Scintille nel buio di shilyss (/viewuser.php?uid=21848)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Scintille
nel buio
I
C’è
un momento particolare in cui gli occhi registrano il lento e graduale
passaggio dalla notte al giorno. L’oscurità si
dirada, il cielo nero torna a
essere blu, poi azzurro e, infine, i primi raggi del sole scaldano
l’aria, la colorano
di rosa e d’oro, la tingono di sfumature incantevoli che, per
un solo istante, bloccano
il respiro, fanno sobbalzare il cuore. Rannicchiata su una poltrona,
con le
braccia a cingerle le ginocchia, Sigyn si accomiatò con un
leggero sorriso
dallo spettacolo del sole che sorgeva sul fiordo di Asgard. Aveva fatto
lo
stesso con il colore delle rose, con le sontuose montagne che emergono
dal mare,
con i boschi imponenti che, d’inverno, la neve rendeva
candidi e immacolati. Ogni
giorno tributava il suo muto addio a qualcosa, cercando, al tempo
stesso, di
fare caso a ogni dettaglio, particolare, aspetto. Il modo in cui il suo
gatto
ammiccava e socchiudeva gli occhi mentre lei gli spazzolava il pelo
morbido, la
lucentezza delle pietre che adornavano la sua collana preferita,
l’affresco che
spesso ammirava nella sala del trono di Odino, l’acqua che
scendeva dalle
cascate poste a settentrione, la silhouette elegante dei drakkar
ormeggiati al
porto. A lui,
però, non sapeva
dire addio – non riusciva, non voleva.
Scese
dalla poltrona cercando di ridurre al minimo lo scricchiolio provocato
dai piedi
nudi sul pavimento di legno. L’insonnia era una condizione
che l’aveva sempre
afflitta, fin da quando viveva ancora nella casa di suo padre. Ad
Asgard era
riuscita a trovare qualcuno che la condividesse. Nelle notti invernali
infinitamente lunghe, il solo fatto di leggere anche solo un libro
nella medesima
ala della biblioteca con lui, in perfetto silenzio,
spesso l’aveva calmata
tanto da traghettarla in un sonno ristoratore e quieto, proprio
lì, in mezzo ai
libri scritti fittamente, alle pergamene arrotolate che custodivano
incantesimi
e segreti e poemi. Si mosse nella penombra, allungando le mani per
orientarsi
meglio e raggiunse a tentoni la camera da letto; invece
d’infilarsi sotto il
groviglio delle coltri calde e confortevoli, ancora calde
d’amore, le oltrepassò
e raggiunse la finestra per scostare la tenda. Le serviva uno
spiraglio, solo
una piccola lama di luce del primo mattino, quel tanto che bastava per
scorgere
il suo volto senza, però, svegliarlo.
C’era
solo un’immagine da cui non poteva – non riusciva
– ad accomiatarsi. Tentava di
farlo da giorni, settimane, mesi, ma le serviva più tempo.
Più di quanto ne
avesse ancora a disposizione, almeno – il mondo diveniva ogni
giorno meno
nitido e preciso.
Loki
dormiva supino e Sigyn gli si accostò, facendo attenzione
persino al proprio
respiro. Aveva perso il conto delle notti trascorse guardandolo alla
luce fioca
di una candela. Probabilmente, si era decisa a smettere di farlo nel
momento in
cui aveva compreso che non gliel’avrebbe detto. E lui non
sarebbe mai riuscito
a perdonarla, per questo.
Fissò
la sua figura con gli occhi spalancati, impazienti, avidi di cogliere
ogni
singolo particolare del suo viso affilato e bello, virile, di cui aveva
imparato ad amare ogni particolare. Conosceva a memoria la linea
diritta del
naso, la cicatrice fine e bianca che gli tagliava il sorriso sbieco e
perfido –
labbra ironiche, sottili, di cui anche al buio avrebbe riconosciuto il
sapore,
assaggiate mille e mille volte. Bocca bugiarda che a volte sapeva
d’idromele e,
all’inizio, non aveva amato –
il loro primo bacio sapeva di metallo. Un
sussulto le scavò il cuore, basso e doloroso: quel ghigno si
sarebbe smarrito,
nel reticolo delle sue memorie inghiottite dal buio? Il suo destino era
venire sepolto
dall’inevitabile oblio che, alla fine, avrebbe dipinto di
nero anche i ricordi?
Le si
appannò la vista, ma con un gesto rapido della mano
scacciò subito via le
lacrime. Loki era bello; quando dormiva, poi, pareva persino sereno.
Non era
più l’uomo tormentato, catturato dalla brama di
potere e sempre dedito agli
intrighi che aveva accanto durante il giorno, ma un ragazzo
addormentato, il
principe affascinante che le aveva fatto una corte serrata disobbedendo
a un
genitore esigente e accorto. Lo aveva notato fin da quando era sceso
dal
drakkar assieme a Odino e a suo fratello.
S’impresse
nella mente l’arco leggermente aggrottato delle sopracciglia
scure, lo zigomo
affilato, la mascella diritta, per poi scendere giù, verso
il collo, le spalle
ben sviluppate di guerriero, il petto nudo ampio e largo che
s’abbassava al
ritmo lento del suo respiro regolare. Sulla pelle alabastrina
dell’Ase
spiccavano i segni chiari delle cicatrici rimediate nelle passate
battaglie.
Anche quelle conosceva a memoria, perché le aveva consolate
con le labbra, una
per una. La prima volta che le aveva sfiorate non sapeva ancora di
amarlo.
Non
riusciva a smettere di guardarlo e di bere ogni suo particolare,
così come non
era più capace di stenderglisi di fianco, stringerlo in un
abbraccio e,
semplicemente, dormire. In fondo, anche lasciarsi avvolgere e cullare
nel dolce
nodo dei sogni era come vivere nel buio che l’avrebbe
inghiottita per sempre e
Sigyn non voleva questo.
Loki
avrebbe considerato il suo silenzio come un tradimento,
perché dagli altri pretendeva
una fedeltà incondizionata e assoluta, lui che non credeva
in niente. Si
sarebbe messo a sostenere che omettere è mentire e lo
avrebbe fatto quando lei non
avrebbe più potuto vederlo né scorgere se il
dolore gli velasse lo sguardo. Poi
avrebbe parlato del loro passato e di ciò che aveva fatto e
detto.
All’inizio
era stato un lampo di luce percepito con la coda dell’occhio,
nient’altro. Non ci
aveva nemmeno fatto caso. Si era passata una mano sul viso, come per
scacciare
via la scintilla che rappresentava il primo sintomo evidente di un male
senza
rimedio. Poi, l’intensità e la frequenza di quei
bagliori improvvisi era
aumentata e, con essi, gli altri disturbi; il mondo attorno a lei aveva
iniziato inevitabilmente a perdere la sua nitidezza, a farsi incerto e
sfocato,
piatto – qual era la reale distanza delle cose?
La
sentenza era calata come una mannaia sulla sua testa il giorno in cui
si era
resa conto di non riuscire più a distinguere le rune che
componevano le frasi. Non avrebbe più potuto leggere: la malattia
– la maledizione
– era diventata qualcosa di reale e tangibile,
drammaticamente vero. E se non
esisteva alcun rimedio in tutti i Nove Regni, perché
dirglielo? Loki avrebbe
tentato di rintracciare una cura che non c’era semplicemente
perché era
incapace di accettare che il fato, a volte, è ingiusto.
Doveva sempre
intervenire, combattere, lottare, truffare il destino, specie se
c’era il seiðr
di mezzo. Solo che ci sono volte in cui non esistono scappatoie o
alternative e
bisogna accettare ciò che le Norne, impietose, hanno filato
per noi. Presto, le
tenebre l’avrebbero avvolta per sempre, privandola di ogni
luce. E, allora,
tanto valeva abituarsi, iniziare a prendere confidenza con il nero
eterno e con
l’oscurità e dire addio a tutto il resto
– anche all’amore.
Loki
si mosse appena ed emise un sospiro. Il suo sonno leggerissimo era
l’ennesimo
lascito delle notti passate con l’orecchio teso a captare
rumori durante le
lunghe campagne militari volute dal giusto Odino, delle ambascerie
rischiose intraprese
fin da quand’era ragazzo. Non si era mai tirato indietro di
fronte a niente,
nemmeno al cospetto degli ordini più biechi.
Sollevò le palpebre quel tanto che
bastava per metterla a fuoco e le accarezzò un fianco
fasciato dal raso,
indugiando appena sulla curva disegnata dal suo corpo, per poi fermarsi
e
aggrottare la fronte. Stava fissando una donna che si era reso conto di
aver
perso. Colpa del suo intuito di lupo, affinato in anni di trappole
evitate e
tese.
“Sei
già sveglia. Perché?” Una domanda
inquisitoria, sottile, detta tirandosi su col
busto e puntellandosi su un gomito. La luce fredda dell’alba
accarezzava i suoi
muscoli guizzanti e nervosi, perfetti.
“Avevo
sete,” mentì lei.
Gli
occhi del dio degli inganni erano d’una sfumatura di verde
incantevole,
bellissima, che a Sigyn faceva pensare immediatamente alla trasparenza
dell’acqua.
Luccicavano maliziosi, ma spesso si velavano d’ombre scure
– dolori senza nome,
cupi come la sua anima nera, ire brucianti e corrosive più
della bava acida di
certi serpenti immensi che vivevano nelle profondità della
terra.
Lui
non le credette e si alzò con un gesto fluido dal letto. Si
vestì rapido e prese
la coppia di pugnali che portava sempre con sé, lasciandola
nella stanza che li
aveva visti amarsi innumerevoli volte con addosso la consapevolezza che
un
destino ineluttabile pesasse su di loro.
Avrebbe
potuto tornare indietro e interrogarla come sapeva fare, estorcendole
la verità
grazie alla sua abilità retorica e a un paio
d’inganni ben piazzati, ma aveva
scelto di approntare un’altra strategia, decisamente
più crudele, che si
adattava meglio al suo spirito fiero e arrogante.
S’allontanò cautamente, ma
prima d’infilare la porta e uscire si voltò appena
per regalarle un’occhiata
lunga, attenta, indagatrice.
Sigyn
fu tentata di dirgli la verità. Strinse tra le dita le
coperte ancora intrise
di loro, schiuse le labbra per confessargli quel segreto di cui era a
conoscenza solo il guaritore del palazzo e Odino, ripensò
alle frasi graffianti
e vere del dio delle forche.
E se Loki,
di fronte alla sua malattia, l’avesse davvero
fissata con occhi freddi,
gelidi, privi di comprensione, carichi di pietà? Se non
l’avesse più guardata
come una donna, ma come una sventurata inferma? Peggio che sopportare
la cecità
imminente, c’era solo avvertire il freddo distacco di un uomo
che non la voleva
più accanto a sé perché guastata,
ascoltare la falsa cortesia con cui l’avrebbe
allontanata da sé, compatendola. Si sarebbe messo ad
argomentare la sua tesi
con la stessa abilità retorica con cui, una sera ormai
lontanissima nel tempo,
si era chinato verso suo padre convincendolo – obbligandolo
– ad
accettare una proposta indegna che l’aveva fatta tendere
sulla sedia. Alla luce
fioca delle torce, un ghigno perfido e spavaldo gli aveva increspato le
labbra
sottili. Era spaventosamente sicuro di sé e della forza del
suo esercito. Di
fronte a lui, il re di Asgard, Odino, si era lisciato la barba,
soddisfatto del
patto appena stretto.
“Chi
di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa,
non priva, però,
di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una
notte
intera nonostante le gravasse sul cuore, sullo stomaco, sulla gola,
tanto da
impedirle persino di deglutire. Era andata via dalla casa di suo padre
con
indosso gli abiti e i gioielli della festa: un vestito di velluto
scarlatto le
fasciava il corpo snello, un diadema inutilmente sontuoso le brillava
sulla
fronte. La ragazza avrebbe voluto strapparselo di dosso e mettersi a
gridare e
a maledire tutti, i Vanir perdenti e gli Æsir vittoriosi;
invece, era rimasta
dov’era, seduta con grazia sul drakkar salpato dal molo con
la prima marea
utile, il mantello avvolto strettamente attorno alle spalle, le labbra
serrate.
Loki aveva
ghignato con quel suo sorriso sbieco che lei non amava ancora.
“Avrebbe
importanza?”
Le si
era avvicinato, porgendole un corno d’idromele che lei aveva
rifiutato
allontanando il viso. “Mia signora, hai preferenze,
forse?”
♥
Lo
lasciò andare via con mille frasi e altrettanti discorsi
fermi nella gola. I
passi di Loki si fecero sempre più lontani e distanti. Di
contro, i pensieri di
Sigyn divennero più lucidi e netti, come la vista che le
sfuggiva. L’alba aveva
lasciato posto a un mattino grigio e freddo, carico di nubi, simile a
quello
che aveva illuminato Asgard il giorno in cui vi aveva messo piede per
la prima
volta. Non sarebbe più dovuta entrare in quelle stanze,
anche se lui l’avrebbe
detestata, per questo. Sarebbe stato crudele, sfoggiando tutto il suo
disappunto alimentando vecchie gelosie – quella, mai sopita,
verso Sif, per
esempio – e dilettandosi in nuove. Poi, un giorno,
l’Ase avrebbe scoperto il
vero motivo della loro rottura, finendo così per regalarle
una fredda
indifferenza che l’avrebbe ferita più di tutto il
resto. Lo conosceva, lo
sapeva – amare qualcuno voleva dire apprezzarne le
imperfezioni, i difetti, le
storture e conoscerne i moti dell’animo. Il cielo coperto e
grigio accolse quella
sua ultima decisione; raccolse i propri indumenti sparsi a terra la
notte prima
con un sorriso mesto. Odino avrebbe tratto un sospiro di sollievo.
♥
Loki
lasciò
scorrere le belle dita di mago sulle lame lucide dei suoi pugnali,
palesando
così il suo manifesto disinteresse per la missiva arrotolata
davanti a lui. Aveva
ancora i muscoli tesi e contratti per il rapido e violento allenamento
avuto
con Thor. Suo fratello lo aveva intercettato lungo le scale che
conducevano all’armeria
proponendogli uno scontro e lui, ovviamente, non si era tirato
indietro, sfogando
sull’altro tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni.
I fendenti precisi
si era mescolati alle punzecchiature fatte al solo scopo di
deconcentrarsi l’un
l’altro, ma l’apparizione improvvisa di un messo
proveniente da Vanheim, alla
fine, aveva distolto lui dal combattimento. Si era ritrovato con la
schiena a
terra, un forte dolore allo sterno e Mjollnir a sfiorargli il mento.
Thor era
scoppiato in una risata fragorosa e soddisfatta e gli aveva teso la
mano. Per un
momento, uno solo, il gioco si era tramutato in qualcos’altro
e l’ingannatore
si era rifiutato di accettare l’aiuto offertogli.
Era solo un allenamento,
eppure il suo spirito s’era infettato di un risentimento
sordo e senza nome –
no, bugia, non glielo voleva dare perché era ingiusto e
meschino, profondamente
indegno. Uno che si faceva vivo sempre più spesso e che Loki
doveva inghiottire
come si fa con una medicina amara, perché tenere tutto sotto
controllo era l’unica
cosa da fare per non farsi mangiare vivi dal caos.
“Perché
non la apri?” inquisì Balder alzando un
sopracciglio.
Loki
non smise di passare i polpastrelli sulla lama piatta di una delle sue
armi
favorite. “So già cosa c’è
scritto in quella lettera, fratello. Vuole che
gliela restituisca perché non siamo stati ai
patti,” spiegò con lentezza. Un sorriso
freddo e beffardo gli increspò le labbra. Sigyn non era
più sua, quella mattina
ne aveva avuto la certezza, eppure non intendeva affatto cederla.
Cos’era
successo, tra loro? Fino a qualche settimana prima, se si fosse
svegliato
accanto a lei l’avrebbe attirata a sé affondando
il naso alla base del collo,
per farla tremare e sciogliere insieme, per accendere una brama che la
notte
acuiva; le sue mani si sarebbero posate sul suo corpo snello e caldo e
reattivo
facendolo tendere dal desiderio. Un tempo, l’avrebbe
agguantata per
intrappolarla sotto di sé o si sarebbe beato della sua
bellezza invitandola a
stare sopra di lui. Ora non più – Sigyn gli
sfuggiva, faceva di tutto per
evitarlo. La notte prima la passione di un tempo era tornata:
l’aveva cercata
– si erano cercati – corrosi dalla gelosia
reciproca, dalla lontananza, dalla
serie di sguardi che, come scintille nel buio, si erano lanciati in
mezzo a un
banchetto gremito di gente di cui a loro non importava nulla. Avevano
sentito
l’esigenza di slacciare l’uno gli abiti
dell’altra, frenetici e ansiosi, per
aversi in fretta, in nome di qualcosa che non era né dolce
né tenero, ma che
seguiva impulsi impazienti e bassi tali da far fremere le vene dei
polsi, le
gambe, la pelle tutta.
Lei
l’aveva
accolto sforzandosi di soffocare ogni ansito – tentativo
inutile, la tradiva il
suo corpo inarcato, proteso, disponibile, come sempre, fin dalla prima,
lontana
volta, in cui le dita di Loki le avevano sfiorato le labbra,
regalandole un
tremito nuovo e sconosciuto che aveva raggiunto ogni terminazione
nervosa,
arrivando persino all’anima e sconvolgendola con pensieri
inopportuni – una
parte di lei aveva sperato che non si fermasse e fosse tanto spavaldo
da
assaggiare la sua bocca. Invece, Loki non l’aveva baciata,
quella volta; si era
limitato a quel contatto lieve e bruciante a un tempo, accompagnato dal
ghigno
consapevole di chi sa di stare portando il caos, compiacendosi per il
brivido
improvviso che lei non era riuscita a camuffare. C’era stato
uno sguardo, però.
Lungo, intenso, sfacciato. Di sfida.
“Sarebbe
un peccato, se Padre Tutto decidesse di donarti a qualche valoroso Ase
tanto
presto.”
L’angolo
di Shilyss
Cari Lettori,
E che
è ‘sta storia? Una mia cara amica, qualche tempo
fa, mi ha dato un prompt.
Sigyn doveva essere affetta da una malattia agli occhi e perdere
gradualmente
la vista. La notte, sarebbe dovuta rimanere a fissare Loki
addormentato, per imprimere
nella sua mente la sua immagine. Ho adorato questa immagine propostami
e ho cominciato
a pensare a una storia – ho iniziato a scriverla –
con l’idea che dovesse
essere una shot. Tuttavia, con questi presupposti, la storia non
decollava. Scrivevo
e mancava qualcosa. Oggi, l’illuminazione. Mancava che non
poteva essere una
shot. Ora, nonostante abbia già più o meno in
mente dove voglia andare a
parare, ve la faccio leggere sperando che vi piaccia tanto da lasciarmi
un
commentino o inserirla in una lista,
tutte cose che sono l’ossigeno
nostro, per noi povere Autrici. Come avrete letto, la
condizione di partenza
è un po’ differente dal solito e dovrebbe
trattarsi di un pre: Thor, con
tutti i drammi del caso. Loki e Sigyn qui non sono sposati e lei sta
perdendo
un senso a causa di una malattia/maledizione… per il resto,
leggetela, il primo
capitolo dovrebbe aver messo un sacco di carne al fuoco, ma poi che ne
so!
Piccola
comunicazione di servizio: ovviamente Solo un accordo
e Tesori
torneranno le prossime settimane. La seconda
è quasi agli sgoccioli e,
una volta terminata, riprenderò anche con le altre mie long,
che non ho
dimenticato.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Vi
ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥
Un'altra volta ancora:
leggetela, se vi va ♥ ^^
Ricordo
che Vanheim con
questo ordinamento
sociale, politico e culturale è una mia idea: vi pregherei di non
utilizzarla ♥. Anche il personaggio di Sigyn, tolto quello
che trovate alla
voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Vostra,
Shilyss
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
“Non
siamo? Non sei,” lo corresse con una
punta di fastidio Balder il Buono. Il
terzo figlio di Odino non desiderava rimanere invischiato nelle trame
contorte
dell’ingannatore. Loki, beffardo e insolente come suo solito,
sedeva mollemente
su una poltrona, con i talloni sfacciatamente poggiati sul legno della
scrivania. Non aveva ancora riposto nel fodero i pugnali con cui
giocherellava
– lame lucide, letali, abituate a colpire i punti vitali
degli avversari. Il
gesto, in realtà, tradiva una sorta di fastidio. Non era la
prima volta che la
famiglia di Sigyn gli scriveva, ma lui era rimasto sordo a ogni loro
richiesta
e, per fortuna, anche Padre Tutto.
E
Balder non si capacitava di questo. Avrebbe voluto afferrare il
fratello per il
colletto e scuoterlo, imponendogli – implorandolo
– di fare l’unica
cosa giusta, consapevole, tuttavia, che non sarebbe mai riuscito a
scalfire lo
spirito volitivo dell’altro, incapace di vedere la crepa
nascosta dietro il
ghigno irriverente che Loki sfoggiava.
L’ingannatore
assottigliò gli occhi. “Sei forse superstizioso,
adesso?”
“No.
Lungimirante e responsabile, piuttosto. E non cieco come
Thor,” puntualizzò.
Loki,
divertito dalla frecciata, inclinò leggermente il capo di
lato. “O come nostro
padre.”
Balder
contrasse ogni singolo muscolo di fronte a quell’illazione.
“Non l’ho detto.”
Un
guizzo ferino scintillò negli occhi verdi
dell’ingannatore. Voleva cacciare, e
la sua preda, davanti a lui, aveva appena infilato il piede dentro una
trappola. “L’hai pensato,”
l’incalzò sporgendosi appena e facendo sparire i
lunghi coltelli. Sfidare Lingua d’Argento sul piano retorico
significava
incorrere in una sconfitta, sempre.
“È
un
processo alle intenzioni? È uno dei tuoi soliti trucchi?
Divertiti con qualcun
altro, fratello.” Balder indietreggiò, sebbene
fosse perfettamente consapevole
che aumentare la distanza fisica tra lui e il mago non
l’avrebbe messo al
riparo dalle sue parole sferzanti e, purtroppo, dolorosamente vere.
Odino era
un sovrano lungimirante, severo, capace, ma assegnava puntualmente le
imprese
più ardite a Loki e a Thor, escludendolo. I suoi fratelli
maggiori erano
decisamente troppo orgogliosi e alla perenne ricerca della gloria
personale
uno, di un’occasione per menare le mani l’altro.
Eppure, nonostante i palesi
difetti, tutto lasciava presupporre che la corsa
all’Hliðskjálf fosse una sfida
che riguardava solamente loro. Ne sarebbero stati davvero degni? Una
volta,
Balder si era fatto coraggio e aveva domandato all’austero
genitore per quale
ragione non lo mettesse alla prova, spedendolo in una delle missioni da
cui i
fratelli tornavano spesso leggermente ammaccati, certo, ma senza dubbio
vittoriosi e allegri: non poteva immaginare, ingenuo com’era,
che l’ilarità ostentata
dai due era dovuta, fin troppo spesso, all’idromele bevuto
per dimenticare ferite
e compromessi, dolori e mostruosità.
La
risposta di Odino era stata precisa e netta, inappellabile. Loki e Thor
erano cresciuti
insieme. I lunghi anni trascorsi ad addestrarsi, a combattere e a
giocare assieme
li avevano resi una squadra collaudatissima e affidabile. Litigavano
continuamente
a causa dei loro caratteri fieri, certo, ma di fronte al pericolo
sapevano
guardarsi le spalle a vicenda e fare fronte comune. Con loro Odino era
stato
più severo ed esigente, preso com’era
dall’idea che dovesse forgiare due futuri
re. Li aveva spinti a divenire adulti più in fretta,
caricandoli di
responsabilità forse anche prima del tempo – ma
erano figli della guerra, loro,
nati nel momento in cui il conflitto contro re Laufey era
all’apice della sua
violenza. Inserire un terzo elemento avrebbe rischiato di creare
attriti e
dissonanze. Balder li avrebbe rallentati e, come se non bastasse, era
davvero
troppo giovane: rimanere nella Válaskjálf, la
sala del trono di Asgard, rappresentava
un onore, un privilegio, un compito essenziale di cui essere
orgogliosi. I suoi
impazienti e iracondi fratelli, sempre pronti a contraddire e a sfidare
la
pazienza di Odino, non si erano opposti a tale decisione.
“Quanto
rancore, ragazzino,” sibilò Loki tenendolo
d’occhio con fare sornione. Si alzò
in piedi con un gesto fluido e prese con sé la pergamena
arrotolata. Non gli
interessava quella conversazione: dal suo altero punto di vista, le
pretese di
Balder erano quelle di un bambino furioso che voleva giocare a fare
l’adulto.
Dimenticava, o non gli interessava ricordare, che alla sua
età lui e Thor erano
già considerati eroi degni di essere cantati dai bardi.
Stirò le labbra in un
sorriso sghembo, amaro. Molte delle sue imprese, le più
temerarie e spaventose,
quelle che gli avevano ghiacciato l’anima e il sangue e
portato via il cuore,
non sarebbero mai state rievocate a un banchetto. Le avrebbe ricoperte
l’oblio,
perché la grandezza di Asgard aveva un costo altissimo.
Odino gliel’aveva
spiegato stringendogli la spalla e sussurrandogli complimenti scarni
che non
avrebbe mai pronunciato ad alta voce. Thor andava a uccidere a est i
Troll e i
Giganti e, al suo ritorno, tutti lo acclamavano per il coraggio e
l’audacia
dimostrati. A Loki sarebbe rimasto il resto – il regno oscuro
e dai contorni
indefiniti della politica, del non detto, del seiðr mormorato a
fior di labbra.
Un ruolo che a volte gli andava stretto e tirava e stringeva, che
sempre più
spesso lo lasciava insoddisfatto – la gloria non splende su
chi lavora
nell’ombra e agisce d’astuzia. Tutto questo il
giusto Balder, l’abile
spadaccino, il figlio nato in un periodo di pace dall’animo
tranquillo e solare,
che obbediva sempre ai suoi genitori e rispettava ogni legge, non
poteva
capirlo. La sua unica ribellione era stata chiedere di andare a farsi
ammazzare
prima del tempo, ponendosi sullo stesso piano degli altri fratelli
più scaltri
ed esperti. Per lui, il mondo non aveva le mille sfumature che il dio
dell’inganno
aveva visto con i suoi occhi: si divideva in giusto e sbagliato, noi e
loro.
Una visione miope che faceva arricciare le labbra di Loki e lo aveva
convinto
una volta di più a non mettersi in mezzo, evitando
così di perorare la causa
del ragazzo. E Thor, tronfio com’era, aveva finito per fare
un ragionamento non
troppo dissimile.
La
voce di Balder gracchiò fin oltre la porta già
oltrepassata.
“Perché
non fai mai la scelta giusta, Loki? Liberala,
lasciala vivere in pace.”
L’ingannatore
si fermò, ma scelse di non voltarsi.
“Altrimenti?” sorrise.
♥
Loki
aveva l’età di Balder quando si era preso Sigyn.
Era
una notte d’estate e lei indossava un abito rosso. Di quella
sera ricordava fin
troppi dettagli. Il sapore del vino che gli scivolava in gola, per
esempio:
dolce, inebriante, fresco, versato in coppe d’oro intarsiate
con pietre
preziose e perle. Thor gli disse che preferiva bere nei corni, li
trovava più
comodi. Lui rispose che quella bevanda stordente andava portata con
loro ad
Asgard a ogni costo. Risero complici e lei, seduta
accanto a sua madre,
li sentì e rivolse a entrambi un’occhiata di
fuoco, carica di curiosità,
rancore, e dispetto insieme. Loki l’aveva osservata a lungo,
durante il
banchetto: si guardava attorno nervosa e spesso giocherellava col cibo,
rispondendo
a monosillabi ed evitando di guardare chicchessia, ma quando, come in
quel
momento, alzava lo sguardo dal piatto, i suoi occhi scintillavano,
rivelando un
animo appassionato e vibrante. E, soprattutto, al contrario delle sue
sorelle non
si credeva al sicuro. L’ingannatore le regalò il
suo miglior ghigno sbieco
alzando il calice nella sua direzione – brindando a lei e
alla recente vittoria
degli Æsir. Sigyn strinse le labbra e raddrizzò le
spalle appena lambite dalla
stoffa cremisi: lo detestava e la sua sola presenza le incuteva un
terrore sordo.
E di questo, Loki era più che soddisfatto.
Il
piano da proporre a Padre Tutto cominciò a delinearsi nella
sua mente in quel
preciso istante. Dapprima fu un abbozzo che gli gironzolava nella
testa, ma poi
prese forma, sostanza, peso, divenendo reale, fattibile. Intrigante,
persino.
Ne ripercorse i passaggi più e più volte,
immaginando le obiezioni che gli
sarebbero state mosse e prevedendo le risposte, e più si
cimentava nel
dialettico intrico, più si esaltava. Si leccò le
labbra ritrovandovi il gusto
del vino speziato, chiedendosi distrattamente come sarebbe stato
baciarla,
valutando una dopo l’altra le numerose alternative che gli si
ponevano davanti.
I genitori di Sigyn non avevano accolto Odino e la sua corte col
sorriso sulle
labbra, affatto. Si erano limitati a tenere lo sguardo basso,
consapevoli di
aver mancato a uno degli accordi stipulati con Asgard, spaventati
all’idea di
quello che Padre Tutto avrebbe chiesto o fatto loro. Gli Æsir
si ergevano a
protettori dei Nove Regni, contrastando qualsiasi avversario o
invasione, sacrificando
le loro vite e versando il proprio sangue per garantire una pace e una
prosperità universali. In cambio, com’era naturale
e giusto che fosse,
pretendevano annualmente tributi sottoforma di raccolti, omaggi e
soldati da spedire
al fronte, all’occorrenza. Nulla di tutto ciò era
stato inviato da Sigurdr, nel
corso degli ultimi due anni. Anzi, durante l’ultima campagna
militare l’assenza
di una parte degli alleati aveva messo in seria difficoltà
l’esercito di Odino.
Ecco perché Padre Tutto era lì. Per ristabilire
l’ordine, per ricordare agli amici
e ai nemici che i patti andavano rispettati sempre, fino in fondo, a
qualunque
disperato costo. Alcuni l’avrebbero chiamata vendetta.
Thor
non sollevò il capo mentre Loki si sporgeva verso Odino per
metterlo a parte
della brillante idea che aveva avuto. Era abituato ai suoi guizzi
crudeli e
geniali, del resto. Spesso non condivideva i modi del fratello, vero,
ma questi
ultimi erano sempre finalizzati a ingigantire la potenza di Asgard e il
prestigio
della loro famiglia: a volte il dio del tuono aveva la sensazione che
l’altro ballasse
troppo vicino al baratro che separava il bene dal male, che i suoi bei
discorsi
pendessero sempre più verso un pragmatismo fin troppo
spietato, ma finiva per
mettere puntualmente a tacere quel pensiero insistente.
Finché Padre Tutto appoggiava
i suoi modi andava tutto alla perfezione – un giorno lontano,
Thor avrebbe scoperto
sulla propria pelle che l’animo feroce di Loki poteva
arricchire o distruggere
gli Æsir, ma non era quello il momento né il
giorno.
Il
banchetto si stava concludendo. Odino, come avveniva sempre
più spesso, ascoltò
con grande attenzione le parole sagaci mormorate dal figlio. Tra le
mani
stringeva un calice mezzo colmo. Lo vuotò con un paio di
sorsi generosi senza
palesare alcuna emozione, ma il dio dell’inganno colse con
soddisfazione il
brillio fugace che attraversò l’unico occhio del
genitore.
“Quale
delle quattro?” s’interessò il sovrano.
Loki
lasciò scorrere lo sguardo su Sigyn, rigidamente seduta a
poca distanza da
loro. Si compiacque della tensione che individuava nella schiena
rigida, ammirò
sfacciatamente la scollatura generosa che evidenziava il seno piccolo e
ben
fatto, il viso dai lineamenti piacevolmente delicati, le folte trecce
d’oro che
le arrivavano fin sotto ai seni. Lei dovette sentire gli occhi
dell’Ase su di sé,
perché sollevò le ciglia scure e, rossa in volto,
lo fissò a sua volta. Li legava
una tensione sospetta, bassa, viscerale, di cui nessuno dei due era
pienamente
consapevole, nemmeno il principe. Un legame vibrante e sconosciuto che
li
avrebbe distrutti, un giorno, rendendo vera una storia antica. Quella
sera l’aveva
scelta perché lo detestava e per lo sguardo infuocato che
gli aveva rivolto, bruciante
come quello che le stava regalando lui in quel momento.
Deglutì. “La più giovane,”
mormorò facendo attenzione che nessuno gli leggesse le
labbra. “Sigyn.”
Odino
si volse appena verso di lui. “Perché?”
“Non
dispone di una dote congrua per tutte. Non
la farà mai sposare. La vuole sacrificare agli
antenati,” ragionò rapidamente.
Fece una pausa, perché ciò che gli era parso di
cogliere era poco più di un sospetto
suggeritogli dal suo intuito – dal seiðr.
“Ha la scintilla,”
sibilò, “o
è l’unica che potrebbe averla.”
Il
sovrano fece scorrere il pollice su uno
degli intarsi della coppa, sovrappensiero. Avvertiva anche lui la
presenza di qualcosa,
nella ragazza. Riconobbe la validità del piano proposto,
rifletté su quanto
Loki, a forza di imitarlo, studiarlo e stargli accanto, avesse finito
per
assomigliargli tanto da parlare e pensare come lui. Valutò
rischi su cui forse il
suo giovane e arrogante figlio non aveva riflettuto abbastanza o che,
forse,
non reputava così pericolosi come in realtà erano
– la ragazza era carina,
dopotutto – e annuì solenne.
“È
un
buon piano, Loki. Se anche non l’avesse, noi ci garantiremo
l’assoluta fedeltà
del suo clan.”
Il
giovane dio dell’inganno non perse tempo. Si fece riempire
nuovamente la coppa
con il buon vino speziato dei Vanir e si avvicinò con un
sorriso sornione a Sigurdr,
incurante del ritmo sempre più lento e ipnotico dei canti,
degli sguardi
curiosi che lo seguivano con manifesto interesse Parlare di affari e
strategie a
quell’ora della notte sarebbe stato un vantaggio solo per
lui, ancora lucido
nonostante l’alcool. Il suo ospite, preso totalmente alla
sprovvista, stanco
per la lunga giornata e desideroso di compiacere gli Æsir,
sarebbe capitolato
dopo qualche obiezione, cui lui avrebbe risposto in maniera sferzante e
arguta.
Inappellabile. Loki, grazie alle sue trame argute e alla sua
capacità
dialettica, avrebbe trionfato pubblicamente.
Sigurdr
aggrottò la fronte, sorpreso dall’elegante
familiarità con cui l’Ase gli si
sedette accanto, intimorito dal suo mezzo sorriso appena accennato,
sbieco e
sornione.
“Esulta,
nostro buon amico: Padre Tutto ha deciso che ti perdonerà
per la tua codardia,”
esordì Loki poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo
impallidì e scosse la testa: fino ad allora nessuno aveva
fatto menzione del mancato
invio dei soldati, ma in cuor suo sapeva che, presto,
l’argomento sarebbe emerso.
Il fatto che a tirarlo fuori senza alcun preambolo fosse proprio lo
scaltro
Loki, però, aveva in sé qualcosa di oscuro e
inquietante a un tempo – merito anche
della scintilla folle che gli brillava negli occhi, decise.
“Non
è stata codardia, principe,” si difese Sigurdr.
“C’è stata una carestia. Sono anni
difficili – voi lo sapete. Non ho più figli maschi
che mi aiutino,” spiegò. Era
teso e a disagio, eppure si sforzava di mantenere il controllo della
situazione
e comportarsi come il capo che era.
“Siamo
a conoscenza di tutto, sì.” Loki
giocherellò con la coppa. “Ma non hai inviato
neanche un uomo. Avresti potuto dimostrare la tua lealtà in
modo simbolico. Noi
ne abbiamo persi molti, di soldati.”
Tutti
sapevano che il dio dell’inganno aveva rischiato di morire,
nell’ultima
battaglia. Si raccontava che era stato suo fratello Thor, a salvargli
la vita.
Se lo era issato in spalla sebbene tutti gli avessero detto che aveva
perso troppo
sangue ed era inutile soccorrerlo. Sigurdr si era ben guardato
dall’indagare quanta
verità ci fosse in quella storia. Loki era lì,
davanti a lui, pericoloso e
beffardo più di quanto si diceva fosse, a pochi passi dal
possente fratello e
dal furbo genitore.
“Cosa
posso fare per Asgard e per Padre Tutto?”
“E per
i Nove Regni,” lo corresse Lingua d’Argento.
“Abbiamo scelto qualcosa di tuo,
che ti appartiene, ma sono certo che cederai senza troppe
storie,” spiegò
lentamente, leccandosi le labbra che sapevano di vino. Pareva una fiera
pronta
a scattare di fronte alla sua preda. “Lei,” disse,
rivolgendole un ghigno lupesco.
“Sigyn.”
Così
fu dato il via a una serie di eventi che avrebbero scosso la casa di
Asgard e Lingua
d’Argento più di quanto non avesse fatto il
terribile colpo che gli aveva
squarciato il fianco durante l’ultimo scontro. Si era
ritrovato steso sul
tavolaccio dei guaritori a farsi ricucire un fianco squarciato,
imprecando tra
i dolori, tremando per gli effetti devastanti di un fendente infettato
con una
magia scura e corrosiva. Era sopravvissuto a stento e la cicatrice gli
tirava
ancora.
Sì,
Loki
aveva l’età di Balder quando si prese Sigyn
scoprendo che non avrebbe mai
potuto averla davvero.
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Qualche
precisazione: il fatto che il padre di Sigyn sia Sigurdr è
un mio headcanon. Non
sono riuscita a capire di chi sia figlia ‘sta benedetta
ragazza e non voglio
utilizzare nomi che non compaiono nell’Edda o che non siano
ufficiali, quindi
se tanto devo inventare, almeno invento di mio. Che Loki abbia una
cicatrice
deturpante al fianco è un mio headcanon presente anche in
“Ossessioni, whisky e
oro/Tesori.” Per il personaggio di Balder, consideratelo un
po’ come un OC con
qualche commistione tra il fumetto e il mito.
Come
avrete capito, essendo una pre-Thor alcune
interazioni tra i personaggi
sono DIFFERENTI: esempio? Loki che, per ora, va
d’accordo con Odino. Ciò
significa che ci saranno alcuni momenti iconici, più avanti
e che questa è
anche un po’ una mezza sfida per me, che li racconto sempre
almeno da Avengers
in poi. Qui abbiamo avuto un lungo flashback e qualche piccolo,
piccolissimo
indizio sul perché Sigyn stia diventando cieca.
Colgo
l’occasione per ringraziarvi
dell’affetto, del sostegno e della
presenza. Il sostegno, per chi scrive, è
importante – mettere
su carta una storia è condividere un pezzo di cuore, di
anima, di noi. E quando,
come in questo caso, si abbandona la “comfort
zone”, la questione si fa ancora
più spinosa!
Per
chi lo volesse, ci sono le liste in alto a destra,
oppure lasciate una
recensione ♥!
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Vi
ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥
Un'altra volta ancora:
leggetela, se vi va ♥ ^^
Ricordo
che Vanheim con questo ordinamento sociale, politico e culturale
è una mia
idea: vi pregherei di non utilizzarla ♥. Anche il
personaggio di Sigyn, tolto
quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Vostra,
Shilyss
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
La
prima reazione di Sigurdr
fu quella di scuotere il capo con veemenza. La seconda, pregare le
Norne che quello
fosse un orribile incubo. Loki gli si era seduto accanto con malagrazia
e
protraeva il corpo agile e asciutto verso di lui simulando una
confidenza che
non c’era. Il suo aspetto piacevole si scontrava con la
ferocia ben visibile
nel sorriso laterale e negli occhi di lupo. Gli mise una mano sulla
spalla resa
fragile dagli anni e la strinse appena, in un gesto di finta
complicità che lo
fece rabbrividire – in realtà, lo aveva
intrappolato.
Pensò
di alzarsi e andarsene, ma la presa di quello che, in fin dei conti,
era solo
un ragazzo, era fatta d’acciaio. “Lei
no,” boccheggiò.
“Sii
ragionevole, amico mio,” insistette l’Ase
dondolando la coppa che ancora
reggeva nell’altra mano. “La nostra non
è esattamente un’offerta e poi,
diciamocelo: è quanto di meglio le potrebbe capitare. Ti
rimangono quattro
figlie e hai fatto fidanzare solo la maggiore. Non puoi garantire a
tutte loro
una dote congrua, di questo tuo piccolo regno non rimarrebbe nulla. Le
renderai
ancelle, le spedirai a servire gli spiriti degli Antenati, dico
bene?” Inclinò
il capo e allargò ancora di più il suo ghigno.
“Avanti, Sigurdr. Siamo fin
troppo generosi,” notò.
Il
vecchio guerriero s’accigliò. Aveva ragione.
Quello del furbo figlio di Odino
era un ragionamento esatto, assolutamente puntuale, ma frutto di
deduzioni che
partivano da basi maledettamente incomplete.
“Non
lei.
L’ho promessa,” confessò.
“Scegline un’altra, mio principe.”
Le
musiche non erano cessate e così il rumore dei calici e
delle stoviglie. Buona
parte dei commensali presenti nell’ampia sala avevano smesso
di prestare
attenzione al dialogo tra il padrone di casa e il suo altero ospite, ma
alcuni
continuavano a seguirli, tentando di leggere l’andamento
della discussione
nello sguardo vitreo di Sigurdr, nella mascella serrata di Loki.
“A
chi?” domandò l’Ase gelido.
L’altro
deglutì, sostenendo a fatica l’occhiata severa e
giudicante dell’ingannatore. “A
cosa,” lo corresse.
Per
un momento, la portata di quelle due parole aleggiò
nell’aria. Poi, Loki Odinson
comprese perfettamente l’allusione e si ritrasse, quasi che
il contatto e la
vicinanza con Sigurdr potessero contagiarlo in qualche modo.
Fissò la ragazza,
e fu quello il momento in cui la sua mente svelta gli
suggerì che lei era
perduta, chiedendosi al contempo quanto sapesse di ciò che
le sarebbe toccato
in sorte. Mentre sosteneva il peso delle sue occhiate critiche
– sconvolte,
capaci di trapassarla e leggerle fin dentro il cuore – Sigyn
aveva gli occhi
accesi e le guance rosse. Il modo sfacciato e diretto in cui lui
l’osservava
certamente l’offendeva ed era palese che temesse per suo
padre. Fremeva dalla
voglia di sapere cosa stava succedendo, senza immaginare che era tutto
già
successo.
Loki
spostò lentamente lo sguardo su Sigurdr. “Tu sei
pazzo, tu sei una maledetta
carogna. Ci porteremo via tua figlia, subito,” decise rapido,
a denti stretti.
“Stanotte verrà con noi o ti giuro
sull’Yggdrasill che non resterà in piedi una
sola pietra, della tua casa.”
L’ingannatore
non minacciava mai a vuoto. Le sue parole spesso nascondevano la
verità o la
mescolavano in maniera irriconoscibile con la menzogna, ma non quella
sera, non
mentre giurava di fargli del male.
“Appartiene
a loro,” spiegò Sigurdr in un sussurro.
“Mio
nonno Bor il Grande ha bandito queste pratiche.”
Di
fronte a quella battuta secca e orgogliosa, che non ammetteva repliche,
il
vecchio guerriero abbassò lo sguardo. “Sei
disposto a sfidare l’oscurità?”
domandò, ma non era affatto convinto che
l’arrogante Loki o gli Æsir avrebbero
potuto bloccare un rito mezzo compiuto.
Lingua
d’Argento raddrizzò ancora di più la
schiena. “Siamo disposti a far rispettare
la legge.”
“Ci
saranno delle conseguenze. E lei, lei non sa ancora
niente.”
Loki
socchiuse gli occhi. “Ci sono sempre, conseguenze,”
ricordò caustico. Volse il
capo verso Sigyn alzando il tono della voce affinché tutti
lo sentissero. “Sei
nostra, d’ora in avanti. Sei…”,
s’inumidì le labbra e scelse di mentire, no, di
dire quella che aveva ritenuto essere la verità fino a una
manciata di minuti
prima. “Sei la nostra ricompensa per il
mancato aiuto di tuo padre,
l’assicurazione che non mancherà mai
più ai patti,” concluse.
Lei
impallidì, schiuse le labbra, sgranò gli occhi,
si coprì il collo nudo con la
mano piccola e delicata. Era evidente come non si aspettasse di essere
l’oggetto della discussione. Le risate e i canti scemarono
lentamente assieme a
tutti gli altri rumori propri del banchetto; rimase solo un mormorio
continuo e
basso, insistente. La madre della ragazza boccheggiò e
scosse la testa, le
sorelle si guardarono l’un l’altra ansiose,
stupite, inorridite.
La
prima a parlare, la sola a rispondere a Loki, fu Sigyn.
Le
era stato detto di non dare alcuna confidenza ai feroci Æsir
in generale, ai
principi in particolare: erano sfrontati, arrogati e pericolosi
più dei lupi – e
l’ingannatore la fissava come fosse uno di loro. Si
prendevano tutto ciò
che volevano perché erano figli di un ladro, di un pirata.
Un’occhiata di
troppo, un segnale sbagliato inviato nella loro direzione, avrebbe
vanificato
del tutto e inesorabilmente la rigida educazione trascorsa presso le
ancelle
che servivano gli Antenati. Si trattava di un luogo dove tutte le
nobildonne di
Vanheim trascorrevano buona parte dell’infanzia e
dell’adolescenza, ma che per
le figlie nubili di Sigurdr sarebbe diventato il posto che avrebbero
chiamato
casa: il loro destino era quello di rimanere chiuse dentro un chiostro
a ricamare arazzi e scene tratti dai poemi, a servire gli altari
innalzati
generazioni prima, in un’esistenza priva di scossoni o di
turbamenti che si
sarebbe dipanata sempre uguale a se stessa attraverso lo studio, la
contemplazione e l’oscura arte della divinazione, una branca
del seiðr nota
solo a Odino e malvista dagli altri Æsir.
Sigyn
era stata messa in guardia da sua madre più volte quella
sera e le precedenti.
Le sue occhiate pungenti e la malcelata curiosità che
dimostrava verso gli
ospiti erano sconvenienti e pericolose, ma come poteva isolarsi come le
sue
sorelle e non ascoltare né guardare
quello che capitava attorno a
lei? Conduceva un’esistenza troppo riservata per non stupirsi
anche solo osservando
le armature leggere sfoggiate da Thor o da Loki. Due ragazzi audaci,
forti,
decisi, che si comportavano da padroni in casa sua e avevano mille
storie da
raccontare e altrettante opinioni da sostenere a testa alta.
Attività in cui si
dilettavano con una certa soddisfazione a poche sedie di distanza da
lei,
approfittando dell’enorme prestigio guadagnato sul campo di
battaglia. Di Loki
dicevano che fosse un bugiardo, ma nondimeno la sua abilità
retorica era in
grado d’inchiodarla alla sedia catturando tutta la sua
attenzione. Non era sempre
d’accordo con lui, anzi, non lo era quasi mai. Lingua
d’Argento era troppo
pragmatico, crudele e sfacciato per i suoi gusti. Provocava per
divertirsi,
oppure assecondava i suoi interlocutori solo per convincerli con un
paio di
mosse intelligenti a dargli ragione, confondendoli. Sigyn trovava che
si
divertisse troppo – che giocasse traendone un piacere insano.
Riteneva i suoi
modi eccessivamente manierati, ma non poteva nascondere di ammirare la
sicurezza sfoggiata come un abito, la forza sottesa dietro ogni singolo
movimento
della sua figura agile e scattante, perennemente pervasa da una
tensione feroce.
Non osservarlo era impossibile, ma quando le avrebbero chiesto se il
suo fosse
stato un amore a prima vista, si sarebbe messa a ridere mestamente
scuotendo il
capo. Loki era capace di catturare l’attenzione di tutta la
sala e, per lei,
seguire ogni suo movimento o parola era sempre stata una
necessità oscura,
forse, ma inizialmente priva di sentimento. Ne era convinta.
Quella
sera sentì di aver disonorato il clan cui apparteneva
facendosi notare, non
resistendo all’impulso di spiare quello scorcio di mondo di
cui si era concessa
un breve assaggio. Il modo in cui l’Ase la fissava mentre
decideva del suo
destino la turbò, facendola sentire nuda e vulnerabile
– una sensazione
sconosciuta, mai provata, capace, però, di scuoterla dentro.
Immaginando che le
fosse rimasto ben poco da perdere, gli rispose. “Vorreste
prendermi come
ostaggio. Chiamate le cose col loro nome, vi prego.”
Loki
non si aspettava che lei ribattesse con tanta franchezza.
Allargò il perenne
ghigno che gli increspava le labbra scoprendo i denti bianchi e
regolari. “Qualcosa
del genere, sì,” ammise con una punta di
compiacimento. “Da stasera sei la
nostra ospite,” concluse con gelida cortesia.
“Devo
deludervi,” s’impose lei. “Parlate con
una futura ancella. Servirò gli
antenati.”
Qualsiasi
brusio cessò nella sala o, almeno, così parve a
Sigyn. Loki vuotò fino
all’ultimo goccio il suo vino e poggiò sul tavolo
la coppa con studiata
lentezza, poi si leccò le labbra per catturarne ancora il
sapore speziato e,
infine, si alzò in piedi sfoggiando un certo fastidio. Era
un uomo alto e
asciutto e da vicino le sembrò ancora più
imponente; riconobbe in lui gli
atteggiamenti del capo militare, del guerriero, e pensò che
se la sua prima
battuta lo aveva divertito, la seconda doveva essergli parsa
tremendamente
inopportuna.
“Verrai
ad Asgard. Lo deciderà Padre Tutto una volta che sarai
giunta lì, cosa sarai,”
ribadì mortalmente calmo.
Nessuno
intervenne per bloccare Loki. Odino osservava la scena lisciandosi la
barba canuta,
Thor, che si diceva non sempre approvasse i metodi del fratello, pareva
deciso
a non immischiarsi nella questione, suo padre si guardava le mani senza
proferire parola.
Sigyn
sentì che sua madre le tirava una manica del vestito
bisbigliandole qualcosa,
ma non riuscì a comprendere cosa le dicesse e, forse, non le
importò. Provare
curiosità verso un mondo di cui conosceva pochissimo non
significava voler
abbandonare ogni certezza per un paese lontano e straniero, alla
mercé di un
popolo di razziatori feroci che credevano di vantare diritti su tutti i
Nove
Regni. Sigyn era amata dalle sue sorelle e aveva sempre ritenuto che
fosse un
onore servire gli Antenati, ma se anche avesse desiderato per
sé un destino
diverso, certo non le sarebbe mai passato per la mente di finire tra
gli Æsir
in veste di ospite, qualunque cosa significasse.
Aveva stretto un voto
che non era disposta a sciogliere, pur rendendosi conto che il mancato
aiuto di
Sigurdr necessitava realmente di un tributo. Eppure quella ricompensa
non
poteva, non doveva essere lei. Loki non aveva lasciato presagire
alcunché
riguardo il suo futuro, limitandosi a fare quello che faceva sempre:
nascondere
la verità decorandola con belle parole, ma c’era
qualcosa, in lui, che la
spaventava. Dicevano che fosse un mago abilissimo, oltre che un feroce
guerriero e un politico sagace, ma che avesse in sé qualcosa
di storto, di
sbagliato. Si alzò anche lei nonostante le gambe le
tremassero e sua madre
tentasse di farla rimanere seduta, cercando di cancellare il
presentimento che
le mordeva il cuore, d’impedirsi di essere
l’ennesima preda che, come tutte le
altre, cadeva nella trappola delle frasi inappellabili di Lingua
d’Argento.
“Voi
non
capite. Ho stretto un voto. Papà!?”
chiamò in cerca d’aiuto.
Un
guizzo ilare e cattivo attraversò gli occhi quasi
trasparenti dell’Ase. Doveva
trovare terribilmente divertenti le sue rimostranze.
Suo
padre levò gli occhi grigi su di lei. Le parve
improvvisamente vecchio e
debole, stanco. Un’impressione non del tutto nuova, in
verità, che si era fatta
strada in Sigyn dal momento in cui aveva rivisto il genitore dopo aver
lasciato
il palazzo delle ancelle per presenziare alla visita di Padre Tutto. Lo
aveva
trovato più curvo e magro rispetto al loro ultimo incontro,
ma alla luce delle
candele che rischiaravano la sala del banchetto
quell’impressione iniziale si
rafforzò ulteriormente: si accorse che i solchi sul viso
dell’uomo si erano
fatti più profondi, le spalle fragili. Era spaventato e il
contrasto con la
figura altera e forte di Loki le parve ingiusto. “Obbedisci.
Ti prego, Sigyn,
obbedisci,” sospirò Sigurdr in qualcosa che era a
metà tra l’ordine e la
supplica.
Sua
madre riuscì a farla sedere di nuovo e lei la
guardò scuotendo il capo.
“Io
non posso… non posso. Tutti voi lo sapete!”
“Zitta,
per favore, sta’ zitta,” la redarguì
quella stringendole le spalle. “Mio
principe,” intervenne fissando l’Ase,
“è un onore. Abbiatene cura,” aggiunse
con un tremito.
Il
dio dell’inganno rispose con un cenno condiscendente del
capo. Non bevve più
per quella sera, ma parlò a lungo con Odino e con Thor,
facendo attenzione che
nessuno li ascoltasse.
Sigyn
rimase sveglia tutta la notte pensando agli occhi di Loki e alla febbre
impaziente che vi aveva letto dentro.
♥
“Se
ne accorgerà. Lo scoprirà. Forse già
sospetta qualcosa; non mi stupirebbe.”
Odino
diede da mangiare ai suoi corvi. Huginn beccò qualche seme e
volse il capo
lucido e nero verso di lei con uno scatto rapido, mentre Muninn
saltellò sul davanzale
sbattendo le ali.
Sigyn
annuì. Dalla distanza in cui era non riusciva più
a distinguere i dettagli del
piumaggio dei due volatili; presto si sarebbero trasformati in macchie
scure e sfocate.
Schiuse le labbra – aveva ancora addosso l’odore di
Loki e il sapore dei suoi
baci sfacciati, esigenti, dolci e feroci. Una storia d’amore
dovrebbe finire
quando il sentimento scompare, si dissolve; non quando divampa e brucia
il
cuore e le vene, tenendo in ostaggio la mente. Le sarebbe mancato
– già sentiva
nostalgia di lui nonostante avessero passato la notte insieme. Loki,
dal canto
suo, si sarebbe imposto di non cercarla mai più per
difendere il proprio
orgoglio ferito, per rinfacciarle d’averla salvata e, al
tempo stesso, punirla –
punirsi, perché tutto ciò che aveva fatto per lei
non era servito a nulla. Come
dono le avrebbe regalato un sorriso laterale e
soddisfatto e qualche
battuta impertinente, ma i suoi occhi, per le Norne, si sarebbero
posati su di
lei rivelando la loro ferocia. E Sigyn avrebbe voluto ricordare, di
Loki, non
il suo sguardo freddo di lupo, ma quello sfrontato e brillante che le
rivolgeva
quando la neve iniziava a imbiancare i tetti di Asgard o prima di
baciarla a
tradimento – di ghermirle le labbra in un assaggio perfido e
irresistibile. Una
storia d’amore: era davvero così che poteva
definirsi la relazione in cui erano
rimasti incastrati? Lui avrebbe storto il naso di fronte a una
definizione che
tentava d’ingabbiare al suo interno troppe cose. In un altro
momento, Sigyn
stessa avrebbe stentato nel pronunciare quella parola proibita, ma in
quel
freddo mattino decise che sì, era stato amore. Chiuse gli
occhi: meglio il
rancore della pietà, si ripeté mentalmente.
Meglio il disprezzo che saperlo a rischiare
la vita per evitare un destino ineluttabile.
“Lo
so,” sospirò. “Ma per allora, non
potrà più fare niente.”
“Sa
essere crudele,” proseguì Odino. Non le parlava in
quel modo per dissuaderla dai
suoi propositi, tutt’altro: cercava solo di presentarle un
quadro verosimile di
ciò che sarebbe successo da lì in avanti,
preparandola alla reazione di quello
che era sempre stato un principe spavaldo e volitivo, incapace di
cedere anche
solo un granello di terra che ritenesse suo. L’avrebbe
fraintesa e, all’inizio,
si sarebbe rifiutato anche solo di pensare al perché del suo
abbandono. In fondo,
quella mattina Sigyn aveva già avuto un preciso assaggio
delle decisioni di
Loki. La spiccata perspicacia del dio dell’inganno svaniva
spesso di fronte all’immagine
che gli restituiva lo specchio perché, in fondo, anche lui
era cieco e il suo
spirito fiero non era privo di crepe e cicatrici pronte a sanguinare,
ma a
spaventarla di più era il suo intuito.
“So
bene anche questo, Padre Tutto. Non saprà niente.”
Aveva appena preso una delle
decisioni più difficili della sua vita. Un tempo aveva
litigato ferocemente con
Loki per una questione simile: lui sosteneva che la verità
andasse dosata e
valutata, lei pretendeva dal prossimo una sincerità
schiacciante, forse inizialmente
dolorosa, certo, ma migliore di una menzogna protratta nel tempo.
Parlavano di
loro stessi e non lo sapevano e le Norne, gelose, beffarde,
disinteressate, alla
fine avevano fatto in modo che le parti si invertissero.
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Care Girls,
Stavolta posto
con un
po’ d’anticipo perché il Natale
imminente e certe altre storie mi terranno un
po’ impegnata, ma non temete! La vostra Autrice ha
già in serbo per voi un regaluccio
di Natale e qualche aggiornamento extra, quindi drizzate le
antenne.
Allora, come
avrete
capito c’è ancora un bel po’ di carne al
fuoco, qui. Sto cercando di mantenere la
narrazione su due fronti: quello che è stato prima e quello
che succede ora che
Sigyn ha dato il due di picche a Loki. Vi prometto che alla fine tutto
tornerà,
anche il più piccolo dettaglio ^^.
Posto
rapidamente
sperando non ci siano refusi, in caso rileggo domani mattina
– abbiate
eventualmente pietà ♥.
Vi ringrazio dal
più
profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Quando
pubblichiamo vediamo le visualizzazioni, ma non sappiamo se la storia
piace o
no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere è condividere con voi un
pezzo di anima e di
cuore. Bastano undici parole o un clic nelle liste per rendere
quest’attività
esaltante, a volte drammatica e solitaria, sempre necessaria, perlomeno
un po’
meno solitaria.
Parafrasando
l’infinita
Melania G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la
gioia di sapere
che la freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai
nostri piedi, ma ha
colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn
e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ricordo che Vanheim
e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
P.S.
È
diventata una long.
Mannaggia a me! :P
A presto e
grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
L’ennesima
supplica condita da parole forti e promesse oscure riguardo un destino
avverso
e ineluttabile: questo era il succo delle righe vergate da Sigurdr con
una
grafia larga e tremolante. La vecchiaia lo stava ghermendo; i pomi di
Iðunn non
sortivano più il loro effetto e, probabilmente, a peggiorare
le condizioni
dell’uomo c’era il futuro oscuro di quella sua
figlia più piccola, che non
aveva saputo proteggere per due volte. Le dita di
Loki strinsero la
pergamena fino a farla scrocchiare. Ci aveva pensato lui, maledizione.
Se Sigyn
era ancora viva, se non le era capitato nulla di orrendo, era stato per
il suo
intervento, nient’altro – in quello stesso momento,
la ragazza stava facendo
tutto ciò che era in suo potere per spezzare ogni vincolo
esistente tra loro,
ma questo Loki non poteva saperlo.
Gli
si chiedeva di restituirla, di lasciare che il suo destino si compisse,
di liberarla;
non poté fare a meno di piegare le labbra in una smorfia
sbieca, trattenuta.
Era una richiesta scorretta, ipocrita, che gli veniva mossa comunque
troppo
tardi. Ma Sigurdr, che lo accusava da tempo e senza mezzi termini di
aver
disonorato l’onore di sua figlia rendendola, di fatto, la
propria concubina,
faceva finta di essersi dimenticato quanto fossero costate a lui, Loki
stesso,
le numerose informazioni incomplete che gli aveva dato. Parlava della
figlia
considerandola come l’ancella che, per fortuna, non era ancora
diventata,
incapace di comprendere quello che per il dio dell’inganno
era ormai palese:
ciò che lei possedeva non poteva essere immolato
né condiviso.
Balder,
caparbio, lo aveva raggiunto. “Tutti i Nove Regni parlano del
sacrilegio che
hai, avete compiuto. Ci saranno delle
conseguenze.”
Loki gli
rifilò un’occhiata feroce e divertita insieme.
“E quindi? Ci sono sempre delle
conseguenze. Hai forse paura di sporcare il tuo bel mantello color neve?”
lo canzonò.
“Tu e
Thor non potete costantemente far finta di ignorare le leggi e i
costumi dei
Nove Regni. Non è giusto che vi affidiate alla
fortuna,” insistette il più
giovane, pur sapendo fin troppo bene che la sua era una battaglia persa
in
partenza. Suo fratello non gli avrebbe dato retta in nessun caso,
soprattutto
su Sigyn. Aveva versato e perso troppo sangue per ammettere che la sua
vittoria,
in verità, non valeva niente e che lei, una volta libera,
era comunque
condannata a rinchiudersi a vita tra quattro mura di pietra a pregare
degli
spiriti morti da secoli. Riteneva che la ragazza gli spettasse con la
stessa
tronfia arroganza con cui era sempre stato abituato a pretendere ogni
cosa, e
se nemmeno Thor si sentiva in animo di contraddirlo, le speranze che
arrivasse
spontaneamente a cederla si facevano pressoché nulle.
“Noi
siamo nati per essere re,” replicò difatti
l’ingannatore tra i denti
riprendendo a camminare. “Le leggi le emaniamo e, quando sono
ingiuste, le
cambiamo. Altrimenti, Sigurdr non avrebbe nessuna figlia da
reclamare,” ricordò
perfido scoccando un’occhiata feroce al ragazzo.
A
volte, Loki si svegliava di colpo nel cuore della notte, certo di aver
recuperato brandelli della memoria che aveva smarrito. Succedeva anche
quando
c’era lei, che dormiva con la testa poggiata sul suo petto e
gli cingeva il
torace col suo braccio esile e delicato. Fissava il buio e tentava di
ricomporre lo schema d’immagini che lo avevano destato
cercando di calmare il
proprio respiro, ma quelle durante la veglia sbiadivano, sparendo di
nuovo nel
limbo che le aveva cacciate fuori. Ogni tanto, però,
qualcosa s’affacciava
nella sua mente e vi rimaneva aggrappata con forza. Nessuno sapeva di
quegli
incubi né dei pochi ricordi che gli galleggiavano ancora in
testa; nemmeno Sigyn
si era mai accorta di nulla, continuando a riposare tranquilla stretta
contro
di lui. Loki le sfiorava con la punta delle dita la bella treccia
bionda sparsa
sul cuscino, giocando con i ciuffi che sfuggivano
all’acconciatura e
riflettendo su ciò che la sua memoria imperfetta gli
suggeriva.
A volte credeva di trovare un significato a tutte quelle visioni, ma il
risultato di quei ragionamenti gli pareva sconcertante e ingiusto
– spaventoso.
Altre, scuoteva la testa e sbuffava indispettito imponendosi di tornare
a
dormire, archiviando tutto come brandelli di fantasie inutilizzabili.
Alcune
notti, invece, si alzava con addosso la sensazione che qualcosa
d’orribile e
imminente stesse per capitargli; allora si metteva a leggere, a tentare
incantesimi oscuri, a rispondere per conto di Padre Tutto alle molte
missive
che giungevano a palazzo, a ricontrollare i bilanci di Asgard e, se
quella
strana sensazione ancora non se ne andava, sfoderava i suoi lunghi
pugnali,
afferrava una lancia e si andava a esercitare nella terrazza su cui
s’affacciavano i suoi appartamenti, incurante della brezza
notturna che sapeva
di mare. Resisteva bene al freddo – più di tutti
gli altri, persino più di Thor
– e non si era chiesto mai il perché.
Sigyn
lo raggiungeva quasi sempre dopo una manciata di minuti, avvolta in una
delle
sue calde giacche troppo lunghe e larghe che le arrivavano fino quasi
alle
ginocchia, con i lunghi capelli scarmigliati sparsi sulle spalle.
Scoccandogli
un bacio assonnato lo invitava a tornare da lei. Non sospettava nulla
degli
incubi, ma la sua assenza la destava, come se rimanere a letto e
dormire le
fosse intollerabile, se non c’era lui vicino –
forse Loki si sbagliava, forse
lei sapeva e non diceva nulla, preferendo rimanergli accanto in
silenzio che
fargli domande.
Deglutì.
La vicinanza estrema li aveva resi amanti. Le Norne si erano divertite
a intrecciare
volutamente i loro destini, trasformando il suo corteggiamento
sfacciato, sì,
ma giocoso, in una necessità, un bisogno. E una notte,
semplicemente, dilaniato
dal desiderio e corroso dal piacere che sarebbe scaturito dallo
sfiorare con le
labbra la sua pelle di seta, le curve dolcissime, la bocca ansimante,
non era
stato in grado di resistere all’impulso d’averla
nonostante fosse intoccabile –
proprio perché era intoccabile. Non
c’era stato un secondo in cui non
fosse stato perfettamente consapevole che, varcando quel limite,
avrebbe violato
un numero infinito di norme e precetti, ma baciare Sigyn intrappolata
sotto di
lui e lasciar scorrere finalmente le dita sul suo corpo solo
vagheggiato,
stretto e toccato, sì, ma unicamente per proteggerla, si era
rivelato qualcosa
di superiore alle aspettative – d’irrinunciabile.
Il
solo ripensarci gli provocò una fitta di desiderio bassa e
dolorosa. Erano
stati a letto insieme anche quella notte, certo, ma lei era distante,
già persa
– non come la sera lontana in cui gli si era offerta.
“Hai
dato a Sigurdr la tua parola, Loki. Gli hai promesso che avresti
lasciato che
facesse l’ancella e compisse il suo destino,” gli
ricordò Balder fissandolo con
i suoi occhi cerulei. “Possibile che non t’importi
niente nemmeno delle conseguenze
che si abbatteranno su quella terra? Suo padre ha ragione –
devi restituirla.
Un futuro re mantiene le promesse,” lo
accusò dopo un secondo, uno solo,
di esitazione.
L’ingannatore
si fermò di nuovo, colpito da quell’allusione. La
corsa per il trono tra lui e
Thor si era aperta ormai da anni e il fatto che Mjollnir, il martello
sacro,
non fosse spettato a lui, aveva rappresentato un profondo smacco. Di
più, era
una ferita aperta che non smetteva di sanguinare e di dolere,
infettando lentamente
tutto il resto, evocando fantasmi che gli sussurravano
all’orecchio come,
semplicemente, non fosse degno.
“Lui
è stato il primo a mentire; sono quasi morto due volte, per
le sue omissioni,”
scandì Loki a denti stretti. Superava il fratello in altezza
e il suo fisico
slanciato e asciutto pareva sempre sul punto di scattare, tanto che il
più
giovane fece un passo indietro. “Ho intravisto i cancelli di
Hel, grazie a
quell’idiota. L’hai dimenticato?”
Balder
scosse la testa in segno di diniego. Ci sono cose che non possono
essere
cancellate nemmeno volendo e restano impresse nella mente distruggendo
ogni
precedente equilibrio. I suoi fratelli maggiori non erano invincibili
né
immortali, anzi: sanguinavano, soffrivano, morivano – sbagliavano
– come
tutti gli altri. “Ma della scintilla noi
non gli abbiamo mai detto
niente,” mormorò in risposta.
Lingua
d’Argento sollevò il mento e raddrizzò
ancora di più la schiena. “Perché solo
noi Æsir sappiamo individuarla,” si
vantò tronfio. “Lei è libera da
tempo,”
concluse seccamente. “È qui perché
vuole rimanerci – può andarsene quando
vuole.”
Finito
di parlare, non attese alcuna risposta. Si allontanò a passi
svelti e decisi
lungo i corridoi del palazzo, consapevole che Balder, stavolta, non
avrebbe
osato seguirlo. L’allusione alla morte vista troppo da vicino
creava baratri di
sensi di colpa troppo grandi anche solo per essere guardati.
“Sei
un bugiardo,” sospirò il più giovane
dei figli di Odino vedendo allontanarsi la
figura principesca di Loki col suo mantello verde cupo addosso.
Aveva
ragione: l’ingannatore era riuscito ad accettare che non
avrebbe lasciato
andare Sigyn una notte d’inverno. Aveva appena finito di fare
l’amore con lei
ed erano ancora avvinghiati l’uno all’altra, uniti,
ansanti, scossi dalla
necessità di togliersi i vestiti, di scoprirsi
l’un l’altro la pelle, di aversi,
fondersi, scontrarsi. Fuori dalle coperte si gelava.
Se
solo fosse stato in grado di resisterle.
♥
Loki Odinson
avrebbe dovuto impedirsi di desiderare Sigyn fin da quando lei,
insolente,
altera e stretta in un mantello da viaggio, si era messa a fare ipotesi
sul suo
futuro. Erano su un drakkar in rotta verso Asgard, e la figlia di
Sigurdr,
nonostante facesse di tutto per non darlo a vedere, soffriva il freddo
ed era
terrorizzata da quello che era senza dubbio il suo primo viaggio in
mare. A chiunque
sarebbe parso evidente come la spaventassero le lunghe onde
d’argento tagliate
dalla prua della nave svelta e lo spettacolo della distesa
d’acqua sferzata dal
vento. Si era aggrappata a un supporto di legno con la stessa fiera
disperazione di una gatta sull’orlo di una tinozza e, dedusse
l’Ase,
probabilmente le onde lunghe solcate tanto agilmente dal drakkar
sortivano un
terrificante effetto sul suo stomaco.
“Chi
di voi due?” esordì caustica lanciando
un’occhiata in direzione di Thor.
Loki
le si avvicinò ridacchiando, dimostrandole di avere un
equilibrio felino, anzi,
da pirata: la ragazza indossava ancora il bell’abito di
velluto rosso della
sera precedente e i gioielli con cui si era adornata i capelli e le
braccia.
Nel timore che i suoi genitori o altri cercassero di farla sparire,
Padre Tutto
l’aveva fatta condurre immediatamente
nell’accampamento degli Æsir, vietandole
persino che si cambiasse per indossare vestiti più consoni
per un viaggio. Una
scelta che Loki aveva ritenuto saggia e ponderata, ma che faceva
sembrare quello
di Sigyn un rapimento o una vendita. Ma era qualcosa di diverso, in
fondo? Lei
era il risarcimento preteso per un accordo non rispettato,
l’ostaggio chiesto a
garanzia della futura fedeltà di Sigurdr, ma anche
l’offerta da donare a un
incubo orrendo. Scosse la testa scacciando via quel pensiero, ma
valutando, al
contempo, quanto sarebbe stato interessante
scontrarsi con qualcosa di
così antico e feroce.
“Avrebbe
importanza?” Le porse un corno d’idromele che lei
rifiutò allontanando il viso.
Rispondeva sempre alle sue facezie con sdegno e osava fissarlo come si
guarda
un suddito, non un pari. “Mia signora, hai preferenze,
forse?” alluse perfido. Sigyn
era stanca, infreddolita, spaventata, ma ancora bella –
quella riflessione
l’avrebbe condotto fino ai cancelli di Hel, ma Loki questo
ancora non poteva
immaginarlo.
“Prima
mi portate via dalla mia casa e poi mi insultate con queste
insinuazioni,”
sibilò la ragazza battendo i denti.
Avrebbe
voluto aggiungere qualche altra battuta sferzante,
l’ingannatore glielo lesse
in quegli occhi grigi che lo fissavano con lo stesso sguardo carico
d’odio
della sera precedente. Era stata educata per essere
un’ancella di Vanheim, del resto.
Per lei, gli Æsir non erano altro che dei mercanti barbari
privi di morale, dei
pirati sanguinari dediti a un numero infinito di scorrerie. Se non
aveva
aggiunto nulla, era per il timore evidente di essere punita in qualche
modo.
Picchiata, magari. Loki increspò le labbra in un sorriso
sbieco. Il mantello di
Sigyn era troppo leggero.
“Nessuno
dei due, mia signora. Padre Tutto non legherà la sua casa
con la tua,” concesse
infine.
“La
mia casa…” ripeté la ragazza con voce
amara, puntando lo sguardo a terra. Era
stato quasi un bisbiglio, un pensiero espresso con un tono troppo alto,
ma il
dio dell’inganno lo aveva captato ugualmente. Si
domandò con disgusto cosa
volesse dire sentire di essere stati usati dalla propria famiglia,
rifletté sul
fatto che Sigyn viveva nella menzogna. Credeva di essere stata ceduta
da suo
padre agli Æsir e di stare andando incontro a un futuro
orrendo, fatto
probabilmente di schiavitù e di violenze, quando il fatto di
trovarsi lì, con
loro, in mezzo al mare, rappresentava la cosa più vicina
alla salvezza cui
potesse auspicare. Rimproverava al genitore di averla venduta a degli
alleati
esigenti, senza sapere che avrebbe dovuto odiarlo per ben altre
ragioni. Solo
che lei non aveva la benché minima idea che il suo essere
educata come ancella
non aveva mai avuto il reale scopo di farle servire gli antenati,
quanto di
mantenerla abbastanza pura da essere utilizzata per qualcosa di
peggiore. Loki
vuotò il corno che lei aveva rifiutato poco prima, lasciando
che l’idromele gli
scivolasse in gola, leccandosi le labbra per trattenere ogni singola
goccia
della bevanda. Quand’è che Sigurdr aveva deciso di
usare la figlia più piccola
per un rituale proibito? I giorni in cui piangeva nella culla, quelli
in cui,
bambina, giocava con le sorelle o più avanti, dopo che era
diventata una
giovane donna? Si tolse dalle spalle la pelliccia di lupo che portava
sopra il
mantello e gliela gettò senza grazia in grembo.
“Fossi
in te eviterei di congelare,” spiegò spiccio.
Lei
lo fissò guardinga e sfiorò con una mano il pelo
soffice, come se si aspettasse
che dietro quel gesto cortese fosse celata una trappola, ma nonostante
il vento
gelido resistette all’impulso di coprirsi le spalle con un
indumento dell’Ase.
Tratteneva ancora il suo calore – lo poteva sentire sulle
ginocchia – e non desiderava
avvolgere il suo collo in qualcosa che apparteneva a
quell’uomo spavaldo dagli
occhi rapaci e le labbra perennemente piegate in un ghigno divertito.
“Che
progetti avete voi Æsir per me?” insistette.
“Lo
scoprirai presto. Indossala.” La voce di Loki si era fatta
severa e il suo tono
aveva perso ogni ombra d’ilarità.
Sigyn
s’irrigidì ancora di più. “Me
lo stai ordinando?”
“Sì,”
fu la sua risposta secca. “Noi non siamo la cosa peggiore che
poteva capitarti,”
aggiunse con una smorfia.
“Lascia
che sia io a decidere, principe Loki.” Balbettava dal freddo.
Articolare ogni
parola le costava una fatica immensa. Avrebbe potuto ostinarsi nel non
indossare la pelliccia offerta e ritrovarsi il giorno dopo con la
febbre alta e
la gola in fiamme, ma valutò che la propria salute fosse
più importante
dell’orgoglio. Per affrontare l’imminente futuro
aveva bisogno di essere lucida
e in forze. Senza smettere di fissare negli occhi il dio degli inganni,
si
avvolse il pelo di lupo ancora caldo attorno al collo sottile, alle
spalle
tremanti, al seno, ma quando sentì sulla pelle la carezza
lieve del mantello, sussultò.
Avvertiva l’odore di Loki su di sé, aveva il suo
profumo virile e sconosciuto
addosso. Era qualcosa che aveva temuto e a cui non era preparata
– un contatto
indesiderato capace di farla vibrare, scuotendola nel profondo. Era
come se lui
l’avesse stretta tra le braccia, se le sue dita le stessero
sfiorando la gola,
le spalle e la scollatura senza farlo davvero, fantasticò
senza riuscire a
capire perché la sua mente viaggiasse in
direzioni sconosciute e
pericolose.
“Temo
che alla fine sarai d’accordo con me,” concluse
l’ingannatore, ma il suo tono
si era fatto tetro, carico d’insondabili promesse oscure che
Sigyn sul momento
non capì. Tutto avrebbe acquisito un senso solo dopo molto
tempo.
Il
principe si allontanò per andare a discorrere con Odino
sulla prua del drakkar.
Il vento s’insinuava impietoso sotto i loro mantelli
facendoli turbinare e
volteggiare, ma i due non sembravano affatto disturbati
dall’aria sferzante e salmastra.
Erano troppo assorbiti dalla loro conversazione. Non era semplice
ricoprire il
ruolo di figlio e di suddito insieme, specie con un sovrano esigente e
furbo
come Odino, che non aveva mai esitato dal pretendere il suo sangue o
quello di
Thor. Parlarono a lungo, e a un occhio attento come quello del dio del
tuono, che
li osservava poco lontano, non sfuggirono alcuni lievissimi segni
d’impazienza di
Loki, come le labbra arricciate in un mezzo sorriso tirato, le
sopracciglia che
s’inarcavano a fronte delle considerazioni spietatamente
sagge di Padre Tutto,
il leggero nervosismo che trapelava dal modo in cui
l’ingannatore carezzava l’elsa
di uno dei lunghi pugnali che portava appesi lungo i fianchi.
Rispondeva con
frasi brevi e secche ai lunghi discorsi del genitore, segno evidente di
come
questi ultimi lo stizzissero. La natura di suo fratello era selvaggia e
feroce
come quella di tutti gli Æsir, decise Thor, solo che, al
contrario di lui, suo
fratello era fin troppo bravo a mascherarla. Dopo qualche minuto il
diretto
interessato abbandonò la prua per dirigersi lesto nella sua
direzione. Nel breve
tragitto, colse l’occasione per dare qualche ordine
perentorio al resto della
ciurma – lei no, non la guardò.
“Nostro
padre ti ha dato una bella strigliata,” commentò
il tonante. Prese un pezzo di
carne essiccata da una bisaccia e ne offrì un po’
all’altro.
Loki
sollevò il mento e prese a mangiare. “Le definirei
più raccomandazioni superflue.”
“Su
di lei?”
“Anche,”
fu la laconica risposta di Lingua d’Argento. “Teme
dimentichi che è una mezza
ancella maledetta,” rise seccamente.
“Le
stai
sempre intorno e non la perdi mai d’occhio,”
notò Thor. “Ho pensato anche io che
te la volessi sbattere,” ammise dandogli una pacca sulla
spalla.
Loki
serrò la mascella e lo fissò a lungo prima di
rispondere. Sapeva che era
intoccabile. Lo aveva ribadito a suo padre e lo stava spiegando a suo
fratello.
Sigyn poteva – doveva – essere
solo guardata da lontano, perché a prescindere
dalla scintilla e dall’osceno rituale di Sigurdr, aveva
iniziato un percorso
che l’avrebbe condotta a vivere un’esistenza
separata dal resto del mondo. Che lo
facesse ad Asgard o a Vanheim non aveva alcuna importanza.
“È troppo fedele al
suo culto anche solo per lasciarsi baciare, neanche fosse stata
già iniziata. Non
sarebbe affatto divertente,” sostenne con una smorfia.
Mentiva. Un groviglio oscuro
in cui spiccavano, mescolati assieme, il desiderio e la gelosia gli
graffiò il
petto. Lei era intoccabile. Lo sarebbe rimasta anche ammesso che il
disastro di
Sigurdr fosse stato arginato. Era persa in ogni caso.
Thor
annuì.
“Quindi ci hai pensato.”
“Per
accantonare l’idea,” puntualizzò
l’ingannatore.
“Perché
l’hai chiamata mezza ancella? Loro non hanno
un’iniziazione. Entrano e servono gli
Antichi. Credevo funzionasse così,” insistette
l’altro.
Loki
deglutì. “Certo che ce l’hanno, che
dici. C’è un giuramento. Un momento in cui
possono scegliere, in cui sono formalmente ancora libere,
ma…”
“Ma?”
“Ma
nessuna
ha mai deciso di andarsene,” concluse il dio
dell’inganno. “E lei, comunque, è
stata promessa a ben altro.”
Continua…
L’angolo di Shilyss
Care Girls,
Questa storia
viaggerà molto spesso tra il presente, in cui Sigyn sta
diventando cieca e Loki
pare abbia sconfitto qualcosa di tremendo (quella cosa?) al passato
dove lei preferirebbe
buttarsi da una rupe anziché essere toccata da lui. Qual
è il destino di questa
ragazza? Lo scoprirete. Di certo c’è che qualsiasi
cosa Loki faccia Sigyn pare
destinata comunque a una vita contemplativa lontana da lui –
io, che so come
andrà a finire, ho riletto tre volte il capitolo e vi
assicuro che c’è una fo***a
logica.
Posto
rapidamente sperando non ci siano refusi, in caso rileggo domani
mattina –
abbiate eventualmente pietà ♥.
Vi ringrazio
dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per
voi un clic può non essere nulla, ma per
un’Autrice significa tantissimo.
Quando pubblichiamo vediamo le visualizzazioni, ma non sappiamo se la
storia
piace o no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere è condividere con
voi un pezzo di
anima e di cuore. Bastano undici parole o un clic nelle liste per
rendere
quest’attività esaltante, a volte drammatica e
solitaria, sempre necessaria,
perlomeno un po’ meno solitaria.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ricordo che Vanheim
e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
P.S.
La settimana
prossima preparatevi perché uscirà il capitolo 35
di Solo un accordo.
A presto e
grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Il
dio dell’inganno sapeva perfettamente di essere brillante e
astuto e, a detta di
suo padre, era proprio questa consapevolezza a rappresentare uno dei
suoi
peggiori difetti. Fiero e sicuro di sé com’era,
tendeva spesso a fare troppo
affidamento sulle proprie capacità o su quelle di Thor. La
colpa di ciò era
attribuibile, almeno in parte, alla spavalderia che i due principi
sfoggiavano
nonostante, già da alcuni anni, sulle loro spalle gravassero
molte delle
incombenze del regno di Asgard. Odino aveva fatto di tutto per forgiare
nel
ferro e nel fuoco il carattere dei suoi figli maggiori, ma la
sensazione
d’essere invincibili e immortali non aveva abbandonato i
petti tronfi dei due
ragazzi, né avrebbe potuto farlo, del resto. Era la
necessaria corazza che i
due dovevano indossare per dimenticarsi di tutte le volte in cui, coi
volti
macchiati di terra e sangue, avevano visto morire sotto i loro occhi
amici
d’infanzia e commilitoni – in fondo, la vittoria
porta sempre e comunque con sé
il sapore acre della morte. A battaglia finita, non restava loro che
bere fino
a stordirsi, raccomandando a mezza voce alle anime dei soldati caduti
in
battaglia di festeggiare allo stesso modo nel Valhalla dove, un giorno,
avrebbero
finito per ritrovarsi tutti. Ma quando il prezzo da pagare
affinché Asgard
continui a essere il faro splendente cui guardano tutti i Nove Regni
cola dalle
proprie ferite, caricarsi ancora più d’orgoglio e
pretendere d’avere voce in
capitolo nelle più svariate decisioni diventa più
facile.
Loki
Odinson era stato cresciuto con la promessa di essere nato per
diventare re: ne
aveva il sangue e la stoffa. Forse era anche per colpa di questa
radicata
consapevolezza se si mostrava sempre più insofferente alle
regole imposte e,
più in generale, a tutto ciò che limitava la sua
libertà. Padre Tutto lo aveva
messo in guardia, ammonendolo di stare il più possibile
lontano da Sigyn e di
non dimenticare mai, nemmeno per un istante, chi lei fosse e quale
destino le
spettasse. Il dio dell’inganno si era risentito per quel
rimprovero che
riteneva privo di senso. Non gli mancavano le ragazze e non aveva certo
bisogno
di correre dietro proprio a quella. Se non fosse stato per la sottile
vibrazione scaturita dalla presunta scintilla, era
certo che non si
sarebbe mai accorto di quegli occhi rotondi che lo biasimavano a ogni
passo, di
quelle labbra arcuate in un’espressione carica di disprezzo.
Sì, Loki ad alta
voce ribadiva il suo disinteresse argomentandolo con una serie di
discorsi
molto accurati e ben fatti, ricacciando con forza dentro di
sé ciò che Odino
aveva intuito: una verità che s’infilava nei suoi
pensieri più profondi,
scoprendo desideri che si alimentavano di se stessi e dolevano come
nervi
scoperti. Lei era proibita e anche
solo guardarla
rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti
dell’ordine
costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri
pericolosi e
malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura –
questo, però, non lo
sapeva ancora.
Lo
spazio ristretto del rapidissimo drakkar faceva sì che il
dio dell’inganno si
ritrovasse il suo delicato ostaggio dai capelli d’oro davanti
agli occhi ogni
minuto. Sigyn teneva il mento affondato nella pelliccia che le aveva
donato
cercando di prendere confidenza con i rollii della barca, con i suoi
spazi
stretti e circoscritti in cui ogni palmo era funzionale a qualcosa e,
soprattutto, non lo perdeva di vista neanche per un istante. Era
abituata a
condurre una vita riservata e ritirata, ben diversa da quella tipica
delle
Æsinne in generale, delle valchirie in particolare.
L’equipaggio la metteva in
imbarazzo e, sebbene facesse di tutto per conservare un atteggiamento
dignitoso
e adatto a una nobildonna, il suo disagio era palese. La vita aveva
perso ogni
punto di riferimento o certezza esistente. Era una prigioniera
– la figlia di
un uomo che aveva mancato di mandare aiuti agli Æsir
impegnati in una
battaglia. Si corresse: di un traditore. Sigyn era
abbastanza
intelligente da riuscire a immedesimarsi bene nei punti di vista
altrui. Gli
uomini di Odino la guardavano e pensavano sempre più spesso
ai loro fratelli
caduti in battaglia, ai loro amici torturati a morte o resi storpi.
Come lei,
si chiedevano quale destino Padre Tutto le avrebbe riservato alla sua
corte,
perché nella storia dei Nove Regni c’erano stati
ostaggi costretti a morire
d’inedia in una torre e altri ridotti in
schiavitù. Alcuni, invece, avevano
indossato catene fatte d’oro sottoforma di corone che gli
avevano cinto il
capo, ma lei sarebbe dovuta diventare un’ancella e servire
gli antenati; Odino
non poteva davvero ignorarlo o dimenticare la sua vocazione.
Persa in questi ragionamenti, affondava ancora di più il
naso nella folta
pelliccia ceduta da Loki dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso furbo,
che dopo
averla strappata alla sua famiglia ostentava una fredda distanza.
Dopo quel
dono le si avvicinò solo in un’occasione. Il
tremendo viaggio in mare era quasi
terminato e un uomo grande e grosso, spaventoso, aveva iniziato a
raccontare ad
alta voce di un figlio perduto nella battaglia che i Vanir avevano
disertato. Lavorava
e parlava e Sigyn, immobile, non poté fare a meno di pensare
che si rivolgesse
in qualche modo anche a lei e volesse farle conoscere le conseguenze
delle
azioni di suo padre. Non si accorse che Loki le si era accostato
finché non lo
vide sedersi. I suoi movimenti erano fluidi e veloci a un tempo e
sembrava
fatto per stare in mare esattamente come pareva creato apposta per
catturare
l’attenzione di chiunque a un banchetto.
“Vecchio
mio, ricordo quel giorno. È stata una bella morte.
Onorevole,” sentenziò. “Il
Valhalla lo ha accolto.”
Portava
con sé degli strumenti di misurazione. Prese a lucidarli con
cura usando un
panno, controllando con dita agili e svelte il funzionamento degli
ingranaggi.
L’uomo
scosse la testa e spostò alcune casse. “Non ho
più una stirpe grazie a Sigurdr,
Loki.”
L’ingannatore
si fermò. “Siamo pirati e guerrieri, non
contadini. Credi che quattro Vanir
avrebbero fatto la differenza? Che ci avrebbero salvati?” lo
rimproverò.
“A me
bastava, mio principe, che versassero anche il loro sangue o ci
ricoprissero
d’oro tanto da nascondere le armature dei nostri caduti.
Invece abbiamo preso
poche casse sonanti e una ragazzina,”
sbottò il soldato.
“Abbiamo
ottenuto quello che ci serve,” tagliò corto Lingua
d’Argento. Il suo tono secco
e perentorio non ammetteva ulteriori repliche.
Sigyn
vide l’uomo irrigidirsi per la preoccupazione di aver
irritato il proprio comandante
e forse futuro re, chinare la testa e borbottare che, in fondo, lui
combatteva
e pescava e non capiva niente di politica. Loki lo seguì con
lo sguardo finché
non lo vide confondersi col resto dell’equipaggio sulla
poppa, per poi proseguire
con la sua occupazione meticolosa. La ragazza prese a fissarlo di
sottecchi.
L’essergli seduta di fianco, la possibilità di
scrutare tanto da vicino il suo
profilo elegante e virile a un tempo, generava in lei
l’oscura volontà di
allontanarsi e fuggire. Era il responsabile del caos che aveva
sconvolto la sua
esistenza privandola dell’affetto delle sue sorelle, delle
compagne, dei
genitori che prima vedeva di rado, ma che ora, con buona
probabilità, non
avrebbe rivisto mai più. Una vita che a conti fatti era
lontana dall’essere
perfetta, certo, capace tuttavia di offrirle sicurezze ora svanite.
Quante
volte, affacciata alle strette finestrelle della sua stanza sobria e
priva di
qualsiasi vezzo principesco, lei e sua sorella Astrid
avevano fantasticato leggendo qualche libro proibito che parlava di
viaggi per
mare e di esplorazioni? Quante avevano riletto qualche passo di una
preghiera o
di una poesia cogliendo l’insondabile e sconosciuta passione
che animava il
poeta e che, talvolta, trascendeva i versi parlando d’altro?
Soffocando
le risate nel buio, sotto le coperte, immaginavano
possibilità in cui era lecito
crogiolarsi proprio perché irreali. Accadeva solo pochi
giorni prima. Strinse
le gambe accarezzandosi le ginocchia con le dita intorpidite dal freddo
per
evitare di sfiorare, con la sua gonna di lana rossa, i pantaloni di
pelle
dell’altro.
“Quindi
vi servo. L’hai ammesso,” mormorò con un
filo di voce. Scappare da un drakkar
era impossibile, tuttavia, parlando, avrebbe potuto estorcere
informazioni
all’Ase e zittire il resto, perché quando lei e le
sue sorelle avevano aperto
il baule che conteneva i bei vestiti da indossare in occasione della
visita di
Odino, l’entusiasmo aveva acceso i loro occhi. Sigyn
ricordava di aver individuato
immediatamente l’abito rosso pretendendolo per sé,
ignara che gli occhi del dio
degli inganni vi si sarebbero posati sopra troppo spesso.
“Tuo
padre ci avrebbe dato più volentieri l’oro che
te,” le confessò Loki con quel
suo sorriso sghembo e canzonatorio che un giorno avrebbe trovato
irresistibile
e ora, invece, l’inquietava.
“Hai
preteso me al solo scopo di fargli un torto?” insistette.
Il
principe cadetto di Asgard scosse la testa e riprese la sua minuziosa
lavorazione su un astrolabio utile a calcolare le rotte. “Non
era una visita di
piacere, la nostra. Lo abbiamo punito, sì,” ammise
senza nascondere il proprio
compiacimento. “Sigurdr ci ha negato il suo aiuto violando un
accordo. Non
sarebbe cambiato niente e, in ogni caso, abbiamo vinto, ma eravamo soli
quando
non dovevamo esserlo,” puntualizzò feroce,
squadrandola con una freddezza che
la turbò, ma che stava imparando a riconoscere.
Il
drakkar eseguì una virata brusca e Sigyn si
ritrovò per un momento schiacciata
contro il petto largo dell’Ase. La presa di Loki era decisa,
sicura, forte. Avvertì
il suo corpo asciutto che le impediva di perdere
l’equilibrio, conobbe per la
prima volta il tocco delle sue dita, respirò il profumo
della sua pelle
mischiato al vento di mare. Si scostò immediatamente
sistemandosi meglio la
pelliccia di lupo. Il principe degli Æsir registrò
con una certa soddisfazione
il suo turbamento e lasciò che si allontanasse,
ripristinando le necessarie
distanze.
“Girati,”
le suggerì. “Potrebbe valerne la pena.”
Lei
si voltò verso il mare color argento e vide, in mezzo ai
flutti, la sagoma
grandiosa di una balena e poi di una seconda e di un’altra
ancora. Piena di
meraviglia, si accorse che non due, ma un intero branco nuotava poco
distante
dalla barca di Odino, incurante di loro e maestoso. Era uno spettacolo
sorprendente, fantastico, che la ragazza non aveva mai visto. Gli
immensi
cetacei nuotavano sollevando le schiene lucide e le gigantesche code,
inabissandosi nelle acque ghiacciate.
“Fidati
delle mie parole,” sibilò Loki.
“Approfitta di ciò che hai o potresti avere,
anziché rimpiangere quello che hai perso.”
Sigyn
distolse l’attenzione dalle balene e aggrottò la
fronte. Il dio degli inganni
la spaventava. Non lo capiva. In lui si mescolavano assieme i modi
brutali del
predone che era con quelli cortesi del principe di sangue reale.
“Stai
cercando di dirmi che dovrei accontentarmi di essere il vostro
ostaggio? La tua
prigioniera?” lo sfidò.
L’Ase
parve non gradire affatto l’ultima battuta e scelse con cura
le parole da
dirle. “Sto cercando di dirti che poteva capitarti di peggio
che venire
con noi ad Asgard,” spiegò infine prima di
allontanarsi con i suoi strumenti
verso Thor e la prua affilata del drakkar. Sigyn osservò la
sua figura agile e
ammantata di scuro. Nei giorni precedenti al terribile banchetto in cui
era
stata decisa la sua sorte, lei e le sorelle avevano ascoltato decine di
storie sugli
arroganti ma capaci Æsir. Astrid rideva, invitandola a
riconoscere la feroce
bellezza di quei volti virili e rudi dai lineamenti regolari e
piacevoli da
osservare, la prestanza dei loro corpi asciutti scolpiti dalle
battaglie. Lei
scuoteva la testa con finta esasperazione – ti incuriosiscono
perché sono
diversi da noi e vanno in giro con armi e armature, perché
acconciano i capelli
e le barbe con le trecce, sorella mia, ma è sconveniente
guardarli; è gente
senza morale né regole, guarda quanto bevono, ascolta le
battute che fanno, la
rimproverava con un brivido incrociando per un istante lo sguardo
aguzzo e
verde di Loki, che s’inumidiva le labbra col corposo vino
rosso di Vanheim.
Si
era fatta mille idee riguardo a ciò che le sarebbe capitato
su quella nave o ad
Asgard, le peggiori delle quali le erano state messe in testa nel breve
tempo concessole
per accomiatarsi dalla sua famiglia. All’istintiva sfiducia
verso gli Æsir si
era mescolato il terrore vago verso un imprecisato numero di violenze;
avendo
trascorso buona parte della sua vita dentro un luogo riparato, da
quando era su
quel maledetto drakkar si era ritrovata a pensare a tutte le storie,
spesso
orrende, che le ancelle più anziane bisbigliavano durante le
passeggiate per
spiegare, alle ragazze più giovani come lei, quanto fosse
tremendo il mondo
fuori da quelle mura. Secondo il loro punto di vista, vivere servendo
gli
Antenati, in pace e in tranquillità, con la
possibilità di studiare e dipingere
e suonare a proprio piacimento, rappresentava un enorme privilegio.
Sigyn aveva
sempre creduto che scrivere del mare senza averlo mai visto fosse un
compromesso da stringere con la propria immaginazione e riteneva un suo
preciso
dovere obbedire al volere dei suoi genitori; si era imposta di mettere
a tacere
qualsiasi velleità o vanità, eppure, quando
Astrid o qualche altra delle sue
sorelle o compagne la spingeva a immaginare, a fantasticare sui luoghi
oltre le
mura che lei non avrebbe mai visitato, il suo cuore si riempiva per un
istante
di una nostalgia senza nome. Era davvero giusto rinunciare a un mondo
mai
visto? Privarsi della possibilità di viaggiare e vedere
cascate e montagne e
precipizi e valli e distese immense di neve? Chiedersi per sempre che
sapore
avessero le labbra di un uomo? Un giorno avrebbe scoperto
com’erano quelle di
Loki, ma intanto quel pensiero ozioso la spaventò
più dei movimenti bruschi del
drakkar e delle occhiate truci degli Æsir.
L’immensa distesa oceanica poteva
essere descritta e immaginata da una mente fervida ed essere
verosimile, ma
l’odore di sale, gli spruzzi d’acqua, il sole che
accarezzava le onde e il loro
mutare colore – da azzurro a verde a grigio come la lama
d’un coltello no, non
poteva essere raccontato nella sua totalità e nessun quadro,
racconto o poema
poteva suggerirle l’incanto e la meraviglia dello spettacolo
del sole che s’affondava
nell’acqua. Leggendo aveva vissuto decine di vite differenti,
ma le immagini
proposte non avevano fatto altro che alimentare la sua voglia di
assaggiare il
mondo, di conoscere, scoprire, chiedersi cosa volessero dire i poeti
quando
raccontavano le loro storie in cui verità e fantasia si
mescolavano
indissolubilmente. Come faceva Loki, del resto: piegava la
realtà al suo volere
insinuando, omettendo, spingendo gli altri a seguire il suo punto di
vista. Il
paragone tra gli scrittori e il principe la indispettì. Che
convogliasse buona
parte delle sue attenzioni su di lui era, probabilmente, inevitabile.
Si
trattava dell’unica persona con cui si era ritrovata a
scambiare più di un paio
di parole e il principale responsabile del caos che aveva distrutto
ogni sua
certezza. L’idea di pretendere che gli fosse ceduta come
risarcimento era sua;
un diritto di cui si era fregiato per via della grave ferita che
l’aveva quasi
ucciso e da cui era riuscito a rimettersi completamente: poteva un uomo
agonizzare
in un letto da campo e sfoggiare, pochi mesi dopo, un ghigno tanto
protervo e beffardo?
Sigyn non nutriva alcuna fiducia né in Loki, celebre per i
suoi intrighi, né negli
altri Æsir o in Padre Tutto. In un certo senso,
però, l’ingannatore
rappresentava una sorta di sicurezza, per lei. Quell’uomo era
brutale e
perfido, bugiardo e calcolatore, infido e arrogante, ma riteneva che
non
l’avrebbe presa per i capelli e strattonata né
picchiata e non solo perché il suo
mantello di pelliccia le sfiorava le guance o per i suoi modi
incredibilmente
cortesi, ma freddi più delle onde gelide solcate dal
drakkar. C’era qualcosa di
più che la ragazza non riusciva ad afferrare.
Loki
era imprendibile, sfuggente, incomprensibile, spesso adombrato da
pensieri oscuri
e sorrisi studiati ad arte. La guardava e l’evitava,
nascondendole il segreto
di un destino segnato – ma di questo, lei ancora non aveva
alcuna contezza. Sigyn
decise che lo temeva, ma anche in questo c’era qualcosa di
profondamente sbagliato
– ne aveva paura, ma non poteva fare a meno di osservarlo.
Le
labbra di Loki erano sottili e sardoniche.
♥
Sigyn
aveva viaggiato per mare molte volte, da allora. Ne conosceva ogni
sfumatura di
colore e insidia. Pensò che lo avrebbe attraversato
un’ultima volta ancora ammirandone
la grandiosità, riempiendosi gli occhi malati e maledetti
con la sua grandezza.
Su suggerimento di Odino aveva preso la decisione di agire in fretta,
prima che
Loki, col suo feroce istinto da lupo, finisse per cogliere altri
segnali di
quello che le sarebbe successo, impedendole di partire. Doveva
approfittare
delle poche ore concessale da un consiglio di stato in cui Padre Tutto
lo aveva
coinvolto adducendo la necessità di vedere
all’opera i suoi due futuri re. Il pensiero
le fece arcuare le labbra in una smorfia di disappunto; la promessa di
lasciare
il trono di Asgard al più degno fatta a due ragazzini dagli
occhi brillanti
aveva avuto diverse conseguenze, non tutte positive;
l’efficace squadra che si
era venuta a creare tra Loki e Thor, cui bastava una sola occhiata
d’intesa per
allestire piani efficaci e terribili a un tempo, si era lentamente
avvelenata con
la competizione. Come si fa a salvarsi a vicenda, a guardarsi le
spalle, quando
si è stati cresciuti per imporre la propria
volontà assieme al rivale più
amato, al fratello con cui si è condiviso quasi ogni cosa?
Quanto era lecito
che durasse un simile affiatamento, se sporcato
dall’ambizione? Thor era
coraggioso, leale e dotato di un gran cuore, ma si dimostrava spesso
superficiale
e vanesio; in più occasioni, per fare sfoggio delle sue
abilità, aveva messo in
pericolo coloro che avrebbe dovuto guidare e proteggere. Loki, dal
canto suo,
era capace e intelligente, ma si divertiva a manipolare chiunque gli
capitasse
a tiro ed era fin troppo spregiudicato. La sua vittima preferita era
Thor, ma
se quando Sigyn era giunta ad Asgard le era sembrato che i due fratelli
dessero
tutto sommato poca importanza al trono che l’energico Odino
continuava a tenere
saldamente, ora pretendere l’Hliðskjálf
era più che un dovere per i due figli
di Padre Tutto.
Sigyn sospirò dirigendosi rapida verso il baule posto ai
piedi del letto. Loki stava
diventando sempre meno degno di sedervisi e questo anche
per colpa sua e
di ciò che aveva fatto per lei, con lei.
Le servivano solamente poche
cose, una manciata d’oggetti utili per il viaggio. Tutto il
resto era bene che
lo lasciasse lì dov’era, ad Asgard. Ben riposti
dentro il mobile in legno erano
racchiusi i frammenti di un’esistenza che non sarebbe mai
riuscita a
dimenticare; riempì una sacca da viaggio con
l’indispensabile, ma indugiò quando,
sul fondo, riconobbe una tunica verde che, certamente, tratteneva
ancora il
profumo della pelle del suo possessore. La sfiorò con la
punta delle dita ricordando
il giorno in cui l’aveva presa per tenerla con sé
e fu per quello che non s’accorse
del cigolio della porta che si apriva, dei passi felpati che
calpestavano il
tappeto soffice. Sobbalzò solo quando sentì
scricchiolare il pavimento di legno
sotto il peso di un paio di stivali maschili.
Si
voltò
di scatto e l’immagine per un momento le parve sfocata
– colpa delle lacrime
traditrici che le velavano gli occhi o della maledizione che rendeva
ogni ora
più difficile vedere?
“Mia
signora, sei in partenza!?”
La
voce di Loki era canzonatoria e carica di sarcasmo. Quando
riuscì a metterlo a
fuoco, riconobbe il viso affilato, il portamento fiero, le labbra
arcuate in un
sorriso feroce, lo sguardo gelido di lupo – si può
amare ogni dettaglio di qualcuno?
Anche se ci fissa con furiosa delusione? Si sollevò da terra
spolverando con un
gesto rapido la gonna.
“Mio
padre ti ha scritto ancora,” gli rispose evitando la domanda.
“Non mi hai detto
nulla, stavolta.”
Loki,
le braccia incrociate dietro la schiena, allargò il suo
ghigno. “Nemmeno tu, dolce
Sigyn.”
Continua…
L’angolo di
Shilyss
Care Girls,
Ma Buon Anno!
Allora, vi avevo
promesso un nuovo aggiornamento di Accordo, lo so, e oggi pomeriggio
anziché infilarmi
nella ressa dei saldi (dove sono già andata, non pensate),
proseguirò il
capitolo 35 che è a metà, ma questo capitolo 5 si
è scritto praticamente da
solo. Ancora prosegue l’alternanza tra passato e presente che
spero non vi
risulti troppo ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete
com’è).
Ora: se leggete
attentamente vi accorgerete come ovviamente Sigyn non sappia nulla del
destino
tremendo che le toccherà e ragiona con le informazioni in
suo possesso; d’altro
canto, viene detto che Loki non è probabilmente
più degno di salire sul trono
di Odino anche per colpa di Sigyn. Anche, non solo per. Diciamo che la
“questione
Sigyn” non ha aiutato, ecco ♥.
Vi ringrazio dal più
profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita
Melania G.
Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia di
sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ricordo che Vanheim
e il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una
mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
P.S.
La settimana prossima preparatevi
perché
uscirà il capitolo 35 di Solo un accordo.
Per davvero, stavolta XD,
GIURO.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Sigyn
incassò il colpo con grazia. Non era stupita che
l’Ase l’avesse raggiunta.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato anche mentre ragionava con
Odino della
sua necessaria partenza – lo sentiva nella parte
più profonda del cuore, che
lasciare Asgard senza affrontarlo era impossibile, ingiusto. E Loki,
del resto,
era come quei lupi astuti che fiutano le trappole e ci girano attorno
tanto da
sembrare che siano pronti a cadervi, per poi sfidare con uno sguardo
beffardo
il cacciatore. Lo amava anche per questo, così come aveva
imparato ad apprezzare
ogni cosa di lui – dalle battute pungenti alla piega
divertita delle labbra
sottili, passando per il modo elegante e forte con cui le belle dita di
mago sottolineavano
un pensiero o un concetto. Aveva finito per innamorarsi anche della
risata che
concedeva a Thor o agli altri commilitoni e del modo in cui aggrottava
la
fronte quando era concentrato su un incantesimo o un trattato,
dell’attenzione
con cui chiudeva la corazza di pelle intrecciata sul suo corpo asciutto
e
scattante – quand’era successo? Si era persa, ma
non ricordava dove né come.
“Lasciami
andare, stavolta,” mormorò
muovendo un passo nella sua direzione.
Il
principe cadetto le regalò uno sguardo offeso e
aprì le braccia. “È quello che
vuoi? Assecondare le patetiche richieste di un uomo che ti ha
sacrificata?” inquisì
con voce cattiva.
La
ragazza s’impose di non ribattere. Da ogni sua risposta, Loki
avrebbe carpito
informazioni e dettagli che era importante rimanessero celati il
più a lungo
possibile. Mentire non era nella sua natura e una parte di lei
continuava a
premere affinché si confidasse con l’ingannatore,
rivelandogli la maledizione.
Amore
mio, non riuscirò più a vederti. Verrò
inghiottita dalle ombre e questo sarà
solo l’inizio – quello che toccherà a me
direttamente. Amore mio, lo faccio
solo per proteggerci. Non possiamo stare insieme, non dobbiamo
– ma tu questo
lo sai, lo hai sempre saputo e me lo hai tenuto nascosto. Le frasi le
rimasero incastrate in
gola, sulle labbra.
“Deve
pagare fino alla fine per quello che ti ha fatto,” insistette
Loki
avvicinandosi al letto che aveva accolto i loro sospiri e su cui ora
erano
piegati pochi abiti da viaggio.
Sigyn
scosse la testa. “Asgard non è la mia
casa,” spiegò decisa. “Sono
un’ancella.
Tu puoi continuare a pensare che stia solo obbedendo al volere dei miei
genitori, ma non è così. Io ho la vocazione.
Devi accettarlo.” Pagheremo
tutti. Pagheremo noi.
Loki
sorrise e inclinò la testa di lato, come per osservarla
meglio. “Bugiarda. Sei
un’adorabile bugiarda. E tenti di mentire a me,”
sentenziò con un pizzico di
compiaciuto divertimento.
Diceva
la cruda verità, nient’altro che questo
– la sincerità di Lingua d’Argento era
aspra
quanto le sue menzogne dolci. La ragazza non si scompose.
“Credi ciò che vuoi.”
L’ingannatore
incrociò le braccia al petto e annuì senza
smettere di guardarla – di ammirarla
con qualcosa di simile alla nostalgia. Gli aveva parlato di vocazioni,
doveri, sentimenti
pii e devoti, tirando fuori un argomento noto a entrambi, buono solo a
replicare conversazioni già fatte, ribadendo punti di vista
osservati mille
volte sotto ogni angolazione possibile. Loki non credeva in niente che
non
fossero i meri fatti, e non era disposto ad accettare l’idea
che qualcuno, uomo
o donna, dovesse immolarsi per placare creature antiche e affamate come
l’Yggdrasill. Per lui, le ancelle erano il retaggio di
un’usanza antica e
terribile, la cui fortuna era legata prevalentemente al fatto che,
consegnando
le loro figlie femmine ai templi degli antenati, le famiglie nobili
evitavano
di vendere i loro beni fondiari per pagare le ingenti doti altrimenti
necessarie
per un matrimonio. Certo, entrare nell’ordine era considerato
un privilegio e
un onore perché non tutte ne erano degne, ma Loki era un
politico troppo sagace
e smaliziato per non vedere il marcio nascosto dietro
quell’istituzione
millenaria. Sigyn non aveva mai condiviso una visione tanto cinica:
forse, come
le diceva il principe, la questione la riguardava troppo da vicino
perché
potesse darne una lettura oggettiva.
Una
sera osò domandargli se lui, una volta divenuto re
di Asgard, intendesse
abolire l’ordine delle ancelle. A sorpresa,
l’ingannatore si mise a spiegarle
che non ne aveva le benché minima intenzione. La cura degli
Antenati faceva
parte dell’ordine costituito ed era sancita da una serie di
leggi sacre e
antichissime. La riforma fatta da Bor non andava toccata, aggiunse
seguendo con
le dita la forma rotonda dei suoi fianchi coperti solo da un lenzuolo.
La
penombra che avvolgeva la stanza, rischiarata soltanto dalle fiamme che
crepitavano
lente nel camino, non riuscì a nascondere il brillio
soddisfatto che illuminava
lo sguardo del dio dell’inganno: Sigyn gli aveva fatto
intendere che lo
considerava degno del trono.
“Leggi
che tu stai violando,” lo punzecchiò con una voce
bassa, la testa poggiata sul
cuscino.
La
risposta di Loki era stata perfida, la mano si era fatta più
audace, ghermendo
le rotondità. “Quello che vale per te non vale per
gli altri.”
Si
era già persa, allora. Per certi versi, lo odiava
più di quando l’aveva conosciuto,
per altri meno. Si era già infilata nel suo letto perdendo
ciò che l’avrebbe
resa un’ancella degna, senza opporsi, anzi, volendo, cercando
e sognando lui.
Quando era cambiato tutto? E come poteva, ora, alzare di nuovo lo scudo
della vocazione?
Era una bugiarda, Loki aveva perfettamente ragione. Spaventata, messa
alle
strette, ogni giorno più legata al mondo di tenebra che la
reclamava.
Schiuse
le labbra, ma non fece in tempo ad aggiungere nulla, perché
lui l’anticipò.
“Stavolta
non ti fermerò. Non verrò a salvarti, non
correrò in tuo aiuto,” le promise con
voce roca e calma a un tempo, scandendo ogni parola con decisione.
“E, dopo che
oltrepasserai il cerchio, non potrò farlo nemmeno volendo.”
Sigyn
strinse tra le dita un lembo della gonna. La sicurezza sfoggiata fino a
qualche
istante prima era venuta definitivamente meno di fronte alle ultime
parole
taglienti ed esatte dell’Ase. Le sole e le uniche che poteva
concederle senza
tradire la sua natura orgogliosissima e fiera.
Negli
occhi verdi dell’altro lesse il rancore, il desiderio e il
biasimo – non era
cambiato niente, non sarebbe mai cambiato niente, tra loro. Avrebbe
continuato
a volerla per sé in quella sua maniera sfacciata,
infischiandosene di ogni
legge, divieto o morale. Di nuovo, lottò contro
l’impulso di rivelargli della
maledizione incipiente e della vista che calava ogni giorno di
più; di come
provasse già una nostalgia feroce di lui
e del mondo intero, della paura
che provava per le ombre che, presto, l’avrebbero inghiottita
precipitandola in
un mondo di tenebra. Cosa sarebbe successo se avesse osato raccontargli
la
verità, ignorando i suggerimenti di Padre Tutto? Loki
avrebbe lottato per lei,
all’inizio. Poi, l’avrebbe associata a una cocente
sconfitta finendo per
detestarla e si sarebbe dedicato a nuove imprese, perché era
nato per essere
re, non per porgere la mano a una donna cieca sussurrandole la via.
L’amore,
anche il più forte, spesso non regge ai colpi inflitti dalle
Norne: se non
nutrito in maniera adeguata si sfalda e sbiadisce fino a spegnersi. E
poi,
Sigyn non poteva permettere che anche lui pagasse, no. L’idea
l’atterriva più
di ogni altra cosa.
“Lo
so. Non è stata una scelta facile, la mia,” ammise.
“La
vita è piena di scelte difficili,” fu la replica
secca, carica di molto altro.
“Ma questa è la peggiore che potevi prendere. Per
chi, poi? Sigurdr ti ha
venduta prima che ti reclamassi e tu ora torni per lui, per loro
– una banda di
vigliacchi a cui avremmo dovuto tagliare la testa per ciò
che hanno osato
promettere senza che ne avessero l’autorità. Hanno
ciò che meritano, ma saranno
soli, stavolta. Sarete soli.”
Per
noi. Per te. Torno per te.
La
sua voce roca vibrò d’ira, perché Loki
aveva un animo che s’infiammava molto
velocemente, lei lo sapeva bene. Era uno stratega sagacissimo e
spavaldo che
sapeva controllare le proprie emozioni mescolandole abilmente grazie al
suo
temperamento riflessivo, ma, dentro, bruciava. Era per quel motivo che
non
l’avrebbe fermata. Considerava uno smacco il fatto che lei se
ne andasse ed era
troppo orgoglioso per darle una ragione inappellabile per restare. Ma
se anche
fosse rimasta, se la maledizione non si fosse abbattuta su di lei
togliendole
lentamente e ineluttabilmente la vista, che destino avrebbero avuto,
insieme? Nella
migliore delle ipotesi, sarebbe diventata la strana, deliziosa strega
che il
principe si era preso come amante e a cui erano legati una serie di
aneddoti
succosi che parlavano di oscure avventure, nulla più.
Un’ancella che si era
corrotta non poteva desiderare altro che vivere ai margini, in attesa
che la
gente ne dimenticasse il volto o la storia:
un’eventualità che, oltretutto, la
presenza carismatica di Loki rendeva improbabile.
L’aveva
chiamata bugiarda e a ragione: la vocazione di Sigyn si era persa
quando aveva
fissato negli occhi una maledizione, quando Loki si era messo a giocare
con
certi misteri che erano più grandi di lui, su cui nemmeno
l’immensa sapienza di
Padre Tutto poteva nulla. Aveva smesso di essere un’ancella
finendo tra le sue
braccia – così era diventata una donna. Scoprendo
di desiderare e amare un
uomo, facendo scorrere le proprie labbra sui muscoli tonici e scolpiti
del principe
che l’aveva perduta, ammettendo con se stessa di
aver soffocato per troppo
tempo l’istinto che la spingeva a cercarlo anche solo per
contraddirlo.
Smarrendosi si era ritrovata, ma a un prezzo troppo alto. Conoscere il
mondo
era doloroso. Rinunciarci, lo era ancora di più.
“Cos’è
cambiato?” inquisì l’Ase, incapace di
fidarsi, dolorosamente astuto. Mosse un
passo verso di lei e le concesse una lenta carezza sulla guancia. Un
gesto che
le fece male più di quanto avrebbe fatto uno schiaffo,
perché Loki raramente si
esponeva tanto e quell’attenzione aveva il sapore dolceamaro
di un addio.
“Non
è mai cambiato niente,” sospirò Sigyn.
“Sapevamo da sempre sarebbe arrivato
questo momento. Abbiamo commesso un sacrilegio tremendo e non ne siamo
pentiti.”
Le
labbra dell’Ase si stirarono in un ghigno furbo e breve.
“Dici davvero? È cambiato
tutto, invece. Tu non sei più l’intoccabile
ancella presa in ostaggio da un
popolo di pirati, ma sei l’amante di uno di loro. Non puoi
accostarti agli
altari degli Antenati né servire come sei stata educata a
fare. Hai perso
questo presunto privilegio in cambio della tua vita.”
L’aveva detto tra i
denti, sfoggiando una tranquillità solo apparente. Era una
questione
d’orgoglio, d’attrazione e di molte altre cose.
“Ora
sei tu il bugiardo,” l’accusò Sigyn.
“Dici che ho avuto in cambio la mia vita,
ma non è così,” proseguì
senza riuscire a nascondere un brivido tale da farle
tendere la schiena. “Gli apparterò
per sempre e lo sai. Non sarò mai
libera,” sussurrò abbassando talmente tanto la
voce da dubitare che Loki
l’avesse sentita. “È un inganno in cui
ci siamo adagiati abbastanza.”
Il sorriso
laterale del principe si congelò in una smorfia ferina.
L’ultima frase era una pugnalata
al cuore, a una ferita ancora aperta e dolorante che sanguinava
copiosa. La
ragazza aveva spalancato la porta sbarrata di un compromesso che sapeva
di
ferro e di sangue. Uno capace di ricordare a Loki che Sigyn non era mai
stata
sua, nemmeno quando aveva disobbedito apertamente agli ordini di Odino,
neanche
nelle notti in cui i loro corpi si erano intrecciati nella frenesia
dell’amore.
“Quella
notte ho visto la Voluspa. Tutta la profezia,”
proseguì muovendo un passo verso
di lui nel tentativo, vano, di cancellare l’impatto della
frase precedente.
L’Ase
scacciò la rivelazione con un gesto secco del braccio.
“Frammenti che non
comprendi. Ne abbiamo parlato già.”
“Se,”
azzardò Sigyn abbassando di un tono la voce, “se quella
cosa dovesse
tornare, un giorno?”
Loki
dilatò le pupille verdi e strinse la mascella. Tutto il suo
corpo si tese
istintivamente all’idea, tanto che qualcuno, osservandolo,
avrebbe potuto dire
che lo scaltro e spavaldo figlio cadetto del grande Odino pareva
spaventato.
“Non
lo farà. Non esiste più,”
ribatté deciso, come se la forza racchiusa in
quell’affermazione
potesse decidere il destino filato dalle Norne o scacciare il terrore
che il
solo pensiero faceva nascere nel suo petto fiero. Anche i guerrieri
più
valorosi avevano paura. Il dio dell’inganno lo aveva scoperto
a sue spese,
quando, poco più che un ragazzo e con un’arma
troppo pesante in mano, aveva
partecipato alla sua prima battaglia. Gli eroi, quelli di cui i bardi
cantavano
ai banchetti, inghiottivano il timore e affrontavano la morte e il
dolore lanciandosi
contro i loro avversari, consci che ogni colpo inferto o subito poteva
essere l’ultimo.
“Ma
io resterò sempre sua, non è vero?”
insistette Sigyn.
“Se
è
quello che mi stavi chiedendo,” replicò
l’Ase gelido, “tu possiederai per
sempre la scintilla.”
La ragazza
sorrise debolmente. “Sai che è per questo che me
ne devo andare,” aggiunse aggrottando
la fronte e riprendendo a piegare i pochi effetti che avrebbe portato
con sé. “Lo
hai sempre saputo.”
Un’ancella
avrebbe potuto essere dispensata dal prendere i voti o scegliere, nel
biasimo
collettivo, di tornare alla vita secolare,
ma la scintilla cambiava ogni cosa: rendeva pericoloso o impossibile, a
seconda
dei casi, sciogliere certi vincoli.
La
replica dell’ingannatore giunse immediata e sarcastica.
“Puoi farmene una
colpa, se vuoi.”
Sigyn
pensò al modo in cui era venuta a conoscenza di
ciò che suo padre le aveva
fatto. A quel pensiero il ventre le si contrasse in una morsa dolorosa,
perché era
certa che tutti i tradimenti e gli inganni del principe degli
Æsir non potevano
eguagliare quello fattole da colui che l’aveva messa al mondo
e usata,
nient’altro. Loki aveva violato ogni possibile regola,
nascondendole per più
tempo possibile sia della scintilla che della promessa, ma
l’aveva fatto per
lei, solo per lei. Le sue menzogne non
gli avevano impedito di sfoderare
i suoi lunghi pugnali e di combattere una battaglia spaventosa e persa
in
partenza, ma che pure era stato tanto spregiudicato e folle da
intraprendere.
“No,”
decise. “Ci sono segreti che non possono essere
rivelati.”
L’ingannatore
non poté fare a meno di replicare nel più
affilato dei modi. “Gli stessi che
nascondi tu?” disse, avvicinandosi fino a sfiorarle con le
dita il collo, il
mento, le labbra appena schiuse. Sigyn non gli rispose per non rivelare
il
tremore della sua voce, ma sostenne il suo sguardo con fierezza. Si era
ripromessa di non mostrargli alcuna crepa e ci stava riuscendo, ma il
suo tocco,
per le Norne, come sempre la fece tremare. Lui continuò a
carezzarle la pelle fissandola
con una punta di ferocia e rimpianto, finché non
incontrò la sottile stola di
seta che Sigyn portava al collo, sfilandogliela di dosso con un
movimento secco
e leggero. Un pegno, voleva un pegno che sapesse di lei, che
trattenesse una
traccia del suo profumo per ricordare d’averla avuta
– amata, forse. Se
l’avesse stretta tra le sue braccia e baciata, se le avesse
gridato contro il
suo dolore o ammesso ciò che il suo sguardo bruciante come
il ghiaccio e il
fuoco talvolta tradiva, allora, forse, la ragazza sarebbe crollata,
confessandogli della maledizione, ma Loki era troppo orgoglioso per
lasciar
trapelare altro. Strinse tra le dita la sciarpa di seta e si
congedò da lei non
prima di averle ridato il sottile pezzo di stoffa – non era
più importante e
tutto ciò che aveva fatto per salvarla si era rivelato vano.
La stola rimase
nella stanza anche dopo che lei se ne era andata, poggiata su una
panca. Diverse
sere dopo, il dio dell’inganno ne avrebbe saggiato nuovamente
la consistenza
con le dita. Se
l’orgoglio che gli
infiammava il petto non avesse offuscato la sua perspicacia, forse Loki
avrebbe
potuto cogliere alcuni degli indizi sparsi che Sigyn non era riuscita a
celare.
Per farlo, però, sarebbe dovuto prima venire a patti con gli
incubi che ancora
lo tormentavano e con una consapevolezza spaventosa e amara
più del fiele. Lo
avrebbe capito più avanti – troppo tardi, forse.
♥
Sigyn
aveva letto innumerevoli descrizioni di Asgard, la splendida capitale
di
Ásaheimr, ma decise che nessuna pagina scritta poteva
spiegare a fondo la
meraviglia e la grandezza di un palazzo fatto interamente
d’oro, che pareva
essere stato costruito unicamente per far morire d’invidia i
giganti di
ghiaccio e quelli di fuoco. Le volte a sesto acuto degli immensi
corridoi erano
altissime, molto più del necessario, e ovunque
c’erano arazzi, affreschi e
opere d’arte. Uno in particolare decorava la volta della sala
del trono di
Odino e raffigurava la sua famiglia al completo, Loki compreso. Sigyn,
col naso
all’insù e ancora la pesante pelliccia del dio
degli inganni addosso, chiese ad
alta voce le ragioni di quello sfarzo eccessivo. Dicevano addirittura
che Padre
Tutto avesse una sala immensa, giù nei sotterranei del
castello, dove custodiva
un numero incalcolabile di reliquie, tutte sottratte ai popoli che lui
e suo
padre Bor avevano sottomesso nel corso delle loro conquiste e razzie. A
far
storcere il naso a Sigyn non era solamente l’educazione
propria delle ancelle,
incentrata su una sobrietà che sfociava in uno stile di vita
estremamente parco,
ma anche la differenza tra il palazzo di Odino e quello, immensamente
più
modesto, di Sigurdr. Era nata in un castello grande e spazioso, immerso
nel
verde di uno tra i più ricchi feudi in cui era divisa
Vanheim, ma i bei mosaici
che decoravano le sale principali della sontuosa abitazione e la vita
semplice
e frugale che la sua famiglia conduceva differiva totalmente
dall’eleganza e
dalla grandezza della dimora reale di Asgard.
Loki,
che la seguiva a pochi passi di distanza, non si era certo lasciato
sfuggire
l’occasione di risponderle.
“È
quello che siamo. Un popolo di potenti conquistatori, di grandi
guerrieri.
Proteggiamo tutti i Nove Regni e con questo sfarzo che a te pare
sprecato,
assurdo, lo ricordiamo a chiunque venga qui. È una strategia
– è sempre tutta
una strategia.” Si era accorto che lei stava fissando uno
degli affreschi che
lo ritraeva. “Trovi che l’artista abbia fatto un
buon lavoro?”
Sigyn
si era voltata verso di lui scrutando attentamente le labbra ironiche e
sottili, il naso diritto, la mascella squadrata, gli zigomi alti e
affilati
come gli uomini del Nord, soffermandosi sugli occhi mobili ed
espressivi, d’un
verde chiarissimo.
“Non
so decidermi. È difficile catturare il tuo
sguardo,” ammise, riconoscendo
dentro di sé che era bello e stringendosi ancora di
più nel mantello di pelo;
la terra degli Æsir era stupenda, ma il clima rigido la
rendeva inospitale – e
fissare a lungo il figlio cadetto di Odino le lasciava sempre addosso
una
strana sensazione di disagio.
“Così
tutto quest’oro è qui per dimostrare – ostentare
– la vostra potenza.”
“La
ostentiamo, sì,” concordò Loki
lentamente, divertito dalla sua irriverenza. “Ma
sono abbastanza certo che anche nella sobria dimora di tuo padre e con
i nostri
severi abiti da viaggio vi abbiamo messo in soggezione.”
“Il
modo in cui mi guardavi era sfacciato e irriverente. Sono
un’ancella, Loki. Siete
un popolo di pirati, ma persino voi Æsir conoscerete il
significato della parola
sacrilegio, immagino.”
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici
e Lettori,
Mi spiace per
la lunga attesa. Il capitolo era pronto, ma la real life, si sa,
s’infila
sempre dove non dovrebbe (datemi una settimana di tempo e arriveranno i
nuovi
aggiornamenti).
Ancora
prosegue l’alternanza tra passato e presente che spero non vi
risulti troppo
ostica (dalle recensioni pare di no, ma sapete
com’è).
Andando
avanti nella storia spiegherò meglio
com’è quest’ordine delle Ancelle,
perché
Loki negli scorsi capitoli ha detto che forse Odino avrebbe dato Sigyn
a un
Ase, ma fino ad adesso si è parlato della
sacralità del corpo delle ancelle e
via dicendo. Ecco, ne sono consapevole e fa parte del grande disegno
della mia
mente bacata♥.
Vi
ringrazio dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la
storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per
un’Autrice significa
tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire
un po’
della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce
la gioia di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di
Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
Sacrilegio. Una parola che
sapeva di sale ed
era rimasta attaccata addosso a Loki durante tutto il viaggio in
drakkar,
incollandosi alla pelle e all’anima. Aveva affrontato a viso
aperto l’idea di portarla
via dalla sua casa reclamandola in nome di un patto non mantenuto
– cosa
sarebbe diventata, allora? Una concubina, una protetta o che altro?
– ma quel
sacrilegio cui lei faceva riferimento non era nulla rispetto all’altro
veto,
insormontabile e spaventoso. La fissò scuotendo la testa e
ridendo tra sé. Sigyn,
ignara di tutto, lo guardava con un misto di paura e disprezzo. Gli
aveva
risposto a tono, ma al giovane ingannatore non era sfuggito come la
ragazza
avesse spostato il discorso dal piano generale a quello particolare.
Lui
parlava degli Æsir, lei di loro due. Di più, aveva
ravvisato delle intenzioni
irriverenti e scortesi nello sguardo feroce che le era scivolato
addosso la
sera in cui l’aveva pretesa. “Non siamo così
barbari come credi, piccola
Vanir. Come tu non sei ancora un’ancella,”
puntualizzò con voce roca, tentando
di piegare la realtà con le parole e scacciare via i
pensieri scomodi e inopportuni
che lo assalivano, indegni del principe che era.
Avrebbe
potuto rimetterla al proprio posto negando ogni cosa e tacciandola
d’essere una
bambina con la testa tra le nuvole che aveva letto troppi poemi.
Preferì non
farlo. La scelta gli provocò un brivido particolare, lo
stesso che lo scuoteva
qualche istante prima di affondare i suoi pugnali affilati nella carne
degli
avversari, recitare un incantesimo, compiere una malefatta.
Tutto
intorno a loro il sole che s’inabissava nel fiordo spandeva
una luce rossa e
dorata capace di donare sfumature di colore inaudite alle acque gelide
che
circondavano Asgard, alle montagne che la proteggevano e in mezzo cui
s’insidiava il mare.
La
ragazza non poté fare a meno di soffermarsi nuovamente
sull’incanto di quella
terra aspra, selvaggia e bella come nessuna, che in quelle ore stava
imparando
a conoscere e ad ammirare, suo malgrado. Alcuni tamburi lontani,
accompagnati
da un coro di voci maschili e femminili, annunciavano che i
festeggiamenti per
il ritorno di Odino erano già cominciati. Strinse le labbra.
“Avrei giurato
alla fine dell’estate, se non vi fosse venuto in mente di
prendermi in
ostaggio.”
Loki
non parve colpito dall’accusa. “Non è
solo colpa nostra.”
“Pago
comunque per gli errori degli altri,” insistette lei,
distogliendo l’attenzione
dal tramonto per spostarla sull’Ase. Il senso di colpa la
stritolava. Non aveva
nemmeno avuto modo salutare Astrid e le altre sorelle. Pensò
alla quiete familiare
del tempio, dove le giornate venivano scandite da sempre con un ritmo
uguale a sé
stesso. A quell’ora si iniziava a pregare per poi a cantare
fino all’ora di
cena. Ci sarebbe stato un posto vuoto – il suo – e
ogni compagna avrebbe
rivolto un pensiero a lei, che, lontana da quel luogo di pace e
virtù, stava
perdendo la benevolenza degli Antenati mancando ai suoi doveri.
“Tutti
paghiamo per le scelte degli altri,” sentenziò
Loki interrompendo bruscamente i
suoi pensieri.
Lei
inarcò un sopracciglio. “Anche un principe di
Asgard?”
L’Ase
pensò a quando lo avevano steso su un tavolaccio per
ricucirlo – all’alcool
ingollato per stordirsi e attenuare il dolore, ai due guaritori che lo
tenevano
fermo mentre un terzo cercava di salvargli la vita, alle grida
soffocate. Con
una mano sfiorò la parte della corazza di pelle sotto cui
c’era ancora la
cicatrice. Non si era mai sentito così vivo come nel momento
in cui la morte lo
aveva accarezzato con le sue dita e, ogni tanto, sentiva la
necessità di accertarsi
che la cicatrice fosse ancora lì, dove l’aveva
lasciata.
“Più
di quanto pensi. Se la nostra intenzione fosse stata fare di te una
schiava o
disonorarti in qualche modo, lo avremmo già
fatto,” concluse, per fugare
quell’ombra di terrore che le velava lo sguardo da giorni e
che, fino ad
allora, aveva trovato tutto sommato divertente mantenere viva.
Sigyn
si rilassò appena, tanto da dare modo a Loki di cogliere
distintamente il
sospiro di sollievo che seguì la rivelazione. Studiando il
profilo delicato della
ragazza, pensò che lei avrebbe dovuto sapere tutto, ogni
cosa, compresa la maniera
in cui Odino intendeva fugare ogni dubbio sull’esistenza
della scintilla.
Sacrilegio. Di nuovo
quella parola gli seccò il
palato, ma aver desiderato di volerla per sé non equivaleva
a disonorarla. Per
colpa della maledizione, non poteva più nemmeno prendere in
considerazione
l’idea di corteggiarla fino a farla capitolare per il gusto
becero e irrinunciabile,
quello sì, di conquistare l’ancella che lo fissava
con disprezzo. Un giorno, Sigurdr
avrebbe finito comunque col considerarla peggio di una prostituta,
iniziando
una fitta corrispondenza a senso unico con Loki fatta di insulti,
suppliche,
minacce e promesse, ma non era ancora il tempo.
S’infilò
due dita nel colletto della corazza intrecciata per allentarlo e
respirare
meglio, scacciando la fastidiosa sensazione di avere il respiro mozzato
che lo
perseguitava dal fatidico banchetto dei Vanir. L’interessante
gioco cui si era
prestato quando aveva deciso di accostarsi a Padre Tutto chiedendo lei
si stava
trasformando in qualcosa di tremendamente complicato – in una
rete che lo
avrebbe stretto nelle sue maglie fino a stritolarlo – ma
questo, Loki era
troppo spavaldo e sicuro di sé per immaginarlo.
Quella
notte Sigyn rise davanti al fuoco, ma non ballò. Spinto da
Frigga, Balder, che
all’epoca era solo un bambino, le si era avvicinato per
mostrarle alcuni dei
suoi giocattoli. La ragazza si lasciò distrarre dalle figure
intagliate nel
legno del più giovane dei principi di Asgard e
finì per rigirarsi tra le dita
una deliziosa statuina che raffigurava un cavallo differenziandosi
però dalle
altre. La mano che l’aveva intagliata era dotata di un certo
talento artistico,
decise. L’animale era rappresentato in una posa dinamica, con
le zampe
anteriori sollevate e la criniera mossa da un vento invisibile. Le
ricordò
certi poemi che parlavano di eroi che sconfiggevano mostri, ma non
solo: la
figura intagliata le suggeriva una sensazione di libertà.
Fece scorrere i
polpastrelli sul fianco del cavallo.
“Me
l’ha
fatto mio fratello,” s’inorgoglì il
bambino. Sigyn glielo rese, intuendo che si
dovesse trattare di un regalo molto amato, forse raro.
“Quale?”
chiese, ma nel suo cuore conosceva già la risposta. Lo aveva
visto aggiustare e
pulire, con le sue dita svelte e abili, astrolabi e altri strumenti
utili alla
navigazione.
“Loki,”
confermò Balder, distratto e felice di riavere il
giocattolo.
La
ragazza alzò gli occhi cercandolo tra la folla, oltre il
falò che guizzava di
fronte a lei, tra le ombre degli invitati ubriachi e curiosi. La sua
figura
alta e slanciata, sempre così diritta e fiera, non
c’era da nessuna parte. Sigyn
strinse le labbra. Il dio dell’inganno la spiazzava. Di
più, la confondeva per
via della sua natura infida, brillante, sempre portata alla doppiezza.
Le sue
frasi affilate e secche dimostravano un’intelligenza
acutissima, cui si sposava
un talento per le arti magiche che era leggendario. Di lui si dicevano
troppe
cose e lei temeva che fossero vere tutte quante – Loki si
crogiolava
palesemente in questo, sfoggiando con abilità i panni del
principe e del
predone, del mago e del guerriero: troppi contrasti fusi in una sola
persona
capace di trafiggerla con lo sguardo e donarle, un momento dopo, il suo
mantello di pelliccia. Lo detestava e non avrebbe più
ripreso in mano il
cavallino di legno, ma si accorse che il fatto di non sapere dove fosse
la rendeva
meno sicura di sé e tesa. Si disse che aveva bisogno di
tenerlo d’occhio perché
non si fidava di lui, capace di tagliare la gola di un nemico col
sorriso sulle
labbra e, poco dopo, costruire un giocattolo per un bambino. Si
figurò la scena
dell’ingannatore che si sedeva accanto al fuoco a raccontare
storie mentre, con
uno dei suoi coltelli affilati, lavorava il legno con fare sicuro,
ritrovandosi
a tremare sotto il manto nero che ancora indossava.
Sigyn
non poteva saperlo, ma in quel preciso istante Loki stava parlando di
lei. Al
riparo da sguardi indiscreti, ragionava con Padre Tutto su come
accertarsi che
possedesse davvero la scintilla. La sensazione acuita dal seiðr
che infiammava
le vene di entrambi andava appurata in via ufficiale. Una volta fatto
ciò,
bisognava occuparsi rapidamente dell’assurda promessa di
Sigurdr.
“C’è
un
antico manoscritto che parla del rito e della promessa. Consultalo
– dovrai
tradurlo, è scritto in rune più antiche delle
nostre,” suggerì Odino,
imperscrutabile nella penombra.
Loki
annuì. Era naturalmente portato per lo studio e
l’idea di cimentarsi nell’analisi
dei testi più antichi di Asgard lo entusiasmava, ma era
pensieroso e inquieto.
Mosse un passo in avanti, nel buio. “Potrebbero volerci
giorni. Che ne faremo
di lei, nel frattempo?”
Anche
il suo volto affilato era oscurato dalle tenebre notturne, ma il re
degli Æsir,
col suo unico occhio, era capace di scavare fin nel cuore di quel
figlio che
gli assomigliava in maniera dolorosa.
“Potrà
servire i nostri altari, per ora.”
L’ingannatore
piegò le labbra in una smorfia di fronte alla risposta
laconica. Così Sigurdr in
qualche modo avrebbe vinto, e del suo piano originario, già
mutato e distorto
all’inverosimile, non sarebbe rimasto davvero più
nulla. Per un mago come lui la
traccia lasciata dalla scintilla era come un irresistibile profumo che
si
spandeva nell’aria, ma era stato lo sguardo sfrontato e
offeso di Sigyn a
rendere stuzzicante l’idea di gettare il caos
nell’ordinata vita di quella
contessina che riteneva un grande onore l’essere rinchiusa a
vita tra quattro
mura a respirare incensi e a pregare. Voleva che si sporcasse col mondo
e
smarrisse ogni sicurezza. Il cuore di Loki era fatto anche di questo:
di
sussulti oscuri e di ragionamenti così affilati da tagliare
più di un coltello
– che affronto sarebbe stato, per quell’alleato
pavido e bugiardo, sapere che
la sua figlia più giovane era nelle sue mani, sola, nella
fredda e feroce
Asgard che dominava sui fiordi. Il vestito di lei, rosso e attillato
sul seno e
sulla vita stretta, lo aveva fatto indugiare in pensieri sfacciati, che
la
sdegnosa ritrosia di Sigyn e il suo essere quasi un’ancella
rendevano solo più
interessanti. Era prima di sapere che era stata condannata a un destino
atroce,
ma quando Sigurdr aveva parlato rivelandogli l’orribile
patto, l’unica cosa che
Loki aveva potuto fare era stata strapparla comunque
via da quel destino
in nome delle leggi di Bor, del buonsenso, della malizia. Ma ora che
l’aveva
portata con sé ad Asgard cosa fare di lei, come e quando
dirle cosa
l’aspettava? Odino pareva intenzionato a non rivelarle nulla,
trattando la
ragazza come l’ennesima reliquia rubata a un popolo che non
si era piegato
abbastanza di fronte al suo potere, ma lui, che incontrava quegli occhi
grigi tutti
i giorni ricacciando in gola ogni desiderio inopportuno era davvero del
medesimo parere?
No. Come succedeva
ormai sempre più
spesso, il giovane comandante della cavalleria degli Æsir non
condivideva le
scelte spesso fin troppo conservative del padre. In questo aveva un
alleato in
Thor, sempre pronto a dare battaglia e a intervenire dove fosse
necessario – ed
era sempre necessario, per lui, si ritrovò a pensare con un
moto di fastidio.
“Così
suo padre tirerebbe un sospiro di sollievo. Saperla ancella qui o a
Vanheim non
gli farà alcuna differenza,” constatò
con una punta di dispetto nella voce. “Ci
considererà deboli, padre.”
Il re
non raccolse la provocazione. “È maledetta. Non
c’è posto migliore, per lei.”
E
poi,
pensò Loki, agli
Æsir serve la scintilla. “Tu credi che
esista un modo per salvarla?”
“È
comunque un nostro dovere provarci. Le leggi ce lo
impongono.” Il vecchio sovrano
sospirò. “Non è tua, Loki. Non
guardarla come se lo fosse.”
La
replica del principe cadetto fu rapida e sfrontata.
“L’ho guardata come la concubina
che avrei dovuto prendermi per la promessa mancata di suo padre. E tu
eri
d’accordo proprio perché avremmo potuto sfruttare
la sua scintilla. Ma era
prima di sapere della promessa. Niente di più. Non ti fidi
del mio buonsenso,
padre?” ironizzò allargando le braccia.
“Non sono senza controllo come altri,
che non conoscono il senso della misura,” concluse senza
nascondere una punta
di risentimento.
Odino
replicò stancamente. “Loki, a chi ti riferisci, di
grazia?”
L’ingannatore
s’inumidì le labbra. “A
nessuno,” mentì con un brivido, perché
ogni contrasto
che s’instaurava tra lui e il genitore aveva il potere di
fargli tremare le
vene dei polsi, come se l’affetto e la stima di Padre Tutto
fossero qualcosa di
non necessariamente scontato. Le altre parole, quelle che avrebbe
dovuto dire e
che, un giorno avrebbe pronunciato davvero, rimasero a vorticare nella
sua
testa. A Thor. Che giustifichi e proteggi sempre nonostante
le sue
intemperanze.
Loki
e Odino non si dissero nient’altro. Tra loro rimase un
discorso sospeso,
un’incomprensione velata d’amarezza che nessuno dei
due aveva il desiderio di
affrontare. Lingua d’Argento tornò a mescolarsi
con gli ospiti del banchetto.
Reggeva un corno d’idromele con cui cercava di scacciare la
tensione dell’ennesima
discussione quando incrociò Sigyn. Balder le saltellava
intorno reggendo i suoi
giocattoli e lei, vedendolo, s’irrigidì, come
sempre. Lo scrutò aggrottando la
fronte e spostando lo sguardo dal suo volto visibilmente tirato
all’alcool.
“Non
sarai ubriaco, spero.”
“Che
carina! Ora ti preoccupi per me,” ironizzò
beffardo. “Noi Æsir reggiamo bene
l’idromele. Vuoi assaggiare?” propose offrendole il
corno. Balder gli si mise
di fianco, perché i suoi fratelli maggiori esercitavano, su
di lui, un fascino
tutto particolare. Provava una soddisfazione inaudita nello stare loro
accanto
e nell’osservare da vicino le placche delle armature decorate
con lupi e draghi
marini, le else luccicanti e ben lucidate di asce e pugnali e spade.
Sigyn
deglutì. “Le ancelle non bevono. Credevo te ne
fossi accorto,” alluse,
riferendosi ai giorni in cui Sigurdr li aveva ospitati.
“Avanti,
assaggiane un sorso. Ci sono sacrilegi peggiori da
commettere,” insistette l’Ase
sfoderando il migliore dei suoi sorrisi laterali. “Ti
scalderà.”
Lei
scosse la testa. “Mi confonderà,”
decise, e Loki si soffermò sulle ciocche
d’oro che le sfioravano le guance, il collo e il seno che
intuiva sotto
l’abito.
“Se
anche fosse,” le spiegò con voce roca,
“non potrei farti nulla. Odino ha
deciso. Da domani potrai pregare quanto vorrai presso i nostri
altari.”
Sigyn,
sorpresa, non replicò e accettò il corno,
avvicinando le labbra al bordo.
Lasciò che il liquido le bagnasse appena, assaporando
così l’idromele corposo e
forte a un tempo. L’ingannatore non aveva smesso di fissarla
come se volesse rapirla
di nuovo, ma non fece nulla, allontanandosi con la scusa che doveva
studiare
certe carte.
Il
giorno dopo, Loki la vide mentre pregava presso l’altare,
avvolta in un abito
di lana candido come la neve, come si confaceva alle ancelle del suo
rango.
Dopo il giuramento il colore da indossare sarebbe stato diverso,
cambiando a
seconda del rango di appartenenza. Si appoggiò a una colonna
e rimase a
guardarla, osservandola mentre si muoveva tranquilla, priva di quel
fuoco che
aveva spesso mentre gli parlava. Era serena. Non fece nulla per
richiamare la
sua attenzione, ma decise con un sospiro esausto che avrebbe fatto di
tutto per
togliersela dalla mente. Gli girava la testa dalla stanchezza, i suoi
occhi
erano cerchiati di scuro e non aveva fatto altro che trascrivere e
tradurre
rune illeggibili e, soprattutto, inutili, scritte su pergamene mezzo
divorate
dai topi. Nonostante i buoni propositi, sentiva la necessità
impellente di
continuare a cercare, in mezzo ai libri e alle incisioni del tempo che
era
stato, una traccia, una soltanto, che gli indicasse come agire per
spezzare la
maledizione. Sigyn non si accorse della sua presenza. Si
voltò verso la colonna
presso cui Loki aveva sostato solo dopo che lui se n’era
andato.
♥
Erano
passati anni da allora. Balder uscì dalla consueta visita
mattutina fatta a sua
madre con il volto scuro per la preoccupazione. Loki e Thor non erano ad
Asgard
e, a detta di Frigga, non si vedevano dalla sera precedente, dopo che
Padre
Tutto aveva annunciato l’intenzione di nominare a breve e in
via ufficiale il
suo erede diretto. La notizia improvvisa era riuscita a scuotere il
palazzo fin
nelle sue fondamenta. Nell’ascoltare la novità,
Thor si era alzato dalla sedia
proponendo un fragoroso brindisi e riempiendo il corno suo e quello di
Loki
d’idromele fino all’orlo. Al fratello preferito
aveva passato un braccio
attorno al collo e dato una violenta pacca sulla spalla, dicendo che
sarebbe
stato un re magnanimo, capace di tollerare tutte le sue bravate.
L’ingannatore,
sorpreso dalla decisione paterna e forse già perso nei suoi
vorticosi
ragionamenti, sul momento si era limitato a stirare le labbra in un
ghigno breve.
Solo dopo qualche istante e con la gola scaldata dall’alcool
aveva replicato
con arguzia alla sicurezza di Thor. Certo, lui poteva stringere tra le
mani una
delle più potenti reliquie che gli Æsir avessero
mai avuto, ma impulsivo e
spaccone com’era anche con Mjollnir avrebbe fatto ben poco.
Magari era lui,
Loki, colui che avrebbe governato Asgard in futuro.
“Non
ci contare troppo, fratellino,” era stata la risposta di Thor
L’ingannatore
roteò platealmente gli occhi. “Con te Asgard
sarebbe in guerra un giorno sì e
l’altro pure. Immagino già i disastri che mi
toccherebbe sistemare dopo,”
scherzò. A un osservatore molto attento non sarebbe sfuggito
lo sforzo che il
principe cadetto stava facendo per sfoggiare una
tranquillità che, certo, in
quel momento non gli apparteneva. Sapeva di essere stato spregiudicato.
Era
consapevole che il fatto di non riuscire a impugnare Mjollnir era un
punto a
suo sfavore nella nomina a futuro re. Padre Tutto gli riconosceva molte
cose –
l’intelligenza, l’abilità nel convincere
e trattare col prossimo, una spiccata
abilità col seiðr che aveva quasi del prodigioso,
eppure il suo unico occhio,
raramente benevolo, più spesso gelido e feroce, si posava
più a lungo e con
maggiore soddisfazione su Thor che su di lui. Loki era troppo astuto
per non
averlo notato da tempo; solo, si era sforzato di razionalizzare
quell’impressione, cercando ovunque prove che la
convalidassero o la
smentissero. Dal loro padre suo fratello aveva ereditato il corpo
massiccio e
poderoso, i lineamenti del volto, i colori. Inoltre, anche se per pochi
mesi,
vantava i diritti tipici dei primogeniti. La sua somiglianza con Odino,
invece,
era prettamente caratteriale e interessava sia certi atteggiamenti
esteriori come
il modo di guardare, ridere o bere, sia i gusti più
profondi, le preferenze a
tavola, il modo di ragionare, l’abilità nel ferire
il prossimo, anche.
Condividevano gli stessi difetti ed entrambi ne erano più
che consapevoli.
Sia Loki
che Thor fremevano da tempo, premendo affinché il genitore
si risolvesse nello
scegliere il più degno tra loro. In questo modo, Asgard
avrebbe potuto iniziare
finalmente una nuova era. Da troppo tempo Padre Tutto governava
puntando a
conservare il suo potere anziché accrescerlo: si era fatto
cauto e andava
dicendo che il compito degli Æsir non era espandere i propri
commerci fino ai
confini dei Nove Regni e anche oltre né di raccogliere
– razziare – nuove
reliquie, ma di garantire la pace e la prosperità propria e
degli alleati. I principi
pensavano che questo ragionamento fosse un segno inequivocabile che il
loro
padre fosse stanco e troppo vecchio per governare. Di più,
era una decisione
egoista: Odino aveva avuto modo di sfogare la sua sete di conquista
combattendo
per una vita intera e fermandosi solamente dopo l’ultima,
terribile, guerra
contro re Laufey, quando già da molti anni ricopriva il
ruolo di sovrano e condottiero
ed era divenuto un genitore A loro, ai suoi figli che aveva tirato su
per
essere re, negava il piacere e il dovere di combattere semplicemente
perché lui
non amava più farlo. I due fratelli negli ultimi anni si
erano scontrati fin
troppo spesso con l’augusto e severo dio delle forche su
questa stessa questione:
scalpitavano per agire e venivano tenuti faticosamente a freno
dall’autorità
paterna. La dolorosa vicenda che aveva riguardato Sigyn, poi, aveva
esasperato
soprattutto l’animo di Loki, lasciando che
un’amarezza senza fondo gli
infettasse il petto. Per reclamarla e impedire che il suo destino
tremendo si
compisse era sceso fin dove le radici dell’Yggdrasill
traevano nutrimento.
Aveva dato prova di essere un maestro nell’uso del
seiðr, riuscendo a recitare
un incantesimo così oscuro e potente che persino Odino ne
era rimasto colpito e
spaventato. Di nuovo, non si era tirato indietro di fronte alla
necessità di
versare il proprio sangue per Asgard, seppure tutelandosi il
più possibile
grazie alla sua lingua svelta e arguta, ma tutto questo non era bastato
né a
sollevare Mjollnir né a essere degno agli occhi del suo re,
anzi. Sarebbe stato
meglio agire nell’ombra.
Da
quando Sigyn se n’era andata, Loki non l’aveva
più cercata né nominata.
Inizialmente, Thor si era sforzato di convincerlo a indagare meglio sui
motivi
di quella che a lui sembrava più una fuga che una decisione
ponderata con cura.
Si era persino offerto di aiutarlo nella ricerca: erano o no fratelli,
alleati,
amici? Loki, con la voce secca di chi non ammetteva repliche e il tono
deciso
che aveva rubato a Odino, gli si era avventato contro invitandolo a
farsi i
fatti propri. Lei – si era guardato bene
dal pronunciarne persino il nome
– non significava assolutamente niente. L’aveva
presa come ostaggio, un tempo,
ma lui non vestiva i panni del suo carceriere. Era libera di andarsene
quando e
come voleva. Ed era ciò che aveva fatto. Era seguita una
breve rissa da cui
entrambi erano usciti con qualche livido e un paio di ferite lievi.
Di tutto
questo, Balder il Buono aveva colto solo il desiderio di primeggiare
dei due
scaltri e scalmanati principi. Crescendo aveva scoperto di comprenderli
sempre
meno e, nonostante li cercò a lungo, non riuscì a
trovarli da nessuna parte. Immaginò
che avessero deciso di festeggiare l’imminente decisione a
modo loro, cimentandosi
in qualche impresa folle e pericolosa che sarebbe valsa loro il biasimo
e la meraviglia
di tutti. Non pensò a Sigyn né alla storia che la
riguardava e nemmeno alle
conseguenze che la scelta di un erede avrebbe causato a tutti loro.
Continua…
Amore,
quando ti diranno
Che
ti ho dimenticato,
e
anche se sarò io a dirlo,
quando
io te lo dirò,
non
credermi.
(Pablo
Neruda)
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici e Lettori,
Eccomi, finalmente!
Ullalà!
Siamo a un punto di svolta, ve ne
siete accorti? Il prossimo capitolo sarà anche PoV Sigyn, vi
avverto.
Allora, ricapitolando:
Loki voleva prendersi
come concubina l’ancella Sigyn. Lei aveva la scintilla, ma
meglio così. Odino
era d’accordo – sarebbe stato un sacrilegio, ma non
gravissimo: lei non aveva ancora
giurato. La rivelazione di Sigurdr porta tutto su un altro piano. Sigyn
è
totalmente intoccabile e la scintilla peggiora le cose ♥.
Lei ovviamente non sa
ancora niente di questo (nel passato) ed è concentrata su
ciò che sa. Scusate lo
spiegone, ma non avete idea delle fisime che mi sono fatta.
Vi ringrazio dal
più profondo del mio cuore
per aver listato/recensito la storia. Per voi un
clic può non essere
nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo. Bastano undici
parole o un clic
nelle liste per restituire un po’ della magia che la lettura
dovrebbe ispirare
a chi scrive.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi
crea conosce la gioia di sapere che la freccia scoccata verso il cielo
non è
caduta ai nostri piedi, ma ha colpito il cuore di qualcuno”
Per ulteriori info,
tante foto di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia
pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Ah, mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim
e il personaggio di Sigyn, tolto quello
che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Occhio che la settimana
prossima torniamo nel 1982: non mancate <3
A presto e grazie per
tutto l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
L’unica
cosa rimastagli di Sigyn era una sciarpa di seta che tratteneva ancora
il
profumo dolce della sua pelle. Loki l’aveva stretta tra le
dita valutandone la
consistenza alcune sere dopo che lei se n’era andata. Sedeva
stravaccato su una
poltrona, con le gambe allungate sopra un tavolino basso. Cercava un
trattato
di storia e il suo sguardo era caduto sulla stola sottile. Il primo
impulso era
stato quello di calpestarla, stracciarla, gettarla nell’ampio
camino dove
guizzavano le fiamme. Non gli riuscì, ma non osò
nemmeno accertarsi davvero se
quel pezzo di stoffa sapesse ancora di lei. Non desiderava rievocare il
suo
ricordo e sapeva benissimo che l’unico modo per liberarsi
definitivamente e per
sempre della sua ombra era cancellarla dalla testa. L’odore
di Sigyn sapeva
delle notti in cui il desiderio di possederla l’aveva
avvelenato tanto da
spingerlo fin sulla soglia della sua stanza o del tempio per fissare i
suoi
occhi grigi sgranati per lo stupore, le labbra schiuse e invitanti.
Serrò con
più forza le dita attorno a quel lembo d’eterea
stoffa rosa immaginando di
vederlo bruciare nel caminetto. Nella penombra rischiarata appena dal
fuoco ricreò
la scena nella sua mente mille volte – lui che lanciava la
stola tra le fiamme e
guardava la seta bruciare, distruggendo ogni traccia di lei, scacciando
via il
suo fantasma. Giurò che l’avrebbe fatto, ma chiuse
gli occhi e poggiò la testa
sullo schienale della poltrona. Era un bugiardo, dopotutto.
Le
sere erano trascorse una dopo l’altra, trasformandosi in
settimane e poi in
mesi. Era certo di non ricordare più che profumo avesse la
pelle di Sigyn –
bastava non pensarci e confonderlo con quello di un’ancella
che non le
assomigliava affatto o di Sif stessa e poi stordirsi con
l’idromele, le
battaglie e i viaggi. Nessuna delle sue amanti, però, si
svegliava e, non
trovandolo nel letto, lo raggiungeva sulla terrazza spazzata dal vento
per
cingergli i fianchi e posare la fronte sulla sua spalla.
La notte, certo, a volte lei tornava. Veniva a
reclamare le attenzioni
che lui si rifiutava di darle durante il giorno, quando la estrometteva
dai suoi
pensieri e scuoteva la testa per scacciarla dalla sua mente.
S’infilava negli
incubi che avevano per oggetto l’orrore che per lei, solo per
lei aveva
affrontato, incantevole ed eterea come la ricordava, sfacciata come era
stata
solo poche volte. Non la chiamava per nome nemmeno in quei momenti, ma
spesso
si svegliava con un sussulto e la sensazione di averla stretta tra le
braccia
fino a pochi istanti prima. Solo che Sigyn era perduta così
come era stata
intoccabile.
Un
principe come lui, che ambiva a sedersi sul trono di Odino, non avrebbe
dovuto
commettere un errore così plateale e assurdo, eppure non era
nella natura di
Loki pentirsi di qualcosa che aveva scelto di fare volontariamente.
Assumersi
la responsabilità di azioni decise in fretta apparteneva al
suo carattere fiero
e pragmatico di giovane uomo abituato a comandare armate. Di pirata che
non
sapeva accontentarsi dei tesori che già aveva e ne bramava
continuamente altri.
O desiderava per sempre quelli che le Norne avevano
scelto di negargli.
Si
sciacquò la faccia con l’acqua gelida del torrente
presso cui si erano
accampati. Thor stava dando da mangiare ai cavalli e, vedendolo
finalmente
sveglio, lo interrogò. “Quanto abbiamo? Tre
giorni?”
Loki
piegò le labbra in una smorfia tirata. “Non
più di due, temo.”
“Beh,
potresti raccontare che abbiamo trovato un grosso cinghiale a cui dare
la
caccia,” propose l’altro. “Non sarebbe la
prima volta.”
Sul
viso affilato dell’ingannatore si affacciò un
mezzo sorriso. “Poi dovremmo scovarne
davvero uno. O dire che ce lo siamo fatti scappare.”
Thor
alzò le spalle. Il problema non lo riguardava –
come era possibile non riuscire
a cacciare un animale da esibire come trofeo?
– e, grazie alla sua immensa tracotanza e alla smodata
fiducia in se stesso, era
sempre portato a credere che il fato filato per lui fosse pieno
solamente di
occasioni fortunate, fatte apposta perché le cogliesse.
L’atteggiamento di Loki
gli risultava spesso sgradito, perché il fratello, al
contrario suo, agiva
sempre con una circospezione ragionata e selvatica al tempo stesso.
Rifletteva
su ogni possibile variabile ed era sempre pronto a frenarlo,
individuando tutte
le falle e i pericoli presenti nei suoi piani spesso azzardati.
L’ingannatore
non era pavido, anzi: in più di un’occasione le
sue trovate erano state
giudicate molto più che folli e audaci e, per Thor, non
esisteva un compagno
d’avventure migliore di lui, anche se non aveva nessuna
intenzione di
dirglielo. Il fatto era che Loki, prima d’agire, doveva
valutare ogni potenziale
rischio. La sua cautela era indispensabile affinché i colpi
di testa di Thor
non generassero disastri giganteschi: si erano trasformati in una
squadra
perfetta – o lo erano stati da sempre, abituati
com’erano a giocare insieme
prima, a combattere l’uno al fianco dell’altro poi.
“Ci
penseremo quando sarà tutto finito,”
liquidò la questione Thor.
Loki
si avvicinò al suo cavallo carezzandogli il muso e cogliendo
l’occasione per
rimettergli la sella. “I corvi di nostro padre ci hanno
già intercettati.”
“Ma
Heimdall ci coprirà. E questa sembra, a tutti gli effetti,
una battuta di
caccia. Lo hai detto anche tu.”
Loki
si voltò nella sua direzione e annuì
impercettibilmente.
La
sera prima erano entrambi più che brilli quando aveva fatto
il suo ingresso il
messo proveniente da Vanheim. Scherzavano e ridevano prendendosi in
giro,
accaldati per il troppo idromele ed esaltati da una notizia che
attendevano da
anni, ma che, forse, non li avrebbe stupiti. L’inatteso
straniero era un uomo
piccolo, basso e tarchiato, vestito modestamente nonostante il rango,
che prima
di porgergli rapidamente una pergamena arrotolata li aveva scrutati con
un
misto di odio e rispetto. Vedendo il sigillo, Loki aveva inarcato un
sopracciglio
sorpreso; gli era fin troppo noto, perché il suo studio
aveva pullulato per
anni del medesimo timbro in ceralacca. L’idromele aveva
improvvisamente smesso
di fargli girare la testa e si
era
ritrovato, lucido e con un sudore gelido a scorrergli lungo la schiena,
a
chiedersi perché. Mandò via
il messaggero con un cenno del capo e quello
fu ben felice di assecondarlo, non prima, però, di avergli
lanciato un’altra
occhiata in tralice che non lo stupì particolarmente. Lingua
d’Argento sapeva
di portarsi dietro una fama nera; se ne faceva un vanto, crogiolandosi
all’idea
d’incutere rispetto e terrore nei suoi avversari. Veniva
guardato con sospetto
perché era troppo abile col seiðr e per quella
capacità spaventosamente
efficace di rigirarsi in bocca i discorsi piegando al suo volere re e
imperatori. Facevano paura la rapidità con cui maneggiava le
sue lame affilatissime
e la violenta precisione dei suoi fendenti. Anche la sua ferocia in
battaglia
era ben nota, perché si mischiava con una sagacia lupesca
che raramente
lasciava scampo. Non brillava della stessa luce di Thor, ma nei Nove
Regni gli
venivano riconosciuti molti meriti, forse più che ad Asgard.
Qui, gli evidenti
difetti sembravano offuscare le ben note virtù. Loki era
troppo subdolo,
sfacciato ed eccessivamente dedito allo studio delle arti magiche, ma,
soprattutto, spesso agiva in maniera efferata, come quando aveva
corrotto
un’ancella facendola diventare la sua amante.
Anche
Thor, accanto a lui, aveva riconosciuto lo stemma inciso.
“Che aspetti ad
aprirla?”
“Io e
Sigurdr non abbiamo questioni irrisolte,” era stata la
risposta decisa
dell’ingannatore, pronunciata guardando diritto davanti a
sé.
“Potrebbe
riguardare lei. O tutti noi.” La mano di
Thor si era posata sulla sua
spalla, trasmettendogli una stretta fraterna che voleva essere
d’incitamento o
storpiarlo, a seconda dei punti di vista.
“Fratello,” proseguì il tonante,
“non
pensare nemmeno di andarti a rifugiare in qualche anfratto per leggerla
da solo.”
L’ingannatore
si tese. Non desiderava che l’altro fosse presente nel
momento in cui avrebbe
rotto lo stemma, ma sapeva che sarebbe stato complicato e pericoloso
liberarsene.
Se solo quel messo idiota avesse avuto la delicatezza di attendere che
fossero
a tu per tu, prima di dargli la missiva, avrebbe potuto leggere con
calma. E
decidere. Agire per proprio conto non gli dispiaceva, anzi: gli
consentiva di
muoversi liberamente senza che nessuno lo giudicasse o si mettesse in
testa di
contraddirlo od ostacolarlo. “Hai mai sentito parlare di
corrispondenza
privata?” sibilò.
“Loki,”
l’avvertì Thor abbassando di un tono la voce.
“Non ho voglia di rimediare alle
tue cazzate.
Non stasera.”
“Le mie
cazzate!?” L’ingannatore stirò le labbra
in un sorriso feroce e privo di
divertimento per poi irrigidirsi. “Stiamo davvero parlando di
ciò che faccio
io, Thor?” domandò avvicinandosi. “Chi
è incapace di controllarsi, a chi ho
dovuto salvare la vita solo una settimana fa? Rammentamelo, te ne
prego,”
concluse sarcastico.
“Chiudi
quella bocca,” lo zittì Thor spazientito.
“Perché rifiuti il mio aiuto, adesso?
Sono stato sempre dalla tua parte.”
Loki
incassò male l’ordine e, forse, anche il
rimprovero che sapeva d’ingratitudine.
Contrasse la mascella e puntò addosso all’altro il
suo sguardo verde e
insolente. “Ti atteggi già a re di
Asgard?” domandò con una calma che celava a
malapena il fastidio.
Il
dio del tuono non lasciò che il tono beffardo
dell’ingannatore lo scalfisse. “A
possessore di Mjollnir, a fratello maggiore.”
Lo
conosceva da tutta la vita. Ricordava
l’origine del suo ghigno e il suono della sua voce quando non
era ancora roca e
maschile. Non colse, però, la scintilla ferina che
illuminava gli occhi
dell’altro sempre più spesso – un
giorno, incrociando le sue armi con quelle
del fratello, l’avrebbe vista, scoprendo un’ira che
Loki era stato bravo a
celare o, forse, lui non aveva scorto nonostante l’evidenza.
Non sarebbe mai
riuscito a sciogliere tale dubbio, ma quella sera
l’ingannatore era ancora
l’alleato migliore che avesse mai avuto e nessun sospetto gli
velò il cuore,
anzi. Era irritato. Agire da solo era sciocco e rappresentava una
perdita di
tempo inutile.
Loki
scosse la testa e alzò il mento quasi volesse sfidarlo.
“Non ho bisogno del tuo
aiuto,” decise.
“Ah
no?” Il primo figlio di Odino incrociò le braccia
al petto. “Non è strano
ricevere una lettera col sigillo di Vanheim proprio oggi!?”
L’altro
proruppe in una risata fredda e canzonatoria. “Hai
paura?”
“E tu
credi nel caso?”
“Allora,
se ci tieni, aprila e leggila pure,” si stizzì
Lingua d’Argento. “Con quel gran
bastardo di Sigurdr non ho niente a che spartire, te lo
ripeto.” Con un
movimento rapido delle belle dita di mago, Loki ruppe il timbro e porse
la
pergamena arrotolata al fratello.
Thor si
mise a leggere e, dopo un minuto interminabile di silenzio, gli
allungò la
missiva. “Riguarda te.”
Il
dio dell’inganno deglutì e con gli occhi scorse
rapidamente le righe scritte
con una grafia rotonda, alta e pomposa. Sugli ultimi paragrafi si
soffermò per
più tempo, quello che bastava a valutare il da farsi mentre
s’inumidiva le
labbra sottili. “Stasera tutti festeggiano, compreso nostro
padre. Partirò
immediatamente, nessuno ci farà caso. È un ottimo
momento per andare a caccia,”
l’avvisò lentamente.
Thor
si passò una mano tra i capelli e masticò
un’imprecazione. “Verrò con te.
Sarà
più plausibile. E poi, forse potrebbe servire un chiamate
aiuto.”
Loki
scosse il capo senza rispondere nemmeno alla battuta
dell’altro. Thor credeva
che la sua sola presenza sarebbe bastata a risolvere ogni cosa.
Riteneva che
evocare folgori e dare pugni a destra e a manca fosse la chiave di
tutto.
Credergli era facile: non si era mai stupito che i Tre Guerrieri e
tutti i capi
delle armate Æsir lo considerassero il giusto successore di
Odino e vedessero
naturalmente nella sua figura una guida. Per trascinare le folle lui
doveva
parlare, convincere, irretire, ammaliare. A Thor bastava esistere e
mostrare
con quanta abilità riusciva a far volare un tronco
più lontano di tutti.
Assottigliò le palpebre come se volesse metterlo a fuoco:
perché voleva accompagnarlo?
Per ricoprirsi ulteriormente di gloria e proteggere lui, il fratellino
furbo e
dalla lingua lunga? Perché non credeva che, da solo, ce
l’avrebbe fatta? O per
tenerlo d’occhio in nome di una primogenitura capace solo di
mettere in evidenza
quanto Thor fosse un principe arrogante, eccessivamente spavaldo,
cocciuto e
incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse il lanciarsi a testa
bassa contro
i propri avversari? Loki non rispose né a se stesso
né al fratello. S’incamminò
lungo i solenni corridoi del palazzo seguito dall’altro. E
lui, che difetti
aveva lui? Era degno di succedere a Padre Tutto? Non era ugualmente
arrogante e
sfacciato, come tutti gli Æsir? Non desiderava primeggiare,
esattamente come
Thor? Non si faceva beffe dei suoi avversari, non incantava i suoi
interlocutori con un’efficacia spaventosa? Gli Æsir
non cantavano con
soddisfazione le sue gesta, non ridevano orgogliosi rievocando i
trucchi
abilissimi con cui aveva contribuito a rendere Asgard grande? Gli
tornò in
mente Sigyn, quando arricciava le labbra e scuoteva la testa dicendogli
che sì,
lui era davvero il principe di un popolo di pirati arroganti e
antipatici e
poi, di seguito, il sorriso di lei, aperto, solare, largo. E le labbra
morbide
e i capelli d’oro.
“Noi
siamo i grandi principi degli Æsir. Combatteremo insieme
anche questa volta,”
gli mormorò Thor fiero e soddisfatto, bramoso di dimostrare
una volta di più la
sua potenza.
“Ma
certo,” rispose Loki distante, con la mente già
altrove.
Erano
partiti subito dopo, cavalcando quasi tutta la notte e concedendosi
solamente
qualche breve ora di riposo prima dell’alba. Il viaggio si
era svolto perlopiù in
silenzio, come se l’oscurità e
l’idromele avessero seccato i palati di
entrambi. Loki era per sua natura loquace – spesso fin troppo
– e adorava
punzecchiare il fratello; in un altro momento, l’escursione
notturna sarebbe
stata l’occasione ideale per una serie di scherzi e
battutacce, ma la lettera
di Sigurdr gli aveva messo addosso un malumore palese ed evidente. Solo
al
mattino, dopo che i corvi di Odino li avevano individuati con i loro
occhi
piccoli e neri, i due principi avevano ripreso il discorso interrotto
la notte
precedente ragionando sul da farsi.
“In
effetti, la nostra è una caccia. Quel vecchio impiccione di
Heimdall non avrà
nemmeno bisogno di mentire a Odino,” osservò
acutamente Loki finendo di
stringere la sella. Montò a cavallo con un movimento fluido
e spronò l’animale
con un colpo deciso dei talloni.
“Piantala
di avercela con lui,” lo redarguì il dio del tuono
infilando uno stivale nelle
staffe.
L’ingannatore,
già partito al trotto, si voltò increspando le
labbra in una smorfia. “È lui
che dovrebbe piantarla di avercela con me.”
“Se
fossi meno bugiardo, calcolatore e infido,” ribadì
Thor, “o gli tirassi qualche
scherzo in meno e, soprattutto, se non cercassi sempre
di agire per
conto tuo, di nascosto... beh, allora forse…”
“Se
ho agito da solo è perché non potevo fare
altrimenti,” fu la replica secca di
Loki.
Il
primo figlio di Odino si voltò verso il fratello seguendone
il profilo diritto.
“Non volevi che lo sapesse perché era un piano
assurdo.”
La
risposta fu accompagnata sfoggiò un sorriso sbieco eppure
luminoso. “Non lo
sono sempre tutti?”
Un
appuntamento segreto non poteva che svolgersi in un luogo defilato,
posto
possibilmente a metà strada tra due regni.
Ásaheimr era un susseguirsi di
fiordi da cui spuntavano montagne imponenti dalle cime perennemente
ricoperte
di neve, piantate nel terreno come fossero i denti del gigante Ymir
– e così,
in effetti, recitavano le antiche leggende; una volta, Loki aveva
ironizzato
sul fatto che costui dovesse avere un’arcata veramente
mostruosa, per aver
creato le catene di cui erano ricche soprattutto le terre degli
Æsir, degli
Jotnar e, in misura minore, dei Vanir.
Aveva peggiorato la cosa beffandosi dell’aspetto
probabilmente grottesco e
spaventoso della figura mitica. Era stato irriverente e Odino lo aveva
punito,
ma lui non si era pentito affatto – non ritrattava mai niente
di ciò che usciva
dalle sue labbra sottili e beffarde, preferendo convincere i suoi
interlocutori
a dargli retta alla luce di nuove considerazioni, che a ignorare quanto
detto
in precedenza. Il cielo era grigio: uno specchio d’argento
che si rifletteva
nel mare stretto tra le scogliere e le montagne, puntellato dal verde
cupo
degli abeti che arrivavano fin quasi alla rena. Thor disse che nel giro
di
qualche ora sarebbe piovuto. Loki registrò la bellezza
offerta del fiordo e la
sua imponenza, ma senza dimostrare alcuna enfasi evidente. I suoi occhi
mobili
e verdi parevano catturati principalmente dalla struttura circolare di
fronte a
lui, alta e massiccia Erano a diverse miglia dal confine settentrionale
con
Vanheim; per raggiungerne la capitale avrebbero fatto prima a usare il
Bifrost
o a intraprendere la via del mare, come fatto anni prima.
I
figli di Odino videro due uomini completamente avvolti nei loro
mantelli di
lana avvicinarsi a loro. Il più alto si tirò
giù il cappuccio che gli copriva
il volto. Era Sigurdr. Il suo aspetto tradiva le preoccupazioni, il
dolore e
l’orrore che lo avevano segnato negli ultimi anni, ma Loki,
osservandolo, non
provò alcun tipo di pietà. Il suo petto era
carico solo di rancore e, di
questo, non se ne stupì affatto. Il padre di Sigyn si era
tramutato in un
vecchio stanco, segno tangibile di come l’effetto dei pomi di
Iðunn scemasse di
fronte alla sofferenza.
Ma il Vanir era il solo e unico responsabile della propria sventura. Lo
sapeva
il principe di Asgard come lo sapeva l’uomo di fronte a lui.
Negli occhi di
Sigurdr non c’erano gioia o sollievo: nonostante nella sua
lettera avesse
pregato l’ingannatore di raggiungerlo, la sua vista gli era
intollerabile. E l’Ase
non si aspettava niente di meno.
“Speravo
che mi avresti ascoltato,” gli confessò
l’uomo con una voce mesta che non
apparteneva al ricordo che il dio dell’inganno aveva di lui.
“La
mia è perlopiù curiosità,
Sigurdr,” sostenne severo Loki. Lo squadrò da capo
a
piedi con malcelato disgusto. “Il tempo non è
stato clemente con te, vecchio,”
notò crudele.
“Stavolta
dici il vero,” ammise l’altro. “Ma non
è per me che siamo qui.”
L’ingannatore
non replicò. Sollevò il mento come se volesse
sfidare l’antico alleato, mentre
Thor prendeva la parola al posto suo. “Spicciati. Dicci
perché hai scritto.”
“Le
mie figlie servono gli Antenati in questo tempio,”
spiegò Sigurdr. “Tutte.
Anche Sigyn.”
Loki
non mostrò alcuna reazione. Il nome di lei gli
scivolò sulla pelle come se non
significasse nulla. Quando prese la parola sotto lo sguardo attento del
fratello e del Vanir lo fece con una tranquillità
spiazzante. “Ma è quello per
cui è nata, a sentire te. Perché mi dovrebbe
riguardare, come mai mi hai
chiesto di provvedere?”
Il
vecchio sospirò. “Le ancelle vivono possedendo lo
stretto indispensabile. Non
hanno a loro disposizione beni né ricchezze. È
grazie alla carità altrui se
possono servire gli Antenati.”
“Lo
so. Io le chiamerei donazioni, piuttosto,” lo interruppe Loki
girandogli
attorno come un lupo con la preda. “Fatte dalle famiglie che
provvedono
ampiamente a mantenere anche all’interno di questi presunti
luoghi di povertà e
penitenza uno stile di vita a volte principesco. Mi sbaglio? Non
è forse vero
che le ancelle più anziane e ricche vivono circondate dagli
agi? I loro vestiti
hanno forme e colori mortificanti, ma sono fatti di velluto e con le
lane più
pregiate. Ostentano una povertà inesistente,”
terminò con una smorfia.
“Le
abitudini secolari spesso entrano anche nel mondo spirituale,
sì,” ammise
Sigurdr.
La replica
dell’Ase fu una risata canzonatoria. “Ma
c’è ben poco di spirituale, qui.”
Il
Vanir s’incupì e raddrizzò le spalle
fino a quel momento curve. Chiamare lo
sfacciato figlio di Odino per chiedergli quel tipo di aiuto era
un’umiliazione
che aveva tentato fino all’ultimo di evitare. Era convinto
che Loki avesse
accettato d’incontrarlo solo per il piacere sottile di
vederlo piegarsi e
supplicare, come già era stato costretto a fare in passato.
“Quanto ancora vuoi
allungare la lista dei tuoi sacrilegi, principe di Asgard? Siamo qui
perché tu
hai profanato ciò che apparteneva agli Antichi.”
“Oh,
di molto,” ghignò l’Ase divertito
stirando
le labbra sottili e perfide, “se fosse utile a qualcosa,
brucerei fino alle
fondamenta questo posto orrendo.”
Sigurdr
s’irrigidì terrorizzato. Aveva riconosciuto la
verità nel tono fintamente ilare
dell’altro. “Sarebbe un altro dei tuoi gesti
sconsiderati.”
L’ingannatore
provò un piacere evidente nel vedere la paura velare gli
occhi del Vanir. “Lascia
che ti dia un consiglio, vecchio mio. Bada a ciò che hai
fatto tu. Cosa
c’entro io con le ipocrisie di un culto che serve solo a
schiavizzare delle
ragazze?”
“Sigyn
vive qui, ma la sua esistenza è più povera e
misera delle sue compagne. Non
recupererà mai il prestigio che aveva quando l’hai
portata via. È impura, è
stata la tua amante e ne pagherà per sempre le conseguenze.
Tutto ciò che posso
versare per lei viene incamerato in offerte volte a placare gli
Antenati. L’inverno
vicino al confine è lungo e rigido. Hai commesso un
sacrilegio per cui non
esiste il perdono. E lei… lei non ti scriverà mai
per chiederti aiuto.”
Loki
incrociò le belle mani di mago dietro la schiena. Non
pensò alla decisione di
Odino di cui, in fondo al petto, forse conosceva già la
risposta né alla stola
di seta chiara. Una pioggia sottilissima e fastidiosa iniziò
a cadere su tutti
loro.
“Questo
avete fatto alla scintilla? Voglio una
prova che lei è qui.”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
I miei
piani variano di minuto in minuto, come quelli di Loki. Perdono!
Anzitutto,
sono in fibrillazione/estasi/paura/terrore per la nuova serie su Loki
(l’ho condivisa
ovunque, sia su fb che su Twitter. Seguitemi ♥, ho lo stesso
nome.
Poi, una
parola sul capitolo: siamo ancora nel momento presente, in cui Loki e
Thor si
dileguano da Asgard dopo la notizia dell’imminente
incoronazione. La scena era
troppo lunga per inserire la parte relativa al passato, ma non temete:
ci sarà
occasione molto, molto presto.
Vi ringrazio
dal più profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per
voi un clic può non essere nulla, ma per
un’Autrice significa tantissimo.
Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire un
po’ della magia
che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive. Non vi mangio e sono
quasi le
due di notte. Posto a quest’ora, ebbene sì (domani
mattina rileggerò sperando
di non aver scritto aberrazioni).
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Abbiate pietà che sto postando
nel cuore della notte e dormirò circa cinque ore. Vi giuro
che le prossime sono
“Tesori” e “Accordo.”
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
“Se
la incontrassi, le faresti del male. Di nuovo,”
sentenziò Sigurdr torvo. La
pioggia continuava a cadere insistente e leggera, fastidiosa e gelida.
Loki
gli puntò addosso i suoi occhi lupeschi. “Mi stai
chiedendo dell’oro,”
puntualizzò a denti stretti. “Oro per aiutarla,”
proseguì, ma in gola
aveva un’altra parola, una che l’avrebbe ferita
mortalmente e che la sua mente
acutissima e scaltra aveva comunque pronunciato.
“Davvero pensi di
potermi chiamare e pretendere che non mi accerti con i miei occhi della
situazione?”
“Sei
responsabile di quanto le è successo.
L’hai portata via da me, dalla sua famiglia, dal suo
destino,” ricordò il
vecchio con una voce bassa e cantilenante, segno inequivocabile di come
avesse
pronunciato quella stessa invettiva un numero infinito di volte
– dal giorno in
cui Sigyn era salita sul drakkar degli Æsir con ancora
l’abito rosso del
banchetto indosso.
Loki
scattò verso Sigurdr con un gesto rapido e violento, tanto
inaspettato che il
Vanir non fece in tempo nemmeno a cacciare un grido.
L’ingannatore lo aveva afferrato
per una spalla e stordito con un colpo al fianco capace di mozzargli il
respiro, per poi tirargli i capelli affinché esponesse la
gola pulsante. Su quella
premette l’affilatissima lama di un pugnale.
“Tieni
a freno il tuo odio per me, vecchio,” sibilò.
“Hai osato pensare che io, Loki
di Asgard, fugga dalle mie responsabilità? Sono il figlio di
Odino, non uno
qualunque dei tuoi patetici Vanir.” Fece una pausa, ma senza
lasciar andare
l’uomo. “È viva grazie a me.”
Immobilizzato,
Sigurdr provò a cercare con lo sguardo Thor. Il principe era
accigliato, ma pur
intuendo le intenzioni del fratello fino ad allora non aveva fatto
nulla per
fermarlo, e non c’era da stupirsi per questo. Lui sapeva ogni
cosa e,
nonostante disapprovasse, aveva seguito Loki fino in fondo,
rifiutandosi di
abbandonarlo. Erano una squadra. “Basta così,
fratello,” intervenne il dio del
tuono. “Sigurdr, non puoi chiedere il suo aiuto senza una
garanzia. Noi figli
di Odino siamo pronti a prenderci ogni responsabilità, ma
non siamo degli
idioti.”
Loki
non liberò immediatamente Sigurdr. Lottò contro
l’impulso di premere più a fondo
la lama e vendicarsi dell’uomo; sarebbe stato piacevole
vederlo soffocare nel
suo sangue zampillante e osservarlo morire. Dovette compiere uno sforzo
immane
per lasciarlo andare – non era nella sua natura inquieta quel
tipo di clemenza
e della sua ferocia incontrollabile era cosciente da tempo. Da quando
Thor,
l’impulsivo e guerrafondaio Thor, a volte lo scuoteva per il
braccio dicendogli
che era inutile infierire. Era come se il caos di cui era portatore lo
avviluppasse a sé, ghermendolo e scatenando una furia che, a
mente fredda, a
volte Loki stesso trovava spaventosa.
Forse
era per questo che non era ancora degno di succedere a Odino; suo
fratello, per
quanto ugualmente spavaldo e molto meno razionale, non trascendeva mai
laddove
lui oscillava verso l’oscurità. Un giorno non
sarebbe più riuscito a
trattenersi e la sua ira sarebbe stata totale, mescolandosi a
un’inquietudine
che alcuni avrebbero liquidato come follia, ma che in realtà
aveva origini più
dense e oscure e complesse.
Deglutendo
mollò la presa e diede uno spintone al vecchio per
allontanarlo da sé. “Facci
strada,” ordinò.
Sigurdr
gli rivolse un’occhiata carica di odio, paura e di
un’accusa che l’Ase non
volle leggere. Con le dita nodose si massaggiò il collo e la
spalla rialzandosi
a fatica, per poi incamminarsi con passo malfermo vero le mura del
tempio, seguito
a breve distanza dai due figli di Odino.
Thor
mise una mano sulla spalla del fratello. “Credi che
incontrarla sia una buona
idea?” mormorò facendo attenzione che il Vanir non
lo udisse.
Loki
piegò le labbra in una smorfia amara. “Vederla.
Non incontrarla. Ha scelto.”
Il
dio del tuono annuì e tramutò la stretta in una
pacca fraterna sulla schiena: un
gesto d’incoraggiamento che voleva dire molto più
dei bei discorsi cui non era certo
avvezzo – sono qui, dalla tua parte, non ho
dimenticato.
Il
tempio era stato costruito senz’altro dai giganti di
ghiaccio, in uno dei rari
momenti di pace tra loro e gli Æsir. Loki ne
osservò le volte a sesto acuto
sfiorando con lo sguardo la lavorazione dei capitelli, lo stato di
conservazione degli affreschi stratificati gli uni sopra gli altri.
Registrava
dettagli, individuando nelle figure sbiadite le storie raccontate sulle
volte e
sulle immense pareti che li circondavano. Ostentava una rilassatezza
che non
era altro se non una maschera indossata ad arte, capace di ingannare
tutti
tranne Thor: a lui non sfuggirono il volto tirato e la mascella
contratta, né
gli occhi mobili e guardinghi del fratello. Il nervosismo del primo
figlio di
Odino era evidente. Riteneva giusta la posizione di Loki, ma varcare le
porte
della costruzione era una pretesa che puzzava di profanazione. Erano
lì per
osservare e accertarsi che Sigyn non fosse morta da un pezzo,
d’accordo, ma
preferiva l’azione all’esplorazione e tutta quella
faccenda lo innervosiva: un
conto era combattere contro mostri, giganti, eserciti, troll o un
insieme
variegato di tutte queste cose, un altro era immischiarsi in faccende
di magia
e di mistero. Giunsero in un’immensa sala riccamente decorata
e più sontuosa
delle altre: ovunque c’erano candelabri in bronzo alti come
un uomo e reliquie
contenute in magnifiche teche di cristallo e bronzo. L’aria
era satura
dell’odore intenso della cera, dell’incenso e di
qualche altro intruglio che
veniva bruciato. I due Æsir occhieggiarono incuriositi in
direzione dei tesori
– erano pur sempre pirati, dopotutto, ma la loro attenzione
fu presto catturata
dalla figura di un uomo che avanzava deciso verso di loro. Per un
momento,
l’unico rumore distinguibile fu quello dei loro passi che
rimbombavano sul
marmo rosso come le pareti; una strisciante sensazione di pericolo
percorse la
schiena di entrambi. Avevano consegnato ogni arma
all’ingresso, ma il dio del
tuono era assolutamente certo che il fratello si fosse casualmente
dimenticato qualche pugnale addosso. Scommise che lo nascondeva nello
stivale.
Nel momento in cui
l’uomo li aveva quasi raggiunti, aprì le mani
rivolgendo in alto i palmi. Loki
assottigliò le palpebre, valutandolo con un dispetto a
malapena celato. Thor
comprese immediatamente il perché e fu scosso dallo stesso
brivido che tese i
muscoli dell’altro. Ecco il proprietario del
serraglio. I capelli completamente
bianchi e le sottili rughe che gli incorniciavano lo sguardo rendevano
difficile
stabilire la sua età, mentre l’aspetto ascetico
non celava la forza palpabile unita
a una personalità volitiva. L’abbigliamento
sontuoso, composto da una lunga tunica
di broccato finemente decorata e un mantello di pelliccia fulva, era un
chiaro
indizio della sua posizione all’interno del tempio.
“Ecco
i coraggiosi figli di Odino,” sorrise loro. “Sono
Kalfr, il custode degli
Antenati,” si presentò.
Sigurdr,
che era un passo avanti a loro, si chinò a terra fino a
toccare con la fronte
il pavimento di marmo, ma i due Æsir non lo imitarono.
“Ecco
il padrone di casa,” esordì invece Loki con una
nota ilare e giocosa che
contrastava col suo ghigno sbieco.
“Siamo
qui perché Sigurdr ci ha chiesto aiuto per sua figlia
Sigyn,” spiegò Thor
prendendo la parola. “Vogliamo solo accertarci che stia
bene.”
“La scintilla
sta bene. Questa è la sua casa,”
sospirò Kalfr con un sorriso. “Quella in cui
avrebbe
dovuto vivere senza che gli affari del mondo la turbassero,”
osservò fissando Lingua
d’Argento.
“Se
non fossimo intervenuti sarebbe morta,” ricordò
l’ingannatore.
“Sigurdr
ha senz’altro sbagliato nello stringere un patto
così orrendo,” concesse il
monaco. “Le sue azioni hanno provocato dolore – ho
pregato a lungo gli Antenati
affinché aveste pace.”
Il
principe cadetto fremeva. “Ne siamo lusingati.
Dov’è lei? Voglio vederla.”
“Sigyn
vive una vita di meditazione, preghiera ed espiazione. Incontrarti la
turberebbe.”
Thor
lanciò un rapido sguardo al fratello. L’ostentata
calma di Loki lo impensieriva.
Si trattava di una maschera tenuta saldamente su da un sorriso beffardo
e
appena accennato, pronto però a esplodere in una risata
sarcastica e cattiva.
Lo vide scoprire i denti bianchi e regolari e allargare le braccia in
un gesto
conciliante e sicuro rubato a Odino in persona.
“Lo
immagino,
ma ho portato da Asgard un sacco pieno di oro e di gemme, Kalfr. Per
lei.”
Gli
occhi scuri dell’altro fissarono la bisaccia colma che
l’Ase si era slacciato
dalla bandoliera valutandone a mente il peso.
“Tu
non la stai salvando,” precisò. “Rimedi
alla profanazione che hai fatto,
principe. Apprezzo la tua buona volontà,
tuttavia.” Kalfr corrugò la fronte ed
emise un lungo sospiro. “Potrai vederla e parlarle attraverso
la grata, come
tutti gli ospiti. La manderò a chiamare e dopo andrete
via.”
“Ti
aiuterei volentieri a spaccare ogni pietra di questo posto,”
ammise Thor per
spezzare la tensione e dimostrare al fratello una vicinanza che non era
solo
fisica, ma anche d’intenti.
Loki
gli rivolse un’occhiata rapida e attenta. “Continuo
a sostenere che sarebbe uno
spettacolo magnifico,” sibilò tetro. “Ma
dubito che nostro padre ne sarebbe
contento.”
Il
parlatorio era a pochi passi da loro, in un locale spoglio cui si
accedeva
passando per un lungo corridoio, affrescato con cupe danze macabre
volte a
ricordare come anche gli Æsir fossero destinati a morire.
Alcune figure
apparivano scrostate, altre fissavano i due giovani principi con le
loro pupille
senza luce dai colori sbiaditi. Scheletri abbigliati come guerrieri e
principi
e regine ballavano in eterno sbeffeggiando i vivi e ogni loro desiderio
terreno, conquista, sogno. L’ingannatore ne studiò
i volti uno per uno, annotando
mentalmente tutti i dettagli che avrebbero permesso una corretta
interpretazione dei soggetti raffigurati come il colore
dell’abito, le rune che
decoravano una particolare spada, le armi impugnate, perdendosi per un
momento
nell’intrico di figure rovinate. Con gli occhi cercava anche
le tracce di una
profezia antica: una contro cui si era scontrato e che gli aveva
strappato via
un pezzo d’anima, lasciandolo esposto e furioso, preda di
visioni e incubi. E
lui non era – non poteva essere
– vittima di niente, neanche dell’orrore
inenarrabile che si annidava tra le radici marcite
dell’Yggdrasill. Era il
figlio di Odino nato per essere re e comandare. Eppure, le figure
rappresentate
negli affreschi continuavano a fissarlo con le loro espressioni
indecifrabili
piatte e immobili, con i loro visi più lunghi di quanto non
avrebbero dovuto
essere. Cacciò
via una serie di pensieri
scomodi giusto in tempo per prestare attenzione a Thor.
“Non
c’è nessun piano, nemmeno uno dei tuoi
trucchi?” l’incalzò quello. Il tonante
sperava,
dentro di sé, che il fratello si liberasse dalla tensione
che gli gravava sulle
spalle sempre diritte e regali, rivelando la gelida furia che a volte
gli
scintillava negli occhi verdi.
“Ha
scelto d’andarsene,” rispose invece
l’ingannatore con voce secca e fare
spiccio. “E non sono qui per rimangiarmi quanto le ho detto.
Salvarla non è nei
programmi – l’ho già fatto una
volta.”
“Loki,
avanti, non crederai che…”
“Non
ci provare,” l’avvertì Lingua
d’Argento. Si era fermato e aveva parlato con un
tono basso, roco, privo di qualunque vena divertita o giocosa, carico,
invece,
di una nota sinistra, come le sue pupille chiarissime. Non era certo la
prima
volta che Loki si rivoltava in tal modo contro il primo figlio di
Odino, anzi. Accadeva
sempre più spesso, ogni volta che il dio del tuono, forte
della sua
primogenitura e dei diritti che gli derivavano da Mjollnir, lo
ammoniva,
contraddiceva o gli intimava di stare al suo posto e di chiudere la
bocca. Suo
fratello mal tollerava ricevere ordini in generale, da lui in
particolare. In
battaglia o nelle situazioni di pericolo erano capaci
d’intendersi con uno
sguardo soltanto, ma quella connessione spettacolare era figlia di uno
scontro
perenne, fatto di affetto, competizione, rivalsa e molto altro ancora.
Erano
uniti da un legame complicato e strettissimo, che spesso doveva trovare
il suo
sfogo in una serie di litigate violente e feroci che si concludevano
davanti a
un paio di corni d’idromele con le nocche spaccate, qualche
contusione sparsa e
un paio di lividi piuttosto evidenti.
Il
fatto era che Loki non gli riconosceva naturalmente alcun ruolo
specifico e non
dava per scontato che Thor dovesse essere il capo della combriccola: da
sempre
lo sfidava, lo punzecchiava, ignorando totalmente qualsiasi tipo di
autorità,
facendo fin troppo spesso di testa propria. Adorava combattere con lui
e
partecipare alle sue avventure, ma da pari. Se l’altro voleva
circondarsi di
una banda di adulatori e fare lo spaccone, che facesse pure.
C’erano Sif o
Fandral o Hogunn per questo. Con lui se lo poteva scordare.
Così
come Lingua d’Argento riconosceva i limiti caratteriali del
fratello, neanche a
Thor sfuggivano i suoi molti ed evidenti difetti, primi tra tutti
l’orgoglio e
l’insana abitudine a voler sempre raggirare il prossimo. Fu
tentato di scaraventarlo
al muro e spaccargli la faccia, ma riuscì a trattenersi: in
fondo, il male che,
presto, Loki avrebbe inferto a se stesso sarebbe stato peggiore di
qualsiasi
pugno sul naso.
“Fai
quello che ti pare, idiota insolente,” decise.
Così lasciò che il fratello lo
superasse per raggiungere, finalmente, la sala troppo ampia dove
avrebbe
incontrato Sigyn. Una più spoglia, con i muri dipinti di un
color ocra sbiadito
e l’intonaco rovinato, avvolta in una penombra opprimente e
fastidiosa.
L’ingannatore
aggrottò la fronte: l’ambiente era diviso a
metà da una fitta grata e il rumore
sordo che facevano i suoi stivali calpestando il pavimento gli
suggerirono che
ogni sospiro o parola scambiati con l’ancella sarebbero stati
amplificati
dall’acustica della stanza. Lei ancora non c’era.
Loki si fermò a pochi passi
dalla fitta rete di ferro e guardò verso la porticina da
dove l’avrebbe vista
comparire. Fu tentato di dirle perché Sigurdr lo aveva
chiamato. Assaggiò
ognuna delle frasi da rivolgerle come si trattasse di un buon sorso
d’idromele,
pregustando il sarcasmo feroce che le avrebbe riversato addosso fin
quando fu
raggiunto da uno scalpiccio leggero. Lo aveva voluto lei,
eppure.
Se
n’era
andata per obbedire a un padre ingiusto e vile. Raddrizzò la
schiena e attese
che comparisse. Serrò la mascella quando vide palesarsi tre
figure, strinse le
palpebre quando due di esse rimasero sulla soglia, nascoste, e una,
sottile e
cauta, avanzò verso la grata.
Ricordò
com’era quando aveva deciso di portarla via con
sé, ad Asgard. L’abito rosso, i
folti capelli color dell’oro tenuti a malapena a bada da un
paio di trecce
laterali, il collo lasciato libero da ogni gioiello, le braccia
tintinnanti
com’era nell’uso di Vanheim. Aveva pensato che
fosse bella. Osservandola oltre
la rete di ferro cercò nel suo volto pallido lo sguardo
fiero e impertinente
che l’aveva colpito, ma Sigyn, più magra di quanto
ricordasse, evitava di
guardarlo. Il vestito che indossava non era quello tipico delle
ancelle, ma uno
informe, di stoffa più grezza, che nascondeva il corpo
spossato. I begli occhi
grigi, prima sottolineati dalla polvere nera che ne esaltava la
sfumatura
ardesia, erano segnati dalla stanchezza, i capelli costretti in una
treccia
severa che lasciava involontariamente libere alcune ciocche chiare. Si chiese perché
non gli puntasse addosso quel
suo sguardo sfacciato e inquisitore, dove fosse finito il suo spirito
altero,
di principessa, come mai rimanesse a pochi passi da lui, senza dirgli
una
parola. Possibile che le punizioni e le mortificazioni subite
l’avessero piegata
così tanto?
Esibì
un sorriso forzato e si avvicinò di un passo per seguire la
linea delicata del
naso, per riappropriarsi dell’immagine di lei che arricciava
le labbra offesa.
“Mia signora, quanto tempo. Le preghiere ti
consumano?” ghignò – insinuò.
Come
avevano osato ridurla così, come era riuscita a ridursi
così.
Sigyn,
finalmente, alzò il capo verso di lui e
impallidì, aggrappandosi alla grata con
le dita sottili. “Loki,” boccheggiò,
“perché sei qui?”
Non lo
aveva apostrofato con lo stesso tono insolente che usava ad Asgard
quando, pur
essendo un ostaggio, godeva di una libertà mai provata
prima; c’era una
sfumatura diversa nella sua voce, una che l’eco della stanza
catturò con sé e
che Loki colse, ma non seppe come interpretare. Ebbe un presentimento
oscuro,
ma lo ignorò. L’acutezza di pensiero per cui era
famoso in tutti i Nove Regni era
offuscata dall’ira e dall’orgoglio bruciante. Ecco
come mai sul momento non
volle considerare che l’ancella lo aveva riconosciuto solo
sentendolo parlare. Preferì
dirsi che fosse sotto l’effetto degli intrugli del tempio
– sentì lo stomaco contrarsi
in un groviglio basso e oscuro, a quel pensiero.
“Avevo
delle questioni ancora aperte con Sigurdr,” le
confessò crudele e impietoso. “Stavolta
l’ho ascoltato io.”
Si
avvicinò di più al telaio di ferro tanto da
posare sopra il metallo la pelle e
respirare il suo odore indimenticato, dolce e inebriante, sentire su di
sé il
suo respiro rotto. Lei era tesa, sconvolta. L’Ase
poggiò le dita sopra le sue e
l’ancella non si mosse, ma quel contatto fece tremare
entrambi di rancore e
desiderio e nostalgia. Loki non poteva immaginare che Sigyn non fosse
più in
grado di distinguere il verde chiarissimo dei suoi occhi nemmeno da
quella
distanza. Sembra che io debba pagare per te, per averti
avuta. Pare che mi
spettino i compiti di un marito o di un amante o di entrambi. Che
ironia. Ricordò
Kalfr e il suo sorriso sicuro e pensò che il custode si
stesse divertendo alle
sue spalle. Decidere d’incontrarla non era
un’opzione o un capriccio, ma un
passaggio inevitabile, per quanto insidioso. Era l’unico modo
per riuscire a
dimenticarla, a estirparsela dall’anima fingendo che non
fosse mai esistita. Ecco
quello che avrebbe dovuto fare un re. Privarsi d’ogni inutile
debolezza a
qualsiasi costo.
C’era
stato un tempo in cui aveva creduto che assecondare impulsi e passioni
fosse
l’unico modo per liberarsene. Non aveva funzionato.
Scelse
con cura le parole. “Sembra che io debba pagare per aver
offeso gli antenati,”
le rivelò a denti stretti, sfiorandole con la mano libera la
guancia serica e
violando, per l’ennesima volta, le distanze tra loro. Di
nuovo l’antica e irresistibile
tensione li scosse insinuandosi sotto la pelle, infiammando loro le
vene e i
nervi.
Sigyn
non riuscì a fuggire da quel tocco né a lasciare
la grata: sussultò quando le
dita di Loki le accarezzarono le labbra e pensò che fosse
crudele, come la sua voce
secca e roca.
“Eravamo
in due. Non devi dare più niente agli
antenati,” sostenne fiera. “Ho
lasciato il tuo mondo.”
C’era
stato un tempo in cui si era sforzato di resisterle: lei aveva preso
possesso
della sua testa trasformandosi in un’ossessione, in un
bisogno che non si era
placato nemmeno quando l’aveva tenuta finalmente tra le
braccia. Si ripromise
di bruciare una volta per tutte la stola di seta che teneva in un
angolo
dimenticato della sua stanza, ad Asgard.
Dietro
la grata che avrebbe potuto facilmente
distruggere col seiðr, c’era la donna per cui aveva
lottato e versato il proprio
sangue di principe e futuro re. Ghignò, immaginando per un
momento, uno solo,
di portarla via. Solo che Sigyn aveva scelto la sua vocazione e lui,
Loki di
Asgard, era troppo orgoglioso e fiero per dimenticare che la decisione
di
andarsene e di diventare un’ancella spettava unicamente
a lei. Che vivesse
la vita che credeva di meritare.
“Ma
il tuo mondo non ha lasciato il mio. Sigurdr non è della
stessa opinione. È venuto
a cercarmi, supplicandomi di salvarti un’altra volta, scintilla,”
spiegò
beffardo. “E ora so il perché,”
aggiunse. “Che ti fanno, qui? Per cosa ti fanno
pregare?”
Il
viso di Sigyn scolorì improvvisamente. Tentò di
allontanarsi e fu allora che l’Ase
s’accorse definitivamente che gli occhi di lei seguivano la
sua voce e non il
suo sguardo. Loki deglutì, ma non chiese. Non era ancora il
momento.
Se
l’ancella
fosse riuscita a cogliere la tensione che congelava le labbra sottili
dell’ingannatore,
a riconoscere almeno una delle ombre che gli velavano lo sguardo,
avrebbe
compreso e gestito meglio l’incontro. Poteva, certo,
indovinare parte di ciò
che Loki pensava dal tono spiacevole con cui parlava di Sigurdr, ma
l’assenza
quasi totale della vista e lo sgomento provato nel ritrovarlo
all’improvviso a
pochi passi da lei – così diversa e prostrata
rispetto alla donna che lui aveva
conosciuto e amato – la resero più cieca di quanto
già non fosse. Non poteva spiegare
o giustificare o difendersi. Lui avrebbe potuto capire e perdersi.
“Per
favore, lascia questo posto e ignora tutto il resto.
Dimentica me,” concluse,
sforzandosi di mantenere un contegno che avrebbe voluto, in
realtà, abbandonare.
Lui non sapeva ancora niente, altrimenti la sua
reazione sarebbe stata
diversa – più furiosa. Sconvolto,
l’avrebbe accusata di tradimento, lei,
che gli era stata così disperatamente fedele
da rinunciare a lui, a
loro, alla libertà. Loki era un’ombra indistinta,
una macchia sfocata di cui
non riconosceva più i tratti. Era una voce ammaliante e
carica d’ira, incapace
di consolarla e di confessarle la delusione che gli graffiava il petto.
Poteva
sentire l’orgoglio di cui l’ingannatore era intriso
nel modo in cui
imprigionava le dita tra le sue. Era e sarebbe rimasto per sempre il
pirata sfacciato
che l’aveva portata via dalla sua casa, ma anche colui che
era riuscito a salvarla,
impedendole di finire immolata a quanto di più oscuro
c’era nei Nove Regni. Un qualcosa
contro cui Loki si era scontrato e che aveva esaltato il suo naturale
cinismo,
accentuato il suo modo spregiudicato di guardare il mondo e le cose,
abbassato,
forse prima del tempo, il suo personale confine tra il bene e il male.
Si era
sempre fregiato di aver agito esclusivamente per la propria gloria
personale,
per la corrosiva sete di sapere che lo animava, eppure.
Prima che
potesse annegare nella nostalgia, lo sentì abbandonarsi a
una risata secca e sarcastica,
che gli uscì dal petto mentre ancora teneva le dita
intrecciate alle sue. Com’era
il sorriso di Loki? Le sue labbra sottili e astute si allargavano in un
ghigno
sbieco, che gli scopriva i denti bianchi e regolari dandogli
un’aria furba,
insolente e divertita insieme. Lo ricordava ancora.
“Era
questo quello che volevi, mia signora? Sei libera adesso? Qui
l’incubo è
finito?” s’interessò. Avrebbe voluto
dirle che era diventata insipida e scialba
come una rosa appassita, ma scoprì con fastidio di trovarla
incantevole anche
così.
Sigyn
serrò le labbra, continuando a sperare che non
s’accorgesse del suo sguardo
vuoto. “E i tuoi incubi, Loki, sono finiti? Mi basta sapere
questo.”
“I
miei incubi non cesseranno mai più, temo. E quando
diventerò re, troverò un
modo per usare opportunamente la tua scintilla,” le promise.
La voce gli
vibrava d’orgoglio e, lentamente, la lasciò
libera, senza domandare cos’avesse
spento i suoi occhi.
Gli tornarono
in mente parole antiche, appartenenti a un’antica profezia.
Sigyn gli aveva
mentito.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e Lettori,
Abbiamo scoperto qual
è stato il destino di Sigyn. Anche in questo
capitolo siamo rimasti nel presente, ma. Abbiamo scoperto o confermato
cose. Il
dialogo tra Sigyn e Loki è stato complicato da scrivere e
proseguirà anche nel
prossimo capitolo, sappiatelo!
Tengo molto a questa storia,
quindi spero di aver fatto un buon lavoro e
che vogliate farmi sapere cosa ne pensate <3 per me è
molto importante **.
Vi ringrazio dal più
profondo del mio cuore per aver listato/recensito
la storia. Per voi un clic può non essere nulla, ma per
un’Autrice significa
tantissimo. Bastano undici parole o un clic nelle liste per restituire
un po’
della magia che la lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah, mi trovate pure su
Twitter ;)
Ricordo che Vanheim
e il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Occhio che la
settimana prossima torniamo (per davvero, stavolta) nel 1982:
non mancate <3
A presto e
grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
Sigyn
era diventata cieca.
La consapevolezza gli attraversò la mente con lucida
precisione. Comprendendo
che lei non lo vedeva davvero, si concesse di scrutarla soffermandosi
sulle
nocche che si aggrappavano convulse alla grata, sul respiro corto e
nervoso, sulle
labbra tremanti e, infine, sugli occhi velati di lacrime fiere, ma
fissi e
senza luce. Si domandò come avesse fatto a perdere la vista
e decise che fosse
colpa di Kalfr o che si trattasse di un qualche tipo di sacrificio
volto a
espiare la sua presunta colpa. Una sorta di bieco contrappasso che gli
fece
storcere la bocca in una smorfia carica di disprezzo. Oppure.
Il
pensiero lo gelò, caricandolo al contempo di una furia
fredda. L’eco di un
ricordo vago, sepolto da qualche parte nella sua testa, camuffato dal
rancore e
dal desiderio, prese a pungolarlo con insistenza. Pensò agli
incubi che avevano
tormentato entrambi e che ancora non lasciavano andare lui. Alla
scintilla
si erano spenti gli occhi. Sembrava l’inizio di un
poema composto da un
buon bardo – c’era un’antica profezia su
una luce che smetteva di brillare, da
qualche parte, sì, ma dove, anzi
perché?
In fondo,
si ripeté, lei aveva scelto, preferendo essere una delle
serve di Kalfr che.
Il
pensiero si interruppe dolorosamente a metà,
perché Loki non aveva mai voluto definire
cosa fosse, anzi, fosse stata per lui Sigyn; ogni
termine gli era sempre
parso inadatto – e alcuni, come certi incantesimi proibiti,
erano semplicemente
impronunciabili.
E
poi, lei avrebbe dovuto essere sincera in nome di quello che avevano
trascorso,
della lotta contro il tempo e il destino combattuta da entrambi. Invece
era
evidente come si stesse trattenendo, soffocando la verità
con l’ostinazione che
le era propria – quella sì, non
gliel’avevano ancora portata via. Ad Asgard lo
avrebbe affrontato sfidandolo come aveva fatto troppe volte, certa che
lui non
sarebbe riuscito a farle del male – ma una volta,
per le Norne, una
volta l’aveva fatto. E ancora non riusciva a
pentirsi per quel gesto, come
non avrebbe provato alcun rimorso all’idea di quello che
stava per farle.
Era
un inganno lecito, dopotutto: doveva sapere cosa si
celasse dietro la
maschera che lei, incauta, incantevole, perduta, gli stava mostrando.
Gli
serviva una conferma, una che desse un senso alla fuga di lei, alla
decisione
di trascorrere il resto della propria vita sfruttata dentro le quattro
mura
marcite e affrescate di un tempio.
Le
rivolse un sorriso breve e mesto, uno che l’ancella non
poté cogliere, non privo
di una punta di velenosa ironia. “Che i tuoi antenati ti
proteggano, allora.”
Sigyn
s’irrigidì e rispose al commiato con un cenno
lieve del capo, ma i suoi occhi
erano puntati verso il basso, in direzione del pavimento di pietra su
cui,
presto, avrebbero cominciato a rimbombare i passi, sempre
più distanti, dell’Ase.
O, almeno, così lei avrebbe creduto.
Il
seiðr era una forza capace di alterare la realtà, di
acuire le percezioni, di
sanare e disfare in egual misura. Ma, soprattutto, infiammava le vene
del
figlio cadetto di Odino, sinistramente portato a ogni arte che ne
prevedesse
l’uso.
Sigyn
non vide Loki andar via. Non poteva più. Rimase in ascolto
dei suoi passi che
si allontanavano, riconoscendo la cadenza tipica degli stivali
dell’ingannatore,
secca e decisa come il principe che era. Lo amava ancora e non avrebbe
smesso
mai. Poggiando la fronte sulla grata metallica, rimpianse i baci
ansiosi
scambiati di nascosto, il corpo tonico e scattante contro cui si era
stretta
per troppe notti, i sospiri rotti che li avevano traditi. E poi
l’odore, il
profumo inebriante e ritrovato della sua pelle misto al cuoio
dell’armatura
intrecciata, che l’aveva ferita riportando a galla tutto
questo e molto altro
ancora.
Si
odiò per la sua debolezza, per ogni singolo momento perduto
che avrebbe voluto
di nuovo afferrare, prezioso perché effimero, breve,
irripetibile. Il rumore si
affievolì sempre di più fino a diventare
indistinguibile o, forse, era Sigyn
stessa che non riusciva a concentrarsi tanto da sentirlo.
L’incontro con Loki,
inaspettato e doloroso, era riuscito a spiazzarla,
a spezzarla. L’aveva
detestato con tutte le sue forze, evitando ogni contatto, convincendosi
che
anche lui la disprezzasse. Era stata ingannata dal suo stesso cuore che
aveva
confuso il fastidio con l’amore. I passi sicuri di Loki ormai
erano spariti;
l’ancella lasciò il reticolato di ferro per
tornare dalle sue consorelle
immobili, silenziose e certamente giudicanti, che l’avrebbero
guidata fino nella
sua stanzetta. Un compito che senz’altro consideravano
ingrato – che valore
poteva avere, per loro, occuparsi di un’ancella impura, ai
loro occhi
doppiamente colpevole? Decise che non le interessava.
L’importante era che Loki
se ne fosse andato. Tutto il resto rappresentava il male minore.
Raggiunse la
sua cella e finalmente si ritrovò da sola con i suoi
pensieri.
Nella
voce dell’ingannatore aveva rintracciato una punta
d’amarezza che l’aveva
colpita, incuneandosi in mezzo al petto, lì, dove credeva
che le preghiere e le
mortificazioni avessero seccato ogni cosa. Per un momento, di fronte
alle sue
frasi taglienti, Sigyn si era convinta che il principe avrebbe commesso
qualcosa di così irreparabile e sciocco da distruggere ogni
suo – loro –
sacrificio. Invece, per fortuna, era troppo orgoglioso e sicuro di
sé per
portarla via. Ad Asgard l’aveva avvertita che non sarebbe mai
più corso
a salvarla ed era riuscito a mantenere la promessa, lui che tendeva fin
troppo
spesso a ingannare le Norne e gli Æsir grazie alle reti
infide dei suoi
ragionamenti. Sì, nel tono beffardo e secco di Loki
c’era rancore. Si era
allontanato da lei una volta per tutte – per sempre.
Si chiese perché
facesse ancora così male, ma non fece in
tempo a cercare alcuna
risposta. Qualcosa – qualcuno l’afferrò
per la vita e le tappò la bocca prima
che potesse anche solo gridare, immobilizzandola. Annaspò,
immersa com’era in
un mondo fatto d’indefinite ombre grigie, finché
non avvertì una bocca
sfiorarle l’orecchio. Il suo corpo rispose a quel tocco con
un sussulto.
“Come
mai adesso sei cieca, Sigyn?”
Era
lui. Sentì le sue dita sfiorarle le labbra e smise di
opporre qualsiasi
resistenza. Loki la sostenne, trattenendola contro di sé,
come se lei avesse
potuto sfuggirgli o cadere. Erano stati amanti, un tempo, e ora si
trovavano
vicini, senza barriere o sguardi indiscreti a proteggerli da loro
stessi,
dall’impulso antico che li aveva traditi, condannandoli. E di
fronte a una
verità inammissibile. Si domandò se anche lui
provasse un brivido intriso di
nostalgia, al ricordo, se l’improvvisa vicinanza fosse
dolorosa come lo era per
lei. Avrebbe dovuto immaginare o intuire che incontrarla non gli
sarebbe
bastato; astuto com’era, si era senz’altro accorto
della maledizione e voleva
saperne di più, perché nessuna cosa poteva
rimanere celata al furbo dio
dell’inganno. Fuggire, alla fine, non era bastato,
pensò con orrore, perché la
scelta di lasciare Asgard era stata fatta per mille ragioni, certo, non
ultima
quella, egoistica, di proteggere lui. E questo, il fiero principe di
Asgard non
lo avrebbe mai tollerato. Scelse di eludere del tutto la domanda e si
sforzò di
riprendere l’antico contegno di un tempo. “Mi hai
teso un agguato. Perché?”
Immaginò
l’espressione di Loki: una smorfia breve e laterale.
“Lì non eravamo soli. Lì
hai mentito.”
“Va’
via. Ti prego.”
Lui
non allentò la presa. “Per questo hai sacrificato
ogni cosa, hai lasciato
Asgard? Per vivere in modo miserabile, odiata da tutti per aver osato
guardare
il mondo? No, io dico che c’è di più.
Questa è una punizione di quell’uomo o peggio,”
dedusse tetro. La verità in bocca a Loki aveva un sapore
amarissimo. Era sale
su una ferita aperta. “La tua vocazione ti ha rovinata e tu
vuoi mentirmi
ancora,” concluse gelido. Con la mano libera cedette di nuovo
alla tentazione di
sfiorarle nuovamente la guancia umida e i capelli costretti nella
treccia, come
aveva fatto poco prima nel parlatorio. Li preferiva sciolti, ribelli,
caotici e
non l’aveva dimenticata, ma la stava lasciando –
voleva farlo e bruciare ogni
ricordo di lei, di loro.
“Lasciami
andare,” ribadì Sigyn con una forza che, presto,
le sarebbe venuta meno. “Non è
niente di tutto questo: è una malattia, sarebbe successo
comunque,” cedette.
L’aveva
quasi detto. La voce
dell’Ase s’abbassò, caricandosi di una
promessa oscura. “Dovrei solo usare
l’incantesimo giusto, per scoprire che mi
nascondi,” considerò, alludendo a una
delle arti più crudeli che sapeva usare, quella che
consentiva di leggere nel
cuore e nelle anime delle persone.
Una
violazione brutale e dolorosa per entrambi, lei lo sapeva. “E
io dovrei solo
gridare più forte,” gli mormorò in
risposta.
Loki
si concesse una risata breve e secca. “Se avessi voluto
chiamare qualcuno in
tuo soccorso l’avresti già fatto, mia
scintilla.”
“Non
tua. Di questo posto, degli Antenati. Sua.”
Avvertì
la stretta dell’ingannatore farsi più ferrea;
pensò che fosse un abbraccio feroce,
l’ultimo.
Le
rispose dopo un tempo che le sembrò infinitamente lungo.
“C’è un’antica
profezia,” iniziò infine Loki con voce distante,
carezzandole con le labbra la
fronte. “Che parla dell’oscurità che
calerebbe su Asgard in caso si offuscasse
una luce. Parla di te e tu lo sapevi.”
Era
un’accusa. Sigyn sfiorò la mano
dell’ingannatore che ancora le cingeva la vita
e volse appena il capo verso di lui. Avrebbero potuto baciarsi, se
avessero
voluto. Erano talmente vicini che sarebbe bastato pochissimo
– Loki avrebbe
dovuto cercarle le labbra, lei sollevarsi in punta di piedi. Non
avvenne,
nessuno dei due violò lo spazio proibito.
“Ho
attraversato il cerchio,” ammise Sigyn. “Niente di
tutto questo conta più.”
Il
principe degli Æsir non rispose immediatamente. Se
l’ancella avesse potuto
vederlo, non le sarebbe sfuggito il modo in cui aveva serrato la
mascella
virile, il respiro trattenuto, il lampo che offuscò i suoi
occhi chiari. “Menti
ancora, ma non sul rito,” stabilì. La
lasciò andare con un gesto secco.
“Avresti dovuto dirmelo prima. Se ti fossi fidata, Asgard ti
avrebbe protetta.”
Non si era esposto personalmente, non l’avrebbe mai fatto. E
aveva giurato di
non correre in suo aiuto – ma del resto non poteva, non
più. Lo assalì una
furia gelida, perché tutto quello che aveva rischiato per
lei si era rivelato
vano. L’aveva persa, gli era sfuggita – e Sigyn
aveva preferito rifugiarsi nel
Tempio, anziché metterlo a parte di quanto stava accadendo.
“A
che prezzo, Loki? Tutto quello che potevamo fare è stato
fatto.”
Non
l’hai sconfitto, ma solo ingannato. È una
maledizione, la mia. È la maledizione.
L’Ase
sollevò appena il mento in un gesto di sfida.
“Abbiamo già pagato un prezzo
molto alto.”
“No,”
insistette lei, “tu non hai idea.”
E
quell’ultima affermazione, Sigyn lo sapeva, alludeva solo a
una cosa.
“Ti
prenderà, non è vero?” Il tono
canzonatorio e la scelta precisa del verbo
lasciavano trapelare, a lei che non poteva più vederlo, la
misura di una collera
tenuta a malapena a bada. Le girò attorno con le mani
incrociate dietro la
schiena, scrutando la verità rivelata Il sarcasmo feroce di
Loki la investì in
pieno. “Sembra che alla fine questa sia stata la tua scelta:
non lottare.
Eppure, come vedi, il tuo destino mi riguarda ancora, in qualche
modo,” sottolineò
perfido. L’ultima frase che le disse bruciava
d’ira. “La mia trappola non ha
funzionato, dico bene? Mio padre lo sapeva?”
inquisì. Rise seccamente. “Certo
che lo sapeva.”
Non
erano domande che attendevano una risposta e l’ingannatore
non attese di riceverne
ulteriori. Gli bastò osservare il viso stravolto
dell’ancella che si mordeva le
labbra per non parlare e quei suoi occhi grigi e vuoti che non potevano
più posarsi
su di lui. Si era preso Sigyn e non aveva potuto averla: non era
riuscito a
strapparla a un destino orrendo, non era stato in grado di spezzare le
catene di
un vincolo ignobile. Se ne andò senza voltarsi, maledicendo
Sigurdr, le Norne, lei
e persino suo padre, così giusto e lungimirante da
nascondergli una verità
tanto orrenda e importante. Non era l’unica e Loki non poteva
immaginare quanto
i segreti di Odino fossero incatenati l’uno
all’altro. Lo avrebbe scoperto,
poi.
♥
Loki
si era preso Sigyn, ma non poteva averla.
Era il trofeo intoccabile di una guerra vinta che gli era costata
sangue e un’orrenda
ferita, quasi mortale. Se la situazione in cui era invischiato non lo
avesse
riguardato tanto da vicino, avrebbe trovato tutto molto ironico. Sapeva
esattamente
quali fossero gli spostamenti della ragazza durante la giornata, ma i
molti doveri
di natura politica e militare in cui era costantemente impegnato e la
precisa
volontà di frequentarla il meno possibile facevano
sì che, agli occhi della
mancata ancella, lui fosse una presenza sfuggente, poco più
di un’ombra fugace.
L’osservava da lontano, tuttavia. Era un suo preciso compito
tenerla d’occhio
in virtù del potere che emanava: la scintilla che Sigurdr,
incautamente, aveva
promesso a un abisso di antico terrore senza sapere neanche di averlo
fatto.
Prima o poi lo avrebbe scoperto comunque, ma per il momento Padre Tutto
aveva deciso
di tenere nascosta persino alla diretta interessata quella circostanza
sfortunata o magnifica, a seconda dei punti di vista.
Gettando
uno sguardo nel giardino sottostante, Loki la vide passeggiare tenendo
per mano
Balder, l’inconsapevole spia che le aveva messo alle
calcagna. Al fratellino piaceva
moltissimo la compagnia di Sigyn. Con lui la ragazza era gentile e al
più
piccolo dei figli di Odino piacevano i suoi modi dolci e
l’accento musicale di
un altro paese; si divertiva a mostrarle il palazzo e a raccontarle
qualche
aneddoto che finiva inevitabilmente per riguardare Loki, Thor e le loro
bravate,
spesso punite dal re degli Æsir in maniera a volte anche
severa. Ascoltandole,
Sigyn pareva divertirsi moltissimo e spesso scoppiava in risate allegre
e genuine.
Come in quel momento.
L’ingannatore
la vide buttare il capo indietro e coprirsi la bocca col dorso della
mano in un
gesto grazioso che non poté evitare d’osservare
– o ammirare. Era abituato a vederla
tesa, guardinga, ammantata in un contegno che si sposava benissimo col
suo
ruolo di ancella e di ostaggio di rilievo trattenuto contro la sua
volontà ad
Asgard; quella visione rilassata gli apparve come inedita e
interessante, ma
pericolosa. Ecco perché sfruttava Balder: in cambio di un
paio di storie
spaventose e qualche giocattolo in legno il bambino, senza nemmeno
accorgersene
e per vantarsi con lui della sua nuova amicizia, gli raccontava per
filo e per
segno cosa la incuriosiva, le piaceva o detestava.
Mentre
Sigyn rideva ancora, Balder alzò gli occhi verso la terrazza
e lo vide. Immediatamente,
dato che aveva ereditato il difetto di Thor di non sapere quando tenere
la
bocca chiusa, iniziò a sbracciare e a chiamarlo, catturando
anche l’attenzione
di Sigyn, che si voltò verso di lui. Loki
assottigliò le palpebre indispettito.
Non desiderava essere visto, ma ormai tanto valeva scendere da loro e
far finta
di nulla. Maledisse mentalmente quel piccolo impiastro, che non appena
vedeva
lui o il fratello iniziava a perseguitarli con la sua presenza
più pressante e
invadente di un’ombra. Subiva il fascino di entrambi e non
vedeva l’ora di
diventare un guerriero come loro e, nel frattempo, li sfiancava. Gli
corse
incontro trascinando Sigyn per una mano.
“Loki,
Loki! Dille che è vero che hai scommesso con i giganti a chi
mangiava di più!”
saltellò esagitato.
Quella
citata da Balder era una disavventura che veniva raccontata spessissimo
ai
banchetti e suscitava sempre molte risate e battute per via della sua
trivialità, sebbene sul momento fosse stata
un’esperienza a dir poco spaventosa
e agghiacciante.
L’ingannatore
guardò la ragazza: lei lo fissava con occhi ridenti e aveva
le guance rosse, in
attesa che lui confermasse o smentisse la buffa storia; i folti capelli
le
ricadevano sciolti sulle spalle – un intrico color
dell’oro leggermente
ondulato in cui sarebbe stato bello affondare le dita, pensò.
“È
vero,
sì,” ammise tranquillo incrociando le braccia
dietro la schiena.
“Ed
è
vero anche che sei stato tu a proporre una sfida tanto strana? Dovevi
avere
molta fame,” s’interessò Sigyn con un
lampo giocoso nello sguardo. Continuava a
tenere il bambino per mano ed era evidente come la presenza di Balder
accanto a
lei la tranquillizzasse.
Loki rise
brevemente e s’inumidì le labbra, in cerca di una
risposta altrettanto arguta. Lei
cercava di coniugare l’immagine altera e fierissima che aveva
conosciuto a
Vanheim con quella, più scanzonata e allegra, che le
proponevano i racconti del
più giovane dei figli di Odino. Nel suo interessarsi alla
curiosa vicenda c’era
una punta di sfida, la stessa che lo aveva ammaliato e colpito al
banchetto di
Sigurdr, ma velata da una rara quanto preziosa ilarità.
“Io e
Thor non mangiavamo da almeno un giorno. Ci è sembrato un
buon modo per farci
ospitare,” spiegò stirando le labbra sottili in un
ghigno laterale. Anche i
suoi occhi scintillavano divertiti, ma questo, lui, non poteva saperlo.
Sigyn
lo squadrò da capo a piedi e si fece più
seria. “Però hai anche perso,” lo
punzecchiò.
Lo
stava valutando. Aveva messo alla prova la sua pazienza, in cerca dei
limiti
che poteva varcare e di quelli che, invece, era bene non oltrepassare.
E la
vicenda, si rese conto, le interessava unicamente perché
rappresentava una
divertente sconfitta. Balder doveva averla stordita con decine di
racconti
diversi – tutti caratterizzati dalla presenza di
incontrovertibili vittorie –
ma l’unico su cui lei si era soffermata era quello che lo
vedeva uscire
perdente.
“Sì,
ma alla fine ci siamo rifatti. Occorre sempre trarre insegnamento dalle
disavventure,” spiegò affabile, regalandole un
sorriso sbieco e divertito,
affascinante. Sigyn rispose increspando appena le labbra verso
l’alto e
annuendo; evidentemente aveva trovato la sua risposta arguta al punto
giusto. Loki
fece per andarsene, rispondendo brevemente alla raffica di domande di
Balder su
quando si sarebbe allenato con Thor e se poteva venire a vederli e se
voleva
dargli qualche lezione di tiro con l’arco, ma prima che si
allontanasse Sigyn
lo richiamò.
“Avrei
qualcosa anche io da domandarti,” iniziò con un
pizzico di disagio nella voce.
Loki
inarcò un sopracciglio, ma gli venne spontaneo continuare a
comportarsi in maniera
affabile. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione e che
lei lo guardasse
come aveva fatto, con un misto di stupito divertimento, piacevole come
il
tagliente occhieggiare di cui lo aveva fatto oggetto nelle ultime
settimane. “Spero
non riguardi qualche altro curioso episodio delle mie gloriose
gesta,”
ironizzò.
Lei
scosse il capo. “No, purtroppo. Ho rotto la chiusura di un
bracciale,” spiegò. “È
un regalo di mia madre. Magari sapresti indicarmi un buon
fabbro.”
Lo
sguardo di Sigyn si era velato d’ombre: il riferimento alla
famiglia da cui era
stata strappata cancellò immediatamente
l’atmosfera allegra di poco prima. Aveva
praticamente sempre vissuto rinchiusa in un palazzo assieme alle sue
sorelle e
alle compagne, perlopiù lontana dai genitori, ma
l’ingannatore sapeva che le
ancelle ricevevano frequenti visite dai loro parenti più
prossimi. Immaginò che
la madre di Sigyn venisse in visita almeno una volta al mese per
portarle dolci,
abiti, libri e altri piccoli regali. “Lo hai con te? Fammelo
vedere,” s’interessò.
Lei
tirò
fuori da una tasca della gonna il gioiello e glielo porse, facendo
attenzione che
le loro dita non si sfiorassero. Loki lo esaminò. Era lo
stesso che le aveva
visto tintinnare al braccio la sera in cui aveva deciso di pretenderla
come pagamento
per il proprio sangue versato. Sentì qualcosa agitarsi nel
proprio petto, ma
non si chiese se, tornando indietro, avrebbe ripetuto il gesto di
portarla via.
Una voce dentro di lui gli suggerì che sarebbe caduto
comunque nell’identica
rete, anche sapendo della scintilla e dell’atto orrendo di
Sigurdr – e pensarci
gli fece venire la nausea.
“Posso
riparartelo facilmente io,” si espose dopo un momento.
“Se non hai paura che
possa incantarlo con qualche stregoneria,
s’intende.”
Continua…
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Siamo in
quarantena e, se mi avessero detto due mesi fa che sarebbe successa una
cosa
del genere, non ci avrei mai creduto. Mi sembra di vivere in un film e
credo
che per voi sia lo stesso (tra l’altro essendo una che guarda
tanti, tanti film
anche horror questa situazione mi sa davvero di surreale). Nei primi
giorni
della quarantena, nonostante abbia aderito con forza allo slogan e alle
direttive all’#iorestoacasa sono stata
presa dallo sconforto e neanche i
miei amatissimi Loki e Sigyn
sono riusciti a tirarmi su. Ho il
cuore da un’altra parte, vicino e lontano.
Ma rifugiamoci
ad Asgard: Loki non ha salvato Sigyn nel presente. Aveva detto che non
lo
avrebbe fatto e non lo ha fatto.
Tornano,
invece, i momenti nel passato, che da adesso in poi riprenderanno con
forza
alternandosi al presente. Capiremo, così, a cosa sia stata
promessa Sigyn, i
tentativi di Loki per salvarla e cosa effettivamente rappresenti la
Scintilla,
questa caratteristica di cui Sigurdr era, inizialmente,
all’oscuro, ma che nel
presente conosce. Con la quarantena rileggerò la storia
daccapo, ma v’assicuro
che tutto torna e tornerà. Spero che le mie storie
possano tenervi compagnia
in questi giorni difficili ♥, quanta ne
fate a me quando leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
Penso che il prossimo
aggiornamento sarà “Solo un accordo,”
e vi invito a fare un giro sulla
storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove
va l'anima
quando moriamo?
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Sigyn
lo fissò per un momento di sottecchi. Non si fidava di lui e
schiuse le labbra
per rispondergli a tono, ma poi cambiò idea e scelse una
frase forse
altrettanto pungente, ma più faceta. Dovette pensare che era
prigioniera, un ostaggio
suo: gli porse il braccialetto.
“Se
tu lo incantassi davvero, non faresti altro che confermare
l’opinione che ho su
di te,” l’avvertì.
Gli
occhi di Loki lampeggiarono incuriositi.
“Ma se non lo facessi, di certo non inizieresti a
fidarti,” rise. Stanco di
quella discussione di cui non capiva il senso, Balder gli
tirò un lembo della
casacca. Si annoiava e non capiva il gioco di battute e di sguardi che
intercorreva tra i due. Sigyn con suo fratello era diversa,
più tesa e
controllata. Gli sembrava che provasse antipatia per lui e Loki, dal
canto suo,
faceva di tutto per indispettirla, ma in modo diverso da come si
muoveva quando
voleva stuzzicare Thor o qualcun altro. Era come se si spiassero
l’un l’altro parlando
una lingua che gli era sconosciuta. Il bambino non poteva captare la
tensione esistente
tra l’ingannatore e il suo premio perduto; di fronte alla sua
impazienza, Loki
alzò teatralmente gli occhi e gli scompigliò la
corta zazzera bionda.
“Adesso
vai, impiastro. Non sei la mia ombra,” sibilò.
Fece sparire il gioiello nella
tasca interna della casacca, ma nonostante l’avvertimento
Balder era ancora lì,
a dondolarsi da un piede all’altro.
“Al
tramonto tu e Thor combatterete? Possiamo venire
alla cerimonia?”
insistette. Loki arricciò le labbra. Si trattava di
un’esibizione rituale, una
sorta di danza feroce fatta con le armi in pugno, necessaria per
quietare le
anime dei defunti e placare gli spiriti, fatta anche per propiziare il
raccolto
e celebrare la prosperità del regno di Odino. Si trattava di
un blót,
una cerimonia che lei non aveva mai visto capace, di certo, di
incuriosirla e
spaventarla al tempo stesso: al termine del rito ci sarebbe stato un
sacrificio
lecito, ben diverso da quello che.
Serrò
la mascella. Non era ancora riuscito a trovare una
via di fuga valida o
efficace che la salvasse. Loki la vide impallidire, a disagio. A
quell’ora lei
officiava i suoi servizi. L’idea che fosse così
devota lo irritò, perché gli antenati
che lei pregava non l’avrebbero liberata dal suo destino,
anzi. “Per oggi le
sei stato dietro abbastanza,” decise, rivolgendosi al
fratello.
Si
era imbattuto nelle antiche cronache redatte quando il regno di Bor era
giovane,
smarrendosi nei rari resoconti dei rituali che suo nonno, disgustato,
alla fine
aveva proibito con forza. Si trattava per la maggior parte di racconti
incompleti, spesso confusi, pieni di omissioni e, il principe lo
intuiva, di menzogne.
Erano lasciti di tempi oscuri e brutali, ricchi di caos.
Imbattendovisi,
l’animo di Loki aveva oscillato tra l’orgoglio per
il pugno di ferro con cui il
predecessore di Odino aveva legiferato spazzando via usanze oscene e
una
curiosità sfacciata verso il tetro caos che mostravano. In
fondo, la conoscenza
era sempre inebriante, come l’idromele vagamente speziato che
gli scorreva in
gola durante i banchetti. Era uscito da quelle ore di studio forsennato
con la
testa che gli girava per la stanchezza e per le troppe idee in testa;
non aveva
nessuna soluzione a portata di mano e solo una domanda in gola, una che
lo pungeva
spingendolo ad agire in una direzione contraria ai voleri di Padre
Tutto. Lei
quanto sapeva?
Aveva
raccolto un gran numero d’informazioni tradotte faticosamente
a lume di
candela, ma tutte concordavano che la scintilla
possedeva sicuramente una
seppur vaga coscienza di sé, una cognizione capace
d’indirizzarla verso una
qualche forma di consapevolezza, esattamente come avrebbe fatto un
raggio
lunare nella tenebra notturna.
Si
allontanò, ma gli parve di avere gli occhi di Sigyn addosso;
non si voltò per scoprirlo.
Lei era intoccabile e persa e Loki, che l’aveva desiderata il
tempo di una sera,
non volle ricordarsi di quanto fosse desiderabile. Non era niente:
c’erano
ragazze più belle di lei, senza maledizioni addosso, che lo
avrebbero accolto
con piacere nei loro letti. Cosa avrebbe fatto di Sigyn se si fosse
trovato
davanti una semplice ragazza avviata a servire gli antenati? Si sarebbe
divertito a trascorrere con lei qualche notte, senza dubbio, ma poi
avrebbe
fatto ciò che faceva con tutte. L’immaginazione
gli concesse una visione breve
e fervida di quel momento e si ritrovò a ghignare da solo in
uno dei molto
corridoi di Asgard, al pensiero di lei e di quel suo sguardo
sprezzante.
Avrebbe spezzato le sue resistenze, sì,
prendendosi qualcosa che spettava
a un altro, ma che lui si era guadagnato, aveva meritato. E poi? Si
sarebbe
abituato alla sua presenza, finendo per trovarla noiosa. Priva della
novità,
spogliata dall’aura d’intoccabilità e di
nobiltà che aveva sfoggiato presso la
casa di suo padre, Sigyn si sarebbe trasformata in una delle molte dame
che giravano
per Asgard. E lui avrebbe contato ognuno dei suoi difetti, domandosi
come
avesse fatto a invaghirsi di lei, seppur brevemente e in maniera del
tutto
superficiale. I ragionamenti di Loki erano così: lucidi,
pragmatici, tanto
realistici da sfiorare il cinismo. Nel mondo non c’era
giustizia: le leggi
degli Æsir erano fatte per riportare l’ordine, ma
il caos premeva da ogni lato
per divampare, esplodere e far nascere un nuovo equilibrio, spaventoso
perché ignoto.
Non indagò, però, sul perché
giudicasse tanto essenziale starle a debita
distanza. Obbedire agli ordini di suo padre gli era sempre pesato
– eppure, in
quel preciso frangente, sentiva che si trattava di una misura giusta e
necessaria.
Il
bracciale cui Sigyn teneva tanto era un gioiello delizioso, di
splendida
fattura. La maglia, finemente cesellata, ospitava una serie di gemme
splendenti
e d’incredibile purezza viola, verdi e gialle. La chiusura
era rotta, ma Loki,
chino sulla scrivania del suo studio che fungeva anche da laboratorio,
riuscì a
sistemarla con facilità quella stessa mattina. Mentre teneva
tra le dita il
monile, si sorprese di quanto fosse piccolo di circonferenza. Sigyn
aveva il
polso delicato e sottile di una fata dei racconti. Non se
n’era accorto, anche
se un paio di volte l’aveva aiutata a scendere e a salire dal
drakkar
offrendole la mano. In un’occasione la barca aveva eseguito
una virata brusca e
lei gli era piombata addosso, certo: in quel momento, Loki aveva
impedito che
cadesse stringendola istintivamente a sé e accorgendosi di
quanto fosse leggera
e minuta. Immaginò di nuovo quello che le sarebbe successo e
arricciò le labbra
in una smorfia, tenendole serrate finché non finì
di aggiustare il gioiello.
Era poco più di una ragazzina, maledizione.
Non
gli piaceva l’idea di cercarla per restituirle il bracciale e
così lo ripose
nella bandoliera e si ripromise di darglielo non appena gli fosse
capitata a
tiro. Era stato cortese con lei perché era pur sempre un
ostaggio di riguardo:
girare per le fucine era qualcosa che non le competeva.
In più, non si fidava affatto di Sigurdr, che certamente non
sarebbe rimasto
con le mani in mano ad attendere che la disgrazia si abbattesse sul suo
feudo.
Se Sigyn non avesse intrapreso ognuno degli orrendi passi che
l’avrebbero
portata verso quell’essere, lui, che l’aveva
promessa, sarebbe stato il primo a
pagare. E questo, a Loki, non sarebbe dispiaciuto affatto.
Sigyn
aveva davvero osservato a lungo Loki, seguendolo con lo sguardo
finché non era
sparito. Non riusciva a smettere di fissarlo, controllarlo, studiarlo.
In
quanto ospite trattenuta con la forza, non aveva un completo e libero
accesso a
ogni angolo del palazzo di Asgard. Durante il giorno poteva muoversi
più o meno
liberamente entro alcuni spazi circoscritti che il principe evitava
accuratamente: le era concesso passeggiare nei giardini di Frigga,
cucire
assieme a lei e recarsi al tempio a pregare, ma per qualsiasi altro
spostamento
al di fuori delle sue stanze doveva necessariamente essere
accompagnata. Nei
mesi seguenti, Odino le avrebbero dato l’illusione di poter
andare ovunque
volesse tranne che negli appartamenti abitati dalla famiglia reale,
certo
com’era che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarla a
scappare – assolutamente
sicuro che, in ogni caso, lei non lo avrebbe mai fatto, ma in quelle
prime,
rapide settimane Sigyn era ancora trattata e considerata come una
prigioniera
straniera da guardare a vista. La figlia di Sigurdr era abituata a
condurre la
sua esistenza nello spazio circoscritto di un tempio, come ogni brava
ragazza
di Vanheim; in teoria non avrebbe dovuto provare nostalgia della
libertà negata.
Non poteva mancarle una galoppata disperata sulle brulle collinette che
circondavano
i fiordi di Asgard, né rimpiangere il vento salmastro che si
godeva dalle
scogliere a picco sul mare, eppure ogni cosa della terra degli
Æsir la
spaventava e l’attraeva a un tempo: provava
l’indicibile desiderio di conoscere
il mondo selvaggio in cui era capitata e verso cui provava una
curiosità
incredibile. All’inizio si era lasciata stupire
dall’impatto delle montagne che
si ergevano dalle onde e dalla sontuosità del palazzo di
Asgard fatto di legni
pregiatissimi e d’oro, ricoperto d’incisioni e
affreschi che celebravano le
vittorie di Bor e della sua stirpe tutta, Loki e Thor compresi. Poi,
col
passare dei giorni, aveva iniziato a registrare con grande
curiosità ogni
dettaglio di Asgard e dei suoi abitanti: l’affascinavano i
loro abiti di foggia
barbarica, con i mantelli bordati di pelliccia e le tuniche pesanti,
fermate da
grosse cinture in cuoio e da splendide fibule. Scoprì, suo
malgrado, di trovare
belle le raffigurazioni stilizzate che ornavano armi e armature, la
colpì la
moda d’intrecciare i capelli in una maniera tanto diversa da
quella di Vanheim.
Quello governato da Odino era un popolo austero e feroce, ma non privo
di
un’eleganza sobria e guerresca.
L’unica
cosa che la turbava era il sorriso scaltro e indecifrabile di Loki, che
pareva
perennemente sul punto di canzonare o ferire, salvare o condannare.
Sigyn
sapeva di dovere la sua prigionia a lui. Non riusciva a dimenticarsene
nemmeno
per un istante. Lo temeva, eppure anche dopo che erano scesi dal
drakkar aveva
continuato a cercarlo con gli occhi, come se l'osservarlo nella
sua
casa potesse proteggerla in qualche modo. Lui si faceva vedere
raramente, ma
quando capitava che lo scorgesse, qualcosa dentro di lei si scioglieva
e, allo
stesso tempo, il suo corpo veniva scosso da una tensione violenta e
incontrollabile,
da un fremito basso fatto di paura e dispetto.
La
prima sera in cui era arrivata ad Asgard non era riuscita a chiudere
occhio
nonostante la stanchezza. Dopo aver trascorso tanti giorni in mare
senza
esserne abituata soffriva la terraferma,
ma soprattutto temeva la nuova realtà che le si prospettava
davanti. Le era
stata data una camera ampia e soleggiata, che si affacciava sugli
stessi
giardini che le sarebbero diventati tanto famigliari, arredata
semplicemente e
senza sfarzi particolari, ma stendendosi nel letto, quello
sì, su cui
campeggiavano numerose coperte e pellicce per difenderla dalle
temperature
rigide della notte, si era domandata, tendendo l’orecchio a
ogni più piccolo
rumore, quanto fosse realmente al sicuro. Nessuno aveva turbato la sua
tranquillità e lei, verso l’alba, era finalmente
caduta in un sonno breve e
tormentato, popolato d’immagini del suo passato
più recente.
Quando
Loki individuò Sigyn tra la gente venuta ad assistere al
sacrificio e al
seguente rito diede immediatamente la colpa a Balder, quel moccioso
insistente
e frignante che gli girava sempre attorno, ma in realtà si
sbagliava: la ragazza
era venuta fino all’hov,
l’antica costruzione dalle pareti interne
decorate con l’oro dove si celebravano i riti Æsir,
per volere di Frigga in persona.
Lui e Thor, nudi fino alla cintura armati e di due lunghe spade
ciascuno,
avevano il respiro corto per la recente lotta rituale che avevano
intrapreso.
Sui loro corpi scolpiti e asciutti, ancora tesi per lo sforzo della
recente
esibizione, il sudore che imperlava i muscoli si mescolava alla cenere
che si
erano sparsi sul volto e sul torace contratto. Loki, col petto che
s’alzava e s’abbassava
rapido, la vide e sollevò il mento quasi come se volesse
sfidarla. Lei lo
fissava curiosa dall’alto in basso regalandogli
l’ennesimo sguardo di fuoco,
strettamente avvolta in un mantello di lana, i pensieri schermati
dietro il suo
portamento severo, di principessa. Contrariamente a quanto aveva
creduto all’inizio,
gli piacque che Sigyn lo vedesse in quel momento, scarmigliato e
feroce; si
chiese anche da quanto stesse assistendo alla cerimonia e cosa,
eventualmente,
pensasse dello scontro, facente parte della sua fase più
spettacolare. L’ingannatore
avrebbe potuto scoprire cosa si celasse nella sua testa, ma poi avrebbe
sollevato il velo che circonda i pensieri più profondi di
ogni individuo e lei,
alla fine, gli sarebbe parsa meno interessante. O troppo,
il che era
sbagliato lo stesso. Il blót era in
pieno svolgimento e Thor richiamò la
sua attenzione schiarendosi la voce. Al soffitto erano appesi i corpi
delle
vittime già sacrificate, al centro della sala gremita
bolliva, grazie al fuoco
alimentato da nove tipi differenti di legno, il calderone pieno
dell’idromele
speziato che avrebbe connesso, per un momento, il mondo dei vivi con
quello dei
morti, in un banchetto dove fantasia e ragione si sarebbero confusi. La
mente
svelta dell’ingannatore si soffermò
sull’amarezza di certe analogie. Lei fissava
– giudicava – il rito, ignara che presto avrebbe
fatto parte di uno ancora più
sanguinario e spaventoso. Credeva certamente che l’adorazione
e il rispetto che
tributavano ai loro antenati lei e gli abitanti di Vanheim fossero
più pacifici
e clementi del barbaro spettacolo cui stava assistendo, invece anche
lei faceva
parte dello stesso orribile disegno che rendeva schiavi tutti loro. Non
doveva essere lì.
La vittima
sacrificale era stata un magnifico animale e Odino e il sacerdote si
imbrattarono
le mani nel suo liquido caldo e vermiglio, bagnando le pareti
scintillanti d’oro,
le statue di Bor, gli intarsi dove i drakkar dalle bellissime prue
decorate con
mostri marini si intersecavano con raffigurazioni
dell’Yggdrasill. Il sangue fu
asperso sulla folla, raggiungendo Loki e Thor in prima fila, macchiando
anche
lei. Poi fu il turno dell’idromele nel calderone, il cui
profumo già inebriava
gli spiriti invisibili. Bevve per primo Odino e poi fu il turno di
Frigga e del
fratello e suo. Fu lui, già inebriato dal sapore dolciastro
e fortemente
speziato della bevanda calda, a cercare Sigyn offrendole il corno.
Rifletté che
era la terza volta in cui le porgeva da bere e che stava diventando una
curiosa
abitudine.
Lei abbassò le ciglia su di lui trattenendo persino il
respiro; fece scorrere
lo sguardo sul petto largo e ben sviluppato dell’Ase,
sull’addome segnato dalla
linea ben definita dei muscoli, sulle braccia agili, quasi volesse
contare i
segni sparsi delle cicatrici antiche e leggere che lo segnavano.
Esitò, rifiutandosi
di diventare parte integrante del rito. Loki piegò le labbra
in una smorfia. L’effetto
dell’idromele cominciava a stordirlo leggermente e si sentiva
la testa leggera
e pesante assieme.
“L’hai
già fatto. Bevi,” le intimò.
Sigyn
era spaventata e scosse la testa. Due trecce appuntate sulla testa alla
maniera
degli Æsir le scoprivano il visto delicato, su cui spiccavano
gli occhi grandi,
rotondi e dolci, il naso leggermente a punta e le labbra esaltata da un
piccolo
neo. Loki le fissò immaginando di sfiorarle con la punta
delle dita o con le proprie
e mandò giù un altro sorso davanti a lei. Il seiðr,
aggrappato alla sua anima,
infilato nel suo sangue, reagì facendogli tendere
ulteriormente la schiena già dritta.
Poteva sentire ancora più distintamente come Sigyn fosse la
scintilla e quanto
l’oscurità si apprestasse a ghermirla. Si
sentì vivo, potente, invincibile.
“Non
è la stessa cosa,” spiegò lei.
“Quello era un semplice banchetto.”
Loki
le infilò una mano tra i capelli, ghermendola per la nuca,
compiacendosi del
contatto con quella massa soffice e scarmigliata, color
dell’oro. “Non puoi
assistere a un nostro blót senza farne
parte,” disse tetro, consapevole
che Sigyn, in quanto ancella, sapeva. I riti degli Æsir, al
contrario di quelli
dei Vanir, non prevedevano che vi fossero spettatori, ma solo
partecipanti.
“In
questa sala sta avvenendo una cerimonia magica. Ci sono i vostri
antenati.”
Nella voce della ragazza c’era una nota urgente, di paura.
Avrebbe voluto
liberarsi, l’ingannatore lo sapeva, ma si sarebbe trattato di
un gesto inutile.
S’accorse che l’effetto dell’idromele
benedetto cominciava a fare effetto, che gli
spiriti dei morti, sottoforma di ombre, iniziavano a prendere forma
attorno a
lui. Molti di loro erano giganti perché alcuni tra gli
Æsir avevano sangue
Jotnar, nelle vene – e lo stesso Odino era stato generato da
Bestla, una figlia
di Jotunheim.
“Lo
so. Dovrò costringerti, se non lo farai,”
l’avvertì porgendole, per l’ennesima
volta, il corno decorato con scene di battaglie e cacce – le
sue, quelle
vissute con Thor.
Sigyn
si decise e, abbassando lo sguardo, accostò le labbra piene
e morbide al bordo
su cui lui aveva posato le sue, di nuovo. Fino
all’ultimo desiderava
essere padrona delle sue scelte, anche se era un’ancella e
l’obbedienza avrebbe
dovuto guidare ognuna delle sue azioni. Voleva essere libera da lui,
che l’aveva
pretesa e ora la tratteneva.
Bevve
fino all’ultima goccia, finché non le tremarono le
gambe e lui dovette
sorreggerla, stringendola a sé. Lo sguardo di Sigyn era
vacuo e il suo profumo dolce
lo inebriò, ma si maledisse tenendola tra le braccia
perché erano troppo
vicini; lei aveva la pelle morbida e bianca e, buttando il capo
all’indietro, gli
offrì il collo dalla linea elegante e la scollatura
generosa, dove spiccava la
curva del seno bianco che seguiva il ritmo del suo respiro
improvvisamente
accelerato. Loki avrebbe voluto baciarla, toccarla e scoprirla.
Desiderò spogliarla
dell’abito, ammirarla senza nulla indosso, strapparle via
quell’aria d’intoccabile
sdegno che la circondava. Pretenderla per sé,
perché lei doveva essere il suo pagamento,
non la più brillante delle fiamme destinata a bruciare e a
consumarsi fino a
spegnersi. Avrebbe commesso un sacrilegio – voleva farlo
lì, ora, senza
attendere oltre – ma fu distratto dagli occhi di Sigyn,
improvvisamente lucidi.
Gli
sfiorò
la mascella sbarbata e imbrattata di cenere, le labbra. “Noi non moriremo
insieme,” rivelò in un
sussurro.
Il
dio degli inganni deglutì e non rispose, in attesa.
“Tu
avrai
ciò che chiedi e sarà la tua
maledizione,” proseguì l’ancella
accarezzandogli il
collo e poi il petto nudo.
Una
fitta di desiderio l’avvolse costringendolo a uscire, a
immergere la testa
pulsante in un secchio d’acqua gelida. S’accorse di
aver trascinato con sé Sigyn:
l’aria pungente della sera pareva averla risvegliata
completamente, e ora lei
sbatteva gli occhi sorpresa, passandosi una mano sulla fronte. Era
pallida e
sconvolta, confusa e infuriata. Serrò le labbra inumidendosi
le guance e il
collo.
“Non
toccarmi mai più,” l’avvertì,
fuggendo, per la prima volta, il suo sguardo.
Gli antenati
erano apparsi anche a lui. Lo avevano chiamato re, ma nelle loro voci
non c’era
alcuna traccia di gioia.
Non le
avrebbe restituito il bracciale riparato né quella sera
né le seguenti. Non le
disse neanche che era stata lei a toccarlo, mentre lui si era limitato a
tenerla
tra le braccia.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
#iorestoacasa
e continuo a
restarci,
consolandomi con i miei amatissimi Loki e Sigyn
e provando a
risollevare l’umore anche a voi, anche se la storia sta
prendendo (finalmente) le
pieghe dark con cui l’ho pensata.
Poiché non c’è nessuna descrizione
gratuita ritengo che il rating arancione vada bene. Mi dispiace che ci
siano
fantasmi e spiriti, preferirei parlare d’altro in questi
giorni e sono vicina a
tutti voi perché siamo tutti nella stessa barca
♥♥, però purtroppo era
impossibile sostituirli.
Siamo rimasti
nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il presente e,
anzi, vi confesso
che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma è tutta
colpa di Loki, come sempre.
Le leggerete nei prossimi capitoli, però ^^.
Come sempre,
v’assicuro che tutto torna e tornerà. Spero
che le mie storie possano
tenervi compagnia in questi giorni difficili ♥, quanta
ne fate a me
quando leggo della vostra presenza perché vi palesate
recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah, mi trovate pure su
Twitter ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti e rituali. Il
blót esiste, ma gli darò/gli
ho dato delle accezioni in più che considero personali
headcanon.
Vi informo anche che ho nuove
cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere
presto!
Stavolta vi ASSICURO che il
prossimo aggiornamento sarà “Solo un
accordo:” avendo tutto il weekend
libero può darsi che la aggiorni prima e, intanto, vi invito
a fare un giro
sulla storia a 4 mani che ho scritto con Miryel: Dove
va l'anima
quando moriamo?
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
Non
toccarmi mai più, gli
aveva detto. L’aria era fredda e loro ancora accaldati,
lucidamente consapevoli
di aver perso una parte di se stessi nella sala dell’hov.
Sigyn non
sapeva quale forza l’avesse spinta a pronunciare le parole
che aveva rivolto al
dio degli inganni. Era stato uno squarcio nelle tenebre del futuro, un
buco
nella tela filata dalle Norne. Era la prima manifestazione della
scintilla, che
solo l’ingannatore e il suo furbo padre avevano avvertito.
Lei non era al
corrente di niente, ma aveva percepito, finalmente, che qualcosa di
oscuro e
sbagliato la corrodeva, rendendola simile al principe degli
Æsir.
Ne
ebbe paura.
Smarrita
e barcollante, raccolse le poche forze rimaste e tentò di
allontanarsi, di
fuggire, ma Loki la bloccò afferrandola per il polso.
“Altrimenti?”
le sibilò con voce roca costringendola a sollevare le ciglia
verso di lui.
“Cosa puoi farmi, tu?”
Sigyn
non rispose e l’Ase s’ avvicinò fino a
sfiorarle la bocca, a respirare il suo
sospiro. Scelse d’ignorare la tensione che gli scuoteva i
nervi ogni volta che
i loro corpi annullavano le distanze: doveva scoprire se la
sentiva
anche lei. Avrebbe potuto commettere un sacrilegio inammissibile,
perché Sigyn
era un’ancella vicina al giuramento, ma, di fatto, ancora
libera. Era la scintilla.
Intoccabile, come tutte le cose proibite e, per questo motivo,
necessaria più
dell’aria. Osò posare le dita sulle sue labbra
piene, oscillare sul filo
sottile che separava il desiderio dal sacrilegio, il lecito
dall’illecito,
sfruttare il tatto per saggiare quanto fossero morbide, umide, dolci.
Le
sollevò il mento – che lo guardasse in faccia, che
ripetesse l’avvertimento con
quel suo sguardo ardente di principessa. La sentì
sussultare, perdersi,
scoprire l’identica fitta che mordeva lui. Ghignò
soddisfatto – il caos li
avvolgeva, ne aveva avuto la conferma – e la fissò
con negli occhi una luce di
sfida. L’odore della sua pelle aveva qualcosa
d’inebriante – miele e vaniglia.
“Sono
un’ancella,” gli rispose infine con implacabile
alterigia.
Il
principe di Asgard fece una smorfia. L’incanto era stato
rotto. “Non ancora.”
Si allontanò di un passo senza lasciare il suo polso
sottile, di fata. “Non per
sempre. Non giurerai, non prenderai mai i voti. Non puoi,”
predisse – rivelò, a
denti stretti, con voce cattiva, mentre un pensiero urgente,
impossibile da
rivelarle, gli martellava nella testa – se lo facessi, lui
ti vedrebbe e
capirebbe cosa sei; pretenderebbe subito il tuo
sacrificio e noi non
avremmo tempo di fare niente.
Il
viso di Sigyn perse ogni colore. Si sentì tradita.
“Siete un popolo di barbari
senza morale né decenza,” esplose.
“E tu
un nostro ostaggio.”
“Nostro?
O tuo?” alluse con un tremito delle
labbra. Era terrorizzata, in
trappola, e lo riteneva il solo responsabile delle proprie sventure;
Sigurdr
aveva commesso un imperdonabile errore negando i propri aiuti ad
Asgard, ma era
stato Loki, solo Loki, a pretendere che li seguisse.
L’ingannatore
guardò quelle labbra piene che avrebbe desiderato
assaggiare, la pelle bianca e
invitante del seno che si alzava e abbassava rapida sotto il vestito.
Le lasciò
il braccio, perché un futuro re doveva essere in grado di
controllarsi. E poi,
toccarla era un’empietà.
“Mio
no, mai,” sostenne con forza. Vide un lampo di smarrimento
negli occhi di Sigyn;
fino a quel momento aveva provato più a volte a interrogarlo
circa il proprio
destino, ma il principe era stato sempre vago, evitando accuratamente
di
risponderle. E ora, lei non aveva in mano che i cocci di una serie di
ragionevoli sospetti. Decise di infierire, di mentirle.
Ghignò e la fissò con
insolenza, dall’alto in basso. “Ma sarebbe un
peccato, se Padre Tutto decidesse
di donarti a qualche valoroso Ase tanto presto, non trovi anche tu?”
La
sua voce vibrò d’orrore al pensiero, ma lei non se
ne accorse, troppo offesa da
quella battuta bugiarda, che la consegnava a chissà che
esistenza opaca e
imposta, certamente più crudele della vita di clausura che
le sarebbe spettata.
Si convinse che Loki avesse agito spinto unicamente dalla precisa
volontà di
farle del male e abbandonò ogni contegno, riducendo
nuovamente la distanza tra
loro. “Sfacciato, profanatore, ladro! Avevi detto che potevo
servire gli
antenati!”
L’Ase
incassò l’insulto con un certo dispetto e
irrigidì la mascella affilata. Piccolissimi
fiocchi bianchi danzavano tra lui e Sigyn, ancora accaldati ed ebbri
d’idromele, con addosso l’odore pungente degli
incensi speziati e il loro,
mescolato, pericoloso. Non poteva biasimarla, perché ogni
sua certezza aveva la
consistenza di un sogno destinato a dissolversi, eppure la detestava
per il suo
profumo di miele e vaniglia, per la sua bocca ben disegnata, per la sua
assurda
fede in qualcosa che, alla fine, non
l’avrebbe salvata. Tenerla tra le
braccia non gli era bastato. “Per ora. Non è il
tuo destino, spiacente.”
La
secchezza della frase colpì Sigyn facendola avvampare. Aveva
colto nella sua
voce del gelido sarcasmo e nei suoi occhi chiari una punta
d’ingiustificato
rancore.
“Purché
non sia stare con te, mi andrà tutto
bene,” ribatté rabbrividendo per il
freddo e per l’idea.
Loki
inclinò il capo fissandola con irata sorpresa; non si
aspettava di suscitare
tanto disprezzo, eppure, in qualche modo, la cosa lo divertiva. Sigyn
sentiva
sempre il bisogno di ribadire come non gradisse la sua presenza. Aveva
ancora
il fiato corto e gli occhi accesi, ma qualche ciocca si era sfilata
dalle
trecce e le ricadeva, libera, sul viso. Era bella.
Riprese
il controllo di sé e allacciò le mani dietro la
schiena gonfiando il petto. “Cos’hai
visto nella sala?”
L’ancella
mancata scosse la testa e strinse le labbra. “Non lo
so.”
“Mi
hai parlato,” insistette.
Sigyn
si sfiorò il collo e la gola, come se le mancasse
l’aria. Le era rimasta
addosso la sensazione strisciante di aver osservato o sentito qualcosa,
mentre era nella sala, tra le braccia dell’Ase; una sorta di
presagio che,
calmandosi e concentrandosi a dovere, avrebbe potuto recuperare dalla
memoria,
ma che la presenza di Loki rendeva impossibile afferrare. Lui
catalizzava ogni
sua attenzione, fissandola con un’intensità
spiazzante e privandola di ogni
protezione. Davanti a lui si sentiva esposta, nuda, fallibile, ma
mostrarsi
vulnerabili davanti al figlio cadetto di Odino era pericoloso. Col suo
intuito
di lupo avrebbe saputo individuare ogni crepa nascosta nella sua anima
e
infilarci dentro il veleno. Un giorno, Sigyn si sarebbe mostrata a Loki
priva
di ogni difesa, ma non era quello il momento.
“Non
lo ricordo. L’idromele era troppo forte.”
L’Ase,
forse, non le credette. Strinse le palpebre come se volesse guardarla
meglio. “Stammi
il più possibile lontana, in futuro,”
suggerì, per poi incamminarsi a passi larghi
verso la foresta, il buio, la notte che non temeva – aveva
sempre trovato le
tenebre confortevoli e l’oscurità non era riuscita
a spaventarlo mai, nemmeno durante
l’infanzia.
“Non
sono io che ti cerco,” puntualizzò lei.
“Hai qualcosa di mio.”
Loki
si fermò girandosi appena. “L’ho
stregato.”
“Lo
rivoglio,” insistette Sigyn decisa. L’effetto
dell’idromele e del rito era stava
svanendo rapidamente grazie al freddo. Notò che
l’ingannatore aveva ancora i
capelli umidi e non soffriva il freddo. Non si chiese il
perché.
Lo
vide annuire e incamminarsi nuovamente verso gli alti alberi col suo
passo
svelto e altero. Ne osservò il portamento fiero dovuto alle
spalle diritte e
all’andatura decisa, ma provò un senso di
smarrimento quando la sua figura
ammantata di nero svanì nel folto del bosco:
l’immensa vastità di quei luoghi
selvaggi la spaventava – c’erano frassini
millenari, grotte e sentieri dove non
si udivano rumori a eccezione della foresta stessa, che respirava.
Quella
sera le fu concesso di cenare nelle sue stanze; spiluccò
appena e imputò la
mancanza d’appetito agli sconvolgimenti della giornata.
Provò a leggere un
libro di liriche, ma non le riuscì di concentrarsi. Le frasi
e le rime scorrevano
davanti ai suoi occhi perdendo il loro significato. Pensò
con rabbia a lui, che
l’aveva ingannata. Non era diverso da suo padre: era un
pirata a cui piaceva
giocare con le vite altrui, distruggendole. Spense il lume che era
comunque
troppo tardi, infilandosi tra le coperte ancora fredde. Avrebbe dovuto
farle
scaldare alla cameriera che si occupava di lei, ma se n’era
dimenticata. Rabbrividì
e si tirò su le coltri fino a
coprire quasi completamente la testa. Nel segreto del letto, prima di
addormentarsi, si sfiorò le labbra con la punta delle dita
perché lui le aveva accarezzate,
ripensando all’unico momento sopravvissuto
all’oblio del blót –
lei che
gli toccava il petto largo e forte, di guerriero.
Non
si videro per giorni. Balder, un mattino, venne a cercarla
nell’ampio giardino
su cui si affacciavano le sue stanze per mostrarle l’ennesimo
giocattolo creato
da Loki: un bellissimo drakkar in miniatura con tanto di timone a poppa
e vela
quadrata, simile a quello su cui Sigyn aveva viaggiato per giorni. Di
nuovo,
non poté non notare l’abilità con cui
era stata costruita la nave; per creare
certi dettagli, l’ingannatore aveva dovuto per forza
infilarsi tra l’occhio e
il naso una qualche lente d’ingrandimento e, quindi,
intagliare con precisione
gli uomini, i remi, la fiera prua decorata con un serpente marino. Gli
chiese
dove fosse il fratello, ma il bambino rispose con un’alzata
vaga di spalle.
Arrivò a chiedergli se avesse lasciato detto di consegnarle
qualcosa, un
messaggio o un oggetto, ma Balder non sapeva niente. Sigyn decise che
doveva scoprire
quale fosse il suo destino e chiese di poter vedere Odino –
riteneva fosse giusto
conoscere almeno il nome del valoroso Ase sacrilego cui pareva essere
destinata. La conversazione con Padre Tutto, però, non
avvenne mai.
L’aria
di Asgard era gelida, il suo vento tagliente come le lame che gli
Æsir
portavano sempre appese alla cintura o infilate negli stivali. Il
palazzo di
Odino e il fiordo un mattino si ricoprirono di bianco, il cielo divenne
grigio
e senza luce. Sigyn non aveva mai visto così tanta neve in
vita sua: s’incantò
di fronte allo spettacolo stupendo dei giardini candidi e immobili,
della
foresta che sembrava appartenere a un sogno o a una fiaba. In mezzo a
quello
stupore, scoprì che Loki si era assentato da Asgard, ma non
seppe mai il
perché. Sembrava che il figlio cadetto di Odino fosse solito
compiere viaggi e
ambascerie dall’obiettivo apparentemente oscuro, che forse
avevano a che fare
con la sua spaventosa abilità nell’utilizzare il
seiðr. Era stato nel corso di una
di queste missioni che il suo sorriso si era fatto più
tagliente, i suoi
ragionamenti più spietati, ma tutto ciò a Sigyn
sarebbe stato raccontato dopo.
Il mondo
era ancora avvolto in un bianco e gelido mantello quando
l’ingannatore tornò. Lei
si stava avviando verso le sue camere dopo essere stata presso gli
altari degli
antenati e, istintivamente, si ritrasse dietro una colonna per vedere
senza essere
vista. Loki irruppe nel cortile mentre era ancora in sella al suo
cavallo
nervoso e sbuffante, dal pelo scuro come il suo mantello, e scherzava
pesantemente con il fratello maggiore, venuto ad accoglierlo. Doveva
aver
compiuto qualche impresa particolare, perché di fronte a una
battuta di Thor
buttò il capo all’indietro e rise di gusto. Sigyn,
nonostante tremasse per il freddo,
non si mosse dal suo pur blando nascondiglio. Non avrebbe mai
immaginato che Loki
potesse ridere così. Sfoggiava perennemente un sorriso
arrogante e sarcastico, carico
di veleno. Il suo intento era quasi sempre volto a ferire o irretire il
malcapitato interlocutore di turno, ma, nascosta dietro una colonna,
Sigyn
scoprì che il giovane principe degli Æsir sapeva
lasciarsi andare a un moto di
pura, assoluta gioia, priva di doppi fini. Celata al suo sguardo
intelligente e
indagatore, ne studiò il profilo affilato e regolare,
virile, soffermandosi
sulla mascella squadrata e sugli zigomi taglienti. Notò la
sicurezza che
accompagnava ogni suo gesto, colse la pacca gentile che diede al
cavallo dopo
essere smontato agilmente di sella. Ogni movimento del suo corpo
nervoso e
scattante sprigionava forza. Le battevano i denti per il freddo
– colpa dell’abito
troppo sottile che doveva indossare per officiare riti da cui presto
sarebbe
stata esclusa, ma scelse di rimanere dov’era per non
permettere agli occhi di
Loki di violarla con uno dei suoi sguardi rapaci. L’Ase
parlò a lungo con suo
fratello e non la notò. Era troppo preso da una
conversazione che assomigliava
più a un monologo, in cui il primo figlio di Odino si
limitava a rispondere a monosillabi
e ad ascoltare l’altro, tutto preso ad accompagnare ogni
concetto o racconto con
i movimenti misurati e calzanti delle belle mani di mago.
L’argomento era lei,
ma questo Sigyn non poteva saperlo.
Loki Odinson
non era tornato da un viaggio di piacere. Era riuscito a rientrare ad
Asgard
prima che il tempo peggiorasse drasticamente e una tormenta invernale,
la prima
della stagione, si abbattesse con violenza sul fiordo. Alcuni giorni
prima
aveva finito di tradurre e trascrivere gli antichi tomi che parlavano
di una
profezia legata alla scintilla, ma alcune
informazioni non tornavano,
erano contraddittorie e particolarmente oscure. Di ciò aveva
parlato a lungo
con Padre Tutto e, alla fine, entrambi erano arrivati alla stessa
considerazione;
occorreva trovare una copia della pergamena consultata, possibilmente
più
antica, per capire se le informazioni combaciavano o si era trattata di
una
svista del copista.
Un lampo d’orgoglio gli infiammò lo sguardo al
ricordo. Il lieve sorriso che
aveva increspato le labbra nascoste dalla barba di suo padre gli aveva
suggerito
come il suo lavoro fosse stato apprezzato. A voler essere onesti, la
ricerca si
era rivelata un eccesso di zelo; le due pergamene erano differenti in
qualche
punto, ma su una cosa concordavano assolutamente: il destino di Sigyn
era
segnato, a meno di non tentare un qualche atto violento, folle e
disperato.
Increspò
le labbra in una smorfia e si massaggiò il collo. Era notte
fonda e oltre le
finestre sprangate infuriava la tormenta. Si versò
l’ultimo goccio d’idromele
nel corno sperando che gli facilitasse il sonno e tornò a
posare gli occhi sul
trattato scritto dal nano Brokk di Nidavellir su come rendere
più veloci le
navi da guerra.
Intinse la penna nel calamaio e aggiunse l’ennesima chiosa,
dedicandosi poi ad
appuntare su una pergamena stesa una serie di considerazioni che
avrebbe fatto
leggere a Padre Tutto. Un timido bussare interruppe il suo lavoro
rompendo l’atmosfera
sospesa. Credette di essersi sbagliato e rimase in attesa, ascoltando
il
silenzio rotto unicamente dal vento che fischiava schiantandosi contro
il
palazzo, col braccio sollevato e la penna stretta tra le dita; una
goccia d’inchiostro
cadde creando una macchia tra un paragrafo e l’altro dei suoi
appunti e il colpo
si ripeté. Si alzò con un movimento fluido, senza
dimenticare di recuperare
velocemente uno dei suoi pugnali più affilati; non aspettava
visite e Thor bussava
in modo diverso, seguendo un codice antico messo a punto
quand’erano bambini. Se
qualcuno osava cercarlo a quell’ora, doveva trattarsi di
un’emergenza o un
imprevisto grave. Attraversò con delle ampie falcate le
stanze sobrie ed
eleganti assieme, che portavano i segni sfacciati della sua
personalità
intrigante, fiera e curiosa: tappeti di Vanheim, qualche trofeo di
guerra,
armi, astrolabi, compassi, pergamene, libri e ogni sorta di
curiosità e di stranezza
raccolta in giro per i Nove Regni. Quando aprì la porta si
trovò di fronte a una
delle serve più anziane di sua madre. Torcendosi le mani e
chiedendogli perdono
mille volte per averlo disturbato, lo informò che Sigyn si
era sentita male e aveva
bisogno di un guaritore o di una pozione capace di abbassarle la
febbre. Loki inarcò
un sopracciglio e quella proseguì, raccontando che la
tormenta rendeva
impossibile andare a cercare i guaritori; nel palazzo, al momento, non
c’era
nessuno che s’intendesse abbastanza di medicamenti a parte
lui. Il primo
cerusico disponibile sarebbe arrivato solo all’alba.
Loki
piegò le labbra sottili in una smorfia infastidita e
seguì la serva lungo i
corridoi del palazzo, camminando rapido tra i pannelli di legno
affrescati e i
mosaici arricchiti con l’oro, trafugati da città
assoggettate e poi distrutte. Aveva
portato con sé nient’altro che il tomo oggetto del
suo studio e un paio di
ampolle, di quelle che era solito infilare nel suo scarno bagaglio: non
era un
guaritore, ma conosceva molte delle rune che sanavano il corpo e aveva
studiato
accanto ai migliori di loro, perché un principe di Asgard
doveva sapere come
ricucire una ferita e curarsi in caso di stretta necessità.
Chi usava il seiðr
in questo era avvantaggiato, specie se poi, come lui, si dilettava nel
creare
veleni. Non si sarebbe mai mosso dalla sua stanza se lei non fosse
stata un
ostaggio incredibilmente prezioso, preteso e perduto al tempo stesso.
La stanza
di Sigyn era avvolta nella penombra e ben scaldata, ma non possedeva
quasi
nulla di lei. C’erano dei libri sulla scrivania, che
l’Ase conosceva molto bene
perché venivano dalla ricca biblioteca di Odino, qualche
schizzo abbozzato dei
paesaggi di Asgard, di discreta fattura, l’abito bianco di
lino indossato dalla
ragazza quel pomeriggio. Loki osò sfiorarne il tessuto
leggero e, alzando lo
sguardo, incontrò un oggetto che non si aspettava di
trovare. Il cavallino di
legno che aveva intagliato per suo fratello. Balder doveva averglielo
regalato
e lei, chissà perché, lo teneva in bella vista
sulla toeletta, accanto al
pettine e a qualche fermaglio. Si avvicinò al letto,
concentrando l’attenzione
su Sigyn. I bei capelli biondi erano sparpagliati sul cuscino e
malamente
legati con un nastro scuro da cui sfuggivano numerose ciocche. Le dava
fastidio
persino la luce della candela e teneva gli occhi chiusi, ma quando lui
ordinò
alla serva di prendere un bicchiere d’acqua e qualche goccia
d’idromele forse riconobbe
la sua voce, perché schiuse le palpebre rivelando gli occhi
grigi e lucidi. Batteva
i denti dal freddo nonostante le fossero state date altre coperte e
provò a dirgli
qualcosa d’incomprensibile.
Loki
le mise una mano sulla fronte: scottava. Mormorò delle rune
e si fece dare
dalla donna accanto a lui un paio di pezze che al tocco delle sue dita
divennero tanto fredde da sembrare fatte di ghiaccio.
L’ancella mancata,
sentendo la stoffa gelida sulla fronte, emise un sospiro di sollievo.
“Non
sei abituata al freddo di Asgard. Chiederò che ti vengano
dati abiti più
pesanti – noi queste temperature non le sentiamo
neppure,” le spiegò l’ingannatore
mescolando rapido il contenuto delle boccette con l’acqua, ma
lei a malapena l’ascoltava.
Sigyn
schiuse le labbra riarse e la serva lei si accostò
sollevandole la testa e le
spalle con la delicatezza che avrebbe riservato a una figlia o a una
bambina,
aiutandola a bere la pozione. Loki l’aveva addolcita
aggiungendo dell’idromele,
ma non era riuscito a togliere del tutto il sapore fastidioso e acre
degli
ingredienti uniti insieme. Osservò la scena e
pensò che non le era mai sembrata
tanto vulnerabile come in quel momento. Alzandosi, la camicia da notte
si era
tirata scivolandole sulla spalla e l’Ase si
ritrovò a fissare l’inaspettata
pelle morbida e bianca che segnava il principio dolcemente rotondo di
un seno,
l’ombra scura della punta che quasi sfiorava l’orlo
della camicia. Deglutì e distolse
lo sguardo, tentando d’ignorare la fitta di desiderio che lo
aveva ghermito. Pensò
al piacere che avrebbe provato se solo avesse potuto stringerla e far
scorrere
le labbra su di lei, accarezzando con la bocca ogni dettaglio,
lambendole quell’areola
rosata solo intravista, ma era maledetta – sospirò
e scacciò il pensiero violento.
“Puoi
riposare,” ordinò spiccio alla serva.
“Non mancano molte ore all’alba.”
La
donna gli lanciò una lunga occhiata interrogativa e
uscì senza proferire parola.
Dopo che se ne fu andata, l’Ase avvicinò una
poltrona e s’accomodò accanto al
letto, ma non troppo. Aprì il grosso volume scritto da Brokk
e riprese lo studio
dove l’aveva interrotto, gettando di tanto in tanto
un’occhiata a Sigyn, finalmente
addormentata.
Le rune
avevano cominciato a confondersi davanti ai suoi occhi quando la voce
flebile e
impastata di lei, poco più che un sussurro, non lo
risvegliò immediatamente. Il
vento, ormai, soffiava con meno intensità, segno che la
tormenta stava
cessando.
“Che
ci fai qui?”
“Sono
rimasto per controllare che la pozione che ti ho dato non ti
avvelenasse,”
ghignò chiudendo il libro con un gesto secco. Si
alzò per posarle una mano sulla
fronte; scottava ancora, ma molto meno di prima.
Lei
sgranò
gli occhi, in visibile imbarazzo per la stanza avvolta nella penombra
notturna,
per essere sola con lui, per il tocco gelido delle belle dita
dell’Ase, per il
sudore che le era rimasto addosso mentre la temperatura scendeva. Loki
le tastò
anche il collo con un gesto leggero e misurato; Sigyn non si accorse
della
tensione che lo irrigidiva scorgendo il suo petto che si alzava e
abbassava
sotto la camicia da notte, delle labbra strette in una smorfia
contenuta.
“È
il
caso che tu beva un altro goccio di pozione,” le disse per
smettere di
guardarla, di pensarla. Piegò la testa
di lato offrendole il calice e, nell’atmosfera
sospesa di quell’ora tra la tenebra e la luce, le loro dita
si sfiorarono. “Sembra
che i nostri incontri debbano incominciare sempre con io che ti offro
da bere. È
seccante,” considerò l’Ase.
Sigyn
bevve e si lasciò ricadere tra i cuscini, sfinita.
“Non ti ho detto tutto
quello che ho visto nella sala, durante il sacrificio,” gli
confessò. “Credo di
aver ricordato alcuni dettagli. C’era qualcosa,
accanto a me.” Rise,
girando la testa verso di lui, e raccontò quello che a
chiunque sarebbe sembrato
un delirio incomprensibile – parlò di un fantasma
che le sussurrava di come si
sarebbe svegliato come lei, con lei – ma
che seccò il palato di Loki e
fece accelerare il suo respiro.
“Dimmi
di più,” ordinò, valutando seriamente
se fosse il caso di violare i suoi
ricordi con qualche incantesimo.
Sigyn
s’irrigidì. Ogni percezione del futuro era
svanita, ricacciata via dalla sua
coscienza più o meno vigile. Nel momento in cui aveva
rivelato il resto della
visione avuta tra le braccia dell’Ase, quella era scomparsa
definitivamente. Il
tono del principe, poi, l’aveva spaventata. Che
voleva da lei? “Tu mi
hai strappata dalla mia casa. Tu sei quasi morto per colpa di mio
padre. Perché
non prendi per te ciò che hai preteso?”
Un
lampo attraversò gli occhi dell’Ase, ma lei non
poté notarlo.
“Lo
vorresti.”
fu la risposta sfacciata.
“Mi
offendi e mi tormenti. La mia devozione è tutta per gli
antenati,” ribatté Sigyn
con la poca forza che aveva, tirando fuori da sotto le coperte il polso
sottile, di fata.
Loki le
guardò a lungo il braccio delicato, la mano affusolata. Si
mosse per allungarle
un’altra pezza gelida senza alcuna grazia. “Non te
l’ho domandato.” Era arrivata
al punto da avere una qualche percezione del suo destino e mantenere il
segreto
rischiava di essere controproducente. Sfilò da una tasca
della bandoliera il
bracciale che aveva riparato e lo mise accanto al letto, sul comodino.
“Sarebbe
stato meglio per tutti, presumo, ma vedi, non possiamo: sei la
scintilla. Farti
fare l’ancella come se niente fosse è
impensabile.”
Sigyn
aveva seguito con gli occhi il suo gesto. Lo
fissò, febbricitante e sconvolta. “Tu sei
un bugiardo. Le scintille non esistono più.
Sono streghe. Le hanno
bruciate tutte.”
Un
sospiro. “Tu sei l’ultima di loro.”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Sono
giornate difficili per tutti. Il tempo scarseggia – lo smart
working è pesante
e le distrazioni ridotte – e scrivere e leggere sono le sole cose
che mi
tengono a galla. Poi ci siete voi ♥. Ero titubante sulla
scena della febbre di
Sigyn e spero che non mi odierete per averla inserita – anche
se il suo è un malanno
di stagione dovuto all’estremo freddo di Asgard a cui non
è abituata. Sono
giorni difficili e stiamo soffrendo tutti, pertanto ogni riferimento a
quanto
sta accadendo è straziante, ma la scrittura serve a evadere,
la letteratura a
ricordarci la vita com’era e come deve tornare a essere.
Ne
approfitto per mandare un messaggio: Loki è un discreto
pozionista e in quanto
soldato conosce i rudimenti del soccorso, ma ascolta i
guaritori e chi ne sa
più di lui. Fate lo stesso ♥ e #iorestoacasa
continui a essere il
vostro mantra.
Adesso mi
chiuderò nuovamente con i miei amatissimi
Loki e Sigyn. Siamo
rimasti nel passato, come avete visto: volevo inserire anche il
presente e,
anzi, vi confesso che ho dovuto tagliare un po’ di scene, ma
è tutta colpa di
Loki, come sempre. In realtà, sto ragionando su come
inserire il presente perché
a un certo punto la storia deve piotta’,
come diremmo a Roma.
Come
sempre, v’assicuro che tutto torna e tornerà (ho
riletto tutte le loro battute
affinché tornasse). Spero che le mie storie
possano tenervi compagnia in
questi giorni difficili ♥, quanta ne
fate a me quando leggo della vostra
presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Per voi un
clic può non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Bastano
undici parole o un clic nelle liste per restituire un po’
della magia che la
lettura dovrebbe ispirare a chi scrive.
Parafrasando l’infinita Melania
G. Mazzucco, posso dire che “solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la
freccia scoccata verso il cielo non è caduta ai nostri
piedi, ma ha colpito il
cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e
un po’ di divertimento… c’è
la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter e Instagram ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia
personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di
Loki
che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Il
blót
esiste, ma gli darò delle accezioni in più che
considererò headcanon. Anche l’espressione
“Per le Norne” che compare
sempre nei miei scritti dal 2017 lo è.
Vi informo anche che ho nuove
cose in cantiere ♥, spero di farvele leggere
presto!
E la settimana prossima? Ah,
boh, non ho ancora deciso XD
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo
13
Il
corno d’idromele era quasi vuoto, ma Loki scelse di non
riempirlo. Alla sua
scintilla si erano spenti gli occhi. Era seduto su una comoda
poltrona, con
le gambe allungate su un tavolo basso, davanti a un camino acceso. Non
era lì
per scaldarsi, anzi, l’aria troppo calda lo infastidiva, ma
le fiamme guizzanti
su cui aveva puntato gli occhi somigliavano alla sua anima furente.
Sfiorò con
i polpastrelli le ricche decorazioni del recipiente fissandone la
meticolosa
lavorazione, ma con la mente era altrove. Le sue dita avevano carezzato
la
pelle di lei, calda, profumata, indimenticata. Dove
ora c’erano
l’argento e l’osso prima c’era stata
Sigyn – e toccarla non era mai stata
un’azione priva di conseguenze. La maledisse perché
aveva fallito e non
era riuscito a salvarla, perché non
aveva smesso di desiderarla.
Non erano bastati gli abiti umili, l’aria dimessa o la
treccia mesta che
imprigionava la massa d’oro dei suoi capelli. Era e sarebbe
rimasta, per
sempre, la ragazza sfacciata vestita di rosso che
l’aveva fissato a un
banchetto come se si trovasse al cospetto non di un principe o un
guerriero o
un mago, ma di un ragazzo insolente. Lo disapprovava, eppure non aveva
perso
l’occasione per osservare con curiosità ogni cosa
di lui, dal modo in cui
portava il corno alle labbra al fluido movimento delle sue mani quando
voleva
sottolineare un concetto, per arrivare ai dettagli della sua armatura
decorata
con draghi e serpenti. E lui se n’era accorto, che le sue
sorelle tenevano gli
occhi bassi e lei no, era l’ultima a chinarli, la sola a
incrociare il suo
sguardo. Allora Sigyn si smarriva: di fronte alla piega ironica del suo
sorriso
che voleva dire tutto e niente, che prometteva e irretiva.
Ma
ora quello sguardo non esisteva più. Ed era qualcosa che gli
arroventava
l’anima pensare che lei fosse altrove, che si spogliasse dei
suoi stracci
davanti a Kalfr e lui non potesse far nulla per impedirlo.
Appoggiò la nuca allo
schienale della poltrona e chiuse gli occhi raccogliendo le idee,
ordinandole
grazie alla sua mente febbrile, rapida. Se non fosse stato il fiero
figlio di
Odino si sarebbe lasciato sfuggire un sospiro o una maledizione, ma era
nato
per essere re: una simile debolezza non era nemmeno contemplata
– s’inumidì le
labbra raccogliendo l’ultima traccia d’idromele.
Era
tornato ad Asgard la notte prima, senza neanche togliersi gli stivali,
precipitandosi
nella parte più oscura della biblioteca per
capire, per vedere
l’inchiostro rossastro seccato sulla pergamena formare le
parole che aveva
dimenticato, anzi, ignorato, perché era più
facile raccontarsi una consolante
menzogna che togliere il velo dalla realtà. E lui, questo,
lo sapeva meglio di
chiunque altro; in troppe occasioni aveva sfruttato il bisogno di
illudersi proprio
delle sue vittime per ingannarle fino alla fine, con poco sforzo.
L’archivio,
di notte, era spaventoso, ma Loki non temeva
l’oscurità. Lasciava che lo
avvolgesse, consapevole che nel buio si nascondevano ombre e fantasmi e
colpe.
Era sensibile a certe percezioni per colpa del seiðr che, ogni
tanto, gli
rendeva possibile scorgere i punti di contatto tra questo mondo e
quello della
spaventosa Hela dalle due facce, minaccioso e oscuro.
Aveva rovistato tra le pergamene arrotolate e accatastate le une sulle
altre
impaziente, nervoso, veloce, come se il tempo potesse scivolargli via
dalle
dita, a lui, che era un figlio degli Æsir. Si era ritrovato
tra le mani il
documento che cercava quasi per caso ed era rimasto a fissarlo un
momento lungo
un’eternità, prima di srotolarlo e far scorrere lo
sguardo sulle rune vergate
con cura. E il sangue aveva iniziato a scorrergli più
velocemente nelle vene,
confermando il dubbio emerso nel Tempio. Ogni cosa gli si era rivelata
con una
chiarezza estrema, ma troppo tardi. Se solo lei gli avesse detto che
stava
diventando cieca.
Il
fuoco crepitava e s’arrotolava nell’immenso camino
centrale che scaldava la
stanza e l’idromele, ormai, era finito. Strinse la mascella
virile e affilata e
serrò tra le dita il recipiente lavorato, vuoto, inutile,
incapace di soffocare
la bestia nera che gli rodeva lo spirito sussurrandogli, con la sua
stessa voce
perfida, che l’aveva persa perché non era degno,
così come non lo era stato di
Mjollnir. Lui che li tesseva per gli altri, si era crogiolato
nell’inganno di
aver sconfitto la più ignobile delle creature di tutti i
Nove Regni.
Invece,
aveva fallito, e Sigyn se n’era andata perché
stava perdendo la vista e aveva
compreso come quello fosse il primo, inequivocabile segno, che quella
cosa fosse
ancora viva. E la reclamava. Gettò il
corno a terra con una smorfia.
Cos’avrebbe fatto se fosse venuto a conoscenza, col giusto
anticipo, di quanto
le stava accadendo? Consapevole di aver festeggiato una sconfitta
scambiandola
per una vittoria, avrebbe cercato di rendere vera
l’illusione, abbracciando il
destino da cui era sfuggito per un soffio non una, ma due volte. E, con
tutta
probabilità, sarebbe morto.
Non
era abbastanza potente per fermarlo, non ancora,
nemmeno con
l’intervento delle reliquie in possesso di Padre Tutto
– e lui, quanta parte di
responsabilità aveva nell’allontanamento di Sigyn?
Le aveva confermato i suoi
sospetti? Si era deciso a mantenere il silenzio nei suoi confronti
perché
riteneva che avrebbe commesso qualche altro atto sconsiderato? Non si
era
fidato del suo secondo figlio? Una risata secca e amara gli
uscì dalla gola.
Non poteva biasimarlo, non dopo l’ultima volta, non dopo che
si era rivelato
incapace di resistere all’impulso di andare a letto con lei,
colpevole di non
riuscire a interrompere la loro relazione. Aveva scoperto che
commettere
sacrilegio non portava solo caos: era dolce
– irresistibile, necessario
come il balsamo su una ferita o l’idromele a un banchetto.
Il
fuoco saltava nel camino e la notte era scesa su Asgard;
nell’aria pungente
c’era già il sentore dell’inverno e Loki
si chiese come avrebbe agito ora che,
ironicamente, sapeva, era a conoscenza dell’unico dettaglio
capace di dare un
senso agli avvenimenti degli ultimi anni. Cosa voleva? Giustizia?
Il suo
spirito impaziente e feroce di guerriero, di principe orgoglioso, di
figlio di
re, gli imponeva di prendersi, una volta per tutte, ciò che
credeva di aver
posseduto: doveva liberare Asgard dal marciume che ne avvelenava le
fondamenta,
impedendo che Sigyn venisse immolata.
Riaprì gli occhi e fissò le fiamme
ardenti.
Chiamala
col suo nome, Loki: vendetta.
Sorrise
al pensiero, ma soprattutto s’accorse che la sua era
un’idea egoista, in grado
di tenere conto unicamente dei suoi bisogni e che si scontrava
amaramente con
la realtà dei fatti. Affrontarlo di nuovo significava
morire, raggiungere il
Valhalla da eroe sconfitto e non trionfante. Aveva perso,
ma la
soddisfazione non era nella sua natura e nel fuoco davanti a lui rivide
la
gonna cremisi di lei che girava graziosamente per il banchetto,
attirando
irrimediabilmente il suo sguardo.
Sigyn
non gli aveva detto niente per proteggerlo dalla verità e
impedirgli
d’intervenire. Per non essere guardata con pietà e
commiserazione, per non
subire l’umiliazione di venire considerata un peso.
Ricordò le lacrime mute che
le avevano rigato le guance quando si era deciso a rivelarle la
verità sul suo
essere l’ultima scintilla, la sola rimasta.
Il dolore di lei era stato misurato e composto, nobile, fatto di un
pianto silenzioso
difficile da sostenere, tradito soltanto dal fremito delle labbra,
dalle dita
che stringevano convulsamente la coperta. Fin da quella notte era
rintracciabile la sua fierezza di principessa, sì, ma
l’orgoglio esigeva sempre
il pagamento di un prezzo. E Loki, questo, lo sapeva bene, anche se si
trattava
di una lezione che avrebbe appreso ancora meglio solo in futuro: Sigyn
aveva
preferito allontanarsi per non costringerlo a vedere la ragazza col
vestito
rosso divorata dall’oscurità, immolata a forze
oscure e indecifrabili. Chissà
da quanto se n’era accorta.
Bugiarda. Hai
scelto il tuo destino e hai
osato decidere anche per me, che credevo di aver vinto e, invece, ho
perso.
Non
c’era altra spiegazione e, sebbene Sigyn gli avesse risposto
praticamente a
monosillabi, il suo sguardo vuoto e perso, irrimediabilmente cieco,
diceva ogni
cosa. La profezia si riferiva a lei.
Toccò
a Balder interrompere questa ridda di pensieri oscuri. Loki non si
mosse,
sentendolo arrivare. Aprì gli occhi ed emise un sospiro
scocciato, vedendo che
l’altro si avvicinava al camino tanto da sfiorargli quasi la
punta degli
stivali. Il ragazzo si scaldò i palmi intirizziti dal
freddo, consapevole che,
se desiderava avere un dialogo con il fratello, avrebbe dovuto iniziare
a
parlare per primo. L’ingannatore gli faceva scontare gli anni
che li separavano
e il più giovane dei figli di Odino aveva dimenticato il
tempo in cui il
maggiore intagliava per lui giocattoli di legno e provava a erudirlo
nell’utile
arte dello spionaggio.
“Mentre
eravate a divertirvi a caccia è arrivato questo,”
disse porgendogli una
pergamena.
A
Loki non sfuggì la punta di gelosia nella voce di Balder. Li
accusava di
tagliarlo fuori da ogni impresa in cui si lanciavano, ed era vero;
nelle rare volte
in cui lui e Thor avevano fatto lo sforzo di portarlo con loro,
l’altro si era
sentito un intruso, uno spettatore straniero non abbastanza svelto da
cogliere
il senso delle battute che facevano. Li osservava riferirsi a fatti,
battaglie
e persone facenti strettamente parte di un passato condiviso che lui
ignorava,
così come assisteva a un’intesa profondissima per
cui bastava un sopracciglio
alzato o uno sguardo per approntare sul momento strategie e decisioni.
E quelle
giornate passate nella foresta a seguire le orme di prede e predatori,
lontano
da Asgard, per i suoi fratelli erano momenti preziosi,
perché Loki e Thor,
prima di essere figli di Odino, erano alleati, compagni
d’arme, amici.
Trovavano necessario e divertente abbandonare la competizione e i ruoli
che si
confacevano al loro rango per trattenere il respiro di fronte a un
cervo o a un
orso. Un giorno quel loro legame si sarebbe spezzato, infranto, e
Balder
avrebbe scoperto che persino nella perfetta intesa che aveva sempre
invidiato si
erano insinuato il risentimento, ma non era ancora il tempo.
Loki
gli scoccò un’occhiata severa e prese il foglio:
era una missiva che parlava di
una serie di disordini nati lungo il confine col regno di Laufey a
causa di un
terreno conteso. Se ne sarebbe dovuto occupare al più
presto, decise, ma un
ragionamento crudele gli s’infilò nella testa
– bugia, c’era sempre stato: appianare
le divergenze tra i popoli confinanti era un compito delicato che
spettava generalmente
a un sovrano o al suo erede. Eppure, sebbene Odino affibbiasse a lui
questi
incarichi da anni, pareva prediligere comunque Thor come suo
successore, a
prescindere dai brillanti risultati che Loki otteneva. Era come se ogni
suo
sforzo fosse vano o apparisse come tale e si scontrasse con una
decisione già
presa che niente, in questo mondo o nell’altro, avrebbe
potuto cambiare. Thor
era l’eroe di Asgard e la sua stella brillava più
delle altre, mentre la sua,
per quanto si sforzasse di farla scintillare, nascondeva sempre una
traccia
d’oscurità, di buio. Una tenebra che lo corrodeva
da dentro, mordendo e
graffiando, avvelenandogli i pensieri – perché
Odino non riusciva, col suo
unico e terribile occhio, a guardare lui con l’orgoglio
malcelato con cui ammirava
Thor? Come mai quando si ritrovava a essere l’oggetto della
sua attenzione le
sopracciglia argentee si arcuavano guardinghe, all’erta,
quasi suo padre volesse
valutarlo ogni volta e capire se e quanto fosse meritevole?
Cos’altro doveva fare Loki, figlio di Odino, per convincere
il genitore di
essere degno di lui, di Asgard? E se non avesse fallito con Sigyn le
cose
sarebbe andate diversamente? Piegò la pergamena sotto le
belle dita di mago e
Balder, incauto, osò parlargli ancora.
“Siete
andati da lei,” disse con una punta di delusione, di accusa.
“Me l’ha detto
Thor,” aggiunse, affinché il fratello non potesse
mentire o negare. Il dio
degli inganni non rispose.
“Non
l’ho detto a nostro padre,” proseguì il
ragazzo con un sospiro. “Ma… forse
avrei voluto che tu facessi qualcosa, stavolta.”
Un
sorriso laterale si disegnò sulle labbra sottili di Lingua
d’Argento. Piegò
appena la testa di lato, scrutandolo divertito. “Sei deluso?
È curioso. Per
anni mi hai accusato di tenerla prigioniera e di averne fatto la mia
concubina
e ora mi rimproveri perché non l’ho tolta dal
Tempio. Ha giurato. Non
commetterò di nuovo un sacrilegio. La casa di Odino non
subirà altre offese.”
“Ma
Thor ha detto che le sue condizioni…” insistette
l’altro.
“Thor
ti ha detto che ho pagato. E pagherò ancora,
finché vivrà. Nostro padre sa già
tutto, te l’assicuro,” concluse seccamente,
fingendo di concentrarsi sulla
lettera che gli era stata recapitata. Loki amava Odino. Lo ammirava con
il
feroce orgoglio che l’altro non gli aveva mai restituito. Ne
apprezzava la
sagacia, l’astuzia, la forza, la saggezza, ma quando, come
quella sera, si
scontrava con la sua crudeltà, ne rimaneva inevitabilmente
ustionato. Il re
degli Æsir sapeva e l’aveva convinta ad andarsene
o, nel migliore dei casi, si
era detto d’accordo con lei nell’abbandonare ogni
speranza. Lingua d’Argento poteva
imitare il tono della sua voce, indovinare che strade avrebbero
intrapreso i
suoi ragionamenti finemente arguti, arrivare alle medesime conclusioni.
Era
stato ascoltandolo che aveva imparato a essere se stesso e, ora, si
trovava a
contemplare rabbiosamente la costanza con cui gli aveva mentito,
nascondendogli
il vero motivo per cui lei se n’era andata. Deliberatamente,
scientemente,
inesorabilmente, Padre Tutto aveva scelto di celargli la
verità, tenendo per sé
la notizia della sconfitta e della conseguente cecità di
Sigyn.
A
lei, che si accorgeva che la vista le diminuiva giorno dopo giorno,
maledetta
da un destino ineluttabile, non volle pensare; ai
momenti in cui lui,
l’astuto Loki, avrebbe potuto accorgersene, nemmeno. Era
troppo fiero, orgoglioso
e crudele per scavare nella propria coscienza.
“Io
non volevo che soffrisse, fratello,” si giustificò
Balder. “Nessuno di noi lo
voleva, ma Sigurdr diceva che la sua terra era ancora
maledetta e che i
raccolti avevano smesso di crescere, gli animali di mangiare.
Raccontava che la
sua gente moriva di fame perché tu ti eri preso qualcosa
di più di un’ancella
destinata agli antenati, e quando ha scoperto che era la scintilla,
la
scintilla che sarebbe sempre rimasta sua, o loro, o
qualsiasi cosa
significhi, ha continuato a scrivere. Io non lo so,
non c’ero, ma le hai
permesso di andare via, di essere ciò che voleva, e quella
terra è tornata
fertile e rigogliosa,” concluse, perché era troppo
giovane per non comprendere
che il bene e il male spesso s’intrecciavano insieme.
“Era
libera di andare dove volesse,” soffiò
l’ingannatore, pensando con una smorfia
che quelli erano discorsi vecchi, già fatti – solo
che, al tempo, il peso della
conoscenza non lo schiacciava. Si alzò, prese
l’attizzatoio e smosse alcune
braci per ravvivare il fuoco.
“Non
da sempre. Non all’inizio,” lo accusò
Balder. Vide che lo sguardo verde del
fratello si era fatto tagliente, furioso.
“Perché
sei ancora qui? Per chiedermi di
rapirla?” s’interessò Loki.
“Perché,
ora che Thor ti ha raccontato come vive, improvvisamente
l’idea che debba
trascorrere il resto della sua vita espiando le sue presunte colpe ti
rattrista
e macchia il tuo animo, candido come il mantello che porti?”
“Ecco
dov’eri.” Thor s’intromise raggiungendo
l’ingannatore e posandogli una mano
sulla spalla, in un gesto che voleva essere d’ammonimento e
di consolazione
insieme. Strinse, quasi volesse infondergli un po’ della sua
poderosa forza.
L’altro non lo guardò nemmeno, troppo intento a
scrutare Balder e il suo
sincero, tardivo, inutile pentimento. Credeva che le altre ancelle
avrebbero
accolto Sigyn senza farle scontare di aver avuto un amante, di aver
vissuto. Ingenuo
idiota.
“Volevo
dire a nostro fratello che mi dispiace,” rispose il figlio
più giovane di Odino
con un sospiro. Sentì di essere stato debole e
superstizioso, ripensò alla
confusione provata quando si era accorto di come Loki e Sigyn, che
credeva si
detestassero profondamente, in verità si cercassero e si
appartassero negli
angoli di Asgard.
A
Thor non piacque quella battuta. La considerò inutile.
“Non è il momento per tormentarci,
Balder,” tagliò corto con fare spiccio.
Loki
aggrottò la fronte e ridusse gli occhi a due fessure. Era in
piedi,
impassibile, misurato, sarcastico. “Per cosa ti
dispiace?” s’interessò. “Era
il
suo destino,” concluse freddamente.
Il
più giovane non fece in tempo a replicare; Thor riconobbe le
intenzioni
dell’ingannatore, ben nascoste dietro l’apparente
calma che sfoggiava, e si
frappose tra i due, bloccando il mago.
“Balder,
adesso vai fuori e vedi di stare al tuo
posto,” ordinò con voce urgente.
Il ragazzo colse il disappunto sul viso affilato di Loki e comprese che
il
tonante lo stava proteggendo. Serrò le labbra,
perché nonostante fosse
considerato da tutti un valente guerriero, non se n’era
accorto che l’altro
stava per attaccarlo. Si allontanò senza voltarsi,
sospirando esasperato.
“Gli
hai salvato il naso,” commentò il dio
dell’inganno.
“Lo
so,” bofonchiò Thor. “
Non
avevano parlato di quanto era successo nel Tempio. Loki si era chiuso
in un
fastidioso silenzio stordendolo con tutt’altro tipo di
discorsi, ma il tonante
lo conosceva abbastanza da sapere che stava rimuginando – che
era successo
– qualcosa. Lo capiva dai molti segni invisibili a chiunque
altro, che lui individuava
così bene; l’inquietudine lievissima con cui si
riempiva un corno d’idromele,
l’impazienza celata nell’atto di spronare il
proprio cavallo e, poi, il segno
più allarmante e scontato di tutti: la solitudine dietro cui
si era trincerato
da quando, la sera prima, erano rientrati ad Asgard. Thor non si era
preparato
alcun discorso – non era nella sua natura: suo fratello era
volubile e
scostante e di pessimo umore e lui deciso a fare chiarezza sul loro
ultimo
viaggio.
“Cos’hai
scoperto, fratello?”
Loki
lo guardò per un istante, poi spostò la sua
attenzione sulle fiamme danzanti. “Sigyn
ha perso la vista. È cieca.”
“Questo…
questo che significa?” Un’idea gli
attraversò la mente. Di nuovo gli afferrò la
spalla e strinse. “Noi avevamo fermato tutto questo!
Tu sei quasi morto
e ora lei dovrebbe stare bene, isolata in quel posto, ma sana e
salva.”
Gli
occhi di Loki avevano una trasparenza particolare. “Significa
che la
maledizione non si è fermata, fratello.” Lo disse
scandendo ogni sillaba e
fissando il tonante diritto negli occhi. “Non si è
fermata,” ripeté con un
brivido, pensando a quegli incubi striscianti che ora –
troppo tardi – avevano
un maledetto senso.
Thor
lasciò andare la presa – nella penombra, i
lineamenti scolpiti dell’ingannatore
parevano ancora più taglienti. Il mago si voltò
tornando a guardare il fuoco
guizzante, nervoso, inghiottendo nel petto le parole che avrebbe dovuto
dire ad
alta voce.
Che
non è morto. Che Sigurdr ha usato sua figlia fin dal momento
in cui è nata e
l’ha venduta ad altri, prima che a me e agli Antenati. E
loro non hanno smesso di
volerla.
La
prima volta che l’aveva baciata, che, nel buio, aveva sfidato
ogni legge sfiorandole
le labbra, lei era impallidita e aveva cercato di scostarlo senza
riuscire,
però, a camuffare il tremito di sorpresa e terrore che
l’aveva scossa. Era rimasta
a fissarlo sgranando gli occhi, eppure nel suo sguardo grigio Loki non
aveva
letto l’ombra del dispetto. Brillava una luce strana,
curiosa, indecifrabile.
“Non
sarò mai la tua schiava,” gli aveva promesso.
Loki si
era esibito in un sorriso scaltro e affascinante. “Allora sii
mia come una
donna libera.”
Sigyn
non era riuscita a rispondergli. Stupita, gli aveva dato
l’occasione per
baciarla ancora nella penombra, per stringere contro il suo quel corpo
sottile
e desiderato – con un braccio le cingeva la vita, con una
mano le stringeva la
nuca affondando le dita nei suoi capelli color dell’oro. Le
aveva ghermito la
bocca assaggiandole le labbra – lambendole, scoprendole,
gustandole – soffocando
i non posso che erano diventati non
possiamo, non dobbiamo, non è
giusto. Chi lo dice? Gli Antenati. Sono morti, Sigyn. Sono polvere nel
vento e
noi siamo vivi. Quando aveva osato risalire dalla vita per
raggiungere il
seno di lei, si era irrigidita e lo aveva scansato con forza. Loki
ricordò di
aver sogghignato – si era aspettato una reazione simile
– e l’ancella, ormai
perduta, lo aveva inchiodato con una frase tremenda, ma vera.
“Questo
è un sacrilegio.”
Per
quella notte si erano fermati.
La
sera in cui si erano illusi di aver vinto, con le labbra che
sapevano di
vino,
si erano rintanati nelle sue stanze spogliandosi senza fretta. Lei
aveva curato
ognuna delle sue ammaccature consolandolo con le sue labbra,
mostrandosi a lui
con i capelli sciolti e splendenti sulle spalle esili.
L’aveva cercata con la
stessa urgenza di sempre, maledicendosi per ogni fitta di desiderio che
l’incatenava a lei, scoprendo il piacere nascosto in
un’unione lenta, intensa,
appassionata, non meno disperata di tutte le altre che
l’avevano preceduta e di
quelle che sarebbero venute dopo. Ogni spinta, sospiro, bacio e ansito
doveva
sancire il loro trionfo – anticipava la sconfitta, ma questo
loro non potevano
saperlo. Si ritrovarono esausti uno accanto all’altra e Sigyn
gli si accostò
con la naturalezza che aveva appreso nel tempo. Era preoccupata.
“Sono
la dea della fedeltà e l’ultima scintilla. Come
posso rimanere qui, dove ci sei
anche tu?”
Pensava
al suo ruolo, al destino che avevano sfidato. Loki, steso accanto a
lei, le
aveva accarezzato la pelle morbida e levigata. Ora sapeva che, in quel
momento,
l’aveva già persa.
“Non
abbiamo già pagato abbastanza? Dovresti sacrificarti per chi
ti ha venduta?
Scegli di essere libera, Sigyn,” le aveva detto, ma la
libertà è un’illusione,
un inganno.
“Nostro
padre lo sa?” domandò Thor, riscuotendolo dai
ricordi.
L’ingannatore
annuì, trattenendo dentro di sé la risposta
velenosa che avrebbe voluto dargli,
troppo intento a rispondere alla propria coscienza oscura.
“Hai
un piano?”
Loki
alzò le spalle. “Dovrei?”
Doveva
dimenticarsi di lei, pretesa, cercata, odiata, avuta, persa. Mancava
solo una
parola impronunciabile all’elenco, una che gli sarebbe
rimasta incastrata in
gola e non avrebbe ammesso nemmeno quando, anni dopo, le Norne
avrebbero fatto
oscillare il suo filo.
Ti
ha mentito. Gliene farai una colpa, Loki?
Sì,
maledetta bugiarda. Morirai come dovevi – è il tuo
destino.
L’angolo di
Shilyss
Care Lettrici e
Lettori,
Vi avevo promesso
che la storia doveva da piotta’, che è un modo
asgardian-romano per dire che la
trama doveva andare avanti, ed eccoci qui. Ci sono parecchi, tanti
indizi in
questo capitolo. Come forse (spero) si sia capito, Sigyn ha due
problemi
fondamentali: l’essere la scintilla e l’essere
stata promessa a qualcosa di
oscuro più degli Antenati che avrebbe dovuto servire.
Ovviamente questo
qualcosa probabilmente vi verrà mostrato, eh eh eh.
Loki in questa parte
della trama ancora crede di avere qualche chance col trono e se nella
fine
emerge un suo coinvolgimento… beh, è sempre il
giovane uomo che sta parlando di
una ragazza per cui ha commesso un sacrilegio, una che è
stata la sua amante per
del tempo.
Balder: in
recensione molti mi hanno scritto che è un OC. Non lo
è, appartiene al canone
scaldico e ai comics, dove ha un ruolo molto rilevante.
Ah, la storia citata
è Sapevano
di
vino le tue labbra.
Ah, abbiate pietà:
ho gli occhi fritti e spero di non aver scritto ca**te, domani rileggo
**.
Come sempre, v’assicuro
che tutto torna e tornerà (ho riletto tutte le loro battute
affinché tornasse,
ho gli occhi incrociate). Spero che le mie storie possano
tenervi compagnia
in questi giorni difficili ♥, quanta ne
fate a me quando leggo della
vostra presenza perché vi palesate recensendo o listando.
Per voi un clic può
non essere nulla, ma per un’Autrice significa tantissimo
– e io lo so perché
(sono) stata lettrice, prima che scrittrice. Voi non sapete quanto mi
faccia
piacere.
Per ulteriori info, tante foto di
Loki,
di Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah, mi trovate pure su
Twitter e Instagram ;)
Ricordo che Vanheim
e il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è
una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego
di essere originali anche per quanto concerne miti, rituali e per
alcune
caratteristiche di Loki che non vengono espletate e/o chiaramente
mostrate nei
film. Il blót esiste, ma gli
darò delle accezioni in più che
considererò
headcanon. Anche l’espressione “Per le
Norne” che compare sempre nei
miei scritti dal 2017 lo è.
Vi informo anche che ho nuove
cose in
cantiere ♥, spero di farvele leggere presto (sa
di minaccia, ma po’ esse
che, non disperate)!
E la settimana prossima? Ah, boh,
non ho
ancora deciso XD
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Sigyn
conosceva a memoria ognuno degli oggetti presenti nella sua cella. Ne
ricordava
l’esatta posizione e amava toccarli per rievocarne le forme
tramite le dita. Non
che possedesse chissà quante cose:
nel suo misero angolo privato era racchiuso l’indispensabile
e da Asgard aveva
scelto di non portare nulla. Si morse le labbra, perché la
menzogna si era
formata senza che se ne accorgesse. Una delle ancelle di rango
superiore al suo
– pura – colpì il
disco di bronzo che segnava l’inizio delle cerimonie;
Sigyn pensò al buco nel muro in cui aveva nascosto
l’unico frammento che le
ricordava l’illusione della sua vita passata e si
buttò sulle spalle il
mantello di lana grezza. Le dita incontrarono il tessuto ruvido della
tunica e
lei lo esplorò con i polpastrelli, perché il
mondo di tenebra in cui era
rinchiusa le restituiva una sensibilità accentuata per i
rumori, i sapori e le
sensazioni tattili, e Sigyn aveva bisogno di conoscere, ricordare,
rievocare.
C’era stato un tempo in cui la sua pelle aveva conosciuto la
seta e il broccato
importati dalle terre degli Elfi, un tempo in cui si era permessa di
sfoggiare
un abito cremisi di fronte a un principe guerriero degli Æsir
e ne aveva pagato
il prezzo. E quello sguardo conficcato su di lei bruciava ancora, a
distanza di
anni.
Sospirò,
avviandosi lungo i corridoi che non
le avrebbero riservato alcun tipo di sorpresa. Avrebbe dovuto
sfiorargli il
volto. Percorrere il naso diritto e virile, affondare le dita nelle
ciocche
scure come la notte, accarezzare gli zigomi alti e affilati, la
mascella
severa, le labbra sottili e quella cicatrice ormai bianca che gli
segnava il
sorriso, vista per la prima volta quand’era ancora una ferita
fresca. Sotto il
suo tocco, il viso di Loki avrebbe ripreso forma e consistenza. Erano
stati
vicini, però – l’aveva tenuta tra le
braccia e lei aveva sentito la sua voce
carica di risentimento e di rancore, si era lasciata inebriare dal
profumo
della sua pelle, fatto di cuoio, acciaio, inchiostro. Le loro dita si
erano toccate
appena, i loro respiri mescolati, ma non poteva bastare a nessuno dei
due – non
era bastato mai.
Ricordava
il momento esatto in cui aveva capito d’essersi innamorata di
lui, ma non era
sicura che coincidesse con l’istante in cui aveva saputo di
volerlo. Indagare
in tal senso era pericoloso, perché Sigyn aveva creduto per
tutta la vita di
essere un’ancella e invece s’ingannava, era una
donna.
Una
fatta di carne e di sangue, colpevole d’aver agito
cercandolo. Quella notte
lontana tremava e si era rifugiata tra le sue braccia, ma mentre si
stringeva a
lui sapeva, era cosciente di che rischio stessero
correndo: Loki era
stato così sfrontato da rubarle l’ennesimo bacio,
assaggiandole le labbra con
la voglia disperata di risolvere la tensione che c’era tra
loro – quella che li
consumava, spingendoli a lanciarsi occhiate di fuoco e a far di tutto
per sfiorarsi
anche solo le dita, quella che provocava rancori e gelosie da ambo le
parti. Tremava,
ma credeva che sarebbero morti e lo aveva baciato zittendo la sua bocca
beffarda e ironica, perennemente sul punto di mentire, incapace di
allontanarsi
dalla sua.
Sembravano
ricordi appartenenti non a una, ma a mille vite prima.
Partecipò alla funzione senza
farlo davvero, con ancora in testa la voce amara di Loki. Lo
immaginò risalire
a cavallo e galoppare nervoso verso Asgard e pensò a quando
arricciava le
labbra mentre lo osservava compiere quelle medesime azioni, al tempo
della sua
prigionia dorata. All’inizio lo spiava, facendo attenzione a
non farsi vedere,
ma un giorno si ritrovò ad ammirare apertamente il modo
agile con cui saliva in
groppa al suo baio, la decisione con cui stringeva le gambe sui fianchi
dell’animale per farlo correre. Osò avvicinarsi,
fino a scorgere la luce che brillava
nei suoi occhi verdi mentre si occupava di quella bestia intelligente e
magnifica, ma intrattabile quanto lui.
“Ti
ha mai disarcionato?” gli chiese divertita, inarcando un
sopracciglio.
Loki non
nascose la sorpresa nel vederla lì, di fronte a lui.
“Infinite volte,” rispose
orgoglioso, slacciando con movimenti rapidi la sella. Quando la vedeva,
drizzava ancora di più le spalle, sfoggiando un portamento
regale e fiero che
si accordava perfettamente con la sua aria spavalda.
Sigyn
sapeva solo da poche settimane di essere la scintilla. Lingua
d’Argento gliel’aveva
confessato la notte in cui era rimasto con lei per guarirla da una
feroce
febbre. All’inizio non ci aveva creduto, ma poi.
“È
una gara a chi è più testardo, allora,”
osservò carezzando il muso del cavallo.
L’animale la guardò con i suoi neri e intelligenti.
Loki rise,
ma senza smettere di tenerla d’occhio. “Non sarebbe
divertente, altrimenti.”
Quando sorrideva scopriva i denti regolari e bianchissimi e il labbro
superiore
quasi spariva, dando al suo viso affilato un’aria furba e
astuta, irresistibile.
A
quel tempo, Sigyn non sentiva di avere alcun dono particolare: la sua
percezione di se stessa e del mondo era rimasta quella di sempre. Dopo
giorni
di scoramento, Odino le aveva parlato illudendola di essere davvero intoccabile.
Gli Æsir erano un popolo di pirati, vero, ma non avrebbero
mai osato fare del
male a colei che abitava parte delle loro profezie, questo credeva. Era
libera
di servire gli Antenati e, qualora l’essenza che
l’animava si fosse
manifestata, si sarebbe posta il problema di cosa e
quanto dire
al popolo che l’aveva presa in ostaggio. Era la scintilla,
non avrebbe dovuto
dormire con nessun uomo, mai. Una considerazione che l’aveva
resa sicura e
avventata, spingendola a non temere abbastanza lo scaltro figlio di
Odino; adesso,
a distanza di anni, lo sapeva.
In
fondo, era stato lui a svelarle l’arcano, ammettendo che ogni
riferimento al
suo destino non era che una perfida bugia detta per terrorizzarla, ma
non
sapeva il resto: Loki aveva bisogno di allontanarla da sé,
d’immaginarla di un
altro, di ricordarsi ogni momento che toccarla era un sacrilegio. Il
principe
cadetto di Asgard viveva in una tensione perenne, stritolato tra la
necessità
di gettare caos nella sua vita e l’imposizione che si era
dato di non
desiderarla.
Sigyn
ricordò di avergli sorriso appena in risposta, stringendosi
nel mantello.
“Peccato che non tutte le sfide possano essere
vinte.”
Di
fronte a quella battuta provocatoria, Loki le mostrò, di
nuovo, la sua natura
piratesca e sfrontata, sfoggiando il suo ghigno peggiore. “Tu
dici?”
A
quel tempo Sigyn si mordeva le sue, di labbra, quando lo vedeva ridere,
ma non
si domandava mai il perché.
La
funzione si concluse al tramonto e l’ancella si
avviò verso la propria cella
col cuore e la testa pieni di ricordi. Che l’ingannatore la
odiasse era un
bene, anzi, la cosa migliore che potesse capitarle. Doveva disprezzarla
e
tornare ad Asgard senza voltarsi indietro. Se la sua visita non
l’avesse colta
di sorpresa, si sarebbe messa d’impegno per ferirlo
nell’orgoglio e liberarlo
da lei per sempre. Esitando, poggiò le dita sottili e
rovinate sul muro, seguendo
una crepa antica – un pezzo dell’intonaco era
caduto da tempo. Arrivò al punto
in cui si congiungeva con l’angolo del semplice letto, fino
ad arrivare a un
mattone particolare, che sotto la pressione dei polpastrelli si mosse
appena.
Lo tolse, sfilandolo con delicatezza infinita: all’interno
c’era un fazzoletto
appallottolato – e, dentro, un errore.
Non commise lo sbaglio di
aprirlo. Le bastò valutarne il peso per ricordarlo. Era il
monito che le
rammentava perché avesse scelto di non opporsi al fato
filato dalle Norne,
giustificando anche la rete di menzogne tessuta a danno di Loki in
persona. Saperlo
morto, immaginare il suo corpo agile e scattante privo di vita,
abbandonato in
un anfratto vicino alla fonte di Mimir, con gli occhi spalancati fissi
nello
stupore della morte, era insopportabile. Rimise il suo personale tesoro
a posto
e attese. Kalfr sarebbe venuto a farle visita, chiedendole il resoconto
di
quella visita dolorosa: voleva sapere cosa Loki avesse intuito di tutta
la
vicenda, e Sigyn si domandò cosa rispondere per proteggerlo.
Non dovette
attendere a lungo; presto i passi dell’uomo rimbombarono per
il corridoio e la
porta in legno si aprì cigolando.
La
ragazza s’irrigidì – detestava le sue
attenzioni, non sopportava quando la
raggiungeva in quella stanza.
“Lo
sa?” s’interessò il guardiano
scostandole la treccia e toccandole volutamente
la nuca.
“Sì.
Tornerà ad Asgard e troverà conferma ai suoi
sospetti,” ammise lei.
Lo
sentì chinarsi tanto da baciarle la spalla e lei
tentò di soffocare il
disgusto. “Ma il tuo irascibile principe non è una
minaccia per lui,
vero?”
“No.”
Sigyn aveva risposto velocemente e con sicurezza. Era diventata brava a
mentire, pensò.
Gli
ordini di Odino erano stati perentori: la serie di faide e di vendette
che si perpetrava
sulle terre poste all’estremo confine con Jotunheim andava
necessariamente interrotta.
I cavalli scalpitavano; Loki e Thor portavano ancora sulle spalle il
peso del
recentissimo viaggio presso il tempio dov’era rinchiusa
Sigyn. Il dio del tuono
era certo che Loki avesse dormito per un pugno d’ore totali,
non di più. Glielo
dicevano gli occhi cerchiati di scuro e i lineamenti affilati
dell’altro,
contratti in una smorfia impaziente. L’insonnia lo aveva
sempre afflitto a
periodi alterni, ma ora, Thor lo sapeva, quel tormento aveva un nome,
un colore
e il sapore di un rimpianto innominabile. Solo che Loki avrebbe
preferito farsi
spellare vivo piuttosto che ammettere di stare soffrendo per averla
perduta.
Codardo,
pensò, ma si trattava di un’accusa
ingiusta, che non teneva conto di quando l’ingannatore,
stravolto e con negli
occhi una luce folle, gli aveva proposto un piano troppo ardito anche
per lui. Il
primo figlio di Odino era rimasto ad ascoltare il racconto fantastico
del
fratello finendo per accettare di aiutarlo – ma lo avrebbe
fatto comunque,
anche se Loki non avesse perorato con veemenza la sua causa. Sarebbe
bastato
che gli chiedesse di seguirlo e sapeva, era certo che lui avrebbe fatto
altrettanto.
Codardo,
ripeté mentalmente, perché glielo aveva
già detto a voce e ne era scaturita una breve rissa: uno di
quegli scontri
violenti e brutali a cui si abbandonavano fin dall’infanzia e
che, negli anni,
si erano fatti più crudeli. Thor aveva vinto –
vinceva sempre, alla fine – ma,
come spesso accadeva, trionfava a caro prezzo: Loki era stato crudele e
lo
aveva ferito di striscio con uno dei suoi pugnali. Codardo,
dovresti correre
a salvarla, gli aveva detto.
Eppure
Loki non mancava di coraggio, anzi. Erano poche le cose che temeva ed
era
abituato a fissare i suoi avversari negli occhi, ad ascoltarne il
respiro, ad
anticiparne o bloccarne i movimenti. Eccelleva nel combattimento con i
pugnali,
del resto; la minima esitazione nel parare un colpo e affondare in un
punto
vitale la lama, significava morire senza appello.
L’educazione che li
accomunava e una buona dose di istinto gli aveva insegnato ad agire nel
più
efficace dei modi di fronte a un problema o a un nemico
perché così fanno i re.
Eppure.
Dalle
fattorie uscirono alcuni uomini armati, mentre un paio di servitori
corsero
fuori dalle porte laterali per radunare il bestiame e portarlo nelle
stalle.
L’ingannatore si avvicinò alla fattoria
presentando entrambi con una voce che
risuonò chiara e decisa sopra il vento sferzante. Il
più anziano degli uomini
aveva una fronte larga e un naso aquilino. Si strinse in un mantello
blu che ne
testimoniava l’importanza e si avvicinò a loro
senza nascondere il suo
scetticismo. Probabilmente si aspettava che i figli di Odino fossero
più
vecchi. Loki non scese dalla sua cavalcatura, ma diede con i talloni un
leggero
colpo sui fianchi dell’animale affinché si
avvicinasse alla fattoria. Il
coraggio di suo fratello, ragionò Thor, era un miscuglio di
spavalderia,
calcolo e orgoglio ed era stato quest’ultimo a inghiottire la
possibilità di
salvare Sigyn. Lei gli aveva mentito, se n’era andata, e Loki
aveva perso
troppo nel tentativo di salvarla. Quando lo avevano trovato, delirava e
parlava
una lingua antica più delle rune, che aveva fatto impallidire
persino Padre
Tutto.
Vennero
accolti in una sala sobria e ampia, opportunamente scaldata con un
fuoco
centrale allegro e guizzante. Thor lodò l’idromele
che gli veniva offerto e
così fece Loki, che si mise subito a fare domande: la faida
aveva origini
recenti e il sangue versato era stato moltissimo. Due fratelli si erano
contesi
l’eredità del loro padre, un valoroso guerriero
che era stato amico di Odino in
persona. Uno credeva di aver ricevuto un trattamento ingiusto da parte
del
genitore morente per via di un antico dissapore. Dopo la morte del
vecchio, il
rapporto tra gli eredi si era deteriorato al punto da sfociare in una
serie di
liti crudeli. La divisione della terra e dell’oro aveva
coinvolto gli avidi
giganti di ghiaccio, vicini terribili della famiglia divisa. Il loro
ospite,
Helgi, raccontò di aver ucciso i propri amici
d’infanzia in un’imboscata
aiutato dai parenti di sua moglie. Mentre lo diceva, si guardava le
mani e parlava
del fratello che, presto, sarebbe venuto a ucciderlo per vendicare
quelle
morti. Lui, con voce rotta, pensava a tutti i viaggi e le imprese
vissute con
l’altro, domandandosi se la loro stirpe dovesse finire
così, nel sangue.
Il
dio degli inganni fece molte domande; all’inizio erano
considerazioni caute:
desiderava conoscere più dettagli possibili della vicenda,
ma senza offendere i
suoi ospiti. Col passare del tempo, però,
s’interessò alla vicenda in un modo
che Thor non colse appieno. Alla luce calda delle fiamme, il possessore
di
Mjollnir non notò le labbra serrate di Loki, né
le sue sopracciglia aggrottate.
Non si accorse che, in qualche modo, l’altro capiva Helgi,
partecipava alla sua
disgrazia, comprendendo anche perché
l’uomo fosse arrivato a chiedere
l’aiuto dei suoi pericolosi vicini. Per Thor suo fratello era
l’alleato più
prezioso, l’amico più caro e antico che avesse. I
suoi scherzi perfidi e gli
inganni sottili in cui si dilettava erano armi che affilava contro i
loro
nemici. Certo, qualche volta la magia crudele di Loki si era abbattuta
anche su
di lui, come la volta in cui lo aveva tramutato in rospo abbandonandolo
a se
stesso, ma quell’episodio era da aggiungersi alla lunga serie
di reciproci
affronti, liti e contrasti che avevano avuto negli anni. Erano
fratelli, del
resto: un giorno si maledicevano mandandosi a quel paese e quello dopo
bevevano
assieme fino a sbronzarsi. La tragedia di Helgi non li riguardava: Thor
non
riconobbe il destino suo e di Loki nelle parole rotte di rimpianto di
quel
guerriero che, sospirando, annunciava che non si sarebbe difeso, se suo
fratello Oddr avesse levato la spada contro di lui. Era convinto che
nessuna
ombra sarebbe mai calata davvero su Asgard e il pensiero che, presto,
Odino
avrebbe ufficialmente nominato il suo successore non lo preoccupava.
Era certo
che, in quanto primogenito, Padre Tutto avrebbe scelto lui e che Loki
si
sarebbe limitato a inghiottire la sconfitta, accettando la decisione
del loro
genitore e re. Certo, all’inizio non avrebbe accolto con
entusiasmo l’idea di
non poter governare Asgard; era volitivo, arrogante e superbo:
sicuramente
avrebbe avuto diverse cose da ridire riguardo quella scelta, ma poi,
dopo
qualche lite furiosa, si sarebbe calmato, accettando il suo posto e
traendone
gli immancabili vantaggi, come solo lui sapeva fare. In fondo, erano
coscienti
entrambi che al primo figlio sarebbe toccato il trono. Loki stesso lo
sapeva – quella
volta, con voce tremante e una lucidità
spaventosa, stringendo la ragazza
svenuta tra le braccia, gliel’aveva detto. Sceglierà
te, fratello, perché
non mi considera degno. Questo, poi, ha annullato ogni mia
possibilità – ho
commesso ben più di un sacrilegio.
Loki
sfiorava il corno e ascoltava, ma i suoi pensieri erano diversi. La sua
prima
riflessione era stata di natura pratica: Helgi doveva pagare i parenti
dell’ucciso, mentre suo fratello poteva sfogarsi con una
rappresaglia che
avrebbe coinvolto qualche fattore scomodo o ingestibile, che aveva
partecipato
al precedente assalto. Solo così il caos sarebbe cessato.
Padre Tutto si
sarebbe rammaricato profondamente se la terra si fosse bagnata col
sangue di
Helgi e di Oddr – sarebbe stato un atto empio, intollerabile.
Con tetra ironia,
si disse che era maledetto, perché ogni cosa cui si
avvicinava portava i segni
di una profanazione o di un delitto. Magari avrebbe dovuto interrogare
le
Norne, a tal proposito. Espose l’accordo che aveva elaborato
con voce chiara e
decisa, accompagnando ogni osservazione con ampi gesti delle mani.
Helgi
lo ascoltò con attenzione per tutto il tempo, catturato
dalla forza del suo
ragionamento. “Parli molto bene, per essere così
giovane,” ammise con un velo
di rispetto.
Thor,
che fino ad allora era rimasto in silenzio a bere, intervenne dandogli
una
pacca sulla spalla. “È la sua
specialità,” rise.
Gli
occhi dell’ospite e dei suoi uomini si spostarono sul dio del
tuono e su
Mjollnir, la reliquia sacra ricoperta di rune, e Loki seppe di aver
perso il
suo momento. “Qualcuno deve pur farlo,” rispose
tagliente, ma suo fratello non
colse la frecciata e l’occhiata comprensiva di Helgi non
bastò a placarlo.
Il
primo figlio, il massacratore dei troll, era lì e, dopo aver
finito di bere,
quando la parte più faticosa dell’incontro poteva
dirsi conclusa, si apprestava
a partecipare alla discussione – a diventare il centro
dell’attenzione,
occupando il posto che ricopriva senza alcuno sforzo, solo esistendo.
Thor
gli fece notare che aveva il corno mezzo vuoto e lo riempì
fino all’orlo
d’idromele, scompigliandogli in un gesto brusco e fraterno i
capelli scuri. “Bravo,
fratellino. Forse non si ammazzeranno,” gli
bisbigliò complice.
Un
istante di silenzio. “E se ci proveranno, li fermerai,”
concluse Loki
distante, bagnandosi le labbra col dolce sapore della bevanda. Aveva
il
colore dei capelli di lei. L’altro
annuì, senza cogliere, una volta di più,
il suo tono ironicamente amaro, né il fatto che si era
tirato via
dall’ipotetica, futura, rappresaglia.
Loki
beveva e ascoltava suo fratello vantarsi e rispondere a
un’infinità di domande
sulle sue leggendarie imprese. Ogni tanto puntualizzava, precisava o
rendeva il
racconto più succoso con qualche aneddoto divertente, ma
nemmeno il ricordo o
lo scherzo più irriverente riuscivano a strappargli
più di qualche risata breve
e senza gioia. Aveva in mente troppi pensieri, che gravavano come una
massa
oscura sul suo petto bloccandogli il respiro. La sua attenzione venne
catturata
dalla porta che si apriva. Erano gli alleati di Helgi, i due giganti di
ghiaccio che vivevano sul confine, padre e figlio. Non erano di Utgard,
la
capitale, e si vedeva. Possedevano una fattoria che si trovava a poche
ore da
lì e vestivano con abiti semplici, ma di buona fattura.
Thor, vedendoli, si
rizzò in piedi di scatto, in un misto di offesa, stupore e
furia. Loki lo seguì
alzandosi più lentamente e riconoscendo, nei lineamenti
ingentiliti degli altri,
tracce di commistioni vicine e lontane. A stento trattenne una smorfia:
chi
poteva unirsi a un gigante di ghiaccio? Con che coraggio le famiglie
che
gravitavano attorno a Helgi osavano permettere ai propri figli e figlie
di mescolarsi
con una stirpe così odiosamente avversa agli Æsir?
Capiva, comprendeva che si
trovava in una terra ai confini del mondo. Per quei giganti,
così come per gli
uomini che li ospitavano, Asgard e Utgard erano la stessa cosa: luoghi
fantastici e ugualmente distanti, ignoti. In quella sala, lui e Thor
erano i
veri stranieri. I giganti li fissarono con curiosità e
furono ragguagliati da
uno dei figli di Helgi su quanto aveva promesso loro da Odino per bocca
di Loki.
Il
più anziano degli Jotnar si girò per squadrarlo
nuovamente da capo a piedi e,
nel farlo, increspò le labbra bluastre: lo
giudicò un ragazzo insolente, niente
di più, spedito da Padre Tutto fin là per farsi
le ossa. Non gli piaceva,
intuendo immediatamente che il principe cadetto era animato da tensioni
occulte
e nascondeva qualcosa, dietro quei suoi occhi verdi e penetranti.
Un’insoddisfazione sorda, un rancore senza nome che
traspariva
dall’inquietudine sapientemente nascosta dietro le movenze
misurate.
“Parla
con grande saggezza,” lo difese Helgi, “ha imparato
bene da suo padre.”
“Odino
ha molte cose da insegnare, ma non tutte meritano di essere
apprese,” sospirò
il gigante.
Loki
sentì nominare lo scrigno degli Antichi Inverni
più tardi. L’aria nella sala si
era fatta troppo calda e opprimente e lui era uscito a prendere una
boccata
d’aria. Aveva riconosciuto delle voci e si era avvicinato a
passi felpati per
raccogliere qualche confidenza strappata alla notte, venire a
conoscenza di
segreti da sfruttare a proprio vantaggio. Si mosse furtivo per
ascoltare ancora
meglio e districare le voci, rendendole frasi e parole distinte. I
giganti
parlavano di loro e li valutavano, perché nessuno, a
Jotunheim, sapeva che
aspetto avessero lui o Thor; i racconti dei troll in merito erano
incerti e
inattendibili. Erano rimasti colpiti dall’aspetto gagliardo
del primo figlio di
Odino e avevano stabilito, con un inspiegabile interesse e dopo una
lunga
discussione, che lui, Loki, era nato durante l’ultima, atroce
guerra; quella in
cui lo scrigno era stato sottratto. Attribuirono alla reliquia di cui
l’ingannatore ricordava vagamente l’ubicazione la
disgrazia che si era
abbattuta sulla sterile Jotunheim. Se avessero avuto tra le mani
l’artefatto
che proteggeva il loro regno, le cose sarebbero andate in modo
totalmente
diverso.
L’ingannatore
non elaborò alcun piano in quel momento. Si
limitò a registrare il rimpianto
nella voce dei due Jotnar, a recuperare la memoria del giorno in cui
Odino
aveva preso per mano lui e Thor bambini per raccontargli la storia
della guerra
sanguinosa in cui aveva perso persino un occhio. In
quell’occasione, aveva
promesso a entrambi il trono – siete nati per
essere re, queste erano
state le sue parole. I giganti si allontanarono e Loki rimase nascosto,
nel
buio.
I
sovrani non dovrebbero fallire. Laufey aveva perso lo Scrigno e Odino,
ora, lo
sfoggiava come uno dei suoi innumerevoli trofei. Lui aveva perso la
scintilla,
consentendole di andare via in nome del bisogno logorante di averla. La
maledisse tra i denti, augurandole senza convinzione il destino che
l’attendeva: bugiarda, mi hai mentito. Se mi avessi
detto che stavi
diventando cieca, avrei potuto, forse.
Rientrò
nella sala sfoggiando un sorriso largo e sornione e fece un complimento
a una
delle ragazze venuta a riempirgli il corno. Quella arrossì e
gli rivolse
un’occhiata lunga e compiaciuta: lo trovava bello e lui aveva
voglia di
seppellire l’immagine di Sigyn sotto strati di azioni,
pensieri e desideri.
Dopo essersi accordato con lei per un appuntamento notturno, Thor gli
si
avvicinò.
“Guarda
come brindano con quei bastardi. Dovremmo uccidere i giganti, non berci
insieme,” sentenziò disgustato.
Loki
strinse le labbra sottili e gli rivolse un’occhiata breve e
fredda. “Romperemmo
la pace costata sangue persino a nostro padre,” gli
ricordò. “Non è così che si
comporterebbe il re di Asgard.”
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e Lettori,
Rieccomi
con questo aggiornamento! ^^ Anzitutto, sappiate che le prossime cose
che
leggerete saranno Ombre strette e Solo un
accordo: so che la seconda
è molto attesa, ma siamo nella zona calda della storia,
nell’ultimo blocco, e devo
scrivere, ma anche rileggere. Inoltre, Ombre (che vi consiglio
caldamente) non
avrà più di 5/6 capitoli. Ma torniamo a questa:
sono felicissima di aver concluso
il capitolo qui perché, come forse qualcuno
ricorderà, le cose stanno per unirsi
al primo film di Thor. Vi avviso che non farò una
riscrittura del primo
film, ma sicuramente ci saranno amore, avventura e dramma.
A proposito
di dramma: su Sigyn e Kalfr ho preferito lasciare le cose vaghe, per
dare modo
a voi di immaginarvela un po’ come credete, in fondo la
lettura offre questo
vantaggio, il poter interpretare. Non ho messo note
sulle faide
vichinghe, ma funzionava più o meno così. Nel
testo vengono fatti continui
riferimenti a una battaglia in cui Loki è rimasto quasi
ucciso. La leggerete,
non l’avete dimenticata.
Ringrazio di
cuore tutti coloro che listano/recensiscono la storia: io posto e ogni
volta è
un salto nel buio. Non rispondo a tutte le recensioni pubblicamente, ma
sappiate che le leggo e mi danno una gioia infinita. Tante delle mie
storie
sono nate per una fanart inviata, per una battuta. Questa doveva essere
una
shot, lo sapete, e pure Accordo. Quindi io sono qui e giuro che non vi
mordo ♥ (e
lo so che a volte non si ha che dire, ma ricordatevi che anche due
frasi
possono volere dire tanto).
Per ulteriori info, tante foto
di Loki, di Sigyn e di Tom e un po’ di
divertimento… c’è la mia pagina
facebook
♥ https://www.facebook.com/Shilyss/. Ah,
mi trovate pure su Twitter
e Instagram ;)
Ricordo che Vanheim e il
personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia
personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura e vi prego di essere
originali
anche per quanto concerne miti, rituali e per alcune caratteristiche di
Loki
che non vengono espletate e/o chiaramente mostrate nei film. Anche
l’espressione “Per le Norne”
che compare sempre nei miei scritti dal
2017 lo è.
Vi informo anche che ho ancora
nuove cose in cantiere ♥, spero di
farvele leggere presto!
E la settimana prossima? Ah,
boh, non ho ancora deciso XD
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose,
Shilyss
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Le
labbra della ragazza che gli aveva servito l’idromele fino a
pochi minuti prima
erano più carnose di quelle di Sigyn, il suo seno
sicuramente più pieno e
largo. Le strappò un altro bacio, impaziente di soddisfare
la voglia improvvisa
che quella donna compiacente e bella gli ispirava. Non era lei,
ma lei
era perduta. Inavvicinabile come un fantasma, intoccabile come un
sogno. E
allora tanto valeva bere e pensare alla faida, allo scrigno e a Gudrun
dalle
trecce rosse e le lentiggini sul naso, che gli slacciava i pantaloni
nonostante
fosse abbastanza sveglia da capire che pensava ad altro – al
potere che gli era
scivolato via dalle dita, al trono, allo scrigno e a Sigyn, col suo
sguardo
liquido e grigio, carico di disapprovazione. Ma la scintilla
era una
bugiarda, che aveva preferito fuggire, anziché rivelargli
della maledizione da
cui non l’aveva liberata e ora non c’era
più tempo per fare nulla. Baciò la
ragazza con più foga e lei rispose con un trasporto
identico, figlio di un
desiderio sterile e breve che sarebbe durato fino alle prime luci
dell’alba e
non oltre, esaurendosi in carezze urgenti e necessarie sotto cui
sarebbe stato
più facile soffocare quell’unico momento di fatale
debolezza che aveva un nome
musicale di due sillabe e gli aveva aperto le porte
dell’oscurità: Sigyn.
Bugia, non era colpa sua se il suo spirito fiero e guardingo conosceva
solo la
malizia. Il potere era riuscito a corromperlo e lui aveva lasciato che
lo
facesse, compiacendosi per ogni trionfo ottenuto mentendo, per tutte le
vittorie strappate grazie a una mossa audace e astuta.
Il
giorno dopo Oddr, il fratello di Helgi, disse loro che non avrebbe
accettato l’accordo:
l’oro promesso non era abbastanza e la morte dei cognati del
fratello non sarebbe
servita a placare il suo rancore. Era una giornata grigia e
l’aria sapeva di
neve.
Loki
lo ascoltò e non nascose il disappunto. “Perderai
più di quanto ti offriamo
adesso. Non avrai nulla e stanotte, mentre noi berremo idromele, tu
riposerai
in Hel,” profetizzò con voce asciutta e cattiva.
Il vento gli agitava il
mantello chiuso sotto il mento, accanendosi su di lui come su tutti i
presenti.
“È
un
buon accordo ed è la legge. Credi di essere al di sopra
delle regole fatte dai
nostri padri?” tuonò Thor accanto a lui, offeso e
impaziente.
Oddr
non poteva rifiutare i tentativi di pacificazione di Helgi mediati da
Loki per
conto di Odino. Era un affronto non tanto alla casa regnante di Asgard,
che si
era esposta come garante, ma all’insieme di norme che
ordinavano i vari popoli
tra cui spiccavano gli Æsir.
“Principe
Loki, ho seguito mio fratello in ogni impresa. Abbiamo navigato e
commerciato
per anni e combattuto in molte guerre: sono sempre stato al suo fianco,
ma né
lui né mio padre sono stati giusti con me. Nessuna
ricompensa potrà cancellare
un testamento offensivo, una donna rubata, una vita passata
all’ombra,”
ribadì l’uomo con fermezza, ma nella sua voce
c’era una tristezza infinita.
L’ingannatore
fissò l’uomo dall’alto in basso. Si
trovava davanti a un guerriero alto e
forte, imponente persino, con negli occhi ambrati un dolore sordo, ma
non senza
nome. Un combattente che considerava la propria scelta ineluttabile e
ne comprendeva
il prezzo. Eppure, nonostante questo, aveva scelto di pagarlo,
perché da
quell’ombra Oddr non era uscito a emergere mai, neppure dopo
che il suo vecchio
padre era morto. Nel modo accorato in cui l’uomo aveva
perorato la propria
causa, Loki riuscì a riconoscere il barlume di una
similitudine graffiante.
Scosse il capo, inghiottendo un pensiero crudele che aveva
già fatto in passato
e che portava con sé solamente considerazioni pericolose e
indegne.
“Allora
hai deciso: il tuo destino è morire,”
sentenziò cupo, sfilando dalla bandoliera
una coppia di pugnali dalla lama luccicante e affilata.
“Ed
è
una decisione che non approvi, principe?”
Loki
gli scoccò un’occhiata offesa e altera. Oddr lo
fissò di rimando, come se
cercasse in lui un alleato o una comprensione che il principe cadetto
non
poteva né doveva offrire.
“È
una decisione che non mi riguarda,” tagliò corto.
Helgi
s’intromise tra loro. “Mi hai tradito, Oddr. Alla
fine tu mi hai tradito,”
disse, ma era poco più di un pensiero espresso con un filo
amaro di voce.
Furono le ultime parole che si scambiò in vita con suo
fratello. Oddr si difese
con coraggio e valore, ma quando si trovò di fronte a Helgi,
attese il colpo
mortale senza nemmeno pararlo, anzi: lo accolse, mettendosi in
ginocchio e allargando
le braccia.
Asgard
accolse i suoi principi mostrando loro tutta la sua bellezza. Il fiordo
su cui
si affacciava scintillava alla luce di un sole che, pur non scaldando
l’aria
pungente, regalava alla capitale degli Æsir un aspetto
luminoso e imponente.
Durante il viaggio di ritorno, Thor si espresso duramente nei confronti
di Oddr
e di Helgi, ma non si trattava che di un modo per soffocare lo sgomento
che
provava. La faida non si era risolta come auspicato, arrivando, invece,
fino
alle estreme, assurde, conseguenze; il primo figlio
di Odino sentiva di
aver fallito. La cosa peggiore, tuttavia, non era la frustrazione
provata
perché le cose non erano andate come dovevano, ma il fatto
che Loki sembrava
immerso in altri pensieri e più il tempo passava, meno era
disposto a
condannare del tutto il comportamento di Oddr. Non era la prima volta
che le
loro aspettative circa una missione venivano brutalmente disattese, ma
se c’era
una cosa che suo fratello sapeva fare era senz’altro
mostrargli gli eventi in
prospettiva e rinfrancarlo. Del resto, Loki era dalla sua parte, sempre
o
quasi. Ecco perché la lite mortale dei due
fratelli avrebbe dovuto
sconvolgerlo tanto quanto era riuscita a turbare lui. Certo, non si
sarebbe
dovuto stupire più di tanto. Loki aveva la lingua lunga e la
mente svelta, e
giocava con la realtà fino a far sembrare bianco il nero e
viceversa, eppure la
faida cui avevano partecipato poteva essere interpretata unicamente
come una
tragedia orribile in cui l’unico colpevole era Oddr, che
aveva rifiutato di
accettare un lauto risarcimento e qualche testa su cui sfogarsi.
Invece, gli
occhi verdi e pieni di dubbi di Loki cercavano inquieti qualcosa,
tradendo la voce calma e composta con cui gli si rivolgeva. Ma quello
sguardo
nervoso Thor non lo vide mai e, seppure fosse riuscito a scorgerlo, non
lo
avrebbe compreso appieno.
C’era
stato un tempo in cui Loki, rientrando dalle sue spedizioni, scorgeva
l’ombra
sottile di Sigyn. A volte lei era casualmente affacciata a uno dei
balconi che
abbellivano Asgard, altre camminava nascondendosi dietro il porticato,
ma
spesse volte gli veniva incontro osando fissarlo negli occhi,
impallidendo di
fronte alle sue battute provocatorie e salaci. Era fiera come una
regina, ma per
molte cose mostrava una timidezza figlia della vita appartata che aveva
condotto da sempre. L’avevano convinta di essere
un’intoccabile privilegiata e
invece era una donna – una bella donna,
pensava con sordo dispetto le
sere in cui l’idromele iniziava a fargli girare la testa.
Allora la sognava,
immaginando l’abito rosso che aderiva perfettamente al suo
seno bianco, i
capelli color miele trattenuti a stento da qualche ciocca e quello
sguardo
liquido e grigio, carico di curiosità e di disapprovazione,
che l’aveva
stregato durante la visita a Sigurdr. Pensava a lei – a
toglierle quel
corsetto, a baciarle la pelle morbida e profumata e quando Sif gli
chiedeva a chi
pensasse, rispondeva con qualche battuta pungente perché non
sembrasse ciò che
in realtà era. Continuava a non essere in grado di obbedire
alle direttive di
Padre Tutto e a desiderare l’intoccabile scintilla,
condannata ad appartenere
all’oscurità.
Ma entrando
nel cortile del palazzo di Odino dopo l’ultima, amara
missione, Loki non pensò
a Sigyn. L’aveva esclusa dalla sua vita un’altra
volta, bandendo dalla propria
mente ogni riferimento a lei. Fermò il cavallo qualche
momento prima di Thor
perché Balder, senz’altro avvertito da Heimdall,
li aspettava senza riuscire a
mascherare l’impazienza. Era ancora un ragazzo, del resto.
Con una smorfia,
l’ingannatore pensò che non sarebbe mai stato un
buon capo militare: era troppo
sincero e onesto.
“Ho
una notizia da darvi,” esordì quello ansioso,
senza attendere nemmeno che
scendessero da cavallo.
“Ma
giura,” lo canzonò Loki, raggiungendo terra con un
movimento svelto e agile.
Thor
rise, scuotendo tuttavia la testa di fronte alla battuta perfida del
fratello
preferito.
Balder
li fissò interdetto, spostando lo sguardo dall’uno
all’altro. Non si aspettava
di vedere sui loro volti le tracce di un combattimento; non era
previsto e Loki
e Thor erano troppo abili perché uno scontro veloce
lasciasse addirittura
qualche segno. “Nostro padre ha scelto,” disse
lentamente. “Durante la prossima
luna nuova proclamerà il suo successore.”
“Beh,
era ora. Stapperemo le botti d’idromele di Bor, per
l’occasione,” proclamò Thor
con un sorriso largo e gioviale, incamminandosi verso le stalle.
“Com’è
andato il viaggio? Avete un aspetto stanco,” insistette
Balder, seguendoli come
faceva da quando aveva iniziato a camminare, senza mai raggiungerli.
Loki
si voltò appena. “Abbiamo assistito a un
fratricidio e partecipato a uno
scontro piuttosto vivace, ma dopo un bagno caldo staremo
senz’altro meglio,” spiegò
faceto, col chiaro intento di mascherare sotto il velo
dell’ironia l’oscurità
che gli era rimasta appiccicata addosso dopo aver assistito alla
doverosa morte
di Oddr.
Balder
spalancò gli occhi, senza capire il perché del
tono forzatamente leggero del
fratello.
“Incidenti
che capitano quando si va verso il confine con quella terra di
mostri,” spiegò
Thor, subito spalleggiato dalla risata sghignazzante
dell’ingannatore. Era
certamente colpa della vicinanza con gli Jotnar e della disgustosa
mescolanza cui
verso il confine si abbandonavano sia i sudditi di Odino che quelli di
Laufey
se due fratelli erano arrivati ad uccidersi. Nella splendida Asgard una
cosa
del genere non sarebbe potuta accadere, mai. E poi,
i principi avevano
altro a cui pensare: gli Æsir presto avrebbero avuto un nuovo
re, uno degno.
Ma
che cosa significava essere degni? Loki aveva assecondato suo padre in
ogni sua
richiesta, cercando di carpirne i ragionamenti logici e anticipandone
persino i
voleri: immerso nella vasca che avrebbe dovuto ritemprarlo dal lungo
viaggio,
con la nuca bagnata poggiata sul bordo in marmo, rifletté
che non aveva alcuna
possibilità di essere stato scelto da Padre Tutto come
proprio erede. Mjollnir
era di Thor, il primo figlio, il comandante coraggioso e audace
dall’animo
nobile, se si volevano ignorare i suoi molti, imperdonabili difetti.
Increspò
le labbra in una smorfia. Suo fratello era arrogante, superbo,
vanaglorioso e
impulsivo, ma questo non sminuiva la sua presunta grandezza. Lui,
invece, era
l’astuto cadetto, il maestro di magia da cui ci si aspettava
sempre qualche
trucco meschino; era la faccia oscura di Asgard, quella che conosceva
la
provenienza di tutte le reliquie collezionate da Odino e da Bor.
Sentì la porta
aprirsi e un rumore di passi far scricchiolare leggermente il bel
pavimento in
legno. Riconobbe di chi erano e piegò le labbra in una
smorfia.
“Per
un attimo ho sperato foste due graziose serve,”
sospirò stancamente, “ma poi ho
sentito la puzza.”
Thor
gli lanciò un asciugamano mirando alla faccia.
“Nostro fratello ha della
corrispondenza per te. Privata. Dal nostro amico Kalfr,
stavolta.”
Loki
serrò la mascella e si tirò su, stringendosi
l’asciugamano sui fianchi stretti.
“Non c’era alcuna fretta,” disse. Prese
la pergamena arrotolata che Balder gli
porgeva, tastando il sigillo per controllare che fosse intatto. Non
desiderava
leggerla sul momento, né credeva che l’altro
avrebbe osato intromettersi nei
suoi affari, ma quel gesto era stato rapido e istintivo.
“Vorrà
altro oro. Credo che non sia il caso di farne parola con nostro padre,
stasera,” decise Thor.
“Pensi
che una lettera dal Tempio possa cambiare la sua decisione?”
Loki lo superò per
raggiungere un mobile dove erano posati degli abiti puliti e prese a
vestirsi
con movimenti rapidi e decisi. “Lui ha scelto molto tempo
fa.”
“E tu
approverai in ogni caso la sua scelta?” chiese Balder.
Loki
s’infilò una tunica scura coprendo il petto
segnato dagli allenamenti e dalle
guerre e fissò per un lungo istante il ragazzo, chiedendosi
se in lui ci fosse
una qualche malizia. Non ne trovò traccia. “Se non
lo facessi sarei un
traditore,” spiegò con lentezza. “Ogni
decisione di nostro padre è il frutto di
una riflessione lunga e attenta. Noi siamo i suoi figli e dobbiamo
attenerci
scrupolosamente al suo volere,” concluse, ma sebbene la sua
voce era risuonata
forte e chiara nella sala ancora piena dei vapori del bagno, si accorse
di non
credere davvero in ciò che aveva detto. Aveva recitato un
copione già scritto e
privo di senso e si sentiva svuotato, offeso, tradito da un destino
bastardo.
“Sarà
comunque meglio che non veda quella lettera in giro,”
sibilò. Prese la
pergamena e raggiunse a passo svelto il grande camino che troneggiava
nella sua
camera da letto, quello accanto cui Sigyn si metteva a leggere la sera
quando
s’intestardiva nel volerlo aspettare sveglia.
Gettò la missiva nel fuoco senza
nemmeno aprirla, osservandola bruciare mentre i fratelli gli
rimproveravano
quel gesto impetuoso e carico d’ira. Ma la scintilla era
perduta, chiusa dentro
un doppio recinto di mura, colpita da una cecità
irrisolvibile. Il suo potere e
il suo corpo appartenevano a Kalfr finché l’altro,
l’orrore, non
l’avrebbe reclamata. E sarebbe accaduto presto.
Quella
sera l’unico occhio di Odino si puntò a turno sui
suoi tre figli, soffermandosi
più a lungo sui maggiori. Durante il banchetto i due
fratelli, come sempre, si
erano spalleggiati raccontando l’episodio di Helgi e Oddr con
dovizia e
attenzione. Il re degli Æsir aveva ascoltato il loro racconto
soppesando ogni
parola. Sapeva già come si erano svolti i fatti –
gliel’avevano mormorato i
suoi corvi – ma era interessato a conoscere come
i due avevano elaborato
quella vicenda. Erano una squadra ben assortita, capace di sostenersi a
vicenda, ma erano anche due giovani uomini volitivi e orgogliosi. Padre
Tutto
aveva punito le loro intemperanze infantili prima e giovanili poi
così come
aveva sedato le furiose liti che si erano scatenate tra di loro. Quanti
banchetti erano stati rovinati da Thor, che cercava vendetta nei
confronti di
suo fratello, quanti incantesimi inopportuni gli aveva scagliato contro
Loki
sogghignando con perfidia. Erano sempre pronti a sfidarsi, a
rincorrersi, a
competere per ottenere la sua approvazione o per conquistare qualche
reliquia
con cui vantarsi, ma se c’era da combattere contro un
avversario comune, vero o
ipotetico che fosse, subito si alleavano. Erano cresciuti insieme e non
potevano essere più diversi, ma forse proprio in questo era
racchiuso il motivo
per cui erano tanto letali e inaspettati. Avrebbero dato lustro ad
Asgard – ne
avevano le potenzialità, a patto che
l’intemperanza e l’ambizione si
trasformassero in saggezza. Ma, a volte, quei figli tanto capaci gli
incutevano
lo stesso sospetto dei lupi perennemente affamati che dormivano ai suoi
piedi
mettendo il muso tra le zampe. Se messi alla prova, di cosa
sarebbero
stati capaci? Eppure, li aveva tirati su per essere esattamente
così – due
principi letali e fieri in grado di governare un regno, anzi, più
d’uno.
“Durante
la prossima luna verrai incoronato re, Thor. Sei il mio primo figlio ed
è ora
che tu ti prenda responsabilità più
ampie,” decise. Sfiorò la mano candida e
inanellata di Frigga, seduta accanto a lui. Nello sguardo limpido della
consorte lesse il suo orgoglio di madre.
Non
guardò Loki o, se lo fece, il suo unico occhio si
soffermò in quelli verdi del
figlio per troppo poco tempo, senza leggere quell’ombra di
dolorosa consapevolezza
che ne velò la trasparenza. L’ingannatore, del
resto, sapeva che Odino
avrebbe scelto Thor: non poteva dire che la notizia lo avesse
sconvolto, eppure
si rese conto che una parte di lui, quella più impulsiva,
era comunque rimasta
aggrappata all’esile filo del dubbio, della speranza appena
recisa. Non poteva
dire di essere sorpreso, ma.
“Congratulazioni,
fratello,” sibilò, sforzandosi di dare una nota
allegra e ironica alla sua
battuta, chiedendosi se trapelasse l’incendio che lo divorava
da dentro.
Sorrise e capì di aver perso ognuna delle cose per cui aveva
lottato negli
ultimi anni: Sigyn, il trono, la conoscenza, la stima di suo padre.
Thor
lo abbracciò come se stesse festeggiando non una vittoria
personale, ma una
comune, innaffiandolo con l’idromele per poi alzarsi in piedi
e lodare suo
padre e le Norne. Loki rimase seduto al proprio posto mentre suo
fratello si
piazzava in mezzo alla sala, vicino al fuoco centrale, per esternare la
propria
gioia incontenibile. No, non aveva mai dubitato che sarebbe diventato
re e Loki
lo aveva sempre saputo; se non si fosse lasciato ingannare dalla
speranza, non
sarebbe rimasto immobile cercando di evitare lo sguardo di Balder. In
mezzo al
frastuono delle stoviglie e delle armi battute sul tavolo per onorare
il futuro
re, Lingua d’Argento si voltò verso Odino,
abbastanza vicino da poterlo udire,
non troppo assorto per non ascoltarlo.
“E a
me cosa toccherà, padre? Quale eredità mi hai
riservato?”
domandò con una voce più roca di quanto non
volesse. Il sovrano lo scrutò con
attenzione e all’ingannatore sembrò che potesse
leggergli fin dentro al cuore.
“Continua
a servire Asgard e goditi la festa.”
“È
questo il mio destino? Fargli da ministro, da consigliere?”
Ora era l’orgoglio
a parlare. Si rese conto di aver ribattuto in fretta e serrò
la mascella,
pronto a subire la severità di Odino, perché
tutto ciò che contava e importava
era e sarebbe stata per sempre Asgard, solo Asgard. Era
l’obiettivo, la meta,
il fine. Ogni decisione presa da Odino e da Bor prima di lui era volta
unicamente ad accrescere il potere degli Æsir e a garantire
la supremazia di
questi ultimi sui Nove Regni, imponendosi come una forza politica anche
oltre i
confini dell’Yggdrasill. Loki lo sapeva, come era cosciente
che il suo
arrogante fratello non aveva la finezza e l’acume dei suoi
predecessori. Se
solo suo padre lo avesse visto. Se fosse riuscito a capire che i pregi
di Thor
non annullavano i suoi difetti, se avesse potuto perdonarlo per i
sacrilegi
necessari commessi, di cui, a ogni buon conto, Loki non si era mai
pentito – né
lo avrebbe fatto in seguito, forse ci sarebbe stato lui a festeggiare.
Ma
l’ingannatore era sceso nell’oscurità,
tra le radici marce dell’Yggdrasill, e
lo aveva fatto andando contro il volere di Odino.
“Il
tuo dovere, il tuo compito in quanto mio figlio,
è obbedirmi e fare
tutto ciò che è in tuo potere per rendere grande
la nostra casata e Asgard a ogni
costo. Lo sai.”
♥
Sigyn
scoprì di essere la scintilla in una notte resa ancora
più gelida dalla febbre
che la scuoteva. Le girava la testa, faticava a tenere gli occhi aperti
e
sentiva freddo nonostante le coperte. C’era Loki, con lei. Il
suo volto affilato
portava i segni della stanchezza e le labbra sottili non erano arcuate
nel
consueto sorriso laterale e beffardo, no. Le aveva stirate in una
smorfia che
tratteneva a stento il dispetto.
“Tu
sei l’ultima di loro,” le disse, e lei comprese che
le stava dicendo la verità
e non era affatto felice di farlo. Non doveva mancare molto
all’alba. Sgomenta,
sconvolta, rispose ancora che non era possibile: non aveva mai provato
nulla
che lasciasse presagire una simile maledizione e mai, mai
aveva percepito
o visto il futuro. Urd e Skuld non si erano degnata di rivelarle niente
– altrimenti,
pensò, non avrei mai messo l’abito rosso
che tu hai notato e sarei scappata
via alla tua prima occhiata.
“Capiterà,”
si limitò a contraddirla Loki. “Un giorno
sfiorerai il bracciale che ti ho
riparato e capterai i pensieri dell’artigiano che ha scelto
le pietre, di tua
madre che te l’ha regalato.”
“E i
tuoi, che l’hai aggiustato,” concluse Sigyn con
voce bassa, senza riuscire a
trovare le parole per ringraziarlo. E per cosa poi? Prima di
incontrarlo la sua
esistenza scorreva senza alcun turbamento, a eccezione di quella
bramosia di
vivere che, a volte, la lettura di poemi e poesie le ispirava. Poi,
Loki era
entrato nella sua vita regalandole paure e stupori, rimpianti e
turbamenti,
palpiti del cuore che non sapeva identificare. Le aveva aperto
brutalmente gli
occhi trascinandola nel bel mezzo di un mondo che aveva sempre
desiderato ardentemente
vedere, ma di cui non si aspettava la ferocia. La febbre le ottundeva i
sensi,
tanto da non farle rendere conto di quanto vicine fossero le loro dita,
sottile
la sua camicia da notte.
“Anche
i miei, forse, sì,” concesse Loki sforzandosi di
non sfiorarle la mano, ma
desiderando baciarle le labbra semichiuse e senz’altro
morbide, il collo su cui
si adagiavano leggere le ciocche bionde e disordinate. Le guardava la
bocca per
non abbassare lo sguardo e incontrare, di nuovo, la conturbante
scollatura che
lasciava intravedere il suo seno appuntito di ragazza. La scintilla
non
doveva essere bella, non se suo padre aveva commesso l’errore
di prometterla a
ciò che marciva tra le radici dell’Yggdrasill.
“Da
quanto lo sai?” insistette Sigyn, gli occhi lucidi per la
febbre, ma sempre
carichi di quella fierezza che lui ammirava.
“Ne
avevo il sospetto al banchetto di tuo padre. Ci serviva una
conferma.” Un altro
pezzo di verità snocciolato a lume di candela e incassato da
lei con grazia. Il
principe di Asgard si chiese come avrebbe reagito il giorno in cui
avrebbe
scoperto ogni più oscuro dettaglio del suo futuro.
“Vi
serviva una veggente.” Sigyn scoprì di essere
offesa. Una parte di lei, quella
che non sapeva gestire né controllare,
s’infiammò al pensiero che Loki volesse sfruttare
la sua maledizione e che non c’entrava
affatto l’abito rosso. Era la
scintilla ad averlo attratto, non lei – mai lei.
“Ci
serviva una veggente, anche se definirti così è
riduttivo. E volevamo punire
tuo padre,” le confermò l’Ase con voce
roca, respirando il suo profumo,
leggendo la delusione che le velava lo sguardo. No, la scintilla
non
avrebbe dovuto essere bella, ma lo era, e Loki di Asgard, che non
sapeva
rinunciare a nessuna cosa, si chiese come avrebbe fatto ad averla.
L’angolo
di Shilyss
Care Lettrici
e cari Lettori,
è più di un
mese che non aggiorno questa storia – mea culpa, mea
grandissima culpa, lo so. Siamo
nella fase centrale della storia e, come i più attenti
avranno capito, ci stiamo
avvicinando al momento in cui Loki scopre la sua vera natura. Intanto,
come
vedete, la trama è andata avanti. Odino ha nominato Thor
come suo erede: ve lo
confesso, avrei voluto scrivere 250 pagine solamente su questo, ma
temevo di
essere ridondante. Sono anche tornati i flashback: ero impaziente di
arrivare
qui perché ora scoprirete che cavolo è successo
con Sigyn, come e quando si
sono messi insieme e come le vicende dei film si intersecheranno con la
saga di
Avengers e con quella di Thor.
Voglio
ringraziare coloro che recensiscono/
leggono/seguono/ricordano e
preferiscono – ogni volta che listate o
vi palesate m’illumino
d’immenso, per voi sembrerà una cretinata ma io
che ne so che non la aprite
perché vi fa schifo? C’è gente che
guarda le carogne agli angoli delle strade,
mica sempre uno legge cose belle.
Prossima
settimana vorrei aggiornare Ombre
strette
nel raso verde: ♥, ci tengo,
è una fable AU liberamente tratta da
Barbablù e... potrebbe piacervi.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su
Wikipedia, è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A presto e
grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e
spero voi lovviate
me).
Shilyss
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo
16
Non si dovrebbe
mai bere
idromele mentre i musici suonano canzoni tristi. Loki
ricordò di averlo detto a
Sigyn per scherzo, quando lei non osava mostrargli il polso, dove
scintillava
il bracciale che lui le aveva riparato. Pensava che una futura ancella
non
avrebbe dovuto sfoggiare alcun gioiello, ma l’idea di essere
la scintilla,
insinuandosi dentro di lei, aveva provocato una sorta di sottile
ribellione nel
suo cuore. L’inverno diventava ogni giorno più
gelido e rigido, e la ragazza
spalancava gli occhi mattina dopo mattina chiedendosi se il potere che
l’aveva
condotta fino ad Asgard si sarebbe rivelato. Ma non accadeva mai nulla.
Ripercorrendo le tappe della sua vita negli ultimi mesi, Sigyn si
sentiva in
trappola. Era come se le Norne avessero tessuto così
fittamente il suo destino,
da non lasciarle alcuna scelta se non essere nella terra degli
Æsir. Loki aveva
ammesso di averla voluta perché era riuscito a captare, in
lei, la presenza di
qualcosa d’inconsueto che avrebbe potuto essere utile a
Odino, ma era andato
nella terra di Sigurdr anche e soprattutto per vendicarsi di lui.
Seppure lei
non avesse posseduto la scintilla, il perfido principe
l’avrebbe comunque
reclamata come proprio ostaggio. La scelta dei suoi genitori di darle
un’educazione rigida e tesa a prendere i voti rendeva
solamente le sue giornate
più amare, perché si trovava catapultata in una
realtà in cui il suo pudore
destava il riso e dove ogni passo sembrava condurla verso una sola
direzione. Nella
sua prigione dorata, continuava a pregare gli antenati, ma presto
scoprì di
farlo senza il giusto fervore, perché era l’ultima
delle scintille e, se non lo
fosse stata, forse Loki non si sarebbe incaponito nel volerla
trattenere nella
magnifica, spaventosa Asgard. Invece, lui e suo padre la volevano
lì, per
carpire profezie e indizi che avrebbero sfruttato per il loro
tornaconto personale.
A che serviva essere pia e devota, se le Norne l’avevano
scaraventata presso un
popolo che aveva in odio suo padre? Perché ostinarsi nel
pregare gli antenati,
che aveva iniziato a servire con offerte e orazioni quand’era
solo una bambina,
se poi gli stessi si rifiutavano di proteggerla dagli eventi e la
mettevano
alla prova con pensieri così oscuri? La febbre da cui il
figlio cadetto di
Odino l’aveva curata se n’era andata dopo molti
giorni, lasciandola spossata
per settimane. Loki, senza guardarla negli occhi, sentenziò
al riguardo che
l’origine della sua debolezza era da imputarsi alla notizia
riguardo la sua
natura. Il fisico rifletteva le sofferenze dello spirito, ritardando la
sua
completa guarigione. Lo disse sapendo perfettamente di starle
nascondendo la
parte peggiore: quella che la voleva sacrificata alla tenebra e
all’oscurità,
che strisciava e si muoveva tra le radici marce
dell’Yggdrasill e che lui si
era messo a studiare.
In una delle
recenti
nottate passate sveglio a consultare i testi, si era imbattuto in
dettagli così
raccapriccianti da spingerlo a correre in bagno a rimettere.
Lui, che da anni non si lasciava impietosire dai campi di battaglia che
odoravano sangue, ferro, fango e morte. Ancora in preda ai conati, dopo
essersi
sciacquato la bocca, si era asciugato col dorso della mano, imputando
il
malessere al troppo vino, alla cena spiluccata distrattamente davanti
alle
pergamene ingrassate dalla polvere. La scintilla era maledetta,
promessa ad
altro, ma immolarla era rendersi complici di qualcosa di disgustoso,
che
inorridiva persino lui. E il desiderio di lei si infilava sotto le sue
costole,
gli stringeva la gola, eccitava i suoi fianchi, corrodendogli infine le
vene, i
muscoli e la testa, altrimenti razionale. Fingeva di non guardare la
pelle
bianca che usciva fuori dallo scollo castigato e immaginava le braccia
nascoste
dalle maniche, sognava di disfare le fitte trecce in cui, come tutte le
donne,
Sigyn imprigionava i capelli. Solo che accanto alle fantasticherie
giustificate
dal desiderio, la sua mente svelta ipotizzava anche il resto: la
immaginava
seminuda, legata su un altare, preda di un mostro, persa nei
vagheggiamenti
instillati da una droga in grado di distrarla da una fine imminente e
orrenda. Anni
dopo, mentendo, avrebbe raccontato di non ricordare più
– o di non aver saputo
mai – quale fu l’istante preciso in cui decise che
non avrebbe permesso a
niente e a nessuno di toccarla. In realtà, ebbe sempre ben
presente il momento
esatto in cui scelse, in piena coscienza, di tradire la fiducia di suo
padre
agendo deliberatamente nell’ombra. Sigyn fu il primo dei
sotterfugi pericolosi cui
si dedicò nell’età adulta.
Rappresentò la cesura tra quelle che erano state le
bravate di un ragazzo e gli atti scellerati di un uomo volitivo e
spietato, la
cui intraprendenza calpestava qualsiasi interesse non fosse il proprio,
arrivando a contestare e a mettere in dubbio persino
l’autorità del proprio
padre.
Lei era ancora
convalescente; Loki le si avvicinò sfoggiando il suo sorriso
sghembo e il solito
portamento fiero, notando le ombre che velavano i suoi occhi grigi.
“Non si
dovrebbe mai bere idromele mentre i musici suonano canzoni
tristi.”
La scintilla lo
trafisse
con lo sguardo.
Sigyn non
avvicinava mai
le labbra all’idromele, durante i banchetti. Osservava Loki
farlo, però, così
come fissava il bel principe dal sorriso beffardo mentre corteggiava e
seduceva
le dame più belle. A volte lo faceva per noia, si era resa
conto, altre per
effettivo desiderio o per portare a termine qualcuno dei suoi intrighi.
In
entrambi i casi, la vista delle avventure amorose del principe
suscitava in lei
una ridda di emozioni difficilmente districabili, su cui spiccava una
riprovazione feroce, capace di farle attorcigliare lo stomaco.
Avvampava d’ira
quando lo vedeva sussurrare all’orecchio della compagna di
turno qualche frase
sicuramente falsa e melensa, stornava il viso, rapida, quando
l’Ase catturava,
con un bacio lascivo, le labbra di un’amante, ammaliata dai
suoi racconti affascinanti.
Sentiva di odiarlo e di disprezzarlo con ogni fibra del suo essere, ma
sarebbe
morta pur di non lasciar trapelare il benché minimo
interesse circa gli affari
di Loki. Che si appartasse con le sue numerose donne, che le stregasse
e
tradisse per il gusto di farlo. A lei non interessava il suo
comportamento
sfacciato – e perché avrebbe dovuto, in effetti?
Sigyn era stata cresciuta ed
educata per servire gli Antenati, e i costumi dei Vanir erano rigorosi
e severi.
Loki Odinson perdeva tempo ed energie facendosi corrodere dai sensi e
quello
che suo padre e le sue maestre le avevano detto per una vita intera era
vero. I
feroci Æsir erano nient’altro che dei pirati
arricchiti: avevano deciso di
scendere dai loro drakkar dalle prue spaventose per costruire palazzi e
città,
ma dentro restavano dei selvaggi, dei barbari. E, a quel pensiero,
l’immagine di
Loki emergeva con forza stampandosi nella sua mente, beffarda e
inopportuna
come mai: lo vedeva com’era stato quando avevano viaggiato
insieme, con il
mantello foderato di pelliccia e il sorriso sghembo e ironico dipinto
sul viso
affilato, dai tipici tratti nordici – zigomi alti e
taglienti, occhi chiari e
mobili, su un corpo slanciato e fiero, che si muoveva con la grazia di
un
predatore. Nel rievocare la figura del principe, il suo corpo si
tendeva,
fremeva, scosso dal ricordo dei passati, rapidi contatti –
l’abbraccio sul
drakkar, il momento di smarrimento vissuto dopo la cerimonia
– e Sigyn si
scopriva ancora più confusa e infuriata.
Quando
l’ingannatore le
disse per gioco che il vino e le ballate struggenti non andavano
d’accordo,
alzò le ciglia scure su di lui, infastidita. Lo
squadrò sollevando il mento e
ricordandogli che nel suo corno c’era solamente acqua.
L’Ase
fece dondolare il
suo, colmo per metà. “Il medico sostiene che
dovresti bere vino per riprenderti
dalla febbre,” disse. “Io dico che dovresti
accettare la tua natura. Dacci ciò
che ci serve, scintilla. Sarai in pace, dopo.”
La ragazza colse
una nota
d’impazienza, nella voce di lui. Odino festeggiava
l’anniversario della sua
incoronazione e tutta Asgard brindava al suo regno ricco e prolifico,
chiedendosi sottovoce, però, quale dei suoi figli avrebbe
ereditato il trono,
se il coraggioso Thor o l’astuto Loki. I due principi
parevano non pensarci e, in
pubblico, facevano sfoggio di un disinteresse quasi manierato,
soprattutto il
secondo, dato che il tonante non dubitava affatto che governare gli
Æsir fosse
un suo imprescindibile diritto.
“A
cosa vi servono, le
scintille?” rispose altera, quasi con sdegno. Lo vide piegare
in un ghigno
sornione le labbra sottili e ripensò a quando le aveva
rivelato quel terribile
segreto, e lei, scossa dalla febbre, era in camicia da notte, esposta,
vulnerabile, nelle sue mani – ma non tra le sue
braccia, la tradì un
pensiero imprevisto e feroce.
“Rivelati
utile alla
nostra causa, Sigyn. Padre Tutto ti ha accolta non come un ostaggio, ma
in
qualità di nostra gradita ospite. Di sorella,”
aggiunse, allargando il
sorriso fino a farlo diventare una risata stretta, ma un simile
termine,
pronunciato da lui, aveva un sapore sospetto, strano. Sigyn
rabbrividì e
continuò ad ascoltarlo. “Ci sono, però,
delle condizioni, che ancora non conosci,
riguardo alla tua permanenza qui. Per questo ti invito ad accettare il
destino
delle Norne e a sfruttare a tuo vantaggio ciò che hai.
Così facendo, farai
anche i nostri interessi,” concluse.
A Sigyn il
discorso
dell’ingannatore sembrò criptico.
“È un consiglio o un ordine? Dici che non
sono il tuo ostaggio, ma questa non è
libertà,” lo sfidò.
“Prima
di noi, tu vivevi
fin dall’infanzia dentro un enorme palazzo scandito da una
serie di riti sempre
immutabili. Pregavi, studiavi, ricamavi e cos’altro? Questa
è libertà?”
s’interessò l’ingannatore con voce
cattiva e occhi scintillanti.
“E tu?
Tu sei libero?”
rispose Sigyn, pallida in volto.
Vedendola
così furiosa,
Loki provò un sottile, infimo divertimento. Le avrebbe
risposto volentieri e si
scoprì ad ammirare, come la prima volta in cui si erano
incontrati, il
principesco sdegno di cui lo faceva oggetto, ma Sif venne a
interromperli,
adducendo come motivazione certe questioni relative a una recente
azione di
guerra. Nei confronti del principe cadetto, l’abile guerriera
si dimostrava, da
sempre, fredda e sgarbata, e anche in quel momento era evidente il
fastidio che
le procurava il dover richiamare Loki. Sigyn notò che,
mentre l’altra lo
ragguagliava, le loro spalle quasi si toccavano appena e, sebbene la
guerriera
non avesse occhi che per il primo figlio di Odino, sentì
qualcosa pungerle il
petto. Si allontanò con una riverenza breve, mescolandosi
con la folla
festante, ma su di sé continuò a sentire le
occhiate pervicaci e beffarde del
bel principe.
Sognava
Loki, e a volte, nelle albe fredde o
prima di addormentarsi, lasciava che le sue dita
s’insinuassero tra le sue gambe
e si sfiorava, scoprendo una consolazione brusca e istintiva alla
solitudine e
all’incertezza. Soffocando i sospiri, ignorava volutamente il
perché il dio
degli inganni, col suo volto affilato e il corpo nervoso e svelto,
finisse
sempre per abitare le sue fantasie incerte. Dopo, la schiacciava il
senso di
colpa e, abbassando gli occhi, prometteva di non rivolgere
più al mago il
benché minimo pensiero. Lui era l’uomo che
l’aveva reclamata come ostaggio,
strappandola alla sua famiglia, ma nelle ore incerte tra la notte e il
giorno, era
anche il solo fantasma capace di consolare una parte di lei che non
doveva
esistere, eppure esisteva.
Sif esigeva da
Loki che
controllasse un bottino di guerra prima della sua spartizione.
C’erano degli
artefatti, al suo interno, alcuni dei quali si diceva che fossero
stregati: l’ingannatore
doveva visionarli e togliere dal tesoro i pezzi più
pericolosi. Lui e Odino si
sarebbero occupati, nei giorni successivi, di studiare come impiegare
gli
oggetti incantati o renderli innocui. La vicinanza tra i due, che Sigyn
aveva
notato senza, però, coglierne le reali implicazioni, era un
segreto che
entrambi custodivano gelosamente: avevano avuto una relazione che non
era mai
sfociata nella dichiarazione di alcun tipo di sentimento e viveva di
fasi
alterne. Loki trovava divertente che Sif gli si concedesse: era la
prova della
sua ipocrisia. Professava di amare suo fratello e di voler dare la sua
vita per
lui, ma intanto cedeva all’istinto di andare a letto con uno
che, sulla carta,
disprezzava. E Loki, che pure detestava essere considerato un rimpiazzo
di Thor
da chiunque, lei compresa, spesso la cercava quasi rabbiosamente,
perché
sporcare l’amore sbandierato che la bella guerriera ostentava
gli provocava un
piacere malsano. Da alcuni mesi i loro incontri si erano fatti
più radi e meno
intensi; ciò non era strano. Erano unicamente compagni di
letto, e Loki, dal
canto suo, spesso s’incapricciava di qualche dama o progetto
particolare e si
dimenticava di tutto il resto, comprese le passate amanti. Sif non era
mai
stata gelosa e sapeva, non senza dispetto per se stessa, che, prima o
poi, la sua
vergognosa relazione col figlio cadetto di Odino avrebbe ripreso ritmi
più
serrati. Eppure, negli ultimi tempi, Loki le sembrava più
inquieto e meno
incline a cedere alla passione. Nella penombra del sotterraneo, lo
osservò
svolgere il suo compito con perizia e abilità, ma non le
sfuggì la fretta con
cui si rigirava tra le belle mani di mago coppe, spade e collane. Lo
vide
soffermarsi su un gioiello in particolare e sorridere appena, sempre in
silenzio. E ciò era strano, perché Loki aveva la
lingua sciolta e raramente
sceglieva di tacere: in altre occasioni l’aveva riempita di
battute allusive e
vagamente canzonatorie, volte a suscitare la sua ira e il suo
interesse, ma
quella sera, no. L’ingannatore era concentrato in
ragionamenti da dove lei,
Sif, era esclusa. E non sapeva se ciò le recasse sollievo o
sgomento o
entrambi.
“Hai
voglia di tornare al
banchetto?” indagò circospetta.
“È
l’anniversario della
presa di potere di mio padre,” spiegò il mago
senza sollevare gli occhi da un
vistoso scudo finemente lavorato. “Ci sono ancora tante botti
di idromele
pregiato da assaggiare.”
Il disinteresse
dell’Ase
fece arcuare in una smorfia le labbra della guerriera, ma
l’orgoglio le impedì
di replicare. Attese che l’ingannatore finisse il suo compito
a braccia
incrociate, tuttavia, accorgendosi con stupore che si era appropriato
già di
uno dei tesori. Lo vide lasciare un breve messaggio su una pergamena,
colse la
soddisfazione con cui rendeva noto il privilegio che si era arrogato.
Fatto
ciò, il principe s’incamminò verso le
scale strette che conducevano ai piani
superiori e all’ampia sala del banchetto. Di nuovo, non aveva
approfittato della
circostanza favorevole per appartarsi con lei, anzi: le
sfilò di fianco come se
tra loro non fosse mai successo niente, nessuna cosa.
Sigyn se
n’era appena
andata, quando Loki tornò al banchetto. Glielo disse Thor.
Il fratello,
visibilmente alticcio e con gli occhi lucidi e arrossati, stringeva due
valchirie per la vita, una per ogni braccio. Una delle guerriere aveva
i
capelli neri come la notte e lo sguardo rapace di un corvo. Anche la
sua pelle
era bruna e liscia. L’altra, aveva leggere efelidi rosse su
un viso pallido
quasi da bambina, ma il fisico snello e slanciato era quello di
un’abile
guerriera. Sif deglutì a quella visione:
l’indifferenza brutale di Loki si
scontrava con quella, molto più amara e senza risoluzione,
di Thor. Le due
valchirie ridevano col maggiore dei figli di Odino come lei, che pure
combatteva al suo fianco da anni, non aveva fatto mai. La bruna gli
sfiorava le
spalle tornite, la mascella virile e squadrata, ammirandone la
prestanza e la
bellezza con uno scintillio compiaciuto negli occhi. Avrebbero passato
la notte
insieme, era palese, evidente, e lo volevano entrambi. La rossa si
sciolse a
malincuore da quell’abbraccio, lasciando alla coppia il modo
di scambiarsi un bacio
ansioso. Scherzò con Loki per un momento e poi si
allontanò in cerca delle sue
compagne.
“Fratello,”
disse Thor
carezzando la chioma scura e scomposta della donna al suo fianco e
sporgendosi,
al contempo, verso il mago. Non voleva che altri lo sentissero, nemmeno
Sif o
la valchiria. “Quella ragazza ha qualcosa che non va.
L’ho tenuta d’occhio per
te, ma… non fare cose di cui potresti pentirti. Di cui potremmo
pentirci,” si corresse, abbassando il tono.
Loki non diede
alcuna
prova di aver apprezzato le premure del tonante. Ascoltò
impassibile
l’avvertimento dell’altro, sfoggiando la sua solita
posa fiera. Lasciò correre
lo sguardo sulla sala gremita e festante, assaggiò un corno
ben colmo
dell’idromele speciale che Odino aveva fatto aprire per
l’occasione e si ritirò
poco dopo, da solo.
Fu quella la
notte in
cui, per la prima volta, ebbe gli incubi. Sognò di vederla
morire secondo il
rituale e vide a chi era
promessa,
osservando la sua figura mostruosa e potente, frutto di
un’immaginazione condizionata
da incisioni antiche e descrizioni vaghe e imprecise. Si
svegliò di
soprassalto, con uno scatto. Senza nemmeno rendersene conto, si
ritrovò seduto
sul letto, madido di sudore, a maledire l’idromele,
ricostruire le ultime ore e
raccogliere i frammenti dell’incubo appena vissuto, che
già svanivano dalla sua
testa. La prima cosa che fece, fu cercare dell’acqua. Aveva
la bocca impastata
e una sensazione di ribrezzo e desiderio appiccicata addosso. Del suo
sogno a
brandelli, ricordava una Sigyn discinta come non era mai durante il
giorno,
ammiccante e sfuggente, svestita quel tanto che bastava per fargli
intravedere
le forme flessuose sotto un abito leggero. Il resto, erano scene
confuse e
violente, intrise di sangue, perché Sigurdr aveva promesso
la sua figlia più
giovane a un mostro che dimorava – marciva – sotto
le radici dell’Yggdrasill,
immolandola a lui in cambio di una vittoria. L’essere
l’avrebbe pretesa come
pasto o moglie o entrambe le cose – a Loki non sarebbe dovuto
importare, ma
invece gli interessava. Secoli prima, l’accorto re Bor, padre
di Odino, aveva
condannato una simile pratica. La razza che viveva sotto le radici
doveva estinguersi
lentamente, non ricevere doni che ne avrebbero, in un modo o
nell’altro, proseguito
e accresciuto la stirpe. Sigurdr aveva violato quell’ordine
antico, offrendo
alle creature superstiti non una ragazzina qualunque, ma la scintilla.
E lei si
struggeva per un destino che considerava avverso, senza immaginare,
ancora,
quanto in realtà fosse sporco ed empio e ingiusto. Loki si
ritrovò a camminare
per i corridoi bui del palazzo, accaldato e inquieto. Nonostante la
frizzante
aria notturna, indossava solo dei pantaloni di stoffa e una tunica
leggera. Era
uscito per schiarirsi le idee e scaricare l’adrenalina che
gli era rimasta in
corpo dopo il suo brusco risveglio. Finì a girovagare nei
pressi della
biblioteca, dentro cui avrebbe saputo orientarsi persino bendato. Alla
fioca
luce di una fiammella evocata pronunciando un paio di rune,
trovò gli scaffali
che lo interessavano: erano una raccolta di vecchie fiabe, filastrocche
e
poesiole per bambini, ma Loki non ignorava che, nelle storie narrate
d’inverno
dalle nonne di fronte ai camini, si celassero spesso significati
inquietanti,
visibili solo a chi sapeva o voleva cercare.
Con
i volumi sottobraccio, s’incamminò col suo
passo svelto e felpato verso i propri appartamenti, ma nel farlo prese
una
strada diversa, inconsueta, che lo portò a fermarsi davanti
a una porta chiusa,
da cui filtrava una sottilissima lama di luce. Loki Odinson
sbatté le palpebre
gonfie di sonno: la notte era così fonda da essere irreale e
forse anche quel
bagliore lo era: altrimenti, stava fissando il segno che Sigyn, oltre
la
soglia, era sveglia.
Per un momento,
si figurò
nell’atto di bussare e aprire la porta – non era
casa sua, del resto? – e
coglierla nell’atto inutile di pregare gli antenati o immersa
nella lettura di
un libro. L’avrebbe sorpresa in camicia da notte, la stessa
con cui l’aveva
vista la sera della febbre, e si sarebbe deciso a rivelarle la parte di
verità
che ancora le mancava. Immaginò il terrore dilatarle
nuovamente gli occhi e si figurò
le sue labbra, schiuse e ben disegnate, tremanti e colme di maledizioni
verso
di lui, che era un bugiardo, e contro suo padre, che l’aveva
venduta. Oppure,
avrebbe potuto inghiottire ancora una volta la verità e
stringerla tra le
braccia, come desiderava, riscuotendo il premio chiesto per una
battaglia in
cui aveva quasi perso la vita. E allora la camiciola sottile di lei
sarebbe
stata sfilata bruscamente, per svelare le forme sognate dei fianchi
rotondi e
ben fatti, del seno piccolo e sodo. Alcune scene del suo incubo
tornarono a
pungergli la mente, suggerendogli quanto dovessero essere dolci i suoi
baci,
squisito il corpo che avrebbe spogliato e ammirato e posseduto nella
penombra
notturna. Era stata promessa a un altro, ma si trattava di un
giuramento empio,
che andava fermato. Nemmeno Padre Tutto desiderava spegnere
così la scintilla,
sebbene non potesse interferire con giuramenti e promesse.
Per un momento,
Loki
valutò davvero l’idea di entrare.
Sfiorò la maniglia con le punte delle dita,
inebriandosi del piacere maligno che nasce dai divieti violati.
Chissà che
sapore aveva.
♥
Non si dovrebbe
mai bere
idromele mentre i musici suonano canzoni tristi. Loki
ricordò di averlo detto a
Sigyn per scherzo, una volta, ma era passato molto tempo da allora e
lei adesso
era cieca, lontana, perduta. I festeggiamenti per la prossima
incoronazione di
Thor proseguivano da ore, ma l’alcol non lo inebriava
né rallegrava più. Costringeva
la sua mente a percorrere sentieri contorti, carichi di un rancore
fatto di
molti altri rancori, ognuno con un proprio nome. E quello della
maledetta
scintilla spiccava su tutti, perché l’ingannatore
era convinto che molte cose
sarebbero andate in modo diverso, se le loro strade non si fossero mai
incrociate, se suo padre, incauto, non l’avesse promessa -
venduta. Thor blaterava
assurdità sul proprio futuro regno, fantasticando di
battaglie e scontri, e
Loki pensava all’ombra in cui avrebbe continuato a
strisciare, ai rimpianti che
tiravano come fanno le vecchie cicatrici.
S’inumidì le labbra e si alzò per
abbandonare la sala. La festa gli risultava odiosa, così
come la scelta scriteriata
di Padre Tutto. Serrò i denti con ferocia: quel pensiero
era, già di per sé, un
tradimento. Uno persino peggiore di quello già compiuto.
Sentì il respiro farsi
irregolare, il sangue pompare irregolarmente nelle sue vene: Padre
Tutto non
poteva sbagliare. Lui, Loki, provava, verso il genitore, un affetto
incondizionato, un’ammirazione senza pari. Fin
dall’infanzia, incantato dal
fascino irripetibile di quell’uomo con un occhio solo che
raccontava a lui e a
suo fratello delle storie fantastiche, si era ripromesso di dimostrarsi
degno
ai suoi occhi, copiandone senza nemmeno accorgersene le movenze e
persino il
modo di pronunciare certe parole. Crescendo, l’ammirazione si
era tramutata in
orgoglio; era il figlio di Odino, il principe di Asgard: non
c’era impresa che
non potesse o dovesse essere compiuta per il bene di
quest’ultima. Persino strappare
Sigyn al suo destino poteva giustificarsi nel tentativo di far
rispettare le
leggi di Bor, da sempre difese da Padre Tutto. Così si era
discolpato, quando Odino,
pallido per l’ira, lo aveva accusato di essere egoista e di
badare solo al
proprio tornaconto. Eppure, la scelta, alla fine, era ricaduta su Thor.
Gli
tornarono in mente le parole, cariche di un mesto risentimento, che
erano state
pronunciate dall’infelice Oddr. Come lui, Loki viveva in
un’ombra, che anziché diradarsi
si faceva sempre più fitta, inghiottendolo. Dopo aver perso
lei, si era
ritrovato a vedersi scivolare via dalle dita la possibilità
di essere re. Che altro
restava al cadetto, all’eterno secondo? Perennemente sul
punto di sfiorare la
luce e sempre, invariabilmente, escluso dalla stessa? Le sue belle dita
di mago
tamburellavano stancamente sul legno della propria scrivania che,
frattanto,
aveva raggiunto. Il fuoco crepitava appena nel largo camino, spandendo
una luce
rossastra e tremolante. Loki non aveva freddo né desiderava
illuminare
maggiormente la stanza. Se l’avesse fatto, i suoi occhi
mobili e inquieti si
sarebbero soffermati sulla cassapanca dove, sepolto sotto mantelli e
tuniche,
era nascosto uno scialle di seta impalpabile, appartenuto a lei. Il
primo
fallimento. Verso l’alba, il fuoco si ridusse a poche braci
tiepide. Fu allora
che il dio degli inganni si alzò e, avvicinando una mano
verso la cenere,
pronunciò a bassa voce una serie di rune il cui suono
cadenzato sembrava quello
di una nenia. Lentamente, una pergamena ancora sigillata riprese forma.
Loki,
però, non l’aprì. La
curiosità lo mordeva, ma l’orgoglio gli impediva
d’invischiarsi
ancora in una situazione irrisolvibile. E poi, un altro piano si andava
formando nella sua testa, perché se Sigyn era perduta,
Asgard ancora non lo
era. Thor non meritava il posto di suo padre. Loki doveva solo
dimostrarlo,
creando ad arte l’occasione giusta che rivelasse la vera
natura del fratello.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore (perché lo sapete che vi si lovva moltissimo,
vero??)
So che molti di voi
attendono anche l’aggiornamento di Accordo
e vi prometto che la prossima
a essere aggiornata sarà lei, ma comprendetemi:
lì siamo nella fase finale
della storia (leggete: l’ultima tranche di capitoli) quindi
mi serve tempo per
fare le cose bene e poi è stata un’estate
complicata, ve lo confesso. Ma torniamo
a Scintille. Vi avviso che nei prossimi capitoli saremo quasi sempre
nel
passato. È giunto il momento di scoprire
cos’è successo, cos’è andato
storto e
perché Sigyn non è stata salvata.
Qualcuno si chiederà
come
mai non posto più settimanalmente: cercherò di
essere sempre più o meno
presente e di non far passare più di 14 giorni senza mie, ma
a ogni modo vi
ricordo che esiste la paginuccia fb per seguirmi e anche
instagram. Lì
avete mie notizie più o meno giornalmente (inserite risata
malefica qui).
Ringrazio chi ha listato,
recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su
Ombre e
fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi
non è
uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Shilyss
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo
17
Distinguere
acutamente il
bene dal male era sempre stata una prerogativa di Loki Odinson. La sua
penetrante intelligenza gli aveva regalato una forte
capacità critica che
applicava non solo nei riguardi di chi lo circondava, primo tra tutti
Thor, ma
anche verso se stesso. Guardandosi allo specchio,
l’ingannatore sapeva
distinguere uno per uno i rancori e gli odi che gli rimanevano
incastrati nelle
sopracciglia aggrottate, nello sguardo trasparente e spesso fin troppo
duro,
nella piega sprezzante e altera delle labbra sottili. No, Loki non era
come
quelli che inseguono una chimera o si lasciano corrompere dal male in
buonafede, tutt’altro, né s’illudeva o
chiamava le cose con un nome diverso dal
loro. Quando si travestì da viandante per celarsi agli occhi
del guardiano, incamminandosi
verso sentieri noti a lui solo che gli avrebbero fatto raggiungere
Jotunheim,
sapeva di stare per commettere un alto tradimento, doppio,
perché tradiva suo
padre e la sua patria. Allo stesso modo, quando arrancò
nella neve alta che
circondava il desolato palazzo di re Laufey, sapeva benissimo quali
punizioni
spettassero a chi vendeva Asgard al nemico. Perché questo
era esattamente ciò
che stava facendo: pur di impedire, con ogni mezzo, a Thor di diventare
re al
posto suo, Loki era disposto a gettare nel caos la terra
dov’era cresciuto, a
mettere a repentaglio tutto ciò che amava e gli era caro. A
suo tempo, aveva
fatto la stessa cosa con Sigyn, perdendola. Era cosciente che,
lasciando
entrare i giganti oltre le sacre mura di Asgard, esponeva gli
Æsir a una guerra
in cui molti sarebbero morti. Il sacrificio, però, gli parve
poca cosa rispetto
al bene che ne sarebbe derivato dopo: Loki aveva calcolato, con crudele
precisione, che se suo fratello fosse diventato re, i danni al regno
sarebbero stati
molto più ingenti e tragici di quelli provocati da lui
stesso. E, con questa
spietata tesi tutta da dimostrare, chiese e ottenne, non senza
difficoltà, che
il capo dei giganti di ghiaccio lo udisse. I motivi per cui aveva
scelto, tra i
molti nemici di Asgard, proprio i più temuti, erano
molteplici. La sicurezza
dello sdegno feroce, anzitutto. Thor avrebbe cercato
un’inutile e stupida
vendetta, mostrando a Odino quanto non meritasse di succedergli. E,
dopo averlo
escluso dal trono, la scelta di Padre Tutto, non potendo ricadere
sull’ancora
troppo giovane Balder, si sarebbe indirizzata verso l’unico
che avesse le
qualità e le abilità per regnare: lui, Loki
Lingua d’Argento.
Eppure,
nonostante il
terribile inganno che stava perpetrando a danno del fratello, il mago
non
odiava Thor. Gli aveva salvato la vita mille volte, seguendolo in
ognuna delle sue
folli imprese, e l’altro aveva fatto lo stesso con lui. Di
più, se qualcuno avesse
minacciato in qualche modo Asgard e Thor – gli stessi che
Loki stava mettendo
in pericolo – lui si sarebbe erto a difensore di entrambi,
lottando fino alla
morte, perché erano pari – entrambi figli di Odino
e investiti del diritto di
succedergli, un giorno. Solo che lo scranno di Padre Tutto non poteva
ospitarli
entrambi e allora, poiché Loki non aveva la
benché minima voglia di
sottomettersi in alcun modo a suo fratello, l’unica via era
sottrargli quel
privilegio che giudicava malriposto. Il dio del tuono, poi, non aveva
fatto
granché per ingraziarsi l’ingannatore o rendere
meno doloroso lo smacco. Si
credeva superiore a lui per via della sua forza bruta e delle lodi che
gli
venivano perennemente tributate dai guerrieri che gli ronzavano sempre
attorno.
Questo era il difetto principale e più insopportabile di suo
fratello: la
vanagloria, il volersi circondare di gente pronta a lodarlo e a
combattere al
suo fianco spesso unicamente per soddisfare il suo orgoglio. E Loki,
che si
rifiutava di sperticarsi in patetiche lodi, veniva tacciato
d’invidia.
Effettivamente, in una prova che riguardasse la mera forza fisica, come
il
lancio del tronco, Thor non aveva rivali e Loki, sebbene forte, non era
alla
sua altezza. Ma era più resistente e furbo e veloce. E tutti
questi elementi
avevano un loro peso, in battaglia, tanto che trovarsi davanti il primo
figlio
di Odino era un’esperienza spaventosa, ma col cadetto non si
scherzava di certo.
A labbra strette, Loki avrebbe anche dovuto ammettere, almeno con se
stesso, che
il risentimento verso Thor era scoppiato quando Padre Tutto lo aveva
preferito
smaccatamente a lui. Che con l’impulsività di suo
fratello aveva convissuto per
una vita intera, buttando il capo all’indietro e ridendo di
cuore di fronte
alle sue impetuosità. Che prima di disprezzarlo, lo aveva
ammirato, seguito,
spronato, consigliato. Le vittorie dell’uno erano state
quelle dell’altro e
senza i loro teatrini e i piani, che spesso allestivano in
virtù del fatto che
bastava loro uno sguardo, per capirsi, Asgard avrebbe avuto meno
lustro. Solo
che Loki non era disposto a inchinarsi e prestare giuramento a suo
fratello. Né
ora né mai.
A Laufey
l’ospite venuto
da Asgard non piacque affatto. Lo squadrò da capo a piedi
riconoscendo, in lui,
qualcosa di storto, di sbagliato. C’era, nella sua figura
orgogliosa,
un’incongruenza di cui solo il re dei giganti sembrava
accorgersi. Fu tentato
di chiamare un indovino che sbrogliasse i suoi dubbi circa le
intenzioni dello
straniero, ma la voce del ragazzo – perché tale
era – lo incatenò con promesse
suadenti. Lo scrigno degli Antichi Inverni di nuovo al suo posto, a
Utgard. Il
traditore – perché il suo ruolo era
evidente– aveva scelto di presentarsi con
un nome falso per sua stessa ammissione. Spiegò che
ciò avrebbe tutelato sia
lui che i giganti da future rappresaglie – perché
ci sarebbero state, sicuramente.
Laufey non seppe mai dire perché lo ascoltò fino
in fondo. Il suo primo impulso
era stato quello di alzarsi e di andarsene, insultato da una visita che
prometteva chimere e riesumava antiche ferite. Il questuante bugiardo e
millantatore andava punito con la morte, il suo cadavere gettato in un
dirupo,
affinché i lupi lo divorassero. Solo che l’ospite
conosceva davvero Odino e il
palazzo reale e fu quella consapevolezza, trapelata dal bel discorso di
lui, a
incatenare il sovrano al suo posto.
Non
ravvisò mai nei suoi
lineamenti quelli di una donna con cui, un tempo, si era intrattenuto:
lo
ingannarono le sue fattezze d’Ase.
“Fidatevi
delle mie
parole,” lo incalzò Loki, ipnotico. “Se
seguirete il passaggio che vi ho
indicato, nessuno vi vedrà. E mentre tutta Asgard
sarà impegnata ad ammirare
Odino e la sua famiglia, a festeggiare il futuro erede,”
proseguì leccandosi le
labbra, quasi stesse pregustando già il momento,
“un manipolo dei vostri
uomini, mio signore, potrà entrare e appropriarsi del vostro
scrigno,”
concluse.
Laufey lo
scrutò per l’ennesima
volta da capo a piedi, soppesandolo insieme alla sua proposta
scriteriata. Il
giovane, nei suoi movimenti fluidi, gli ricordava l’odiato
nemico, Odino. Rintracciò
in lui la medesima scaltrezza, l’identica protervia nel
proporre soluzioni
facili solamente sulla carta. Persino il modo di allargare le braccia
per
accompagnare un concetto, o di increspare le labbra in un ghigno
compiaciuto,
somigliava a quello del re degli Æsir.
“Perché?”
gli domandò,
assottigliando gli occhi e sistemandosi meglio sul trono.
“Perché tu, che sei
un figlio di Asgard, tradisci la tua patria?”
La schiettezza
della
domanda costrinse Loki a drizzare la schiena. Quella parola sbattuta in
faccia,
tradisci, lo colpì al punto da far
scolorire il suo viso affilato,
avvampare il suo sguardo aguzzo. Stava imboccando un sentiero da cui
non c’era
ritorno: ripensò a quando aveva tentato di salvare Sigyn dal
suo destino e, tra
le radici dell’Yggdrasill, aveva incontrato le tenebre
– e le Tenebre
avevano incontrato lui.
“Avrò
il mio tornaconto,
se voi, mio signore, prenderete lo scrigno,” insistette con
la risolutezza del
principe che era.
“E
quale sarebbe?”
s’interessò il gigante. “Ci
darà potere. Con quel potere, rappresenteremo di
nuovo una minaccia.”
“Forse.
O, forse, un’altra
guerra logorante potrebbe distruggere entrambi i nostri
regni,” insinuò Loki con
uno dei suoi sorrisi ambigui e spiazzanti. I suoi consigli avevano il
potere di
piantarsi nella testa di chi li ascoltava e di germogliare in idee
difficili da
estirpare.
Laufey
pensò che fosse
pericoloso e disperato. “Te lo domando di nuovo, e
bada,” l’avvertì, alzandosi.
“Bada a dirmi la verità, o ti ucciderò,
ti farò a pezzi e darò i tuoi resti in
pasto ai lupi. Perché lo fai?”
Il dio
dell’inganno si
assicurò che il suo respiro fosse assolutamente regolare.
“Devo vendicarmi di
Thor Odinson,” rispose con una calma rovinosa.
“Impedirò la sua incoronazione.”
Riuscì a
pronunciare quelle parole
concentrandosi sulle volte in cui suo fratello, tronfio e arrogante
com’era, si
era rifiutato di considerarlo suo pari, illudendosi che lui, Loki,
fosse
vittima, come tutti, del suo fascino, tanto da tributargli
un’inesistente
superiorità. Ma l’ingannatore non credeva
né vedeva una simile disparità: ciò
che il tonante possedeva nel braccio lui l’aveva nella testa.
Erano compagni
d’arme e lottavano per lo stesso obiettivo, sebbene paresse,
a volte, che a
Thor interessassero più la gloria e le lotte, che il
buongoverno della propria
terra.
Laufey si prese
qualche
momento per ragionare. Loki continuava a tenergli testa col suo
atteggiamento
fiero e lo sguardo fiammeggiante: intuì che le ombre che gli
asserragliavano il
petto erano più fitte e pericolose di quanto non sembrasse a
prima vista, e fu
per quell’oscurità che decise di credergli.
Eppure, Loki
quella notte
non rientrò trionfante ad Asgard. Raggiunse la periferia
della città nelle
vesti di un semplice pellegrino dall’aspetto stanco e
dinoccolato per sfuggire
all’occhio del guardiano, ma una volta al sicuro, non riprese
il consueto
abbigliamento e aspetto. Preferì rintanarsi
nell’ombra di una bettola
disgustosa a vedersi, indegna di accoglierlo, ma dentro cui aveva
brindato con
Thor mille volte e recitato versi appassionati per qualche bella
ragazza. E, in
un’occasione, la canzone gli era stata ispirata non dalla
graziosa ostessa
dall’ampia scollatura e la risposta svelta che li serviva, ma
da un’altra. Una
a cui aveva riparato un braccialetto d’oro e che lo fissava
sempre con
dispetto. Bevve il sidro sforzandosi di cacciare via dalla mente
persino il
nome di quell’ingrata bugiarda che le Norne avevano punito,
sforzandosi di
concentrare ogni suo pensiero sul piano. Nel momento in cui Odino
avrebbe
proclamato a tutti gli Æsir l’incoronazione del suo
primo, brillante, figlio,
un manipolo di Jotnar si sarebbe intrufolato nei sotterranei del
palazzo. La
reazione di un idiota come suo fratello sarebbe stata ben diversa da
quella,
accorta e ponderata, di Padre Tutto. Ne era certo. Il disgusto
manifestato da
Thor quando, insieme, avevano cercato di dirimere l’orribile
faida fraterna
scoppiata tra Oddr e Helgi gli aveva fornito la misura di
quell’odio. E la
triste storia dei due rivali bruciava ancora, nel petto del tonante,
come
un’ingiustizia che andava lavata via col sangue e di cui
riteneva responsabili
i vicini giganti di ghiaccio. A suo parere, questi ultimi avrebbero
esacerbato
la faida, anziché sedarla. Sì, il piano di Loki
sarebbe andato a buon fine –
solo che il sorriso che gli si dipinse sul viso affilato fu amaro e
breve.
♥
“Non
credevo leggessi
fiabe.”
Loki si
svegliò con uno
scatto rapido, e il libro che aveva sulle ginocchia cadde, perdendo il
segno.
Era mattina. Una luce livida e tenue filtrava dalle alte e strette
finestre a
ogiva che illuminavano la severa biblioteca di Odino. Negli occhi di
Sigyn
brillava una luce divertita e trionfante, segno evidente di come il
sorprenderlo lì, addormentato su una poltrona,
l’avesse piacevolmente stupita.
Le trecce in cui erano avvolti i suoi capelli erano meno severe di
quelle abituali
e le donavano maggiormente, ma Loki non le avrebbe mai detto che era
bella. Ancora
stropicciato e confuso, si riscosse, cercando di trincerarsi dietro il
contegno
abituale, – aveva bisogno di dissetarsi e di fare un bagno.
“Non
credevo fossi così
mattiniera.”
“La
prigionia mi rende
quasi insonne,” chiosò lei, “e le nostre
preghiere iniziano prima dell’alba.”
L’ingannatore
notò che lo
sguardo liquido e grigio della scintilla era appena segnato dalla
stanchezza e
ripensò a quando, un paio di sere prima, aveva visto la luce
filtrare da sotto
la sua porta. Lei, ancora incuriosita per la strana lettura del mago,
si chinò
per raccogliere il volume e porgerglielo, ma Loki si abbassò
per bloccarla a
metà strada, anche se, ormai, le dita della ragazza
sfioravano la copertina in
pelle. Erano più vicini di quanto non dovessero, ma
prestarono molta attenzione
a non toccarsi.
“Le
tue fiabe,” sorrise
lei.
“Nelle
fiabe si nascondono
spesso verità e insegnamenti. Non sottovalutarle,”
suggerì l’Ase. Quando fu in
piedi, si concesse di squadrarla meglio. “E tu, che cercavi
tu, qui, a
quest’ora?”
Un guizzo
indecifrabile
balenò nello sguardo di Sigyn. “Le cronache di tuo
nonno Bor. Le ho cercate
anche ieri, ma non le ho trovate.”
L’Ase
assottigliò gli
occhi e s’inumidì le labbra. La richiesta della
ragazza giungeva inaspettata,
come imprevisto era l’aiuto che lei, implicitamente, gli
chiedeva.
“Come
mai ti
interessano?” ghignò e, messosi il suo volume
sottobraccio, s’incamminò rapido
per i corridoi della biblioteca. Era una delle zone più
antiche della dimora di
Odino. Negli anni era stata ampliata e allargata più volte e
ora la sua pianta
vantava delle irregolarità capaci di trasformarla in un
labirinto dall’ordine
oscuro. Alcune sale sembravano fatte per stupire i visitatori:
possedevano
ampie finestre, grandi camini e poltrone, tavoli sedie. Altre, nei
tempi
passati avevano ospitato copisti e miniatori intenti a consumarsi la
vista alla
luce delle candele, nel tentativo di creare libri che erano opere
d’arte, prima
che oggetti capaci di trasmettere il sapere. Sigyn era affascinata e
incuriosita da quel luogo, forse il più interessante di
tutto il palazzo, ma
non era in grado di orientarvisi. Seguiva Loki cercando di non perderlo
di
vista e di ammirare, al contempo, le fitte scaffalature e sbirciare
qualcuno
dei titoli incisi sul dorso dei libri. A un certo punto, Loki si
fermò e la
ragazza per poco non gli andò contro. Si sporse per
raggiungere un ripiano
quasi troppo alto persino per lui e trasse un tomo dalla copertina nera
piuttosto
rovinata.
“Le
più belle e
accurate,” annunciò. “Ma vorrei sapere
perché.”
C’era
una nota a metà
strada tra la curiosità e il sospetto, nella sua voce. Erano
in un’ala sperduta
e oscura della biblioteca; nonostante fosse ormai giorno, la luce
penetrava a
stento nella sala. Forse, ipotizzò la ragazza, le finestre
erano orientate
verso occidente, ma a parte quest’ipotesi, Sigyn non avrebbe
saputo dire dove
fosse l’uscita. Era sola, con Loki Odinson che la scrutava in
quel suo modo fiaccante
e terribile, capace di strapparle via ogni sicurezza e leggere nel suo
cuore. Raccolse
ogni energia per rispondergli con la consueta fermezza. “Per
contrastarvi devo
conoscervi. E l’unica maniera che conosco è
questa. Studiarvi.”
L’Ase
s’irrigidì e le
diede il volume. “Tu non sai distinguere i tuoi amici dai
tuoi nemici.”
“Voi
Æsir sareste i miei
amici?” Ora era Sigyn a essere pallida. “Sono un
tuo ostaggio, Loki,” ricordò. “Hai
preteso che vi seguissi, sfruttando il fatto che fossi la scintilla,
senza
curarti che ero un’ancella…”
“Tuo
padre,” iniziò
l’ingannatore, ma la ragazza lo interruppe.
“Mio
padre cosa?
Non vi ha mandato i suoi aiuti? Lo so. Me lo hai
detto. E so che sei
rimasto ferito, ma io non sono responsabile di
questo.”
L’Ase
scosse la testa. “Tuo
padre ha fatto tante promesse che non poteva
mantenere. E non tutte a
noi. Ti avrebbero consacrato come ancella, presto, ma fidati delle mie
parole:
la tua vita non sarebbe trascorsa come tu immagini.” Di
più non poté – non
riuscì a dirle. Maledisse la propria tendenza a essere
sempre diplomatico, che
fin troppo spesso sfociava nel necessario inganno, e la debolezza
– o pietà –
che lo aveva colto, impedendogli di essere schietto.
Sigyn, invece,
giudicò
falsa la predizione di Loki. Chiese bruscamente di essere condotta
all’uscita.
L’ingannatore lasciò che la propria immaginazione
fantasticasse lungo quei
corridoi avvolti perennemente dalla penombra – con lei, con
le sue labbra
imbronciate, col suo profumo delicato e persistente. Le fece strada
senza dire
una parola, invidiando le ombre che l’avrebbero ghermita,
ricacciando in gola
le frasi pungenti e dannatamente sincere che lei meritava di ascoltare.
Ragazzina
orgogliosa, mia
infelice scintilla, tuo padre ti ha venduta a un altro, prima che a me.
E non
c’è modo di strapparti a lui – presto ti
reclamerà.
♥
L’aveva
bandito.
Odino aveva bandito suo fratello, cacciandolo sull’oscura
Midgard non prima di
avergli tolto ogni suo potere. Compreso Mjollnir. Era quello che Loki
voleva?
Sì e no. Aveva agito con cognizione di causa, con
l’intento di arrecare un
danno a Thor, ma non immaginava che l’ira di Padre Tutto
sarebbe stata così
terribile. La realtà aveva superato le aspettative,
lasciandolo, per un
momento, incerto e sgomento. Lui, che pareva avere la risposta a ogni
domanda o
soluzione, che si vantava di essere brillante e sagace e sempre pronto
a
modificare i propri piani in base alla circostanza, era rimasto a corto
di
parole. C’era stato un momento in cui aveva cercato di
limitare i danni e di
intervenire; per quanto suo fratello, istigato da lui, aveva
trasgredito a un
preciso ordine, il suo agire sconsiderato era comunque lecito, da una
certa
prospettiva. Forse non era una scelta politicamente vincente, ma
rappresentava
un atto di forza di cui Asgard aveva bisogno. Da
troppo tempo il fiero
figlio di Bor preferiva la cautela allo scontro. Gli Jotnar reputavano
lui un
vecchio debole, i suoi figli dei cuccioli viziati. Thor era stato
sciocco e
impulsivo, ma Loki aveva sentito il bisogno di difenderlo,
perché per quanto la
sua spedizione fosse niente di meno che una missione suicida
– lui, la sua
vendetta, l’avrebbe ottenuta in maniera più
efficace: con l’intelligenza – era
animata da propositi, intenzioni e volontà che
l’ingannatore condivideva. Non
era servito. Padre Tutto l’aveva zittito con un urlo
disarticolato e quasi
belluino, segno evidente di quanto non desiderasse ascoltare le sue
giustificazioni
retoriche. Un momento dopo, Thor aveva passato il segno offendendo il
re loro
padre e aveva lasciato Asgard nell’ignominia.
Era quello che
volevi,
Loki?
La voce di una
coscienza insinuante
lo tormentava mentre percorreva, come trasognato, i corridoi della sua
casa
divenuti improvvisamente troppo vuoti e grandi. Thor era stato
esiliato.
Il preferito di
suo
padre, il brillante fratello maggiore – anche se di una
manciata di mesi appena
– che Loki aveva ammirato, combattuto, difeso, aiutato.
C’era rivalità tra
loro? Certo. Erano entrambi ambiziosi e fieri. L’ingannatore
non aveva mai
nascosto la sua volontà di primeggiare né
l’idea che fosse più meritevole
perché più astuto dell’altro. Quante
volte Frigga aveva alzato gli occhi al
cielo vedendoli litigare e malmenarsi, quante Odino li aveva redarguiti
per
quello stesso spirito indomito e bellicoso che apprezzava sul campo di
battaglia? E cosa avrebbe fatto, Padre Tutto, se avesse sospettato
quanta parte
di responsabilità aveva lui stesso nella ribellione di suo
fratello?
Eppure, Loki non
era totalmente
responsabile di quanto capitato a Thor. In qualsiasi momento, lo
sfolgorante
erede di Odino avrebbe potuto fermarsi, abbandonare qualsivoglia
proposito di
vendetta e rimettersi alle decisioni del suo re. Si era ficcato in
testa di
agire diversamente – lui lo aveva solo spinto
in tal senso,
approfittando della sua influenza presso Thor e della
volontà stessa
dell’altro. Conoscevano entrambi il parere del loro padre;
lui si era limitato
a dirsi sinceramente d’accordo nell’idea che i
giganti erano un pericolo finché
respiravano – e lo credeva, ne era
convinto con ogni fibra del proprio
essere, soprattutto dopo averli affrontati sul loro stesso territorio.
Per poco
non erano morti – se non fosse intervenuto Odino, sarebbero
senz’altro morti.
Poi Sif lo aveva
pregato
di intercedere presso Odino. Di supplicarlo al fine di mitigare la
punizione di
suo fratello, supportata, in questa richiesta, dagli amici di Thor,
sempre
pronti a idolatrarlo senza vederne gli eclatanti difetti, subito
sospettosi nei
riguardi di lui stesso, che li aveva salvati. Perché il
brillante piano di suo
fratello – andiamo e distruggiamoli – non era solo
politicamente svantaggioso,
ma stupido e impulsivo, come Thor, del resto. Lo
avevano accusato di
essere invidioso e malvagio, ma erano degli irriconoscenti
infedeli,
nient’altro. Soprattutto Sif, che sotto la sua maschera
d’imperturbabilità e
freddezza che, sempre, gli riservava, alludeva a un passato vissuto
nella
penombra. Si vergognava di essere andata a letto con lui, di averlo
usato come
ripiego perché non riusciva ad avere Thor, e ora lo
implorava perché riportasse
a casa il suo eroe. Voleva manipolarlo in nome di una relazione che non
era mai
andata oltre la semplice scopata per preciso volere di entrambi. E, in
virtù di
qualche amplesso consumato di nascosto, mentre entrambi pensavano e
desideravano altre persone, lei pensava di poter
intercedere.
Di contare
più di quanto,
realmente, contava. Era sciocca e stupida, ma a sua difesa occorreva
dire che l’ingannatore,
in quei mesi, l’aveva cercata con più frequenza e
ardore, nell’inutile
tentativo di scacciare Sigyn dalla sua testa. Ma la scintilla era
un’ombra rinchiusa
in un mondo di tenebre, e tutto ciò che aveva di lei era una
lettera di cui
ricordava a memoria ogni parola e che prometteva sventure; nella sua
cecità, la
scintilla aveva visto, finalmente, l’approssimarsi
dell’inverno lungo sette
inverni, sognato tracce di sangue sulla neve. Un presagio
d’incerta valutazione
in base a chi fosse il lupo e chi la preda.
Se
non fosse stata Sif a supplicarlo, forse
Loki avrebbe cambiato idea e, con calma, dopo un ragionevole periodo di
tempo
ed essersi assicurato di avere ciò che meritava –
la futura investitura come re
di Asgard – avrebbe interceduto presso suo padre per far
tornare Thor. Ma suo
fratello contava su un numero cospicuo di seguaci che non si sarebbe
mai
stancato di considerarlo l’erede legittimo di Asgard,
l’unico degno, e così il
regno dell’ingannatore avrebbe avuto, per sempre, un
insopportabile punto debole.
E allora, che fare?
Si
toccò il braccio, lì dove lo Jotunn lo
aveva afferrato spaccando la placca di metallo e la corazza. La pelle
appariva
liscia, intonsa, perfetta. Nemmeno un segno suggeriva che fosse venuto
a
contatto con un gigante di ghiaccio. Serrò la mascella;
Volstagg, grande e
grosso com’era, ancora gridava di dolore per la terribile
ustione ricevuta solo
sfiorando uno dei suoi avversari. Lui, invece, si era salvato.
Perché? Era
merito del seiðr che scorreva potente nelle sue vene? Oppure,
era caduto
vittima di una qualche subdola maledizione sconosciuta, che si sarebbe
manifestata, ma solo poi?
A passi lenti,
s’inoltrò
verso i sotterranei del palazzo, deciso a risolvere un problema per
volta.
La sala era
immensa e il
rumore dei suoi stivali solitari e decisi echeggiava in maniera
sinistra lungo
le tortuose scalinate che conducevano giù, sempre
più giù. Loki conosceva la
storia di ognuno dei tesori lì custoditi o, almeno, questo
era ciò che aveva
fatto credere una volta a una Sigyn che fingeva di non essere stupita
da tanta
magnificenza. Un’incantevole reliquia in mezzo a tante altre.
In verità, molti
di quegli artefatti erano entrati in possesso degli Æsir in
tempi, modi e
luoghi oscuri. Dell’appropriazione di altri, invece, Loki era
certo che si
raccontasse con un certo compiacimento una versione edulcorata, se non
totalmente falsa. Ma il principe cadetto non era sceso nei sotterranei
per
lasciarsi travolgere dai ricordi: procedeva sempre più
spedito verso un angolo
in particolare, dove, alla luce tenue delle fioche lampade, brillava
uno
scrigno bluastro, che sapeva di ghiaccio e lame e morte. Come mai il
tocco
degli Jotnar non aveva avuto alcun effetto, su di lui? Cosa avrebbe
detto, se un
simile fatto avesse riguardato qualsiasi altro individuo? Quali
supposizioni si
sarebbe scaltramente premurato di rivelare? Ciò che,
acutamente, era in grado
di dedurre per il prossimo non poteva essere sacrificato o mitigato
quando
l’oggetto della supposizione diveniva lui. Prese un lungo
sospiro – sono solo
sospetti – eppure la ragione gli suggeriva che la soluzione
era più semplice e
dolorosa di quanto pensasse. Le sue dita strinsero le maniglie e
sollevò lo
scrigno. E il potere del più antico tesoro degli Jotnar gli
scivolò nelle vene
con una naturalezza sbalordita e spaventosa.
La voce di Padre
Tutto,
perentoria e roboante, giunse troppo tardi.
“Sono
maledetto?”
“No.”
“E
cosa sono?”
“Sei
mio figlio.”
“E
cosa, più di questo?”
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore,
Non vedevo l’ora di
arrivare
esattamente qui. Come dico in nota, ho evitato di raccontare le scene
che avete
già visto nel primo film di Thor. Le motivazioni di Loki
sono frutto di mie
riflessioni sul personaggio, quindi abbiatene rispetto ♥,
come per tutti gli
headcanon che inserisco nelle mie storie. La settimana prossima
è il turno di Accordo.
Fuggo rapidamente, ma non per questo vi si adora di meno.
Ringrazio chi ha listato,
recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su
Ombre e
fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi
non è
uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo
18
Le notizie del
mondo
esterno non avrebbero più dovuto turbare Sigyn. Avevano la
stessa evanescenza
dei sogni o delle fiabe: racconti da cui lei, nella tenebra in cui
viveva, era
stata esclusa. Kalfr non veniva a farle visita spesso, e quando
s’incapricciava
nel cercarla, lei faceva finta di essere altrove e con qualcun
altro. Uno
che non c’era e che avrebbe dovuto odiarla con ogni fibra del
suo essere, uno
che aveva inviato al Tempio così tanto oro da placare gli
Antenati offesi. Un
gesto compiuto non per devozione, ma per dimostrare
l’avidità degli spiriti
ingordi e ribadire la propria, sfacciata, supremazia.
Però,
la tosse secca e
persistente di Sigyn era svanita grazie alle vesti fatte con la lana
più calda
e soffice, agli stivaletti foderati internamente di pelliccia, alle
coperte spesse
e morbide che il principe di Asgard aveva preteso le fossero
consegnati. Ma
stringersi in un mantello confortevole, poter gettare un ciocco di
legno in più
nel camino della propria stanza, non scaldavano il cuore di Sigyn. Lui
non se
ne andava. La sua figura slanciata ed elastica continuava ad abitare i
suoi
pensieri con feroce puntualità; e la sua immagine,
impossibile da cancellare,
eppure, ogni giorno, più sfocata, non alleviava il suo
riposo. I sogni della Scintilla
erano frammenti di passato e di futuro in cui Loki Odinson non
compariva mai.
Era il grande assente e quell’assenza pareva
l’unica cosa tangibile rimasta di
lui. Prima di addormentarsi, sfinita, tentava di rievocarne le
fattezze, i
gesti, l’odore, il suono della voce. Com’era il
tono del dio degli inganni? Si
sforzava di tirarlo fuori dai ricordi, di stabilire la connessione in
grado di
restituirle la voce che sapeva essere stata ironica e pungente
– sì, ma come,
fino a che punto? – di fissare una frase
particolare o un modo di dire che
le avrebbero ridato, per un momento, Loki. Ma la voce è
ciò che con più
facilità si smarrisce, di chi perdiamo, e allora la fatica
che doveva compiere
per farla riemergere era doppia. Eppure, quando ci riusciva e la
memoria le
restituiva il tono arrochito e perennemente sarcastico
dell’Ase, dal buio risaliva
anche altro. Il modo di ridere scoprendo i denti, la piega corrugata
delle
sopracciglia quando era assorto nello studio di un testo difficile, il
modo in
cui accarezzava l’elsa di uno dei suoi pugnali per placare un
nervosismo
giudicato inopportuno, il gesto secco con cui immergeva la penna nella
boccetta
dell’inchiostro, la sfumatura leggermente cangiante che
assumevano i suoi occhi
chiarissimi di fronte al fuoco. Era Loki. Ricostruito o rievocato, non
aveva
importanza, così come non lo aveva il mondo, che
l’aveva perduta perché suo
padre si era comportato in modo sconsiderato. La Scintilla non poteva
sfuggire
al suo destino, che la voleva immolata per sempre alle tenebre, sposa,
qualunque cosa significasse, di ciò che di oscuro strisciava
sotto Yggdrasill,
il frassino sacro.
Sospirò
con forza:
ricordare Loki era il modo per cullarsi in un passato irripetibile e
disperato
e, solo col senno di poi, dolce. I giorni trascorsi ad Asgard, mentre
li
viveva, erano agitati da una giostra impazzita di eventi, dalle liti
che si
alternavano alle rappacificazioni, da segreti intricati e
irrisolvibili. Se
avesse potuto scegliere, Sigyn si sarebbe messa a selezionare con la
meticolosa
perizia di un gioielliere i momenti più belli e sereni: una
mattina in cui Loki
l’aveva portata al mercato fingendo di essere due persone
qualunque, una notte
insonne in biblioteca, trascorsa a leggere e degenerata
nell’Ase che raccontava
alcune delle sue avventure più divertenti vissute con Thor.
In mezzo a quei
ricordi che, pure, c’erano, si insinuavano, però, gli
altri: la meticolosa
messa a punto della grande impresa che doveva liberarla, la
terrificante notte
in cui avevano bussato alla porta del mercante, il grido
d’orrore che il dio
dell’inganno aveva cacciato quando era rimasto solo con la
creatura – o le
creature – che abitavano l’abisso. E gli incubi che
lo scuotevano e lui celava,
e quel cinismo, che si era fatto più cupo e adulto, perdendo
ogni traccia di
spavalderia giovanile.
Si
rigirò nel letto, insonne,
in un buio ormai totale. L’unico conforto fu, in qualche
momento imprecisato
tra l’oscurità e l’alba, quello in cui
tirò fuori dal nascondiglio il pezzo di
stoffa e il gioiello che conteneva. Lo infilò al dito un
istante, ne sfiorò la
pietra. Non lo toccava da mesi, dall’ultima visita che le
aveva fatto e fu per
questo che non si stupì, quando le dissero di una visita
proveniente da Asgard.
Le Norne, a volte, creavano simmetrie così perfette da
sembrare costruite ad
arte. Si avvicinò alla grata che la separava dal mondo, come
l’ultima volta,
con la vanesia consapevolezza di apparire meno miserabile di un tempo,
ma una
pena innominata le gravava petto: lui ora sapeva.
Quando sentì la voce
di Thor al posto di quella di Loki, però, il respiro le si
mozzò nella gola e
un sospetto, rapido e tremendo, calò su di lei.
“Sigyn,
sono venuto a portarti una notizia
tremenda,” iniziò il dio del tuono.
Alla scintilla
si ruppe
il cuore.
♥
Sigyn non amava
Loki. La
metteva a disagio il modo attento in cui la fissava, le sue battute
salaci, i
suoi passi svelti ed elastici, la tagliente sicurezza che permeava ogni
suo
gesto. Parlavano spesso in biblioteca. Ne erano i soli frequentatori
assidui ed
entrambi amavano inoltrarsi lungo i corridoi silenziosi e impregnati di
polvere
al tramonto o quando, ormai, era calata sera. L’ancella aveva
ammesso di
soffrire di una lieve forma d’insonnia e
l’ingannatore aveva stirato le labbra in
un ghigno sornione, interessato.
Di quel giorno,
Sigyn
ricordava la luce rossa che filtrava dalle finestre alte e strette, il
vento
che infuriava oltre le imposte. Il sole si inabissava nel mare,
trasformando il
cielo in un tripudio di azzurri e di sfumature d’arancio. E
forse in quella
stessa occasione, se la memoria non la confondeva, Balder si era messo
in testa
di chiederle se lei e il fratello fossero amici.
Sigyn aveva negato, ma interpellato
dall’ingenuo ragazzino, Loki, l’aveva smentita,
dichiarando, a sorpresa, che
gli era cara. Ma che aveva voluto mai dire, con quella parola? Erano
all’uscita
della biblioteca e Balder, che li attendeva sulle scale, si era rizzato
in
piedi, scrutandoli dubbioso. Non capiva perché
trascorressero così tanto in un
posto pieno di libri e, chissà come mai, gli era venuta in
mente quella domanda
tanto inconsueta. Volta a definire l’indefinibile,
l’impronunciabile – ma
questo, Sigyn, non era ancora disposta ad ammetterlo.
Nelle ore
seguenti,
mentre il vento portava cumuli di nuvole scure e minacciose sopra il
fiordo, l’ancella
si era detta che, forse, lei e il principe cadetto trascorrevano troppo
tempo
insieme. La sua educazione rigida e impostata giudicava ambigue e
pericolose le
ore trascorse in compagnia di un uomo nel pieno della giovinezza come
Loki. Lei
stessa doveva ammettere che il dispetto provato nei suoi confronti era
tinto
con una tale varietà di sfumature da rendere difficile
giudicare cosa provasse
nei suoi confronti. Una parte di lei lo odiava e disprezzava la sua
blanda corte,
l’altra s’infiammava ogni volta che lui spostava le
proprie attenzioni altrove.
Se osava accorciare le distanze tra loro, lo rimetteva immediatamente
al suo
posto, ma prima di addormentarsi si concedeva d’immaginarsi
accanto a lui, o
ripercorreva con la mente gli istanti in cui erano stati troppo vicini,
come
quando aveva assistito al rito e si era stordita o, prima ancora, sul
drakkar, dove,
colpevole un’onda, gli era finita, suo malgrado, tra le
braccia. Lo detestava
perché l’aveva strappata ai suoi affetti, ma gli
era segretamente grata per
averle detto di essere la Scintilla. Ammirava la sua spiccata
intelligenza,
così acuta e fulgida, ma disprezzava certi suoi
atteggiamenti meschini. Se, per
mostrarle una miniatura o una storia particolarmente interessante, le
chiedeva
di avvicinarsi a un libro o a una pergamena, lei lo assecondava con
sfacciata
circospezione, ma tremava se le loro teste o le mani erano vicine a
congiungersi. E se le prime settimane aveva bollato tutto
ciò come un effetto
della paura che le ispirava il dio degli inganni, ora non lo sapeva
più. Una
parte di lei, quella più nascosta e impulsiva, quella che
avrebbe voluto essere
portata via perché donna e non per via del suo essere
scintilla e osava
guardarsi allo specchio chiedendosi come lui la
vedeva, sperava che Loki
si spingesse oltre. Sfiorarsi le dita, la fronte,
le labbra, e poi
sentire l’odore della pelle di lui e scoprire le linee ben
fatte del suo corpo
slanciato e forte, fatto di muscoli sempre pronti a guizzare. Ma se il
principe
di Asgard avesse osato anche solo prenderle le mani e baciarla, lei
avrebbe
dovuto, necessariamente, scacciarlo, ricordandogli chi erano.
Dirle che era
cara e
farlo per rispondere a una domanda di Balder, però,
scardinava le certezze di
Sigyn: era una lusinga che solleticava la parte più
impulsiva di lei, quella
segretamente compiaciuta che Loki l’avesse notata per via del suo
bel vestito
rosso; l’Ase si rivelava, scoprendo le carte circa i suoi
interessi, oppure
mentiva per raggirarla, perché Loki non faceva mai nulla
spontaneamente o per
caso. Ogni sua battuta o azione era frutto di un lungo ragionamento, di
una
sfiancante analisi.
“Come
ti sono cara? In
che modo, perché?” lo affrontò qualche
giorno dopo. Sedevano vicini a un
banchetto cui Sigyn si era decisa a partecipare per affrontare la
questione. Il
mattino seguente, il principe sarebbe partito, assieme
all’immancabile
fratello, per una missione non ben precisata, riguardo cui lei non era
riuscita
a carpire nessuna informazione – e
perché avrebbe dovuto interessarle, del
resto?
Loki
stirò le labbra in
un ghigno perfido, osservando una coppia di danzatori che si esibiva
nell’ampia
sala. Erano agili e bravi, bellissimi da vedere. L’intesa che
li legava
suggeriva che il loro rapporto trascendesse il ballo e fosse fatto di
baci e
amplessi.
“Me lo
domandi nel posto
sbagliato, nell’occasione meno indicata,”
notò dopo aver sorseggiato un corno
d’idromele. “Io dico che è
perché non vuoi affrontare davvero
l’argomento,”
decise, risolvendosi a fissarla con quei suoi occhi fiammeggianti e
chiarissimi.
La danza,
sensuale e
forsennata, continuava in un tripudio di veli colorati fatti per
esaltare la
tonicità dei ballerini. Gli occhi di tutti i presenti erano
fissati sulla
coppia che si esibiva facendo sfoggio del proprio talento, e nessuno
colse la
tensione palpabile esistente tra Sigyn e Loki. Nemmeno loro ne erano
pienamente
consapevoli: erano presi nel vortice di un desiderio che li avrebbe
condotti
alla rovina, contro cui lottavano con forza e disperazione, ma invano.
Solo che
non ci credevano e, se qualcuno avesse predetto loro il futuro che li
attendeva, si sarebbero sdegnosamente rifiutati di crederci.
“A
volte mi tratti come
un ostaggio, altre no,” ammise Sigyn con
difficoltà, abbassando le ciglia nere.
Frigga le aveva fatto indossare dei gioielli di squisita fattura in
quantità;
spiccavano sul suo collo sempre scoperto, sull’abito candido,
ma le pareva
fossero troppo vistosi e da adulta.
L’ingannatore
si era preso
l’incarico di consegnarle personalmente un cofanetto
contenente le belle gioie prestate
dalla regina per lei. Tra questi, c’era un anello con una
pietra particolare,
dalla trasparenza rosea. Sigyn lo aveva indossato insieme agli altri,
ammirandone
in cuor suo la bellezza, stupendosi per la perfezione con cui le
calzava al dito.
Non notò l’attenzione con cui Loki
l’osservava mentre infilava il prezioso.
Sembrava una
sacerdotessa, più che un’ancella – era
la scintilla, e tutti i presenti
dovevano avere la percezione di trovarsi davanti a qualcosa di cui
Odino poteva
vantarsi, di una reliquia preziosa ceduta da un alleato infedele. Non
sapeva
d’essere bella, quella sera, perché solo Loki,
assuefatto al profumo della sua
pelle, sedotto dalle forme sinuose del suo corpo snello e sodo,
invidioso dei
gioielli che le sfioravano il seno e le si attorcigliavano lungo le
braccia e
le dita, ne era consapevole, come aveva precisa coscienza di come lei
svolgesse
la parte di una creatura rara e preziosa che dava spettacolo di
sé solo bevendo
e mangiando. Una scintilla ad Asgard, l’ultima di cui si
aveva traccia.
“Se
non fossi stata la
scintilla, ma una semplice ancella, ti avrei pretesa per me,”
esplose perfido. “Ti
avevo scelta per essere una schiava, o magari una concubina, ma forse
era già
la tua luce che mi attirava. Ho donato a Padre Tutto una veggente, ma
ho perso
il mio risarcimento,” concluse, col chiaro intento di ferirla
e di ridurla a
nient’altro se non a una prigioniera che avrebbe dovuto
scaldargli il letto. E
Sigyn impallidì ascoltando la brutalità del suo
pensiero, così come avvertì
sulla pelle il desiderio bruciante e il feroce fastidio che agitavano il
dio
degli inganni. La considerava preziosa, ma avrebbe preferito che non lo
fosse.
E la pensavano allo stesso modo, perché Sigyn sapeva che
sarebbe stata più
felice, se fosse rimasta una semplice ancella e lui non
l’avesse mai guardata. Non
avrebbe mai sentito né l’odore del mare
né quello, di cuoio e libri, della sua
pelle, ma non si può provare nostalgia per qualcosa che non
si è vissuto,
forse.
“Sfrontato,
arrogante e
sacrilego. Rimpiangi di non avermi umiliata e usata?”
“No,
non ci provare,”
l’avvertì Loki, chinandosi verso di lei fin quasi
a sfiorarle con le labbra i
capelli. L’ancella si tese, imponendosi di non respirare
né muoversi. “Non
parlare con me di sacrilegi,” proseguì
l’Ase. “È per rimediare alla follia di
uno, che il tuo destino ha finito per riguardarmi,” concesse.
Un bagliore
d’inconsueta ferocia saettò nello sguardo verde di
Loki. Aveva parlato a denti
stretti, tirando fuori assieme alla frase sibillina un’ironia
spietata che
Sigyn aveva ascoltato solo a Vanheim. Si voltò verso di lui
nonostante avesse
deciso di non farlo, trovandosi troppo vicina al suo bel viso affilato,
alla
bocca che ancora non era stata sfregiata da nessuna cicatrice.
“Che
mi nascondi? Che mi
nascondete tu e tuo Padre?” sibilò furiosa e
spaventata, afferrando il corno davanti
a lei e bagnandosi appena le labbra.
Ma Loki non le
rispose.
Avevano attirato l’attenzione di Thor e persino Odino si era
distratto dallo spettacolo
della danza per osservarli. Guardò la mano sottile e
adornata di gioielli che
reggeva il corno.
“Ti
sta d’incanto quest’anello.
Continua a fare sfoggio di te stessa, scintilla. Per questa sera ti ho
detto
abbastanza,” concluse, ritirandosi prima che il banchetto
fosse finito. Sigyn
lo vide accostarsi a Odino, bisbigliargli qualche frase. Il sovrano
ascoltò e
annuì e Loki scomparve tra le ombre, col suo passo nervoso e
sicuro.
Perché
si incontrarono,
quella notte? Avrebbe dovuto limitarsi a seguirlo con lo sguardo e
concentrarsi
sulla danza magnificamente eseguita, sugli ospiti vivaci che, troppo
spesso, la
scrutavano con curioso interesse. Invece, dopo un tempo che a lei
sembrò
infinito e che, in verità, non superava la
mezz’ora, Sigyn lamentò un capogiro
e finse di volersi ritirare nelle proprie stanze. Fu un errore. Lo
cercò in
biblioteca, nelle stalle, nell’armeria, certa che non fosse
andato a dormire.
L’ala dei suoi appartamenti era un’ombra nera che
si stagliava contro un cielo
color pece, privo persino delle stelle. Ne conosceva
l’ubicazione perché
Balder, con aria solenne, una volta le aveva indicato le finestre
della sua
stanza e quelle dei fratelli maggiori. E poi Loki dormiva poco, meno di
lei, e
certamente non si era allontanato dal banchetto per riposarsi. Non
seppe dirsi
perché raggiunse il tempio. Lo vide accanto al fuoco, chino
a studiare un
bassorilievo.
Figure
intrecciate
lottavano contro una creatura abissale e contorta, mostruosa. Loki
studiava
l’opera d’arte e Sigyn non vide l’accenno
di sorriso – triste, ma compiaciuto –
che gli piegò le labbra.
“Il
banchetto non ti
diverte più?” l’apostrofò
concedendole un’occhiata veloce.
“Sei
stato il solo a
dirmi che ero la scintilla,” iniziò Sigyn,
consapevole che non esistevano
parole giuste per introdurre il discorso. “Perché
ho la sensazione di non
sapere ancora tutta la verità?”
domandò, tormentando uno dei gioielli prestati
da Frigga, aspettandosi una smentita, pregando gli Antenati che Loki
scuotesse
la testa e ammettesse di aver detto una frase senza senso, di non
riferirsi a
niente in particolare.
Per un istante,
l’unico
rumore fu quello del fuoco che crepitava nel braciere.
“La
verità,” ripeté,
invece, l’Ase, accarezzando con le dita le figure scolpite
nella pietra. “La
verità è un concetto meno semplice da definire di
quanto non si creda.”
“Ogni
volta che mi
guardi, io non capisco cosa vedi,” ammise Sigyn. Il tono
cauto della sua voce
non si accordava al battito accelerato del cuore, il cui effetto
immediato era
visibile nel rossore che le imporporava le guance.
“No,”
la corresse
l’ingannatore rialzandosi. “No, io credo che tu
sappia benissimo cosa vedo.”
“Perché
la sera prima di
una missione importante, tu sei qui, nel Tempio dove prego tutti i
giorni, a
guardare un bassorilievo?” insistette. Si strinse nelle
spalle, perché l’aria
gelida della notte le pungeva il collo coperto solo dalle pesanti
collane.
“Mio
nonno, re Bor, lo
trafugò moltissimo tempo fa, al termine di una battaglia
sanguinosa,” le
raccontò Loki con un sorriso furbo. “Fu una
vittoria eclatante. Del palazzo da
cui lo fece togliere non rimase nulla, solo rovine. E
affinché a nessuno
venisse in mente di ricostruire ciò che lui aveva raso al
suolo, ordinò che sui
massi fumanti fosse sparso il sale,” concluse, sollevando il
mento con fierezza. “Ma
questo bassorilievo, cara Sigyn, non celebra solamente uno dei trionfi
della
mia gente. Parla di una storia e di un’usanza terribile, che
mio nonno vietò.”
L’ancella
fece per
avvicinarsi all’opera d’arte, che fino ad allora
non aveva mai notato. Erano
figure scolpite con estrema maestria e precisione. Un intreccio di
corpi mostruosi
e orribili circondava una fanciulla; altre figure maschili sembravano
voler
contrastare l’esercito di creature contorte, ma invano.
“Adesso
vieni via,” le ordinò
Loki, trascinandola per un braccio prima che potesse osservare una
seconda
volta il bassorilievo o cercare di attribuire alla composizione il suo
senso.
L’artista che lo aveva scolpito conosceva la storia che stava
narrando
attraverso la sua opera: a ogni figura rappresentata aveva donato
attributi specifici,
capaci di renderla riconoscibile a chiunque, lei compresa.
L’ingannatore
la condusse
via dal tempio, verso l’ala del palazzo dove lei dimorava,
senza mollare la
presa sul suo braccio, come se volesse o potesse scappare via. Ma Sigyn
non
tentava di fare nulla di tutto ciò, anzi. Ogni sua
attenzione era ancora convogliata
sul bassorilievo trafugato da Bor, sulle dita di Loki di cui sentiva la
pressione decisa sulla pelle.
La spinse dentro
la sua
camera, e fu solo allora che Sigyn trovò la forza di
impuntarsi e di
costringerlo a fermarsi. Bloccandosi, aveva fatto involontariamente in
modo che
fossero più vicini, che i loro respiri si incrociassero. E
quella vicinanza
infiammava entrambi.
“Tu mi
guardi come se non
fossi più qui. Come un fantasma. Con rimpianto,”
soffiò, con un sussurro
talmente basso che si chiese se l’avesse udita. “Al
mio posto penso che tu, che
chiunque, vorrebbe sapere la verità,” aggiunse.
Loki continuava
a tenerla
per il braccio, fissandola con i suoi occhi penetranti e freddissimi,
quasi
indignati, illuminati da un bagliore, tagliente come la lama di un
pugnale.
“È
rimpianto, Sigyn, sì.
Sono arrivato tardi,” ammise, stirando le labbra sottili in
un ghigno sbieco e
mesto, sfiorandole la guancia liscia e le labbra con le dita, come se
quel
contatto già troppo intimo potesse sostituire il bacio
proibito che non
potevano scambiarsi. L’ammirò per un momento, e
poi glielo disse. “Tuo padre ti
aveva già venduta, e io non trovo il modo per riscattarti.
La fanciulla nel
bassorilievo ha fatto la fine che farai tu.”
Allora Sigyn
colse il
senso dell’opera che aveva visto e comprese di averla
riconosciuta fin da
subito o che, con la spiegazione del dio dell’inganno, essa
appariva chiara e incontrovertibile.
Le mancò il respiro e sentì le mani farsi gelide,
le ginocchia incerte e molli.
Il cuore batteva così forte nel suo petto da ottunderle
l’udito. Forse Loki
pensò che stesse per svenire, perché le
circondò la vita con un braccio e
continuò a dirle cose che Sigyn non ascoltò.
Udì la propria voce, però, che,
incrinata e distante, negava.
“Tu
menti. Tu sei un
bugiardo. Nessuno farebbe questo a sua figlia.” Si
aggrappò alle strisce di
pelle che costituivano la sua corazza elastica e robusta, piantandogli
le
unghie addosso come avrebbe fatto una gatta infuriata. “Non
mio padre. Non la
mia famiglia. Loro mi amano e mi proteggono,” concluse,
sfogandosi contro il
corpo dell’Ase, diritto e immobile davanti a lei, come se
fosse sua, la colpa
di tutto. E in un certo qual modo distorto lo era, perché
Loki aveva sollevato
il vero di una realtà nauseabonda. Impassibile e, ora,
silenzioso, osservò il
suo disperarsi, rifiutandosi, però, di lasciarla andare. Di
quella notte, Sigyn
ricordò che non pianse. Si rifiutò fino
all’ultimo di lasciare che anche un
singolo singhiozzo trapelasse dalla sua gola a costo di farsi mancare
il
respiro. Ma poi, forse, la disperazione la tradì.
Il bacio giunse
inaspettato e sapeva di metallo.
Fu la
conseguenza
dell’abbraccio ferreo di Loki, di quel suo tenerla contro il
proprio petto
senza consolarla a parole, lui che conquistava e irretiva proprio con
la voce
alleati e avversari. Non ritenne sensato commentare in alcun modo,
evitando
persino di dirle ciò che Sigyn avrebbe scoperto solo diverse
settimane dopo –
che lui non aveva smesso di cercare un modo per salvarla – ma
a un tratto la
strinse più a sé e la baciò. Forse lo
fece perché rimase colpito dalle lacrime
trattenute sull’orlo delle ciglia, dalla voce spezzata che le
labbra,
fieramente, evitavano di trasformare in un singhiozzo, oppure
perché era
incapace di resistere ancora all’idea di averla tra le
braccia, disponibile e
incantevole e disperata, senza fare nulla. E allora la
baciò, si chinò fino ad
assaggiarle le labbra, e la Scintilla provò il brivido di un
contatto sui cui
aveva fantasticato fin da quando era bambina, ma che nella
realtà fu differente
– migliore e più intenso – di quanto
aveva immaginato. Loki Odinson aveva una
bocca perennemente piegata in un sorriso sghembo e beffardo, tagliente.
Le sue
labbra erano sottili, tanto che, quando rideva scoprendo i denti, la
parte
superiore quasi scompariva, ma nonostante ciò erano morbide
e dolci, premute
contro le sue. E nient’altro assomigliava a una bocca: non le
guance, non il
dorso della mano su cui, bambina, si esercitava con le sue sorelle
immaginando
un principe che le portasse via.
E
scoprì anche che un
bacio non giungeva mai da solo, ma era fatto di altri, che si
susseguivano gli
uni agli altri, assaggiando e lambendo e gustando. Sì, un
principe l’aveva
rapita e ora le sue labbra la accarezzavano con feroce insistenza,
annullando
il presente, sciogliendo il suo spirito sbigottito e trasformandolo in
qualcosa
di pulsante e vivo e liquido come non lo era mai stato.
L’aveva catturata e lei
era perduta – e intanto Loki la baciava e la ghermiva e
l’accarezzava finché
non riuscì a ritrovare se stessa e, con occhi scintillanti e
spaventati, rossa
in volto, l’allontanò.
“Hai
commesso un
sacrilegio terribile,” soffiò, fissandolo nella
penombra
Loki smise di
stringerla.
“Lo so.” Nella sua voce non c’era alcun
tipo di pentimento o di paura, anzi. Pareva
fiero e soddisfatto di averla baciata. Il suo sguardo brillante e
rapace
indicava come l’assaggio avuto non avesse fatto altro che
alimentare il fuoco
che lo corrodeva. Fiamme che condividevano, loro malgrado.
“Non
farlo mai più, non
osare farlo mai più.”
“Temi
che gli Antenati ti
tolgano il loro favore più di quanto non abbiano
già fatto? O hai provato qualcosa
che ti ha sorpresa?” insinuò,
perfido e trionfante.
Sigyn si morse
le labbra,
offesa e incapace di riportare alla normalità il battito del
suo cuore
impazzito. “Qualcosa che mi ha offesa e disgustata. Non
commettere atti
sacrileghi prima di una missione, Loki di Asgard. Nemmeno voi
Æsir siete
superiori a tutto.” Era una maledizione. Necessaria, come
necessario era stato
il dover mentire su cosa aveva provato: il dispetto era mescolato al
piacere così
intensamente da lasciarla sgomenta e colpevole.
L’ingannatore
la sfidò con lo sguardo e rise con
insolenza, buttando il capo all’indietro. Non credeva nei
cattivi auspici e le
minacce di una ragazza che aveva risposto ai suoi baci e si era sciolta
tra le
sue braccia gli sembravano dolci promesse. Si allontanò,
lasciandola sola nelle
sue stanze; non si sarebbero rivisti più per molte
settimane.
Il mattino
successivo,
Frigga mandò un’ancella a recuperare lo scrigno
con i gioielli prestati. Sigyn sorrise
appena, quando, poco dopo, la stessa donna tornò da lei,
dicendole con una
punta d’imbarazzo che l’anello d’oro
dalla pietra rosata non apparteneva alla
sovrana. Nascondendo la momentanea confusione, la scintilla riprese il
monile imputando
l’errore alla stanchezza. Ricordò che a portarle
la parure della regina era stato
Loki in persona, che spartiva i vari bottini di guerra insieme agli
altri
generali, scegliendo per sé i pezzi che più lo
aggradavano. Lo aveva fatto
anche recentemente: tutta Asgard aveva parlato del grande tesoro
conquistato
dagli Æsir. Rammentò che il principe aveva
commentato distrattamente che l’anello,
quell’anello, le donava. Per un momento,
fu sul punto di dare voce al
sospetto che le stringeva la gola: che si trattasse di un dono fatto
con l’inganno,
affinché lei non avesse modo di rifiutarlo. Un subdolo
trucco per metterla in
difficoltà. Ma poi pensò che il dio degli inganni
era partito quella mattina, e
non avrebbe potuto affrontarlo direttamente. Di più,
raccontando quella che era
una supposizione, avrebbe solo dato vita a un pettegolezzo da cui non
era certa
di uscire indenne e pulita. E Sigyn, cresciuta sotto una rigida morale,
temeva le
maldicenze e non desiderava stare al gioco del furbo principe, ammesso
che l’anello
provenisse da lui. Ringraziò più volte
l’ancella, scegliendo di tenersi
momentaneamente dentro dubbi e sospetti. Nella solitudine della sua
stanza,
rigirò tra le mani l’anello, chiedendosi se fosse,
in qualche modo, stregato.
Non amava Loki
perché aveva
distrutto senza pietà ogni sua certezza, speranza,
aspettativa. Si era macchiato
della colpa d’averla baciata e stretta a sé,
portandola sull’orlo di un
precipizio in cui non poteva gettarsi. Era stato bugiardo e sincero,
schietto e
ambiguo, subdolo e cristallino. Forse le aveva regalato un anello, ma
più
probabilmente era riuscito a intrappolarla in qualcosa di
più grande di lei, di
loro. Sì, Sigyn odiava Loki – lo decise quella
notte, la prima che trascorse ad
Asgard dopo che lui se ne fu andato, e lo detestò ancora di
più quando seppe,
pochi giorni dopo, che la sua maledizione si era avverata. Qualcosa,
nella
missione pericolosa e importante che il dio dell’inganno
stava affrontando con
suo fratello, era andato storto. Le Norne, forse istigate dagli
Antenati
offesi, avevano deciso di punire il figlio cadetto di Odino. Quando
Balder, con
le lacrime agli occhi, le disse che Loki era stato ferito e catturato
da una
feroce tribù, Sigyn pensò che qualsiasi cosa
fosse quel peso che le bloccò il
respiro e le fece tremare le ginocchia, non era amore. Forse si
trattava di uno
struggente senso di colpa, oppure di paura, perché anche lei
era colpevole di
fronte agli Antenati, ma no, non poteva essere amore. Solo che.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore,
Incredibilmente, sono
riuscita a postare entro le due settimane. Mi scuso per eventuali
refusi o
sviste, ma o posto adesso o mai più. Visto che la situazione
sta precipitando nuovamente,
mi auguro che queste mie righe possano risollevarvi e rendere
più lieto il coprifuoco.
Il mio lo migliorano senz’altro.
Ora, tutti si aspettavano
che Sigyn si fosse portata dietro il bracciale riparato da Loki, ma
ecco qua
che, pouf! Compare un anello. Lo avevo accennato anche qualche capitolo
fa,
nella scena con Sif, quando Loki prende un pezzo del tesoro per
sé. Ora, la domanda
è: è quell’anello? Qual è lo
scopo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, che
spero arriverà presto. Non ho idea di cosa
aggiornerò nelle prossime settimane
(ma potrebbe essere anche la prossima settimana, veramente, boh).
Potrei
aggiornare qualche vecchia long e persino sperimentare con storie
nuove. O magari
esce il 42 di Accordo ♥. Questo per dirvi di continuare a
seguirmi su fb o su
instagram ^^.
Ringrazio chi ha listato,
recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su
Ombre e
fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi
non è
uno scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra,
Shilyss
|
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo
19
Nessuna
preghiera poteva
salvarla. Invocare gli Antenati non sarebbe bastato, perché
loro erano in grado
di scrutarle nel cuore e vedere le fiamme che le consumavano
l’anima. Sognava
le labbra di Loki, le sue mani che la stringevano, pregava per il suo
ritorno,
lo malediceva perché si era lasciato catturare.
L’ha fatto apposta, dicevano
alcuni. È un’abile mossa, il ragazzo ha la stoffa
del grande stratega,
sussurravano altri. Sigyn ascoltava e taceva, sforzandosi di
concentrarsi sulla
preghiera, lo studio, il ricamo o qualsiasi altra attività
le tenesse le mani
occupate, la mente puntata verso un obiettivo. Un pomeriggio
approfittò
dell’ingenuità di Balder per domandargli se ci
fosse qualche notizia di Loki,
ma il bambino si strinse nelle spalle e scosse la testa, senza
distogliere
l’attenzione dai suoi giochi. L’ancella si chiese
che effetto dovesse fare, avere
due fratelli così scapestrati, audaci e carismatici ed
eleggerli a propri
personali eroi, come aveva fatto il ragazzino. Quando Thor
tornò ad Asgard
privo del proprio immancabile braccio destro, Sigyn fece di tutto per
incrociare i suoi occhi franchi e azzurri: voleva capire se il primo
figlio di
Odino era preoccupato; leggere, sul suo volto deciso, se quella di Loki
era
stata una mossa azzardata, ma voluta, o un disastro che
l’astuto mago sperava
di poter volgere a suo favore. Riconobbe una traccia di malcelata
impazienza
nel modo in cui Thor si muoveva e rispondeva alle domande altrui.
Sembrava che
la terra gli bruciasse sotto gli stivali e che ambisse solo ad
andarsene al più
presto dai giardini di Frigga, dalla sala del trono, dalle scuderie, da
Asgard
stessa. Non era mai stato particolarmente loquace e detestava dover
spiegare e
raccontare. Era abituato a lasciare a Loki tale incombenza e
l’assenza del
fratello, ora, gli pesava. Ma non l’avrebbe mai ammesso ad
alta voce.
Eppure, Thor,
che evitava
con stizza le occhiate di tutti, alla fine le rivolse un sorriso mesto,
non
privo di una certa dose di recondita consapevolezza, come se, tra loro,
ci
fosse un qualche segreto.
“Loki
non mi ha parlato
di te,” esordì non appena ne ebbe modo, il giorno
seguente. “Ti gira attorno,
passa il suo tempo libero occupandosi di quella cosa che hai senza
nemmeno
rendertene conto, eppure non aveva niente da dire. E Loki, vedi, ha
sempre
qualcosa da dire, su tutto,” aggiunse,
certo che lei, ascoltandolo,
sarebbe arrivata alle sue stesse conclusioni.
Sigyn
avvampò. Pensò
all’anello regalato con l’inganno, alle ultime
parole che si erano scambiati,
al suo destino crudele, alle loro labbra che si lambivano e sfioravano.
“Forse
non mi giudica un argomento degno di interesse,” fremette.
“O
magari non vuole
condividere. Mio fratello non ama le spartizioni, del resto –
è avido, come
tutti gli Æsir,” concluse Thor, senza togliersi
dalla faccia quel suo sorriso franco
e gioviale, che non aveva nulla della furba malizia
dell’altro.
Sigyn si
sforzò di ignorare
l’allusione appena udita. Il principe ventilava, come se
niente fosse, un
possibile sacrilegio con la stessa leggerezza
dell’ingannatore: entrambi si
ritenevano al di sopra delle leggi e credevano di essere eroi
così superiori a
tutti gli altri che, per loro, le regole non avevano significato.
Poiché il
tonante non aveva altro da aggiungere e se ne stava andando,
tentò di
trattenerlo volgendo il discorso su ciò che le premeva di
più sapere.
“Sei
preoccupato per
lui?”
Thor
s’irrigidì e
contrasse la mascella squadrata. Sigyn suppose che avesse risposto a
quella
domanda troppe volte, da quando era tornato; certamente non desiderava
parlarne
ancora con lei, un’estranea, un’ospite la cui
fedeltà non era nota né provata.
Non ancora, almeno, ma questo, la scintilla, non poteva saperlo.
“Mio fratello
se la caverà. Se la cava sempre,” disse a mezza
voce. Non le concesse altro.
Loki
tornò ad Asgard
alcune settimane dopo. Il suo bel sorriso beffardo era segnato da una
ferita
fresca, che gli impediva di articolare anche la più semplice
frase senza che
una fitta di dolore lo trafiggesse. Entrò nella sala del
trono di Odino col
passo deciso del condottiero trionfante e un bagliore sinistro negli
occhi. In
una mano stringeva un sacco che si rivelò contenere la testa
di un generale
avversario. La offrì a suo padre con feroce soddisfazione,
incurante delle
sopracciglia aggrottate dell’altro. Si era liberato, ma
nessuno sapeva da cosa
e l’ingannatore non raccontò che pochi dettagli
della sua prigionia.
Particolari ammantati di bugie, create appositamente per far spiccare
lui,
Loki, e far sembrare la cattività come una festa noiosa,
nient’altro. Sigyn
all’inizio gli credette. Non aveva avuto modo di avvicinarlo
ed era sollevata
per il suo ritorno. Pensò che la sua gioia era dovuta al
senso di colpa che le
stringeva il cuore, perché le ultime parole che si erano
scambiati prima che
lui partisse erano sembrate una maledizione alle orecchie di entrambi;
non
poteva nascondere di aver creduto, nelle fredde notti di Asgard, che
l’astuto
principe fosse stato punito dalle Norne per volere degli Antenati a
causa di
quel bacio tanto anelato e per nulla fugace, espressione di un
desiderio che si
era infilato nella carne, nelle vene, nel sangue e nei pensieri di
entrambi. Lo
vide e fu felice. Non si curò del fatto che
l’ingannatore si era limitato a
rivolgerle non più di qualche breve e bruciante occhiata e
non notò nulla di
strano, in lui.
Non
all’inizio, almeno.
La ferita al
labbro
tormentava il dio dell’inganno. Era stata malcurata e si era
riaperta più
volte. Bruciava ogni volta che apriva bocca per parlare, sorridere,
mangiare e
bere, persino. L’idromele, anziché essere un
balsamo, sembrava una punizione,
eppure non riusciva a farne a meno. Ne aveva bisogno per stordirsi, per
addormentarsi senza risvegliarsi di colpo, con uno strato di sudore
gelido
addosso. Subito, nei primissimi giorni del suo ritorno, quando le
domande sulla
sua avventura non si erano ancora placate, s’impose di bere
il meno possibile;
non desiderava diventare schiavo di un vizio che, presso gli
Æsir, era la prima
delle maledizioni, capace di fiaccare persino il guerriero
più valoroso. Da
ragazzino aveva assistito all’inevitabile declino di molti
eroi, e l’aveva
fatto col piglio giudicante che solo chi è appena uscito
dall’infanzia possiede.
Accolse con un
moto di
stizza la notizia che gli sarebbe rimasto per sempre il segno della
prigionia
addosso, a tagliargli verticalmente il sorriso. Per tutta risposta,
vuotò un
corno nonostante il dolore lancinante, anzi, a dispetto di esso e di
tutti i
suoi propositi di limitare l’alcol.
Sigyn lo
incrociò in quel
momento, con la mano che reggeva, facendolo dondolare appena, il lungo
corno
ormai leggero. Lui puntò, finalmente, i suoi occhi accesi e
chiarissimi su di
lei, ma non allo stesso modo di un tempo, no. C’era qualcosa
di diverso; un
barlume di follia che non se ne sarebbe mai andato, capace di far
tendere la
schiena dell’ancella dalle labbra violate, dal cuore ormai
impuro. La osservò
per un momento, come se stesse ponderando con attenzione se convenisse
parlarle. Erano soli, fatta eccezione per una guardia assonnata il cui
turno
stava per terminare, a cui certo non interessavano più di
tanto i movimenti del
principe cadetto. Loki accennò il principio di un ghigno,
nei limiti consentiti
dalla ferita ancora dolorante.
“Pare
che nemmeno l’ira
degli Antenati abbia potuto fermarmi,” esordì,
sollevando con fierezza il mento.
Sigyn
trovò che fosse
crudele e insinuante. Lesse nel suo volto affilato un compiacimento
sfacciato
laddove lei bruciava per i sensi di colpa. Loki la guardava impallidire
e,
senza il taglio, avrebbe sorriso, anzi, sarebbe scoppiato a ridere come
faceva lui,
buttando la testa all’indietro. Lo divertiva che lei avesse
pensato di essere,
in qualche modo, responsabile di un incidente che si era risolto,
sebbene per
vie oscure. E l’ingannatore sembrava voler continuare a
considerare l’intera
questione come uno scherzo, perché aveva in spregio gli
Antenati e non
riconosceva la loro autorità. Sbagliava, pensò
Sigyn.
“Ero
preoccupata per te,”
ammise abbassando il capo. Non voleva che la squadrasse ancora, e la
metteva a
disagio la nuova luce che non accennava ad abbandonare il suo sguardo.
Non lo
avrebbe fatto mai più, ma l’ancella non poteva
sapere nemmeno questo.
“Dovevi,
in effetti,” fu
la risposta, piccata solo all’apparenza.
All’ancella
sembrò che
qualcosa, tra loro, si fosse rotto, spezzato. Le mancarono le parole
per apostrofarlo
riguardo l’anello o soltanto per dirgli che condividevano,
oltre al bacio sacrilego,
il fatto di essere stati trattenuti contro la loro volontà.
Eppure,
quest’ultima considerazione sapeva di menzogna. Rapidamente,
Sigyn rifletté sul
fatto che non avrebbe dovuto custodire il gioiello per tutte quelle
settimane.
Sentiva di essere stata in qualche modo complice di Loki e che, se
avesse
restituito il prezioso, avrebbe dovuto ammettere ad alta voce di averlo
baciato, sognato, atteso. E tutto questo non riusciva né
poteva articolarlo né davanti
a lui né nei propri pensieri; non ancora, almeno.
E poi, qualsiasi
cosa
fosse successa all’ingannatore, le loro esperienze non erano
minimamente
accostabili. Lui portava sul bel viso affilato i segni palesi di una
tortura.
Era stato catturato e costretto a una prigionia oscura durata
settimane:
l’ironico disinteresse con cui elargiva qualche sporadico
dettaglio sulla
vicenda spaventava Sigyn, perché conosceva poco il figlio
cadetto di Odino, ma
si era accorta che amava parlare di sé ed essere il
protagonista assoluto delle
sue storie; eppure, ora che avrebbe potuto tenere alta
l’attenzione di tutti
gli ospiti dei grandi banchetti di Odino spiegando cosa era successo e
come si
era liberato, nicchiava. Thor sosteneva, con voce annoiata, che si
trattava di
qualche tecnica messa in atto ad arte da quel pedante del fratello; il
silenzio
acuiva il mistero, ammantava la sua cattività di
un’aura leggendaria. Il
giovane dio dell’inganno creava un mito senza avere bisogno
nemmeno di raccontarlo.
Ma Sigyn, che, seppure in modo diverso, si fregiava del titolo di
prigioniera,
non era di questo avviso. Sapeva che nell’animo scaturiscono
strane idee,
quando la libertà viene negata. E se lei, cui era stata
inculcata fin dalla
nascita l’idea che il suo destino dovesse esaurirsi dentro il
chiostro di un
tempio, la sua vita trascorrere nella contemplazione e nella preghiera,
aveva
vacillato, cosa poteva essere scattato nella mente di un giovane uomo
volitivo
e sfrontato come Loki, nato per essere re?
Il principe di
Asgard
attese ancora qualche istante che lei parlasse, poi la
lasciò sola, perdendosi
nelle sue riflessioni contorte, nei ricordi che celava e in quelli
condivisi
con parsimonia. La mente di Sigyn fabbricò pensieri che lei
non ebbe modo di
filtrare o bloccare; l’ingannatore le dava già le
spalle e si allontanava
sempre più con il suo passo deciso ed elastico, la schiena
fiera, la testa
alta. Il mantello verde cupo, ormai, le ondeggiava davanti, sempre
più distante.
Lo rincorse quel tanto che bastava perché lui la udisse;
disse di essere
dispiaciuta, informandolo che, di lì a qualche ora, sarebbe
andata in
biblioteca. Loki non si voltò, né diede segno di
essersi stupito per quel mezzo
appuntamento concesso.
♥
Alla scintilla
si ruppe
il cuore.
Si
frammentò in schegge
dolorose come ognuna delle parole di Thor. Aveva una voce diversa, il
primo
figlio di Odino; più grave e adulta di quella che ricordava,
come se la sua
anima fosse stata scalfita così profondamente dalla perdita
e dal tradimento da
risvegliarsi completamente. Era stato un principe arrogante e superbo,
ma non
privo di un coraggio genuino e cristallino. Ora era un uomo,
definitivamente.
Uno che era venuto a visitarla per condividere con lei un lutto a costo
di
lasciarla con l’anima lacerata e sanguinante. Loki non
c’era più. Si era
lasciato cadere, punendosi per non essere stato degno
dell’amore di un padre
che l’aveva ingannato. Scoprendo di essere uno Jotunn, non
era riuscito a
riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio, lui, che era
un gigante
di ghiaccio con lo spirito di un Ase. E Sigyn ripensò alle
albe fredde e
meravigliose che aveva passato accanto a Loki, cercando
d’imprimersi nella
mente ogni particolare del suo corpo, ogni lineamento del suo viso
affilato. C’era
stato un tempo in cui si risvegliava in un letto che tratteneva tra le
coltri
il profumo mescolato della loro pelle. Allungando la mano, poteva
incontrare la
schiena larga e perfettamente scolpita di Loki addormentato, cingergli
i
fianchi asciutti, carezzargli un braccio, posargli un bacio leggero tra
la nuca
e il collo, stringersi contro di lui e modulare il respiro con il suo,
regolare
e profondo. Ma il dio dell’inganno non c’era
più.
Aveva scelto di
morire,
di andarsene, di rinunciare a una sepoltura che avrebbe accolto le
lacrime di
chi l’avrebbe pianto. Lo immaginò altero e
sprezzante com’era sempre stato, che
prendeva la decisione di scomparire anziché chinare il capo.
Com’era da lui.
Imprigionata nel
buio
senza soluzione in cui era costretta, si accasciò a terra,
tremante,
graffiandosi il viso, trattenendo un singulto che partiva dal centro di
lei,
dal suo cuore dolorante e infranto.
Thor
raccontò di una
battaglia avvenuta sul Bifrost, del suo esilio e della breve reggenza
di suo
fratello, oscuro e tormentato com’era sempre stato, ma Sigyn
non riuscì a
seguire il filo di quel racconto. Mentre lui descriveva con voce bassa
e
commossa di come entrambi fossero rimasti appesi alla lancia di Odino
finché
Loki non aveva, di sua sponte, lasciato la presa, la scintilla
ricordava come
quelle mani di mago dalle linee eleganti intagliassero con
velocità e perizia
giocattoli per Balder bambino, le sue dita scrivessero con
fluidità e
precisione appunti e formule sulla pergamena spessa e porosa, la sua
bocca la
baciasse con infida e bruciante voluttà. Loki non
c’era più, era morto. Il suo
corpo si era disfatto, e anche se qualcuno l’avesse raccolto,
il dio
dell’inganno non esisteva: le sue spoglie giacevano sole,
prive dell’anima.
Frugò nella sua memoria sempre più labile in
cerca del principe cadetto degli
Æsir, tentando di trattenere qualcosa di lui. Il modo di
inarcare le
sopracciglia, la studiata lentezza con cui accostava un corno
d’idromele alle
labbra, il ghigno sfacciato e la postura che teneva durante i
banchetti, a metà
strada tra l’irriverente e l’annoiato. Non
c’era più e il buio si chiuse,
definitivamente su Sigyn.
Non era
più solo
l’assenza della vista, a tormentarla. Parlava, pregava e
lavorava con la stessa
solerzia di sempre, ma in maniera meccanica, come se non fosse nel
chiostro, a
curare le rose di un giardino che non poteva vedere, ma altrove, in un
limbo
grigio abitato da fantasmi. Respirava, ma con l’indolenza di
chi replica un
gesto per abitudine, senza chiedersene il motivo. Così
passò l’inverno e poi
l’estate, e poi un altro inverno ancora, in un susseguirsi di
stagioni che, nel
loro rincorrersi, per Sigyn, non significavano nulla. Di visioni, dopo
che Loki
cadde dal Bifrost, non ne ebbe più, così come
scelse di non tirare mai più
fuori dal suo nascondiglio l’anello, dono fatto con
l’inganno da un
affascinante bugiardo, portato con sé come pegno di un amore
perduto e di una
vanità sacrilega. Non ne sfiorò la pietra rosata
fino a quando, anni dopo, una
banda di predoni, all’improvviso, non assaltò il
tempio.
Era
un’altra delle cose
che la scintilla non aveva visto. Lui se n’era andato e,
nonostante la
maledizione che attanagliava Sigyn fosse sempre più vicina a
compiersi, la sua
capacità di vedere era svanita. E che spiraglio di futuro
aveva scorto, poi?
Sogni confusi sul destino di Asgard, sul Ragnarok promesso da
un’altra
veggente, nella Voluspa che era un poema e una predizione insieme.
Quando i predoni
assaltarono il tempio, Sigyn sapeva solo che non sarebbe morta
così, tra le
fiamme e le urla delle sue consorelle. Kalfr rimase ucciso, la sua
testa venne
infilata su una picca posta all’ingresso del Tempio. Molte
delle ancelle lo
seguirono, quel giorno. A lei, toccò in sorte qualcosa di
diverso. Si fece
portare via senza protestare né tentare di fuggire: non
aveva più una casa e
certo non considerava tale il tempio. Sentiva di appartenere
già al mondo degli
spiriti, di essere fredda e morta come lo era Loki, il cui corpo
disperso non
sarebbe mai stato ritrovato. Dopo la sua caduta, gli Æsir
avevano frenato le
loro incursioni e conquiste. La proverbiale accortezza di Odino si era
trasformata in cautela e, infine, era diventata stanchezza. Thor, poi,
anziché
affiancare il genitore nell’arte del governare, aveva
preferito concentrare
ogni sua attenzione su Midgard, di cui sentiva una nostalgia profonda.
Quando i predoni
entrarono nella sua cella per portarla via, Sigyn non oppose alcuna
resistenza.
Si alzò con la dignità con cui, in un altro
tempo, era salita sul drakkar che
l’avrebbe condotta ad Asgard. Allora aveva sollevato appena
la bella gonna del
suo abito rosso e un principe sfacciato le aveva riservato la
galanteria di
aiutarla, dopo averla pretesa per sé. Era stato
l’inizio di un amore che durava
ancora e sarebbe durato finché la scintilla non sarebbe
discesa nuovamente nelle
profondità dell’Yggdrasill, dove, tra le radici
marce del frassino sacro, l’aspettava
l’essere cui suo padre l’aveva immolata, da cui
nemmeno l’astuto Loki era
riuscita a salvarla. Quello era il suo destino: l’aveva visto
con nitidezza grazie
al potere che, ormai, sembrava esserle scivolato via dalle dita. E
l’ingannatore, che non amava le profezie perché
nessuno doveva intralciare i
suoi piani, nemmeno le Norne coi loro telai, si era sforzato di non
leggere la
verità nei suoi occhi, di non cogliere i segni evidenti
della sua vista che,
per punizione, si andava abbassando, portandola verso la
cecità. Riteneva di
aver perso una battaglia, ma non la guerra, incapace com’era
di accettare la
sconfitta, di inghiottire l’amara realtà dei
fatti. L’aveva chiamata bugiarda e
aveva ragione, dimenticandosi, però, che ogni menzogna, per
risultare davvero
perfetta, necessita di qualcuno disposto a lasciarsi incantare. Quel
ruolo era
toccato a lui e l’Ase non era riuscito a perdonarlo
né a lei né a se stesso.
Ma il principe
cadetto di
Asgard era polvere nel vento, apparteneva alla schiera delle anime che
popolavano l’Oltretomba.
A Sigyn non fu
torto un
capello né rivolta la parola durante il breve viaggio che le
toccò affrontare.
I predoni erano superstiziosi e temevano la malasorte. La strega cieca,
con i
lunghi capelli sciolti e spettinati che le scendevano sulla schiena, al
contrario delle altre ancelle non aveva gridato né
supplicato, sentendoli
entrare. Si era limitata a rivolgere il bel viso pallido e stanco verso
di loro,
alzandosi con la dignità della principessa che era stata,
come se l’abito nero
che indossava, coprendola dal collo ai piedi e lasciandole scoperte
solo le
mani, fosse stato di seta e non di lana. In altre circostanze
l’avrebbero trovata
graziosa, riconoscendo nel naso deliziosamente a punta e nelle labbra
invitanti
i segni di una bellezza particolare e curiosa, ma
l’austerità della sua cella,
il lutto che ostentava e la sua aria folle e scarmigliata, la facevano
assomigliare più a uno spettro che a una donna ancora
giovane. E poi, Sigyn portava
su di sé, incontrovertibili ed evidenti a qualsiasi occhio,
i segni della
maledizione che la voleva immolata a qualcosa di oscuro.
Li
aspettava, o non aveva nulla da perdere,
oppure ricordava l’insegnamento antico che le aveva dato il
figlio dagli occhi verdi e il sorriso furbo di un pirata: che non bisogna rinunciare alla
fierezza
nemmeno di fronte alla cattività o alle sconfitte.
Così lei offrì le braccia
dai polsi sottili, di fata, e si limitò a stringersi nel suo
mantello nero,
certa che il suo sguardo grigio e offuscato, ma evidentemente
terrificante,
avrebbe impedito agli uomini di frugarle gli abiti. Se lo avessero
fatto, l’incantevole
anello che Sigyn incautamente custodiva ancora, sarebbe saltato fuori.
Ma i
predoni erano stati addestrati nella paura dell’ignoto e
dell’inconoscibile e
temevano fortemente la magia. Così, la silenziosa strega
cieca non venne disturbata
fin quando qualcuno non osò avvicinarsi a lei quel tanto che
bastava perché la
scintilla sentisse due dita fredde sfiorarle la guancia. Si ritrasse e
serrò le
labbra.
“Stai
commettendo un
sacrilegio,” sibilò, avvolgendosi più
strettamente nel mantello color pece. Non
poteva saperlo, ma viaggiavano su una nave veloce e snella, dalla prua
aguzza,
orgoglio di un guerriero il cui nome, nei Nove Regni, non veniva mai
pronunciato.
L’avvertimento di Sigyn non sortì alcuna risposta,
ma l’ancella ebbe la netta
sensazione che chi l’aveva sfiorata stesse sorridendo. Di
certo, era ancora
davanti a lei e la fissava con ostinazione. Lo sentì
spostarsi di due passi
indietro, intuì che stesse impartendo qualche ordine, ma il
rumore delle
armature metalliche e della nave stessa le impedirono di cogliere
qualsiasi intonazione
o voce potesse esserle utile per capire cosa stesse succedendo.
Ragionò su ciò
che sapeva – che niente avrebbe cambiato il suo destino
perché l’aveva visto: le
radici marce dell’Yggradsill l’attendevano,
pulsanti e nauseabonde, e nella
grotta naturale sottostante c’era l’oscurità,
in fremente attesa. Infine,
una voce ignota la distolse dai suoi ragionamenti, ordinandole di
alzarsi.
♥
Loki non venne
in
biblioteca, quella sera. Sigyn lo aspettò invano, sfogliando
i libri che parlavano
delle imprese di Bor e di Odino. Era altrove, era lontano, sembrava non
essere
mai veramente tornato ad Asgard. E l’ancella, chiudendo i
libri, si rese conto con
dispetto e sgomento che lo aveva atteso e non smetteva di pensare al
bacio che
si erano scambiati, all’immagine dell’Ase a torso
nudo durante il rito, alla
sua figura agile e scattante che montava a cavallo, camminava su un
drakkar e
maneggiava le armi come se non il trono di Odino, ma
l’universo intero fosse
suo di diritto. Tormentando una lunga penna di corvo con cui aveva
preso
qualche appunto distratto, ripensò ai poemi
d’amore e alle poesie che si bisbigliavano
l’un l’altra lei e le sue sorelle sotto le coperte:
frasi imparate a memoria,
di cui loro, bambine e poi ragazze dall’immaginazione fervida e
nessuna distrazione,
coglievano a malapena il senso, ma che ora riaffioravano sulle labbra
nervose
di Sigyn: struggimento. Era questo il nome del nodo
che le serrava lo stomaco
e il cuore? E perché, per quale motivo il figlio
più oscuro di Odino destava il
suo interesse? Doveva odiarlo per come la guardava – con
insistenza,
divertimento e qualcos’altro, per l’ironia
tagliente che le riversava contro,
per l’anello, dono magnifico e oltraggioso, per i complimenti
assolutamente
fuori luogo, per la verità che, con difficoltà,
le aveva confessato, per aver
premuto le proprie labbra sulle sue, attirando su entrambi la sventura,
sporcando
i suoi pensieri di ancella devota e fedele. Si coprì il viso
con le mani: almeno
da questa colpa, Loki doveva essere sollevato: i suoi pensieri si erano
già
macchiati, ben prima di quel bacio.
Loki non venne
quella
sera, ma il pomeriggio seguente si sedette davanti a Sigyn come se
nulla fosse,
adagiando le spalle sulla sedia come se si trovasse su un trono. La
ferita che
gli tagliava la bocca era ancora rossa e lui stirò appena
le labbra. “Ho
trovato un modo per aiutarti,” esordì,
allungandole una pergamena accuratamente
piegata in quattro parti.
L’angolo di Shilyss
Care Lettrici e cari Lettori
del mio cuore,
avete avuto una pazienza
infinita nell’aspettarmi per quasi un mese! Dato che Natale
è vicino mi sono
ripromessa di ritagliarmi un po’ di tempo –
è quello che manca, mai l’ispirazione
per questi due piccioncini adorati ♥ - per scrivere un
po’ di più. Non dico che
potrei riuscire ad aggiornare tutte le settimane, però
sicuramente il capitolo
20 e il 42 di Accordo arrivano presto, anzi, prestissimo. Ringrazio di
cuore Miryel
per avermi dato il bellissimo prompt che ha dato via a questa storia
(te
possino, Co’, doveva essere al massimo una minilong!). Ah,
rileggo rapidamente
e posto, sperando che non ci siano troppi refusi, ma o adesso o mai
più, sapete
come si dice…
Ringrazio chi ha listato,
recensito o semplicemente letto questa storia: siete importanti e sappiate che
leggo tutti i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre
e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo che il personaggio
di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce
“Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi
autorizzo a
ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui
né altrove (peggio mi sento con le fiabe) e lo stesso vale
per gli headcanon su
Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi
non è uno
scherzo.
A presto e grazie per tutto
l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate
me).
Vostra, presente
anche nell’assenza,
Shilyss
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo
20
Sigyn
allungò la mano
verso la pergamena, facendo attenzione a non interrompere il contatto
visivo
con il principe di Asgard. La spingevano alla cautela
l’inevitabile e
straziante tensione che l’avvolgeva quando l’Ase
era vicino a lei, e il timore
di non comprendere a fondo perché Loki desiderasse
liberarla, infrangendo la
promessa fatta da Sigurdr al suo futuro, vero, carceriere.
Piegò
la bocca in una
leggera smorfia, indugiando nell’aprire il foglio che
sentiva, ruvido e poroso,
sotto i polpastrelli. “Perché?”
Loki si mise
più a suo
agio sulla sedia, poggiando le spalle sullo schienale. Il bel viso
affilato era
rischiarato dalla luce di una candela vicina e il riflesso del fuoco
dava, ai
suoi occhi chiarissimi, una sfumatura quasi cangiante e azzurrata, che
si
accentuò quando lui inclinò il capo, come per
guardarla meglio.
“Non
è chiaro il motivo? Temi
forse che possa chiederti qualcosa in cambio? Sei mia ospite, qui,
Sigyn,”
sorrise, calcando la voce su quella parola, ospite,
che, alle orecchie
dell’ancella, aveva lo stesso suono metallico di prigioniera
o schiava. “Sei
mia ospite,” ripeté, “ed è
compito mio e della mia famiglia
proteggerti.”
Le belle dita di
mago di
Loki iniziarono a tamburellare sul tavolo con distratta lentezza, in
attesa che
lei leggesse e reagisse.
Sigyn,
finalmente, aprì
la pergamena, valutandone il contenuto con attenzione. E, a mano a mano
che i
suoi occhi scorrevano le frasi appuntate con perizia e una bella grafia
corsiva, sentì montare, dentro di lei, qualcosa di
indefinibile, di nuovo,
perché tutto quello che circondava l’ingannatore
era fuori da ogni
incasellamento. Si trattava di sdegno e stupore e ammirazione, anche.
“Tu sei
pazzo,” disse infine, alzandosi in fretta e posando il
foglio, come se
scottasse.
“Me lo
dicono in molti,”
riconobbe il principe con un ghigno soddisfatto.
“Avrà
delle conseguenze.”
Lei scosse il capo, in un gesto energico di diniego. “Oltre a
essere folle
mette in pericolo la mia famiglia. Così il patto, qualunque
esso sia, verrà
infranto.”
“Ti
interessa?” Un lampo,
gelido come il tono assunto all’improvviso dalla sua voce,
attraversò gli occhi
di Loki. “Loro ti vendono e a te importa cosa gli
capiterà?”
Quella battuta
sferzante
la fece impallidire. L’Ase aveva ragione: la sua
considerazione era così
sincera e tagliente da sembrare un sibilo della sua coscienza.
“E tu
credi che Odino ti
consentirà di rischiare così tanto per
me?”
Il nome del
sovrano di
Asgard fece serrare la mascella diritta del principe. I suoi occhi
brillavano
d’ammirazione, quando parlava di suo padre.
L’inorgogliva l’idea di essere il
figlio di un simile capo, e desiderava ripercorrerne le orme per
rendere Ásaheimr
ancora più grande e prospera. Lui, che era insofferente a
qualsiasi regola e
trovava immensamente divertente aggirare divieti e imposizioni, subiva
il
carisma del re degli Æsir riconoscendone
l’autorità e l’intelligenza,
così come
riteneva di aver ereditato proprio dal genitore la sua astuzia
tagliente. Ma
Odino non era solamente un re accorto e lungimirante; nutriva
aspettative nei
confronti di tutti i suoi figli, che l’ingannatore, in quel
tempo, ambiva ancora
a soddisfare, a qualsiasi costo. Dopo, non più. Un giorno
avrebbe scoperto di
non aver mai avuto nelle sue vene il sangue di Padre Tutto, e gli
sforzi fatti
per compiacere il genitore adottivo gli sarebbero sembrati
nient’altro che una
farsa penosa, una bugia ignobile dentro cui era vissuto. Ma in quella
biblioteca,
davanti a Sigyn rossa in volto, Loki, ancora ignaro delle sue
ascendenze, si
limitò ad alzarsi rispondendole a tono.
“Per
la Scintilla.”
“Io
non ho visioni.”
“Non
sempre si tratta di
visioni. Alcune volte sono sensazioni.” Increspò
le labbra in un sorriso mesto
e appena accennato, che mise in risalto la ferita ancora fresca.
“Il Ragnarok è
vicino ed è scritto che noi combatteremo fino alla morte, tutti.
Lo
sentirai arrivare nelle ossa, prima di noi: avvertirai il gelo e saprai
che è
il primo dei sette inverni predetti,” mormorò e
Sigyn si ritrovò a pensare che
doveva essere terribile, crescere con la consapevolezza che una
tragedia tramandata
di generazione in generazione segnerà, tra tutte, proprio le
nostre vite. Le
sembrò che le parole di Loki si insinuassero sotto il suo
abito, lambendole la
pelle con loro soffio gelato; provò un’ammirazione
calda e vischiosa di fronte
alla tracotanza con cui il giovane principe affrontava, a viso aperto,
l’ineluttabile destino che lo attendeva. Era audace e pronto
a incrociare le
armi durante il Ragnarok come per liberarla dalla sua maledizione. E,
in quel
preciso istante, comprese che il figlio di Odino voleva salvarla dal
suo
destino per mescolare insieme la propria gloria e quella di Asgard, per
sfruttare il suo potere e tenerla tra le braccia, come fosse un trofeo.
Intuì,
con lucida precisione, che il dramma personale del giovane e
spregiudicato
condottiero che le stava di fronte era
l’incapacità di accontentarsi di ciò
che
le Norne avevano filato per lui, l’ostinazione nel voler
essere l’unico
artefice del proprio destino, il solo in grado di dare voce alla sua
storia. Non
avrebbe accettato mai che salvarla non significava strapparla alla vita
contemplativa. Sigyn era e sarebbe rimasta un’ancella segnata
dalla Norne,
ceduta come ostaggio a un popolo di pirati. Loki la chiamava scintilla
e si
permetteva di farle doni splendidi e inopportuni, guardandola come
qualcosa di
prezioso, ma sembrava voler ignorare a tutti i costi che le parole
scritte
sulla pergamena appena letta rappresentavano un sentiero troppo stretto
e
insicuro, da percorrere. E, forse, la cosa peggiore era che anche lei
stava
cedendo alla menzogna che Loki si raccontava – le
raccontava. Solo in
questo modo poteva spiegarsi la ridda di sentimenti che
l’aveva avviluppata da
quando si era mostrata al banchetto con un abito appariscente addosso.
Agì
d’impulso, tentando di raddrizzare la stortura.
“Devo
restituirti
l’anello. È tuo. Fa parte di un tesoro spartito
– avrei dovuto dartelo prima
della tua partenza, ma mi sono accorta della tua sorpresa
troppo tardi,”
spiegò, incasellando in fretta una parola dietro
l’altra sotto lo sguardo
vigile e divertito di Loki.
“È
un gioiello da donna.
Credo doni più a te,” osservò
l’Ase. Lasciò correre lo sguardo sul suo collo
leggermente arrossato dall’imbarazzo, sulla scollatura
castigata, ma presente,
che arrivava fin quasi al seno, sul delicato polso di fata su cui
brillava il
monile che le aveva riparato, forse desiderandola o disegnando, nella
propria
mente, le curve nascoste del suo corpo che, sotto i vestiti, poteva
solo
immaginare. Deglutì impercettibilmente.
“S’intona anche con lui,” aggiunse,
indicando il bracciale. “La chiusura non ti ha più
dato problemi, spero.”
“Non
posso comunque
tenerlo. Io sono un’ancella e un tuo ostaggio. I tuoi doni mi
mettono a
disagio,” spiegò. Solo alcune settimane prima
avrebbe detto mi offendono,
ma ora quelle due parole suonavano stonate e false. Se le avesse usate,
lui si
sarebbe accorto che mentiva, avrebbe colto la sua mancanza di
convinzione e
sarebbe stato peggio, pensò.
Di fronte al suo
contegno
severo, Loki s’irrigidì appena. La bocca
perennemente divertita assunse una piega
maliziosa e sarcastica, un bagliore lucente rese più
metallico il suo sguardo.
“E
perché mai? Che pensi
ci sia stato, tra noi, Sigyn?”
inquisì.
L’ancella
avvampò. “Lo
sai. È stato un sacrilegio, non avremmo
dovuto.”
Una luce
vittoriosa
brillò negli occhi dell’ingannatore. Lei era
coinvolta: non aveva osato negare
quel noi, anzi, l’aveva rafforzato. Scosse la testa,
avvicinandosi di un passo.
“L’anello è un insignificante
regalo,” spiegò, allargando le braccia,
“l’omaggio
di un guerriero in partenza a una ragazza carina, prima di una
battaglia. È
un’usanza a cui tu hai dato un’importanza ridicola.”
Sigyn strinse le
labbra,
colpita dal feroce sarcasmo di Loki, che le rinfacciava il suo non
sapere nulla
del mondo e sviliva le sue rimostranze accampando gesti scaramantici
che, a
ogni buon conto, non avevano sortito l’effetto sperato.
“Anche
il resto è insignificante?”
l’incalzò.
“Ci
siamo baciati, Sigyn.”
Il ghigno trattenuto di Loki si allargò in una smorfia
sagace e soddisfatta. “Possibile
che tu non riesca nemmeno a dirlo?”
le sibilò. “È stato solo uno sciocco
bacio, dato, scusa se mi ripeto, prima di
una battaglia. Forse abbiamo offeso gli Antenati, ma ti assicuro che equivale
a niente. Non ci siamo compromessi, stai
tranquilla.”
“Per
te è un gioco, un
divertimento? Hai oltraggiato un’ancella per
l’ebbrezza di una trasgressione?”
“Sfidare
gli antenati non
significa amare te. Ho commesso un sacrilegio
– ero mortalmente curioso
di sapere che si prova, a baciare una di voi. Non
c’è nient’altro. La scintilla
serve a me, serve ad Asgard.”
Mentiva, e lo
stava
facendo con forza, con studiata consapevolezza e il preciso intento di
ferirla.
E questo nonostante il profumo di lei gli offuscasse i sensi, il suo
sguardo
s’incatenasse, ostinato, sulla pelle bianca e morbida che il
vestito lasciava
scoperta. Seno che avrebbe voluto denudare, baciare, percorrere con la
lingua
finché Sigyn non lo avesse supplicato di entrare dentro di
lei. Ma quella,
decise, era solo passione, accentuata dall’aura di
intoccabilità che circondava
la Scintilla. Se fosse stata una qualunque, dopo averla presa,
l’avrebbe
dimenticata – ma non lo era. E questo, Sigyn, non poteva
saperlo.
Livida in volto
e con le
labbra serrate, raccolse le gonne chiare e
s’incamminò verso l’uscita della
biblioteca, offesa come giovane donna e come ancella. Nel suo modo di
nascondere l’orgoglio ferito e nello sdegnoso silenzio di cui
lo fece oggetto,
Loki riconobbe i tratti della principessa: era così fiera
che baciarla si
trasformava, di nuovo, in una necessità, in un bisogno che
le tenebre notturne dovevano
rendere attuabile. L’intercettò in
prossimità delle sue stanze, grazie a una
delle molte scorciatoie che l’Ase conosceva da quando era
bambino e che lei,
invece, ignorava. Sigyn sussultò, trovandoselo davanti
all’improvviso. Ed era
bella, con gli occhi sgranati dalla sorpresa, la bocca che a stento
tratteneva
un’esclamazione stupita, l’ira che le imporporava
le guance. Era bella, sì, e
la spinse contro la parete, costringendola a sollevare il viso e
lambendole le
labbra con le sue, in un bacio che era una carezza sfrontata e leggera,
un
assaggio audace, famelico come la stretta in cui Sigyn si
lasciò imprigionare.
Lo maledisse, tra un bacio e un altro, lo insultò e
provò persino a graffiarlo,
ma alla fine si aggrappò a lui e i graffi divennero carezze
dolenti, che già
sapevano di rimpianto e di rinuncia.
“Ho
temuto che mi
portassero la notizia della tua morte,” gli
bisbigliò, sfiorandogli i capelli
scuri che gli lambivano la nuca.
Loki non
rispose. La
ferita gli bruciava ancora e non vedeva il fondo dell’abisso
in cui stava
precipitando mentre teneva quella ragazza stretta contro il suo corpo.
Padre
Tutto non avrebbe mai approvato. Era impossibile che tollerasse un
simile
sacrilegio; se i suoi corvi maledetti non gli si erano ancora posati
sulle spalle
per raccontargli delle sue malefatte, era solo perché
attendevano che la sua
colpa s’ingigantisse. Desiderare un’ancella non era
vietato, sebbene
sconveniente, baciarla una volta, forse, nemmeno, considerate le
attenuanti che
senz’altro Loki poteva addurre, ma reiterare
nell’errore era imperdonabile. Non
ci sarebbero state scuse da sostenere, né un piano logico da
difendere. E il
trono di Asgard, ambito da sempre, poteva andare a un principe che si
era
macchiato di un simile atto egoistico? Che se ne infischiava delle
leggi che
lui stesso doveva proteggere e garantire per un piacere effimero e
personale –
per una ragazza dagli occhi grigi colmi di lacrime fieramente
trattenute tra le
ciglia scure, per il suo corpo flessuoso premuto dolorosamente contro
il suo? Non
significa niente, si disse lasciandola andare, ma quelle tre
parole, in
gola, avevano un sapore strano e aspro, diverso da quello, dolce, che
gli era
rimasto sulle labbra.
Thor riconobbe
Loki dal
passo. Svelto, deciso, sottilmente nervoso. Si voltò
asciugandosi con un
braccio la fronte e puntandogli contro una scure.
“Che
te ne pare, fratello?”
L’ingannatore
assottigliò
le palpebre, concentrandosi sul filo della lama, sulla
particolarità dell’elsa.
“Una splendida ascia, non c’è che
dire.”
Il primo figlio
di Odino
annuì soddisfatto. “Con quello sfregio non ti si
può guardare. Pensavo ti
avrebbe potuto migliorare o rendere più interessante, ma no.
Il più bello, tra
di noi, resto sempre io,” decise, sfoggiando un sorriso
sornione.
“Scherzi?
Le donne lo
ameranno.” Loki spostò la sua attenzione sulle
altre belle armi presenti nella
sala. In particolare, s’interessò a un pugnale
affilatissimo, il cui acciaio
pareva mandare bagliori azzurri. Lo prese in mano valutandone il peso e
il
bilanciamento, indeciso se valesse o meno la pena di inserirlo nella
sua
collezione personale.
“No,
fratello. È solo che
gli fai tenerezza.”
Di fronte alla
battuta,
il mago inarcò un sopracciglio, fintamente offeso.
“Devo trasformarti di nuovo
in un rospo, Thor?”
“Attento,
fratellino:
anche da rospo posso romperti le ossa con Mjollnir.” Il tonante sorrideva
ancora, ma il suo tono aveva
assunto una spiacevole nota metallica, simile a quella che avrebbe
avuto un
comandante nei confronti di un subalterno. Loki la registrò,
assimilandone il
significato profondo, intuendo il messaggio sotteso di Thor –
io sono il
maggiore, tra di noi, il primogenito; stringo tra le mani la reliquia
più
potente di tutta Asgard. E tu, invece?
Ci fu un momento
in cui in
cui due fratelli si fissarono negli occhi, consci che la mossa
successiva, a
prescindere da chi l’avrebbe intrapresa, sarebbe stata
determinante per
allargare o chiudere la crepa sotto cui ribolliva il magma della loro
disarmonia: in battaglia erano talmente affiatati da suscitare invidia
sia
negli avversari che negli alleati, perché bastava loro uno
sguardo per capirsi.
La loro complicità quasi leggendaria aveva condotto Asgard
alla vittoria
innumerevoli volte, eppure, chi frequentava il palazzo di Asgard non
poteva
ignorare anche l’altro: che i figli di Odino possedevano un
temperamento focoso
e fiero non solo in guerra, ma anche nelle sale del potere. Si
scontravano
spesso, litigando ferocemente spesso per delle sciocchezze su cui si
impuntavano per orgoglio, per non cedere all’altro la
parvenza di una resa, per
stabilire, costantemente, chi fosse più degno
dell’altro. Anche in quel
momento, la frase di Thor avrebbe potuto scatenare l’ennesima
lite e
risvegliare lo spirito tempestoso di Loki, ma così non fu.
Il tonante allungò
una mano verso il fratello, dandogli una pacca sulla spalla con brusco
affetto;
il mago, dal canto suo, rispose rilassando leggermente i muscoli
già tesi. Per
quella volta, la tensione si era sciolta nello scherzo, ma Asgard non
sarebbe
stata sempre altrettanto fortunata; e questo, Loki e Thor avrebbero
dovuto
intuirlo o riconoscerlo o, ancora, prevederlo – sentirlo
nelle ossa, nelle vene
e nel sangue. Ma non era il momento. Avvenne qualcos’altro,
invece. Il dio del
tuono ritenne che la silenziosa pace appena stipulata valesse una
confessione.
“La
tua sacerdotessina
mi ha chiesto di te, mentre eri via,” confessò.
“Aveva due occhioni spaventati…”
Per tutta
risposta, Loki
arricciò le labbra in una smorfia scontenta.
“Spero che l’abbia fatto solo con
te,” sibilò caustico.
“Da
quando sono qui, non
ha fatto altro che passare tutto il suo tempo in biblioteca e a
pregare.”
Il mago
incrociò le braccia
dietro la schiena e gonfiò il petto. “Non dovevi
tenerla d’occhio per me. Non
te l’ho chiesto.”
“No,”
riconobbe il dio
del tuono. “Per questo l’ho fatto.
Perché non me l’hai chiesto.
E, se
fosse stata meno interessante, mi avresti obbligato a farlo e non ti
saresti
limitato a me. No, fratello,” insistette. “Avresti
coinvolto Sif e i guerrieri
e chiunque altro.”
“Se
non l’ho fatto,” si
difese Loki a denti stretti, “è perché
ho ritenuto che non ce ne fosse bisogno,
evidentemente.”
“Evidentemente,
pensi di
poterla gestire da solo.”
A questa
considerazione,
l’ingannatore si animò e sorrise, sfoggiando il
suo ghigno furbo e ancora
sofferente. Girò attorno al fratello come se fosse in
procinto di interrogare
un imputato per estorcergli qualche confessione. “E cosa
sto gestendo,
di grazia?”
Ma il primo
figlio di
Odino era immune alle strategie intimidatorie dell’altro. Per
lui Loki era il
primo amico che avesse mai avuto, il compagno di giochi di una vita
intera, l’insopportabile
braccio destro che a volte parlava decisamente troppo. Tranne quando
doveva,
come in quel momento. “Dimmelo tu.
Perché sei qui? Tutto quello che fai,
ultimamente, è legato a quella ragazza.”
“Da
quanto non c’erano
scintille, ad Asgard?”
“La
verità, Loki. O
qualcosa di abbastanza vicino, magari.” La voce di Thor aveva
assunto una nota scocciata,
adesso.
Il dio degli
inganni
assottigliò le palpebre e si fermò.
“Altrimenti?”
“Verrà
il momento in cui,
qualsiasi cosa passi per quella tua testaccia, mi chiederai
aiuto.”
Loki
restò in silenzio un
istante, quasi volesse assorbire completamente il senso della
predizione del
fratello. Che stava cadendo, come tutte le volte,
nella sua rete, evitandogli
il fastidio di doversi abbassare a invocare il suo ausilio.
“Interessante,”
osservò infine, leccandosi la cicatrice dolorante.
“Dovrei spartire con te
fortuna e gloria?”
A quelle due
parole, Thor
figlio di Odino impallidì e dubitò della
sanità mentale dell’altro. “Allora
è
così. Vuoi liberarla?”
Il piccolo
Balder non sentì
una sola parola di quello che si dissero i suoi fratelli maggiori. Dal
punto in
cui si trovava non riusciva a udirli, ma se si fosse avvicinato troppo,
Thor e
Loki lo avrebbero scoperto e si sarebbero assicurati di non essere
più spiati. E
così, a lui sarebbe stata preclusa la sua
attività preferita su tutte:
osservarli e fantasticare sul giorno in cui anche lui avrebbe preso
parte ai
loro conciliaboli: sarebbe intervenuto con fierezza e intelligenza,
stupendoli
entrambi. E Thor e Loki si sarebbero trovati assolutamente
d’accordo con lui,
lodandolo per la sua chiaroveggenza e lungimiranza. Era un sogno a
occhi aperti,
che non si sarebbe mai realizzato: i suoi fratelli raramente erano
totalmente d’accordo
su qualcosa, ma avrebbero convenuto entrambi, sempre,
che lui, Balder,
era troppo giovane o ingenuo o inadatto per seguirli. Ma questo, il
giovane
principino non poteva immaginarlo: s’incantava ammirando le
movenze fluide e
sempre un filo circospette di Loki, a cui la ferita fresca sul volto
regalava un’aria
selvaggia e un po’ piratesca, e desiderava possedere la
sbalorditiva forza di
Thor e la sua muscolatura potente e guizzante. Si chiese se stessero
parlando
della sua amica Sigyn.
Nelle settimane
in cui Asgard
era stata in guerra, lei gli aveva chiesto più o meno
giornalmente notizie e
informazioni ulteriori rispetto a quelle che giravano per il palazzo,
certa che
lui, in quanto membro della famiglia reale, captasse qualche dettaglio
in più
sulle gesta belliche dell’ultima guerra di Odino. Il modo in
cui si torceva le
mani quando aspettava che le rispondesse sembrava quasi suggerire che
dubitasse
della certa vittoria degli Æsir. E lui, Balder, di fronte
alla sua paura, si
era sentito grande come i suoi fratelli e le aveva spiegato quanto
Asgard fosse
invincibile, i suoi guerrieri più forti degli altri e Loki e
Thor più abili e
spietati di tutti. Sigyn ascoltava con attenzione i suoi ragionamenti e
spesso,
curiosa, gli faceva delle domande, finché, passato un tempo
per Balder sempre
troppo breve, alle prime avvisaglie che il sole stava tramontando, lei
si
alzava rassettando la gonna chiara e gli annunciava che doveva tornare
a
servire gli Antenati. Si allontanava sorridendogli, ma il suo sorriso
era tirato
e pareva forzato. Il giorno in cui era giunta la notizia che Loki era
stato
catturato, Sigyn era rimasta ad ascoltare Balder finché il
cielo non si era
fatto completamente nero, dimenticandosi completamente del consueto
appuntamento
serale. Quando, infine, si era alzata per andarsene, era pallida e
nervosa. Rimase
così per giorni e giorni – settimane. Continuava
ad andare da Balder per avere delle
novità, ma mentre il ragazzino parlava, spesso sembrava
distratta e sovrappensiero,
arrivando a porgli domande che avevano già avuto risposta e
che riascoltava annuendo
con la testa, le sopracciglia corrugate sul bel viso pallido. La
sbadataggine
non svanì del tutto nemmeno con l’annuncio del
ritorno di Loki. Sigyn era fisicamente
presente, ma distante con lo sguardo e con i pensieri, le dita che
carezzavano,
irrequiete, il bracciale che teneva sempre al polso.
Padre Tutto
pensò che
aveva bisogno di un corno del migliore idromele. Con un cenno,
ordinò al servitore
silenzioso e immobile che attendeva i suoi comandi, di portargli
qualcosa proveniente
dalla sua riserva personale. Nell’attesa,
tamburellerò con le dita sul tavolo
in noce, in un gesto distratto che Loki aveva osservato e imitato fino
al punto
di farlo suo. Huginn e Munin gli gracchiavano, da giorni, le stesse
notizie.
Odino avrebbe voluto ignorarli, fingere di non sapere, oppure tornare
indietro al
tempo in cui le forze non abbandonavano, ogni giorno di più,
il suo corpo ormai
stanco, che nemmeno le mele di Idunn potevano riportare
all’antica vigoria. All’epoca,
Thor e Loki erano bambini scalmanati e gestibili. I loro desideri e
impulsi non
coinvolgevano Asgard e il trono cui ambivano era ancora una chimera
lontana, un
obiettivo più vicino al sogno che alla realtà. Ma
più il tempo passava, più il
sovrano di Asgard doveva fare i conti con alcune scelte antiche che
avevano avuto
risvolti inaspettati. Una su tutti gli lacerava il cuore. Una che
Frigga conosceva
e su cui non si esprimeva più – aveva detto, a suo
tempo, cosa pensava della
questione e che significasse, per lei, la scelta fatta da suo marito.
L’angolo
di Shilyss
Care
Lettrici e cari Lettori del mio cuore,
Eccomi
tornata dopo “solo” due settimane ♥
avete visto che
miglioro??? Colpa dei miei bei piccioni ♥. Il prossimo
aggiornamento è
sicuramente il 42 di Accordo – perdonatemi, ma devo
rileggermi gli ultimi tre
capitoli per far quadrare tutto.
Ringrazio
chi ha listato, recensito o semplicemente letto
questa storia (se non l’avete fatto, ricordatevi che Babbo
Natale vi guarda e
che a Natale siamo tutti più buoni): a
parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti
i vostri
commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi
palesate
lo faccio e sono molto alla mano, ecco. Se avete piacere, passate su Ombre
e fate attenzione agli avvertimenti. Piacerà anche a chi ama
il canone.
Ricordo
che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate
alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una
mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non vi autorizzo a
ispirarvi o
peggio a questa versione o alle altre storie da me postate
né qui né altrove (peggio
mi sento con le fiabe) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim,
su Loki o
su Asgard stessa. Creare un mondo con usi e costumi non è
uno scherzo.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si
lovva (e spero voi lovviate me).
Vostra,
Shilyss
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