Ghosts from the past

di Severa Crouch
(/viewuser.php?uid=149089)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

Grimmauld Place n. 12, Londra, 31 agosto 2015

 

Teddy provava sempre uno strano effetto nell’entrare in quella casa dalla quale zia Ginny non era mai riuscita a rimuovere del tutto l’alone tetro che la permeava. Molti orrori erano scomparsi nel corso degli anni, a partire dalle teste mozzate di elfi appese sopra le scale che da piccolo lo terrorizzavano.

“Teddy!” esclamò Harry andandogli incontro in quell’atrio buio dal quale era scomparso l’odioso portaombrelli a forma di zampa di Troll. “Andromeda ti ha lasciato venire da solo?”

“Sì, la nonna ne ha approfittato per andare al cimitero. Credo che il primo settembre le metta sempre un po’ di tristezza.”

“Come a tutti noi, del resto.” Harry gli mise un braccio intorno alle spalle e lo guidò verso il soggiorno. “Sono felice che tu sia qui e non riesco a credere che questo sia il tuo ultimo anno! Il tempo è volato!” Il suo padrino non era solo la persona più vicina a un padre che Teddy avesse mai avuto, ma era anche l’unico che sembrava capire perfettamente come potesse sentirsi. Non c’era mai stato bisogno di molte parole tra loro due.

“Non so se il prossimo anno sarai felice di vedermi tutti i giorni al ministero,” ridacchiò entrando in soggiorno, mentre Harry annunciava ai figli: “Guardate chi ci ha raggiunti!”

“Teddy!” esclamò James abbandonando la copia della Gazzetta del Profeta sul divano per raggiungerlo saltellando allegro. “Allora domani faremo il viaggio insieme?”

“Ci puoi giurare!” Rispose facendogli un occhiolino. “Stavi leggendo le cronache della tua fama? Sei pronto a prendere il mio posto sotto i riflettori? A sentirti tutti gli occhi puntati addosso e le voci che mormorano: è il figlio del Prescelto!

James alzò gli occhi al cielo.

“Veramente stavo leggendo l’articolo di mamma sull’ultima partita dei Cannoni di Chudley. C’è andata giù pesante. Immaginavo il cuore di zio Ron che si spezzava!” James parlava imitando il dolore di Ron. Teddy ridacchiò al pensiero di quanto fosse bravo a cogliere alcuni tratti delle persone, aveva spirito di osservazione e una vena comica notevole. Subito dopo, si abbandonò a un sospiro: “Ho letto anche gli articoli della Gazzetta del Profeta sul mio arrivo a Hogwarts… Papà mi ha raccontato come sono stati i vostri primi anni e spero solo di trovare degli amici fantastici. Per fortuna ci sarà Louis con me e farò il viaggio anche con te, Vic e gli altri.”

“Teddy!”

Albus arrivò trafelato dalle scale e gli corse incontro per abbracciarlo. Sentì le braccia del bambino stringersi intorno alla vita mentre sprofondava la testa contro il suo stomaco con la sua solita irruenza. Teddy accusò il colpo. Ormai era abituato a parare i Bolidi, specie da quando Victoire era diventata Battitrice di Grifondoro.

“Albus! Pronto a rimanere il più grande in casa?”

Albus scosse la testa: “No, mi mancherà James. Lily è chiusa in camera a piangere. Le ho detto di scendere in salotto e di non sprecare l’ultima sera con James ma non mi ha dato retta!”

“Che ne dite se ci provo io?” domandò Teddy.

“Dille di non fare la solita guastafeste!” borbottò James.

“Vieni con me, James, credo che lo apprezzerà.”

Salirono le scale scricchiolanti fino alla stanza di Lily Luna Potter che era stata decorata con una serie di stelle e adesivi magici di animaletti che correvano lungo il legno della porta. Il disegno di un Asticello percorreva il profilo della maniglia come se fosse un trampolino, indeciso se tuffarsi o tornare indietro. Teddy bussò e dall’altra parte si sentì tirare su con il naso.

“Lily? Sono io, Teddy! Mi vieni a salutare? C’è anche James…”

La porta della stanza si aprì. L’Asticello perse l’equilibrio e cadde dalla maniglia, si salvò aggrappandosi all’adesivo di una liana e tornò ad arrampicarsi verso la maniglia mentre sulla soglia compariva una piccola Lily con gli occhi nocciola lucidi e un po’ arrossati. Sorrise imbarazzata. Teddy si abbassò alla sua altezza e le disse: “Ehi, sei la mia cuginetta preferita! Non essere triste! Natale arriverà prestissimo e io e James saremo di nuovo a casa.”

James annuì: “Ti scriverò, Lily, e racconterò a te e Albus tutto su Hogwarts, sui professori, sui compagni di Casa… Sarà come se anche tu fossi lì con me. Sarà strano essere in una scuola senza te e Albus, ma non voglio che tu sia triste, ok?”

Lily annuì e si decise a scendere al piano di sotto. Passò la serata abbracciata al papà, mentre la cucina di casa Potter si riempiva del profumo dello stufato di Ginny, che ricordava moltissimo quello di Molly, e delle chiacchiere e gli scherzi con James e Albus.

Teddy riuscì a coinvolgere Lily in una partita a Sparaschiocco prima che arrivasse l’ora di andare a letto e si lasciò battere per risollevarle l’umore. Riuscì persino a farla ridere cambiando il colore dei capelli su richiesta. Lily gli aveva chiesto il colore del vestito della sua bambola e Teddy aveva colorato i suoi capelli rosa cicca, esattamente come quel vestito. Con la coda dell’occhio, Teddy vide Ginny afferrare la spalla di Harry e scambiarsi uno sguardo e un sorriso.

Conosceva quei sorrisi velati di tristezza, aveva imparato a decifrarli fin da bambino, ogni volta che inciampava in qualcosa, quando sua nonna cercava di nascondere le lacrime per qualcosa che lui aveva detto, o per il modo ostinato in cui si rifiutava di farle sapere che qualcosa non andasse. Odiava quei sorrisi. Sapeva che erano il modo in cui i suoi genitori erano lì, accanto a lui, e gli ricordavano quanto di loro ci fosse in lui. Al tempo stesso, però, gli ricordavano quanto fosse diverso, solo. Improvvisamente non era più Teddy, era il figlio di Remus e Dora. L’orfano dei Lupin.

Harry era l’unico a capirlo, forse perché anche lui era passato per quel sentiero e, come le altre volte, gli sorrise bonario e gli allungò una bottiglia di Burrobirra.

“Ginny ha rivisto sé stessa in Lily, durante la guerra, quando Tonks cambiava il colore dei capelli e il suo aspetto per farla ridere. Ci sono cose che tornano, ed è inevitabile, come lo sguardo di Sirius quando mi vedeva duellare, ma noi non siamo loro.”

“Sei l’unico che capisce cosa si provi.”

“Siamo anche gli unici orfani,” gli disse prima di prendere un sorso di Burrobirra. Sospirò guardandosi attorno: “Sirius e tua nonna ci hanno insegnato che non sempre è la morte dei genitori a renderci orfani.”

“È solo che continua a tornare e tornare, in continuazione. A volte penso che non riuscirò mai ad andare oltre.”

“E come potresti? Imparerai a conviverci, a far pace con il passato e prepararti al futuro. Pensa che domani rivedrai Victoire. Mi sembra che lei veda solo Teddy, proprio come Ginny vede solo Harry.”

Teddy sorrise al pensiero della sua Victoire e annuì allo zio.

“Lo dico sempre ad Andromeda: le fa male passare troppo tempo da sola, con i fantasmi del passato.”

“Lo so, ma non puoi nemmeno chiederle di rimettere piede in questa casa dopo che ha passato molti anni a cercare di fuggirne. I suoi fantasmi sono tra queste mura.”

Harry mandò giù un altro sorso di Burrobirra e Teddy si domandò se suo zio avesse mai riflettuto a sufficienza su cosa significasse per Andromeda Tonks (perché il cognome da nubile lo aveva ripudiato) rimettere piede a Grimmauld Place, in quella che fu la dimora dei Black. Evidentemente no, a giudicare dalla tristezza che colorò il suo volto.

“Ti prego, Teddy, scegli un altro colore, non il grigio per i tuoi capelli,” lo implorò.

“Sì, nonna me lo dice sempre, è stato il periodo peggiore di mia madre.”

“Eravamo tutti così arrabbiati con tuo padre!” Harry scuoteva la testa amareggiato mentre ricordava. “Lo capivo, eh, perché anch’io avevo le sue stesse tendenze… Anch’io ho lasciato Ginny e volevo partire da solo alla ricerca degli Horcrux, non credere…” Mandò giù un sorso di Burrobirra e continuò, questa volta con un sorriso: “Ginny e Tonks erano forti, come Fleur con Bill, e Victoire ha preso dalla madre molto più del sangue di Veela. Persino tu hai molto di Tonks ed è per questo che non vedo l’ora di averti come Auror in ufficio.”

“Non te ne pentirai? Non pensi che parleranno di favoritismi? Insomma, già lo stanno facendo!”

“Non mi importa. Scriveranno comunque delle cattiverie, saranno sempre lì, con il dito puntato, pronti a giudicare, ma noi dobbiamo andare avanti, Teddy. Non si può piacere a tutti, ricordalo, anche se Tosca pensa che dobbiamo essere tolleranti e accoglienti.”

“In effetti è un discorso molto da Grifondoro, il tuo!”

“Tuo papà era un Grifondoro e quindi un po’ di influsso di Godric è anche dentro di te!” Si scambiarono uno sguardo di intesa.

Teddy si era sempre domandato come sarebbe stato finire in Grifondoro come suo padre, mettersi sulla linea di quelli che un tempo si erano definiti “i Malandrini” e solo il nome da un lato gli faceva simpatia, dall’altro gli dava qualche brivido, ma solo quando si ricordava di essere un Caposcuola.

“Il Cappello Parlante aveva valutato di mandarmi in Grifondoro, sai? Poi ha scelto Tassorosso, come la mamma e il nonno.”

“È un’ottima Casa. La lealtà e la pazienza sono virtù preziosissime, soprattutto per fare l’Auror. Sapessi con quante scartoffie avrai a che fare prima di trovarti sul campo!”

Scoppiarono a ridere. Gli occhi di zio Harry lo guardavano complici e Teddy capì che si stava prendendo cura di lui come suo padre si era preso cura di zio Harry. Sperò che questa assurda catena di dolore si interrompesse lì, con lui, e che in futuro i figli sarebbero stati cresciuti dai genitori, e che le cene di famiglia non sarebbero state più così intrise di tristezza. Sperò che l’attesa del primo settembre tornasse ad essere un giorno allegro.

“Harry, che ne dici di lasciar andare a dormire Teddy?”

Ginny li richiamò all’ordine e Teddy si ritrovò nella stanza degli ospiti. Vide che era stata ridecorata da poco: il verde e i mobili scuri dei Black erano scomparsi per lasciare il posto a pareti candide, letti chiari e morbide e accoglienti coperte dalle tinte calde. Si stese nel letto immaginando il tepore confortevole che l’indomani avrebbe sentito nuovamente nel suo dormitorio.

 

***

 

Castello Lestrange, Cornovaglia, 31 agosto 2015

 

“Rabastan hai preso la scopa?”

“Sì, mamma!” brontolò dal divano su cui era sdraiato, intento a leggere l’ennesimo romanzo di avventure, tutto duelli di magia, cavalieri, draghi e altre creature magiche. Era il sesto che leggeva quell’estate, tutti di Raymond Laurent, il suo autore preferito.

“Non ti lamentare se poi non puoi sostenere le selezioni di Quidditch perché l’hai dimenticata!”

“Se dimentico qualcosa chiamo Polly e me la faccio portare. Stai tranquilla,” borbottò tornando a immergersi tra le pagine del suo romanzo.

Roland sospirò rivolgendo uno sguardo desolato alla mamma: “Lo sai che poi dovrò sopportarlo io che sono il Capitano?”

“Dagli una chance, ma senza favoritismi.”

Sua madre era seduta sul divano intenta ad accarezzare la schiena di Roddie che, come al solito, era attaccato a lei. “Il posto in squadra se lo deve meritare: non possiamo rischiare che Serpeverde perda la Coppa.”

Roland si abbandonò sul divano accanto a lei. Il baule era pronto e se, da un lato, non vedeva l’ora di tornare a Hogwarts per rivedere Lucile, d’altro lato, partiva con la preoccupazione di lasciare sua mamma a casa da sola.

“Cosa farai adesso che partiremo, mamma?”

Sua mamma sospirò. “Tornerò al Ministero con Theodore. Ci sarà da combattere un po’. Guarda la Gazzetta del Profeta che campagna che ha fatto per l’arrivo del primogenito di Potter a Hogwarts! Stanno smontando il nostro mondo a suon di applausi.”

“La preside ha mandato una lettera a noi Prefetti per avvisarci dell’arrivo di Potter. Ha sottolineato che ogni Potter ha portato scompiglio a scuola. Mi domando che cosa potrà mai fare…”

“Io ho incrociato il nonno di questo ragazzino, James Potter, frequentava Hogwarts durante i miei anni ed era un terremoto. Si pavoneggiava e se la prendeva con gli studenti più deboli. Direi che come Prefetti dovrete vigilare. Pare che questo ragazzo abbia il nome di due dei peggiori studenti di Hogwarts: James Potter e Sirius Black!”

Sua mamma fissò il camino sospirando. C’erano dei nomi, legati alla sua infanzia, che avevano il potere di rattristarla. Roland le mise una mano intorno alla spalla e le domandò: “A fine mese dovrebbe tornare papà, vero?”

Lo sguardo di sua mamma cambiò improvvisamente e tornò di nuovo luminoso. Roland aveva imparato nel corso degli anni quanto i suoi genitori fossero legati e quanto il passato fosse un argomento di cui non parlavano volentieri. La guerra era stata troppo dolorosa, dicevano.

“Qual è la prima cosa che farai quando rivedrai papà?” le domandò.

“Quando diventi maggiorenne te lo dico,” gli rispose con un sorriso. Roland scoppiò a ridere, mentre Roddie esclamò scandalizzato: “Ma mamma!”

“Lo so che trovate scandaloso che alla nostra età siamo ancora così innamorati, ma succede se passi gli anni migliori tra la guerra e la prigione,” disse tranquillamente, “Credo che il Natale arriverà presto quest’anno!”

“Natale!” esclamò Rabastan sollevando lo sguardo dal libro. Lo videro abbandonarlo sul divano e uscire di corsa dal salone. Roland, Roddie e la mamma si guardarono perplessi.

“Si sarà ricordato qualcosa,” sospirò la mamma che pigramente continuava ad accarezzare la schiena di Roddie.

“Si staccherà mai da te?” le domandò alludendo al modo in cui Roddie le stava attaccato. Nessuno in famiglia aveva mai capito l’attaccamento che Roddie avesse per la mamma che finiva per essere monopolizzata da lui.

“Sento che questo è l’anno buono. Il mio quarto anno ad Hogwarts è stato meraviglioso! Persino tu e Orion siete cresciuti durante il quarto anno. Roddie la prossima estate sarà un giovane e affascinante mago, vero?”

“Sono già un giovane e affascinante mago, mamma, solo che le mie compagne di scuola sono noiose e sgraziate.”

Roland alzò gli occhi al cielo: “Praticamente sta cercando una come te…”

Roddie protestò: “Papà ha detto di non avere fretta, che lui e la mamma si passano tredici anni. Posso aspettare, magari la mia anima gemella sta nascendo in questo momento.”

“Non pensi che nel frattempo potresti divertirti?” gli domandò provocatorio. Insomma, pensare già alla fidanzata, a quattordici anni! Che poi, Roddie a breve avrebbe compiuto quindici anni, visto che era nato a settembre, nel giorno di Mabon.

“Solo se trovo qualcuna che non sia noiosa e sgraziata.”

“È un ragazzo esigente, mi sembra giusto.”

La mamma finiva sempre per prendere le difese di Roddie e, secondo Roland, questo era il motivo per cui lui non si sarebbe mai staccato da lei. Videro tornare Rabastan trafelato con un foglio di pergamena in mano. “Mamma! Il permesso per le uscite ad Hogsmeade!”

La mamma fece un respiro profondo e sollevò gli occhi al cielo. Si divertiva un mondo a tenere Rabastan sulle spine quando le chiedeva qualcosa. Si voltò e gli domandò: “Che dici, Roland, dovrei dare il permesso a tuo fratello per andare a Hogsmeade? Secondo te, è in grado di comportarsi bene e non mettere in imbarazzo il nome dei Lestrange?”

Roland rise e iniziò a grattarsi il mento, come se stesse valutando il da farsi.

“Dai, Ro!” esclamò Rabastan che si stava spazientendo. Roland fece spallucce e disse: “Se l’hai dato a Roddie l’anno scorso, puoi darlo anche a Rab!”

“Ma Roddie mi ha corrotto con una grandissima scatola di Api Frizzole,” disse la mamma pensierosa mentre guardava il figlio e si godeva il fatto di tenerlo sulle spine: “Non so, Rabastan, cosa pensi di potermi portare da Mielandia per Natale in cambio del permesso?”

“I Cioccocalderoni Fondenti!” esclamò convinto.

Roland sorrise: era troppo facile indovinare i gusti della mamma. Adesso lei si mordeva un labbro fingendo di rifletterci su, anche se tutti loro sapevano che era una messinscena. Allungò la mano verso Rabastan e siglarono il patto. “Andata! Mi aspetto una bella confezione di Cioccocalderoni Fondenti per Natale, magari quelli con le nocciole!” lo guardava mentre firmava il permesso e poi gli disse: “Guarda che se ti dimentichi, scrivo alla Preside e ti revoco il permesso!”

Rabastan scosse la testa: “Grazie, mamma! Avrai una scatola enorme!”

La mamma scoppiò a ridere e gli porse la pergamena che Rabastan corse a infilare nel baule insieme alle ultime cose. La mamma rivolse poi uno sguardo a lui e suo fratello e disse: “Sarà meglio che andiamo a dormire tutti quanti. I vostri cugini sono già a nanna e domani sarà una giornata lunga!”

Si ritrovarono a colazione, dopo una notte in cui Roland continuava a svegliarsi e interpretava il mare in tempesta come un cattivo presagio. Si ripeteva che non aveva alcun motivo di preoccuparsi, che suo padre presto sarebbe tornato a casa, che la mamma sarebbe stata impegnata con il Ministero e che c’erano sempre zio Rabastan e zia Pucine su cui fare affidamento. Si stropicciò gli occhi ed ebbe la sensazione che i presagi non riguardassero sua mamma né suo padre ad Azkaban, ma Hogwarts. Rabbrividì sotto le coperte, mentre si decideva ad alzarsi e prepararsi per la partenza.

Indugiò in bagno, nella speranza che la doccia potesse togliere le tracce della notte agitata. A sua madre sarebbe bastato un solo sguardo per cogliere tutti i segni che certe notti portavano. In fondo, aveva ereditato da lei quella specie di dono, o maledizione, fatto di piccoli indizi che il futuro svelava senza preavviso. Non c’era modo di scoprire di cosa si trattasse, se fosse evitabile. Viveva all’erta, in un perenne stato di tensione. L’attesa del pericolo l’aveva reso molto protettivo nei confronti dei fratelli, soprattutto da quando Orion era andato a vivere per conto suo e lui era diventato il maggiore.

“Bonjour Roland,” la mamma lo salutò con un bacio sulla guancia.

“Bonjour, maman,” rispose in rimando. Sentì la mano di lei sulla guancia in una carezza che sciolse le sue resistenze. Gli domandò: “Hai avuto un’altra notte tremenda, eh?”

Roland chiuse gli occhi e annuì stancamente.

“Coraggio, non puoi fermare il futuro.”

“Si tratta di Hogwarts, mamma,” gli disse con un filo di voce, aspettando che lei si preoccupasse. Sua mamma, invece, gli sorrise incoraggiante: “Pensa che ci saranno gli insegnanti ed è uno dei posti più protetti del mondo magico. Se qualcosa di terribile deve arrivare, Hogwarts è uno dei posti migliori per affrontarlo. Sei pronto, Roland, lo so che lo sei.”

“Ma quest’anno non ci sono state le lezioni di papà…”

“Vi siete allenati con zio Rabastan. State vicini, guardatevi le spalle, scrivete a casa e, in caso di necessità, avvisate i vostri professori. Il professor Pucey, il Direttore di Serpeverde, vi darà una mano volentieri. Ricorda che non sei solo.” Sentì la mano della madre accarezzargli la schiena e sussurrargli: “Ricorda, Roland, il modo migliore per avverare una profezia è cercare di impedirne la realizzazione. Abbiamo perso due guerre magiche perché abbiamo ignorato questa regola base. Per questo, anche se non vorrei staccarmi da voi, devo lasciarvi andare a Hogwarts. Non posso permettere che veniate cancellati mentre siete tra le mie braccia. Vi prometto che in qualsiasi linea temporale, io e papà vi troveremo e torneremo ad essere una famiglia.”

Le carezze e le parole della mamma riuscirono a calmare alcune delle paure di Roland. Da quando l’estate scorsa la mamma aveva fatto quella profezia sul tempo che sarà girato e sul ritorno dell’Oscuro Signore, Roland viveva nel terrore che qualcuno modificasse il tempo impedendo alla mamma e al papà di formare la loro famiglia, cancellando tutti i nati nel dopoguerra. Roland alzò lo sguardo e incrociò quello determinato e rassicurante della mamma.

“Siete dei Lestrange, non siete fatti per nascondervi e aspettare il destino senza combattere.”

L’arrivo di zio Rabastan, zia Pucine con i cugini, Philomène e Cyrille, interruppe quel momento. Zio Rabastan lo guardava divertito e gli domandò “Cos’è questa tenerezza, Roland?” mentre i cugini si sedevano intorno al tavolo. Più tardi avrebbero preso una Passaporta per Parigi. A mezzogiorno in punto, Philoméne sarebbe partita per il suo primo anno a Beauxbatons dalla Gare du Nord di Parigi con un treno speciale del tutto simile all’Hogwarts Express.

Roland sapeva che gli zii erano venuti per dare una mano alla mamma, per non lasciarla da sola tutta l’estate mentre papà era ad Azkaban. Lo aveva sentito in una conversazione tra Orion e zio Rabastan.

“Approfittavo dell’assenza di Roddie…” scherzò cercando di sdrammatizzare. Non voleva incupire il giorno della partenza con il pensiero di presagi funesti, solo sua madre era in grado di capirlo.

Nemmeno fossero stati evocati, Roddie e Rab si trascinarono nella sala della colazione, mentre discutevano di quello che sarebbe stato il programma del terzo anno di Rabastan.

Erano molto più avanti dei loro compagni nello studio degli incantesimi, e questo dava loro tempo per concentrarsi anche su altri aspetti da approfondire. Erano certi che avrebbero avuto ottimi voti con poco sforzo, perché gli incantesimi dei primi due anni li avevano già studiati con Erbert Rosier, il loro precettore, non appena la magia spontanea aveva iniziato a manifestarsi con frequenza, verso i nove anni. Avevano continuato così, e ogni anno arrivavano a Hogwarts conoscendo buona parte di quello che avrebbero studiato.

Dopo colazione si ritrovarono nell’atrio del castello con i bauli, il suo gufo Altair, la civetta di Roddie, Snowy, e Fulcran, il gatto di Rabastan. I cugini francesi non avevano apprezzato il fatto che Rabastan avesse chiamato il suo gatto come metà del loro albero genealogico, ma Rabastan aveva scrollato le spalle divertito e aveva detto che lo aveva chiamato in quel modo perché era un gatto permaloso come i cugini francesi. Cyrille non perdeva occasione per tirare la coda a quel gatto, attirandosi le ire di Rabastan.

Zio Rabastan rimpicciolì i bauli e insieme alla mamma e alla zia li inserirono nelle tasche dei mantelli da viaggio.

“I due Rabastan, insieme,” disse la mamma, “Roland, tu vai con Polly.” Roland diede la mano alla loro vecchia elfa domestica, “Roddie con me.” La zia e i cugini avrebbero finito di preparare i bagagli in attesa della Passaporta.

Roddie saltellò allegro e si attaccò al braccio della mamma mostrando una linguaccia a Rab. Roland e Polly si scambiarono un’occhiata e trattennero una risata, mentre i due Rabastan alzarono gli occhi al cielo in un modo che sottolineava tutta la loro somiglianza. Pochi istanti dopo si ritrovarono sulla banchina del binario 9 e 3/4 della stazione di King’s Cross.

Roland intercettò lo sguardo disgustato di sua madre nel vedere la troupe della Gazzetta del Profeta in attesa dell’arrivo del primogenito di Harry Potter. Rita Skeeter era in prima fila con tanto di boccoli biondi in ordine e un completo verde acido che era impossibile non riconoscere. Zio Rabastan scoppiò a ridere nel vederla e strinse la spalla alla mamma dicendo: “Andiamo a cercare uno scompartimento per i ragazzi.” Roland non riuscì a decifrare gli sguardi della mamma e si limitò a seguirli dopo che Polly con un inchino si era congedata per rientrare al castello.

“Fanno solo il loro lavoro,” disse lo zio.

“No, Rab, non la difendere dopo tutti questi anni. È vergognoso: celebrare un ragazzino che non ha mai impugnato una bacchetta come se fosse un eroe.” Roland osservò il modo in cui sua mamma scosse la testa e tornò a sorridere nella loro direzione. “Vieni, qui, Roland, fatti abbracciare.” Sentì le braccia della mamma che lo stringevano forte, seguito da un bacio sulla fronte. Poi fu il turno di Rabastan e infine quello di Roddie, che arrivò per ultimo e fu il più lungo perché lui era il cocco della mamma.

Caricarono i bauli sul treno e Roland andò alla ricerca di uno scompartimento vuoto. Lucile Dolohov gliene mostrò uno che aveva occupato e dove potevano sistemare anche i loro bauli.

“Vado a recuperare Roddie, prima che il treno parta,” le disse.

“Hai letto la lettera della preside?”

“Sì, patetica!”

Percorse con lo sguardo la banchina, alla ricerca di Roddie, lo trovò ancora attaccato alla madre. Andò loro incontro, facendosi largo tra la folla di studenti, genitori e bauli. Lungo il tragitto incontrò Victoire Weasley, prefetto di Grifondoro, che condivideva con lui l’origine francese e l’essere Capitano della squadra di Quidditch. Indossava l’uniforme con la spilla da Prefetto ben in vista.

“Bonjour, Victoire, pronta per la riunione?” le domandò. Samuel Finnigan, l’altro Prefetto di Grifondoro, aveva convocato una riunione dei prefetti e dei capiscuola per organizzare i primi turni di ronda e dividersi i vagoni da controllare sul treno. Lo scorso anno, quel simpaticone di Fred Weasley jr, aveva avuto la splendida idea di testare alcuni fuochi d’artificio sul treno seminando il panico tra i bambini del primo anno.

“Tornatene nelle fogne, Lestrange.” La voce perennemente arrabbiata di Lupin fu la sola risposta che ricevette. Roland lo guardò con un ghigno sul volto. Non aveva nessuna intenzione di farsi intimorire da quello lì. “Non scaldarti così, Lupin, è il tuo ultimo anno. Non vorrai partire con il piede sbagliato?”

“Per te sono il Caposcuola Lupin.”

“Per me resti un mostro, come la tua fidanzatina. Adesso scusami, ma ho di meglio da fare.”

“Chiedi scusa!” urlò Teddy Lupin alle sue spalle. Roland lo ignorò, proseguì il suo cammino raggiungendo la madre e i fratelli. Non sopportava Lupin e la cosa era reciproca. Detestava quell’aria da vittima che aveva perennemente sul volto. Era uno dei vincitori della guerra, i suoi genitori venivano elogiati ogni due maggio, eppure sembrava che il mondo ce l’avesse con lui. Cosa ne sapeva di cosa significava avere un padre ad Azkaban?

 

***

 

King’s Cross Station, Binario 9 ¾, 1° settembre 2015

 

“Un commento per la Gazzetta del Profeta?”

“Rita, abbi pazienza, è solo un bambino.”

“Anche tu lo eri la prima volta che hai fronteggiato Tu-Sai-Chi. Paura di un confronto inevitabile con tuo padre? Di non finire in Grifondoro?”

James fissò quella donna senza vederla veramente, distratto da quella bocca rossa che formulava domande a raffica sotto gli occhiali pieni di strass. La mano di suo padre era salda intorno alla spalla e lo spingeva via, attraversando quella selva di fotografi e cronisti.

Harry borbottò: “Tutto ciò è eccessivo e imbarazzante.”

James attraversò con lo sguardo la banchina fino a scorgere Teddy e Victoire. Lì vicino stavano arrivando Molly, Lucy, Dominique e Louis. “Papà, eccoli!” li indicò allegro.

Harry salutò zio Percy e zio Bill. Vennero raggiunti anche dalla mamma con Albus e Lily, zia Fleur e zia Audrey. A vederli riuniti lì, sul binario della stazione di King’s Cross, sembrava quasi che stessero per andare alla Tana dai nonni e James dimenticò la folla di cronisti.

Il rumore di una Trombetta Starnazzante catturò la loro attenzione. Videro sfrecciare quella specie di palletta arancione tra le persone che si spaventavano al passaggio, mentre Roxanne la inseguiva urlandole dietro: “Torna qui!”

“Accio Trombetta!” Zio George richiamò quell’affare rumoroso e colorato, l’afferrò al volo e la disattivò. Subito dopo, James lo vide infilarlo nel baule di Roxanne facendole l’occhiolino.

“Non le avrai dato quell’aggeggio?” domandò zia Angelina con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi che ricordava molto l’espressione di nonna Molly. George e Roxanne si scambiarono uno sguardo complice e negarono in un modo così spudorato che James e Fred scoppiarono a ridere.

Fred quell’anno avrebbe iniziato il quinto anno, gli si avvicinò e sussurrò nell’orecchio: “Papà dice che non si sa mai quando questi aggeggi possano tornare utili.”

“Metti che ti serva un diversivo,” aggiunse Roxanne.

“Per fare cosa?” Non riusciva proprio a immaginare a cosa potesse servire una Trombetta Starnazzante a scuola. Roxanne gli fece l’occhiolino: “Per sfuggire a una punizione, naturalmente!”

“Speriamo che entrambi finiate in Grifondoro,” disse Fred cingendo con le braccia le spalle di James e Louis. “Sarebbe molto divertente essere tutti insieme in sala comune.”

Louis guardò James e gli disse: “Nel dormitorio potremmo giocare alla guerra con i cuscini.”

“Non farci vergognare, Louis.” Zia Fleur ebbe il potere di gelare l’entusiasmo di Louis, ma quell’effetto venne scacciato via come se si fosse scontrato con un incantesimo Scudo da zio Bill che sussurrò: “Tutto sta nel non farsi beccare!”

Salirono sul treno ridacchiando e occuparono un intero scompartimento. James sedette vicino a Louis e Lucy, di fronte loro erano seduti Fred, Dominique e Roxanne, mentre Victoire e Molly raggiunsero gli altri Prefetti e Capiscuola per la riunione iniziale.

Salutarono i genitori e a James si strinse il cuore man mano che il treno usciva dalla stazione e le figure di Albus e Lily si facevano sempre più piccole e lontane.

“Presto arriverà anche il loro momento,” gli sussurrò Roxanne, “ricordo quando Fred è partito per Hogwarts. È stato molto triste all’inizio, ma poi ci si abitua e in men che non si dica ci si ritrova sul binario per il primo anno.”

“Speriamo,” disse James tra sé e sé mentre il treno lasciava la stazione di King’s Cross.

Teddy gli aveva annunciato un viaggio imbarazzante, pieno di persone che lo fissavano perché era il figlio di Harry Potter o che gli facevano domande strane su suo padre. Così, aveva passato una notte orribile sognando i professori che lo rimproveravano perché suo padre a undici anni aveva già sconfitto Voldemort, mentre lui non riusciva nemmeno ad evocare correttamente un incantesimo. Di tutte le paure sul non essere all’altezza delle aspettative che circondavano il suo arrivo ad Hogwarts, tuttavia, ce n’era una che James Sirius Potter sentiva di non avere e riguardava il Quidditch. Peccato che fosse precluso agli studenti del primo anno.

Il viaggio nello scompartimento con i cugini fu, invece, molto divertente e ricordò il Natale alla Tana. Giocò a Sparaschiocco con Fred e Louis, mentre Lucy raccontava a Roxanne della sua estate in Francia da Victoire e Dodò, e di quanto fosse diversa la cucina francese rispetto a quella inglese.

Comprarono panini e dolcetti dalla signora del carrello e verso il tramonto indossarono le loro uniformi perché presto sarebbero arrivati a Hogwarts. Una volta indossate le divise, l’entusiasmo di Louis aumentò ancora di più e finì per contagiare tutto lo scompartimento. I corridoi del treno si affollarono di studenti man mano che ci si avvicinava ad Hogwarts e si potevano riconoscere quelli del primo anno perché erano gli unici a non indossare i colori delle Case di appartenenza.

“Sarebbe una gran seccatura se non finiste a Grifondoro,” disse Fred guardando fuori dal finestrino, “ho un sacco di progetti per le nostre serate in sala comune!” Lo disse di nuovo e questo commento iniziò a solleticare la paura di James di finire in una casa diversa. Come sarebbe stato Hogwarts senza i suoi cugini? Se fosse finito in una casa in cui non conosceva nessuno proprio come era successo a Teddy?

“Ma tu non hai i G.U.F.O. quest’anno?” domandò Roxanne al fratello con un sopracciglio alzato.

Fred scrollò le spalle, “Sì, ma sai com’è, papà è flessibile su questo argomento. L’importante è avere dei progetti per il dopo Hogwarts e io voglio lavorare al negozio degli scherzi con papà!”

“Sì, però non sottovaluterei la reazione di mamma… Se dovessi avere un risultato come quello di papà cosa direbbe la nonna?”

James rise nel vedere il modo in cui Fred alzò gli occhi al cielo perché tutti in quello scompartimento – persino Lucy – conoscevano le ramanzine e le prediche di nonna Molly sull’importanza dello studio.

“Suppongo che tra poco ogni mistero sullo Smistamento sarà risolto: siamo arrivati,” commentò Fred facendo loro l’occhiolino. Louis si affacciò al finestrino insieme a James, i loro nasi erano pigiati contro il vetro freddo del treno e provarono il medesimo stupore nel vedere la sagoma del castello in lontananza. Quando il treno si fermò si precipitarono fuori e incontrarono Hagrid, l’amico di papà, che li accolse con un sorriso esclamando: “Per la miseria, Louis, sei il ritratto di Bill! E tu James, sei uguale a tuo nonno! Seguitemi.”

James e Louis seguirono Hagrid lungo delle ripide scalette che dalla stazione portavano a un molo al quale erano attraccate delle barchette, ciascuna con una lanterna sul davanti. Si sistemarono in una barca insieme ad altri due studenti del primo anno e si godettero il tragitto e la meravigliosa visuale del castello dal Lago Nero.

“Victoire mi ha detto che lo fanno per impressionare gli studenti appena arrivati,” sussurrò Louis senza farsi sentire dagli altri due bambini con cui dividevano la barchetta.

“Direi che ci riescono benissimo,” mormorò James che, man mano che la riva opposta si avvicinava, sentiva crescere l’impazienza dentro di sé.

Trovarono il professor Percival Chambers, Direttore di Corvonero, ad accoglierli. Si ergeva alto nella sua veste da mago scura. L’austerità dell’immagine che arrivava da lontano si sciolse non appena James si avvicinò e notò lo sguardo vivace e allegro. Li accolse con un sorriso: “Benvenuti ad Hogwarts, ragazzi! Io sono il professor Percival Chambers, sono il vicepreside e insegnante di Incantesimi. Qualcuno di voi mi conoscerà anche come il direttore di Corvonero, una delle quattro Case di Hogwarts in cui presto verrete Smistati.”

Il professor Chambers era un mago alto, dell’età di zio Bill, con una folta barba scura, capelli e occhi altrettanto scuri e vivaci. James sentiva che doveva essere un insegnante brillante ed esigente e si domandò se fosse lui quello che lo avrebbe rimproverato come negli incubi che aveva avuto nei giorni scorsi.

“Le Case di Hogwarts sono Corvonero, Grifondoro, Tassorosso e Serpeverde. Ciascuna Casa ha la sua nobile storia e i suoi studenti diventeranno la vostra famiglia finché sarete a scuola. Ogni successo che otterrete porterà dei punti alla vostra Casa, mentre ogni fallimento o infrazione delle regole determinerà la perdita di punti. Alla fine dell’anno, la Casa che otterrà il maggior punteggio vincerà la Coppa delle Case! Ora entriamo!”

La porta alle spalle del professor Chambers si spalancò e James non seppe trattenere lo stupore nel vedere la magnificenza di quella sala in cui quattro lunghe tavolate erano affollate dagli studenti e, in fondo, i professori osservavano incuriositi l’incedere impacciato dei nuovi arrivati.

“Guarda!” gli sussurrò Louis indicando in alto. James alzò lo sguardo e vide un’infinità di candele che galleggiavano sotto una volta che riproduceva il cielo serale.

“Wow!” esclamò.

Il professor Chambers prese uno sgabello e un vecchio Cappello. James lo stava osservando incuriosito, i cugini gli avevano raccontato come sarebbe avvenuto lo Smistamento, ma non era pronto ad assistere ad uno strappo che si apriva sul bordo del cappello e a sentirlo parlare.

Sono un Cappello di un tempo remoto

Godric e gli altri mi resero famoso

Affinché ognuno di voi potessi con senno smistare.

Vieni studente, dove vuoi andare?

Calzami e io ti potrò collocare.

Il passato ha creato il sentiero,

su cui voi costruirete il domani.

Imparate dagli sbagli per non ripetere gli errori,

anche se in buona fede, possono portare degli orrori.

La guerra è passata, i morti sepolti

Non indugiate su sentieri irrisolti.

Quale sarà la direzione, sarete voi a deciderlo.

Ogni Fondatore vi aiuterà a lasciare gli ormeggi

Sarà Godric il valoroso o Corinna dei saggi?

Forse l’astuto Salazar o la Tosca leale?

Non indugiate, fatevi avanti

Ché vi smisto tra lodi e canti.

La Sala Grande fece un applauso al Cappello Parlante mentre James continuava a sentire quelle parole che gli risuonavano in testa: il passato ha costruito il presente e saranno loro a costruire il futuro. Era ovvio o voleva dire qualcosa? Gli studenti sfilavano man mano verso il Cappello Parlante che esclamava il nome della Casa non appena ne decideva la collocazione.

James sussultò e si sentì un mormorio diffondersi per l’intera Sala Grande quando il professor Chambers chiamò: “Potter, James Sirius”.

La preside, un’anziana strega che era stata la professoressa di Trasfigurazione dei suoi genitori, lo scrutò attentamente e James ebbe un po’ paura. Scosse la testa e si avviò verso lo sgabello pensando che prima si sarebbe seduto, prima avrebbe saputo il suo destino. Qualsiasi scelta era meglio di quello stato di incertezza. Sedette sullo sgabello e il Cappello Parlante gli coprì la vista degli altri studenti. La schiera di occhi puntati su di lui svanì all’improvviso e sentì la voce del Cappello.

“James Sirius Potter… Con due nomi così e il temperamento di fuoco di tua mamma, Grifondoro è la tua Casa!”

James sorrise incredulo. Il Cappello Parlante non aveva fatto alcun paragone con suo papà, ma lo aveva paragonato a nonno James, proprio come Hagrid, e a sua mamma Ginny. Si avvicinò incredulo al tavolo dei Grifondoro sorridendo ai cugini che applaudivano rumorosamente. Più tardi, Louis lo raggiunse al tavolo di Grifondoro e la famiglia poté dirsi riunita.

 

***

 

Hogwarts, 1° settembre 2015

 

Victoire fece scorrere lo sguardo lungo il tavolo dei Tassorosso alla ricerca di Teddy. Si scambiarono un sorriso, entrambi sollevati dal pensiero che lo Smistamento di Louis e James fosse andato senza intoppi.

I suoi genitori le avevano riempito la testa di raccomandazioni, soprattutto la mamma, sul fatto che lei fosse la maggiore e che quest’anno tutti i fratelli erano affidati alla sua responsabilità. Victoire aveva alzato il sopracciglio indispettita da quelle raccomandazioni futili, sottolineò: “Come tutti i Grifondoro, visto che sono Prefetto!” Suo padre aveva annuito divertito e le aveva detto che con quell’espressione assomigliava moltissimo a zio Percy.

Sghignazzò al ricordo della mamma che inorridiva per quel paragone. La mamma aveva provato ad andare d’accordo con zio Percy, ci aveva provato sul serio, perché lei sapeva cosa volesse dire non essere ben vista dai Weasley, ma dopo che lui aveva preso come missione personale quella di toglierle l’accento francese e insegnarle un inglese impeccabile, la mamma le aveva raccontato di aver dovuto riconsiderare quel proposito e d’allora si limitava ad essere gentile con lui e parlare solo con Audrey.

La Preside stava facendo un discorso in cui ricordava agli studenti che la Foresta Proibita era preclusa e diede alcuni avvisi della nuova custode, Madama Augusta Magpie, mentre lo stomaco le brontolava. Dodò le lanciò un’occhiataccia e Victoire si portò la mano sulla pancia domandandole sottovoce: “Si è sentito? Sto morendo di fame!”

“Sì, dai, resisti!” Dominique non fece in tempo a finire la frase che sul tavolo comparve ogni genere di pietanze. Certo, a Hogwarts si mangiava pesante come da nonna Molly, e non c’erano le ricette francesi della mamma, ma ogni cosa era meravigliosamente deliziosa e a Victoire e Dominique non era mai pesato quel cambio di alimentazione durante gli anni della scuola.

James e Louis erano rumorosissimi e dovette riprenderli più volte e lanciare occhiatacce a Fred che alimentava la loro eccitazione con promesse di divertimenti inimmaginabili.

“Ma chi ci è finito in sala comune?” le sussurrò Molly preoccupata, osservando James e Louis che provavano a incantare una salsiccia nel piatto di Fred. “Li immagini quei tre tutto il tempo insieme?”

“Fred ha i G.U.F.O. e il primo anno è sempre traumatico,” le disse Victoire, “vedrai che ci penseranno i professori a metterli in riga. Altrimenti, dovremo punirli.”

“Io non so se ho il coraggio di farlo,” le confessò Molly. “Insomma, guardali come si divertono!”

Victoire scoppiò a ridere: “L’inflessibile Molly che si fa corrompere dagli occhioni blu di Louis o dai riccioli ribelli di James?” Guardò complice la cugina e le disse: “Al massimo mandiamo Teddy.”

“Così però diamo il pretesto a Tassorosso di togliere punti a Grifondoro!” obiettò Molly.

Victoire alzò gli occhi al cielo. A volte sua cugina diventava proprio pesante. “Allora ci penserà Samuel, non ti preoccupare!” Molly scosse la testa e indicò Samuel Finnigan, altro Prefetto di Grifondoro, “Guardalo, sembra che non veda l’ora di unirsi a James e Louis!”

Victoire lanciò uno sguardo alla cugina e si disse che ci fosse un solo modo per farla tacere con tutte quelle preoccupazioni: “Molly, io ti conosco. Dopo l’estate trascorsa insieme ti conosco molto bene, giusto? Ho la sensazione che nessuno in questa scuola, e sottolineo nessuno, nemmeno la preside, sia in grado di assegnare la giusta punizione a quei due meglio di te.”

“Mi stai trattando come mio papà, vero? Oddio, divento pesante come lui? Godric, aiutami! Scusa. Va bene, hai ragione, vedremo quando sarà.”

Victoire scoppiò a ridere, posò un bacio sulla guancia della cugina e si concentrò sulle ultime deliziose patate che le erano rimaste sul piatto. Presto sarebbero comparsi anche i dolci. Quanto le erano mancate le cucine di Hogwarts! Prese un paio di tortine di zucca e poi vide Samuel farle cenno che era arrivato il momento.

“Grifondoro, primo anno, seguitemi!” esclamò. Lei davanti a guidare gli studenti, Samuel dietro a chiudere la fila, mentre Molly continuava a sorvegliare gli studenti più grandi.

“Fate attenzione alle scale, mi raccomando. A loro piace cambiare!” disse mentre aspettava che la rampa di scala tornasse nella posizione giusta. “Buonasera, Pix!” esclamò sorridente mentre ringraziava le antenate Veela che rendevano Pix sensibile al suo fascino.

“Oh, nuove reclute!” esclamò divertito, “come sono piccoli e indifesi!”

“Lui è Pix, il nostro Poltergeist, abita da secoli il castello e si diverte a fare scherzi agli studenti. Imparerete a conoscerlo.”

“Scherzi?” domandò Louis con un sorriso sulle labbra.

“Sì, come questi!” esclamò Pix che non aspettava altro che una scusa. Victoire si portò una mano sugli occhi per non guardare quando tutto il primo anno venne inzuppato completamente.

“Grazie, Louis” commentò, mentre Pix si rotolava dalle risate volteggiando sulle loro teste per poi sparire. Insieme a Samuel asciugarono velocemente le vesti dei primini e tirarono un sospiro di sollievo quando arrivarono al ritratto della Signora Grassa. “Questo è l’ingresso della sala comune. La parola d’ordine è: Dulcis in fundo”. Il ritratto si aprì rivelando l’ingresso nella sala comune.

Victoire raccolse intorno a sé le studentesse e mostrò loro l’accesso ai dormitori di Grifondoro, i bagni e il tour che aveva fatto il primo anno e ripetuto il quinto, quando era stata nominata Prefetto. Non vedeva l’ora di finire quegli adempimenti perché lei e Teddy avevano un turno di ronda ed era moltissimo tempo che non stavano insieme.

Lasciò le studentesse del primo anno nel loro dormitorio libere di prepararsi per la notte e corse nell’atrio dove Teddy l’attendeva. Il cuore le batteva forte, dopo un’estate trascorsa a scriversi tra la Francia e l’Inghilterra. Riconobbe la sua figura alta e slanciata, il giallo della cravatta di Tassorosso che brillava al buio e i capelli castani di lui. Gettò le braccia al collo del suo ragazzo, Teddy la sollevò e si scambiarono un bacio entusiasta.

“Mi sei mancato!” gli disse prendendolo per mano.

“Anche tu, moltissimo!”

“Facciamo questa ronda?” gli disse prendendolo a braccetto. Continuarono a camminare per i corridoi deserti della scuola e non incontrarono nessuno. Era sempre così la prima sera, quando tutti gli studenti erano chiusi nelle sale comune a raccontarsi le vacanze.

“Ti ho visto nervoso,” gli disse, “durante la riunione per poco non puntavi la bacchetta contro Mulciber e Lestrange.”

“Sono due idioti. Non li sopporto. Lestrange, Mulciber, la Dolohov, tutti figli di Mangiamorte, tutti spensierati come se nulla fosse successo. A cosa è servita la guerra? Per cosa sono morti i miei genitori?”

“Beh Lestrange ha il padre ad Azkaban, però.”

“Per favore… è finito dentro per un’accusa ridicola e solo per un anno. La vita dei miei valeva così poco?”

Victoire gli strinse il braccio e prese il viso tra le sue mani: “È grazie al sacrificio dei tuoi che oggi siamo in questa scuola, tu e io, figli di persone morse un Lupo Mannaro, io ho pure sangue di Veela. Se fosse dipeso dai genitori di quelli noi saremmo morti o senza bacchetta.”

“E ti sembra giusto? Ti sembra corretto che loro abbiano il potere di punire gli studenti? Che loro siano come me e te?”

“No, non è giusto, ma c’è stata un’amnistia. Ricordi quanto zio Harry, zia Hermione e i nonni ne hanno discusso alla Tana? C’era anche nonna Andromeda, ricordi? Se vogliamo che la pace duri, dobbiamo tirare una linea, lo sai. Ignorali. Non stanno facendo niente, è solo il loro cognome.”

“Hai detto niente. Secondo te, dovrei scherzare con Roland Lestrange sapendo che Bellatrix Lestrange ha ucciso mia madre?”

“Senti, non voglio difenderlo, ma lui non è nemmeno parente con Bellatrix, lo sai. Era solo la prima moglie di suo padre ed è morta, uccisa da nonna Molly.”

“A te sta simpatico perché è francese come te.”

“Preferirei un Bolide in testa piuttosto che dover trascorrere un minuto con lui. È inquietante e non mi fido affatto di lui. Sa sempre tutto, studia in continuazione e quando abbiamo litigato mi ha rivolto parole orribili. Mi ha anche fatto cadere dalla scopa durante l’ultima partita contro Serpeverde. Ho una marea di motivi per odiare Roland Lestrange, ma non è un Mangiamorte, è solo uno stronzo.”

Teddy sorrise a quelle parole, rassicurato. “Quando ti dice Bonjour Victoire, vorrei spaccargli il naso.”

Victoire scoppiò a ridere: “Ma sei geloso? Di Roland Lestrange? Lo fa solo per irritarmi, sa che odio che mi parlino in francese, me l’ha sentito dire una volta in biblioteca e lo fa apposta. Te l’ho detto è uno stronzo.”

“Voglio proprio sperare. Ad ogni modo, il naso glielo spaccherei lo stesso. Sono tutti motivi più che sufficienti.”

“Ehi! Ma i Tassorosso non parlano così! Non siete leali, pazienti, teneri e coccolosi?”

“Sì, finché qualcuno non ci rompe le scatole e minaccia la nostra tana!” le disse stringendola a sé. Si scambiarono un altro bacio, più intenso. Victoire infilò le dita tra i capelli di Teddy e lo strinse ancora di più a lui. Le mani di Teddy le arpionarono i fianchi e lui si allontanò: “Vic, se fai così è un disastro però. Almeno la prima sera, rispettiamo le regole.”

“Ma non ti vedo da un mese intero!” protestò. Gli sorrise maliziosa “Dai, mostrami quell’aula abbandonata vicino la tua sala comune.”

“Credo che al momento sarà piuttosto affollata,” le sussurrò Teddy, “se vuoi, c’è la Torre di Astronomia.”

“Uh, sotto le stelle! Mi piace!”

“Che ne pensi del bagno dei Prefetti, invece?” le disse mentre erano al quinto piano.

“Mi sa che è più calda della Torre di Astronomia. Andiamo!” esclamò allegra, prendendolo per mano. Fu bello tornare ad amarsi, a sentire i loro corpi l’uno contro l’altro dopo un intero mese di assenza. Victoire amava Teddy, lo amava da quando erano bambini di quell’amore puro e assoluto che negli anni era solo cresciuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Innanzitutto, benvenuti a questo nuovo progetto sulla New Generation. È la prima storia che scrivo su questa generazione e devo dire che sono piuttosto emozionata e un po’ in ansia perché esco dalla mia confort zone che è la Old Generation.

Questa storia si pone come uno spin-off della long Kintsugi che, appunto, attraversa le due guerre magiche dal punto di vista della mamma dei fratelli Lestrange, Alexandra Turner. Non serve aver letto la long, ma vi do qualche dettaglio.

L’estate precedente al tempo della narrazione (quindi l’estate del 2014) Alexandra ha una visione e realizza una Profezia che è quella di The Cursed Child. Ve la riporto che so che molti schifano... ehm... non amano TCC.

“Quando gli altri saranno risparmiati, quando il tempo sarà girato, quando figli non visti uccideranno i padri: allora tornerà il Signore Oscuro.”

Questa profezia getta nel panico i Lestrange perché temono di vedere cancellati i loro figli: se qualcuno torna indietro nel tempo e l’Oscuro Signore non muore, allora Alexandra sarà ancora sposata con Barty e Rodolphus con Bellatrix. Per questo motivo, Rodolphus, Theodore Nott (preoccupato dalla possibile scomparsa dei suoi figli) e Orion, il figlio di Alex e Barty, lavorano a una Giratempo per impedire l’alterazione della linea temporale. Verranno scoperti e Rodolphus si prenderà la colpa e finirà ad Azkaban per un anno per detenzione di materiale proibito (questo darà modo a Orion e Theodore di continuare a lavorare sulla copia della Giratempo che non è stata sequestrata).

In questo capitolo, quindi, Rodolphus è ad Azkaban e sta finendo di scontare la sua pena, uscirà il 30 settembre 2015. Se vi interessa conoscere i dettagli di questa vicenda, trovate tutto nei capitoli 74 e 75 di Kintsugi (li potete seguire senza aver letto la long), anche se ai fini della trama rilevano solo due cose: i fratelli Lestrange sono in ansia perché lasciano la mamma a casa da sola in attesa della scarcerazione del papà e sentono questa profezia incombere sulle loro teste.

I personaggi li scopriremo man mano nel corso dei capitoli. Se avete dubbi, domande, curiosità, come sempre, sono a disposizione. I commenti sono sempre graditi, soprattutto perché sono fuori confort zone e quindi mi fa piacere conoscere le vostre impressioni.

Ci vediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo! Sappiate che la long sarà composta da otto capitoli e io sto scrivendo il capitolo sette, quindi direi che la vedrete completa.

Un abbraccio,

Sev

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Hogwarts, 1° ottobre 2015

 

Roland alzò lo sguardo ancora assonnato dal piatto della colazione. Nascose uno sbadiglio dietro la mano e cercò di sorridere a Lucile nonostante gli occhi stanchi. Era bellissima con i capelli raccolti in una treccia ordinata e gli occhi azzurri che lo fissavano.

“Lestrange, sei un disastro!” commentò scambiandosi uno sguardo divertito con Edith Yaxley, la sua migliore amica.

“Ho iniziato a leggere un libro di storia della Magia e non mi sono reso conto del tempo che passava,” confessò a entrambe prima di prendere un sorso di tè.

“Hai fatto le ore piccole per Storia della Magia?” domandò sorpresa.

Riusciva a capire perfettamente lo stupore di Lucile: tutti odiavano Storia della Magia, la trovavano una materia inutile e noiosa, ma a lui interessava un sacco e si appassionava alle rivolte dei Goblin e le guerre magiche che c’erano state. Le trovava istruttive e ricche di spunti per decifrare il presente.

“Sì, ho preso in biblioteca alcuni testi sui negoziati che hanno portato alla firma dello Statuto di Segretezza. Sono più attuali di quello che si crederebbe, ma ora sono a pezzi.” Un altro grosso sbadiglio gli impedì di finire la frase. Accanto a lui arrivò Rabastan, immerso in un altro dei suoi romanzi di avventura.

“Ma ogni tanto tu studi?” gli domandò scrutando la copertina del libro che risentiva delle attenzioni morbose del fratello. Era il romanzo preferito di Rabastan e Roland aveva perso il conto delle volte che glielo aveva visto in mano.

“Finora ho preso solo E e O. Direi che va bene, no? È che mi annoio…” Rabastan sospirò alzando gli occhi al cielo, “Se solo ci fossero le selezioni per la squadra di Quidditch… Potrei allenarmi e avrei meno tempo per annoiarmi!”

“Le faremo! Abbiamo avuto il campo per ultimi perché il professor Pucey ha dimenticato di prenotarlo! Domenica faremo le selezioni, quindi se vuoi avere una chance, pensa ad allenarti!” Roland sbuffò e vide Lucile ridere con le sue amiche. Avvertì una stretta allo stomaco e le sorrise in rimando.

“Bonjour mes frères!” sospirò Roddie sedendosi accanto a Rabastan.

“Alla buon’ora, sei in ritardo!” gli disse Roland con un altro sbadiglio.

“Non sono né in ritardo né in anticipo. Sono arrivato al momento in cui intendevo arrivare. Ovvero quando alcuni hanno già liberato il tavolo…” esclamò versandosi il tè impettito. Alzò gli occhi al cielo mentre i gufi entravano nella Sala Grande, “…e perfettamente in orario per la posta!”

“Aspetti posta?”

Rodolphus scosse la testa e gli rivolse un’occhiataccia: “Ti sei scordato che ieri papà tornava a casa? Certo che aspetto posta! La mamma ci avrà scritto!”

Antares, il vecchio gufo di mamma, si appollaiò davanti Rodolphus e gli posò una lettera sul tavolo. Roddie gli offrì un biscotto e gli accarezzò la testa dicendogli: “Salutami la mamma.” Lo osservò volare via e poi tornò a concentrarsi sulla lettera.

“Guarda che la lettera non è indirizzata solo a te!” gli disse Rabastan strappando la busta dalle mani del fratello. Indicò l’intestazione. “C’è scritto Roland, Rodolphus e Rabastan Lestrange! La mamma ha scritto a tutti e tre!” esclamò sottolineando con il dito il suo nome sulla busta che aprì con la sua solita delicatezza.

“Cari ragazzi,

come previsto, papà è tornato a casa ieri mattina e sta bene. Azkaban senza i Dissennatori è molto più sopportabile, dice, ma sarebbe carino se gli mandaste un pensiero da Mielandia. Sente molto la vostra mancanza e il castello è sempre così vuoto quando non ci siete. Vi ho messo ben dieci Galeoni che potete usare per comprare un pensiero a papà e divertirvi ai Tre Manici di Scopa.

Abbiamo ricevuto la visita a sorpresa di Delphini che a fine ottobre partirà per il suo ultimo anno a Durmstrang. Ha detto che si tratterrà per qualche giorno a Hogsmeade, quindi sappiate che potreste incontrarla.

Fortunatamente, il matrimonio di Orion e Sybil ci sta impegnando abbastanza. Non vediamo l’ora di rivedervi a Yule. Mi raccomando, fate i bravi, studiate, scriveteci e divertitevi per quanto potete. Hogwarts è un posto magico, anche quando tutto il mondo è contro di voi. Vi salutano tanto anche zio Rabastan e zia Pucine. Philomène è entusiasta di Beauxbatons mentre Cyrille è seccato dall’essere rimasto solo ad annoiarsi in Francia.

Lo zio vi manda a dire di continuare a esercitare il polso e i movimenti della bacchetta.

Vi abbraccio forte,

la vostra mamma.”

“Dieci Galeoni? La mamma è impazzita!” esclamò Rabastan.

“Lo sai che la mamma non bada a spese quando si tratta del papà. Poi…” disse Roland, abbassò la voce per non farsi sentire, “dopo un anno ad Azkaban avrà bisogno di consolarsi.”

“Secondo me, la mamma lo sta consolando benissimo. Staranno tutto il tempo a sbaciucchiarsi… bleah!” esclamò Rabastan con l’aria schifata. Aveva ragione Rabastan, i suoi genitori si sbaciucchiavano non appena loro voltavano la testa, ma Roland aveva smesso di trovare la cosa schifosa, specie da quando Orion si era fidanzato con Sybil e Lucile aveva iniziato a sorridergli in quel modo.

“Cosa possiamo comprare per papà?” domandò Roddie che, come al solito, avrebbe già voluto esaudire la richiesta della mamma. “Direi che possiamo pensarci quando andremo a Hogsmeade, che ne pensate? Sabato 17 è la prima uscita.”

Roland si congedò dai fratelli e si alzò da tavola, diretto verso l’aula di Incantesimi per la sua prima lezione. Si trascinò di lezione in lezione, prendendo appunti a fatica fino all’ora di pranzo, quando tornò nel dormitorio per recuperare una delle pozioni miracolose della mamma. Riuscì a salvare il pomeriggio e il resto della serata.

Si parlava delle selezioni di Quidditch e, in qualità di Capitano di Serpeverde, aveva messo a punto la strategia per vincere la Coppa delle Case. Sperava solo di riuscire a trovare un Cacciatore abbastanza veloce e abile nel volo e per di più doveva sostituire anche il ruolo di Portiere.

“Ho parlato con Pucey, mi ha confermato di aver prenotato il campo,” disse a Doyle Bulstrode, il Cacciatore che era in attesa del suo nuovo compagno e che dall’inizio dell’anno lo pressava per le selezioni. Doyle aveva ragione. C’era bisogno di lunghi allenamenti per trovare il giusto affiatamento tra i Cacciatori, così come per Roland e Hawk era stato lo scorso anno in qualità di Battitori. La dimenticanza del professor Pucey aveva creato non poco scompiglio nella squadra che si era vista il campo soffiato da tutte le Case e Serpeverde, per la prima volta, era rimasta in coda.

“Ovviamente non mi sono fidato di Pucey, pare che sia sovrappensiero perché sta lavorando a un filtro o a un articolo, non ho capito… Insomma, sono andato da Madame Hooch a verificare e mi ha confermato che il campo è nostro questa domenica.”

“Hai già un’idea per i candidati? Tuo fratello come vola? Mi sta pressando dal primo settembre… Direi che se vola come rompe le scatole è un Cercatore perfetto. Ho dovuto resistere alla tentazione di lanciargli contro un Bolide per liberarmene.” Hawk si passò le mani tra i capelli biondi mentre i suoi occhi azzurri lo osservano, pronto a rispondere a qualsiasi reazione.

Roland scoppiò a ridere: “Mio fratello fa questo effetto. Buona l’idea del Bolide! È bravo a volare, ma non voglio dargliela vinta facilmente, deve meritarsi il posto in squadra, altrimenti non me lo tolgo più dai piedi.”

“Allora lo faremo penare,” aggiunse Doyle Bulstrode, “ricordo benissimo quanto ho penato per diventare Cacciatore lo scorso anno.”

“Beh ma è un ruolo importante il tuo,” disse Hawk.

“Sono tutti ruoli importanti,” lo fermò Roland, “se vogliamo togliere quel sorrisino del cazzo alla Weasley ogni volta che mi incontra, dobbiamo vincere tutte le partite. Voglio che questa scuola torni ad essere verde e argento.”

Doyle scoppiò a ridere, seguito da Hawk: “questo è parlare, Lestrange!”

 

***

Biblioteca di Hogwarts, 1° ottobre 2015

 

Roxanne era alle prese con un complicato esercizio di Trasfigurazione. Alzò lo sguardo alla ricerca di Fred, forse lui avrebbe potuto aiutarla a trasfigurare quel porcospino in un puntaspilli. Era distratta perché continuava a pensare a come sarebbe stato trasfigurare il sedile di una sedia in un puntaspilli, ma con gli spilli all’insù, così chi si sedeva distrattamente saltava per aria.

Quel pensiero le provocava una risatina nervosa e le attirava gli sguardi infastiditi dei vicini di tavolo. Peter la guardò malamente e le sussurrò stizzito di smetterla di ridere da sola. Roxanne strizzò gli occhi e pensò che avrebbe potuto sperimentare proprio con la sedia di quel rompiscatole di Peter Davies. Si concentrò sulla forma dell’oggetto, agitò la bacchetta immaginando la trasformazione che avrebbe dovuto subire. Si soffermò sulle caratteristiche degli spilli, sulla loro posizione, proprio sotto il sedere di Peter e su quanto li volesse appuntiti.

“Puntum fibula,” mormorò sottovoce.

Osservò la sedia attentamente ma non accadde nulla. Stava per posare la bacchetta delusa quando Peter si grattò il sedere e si alzò, guardando perplesso la sedia su cui era seduto. Roxanne cercò di tenerlo d’occhio e si nascose dietro un libro quando vide che il sedile era ricoperto da quelle che sembravano pustole appuntite. Non erano gli spilli che aveva immaginato, ma si disse che ci si poteva lavorare su.

“Lo sai che dovresti piantarla con questi scherzi?”

La voce di Victoire le arrivò come un sussurro mentre la cugina si sedeva accanto a lei e tirava fuori libri e pergamene. “Perché te la prendi sempre con Peter?”

“Io non me la prendo sempre con Peter, è solo che è una cavia divertente,” sghignazzò chiudendo il libro di Incantesimi per passare a Difesa contro le Arti Oscure.

“Dai, lui ha pure un debole per te, non ti sembra di essere crudele?” le domandò Victoire. Era seduta accanto a lei e la osservava con il suo solito sorrisetto mentre apriva il libro di Pozioni Avanzate.

“Non ha nessun debole per me,” le disse Roxanne scrollando le spalle. Alzò lo sguardo verso Peter e i loro occhi si incrociarono per un istante. Peter le sorrise mentre cercava di venire a capo del mistero della sua sedia. Roxanne abbassò lo sguardo e le sembrò di vederlo in modo diverso.

“Lo dici tu,” le sussurrò Victoire, “Emma, che è sua sorella, dice che a casa ti nomina in continuazione e guardalo…”

“Ma dai, vi state facendo dei castelli in aria, lui mi rimprovera sempre e non ha il minimo senso dell’umorismo.” Roxanne scuoteva la testa. Si passò una mano tra i ricci che le scendevano sulla fronte e legò quelle ciocche indomabili con una matita. Victoire, accanto a lei, scrollò le spalle si buttò a capofitto sul ripasso di Pozioni. “Sabato vuoi unirti a me e Teddy ad Hogsmeade?” le domandò. Evidentemente Roxanne non era l’unica ad avere problemi di concentrazione in quella biblioteca.

“Solo se non passate tutto il tempo a pomiciare, altrimenti mi infilo da Zonko con Fred e spiamo la concorrenza di papà.”

Studiarono per tutto il pomeriggio. Vennero raggiunte anche da Molly e Lucy che si installarono al tavolo di fronte loro. I posti restanti vennero occupati da James, Louis, Dominique e Fred e presto l’intero clan Weasley-Potter fu riunito.

Poco prima della chiusura della biblioteca arrivò Teddy a prendere Victoire: “Immagino che sarà complicato trovarti da sola quest’anno,” le disse salutando tutti. Victoire sorrise, chiuse i libri e li salutò, avvisando che si sarebbero ritrovati in Sala Grande per la cena.

“Ha già finito i compiti?” domandò Louis perplesso.

Dominique gli diede un colpetto sulla spalla dicendogli che non capiva niente. Roxanne scoppiò a ridere nel vedere lo sguardo ancora più perplesso che Louis e James si scambiarono. Fred, che si era assunto il compito di istruire i cugini, disse loro: “Vogliono stare un po’ insieme prima di cena. Stando in Case diverse è difficile per loro sbaciucchiarsi dopo cena.”

Il bleah! in coro di James e Louis fece scoppiare l’intero tavolo in una risata, mentre Madama Quills, la bibliotecaria, arrivò a rimproverarli facendo piombare di nuovo la biblioteca in un silenzio interrotto solo dal fruscìo delle pagine. Alla chiusura, i cugini iniziarono a defluire verso la mensa e Roxanne venne richiamata dalla voce di Peter.

“Sei stata tu, vero?” le domandò.

“Non capisco.” Roxanne finse stupore mentre osservava lo sguardo corrucciato di Peter con cui stava ricordando quanto accaduto.

“A modificare il mio sedile,” precisò, “Sul momento non ho capito, ma è stato geniale ed è stato difficile far tornare il sedile come prima. Sei brava.”

“Insomma, mica tanto, non è uscito come volevo.”

“Ah-ha! Allora avevo ragione!”

Peter le sorrideva ridacchiando tra sé e sé e Roxanne si disse che non era poi così un rompiscatole. Era sveglio e ora che sorrideva sembrava persino tenero. Alzò le mani in segno di resa, con l’aria divertita e gli disse: “Mi hai beccata! È stato divertente!”

“Mi piacerebbe non essere la vittima, una volta ogni tanto! Magari apprezzerei di più la genialità dei tuoi incantesimi.” Peter si stava mordendo un labbro mentre sorrideva e Roxanne si disse che doveva smetterla di farsi condizionare da Victoire.

Alzò le sopracciglia e gli disse complice: “Vedrò cosa posso fare, Davies!” Lo lasciò là, mentre dei suoi compagni di Casa lo stavano chiamando e lei accelerava il passo per raggiungere Lucy che si era fermata ad aspettarla.

“Sul serio, Davies? Per Godric, Roxanne…” esclamò la cugina alzando gli occhi al cielo. Roxanne scrollò le spalle e non disse niente, nascose il sorriso che le era spuntato tra le ciocche di capelli. “Hai un’idea migliore? Tipo Samuel?” le domandò.

Lucy sospirò. “Mi ha chiesto di uscire con lui sabato, di andare insieme ad Hogsmeade.”

“Pensi di accettare?” Roxanne la guardò di sottecchi con un sorriso sul volto. Era evidente che Lucy moriva dalla voglia di uscire con Samuel. Il loro punzecchiarsi in sala comune aveva dato adito a una serie di scommesse e Roxanne aveva appena vinto contro Fred. Suo fratello, che non capiva niente, come gran parte dei ragazzi, sosteneva che Lucy desiderasse solo affatturare Samuel e che si trattenesse perché lui era un Prefetto.

“Gli ho detto di sì, in effetti.”

“A cosa devo l’onore di questa confidenza?”

“Beh… diciamo che sarà impossibile tenere riservata una notizia del genere. A differenza di te e Davies, noi siamo nella stessa Casa.” Roxanne pensò ai due Galeoni che si sarebbe fatta dare quella sera da Fred. Scosse la testa e puntualizzò: “Ehi, non c’è nessun me e Davies. Non farti strane idee…”

“Avrò bisogno di aiuto con Fred. Sai come diventa quando una di noi esce con un ragazzo. Ancora mi ricordo quando quel Serpeverde mi ha chiesto di uscire…” disse Lucy preoccupata.

“Ehi! Ma Flint non conta! È un viscido e Fred aveva ragione in quel caso. Ti ha salvato la vita!” obiettò Roxanne. La reazione di Fred contro Hawk Flint aveva fatto la storia nella Torre di Grifondoro. Fred gli era andato incontro in pieno inverno e lo aveva fatto correre per tutti i prati inseguito da una Caccabomba saltellante che aveva inventato per l’occasione e un esercito di palle di neve stregate, finché lui non avesse giurato che non avrebbe mai più pensato di invitare ad uscire una delle sue cugine.

“Esagerata! Io mi sarei fatta volentieri un giro con Flint.”

Roxanne aprì la bocca sconvolta per una battuta che non era assolutamente da Lucy Weasley. “Un giro per Hogsmeade, intendo, non essere perversa!”

“Sei tu che sei allusiva! Cosa fai tiri il sasso e nascondi la mano?”

“Come te con Davies? Ti piace far spuntare spilli sulle sedie per guardargli il sedere, eh?” ridacchiò prima di correre verso la Sala Grande. Arrivarono al tavolo tenendosi lo stomaco per le risate, gettarono le borse sotto le panche mentre si sedevano continuando a ridere.

“Come mai ridete così?” domandò Victoire con un sopracciglio alzato e l’aria di chi volesse assolutamente essere tenuta al corrente di ogni cosa. Lucy scrollò le spalle e spiegò: “Roxanne è in fissa con il sedere di Davies!”

“Cosa?” Victoire guardò la cugina e, ricordandole la conversazione di quel pomeriggio in biblioteca, le domandò sarcastica: “Poi siamo io ed Emma a farci i castelli in aria, eh?” Roxanne scosse la testa sospirando: le sue cugine l’avrebbero presa in giro a non finire per quella storia.  

Quando Peter entrò in Sala Grande, Roxanne volle sprofondare.

Victoire, Lucy e Dominique, che aveva origliato la conversazione, allungarono il collo per guardare Peter Davies che scavalcava la panca per sedersi vicino i suoi compagni di casa.

“Cosa guardate?” domandò Samuel Finnigan, sedendosi accanto a Lucy.

Victoire, senza distogliere lo sguardo da Peter disse: “Il sedere di Davies.”

“Gli è scomparso?” domandò Samuel.

“Oh no, è proprio lì, e non è niente male…” mormorò Dominique.

Fu Molly a portare un po’ di ordine al tavolo in contemporanea con la comparsa delle deliziose pietanze preparate dagli elfi della scuola: “Insomma, un po’ di contegno!”

Lucy sussurrò a Samuel: “Poi ti spiego.”

La cena trascorse con le solite battute e risate, con Fred che raccontava i segreti del castello a Louis e James e Roxanne ogni tanto alzava lo sguardo verso il tavolo di Corvonero.

Alla fine della cena, Molly la prese da parte e le chiese se le andasse di farle compagnia durante la ronda notturna. Roxanne acconsentì perché sapeva che Molly avrebbe voluto mostrarle i suoi schizzi.

Il sogno di sua cugina era quello di seguire le orme di sua mamma Audrey e diventare un’illustratrice. Era riuscita persino a disegnare le decorazioni di un paio di prodotti dei Tiri Vispi Weasley, mentre zia Audrey curava molte delle nuove collezioni.

Camminavano lungo i corridoi del terzo piano, tra le aule chiuse e i ritratti appesi alle pareti che sonnecchiavano, quando sentirono un rumore. Sembravano passi nel corridoio, un fruscio di abiti. Molly estrasse la bacchetta: “Vieni avanti.”

Rimasero di sasso quando videro quel sorriso sghembo avanzare verso loro. Era divertito e con le mani in alto: “Mi avete beccato!” esclamò, “complimenti!” Ridacchiò, “quando era vivo non era semplice beccarmi, ma suppongo di essere fuori allenamento.”

Molly e Roxanne si guardarono per avere la conferma che entrambe avessero visto la stessa cosa e poi si voltarono di nuovo verso quella figura. Fu Roxanne a domandare incredula: “Zio Fred?”

“Proprio io!” esclamò allegro. Le guardava con le mani infilate nelle tasche e l’aria di chi si stesse gustando le loro espressioni, come se il tutto fosse uno scherzo ben riuscito.

“Ma cosa ci fai qui? Perché non vai da papà?” gli domandò Roxanne.

Fred scrollò le spalle e disse solo: “Non posso andare da George, gli spezzerei il cuore, e poi mi hanno evocato qui e non potevo resistere alla tentazione di dare una sbirciatina ai miei nipoti.”

Molly sembrava in difficoltà. Roxanne non l’aveva mai vista in quello stato.

“Fred, non hai idea di quanto papà vorrebbe rivederti…” sussurrò Molly con un filo di voce.

“Sei diventata Zuccaposcuola proprio come lui, eh?” le domandò divertito.

Roxanne ebbe la sensazione che volesse sdrammatizzare i toni dell’incontro, come se fosse normale per loro incontrare lo zio morto durante la battaglia di Hogwarts mentre era a spasso per i corridoi della scuola dopo il coprifuoco. Molly non riuscì a trattenere le lacrime e gli disse: “Mi dispiace, mi dispiace, io sono nata un mese dopo ed è colpa mia se papà non è tornato prima a casa.”

Fred le si avvicinò e si chinò a guardarla negli occhi. Roxanne avrebbe detto che l’avrebbe abbracciata se avesse potuto, così fu lei ad accarezzare la schiena della cugina che stava singhiozzando.

“Ehi,” le sussurrò, “tuo padre mi ha fatto ridere prima di morire e non potrei essere più felice di così. Sono contento che lui sia rinsavito e ho capito che era tornato in sé molto tempo prima che tornasse a casa. Erano tempi complicati, e lui se non ha un piano da seguire va in confusione. Tranquilla. So tutto. Quando vai di là, è come se ti dessero il libro con tutte le risposte alle domande della vita. So anche a cosa serve la linguetta delle lattine.”

“A cosa serve?” domandò Roxanne.

“A reggere la cannuccia,” rispose Fred, “incredibile, vero?” Le guardò entrambe e disse loro: “Sono felice di avervi incontrate. Spero di riuscire a incontrare anche il piccolo Fred, vorrei dirgli che, anche se io sono più bello, lui è un degno sostituto. Poi, chiedete a Teddy la Mappa del Malandrino, vi aiuterà ad evitare di finire nei guai e a trovare tutti i passaggi segreti.”

“Li hanno chiusi i Carrow,” rispose Molly tirando su con il naso. “Sei un fantasma?”

“Non tutti sono stati chiusi. Io sono andato avanti, non sono un fantasma. So a cosa servono le linguette delle lattine. Non so perché sono finito qui, qualcuno mi ha evocato. Ora, però, devo andare, chissà se ci rivedremo!” Sorrise e sparì dissolvendosi come una nuvola di vapore.

Roxanne abbracciò Molly che tremava come una foglia. Non avrebbe mai detto che esistesse qualcosa o qualcuno in grado di sconvolgere tanto la Caposcuola di Grifondoro.

La morte di Fred, tuttavia, era un argomento spinoso, anche a distanza di anni. Molly era nata un mese dopo la battaglia di Hogwarts, il 2 giugno del 1998. Da quello che Roxanne aveva saputo, la gravidanza di zia Audrey era stata complicata dalla presenza dei Dissennatori su Londra.

“Se solo papà sapesse…” mormorò Molly. “È che quei giorni erano così difficili! La mamma stava male, il papà era preoccupato per la situazione al Ministero, i Mangiamorte cercavano i Weasley e lui aveva così paura che potesse accaderci qualcosa! Mamma mi ha raccontato che la sera della battaglia di Hogwarts hanno litigato e lui si è materializzato a Hogsmeade insieme ad alcuni colleghi del ministero contro il suo volere. Lei si è sentita in colpa per tutto il tempo al pensiero che sarebbe potuto morire prima di conoscermi, e quando lui le ha raccontato che ha visto suo fratello morire lei è stata male.” Parlava senza prendere fiato e ripercorreva quei giorni che loro non avevano vissuto ma che avevano condizionato le loro vite.

Roxanne ricordava il borbottio di sua mamma quando andavano alla Tana e suo papà sentiva la mancanza del fratello, e poi vedevano Percy arrivare con zia Audrey e Molly. Sua mamma diceva che Molly era stata chiamata così per chiedere scusa alla nonna di quegli anni di follia di zio Percy. Sua cugina si era sempre sentita il peso di quella colpa dentro di sé. Abbracciò Molly stringendola forte a sé. “Coraggio. Hai sentito zio Fred? Va tutto bene… Torniamo in sala comune.” Molly annuì e mentre si asciugava le lacrime mentre recuperava lucidità disse solo: “Chissà come ha fatto a tornare. Dovremmo scoprirlo.”

 

***

 

Dopo cena, Roland incontrò Nigel Smith, il Prefetto di Tassorosso al quale era stato abbinato per il turno di ronda. Era stata l’ultima trovata della Preside, per evitare che venissero tolti punti in modo arbitrario: sorteggiavano i Prefetti che facevano le ronde impedendo a Prefetti della stessa Casa di girare insieme. Il risultato, però, era che tutti erano concordi nel togliere punti a Serpeverde, mentre Serpeverde aveva il cane da guardia contro le infrazioni delle altre Case.

Nigel era un ragazzo a posto, uno studioso indefesso, grande appassionato di Trasfigurazione, aveva il vizio di aggiustarsi i capelli castani in continuazione. Le ronde con lui non erano male, rispetto a quella piattola di Goldstein o quel Finnigan che gli parlava solo di Erbologia.

“Tu hai già deciso cosa fare dopo Hogwarts?” gli domandò mentre camminavano nell’ennesimo corridoio deserto. “L’anno scorso all’orientamento mi hanno detto che potrei fare domanda per un tirocinio al Dipartimento del Trasporto Magico. Sarebbe interessante occuparsi di Metropolvere e Passaporte.”

Roland lo guardò con un sopracciglio alzato. Scrollò le spalle incerto e disse: “Sì, suppongo di sì. Non lo so, mi avevano consigliato l’Ufficio Applicazione Legge Magica. Mia mamma lavora al Wizengamot, mio fratello lavora invece all’Ufficio Misteri.”

“Tuo fratello è un Indicibile?”

“Sì, infatti non parla mai del suo lavoro e so che ha dovuto studiare moltissimo per essere ammesso.”

“Wow! L’Ufficio Misteri è figo!”

“Beh, anche il Trasporto Magico non è male. Voglio dire, è essenziale, specie quando ci sono le Coppe del Mondo di Quidditch, le elezioni, o quando si tratta di collaborare con il Dipartimento Auror.” Cercava di mantenere un buon rapporto con Smith, anche se trovava stupido l’interesse per il trasporto magico. Odiava il pensiero che il Ministero controllasse i camini e le Passaporte, che nessun mago potesse far visita a un altro mago o andare a trovare un parente lontano senza che il Ministero lo venisse a sapere. Suo padre e zio Rabastan facevano bene a usare le Passaporte illegali, ma questo Roland non l’avrebbe mai detto a Smith.

“Mi sarebbe piaciuto fare l’Auror…” ammise Nigel, “ma non ho raggiunto i voti necessari in Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure.”

“Ti piacerebbe prendere la gente e rinchiuderla ad Azkaban?” gli domandò serio. Strinse la mano intorno l’impugnatura della bacchetta e si disse di respirare, di pensare a sua madre quando assisteva ai processi contro i Mangiamorte. Recuperò la calma e lasciò la bacchetta. Aveva fatto bene a non dire nulla sulle sue riserve sulle Passaporte. Sua mamma aveva ragione: occorreva restare sul vago e non approcciarsi ad argomenti tabù se non si avevano elementi per fidarsi di un mago. Bastava un sospetto per una perquisizione e suo papà era già stato tre volte ad Azkaban.

Nigel deglutì. Si era accorto di aver toccato un terreno minato, sorrise nervoso. “N-no,” balbettò, “è solo che è un lavoro prestigioso e ambito e mi sarebbe piaciuto farne parte, ma non ho i G.U.F.O. sufficienti e quindi il problema non si pone.”

“Alla fine saresti stato solo un burattino nelle mani del Ministro della magia, meglio così, il Trasporto Magico è sottovalutato,” gli disse per chiudere il discorso.

Certo, tutti sognavano di diventare come il grande Harry Potter. Tutti, ad eccezione di coloro che avevano sperimentato sulla pelle cosa significasse vedere un membro della propria famiglia finire ad Azkaban. Si salutarono nell’atrio, Roland vide Nigel avviarsi verso la sala comune di Tassorosso, mentre lui prese le scale che portavano verso quella di Serpeverde. Il corridoio dei sotterranei era immerso nel buio, solo qualche torcia era accesa e proiettava ombre tremolanti sulle pareti di pietra. Roland sentì una risata, era come se una ragazza stesse ridendo, sguaiatamente, come se si facesse beffe di qualcuno.

“Chi c’è? Fatti vedere!” esclamò puntando la bacchetta.

Una figura di donna comparve davanti ai suoi occhi. Sbatté le palpebre temendo fosse un’allucinazione, ma la donna continuava a ridere e guardarlo sfrontatamente.

“Roland Lestrange, è così?” gli domandò andando incontro.

Roland strizzò gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura nella penombra. L’aveva vista da qualche parte: “Tu sei…”

“Bellatrix. Bellatrix Lestrange,” esclamò fiera. “O dovrei dire, Bellatrix Black, visto che tuo padre adesso ha un’altra moglie.”

“Non è possibile… Tu sei morta.”

“Proprio così. In questa scuola, uccisa da quella traditrice del sangue magico di Molly Weasley. Puah! E ora sono costretta a vedere la sua insulsa progenie infestare i corridoi di questa scuola!” esclamò con disgusto.

“Sei un fantasma?”

“Non dire sciocchezze! Io sono andata oltre!”

“Cosa ci fai qui, allora?” Roland non riusciva a capire quanto stava accadendo. Bellatrix era morta da anni, cosa ci faceva il suo spirito? Il suo fantasma? La sua immagine fluttuante? Insomma, cosa ci faceva per i corridoi della sua scuola?

“Qualcuno mi ha evocato,” spiegò lei, continuando ad avvicinarsi a lui, fiera, con le palpebre semichiuse e un sopracciglio alzato come se si stesse facendo beffe di lui. “Vedo che non hai preso da tua madre, ma da quel buono a nulla di Rodolphus, sei tonto come lui se mi fai tutte queste domande.”

Roland fu colto da un sospetto. Impugnò la bacchetta e domandò serio: “È uno scherzo? Stupeficium!” La luce rossa dello Schiantesimo oltrepassò il corpo di Bellatrix lasciandola intatta e facendola scoppiare a ridere: “Sei pure permaloso come Rod! Adesso sì che mi divertirò!”

Roland indietreggiò, ma poi si disse che non doveva avere paura, perché Bellatrix era morta e non poteva fargli del male. Non sentiva la magia oscura che aveva percepito durante le lezioni fatte quell’estate con zio Rabastan. Intorno a sé c’era solo l’opprimente e sempre più ingombrante presenza oscura della morte, una forza misteriosa e terrificante, in grado di gelare il sangue nelle vene.

“Allora, com’è essere il primo figlio di tuo padre e non essere il fratello maggiore?” gli domandò Bellatrix osservandolo attentamente. Roland non rispose, lei continuò con le sue domande, sempre più divertita, con l’aria di un gatto che ha appena trovato un topolino con cui giocare e Roland odiava la sensazione di essere il topolino. “Com’è essere in competizione con uno che nemmeno porta il tuo cognome? E tuo padre è andato ad Azkaban per Crouch, avrebbe fatto lo stesso per te? Suppongo di no, ti avrebbe detto di prenderti le tue responsabilità.”

Roland sentiva la rabbia crescere in sé. “Stai zitta! Orion è mio fratello e mio padre ci ama tutti!”

Bellatrix scoppiò a ridere. “Come quella volta in cui stavi annegando mentre lui era impegnato a parlare con Orion?”

“È stato un incidente…” mormorò a denti stretti. Come faceva quella donna a sapere tutte quelle cose?

“Rod è deludente sotto tanti aspetti, prima te ne accorgi, meglio è. Ho sempre detto che non avrebbe dovuto avere figli. Vedi? Nessuno di voi è all’altezza di Orion e Delphini. Siete usciti tonti come lui, Alex doveva darmi retta…”

Roland sentì le lacrime premere contro gli occhi. Fece dei respiri profondi mentre sentiva di perdere il controllo. Nonostante le lezioni di autocontrollo di zio Rabastan che cercava di richiamare alla memoria. Urlò: “Sparisci!”

La bacchetta stretta in mano emise delle scintille e Bellatrix scoppiò a ridere e scomparve.

Il corridoio tornò vuoto, buio e spettrale, come al solito. Roland sguainò la bacchetta, i sensi all’erta, le orecchie in ascolto. Si avviò verso la sala comune. Una volta dentro, intercettò lo sguardo di Roddie che gli chiese: “Com’è andata la ronda?”

“Come al solito. Vado a letto.” Lo disse con fatica prima di correre in dormitorio.

Si buttò sotto la doccia sperando che l’acqua calda portasse via il ricordo di Bellatrix e di quello che gli aveva appena detto.

No, era uno scherzo. Era un dannato scherzo. Suo padre amava i suoi figli e la mamma gli aveva sempre detto quanto fosse stato felice, e orgoglioso nel momento in cui lo aveva preso in braccio per la prima volta. Roland era il figlio che Rodolphus aveva aspettato per più di venti anni. La mamma gli aveva detto che il pensiero che un giorno lui sarebbe arrivato e che il ramo dei Lestrange sarebbe cresciuto aveva aiutato suo padre a sopravvivere ai Dissennatori di Azkaban. Quello che diceva Bellatrix non aveva senso.

Eppure. Eppure, Rodolphus aveva letto le favole per la prima volta a Orion. C’era un rapporto speciale tra loro, unico, diverso da quello che Rodolphus aveva con i suoi figli. Sembrava che suo padre avesse un occhio di riguardo per Orion, sempre. Sospirò.

Cos’era quella specie di fantasma? Perché era apparsa? Chi l’aveva evocata? Perché c’era quell’alone di terribile oscurità intorno a quella figura spettrale?

Roland passò una notte orribile, girandosi e rigirandosi nel letto in preda agli interrogativi, mentre nei suoi sogni tornava a far capolino quello sguardo di scherno. Comparvero anche i suoi genitori, Orion e Delphini, che assumevano la stessa espressione di Bellatrix e lo prendevano in giro perché non aveva capito nulla. Rodolphus si diceva deluso da lui: dopo tutti gli insegnamenti, era evidente che non avesse imparato nulla, al contrario di Orion che si era rivelato un figlio decisamente migliore.

Si svegliò di soprassalto, sudato e tremante, mentre il respiro gli mancava. Barcollò fino in bagno e si buttò sotto la doccia. Di nuovo. Aveva bisogno di riprendersi per poter affrontare la giornata.

Corse in biblioteca, prima ancora di andare a fare colazione e volò nel reparto sulle Creature Magiche. Cercò: Fantasmi, Spiriti e altre creature evanescenti, ma al suo posto trovò la targhetta che avvisava che il libro era stato preso in prestito.

“Dannazione.”

Si passò una mano tra i corti capelli neri e si disse che avrebbe provato con Storia delle apparizioni misteriose a Hogwarts. Anche quello era assente. Tipi di Fantasmi e origine del loro nome. Assente. Si recò nel reparto proibito con un permesso del Professor Pucey che non aveva ancora esibito e chiese a Madama Quills di prendergli Evocare i Morti, Defunti dall’Aldilà e Apparizioni misteriose: tutti i modi in cui i morti parlano con noi. Oltre a Veleni potenti e loro rimedi, che era il solo libro per cui Pucey aveva firmato il permesso.

Madama Quills tornò con il libro sui veleni e gli disse che gli altri libri erano stati tutti già presi in prestito. Roland si trascinò sconfortato in Sala Grande per una colazione veloce per poi andare a lezione, quel giorno aveva Erbologia e poi Difesa contro le Arti Oscure.

“Dov’eri?” gli domandò Rabastan vedendolo arrivare tardi.

“Sono andato in biblioteca a prendere un libro per una ricerca di Pozioni,” mentì.

“Sei strano. Sei sicuro che non è successo niente?” gli domandò Roddie, comparso accanto al fratello. Roland sorrise al pensiero che ai suoi fratelli non potesse nascondere nulla. Erano svegli, nonostante fossero più piccoli. Si disse che doveva metterli in guardia, senza spaventarli, ma comunque dovevano essere pronti. Come avrebbero reagito se si fossero trovati di fronte Bellatrix senza preavviso come era successo a lui? Lei si sarebbe fatta beffe di lui un’altra volta perché non era stato nemmeno in grado di avvisare i suoi fratelli?

“Dobbiamo trovare un posto tranquillo dove parlarne.”

“Dopo le lezioni in sala comune non c’è nessuno. Ci vediamo lì?” domandò Roddie. Roland e Rabastan annuirono all’unisono.

Le lezioni di Erbologia erano un tormento.

Non solo perché il professor Longbottom era un ex Grifondoro che amava ricordare i sacrifici della guerra, ma anche perché lo odiava. Roland lo sapeva. Lo aveva capito dal modo in cui non lo fissava mai, non pronunciava mai il suo nome, e persino quando alzava la mano per rispondere si limitava a indicarlo con il dito, se proprio era l’unica mano alzata. A volte fingeva di non vederlo.

Per tutto il primo anno si era interrogato sul perché di quel comportamento strano. Solo a fine anno, mentre commentavano a casa i voti di Erbologia, sua madre gli aveva raccontato i trascorsi tra i Longbottom e i Lestrange, e il papà di Orion. Roland per un po’ si era domandato cosa c’entrasse lui, perché dovesse finire in mezzo a una questione della guerra quando tutti parlavano di voltare pagina. Sentiva l’ipocrisia di quei discorsi ed era arrivato al punto di credere che se il padre del professor Longbottom fosse insopportabile e ottuso come il figlio, beh, allora non faticava a credere che in quei frangenti papà, zio Rabastan e il papà di Orion avessero perso la pazienza. Ovviamente, non si sarebbe mai sognato di dirlo apertamente.

“Adesso estraete la Puzzalinfa dalla Mimbulus Mimbletonia,” disse il professor Longbottom.

Roland eseguì l’operazione. Il professore, nel frattempo, ne spiegava gli usi e le proprietà dall’altro capo del lungo tavolo pieno di vasi intorno al quale erano disposti gli studenti. I Grifondoro occupavano la prima metà del tavolo, erano disposti ordinatamente intorno ai due lati, mentre i Serpeverde occupavano la seconda metà del tavolo.

Roland prendeva sempre l’ultimo posto, vicino alla porta d’ingresso della serra, pronto a svignarsela non appena la lezione finiva, considerato che il professore non gli dava mai modo di intervenire a lezione. Era una situazione paradossale: lui amava le lezioni di Erbologia avanzata che gli dava sua madre in estate. Fin da bambino si era divertito a trascorrere del tempo nelle serre, ma le lezioni con il professor Longbottom proprio non riusciva a sopportarle. Lo riempivano ogni volta di pensieri che afferivano a un tempo che lui considerava passato, un capitolo della vita dei suoi genitori che era stato chiuso e di cui nessuno parlava mai volentieri, nemmeno Orion che a quei tempi era solo un bambinetto.

“Fate attenzione, in ultima fila,” esclamò il professore.

Hawk gli diede una gomitata e Roland alzò lo sguardo incontrando gli occhi castani del professore che lo fissavano attentamente: “È tutto chiaro?” domandò, senza fare alcun nome.

Roland annuì.

“Sai dire alla classe di cosa stavamo parlando?”

“Delle proprietà della Puzzalinfa e del suo uso nelle pozioni,” inventò sulla base di qualche parola che aveva captato. “In particolare, viene utilizzata per curare l’essiccazione procurata dalla pozione rinsecchente.”

“Stavamo parlando delle proprietà della Puzzalinfa, ma non siamo arrivati a discutere dell’uso nelle pozioni e, faccio presente ai tuoi compagni, la preparazione di rimedi alla pozione rinsecchente non è nei programmi scolastici. Cinque punti in meno a Serpeverde: conoscere la lezione non è un buon motivo per non seguirla.”

Roland si scambiò uno sguardo perplesso con Hawk. Aveva risposto correttamente, sapeva più cose dei suoi compagni di classe e veniva punito. Hawk gli sussurrò: “Lascia perdere, Roland…”

“Flint, silenzio, altri cinque punti in meno a Serpeverde.”

Roland sbuffò. Allontanò da sé libro e pergamena su cui stava prendendo appunti, pronto a incrociare le braccia per ascoltare la noiosissima lezione su quella stupidissima pianta. Allontanò la Piuma con un gesto stizzito e non si accorse che la punta colpì la Mimbulus Mimbletonia che reagì stizzito ricoprendolo di Puzzalinfa.

Hawk si allontanò in tempo grazie ai riflessi allenati dallo schivare i Bolidi e riuscì ad evitare di essere ricoperto di quel liquido disgustoso. L’intera classe si voltò verso di lui.

Salazar, aiuto.

Voleva seppellirsi.

Sentì chiaramente il professor Longbottom esclamare: “Altri venti punti in meno a Serpeverde per aver interrotto la lezione e reso l’aria irrespirabile!” I Serpeverde protestarono, ma il professor Longbottom scrollò le spalle dicendo: “Ringraziate il vostro compagno di Casa!”

Figurarsi che lo chiamava per nome.

“Evanesco! Almeno alla puzza possiamo porre rimedio. Weasley, per cortesia, dove eravamo rimasti?”

Roland alzò lo sguardo e vide Victoire Weasley alzarsi in piedi e rispondere al professore, beandosi delle lodi e dei punti che Grifondoro stava guadagnando.

Hawk lo ammonì con lo sguardo, come se fosse in grado di leggergli nella mente. In realtà, Roland pensava di essere in uno stato di tale insofferenza da renderlo palese a tutti. Incrociò le braccia e rimase ad ascoltare con la testa altrove. Una domanda era tornata ad affiorare nella sua mente: dove erano finiti i libri sulle creature evanescenti della biblioteca? Perché Madama Quills non gli aveva voluto dire chi avesse preso in prestito quei libri?

Rimase immerso in quei pensieri fino alla fine della lezione, quando Hawk scrollò la sua spalla e gli domandò con un sorriso sghembo: “Ti sei innamorato del prof? La lezione è finita, andiamo in pace.”

Roland alzò il sopracciglio e lo fissò con quella che i compagni di dormitorio avevano definito la sua espressione omicida. Raccolse la sua roba gettando Piume, pergamene e libri alla rinfusa in borsa. Fece sparire i resti di Puzzalinfa dalla sua uniforme e si trascinò fuori da quelle serre in direzione della lezione di Difesa contro le Arti Oscure con Corvonero, la sua materia preferita.

Il professor Edgar Pucey attendeva i suoi studenti seduto sulla cattedra, intento a leggere alcuni temi. Sorrideva grattandosi la barba nel leggere quelli che dovevano essere degli errori. A prima vista lo si sarebbe immaginato come un insegnante di manica larga, ma gli studenti avevano imparato a loro spese quanto fosse esigente sulla preparazione. Dietro gli occhi verdi e il sorriso divertito dall’essere riusciti a domare una creatura oscura, il professor Pucey richiedeva assoluta concentrazione e perfetta padronanza del lessico.

“Buongiorno ragazzi, oggi finiamo di conoscere gli Obscurus, delle creature piuttosto rare e insidiose,” esordì nel silenzio assoluto dell’aula. Roland era seduto in prima fila e osservava colpito la creatura che il professore mostrava loro intrappolata da una bolla trasparente. “È una creatura troppo pericolosa perché possa essere liberata, non è mica un Molliccio, ma volevo che la vedeste, che percepiste il groviglio di oscurità e di magia repressa di cui si nutre.”

Roland si scambiò uno sguardo con Hawk ed entrambi iniziarono a prendere appunti freneticamente. Aveva letto degli Obscurus su alcuni libri nella biblioteca di famiglia, ma trovarsene uno davanti era tutto un altro discorso. Avrebbe voluto studiarlo, sentirne la forza con la bacchetta, provare a controllarlo, ma sapeva perfettamente quanto fosse pericolosa una simile opzione.

Il professor Pucey continuava a spiegare il modo in cui i maghi avevano scoperto l’esistenza degli Obscurus e Roland aveva la sensazione di essere osservato dalla creatura, come se qualcosa di lui fosse permeato attraverso la bolla protettiva e attirato l’attenzione di quell’essere.

L’odio contro Longbottom.

L’Obscurus vibrò e Roland ebbe un sussulto. L’aveva sentito. Il professor Pucey si accorse del movimento dell’Obscurus, impiegò pochi istanti per individuare l’oggetto di interesse della creatura magica. Agitò la bacchetta e la bolla con tutto il suo contenuto scomparvero, rinchiusi in un baule munito di Incantesimo Estensivo e ben sei diverse serrature.

“Meglio rimettere l’Obscurus al sicuro. Una classe di adolescenti,” disse guardando Roland, “è uno stimolo eccessivo per una creatura del genere. Un po’ come invitare un Dissennatore a un matrimonio, oserei dire.”

Risatine corsero lungo l’aula. Alcuni Corvonero si diedero delle gomitate. Il professore continuò con la lezione, assegnò cinquanta centimetri di pergamena sui poteri dell’Obscurus e i modi per scoprirlo e fermarlo. “Per la prossima lezione iniziate a leggere il capitolo sugli spiriti.”

Roland ebbe un’illuminazione, forse il professor Pucey poteva essergli d’aiuto. Alzò la mano e domandò: “Professore, ho una domanda, una curiosità, per lo più. Esiste un modo in cui un morto, che non è un fantasma, può essere evocato?”

“Ci sono le sedute spiritiche. Alcuni maghi le usano per tenere i contatti con i defunti. Le studieremo tra qualche settimana.”

“No, professore, nelle sedute spiritiche lo spirito del defunto rimane all’interno del cerchio magico e resta in contatto con il suo evocatore. Io mi domandavo se esiste un modo che evochi lo spirito e lo lasci andare in giro come se fosse vivo, come se fosse un fantasma.”

“Sarebbe magia molto oscura, Lestrange, noi non insegniamo questa roba ad Hogwarts e tu non dovresti minimamente interessarti di cosa c’è al di là del confine tra il regno dei morti e quello dei vivi. Molti maghi si sono smarriti provando a indagare quel confine, senza contare che il Ministero ha un atteggiamento molto severo verso questo genere di studi, se capisci cosa intendo.”

Roland annuì. “Sì, certo, era solo una curiosità che mi era sorta guardando il Barone Sanguinario. Mi domandavo se i fantasmi avessero un modo per vedere i loro cari che erano andati oltre.”

Pucey gli sorrise indulgente, mentre Hawk al suo fianco gli aveva sussurrato: “Che cazzo di domande fai, Lestrange?”

“Ero curioso, Flint, fatti gli affari tuoi.”

Doveva parlare con i suoi fratelli. Doveva avvisarli, prima che fosse troppo tardi. Aveva sentito benissimo la presenza delle Arti Oscure e ne aveva avuto la conferma.

Qualcuno stava giocando con materiale proibito.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Siamo entrati nel vivo del mistero.

Sia Molly e Roxanne che Roland hanno fatto degli strani incontri. Spettri che arrivano dal passato e che smuovono qualcosa nei vivi. Cosa sono? Chi li ha evocati? Come e perché?

Avete visto anche come il rapporto di Roland sia complicato con il professor Longbottom. Per il povero Neville non deve essere stato affatto facile trovarsi a dover insegnare per sette anni a un Crouch e tre Lestrange. Vedete anche come sia difficile fare domande su alcuni argomenti senza richiamare certe preoccupazioni afferenti alle Arti Oscure.

La mamma di Roland ha nominato Delphini che è a Hogsmeade prima di partire per Durmstrang. Non sappiamo quando inizia la scuola e ho immaginato che iniziasse a Novembre, dopo le celebrazioni di Samhain.

Vi ringrazio per la splendida accoglienza che avete riservato al primo capitolo, spero che la storia e i personaggi continueranno a interessarvi. Se avete domande, dubbi, curiosità, o per sclerare sui personaggi sono a vostra disposizione.

Alla prossima,

Sev

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Hogwarts, 3 ottobre 2015

 

 

“Muovetevi! Roxanne, la Pluffa! Passa la Pluffa a Dominique! Lo schema, per Godric, ricordate lo schema!” Victoire si stava sgolando su quella scopa mentre cercava di mettere ordine tra i componenti della squadra di Grifondoro.

Rispedì a Baston il Bolide.

“Bel colpo, Vic!” le urlò in rimando, “Spero che colpiremo qualche Serpeverde con questa furia!”

“Non ti distrarre Seb, resta concentrato! Sono le Serpi che danno fiato alla bocca, noi Leoni andiamo a caccia!”

Tiberius McLaggen parò il lancio di Fred e Victoire sentì il fischio di Madama Hooch: “Tempo scaduto!”

“Va bene, ragazzi! Complimenti a tutti! Li stracceremo anche questa volta!” Alzò lo sguardo e incontrò quello di Teddy. Sorrise. Lui non perdeva nemmeno uno dei suoi allenamenti.

“Vieni a spiare, Lupin?” gli aveva detto McLaggen mentre entravano nello spogliatoio.

“Vengo ad ammirare la vostra Capitana, McLaggen.”

Si scambiarono un sorriso e Victoire si sentì a disagio nell’incontrare quello sguardo innamorato mentre lei era ricoperta di acqua e sudore, con i capelli scompigliati dal vento e il volto arrossato dall’intensità dell’allenamento.

“Ti aspetto qui fuori, fai con calma,” le sussurrò prima che lasciarla entrare nello spogliatoio, dritta nelle docce per rinfrescarsi e rendersi presentabile, se mai la tuta con i colori della squadra potesse avvicinarsi al concetto di “essere presentabile”. Sua madre avrebbe alzato gli occhi al cielo nel vederla conciata in quel modo, ma lei non era una studentessa di Beauxbatons e Hogwarts aveva un clima ben diverso dalla Francia, e comunque lei non era sua madre, per quanto si assomigliassero.

Victoire si sentiva più simile a suo padre, da cui aveva ereditato la stessa passione per l’avventura, nonché il ruolo da Battitore nella squadra di Quidditch e la passione per gli incantesimi. Sognava di diventare una Spezzaincantesimi proprio come lui, un giorno. Sarebbero stati una coppia meravigliosa, lei e Teddy, un Auror e una Spezzaincantesimi, con una vita piena di avventure.

C’era, però, una cosa che aveva indubbiamente ereditato da sua mamma, ed era la consapevolezza dei propri sentimenti e la stessa tenacia e determinazione nel coltivarli. Si sentiva unita a Teddy da un filo invisibile, come se loro due fossero nati per stare insieme, e più il tempo passava, più le prove di quella specie di predestinazione le avvertiva tutte.

Sospirò davanti lo specchio, mentre raccoglieva i capelli, sentì Roxanne dirle: “Almeno tieni sciolti i capelli. Teddy si ricorderà che sei la sua fidanzata.”

“Come se fosse una coda a farglielo dimenticare!”

“Beh, ma così sei decisamente più carina!”

“D’accordo.” Non le sfuggì con la coda dell’occhio l’attenzione che Dominique impiegava nel sistemarsi l’uniforme di Grifondoro. Strizzò gli occhi in direzione della sorella e le sembrò che stesse, addirittura, eseguendo un Incantesimo Illuminante al volto. Scosse la testa tornando a pensare a Teddy che l’aspettava fuori, salutò il resto della squadra e uscì.

“Albert!” esclamò non appena uscì all’aria aperta, “è successo qualcosa?”

Albert Goldstein, nella sua uniforme di Corvonero le sorrideva imbarazzato passandosi una mano tra i ricci scuri, sul mantello spiccava la spilla da Prefetto, a ricordare a tutti la sua posizione. Scosse la testa e una cascata di onde nere gli cadde sul volto. “No, non è successo niente. Passavo di qui!” le rispose vagamente.

“Vic!” Teddy la richiamò e Victoire lasciò Albert fuori dallo spogliatoio delle squadre con le mani in tasca e un’espressione ansiosa sul volto.

“Fermo, Ted,” gli disse sottovoce, mentre lui stava andando verso il castello. Lo guidò sotto gli spalti.

Ted l’abbracciò e le posò un bacio sulla guancia sussurrandole: “Che idee hai in mente, Prefetto Weasley?” Victoire gli diede un colpetto sulle mani e gli intimò di non fare rumore. Sottovoce aggiunse: “Goldstein non me la racconta giusta. Voglio capire che cosa ha in mente. Corvonero ha gli allenamenti la prossima settimana, cosa ci fa qua?”

Si scambiò un’occhiata complice con Teddy e rimasero in attesa, nascosti sotto gli spalti, mentre il vento riprendeva a soffiare e la tuta di felpa era decisamente troppo leggera per Victoire.

Teddy allargò le falde del suo mantello, la strinse a sé e le disse: “Vieni, almeno non prendi freddo.” Fu piacevole sentire il tepore del corpo di Teddy, mentre Goldstein sembrava sempre più impaziente. Poi, capirono tutto non appena videro Dominique uscire e sorridergli. Lui le fece un galante baciamano e poi le loro dita si intrecciarono e nessuno dei due sembrava aver intenzione di separarsi l’uno dall’altra.

“Direi che Goldstein aveva in mente tua sorella,” le sussurrò Teddy con una punta di divertimento nella voce.

“Lo vedo! Ecco perché Dodò ha impiegato un’eternità a prepararsi!”

“Andiamo adesso? Sto congelando!” esclamò Teddy, “possiamo parlare di Dodò e Albert anche in Sala Grande. Ti va se studiamo lì?”

Victoire annuì. Voleva lavorare al tema di Erbologia che il professor Longbottom aveva assegnato. Si sentì sciogliere non appena entrata tra le calde pareti della scuola. Si sistemarono al tavolo dei Tassorosso con libri e pergamene, mentre dietro di loro sentivano degli schiamazzi da parte di Serpeverde.

Teddy alzò lo sguardo infastidito verso la fonte di quel rumore. “Per Tosca, c’è sempre un Lestrange di mezzo quando c’è casino!”

“Puoi dirlo forte! Ad Erbologia, Roland ha combinato un disastro: ha inzuppato metà dei Serpeverde di Puzzalinfa! Neville era su tutte le furie, nemmeno ricordo quanti punti ha tolto a Serpeverde. Guarda la loro clessidra.” Victoire ridacchiava mentre ricordava le scene dell’ultima lezione.

“Bleah! Puzzalinfa! Nauseante come lui…” commentò Teddy, mentre si alzava verso quei ragazzini che sembravano un po’ troppo entusiasti per discutere di compiti.

“Ti dico di no!” esclamava Rabastan, il più giovane dei Lestrange, ad alcuni studenti. Victoire riusciva a sentirlo chiaramente fin dal tavolo dei Tassorosso. “Le streghe nel Medioevo facevano un incantesimo Fiammafredda per resistere ai roghi e poi si Smaterializzavano!”

“No, si Smaterializzavano subito, per questo non le prendevano!” rispondeva l’altro studente.

“Guarda che su Storia della Magia c’è scritto diversamente… Pure Binns l’ha spiegato così!”

“Ma tu ascolti le lezioni di Binns?”

“Certo che le ascolto. Dormo la notte, mica il giorno! Poi, sono lezioni piene di guerre, avventure e teste di Goblin che saltano per aria! Ci potremmo scrivere un romanzo su quelle cose!”

“Voi tre!” Teddy li richiamò all’ordine “Volete abbassare la voce? Se volete gridare, tornatevene nel vostro sotterraneo! In Sala Grande si rispettano anche gli altri studenti.”

“Ma noi stiamo studiando come gli altri!” protestò Rabastan agitando la testa con i ricci castani. Socchiuse gli occhi verdi come due fessure. Il suo amico gli posò una mano sulla spalla e lo portò a più miti consigli: “Lascia perdere, Rab, è un Caposcuola! Non facciamo perdere altri punti a Serpeverde, guarda la clessidra.” Rabastan sbuffò come un gatto e si sedette al tavolo con le braccia conserte.

“Segui il consiglio dei tuoi amici, Lestrange, fatti insegnare un po’ di buone maniere o ritorna da dove vieni.”

Teddy tornò al tavolo, si sentiva Lestrange borbottare qualcosa, mentre gli amici gli dicevano di stare calmo.

“Ti rendi conto che quei ragazzini non c’entrano niente con la guerra?” gli domandò Victoire.

“Lo so, Vic, ma se ci fosse stata giustizia, non sarebbero mai nati e i loro genitori starebbero marcendo ad Azkaban!” Lo aveva detto sottovoce, con un tono stizzito e pieno di rabbia. Victoire era l’unica persona al mondo a conoscenza dell’odio che Teddy provava ed era la sola in grado di tenere a bada quella bestia che ogni tanto si agitava in lui.

Teddy le aveva confidato di credere che il mostro che lo riempiva di rabbia fosse un residuo del lupo che dimorava in suo padre, un istinto animalesco, che il più delle volte lo spingeva a proteggere il branco e gettarsi nelle avventure, ma che finiva anche per trasformarlo in una versione più selvaggia quando vedeva qualche minaccia. Il nome dei Lestrange, per lui, era l’apoteosi della minaccia.

Victoire capiva quei pensieri e quello stato d’animo e avvertiva quella stessa bestia dentro di sé, smaniosa di uscire, pronta a lanciarla in nuove imprese, che lei aveva tentato di domare scegliendo il ruolo di Battitore, pensando che la tensione agonistica, la violenza con le mazze e i Bolidi, potesse placarla. Si stava accorgendo, però, che la bestia sembrava nutrirsi di quegli istinti e lungi dal placarsi, diventava sempre più affamata di adrenalina, tensione e violenza.

Trascorsero tutto il pomeriggio a studiare e Victoire si trattenne al tavolo dei Tassorosso anche per cena, l’istinto le suggeriva di non lasciare Teddy da solo.

Il fantasma del Frate Grasso spuntò dal tavolo e le fece un inchino: “Vedo che abbiamo ospiti!” esclamò allegro, “Tosca sarebbe felicissima di sapere che una giovane Grifondoro siede al nostro tavolo. Mi raccomando, miei cari ragazzi, fatela sentire a casa. Non smentiamo l’ospitalità per cui siamo famosi!”

Teddy le accarezzò la schiena e le posò un bacio sulla guancia, mentre Amelia e Nigel, i Prefetti di Tassorosso, le sedettero accanto per intrattenerla ogni volta che Teddy veniva distratto da un compagno di Casa.

“Sappiamo che non conosci molti studenti di Tassorosso, quindi ti facciamo compagnia noi!” le aveva detto Amelia Bones, nipote della celebre consigliera del Wizengamot, uccisa da Voldemort in persona durante la seconda guerra magica. Avevano chiacchierato non solo sui turni di ronda, ma anche su alcuni compiti assurdi che la Cooman aveva assegnato a Divinazione.

“Io la seguo solo perché serve per fare domanda all’Ufficio Misteri,” le aveva confidato Amelia.

“La Divinazione non serve a nulla! Vorrei proprio conoscere qualcuno a cui piace questa materia. Poi la Cooman è, francamente, fuori di testa. Assegna i voti secondo il capriccio, dicendo che la Vista glieli ha suggeriti! È il regno dell’arbitrarietà! Chi è in grado di smentirla?”

Nigel ridacchiava, mentre Victoire dava libero sfogo alla sua avversione contro quella materia. La scorsa estate ne aveva discusso con zia Hermione che le aveva confidato che la scelta di lasciare quella materia al terzo anno era stata la migliore della sua vita.

“Ragazzi, però, a differenza di Artimanzia, Divinazione è una passeggiata,” aveva commentato Teddy.

“Mi dispiace contraddirti, Lupin,” intervenne Nigel, brandendo una forchetta con una salsiccia infilzata a mo’ di spada, “ma Aritmanzia ha un senso, una logica, Divinazione è semplicemente invenzione. Persino Tosca era scettica.”

La cena trascorse allegramente, come ogni volta che cenava al tavolo dei Tassorosso, e dopo il dolce lei e Teddy salutarono gli amici per fare una passeggiata prima di darsi la buona notte e tornare nelle rispettive sale comuni. Avevano trovato un corridoio deserto. Teddy si era seduto su una panca sotto una finestra, Victoire era in piedi di fronte a lui, con le braccia intorno al suo collo, perdendosi nei suoi occhi castani.

Fuori dalla scuola, il mondo era immerso nell’oscurità della notte. Dalla finestra si intravedevano le fronde degli alberi della Foresta Proibita che si agitavano sotto il vento, mentre una pallida luna illuminava le acque del Lago Nero.

Sfiorarono i loro nasi e Victoire inspirò il profumo di Teddy. Sapeva ancora di vaniglia e succo di zucca, troppo invitante per resistere, sembrava un altro dessert. Si chinò su di lui a baciarlo, sentendo le sue labbra morbide. Teddy la invitò a sedersi sulle sue ginocchia e continuarono a scambiarsi baci, sfiorarsi i nasi. Victoire amava giocare con i capelli di Teddy, mentre lasciava che lui infilasse le dita sotto la sua felpa.

“Oggi dobbiamo fare i bravi,” gli aveva sussurrato Victoire.

“Io non resisto, Vic,” le aveva soffiato con una certa impazienza. Victoire si era chinata sul collo di Teddy, liberandolo dalla cravatta e dal colletto della camicia per riempirlo di baci e sentirlo fremere sotto le sue labbra. “Lo sai, oggi proprio non posso,” aveva sbuffato. Odiava quei giorni del mese che la tenevano lontana dal suo Teddy. Lo prese per mano, lo guidò in un’aula abbandonata e gli disse: “Se vuoi fare il cattivo ragazzo, lascia che ci pensi io a te…” Aveva fatto scivolare la mano nei pantaloni e si era gustata le espressioni di piacere di Teddy e i capelli che continuavano a cambiare colore senza che lui riuscisse a controllarlo. Era una cosa che la faceva impazzire, sapere di avere questo potere su di lui.

Ripulì il tutto dopo averlo sentito gemere nel suo orecchio e si augurarono la buona notte. Teddy la stringeva a sé e Victoire sentiva il corpo surriscaldarsi per quel contatto e per quell’eccitazione che era costretta a reprimere. Avrebbe voluto lasciarsi andare anche in quei giorni, ma era più forte di lei, e proprio non riusciva a immaginare che Teddy potesse trovarla in certe condizioni. Voleva essere perfetta per lui.

Si salutarono, fermandosi diverse volte lungo il tragitto per scambiarsi baci appassionati. Alle scale del terzo piano, Victoire prese la strada per la torre di Grifondoro, mentre Teddy tornò verso le cucine, dove c’era la sala comune di Tassorosso.

Lungo il tragitto vide Lucy infilarsi circospetta in una classe con Samuel Finnigan e si domandò se Molly sapesse che la sorella si vedeva con il Prefetto di Grifondoro. La curiosità verso Lucy le costò cara: le scale cambiarono posizione e fu costretta a fare un altro giro per tornare alla sala comune.

Sbuffò mentre tornava indietro, cercando di raggiungere l’altra ala del castello. Scese al secondo piano e attraversò un corridoio deserto, immerso nell’oscurità e rischiarato solo da una fila di finestre bifore da cui proveniva la luce della sera. Svoltò a sinistra, in direzione delle altre scale e vide il corridoio stranamente buio. Le torce erano completamente spente.

“Lumos!”

La luce della bacchetta davanti a sé illuminava il percorso, i personaggi dei ritratti protestavano per essere stati svegliati.

Poi lo sentì.

Sentì una voce che si avvicinava nella sua direzione e un nome che veniva ripetuto, come se la stessero chiamando: “Fleur, sei tu?”

Pensò ad uno scherzo, di pessimo gusto per altro. “Avanti, fatti vedere! Se non chiedi scusa per lo scherzo idiota tolgo cinquanta punti alla tua Casa!”

La figura avanzò andandole incontro. Una divisa di Tassorosso fu la prima cosa che finì sotto la luce della bacchetta, seguita da un volto giovane e decisamente bello.

“Ma tu sei…”

“Cedric Diggory. Non ti ricordi di me, Fleur?”

“Non sono Fleur, sono la figlia. Victoire Weasley, ma tu cosa ci fai qui? Non sei…”

“Morto. Sì, sono morto. Non so perché sono qui, suppongo che qualcuno mi abbia evocato. Puoi dire a mio padre di non preoccuparsi, che sto bene? Che ci ritroveremo un giorno e staremo bene insieme? Puoi dirgli di perdonare Potter, che non è colpa sua?”

Victoire si portò una mano alla bocca nel sentire quelle parole che la precipitavano ancora una volta in quella guerra maledetta. All’inizio dell’anno il Cappello Parlante aveva fatto riferimento al passato che rischiava di tornare, ma Victoire non aveva dato peso a quelle parole, non credeva che sarebbe tornato letteralmente ad infestare i corridoi della sua scuola.

“Lo farai?” le domandò Cedric.

Victoire annuì. “Sì, lo farò, Cedric, se mai tuo padre vorrà ascoltarmi. Sai com’è fatto. Zio Harry ci ha raccontato quanto sia difficile relazionarsi con lui, ma lo farò. Te lo prometto. Hai la mia parola.”

“Grazie, Victoire Weasley, bella, gentile e generosa come Fleur. Ora devo andare.”

La figura di Cedric scomparve nell’oscurità e Victoire corse fino alle scale, con la paura di incontrare qualcun altro o, peggio, chiunque avesse evocato l’anima di Cedric Diggory. Chi poteva disturbare il sonno della morte di un ragazzo tanto carino quanto sfortunato?

“Dulcis in fundo” urlò alla Signora Grassa.

“Che modi! Passa!” le rispose il ritratto seccato per essere stato interrotto dalle chiacchiere con la sua amica Violetta. Victoire scivolò nel buco. Trovò Molly e Roxanne intente a consultare avidamente una serie di libri, mentre la sala comune si era in gran parte svuotata. Molly sollevò lo sguardo, dovette leggere i segni del terrore ancora impressi sul suo volto.

“Lo hai visto anche tu?”

Victoire annuì.

“Zio Fred?” domandò Roxanne avvicinandosi e guidandola fino al divano vicino il caminetto. Il contatto con la pelle di Roxanne le fece capire quanto stesse gelando. Scosse la testa, mentre il calore del fuoco le ridava forza: “Cedric Diggory.”

“Godric, un altro!” esclamò Molly. Sorrise nervosamente alla cugina e spiegò: “Sono tutti i libri della biblioteca sull’argomento. È da ieri che cerco di capire cosa sia successo, cosa siano quei fantasmi e perché gli spiriti di persone morte si aggirino per i corridoi della nostra scuola.”

“Ma chi li ha evocati?” domandò Victoire.

“Non riesco a venirne a capo, Vic, non trovo nemmeno un incantesimo che possa evocare i fantasmi,” ammise Molly. Guardò l’orologio e disse: “Si è fatto tardi. Continuiamo domani.”

Victoire era distrutta. La stanchezza della partita, le attenzioni di Teddy, il ciclo, l’incontro con Cedric Diggory, tutto la turbava. Si gettò sotto la doccia prima di infilarsi tra le coperte e sprofondare in un sonno popolato da fantasmi, morti e una guerra magica che ancora continuava a lasciare il segno.

 

***

 

“Mio caro Roddie,

papà sta bene (è passato solo un giorno dalla nostra ultima lettera!), spero che voi stiate studiando e vi stiate impegnando al massimo. Non sai quanto mi renda orgogliosa e commossa il pensiero che tu abbia deciso di voler seguire le mie orme e fare domanda all’Ufficio Applicazione Legge Magica dopo la fine della scuola.

Ricorda, mio caro, la politica è fatta di contatti, quindi approfitta di questi anni per stringere amicizie e conoscenze con quanti più studenti possibili. Sii gentile e educato (so già che sei impeccabile, specie rispetto ai tuoi fratelli!), ricorda il confine tra cortesia, diplomazia e vera amicizia (i veri amici sono pochi e rari).

È un vero peccato che il professor Lumacorno sia andato in pensione: sarebbe stato istruttivo per te partecipare ad una delle sue famose cene. Non amareggiarti troppo per il trattamento del professor Longbottom, anche questa è una lezione di vita: non potrai piacere a tutti e il tuo cognome ti porterà molti nemici e trattamenti simili. Durante la prima guerra magica io venivo trattata nello stesso modo dai compagni di Casa, tu sei più fortunato: è solo un professore che ti ignora! Non dargli pretesti per abbassarti i voti o togliere punti alla tua Casa. L’appoggio dei compagni di Casa è importantissimo. Non voglio più essere convocata dalla preside perché uno dei miei figli non si comporta bene. L’incidente con Roland è stato illuminante sul clima che siete costretti a tollerare, ma siete dei Lestrange e ne uscirete a testa alta.

Ti mando un grosso bacio, un altro e un altro ancora, mio pulcino adorato!

E ne mando altri anche ai tuoi fratelli (mi mancate tantissimo!).

Con affetto,

la mamma.

PS: sul serio Roland ha mangiato il budino con la forchetta? Per Salazar, che orrore! Dì a tuo fratello di stare attento, la prossima volta, altrimenti gli altri penseranno che i Lestrange non sappiano mangiare i dolci al cucchiaio. Cosa devo sentire! Quando tornerete per le vacanze faremo un ripasso.”

Rodolphus sorrise rileggendo la lettera. Forse aveva messo nei pasticci Roland con l’aneddoto sul budino, ma era stata una scena così buffa che pensava che la mamma ne avrebbe riso con lui. Insomma, vedere Roland che provava a infilzare il budino senza riuscirci era proprio uno spasso!

Ripensò ai consigli di sua mamma: aveva ragione, ma non sapeva quanto fosse complicato stringere amicizie o solo farsi benvolere dagli altri di quei tempi. In Serpeverde riusciva ad avere buoni rapporti. Andava d’accordo con i suoi compagni di dormitorio e riusciva anche a non farsi insultare da qualche Corvonero. Si era impegnato moltissimo per aiutare alcuni Tassorosso durante le lezioni di Incantesimi, anche se la diffidenza che percepiva gli suggeriva di andarci cauto.

C’era una cosa che, in modo particolare, attirava sguardi carichi di diffidenza ed erano i rituali che lui, i suoi fratelli, e altri compagni di Serpeverde si trovavano a fare per celebrare i sabba. Era un’iniziativa nata per gioco, dopo alcune ricerche in biblioteca per dei temi assegnati da Binns lo scorso anno. Avevano pensato che potesse essere utile ripetere i rituali propiziatori degli antichi, cercare le erbe e accendere le candele. Persino il loro direttore di Casa si era mostrato piacevolmente sorpreso quando gli avevano chiesto il permesso di poter usare un angolo della sala comune per allestire una specie di altare rituale.

Eppure, quella voce si era sparsa per la scuola, trasformandosi di bocca in bocca, con il risultato che la preside aveva convocato lui e il professor Pucey perché le avevano riferito che “Lestrange esegue rituali di magia oscura nella sala comune dei Serpeverde”.

Per fortuna, il professor Pucey era scoppiato a ridere di fronte la preside e le aveva spiegato il genere di rituali che venivano eseguiti e le volte successive avevano persino invitato la Preside, di modo che potesse appurare di persona. Tuttavia, continuavano a guardarlo con sospetto e i Grifondoro continuavano ad alimentare le voci e i sospetti sulla plausibilità che la celebrazione dei sabba fosse solo la facciata presentabile di rituali oscuri sconosciuti.

Aveva sentito con le sue orecchie Tiberius McLaggen mormorare: “Una volta che le candele sono accese e il rituale è iniziato, cosa ne sappiamo se non lo ripetono al contrario per evocare le forze oscure?” Rodolphus lo aveva persino invitato ad assistere e gli aveva domandato se secondo lui la Preside avrebbe acconsentito a qualcosa del genere, ma lui gli aveva urlato di stargli alla larga e che non era interessato a quelle cose oscure.

La mamma, poi, gli aveva spiegato che il nonno, che pure si chiamava Tiberius, in realtà, durante la prima guerra magica, non si era mai fatto molti scrupoli a usare le Maledizioni Senza Perdono quando era un Auror e che i McLaggen le Arti Oscure le conoscevano e le avevano anche praticate. Tiberius junior cercava solo di smarcarsi da un passato ingombrante.

“Sono solo dei pavidi, dei vigliacchi che avrebbero dovuto morire…”

La voce arrivò dal fondo del corridoio. Roddie strizzò gli occhi per vederci meglio. Afferrò la bacchetta.

“Non sei sufficientemente veloce, Lestrange!”

Sembrava che lo stesse prendendo in giro.

“Chi sei? Fatti vedere!”

Una figura spettrale emerse dalle tenebre. Il suo volto era deformato e sembrava appannato, come se stesse evaporando. La sua immagine non era nitida come quella dei fantasmi di Hogwarts. Roddie non aveva idea di chi fosse, e dire che pensava di aver conosciuto tutti i fantasmi della scuola.

“Sei un nuovo fantasma?” domandò incuriosito. Forse gli avrebbe raccontato qualche storia interessante sulla sua morte. Sembrava che le difficoltà che Roddie incontrava nello stringere amicizia con i vivi, non le avesse con i morti. Ogni anno frequentava la festa di complemorte del Barone Sanguinario e durante il suo primo anno si era impegnato moltissimo per aiutare il fantasma dei Serpeverde a convincere gli altri fantasmi a partecipare alla sua festa. I fantasmi erano sempre interessanti da ascoltare e nessuno si impressionava o lo guardava male per il cognome che portava.

“Qualcosa del genere,” rispose la voce.

“Perché sei così sfumato?”

“Perché questo è ciò che rimane dopo che l’anima è stata divorata da un Dissennatore,” disse annoiato, come se quell’argomento lo irritasse ancora profondamente. Roddie pensò di aver fatto una gaffe toccando un tasto dolente. Eppure, era ancora molto curioso.

“È così che sei morto?” gli domandò.

La figura sorrise triste. “No, sono morto tra le braccia di tua madre ed è stata una delle decisioni più difficili della mia vita: lasciar andare lei e Orion, e andare avanti.”

“Tu sei il papà di Orion, quindi?”

“E tu non hai preso niente della perspicacia della mia Alex e nemmeno di Rodolphus, devo dire… Come pensi di onorare il nome che porti se non sei nemmeno in grado di riconoscermi? Come potrai essere un mago oscuro all’altezza di tuo padre? Sai che Orion alla tua età era molto più sveglio?”

“Orion è sempre stato il migliore! Vorrei che fosse qui, così potreste incontrarvi!” gli rispose.

“Potrò tornare, forse. C’è una profezia, ma richiede un costo. Sei disposto a pagarlo, Rodolphus Lestrange?”

Rodolphus scosse la testa e balbettò: “No. Non voglio scomparire. Io voglio la mamma e anche il papà e i miei fratelli! Non potete farci svanire!”

“Preparati, Lestrange, il tempo sarà girato e tutti noi torneremo! Ci prenderemo la nostra vendetta su questi sporchi traditori e sulla feccia che sta distruggendo il nostro mondo. Io, poi, mi riprenderò mia moglie e mio figlio, anche a costo di farvi sparire. Mi spiace per te, ma preparati a dire addio alla tua cara mammina…”

Il fantasma di Barty Crouch Jr, il residuo della sua anima, scoppiò a ridere e si dissolse davanti gli occhi sbarrati di Rodolphus. Sbatté le palpebre più volte e poi vide il fantasma del Barone Sanguinario andargli incontro. “Barone!” esclamò, “Lo ha visto, vero?”

“Chi, mio giovane e mortale amico?”

“Il fantasma di Barty Crouch Jr!” esclamò Rodolphus.

“Per Salazar! No, ma i sensi mi avvertono che una minaccia oscura incombe su questa scuola. Avverto strane presenze, spiriti sconosciuti che si aggirano tra queste mura…”

“Quindi non è l’unico?” domandò spaventato.

“Temo proprio di no!”

“Ma com’è possibile che siano tornati? Sono andati oltre! Lei mi aveva raccontato che non era possibile tornare indietro.”

“È così. Ci vuole qualcosa di molto forte e di molto oscuro per riaprire il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Forse l’avvicinarsi di Samhain aiuta questi riti.”

“Per Salazar! Barone, le confesso di essere molto preoccupato! Temo che io e i miei fratelli finiremo per essere accusati di essere gli autori se non scopriamo chi esegue questi rituali!”

“Corri ad avvertire i tuoi fratelli, mio amico mortale, non indugiare in paure. Concordate una strategia e rendetevi inattaccabili! Ricorda: vi serve un alibi. Sempre!”

“Grazie, Barone, per i suoi preziosi consigli. Buona notte!”

“Buona notte a te, Lestrange, io continuo il mio eterno peregrinare…”

Rodolphus corse in direzione della sala comune, sentì il Barone raccomandarsi di non correre e rallentò l’andatura continuando a camminare a passo svelto. Puntò la bacchetta verso i mattoni.

“Nido di vipera.”

L’accesso alla sala comune si rivelò lasciandogli vedere Rabastan seduto su una poltrona accanto il camino che si mangiava le unghie e Roland che camminava nervosamente avanti e indietro.

“Sei in ritardo,” gli disse Rabastan non appena lo vide comparire.

“Lo so, ma non avete idea di chi ho appena incontrato!” esclamò Rodolphus.

“Chi?” Roland si avvicinò al fratello ed entrambi si guardarono intorno nervosamente.

“Troviamo un posto riservato dove poterne parlare? Qui c’è troppa gente,” sussurrò Rodolphus al fratello. Roland annuì. “Andiamo nel dormitorio, gli altri saranno ancora in giro.”

Si infilarono nel dormitorio di Roland. Decisero di cambiarsi e indossare i pigiami, in modo da poter rimanere a lungo a parlare. Si sarebbero nascosti dietro le tende del baldacchino opportunamente silenziate. Chiunque sarebbe entrato in quel dormitorio avrebbe pensato che Roland fosse andato a dormire.

Al momento, i compagni di dormitorio di Roland erano impegnati con le rispettive fidanzate, mentre i compagni di Roddie giocavano a Sparaschiocco e quelli di Rabastan avevano il loro campionato di Quidditch dei modellini e c’erano commenti e discussioni infinite sul Fanta-Quidditch.

“Muffliato!” esclamò Roland.

Rodolphus agitò la bacchetta ed evocò delle pallide luci azzurrine perché non aveva voglia di parlare di quelle cose nella più totale oscurità. Rabastan e Roland erano seduti sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini e le ginocchia raccolte e abbracciate, il mento poggiato sulle ginocchia. Lui era seduto di fronte, ai piedi del letto, con le gambe incrociate e cercava di impedirsi di agitarle nervosamente.

“Allora, che cosa hai visto?” gli domandò Roland.

“Ho appena incontrato Barty, il papà di Orion!” disse, “mi ha detto che vuole tornare, realizzare la profezia e farci sparire tutti per riprendersi la mamma e Orion!”

“Cosa?” esclamò Rabastan, “ma Barty è morto!”

Rodolphus annuì: “Era una specie di fantasma, un po’ diverso rispetto al Barone Sanguinario. Era sfocato, mi ha detto che era quello che finiva nell’Aldilà dopo che l’anima veniva divorata dal Dissennatore.”

“Io ho incontrato Bellatrix e mi ha detto che siamo dei tonti come papà e che non saremmo mai dovuti nascere, che Delphini e Orion sono meglio di noi,” confessò Roland.

“Anche Barty mi ha detto che Orion è meglio di noi! Però mi ha detto che non abbiamo preso né da mamma né da papà!”

“Era questo che volevi raccontarci?” domandò Rabastan guardando Roland. Lo videro annuire e passarsi una mano tra i capelli scuri. Gli occhi marroni di Roland erano inquieti e si spostavano continuamente tra lui e Rabastan, aggiunse: “Oggi sono arrivato tardi a colazione perché sono andato in biblioteca a cercare dei libri sui fantasmi, gli spiriti e le creature spettrali, ma sono tutti scomparsi! Tutti!”

Rodolphus non fu sorpreso dalla notizia: “Il Barone Sanguinario mi ha detto che ha sentito altre presenze, che qualcosa di oscuro si sta aggirando tra le mura di questa scuola.”

“Roddie, sei un genio!” esclamò Roland, “come ho fatto a non pensarci? Avrei potuto chiedere ai fantasmi!”

“L’ho visto venirmi incontro dopo che Barty è svanito e mi sono fermato a parlarne con lui, lo sai che è molto esperto di queste faccende ed è sempre disponibile a parlarne.”

“Ehm… no, Roddie, veramente sei tu l’unico strambo che si ferma a parlare con i fantasmi,” disse Rabastan prendendolo in giro.

“Beh, si dia il caso che adesso questo strambo vi torna utile! Il Barone mi ha detto che serve qualcosa di molto oscuro e molto potente per aprire il confine tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Mi ha suggerito di fare attenzione e di avere sempre degli alibi pronti, perché potrebbero accusarci di essere gli autori di questi rituali oscuri.”

Roland si portò una mano sul viso annuendo. Scosse la testa con un’espressione colpevole: “Temo di aver fatto un guaio, allora! Oggi a lezione ho chiesto al professor Pucey delle informazioni sui fantasmi e gli spiriti. Insomma, gli ho chiesto se fosse possibile che gli spiriti di persone morte andassero in giro per il mondo. Mi ha detto che l’apertura del confine tra i mondi richiede rituali di magia oscura così avanzata che io non dovrei nemmeno sognarmi di fare quelle domande.”

“Gli hai fatto questa domanda dopo la lezione?” domandò Rabastan.

“No, l’ho fatta subito dopo che ci ha detto che la prossima lezione avremmo iniziato gli spiriti…” Roland si morse il labbro. Rabastan sospirò: “Prepariamoci al peggio, allora.”

“Con chi facevi lezione?” domandò Rodolphus.

“Corvonero.”

“Dai, tra tutti sono la Casa che forse sospetterà di meno, magari riescono a immaginare che sia una domanda accademica.”

“Beh, io gli ho detto che mi stavo solo domandando se i fantasmi potessero vedere i loro cari che erano andati oltre. Pucey mi ha guardato come se fossi un po’ matto, ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.”

“Dici che dovremmo parlarne con i professori?” domandò Rodolphus.

“E raccontare che lo spirito di Bellatrix e quello di Barty se ne vanno in giro per la scuola? No, grazie, non voglio passare per matto, più di quanto non avvenga normalmente,” disse Roland.

“Però abbiamo bisogno di aiuto. Dovremmo scoprire chi c’è dietro questo rituale oscuro, così non potranno incolpare noi!”

Rabastan aveva ragione. Si passava la mano tra i ricci castani incerto sul da farsi. A chi potevano chiedere aiuto?

“Scriviamo alla mamma?” propose Rodolphus, “Lei e il papà ne sanno abbastanza di queste cose, potrebbero darci una mano.”

“Vuoi davvero scrivere alla mamma e al papà che i fantasmi dei loro ex minacciano di far sparire i loro figli e che qualcuno ha aperto il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti con un qualche rituale oscuro? Forse per avverare la profezia? Sei per caso impazzito?” Roland lo fissava preoccupato. “Pensi che io non abbia pensato a quanti libri abbiamo a casa che potrebbero aiutarci a capire cosa sta succedendo e invece siamo confinati in questa scuola bigotta?” Si grattò la testa spazientito.

Rodolphus biascicò: “Scusa, non ci ho pensato. Hai ragione, è una pessima idea scrivere a mamma e papà.”

“Prometti su Salazar Serpeverde che non farai menzione di questa cosa in nessuna lettera con la mamma finché non l’avremo risolta. A Yule le racconteremo tutto, anche di come avremo brillantemente risolto questo mistero, ma prima di allora prometti di non farne parola. Anche tu Rabastan, promettilo!”

“Lo prometto,” esclamarono in coro. Si sorrisero come ogni volta che finivano per parlare in sincrono.

“Io ho un’idea,” disse Rabastan, “la mamma nell’ultima lettera ha detto che Delphini è ad Hogsmeade in attesa di partire per Durmstrang. Lei studia Arti Oscure e sta per iniziare l’ultimo anno, magari può darci una mano a capire.”

“Sì, però dobbiamo stare attenti. Non dobbiamo raccontarle che c’è di mezzo sua madre o che Barty ha menzionato la profezia. Insomma, non vorrei che attivassimo tutto il meccanismo delle profezie.”

“Ma la mamma dice sempre che il modo per mettere in moto una profezia è cercare di impedirne l’avverarsi. Se le nascondiamo della profezia, non rischiamo di attivarla?”

“La profezia non parla di fantasmi, però, non vedo perché dovremmo fare questo collegamento…”

“Però i fantasmi l’hanno menzionata.”

“Sì, ma noi dobbiamo solo scoprire chi li evoca e fermarlo. Non dobbiamo raccontare tutto! Stiamo attenti a Delphi, papà dice sempre di non fidarsi di lei.”

“Lo dice anche Orion.”

“E se scrivessimo ad Orion?” propose Rodolphus. Insomma, lui era il più grande. Era persino più grande di Delphini e lavorava all’Ufficio Misteri. Lì aveva raccontato che c’era un Arco che aveva il confine tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Forse lui aveva studiato quelle cose, le conosceva e poteva dar loro una mano!

“Così corre a dirlo alla mamma? Vuoi davvero dirgli che il papà che non ha mai conosciuto vuole tornare indietro per stare con lui e la mamma?” Rabastan alzò il sopracciglio scettico.

Rodolphus sbuffò: “Hai ragione, un’altra pessima idea.”

“Invece non è una pessima idea,” disse Roland guardando i fratelli, “Orion sta facendo di tutto per salvare questa linea temporale. Lui queste cose le ha studiate. Io so che ci vuole bene e so anche che non ci tradirebbe con la mamma se glielo chiediamo. Domani scriviamo ad Orion!” Roland sbirciò fuori dalla tenda del baldacchino e vide la stanza immersa nel buio. I suoi compagni di dormitorio erano tornati e stavano già russando. “È tardi,” disse.

“Io non voglio dormire da solo,” protestò Rodolphus. Se fosse stato a casa avrebbe chiesto alla mamma di fargli compagnia finché non si fosse addormentato, anche a costo di attirarsi gli sguardi di disappunto di suo padre e le prese in giro dei fratelli. Non aveva nessuna intenzione di tornare nel suo dormitorio attraversando un corridoio buio. E se avesse incontrato un altro fantasma? I Mangiamorte si facevano scrupoli nell’invadere i dormitori o no? Non voleva assolutamente rischiare.

“Ehm… Questa volta devo dare ragione a Roddie,” ammise Rabastan, “se vuoi rimanere da solo, io mi infilo nel letto di Roddie. Non voglio dormire da solo nemmeno io.”

Roland alzò gli occhi al cielo, li guardò con un sopracciglio alzato e disse: “Siete proprio due mocciosi! Non si direbbe che siate al terzo e al quarto anno! E siete anche i più grandi della classe! Uno nato a Mabon, l’altro a Samhain…”

“Possiamo dormire con te?” domandò Rodolphus per accertarsi di poter rimanere. Una mano era già pronta ad afferrare il piumone e infilarsi sotto le coperte.

“Sì, dai!” disse lanciandogli un cuscino mentre si sistemava ai piedi del letto.

Rabastan sorrise. Roland si girò di schiena e disse: “Mi raccomando, non vi muovete troppo! Voglio dormire!”

Rodolphus lo vide sorridere e si disse che, anche se Roland non l’avrebbe mai ammesso, sembrava proprio sollevato dal pensiero che loro due si fossero fermati a dormire nel suo letto. Ne era certo.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ciao a tutti!

Sono veramente sorpresa per l’accoglienza riservata a questa storia! Grazie di cuore!

In questo capitolo abbiamo scoperto chi ha preso i libri dalla biblioteca, qualcuno lo aveva intuito nelle recensioni e ci ha visto giusto.

Victoire ha incontrato Cedric che l’ha scambiata per Fleur e ne è rimasta turbata, mentre l’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr. è stato ben più terrificante. La Rowling non ci spiega cosa succede all’anima divorata da un Dissennatore, ho immaginato che una parte andasse comunque nell’Aldilà ma che fosse appunto una specie di scarto, un residuo e per questo appare sfocata e non riconoscibile. La minaccia di Barty, di portare via la mamma a Roddie, è quanto di più terrificante. Scommetto che preferirebbe il ritorno di Voldemort all’essere separato dalla sua amata mammina.

Nella lettera che ha ricevuto, la mamma gli dice di non voler essere più richiamata dalla scuola. L’episodio si collega al penultimo capitolo di Kintstugi, in cui Roland e Teddy si scontrano nei corridoi e tirano fuori le bacchette.

Vi riporto il racconto che Roland fa ai genitori di come sono andate le cose. Il pov è della mamma.

 

 

 

“La preside non vi ha detto nulla?” domandò Roland.

“La versione della preside fa acqua da tutte le parti e ti conosciamo troppo bene per pensare che tu sia impazzito in quel modo. Cosa è successo?” domandò Alexandra, “Non costringere tuo padre a usare la Legilimanzia.”

“No, non è il caso. Mi dispiace che siate venuti fin qua. Ho perso il controllo, tutto qui.” Si stringeva nelle spalle dispiaciuto. Sospirò e iniziò a raccontare: “Stavo uscendo dalla biblioteca e ho visto dei primini di Grifondoro travolgere Rabastan. Lui non li ha visti, stava camminando leggendo un tema di qualcosa quando è stato spinto via, il tema è volato ed è stato calpestato.”

Alexandra ricordò chiaramente alcuni episodi del genere che le erano accaduti ad Hogwarts, erano le solite zuffe tra Grifondoro e Serpeverde, come quando Sirius l’aveva inzuppata e Regulus era intervenuto.

Roland aggiunse: “L’hanno fatto apposta, mamma, ho visto come quel ragazzino ha guardato Rabastan e gli ha detto: Tornatene nelle fogne, Lestrange.

“La preside ci ha parlato del Caposcuola di Tassorosso,” intervenne Rodolphus.

“È arrivato dopo,” precisò, “Rabastan stava tirando fuori la bacchetta lamentandosi del tema rovinato e io sono intervenuto. Ho scoperto troppo tardi che i primini di Grifondoro che hanno rovinato il tema di Rabastan erano James Potter e Louis Weasley. Fino a quel momento, avevo detto che avrei tolto loro cinque punti a testa, perché non si corre nei corridoi e non si spingono gli studenti. Insomma, ho fatto il mio dovere da Prefetto.”

Alexandra annuì e continuò ad ascoltare la ricostruzione di Roland.

“Quel James mi ha guardato con aria di sfida e mi ha provocato domandandomi: Difendi il fratellino, Lestrange? È in quel momento che è intervenuto Lupin, il Caposcuola di Tassorosso, accusandomi di prendermela con i primini. Mi ha detto di smetterla di tormentare i Potter e i Weasley, che presto o tardi i figli di Mangiamorte come me e mio fratello sarebbero scomparsi. È qui che ho perso le staffe e gli ho detto di fare attenzione, perché, da figlio di Mangiamorte, potevo fargli fare la stessa fine dei suoi genitori.”

Alexandra alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: “Lo sai che quello è un argomento tabù.”

“Sì, lo so, ma sono anni che mi sento dire che finirò ad Azkaban, che sono un topo di fogna, che i figli di Mangiamorte come me spariranno. Grazie agli esercizi di papà riesco a controllare l’impulso di affatturarli tutti quanti, a difendermi quando esagerano, e ad essere inattaccabile, ma sentirmi dire che io e mio fratello spariremo, dopo quello che è successo l’estate scorsa… Ho perso le staffe.”

L’allusione alla profezia era fin troppo chiara.

“Tu hai esagerato e meriterai la punizione, ma chiederemo alla McGranitt di punire anche Lupin, che non si è rivelato migliore di te.”

“È inutile, papà. I professori sono molto indulgenti con i figli dei vincitori della guerra magica, mentre il nostro Direttore, il professor Pucey, non sempre riesce a riequilibrare le cose, ma non importa. Non voglio che per questa sciocchezza se la prendano con Roddie e Rab. È colpa mia, ho esagerato. Mamma al Ministero non avrebbe mai detto una cosa simile mentre tu eri ad Azkaban.”

“Sappi che sono estremamente orgogliosa di te,” gli disse Alexandra. Roland era identico a Rodolphus sotto un’infinità di punti di vista, anche l’autocontrollo e il suo istinto protettivo verso i fratelli erano i medesimi.

“Che punizione ti hanno dato?” domandò Rodolphus.

“Una settimana con il professor Pucey. Mi ha chiesto di aiutarlo a ordinare i libri di Difesa contro le Arti Oscure.”

“Non ti è andata male…” osservò Rodolphus sorpreso.

“Ho fatto vedere al mio Direttore come sono andate le cose, non volevo che il nome della Casa di Serpeverde andasse di mezzo. Ho tirato fuori il ricordo e gliel’ho mostrato nel suo Pensatoio. Ho spiegato anche perché non avevo intenzione di contrastare le accuse e che avrei preferito affrontare la punizione. Mamma mi ha insegnato che spesso la punizione è meglio della negoziazione.”

Alexandra scoppiò a ridere e abbracciò il figlio. “Ti imbarazza se ti do un bacio?” gli domandò.

“No, mamma, qui non c’è nessuno!”

 

 

Grazie ancora per tutti i commenti, gli scleri su Facebook, le letture silenziose e chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Mi state accompagnando in questo viaggio in un genere e una generazione del tutto nuova per me!

Ci rivediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo! Saremo già a metà storia!

Un abbraccio,

Sev

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

Hogwarts, 4 ottobre 2015

 

 

Rabastan era emozionato. Finalmente era giunto il suo giorno e persino la visibilità era buona. Avrebbe reso fiero suo fratello e non vedeva l’ora di dare la bella notizia a suo padre. Sempre che lo selezionassero, ovviamente. Tuttavia, era ottimista perché si era allenato duramente per tutta l’estate e persino Roland e Orion gli avevano detto che aveva fatto dei progressi.

Avrebbe fatto le selezioni per il ruolo da Cercatore, un ruolo importantissimo, e lui sapeva di volare veloce e di avere ottimi riflessi, esercitati dai duelli di magia che organizzava con i fratelli, il papà e zio Rabastan.

Roland lo accolse con un sopracciglio alzato: “Sei pronto? Sei agitato?”

“Sono pronto. Sono sempre pronto quando si tratta di giocare a Quidditch,” disse prendendo un sorso di succo di zucca. Hawk gli diede una pacca sulla spalla ed esclamò: “È questo lo spirito giusto, Rabastan! Non fare come tuo fratello che prende le cose troppo sul serio.”

“Il Quidditch è una cosa seria,” obiettò Roland, “Se non lo prendessi sul serio non sarei nemmeno il Capitano della squadra e, a tal proposito, vorrei ricordarti di mirare bene con la mazza perché i tuoi ultimi colpi lasciavano a desiderare. A fine mese abbiamo la partita contro Grifondoro. La Robins, che giocava a Quidditch con Potter, ha preso molto sul serio l’allenamento di Grifondoro e ha già prenotato il campo per un sacco di allenamenti con le date che le ha fornito la Weasley.”

Rabastan si sentiva elettrizzato all’idea di conoscere tutti i retroscena della squadra di Quidditch, come se fosse già un giocatore ufficiale. Suo fratello, poi, come Capitano sembrava molto autorevole. Roland continuò: “Sto pressando Pucey per avere altrettante date per allenarci, ma ovviamente ci sono anche gli altri Direttori che premono e per questo motivo gli allenamenti che faremo da qui a fine mese saranno molto intensi. Non voglio lamentele da parte di nessuno di voi. Vi ricordo che siamo praticamente in guerra con Grifondoro.”

“Tu non perdoni alla Weasley di averti buttato dalla scopa durante l’ultima partita.”

“Ci sono un sacco di cose che non perdono alla Weasley, e vanno ben oltre il Quidditch.”

“Sai che quel sorrisetto che fa quando colpisce il Bolide un po’ mi turba?” confessò Hawk. Rabastan trattenne una risata nel vedere la faccia schifata di Roland.

“Per Salazar, Hawk, quella lì ha uno dei sangui più impuri di Inghilterra! Non solo sono traditori del sangue da generazioni, e chissà con chi si sono mescolati, ma ha anche sangue di Veela e di Lupo Mannaro. A me fa ribrezzo.”

“Lo sai che questi argomenti sono vietati…”

“Non sto facendo proselitismo. Sto solo esponendo il mio pensiero. Sei liberissimo di sporcarti il sangue e infangare il nome della tua famiglia, Flint. Io sono il maggiore dei Lestrange e non ho intenzione di venire meno ai valori della mia famiglia.”

Roland voltò lo sguardo e Rabastan si sentì scrutato fin nel profondo. Fino a quel momento lui non si era mai posto quei problemi, si limitava a vivere nel suo mondo e sognare avventure a dorso di Draghi e Ippogrifi, duelli di magia ed esplorazione di posti lontani e sconosciuti. Le ragazze erano qualcosa che interessava i fratelli più grandi, come Orion e Roland, persino Roddie sembrava indifferente all’argomento, preso com’era dallo studio e dalla lettura compulsiva della Gazzetta del Profeta. La mamma aveva detto che tutto sarebbe cambiato durante il quarto anno, ma lui portava il nome di zio Rabastan, che si era sposato diversi anni dopo la guerra, e questo esempio lo tranquillizzava e gli faceva pensare che potesse disinteressarsi all’argomento e concentrarsi sul Quidditch e su quello che gli piaceva di più.

Gordon McNair gli si sedette accanto con la sua aria svagata: “Buongiorno, Lestrange, sei pronto?”

“Io sono sempre pronto, McNair. Sono nato pronto.” Prese al volo il tovagliolo che Gordon gli lanciò e sollevò le sopracciglia: “Che ti avevo detto? Riflessi allenatissimi, anche se con te è troppo facile, lanci come una ragazzina.”

Hawk scoppiò a ridere: “Ma senti questi due mocciosi del terzo!” Roland trattenne una risata e si alzò: “Vi aspetto al campo di Quidditch, non fate tardi.”

Rabastan si precipitò dietro il fratello. Aveva portato con sé tutta l’attrezzatura, compresa la sua scopa nuova di zecca che i suoi genitori gli avevano regalato in vista delle selezioni. Fino a quel momento aveva provato a volare a casa con la vecchia scopa di Orion perché la mamma aveva detto che la scopa l’avrebbe comprata solo a chi fosse realmente intenzionato a entrare nella squadra di Quidditch. Roddie si era defilato, mentre lui e Roland si erano subito sfregati le mani all’idea di presentarsi alle selezioni con l’ultimo modello di scopa volante.

Aveva una nuovissima Firebolt 3000, il modello che usavano persino i giocatori dei Montrose Magpies. Avrebbe stracciato qualsiasi concorrente, come quello sfigato di Corban Yaxley che voleva competere per il ruolo di Cercatore di Serpeverde. Insieme a Yaxley c’erano anche Sewlyn e Tobias Dolohov che premevano per entrare nella squadra come se il suo annuncio di partecipare alle selezioni per il Quidditch avesse scatenato l’imitazione da parte dei suoi compagni di dormitorio.

Le dita si muovevano nervosamente intorno al manico di scopa. Rabastan osservò le venature del legno per tenere a bada l’ansia. Perché gli altri non arrivavano? Dannazione, voleva salire sulla scopa.

“Vuoi fare qualche giro per riscaldarti?” gli domandò Roland, e forse aveva intuito la sua impazienza. “Io non posso volare con te, altrimenti diranno che sono di parte, ma vi conosco tutti e so che sei il migliore.” Si scambiarono un sorriso e Rabastan guardò la scopa e le ordinò: “Su!” Salì sul manico, si diede un colpo con i piedi e la scopa iniziò a sollevarsi da terra. Fece qualche giro del campo, si spinse fino al Lago Nero e osservò i suoi compagni che arrivavano.

“Alla buon’ora, Yaxley!” gli urlò dall’alto.

“Che ansia, Lestrange! Datti una calmata!” urlò Corban in rimando. Ridacchiò. Il suo amico diventava di pessimo umore quando gli mettevano fretta al mattino, e Rabastan aveva avuto cura di spargere ansia tra i suoi compagni di dormitorio. Sapeva di essere il migliore, ma se gli altri fossero stati nervosi avrebbero reso di meno e la sua bravura sarebbe risaltata di più. Voleva fare il miglior provino, non gli interessava limitarsi ad avere il posto, voleva che tutta la squadra fosse convinta che lui fosse il migliore acquisto, non solo perché era il fratello del Capitano.

Il talento nel volo scorreva nel sangue dei Lestrange, si diceva. Tornò verso il campo da Quidditch e scese sull’erba soffice guardando gli altri membri della squadra.

“Oggi non faremo solo le selezioni per i ruoli scoperti, ma ci alleneremo perché il ritardo di Pucey nella prenotazione del campo ci ha rallentato la tabella di marcia e dobbiamo recuperare.” Roland spostava lo sguardo tra i vari giocatori che annuivano.

“Abbiamo bisogno di un portiere, di un cercatore e di un cacciatore. Iniziamo dalle selezioni del portiere: abbiamo Selwyn e Dolohov. Selwyn prendi la scopa e difendi gli anelli. Dolohov, lo stesso dall’altro lato del campo. McNair, ti passerai la Pluffa con Bulstrode. Vediamo se hai la stoffa per il ruolo di Cacciatore. Yaxley, Rabastan, sorvolate il campo, dopo un po’ libererò il Boccino d’oro, vediamo chi sarà il miglior Cercatore. Io e Flint saremo i Battitori, come sempre. Ci sono domande?”

Un coro di no risuonò e i giocatori si alzarono in cielo con le loro scope.

Rabastan vide la differenza tra i giocatori di ruolo e loro che stavano partecipando alle selezioni per la prima volta. I giocatori si muovevano in modo armonico, come se ognuno di loro conoscesse i movimenti degli altri. Sarebbe stato difficile raggiungere quel livello di sincronia prima della partita contro Grifondoro, adesso capiva il nervosismo di Roland.

In modo del tutto inaspettato, Evan Selwyn sembrava in vantaggio su Dolohov. I suoi movimenti vicino gli anelli erano precisi e rapidi e i colpi parati erano migliori. Tobias si muoveva con difficoltà. Roland decise di andargli incontro: “Dolohov, Selwyn, scambiate gli anelli, voglio vedere se dipende dalla luce.”

Il risultato non cambiò, Evan era nettamente il portiere migliore.

“Grazie, Dolohov, è tutto. Devi lavorare sulla velocità, prova a passare nel ruolo di Cacciatore, vediamo se te la giochi con McNair.”

Rabastan era ammirato dal modo in cui Roland conduceva la squadra ed evitava le frizioni tra i componenti. Si concentrarono sui Cacciatori e tra poco sarebbe stato liberato il Boccino d’oro, il momento che aspettava da tutta l’estate.

Doyle Bulstrode, uno studente del quinto anno che giocava da Cacciatore da quando Rabastan era entrato a Hogwarts, lanciò la Pluffa e Dolohov sembrò volare meglio di McNair. Tuttavia, McNair era molto veloce e riuscì ad evitare un Bolide che gli lanciò Flint. Roland colpì il Bolide con la mazza e Dolohov lo evitò, aveva la Pluffa in mano, riuscì a sfuggire a un altro Bolide lanciato da Flint, sgusciò dal placcaggio di Bulstrode, si avvicinò agli anelli difesi da Selwyn e segnò. Rabastan esultò e poi chiese scusa. L’azione era stata spettacolare. Tobias era stato bravissimo, sembrava un’azione degna del campionato professionista. Si disse che quasi certamente era una vendetta contro Selwyn, colpevole di avergli soffiato il ruolo da portiere.

Tuttavia, Dolohov era decisamente migliore nel ruolo di Cacciatore e lo sguardo tra suo fratello, Flint e Bulstrode sembrava confermare le impressioni di Rabastan. Ci furono altre azioni, i tiri di McNair non andarono a segno come quelli di Dolohov e Selwyn si confermò un ottimo portiere.

Roland scese a liberare il Boccino d’oro e Rabastan lo vide schizzare su in cielo. Strizzò gli occhi alla ricerca di un bagliore dorato e lo vide svolazzare accanto a McNair. Se ne accorse anche Yaxley, entrambi scesero in picchiata, McNair si spaventò e il Boccino iniziò a schizzare via rapidissimo. Rabastan si appiattì sulla scopa, lo sguardo dritto sul Boccino. Schivò un Bolide, poi Selwyn che si era allontanato troppo dagli anelli quando proprio tra due anelli vide il Boccino. Yaxley sembrava essere rimasto indietro, alzò il manico di scopa e salì in quota, la mano tesa per afferrare il Boccino e poi sentì la sfera d’oro tra le sue dita, le ali che smettevano di svolazzare. Rabastan alzò la mano in segno di vittoria ed esultò.

Vide il sorriso sul volto di Roland e poi degli altri giocatori e persino Yaxley applaudì in segno di approvazione.

“Sei stato una scheggia, Rab!” esclamò Roland andandogli incontro. Flint gli passò la mano tra i capelli e fu circondato da pacche, abbracci, strette di mano. “Non so se è la tua scopa, o tu, ma sei stato incredibile,” gli disse Corban, “stracceremo Grifondoro.”

Yaxley era il suo migliore amico ed era felice che non se la fosse presa per non essere stato selezionato. Si abbracciarono e continuarono l’allenamento.

“Corban, continua a giocare con noi, insieme a Gordon, abbiamo bisogno di giocatori di riserva. Non siete male.” Roland alzò lo sguardo verso gli spalti e un sorriso perfido gli comparve sul volto: “Ragazzi, Grifondoro è venuto a spiarci. Hanno paura. Voglio che diate un assaggio della polvere che mangeranno il giorno della partita.”

Tornarono in cielo e ripresero l’allenamento. Più giocavano, più la squadra risultava affiatata e i passaggi erano sempre più precisi. Rabastan si sentiva al settimo cielo nell’osservare dall’alto le azioni. Catturò il Boccino altre due volte, schizzando veloce tra i suoi compagni di squadra e schivando i Bolidi che suo fratello gli lanciava.

Quando toccò terra era distrutto e felice come poche altre volte gli era capitato nella sua vita. Tornò in sala comune per la doccia e poi si cambiò per andare a cena. Raccontò per filo e per segno a Roddie tutte le sue manovre e il modo in cui aveva catturato il Boccino d’oro e tutta la squadra aveva applaudito per lui.

Finì sul materasso stanco e crollò nel sonno, indifferente ai fantasmi e a tutto quello che stava infestando quella scuola. Era il Cercatore ufficiale della squadra di Quidditch di Serpeverde e non c’era niente di più bello e importante al mondo.

 

***

 

Hogwarts, 5 ottobre 2015

Il primo mese ad Hogwarts era volato ed era stato semplicemente fantastico. Adorava tutto: la scuola, i compagni di classe, i professori, il fatto che il sabato avesse una partita di Quidditch da guardare. Tutto era meraviglioso e Louis al suo fianco era uno spasso.

C’era un solo lato negativo di Hogwarts ed era il suo compagno di dormitorio: Andrew McLaggen. Non tanto perché russava la notte (Roxanne gli aveva insegnato come insonorizzare le tende del baldacchino) quanto perché era un fan accanito delle Holyhead Arpies e teneva un poster gigante di sua mamma sopra il letto, anche se sua mamma aveva smesso da tempo di giocare a Quidditch e ora era solo un’inviata della Gazzetta del Profeta.

Aveva provato a convincere Andrew a togliere quel poster gigante, perché lui non voleva svegliarsi ogni mattina e incontrare per prima cosa sua mamma che lo fissava con quegli occhi marroni e l’espressione determinata, la stessa che aveva quando minacciava di metterlo in punizione se non avesse messo in ordine la stanza. Ogni mattina James si svegliava e aveva l’impressione che la foto di sua madre volesse scoprire se avesse fatto tutti i compiti. Il ché era impossibile, perché i professori li stavano riempiendo ed era tutto nuovo e complicato da imparare, e nemmeno Louis riusciva a stare dietro tutti i compiti.

James era arrivato a promettere ad Andrew foto autografate, biglietti per lo stadio, una foto con Ginny quando sarebbero arrivati al Binario 9 e 3/4. Aveva persino promesso che d’estate l’avrebbe invitato a casa, così avrebbe potuto incontrare la mamma e il papà, ma nessuna di quelle offerte riuscì a smuovere Andrew e convincerlo a rimuovere il poster.

Così, anche quel giorno si svegliò, guardò il poster di Ginny che lo osservava sorridente appoggiata ad una meravigliosa Firebolt, e biascicò un “Buongiorno mamma…” mentre si dirigeva verso la doccia. Cercò di sistemare al meglio i capelli, anche se suo padre gli aveva detto che era una battaglia persa, e si preparò per la colazione.

Avrebbero avuto Trasfigurazione con la Robins, Pozioni con la McMillan e poi Erbologia con Neville che era sempre paziente, gentile e comprensivo con i suoi studenti.

“Ancora non mi sono abituato a vedere zia Ginny quando apro le tende del baldacchino,” gli confessò Louis mentre beveva un po’ di succo di zucca. James prese un po’ di uova strapazzate e scrollò le spalle: “Non dirlo a me! Non so più come convincere Andrew a togliere quel poster… Quasi quasi glielo stacco quando è in sala comune!”

“Ho applicato un incantesimo di Adesione Permanente che solo io posso rimuovere. Potter, lascia in pace il mio poster.”

“Dai, Andrew, non sai che significa svegliarsi e trovarsi tua madre che sembra chiederti se hai fatto tutti i compiti.”

“Darei qualsiasi cosa perché mia mamma fosse così…” sospirò Andrew con aria trasognata.

“Ehi! Stai parlando di mia mamma!”

“E di mia zia,” intervenne Louis, “ti posso assicurare che se ti sentisse sarebbe già partita una delle sue temibili Fatture Orcovolanti.” James si sentiva sollevato al pensiero di avere al suo fianco Louis, lo faceva sentire meno solo.

“Chi lancia le Fatture Orcovolanti?” domandò Roxanne mentre prendeva posto accanto a loro.

“Parlavamo di zia Ginny!”

Roxanne si servì di salsicce e uova, prese un sorso di succo di zucca e raccontò divertita: “Una volta ne ha scagliata una contro papà ma l’ho presa per sbaglio io e ancora me la ricordo!” Roxanne guardò Andrew annuendo: “Sul serio, fossi in te, toglierei quel poster. Magari puoi metterne uno della squadra di Grifondoro. Noi siamo molto più belli di zia Ginny!”

“Nessuno è meglio di Ginny Weasley! Lei è fantastica! Volava in un modo unico! Ma perché ha smesso?”

“Perché è nato lui!” Roxanne indicò James facendogli l’occhiolino.

James sospirò prendendo del bacon per non dover guardare lo sconvolgimento di Andrew. “In realtà non è proprio a causa di James. Sarebbe tornata a giocare dopo, la squadra la voleva, solo che poi è nato anche Albus e poi Lily. Insomma, con tre figli è difficile e lei era sempre in trasferta, e zio con il lavoro che fa… insomma, è complicato! Però d’estate alla Tana batte ancora tutti noi nipoti!”

Per tutta l’estate avevano ripetuto a James che ad Hogwarts gli avrebbero fatto delle domande sul famoso Harry Potter. Tutti avrebbero voluto un racconto sul Prescelto, se era vero che avesse la cicatrice, se in casa tenevano gli horcrux, cose di questo tipo. Si era preparato psicologicamente a quel genere di domande, sapeva anche come scherzarci su, ma non era pronto a tutte le domande che Andrew gli avrebbe posto su sua mamma.

In generale, quando si presentava gli chiedevano se lui fosse il figlio del famoso Harry Potter e poi, immancabilmente, qualcuno arrivava a precisare che fosse anche il figlio di Ginny Weasley, la famosa editor della cronaca sportiva della Gazzetta del Profeta e la conversazione veniva monopolizzata dai retroscena sul Quidditch. Da un lato, era meglio così perché James non aveva nessuna voglia di parlare di Voldemort e della guerra, il Quidditch era un meraviglioso argomento di conversazione.

“Andiamo o faremo tardi a Trasfigurazione,” disse a Louis e Andrew. “Voi siete riusciti a finire il tema sulle controindicazioni del trasfigurare animali in oggetti?”

Louis annuì e Andrew si strinse nelle spalle: “Il problema non è finire il tema, il problema è il voto che ci darà la Robins. Insomma, finora ho preso solo un Accettabile. I miei genitori mi uccideranno prima di Natale se non miglioro.”

“Ho una proposta da farti, allora,” gli disse Louis appoggiando il braccio intorno alla spalla di Andrew. Lo videro irrigidirsi. Louis, però, aveva quel lato espansivo dei francesi che lo portava a toccare le persone e parlar loro senza troppi filtri, mentre altre volte riusciva ad essere antipatico (anche se lui si definiva diretto) come i francesi. James adorava quel tratto, anche se quando aveva provato a prendere esempio da lui era stato rimproverato da sua madre perché non doveva essere invasivo e senza tatto.

“La mia proposta è semplice: tu togli il poster di zia Ginny, se vuoi puoi piegarlo e conservarlo nel comodino. Noi non vogliamo alzarci con zia che ci guarda come se volesse sapere se abbiamo finito i compiti, in cambio, noi ti aiutiamo ad avere ottimi voti in tutte le materie. Potrai entrare nel nostro esclusivo gruppo di studi.”

“Pensa ai tuoi genitori, a come saranno impressionati quando a Natale gli dirai che studi con il figlio del Prescelto!” aggiunse James con quello che suo padre chiamava il sorriso da malandrino.

Andrew sembrò valutare la proposta. Si sedettero tutti e tre vicini in un banco in ultima fila. James prese il compito di Andrew e gli disse dove modificarlo e cosa aggiungere al tema.

“Allora, ci stai?” gli domandò Louis.

Andrew annuì: “Affare fatto.”

“Voi tre! Smettetela di chiacchierare. Oggi ripeteremo l’incantesimo Feraverto.”

Demelza Robins non era solo una severissima professoressa di Trasfigurazione, ma era anche la Direttrice di Grifondoro e una tifosa appassionata di Quidditch. Secondo i racconti dei genitori, aveva giocato come Cacciatrice da ragazza e pare che fosse anche piuttosto brava a schivare i Bolidi e, con la stessa abilità, era in grado di comparire alle spalle di qualsiasi studente distratto e richiamarne l’attenzione.

La professoressa Robins spiegava con grande passione, al punto che si emozionava quando un incantesimo finalmente riusciva ai suoi studenti. Certo, riusciva anche a sospirare delusa o spazientita se le volte successive dimostravano di non aver imparato nulla.

La Robins smosse il caschetto di capelli castani e l’intera classe trattenne il respiro. Ormai avevano imparato che quando la professoressa scuoteva la testa in quel modo voleva dire che stava perdendo la pazienza. “Ho letto i vostri compiti sull’importanza della Trasfigurazione e devo dire che sono proprio delusa, mi aspettavo molto di più da un compito così generico. Avreste potuto scrivere chilometri di pergamena e invece avete fatto fatica a terminare i trenta centimetri che vi ho assegnato.”

“Siamo stati sommersi di compiti!” protestò Ruth Baston dal primo banco. La professoressa alzò un sopracciglio e le disse: “Signorina Baston, non è una scusa per svolgere un lavoro mediocre. Ad Hogwarts sarete sempre sommersi di compiti. I compiti che avete iniziato a svolgere sono solo l’inizio di una scalata lunga sette anni!”

La classe piombò nel gelo. James, Louis e Andrew si scambiarono uno sguardo terrorizzato. Sicuramente Andrew stava pensando di aver fatto un ottimo accordo prima che fosse troppo tardi. Quella convinzione si consolidò quando la professoressa Robins si avvicinò al loro banco e chiese di provare ad eseguire l’incantesimo Feraverto. Diede un topo a ciascuno di loro e se James riuscì, anche se qualche pelo di topo era rimasto nel vetro del calice, Louis trasformò il topo in un perfetto calice di vetro che lasciò tutta la classe sbalordita.

“Ottimo lavoro, Weasley, cinque punti a Grifondoro!”

James diede una pacca sulla spalla al cugino, mentre Louis spiegava: “Il segreto è concentrarsi molto sul calice che vuoi vedere. Io ho pensato a quelli che la mamma mi vieta di toccare. Se pensi al topo poi finisce sempre che restano parti dell’animale.”

“Avete preso anche dei voti più che dignitosi nel tema!” esclamò Andrew.

“Te l’avevo detto McLaggen! Vedrai che con noi la tua vita migliorerà!”

La giornata continuò con Pozioni e poi Erbologia e persino Neville assegnò loro un sacco di compiti, tra cui un tema sul Tranello del Diavolo e la cura di un Arbusto Autofertilizzante, mentre la professoressa McMillan aveva assegnato un tema infinito sugli ingredienti della Bevanda della Pace. Erano talmente carichi di cose da studiare che, finite le lezioni, si trascinarono controvoglia in biblioteca per iniziare i compiti.

“Suggerisco di iniziare dal tema di Incantesimi di domani,” disse Louis con tono pratico. Andrew annuì e James disse: “Io l’ho finito ieri. Potete dargli un occhio se volete.”

Andrew disse: “Io ho finito il tema di Difesa contro le Arti Oscure!”

Louis esultò: “Benissimo! Se condividiamo i compiti possiamo finirli più velocemente! Anche se credo che dovremo studiare lo stesso, altrimenti poi le prove pratiche non ci riusciranno.”

“Sì, ma avere i temi impostati è un aiuto non da poco,” annuì Andrew. Intercettarono l’espressione burbera di Madama Quills e si zittirono immediatamente.

James era immerso nella lettura di “Le Forze Oscure: guida all’autoprotezione di Dante Tremante” quando Louis sollevò lo sguardo dal libro di Teoria della Magia e lo chiamò sottovoce. James, però, voleva finire il paragrafo. Stava cercando di memorizzare la differenza tra una fattura e una maledizione, quando un pezzetto di pergamena arrotolata finì sulle pagine che stava leggendo. Alzò lo sguardo seccato e intercettò gli occhi azzurri di Louis che gli facevano cenno di leggere il biglietto.

Guarda Molly e Roxanne.

Louis fece cenno alla sua destra e James strizzò gli occhi per riuscire a riconoscere le due cugine. Molly teneva i capelli aggrovigliati sopra la testa, tenuti fermi da due matite, proprio come li portava zia Audrey, mentre Roxanne continuava a sfogliare avidamente un libro e mostrare qualcosa alla cugina. Sembrava che stessero lavorando a qualcosa e, a giudicare dall’espressione concentrata che avevano entrambe, doveva essere qualcosa di estremamente serio.

“Hai mai visto Molly così seria?” domandò sottovoce James. La cugina aveva il carattere allegro di zia Audrey e come lei sognava di diventare un’illustratrice, al punto da essere a capo delle decorazioni a sostegno della squadra di Quidditch. Era lei a ideare gli striscioni, le frasi di incoraggiamento e animare il leone di Grifondoro. Fred gli aveva raccontato che durante l’ultima finale contro Corvonero, quando Grifondoro ha vinto, il leone disegnato da Molly si era messo in bocca l’aquila dei Corvonero ed era andato in giro per tutto lo striscione con aria fiera, mentre i tifosi esultavano. Persino la Robins le aveva fatto i complimenti per l’inventiva.

“E Roxanne?” domandò Louis. In effetti, Roxanne seria era qualcosa di ancora più insolito rispetto a Molly. Roxanne era la versione femminile di zio George e aveva preso il carattere fiero e battagliero di zia Angelina. Sembrava quasi spaventata, mentre girava nervosamente le pagine mostrando qualcosa a Molly che, ogni volta, scuoteva la testa sempre più sconsolata.

La chiusura della biblioteca ricordò loro che era arrivata l’ora di cena. James si trascinò verso la Sala Grande con Louis e Andrew che era entusiasta dall’idea di aver finalmente capito come impostare un tema di Incantesimi leggendo quelli di Louis. “Non era questione di studio, ma di metodo!” aveva esclamato stiracchiandosi allegro. “Sono distrutto! Non vedo l’ora di tornare in sala comune e andarmene a letto!”

“Sì, ma ricorda di togliere il poster!”

“Sì, tranquillo, lo tolgo! Siete molto più interessanti di Ginny Weasley!”

“Naturalmente!” esclamò James ridacchiando. “La mamma non ti aiuterebbe mai con i compiti.”

James notò che Roxanne e Molly mangiarono velocemente insieme a Victoire e poi le vide allontanarsi verso la sala comune. Domandò a Fred: “Cosa succede a Roxanne e Molly?”

Fred scrollò le spalle e continuò a chiacchierare con Lucy e altri compagni del quinto anno. Dominique era seduta al tavolo di Corvonero con Albert Goldstein e lui e Louis si sentivano quanto mai spaesati.

Andrew disse loro: “Forse le tue cugine stanno aiutando Roxanne con un compito. Insomma, avete sentito la Robins oggi? I compiti che ci stanno dando sono niente rispetto a quello che vedremo i prossimi anni!”

Louis e James annuirono pensierosi. “Non capisco perché Dominique e Fred siano così rilassati, allora.” Andrew scrollò le spalle. Era difficile trovare una ragione per quei comportamenti bizzarri, ma James era troppo curioso di scoprirlo. Così, dopo cena convinse Andrew e Louis ad andare nella sala comune di Grifondoro dove pensava che avrebbe incontrato le cugine e, soprattutto, dove Andrew doveva togliere il poster della mamma.

“Dulcis in fundo!” esclamò James davanti il ritratto della Signora Grassa. Si infilarono nel buco e rimasero colpiti dal fatto che nessuna delle tre cugine fosse in sala comune.

“Secondo te dove sono andate?” domandò James a Louis.

“Forse avevano i turni di ronda. Sai, Molly e Vic sono Caposcuola e Prefetto, mentre Roxanne sarà andata a dormire. Aveva l’aria molto stanca.”

James annuì. Sì, poteva essere una spiegazione plausibile. Si diressero verso il dormitorio dei ragazzi e finalmente Andrew rimosse il poster di Ginny. Appesero un poster della squadra di Grifondoro e uno stendardo delle Holyhead Harpies.

Fecero alcune partite a Sparaschiocco, vinte da Andrew che si era rivelato un abile giocatore, quando James disse: “Vado a cercare Molly e Victoire, sono preoccupato per loro. Non tornano!”

“Guarda che rischi solo una punizione!” esclamò Louis. Andrew alle sue spalle dava ragione a Louis.

“Non importa, io vado. Ho risposto bene a Neville oggi, ho guadagnato ben dieci punti.”

“Sì, ma non è che i punti che guadagni li puoi usare per metterti nei guai!” osservò Andrew.

“Lo so, ma sono preoccupato. Voi restate qui, faccio un giro, magari le trovo che stanno tornando.”

Louis annuì e Andrew gli propose un’altra partita a Sparaschiocco in attesa di James.

Scivolò al di fuori del ritratto della signora Grassa e scese al settimo piano. “Lumos!” sussurrò alla bacchetta. Il corridoio era immerso nell’oscurità. Avanzava lentamente sperando di sentire le voci di Molly e Victoire e scoprire a cosa stessero lavorando.

“Ti dico che il bagno dei Prefetti è al quinto piano.”

James si nascose dietro un’armatura non appena sentì una voce maschile pronunciare quelle parole.

“Al settimo cosa c’era, quindi?” domandò un’altra voce.

“La Stanza delle Necessità. Sul serio, Ramoso, non pensavo che ti saresti dimenticato di questi dettagli!”

“Non rinfacciarmeli solo perché tu sei tornato a Hogwarts più di recente, Felpato!”

James sgranò gli occhi. Quei nomi. Li aveva sentiti un milione di volte nei racconti a casa. Scosse la testa. Insomma, non era possibile. Loro erano morti.

“Abbiamo visite, suppongo,” disse Felpato mentre superava l’armatura e finiva di fronte a James.

Suo nonno James rideva e aveva un sopracciglio alzato: “Ti sembriamo due con l’aria da Prefetti?” James scosse la testa e domandò: “Tu sei mio nonno?”

“Esattamente, e lui è il mio migliore amico nonché il padrino di Harry.”

“Ma cosa ci fate qui? Non siete morti?”

“Che ci facciamo qui?” domandò Sirius a James. I due si guardarono e James scrollò le spalle: “Non lo so, un giro, suppongo che qualcuno ci abbia evocato. Tu piuttosto cosa ci fai in giro a quest’ora della notte? Tuo padre non ti ha nemmeno dato il Mantello dell’Invisibilità!”

“Papà ha un Mantello dell’Invisibilità?” domandò James sbalordito.

Sirius scosse la testa: “Vedi? Nemmeno gliel’ha dato! Inconcepibile! Harry ha preso da Lily, non ci sono altre spiegazioni…” Sirius lo guardò incrociando le braccia e gli domandò: “E la mappa?”

“Quale mappa?” James Sirius non aveva idea di cosa stesse parlando il padrino di suo padre.

“La Mappa del Malandrino! Non dirmi che Harry non ti ha dato nemmeno quella!”

“Ehm… Credo che ce l’abbia Teddy, il figlio di Remus.”

“Ha senso. Teddy è più grande,” disse James guardando Sirius che annuiva “Sì, perfettamente senso. Ah, è così logico Harry!”

“Ha preso da Lily!” esclamò Sirius come se avesse appena avuto la dimostrazione di quanto sosteneva prima.

James osservava le persone di cui portava i nomi un po’ perplesso, senza sapere bene come doversi comportare o cosa dire. A dire il vero, quei due erano così complici che si sentiva di troppo.

“Senti, Ramoso,” disse Sirius, “ma se mostrassimo a tuo nipote l’accesso alle cucine?”

“È un’ottima idea, Felpato!” Fece un occhiolino a James e gli disse: “Non si può mai sapere quando viene voglia di uno spuntino notturno! Seguici!”

Scesero le scale seguendo passaggi che James non aveva mai notato e che – in pochissimo tempo – li portarono dalle parti della sala comune dei Tassorosso. Si fermarono davanti un quadro con la frutta e suo nonno gli disse: “Fa’ il solletico alla pera.” James obbedì e si aprì l’ingresso per le cucine.

Oltre la soglia gli elfi domestici l’osservarono sorpresi e poi gli corsero incontro, desiderosi di sapere come compiacere uno degli studenti. James sentì Sirius sussurrargli di chiedere dei biscotti e così obbedì. Gli elfi furono entusiasti di riempirlo di biscotti, muffin e scone fino a riempire le braccia di James che ringraziò indietreggiando, imbarazzato come quando nonna Molly lo riempiva di torta. Non appena furono fuori dalle cucine esclamò allegro: “Ma è meraviglioso! Grazie!” Pensava al momento in cui avrebbe diviso il suo bottino con Louis e i compagni di dormitorio.

“Adesso ti accompagneremo alla Torre di Grifondoro, ma poi dovremo salutarci,” gli disse James.

“Non credo che la Signora Grassa sarà felice di rivedermi dopo il nostro ultimo… ehm… incontro.” Sirius gli fece l’occhiolino e James capì subito che si riferiva a quando si era infilato dentro la sala comune di Grifondoro nei panni di Felpato e aveva quasi distrutto il quadro della Signora Grassa. Suo papà gli aveva raccontato un sacco di volte quelle storie, anche se dopo ogni racconto diventava sempre un po’ triste.

“Ti avremmo fatto conoscere i vari passaggi segreti, ma purtroppo quei maledetti Mangiamorte li hanno chiusi,” disse Sirius.

James osservava il nonno ed era sbalorditivo quanto si assomigliassero: gli stessi capelli scompigliati e gli identici occhi marroni. Persino la forma del viso era la stessa. Aveva sempre pensato di aver ereditato gli occhi marroni dalla mamma, invece erano proprio come quelli del nonno. Sulle scale, prima di arrivare da quella pettegola della Signora Grassa, James e Sirius lo salutarono raccomandandosi di dire a suo padre che erano estremamente orgogliosi dell’uomo che era diventato e che anche James e i suoi fratelli promettevano bene. James annuì e quando i due fantasmi scomparvero corse fino al ritratto della Signora Grassa e le urlò “Dulcis in fundo!” con un impeto tale da farle esclamare: “Che modi!” ed entrò carico di biscotti e dolci nella sala comune.

Trovò Molly, Victoire e Roxanne intente a parlare fittamente. Le tre cugine si voltarono verso di lui e gli dissero: “È scattato il coprifuoco, dov’eri?”

Roxanne strizzò gli occhi andandogli incontro: “E dove hai preso tutti questi dolci?”

“In cucina!” esclamò James, “me li hanno dati gli elfi domestici. Voi non avete idea di chi ho incontrato!” esclamò entusiasta. Le cugine si guardarono preoccupate. “Chi?” James notò che la voce di Molly tremò e sembrava spaventata mentre lo guardava e attendeva la risposta.

“Ho incontrato i fantasmi del nonno e di Sirius Black! Mi hanno mostrato la strada per le cucine e suggerito di chiedere i dolcetti agli elfi domestici!” Era emozionato e avrebbe iniziato a saltellare per la sala comune tanto era felice di quell’incontro, ma lo sguardo spiazzato delle cugine lo fece calmare.

“Ti hanno detto come mai erano ad Hogwarts?” domandò Victoire.

“Non lo sapevano di preciso, mi hanno detto che qualcuno doveva averli evocati e che ne stavano approfittando per fare un giro. Li ho incontrati al settimo piano. Ero uscito per venire a cercarvi…” disse James ricordandosi che stava parlando con un Prefetto e un Caposcuola di Grifondoro e non voleva assolutamente farsi togliere dei punti. “Mi hanno anche mostrato delle scale che non conoscevo che mi hanno portato subito vicino la sala comune dei Tassorosso dove ci sono le cucine!”

“Questa volta erano due…” disse Molly guardando le cugine.

“Deve essere Magia Oscura…” mormorò Roxanne, “tutti i libri che abbiamo consultato rinviano alle Arti Oscure per l’evocazione degli spiriti dei morti.”

“Questo restringe di molto i sospettati,” concluse Victoire, “c’è una sola Casa in cui le Arti Oscure non sono viste negativamente.”

“E sono ancora meno quelli che prossimamente faranno i riti di Samhain. Il giorno in cui il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia.”

James assisteva preoccupato a quella conversazione. Voleva chiedere se avessero visto qualche fantasma anche loro quando la porta della sala comune si aprì ed entrò Louis trafelato.

“James, sei qui!” esclamò spaventato. “Sono uscito a cercarti perché loro erano tornate e tu non tornavi.”

“Calmati, Louis.” Victoire gli si avvicinò preoccupata e nessuno di loro si aspettava che Louis si gettasse tra le sue braccia tremando. Non sembrava più il giovane mago undicenne che collezionava bei voti dai professori, ma solo un bambino spaventato.

“Chi hai visto?” gli domandò James, temendo la risposta. Iniziò ad avere il sospetto di essere stato molto fortunato nell’incontrare il nonno e Sirius Black.

Louis aveva il viso affondato contro Victoire che gli accarezzava la schiena per calmarlo. Louis sembrò prendere coraggio grazie al contatto con Vic. Alzò il viso verso la sorella e mormorò: “Fenrir Grayback…”

Victoire chiuse gli occhi terrorizzata mentre stringeva forte a sé il fratello. Entrambi sembravano fare una gran fatica per non scoppiare a piangere. Molly si avvicinò e abbracciò entrambi, così come fecero Roxanne e James. Volevano mostrare la loro vicinanza a Louis.

“È morto ad Azkaban dopo la guerra, Louis, non può farti niente.”

“Non potete capire! Ha detto che tornerà e che ci trasformerà in Lupi Mannari e saremo costretti a ubbidirgli! Vuole uccidere la mamma e il papà!”

“Per Godric!” esclamò Molly.

Victoire afferrò il viso del fratello e lo guardò negli occhi. In quel momento assomigliava a zia Fleur in un modo incredibile.

“Ascoltami bene, Louis, rispediremo quei fantasmi nell’inferno da cui sono arrivati. Nessuno tornerà indietro. Abbiamo sconfitto una volta Greyback e sconfiggeremo anche il suo fantasma. Hai la mia parola!” Victoire alzò lo sguardo verso Molly e le disse: “Mi serve solo un piccolo indizio per scoprire chi è stato e poi ti giuro che non riconoscerà più il suo sedere! Adesso è diventata una questione personale!”

“Gli faremo passare la voglia di giocare con le Arti Oscure!” esclamò Roxanne con lo stesso piglio determinato che aveva mentre entrava in campo. Molly annuì altrettanto determinata.

“Scommetto che c’entrano i Lestrange,” disse Louis guardando la sorella, “Hai saputo cosa hanno detto a Teddy l’altro giorno?”

Molly sembrava non essere al corrente del battibecco tra Teddy e Roland nel corridoio fuori la biblioteca, così James spiegò: “Ha detto che da figlio di Mangiamorte conosce dei modi per fargli fare la fine dei suoi genitori.”

“No!” Molly si coprì la bocca spaventata.

James annuì: “La preside ha convocato i suoi genitori e so che è stato messo in punizione.”

“Allora direi che abbiamo abbastanza elementi per avere un sospetto!”

“Non è un caso che dopo quello scontro abbiano iniziato ad apparire questi fantasmi!” esclamò Victoire. “Non ci avevo pensato finora, ma credo che sia la spiegazione più plausibile.”

“Il rasoio di Occam,” esclamò Roxanne.

“E tu che ne sai?” domandò Molly.

“Qualsiasi cosa che semplifichi la vita mi interessa, Molly, dovresti saperlo e non dovresti nemmeno stupirti più di tanto.”

“Cos’è questo rasoio?” domandò James perplesso mentre mangiava un biscotto. Sapeva che forse non era il momento adatto per sgranocchiare biscotti, ma tutto quel nervosismo l’aveva agitato e persino la paura di Louis e la presenza di fantasmi del passato che volevano tornare lo aveva terrorizzato e aperto una voragine dentro il suo stomaco.

Roxanne prese un biscotto e gli disse: “In poche parole, a parità di fattori, la spiegazione più semplice è quella preferibile.”

“Quindi, se i Lestrange sono una famiglia che intrallazza con le Arti Oscure e hanno minacciato Teddy, è probabile che siano loro ad aver evocato i fantasmi, giusto?” domandò James.

“Esatto.” Victoire prese un biscotto e un altro lo prese Louis, mentre Molly prese un muffin. Alla fine, gli sembrava che il nonno e Sirius stessero confortando e vegliando su tutti loro.

“Ma perché Lestrange dovrebbe avermi fatto incontrare il nonno e Sirius?”

“A me e Molly ha fatto incontrare zio Fred,” disse Roxanne.

“A me Cedric Diggory.”

“Quindi solo io ho incontrato Greyback?” domandò Louis tremando mentre tornava ad abbracciare la sorella. “Vic, posso dormire con te?”

“Scordatelo. I ragazzi non possono entrare nel dormitorio delle ragazze e io sono un Prefetto!” esclamò Victoire, “non fare il moccioso.”

“Puoi dormire con me, se vuoi,” gli disse James che capiva perfettamente quanto dovesse essere stato terrificante per Louis trovarsi davanti il Lupo Mannaro che aveva aggredito suo padre. Era un po’ come se lui avesse incontrato Voldemort. La sola idea gli dava i brividi.

 

***

 

Hogwarts, 5 ottobre 2015

Caro Roland,

capisco i tuoi motivi di preoccupazione e hai la mia parola che non farò menzione con la mamma di quanto mi hai confidato. Quello che mi hai descritto è qualcosa di impensabile e decisamente oscuro.

Nella biblioteca dell’Ufficio Misteri ho trovato degli incantesimi in grado di aprire il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti (non ho nessuna intenzione di scriverteli su questa lettera né di farteli conoscere), sappi solo che sono troppo complicati per essere opera di studenti di Hogwarts.

State attenti, tenete la bacchetta a portata di mano perché chiunque sappia evocare questi fantasmi è in grado di fare ben altri danni. Probabilmente sa lanciare una maledizione senza perdono con la stessa semplicità di un Alohomora.

Guardatevi attorno e non escludete nessuna pista. Sono d’accordo con Roddie, proveranno ad accusarvi se ne avranno la possibilità. State attenti e rigate dritto. Scrivetemi e aggiornatemi sull’andamento delle vostre ricerche, altrimenti starò in pensiero.

Vi voglio bene.

Orion

La risposta di Orion era arrivata rapida e non si era rivelata del tutto risolutiva. D’accordo, esistevano degli incantesimi, forse delle maledizioni, ma suo fratello non gli aveva dato alcun indizio per capire di chi fosse l’autore di quelle evocazioni. Sospirò. Era stato un buco nell’acqua e forse dovevano realmente trovare un modo per parlare con Delphi di quanto stava accadendo tra le mura di scuola. Certo, senza menzionare i suoi genitori, altrimenti avrebbe scalpitato per poterli incontrare e, Salazar, Roland aveva i brividi a pensare cosa avrebbe potuto fare Delphi sotto le indicazioni dei suoi genitori.

Era l’unica che avesse sufficiente conoscenza delle Arti Oscure e che non si facesse scrupoli a condividere le informazioni con loro. Delphi non l’aveva mai trattato come uno stupido.

“È la risposta di Orion?” domandò Roddie sedendosi accanto a lui mentre allungava il collo verso la pergamena. Roland gli passò la lettera. Non aveva voglia di parlarne. Stava andando in paranoia e temeva di essere spiato. “Non parlarne qui,” gli disse sottovoce. Roddie annuì e si limitò a passare la lettera a Rabastan dicendogli: “Tanti saluti da nostro fratello.”

Rabastan gli restituì la lettera. Si passò una mano tra i ricci castani. Persino la sua ammissione nella squadra di Quidditch sembrava essere passata in secondo piano. “Lo sai che significa, vero? Abbiamo una sola persona che ci può rispondere.”

“Lo so, Rab. Andrò in guferia a mandarle Antares. È l’unico che sappia trovarla. Fino ad allora non ne parliamo più, a meno che non ci siano novità.” Mandò giù una forchettata di uova, ma sentì lo stomaco chiudersi. Non riusciva ad abituarsi a quella dannata colazione inglese. Allungò la mano verso il pane tostato e prese un po’ di burro. Avrebbe dato qualsiasi cosa per i croissant di casa e una tazza di caffè invece dei muffin e di quei dolci troppo carichi di burro e zucchero, così diversi dai dolci che zio portava da Parigi.

Hawk, accanto a lui, sorrideva leggendo una pergamena decorata con teschi e fiori. “Mia nonna,” gli disse, “ha iniziato i preparativi per el dia de los muertos.”

“Per cosa?”

“Il giorno dei morti. Lo sai che mia nonna è messicana, no?”

Roland strizzò gli occhi e un brivido gli corse lungo la schiena.

“Che c’è? Hai paura dei morti?” gli domandò Hawk divertito. Si era accorto del suo tremore.

“Ciò che è morto non può tornare, non ha senso averne paura,” disse sprezzante. Non voleva farsi vedere debole da Flint. D’accordo, era un suo compagno di scuola, forse poteva considerarlo un amico, ma non tanto da poter condividere con lui quanto lui e i suoi fratelli stavano vivendo.

Hawk infilzò una salsiccia e Roland trattenne un moto di disgusto nel sentire l’odore della carne di prima mattina. “Non direi. Durante il giorno dei morti, che poi la festa è di notte, le anime dei defunti vengono a trovare i vivi. Occorre preparare un banchetto, alcuni addirittura lasciano il proprio letto a disposizione dei morti. Insomma, è una festa molto seria e molto importante.”

“E come vengono i morti?” domandò Roland.

“Sono le anime, il loro spirito che lascia il mondo dei morti e si avventura per quello dei vivi.”

“E quando sarebbe questo giorno?” Questa festa l’aveva incuriosito, forse c’era una ragione che non riguardasse le Arti Oscure. Forse era una dannata festa di qualche parte del mondo che lasciava aperti i due mondi.

Flint mandò giù l’ultimo boccone di salsiccia e attaccò il bacon. Masticando a bocca aperta disse: “Tra poco, intorno a Samhain.” Roland e Roddie si scambiarono uno sguardo. Notò l’espressione disgustata del fratello mentre si alzava per andare a lezione.

“Ma è possibile che un’anima decida di raggiungere il mondo dei vivi prima della festa?” continuò a domandare. Quella festa iniziava a interessarlo.

“Perché dovrebbe farlo? Non troverebbe i vivi pronti ad accoglierla.” Hawk continuava a mangiare come se niente fosse. Roland tornò a concentrarsi sul suo toast imburrato mentre si domandava se in biblioteca ci fosse qualcosa sulla magia messicana. Forse nel pomeriggio avrebbe potuto controllare.

“Come sei messo con il tema di pozioni per oggi?” Flint cambiò argomento, passando alla concretezza della giornata. Aveva passato tutto il pomeriggio a volare con la scopa e si era dimenticato del compito di Pozioni, un classico.

“L’ho finito ieri. Lo vuoi?” Roland voleva tenere buono Hawk perché gli sarebbe tornato utile. In quel momento, più che mai, aveva bisogno di alleati. Lo vide annuire e gli passò la pergamena.

“Cazzo, Lestrange, sei un genio, come fai a ricordarti tutte queste cose?” sbottò. Roland ebbe un tremito e sperò che non gli macchiasse la pergamena con l’unto del bacon.

“Lo sai che i professori mi odiano per il cognome che porto. Non voglio dare la soddisfazione di mettermi brutti voti. Hai visto Longbottom come impazzisce ogni volta che deve mettermi una O?” domandò con un sorriso obliquo. In realtà, avrebbe dovuto dirgli che quello che loro stavano studiando al sesto anno lui lo aveva studiato nell’estate tra il terzo e il quarto anno e prima dei G.U.F.O. aveva finito il programma dei M.A.G.O. Gli altri studenti passavano le estati a riposare e divertirsi, lui e i suoi fratelli le passavano tra libri, calderoni e duelli di magia. Fuori era pieno di gente che non desiderava altro che vederli scomparire e lui non aveva nessuna voglia di dar loro questa soddisfazione.

“In realtà le tue sarebbero E,” gli riconobbe Flint, “ma credo che preferirebbe tagliarsi una mano piuttosto che metterti una E.”

“Tanto il prossimo anno arriverà una commissione esterna per i M.A.G.O. e avremo risolto il problema di quel babbanofilo. Oltre ogni aspettativa è un buon voto e non mi crea problemi con la carriera.”

“Hai delle idee su cosa fare? Mio padre vuole che prenda l’accademia del San Mungo, ma io voglio giocare come professionista a Quidditch. Quest’estate ho fatto dei provini.”

“Come sono andati?”

Hawk scrollò le spalle biascicò un “mi diranno più avanti”

Roland afferrò il calice pieno di succo di zucca per eliminare il sapore di bruciato dell’ultima parte del toast. Vide Lucile Dolohov sedersi con Edith Yaxley e sospirò. Sua madre gli aveva raccomandato di invitarla ad uscire a Hogsmeade, ma era sempre tutto così dannatamente difficile e adesso si erano messi di mezzo anche i fantasmi. Non poteva certamente invitare Lucile a un appuntamento in cui avrebbe dovuto incontrare Delphi. Immaginava le cose inopportune che avrebbe detto Delphi solo per metterlo a disagio davanti Lucile. Era troppo brava a leggere dentro le persone, quella dannata strega, e sapeva sempre dove colpire per fare male. Avrebbe fatto allusione a quella volta in cui si era infilata sotto le sue coperte, che se suo padre l’avesse scoperto l’avrebbe strozzato con le sue mani.

 

Roland era così immerso nella lettura di un racconto di avventure da non essersi accorto che la porta della sua stanza era stata aperta. Mise mano alla bacchetta quando sentì qualcuno oltre le tende del baldacchino e con grande sorpresa vide la chioma argentea di Delphi comparire.

“Dovresti stare in camera tua,” le aveva detto con un sopracciglio alzato e un sorriso sbieco.

“Mi annoio. Ho chiesto ad Orion, ma è così noioso. Posso stare con te?”

Non aveva aspettato la risposta. Si era infilata sotto le coperte con la sua camicia da notte sottile che lasciava intravedere le splendide forme del suo corpo. Roland, tuttavia, non voleva cedere. Socchiuse gli occhi e le domandò: “Quindi io sono la tua seconda scelta?”

Delphi aveva alzato gli occhi al cielo sorridendo e si era morsa un labbro sospirando: “Tutti possono sbagliare. Dimmi che questa è la volta buona.” Roland aveva sospirato nel momento in cui Delphi aveva passato le sue dita sottili tra i capelli e non era riuscito ad evitare di chiudere gli occhi.

“Lo sai che potremmo finire nei guai?” le domandò mentre cercava di tenere a bada l’eccitazione che montava dentro. Delphi sembrava una creatura delle favole tanto era bella. Poteva essere contemporaneamente la principessa e la strega cattiva, a seconda di come le girava.

“Sei un Lestrange, i guai dovrebbero essere il tuo pane quotidiano,” gli aveva risposto mentre gli posava un bacio sul naso e gli sfilava il libro dalle mani. “La vuoi vivere un’avventura con me o ti vuoi limitare solo a leggerle?” Lo aveva spinto con la schiena sul cuscino ed era salita su di lui, immobilizzandolo. Roland aveva spalancato gli occhi nel vedere Delphi che si sfilava la camicia da notte e rimaneva completamente nuda sopra di lui. Era troppo. Decisamente troppo. Lei era perfetta. Malvagia e assolutamente perfetta. O almeno questo era quello che pensavano, là sotto, i pantaloni del pigiama che diventava sempre più stretto.

“Smettila di pensare, Roland,” gli aveva sussurrato nell’orecchio, chinandosi su di lui e sfilandogli i pantaloni. Era rimasto a bocca aperta mentre lei lo massaggiava e si calava su di lui.

Si muoveva sinuosa sopra di lui che stava impazzendo dal piacere. Si scambiarono un sorriso e non appena Delphi chiuse gli occhi, Roland si sentì liberato dal potere della ragazza e ribaltò le posizioni affondando in lei con impeto. La sentì gemere di piacere e abbandonarsi all’orgasmo mentre lui faceva altrettanto. Continuarono a cercarsi per tutta la notte e il mattino dopo Roland si svegliò solo nel letto, completamente nudo e di ottimo umore.

Stava andando a fare colazione quando aveva incontrato Orion che con un sopracciglio alzato e lo sguardo divertito gli aveva detto: “Qualcuno ha ricevuto visite questa notte.”

“Credo di non essere stato l’unico.”

“Siete entrambi noiosi e imbranati,” aveva detto Delphi raggiungendoli.

“Non ci farai litigare, Delphi,” aveva sghignazzato Orion. “So di essere noioso.”

“Non mi sottovalutare, Orion, so fare molto male…”

Roland e Orion si erano scambiati uno sguardo perplesso mentre entravano a colazione. Roddie e Rabastan erano già scesi in spiaggia, trovarono la mamma intenta a leggere la Gazzetta del Profeta. La mamma alzò lo sguardo e li scrutò tutti e tre. Roland si sentì a disagio perché sua madre riusciva a capire moltissime cose con un rapido sguardo e iniziò a pensare che forse non avrebbe dovuto cedere a Delphi, che era stato sciocco cadere nella sua trappola.

“Dormito bene?” domandò la mamma prendendo un sorso di tè.

Delphi scrollò le spalle e disse: “Non riuscivo a prendere sonno, ho chiesto un po’ di compagnia a Orion e Roland ma nessuno dei due si è dimostrato all’altezza. Sono così noiosi.”

Roland sospirò immaginando la punizione che si sarebbe beccato. Adesso la mamma sarebbe andata su tutte le furie perché aveva sempre detto di non dare troppa confidenza a Delphi. Sottolineava sempre che era una ragazza problematica. Lui e Orion, però, sapevano che non era problematica, era perfida e amava seminare zizzania e rovinare ogni momento bello. Persino ieri notte sarebbe stato un bel ricordo se lei non lo avesse rovinato dando fastidio a Orion e spifferando tutto alla mamma.

Roland vide sua madre scrollare le spalle, posare la tazza di tè e girare pagina della Gazzetta del Profeta con una calma incredibile. Orion sembrava che avesse smesso di respirare tanto era in attesa di una reazione. Invece, la mamma si limitò a dire: “Beh, rivedrei la mia capacità di coinvolgere il partner se entrambi ti sono sembrati noiosi, cara.”

Delphi rimase a bocca aperta e pochi minuti dopo, quando tutti loro finirono di fare colazione, la videro andare via con Euphemia, mentre la mamma la salutava amorevolmente e le raccomandava di studiare e impegnarsi a Durmstrang. Non appena Delphi ed Euphemia scomparvero con la Passaporta la mamma guardò entrambi e disse loro: “Non darò soddisfazione a Delphi con le sue cattiverie, ma voi eravate dei pulcini e siete diventati due polli per finire così nelle sue grinfie.”

“No, mamma, io ho resistito stoicamente,” disse Orion, mettendo le mani avanti. “È andata via su tutte le furie dicendo che sarebbe andata da Roland.”

“Che invece c’è cascato come un pollo…” la mamma terminò la frase con un sorrisetto sarcastico.

“Si è infilata nel mio letto completamente nuda e mi è saltata addosso!” aveva provato a difendersi. La mamma gli rivolse uno sguardo scettico e gli disse: “E immagino che quello che è successo per tutto il resto della notte lo abbia fatto da sola e che quel sorriso che hai, insieme alle occhiaie, siano dovuti alle tue letture…”

 

La mamma non aveva detto nulla al papà, ma lo aveva preso in giro per un po’ di tempo ricordandogli quanto dovesse tenere alta la guardia.

Roland aveva accuratamente evitato Delphi da quel giorno e la sola idea di doverla incontrare gli metteva un po’ di ansia. Si ripeteva che non aveva nulla da temere perché sarebbe stato in compagnia di Roddie e Rabastan e ad Hogsmeade. Certo che, ogni volta che lei compariva, rischiava di finire immancabilmente nei guai.

 

 

 

 

 

 

Nota:

L’episodio di cui parlano le cugine Weasley su Roland lo trovate postato nelle note dello scorso capitolo! Qui vedete lo stesso episodio percepito da una prospettiva radicalmente diversa (quella di James e di Victoire).

Spero che l’incontro dei due Malandrini non abbia ferito molte di voi, so che ci sono fan di quei due screanzati. L’idea che incontrassero proprio James Sirius era troppo bella per non essere sfruttata. xD Al povero Louis è andata decisamente peggio.

I Lestrange, al momento, sono salvi, ma stanno ancora cercando di venire a capo del mistero. Al momento, pare essere chiaro che ci sono le Arti Oscure di mezzo. Chissà se Delphi riuscirà a dare qualche indizio in più o farà solo in modo che Roland finisca nei guai. Lo vedremo nel prossimo capitolo!

Grazie ancora per il sostegno, i feedback e le teorie che mi fa sempre piacere leggere.

Un abbraccio

Sev

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

 

Hogsmeade, 17 ottobre 2015

 

L’ultimo a vedere un fantasma era stato Louis, la sera tra il cinque e il sei ottobre. Erano passati ben undici giorni senza altri avvistamenti e la vita sembrava essere tornata sui binari ordinari.

Insieme a Molly e Roxanne, Victoire continuava a trascorrere le sere in sala comune a leggere e indagare su quel mistero, mentre durante il giorno tenevano d’occhio i movimenti dei Lestrange.

Era stata fatta una riunione nella sala comune di Grifondoro tra tutti i cugini e loro tre avevano informato anche Lucy, Dominique e Fred di quegli incontri atipici. Sembrava, infatti, che i fantasmi ce l’avessero solo con loro, perché nessun altro studente aveva informato Prefetti, Caposcuola o Professori di incontri insoliti nel castello. Era stato naturale, pertanto, chiedere agli altri di fare attenzione.

Ogni mattina durante la colazione, Victoire controllava i volti di Dodò e Louis per verificare se tutto andasse bene. Temeva che qualcuno provasse a fare l’eroe e nascondesse eventuali incontri per non aumentare le preoccupazioni. In realtà, avevano bisogno di ogni singolo dettaglio per venire a capo del mistero di quelle apparizioni e, se non erano terminate spontaneamente, riuscire a bloccarle.

“Novità?” domandò osservando Dominique sedersi un po’ nervosa al tavolo.

Dodò lasciò oscillare i suoi lunghi capelli biondi e sorrise un po’ imbarazzata: “Oggi esco con Albert!”

Le sopracciglia di Victoire si alzarono un po’ più di quanto si sarebbe attesa per una confessione del genere: “Cosa ci trovi in Albert? Voglio dire… è noioso!”

“Oh no! È brillante e molto acuto, ha una immaginazione vivace.”

“Non riesco a immaginare di cosa possiate parlare…”

Dodò arrossì e si morse un labbro. Victoire scoppiò a ridere e per poco il succo di zucca non le andò di traverso. “Non dire niente! Siete nella fase in cui non si parla molto. Ho capito! Temevo che avessi fatto altri brutti incontri…” le disse rincuorata.

“Quali brutti incontri?” domandò Albert sedendosi al tavolo dei Grifondoro, incurante degli sguardi sorpresi nel vedere un Corvonero al tavolo di un’altra Casa.

“Qualcuno ti dà noia?” le domandò accarezzandole la schiena con un gesto molto protettivo. Victoire doveva ammettere di non conoscere a sufficienza Albert per esprimere un giudizio su lui. Sembrava molto preso da Dodò.

Dominique scosse la testa e lanciò uno sguardo a Victoire: “Posso dirglielo?”

“È un Prefetto, forse è il caso che lo sappia. Magari ci sa dire se anche qualche Corvonero ha notato qualcosa di strano,” annuì Victoire. Avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile e forse solo la genialità di Corinna Corvonero avrebbe potuto instradarli sulla via della soluzione a quel mistero.

“Cosa succede?” Albert corrucciò la fronte, gli occhi verdi, sotto i boccoli neri, si scurirono lasciando trapelare la preoccupazione e la stessa concentrazione che mostrava durante le ronde notturne e le lezioni di Pozioni.

“Qualche settimana fa, alcuni di noi Grifondoro,” Victoire voleva omettere il dettaglio che fossero solo i cugini Weasley-Potter, perché non aveva la certezza che anche altri studenti non avessero fatto incontri simili, “hanno incontrato fantasmi di gente morta durante la battaglia di Hogwarts. Alcuni hanno incontrato parenti, altri dei nemici. Tutti questi fantasmi hanno detto di essere morti, di essere andati avanti e di essere stati evocati.”

Albert strabuzzò gli occhi: “Hanno detto che sono stati evocati?”

Victoire annuì. Albert si massaggiò il mento e corrucciò le sopracciglia come se qualcosa gli fosse venuto in mente. “Quand’è che sono comparsi questi fantasmi?”

“A inizio mese, mi sembra che il primo avvistamento sia stato il primo ottobre.”

“Strano, molto strano…” disse Albert. Si guardò intorno nervosamente, lanciò sguardi a Victoire e Dominique che si sporsero verso di lui. Sembrava non volesse farsi sentire.

“Avete presente Roland Lestrange?”

Victoire annuì e guardò Dominique come per dirle che i suoi sospetti erano stati appena confermati.

“In quei giorni, durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure, ha fatto una serie di domande al professor Pucey sulla possibilità di evocare gli spiriti dei morti senza la presenza di un evocatore, come per lasciarli liberi di andare in giro. Nella sala comune di Corvonero ne abbiamo parlato a lungo e siamo rimasti sconvolti, persino il professor Pucey è rimasto sconvolto. È andato su tutte le furie e gli ha detto che sono cose vietate dal Ministero e che lui non dovrebbe nemmeno sognarsi di fare simili domande!”

Molly si era appena avvicinata per ascoltare ed era rabbrividita. Victoire alzò lo sguardo verso la cugina, incrociò i suoi occhi azzurri e batté la mano sul tavolo. “Che ti avevo detto Molly? Lo sapevo! Il mio intuito non sbaglia mai! Quando c’è qualcosa di oscuro in questa scuola, c’entrano sempre i Lestrange!”

Tutti e quattro si voltarono verso l’ingresso della Sala Grande e videro Roland entrare insieme ai suoi fratelli. “Guardateli, girano sempre insieme.”

Dominique esclamò: “Questo non è un argomento, anche noi stiamo sempre insieme, ma ammetto che le domande al professor Pucey sono sicuramente un indizio.”

“Sono una prova, altro che indizio!” esclamò Albert guardandole negli occhi, “Avreste dovuto vedere con quale certezza faceva le domande al professore, come se sapesse chiaramente cosa volesse!”

Molly scosse la testa: “Ma scusa, Albert, se fosse stato lui, perché avrebbe fatto quelle domande davanti a tutti? Non è molto furbo.”

Albert alzò un sopracciglio: “Stiamo parlando di Lestrange. Nella sua mente contorta magari pensava di costituirsi un alibi o di far sapere a tutti che lui traffica con le Arti Oscure…”

“O qualcosa è andato storto e non sa come rimediare,” concluse Victoire. “Bisognerà tenere d’occhio lui e i suoi fratelli.”

“Anche Rodolphus è inquietante. Non parla mai con nessuno, pensa solo a studiare e guarda tutti dall’alto in basso,” disse Dominique, “magari ha fatto tutto lui e ora non sa come rimediare e ha chiesto aiuto ai fratelli…”

“Perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere, però?”

“Che domande, magari vogliono riportare in vita Voldemort e ritornare a comandare loro! Sono rimasti Mangiamorte nell’anima!”

Un brivido attraversò la schiena di tutti loro e sobbalzarono spaventati quando il fantasma di Nick-Quasi-Senza-Testa spuntò dal piatto delle salsicce esclamando allegro: “Buongiorno miei cari! Vedo che abbiamo ospiti! Sbrigatevi a finire la colazione se volete prendere una carrozza per Hogsmeade!”

Le parole del fantasma di Grifondoro li riportarono con i piedi per terra e Victoire alzò lo sguardo verso il tavolo di Tassorosso. Teddy stava guardando proprio nella sua direzione. Si sorrisero e Victoire salutò i cugini e corse incontro Teddy. Era indecisa se parlargli o meno di quello che aveva raccontato Albert su Roland Lestrange. Non gli aveva raccontato nemmeno delle apparizioni dei fantasmi perché era certa che la sua reazione sarebbe stata quella di mettere mano alla bacchetta, ed era l’ultima cosa da fare in quel momento. Ci volevano prove e soprattutto occorreva capire cosa stesse succedendo per incastrare Roland e impedirgli di negare l’evidenza, come avrebbe certamente provato a fare. C’era da dire che erano un paio di settimane che non si vedevano fantasmi per la scuola e Victoire sperava che qualsiasi cosa fosse accaduta, fosse finita, una volta per tutte.

Victoire intrecciò le sue dita a quelle di Teddy e sentì la presa salda di lui. “Ci sono problemi?” le domandò continuando ad osservare la presenza di Albert al loro tavolo. “Sembravi molto interessata da quello che raccontava Goldstein…”

“Sei geloso, Lupin?” domandò divertita, “Era venuto a prendere Dodò e ci ha raccontato delle ultime follie dei Lestrange, credo che tu possa avere ragione.”

“Che genere di follie?”

“Domande strane al professor Pucey durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure,” gli disse mentre salivano su una carrozza. Teddy guardò due Serpeverde che provavano a salire sulla carrozza con loro e disse: “Voi no, non voglio Serpi nella carrozza.”

“Avete sentito? Smammate!” si associò Victoire rispondendo agli sguardi che le avevano rivolto le due Serpeverde. “Vedi cosa significa provare a provare a parlare con le altre Case?” disse sottovoce una ragazza all’amica. “Andiamo via, guarda, lì ci sono alcuni di Serpeverde,” rispose l’altra decisa a ignorare il rifiuto subito. Teddy, fece salire due Tassorosso del quarto anno e la carrozza partì in direzione di Hogsmeade.

“Parliamo dopo, quando siamo tranquilli,” gli disse Victoire. Non voleva menzionare i fantasmi, ma sentiva che Teddy dovesse sapere che i Lestrange stavano tramando qualcosa e che dovevano essere tenuti sotto controllo.

Quel giorno soffiava un vento freddo che annunciava un temporale e l’aria iniziava a riempirsi di umidità. “Andiamo ai Tre Manici di Scopa?” domandò Teddy, “o vuoi fare un giro da Mielandia?”

“Andiamo da Mielandia, devo rimpinguare le mie scorte di dolci. Louis e James le hanno saccheggiate senza pietà!”

Teddy era seduto vicino la porta della carrozza e fu il primo a mettere i piedi per terra e, con un insolito gesto di cavalleria, le porse la mano per aiutarla a scendere. Si sorrisero e furono di nuovo così vicini che le loro mantelle si sfioravano. Camminavano mano nella mano in direzione di Mielandia, come sempre affollato di studenti vocianti. Si fecero largo tra dei ragazzini del terzo anno che sembrano degli esaltati nel vedere per la prima volta il più famoso negozio di dolci del mondo magico inglese. Andarono dritti in direzione degli scaffali con le caramelle. Victoire infilò nel cestino alcune confezioni di Bacchette di Liquirizia e Lumache Gelatinose. Fece doppia scorta di Piperille e Api Frizzole in modo da portarne un po’ anche a Louis e James che non avevano l’età per l’uscita a Hogsmeade. Inserì nel cestino una confezione di Gelatine Tutti i Gusti + 1 pensando a quanto sarebbe stato divertente mangiarle in sala comune, magari mentre portavano avanti la loro indagine, e Molly si domandava se facessero più paura i fantasmi o il pescare la gelatina sbagliata.

“Andiamo al reparto del cioccolato? Voglio una confezione di Cioccocalderoni fondenti!” esclamò Victoire e Teddy, che aveva un cestino con ben due confezioni delle sue amate Piperille acconsentì: “Anch’io ho finito la mia scorta di Cioccocalderoni!”

Si stavano avvicinando quando sentirono delle voci conosciute.

“Muoviti, Rabastan! Dobbiamo andare!” La voce di Roland Lestrange metteva fretta al fratello.

“Aiutami a trovare i Cioccocalderoni fondenti con le nocciole per la mamma! La confezione regalo, quella bella!” rispose il fratello.

“Dobbiamo trovare un regalo anche per papà!” si inserì il terzo Lestrange. Erano tutti e tre, come sempre.

“Abbiamo un appuntamento, il regalo per papà lo prendiamo dopo!” disse Roland ai fratelli. Sembrava molto nervoso. Victoire e Teddy si scambiarono uno sguardo d’intesa. Era tutto molto sospetto e decisero di continuare a tenerli d’occhio.

“Perché non mandiamo una confezione di Cioccocalderoni con il cuore morbido a papà? Gli farà bene il cioccolato dopo tutto quel tempo ad Azkaban.” propose Rodolphus, il Lestrange del quarto anno.

“Va bene, Roddie, ma muoviamoci!” tagliò corto Roland che sembrava essere sul punto di perdere la pazienza. Victoire non lo aveva mai sentito così nervoso. Solitamente, Roland Lestrange era sicuro di sé, strafottente e sgradevole. Adesso, sembrava non voler far tardi a un appuntamento importante. Sembrava avesse paura di mancare a quell’appuntamento. Dubitava seriamente che si trattasse della Dolohov.

Victoire e Teddy si guardarono. Era certa che entrambi stessero pensando la stessa cosa. Si nascosero dietro una scaffalatura di caramelle e osservarono i tre Lestrange andare verso la cassa e pagare i loro acquisti.

“Non badano a spese, eh?” disse Victoire osservando le confezioni di lusso che avevano preso.

“Il Ministero non ha sequestrato abbastanza delle loro fortune! Zio Harry dice sempre che la loro camera blindata era strapiena di oro!” osservò Teddy sottovoce, “e mio padre doveva fare i salti mortali per arrivare a fine mese… Ti rendi conto? Guarda come sperperano la loro fortuna!” Teddy stringeva la bacchetta in mano e si stava innervosendo.

“Secondo te cos’hanno in mente?” domandò Victoire.

“Devono incontrare qualcuno, ma chi?”

Victoire pensò che Teddy ragionasse già come un Auror e in quelle circostanze sembrava rianimarsi. Decisero di indagare su cosa avessero in mente i tre Lestrange. “Teddy, controlla dove vanno, io pago gli acquisti, ci vediamo fuori.”

Lo vide sgusciare fuori dal negozio con il cappuccio del mantello calato sul viso per non farsi riconoscere. Victoire riuscì a pagare velocemente e uscì in strada.

Controllò la strada principale di Hogsmeade che brulicava di studenti alle prese con le compere: c’era una discreta folla davanti Scrivenshaft e il negozio con gli articoli di Quidditch. Vide Teddy che l’aspettava in fondo alla via principale. le faceva segno di raggiungerla e, non appena furono vicini, le sussurrò: “Sono entrati alla Testa di Porco.”

“La faccenda si fa ancora più sospetta, quel posto non è ben frequentato,” disse Victoire. Ricordava i racconti di zia Hermione su quando avevano fondato l’Esercito di Silente e scelto la Testa di Porco per il loro primo incontro clandestino.

“Direi proprio di no, è un postaccio. Andiamo a vedere.”

Si avvicinarono al pub malandato e rimasero un attimo fuori dalla porta. Non potevano entrare, altrimenti sarebbero stati scoperti immediatamente. Teddy le fece cenno con la testa: i Lestrange erano seduti vicino una finestra. Si accostarono accanto l’apertura della finestra, con le spalle attaccate alla parete del pub, Teddy sussurrò: “Alohomora!” L’anta si aprì lentamente, Victoire prese dalla sua borsa un Orecchio Oblungo e lo porse a Teddy.

L’espressione sorpresa di Teddy la costrinse a scrollare le spalle e dire: “zio George dice che non sai mai quando può servire ed è sempre bene averne uno a portata di mano. Ha ragione!”

“Secondo me dovresti riconsiderare l’idea di diventare Auror, Vic, sei molto portata!”

“Mettilo e ascoltiamo!” gli disse Victoire. Teddy provava sempre a convincerla a iscriversi all’Accademia di Auror e seguire il suo stesso percorso. Una parte di lei era tentata, perché era una vita avventurosa come quella degli Spezzaincantesimi, l’altra parte, tuttavia, le ricordava che scegliere quel percorso avrebbe significato avere a che fare, perennemente, con gentaglia come i Lestrange e lei ne aveva abbastanza. Doveva ammettere, però, che quell’avventura la stava appassionando a dismisura e l’idea di investigare con Teddy le piaceva moltissimo.

“Siete andati a fare compere?” domandò la voce di una ragazza. Doveva essere la persona che dovevano incontrare. Victoire si sporse e la vide con il volto coperto dal cappuccio del mantello.

Rodolphus annuì e disse: “Sì, dovevamo prendere un regalo per papà, sai è appena uscito da Azkaban.”

Victoire e Teddy si scambiarono un’occhiata e continuarono ad ascoltare.

“L’ho visto. Sta bene, anche la tua adorata mammina sta bene. Se la spassano alla grande senza voi tra i piedi, a dire il vero.”

Rabastan, il più piccolo, il nuovo Cercatore di Serpeverde, la fermò: “Smettila di dire le solite cattiverie. Siamo grandi, ormai. Non attacca più.” La ragazza scoppiò a ridere. Roland arrivò al tavolo: “Quattro Burrobirre.”

La ragazza si lamentò: “Mi hanno rifiutato il Firewhisky anche se sono maggiorenne! A Durmstrang queste cose non accadono! La Vodka Incendiaria scorre a fiumi!”

“Beh, qui non siamo a Durmstrang. Temo dovrai accontentarti della Burrobirra.”

Roland sembrava nervoso ed era meno gentile del solito. La ragazza provò a pizzicargli la guancia e lui si scostò. “Smettila.”

“Oh, ma il piccolo Lestrange sta crescendo…”

“Non ti ho chiesto di vederci perché mi mancavi, ma perché abbiamo bisogno del tuo aiuto!” Roland si interruppe. Victoire e Teddy sentirono il rumore di una sedia e poi l’Orecchio Oblungo venne tirato. “Qualcuno ci sta ascoltando.” Aprì la finestra ed esclamò: “Weasley, Lupin! Sempre voi!”

Victoire sorrise: “Sempre a tramare nell’ombra, eh, Lestrange?”

Teddy e Victoire scrutarono la ragazza misteriosa: aveva gli occhi grigi e ciuffi di capelli argentei le uscivano dal cappuccio. “Chi stavate incontrando?”

“Non sono affari tuoi, Lupin!” disse la ragazza estraendo la bacchetta. Quella di Teddy volò e lui venne immobilizzato.

Roland si voltò verso la ragazza e la riprese: “Piantala! Vuoi farci finire nei guai?” La ragazza scoppiò a ridere, guardò Roland ed esclamò: “Cos’è? Hai paura dei prof, Lestrange? O non sei in grado di affrontare una traditrice del sangue e un sudicio ibrido?”

La ragazza si avvicinò a Victoire. Era molto bella, con la pelle chiara, due splendidi occhi grigi e i capelli argentei. “Verrà il giorno in cui qualcuno vi metterà al vostro posto,” le disse con un sorriso di sfida.

Victoire non si lasciò intimorire, abituata alla tensione delle partite, prese la bacchetta e la sfidò apertamente con un incantesimo di Disarmo non verbale. La ragazza lo schivò e Victoire evocò un incantesimo Scudo. “Sei sicura? Magari arriverà il giorno in cui qualcuno metterà voi al vostro posto: ad Azkaban, dove dovreste essere!”

“Che cosa sta succedendo qui?” Il professor Longbottom arrivò con la bacchetta in mano. Liberò Teddy che poté tornare a muoversi. Victoire vide Roland e la ragazza scambiarsi uno sguardo spaventato e lei si Smaterializzò.

Arrivò anche il professor Pucey trafelato. “Cosa sta succedendo?”

 

***

 

Il professor Longbottom spiegò al Direttore di Serpeverde: “I ragazzi erano con le bacchette sguainate, Lupin è stato immobilizzato e qualcuno si è Smaterializzato, chi era?”

Roland doveva intervenire per proteggere Delphi. Non poteva saltare la sua copertura e il Ministero non avrebbe dovuto scoprire della sua esistenza. I suoi genitori erano stati estremamente chiari sul punto. “Era una nostra amica, professore,” disse. “È una studentessa di Durmstrang che si trovava in questi giorni a Hogsmeade. Stavamo chiacchierando quando ci siamo accorti che Weasley e Lupin ci stavano spiando!” Mostrò al professor Longbottom l’Orecchio Oblungo che aveva strappato dalle mani di quella ficcanaso della Weasley. Cosa sarebbe accaduto se avessero ascoltato la conversazione con Delphi? Se l’avessero chiamata per nome?

Il professor Longbottom, per una volta, non poté negare l’evidenza e lo sguardo colpevole che avevano la Weasley e Lupin era senz’altro un punto a loro vantaggio. “Vi aspetto nel mio ufficio subito dopo cena. Tutti quanti, compresi i Direttori delle vostre Case! Quanto è accaduto per strada è inaccettabile per degli studenti di Hogwarts!”

Rimasero in silenzio e vennero dispersi. Roland guardò i fratelli, rimpicciolì gli acquisti di Roddie e li infilò nella tasca del mantello per dare meno nell’occhio. Si guardarono intorno alla ricerca di Delphi. Roland la conosceva abbastanza per sapere che sarebbe rimasta nei paraggi.

Camminarono tra i vicoli laterali di Hogsmeade quando Delphi apparve davanti a loro appoggiata alla parete di una casa diroccata. Fece loro cenno di seguirla nel vicoletto. Si appartarono dietro un muretto scrostato, nascosti dalla vista dei passanti. Si sedettero in cerchio per tenere d’occhio l’area circostante.

“Cosa sta succedendo nella vostra scuola?”

“Delle specie di fantasmi, ma di persone morte. Come, ad esempio, Barty Crouch Jr., che si aggirano per i corridoi della scuola. Ci hanno detto che sono stati evocati, ma ogni rituale di evocazione ha bisogno di un evocatore. Non c’è nessuno nei corridoi di notte, queste anime, spiriti, fantasmi, chiamali come vuoi, vanno in giro come se ci fosse una porta aperta tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Sai cosa può essere?”

Delphi si morse un labbro e socchiuse gli occhi come se cercasse di ripescare dei ricordi da un qualche cassetto della memoria. “Questo è l’unico fatto strano?”

“No, sono scomparsi anche tutti i libri sull’argomento dalla biblioteca!”

“Questo vuol dire che l’evocatore è qualcuno della scuola, ma gli incantesimi necessari per aprire le porte tra il mondo dei morti e quello dei vivi non sono semplici. Sono incantesimi molto oscuri e potenti. Nessuno studentello del vostro livello può riuscirci.”

“Ehi!” protestò Roddie.

Delphi alzò un sopracciglio e tirò fuori il suo sorriso sarcastico: “Roddino piccino, tu puoi sentirti bravo quanto vuoi per gli standard scadenti di questa scuola, ma non sei al mio livello e a Durmstrang saresti uno studente mediocre… Questo è un fatto! Non è un caso che tuo padre cerchi di mettervi qualcosa in testa durante l’estate… ma sapete come si dice? Non si può cavare il sangue dalle rape…”

“Piantala, Delphi, a Hogwarts le Arti Oscure sono vietate. Com’è possibile che uno arrivi a immaginare di aprire il mondo dei morti? Per cosa, poi? Continuano tutti a dire di voler andare avanti!”

Delphi sorrise: “Mi pare ovvio, Ro, che non tutti vogliono andare avanti, che c’è chi si crogiola nel passato, chi ha avuto vantaggi dal passato e soprattutto non sarebbe la prima volta che qualcuno di nascosto pratica le Arti Oscure, magari qualcuno dei buoni… Ricordi i racconti di tua madre sugli Auror durante la prima guerra magica?”

Rabastan annuì domandando ai fratelli: “Perché la Weasley e Lupin ce li troviamo sempre tra i piedi?”

Roddie intervenne: “Ricordi cosa hanno detto? Quelli come voi spariranno!”

Roland alzò un sopracciglio scettico: “Se la Weasley sa fare un’evocazione del genere, io sono Lord Voldemort.”

“Ti piacerebbe!” esclamò Delphi, “Tu non sei nemmeno uno sputo di quella che era la grandezza di mio padre alla tua età, figurarsi quando è diventato Lord Voldemort! Ad ogni modo, rischiate di fare tardi a scuola. Non potete attirare altri sospetti. Tenete gli occhi aperti e scrivetemi se notate qualcosa di strano. Io sarò qui fino a fine mese.”

“D’accordo. Grazie, Delphi.”

Delphi sparì con un pop! e Roland si domandò quando avesse imparato a Smaterializzarsi senza seguire il procedimento delle tre D di Destinazione, Determinazione, Decisione che il tizio del Ministero della Magia aveva spiegato qualche giorno prima.

Si alzarono e si camminarono lentamente verso la scuola con la testa piena di pensieri. L’incontro con Delphi era stato meno utile di quanto avesse sperato. Roland riportò i regali per i loro genitori alle dimensioni ordinarie.

“Se arriviamo con dei pacchetti di Mielandia ben in vista sembreremmo meno sospetti,” spiegò a Roddie che lo osservava incuriosito e sicuramente non aveva voglia di portare i pacchetti. Affidò una confezione a Roddie e una a Rabastan, mentre lui avrebbe portato la loro scorta di dolcetti. Era molto preoccupato.

“Dobbiamo stare attenti. Non sappiamo se qualcuno vuole scaricare la colpa su di noi o se noi siamo le vittime di questo scherzetto con i morti. Al momento, siamo gli unici ad aver visto dei fantasmi aggirarsi per la scuola. Chi ha fatto scomparire i libri dalla biblioteca? Se troviamo la risposta a questa domanda, quasi certamente avremo trovato il nostro evocatore!”

Camminavano parlando sottovoce, stringendosi nei loro mantelli, con la testa piena di domande e ragionamenti che continuavano a incartarsi. Roland sobbalzò quando Lucile Dolohov lo salutò chiedendogli come fosse andato il pomeriggio.

Roland le sorrise e le mostrò i pacchetti di Mielandia. Si sentiva un completo idiota. “Abbiamo comprato dei regali per i nostri genitori, sai, per nostro padre… Lo hanno appena rilasciato…”

“Sì, ho sentito. Forse persino la Gazzetta del Profeta ha dedicato un articolo all’occasione.”

Roland provò a sdrammatizzare: “Ma hanno scritto un articolo perché questa volta non è evaso?”

Lucile gli sorrise e scosse la testa divertita: “Lo sai che non dovresti fare battute su queste cose?”

Sospirò. Sì, lo sapeva benissimo. Nessuno poteva scherzare sul fatto che i propri genitori fossero stati in passato dei Mangiamorte. Non era tollerato. Era considerato un modo per sminuire e ridicolizzare il sacrificio di chi aveva resistito, una mancanza di rispetto per le vittime, eccetera, eccetera. Senza contare la lunga paternale su quanto le Arti Oscure fossero qualcosa di brutto e cattivo.

“Almeno tra di noi, spero mi sia concesso. Da come papà parla di tuo nonno, lui non avrebbe sopportato questo clima.”

“Sì, il nonno era molto… ehm… emotivo. Almeno così dice la mamma,” disse Lucile. Il suo sguardo si rattristò, “io non l’ho mai conosciuto. Sai quando arriva Yule e tutti sono felici di ricevere i regali dai nonni? Beh, io ho conosciuto solo i nonni Burke.”

“Noi non abbiamo conosciuto nessun nonno. Né i nonni Lestrange né i nonni Turner. Ho trovato delle lettere in cui la nonna diceva a nostra madre che non aveva nessuna intenzione di conoscerci e poi una serie di cattiverie su mio padre e il papà di Orion.”

“Per Salazar, questo è crudele!” esclamò Lucile impressionata. Roland vide il suo sguardo farsi dolce, mentre Rabastan aveva dato una gomitata a Roddie per fargli capire di accelerare il passo.

“Sì, la mamma ne soffre molto, anche se alla fine, perché dovremmo conoscere una nonna così cattiva, no? Te l’immagini Roddie che prova a salutarla e lei lo scaccia in malo modo? Resterebbe offeso a vita!”

Lucile sorrise. Roland vide la mano di lei accanto alla sua e si avvicinò fino a sfiorarle il dorso. Lucile gli sorrise e abbassò lo sguardo. Sospirò, facendosi coraggio, mentre lo stomaco aveva un sobbalzo e gli sembrava più difficile che afferrare un Boccino. Allungò la mano e strinse le sue dita intorno al palmo di Lucile, sperando che non lo rifiutasse. Le dita di Lucile si intrecciarono alle sue.

Roland sentì lo stomaco fare un balzo, aveva caldo in faccia e la gola stava diventando improvvisamente secca. Come avrebbe fatto se lei le avesse rivolto una domanda? Lui non sarebbe stato in grado di parlare e avrebbe fatto la figura del rammollito. Camminarono fino all’ingresso della scuola mano nella mano in silenzio, ma non era imbarazzante, era bellissimo.

Le loro mani si allontanarono solo quando varcarono il grande portone di quercia e Edith Yaxley andò loro incontro esclamando: “Lucile, ti stavo aspettando!” Edith rivolse loro uno sguardo sorpreso e Roland sbirciò il volto di Lucile: sorrideva e le guance le si erano arrossate con il calore della scuola.

“Alla buonora, Lestrange, iniziavamo a perdere le speranze!” esclamò Edith.

“Cosa?” domandò Roland confuso.

“Smettila, Edith! Lasciala perdere, è sempre la solita!” intervenne Lucile, “Ci vediamo più tardi a cena?” gli domandò prima di allontanarsi velocemente verso la sala comune in compagnia della sua migliore amica. Roland annuì e rimase nell’atrio a guardare le due ragazze allontanarsi. Sembrava che i capelli chiari di Lucile potessero illuminare il sotterraneo con il loro bagliore.

Vide Roddie e Rabastan arrivargli incontro con un sorrisino divertito. Rabastan alzò il sopracciglio e disse: “Hai il sorriso da pesce lesso, lo sai?”

“Abbiamo sentito Lucile e Edith litigare sottovoce nel corridoio. Lucile diceva a Edith di non farlo mai più, di non metterti fretta e di non rovinare tutto. Che è successo?” domandò Roddie.

Rabastan aveva la solita faccia da schiaffi, sembrava divertirsi un mondo: “Certamente non si sono baciati, visto che Edith ha chiesto a Lucile se almeno l’avessi baciata e Lucile ha detto di no, che c’eravamo anche noi e poi eravate troppo vicini alla scuola. Insomma, sembrava un po’ dispiaciuta. Credo proprio che dovresti darti una mossa, fratello.”

“La volete piantare! Non è facile come sembra!”

Roland era imbarazzato. Non gli piaceva per niente l’idea di sembrare un rammollito né che i suoi fratelli si ingerissero nelle sue faccende personali. Come poteva baciare Lucile se si vedevano che c’era sempre gente in giro?

“Oh sì, è semplice!” esclamò Rabastan divertito. “Basta chiudere gli occhi, mettere la bocca così e dire ti amo, mia bella!” Rabastan iniziò a inseguire Roddie per l’atrio fingendo di volerlo baciare.

“Che schifo, Rab! Lasciami in pace!” esclamava Roddie mentre cercava di sfuggire ai tentativi di cattura di Rabastan. Roland guardò i fratelli pensando che fossero proprio i soliti scemi. Stava ridacchiando quando dal sotterraneo di Tassorosso Lupin arrivò a rompere le scatole.

“Non si corre per la scuola! Dieci punti in meno a Serpeverde. Per ognuno di voi.”

Roland si voltò verso di lui. Si disse di rimanere calmo. Era finito già sufficientemente nei guai per colpa di Lupin e del suo spionaggio. Probabilmente avrebbe dovuto trascorrere una punizione in sua compagnia.

“Lupin, preoccupato per questa sera? Dispiaciuto di far finire sul tuo curriculum una nota per un duello perso a Hogsmeade?”

Lupin gli restituiva quello sguardo strafottente e perennemente infastidito che mandava in bestia Roland. “Sei tu a dover essere preoccupato, viste le frequentazioni sospette. Studentesse di Durmstrang, eh? Cos’è? Studi materie proibite nel tempo libero?”

“L’ho già detto, è una mia amica. Ti sembrerà strano, Lupin, ma fuori da queste mura, ci sono persone che non hanno problemi a parlare con me. La vita non si riduce solo a Hogwarts.”

“Fai poco il furbo Lestrange, io lo sento il tanfo di quella merda oscura che pratichi. Potrai incantare i professori con le tue buone maniere, ma non me, capito?”

“Quanto blateri, Lupin… Vaneggi.”

“Sappi che se non riuscirò a incastrarti e farti sbattere fuori da questa scuola, ci vedremo fuori, quando sarò Auror e ti farò finire ad Azkaban con il tuo paparino e il resto della tua schifosa famiglia.”

Roland scoppiò a ridere. “Quanta invidia, Lupin! Almeno io ce l’ho una famiglia, e tu? Cosa farai dopo che mi avrai sbattuto ad Azkaban? Resterai da solo a osservare le macerie che ti circondano perché è questo quello che fate voi mostri: distruggete il nostro mondo, versate il sangue magico per poi leccarvi le ferite tra le rovine che voi stessi avete creato. Se vuoi un consiglio, stai alla larga da me e dai miei fratelli.”

“Altrimenti?”

“Vedrai se le tue teorie hanno un fondamento. Non ho bisogno delle Arti Oscure per mettere a cuccia una bestia come te. I lupi si cacciano anche con l’acqua.” Un getto di acqua gelida colpì in pieno Teddy. Roland gli sorrise sfottente: “A cuccia, lupacchiotto, datti una calmata.”

Teddy non ci vide più e caricò Roland senza usare la magia, completamente dimentico della bacchetta nella tasca del mantello. Roland scoppiò a ridere e lo fermò con un semplice incantesimo scudo e un incantesimo delle Pastoie.

Roddie e Rabastan si erano fermati e li avevano osservati in silenzio, temendo il peggio. Roland guardò i fratelli e disse loro: “Andiamo a cena, con Lupin ci vediamo dopo, nell’ufficio del Professore-che-non-può-essere-nominato.”

Sentì chiaramente Lupin dire alle sue spalle: “Sei uno stronzo!”

Roland continuò a ignorarlo e si scambiò uno sguardo divertito con Rabastan. Suo fratello era pronto a scattare contro Lupin, ma Roland lo tenne fermo per la spalla, fingendo di dargli una pacca e di guidarlo verso la Sala Grande.

A cena, alla sua destra, comparve Hawk con un ghigno divertito sul volto: “Ho sentito cose incredibili sulla vostra uscita a Hogsmeade! Che avete combinato?”

“Hai presente quella ficcanaso della Weasley? Ci stava spiando. Eravamo alla Testa di Porco, con una nostra amica, una mezza parente di mia madre che studia all’estero.” Quella era la versione concordata in casa nell’eventualità fossero costretti a spiegare chi fosse Delphi.

“Dove studia?”

“A Durmstrang.”

Hawk sembrò sorpreso: “Come mai era qui?”

“Iniziano la scuola a novembre. Era di passaggio, voleva salutarci. Insomma, ci stavamo bevendo una Burrobirra in santa pace quando mi accorgo che c’era la finestra aperta e una di quelle orecchie che vendono i Weasley.”

“Fammi indovinare: loro ti hanno fatto saltare i nervi e siete stati beccati con le bacchette sguainate da Longbottom.”

Roland annuì bevendo succo di zucca. Socchiuse gli occhi e guardò il tavolo di Tassorosso. Si avvicinò all’orecchio di Hawk: “Guarda Lupin, continua a fissarci. Guarda il tavolo di Grifondoro, ci fissano pure loro. Ce l’hanno con noi, è evidente.”

“Secondo me dovremmo dar loro una bella lezione, ma non sono gli unici, c’è pure Goldstein che ti sta fissando dal tavolo di Corvonero.”

Roland e Hawk si guardarono, risposero allo sguardo di quei ficcanaso facendo scrocchiare le nocche delle mani, come facevano prima di prendere la mazza e salire sulla scopa. Erano pronti alla battaglia, ma non potevano compromettere i punti di Serpeverde. Avevano bisogno di un piano.

 

 

 

 

 

Note:

Ciao a tutti!

Allora, innanzitutto grazie ai lettori, abbiamo svoltato la metà della trama e mancano solo 3 capitoli alla fine di questa storia (2 alla soluzione del mistero). Delphi è stata utile tanto quanto Orion, ma ha confermato l’esistenza degli incantesimi e del fatto che sono troppo complessi perché siano opera di uno studente di Hogwarts.

I Lestrange, Lupin e la Weasley sono stati beccati con le bacchette in mano e nel prossimo capitolo vedremo come reagiranno i professori.

Intanto, i fantasmi hanno terminato le loro apparizioni – almeno per il momento – e questo e un altro elemento da considerare.

Su Roland e Lucile ho pubblicato una storia natalizia su prompt di Maqry che vi linko qui: “Un regalo perfetto”. Non ha nessun riferimento al nostro mistero, ma se li shippate quanto li shippiamo io e Maqry, magari vi fa piacere annegare nel fluff e nel romanticismo.

Qualcuno mi ha chiesto come mai James Sirius non avesse il Mantello dell’Invisibilità e io ho dimenticato di scriverlo nelle note. Siccome sto cercando, per quanto possibile, di seguire il canone anche di TCC, James riceve il Mantello da Harry il 31 agosto 2020 e quindi al momento della storia non ce l’ha e James e Sirius ci hanno scherzato su.

Grazie ancora per il sostegno a questa storia ed è bellissimo leggere le vostre teorie sul mistero.

Sev

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Hogwarts, 17 ottobre 2015

 

“Teddy, datti una calmata.”

Amelia gli diede una gomitata mentre continuava a tenere d’occhio i Lestrange. “Non mi fido di loro. Stanno tramando qualcosa.”

La sua amica gli diede un pizzicotto sulla gamba per costringerlo a distogliere lo sguardo da loro e prestarle attenzione. Teddy incrociò lo sguardo di Amelia che gli restituì un sorriso sarcastico: “Pensi di fare l’Auror in questo modo? Innervosendo i tuoi obiettivi? Come pensi di scoprire qualcosa se loro si sentono osservati per tutto il tempo?”

Le parole di Amelia lo riportarono con i piedi per terra e lo convinsero a distogliere lo sguardo dai Lestrange. Non si fidava, ma Amelia aveva ragione, non poteva osservarli continuamente, avrebbe dovuto fare più attenzione. Avrebbe potuto scrivere a zio Harry e forse lui avrebbe mandato qualche Auror a perquisire casa loro, così gli sarebbe passata la voglia di fare gli sbruffoni e aggirarsi con l’aria di chi sta tramando qualcosa.

“Oggi hanno incontrato una studentessa di Durmstrang. Ammesso che fosse una studentessa, sembrava molto più grande. Si sono incontrati alla Testa di Porco, è tutto molto sospetto,” disse mentre si serviva una fetta di pasticcio di carne e delle patate.

“Magari pensavano che ai Tre Manici di Scopa sarebbero stati infastiditi. Forse volevano solo un posto tranquillo dove parlare,” provò a ipotizzare Amelia.

“Tu sei sempre ottimista, vedi il lato migliore delle persone e non ti rendi conto che i Serpeverde tramano nell’ombra, che hanno introdotto rituali strani che nessuno di noi si sogna di festeggiare,” le disse mentre aggiungeva una salsiccia nel piatto. Amelia mandò giù il boccone di pasticcio di carne e gli sorrise. Non si innervosiva mai quando si trattava dei Serpeverde, nemmeno al pensiero degli ex-Mangiamorte. Sua zia era stata uccisa da Voldemort in persona e lei continuava a giustificare i figli dei seguaci di quel mostro. Gente che sperava di vincere la guerra per impedire a persone come lui e Vic di mettere piede a Hogwarts!

“Teddy, durante i sabba aprono la sala comune di Serpeverde anche agli altri studenti. Non è mai successo in tanti secoli dalla fondazione di Hogwarts. Non fanno altro che accendere candele, bruciare erbe e recitare le formule che si studiano in Antiche Rune, non c’è niente di misterioso. Potresti andarci questo Samhain, ti sorprenderesti.”

“Tu partecipi ai loro sabba?” domandò perplesso.

“Sono andata l’anno scorso a Imbolc, per curiosità. Secondo me, finché loro saranno chiusi tra di loro, continueranno a fossilizzarsi su quelle idee antiquate che hanno. Le altre Case dovrebbero adottare dei Serpeverde perché solo così possono cambiare idea! La Preside ha fatto benissimo a introdurre le ronde con persone di Case diverse.”

“Certo che ha fatto bene, così possiamo impedire alle Serpi di fare i prepotenti con gli studenti delle altre Case. Zio Harry mi ha raccontato di come si comportava il prefetto di Serpeverde, Malfoy, quando lui era a Hogwarts…”

“Sì, però non puoi paragonare continuamente oggi a come era un tempo.”

“Amelia, il punto è che se apri le fogne, finisce che contamini i pozzi. È una legge scientifica abbastanza semplice. La tua idea darebbe loro modo di fare proselitismo e convincere gli altri delle loro idee, è così che Voldemort è andato al potere, e Grindelwald prima di lui. Vuoi che torniamo a quei tempi? Perché io non ho voglia di essere ricercato solo perché mio padre era un Lupo Mannaro…”

“No, certo, però in assenza di indizi o prove su attività illegali non puoi accusarli, è così che gli innocenti sono finiti nei guai e si sono create le maggiori ingiustizie. Stai conducendo un processo alle intenzioni.”

“È che certe persone non cambiano mai. Il maestro di mia madre diceva che un Mangiamorte rimane sempre tale, e non credo che i figli siano diversi. Roland me l’ha detto chiaramente che sa come farmi fare la fine dei miei genitori. Non mi servono altri indizi per diffidare di loro e non voglio avvelenare i pozzi con le loro idee del cazzo.”

“Teddy!” Amelia lo rimproverò “sei un Caposcuola! Modera il linguaggio! Se ti sentissero i bambini del primo anno?”

Teddy sorrise. Amelia era un Prefetto decisamente più coscienzioso di quanto lui non fosse mai stato. Si concentrò sulla cena. Le loro attenzioni furono distolte da Nigel che continuava a parlare di Passaporte e Metropolvere da quando gli avevano suggerito di fare domanda all’Ufficio per il Trasporto Magico. “Secondo voi mi lasceranno collaborare per l’organizzazione della Coppa del Mondo di Quidditch? Insomma, dovrei aver appena finito Hogwarts nel 2018!” domandava entusiasta.

Teddy alzò lo sguardo verso Nigel e gli disse: “Credo che ti metteranno a creare talmente tante Passaporte che te le sognerai la notte.”

Amelia scoppiò a ridere annuendo. “Ma che fretta hai di andare al Ministero? Io mi sento male solo al pensiero di dover lasciare questa scuola!”

“È un po’ come casa, vero?” le domandò Teddy che iniziava ad avvertire la nostalgia da ultimo anno. Hogwarts gli sarebbe mancata moltissimo, soprattutto i suoi compagni di Tassorosso, i pomeriggi con Vic, molto di meno i Lestrange che ora ridevano tra di loro. “Amelia, io non ce la faccio, mi fanno sbroccare!”

“Teddy, calmati e sii paziente, tra un po’ vi vedrete nell’ufficio del professor Longbottom e assisterai alla caterva di punti che toglierà loro e alla punizione che si prenderanno! Aspetta, non mettere nei guai il nostro punteggio.”

Sospirò e attese pazientemente la fine della cena chiedendo a Tosca di assisterlo e aiutarlo a tenere a freno il temperamento da Grifondoro ereditato da suo papà. Non era semplice praticare la pazienza quando si cresceva circondato da impulsivi Grifondoro e una nonna Serpeverde piena di veleno contro la famiglia che le aveva distrutto la vita.

Si presentò davanti l’ufficio di Neville con qualche minuto di anticipo, sperando di poter parlare con il professore. Vi trovò la Direttrice di Tassorosso, Zelda McMillan, che era anche la loro insegnante di Pozioni.

“Eccoti, Teddy, sei in anticipo.”

Neville sorrideva bonariamente appoggiato alla scrivania del suo ufficio. Era una stanzetta circolare dalle pareti in pietra coperte in buona parte da libri di erbologia e piantine che si arrampicavano sulle colonnine della finestra bifora, l’unica fonte di luce naturale. C’erano bauli ordinati e in un angolo, tra il portaombrelli e un appendiabiti con il mantello c’era una vanga. Teddy immaginò che potesse servire anche per difendersi alla bisogna.

La professoressa McMillan gli domandò: “Vuoi raccontarmi cosa è successo prima che arrivino gli altri?”

Zelda McMillan era una strega dai corti capelli neri e l’aria vispa e gentile. Riusciva ad appassionare molti studenti allo studio delle Pozioni grazie al suo entusiasmo. A lezione organizzava delle vere e proprie sfide intorno ai calderoni per la realizzazione del filtro perfetto. Adesso lo osservava con il capo inclinato e un sorriso gentile sul volto.

Teddy annuì: “La ricostruzione dei Lestrange è vera. Ero con Victoire da Mielandia, abbiamo sentito che confabulavano di dover incontrare qualcuno e ci siamo insospettiti, li abbiamo seguiti fino alla Testa di Porco che, insomma, è un locale abbastanza dubbio…” Il professor Longbottom annuiva continuando ad ascoltare, mentre la professoressa McMillan manteneva il suo sorriso paziente e attendeva la fine del racconto. Teddy proseguì: “Victoire ha tirato fuori le Orecchie Oblunghe dei Tiri Vispi Weasley, io ho aperto la finestra e abbiamo ascoltato solo dei convenevoli. La ragazza sembrava che conoscesse i genitori e che stesse per partire per Durmstrang. Hanno detto che avevano bisogno del suo aiuto e poi ci hanno visto.”

“Quindi era veramente un’amica di famiglia che studiava a Durmstrang?” domandò la professoressa McMillan. Guardò il professor Longbottom e disse: “Nevill, Pucey insisterà su questo aspetto e ha ragione: tre suoi studenti sono stati pedinati, spiati e non stavano facendo nulla di sospetto.”

“Zelda, perché avevano bisogno dell’aiuto di una studentessa di Durmstrang?”

“La domanda che devi porti, Neville, e te la pongo perché ce la porrà Edgar, è se avevano bisogno della studentessa di Durmstrang o dell’amica di famiglia? Erano andati a comprare dei regali per i genitori. Io acconsentirò alla punizione di Teddy per la partecipazione nell’attività di pedinamento e spionaggio, ma chiederò che vengano puniti per averlo attaccato.”

“Loro diranno che è stata la loro amica ad attaccare, professoressa,” disse Teddy.

“Ed è così?”

Teddy annuì di controvoglia. “Mi secca ammetterlo ma lei e Victoire si sono scambiate delle frasi poco carine e hanno iniziato a duellare, mentre io sono stato immobilizzato.”

“Grazie per la tua onestà Teddy,” disse la McMillan, “lo apprezzo molto. Più di una volta i Lestrange non hanno esitato a mostrare i loro ricordi al professor Pucey per far vedere come sono andate le cose e abbiamo finito per trovarci in difficoltà.”

Teddy annuì: “Il professor Longbottom me l’ha detto. Ne sanno una più del diavolo quei tre. Sembra sempre che abbiano l’alibi pronto e questo continua ad essere sospetto.”

“Ma scusa, Teddy,” la McMillan sospirò come se cercasse le parole migliori per esprimere i suoi dubbi, “sta succedendo qualcosa nella scuola perché tu e Victoire siete così sospettosi nei loro confronti? Ammetto che incontrare studenti di altre scuole alla Testa di Porco non è una delle solite attività dei nostri studenti, ma non capisco il vostro bisogno di tenere d’occhio i Lestrange. È successo qualcosa?”

Teddy scosse la testa: “No, non che io sappia, professoressa, ma loro tre hanno sempre l’aria di qualcuno che stia tramando qualcosa.”

Il discorso venne interrotto dall’arrivo dei tre fratelli Lestrange insieme al Direttore di Serpeverde, il professor Edgar Pucey che insegnava Difesa contro le Arti Oscure. Pucey sorrideva benevolo ai tre ragazzi che, come sempre, erano riusciti a portarlo dalla loro. Roland Lestrange aveva assunto l’aria da bravo ragazzo ingiustamente perseguitato. Teddy avrebbe voluto spaccargli il naso. Rodolphus lo guardava con il sopracciglio alzato senza nemmeno nascondere la sua irritazione per la perdita di tempo, mentre il più piccolo, Rabastan, era stato così paraculo – e non c’era altro termine per definirlo – da arrivare con un libro di Erbologia e uno di Pozioni sotto il braccio. Teddy era decisamente furioso.

“Accomodatevi,” disse Neville con un sorriso tirato. Teddy notò che guardava solo il collega e poi aveva portato lo sguardo all’orologio da polso, in attesa della professoressa Robins e di Victoire.

Arrivarono poco dopo scusandosi per il leggero ritardo. A quanto pareva Pix aveva preso di mira alcuni primini all’uscita della Sala Grande e avevano dovuto aiutarli a pulirsi dalla farina. Victoire gli sorrise incoraggiante e prese posto accanto alla direttrice della sua Casa.

Demelza Robins era l’insegnante di Trasfigurazione e da quando Teddy aveva messo piede a Hogwarts, aveva fatto innamorare un sacco di studenti con i suoi occhi azzurri e i boccoli castani. Tuttavia, i cuori finivano per spezzarsi al primo compito di Trasfigurazione, visto che era estremamente esigente. Inoltre, era appassionata di Quidditch e non aveva nessuna intenzione di mettere in difficoltà la capitana che stava regalando molte vittorie a Grifondoro.

“Direi che ci siamo tutti,” disse il professor Pucey. “C’è poco da discutere, Neville, i miei studenti non hanno fatto nulla. Ho il ricordo di Roland che mostra chiaramente come sono andate le cose, e persino la graziosa studentessa di Durmstrang che è un’amica dei tre signori Lestrange. A quanto pare, il luogo dell’incontro l’ha scelto la ragazza che non conosce bene Hogsmeade e sperava di trovare Vodka Incendiaria. Niente di rilevante.”

Pucey camminava per la stanza del professor Longbottom con una mano in tasca e l’altra impegnata a giocare con la barba scura da cui iniziava a intravedersi un po’ di grigio. I capelli ricci erano disordinati e sotto il mantello di lana marrone scuro indossava una camicia bianca, dei pantaloni e un panciotto in tweed. Teddy non aveva dubbi sul fatto che il Direttore di Serpeverde avrebbe provato a prendere le difese dei suoi studenti.

“Gradirei presenziare anch’io a questo incontro,” disse la Preside facendo capolino nell’ufficio del professor Longbottom. Fulminò tutti i docenti con lo sguardo. “Quello che è successo è di una gravità inaudita. Non è passata nemmeno una settimana da quando ho convocato i tuoi genitori, Lestrange, che ti ritrovo coinvolto in un altro duello con Lupin!”

“Temo che questa volta Lestrange sia innocente, Minerva,” disse il professor Pucey.

La preside sollevò il sopracciglio scettica e le labbra divennero così sottili da sembrare una linea. “Sentiamo, allora.”

Roland si scambiò uno sguardo con il professor Pucey che gli fece cenno di parlare. Teddy non riusciva a credere che stesse recitando la parte dello studente timido e indifeso, la povera vittima. Gli dava il voltastomaco. Sentì la mano di Victoire stringersi intorno al suo polso e solo quel contatto fu in grado di tranquillizzarlo.

“All’inizio del mese, nostra madre ci aveva scritto che una nostra amica di famiglia, che studia a Durmstrang, avrebbe trascorso dei giorni a Hogsmeade. Ci siamo scritti e lei ci ha dato appuntamento alla Testa di Porco. Lei è maggiorenne e ci ha spiegato che sperava di trovare della Vodka Incendiaria, ma abbiamo dovuto accontentarci delle Burrobirre. Stavamo chiacchierando quando ho visto la finestra aperta e un’ombra lì vicino, mi sono spostato e ho visto Weasley e Lupin che ci origliavano con quelle orecchie che vendono ai Tiri Vispi Weasley. Naturalmente mi sono arrabbiato e sono uscito fuori. La mia amica ha Disarmato Lupin, lo ha Pietrificato (fa parte del club dei Duellanti di Durmstrang) e poi ha iniziato a puntare la bacchetta contro Weasley. Io ho cercato di fermarle dicendo che saremmo finiti nei guai. La mia amica ha scrollato le spalle e si è Smaterializzata quando stava arrivando il professor Longbottom. Tutto qui.”

“La tua amica ha detto delle cose terribili a Victoire!” disse Teddy.

“La Weasley ha risposto a tono, mi sembra, visto che continua a ricordarci che il nostro futuro è ad Azkaban. Non farei a gara a chi è più antipatico.”

“Anche perché vinceresti tu,” disse Victoire.

“Ne dubito seriamente. Io non spio le persone, non le seguo per i corridoi, non cerco di sbirciare cosa studiano in biblioteca. Ti sembra che non ti abbia visto?” Roland alzò lo sguardo verso il professor Pucey e poi verso la Preside e disse con la voce che gli tremava. Patetico. “Noi siamo qui solo per studiare. Sappiamo che gran parte della scuola non vede di buon occhio il nostro nome. Non abbiamo mai creato problemi, ma se dobbiamo essere seguiti tutto il tempo, che ci venga detto e ci affidiate a un controllore. Non possiamo vivere sentendo continuamente qualcuno che ci osserva o che segue i nostri passi muovendosi nell’ombra.”

“Signorina Weasley, come sono andate le cose? Corrisponde al vero la ricostruzione?”

“In parte.”

Teddy vide Roland corrucciare le sopracciglia sorpreso. Victoire lo ignorò e si concentrò sulla preside. Era convinto che lei sarebbe stato un Auror decisamente migliore di lui che perdeva la pazienza e rischiava di far saltare le coperture.

“Abbiamo sentito i Lestrange parlare di dover incontrare qualcuno alla Testa di Porco. Ci siamo detti che fosse un posto sospetto e i nostri sospetti sono aumentati quando abbiamo visto che incontravano una strega che parlava loro di Durmstrang. Beh, sanno tutti che a Durmstrang si insegnano le Arti Oscure.”

Teddy annuì e intervenne per supportare Victoire: “Abbiamo deciso insieme di seguirli. Siamo arrivati alla Testa di Porco, abbiamo visto che erano seduti vicino una finestra, io l’ho aperta.”

“Io ho usato le Orecchie Oblunghe,” aggiunse Victoire. Il professor Longbottom indicò con la testa l’oggetto che aveva sequestrato a Roland.

“E poi ci hanno scoperto. La loro amica ci ha attaccati, senza nessun motivo e ha iniziato a dire cose orribili.”

“Ci stavate spiando! La Weasley ci ha accusato di tramare nell’ombra quando non stavamo facendo assolutamente nulla di vietato! Le regole della scuola non ci impongono di rendere conto delle nostre frequentazioni al Prefetto di Grifondoro né al Caposcuola di Tassorosso! E comunque sono intervenuto per dirvi di smetterla!” protestò Roland con quell’aria da cucciolo che voleva impressionare la Preside.

“Mi sembra che ci sia poco margine per le interpretazioni, Minerva,” disse il professor Pucey, “i miei studenti sono le vittime di questa situazione.”

“Fatto sta che li abbiamo trovati in quattro contro due per le strade di Hogsmeade,” disse il professor Longbottom.

“Stavano reagendo a una provocazione, Neville,” disse la preside. Teddy capì che sarebbe finita male per lui e Victoire. “Il professor Pucey ha ragione,” sospirò guardando severamente Teddy e poi spostando lo sguardo su Victoire. In quel momento, Teddy comprese di aver oltrepassato il limite.

“Toglieremo venti punti a Grifondoro e altrettanti a Tassorosso. Trascorrerete inoltre una settimana di punizione con i Direttori delle vostre Case. Spero che riflettiate su quanto è successo e che vi rendiate conto che prima di saltare a conclusioni affrettate su qualcuno, occorre avere delle prove. Sarebbe opportuno che porgiate delle scuse ai Lestrange.”

“Cosa?” Victoire si lasciò sfuggire quell’esclamazione scandalizzata e la professoressa Robins alzò il sopracciglio con l’aria di chi non aveva nessuna intenzione di sentire la Preside contraddetta. “Mi sembra che la preside sia stata sufficientemente chiara, signorina Weasley. Imparare a chiedere scusa dopo un errore è una lezione di vita che le tornerà utile.”

Victoire borbottò un “ci dispiace” che ebbe come risposta un ghigno di Roland, l’aria disgustata di Rodolphus e un’espressione scettica di Rabastan. Teddy li avrebbe presi a pugni tutti e tre. Non sopportava la vista di Victoire che si mordeva il labbro nervosamente e usciva di fretta dall’ufficio del professor Longbottom mentre tratteneva le lacrime. Non riuscì a fermarla e Teddy capì che non voleva farsi vedere piangere. Si sentiva umiliata, proprio come Teddy che biascicò delle scuse e corse verso la sala comune di Tassorosso promettendosi che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe preso a pugni Roland e gli avrebbe tolto quell’espressione da finto innocente che aveva sul volto.

 

***

 

Hogwarts, 25 ottobre 2015

 

Era trascorsa una settimana dall’uscita a Hogsmeade, dal loro incontro con Delphi e non era successo nulla. Nessuna apparizione, nessun litigio, Teddy Lupin aveva persino smesso di fare il prepotente in Sala Grande e, finalmente, Rabastan riusciva a ripassare tranquillamente con i suoi compagni di Casa. Aveva messo su un gruppo di studio, e quello zuccone di Gordon McNair si era offerto di pagargli dei Galeoni per le ripetizioni di Incantesimi e Trasfigurazione.

Rabastan aveva dato un occhio ai temi di McNair e c’era da mettersi le mani nei capelli. Non credeva che un simile obbrobrio avrebbe preso un Desolante e non un Troll: bisognava avere proprio il cervello di un Troll per scrivere quelle baggianate.

Ad ogni modo, le ripetizioni a McNair gli stavano fruttando un po’ di Galeoni che sarebbero finite tutte al Ghirigoro non appena tornato a casa: in estate sarebbe uscito il nuovo volume della saga del Mago errante nella Terra dei Draghi di Raymond Laurent, il suo scrittore preferito in assoluto, e non vedeva l’ora. Si domandava se Nathair, il protagonista, sarebbe riuscito a dominare l’Oscurità che minacciava il villaggio degli allevatori di Ippogrifi o sarebbero morti tutti, inghiottiti da quel mostro senza volto.

“Sei pronto per la tua prima partita?”

La voce di Roland lo riportò con i piedi per terra e lo distolse dai pensieri sulla saga. Aveva delle idee su come sarebbe potuta evolvere la storia e le aveva appuntate su un taccuino. Annuì guardando il fratello che, da quando la Weasley e Lupin avevano smesso di tormentarlo, sembrava più sereno.

“Novità?” gli domandò, come tutte le mattine. Erano passati più di venti giorni dall’incontro di Roddie con Barty Crouch Jr e quello di Roland con Bellatrix Lestrange, con i loro fantasmi, e nulla più era successo. Iniziavano a pensare che quella faccenda si fosse chiusa per sempre e che chiunque avesse evocato quei fantasmi, li avesse rispediti nell’Aldilà.

Come le altre mattine, Roland scosse la testa, a indicare che anche la ronda della notte precedente si era conclusa senza incontrare fantasmi – oltre quelli che già infestavano il castello – e che potevano godersi la domenica che avevano di fronte. Rabastan avrebbe vissuto la sua prima partita da Cercatore della squadra di Serpeverde e avrebbe debuttato niente di meno che contro Grifondoro.

Fred Weasley sarebbe stato il Cercatore avversario, anche se il problema non sarebbe stato tanto avvistare il Boccino d’oro, quanto non finire sotto i Bolidi della Weasley che sembrava decisa più che mai a vendicarsi per la settimana di punizione che si era beccata dopo la figuraccia fatta alla Testa di Porco. In quell’occasione Roland era stato un genio a mantenere la calma e lasciar fare il lavoro sporco a Delphi.

Tobias Dolohov, nuovo Cacciatore di Serpeverde, gli si avvicinò mentre si avviavano verso il campo di Quidditch. “Allora, Lestrange, pronto al debutto contro Grifondoro?”

“Io sono nato pronto. Tu? Sei emozionato?” domandò divertito. Probabilmente, uno tra lui, Selwyn e Bulstrode sarebbe stato il futuro Capitano di Serpeverde, una volta che Roland si fosse diplomato. Rabastan era intenzionato a mantenere in famiglia il titolo di capitano. Per questo motivo voleva fare un debutto spettacolare.

Il cielo, tuttavia, non sembrava voler semplificare le cose. Man mano che si avvicinavano al campo di Quidditch, le nuvole si ammassavano, oscurando il sole e minacciando di riempire di pioggia pubblico e giocatori. Rabastan avrebbe preso il Boccino e schivato i Bolidi in qualsiasi condizione atmosferica. Guardò la sua Firebolt nuova fiammante e si riunì insieme al resto della squadra.

“Oggi è un giorno molto importante,” esordì Roland, “non solo perché è la prima partita di campionato, e sappiamo che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma perché il nostro avversario non è altri che Grifondoro. I nostri storici e più agguerriti rivali! Facciamo capire ai Grifondoro che quest’anno Hogwarts sarà verde-argento!”

Flint esclamò: “Facciamogliela vedere!”

“Prima di entrare in campo: vi ricordo che metà della squadra è composta da nuovi membri. Aiutatevi e copriteli. Sappiamo che cercheranno di metterli in difficoltà. Noi sappiamo che i nostri nuovi giocatori sono fantastici, ma loro penseranno che siano scarsi e che non siano affiatati con il resto della squadra! Dimostriamo che noi Serpeverde siamo portati ad agire come un corpo solo!”

Questa volta l’urlo di approvazione uscì all’unisono e Roland sembrò molto soddisfatto. Roland andò avanti e si fermò a metà del campo, davanti la Weasley. Non appena Madame Hooch fischiò, le scope si sollevarono in aria.

Rabastan aveva una visuale ottima del campo. Controllò il gioco degli altri, ma soprattutto tenne d’occhio i Battitori di Grifondoro: Sebastian Baston e Victoire Weasley. Alternava lo sguardo tra loro e Fred Weasley il loro Cercatore, per controllare se lui non avesse visto per primo il Boccino d’oro.

Assistette a un tiro negli anelli di Grifondoro messo a segno da Roxanne Weasley, poi un altro da Dominique. Rabastan era preoccupato. Vide Roland lanciare un Bolide contro Dominique e fare in modo che Eliot Bulstrode prendesse la Pluffa. Eliot la passò a Tobias Dolohov che mise a segno un tiro e Serpeverde finalmente guadagnò i primi dieci punti.

Grifondoro conduceva la partita 60 a 40 e Rabastan continuava a non vedere il Boccino d’oro. Fred Weasley si guardava intorno nervosamente, segno che nemmeno lui lo aveva visto. Continuò a volare cercando di tenere d’occhio la partita e i movimenti nell’area del campo. Assistette a un altro tiro messo a segno da Bulstrode. Le due squadre sembravano pari e questo significava che la partita sarebbe stata decisa dal Cercatore. Significava anche che Roland aveva messo su in poco tempo un’ottima squadra che, nel corso del campionato, aveva ottimi margini di miglioramento. Eliot stava mettendo in difficoltà Dominique che lo marcava stretto.

La partita sembrava non finire, erano passate diverse ore e dovevano aver superato anche l’ora di pranzo. Le due squadre continuavano a pareggiare e adesso erano 300 a 290 per Grifondoro.

“Punto per Serpeverde! Sono di nuovo pari!”

Rabastan stava seguendo l’azione quando vide il Boccino d’oro dietro Victoire Weasley. Sarebbe stato complicato avvicinarsi alla Capitana di Grifondoro senza beccarsi un Bolide ma non poteva non tentare, altrimenti avrebbe consegnato la vittoria a Grifondoro. Fissò il Boccino e si chinò sulla Firebolt in direzione della Weasley.

Il Cercatore di Grifondoro se ne accorse e lo raggiunse in poco tempo. Rabastan era leggermente avvantaggiato dal nuovo modello di scopa e dal suo peso, era più leggero di quel Weasley spilungone e per nulla aerodinamico ma che volava dannatamente bene. Si curvò sul manico per andare più veloce. Schivò il Bolide lanciato da Baston e vide che Fred dovette schivare quello lanciato da Roland.

Si augurò che suo fratello e Hawk gli coprissero la schiena con i loro Bolidi. Il Boccino si era allontanato dalla Weasley e questo significava solo che anche lei era libera di tornare a usare la mazza.

Rabastan sterzò a destra per schivare il Bolide lanciato da Victoire e continuò a puntare il Boccino.

“Il nuovo Cercatore di Serpeverde, Rabastan Lestrange, ha puntato il Boccino d’oro. Anche il Cercatore di Grifondoro, Fred Weasley, è all’inseguimento con la sua nota abilità nel volo! Guardate Weasley come schiva il Bolide lanciato da Flint! Lestrange ha i riflessi pronti nello schivare quello proveniente da Baston! Il pubblico è con il fiato sospeso!”

Rabastan vedeva il Boccino davanti a sé, lo stava per afferrare. Allungò la mano per prenderlo e sentì la scopa traballare. Portò le mani salde sul manico, si capovolse un paio di volte e riuscì a non perdere l’equilibrio.

“Grifondoro ha preso il Boccino d’oro! Grifondoro ha vinto la partita per 450 a 300!”

Rabastan tornò in equilibrio e si trovò davanti gli occhi Fred Weasley che sorrideva con il Boccino in mano. Il Cercatore di Grifondoro alzò le sopracciglia e gli fece un sorriso di scherno mentre tornava a terra, pronto a festeggiare. Rabastan raggiunse il resto della squadra sentendosi in colpa. Trattenne le lacrime quando Roland lo abbracciò e gli disse che aveva giocato un’ottima partita.

Negli spogliatoi Roland disse: “Il risultato di oggi non era scontato. Abbiamo perso solo perché la Weasley ha colpito il nostro Cercatore mentre stava afferrando il Boccino. È colpa mia e di Hawk, dovevamo coprirgli le spalle durante un’azione così delicata. Questo è il gioco di squadra. Avevamo una squadra composta per metà da nuovi arrivati e devo dire che avete giocato benissimo! So che continuando ad allenarci faremo un bellissimo campionato! Ci rifaremo alla partita di ritorno!”

Gli altri si diressero sotto le docce mentre Rabastan si lasciò cadere su una panca, in attesa del suo turno. Si sfilò la divisa con il morale sotto i piedi. Roland lo raggiunse con un telo legato in vita e gli disse: “Non abbatterti. Lo so che è difficile da credere, ma hai giocato una buona partita.”

“Avevo il Boccino lì davanti, lo stavo afferrando!” esclamò deluso, “e poi ho visto l’espressione trionfante di Weasley!” sbuffò.

“Fatti una doccia, vedrai che andrà meglio. Ti aspetto o ci vediamo in Sala Grande per cena?”

“Vai, voglio restare un po’ da solo,” disse ripensando alla partita.

Continuava a rivedere la scena in cui stava per afferrare il Boccino e avere la vittoria e poi improvvisamente questa gli veniva strappata. Lasciò scorrere l’acqua e si lasciò andare alle lacrime non appena rimasto solo nello spogliatoio. Non voleva che lo considerassero un moccioso, ma non riusciva più a trattenere la delusione che bruciava e si mescolava alle battute di scherno, alle occhiate sospettose, ai sussurri che sentiva quotidianamente alle sue spalle. Appoggiò la testa contro le mattonelle del cubicolo della doccia e il freddo lo riportò al presente. Chiuse l’acqua e si avvolse in un telo per poi tornare a indossare i pantaloni, la camicia e il maglione del suo abbigliamento domenicale.

Avevano scelto di non indossare le vesti tradizionali che indossavano a casa e di tenere una specie di seconda divisa per il tempo libero a Hogwarts.

Orion, infatti, era stato preso in giro per tutto il primo trimestre del primo anno ed era tornato a casa in lacrime. Nessuno indossava più le vesti da mago tradizionali, perché ricordavano un passato che molti ritenevano ingombrante, altri perché sostenevano che così i Nati Babbani non si sentivano diversi e la mamma aveva commentato che chissà come mai, per far sentire i Nati Babbani a proprio agio, finisce che sono sempre i maghi a doversi nascondere. Tuttavia, Orion, Roland e persino Roddie che indossava le vesti tradizionali solo durante i sabba e nella sala comune, nessuno di loro aveva voglia di combattere tutto il tempo una battaglia che sentivano persa.

Sembrava di essere nei romanzi di Raymond Laurent, dove il tempo dei maghi stava giungendo al termine e solo pochi, valorosi, maghi si cimentavano nello studio dei segreti della magia, mentre gli altri si accontentavano di vivere una vita ordinata e tranquilla. Rabastan si ricordava che Nathair, il protagonista, non aveva mosso guerra alla scuola degli stregoni e che aveva intrapreso il suo cammino alla scoperta della magia solo dopo aver completato gli studi. Le avventure di Nathair iniziavano dopo la scuola e Rabastan doveva fare come il suo eroe: terminare gli studi e iniziarsi allo studio delle profondità della magia, solo così sarebbe arrivato a vedere i Draghi e magari anche un Tuono Alato.

Sistemò il colletto della camicia e il maglione di cachemire che gli aveva regalato zia Pucine, si avvolse nel mantello con la scopa in spalla e si incamminò verso la Sala Grande. Come al solito, si era perso nei suoi pensieri e aveva fatto tardi. Roland avrebbe alzato gli occhi al cielo dicendo che doveva vivere su questa terra e non nelle Terre dei Draghi di Nathair.

Le giornate si erano accorciate e una pioggia sottile aveva iniziato a cadere. Rabastan sbuffò e si coprì con il cappuccio quando vide una figura davanti a sé.

“Professore?” domandò.

Era una figura alta, avvolta in un mantello o in una veste da mago. Si disse che era una scelta insolita. Il professor Pucey era più basso e lo escluse a priori. Si domandò se non fosse il professor Longbottom, alto, giovane, longilineo, ma non era sicuro di averlo mai visto così.

“Questa scuola migliorerebbe la qualità della didattica se insegnassi qui,” gli rispose quella figura con un tono sarcastico mentre si voltava a guardarlo. Rabastan aveva visto quel volto in numerose foto e in tutte le pubblicazioni che il Ministero mandava sulla commemorazione della Battaglia di Hogwarts.

“Lord Voldemort?” domandò incredulo. “Siete tornato? Delphi ha avverato la profezia?” domandò ancora più incredulo. Si toccò per vedere se stesse sognando o scomparendo.

“Ti sembra che sia tornato? Piccolo, inutile, Lestrange! Ah, i tuoi genitori erano molto più svegli di te!”

“È uno scherzo, vero?”

“Ti sembra uno scherzo?”

“Non ho paura: o sei uno scherzo o sei un fantasma! Scopriamolo! Bombarda!”

Il raggio della bacchetta oltrepassò Lord Voldemort e si perse nel vuoto del giardino. Rabastan osservò la scena incredulo, mentre Lord Voldemort sembrava piuttosto offeso da quella iniziativa. “Tu! Piccolo stupido di un Lestrange! Tuo padre non ti ha insegnato il rispetto? Te lo insegnerò io!”  

Il fantasma si avventò su di lui e lo attaccò. Rabastan si sentì sollevare in aria e poi sbalzare contro qualcosa. Sentì dei rami contro la schiena. Nell’urto gli sfuggì la scopa che finì in un angolo del giardino. Provò a richiamarla con un incantesimo di Appello ma non era ancora molto bravo e il ramo a cui si era aggrappato si stava dimenando. Sembrava che la pianta fosse furiosa di trovarsi Rabastan sui propri rami e che volesse disarcionarlo.

“È assurdo, le piante non si muovono!” si disse mentre si aggrappava forte a un ramo che lo scagliò violentemente contro un altro ramo e poi a terra. L’urto fu violentissimo. Rabastan sentì la gamba spezzarsi e la testa battere contro il terreno senza riuscire a parare il colpo. La vista gli si annebbiò e nella confusione gli sembrò di sentire la voce di Delphi.

“Padre! Siete tornato!”

“Ti sembra che sia tornato? No! Sono qui perché sono stato evocato, ma tu cosa ci fai qua?”

“Sono venuta a vedere la scuola in cui Voi e la mamma avete studiato, padre! Volevo osservare da vicino questi posti, tra poco partirò per Durmstrang!”

“Ricorda la profezia, Delphi! Devi tornare indietro nel tempo! Torna indietro nel tempo e governeremo insieme! L’Augurey sarà alla destra del Padre! Adesso devo andare! Vai anche tu, prima che ti trovino qui!”

“Sì, padre! Verrò a salvarvi! Ve lo prometto!”

Rabastan provò a puntellarsi sul gomito per osservare la scena, ma il dolore fu così forte che perse l’equilibrio e intorno a lui fu solo buio.

 

 

 

 

 

Note:

Ciao a tutti!

Dopo un periodo di relativa calma, i fantasmi sono tornati, anzi, IL fantasma per eccellenza è tornato e, come si nota, è eccezionale anche in veste di fantasma. Il povero Rabastan si è preso prima la sconfitta a Quidditch e poi anche la sconfitta nello scontro con Voldemort.

Le cose però non sono andate bene nemmeno per Teddy e Victoire che stanno capendo di non poter tirare troppo la corda e che devono darsi una calmata. Ci voleva una battuta d’arresto per quei due, lo avevate scritto anche nelle recensioni e, come vedete, la Preside è intervenuta.

Nel prossimo capitolo vedremo le reazioni degli studenti che ha avuto l’incidente di Rabastan. <3

Nel frattempo, grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo, recensendo questa storia e che si stanno affezionando ai personaggi.

Un abbraccio,

Sev

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

 

Hogwarts, 25 ottobre 2015

 

 

Rabastan aprì gli occhi confuso. Osservò la volta di pietra che lo sovrastava. Era steso su qualcosa di morbido, doveva essere un letto. Scattò pensando di dover avvisare Roland e Roddie. Provò ad alzarsi puntellandosi sulle mani, ma sentì un dolore fortissimo al polso e ricadde sul cuscino.

“Sei tutto rotto, Rab, stai tranquillo.”

La voce di Roland annunciò la sua comparsa oltre una tendina.

“Dove mi trovo?”

“Sei in infermeria. Ero venuto a cercarti perché non stavi arrivando a cena, mi hai fatto prendere uno spavento. Hanno dovuto chiamare mamma e papà che ora sono di là con la Preside. Chi è stato?”

“Lord Voldemort.”

“Cosa?”

“Il fantasma, intendo. L’ho attaccato, dicendogli che non avevo paura e che non poteva farmi del male perché era morto, e invece mi ha lanciato contro un albero, e l’albero si è arrabbiato, e mi ha sbattuto contro altri rami, come se cercasse di togliermi di dosso, e poi mi ha scaraventato per terra. C’era Delphi, ha visto Lord Voldemort e lui le ha detto di trovare il modo di tornare indietro nel tempo per farlo tornare, così governeranno il mondo insieme.”

“Per tutti i draghi! Non farne parola con la mamma, è piuttosto agitata.”

“Roddie?”

Roland alzò il sopracciglio e Rabastan dovette trattenere il sorriso. Era una domanda sciocca, in effetti, se la mamma era nei paraggi, Roddie era sicuramente attaccato alla sua gonna. La porta dell’infermeria si aprì, cogliendoli di sorpresa. Roland esclamò: “Si è appena svegliato.”

“Il mio piccolo Rab!” La mamma si precipitò al suo capezzale e Rabastan vide quanto fosse spaventata. Dietro di lei, il papà sembrava sollevato di vederlo più o meno intero. Sentì la mano della mamma prendere la sua e posargli un bacio. “Roland ci ha raccontato di averti trovato sul prato privo di sensi. Cosa ti è successo?”

Non avevano avuto il tempo di concordare una versione, ma sapeva di non poter raccontare la verità, così rimase sul vago. “Stavo tornando in Sala Grande per la cena dopo la partita. Mi ero trattenuto negli spogliatoi perché ero piuttosto triste…”

“Ha giocato molto bene,” intervenne Roland dicendolo al papà che gli sorrise annuendo, cercava di non darlo a vedere, ma aveva il volto tirato per la preoccupazione.

“Non so bene cosa è successo. Stavo attraversando i prati e qualcosa mi ha sollevato in aria e lanciato contro un albero, e poi quell’albero si è arrabbiato e ha iniziato a cercare di lanciarmi via. Io mi aggrappavo ai rami perché avevo paura di cadere, ma alla fine sono stato scaraventato a terra e credo di aver perso i sensi.”

“Il Salice Schiaffeggiante…” mormorò la mamma scambiandosi uno sguardo preoccupato con la Preside. “Mi auguro che la scuola procederà ad accertare chi o cosa abbia scaraventato mio figlio contro un albero tanto pericoloso e che la faccenda non venga archiviata perché si è trattato di un Lestrange…”

“Faremo tutto il possibile perché vengano accertate le cause di questo increscioso incidente.” La preside si ergeva dritta di fronte la mamma e si vedeva chiaramente che entrambe non si piacevano.

“Me lo auguro, signora preside, perché posso tollerare gli insulti che giornalmente ricevono i miei figli, la presenza di un professore che si rifiuta di chiamarli per nome e non perde occasione per penalizzarli, ma non passerò sopra un’aggressione.”

“Non tirerei fuori questi argomenti, se fossi in lei, signora Lestrange.”

“I ragazzi non c’entrano niente, signora preside.”

“Le ricordo che il professor Longbottom aveva l’età di suo figlio Rodolphus quando il suo primo marito gli ha fatto rivivere la tortura impartita ai genitori, nell’anno in cui si è infiltrato a Hogwarts sotto le sembianze di Alastor Moody. Farei molta attenzione a parlare di sicurezza dei ragazzi, visto come avete ridotto il mondo magico.” Lanciò uno sguardo severo a entrambi i genitori che si irrigidirono.

“C’era una guerra!” esclamò la mamma. Rabastan vide il papà mettere una mano sulla spalla della mamma e sussurrarle di lasciar perdere. La preside, tuttavia, rimase dritta, guardò severamente la mamma e Rabastan pensò che come insegnante dovesse fare molta paura. Usò un tono fermo, come se l’argomento fosse chiuso per sempre e non ci fosse più alcuna ragione di ritornarvi. “E l’ha persa, signora Lestrange. Gestisco questa scuola da anni e può star certa che verrà fatta luce su questo incidente. Ora suo figlio ha bisogno di riposo.”

A quelle parole, Rabastan fu assalito dal terrore. Non voleva rimanere da solo in infermeria. E se Voldemort fosse tornato? Se avesse approfittato delle sue condizioni di salute? Da quando i fantasmi potevano attaccare?

“No!” esclamò con tutta la forza che aveva temendo di non essere sentito. Uscì una specie di urlo strozzato, da cui trapelava il terrore di essere lasciato da solo. Tutti si voltarono verso di lui e Rabastan scosse la testa: “Non voglio rimanere da solo…”

“Lo guardi, preside, è terrorizzato!” esclamò la mamma. Si avvicinò a lui e gli posò un bacio sulla fronte. Lo sguardo era tornato dolce e premuroso: “Vuoi venire a casa?”

Rabastan annuì cercando di allungarsi verso la mamma. Si sentiva un moccioso, ma non c’era altro posto al mondo dove si sarebbe sentito più tranquillo. Si disse anche che, se fosse guarito, avrebbe potuto fare un salto nella biblioteca di famiglia a cercare dei libri per risolvere quel mistero che diventava sempre più spaventoso e terrificante.

“Sei sicuro?” domandò Roland, “Posso rimanere io a dormire in infermeria se la preside è d’accordo.” “No, voglio andare a casa,” gli disse Rabastan, “se riesco, cerco in biblioteca quel libro per i compiti di Creature Magiche.”

Si guardarono intensamente e Roland sembrò capire: “Allora scrivici e facci sapere come stai, intesi?” Rabastan annuì, mentre la mamma lo copriva con un mantello e il papà lo prendeva in braccio. Si strinse forte al collo del papà, anche se gli faceva male tutto il corpo. Presto sarebbe stato nel suo letto di casa.

“Tornerà non appena starà meglio,” disse la mamma alla preside che annuì. “D’accordo, signora Lestrange, come preferisce. Rabastan sarebbe stato meglio a scuola, con i suoi compagni, invece che da solo a casa, ma capisco che sia spaventato. Il professor Pucey gli farà avere i compiti affinché non rimanga indietro con lo studio.”

“Grazie. Perdoni la reazione di prima, sono molto scossa e preoccupata.”

“Lo siamo tutti, signora Lestrange, le assicuro che faremo ogni accertamento affinché si faccia luce su quanto accaduto.” La preside gli rivolse un sorriso gentile e disse: “Buon rientro a casa, Rabastan, rimettiti presto. I tuoi compagni ti aspettano.”

Rabastan annuì, salutò Roland e Roddie che, per tutto il tempo, era rimasto in silenzio. La mamma abbracciò Roland, lo strinse a sé e lo riempì di baci sulle guance dicendogli di fare attenzione, di studiare e di non mettersi nei guai. Gli disse anche di mangiare il budino con il cucchiaio. Rabastan vide il papà corrucciare la fronte per quella frase, ma dal modo in cui Roland guardò Roddie, fu chiaro a tutti che Roddie avesse raccontato troppo in qualche lettera.

La mamma abbracciò anche Roddie e gli posò tantissimi baci sulla fronte, gli accarezzò i ricci scuri e lasciò che lui l’abbracciasse e la riempisse di baci sulle guance. Rabastan sapeva che suo fratello avrebbe dato qualsiasi cosa per andare a casa al posto suo.

Roland e Roddie li accompagnarono quasi fino all’ufficio della preside, dove avrebbero preso la Metropolvere per tornare a casa. Li seguirono finché la preside non li rispedì in sala comune scuotendo la testa come se disapprovasse tutte quelle smancerie.

Vorticare nei camini fu terribile, nonostante si reggesse forte al collo di suo padre, Rabastan arrivò a casa con la nausea e un forte mal di testa, sentendosi decisamente peggio. La mamma lo aiutò a rimettere, gli teneva la fronte, lo aiutò a lavarsi e infine lo visitò tastando il braccio rotto. “È stato un brutto colpo, ma vedrai che già domani starai meglio,” gli disse sorridendogli. Rabastan annuì, sollevato dal trovarsi lontano da scuola. La mamma puntò la bacchetta contro il braccio rotto e mormorò: “Epismendo!” la frattura si ricompose. Ripeté l’operazione sulla gamba e poi fasciò entrambi gli arti per tenerli fermi e lo aiutò a indossare il pigiama.

“Ti faccio portare qualcosa da mangiare?” gli domandò. Rabastan annuì. Si era così spaventato da essersi dimenticato di non aver cenato e ora stava letteralmente morendo di fame. Polly gli portò una bistecca già tagliata con contorno di patate al forno e verdure saltate. La mamma era al suo fianco e lo osservava mangiare. Roddie sarebbe andato in brodo di giuggiole.

“Adesso che sei a casa, ti va di raccontare cosa è successo?”

“Te l’ho detto mamma, non lo so bene nemmeno io.”

“C’è qualcuno che potrebbe arrivare a farvi del male in questo modo? Delphi ci ha scritto che vi siete incontrati a Hogsmeade e dei compagni di scuola vi stavano spiando.”

“Oh, ma che pettegola, quella!” esclamò stizzito, “Sì, è sempre Lupin, il Caposcuola di Tassorosso, ce l’ha con Roland e ha appena finito di scontare una settimana di punizione per averci spiato a Hogsmeade.”

“Pensi che possa essere stato lui?”

“No, mamma, lui è uno sbruffone, arriva puntandoti la bacchetta e urlando cose come bisogna rispedirvi ad Azkaban! Non è il tipo da attaccare alle spalle e io non ho proprio visto o sentito nessuno: stavo camminando e mi sono trovato sull’albero. Ho sentito però qualcosa di oscuro e ho i brividi. Non voglio dormire da solo…”

“Papà storcerà un po’ il naso, ma suppongo che dopo quello che è successo potrai dormire con noi.”

“Roddie mi invidierà tantissimo,” disse mentre seguiva la mamma nella camera da letto dove il papà stava leggendo un libro. “Fossi in Roddie penserei solo a stare bene,” disse la mamma facendogli posto.

La mamma si infilò sotto le coperte vicino il papà, si sdraiò su un fianco e Rabastan si lasciò abbracciare, assaporando finalmente il calore delle coperte e l’abbraccio della mamma. “Vieni qua, pulcino mio,” gli sussurrò come quando era piccolo. Era piacevole lasciarsi coccolare dopo l’incontro con Lord Voldemort. Si disse che se fosse scomparso per sempre, avrebbe voluto godersi ogni momento con i suoi genitori. Si strinse a sua mamma, respirò il suo profumo che sapeva di casa e si addormentò, certo che lì nessun fantasma sarebbe riuscito a raggiungerlo per fargli del male.

 

***

 

Hogwarts, 31 ottobre 2015

Molly era rimasta sconvolta dalla notizia dell’aggressione a Rabastan Lestrange. Tra i corridoi della scuola non si riusciva ad avere una versione che fosse credibile.

Secondo alcuni, Rabastan aveva evocato un mostro che l’aveva sbalzato sul Salice Schiaffeggiante, secondo altri era stato vittima di un ritorno di fiamma di una bacchetta, altri ancora parlavano di scopa difettosa. La storia si ingigantiva di giorno in giorno e nell’ultima versione le era sembrato di cogliere un riferimento a un drago.

Nei giorni scorsi, la Preside aveva convocato i Prefetti e i Capiscuola nel suo ufficio e aveva detto loro quanto Rabastan aveva riferito. Roland aveva annuito e detto che suo fratello adesso era a casa e che si stava riprendendo. Era stato fatto visitare da un Guaritore al San Mungo e presto sarebbe tornato. Durante quella riunione Molly aveva osservato Roland raccontare per l’ennesima volta il modo in cui aveva ritrovato suo fratello. Aveva la sensazione che Lestrange sapesse di più di quanto dicesse. Come era possibile che qualcuno venisse catapultato sul Salice Schiaffeggiante mentre attraversava i giardini? Possibile che Rabastan non si fosse accorto di nulla? La versione era strana e le sembrava che mancasse qualche dettaglio.

Si sorprese quella mattina quando vide Rabastan al tavolo dei Serpeverde intento a fare colazione con i fratelli. Zoppicava un po’ ma sembrava essersi ripreso. I fratelli Lestrange stavano consultando un libro avidamente e Molly decise di avvicinarsi prima che arrivasse Victoire a dissuaderla.

“Bentornato,” gli disse, “anche a nome di Grifondoro. Siamo rimasti molto dispiaciuti per quello che ti è capitato.”

Rabastan alzò lo sguardo dal libro e Molly sentì su di sé lo sguardo scettico dei fratelli maggiori. Roland aveva un sopracciglio alzato, mentre Rodolphus l’aria perennemente annoiata. Rabastan si limitò a dire: “Grazie, Caposcuola Weasley, lo apprezzo molto.”

Molly notò che il libro che stavano sfogliando era uno dei libri su cui lei e Roxanne avevano passato le ultime notti in sala comune. Sentì un brivido scenderle lungo la schiena e domandò: “Dove avete trovato quel libro?”

“L’ho portato da casa,” disse Rabastan, “In biblioteca qualcuno lo aveva già preso.” Aprì il libro e mostrò la catalogazione della biblioteca di casa Lestrange, sul retro di copertina c’era un timbro con lo stemma familiare con i corvi. Molly si fece coraggio e decise di approfittare del fatto che Rabastan sembrasse ben disposto nei suoi confronti.

Roland, invece, la guardava aspettando che andasse via. “Hai bisogno di qualcosa, Weasley?”

Molly annuì e si avvicinò a loro, sedette sulla panca di fronte a loro e si sporse sul tavolo, incurante degli sguardi degli altri Serpeverde che stavano arrivando per la colazione. “Vorrei sapere se avete visto qualcosa di strano.”

“Vediamo ogni giorno cose strane, Weasley…” rispose con sufficienza Rodolphus, “molto dipende dal tuo concetto di normale, suppongo.”

“Mi riferisco a cose che non dovrebbero stare tra noi, residui del passato, che non siano le tue stupide idee razziste, Lestrange, parlo di fantasmi.”

Roland e Rabastan si guardarono, persino Rodolphus cambiò espressione. Roland si sporse verso di lei e gli domandò: “Tu hai visto qualcosa di strano?”

“Se ti dicessi che è un mese che non faccio altro che vedere cose strane? Non c’è un libro della biblioteca che mi sia stato d’aiuto!”

“Allora li hai presi tu in prestito!” esclamò Roland.

“Vediamoci dopo le lezioni di fronte l’aula di Incantesimi, dove c’è l’aula studio.”

Roland la osservò titubante e lei gli disse: “Non è uno scherzo, Roland, ho incontrato il fantasma di mio zio, morto durante la battaglia di Hogwarts. Mi ha detto che è stato evocato e che ne approfittava per fare una passeggiata.”

“Beh, ti è andata bene, io ho incontrato la prima moglie di mio padre, Bellatrix. Uccisa da tua nonna che mi ha detto che non sarei mai dovuto nascere e che sparirò.”

“Dobbiamo capire cosa sta succedendo.”

I tre fratelli si scambiarono uno sguardo e annuirono convinti.

Molly tornò al tavolo di Grifondoro in tempo per l’arrivo della posta. Un gufo si appollaiò accanto a lei lasciando una busta piuttosto spessa. Riconobbe subito la grafia elegante di Henry, il cuore le batté forte. Era stata troppo ottimista riguardo l’anno di lontananza. Credeva che Henry le sarebbe mancato di meno, assorbita com’era dalla presenza dei cugini. Invece, la continua presenza di quei fantasmi e il senso di morte che si trascinavano, le faceva desiderare un contatto con Henry. Sentiva la mancanza delle loro chiacchierate in sala comune, delle passeggiate notturne e persino dei momenti che trascorrevano insieme abbracciati in qualche aula abbandonata. Aprì il taccuino pieno di schizzi del volto di Henry e si disse che gli stava mancando moltissimo. Non vedeva l’ora che arrivasse Natale per rivederlo.

“Mia cara Molly,

come stai? Ci sono stati ulteriori avvistamenti? La tua lettera mi ha colto di sorpresa. Ho fatto delle ricerche al Ministero e ho provato a confrontarmi con discrezione con i colleghi del Dipartimento Spiriti. Purtroppo, non riesco a darti nulla di risolutivo. Come ti avevo già anticipato nella mia ultima lettera, i fantasmi sono entità che non sono andate avanti e hanno scelto di rimanere nel nostro mondo. Chi decide di andare avanti, poi non può tornare indietro. Ci sono naturalmente dei modi per comunicare e per aprire il velo tra il mondo dei morti e quello dei vivi. C’è un arco nell’ufficio Misteri dove quel velo è presente, ma i colleghi che ci lavorano sono concordi nel dire che il velo si attraversa in una sola direzione. Si possono evocare i defunti con alcuni metodi, ma nessuno di questi è così avanzato da lasciarli andare in giro per la scuola come se fossero a passeggio.

I rituali più sofisticati si possono fare a Samhain, quando i due mondi si sfiorano e le anime di chi ha lasciato il nostro mondo possono tornare indietro, ma è temporaneo e legato a precisi elementi di tempo e di luogo. Ad esempio, i maghi messicani celebrano los dias de los muertos, i primi di novembre. Le anime dei defunti possono tornare in casa, ricevere cibo e la loro evocazione è circoscritta alla casa di famiglia, non certo la scuola. Ci vuole qualcosa di potente, come l’amore, per superare il confine tra la vita e la morte, o di molto oscuro, ma non credo che sia qualcosa alla portata di uno studente di Hogwarts. Persino i colleghi dell’ufficio Misteri sembravano in difficoltà.

Mi spiace che queste notizie non possano tranquillizzarti. Anzi, forse ne sarai turbata, ma voglio che tu abbia il quadro chiaro. So che non ti accontenti delle spiegazioni troppo semplici.

Mi manchi moltissimo e mi mancano le nostre chiacchierate, mi manca starti vicino e trascorrere le sere a guardarti mentre disegni. In ufficio ho appeso l’ultimo disegno che mi hai mandato, ma quelli più audaci li tengo a casa. Non vedo l’ora di riabbracciarti a Natale e credo proprio che verrò a prenderti a King’s Cross, nonostante tuo padre cerchi di dissuadermi. Gli ho detto che se è preoccupato per il permesso al Ministero lui può restare in ufficio e verremo io e Audrey, ma non mi è sembrato molto convinto. Secondo me, sotto sotto, è geloso, ma non vuole dare ragione a tua madre.

Sono il solito logorroico, perdonami. Mi manchi tanto! Spero di ricevere presto tue notizie.

Ti amo da impazzire,

tuo Henry”

Molly lesse la lettera senza riuscire a trattenere un sorriso. Immaginava benissimo la scena di Henry al Ministero, probabilmente in ascensore, che stuzzicava suo padre sull’idea di rimanere in ufficio mentre lui sarebbe andato ad accogliere lei e Lucy insieme alla mamma. Riusciva a vedere la posa impettita di suo padre, il modo in cui si sarebbe sistemato gli occhiali sul naso e poi controllato nervosamente la cravatta. Prese il taccuino con un sorrisetto divertito e iniziò ad abbozzarne la figura ridacchiando tra sé e sé mentre smangiucchiava una fetta di pane tostato con il burro. Prese anche un sorso di succo di zucca e continuò nella sua opera.

“È papà?” domandò Lucy mentre prendeva posto accanto a lei. “Buongiorno,” aggiunse servendosi un po’ di uova e bacon. Molly annuì. “Da cosa l’hai capito?”

“Dall’espressione nervosa, è proprio la sua.”

“Mi ha scritto Henry. Ha detto che papà continua a dirgli che non c’è bisogno che vengano tutti a King’s Cross a Natale e lui gli ha risposto che se vuole può rimanere in ufficio.”

Lucy scoppiò a ridere. “Per Godric, papà sarà impazzito da quell’alternativa non contemplata!”

“Stavo provando a disegnare la scena!”

“Secondo me devi chiudergli i pugni e avvicinare le braccia al corpo, come fa quando è stizzito…”

Ridacchiavano entrambe. Era molto tempo che loro due non avevano un momento tutto loro. Vivevano completamente assorbite dallo studio e dai cugini e non sempre trovavano il tempo per stare da sole. “Allora è Samuel il fortunato?” le domandò. “Non negare, vi ho visto come vi defilavate durante la partita.”

Lucy alzò gli occhi al cielo. “Dovresti sapere che il momento del Quidditch è quello perfetto per agire, visto che gran parte dei Weasley sono sulla scopa!” Molly ridacchiò mentre Victoire si univa a loro per la colazione.

“Vic, se ti dico una cosa, prometti di non arrabbiarti?”

“Lo prometto.”

“È tornato Rabastan e ho parlato con i Lestrange, anche loro hanno visto i fantasmi e sono terrorizzati.”

“È per questo che girano sempre insieme e si guardano le spalle?”

Molly annuì. “Hanno incontrato Bellatrix che ha minacciato di farli sparire.”

“Per Godric.”

“Penso che se non uniamo le forze non riusciremo a venire a capo di questo mistero. Ci vediamo dopo cena di fronte l’aula di Incantesimi.”

“Avviso Teddy?” domandò Victoire, “Insomma, lui è il più esperto in Difesa contro le Arti Oscure. Il prossimo anno inizierà l’accademia da Auror.”

“Però lui non sa ancora nulla delle apparizioni. Temo che se venisse passerebbe il tempo a litigare con Roland.”

“Hai ragione, ma sai che andrà su tutte le furie se non lo coinvolgiamo in una cosa del genere?”

“Sentiamo cosa sanno i Lestrange e sulla base di questo decidiamo se coinvolgerlo o meno.”

Victoire annuì un po’ perplessa.

“Vic, lo so che non vuoi tenere nulla nascosto a Teddy. Ti prometto che gli diremo tutto, ma prima dobbiamo sapere cosa sanno i Lestrange.” Molly scrutò attentamente lo sguardo della cugina. Capiva perfettamente il senso di colpa e lei stessa si sarebbe trovata in difficoltà se qualcuno le avesse detto di non dire qualcosa ad Henry, ma bisognava essere concreti e Teddy era una distrazione troppo grossa in quel momento.

La giornata trascorse molto lentamente, mentre Molly aspettava con ansia la fine delle lezioni. Aveva fermato Roland tra una lezione e l’altra e gli aveva chiesto di anticipare il loro incontro prima di cena, perché in quel frangente si erano dimenticati che era Halloween e Prefetti e Capiscuola sarebbero stati impegnati con il banchetto di Halloween in Sala Grande. Roland le aveva detto che dopo cena in sala comune avrebbero celebrato Samhain e l’aveva invitata a partecipare. Molly, però, era rimasta sul vago perché quei riti la spaventavano un po’ e non le sembrava il caso che la Caposcuola di Grifondoro mettesse piede nella sala comune di Serpeverde.

 

***

 

C’era solo un motivo per cui Roland aveva accettato l’invito di Molly Weasley ed era perché quel giorno era Samhain e il confine tra i due mondi era sottile. Quel giorno, non solo Lord Voldemort sarebbe potuto tornare, ma i suoi poteri residui sarebbero stati più forti.

Aveva studiato a fondo le tradizioni di Samhain e le aveva abbinate allo studio sui fantasmi. Aveva letto testimonianze di molte festività e chiesto ad Hawk un approfondimento su el dia de los muertos ed era giunto a una conclusione: l’anima di un mago porta con sé una residua traccia di magia quando muore. Solitamente, durante l’evocazione i poteri residui sono troppo deboli per consentire all’anima di praticare un incantesimo, senza contare che avrebbe bisogno anche di una bacchetta. Tuttavia, l’avvicinarsi di Samhain e il fatto che fosse stato Lord Voldemort ad aggredire Rabastan gli mostravano tutti i pericoli. Cosa sarebbe successo se Voldemort e Grindelwald si fossero alleati per tornare e distruggere il futuro?

Il solo pensiero lo terrorizzava e forse questo era il segno delle premonizioni che continuava ad avere. Si incontrò con i fratelli in sala comune e insieme si diressero verso l’aula di Incantesimi. Trovarono ad attenderli i Weasley quasi al completo. C’erano Molly, Victoire, Roxanne, Louis e James che parlottavano tra di loro. Entrarono nell’aula accanto e Molly distribuì i libri che da un mese aveva in prestito. “Se non ne veniamo a capo, tra due giorni dovrò restituire i libri in biblioteca,” esordì.

“Sono già in lista per il prossimo prestito, Weasley,” la rassicurò. Aveva tormentato Madama Quills perché accettasse la prenotazione del suo prestito, sperando che chiunque li avesse presi li restituisse quanto prima. Non avrebbe mai immaginato che qualcuno stesse indagando sul suo stesso mistero.

“Possiamo chiamarci per nome? Altrimenti con i cognomi è un casino,” propose Roxanne.

“Non per me,” ridacchiò James, l’unico Potter della stanza.

“Siamo seri, per favore, che non abbiamo molto tempo.” Roddie li richiamò all’ordine già annoiato. “Io ho chiesto informazioni al Barone Sanguinario. Visto che non c’erano libri sull’argomento in biblioteca, ho pensato che un fantasma ne sapesse di più. La questione è che i rituali per evocare gli spiriti di chi è andato avanti sono complessi e richiedono la presenza di un evocatore e un preciso rituale. Non è possibile aprire il passaggio tra i due mondi per permettere a qualcuno di farsi un giro per la scuola.”

Molly annuì: “È la stessa cosa che mi ha detto Henry.”

“Chi è Henry?” domandò Roland, “quante persone sanno di queste apparizioni?”

Quella notizia doveva rimanere riservata e invece il numero delle persone coinvolte si stava allargando velocemente e senza alcun controllo. Non si sarebbe sorpreso se tra qualche giorno fosse comparso il Ministro della magia o quella ficcanaso di Rita Skeeter che la mamma tanto detestava.

“Oltre a noi, solo Henry Peaks, il mio ragazzo, Nato Babbano. Lavora al Ministero della Magia, nel Dipartimento Spiriti. Ho pensato che ne potesse sapere qualcosa. Ha chiesto persino ai colleghi dell’Ufficio Misteri. Problemi, Lestrange?”

Roland scrollò le spalle. Aveva senso chiedere a uno che lavorasse al Dipartimento Spiriti. La Caposcuola non era del tutto impazzita. Loro avevano fatto lo stesso chiedendo ad Orion. “Nostro fratello maggiore lavora all’Ufficio Misteri, nella stanza del Tempo, ci ha detto che gli incantesimi necessari sono troppo oscuri e che non sono alla portata di uno studente di Hogwarts.”

“E se non fosse uno studente? Perché diamo per scontato che sia uno di noi?” domandò Victoire.

Roland sospirò e la guardò come se avesse appena fatto una domanda stupida: “Perché è la cosa più scontata. Qualcuno può essersi imbattuto in un rituale sconosciuto e averlo iniziato e poi non sa come rimettere le cose a posto. Un professore non farebbe mai una cosa del genere e il resto del personale non è all’altezza.”

Roddie la osservava con disgusto. Roland si domandò se suo fratello fosse irritato perché era la fidanzata di Lupin, perché faceva domande stupide o perché aveva la cravatta annodata male e l’uniforme spiegazzata.

“Voi siete in grado di rintracciare la magia oscura?” domandò Louis che fino a quel momento era stato in silenzio. “Io ho incontrato Greyback che mi ha detto che tornerà per distruggerci, mangiare tutti i bambini e finirà il lavoro lasciato in sospeso con mio padre.” L’ultima parte la disse con un tremolio nella voce che gli ricordò il modo in cui Rabastan aveva raccontato del suo scontro con Lord Voldemort.

Roddie sospirò: “Io ho incontrato Barty Crouch Jr. che ha detto che ci farà sparire e che si riprenderà nostra madre e nostro fratello.” Erano passati molti giorni dall’incontro di Roddie con Barty, eppure Roland riusciva a sentire ancora la paura nella sua voce. Sorrise a Roddie e fece cenno a Roland di raccontare il suo incontro, il più terribile. Gli mise una mano sulla spalla per incoraggiarlo e lo sentì irrigidirsi e deglutire stringendosi nel mantello.

“Quella notte io sono stato aggredito da Lord Voldemort.”

“Cosa?” domandò Molly incredula. Roland osservò lo sguardo pieno di terrore che si scambiò con Victoire e Roxanne. Rabastan annuì e raccontò gli avvenimenti di quella sera. “Non credevo che i fantasmi potessero attaccare…” rispose Rabastan, “insomma, Barty e Bellatrix non lo hanno fatto con Roland e Roddie…”

“Questo apre un nuovo scenario,” disse Victoire.

“Esatto. Se scoprono di poterci attaccare, siamo in pericolo,” disse Roland, “Questa notte è Samhain e il confine tra i due mondi è sottilissimo. Se escono oggi, i loro poteri saranno al massimo.”

“Dobbiamo informare i professori, non possiamo affrontare da soli questa faccenda,” disse Molly. Roxanne sembrava scettica e ancora più preoccupata da quella proposta.

“Come pensi che reagirebbero se sapessero che Lord Voldemort ha lanciato mio fratello sul Salice Schiaffeggiante? Loro sono troppo coinvolti. Siamo noi che dobbiamo mettere fine a questa cosa.” Roland non aveva nessuna intenzione di passare per pazzo, di finire in punizione o di fare la parte del ragazzino. Sapeva di poter affrontare quella cosa, doveva solo capire quale fosse la fonte. Trovato l’evocatore, avrebbero denunciato tutto alla preside e risolto la faccenda.

“Dobbiamo parlarne con Teddy. Lui sta studiando per l’ammissione all’accademia da Auror.”

Roland alzò gli occhi al cielo. Possibile che la Weasley volesse coinvolgere quell’impiastro di Lupin?

Victoire cercava di convincere la cugina: “Zio Harry gli ha insegnato un sacco di magie avanzate, potrebbe aiutarci a rintracciare chi pratica un incantesimo oscuro.”

“Anche noi sappiamo rintracciare chi pratica un incantesimo oscuro,” ribatté piccato Roland, “Peccato che la battaglia di Hogwarts abbia lasciato talmente tante tracce di maledizioni che non c’è luogo di questa scuola che non sia intriso di magia oscura. Pensi che non ci avessimo pensato?”

“Proviamo a parlargli,” insisté.

Roland sospirò. Voleva assolutamente chiudere la faccenda e non avevano il tempo di polemizzare con la Weasley sul coinvolgimento di Lupin. Vederlo fallire sarebbe stato divertente, dopo tutto. “D’accordo. Vediamo se il grande Auror è in grado di risolvere il mistero. Il salvatore del mondo magico… l’erede del grande Harry Potter…”

“Ehi!” protestò James, “lascia stare mio padre.”

“Piantala, Lestrange!” lo rimproverò Molly, “non è divertente e la situazione è già abbastanza complicata per il tuo sarcasmo…”

“Ma voi chi avete visto?” domandò Roddie.

“Zio Fred,” dissero Molly e Roxanne.

“Cedric Diggory,” disse Victoire, “mi ha lasciato un messaggio per suo padre.

“Il nonno e Sirius Black,” disse James, “mi hanno insegnato un passaggio segreto per le cucine e no, non ve lo dico!”

“Sappiamo già come andare in cucina, Potter. Conosciamo i sotterranei della scuola come le nostre tasche…” disse Rabastan con un ghigno divertito, mentre uscivano dall’aula e seguivano Victoire in direzione della sala comune dei Tassorosso.

Roland allungò le braccia sulle spalle dei fratelli, rimanendo più indietro rispetto al clan Weasley-Potter. Sottovoce disse loro: “Qualsiasi cosa accada, mi raccomando, manteniamo la calma e non diamo il pretesto per finire nei guai. Siamo più furbi di loro.”

“Allora non ti fidi di loro?” domandò Roddie.

“Non del tutto, ma dobbiamo collaborare per risolvere questa faccenda. Le avete viste? Non ne sanno più di noi e hanno avuto incontri che non erano affatto spaventosi.”

“Pensavo ti fossi fatto distrarre dagli occhi blu della Weasley…” ridacchiò Rabastan.

Roland mimò un conato di vomito e disse al fratello: “C’è un solo paio di occhi blu che è in grado di distrarmi.”

“Ah già… Lucile…”

Roddie li guardò entrambi con fastidio. Sbuffò mentre scendevano nei corridoi. Era molto concentrato. Teneva la bacchetta in mano e sembrava che stesse ascoltando le tracce di magia che lo circondavano. Roland e Rabastan lo imitarono. Ogni tanto incontravano qualche studente che li osservava perplesso. Doveva essere strano vedere i Weasley e i Lestrange camminare spediti insieme.

Arrivarono davanti la porta di un’aula, Roland guardò i fratelli: “Sentite anche voi quello che sento io?” Annuirono in sincrono, mentre Molly si voltava verso di loro. “Cosa sentite? Perché avete le bacchette puntate in quel modo?”

Roland scosse la testa, pensando che avesse ragione suo padre a dire che a Hogwarts insegnano solo le basi della magia. Spiegò alla Caposcuola: “Stiamo studiando le tracce di magia che ci circondano, qui c’è traccia di magia oscura… ma è diversa dalle maledizioni che i muri hanno assorbito, è molto più forte e oscura.”

“È gelida e buia e sa di morte non solo di oscurità,” disse Roddie, “sembra l’oscurità che circondava l’apparizione di Barty.”

“Pensate che ci possa essere un fantasma?” domandò Victoire con la voce che le tremava.

“O forse abbiamo trovato il portale…” aggiunse Roland. Tirarono fuori le bacchette e Victoire aprì la porta. Nella penombra di quella stanza abbandonata, i fantasmi di Ninfadora Tonks e Remus Lupin chiacchieravano con il figlio.

“Teddy…” disse Victoire sottovoce.

Roland strizzò gli occhi e vide qualcosa nella mano di Teddy, era simile a una pietra che emanava un bagliore sinistro e sembrava essere la fonte di quella oscurità. Si guardò con Roddie e Rabastan ed esclamarono: “La Pietra della Resurrezione!”

Non riuscivano a crederci. L’integerrimo Lupin, l’aspirante Auror, l’erede di Harry Potter, giocava con i cimeli oscuri! Addirittura, con la Pietra della Resurrezione, che un tempo era appartenuta ai Gaunt e che era andata smarrita nella battaglia di Hogwarts.

“Guarda guarda chi gioca con le Arti Oscure…” disse Roland senza riuscire a trattenere un ghigno di trionfo. “Siamo proprio partiti male quest’anno, eh, Lupin? Sei sicuro di voler fare l’Auror? O vuoi passare al Lato Oscuro?”

“Teddy, guardami. Guardami, tesoro,” quella che doveva essere la madre di Lupin gli stava parlando. Roland la riconobbe dalle immagini che aveva visto sui libri di storia e nei memoriali del Ministero della Magia. La donna sorrideva al figlio. “Devi andare avanti, noi saremo sempre con te, tesoro. Siamo morti per darti la possibilità di vivere in un mondo migliore.”

“Ti sembra un mondo migliore quello in cui non c’è stata giustizia? Sai chi sono questi tre, mamma?” domandò Teddy con la voce che gli tremava per la rabbia. Roland bloccò il polso di Roddie che voleva reagire.

“I figli di Rodolphus Lestrange,” disse il padre di Lupin, “È normale che i sopravvissuti vadano avanti e se non la finite, se non seppellite il rancore, finirà come l’altra volta e ci sarà una nuova guerra, e il prezzo lo pagheranno i vostri figli, così come voi avete pagato il prezzo della nostra guerra. È ora di farla finita.”

“Io… Io…” disse Roland, “mi spiace dovervi interrompere, ma si sta avvicinando il momento della celebrazione di Samhain. È tutto il mese che da questo portale escono fuori altri spiriti, oltre i tuoi genitori, Lupin. È stato Lord Voldemort ad aggredire Rabastan. Mi spiace per i tuoi genitori, ma dobbiamo chiudere quel portale prima che sia troppo tardi. Oggi avranno i loro poteri residui al massimo della forza e io non voglio scontrarmi di nuovo con la ex di mio padre.”

“Né io con l’ex di mia mamma,” disse Roddie.

Tonks si scambiò uno sguardo preoccupato con Lupin e domandò: “Chi avete incontrato?”

“Bellatrix, Barty Crouch Jr e Lord Voldemort,” disse Roland. Guardò verso Louis e aggiunse: “Il ragazzino… Louis, vero?” Louis annuì. “Ha incontrato Fenrir Greyback. So che Lupin vuole rivedere i suoi genitori e lo capisco, ma da questa porta stanno uscendo anche altri spiriti e non tutti pensano a vedere i propri cari.”

“Devi lasciarci andare, caro,” disse Tonks.

“Ha ragione la mamma, Teddy. Ti amiamo moltissimo e ti siamo sempre vicino, ma devi lasciarci andare. Hai tanti motivi per vivere il presente e lasciare andare il passato. Vorrei averlo fatto anch’io quando ero vivo,” disse Lupin guardando Victoire.

La Weasley si avvicinò al ragazzo e mise le sue mani intorno alla mano che reggeva la Pietra della Resurrezione. “Coraggio, Teddy, so che ce la puoi fare. L’Oscurità si nutre della tua debolezza. Sii coraggioso come l’Auror che vuoi diventare, come tua mamma.”

Teddy annuì e sorrise ai genitori: “Addio, mamma. Addio, papà.”

“Non è mai un addio. Saremo sempre con te, tesoro,” rispose la mamma. Teddy chiuse il pugno e i fantasmi scomparvero. La magia oscura, tuttavia, era ancora presente nell’aria. Roland scosse la testa e puntò la bacchetta verso la mano di Lupin.

“Cosa vuoi fare, Lestrange?” domandò Victoire.

“Non si è chiuso il portale!” esclamò Roland. Teddy lanciò la pietra per terra e la videro continuare a emanare quel bagliore azzurrino.

“Finite incantatem!” esclamò Molly puntando la bacchetta contro la pietra. Roland si voltò verso di lei con il sopracciglio alzato e l’aria decisamente perplessa.

Molly gli restituì uno sguardo irritato: “È inutile che mi guardi così, sapientone, ci ho provato e ora faccio quello che avremmo dovuto fare dall’inizio: vado a chiamare la Preside!” uscì di corsa da quella stanzetta mentre Roland cercava di ricordare i modi in cui potevano essere bloccate le maledizioni, ma nessun incantesimo sembrava funzionare.

Roddie riuscì a tamponare la situazione creando una bolla intorno alla pietra, simile a quella che il professor Pucey usava per mostrare le creature oscure più pericolose, come l’Obscurus.

“Bella pensata, Roddie, così non dovrebbero riuscire a uscire, ma il portale resta aperto.”

La preside arrivò trafelata insieme al professor Pucey, la professoressa Robins, la professoressa McMillan e l’onnipresente professor Longbottom. Fu proprio lui ad esclamare: “Perché non sono sorpreso di vedere voi tre coinvolti?”

“Professore, temo che sia colpa mia,” disse Lupin. “Verso fine settembre sono andato nella Foresta Proibita a cercare quelle piantine di luparia da coltivare nella serra e ho visto che questa pietra emanava uno strano bagliore. L’ho raccolta dicendomi che l’avrei studiata attentamente, credevo che potesse essere un ingrediente per Pozioni, ma mi sono accorto che prendendola in mano riuscivo a vedere i miei genitori.”

“Lupin…” mormorò la preside.

“Non sapevo che sarebbero uscite le anime delle persone che menzionavo mentre parlavo con i miei genitori, come Voldemort che ha aggredito Rabastan, o Bellatrix che ha aggredito Roland, e persino Greyback che ha minacciato Louis. Non avevo idea che si trattasse della Pietra della Resurrezione. Adesso, Lestrange ha impedito che uscissero altri spiriti.”

La Preside si scambiò uno sguardo con i colleghi: “Edgar tu sei in grado di interromperne il funzionamento?”

Il professor Pucey si avvicinò alla Pietra della Resurrezione e domandò: “Chi ha creato questa bolla?”

“Io, professore,” disse Roddie.

“Bravo, Rodolphus, bel lavoro, dieci punti a Serpeverde. Sembra una di quelle che uso io, ma temo che dovrò romperla.” La bolla scoppiò e la pietra cadde in mano al professor Pucey che vi puntò contro la bacchetta e la studiò attentamente.

“Obstruo ianuam.”

Roland vide la pietra cadere a terra, non emanava più nessun bagliore sinistro e quel senso di oscurità e gelo era scomparso. Il professor Pucey la raccolse e la porse alla Preside: “Minerva, forse è il caso che questo manufatto lo conservi con cura, prima che qualcun altro lo trovi.”

La Preside annuì. Evocò una scatola di lacca nera con lo stemma della scuola e vi ripose la pietra per poi sigillare la scatola e infilarla in una tasca del mantello. “Dovrò convocare le vostre famiglie, seguitemi nel mio ufficio.”

Nella torre in cui si trovava l’ufficio di Minerva McGranitt, Roland pensava alle possibili reazioni dei suoi genitori che si vedevano convocati a Hogwarts per la terza volta in meno di un mese. Sedeva vicino i suoi fratelli, scambiandosi sguardi preoccupati con Roddie e Rabastan, mentre la Preside avvertiva i genitori via camino.

Lupin e la Weasley erano seduti dall’altra parte della stanza, vicino il professor Longbottom, mentre il professor Pucey era rimasto accanto a loro e cercava di rassicurarli. La Robins e la McMillan aiutavano la Preside ad avvertire le famiglie, mentre il professor Longbottom era accanto al camino con le braccia conserte.

I primi ad arrivare furono i genitori di Victoire e Louis. La mamma di Victoire abbracciò il figlio, mentre il padre mise una mano sulla spalla alla figlia. Seguirono i genitori di Molly, quelli di Roxanne, poi Harry Potter e Ginny Weasley, i suoi genitori e, per ultima, arrivò Andromeda Black.

Roland sorrise nel rivedere i suoi genitori. Sentì il professor Pucey dire al papà: “I suoi figli sono stati molto bravi.”

“Vi ho convocati,” esordì la Preside, “per fare chiarezza su quanto è successo in questi giorni. Abbiamo scoperto l’autore dell’aggressione a Rabastan Lestrange.”

La mamma strinse la spalla di Rabastan, lui le prese la mano e le disse: “È tutto passato, mamma.”

“È stato Lord Voldemort.”

Un mormorio preoccupato serpeggiò per la sala.

“Com’è possibile, professoressa McGranitt?” domandò Harry Potter, “Voldemort è morto.”

“Temo che sia colpa mia, zio,” intervenne Lupin. Raccontò la storia di come aveva trovato la Pietra della Resurrezione nella Foresta Proibita e dei suoi colloqui con i genitori, di come le persone che menzionava in quegli incontri finivano per uscire, come se fossero state evocate. La nonna di Lupin piangeva silenziosamente accanto al nipote.

Roland sentì la mamma scattare, le prese la mano, le fece cenno di fermarsi, di aspettare. Si alzò dalla sedia su cui la preside l’aveva fatto sedere e andò vicino a lei, l’abbracciò e le disse sottovoce: “Lo avrebbe fatto chiunque di noi se i nostri genitori fossero morti. Lo sai, mamma, era una tentazione troppo forte.” La mamma gli restituì uno sguardo commosso, gli posò un bacio sulla fronte e lo strinse a sé.

“Abbiamo sigillato e messo la Pietra al sicuro, in modo che non possa fare più danni, ma voi dovevate sapere come sono andate le cose,” concluse la Preside.

“Zio Harry,” disse Victoire, “ho incontrato Cedric Diggory, mi ha scambiato per la mamma. Mi ha chiesto di dire a suo papà di non essere così arrabbiato, che lui sta bene e di salutarglielo tanto.”

Harry annuì e disse: “Andrò a parlare dal vecchio Amos, anche se non sarà semplice.”

“Molly, chi hai incontrato tu? Perché sei qui?” le domandò il padre.

“Ho incontrato zio Fred insieme a Roxanne. Mi ha detto che non devi essere così triste e devi smetterla di incolparti. Sapeva che saresti tornato in famiglia.” Il padre di Molly sorrise tristemente.

“Teddy, la tua condotta è stata molto grave,” disse la Preside, “giocare con un manufatto oscuro è stato molto imprudente, anche se capisco benissimo i motivi per cui lo hai fatto. Hai messo in pericolo i tuoi compagni di scuola e questo è inaccettabile da parte di chi vuole diventare un Auror.”

“Preside,” intervenne Roland, “penso di poter parlare anche per i miei fratelli. Lupin ha sbagliato, è vero, ma lo perdoniamo. Chiunque di noi avrebbe fatto lo stesso errore, chi non vuole rivedere i propri cari se non ci sono più? La prego di non togliere a Lupin la possibilità di accedere all’accademia da Auror. Credo che sia importante che i futuri Auror siano consapevoli di quanto sia facile sbagliare e quanto possa essere seducente il potere dell’Oscurità. Nessuno di noi è esente da errori e dobbiamo riconoscerlo se vogliamo superare ciò che ci ha portato a due guerre magiche.”

“È molto nobile da parte sua, signor Lestrange, ma temo che saranno i suoi genitori a doversi pronunciare.”

“Siamo d’accordo con nostro figlio,” disse suo padre mettendogli una mano sulla spalla. “Il ragazzo ha sbagliato ed è consapevole dei suoi errori, ma non è il caso che le sue ambizioni vengano frustrate. Per fortuna non è successo nulla di grave e i ragazzi sono riusciti a capire cosa stesse succedendo.” La mamma annuì accanto a lui.

“Lo apprezzo molto,” disse la nonna di Lupin.

“Figurati, Andromeda, sappiamo con quanta forza l’oscurità esercita il suo fascino,” disse la mamma. Roddie si strinse alla mamma e Roland vide che aveva gli occhi lucidi.

“Grazie, Alexandra, dopo aver liberato Grimmauld Place, hai salvato la carriera del mio figlioccio,” disse Harry Potter.

“I ragazzi non c’entrano niente. Le guerre hanno lasciato ferite a ognuno di noi, è ora di andare avanti. Nessuno vuole il ritorno di quei tempi.”

“Allora, se ci siamo chiariti,” disse la Preside, “Lupin, sarai in punizione fino alla fine dell’anno. Aiuterai il professor Longbottom nelle serre, niente Hogsmeade e niente Quidditch. E ora, se non vi dispiace, temo che dovremo raggiungere gli altri studenti per il banchetto di Halloween. Naturalmente, se volete trattenervi sarete i benvenuti.”

Roland si disse che Hogwarts dovesse essere un posto speciale se nessuno dei genitori si sentì di rifiutare un simile invito. Si diressero verso la Sala Grande e presero posto in fondo, vicino la porta per festeggiare il compleanno di Rabastan con il banchetto.

“Perché il professor Pucey ha detto che siete stati molto bravi?” gli domandò il papà.

Roland sorrise e spiegò: “Perché siamo stati in grado di trovare la fonte della magia oscura. Non è semplice perché le mura della scuola portano ancora gli effetti delle maledizioni lanciate durante la battaglia di Hogwarts, ma soprattutto perché Roddie ha avuto l’idea geniale di inglobare in una bolla protettiva la pietra mentre aspettavamo l’arrivo della Preside. Avevamo paura che qualche fantasma con pessime intenzioni uscisse fuori.”

“E così avete conosciuto Barty e Bellatrix,” esclamò la mamma guardandoli.

“Sì, non capiamo come fai a confondere Orion con Barty, mamma,” protestò Roddie, “Orion è molto più bello e ti assomiglia! Lui era così… antipatico!”

La mamma e il papà scoppiarono a ridere e Roland vide il modo in cui il papà prese la mano della mamma tra le sue, sotto il tavolo, e le posò un bacio sulla fronte. La mamma disse: “Hai visto che avevo ragione, Roland? Sapevo che eri pronto ad affrontare qualsiasi cosa fosse capitata a Hogwarts.”

“Siamo molto orgogliosi di voi,” disse il papà.

“Sì, tutto bello, ma adesso parliamo del mio compleanno! Dove sono i miei regali?” esclamò Rabastan che si era visto sottrarre ogni festeggiamento a causa dei fantasmi.

“Ti arriveranno domani via gufo,” disse la mamma, “Oggi c’era un tempaccio e i gufi sono partiti in ritardo, ma ho una cosa per te…” allungò un pacchetto incartato e gli disse: “Te lo manda zio Rabastan.”

Lo sguardo di Rab si illuminò e un sorriso comparve sul volto: “È quello che penso io?” domandò.

“Aprilo e lo scoprirai,” disse il papà con un sorriso divertito. Roland era certo che i suoi genitori sapessero cosa contenesse quel pacchetto e volessero far morire di curiosità tutti loro. Roddie, nel frattempo, si era abbracciato la mamma che gli posava un bacio sulla fronte mentre osservava Rabastan aprire il pacchetto.

“Il nuovo libro di Raymond Laurent! Ma come ha fatto a trovarlo? Il Ghirigoro lo avrà solo per Natale!”

“Beh, sai che in Francia i romanzi di Laurent escono prima. Questa è l’edizione francese del prossimo romanzo.”

“Per Salazar! Devo ringraziare lo zio! Domani mattina gli spedisco un biglietto! È un regalo fantastico!”

“Vedi, non competeremo mai con i regali di Rabastan…” disse il papà alla mamma. La mamma però sorrideva: “Rabastan sa quali corde toccare nell’animo del suo omonimo.”

“Venite in sala comune per i riti di Samhain?” domandò Roddie. La mamma e il papà si guardarono e annuirono. Fu strano, e bello, accendere le candele con loro e il professor Pucey, mentre Lucile recitava le formule antiche e tutta la Casa di Serpeverde era riunita.

“Speriamo di non essere più convocati, ragazzi,” disse la mamma, “se tutto va bene, ci vedremo a Natale per il matrimonio di Orion.”

Roland annuì, salutarono i genitori e li videro sparire tra le fiamme del camino della preside insieme agli altri genitori.

“Grazie, Lestrange,” gli disse Teddy Lupin, mentre scendevano verso i sotterranei.

“Non crederai che siamo diventati amici?” domandò Roland sarcastico.

“No, un giorno ti sbatterò ad Azkaban,” gli disse Lupin.

Roland scoppiò a ridere e rispose: “Chi lo sa, Lupin, magari sarai tu a diventare un Mangiamorte. Sei già pronto a farti corrompere dal fascino dell’Oscurità!”

Non c’era rancore, solo la conferma di un’enorme, abissale, distanza tra loro due.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Ciao a tutti!

Siamo giunti alla risoluzione di questo mistero. Grazie all’intraprendenza di Molly che ha fatto il primo passo, di Rabastan che ha dialogato con lei e poi vicendevolmente si sono aiutati fino a raggiungere la soluzione. Qualcuno aveva ipotizzato l’uso della Pietra della Resurrezione, ma ovviamente non potevo né confermare né smentire.

Questo spiega perché Teddy fosse continuamente arrabbiato con i Lestrange, perché continuava in qualche modo a rivivere la morte dei genitori e più parlava con loro della guerra più si riempiva di odio, che ho immaginato anche essere uno degli effetti del dono della Morte. Sappiamo che il fratello che la riceve si toglie la vita per la disperazione di non poter riavere l’amata e ho immaginato che nel caso di Teddy la disperazione lo portasse a covare rancore.

Spero che la soluzione del mistero non vi abbia deluso. Il prossimo capitolo è l’epilogo ed è ambientato a Natale (quindi sì, vedremo anche il matrimonio di Orion) e andremo alla Tana e trarremo un po’ le somme di questa avventura nella New Generation.

Io, intanto, vi ringrazio per il calore e l’entusiasmo con cui avete accolto questi personaggi. So che molti non sono “i big” della New Generation (a parte Teddy) e vi siete affezionati anche ai fratelli Lestrange e i Serpeverde e questa cosa mi riempie di gioia.

Tanti auguri di buone feste, ci vediamo la prossima settimana con l’epilogo.

Un abbraccio,

Sev

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

 

 

La Tana, Ottery St. Catchpole, 25 dicembre 2015

 

“Buon Natale!”

Nonna Molly e nonno Arthur accoglievano figli, generi, nuore e nipoti uno dopo l’altro. La nonna, in particolare, riservava a ciascuno di loro un abbraccio stritolante che sapeva di calore e Natale.

James era entrato insieme ad Albus e Lily e si era lasciato abbracciare dalla nonna, felicissimo di rivederla.

“Nonna, così mi fai male!” protestò Albus mentre cercava di divincolarsi. James sorrise. Dopo i fatti di ottobre, che avevano procurato una lunghissima punizione a Teddy, James aveva iniziato a contare i giorni per il Natale. Hogwarts gli piaceva tantissimo e in quel momento persino Andrew gli mancava, ma aveva sentito il bisogno di avere accanto a sé i suoi fratelli e i suoi genitori.

Non riusciva nemmeno a immaginare quanto si dovesse sentire triste Teddy ogni Natale, pensando ai suoi genitori che non c’erano più. Alzò lo sguardo verso suo padre e lo vide prendere sulle spalle Lily. Era il Prescelto, colui che avrebbe dovuto morire per mano di quel pazzo di Tu-Sai-Chi, no, Voldemort, suo padre ci teneva ancora moltissimo che lo si chiamasse per nome, anche se zio Ron e i nonni trasalivano un po’ nel sentire quel nome.

“Buon Natale, James,” gli sussurrò Teddy stringendolo a sé. “Togli quello sguardo triste, è Natale.”

“Stavo pensando…” provò a dire.

“Lo so a cosa stavi pensando, ma non ha senso, me l’ha detto la mamma, ricordi? Dobbiamo guardare avanti e vivere in pieno il mondo che ci hanno lasciato.” Teddy gli sorrideva e sembrava che quei mesi di punizione gli fossero serviti ad accettare la sua condizione. James si strinse a lui e gli disse: “Ti voglio bene, Teddy.”

“Anch’io, James!”

“Ehi, voi due! Devo per caso ingelosirmi?” La voce di Victoire li richiamò al presente. Teddy si sporse verso di lei per darle un bacio e James notò il modo in cui Teddy avesse controllato che Bill non guardasse. Zio Charlie, invece, aveva fatto un occhiolino complice mentre beveva una tazza di zabaione corretto con il liquore di zio Ron.

Intorno al camino, zia Hermione e zio Percy avevano trascinato il papà e il nonno in una conversazione su qualcosa riguardante il Ministero della Magia. Da quando zia Hermione era diventata il capo dell’Ufficio Applicazione Legge Magica non si faceva che parlare di cosa avrebbe dovuto fare il Ministero per modernizzare il mondo magico.

“Hermione, non puoi buttare all’aria secoli di tradizioni magiche,” gli obiettava zio Percy. Secondo papà, lo zio non era contrario alle idee di Hermione, era solo spaventato dalla mole di leggi e procedure che avrebbe dovuto riorganizzare. Sembrava che ogni volta che si toccasse una regola, ne saltassero sempre di più antiche e peggiori, pronte a tornare in vigore.

“Certo che posso, anzi, devo, se sono il preludio della barbarie! A quest’ora avremmo gli elfi domestici ancora in schiavitù! Dobby sarebbe contento di vedere i suoi simili così liberi. Prima o poi, riuscirò a dar loro la libertà che meritano!”

“James!” la voce di Louis lo distrasse da quella noiosa discussione. Si ritrovarono dopo ben tre giorni in cui non si erano visti e sentiti. Era strano dopo tre mesi in cui avevano condiviso il dormitorio di Grifondoro e, durante il mese di ottobre, persino il letto quando James aveva accettato di farlo dormire con lui dopo l’incontro con il fantasma di Greyback.

“Andiamo a giocare a Sparaschiocco con Albus e Lily! Ci sono anche Rose e Hugo di là. Sembra che Fred voglia convincere Hugo a liberare la Trombetta Starnazzante che ha modificato appositamente per Natale,” esclamò James facendo l’occhiolino al cugino.

“Cosa dovrebbe fare?”

“Secondo i piani di Fred dovrebbe inseguire zia Fleur cantando la canzone preferita di nonna Molly, quella Celestina Warbeck, su un calderone pieno di amore, una cosa del genere.”

Louis si tappò la bocca per nascondere le risate

“Spero proprio che lo faccia! La mamma odia le canzoni di Celestina. Ogni anno, prima di venire dai nonni, dice a papà che spera che la nonna si dimentichi di quell’orrore e quando torniamo a casa si lamenta dicendo che ogni anno quell’esibizione peggiora!”

James si tappò la bocca per evitare di scoppiare a ridere. In quel momento, il pensiero di zia Fleur inseguita da una Trombetta che cantava le canzoni di Celestina era diventata la prospettiva più allettante di quel Natale con i cugini. Sgaiattolarono al piano di sopra, stando attenti a non salire sulle assi scricchiolanti e raggiunsero i cugini.

Fred guardava Hugo porgendogli la Trombetta: “Lo devi fare tu che sei il più piccolo. Solo tu puoi arrivare vicino zia Fleur senza destare sospetti.”

“No, la mamma se ne accorgerebbe subito e non voglio finire in punizione!” esclamò Hugo. James si disse che probabilmente suo cugino avesse ragione. A zia Hermione non sfuggiva assolutamente nulla. Persino quando era impegnata ad aiutare nonna Molly in cucina riusciva a controllare che Rose non si allontanasse o Hugo salisse sulle sedie in modo non appropriato.

“Dove deve essere messa?” domandò Louis.

“Il più possibile vicino a zia Fleur. Vicino l’albero di Natale sarebbe perfetto,” disse Fred.

Louis lanciò a James quello che Harry avrebbe definito lo sguardo Malandrino. “Vieni in missione con me?” Non se lo fece ripetere due volte. Louis gli disse: “Coprimi. Cammina avanti a me e parliamo dell’albero di Natale.”

Arrivarono in soggiorno. Louis nascondeva la Trombetta Starnazzante di Fred sotto il maglione. James era davanti per impedire che gli adulti vedessero il rigonfiamento. Dovevano parlare dell’albero di Natale. “Vieni, Louis, ti faccio vedere le palline che ho decorato per la nonna quando ero piccolo,” disse fingendo indifferenza. Arrivarono all’albero e iniziarono a cercare le palline. James sapeva perfettamente dove fosse la prima pallina, ma se l’avesse notata subito non avrebbero avuto l’occasione di piegarsi e guardare sui rami più bassi dell’albero.

“Non la trovo…” mormorò tra sé e sé per dare maggiore credibilità alla sua recita.

“È inutile che vi avvicinate in quel modo ai regali, signorini!” esclamò zia Hermione, “Li troverete domattina come tutti i vostri cugini sotto l’albero.”

Pensavano di essere stati scoperti. James e Louis videro Fred dalla cima delle scale far segno che la posizione era perfetta. Così Louis si abbassò e lasciò la Trombetta vicino i regali, nascosta dietro un grosso pacco per Lily.

“Ci hai scoperti, zia!” ammisero fingendo di essere stati colti in flagranza. Si allontanarono rapidamente dall’albero.

“Raggiungete i vostri cugini!” disse zia Hermione.

“Sì, zia!” esclamarono in coro con il tono da bambini innocenti. La mamma li osservava con gli occhi socchiusi e l’aria sospettosa. James si disse che erano appena finiti nei guai. In realtà, Fred fu bravissimo ad attendere che loro due si allontanassero e che gli adulti riprendessero a parlare con le solite chiacchiere del Ministero della Magia.

“Fate finta di giocare,” disse sottovoce Fred ai cuginetti.

Albus si lamentò: “Lily però non puoi vincere sempre tu a Sparaschiocco! Fammi giocare con Hugo!”

“No, Albus, Lily è più brava di te,” disse Rose.

Fred fece loro l’occhiolino e poi agitò la bacchetta e la Trombetta Starnazzante entrò in funzione.

“Santo scielo!” esclamò zia Fleur, “Cos’è questo strassio? Mais c’est torment n’est pas plus tard?” domandava a zio Bill mentre la Trombetta la seguiva. Dalle scale, una serie di teste più o meno rosse osservava la scena ridacchiando.

La mamma e zio George si scambiarono un’occhiata complice e scoppiarono a ridere, mentre Fleur si spostava da una stanza all’altra inseguita da quella Trombetta che suonava a tutto volume la canzone di Celestina Warbeck.”

“Vieni, mescola il mio calderone e, se con passione ti riuscirà, il mio forte amor bollente questa notte ti scalderà.”

La nonna si era ravvivata nell’ascoltare quella canzone. Guardò il nonno e lo abbracciò mentre cantava quella canzone.

“Santo scielo!” esclamava zia Fleur, “C’est un incubo!”

I cugini ridevano. Teddy li osservò e poi disse: “Lo scherzo è bello quando dura poco! Accio Trombetta!”

“No!” gridò zio George.

Teddy venne colpito da una decina di Trombette Starnazzanti che erano nascoste nei più disparati angoli della Tana. James osservò il modo in cui Teddy evocò un incantesimo Scudo per ripararsi da quella pioggia di Trombette che avevano iniziato a fare un baccano incredibile.

Roxanne, Fred e Louis avevano le lacrime agli occhi e osservavano la scena dalle scale, mentre la nonna, papà, mamma e gli altri adulti cercavano di aiutare il povero Teddy.

“Arresto Trombette!” esclamò zio George e la pace tornò nel salotto della Tana. “Chi di voi due ha avuto l’idea di questo scherzo?” domandò zia Angelina guardando Roxanne e Fred con un’espressione che faceva paura. “Ora chiedete scusa a zia Fleur e a Teddy. Immediatamente!”

James e Louis si accodarono a Roxanne e Fred suscitando gli sguardi carichi di indignazione e sorpresa di tutti i presenti: “Ci dispiace zia Fleur! Scusa Teddy…” mormorano in coro.

Zio George si avvicinò a Fred e gli disse: “Sei stato tu a modificare la Trombetta, vero? È geniale, ma non dirlo alla mamma. Ci lavoreremo su e poi potremo metterla in commercio, è uno scherzo interessante! Segue la sua vittima, vero?”

Fred annuì e sentirono zio George dire: “Adesso raggiungo la mamma prima che metta in punizione anche me.”

James stava ridacchiando quando incrociò lo sguardo severo di sua madre. “Io non riderei se fossi in te… Sei in punizione!”

“Ma mamma!” protestò, “papà!” provò a mediare. Suo padre lo guardò e gli disse: “Hai idea del macello che hai fatto? La mamma ha ragione, andrai a dormire subito dopo cena per tutto il resto delle vacanze.”

James alzò gli occhi al cielo sospirando sconfitto. Si disse, però, che ne era valsa la pena e che lui e Louis avrebbero raccontato tutto ad Andrew non appena si sarebbero rivisti a Hogwarts.

 

***

 

“Ehi, come stai?”

Victoire lo raggiunse dopo che era uscito in giardino. Aveva bisogno di prendere aria e sentire un po’ di silenzio intorno a sé, specie dopo essere stato attaccato da un esercito di Trombette Starnazzanti. Teddy si spostò e fece spazio a Victoire che gli passò una tazza di tè caldo mentre sedeva al suo fianco.

“Sono sopravvissuto al mio primo agguato. Credo di avere la stoffa per diventare Auror. Zio Harry si è complimentato per i riflessi,” le disse allungando il braccio su di lei. Si scambiarono un sorriso e sentì la testa di Victoire appoggiarsi contro la sua spalla.

“Se ti confesso una cosa prometti che non ti arrabbierai e che non mi prenderai in giro?” domandò Victoire guardandolo con i suoi bellissimi occhi azzurri. Teddy alzò una mano, mentre l’altra che reggeva la tazza di tè finì vicino il cuore, disse con tono solenne: “Giuro solennemente…”

“No, non vale quel giuramento!” esclamò Victoire scoppiando a ridere. Teddy si chinò su di lei e le posò un bacio: “Puoi dirmi tutto quello che vuoi, non mi arrabbio.”

“Dopo quello che è successo a scuola ho pensato che potrebbe interessarmi diventare un Auror.”

“Sul serio?” esclamò Teddy alzando le sopracciglia. “Dovevo iniziare a praticare le Arti Oscure per convincerti?” le domandò sarcastico.

Victoire lo colpì scherzosamente sulla spalla: “Ti avevo chiesto di non prendermi in giro!”

“E io ti ho promesso solo che non mi sarei arrabbiato,” le disse ridacchiando, “dovresti prestare attenzione ai giuramenti!” Sentì Victoire sbuffare. “Sono felice che tu abbia cambiato idea. Sarà bello fare l’accademia insieme,” le disse posandole un altro bacio. Teddy non poteva ricevere notizia più bella. Era uscito da quell’esperienza assurda grazie a Victoire e al modo in cui aveva saputo controllare la bestia in lui, riportarlo con i piedi per terra e farlo andare avanti.

“Ho capito quanto sia un lavoro importante. Quello che è successo a scuola, l’orrore che è emerso… Insomma, non possiamo permettere che qualcuno ritrascini il mondo magico lì. Mi ha insegnato ad andare oltre i miei pregiudizi e mi ha fatto capire quanto sia facile sbagliare…”

“Non dirlo a me,” borbottò Teddy, “Adesso sono pure in debito con Lestrange…” Il solo pensiero di non essere stato espulso o avere la carriera scolastica segnata grazie al “buon cuore” di Roland Lestrange lo innervosiva parecchio. Tuttavia, era stato lui a sbagliare, ne era consapevole, ed era un bene che quella lezione gli fosse giunta mentre era uno studente di Hogwarts e non un Auror del Ministero della Magia.

“Non sei in debito. Era normale pensare a loro che non hanno mai fatto mistero di studiare le Arti Oscure.” Victoire lo difendeva e lo sosteneva sempre, era incredibile la forza e la grinta che era in grado di tirare fuori per difendere i suoi cari. Teddy sospirò: “Sì, ma non erano loro a praticarle. Era quella stupida pietra che io pensavo servisse solo per farmi vedere i miei genitori.”

“Questo dimostra solo quanto siano insidiose le Arti Oscure. Pensa come sarà importante, da Auror, capire chi è veramente un mago oscuro e chi invece è vittima. Secondo me tu sei stato vittima di un oggetto troppo potente e troppo misterioso.”

“Sono stato superficiale e avventato. Per tutto il mese di ottobre in cui ho avuto quella pietra tra le mani e non ho mai pensato che potesse essere un oggetto oscuro. L’unica a capire come mi senta è zia Ginny.”

“Per lo meno quella pietra non ha tentato di ucciderti,” mormorò Victoire stringendosi a lui e prendendogli una mano. “Voglio starti vicina e combattere al tuo fianco, Teddy.”

Teddy inspirò profondamente il profumo dei capelli di Victoire e annuì. “Sono felice di saperti al mio fianco, nonostante tutto.”

Le ombre del passato sembravano diradarsi e se i Lestrange dicevano di aver voltato pagina, Teddy sapeva che qualcun altro sarebbe caduto vittima del fascino delle Arti Oscure. Era incredibile il potere che promettevano e ciò che rendevano possibile. Il tempo avrebbe reso la memoria della guerra meno vivida e altri maghi ne avrebbero sentito il fascino e sarebbero stati tentati da quelle promesse.

 

***

 

“Il Natale dai tuoi nonni è sempre così caotico?”

Molly alzò lo sguardo verso Henry e sorrise annuendo. “Non è sempre così caotico, ma se sopravvivi a un Natale del genere, sei sulla buona strada per entrare in famiglia.”

“Ah non so, credo che tuo padre mi odi.” Henry la guardava con i suoi occhi chiari e le sorrideva. La luce delle candele illuminava i riflessi biondi dei suoi capelli e la barba che aveva iniziato a far crescere. Le pose un braccio intorno alle spalle e l’attirò a sé. “Mi sei mancata, lo sai?”

“Anche tu,” gli confessò. “Mancano altri due trimestri e poi ci vedremo tutti i giorni.”

“Mi sembra un’eternità,” le soffiò sulle labbra mentre Molly si voltava e rispondeva al bacio. Sentì le braccia di Henry stringerla e i loro corpi avvicinarsi sempre di più.

“Molly siamo di là per il dolce!”

La voce di sua sorella Lucy, oltre la porta, li costrinse a scendere con i piedi per terra. Si ricomposero, anche se era difficile, ed Henry la guardava in quel modo che le faceva fare le capriole nello stomaco e venire gli occhi lucidi e il sorriso da idiota, come Lucy aveva cura di sottolineare ogni volta.

Scesero in sala e videro Vic e Teddy con la loro stessa espressione, come se avessero preferito continuare a stare insieme.

“Vorrei fare un brindisi,” disse Teddy prendendo un calice di vino elfico.

Molly notò il modo in cui sorrise alla nonna Andromeda e a quella che si era abituato a chiamare nonna Molly, come se Remus, il papà di Teddy, fosse uno dei tanti figli adottivi di Molly e Arthur, al pari di zio Harry e zia Hermione.

“Ai legami che ci aiutano ad affrontare il presente e ci preparano per il futuro. Alla memoria che ci insegna a onorare il passato, senza restarne ancorati, e all’amore, di tutti i tipi, che ci aiuta a sopravvivere alle difficoltà e a perdonare gli errori.”

Zio Harry annuì orgoglioso, così fece anche suo papà. Molly notò il modo in cui sua mamma aveva accarezzato la schiena del papà quando Teddy aveva menzionato l’amore che insegna a perdonare gli errori.

Aveva capito che zio Fred e nonna Molly avevano perdonato suo papà, che lei non aveva colpe, e persino zio George, che si commoveva sempre quando si parlava della memoria, aveva perdonato suo papà, dopo che Roxanne gli aveva raccontato nel dettaglio il loro incontro con il fantasma di zio Fred. Avevano pianto, entrambi i fratelli, e si erano abbracciati nel ricordare i giorni tristi dopo la battaglia di Hogwarts, ma poi guardando la foto di zio Fred si erano detti che lui avrebbe voluto vederli sorridere e andare d’accordo. Così, i loro rapporti si erano distesi ed era il primo Natale in cui lo spirito natalizio permeava la Tana come pochi anni prima di allora era accaduto. Persino lo scherzo di Fred non aveva incupito più di tanto i loro genitori. Era come se una cappa oscura si fosse finalmente sollevata dalla loro numerosa e caotica famiglia.

 

***

 

Castello Lestrange, Cornovaglia, 25 dicembre, 2015

 

“Sei emozionato?”

Roland entrò nella stanza di Orion che stava finendo di prepararsi. Lo vide aggiustarsi i capelli color paglia e controllare le pieghe della sua veste tradizionale da mago con la stessa meticolosità che aveva visto nella mamma.

“Molto,” gli confessò. “Sono anche un po’ preoccupato, ma ho deciso di non farmi condizionare dal passato.”

“Parli della profezia di mamma?” domandò sedendosi sul letto e osservando il fratello allo specchio. Orion scosse la testa. “È qui che i miei genitori si sono sposati, un mese prima della caduta dell’Oscuro Signore. Rod aveva fatto da testimone di nozze a mio papà.”

“Beh oramai è troppo vecchio perché possa sposare anche Sybil dopo la mamma,” scherzò. Loro due avevano sempre scherzato su tutto, anche sui legami dei loro genitori. Soprattutto da quando la mamma aveva dato loro le copie delle sue memorie e loro le avevano lette avidamente per capire cosa fosse accaduto durante la guerra e quanto fosse complicato il mondo in cui erano cresciuti i loro genitori.

Orion scoppiò a ridere: “Non è questo che mi preoccupa!” Si voltò verso di lui e sospirò: “Ho paura che tra qualche tempo possa cambiare tutto, come è successo alla mamma dopo il matrimonio in questo castello.”

Roland alzò un sopracciglio: “Come avrai notato, noi siamo stati molto attenti a non praticare le Arti Oscure, soprattutto a scuola… Nessuno di noi finirà ad Azkaban. L’Oscuro Signore è tornato nel mondo di morti.”

“Sì, ma sai che Delphi proverà in tutti i modi a realizzare la profezia.”

“Lo so, ma la mamma dice che il modo migliore per realizzare una profezia è quello di impedirne il verificarsi” pronunciarono la frase della mamma insieme e scoppiarono a ridere. “Credo che la mamma e il papà pensino che non ostacolando Delphi, lei fallirà e la profezia non si realizzerà.”

Orion sospirò: “Speriamo.”

“Sai che Lord Voldemort sapeva della profezia? Non l’abbiamo detto a mamma e papà perché erano troppo agitati, ma Rabastan ha detto che ha visto Delphi parlare con suo padre e lui le ha detto di tornare indietro nel tempo e di farli tornare.”

“Quindi cercherà di realizzare la profezia.”

“Sì, e se la teoria della mamma è vera, allora fallirà in quel tentativo.”

“Speriamo.”

La porta della stanza si aprì facendo sussultare entrambi. Roddie si affacciò e li avvisò che era ora di andare. “Non ci pensare, oggi, Orion, goditi la festa e Sybil,” gli disse Roland abbracciando il fratello, “vi auguro tanta felicità.”

Orion lo strinse a sé e gli sussurrò nell’orecchio: “So già che tu sarai il prossimo.” Roland si sentì avvampare a quelle parole e cercò di dissimulare l’imbarazzo seguendo il fratello mentre si avviava al piano di sotto, nel salone delle feste, vicino il camino dove un tempo la mamma aveva sposato Barty Crouch Jr.

La mamma aveva raccontato che lei e Barty avevano finito Hogwarts da pochi mesi quando si erano sposati. Erano stanchi di non potersi vedere dopo sette anni trascorsi sempre insieme. Le loro famiglie non volevano che andassero a vivere insieme prima del matrimonio e così avevano trovato un piccolo appartamento e il giorno stesso si erano sposati. Erano stati proprio il papà, zio Rabastan e Bellatrix a organizzare tutto e Lord Voldemort in persona aveva pronunciato gli incantesimi necessari per l’unione magica.

A Roland sembrava assurdo che una strega crudele come Bellatrix potesse essere stata un’amica della mamma ed essersi addirittura sposata con suo papà. C’erano dei momenti in cui faticava a credere che suo papà, così calmo, silenzioso e attento alle regole, un tempo fosse stato un Mangiamorte. Lo stesso pensiero era ancora più incredibile se pensava a sua madre.

Ripensò a quello che aveva detto la preside McGranitt alla mamma: mentre la mamma aspettava Orion, Barty aveva fatto rivivere al professor Longbottom la tortura che anni prima aveva inflitto ai genitori. Roland sapeva che quella tortura era stata eseguita non solo da Barty, ma anche da suo papà, da zio Rabastan e Bellatrix. Non riusciva a immaginare che lui, Orion, Roddie e Rab facessero qualcosa del genere. Avevano imparato a usare le Arti Oscure e sapevano persino evocare le maledizioni senza perdono, ma non si sarebbero mai sognati di usarle o di mostrarle a una classe di studenti dell’età di Roddie.

Roland aveva capito perché i suoi genitori non parlavano mai volentieri dei tempi della guerra e perché certi nomi erano in grado di spegnere i loro sguardi, o perché, sotto sotto, erano terrorizzati dall’idea di tornare indietro nel tempo ed essere costretti a rivivere quei giorni. Una parte di lui avrebbe voluto conoscere a fondo il passato dei suoi genitori, ma un’altra parte di sé era contenta di aver avuto un’infanzia serena.

Arrivò nel salone e salutò un po’ di invitati. C’erano gli amici di Orion, alcuni colleghi del Ministero della Magia, c’era Hawk e persino Lucile insieme ai suoi genitori. Si salutarono e lei gli fece gli auguri per Orion. Andò a sedersi in prima fila, accanto a Roddie e Rab.

La mamma e il papà erano in piedi accanto ad Orion e cercavano di smorzare la sua ansia che cresceva di minuto in minuto in attesa dell’arrivo di Sybil. Quando partirono i canti che annunciavano l’arrivo della sposa, la mamma tornò al posto, mentre il papà rimase nel posto riservato ai testimoni, insieme al fratello di Sybil. Si scambiò uno sguardo con Orion e gli sorrise incoraggiante.

La cerimonia fu intensa. Lucien Dolohov, il papà di Lucile, celebrava i riti e fu lui a pronunciare le formule magiche che unirono Orion e Sybil. Roland sentì un tuffo allo stomaco a vedere l’emozione dei due sposi. Si voltò indietro e incontrò lo sguardo di Lucile, sentì le guance avvampare, mentre pensava che dopo la cerimonia sarebbero stati seduti vicini e avrebbero trascorso la serata insieme. Le parole di Orion gli tornarono in mente e sospirò pensando che non gli sarebbe affatto dispiaciuto essere il prossimo, una volta finita Hogwarts e capito che direzione avrebbe preso la sua vita. Sperava solo che Lucile sarebbe stata al suo fianco.

 

***

 

Rabastan era rimasto composto per tutta la cerimonia. Non aveva nemmeno preso in giro Roland quando era diventato rosso come un peperone per aver visto Lucile e aveva sopportato stoicamente le osservazioni di Roddie su quanto fosse stata impeccabile la mamma nell’organizzare il ricevimento.

Aveva cenato al tavolo con i suoi cugini francesi, Philomène e Cyrille, Roddie e i fratelli Yaxley, Corban e Alexandra. Philo aveva raccontato a tutti i presenti di quanto fosse meravigliosa Beauxbatons, delle uniformi blu leggerissime, dell’aria calda e piacevole che spirava tra le mura del castello e delle delizie della cucina francese.

“C’è un coro di ninfe che canta durante i pasti!” aveva esclamato meravigliata, “e all’ingresso c’è una fontana che aumenta la bellezza e la grazia di chi beve dalle sue acque.”

Rabastan notò che Corban sembrava molto interessato al racconto di Philo, non smetteva di sorriderle e di dirle che sembrava tutto incantevole e che gli sarebbe piaciuto visitare quella scuola. Cyrille aveva alzato gli occhi al cielo e aveva proposto di andare a giocare.

“Non possiamo alzarci da tavola prima che sia finito il pasto, Cyrille,” lo aveva rimproverato Roddie. Cyrille, tuttavia, aveva scrollato le spalle e gli aveva risposto: “Vallo a dire a mio papà che è là a scherzare con i suoi amici. Io mi alzo.”

Rabastan lo aveva seguito e anche Corban e Philomène si erano alzati ed erano andati in una saletta in cui potevano giocare a Sparaschiocco o con i modellini dei giocatori di Quidditch.

“Alex, vieni?” aveva domandato Corban alla sorella. Alexandra aveva annuito e li aveva raggiunti iniziando una partita a Scacchi Magici con Philomène. Rabastan si voltò a guardare Roddie che resisteva impettito da solo a tavola, vide la mamma avvicinarsi al fratello e dirgli qualcosa. Sicuramente gli stava dicendo che poteva raggiungere gli altri a giocare, perché poco dopo Roddie arrivò nella stanza e osservò la partita a Sparaschiocco che era iniziata senza di lui. Vennero richiamati per il dolce e Rabastan apprezzò moltissimo la torta, nonostante Philomène continuasse a sottolineare quanto la pasticceria francese fosse deliziosa. La torta era stata scelta da Sybil, a quanto ne sapeva Rabastan che si era totalmente disinteressato di quei dettagli. Finiti i dolci, vide la mamma, il papà, Roland e Orion chiacchierare in un angolo e decise di raggiungerli.

“Eccoti!” esclamò la mamma, “ti stai divertendo? Roddie sta facendo il bravo?”

Roland diede una gomitata alla mamma: “Guardalo, mamma, sta parlando con una ragazza!”

“È tutta la sera che parlano,” disse Rabastan.

“Non ci posso credere, ma è…”

“Alexandra Yaxley,” disse Rabastan ridacchiando, “è una mia compagna di classe. Aspetta che lo sappia Corban!” Rabastan sentì il braccio della mamma afferrarlo per la spalla e attirarlo a sé in un abbraccio, la stessa cosa fece con Roland mentre continuavano ad osservare Roddie che parlava al tavolo con Alexandra.

“Ascoltatemi molto bene,” esordì la mamma, “non voglio cantare vittoria prima del tempo, ma se qualcuno di voi prende in giro Roddie e lui smette di parlare con la figlia di Aldous, avrete una punizione che durerà per tutto il tempo che Roddie passerà attaccato alla mia gonna, siamo intesi?”

Roland scoppiò a ridere: “Mamma, stanno andando a ballare, guarda!”

Rabastan si coprì la bocca per non scoppiare a ridere. Ricevette un’altra occhiataccia dalla mamma che gli sussurrò nell’orecchio: “Pensa alla punizione che ti beccherai, Rab, potrebbero passare anni prima che Roddie trovi un’altra ragazza sufficientemente interessante e aggraziata per i suoi standard.”

L’idea di prendere in giro Roddie divenne improvvisamente poco allettante, di fronte la prospettiva di una punizione eterna, perché nessuna sarebbe mai stata abbastanza per suo fratello. Insomma, se Roddie voleva perdere tempo con la sorella di Corban non era un suo problema, dopo tutto. Roddie era un pesantone, lei era noiosa, forse erano fatti l’uno per l’altra.

Sybil arrivò a reclamare Orion. La mamma e il papà fecero loro gli auguri. Li stavano salutando quando arrivarono zio Rabastan e zia Pucine. “Felice Yule!” esclamò lo zio, “bellissimo matrimonio, peccato che i giovani d’oggi abbiano interrotto il rito della tenda. Sarebbe stato divertente.”

“Zio, ti ho sentito!” esclamò Orion, “la risposta è no!” Lo zio alzò le mani e ridacchiando passò una mano tra i ricci di Rabastan: “Allora, hanno fatto i bravi Phil e Cyrille?” Rabastan annuì e lo zio gli domandò: “Ti va di fare un giro?” Fece un cenno verso il terrazzo di casa. Rabastan lo seguì.

“Ho saputo dell’avventura che hai vissuto,” gli disse, “Sei stato molto coraggioso a sfidare il fantasma dell’Oscuro Signore apertamente, lo sai? È un’avventura degna di Nathair.”

“Tu conosci le avventure di Nathair?” domandò Rabastan sorpreso. Lo zio sorrise a quella domanda. Certo, se gli regalava tutti i libri forse anche lui era un appassionato lettore. Zio Rabastan si voltò verso di lui e gli rivolse uno dei suoi sguardi complici, così simili a quelli che gli rivolgeva quando era piccolo e lo portava di nascosto sull’Ippogrifo di suo padre.

“Sai mantenere un segreto?”

Rabastan annuì. Ripensò al segreto che si era portato dentro per mesi, su Delphi che aveva visto suo padre e lui le aveva detto di tornare indietro nel tempo e si convinse del fatto che sì, lui era assolutamente in grado di mantenere un segreto.

“Ti sorprenderà sapere che Raymond Laurent non è altro che lo pseudonimo di Rabastan Lestrange. Le avventure di Nathair sono ispirate a fatti accaduti durante le guerre magiche e alla storia della nostra famiglia.”

Rabastan osservò lo zio sorpreso: “È per questo motivo che riesci a farmi avere i libri in anteprima?”

Lo zio annuì: “Esattamente, sei sveglio.”

“Ma zio, Laurent è il mio scrittore preferito! Ho scritto un racconto ispirato alle gesta di Nathair, posso fartelo leggere?” Non gli sembrava vero di aver sempre conosciuto il suo scrittore preferito. In quel momento tutte le affinità che sentiva tra le avventure di Nathair e sé stesso diventavano chiare: aveva lo stesso sangue dello stregone dei draghi. Zio Rabastan gli sorrise divertito: “Molto volentieri!”

Rabastan si voltò verso la mamma e il papà che li stavano raggiungendo, domandò loro: “Voi lo sapevate?” Vide come si scambiarono degli sguardi e quando zio annuì, sorrisero annuendo a loro volta.

“Non ti avrebbero mai pubblicato con il tuo vero nome?” domandò Rabastan con una punta di preoccupazione nella voce. Perché suo zio aveva rinunciato al suo nome? Possibile che nemmeno dei libri appassionanti come quelli di Nathair, che erano amati da molti giovani maghi, sarebbero stati pubblicati solo perché scritti da un Lestrange?

“Non volevo che leggessero i romanzi con gli occhi pieni di pregiudizi,” spiegò lo zio, “Siete stati molto bravi a chiudere il capitolo della guerra e ad andare avanti, molto più di quanto siamo riusciti ad esserlo noi in questi anni, vero Rod?”

Rabastan vide suo padre annuire e dire: “Sono stati decisamente saggi. Non potrei essere più orgoglioso di loro. Sono riusciti a prendere le distanze dalla guerra senza andare contro il proprio nome e la propria famiglia. Nessuno di noi ha fatto quelle scelte a cuor leggero, ma avevamo fatto un giuramento e non tradiamo la parola data, per quanto difficili e dure siano le conseguenze.” Lo sguardo di suo padre si incupì leggermente, come ogni volta che i ricordi del passato affioravano alla memoria. La mamma accarezzò la schiena del papà e poi Rabastan sentì una carezza uguale, di quelle che la mamma gli dava quando era piccolo e il suo precettore lo lodava per lo studio.

“Vi abbiamo dato tutto il nostro amore,” gli disse la mamma, “vi abbiamo insegnato il rispetto per le vostre radici, la responsabilità del nome che portate, e insegnato la storia della nostra antichissima famiglia perché non siate manipolabili, perché nessuno vi insinui dubbi su quanto siano forti i legami che esistono tra di noi.”

Rabastan pensò ai giochetti stupidi di Delphini quando provava a mettere zizzania tra loro e si arrabbiava perché non ci riusciva. Quando erano piccoli lei riusciva a farli litigare o scoppiare a piangere, ma crescendo avevano capito che insieme potevano essere più forti di lei. Quello che era successo ad Hogwarts aveva dimostrato a Rabastan quanto fosse forte il legame con Roland e con Roddie. Nessuno dei due lo aveva escluso perché era il più piccolo e persino Roddie, che era lo strano, il pesantone che parlava con i fantasmi, alla fine aveva creato una bolla che aveva imprigionato la pietra e impedito agli spiriti dei morti di uscire prima che iniziasse Samhain.

“State crescendo e tra poco andrete per il mondo sulle vostre gambe,” continuò la mamma, “se ricordate da dove venite, saprete sempre come tornare a casa e non vi perderete.”

Rabastan pensava al suo desiderio di esplorare il mondo di vedere i draghi e incontrare un Tuono Alato nei deserti americani. Avrebbe voluto conoscere le tradizioni magiche dell’estremo oriente e visitare diverse scuole di magia, nulla che lo portasse al Wizengamot come sognavano la mamma e il papà. Trovò il coraggio per dare voce alle sue paure: “Cosa succederà se le nostre scelte non saranno all’altezza delle vostre aspettative?”

“Noi ci aspettiamo che siate felici. Qualsiasi decisione prenderete, impegnerete il nome e la storia dei Lestrange. Sarà una vostra responsabilità decidere come portare avanti il nome della famiglia. Come vedi, non sempre le scelte in linea con la tradizione si rivelano essere quelle giuste. Ci auguriamo che continuiate a custodire le tradizioni e la storia di questa antica famiglia, e sappiamo che lo farete.”

Rabastan abbracciò la mamma. Sentì la mano di zio Rabastan sulla spalla. Alzò lo sguardo verso la mamma e guardò anche il papà: “Quindi da grande potrò vedere i draghi?”

La mamma sorrise e annuì: “Oh, sì, nonno Edward sarebbe così felice di sapere che la passione per queste creature vive in te!” Rabastan non aveva mai conosciuto i suoi nonni, erano tutti morti prima della sua nascita e la mamma gli aveva raccontato che il nonno Edward e il suo migliore amico Orion erano grandi appassionati di draghi e ne avevano visti di ogni tipo. Aveva detto anche che avevano una passione per le uova di drago e le proprietà magiche del sangue di drago che poteva essere velenoso, ma utilizzato nelle giuste dosi, diventava un preziosissimo ingrediente per le pozioni.

Zia Pucine propose di rientrare dentro, visto il vento che si stava alzando dal mare. Rabastan vide lo zio chiedere alla zia di ballare, mentre la mamma e il papà guardavano Roland ballare con Lucile e Roddie che ballava ancora con Alexandra.

Rabastan abbracciò la mamma e le domandò con la voce un po’ tremante: “Ma deve proprio cambiare tutto l’anno prossimo?”

La mamma gli sorrise e disse: “No, Rab, non deve, ma potrebbe. Guarda Roddie, stamattina nessuno di noi avrebbe immaginato di vederlo danzare con una ragazza e invece è successo. Accadrà quando sarà il momento e ti sembrerà la cosa più naturale e più bella del mondo, non devi avere paura dell’amore.”

Il papà gli disse: “Potrebbero volerci anche molti anni. L’idea della mamma sul quarto anno era solo per staccare Roddie dalla sua gonna, tu sei già indipendente, hai un altro carattere. Pensa che ho iniziato a frequentare la mamma a quarantasei anni, direi che hai moltissimo tempo per pensare ai Draghi, per esplorare il mondo e magari vedere un Tuono Alato, come sogni. Potresti essere il primo Lestrange che insegna a Ilvermorny e fondare il ramo americano dei Lestrange o potresti tornare in Inghilterra, o vivere in Francia. Insomma, puoi fare quello che vuoi Rabastan. Solo abbi cura del sangue che ti scorre nelle vene.”

Rabastan annuì. “Non credo che sarà un problema. Ho parlato con dei Nati Babbani a scuola,” confessò. Non lo aveva mai raccontato a nessuno perché aveva paura delle prese in giro di Roddie o dei rimproveri di Roland. “Mi avete detto di essere gentile con tutti e l’ho fatto, ma loro hanno paura della magia, vogliono controllarla, non vogliono andare oltre quello che viene insegnato. Sono spaventati dalle nostre tradizioni e sono così distratti dal mondo babbano che ci vedono come un residuo vecchio e poco interessante, proprio come quando Nathair sente che il tempo dei maghi sta volgendo alla fine.”

“Beh non saranno tutti così,” gli disse il papà.

“No, ma il punto è che io voglio conoscere i draghi, esplorare il mondo e coltivare la magia, voglio riuscire a controllare gli elementi della natura, ripercorrere i sentieri dei grandi maghi del passato come Merlino e Salazar Serpeverde. Voglio diventare un mago forte e rispettato. Quando il professor Pucey ha bloccato la Pietra della Resurrezione ho pensato che anch’io avrei voluto conoscere quegli incantesimi così avanzati ed essere in grado di controllare ogni tipo di magia.”

Il papà gli mise un braccio intorno alle spalle e gli disse: “Vieni qua, sei proprio come me, allora! Se vuoi, nei prossimi giorni ti porto nel laboratorio e ti mostro qualche incantesimo avanzato.” Lo guardò con i suoi occhi neri e gli disse: “Saremo io e te, visto che i tuoi fratelli mi sembrano fin troppo impegnati!”

Rabastan abbracciò il papà annuendo. I momenti tra loro due erano sempre molto rari, visto che doveva dividerlo con i suoi fratelli e Roland e Orion avevano sempre delle questioni più urgenti da sottoporgli, rispetto a lui che era un bambinetto. Adesso, però, stava arrivando il suo momento di stare con il papà e non gli sembrava vero di aver trovato una simile affinità. Zio Rabastan avrebbe letto i suoi racconti e il papà lo avrebbe iniziato alla magia avanzata.

C’era un modo nuovo per poter diventare un grande mago nel mondo di oggi e non richiedeva di seguire la via del terrore imposta da Gellert Grindelwald e Lord Voldemort e Rabastan avrebbe scoperto quel sentiero e l’avrebbe percorso. Forse sarebbe diventato uno scrittore come zio Rabastan e i suoi libri sarebbero stati letti in tutto il mondo.

Sapeva solo che, abbracciato al papà sul divano di casa, Rabastan non aveva più paura del futuro, di Delphi e delle profezie. Forse, per allora, avrebbe persino scoperto come fermarla.

 

***

 

Rodolphus aveva ballato per tutta la sera con Alexandra, la sorella di Corban, e non gli sembrava vero di aver incontrato così facilmente una ragazza tanto carina quanto aggraziata. Era adorabile con i suoi boccoli castani e il sorriso gentile e le guance che si erano tinte di rosso quando lui le aveva chiesto di danzare. Aveva visto Orion ballare con Sybil ed erano rimasti al tavolo da soli, mentre Corban era con i cugini francesi e Rabastan era scomparso. Così, per evitare che scendesse un silenzio imbarazzante, per poter continuare a guardarla senza dover parlare, le aveva proposto di ballare. Alexandra aveva accettato e si erano trovati a muovere i passi sulla pista, un po’ arrugginiti dall’assenza di esercizio.

“Dicono che sei strambo,” gli aveva confessato Alexandra, “perché parli con i fantasmi, ma trovo che tu sia geniale.”

Rodolphus si era sentito in imbarazzo per quel complimento del tutto inaspettato e le fece eco: “Corban dice sempre che sei noiosa, ma mi sembri solo molto educata.”

“E non lo trovi noioso?”

“No, scherzi? Sei impeccabile ed è una cosa molto importante, anche se oggi sono in pochi ad apprezzarlo.”

“E tu lo apprezzi?” domandò con la voce che tremava un po’ per l’ansia. Rodolphus annuì, le disse: “Vieni con me, ti mostro una cosa.”

Si allontanarono dal salone delle feste e Rodolphus la condusse verso la sala dove studiava. Camminavano a passo svelto tenendosi per mano, cercando di non far rumore per non attirare le attenzioni degli elfi. Aprì la porta e si avvicinò verso la sua libreria e le mostrò uno scaffale.

“Questi sono tutti i libri di etichetta di mia mamma. Mi dice sempre che è importante conoscere le regole del gioco per sapere se chi le infrange è un estroso o un ignorante, serve anche per sottolineare il proprio potere e il proprio status nel mondo.”

“Anch’io ho uno scaffale simile con i libri di mia mamma, però non li ho letti tutti.”

“In estate la mamma ci da delle lezioni di ripasso. Se ti fa piacere ti inviterò per un tè!”

“Oh, volentieri! Mio papà parla sempre bene di tua mamma, erano compagni di scuola!” esclamò allegra e Rodolphus non riusciva a credere che potesse esistere una ragazza che adorasse prendere il tè come lui. Sorrise, sentendo qualcosa di strano che si muoveva nel suo stomaco e gli rendeva la testa leggera impedendogli di smettere di sorridere.

Abbassò lo sguardo e vide un’ombra sul pavimento proiettata dalla luce della lanterna che avevano acceso. Alzò lo sguardo verso l’alto, imitato da Alexandra, ed entrambi videro un rametto di vischio che pendeva sull’ingresso. Era una mania di sua mamma, quella di riempire il castello di rametti di vischio per buon augurio.

Si scambiarono entrambi un sorriso imbarazzato e poi Rodolphus si sporse per darle un bacio sulla guancia. Alexandra non colse bene il suo movimento e si spostò all’ultimo e le loro labbra finirono per incontrarsi. Arrossirono entrambi.

Alexandra sorrideva e Rodolphus le prese la mano e si sporse di nuovo per darle un altro bacio. Questa volta le loro labbra si incontrarono di proposito. Si scambiarono qualche bacio a stampo prima che le loro labbra si schiudessero, come spinti da un istinto sconosciuto, e il loro bacio divenne in grado di smuovere qualcosa dentro di lui. Si riscossero, spaventati da quella scoperta, consapevoli di quanto fosse inappropriato per entrambi stare in disparte e di quanto Rodolphus stesse mettendo in difficoltà Alexandra.

“Perdonami,” le disse facendole un baciamano. “Torniamo di là.”

“Vuoi fare che non è successo niente?” domandò titubante Alexandra.

“Nemmeno per idea,” le sorrise Rodolphus, “ma non ho intenzione di rovinare la tua reputazione o la mia da gentiluomo. Faremo le cose per bene, se sei d’accordo.”

Alexandra annuì e Rodolphus la trovò bellissima.

In quel momento, i fantasmi e la paura della profezia sembravano qualcosa di assolutamente remoto, persino il passato, la guerra e i suoi genitori divennero pensieri lontani. Davanti a lui c’era solo il futuro che sembrava sorridergli complice attraverso gli occhi di Alexandra. Era come se un altro pezzo fosse andato al suo posto, come se una fase della sua vita fosse alle spalle e fosse saltato fuori un nuovo Rodolphus. Si disse che era bene non avere fretta e conoscersi e crescere insieme, perché ci voleva tempo per le cose più belle e loro lo avrebbero avuto, gli tornarono in mente le parole che il Cappello Parlante aveva detto all’inizio dell’anno scolastico: sarebbero stati loro a scegliere la direzione che avrebbe preso il futuro, mentre il passato, come l’infanzia, sembrava ormai alle spalle.

 

 

Fine

 

 

 

Note:

Approfitto di questo spazio per farvi gli auguri di buona fine e buon inizio anno. Il 2020 è stato un anno così complicato che immagino che tutti noi siamo contenti di lasciarcelo alle spalle, proprio come i nostri protagonisti sono felici di lasciarsi alle spalle il passato delle guerre magiche e pensare al futuro.

Spero che questa storia vi sia piaciuta e che non abbia deluso le vostre aspettative. Grazie a tutti coloro che hanno recensito, seguito, ricordato o preferito questa storia e anche ai tanti lettori silenziosi. Mi avete accompagnato in questo primo esperimento sulla New Generation e immagino di non dover abbandonare questi personaggi e tornare a scrivere di loro in qualche altro modo. Magari dando spazio anche ai piccoletti che sono stati esclusi.

Grazie di tutto il sostegno!

Un abbraccio,

Sev

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3945399