento che cercava quasi per caso ed era rimasto a fissarlo un momento lungo un’eternità, prima di srotolarlo e far scorrere lo sguardo sulle rune vergate con cura. E il sangue aveva iniziato a scorrergli più velocemente nelle vene, confermando il dubbio emerso nel Tempio. Ogni cosa gli si era rivelata con una chiarezza estrema, ma troppo tardi. Se solo lei gli avesse detto che stava diventando cieca.

 

Il fuoco crepitava e s’arrotolava nell’immenso camino centrale che scaldava la stanza e l’idromele, ormai, era finito. Strinse la mascella virile e affilata e serrò tra le dita il recipiente lavorato, vuoto, inutile, incapace di soffocare la bestia nera che gli rodeva lo spirito sussurrandogli, con la sua stessa voce perfida, che l’aveva persa perché non era degno, così come non lo era stato di Mjollnir. Lui che li tesseva per gli altri, si era crogiolato nell’inganno di aver sconfitto la più ignobile delle creature di tutti i Nove Regni.

Invece, aveva fallito, e Sigyn se n’era andata perché stava perdendo la vista e aveva compreso come quello fosse il primo, inequivocabile segno, che quella cosa fosse ancora viva. E la reclamava. Gettò il corno a terra con una smorfia. Cos’avrebbe fatto se fosse venuto a conoscenza, col giusto anticipo, di quanto le stava accadendo? Consapevole di aver festeggiato una sconfitta scambiandola per una vittoria, avrebbe cercato di rendere vera l’illusione, abbracciando il destino da cui era sfuggito per un soffio non una, ma due volte. E, con tutta probabilità, sarebbe morto.

Non era abbastanza potente per fermarlo, non ancora, nemmeno con l’intervento delle reliquie in possesso di Padre Tutto – e lui, quanta parte di responsabilità aveva nell’allontanamento di Sigyn? Le aveva confermato i suoi sospetti? Si era deciso a mantenere il silenzio nei suoi confronti perché riteneva che avrebbe commesso qualche altro atto sconsiderato? Non si era fidato del suo secondo figlio? Una risata secca e amara gli uscì dalla gola. Non poteva biasimarlo, non dopo l’ultima volta, non dopo che si era rivelato incapace di resistere all’impulso di andare a letto con lei, colpevole di non riuscire a interrompere la loro relazione. Aveva scoperto che commettere sacrilegio non portava solo caos: era dolce – irresistibile, necessario come il balsamo su una ferita o l’idromele a un banchetto.

Il fuoco saltava nel camino e la notte era scesa su Asgard; nell’aria pungente c’era già il sentore dell’inverno e Loki si chiese come avrebbe agito ora che, ironicamente, sapeva, era a conoscenza dell’unico dettaglio capace di dare un senso agli avvenimenti degli ultimi anni. Cosa voleva? Giustizia? Il suo spirito impaziente e feroce di guerriero, di principe orgoglioso, di figlio di re, gli imponeva di prendersi, una volta per tutte, ciò che credeva di aver posseduto: doveva liberare Asgard dal marciume che ne avvelenava le fondamenta, impedendo che Sigyn venisse immolata. Riaprì gli occhi e fissò le fiamme ardenti.

Chiamala col suo nome, Loki: vendetta.

Sorrise al pensiero, ma soprattutto s’accorse che la sua era un’idea egoista, in grado di tenere conto unicamente dei suoi bisogni e che si scontrava amaramente con la realtà dei fatti. Affrontarlo di nuovo significava morire, raggiungere il Valhalla da eroe sconfitto e non trionfante. Aveva perso, ma la soddisfazione non era nella sua natura e nel fuoco davanti a lui rivide la gonna cremisi di lei che girava graziosamente per il banchetto, attirando irrimediabilmente il suo sguardo.

Sigyn non gli aveva detto niente per proteggerlo dalla verità e impedirgli d’intervenire. Per non essere guardata con pietà e commiserazione, per non subire l’umiliazione di venire considerata un peso. Ricordò le lacrime mute che le avevano rigato le guance quando si era deciso a rivelarle la verità sul suo essere l’ultima scintilla, la sola rimasta[3]. Il dolore di lei era stato misurato e composto, nobile, fatto di un pianto silenzioso difficile da sostenere, tradito soltanto dal fremito delle labbra, dalle dita che stringevano convulsamente la coperta. Fin da quella notte era rintracciabile la sua fierezza di principessa, sì, ma l’orgoglio esigeva sempre il pagamento di un prezzo. E Loki, questo, lo sapeva bene, anche se si trattava di una lezione che avrebbe appreso ancora meglio solo in futuro: Sigyn aveva preferito allontanarsi per non costringerlo a vedere la ragazza col vestito rosso divorata dall’oscurità, immolata a forze oscure e indecifrabili. Chissà da quanto se n’era accorta.

Bugiarda. Hai scelto il tuo destino e hai osato decidere anche per me, che credevo di aver vinto e, invece, ho perso.

Non c’era altra spiegazione e, sebbene Sigyn gli avesse risposto praticamente a monosillabi, il suo sguardo vuoto e perso, irrimediabilmente cieco, diceva ogni cosa. La profezia si riferiva a lei.

 

Toccò a Balder interrompere questa ridda di pensieri oscuri. Loki non si mosse, sentendolo arrivare. Aprì gli occhi ed emise un sospiro scocciato, vedendo che l’altro si avvicinava al camino tanto da sfiorargli quasi la punta degli stivali. Il ragazzo si scaldò i palmi intirizziti dal freddo, consapevole che, se desiderava avere un dialogo con il fratello, avrebbe dovuto iniziare a parlare per primo. L’ingannatore gli faceva scontare gli anni che li separavano e il più giovane dei figli di Odino aveva dimenticato il tempo in cui il maggiore intagliava per lui giocattoli di legno e provava a erudirlo nell’utile arte dello spionaggio.

“Mentre eravate a divertirvi a caccia è arrivato questo,” disse porgendogli una pergamena.

A Loki non sfuggì la punta di gelosia nella voce di Balder. Li accusava di tagliarlo fuori da ogni impresa in cui si lanciavano, ed era vero; nelle rare volte in cui lui e Thor avevano fatto lo sforzo di portarlo con loro, l’altro si era sentito un intruso, uno spettatore straniero non abbastanza svelto da cogliere il senso delle battute che facevano. Li osservava riferirsi a fatti, battaglie e persone facenti strettamente parte di un passato condiviso che lui ignorava, così come assisteva a un’intesa profondissima per cui bastava un sopracciglio alzato o uno sguardo per approntare sul momento strategie e decisioni. E quelle giornate passate nella foresta a seguire le orme di prede e predatori, lontano da Asgard, per i suoi fratelli erano momenti preziosi, perché Loki e Thor, prima di essere figli di Odino, erano alleati, compagni d’arme, amici. Trovavano necessario e divertente abbandonare la competizione e i ruoli che si confacevano al loro rango per trattenere il respiro di fronte a un cervo o a un orso. Un giorno quel loro legame si sarebbe spezzato, infranto, e Balder avrebbe scoperto che persino nella perfetta intesa che aveva sempre invidiato si erano insinuato il risentimento, ma non era ancora il tempo.

Loki gli scoccò un’occhiata severa e prese il foglio: era una missiva che parlava di una serie di disordini nati lungo il confine col regno di Laufey a causa di un terreno conteso. Se ne sarebbe dovuto occupare al più presto, decise, ma un ragionamento crudele gli s’infilò nella testa – bugia, c’era sempre stato: appianare le divergenze tra i popoli confinanti era un compito delicato che spettava generalmente a un sovrano o al suo erede. Eppure, sebbene Odino affibbiasse a lui questi incarichi da anni, pareva prediligere comunque Thor come suo successore, a prescindere dai brillanti risultati che Loki otteneva. Era come se ogni suo sforzo fosse vano o apparisse come tale e si scontrasse con una decisione già presa che niente, in questo mondo o nell’altro, avrebbe potuto cambiare. Thor era l’eroe di Asgard e la sua stella brillava più delle altre, mentre la sua, per quanto si sforzasse di farla scintillare, nascondeva sempre una traccia d’oscurità, di buio. Una tenebra che lo corrodeva da dentro, mordendo e graffiando, avvelenandogli i pensieri – perché Odino non riusciva, col suo unico e terribile occhio, a guardare lui con l’orgoglio malcelato con cui ammirava Thor? Come mai quando si ritrovava a essere l’oggetto della sua attenzione le sopracciglia argentee si arcuavano guardinghe, all’erta, quasi suo padre volesse valutarlo ogni volta e capire se e quanto fosse meritevole? Cos’altro doveva fare Loki, figlio di Odino, per convincere il genitore di essere degno di lui, di Asgard? E se non avesse fallito con Sigyn le cose sarebbe andate diversamente? Piegò la pergamena sotto le belle dita di mago e Balder, incauto, osò parlargli ancora.

“Siete andati da lei,” disse con una punta di delusione, di accusa. “Me l’ha detto Thor,” aggiunse, affinché il fratello non potesse mentire o negare. Il dio degli inganni non rispose.

“Non l’ho detto a nostro padre,” proseguì il ragazzo con un sospiro. “Ma… forse avrei voluto che tu facessi qualcosa, stavolta.”

Un sorriso laterale si disegnò sulle labbra sottili di Lingua d’Argento. Piegò appena la testa di lato, scrutandolo divertito. “Sei deluso? È curioso. Per anni mi hai accusato di tenerla prigioniera e di averne fatto la mia concubina e ora mi rimproveri perché non l’ho tolta dal Tempio. Ha giurato. Non commetterò di nuovo un sacrilegio. La casa di Odino non subirà altre offese.”

“Ma Thor ha detto che le sue condizioni…” insistette l’altro.

“Thor ti ha detto che ho pagato. E pagherò ancora, finché vivrà. Nostro padre sa già tutto, te l’assicuro,” concluse seccamente, fingendo di concentrarsi sulla lettera che gli era stata recapitata. Loki amava Odino. Lo ammirava con il feroce orgoglio che l’altro non gli aveva mai restituito. Ne apprezzava la sagacia, l’astuzia, la forza, la saggezza, ma quando, come quella sera, si scontrava con la sua crudeltà, ne rimaneva inevitabilmente ustionato. Il re degli Æsir sapeva e l’aveva convinta ad andarsene o, nel migliore dei casi, si era detto d’accordo con lei nell’abbandonare ogni speranza. Lingua d’Argento poteva imitare il tono della sua voce, indovinare che strade avrebbero intrapreso i suoi ragionamenti finemente arguti, arrivare alle medesime conclusioni. Era stato ascoltandolo che aveva imparato a essere se stesso e, ora, si trovava a contemplare rabbiosamente la costanza con cui gli aveva mentito, nascondendogli il vero motivo per cui lei se n’era andata. Deliberatamente, scientemente, inesorabilmente, Padre Tutto aveva scelto di celargli la verità, tenendo per sé la notizia della sconfitta e della conseguente cecità di Sigyn.

A lei, che si accorgeva che la vista le diminuiva giorno dopo giorno, maledetta da un destino ineluttabile, non volle pensare; ai momenti in cui lui, l’astuto Loki, avrebbe potuto accorgersene, nemmeno. Era troppo fiero, orgoglioso e crudele per scavare nella propria coscienza.

“Io non volevo che soffrisse, fratello,” si giustificò Balder. “Nessuno di noi lo voleva, ma Sigurdr diceva che la sua terra era ancora maledetta e che i raccolti avevano smesso di crescere, gli animali di mangiare. Raccontava che la sua gente moriva di fame perché tu ti eri preso qualcosa di più di un’ancella destinata agli antenati, e quando ha scoperto che era la scintilla, la scintilla che sarebbe sempre rimasta sua, o loro, o qualsiasi cosa significhi, ha continuato a scrivere. Io non lo so, non c’ero, ma le hai permesso di andare via, di essere ciò che voleva, e quella terra è tornata fertile e rigogliosa,” concluse, perché era troppo giovane per non comprendere che il bene e il male spesso s’intrecciavano insieme.

“Era libera di andare dove volesse,” soffiò l’ingannatore, pensando con una smorfia che quelli erano discorsi vecchi, già fatti – solo che, al tempo, il peso della conoscenza non lo schiacciava. Si alzò, prese l’attizzatoio e smosse alcune braci per ravvivare il fuoco.

“Non da sempre. Non all’inizio,” lo accusò Balder. Vide che lo sguardo verde del fratello si era fatto tagliente, furioso.

“Perché sei ancora qui? Per chiedermi di rapirla?” s’interessò Loki. “Perché, ora che Thor ti ha raccontato come vive, improvvisamente l’idea che debba trascorrere il resto della sua vita espiando le sue presunte colpe ti rattrista e macchia il tuo animo, candido come il mantello che porti?”

“Ecco dov’eri.” Thor s’intromise raggiungendo l’ingannatore e posandogli una mano sulla spalla, in un gesto che voleva essere d’ammonimento e di consolazione insieme. Strinse, quasi volesse infondergli un po’ della sua poderosa forza. L’altro non lo guardò nemmeno, troppo intento a scrutare Balder e il suo sincero, tardivo, inutile pentimento. Credeva che le altre ancelle avrebbero accolto Sigyn senza farle scontare di aver avuto un amante, di aver vissuto. Ingenuo idiota.

“Volevo dire a nostro fratello che mi dispiace,” rispose il figlio più giovane di Odino con un sospiro. Sentì di essere stato debole e superstizioso, ripensò alla confusione provata quando si era accorto di come Loki e Sigyn, che credeva si detestassero profondamente, in verità si cercassero e si appartassero negli angoli di Asgard.

A Thor non piacque quella battuta. La considerò inutile. “Non è il momento per tormentarci, Balder,” tagliò corto con fare spiccio.

Loki aggrottò la fronte e ridusse gli occhi a due fessure. Era in piedi, impassibile, misurato, sarcastico. “Per cosa ti dispiace?” s’interessò. “Era il suo destino,” concluse freddamente.

Il più giovane non fece in tempo a replicare; Thor riconobbe le intenzioni dell’ingannatore, ben nascoste dietro l’apparente calma che sfoggiava, e si frappose tra i due, bloccando il mago.

“Balder, adesso vai fuori e vedi di stare al tuo posto,” ordinò con voce urgente. Il ragazzo colse il disappunto sul viso affilato di Loki e comprese che il tonante lo stava proteggendo. Serrò le labbra, perché nonostante fosse considerato da tutti un valente guerriero, non se n’era accorto che l’altro stava per attaccarlo. Si allontanò senza voltarsi, sospirando esasperato.

“Gli hai salvato il naso,” commentò il dio dell’inganno.

“Lo so,” bofonchiò Thor. “

Non avevano parlato di quanto era successo nel Tempio. Loki si era chiuso in un fastidioso silenzio stordendolo con tutt’altro tipo di discorsi, ma il tonante lo conosceva abbastanza da sapere che stava rimuginando – che era successo – qualcosa. Lo capiva dai molti segni invisibili a chiunque altro, che lui individuava così bene; l’inquietudine lievissima con cui si riempiva un corno d’idromele, l’impazienza celata nell’atto di spronare il proprio cavallo e, poi, il segno più allarmante e scontato di tutti: la solitudine dietro cui si era trincerato da quando, la sera prima, erano rientrati ad Asgard. Thor non si era preparato alcun discorso – non era nella sua natura: suo fratello era volubile e scostante e di pessimo umore e lui deciso a fare chiarezza sul loro ultimo viaggio.

“Cos’hai scoperto, fratello?”

Loki lo guardò per un istante, poi spostò la sua attenzione sulle fiamme danzanti. “Sigyn ha perso la vista. È cieca.”

“Questo… questo che significa?” Un’idea gli attraversò la mente. Di nuovo gli afferrò la spalla e strinse. “Noi avevamo fermato tutto questo! Tu sei quasi morto e ora lei dovrebbe stare bene, isolata in quel posto, ma sana e salva.”

Gli occhi di Loki avevano una trasparenza particolare. “Significa che la maledizione non si è fermata, fratello.” Lo disse scandendo ogni sillaba e fissando il tonante diritto negli occhi. “Non si è fermata,” ripeté con un brivido, pensando a quegli incubi striscianti che ora – troppo tardi – avevano un maledetto senso.

Thor lasciò andare la presa – nella penombra, i lineamenti scolpiti dell’ingannatore parevano ancora più taglienti. Il mago si voltò tornando a guardare il fuoco guizzante, nervoso, inghiottendo nel petto le parole che avrebbe dovuto dire ad alta voce.

Che non è morto. Che Sigurdr ha usato sua figlia fin dal momento in cui è nata e l’ha venduta ad altri, prima che a me e agli Antenati. E loro non hanno smesso di volerla.

 

 

 

La prima volta che l’aveva baciata, che, nel buio, aveva sfidato ogni legge sfiorandole le labbra, lei era impallidita e aveva cercato di scostarlo senza riuscire, però, a camuffare il tremito di sorpresa e terrore che l’aveva scossa. Era rimasta a fissarlo sgranando gli occhi, eppure nel suo sguardo grigio Loki non aveva letto l’ombra del dispetto. Brillava una luce strana, curiosa, indecifrabile.

“Non sarò mai la tua schiava,” gli aveva promesso.

Loki si era esibito in un sorriso scaltro e affascinante. “Allora sii mia come una donna libera.”

Sigyn non era riuscita a rispondergli. Stupita, gli aveva dato l’occasione per baciarla ancora nella penombra, per stringere contro il suo quel corpo sottile e desiderato – con un braccio le cingeva la vita, con una mano le stringeva la nuca affondando le dita nei suoi capelli color dell’oro. Le aveva ghermito la bocca assaggiandole le labbra – lambendole, scoprendole, gustandole – soffocando i non posso che erano diventati non possiamo, non dobbiamo, non è giusto. Chi lo dice? Gli Antenati. Sono morti, Sigyn. Sono polvere nel vento e noi siamo vivi. Quando aveva osato risalire dalla vita per raggiungere il seno di lei, si era irrigidita e lo aveva scansato con forza. Loki ricordò di aver sogghignato – si era aspettato una reazione simile – e l’ancella, ormai perduta, lo aveva inchiodato con una frase tremenda, ma vera.

“Questo è un sacrilegio.”

Per quella notte si erano fermati.

La sera in cui si erano illusi di aver vinto, con le labbra che sapevano di vino[4], si erano rintanati nelle sue stanze spogliandosi senza fretta. Lei aveva curato ognuna delle sue ammaccature consolandolo con le sue labbra, mostrandosi a lui con i capelli sciolti e splendenti sulle spalle esili. L’aveva cercata con la stessa urgenza di sempre, maledicendosi per ogni fitta di desiderio che l’incatenava a lei, scoprendo il piacere nascosto in un’unione lenta, intensa, appassionata, non meno disperata di tutte le altre che l’avevano preceduta e di quelle che sarebbero venute dopo. Ogni spinta, sospiro, bacio e ansito doveva sancire il loro trionfo – anticipava la sconfitta, ma questo loro non potevano saperlo. Si ritrovarono esausti uno accanto all’altra e Sigyn gli si accostò con la naturalezza che aveva appreso nel tempo. Era preoccupata.

“Sono la dea della fedeltà e l’ultima scintilla. Come posso rimanere qui, dove ci sei anche tu?”

Pensava al suo ruolo, al destino che avevano sfidato. Loki, steso accanto a lei, le aveva accarezzato la pelle morbida e levigata. Ora sapeva che, in quel momento, l’aveva già persa.

“Non abbiamo già pagato abbastanza? Dovresti sacrificarti per chi ti ha venduta? Scegli di essere libera, Sigyn,” le aveva detto, ma la libertà è un’illusione, un inganno.  

 

“Nostro padre lo sa?” domandò Thor, riscuotendolo dai ricordi.

L’ingannatore annuì, trattenendo dentro di sé la risposta velenosa che avrebbe voluto dargli, troppo intento a rispondere alla propria coscienza oscura.

“Hai un piano?”

Loki alzò le spalle. “Dovrei?”

Doveva dimenticarsi di lei, pretesa, cercata, odiata, avuta, persa. Mancava solo una parola impronunciabile all’elenco, una che gli sarebbe rimasta incastrata in gola e non avrebbe ammesso nemmeno quando, anni dopo, le Norne avrebbero fatto oscillare il suo filo.

Ti ha mentito. Gliene farai una colpa, Loki?

Sì, maledetta bugiarda. Morirai come dovevi – è il tuo destino.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Vi avevo promesso che la storia doveva da piotta’, che è un modo asgardian-romano per dire che la trama doveva andare avanti, ed eccoci qui. Ci sono parecchi, tanti indizi in questo capitolo. Come forse (spero) si sia capito, Sigyn ha due problemi fondamentali: l’essere la scintilla e l’essere stata promessa a qualcosa di oscuro più degli Antenati che avrebbe dovuto servire.

Ovviamente questo qualcosa probabilmente vi verrà mostrato, eh eh eh.

Loki in questa parte della trama ancora crede di avere qualche chance col trono e se nella fine emerge un suo coinvolgimento… beh, è sempre il giovane uomo che sta parlando di una ragazza per cui ha commesso un sacrilegio, una che è stata la sua amante per del tempo.

Balder: in recensione molti mi hanno scritto che è un OC. Non lo è, appartiene al canone scaldico e ai comics, dove ha un ruolo molto rilevante.

Ah, la storia citata è Sapevano di vino le tue labbra.

Ah, abbiate pietà: ho gli occhi fritti e spero di non aver scritto ca**te, domani rileggo **.

 

Come sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho riletto tutte le loro battute affinché tornasse, ho gli occhi incrociate). Spero che le mie storie possano tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta ne fate a me quando leggo della vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.

Per voi un clic può non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo – e io lo so perché (sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non sapete quanto mi faccia piacere.

 

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il blót esiste, ma gli darò delle accezioni in più che considererò headcanon. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto (sa di minaccia, ma po’ esse che, non disperate)!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Ripetizione voluta, così come più avanti nel testo.

[2] Questa cosa delle percezioni “altre” di Loki non trova riferimento nell’MCU e lo considero un headcanon.

[3] Come ricorderete era la scena di chiusura dello scorso capitolo. Mancano le lacrime, perché la reazione di Sigyn non c’era, lì.

[4] Ehhh sì, una mia storia si intitolava così.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

 

 

Sigyn conosceva a memoria ognuno degli oggetti presenti nella sua cella. Ne ricordava l’esatta posizione e amava toccarli per rievocarne le forme tramite le dita. Non che possedesse chissà quante cose: nel suo misero angolo privato era racchiuso l’indispensabile e da Asgard aveva scelto di non portare nulla. Si morse le labbra, perché la menzogna si era formata senza che se ne accorgesse. Una delle ancelle di rango superiore al suo – pura – colpì il disco di bronzo che segnava l’inizio delle cerimonie; Sigyn pensò al buco nel muro in cui aveva nascosto l’unico frammento che le ricordava l’illusione della sua vita passata e si buttò sulle spalle il mantello di lana grezza. Le dita incontrarono il tessuto ruvido della tunica e lei lo esplorò con i polpastrelli, perché il mondo di tenebra in cui era rinchiusa le restituiva una sensibilità accentuata per i rumori, i sapori e le sensazioni tattili, e Sigyn aveva bisogno di conoscere, ricordare, rievocare. C’era stato un tempo in cui la sua pelle aveva conosciuto la seta e il broccato importati dalle terre degli Elfi, un tempo in cui si era permessa di sfoggiare un abito cremisi di fronte a un principe guerriero degli Æsir e ne aveva pagato il prezzo. E quello sguardo conficcato su di lei bruciava ancora, a distanza di anni.

 Sospirò, avviandosi lungo i corridoi che non le avrebbero riservato alcun tipo di sorpresa. Avrebbe dovuto sfiorargli il volto. Percorrere il naso diritto e virile, affondare le dita nelle ciocche scure come la notte, accarezzare gli zigomi alti e affilati, la mascella severa, le labbra sottili e quella cicatrice ormai bianca che gli segnava il sorriso, vista per la prima volta quand’era ancora una ferita fresca. Sotto il suo tocco, il viso di Loki avrebbe ripreso forma e consistenza. Erano stati vicini, però – l’aveva tenuta tra le braccia e lei aveva sentito la sua voce carica di risentimento e di rancore, si era lasciata inebriare dal profumo della sua pelle, fatto di cuoio, acciaio, inchiostro. Le loro dita si erano toccate appena, i loro respiri mescolati, ma non poteva bastare a nessuno dei due – non era bastato mai.

Ricordava il momento esatto in cui aveva capito d’essersi innamorata di lui, ma non era sicura che coincidesse con l’istante in cui aveva saputo di volerlo. Indagare in tal senso era pericoloso, perché Sigyn aveva creduto per tutta la vita di essere un’ancella e invece s’ingannava, era una donna.

Una fatta di carne e di sangue, colpevole d’aver agito cercandolo. Quella notte lontana tremava e si era rifugiata tra le sue braccia, ma mentre si stringeva a lui sapeva, era cosciente di che rischio stessero correndo: Loki era stato così sfrontato da rubarle l’ennesimo bacio, assaggiandole le labbra con la voglia disperata di risolvere la tensione che c’era tra loro – quella che li consumava, spingendoli a lanciarsi occhiate di fuoco e a far di tutto per sfiorarsi anche solo le dita, quella che provocava rancori e gelosie da ambo le parti. Tremava, ma credeva che sarebbero morti e lo aveva baciato zittendo la sua bocca beffarda e ironica, perennemente sul punto di mentire, incapace di allontanarsi dalla sua.

Sembravano ricordi appartenenti non a una, ma a mille vite prima. Partecipò alla funzione senza farlo davvero, con ancora in testa la voce amara di Loki. Lo immaginò risalire a cavallo e galoppare nervoso verso Asgard e pensò a quando arricciava le labbra mentre lo osservava compiere quelle medesime azioni, al tempo della sua prigionia dorata. All’inizio lo spiava, facendo attenzione a non farsi vedere, ma un giorno si ritrovò ad ammirare apertamente il modo agile con cui saliva in groppa al suo baio, la decisione con cui stringeva le gambe sui fianchi dell’animale per farlo correre. Osò avvicinarsi, fino a scorgere la luce che brillava nei suoi occhi verdi mentre si occupava di quella bestia intelligente e magnifica, ma intrattabile quanto lui[1].

“Ti ha mai disarcionato?” gli chiese divertita, inarcando un sopracciglio.

Loki non nascose la sorpresa nel vederla lì, di fronte a lui. “Infinite volte,” rispose orgoglioso, slacciando con movimenti rapidi la sella. Quando la vedeva, drizzava ancora di più le spalle, sfoggiando un portamento regale e fiero che si accordava perfettamente con la sua aria spavalda.

Sigyn sapeva solo da poche settimane di essere la scintilla. Lingua d’Argento gliel’aveva confessato la notte in cui era rimasto con lei per guarirla da una feroce febbre. All’inizio non ci aveva creduto, ma poi.

“È una gara a chi è più testardo, allora,” osservò carezzando il muso del cavallo. L’animale la guardò con i suoi neri e intelligenti.

Loki rise, ma senza smettere di tenerla d’occhio. “Non sarebbe divertente, altrimenti.” Quando sorrideva scopriva i denti regolari e bianchissimi e il labbro superiore quasi spariva, dando al suo viso affilato un’aria furba e astuta, irresistibile.

A quel tempo, Sigyn non sentiva di avere alcun dono particolare: la sua percezione di se stessa e del mondo era rimasta quella di sempre. Dopo giorni di scoramento, Odino le aveva parlato illudendola di essere davvero intoccabile. Gli Æsir erano un popolo di pirati, vero, ma non avrebbero mai osato fare del male a colei che abitava parte delle loro profezie, questo credeva. Era libera di servire gli Antenati e, qualora l’essenza che l’animava si fosse manifestata, si sarebbe posta il problema di cosa e quanto dire al popolo che l’aveva presa in ostaggio. Era la scintilla, non avrebbe dovuto dormire con nessun uomo, mai. Una considerazione che l’aveva resa sicura e avventata, spingendola a non temere abbastanza lo scaltro figlio di Odino; adesso, a distanza di anni, lo sapeva.

In fondo, era stato lui a svelarle l’arcano, ammettendo che ogni riferimento al suo destino non era che una perfida bugia detta per terrorizzarla, ma non sapeva il resto: Loki aveva bisogno di allontanarla da sé, d’immaginarla di un altro, di ricordarsi ogni momento che toccarla era un sacrilegio. Il principe cadetto di Asgard viveva in una tensione perenne, stritolato tra la necessità di gettare caos nella sua vita e l’imposizione che si era dato di non desiderarla.

Sigyn ricordò di avergli sorriso appena in risposta, stringendosi nel mantello. “Peccato che non tutte le sfide possano essere vinte.”  

Di fronte a quella battuta provocatoria, Loki le mostrò, di nuovo, la sua natura piratesca e sfrontata, sfoggiando il suo ghigno peggiore. “Tu dici?”

A quel tempo Sigyn si mordeva le sue, di labbra, quando lo vedeva ridere, ma non si domandava mai il perché.

 

La funzione si concluse al tramonto e l’ancella si avviò verso la propria cella col cuore e la testa pieni di ricordi. Che l’ingannatore la odiasse era un bene, anzi, la cosa migliore che potesse capitarle. Doveva disprezzarla e tornare ad Asgard senza voltarsi indietro. Se la sua visita non l’avesse colta di sorpresa, si sarebbe messa d’impegno per ferirlo nell’orgoglio e liberarlo da lei per sempre. Esitando, poggiò le dita sottili e rovinate sul muro, seguendo una crepa antica – un pezzo dell’intonaco era caduto da tempo. Arrivò al punto in cui si congiungeva con l’angolo del semplice letto, fino ad arrivare a un mattone particolare, che sotto la pressione dei polpastrelli si mosse appena. Lo tolse, sfilandolo con delicatezza infinita: all’interno c’era un fazzoletto appallottolato – e, dentro, un errore. Non commise lo sbaglio di aprirlo. Le bastò valutarne il peso per ricordarlo. Era il monito che le rammentava perché avesse scelto di non opporsi al fato filato dalle Norne, giustificando anche la rete di menzogne tessuta a danno di Loki in persona. Saperlo morto, immaginare il suo corpo agile e scattante privo di vita, abbandonato in un anfratto vicino alla fonte di Mimir, con gli occhi spalancati fissi nello stupore della morte, era insopportabile. Rimise il suo personale tesoro a posto e attese. Kalfr sarebbe venuto a farle visita, chiedendole il resoconto di quella visita dolorosa: voleva sapere cosa Loki avesse intuito di tutta la vicenda, e Sigyn si domandò cosa rispondere per proteggerlo. Non dovette attendere a lungo; presto i passi dell’uomo rimbombarono per il corridoio e la porta in legno si aprì cigolando.

La ragazza s’irrigidì – detestava le sue attenzioni, non sopportava quando la raggiungeva in quella stanza.

“Lo sa?” s’interessò il guardiano scostandole la treccia e toccandole volutamente la nuca.

“Sì. Tornerà ad Asgard e troverà conferma ai suoi sospetti,” ammise lei.

Lo sentì chinarsi tanto da baciarle la spalla e lei tentò di soffocare il disgusto. “Ma il tuo irascibile principe non è una minaccia per lui, vero?”

“No.” Sigyn aveva risposto velocemente e con sicurezza. Era diventata brava a mentire, pensò.

 

 

Gli ordini di Odino erano stati perentori: la serie di faide e di vendette che si perpetrava sulle terre poste all’estremo confine con Jotunheim andava necessariamente interrotta. I cavalli scalpitavano; Loki e Thor portavano ancora sulle spalle il peso del recentissimo viaggio presso il tempio dov’era rinchiusa Sigyn. Il dio del tuono era certo che Loki avesse dormito per un pugno d’ore totali, non di più. Glielo dicevano gli occhi cerchiati di scuro e i lineamenti affilati dell’altro, contratti in una smorfia impaziente. L’insonnia lo aveva sempre afflitto a periodi alterni, ma ora, Thor lo sapeva, quel tormento aveva un nome, un colore e il sapore di un rimpianto innominabile. Solo che Loki avrebbe preferito farsi spellare vivo piuttosto che ammettere di stare soffrendo per averla perduta.

Codardo, pensò, ma si trattava di un’accusa ingiusta, che non teneva conto di quando l’ingannatore, stravolto e con negli occhi una luce folle, gli aveva proposto un piano troppo ardito anche per lui. Il primo figlio di Odino era rimasto ad ascoltare il racconto fantastico del fratello finendo per accettare di aiutarlo – ma lo avrebbe fatto comunque, anche se Loki non avesse perorato con veemenza la sua causa. Sarebbe bastato che gli chiedesse di seguirlo e sapeva, era certo che lui avrebbe fatto altrettanto.

Codardo, ripeté mentalmente, perché glielo aveva già detto a voce e ne era scaturita una breve rissa: uno di quegli scontri violenti e brutali a cui si abbandonavano fin dall’infanzia e che, negli anni, si erano fatti più crudeli. Thor aveva vinto – vinceva sempre, alla fine – ma, come spesso accadeva, trionfava a caro prezzo: Loki era stato crudele e lo aveva ferito di striscio con uno dei suoi pugnali. Codardo, dovresti correre a salvarla, gli aveva detto.

Eppure Loki non mancava di coraggio, anzi. Erano poche le cose che temeva ed era abituato a fissare i suoi avversari negli occhi, ad ascoltarne il respiro, ad anticiparne o bloccarne i movimenti. Eccelleva nel combattimento con i pugnali, del resto; la minima esitazione nel parare un colpo e affondare in un punto vitale la lama, significava morire senza appello. L’educazione che li accomunava e una buona dose di istinto gli aveva insegnato ad agire nel più efficace dei modi di fronte a un problema o a un nemico perché così fanno i re. Eppure.

Dalle fattorie uscirono alcuni uomini armati, mentre un paio di servitori corsero fuori dalle porte laterali per radunare il bestiame e portarlo nelle stalle. L’ingannatore si avvicinò alla fattoria presentando entrambi con una voce che risuonò chiara e decisa sopra il vento sferzante. Il più anziano degli uomini aveva una fronte larga e un naso aquilino. Si strinse in un mantello blu che ne testimoniava l’importanza e si avvicinò a loro senza nascondere il suo scetticismo. Probabilmente si aspettava che i figli di Odino fossero più vecchi. Loki non scese dalla sua cavalcatura, ma diede con i talloni un leggero colpo sui fianchi dell’animale affinché si avvicinasse alla fattoria. Il coraggio di suo fratello, ragionò Thor, era un miscuglio di spavalderia, calcolo e orgoglio ed era stato quest’ultimo a inghiottire la possibilità di salvare Sigyn. Lei gli aveva mentito, se n’era andata, e Loki aveva perso troppo nel tentativo di salvarla. Quando lo avevano trovato, delirava e parlava una lingua antica più delle rune, che aveva fatto impallidire persino Padre Tutto.

 

Vennero accolti in una sala sobria e ampia, opportunamente scaldata con un fuoco centrale allegro e guizzante. Thor lodò l’idromele che gli veniva offerto e così fece Loki, che si mise subito a fare domande: la faida aveva origini recenti e il sangue versato era stato moltissimo. Due fratelli si erano contesi l’eredità del loro padre, un valoroso guerriero che era stato amico di Odino in persona. Uno credeva di aver ricevuto un trattamento ingiusto da parte del genitore morente per via di un antico dissapore. Dopo la morte del vecchio, il rapporto tra gli eredi si era deteriorato al punto da sfociare in una serie di liti crudeli. La divisione della terra e dell’oro aveva coinvolto gli avidi giganti di ghiaccio, vicini terribili della famiglia divisa. Il loro ospite, Helgi, raccontò di aver ucciso i propri amici d’infanzia in un’imboscata aiutato dai parenti di sua moglie. Mentre lo diceva, si guardava le mani e parlava del fratello che, presto, sarebbe venuto a ucciderlo per vendicare quelle morti. Lui, con voce rotta, pensava a tutti i viaggi e le imprese vissute con l’altro, domandandosi se la loro stirpe dovesse finire così, nel sangue.

 

Il dio degli inganni fece molte domande; all’inizio erano considerazioni caute: desiderava conoscere più dettagli possibili della vicenda, ma senza offendere i suoi ospiti. Col passare del tempo, però, s’interessò alla vicenda in un modo che Thor non colse appieno. Alla luce calda delle fiamme, il possessore di Mjollnir non notò le labbra serrate di Loki, né le sue sopracciglia aggrottate. Non si accorse che, in qualche modo, l’altro capiva Helgi, partecipava alla sua disgrazia, comprendendo anche perché l’uomo fosse arrivato a chiedere l’aiuto dei suoi pericolosi vicini. Per Thor suo fratello era l’alleato più prezioso, l’amico più caro e antico che avesse. I suoi scherzi perfidi e gli inganni sottili in cui si dilettava erano armi che affilava contro i loro nemici. Certo, qualche volta la magia crudele di Loki si era abbattuta anche su di lui, come la volta in cui lo aveva tramutato in rospo abbandonandolo a se stesso, ma quell’episodio era da aggiungersi alla lunga serie di reciproci affronti, liti e contrasti che avevano avuto negli anni. Erano fratelli, del resto: un giorno si maledicevano mandandosi a quel paese e quello dopo bevevano assieme fino a sbronzarsi. La tragedia di Helgi non li riguardava: Thor non riconobbe il destino suo e di Loki nelle parole rotte di rimpianto di quel guerriero che, sospirando, annunciava che non si sarebbe difeso, se suo fratello Oddr avesse levato la spada contro di lui. Era convinto che nessuna ombra sarebbe mai calata davvero su Asgard e il pensiero che, presto, Odino avrebbe ufficialmente nominato il suo successore non lo preoccupava. Era certo che, in quanto primogenito, Padre Tutto avrebbe scelto lui e che Loki si sarebbe limitato a inghiottire la sconfitta, accettando la decisione del loro genitore e re. Certo, all’inizio non avrebbe accolto con entusiasmo l’idea di non poter governare Asgard; era volitivo, arrogante e superbo: sicuramente avrebbe avuto diverse cose da ridire riguardo quella scelta, ma poi, dopo qualche lite furiosa, si sarebbe calmato, accettando il suo posto e traendone gli immancabili vantaggi, come solo lui sapeva fare. In fondo, erano coscienti entrambi che al primo figlio sarebbe toccato il trono. Loki stesso lo sapeva – quella volta, con voce tremante e una lucidità spaventosa, stringendo la ragazza svenuta tra le braccia, gliel’aveva detto. Sceglierà te, fratello, perché non mi considera degno. Questo, poi, ha annullato ogni mia possibilità – ho commesso ben più di un sacrilegio.

 

Loki sfiorava il corno e ascoltava, ma i suoi pensieri erano diversi. La sua prima riflessione era stata di natura pratica: Helgi doveva pagare i parenti dell’ucciso, mentre suo fratello poteva sfogarsi con una rappresaglia che avrebbe coinvolto qualche fattore scomodo o ingestibile, che aveva partecipato al precedente assalto. Solo così il caos sarebbe cessato. Padre Tutto si sarebbe rammaricato profondamente se la terra si fosse bagnata col sangue di Helgi e di Oddr – sarebbe stato un atto empio, intollerabile. Con tetra ironia, si disse che era maledetto, perché ogni cosa cui si avvicinava portava i segni di una profanazione o di un delitto. Magari avrebbe dovuto interrogare le Norne, a tal proposito. Espose l’accordo che aveva elaborato con voce chiara e decisa, accompagnando ogni osservazione con ampi gesti delle mani.

Helgi lo ascoltò con attenzione per tutto il tempo, catturato dalla forza del suo ragionamento. “Parli molto bene, per essere così giovane,” ammise con un velo di rispetto.

Thor, che fino ad allora era rimasto in silenzio a bere, intervenne dandogli una pacca sulla spalla. “È la sua specialità,” rise.

Gli occhi dell’ospite e dei suoi uomini si spostarono sul dio del tuono e su Mjollnir, la reliquia sacra ricoperta di rune, e Loki seppe di aver perso il suo momento. “Qualcuno deve pur farlo,” rispose tagliente, ma suo fratello non colse la frecciata e l’occhiata comprensiva di Helgi non bastò a placarlo.

Il primo figlio, il massacratore dei troll, era lì e, dopo aver finito di bere, quando la parte più faticosa dell’incontro poteva dirsi conclusa, si apprestava a partecipare alla discussione – a diventare il centro dell’attenzione, occupando il posto che ricopriva senza alcuno sforzo, solo esistendo.

Thor gli fece notare che aveva il corno mezzo vuoto e lo riempì fino all’orlo d’idromele, scompigliandogli in un gesto brusco e fraterno i capelli scuri. “Bravo, fratellino. Forse non si ammazzeranno,” gli bisbigliò complice.

Un istante di silenzio. “E se ci proveranno, li fermerai,” concluse Loki distante, bagnandosi le labbra col dolce sapore della bevanda. Aveva il colore dei capelli di lei. L’altro annuì, senza cogliere, una volta di più, il suo tono ironicamente amaro, né il fatto che si era tirato via dall’ipotetica, futura, rappresaglia.

 

Loki beveva e ascoltava suo fratello vantarsi e rispondere a un’infinità di domande sulle sue leggendarie imprese. Ogni tanto puntualizzava, precisava o rendeva il racconto più succoso con qualche aneddoto divertente, ma nemmeno il ricordo o lo scherzo più irriverente riuscivano a strappargli più di qualche risata breve e senza gioia. Aveva in mente troppi pensieri, che gravavano come una massa oscura sul suo petto bloccandogli il respiro. La sua attenzione venne catturata dalla porta che si apriva. Erano gli alleati di Helgi, i due giganti di ghiaccio che vivevano sul confine, padre e figlio. Non erano di Utgard, la capitale, e si vedeva. Possedevano una fattoria che si trovava a poche ore da lì e vestivano con abiti semplici, ma di buona fattura. Thor, vedendoli, si rizzò in piedi di scatto, in un misto di offesa, stupore e furia. Loki lo seguì alzandosi più lentamente e riconoscendo, nei lineamenti ingentiliti degli altri, tracce di commistioni vicine e lontane. A stento trattenne una smorfia: chi poteva unirsi a un gigante di ghiaccio? Con che coraggio le famiglie che gravitavano attorno a Helgi osavano permettere ai propri figli e figlie di mescolarsi con una stirpe così odiosamente avversa agli Æsir? Capiva, comprendeva che si trovava in una terra ai confini del mondo. Per quei giganti, così come per gli uomini che li ospitavano, Asgard e Utgard erano la stessa cosa: luoghi fantastici e ugualmente distanti, ignoti. In quella sala, lui e Thor erano i veri stranieri. I giganti li fissarono con curiosità e furono ragguagliati da uno dei figli di Helgi su quanto aveva promesso loro da Odino per bocca di Loki[2].

Il più anziano degli Jotnar si girò per squadrarlo nuovamente da capo a piedi e, nel farlo, increspò le labbra bluastre: lo giudicò un ragazzo insolente, niente di più, spedito da Padre Tutto fin là per farsi le ossa. Non gli piaceva, intuendo immediatamente che il principe cadetto era animato da tensioni occulte e nascondeva qualcosa, dietro quei suoi occhi verdi e penetranti. Un’insoddisfazione sorda, un rancore senza nome che traspariva dall’inquietudine sapientemente nascosta dietro le movenze misurate.

“Parla con grande saggezza,” lo difese Helgi, “ha imparato bene da suo padre.”

“Odino ha molte cose da insegnare, ma non tutte meritano di essere apprese,” sospirò il gigante.

 

Loki sentì nominare lo scrigno degli Antichi Inverni più tardi. L’aria nella sala si era fatta troppo calda e opprimente e lui era uscito a prendere una boccata d’aria. Aveva riconosciuto delle voci e si era avvicinato a passi felpati per raccogliere qualche confidenza strappata alla notte, venire a conoscenza di segreti da sfruttare a proprio vantaggio. Si mosse furtivo per ascoltare ancora meglio e districare le voci, rendendole frasi e parole distinte. I giganti parlavano di loro e li valutavano, perché nessuno, a Jotunheim, sapeva che aspetto avessero lui o Thor; i racconti dei troll in merito erano incerti e inattendibili. Erano rimasti colpiti dall’aspetto gagliardo del primo figlio di Odino e avevano stabilito, con un inspiegabile interesse e dopo una lunga discussione, che lui, Loki, era nato durante l’ultima, atroce guerra; quella in cui lo scrigno era stato sottratto. Attribuirono alla reliquia di cui l’ingannatore ricordava vagamente l’ubicazione la disgrazia che si era abbattuta sulla sterile Jotunheim. Se avessero avuto tra le mani l’artefatto che proteggeva il loro regno, le cose sarebbero andate in modo totalmente diverso[3].

L’ingannatore non elaborò alcun piano in quel momento. Si limitò a registrare il rimpianto nella voce dei due Jotnar, a recuperare la memoria del giorno in cui Odino aveva preso per mano lui e Thor bambini per raccontargli la storia della guerra sanguinosa in cui aveva perso persino un occhio. In quell’occasione, aveva promesso a entrambi il trono – siete nati per essere re, queste erano state le sue parole. I giganti si allontanarono e Loki rimase nascosto, nel buio.

I sovrani non dovrebbero fallire. Laufey aveva perso lo Scrigno e Odino, ora, lo sfoggiava come uno dei suoi innumerevoli trofei. Lui aveva perso la scintilla, consentendole di andare via in nome del bisogno logorante di averla. La maledisse tra i denti, augurandole senza convinzione il destino che l’attendeva: bugiarda, mi hai mentito. Se mi avessi detto che stavi diventando cieca, avrei potuto, forse.

Rientrò nella sala sfoggiando un sorriso largo e sornione e fece un complimento a una delle ragazze venuta a riempirgli il corno. Quella arrossì e gli rivolse un’occhiata lunga e compiaciuta: lo trovava bello e lui aveva voglia di seppellire l’immagine di Sigyn sotto strati di azioni, pensieri e desideri. Dopo essersi accordato con lei per un appuntamento notturno, Thor gli si avvicinò.

“Guarda come brindano con quei bastardi. Dovremmo uccidere i giganti, non berci insieme,” sentenziò disgustato.

Loki strinse le labbra sottili e gli rivolse un’occhiata breve e fredda. “Romperemmo la pace costata sangue persino a nostro padre,” gli ricordò. “Non è così che si comporterebbe il re di Asgard.”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e Lettori,

 

Rieccomi con questo aggiornamento! ^^ Anzitutto, sappiate che le prossime cose che leggerete saranno Ombre strette e Solo un accordo: so che la seconda è molto attesa, ma siamo nella zona calda della storia, nell’ultimo blocco, e devo scrivere, ma anche rileggere. Inoltre, Ombre (che vi consiglio caldamente) non avrà più di 5/6 capitoli. Ma torniamo a questa: sono felicissima di aver concluso il capitolo qui perché, come forse qualcuno ricorderà, le cose stanno per unirsi al primo film di Thor. Vi avviso che non farò una riscrittura del primo film, ma sicuramente ci saranno amore, avventura e dramma.

A proposito di dramma: su Sigyn e Kalfr ho preferito lasciare le cose vaghe, per dare modo a voi di immaginarvela un po’ come credete, in fondo la lettura offre questo vantaggio, il poter interpretare. Non ho messo note sulle faide vichinghe, ma funzionava più o meno così. Nel testo vengono fatti continui riferimenti a una battaglia in cui Loki è rimasto quasi ucciso. La leggerete, non l’avete dimenticata.

 

Ringrazio di cuore tutti coloro che listano/recensiscono la storia: io posto e ogni volta è un salto nel buio. Non rispondo a tutte le recensioni pubblicamente, ma sappiate che le leggo e mi danno una gioia infinita. Tante delle mie storie sono nate per una fanart inviata, per una battuta. Questa doveva essere una shot, lo sapete, e pure Accordo. Quindi io sono qui e giuro che non vi mordo ♥ (e lo so che a volte non si ha che dire, ma ricordatevi che anche due frasi possono volere dire tanto).  

Per ulteriori info, tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.  Ah, mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)

 

Ricordo che Vanheim e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Anche l’espressione “Per le Norne” che compare sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.

Vi informo anche che ho ancora nuove cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere presto!

E la settimana prossima? Ah, boh, non ho ancora deciso XD

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,

Shilyss



[1] Questa scena è speculare a quella in cui Sigyn osserva Loki smontare da cavallo. Qui, però, si azzarda a parlagli. Quindi non è mancanza di fantasia, ma un modo per farvi vedere l’evoluzione dei due personaggi.

[2] Vi ricordo che a questo punto della trama Loki ignora totalmente il fatto di essere un gigante. I suoi pensieri nei confronti dei “sanguemisto” sono odiosi e chiaramente non rispecchiano i miei. Attento, Loki, che “chi sputa per aria je ricade addosso!” se dice a Roma :P.

[3] Nel primo Thor

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 

 

Le labbra della ragazza che gli aveva servito l’idromele fino a pochi minuti prima erano più carnose di quelle di Sigyn, il suo seno sicuramente più pieno e largo. Le strappò un altro bacio, impaziente di soddisfare la voglia improvvisa che quella donna compiacente e bella gli ispirava. Non era lei, ma lei era perduta. Inavvicinabile come un fantasma, intoccabile come un sogno. E allora tanto valeva bere e pensare alla faida, allo scrigno e a Gudrun dalle trecce rosse e le lentiggini sul naso, che gli slacciava i pantaloni nonostante fosse abbastanza sveglia da capire che pensava ad altro – al potere che gli era scivolato via dalle dita, al trono, allo scrigno e a Sigyn, col suo sguardo liquido e grigio, carico di disapprovazione. Ma la scintilla era una bugiarda, che aveva preferito fuggire, anziché rivelargli della maledizione da cui non l’aveva liberata e ora non c’era più tempo per fare nulla. Baciò la ragazza con più foga e lei rispose con un trasporto identico, figlio di un desiderio sterile e breve che sarebbe durato fino alle prime luci dell’alba e non oltre, esaurendosi in carezze urgenti e necessarie sotto cui sarebbe stato più facile soffocare quell’unico momento di fatale debolezza che aveva un nome musicale di due sillabe e gli aveva aperto le porte dell’oscurità: Sigyn. Bugia, non era colpa sua se il suo spirito fiero e guardingo conosceva solo la malizia. Il potere era riuscito a corromperlo e lui aveva lasciato che lo facesse, compiacendosi per ogni trionfo ottenuto mentendo, per tutte le vittorie strappate grazie a una mossa audace e astuta.

 

Il giorno dopo Oddr, il fratello di Helgi, disse loro che non avrebbe accettato l’accordo: l’oro promesso non era abbastanza e la morte dei cognati del fratello non sarebbe servita a placare il suo rancore. Era una giornata grigia e l’aria sapeva di neve.

Loki lo ascoltò e non nascose il disappunto. “Perderai più di quanto ti offriamo adesso. Non avrai nulla e stanotte, mentre noi berremo idromele, tu riposerai in Hel,” profetizzò con voce asciutta e cattiva. Il vento gli agitava il mantello chiuso sotto il mento, accanendosi su di lui come su tutti i presenti.

“È un buon accordo ed è la legge. Credi di essere al di sopra delle regole fatte dai nostri padri?” tuonò Thor accanto a lui, offeso e impaziente[1].

Oddr non poteva rifiutare i tentativi di pacificazione di Helgi mediati da Loki per conto di Odino. Era un affronto non tanto alla casa regnante di Asgard, che si era esposta come garante, ma all’insieme di norme che ordinavano i vari popoli tra cui spiccavano gli Æsir.

“Principe Loki, ho seguito mio fratello in ogni impresa. Abbiamo navigato e commerciato per anni e combattuto in molte guerre: sono sempre stato al suo fianco, ma né lui né mio padre sono stati giusti con me. Nessuna ricompensa potrà cancellare un testamento offensivo, una donna rubata, una vita passata all’ombra,” ribadì l’uomo con fermezza, ma nella sua voce c’era una tristezza infinita.

L’ingannatore fissò l’uomo dall’alto in basso. Si trovava davanti a un guerriero alto e forte, imponente persino, con negli occhi ambrati un dolore sordo, ma non senza nome. Un combattente che considerava la propria scelta ineluttabile e ne comprendeva il prezzo. Eppure, nonostante questo, aveva scelto di pagarlo, perché da quell’ombra Oddr non era uscito a emergere mai, neppure dopo che il suo vecchio padre era morto. Nel modo accorato in cui l’uomo aveva perorato la propria causa, Loki riuscì a riconoscere il barlume di una similitudine graffiante. Scosse il capo, inghiottendo un pensiero crudele che aveva già fatto in passato e che portava con sé solamente considerazioni pericolose e indegne.

“Allora hai deciso: il tuo destino è morire,” sentenziò cupo, sfilando dalla bandoliera una coppia di pugnali dalla lama luccicante e affilata.

“Ed è una decisione che non approvi, principe?”

Loki gli scoccò un’occhiata offesa e altera. Oddr lo fissò di rimando, come se cercasse in lui un alleato o una comprensione che il principe cadetto non poteva né doveva offrire.

“È una decisione che non mi riguarda,” tagliò corto.

Helgi s’intromise tra loro. “Mi hai tradito, Oddr. Alla fine tu mi hai tradito,” disse, ma era poco più di un pensiero espresso con un filo amaro di voce. Furono le ultime parole che si scambiò in vita con suo fratello. Oddr si difese con coraggio e valore, ma quando si trovò di fronte a Helgi, attese il colpo mortale senza nemmeno pararlo, anzi: lo accolse, mettendosi in ginocchio e allargando le braccia.

 

Asgard accolse i suoi principi mostrando loro tutta la sua bellezza. Il fiordo su cui si affacciava scintillava alla luce di un sole che, pur non scaldando l’aria pungente, regalava alla capitale degli Æsir un aspetto luminoso e imponente. Durante il viaggio di ritorno, Thor si espresso duramente nei confronti di Oddr e di Helgi, ma non si trattava che di un modo per soffocare lo sgomento che provava. La faida non si era risolta come auspicato, arrivando, invece, fino alle estreme, assurde, conseguenze; il primo figlio di Odino sentiva di aver fallito. La cosa peggiore, tuttavia, non era la frustrazione provata perché le cose non erano andate come dovevano, ma il fatto che Loki sembrava immerso in altri pensieri e più il tempo passava, meno era disposto a condannare del tutto il comportamento di Oddr. Non era la prima volta che le loro aspettative circa una missione venivano brutalmente disattese, ma se c’era una cosa che suo fratello sapeva fare era senz’altro mostrargli gli eventi in prospettiva e rinfrancarlo. Del resto, Loki era dalla sua parte, sempre o quasi. Ecco perché la lite mortale dei due fratelli avrebbe dovuto sconvolgerlo tanto quanto era riuscita a turbare lui. Certo, non si sarebbe dovuto stupire più di tanto. Loki aveva la lingua lunga e la mente svelta, e giocava con la realtà fino a far sembrare bianco il nero e viceversa, eppure la faida cui avevano partecipato poteva essere interpretata unicamente come una tragedia orribile in cui l’unico colpevole era Oddr, che aveva rifiutato di accettare un lauto risarcimento e qualche testa su cui sfogarsi. Invece, gli occhi verdi e pieni di dubbi di Loki cercavano inquieti qualcosa, tradendo la voce calma e composta con cui gli si rivolgeva. Ma quello sguardo nervoso Thor non lo vide mai e, seppure fosse riuscito a scorgerlo, non lo avrebbe compreso appieno.

 

C’era stato un tempo in cui Loki, rientrando dalle sue spedizioni, scorgeva l’ombra sottile di Sigyn. A volte lei era casualmente affacciata a uno dei balconi che abbellivano Asgard, altre camminava nascondendosi dietro il porticato, ma spesse volte gli veniva incontro osando fissarlo negli occhi, impallidendo di fronte alle sue battute provocatorie e salaci. Era fiera come una regina, ma per molte cose mostrava una timidezza figlia della vita appartata che aveva condotto da sempre. L’avevano convinta di essere un’intoccabile privilegiata e invece era una donna – una bella donna, pensava con sordo dispetto le sere in cui l’idromele iniziava a fargli girare la testa. Allora la sognava, immaginando l’abito rosso che aderiva perfettamente al suo seno bianco, i capelli color miele trattenuti a stento da qualche ciocca e quello sguardo liquido e grigio, carico di curiosità e di disapprovazione, che l’aveva stregato durante la visita a Sigurdr. Pensava a lei – a toglierle quel corsetto, a baciarle la pelle morbida e profumata e quando Sif gli chiedeva a chi pensasse, rispondeva con qualche battuta pungente perché non sembrasse ciò che in realtà era. Continuava a non essere in grado di obbedire alle direttive di Padre Tutto e a desiderare l’intoccabile scintilla, condannata ad appartenere all’oscurità.

Ma entrando nel cortile del palazzo di Odino dopo l’ultima, amara missione, Loki non pensò a Sigyn. L’aveva esclusa dalla sua vita un’altra volta, bandendo dalla propria mente ogni riferimento a lei. Fermò il cavallo qualche momento prima di Thor perché Balder, senz’altro avvertito da Heimdall, li aspettava senza riuscire a mascherare l’impazienza. Era ancora un ragazzo, del resto. Con una smorfia, l’ingannatore pensò che non sarebbe mai stato un buon capo militare: era troppo sincero e onesto.

“Ho una notizia da darvi,” esordì quello ansioso, senza attendere nemmeno che scendessero da cavallo.

“Ma giura,” lo canzonò Loki, raggiungendo terra con un movimento svelto e agile.

Thor rise, scuotendo tuttavia la testa di fronte alla battuta perfida del fratello preferito.

Balder li fissò interdetto, spostando lo sguardo dall’uno all’altro. Non si aspettava di vedere sui loro volti le tracce di un combattimento; non era previsto e Loki e Thor erano troppo abili perché uno scontro veloce lasciasse addirittura qualche segno. “Nostro padre ha scelto,” disse lentamente. “Durante la prossima luna nuova proclamerà il suo successore.”

“Beh, era ora. Stapperemo le botti d’idromele di Bor, per l’occasione,” proclamò Thor con un sorriso largo e gioviale, incamminandosi verso le stalle.

“Com’è andato il viaggio? Avete un aspetto stanco,” insistette Balder, seguendoli come faceva da quando aveva iniziato a camminare, senza mai raggiungerli.

Loki si voltò appena. “Abbiamo assistito a un fratricidio e partecipato a uno scontro piuttosto vivace, ma dopo un bagno caldo staremo senz’altro meglio,” spiegò faceto, col chiaro intento di mascherare sotto il velo dell’ironia l’oscurità che gli era rimasta appiccicata addosso dopo aver assistito alla doverosa morte di Oddr.

Balder spalancò gli occhi, senza capire il perché del tono forzatamente leggero del fratello.

“Incidenti che capitano quando si va verso il confine con quella terra di mostri,” spiegò Thor, subito spalleggiato dalla risata sghignazzante dell’ingannatore. Era certamente colpa della vicinanza con gli Jotnar e della disgustosa mescolanza cui verso il confine si abbandonavano sia i sudditi di Odino che quelli di Laufey se due fratelli erano arrivati ad uccidersi. Nella splendida Asgard una cosa del genere non sarebbe potuta accadere, mai. E poi, i principi avevano altro a cui pensare: gli Æsir presto avrebbero avuto un nuovo re, uno degno.

 

Ma che cosa significava essere degni? Loki aveva assecondato suo padre in ogni sua richiesta, cercando di carpirne i ragionamenti logici e anticipandone persino i voleri: immerso nella vasca che avrebbe dovuto ritemprarlo dal lungo viaggio, con la nuca bagnata poggiata sul bordo in marmo, rifletté che non aveva alcuna possibilità di essere stato scelto da Padre Tutto come proprio erede. Mjollnir era di Thor, il primo figlio, il comandante coraggioso e audace dall’animo nobile, se si volevano ignorare i suoi molti, imperdonabili difetti. Increspò le labbra in una smorfia. Suo fratello era arrogante, superbo, vanaglorioso e impulsivo, ma questo non sminuiva la sua presunta grandezza. Lui, invece, era l’astuto cadetto, il maestro di magia da cui ci si aspettava sempre qualche trucco meschino; era la faccia oscura di Asgard, quella che conosceva la provenienza di tutte le reliquie collezionate da Odino e da Bor. Sentì la porta aprirsi e un rumore di passi far scricchiolare leggermente il bel pavimento in legno. Riconobbe di chi erano e piegò le labbra in una smorfia.

“Per un attimo ho sperato foste due graziose serve,” sospirò stancamente, “ma poi ho sentito la puzza.”

Thor gli lanciò un asciugamano mirando alla faccia. “Nostro fratello ha della corrispondenza per te. Privata. Dal nostro amico Kalfr, stavolta.”

Loki serrò la mascella e si tirò su, stringendosi l’asciugamano sui fianchi stretti. “Non c’era alcuna fretta,” disse. Prese la pergamena arrotolata che Balder gli porgeva, tastando il sigillo per controllare che fosse intatto. Non desiderava leggerla sul momento, né credeva che l’altro avrebbe osato intromettersi nei suoi affari, ma quel gesto era stato rapido e istintivo.  

“Vorrà altro oro. Credo che non sia il caso di farne parola con nostro padre, stasera,” decise Thor.

“Pensi che una lettera dal Tempio possa cambiare la sua decisione?” Loki lo superò per raggiungere un mobile dove erano posati degli abiti puliti e prese a vestirsi con movimenti rapidi e decisi. “Lui ha scelto molto tempo fa.”

“E tu approverai in ogni caso la sua scelta?” chiese Balder.

Loki s’infilò una tunica scura coprendo il petto segnato dagli allenamenti e dalle guerre e fissò per un lungo istante il ragazzo, chiedendosi se in lui ci fosse una qualche malizia. Non ne trovò traccia. “Se non lo facessi sarei un traditore,” spiegò con lentezza. “Ogni decisione di nostro padre è il frutto di una riflessione lunga e attenta. Noi siamo i suoi figli e dobbiamo attenerci scrupolosamente al suo volere,” concluse, ma sebbene la sua voce era risuonata forte e chiara nella sala ancora piena dei vapori del bagno, si accorse di non credere davvero in ciò che aveva detto. Aveva recitato un copione già scritto e privo di senso e si sentiva svuotato, offeso, tradito da un destino bastardo.

“Sarà comunque meglio che non veda quella lettera in giro,” sibilò. Prese la pergamena e raggiunse a passo svelto il grande camino che troneggiava nella sua camera da letto, quello accanto cui Sigyn si metteva a leggere la sera quando s’intestardiva nel volerlo aspettare sveglia. Gettò la missiva nel fuoco senza nemmeno aprirla, osservandola bruciare mentre i fratelli gli rimproveravano quel gesto impetuoso e carico d’ira. Ma la scintilla era perduta, chiusa dentro un doppio recinto di mura, colpita da una cecità irrisolvibile. Il suo potere e il suo corpo appartenevano a Kalfr finché l’altro, l’orrore, non l’avrebbe reclamata. E sarebbe accaduto presto.

 

Quella sera l’unico occhio di Odino si puntò a turno sui suoi tre figli, soffermandosi più a lungo sui maggiori. Durante il banchetto i due fratelli, come sempre, si erano spalleggiati raccontando l’episodio di Helgi e Oddr con dovizia e attenzione. Il re degli Æsir aveva ascoltato il loro racconto soppesando ogni parola. Sapeva già come si erano svolti i fatti – gliel’avevano mormorato i suoi corvi – ma era interessato a conoscere come i due avevano elaborato quella vicenda. Erano una squadra ben assortita, capace di sostenersi a vicenda, ma erano anche due giovani uomini volitivi e orgogliosi. Padre Tutto aveva punito le loro intemperanze infantili prima e giovanili poi così come aveva sedato le furiose liti che si erano scatenate tra di loro. Quanti banchetti erano stati rovinati da Thor, che cercava vendetta nei confronti di suo fratello, quanti incantesimi inopportuni gli aveva scagliato contro Loki sogghignando con perfidia. Erano sempre pronti a sfidarsi, a rincorrersi, a competere per ottenere la sua approvazione o per conquistare qualche reliquia con cui vantarsi, ma se c’era da combattere contro un avversario comune, vero o ipotetico che fosse, subito si alleavano. Erano cresciuti insieme e non potevano essere più diversi, ma forse proprio in questo era racchiuso il motivo per cui erano tanto letali e inaspettati. Avrebbero dato lustro ad Asgard – ne avevano le potenzialità, a patto che l’intemperanza e l’ambizione si trasformassero in saggezza. Ma, a volte, quei figli tanto capaci gli incutevano lo stesso sospetto dei lupi perennemente affamati che dormivano ai suoi piedi mettendo il muso tra le zampe. Se messi alla prova, di cosa sarebbero stati capaci? Eppure, li aveva tirati su per essere esattamente così – due principi letali e fieri in grado di governare un regno, anzi, più d’uno.

“Durante la prossima luna verrai incoronato re, Thor. Sei il mio primo figlio ed è ora che tu ti prenda responsabilità più ampie,” decise. Sfiorò la mano candida e inanellata di Frigga, seduta accanto a lui. Nello sguardo limpido della consorte lesse il suo orgoglio di madre.

Non guardò Loki o, se lo fece, il suo unico occhio si soffermò in quelli verdi del figlio per troppo poco tempo, senza leggere quell’ombra di dolorosa consapevolezza che ne velò la trasparenza. L’ingannatore, del resto, sapeva che Odino avrebbe scelto Thor: non poteva dire che la notizia lo avesse sconvolto, eppure si rese conto che una parte di lui, quella più impulsiva, era comunque rimasta aggrappata all’esile filo del dubbio, della speranza appena recisa. Non poteva dire di essere sorpreso, ma.

“Congratulazioni, fratello,” sibilò, sforzandosi di dare una nota allegra e ironica alla sua battuta, chiedendosi se trapelasse l’incendio che lo divorava da dentro. Sorrise e capì di aver perso ognuna delle cose per cui aveva lottato negli ultimi anni: Sigyn, il trono, la conoscenza, la stima di suo padre.

Thor lo abbracciò come se stesse festeggiando non una vittoria personale, ma una comune, innaffiandolo con l’idromele per poi alzarsi in piedi e lodare suo padre e le Norne. Loki rimase seduto al proprio posto mentre suo fratello si piazzava in mezzo alla sala, vicino al fuoco centrale, per esternare la propria gioia incontenibile. No, non aveva mai dubitato che sarebbe diventato re e Loki lo aveva sempre saputo; se non si fosse lasciato ingannare dalla speranza, non sarebbe rimasto immobile cercando di evitare lo sguardo di Balder. In mezzo al frastuono delle stoviglie e delle armi battute sul tavolo per onorare il futuro re, Lingua d’Argento si voltò verso Odino, abbastanza vicino da poterlo udire, non troppo assorto per non ascoltarlo.

“E a me cosa toccherà, padre? Quale eredità mi hai riservato?[2]” domandò con una voce più roca di quanto non volesse. Il sovrano lo scrutò con attenzione e all’ingannatore sembrò che potesse leggergli fin dentro al cuore.

“Continua a servire Asgard e goditi la festa.”

“È questo il mio destino? Fargli da ministro, da consigliere?” Ora era l’orgoglio a parlare. Si rese conto di aver ribattuto in fretta e serrò la mascella, pronto a subire la severità di Odino, perché tutto ciò che contava e importava era e sarebbe stata per sempre Asgard, solo Asgard. Era l’obiettivo, la meta, il fine. Ogni decisione presa da Odino e da Bor prima di lui era volta unicamente ad accrescere il potere degli Æsir e a garantire la supremazia di questi ultimi sui Nove Regni, imponendosi come una forza politica anche oltre i confini dell’Yggdrasill. Loki lo sapeva, come era cosciente che il suo arrogante fratello non aveva la finezza e l’acume dei suoi predecessori. Se solo suo padre lo avesse visto. Se fosse riuscito a capire che i pregi di Thor non annullavano i suoi difetti, se avesse potuto perdonarlo per i sacrilegi necessari commessi, di cui, a ogni buon conto, Loki non si era mai pentito – né lo avrebbe fatto in seguito, forse ci sarebbe stato lui a festeggiare. Ma l’ingannatore era sceso nell’oscurità, tra le radici marce dell’Yggdrasill, e lo aveva fatto andando contro il volere di Odino.  

“Il tuo dovere, il tuo compito in quanto mio figlio, è obbedirmi e fare tutto ciò che è in tuo potere per rendere grande la nostra casata e Asgard a ogni costo. Lo sai.”

 

 

Sigyn[3] scoprì di essere la scintilla in una notte resa ancora più gelida dalla febbre che la scuoteva. Le girava la testa, faticava a tenere gli occhi aperti e sentiva freddo nonostante le coperte. C’era Loki, con lei. Il suo volto affilato portava i segni della stanchezza e le labbra sottili non erano arcuate nel consueto sorriso laterale e beffardo, no. Le aveva stirate in una smorfia che tratteneva a stento il dispetto.

“Tu sei l’ultima di loro,” le disse, e lei comprese che le stava dicendo la verità e non era affatto felice di farlo. Non doveva mancare molto all’alba. Sgomenta, sconvolta, rispose ancora che non era possibile: non aveva mai provato nulla che lasciasse presagire una simile maledizione e mai, mai aveva percepito o visto il futuro. Urd e Skuld non si erano degnata di rivelarle niente – altrimenti, pensò, non avrei mai messo l’abito rosso che tu hai notato e sarei scappata via alla tua prima occhiata[4].

“Capiterà,” si limitò a contraddirla Loki. “Un giorno sfiorerai il bracciale che ti ho riparato e capterai i pensieri dell’artigiano che ha scelto le pietre, di tua madre che te l’ha regalato[5].”

“E i tuoi, che l’hai aggiustato,” concluse Sigyn con voce bassa, senza riuscire a trovare le parole per ringraziarlo. E per cosa poi? Prima di incontrarlo la sua esistenza scorreva senza alcun turbamento, a eccezione di quella bramosia di vivere che, a volte, la lettura di poemi e poesie le ispirava. Poi, Loki era entrato nella sua vita regalandole paure e stupori, rimpianti e turbamenti, palpiti del cuore che non sapeva identificare. Le aveva aperto brutalmente gli occhi trascinandola nel bel mezzo di un mondo che aveva sempre desiderato ardentemente vedere, ma di cui non si aspettava la ferocia. La febbre le ottundeva i sensi, tanto da non farle rendere conto di quanto vicine fossero le loro dita, sottile la sua camicia da notte.

“Anche i miei, forse, sì,” concesse Loki sforzandosi di non sfiorarle la mano, ma desiderando baciarle le labbra semichiuse e senz’altro morbide, il collo su cui si adagiavano leggere le ciocche bionde e disordinate. Le guardava la bocca per non abbassare lo sguardo e incontrare, di nuovo, la conturbante scollatura che lasciava intravedere il suo seno appuntito di ragazza. La scintilla non doveva essere bella, non se suo padre aveva commesso l’errore di prometterla a ciò che marciva tra le radici dell’Yggdrasill.

“Da quanto lo sai?” insistette Sigyn, gli occhi lucidi per la febbre, ma sempre carichi di quella fierezza che lui ammirava.

“Ne avevo il sospetto al banchetto di tuo padre. Ci serviva una conferma.” Un altro pezzo di verità snocciolato a lume di candela e incassato da lei con grazia. Il principe di Asgard si chiese come avrebbe reagito il giorno in cui avrebbe scoperto ogni più oscuro dettaglio del suo futuro.

“Vi serviva una veggente.” Sigyn scoprì di essere offesa. Una parte di lei, quella che non sapeva gestire né controllare, s’infiammò al pensiero che Loki volesse sfruttare la sua maledizione e che non c’entrava affatto l’abito rosso. Era la scintilla ad averlo attratto, non lei – mai lei.

“Ci serviva una veggente, anche se definirti così è riduttivo. E volevamo punire tuo padre,” le confermò l’Ase con voce roca, respirando il suo profumo, leggendo la delusione che le velava lo sguardo. No, la scintilla non avrebbe dovuto essere bella, ma lo era, e Loki di Asgard, che non sapeva rinunciare a nessuna cosa, si chiese come avrebbe fatto ad averla.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori,

è più di un mese che non aggiorno questa storia – mea culpa, mea grandissima culpa, lo so. Siamo nella fase centrale della storia e, come i più attenti avranno capito, ci stiamo avvicinando al momento in cui Loki scopre la sua vera natura. Intanto, come vedete, la trama è andata avanti. Odino ha nominato Thor come suo erede: ve lo confesso, avrei voluto scrivere 250 pagine solamente su questo, ma temevo di essere ridondante. Sono anche tornati i flashback: ero impaziente di arrivare qui perché ora scoprirete che cavolo è successo con Sigyn, come e quando si sono messi insieme e come le vicende dei film si intersecheranno con la saga di Avengers e con quella di Thor.

 

Voglio ringraziare coloro che recensiscono/ leggono/seguono/ricordano e preferiscono – ogni volta che listate o vi palesate m’illumino d’immenso, per voi sembrerà una cretinata ma io che ne so che non la aprite perché vi fa schifo? C’è gente che guarda le carogne agli angoli delle strade, mica sempre uno legge cose belle.

Prossima settimana vorrei aggiornare Ombre strette nel raso verde: ♥, ci tengo, è una fable AU liberamente tratta da Barbablù e... potrebbe piacervi.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

 

Shilyss



[1] Per regolare le faide nelle società scaldiche c’erano corrispettivi in denaro e accordi simili.

[2] La battuta vi suona come già sentita? Per forza, l’avete letta nella mia “Confessioni” ^^ (pubblicità occulta e sì, la continuo).

[3] Bentornati flashback! Qui siamo tornati a quando Sigyn, febbricitante, ha appena scoperto di essere la scintilla.

[4] Urd  e Skuld sono le due Norne che filano passato e futuro.

[5] Negli scorsi capitoli Sigyn fa riparare a Loki un bracciale. Quando lei si ammala, lui glielo lascia sul comodino.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 

 

Non si dovrebbe mai bere idromele mentre i musici suonano canzoni tristi. Loki ricordò di averlo detto a Sigyn per scherzo, quando lei non osava mostrargli il polso, dove scintillava il bracciale che lui le aveva riparato. Pensava che una futura ancella non avrebbe dovuto sfoggiare alcun gioiello, ma l’idea di essere la scintilla, insinuandosi dentro di lei, aveva provocato una sorta di sottile ribellione nel suo cuore. L’inverno diventava ogni giorno più gelido e rigido, e la ragazza spalancava gli occhi mattina dopo mattina chiedendosi se il potere che l’aveva condotta fino ad Asgard si sarebbe rivelato. Ma non accadeva mai nulla. Ripercorrendo le tappe della sua vita negli ultimi mesi, Sigyn si sentiva in trappola. Era come se le Norne avessero tessuto così fittamente il suo destino, da non lasciarle alcuna scelta se non essere nella terra degli Æsir. Loki aveva ammesso di averla voluta perché era riuscito a captare, in lei, la presenza di qualcosa d’inconsueto che avrebbe potuto essere utile a Odino, ma era andato nella terra di Sigurdr anche e soprattutto per vendicarsi di lui. Seppure lei non avesse posseduto la scintilla, il perfido principe l’avrebbe comunque reclamata come proprio ostaggio. La scelta dei suoi genitori di darle un’educazione rigida e tesa a prendere i voti rendeva solamente le sue giornate più amare, perché si trovava catapultata in una realtà in cui il suo pudore destava il riso e dove ogni passo sembrava condurla verso una sola direzione. Nella sua prigione dorata, continuava a pregare gli antenati, ma presto scoprì di farlo senza il giusto fervore, perché era l’ultima delle scintille e, se non lo fosse stata, forse Loki non si sarebbe incaponito nel volerla trattenere nella magnifica, spaventosa Asgard. Invece, lui e suo padre la volevano lì, per carpire profezie e indizi che avrebbero sfruttato per il loro tornaconto personale. A che serviva essere pia e devota, se le Norne l’avevano scaraventata presso un popolo che aveva in odio suo padre? Perché ostinarsi nel pregare gli antenati, che aveva iniziato a servire con offerte e orazioni quand’era solo una bambina, se poi gli stessi si rifiutavano di proteggerla dagli eventi e la mettevano alla prova con pensieri così oscuri? La febbre da cui il figlio cadetto di Odino l’aveva curata se n’era andata dopo molti giorni, lasciandola spossata per settimane. Loki, senza guardarla negli occhi, sentenziò al riguardo che l’origine della sua debolezza era da imputarsi alla notizia riguardo la sua natura. Il fisico rifletteva le sofferenze dello spirito, ritardando la sua completa guarigione. Lo disse sapendo perfettamente di starle nascondendo la parte peggiore: quella che la voleva sacrificata alla tenebra e all’oscurità, che strisciava e si muoveva tra le radici marce dell’Yggdrasill e che lui si era messo a studiare.

 

In una delle recenti nottate passate sveglio a consultare i testi, si era imbattuto in dettagli così raccapriccianti da spingerlo a correre in bagno a rimettere[1]. Lui, che da anni non si lasciava impietosire dai campi di battaglia che odoravano sangue, ferro, fango e morte. Ancora in preda ai conati, dopo essersi sciacquato la bocca, si era asciugato col dorso della mano, imputando il malessere al troppo vino, alla cena spiluccata distrattamente davanti alle pergamene ingrassate dalla polvere. La scintilla era maledetta, promessa ad altro, ma immolarla era rendersi complici di qualcosa di disgustoso, che inorridiva persino lui. E il desiderio di lei si infilava sotto le sue costole, gli stringeva la gola, eccitava i suoi fianchi, corrodendogli infine le vene, i muscoli e la testa, altrimenti razionale. Fingeva di non guardare la pelle bianca che usciva fuori dallo scollo castigato e immaginava le braccia nascoste dalle maniche, sognava di disfare le fitte trecce in cui, come tutte le donne, Sigyn imprigionava i capelli. Solo che accanto alle fantasticherie giustificate dal desiderio, la sua mente svelta ipotizzava anche il resto: la immaginava seminuda, legata su un altare, preda di un mostro, persa nei vagheggiamenti instillati da una droga in grado di distrarla da una fine imminente e orrenda. Anni dopo, mentendo, avrebbe raccontato di non ricordare più – o di non aver saputo mai – quale fu l’istante preciso in cui decise che non avrebbe permesso a niente e a nessuno di toccarla. In realtà, ebbe sempre ben presente il momento esatto in cui scelse, in piena coscienza, di tradire la fiducia di suo padre agendo deliberatamente nell’ombra. Sigyn fu il primo dei sotterfugi pericolosi cui si dedicò nell’età adulta. Rappresentò la cesura tra quelle che erano state le bravate di un ragazzo e gli atti scellerati di un uomo volitivo e spietato, la cui intraprendenza calpestava qualsiasi interesse non fosse il proprio, arrivando a contestare e a mettere in dubbio persino l’autorità del proprio padre.

Lei era ancora convalescente; Loki le si avvicinò sfoggiando il suo sorriso sghembo e il solito portamento fiero, notando le ombre che velavano i suoi occhi grigi. “Non si dovrebbe mai bere idromele mentre i musici suonano canzoni tristi.”

La scintilla lo trafisse con lo sguardo.

Sigyn non avvicinava mai le labbra all’idromele, durante i banchetti. Osservava Loki farlo, però, così come fissava il bel principe dal sorriso beffardo mentre corteggiava e seduceva le dame più belle. A volte lo faceva per noia, si era resa conto, altre per effettivo desiderio o per portare a termine qualcuno dei suoi intrighi. In entrambi i casi, la vista delle avventure amorose del principe suscitava in lei una ridda di emozioni difficilmente districabili, su cui spiccava una riprovazione feroce, capace di farle attorcigliare lo stomaco. Avvampava d’ira quando lo vedeva sussurrare all’orecchio della compagna di turno qualche frase sicuramente falsa e melensa, stornava il viso, rapida, quando l’Ase catturava, con un bacio lascivo, le labbra di un’amante, ammaliata dai suoi racconti affascinanti. Sentiva di odiarlo e di disprezzarlo con ogni fibra del suo essere, ma sarebbe morta pur di non lasciar trapelare il benché minimo interesse circa gli affari di Loki. Che si appartasse con le sue numerose donne, che le stregasse e tradisse per il gusto di farlo. A lei non interessava il suo comportamento sfacciato – e perché avrebbe dovuto, in effetti? Sigyn era stata cresciuta ed educata per servire gli Antenati, e i costumi dei Vanir erano rigorosi e severi[2]. Loki Odinson perdeva tempo ed energie facendosi corrodere dai sensi e quello che suo padre e le sue maestre le avevano detto per una vita intera era vero. I feroci Æsir erano nient’altro che dei pirati arricchiti: avevano deciso di scendere dai loro drakkar dalle prue spaventose per costruire palazzi e città, ma dentro restavano dei selvaggi, dei barbari. E, a quel pensiero, l’immagine di Loki emergeva con forza stampandosi nella sua mente, beffarda e inopportuna come mai: lo vedeva com’era stato quando avevano viaggiato insieme, con il mantello foderato di pelliccia e il sorriso sghembo e ironico dipinto sul viso affilato, dai tipici tratti nordici – zigomi alti e taglienti, occhi chiari e mobili, su un corpo slanciato e fiero, che si muoveva con la grazia di un predatore. Nel rievocare la figura del principe, il suo corpo si tendeva, fremeva, scosso dal ricordo dei passati, rapidi contatti – l’abbraccio sul drakkar, il momento di smarrimento vissuto dopo la cerimonia – e Sigyn si scopriva ancora più confusa e infuriata.

 

Quando l’ingannatore le disse per gioco che il vino e le ballate struggenti non andavano d’accordo, alzò le ciglia scure su di lui, infastidita. Lo squadrò sollevando il mento e ricordandogli che nel suo corno c’era solamente acqua.

L’Ase fece dondolare il suo, colmo per metà. “Il medico sostiene che dovresti bere vino per riprenderti dalla febbre,” disse. “Io dico che dovresti accettare la tua natura. Dacci ciò che ci serve, scintilla. Sarai in pace, dopo.”

La ragazza colse una nota d’impazienza, nella voce di lui. Odino festeggiava l’anniversario della sua incoronazione e tutta Asgard brindava al suo regno ricco e prolifico, chiedendosi sottovoce, però, quale dei suoi figli avrebbe ereditato il trono, se il coraggioso Thor o l’astuto Loki. I due principi parevano non pensarci e, in pubblico, facevano sfoggio di un disinteresse quasi manierato, soprattutto il secondo, dato che il tonante non dubitava affatto che governare gli Æsir fosse un suo imprescindibile diritto.

“A cosa vi servono, le scintille?” rispose altera, quasi con sdegno. Lo vide piegare in un ghigno sornione le labbra sottili e ripensò a quando le aveva rivelato quel terribile segreto, e lei, scossa dalla febbre, era in camicia da notte, esposta, vulnerabile, nelle sue mani – ma non tra le sue braccia, la tradì un pensiero imprevisto e feroce.

“Rivelati utile alla nostra causa, Sigyn. Padre Tutto ti ha accolta non come un ostaggio, ma in qualità di nostra gradita ospite. Di sorella,” aggiunse, allargando il sorriso fino a farlo diventare una risata stretta, ma un simile termine, pronunciato da lui, aveva un sapore sospetto, strano. Sigyn rabbrividì e continuò ad ascoltarlo. “Ci sono, però, delle condizioni, che ancora non conosci, riguardo alla tua permanenza qui. Per questo ti invito ad accettare il destino delle Norne e a sfruttare a tuo vantaggio ciò che hai. Così facendo, farai anche i nostri interessi,” concluse.

A Sigyn il discorso dell’ingannatore sembrò criptico. “È un consiglio o un ordine? Dici che non sono il tuo ostaggio, ma questa non è libertà,” lo sfidò.

“Prima di noi, tu vivevi fin dall’infanzia dentro un enorme palazzo scandito da una serie di riti sempre immutabili. Pregavi, studiavi, ricamavi e cos’altro? Questa è libertà?” s’interessò l’ingannatore con voce cattiva e occhi scintillanti.

“E tu? Tu sei libero?” rispose Sigyn, pallida in volto.

Vedendola così furiosa, Loki provò un sottile, infimo divertimento. Le avrebbe risposto volentieri e si scoprì ad ammirare, come la prima volta in cui si erano incontrati, il principesco sdegno di cui lo faceva oggetto, ma Sif venne a interromperli, adducendo come motivazione certe questioni relative a una recente azione di guerra. Nei confronti del principe cadetto, l’abile guerriera si dimostrava, da sempre, fredda e sgarbata, e anche in quel momento era evidente il fastidio che le procurava il dover richiamare Loki. Sigyn notò che, mentre l’altra lo ragguagliava, le loro spalle quasi si toccavano appena e, sebbene la guerriera non avesse occhi che per il primo figlio di Odino, sentì qualcosa pungerle il petto. Si allontanò con una riverenza breve, mescolandosi con la folla festante, ma su di sé continuò a sentire le occhiate pervicaci e beffarde del bel principe.

 Sognava Loki, e a volte, nelle albe fredde o prima di addormentarsi, lasciava che le sue dita s’insinuassero tra le sue gambe e si sfiorava, scoprendo una consolazione brusca e istintiva alla solitudine e all’incertezza. Soffocando i sospiri, ignorava volutamente il perché il dio degli inganni, col suo volto affilato e il corpo nervoso e svelto, finisse sempre per abitare le sue fantasie incerte. Dopo, la schiacciava il senso di colpa e, abbassando gli occhi, prometteva di non rivolgere più al mago il benché minimo pensiero. Lui era l’uomo che l’aveva reclamata come ostaggio, strappandola alla sua famiglia, ma nelle ore incerte tra la notte e il giorno, era anche il solo fantasma capace di consolare una parte di lei che non doveva esistere, eppure esisteva.

 

Sif esigeva da Loki che controllasse un bottino di guerra prima della sua spartizione. C’erano degli artefatti, al suo interno, alcuni dei quali si diceva che fossero stregati: l’ingannatore doveva visionarli e togliere dal tesoro i pezzi più pericolosi. Lui e Odino si sarebbero occupati, nei giorni successivi, di studiare come impiegare gli oggetti incantati o renderli innocui. La vicinanza tra i due, che Sigyn aveva notato senza, però, coglierne le reali implicazioni, era un segreto che entrambi custodivano gelosamente: avevano avuto una relazione che non era mai sfociata nella dichiarazione di alcun tipo di sentimento e viveva di fasi alterne. Loki trovava divertente che Sif gli si concedesse: era la prova della sua ipocrisia. Professava di amare suo fratello e di voler dare la sua vita per lui, ma intanto cedeva all’istinto di andare a letto con uno che, sulla carta, disprezzava. E Loki, che pure detestava essere considerato un rimpiazzo di Thor da chiunque, lei compresa, spesso la cercava quasi rabbiosamente, perché sporcare l’amore sbandierato che la bella guerriera ostentava gli provocava un piacere malsano. Da alcuni mesi i loro incontri si erano fatti più radi e meno intensi; ciò non era strano. Erano unicamente compagni di letto, e Loki, dal canto suo, spesso s’incapricciava di qualche dama o progetto particolare e si dimenticava di tutto il resto, comprese le passate amanti. Sif non era mai stata gelosa e sapeva, non senza dispetto per se stessa, che, prima o poi, la sua vergognosa relazione col figlio cadetto di Odino avrebbe ripreso ritmi più serrati. Eppure, negli ultimi tempi, Loki le sembrava più inquieto e meno incline a cedere alla passione. Nella penombra del sotterraneo, lo osservò svolgere il suo compito con perizia e abilità, ma non le sfuggì la fretta con cui si rigirava tra le belle mani di mago coppe, spade e collane. Lo vide soffermarsi su un gioiello in particolare e sorridere appena, sempre in silenzio. E ciò era strano, perché Loki aveva la lingua sciolta e raramente sceglieva di tacere: in altre occasioni l’aveva riempita di battute allusive e vagamente canzonatorie, volte a suscitare la sua ira e il suo interesse, ma quella sera, no. L’ingannatore era concentrato in ragionamenti da dove lei, Sif, era esclusa. E non sapeva se ciò le recasse sollievo o sgomento o entrambi.

“Hai voglia di tornare al banchetto?” indagò circospetta.

“È l’anniversario della presa di potere di mio padre,” spiegò il mago senza sollevare gli occhi da un vistoso scudo finemente lavorato. “Ci sono ancora tante botti di idromele pregiato da assaggiare.”

Il disinteresse dell’Ase fece arcuare in una smorfia le labbra della guerriera, ma l’orgoglio le impedì di replicare. Attese che l’ingannatore finisse il suo compito a braccia incrociate, tuttavia, accorgendosi con stupore che si era appropriato già di uno dei tesori. Lo vide lasciare un breve messaggio su una pergamena, colse la soddisfazione con cui rendeva noto il privilegio che si era arrogato. Fatto ciò, il principe s’incamminò verso le scale strette che conducevano ai piani superiori e all’ampia sala del banchetto. Di nuovo, non aveva approfittato della circostanza favorevole per appartarsi con lei, anzi: le sfilò di fianco come se tra loro non fosse mai successo niente, nessuna cosa.

 

Sigyn se n’era appena andata, quando Loki tornò al banchetto. Glielo disse Thor. Il fratello, visibilmente alticcio e con gli occhi lucidi e arrossati, stringeva due valchirie per la vita, una per ogni braccio. Una delle guerriere aveva i capelli neri come la notte e lo sguardo rapace di un corvo. Anche la sua pelle era bruna e liscia. L’altra, aveva leggere efelidi rosse su un viso pallido quasi da bambina, ma il fisico snello e slanciato era quello di un’abile guerriera. Sif deglutì a quella visione: l’indifferenza brutale di Loki si scontrava con quella, molto più amara e senza risoluzione, di Thor. Le due valchirie ridevano col maggiore dei figli di Odino come lei, che pure combatteva al suo fianco da anni, non aveva fatto mai. La bruna gli sfiorava le spalle tornite, la mascella virile e squadrata, ammirandone la prestanza e la bellezza con uno scintillio compiaciuto negli occhi. Avrebbero passato la notte insieme, era palese, evidente, e lo volevano entrambi. La rossa si sciolse a malincuore da quell’abbraccio, lasciando alla coppia il modo di scambiarsi un bacio ansioso. Scherzò con Loki per un momento e poi si allontanò in cerca delle sue compagne.

“Fratello,” disse Thor carezzando la chioma scura e scomposta della donna al suo fianco e sporgendosi, al contempo, verso il mago. Non voleva che altri lo sentissero, nemmeno Sif o la valchiria. “Quella ragazza ha qualcosa che non va. L’ho tenuta d’occhio per te, ma… non fare cose di cui potresti pentirti. Di cui potremmo pentirci,” si corresse, abbassando il tono.

Loki non diede alcuna prova di aver apprezzato le premure del tonante. Ascoltò impassibile l’avvertimento dell’altro, sfoggiando la sua solita posa fiera. Lasciò correre lo sguardo sulla sala gremita e festante, assaggiò un corno ben colmo dell’idromele speciale che Odino aveva fatto aprire per l’occasione e si ritirò poco dopo, da solo.

 

Fu quella la notte in cui, per la prima volta, ebbe gli incubi. Sognò di vederla morire secondo il rituale e vide a chi era promessa, osservando la sua figura mostruosa e potente, frutto di un’immaginazione condizionata da incisioni antiche e descrizioni vaghe e imprecise. Si svegliò di soprassalto, con uno scatto. Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò seduto sul letto, madido di sudore, a maledire l’idromele, ricostruire le ultime ore e raccogliere i frammenti dell’incubo appena vissuto, che già svanivano dalla sua testa. La prima cosa che fece, fu cercare dell’acqua. Aveva la bocca impastata e una sensazione di ribrezzo e desiderio appiccicata addosso. Del suo sogno a brandelli, ricordava una Sigyn discinta come non era mai durante il giorno, ammiccante e sfuggente, svestita quel tanto che bastava per fargli intravedere le forme flessuose sotto un abito leggero. Il resto, erano scene confuse e violente, intrise di sangue, perché Sigurdr aveva promesso la sua figlia più giovane a un mostro che dimorava – marciva – sotto le radici dell’Yggdrasill, immolandola a lui in cambio di una vittoria. L’essere l’avrebbe pretesa come pasto o moglie o entrambe le cose – a Loki non sarebbe dovuto importare, ma invece gli interessava. Secoli prima, l’accorto re Bor, padre di Odino, aveva condannato una simile pratica. La razza che viveva sotto le radici doveva estinguersi lentamente, non ricevere doni che ne avrebbero, in un modo o nell’altro, proseguito e accresciuto la stirpe. Sigurdr aveva violato quell’ordine antico, offrendo alle creature superstiti non una ragazzina qualunque, ma la scintilla. E lei si struggeva per un destino che considerava avverso, senza immaginare, ancora, quanto in realtà fosse sporco ed empio e ingiusto. Loki si ritrovò a camminare per i corridoi bui del palazzo, accaldato e inquieto. Nonostante la frizzante aria notturna, indossava solo dei pantaloni di stoffa e una tunica leggera. Era uscito per schiarirsi le idee e scaricare l’adrenalina che gli era rimasta in corpo dopo il suo brusco risveglio. Finì a girovagare nei pressi della biblioteca, dentro cui avrebbe saputo orientarsi persino bendato. Alla fioca luce di una fiammella evocata pronunciando un paio di rune, trovò gli scaffali che lo interessavano: erano una raccolta di vecchie fiabe, filastrocche e poesiole per bambini, ma Loki non ignorava che, nelle storie narrate d’inverno dalle nonne di fronte ai camini, si celassero spesso significati inquietanti, visibili solo a chi sapeva o voleva cercare.

 Con i volumi sottobraccio, s’incamminò col suo passo svelto e felpato verso i propri appartamenti, ma nel farlo prese una strada diversa, inconsueta, che lo portò a fermarsi davanti a una porta chiusa, da cui filtrava una sottilissima lama di luce. Loki Odinson sbatté le palpebre gonfie di sonno: la notte era così fonda da essere irreale e forse anche quel bagliore lo era: altrimenti, stava fissando il segno che Sigyn, oltre la soglia, era sveglia.

Per un momento, si figurò nell’atto di bussare e aprire la porta – non era casa sua, del resto? – e coglierla nell’atto inutile di pregare gli antenati o immersa nella lettura di un libro. L’avrebbe sorpresa in camicia da notte, la stessa con cui l’aveva vista la sera della febbre, e si sarebbe deciso a rivelarle la parte di verità che ancora le mancava. Immaginò il terrore dilatarle nuovamente gli occhi e si figurò le sue labbra, schiuse e ben disegnate, tremanti e colme di maledizioni verso di lui, che era un bugiardo, e contro suo padre, che l’aveva venduta. Oppure, avrebbe potuto inghiottire ancora una volta la verità e stringerla tra le braccia, come desiderava, riscuotendo il premio chiesto per una battaglia in cui aveva quasi perso la vita. E allora la camiciola sottile di lei sarebbe stata sfilata bruscamente, per svelare le forme sognate dei fianchi rotondi e ben fatti, del seno piccolo e sodo. Alcune scene del suo incubo tornarono a pungergli la mente, suggerendogli quanto dovessero essere dolci i suoi baci, squisito il corpo che avrebbe spogliato e ammirato e posseduto nella penombra notturna. Era stata promessa a un altro, ma si trattava di un giuramento empio, che andava fermato. Nemmeno Padre Tutto desiderava spegnere così la scintilla, sebbene non potesse interferire con giuramenti e promesse[3].

Per un momento, Loki valutò davvero l’idea di entrare. Sfiorò la maniglia con le punte delle dita, inebriandosi del piacere maligno che nasce dai divieti violati. Chissà che sapore aveva.

 

 

Non si dovrebbe mai bere idromele mentre i musici suonano canzoni tristi. Loki ricordò di averlo detto a Sigyn per scherzo, una volta, ma era passato molto tempo da allora e lei adesso era cieca, lontana, perduta. I festeggiamenti per la prossima incoronazione di Thor proseguivano da ore, ma l’alcol non lo inebriava né rallegrava più. Costringeva la sua mente a percorrere sentieri contorti, carichi di un rancore fatto di molti altri rancori, ognuno con un proprio nome. E quello della maledetta scintilla spiccava su tutti, perché l’ingannatore era convinto che molte cose sarebbero andate in modo diverso, se le loro strade non si fossero mai incrociate, se suo padre, incauto, non l’avesse promessa - venduta. Thor blaterava assurdità sul proprio futuro regno, fantasticando di battaglie e scontri, e Loki pensava all’ombra in cui avrebbe continuato a strisciare, ai rimpianti che tiravano come fanno le vecchie cicatrici. S’inumidì le labbra e si alzò per abbandonare la sala. La festa gli risultava odiosa, così come la scelta scriteriata di Padre Tutto. Serrò i denti con ferocia: quel pensiero era, già di per sé, un tradimento. Uno persino peggiore di quello già compiuto. Sentì il respiro farsi irregolare, il sangue pompare irregolarmente nelle sue vene: Padre Tutto non poteva sbagliare. Lui, Loki, provava, verso il genitore, un affetto incondizionato, un’ammirazione senza pari. Fin dall’infanzia, incantato dal fascino irripetibile di quell’uomo con un occhio solo che raccontava a lui e a suo fratello delle storie fantastiche, si era ripromesso di dimostrarsi degno ai suoi occhi, copiandone senza nemmeno accorgersene le movenze e persino il modo di pronunciare certe parole. Crescendo, l’ammirazione si era tramutata in orgoglio; era il figlio di Odino, il principe di Asgard: non c’era impresa che non potesse o dovesse essere compiuta per il bene di quest’ultima. Persino strappare Sigyn al suo destino poteva giustificarsi nel tentativo di far rispettare le leggi di Bor, da sempre difese da Padre Tutto. Così si era discolpato, quando Odino, pallido per l’ira, lo aveva accusato di essere egoista e di badare solo al proprio tornaconto. Eppure, la scelta, alla fine, era ricaduta su Thor. Gli tornarono in mente le parole, cariche di un mesto risentimento, che erano state pronunciate dall’infelice Oddr. Come lui, Loki viveva in un’ombra, che anziché diradarsi si faceva sempre più fitta, inghiottendolo. Dopo aver perso lei, si era ritrovato a vedersi scivolare via dalle dita la possibilità di essere re. Che altro restava al cadetto, all’eterno secondo? Perennemente sul punto di sfiorare la luce e sempre, invariabilmente, escluso dalla stessa? Le sue belle dita di mago tamburellavano stancamente sul legno della propria scrivania che, frattanto, aveva raggiunto. Il fuoco crepitava appena nel largo camino, spandendo una luce rossastra e tremolante. Loki non aveva freddo né desiderava illuminare maggiormente la stanza. Se l’avesse fatto, i suoi occhi mobili e inquieti si sarebbero soffermati sulla cassapanca dove, sepolto sotto mantelli e tuniche, era nascosto uno scialle di seta impalpabile, appartenuto a lei. Il primo fallimento. Verso l’alba, il fuoco si ridusse a poche braci tiepide. Fu allora che il dio degli inganni si alzò e, avvicinando una mano verso la cenere, pronunciò a bassa voce una serie di rune il cui suono cadenzato sembrava quello di una nenia. Lentamente, una pergamena ancora sigillata riprese forma. Loki, però, non l’aprì. La curiosità lo mordeva, ma l’orgoglio gli impediva d’invischiarsi ancora in una situazione irrisolvibile. E poi, un altro piano si andava formando nella sua testa, perché se Sigyn era perduta, Asgard ancora non lo era. Thor non meritava il posto di suo padre. Loki doveva solo dimostrarlo, creando ad arte l’occasione giusta che rivelasse la vera natura del fratello.

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore (perché lo sapete che vi si lovva moltissimo, vero??)

 

So che molti di voi attendono anche l’aggiornamento di Accordo e vi prometto che la prossima a essere aggiornata sarà lei, ma comprendetemi: lì siamo nella fase finale della storia (leggete: l’ultima tranche di capitoli) quindi mi serve tempo per fare le cose bene e poi è stata un’estate complicata, ve lo confesso. Ma torniamo a Scintille. Vi avviso che nei prossimi capitoli saremo quasi sempre nel passato. È giunto il momento di scoprire cos’è successo, cos’è andato storto e perché Sigyn non è stata salvata.

Qualcuno si chiederà come mai non posto più settimanalmente: cercherò di essere sempre più o meno presente e di non far passare più di 14 giorni senza mie, ma a ogni modo vi ricordo che esiste la paginuccia fb per seguirmi e anche instagram. Lì avete mie notizie più o meno giornalmente (inserite risata malefica qui).

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

 

Shilyss



[1] Perché questi hanno le astronavi, non posso e non voglio credere che sanno come far volare una macchina e non abbiano a loro disposizione un sistema idraulico e fognario decente. Prima di volare, occorre risolvere l’annosa questione dei bisogni, ché farli nel secchio pare proprio brutto.

[2] Tutto ciò che leggete su Sigyn e sui Vanir (compreso il fatto che lei sia una Vanir) è un mio headcanon.

[3] Un mio headcanon riguardo alle promesse e ai giuramenti, così come la cosa che vive nelle radici.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

 

Distinguere acutamente il bene dal male era sempre stata una prerogativa di Loki Odinson. La sua penetrante intelligenza gli aveva regalato una forte capacità critica che applicava non solo nei riguardi di chi lo circondava, primo tra tutti Thor, ma anche verso se stesso. Guardandosi allo specchio, l’ingannatore sapeva distinguere uno per uno i rancori e gli odi che gli rimanevano incastrati nelle sopracciglia aggrottate, nello sguardo trasparente e spesso fin troppo duro, nella piega sprezzante e altera delle labbra sottili. No, Loki non era come quelli che inseguono una chimera o si lasciano corrompere dal male in buonafede, tutt’altro, né s’illudeva o chiamava le cose con un nome diverso dal loro. Quando si travestì da viandante per celarsi agli occhi del guardiano, incamminandosi verso sentieri noti a lui solo che gli avrebbero fatto raggiungere Jotunheim, sapeva di stare per commettere un alto tradimento, doppio, perché tradiva suo padre e la sua patria. Allo stesso modo, quando arrancò nella neve alta che circondava il desolato palazzo di re Laufey, sapeva benissimo quali punizioni spettassero a chi vendeva Asgard al nemico. Perché questo era esattamente ciò che stava facendo: pur di impedire, con ogni mezzo, a Thor di diventare re al posto suo, Loki era disposto a gettare nel caos la terra dov’era cresciuto, a mettere a repentaglio tutto ciò che amava e gli era caro. A suo tempo, aveva fatto la stessa cosa con Sigyn, perdendola. Era cosciente che, lasciando entrare i giganti oltre le sacre mura di Asgard, esponeva gli Æsir a una guerra in cui molti sarebbero morti. Il sacrificio, però, gli parve poca cosa rispetto al bene che ne sarebbe derivato dopo: Loki aveva calcolato, con crudele precisione, che se suo fratello fosse diventato re, i danni al regno sarebbero stati molto più ingenti e tragici di quelli provocati da lui stesso. E, con questa spietata tesi tutta da dimostrare, chiese e ottenne, non senza difficoltà, che il capo dei giganti di ghiaccio lo udisse. I motivi per cui aveva scelto, tra i molti nemici di Asgard, proprio i più temuti, erano molteplici. La sicurezza dello sdegno feroce, anzitutto. Thor avrebbe cercato un’inutile e stupida vendetta, mostrando a Odino quanto non meritasse di succedergli. E, dopo averlo escluso dal trono, la scelta di Padre Tutto, non potendo ricadere sull’ancora troppo giovane Balder, si sarebbe indirizzata verso l’unico che avesse le qualità e le abilità per regnare: lui, Loki Lingua d’Argento.

Eppure, nonostante il terribile inganno che stava perpetrando a danno del fratello, il mago non odiava Thor. Gli aveva salvato la vita mille volte, seguendolo in ognuna delle sue folli imprese, e l’altro aveva fatto lo stesso con lui. Di più, se qualcuno avesse minacciato in qualche modo Asgard e Thor – gli stessi che Loki stava mettendo in pericolo – lui si sarebbe erto a difensore di entrambi, lottando fino alla morte, perché erano pari – entrambi figli di Odino e investiti del diritto di succedergli, un giorno. Solo che lo scranno di Padre Tutto non poteva ospitarli entrambi e allora, poiché Loki non aveva la benché minima voglia di sottomettersi in alcun modo a suo fratello, l’unica via era sottrargli quel privilegio che giudicava malriposto. Il dio del tuono, poi, non aveva fatto granché per ingraziarsi l’ingannatore o rendere meno doloroso lo smacco. Si credeva superiore a lui per via della sua forza bruta e delle lodi che gli venivano perennemente tributate dai guerrieri che gli ronzavano sempre attorno. Questo era il difetto principale e più insopportabile di suo fratello: la vanagloria, il volersi circondare di gente pronta a lodarlo e a combattere al suo fianco spesso unicamente per soddisfare il suo orgoglio. E Loki, che si rifiutava di sperticarsi in patetiche lodi, veniva tacciato d’invidia. Effettivamente, in una prova che riguardasse la mera forza fisica, come il lancio del tronco, Thor non aveva rivali e Loki, sebbene forte, non era alla sua altezza. Ma era più resistente e furbo e veloce. E tutti questi elementi avevano un loro peso, in battaglia, tanto che trovarsi davanti il primo figlio di Odino era un’esperienza spaventosa, ma col cadetto non si scherzava di certo. A labbra strette, Loki avrebbe anche dovuto ammettere, almeno con se stesso, che il risentimento verso Thor era scoppiato quando Padre Tutto lo aveva preferito smaccatamente a lui. Che con l’impulsività di suo fratello aveva convissuto per una vita intera, buttando il capo all’indietro e ridendo di cuore di fronte alle sue impetuosità. Che prima di disprezzarlo, lo aveva ammirato, seguito, spronato, consigliato. Le vittorie dell’uno erano state quelle dell’altro e senza i loro teatrini e i piani, che spesso allestivano in virtù del fatto che bastava loro uno sguardo, per capirsi, Asgard avrebbe avuto meno lustro. Solo che Loki non era disposto a inchinarsi e prestare giuramento a suo fratello. Né ora né mai.

 

A Laufey l’ospite venuto da Asgard non piacque affatto. Lo squadrò da capo a piedi riconoscendo, in lui, qualcosa di storto, di sbagliato. C’era, nella sua figura orgogliosa, un’incongruenza di cui solo il re dei giganti sembrava accorgersi. Fu tentato di chiamare un indovino che sbrogliasse i suoi dubbi circa le intenzioni dello straniero, ma la voce del ragazzo – perché tale era – lo incatenò con promesse suadenti. Lo scrigno degli Antichi Inverni di nuovo al suo posto, a Utgard. Il traditore – perché il suo ruolo era evidente– aveva scelto di presentarsi con un nome falso per sua stessa ammissione. Spiegò che ciò avrebbe tutelato sia lui che i giganti da future rappresaglie – perché ci sarebbero state, sicuramente. Laufey non seppe mai dire perché lo ascoltò fino in fondo. Il suo primo impulso era stato quello di alzarsi e di andarsene, insultato da una visita che prometteva chimere e riesumava antiche ferite. Il questuante bugiardo e millantatore andava punito con la morte, il suo cadavere gettato in un dirupo, affinché i lupi lo divorassero. Solo che l’ospite conosceva davvero Odino e il palazzo reale e fu quella consapevolezza, trapelata dal bel discorso di lui, a incatenare il sovrano al suo posto.

Non ravvisò mai nei suoi lineamenti quelli di una donna con cui, un tempo, si era intrattenuto: lo ingannarono le sue fattezze d’Ase.

“Fidatevi delle mie parole,” lo incalzò Loki, ipnotico. “Se seguirete il passaggio che vi ho indicato, nessuno vi vedrà. E mentre tutta Asgard sarà impegnata ad ammirare Odino e la sua famiglia, a festeggiare il futuro erede,” proseguì leccandosi le labbra, quasi stesse pregustando già il momento, “un manipolo dei vostri uomini, mio signore, potrà entrare e appropriarsi del vostro scrigno,” concluse.

Laufey lo scrutò per l’ennesima volta da capo a piedi, soppesandolo insieme alla sua proposta scriteriata. Il giovane, nei suoi movimenti fluidi, gli ricordava l’odiato nemico, Odino. Rintracciò in lui la medesima scaltrezza, l’identica protervia nel proporre soluzioni facili solamente sulla carta. Persino il modo di allargare le braccia per accompagnare un concetto, o di increspare le labbra in un ghigno compiaciuto, somigliava a quello del re degli Æsir.

“Perché?” gli domandò, assottigliando gli occhi e sistemandosi meglio sul trono. “Perché tu, che sei un figlio di Asgard, tradisci la tua patria?”

 

La schiettezza della domanda costrinse Loki a drizzare la schiena. Quella parola sbattuta in faccia, tradisci, lo colpì al punto da far scolorire il suo viso affilato, avvampare il suo sguardo aguzzo. Stava imboccando un sentiero da cui non c’era ritorno: ripensò a quando aveva tentato di salvare Sigyn dal suo destino e, tra le radici dell’Yggdrasill, aveva incontrato le tenebre – e le Tenebre avevano incontrato lui.

“Avrò il mio tornaconto, se voi, mio signore, prenderete lo scrigno,” insistette con la risolutezza del principe che era.

“E quale sarebbe?” s’interessò il gigante. “Ci darà potere. Con quel potere, rappresenteremo di nuovo una minaccia.”

“Forse. O, forse, un’altra guerra logorante potrebbe distruggere entrambi i nostri regni,” insinuò Loki con uno dei suoi sorrisi ambigui e spiazzanti. I suoi consigli avevano il potere di piantarsi nella testa di chi li ascoltava e di germogliare in idee difficili da estirpare.

Laufey pensò che fosse pericoloso e disperato. “Te lo domando di nuovo, e bada,” l’avvertì, alzandosi. “Bada a dirmi la verità, o ti ucciderò, ti farò a pezzi e darò i tuoi resti in pasto ai lupi. Perché lo fai?”

Il dio dell’inganno si assicurò che il suo respiro fosse assolutamente regolare. “Devo vendicarmi di Thor Odinson,” rispose con una calma rovinosa. “Impedirò la sua incoronazione.”  Riuscì a pronunciare quelle parole concentrandosi sulle volte in cui suo fratello, tronfio e arrogante com’era, si era rifiutato di considerarlo suo pari, illudendosi che lui, Loki, fosse vittima, come tutti, del suo fascino, tanto da tributargli un’inesistente superiorità. Ma l’ingannatore non credeva né vedeva una simile disparità: ciò che il tonante possedeva nel braccio lui l’aveva nella testa. Erano compagni d’arme e lottavano per lo stesso obiettivo, sebbene paresse, a volte, che a Thor interessassero più la gloria e le lotte, che il buongoverno della propria terra.

Laufey si prese qualche momento per ragionare. Loki continuava a tenergli testa col suo atteggiamento fiero e lo sguardo fiammeggiante: intuì che le ombre che gli asserragliavano il petto erano più fitte e pericolose di quanto non sembrasse a prima vista, e fu per quell’oscurità che decise di credergli.

 

Eppure, Loki quella notte non rientrò trionfante ad Asgard. Raggiunse la periferia della città nelle vesti di un semplice pellegrino dall’aspetto stanco e dinoccolato per sfuggire all’occhio del guardiano, ma una volta al sicuro, non riprese il consueto abbigliamento e aspetto. Preferì rintanarsi nell’ombra di una bettola disgustosa a vedersi, indegna di accoglierlo, ma dentro cui aveva brindato con Thor mille volte e recitato versi appassionati per qualche bella ragazza. E, in un’occasione, la canzone gli era stata ispirata non dalla graziosa ostessa dall’ampia scollatura e la risposta svelta che li serviva, ma da un’altra. Una a cui aveva riparato un braccialetto d’oro e che lo fissava sempre con dispetto. Bevve il sidro sforzandosi di cacciare via dalla mente persino il nome di quell’ingrata bugiarda che le Norne avevano punito, sforzandosi di concentrare ogni suo pensiero sul piano. Nel momento in cui Odino avrebbe proclamato a tutti gli Æsir l’incoronazione del suo primo, brillante, figlio, un manipolo di Jotnar si sarebbe intrufolato nei sotterranei del palazzo. La reazione di un idiota come suo fratello sarebbe stata ben diversa da quella, accorta e ponderata, di Padre Tutto. Ne era certo. Il disgusto manifestato da Thor quando, insieme, avevano cercato di dirimere l’orribile faida fraterna scoppiata tra Oddr e Helgi gli aveva fornito la misura di quell’odio. E la triste storia dei due rivali bruciava ancora, nel petto del tonante, come un’ingiustizia che andava lavata via col sangue e di cui riteneva responsabili i vicini giganti di ghiaccio. A suo parere, questi ultimi avrebbero esacerbato la faida, anziché sedarla. Sì, il piano di Loki sarebbe andato a buon fine – solo che il sorriso che gli si dipinse sul viso affilato fu amaro e breve.

 

 

“Non credevo leggessi fiabe.”

Loki si svegliò con uno scatto rapido, e il libro che aveva sulle ginocchia cadde, perdendo il segno. Era mattina. Una luce livida e tenue filtrava dalle alte e strette finestre a ogiva che illuminavano la severa biblioteca di Odino. Negli occhi di Sigyn brillava una luce divertita e trionfante, segno evidente di come il sorprenderlo lì, addormentato su una poltrona, l’avesse piacevolmente stupita. Le trecce in cui erano avvolti i suoi capelli erano meno severe di quelle abituali e le donavano maggiormente, ma Loki non le avrebbe mai detto che era bella. Ancora stropicciato e confuso, si riscosse, cercando di trincerarsi dietro il contegno abituale, – aveva bisogno di dissetarsi e di fare un bagno.

“Non credevo fossi così mattiniera.”

“La prigionia mi rende quasi insonne,” chiosò lei, “e le nostre preghiere iniziano prima dell’alba.”

L’ingannatore notò che lo sguardo liquido e grigio della scintilla era appena segnato dalla stanchezza e ripensò a quando, un paio di sere prima, aveva visto la luce filtrare da sotto la sua porta. Lei, ancora incuriosita per la strana lettura del mago, si chinò per raccogliere il volume e porgerglielo, ma Loki si abbassò per bloccarla a metà strada, anche se, ormai, le dita della ragazza sfioravano la copertina in pelle. Erano più vicini di quanto non dovessero, ma prestarono molta attenzione a non toccarsi.

“Le tue fiabe,” sorrise lei.

“Nelle fiabe si nascondono spesso verità e insegnamenti. Non sottovalutarle,” suggerì l’Ase. Quando fu in piedi, si concesse di squadrarla meglio. “E tu, che cercavi tu, qui, a quest’ora?”

Un guizzo indecifrabile balenò nello sguardo di Sigyn. “Le cronache di tuo nonno Bor. Le ho cercate anche ieri, ma non le ho trovate.”

L’Ase assottigliò gli occhi e s’inumidì le labbra. La richiesta della ragazza giungeva inaspettata, come imprevisto era l’aiuto che lei, implicitamente, gli chiedeva.

“Come mai ti interessano?” ghignò e, messosi il suo volume sottobraccio, s’incamminò rapido per i corridoi della biblioteca. Era una delle zone più antiche della dimora di Odino. Negli anni era stata ampliata e allargata più volte e ora la sua pianta vantava delle irregolarità capaci di trasformarla in un labirinto dall’ordine oscuro. Alcune sale sembravano fatte per stupire i visitatori: possedevano ampie finestre, grandi camini e poltrone, tavoli sedie. Altre, nei tempi passati avevano ospitato copisti e miniatori intenti a consumarsi la vista alla luce delle candele, nel tentativo di creare libri che erano opere d’arte, prima che oggetti capaci di trasmettere il sapere. Sigyn era affascinata e incuriosita da quel luogo, forse il più interessante di tutto il palazzo, ma non era in grado di orientarvisi. Seguiva Loki cercando di non perderlo di vista e di ammirare, al contempo, le fitte scaffalature e sbirciare qualcuno dei titoli incisi sul dorso dei libri. A un certo punto, Loki si fermò e la ragazza per poco non gli andò contro. Si sporse per raggiungere un ripiano quasi troppo alto persino per lui e trasse un tomo dalla copertina nera piuttosto rovinata.

“Le più belle e accurate,” annunciò. “Ma vorrei sapere perché.”

C’era una nota a metà strada tra la curiosità e il sospetto, nella sua voce. Erano in un’ala sperduta e oscura della biblioteca; nonostante fosse ormai giorno, la luce penetrava a stento nella sala. Forse, ipotizzò la ragazza, le finestre erano orientate verso occidente, ma a parte quest’ipotesi, Sigyn non avrebbe saputo dire dove fosse l’uscita. Era sola, con Loki Odinson che la scrutava in quel suo modo fiaccante e terribile, capace di strapparle via ogni sicurezza e leggere nel suo cuore. Raccolse ogni energia per rispondergli con la consueta fermezza. “Per contrastarvi devo conoscervi. E l’unica maniera che conosco è questa. Studiarvi.”

L’Ase s’irrigidì e le diede il volume. “Tu non sai distinguere i tuoi amici dai tuoi nemici.”

“Voi Æsir sareste i miei amici?” Ora era Sigyn a essere pallida. “Sono un tuo ostaggio, Loki,” ricordò. “Hai preteso che vi seguissi, sfruttando il fatto che fossi la scintilla, senza curarti che ero un’ancella…”

“Tuo padre,” iniziò l’ingannatore, ma la ragazza lo interruppe.

“Mio padre cosa? Non vi ha mandato i suoi aiuti? Lo so. Me lo hai detto. E so che sei rimasto ferito, ma io non sono responsabile di questo.”

L’Ase scosse la testa. “Tuo padre ha fatto tante promesse che non poteva mantenere. E non tutte a noi. Ti avrebbero consacrato come ancella, presto, ma fidati delle mie parole: la tua vita non sarebbe trascorsa come tu immagini.” Di più non poté – non riuscì a dirle. Maledisse la propria tendenza a essere sempre diplomatico, che fin troppo spesso sfociava nel necessario inganno, e la debolezza – o pietà – che lo aveva colto, impedendogli di essere schietto.

Sigyn, invece, giudicò falsa la predizione di Loki. Chiese bruscamente di essere condotta all’uscita. L’ingannatore lasciò che la propria immaginazione fantasticasse lungo quei corridoi avvolti perennemente dalla penombra – con lei, con le sue labbra imbronciate, col suo profumo delicato e persistente. Le fece strada senza dire una parola, invidiando le ombre che l’avrebbero ghermita, ricacciando in gola le frasi pungenti e dannatamente sincere che lei meritava di ascoltare.

Ragazzina orgogliosa, mia infelice scintilla, tuo padre ti ha venduta a un altro, prima che a me. E non c’è modo di strapparti a lui – presto ti reclamerà.

 

 

L’aveva bandito[1]. Odino aveva bandito suo fratello, cacciandolo sull’oscura Midgard non prima di avergli tolto ogni suo potere. Compreso Mjollnir. Era quello che Loki voleva? Sì e no. Aveva agito con cognizione di causa, con l’intento di arrecare un danno a Thor, ma non immaginava che l’ira di Padre Tutto sarebbe stata così terribile. La realtà aveva superato le aspettative, lasciandolo, per un momento, incerto e sgomento. Lui, che pareva avere la risposta a ogni domanda o soluzione, che si vantava di essere brillante e sagace e sempre pronto a modificare i propri piani in base alla circostanza, era rimasto a corto di parole. C’era stato un momento in cui aveva cercato di limitare i danni e di intervenire; per quanto suo fratello, istigato da lui, aveva trasgredito a un preciso ordine, il suo agire sconsiderato era comunque lecito, da una certa prospettiva. Forse non era una scelta politicamente vincente, ma rappresentava un atto di forza di cui Asgard aveva bisogno. Da troppo tempo il fiero figlio di Bor preferiva la cautela allo scontro. Gli Jotnar reputavano lui un vecchio debole, i suoi figli dei cuccioli viziati. Thor era stato sciocco e impulsivo, ma Loki aveva sentito il bisogno di difenderlo, perché per quanto la sua spedizione fosse niente di meno che una missione suicida – lui, la sua vendetta, l’avrebbe ottenuta in maniera più efficace: con l’intelligenza – era animata da propositi, intenzioni e volontà che l’ingannatore condivideva. Non era servito. Padre Tutto l’aveva zittito con un urlo disarticolato e quasi belluino, segno evidente di quanto non desiderasse ascoltare le sue giustificazioni retoriche. Un momento dopo, Thor aveva passato il segno offendendo il re loro padre e aveva lasciato Asgard nell’ignominia.

Era quello che volevi, Loki?

 

La voce di una coscienza insinuante lo tormentava mentre percorreva, come trasognato, i corridoi della sua casa divenuti improvvisamente troppo vuoti e grandi. Thor era stato esiliato.

Il preferito di suo padre, il brillante fratello maggiore – anche se di una manciata di mesi appena – che Loki aveva ammirato, combattuto, difeso, aiutato. C’era rivalità tra loro? Certo. Erano entrambi ambiziosi e fieri. L’ingannatore non aveva mai nascosto la sua volontà di primeggiare né l’idea che fosse più meritevole perché più astuto dell’altro. Quante volte Frigga aveva alzato gli occhi al cielo vedendoli litigare e malmenarsi, quante Odino li aveva redarguiti per quello stesso spirito indomito e bellicoso che apprezzava sul campo di battaglia? E cosa avrebbe fatto, Padre Tutto, se avesse sospettato quanta parte di responsabilità aveva lui stesso nella ribellione di suo fratello?

Eppure, Loki non era totalmente responsabile di quanto capitato a Thor. In qualsiasi momento, lo sfolgorante erede di Odino avrebbe potuto fermarsi, abbandonare qualsivoglia proposito di vendetta e rimettersi alle decisioni del suo re. Si era ficcato in testa di agire diversamente – lui lo aveva solo spinto in tal senso, approfittando della sua influenza presso Thor e della volontà stessa dell’altro. Conoscevano entrambi il parere del loro padre; lui si era limitato a dirsi sinceramente d’accordo nell’idea che i giganti erano un pericolo finché respiravano – e lo credeva, ne era convinto con ogni fibra del proprio essere, soprattutto dopo averli affrontati sul loro stesso territorio. Per poco non erano morti – se non fosse intervenuto Odino, sarebbero senz’altro morti.

 

Poi Sif lo aveva pregato di intercedere presso Odino. Di supplicarlo al fine di mitigare la punizione di suo fratello, supportata, in questa richiesta, dagli amici di Thor, sempre pronti a idolatrarlo senza vederne gli eclatanti difetti, subito sospettosi nei riguardi di lui stesso, che li aveva salvati. Perché il brillante piano di suo fratello – andiamo e distruggiamoli – non era solo politicamente svantaggioso, ma stupido e impulsivo, come Thor, del resto. Lo avevano accusato di essere invidioso e malvagio, ma erano degli irriconoscenti infedeli, nient’altro. Soprattutto Sif, che sotto la sua maschera d’imperturbabilità e freddezza che, sempre, gli riservava, alludeva a un passato vissuto nella penombra. Si vergognava di essere andata a letto con lui, di averlo usato come ripiego perché non riusciva ad avere Thor, e ora lo implorava perché riportasse a casa il suo eroe. Voleva manipolarlo in nome di una relazione che non era mai andata oltre la semplice scopata per preciso volere di entrambi. E, in virtù di qualche amplesso consumato di nascosto, mentre entrambi pensavano e desideravano altre persone, lei pensava di poter intercedere.

Di contare più di quanto, realmente, contava. Era sciocca e stupida, ma a sua difesa occorreva dire che l’ingannatore, in quei mesi, l’aveva cercata con più frequenza e ardore, nell’inutile tentativo di scacciare Sigyn dalla sua testa. Ma la scintilla era un’ombra rinchiusa in un mondo di tenebre, e tutto ciò che aveva di lei era una lettera di cui ricordava a memoria ogni parola e che prometteva sventure; nella sua cecità, la scintilla aveva visto, finalmente, l’approssimarsi dell’inverno lungo sette inverni, sognato tracce di sangue sulla neve. Un presagio d’incerta valutazione in base a chi fosse il lupo e chi la preda.

 Se non fosse stata Sif a supplicarlo, forse Loki avrebbe cambiato idea e, con calma, dopo un ragionevole periodo di tempo ed essersi assicurato di avere ciò che meritava – la futura investitura come re di Asgard – avrebbe interceduto presso suo padre per far tornare Thor. Ma suo fratello contava su un numero cospicuo di seguaci che non si sarebbe mai stancato di considerarlo l’erede legittimo di Asgard, l’unico degno, e così il regno dell’ingannatore avrebbe avuto, per sempre, un insopportabile punto debole. E allora, che fare?

 Si toccò il braccio, lì dove lo Jotunn lo aveva afferrato spaccando la placca di metallo e la corazza. La pelle appariva liscia, intonsa, perfetta. Nemmeno un segno suggeriva che fosse venuto a contatto con un gigante di ghiaccio. Serrò la mascella; Volstagg, grande e grosso com’era, ancora gridava di dolore per la terribile ustione ricevuta solo sfiorando uno dei suoi avversari. Lui, invece, si era salvato. Perché? Era merito del seiðr che scorreva potente nelle sue vene? Oppure, era caduto vittima di una qualche subdola maledizione sconosciuta, che si sarebbe manifestata, ma solo poi?

A passi lenti, s’inoltrò verso i sotterranei del palazzo, deciso a risolvere un problema per volta.

 

La sala era immensa e il rumore dei suoi stivali solitari e decisi echeggiava in maniera sinistra lungo le tortuose scalinate che conducevano giù, sempre più giù. Loki conosceva la storia di ognuno dei tesori lì custoditi o, almeno, questo era ciò che aveva fatto credere una volta a una Sigyn che fingeva di non essere stupita da tanta magnificenza. Un’incantevole reliquia in mezzo a tante altre. In verità, molti di quegli artefatti erano entrati in possesso degli Æsir in tempi, modi e luoghi oscuri. Dell’appropriazione di altri, invece, Loki era certo che si raccontasse con un certo compiacimento una versione edulcorata, se non totalmente falsa. Ma il principe cadetto non era sceso nei sotterranei per lasciarsi travolgere dai ricordi: procedeva sempre più spedito verso un angolo in particolare, dove, alla luce tenue delle fioche lampade, brillava uno scrigno bluastro, che sapeva di ghiaccio e lame e morte. Come mai il tocco degli Jotnar non aveva avuto alcun effetto, su di lui? Cosa avrebbe detto, se un simile fatto avesse riguardato qualsiasi altro individuo? Quali supposizioni si sarebbe scaltramente premurato di rivelare? Ciò che, acutamente, era in grado di dedurre per il prossimo non poteva essere sacrificato o mitigato quando l’oggetto della supposizione diveniva lui. Prese un lungo sospiro – sono solo sospetti – eppure la ragione gli suggeriva che la soluzione era più semplice e dolorosa di quanto pensasse. Le sue dita strinsero le maniglie e sollevò lo scrigno. E il potere del più antico tesoro degli Jotnar gli scivolò nelle vene con una naturalezza sbalordita e spaventosa.

La voce di Padre Tutto, perentoria e roboante, giunse troppo tardi.

“Sono maledetto?”

“No.”

“E cosa sono?”

“Sei mio figlio.”

“E cosa, più di questo?”

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

Non vedevo l’ora di arrivare esattamente qui. Come dico in nota, ho evitato di raccontare le scene che avete già visto nel primo film di Thor. Le motivazioni di Loki sono frutto di mie riflessioni sul personaggio, quindi abbiatene rispetto ♥, come per tutti gli headcanon che inserisco nelle mie storie. La settimana prossima è il turno di Accordo. Fuggo rapidamente, ma non per questo vi si adora di meno.

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] È una mia precisa scelta non ripercorrere le scene del primo film di Thor. <3

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

 

 

Le notizie del mondo esterno non avrebbero più dovuto turbare Sigyn. Avevano la stessa evanescenza dei sogni o delle fiabe: racconti da cui lei, nella tenebra in cui viveva, era stata esclusa. Kalfr non veniva a farle visita spesso, e quando s’incapricciava nel cercarla, lei faceva finta di essere altrove e con qualcun altro. Uno che non c’era e che avrebbe dovuto odiarla con ogni fibra del suo essere, uno che aveva inviato al Tempio così tanto oro da placare gli Antenati offesi. Un gesto compiuto non per devozione, ma per dimostrare l’avidità degli spiriti ingordi e ribadire la propria, sfacciata, supremazia.

Però, la tosse secca e persistente di Sigyn era svanita grazie alle vesti fatte con la lana più calda e soffice, agli stivaletti foderati internamente di pelliccia, alle coperte spesse e morbide che il principe di Asgard aveva preteso le fossero consegnati. Ma stringersi in un mantello confortevole, poter gettare un ciocco di legno in più nel camino della propria stanza, non scaldavano il cuore di Sigyn. Lui non se ne andava. La sua figura slanciata ed elastica continuava ad abitare i suoi pensieri con feroce puntualità; e la sua immagine, impossibile da cancellare, eppure, ogni giorno, più sfocata, non alleviava il suo riposo. I sogni della Scintilla erano frammenti di passato e di futuro in cui Loki Odinson non compariva mai. Era il grande assente e quell’assenza pareva l’unica cosa tangibile rimasta di lui. Prima di addormentarsi, sfinita, tentava di rievocarne le fattezze, i gesti, l’odore, il suono della voce. Com’era il tono del dio degli inganni? Si sforzava di tirarlo fuori dai ricordi, di stabilire la connessione in grado di restituirle la voce che sapeva essere stata ironica e pungente – sì, ma come, fino a che punto? – di fissare una frase particolare o un modo di dire che le avrebbero ridato, per un momento, Loki. Ma la voce è ciò che con più facilità si smarrisce, di chi perdiamo, e allora la fatica che doveva compiere per farla riemergere era doppia. Eppure, quando ci riusciva e la memoria le restituiva il tono arrochito e perennemente sarcastico dell’Ase, dal buio risaliva anche altro. Il modo di ridere scoprendo i denti, la piega corrugata delle sopracciglia quando era assorto nello studio di un testo difficile, il modo in cui accarezzava l’elsa di uno dei suoi pugnali per placare un nervosismo giudicato inopportuno, il gesto secco con cui immergeva la penna nella boccetta dell’inchiostro, la sfumatura leggermente cangiante che assumevano i suoi occhi chiarissimi di fronte al fuoco. Era Loki. Ricostruito o rievocato, non aveva importanza, così come non lo aveva il mondo, che l’aveva perduta perché suo padre si era comportato in modo sconsiderato. La Scintilla non poteva sfuggire al suo destino, che la voleva immolata per sempre alle tenebre, sposa, qualunque cosa significasse, di ciò che di oscuro strisciava sotto Yggdrasill, il frassino sacro.

Sospirò con forza: ricordare Loki era il modo per cullarsi in un passato irripetibile e disperato e, solo col senno di poi, dolce. I giorni trascorsi ad Asgard, mentre li viveva, erano agitati da una giostra impazzita di eventi, dalle liti che si alternavano alle rappacificazioni, da segreti intricati e irrisolvibili. Se avesse potuto scegliere, Sigyn si sarebbe messa a selezionare con la meticolosa perizia di un gioielliere i momenti più belli e sereni: una mattina in cui Loki l’aveva portata al mercato fingendo di essere due persone qualunque, una notte insonne in biblioteca, trascorsa a leggere e degenerata nell’Ase che raccontava alcune delle sue avventure più divertenti vissute con Thor. In mezzo a quei ricordi che, pure, c’erano, si insinuavano, però, gli altri: la meticolosa messa a punto della grande impresa che doveva liberarla, la terrificante notte in cui avevano bussato alla porta del mercante, il grido d’orrore che il dio dell’inganno aveva cacciato quando era rimasto solo con la creatura – o le creature – che abitavano l’abisso. E gli incubi che lo scuotevano e lui celava, e quel cinismo, che si era fatto più cupo e adulto, perdendo ogni traccia di spavalderia giovanile.

 

Si rigirò nel letto, insonne, in un buio ormai totale. L’unico conforto fu, in qualche momento imprecisato tra l’oscurità e l’alba, quello in cui tirò fuori dal nascondiglio il pezzo di stoffa e il gioiello che conteneva. Lo infilò al dito un istante, ne sfiorò la pietra. Non lo toccava da mesi, dall’ultima visita che le aveva fatto e fu per questo che non si stupì, quando le dissero di una visita proveniente da Asgard. Le Norne, a volte, creavano simmetrie così perfette da sembrare costruite ad arte. Si avvicinò alla grata che la separava dal mondo, come l’ultima volta, con la vanesia consapevolezza di apparire meno miserabile di un tempo, ma una pena innominata le gravava petto: lui ora sapeva. Quando sentì la voce di Thor al posto di quella di Loki, però, il respiro le si mozzò nella gola e un sospetto, rapido e tremendo, calò su di lei.

 “Sigyn, sono venuto a portarti una notizia tremenda,” iniziò il dio del tuono.

Alla scintilla si ruppe il cuore.

 

Sigyn non amava Loki. La metteva a disagio il modo attento in cui la fissava, le sue battute salaci, i suoi passi svelti ed elastici, la tagliente sicurezza che permeava ogni suo gesto. Parlavano spesso in biblioteca. Ne erano i soli frequentatori assidui ed entrambi amavano inoltrarsi lungo i corridoi silenziosi e impregnati di polvere al tramonto o quando, ormai, era calata sera. L’ancella aveva ammesso di soffrire di una lieve forma d’insonnia e l’ingannatore aveva stirato le labbra in un ghigno sornione, interessato.

 

Di quel giorno, Sigyn ricordava la luce rossa che filtrava dalle finestre alte e strette, il vento che infuriava oltre le imposte. Il sole si inabissava nel mare, trasformando il cielo in un tripudio di azzurri e di sfumature d’arancio. E forse in quella stessa occasione, se la memoria non la confondeva, Balder si era messo in testa di chiederle se lei e il fratello fossero amici. Sigyn aveva negato, ma interpellato dall’ingenuo ragazzino, Loki, l’aveva smentita, dichiarando, a sorpresa, che gli era cara. Ma che aveva voluto mai dire, con quella parola? Erano all’uscita della biblioteca e Balder, che li attendeva sulle scale, si era rizzato in piedi, scrutandoli dubbioso. Non capiva perché trascorressero così tanto in un posto pieno di libri e, chissà come mai, gli era venuta in mente quella domanda tanto inconsueta. Volta a definire l’indefinibile, l’impronunciabile – ma questo, Sigyn, non era ancora disposta ad ammetterlo.

 

Nelle ore seguenti, mentre il vento portava cumuli di nuvole scure e minacciose sopra il fiordo, l’ancella si era detta che, forse, lei e il principe cadetto trascorrevano troppo tempo insieme. La sua educazione rigida e impostata giudicava ambigue e pericolose le ore trascorse in compagnia di un uomo nel pieno della giovinezza come Loki. Lei stessa doveva ammettere che il dispetto provato nei suoi confronti era tinto con una tale varietà di sfumature da rendere difficile giudicare cosa provasse nei suoi confronti. Una parte di lei lo odiava e disprezzava la sua blanda corte, l’altra s’infiammava ogni volta che lui spostava le proprie attenzioni altrove. Se osava accorciare le distanze tra loro, lo rimetteva immediatamente al suo posto, ma prima di addormentarsi si concedeva d’immaginarsi accanto a lui, o ripercorreva con la mente gli istanti in cui erano stati troppo vicini, come quando aveva assistito al rito e si era stordita o, prima ancora, sul drakkar, dove, colpevole un’onda, gli era finita, suo malgrado, tra le braccia. Lo detestava perché l’aveva strappata ai suoi affetti, ma gli era segretamente grata per averle detto di essere la Scintilla. Ammirava la sua spiccata intelligenza, così acuta e fulgida, ma disprezzava certi suoi atteggiamenti meschini. Se, per mostrarle una miniatura o una storia particolarmente interessante, le chiedeva di avvicinarsi a un libro o a una pergamena, lei lo assecondava con sfacciata circospezione, ma tremava se le loro teste o le mani erano vicine a congiungersi. E se le prime settimane aveva bollato tutto ciò come un effetto della paura che le ispirava il dio degli inganni, ora non lo sapeva più. Una parte di lei, quella più nascosta e impulsiva, quella che avrebbe voluto essere portata via perché donna e non per via del suo essere scintilla e osava guardarsi allo specchio chiedendosi come lui la vedeva, sperava che Loki si spingesse oltre. Sfiorarsi le dita, la fronte, le labbra, e poi sentire l’odore della pelle di lui e scoprire le linee ben fatte del suo corpo slanciato e forte, fatto di muscoli sempre pronti a guizzare. Ma se il principe di Asgard avesse osato anche solo prenderle le mani e baciarla, lei avrebbe dovuto, necessariamente, scacciarlo, ricordandogli chi erano.

 

Dirle che era cara e farlo per rispondere a una domanda di Balder, però, scardinava le certezze di Sigyn: era una lusinga che solleticava la parte più impulsiva di lei, quella segretamente compiaciuta che Loki l’avesse notata per via del suo bel vestito rosso; l’Ase si rivelava, scoprendo le carte circa i suoi interessi, oppure mentiva per raggirarla, perché Loki non faceva mai nulla spontaneamente o per caso. Ogni sua battuta o azione era frutto di un lungo ragionamento, di una sfiancante analisi.

“Come ti sono cara? In che modo, perché?” lo affrontò qualche giorno dopo. Sedevano vicini a un banchetto cui Sigyn si era decisa a partecipare per affrontare la questione. Il mattino seguente, il principe sarebbe partito, assieme all’immancabile fratello, per una missione non ben precisata, riguardo cui lei non era riuscita a carpire nessuna informazione – e perché avrebbe dovuto interessarle, del resto?

Loki stirò le labbra in un ghigno perfido, osservando una coppia di danzatori che si esibiva nell’ampia sala. Erano agili e bravi, bellissimi da vedere. L’intesa che li legava suggeriva che il loro rapporto trascendesse il ballo e fosse fatto di baci e amplessi.

“Me lo domandi nel posto sbagliato, nell’occasione meno indicata,” notò dopo aver sorseggiato un corno d’idromele. “Io dico che è perché non vuoi affrontare davvero l’argomento,” decise, risolvendosi a fissarla con quei suoi occhi fiammeggianti e chiarissimi.

La danza, sensuale e forsennata, continuava in un tripudio di veli colorati fatti per esaltare la tonicità dei ballerini. Gli occhi di tutti i presenti erano fissati sulla coppia che si esibiva facendo sfoggio del proprio talento, e nessuno colse la tensione palpabile esistente tra Sigyn e Loki. Nemmeno loro ne erano pienamente consapevoli: erano presi nel vortice di un desiderio che li avrebbe condotti alla rovina, contro cui lottavano con forza e disperazione, ma invano. Solo che non ci credevano e, se qualcuno avesse predetto loro il futuro che li attendeva, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di crederci.

“A volte mi tratti come un ostaggio, altre no,” ammise Sigyn con difficoltà, abbassando le ciglia nere. Frigga le aveva fatto indossare dei gioielli di squisita fattura in quantità; spiccavano sul suo collo sempre scoperto, sull’abito candido, ma le pareva fossero troppo vistosi e da adulta.

L’ingannatore si era preso l’incarico di consegnarle personalmente un cofanetto contenente le belle gioie prestate dalla regina per lei. Tra questi, c’era un anello con una pietra particolare, dalla trasparenza rosea. Sigyn lo aveva indossato insieme agli altri, ammirandone in cuor suo la bellezza, stupendosi per la perfezione con cui le calzava al dito. Non notò l’attenzione con cui Loki l’osservava mentre infilava il prezioso.

Sembrava una sacerdotessa, più che un’ancella – era la scintilla, e tutti i presenti dovevano avere la percezione di trovarsi davanti a qualcosa di cui Odino poteva vantarsi, di una reliquia preziosa ceduta da un alleato infedele. Non sapeva d’essere bella, quella sera, perché solo Loki, assuefatto al profumo della sua pelle, sedotto dalle forme sinuose del suo corpo snello e sodo, invidioso dei gioielli che le sfioravano il seno e le si attorcigliavano lungo le braccia e le dita, ne era consapevole, come aveva precisa coscienza di come lei svolgesse la parte di una creatura rara e preziosa che dava spettacolo di sé solo bevendo e mangiando. Una scintilla ad Asgard, l’ultima di cui si aveva traccia.

“Se non fossi stata la scintilla, ma una semplice ancella, ti avrei pretesa per me,” esplose perfido. “Ti avevo scelta per essere una schiava, o magari una concubina, ma forse era già la tua luce che mi attirava. Ho donato a Padre Tutto una veggente, ma ho perso il mio risarcimento,” concluse, col chiaro intento di ferirla e di ridurla a nient’altro se non a una prigioniera che avrebbe dovuto scaldargli il letto. E Sigyn impallidì ascoltando la brutalità del suo pensiero, così come avvertì sulla pelle il desiderio bruciante e il feroce fastidio che agitavano il dio degli inganni. La considerava preziosa, ma avrebbe preferito che non lo fosse. E la pensavano allo stesso modo, perché Sigyn sapeva che sarebbe stata più felice, se fosse rimasta una semplice ancella e lui non l’avesse mai guardata. Non avrebbe mai sentito né l’odore del mare né quello, di cuoio e libri, della sua pelle, ma non si può provare nostalgia per qualcosa che non si è vissuto, forse.

“Sfrontato, arrogante e sacrilego. Rimpiangi di non avermi umiliata e usata?”

“No, non ci provare,” l’avvertì Loki, chinandosi verso di lei fin quasi a sfiorarle con le labbra i capelli. L’ancella si tese, imponendosi di non respirare né muoversi. “Non parlare con me di sacrilegi,” proseguì l’Ase. “È per rimediare alla follia di uno, che il tuo destino ha finito per riguardarmi,” concesse. Un bagliore d’inconsueta ferocia saettò nello sguardo verde di Loki. Aveva parlato a denti stretti, tirando fuori assieme alla frase sibillina un’ironia spietata che Sigyn aveva ascoltato solo a Vanheim. Si voltò verso di lui nonostante avesse deciso di non farlo, trovandosi troppo vicina al suo bel viso affilato, alla bocca che ancora non era stata sfregiata da nessuna cicatrice.

“Che mi nascondi? Che mi nascondete tu e tuo Padre?” sibilò furiosa e spaventata, afferrando il corno davanti a lei e bagnandosi appena le labbra.

Ma Loki non le rispose. Avevano attirato l’attenzione di Thor e persino Odino si era distratto dallo spettacolo della danza per osservarli. Guardò la mano sottile e adornata di gioielli che reggeva il corno.

“Ti sta d’incanto quest’anello. Continua a fare sfoggio di te stessa, scintilla. Per questa sera ti ho detto abbastanza,” concluse, ritirandosi prima che il banchetto fosse finito. Sigyn lo vide accostarsi a Odino, bisbigliargli qualche frase. Il sovrano ascoltò e annuì e Loki scomparve tra le ombre, col suo passo nervoso e sicuro.

 

Perché si incontrarono, quella notte? Avrebbe dovuto limitarsi a seguirlo con lo sguardo e concentrarsi sulla danza magnificamente eseguita, sugli ospiti vivaci che, troppo spesso, la scrutavano con curioso interesse. Invece, dopo un tempo che a lei sembrò infinito e che, in verità, non superava la mezz’ora, Sigyn lamentò un capogiro e finse di volersi ritirare nelle proprie stanze. Fu un errore. Lo cercò in biblioteca, nelle stalle, nell’armeria, certa che non fosse andato a dormire. L’ala dei suoi appartamenti era un’ombra nera che si stagliava contro un cielo color pece, privo persino delle stelle. Ne conosceva l’ubicazione perché Balder, con aria solenne, una volta le aveva indicato le finestre della sua stanza e quelle dei fratelli maggiori. E poi Loki dormiva poco, meno di lei, e certamente non si era allontanato dal banchetto per riposarsi. Non seppe dirsi perché raggiunse il tempio. Lo vide accanto al fuoco, chino a studiare un bassorilievo.

Figure intrecciate lottavano contro una creatura abissale e contorta, mostruosa. Loki studiava l’opera d’arte e Sigyn non vide l’accenno di sorriso – triste, ma compiaciuto – che gli piegò le labbra.

“Il banchetto non ti diverte più?” l’apostrofò concedendole un’occhiata veloce.

“Sei stato il solo a dirmi che ero la scintilla,” iniziò Sigyn, consapevole che non esistevano parole giuste per introdurre il discorso. “Perché ho la sensazione di non sapere ancora tutta la verità?” domandò, tormentando uno dei gioielli prestati da Frigga, aspettandosi una smentita, pregando gli Antenati che Loki scuotesse la testa e ammettesse di aver detto una frase senza senso, di non riferirsi a niente in particolare.

Per un istante, l’unico rumore fu quello del fuoco che crepitava nel braciere.

“La verità,” ripeté, invece, l’Ase, accarezzando con le dita le figure scolpite nella pietra. “La verità è un concetto meno semplice da definire di quanto non si creda.”

“Ogni volta che mi guardi, io non capisco cosa vedi,” ammise Sigyn. Il tono cauto della sua voce non si accordava al battito accelerato del cuore, il cui effetto immediato era visibile nel rossore che le imporporava le guance.

“No,” la corresse l’ingannatore rialzandosi. “No, io credo che tu sappia benissimo cosa vedo.”

“Perché la sera prima di una missione importante, tu sei qui, nel Tempio dove prego tutti i giorni, a guardare un bassorilievo?” insistette. Si strinse nelle spalle, perché l’aria gelida della notte le pungeva il collo coperto solo dalle pesanti collane.

“Mio nonno, re Bor, lo trafugò moltissimo tempo fa, al termine di una battaglia sanguinosa,” le raccontò Loki con un sorriso furbo. “Fu una vittoria eclatante. Del palazzo da cui lo fece togliere non rimase nulla, solo rovine. E affinché a nessuno venisse in mente di ricostruire ciò che lui aveva raso al suolo, ordinò che sui massi fumanti fosse sparso il sale,” concluse, sollevando il mento con fierezza. “Ma questo bassorilievo, cara Sigyn, non celebra solamente uno dei trionfi della mia gente. Parla di una storia e di un’usanza terribile, che mio nonno vietò.”

L’ancella fece per avvicinarsi all’opera d’arte, che fino ad allora non aveva mai notato. Erano figure scolpite con estrema maestria e precisione. Un intreccio di corpi mostruosi e orribili circondava una fanciulla; altre figure maschili sembravano voler contrastare l’esercito di creature contorte, ma invano.

“Adesso vieni via,” le ordinò Loki, trascinandola per un braccio prima che potesse osservare una seconda volta il bassorilievo o cercare di attribuire alla composizione il suo senso. L’artista che lo aveva scolpito conosceva la storia che stava narrando attraverso la sua opera: a ogni figura rappresentata aveva donato attributi specifici, capaci di renderla riconoscibile a chiunque, lei compresa.

L’ingannatore la condusse via dal tempio, verso l’ala del palazzo dove lei dimorava, senza mollare la presa sul suo braccio, come se volesse o potesse scappare via. Ma Sigyn non tentava di fare nulla di tutto ciò, anzi. Ogni sua attenzione era ancora convogliata sul bassorilievo trafugato da Bor, sulle dita di Loki di cui sentiva la pressione decisa sulla pelle.

La spinse dentro la sua camera, e fu solo allora che Sigyn trovò la forza di impuntarsi e di costringerlo a fermarsi. Bloccandosi, aveva fatto involontariamente in modo che fossero più vicini, che i loro respiri si incrociassero. E quella vicinanza infiammava entrambi.

“Tu mi guardi come se non fossi più qui. Come un fantasma. Con rimpianto,” soffiò, con un sussurro talmente basso che si chiese se l’avesse udita. “Al mio posto penso che tu, che chiunque, vorrebbe sapere la verità,” aggiunse.

Loki continuava a tenerla per il braccio, fissandola con i suoi occhi penetranti e freddissimi, quasi indignati, illuminati da un bagliore, tagliente come la lama di un pugnale.

“È rimpianto, Sigyn, sì. Sono arrivato tardi,” ammise, stirando le labbra sottili in un ghigno sbieco e mesto, sfiorandole la guancia liscia e le labbra con le dita, come se quel contatto già troppo intimo potesse sostituire il bacio proibito che non potevano scambiarsi. L’ammirò per un momento, e poi glielo disse. “Tuo padre ti aveva già venduta, e io non trovo il modo per riscattarti. La fanciulla nel bassorilievo ha fatto la fine che farai tu.”

Allora Sigyn colse il senso dell’opera che aveva visto e comprese di averla riconosciuta fin da subito o che, con la spiegazione del dio dell’inganno, essa appariva chiara e incontrovertibile. Le mancò il respiro e sentì le mani farsi gelide, le ginocchia incerte e molli. Il cuore batteva così forte nel suo petto da ottunderle l’udito. Forse Loki pensò che stesse per svenire, perché le circondò la vita con un braccio e continuò a dirle cose che Sigyn non ascoltò. Udì la propria voce, però, che, incrinata e distante, negava.

“Tu menti. Tu sei un bugiardo. Nessuno farebbe questo a sua figlia.” Si aggrappò alle strisce di pelle che costituivano la sua corazza elastica e robusta, piantandogli le unghie addosso come avrebbe fatto una gatta infuriata. “Non mio padre. Non la mia famiglia. Loro mi amano e mi proteggono,” concluse, sfogandosi contro il corpo dell’Ase, diritto e immobile davanti a lei, come se fosse sua, la colpa di tutto. E in un certo qual modo distorto lo era, perché Loki aveva sollevato il vero di una realtà nauseabonda. Impassibile e, ora, silenzioso, osservò il suo disperarsi, rifiutandosi, però, di lasciarla andare. Di quella notte, Sigyn ricordò che non pianse. Si rifiutò fino all’ultimo di lasciare che anche un singolo singhiozzo trapelasse dalla sua gola a costo di farsi mancare il respiro. Ma poi, forse, la disperazione la tradì.

Il bacio giunse inaspettato e sapeva di metallo.

Fu la conseguenza dell’abbraccio ferreo di Loki, di quel suo tenerla contro il proprio petto senza consolarla a parole, lui che conquistava e irretiva proprio con la voce alleati e avversari. Non ritenne sensato commentare in alcun modo, evitando persino di dirle ciò che Sigyn avrebbe scoperto solo diverse settimane dopo – che lui non aveva smesso di cercare un modo per salvarla – ma a un tratto la strinse più a sé e la baciò. Forse lo fece perché rimase colpito dalle lacrime trattenute sull’orlo delle ciglia, dalla voce spezzata che le labbra, fieramente, evitavano di trasformare in un singhiozzo, oppure perché era incapace di resistere ancora all’idea di averla tra le braccia, disponibile e incantevole e disperata, senza fare nulla. E allora la baciò, si chinò fino ad assaggiarle le labbra, e la Scintilla provò il brivido di un contatto sui cui aveva fantasticato fin da quando era bambina, ma che nella realtà fu differente – migliore e più intenso – di quanto aveva immaginato. Loki Odinson aveva una bocca perennemente piegata in un sorriso sghembo e beffardo, tagliente. Le sue labbra erano sottili, tanto che, quando rideva scoprendo i denti, la parte superiore quasi scompariva, ma nonostante ciò erano morbide e dolci, premute contro le sue. E nient’altro assomigliava a una bocca: non le guance, non il dorso della mano su cui, bambina, si esercitava con le sue sorelle immaginando un principe che le portasse via.

E scoprì anche che un bacio non giungeva mai da solo, ma era fatto di altri, che si susseguivano gli uni agli altri, assaggiando e lambendo e gustando. Sì, un principe l’aveva rapita e ora le sue labbra la accarezzavano con feroce insistenza, annullando il presente, sciogliendo il suo spirito sbigottito e trasformandolo in qualcosa di pulsante e vivo e liquido come non lo era mai stato. L’aveva catturata e lei era perduta – e intanto Loki la baciava e la ghermiva e l’accarezzava finché non riuscì a ritrovare se stessa e, con occhi scintillanti e spaventati, rossa in volto, l’allontanò.

“Hai commesso un sacrilegio terribile,” soffiò, fissandolo nella penombra

Loki smise di stringerla. “Lo so.” Nella sua voce non c’era alcun tipo di pentimento o di paura, anzi. Pareva fiero e soddisfatto di averla baciata. Il suo sguardo brillante e rapace indicava come l’assaggio avuto non avesse fatto altro che alimentare il fuoco che lo corrodeva. Fiamme che condividevano, loro malgrado.

“Non farlo mai più, non osare farlo mai più.”

“Temi che gli Antenati ti tolgano il loro favore più di quanto non abbiano già fatto? O hai provato qualcosa che ti ha sorpresa?” insinuò, perfido e trionfante.

Sigyn si morse le labbra, offesa e incapace di riportare alla normalità il battito del suo cuore impazzito. “Qualcosa che mi ha offesa e disgustata. Non commettere atti sacrileghi prima di una missione, Loki di Asgard. Nemmeno voi Æsir siete superiori a tutto.” Era una maledizione. Necessaria, come necessario era stato il dover mentire su cosa aveva provato: il dispetto era mescolato al piacere così intensamente da lasciarla sgomenta e colpevole.

 L’ingannatore la sfidò con lo sguardo e rise con insolenza, buttando il capo all’indietro. Non credeva nei cattivi auspici e le minacce di una ragazza che aveva risposto ai suoi baci e si era sciolta tra le sue braccia gli sembravano dolci promesse. Si allontanò, lasciandola sola nelle sue stanze; non si sarebbero rivisti più per molte settimane.

 

Il mattino successivo, Frigga mandò un’ancella a recuperare lo scrigno con i gioielli prestati. Sigyn sorrise appena, quando, poco dopo, la stessa donna tornò da lei, dicendole con una punta d’imbarazzo che l’anello d’oro dalla pietra rosata non apparteneva alla sovrana. Nascondendo la momentanea confusione, la scintilla riprese il monile imputando l’errore alla stanchezza. Ricordò che a portarle la parure della regina era stato Loki in persona, che spartiva i vari bottini di guerra insieme agli altri generali, scegliendo per sé i pezzi che più lo aggradavano. Lo aveva fatto anche recentemente: tutta Asgard aveva parlato del grande tesoro conquistato dagli Æsir. Rammentò che il principe aveva commentato distrattamente che l’anello, quell’anello, le donava. Per un momento, fu sul punto di dare voce al sospetto che le stringeva la gola: che si trattasse di un dono fatto con l’inganno, affinché lei non avesse modo di rifiutarlo. Un subdolo trucco per metterla in difficoltà. Ma poi pensò che il dio degli inganni era partito quella mattina, e non avrebbe potuto affrontarlo direttamente. Di più, raccontando quella che era una supposizione, avrebbe solo dato vita a un pettegolezzo da cui non era certa di uscire indenne e pulita. E Sigyn, cresciuta sotto una rigida morale, temeva le maldicenze e non desiderava stare al gioco del furbo principe, ammesso che l’anello provenisse da lui. Ringraziò più volte l’ancella, scegliendo di tenersi momentaneamente dentro dubbi e sospetti. Nella solitudine della sua stanza, rigirò tra le mani l’anello, chiedendosi se fosse, in qualche modo, stregato.

 

Non amava Loki perché aveva distrutto senza pietà ogni sua certezza, speranza, aspettativa. Si era macchiato della colpa d’averla baciata e stretta a sé, portandola sull’orlo di un precipizio in cui non poteva gettarsi. Era stato bugiardo e sincero, schietto e ambiguo, subdolo e cristallino. Forse le aveva regalato un anello, ma più probabilmente era riuscito a intrappolarla in qualcosa di più grande di lei, di loro. Sì, Sigyn odiava Loki – lo decise quella notte, la prima che trascorse ad Asgard dopo che lui se ne fu andato, e lo detestò ancora di più quando seppe, pochi giorni dopo, che la sua maledizione si era avverata. Qualcosa, nella missione pericolosa e importante che il dio dell’inganno stava affrontando con suo fratello, era andato storto. Le Norne, forse istigate dagli Antenati offesi, avevano deciso di punire il figlio cadetto di Odino. Quando Balder, con le lacrime agli occhi, le disse che Loki era stato ferito e catturato da una feroce tribù, Sigyn pensò che qualsiasi cosa fosse quel peso che le bloccò il respiro e le fece tremare le ginocchia, non era amore. Forse si trattava di uno struggente senso di colpa, oppure di paura, perché anche lei era colpevole di fronte agli Antenati, ma no, non poteva essere amore. Solo che.

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

Incredibilmente, sono riuscita a postare entro le due settimane. Mi scuso per eventuali refusi o sviste, ma o posto adesso o mai più. Visto che la situazione sta precipitando nuovamente, mi auguro che queste mie righe possano risollevarvi e rendere più lieto il coprifuoco. Il mio lo migliorano senz’altro.

 

Ora, tutti si aspettavano che Sigyn si fosse portata dietro il bracciale riparato da Loki, ma ecco qua che, pouf! Compare un anello. Lo avevo accennato anche qualche capitolo fa, nella scena con Sif, quando Loki prende un pezzo del tesoro per sé. Ora, la domanda è: è quell’anello? Qual è lo scopo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, che spero arriverà presto. Non ho idea di cosa aggiornerò nelle prossime settimane (ma potrebbe essere anche la prossima settimana, veramente, boh). Potrei aggiornare qualche vecchia long e persino sperimentare con storie nuove. O magari esce il 42 di Accordo ♥. Questo per dirvi di continuare a seguirmi su fb o su instagram ^^.

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

 

Nessuna preghiera poteva salvarla. Invocare gli Antenati non sarebbe bastato, perché loro erano in grado di scrutarle nel cuore e vedere le fiamme che le consumavano l’anima. Sognava le labbra di Loki, le sue mani che la stringevano, pregava per il suo ritorno, lo malediceva perché si era lasciato catturare. L’ha fatto apposta, dicevano alcuni. È un’abile mossa, il ragazzo ha la stoffa del grande stratega, sussurravano altri. Sigyn ascoltava e taceva, sforzandosi di concentrarsi sulla preghiera, lo studio, il ricamo o qualsiasi altra attività le tenesse le mani occupate, la mente puntata verso un obiettivo. Un pomeriggio approfittò dell’ingenuità di Balder per domandargli se ci fosse qualche notizia di Loki, ma il bambino si strinse nelle spalle e scosse la testa, senza distogliere l’attenzione dai suoi giochi. L’ancella si chiese che effetto dovesse fare, avere due fratelli così scapestrati, audaci e carismatici ed eleggerli a propri personali eroi, come aveva fatto il ragazzino. Quando Thor tornò ad Asgard privo del proprio immancabile braccio destro, Sigyn fece di tutto per incrociare i suoi occhi franchi e azzurri: voleva capire se il primo figlio di Odino era preoccupato; leggere, sul suo volto deciso, se quella di Loki era stata una mossa azzardata, ma voluta, o un disastro che l’astuto mago sperava di poter volgere a suo favore. Riconobbe una traccia di malcelata impazienza nel modo in cui Thor si muoveva e rispondeva alle domande altrui. Sembrava che la terra gli bruciasse sotto gli stivali e che ambisse solo ad andarsene al più presto dai giardini di Frigga, dalla sala del trono, dalle scuderie, da Asgard stessa. Non era mai stato particolarmente loquace e detestava dover spiegare e raccontare. Era abituato a lasciare a Loki tale incombenza e l’assenza del fratello, ora, gli pesava. Ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.

Eppure, Thor, che evitava con stizza le occhiate di tutti, alla fine le rivolse un sorriso mesto, non privo di una certa dose di recondita consapevolezza, come se, tra loro, ci fosse un qualche segreto.

“Loki non mi ha parlato di te,” esordì non appena ne ebbe modo, il giorno seguente. “Ti gira attorno, passa il suo tempo libero occupandosi di quella cosa che hai senza nemmeno rendertene conto, eppure non aveva niente da dire. E Loki, vedi, ha sempre qualcosa da dire, su tutto,” aggiunse, certo che lei, ascoltandolo, sarebbe arrivata alle sue stesse conclusioni.

Sigyn avvampò. Pensò all’anello regalato con l’inganno, alle ultime parole che si erano scambiati, al suo destino crudele, alle loro labbra che si lambivano e sfioravano. “Forse non mi giudica un argomento degno di interesse,” fremette.

“O magari non vuole condividere. Mio fratello non ama le spartizioni, del resto – è avido, come tutti gli Æsir,” concluse Thor, senza togliersi dalla faccia quel suo sorriso franco e gioviale, che non aveva nulla della furba malizia dell’altro.

Sigyn si sforzò di ignorare l’allusione appena udita. Il principe ventilava, come se niente fosse, un possibile sacrilegio con la stessa leggerezza dell’ingannatore: entrambi si ritenevano al di sopra delle leggi e credevano di essere eroi così superiori a tutti gli altri che, per loro, le regole non avevano significato. Poiché il tonante non aveva altro da aggiungere e se ne stava andando, tentò di trattenerlo volgendo il discorso su ciò che le premeva di più sapere.

“Sei preoccupato per lui?”

Thor s’irrigidì e contrasse la mascella squadrata. Sigyn suppose che avesse risposto a quella domanda troppe volte, da quando era tornato; certamente non desiderava parlarne ancora con lei, un’estranea, un’ospite la cui fedeltà non era nota né provata. Non ancora, almeno, ma questo, la scintilla, non poteva saperlo. “Mio fratello se la caverà. Se la cava sempre,” disse a mezza voce. Non le concesse altro.

 

Loki tornò ad Asgard alcune settimane dopo. Il suo bel sorriso beffardo era segnato da una ferita fresca, che gli impediva di articolare anche la più semplice frase senza che una fitta di dolore lo trafiggesse. Entrò nella sala del trono di Odino col passo deciso del condottiero trionfante e un bagliore sinistro negli occhi. In una mano stringeva un sacco che si rivelò contenere la testa di un generale avversario. La offrì a suo padre con feroce soddisfazione, incurante delle sopracciglia aggrottate dell’altro. Si era liberato, ma nessuno sapeva da cosa e l’ingannatore non raccontò che pochi dettagli della sua prigionia. Particolari ammantati di bugie, create appositamente per far spiccare lui, Loki, e far sembrare la cattività come una festa noiosa, nient’altro. Sigyn all’inizio gli credette. Non aveva avuto modo di avvicinarlo ed era sollevata per il suo ritorno. Pensò che la sua gioia era dovuta al senso di colpa che le stringeva il cuore, perché le ultime parole che si erano scambiati prima che lui partisse erano sembrate una maledizione alle orecchie di entrambi; non poteva nascondere di aver creduto, nelle fredde notti di Asgard, che l’astuto principe fosse stato punito dalle Norne per volere degli Antenati a causa di quel bacio tanto anelato e per nulla fugace, espressione di un desiderio che si era infilato nella carne, nelle vene, nel sangue e nei pensieri di entrambi. Lo vide e fu felice. Non si curò del fatto che l’ingannatore si era limitato a rivolgerle non più di qualche breve e bruciante occhiata e non notò nulla di strano, in lui.

Non all’inizio, almeno.

 

La ferita al labbro tormentava il dio dell’inganno. Era stata malcurata e si era riaperta più volte. Bruciava ogni volta che apriva bocca per parlare, sorridere, mangiare e bere, persino. L’idromele, anziché essere un balsamo, sembrava una punizione, eppure non riusciva a farne a meno. Ne aveva bisogno per stordirsi, per addormentarsi senza risvegliarsi di colpo, con uno strato di sudore gelido addosso. Subito, nei primissimi giorni del suo ritorno, quando le domande sulla sua avventura non si erano ancora placate, s’impose di bere il meno possibile; non desiderava diventare schiavo di un vizio che, presso gli Æsir, era la prima delle maledizioni, capace di fiaccare persino il guerriero più valoroso. Da ragazzino aveva assistito all’inevitabile declino di molti eroi, e l’aveva fatto col piglio giudicante che solo chi è appena uscito dall’infanzia possiede.

Accolse con un moto di stizza la notizia che gli sarebbe rimasto per sempre il segno della prigionia addosso, a tagliargli verticalmente il sorriso. Per tutta risposta, vuotò un corno nonostante il dolore lancinante, anzi, a dispetto di esso e di tutti i suoi propositi di limitare l’alcol.

Sigyn lo incrociò in quel momento, con la mano che reggeva, facendolo dondolare appena, il lungo corno ormai leggero. Lui puntò, finalmente, i suoi occhi accesi e chiarissimi su di lei, ma non allo stesso modo di un tempo, no. C’era qualcosa di diverso; un barlume di follia che non se ne sarebbe mai andato, capace di far tendere la schiena dell’ancella dalle labbra violate, dal cuore ormai impuro. La osservò per un momento, come se stesse ponderando con attenzione se convenisse parlarle. Erano soli, fatta eccezione per una guardia assonnata il cui turno stava per terminare, a cui certo non interessavano più di tanto i movimenti del principe cadetto. Loki accennò il principio di un ghigno, nei limiti consentiti dalla ferita ancora dolorante.

“Pare che nemmeno l’ira degli Antenati abbia potuto fermarmi,” esordì, sollevando con fierezza il mento.

Sigyn trovò che fosse crudele e insinuante. Lesse nel suo volto affilato un compiacimento sfacciato laddove lei bruciava per i sensi di colpa. Loki la guardava impallidire e, senza il taglio, avrebbe sorriso, anzi, sarebbe scoppiato a ridere come faceva lui, buttando la testa all’indietro. Lo divertiva che lei avesse pensato di essere, in qualche modo, responsabile di un incidente che si era risolto, sebbene per vie oscure. E l’ingannatore sembrava voler continuare a considerare l’intera questione come uno scherzo, perché aveva in spregio gli Antenati e non riconosceva la loro autorità. Sbagliava, pensò Sigyn.

“Ero preoccupata per te,” ammise abbassando il capo. Non voleva che la squadrasse ancora, e la metteva a disagio la nuova luce che non accennava ad abbandonare il suo sguardo. Non lo avrebbe fatto mai più, ma l’ancella non poteva sapere nemmeno questo.

“Dovevi, in effetti,” fu la risposta, piccata solo all’apparenza.

All’ancella sembrò che qualcosa, tra loro, si fosse rotto, spezzato. Le mancarono le parole per apostrofarlo riguardo l’anello o soltanto per dirgli che condividevano, oltre al bacio sacrilego, il fatto di essere stati trattenuti contro la loro volontà. Eppure, quest’ultima considerazione sapeva di menzogna. Rapidamente, Sigyn rifletté sul fatto che non avrebbe dovuto custodire il gioiello per tutte quelle settimane. Sentiva di essere stata in qualche modo complice di Loki e che, se avesse restituito il prezioso, avrebbe dovuto ammettere ad alta voce di averlo baciato, sognato, atteso. E tutto questo non riusciva né poteva articolarlo né davanti a lui né nei propri pensieri; non ancora, almeno.

E poi, qualsiasi cosa fosse successa all’ingannatore, le loro esperienze non erano minimamente accostabili. Lui portava sul bel viso affilato i segni palesi di una tortura. Era stato catturato e costretto a una prigionia oscura durata settimane: l’ironico disinteresse con cui elargiva qualche sporadico dettaglio sulla vicenda spaventava Sigyn, perché conosceva poco il figlio cadetto di Odino, ma si era accorta che amava parlare di sé ed essere il protagonista assoluto delle sue storie; eppure, ora che avrebbe potuto tenere alta l’attenzione di tutti gli ospiti dei grandi banchetti di Odino spiegando cosa era successo e come si era liberato, nicchiava. Thor sosteneva, con voce annoiata, che si trattava di qualche tecnica messa in atto ad arte da quel pedante del fratello; il silenzio acuiva il mistero, ammantava la sua cattività di un’aura leggendaria. Il giovane dio dell’inganno creava un mito senza avere bisogno nemmeno di raccontarlo. Ma Sigyn, che, seppure in modo diverso, si fregiava del titolo di prigioniera, non era di questo avviso. Sapeva che nell’animo scaturiscono strane idee, quando la libertà viene negata. E se lei, cui era stata inculcata fin dalla nascita l’idea che il suo destino dovesse esaurirsi dentro il chiostro di un tempio, la sua vita trascorrere nella contemplazione e nella preghiera, aveva vacillato, cosa poteva essere scattato nella mente di un giovane uomo volitivo e sfrontato come Loki, nato per essere re?

Il principe di Asgard attese ancora qualche istante che lei parlasse, poi la lasciò sola, perdendosi nelle sue riflessioni contorte, nei ricordi che celava e in quelli condivisi con parsimonia. La mente di Sigyn fabbricò pensieri che lei non ebbe modo di filtrare o bloccare; l’ingannatore le dava già le spalle e si allontanava sempre più con il suo passo deciso ed elastico, la schiena fiera, la testa alta. Il mantello verde cupo, ormai, le ondeggiava davanti, sempre più distante. Lo rincorse quel tanto che bastava perché lui la udisse; disse di essere dispiaciuta, informandolo che, di lì a qualche ora, sarebbe andata in biblioteca. Loki non si voltò, né diede segno di essersi stupito per quel mezzo appuntamento concesso.

 

 

Alla scintilla si ruppe il cuore.

Si frammentò in schegge dolorose come ognuna delle parole di Thor. Aveva una voce diversa, il primo figlio di Odino; più grave e adulta di quella che ricordava, come se la sua anima fosse stata scalfita così profondamente dalla perdita e dal tradimento da risvegliarsi completamente. Era stato un principe arrogante e superbo, ma non privo di un coraggio genuino e cristallino. Ora era un uomo, definitivamente. Uno che era venuto a visitarla per condividere con lei un lutto a costo di lasciarla con l’anima lacerata e sanguinante. Loki non c’era più. Si era lasciato cadere, punendosi per non essere stato degno dell’amore di un padre che l’aveva ingannato. Scoprendo di essere uno Jotunn, non era riuscito a riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio, lui, che era un gigante di ghiaccio con lo spirito di un Ase. E Sigyn ripensò alle albe fredde e meravigliose che aveva passato accanto a Loki, cercando d’imprimersi nella mente ogni particolare del suo corpo, ogni lineamento del suo viso affilato. C’era stato un tempo in cui si risvegliava in un letto che tratteneva tra le coltri il profumo mescolato della loro pelle. Allungando la mano, poteva incontrare la schiena larga e perfettamente scolpita di Loki addormentato, cingergli i fianchi asciutti, carezzargli un braccio, posargli un bacio leggero tra la nuca e il collo, stringersi contro di lui e modulare il respiro con il suo, regolare e profondo. Ma il dio dell’inganno non c’era più.

Aveva scelto di morire, di andarsene, di rinunciare a una sepoltura che avrebbe accolto le lacrime di chi l’avrebbe pianto. Lo immaginò altero e sprezzante com’era sempre stato, che prendeva la decisione di scomparire anziché chinare il capo. Com’era da lui.

Imprigionata nel buio senza soluzione in cui era costretta, si accasciò a terra, tremante, graffiandosi il viso, trattenendo un singulto che partiva dal centro di lei, dal suo cuore dolorante e infranto.

Thor raccontò di una battaglia avvenuta sul Bifrost, del suo esilio e della breve reggenza di suo fratello, oscuro e tormentato com’era sempre stato, ma Sigyn non riuscì a seguire il filo di quel racconto. Mentre lui descriveva con voce bassa e commossa di come entrambi fossero rimasti appesi alla lancia di Odino finché Loki non aveva, di sua sponte, lasciato la presa, la scintilla ricordava come quelle mani di mago dalle linee eleganti intagliassero con velocità e perizia giocattoli per Balder bambino, le sue dita scrivessero con fluidità e precisione appunti e formule sulla pergamena spessa e porosa, la sua bocca la baciasse con infida e bruciante voluttà. Loki non c’era più, era morto. Il suo corpo si era disfatto, e anche se qualcuno l’avesse raccolto, il dio dell’inganno non esisteva: le sue spoglie giacevano sole, prive dell’anima. Frugò nella sua memoria sempre più labile in cerca del principe cadetto degli Æsir, tentando di trattenere qualcosa di lui. Il modo di inarcare le sopracciglia, la studiata lentezza con cui accostava un corno d’idromele alle labbra, il ghigno sfacciato e la postura che teneva durante i banchetti, a metà strada tra l’irriverente e l’annoiato. Non c’era più e il buio si chiuse, definitivamente su Sigyn.

 

Non era più solo l’assenza della vista, a tormentarla. Parlava, pregava e lavorava con la stessa solerzia di sempre, ma in maniera meccanica, come se non fosse nel chiostro, a curare le rose di un giardino che non poteva vedere, ma altrove, in un limbo grigio abitato da fantasmi. Respirava, ma con l’indolenza di chi replica un gesto per abitudine, senza chiedersene il motivo. Così passò l’inverno e poi l’estate, e poi un altro inverno ancora, in un susseguirsi di stagioni che, nel loro rincorrersi, per Sigyn, non significavano nulla. Di visioni, dopo che Loki cadde dal Bifrost, non ne ebbe più, così come scelse di non tirare mai più fuori dal suo nascondiglio l’anello, dono fatto con l’inganno da un affascinante bugiardo, portato con sé come pegno di un amore perduto e di una vanità sacrilega. Non ne sfiorò la pietra rosata fino a quando, anni dopo, una banda di predoni, all’improvviso, non assaltò il tempio.

Era un’altra delle cose che la scintilla non aveva visto. Lui se n’era andato e, nonostante la maledizione che attanagliava Sigyn fosse sempre più vicina a compiersi, la sua capacità di vedere era svanita. E che spiraglio di futuro aveva scorto, poi? Sogni confusi sul destino di Asgard, sul Ragnarok promesso da un’altra veggente, nella Voluspa che era un poema e una predizione insieme.

Quando i predoni assaltarono il tempio, Sigyn sapeva solo che non sarebbe morta così, tra le fiamme e le urla delle sue consorelle. Kalfr rimase ucciso, la sua testa venne infilata su una picca posta all’ingresso del Tempio. Molte delle ancelle lo seguirono, quel giorno. A lei, toccò in sorte qualcosa di diverso. Si fece portare via senza protestare né tentare di fuggire: non aveva più una casa e certo non considerava tale il tempio. Sentiva di appartenere già al mondo degli spiriti, di essere fredda e morta come lo era Loki, il cui corpo disperso non sarebbe mai stato ritrovato. Dopo la sua caduta, gli Æsir avevano frenato le loro incursioni e conquiste. La proverbiale accortezza di Odino si era trasformata in cautela e, infine, era diventata stanchezza. Thor, poi, anziché affiancare il genitore nell’arte del governare, aveva preferito concentrare ogni sua attenzione su Midgard, di cui sentiva una nostalgia profonda.

Quando i predoni entrarono nella sua cella per portarla via, Sigyn non oppose alcuna resistenza. Si alzò con la dignità con cui, in un altro tempo, era salita sul drakkar che l’avrebbe condotta ad Asgard. Allora aveva sollevato appena la bella gonna del suo abito rosso e un principe sfacciato le aveva riservato la galanteria di aiutarla, dopo averla pretesa per sé. Era stato l’inizio di un amore che durava ancora e sarebbe durato finché la scintilla non sarebbe discesa nuovamente nelle profondità dell’Yggdrasill, dove, tra le radici marce del frassino sacro, l’aspettava l’essere cui suo padre l’aveva immolata, da cui nemmeno l’astuto Loki era riuscita a salvarla. Quello era il suo destino: l’aveva visto con nitidezza grazie al potere che, ormai, sembrava esserle scivolato via dalle dita. E l’ingannatore, che non amava le profezie perché nessuno doveva intralciare i suoi piani, nemmeno le Norne coi loro telai, si era sforzato di non leggere la verità nei suoi occhi, di non cogliere i segni evidenti della sua vista che, per punizione, si andava abbassando, portandola verso la cecità. Riteneva di aver perso una battaglia, ma non la guerra, incapace com’era di accettare la sconfitta, di inghiottire l’amara realtà dei fatti. L’aveva chiamata bugiarda e aveva ragione, dimenticandosi, però, che ogni menzogna, per risultare davvero perfetta, necessita di qualcuno disposto a lasciarsi incantare. Quel ruolo era toccato a lui e l’Ase non era riuscito a perdonarlo né a lei né a se stesso.

Ma il principe cadetto di Asgard era polvere nel vento, apparteneva alla schiera delle anime che popolavano l’Oltretomba.

 

A Sigyn non fu torto un capello né rivolta la parola durante il breve viaggio che le toccò affrontare. I predoni erano superstiziosi e temevano la malasorte. La strega cieca, con i lunghi capelli sciolti e spettinati che le scendevano sulla schiena, al contrario delle altre ancelle non aveva gridato né supplicato, sentendoli entrare. Si era limitata a rivolgere il bel viso pallido e stanco verso di loro, alzandosi con la dignità della principessa che era stata, come se l’abito nero che indossava, coprendola dal collo ai piedi e lasciandole scoperte solo le mani, fosse stato di seta e non di lana. In altre circostanze l’avrebbero trovata graziosa, riconoscendo nel naso deliziosamente a punta e nelle labbra invitanti i segni di una bellezza particolare e curiosa, ma l’austerità della sua cella, il lutto che ostentava e la sua aria folle e scarmigliata, la facevano assomigliare più a uno spettro che a una donna ancora giovane. E poi, Sigyn portava su di sé, incontrovertibili ed evidenti a qualsiasi occhio, i segni della maledizione che la voleva immolata a qualcosa di oscuro.

 Li aspettava, o non aveva nulla da perdere, oppure ricordava l’insegnamento antico che le aveva dato il figlio dagli occhi verdi e il sorriso furbo di un pirata: che non bisogna rinunciare alla fierezza nemmeno di fronte alla cattività o alle sconfitte. Così lei offrì le braccia dai polsi sottili, di fata, e si limitò a stringersi nel suo mantello nero, certa che il suo sguardo grigio e offuscato, ma evidentemente terrificante, avrebbe impedito agli uomini di frugarle gli abiti. Se lo avessero fatto, l’incantevole anello che Sigyn incautamente custodiva ancora, sarebbe saltato fuori. Ma i predoni erano stati addestrati nella paura dell’ignoto e dell’inconoscibile e temevano fortemente la magia. Così, la silenziosa strega cieca non venne disturbata fin quando qualcuno non osò avvicinarsi a lei quel tanto che bastava perché la scintilla sentisse due dita fredde sfiorarle la guancia. Si ritrasse e serrò le labbra.

“Stai commettendo un sacrilegio,” sibilò, avvolgendosi più strettamente nel mantello color pece. Non poteva saperlo, ma viaggiavano su una nave veloce e snella, dalla prua aguzza, orgoglio di un guerriero il cui nome, nei Nove Regni, non veniva mai pronunciato. L’avvertimento di Sigyn non sortì alcuna risposta, ma l’ancella ebbe la netta sensazione che chi l’aveva sfiorata stesse sorridendo. Di certo, era ancora davanti a lei e la fissava con ostinazione. Lo sentì spostarsi di due passi indietro, intuì che stesse impartendo qualche ordine, ma il rumore delle armature metalliche e della nave stessa le impedirono di cogliere qualsiasi intonazione o voce potesse esserle utile per capire cosa stesse succedendo. Ragionò su ciò che sapeva – che niente avrebbe cambiato il suo destino perché l’aveva visto: le radici marce dell’Yggradsill l’attendevano, pulsanti e nauseabonde, e nella grotta naturale sottostante c’era l’oscurità, in fremente attesa. Infine, una voce ignota la distolse dai suoi ragionamenti, ordinandole di alzarsi.

 

 

Loki non venne in biblioteca, quella sera. Sigyn lo aspettò invano, sfogliando i libri che parlavano delle imprese di Bor e di Odino. Era altrove, era lontano, sembrava non essere mai veramente tornato ad Asgard. E l’ancella, chiudendo i libri, si rese conto con dispetto e sgomento che lo aveva atteso e non smetteva di pensare al bacio che si erano scambiati, all’immagine dell’Ase a torso nudo durante il rito, alla sua figura agile e scattante che montava a cavallo, camminava su un drakkar e maneggiava le armi come se non il trono di Odino, ma l’universo intero fosse suo di diritto. Tormentando una lunga penna di corvo con cui aveva preso qualche appunto distratto, ripensò ai poemi d’amore e alle poesie che si bisbigliavano l’un l’altra lei e le sue sorelle sotto le coperte: frasi imparate a memoria, di cui loro, bambine e poi ragazze dall’immaginazione fervida e nessuna distrazione, coglievano a malapena il senso, ma che ora riaffioravano sulle labbra nervose di Sigyn: struggimento. Era questo il nome del nodo che le serrava lo stomaco e il cuore? E perché, per quale motivo il figlio più oscuro di Odino destava il suo interesse? Doveva odiarlo per come la guardava – con insistenza, divertimento e qualcos’altro, per l’ironia tagliente che le riversava contro, per l’anello, dono magnifico e oltraggioso, per i complimenti assolutamente fuori luogo, per la verità che, con difficoltà, le aveva confessato, per aver premuto le proprie labbra sulle sue, attirando su entrambi la sventura, sporcando i suoi pensieri di ancella devota e fedele. Si coprì il viso con le mani: almeno da questa colpa, Loki doveva essere sollevato: i suoi pensieri si erano già macchiati, ben prima di quel bacio.

Loki non venne quella sera, ma il pomeriggio seguente si sedette davanti a Sigyn come se nulla fosse, adagiando le spalle sulla sedia come se si trovasse su un trono. La ferita che gli tagliava la bocca era ancora rossa e lui stirò appena le labbra. “Ho trovato un modo per aiutarti,” esordì, allungandole una pergamena accuratamente piegata in quattro parti.  

 

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

avete avuto una pazienza infinita nell’aspettarmi per quasi un mese! Dato che Natale è vicino mi sono ripromessa di ritagliarmi un po’ di tempo – è quello che manca, mai l’ispirazione per questi due piccioncini adorati ♥ - per scrivere un po’ di più. Non dico che potrei riuscire ad aggiornare tutte le settimane, però sicuramente il capitolo 20 e il 42 di Accordo arrivano presto, anzi, prestissimo. Ringrazio di cuore Miryel per avermi dato il bellissimo prompt che ha dato via a questa storia (te possino, Co’, doveva essere al massimo una minilong!). Ah, rileggo rapidamente e posto, sperando che non ci siano troppi refusi, ma o adesso o mai più, sapete come si dice…

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra, presente anche nell’assenza,

Shilyss

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

 

Sigyn allungò la mano verso la pergamena, facendo attenzione a non interrompere il contatto visivo con il principe di Asgard. La spingevano alla cautela l’inevitabile e straziante tensione che l’avvolgeva quando l’Ase era vicino a lei, e il timore di non comprendere a fondo perché Loki desiderasse liberarla, infrangendo la promessa fatta da Sigurdr al suo futuro, vero, carceriere.

Piegò la bocca in una leggera smorfia, indugiando nell’aprire il foglio che sentiva, ruvido e poroso, sotto i polpastrelli. “Perché?”

Loki si mise più a suo agio sulla sedia, poggiando le spalle sullo schienale. Il bel viso affilato era rischiarato dalla luce di una candela vicina e il riflesso del fuoco dava, ai suoi occhi chiarissimi, una sfumatura quasi cangiante e azzurrata, che si accentuò quando lui inclinò il capo, come per guardarla meglio.

“Non è chiaro il motivo? Temi forse che possa chiederti qualcosa in cambio? Sei mia ospite, qui, Sigyn,” sorrise, calcando la voce su quella parola, ospite, che, alle orecchie dell’ancella, aveva lo stesso suono metallico di prigioniera o schiava. “Sei mia ospite,” ripeté, “ed è compito mio e della mia famiglia proteggerti.”

Le belle dita di mago di Loki iniziarono a tamburellare sul tavolo con distratta lentezza, in attesa che lei leggesse e reagisse.

Sigyn, finalmente, aprì la pergamena, valutandone il contenuto con attenzione. E, a mano a mano che i suoi occhi scorrevano le frasi appuntate con perizia e una bella grafia corsiva, sentì montare, dentro di lei, qualcosa di indefinibile, di nuovo, perché tutto quello che circondava l’ingannatore era fuori da ogni incasellamento. Si trattava di sdegno e stupore e ammirazione, anche. “Tu sei pazzo,” disse infine, alzandosi in fretta e posando il foglio, come se scottasse.

“Me lo dicono in molti,” riconobbe il principe con un ghigno soddisfatto.

“Avrà delle conseguenze.” Lei scosse il capo, in un gesto energico di diniego. “Oltre a essere folle mette in pericolo la mia famiglia. Così il patto, qualunque esso sia, verrà infranto.”

“Ti interessa?” Un lampo, gelido come il tono assunto all’improvviso dalla sua voce, attraversò gli occhi di Loki. “Loro ti vendono e a te importa cosa gli capiterà?”

Quella battuta sferzante la fece impallidire. L’Ase aveva ragione: la sua considerazione era così sincera e tagliente da sembrare un sibilo della sua coscienza.

“E tu credi che Odino ti consentirà di rischiare così tanto per me?”

Il nome del sovrano di Asgard fece serrare la mascella diritta del principe. I suoi occhi brillavano d’ammirazione, quando parlava di suo padre. L’inorgogliva l’idea di essere il figlio di un simile capo, e desiderava ripercorrerne le orme per rendere Ásaheimr ancora più grande e prospera. Lui, che era insofferente a qualsiasi regola e trovava immensamente divertente aggirare divieti e imposizioni, subiva il carisma del re degli Æsir riconoscendone l’autorità e l’intelligenza, così come riteneva di aver ereditato proprio dal genitore la sua astuzia tagliente. Ma Odino non era solamente un re accorto e lungimirante; nutriva aspettative nei confronti di tutti i suoi figli, che l’ingannatore, in quel tempo, ambiva ancora a soddisfare, a qualsiasi costo. Dopo, non più. Un giorno avrebbe scoperto di non aver mai avuto nelle sue vene il sangue di Padre Tutto, e gli sforzi fatti per compiacere il genitore adottivo gli sarebbero sembrati nient’altro che una farsa penosa, una bugia ignobile dentro cui era vissuto. Ma in quella biblioteca, davanti a Sigyn rossa in volto, Loki, ancora ignaro delle sue ascendenze, si limitò ad alzarsi rispondendole a tono.

“Per la Scintilla.”

“Io non ho visioni.”

“Non sempre si tratta di visioni. Alcune volte sono sensazioni.” Increspò le labbra in un sorriso mesto e appena accennato, che mise in risalto la ferita ancora fresca. “Il Ragnarok è vicino ed è scritto che noi combatteremo fino alla morte, tutti. Lo sentirai arrivare nelle ossa, prima di noi: avvertirai il gelo e saprai che è il primo dei sette inverni predetti,” mormorò e Sigyn si ritrovò a pensare che doveva essere terribile, crescere con la consapevolezza che una tragedia tramandata di generazione in generazione segnerà, tra tutte, proprio le nostre vite. Le sembrò che le parole di Loki si insinuassero sotto il suo abito, lambendole la pelle con loro soffio gelato; provò un’ammirazione calda e vischiosa di fronte alla tracotanza con cui il giovane principe affrontava, a viso aperto, l’ineluttabile destino che lo attendeva. Era audace e pronto a incrociare le armi durante il Ragnarok come per liberarla dalla sua maledizione. E, in quel preciso istante, comprese che il figlio di Odino voleva salvarla dal suo destino per mescolare insieme la propria gloria e quella di Asgard, per sfruttare il suo potere e tenerla tra le braccia, come fosse un trofeo. Intuì, con lucida precisione, che il dramma personale del giovane e spregiudicato condottiero che le stava di fronte era l’incapacità di accontentarsi di ciò che le Norne avevano filato per lui, l’ostinazione nel voler essere l’unico artefice del proprio destino, il solo in grado di dare voce alla sua storia. Non avrebbe accettato mai che salvarla non significava strapparla alla vita contemplativa. Sigyn era e sarebbe rimasta un’ancella segnata dalla Norne, ceduta come ostaggio a un popolo di pirati. Loki la chiamava scintilla e si permetteva di farle doni splendidi e inopportuni, guardandola come qualcosa di prezioso, ma sembrava voler ignorare a tutti i costi che le parole scritte sulla pergamena appena letta rappresentavano un sentiero troppo stretto e insicuro, da percorrere. E, forse, la cosa peggiore era che anche lei stava cedendo alla menzogna che Loki si raccontava – le raccontava. Solo in questo modo poteva spiegarsi la ridda di sentimenti che l’aveva avviluppata da quando si era mostrata al banchetto con un abito appariscente addosso. Agì d’impulso, tentando di raddrizzare la stortura.

“Devo restituirti l’anello. È tuo. Fa parte di un tesoro spartito – avrei dovuto dartelo prima della tua partenza, ma mi sono accorta della tua sorpresa troppo tardi,” spiegò, incasellando in fretta una parola dietro l’altra sotto lo sguardo vigile e divertito di Loki.

“È un gioiello da donna. Credo doni più a te,” osservò l’Ase. Lasciò correre lo sguardo sul suo collo leggermente arrossato dall’imbarazzo, sulla scollatura castigata, ma presente, che arrivava fin quasi al seno, sul delicato polso di fata su cui brillava il monile che le aveva riparato, forse desiderandola o disegnando, nella propria mente, le curve nascoste del suo corpo che, sotto i vestiti, poteva solo immaginare. Deglutì impercettibilmente. “S’intona anche con lui,” aggiunse, indicando il bracciale. “La chiusura non ti ha più dato problemi, spero.[1]

“Non posso comunque tenerlo. Io sono un’ancella e un tuo ostaggio. I tuoi doni mi mettono a disagio,” spiegò. Solo alcune settimane prima avrebbe detto mi offendono, ma ora quelle due parole suonavano stonate e false. Se le avesse usate, lui si sarebbe accorto che mentiva, avrebbe colto la sua mancanza di convinzione e sarebbe stato peggio, pensò.

Di fronte al suo contegno severo, Loki s’irrigidì appena. La bocca perennemente divertita assunse una piega maliziosa e sarcastica, un bagliore lucente rese più metallico il suo sguardo.

“E perché mai? Che pensi ci sia stato, tra noi, Sigyn?” inquisì.

L’ancella avvampò. “Lo sai. È stato un sacrilegio, non avremmo dovuto.”

Una luce vittoriosa brillò negli occhi dell’ingannatore. Lei era coinvolta: non aveva osato negare quel noi, anzi, l’aveva rafforzato. Scosse la testa, avvicinandosi di un passo. “L’anello è un insignificante regalo,” spiegò, allargando le braccia, “l’omaggio di un guerriero in partenza a una ragazza carina, prima di una battaglia. È un’usanza a cui tu hai dato un’importanza ridicola.”

Sigyn strinse le labbra, colpita dal feroce sarcasmo di Loki, che le rinfacciava il suo non sapere nulla del mondo e sviliva le sue rimostranze accampando gesti scaramantici che, a ogni buon conto, non avevano sortito l’effetto sperato.

“Anche il resto è insignificante?” l’incalzò.

“Ci siamo baciati, Sigyn.” Il ghigno trattenuto di Loki si allargò in una smorfia sagace e soddisfatta.  “Possibile che tu non riesca nemmeno a dirlo?” le sibilò. “È stato solo uno sciocco bacio, dato, scusa se mi ripeto, prima di una battaglia. Forse abbiamo offeso gli Antenati, ma ti assicuro che equivale a niente. Non ci siamo compromessi, stai tranquilla.”

“Per te è un gioco, un divertimento? Hai oltraggiato un’ancella per l’ebbrezza di una trasgressione?”

“Sfidare gli antenati non significa amare te. Ho commesso un sacrilegio – ero mortalmente curioso di sapere che si prova, a baciare una di voi. Non c’è nient’altro. La scintilla serve a me, serve ad Asgard.”

Mentiva, e lo stava facendo con forza, con studiata consapevolezza e il preciso intento di ferirla. E questo nonostante il profumo di lei gli offuscasse i sensi, il suo sguardo s’incatenasse, ostinato, sulla pelle bianca e morbida che il vestito lasciava scoperta. Seno che avrebbe voluto denudare, baciare, percorrere con la lingua finché Sigyn non lo avesse supplicato di entrare dentro di lei. Ma quella, decise, era solo passione, accentuata dall’aura di intoccabilità che circondava la Scintilla. Se fosse stata una qualunque, dopo averla presa, l’avrebbe dimenticata – ma non lo era. E questo, Sigyn, non poteva saperlo.

 

Livida in volto e con le labbra serrate, raccolse le gonne chiare e s’incamminò verso l’uscita della biblioteca, offesa come giovane donna e come ancella. Nel suo modo di nascondere l’orgoglio ferito e nello sdegnoso silenzio di cui lo fece oggetto, Loki riconobbe i tratti della principessa: era così fiera che baciarla si trasformava, di nuovo, in una necessità, in un bisogno che le tenebre notturne dovevano rendere attuabile. L’intercettò in prossimità delle sue stanze, grazie a una delle molte scorciatoie che l’Ase conosceva da quando era bambino e che lei, invece, ignorava. Sigyn sussultò, trovandoselo davanti all’improvviso. Ed era bella, con gli occhi sgranati dalla sorpresa, la bocca che a stento tratteneva un’esclamazione stupita, l’ira che le imporporava le guance. Era bella, sì, e la spinse contro la parete, costringendola a sollevare il viso e lambendole le labbra con le sue, in un bacio che era una carezza sfrontata e leggera, un assaggio audace, famelico come la stretta in cui Sigyn si lasciò imprigionare. Lo maledisse, tra un bacio e un altro, lo insultò e provò persino a graffiarlo, ma alla fine si aggrappò a lui e i graffi divennero carezze dolenti, che già sapevano di rimpianto e di rinuncia.

“Ho temuto che mi portassero la notizia della tua morte,” gli bisbigliò, sfiorandogli i capelli scuri che gli lambivano la nuca.

Loki non rispose. La ferita gli bruciava ancora e non vedeva il fondo dell’abisso in cui stava precipitando mentre teneva quella ragazza stretta contro il suo corpo. Padre Tutto non avrebbe mai approvato. Era impossibile che tollerasse un simile sacrilegio; se i suoi corvi maledetti non gli si erano ancora posati sulle spalle per raccontargli delle sue malefatte, era solo perché attendevano che la sua colpa s’ingigantisse. Desiderare un’ancella non era vietato, sebbene sconveniente, baciarla una volta, forse, nemmeno, considerate le attenuanti che senz’altro Loki poteva addurre, ma reiterare nell’errore era imperdonabile. Non ci sarebbero state scuse da sostenere, né un piano logico da difendere. E il trono di Asgard, ambito da sempre, poteva andare a un principe che si era macchiato di un simile atto egoistico? Che se ne infischiava delle leggi che lui stesso doveva proteggere e garantire per un piacere effimero e personale – per una ragazza dagli occhi grigi colmi di lacrime fieramente trattenute tra le ciglia scure, per il suo corpo flessuoso premuto dolorosamente contro il suo? Non significa niente, si disse lasciandola andare, ma quelle tre parole, in gola, avevano un sapore strano e aspro, diverso da quello, dolce, che gli era rimasto sulle labbra.

 

Thor riconobbe Loki dal passo. Svelto, deciso, sottilmente nervoso. Si voltò asciugandosi con un braccio la fronte e puntandogli contro una scure.

“Che te ne pare, fratello?”

L’ingannatore assottigliò le palpebre, concentrandosi sul filo della lama, sulla particolarità dell’elsa. “Una splendida ascia, non c’è che dire.”

Il primo figlio di Odino annuì soddisfatto. “Con quello sfregio non ti si può guardare. Pensavo ti avrebbe potuto migliorare o rendere più interessante, ma no. Il più bello, tra di noi, resto sempre io,” decise, sfoggiando un sorriso sornione.

“Scherzi? Le donne lo ameranno.” Loki spostò la sua attenzione sulle altre belle armi presenti nella sala. In particolare, s’interessò a un pugnale affilatissimo, il cui acciaio pareva mandare bagliori azzurri. Lo prese in mano valutandone il peso e il bilanciamento, indeciso se valesse o meno la pena di inserirlo nella sua collezione personale.

“No, fratello. È solo che gli fai tenerezza.”

Di fronte alla battuta, il mago inarcò un sopracciglio, fintamente offeso. “Devo trasformarti di nuovo in un rospo, Thor?”

“Attento, fratellino: anche da rospo posso romperti le ossa con Mjollnir.”  Il tonante sorrideva ancora, ma il suo tono aveva assunto una spiacevole nota metallica, simile a quella che avrebbe avuto un comandante nei confronti di un subalterno. Loki la registrò, assimilandone il significato profondo, intuendo il messaggio sotteso di Thor – io sono il maggiore, tra di noi, il primogenito; stringo tra le mani la reliquia più potente di tutta Asgard. E tu, invece?

Ci fu un momento in cui in cui due fratelli si fissarono negli occhi, consci che la mossa successiva, a prescindere da chi l’avrebbe intrapresa, sarebbe stata determinante per allargare o chiudere la crepa sotto cui ribolliva il magma della loro disarmonia: in battaglia erano talmente affiatati da suscitare invidia sia negli avversari che negli alleati, perché bastava loro uno sguardo per capirsi. La loro complicità quasi leggendaria aveva condotto Asgard alla vittoria innumerevoli volte, eppure, chi frequentava il palazzo di Asgard non poteva ignorare anche l’altro: che i figli di Odino possedevano un temperamento focoso e fiero non solo in guerra, ma anche nelle sale del potere. Si scontravano spesso, litigando ferocemente spesso per delle sciocchezze su cui si impuntavano per orgoglio, per non cedere all’altro la parvenza di una resa, per stabilire, costantemente, chi fosse più degno dell’altro. Anche in quel momento, la frase di Thor avrebbe potuto scatenare l’ennesima lite e risvegliare lo spirito tempestoso di Loki, ma così non fu. Il tonante allungò una mano verso il fratello, dandogli una pacca sulla spalla con brusco affetto; il mago, dal canto suo, rispose rilassando leggermente i muscoli già tesi. Per quella volta, la tensione si era sciolta nello scherzo, ma Asgard non sarebbe stata sempre altrettanto fortunata; e questo, Loki e Thor avrebbero dovuto intuirlo o riconoscerlo o, ancora, prevederlo – sentirlo nelle ossa, nelle vene e nel sangue. Ma non era il momento. Avvenne qualcos’altro, invece. Il dio del tuono ritenne che la silenziosa pace appena stipulata valesse una confessione.

“La tua sacerdotessina mi ha chiesto di te, mentre eri via,” confessò. “Aveva due occhioni spaventati…”

Per tutta risposta, Loki arricciò le labbra in una smorfia scontenta. “Spero che l’abbia fatto solo con te,” sibilò caustico.

“Da quando sono qui, non ha fatto altro che passare tutto il suo tempo in biblioteca e a pregare.”

Il mago incrociò le braccia dietro la schiena e gonfiò il petto. “Non dovevi tenerla d’occhio per me. Non te l’ho chiesto.”

“No,” riconobbe il dio del tuono. “Per questo l’ho fatto. Perché non me l’hai chiesto. E, se fosse stata meno interessante, mi avresti obbligato a farlo e non ti saresti limitato a me. No, fratello,” insistette. “Avresti coinvolto Sif e i guerrieri e chiunque altro.”

“Se non l’ho fatto,” si difese Loki a denti stretti, “è perché ho ritenuto che non ce ne fosse bisogno, evidentemente.”

“Evidentemente, pensi di poterla gestire da solo.”

A questa considerazione, l’ingannatore si animò e sorrise, sfoggiando il suo ghigno furbo e ancora sofferente. Girò attorno al fratello come se fosse in procinto di interrogare un imputato per estorcergli qualche confessione. “E cosa sto gestendo, di grazia?”

Ma il primo figlio di Odino era immune alle strategie intimidatorie dell’altro. Per lui Loki era il primo amico che avesse mai avuto, il compagno di giochi di una vita intera, l’insopportabile braccio destro che a volte parlava decisamente troppo. Tranne quando doveva, come in quel momento. “Dimmelo tu. Perché sei qui? Tutto quello che fai, ultimamente, è legato a quella ragazza.”

“Da quanto non c’erano scintille, ad Asgard?”

“La verità, Loki. O qualcosa di abbastanza vicino, magari.” La voce di Thor aveva assunto una nota scocciata, adesso.

Il dio degli inganni assottigliò le palpebre e si fermò. “Altrimenti?”

“Verrà il momento in cui, qualsiasi cosa passi per quella tua testaccia, mi chiederai aiuto.”

Loki restò in silenzio un istante, quasi volesse assorbire completamente il senso della predizione del fratello. Che stava cadendo, come tutte le volte, nella sua rete, evitandogli il fastidio di doversi abbassare a invocare il suo ausilio. “Interessante,” osservò infine, leccandosi la cicatrice dolorante. “Dovrei spartire con te fortuna e gloria?”

A quelle due parole, Thor figlio di Odino impallidì e dubitò della sanità mentale dell’altro. “Allora è così. Vuoi liberarla?”

 

Il piccolo Balder non sentì una sola parola di quello che si dissero i suoi fratelli maggiori. Dal punto in cui si trovava non riusciva a udirli, ma se si fosse avvicinato troppo, Thor e Loki lo avrebbero scoperto e si sarebbero assicurati di non essere più spiati. E così, a lui sarebbe stata preclusa la sua attività preferita su tutte: osservarli e fantasticare sul giorno in cui anche lui avrebbe preso parte ai loro conciliaboli: sarebbe intervenuto con fierezza e intelligenza, stupendoli entrambi. E Thor e Loki si sarebbero trovati assolutamente d’accordo con lui, lodandolo per la sua chiaroveggenza e lungimiranza. Era un sogno a occhi aperti, che non si sarebbe mai realizzato: i suoi fratelli raramente erano totalmente d’accordo su qualcosa, ma avrebbero convenuto entrambi, sempre, che lui, Balder, era troppo giovane o ingenuo o inadatto per seguirli. Ma questo, il giovane principino non poteva immaginarlo: s’incantava ammirando le movenze fluide e sempre un filo circospette di Loki, a cui la ferita fresca sul volto regalava un’aria selvaggia e un po’ piratesca, e desiderava possedere la sbalorditiva forza di Thor e la sua muscolatura potente e guizzante. Si chiese se stessero parlando della sua amica Sigyn.

Nelle settimane in cui Asgard era stata in guerra, lei gli aveva chiesto più o meno giornalmente notizie e informazioni ulteriori rispetto a quelle che giravano per il palazzo, certa che lui, in quanto membro della famiglia reale, captasse qualche dettaglio in più sulle gesta belliche dell’ultima guerra di Odino. Il modo in cui si torceva le mani quando aspettava che le rispondesse sembrava quasi suggerire che dubitasse della certa vittoria degli Æsir. E lui, Balder, di fronte alla sua paura, si era sentito grande come i suoi fratelli e le aveva spiegato quanto Asgard fosse invincibile, i suoi guerrieri più forti degli altri e Loki e Thor più abili e spietati di tutti. Sigyn ascoltava con attenzione i suoi ragionamenti e spesso, curiosa, gli faceva delle domande, finché, passato un tempo per Balder sempre troppo breve, alle prime avvisaglie che il sole stava tramontando, lei si alzava rassettando la gonna chiara e gli annunciava che doveva tornare a servire gli Antenati. Si allontanava sorridendogli, ma il suo sorriso era tirato e pareva forzato. Il giorno in cui era giunta la notizia che Loki era stato catturato, Sigyn era rimasta ad ascoltare Balder finché il cielo non si era fatto completamente nero, dimenticandosi completamente del consueto appuntamento serale. Quando, infine, si era alzata per andarsene, era pallida e nervosa. Rimase così per giorni e giorni – settimane. Continuava ad andare da Balder per avere delle novità, ma mentre il ragazzino parlava, spesso sembrava distratta e sovrappensiero, arrivando a porgli domande che avevano già avuto risposta e che riascoltava annuendo con la testa, le sopracciglia corrugate sul bel viso pallido. La sbadataggine non svanì del tutto nemmeno con l’annuncio del ritorno di Loki. Sigyn era fisicamente presente, ma distante con lo sguardo e con i pensieri, le dita che carezzavano, irrequiete, il bracciale che teneva sempre al polso.

 

 

Padre Tutto pensò che aveva bisogno di un corno del migliore idromele. Con un cenno, ordinò al servitore silenzioso e immobile che attendeva i suoi comandi, di portargli qualcosa proveniente dalla sua riserva personale. Nell’attesa, tamburellerò con le dita sul tavolo in noce, in un gesto distratto che Loki aveva osservato e imitato fino al punto di farlo suo. Huginn e Munin gli gracchiavano, da giorni, le stesse notizie. Odino avrebbe voluto ignorarli, fingere di non sapere, oppure tornare indietro al tempo in cui le forze non abbandonavano, ogni giorno di più, il suo corpo ormai stanco, che nemmeno le mele di Idunn potevano riportare all’antica vigoria. All’epoca, Thor e Loki erano bambini scalmanati e gestibili. I loro desideri e impulsi non coinvolgevano Asgard e il trono cui ambivano era ancora una chimera lontana, un obiettivo più vicino al sogno che alla realtà. Ma più il tempo passava, più il sovrano di Asgard doveva fare i conti con alcune scelte antiche che avevano avuto risvolti inaspettati. Una su tutti gli lacerava il cuore. Una che Frigga conosceva e su cui non si esprimeva più – aveva detto, a suo tempo, cosa pensava della questione e che significasse, per lei, la scelta fatta da suo marito.

 

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore,

Eccomi tornata dopo “solo” due settimane ♥ avete visto che miglioro??? Colpa dei miei bei piccioni ♥. Il prossimo aggiornamento è sicuramente il 42 di Accordo – perdonatemi, ma devo rileggermi gli ultimi tre capitoli per far quadrare tutto.

 

Ringrazio chi ha listato, recensito o semplicemente letto questa storia (se non l’avete fatto, ricordatevi che Babbo Natale vi guarda e che a Natale siamo tutti più buoni): a parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama il canone.

 

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] Come forse ricorderete, negli scorsi capitoli Loki ha riparato un gioiello di famiglia di Sigyn, un braccialetto. Le ha, in seguito, regalato con un trucco un anello. L’anello è quello che lei porterà via con sé nel Tempio.

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