September

di Do me a favor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Satsukibare ***
Capitolo 2: *** Hanyauku ***
Capitolo 3: *** Gigil ***
Capitolo 4: *** Dapjeongneo ***



Capitolo 1
*** Satsukibare ***


Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.

Satsukibare: giorno luminoso di Maggio che segna l’avvicinarsi dell’estate.
Se avessero detto ad Akaashi Keiji che nel giro di un mese il suo amico Bokuto avrebbe fatto un viaggio in capo al mondo si sarebbe fatto una bella risata. E probabilmente se gli avessero detto che lui lo avrebbe accompagnato nel viaggio, sarebbe morto dal ridere.
Eccome un giorno il ragazzo si presentò sotto casa sua con questa proposta.
“A Cadiz? Ma sai almeno dov’è?” Chiese scettico il moro, una spalla poggiata all’uscio di casa sua e le braccia incrociate al petto. Lanciò un’occhiata alla strada sulla quale si affacciava casa sua. Era una bella giornata: neanche una nuvola in cielo e gli alberi verdi ombreggiavano a intermittenza la strada asfaltata, creando strane figure di ombre per terra. Mancava pochissimo all’estate, ormai lo si poteva capire anche dal profumo dell’aria.
“Kuroo ha detto vicino la Francia”
Lo fissò per qualche secondo. “Stai scherzando, spero” altra pausa. “Ma poi, fammi capire, chi siamo? E perché ti è presa la voglia di partire adesso?”
“È il viaggio per festeggiare la fine del triennio del liceo”
“Ma lo hai finito un anno fa…”
Il ragazzo scoppiò a ridere, poi posò una mano sulla spalla del moro. “E pensi che io parta senza di te?”
Keiji rimase interdetto dall’affermazione, strabuzzò gli occhi, e arrossì leggermente.
Effettivamente era un anno più piccolo di lui, quindi avrebbe finito il liceo nel giro di un mese circa. Bokuto quell’anno aveva iniziato l’università. Davvero lo aveva aspettato?
“Saremo io, te, Kuroo e i più grandi del Karasuno, compresi Nishinoya e Tanaka. Ah, poi Kuroo ha insistito per invitare anche Kenma e Yaku. Anche se è un peccato che Tsukki non venga, sarebbe stato molto più divertente”
Il ragazzo si osservò le unghie, completamente mangiate. “In ogni caso, cosa ti fa pensare che io venga?”
Bokuto ebbe un’espressione scioccata, come se quello fosse stato un particolare a cui non aveva minimamente pensato, ma che avrebbe potuto rovinare tutto il viaggio.
E questo lo fece sentire stranamente felice.
“Non vuoi venire, Akaashi-kun?” E fece la stessa smorfia che faceva ogni volta che voleva convincere qualcuno a fare qualcosa. Gli occhi da cucciolo bastonato, insomma. Solo che su di lui facevano più l’effetto di gufo bastonato.
“Ci sono molti particolari che dobbiamo vedere, non è sicuramente facile organizzare un intero viaggio per una comitiva. E poi… per quanto tempo hai intenzione di stare lì?”
“Una settimana, pensavo”
Akaashi si morse il labbro inferiore. Sarebbe costato parecchio, considerate tutte le variabili. Forse però sarebbe riuscito a convincere i suoi genitori se avesse detto loro che era una vacanza per celebrare la promozione. Poi ci sarebbero stati i senpai, quindi era in mani affidabili…
Ripensò a chi fossero i senpai in questione, e decise che forse era meglio omettere quell’informazione.
 

angolo autrice:
Essendo oggi il compleanno di Bokuto, nonché il mio personaggio preferito di Haikyuu, ho pensato di "festeggiare" pubblicando il primo capitolo (anche se lo definirei più un prologo, dato che è piuttosto breve) di una fanfiction a cui stavo lavorando già da un po' e a cui tengo molto, perché è la prima long che sto scrivendo in maniera seria.
Per partecipare alla challenge delle parole quasi intraducibili, ho deciso di dare il titolo di una parola diversa per ogni capitolo, che comunque farà da sfondo alla storia.
Nonostante sia particolarmente breve come capitolo, spero di aver attirato la vostra attenzione!
detto questo, al prossimo capitolo! <3

 

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Capitolo 2
*** Hanyauku ***


Hanyauku: camminare a piedi nudi sulla sabbia calda.
Akaashi era sveglio già da molto tempo, ma non si era neanche preso la briga di aprire gli occhi. Immaginava che fosse mattina presto, ma dopo il viaggio spossante del giorno prima, proprio non riusciva ad attivarsi.
Era talmente abituato al buio pesto che regnava in camera sua, che fu quasi sorpreso nel notare una leggera luce che s’imponeva prepotentemente da dietro la fine cortina delle sue palpebre: evidentemente si erano scordati di abbassare la serranda quando erano arrivati e adesso il sole faceva capolino dalla finestra.
Cercò di coprire gli occhi chiusi col dorso della mano. Non ricordava molto di quello che era successo la notte precedente prima di andare a dormire. Erano talmente stanchi per il viaggio che non avevano nemmeno contemplato l’idea di disfare il letto, addormentandosi alla bell’e meglio sul coprilenzuolo.
Il viaggio era durato circa una giornata; inutile dire che all’intera comitiva sottoposta a fusi orari, cambi di lingua e poche ore di sonno non era sembrato vero quando avevano finalmente raggiunto l’agoniata meta delle vacanze.
Avevano prenotato in un posto che noleggiava bungalow in spiaggia, chiamato El Paraíso de Doña Jimena.
Il gruppo aveva stancamente fatto il Check-in, dove li aveva aspettati quella che probabilmente era Jimena: una signora di mezz’età con una crocchia di capelli scuri, tra cui spuntavano come margherite in un prato delle ciocche bianche.
Aveva trasmesso un’aura estremamente rasserenante: si muoveva facendo frusciare la gonna che le arrivava ai piedi, e sorrideva ai presenti senza alcuna forzatura, per il semplice piacere di farlo.
Ci avevano messo un po’ a fare tutto, perchè risultava leggermente difficile capirsi. Alla fine, la signora li aveva condotti verso le piccole abitazioni. Visto che ospitavano tra le due e tre persone, i ragazzi si erano dovuti organizzare per le suddivisioni e, stranamente, Akaashi era finito con Bokuto.
 
Sospirò rumorosamente, non poteva permettersi di tergiversare ancora, quindi decise di aprire gli occhi.
Anche se, appena si guardò intorno, ebbe come l’impressione di stare in una posizione diversa da quella in cui si era messo la sera precedente.
Provò a stiracchiarsi, e si rese conto che sotto di lui non c’era il morbido materasso, ma il pavimento duro e freddo.
Non appena realizzò, si mise a sedere fulmineamente, finendo per sbattere la testa su una superficie anomala.
Il moro alzò lo sguardo, e vide un piede.
Ci mancò poco che non cacciò un urlo spaventato e anche inorridito, ma evidentemente il forte impatto aveva comunque svegliato l’altro, perché il piede scomparì velocemente dal suo campo visivo, per poi essere sostituito dalla testa del suo amico. “Buongiorno! Perché sei per terra Akaashi?”
Sospirò, frastornato dal tono di voce assordante dell’ex capitano della squadra. “Me lo stavo chiedendo anch’io”
Si alzò da terra, e si sedette di nuovo sul letto. Debolezza numero sedici di Bokuto-san: il sonnambulismo.
Ogni tanto il suo amico gli raccontava di aver passato notti agitate e di essersi svegliato in posti completamente diversi rispetto al letto di camera sua, oppure senza addosso…
“La maglietta” disse il moro. “Dov’è la tua maglietta, Bokuto-san?”
Quest’altro si guardò il petto nudo, pallido e muscoloso, poi tornò di nuovo a guardare l’amico sorridendo. “Non lo so! Com’è curiosa la vita”
Il moro deglutì, trovando improvvisamente difficile concentrarsi quando si aveva davanti lo spettacolo degli addominali di Bokuto, e anche dei pettorali, e dei bicipiti…
Per carità, era abituato a vedere il suo amico senza maglietta negli spogliatoi della scuola, ma quella mattina era diverso. I capelli scompigliati e lo sguardo genuinamente assonnato lo rendevano estremamente attraente ai suoi occhi.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dal più grande che, alzatosi in piedi, disse. “Faccio una doccia. Poi mangiamo?”
 

 
Akaashi non era mai stato un vero amante del mare, fin da piccolo. 
Quando andava in spiaggia con la famiglia si costringeva a camminare lentamente sulla sabbia per evitare che i granelli gli schizzassero sui polpacci, sporcandoli irrimediabilmente.
Adorava molte cose del mare, per carità. Gli era sempre piaciuto fare i castelli di sabbia -dalle semplici torrette a veri e propri complessi di edilizia degni della regina d’Inghilterra- e fare il bagno nell’acqua fresca dopo una giornata afosa, però quando si sdraiava sul lettino, non poteva non provare ribrezzo alla sensazione della sabbia appiccicata ai piedi o dei capelli unti di salsedine.
Era sicuramente quel genere di persona che, per godersi una giornata estiva, preferiva stare a casa a vedere un film con qualcuno piuttosto che passarla in spiaggia, in mezzo a gruppi di turisti rumorosi che di certo non gli avrebbero permesso di riposarsi.
Quindi quando Bokuto gli aveva proposto una vacanza al mare fu come se tutti i ricordi sgradevoli che lui associava a esso gli passassero sotto forma di flash nella mente.
Era maturato però, e alla veneranda età di diciott’anni non poteva farsi sottomettere di certo dalla prospettiva che aveva lui della vacanza, anche perché ci sarebbe stato Bokuto, motivo in più per cui si sarebbe goduto in un modo o nell’altro l’esotica settimana organizzata dai senpai.
Non avrebbe mai immaginato che avrebbe trascorso le vacanze in Spagna: le spiagge bianche popolate da turisti, l’acqua cristallina del mare e le palme che ondeggiavano placidamente a ritmo del vento.
Era davvero un paradiso, pensava mentre attraversava lentamente la spiaggia a piedi nudi.
Si aspettava che gli avrebbe dato molto fastidio stare sulla sabbia, e invece realizzò con sua grande sorpresa che gli piaceva sentire i granelli leggermente tiepidi sotto la pianta del piede. Chiuse gli occhi, mentre prendeva un grande respiro, le mani allacciate dietro la schiena, quando…
“IL MAREE!” Delle urla piuttosto familiari andarono a interrompere quel suo momento di pace, e Akaashi non fece in tempo a spostarsi che due figure gli sfrecciarono accanto, ricoprendolo di sabbia.
E in quel momento il moro riconobbe come fosse curioso che in neanche venti secondi potesse cambiare opinione perché si, adesso che Bokuto e Kuroo lo avevano inconsapevolmente cosparso di sabbia, si ritrovò a dover reprimere un fortissimo istinto omicida, mentre l’antico odio che aveva provato fin da piccolo nei confronti del mare tornò a palesarsi.
Strizzò gli occhi, lisciandosi maniacalmente cosce e polpacci nella speranza di pulirsi dai granelli, quando altre due figure, che successivamente riconobbe essere Nishinoya e Tanaka, fecero lo stesso percorso dei primi due, per fargli fare una seconda volta la stessa tragica fine.
“Avete visto che bell’acqua?? Venite a farvi il bagno!” Stava urlando il più basso, mentre il resto dei senpai li stava raggiungendo.
Conoscendo le tempistiche del gruppo, ad Akaashi sembrò quasi strano vederli già tutti in spiaggia di prima mattina (che poi erano le dieci e mezza, neanche così presto), con le bermuda dei colori meno sobri che si potessero trovare. Dovette ammettere, Akaashi, che in una competizione per la bermuda più eccentrica, probabilmente si sarebbe aggiudicato la vittoria Tanaka, poiché non si era reso conto di aver messo il costume nella stessa lavatrice della biancheria rosa shocking di Saeko prima di partire, e che quindi adesso stava sfoggiando un meraviglioso pantaloncino fuxia.
Ovviamente quando il giorno dopo avrebbero fatto un giro della città, si sarebbe attivato per comprarne un paio nuovo altrimenti, citando le sue parole, “le ragazze le avrebbe viste col binocolo”.
Stavano tutti dirigendosi verso il mare, quasi tutti, Akaashi non sarebbe di certo caduto nella sua trappola, no no. Si sdraiò sul lettino per poi stiracchiarsi placidamente, una volta assicuratosi di aver scampato il pericolo di altre docce di sabbia.
Oltre a lui solo Kenma era rimasto in spiaggia, sotto all’ombrellone, con il Nintendo tra le mani e gli occhiali da sole posati sulla fronte.
“Kenma, ricordati di metterti la crema solare!” Urlò Kuroo, la testa che faceva capolino tra le onde trasparenti.
Akaashi trattenne un sorriso. 
Dal punto di vista di uno sconosciuto, quella era una semplice premura di Kuroo nei confronti dell’amico dell’infanzia, ma Akaashi sapeva benissimo che in realtà il moro aveva un’enorme cotta per lui.
Si vedeva, giorno dopo giorno, negli sguardi che gli lanciava di nascosto per assicurarsi che stesse bene, nelle piccole gentilezze che gli rivolgeva, nel modo in cui parlava di lui agli altri…
Poi certo, certe volte palesava fin troppo quello che provava per Kenma, ma nonostante ciò il biondino continuava a non accorgersene, o faceva finta di non accorgersene. 
Akaashi ebbe la prova schiacciante di questa teoria quando un giorno Bokuto aveva condiviso con lui che a Kuroo piacesse Kenma, dopo che il capitano della Nekoma glielo aveva confessato. I segreti non stavano mai al sicuro con Bokuto, questo Akaashi lo sapeva bene. Ma non perché poi lui avrebbe sparso la voce, semplicemente magari alla persona che aveva confessato sarebbe piaciuto che Bokuto mantenesse davvero il segreto, senza condividerlo con nessuno, neanche Akaashi. Anche se ovviamente Akaashi era una persona discreta e non lo avrebbe mai detto a nessun altro. 
Vide Kenma rivolgere un’occhiata fugace con la coda dell’occhio verso il gruppo in mare, per poi incassare la testa tra le spalle. “Ok” disse a voce talmente bassa che Akaashi si chiese come avesse fatto il senpai a sentirlo. Aveva come l’impressione che si sarebbe scordato di mettersi la protezione nel giro di pochi minuti, ma considerato che stava all’ombra il rischio di scottarsi era piuttosto basso.
Stava ancora osservando Kenma giocare con la console quando sentì Bokuto urlare. “Aghashee! Tu non vieni a farti il bagno?”
Si voltò verso la fonte della voce. Bokuto, immerso fino alla vita nell’acqua, stava sventolando una mano in aria per attirare l’attenzione del moro; quello che attirò veramente l’attenzione del moro però erano i capelli completamente bagnati che, finalmente arresi alla forza di gravità, si erano appiattiti verso il basso.
Col passare degli anni aveva scoperto che l’acconciatura verso l’alto del senpai non era il risultato di tante ore di lavoro e altrettanti kili di gel, bensì era completamente naturale. Era il suo bedhair
Poi certo, anche i muscoli tesi sotto la pelle bagnata aveva attirato particolarmente la sua attenzione. Akaashi sentì il suo battito accelerare sempre di più a tale visione.
Dopo aver deglutito e cercato di darsi un contegno, si limitò a dire. “Per ora resto qui, magari più tardi Bokuto-san”
 

 
“Per caso sta squillando?” Chiese Bokuto, le mani impegnate a passarsi l’asciugamano sui capelli umidi, mentre si sedeva sulla sdraio al fianco di Kuroo, che reggeva in mano un telefono.
Avevano finito di fare il bagno, e quando erano tornati avevano dichiarato l’urgenza di fare una telefonata.
Akaashi non aveva idea di chi fosse il destinatario della loro chiamata; si mise a sedere sulla sua sdraio per ascoltare meglio in caso rispondesse, ammettendo di essere un po’ curioso.
“Si! Adesso sta squillando” Kuroo fece un gridolino emozionato e allo stesso tempo diede un colpo col dorso della mano sugli addominali di Bokuto.
Si avvicinarono all’apparecchio, gli occhi strabuzzati.
Il rumore dello squillo cessò all’improvviso, e fu sostituito da una voce familiare. “Pronto?”
“TSUKKI?” Urlarono in coro i due, attirando l’attenzione del resto della comitiva, adesso anch’essa con le orecchie tese.
Akaashi si sporse da dietro le loro spalle per poter vedere, ma una volta illuminato lo schermo, non fu il viso di Tsukishima ad apparire, bensì quello di un ragazzo dai capelli marrone scuro tendente al verde, e uno sprazzo di lentiggini sugli zigomi.
“Ah, siete voi ragazzi!”
Ci fu un breve attimo di silenzio, in cui si poteva chiaramente sentire il rumore delle onde che si infrangevano a riva, poi Kuroo prese la parola. “Ya-Yamaguchi? Che ci fai col telefono di Tsukki?”
Sentirono a intermittenza una breve risata nervosa dall’altro capo, e Akaashi intravide il ragazzo grattarsi nervosamente la nuca. “Stavamo a casa sua e visto che il suo telefono squillava ho pensato di rispondere… ho fatto male?”
“No, assolutamente no!” Intervenne Bokuto, che successivamente fece per riaprire bocca, quando una voce dall’altro capo tuonò. “Yamaguchi, che stai facendo?!”
Il telefono si oscurò improvvisamente, e si sentì il rumore di un oggetto cadere per terra.
Gomen Tsukki! Stavo al telefono con Kuroo e Bokuto”
Qualcuno riprese in mano il telefono, il tutto accompagnato dal silenzio più totale da parte della comitiva.
Apparve, finalmente, un Tsukki piuttosto arrabbiato, con tanto di doppio mento. “Ciao.”
“TSUKKI!” Urlarono per la seconda volta in circa due minuti. “Come st-”
“Quindi siete arrivati? Mi sorprende che non vi siate persi”
Bokuto fece per ribattere, quando Tsukishima concluse. “Bene, ciao”
E lo schermo si oscurò di nuovo, definitivamente.
Altro silenzio, stavolta più prolungato, in cui Bokuto e Kuroo fissavano l’apparecchio elettronico con sguardo assente.
Poi Bokuto si girò verso Akaashi. “Ci ha attaccato”
Scosse la testa. “Me ne sono accorto, Bokuto-san”
Gli sembrò quasi di vedere i capelli dell’ace abbassarsi lievemente, nonostante fossero ancora bagnati per via del bagno, come a riflettere la sua delusione.
Il cuore di Akaashi perse un battito. Detestava vederlo affranto; se il buon umore di Bokuto lo influenzava talmente tanto da rendere anche lui di buon umore, quando il senpai aveva una giornata no Akaashi si sentiva in dovere di tirarlo su di morale, perché saperlo triste rendeva triste anche lui.
Cominciò a pensare velocemente a un modo per distrarlo dalla chiamata appena avvenuta quando, come se lo avessero letto nel pensiero, gli ex membri del Karasuno cominciarono a parlare.
“Chissà perché Yamaguchi e Tsukki stavano assieme… Tsukki non ci aveva mai invitati a casa sua” ragionò ad alta voce Tanaka, lo sguardo perso nel vuoto e una mano a sorreggersi il mento.
Poi, apparendo dalle sdraio come una visione angelica, Sugawara si fece avanti con le braccia allargate e il viso illuminato da un sorriso magnanimo. “Vuoi sapere perché, mio caro e ingenuo kohai?”
Gli altri si misero a fissarlo confusi, concedendogli qualche secondo di pathos.
“Ma mi sembra evidente! I miei bambini si sono finalmente fidanzati!”
 
 
Angolo autrice:
Rieccomi qui con un nuovo capitolo di questa storia! Sono riuscita ad aggiornare senza far passare un lustro dal capitolo precedente e già questo mi rende soddisfatta. 
Ho avuto qualche difficoltà a far partire il capitolo, credo di averlo riscritto circa tre volte perché non mi soddisfaceva ma adesso mi sembra aver preso il via.
Dal prossimo capitolo cominceranno ad esserci cose più… piccanti se così si può dire eheheh non anticipo nulla ;)
Fatemi sapere se vi è piaciuto o se avete qualcosa da ridire, ne sarei immensamente felice!
Alla prossima <3

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Capitolo 3
*** Gigil ***


Gigil: l’impulso irresistibile di pizzicare o stringere qualcuno a cui si vuole bene.
Era da tanto tempo che Sugawara Koushi desiderava andare in vacanza in un posto esotico, e fu piuttosto sorpreso quando realizzò che i suoi muti desideri erano, in qualche modo, stati ascoltati.
Il fatto poi che potesse trascorrere la vacanza con i suoi amici era stata la ciliegina sulla torta. Con i suoi amici e Daichi, ovvio.
Era mattina presto, forse non erano neanche le nove, e stava camminando a piedi nudi sulla sabbia tiepida ma non troppo, al fianco dell’ex capitano della Karasuno.
Il castano stava parlando di qualcosa che probabilmente riguardava l’impossibile orologio biologico dei loro compagni -che stavano ancora dormendo-, ma Suga era troppo impegnato a godersi il momento per connettere il cervello alle orecchie, quindi si limitò ad osservarlo mentre parlava, le onde del mare che s’infrangevano dietro di lui.
Avevano indossato i primi vestiti che avevano trovato nel buio del bungalow, pur di fare abbastanza in fretta da non svegliare Asahi, che altrimenti avrebbe sicuramente fatto delle domande alle quali non avrebbero voluto rispondere.
“Che… che c’è?” Chiese sorridendo Daichi mentre si grattava imbarazzato la nuca.
Suga sussultò; era talmente tanto immerso nei suoi pensieri che non si era reso conto che Daichi aveva smesso di parlare. Si sporse verso di lui, per lasciargli un veloce bacio a fior di labbra. “Assolutamente niente. Sei bellissimo”
Bellissimo era poco per descriverlo. Daichi era un ragazzo perfetto sono moltissimi punti di vista. Ogni tanto era goffo, si. Ma a Suga non dispiaceva, anzi, lo amava per questo.
Il volto del castano s’illuminò, poi allargò le braccia per abbracciare da dietro Suga, che aggiunse sussurrando. “Mi sembra tutto così perfetto”
L’altro emise una roca risata, poi chiese. “Sei sicuro che gli altri stiano dormendo?”
Suga si guardò attorno con fare circospetto. “Abbastanza, poi conoscendoli non si attiveranno prima delle dieci circa”
Daichi rimase per un po’ in silenzio. “Non mi sembra vero” mormorò baciando la tempia dell’altro.
Da quando avevano deciso di fidanzarsi, il livello di felicità di Suga era nettamente aumentato. Considerato che gli era andato dietro da quando lo aveva conosciuto in primo anno, fu una grande vittoria quando finalmente era riuscito a dichiarare i propri sentimenti, e inutile dire che quando Daichi aveva detto di ricambiarli fu come se Suga avesse raggiunto il Nirvana.
Daichi iniziò a camminare a passo spedito, come se gli fosse venuto in mente un posto dove andare.
“Vieni con me” disse infatti, come a confermare i muti sospetti dell’altro.
E Suga si lasciò trascinare, con un sorrisone che non voleva scemare sulle labbra.
Passarono accanto al chiostro del lido, dove già qualcuno stava sorseggiando delle bibite, nonostante la musica di sottofondo non fosse affatto alta come lo era stata il giorno precedente nel tardo pomeriggio. Forse sapevano che a quell’ora c’era ancora gente che dormiva.
Il castano si fermò di colpo. “Eccoci”
Suga andò a sbattere contro la sua schiena, colto di sorpresa, poi alzò lo sguardo.
Il sole, che era sorto da appena un paio d’ore, faceva capolino tra le onde cristalline. Da lì si poteva vedere perfettamente il paesaggio, e allo stesso tempo erano leggermente nascosti, all’ombra di una palma che delineava il confine tra spiaggia e zona bungalow. Alle loro spalle c’era un piccolo edificio -grande poco più di un bungalow-, che Suga dedusse essere il magazzino dove stavano coperte e mobili di scorta, o forse cibo di scorta. Non c’erano finestre, quindi in ogni caso non si poteva capire cosa contenesse.
“Uhuh, Daichi, che intenzioni hai?” Chiese Suga provocante, avvicinandosi a Daichi, che intanto gli appoggiò le mani sui fianchi.
Si erano inconsapevolmente mossi verso il magazzino, Suga se ne accorse quando la sua schiena si appoggiò a un muro esterno, realizzando che Daichi lo aveva leggermente sospinto verso la parete.
Ridacchiò leggermente, appoggiando la fronte alla sua. “Cavoli, mi sento come un quindicenne spensierato. Potremmo fare competizione a Tsukishima e Yamaguchi”
Daichi si irrigidì impercettibilmente, ma a Suga non sfuggì. “Suga, a proposito…”
Il giorno precedente l’intera comitiva non aveva fatto altro che parlare della telefonata, e la scoperta della relazione tra i due giovani corvi era sulla bocca di tutti. Non che a Suga dispiacesse, sia chiaro. Era piuttosto felice per loro: durante il suo terzo anno si era accorto di quanto quei due fossero affini.
“… non pensi di aver fatto male a dire che fossero fidanzati?” Daichi lo stava guardando negli occhi, leggermente inclinato per stare alla sua stessa altezza.
Inarcò le sopracciglia. “In che senso scusa? Io ho semplicemente detto una cosa che era ovvia a tutti già da un pezzo, no?”
Rimasero a osservarsi per qualche secondo, la tensione talmente evidente che si poteva tagliare con un coltello.
Poi il castano scosse la testa. “Suga, sai che non lo sto dicendo perché voglio litigare”
Si staccò leggermente da lui. “Sei tu che hai intavolato la conversazione, Daichi”
Ora erano definitivamente separati, Suga con ancora le spalle al muro e Daichi che si passava una mano tra i capelli corti. “Si, perché non trovo corretto che tu abbia sbandierato un fatto che magari loro due volevano mantenere segreto”
Appoggiò le mani sui fianchi. “Solo perché non vuoi che gli altri sappiano che stiamo insieme non vuol dire che devi comportarti come il paladino delle relazioni segrete”
Oh no. Aveva appena tirato in ballo l’argomento delicatissimo della loro relazione.
Si morse la guancia dall’interno, era più forte di lui; quando si sentiva accusato ingiustamente andava sempre sulla difensiva.
Daichi strabuzzò gli occhi. “Non sto dicendo che-”
“Non pensi di star esagerando? Va bene chiedermi se possiamo non rivelare agli altri la nostra relazione, ma addirittura controllare quella degli altri?”
“Ma… ma tu non sei d’accordo sul fatto che sia meglio aspettare per renderla pubblica?”
Suga si morse il labbro. “Ecco, per me è uguale. Solo che sta iniziando ad essere stancante doversi nascondere”
Daichi si passò stanco una mano sugli occhi. “Perché me lo dici solo ora? Potremmo parlarne”
“Perché, tu saresti disposto a fare coming out?”
Nessuna risposta, solo uno sguardo implorante. Uno sguardo che chiedeva silenziosamente di non parlarne.
Peccato che era troppo tardi.
“Daichi, che succede? Per caso…”
Voleva dirlo, le parole premevano per uscire, ma Suga sapeva che erano parole ingiuste, che non meritavano di essere rivolte a Daichi. Solo che in quel momento era l’istinto a prendere le redini della situazione, e nonostante Suga sapesse che quello che stava per dire era sbagliato le labbra avevano già iniziato a formulare le parole.
Per caso ti vergogni di me?”
Lo aveva detto. Non c’era più possibilità di tornare indietro o riavvolgere il nastro.
Erano rimasti in silenzio. Un silenzio tremendo, glaciale, un silenzio sbagliato.
Stava rimpiangendo quello che aveva detto, stava pensando di scusarsi istantaneamente, perché non poteva permettersi di dire quel genere di cose al suo Daichi, che di sbagliato non aveva fatto nulla apparte crescere in una famiglia che rifiutava qualunque forma di amore che non fosse eterosessuale.
Suga alzò lo sguardo, e capì che Daichi era mortificato. Lo stava guardando con occhi feriti, e in quel momento si rese conto di quanto gli avessero fatto male le sue parole.
Sapevano entrambi che non si vergognava di lui, e che il motivo del loro nascondersi era un altro. E allora perché, perché gli aveva detto quella cosa?
Era stato lui a parlare, o la sua frustrazione?
Si sentiva come se avesse un paio di catene ai piedi che gli bloccavano ogni suo movimento. Detestava non poter manifestare l’amore che provava nei confronti della persona che a cui teneva più di qualsiasi altra cosa, e non riusciva più a sopportare silenziosamente quella situazione.
“Suga, io…” fece per avvicinarsi a lui, quando un rumore improvviso spaventò entrambi.
 
La porta dell’edificio si era spalancata, e una fila di persone stava uscendo. Una fila di signore di mezz’età, più che altro. Indossavano tutte una tuta e degli scalda muscoli ai polpacci.
Suga e Daichi erano rimasti immobili, ancora scossi dallo spavento che si erano presi, e stavano fissando le signore che intanto sembravano non accorgersi di loro.
Poi sentirono delle voci familiari provenire da dentro, che piano piano si stavano avvicinando verso l’uscita.
“Fratello, ho sempre saputo che tu avessi un bacino flessibile, ma non a questo livello!”
Varcarono l’uscita, rigorosamente in tenuta da ginnastica, Kuroo e Bokuto.
Indossavano rispettivamente una tuta rossa e una bianca, con tanto di scaldamuscolo e bandana in tinta.
Dietro di loro un gruppo di signore sui sessant’anni ridacchiava e sorrideva, come incantate dai due.
“È stato un piacere Carmencita. Hasta mañana, chicas” disse Bokuto mentre salutava, provocando un piccolo cortocircuito a quella che Suga dedusse essere Carmencita, che arrossì violentemente.
Il momento magico che si era creato fu interrotto quando i due si girarono, e videro Suga e Daichi.
“Ragazzi! Che ci fate qui?” Chiese Kuroo, mentre si avvicinava ai due ex corvi.
“Ni-niente! Voi piuttosto, che facevate?” Chiese Daichi, visibilmente in imbarazzo.
“Noi? Stavamo seguendo il corso di zumba offerto dal lido” 
Breve pausa di silenzio. Poi, anche se i due avevano appena litigato, quella scintilla di affinità che li aveva sempre collegati si dimostrò nel momento in cui entrambi si voltarono uno verso l’altro per scambiarsi uno sguardo confuso e sorpreso.
Bokuto emise una risata, per poi dire. “È stato divertentissimo! Poi le ragazze erano davvero simpatiche”
Le… ragazze
Nonostante la discussione che aveva avuto con Daichi, a Suga venne da sorridere. Era incredibile la velocità con cui Bokuto riusciva a inserirsi in un ambiente nuovo senza difficoltà alcuna ma… Si rendeva conto che quelle signore erano più grandi di sua madre?
“Noi pensavamo che a quest’ora steste dormendo” disse Suga.
Intervenne Kuroo. “Si ma visto che Bo ci teneva a seguire questo corso abbiamo messo la sveglia. E onestamente non me ne pento. Se volete domani potete venire con noi, tanto lo fanno allo stesso orario”
Come se fosse scattata una molla sotto i piedi di entrambi, Suga e Daichi risposero subito alzando le mani in segno di resa. “No no, cioè immaginiamo che possa essere un corso entusiasmante ma… non fa per noi”
Bokuto alzò le spalle, poi si girò verso Kuroo. “Andiamo a svegliare gli altri? Ho una fame assurda!”
 

 
“Allora ragazzi? Che ne pensate?” 
Akaashi non avrebbe mai immaginato che avrebbe assistito a una visione del genere nella vita.
Si erano suddivisi in due gruppi, e quello di Akaashi si era mosso in bicicletta per fare un giro dei negozi della città, dato che a Tanaka servivano dei costumi nuovi. Si erano poi fermati davanti a un negozio in centro che avevano tutti assaltato come un branco di lupi con la preda, giustificandosi dicendo che era obbligatorio comprare un vestito a Cadiz, da tenere come ricordo.
Erano rimasti fuori solo lui e Kenma. Per lo meno, fuori dai camerini. Bokuto, Kuroo e Tanaka li avevano trascinati a forza dentro al negozio, perchè avevano bisogno di un giudizio esterno.
E in quel momento, Akaashi stava assistendo a una delle viste più bizzarre della sua vita. Tanaka stava in piedi di fronte a loro, con un cappellino da pescatore nero e un costume giallo, a fantasia banane. Rigorosamente senza maglietta.
“Ehm, Tanaka-kun… perchè devi stare senza maglietta?” Chiese Akaashi, cercando di rimanere serio.
L’altro sorrise, come se fosse una cosa ovvia che però ad Akaashi sfuggiva. “Per rendere più realistica la situazione! Così ti fai un’idea di come sarà quando lo indosserò al mare. Kenma! Che ne pensi?” Chiese voltandosi verso l’altro.
Il Nintendo in mano, lo sguardo puntato verso lo schermo. “Ehm, si”
Lo sguardo di Tanaka s’illuminò. “Visto! A Kenma piace!”
Ma se non lo ha nemmeno guardato? Pensò Akaashi, ma si trattenne dal dirlo. “Se- se ti piace prendilo”
“Credo proprio che lo prenderò… aspetta, mando una foto a Suga. Se gli piace lo compro”
Akaashi lo vide scattarsi un selfie, per poi armeggiare col telefono. Poi appoggiò il telefono sul divanetto su cui erano seduti Akaashi e Kenma e andò a cercare altri capi d’abbigliamento.
Intanto uscirono da altri due camerini Bokuto e Kuroo, che avevano preso due camicie da spiaggia, una bianca con le onde azzurre, una azzurra con le onde bianche.
“Camicie in tinta! Che ne pensi, Akaashi?” Disse Bokuto alzando le braccia emozionato, un sorriso a trentadue denti sul volto.
L’umore di Akaashi si sollevò nettamente. “Sono molto carine, Bokuto-san”
L’altro emise una grassa risata di soffisfazione, per poi dare una pacca sulla spalla a Kuroo. “Con queste saremo come i surfisti nei film americani!” Poi si voltò di nuovo verso Akaashi. “Prima avevo visto due camicie con le palme, se vuoi ne compriamo due in tinta e le mettiamo noi, che ne pensi??”
Akaashi sorrise leggermente. “Non ho bisogno di una camicia, però grazie lo stesso per il pensiero, Bokuto-san”
Il senpai corse verso il reparto da uomo, probabilmente per cercare le camicie. “Ne prendo una per te fratello?” Disse a Kuroo, che acconsentì con un ghigno sul volto.
Si erano di nuovo chiusi nei camerini, quando lo schermo del cellulare di Tanaka s’illuminò. Akaashi non era una persona indiscreta, ma fu più forte di lui sporgersi per sbirciare il mittente del messaggio.
Suga-mama: no, se lo compri ti disconosco.
Risollevò lo sguardo verso le tende dei camerini, quando sentì una voce mugugnare. “Dire che ti piace sarebbe un eufemismo”
Akaashi strabuzzò gli occhi, per poi voltarsi verso Kenma. “Come scusa?”
Kenma aveva appena detto che gli piaceva? Si stava riferendo in maniera ironica allo shopping oppure…?
“È evidente che ti piaccia”
Lo sguardo fisso sullo schermo, le dita che si muovevano compulsivamente sui comandi del gioco, la schiena ricurva. Come era possibile che una persona che non faceva altro che giocare si fosse resa conto che ad Akaashi…
“Ti- ti riferisci a Bokuto-san?” Sussurrò Akaashi, cercando di non far trapelare la tensione dalla sua voce.
Emise un “Mh mh” sempre senza distaccare lo sguardo dal Nintendo.
Akaashi deglutì, a corto di parole da aggiungere, e strinse più vicino a sè le camice che aveva provato il senpai poco prima, appoggiate sulle sue gambe. E fu in quel momento che si rese conto che forse quello che diceva Kenma non era poi così infondato.
Anche il semplice fatto che stesse tenendo tra le mani delle camice che poteva tranquillamente appoggiare sul divanetto era indicativo di quanto tenesse a quel gufo scalmanato.
Portò la stoffa del colletto al naso, e inspirò il debole odore del suo dopobarba, profumo che aveva imparato a memoria, e che gli faceva sempre sentire un brivido lungo la schiena.
Era incredibile come una persona come Bokuto -una persona normale, senza superpoteri o altre capacità sovrannaturali- gli facesse provare sensazioni così forti e allo stesso tempo travolgenti.
Però non si era mai soffermato a pensare se quello che provasse per Bokuto fosse semplice affetto o… qualcosa di più.
Non aveva mai pensato che forse la sensazione di mancamento che provava ogni volta che Bokuto sorrideva o l’inspiegabile sentimento di euforia che lo travolgeva quando Bokuto lo trascinava in qualcuna delle sue strane avventure fosse una conseguenza del fatto che gli piacesse.
Probabilmente il fatto che il senpai non avesse mai dimostrato di provare sentimenti che andassero oltre all’amicizia nei suoi confronti lo aveva inconsciamente fermato dal definire in maniera chiara quello che provava per lui.
In quel momento, Akaashi decise che avrebbe sfruttato al massimo la vacanza per comprendere meglio i suoi sentimenti e, non appena prese questa decisione, sentì in contemporanea il rumore elettronico della fine della partita del Nintendo e il fruscio delle tende dei camerini che si aprivano e, per la prima volta da quando erano arrivati nel negozio, Kenma alzò lo sguardo.
“Vi piacciono?” Chiese Kuroo, mentre assieme a Bokuto si mise a girare su se stesso in differenti pose per mostrare meglio la camicia con le palme.
Akaashi inarcò lo sguardo. Sembrava esserci qualcosa di sbagliato in quelle camicie.
Non fece in tempo ad aprire la bocca per rispondere quando si sentì un rumore mai udito prima.
Il moro si voltò alla sua destra, dove Kenma stava seduto, gli occhi strabuzzati che fissavano le camicie. Stava emettendo un rumore simile a uno sbuffo dal naso, poi si coprì la bocca con una mano e scoppiò a ridere.
Un momento, Kenma che ride?
Ben sei paia di occhi erano puntate sul ragazzo, che pareva non riuscire più a controllarsi per le risate.
Sembrava quasi a corto di fiato, si stava addirittura sorreggendo lo stomaco con una mano.
“Quelle non sono palme” disse tra una risata e l’altra, in cerca di aria. “Sono foglie di marijuana”
Akaashi si voltò fulmineamente verso la stampa sulla stoffa, e finalmente tutti i pezzi del puzzle avevano assunto il verso giusto.
Ma la cosa che in quel momento catturò la sua attenzione non fu il disegno, quanto lo sguardo di Kuroo; sembrava avesse appena visto un miracolo di fronte ai suoi occhi, aveva le guance arrossate e gli occhi spalancati, come se appena avesse sbattuto le palpebre Kenma sarebbe potuto scomparire. Era lo sguardo di una persona innamorata.
Contagiato dalla risata del biondino, anche Bokuto scoppiò a ridere. “Ecco perchè mi sembravano strane! Vabbè, le compriamo lo stesso?” Chiese rivolto al suo amico. Con lo sguardo ancora puntato su Kenma e un sorriso da ebete annuì debolmente, per poi mormorare. “Compra tutto quello che vuoi”
Perfetto, pensò Akaashi, si erano appena giocati Kuroo.
 

 
“Ehm, Nishinoya, non credi di stare andando un po’ troppo veloce?”
In effetti, chi aveva avuto l’idea di affidare il volante di un risciò a Nishinoya?
Avevano approfittato del fatto che gli altri dovessero andare a comprare dei costumi per prendere una bicicletta di gruppo e fare un giro lungo la costa, ma più che un giro rilassante sembrava essere una gara di velocità!
L’ex libero della Karasuno era tutto inclinato in avanti, i gomiti verso l’esterno e le gambe che sfrecciavano sui pedali, un ghigno pericoloso stampato sul volto e per la prima volta da quando era partito con loro Yaku ebbe paura.
Seduto a fianco a Noya c’era Asahi, che stava cercando di persuaderlo a rallentare, mentre Yaku era seduto tra Suga e Daichi.
Suga controllò il telefono, mentre dietro di lui il paesaggio scorreva velocemente, poi emise un verso di lamento. “Ora capisco perchè Shimizu aveva paragonato Tanaka a una scimmia”
Yaku inarcò le sopracciglia, e Suga gli mostrò una foto, o meglio, un selfie, di Tanaka con addosso una bermuda gialla a stampa banane.
Asahi si voltò per sbirciare, e non appena vide la foto scoppiò a ridere. “Beh, se ci gli piace lo dovrebbe comp-”
“Assolutamente no! Io non ci vado in giro con lui vestito così” esclamò Suga.
“Secondo me invece sarebbe un figo assurdo, le ragazze cadrebbero ai suoi piedi” esclamò Noya, mentre il vento faceva muovere il ciuffetto biondo di capelli.
Suga ignorò l’affermazione del kohai, poi si mise a digitare qualcosa che Yaku dedusse essere un categorico “no” al messaggio di Tanaka.
Senza pensarci, Yaku accese il suo telefono e controllò i messaggi. Sospirò sovrappensiero. “È un peccato che Nobuyoki non sia venuto”
“Intendi il vice capitano della Nekoma?” Chiese Daichi. Yaku non aveva realizzato nemmeno che avesse parlato ad alta voce, ma in quel momento tutti e tre gli ex membri del Karasuno lo stavano osservando, eccetto Noya che ovviamente teneva gli occhi fissi sulla strada.
“Si, lo conosciamo dal primo anno di liceo, e ci tenevamo che partecipasse anche lui a questa vacanza. Purtroppo sta in vacanza con la famiglia”
“E quel tipo russo… come si chiama? Ah, Lev” Chiese Sugawara, uno sguardo complice sul viso.
Strabuzzò gli occhi. “In-in che senso?”
“Niente… pensavo che foste rimasti in buoni rapporti anche dopo il tuo diploma” disse con il sorriso di chi la sa lunga.
Yaku deglutì, e non fece in tempo a rispondere perché intervenne Daichi, che diede un colpo di tosse. “Non vorrei fare il paladino… ma credo che questi siano affari di Yaku”
Non stava capendo il motivo di quella frase, anche se sembrò che Suga invece avesse afferrato, dato che si ammutulì e non aggiunse altro.
La tensione era talmente palpabile che Yaku trattenne il respiro per dieci secondi, per poi dire. “Ehm, ragazzi vi dispiace se facciamo una pausa? Dovrei andare al bagno”
“Ottima idea! Così compro una bottiglietta d’acqua” Nishinoya si fermò quasi di colpo al bordo della strada non appena vide un bar dove poter accostare.
Scesero solo loro due. Fortunatamente non c’era affatto fila per il bagno, così Yaku avrebbe potuto fare in fretta.
Era evidente che ci fosse qualcosa che non andava tra quei due, anche se Yaku non riusciva a spiegarsi cosa, non che fosse una cosa che lo riguardava, ovviamente.
Sapeva che Suga fosse una persona sveglia, ma non immaginava che avesse uno spirito d’osservazione talmente acuto da notare che avesse matenuto i rapporti con Lev.
Era tanto evidente che avesse un debole per quel ragazzo?
Dopo il diploma aveva continuato ad aiutare quella giraffa russa a migliorare nelle ricezioni, e avevano cominciato ad andare relativamente d’accordo, solo che non era successo nient’altro.
Ma cosa intendeva Sugawara? Che avesse frainteso? O che avesse intuito qualcosa che nemmeno Yaku aveva capito?
Si strinse nelle spalle, mentre usciva dal bagno, con ancora il pezzo di scottex tra le mani bagnate.
Uscì dal bar, e si guardò intorno. Non avrebbe sicuramente chiesto esplicitamente se avessero litigato, ma aveva intenzione di capire cosa fosse successo. Avrebbe indagato, se così si poteva dire.
Strizzò leggermente gli occhi per proteggersi dal sole del pomeriggio… ma dov’erano finiti?
“Ehm, ragazzi?”
Nessuna risposta, e nessuna traccia del risciò, o dello spirito caotico di Nishinoya. Solo passanti che camminavano a fianco la ciclabile.
“…cazzo”

 
“Secondo te è normale che la schiena mi bruci, Akaashi?” Chiese Bokuto una volta entrati nel bungalow, mentre si toglieva la maglietta e gli ultimi raggi del sole filtravano attraverso la finestra.
Avevano trascorso una giornata intensa, soprattutto perché una volta iniziato a fare shopping è stato difficile persuadere gli altri a smettere e, ah giusto, avevano anche perso Yaku. Fortunatamente per l’ora di cena si erano tutti riconciliati sani e salvi.
“Dipende Bokuto-san, ti sei ricordato di farti mettere la crema solare sulla schiena?”
Quando il senpai si girò per fargli vedere la schiena nuda, Akaashi sussultò: la sua schiena era diventata una superficie rosso accesso che, Akaashi immaginò, faceva estremamente male al minimo tocco.
“Me lo sono scordato…” rispose l’altro, la cresta di capelli che si abbassò impercettibilmente.
Akaashi si avvicinò e posò lentamente i polpastrelli sulla sua pelle, che appena sentì il contatto si tese come una corda di violino. “Fa male!”
Rimosse subito la mano, per poi precipitarsi verso il suo comodino. “Dovrei aver portato una crema per le scottature”
Era appena entrato, come diceva il resto della squadra della Fukurodani quando lo voleva prendere in giro, in modalità “mamma gufo”. Non ci poteva fare niente, era più forte di lui: se Bokuto-san era in pericolo/difficoltà/rischio di morte/altro si sentiva in dovere di soccorrerlo.
“Akaashi!” Disse intanto l’altro quasi come se fosse un lamento. “Come farei senza di te?? Sei il mio angelo custode”
Quando si girò di nuovo verso di lui con la crema tra le mani lo trovò seduto sul bordo del letto, la schiena piegata in avanti e lo sguardo verso il basso, il morale sotto terra.
“Non ti preoccupare Bokuto-san, adesso ti metto la crema e comincerai a sentirti subito meglio”
Si sedette alle spalle del senpai, e incrociò le gambe per stare più comodo.
“Preparati perché brucerà un po’”
Si mise la crema sulla mano, ma poi si fermò di colpo.
Aveva realizzato solo in quel momento quanto fosse intima l’azione che stava per fare: Bokuto era davanti a lui, senza maglietta, e lui gli doveva passare le mani ovunque, accarezzandogli ogni centimetro della sua superficie. Deglutì a vuoto, sentendo le guance riscaldarsi lievemente.
Scosse leggermente la testa come per scacciare il pensiero e cercò di concentrarsi.
Prese un bel respiro e cominciò a spalmare la crema sulla parte appena sotto la nuca del senpai.
Bokuto emise un gemito sommesso, causato inconsapevolmente dal bruciore che provocava la crema, e Akaashi cominciò a trovare sempre più difficile mantenere un respiro regolare.
Le mani cominciarono a scivolare lentamente sulle spalle, muovendosi circolarmente ma sempre con delicatezza, per poi seguire la linea della spina dorsale, chiaramente in vista sotto la pelle scottata.
“Mh… ‘Kaashi” disse l’altro, abbandonando la testa all’indietro e appoggiando le mani sulle ginocchia del moro, strizzandole leggermente.
Akaashi strabuzzò gli occhi, sentendosi avvampare ovunque.
Continuò a scendere, ricoprendo di carezze e massaggi ogni parte scottata della schiena, mentre Bokuto aveva preso a passare con movimenti circolari i pollici sulle ginocchia di Akaashi, probabilmente in un tic inconsapevole che però non lo aiutava affatto a concentrarsi su quello che doveva fare.
Arrivato alla base della schiena si trattenne dallo staccare le mani; sentì un impulso improvviso che lo spingeva ad avvolgere Bokuto, abbracciarlo da dietro, e riempirgli di baci la nuca e ogni centimetro di pelle nuda a disposizione.
Si morse il labbro, cercando di trattenere questo impulso irresistibile; forse lo aveva inconsciamente influenzato quello che gli aveva detto Kenma nel pomeriggio, chissà. Poi, come se le mani si muovessero da sole, cominciò a passarle sui fianchi muscolosi del ragazzo, fino ad arrivare agli addominali.
Guidato da un istinto che non aveva mai percepito prima d’ora, prese a massaggiargli lievemente i bassi addominali, gustandosi ogni piccolo tocco, dalla punta dei polpastrelli alla base del palmo della mano. Si era inclinato leggermente in avanti, e adesso i suoi pettorali sfioravano la schiena dell’ace.
Sentì Bokuto trattenere il respiro, ma non disse nulla. Che gli piacesse?
Passò le dita sotto al suo ombelico, per poi salire di qualche centimetro più in alto, sentendo i muscoli degli addominali che formavano dei leggeri dossi sulla superficie altrimenti liscia dello stomaco.
Si era sempre chiesto cosa si provasse a toccare Bokuto-san, ma non un tocco come quelli che riceveva durante una partita, tipo batti cinque o pacche sulle spalle, no. Lui aveva sempre immaginato qualcosa di più intimo, quasi segreto. Un tocco lento ma che perlustrava qualunque zona. Aveva sempre voluto scoprire come fosse Bokuto-san in questo genere di occasioni. Era mai stato a letto con qualcuno? O forse era ancora vergine? Aveva mai desiderato toccare qualcuno nella stessa maniera in cui Akaashi aveva desiderato toccare lui? Era una persona gelosa, protettiva? O forse era più lasciva e permissiva?
Aveva sempre cercato di conoscere bene Bokuto, catalogando debolezze, pregi e difetti, ma era in momenti come quelli che realizzava di non conoscerlo affatto.
Era a tanto così da toccargli i pettorali, quando realizzò improvvisamente quello che stava facendo, risvegliandosi dallo stato di trance in cui era entrato fino a poco fa. Diede due colpi di tosse, incapace di dire nulla, le guance che ribollivano.
“Ehm… vado a farmi una do-doccia” mormorò il moro, scostatosi finalmente e alzandosi dal letto, lasciando sul letto un Bokuto-san ammutolito.
 
Angolo autrice:
Ciao! Sono finalmente riuscita a pubblicare dopo tre settimane di inattività e mille dubbi sul capitolo.
Dico davvero, questo capitolo mi ha dato un sacco di rogne e la mia amica _Kalika_ lo sa fin troppo bene.
L’ho riletto tantissime volte e spero che sia decente, in ogni caso ditemi voi se vi sembra troppo lungo o noioso, perché è quello che ho temuto fino all’ultima rilettura.
Ebbene, ci tenevo a ringraziare di cuore _Kalika_ per avermi aiutata con il codice html nell’ultimo capitolo dimostrando tutta la pazienza di cui era capace: sei la mia salvezza!
Detto questo, spero che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative e alla prossima! <3

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Capitolo 4
*** Dapjeongneo ***


Dapjeongneo: quando qualcuno fa una domanda ad un altro avendo già in mente una ben precisa risposta. 
“È palesemente migliore la Margarita
“Anche se hai l’età per bere sei mentalmente immaturo per parlare di alcolici. Lo sanno tutti che la caipiroska è il più buono”
La musica creava un piacevole sottofondo e una luce argentata veniva proiettata dalle lampade sparse nel locale. Bokuto sedeva assieme a tutti gli altri su dei divanetti ricoperti da uno strato di pelle chiara che però veniva resa anch’essa argentata sotto i riflessi delle luci, teneva un cocktail in mano.
Di fianco a lui sedeva Kuroo, che stava animando una discussione su quale fosse la bevanda migliore (che a suo giudizio era chiaramente la caipiroska alla fragola).
“Io non credo di aver mai bevuto!”
Si girarono tutti verso la fonte della voce, ovvero Nishinoya. Il ragazzo stava in piedi con le mani orgogliosamente posate sui fianchi e un’espressione fiera sul volto. “Ho preso una Margarita” aggiunse.
Sugawara strabuzzò gli occhi, e Bokuto dedusse che non fosse stato per lui il momento migliore per bere, dato che l’ex corvo aveva sputacchiato la sua bevanda un po’ ovunque. “Tu cosa?!”
Intanto Asahi stava tirando il ragazzo per una manica della camicia costringendolo a sedersi. “Noya, non credo che convenga… non sappiamo se reggi bene l’alcol”
“Non ti preoccupare, conosco i miei limiti!”
Ed in ogni caso era comunque troppo tardi, dato che il bicchiere era già stato svuotato per metà.
“Non è vero, è pericoloso” rispose Sugawara, ma la sua voce fu sovrastata quasi completamente da Tanaka che si sbottonò violentemente la camicia per poi urlare. “Vai così Noya! Tu si che sei un vero uomo!”
Il ragazzo ricevette uno sguardo di fuoco da parte del suo senpai, che tirò un sospiro e disse. “Vado a prendere dei tovaglioli per asciugare questo casino” indicando il tavolo bagnato di un liquido leggermente rosa.
Akaashi, che aveva assistito alla scena silenziosamente, richiamò con un gesto della mano l’attenzione di Suga e disse. “Vado io, anche perché avevo bisogno di prendere un bicchiere d’acqua” poi si voltò verso Bokuto e Kuroo. “A voi serve qualcosa?”
Bokuto sussultò leggermente e scosse la testa, incapace di aprire bocca. Akaashi quindi si avviò verso il bancone.
Non appena il moro si allontanò abbastanza da non poter più sentire le conversazioni del gruppo, Bokuto circondò le spalle di Kuroo e sussurrò nel suo orecchio. “Fratello”
Kuroo voltò leggermente la testa verso di lui, avvicinando le loro fronti come tutte le volte che volevano parlare senza farsi sentire dagli altri. “Che succede fratello?”
Bokuto non seppe come iniziare, quindi deglutì a vuoto e disse. “Ehm… ieri-”
“C’entra Akaashi?” Chiese Kuroo, gli occhi che lo osservavano da dietro il ciuffo corvino come se già avesse in mente la risposta. E in effetti ci aveva preso in pieno.
Bokuto si limitò ad annuire, emettendo un verso sommesso. 
“Cos’è successo? È da stamattina che ti comporti in maniera strana”
Prese un bel sospiro, per poi dire. “Ieri mi ha messo una crema per la scottatura alla schiena”
L’altro rimase in silenzio, come per incentivarlo a continuare. Intanto il resto del gruppo aveva continuato a parlare. Se qualcuno fosse stato curioso di sentire di cosa stavano parlando gli sarebbero risultato quasi impossibile data la musica proveniente dalle casse a un volume altissimo.
“E poi ha preso a massaggiarmi i muscoli degli addominali” proseguì Bokuto. “È stato… ipnotizzante” concluse brevemente. Aveva apportato diversi tagli alla narrazione, per esempio non aveva menzionato il tocco delicato con cui Akaashi aveva trascinato i polpastrelli lungo la sua schiena, o il respiro caldo che aveva sentito sulla nuca, o il brivido lungo la spina dorsale che lo aveva percorso quando si era reso conto di quello che stava succedendo.
“E ti è piaciuto” dal tono in cui lo aveva detto sembrava più un’affermazione che una domanda. Come faceva a saperlo se lui stesso era talmente confuso da non esserne sicuro?
“Non lo so, credo di sì ma…” si allontanò leggermente dall’amico e si mise le mani tra i capelli. “È complicato!”
“Io non ci vedo nulla di complicato”
Si voltò verso il moro, e lo vide con le mani incrociate al petto mentre osservava Akaashi dall’altro lato del locale. “Insomma, è evidente che ti piaccia. E dopo la scenata di ieri azzarderei dire che anche tu piaci a lui. Anche se le prove a favore di questa tesi sono molte di più.”
Bokuto arrossì violentemente, e si sentì travolgere da una serie di emozioni talmente contrastanti da faticare a riconoscerle. Si sentiva felice, quasi sollevato, ma anche estremamente confuso. Perché stava succedendo tutto così in fretta?
“E direi che non sei l’unico interessato a lui”
Il gufo si voltò fulmineamente verso il bancone, dove Akaashi era attorniato da un gruppo di ragazze ridacchianti.
Strabuzzò gli occhi quando si accorse che la ragazza più vicina, quella con i capelli rossi, stava audacemente allungando una mano per sfiorare l’avambraccio del moro.
“Si può sapere che stanno facendo?” Chiese a nessuno in particolare.
“Credo stiano flirtando col tuo innamorato” rispose il moro, che si stava evidentemente godendo la scena, a discapito di Bokuto che non aveva la più pallida idea di cosa fare.
“Non- non è il mio innamorato!”
“Vai a prenderlo, tigre!” Esclamò il suo amico, ignorando quello che aveva appena detto e dandogli una leggera spinta sulla schiena.
Bokuto si alzò goffamente, e prese a muoversi meccanicamente verso il bancone.
 

 
Sugawara stava cercando di salvare il salvabile, mettendo dall’altra parte del tavolino (quella asciutta, chiaramente) i bicchieri che gli altri avevano appoggiato sul tavolo, per evitare che si bagnassero ulteriormente.
La sua bevanda sicuramente era una causa persa: in parte coperta di sputo, in parte rovesciata per terra e sul tavolo... era proprio inutile continuare a bere da lì.
Mentre posava il bicchiere una mano si fece timidamente spazio nel suo campo visivo.
Daichi gli stava porgendo una limonata, la sua limonata. “Se hai sete puoi sempre bere la mia. È analcolica”
Suga strabuzzò leggermente gli occhi, sentendo un piacevole calore invadergli il petto. Le sue azioni erano però in netto contrasto con quello che provava: rifiutò la bibita offerta e sussurrò tra i denti. “Appoggiala pure sul tavolo, non vorrei che gli altri se ne accorgessero”
Nonostante la frecciatina che aveva tirato, perlustrò circospetto il resto del gruppo attorno a loro. Nessuno sembrò curarsi del loro scambio di battute. Detestava dover nascondere tutto ciò agli altri, ma non poteva smettere di farlo solo perché avevano litigato. Gli importava ancora quello che poteva provare Daichi.
Quanto era ipocrita da parte sua fare questo genere di pensieri, dato che era lui la fonte principale del malessere del suo ragazzo.
Il castano ritirò la mano, appoggiando rassegnato la schiena sul suo divanetto. “Suga, mi dispiace per quello che è successo ieri. Lo sai che per me è difficile…”
Non gli permise nemmeno di finire di parlare che intervenne di nuovo. “Cavoli Daichi, siamo in un luogo pubblico, qualcuno potrebbe sentirci. O forse adesso non ti vergogni più?”
Stava esagerando, lo sapeva benissimo. Aveva fatto male a cominciare quella discussione dal principio, e non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Daichi stava provando a riavvicinarsi e lui non stava facendo altro che allontanarlo ulteriormente. Era importante far capire a Daichi che questo suo comportamento lo faceva stare male, ma era davvero necessario trattarlo così?
Forse non si sentiva ancora pronto per parlarne civilmente, forse aveva bisogno di più tempo? Però non voleva perdere Daichi, non poteva permetterselo.
I suoi pensieri furono violentemente interrotti dalle urla di Tanaka e Nishinoya, che stavano festeggiando il fatto che quest’ultimo avesse  finito di bere il suo drink, totalmente.
Tutta la rabbia e la frustrazione che aveva accumulato fino a quel momento esplosero, e Suga non fece nulla per controllarle, quindi si alzò in piedi e le liberò come un fiume in piena.
 

 
“Un bicchiere d’acqua, per favore”
Akaashi aveva appoggiato gli avambracci sulla superficie del bancone, mentre osservava la sala silenziosamente.
Non aveva più parlato di quello che era successo il giorno precedente con Bokuto, e sembrava che quest’ultimo lo stesse evitando appositamente.
Chiuse gli occhi e strizzò le palpebre. Aveva combinato un casino… era già tanto se il senpai non lo avesse cacciato dal bungalow o dato un biglietto di ritorno per il Giappone con tanto di valigie già pronte.
Arraffò qualche tovagliolo, quando il barista gli portò un cocktail leggermente azzurro, con un simpatico ombrellino fucsia che pendeva dal bordo.
“Ehm… non lo avevo chiesto”
“Te lo offrono quelle ragazze laggiù” disse il ragazzo, o meglio, giovane uomo dall’altra parte del bancone. “Hai fatto colpo, amico” aggiunse mentre gli fece l’occhiolino, per poi allontanarsi.
Akaashi voltò la testa riluttante verso il punto indicato dal barista, e vide quattro ragazze che, non appena si accorsero che si era voltato verso di loro facendo contatto visivo, distolsero tutte lo sguardo per poi ridacchiare.
Il moro sospirò. Non solo doveva affrontare una crisi sentimentale nei confronti del suo senpai, ma adesso doveva anche spiegare la situazione a delle adolescenti latino americane in piena fase ormonale.
Alzò la mano per salutarle, pentendosi subito dopo della sua scelta. In meno di cinque secondi fu circondato come un cerbiatto in un branco di lupi affamati.
Hola” disse una di loro. Aveva i capelli rossi, indossava un top nero che lasciava poco alla fantasia e dei pantaloncini bianchi.
Akaashi si barcamenò in un inglese elementare, e disse che non sapeva parlare lo spagnolo.
“Come mai sei qui da solo?” Disse un’altra ragazza, a fianco alla rossa.
Fortunatamente, riusciva comunque a capirlo abbastanza bene l’inglese.
“Ehm… stavo cercando dei fazzoletti. Un mio amico ha rovesciato la sua bevanda…” disse, indicando col dito il punto in cui si trovavano i suoi amici.
Fu il momento peggiore per richiamare l’attenzione delle ragazze sul gruppo: Sugawara aveva preso per le spalle Nishinoya, scuotendolo selvaggiamente e urlandogli contro qualcosa, mentre l’altro aveva piano piano assunto un aspetto sempre più pallido, e Daichi stava cercando di separare i due, Kenma stava giocando ai videogiochi, Kuroo e Bokuto erano talmente vicini che sembrava si stessero prendendo a testate e Tanaka urlava ondeggiando in aria la camicia come se fosse stata una bandiera. Asahi e Yaku osservavano la scena impalati.
Così sembrava che Akaashi si fosse rifugiato al bancone per scappare dai suoi amici, quando in realtà in quel momento l’unica cosa che voleva fare era ritornare lì.
Le ragazze ridacchiarono, poi la rossa tornò all’attacco, avvicinandosi pericolosamente a dove stava Akaashi. La sua mano in particolare stava percorrendo una traiettoria la quale meta finale era molto probabilmente il suo braccio. “Se vuoi puoi sempre venire con noi. Abbiamo in mente un posticino in cui…”
L’attenzione di Akaashi in meno di un nano secondo si era spostata dalla ragazza alla figura che si stava avvicinando a loro.
Non riuscì a trattenere il sorriso che stava spuntando sulle sue labbra. “Bokuto-san” disse.
Il senpai si stava avvicinando verso di loro con la schiena leggermente curva, le mani penzolanti lungo i fianchi e lo sguardo vitreo. Quando fu a un metro da loro parve finalmente accorgersi delle cinque paia d’occhi che aveva rivolte verso di lui, e sobbalzò leggermente, per poi dire. “Ciao!”
Le ragazze lo squadrarono un secondo in silenzio, per poi ricambiare il saluto, mettendo di nuovo in atto la serie di risoline che avevano emesso anche prima.
“È un tuo amico?” Chiese la rossa ad Akaashi, con gli occhi fissi sul gufo ancora un po’ spaesato.
“Sì” dissero entrambi nello stesso momento. Akaashi senza rifletterci un momento prese i tovaglioli a si mise al fianco di Bokuto. “Ehm… è stato un piacere conoscervi. Noi andia-”
“Possiamo venire con voi!” Disse una ragazza, seguita da una serie di si! da parte delle altre.
“No!” Esclamò Bokuto, che nel mentre aveva rizzato la schiena ed era avanzato di un paso verso di loro, come quasi per proteggere Akaashi.
Le ragazze si zittirono improvvisamente, e Akaashi vide chiaramente Bokuto deglutire imbarazzato, a corto di parole da dire. “Ehm, non abbiamo sedie, quindi dovreste rimanere in piedi”
“Possiamo prendere delle sedie da un altro tavolo” disse la rossa, le braccia incrociate al petto e lo sguardo che zigzagava sospettoso tra Bokuto e Akaashi.
“Eh ma dovete sapere che…” Bokuto si fermò in una pausa riflessiva, quando un rumore inquietante provenne dall’altro lato del locale.
Akaashi si voltò verso la fonte del rumore, e vide Nishinoya che vomitava sulle bermuda di un Sugawara urlante.
“Nishinoya ha vomitato” disse urgentemente a Bokuto.
“Nishinoya ha vomitato!” Esclamò il senpai alle ragazze. “Quindi mi dispiace ma dobbiamo proprio andare”
 
Angolo autrice:
Ciao, sono ancora viva!
Mi dispiace per avervi fornito un capitolo così corto dopo un periodo di attesa così lungo, ma sono stata talmente tanto impegnata che la scrittura di questa storia è passata in secondo piano.
Ebbene, sono comunque contenta di poter pubblicare questo capitolo il giorno del compleanno di Akaashi! È il minimo che potessi fare per farmi perdonare. Auguri, piccolo gufetto.
Questa volta un ringraziamento speciale va a Gioppi che mi ha dato l'ispirazione per il paragrafetto daisuga: sei la mia musa salvatrice!!
Fatemi sapere cosa ne pensate, apprezzo sempre le vostre recensioni!
Alla prossima! 
 
P.s. 
Da come avrete intuito nemmeno io so quando pubblicherò la prossima parte, ma abbiate fede >_<

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