The pact of the Shadow

di Valery Kuroo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Antique & Retro ***
Capitolo 2: *** "Love Sin" ***
Capitolo 3: *** "Laguz" ***
Capitolo 4: *** "Bacio indesiderato" ***



Capitolo 1
*** Antique & Retro ***


 -POV Shadow

Tra le mani aveva un fascicolo dalla copertina color ebano. Lo sfogliò velocemente, consapevole che non sarebbe stata una missione semplice.
-Ci godono proprio nel vedermi in difficoltà.-
Pensò il giovane ragazzo, infastidito dall’ordine dato dall’alto.
Gli venne dato il compito di essere Custode per un demone nato tra gli umani, sulla Terra.
Un demone nato tra gli umani: la prima volta che aveva sentito pronunciare quella frase dal suo Superiore, gli era esploso in faccia con una risata incredula e divertita, sperando nel suo profondo che fosse solo uno scherzo, ma a quanto pare non era così. Perché ora si trovava in mezzo ad un parchetto nella città di Sydney con il fascicolo in mano ed uno zaino in spalla.
In quel momento il suo unico desiderio era quello di stracciare il fascicolo e mandare a cagare il demone in questione, i superiori e chiunque si trovasse attorno a lui.
Loro sapevano bene che lui non  amava affatto stare sulla Terra ed aveva già rifiutato moltissimi ordini in passato, tuttavia questa volta riuscirono a convincerlo, minacciandolo: o accettava, o perdeva tutto ciò che aveva acquisito negli anni, le sue conoscenze, il suo potere e la sua crescita personale e di grado.
Lui era un Ombra, appartenente al Mondo dei Sogni, un luogo privo di spazio e tempo , dove le creature vivevano compiendo missioni e compiti dati dai Demoni Superiori, creatori dei sogni, nonché i loro capi.
Sperò con tutto se stesso durante la convocazione delle creature del suo grado, di non ritrovarsi missioni sparse in chissà quale parte dell’universo a sorpresa, ma il destino sembrava detestarlo perché fu l’unico che si ritrovò ad avere un compito fuori dal Mondo di appartenenza.
L’unico.
Sospirò capendo bene che sarebbe stato inutile rimuginare sopra all’accaduto. Ormai doveva farlo, fine.
Mise il fascicolo via, decidendo di leggerlo più tardi e si diresse verso quella che sembrava la strada principale piena di negozi e caffetterie.
C’era qualche macchina e qualche persona a piedi che camminava con la testa china sul proprio aggeggio telefonico (non sapeva bene come si chiamasse quel coso), anche lui ne aveva uno simile, datogli assieme alla borsa con altri “effetti personali” da umano.
Addosso, invece, portava una maglia blu lapislazzulo aderente e corta, che gli permetteva di mettere in evidenza il suo muscolo asciutto ed allungato, attorno alla vita come su tutte le gambe un paio di jeans scuri e ai piedi  portava degli stivali in pelle.
Non aveva fatto molto caso agli abiti che portava su di sé, ma poté notare, attraverso una vetrina, il proprio riflesso.
-Mh…non sono mica male, certo non è pratico come il mio corpo originario, ma non è nemmeno da buttare.-
Attraverso quella stessa vetrina notò anche alcuni oggetti di vecchio valore, come piccole sveglie in oro battuto, o alcuni gioielli con grandi pietre incastonate.
Spostò lo sguardo dietro al tavolo e gli cadde l’occhio su alcune collezioni di tazzine da thè importante dalla Cina, America e Giappone.
È un negozio di Antiquariato!, pensò il giovane mentre osservava la grande vastità di oggetti, preso dalla curiosità, essendo amante di oggetti rétro e da collezione. Decise di entrare e scoprire quanti altri piccoli tesori ci fossero lì.
Non appena mise piede venne invaso da un forte odore di lavanda mischiato al classico odore emanato gli oggetti vissuti dopo un bel po’ di anni: era piacevole anche se non capiva bene perché gli oggetti emanassero anche l’odore di lavanda.
-La lavanda non dovrebbe essere un fiore…tipo?-
< Benvenuto nel Antique & Rétro, desidera qualcosa?>
La voce provenne dal fondo della grandissima stanza. Shadow spostò l’occhio verso l’interlocutore notando un lungo bancone che occupava quasi tutta una parete del negozio ed, appoggiato con le braccia incrociate, c’era un uomo. Accanto a lui c’era una bambina seduta direttamente sopra il bancone.
Entrambi avevano un sorriso cordiale sul viso e si dimostrarono disponibili e cortesi.
< In realtà stavo solo guardando…> rispose il giovane sentendosi quasi a disagio, non sapeva mai come rivolgersi agli umani.
-Umani?- L’istinto gli mandò un segnale, dicendogli di fare attenzione all’uomo dai lunghi capelli bianchi raccolti in una elegante coda laterale.
Nonostante avesse un aspetto invitante ed un portamento del corpo che emanava fiducia, la sua fisionomia ossea del viso era differente e molto raro per un semplice umano.
Che appartenga ad un altro mondo?
L’uomo che si sentì studiato e messo alla prova, decise di interrompere il silenzio.
< Cosa ci fa un Umbra nel mio negozio?> lo sfidò.
La domanda fece gelare Shadow sul posto, come faceva a sapere chi fosse?
Aveva visto la sua forma originale? Si conoscevano già?
Era un medium o qualcosa di simile? E perché aveva usato il latino?
Mille domande invasero la mente del ragazzo e una strana sensazione gli stava stringendo lo stomaco in una morsa dolorosa.
-È la paura, forse?
Assurdo, io non provo certe emozioni.-
< Papà! Non essere così severo con lui, lo stai mettendo a disagio!> la bambina, con addosso un vestito floreale sui toni del rosa confetto, interruppe quello strano dialogo.
Scese dal bancone e si avvicinò al ragazzo, porgendogli una mano in segno di saluto.
< Sono Margaret, mentre lui è Alfred! Te invece?.>
< S..Shadow, sono Shadow Night. Come fate a sapere di me?> strinse la mano della bambina ricambiando il piacere, sperando allo stesso tempo di ricevere quella urgente risposta.
< Shadow Night? Che assurdo gioco di nomi. E rispondendo alla tua domanda, possiamo dire che riesco a vedere certe cose, è una cosa che ho fin da quando ero bambino. Ormai ci ho fatto l’abitudine.> finalmente Shadow si poté “rilassare”, ma la sua risposta non lo convinse, gli stava nascondendo qualcosa.
La piccola attirò nuovamente la sua attenzione indicando il suo grande zaino in spalla nero < Ti sei trasferito?>
< Oh, diciamo che sono venuto qui per lavorare.>
< Ed hai un luogo dove stare?.>
-Questa bambina è fin troppo curiosa dei fatti miei…-
Come riposta scosse solamente in viso in segno di negazione, effettivamente non aveva nessun soldo con sé e quanto a dove stare, non ci aveva minimamente pensato.
Quello era un grande problema, che doveva risolvere subito o sarebbe rimasto a dormire sulle panchine.
Vennero interrotti dall’arrivo di una cliente nel negozio, era una vecchiotta che portava con sé un sacchettino di velluto rosso, probabilmente conteneva un gioiello. Alfred le diede il benvenuto regalandole un caloroso sorriso.
< Buongiorno Signora Dallas, in cosa posso esserle utile?>
Lei arrossì per via della premura dell’uomo sembrava piuttosto rattristata dall’evento.
Alfred annuì mettendosi un paio di occhiali ed aveva una lente attaccata simile ad un piccolo microscopio, sembravano fatti di acciaio laccati in oro.
-Ricordano molto lo stile steampunk, sono molto belli…- notò il giovane.
L’uomo non fece caso agli occhi del giovane puntati su di sé, aprì il sacchettino e prese un piccolo orologio da taschino in oro con una incisione sopra, una L. Notò che era rotta sia nel coperchietto per coprire l’orologio in sé e sia il vetro dentro.
Shadow allungò il collo per vedere meglio cosa fosse e meravigliato capì subito di che cimelio si trattasse.
< Fa parte di una delle famiglie più aristocratiche di fine ‘800, probabilmente provenivano dalla vecchia Romania…se non erro la famiglia Laswort? Avevano la tradizione di tramandare il cimelio da figlio in figlio, sembravano essere molto legati a questo orologio in oro bianco placcato in oro giallo. Non comprendo il motivo di questa scelta, probabilmente puro gusto estetico e riguardo il danno non mi sembra una rottura grave. Uhm, basta sostituire il vetro ed aggiungere un piccolo chiodino nell’incastro della coperchio>
Si accorse di aver detto ad alta voce i suoi pensieri, non ebbe il tempo di maledirsi che Alfred preso dallo stupore lo fissò dritto negli occhi, probabilmente non si aspettava che un giovane come lui fosse anche bravo in queste cose. Si dava per scontato che bisognava avere una certa età ed esperienza per il Sapere di quell’Arte.
La signora, presa dalla malinconia, si fece sfuggire una lacrima asciugandola immediatamente con un fazzoletto non appena si riprese dalla malinconia, guardò Shadow.
 < Sono sorpresa che un giovane ragazzo come lei conosca questa storia.>> poi dopo un attimo di pausa, si rivolse ad Alfred << Il giovanotto lavora qui?.>
Shadow stava per negare, quando venne interrotto dal padrone stesso che annuì
La signora sembrò entusiasta di quella proposta ed annuì più volte con un sorriso sulle labbra, che le fece rilassare il viso facendolo sembrare più giovane.
< Certamente! Quando posso venire a ritirarlo?>
< Settimana prossima?> domandò Alfred, lanciando una muta occhiata a Shadow, che di risposta annuì non molto convinto.
< Benissimo! Allora alla prossima settimana! Vorrei rimanere ancora a parlare con voi, ma purtroppo ho moltissime faccende da fare.>
Non diede il tempo di rispondere, che salutò i due uomini e diede un bacio caloroso sulla testa della bambina, che le rispose con un sorriso dolcissimo Sparì dal negozio andandosene come se non fosse nulla.
Shadow fece notare il suo stupore.
venne interrotto dal padrone con un cenno della mano. < Sto cercando un ragazzo che lavori part-time per il mio negozio e non si trovano molti giovani interessati a questo tipo di lavoro…Mi sembra di capire che ti servano una stanza e dei soldi.>
Squadrò il suo grande zaino nero per poi ritornare a guardarlo dritto negli occhi, il giovane poté notare che negli occhi color ocra vi erano delle sfumature dorate che riflettevano con la luce facendo sembrare lo sguardo più chiaro.
L’idea data dal padrone di casa non sembrava male, gli chiese se poteva spiegarsi meglio e lui lo accontentò subito
Shadow porse la mano come per sigillare un accordo, era grande e vaccinato, se proprio doveva accadere qualcosa di terribile, sapeva come difendersi.
L’uomo gli strinse la mano presentandosi per bene
Shadow annuì per poi guardare l’orologio lasciato sul bancone, Alfred seguì il suo sguardo e disse < Come prova di lavoro avrai cinque giorni per sistemarmi l’orologio, se ritornerà come nuovo e perfettamente funzionante, sarai assunto.>
< Avrò degli attrezzi con cui lavorare? > chiese di rimando,
Il giovane che era un po’ provato dal viaggio straziante, in un mondo all’altro, annuì all’uomo trovando l’idea geniale.
< Bene. Margaret tieni sotto controllo il negozio, se dovesse arrivare qualcuno di’ che sto arrivando.>
< Va bene papà! > poi aggiunse puntando i suoi grandi occhioni color nocciola verso il giovane < E non vedo l’ora di lavorare assieme a te!.>
Lui osservò la felicità della bambina che si sprigionò non appena sentì la notizia, probabilmente le piaceva l’idea di avere un nuovo “amico”, oppure semplicemente amava la compagnia.
La cosa non gli dispiacque affatto, anzi aveva un ottimo presentimento sulla ragazzina: i bambini erano capaci di legarsi con tutti grazie alla loro ingenuità ed immensa gioia influenzabile.
Alfred accompagnò Shadow verso il monolocale, che si trovava al secondo piano, ma l’entrata era nella parte posteriore del negozio. Quindi dovettero uscire per poi attraversare un portone, dove appena entrati vi erano delle scale che portavano al secondo piano con una seconda porta, quella del monolocale. Venne aperta e Shadow si ritrovò in una stanza illuminata da una grande finestra che occupava una delle quattro pareti, i muri bianchi non fecero altro che riflettere la luce e farla sembrare più grande.
Alfred gli spiegò un po’ la stanza, facendo notare una cucina in legno scuro con un bancone che faceva anche da tavolo per mangiare, attorno aveva quattro sgabelli rialzati, anch’essi in legno.
Poi nella seconda parete vi era una porta collegata ad un piccolo bagno, e dalla parte opposta della cucina c’era la camera da letto, il letto matrimoniale era rialzato da un soppalco in legno alto due gradini, affianco ad esso c’erano due altri scaffali neri che contenevano pochi libri.
La fonte di luce proveniva dalla finestra enorme, che si trovava alle spalle del letto, insomma appena si entrava nel monolocale l’occhio cadeva subito su quel strano arredamento di letto davanti all’enorme parete-finestra, come lui l’aveva soprannominata.
Il vetro della finestra era diviso da dei “nastri” in alluminio battuto, che formavano dei enormi quadrati uguali tra loro.
C’era molto spazio libero ed era una perfetta casa minimal, essenziale per una sola persona.
< Qui prima ci abitava un’altra persona, però ora è tua. Se ovviamente ti va bene.>
< Per me è perfetta, davvero preferisco le stanze più vuote con solo l’essenziale.>
Alfred sembrò felice del commento, indicò infine  il letto, aggiungendo.
< Il letto si alza ed ha un cassetto sotto, dove puoi mettere i tuoi abiti e il borsone.>
Shadow annuì ed Alfred gli diede la chiave < Tieni, intanto vado a prendere i fogli del contratto di lavoro e dell’affitto. Ritorno subito, tu nel mentre sistemati pure.>
Non avevano bisogno di parlare di altro, entrambi erano dei tipi silenziosi e sapevano essere chiari e decisi con due parole, questo notò il giovane, non appena l’altro abbandonò il monolocale.
Si mise seduto sul letto tastando la consistenza, era incredibilmente morbido e confortevole, si trovava divinamente bene e quella sensazione gli fece scivolare tutto lo stress che aveva in corpo.
Chiuse gli occhi per un momento, sentendosi stranamente sereno e rilassato, per la prima volta, dopo molto tempo.
Quel monolocale sembrava dargli l’effetto di un calmante, la cosa lo sorprese.
La sua attenzione cadde sui pochi libri rimasti nei vari scaffali, c’era qualche romanzo storico, e dei dizionari di varie lingue: italiano, inglese e latino.
Incuriosito si alzò e raggiunse lo scaffale, prendendo così il dizionario di latino, per vedere se il suo latino era uguale a quello degli umani.
Lo aprì ad una pagina a caso e notò la parola sottolineata daemonium.
-Demone. Perché mai è stata sottolineata?-
Preso da un pizzico di ansia e molta curiosità, fece una prova andando a cercare altri termini che lui conosceva ed aveva ormai compreso che il latino era identico in entrambi i mondi.
Umbra, anch’esso era sottolineato e gli provocò un brivido lungo la schiena, come se qualcuno avesse scoperto la sua identità.
Che Alfred non fosse l’unico a conoscere l’esistenza di alcune creature?
O semplicemente era il suo dizionario?
O solo una coincidenza e si stava preoccupando per nulla?
Cercò altre parole, come somnium mundi, superior daemonium, viatorem coboli, tutti erano sottolineati. Mondo onirico, demone superiore e folletti viaggiatori erano sottolineati.
Non ebbe altro tempo di investigare, perché senti dei passi lungo le scale.
Mise al suo posto il dizionario e prese ad armeggiare con il letto alzandolo e mettendo dentro il borsone, in modo da non far sospettare nulla.
Alfred entrò con dei fogli in mano e li appoggiò sul bancone dal piano di marmo scuro con rifiniture bianche e grigie.
< Se vuoi venire a leggere e firmare e darmi i documenti, così ti lascio libero per tutta la sera.>
< Ok, arrivo.> con sei falcate raggiunse il padrone ed osservò i documenti, leggendo attentamente ciò che fosse trascritto. Poi porse i suoi documenti che teneva in tasca ed Alfred li lesse.
Cercò nel profondo di nascondere il disagio che provava dopo aver visto il dizionario, qualcosa gli diceva che Alfred non sembrava esser l’unico a conoscenza della loro esistenza, oltre la sua bambina.
La storia del medium era poco credibile, ma anche l’unica plausibile che aveva in quel momento.
Certo alcuni umani potevano fare presupposizioni ed altre sapevano un accenno di cosa esisteva veramente, ma solo ciò che vi era tra i mondi paralleli.
Invece, il Mondo dei Sogni era solo per pochi.
I documenti non erano anomali, classica burocrazia. Firmò le carte sia dell’affitto e sia del part-time, 1000 al mese e 300 sarebbero scalati dall'affitto e condominio.
Come idea non gli dispiaceva e lo disse anche al padrone.
Alfred annuì e prese i fogli ringraziandolo.
< Allora benvenuto nella Terra, Shadow.>
Così finì il loro mini incontro, Alfred sembrava essersene andato con un espressione serena a differenza sua che aveva la mente piena di domande.
Cadde sul letto, buttandosi di schiena, mise un braccio sugli occhi, nascondendosi dalla poca luce che si spuntava nel cielo pieno di nubi. La luce gli dava fastidio, poteva benissimo essere considerato come uno dei suoi punti deboli.
Lo rendeva più stanco e irritato, doveva ricordarsi di mettere delle grandi tende sulla meravigliosa ed enorme finestra.
Avrebbe nascosto quell’immenso paesaggio che la finestra aveva da offrirgli.
 
 
 

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Capitolo 2
*** "Love Sin" ***


-POV Valérie

Si stava preparando per una nottata di puro divertimento, o così doveva essere per un adolescente normale.
Lei ci andava solo per rispettare la promessa fatta al suo migliore amico.
< Dai, vieni! Prometto che ti farò divertire un sacco!> fu quello che le disse il giorno prima durante l’ultima ora di lezione a scuola.
Non le costava nulla, insomma, o andava lì o sarebbe rimasta a casa assieme ai suoi bui pensieri, tanto valeva distrarsi un po’.
L’outfit della serata era: una grande felpa nera con il cappuccio, che le faceva da vestito,  con delle calze a rete e degli scarponcini neri con il rialzo.
Si sarebbe messa anche un trucco pesante sugli occhi dalle tonalità di rosso scuro e nero che avrebbe esaltato l’arancio chiaro delle sue iridi. E le labbra tinte di un rosso scurissimo, quasi tendente al nero. Si poteva permettere quelle tonalità scure sul viso per la sua pelle molto chiara.
Raccolse i capelli mori con delle ciocche rosse sangue in uno chignon, e li nascose con cappuccio.
Erano le undici di sera quando decise di prepararsi. Ci mise poco. Nel mentre stava escogitando un modo per uscire senza farsi sentire dai suoi genitori. Loro non erano consapevoli delle sue fughe serali, come del fatto che non stesse rispettando la sua cura.
“Cura” era sostanzialmente prendere dei farmaci per permettere al proprio lato demoniaco di starsene buono, nell’angolo e non prevalere in lei. Era una comune cura per gli ibridi del suo mondo, figli di demoni ed umani, che erano obbligati a prendere.
Lei era sempre stata un tipo che andava controcorrente, non seguiva mai ciò che la società imponeva, non seguiva mode, nulla di nulla, faceva tutto di testa sua. Ma questo ebbe un grande effetto collaterale su di lei: lottare contro i pensieri bui, lottare contro sé stessa.
Si stava dilungando troppo in quei pensieri, doveva  darsi una mossa o sarebbe arrivata tardi all’appuntamento. Mise alcuni vestiti ammucchiati sotto le lenzuola, creando un bozzolo dalla forma umana, ed uscì dalla finestra. Abitava al primo piano, per fortuna, quindi facilmente poteva uscire e rientrare al mattino, poco prima che i suoi si alzassero.
Calò il cappuccio sulla testa, nascondendo così il viso, e si mise le cuffiette: la musica fu la sua unica compagna in quella notte così buia e priva di luna, coperta dalle nuvole. Passò attraverso alcuni vicoli e raggiunse un punto dove era totalmente desolato, niente macchine niente pedoni notturni, solo dei lampioni ad illuminare le vie. C’erano delle case più trasandate di quelle dentro la città dove lei abitava. Per arrivare alla discoteca ci impiegava una buona mezz’ora a piedi, tenendo un passo spedito.
Scese la lunga scalinata che portava alla discoteca, stretta tra le alte mura di due case, e si ritrovò una grande porta a forma d’arco davanti a sé, con due bodyguard ai lati. Alti, muscolosi, vestiti di nero con gli occhiali da sole, sapevano incutere un certo timore con la loro stazza. La riconobbero non appena alzò il cappuccio e la fecero entrare.
Venne travolta dalla musica che usciva a tutto volume dalle enormi casse agli angoli di quella grandissima stanza. Dovette strizzare gli occhi per mettere a fuoco ciò che aveva davanti a sé: vari corpi ammassati e persi nella loro danza in quella stanza buia, illuminati solo dalle luci al neon di vari colori che venivano sparate dal soffitto.
Erano ormai mesi che frequentava quel posto e ancora non si era abituata al clima ed alla musica fortissima che le rimbombava nella testa. Si alzò in punta di piedi alla ricerca del lungo bancone a cerchio che si trovava al centro della stanza, dove i baristi servivano gli alcolici.
Avanzò tra i corpi che la spintonavano cercando di passare. Ci mise una decina di minuti prima di riuscire a raggiungere una sedia libera vicino al bancone in metallo ricoperto da una lastra doppia di vetro colorato in nero. Il tempo di sedersi e si ritrovò un barista a pochi centimetri dal suo viso: lo riconobbe anche se indossava una maschera nera sugli occhi con due buffe orecchie a cerchio, doveva essere una maschera di un topo, ma lui l’aveva chiamata “maschera di un cincillà”. Un topo obeso, insomma.
Era il suo migliore amico: lavorava lì come barista, nonché servitore dei migliori alcolici della zona.
Oltre la maschera, indossava una maglia nera a maniche corte attillata e dei jeans anch’essi neri, strappati sulle ginocchia e sulle cosce.
< Non mi aspettavo che anche stasera saresti venuta!> disse a gran voce cercando di sovrastare la musica per farsi sentire da lei.
< Ormai sono mesi che ogni sabato sera vengo perché tu mi inviti sempre con la scusa di farti compagnia!> rispose lei fingendosi annoiata.
La risposta del suo amico fu solo una risata divertita e le servì il suo cocktail preferito: un mix di alcolici dolci con una prevalenza di aroma di cocco. Dentro al bicchiere c’era anche un cubetto di ghiaccio con un pezzettino di cocco dentro, così da poterlo mangiare non appena il ghiaccio si sarebbe sciolto del tutto.
Rivolse nuovamente l’attenzione al barista e notò che aveva dei succhiotti sul collo -Quindi lo stronzo si è anche divertito- pensò la ragazza.
Attirò la sua attenzione chiamandolo < Ehi, Just! Non dirmi che hai scopato nuovamente con quel tipo?>
< Chi? Edo? Ma che dici! Quello l’ho scaricato dopo la nostra prima serata di fuoco, a detta sua. Cazzo, non mi ha fatto venire per quanto fosse incapace a letto! No no, questi me li ha fatti un ragazzetto che gira da un po’ in questa discoteca, un tipetto con i capelli verdi acqua scuri legati e la rasatura ai lati della testa. È caruccio, ma lo vedo più dalla parte del passivo…> si fece pensieroso mentre si guardava in giro, probabilmente lo stava cercando.
Certe volte lo invidiava: riusciva a conquistarsi qualcuno con poco e poi addirittura a portarselo a letto.
Nessuno lo aveva mai rifiutato, tranne uno che avevano soprannominato “l’affascinante dai capelli rossi”: per lei fu davvero una sorpresa perché era stata seriamente l’unica persona ad averlo mai rifiutato in modo totalmente freddo e maleducato.
A detta di Just, ovviamente. Ricordava ancora la sua espressione colpita e ferita, gli aveva sicuramente scatenato qualcosa dentro ma, da allora, ancora non era riuscita a fargli sputare il rospo.
Valérie si girò sullo sgabello per appoggiarsi con la schiena al bancone ed osservò l’ammasso di gente avvinghiata su sé stessa, intenta a ballare ed a sfogare le proprie repressioni.
C’era anche una stanzetta con dei lunghi divani in pelle nera, dedicati apposta per fare sesso e così via, il posto perfetto per portare la propria “preda” dopo averla conquistata.
Poteva sembrare una normale discoteca dove dei giovani ragazzi andavano a divertirsi, peccato che lì dentro potevi entrarci solo se appartenevi alla razza “soprannaturale”: demoni, ibridi e così via. Un comune umano non poteva entrare. Per lui era un totale divieto.
Molte delle creature lì sfoggiavano la loro forma originale: chi con delle lunga corna nere ed i denti appuntiti, chi invece aveva una carnagione grigiastra e delle squame sul collo e sulle guance e così via.
Si potevano ammirare un immensità di creature differenti tra di loro nello stesso posto, in totale armonia e divertimento puro.
Quel posto era la pace per loro.
Ovviamente il governo non ne sapeva nulla e non doveva saperne nulla.
O l’avrebbero raso al suolo, letteralmente.
Bevve un altro sorso di quella meraviglia e notò una figura che gli sembrava molto familiare. Il rosso.
Era preso nella danza con due ragazze vestite con tutine piene di glitter molto attillate, intente a strusciarsi su quel “bel pezzo di manzo”, come lo aveva soprannominato Just.
Gli aveva dedicato talmente tanti soprannomi che a stento se li ricordava tutti.
L’uomo aveva addosso una maglia bianca attillata dal collo alto, dei jeans blu, i capelli ricci erano sciolti. -Perché indossa anche un paio di occhiali da sole?- si domandò notando quello strano dettaglio, probabilmente gli davano fastidio le varie luci del locale?
Ma non erano scomodi?
< Non ci credo! Altre due ragazze?!> sbottò Just mentre osservava la scena appoggiato con i gomiti sul bancone ed i palmi sulle guance.
< Guarda che anche te cambi spesso compagnia> puntualizzò lei.
< Dovresti stare dalla mia parte! E poi sono geloso perché ruba le mie prede!>
< Si si, le tue prede…> lei lo canzonò e lui si fece rosso dal fastidio misto a vergogna ed anche da una punta di gelosia che provava nei confronti dell’ ”affascinante dai capelli rossi”. Era la prima volta che si puntava su qualcuno in quel modo.
Lui lo desiderava, lo bramava e questo lei l’aveva capito dalla prima volta che lo aveva visto. Dalla sua reazione, e dal fatto che quando stavano a scuola non faceva altro che parlare di lui.
Addirittura in mensa aveva fatto un mini ritratto del rosso con la penna sul tovagliolo.
Beh almeno lui aveva qualcuno su cui sognare.
Lei no.
Nessuno le interessava, nessuno l’aveva colpita. Ormai aveva smesso di cercare.
disse la voce di fianco a lei. Si voltò e vide un ragazzetto probabilmente della sua stessa età, alto come lei, dai capelli corti e disordinati.
Indossava un maglioncino verde evidenziatore con dei pantaloni neri ed una catenina attaccata ai lati della cinta.
I capelli erano neri con delle ciocche verde evidenziatore che si illuminavano addirittura nel buio.
-Cazzo che figata!- non aveva mai visto dei capelli del genere.
Il ragazzo molto probabilmente si sentì osservato e si voltò verso di lei facendole un sorriso cordiale.
< Scusami se ti ho disturbato, in caso> aveva frainteso.
< Uh? No no, scusami tu. È che ho visto i tuoi capelli e sono davvero bellissimi.
Non ne avevo mai visti in giro così!>
Lui arrossì un po’ per via del complimento e si passò una mano tra i capelli.
< Mi fa piacere che ti piacciono! Beh, ho usato una tinta che puoi trovare solo online, si chiama “Neon lime color”, se ti interessa, ovviamente>
< Assolutamente sì! Ci sono altre tonalità di colore?>
< Si! Rosso, blu, rosa, qualsiasi colore che desideri. Ho provato anche il giallo, ma posso dirti che è davvero strano e scomodo da portare.> Just, intanto, aveva portato il suo bicchiere ed il ragazzo ne bevve una lunga sorsata.
Poi porse la mano verso di lei e si presentò < Comunque sono Duncan, piacere mio>
< Valérie, piacere mio.> e strinse la sua mano.
Lui le sorrise, lei gli ricambiò solo un timido sorriso nascosto un po’ dall’ombra del cappuccio.
Sembrava non gli importasse il fatto che lei avesse un enorme cappuccio a nasconderle i tratti del viso, fece finta di nulla. E questo le fece piacere.
Rispettava la sua privacy.
< Beh, sei in compagnia?>
< Diciamo di sì, faccio compagnia al mio migliore amico> indicò il barista e lui annuì per poi finire il suo bicchiere.
< Quindi è solo il tuo migliore amico… Beh, è carino.> qualcosa dentro di lei si mosse, una sensazione che non le piacque affatto.
- La delusione?-
Il ragazzo sembrò notare il suo strano silenzio e si corresse subito < No, no tranquilla. Non voglio provarci con lui! Il tuo migliore amico è tutto tuo!> aveva intuito nuovamente l’errato, ma le fece piacere, perché quella sensazione svanì in un nanosecondo.
-Valérie non iniziamo! - si sgridò da sola.
Just fece un fischio trovando la scena interessante e si avvicinò ai due ragazzi < Volete che vi porto qualcos’altro?> fece un occhiolino alla sua migliore amica e lei , imbarazzata, gli fece una smorfia come risposta.
Duncan ci pensò un po’ su alla domanda e disse < Lo stesso alcolico che stava provando lei. Sono curioso di assaggiarlo. Ne vuoi un altro anche tu?> guardò la ragazza mentre stava già prendendo il suo portafoglio.
rispose Just mentre era già intento a prepararli di fronte a loro.
< Dimmi, com’è che ti chiami?> domandò al giovane mentre metteva i cubetti di ghiaccio nei bicchieri di cristallo.
< Duncan, e tu?>
< Just. Vedo che hai conosciuto la mia migliore amica, è simpatica vero?>
< Beh sì, è davvero molto simpatica…> la situazione si stava trasformando in qualcosa di spiacevole, Just lo stava mettendo sotto interrogatorio come il classico fratello maggiore protettivo verso la sua sorellina. Non andava affatto bene.
Duncan però sembrò neutrale e tranquillo, la cosa non gli faceva né caldo e né freddo.
Ma per fortuna o sfortuna, ad interrompere la conversazione fu il “bel manzo dai capelli rossi”, quello che aveva malamente rifiutato Just, che si rivolse al ragazzetto < Duncan, vuoi che ti lascio le chiavi di casa, stasera? Io dormo fuori.>
Il ragazzo si voltò verso l’uomo ed annuì sorridendo per poi indicarlo e girarsi verso di loro.
< Ah dimenticavo! Lui è il mio fratello maggiore, Nathan. Nathan, loro invece sono Valérie e Just.>
Just fece cadere il bicchiere pietrificato dalla scena, incredulo ed il suo viso divenne rosso, molto rosso, con anche la bocca spalancata dallo stupore.
-Che reazione esagerata.- pensò la ragazza riguardo Just, lei invece rimase solo colpita, piacevolmente colpita.
E dovette ammettere anche, che il Destino sapeva essere davvero tanto infame.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** "Laguz" ***


- POV Shadow

Era il suo primo giorno di lavoro nel negozio di antiquariato. Si alzò presto, circa per le sette, si fece una veloce colazione e si preparò mettendosi un maglione a collo alto smanicato nero, con dei pantaloni bianchi e delle normalissime vans.
Scese velocemente le scale ed entrò nel negozio dalla porta principale, un suono lo accompagnò fino a metà ingresso: doveva essere il campanello che avvisava l’entrata dei clienti.
Effettivamente il giorno prima non aveva notato quel campanello vecchio stile placcato in oro che si trovava sopra la porta.
Raggiunse il bancone ma non trovò nessuno: forse il proprietario e la bambina erano dietro la porta che conduceva ad un’altra stanza, quindi provò ad entrare e si ritrovò un vero e proprio magazzino abbastanza disordinato.
Scatoloni in fila, con oggetti diversi attorno, ed un tavolo di due metri, con sopra strumenti ed attrezzature varie per le riparazioni di oggetti e gioielli.
< Scusami per il disordine ma, ahimè, ho molta roba che non posso buttare.> Alfred spuntò da dietro degli scatoloni, con in mano l’orologio che Shadow doveva aggiustare ed una scatoletta con probabilmente gli strumenti.
Li pose sul tavolo ed aggiunse < Sei arrivato in anticipo, spero che tu abbia avuto una piacevole dormita.>
< Abbastanza, grazie.> rispose in modo secco l’altro.
L’albino appoggiò gli oggetti sul tavolo e gli fece un educato sorriso < Oggi puoi iniziare, nel mentre io devo fare delle compere quindi per metà mattinata non ci sarò al negozio. Lascio le chiavi a te e tieni sotto controllo il campanello, se arriva qualcuno vai al bancone, ok? > Shadow annuì e rimase a guardarlo ancora un attimo, per poi sedersi ed iniziare il suo lavoro.
Meno si fosse perso in chiacchiere e prima avrebbe finito il lavoro, questa era la sua filosofia.
Alfred si infastidì leggermente per quel comportamento freddo e totalmente distaccato del nuovo ragazzo, ma fece finta di nulla e lo salutò andando ad occuparsi dei suoi compiti.
Shadow quando comprese che era rimasto solo nel negozio, si rilassò e poté iniziare per davvero il suo lavoro, quell’orologio aveva bisogno di una grande pulizia oltre che la riparazione del vetro.
Si mise una mini lente da ingrandimento, all’occhio sinistro, tenuta su grazie alla mini montatura che si agganciava al suo orecchio.
-Non è molto lavoro, però è davvero assurdo come certi oggetti rimangono intatti con il tempo e basta una leggera riparazione per farli ritornare come nuovi.-
Riuscì a sostituire il vetro rotto ed a pulirlo con degli appositi acetoni e liquidi, non si rese conto del tempo che passava e tantomeno ascoltava gli stimoli che il corpo richiedeva, come la fame o la sete.
Nulla. Lui era concentrato nel suo lavoro e niente sembrava distrarlo. Finché il fastidioso campanello non suonò, e lì fu costretto a fermarsi.
-Ma chi diamine è?!-
Era poco propenso a voler smettere, ma dovette.
Si alzò andando verso il bancone e si ritrovò una ragazzetta minuta, bionda con addosso una grande felpa azzurra, che le faceva anche da vestito.
Lei rimase sorpresa nel ritrovarsi il moro e non il proprietario del negozio, infatti si guardò attorno alla sua ricerca.
< Alfred è impegnato, ci sono io ora.>
Lei si voltò verso di lui e sorrise subito in modo cordiale scusandosi < Scusami non pensavo avesse assunto un nuovo ragazzo. Comunque sono Annie, e sono venuta per ritirare le rune in pietra che avevo portato due settimane fa.>
< Rune? > domandò lui con un espressione un po’ dubbiosa. Alfred non gli aveva accennato nulla di quel ritiro e tanto meno di dove avesse messo quelle pietruzze.
-Ed ora che diamine faccio?- doveva trovarle, non aveva altra scelta.
< Di che colore sono?> chiese quindi alla biondina
< Azzurre! Con delle crepe in oro che dovrebbero essere le parti riparate dalla colla dorata.>
< Ok, le cerco subito.>
-Cazzo, è un enorme negozio, dove diamine avrà messo quelle tre pietruzze?!- iniziò a cercare nei vari cassetti del bancone e negli scaffali, ma niente.
< Ehm, ti serve una mano?> disse la ragazza notandolo in difficoltà e si sporse verso il bancone per vedere meglio dove potevano essere.
< No! Faccio io, tu stai ferma lì.> detestava quando gli altri si impicciavano  nei “suoi affari”.
La ragazza spaventata dal suo tono si nascose un po’ nella sua grande felpa e fece dei passi indietro, standosene così buona ed in silenzio.
Le ricordò come un micetto spaventato, dopo un rimprovero.
Passata una buona mezz’ora riuscì a trovarle, dentro una scatola con altre rune, di altri colori.
Erano dentro un sacchettino blu, le aprì e le prese per vedere se erano quelle giuste.
Non appena le rune caddero sulla sua mano, ebbero una reazione assurda, divennero incandescenti al tatto e si spaccarono in mille pezzettini, per poi ricadere a terra e ricomporsi, ritornando così azzurrine e non più blu/nero di quando erano incandescenti.
Il suo palmo era pieno di piccole bruciature che scomparvero poco dopo.
Quelle rune lo avevano bruciato in modo anomalo, ed aveva anche sentito un po’ di dolore.
Quello si che era strano.
Si risvegliò da quella sorta di incanto, ricordandosi della ragazza e le raccolse utilizzando un fazzoletto. Con un contatto diretto avrebbero reagito di nuovo male.
Le mise nel sacchettino e le pose sul bancone guardando la ragazza.
< Eccole, scusami per l’attesa… ma hanno avuto una reazione anomala. Però ora è tutto apposto e sono tutte riparate.>
La ragazza sembrò non comprendere, ma prese il sacchettino e lo ringraziò con un cenno del capo.
< Guarda che puoi parlare.> disse lui stizzito dal suo silenzio. Ok che l’aveva “rimproverata” in quel modo, ma non le aveva mica detto di non parlare.
< G…grazie! Scusami pensavo ti desse fastidio…>
< No. E non c’è di che, solo…posso sapere di chi sono?>
< Del mio migliore amico! È un esoterico e pratica le rune, come anche la lettura dei tarocchi. Durante una seduta, le rune esplosero al tatto di un cliente, e dovette portarle qui. La colla dorata permette ad esse di rilegarsi al momento della rottura.>
-Quindi è una cosa già accaduta…-
< Come mai si son rotte?>
< Io personalmente non saprei, ma a detta di Satoru succede quando quella persona ha un energia negativa molto potente. Le rune essendo totalmente pure ed oneste non riescono a tollerare quell’energia.>
< Ah…> si guardò la mano che poco prima era bruciata e guardò nuovamente la ragazza.
< Pura curiosità, grazie per essere venuta.>
Annie si fece un po’ dubbiosa, ma decise di non insistere ed annuì facendo un sorriso timido.
< Grazie per le rune. Buona giornata!>
Nel mentre se ne andò via anche il ragazzo la salutò con un cenno della mano.
- Come diamine è possibile che un oggetto umano possa decifrarmi e capire chi sono…cosa ho..-
Quella cosa lo stava turbando più del dovuto, si sentiva come sfidato da un semplice giocattolo di quei impuri umani, non aveva mai visto un qualcosa appartenente a loro, così potente.
Le Rune. Doveva informarsi e capire cosa fossero.
E soprattutto come diamine facessero a capire la forza dell’energia.
Accese il computer accantonando il lavoro che stava facendo, sulla schermata del pc apparve una foto come immagine di sfondo.
Alfred con in braccio con una neonata ed accanto un uomo poco più alto di lui che stringeva amorevolmente entrambi.
Era castano ed aveva una barba abbastanza folta ma ben ordinata, ed indossava un cardigan verde scuro con sotto una camicia bianca.
Alfred invece aveva i lunghi capelli sciolti ed un espressione rilassata ed allegra, sembrava tutt’altra persona, anche nel modo di vestirsi.
Portava un maglione in lana azzurrino chiaro.
La bambina tra le braccia probabilmente poteva essere la loro figlia, un flash gli venne in mente ricordandosi della ragazzina del giorno prima.
Era lei?
Assomigliava molto all’uomo della foto.
-Le Rune! - gli ricordò la mente.
Se ne stava già dimenticando, aveva la ricerca da fare.
Scrisse la parola e si ritrovò un botto di link a siti affiliati dove spiegavano cosa fossero.
Tra una ricerca qui, ed un link lì, comprese un po’ la loro nascita ed il loro utilizzo.
Tra i vari modi di lettura delle rune, fatte da piccoli legnetti con incise le loro lettere, o incise su varie pietre preziose, c’era una lettura in particolare che lo colpì.
La rivelazione del futuro, attraverso la lettura del passato e del presente, in poche parole il runico, così veniva chiamato chi le usava, estraeva tre rune che rappresentavano i tre periodi differenti.
Ed infine stava a chi era stata fatta la seduta comprendere da dentro di sé la proprie vicende future.
Letto in quel modo sembrava come un gioco di ruolo: allora perché quelle Rune avevano reagito in quel modo?
Non trovò da nessuna parte la reazione che avevano avuto quelle rune ed il discorso della ragazzina.
Quelle rune su quei siti erano descritte come oggetti innocui ed un innocua passione per chi credesse nella magia.
Si morse il labbro capendo che non avrebbe trovato nulla, ma proprio nulla.
D’altronde non poteva neanche scrivere della sua specie, se avessero qualche punto debole con le pietre o quegli oggetti, lì.
Lui non lo sapeva, d’altronde non aveva avuto niente a che fare con le rune e quelle “magie”.
Era di nuovo da punto a capo.
Perché quelle rune gli avevano lasciato una sensazione strana, quasi come se dovesse sapere il perché di quella reazione.
Non gli bastava la risposta dell’energia negativa, quello lo sapeva anche lui.
Le Rune erano capaci di lasciare un messaggio, quello lo aveva compreso, ma quale messaggio?
Quell’esplosione anomala, che poi dentro di lui lasciò una sensazione anomala, doveva significare qualcosa?
Si voltò andando a prendere un po’ d’acqua, aveva bisogno di riprendersi, ma calpestò qualcosa sotto di sé.
Spostò il piede e notò una runa, con sopra inciso una sorta di freccia stilizzata, ma con solo una sola linea a formare la punta della freccia.
La raccolse con il fazzoletto e la mise sul bancone, - Ed ora come la riporto al proprietario?-
Probabilmente se ne sarebbe accorto, e l’avrebbe ripreso, quindi era meglio metterlo da parte e non perderlo nuovamente.
Ma per curiosità cercò il significato di quella runa: “Laguz” era il suo nome.
Una runa che rappresentava le emozioni e l’interiorità, il viaggio nella profondità di sé stessi.
Beccata al contrario rappresentava la potenza incontrollabile del proprio inconscio. Oppure un emozione difficile da contenere e dominare.
Ed essa era proprio caduta al contrario.
Lui rimase un momento a guardarla e giurò su se stesso di aver visto il colore sfumato dentro la runa muoversi.
-Che diamine sta a significare?-
Il proprio istinto gli sussurrò di toccarla, e così fece.
Oltre il dolore della bruciatura, la sua mente venne piombata in una visione di un suo ricordo.
Urla laceranti, ombre e figure che correvano cercando riparo, lui piccolino che veniva trascinato da due figure.
Una donna ed un uomo: erano i suoi genitori.
L’uomo li spinse in avanti proteggendoli da una figura tutta bianca che armata da una lancia lo trafisse.
La donna, sua madre, cacciò un urlo disperato mentre lo stringeva più forte a sé. Shadow si ricordava bene ancora il male di quella mano stretta attorno al suo polso.
Il dolore della perdita di suo padre, e poco dopo della sua mamma, anch’essa uccisa da uno delle figure bianche, sacrificandosi per proteggerlo dalla loro carneficina.
Lui doveva morire con loro, e invece si salvò.
Rimanendo così solo al suo destino infame, già da così piccolo.
Quell’uragano di emozioni gli fece perdere il controllo crollando così a terra e stringendosi con forza le mani sulla testa. Come per cercare di scacciare quelle figure, quei ricordi e quel dolore.
Non riusciva a parlare, non riusciva a far uscire la propria voce, c’era solo un ringhio doloroso che gli partiva dalla gola ed usciva stretto tra i denti.
Quel verso simile ad un verso di una bestia, fece allarmare Alfred che era entrato.
Corse verso il ringhio e notò il giovane ragazzo a terra, in preda ad un attacco.
Si inginocchiò e gli stringe le spalle scrollandolo un po’
< Ehi! Shadow!> lo richiamò più volte, ma comprese subito che lui non si trovava più lì con la mente.
Lo portò vicino a sé e lo strinse in un abbraccio, cercando di sussurrargli quale parola dolce per calmarlo.
< Riprenditi…ci sono io ora qui con te. Va tutto bene…nulla ti vuole far del male.> il suo tono dolce, quasi paterno, riuscì a calmare il ragazzo che smise di dimenarsi e ringhiare.
< Pa…papà?> pronunciò il ragazzo, prima di crollare nel sonno. Era svenuto.
L’uomo spalancò gli occhi rimanendo sorpreso delle sue parole, per poi addolcire lo sguardo notando che si era addormentato.
< Cosa ti hanno fatto?...>  sussurrò accarezzandogli dolcemente la testa.
Nel negozio entrò una terza persona che richiamò la sua attenzione, Alfred alzò il braccio per farsi trovare < Sono dietro il bancone, aiutami a sollevarlo!>
Il ragazzo si sporse verso il bancone per poi annuire ed aiutare Alfred a sollevare il moro e metterlo su uno dei divanetti lì affianco.
< Cos’è successo?>
< Probabilmente ha avuto un attacco… ma sembrava più in preda alla morsa dei suoi ricordi dolorosi…>
< Un ricordo doloroso?>
< Si, o qualcosa di simile.>
Il terzo ragazzo, appena entrato nel negozio notò la runa che era rimasta sul bancone e disse
< Questa è la runa di Satoru, poco fa deve essere passata Annie per ritirarle. Si è dimenticata questa qui, però.>
< Sappiamo tutti che le rune di Satoru sono state create nel nostro mondo. Ed hanno il potere di far ritornare a galla i ricordi più nascosti e dolorosi…>
< L’avrà toccata, e la runa ha sprigionato il suo potere.>
< Il ricordo più doloroso… la carneficina della sua razza, suppongo. Visto lui è l'ultima Ombra rimasta..e non è qui per caso.>
< Cosa... papà?> il rosso non comprese cosa stesse dicendo l’altro.
< Nat, lui faceva parte delle ombre. La razza che venne rasa al suolo assieme al loro territorio.>
Il rosso rimase in silenzio dalla sorpresa, non si aspettava che qualcuno fosse sopravvissuto a quello sterminio.
 

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Capitolo 4
*** "Bacio indesiderato" ***


 
-POV Valérie
 
< Ma chi si crede di essere?!> sbottò Just mentre entrava nell'aula assieme a Valéry.
Erano a scuola e Just, come si fosse intuito, non era per niente di buon umore.
Si era svegliato con la luna storta e lo si poteva notare da come si fosse conciato: capelli raccolti in un disordinato chignon, un maglione colore sabbia di due taglie più grandi e dei pantaloni neri.
Sul viso, per nascondere la stanchezza e non far notare le imperfezioni, gli occhiali da vista dalla montatura dorata.

< Guarda che non ti ha detto nulla> rispose Valéry al flusso dei pensieri di Just.
Lui si bloccò come se avesse improvvisamente una pistola puntata su di sé.
Lentamente si girò verso la sua migliore amica e la corresse < Lui mi ha squadrato dall'alto verso il basso, ti sembra un comportamento giusto?!>
< Just, quello che voglio dirti è che è inutile pensarci ancora. Sono passati due giorni e probabilmente lui si sarà pure dimenticato di te.>
La risposta di Valéry fece solo peggiorare la situazione. 
< Innanzitutto nessuno può dimenticare il mio bel faccino. E secondo punto, lui è un grandissimo maleducato.> quando Just sfoggiava il suo essere "checca offesa" era inutile ribattere, ed appunto, dopo quella frase Valéry rispose con un solo sospiro e prese i libri dallo zaino.

Erano seduti e stavano per seguire la lezione di storia, che avevano in comune, nonostante lei facesse l'artistico e lui lo scientifico sperimentale.
I ragazzi seguirono la lezione senza troppi problemi.
Valéry giocherellò con la manica della propria maglia nera a collo alto, accompagnata da dei lunghi pantaloni larghi viola a scacchi e delle zeppe alte 10 cm.
Era decisamente distratta, strano per lei, amante della storia non avrebbe perso nemmeno un minuto della lezione.
Eppure quel momento aveva la testa che viaggiava oltre le mura della scuola, verso quella serata.

Aveva parlato ancora con quel ragazzo dai capelli mezzi verdi fluo, lui le aveva anche proposto di ballare, ma lei aveva rifiutato. Non  sapeva ballare e non avrebbe di certo fatto pessime figure.
Il ragazzino sembrò non rattristarsi, anzi, rimase lì a chiacchierare con lei, e così passarono tutta la serata, anche dopo l'intoppo del suo fratello maggiore e aver calmato l'ira esagerata di Just.
- Chissà che scuola frequenta...-
Prese la penna che aveva vicino al foglio degli appunti e si mise a disegnare il suo volto, un piccolo scarabocchio tutto tratteggiato e sfumato.
- Visto il tipo di abbigliamento che portava potrebbe fare anche lui l'artistico, ma l'abito non fa il monaco. Quindi potrebbe frequentare anche un classico o uno scientifico.
Insomma in questa zona ci sono davvero tanti licei...
Dannata me! Perché non gli hai chiesto che scuola frequentasse? Insomma, per pura curiosità, no?
Non per forza per chissà che cosa
-
Sospirò per forse la decima volta, e Just la rimproverò richiamando anche la sua attenzione con un dito ficcato nel fianco.
Lei sussultò e si riprese dai propri pensieri, quel punto le faceva incredibilmente solletico e per miracolo non urlò dalla sorpresa.
Guardò malissimo Just e con un gesto muto gli chiese cosa diamine volesse, lui sussurrò nascondendo la bocca con la mano per non farsi vedere dal prof.

< Dobbiamo scoprire qualcosa di più, riguardo i due fratelli.>
< Hai ragion- Aspetta, ma perché? Teoricamente non ti dovrebbe interessare nulla del rosso, no? Non avevi detto che era una rogna e così via?>>
Just alzò gli occhi verso il cielo e fece un muto “mhhh”.
< Non capiresti!>

< Voi due! Mi sembrate molto presi nella vostra conversazione, allora perché non ci raccontate questo gossip?> li interruppe il professore richiamandoli.
< Eh prof! Stavo parlando del fatto che lei ha davvero una terribile maglia a quadrati, insomma che razza di abbinamento è giallo fluo con verde militare?>
Rispose Just facendo ridere l'intera classe, ed infuriare maggiormente il professore.
< E poi, sa, è davvero fortunato, la mia best qui al mio fianco la stava difendendo. Quindi, ahimè, ha dei gusti terribili come i suoi.> aggiunse il biondo infine.
Lei sapeva bene che Just aveva un grande conto in sospeso con quel professore, lui detestava gli omofobi.
Ebbene il professore di storia lo era, e al terzo anno fece una sceneggiata davanti a tutta la classe, denigrando ed offendendo il tipo di abbigliamento che Just portava.
Dopo averlo chiamato “checca di merda” fu guerra aperta tra Just e quel prof.
In tutto ciò difendeva anche lei, non la metteva mai in mezzo e fingeva che andasse sempre a difendere il prof per non farla mettere nei casini.
Ma non era così: lei odiava quel professore e voleva difendere il suo migliore amico, ma non aveva il coraggio di farlo. Su questo lato ammirava molto il biondo che aveva le palle di affrontare tutto e di dire la propria, senza timore.

Come previsto, il professore lo mandò in presidenza, e Just ci andò senza problemi.
Fece l’occhialino a Valéry e sparì dalla classe.
Lei si sentì davvero molto in colpa, per l'ennesima volta non l'aveva difeso.

Aspettò con ansia la fine della lezione per correre da Just e chiedergli com’era andata, come stava.
Sperava con tutta sé stessa che lui non avrebbe rischiato un espulsione per colpa sua.
Avrebbe rischiato di perdere l’anno, e non voleva.

Quando la campanella suonò, scattò letteralmente fuori dall’aula ed iniziò a cercarlo nei lunghi corridoi della scuola. Corse senza mai fermarsi. Anche quando andava a scontrarsi con alcuni studenti nemmeno si fermava per chiedere scusa.
Doveva cercare Just e sapere, punto.
-Sono una stupida! Diamine, se verrà sospeso, perderà l’anno! E per colpa mia non potrà andare al college!-

Improvvisamente spuntò da una delle aule un ragazzo e lei, non riuscendo a frenare in tempo, andò a sbatterci per poi caderci appresso.
Il ragazzo imprecò lamentandosi della botta sul sedere ricevuta durante la caduta, e guardò storto Valéry.
< Ma sei impazzita?! Ti sembra normale correre così per i corridoi?!>
Valéry lo guardo e stava per chiedergli scusa, un po’ scossa dallo scontro e dalla caduta che le aveva provocato dei leggeri graffi sulle ginocchia. Le facevano un po’ male, ma non aveva la testa per sentirli.

Una terza voce li interruppe, quella di un ragazzo.
< Ehi Rob, potevi anche schivarla. La colpa è anche tua.>
Valéry aveva lo sguardo abbassato, vide solo delle scarpe nere con dei pantaloni da tuta grigi. Le gambe del ragazzo si inginocchiarono verso di lei.
Lui le porse una mano.
< Tutto bene?>>
Lei finalmente alzò il viso e rimase sorpresa: era Duncan, il ragazzo della discoteca!
Non poteva crederci, lui frequentava la sua stessa scuola?
Lui notò che la ragazza era rimasta imbambolata a fissarlo, e si guardò come per capire dove fosse il problema.
< Per caso ho una macchia di ketchup sulla maglia?>>
< Eh? No no! Scusami, è che non pensavo fossi anche tu qui…>
Lei si riprese dall’incanto, per fortuna, doveva evitare di fare figure di merda, già quella giornata stava per diventare un inferno.
< Oh, meno male!> il ragazzo fece una piccola risata, imbarazzato, per poi prenderle la mano ed alzarsi.
< Ti aiuto ad alzarti, spero tu stia bene. E si, faccio lo scientifico sperimentale, sono al terzo anno>
Valéry si alzò e si aggiustò i vestiti, passandoci la mano e gli sorrise.
< Io faccio l’artistico, sto ormai al quinto anno.>
< Cosa?! Sei più grande di me?!> Duncan sembrò essere molto sorpreso della cosa, e lei giurò su se stessa di aver visto le sue guance arrossire un po’.
< Eh, si…> lei non sapeva bene come rispondere, non capiva nemmeno perché della sua reazione.

Ad interromperli ci fu Just che stava camminando verso di loro, con un passo veloce ed un espressione rabbuiata.
-Pessime notizie.-
 < Il preside mi ha dato un ultimatum. O recupero tutte le materie entro fine mese, o ci sarà la mia bocciatura assicurata a fine anno.>
Valéry lo guardò sgranando gli occhi di colpo, ed un tuffo al cuore la fece barcollare un po’.
Prima la caduta, poi la sorpresa del ragazzo, poi quella notizia. Era troppo per lei ed il suo fisico debole.
< Cos’è successo?> domandò Duncan ignaro di tutto.
< OH, ci sei anche te.> disse fintamente sorpreso Just, per poi aggiungere < Ho risposto male al mio professore di storia e quindi mi ha sbattuto in presidenza. Il preside mi ha, appunto, dato questa ultima possibilità, ed ora mi ritrovo in un casino assurdo. Lo stronzo sa che da solo non riuscirò a recuperare tutte le materie in un mese.>
< Come mai hai molte materie sotto?>
< Professori omofobia o materie con cui ho qualche difficoltà. Sono dislessico e materie come letteratura e lingue straniere mi mettono in seria difficoltà.>

Valéry, che per evitare di cadere si era appoggiata al muro lì vicino, esplose in un forte pianto.
Il forte senso di colpa che provava nei confronti del suo migliore amico, i pensieri continui e negativi che la sua mente le lasciava sfruttando le sue debolezze ed insicurezze, la fecero crollare.
Già era destinata ad avere un crollo di nervi, ma non pensava sarebbe accaduto davanti a tutti loro.
Just si allarmò e si avvicinò alla sua migliore amica, per poi abbracciarla ed accarezzarle la testa.
Cullandola un po’ per calmarla.
< Ehi…non è colpa tua. Lo sai che il prof mi avrebbe comunque sbattuto fuori indipendentemente da cosa fosse accaduto. La colpa non è tua, potevo benissimo starmene in silenzio e non istigarlo. Quindi è stata una mia scelta ritrovarmi in presidenza.>

< Uffa, che palle le fregnette… Duncan vogliamo andare?> disse Rob scocciato di quella situazione.
Just continuò ad avere Valéry stretta tra le braccia e squadrò malissimo Rob, attirando la sua attenzione.
era davvero molto arrabbiato.
Duncan che si ritrovò di mezzo a quella guerra che stava per scatenare, si mise in mezzo calmando i due animi.
< Rob, ti raggiungo più tardi. Voglio un attimo finire qui, ok?>
< Cosa? Non dirmi che ora stai dalla loro parte!>

< Stronzo. Ma hai qualche problema con noi per caso?> si espose Just spostando Duncan, e gentilmente appoggiò Valéry ancora scossa verso Duncan.
Valéry che al momento era molto confusa ed ancora stava cercando di smettere di piangere, maledicendosi nel mentre per quella assurda reazione che aveva avuto, si sentì un braccio stringerla attorno alle spalle.
Un profumo dolce che ricordava la lavanda l’avvolse, donandole un senso di sicurezza e pace.
Duncan la stava abbracciando, ma al momento non voleva reagire e scansarsi. Aveva bisogno di sentire un po’ di calore.
< D..di a Just di non litigare… No..non voglio che venga richiamato…> disse con un filo di voce la ragazza.
Duncan la sentì e la strinse più forte, doveva farsi venire un idea e mandare via Rob da lì.

< Si. Ho un problema con le checche di merda come te che contaminano la nostra scuola.>
Sputò a terra Rob in segno di sfida usando un tono dispregiativo.
< Ah, contaminiamo la scuola…noi? E voi che vi divertite tanto a sfottere gli altri, solo perché vi annoiate… è vero, anche io se avessi una vita misera come la vostra morirei di noia. Siete spregevoli.>
< Cosa hai detto?!> Rob si avvicinò di colpo verso Just, mettendo il suo viso a pochi centimetri dal suo, per intimorirlo.
Just fece un sorrisetto, sapendo bene che l’arma migliore contro di loro non era una lotta, ma bensì un bacio.

E così scattò in avanti dandogli un bacio, per l’esattezza se lo limonò anche.
Rob per lo stupore aveva aperto la bocca ed era rimasto paralizzato.

Duncan e Valéry rimasero sorpresi, tutti i ragazzi che erano attorno a loro mutarono e si girarono verso di loro.
Chi sorpreso, chi disgustato e chi invece tifava per Just in silenzio.

È vero, la lotta migliore contro il bullismo è sorprenderli, farli rimanere stupiti di colpo, farli rimanere senza parole e dimostrarsi, così, migliori.
Senza dover usare la violenza. Certo aveva distrutto la privacy di Rob con quel bacio, e lo aveva anche sconvolto.
Ma peggio di così non poteva andare.

< Vedi, la bocca di un ragazzo è la stessa di una ragazza. Rompimi di nuovo le palle e sarà la volta buona che ti sbatto nel magazzino. Gli uomini sanno godere anche da dietro.>
Just lo spiazzò del tutto con quella frase, e si voltò fiero di quello che aveva fatto, prese Valéry per le spalle e si rivolse a Duncan.
< Vuoi venire a parlare con noi in un luogo più calmo?>
Duncan, che era ancora rimasto sorpreso dall’accaduto, annuì e guardò Rob per un momento.
< Ti avevo avvisato amico.>
Lo lasciò solo lì in mezzo al corridoio pieno di ragazzi che avevano iniziato a parlare e ridere tra di loro, aveva il viso in fiamme ed era sconvolto.

I tre ragazzi trovarono un po’ di tranquillità nel cortile dietro la scuola, Valéry finalmente poté sedersi per terra e fare un lungo respiro, l’aria fresca le diede un po’ di calma.
Duncan si mise appoggiato al muretto mentre Just si sedette vicino alla sua amica.
< Amico, non so come si comporterà Rob d’ora in poi con te, ma sono sicuro che ti starà lontano. Credo tu l’abbia appena sconvolto.>
< Era quello il mio intento: levarmelo dai piedi.> Just fece una piccola risata per sdrammatizzare la situazione e finalmente si rivolse a Valéry.
< Tesoro, stai un po’ meglio?>
< Si… scusami per quel crollo… era da un po’ che non mi accadeva più e…>
< Non hai bisogno di giustificarti, l’importante è che ora stai meglio.>

Duncan li guardò mentre cercava di elaborare un piano, aiutare Just così che avrebbe avuto modo di avvicinarsi ancora di più a Valéry. Insomma, due piccioni con una fava.
< Ho un’idea!> finalmente gli venne un’idea geniale, ed anche un modo per vedere più spesso Valéry.
< E sarebbe?> domandò Justin, sorpreso ed incredulo del fatto che Duncan avesse avuto un’idea, insomma, non lo vedeva di buon occhio.
Si, era molto geloso della sua migliore amica.
< Puoi farti fare le ripetizioni da mio fratello, è uno studente universitario del quinto anno in lettere e storia. Può aiutarti con le materie storiche e di letteratura, per quelle di lingue, anche. Se la cava benissimo.>
< Mi sembra un’idea buona…> disse Valéry non pensando ad un piccolo dettaglio.

< COSA?!> sbottò Just facendo rimanere i presenti confusi e sorpresi.
< Cioè?> domandò Valéry.
< Come cioè? Hai capito che stiamo parlando di far fare le ripetizioni da suo fratello? Nat. Quello rosso. Hai presente, si?>
Duncan e Valéry si guardarono per un momento, e poi guardarono il biondo.
< E che problema c’è?> ancora una volta Duncan era ignaro di tutto.
Qualcuno doveva aggiornarlo, perché davvero, non poteva continuare così.
Valéry si rivolse nuovamente verso Duncan e gli spiegò a grandi linee la vicenda.
< Hanno avuto dei piccolo scontri lui e tuo fratello.>

< Oh, ma tranquillo Just, lui è una persona molto shalla. Se deve aiutare qualcuno, lo fa senza problemi ed è molto serio e professionale quando si tratta dello studio> rispose tranquillamente.
Just cercò supporto nel viso della ragazza, voleva che lei fosse dalla sua parte che trovasse quell’idea pessima. E non geniale.
Ma lei sembrò essere del tutto contraria, gli fece un sorriso ed annuì.
< Allora non dovrebbe esserci nessun problema, no?>
< Oh mio dio, questa storia non finirà per niente bene.> si lamentò il biondo facendo un sospiro drammatico.
< Ah, ovviamente sono a pagamento, ma vi giuro che ne verrà la pena. In un mese avrai tutte le materie con la media dell’otto se non addirittura del nove.
Parola mia.> Duncan mise una mano sul cuore.

< Dai Just…vuoi lasciarmi sola al college… in mezzo a tutti quei ragazzi…indifesa.> Valéry usò la tattica della sorellina indifesa che chiedeva protezione al suo fratellone, usando una vocina dolce e quasi infantile.
< Mhhh…e va bene!> crollò infine Just, ed accettò la loro idea malsana.
Tanto, come aveva detto prima, non aveva nulla da perdere ormai.
< Domani che ne dite di venire a casa mia e concordarci con il fratellone per le ripetizioni? So che magari è presto, e ci siamo conosciuti giusto l’altro ieri..>
< Hai ragione.> interruppe Justin, dandogli corda.
< No, in realtà sei stato anche molto gentile e poi non abbiamo molto tempo. Già domani saranno 29 giorni di tempo, e Just sei davvero molto incasinato.> rimproverò il suo migliore amico.
Lui la guardò e le fece una smorfia.
Duncan allora mise da parte quei dubbi e fece un sorrisone.
< Ok! Allora alle 16:00 a casa mia? Poi vi lascio il mio numero così vi scrivo l’indirizzo.
Siete invitati anche per un pezzo di torta ed un caffè!>

Valéry arrossì un po’ ed accettò, avrebbe fatto di tutto per aiutare il suo migliore amico.
Just invece annuì mordendosi il labbro inferiore e distogliendo così lo sguardo.
 
 
 
 
 
 

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