We've all got both light and dark inside us

di Kimly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ~ 10 Settembre 1998 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ~ Giugno 1998 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ~ Giugno 1998 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ~ 11 Luglio 1998 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ~ 25 Luglio 1998 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ~ 16-17 agosto 1998 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ~ 10 settembre 1998 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7  ~ 5 Ottobre 1998 ***



Capitolo 1
*** Prologo ~ 10 Settembre 1998 ***


The world isn't split into good people and Death Eaters
We've all got both light and dark inside us”.
 
Sirius Black
 
 
 
Prologo ~ 10 Settembre 1998
                                                                       
 
 
Da che si ricordasse, Daphne Greengrass aveva sempre avuto le mani fredde. 
D’estate, d’inverno, di giorno e di notte, la ragazza non rammentava un solo momento in cui le sue mani fossero state calde.
Stringendo un bicchiere di Whisky Incendiario, alla festa di compleanno di sua sorella Astoria, Daphne rifletteva su quell’inutile pensiero, quando vide entrare altri ospiti dalla porta principale.
Theodore Nott avanzò al centro della sala, accanto a quella che sembrava essere Tracey Davis, una ragazza che aveva frequentato Hogwarts con Daphne diversi anni prima.
Bastò uno brevissimo scambio di sguardi fra lei e Theodore per far capire alla ragazza di quanto si fosse sbagliata.
C’era stato un momento, flebile e lontano nel tempo, in cui la ragazza non aveva avuto le mani fredde. Era stato il periodo in cui erano state riscaldate da altre mani, grandi e bollenti.
Mani che, a volte, nei suoi sogni ancora la stringevano, senza lasciarla andare.
Mani che, adesso, erano intrecciate a quelle di Tracey Davis, mentre lei e Theodore ballavano un lento.
Daphne si allontanò dalla sala, dalla vista di quello che una volta era stato il suo ragazzo e si rifugiò nella sua stanza.
Astoria, comprendendo bene i sentimenti della sorella, la raggiunse dopo poco e senza dirle una parola le si sedette accanto, per terra, avvicinando le dita a quelle di lei.
E Daphne si accorse che ci sarebbero sempre state mani in grado di riscaldare le sue.





 




Note: 

Questa storia mi frullava in testa da un bel po' di tempo.
Non ho mai davvero scritto una long sui Serpeverde, quindi era arrivato il momento di farlo.
La protagonista principale sarà Daphne Greengrass, un personaggio che mi ha sempre incuriosito e di cui ho scritto solo una storia.
Gli altri Serpeverde, però, saranno quasi sempre presenti, con i loro dubbi e le loro paure per il futuro.
In teoria, la storia verrà aggiornata ogni giovedì, ma, data la brevità del prologo, domani pubblicherò il primo capitolo.
A presto!


 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ~ Giugno 1998 ***


Capitolo 1 ~ Giugno 1998
 

 
Daphne era seduta al lungo tavolo della sala da pranzo. Era accanto alla sorella Astoria, che le stringeva la mano senza farsi vedere dalla madre. Non avrebbe approvato quella debolezza.
Lucinda Greengrass, nata Lucinda Talkalot, aveva avuto la fortuna di sposarsi con un membro delle Sacre Ventotto, le famiglie che potevano vantare il sangue più puro nella comunità magica. Quell’opportunità non era stata sprecata. La signora Greengrass aveva cresciuto le sue due figlie seguendo le tradizioni della famiglia del marito e, nonostante Daphne e Astoria avessero un’educazione perfetta, la maggiore era cresciuta nella consapevolezza che sua madre non sarebbe mai stata accettata veramente. Non sarebbe mai stata all’altezza di un Greengrass.
Il cognome della madre, però, in quel momento si rivelava l’unica speranza che avevano per evitare Azkaban.
Un mese prima, infatti, Harry Potter era riuscito a sconfiggere definitivamente Lord Voldemort; ogni capofamiglia Purosangue che avesse mostrato qualche inclinazione alla magia oscura avrebbe dovuto affrontare un processo. 
Erebus Greengrass, padre di Daphne e Astoria, era partito quella mattina presto alla volta del Ministero della Magia per sostenere il suo processo e non era ancora tornato.
Daphne non aveva mostrato la benché minima emozione, forte degli insegnamenti di sua madre, che fin da piccola l’aveva educata a proteggersi dal mondo, indossando una maschera di freddezza.
Per Astoria era sempre stato più difficile; e Lucinda l’aveva sempre considerata un suo fallimento. La stessa Lucinda che, in quel momento, tamburellava le unghie perfettamente curate sul tavolo lucido.
Daphne osservò il volto della madre, così simile a quello della sorella. I folti capelli neri erano legati in un rigido chignon, mentre gli occhi scuri vagavano per l’elegante salone.
Sentì Astoria stringerle ancora di più la mano e Daphne si voltò per farle un sorriso. Tanto la sorella era piccola e scura, tanto lei era slanciata e bionda.
Così diverse, eppure così legate fra loro.
«Padron Greengrass, siete tornato!»
La voce di Fanon, l’elfo domestico, fece scattare in piedi Lucinda, che uscì dalla sala senza emettere una parola.
Astoria guardò la sorella, facendole una muta domanda con gli occhi.
«Direi che possiamo alzarci anche senza il suo permesso. Oggi è un’eccezione».
Astoria annuì, non celando il disagio nel sapere il responso del processo. Tutto l’affetto che la madre aveva negato ad Astoria, gliel’aveva dato il padre.
La sorella non poteva perdere una figura così importante per lei.
«Coraggio» disse Daphne, alzandosi e facendole cenno di andare per prima. «Se ne accorgerà, se uscirai per seconda».
Astoria aprì la porta, seguita subito dopo da Daphne, e si diressero verso l’ampio salotto di villa Greengrass.
Erebus e Lucinda le stavano aspettando. L’uomo non si era ancora tolto il mantello, il bastone da passeggio ancora ben stretto nella mano sinistra.
«Com’è andata?» domandò Astoria, anticipando la madre.
«Sono stato sospeso dal lavoro. Non potrò lasciare Londra, se non attraverso permessi speciali, e verranno effettuati regolari controlli alla mia persona e a questa casa» spiegò Erebus, grattandosi il pizzetto biondo. «Ma sono stato assolto. Temporaneamente».
Lucinda e Astoria sospirarono di sollievo, ma Daphne non si rilassò affatto.
«Cosa vuol dire temporaneamente
Il padre guardò la figlia maggiore. Era come guardarsi allo specchio: gli stessi occhi azzurri, gli stessi capelli biondi e lo stesso pragmatismo.
«Se nei processi degli altri indagati dovessero uscire prove a mio sfavore, potrebbero cambiare il responso».
«E nella peggiore delle ipotesi?» domandò Daphne, non mostrando alcun cedimento. Era abilissima ad indossare la sua maschera di freddezza. In quegli anni era diventata anche più brava della madre.
Erebus passò lo sguardo da Daphne alla moglie e alla figlia minore. Gli occhi scuri di Astoria erano carichi di apprensione.
«Potrebbero valutare Azkaban».
«No», si lasciò sfuggire Astoria e Lucinda fu velocissima nel riprenderla con lo sguardo.
«Per il momento sei stato assolto ed è questo l’importante» disse la moglie, come a voler chiudere la questione.
L’arrivo di Fanon interruppe la domanda di Daphne.
«Il Guaritore Page è arrivato, padrona».
«Fallo accomodare nella stanza di Astoria» disse Lucinda con il suo solito tono perentorio. «E poi prepara il tè per me e il signor Greengrass. Verrà servito nella biblioteca».
«Sarà fatto, padrona».
Rimasti soli, Astoria si avvicinò al padre per abbracciarlo.
«Sono contenta che sia andato tutto bene, papà».
Daphne ammirò quello slancio d’affetto: in realtà Daphne ammirava molte cose della sorella, ma la qualità che apprezzava di più di Astoria era l’assoluto disinteresse nei confronti dei rimproveri della madre. Si era sforzata per anni per essere la figlia perfetta, ma per la madre sarebbe stata sempre una delusione. Tanto valeva essere se stessa.
«Grazie, Astoria». Il padre le accarezzò i capelli scuri, sotto lo sguardo severo di Lucinda. «Ora vai, il guaritore ti aspetta».
Astoria annuì e lanciò uno sguardo alla sorella, nella speranza che la seguisse. Odiava doversi sottoporre ai trattamenti per contrastare la maledizione del sangue che l’aveva colpita fin dalla nascita.
«Non sei più una bambina» obiettò la madre, capendo le sue intenzioni. «Non far aspettare il Guaritore Page e sali».
«Oggi è solo un controllo» le fece forza Daphne, accennando un sorriso che la madre finse di non vedere.
La figlia minore annuì e lasciò il salone senza far rumore. 
«Papà» disse Daphne, avvicinandosi al genitore. «Sai qualcosa delle altre famiglie?»
«Hanno tutti subìto più o meno la mia sorte» le rispose lui, comprendendo bene le sue paure. «I Parkinson, la signora Zabini e i Travers».
Daphne annuì con calma, ma notò con la coda dell’occhio lo sguardo della madre. Sperava di vedere qualche emozione nella figlia, ma Daphne era fin troppo brava per cascare così facilmente.
«Quando sono andato via stavano iniziando il processo ai Carrow e avrebbero proseguito con i Bulstrode».
«I Bulstrode!?» ripeté Lucinda con fare altezzoso. «Il Signore Oscuro non si sarebbe abbassato a tanto».
Daphne si scambiò uno sguardo con il padre, che preferì lasciar correre. Lucinda non era mai stata una gran sostenitrice del Signore Oscuro o delle sue idee, ma era stata felicissima di aprirgli le porte di casa. Era stato il periodo in cui finalmente si era sentita accettata dalle famiglie Purosangue.
Suo padre non era mai stato un Mangiamorte, ma anche lui aveva acconsentito a far diventare casa sua un posto sicuro per Lord Voldemort e i suoi seguaci. Daphne rammentava bene il via vai di maghi oscuri durante l’ultimo anno.
«Ma Alecto e Amycus Carrow sono stati incarcerati» disse Daphne, incrociando le braccia al petto.
«Sì, ma c’è un terzo fratello Carrow» spiegò il padre. «È sospettato di complicità».
«E i Malfoy?» domandò Lucinda.
Erebus picchiettò il pavimento con il bastone da passeggio prima di rispondere.
«Loro dovranno affrontare un processo più lungo, così come i Tiger, i Goyle e Tobias Nott».
Il padre lanciò un’occhiata a Daphne, che ricambiò senza mutare espressione.
«Credete che i Malfoy se la caveranno?» chiese infine lei.
«Non lo so, Villa Malfoy era la sede generale dei Mangiamorte» rispose subito Lucinda. «Per loro sarà difficile uscirne questa volta».
«Draco aveva il Marchio Nero» continuò Daphne, guardando prima la madre e poi il padre. «Processeranno anche lui?»
«Temo di sì» disse il padre. «Ma vedrai che andrà bene. Ora raggiungi tua sorella e stalle vicino».
«Va bene» disse Daphne, lasciando i genitori da soli.
Lucinda seguì con lo sguardo la figlia salire le scale e poi si voltò verso il marito.
«Non devi viziarle troppo» disse, togliendogli il mantello e piegandolo con cura. «Astoria ne approfitta sempre troppo».
«Sai che non è vero. Astoria è solo molto affettuosa. Qualcosa che tu non hai mai accettato».
«Daphne…»
«Daphne è diversa» la interruppe Erebus. «E dovresti aver capito che più cerchi di metterle a confronto, più loro si alleeranno contro di te».
Lucinda percorse con lo sguardo il volto del marito e lesse qualcosa nei suoi occhi.
«Cosa non ci hai detto?»
Erebus le prese una mano fra le sue: la carnagione olivastra della moglie contrastava con quella pallida di lui.
«Hanno deciso che processare solo i capifamiglia non basta».
«Quindi dovrò presentarmi anch’io» disse Lucinda, senza scomporsi.
«Non solo tu». La voce di Erebus, di solito alta e potente, si fece più bassa.
«Cosa intendi dire?»
«Dopo aver scoperto il coinvolgimento di Draco Malfoy, vogliono essere sicuri che non siano stati reclutati anche altri studenti ad Hogwarts».
«Il figlio di Narcissa è solo un ragazzo. Non penseranno che avesse davvero una scelta».
«Per la legge è maggiorenne» spiegò Erebus. «E hanno intenzione di processare chiunque facesse parte della sua cerchia di amici».
«Daphne». La voce di Lucinda sembrò spezzarsi.
«E Astoria».
«Ma Astoria non è mai stata amica di Draco» disse la moglie, senza capire. «A malapena si sono parlati in questi anni».
«È la sorella di Daphne ed è una Greengrass. Per l’accusa, questo è sufficiente».
«D’accordo» concesse Lucinda. «Le nostre figlie si presenteranno al Ministero e saranno giudicate. Cosa succederebbe se perdessero il processo?»
«Beh, Daphne è maggiorenne, quindi finirebbe ad Azkaban».
Lucinda sbiancò e si appoggiò una mano all’altezza cuore.
«E Astoria?»
«Astoria verrebbe affidata a qualche parente estraneo ai fatti» recitò Erebus, e Lucinda comprese che aveva fatto delle ricerche. «Ma se nessuno di loro volesse prendersi questa responsabilità, andrebbe in un istituto».
«Un orfanotrofio?»
«Sì».
Lucinda scosse la testa, gli occhi sbarrati dalla paura.
«Astoria non ce la farebbe lontano da noi».
«È più forte di quello che credi» disse Erebus.
«No, non lo è!» Lucinda alzò gli occhi al cielo. «Per Salazar, Erebus, nostra figlia è malata. Nella migliore delle ipotesi arriverà a compiere vent'anni».
«Lucy, abbassa la voce, potrebbe sentirti».
«Le sa già queste cose! Ha bisogno di stare con noi, con la sua famiglia. E anche Daphne».
Erebus le si avvicinò e strinse a sé la moglie. Lucinda piangeva raramente, ma il marito sapeva che era lì lì per cedere. 
«Se Astoria ti vedesse ora, il vostro rapporto cambierebbe notevolmente».
Lucinda non rispose alla provocazione, ma si lasciò stringere dal marito. Poi, a bassa voce, gli disse: «Parleremo domani alle ragazze».
«Come vuoi tu, tesoro».

 




Note:

Lucinda Talkalot non è un personaggio di mia invenzione. È stata una studentessa di Serpeverde negli anni '70 ed è stata anche Capitano della squadra di Quidditch nel 1976.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ~ Giugno 1998 ***


Capitolo 2 ~ Giugno 1998



La mattina dopo, Lucinda ed Erebus Greengrass si scambiarono un’occhiata eloquente a colazione e il padre si schiarì la gola per prendere parola.
«Dobbiamo parlarvi» disse e le figlie, ubbidienti, posarono immediatamente le posate sul tavolo, in attesa.
«Ieri sera vostro padre non è stato del tutto onesto con voi» disse Lucinda, guardando prima Daphne e poi Astoria. «Dal Ministero sono arrivate nuove direttive».
Astoria cercò lo sguardo della sorella, ma non lo trovò.
«Anche vostra madre dovrà essere processata» continuò Erebus, mentre Fanon serviva le uova a tutta la famiglia. «E anche voi».
«Di cosa siamo accusate esattamente?» chiese Daphne, facendo poi una risata di scherno. «Credono davvero che due ragazzine fossero il braccio destro e quello sinistro del Signore Oscuro?»
«Tecnicamente, Daphne, tu per la società non sei più una ragazzina» spiegò la madre, stupendosi un poco di vederla reagire così. La figlia maggiore era sempre così posata e imperturbabile. «Hai smesso di esserlo quando hai compiuto diciassette anni».
«D’accordo, bene, allora io mi presenterò al Ministero se devo, ma Astoria è minorenne» insistette Daphne, con sicurezza. «Non avrebbe potuto recare alcun danno neanche volendolo. L’avrebbero scoperto, perché indossa ancora la Traccia».
«Vedi» sospirò il padre, cercando di calmare la figlia. «Ad Hogwarts la Traccia non conta».
Daphne aggrottò la fronte e poi si voltò verso la madre, che era rimasta in silenzio.
«Mi state dicendo che credono che Astoria abbia fatto cosa, esattamente? Aiutato i Carrow a torturare gli studenti della scuola?»
«Non hanno usato proprio quelle parole, ma il concetto è quello» replicò Erebus, facendo cenno a Fanon di lasciarli soli.
«E lo credono perché Astoria è una Greengrass o perché è Serpeverde?»
«Non lo so».
«È veramente ingiusto» pigolò Astoria. «Io non ho mai fatto nulla di male».
«Questo lo sappiamo» disse la madre, piegando le labbra in segno di disappunto. «Ma il nome di questa famiglia ha un peso, così come ce l’hanno quelli delle famiglie che frequentate».
«Parli di Draco, mamma?» domandò Astoria, di colpo agitata. «È successo qualcosa?»
«Draco Malfoy ha la tua età, Daphne, ma era comunque un Mangiamorte». 
«Ti sbagli, papà» disse Astoria, infervorandosi «Lui non è mai stato un Mangiamorte».
«Aveva il Marchio Nero» commentò la madre, appoggiando il marito.
«Lo hanno obbligato a farlo! La sua famiglia era stata minacciata».
«Per favore, Astoria, conosciamo i Malfoy da prima che tu nascessi» continuò Lucinda, con un sorriso beffardo «Non facciamoli passare per le vittime della situazione. Sapevano bene quale fosse la posta in gioco».
«Magari credevano in alcuni ideali e poi hanno cambiato opinione».
«E quando avrebbero cambiato opinione? Quando hanno capito che avrebbero perso?»
«Mi pare che questa famiglia abbia fatto lo stesso!» sbottò Astoria, incapace di trattenersi.
Lucinda piegò la testa da un lato per osservare attentamente la figlia più piccola. Tutti dicevano che le assomigliava tantissimo, ma Astoria stava via via diventando sempre più lontano da tutto ciò che Lucinda rappresentava.
«Sei una ragazzina. Certe cose non puoi capirle» le disse con un tono duro che mortificò la figlia. «Hai mangiato abbastanza. Ora puoi tornare nella tua stanza».
Astoria si morse le labbra, desiderosa di continuare, ma un’occhiata del padre la fece desistere. Si congedò con educazione e se ne andò.
«Erebus, continua pure».
«Draco Malfoy verrà processato come ogni altro Mangiamorte» disse l’uomo, rivolto più che altro a Daphne. «In quanto maggiorenne, non godrà di nessuno sconto».
«E Astoria ed io cosa c’entriamo? Non abbiamo il Marchio Nero».
«Voi, o, per meglio dire, tu sei un’amica stretta del giovane Malfoy» spiegò brevemente il padre. «Chiunque può testimoniare che è così. Al Ministero pensano che il coinvolgimento del giovane Malfoy negli affari del Signore Oscuro…»
«Sia sinonimo del coinvolgimento dei suoi amici?» concluse Daphne, stupita. «Un ragionamento davvero intelligente. Non dovrebbero assumere personale competente al Ministero?»
«Cercano di scovare più maghi oscuri possibili» disse il padre, provando a farla ragionare. «È stato così anche dopo la Prima Guerra Magica».
«Devono infondere sicurezza e il nuovo Ministro deve far vedere che sta facendo il suo lavoro, senza tralasciare alcun dettaglio» concluse la madre.
Daphne si sistemò meglio il cerchietto sulla testa e tornò a parlare in modo neutro, come se quell’argomento non la riguardasse più.
«Chi altro dei miei amici verrà processato?»
Il padre tirò fuori una lettera dalla tasca dei pantaloni.
«Mi è arrivato l’elenco stamattina, ma non l’ho ancora aperto». Guardò la moglie e rispose alla muta domanda «Ho ancora degli informatori al Ministero».
«Leggilo» disse Daphne e il padre aprì la lettera
«Bulstrode Millicent, Carrow Flora, Carrow Hestia, Davis Tracey, Greengrass Astoria, Greengrass Daphne, Goyle Gregory, Nott Theodore, Parkinson Pansy e Zabini Blaise».
«Le gemelle Carrow hanno l’età di Astoria» disse Daphne, incredula. «Stanno processando dei minori solo perché sono parenti di Mangiamorte o sedicenti tali. È assurdo».
«Sì, hanno usato la scusa di Draco Malfoy per chiedere udienza a praticamente tutti i figli di famiglie importanti» disse il padre, ripiegando il foglio e posandolo accanto al suo piatto. «Non credo che fossero tutti suoi amici».
«Gli unici che gli stavano sempre dietro erano Tiger e Goyle» disse Daphne, abbassando lo sguardo. «Alcuni di noi erano suoi amici, sì, ma non stavamo sempre insieme. Anzi, negli ultimi due anni Draco è stato sempre più distante».
«Vincent Tiger è morto, Gregory Goyle sarà processato e lui e suo padre rischiano Azkaban» elencò Erebus, scuotendo la testa. «Quel ragazzo non se la starà passando affatto bene».
«La sua famiglia se l’è cercata, Erebus» commentò Lucinda, alzandosi da tavola, lo stomaco improvvisamente chiuso. «Pensiamo ai nostri problemi, invece. Dobbiamo riflettere su una strategia e fare in modo che le ragazze vengano prosciolte da ogni accusa».
«Non ce n’è bisogno, non abbiamo fatto nulla di male».
«Faranno domande su domande» proseguì la madre, senza prestare attenzione a Daphne. «Scaveranno a fondo, cercando di estrapolare qualsiasi informazione per affossare questa famiglia e farci arrestare. Useranno la Legilimanzia?».
«Le ragazze sono delle eccellenti Occlumanti, non avranno problemi».
«Ma Astoria…»
«Non credo che si accaniranno su di lei» la interruppe Erebus. «Con la sua cartella clinica, poi. Potrebbero essere denunciati e il Ministro non rischierebbe cattiva pubblicità all’inizio del mandato».
«Potrei alzarmi da tavola?» domandò all’improvviso Daphne. Non avrebbe dovuto chiederlo: secondo le regole della casa, erano i genitori a dover decidere quando congedarla.
In altre circostanze, la madre l’avrebbe rimproverata per dieci minuti, ma in quel momento le lanciò l’occhiata che di solito riservava ad Astoria e la scacciò con un gesto della mano, senza dire nulla.
Daphne ringraziò e si allontanò dalla sala da pranzo, diretta verso la sua stanza. Salì le eleganti scale bianche per due piani, poi fissò la prima porta a sinistra – la stanza di Astoria – prima di decidere di non andare a disturbarla.
Entrò nella sua stanza, la porta a destra, e quando fu al riparo da occhi indiscreti si lasciò scivolare sulla superficie di legno.
Da quando era stata vinta la guerra, la sua vita era diventata un vero inferno. Chissà come si sentivano i vincitori: felici, spensierati, con davanti un roseo futuro.
Loro, invece, gli sconfitti, avrebbero dovuto raccogliere i pezzi nel vano tentativo di ricostruirsi una vita quantomeno decente.
Eppure, Daphne aveva sempre avuto grandi sogni. Aveva desiderato lavorare al Ministero della Magia da quando suo padre l’aveva fatta entrare nell’edificio per la prima volta, a sei anni.
Poi si era informata e, dopo anni di ricerche, aveva preso in considerazione l’idea di entrare nell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Aveva tutti i G.U.F.O e i M.A.G.O necessari per potersi iscrivere, ma avrebbero controllato la sua fedina penale, che, dopo la scoperta di quella mattina, non sarebbe stata esattamente immacolata: un processo da affrontare e la sua famiglia agli arresti domiciliari. Senza contare che, come Greengrass, avrebbe dovuto ripulire il suo nome di una fama che non le apparteneva.
Richiuse per il momento il suo sogno in un cassetto e si alzò da terra. La sua stanza era molto grande, con un letto matrimoniale a baldacchino al centro e un armadio a specchio che occupava un’intera parete. Il bianco e il lilla erano i colori predominanti, ma i colori dei Serpeverde spuntavano qua e là: nello stendardo appeso allo specchio del mobile da trucco, nei cerchietti perfettamente ordinati di diverse tonalità di verde e nelle foto dei suoi amici, appese nella bacheca vicino al letto.
Si avvicinò per dare un’occhiata alle immagini in movimento, alcune erano molto vecchie, ma certe particolarità non erano cambiate nel tempo: Pansy era ancora la più piccolina, con i suoi capelli perfettamente dritti e lucidi; Blaise era ancora quello più maturo, con i suoi occhi profondi che sembravano analizzare ogni cosa e lei, Daphne, era ancora quella figura algida e quasi eterea, ma con un sorriso che solo i suoi amici riuscivano a tirarle fuori.
Daphne staccò una delle foto più recenti. Erano al quinto anno, l’ultimo anno in cui Draco era stato veramente se stesso. Prima del Marchio Nero, prima di allontanarsi sempre di più da loro.
Il ragazzo era al centro, come sempre, con i suoi capelli chiarissimi che contrastavano il caschetto nero di Pansy e la carnagione scura di Blaise che erano alla sua destra.
Alla sua sinistra c’erano Tiger e Goyle, che ridevano fra di loro.
Daphne non era mai stata veramente amica di quei due ragazzi, ma vederli così felici, in un breve momento di quotidianità, le fece male. I Tiger e Goyle di quella foto non sapevano ancora che tutto sarebbe cambiato di lì a due anni.
Daphne si concentrò sul volto di Tiger, pieno di vita, ma poi spostò velocemente lo sguardo, preferendo non pensarci.
Nella foto, lei era quella più distanziata dagli altri, seduta a terra, che si spostava un ciuffo di capelli che il vento le aveva spostato sugli occhi. 
Ed eccolo lì, Theodore Nott.
Era seduto accanto a lei, concentrato a strappare fili d’erba, mentre le diceva qualcosa che l’aveva fatta sorridere.
Il vento soffiava sui suoi capelli biondi e Daphne vide la piccola cicatrice che tagliava il labbro del ragazzo quasi risplendere in quell’immagine.
Meno di due settimane dopo da quando quella foto era stata scattata, quella stessa cicatrice le aveva aperto gli occhi sui suoi sentimenti per Theodore.
Erano sempre stati così simili, loro due. Meno coinvolti nella cerchia di Draco, più solitari e tranquilli. 
Daphne era diventata amica di Draco grazie a Pansy, che aveva preso una cotta per lui fin dal loro terzo anno. 
Theodore, nonostante condividesse il dormitorio con il giovane Malfoy, non si era mai fatto trascinare troppo da lui e dalle sue bravate.
Daphne l’aveva sempre ammirato per il suo carattere: era stato un vero Serpeverde, ma così lontano dalla Magia Oscura o dalla possibilità di farsi plagiare dai genitori.
Lei e Theodore erano stati insieme per pochi mesi e si erano lasciati all’inizio del sesto anno, quando le loro idee avevano iniziato ad essere troppo discordanti fra di loro. E il cambiamento di Draco aveva peggiorato la situazione, fra i pianti isterici di Pansy che non riusciva a capirlo, e le battutine di Blaise che fomentavano gli equilibri già abbastanza delicati.
«Daphne, posso entrare?»
La voce di sua sorella la fece tornare alla realtà. Rimise a posto la foto e si avvicinò alla porta della stanza per aprirla.
«Entra pure» disse Daphne. Chiuse poi la porta e la insonorizzò, come era abituata a fare da quando aveva tredici anni e Astoria undici.
Sua sorella le aveva confidato un sacco di segreti fra quelle quattro mura e Daphne aveva fatto in modo che sua madre non ne venisse a conoscenza.
«Vuoi dirmi qualcosa?»
«Papà mi ha dato l’elenco dei ragazzi che verranno processati» disse Astoria, facendole vedere la lettera che il padre aveva letto a colazione. «Ci siamo proprio tutti».
«Già». Daphne la guardò. «A parte Draco».
«Perché lui è considerato un vero Mangiamorte. Il suo processo sarà diverso dal nostro».
«Credo che dovremmo vederci con gli altri e discutere della cosa».
«Ma mamma e papà…»
«Hanno già i loro problemi e noi siamo praticamente adulte».
«Tu sei un’adulta» specificò Astoria, sedendosi sul baule di fronte al letto della sorella. «Io sono considerata ancora una ragazzina».
«Tra un paio di mesi avrai sedici anni, la stessa età che aveva la mamma quando si è fidanzata ufficialmente con papà» continuò Daphne.
«Vuoi richiamare proprio tutti?»
Astoria conosceva fin troppo bene la sorella e Daphne sapeva che quel “tutti” nascondeva un significato ben più profondo.
«Direi Draco, Pansy, Blaise e magari Goyle. Il mio gruppo di amici, insomma. Che rapporti avevi con le gemelle Carrow?»
«Condividevamo il dormitorio, quindi ogni tanto parlavamo, ma nulla di più» chiarì Astoria, che era sempre stata una ragazza timida e con pochi amici. «Non chiamiamo Tracey Davis e Millicent Bulstrode?»
«Non siamo mai state amiche» disse Daphne, senza trasporto. «Sai che Tracey non sopportava Pansy e per riflesso mal tollerava me. Non credo che accetterebbe un mio invito».
Astoria annuì e poi prese un bel respiro, sapendo di star per lanciare la bomba.
«E Theo?»
Daphne posò i suoi occhi azzurri sulla sorella.
«Non verrebbe mai».
«Non puoi saperlo» insistette Astoria. «Forse se glielo chiedessi io…»
«Preferirei non vederlo, Tori».
Astoria si arrese. Il cambiamento di voce della sorella era un segnale d’allarme e lei non voleva litigare con Daphne.
«Come vuoi».
«Bene» disse Daphne, facendole un sorriso. «Iniziamo a scrivere quelle lettere, ti va?»
 
 
 
~
 
 
 
Daphne e Astoria arrivarono a Casa Zabini nel tardo pomeriggio e vennero fatte accomodare nel salotto.
Blaise stava servendo un’Acquaviola a Pansy, che era seduta sul divano di velluto rosso.
Pansy indossava un top a collo alto che le lasciava le braccia scoperte e un paio di pantaloni lucidi che le slanciava le gambe magre.
«Ciao, ragazzi» disse Daphne ed entrambi gli amici si voltarono a guardarla.
Blaise era elegantissimo come sempre, con un completo bordeaux che faceva risaltare la sua carnagione.
«Daphne Greengrass» disse Blaise con la voce bassa e roca. Alla ragazza era sempre piaciuto il suo modo di parlare. «E la piccola Astoria. Fate come se foste a casa vostra».
Pansy si alzò con un sorriso e si avvicinò alle due sorelle.
«Che bello rivederti, Daph! È stato un periodo orrendo».
«Mi sembri piuttosto in forma» obiettò Daphne, mentre Blaise passava anche a lei un’Acquaviola.
Le ragazze si sedettero sul divano, mentre Blaise preparava una bevanda anche per Astoria.
«Tieni, piccolina, un succo di zucca» disse lui, mentre Astoria metteva su il broncio. «Sei minorenne».
«Ma non ci sono testimoni qui, a parte voi» disse Astoria, stanca di essere trattata come una bambina.
«Va bene il succo di zucca» disse Daphne, pratica. «Abbiamo altro di cui parlare».
Astoria sbuffò contrita, ma non si lamentò più.
«Non aspettiamo Draco e Goyle?» domandò Pansy, guardando Blaise che si era seduto di fronte a loro e stava scuotendo la testa «Non verranno?»
«Non lo sapete? I Goyle sono scappati».
«Scappati?» 
«Già» disse Blaise, sorseggiando il suo Whisky Incendiario. «Appena hanno sentito puzza di guai, se la sono data a gambe».
«Ma perché?» domandò Pansy, incredula.
«Perché sanno che non potrebbero mai dimostrare la loro innocenza» rispose Daphne. «Anche Gregory non ce la farebbe. Ci sono un sacco di testimoni che l’hanno visto torturare i ragazzini del primo anno ad Hogwarts».
«Erano i Carrow ad imporlo».
«Ma potevano scegliere di non farlo, Pansy, come abbiamo fatto noi».
«Noi avevamo i nostri cognomi a proteggerci» continuò Pansy, decisa a difendere i suoi amici ad ogni costo. «Tiger e Goyle dovevano sempre dimostrare il loro valore».
«C’è da dire che non erano neanche così intelligenti. Era facile influenzarli» disse Astoria, appoggiando Pansy.
«Ognuno dovrebbe prendersi le responsabilità delle proprie azioni». La voce di Daphne era affilata come un coltello. «Tiger e Goyle compresi».
«Direi che Tiger ha già ampiamente pagato il suo debito» commentò Blaise con un sorrisetto. Ecco una cosa che Daphne non apprezzava affatto di lui: il suo umorismo era spesso fuori luogo.
«E Draco?» domandò allora la ragazza. «Non mi dire che anche i Malfoy sono scappati».
«No, loro resistono. Il signor Malfoy non abbandonerebbe mai le sue ricchezze per vivere come un fuggitivo».
«È già stato ad Azkaban» disse Pansy, che aveva finito il suo drink e si alzava per prepararne un altro. «Magari per lui quel posto non è poi così male».
«Comunque Draco non ha neanche risposto alla mia lettera» disse Blaise, infastidito. «Adesso che il principino ha perso il trono, preferisce continuare a rimanere solo».
Daphne poteva comprendere l’astio di Blaise, Draco era così cambiato durante il sesto anno da farsi terra bruciata attorno. Aveva sfogato su di loro tutti i suoi malumori, portando i suoi amici ad ignorarlo sempre di più. Blaise non l’aveva ancora perdonato.
«Non è un momento facile per lui» lo difese Astoria e Blaise la guardò con uno sguardo pietoso. «Dovremmo cercare di capirlo».
«Sei una sua fan, non ragioni in maniera lucida» disse Blaise. Lo sguardo di Daphne si posò sul ragazzo che le sorrise. «Non era un insulto».
«Tu lo senti ancora?» domandò Daphne a Pansy che fece di no con la testa.
«Dopo il sesto anno, abbiamo smesso di frequentarci».
«È strano, ero convinto che saresti diventata la signora Malfoy un giorno» disse Blaise, facendole un ghigno divertito che Pansy non colse.
«Le nostre famiglie non hanno mai firmato alcun accordo. Anzi, a proposito di questo, i miei stanno cercando un partito adatto per farmi uscire da questa situazione».
«Credono che un matrimonio combinato possa salvarti dalla condanna?» domandò Astoria, provando a capire.
«Esatto, ma non ti scandalizzare più di tanto. Presto i vostri genitori faranno lo stesso».
Astoria guardò Daphne che scosse la testa.
«Sai che è così, Daph» disse Pansy, scrollando le spalle.
«Farò in modo che a te non succeda niente» chiarì Daphne alla sorella. «Sposerai chi vorrai e quando vorrai».
«Tu ti diverti, eh, Blaise?». Pansy si alzò per andare a sedersi sul bracciolo della poltrona dell’amico. «Sei l’unico che può dirsi al sicuro».
«La fortuna di non avere una famiglia che appartiene alle Sacre Ventotto. È buffo che il motivo per cui venivo deriso ai tempi sia lo stesso che mi ha salvato adesso».
Blaise era soddisfatto di come il karma avesse agito a suo favore. Aveva accettato di incontrarle e pensare ad una strategia, ma era l’unico che poteva essere certo che ne sarebbe uscito pulito.
«Mia madre è stata assolta da ogni accusa, per cui non vi vorrebbe in questa casa» disse Blaise, accarezzando la schiena di Pansy. «Quindi non mi giudicate se esprimo la mia felicità nell’essermela cavata, questa volta. Sono dalla vostra parte».
«Allora potrei sposare te, Blaise» ironizzò Pansy. «Così sarei a posto».
«Mi piacerebbe, ma non ho intenzione di sposarmi. Come amante forse…»
Pansy gli pizzicò il braccio, ma poi prese ad accarezzargli i capelli corti.
«E Theodore?» domandò lei, parlando ancora a Blaise, anche se il suo sguardo era rivolto verso le sorelle Greengrass. «Hai fatto un favore a Daphne o non ha voluto vederti?»
«Non l’ho invitato, sinceramente». Blaise sorrise a Daphne, che finse di non apprezzare la cosa. «Ho rispettato le direttive del capo».
«È casa tua, Blaise, potevi invitarlo se volevi».
«Davvero? Forse non sarebbe venuto comunque, per non creare problemi» sorrise Blaise ed era chiaro che sapesse qualcosa di cui le ragazze non erano a conoscenza.
«È incredibile che vogliano interrogare anche la Davis e la Bulstrode. Non sono mai state al nostro livello» disse Pansy, continuando ad accarezzare Blaise. «Solo perché la sua famiglia fa parte delle Sacre Ventotto, non vuol dire che la Bulstrode sia all’altezza dei Serpeverde. Stava sempre dietro alla Davis come un cagnolino! Di lei mi ricordo solo di quando rubò il primo bacio a Tiger».
«Bell’immagine da ricordare» disse Blaise, disgustato.
Daphne si sciolse in una risata e Astoria le andò dietro. Era incredibile che i suoi amici riuscissero a darle il buonumore anche in una situazione come quella.
Si voltò verso sua sorella Astoria e vide anche lei più rilassata di prima.
Blaise guardò le tre ragazze e sorrise.
«Forza, ora, passiamo ad un piano d’attacco».



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ~ 11 Luglio 1998 ***


Capitolo 3 ~ 11 Luglio 1998 
 

 
La mattina dell’udienza, la famiglia Greengrass entrò al Ministero della Magia molto presto.
Camminavano frettolosamente, senza curarsi delle occhiatine che li seguivano avide di curiosità. Ignorarono i bisbigli concitati ed entrarono nel primo ascensore vuoto.
Lucinda teneva per mano Astoria, mentre Erebus e Daphne stavano l’uno accanto all’altra. Tutti e quattro mantenevano dignitosamente lo sguardo e il mento alti. Non dovevano dimostrarsi deboli, ma sicuri di sé, come se non avessero nulla da temere.
Daphne, però, lesse la preoccupazione negli occhi della sorella e le fece un sorriso non appena Astoria alzò lo sguardo su di lei.
Uscirono dall’ascensore frettolosamente, ad attenderli un’impiegata del Ministero che li squadrò da capo a piedi.
La luce fioca che illuminava i corridoi di legno scuro le dava un aspetto quasi inquietante, nonostante la donna fosse di bassa statura.
«La famiglia Greengrass, immagino» disse con una voce flebile, annotando qualcosa sulla sua cartelletta degli appunti.
«Sai chi sono, Mafalda» disse Erebus, alzando le sopracciglia bionde. «L’anno scorso abbiamo anche cenato con la tua famiglia».
«Signora Greengrass, lei può entrare nella prima aula» disse Mafalda Hopkirk, senza staccare gli occhi nocciola dalla cartelletta. «Così possiamo incominciare subito».
«Molto bene». Lucinda allontanò la mano di Astoria. «Ci vediamo più tardi, nell’atrio».
«Per quanto riguarda voi due, signorine… Astoria, in quanto minorenne, potrai essere accompagnata da tuo padre. Attendi il tuo turno nella seconda aula» disse Mafalda, indicando verso il corridoio alla loro sinistra. «Daphne, tu dovrai andare da sola. Da quella parte».
Daphne abbracciò la sorella e lanciò uno sguardo al padre che annuì. Poi si incamminò verso destra, lungo il corridoio, senza alcun pensiero in testa. Lei e i suoi amici si erano preparati per settimane. Avevano studiato tutto alla perfezione e non c’era possibilità che fallissero. O, almeno, lei lo sperava intensamente.
Blaise e Pansy erano già seduti, in attesa del loro turno. Sembravano rilassati, quasi annoiati, e Daphne non poté non essere orgogliosa di loro.
Credevano di processare dei ragazzi impauriti, ma avevano dimenticato in che famiglie fossero stati cresciuti.
«Dov’è Astoria?» domandò Pansy, quando la vide sola.
«I minorenni vengono processati in un’altra aula» rispose Daphne, sedendosi accanto all’amica. «Chi c’è dentro?»
«Millicent» disse qualcuno e Daphne non ebbe bisogno di alzare gli occhi per capire chi le avesse risposto.
Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
Theodore Nott era appoggiato vicino alla porta, quasi totalmente all’ombra. Si fece avanti e le fece un sorriso a mo’ di saluto.
Daphne ci mise pochi secondi per notare quanto fosse cambiato in quei mesi: i capelli erano un po’ più lunghi e la sua espressione tranquilla non nascondeva a sufficienza le occhiaie sotto i suoi occhi. Fingeva che niente fosse accaduto, ma era chiaro che non se la fosse passata affatto bene.
Suo padre, Tobias Nott, era stato condannato per i crimini commessi in quanto sostenitore del Signore Oscuro e dichiarato Mangiamorte.
Theodore, che era orfano di madre, si era ritrovato solo, a dover affrontare una situazione che non aveva creato lui.
«Io sono la prossima» disse Tracey Davis, seduta di fronte a loro. «Poi dovrebbe essere il tuo turno, Greengrass».
Daphne notò più fastidio del solito nel modo in cui Tracey le rivolgeva la parola. 
Guardò la ragazza, che aveva acconciato i capelli rossi in un’elegante treccia, e vide negli occhi scuri qualcosa che prima non c’era.
«E dopo Daphne, toccherebbe a Goyle» disse Theodore, iniziare a camminare avanti e indietro. «Che si è praticamente condannato con le sue stesse mani».
«Poi tocca a te, Theo» continuò Pansy, sbuffando. «E poi finalmente a me. Blaise per ultimo».
«Che novità» commentò Blaise, sistemandosi con cura la cravatta del completo. «Mi chiedo perché abbiano dato a tutti lo stesso orario, se poi mi tocca aspettare ore prima di essere interrogato».
«Non è stata una scelta casuale» spiegò Daphne. «L’attesa aumenta lo stress, lo stress non ti fa concentrare e…»
«Potresti lasciarti sfuggire cose che non dovresti dire». 
Daphne guardò Theodore che l’aveva interrotta ed annuì. 
Nessuno disse più nulla, Theodore cominciò a fare su e giù per il corridoio, mentre Daphne ascoltava annoiata le chiacchiere di Pansy e Blaise, che si divertivano a prendersi in giro.
Tracey Davis era visibilmente agitata, anche se non l’avrebbe mai ammesso. Tamburellava il piede a terra, scandendo quasi il tempo che scorreva senza alcuna novità.
Millicent Bulstrode uscì dopo quelle che sembrarono ore. Era scossa, tremava da capo a piedi, e non volle rispondere a nessuna delle loro domande. Se ne andò a passo svelto, senza salutare nessuno, ma tutti udirono distintamente un singhiozzo quando Millicent credeva di essere troppo lontano per essere sentita.
«Qualcosa mi dice che non è andata molto bene» ironizzò Blaise, ghignando in direzione di Pansy che scosse la testa: era rassegnata dallo spirito del ragazzo. «Meno una. Devo solo aspettare altre tre persone».
«Potresti smetterla di trovare divertente una situazione come questa?» borbottò Tracey, infastidita. Pansy le lanciò un’occhiataccia. «Non mi guardare così, tu, non è che con te che stavo parlando».
Pansy si alzò velocemente in piedi, tirando fuori la bacchetta.
«Sai, adesso mi ha decisamente stancato».
Tracey la fronteggiò senza paura.
«Devi solo provarci».
Daphne raggiunse Pansy e la tirò via per un braccio. Per quanto volesse quasi vederle duellare, non era decisamente il momento migliore per farlo.
Theodore si mise in mezzo fra Tracey e Pansy, provando ad allontanarle.
«Tracey, vedi di non agitarti troppo. Sei la prossima e se dovessero capire che hai duellato poco prima di entrare in aula, non credo che faresti una buona impressione» le disse con pacatezza Theodore, spingendola lontana da Pansy, che Daphne fece sedere dalla parte opposta.
Blaise aveva assistito alla scena con divertimento. Per lui era quasi sempre tutto un gioco.
«Tracey Davis».
Una voce squillante la chiamò da dentro l’aula. 
Tracey, ancora bloccata dalle braccia di Theodore, guardò il ragazzo che la lasciò andare e le augurò buona fortuna.
Daphne, Blaise e Pansy non le dissero nulla, ma la guardarono fino a che non varcò la porta dell’aula.
«Non si prendono neanche la briga di venirci a chiamare di persona» commentò Blaise, grattandosi un occhio.
«Sarebbe potuta andare peggio» disse Theodore, decidendo finalmente di sedersi, occupando il posto lasciato libero da Tracey. «Avrebbero potuto farci entrare incatenati».
«Non avrebbero potuto farlo». Daphne lo vide incrociare le braccia al petto con fare rilassato. Poi la fissò con uno sguardo affettuoso che la indispettì. «Non siamo prigionieri».
«A te come sta andando?» domandò all’improvviso Blaise. Sembrava che avesse posto la domanda più per noia che per preoccupazione, ma i suoi amici lo conoscevano bene e sapevano che il suo interesse era sincero.
Theodore non smise di tenere lo sguardo fisso su Daphne quando rispose.
«Così. Mi godo la casa vuota».
«Puoi anche non fingere, eh, siamo solo noi» lo rimproverò Pansy, guardando poi Daphne che, però, preferì non aggiungere altro.
«È dura. Ho dovuto praticamente prendere il posto di mio padre» spiegò Theodore, serio. «Tutti i parenti mi chiedono di prendere in mano le redini di una famiglia di cui conosco davvero poco».
«Se hai bisogno di una mano, noi ci siamo» disse Blaise e Pansy annuì.
«Grazie, ragazzi» disse Theodore. «E comunque credo che riusciremo a cavarcela tutti. Anche Astoria».
Daphne non trattenne un sorriso nel sentire il nome della sorella. Theodore aveva sempre avuto un bel rapporto con Astoria.
«Lo credo anch’io».
Tornò il silenzio, ma non durò a lungo. Il processo di Tracey durò molto poco rispetto a quello di Millicent Bulstrode. Uscì dall’aula con calma e, quando chiuse la porta, sospirò.
Theodore si alzò per andarle incontro, visibilmente preoccupato.
«Com’è andata?» le chiese e lei sorrise.
«Assolta» disse e Blaise e Pansy si scambiarono uno sguardo incredulo.
Daphne si sentì un po’ meglio, ma a breve sarebbe stato il suo turno e non poteva negare di essere agitata.
«Ora vado» disse Tracey, rivolta esclusivamente a Theodore. «I miei mi aspettano».
«Ci vediamo».
«Sì». Tracey guardò Blaise, Pansy e infine si concentrò su Daphne con un sorrisetto ironico. «Buona fortuna, Greengrass».
«Meno due» contò Blaise, una volta che Tracey li ebbe lasciati soli. «Daphne, non avrai problemi. Se ci è riuscita la Davis».
«Non avevano prove per condannarla» disse Daphne, non riuscendo più a stare seduta. «Tracey non ha mai fatto nulla di male e i suoi genitori si sono sempre tenuti lontani dalla magia oscura».
«Vero» la sostenne Theodore, rimanendo in piedi accanto a lei. «L’unica cosa che avevano contro di lei era il suo cognome. E non facendo parte delle Sacre Ventotto, non potevano trattenerla ancora».
«Far parte delle Sacre Ventotto non è poi così grandioso» disse Blaise, facendo una mezza risata.
«Te l’abbiamo sempre detto, ma tu non hai mai voluto ascoltarci» se ne uscì Pansy, infastidita. «Ti avrei dato il mio cognome, se avessi potuto».
«Mi stai di nuovo proponendo di sposarti?» ironizzò Blaise e Daphne sorrise di fronte a quella scenetta. 
Blaise e Pansy erano troppo amici per essere altro, ma agli occhi degli sconosciuti potevano sembrare davvero una coppia sposata per via dei loro continui battibecchi.
«Daphne Greengrass».
Theodore fece per avvicinarsi, ma Daphne lo fermò con una mano. Si voltò verso Blaise e Pansy che le fecero un sorriso d’incoraggiamento.
Daphne aprì la porta, lasciandosi la paura alle spalle, ed entrò nell’aula circolare.
C’era un’unica sedia al centro della stanza. Si sedette senza farsi domande e davanti a sé vide una fila di maghi e streghe. Al centro, un mago dai capelli rossi, che alzò lo sguardo non appena lei si sedette.
«Udienza dell’11 luglio. Daphne Greengrass, lei è accusata di aver sostenuto le idee di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e di non aver denunciato, ma addirittura appoggiato, il regime di Alecto e Amycus Carrow durante il suo settimo anno ad Hogwarts» lesse l’uomo, poi la guardò di nuovo. «Come si dichiara?»
«Innocente» rispose senza il minimo dubbio Daphne.
Il mago, che si rivelò essere Percy Weasley, elencò gli Inquisitori che l’avrebbero giudicata e Daphne fissò uno ad uno senza abbassare lo sguardo. Non doveva mostrare alcuna paura.
«Signorina Greengrass, oggi sua madre e sua sorella verranno giudicate».
«Lo so».
«E suo padre è stato già processato, è così?»
«È corretto».
Percy Weasley smise di leggere i fogli che aveva davanti a sé e si sistemò meglio gli occhiali di corno.
«Signorina, è vero che la sua famiglia ha appoggiato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato nel periodo della sua ascesa?»
«No, non è vero».
«Vuole forse negare i rapporti che sono intercorsi per intere generazioni fra la sua famiglia e quelle di dichiarati Mangiamorte?»
«No, non lo nego» rispose con sicurezza Daphne. «La tradizione vuole che tutte le famiglie Purosangue mantengano rapporti stretti e…»
«Come lei ben sa, signorina Greengrass, la mia famiglia è Purosangue» la fermò Percy Weasley, come se fosse già stanco di ascoltarla. «Non ricordo una sola occasione in cui la sua famiglia e la mia si siano incontrate per creare un legame d’amicizia».
«Certo che no. Intendevo le famiglie Purosangue Serpeverde».
«Mangiamorte, quindi».
«Sono parole sue, non mie» continuò Daphne, provando a non arrabbiarsi. «Il pregiudizio che si ha sulla Casa Serpeverde è sbagliato e ne è la prova il fatto che uno dei vostri Eroi di guerra sia stato un Serpeverde e direttore dei Serpeverde per anni».
«Severus Piton ha dimostrato per anni lealtà ad Albus Silente».
«Curioso. Fino a qualche mese era considerato il suo assassino».
Percy le lanciò un’occhiata malevola. Gli Inquisitori presero a bisbigliare fra di loro.
«Cambi tono, signorina, o dovremmo ammonirla per il suo comportamento».
Daphne deglutì e non rispose.
«Parliamo di Draco Malfoy. Era sua amica ai tempi di Hogwarts?»
«Sì», rispose Daphne, provando a trattenersi. Percy Weasley era stato presente durante i suoi primi anni a scuola e non avrebbe potuto mentire.
«E la sua famiglia e quella dei Malfoy erano molto legate?»
«C’erano dei rapporti di amicizia, sì».
«E questi rapporti esistono ancora?»
«Negli ultimi anni sono un po’ cambiati, ma le nostre famiglie rimangono molto legate».
«La sua famiglia nega qualsiasi coinvolgimento con Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, ma frequenta i Mangiamorte?» chiese Percy con scetticismo.
«Non sapevamo fossero Mangiamorte».
«Lo sapete ora».
Daphne incrociò le gambe e si appoggiò allo schienale della sedia.
«È da molto che non vediamo i Malfoy, ma non so dirle se il nostro rapporto cambierebbe in caso li vedessimo in futuro. E se volessi nascondere qualcosa, sarebbe stupido dire queste parole».
Percy non replicò, ma prese ad annotare qualcosa sui suoi appunti. Gli Inquisitori la guardavano senza dire nulla. Qualcuno stava provando a leggerle la mente, ma Daphne era brava in Occlumanzia e respinse l’attacco con facilità.
«Ritornando a Draco Malfoy. Sapeva che era un Mangiamorte?»
«No, non lo sapevo».
«Ha dichiarato poco fa che eravate amici».
«Lo eravamo» assentì Daphne. «Ma ha iniziato ad allontanarsi da me e dagli altri durante il nostro sesto anno ad Hogwarts».
«E lei o i suoi amici non avete provato a capirne il motivo?»
«Sì, ci abbiamo provato, ma lui ha continuato a respingerci».
«E quindi avete preferito… lasciar perdere?» domandò Percy, provando a capire.
«Con il senno di poi, non abbiamo fatto la scelta più saggia, ma credevamo che volesse stare solo per via della carcerazione del padre ad Azkaban» spiegò Daphne, guardando tutti gli Inquisitori. «Non potevamo sapere che avesse problemi più grandi».
«Come organizzare l’omicidio ad Albus Silente?»
«È stato ricattato».
«Non siamo qui per discutere della condotta di Draco Malfoy» disse Percy, togliendosi gli occhiali di corno e posandoli di fronte a sé.
«Voi-Sapete-Chi aveva minacciato di fare del male alla sua famiglia e non era ancora maggiorenne quando gli è stato imposto il Marchio Nero. Voi cos’avreste fatto?»
Nessuno replicò e Percy passò lo sguardo prima alla sua destra e poi alla sua sinistra, guardando le reazioni degli Inquisitori.
«Signorina Greengrass, si attenga alle domande senza divagare. Non è compito suo giudicare Draco Malfoy».
«D’accordo» concesse Daphne, sapendo di aver guadagnato almeno un punto.
«Al quinto anno, Draco Malfoy ha fatto parte della Squadra d’Inquisizione creata da Dolores Umbridge, che è stata condannata e rinchiusa ad Azkaban per i suoi crimini» continuò Percy. «Vero o falso?»
«Vero» rispose Daphne con tranquillità.
«E Dolores Umbridge ha implicitamente appoggiato il regime di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato».
«Sembrerebbe di sì» disse Daphne.
«E altri suoi amici facevano parte della Squadra d’Inquisizione» aggiunse Percy, leggendo i suoi appunti. «Pansy Parkinson, Millicent Bulstrode, Vincent Tiger e Gregory Goyle. Insieme ad altri studenti, tutti Serpeverde».
«Corretto».
«È un po’ strano che siate sempre stati tutti insieme, ma l’unico di voi scelto per diventare Mangiamorte sia stato Draco Malfoy».
«Come ha appena letto, non eravamo sempre tutti insieme» replicò Daphne, tagliente. «Il mio nome e quello di mia sorella non figurano nel suo elenco. E non vedo il nesso fra la Squadra d’Inquisizione e l’essere Mangiamorte. Era stata la nuova preside a crearla e i membri non avevano alcun potere, eccetto la possibilità di sottrarre i punti delle Case».
«Dolores Umbridge stava reclutando gli studenti per creare un esercito a favore di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?»
«Ne dubito fortemente. Gli studenti scelti stavano solo seguendo le direttive della nuova preside. Per alcuni avere l’approvazione degli insegnanti è sempre stato importante».
Percy le diede un’occhiata obliqua, ma non raccolse la frecciatina.
«E non è strano che fra questi studenti scelti ci fosse proprio un futuro Mangiamorte?»
«Non lo so, però dovrebbe chiedersi perché quello stesso studente fosse stato scelto mesi prima da Silente in persona come Prefetto».
Gli occhi azzurri di Percy si allargarono leggermente per quelle parole. Si rimise gli occhiali e prese nota.
«E passiamo a quest’anno, signorina Greengrass» disse lui, schiarendosi la voce. «Lei conosceva Alecto e Amycus Carrow prima di Hogwarts?»
«Solo di vista».
«Ed è mai stata testimone delle torture perpetrate dai Carrow ai danni degli studenti?»
«Sì», rispose Daphne, capendo che si stava avvicinando la parte più spinosa del processo.
«E non ha mai denunciato?»
«No».
«Perché?»
«Perché» disse lei, non perdendo sicurezza. «Quando qualcuno ha provato a farlo, ha subìto delle ripercussioni».
«Non voleva rischiare danni alla sua persona?» chiese Percy, facendole un sorriso beffardo. «Nonostante fosse per una giusta causa?»
«Mia sorella era ad Hogwarts. Avrebbero punito lei per colpa mia e non potevo permetterlo».
«I Carrow l’hanno mai minacciata di punire sua sorella?»
«No», disse Daphne. «Ma ho visto con i miei occhi i Carrow usare i legami familiari a loro favore».
«D’accordo. Lei ha mai accettato le regole imposte dai Carrow?» 
«Di che regole parla?»
«Del fatto che premiassero le torture con voti alti».
«Non ho mai usato la magia contro gli studenti di Hogwarts, se è quello che mi sta chiedendo».
«I suoi voti sono eccellenti, signorina Greengrass. Come ha fatto a mantenere una media così alta, senza aver accettato di prendere parte alle torture?»
«Devo ringraziare il mio cognome» rispose Daphne, cercando di non offendersi per l’insinuazione. «Far parte delle Sacre Ventotto ed essere Serpeverde mi ha dato dei privilegi di cui non vado fiera».
«Ho qui la scheda che è stata compilata da Severus Piton durante il vostro colloquio orientativo al quinto anno» disse Percy, prendendo un foglio dalla sua cartelletta. «Lei vorrebbe lavorare al Ministero della Magia, è corretto?»
«Sì, è corretto».
«Un po’ comodo, no, avere la possibilità di fare carriera qui solo perché appartenente ad una famiglia importante».
«Non ho mai detto che i miei voti non fossero meritati» specificò Daphne, guardandolo altezzosamente. «Ho solo detto che non ho dovuto prestarmi a determinate richieste per ottenerli».
«Ha mai visto qualcuno dei suoi amici prestarsi a tali richieste?»
«Non mi pare».
«No? Abbiamo la testimonianza di decine di studenti che hanno visto o addirittura subìto torture da alcuni di loro».
«Chi, per esempio?» domandò Daphne, sistemandosi meglio i capelli. Era una partita scacchi, mosse e contromosse.
«Il signor Vincent Tiger, la signorina Millicent Bulstrode e il signor Gregor Goyle».
«Loro non erano miei amici».
«Ma davvero?»
«Sì, davvero. Può facilmente verificarlo. Millicent ed io avremo parlato sì e no cinque volte in sette anni di scuola».
«E Tiger e Goyle? Non può negare che fossero amici del signor Malfoy» insistette Percy, non volendo cedere.
«Non lo nego. Se lei considera amico una persona che ti segue dappertutto e nient’altro. Erano più che altro le sue guardie del corpo».
«Guardie del corpo?»
«Li ha conosciuti. Non erano abili conversatori e a Draco servivano solo per far scena quando camminava per i corridoi di Hogwarts».
«Quindi Draco Malfoy voleva incutere timore».
«No, voleva incutere rispetto» disse Daphne, rammentando bene l’immagine dei tre che si atteggiavano nel castello.
«Perché?»
«Credo che crescere in una famiglia come quella dei Malfoy non sia facile. Draco desiderava solo farsi bello agli occhi del padre. Voler avere il consenso di un genitore non è un reato».
«Sta forse giustificando le azioni del signor Malfoy?»
«No, affatto. Dico solo che quando è diventato, per così dire, amico di Tiger e Goyle aveva solo undici anni. Dubito che sapesse che cosa sarebbero diventati in futuro».
«Quindi ammette che Tiger e Goyle abbiano manifestato comportamenti da Mangiamorte?».
«Ha già testimonianze contro di loro, non credo che le serva anche il mio parere».
«Risponda alla domanda» disse Percy con un atteggiamento così pomposo da darle ai nervi.
«Non comportamenti da Mangiamorte, solo comportamenti da bulli» disse Daphne. Era così brava a mentire, che non doveva neanche sforzarsi. «Almeno, da quello che ho potuto vedere con i miei occhi».
«E non ha mai provato a fermare questi comportamenti? O almeno a parlarci, visto il rapporto che un suo amico aveva con loro?»
«Non ho la presunzione di credere che le mie parole li avrebbero fermati. Non erano persone con cui era possibile ragionare» disse Daphne, senza scomporsi. «Anche Draco a volte ci ha provato, senza successo. Comunque, non era nostro compito insegnare che il bullismo fosse sbagliato. Eravamo in una scuola e nessuno degli insegnanti ha mai parlato veramente con Tiger e Goyle».
Percy la squadrò attentamente, capendo il gioco della ragazza, ma Daphne non cedette: «E vorrei aggiungere che la signorina Parkinson, il signor Zabini, il signor Nott, mia sorella e persino il signor Malfoy non hanno mai, e ripeto mai, preso parte alle torture ai danni degli altri studenti di Hogwarts e sfido chiunque a dire il contrario».
«Non spetta a lei garantire per gli altri processati».
«Accusarci di qualcosa che non abbiamo fatto solo perché, in passato, abbiamo avuto rapporti di amicizia con persone che hanno preso decisioni sbagliate è totalmente insensato» disse Daphne, dura. «Mi pare di ricordare, signor Weasley, che è stato Cornelius Caramell a mandare il funzionario del Ministero della Magia Dolores Umbridge ad Hogwarts. E, se non sbaglio, lei a quel tempo lavorava come Sottosegretario di Caramell, appoggiando ogni sua decisione. Compresa quella di insinuare il dubbio sulla veridicità del ritorno di Voi-Sapete- Chi. Mi dica, lei è stato mai processato per il suo errore di giudizio?»
Gli Inquisitori iniziarono a vociare all’improvviso, lanciandole occhiatine strane, come se la vedessero veramente per la prima volta.
«Silenzio!»
Le orecchie di Percy divennero di un intenso color scarlatto, gli Inquisitori continuarono a parlottare senza badare alle sue parole.
«Silenzio, silenzio, per favore!»
In aula scese nuovamente la quiete. Percy lanciò un’occhiata di fuoco a Daphne, che rimase impassabile.
«È la seconda ammonizione che lo do, signorina Greengrass, un’altra risposta del genere e lei verrà giudicata per calunnia e infamità».
Daphne inspirò ed espirò, annuendo con calma.
«Passiamo ora ai suoi rapporti con Theodore Nott».
La ragazza assottigliò gli occhi, provando a capire cosa Percy Weasley avesse in mente.
«Theodore Nott è suo amico, dico bene?»
«Sì, è mio amico».
«Solo un amico?»
Daphne fece un mezzo sorriso.
«Non capisco dove voglia arrivare».
«Abbiamo testimonianze circa i suoi rapporti con il signor Nott. Eravate ben più che amici ad Hogwarts».
«Le relazioni fra studenti non sono proibite».
«No, è vero» asserì Percy con vigore. «Ma lei è a conoscenza del fatto che Tobias Nott, il padre di Theodore, sia stato imprigionato ad Azkaban in quanto Mangiamorte?»
«Sì, l’ho letto sui giornali».
«E lei sapeva che Tobias Nott fosse un Mangiamorte?»
«No», mentì Daphne con naturalezza. «Ammetto di averlo scoperto da poco».
«Crede che Theodore Nott lo sapesse e gliel’avesse tenuto nascosto?»
«Non credo proprio».
«Per quale motivo? Il vostro rapporto era così intenso da non avere segreti?» ironizzò Percy e Daphne alzò un sopracciglio.
«No, la nostra è stata solo una storiella di breve durata, ma siamo amici da anni. Non avrebbe potuto mantenere un segreto come quello senza rivelarlo a nessuno».
«Magari l’ha rivelato a qualcun altro. Al signor Malfoy, per esempio».
Daphe scossa la testa con un sorriso.
«Theodore è sempre stato un tipo solitario e, per quanto fosse amico di Draco, si è sempre tenuto alla larga dai guai e non si è mai fatto coinvolgere veramente dal nostro gruppo. Non aveva bisogno di mettersi in mostra per farsi vedere».
«Sembrerebbe l’opposto del padre».
«Lo è» confermò Daphne. Finalmente c’era qualcosa su cui poteva non mentire. «Theodore e il padre non hanno mai avuto un vero rapporto».
«E non si è mai chiesta il perché?»
«Non penso che il signor Nott si sia mai ripreso veramente dalla morte della moglie».
«E quindi ha deciso di diventare un Mangiamorte?» domandò Percy con ironia.
Daphne fece spallucce, assecondandolo.
«Non glielo so dire, ma credevo che Tobias Nott fosse già stato condannato. Stavamo parlando di Theodore e lui non è mai stato un Mangiamorte, né ha mai recato danno a qualcuno durante i suoi anni ad Hogwarts».
«Mh» disse Percy, scorrendo ancora i suoi fogli. «Sapeva che suo padre e il signor Nott avevano buttato giù una bozza per il contratto matrimoniale fra lei e Theodore Nott?»
Daphne sussultò appena quando udì quelle parole. Suo padre non le aveva mai detto nulla al riguardo.
«L’abbiamo trovato a casa dei Nott, durante un’ispezione» chiarì Percy, vedendola dubbiosa.
«Non ne sapevo nulla».
«Credevo che la vostra fosse stata solo una storiella di breve durata» Percy si voltò verso la strega alla sua destra che annuì. «Sono le sue parole».
«E le riconfermo. I contratti matrimoniali vengono stipulati da sempre nelle nostre famiglie, non ci vedo nulla di strano».
«Suo padre prepara un contratto per darla in moglie al figlio di un noto Mangiamorte» disse Percy, guardandola. «E vorrebbe farmi credere che lei o la sua famiglia non ne avevate idea?»
«Non si finisce mai di conoscere una persona, no? Mio padre e il signor Nott andavano a scuola insieme, forse credeva che sarebbe stato bello far sposare sua figlia con il figlio di un suo amico. O semplicemente voleva fare in modo che sposassi un membro di una famiglia importante».
«Per mantenere il sangue puro».
«Sempre parole sue, non mie» disse Daphne serenamente. «Ma come ha detto lei, era solo una bozza. Theodore ed io non siamo fidanzati, né lo siamo mai stati».
Percy piegò le labbra, pensieroso. Daphne si chiese se avesse altri assi nella manica da giocarle o se avesse finalmente alzato bandiera bianca.
«Bene, molto bene» mormorò Percy e si voltò verso gli altri Inquisitori, che presero a parlottare uno sopra l’altro.
Era il momento del verdetto e Daphne incrociò le dita, mentre ripercorreva tutte le domande e le risposte del suo processo.
Era stata sufficientemente convincente? O le aspettavano anni di reclusione ad Azkaban solo perché era una Greengrass?
Le loro chiacchiere parvero infinite. Poi si voltarono in sincronia verso di lei, Percy la guardava senza tradire la decisione presa.
«Quanti sono a favore della condanna della signorina Daphne Greengrass?»
Daphne guardò attentamente tutti e solo due mani, timidamente, si alzarono in alto.
Quella di Percy Weasley, stranamente, non era fra quelle.
«Quanti a favore dell’assoluzione dell’imputata?»
Tutti gli altri alzarono la mano e Percy, riluttante, li seguì.
«Signorina Daphne Greengrass, lei è stata assolta da tutte le accuse» disse l’uomo, mettendo in ordine i suoi fogli. «Verranno fatti degli accertamenti sulla conformità dei suoi M.A.G.O, ma per il resto lei è libera di andare».
«Grazie» disse Daphne, che si sentiva improvvisamente leggera. «Buona giornata».
Uscì velocemente dall’aula e la prima ad andarle incontro fu sua sorella che la guardò, in attesa.
«Assolta» disse con un sorriso, guadando poi il padre che era dietro Astoria. «Faranno solo un controllo sui miei voti, ma nulla di che».
«Sui tuoi voti?» domandò Pansy, confusa.
«Credono che non li abbia meritati, ma che mi siano stati regalati dai Carrow solo perché Serpeverde».
«Mpf, hanno visto i risultati dei tuoi G.U.F.O?» rise Blaise, scioccato da quell’affermazione. «Le studiano tutte pur di venirci contro».
«L’importante è tu sia stata assolta» disse Theodore, facendole un bel sorriso. «Anche la nostra Tori è stata prosciolta da ogni accusa».
Daphne abbracciò stretta la sorella e lei la strinse a sé.
«Ben fatto, Astoria».
«È stata una vera Greengrass. Non ha mostrato la benché minima esitazione» disse il padre con orgoglio.
«Tu ci hai messo una vita, Daph» commentò Pansy. «Ci hai fatto preoccupare».
«Mi dispiace» disse, guardando poi Theodore, che ricambiò lo sguardo. «Non avrai problemi, vedrai».
«Lo spero proprio».
«Theodore Nott».
«Buona fortuna, Theo» disse Astoria, abbracciandolo stretto. Il ragazzo le accarezzò i capelli, continuando a guardare Daphne che provò a fargli un sorriso.
«Ti aspettiamo qui» disse Pansy, parlando anche per Blaise che annuì.
«Vostra madre avrà finito, sarà meglio andare» disse Erebus alle figlie.
«Fatemi sapere com’è andata» disse Daphne, non staccando gli occhi da Theodore che entrava in aula. «Va bene?»
«Certo».
«Se non invecchiamo prima» commentò stancamente Blaise, tornando a sedersi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ~ 25 Luglio 1998 ***


 
Capitolo 4 ~ 25 Luglio 1998
 
 
 
«Tua madre non è in casa, vero, Blaise?» domandò Daphne, mentre tagliava il suo filetto. «Hai detto che non approva la tua amicizia con noi».
«Da quando siamo stati tutti assolti, è molto più tranquilla» ammise Blaise, versandole altro vino. «Non approva comunque, ma non mi stressa più con le sue paranoie».
«Però non è qui» notò Pansy, allungando anche lei il calice di vino verso il ragazzo. «Pranza fuori?»
«Chi lo sa. Sarà a caccia del marito numero sette» disse Blaise, fingendo un sorrisetto. Daphne e Pansy sapevano quanto il ragazzo poco apprezzasse la condotta della madre.
Emma Zabini era nota nella comunità magica non solo per la sua bellezza sconvolgente, ma soprattutto per i suoi numerosi matrimoni. Il fatto che la donna scegliesse sempre uomini facoltosi aveva da sempre suscitato pettegolezzi e insinuazioni maligne, che erano aumentate ancora da più da quando ogni marito era scomparso prematuramente in circostante poco chiare.
Per Blaise, le cattiverie che per anni avevano perseguitato lui e sua madre erano motivo di forte imbarazzo e rancore.
«Non siamo arrivati all’ottavo?» buttò lì Pansy, provando a farlo sorridere.
«Ho perso il conto, a dire il vero». Blaise guardò Daphne. «Novità da Theodore?» 
«Perché lo chiedi a me?»
«Ho notato i vostri sguardi il giorno dell’udienza» disse Blaise, servendosi dell’altro pasticcio di carne. «Credevo che fosse tornato tutto come prima».
«No, non è cambiato nulla».
Blaise continuava a fissarla come se cercasse qualcosa e Daphne si strinse nelle spalle.
«Quindi siete cosa, adesso? Amici?» domandò Pansy, provando a seguire.
«Certo. Siamo stati insieme pochi mesi, non era poi così importante».
«Forse per te» disse Blaise, sfidandola con gli occhi. «Comunque, a saperlo che non avevi più problemi nei suoi confronti, l’avrei invitato oggi».
«Non ho mai avuto problemi, Blaise, temevo solo che ce l’avesse ancora con me per come è finita fra di noi».
«Ma hai appena detto che non era importante».
«Blaise» cantilenò Pansy, infastidita. «È un discorso noioso, parliamo d’altro. Per esempio, i miei mi hanno fatto conoscere un possibile futuro marito».
«Chi è il povero sventurato?» domandò Blaise, volendosi vendicare di essere stato rimproverato.
«Terence Higgs».
«Chi?» 
Daphne rise di fronte alla finta espressione confusa di Blaise, che sapeva benissimo chi fosse Terence.
Pansy gli diede corda e iniziò a spiegare: «È stato Cercatore dei Serpeverde durante il nostro primo anno».
«Quindi si è diplomato quello stesso anno, visto che l’anno dopo Draco è diventato Cercatore».
«Esatto».
«Non è un po’ vecchio per te?» continuò lui e Pansy decise di ignorarlo e di parlare solo con Daphne.
«Lavora come giornalista sportivo, possiede una casa al mare ed è anche simpatico».
Daphne non seppe bene cosa rispondere. Aveva sempre odiato i matrimoni combinati e non avrebbe mai approvato se i suoi genitori avessero deciso di proporglielo.
Pansy era diversa. Aveva le idee chiare sin dal loro primo anno ad Hogwarts, quando le aveva dichiarato che avrebbe sposato un ricco Serpeverde e messo su famiglia presto.
«Ma non vorresti fare altro prima di sposarti?» provò a dirle Daphne, sperando che non decidesse subito.
Pansy la capì al volo e la guardò con uno sguardo combattivo.
«Io non sono come te, Daph. Non sono mai stata così portata per la scuola o gli esami».
«Ma ci sono così tante cose che puoi fare».
«Sai, potresti diventare anche tu giornalista. Ti vedo già: una Rita Skeeter in miniatura» disse Blaise e Pansy parve davvero pensarci su. «Ehi, io stavo scherzando».
«Però a me il gossip è sempre piaciuto» ammise Pansy, quasi pensando ad alta voce. «O potrei dare consigli di moda su delle riviste specializzate».
Blaise non trattenne una risata, ma Pansy oramai era partita in quarta e Daphne non poteva esserne più contenta. Era un’idea un po’ folle, ma era felice che la sua amica avesse anche altri propositi oltre al matrimonio.
La ragazza guardò Blaise e gli fece capire di incoraggiare Pansy.
«Tu sei sempre stata molto brava a scrivere» commentò alla fine lui, sapendo di non poter vincere contro quelle due.
«La signorina Astoria Greengrass vorrebbe entrare, padrone» disse Beau, l’elfo domestico di casa Zabini.
«Falla entrare» disse Blaise, e Beau gli fece un inchino, prima di uscire dalla stanza. «Ultimamente tua sorella è sempre in ritardo».
«L’ho notato anch’io» ammise Daphne, proprio nel momento in cui Astoria faceva il suo ingresso.
Era palesemente nervosa e la sorella si preoccupò.
«Tutto bene?»
«Sì, sto bene».
«Perfetto» disse Pansy, facendole segno di sedersi. «Stavamo per parlare del tuo compleanno. Volevamo fare le cose in grande anche quest’anno. Hai preferenze?»
«Quello che sceglierete voi» disse lei, sedendosi accanto alla sorella.
«Mangia qualcosa, piccolina. Se non ti piace niente, chiedi quello che vuoi a Beau» disse Blaise, ma Astoria scosse la testa.
«Ho già mangiato, grazie».
«Come, hai già mangiato?» domandò Daphne, confusa. «Non eri in casa quando sono uscita».
«Sentite, vi devo parlare e vorrei che foste i più aperti possibile mentalmente».
Pansy, Daphne e Blaise si guardarono l’uno l’altro.
«E vorrei che non ci fosse alcun rancore da parte vostra» continuò, guardando Pansy. «E che vi ricordaste che, anche se non sono vostra amica, sono la sorella di Daphne».
«Ecco un’altra cosa che tu e tua sorella non avete in comune» commentò Blaise, avido di sapere. «Tu non divaghi così».
«Tori, va’ avanti» disse Daphne, ignorando l’amico.
«Vorrei che andaste a trovare Draco. Da quando suo padre è stato incarcerato di nuovo, lui si è chiuso ancora più in se stesso» disse Astoria, torturandosi le mani. «Ha bisogno dei suoi amici, anche se non lo ammetterebbe mai. È arrivato il momento di chiarire ogni cosa».
«Hai visto Draco di recente?» domandò Pansy, piegandosi verso Astoria, seduta di fronte a lei.
«Sono stata a casa sua alcune volte».
«Perché non me l’hai detto?» chiese Daphne, stordita dalla notizia. Astoria non le aveva mai nascosto nulla.
«Perché sapevo come avresti reagito. Mi avresti detto di smetterla di andare a trovarlo».
«E avresti avuto ragione» ribatté la sorella, puntando i suoi occhi azzurri in quelli scuri di Astoria.
«Quindi ho fatto bene a non dire nulla».
Daphne si stupì della reazione di Astoria: non era da lei andarle contro in quel modo.
«Daphne ha ragione. Siamo stati assolti da poco e tornare a frequentare Villa Malfoy è un po’… sconsiderato da parte tua» disse Blaise, ma Astoria fu veloce a rispondere.
«Anche Draco è stato assolto».
«Tori, lo sappiamo che hai una cotta per lui» disse Daphne. La sorella, rossa in viso, si voltò a guardare Pansy.
«Lo sapete tutti
«Certamente» rispose Blaise, tranquillo. «Ed era adorabile all’inizio, ma adesso credo che stia diventando quasi un’ossessione, piccolina».
«Smettila di chiamarmi in quel modo, Blaise» lo fermò Astoria, iniziando ad arrabbiarsi. «Non sono più una bambina».
Blaise alzò le mani con un sorriso, come per dichiararsi sconfitto, e smise di dire la sua. 
«Non credo che sia solo una semplice cotta» disse Pansy, che era stata in silenzio fino a quel momento. «Non è vero, Astoria?»
Daphne passò lo sguardo da Pansy alla sorella, provando a capire cosa l’amica intendesse.
Astoria, che stava guardando Pansy, annuì.
«Oh, Draco ha colto il frutto proibito?» domandò Blaise, ringalluzzito da quelle notizie scottanti. «Molto interessante».
«Blaise, potresti stare zitto!?» sbottò Daphne, proprio mentre Astoria si alzava in piedi e appoggiava le mani sullo schienale della sedia. «Vuoi dirmi cosa sta succedendo?»
«Ho mentito a tutti» disse Astoria con sguardo colpevole. «Anche durante l’udienza, ho detto che conoscevo poco Draco e che era più legato a te».
«E qual è la verità?»
«Ho iniziato ad avvicinarmi a lui durante il mio quarto anno, quando voi avete iniziato a stargli lontano» spiegò lei, tenendo gli occhi bassi, come se si stesse improvvisamente sentendo in colpa. «Era una cosa innocente, volevo solo stargli vicino come amica. Mi dispiaceva per lui, ecco. Mi sembrava solo».
Scese il silenzio e poi Astoria riprese il racconto.
«Poi, però…»
«Però?» la incitò Daphne, volendo sapere tutto.
«Ma non è chiaro, Daph? Lei e Draco si sono innamorati!» disse Pansy, facendo un sorrisino divertito.
«Non sei arrabbiata?» chiosò Astoria e Pansy scoppiò a ridere.
«Ma dai, Draco ed io siamo storia antica». Pansy tirò fuori il rossetto e se si ripassò le labbra con cura. «E non siamo mai stati veramente insieme. Ci siamo solo divertiti, tutto qui».
Blaise accennò un sorriso a Pansy e poi guardò Daphne ancora in silenzio.
«E comunque, no, non ha colto nessun frutto proibito» disse Astoria, rossa in viso.
«Lo farà» commentò Blaise, neanche troppo a bassa voce.
«Quindi… state insieme?» ricapitolò Daphne, piena di domande. «Insieme, insieme?»
«Sì».
«Mi sembri un po’ troppo piccola per avere un ragazzo» ammise Daphne, non nascondendo il suo disappunto.
«Daph, eri più piccola di Astoria quando tu e Theodore facevate coppia fissa» disse Pansy, prendendo le difese della sorella minore.
Si alzò in piedi e abbracciò Astoria, che ricambiò senza indugio.
«Sono felice per te. Felice e anche un po’ invidiosa, piccola».
«Grazie, Pansy» disse lei, senza prendersela per quel nomignolo.
Sentirono borbottare Blaise per la differenza di trattamento, ma nessuna delle ragazze gli disse niente.
«Sai, ogni tanto mi piacerebbe vederti sorridere così, Daph» ammise Pansy, indicando il sorriso meraviglioso della sorella. «Sei sempre fastidiosamente composta».
Daphne non replicò, ancora intenta ad assimilare quell’ultima novità.
Blaise, invece, non riuscì a trattenersi: «Io me lo ricordo un sorriso simile sul volto di Daphne. È stato un po’ di tempo fa. Non c’è bisogno che dica quando, vero?»
Il ragazzo si ritrovò gli sguardi delle sorelle Greengrass addosso e fece un ghigno divertito.
«Dacci un taglio, Blaise» disse Pansy, lanciando un’occhiata di sottecchi a Daphne, che non mostrò il minimo mutamento d’espressione.
«Allora?» domandò Astoria. «Verrete da Draco?»
I tre più grandi ci pensarono su e si guardarono prima di rispondere.
«Per va bene» rispose Pansy dopo un po’. «È ora di mettere da parte i vecchi rancori. E anche delle spiegazioni sarebbero gradite».
«Anche per me non ci sono problemi» disse Daphne, voltandosi poi verso Blaise, che disse solo: «D’accordo».
«Ottimo!» Astoria batté le mani, contenta. «Theo ci aspetta tra un’ora davanti a Villa Malfoy».
«Giusto in tempo per consumare il dessert» disse Blaise e le ragazze non ebbero cuore di negargli quella piccola gioia.
 
 
 
~
 
 
Daphne, Blaise, Pansy e Astoria si Materializzarono davanti a Villa Malfoy. 
Diedero un’occhiata all’immensa magione, che non aveva perso il suo splendore nonostante i mesi precedenti. Il giardino era perfettamente curato e i ragazzi videro qua e là diversi pavoni bianchi, tanto cari al signor Malfoy.
«Siete in ritardo».
Theodore camminò verso di loro a passo lento e Daphne non poté fare a meno di guardarlo. Dal giorno dell’udienza aveva tagliato i capelli, che ora portava perfettamente ordinati. Aveva anche ripreso colorito e la camicia bianca risaltava i suoi occhi castani.
«Scusaci, Theo» disse Astoria, legandosi i capelli scuri in una coda. Il caldo le stava dando alla testa. «Ci abbiamo messo più tempo del previsto».
«Non importa, l’importante è che siate arrivati» replicò lui, salutando tutti con un cenno della mano. Quando arrivò a Daphne, la percorse con gli occhi dall’alto verso il basso, prima di aprirsi in un sorriso. Colta alla sprovvista, la ragazza non seppe come reagire a quello sguardo.
Blaise e Pansy studiarono la reazione dell’amica con vivo interesse, ma lei non ci badò.
Si fermarono davanti al cancello e riconobbero la voce metallica che chiedeva il motivo della visita.
«Siamo qui per vedere Draco Malfoy. Siamo i suoi amici» disse Astoria con tranquillità. Era chiaro che fosse abituata a frequentare quel posto.
Il cancello si spalancò e loro entrarono.
Percorsero il grande giardino circondato da alte siepi e si ritrovarono di fronte alla porta principale.
Narcissa Malfoy li attendeva sulla soglia di casa. Era a braccia conserte e non sembrava molto felice di vederli.
«Astoria» disse, piegando le labbra in segno di disappunto. «Ancora tu».
«Buon pomeriggio, signora Malfoy. Mi scuso nuovamente per il disturbo, ma questa volta ho portato qualcuno con me».
Narcissa puntò il suo sguardo duro su ognuno dei ragazzi e si fece da parte per farli entrare nell’ampio salone. 
Daphne non aveva mai davvero apprezzato i colori scuri di Villa Malfoy; stridevano troppo con i colori chiari di casa sua.
«Draco è nella sua stanza, come sempre. Non credo che voglia ricevere visite, ma questo non ti ha mai fermato, giusto?» puntualizzò la donna, rivolgendosi ad Astoria che si strinse nelle spalle.
«Grazie, signora Malfoy. Cercheremo di non recare troppo disturbo» disse Blaise, sfoderando un sorriso di circostanza.
Narcissa Malfoy annuì impercettibilmente e li lasciò di fronte alla scala che conduceva al piano superiore.
«Odio quando ti comporti da leccapiedi per piacere agli altri» commentò Pansy, fissando Blaise con profondo disprezzo.
Il ragazzo piegò la testa, guardandola quasi con pietà.
«Oh, a te dà solo fastidio che io sappia parlare bene. E che mi bastino le parole per manipolare le persone. Ti insegno, se vuoi».
«Piuttosto la morte».
«Ragazzi». Astoria li richiamò all’ordine e fece segno di abbassare la voce.
Il silenzio che aleggiava in quella casa era davvero opprimente e Daphne avrebbe preferito che Pansy e Blaise continuassero a battibeccare.
Theodore stava dando un’occhiata alla casa. Le mani in tasca, sembrava che fosse completamente rilassato in quell’ambiente. Daphne si chiese quando il ragazzo fosse cambiato così tanto: il vecchio Theodore era facile da leggere, ogni emozione che provava passava direttamente sul suo volto; adesso sembrava proprio un’altra persona.
Presero a salire, dapprima in silenzio, poi Daphne si avvicinò alla sorella.
«Tu e Draco avete detto ai Malfoy di voi due?»
«No».
«Narcissa lo sa» disse Daphne, senza la minima ombra di dubbio.
«Lo credi davvero?»
«Oh, sì». Pansy le affiancò, mentre salivano al secondo piano. «Lo sa di sicuro». 
La ragazza superò le due sorelle e Blaise prese il suo posto.
«E non approva affatto» concluse lui, raggiungendo poi Pansy che, in testa, fece cenno al gruppo di muoversi.
Astoria si voltò verso la sorella, ma Daphne non seppe cosa dirle per farla sentire meglio. Era chiaro che Narcissa Malfoy non fosse d’accordo sulla scelta di Draco.
«Non sempre i genitori prendono le decisioni per i figli» disse Theodore, rimanendo quello più indietro. «Guarda me».
Astoria gli fece un sorriso colmo di gratitudine, ma Daphne colse la frecciatina e allungò il passo.
Arrivarono davanti alla stanza di Draco e Pansy si spinse per bussare alla porta con foga.
«Non ho voglia di scendere». Il tono di Draco era netto, ma c’era qualcosa di spento nella voce. Il suo modo di parlare, ai tempi di Hogwarts, era stato ben diverso.
«Draco, sono io» disse Astoria, appoggiando la mano sulla superficie di legno scuro. Accarezzò la porta, quasi come se avesse il ragazzo proprio davanti a lei. «Posso?»
Udirono i passi di Draco che, rapidissimo, ci mise un attimo ad aprire.
Era più magro dall’ultima volta che l’avevano visto, ma aveva un aspetto decisamente migliore rispetto a quello che aveva avuto durante l’anno precedente.
C’era qualcosa di diverso: i capelli erano più spettinati e gli addolcivano il viso aguzzo, dagli zigomi alti. E gli occhi, poi, avevano qualcosa che Daphne credette che non avrebbe mai potuto rivedere in Draco: una luce, come un segnale di speranza.
«Astoria, sei tornata» le disse e la luce negli occhi sembrò diventare più intensa.
«Ho portato qualcuno» replicò lei, indicando gli altri.
Draco li fissò uno per uno, ma non disse nulla.
«Entrate pure» disse Astoria e Daphne si stupì ancora: era come se la sorella avesse familiarità con quella stanza. Forse troppa familiarità.
Astoria si sedette sul letto e Draco la imitò, mentre gli altri quattro rimasero in piedi, senza sapere bene cosa fare o dire.
«Cosa ci fate qui?» domandò Draco con durezza. «Siete venuti a ridere di me? Deve essere bello vedere il declino di Draco Malfoy».
Blaise non trattenne un ghigno di fronte a quelle parole, ma quando Pansy gli schiaffeggiò una mano cercò di tornare serio.
«Siamo qui perché siamo tuoi amici» disse Theodore, come se Draco avesse posto una domanda stupida.
«Ah, e da quando?» insistette Draco, gli occhi scrutavano i ragazzi con risentimento. «Non ricordo neanche l’ultima volta in cui siamo stati tutti insieme».
«Il passato non è importante. Ora siamo qui» disse Daphne, appoggiandosi all’armadio. «Possiamo ricominciare dall’inizio».
«Avresti dovuto dirci del Marchio Nero. Tutto sarebbe stato diverso» lo rimproverò Pansy, sedendosi sull’unica sedia della stanza. «Ti avremmo aiutato».
«Davvero?» chiese lui con ironia. «Avresti preso il mio posto, Pansy? Avresti provato tu ad uccidere Silente?»
«No, ma almeno ti saremmo stati vicini».
«Non avevo bisogno di avere qualcuno vicino».
«Beh», commentò Blaise con un sorriso. «Non è proprio così, no?»
Il ragazzo fece cenno ad Astoria, che arrossì vistosamente. Draco deglutì e, dopo una breve occhiata con lei, tornò a guardare gli altri.
«Voi lo sapete?»
«Sì», rispose Daphne per tutti.
Draco scattò arrabbiato verso Theodore.
«Gliel’hai detto tu!?»
«No, sono stata io, Draco» lo difese Astoria, toccandogli delicatamente una spalla. Daphne notò che il ragazzo sembrò rilassarsi subito. «Dovevano sapere».
«Ma non avevamo idea che Theodore ne fosse a conoscenza» ammise Pansy, guardando Theodore che scrollò le spalle. 
Daphne si scambiò uno sguardo con lui, ma preferì non dare voce ai suoi pensieri. Era meglio non chiedere.
«Questo non cambia niente» precisò Draco, concentrandosi solo su Daphne. «Non vuol dire che torneremo ad essere amici. Sempre se mai lo siamo stati».
«Perché dici così?» domandò Theodore, più curioso che ferito da quel commento.
«Gli amici non ti abbandonano alla prima difficoltà. E voi l’avete fatto».
«Sei stato tu ad allontanarci, Draco. Cos’avremmo dovuto fare? Rincorrerti come degli elfi domestici?» sbottò Blaise, iniziando ad innervosirsi.
«Esatto. Io non volevo parlare con voi e voi vi siete arresi subito. È come dico io: non siamo mai stati amici».
«Non è vero» mormorò Pansy, dispiaciuta da quelle parole.
«No? Vediamo, il nostro rapporto era basato puramente sul sesso» elencò Draco, non notando lo sguardo imbarazzato di Astoria e quasi ridendo di quello offeso di Pansy. «Blaise ed io ci sopportavamo per quieto vivere, con Theodore ci avrò parlato massimo cinque volte e non ho un solo ricordo di me e Daphne insieme. Devo continuare?»
Pansy si alzò in piedi, furiosa e ferita da quelle parole, ma Theodore le bloccò la strada, facendola fermare.
«Spostati subito».
«Pansy, non fare la bambina e siediti» commentò Blaise, stanco di tutta quella situazione. «Ora che il principino ha fatto il suo show, tocca a noi parlare».
Pansy era sull’orlo delle lacrime e Daphne si avvicinò per prenderle una mano.
«Mettiamo che sia vero» disse Theodore, voltandosi verso Draco, che lo guardava con aria di sfida. «Mettiamo che ci siamo avvicinati solo perché eravamo coetanei, membri della stessa Casa e le nostre famiglie si conoscevano da anni».
«Per convenienza quindi» riassunse Blaise, lo sguardo puntato su Pansy e Daphne, che ancora si tenevano per mano.
«Esatto, mettiamo che siamo stati insieme solo perché non avevamo altre opzioni. Ora le abbiamo» continuò Theodore, camminando con tranquillità per la stanza. «La scuola è finita e nessuno ci obbliga ad essere amici. Abbiamo scelto di essere qui, Draco, che tu ci creda o meno. Possiamo provare, no?»
«Provare?» ripeté Pansy, cercando di capire.
«Ricominciamo dall’inizio, come ha detto Daphne» spiegò Theodore e non appena vide Blaise aprire la bocca per dire qualcosa lo fermò. «Non ora».
«Allora?» chiese Pansy, rivolta a Draco.
Tutti rimasero lì, in attesa, ma Draco non disse nulla. Fece un lievissimo cenno della testa e Astoria non poté non sorridere.
«Facciamo una passeggiata in giardino?» propose la più piccola, alzandosi in piedi e tendendo una mano verso Draco. «Dai, un po’ di colore ti donerebbe».
Draco fece una smorfia, ma prese la mano della ragazza e si mise in piedi. Si voltò verso di loro, controvoglia.
«Voi venite?»
 
 
 
 
~
 
 
 
«Stai bene?» domandò Theodore a Daphne.
In giardino, Draco, Astoria, Pansy e Blaise passeggiavano vicini, chiacchierando.
Draco quasi non parlava, ma stringeva la mano di Astoria con una calma placida. Pansy e Blaise ciarlavano del più e del meno, mentre Daphne e Theodore erano rimasti indietro.
«Sì, sto bene».
«Sei preoccupata per Astoria, vero?»
Daphne camminava, tenendo d’occhio sua sorella che cercava sempre lo sguardo di Draco.
«Non è che non mi fido di lui, ma mi ricordo com’è andata a finire con Pansy» spiegò Daphne, piegando le labbra. «Astoria è ingenua, non voglio che le capiti lo stesso. Draco è fragile e mia sorella ha bisogno di qualcuno che la protegga».
«No, tua sorella è capacissima di difendersi da sola» la corresse Theodore, beandosi dei raggi del sole sulla sua pelle. «Non sottovalutare Astoria, sarebbe un errore».
Daphne posò lo sguardo sul ragazzo. Il sole rendeva i suoi capelli più chiari e gli occhi castani sembravano quasi tingersi di giallo.
«E Draco mi sembra stare meglio».
«È diverso, sì» ammise lei. Pansy stava urlando qualcosa a Blaise, facendo ridere Astoria e quasi sorridere Draco.
«E capisci la ragione del cambiamento, no?»
Daphne e Theodore si guardarono in silenzio per un paio di secondi, prima che lui parlasse ancora.
«Tua sorella è riuscita persino a convincerlo a piantare quelle margherite là in fondo».
Daphne non riuscì a trattenere un sorriso di fronte a quel commento: qualche minuto prima Astoria, con molta soddisfazione, aveva mostrato a tutti le sue margherite. Draco, invece, aveva camuffato il suo imbarazzo con un commento sui quei fiori, a detta sua troppo semplici per poter star bene nel giardino dei Malfoy.
«Con Pansy il rapporto era diverso. È sempre stato diverso» disse ancora Theodore, provando a tirarla su di morale.
«Va bene» ammise Daphne, quasi sbuffando. «Forse, e dico forse, Draco e Astoria hanno un rapporto diverso, ma non penso sia il momento giusto per mia sorella. Voglio dire, i Malfoy al momento non godono di una buona fama e…»
«Da quando ti preoccupi di quello che pensa la gente?»
«Mi preoccupa quello che pensano di mia sorella».
Theodore sospirò e le fece segno di fermarsi.
«Nessuna delle nostre famiglie, al momento, gode di una buona fama. Tocca a noi cambiare le cose. E credo che Astoria possa davvero fare la differenza, specialmente per Draco».
Daphne inspirò e buttò fuori l’aria, pensierosa. Tutti potevano cambiare, ma forse neanche Astoria poteva cambiare così tanto una persona.
«L’unica cosa certa è che una Greengrass sa quello che vuole e rischia pur di essere felice» commentò Theodore, allungandole una margherita che precedentemente aveva staccato dal prato. «E non sei tu».
Daphne prese il fiore in mano, ma non ebbe il tempo di replicare. 
«Astoria!»
L’urlo di Pansy fece scattare Daphne e Theodore verso il gruppo di amici. 
Astoria era svenuta a terra, macchie rosse chiazzavano il suo viso e le braccia scoperte. Pansy era in piedi, paralizzata, mentre Blaise le stava controllando i battiti del polso.
«È il caldo» chiarì Draco, visibilmente preoccupato. Si scambiò uno sguardo complice con Daphne e lei annuì, scossa.
Draco fu veloce a prenderla fra le braccia e a portarla dentro, mentre Blaise li seguiva senza perderli di vista.
Pansy era ancora sotto shock e Theodore le andò vicino per confortarla.
«Vedrai che adesso si riprende. Un po’ di fresco e un bicchiere d’acqua e sarà come nuova».
Pansy non disse nulla, andando dietro a Blaise che l’aspettava sulla soglia della porta.
«La malattia… sta peggiorando?» domandò Theodore a Daphne, che ricambiò con uno sguardo freddo. Non doveva mostrare nulla, neanche a lui.
«No», disse lei, superandolo. «Il sole picchia veramente troppo oggi».





Note:

Emma Zabini non è nient'altro che Emma Vanity, una Serpeverde, ex Capitano della squadra di Quidditch dal 1972 al 1976.
C'è un altro personaggio con lo stesso nome nella saga, appartenente però alla Casa dei Grifondoro, ma nella mia storia è una parente alla lontana.
Il nome della madre di Zabini, nei libri, non viene mai citato, ma il fatto che venga descritta come molto bella mi ha spinto proprio a scegliere Emma Vanity. Il cognome Vanity mi sembrava in linea con l'idea che avevo del personaggio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ~ 16-17 agosto 1998 ***


Capitolo 5  ~ 16-17 agosto 1998 
 
 
 

Daphne venne svegliata in piena notte dalle urla di sua madre. Quasi come se fosse stata punta da un ago, scattò sul letto velocemente e corse fuori dalla sua stanza.
La porta della camera di Astoria era aperta, le luci erano accese e Daphne sentì il cuore martellarle nel petto. Era successo qualcosa a sua sorella.
Si avvicinò alla soglia, senza avere la forza di entrare, e vide Astoria sdraiata sul letto, la camicia da notte zuppa di sudore.
Un pallore che non aveva nulla a che vedere con la sua carnagione, di solito olivastra, cozzava con i suoi capelli scuri.
Boccheggiava, come se faticasse a respirare.
Il padre le stava puntando la bacchetta sulle vene, in un flebile tentativo di farla stare meglio, mentre la madre teneva un fazzoletto di stoffa in mano, mormorando frasi sconnesse.
«Papà, non funziona» mormorò Daphne, vedendo sua sorella in affanno. «D-dobbiamo portarla al San Mungo. Subito».
«Ci siamo» commentò la madre, gli occhi sbarrati. «Il suo tempo con noi è finito».
«Non dire sciocchezze, Lucy». Il padre prese Astoria fra le braccia. «Tieniti forte, piccola. Andiamo al San Mungo».
«Non puoi uscire, papà» disse Daphne, lanciando uno sguardo alla madre che scosse la testa.
«I-io non posso» sussurrò lei, evitando di guardare Astoria ancora agonizzante.
«Mamma!»
«È finita, Daphne» le disse, avvicinandosi alla figlia maggiore. «Fammi tornare nella mia stanza».
Daphne le bloccò il passaggio e strinse le braccia della madre, in una morsa furiosa.
«Senti, tua figlia potrebbe morire. Potrebbe davvero essere la sua ultima notte in questo mondo, per cui, cerca di comportati da madre almeno per una volta nella tua vita, e andiamo».
«Daphne!»
Il tono offeso e sconvolto non fece scomporre Daphne, che prese Astoria fra le braccia. Per quanto leggera, la sorella pesava sulle braccia di Daphne, che però non mostrò il minimo cedimento e scese verso il salotto, diretta verso il caminetto più grosso della casa.
Udì i passi leggeri dei genitori dietro di lei e mantenne lo sguardo davanti a sé. Non osava guardare Astoria e leggere, magari, il velo della morte sceso sul volto di lei.
«Fatemi sapere» disse il padre con turbamento.
«Appena ci diranno qualcosa» promise Daphne, mentre la madre puntava la bacchetta prima su di lei e poi sulla figlia maggiore per trasfigurare le loro camicie da notte in vestiti da giorno.
«Non ha senso cambiare anche Astoria» spiegò la madre, per paura di essere nuovamente rimproverata da Daphne. La rabbia che aveva letto negli occhi di sua figlia bruciava ancora.
 
 
 
 
~
 
 
 
Entrando al San Mungo, Daphne non si stupì delle solite occhiatacce che scrutarono lei, sua madre e sua sorella fino al banco dell’accettazione.
Chiunque conosceva la famiglia Greengrass e la loro fama, purtroppo, le precedeva.
Incurante dei pensieri poco lusinghieri che la maggior parte della comunità magica aveva nei confronti della sua famiglia, Daphne si avvicinò con la madre alla strega dietro al bancone.
La donna – dalla carnagione scura e dagli strambi capelli verde brillante – abbassò i sottili occhialetti per guardarle meglio e domandò quale fosse l’emergenza.
«Non vede in che condizioni è mia sorella?» domandò Daphne, incredula di fronte alla calma placida della strega. Era come se Astoria non esistesse.
«Devo capire in che reparto mandarla per poterla guarire, signorina. Lei è almeno maggiorenne?»
«Questo cosa c’entra adesso?»
«Devo parlare con un adulto e soprattutto con un genitore» chiarì la donna, guardandola con uno sguardo che a Daphne non piacque affatto.
Si voltò verso la madre, che era rimasta più indietro, e le fece segno di raggiungerla.
«Serve un genitore».
«Lei è la madre?» domandò ancora la strega, iniziando a compilare un foglio di fronte a sé.
«Sì, lo sono» soffiò Lucinda, ancora spaventata per le sorti di Astoria. «Mia figlia ha una malattia del sangue ereditaria. Prende delle medicine palliative e…»
«È la prima volta che le succede?»
«No, ma di solito gli incantesimi di mio marito riuscivano a farla stare meglio. Durante le notti la faccio controllare ogni due ore, proprio per evitare che possa succederle qualcosa. E quando stanotte sono andata io di persona, l’ho trovata in apnea».
Daphne, che non era a conoscenza di quei regolari controlli alla sorella, finse di non stupirsi nel sentire quelle parole. La malattia di Astoria era davvero grave e la madre si preoccupava molto di più di quello che dava a vedere.
«D’accordo» disse la donna, che si era segnata tutto.
Due Guaritori spuntarono da dietro l’angolo e le raggiunsero. Uno di loro era proprio il Guaritore Page, che seguiva Astoria da anni. Prese la ragazza dalle braccia di Daphne e disse loro di attendere in sala d’aspetto.
«Pretendo di venire con voi, sono la madre!» disse Lucinda, in un momento di lucidità. «Non posso rimanere qui in attesa».
«Va bene, signora Greengrass, ci segua» acconsentì il Guaritore Page. «Ma dovrà comunque aspettare fuori dalla stanza. Intesi?»
Lucinda annuì ed entrò nel reparto insieme ai due maghi, senza neanche voltarsi verso Daphne per dirle cosa fare.
La ragazza non riuscì a sedersi da nessuna parte, ma si concentrò sui pazienti che andavano e venivano. Quasi si divertì di fronte a una strega che si era trasfigurata per sbaglio la testa in una grossa zucca arancione.
Camminò in lungo e in largo, mantenendo una facciata fredda e distaccata. Chi la conosceva bene, però, avrebbe di certo notato che si toccava troppe volte i capelli per essere pienamente rilassata.
Guardò il grande cartellone posto dietro il banco dell’accettazione e, dopo averlo letto, comprese che sua madre e sua sorella si trovavano al quarto piano, il piano delle maledizioni.
Dovette trascorrere più di un’ora prima che sua madre fece ritorno da lei, stanca come se fossero passati decenni.
«Come sta?»
«Hanno detto che per ora è stabile» spiegò la madre, le occhiaie scure le rendevano quasi gli occhi più grandi. 
«Meno male» sospirò Daphne, sentendosi finalmente più leggera.
«Ma hanno anche detto che queste ore saranno decisive. Se non dovesse risvegliarsi…»
La madre non ebbe la forza di concludere la frase, perché un singulto le aveva bloccato la gola.
Daphne scosse impercettibilmente la testa, completamente svuotata da ogni pensiero. Non era possibile che stesse davvero succedendo. Non ora. Non dopo quello che avevano dovuto passare per essere finalmente pronte a riprendere in mano le proprie vite. Non dopo che Astoria, dopo tanto tempo, aveva ammesso di essere davvero felice.
«Scrivo a tuo padre. Vai a casa e riposati» disse la madre, puntandole addosso i suoi occhi scuri, gli stessi occhi di Astoria. «Non serve che rimaniamo entrambe».
«Voglio rimanere. Torna tu da papà».
«A casa, Daphne, ora. È un ordine».
Daphne non ebbe la forza di reagire, voltò le spalle alla madre e uscì dall’ospedale senza abbassare la sua solita maschera che la proteggeva dal mondo intero.
Si Smaterializzò appena fuori dal San Mungo e si Materializzò velocemente di fronte allo steccato di legno di casa Nott.
Albeggiava, ma Daphne non si preoccupò dell’educazione né dell’etichetta, ansiosa com’era di vedere Theodore.
Bussò alla porta d’ingresso e venne ad aprirle Groggy, l’elfo domestico di famiglia, che spalancò i grandi occhioni azzurri.
Era da sempre un po’ tocco, per cui Daphne sapeva che non l’avrebbe riconosciuta.
«Desidera, signorina?» 
«Cerco Th… il padrone. Puoi andare a chiamarlo?»
Groggy si mise in bocca una delle sue lunghe orecchie da pipistrello e se la mordicchiò, pensieroso.
«Il padrone non c’è, ha una nuova casa adesso. Una con le sbarre».
«No, Groggy, non voglio parlare con il vecchio padrone, voglio parlare con il nuovo padrone».
«Ahh, la signorina intende il padroncino». Groggy rise di una risata grottesca, che infastidì Daphne più del solito. «Sta dormendo, signorina. Groggy non può mica svegliarlo».
«Groggy…»
«Ma lei come sa il nome di Groggy, scusi?»
Le diede una rapida occhiata e si illuminò all’improvviso.
«Ma Groggy la conosce!»
«Sì, infatti».
«Lei è appesa alla parete del padroncino».
Daphne provò a tradurre le parole dell’elfo domestico.
«Parli delle foto, giusto? Theodore ha delle mie foto appese, su in camera».
«Sì, sì, sì, le foto del padroncino. Sì, sì, sì!»
«Ora basta con i giochi, Groggy, fammi entrare».
«No, lei non può» disse l’elfo, cambiando umore all’improvviso. «Il padroncino se la prenderà con Groggy e Groggy deve proteggere questa casa dalle persone come lei!»
Daphne alzò un sopracciglio e, con un colpo di bacchetta veloce, schiantò l’elfo domestico lontano dalla porta. Non avrebbe dovuto farlo, Groggy era già abbastanza fuori da testa e l’incantesimo avrebbe probabilmente peggiorato la sua situazione, però non poteva più perdere tempo. 
Salì le scale velocemente, riuscendo però a notare quanto Theodore fosse riuscito comunque a mantenere quella casa in buone condizioni. Non c’era nulla che testimoniasse quanto quella famiglia avesse perso in quegli anni.
Il grande quadro che ritraeva la madre di Theodore la salutò, mentre saliva al primo piano e Daphne le sorrise. Lei non l’aveva mai conosciuta, ma Theodore aveva ereditato il meglio da lei: gli stessi colori e lo stesso carattere pacato.
Daphne bussò alla stanza del ragazzo, ma non ottenendo risposta entrò senza tante cerimonie.
Conosceva quella stanza a memoria, ma non c’era tempo di perdersi nei ricordi.
«Theodore» lo chiamò lei, non facendosi intenerire dalla visione del ragazzo che dormiva beatamente. Theodore dormiva stringendo il cuscino fra le braccia, un particolare che era sempre piaciuto a Daphne.
«Theodore!»
Il ragazzo aprì un occhio e poi li aprì entrambi quando si accorse che effettivamente Daphne Greengrass si trovava nella sua stanza.
«D-Daphne» balbettò lui, non aspettandosi di certo quell’improvvisata. «Come sei entrata? Groggy…»
«L’ho dovuto schiantare, mi dispiace».
Theodore si alzò dal letto e si avvicinò per studiare il suo volto con più attenzione. Per lui era fin troppo facile comprenderla.
«Cos’è successo?»
Daphne si morse le labbra e non riuscì a trattenere una lacrima.
«Astoria è stata ricoverata poche ore fa. Temo che possa non farcela questa volta».
Theodore fece per avvicinarsi ancora, ma lei lo fermò con una mano.
«Domani sarebbe stato il suo compleanno. Nessuno dovrebbe morire il giorno del proprio compleanno».
«Daphne…»
La ragazza si lasciò cadere a terra e scoppiò a piangere, nascondendosi il volto fra le mani, finalmente libera di poter togliersi la maschera di freddezza.
«Non ha neanche sedici anni. Perché non ho ereditato io quella stupida malattia?» 
Theodore si sedette di fronte a lei e la lasciò sfogare, volendo stringerla fra le braccia, ma sapendo bene che sarebbe stato respinto.
Daphne era fuori di sé, ma non abbastanza da lasciarsi toccare da lui. Non dopo quello che le aveva fatto.
 
 
 
~
 
 
«Buona questa torta. L’hai preparata tu, Daph?» domandò Pansy, seduta sulla finestra accanto a Blaise.
«Mia mamma» disse lei, guardando poi Astoria. «Passerà più tardi, tranquilla».
Astoria si era sorprendentemente ripresa il giorno dopo il suo ricovero e Daphne non aveva perso tempo e le aveva organizzato una piccola festa a sorpresa con i suoi amici.
Aveva fatto di tutto per convincere la madre a lasciarle campo libero almeno per quel giorno, così da permettere a Draco di trascorrere del tempo con sua sorella.
Il ragazzo era seduto ai piedi del letto di Astoria e mangiava la sua fetta di torta senza dire una parola. 
Ogni tanto Daphne gli lanciava qualche occhiata di sottecchi, ancora restìa ad appoggiare completamente la loro relazione.
Notò poi Theodore farle un piccolo sorriso canzonatorio. Lui la conosceva sempre fin troppo bene.
«Daphne!»
Pansy le fece cenno di avvicinarsi e Daphne raggiunse lei e Blaise.
Per anni la ragazza aveva tenuto all’oscuro entrambi circa la salute della sorella, ma la sera precedente Theodore l’aveva convinta a coinvolgerli. Erano pur sempre suoi amici e meritavano di conoscere la verità.
«La questione si fa seria, eh?» ironizzò Blaise, facendo cenno ad Astoria e a Draco.
Daphne piegò le labbra con disappunto e Pansy redarguì Blaise con gli occhi.
«Credo che Tori meriti un po’ di normalità. Più di tutti noi» disse Theodore, che si era avvicinato al trio. 
Daphne preferì non commentare, ma Blaise ghignò in direzione della coppia.
«Sapete cos’è strano? Io ho sempre visto Astoria come una sorellina, per via di Daphne, e penso che per te, Nott, sia lo stesso… sempre per via di lei». Blaise accennò a Daphne, che si strinse nelle spalle. I commenti del ragazzo, a volte, erano davvero inopportuni. «Credevo che quasi tutti la vedessimo come una sorella, ma evidentemente mi sbagliavo».
«Astoria sta crescendo, Blaise» disse Theodore con semplicità.
«Sì, l’ho notato anch’io».
La nota maliziosa non piacque affatto a Daphne, che gli lanciò la più fredda delle sue occhiate.
Blaise fece una risatina e alzò le mani.
«Ehi, non ti agitare! Sto solo dicendo che non avevo mai fatto caso a quanto fosse diventata carina, fino a quando non ho saputo di lei e Draco».
«Di chi sei invidioso esattamente, Blaise? Di Astoria o di Draco?» domandò Pansy, divertita. «Sappiamo che ami le belle donne, ma non disdegni neanche gli uomini. E con Draco ti è sempre andata male».
«E tu che ne sai?» replicò Blaise, non perdendo il sorriso. «Se il nostro dormitorio potesse parlare… Vero, Nott?»
Daphne si voltò verso il ragazzo, che scosse la testa con un sorriso. 
Blaise era sempre stato un cacciatore. Possibile che anche Theodore avesse ceduto alle sue avances?
«Parlando d’altro», se ne uscì Pansy, quasi infastidita, «Domani Terence mi farà parlare con il capo della redazione del Settimanale delle Streghe. Se tutto andrà bene, mi proporrà un praticantato!»
«Ma è fantastico, Pansy» disse Daphne, sorridendole felice. «Riuscirai a farcela, ne sono sicura».
«Congratulazioni». Theodore si avvicinò a Pansy per abbracciarla e Daphne ignorò la stretta allo stomaco.
Theodore era, da sempre, il membro più affettuoso del gruppo e, a differenza di Blaise - che usava i suoi slanci d’affetto per provarci con qualcuno di loro -, lui non lo faceva con malizia.
Daphne si accorse dello sguardo di Blaise che la analizzava, ma nessuno da fuori avrebbe potuto carpire la sua lotta interiore. Per quanto bravo Blaise fosse a cogliere ogni cosa, non avrebbe mai potuto batterla in quel gioco.
«Ah, io lavorerò qui dalla prossima settimana» buttò lì Blaise, senza troppa convinzione.
Daphne, Theodore e Pansy puntarono gli occhi su di lui, che ancora stava studiando Astoria e Draco, che parlavano sottovoce.
«Perché non ce l’hai detto prima?»
«Perché non era poi così importante» rispose Blaise, ma Pansy non sembrava voler cedere.
«Stiamo parlando del nostro futuro da settimane, come fai a dire che non era importante!?»
«D’accordo, rilassati» disse Blaise, facendole un sorriso divertito. «Non è ancora detto che regga i ritmi del San Mungo».
«Non sapevo che volessi diventare un Guaritore» commentò Daphne, stupita. Se avesse dovuto immaginare Blaise nel mondo del lavoro, non l’avrebbe mai visto al servizio del prossimo.
«Uhm, mi frullava nella testa già da un po’. E qui sono molto meno fiscali rispetto al Ministero». Blaise guardò Daphne. «Per te sarà più difficile fare carriera».
«Al Ministero non mi faranno neanche entrare».
«Provarci non costa nulla» disse Theodore, ma Daphne si era già rassegnata all’idea di non poter lavorare nel posto dei suoi sogni.
«E tu, Theo? Hai ancora intenzione di fare il professore?» domandò Pansy e Blaise non trattenne una risata.
«Se per Daphne è più difficile, per te è impossibile. Sei spacciato».
«Hogwarts non accetterà mai che il figlio di un Mangiamorte diventi professore» gli diede manforte Daphne, sconfortata. Sapeva quanto Theodore ci tenesse.
«Con tutti gli zotici che abbiamo avuto come insegnanti!» sbottò Pansy, scuotendo la testa. «E vorrei ricordare che uno dei pochi professori decenti di Difesa aveva l’Oscuro Signore attaccato alla faccia!»
«Pensavo di prendermi un anno sabbatico» chiarì Theodore, interrompendo il commento di Blaise, che aveva aperto bocca per replicare a Pansy. «Far calmare le acque per un po’».
«E cosa farai quest’anno?» domandò Blaise e lo sguardo che gli lanciò era così carico di sottintesi, che Daphne si chiese cosa davvero sapesse il ragazzo più di lei. «Grandi progetti in vista?»
Theodore ignorò la seconda domanda.
«Vorrei viaggiare un po’, visitare altri posti… Non voglio essere un professore che ha imparato tutto quello che sa solo grazie ai libri».
«È un bel progetto» disse Daphne, abbassando lo sguardo per paura che Theodore leggesse qualcosa.
«E quando hai intenzione di partire?» domandò Pansy, curiosa.
«Non lo so ancora. Forse poco prima della fine dell’anno».
Calò il silenzio e Daphne rialzò lo sguardo, sicura che nessuno avrebbe letto qualcosa nei suoi occhi.
«Pensavo di organizzare una vera festa, una volta che Tori sarà dimessa».
«Davvero?» soffiò Pansy, che adorava i party.
Daphne annuì.
«Potrete invitare chi vorrete e sarà anche una festa per augurarle un buon anno scolastico».
«Un po’ mi mancherà non prendere quello stupido treno quest’anno» disse Pansy, quasi nostalgica.
«Se ti senti sola, sai chi chiamare» propose Blaise, e Pansy gli pizzicò il braccio con un sorriso.
«Quest’anno sarà tutto diverso» disse Daphne, voltandosi verso la sorella e Draco, che si tenevano per mano.
Non si accorse dello sguardo di Theodore che la guardava in silenzio, ma il ragazzo percepì quello di Blaise che ghignava nella sua direzione. Lui sapeva tutto.
Pansy, che non aveva notato nulla, si alzò per avvicinarsi a Daphne e le prese una mano.
«Già, sarà proprio tutto diverso».

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ~ 10 settembre 1998 ***


Capitolo 6  ~ 10 settembre 1998
 


 
«Stai benissimo, Tori» disse Daphne, sorridendo a sua sorella che sfoggiava un meraviglioso abito color malva.
Astoria ricambiò il sorriso e uscì dalla sua stanza quasi di corsa.
La sorella si era rimessa completamente e Daphne non poteva esserne più felice. Astoria era davvero più forte di quanto tutti avessero mai creduto.
Daphne sospirò, guardando il suo riflesso allo specchio.
Il vestito azzurro ghiaccio che indossava le rendeva la pelle ancora più bianca. Se Astoria con i suoi capelli scuri e le sue guance rosse aveva l’aspetto di una normale ragazza di sedici anni, Daphne, con i suoi capelli chiarissimi, continuava ad avere sempre lo stesso aspetto algido e quasi distante dal mondo.
Sbuffò e seguì la sorella al piano di sotto, dove il salone decorato a festa attendeva gli ospiti della serata.
La madre stava dando le ultime disposizioni a Fanon, mentre il padre stava improvvisando un valzer con Astoria, nonostante non ci fosse la musica.
Ad un occhio esterno potevano quasi sembrare una famiglia normale.
«Ah, eccoti qui, Daphne», la madre le fece un sorriso. «È tutto pronto».
«Doveva essere una serata tranquilla, mamma. Non avrai esagerato?»
«I compleanni sono occasioni importanti e vanno festeggiati come si deve». Lucinda guardò verso il marito e Astoria, Daphne poté quasi giurare di vedere uno sguardo intenerito. «Soprattutto dopo quello è successo».
La ragazza non nascose un sorriso, ma si ricompose subito quando gli ospiti iniziarono ad arrivare.
Nel momento in cui intravide Pansy, Daphne si scusò con il mago con cui stava chiacchierando per raggiungere l’amica.
Pansy si teneva al braccio di Terence Higgs, che non era cambiato molto dall’ultima volta che Daphne l’aveva visto. 
Non era molto alto, ma conservava il fisico tonico di un giocatore di Quidditch. Portava ancora i capelli castani molto corti e anche l’espressione assente sembrava la stessa. Solo l’accenno di barba gli dava un’aria un po’ più adulta.
«Ciao, Daphne. Ti ricordi di Terence, vero?»
«Certo» rispose lei, mantenendo la facciata di circostanza. «È un piacere rivederti».
«Anche per me, Daphne. Sono contento di vedere che stai bene. La tua famiglia godeva di una certa fama, ma alla fine siete riusciti comunque a cava…»
«Terence, caro, perché non vai a prendermi qualcosa da bere?» lo interruppe Pansy, scambiandosi uno sguardo con Daphne. «E chiacchiera un po’ in giro, se ti va. Ci sono tante persone interessanti stasera».
«Oh, beh, sì, certo» farfugliò lui. «Come vuoi».
Pansy attese che Terence fosse abbastanza lontano, prima di fare un verso strozzato.
«È una tale lagna, alle volte. Fosse almeno bravo a letto! E invece no, è noioso anche durante il sesso».
«Perché semplicemente non lo lasci? Non mi pare abbiate molte cose in comune» commentò divertita Daphne.
«I miei mi stanno con il fiato sul collo. Devo dirtelo, non sono rimasti molti scapoli decenti sulla piazza. Tua sorella è riuscita a prendere al lazzo uno degli ultimi cavalli di razza».
«Credo che Draco sarebbe lusingato nel sentire le tue parole».
«Oh, come se i ragazzi non dicessero di peggio, quando non ci siamo noi in giro». 
Pansy riuscì a prendersi da bere senza aspettare il ritorno di Terence, che sembrava aver dato retta al consiglio della ragazza.
Draco era arrivato dopo pochi minuti, da solo, e Daphne aveva dovuto far finta di essere felice di vederlo, per evitare che la madre sospettasse qualcosa.
«Dovrete passare tutta la serata con noi, temo» disse Daphne a Draco, mentre entrambi cercavano Astoria fra le persone della sala. «Quando avete intenzione di dirlo?»
«Presto» rispose velocemente Draco, ma Daphne dubitava che la stesse ascoltando davvero.
Intanto Pansy, dietro di loro, era già alla terza Acquaviola.
Trovarono Astoria vicino al padre, che la stava elogiando davanti ad alcuni suoi amici. La sorella era visibilmente imbarazzata e Daphne riuscì abilmente a mettersi in mezzo alla discussione per liberarla dalla conversazione.
«Certo, certo. Va’ a pure a divertirti con i ragazzi della tua età» disse il padre, facendo un sorriso anche a Daphne.
«Ragazzi, andate in giardino a passeggiare» suggerì Pansy a Draco e ad Astoria. «Nessuno si accorgerà della vostra assenza. C’è troppa gente».
Astoria guardò la sorella, che annuì. Avrebbe tenuto lei d’occhio la madre, e il padre era troppo impegnato a risollevare il nome della famiglia per prestare attenzione alle fughe della figlia minore.
Draco e Astoria erano usciti da almeno dieci minuti, quando finalmente Blaise si decise a farsi vedere alla festa.
Non era da solo. 
Accanto a lui, c’era una ragazza. I lunghi capelli castani e i grandi occhi verdi, uniti al suo viso molto carino, le davano un aspetto innocente.
Decisamente diverso dall’aspetto da farabutto che aveva Blaise.
Non era proprio il tipo di ragazza che Daphne e Pansy avrebbero visto vicino all’amico.
«Buonasera, bellissime» le salutò lui, sfoggiando un sorriso un po’ troppo tirato per essere autentico.
Aveva in mente qualcosa e, normalmente, le idee di Blaise portavano sempre e solo guai.
«Vi presento la mia dama, la signorina Tamsin Applebee».
Tamsin salutò entrambe, ma mentre Daphne tentò di ricambiare la stretta di mano senza risultare, come sempre, altezzosa, Pansy si premurò di ignorarla del tutto.
«Pansy è fatta così, lascia stare» disse Blaise all’orecchio della ragazza. Non si prese neanche la briga di abbassare la voce, cosa che indispettì ulteriormente Pansy.
Comprendendo il disagio, Tamsin si dileguò con una scusa.
«Non sei stata affatto carina, Pansy. Dopotutto, potevo portare un ospite e non mi pare che tu sia venuta da sola».
«Io ho portato un Serpeverde, esponente di una famiglia di un certo tipo» disse Pansy, non nascondendo il fastidio. Blaise, d’altra parte, più che arrabbiato, sembrava divertito. «Non ho portato una Tassorosso, il cui sangue, suppongo, sia contaminato da qualche Babbano».
«La madre è Babbana, in effetti, ma ha qualcosa in comune con il tuo Higgs, sai? Tamsin giocava a Quidditch, ai tempi di Hogwarts».
«Emozionante» commentò ironicamente Pansy. Blaise la guardava con un tale godimento, che Daphne iniziò a supporre che avessero quasi fatto una scommessa delle loro.
«Frequentava la scuola con noi?» domandò Daphne, tentando di smorzare i toni.
«Già, ma era qualche anno più grande».
«Quindi ora frequenti le Mezzosangue?» insistette Pansy, velenosa.
«Me l’ha presentata mia madre e non è stato difficile capire che la sua intenzione fosse trovarmi una moglie. Credo che voglia evitare che possa sposare una di voi due».
«Siete fidanzati quindi?»
«No, per Salazar, no» rise Blaise, scuotendo la testa. «Daphne, dimentichi il mio pensiero sul matrimonio. No, Tamsin è solo… un adorabile passatempo. Non ero mai stato con una Mezzosangue, né con una Tassorosso, e devo dire che non pensavo sarebbe stato così divertente e così… stancante».
«Sei disgustoso» disse Pansy con un’espressione schifata che fece sorridere Daphne.
«Oh, mi vorresti dire che non hai fatto un giretto sul tuo giornalista da strapazzo?»
«Vuoi davvero paragonare un Serpeverde a una Tassorosso? Non hai idea dei giochetti che facciamo Terence e io».
«Uhm, di solito una donna che si vanta dei suoi amanti ha qualcosa da nascondere. Non è che questa volta ti sei scelta un uomo poco focoso?» le domandò Blaise, avvicinandosi al viso della ragazza, che indietreggiò con difficoltà. I tacchi alti e l’alcol non erano una buona combinazione.
«Non ho nulla da nascondere. Sto bene con chi sto».
«Comunque, sappi che le porte di casa mia saranno sempre aperte per te». Blaise si voltò verso Daphne. «E per te, Daphne; in caso vogliate unirvi a me e a Tamsin. Penso che accetterebbe. Si fida di me».
«Ti conosce davvero poco» commentò Daphne, preoccupata per quella povera ragazza. Passare una notte con Blaise era un conto, innamorarsi di lui era un errore che le avrebbe procurato solo un cuore spezzato.
«Ecco Theo!» esclamò all’improvviso Pansy, indicando verso l’entrata della sala.
Blaise non soffocò una risatina e Daphne non capì il motivo di quel momento d’ilarità, fino a quando non si accorse di Tracey Davis, che era entrata vicino a lui.
Tracey si teneva al braccio di Theodore, nello stesso modo in cui Pansy aveva fatto poco prima con Terence. Come se Theodore fosse qualcosa da sfoggiare o, peggio, come a dichiararne il possesso.
Daphne non mutò espressione, ma dentro di lei imperversava un mare in tempesta.
Tracey e Theodore stavano insieme.
All’improvviso tutte le allusioni di Blaise di quelle settimane divennero chiare e si spiegava anche l’atteggiamento di Tracey nei suoi confronti, durante il processo. 
Tracey li indicò e Theodore non poté fingere di non averli visti.
«Buonasera», disse la ragazza, il rossetto che le brillava sulle labbra era della stessa tonalità scarlatta dei suoi capelli. «Bella festa, Greengrass».
«Grazie» replicò Daphne, facendole un flebile sorriso. «L’idea è stata mia, ma è stata mia madre a realizzare il tutto».
«Allora dovrei complimentarmi con lei».
«Sarebbe meglio, sì».
Tracey la guardava come se l’avesse appena sconfitta ad un duello. Tutti gli anni ad Hogwarts passati ad ignorarla l’avevano resa rancorosa nei suoi confronti e quello era il suo modo per fargliela pagare.
«Forse avrei dovuto dirvi prima che Tracey e io…»
«Sì, avresti dovuto» lo interruppe Pansy. Era ricomparso il fastidio sul suo volto. 
Theodore continuava a cercare lo sguardo di Daphne, ma lei era ben decisa a ignorarlo per tutta la sera.
«Scusate, è il momento della musica. Vado a cercare il mio elfo domestico».
«Ti do una mano, se vuoi» disse Theodore. Era evidente il suo desiderio di rimanere da solo con lei per spiegarle ogni cosa.
Daphne non si voltò neanche a guardarlo.
«Non ce n’è bisogno. Goditi la serata con la tua dama».
La ragazza sentì la risatina di Blaise, ma non aveva tempo di prendersela anche con lui. Prese un bel respiro, senza farsi vedere, e disse a Fanon di occuparsi della musica. Astoria adorava ballare e Daphne avrebbe fatto di tutto pur di vederla felice.
Quando le prime coppie iniziarono a muoversi al centro della sala, Astoria e Draco si unirono a loro e Daphne non poté trattenere un sorriso di fronte a quella scena.
Era contenta che almeno qualcuno si godesse la serata.
Tracey quasi trascinò Theodore a ballare e Daphne non riuscì a staccare gli occhi dai due che volteggiavano assieme.
Theodore stava sorridendo a Tracey, mentre i capelli rossi della ragazza le ondeggiavano sulla schiena. Forse era più giusto così, pensò Daphne, allontanandosi dal salone. Tracey era sicuramente più affettuosa di lei ed era più propensa a mostrare i propri sentimenti. I Davis, poi, avevano decisamente meno problemi rispetto ai Greengrass. Theodore aveva bisogno di tranquillità nella sua vita.
Si chiuse nella sua stanza e si sedette per terra, appoggiando la schiena al letto.
Non passò molto tempo prima che qualcuno bussasse alla porta.
«Daphne, sono io. Posso?»
La voce dolce di Astoria fu quasi un toccasana per lei. 
La sorella entrò senza attendere risposta e le si sedette accanto, prendendole una mano.
Astoria aveva sempre le mani calde, proprio come Theodore, in netto contrasto con quelle perennemente fredde di Daphne. 
Stettero in silenzio per diversi minuti: Astoria la conosceva così bene da sapere che non era dell’umore per parlare. Starle accanto era il modo migliore per farla sentire meglio.
«Non è giusto che tu stia qui, Tori. È la tua festa».
«Hai bisogno di me» le disse Astoria, facendole un bel sorriso.
«Sto bene».
Astoria fece per risponderle, ma qualcun altro bussò alla porta.
«Daphne, sei qui?»
La voce di Theodore le diede quasi i brividi, ma nessuno, neppure Astoria, avrebbe mai potuto notare cosa la tormentasse.
«Sì, sono qui» disse Daphne, alzandosi in piedi e sdraiandosi sul letto. 
«Posso entrare?»
Astoria si avvicinò alla porta e la guardò, in attesa.
Daphne annuì e Theodore entrò nella stanza della ragazza.
Daphne lo vide darsi un’occhiata attorno, sapendo quanto la camera fosse familiare per lui.
Provò a sopprimere il peso che aveva sullo stomaco, ma sembrava essere più difficile del previsto.
«Dovrei parlarti».
«Astoria, torna pure alla festa. Ti raggiungo fra poco».
«Va bene». La sorella lanciò un’occhiata a Theodore, che però sembrava troppo preso a fissare Daphne per accorgersene. «A dopo».
Astoria chiuse la porta dietro di sé e Theodore mosse la bacchetta, senza emettere una parola.
Conosceva bene l’abitudine di Daphne di insonorizzare la stanza, per evitare che la madre udisse le sue conversazioni.
«Stai bene?»
«Ho solo un po’ di mal di testa» mentì lei, passandosi una mano sulla fronte. «Niente di che, davvero, ma volevo un po’ di silenzio».
«Sei sicura che non ci sia altro?»
Theodore si avvicinò al letto e, senza tante cerimonie, si sdraiò accanto a lei.
Gli occhi castani del ragazzo la stavano analizzando, ma Daphne rimase di pietra.
«Cos’altro ci dovrebbe essere? È solo un mal di testa».
«Dai, Daphne, io ti conosco. So quello che provi».
«Non mi devi alcuna spiegazione» disse Daphne, il tono più neutrale possibile. «Non stiamo insieme. E da parecchio anche».
«Daphne…»
«Però» continuò lei, voltandosi a guardarlo, «Una volta eri un libro aperto, mentre adesso sei diventato più criptico».
Theodore fece un mezzo sorriso, ricambiando lo sguardo.
«Sono ancora un libro aperto. Sei tu ad essere diventata una pessima lettrice».
Daphne non rispose, ma continuò a guardarlo. Occhi azzurri persi in occhi castani.
«Perché non me l’hai detto?»
Il ragazzo si leccò le labbra prima di rispondere.
«Non siamo ancora fidanzati. Ci stiamo solo frequentando» spiegò Theodore, come se non fosse importante. «La mia famiglia crede che un matrimonio…»
«… possa risollevare il nome dei Nott. Sì, l’ho già sentita». Cos’era quell’improvvisa fissazione di tutti per il matrimonio?
«I Davis ne sono usciti completamente puliti e la famiglia è rispettabile».
«E non fanno parte delle Sacre Ventotto... Così tu sarei sempre un gradino sopra di lei. Tracey sembrerebbe la candidata perfetta».
Theodore sospirò, cogliendo l’ironia nel tono piatto di Daphne. 
«Posso chiederti una cosa?» domandò all’improvviso lei, distogliendo lo sguardo da quello del ragazzo.
«Certo».
«Da quanto tempo sapevi di Draco e Astoria?»
«È importante?»
«Lo è per me, sì».
Theodore sembrò rifletterci su, ma era chiaro che stesse prendendo tempo.
«Dal nostro sesto anno ad Hogwarts. Li ho beccati per caso una mattina, nel nostro dormitorio».
Daphne si voltò di scatto a guardarlo e Theodore le sorrise.
«Tranquilla, si stavano solo baciando», Daphne si rilassò, «Ma fu sufficiente per capire la natura del loro rapporto. Conosciamo entrambi Draco».
«Al sesto anno» ripeté Daphne, seria. «Prima o dopo la tua proposta di scappare?»
«Dopo» ammise lui, capendo dove volesse andare a parare. «Ma prima del mio rifiuto a scappare».
Theodore la guardò negli occhi, ma Daphne non disse più nulla.
«Ci sei arrivata, vero? Quel giorno non ti ho detto di no perché non volessi venire con te».
Daphne chiuse gli occhi, volendo quasi cancellare l’immagine di Theodore che le diceva quelle cose.
«Cambia qualcosa?»
«Cambia tutto» soffiò Daphne, ben sapendo in realtà quanto fosse oramai troppo tardi per loro due.
«Avrei dovuto dirtelo subito, ma conoscendo la situazione di Draco non volevo coinvolgere anche te e quindi…»
«Un momento» lo bloccò lei, tirandosi su a sedere, «Tu sapevi che Draco era diventato un Mangiamorte?»
«Mio padre era un Mangiamorte, Daphne» rispose Theodore, mettendosi anche a lui a sedere. «Era ovvio che lo sapessi».
«C-come hai potuto non dirmelo?» sbottò lei, incapace di contenere lo sdegno.
«Era una questione che riguardava Draco, non te».
«Ma era un nostro amico e, nel momento in cui hai scoperto di lui e Astoria, la questione riguardava anche me!»
«Astoria non è una bambina».
«Aveva quattordici anni, allora. Era una ragazzina ed era in pericolo». Daphne si alzò in piedi, furiosa. «Frequentava un Mangiamorte che stava pianificando un omicidio e tu non me l’hai detto?»
«Calmati. Astoria non correva alcun pericolo. C’ero io a tenerla d’occhio».
«Non era tuo compito tenerla d’occhio. È mia sorella».
«Sai che è come se fosse anche mia sorella» replicò Theodore, provando a tranquillizzarla.
«Ma non lo è. Non è tua sorella e non sarà mai tua sorella».
Il tono incattivito di Daphne non scompose Theodore.
«Ti stai davvero arrabbiando per Astoria o stai usando come pretesto tua sorella per urlarmi addosso?»
«Oh, ti prego, non darti troppe arie. Abbiamo avuto una storiella da ragazzini, che vuoi che me ne importi con chi vai a letto» disse Daphne, quasi schernendolo. «Avresti dovuto dirmelo».
«E cos’avresti fatto?»
«Sarei scappata lontano, anche senza di te» rispose Daphne, sicura. «Avrei badato io ad Astoria, come ho sempre fatto, e come avevamo detto che avrei fatto».
«Astoria non ti avrebbe mai seguito. Me l’hai detto tu, ricordi?»
«Avevo pensato a tutto, Theodore. Le avrei fatto un incantesimo del sonno, le avrei dato anche una pozione di nascosto, se necessario. Tutto, pur di tenerla al sicuro».
Theodore si leccò di nuovo le labbra, pensieroso.
«Dovevi dirmelo» ripeté Daphne, dura.
«Dopo aver scoperto di lei e Draco, tutto il nostro piano non avrebbe avuto senso. Lei avrebbe fatto di tutto pur di tornare da lui e tu lo sai. Credevo che Astoria avrebbe potuto salvare Draco e così è stato».
«Non hai pensato a cosa sarebbe successo se Astoria non ci fosse riuscita? O peggio, se Draco fosse riuscito ad uccidere Silente? Astoria sarebbe diventata il punto debole di Draco e sarebbe stata costantemente in pericolo».
«Dimentichi che conosco lo charme delle sorelle Greengrass» disse Theodore, quasi sorridendo. «Avevo completa fiducia in Astoria. E io l’ho sempre aiutata da dietro le quinte, in modo che Draco non sospettasse di nulla. Abbiamo fatto di tutto per salvarlo, Daphne, e ci siamo riusciti».
La ragazza provò a capire il suo punto di vista, ma era difficile, considerando la situazione.
«Avevi completa fiducia in mia sorella, ma non ti sei fidato di me».
«No, sono semplicemente stato egoista» ammise Theodore, non abbassando lo sguardo. «C’era una minima possibilità di non farcela e non potevo rischiare che succedesse qualcosa a te».
La dichiarazione colpì la ragazza, ma Daphne non lo diede a vedere.
«Però potevi rischiare che capitasse qualcosa ad Astoria».
«Tua sorella conosceva bene i pericoli che avrebbe corso, ma non si è voluta tirare indietro» spiegò lui, serio. «E quando l’ho pregata di non dirti nulla, lei ha accettato».
«Perché mai avrebbe dovuto?»
«Non è ovvio? Voleva proteggerti, esattamente come tu volevi proteggere lei». Theodore la fissò, piegando la testa da un lato. «Per quanto tu possa essere forte, ci sono persone che vorrebbero che non ti accadesse nulla».
«Si può?» domandò Pansy, aprendo la porta per entrare nella stanza.
Blaise, dietro di lei, sorrise nel vederli insieme.
«Ci si può unire o disturbiamo?»
La nota maliziosa non diede fastidio a Daphne, troppo occupata a pensare ad altro.
«Credo che qualcuno ti stia cercando, di sotto» disse Blaise in maniera allusiva.
Theodore si alzò dal letto e, senza dire una parola, uscì dalla stanza.
Pansy richiuse la porta dietro di sé e Daphne prese la bacchetta per bloccare l’entrata. Non voleva nessun altro in camera sua.
Poi la ragazza, dopo essersi tolta i tacchi alti, si sdraiò nuovamente sul suo letto.
Blaise e Pansy la raggiunsero subito, uno a destra e l’altra a sinistra.
«Tu lo sapevi?» domandò Daphne, ad occhi chiusi.
«Sì».
«Com’è che tu sai sempre tutto, Blaise?» domandò Pansy, contrita. «Dovresti scrivere tu per le riviste di gossip».
«Sono sempre al posto giusto nel momento giusto. Vero, Daphne?»
La ragazza non rispose e sentì Pansy appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Cosa ci vedrà in quella Tracey! È proprio una brutta persona».
«Per una volta, do ragione a Pansy. È una delle poche ragazze che non toccherei neanche per sbaglio».
«Strano» commentò Pansy. «Mi sembra di ricordare un tuo debole per le rosse».
«Solo perché una volta ho detto che la Weasley era carina…»
«Due volte».
«Il suo atteggiamento da maschiaccio mi eccitava» disse Blaise, senza vergogna. «Ma ero troppo schizzinoso all’epoca e non ci avrei mai provato con una Babbanofila. Ora, però, quasi quasi…»
«Te la puoi anche scordare. Oramai fa coppia fissa con San Potter».
«Vorrà dire che mi accontenterò delle amanti che mi restano».
Daphne sentì Pansy dare uno schiaffo a Blaise e aprì gli occhi giusto in tempo per vedere il ragazzo prendere la mano dell’amica e darle un morso affettuoso.
Pansy la guardò e sorrise.
«Sai che puoi riavere Theo quando vuoi, Daphne».
«Vero» aggiunse Blaise, annuendo. «Basterebbe solo una tua parola e lui annullerebbe tutto».
«No, non è così».
«Ma certo che è così! Theo è innamorato di te da anni e se solo tu…»
«Quella volta non sono stata io lasciarlo, Pansy. È stato lui».
Blaise non disse nulla, perché, come sempre, lui sapeva già tutto. Aveva ragione: era davvero al posto giusto nel momento giusto.
«Come sarebbe dire che è stato lui a lasciarti? Non è possibile!»
«E invece è così».
«Ma perché non ce l’hai detto?»
Daphne apprezzò il silenzio di Blaise e buttò fuori l’aria.
«Perché non volevo che ve la prendeste con lui. Non tutti gli amori adolescenziali durano per sempre. Guarda te e Draco».
«Per favore, non paragonare il rapporto mio e di Draco a quello fra te e Theo. Era ben diverso».
«Beh, qualsiasi cosa fosse oramai è finita. E, presto, Theodore si sposerà con Tracey Davis».
«Non accetterò mai la Davis nel nostro gruppo» grugnì Pansy, arrabbiata. «E non perdonerò mai Theodore di aver scelto lei come moglie».
«Io penso che lo ringrazierò, invece». Blaise fece un sorriso a Daphne. «Mi ha lasciato te e non avrei potuto chiedere di meglio».
«Blaise, dacci un taglio. Con Daphne è una partita persa e lo sai» disse Pansy, quasi ridendo.
«Uhm, lo so?». Blaise chiese conferma a Daphne, in un modo che sottintendeva cose che Pansy non doveva sapere.
La ragazza lo freddò con una sola occhiata e Blaise mimò di cucirsi la bocca.
«Piuttosto, non sei depresso? Stai per perdere non solo Draco, ma anche Theodore».
Blaise passò lo sguardo da Daphne a Pansy e le fece un sorriso.
«Mi consolerò fra le braccia di Tamsin, tesoro, ma, come ho già detto a voi, anche per Theodore e Draco le porte di camera mia saranno sempre aperte».
«A noi avevi detto casa tua, non camera tua» sottolineò Pansy, volendo precisare.
Blaise passò un braccio attorno a Daphne, che era sdraiata accanto a lui, ma guardò Pansy quando parlò.
«Perché con voi non riuscirei ad aspettare nemmeno un secondo prima di spogliarvi».
«Sei un porco» cantilenò Pansy, ma stranamente rideva. «Torniamo alla festa?»
«Vi va se rimaniamo ancora un po’ qui?» propose Daphne, continuando a preferire la tranquillità di camera sua rispetto al chiasso del piano di sotto.
«Certo» disse Pansy, abbracciandola.
Blaise, che continuava a tenere il braccio attorno a Daphne, con la mano riuscì ad arrivare alla testa di Pansy e ad accarezzarle i capelli neri.
«Sapete, ci sono tante cose che si possono fare in tre su questo letto».
«Blaise!»
«Era solo un’idea».
 
 
 
 
 
~
 
 
 
 
 
Daphne aprì debolmente gli occhi e subito si accorse di essere rimasta sola sul letto.
Si doveva essere addormentata e Blaise e Pansy avevano preferito lasciarla riposare da sola.
La ragazza si mise a sedere e si sfregò gli occhi, ma smise subito, quando capì di essere osservata.
«Tori» disse Daphne, a bassa voce. «Accidenti, vuoi farmi prendere un colpo?»
Astoria piegò le labbra in un debole sorriso.
«Mi dispiace, non volevo svegliarti, ma ho davvero bisogno che tu sia dalla mia parte».
«Di che cosa stai parlando?» chiese Daphne, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla sorella.
Astoria non indossava più l’abito elegante che aveva sfoggiato alla festa, ma un semplice completo di un verde molto scuro.
«Draco e io abbiamo deciso di parlare a mamma e a papà. Vorrei che tu fossi presente».
Daphne, ancora un po’ intontita dal sonno, ci mise un po’ più di tempo per registrare quelle parole.
«Aspetta, vuoi farlo proprio oggi? Cioè, adesso? Ora!?»
Astoria annuì e le fece cenno di uscire dalla stanza. Draco le aspettava nel corridoio e anche lui aveva un look più casual.
«Se non lo faccio oggi, non avrò più il coraggio. È il momento perfetto: domani tornerò ad Hogwarts e loro avranno tutto il tempo di assimilare la notizia fino alle vacanze di Natale».
Daphne lanciò un’occhiata a Draco, che fece spallucce. 
«Penso che sia meglio per tutti».
«È notte fonda, Draco» puntualizzò Daphne, mal tollerando le sue frasi lapidarie. «Avreste dovuto prepararli prima di…»
«Ti prego, Daphne, ti prego!» disse Astoria, prendendola per mano.
Caldo e freddo s’incontrarono di nuovo.
«E va bene» sospirò Daphne, non potendo dirle di no. «Andiamo, coraggio».
Scesero tutti e tre in silenzio e andarono alla ricerca dei genitori.
L’orologio dell’ingresso segnava la mezzanotte, ma trovarono Erebus e Lucinda seduti al tavolo della cucina, intenti a ridere di qualcosa.
Daphne e Astoria non avevano mai visto la madre ridere così davanti a loro, ma con il padre Lucinda era sempre stata diversa.
Daphne quasi si sentiva in colpa a rovinare un momento come quello.
Entrò per prima e i genitori si voltarono di scatto, sorpresi di vederla comparire così all’improvviso.
«Daphne, che ci fai qui? Dovresti essere a letto».
«Mi dispiace, ma dovremmo parlarvi».
Astoria e Draco fecero il loro ingresso e Daphne notò la confusione negli occhi dei genitori.
«Draco» disse Lucinda, guardando il ragazzo, «Sei ancora qui?»
«Sì».
Lucinda si voltò verso Daphne. Era ovvio che pensasse che ci fosse qualcosa fra lei e Draco. E dall’espressione era chiaro che non approvasse. Se non approvava lei, che era la figlia prediletta, chissà com’avrebbe reagito con Astoria, una volta scoperta la verità.
«Sediamoci» disse Daphne, prendendo in mano la situazione. Astoria sembrava ammutolita di colpo.
Tutti presero posto attorno al tavolo.
«Allora?» domandò Lucinda, sollecitandoli a parlare.
Erebus passava lo sguardo da Draco alle sue figlie, provando ad unire i pezzi.
«Questa sera ho chiesto a vostra figlia di sposarmi» disse Draco, senza la minima traccia di paura o imbarazzo. «E, fortunatamente, lei ha accettato. Volevamo mettervi al corrente di questa cosa».
Daphne si ritrovò gli occhi dei genitori addosso e non seppe cosa dire. Guardò Draco in tralice. Non le avevano parlato di nessun matrimonio.
«Daphne!»
«Io non c’entro nulla, mamma».
«Come sarebbe dire?» continuò la madre, rossa in viso per la rabbia. «Ma se Draco non parlava di te, allora…»
Astoria si strinse nelle spalle e Lucinda la fulminò con gli occhi.
«Tu».
«Sì, sono anch’io tua figlia, mamma».
«Non è il momento di fare dello spirito, Astoria» disse il padre, serio. «Dicci cosa sta succedendo».
«È vero, papà. Siamo fidanzati».
«Sei minorenne» constatò il padre, quasi come se volesse chiudere il discorso.
«Non ci sposeremo subito» chiarì Draco, non perdendo il controllo. «Aspetteremo che Astoria finisca la scuola e che la situazione si sia placata prima di organizzare tutto».
«Ma da quanto va avanti questa storia?» sbottò Lucinda, sconvolta.
Astoria e Draco si scambiarono un’occhiata.
«Non ricordo precisamente quando sia iniziato il tutto, ma direi poco più di un anno e mezzo, giusto?»
Astoria annuì a Draco.
Lucinda saettò lo sguardo verso la figlia maggiore.
«E tu, da quanto lo sapevi?»
«Da pochi mesi» ammise lei, tranquilla. «Ma non mi avevano parlato di un matrimonio».
«Mi dispiace, Daphne, è successo tutto così in fretta. Non ho avuto tempo di dirtelo» disse Astoria, dispiaciuta.
«Non capisco cosa vi aspettate adesso. Vorreste la nostra approvazione?» domandò Lucinda, indispettita. «Perché, in questo caso, non approviamo. Affatto. Non ho niente contro di te, Draco, lo sai. Ti conosco fin da bambino e ho sempre apprezzato la tua amicizia con Daphne, ma dopo tutto quello è successo… questo potrebbe portare al declino delle nostre famiglie».
«Mamma, hanno detto che aspetteranno. Magari tra qualche anno la situazione si sarà calmata e…»
«Daphne, mi pare di capire che tu non c’entri nulla» la fermò la madre, secca. «Se Astoria è grande abbastanza per accettare una proposta di matrimonio, allora sarà anche in grado di difendersi da sola».
Daphne annuì e Astoria ringraziò la sorella con un sorriso.
«Astoria, la nostra famiglia è sull’orlo del baratro e un matrimonio fra una Greengrass e un Malfoy potrebbe portare alla nostra rovina!»
«Non ho alcuna intenzione di discutere, mamma. Almeno per una volta, non potresti essere felici per me?»
«È questo il prezzo della tua felicità? La disfatta dei Greengrass!?»
Erebus appoggiò una mano sulla spalla della moglie e Lucinda provò a calmarsi.
Daphne si trattenne dal commentare e ringraziò il cielo che Draco non avesse un temperamento diverso. 
Astoria non si scompose, benché fosse palese il dispiacere sul suo volto.
«Non siamo venuti a chiedervi il permesso. Aspetteremo che io diventi maggiorenne e poi sarò libera di sposare chi voglio» disse Astoria, sicura come mai Daphne l’aveva vista. «Credi davvero che pretenda la tua approvazione, mamma? Non l’ho avuta per tutta la vita e non ho la presunzione di chiederla adesso».
«Astoria…»
«No, papà, non ho finito. Io vi amo, voi lo sapete, e sono a conoscenza di quello che davvero pensare dei Malfoy. Tutti voi». Astoria posò lo sguardo su Daphne, che si stupì della lucidità del suo giudizio. «Ma io so quello che voglio e se devo rinunciare al nome dei Greengrass per averlo, ebbene lo farò».
Lucinda quasi buttò la sedia all’indietro, furiosa.
«Questa conversazione è durata anche troppo. È tardi, Draco, è meglio che torni a casa».
La donna uscì dalla stanza velocemente e Daphne la seguì con lo sguardo, continuando a stare in silenzio.
«Papà, io…»
«Ci avete pensato bene?» domandò il padre, le mani intrecciate appoggiate al tavolo. 
«Certo» disse Astoria, non perdendo sicurezza.
«Il vostro legame dovrà essere molto forte per affrontare tutto quello che verrà detto contro di voi».
Astoria guardò Draco, che però fissava Erebus.
«Lo è già».
Daphne si morse le labbra nel sentire quelle parole. Continuava a non vedere di buon occhio il loro rapporto, ma non poté ignorare il significato delle parole di Draco.
«Quindi, sei d’accordo?»
«Il polverone che si è alzato dalla fine della guerra prima o poi svanirà del tutto. È già successo» disse il padre, facendole un sorriso. «E le mie figlie saranno sempre più importanti del mio nome».
Astoria e Daphne gli sorrisero felici e la più piccola si alzò per corrergli incontro e abbracciarlo stretto.
«Grazie, papà».
Erebus sorrise e si scambiò uno sguardo con Daphne, che rimase seduta al suo posto.
«E con la mamma?»
«Ci penseremo Daphne e io» rispose lui, con serenità.
Draco fece un sorriso di breve durata che Daphne riuscì ad intercettare. Le sembrava ancora così strano che Draco Malfoy, un giorno, avrebbe sposato la sua sorellina.
«Ora dovremmo parlarne con mia madre, Astoria» disse lui, mettendosi in piedi.
Astoria annuì e si avvicinò al ragazzo.
«Non è un po’ inopportuno andare a casa della gente a quest’ora?» chiese Daphne, provando a farla desistere.
«Domani Astoria partirà presto» rispose Draco, senza guardarla. «È meglio farlo subito».
«Va bene, Astoria, ma torna presto» disse il padre e Astoria annuì, prima di uscire con il ragazzo dalla cucina e lasciare Daphne ed Erebus da soli.
Il padre si concentrò sulla figlia maggiore e le sorrise.
«Cosa c’è, Daphne? Vuoi dirmi che anche tu sei fidanzata?»
«No, certo che no».
«Meglio» ammise lui, toccandosi il pizzetto chiaro. «È molto più facile fare felice Astoria, lei vede il buono in tutti. Tu sei più selettiva. Lo sei sempre stata».
Daphne provò a comprendere il senso di quelle parole, ma preferì lasciar perdere.
«Papà, posso chiederti una cosa?»
«Dimmi».
«È vero che hai scritto una bozza per un contratto matrimoniale assieme a Tobias Nott?»
Erebus non nascose lo stupore e schiarì la voce.
«E tu come lo sai?»
«Me ne hanno parlato durante l’udienza. Avevano trovato la copia di Tobias a casa sua».
«Ah».
«Perché volevi stipulare un contratto del genere? Theodore e io stiamo stati insieme per poco tempo ed eravamo dei ragazzini».
Erebus la fissò, confuso.
«Pensavo lo sapessi. È stato Theodore a chiedermi la tua mano».
Daphne faticò a trattenere lo stupore e si piegò verso il padre.
«Cosa intendi dire?»
«Sarà stato, quando… Poco prima dell’inizio del tuo sesto anno, credo. Theodore è venuto da me e mi ha detto le sue intenzioni. Nonostante avesse appena sedici anni, non penso di averlo mai visto più serio».
«E tu hai accettato?»
Erebus rise e annuì.
«Certo che sì, Daphne. Ero felicissimo. Tobias e io eravamo amici fin dai tempi di Hogwarts e tu e Theodore eravate cresciuti insieme. Abbiamo sempre notato il vostro legame e sapevamo che sarebbe solo stata questione di tempo».
«E poi, cos’è successo?» domandò lei, la voce era quasi diventata un sussurro.
«Poi, durante le vacanze di Natale, abbiamo saputo che fra voi era finita e quindi abbiamo lasciato perdere ogni cosa».
Daphne non disse nulla ed Erebus le sorrise.
«Ricordo ancora le parole di Tobias: “Deve essere il destino dei Nott quello di amare per tutta la vita una sola donna, che spezzerà loro il cuore”».
«Uh», disse Daphne, facendo un mezzo sorriso, «Theodore deve essere l’eccezione allora».
«Daphne, tu sei una persona intelligente, quindi, per favore, non dire cose stupide».
«Papà, non iniziare».
«Sei perfettamente consapevole che Theodore non provi nulla per la figlia dei Davis. È un matrimonio combinato per ragioni di prestigio. I Davis sono una famiglia molto importante e sono stati abbastanza furbi da tenersi lontani da guai, riuscendo a cavarsela anche dopo la fine della guerra».
«I Nott vogliono risollevare il loro nome, così come vuole fare la famiglia di Pansy».
«Già. E anche i Davis trarranno vantaggio da questo matrimonio. Dopotutto, i Nott sono una delle più importanti famiglie magiche».
«Lo so, papà» disse Daphne, non mostrando alcun tipo di emozione. «Ma questo non vuol dire che a Theodore Tracey sia indifferente».
«Da dopo la carcerazione di Tobias, quel ragazzo si è fatto carico di tutte le responsabilità dei Nott. Responsabilità che, per sua natura, non vuole disattendere. È la sua famiglia che gli deve aver arrangiato il matrimonio. Tobias non avrebbe mai accettato una cosa del genere».
«Quell’uomo non ha mai davvero tenuto al figlio» disse Daphne, facendogli capire quanto in realtà si stesse sbagliando.
Erebus le fece un sorriso accondiscendente.
«Sei ancora giovane, ma dovresti aver imparato che non tutti esprimono l’amore allo stesso modo».
«Dovresti smetterla di difendere chi non mostra l’affetto ai propri figli, papà».
Erebus colse la frecciatina alla moglie, ma decise di soprassedere.
«Tobias tiene davvero molto al figlio».
«Scherzi? Un Mangiamorte che non ha fatto altro che ignorare Theo per tutta la vita?»
«Theodore è la fotocopia di sua madre, Daphne. Non è stato facile per Tobias perdere la moglie».
«Neanche per Theo è stato facile perdere la madre e crescere senza un padre».
Erebus fissò Daphne e sospirò.
«Conosco Tobias meglio di te. Fidati, non approverebbe la figlia dei Davis. Per quanto possa aver fatto delle scelte sbagliate in passato, anche lui metterebbe la felicità del figlio al primo posto».
Daphne posò le mani sul tavolo e si alzò.
«Beh, Tobias Nott dovrà farsene una ragione. Suo figlio è un adulto, oramai, e ha deciso di sposare Tracey Davis».
Erebus piegò le labbra, senza scomporsi per quelle parole.
«Contratti più importanti di questo vengono recisi ogni giorno, non c’è nulla di certo, ancora» spiegò lui, cercando di cogliere qualche emozione sul volto della figlia. «E anche se si sposassero, non è detto che durerebbe a lungo. Nulla è definitivo, Daphne, tranne la morte. Anche se credo che tua madre riuscirebbe a contrattare anche in quell’occasione».
Daphne accennò un sorriso e Erebus tornò serio.
«Perché non dici a Theodore la verità?»
La figlia abbassò lo sguardo, poi incrociò le braccia al petto.
«Non sono una Grifondoro, papà. Non sono coraggiosa. Non lo sono mai stata».
«Astoria è una Serpeverde, eppure poco fa non ha avuto la minima esitazione nell’affrontare me e tua madre». Erebus sorrise. «Sei mia figlia, io ti conosco. Non c’è niente che tu non possa fare».
«Papà…»
«Non mostrare i propri sentimenti può proteggerci da chi ci vuole fare del male, Daphne, ma se tiene anche lontane le persone a cui vogliamo bene stiamo sbagliando qualcosa».
La ragazza annuì appena, capendo appieno il discorso di suo padre.
Erebus si alzò dal tavolo e sistemò la sedia.
«Pensaci su».
 


Note:

Tamsin Applebee non è un personaggio di mia invenzione. Compare in uno dei videogiochi di Harry Potter. Era una Tassorosso che giocava nella squadra capitanata da Cedric Diggory, nel ruolo di Cacciatrice.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7  ~ 5 Ottobre 1998 ***


Capitolo 7  ~ 5 Ottobre 1998
 
 
 

«E poi gli ho detto che le mie espressioni colorite rispecchiavano il mio modo di scrivere. È il mio stile, prendere o lasciare».
«Quindi ti ha licenziata?» domandò Blaise, aggiungendo del brandy al suo tè. Il ragazzo aveva preso l’abitudine di portarsi sempre dietro una fiaschetta. Era convinto che gli conferisse maggiore fascino.
«Certo che no! La critica ha apprezzato i miei pezzi» rispose Pansy, lanciando un’occhiata disgustata a Blaise. «Così rovini il tè!»
«Ho bisogno di un po’ di alcol per reggere le tue chiacchiere».
Pansy assottigliò gli occhi, mentre Blaise si gustava la sua espressione infastidita.
«Sono contenta che le cose ti vadano bene, Pansy» si mise in mezzo Daphne, provando ad evitare l’ennesimo battibecco. «E personalmente trovo la tua scrittura davvero brillante».
«Uh, forse un po’ troppo lasciva e petulante, però in generale anche a me non dispiace» ammise Blaise, sorseggiando il suo tè corretto.
«Qualche allusione sessuale non ha mai ucciso nessuno. Certe volte mi danno dei pezzi così noiosi, che non posso non renderli più accattivanti per i lettori».
«E tu, Blaise?» chiese Daphne, che era seduta di fronte a lui. Pansy, accanto a lei, si voltò verso l’amico, avida di sapere. «Come te la cavi al San Mungo?»
«Per ora bene. Anche se passo la maggior parte del tempo ad evitare di uccidere i pazienti con le mie stesse mani. Alcuni di loro sono così snervanti».
«Ricordami di non farmi curare da te, in caso ne avessi bisogno» commentò Daphne, scioccata dai pensieri dell’amico.
Decisamente Blaise non era adatto a fare il Guaritore.
«Tu non saresti mai snervante».
Pansy si allungò verso di lui, nonostante ci fosse il tavolino da tè a dividerli.
«E ci hai già provato con qualche paziente? O qualche collega?»
Blaise le fece un sorrisetto ironico, divertito da quella domanda.
«Sei gelosa, mia cara?»
«Solo curiosa».
«Soddisfo immediatamente la tua curiosità, allora» rispose Blaise, completamente a suo agio a parlare della sua vita privata. «È capitata qualche sveltina, ma niente di così eclatante. Il più delle volte, sono stato io a dover insegnare qualcosa a loro».
«Loro?» domandarono all’unisono le ragazze.
«Il sesso a due è fantastico, ma quando si è di più, è anche meglio».
Pansy scosse la testa, rassegnata, mentre Daphne quasi rideva.
«Sei senza speranze, Blaise».
«Lo prendo come un complimento».
«Comunque, Astoria mi ha scritto qualche giorno fa. Dice che Hogwarts è tornata quella di un tempo e che va tutto alla grande. Ah, vi manda i suoi saluti».
«Le manca Draco?» buttò lì Blaise, prendendo uno dei biscotti che Pansy aveva portato quella mattina.
«Non me lo dice. Ha capito che non approvo».
«A me non avevi mai fatto credere che Draco non ti piacesse» disse Pansy con sincerità.
«Era tutta un’altra storia. Eravamo dei ragazzini, non ho mai creduto che fra voi sarebbe durata».
Pansy gonfiò le guance, nonostante sapesse quanto Daphne avesse ragione. Blaise, intanto, se la ridacchiava a bassa voce.
«Sono stata la prima a difenderlo durante il processo, ma ho mentito pur di non darla vinta agli Inquisitori. Draco ha sempre avuto una scelta, è solo stato troppo codardo per fare quella giusta».
«La codardia non è sinonimo di malvagità» replicò Blaise, calmo. «Penso che ognuno di noi abbia fatto scelte alquanto discutibili».
Daphne comprese a cosa Blaise si stesse riferendo e guardò Pansy che fissava il pavimento lucido, come se si stesse facendo un esame di coscienza.
Daphne realizzò che anche Pansy potesse avere dei segreti; segreti che, sicuramente, Blaise conosceva.
«Noi non siamo mai stati Mangiamorte e non abbiamo mai augurato la morte ai figli di Babbani» continuò Daphne, non volendo cedere sull’argomento. «Lo so che hai un debole per Draco, ma…»
«Ho un debole per tutti voi» la interruppe Blaise, continuando a fissare Pansy, che sembrava ancora persa nel suo mondo. «Vi difenderei anche se vi vedessi uccidere qualcuno davanti ai miei occhi. Vi aiuterei a sotterrare il cadavere e a disfarvi delle prove».
«È terribile, Blaise. Non dirlo neanche per scherzo».
Il ragazzo fece spallucce con un sorriso.
«Ma è la verità».
Daphne lasciò correre e poi riprese.
«Draco ha goduto dei suoi privilegi fin quando ha potuto. Non si è mai schierato davvero, per tutelarsi. Se avesse vinto il Signore Oscuro, credete che Draco si comporterebbe come fa ora? Pensate che accetterebbe le idee di Astoria?»
«Non puoi saperlo» rispose Pansy, dispiaciuta nel sentire tutto quel rancore nei confronti di Draco.
«Oh, lo so eccome. Draco vuole far vedere a tutto il mondo che è cambiato, che è diverso dai suoi genitori e che è solo una povera vittima della società. Può incantare gli Auror e il Ministero, ma non funziona con me».
Blaise e Pansy la guardarono intensamente. 
«Non sono totalmente d’accordo con te» disse lui con tranquillità. «Per certi versi, noi non siamo migliori di Draco».
«Ma non fingiamo di essere quello che non siamo. Noi non abbiamo mai trovato scuse».
«Su questo hai ragione» commentò Blaise, facendole un sorriso.
«Theo era nella sua stessa situazione, eppure ha sempre fatto di testa sua» insistette Daphne, sapendo di aver guadagnato terreno.
«Non ci voleva un genio per capire che Nott fosse il migliore del gruppo». Blaise passò lo sguardo da Daphne a Pansy. «È quasi un miracolo che trovi qualcosa di buono in tutti noi».
«Theo è sempre stato diverso» aggiunse Pansy. «Un po’ come tua sorella. Due Serpeverde quasi atipici».
«È proprio questo il punto. Astoria è coraggiosa e meriterebbe qualcuno coraggioso quanto lei al suo fianco».
«Si dice che gli opposti si attraggano, no?» disse Blaise con un velo d’ironia. «Anche tu e Nott siete molti diversi, eppure sappiamo tutti com’è andata a finire».
«Secondo il tuo ragionamento, Theo e Astoria starebbero bene insieme».
Daphne storse il naso di fronte all’affermazione di Pansy. Il rapporto fra Theodore e Astoria era sempre stato fraterno, ma in cuor suo aveva sperato che la sorella trovasse qualcuno come Theodore.
«Sei un po’ troppo di parte» commentò Blaise, quasi come se le avesse letto nel pensiero. «In fondo, per quanto Nott sia una brava persona, ha anche lui dei difetti».
«Difetti trascurabili, se paragonati ai suoi pregi».
Pansy la fissò attentamente, prima di alzarsi in piedi. La gonna corta le lasciava scoperte le gambe snelle, che Blaise ogni tanto guardava senza il minimo pudore.
«Per questo hai deciso di non combattere per Theo? Credi che la Davis lo meriti più di te?» domandò Pansy, incrociando le braccia al petto, come se la stesse giudicando. «Perché non sarebbe solo un pensiero stupido, ma anche completamente sbagliato».
«Concordo» disse Blaise, alzando la tazzina in direzione di Pansy.
«Idealizzate un po’ troppo quello che c’è stato fra me e Theo. Non era niente».
«A questo punto, direi che è perfettamente inutile continuare a fingere. Non siamo così ciechi».
Daphne ricambiò lo sguardo di Blaise, ma non mutò espressione.
«Ve l’ho già spiegato: è stato lui a lasciare me».
«Sì, ma sappiamo che c’è di più» disse Pansy e, dal gioco di sguardi fra lei e Blaise, era chiaro che ne avessero già parlato fra di loro. «Cos’è che non ci hai detto?»
Daphne pensò di mentire ancora, nonostante sapesse che fosse perfettamente inutile farlo con i suoi amici. Negli anni, Pansy e Blaise avevano imparato a conoscerla bene.
«Venite con me» disse lei, alzandosi dal divano e uscendo dalla stanza.
Daphne fece segno di non fare rumore, mentre entravano nello studio del signor Greengrass.
Il padre di Daphne era in Biblioteca. Aveva detto che avrebbe trascorso il suo tempo libero per recuperare alcune letture, ma la ragazza sapeva che era coinvolto in qualche giro di affari in cui era meglio non ficcare il naso.
Il piccolo Pensatoio del signor Greengrass era appoggiato su un lato della scrivania di mogano. Daphne lo prese e velocemente uscì dalla stanza.
«Andiamo nella mia camera» disse lei, a bassa voce. «Staremo più comodi».
Blaise e Pansy erano visibilmente incuriositi dall’atteggiamento dell’amica, ma la seguirono senza chiedere nulla.
Dopo aver chiuso la porta della sua stanza e aver insonorizzato l’intero piano, Daphne appoggiò a terra il Pensatoio sotto gli sguardi attenti di Blaise e Pansy.
Come se niente fosse, la ragazza si avvicinò alla cassettiera vicino alla porta e, con un rapido movimento di bacchetta, un cassetto nascosto si aprì alla loro vista.
«Cavolo!» commentò Pansy, dando un’occhiata al contenuto.
Era pieno di boccette di vetro.
«Cosa c’è qui dentro?» domandò ancora Pansy, analizzando i filamenti argentei. «Sono…?»
«Ricordi». Blaise terminò la frase e si avvicinò alle due ragazze. «Hai un problema di memoria o ami crogiolarti nel passato?»
«Nessuno delle due» disse Daphne, stringendosi però nelle spalle. «Semplicemente, ho bisogno di rivedere le cose per analizzare meglio il tutto».
Blaise e Pansy la fissarono con scetticismo e Daphne continuò: «Al sesto anno premeditavo di scappare. I miei genitori avevano scelto da che parte stare, a me e ad Astoria era stato imposto».
Daphne abbassò lo sguardo, temendo le reazioni dei suoi amici.
«E non potevo permettere che succedesse qualcosa a mia sorella. Volevo che i miei ricordi fossero al sicuro, nel caso mi fosse successo qualcosa. Avevo paura delle ripercussioni dei Mangiamorte».
«Così, se ti avessero torturato fino alla pazzia, avresti avuto un modo per recuperare un minimo di lucidità» commentò Blaise, annuendo.
«Più che altro, era un modo per recuperare un minimo di me stessa».
«Furba».
Pansy non disse una parola, ma le si avvicinò per darle un abbraccio.
«Sei sempre stata troppo intelligente per essere mia amica».
Daphne sorrise appena e ricambiò la stretta.
«Allora, quale dei tuoi tanti ricordi vuoi farci vedere?» domandò Blaise, guardando le boccette con occhiate fameliche. «Potrei trovare qualcosa su te e Nott che ci date dentro?»
Daphne ignorò la domanda e prese a cercare la boccetta giusta.
«Lo prendo per un sì».
«Eccola qui» disse Daphne, avvicinandosi al Pensatoio e versando il contenuto della boccetta al suo interno. «Siete pronti?»
«Non vedevamo l’ora!» trillò Pansy, elettrizzata all’idea di conoscere ogni cosa.
Daphne prese un bel respiro e fece cenno agli amici di andare per primi.
Pansy non se lo fece ripetere due volte e avvicinò subito il volto al Pensatoio.
«Sei sicura di volerlo fare?» le domandò Blaise e Daphne annuì, accennandogli un sorriso.
Erano davvero rare le volte in cui Blaise mostrava di tenerci sinceramente a loro.
Il paesaggio attorno a loro mutò e un’Hogwarts di qualche anno prima si palesò di fronte ai tre ragazzi.
«La situazione sta peggiorando» stava dicendo una Daphne sedicenne a Theodore, che se ne stava appoggiato al muro.
Il corridoio era vuoto e gli schiamazzi che provenivano dal Parco facevano presupporre bel tempo.
«Lo so» rispose Theodore, sospirando. «Mio padre prova a tenermi all’oscuro di tutto, ma è chiaro che qualcosa si stia muovendo».
«Non credi che ci sarà una guerra, vero?» sussurrò Daphne, seguendo con gli occhi una coppia di Corvonero che stava passando lì per caso. 
«Sii ragionevole, Daphne, è ovvio che prima o poi scoppierà la guerra. Si stanno preparando tutti a combattere».
La preoccupazione sul volto della ragazza influenzò l’espressione di Theodore, che si spinse in avanti per stringerla fra le braccia.
«Stai tranquilla, ho un piano».
Daphne alzò lo sguardo su di lui, domandando con gli occhi di che cosa stesse parlando.
Theodore la lasciò andare, non prima, però, di averle dato un bacio sulla fronte.
La tenerezza di quel gesto investì la Daphne del presente, che quasi aveva dimenticato quanto Theodore potesse essere dolce.
Pansy le prese subito una mano, ma Daphne le fece capire che stava bene.
«La guerra arriverà, questo è certo, e prima o poi ci verrà chiesto da che parte stare» stava spiegando il Theodore sedicenne. «Non siamo più bambini. Si aspetteranno la nostra lealtà».
«Non ho intenzione di combattere per difendere ideali di cui non me ne importa nulla. Voglio vivere come una normale ragazza della mia età, non sono un guerriero né intendo esserlo».
Theodore le fece un sorriso bellissimo. «Lo so».
«E non permetterò che ti obblighino a diventare come tuo padre. Non sarai mai un Mangiamorte» insistette lei, spostandogli un ciuffo biondo dagli occhi. «Dovessi scontrarmi con il Signore Oscuro in persona».
Blaise non poté evitare di lanciare occhiatine divertite alla Daphne del presente, che, imbarazzata, guardava altrove.
Era stata davvero così patetica allora?
«E poi, c’è Astoria. È praticamente una bambina e non credo che una guerra possa migliorare la sua salute».
«Sono tutti ottimi motivi per andarcene dall’Inghilterra» disse Theodore, approfittando del fatto che Daphne stesse riprendendo fiato. «Scappiamo da tutto».
«C-cosa? Hai intenzione di fuggire?» la ragazza sembrava perplessa. «Ma non pensi ai miei genitori? O a tuo padre?»
«Mio padre ha già fatto la sua scelta anni fa e i tuoi possono venire con noi».
«Non verranno mai!»
Theodore fece spallucce, infilandosi le mani nelle tasche.
«E allora hanno scelto anche loro da che parte stare. Ora tocca a noi, Daphne. Non voglio che le decisioni di altri condizionino la mia vita».
«Ma…»
«Partiremo solo noi tre: io, te ed Astoria». Theodore le prese il volto fra le mani e le diede un piccolo bacio sulle labbra. «Baderemo noi a lei».
«E la scuola?»
«A noi manca solo un anno. Impareremo sui libri, senza bisogno dei professori, ed insegneremo tutto quello che sappiamo a Tori» spiegò Theodore con una strana luce che brillava nei suoi occhi, e la Daphne del presente vide la se stessa del passato guardare il ragazzo come se fosse fuori di sé.
«Potremo anche prendere degli insegnanti privati. Non c’è limite a quello che potremo fare, una volta che saremo liberi e al sicuro».
«Non lo so, Theo» disse Daphne, toccandosi i capelli con fare nervoso. «Mi sembra tutto così frettoloso».
«Daphne».
La ragazza alzò gli occhi azzurri e guardò Theodore, che la fissava come se fosse qualcosa di estremamente prezioso.
«Ti amo tantissimo».
Entrambe le Daphne sobbalzarono al suono di quelle parole: quella del passato per la sorpresa, quella del presente, perché le faceva ancora effetto sentire quelle parole.
«Vorrei che diventassi mia moglie».
«Che cosa?»
«Io sarò maggiorenne fra poco e posso trovare chi non farà domande».
«Theo…»
Il ragazzo tirò fuori un anello dalla tasca dei pantaloni. 
Pansy era ammaliata dalla scena, mentre Blaise era quasi annoiato.
Daphne provava un mix di emozioni diverse che le dava il voltastomaco.
«Era di mia madre» stava dicendo Theodore, allungandolo verso Daphne.
Lo smeraldo quadrato dell’anello creava giochi di luce sul pavimento.
«Non mi dire di no solo perché hai paura. Pensaci, d’accordo?»
«Me l’avresti chiesto anche se non ci fosse stata una guerra imminente?» soffiò Daphne, prendendo l’anello fra le dita, senza indossarlo.
«Te lo chiederei anche se non fossi Daphne Greengrass, ma una ragazza qualunque».
Lei accennò un sorriso e la scena davanti a loro mutò.
Pansy trattenne il respiro quando vide se stessa sedicenne sdraiata sul suo letto a baldacchino del dormitorio, mentre la Daphne del passato guardava fuori dalla finestra, verso le profondità del Lago Nero.
«Avevi ragione, stanno tutti impazzendo» disse Pansy, sbottonandosi la camicetta della divisa. Blaise non era più annoiato. «Oggi ho sentito Tiger e Goyle parlare di torturare i Nati Babbani del primo anno, e la Bulstrode ha detto che dal prossimo anno non esisterà nessun’altra Casa eccetto la nostra».
Daphne studiò un Avvincino nuotare nel lago, mentre Pansy proseguiva: «Non che quest’ultimo commento mi dispiaccia, eh, sia chiaro, però… C’era qualcosa di strano nel modo in cui l’ha dichiarato. Come se sapesse qualcosa».
«Magari sa qualcosa» disse Daphne, voltando le spalle all’Avvincino e guardando l’amica con serietà.
«È una Bulstrode, non può sapere qualcosa che non sappiamo. Se stesse davvero per cambiare tutto, noi lo sapremmo».
«Noi siamo solo delle adolescenti, Pansy. Forse i nostri genitori sanno di più, ma non ci vogliono mettere al corrente».
«Stai calma, Daph. Se anche succederà qualcosa, noi saremo al sicuro. Siamo dalla parte giusta».
«Davvero?» domandò Daphne, scettica.
Pansy scosse la testa e la fissò.
«Non “giusta” in quel senso. Volevo dire che, fortunatamente, siamo dalla parte di attaccherà, quindi non ci capiterà nulla».
«Fino a quando gli altri non decideranno di difendersi. E quando accadrà, le persone moriranno. Non importerà a nessuno da che parte staremo».
«Hai paura di una guerra?»
«Ho paura di tante cose» ammise Daphne, sedendosi sul baule di Pansy e incrociando le gambe con eleganza. «Draco?»
Pansy abbassò lo sguardo e si schiarì la gola.
«È finita, lo sai. Non so cosa gli sia preso quest’anno. È diverso».
«Già».
Pansy rialzò lo sguardo e lo puntò su Daphne.
«Non credi sia un caso, giusto?»
«Spero di sbagliarmi, ma Draco non ha mai nascosto le sue idee. Forse vorrebbe che noi ci schierassimo apertamente».
«L’hai detto tu, siamo adolescenti. Me ne frego delle questioni politiche» commentò Pansy, quasi punta sul vivo. «Il prossimo anno saremo maggiorenni e sarà il nostro ultimo anno qui. Voglio godermi ogni singolo minuto, prima della vita adulta».
«Magari è solo giù per suo padre e prima o poi tornerà il solito Draco».
«Lo spero tanto» ammise Pansy con un filo di voce.
Blaise si voltò con sguardo perplesso verso la Pansy del presente, che piegò le labbra in una smorfia. Non poteva cancellare il passato.
La scena cambiò ancora e di nuovo i tre ragazzi videro Daphne e Theodore parlare in un corridoio vuoto.
«Cosa volevi dirmi?»
«Per me va bene» disse Daphne, facendogli un sorriso. «Fuggiamo via e mettiamo Tori al sicuro».
«Daphne…»
«Oh, certo». La ragazza si frugò nella testa della gonna. Estrasse l’anello della madre di Theodore e lo infilò al dito. «Diventerò tua moglie».
Theodore fece un piccolo sorriso, prima di baciarle una guancia.
«Non credo che sia una buona idea».
«Cosa intendi dire?»
«Non penso che dovremmo fuggire. La nostra casa è qui e le nostre famiglie hanno bisogno di noi».
«Ma avevi detto…» Daphne si leccò le labbra, agitata. «Avevi detto che ognuno avrebbe dovuto fare le proprie scelte».
«Ricordo quello che è detto, ma affrontiamo la realtà, Daphne, non siamo adulti. Quanto pensi che dureremo da soli?»
La ragazza scosse la testa, incapace di credere a quelle parole.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Pensavo che fossi contraria alla mia proposta. Hai sempre messo la famiglia al primo posto».
«Sto mettendo la famiglia al primo posto. Astoria». Daphne gli mostrò l’anello. «E te, se accetterai di diventare mio marito».
«Ecco, a proposito… Siamo troppo giovani soprattutto per quel passo».
Daphne spalancò gli occhi e la Daphne del presente si ricordò quanto quelle parole le avessero fatto male in passato.
«Tu non vuoi sposarmi».
«Non al momento, no» ammise Theodore, non accennando al benché minimo dispiacere.
«Ma…» Daphne aveva perso le parole e Theodore provò ad avvicinarsi a lei. «Non mi toccare!»
«Daphne».
«No, non ti avvicinare». Daphne lo guardò duramente. «Se le tue intenzioni non sono serie, è inutile continuare a stare insieme».
«Se è questo quello che vuoi, va bene».
La scena sbiadì di colpo e tutti e tre tornarono al presente, nella stanza di Daphne, che si strinse nelle braccia. Rivivere quei momenti era sempre molto difficile.
«No, aspetta» disse Blaise, indicando il Pensatoio. «Non può essere finita così».
«È vero, deve essere successo altro dopo!» gli diede manforte Pansy, scioccata di essere stata interrotta sul più bello.
«Vi ho risparmiato la fine della litigata, ma le cose importanti erano già state dette».
«Non sapevo che ti avesse chiesto la mano» disse Pansy, cercando con lo sguardo Blaise che si era seduto sul letto di Daphne.
Blaise era a conoscenza di molte cose, ma l’espressione che assunse non insospettì Pansy e Daphne gliene fu grata.
La ragazza aveva tanti segreti, ma quelli che coinvolgevano Blaise erano probabilmente quelli più pericolosi.
«Era una finta. Come hai visto, ha poi cambiato idea».
«Sai perché ho cambiato idea».
La voce di Theodore spaventò le ragazze, mentre lo sguardo di Blaise lo percorse dal basso verso l’alto.
Quel giorno, Theodore indossava un semplice pantalone scuro abbinato a una maglia rossa a maniche lunghe.
Blaise lo trovava davvero irresistibile.
«Cosa ci fai qui?»
«Volevo parlarti» chiarì lui, facendo un cenno di saluto a Pansy e a Blaise. «Fanon mi ha fatto entrare, ma credo di aver interrotto qualcosa».
«Purtroppo non hai interrotto nulla di piccante» commentò Blaise, facendo un sorriso divertito. «Altrimenti, ti avremmo invitato più che volentieri».
«Penso di sapere quali ricordi vi abbia fatto vedere, ma se volete avere un quadro più completo, dovete vedere anche questi».
Theodore si puntò la bacchetta alla tempia e ne fuoriuscirono dei ricordi che mise in alcune fiale di vetro vuote.
«Non ce ne sarà bisogno» disse Daphne, provando a capire dove volesse arrivare.
«Temi che la verità possa sconvolgerti?»
«Conosco già la verità. Me l’hai detta tu, ricordi?»
Theodore arricciò il naso e poi scosse la testa: «No, non tutta».
«Dai, di cosa hai paura, Daphne?» chiese Blaise, alzandosi in piedi. «Sarà divertente».
«E noi saremo con te».
Lo sguardo di Theodore continuava a studiarla e Daphne ignorò lui e annuì ai due amici.
«Se dopo vorrai parlarmi, sai dove trovarmi. Buona giornata».
Theodore uscì dalla stanza e li lasciò di nuovo soli.
«Cosa stiamo aspettando?» domandò Pansy, non appena udì la porta della stanza chiudersi. 
Blaise guardò ancora Daphne, che fece un cenno d’assenso, attendendo che i due amici andassero per primi.
La ragazza era in tensione. Conosceva alcune cose solo attraverso le parole di Theodore, vederle era tutta un’altra storia.
Si avvicinò al Pensatoio e si ritrovò di nuovo ad Hogwarts, nella Sala Comune dei Serpeverde.
Un Theodore sedicenne stava entrando nel suo dormitorio e i tre ragazzi gli andarono subito dietro.
Quando Theodore aprì la porta, facendo per entrare, si arrestò di colpo e finse di tossire.
Daphne, Blaise e Pansy, che si erano sporti per guardare dietro le sue spalle, ebbero tre reazioni diverse: Blaise fece un sorrisino malizioso, Pansy distolse lo sguardo e Daphne spalancò gli occhi.
Sua sorella Astoria era sdraiata sul letto di Draco, che evidentemente aveva appena smesso di baciarla. Erano entrambi affannati e rossi in viso. Guardarono verso di loro, verso Theodore, e Astoria spinse via Draco.
«Theo!»
La ragazza si alzò dal letto, le guance in fiamme, e Daphne non poté non notare che entrambi avevano le camicie della divisa sbottonate.
«Hai capito la piccola Tori» sussurrò Blaise e Pansy gli rifilò uno schiaffo sul braccio, che non scalfì l’espressione piacevolmente stupita di lui.
«C-cosa ci fai qui?» stava dicendo Astoria, tentando freneticamente di risistemarsi i vestiti e i capelli.
«È il mio dormitorio» chiarì lui, spostando lo sguardo da Astoria a Draco, che si era seduto sul letto come se non fosse stato appena beccato con le mani nel sacco.
«Non avevi lezione?» domandò proprio Draco, tra l’irritato e l’indifferente.
«Avevo un po’ di mal di testa».
«Beh, cosa ti aspetti, delle spiegazioni?» insistette Draco, appoggiandosi alla testata del letto con fare annoiato. «È piuttosto ovvio quello che stavamo facendo».
In quel preciso momento, Daphne lo odiò con tutta se stessa. Vide l’insicurezza di Astoria trasparire sul suo volto e lo odiò ancora di più.
«Non so quale sia il tuo problema, quest’anno, ma non usare Astoria come valvola di sfogo. Non è un giocattolo» disse Theodore, l’espressione seria che avrebbe spaventato chiunque.
Draco tentò un mezzo sorriso strafottente e poi guardò Astoria, che scosse la testa.
«Correrai a dirlo a Daphne?» chiese Draco, perdendo la baldanza.
«Forse dovrei, sai?»
Astoria si fece avanti e si mise davanti a Theodore.
«Possiamo parlare?»
«Di quello che ho visto? Ha ragione lui, è chiaro quello che stesse succedendo».
«Draco, ti dispiace lasciarci un attimo da soli?» continuò Astoria, come se Theodore non le avesse detto nulla. «Per favore».
Draco la guardò negli occhi ed annuì lentamente. Si alzò da letto, si allacciò gli ultimi bottoni della camicia e uscì dal dormitorio.
«Cosa ti salta in mente, Tori? Sei uscita di testa?»
«Theo, non è come credi».
«È esattamente come credo!» Theodore sospirò, provando a farle capire. «So che hai una cotta per lui da sempre, ma non penso sia il ragazzo adatto a te».
«Non credo che spetti a te deciderlo» puntualizzò Astoria, sulla difensiva.
«Conosci la sua fama. E non parlo solo delle ragazze, ma anche…»
«Sì, lo so» lo frenò lei, non volendo ascoltare quelle parole. «Ed è vero, quello che si dice in giro, si è davvero unito ai Mangiamorte».
Theodore rimase spiazzato da quella confessione e la guardò come se la vedesse per la prima volta.
«Cosa intendi dire?»
«Gli ho visto il Marchio Nero, sul braccio. E mi ha raccontato delle cose e io… io voglio solo aiutarlo».
«Vuoi redimere un Mangiamorte adesso? Tori, sei ancora piccola e la prima cotta è importante, ma non credo che sia questo il modo».
Astoria incrociò le braccia al petto, una posa che a Blaise e a Pansy ricordò terribilmente la loro amica Daphne.
«Non mi trattare come una bambina».
«E allora non comportarti come una bambina» disse prontamente Theodore. «Se quello che dici è vero, devi stargli lontano, perché non sai cosa potrebbe succedere se continuassi a frequentarlo. Non è un gioco».
«Non ho mai pensato che lo fosse» sbuffò lei, spazientita. «Per Salazar, se avessi voluto una predica, avrei cercato mia sorella, ma ho deciso di parlarne con te perché penso che mi serva un alleato».
Theodore non disse nulla e Astoria continuò.
«Non mi serve un fratello, mi serve un amico».
«Posso essere entrambi, lo sai, ma non mi chiedere di mentire a Daphne, o di scegliere fra te e lei».
«Theo, tu tieni ancora a Draco?»
Il ragazzo non rispose, ma mantenne lo sguardo fisso su di lei, come se stesse cercando di decifrare le sue intenzioni.
«Il fatto che non esprimiate il vostro affetto come fa Pansy, o come fa Blaise, non significa che non vi vogliate bene. E ti conosco, so che lo consideri tuo amico».
«E credi che lui pensi lo stesso di me?» chiese Theodore, facendo una mezza risata ironica.
«Ti considera suo pari» rispose Astoria con sicurezza. «Per Draco, questo vale più dell’amicizia».
«Ha scelto da che parte stare, Tori. Non possiamo fare più nulla per lui».
«Certo che possiamo! Draco… lui ha una missione. Una missione che gli ha dato l’Oscuro Signore in persona».
«Che tipo di missione?»
Astoria si morse le labbra, temendo di aver già parlato troppo. Daphne, Blaise e Pansy sapevano già di quale missione parlasse, ma continuavano a non emettere fiato per paura di perdersi qualcosa.
Theodore le si avvicinò e le strinse le braccia con dolcezza.
«Se vuoi che vi aiuti, devi dirmi tutto».
«Deve uccidere Silente».
Theodore lasciò andare Astoria e scossa la testa, facendo dei passi indietro.
«Ti sei infilata in una situazione più grande di te».
«Mi aiuterai o no?» Astoria sembrava così sicura di sé da far paura. «Fidati di me. So che non è troppo tardi. Possiamo ancora salvarlo da se stesso».
Astoria gli si avvicinò di nuovo. Negli occhi brillava la luce della speranza.
«Tu più di tutti sai cosa vuol dire dover convivere con la presenza opprimente di un padre che ti vorrebbe diverso. Draco non è forte come te, ma questo non lo rende cattivo».
Theodore stette in silenzio per alcuni minuti e poi sbuffò.
«Hai vinto tu. Ti aiuterò».
«Draco non dovrà mai saperlo» chiarì lei, seria.
«Voglio che anche Daphne ne resti fuori, d’accordo? Non le diremo nulla».
Astoria annuì e gli fece un sorriso.
«Speravo lo dicessi. Voglio proteggerla anch’io».
E la scena mutò all’improvviso, talmente veloce che Daphne riuscì ad ignorare Blaise e Pansy, che le lanciavano occhiate furtive.
La scena che si palesò loro davanti, però, l’avevano già vista. Nei ricordi di Daphne.
«Tu non vuoi sposarmi».
Per Daphne fu troppo. Era difficile rivivere quel momento per la terza volta, anche adesso, che conosceva tutta la verità.
«Non al momento, no».
«Ma… Non mi toccare!»
«Daphne».
«No, non ti avvicinare. Se le tue intenzioni non sono serie, è inutile continuare a stare insieme».
«Se è questo quello che vuoi, va bene».
Blaise e Pansy furono felici quando la scena continuò e si misero ad ascoltare attenti.
Theodore si era avvicinato a Daphne, che continuava a scacciarlo via.
«Vorrei solo che ragionassi un attimo sulla cosa. Mi sono lasciato prendere dalla paura che ti potesse accadere qualcosa e non ho riflettuto sulle conseguenze».
La Daphne sedicenne si voltò a guardarlo, segno che stava ascoltando.
«Siamo dei ragazzi e Astoria non potrebbe stare lontano da un ospedale troppo a lungo. Nelle sue condizioni non potrebbe vivere alla giornata, come dovremmo fare noi, se partissimo».
«Non usare mia sorella come scusa per lasciarmi».
Theodore sospirò e provò a prenderle una mano.
«Non voglio lasciarti, Daphne. Ti ho solo detto che se tu vuoi che io ti lasci, lo farò».
«Ebbene, allora, lo voglio».
«Perché sei così arrabbiata, si può sapere?»
«Perché avrei rinunciato a tutto per te, a tutto». La Daphne del presente si vergognò delle lacrime che stava versando la se stessa del passato. «E tu, invece, preferisci rimanere qui e rischiare di combattere una guerra che non vuoi combattere per… cosa? Perché al momento siamo protetti dai nomi delle nostre famiglie?»
«Non possiamo farlo e basta» disse Theodore, categorico. Era chiaro che non avesse trovato una buona scusa per farle capire il perché della sua decisione. «Se vuoi scappare, fallo, ma non usare tua sorella come scusa perché hai paura».
La Daphne del passato assottigliò gli occhi dopo quelle parole e si asciugò le lacrime.
«Lasciami e basta, Theodore. Non girarci intorno».
Il ragazzo la fissò tanto intensamente che Blaise e Pansy si sentirono improvvisamente di troppo.
«Molto bene. Se è quello che vuoi, allora non credo che dovremmo continuare a stare insieme, Daph».
«È finita, quindi».
«È finita».
La scena mutò ancora, ma questa volta davanti a loro non si palesò qualche corridoio di Hogwarts o la Sala Comune dei Serpeverde, ma la casa di Theodore.
Il ragazzo era in piedi di fronte al divano del salotto, dove sedevano tre persone che Daphne conosceva di vista.
Roscoe, Alphonse e Tephania Nott. Rispettivamente gli zii e la nonna di Theodore. Gli esponenti più importanti della famiglia Nott tutti riuniti.
«Vi ho chiamati per informarvi che non ho intenzione di firmare alcun contratto matrimoniale con Tracey Davis».
Roscoe berciò una risata, mentre Alphonse guardava la madre, temendo la sua reazione.
«Mi sembrava che ti piacesse quella ragazza» commentò Alphonse, toccandosi il pizzetto e sistemandosi subito gli occhialetti tondi.
Era sempre stato quello meno attraente dei fratelli Nott, con i suoi radi capelli chiari e lo sguardo serio di chi non si interessa mai a nulla, ma era quello più razionale dei tre e quello che aveva dato da sempre meno problemi.
«Non tanto da sposarla».
«Fai bene, nipote» commentò Roscoe, ridendo. «Sei troppo giovane per sposarti. Devi divertirti!»
Roscoe era lo scapestrato della famiglia e Daphne ricordava di quando, da piccola, aveva preso una cotta per lui.
Era attraente, fuori dagli schemi e selvaggio; forse troppo per Daphne, che aveva perso interesse una volta compiuti i quattordici anni.
Roscoe era invecchiato dall’ultima volta che la ragazza l’aveva visto, ma conservava il suo fascino. Portava i capelli lunghi sciolti e indossava un lungo impermeabile di pelle. La barba, invece, era più lunga di quanto Daphne ricordasse.
«Theodore, in quanto nuovo capofamiglia oramai hai delle responsabilità. I Nott si sono salvati per miracolo, ma abbiamo perso tuo padre e dobbiamo…»
«Mio padre non è morto, nonna. Sta solo pagando per i suoi crimini».
Tephania Nott fissò i suoi glaciali occhi azzurri in quelli castani del ragazzo. Allungò il collo sottile e batté il bastone da passeggio sul parquet.
«Non puoi ragionare come un ragazzino».
«Farò quello che serve per aiutare la famiglia, ma questo non ha nulla a che vedere con il mio matrimonio».
«Ahhhh, è colpa di quella biondina con cui giravi qualche anno fa!» commentò Roscoe, un lampo di divertimento gli attraversò il viso. «Come si chiamava? La figlia dei Greengrass… Dai!»
Roscoe cercò aiuto nel fratello e nella madre, che lo ignorarono.
«Ah, ci sono! Daphne!»
Theodore distolse lo sguardo dalla nonna solo per pochi secondi per lanciare un’occhiataccia allo zio.
«Mm, sì, in effetti sembra un tipo più divertente della figlia dei Davis» continuò Roscoe, come se nulla fosse.
Daphne non apprezzò il complimento. Non le era sfuggita la nota maliziosa, totalmente inopportuna in un contesto del genere.
«Sposare una Greengrass non cambierà di molto le cose» se ne uscì Alphonse con tono piatto, provando ad essere solidale con il nipote.
«La nostra famiglia è in declino. Il buon nome dei Nott è stato messo a dura prova da quando quel ragazzino ha sconfitto l’Oscuro Signore».
«E tu credi che sposare Tracey ribalterà la situazione? Anche se i Davis non fanno parte delle Sacre Ventotto, tutta la famiglia ha fatto parte dei Serpeverde ad Hogwarts. L’opinione della gente non cambierà neanche se sposassi Hermione Granger in persona!»
«Chi?» sussurrò neanche tanto a bassa voce Roscoe. Theodore lo ignorò.
«Mi ricordo la figlia maggiore dei Greengrass. Difficile da gestire e quindi incontrollabile» disse Tephania, come a chiudere il discorso.
«Il matrimonio non si dovrebbe basare sul controllo».
La donna batté nuovamente il bastone a terra, un colpo più forte di quello precedente.
«Oh, Theodore, cresci! Fai parte di una famiglia importante, non puoi permetterti di sposare chi vuoi. Il matrimonio è solo un altro contratto che ci aiuterà a rialzarci».
«Non cambierò idea, nonna».
Le labbra di Tephania divennero due linee sottilissime. Poi, sembrò quasi rilassarsi.
«Vuoi sposare una Greengrass? Perfetto, scegli la figlia minore. So che è cagionevole di salute e sembra molto più malleabile della sorella».
«Astoria non è affatto malleabile e non è lei che voglio sposare».
«Nipote, Daphne sembra davvero adorabile, ma avere una donna come lei al tuo fianco…» Roscoe s’interruppe, provando a cercare le parole giuste. «Vorrebbe dire essere sempre al guinzaglio. Si vedeva già allora che, fra i due, era lei a decidere. È meglio che sia tu a dominare nella coppia. Sei il capofamiglia dei Nott, in fondo».
Theodore sospirò, stanco di stare a sentire ancora quelle parole. Si sedette di fronte a loro con fare nervoso, ma non perse la calma.
«L’amore ti porterà alla rovina. Guarda i tuoi genitori» disse Tephania, brutale. «Pensa a tua madre o a tuo padre».
Theodore rimase impassibile. Daphne avrebbe voluto che non fosse solo un ricordo. Nessuno poteva permettersi di trattare così Theodore davanti a lei.
«I miei genitori si amavano, ma le regole opprimenti di questa famiglia hanno portato mia madre ad odiare mio padre. Tracey è troppo fragile per questa famiglia, come lo era mia madre, e non ho intenzione di farle patire quello che mio padre ha fatto patire a lei».
«E con Daphne pensi che sarà diverso?» domandò Roscoe, scettico.
«Non ho chiesto la mano a Daphne» rispose prontamente Theodore, «Ma se mai dovessi farlo e lei volesse accettare, sono sicuro che non si farà schiacciare dalle pressioni della famiglia».
«Theodore…»
«Penso di aver chiarito ogni cosa». Theodore interruppe la nonna, senza perdere l’aplomb. «Posso accompagnarvi alla porta?»
«Ci stai chiedendo di andarcene?» domandò Tephania, le guance rosse dalla rabbia.
Theodore le fece un sorriso divertito: «No, non vi sto chiedendo nulla. Vi sto congedando. Non c’è altro da aggiungere».
«Non ti permetterò di farlo».
«Non è compito tuo decidere» disse Theodore e Daphne vide l’uomo dietro il viso da ragazzo. «Dopotutto, sono io il capofamiglia, giusto? Posso chiedervi consiglio o mettervi al corrente delle mie decisioni, ma alla fine la parola finale spetta sempre a me».
Le labbra di Tephania tremarono pericolosamente, ma non seppe cosa rispondere.
Il ricordo sfumò ancora e Daphne, Blaise e Pansy si ritrovarono in una casa che non avevano mai visto prima.
Capirono di chi fosse, non appena scorsero Tracey Davis fronteggiare Theodore con gli occhi in fiamme.
«Sei serio?»
«Altroché».
Daphne si guardò intorno e realizzò che quella era la camera della ragazza. Il rosa era il colore predominante, dall’ampio letto a due piazze, al tappeto circolare vicino alla finestra.
Daphne si chiese se Theodore avesse passato le notti in quella stanza, ma preferì concentrarsi sulle parole del ragazzo.
«Non siamo compatibili e lo sai bene».
«Credevo che la tua famiglia avesse bisogno di me» disse Tracey, furiosa. «Dopo il processo di tuo padre… e dopo il tuo!»
«La mia famiglia ha paura e credeva che un matrimonio potesse ristabilirci agli occhi dell’opinione pubblica» spiegò Theodore, sempre con quel tono calmo che usava per tranquillizzare le persone. «Non penso che tu voglia un matrimonio di convenienza».
«Chi dice che tu non mi piaccia?» disse Tracey, sulla difensiva. «Siamo stati bene in questi mesi, o sbaglio?»
«È vero, ma non ti avevo mai promesso nulla».
Tracey lo studiò attentamente con gli occhi scuri. Era strano vederla senza trucco, in pigiama e spettinata. Ricordava a Daphne i tempi di Hogwarts.
«È per lei, vero? Vuoi chiudere per Daphne».
Theodore non distolse lo sguardo dal suo, prima di annuire appena.
Tracey sembrò davvero dispiaciuta, seppur rassegnata.
«Ma… mi avevi detto che era finita fra voi e che… non sareste mai tornati insieme».
«E lo pensavo davvero» ammise lui, sincero, «Ma so che non era felice quando ci ha visto insieme alla festa di Astoria e non la voglio più vedere così».
«Ci ha a malapena degnati di un’occhiata, Theo. L’ho anche stuzzicata un po’ e non ha mostrato alcuna emozione. Pansy ha reagito molto più di lei».
«Non la conosci come la conosco io. Mi basta uno sguardo per capire quello che prova».
Tracey gli si avvicinò e alzò lo sguardo per osservarlo meglio.
«Magari la tua è un’illusione perché speri che torni da te».
«Non penso» disse lui con sicurezza. «Ma anche se fosse, non sarebbe una ragione sufficiente per non voler stare più con me?»
Tracey si morse le labbra e fece un passo indietro.
«Quindi mi hai usato per fare ingelosire lei?»
«Tu non hai fatto altrettanto per farla arrabbiare?» domandò Theodore, alzando le sopracciglia. «Sii onesta, se non fossi stato l’ex ragazzo di Daphne, non saresti mai stata con me».
La ragazza non rispose, ma le lacrime che le scesero lungo le guance rivelavano quanto in realtà Theodore si sbagliasse.
A Tracey piaceva davvero e questa rivelazione, per qualche strano motivo, diede fastidio a Daphne.
«Mi dispiace» disse Theodore, allungandosi verso di lei per baciarle la testa in un gesto di saluto. «Ma adesso sono sicuro che non amerò mai nessun’altra. Se non sarà con Daphne, non mi sposerò mai».
Tracey lo osservò avvicinarsi alla porta della stanza e poi urlò: «Non ti perdonerò mai, Theodore Nott!»
Il ragazzo si voltò verso di lei, una mano sul pomello, pronto per uscire, e le fece un mezzo sorriso.
«Io spero tanto di sì. In fondo, sei più buona di quello che vuoi far vedere».
Riuscirono appena a intravedere l’espressione scioccata di Tracey, prima di tornare alla realtà.
Daphne non seppe bene come commentare tutto quello che aveva visto, così decise di rimanere in silenzio, ben sapendo che Blaise e Pansy non avrebbero fatto altrettanto.
Passarono alcuni minuti, minuti in cui Blaise e Pansy si guardarono senza dire una parola.
Poi, Blaise si sedette sul letto e accennò un ghigno malizioso.
«Quello zio Roscoe deve essere un tipo che si diverte parecchio!»
Daphne emise uno sbuffo divertito, felice che Blaise fosse riuscito a smorzare la tensione.
«Chiedi a Theo di presentartelo» ironizzò Pansy, alzando gli occhi al cielo.
«Se solo Daphne si decidesse ad andare da lui per chiarire… Magari poi sarebbe ben disposto a farmi incontrare lo zietto».
Daphne guardò prima lui e poi Pansy, che le sorrise incoraggiante.
«Vai, che aspetti? Era così che doveva andare, è sempre stato così!»
«Non hai più scuse, Daph» aggiunse Blaise, sorridendo a sua volta. «Ti ha mostrato quei ricordi per farti sapere cosa prova realmente».
«Una vera e propria dichiarazione d’amore».
«D’accordo, vado da lui» disse Daphne, indossando la sua maschera di freddezza, «Ma solo per parlarci. Questo non vuol dire che torneremo insieme».
«Sì, invece» disse Blaise, alzando una mano per salutarla. «Non preoccuparti, Pansy ed io ti terremo il letto in caldo».
«Blaise!»
 
 
 
~
 
 
 
Quando Daphne entrò nella stanza di Theodore, lo trovò vicino alla finestra, ad osservare il giardino con aria tranquilla.
«Ti ho vista arrivare» disse lui, voltandosi lentamente verso di lei. «Spero che Groggy non abbia creato di nuovo problemi».
«Era in uno dei suoi rari momenti di lucidità» spiegò Daphne, chiudendo la porta per appoggiarsi alla superficie di legno. «Penso che abbia capito chi fossi, perché non ha fatto domande».
«O perché si ricorda che l’hai Schiantato».
«Può darsi» commentò lei, accennando un sorriso mentre abbassava lo sguardo.
Calò il silenzio, ma c’era una strana energia nell’aria e Daphne si rese conto di non sapere bene cosa dire. Alzò gli occhi verso Theodore, che si era avvicinato.
«Allora?»
«Allora cosa?»
Theodore piegò le labbra, facendole un verso di scherno. «Ora sai tutto».
«Già» disse lei, facendo poi vagare lo sguardo per la stanza. «Mi dispiace che fra te e Tracey sia finita».
«Non è vero» disse Theodore, avvicinandosi ancora e appoggiando le mani sulla porta per non permettere a Daphne di scappare. «Non è vero che ti dispiace».
La ragazza sapeva cosa sarebbe successo se solo l’avesse guardato negli occhi. Abbassò quindi lo sguardo, nonostante il profumo di Theodore fosse irresistibile.
«Non devi metterti contro la tua famiglia per me».
«Te l’ho già detto una volta, è la mia vita» disse Theodore, e Daphne poteva quasi sentirlo sorridere del suo tentativo di non guardarlo. «E decido io come viverla».
«Theo…»
«Ti amo» la fermò lui, prima che Daphne potesse accampare scuse su scuse. «Se vorrai, non te lo dirò più. In caso contrario, te lo dirò ogni giorno per il resto della nostra vita».
Daphne non poté non ridere e non resistette a guardarlo negli occhi.
«Oh, Theo, potresti essere meno dramma…?»
Il ragazzo si era spinto in avanti per baciarla e la parte finale della domanda le morì in gola.
Daphne intrecciò le mani dietro al collo di lui e fece aderire i loro corpi.
La lingua di Theodore le accarezzava le labbra, il collo e scendeva giù verso le spalle.
«Mi sei mancata così tanto» le soffiò lui all’orecchio, facendola quasi arrossire dall’emozione.
La fragilità di Theodore in quelle parole le provocò piacere sulla pelle, mentre le mani del ragazzo la stringevano come se non volessero lasciarla più andare.
Senza preavviso, la prese fra le braccia e la fece adagiare delicatamente sul letto. Daphne era impaziente e fu veloce a togliergli la maglia per lanciarla lontano.
Theodore le accarezzò una gamba, salendo su, verso il ginocchio che si abbassò a baciare due volte, prima di sbottonarle la gonna.
Daphne lo attirò su di sé, avvicinandosi alla sua bocca con voracità e stuzzicando con la lingua la piccola cicatrice sul labbro di Theodore.
Le era mancata quella cicatrice. Le era mancato tutto.
«Dimmi che mi ami, Daphne» le disse lui, baciandole la pancia e facendola rabbrividire. «Anche se non lo pensi. Anche se non è vero».
Daphne si morse le labbra, incapace di contenere le sensazioni che le trasmetteva avere di nuovo le mani di Theodore su di lei.
«T-Theo» disse solo Daphne e lui le tolse anche le mutandine, non potendo più aspettare.
La ragazza, allora, rinunciò a parlare e si abbandonò completamente al piacere.
 
 
 
«Ti amo anch’io»

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