INFERNO

di Lamy_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inferno ***
Capitolo 2: *** Vite incrociate ***
Capitolo 3: *** Nel mirino ***
Capitolo 4: *** Il girone dei bugiardi ***
Capitolo 5: *** A luci rosse ***
Capitolo 6: *** Corsa alle armi ***
Capitolo 7: *** Minaccia al potere ***
Capitolo 8: *** Canto di verità ***
Capitolo 9: *** Nuovi amici ***
Capitolo 10: *** Compromessi infernali ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Inferno ***


1. INFERNO
 
“(…) quella prigione orribile e attorno fiammeggiante,
come una grande fornace, e tuttavia da quelle
fiamme nessuna luce, ma un buio trasparente,
una tenebra nella quale si scorgono visioni di sventura,
regioni di dolore e ombra d’angoscia.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
 
 
 
Birmingham, 8 anni prima
Ariadne correva a perdifiato. Doveva continuare a correre per non essere inseguita dal rimorso. Le tremavano ancora le mani, aveva il fiatone e le guance avvampate per lo sforzo. Intravide le luci della stazione in lontananza e aumentò il passo, doveva salire su quel treno il prima possibile. Si guardò indietro per assicurarsi che nessuno l’avesse pedinata, non si fidava delle parole di sua madre. Per quanto sapesse che la donna non l’avrebbe tradita, qualcosa in Ariadne le suggeriva che da quel momento in poi poteva fare affidamento solo su se stessa. Acquistò un biglietto di sola andata per Londra, saltò sul treno e sprofondò sui sedili.
Aveva quindici anni e aveva appena commesso il peccato più atroce che un essere umano potesse mai commettere.
 
 
Londra, gennaio 1928.
Judith si riparò dal freddo londinese con il bavero della giacca, sebbene al collo avesse avvolto una pesante sciarpa di lana che lei stessa aveva realizzato all’uncinetto. Il cielo sembrava in fiamme, l’azzurro del giorno era ormai sfumato nel rosso del tramonto ed era striato da grosse nuvole grigie. Sarebbe venuto a piovere presto. A Londra pioveva quasi sempre, e Judith per forza di cose aveva dovuto accettare quella consuetudine meteorologica e comprare un ombrello resistente. Smise di osservare il cielo quando Carl le sfiorò la spalla.
“Ehi, Judith vieni con noi in biblioteca? Abbiamo ancora un’ora prima che chiuda.”
“Non posso. Devo lavorare. E sono anche in ritardo come al solito!”
“D’accordo, vorrà dire che domani ti presterò i miei appunti.” Disse Lisa.
Carl e Lisa erano i colleghi di corso di Judith all’Accademia di Arte. Sin da subito aveva legato con loro perché erano simpatici e sempre gentili, forse ciò dipendeva dal fatto che fossero gemelli.
“Ti ringrazio. Adesso scappo, ci vediamo domani a lezione. Buona serata!”
Judith iniziò a correre verso il quartiere di Westminster per arrivare prima che il suo datore di lavoro la rimproverasse per l’ennesimo ritardo. Era già successo in passato che le detraesse alcuni soldi dallo stipendio come risarcimento per i mancati minuti di lavoro, o almeno così l’uomo voleva giustificarsi. Non era un grande impiego, anzi la ragazza era l’addetta alle pulizie nella tavola calda Mayfair situata proprio di fronte al palazzo del Parlamento. Gli orari e le mansioni erano pesanti, ma Judith doveva pur pagarsi gli studi in qualche modo. Oltre alla tavola calda, dove guadagna abbastanza per comprare libri e materiale artistico, era brava con ago e filo. Da ragazzina aveva seguito un corso di cucito e poi aveva messo a frutto le sue abilità riuscendo così a pagare i costi di una stanza in una piccola pensione. Abitava nel quartiere di Camden Town, in un vecchio palazzo la cui proprietaria era una donna anziana che affittava camere solo a donne nubili e sotto i trenta anni. Era una stanza molto piccola, sufficiente a farci entrare un letto, un modesto armadio, una tinozza e una scrivania. A Judith, però, andava bene. A lei piaceva la sua vita a Londra per quanto umile fosse.
Nel frattempo il vento aveva iniziato a soffiare tanto forte da farle svolazzare il cappotto intorno alle gambe. Per fortuna riconobbe la logora insegna del Mayfair e affrettò il passo per evitare l’acquazzone. Non appena mise piede nel locale, il cielo tuonò e incominciò a piovere.
“Giusto in tempo!” esclamò Ben, ridendo.
Ben era il figlio del proprietario e prendeva le ordinazioni, mentre in cucina a preparare i piatti erano sua madre e le sue sorelle. Il padre, invece, si divertiva ad abbaiare ordini e a lusingare i clienti.
“Sì, giusto in tempo. Tuo padre mi mangerebbe viva se entrassi qui zuppa d’acqua.”
“Questo è sicuro. Dai, mettiti al lavoro prima che mio padre ti faccia la solita ramanzina.”
Judith lasciò le sue cose sul retro, si infilò un vecchio grembiule stracciato qua e là e si legò i capelli con un fermaglio a forma di farfalla che Lisa le aveva regalato per il compleanno. Recuperò gli stracci, il sapone e il secchio e tornò in sala per svolgere le sue faccende.
 
Due ore dopo Judith uscì dalla cucina con un piatto fumante di patate dolci e carote bollite. La madre di Ben le aveva fatto avanzare un po’ di cibo per la cena, quindi si sedette al bancone e affondò la forchetta nella pietanza.
“Hai pulito i bagni?” domandò la voce grossa di Tony, il suo capo.
“Sì, ho pulito i bagni. Potresti dire ai tuoi clienti uomini di fare centro nella tazza del water? Grazie!”
Ben ridacchiò, adorava quelli screzi fra la ragazza e il padre. Tony stava per replicare quando la porta si aprì e lui accorse ad accogliere i nuovi arrivati. Fuori si era scatenato un temporale spaventoso, pioveva a dirotto e il vento frusciava all’impazzata; di certo il giorno dopo avrebbero trovato qualche albero caduto.
“Come sta Dorothy? Tua sorella mi ha detto che partorirà il mese prossimo.”
Ben annuì, era entusiasta di diventare padre nel giro di poco tempo.
“Così sembra. Non abbiamo ancora scelto il nome. Hai suggerimenti?”
“Non Tony, ti supplico. Sono sicura che Dorothy sceglierà il nome perfetto per il vostro bambino.”
“Ragazzina, vieni qui!” rimbombò la voce di Tony.
Judith fu costretta ad abbandonare la sua cena e a voltarsi per svolgere l’ennesima faccenda.
“Che c’è? Stavo cenando!”
“Cosa vuoi che me ne freghi della tua cena? Al tavolo cinque hanno fatto cadere il vino a terra, va subito a pulire.”
La ragazza scosse la testa con uno sbuffo, dopodiché prese lo straccio e si avviò verso il tavolo. Si mise in ginocchio e strofinò sul pavimento per impedire al vino di macchiare le mattonelle in maniera irreparabile.
“Vuoi lucidare un pavimento già lucido?” esordì una voce profonda.
Judith sollevò lo sguardo e rimase senza parole per qualche istante. Quella voce apparteneva ad un uomo dai capelli neri e gli occhi azzurri, ben vestito e con la giacca inumidita dalla pioggia.
“Che dire, al boss piace avere un pavimento lucidissimo.”
“Alzati.”
Judith afferrò la mano che l’uomo le stava tendendo e si mise in piedi, pulendosi le ginocchia dalla polvere.
“Avete bisogno di altro, signor …?”
“Shelby. Thomas Shelby.”
La ragazza fece un cenno del capo, riprese lo straccio e si allontanò in fretta. Tony le vietava di parlare con i clienti per mantenere il decoro, perciò si infilò nello stanzino delle scope per sfuggire agli occhi del signor Shelby. Dopo qualche minuto fu richiamata in cucina per lavare i piatti e lì trascorse gran parte della serata. Intorno alle dieci di sera il locale era quasi vuoto, c’erano solo tre clienti, e Judith colse l’occasione per leggere il libro che Carl le aveva consigliato due settimane prima. Prese posto in un angolo della sala, si avvolse la sciarpa intorno alle spalle e si immerse nella lettura.
“E’ un bel libro?”
Judith sobbalzò quando si accorse di una presenza alle sue spalle.
“Signor Shelby, vi occorre qualcosa?”
“Sto cercando di ammazzare il tempo mentre aspetto che il temporale si calmi.”
“Posso portarvi da bere?”
La ragazza stava per alzarsi quando l’uomo le mise la mano sul gomito per fermarla.
“Sto bene così. Ho voglia di fare due chiacchiere.”
“Potete parlare con Tony oppure con Ben.” Disse lei, timida.
“E non posso parlare con te?”
Il signor Shelby si rilassò sulla sedia, tirò fuori dalla tasca una sigaretta e l’accese. Judith tossì un poco, non era abituata all’odore del tabacco.
“Volete portarmi a letto? Non funziona mai.”
L’uomo le rivolse una mezza occhiata divertita, doveva sembrare ridicola con la mantella sulle spalle e quel grembiule lercio.
“Volevo farti sapere che in bagno ho centrato la tazza del water.”
Questa volta fu Judith a ridacchiare, non si aspettava quella risposta.
“Dovrei ringraziarvi perché avete imparato a urinare alla vostra età?”
“Alla mia età. – sospirò lui – Quanti anni mi dai?”
“Parecchi.” Rispose Judith.
Il signor Shelby scrollò la cenere in un bicchiere vuoto mentre meditava su quella specie di offesa.
“Parecchi, eh? Non ci si rivolge così ad un uomo anziano.”
Judith rise e poi si morse le labbra per non mostrarsi troppo disponibile, del resto non conosceva le intenzioni dell’uomo.
“Preferite che io menta spudoratamente?”
“Preferisco la sincerità.”
Per una frazione di secondo si scambiarono uno sguardo carico di intesa, c’era qualcosa che li attirava l’uno all’altro.
“Il libro è bello. Parla dell’inferno e del paradiso.” Spiegò Judith.
“Come mai una ragazza è attratta da questi argomenti?”
“E’ per motivi di studio. Frequento il corso di belle arti al Chelsea College e quest’anno l’argomento principale è l’inferno. Questo libro mi permette di entrare nel vivo della questione.”
“Quindi tu dipingi?” domandò lui, serio.
“Sì, ma preferisco il disegno. Il modo in cui la mina della matita scorre sulla scarta, il suono, le linee che crea … perdonatemi, vi sto annoiando.”
“Non …”
Il signor Shelby non ebbe modo di parlare perché la ragazza era già in piedi, pronta ad allontanarsi.
“Il mio turno è finito. Vi auguro una buona serata, signore.”
“Aspetta.”
Judith trasalì, la mano dell’uomo ora le stringeva il polso.
“Devo andare.”
“Come ti chiami?”
“Judith Leyster.”
Il signor Shelby ne approfittò per guardarla meglio: aveva i capelli color rame ricci e corti fino alle spalle, due grandi occhi color ambra e una spruzzata di lentiggini sul naso e sulle guance. Il suo profumo era una lieve fragranza di bergamotto.
“A presto, signorina Leyster.”
 
Londra, febbraio 1928.
 
Judith fischiettava mentre si dirigeva verso la biblioteca universitaria. Ogni venerdì mattina si riuniva lì con Carl e Lisa per prendere alcuni libri utili al progetto di arte che stavano preparando. Il professore di pittura e disegno aveva deciso che l’esame finale si sarebbe svolto in maniera creativa: aveva chiesto agli studenti di realizzare un dipinto o un disegno relativi al tema dell’inferno che poi sarebbe stato esposto in una piccola ala che il British Museum metteva a disposizione per giovani artisti emergenti. Lei e i suoi amici avevano pensato che dai libri sarebbe venuta fuori una grande ispirazione, pertanto leggevano qualsiasi cosa avesse a che fare con l’argomento. Lasciatasi alle spalle la metropolitana, fece una breve sosta in panetteria per comprare una brioche da mangiare lungo il tragitto. Non consumava pasti a casa sua, la sua dispensa era vuota a causa degli impegni che la tenevano ora in università e ora alla tavola calda, e perciò era obbligata ad arraffare qualsiasi cosa pur di mangiare. Si girò a salutare un bambino nel passeggino e l’attimo dopo andò a sbattere contro qualcuno. La sua brioche cadde in una pozzanghera e un piccione si avventò su di esso.
“Grandioso! La mia colazione è finita prima di iniziare.” Mormorò la ragazza.
“Judith?”
Judith fece un passo indietro dopo essersi accorta di essere andata addosso al signor Shelby, l’uomo conosciuto un mese fa al Mayfair. Da allora non si erano più visti.
“Signor Shelby, salve. Come mai da queste parti?”
“Sono un politico e ho un incontro in Parlamento. Lo sapresti se la volta scorsa me lo avessi chiesto.”
La ragazza inarcò le sopracciglia a quelle stupide parole.
“Credete che il mondo ruoti attorno a voi?”
“Continui con le offese. Sei una maleducata, Judith.” Replicò lui.
“E voi avete dato la mia colazione in pasto ad un piccione, direi che siamo pari. Beh, buona giornata e buon lavoro.”
“Scappi sempre?”
Judith si voltò a guardarlo con incredulità.
“Ve lo domando di nuovo: volete portarmi a letto? Non funziona!”
Il signor Shelby si mise a ghignare irritando la ragazza e facendole alzare gli occhi al cielo.
“Sei perspicace per essere una cameriera.”
“E voi siete uno stronzo vestito a festa!”
Judith riprese a camminare senza dar corda a quell’uomo, che intanto continuava a fissarla e sorrideva compiaciuto.
 
Quella sera Judith era esausta ancora prima di finire il turno. La tavola calda era piena e il lavoro era triplicato, soprattutto per colpa di Tony che dapprima le ordinava di pulire e poi di servire anche ai tavoli.
“Odio tuo padre.” Sibilò Judith fra i denti.
Era appena uscita dalla cucina dopo aver sgrassato una cinquantina di piatti. Aveva i capelli spettinati, i bordi della camicetta bagnati e i polpastrelli arricciati per colpa dell’acqua.
“Mio padre non è un uomo facile. Mi dispiace.” Le disse Ben, sconsolato.
Judith gli diede una pacca sulla spalla a mo’ di consolazione, lei comprendeva bene il peso di avere un genitore autorevole. La sua espressione si indurì quando fra i clienti intravide un viso conosciuto. Thomas Shelby se ne stava seduto a sorseggiare whiskey e a fumare placidamente. Era da solo, eppure questo non sembrava recargli alcun fastidio. Judith andò da lui con la rabbia che le faceva arrossare le gote.
“Adesso mi piantonate? Siete ridicolo.”
“Non posso bere un whiskey dopo il lavoro? Non sapevo che fossi tu a dettare le regole. Pensavo che tu fossi solo la sguattera.”
Judith rimase ferita ma non lo diede a vedere, cercò di restare impassibile.
“Spero che quel whiskey vi vada di traverso.”
Il signor Shelby si limitò a sollevare il bicchiere e poi a berlo in un colpo solo. La ragazza ritornò in cucina per proseguire con il lavaggio dei bicchieri, però la sua mente continuava a pensare a quell’uomo fastidioso.
 
Londra, marzo 1928.
 
Judith si infilò i guanti e si immise nella strada, Tony l’aveva incaricata di consegnare il pranzo per la segreteria del parlamento e per raggiungere la sede doveva impiegare almeno una decina di minuti. Entrò, si guardò intorno e cercò di capire dove andare. L’ingresso era enorme, un viavai di persone le sfrecciava accanto, tutti mormoravano chissà cosa. Per un momento si sentì in imbarazzo, indossava una gonna logora e macchiata di grasso, i guanti di lana erano consumati e i suoi capelli erano arruffati per colpa del vento.
“Rincorri i diavoli?”
La ragazza riconobbe quella voce al volo. Difatti non rimase sorpresa quando il signor Shelby emerse dall’ombra. I suoi occhi azzurri parevano luccicare sotto la fioca luce del lampadario.
“Sono qui per consegnare il pranzo. Voi lavorate oppure perdete tempo?”
“Tra quindici minuti ho una riunione col partito, però proprio oggi uno dei gemelli ha deciso di staccarsi.”
Judith adocchiò la camicia dell’uomo ed effettivamente l’asola era vuota, l’altro gemello a stento chiudeva la manica destra.
“Volete fare bella figura col partito, eh? Patetico.” Commentò lei, divertita.
“In luoghi come questi l’apparenza è tutto.”
“Voi non siete di Londra, lo capisco dalle vostre mani.”
Thomas si guardò le mani con circospezione, le cicatrici e i calli lo avevano tradito.
“Non sono di Londra, vero. Ho servito nell’esercito anni fa.”
“Anche mio fratello. E’ partito dopo la morte di nostro padre perché era convinto di dare lustro alla famiglia.”
Judith si era smarrita nei ricordi, erano amari e facevano ancora male.
“Tuo fratello è caduto in battaglia?”
“Per fortuna è vivo, ma ha perso la gamba sinistra. Succede quando una granata ti esplode ad un centimetro dal ginocchio. Lui faceva parte dell’aviazione. Voi di cosa vi occupavate?”
“Scavavo i tunnel per assaltare i nemici. Una vera merda.”
Lo sguardo dell’uomo era cupo, ricordare i tempi della guerra era come ricevere mille coltellate ogni volta. Judith decise di cambiare argomento per alleggerire la situazione.
“Posso aggiustare i vostri gemelli?”
“Sei anche una sarta?”
“Devo pur pagare l’affitto in qualche modo. Aspettatemi qui, torno subito.”
La ragazza svolse il suo compito consegnando il pranzo ai destinatari, non voleva che Tony le sottraesse altri soldi da una paga già misera di per sé.
Thomas l’aspettava seduto su una delle tante poltrone all’ingresso.
“Fai la tua magia.” Disse lui.
“Io sono una maga delle asole, vedrete!”
Judith staccò il gemello sano e lo ripose in tasca, si tolse gli orecchini e li infilò nelle asole per poi richiuderle con un colpo secco.
“Hai usato i tuoi orecchini come gemelli. Bella mossa.” Si complimentò Thomas.
“Gli orecchini sono di perle finte ma fanno bella figura lo stesso. Non sono soltanto una sguattera.”
Thomas si sentì in colpa e abbassò lo sguardo per la vergogna, si era comportato male con quella ragazza.
“Chiedo scusa. E’ ovvio che non sei solo una sguattera.”
“Ed è ovvio che a voi il whiskey non sia andato di traverso.”
Judith ridacchiò e per un secondo anche Thomas si lasciò sfuggire un ghigno.
“Purtroppo per te no. Ora devo andare.”
“Adesso siete voi che scappate, signor Shelby.”
Thomas si chinò sull’orecchio della ragazza, sfiorandole il lobo con le labbra.
“Allora tu dimmi dove posso trovarti ancora.”
Judith indietreggiò e sfoggiò un sorriso malizioso.
“Tra un mese esatto vi aspetto al British Museum. Cercatemi.”
 
Londra, aprile 1928.
 
Judith si mordicchiava le pellicine del pollice in preda all’agitazione. Era la sera della mostra: le opere degli studenti del corso di disegno erano stati esposti ed erano stati invitati molti personaggi illustri per un eventuale acquisto. L’opera più acclamata e richiesta avrebbe avuto il voto più alto. La triste verità era che Judith odiava il suo disegno, non era venuto come voleva e il suo progetto iniziale era crollato a causa dei due lavori. Tony alla tavola calda le aveva raddoppiato gli incarichi, ora aiutava anche in cucina poiché una delle figlie era diventata madre; inoltre, la proprietaria della stanza aveva aumentato l’affitto e lei si era messa a cucire anche abiti interi pur di ricavare il denaro necessario.
“Judith, smettila di torturarti. Il tuo disegno è bello.” Disse Lisa.
“Non è vero. E’ orribile, pieno di sbavature e si vedono anche i segni delle cancellature. Tu e Carl, del resto, avete creato dei capolavori. Ugh, vi invidio!”
Lisa sussultò quando il fratello le circondò le spalle col braccio.
“Buonasera, mie signore. Come state? Che ne pensate della mostra?”
I due gemelli avevano gli stessi tratti, zigomi alti e sporgenti, capelli biondissimi e occhi blu come il mare, ma in compenso Lisa era più alta e snella di Carl.
“Penso che prenderò un voto basso. Voi invece avrete il voto più alto, siete stati davvero bravi.” Ammise Judith, afflitta.
Lisa stava per replicare ma la sua attenzione fu catturata da un uomo in particolare che stava ammirando il disegno di Judith.
“Amica mia, penso che tu abbia un ammiratore della tua arte.”
Judith sorrise riconoscendo il profilo del signor Shelby. Indossava gli occhiali da vista e un lungo cappotto nero, ma era inconfondibile la sua presenza.
“Alla fine mi avete trovata.”
L’uomo non distolse gli occhi dal disegno, però inclinò di poco il volto verso di lei.
“Ho seguito la strada che porta all’inferno.” Sussurrò Thomas.
“I diavoli vi hanno condotto da me, signor Shelby.”
L’opera di Judith era un disegno fatto col carboncino su carta bianca e rappresentava due ombre di cui una era accovacciata e l’altra incombeva sopra come se stesse per divorarla. Suscitava un senso di inquietudine misto a dolore e angoscia.
“Cosa c’è di infernale nel tuo disegno?”
Judith si irrigidì, quasi fosse spaventata da quella domanda. Si dondolava sui talloni per non essere costretta a guardare il suo stesso disegno.
“E’ una lotta cruda e violenta per la sopravvivenza.”
Thomas si stupì del tono freddo usato dalla ragazza, di solito era allegra e disposta al dialogo.
“Perché mai una ragazza dovrebbe lottare per sopravvivere?”
Judith gli diede le spalle per un breve istante, poi si voltò e gli sorrise come suo solito.
“Seguitemi, signor Shelby. A vostro rischio e pericolo.”
Camminarono per una ventina di minuti attraverso diverse sezioni del museo, dalla pittura alla scultura, per fermarsi in un’area isolata. Judith aprì un piccolo cancello ed ebbero accesso al giardino. Era uno spazio verde che lei e Carl avevano scoperto per puro caso mentre girovagavano per il museo.
“Vuoi regalarmi un fiore?” domandò Thomas, annoiato.
La ragazza si sedette sulla panchina e gli fece cenno di prende posto, al che lui obbedì. Il profumo di rose era piacevolmente avvolgente.
“Non vi piacciono i fiori?”
“Ti sembro il tipo a cui piacciono i fiori?”
“Siete un uomo misterioso.” Disse Judith con un risolino.
“Mai quanto te. Una ragazza che abita da sola, fa due lavori, studia all’accademia di arte. Che cosa nascondi? Scommetto che ha a che fare col tuo disegno.”
Thomas si accese una sigaretta, ogni suo gesto era controllato e lento mentre fumava. Judith pensò che fosse un ottimo soggetto da disegnare.
“Ho dei segreti e me li porterò nella tomba con me. Immagino che anche voi abbiate dei segreti. Fa parte dell’indole umana.”
“Dov’è tua madre? E tuo fratello?” indagò Thomas.
La ragazza si lisciò le pieghe della gonna e si schiarì la voce, era di nuovo tesa.
“Io sono arrivata a Londra quando avevo quindici anni, da allora me la cavo da sola. Mio fratello maggiore porta avanti gli affari di famiglia e mio fratello minore ciondola tutto il giorno fra le locande. Mia madre … ecco, lei è una dispotica vipera che succhierebbe la linfa vitale dei suoi stessi figli pur di salvarsi.”
“Odi tua madre?”
“E’ mia madre che odia me.” disse Judith, la voce ridotta a un filo.
“Mia madre è morta quando ero giovane e mio padre dubito dopo ha lasciato casa nostra. Io, i miei fratelli e mia sorella siamo cresciuti con nostra zia.”
Per Thomas era strano raccontarsi in quel modo, eppure parlare con Judith era dannatamente facile. Lei non conosceva la sua vera identità, con lei poteva fingere di essere un uomo normale e non un gangster oppresso dai nemici. A Birmingham la vita era soffocante e dolorosa, mentre a Londra era spensierata e anche leggera.
“La famiglia è una gabbia, signor Shelby. Molto meglio l’arte.”
“O il whiskey.” Aggiunse lui.
Judith rise e annuì, era bello scambiare qualche parola con persone che non fossero Lisa, Carl o Ben.
“Si è fatto tardi e devo tornare a casa. E’ stato bello che voi siate venuto. Ho apprezzato il gesto.”
Thomas si avvicinò a lei e le scostò una ciocca di capelli, così da vicino i suoi ricci erano di un rosso intenso.
“Quando posso rivederti?”
“Solo il destino ce lo saprà dire, signor Shelby.”
 
 
Londra, maggio 1928.
 
Judith stiracchiava le braccia mentre si lasciava alle spalle l’università, almeno per le vacanze estive. I corsi si erano chiusi, la biblioteca andava in pausa e gli studenti potevano godersi un po’ di riposo. Lisa prese due mele dalla busta del pranzo e ne offrì una a Judith, che accettò con piacere e addentò il frutto.
“Allora, il tuo uomo misterioso si è fatto vedere ancora?” chiese Lisa.
“Sì. E’ venuto un paio di volte alla tavola calda e abbiamo chiacchierato, ma poi sono sempre arrivati i suoi colleghi ed è andato via.”
“E’ sposato? Ci hai mai fatto caso? Insomma, un uomo di trentanove anni e del suo genere dovrebbe avere una moglie e dei figli.”
Le due amiche si sedettero all’ombra di un albero a pochi metri dai cancelli dell’università.
“Non è sposato, almeno credo. Non ha la fede e non ha neanche il tipico segno bianco.”
Lisa aggrottò le sopracciglia e mordicchio un poco la mela.
“Che cosa sarebbe questo tipico segno bianco?”
“Sherlock Holmes lo dice sempre: il segno bianco sull’anulare indica la presenza di una fede nuziale rimossa da poco tempo. Il signor Shelby non ha quel segno.”
Judith fece spallucce all’espressione sorpresa e interdetta dell’amica.
“Sherlock Holmes, sul serio? Tu leggi troppi libri, Jud. Magari è divorziato o vedovo e per questo non porta la fede da tempo, pertanto il fatidico segno bianco non si vede.”
“Sì, beh, anche questa è una valida ipotesi.”
A Lisa fece tenerezza Judith, a volte la sua mente era troppo immersa nei libri per rendersi conto della realtà.
“Cambiamo discorso, dai. Alla fine hai capito chi ha acquistato il tuo disegno?”
Dopo l’esposizione degli studenti, Lisa e Carl avevano ottenuto i voti più alti e Judith aveva ottenuto un voto più basso ma comunque soddisfacente. La cosa bizzarra era che due giorni dopo la mostra il suo docente le aveva comunicato che il suo disegno era stato acquistato da un anonimo che aveva pagato una bella cifra, la quale era stata impiegata per riparare le finestre rotte della facoltà. Judith aveva indagato ma non aveva trovato il nome dell’acquirente, anche se il pagamento era stato effettuato da una compagnia inglese.
“Non ho saputo nulla. Pare che il pagamento provenga da una grossa e ricca società, però a causa dell’anonimato non mi è permesso sapere altro. L’importante è che qualcuno abbia apprezzato il mio disegno tanto da volerlo comprare.”
“Sei una brava artista, Judith. Un giorno farai grandi cose.” Disse Lisa.
Judith abbozzò un sorriso senza gioia alcuna. Lei sapeva che in campo artistico difficilmente avrebbe avuto un futuro perché su di lei incombeva un’ombra oscura pronta a risucchiarla.
“Ti va di pranzare alla tavola calda? Tony è fuori città e Ben mi fa mangiare gratis.”
“Andiamo!”
 
Londra, maggio 1928, due settimane dopo.
 
Judith canticchiava muovendo i piedi e mani a ritmo di musica mentre si vestiva per andare al Mayfair. Attraverso il grammofono risuonavano le note di ‘Love Me o Leave Me’ cantata da Ruth Etting, una delle canzoni più famose di quell’annata.
“Oh, love me or leave me, let me be lonely. You won’t believe me and I love you only. I’d rather be lonely than happy with somebody else.”
La ragazza fece una giravolta su se stessa fermandosi davanti allo specchio con le mani sui fianchi. In un’altra vita sarebbe potuta essere una grande donna dello spettacolo tra abiti scintillanti e uno stuolo di seguaci adoranti. Mentre rideva da sola al pensiero di stonare come una campana davanti ad un pubblico, prese a squillare il telefono nella sala comune. Soltanto il soggiorno era lo spazio condiviso da tutte le ragazze ospitate nella palazzina, erano le regole imposte dalla proprietaria.
“Signorina Leyster, è per voi!” gridò Maggie dal piano inferiore.
Judith si lanciò di corsa giù per il corridoio, sperava che Ben la chiamasse per dirle che poteva prendersi la serata libera.
“Sono Judith. Pronto?”
“Ariadne.”
Quell’unica parola, pronunciata come fosse una bestemmia, bastò per farla impietrire. La paura si impossessò di lei come un’onda che divora uno scoglio.
“Sì?”
“Devi tornare a casa.”
“No.”
Dall’altra parte si udì un sospiro farcito di cattiveria, anche tramite la cornetta Judith lo avvertiva.
“Torna a Birmingham. Hai una settimana di tempo.”
L’attimo dopo la linea era caduta. La ragazza poggiò la fronte contro la parete fredda e si lasciò bagnare le guance dalle lacrime. Il suo peggior incubo era tornato.
“Judith, stai bene? E’ morto qualcuno?” domandò Joan, la coinquilina più simpatica.
“Va tutto bene.”
Judith si sforzò di sorridere e si asciugò le lacrime, del resto era in ritardo per il lavoro.
 
Alle undici e mezza terminò il turno di Judith. Ben le consegnò la paga mensile e qualche soldo in più di liquidazione poiché la ragazza si era appena licenziata. Abbracciò tutti elargendo raccomandazioni e battute, però il suo cuore era triste all’idea di lasciare quelle persone che da due anni erano un po’ la sua famiglia. Uscì dalla tavola calda senza guardare indietro, gli occhi appannati dalle lacrime e un tremendo nodo alla gola.
“Judith.”
Thomas era lì, appoggiato alla parete mentre fumava. La stava aspettando da chissà quanto.
“Non è serata, signor Shelby.”
Judith si incamminò verso la metropolitana con le mani in tasca e le spalle ingobbite dal peso delle sue emozioni. Thomas l’afferrò per il braccio e la guardò in faccia, aveva gli occhi arrossati e le labbra tremanti.
“Che succede?”
“Devo andare, signor Shelby.”
“Aspetta!”
Thomas rafforzò la presa e Judith si voltò con uno scatto nervoso.
“Lasciatemi andare, per favore.”
“Ti accompagno a casa. E’ buio ed è tardi, non è sicuro per te.”
Judith doveva ammettere che quel ragionamento era giusto, perciò si calmò e annuì. Thomas mollò la morsa e si mise a camminare al suo fianco.
“Che succede, eh? Sei stravolta.”
“E’ inutile intavolare una conversazione. Anzi, è inutile approfondire … qualunque cosa stia accadendo fra di noi. Tra qualche giorno me ne vado.”
“Parti per un viaggio?”
Judith si bloccò e si girò a guardarlo, era sensazionale il contrasto fra gli occhi azzurri e i capelli neri. Ebbe un’idea folle e decise di perseguirla, non aveva nulla da perdere.
“Mi fate compagnia durante una delle mie ultime notti a Londra?”
Thomas fece un passo indietro quando la ragazza gli strinse la mano facendo incastrare le loro dita.
“Perché?”
“Torno a casa mia, dalla mia famiglia. Voglio avere un bel ricordo di questa notte.”
“Fammi strada.”
 
La prima cosa che Thomas notò fu che la stanza di Judith era grande quanto la sua nella vecchia casa degli Shelby a Small Heath. Erano entranti a passo felpato per evitare che le altre abitanti e la proprietaria si accorgessero di loro. Una delle regole impediva alla ragazze di portare uomini all’interno delle loro camere. Judith chiuse la porta a chiave e accese solo un paio di candele per non destare sospetti che fosse ancora sveglia. Joan, infatti, era solita passare a darle la buonanotte prima di andare a dormire, ma quella sera non vide la luce sotto la porta e se ne tornò a letto.
“Prego, sedetevi.” Mormorò Judith.
Thomas si tolse la giacca e si allentò la cravatta, dopodiché si accomodò sul letto della ragazza e si mise a fumare di nuovo.
“Perché devi tornare a casa?”
“Nessuna domanda al riguardo, vi prego. Abbiamo già stabilito che ognuno ha i propri segreti.”
Judith si sistemò ai piedi del letto, si sfilò le scarpe e si sciolse i ricci ramati.
“Tommy. Puoi chiamarmi Tommy come tutti.” Esordì lui.
“Non voglio essere tutti. Io ti chiamerò Tom. Ti piace?”
“Lo detesto.”
Judith fece in tempo a cogliere il piccolo sorriso sulle labbra di Thomas prima che tornassero sulla sigaretta.
“Ventitré. Io ho ventitré anni.”
“E per quale motivo me lo dici?”
Lei si andò a sedere accanto a lui, posando la testa sulla sua spalla e sorridendo.
“Nel caso ti venisse voglia di baciarmi.”
Thomas si morse le labbra per reprimere un ghigno, quella ragazza era una novità ogni volta che la incontrava.
“Quindi secondo te sono il tipo che va in giro a baciare le ragazzine?”
“Se mi reputi una ragazzina, puoi sempre andartene. Nessuno ti trattiene qui.”
Judith gli strizzò il braccio in modo giocoso, era divertente provocarlo. Si distese supina sul letto e incrociò le mani sullo stomaco che brontolava in sottofondo. Quella sera aveva lasciato il Mayfair senza cenare, non avrebbe sopportato gli sguardi sofferenti di Ben e degli altri ancora per molto.
“Vuoi tornare a casa? Ti manca la tua famiglia?”
Thomas stava cercando di capire perché la ragazza dovesse fare ritorno a casa in fretta, aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di losco sotto.
“Ho fame. E tu? In mansarda c’è del cibo. Vieni!” disse Judith, sviando la conversazione.
“Judith …”
“Andiamo, Tom. Non vorrai far morire di fame una ragazzina?”
Thomas si alzò con riluttanza e la seguì lungo una ripida scalinata che portava al piano superiore, una mansarda arredata da mobili ricolmi di cibo.
“E’ qui che tenete le scorte, eh.”
Judith soffocò una risata per non essere sentita e chiuse piano la porta a chiave. La proprietaria aveva il sonno leggero e non osava immaginare cosa sarebbe successo se avesse scoperto l’uomo a girare per casa.
“Posso farti una domanda, Tom?”
“L’hai già fatta.”
La ragazza roteò gli occhi a quell’atteggiamento stoico dell’uomo, la maggior parte del tempo sembrava impassibile alla vita.
“Sei sposato? Te lo chiedo perché la mia amica Lisa crede che tu … ecco, ti stia approfittando di me.”
Thomas si era seduto su una vecchia poltrona sgualcita, le molle sotto la stoffa gli pungevano la schiena. Judith aprì la dispensa e agguantò un pacco di biscotti alla cannella, erano i suoi preferiti.
“Vedi una fede al mio dito?”
“No.”
“Appunto.”
Judith si rese conto che per un secondo Thomas si era guardato l’anulare con la nostalgia stampata negli occhi.
“Tua moglie è morta, vero?”
“Io me ne vado.”
Thomas si alzò come una furia, la mascella serrata e le mani strette a pugno, e si avvicinò alla porta per aprirla e scendere.
“Aspetta! Mi dispiace, Tom!”
Poi accadde tutto velocemente. Judith si issò sulle punte, circondò il collo di Thomas con le mani e lo baciò. Lui dapprima rimase rigido, non si aspettava una cosa simile, ma l’attimo dopo avvolse un braccio intorno alla vita della ragazza per attirarla a sé. Il bacio era lento, desiderato, e soprattutto era dolce. Era una dolcezza che Thomas non provava da tempo, era travolgente e lo istigava ad abbandonarsi. Strinse le mani sui fianchi di Judith e approfondì il contatto fra i loro corpi. Più si baciavano e più si volevano.
“Mi sa che ti ho convinto a restare.” Sussurrò Judith con un sorriso.
“Sai essere molto persuasiva.”
Il sorriso della ragazza si spense quando la mano di Thomas risalì sulla schiena sfiorandole il gancio del reggiseno attraverso il maglioncino. Si staccò di colpo, quasi si fosse bruciata.
“Non posso … io non … non posso.”
Thomas si grattò il mento con fare pensieroso, non sapeva come comportarsi. Era abituato a trattare con donne più grandi e disposte a passare la notte con lui, ma in questo caso la giovane età di Judith era un freno. In quale guaio si era cacciato?
“Forse è meglio che io vada. Devo prendere l’ultimo treno.”
Judith abbassò gli occhi nel totale imbarazzo, prima lo invitava a casa sua e poi si tirava indietro. Ripensò alla voce di sua madre, autoritaria e fredda, e fu invasa dalla vergogna.
“Vorrei trascorrere le notte con te, Tom. Lo vorrei davvero tanto, ma non posso.”
“Hai un fidanzato che ti aspetta?”
“No. Non sono mai stat con nessuno e … domani torno a casa e … e se mia madre scoprisse che non sono più … che non sono più pura … lei … ehm …*”
Thomas capiva bene che la ragazza avesse timore di essere rimproverata dalla madre, perciò sollevò la mano per farla smettere di parlare.
“Ho capito.”
“Però vuoi andartene.” Asserì Judith, sconsolata.
“Judith, che cosa vuoi? Presto sarai di nuovo a casa e Londra sarà un ricordo. Mangia i biscotti, saluta i tuoi amici e va a casa col cuore leggero.”
Thomas era sul punto di fiondarsi giù per le scale, non ne poteva più di quella situazione irreale. Judith, però, era caparbia e gli schiaffeggiò la mano poggiata sulla maniglia.
“Resti con me stanotte? Lo so che non era questo il tuo piano per la serata, però io vorrei passare questa notte a Londra in maniera memorabile.”
Ormai era passata la mezzanotte e la stazione aveva chiuso i battenti, quindi Thomas non poteva fare ritorno a casa. Accarezzò un riccio di Judith e sospirò.
“Resto solo perché ormai non partono più treni.”
Judith sorrise compiaciuta e lo riportò in camera sua, attenta a non fare passi falsi davanti alla camera della proprietaria. Il letto era piccolo per due persone e dovettero arrangiarsi con Judith che si addormentò fra le braccia di Thomas.
 
L’indomani Judith si svegliò con i muscoli intorpiditi per la posizione scomoda ma con un sorriso allegro. Si rigirò nel letto e sgranò gli occhi quando non trovò Thomas. L’orologio al polso segnava le sette e un quarto del mattino e le lenzuola erano ancora tiepide, segno che lui se l’era svignata da poco. Sulla porzione di cuscino che Thomas aveva occupato c’era un biglietto ripiegato e un oggetto rotondo in mezzo. Judith si mise seduta e lesse il messaggio: E’ stato un piacere conoscerti.
L’oggetto era il gemello rotto di Thomas, una piastrina dorata circolare ornata da un’aquila incisa. Sebbene la tristezza dell’imminente partenza, Judith sorrise al ricordo di quel bell’uomo tenebroso che aveva conosciuto in una tavola calda di Londra.
 
 
Salve a tutti! ;)
Eccomi tornata per vostra sfortuna.
Beh, che ve ne pare di questa nuova storia?
Ariadne e Judith daranno filo da torcere al nostro signor Shelby.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Noterete che le citazioni a inizio capitolo riguardano l’inferno perché è il tema che ho scelto come filo conduttore della storia.

*Ovviamente faccio riferimento ad una società di fine anni '20 e capirete che la libertà sessuale era piuttosto limitata, almeno per le ''signorine dabbene''.

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Capitolo 2
*** Vite incrociate ***


2. VITE INCROCIATE

“Non pensare che l’inferno sia nascosto da qualche parte nelle profondità della Terra. L’inferno è qui: tu sei all’inferno e l’inferno è in te.”
(Osho)
 
 
Una settimana dopo, Birmingham.
Ariadne camminava avanti e indietro per ingannare il tempo. Era arrivata da un’ora a Birmingham, e in teoria suo fratello Julian sarebbe dovuto essere lì ma in pratica non c’era traccia del ragazzo. Julian aveva ventuno anni, alto e snello, capelli castani ricci e due occhi verdi mozzafiato; affascinante, furbo, estroso, era il Dorian Gray della famiglia. Non c’era uomo o donna che resistesse allo charme di Julian Evans. Era, però, la pecora nera per eccellenza: sempre in giro per locali a bere fino all’alba, sempre invischiato in qualche scommessa che gli arrecava una serie di guai, ne combinava di tutti i colori ma il suo carattere amorevole gli permetteva di essere perdonato ogni volta.
“Mia bella signorina, disturbo?”
Ariadne si voltò e scoppiò in una risata di cuore nel rivedere Julian. L’ultima volta che lo aveva visto era un tredicenne troppo magro e con una zazzera confusa di capelli mentre ora era un uomo formato. Aveva due occhiaie profonde, la giacca sbottonata e non indossava il capello.
“Non disturbi mai. Vieni qui, fatti abbracciare!”
Se otto anni prima Ariadne riusciva ad abbracciare il fratello, adesso era Julian a stringerla forte e ad appoggiare il mento sulla sua testa. Quante cose erano cambiate in soli otto anni, troppe per tenerne il conto.
“Sei bassa, sorellona. A Londra non mangiavi abbastanza?”
La ragazza si accoccolò di più al fratello come se cercasse un appiglio per non affondare nei suoi stessi pensieri. Non voleva tornare a casa e rivedere sua madre, avrebbe preferito restare in stazione per sempre. Purtroppo per lei, Julian si staccò e le stampò un bacio sulla guancia.
“Torniamo a casa. Gli altri non vedono l’ora di rivederti!”
Ariadne si morse l’interno della guancia e annuì, seguendo il fratello fuori dalla stazione. Ripeté a se stessa di restare forte perché, una volta tornata in quella casa, avrebbe dovuto mantenere il sangue freddo.
 
La villetta era immersa in un rigoglioso giardino che Ariadne vedeva per la prima volta. In passato la casa era stata circondata da erbacce secche e altra sterpaglia. Tutto sommato l’abitazione era uguale, la forma dei balconi, le mattonelle esterne, il sentiero di ciottoli che dal vialetto conduceva al cancello. Varcata la soglia, Ariadne poggiò una mano alla parete per reggersi. Le emozioni negative che quell’ambiente le suscitava la stavano sopraffacendo.
“Stai bene?” chiese Julian, apprensivo.
“Sì, Jules. Sono molto stanca per il viaggio.”
“Allora salutiamo gli altri e poi ti accompagno in camera. Sai, mamma ha lasciato la tua camera esattamente come prima.”
La ragazza abbozzò un sorriso per non smorzare l’entusiasmo del fratello, benché dentro stesse trattenendo le lacrime. Quella casa la stava soffocando.
“Ariadne!”
Ariadne questa volta fu investita da un altro caldo abbraccio che apparteneva al fratello maggiore Eric. Teneva i gomiti appoggiati sulle stampelle per tenersi in piedi il giusto per salutare la sorella. Non camminava bene da anni, la guerra lo aveva privato della gamba sinistra e anche la destra aveva subìto parecchi danni. Loro due avevano lo stesso colore ambrato degli occhi, un particolare ereditato dalla madre.
“Eric, mi stai stritolando!”
Il fratello si tirò indietro senza mollare la presa su di lei, otto anni senza la sorella erano stati eterni e riaverla era una gioia immensa.
“Ariadne, vieni che ti presento due persone speciali.”
Julian prese la sorella a braccetto e insieme si accodarono dietro Eric che si trascinava sulle stampelle verso il suo studio, quello che un tempo era appartenuto al padre. Sul divano era seduta una donna, capelli castani e occhi marroni, che teneva una bambina di sei anni in braccio.
“Sorellina, ti presento mia moglie Barbara e mia figlia Agnes.”
Barbara andò da Ariadne e le strinse la mano, dopodiché l’abbracciò brevemente.
“E’ un vero onore conoscerti. Eric e Julian parlano sempre di te.”
Eric si era sposato un anno dopo la partenza di Ariadne e nel giro di poco era diventato padre, era felice se non fosse che l’assenza della sorella gli aveva causato molta tristezza.
“L’onore è tutto mio. Eric nelle sue lettere ti descrive come la donna più bella del mondo e ha ragione!”
Barbara arrossì ed Eric le avvolse un braccio intorno alle spalle per poi darle un bacio sulla tempia. Ariadne avrebbe voluto assistere alla nascita del loro amore, invece non faceva più parte di quella famiglia da anni. Poi si accorse che la bambina la fissava con un certo timore dato che conosceva la zia per la prima volta.
“Ciao, Agnes. Sei bellissima. Sono così felice di conoscerti!”
La bambina fece un mezzo inchino e andò a nascondersi dietro la gonna della madre.
“Per Agnes è tutto nuovo. Anche per noi è tutto un po’ nuovo. Otto anni sono tanti.” Disse Eric.
Ariadne incassò quelle parole come un’accusa, lo sapeva che il fratello maggiore non aveva mai accettato la sua partenza e anche nelle lettere gliene faceva una colpa. Ah, se solo avesse saputo la verità!
“Cos’è tutto questo baccano?”
Bastò quella voce autoritaria per far raggelare Ariadne. Il cuore prese a battere all’impazzata per la paura. Chiuse gli occhi per un secondo e desiderò essere risucchiata nel pavimento pur di evitare quell’incontro.
“Ah, Ariadne sei tu.”
“Salve, madre.”
Marianne Evans non era cambiata di una virgola, eccetto qualche ruga in più sul viso. Soliti capelli acconciati in uno chignon, solito abito nero in segno di lutto, solita espressione severa e accigliata. Era una donna rigida, dispotica, incline a imporre ordini e a punire chi non li rispettasse. La sua sola presenza faceva venire i brividi.
“Va in camera tua e cambiati, quei pantaloni non sono adatti ad una donna. Sbrigati.”
“Sì, madre.”
Ariadne chinò il capo, afferrò la sua valigia e risalì le scale. Passando accanto alla madre avvertì una sensazione dolorosa allo stomaco come se l’avessero pugnalata. Tornare a casa era stato un grande errore.
 
Il pranzo era stato lungo, silenzioso e fatto di occhiatacce sospette. Ariadne sedeva accanto a Julian e a capotavola stava sua madre che non smetteva di guardarla con disprezzo. Eric e Agnes avevano movimentato un po’ le cose, anche se le loro risate non avevano allentato la tensione. Ariadne aveva mangiato poco e niente, si era limitata a spiluccare nei piatti per dare l’impressione di godersi le pietanze.
“Come procedono gli affari, Eric?” esordì la madre.
“Bene. Abbiamo ottenuto i risultati sperati.”
Affari, che parola pulita per descrivere le attività di famiglia. Gli Evans da anni erano a capo dei Blue Lions. Ufficialmente si occupavano di produrre vino, ma in verità erano dediti ad attività illegali quali l’usura, vendita e acquisto di armi e negli ultimi anni si erano anche inseriti nel circuito delle scommesse.
“Molto bene. Tuo padre sarebbe fiero di te.” disse la madre, senza sorridere.
Ariadne emise uno sbuffo e si portò il bicchiere alle labbra per nascondere la smorfia di disgusto.
“Qualcosa non va?” domandò Barbara con gentilezza.
“Va tutto bene. Del resto, rallegriamoci tutti perché le attività illecite di questa famiglia vanno a gonfie vele!”
Ariadne prese il calice di vino di Julian, lo alzò e lo bevve in un sorso solo. La madre la fulminò con lo sguardo e strinse forte la mano intorno al manico delle posate.
“Sei una maleducata, Ariadne. Dovresti apprezzare quello che tuo fratello fa per questa famiglia.”
“Perché derubare la povera gente è un gesto che va apprezzato, certo!”
Eric guardò la sorella e scosse la testa per dirle di smetterla, irritare la madre non era una mossa saggia. Julian decise di intervenire per salvare la situazione.
“Parlando di cose interessanti, posso dare la bella notizia ad Ariadne?”
“Di che si tratta?” indagò Ariadne.
“Eric ha organizzato una festa di bentornato per te! Ci saranno tutte le persone di Birmingham che contano. Ci saranno bei vestiti, alcol a fiumi, belle donne ….”
“Taci.” Ordinò la madre.
“Non serve. Il mio ritorno non merita grandi celebrazioni.” Disse Ariadne.
Julian le diede un colpetto alla spalla e rise, a volte era davvero fastidioso.
“Non dire sciocchezze! Sei una Evans e come tale meriti di essere festeggiata.”
Ariadne incrociò gli occhi della madre, dialogarono con lo sguardo per un istante prima che la donna tornasse a concentrasi sul pasticcio di verdure.
 
 
Due giorni dopo.
Ariadne osservava l’abito sul letto con disgusto. Avrebbe preferito rasarsi a zero i capelli piuttosto che indossare quell’abito. Si trattava di un modello morbido e lungo fino a coprire il ginocchio, le maniche a tre quarti terminavano con una fascia di pizzo ed era blu con margherite bianche cucite sulla gonna. Ovviamente lo aveva scelto sua madre, o meglio glielo aveva imposto. Stando alle sue parole, un abito del genere sprigionava tutto il fascino di una giovane donna in cerca di marito. Ariadne non voleva un marito, lei volava soltanto essere libera di vivere secondo le sue scelte.
“E’ permesso?”
Avvinghiata allo stipite della porta c’era Barbara, i lunghi capelli castani sembravano fluttuare alla luce del sole.
“Prego, entra pure. E’ successo qualcosa?”
Ariadne si sedette alla toilette e incominciò a pettinarsi i ricci ribelli, nonostante sapesse che la sua chioma era indomabile, perché si sentiva a disagio in presenza della cognata.
“Ti ho portato una cosa per questa sera. Lo so che non ci conosciamo ancora bene, però spero che questo regalo possa essere l’inizio di una bella amicizia.”
Barbara depose sul letto un piccolo cofanetto al cui interno si conservava un fermaglio rotondo ornato da piccole perle bianche. Ariadne lo riconobbe subito poiché un tempo era appartenuto a lei, quando ancora si considerava parte della famiglia.
“Suppongo che mia madre te lo abbia donato per il matrimonio.”
“Esatto. Disse che sua madre prima di lei lo aveva ricevuto in dono da sua nonna.”
Ariadne conosceva bene quella storia, era la stessa che la madre le aveva raccontato quando per la prima volta le aveva acconciato i capelli con quel cimelio.
“Allora è tuo, Barbara. Si intona meglio con il colore dei tuoi capelli.” disse Ariadne.
Barbara arrossì un poco, non era avvezza ai complimenti se non a quelli del marito.
“Grazie. Posso fare altro per te? Vorrei rendermi utile.”
“Puoi chiedere a Eric di annullare questa stupida festa. A nessuno importa se sono tornata.”
Ariadne lanciò la spazzola sul letto con uno sbuffo, era nervosa più del solito. Era ancora in pigiama e si sarebbe dovuta vestire per la colazione, però aveva solo voglia restare a letto e lasciarsi divorare dal materasso fino a scomparire.
“E’ impossibile. Eric aspetta il tuo ritorno da anni e pianifica da mesi questa festa. Lui ti vuole davvero molto bene.” disse Barbara.
Ariadne si prese qualche secondo per studiare la cognata: era proprio il tipo remissivo e silenzioso che piaceva a sua madre. Nella sua mente balenò il volto di Eric insieme ad un’altra ragazza.
“Tu sei la sorella di Rosemary, vero? Lei ed Eric erano innamorati anni fa.”
Barbara si strinse le braccia intorno al corpo come a volersi proteggere da quella costatazione.
“Sì, Eric e mia sorella da giovani stavano insieme. Lo sai come funzionano i matrimoni combinati, è sempre tutto stabilito sin dall’inizio. Io ed Eric eravamo destinati a sposarci malgrado l’intromissione di Rosemary.”
“So che i matrimoni combinati sono abominevoli. Nessuno dovrebbe essere costretto a stare con una persona che non ama.” Replicò Ariadne con voce dura.
“Io amo Eric! Lo amo davvero!” si affrettò a dire Barbara.
“Certo, perché tu sei stata fortunata a sposare mio fratello che è una persona quantomeno decente. Pensa a tutte quelle donne che si ritrovano sposate con uomini violenti, loro sono condannate.”
Barbara aveva gli occhi lucidi, non aveva mai considerato quella prospettiva e ora le veniva da piangere per il modo irruento con cui aveva parlato Ariadne. La porta della camera si spalancò e sbucò la faccia stravolta di Julian, era visibilmente brillo dopo una notte di bagordi.
“Ehilà, belle pollastrelle! Che si dice?”
Ariadne gli scompigliò i capelli e gli schioccò un bacio sulla guancia, l’odore di rum le invadeva le narici.
“Fila in camera tua prima che mamma ti veda in queste condizioni.”
Come se l’avesse invocata, la madre comparve alle spalle di Julian con le mani dietro la schiena.
“Julian, come sempre mi deludi. Sei uno spettacolo indecente. Per questa sera vedi di rimetterti in sesto perché non ho voglia di fare brutta figura con gli ospiti.”
Mentre Ariadne si ammutolì, Julian ridacchiò e fece spallucce.
“L’indecenza attrae tutti, madre. Viva l’indecenza!”
Il ragazzo si diresse verso camera sua a passo di danza, ancora ebbro dalle ore precedenti. Ariadne trattenne un sussulto quando la madre la guardò con quei suoi occhi velenosi.
“E tu non ti azzardare a indossare il fermaglio di perle. Barbara è stata una sciocca a portartelo. Tu non sei degna di un simile oggetto.”
La ragazza chinò il capo in ossequio, nessuno era esente dai comandi di Marianne Evans.
“Sì, madre.”
 
Julian fece irruzione con nonchalance, e soprattutto con un bicchierino di alcol fra le dita sottili. Ariadne si stava abbottonando gli orecchini ai lobi e sorrise al fratello attraverso lo specchio.
“Una vecchia decrepita sembra più giovane di te. Questo vestito ti sta malissimo!”
“Grazie, Jules, sei sempre incoraggiante. Stai ancora bevendo?”
Il ragazzo si spaparanzò sul letto e fece roteare il liquido nel bicchiere, il colore del whiskey faceva risaltare i suoi occhi.
“Devo bere per affrontare queste feste. Solo Eric si trova a suo agio perché lui è il cagnolino di mamma e farebbe qualsiasi cosa per renderla felice. Beh, non che quella donna conosca la felicità.”
Ariadne si rattristò all’idea che il fratellino dovesse ubriacarsi per sopportare la sua vita. Si sentì talmente in colpa che smise di guardarsi allo specchio, la sua stessa immagine la ripugnava.
“Stasera ci sono io con te.”
“Già, stasera. Poi te ne andrai e le cose torneranno ad essere infernali.” Disse Julian.
“Mi dispiace, Jules.”
Julian sorrise divertito a quel nomignolo, sua sorella non lo chiamava così da otto anni e risentirlo era una ventata di aria fresca.
“Non è colpa tua. Lo so che la morte di papà ti ha sconvolta ed è stato giusto che tu abbia preso le distanze dal dolore per riprenderti. E’ solo che mi manchi davvero tanto.”
Ariadne si sedette accanto a lui e gli fece appoggiare la testa sul grembo per accarezzargli i capelli. Gli baciò la fronte come un’ennesima richiesta di perdono.
“Anche tu mi manchi terribilmente.”
“Allora resta. Ti scongiuro.”
Julian affondò la guancia nel vestito della sorella e l’abbracciò stretta come un bambino impaurito dagli incubi. Ariadne gli tolse il bicchiere di mano e bevve il resto del whiskey in un colpo solo, tossendo subito dopo per il sapore forte. Quella serata si prospettava più difficile del previsto.
 
Ariadne si spostava fra gli invitati come un fantasma, invisibile e senza sostanza. Nessuno l’aveva riconosciuta per fortuna, non aveva voglia di ricordare i tempi passati. Afferrò una tartina dal vassoio di un cameriere e la mangiò per consolarsi. Stava per arraffare altro cibo quando una mano le artigliò il polso.
“Non mangiare come un maiale. Ti rendi ridicola.” Sussurrò la madre.
“Mi vieterai anche di respirare, madre?”
La madre le lanciò un’occhiata altera, non amava quel tipo di sarcasmo.
“Devi conoscere alcune persone importanti. Stiamo intavolando degli affari con loro, perciò cerca di essere carina.”
Ariadne sobbalzò quando la madre la prese sottobraccio, non erano così vicine da un’infinità di tempo. O forse non lo erano mai state. In lontananza vide Eric e Barbara discutere allegramente con un’altra coppia, mentre sulla sinistra Julian stava parlando con una ragazza che entro pochi minuti avrebbe ceduto al suo fascino. Eric si voltò verso la madre e con un braccio indicò il suo arrivo.
“Sono lieto di presentarvi mia sorella Ariadne!”
Fu a quel punto che il cuore di Ariadne perse alcuni battiti. Davanti a lei c’era il signor Shelby in compagnia di una donna.
“Ariadne, questi sono Tommy Shelby e sua moglie Lizzie.” spiegò Barbara.
Tommy prese la mano di Ariadne, che era fredda come un pezzo di ghiaccio, e ne baciò il dorso con delicatezza.
“Signorina Evans, è un piacere conoscervi.”
Ariadne si riscosse solo perché la madre le aveva pizzicato un fianco, quindi deglutì e respirò a fondo.
“Ehm … il piacere è mio.”
“Buonasera, signorina.” Disse Lizzie con un mezzo sorriso.
Spostando la mano per salutare Lizzie, Ariadne notò la pancia prominente della gravidanza.
“Siete incinta!”
“Che osservazione acuta, sorellina.” Scherzò Eric.
Tutti si misero a ridere, eccetto Ariadne che respirava ancora a fatica. Gli occhi di Tommy erano inchiodati su di lei, le stavano trivellando il corpo e l’anima.
“Scusatemi, c’è una vecchia amica che vorrei salutare.” Disse Ariadne.
Sgattaiolò via per andare in cucina a sfogarsi sul cibo. Chiuse la porta e si fiondò sui crostini al salmone che giacevano in bella vista sul bancone. Si stava ingozzando quando la porta cigolò rivelando l’entrata di qualcuno. Ariadne si nascose nella cella frigo, lasciando lo sportello aperto per non morire di freddo. Socchiuse gli occhi per frenare i conati di vomito. La testa le girava vorticosamente. Tommy ispezionava la cucina con le mani in tasca e la faccia di uno pronto a dare fuoco alla casa intera. Dopo qualche minuto abbandonò la ricerca, si accese una sigaretta e tornò alla festa.
Rimasta da sola, Ariadne buttò fuori l’aria e si sedette per non cadere. Presto i suoi segreti sarebbero venuti a galla e lei sarebbe affogata senza vie di scampo.
 
Ariadne aveva spazzolato un intero vassoio di pasticcini, il nervosismo innescava come reazione una fame sfrenata. Era seduta da sola in disparte, lontana da tutti quelli che potevano metterla in allarme. Dal suo angolo solitario vedeva Eric e Barbara ridere con alcuni ospiti; la madre sorseggiava champagne insieme ad una sua vecchia conoscenza; Julian era attorniato da ragazze che reclamavano le sue attenzioni. E poi i suoi occhi caddero su Tommy. Stava fumando mentre parlava con uomo dall’aria vagamente familiare. Era bello con quello smoking che gli calzava perfetto e gli occhi azzurri in cui si riverberavano le luci delle fiaccole disseminate in giardino.
“Ariadne? Non ci credo!”
Un uomo le diede una pacca sulla spalla tanto forte da farle cadere di mano un pasticcino alle mandorle.
“Sì?”
“Non ti ricordi di me?”
Ariadne fece uno sforzo di memoria e pian piano riconobbe la voce roca dell’uomo.
“Russell, sei tu?”
“Esatto! Ma quanto sei diventata carina.”
Lucius Russell era il migliore amico di Eric da tutta la vita. Sin da bambini abitavano vicini, avevano servito in guerra insieme e all fine Lucius era diventato il braccio destro di Eric negli affari dei Blue Lions.
“Tu lavori ancora alle dipendenze di mio fratello?”
“Lo sai, i Blue Lions sono per sempre. La famiglia è per sempre, anche se ti trasferisci a Londra e sparisci per otto anni.”
Ariadne mangiò un altro pasticcino per allentare la tensione. Anche Lucius la stava accusando per essersi trasferita.
“Beh, ognuno fa le proprie scelte e nessuno dovrebbe essere giudicato per questo.”
Lucius ghignò, sin da adolescente aveva quel fare da bello e dannato che incantava le fanciulle. Anche Ariadne in passato aveva avuto una cottarella infantile per lui che si era tramutata in indifferenza quando Lucius aveva ammazzato di botte un povero contadino.
“E ora hai scelto di tornare all’ovile. Come mai?”
“Sono stata richiamata da mia madre, ma non ne conosco la ragione.”
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di una cameriera, una delle tante che lavoravano da anni per gli Evans.
“Signorina Evans, signor Russell, siete desiderati nello studio del signor Evans.”
Ariadne a malincuore si separò dai pasticcini per seguire Russell all’interno della casa, un posto che non conosceva più come le sue tasche. Eric aveva ristrutturato lo studio del padre ingrandendolo e disponendo nuovi mobili, tra cui la libreria che un tempo faceva parte della camera della sorella.
“Entrate e chiudete la porta.” Disse Eric.
Ariadne entrò ma subito fece due passi indietro perché Tommy era seduto sul divano a bere whiskey. La guardava con una tale intensità che per miracolo gli organi interni della ragazza non si sciolsero. Tutti si sedettero sul divano, e per fortuna Ariadne trovò un cantuccio all’estremità opposta di Tommy. Eric si strascinò senza stampelle, facendo leva sul legno massello dello scrittoio.
“Siete qui perché dobbiamo parlare di affari. Sapete bene che sia-…”
“Come, scusa?” lo rimbeccò Ariadne, confusa.
“Mamma non te l’ha detto?”
“Dirmi cosa?”
Tommy notò che Ariadne aveva iniziato a torturare l’orlo del vestito, le nocche erano bianche tanto forte era la presa sulla stoffa.
“Ariadne, io sono malato. Ecco perché sei qui.”
“M-malato?”
Eric provò un moto di tenerezza per lo sguardo smarrito della sorella, ogni volta che era turbata schiudeva la bocca e sgranava gli occhi come un cerbiatto spaventato.
“Ho contratto una brutta infezione al moncherino della gamba. L’infezione procede molto rapida e le mie condizioni peggiorano. I medici dicono che non ci sono cure per il momento. E’ un momento importante per i nostri affari, è la svolta dei Blue Lions. Io non posso muovermi più di tanto e ho bisogno di qualcuno che faccia le mie veci. Julian non è adatto a un simile ruolo, è troppo inaffidabile. Io penso che tu sia la persona giusta.”
La mano di Ariadne artigliò il bracciolo del divano, le unghie quasi si conficcavano nella pelle bianca. La stanza aveva preso a girare di colpo.
“No! Te lo scordi! Io non ci entro nei vostri affari sporchi! Mi fa schifo tutto questo!”
“Sta calma, bambolina.” La riprese Russell.
“Devo stare calma mentre mio fratello mi chiede di gestire attività illecite? Non ci sto!”
Ariadne stava per uscire quando Eric l’afferrò per il braccio.
“Tu sei una Evans. Tu sei parte dei Blue Lions. Questa eredità ti spetta, che ti piaccia o no. Gestirai gli affari per conto mio fino a quando non mi sarò rimesso in sesto. Nostra madre non ti permetterà di tornare a Londra, lo sai meglio di me.”
“Vaffanculo, Eric!”
Ariadne sbatté la porta quando andò via. La statua di un angelo cadde per terra spaccandosi in mille pezzi.
 
“Ariadne.”
La voce tetra di sua madre giunse come il fruscio sinistro di vento fra gli alberi. Ariadne non alzò il mento, continuò a infilare i suoi vestiti nella valigia. Era intenzionata a scappare a Londra come aveva fatto otto anni prima.
“Ariadne, non te ne puoi andare.”
“Me ne frego di quello che posso o non posso fare!”
Era la prima volta che rispondeva a tono alla madre, tant’è che la donna emise un brusco sospiro.
“Dirò la verità ai tuoi fratelli. Se provi ad andartene, racconterò a Eric e Julian che cosa hai fatto quella notte.”
Ariadne si bloccò, il foulard che teneva in mano si afflosciò sul letto come un fiore morto.
“Non lo faresti mai.”
“Perderesti l’affetto di Julian se venisse fuori la verità. Per non parlare di Eric, per lui saresti morta. E’ questo che vuoi? Perdere la tua famiglia per scappare ancora?”
La madre in cuor suo sorrideva perché insinuare dubbi nella mente della figlia era facile, e infatti Ariadne si lasciò cadere sul piumone con uno sbuffo.
“Non puoi farmi questo. Tu sei mia madre! Quella notte ho commesso un errore in buona fede! Tu eri presenti, hai visto e sentito tutto!”
“Io ho visto solo mia figlia commettere un atto ignobile. Hai sbagliato e devi pagarne le conseguenze. Ora rimetti i tuoi vestiti nell’armadio e ritorna alla festa, dobbiamo dare una buona impressione.”
 
La festa era finita, ora gli invitati si apprestavano a porgere i saluti alla famiglia Evans e a ricevere in cambio una cesta contenente un vino rosso di alta qualità. Ariadne stringeva mani ed elargiva sorrisi senza entusiasmo, era un manichino senza vita i cui fili erano mossi da altri. Si riscosse solo quando fu il turno di Tommy e Lizzie.
“Spero di rivedervi presto, signorina. Potremmo bere un tè insieme.” Propose Lizzie.
“Sì, certo. Mi farebbe piacere.” Rispose Ariadne, poco convinta.
Tommy si chinò a baciarle di nuovo la mano e fu attraversata da un brivido lungo la schiena.
“Ariadne Evans, ci vedremo ancora.”
“A presto, signor Shelby.”
La memoria di Ariadne la riportò alla loro notte insieme, a quel bacio travolgente, al calore del suo corpo mentre dormivano, e dovette sventolarsi con la mano per riprendersi.
“Tommy Shelby fa sempre un certo effetto.” Bisbigliò Julian al suo fianco.
“Tu lo conosci?”
“Solo di fama. E’ il capo dei Peaky Blinders da circa dieci anni, metà città appartiene a lui. E’ un vero e proprio re.”
Ariadne e Tommy si scambiarono uno sguardo fugace prima che lui salisse in macchina e che lei salutasse l’ennesima donna ricca.
Tornare a Birmingham era l’inizio dei suoi problemi.
 
 
Salve a tutti! :)
Beh, Tommy e ha incontrato Judith sotto altre vesti. Ma che avrà combinato Ariadne per meritare l’odio della madre?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio, alla prossima.
 

 

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Capitolo 3
*** Nel mirino ***


3. NEL MIRINO

“Chi dice che l’inferno è nell’aldilà conosce male l’aldiquà.”
(Roberto Gervaso)
 
Ariadne tratteggiava linee confuse col carboncino, non aveva una precisa idea di quello che voleva disegnare. Sentiva solo l’esigenza di incanalare le sue emozioni attraverso quelle linee per non impazzire. Dopo la festa si era ritirata in camera e aveva passato la notte in bianco, del resto risulta impossibile dormire quando sei in trappola. Più guardava le mura della stanza e più si sentiva in gabbia. Non era scesa a fare colazione quella mattina, voleva evitare Eric e soprattutto sua madre. Intorno alle nove Barbara aveva bussato ma lei non aveva risposto, fingendo di stare ancora dormendo. E invece Ariadne era seduta sul balcone sin dalle prime luci dell’alba, sperava che la bellezza del sole che sorge avrebbe lenito la sua sofferenza. Da quel ritorno a casa non ne sarebbe uscita indenne, non quando la sua famiglia la reclutava per gli affari. Ariadne si era sempre tenuta lontana dalle attività dei Blue Lions, anche perché lei era la figlia femmina e il suo unico scopo era quello di essere moglie e poi madre. Che Eric avesse bisogno di lei era il segno che qualcosa non stava andando bene.
“Pss! Giulietta!”
Ariadne si sporse oltre la balaustra e vide Julian appeso alla scaletta attaccata al muro. Era ubriaco, niente di nuovo.
“Romeo, alla buon’ora! Pensavo fossi scomparso nel nulla.”
Julian saltò sul balcone e si resse alla sorella per non cadere. Sorrideva in maniera esagerata.
“Sono scomparso fra le lenzuola di un bel signorino!”
Ariadne capiva che il comportamento del fratello minore era dovuto ai suoi conflitti con se stesso, non era mai stato facile per Julian accettare di essere attratto sia dalle donne sia dagli uomini.
“Mamma te la farà pagare cara.”
“Me la fa pagare cara tutti i giorni con la sua sola esistenza.”
Julian poggiò la testa sulla spalla della sorella, era stanco sia nel corpo che nella mente.
“Devi smetterla di sprecare la tua vita così. Tu sei molto più di questo, Jules.”
“Sono un ubriacone di bell’aspetto. Non posso essere altro.”
Ariadne gli accarezzò i capelli e vi depositò un bacio, detestava il post sbronza del fratello perché diventava malinconico.
“Ti va di scendere a fare colazione? Sono le dieci, forse mamma è giù uscita con Barbara.”
“Andiamo. Sto morendo di fame.”
Per fortuna la madre e la cognata non c’erano, secondo la domestica erano uscite ben presto per fare delle compere. Ariadne e Julian poterono godersi cibo e tempo senza la tensione provocata dalla madre.
“Allora, che mi racconti di Londra?” chiese Julian, ingozzandosi di marmellata.
La ragazza affondò il naso in una tazza di tè per elaborare una risposta sensata.
“E’ una bella città. Dovremmo andarci insieme qualche volta.”
“Dimmi la verità, Aria. Sento che mi nascondi qualcosa.”
“Lo sai che dopo il collegio sono andata a stare da quella vecchia zia di nostra madre. A Londra passo il tempo a cucire e a leggere, niente di che.”
Julian leccò la marmellata dal coltello mentre studiava la posizione rigida della sorella, stava mentendo spudoratamente.
“C’è di mezzo un uomo?”
“Cosa? No! Assolutamente no! Jules, ti sto dicendo la verità. La mia vita a Londra non è un granché.”
Ariadne gli rivolse un sorriso tirato nella speranza che il fratello le credesse.
“Mmh, come dici tu. Secondo me c’entra una storia d’amore focosa.”
Per un attimo Ariadne ripensò alle parole della madre: Julian non avrebbe riso se avesse saputo la verità. Quel segreto che si portava dietro da otto anni sembrava bloccarle il respiro.
“Non c’è nessun uomo. Solo io e il cucito.”
“Ah, eccovi qui!”
Eric si trascinò fino al tavolo per lasciarsi poi cadere sulla sedia, massaggiandosi la gamba ferita. Era molto pallido e sudato, sembrava avesse la febbre. Inoltre, tossicchiava da quando era entrato.
“Stai bene? Hai una pessima cera.” Commentò Julian.
“Sto bene. Sono soltanto stanco. Ariadne, sei pronta?”
Ariadne sputò il tè nella tazzina di porcellana e si pulì il mento col tovagliolo.
“Pronta per cosa?”
“Per prendere le redini in mano. Dopodomani iniziano le trattative.”
“Uh uh, Ariadne sarà la nuova Giovanna D’Arco del crimine!” scherzò Julian.
Ariadne non rideva affatto. Sul suo volto era dipinta l’angoscia nuda e cruda.
“Che cosa devo fare di preciso?”
“Julian, per favore, lasciaci soli. Io e Ariadne dobbiamo parlare.” Disse Eric.
Julian fece spallucce, afferrò il contenitore dei biscotti e scoccò un bacio sulla guancia della sorella.
“Eric, io non penso di …”
“Ce la farai. Anzi, ce la devi fare. C’è in ballo la famiglia.” ribatté Eric, cupo.
Ariadne si mise le mani fra i capelli, aveva l’impressione soffocante di essere bloccata in un incubo.
“Mi dici che succede? Parli come se si trattasse di un cataclisma. Io non credo che tu abbia bisogno di me. Sei il capo dei Blue Lions, te la sai cavare da solo.”
“Ascoltami bene, Ariadne. Un mese fa abbiamo subìto una grave perdita: il nostro magazzino a sud della città è stato derubato e abbiamo perso un sacco di soldi. Ero disperato, i Blue Lions stavano diventando lo zimbello di tutti e stavamo perdendo potere. Ho chiesto aiuto a Tommy Shelby, sono stato costretto. Lui mi ha prestato i soldi necessari a rimettere in sesto gli affari e ora sono in debito con lui.”
Ariadne aveva avvertito una fitta dolorosa allo stomaco alla menzione di Tommy. Era incredibile che l’uomo affascinante conosciuto a Londra fosse lo stesso gangster amico di suo fratello.
“E Tommy cosa vuole in cambio adesso?”
“Vuole che io gli combini un incontro con gli Scuttlers.”
Gli Scuttlers erano una gang di Manchester implicata in omicidio, teppismo e traffico illegale di armi. Erano uno dei gruppi più violenti del Regno Unito, anche peggio dei Peaky Blinders. Mick King, il loro leader, era uno degli uomini più spietati mai esistiti. Tutti tremavano di paura nell’udire il suo nome.
“Sei impazzito, Eric? Gli Scuttlers sono delle bestie! Papà diceva di non fare mai e poi mai affari con loro.”
Eric abbassò la testa con un sospiro, si sentiva colpevole.
“Papà non c’è più, ora sono io che mi occupo di tutto. Si fa come dico io. Dobbiamo sdebitarci con Tommy Shelby ad ogni costo.”
“E io che ruolo ho?”
“Tra due giorni Tommy incontrerà gli Scuttlers, e all’incontro saremo presenti anche noi Blue Lions. Io non potrò esserci perché ho una visita medica per via dell’infezione. Tu parteciperai all’incontro al mio posto, ovviamente con te verrà anche Lucius per proteggerti.”
“Mi lasci andare ad un incontro fra gang? Sul serio, Eric?”
Ariadne era intelligente, sapeva che avere a che fare con gli Scuttlers le si sarebbe ritorto contro. Non erano uomini, non erano neanche animali, bensì feroci macchine da guerra.
“Tranquilla, Lucius veglierà su di te. E sono sicuro che anche Tommy avrà un occhio di riguardo per te.”
“Dubito che i Peaky Blinders vogliano accudire una ragazzina.” Replicò Ariadne.
Eric le prese le mani e strinse forte come se da quel contatto volesse attingere la forza.
“Ho bisogno di te, sorellina. La famiglia ha bisogno di te.”
“Eric, questa faccenda non finirà bene.”
 
Due giorni dopo
Ariadne smontò dall’auto e salutò l’autista con un cenno della mano. Si trovava in un vicolo di Small Heath, il quartiere sotto il comando degli Shelby, e si guardava intorno in cerca del Garrison. La sera prima Eric le aveva riferito che i Peaky Blinders l’attendevano in quel pub per un breve incontro prima di riunirsi fuori Birmingham con gli Scuttlers. Quando la ragazza individuò il locale, spinse la pesante porta ed entrò senza farsi notare. All’interno era semi vuoto poiché erano le diedi del mattino e tutti lavoravano, eccetto quei pochi clienti che si stavano ubriacando dopo il turno notturno.
“Vi serve qualcosa?”
Una ragazza dalle guance paffute e arrossate, lunghe trecce bionde e labbra piegate in un sorriso, si era avvinata alla nuova arrivata.
“Oh, sì, ehm … sto cercando Tommy Shelby, abbiamo un appuntamento.”
“Un appuntamento, eh? Capisco. Tommy è impegnato al momento, potete aspettare al bancone. Vi poss offrire da bere?”
“No, grazie.”
Ariadne prese posto sullo sgabello con una certa agitazione, non le piaceva per niente come stava procedendo quella giornata. Sussultò appena quando un ragazzo si allungò sul bancone accanto a lei.
“Buongiorno, dolcezza.”
La ragazza bionda si voltò in tempo per ricevere un bacio sulle labbra dal ragazzo.
“Buongiorno a te, Finn.”
Finn, il ragazzo in questione, notò la presenza di Ariadne e aggrottò le sopracciglia.
“E questa chi sarebbe?”
“Un’amica di Tommy.” rispose la biondina con un sorrisetto.
“Sono Ariadne Evans.” Intervenne Ariadne con voce piatta.
Finn sbarrò gli occhi e si mise dritto come un soldatino.
“Signorina Evans, mi dispiace. Vado ad avvisare subito mio fratello.”
La biondina era arrossita ancora di più per la gaffe, pensava che fosse una delle tante conquiste di Tommy che venivano a supplicarlo di rivederle ancora.
“Scusate, signorina. Io non sapevo che voi foste ….”
“Non importa. E chiamami Ariadne, per favore.”
“Io sono Margaret.”
Le due si strinsero la mano e sorrisero, l’imbarazzo era già scemato.
“Quel tipo era Finn Shelby?” chiese Ariadne, ora più rilassata.
“Sì, è il fratello minore di Tommy. Ed è anche il mio ragazzo.”
“Congratulazioni, suppongo. Tommy è davvero impegnato?”
Margaret annuì mentre sciacquava l’ennesimo bicchiere. Lavorava al Garrison da tre anni e ogni giorno lavava più di cento bicchieri, eppure non si abituava mai a quel lavoro.
“Tommy si chiude sempre nel privè degli Shelby, o fa affari o se ne sta da solo. Non è un tipo amichevole, sai.”
Ariadne pensò al Tommy che aveva conosciuto a Londra, enigmatico e attraente, aperto al dialogo, e dovette fare i conti con una realtà in cui lui era uno dei maggiori gangster del Paese.
“Immagino che essere tanto in vista impedisca amicizie reali.”
“Immagino di sì. Non ti ho mai vista da queste parti.” Disse Margaret.
“Perché ho vissuto a Londra. Sono tornata da una settimana circa. Tu, invece, hai sempre vissuto a Birmingham?”
“Sì. Mio padre è andato via quando ero piccola e i miei tre fratelli sono tutti morti in guerra. Alla fine eravamo rimaste solo io, mia madre e mia sorella. E’ stato grazie agli Shelby se sono stata assunta qui al pub e se posso mantenere la mia famiglia.”
Margaret aveva la faccia di una ragazza di campagna bonaria e alla mano, e invece nascondeva una grande forza d’animo dietro quello sguardo ingenuo.
“Io ho due fratelli, il più grande si chiama Eric e il minore si chiama Julian. Tua sorella come si chiama?”
“Si chiama Cindy e ha diciotto anni. E’ una bravissima sarta, nel caso ti servisse!”
“Anche io! – disse Ariadne – Anche io sono una sarta, ma di certo tua sorella è più brava.”
Margaret osservò Ariadne con attenzione: indossava un paio di pantaloni grigi abbinati ad una camicetta color avorio, un paio di stivaletti neri di camoscio e un cardigan nero; nell’insieme era molto semplice, considerato che faceva parte di una delle famiglie più ricche della città.
“Vuoi conoscere Cindy? Potrebbe insegnarti delle cosucce sul ricamo. E’ una ragazza timida e impacciata, però ti assicuro che è davvero una brava persona.”
“Sì, sì! Non ho amiche a Birmingham e mi farebbe comodo conoscere qualcuno.”
Margaret sorrise e le fece l’occhiolino.
“Allora un giorno di questi possiamo incontrarci al parco per una passeggiata.”
“Ci sto!”
Ariadne era contenta di aver trovato qualcuno con cui passare il suo tempo, soprattutto perché Margaret sembrava davvero simpatica. Del resto, trascorrere giornate intere a casa sua col rischio di incrociare lo sguardo gelido della madre era una prospettiva orribile.
“Signorina Evans, venite!” gridò Finn dalla porta del privè.
Ariadne era convinta di entrare nel privè, ma dovette ricredersi quando Tommy uscì insieme a Lucius per dirigersi fuori dal Garrison.
“Lucius?!”
“Ehi, bambolina. Andiamo, dai!”
Tommy non degnò la ragazza di uno sguardo, lasciò il pub a passo deciso senza mai voltarsi indietro. Ariadne fece un respiro profondo e seguì gli uomini, i quali stavano andando verso le auto parcheggiate lungo il marciapiede.
“Posso sapere dove stiamo andando e che cosa dobbiamo fare?”
“Eric non te l’ha detto?” domandò Lucius.
“No. E non sapevo neanche tu fossi già qui. Secondo mio fratello mi avresti raggiunta in un secondo momento.”
“Colpa mia.” Disse Tommy.
Ariadne ghiacciò sul posto e lentamente trovò il coraggio di guardarlo in faccia.
“Sareste così gentile da spiegarvi meglio, signor Shelby? Non amo i giochetti.”
“Non amerete forse i giochetti, ma siete capricciosa.” La rimbeccò lui.
Finn e Lucius si misero a ridere e Ariadne si sentì umiliata, eppure non abbassò la guardia.
“So che a voi i capricci non dispiacciono.”
Stavolta fu Tommy a rimanere di stucco, non si aspettava quella risposta audace. Entrambi si stavano riferendo a quanto era successo a Londra.
“Preferisco i capricci alle bugie.”
“A volte le bugie sono necessarie.” Replicò Ariadne, risoluta.
Tommy la squadrò per un istante, dopodiché scosse la testa e si accese una sigaretta.
“Le bugie hanno le gambe corte e voi siete molto bassa, signorina Evans.”
Ariadne incassò il colpo senza riuscire a controbattere, annientata com’era dalle parole di Tommy che mandavano un chiaro messaggio: tu mi hai mentito e io non ti perdono.
 
Il viaggio in auto era silenzioso. Tommy e Lucius stavano davanti e ogni tanto si passavano la sigaretta, mentre Ariadne e Finn erano seduti dietro e ognuno stava per conto suo. Tommy qualche volta aveva guardato Ariadne con la scusa di controllare lo specchietto. La ragazza era assorta in chissà quale pensiero, la fronte premuta contro il finestrino e i denti che mordicchiavano il labbro inferiore. Avvertì nel profondo una punta di pietà, una ragazza tanto giovane e inesperta non meritava di essere invischiata nei malaffari.
“Eric non vi ha detto nulla dell’incontro?”
Ariadne si riscosse quando udì la voce di Tommy.
“So solo che io devo fare da garante a questo incontra fra i Peaky Blinders e gli Scuttlers per ripagare un debito che Eric ha contratto con voi.”
“Ho chiesto un incontro con gli Scuttlers per essere nominato in Parlamento. I libri paga degli Scuttlers contengono nomi importanti, politici, giudici, poliziotti, e grazie alla loro influenza posso diventare un membro ufficiale del Parlamento.”
Ariadne arricciò il naso come se quella spiegazione puzzasse di lercio, detestava quel tipo di corruzione.
“Non sarebbe più facile e onesto organizzare una campagna elettorale con i fiocchi?”
“Forse nel mondo delle favore, bambolina.” Disse Lucius.
Tommy e Ariadne si guardarono attraverso lo specchietto, fu un attimo ma fu intenso.
“Perché essere Pinocchio quando puoi essere il gatto o la volpe?”
La ragazza colse al volo quella frecciatina: lei era bugiarda come Pinocchio e lui era furbo come il gatto e la volpe. E tra i due chi sarebbe stata la voce del ragione?
“Siamo arrivati.” Annunciò Finn, il naso incollato al finestrino.
Tommy scese dalla macchina senza aprire lo sportello ad Ariadne, che fece tutto da sola con un certo sdegno. Stare nello stesso posto di Tommy la esponeva a un pericolo costante. Più stavano insieme e più aumentavano le probabilità che la verità venisse allo scoperto.
 
“Tommy Shelby, brutto cane rognoso!”
Mick King, capo degli Scuttlers, accolse i suoi soci con le braccia spalancate. Come era tipico della gang, Mick e i suoi uomini indossavano pesanti cinture con fibbia su cui era inciso un serpente che azzannava un uomo; la peculiarità della gang era portare le cinture di cuoio legate intorno al polso e non alla vita in modo da colpire eventuali avversati in caso di scontro ravvicinato. I Peaky Blinders, al contrario, erano noti per indossare capelli che nascondevano una lametta nella fodera della visiera. L’arma segreta dei Blue Lions, invece, era un coltellino svizzero infilato nella scarpa destra.
“Mick, bastardo!”
Ariadne non capiva perché i due uomini si fossero salutati con gli insulti, suppose che fosse il modo di comunicare delle gang.
“E la bella ragazza chi è? Un omaggio per me?”
Ariadne si ritrasse con uno scatto quando Mick tentò di afferrarle la mano. Tommy le mise una mano sulla spalla per rassicurarla.
“E’ Ariadne Evans, la sorella di Eric. Nessuno può toccarla.”
Mick sollevò le mani in segno di resa ma il sorriso malizioso non scomparve dalla sua faccia.
“Peccato, un po’ di carne fresca piace a tutti.”
“Ti taglio le palle se provi a toccarla.” Lo ammonì Tommy con un sorriso.
Ariadne si sentì al sicuro accanto a lui, però subito dopo pensò che quell’atteggiamento protettivo dipendesse dalla volontà di preservare l’affare e non per farle un favore.
“Ci tengo alle mie palle.”
“Bene. – disse Tommy – Allora possiamo passare a questioni più importanti.”
Mick fischiò e un suo uomo portò due sedie di legno ammaccate ma piuttosto resistenti. Mick stesso e Tommy presero posto, al che Finn e Lucius si misero alle sue spalle.
“Avvicinati, piccina. Non ti mordo mica!” disse Mick.
Ariadne si avvicinò a Lucius e si mise le mani in tasca, aveva la pelle fredda come il ghiaccio a causa dell’agitazione. Tommy si rilassò contro lo schienale e fumò la centesima sigaretta, sebbene nei suoi occhi vi fosse un certo turbamento.
“Mick, l’offerta è questa: tu mi garantisci i voti degli uomini che hai sui libri paga e io ti cedo una parte delle corse illegali.”
“Voglio anche le corse illegali di Camden Town. Ora che Alfie Solomons è morto e la sua gang è senza una guida, per i Peaky Blinders sarà facile sopraffarli.”
“Le corse di Alfie te le puoi prendere da solo. La mia offerta riguarda solo le corse dei Peaky Blinders.”
Mick si grattò il mento mentre soppesava la proposta di Tommy.
“Nah, non mi basta la tua offerta. Dammi anche le corse di Alfie e io accetto.”
Ariadne vide Tommy serrare la mascella e assottigliare gli occhi come un toro pronto a sfogare la sua ferocia. Con sua grande sorpresa, però, Tommy sorrise.
“Entro domenica prossima avrai anche le corse di Camden Town.”
“Ora possiamo suggellare il patto!” esultò Mick.
“Adesso ci divertiamo.” Sussurrò Lucius con un ghigno.
Ariadne si morse l’interno della guancia quando Mick estrasse un coltellino dalla punta ben affilata. Suggellare un patto fra gang significava una sola cosa: sangue.
“Piccina, avvicinati. E’ il tuo grande momento.” le disse Mick.
Tommy fu il primo a tagliarsi il palmo della mano. Poi toccò a Mick, che sorrideva divertito mentre si incideva la pelle. Ariadne si spaventò quando il coltello le fu cacciato in mano.
“Andiamo, forza! Taglia quella manina delicata!” la incitò Mick.
Ariadne fece cadere l’arma a terra, tremava tutta di terrore.
“Ma … ma sapete quante malattie possono essere trasmesse attraverso il sangue?”
Mick non rideva più, era infastidito dal comportamento infantile della ragazza.
“Ci penso io.” intervenne Tommy.
Raccolse il coltello e ripulì la lama sulla manica della giacca per eliminare i residui di terra.
“Signor Shelby, io non me la sento …”
Tommy si fece intenerire dallo sguardo impaurito di Ariadne, gli ricordava gli occhioni lucidi di Charlie quando era spaventato dai tuoni.
“Non vi farò male.”
Le prese delicatamente la mano e le rivolse il palmo all’insù senza smettere di guardarla. Ariadne trasalì quando la punta del coltello le pizzicò il polpastrello dell’indice. Tommy, anziché incidere molto, aveva preferito ridurre al minimo il taglio.
“Ecco qui.” disse uno degli Scuttlers.
Mick, Tommy e Ariadne fecero gocciolare il sangue in una ciotola e poi il contenuto fu versato sull’erba.
“Patto suggellato. Ora andiamo a festeggiare!” esclamò Mick.
“Posso tornare a casa?” bisbigliò Ariadne.
“No. – disse Tommy – Adesso andiamo all’accampamento di Mick, beviamo e poi torniamo a casa. Tenete questo.”
Ariadne accettò il fazzoletto che Tommy le stava porgendo e lo avvolse intorno al dito per arrestare la fuoriuscita di sangue.
“Grazie, signor Shelby.”
“L’ho fatto solo per affari.”
 
Ariadne non ne poteva più di quegli schiamazzi. L’accampamento degli Scuttlers era nel bel mezzo del bosco, nei pressi della riva del fiume. Si trattava di una decina di tende fissate nel terreno umido e illuminate all’interno da poche candele. Mentre gli uomini bevevano fino a ubriacarsi, Ariadne si era seduta su un tronco d’albero lontano dai festeggiamenti.
“Ti stai annoiando?”
Finn le si parò davanti con un bicchiere di birra in mano, aveva le guance rosse per via dell’alcol.
“Sì, mi annoio. Quando andiamo a casa? Sono stanca.”
“Quando Mick ci lascerà andare. Siamo suoi ospiti e rispettiamo le sue regole.”
Ariadne catturò una foglia prima che cadesse a terra e se la rigirò tra le dita, almeno aveva trovato uno svago. Il modo in cui le venature percorrevano il corpo centrale della foglia le fece venire voglia di disegnare, pertanto tirò fuori il taccuino e la piccola matita che portava sempre con sé e incominciò a replicare quelle venature.
“Uhm, sei brava.” Ammise Finn.
“Grazie. Sai, Margaret mi sembra una bella persona. State insieme da molto?”
“Da qualche mese. Io voglio spos- …”
Finn non poté completare la frase perché era stato appena esploso un colpo di fucile. Nell’accampamento si generò il panico, urla e passi veloci si mescolavano ai lamenti dei gufi sui rami. Ariadne sentì la mano di Finn stritolarle il polso per strattonarla via dal tronco. Correvano alla cieca poiché le torce si erano spente e il buio della sera celava l’ambiente circostante.
“Ariadne!” strillò la voce di Lucius.
“Non fermarti! Non fermarti!” ripeteva Finn.
Ariadne continuò a correre senza avere la più palla idea di cosa fare. La sua corsa si interruppe quando Tommy la tirò dietro un cespuglio.
“Finn, ora devi fare quello che ti dico: tu e Ariadne andate via da qua, seguite il sentiero che porta alla strada principale e continuate a camminare fino a Birmingham. Sono pochi chilometri, potete farcela. Ci vediamo al nascondiglio. Andate!”
Ariadne sfiorò la mano di Tommy e gli rivolse un’occhiata preoccupata, e lui annuì come a dirle che sarebbe andato tutto bene.
“Non morire.” Si raccomandò Finn.
Lui e Ariadne ripresero a correre mentre intorno a loro gli uomini sparavano all’impazzata e grugnivano come maiali al macello. All’improvviso un uomo sbucò dal buio e atterrò su Finn, ruzzolarono entrambi sul terreno bagnato di sangue.
“Ariadne, aiutami!”
Ariadne, rendendosi conto che l’uomo era morto, scaraventò il suo corpo di lato e aiutò Finn a rimettersi in piedi. Un proiettile le fischiò a pochi millimetri dall’orecchio, obbligandola a piegarsi sulle ginocchia per non essere colpita. Si tappò le orecchie con le mani e strisciò fino al cespuglio più vicino per trovare un riparo.
“Tu vieni con me!”
Tommy l’afferrò per il bavero del cardigan per farla alzare, dopodiché la spinse verso la fitta e oscura boscaglia.
“Finn …”
“Finn sta bene, noi siamo nella merda fino al collo. Vai! Continua a camminare!”
Le dita di Tommy si serrarono attorno al polso di Ariadne tanto da far scoccare in lei una scintilla di dolore, ma non si divincolò perché restare con lui era l’unica speranza di uscire viva da quel bosco.
“E Lucius? Lui sta bene?”
“Non lo so e non mi interessa. Ecco, siamo arrivati.”
Ariadne intravide l’auto accostata a pochi metri e tirò un sospiro di sollievo. L’apparente calma si dileguò quando Tommy digrignò i denti per il dolore.
“Stai sanguinando! Aspetta, fammi controllare.” Disse Ariadne con apprensione.
“Non c’è tempo. Sali in macchina e metti in moto. Sai guidare, vero?”
“Più o meno.”
Tommy non ebbe altra scelta se non quella di consegnarle la chiavi della macchina e sperare di tornare tutto intero in città. Al sicuro nell’abitacolo, Ariadne ingranò la marcia e premette sull’acceleratore per prendere le distanze dal bosco. Malgrado le mani tremassero mentre muoveva lo sterzo, la sui guida era piuttosto lineare.
“Come stai? Sanguini ancora?”
Tommy si svestì per controllare i danni e Ariadne di sottecchi ammirò il suo torace ben definito. La pelle era bianca, tonica e muscolosa, segnata qua e là da qualche cicatrice e da un paio di tatuaggi. A deturpare quel biancore era una ferita rossa che sgorgava.
“Mi hanno solo sparato di striscio. Attenta!”
Ariadne sterzò poco prima di uscire fuori strada e arrossì per essere così sbadata. Carl le aveva insegnato a guidare nel giardino di casa sua, le aveva insegnato solo i rudimenti e le guide erano state poche perché Lisa sopraggiungeva a distrarli con la merenda e con le sue chiacchiere.
“La ferita sanguina parecchio. Usa la camicia per tamponare.”
“Grazie mille, dottoressa.” Biascicò Tommy, irritato.
“Idiota.” Mormorò Ariadne.
“Svolta e destra e va sempre dritto.”
La ragazza eseguì la svolta, e quasi andò a sbattere contro un albero se Tommy non avesse sterzato all’ultimo istante.
“Che diamine è successo nel bosco? Perché qualcuno ha sparato?”
“Non lo so. Dimmelo tu, Judith.”
Ariadne inchiodò talmente forte che Tommy fu sbalzato contro lo sportello.
“Pensi che sia stata io?”
“Magari sei una spia. Una che mente sulla propria identità può mentire su molte cose.”
“Una spia? E’ questo che pensi di me? Quello che è successo a Londra …”
“Quello che è successo a Londra resta a Londra.” Disse Tommy.
Ariadne lo vide piegarsi per il dolore e ripartì per evitare che perdesse troppo sangue.
“Non sono stata io.”
“Lo so.”
In auto calò il silenzio, solo il canto dei grilli all’esterno scandiva il viaggio.
“Perché mi hai salvata? Potevi lasciarmi lì e dimenticarti per sempre di me.”
“Perché tuo fratello è mio socio. Non rovinerei mai un affare perché una stupida ragazzina muore.”
Ariadne non diede peso a quella specie di offesa, anzi sapeva che Tommy faceva il duro per mascherare le sue emozioni.
“Lo hai fatto per Judith?”
“Sta zitta e pensa a guidare.”
 
“Fermati qui.”
Ariadne parcheggiò nei pressi del canale, laddove erano ormeggiate numerose barche che l’indomani all’alba sarebbero andate a pescare.
“Dove ti porto?”
“Da nessuna parte. Io scendo e tu torni a casa tua con la mia macchina.”
Tommy fece fatica a mettere i piedi a terra, la ferita bruciava come fuoco vivo.
“Non ti posso lasciare in queste condizioni! E poi dove stai andando? Qui non c’è niente.”
“Ariadne, sparisci prima che qualcuno ci veda. Non è un fottuto gioco.”
“Come vuoi tu.”
Ariadne fece retromarcia e lasciò la sponda del canale per tornare a casa. Tommy, invece, trovò rifugio sulla barca di zio Charlie e specialmente trovò consolazione in una bottiglia di whiskey.
 
 
Salve a tutti! :)
Ariadne e Tommy si punzecchiano sempre, è divertente!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Gli Scuttlers erano una band attiva negli ultimi anni dell’800 e Mick King era davvero il loro capo, mi sono informata.

 

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Capitolo 4
*** Il girone dei bugiardi ***


4. IL GIRONE DEI BUGIARDI

“Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità e la malvagità dei suoi simili.”
(Marchese de Sade)
 
Ariadne scrutava fuori dalla finestra il lento movimento delle nuvole bianche e soffici. La sera prima era rientrata a casa in uno stato pietoso: abiti sporchi di terra, foglie tra i capelli e un piccolo graffio sul mento. Aveva raccontato cos’era successo nel bosco mentre sorseggiava una tisana calda. Eric e Julian si erano preoccupati per lei, ma sua madre l’aveva guardata con disprezzo come suo solito e poi si era ritirata in camera sua. Per fortuna la stanchezza aiutò Ariadne e prendere subito sonno, dopo gli eventi accaduti una buona notte di riposo era più che necessaria. Si era svegliata intorno alle dieci, aveva fatto colazione da sola ed era tornata nella sua stanza a riflettere. Eric le aveva vietato di uscire perché doveva capire dove fosse finito Lucius e perché fossero stati attaccati, pertanto lei si era dedicata tutta la mattinata al disegno.
“Ti vedo.” Disse Ariadne con un sorriso.
La testolina di Agnes sbucò da dietro la porta con le sottili sopracciglia aggrottate.
“Ciao.” Mormorò la bambina, vergognosa.
“Dai, piccola, entra. Fammi compagnia.”
Ariadne sorrise quando Agnes saltò sul letto e si aggiustò le pieghe del vestito, era una bambina bellissima. Eric le aveva annunciato la sua nascita in una lettera, ma vederla dal vivo faceva tutto un altro effetto.
“Che fai, zia?”
“Stavo disegnando una foglia. Tu sai disegnare? Scommetto che sei bravissima!”
Agnes annuì energicamente, scese dal letto e corse in cameretta per prendere uno dei suoi disegni.
“Guarda! Ti piace?”
Il foglio ritraeva una casa, rondini svolazzanti e un cane accoccolato sul prato. L’indole artistica era di famiglia.
“Lo adoro! Lo sapevo che sei bravissima. Lo fai un disegno tutto per me?”
Ariadne la prese in braccio e le diede un foglio dal proprio album, poi le offrì anche l’astuccio dei colori.
“Le mie donne preferite!”
Julian baciò sia la testa della sorella sia della nipote. Si sedette sul bordo dello scrittoio e arruffò i capelli di Agnes.
“Eric è in casa?” indagò Ariadne.
“No. E’ uscito con un paio dei suoi per andare a cercare Lucius. Tu come stai?”
“Bene, tutto sommato. Trovarsi nel mezzo di uno scontro armato non è piacevole.”
Julian ridacchiò e si chinò a sfiorare un riccio rosso di Ariadne, gli era mancata molto quella loro complicità.
“Sai, per tua assoluta informazione, in cucina c’è una porticina che ti permette di uscire senza essere vista.”
Ariadne sgranò gli occhi a quell’informazione assai preziosa, era grata che il fratello avesse capito che aveva voglia di uscire.
“Tu mi copriresti con la mamma?”
“Io farei qualsiasi cosa per te, Aria. Adesso vai, sparisci!”
La ragazza indossò un cardigan nuovo e pulito, abbracciò il fratello e scoccò un bacio sulla guancia di Agnes.
“Torno fra un paio d’ore. Grazie!”
 
Ariadne si nascose dietro il muro per non essere beccata. Dopo aver lasciato casa sua, si era recata al Garrison per parlare con Tommy, ma Margaret le aveva detto che il boss non si era fatto ancora vedere. Doveva assolutamente confrontarsi con lui, capire perché avessero attaccato proprio loro e soprattutto come uscire da quella brutta situazione. Fu così che decise di seguire Finn, che stranamente si era fermato in farmacia a comprare garze e disinfettante. Il piccolo Shelby l’avrebbe portata dritta nella tana del lupo. Ecco perché ora si ritrovava schiacciata contro la parete di una barca, intenta a non farsi scoprire. Pochi minuti dopo Finn si allontanava dal canale di fretta, guardandosi le spalle per controllare di non essere pedinato. Ariadne individuò la barca sulla cui fiancata c’era scritto “C. Strong” e senza perdere tempo salì a bordo. Bussò alla porticina della cabina e attese con una certa ansia.
“Finn, che caz … Tu?!”
Tommy era pallido e sudato, la sua pelle emanava un calore intenso.
“Ciao! Come va?”
Ariadne quasi inciampò quando Tommy la spinse dentro la cabina per evitare di essere visti.
“Che cazzo vuoi, ragazzina? Quanto sei stupida!”
“Scusami. Volevo solo sapere come stavi. Sono andata al Garrison e …”
La ragazza smise di parlare perché lo sguardo furioso di Tommy le impediva di spicciare parola.
“Mi nascondo da chi ha sparato nel bosco. E tu vieni qui col rischio di far uccidere sia me che te?”
“Oh, ehm … io avevo considerato questa prospettiva.” Ammise lei, imbarazzata.
“Già, perché sei una bambina che gioca a fare la donna d’affari.”
Era vero, Ariadne non era pronta ed Eric l’aveva data in pasto in leoni senza alcuna protezione.
“Beh, anche Finn è stupido perché lo stavo seguendo dal Garrison e non si è accorto di nulla.”
“Lo so che mio fratello è un coglione.”
Tommy si accese una sigaretta e al primo tiro emise un rantolo di dolore.
“Posso vedere la ferita? Magari ti posso aiutare.”
Lui annuì con indifferenza, al che Ariadne sciolse la benda sporca di sangue e si avvicinò per osservare meglio la ferita. Era così vicina che Tommy avvertiva il suo respiro caldo sulla pelle scoperta del fianco. A stento trattenne i brividi.
“Adesso sei anche una dottore? Quanti talenti nascosti.” Disse con cattiveria.
Ariadne non si offese, anzi sorrise e aprì la busta che Finn aveva portato.
“Mio fratello Julian da piccolo adorava correre e cadeva molto spesso, forse cadeva davvero troppo ora che ci penso. Mia madre lo avrebbe rimproverato per giorni se fosse rientrato con le ginocchia sanguinanti, quindi io ogni volta che si sbucciava le ginocchia mi premuravo di medicarlo.”
Tommy strinse i denti quando il disinfettante bruciò sulla ferita, però doveva ammettere che Ariadne aveva un tocco delicato. Muoveva le dita con cura, quasi stesse ancora pulendo le ginocchia del suo fratellino.
“Anche questa storiella è una bugia?”
La ragazza deglutì e per qualche secondo si interruppe, poi riprese a disinfettare per bene gli argini sanguinanti.
“Mi dispiace che tu lo abbia scoperto così.”
“Chi è Judith Leyster?”
“Era una pittrice del Seicento, una delle mie preferite. Quando sono arrivata a Londra ho deciso di cambiare nome. Non volevo che qualcuno sapesse chi sono davvero.”
Tommy rabbrividì quando Ariadne gli sfiorò l’addome mentre gli avvolgeva la benda intorno per impedire alla garza di cadere. Profumava ancora di bergamotto.
“Tu sapevi che ero Tommy Shelby?”
“No. Ho lasciato Birmingham a quindici anni, non conoscevo la tua famiglia e i Peaky Blinders. Per me eri solo il signor Shelby.”  
Tommy si sedette su una panca di legno malconcia, aprì uno sportellino e tirò fuori una bottiglia si whiskey. Tolse il tappo e senza troppe cerimonie bevve direttamente.
“C’era qualcosa di vero in quello che mi hai detto?”
Ariadne iniziò a camminare sotto e sopra, odiava parlare di se stessa perché temeva di rivelare troppe cose.
“E’ vero quello che ti ho detto su mia madre. Lei è dispotica e mi detesta, lo hai potuto costatare tu stesso alla festa. E’ vero che Eric è andato in guerra e ha perso la gamba. Ed è vero che mi piace l’arte.”
“Tua madre è un osso duro.” Commentò Tommy.
“Anche tu mi hai mentito. Sei sposato e stai per diventare padre.”
Tommy ignorò la punta di irritazione nella voce di Ariadne, di certo non spettava a lui giustificarsi con una ragazzina.
“Ho sposato Lizzie solo un mese fa per riconoscere il bambino, o la bambina.”
“Quando eravamo a Londra insieme eri già fidanzato?”
“Non sono affari tuoi.”
Ariadne sbuffò, non sopportava quell’atteggiamento strafottente di Tommy.
“Mi tratterai male a vita perché ti ho mentito sulla mia identità?”
“Ariadne, non me ne frega un cazzo di come ti chiami o di come vuoi farti chiamare. Quanto è successo a Londra è una breve parentesi che non conta nulla. Ci siamo divertiti ed è finita lì. A Birmingham io sono uno Shelby e tu sei una Evans, siamo soci e basta.”
Tommy notò lo sguardo triste di Ariadne e per un secondo si intenerì, prima di tornare ad indossare la sua maschera di freddezza.
“Questo vuol dire che non mi aiuti se ti chiedo un favore?”
“Quale tipo di favore?”
La ragazza si appoggiò alla parete e incrociò le caviglie, mille pensieri le passavano per la mente.
“Ora con gli Scuttlers si è complicato tutto. Di sicuro cercheranno vendetta e mio fratello è costretto ad aiutarli, questo significa che io dovrò restare qui per risolvere la questione.”
“E cosa vuoi da me?”
“Aiutami a trovare un modo per tornare a Londra il prima possibile. Tom, io non posso restare qui. Odio la mia famiglia, odio i Blue Lions, odio questa malavita.”
Tommy la guardò dal bordo della bottiglia e fece un mezzo sorriso.
“Sei proprio disperata. Perché?”
“Non sono affari tuoi.” Ripeté Ariadne.
“Non posso aiutarti. Io e te eravamo presenti all’attentato nel bosco e per questo gli Scuttlers vorranno il nostro aiuto fino a quando non scopriranno che cosa è successo. Mick King non ti permetterà di andare via.”
“Quindi l’unico modo di porre fine a tutto questo è trovare chi ha sparato nel bosco? Bene! Comincerò a indagare!”
“Finirai per farti ammazzare, Sherlock.”
“Allora ci vedremo nel girone dei bugiardi, signor Shelby.”
 
Quando Ariadne entrò di soppiatto in cucina, incespicò su un sacco di patate e cadde con le ginocchia per terra.
“Ahia!”
“Sei seria?”
Marianne Evans teneva le braccia al petto e la solita espressione arcigna, che si abbinava alla perfezione con l’austero abito nero da lutto.
“M-madre … io … ero ehm … andata in giardino a controllare le rose.”
“Sei così sciocca, Ariadne. Lo so che sei uscita nonostante il divieto. Tu non fai mai quello che ti viene imposto.”
Ariadne si alzò e si pulì i pantaloni, non osava sollevare gli occhi dal pavimento.
“Sono la pecora nera della famiglia, giusto?”
“Sei peggio di Julian, il che è tutto dire. Sei un disastro ambulante.”
La madre le rivolse un’occhiata disgustata come se a stento trattenesse i conati di vomito.
“Se sono peggio di Julian, perché sono tornata? Lo sappiamo entrambe che stai meglio senza di me.”
“Sei qui perché Eric ha insistito. Io volevo che affidasse l’incontro con gli Scuttlers a Lucius.”
“Certo, perché tu consideri Lucius come tuo figlio!” sputò Ariadne, velenosa.
“Almeno Lucius non ha fatto quello che hai fatto tu otto anni fa.”
“Ho commesso quell’errore solo per salvarti la vita, madre. Quando lo capirai?”
“Tu mi hai rovinato la vita, Ariadne. Sei una disgrazia per questa casa.”
Marianne le diede le spalle per tornare in salotto, lasciando Ariadne con gli occhi umidi di lacrime. Però non avrebbe pianto perché, malgrado sua madre pensasse il contrario, lei aveva salvato la sua famiglia da un incubo.
 
Quella sera Ariadne aveva saltato la cena ed era andata a letto presto. Non aveva voglia di disegnare o di leggere, aveva solo voglia di starsene distesa a guardare il soffitto. Birmingham la soffocava, inibiva la sua vena artistica e soprattutto distruggeva il suo umore. Verso le dieci Julian le aveva portato un pezzo di crostata di mele, poi l’aveva salutata con un bacio sulla fronte ed era uscito di nascosto. Era un giovane sveglio e pieno di vantaggi, eppure preferiva annegare i suoi dispiaceri in alcol e nottate di passione con gente a caso. Ariadne richiuse gli occhi e si costrinse a dormire, almeno durante la notte casa sua non le faceva così paura. Ogni suo tentativo andò in fumo quando un frastuono risuonò dal piano di sotto. Si infilò la giacca da camera e andò in corridoio a controllare. Vide due ombre muoversi nel buio in direzione dell’ufficio di Eric. Recuperò un candelabro antico che faceva da arredo su un mobile del corridoio e in punta di piedi seguì le ombre.
“Fermi!”
La luce esplose di colpo e Ariadne si coprì gli occhi accecati. Davanti a lei c’era Julian che sorreggeva un Lucius ferito alla spalla.
“Aria, abbassa il candelabro. Ho trovato Lucius fuori dal cancello quando sono uscito.”
“Dove sei stato?” domandò Ariadne.
Lucius, impregnato di sudore per il dolore e lo sforzo, abbozzò un sorriso.
“Anche io sono felice di rivederti, bambolina.”
“Ripeto: dove sei stato? Eric ti sta cercando da ore.”
“Dopo gli spari sono stato trattenuto dagli Scuttlers per essere interrogato. Credono che tra i Blue Lions e i Peaky Blinders ci sia una spia. Solo poche persone erano a conoscenza dell’incontro.”
Lucius fu scosso da un colpo di tosse e Julian lo depose lentamente sul divano, benché sapesse che la madre lo avrebbe rimproverato per le macchie di sangue sulla stoffa preziosa.
“Questo è un problema. Un grosso problema.” Disse Julian.
“Se Mick King pensa che lo abbiamo tradito, allora verrà a darci la caccia.” Aggiunse Lucius.
Ariadne si mise le mani fra i ricci rossi e sospirò.
“Perché avremmo dovuto tradire gli Scuttlers? Sia Eric sia Tommy hanno bisogno di quell’accordo con loro. Non avrebbe senso gettare via qualcosa di cui abbiamo necessità.”
“Che sta succedendo?”
La stampella di Eric batteva sul marco lucido del pavimento mentre a faticava camminava.
“Ho trovato Lucius ferito fuori dal cancello.” Spiegò Julian.
“E tu che ci facevi fuori? Ho espressamente vietato a tutti i membri della famiglia di lasciare questa casa. Non siamo al sicuro dopo la sparatoria nel bosco.”
Ariadne per la prima volta si rese conto che la fronte di suo fratello era attraversata da rughe di espressione evidenti che dimostravano quanto fosse duro il ruolo del capo, e le dispiacque perché la sua mente ricordava ancora Eric come un ragazzo burlone e pieno di vitalità.
“Eric ha ragione. Gli Scuttlers potrebbero essere dappertutto.” Biascicò Lucius.
“Julian, accompagna Lucius nella stanza degli ospiti e chiedi a Barbara di dare un’occhiata alla sua spalla. Io e Ariadne dobbiamo parlare in privato.”
 
La gamba di Ariadne tremava nervosamente. Eric non era di certo d’aiuto con la sua faccia cupa e contrita da fitte di dolore.
“Che devi dirmi, Eric?”
“Mamma ti ha detto perché sei qui?”
Eric si lasciò cadere sulla sedia con uno sbuffo, il moncherino della gamba era scomodo da sistemare sulla poltrona.
“Ha detto solo che tu hai insistito perché io tornassi. E tu hai detto che sono tornata per gestire questo affare con gli Scuttlers. Non è così?”
“Ariadne, io sto morendo.”
Ariadne dovette reggersi al bordo dello scrittoio per non svenire. Inghiottì la saliva con difficoltà come se stesse mandando giù un bicchiere di candeggina.
“In … in che senso stai morendo?”
“L’infezione alla gamba è grave, molto grave. I medici dicono che non ho speranze di sopravvivere a lungo. Stando agli ultimi accertamenti mi restano all’incirca tre mesi di vita. Non c’è una cura.”
Eric era sereno mentre annunciava la sua dipartita in breve tempo. Era una sua caratteristica restare saldo anche nei brutti momenti.
“E mi hai richiamata per assistere alla tua morte?”
“Ti ho richiamata per due motivi: in primis, volevo trascorrere questi ultimi mesi di vita con mia sorella accanto perché non morirei tranquillo senza vederti ancora una volta; e in secondo luogo, ti ho richiamata perché tu prenderai il mio posto.”
Ariadne si alzò di scatto facendo rovesciare la sedia a terra. Tremava come una foglia, la sua espressione era di puro terrore.
“No! No! Non puoi farmi questo, Eric! Non puoi chiedermi una cosa del genere!”
“Infatti non te lo sto chiedendo, ti sto solo avvisando. Il mese prossimo ti presenterò come nuovo leader dei Blue Lions.”
“Perché me? Potresti scegliere Lucius, lui sarebbe perfetto!”
Eric incrociò le mani sotto il mento e sorrise, l’ingenuità di sua sorella lo aveva sempre affascinato.
“Perché Lucius non è uno della famiglia. Il mio successore dovrà essere un Evans di sangue. Julian non sarebbe in grado, è troppo incostante e ubriaco per guidare i Blue Lions. Agnes è ancora una bambina. Tu, invece, sei la candidata perfetta: sei giovane, intelligente e sai farti rispettare.”
Ariadne sprofondò contro la parete e scivolò fino a sedersi sul parquet.
“Non posso … Io non posso.”
“Ascolta, Ariadne: mia moglie è incinta e tutti noi speriamo che sia un maschio in modo da assicurare un futuro capo ai Blue Lions, ma nel frattempo toccherà a te gestire gli affari e portare in alto il buon nome della famiglia.”
“Affari? Buon nome? Eric, la nostra famiglia si occupa di usura! Nostro padre è stato il maggiore strozzino del Regno Unito! Cosa c’è di buono in tutto questo?”
“Nostro padre ha costruito un impero, una eredità che spetta a noi preservare!”
Ariadne scoppiò in una risata isterica, era ridicolo Eric mentre ribadiva a macchinetta le parole di sua madre.
“Ha costruito un impero con i soldi della povera gente! Sinceramente questa eredità a me fa schifo!”
“Sorellina …”
“Vaffanculo, Eric!”
 
Ariadne non si sarebbe arresa, non avrebbe ceduto ai ricatti della sua famiglia. Per questo ora stava rubando una bicicletta dalla serra dietro casa sua per scappare via e raggiungere la stazione.
“Non lo farei se fossi in te.”
Julian se ne stava appostato fuori dalla serra con le mani in tasca e una sigaretta tra le labbra.
“Devo andarmene, Jules. Non ho altra scelta.”
“Mi abbandoni di nuovo? Sei una pessima sorella.”
“Non si tratta di te o di me questa volta. Lo sai cosa mi ha detto Eric?”
“Ho origliato la vostra conversazione, quindi lo so che ti ha detto. Scappi per questo?”
Ariadne strinse le mani intorno al manubrio della bici fino a far sbiancare le nocche, quel dolore le permetteva di mantenere il controllo.
“Scappo perché non voglio essere complice di questo schifo. Jules, noi due meritiamo di meglio. Meritiamo una vita degna di essere vissuta nel pieno dell’onestà.”
“Scappare non è mai la soluzione. E poi sta pur certa che Eric ti cercherà anche in capo al mondo e ti troverà.”
“Allora vorrà dire che mi ammazzerò prima che mi trovi.”
Julian tirò sul col naso, stava reprimendo le lacrime e gli occhi iniziavano a bruciargli.
“Non mi puoi lasciare solo in questo inferno. Io ho bisogno di te, Aria. Ti supplico!”
Se Ariadne prima era sicura della sua scelta, adesso lo sguardo affranto e la voce tremula di Julian le stavano facendo cambiare idea. Come poteva abbandonarlo di nuovo? Come poteva lasciarlo in pasto ai lupi della sua famiglia?
“Jules, mi dispiace.”
“E allora resta con me. Se ti dispiacesse sul serio, faresti di tutto per restare. Io da solo non ce la faccio più.”
“Resto. Io resto con te.”
Julian sorrise fra le lacrime e abbracciò la sorella fino a stritolarla con le sue braccia muscolose.
“Promesso?”
Ariadne sapeva che quella promessa avrebbe messo a repentaglio la sua vita, ma aveva salvato Julian una volta e lo avrebbe rifatto ancora. Ricambiò l’abbraccio affondando la guancia nel petto del ragazzo.
“Promesso.”
 
Ariadne si sentiva come la zolletta di zucchero che si stava sciogliendo nel tè bollente. Si sentiva prosciugata dalla sua famiglia come se le stessero succhiando via la linfa vitale. La colazione fu silenziosa: Julian beveva un caffè dopo l’altro; Barbara e Agnes mangiucchiavano le loro fette di torta; Marianne sorseggiava il suo tè con una calma snervante. L’unico rumore udibile erano le mandibole di Lucius che azzannavano qualsiasi cosa ci fosse sul tavolo.
“Così ti strozzi.” Lo riprese Julian.
Lucius fece spallucce e si calò dritto in bocca un intero cucchiaio di marmellata di prugne.
“Almeno morirò con la pancia piena.”
“Se continui a fissare il tè, dopo lo berrai freddo.” Disse Barbara con un risolino.
Ariadne scosse la testa per ridestarsi dai pensieri e sorrise appena per non deludere la cognata. Si portò la tazza alle labbra e fece una smorfia perché effettivamente la bevanda era ormai fredda.
“Signorina Evans, vostro fratello vi attende nello studio.” comunicò una delle cameriere.
La ragazza ebbe finalmente l’opportunità di sottrarsi agli occhi maligni della madre, che per tutto il tempo l’aveva guardata come se volesse sbatterle la testa contro il tavolo. Svoltato l’angolo, Ariadne rimase stupita quando vide Tommy pulirsi le scarpe sul tappeto dell’ingresso.
“Tom!”
“Salve, signorina Evans.”
La ragazza arrossì per essersi lasciata sfuggire quella confidenza, del resto loro due secondo opinione comune si conoscevano da poco.
“Buongiorno, signor Shelby. Come mai da queste parti?”
“Eric mi ha chiamato poco fa per una urgenza.”
Ariadne distolse lo sguardo solo quando la stampella del fratello picchiò dal fondo del corridoio.
“Prego, venite nel mio studio.”
Tommy si morse le labbra quando si sedette sul divano, la ferita di striscio gli causava ancora scariche dolorose. Ariadne prese coraggio e si sedette accanto a lui, poteva sentire le loro ginocchia sfiorarsi.
“Perché io e il signor Shelby siamo qui? E’ per gli Scuttlers?”
“Purtroppo sì.” confessò Eric, preoccupato.
“Che succede?”
“Due membri degli Scuttlers sono morti durante la sparatoria: il braccio destro di Mick e suo cugino. Ora immaginate la sua reazione non proprio pacata.”
“Cazzo.” Soffiò Tommy a voce bassa.
“Adesso Mick è sul piede di guerra. Crede che qualcuno di noi abbia organizzato la sparatoria per ucciderlo e accappararsi i suoi affari. Tommy, tu ne sai qualcosa?”
“No. E non sono stati i Peaky Blinders perché solo io e Finn sapevamo ora e luogo dell’incontro. Inoltre, a me serviva davvero fare affari con Mick e organizzare la sparatoria non avrebbe avuto senso.”
“Lo stesso vale per noi. A sapere dell’incontro eravamo solo io, Lucius e Ariadne. Qualcuno deve averci spiati e seguiti.”
Ariadne storse il naso, faceva così quando qualcosa non le tornava. Aveva letto e riletto Sherlock Holmes talmente tante volte da riuscire a carpire le crepe di ogni storia.
“Se qualcuno volesse prendere gli affari degli Scuttlers dovrebbe uccidere Mick King. Sapete com’è, tagliare la testa al toro è il primo passo. Invece questi tizi ci seguono, iniziano a sparare e non colpiscono Mick. Non vi sembra strano?”
“Pensi che Mick abbia organizzato tutto?” chiese Eric.
“Potrebbe. Magari è solo una scusa per dichiarare guerra a voi e rubarvi il territorio. Vi ricordo che Mick ha preteso le corse illegali di Camden Town.”
Tommy riconobbe che la piccola Evans poteva avere ragione. Sin da dubito gli era sembrata una ragazza sveglia e intelligente, seppur infantile qualche volta.
“Se gli Scuttlers vogliono il nostro territorio faranno di tutto per ottenerlo. Quei bastardi sono ossi duri.”
Eric si massaggiò le tempie, non aveva dormito quella notte, e rivolse un’occhiata supplichevole alla sorella.
“Che proponi, Ariadne?”
“Perché chiedi a lei?” domandò Tommy, allibito.
“Perché Ariadne prenderà il mio posto come capo dei Blue Lions ed è bene che inizi a fare pratica.”
“Fammi capire: il nuovo capo dei Blue Lions sarà una bambina?”
Ariadne gli diede una gomitata, incurante di sembrare un’effettiva bambina capricciosa.
“Ehi, ho ventitré anni!”
Tommy inarcò il sopracciglio in segno di fastidio.
“L’anagrafe dice che ne hai ventitré, ma l’esperienza dice che ne hai zero. Hai mai sparato a qualcuno? Hai mai ucciso? Ti sei mai beccata un fottuto proiettile?”
“No, no e no. Ma questo non significa niente!”
Tommy sollevò le mani, si arrendeva dinnanzi all’ingenuità della ragazza.
“Tua sorella morirà entro pochi mesi.”
Ariadne stava per ribattere ma Eric le mise una mano sulla spalla per fermarla.
“Tommy, devi sapere che mia sorella è molto più di quello che sembra. Lei ha tutte le capacità per farcela.”
“Non faccio affari con una mocciosa.”
Tommy sbatté la porta con forza dopo aver lasciato lo studio.
“Adesso quel bifolco mi ascolta!” gridò Ariadne, lanciandosi all’inseguimento.
Tommy stava per chiudere la portiera quando Ariadne gli diede un pugno sul petto.
“Sei uno stronzo!”
“Non è una novità.”
“Vaffanculo!”
“Sì, me lo hai già detto.”
Ariadne emise un verso strozzato, quella nonchalance di Tommy la mandava su tutte le furie.
“Mi innervosisci!”
“Il sentimento è reciproco.”
Tommy sbuffò quando Ariadne lo colpì di nuovo sul petto, era delicata anche mentre gli dava un pugno.
“Lo so che ce l’hai con me per la storia di Londra e di Judith, però adesso ho davvero bisogno del tuo sostegno negli affari. Lo sai che non posso farcela da sola perché sono giovane e soprattutto perché sono una donna. Sarà difficile ottenere il rispetto degli altri.”
“Sostegno, affari, rispetto. Ma tu non eri quella che voleva tornare a Londra?
“Io voglio ancora tornare a londra ma ora non posso perché ho promesso a mio fratello Julian che sarei rimasta con lui.”
“Ariadne, in questa vita non c’è spazio per dei fottuti sentimentalismi e per degli alti ideali. E’ una vita di violenza e corruzione. Sei sicura?”
Ariadne intravide sua madre che la spiava dalla finestra, schiena dritta e sguardo di ghiaccio. La stava minacciando anche senza parole.
“No, non sono sicura per niente. Tu mi aiuterai?”
Tommy chiuse lo sportello e strinse le mani intorno allo sterzo, poi fece ciondolare la testa sul petto.
“Sarò il tuo socio in affari a patto che mi darai il cinque percento sui profitti mensili delle corse.”
“Affare fatto, signor Shelby!
 
 
Salve a tutti! :)
Stiamo entrando sempre più nella storia e iniziamo a capirci qualcosa in più.
Secondo voi Ariadne ha qualcosa in mente?
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 5
*** A luci rosse ***


5. A LUCI ROSSE
 
“L’inferno non ha limiti e non è circoscritto in un unico luogo; perché dov’è l’inferno, lì noi sempre saremo.”
(Christopher Marlowe)
 
Una settimana dopo
Margaret arrivò al Garrison puntuale come ogni mattina. Il lavoro era tremendo, soprattutto quando gli ubriaconi le facevano la corte, ma la paga era buona e le permetteva di mantenere la madre e la sorella. La cosa migliore che il pub le aveva donato era Finn Shelby, uno dei ragazzi più belli e desiderati di tutto Small Heath. Era assurdo pensare che uno come lui, ricco e influente, avesse scelto una ragazza umile come lei.
“Margaret!”
La signorina Evans la salutò con la mano, era elegante anche mentre attraversava la strada di corsa. Trascinava con sé una vecchia bici sgangherata.
“Ariadne, ciao. Che ci fai qui? Sono le sette del mattino.”
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
Margaret aprì la porta e si mise di lato, facendo un cenno del capo alla ragazza.
“Entra, ti offro una tazza di tè e parliamo.”
Ariadne si accomodò al bancone e si sventolò un tovagliolo, pedalare dalla villa al quartiere l’aveva sfiancata.
“Sei qui per Tommy?” domandò Margaret, incuriosita.
“No. Sono qui per te. Ho saputo che sei nata ad Aston.”
Ariadne accettò la tazzina che le porse Margaret e gustò un primo sorso, riconobbe subito la puntina di latte che era stata aggiunta.
“Sì, è vero. Mi sono trasferita a Small Heath dopo la dipartita di mio padre. Sai, qui le case costano molto meno. Perché ti interessa?”
“Perché io devo andare ad Aston per affari.”
Margaret si fermò con la tazza a mezz’aria, l’espressione di una che aveva appena visto un fantasma.
“Sei impazzita? Quello è il quartiere degli Scuttlers! Finn mi ha raccontato della sparatoria nel bosco.”
“E infatti ci voglio andare proprio perché è il loro quartiere. Gli Scuttlers sono sul piede di guerra, vogliono vendetta perché due dei loro sono morti. Sono spietati e crudeli, quindi immagina cosa farebbero se dovessero scendere in campo. Devo scoprire qualcosa.”
Ariadne sembrava così determinata che Margaret non riuscì a rifiutarsi.
“Andare lì per te vuol dire avere un bersaglio sulla schiena con scritto ‘ammazzami’!”
“Lo so, ed è per questo che sono venuta da te. Voglio sapere se Mick frequenta qualche locale in particolare, se hanno un luogo di ritrovo, con chi parla più spesso.”
La biondina si sedette sullo sgabello con uno sbuffo, consapevole che quelle informazioni nelle mani di una pivellina potevano essere pericolose. Eppure qualcosa nella risolutezza di Ariadne le suggeriva che la ragazza era più sveglia di quanto desse a vedere.
“Mick e la sua banda fanno affari in un capanno a sud del quartiere, pochi metri prima di lasciare Aston. C’è un locale che frequentano ogni giorno e a tutte le ore: è il Sirens, un locale a luci rosse.”
“Uomini, creature spregevoli e sempre prevedibili.”
Margaret ridacchiò perché Ariadne le ricordava quelle ragazze che scendevano in piazza a protestare a favore dei diritti delle donne.
“La proprietaria è la zia di Mick, perciò lui e i suoi uomini sono liberi di muoversi nel locale come vogliono. Ogni volta che concludono un affare vanno a festeggiare là con i nuovi soci.”
“Secondo te una delle ragazze sarebbe disposta a parlare con me?”
“C’è Wilma che è la preferita di Mick, credo che sia anche una specie di consigliera. Spesso lei fa da corriere per la droga.”
“Lei non parlerebbe mai.” Disse Ariadne.
“Forse Nina potrebbe dirti qualcosa. Mia sorella cuce i vestiti per lei ad un prezzo basso.”
“Sì, potrei fare un tentativo con lei.”
Ariadne si sistemò la borsetta a tracollo, si legò i capelli in uno chignon e lasciò una banconota alla cassa.
“Non puoi andarci da sola.” l’avvertì Margaret.
“Se entro mezzogiorno non torno, chiama mio fratello. Questo è il numero di casa mia.”
Margaret rimase immobile col biglietto fra le mani a guardare Ariadne montare in bici. Si maledisse per ciò che stava per fare, ma non poteva mollarla da sola in territorio nemico.
“Ariadne, aspetta!”
Ariadne si voltò con le sopracciglia corrugate in una muta domanda. Margaret si era messa il cappottino e stava abbassando la saracinesca del Garrison.
“Vengo con te.”
“E il pub?”
“Gli ubriaconi non andranno in astinenza per due ore di chiusura.”
Ariadne tornò indietro e aspettò che Margaret salisse sulla bici dietro di lei, fortuna che aveva raccattato il modello con doppio sellino.
 
La pedalata fino a Aston fu faticosa. Alternavano tratti a piedi e in bici perché la distanza ricopriva all’incirca un’oretta.
“Il Sirens è quello laggiù.” Disse Margaret indicando un’insegna luminosa.
Ariadne spinse la bicicletta in quella direzione camminando accanto a Margaret nella speranza di non dare nell’occhio. Aston era un quartiere povero, peggio di Small Heath. Molte persone vivevano in tende improvvisate oppure in catapecchie che a malapena si reggevano. I bambini erano sporchi, senza scarpe e con i capelli annidati. Ariadne ripensò a Londra, alle luci, alle donne eleganti e ai bambini allegri. A Birmingham regnava sovrana soltanto la disperazione.
“Qui la qualità di vita è pessima.”
“Già, ecco perché mi sono trasferita a Small Heath.” Disse Margaret.
Ariadne trasalì quando una mano raggrinzita le afferrò forte il polso. Una donna anziana sorrideva con pochi denti marci e faceva schioccare la lingua come se volesse mangiarla.
“Siediti! Siediti!” disse quella con voce sibilante.
Ariadne si sedette su una panca di legno scassata, la presa della donna sul suo polso l’aveva obbligata a prendere posto. Davanti a lei c’erano delle pietre nere su cui erano incisi strani segni bianchi e un mazzo di carte consumato. Una sfera di cristallo coperta di polvere giaceva a terra.
“Che vuoi da me?”
“Le rune! Le rune ti stanno chiamando!”
La donna allentò la presa e Ariadne si ritrasse come se si fosse scottata, però rimase seduta a guardare la bizzarra signora armeggiare con le pietre scure. Dispose le rune a testa in giù e le mischiò con la mano sinistra fino a quando non si fermò di colpo.
“Scegli! Scegli!”
Ariadne pescò una runa a caso e la girò a testa su: il segno bianco inciso era una specie di P.
“Che significa?”
La donna studiò la runa, l’annusò e la masticò fra i denti marci. Arricciò le labbra.
“E’ la runa Thurisaz, indica una tentazione. Vuol dire che farai una scelta sbagliata in amore o negli affari, ma vuol dire anche che forse c’è un colpo di fortuna inaspettato.”
Un brivido scosse Ariadne lungo la schiena, non era mai stata una credulona ma qualcosa in quella sentenza le faceva venire la pelle d’oca.
“Basta. Andiamo!”
Margaret agguantò l’amica per la mano e l’allontanò dal banchetto della signora, che intanto trafiggeva le due ragazze con i suoi occhi neri e vispi.
“Attenta, Judith! Attenta!”
Ariadne spalancò la bocca: come mai la strega aveva pronunciato proprio quel nome? Che sapesse la verità sul suo conto?
Le due ragazze camminarono in fretta per prendere le distanze con la strada, non era sicuro passeggiare fra quella gente.
“L’Occhio di Odino.” Disse Margaret.
“Eh?”
“La strega ha usato il metodo dell’Occhio di Odino per leggere le rune.”
“Ti interessi di stregoneria?” chiese Ariadne.
“Quando cresci ad Aston impari parecchie cose. Ecco, siamo arrivate.”
L’insegna al neon del Sirens era spenta ma il portone era aperto. La tromba delle scale era semibuia e puzzava di acqua putrida e alcol.
“C’è nessuno?”
“Boo!”
Ariadne e Margaret repressero un urlo quando una voce profonda comparve alle loro spalle. Dall’ombra emerse una donna, alta e robusta, con indosso una lussuosa vestaglia di pizzo.
“Allora, che ci fanno due principessine come voi in questo posto?”
“Cerchiamo Nina. Io sono la sorella di Cindy e sono qui per i vestiti.”
“Nina è al terzo piano.”
Margaret fece un sorriso di cortesia, strinse la mano di Ariadne e la condusse di nuovo nella scalinata buia. Arrivate al terzo piano, entrarono senza bussare e non trovarono nessuno.
“Nina?”
Controllarono un paio di stanze ma, oltre a lenzuola sparse sul pavimento, non c’era nulla.
“Qualcuno mi cerca?”
Ariadne rimase stupita perché Nina era la donna più bella che avesse mai visto. Grandi occhi blu luminosi, incarnato chiaro e senza macchie, lunghi capelli color grano e una bocca rosea dalle linee morbide. Si sentiva uno scarafaggio in confronto a lei.
“Io sono Margaret, la sorella di Cindy. Ti ricordi?”
“Certo! Tua sorella è una sarta fantastica. Come mai siete venute qui?”
“Perché la mia amica ti vuole parlare.”
Margaret diede una spintarella ad Ariadne, che scosse la testa dalle sue farneticazioni sul proprio aspetto fisico.
“Ehm sì … tu conosci Mick King?”
“Tutti conoscono Mick King. Perché ti serve saperlo?”
“Sono Ariadne Evans.”
Quelle semplici parole bastarono perché Nina smettesse di ridere. Nessuno rideva quando c’erano di mezzo le gang di Birmingham.
“Sei qui per la sparatoria? Ti conviene andartene prima che uno degli scagnozzi di Mick ti veda.”
“Sono qui perché voglio capire chi ha sparato quella notte. Per caso tu hai sentito qualcosa? Una diceria? Un qualche tipo di informazione?”
“Non so molto.” Disse Nina con una certa ritrosia.
Ariadne si avvicinò a lei, che era molto più alta, e le pose una mano sulla spalla.
“Per favore, Nina, aiutami.”
“Diciamo che gira una voce secondo cui Mick avrebbe scovato il colpevole, ma nessuno osa fare nomi. Non so altro.”
L’attenzione di Ariadne fu catturata da un boa rosa che pendeva dal bracciolo di una poltrona. Il suo cervello elaborò un piano in pochi secondi.
“Nina, saresti disposta a prestarmi i tuoi vestiti per stasera?”
Margaret capì subito le intenzioni dell’amica e sospirò, si era cacciata nei guai e sperava che Tommy non se la prendesse anche con lei.
“Che hai in mente?”
“Lo vedrete!”
 
Margaret indugiò con la mano sulla maniglia mentre mormorava insulti contro Ariadne. La porta si aprì e andò a sbattere contro Finn, che sorrise alla sua fidanzata.
“Ti mancavo?”
“In realtà dovrei parlare con Tommy.”
Tommy, che stava stravaccato sulla sedia a fumare, le rivolse un’occhiata annoiata come suo solito.
“Finn, che hai combinato per farla arrabbiare?”
“Non si tratta di Finn. Si tratta di Ariadne.”
“Che ha combinato adesso?”
Tommy spense la sigaretta, il fumo sembrava acido nei polmoni. Margaret gli allungò un biglietto accartocciato.
“Ariadne vuole che la raggiungi a questo indirizzo stasera alle nove.”
Finn si sporse oltre la spalla del fratello per leggere il biglietto su cui era segnato il nome e il numero civico del Sirens.
“Un bordello?”
Tommy strinse le mani a pugno e una sensazione amara gli attanagliò lo stomaco. Quella ragazzina sarebbe stata la sua rovina.
 
Alle nove in punto Tommy varcò la soglia del Sirens. Il primo piano era adibito a bar, pieno di tavolini e sedie a inondare lo spazio. Al secondo e al terzo piano dell’edificio c’era una serie di camere da letto e altre stanze che lui non conosceva.
“Tu sei Tommy?”
Una ragazza gli stava premendo le dita intorno al gomito, era truccata e portava grandi orecchini a cerchio.
“Sì.”
“Ariadne ti aspetta di sopra. Terzo piano, seconda camera sulla destra.”
Tommy seguì le istruzioni, muovendosi guardingo per evitare di essere riconosciuto da qualcuno che lavorava per gli Scuttlers. Individuò la camera ed entrò senza troppe cerimonie.
“Ariadne?”
“Tom, finalmente sei arrivato. Sei lentissimo!”
A Tommy mancò il respiro quando vide come si era conciata Ariadne: indossava un body di pelle nero dal corpetto aderente e con i lacci rossi sulla schiena, calze nere e alti stivali che le sfioravano il ginocchio; i capelli rossi erano tirati indietro e qualche riccio le ricadeva lungo le tempie, ma a colpirlo di più fu il pesante trucco nero che le decorava gli occhi abbinato ad un rossetto rosso intenso.
“Come cazzo ti sei vestita?”
“Sherlock Holmes spesso si traveste per risolvere i casi. Non posso lavorare in incognito senza travestirmi.”
“Sherlock Holmes è un fottuto personaggio di fantasia. Ma ti senti quando parli?”
Tommy era talmente allibito che i suoi occhi azzurri erano sgranati facendo riflettere in essi la luce del lampadario.
“E quindi? I libri possono esserci d’aiuto!”
“D’aiuto in cosa?”
Ariadne fece un passo avanti e lui indietreggiò, erano come il gatto e il topo.
“Tom, devi avere fiducia in me.”
“Hai tre secondi per dirmi che ci facciamo qui.”
“Margaret mi ha detto che gli Scuttlers vengono qui tutti i giorni e ho pensato di venire a verificare. Nina, la ragazza che hai incontrato prima, sostiene che alcuni Scuttlers vanno blaterando di aver catturato il responsabile dell’attacco nel bosco.”
“E ti sei travestita per saperne di più?”
“Sì. – confermò lei – Ti ho chiamato per sapere a chi posso avvicinarmi per avere le informazioni. Tu conosci questi uomini meglio di me, sai chi è l’anello debole.”
Tommy riconobbe che il piano di Ariadne non era male, anzi era un’ottima possibilità per capire chi stava cercando di mettere loro i bastoni fra le ruote. Un solo punto del piano non gli andava a genio.
“La tua idea è quella di strusciarti addosso a qualche stronzo ubriaco?”
Ariadne si portò una mano sul petto, non aveva pensato a quella parte.
“Sì … suppongo di sì …”
“Come ti pare.” Si limitò a dire Tommy.
La ragazza rimase delusa, si aspettava che Tommy si opponesse all’idea che luridi uomini le mettessero le mani addosso. In fondo era una donna adulta, poteva benissimo cavarsela da sola e ce l’avrebbe fatta. Tornarono al primo piano e si appostarono in un angolo del bar per avere ampia visuale della sala intera.
“Da chi cominciamo?” mormorò Ariadne.
Tommy nel frattempo aveva ordinato da bere e si era messo di spalle per non essere intercettato.
“Lo vedi quello seduto al tavolo da poker? E’ Simon, uno degli uomini più vicini a Mick. Se la voce che gira è vera, lui saprà qualcosa. Gli piace scommettere e bere, forse avrà già la lingua sciolta a quest’ora.”
Ariadne fece un respiro profondo e si aggiustò il corpetto.
“Vado.”
Tommy la vide arrancare incerta sui tacchi, quell’abbigliamento non faceva per lei. Chiuse gli occhi e sospirò, non poteva lasciarla da sola.
“Maledetta ragazzina.”
Ariadne tremò quando Tommy l’abbracciò da dietro, la sua presa era d’acciaio.
“Tom …”
“Sta al gioco.” Le sussurrò all’orecchio.
Puntarono dritti verso il tavolo da poker e Tommy si accasciò su una delle sedie fingendosi brillo. Ariadne finì sulle sue gambe e si aggrappò alla sua spalla per non cadere.
“Tommy Shelby, vecchio volpone!” lo salutò Simon, ormai ubriaco.
“Simon, amico, come te la passi?”
“Alla grande. E tu come te la passi con questa bella signorina?”
Ariadne era tentata di scappare, non era più convinta del suo piano. Ma Tommy la tenne ferma con le mani sui fianchi.
“La signorina ci sa fare, per questo l’ho prenotata per tutta la notte.”
“Le gattine giovani sono quelle che graffiano meglio.” replicò Simon.
Tutti gli uomini al tavolo scoppiarono a ridere e Ariadne si sentì umiliata, un uccellino in gabbia che veniva ammirato per divertimento. Tommy notò che si era irrigidita fra le sue braccia, non era abituata ad essere tratta come un pezzo di carne da uomini che volevano portarla a letto.
“Tesoro, va a prendermi un whiskey. Fai la brava.” Le disse Tommy.
Ariadne annuì e si mise in piedi a fatica per via dei tacchi. Sbarrò gli occhi quando la mano di Tommy le diede una pacca sul sedere.
 
“Allora, che si dice da queste parti?”
Tommy si accese una sigaretta e ne offrì una a Simon, il quale accettò di buon grado.
“Diamo ancora la caccia al bastardo che ha ammazzato due dei nostri. Non è che voi Peaky Blinders ne sapete qualcosa?”
“Mi dispiace per le vostre perdite. Comunque noi non ne sappiamo niente, e neanche i Blue Lions. Pensate che ci sia una talpa fra di noi?”
“Mick la pensa così. Dice che non si fida né degli Shelby né degli Evans.”
In quel momento Ariadne tornò con il whiskey e Tommy si picchiettò sulla coscia per farla sedere. D’istinto le avvolse la vita con un braccio.
“Mick si sbaglia. Può fidarsi di noi perché non abbiamo fatto niente.”
Simon fece spallucce, era restio a spifferare i segreti della sua banda.
“Tanto presto scopriremo qualcosa. Abbiamo beccato un tizio e lo stiamo interrogando.”
“Lo state torturando.” Lo corresse Ariadne.
“Tommy, ti piacciono le puttane che parlano troppo?”
Tommy avrebbe voluto spaccargli il bicchiere in testa per togliergli dalla faccia quel sorrisetto malizioso, ma questo avrebbe solo aggravato la sua posizione. Tutto ciò che fece fu ridacchiare.
“Che dirti, mi piace fare conversazione durante il sesso.”
“E di che parlate? Del meteo?” scherzò Simon.
Un’altra risata del tavolo fece rabbrividire Ariadne. Tommy posò il mento sulla sua spalla e vi lasciò un piccolo bacio per calmarla, per assicurarle che lui era lì e non le sarebbe capitato nulla.
“Perché no? Fa sempre piacere sapere quando uscirà il sole.”
Simon rise di nuovo, era talmente ubriaco che anche una battuta banale lo faceva divertire.
“Anche a me piace parlare. Posso fare anche io un giro con la tua puledra?”
“Ti ho già detto che l’ho prenotata per tutta la notte.” Ribatté Tommy, stizzito.
“Tra amici si condivide. Dai, fammi fare un solo giro. Quelle tanto giovani mi piacciono da morire.”
Le dita di Ariadne tremavano contro le ginocchia di Tommy, che la strinse a sé per proteggerla.
“Non si tocca ciò che appartiene a Tommy Shelby.”
Tommy si alzò portando con sé la ragazza e si diressero verso le scale che portavano al piano superiore.
“Ariadne, non ti opporre.”
Ariadne non capì lì per lì il significato di quelle parole. Tutto divenne chiaro quando Tommy la schiacciò contro la parete e la baciò. Le sue mani scesero a toccarle in fianchi in una carezza che pareva fuoco sulla pelle. Non era come il bacio a Londra, questo era più passionale e travolgente. Ariadne gli allacciò le braccia intorno al collo per approfondire quel contatto che le mandava brividi di piacere in tutto il corpo. Annaspò quando si staccarono, le mancava l’aria anche se stava respirando a fondo.
“Meglio andare via.” Disse Tommy.
Ariadne era talmente intontita che si fece strattonare da Tommy per raggiungere il piano superiore e recuperare i propri vestiti. Al sicuro nella stanza, entrambi si presero un momento per riflettere.
“Non abbiamo scoperto un granché.” Disse Ariadne, avvilita.
“Invece sì. Ho capito quando tu hai parlato della tortura. Gli Scuttlers usano un vecchio mattatoio fuori città per dare una lezione a chi dà fastidio.”
“E tu credi che abbiano portato lì questo tizio che hanno catturato?”
“Aspetta qui.”
Tommy la lasciò da sola senza darle la possibilità di replica. Ariadne allora decise di cambiarsi poiché da un momento all’altro sarebbero andati via. Era passata la mezzanotte e sperava che la sua famiglia non si fosse accorta della sua assenza. Certo, Julian aveva detto a tutti che lei stava male e che era meglio lasciarla in pace, ma forse sua madre aveva già letto fra le righe.
“Ti riaccomp- …”
Tommy si immobilizzò. Ariadne stava davanti a lui con le mani a coprirle i seni, non aveva avuto il tempo di rivestirsi per intero.
“Girati, Tom!”
La ragazza tornò a vestirsi con gesti rapidi mentre si accertava che lui restasse voltato di schiena.
“Dobbiamo andare a controllare quel mattatoio. Volevo che ci andasse mio fratello Arthur ma è talmente strafatto che a stento si ricorda il suo cazzo di nome.”
“Va bene, ma dobbiamo fare in fretta prima che a casa notino la mia assenza.”
Ariadne si pulì il viso, anche se la matita aveva creato una sottile sfumatura sotto le ciglia inferiori, e si legò i capelli per stare comoda. Sentiva l’adrenalina scorrere nelle vene, davvero sembrava la protagonista di un libro che va in missione segreta.
“Tommy?!” strillò una voce dal corridoio.
“Cazzo, questo è Simon.”
“Vieni con me.”
Ariadne lo prese per mano e lo condusse sul balcone dell’edificio perché sulla sinistra c’era la scala anti-incendio. Lei fu la prima a calarsi, poi fu il turno di Tommy. Una volta in strada, raggiunsero l’auto e partirono. Dallo specchietto Tommy vide Simon sul balcone che si sbracciava reggendo due bottiglie fra le mani.
 
Ariadne ebbe l’impressione di essere finita in una favola macabra. Il mattatoio dismesso si ubicava in aperta campagna e a pochi chilometri dal bosco. C’erano solo immense distese di erba e alberi, con un cielo nero a fare da tetto. I rami degli arbusti sembravano mani rachitiche pronte a rapirla. I gufi spuntavano con i loro vispi occhi gialli in mezzo alle tenebre.
“Gli horror non sono il mio genere.” Mormorò lei.
Tommy inarcò il sopracciglio nella sua tipica espressione scettica.
“Non farmi pentire di averti portata con me.”
“Io sono un’ottima osservatrice.”
“E chi lo dice, uno dei tuoi libri?”
Ariadne gli fece la linguaccia e puntò lo sguardo sulla stradina sterrata che dalla strada principale portava al mattatoio.
“Tom, guarda! La luce è accesa e fuori ci sono due auto.”
Tommy spense il motore e i fari nei pressi di una grande quercia che li riparava da occhi indiscreti.
“Io vado a vedere. Tu resta qua. Non fare stupidaggini.”
“Mi porti in un luogo disperso e ti aspetti che me ne resti qui come una bambina impaurita?”
Tommy stava per rispondere ma Ariadne era già uscita dall’abitacolo e lo aspettava con le braccia incrociate.
“Questa ragazzina mi rovinerà.”
 
Alla fine Tommy si arrampicò su una spessa lastra di cemento malridotta che si era staccata da chissà dove. L’importante era ottenere una buona panoramica dell’interno: vide Mick e cinque dei suoi uomini, poi vide un uomo legato ad una sedia che sanguinava dai polsi tagliati. L’uomo aveva il viso deturpato da profondi, la camicia impregnata di sangue e il petto che respirava piano. Era Barry Grimm, un delinquente che per vivere comprava e vendeva armi rubate dai depositi militari.
“Che cosa vedi?” chiese Ariadne e bassa voce.
Tommy tornò con i piedi per terra e le fece cenno di allontanarsi, non c’era altro da vedere.
“Hanno catturato Barry Grimm, un criminale noto per la vendita di armi. Non arriverà vivo a domattina.”
“Pensano che sia lui il colpevole della sparatoria solo perché vende armi?”
Tommy le lanciò un’occhiata sgomenta, a volte quella ragazza viveva fuori dalla realtà.
“Lo fanno per mandare un messaggio chiaro: muore chiunque osa sfidare gli Scuttlers. Probabilmente i bossoli della sparatoria appartengono ai fucili che vende Barry e Mick ha pensato che il colpevole abbia comprato l’arma da lui.”
“E il compratore sarebbe stato così stupido da lasciare in vita un testimone? Avrebbe potuto uccidere Barry per evitare che parlasse con Mick.” Disse Ariadne.
“A meno che il compratore non sia un amico di Barry.” Disse Tommy.
“Sì, potrebbe. A questo punto Mick conosce già il nome del colpevole.”
“Lo sapremo molto presto.”
 
Tommy imboccò il vialetto di casa Evans e parcheggiò a pochi passi dal cancello. L’abitazione era buia e silenziosa, tutti stavano dormendo essendo le due del mattino.
“Grazie per stasera, Tom.”
“Vedi di non metterti ancora nei casini.”
Ariadne ridacchiò a quel rimprovero quasi paterno.
“Cercherò di fare del mio meglio.”
“Scendi.”
“Buonanotte, signor Shelby.”
Ariadne gli diede un bacio sulla guancia e lui fece un sorriso appena accennato.
“Buonanotte, Sherlock.”
 
 
Salve a tutti! :)
Ecco che Tommy e Ariadne vanno in missione come Sherlock e Watson! Che coppia!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. La lettura delle rune avviene come l’ho descritta dato che mi sono informata.

 

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Capitolo 6
*** Corsa alle armi ***


6. CORSA ALLE ARMI

“L’inferno è lo stato di chi ha cessato di sperare.”
(Archibald Joseph Cronin)
 
Due giorni dopo
Ariadne si svegliò ben presto quella mattina perché il suo stomaco aveva brontolato tutta la notte. Per fortuna tutto era già pronto per la colazione: dal tè al caffè, dalle brioches ai biscotti, e soprattutto le marmellate che lei tanto amava.
“Buongiorno.” La salutò Barbara con un sorriso.
Agnes stava seduta accanto alla madre e mangiucchiava in silenzio, era la bambina più tranquilla che Ariadne avesse mai visto.
“Buongiorno a voi. Jules, mi passi una brioche?”
Il fratello minore le passò il contenitore con la mano che tremava un poco, segno che era rientrato dall’ennesima notte di bagordi. A renderlo palese erano anche le occhiaie scure intorno agli occhi e l’essenza di rum malcelata dal profumo.
“Non mangiarle tutte. Lasciane un paio per me.”
“L’alcol non ti ha riempito abbastanza?”
“Quello a malapena riempie i vuoti dell’anima.”
Julian ridacchiò e scosse la testa, poi addentò un biscotto e bevve un sorso di caffè bollente.
“Ariadne, oggi vado dalla parrucchiera. Vuoi venire?” le propose Barbara.
“Mi piacerebbe ma non posso, devo incontrare un’amica.”
In verità Ariadne non aveva alcun impegno, aveva solo voglia di andare al Garrison e chiacchierare un po’ con Margaret. Sperava anche di poter incontrare Tommy. Ricordava bene la sensazione calda delle mani di Tommy sul corpo, il suo braccio a cingerle i fianchi, e le sue labbra a baciarla con passione.
“Dovresti andarci per aggiustare il monociglio che ti sta sputando in faccia.” disse Julian.
“Sei un imbecille, Jules.”
Ariadne non era una ragazza che curava il proprio aspetto in maniera morbosa, anche perché le spese erano molte e i soldi non bastavano per tutto. Affitto e cibo erano sempre stati la sua priorità. Per i vestiti bucati o rovinati interveniva lei stessa col cucito, infatti molto spesso realizzava di sua mano gonne e maglioni.
“Dico solo la verità.”
“Lascialo perdere, sei bella così.” Disse Barbara.
Era una donna molto gentile e pacata, proprio come piaceva a Marianne Evans. Eric da ragazzo era innamorato perso della sorella di Barbara, però il loro matrimonio era stato combinato anni prima e alla fine gli affari ancora una volta avevano prevalso sull’amore. Col tempo, e con tanta pazienza, Eric si era davvero affezionato a Barbara e insieme sembravano felici.
“Ti ringrazio, Barbara. Il fatto è che Julian è invidioso dei miei capelli.”
“Ovvio! Sarei cento volte più bello se avessi i capelli rossi come i tuoi.” Replicò lui.
Quel momento di serenità fu interrotto dall’arrivo della domestica che recava un pacco rosso fra le mani.
“Scusate il disturbo. E’ arrivato questo pacco per il signor Evans.”
Barbara prese in consegna la scatola e tirò la nocca bianca per scartarlo.
“Ci penso io. Grazie.”
La domestica si congedò con un mezzo inchino. Ariadne e Jules si sporsero per guardare il contenuto del pacco, mentre Agnes era tutta concentrata a spezzare i biscotti nel latte. Il tempo sembrò congelarsi dopo aver sollevato il coperchio.
“Oh, per la miseria!” gridò Barbara nel panico.
Agnes stava per sbirciare ma la madre le coprì gli occhi con la mano e la portò fuori dalla stanza.
“Che succede?” esordì Eric, giunto dallo studio per le urla.
Nella scatola giaceva un cuore, sotto di esso si era formata una pozza di sangue ormai raggrinzito. Sulla parte di arteria ancora attaccata c’era un biglietto: questo è solo l’inizio.
“Chi può aver fatto una cosa simile?” domandò Julian nello shock totale.
Eric e Ariadne si scambiarono un’occhiata loquace: era stato Mick King.
 
 
Tommy si stava facendo la barba quando Arthur fece irruzione nel bagno di casa sua senza preavviso.
“Che cazzo vuoi, Arthur? Non posso farmi neanche la barba in pace.”
“Sono venuto a dirti che abbiamo risolto quel problema con i cinesi. Il carico è arrivato a Londra sano e salvo. Michael si occuperà del resto.”
Tommy annuì, era sollevato che almeno qualche affare andasse bene. La sua campagna elettorale, invece, stava perdendo punti. Molti parlamentari andavano a sostegno dell’altro candidato e il suo programma politico stava perdendo consensi. Il problema non ci sarebbe stato se l’affare con gli Scuttlers si fosse concluso nel verso giusto.
“Mick non si è fatto sentire?”
“Quello stronzo è sparito dalla circolazione.” Rispose Arthur.
Tommy si pulì le guance dalla schiuma da barba e si sciacquò il viso per eliminare eventuali residui.
“Novità su Barry? Il cadavere non è stato trovato?”
“No. Abbiamo perlustrato l’area intorno al mattatoio, il canale e anche la discarica ma non è stato trovato nessun cadavere. Secondo me quei fottuti pazzi lo hanno bruciato.”
 “Devi dire a Finn di farsi un giro alla centrale di polizia per sapere se loro hanno trovato un corpo carbonizzato. Gli Scuttlers sono furbi, avranno bruciato il corpo per cancellare le tracce.”
“Sarà fatto.” disse Arthur.
“Tommy, posso?” squittì la voce sottile di Lizzie.
Tommy aprì la porta e si affacciò il giusto per guardare sua moglie con un pacco in mano.
“Cos’è?”
“Il postino lo ha consegnato pochi minuti fa. E’ pesante.”
“Dallo a me.”
Lizzie rimase ferita dall’indifferenza di Tommy, non le aveva nemmeno chiesto come stava dopo la nausea mattutina.
“Natale è in anticipo quest’anno?” scherzò Arthur.
Tommy stracciò il fiocco sul coperchio e, quando vide il contenuto, lo riabbassò subito. Lizzie era ancora davanti alla porta e non voleva disturbarla con quella vista.
“Lizzie, torna di sotto. Non è roba per te.”
Quando la moglie si riunì con Charlie in sala pranzo, Tommy mostrò il tetro regalo ad Arthur: era un fegato contornato da sangue rappreso.
“Cazzo!” sibilò Arthur fra i denti.
“E’ stato quel bastardo di Mick King. Dobbiamo subito avvertire Eric.”
Tommy, però, in quell’istante ebbe paura per una sola persona: Ariadne.
 
 
“Ariadne, scendi.” La richiamò Eric.
Nello studio c’erano la madre, Tommy e un altro signore con i baffi. Ariadne si sedette sulla poltrona di fronte allo scrittoio e accavallò le gambe, iniziando a stirare le pieghe dei pantaloni per il nervosismo.
“Sorellina, questo è Arthur Shelby, il fratello di Tommy.” spiegò Eric.
Ariadne sventolò la mano e Arthur le fece un cenno con la testa a mo’ di saluto.
“Avete novità?” domandò Marianne, seduta sulla poltrona del figlio.
Tommy buttò furori una nuvola di fumo che si dissolse lentamente danzando davanti ai suoi occhi.
“Mio fratello Finn ha scoperto che la polizia ieri sera ha rinvenuto un cadavere  nell’ansa del fiume e che mancavano il cuore e il fegato. Il cadavere è di Barry.”
Ariadne si portò una mano allo stomaco come a voler arrestare l’ondata di nausea che le risaliva lungo l’esofago. Non aveva mai visto un cuore, né tantomeno un cadavere, ma l’immagine di un corpo senza organi era ancora peggio.
“Sono stati gli Scuttlers, vero?”
“Sì. Sono dei fottuti sadici.” Disse Arthur.
Eric si appoggiò a un ripiano della libreria, la gamba monca gli doleva più del solito.
“Che facciamo adesso? Gli Scuttlers hanno ufficialmente dichiarato guerra e non si fermeranno fino a quando non avranno risolto la questione. Ci daranno la caccia anche se non siamo stati noi a organizzare l’attentato.”
“Ora si tratta di un atto di forza.” Aggiunse Tommy, la voce piatta.
Marianne Evans si rigirava il tagliacarte fra le dita mentre osservava i presenti con il suo sguardo truce.
“E noi abbiamo intenzione di rispondere al fuoco col fuoco?”
“No! – obiettò Ariadne – Rispondere alla violenza con la violenza non è mia la soluzione. Birmingham galleggerebbe nel sangue.”
Come una furia Lucius fece irruzione nello studio con la faccia contratta per lo shock.
“Sta succedendo! Gli Scuttlers stanno ripulendo il covo di Barry. Quei bastardi stanno rubando tutte le armi. Si stanno armando contro di noi!”
Ariadne fece guizzare l’attenzione su Tommy e rimase sorpresa nel vedere l’impassibilità dipinta sul suo volto. Tommy ne aveva viste tante e un nuovo conflitto non era di certo fonte di chissà quale preoccupazione.
“Come dicevo: fuoco al fuoco.” Ribadì Marianne.
“Non abbiamo armi a sufficienza per controbattere, madre.” Le fece notare Eric.
“Allora compriamole!” esordì Arthur.
Eric abbassò il mento per la vergogna di ciò che stava per dire.
“Non abbiamo abbastanza soldi. Gli unici che potrebbero fornirci le armi sono i Solomons, ma non lo faranno mai perché odiano noi di Birmingham.”
Tommy intanto aveva iniziato a fumare la centesima sigaretta, ormai la stanza si era impregnata di tabacco e acqua di colonia.
“Eric, tu purtroppo hai anche altri problemi.”
Ariadne scoccò un’occhiata apprensiva al fratello, il quale stava sudando freddo per la pressione che gli gravava addosso. Eric era intelligente, ma di certo non era un leader capace.
“In che senso?”
“Devi restituirmi i soldi che ti ho prestato per il tuo magazzino. Ricordi il nostro accordo? Tu mi aiuti a suggellare un patto con gli Scuttlers e il tuo debito si può considerare saldato. Ora che l’affare con gli Scuttlers è andato a farsi fottere e i Peaky Blinders hanno bisogno di armi, io direi che è il momento di restituirmi il denaro.”
“Cazzo, Tommy! Lo sai che ora non ho tutto quel denaro a disposizione. Stiamo facendo molta fatica a recuperare i soldi che abbiamo perso. Non puoi chiedermi una cosa del genere proprio adesso che siamo nella merda fino al collo.”
“Infatti, il problema è tuo e non mio.”
Ariadne per qualche assurda ragione si sentì ferita dal comportamento di Tommy. Sperava che una piccola parte di lui tenesse a lei tanto da mantenere vivo i rapporti con i Blue Lions. Scandagliò per bene la stanza: da un lato c’era sua madre, dispotica arpia sul piede di guerra; c’era Eric, disperato boss senza un quattrino; e poi c’era Tommy, spietato e affilato come una lama di coltello. Decise allora che avrebbe dovuto mettersi in gioco per salvare di nuovo i suoi fratelli.
“Ci penso io.”
“Taci, Ariadne. Sei più carina quando stai zitta.” La rimproverò la madre.
La ragazza, però, osò sfidare l’ordine e addirittura si mise in piedi al centro della stanza.
“Non starò zitta quando ho la soluzione adatta a tutti.”
“E quale sarebbe, tesoruccio?” fece Arthur sghignazzando.
“Ho bisogno di cinque minuti col Tommy. Dobbiamo discutere di affari. D’altronde dal mese prossimo sarò io a capo dei Blue Lions ed è bene che io inizi a sporcarmi le mani sin da subito.”
“State facendo un gioco pericoloso.” Disse Tommy.
“Avete paura di perdere, signor Shelby?”
Tommy la squadrò da capo a piedi e per la prima volta vide una donna determinata. Se fino ad allora Ariadne si era atteggiata a ragazzina ribelle, ora stava dimostrando di valere molto di più.
“Vi concedo cinque minuti, signorina.”
“Bene. Gli altri sono pregati di uscire e chiudere la porta.”
Arthur e Lucius furono i primi a uscire, pronti ad andare in cucina per bere un bicchierino. Eric guardò la sorella con tenerezza, sperando che davvero risolvesse le sue rogne. E l’ultima a uscire fu la madre, una macchia nera come l’inchiostro che si spostava a passo lento come a voler marchiare quel pavimento con la sua presenza.
Ariadne si sedette sulla poltrona di Eric, la stessa che un tempo era stato il trono del padre, e si schiarì la voce.
“Avevo pens- …”
“Mi prendi per il culo, Ariadne?”
Tommy si era chinato sullo scrittoio con i pugni sulla superficie di legno, gli occhi rabbiosi fissi sulla ragazza.
“Sono seria. Vorrei che per una volta tu mi considerassi una tua pari. Non fare il maschilista, brutto caprone.”
“Qui non si tratta di essere masch-”
“Già! E’ vero, si tratta di un omaccione che ha paura a discutere civilmente con una ragazzina!”
Per un secondo si guardarono in cagnesco, avrebbero potuto sguainare gli artigli e farsi a pezza a vicenda.
“Io non discuto con i bugiardi. Chi mi garantisce che non mi mentirai di nuovo?”
“Tom, devi fidarti di me.”
“Col cazzo che mi fido di una che spara cazza- …”
Quella volta Tommy fu interrotto dalla mano di Ariadne che afferrava il tagliacarte e glielo puntava alla gola.
“Siediti su quella maledetta sedia o ti ficco il tagliacarte nella carotide.”
“Uh, la piccoletta è passata alle minacce.” La derise Tommy.
Ariadne si tirò indietro, depose il tagliacarte e si accasciò sulla poltrona con un sospiro.
“Tom, non è così che devono andare le cose. Per favore, ascoltami per cinque minuti e poi fai la tua scelta.”
Tommy si spostò vicino alla finestra per accendere un’altra sigaretta, sebbene i suoi polmoni già si lamentassero da anni.
“Parla.”
“Le mie proposte sono due. La prima riguarda le armi: possiamo provare a fare un accordo con i Solomons, uno talmente buono che non potranno rifiutare. I Peaky Blinders e i Blue Lions possono cedere qualcosa ai Solomons almeno per questa volta.”
“Che cosa hai in mente?”
Ariadne sorrise perché finalmente Tommy la stava ascoltando.
“Mick King vuole una parte delle corse dei Solomons e ora di sicuro farà il possibile per ottenerle. I Solomons sono allo sbando senza il loro capo, e io lo so perché abitavo a Camden Town e le voci circolavano. Noi potremmo cedere una manciata dei nostri uomini ai Solomons per proteggere gli allibratori durante le corse.”
“E secondo te i Solomons accetteranno di essere difesi da noi? E’ azzardata come mossa.”
“Ma è l’unica che possiamo offrire. Ci dobbiamo quantomeno provare.” Disse Ariadne.
Tommy si grattò la nuca mentre rifletteva, ma non disse nulla perché voleva testare il coraggio della ragazza.
“E la seconda proposta che mi fai?”
“Il tuo patto con gli Scuttlers è saltato e ciò significa che per te sarà difficile avere i voti dei politici.”
“Quindi?”
Ariadne lo affiancò e insieme guardarono le nuvole bianche sorpassare le loro teste.
“Quindi ti serve una campagna elettorale con i fiocchi. Se vuoi, e se ti fidi, posso occuparmene io.”
Tommy sollevò un angolo della bocca in un sorriso divertito, non capendo se lei fosse audace o pazza.
“Hai mai organizzato una campagna elettorale prima?”
“No, ma ai ricchi piacciono le stesse cose: belle feste, alcol e adulazioni.”
“Cosa vuoi in cambio?”
“Io mi occupo della campagna e tu cancelli il debito di mio fratello.”
“Stai rischiando grosso, Ariadne.”
Oh, lei sapeva di essere il topolino caduto nella trappola del gatto, però era compito suo proteggere i suoi fratelli.
“Ti fidi di me, Tom?”
“No, ma sono d’accordo con le tue idee. Fidarsi totalmente non è un lusso che gente come noi può permettersi.”
“Allora abbiamo un accordo, signor Shelby.”
 
Ariadne si massaggiava le tempie nella speranza che un’illuminazione la ispirasse. Dopo che Tommy e Arthur erano andati via, si era chiusa in camera per elaborare un progetto per la campagna elettorale. Più ci rimuginava sopra e più le idee brillanti le sfuggivano.
“Sola e pensosa.”
Julian si lasciò cadere sul letto accanto a lei e le pizzicò una guancia, al che la sorella arricciò il naso e rise.
“Mi dai i pizzicotti sulle guance da quando siamo bambini. Non sarebbe ora di smetterla?”
“No, hai le guance troppo morbide.”
Ariadne alzò gli occhi al cielo fingendo un fastidio che non provava perché a lei andava bene qualsiasi cosa pur di stare vicino a suo fratello.
“Ti va di aiutarmi Tu sei il re dei bagordi e magari ti viene in mente qualcosa per la campagna elettorale di Tommy.”
“Tommy, eh?” La canzonò Julian, le sopracciglia che si muovevano a sfottò.
Ariadne si sforzò di non arrossire per aver chiamato Tommy per nome, ciò stava a significare che tra di loro c’era qualcosa in più rispetto a un semplice rapporto d’affari.
“Non posso chiamarlo Tommy? Insomma, sono diventata la sua assistente, più o meno.”
“Fingo di crederci. Beh, a cosa avevi pensato? Beneficenza? Festa?”
“A entrambe le cose. Potremmo organizzare una festa di beneficenza e destinare il ricavato a strutture in città che hanno bisogno. Ovviamente devono essere strutture che sottolineino l’impegno civile di Tommy.”
Julian si accarezzò il mento privo di barba, aveva ancora il volto fresco e birbante di un fanciullo.
“Una festa in maschera come ti sembra? I ricchi amano quel genere di cose.”
“Sì, potrebbe essere una grande idea!” esultò Ariadne.
Julian si posizionò con le ginocchia sul materasso e allargò le braccia in maniera teatrale.
“Ci serve un tema accattivante, qualcosa che resti impresso. Tutta l’alta società di Birmingham per mesi dovrà parlare di questa festa!”
“Scommetto che tu hai già il tema, Jules.”
“Sono il re dei bagordi, no? Il tema sarà il Rinascimento italiano! Tutti indosseranno abiti ispirati ai personaggi rinascimentali.”
Ariadne batté le mani soddisfatta come una bambina che riceve il suo giocattolo preferito.
“Splendida idea!”
Si abbracciarono brevemente per festeggiare quella trovata geniale, poi Julian la guardò dritto negli occhi come se volesse scavarle l’anima.
“Adesso mi dici che facevi a Londra? E non dire che abitavi con zia Odette perché le tue mani raccontano una storia diversa.”
Quando Ariadne era andata via otto anni prima, sua madre aveva raccontato a tutti che la poveretta era rimasta troppo sconvolta dalla morte del padre e che pertanto allontanarsi dalla città avrebbe potuto aiutarla a superare il trauma. Eric, Julian e i loro conoscenti sapevano che Ariadne era andata a Londra, che fino ai diciotto anni aveva frequentato il collegio e che poi era andata a stare con una zia di secondo grado.
“Jules, io non so che dirti.”
“La verità. Io voglio solo sapere perché mi hai abbandonato.”
Julian aveva all’incirca tredici anni quando baciò per la prima volta un ragazzo, si chiama Paul ed era il figlio del loro giardiniere. Aveva subito confessato l’accaduto ad Ariadne, la quale lo aveva abbracciato e gli aveva imposto di non dirlo a nessuno. Il fatto era che quei baci nei mesi successivi erano aumentati e un giorno la madre aveva scoperto i due ragazzini a baciarsi nel fienile. Fu allora che si scatenò l’inferno.
“Non posso dirti la verità.”
Il fratello minore si scostò da lei con rabbia, adesso non era più il ragazzo giocherellone che era di solito.
“La mia vita è diventata un incubo dopo che te sei andata. Lo sai che mamma ha invitato un prete per farmi un esorcismo? E lo sai che mi ha fatto i bagni nell’acqua bollente? Lo sai che mi ha tenuto al buio nelle stalle per notti intere? Lo sai che …”
“Basta! Basta, ti supplico!”
Ariadne si era tappata le orecchie per non dover ascoltare altro. Il cuore le scoppiava di odio verso sua madre e verso se stessa.
“Basta, già. Erano le stesse parole che urlavo io quando nostra madre mi picchiava! Ma tu non c’eri, cazzo! Mia sorella non c’era e io ero a pezzi.”
Juliana stava piangendo, i suoi occhi erano rossi e liquidi. Ariadne si conficcò le unghie nei palmi affinché il dolore trattenesse le lacrime.
“Me ne sono andata perché odiavo questa casa! Odiavo papà, mamma, tutta questa città! Me ne sono andata perché odiavo la mia vita!”
“E non potevi portarmi con te?!”
“Se potessi tornare indietro, io ti porterei con me.”
Julian stava per replicare ma la porta cigolò mentre veniva aperta, costringendo i due giovani a voltarsi verso il nuovo arrivato. Marianne Evans, ammantata di nero come un corvo, li osservava con disgusto.
“Avete finito di dare spettacolo? State disturbando la nostra cena.”
“Al diavolo tu e la tua cena del cazzo.” Disse Julian.
“Per caso devo tenerti segregato di nuovo, Julian?”
Il sorriso della madre era malvagio, sembrava proprio una delle streghe cattive delle favole. Ariadne rabbrividì.
“Madre, lascialo in pace. Julian non ha nessuna colpa.”
“Per la miseria, Ariadne! Hai sempre avuto una boccaccia che parla troppo. Devi imparare a stare zitta.”
“A stare zitta e a obbedire ai tuoi comandi. E’ così che hai costruito il tuo impero di terrore, dico bene?”
Il volto di Marianne fu attraversato da un lampo di rabbia, non sopportava essere contraddetta.
“E’ la paura che getta le fondamenta per imperi duraturi. Non è questo che ti hanno insegnato all’Accademia?”
Ariadne dovette reggersi alla sbarra del letto per non vacillare.
“Tu sai dell’Accademia?”
Dopo aver lasciato il collegio, Ariadne non aveva mai chiamato a casa per dare sue notizie. Semplicemente aveva interrotto ogni rapporto con la madre. Solo Julian ed Eric ogni tanto le spedivano qualche lettera, ma lei nelle risposte non accennava mai alla sua vita. E allora come faceva sua madre a sapere dell’università?
“Sei stupida se credi di poter sfuggire al mio controllo solo perché sei lontana da me. Io ho occhi e orecchie dappertutto.”
“Mi hai fatta spiare?
“Certo che sì. Credevi davvero che avessi allentato la mia morsa su di te? Tu sei mia figlia e appartieni a me. Com’è che ti facevi chiamare? Judith, se non erro.”
Ariadne ingoiò saliva amara come se bevesse un calice intero di veleno. Sentì lo stomaco contorcersi e una cattiva sensazione si insinuò fra le sue ossa.
“Come si suole dire, il male è sempre alle nostre spalle.”
“Mi reputi il male, Ariadne? Oh, suvvia, speravo in qualcosa di più creativo. Se io sono il male, tu cosa sei? Ti ricordo che otto anni fa …”
“Lo so che cosa ho fatto otto anni fa!”
Julian faceva rimbalzare gli occhi fra la madre e la sorella che blateravano di cose che lui non riusciva a comprendere.
“Che sta succedendo? Chi è Judith? E cosa c’entra l’Accademia?”
Marianne esibì un altro dei suoi sorrisi meschini, era un cannone sempre pronto a sparare e a sterminare.
“L’Accademia non c’entra più nulla con la nostra Ariadne perché i suoi studi sono stati sospesi.”
“Sospesi?” le fece eco Ariadne, incredula.
“Sì, cara, sospesi. Ho chiamato l’università e ho posto fine alla tua carriera. Non sei più una studentessa.”
Come mossa da una forza invisibile e violenta, Ariadne saltò addosso alla madre e la spinse contro il muro. Prima che potesse aggredirla ancora, Julian la prese da dietro e la tenne lontana.
“No, Aria, no! Peggioreresti solo le cose!”
La ragazza aveva il respiro concitato, le guance arrossate dalla rabbia e lo sguardo di chi era disposto a tutto. Per un attimo le parve di essere diventata come sua madre, vendicativa e crudele, perciò si scrollò le mani di Julian di dosso e si sistemò la camicetta.
“Guardati le spalle, madre, perché quello che ho fatto otto anni sono pronta a ripeterlo.”
 
 
Tommy entrò al Garrison che era mezzanotte inoltrata. Il pub era semivuoto, fatta eccezione per quei quattro clienti abituati a sbronzarsi fino all’ora di chiusura. Lui, Arthur e Finn tornavano da un incontro con i Solomons a Londra e, siccome era andato tutto bene, avevano deciso di festeggiare prima di rincasare.
“James, tre whiskey!” ordinò Arthur.
Il barman preparò i tre drink e li servì dopo aver pulito il bancone con uno straccio.
“Tommy, c’è una tizia nel vostro privè. Margaret mi ha detto che tu la conosci.”
Tommy fece capolino nel privè e si morse le labbra: Ariadne dormiva rannicchiata su una delle panche. Sul tavolino giaceva un bicchierino di cherry vuoto.
“Ariadne. Ehi, sveglia.”
Si inginocchiò accanto a lei e le accarezzò piano la guancia, era così bella mentre dormiva. Non era una bellezza di quelle che ti colpisce e ti fa girare la testa, piuttosto la bellezza di Ariadne aveva a che fare con la sua personalità. I capelli rossi e gli occhi color ambra erano belli, ma era l’aura che aveva intorno ad attirare Tommy.
“Ariadne! Su, ragazzina, svegliati.”
La ragazza si mosse di poco ma senza aprire gli occhi. Tommy sorrise perché gli ricordava i capricci che faceva Charlie al risveglio.
“Bella addormentata, muovi il culo.”
Ariadne aprì un solo occhi e ridacchiò, poi si mise sulla schiena e si passò le dita fra i capelli.
“Ciao, Tom.”
La voce della ragazza era bassa e tenera mentre si stiracchiava come un gatto. D’istinto Tommy le diede un bacio a stampo sulla bocca. Si pentì immediatamente, però non diede a vederlo.
“Che ci fai qui?”
“Ho litigato con mia madre e non volevo stare più a casa. Sono venuta qui per stare con Margaret e alla fine mi sono addormentata. Sai, non reggo bene lo cherry.”
“Ariadne, non puoi stare qui. Devi tornare a casa.”
“Non ci torno in quell’inferno.”
Tommy sospirò e si grattò la fronte, quella ragazza lo confondeva.
“Resta il fatto che non ti lascio qui. Dai, muoviti, vieni a stare da me.”
Ariadne sorrise e annuì, lieta di non dover sopportare quel legno duro contro la schiena.
“Sicuro? Non vorrei infastidire tua moglie.”
“Lizzie … beh, lei non è un problema. Muoviti o cambio idea.”
 
Ariadne non riusciva a prendere sonno. Succedeva ogni volta che cambiava letto. Il materasso era comodo, doveva ammetterlo, ma comunque non riusciva a trovare pace. Lizzie l’aveva accolta con gentilezza e premura, l’aveva anche aiutata a sistemare la stanza degli ospiti per permetterle di dormire. Sgusciò fuori dalle lenzuola e si affacciò alla finestra che dava sul vasto giardino. La casa degli Shelby era enorme, una tenuta di campagna circondata da ettari di terreno occupati da piante e animali. Vide il proprio riflesso sul vetro della finestra: indossava una camicia da notte azzurra che Lizzie le aveva prestato, i ricci erano stati pettinati con cura da una delle domestiche, ma niente aveva cancellato dalla sua espressione la profonda tristezza. Aveva fatto l’impossibile per accedere all’Accademia, studiando notte e giorno, saltando addirittura i pasti per affinare le sue conoscenze artistiche, e ora tutto era svanito per colpa della madre.
Troppo asfissiata da quei pensieri, uscì in corridoio e incominciò a girovagare per la casa. Ad ogni angolo erano disposti vasi preziosi, statue e quadretti. Su un mobile erano state apposte delle fotografie e una in particolare la fece sorridere perché ritraeva Tommy in compagnia di Charlie. Proseguì verso il piano di sotto, ornato da altre meraviglie come lampadari di cristallo e tende di broccato. Poi Ariadne adocchiò un quadro che conosceva bene: appeso nello studio di Tommy, sulla parete sinistra, c’era il disegno che lei aveva realizzato per la mostra al museo.
“Oh …”
“Sono io il misterioso compratore.”
Tommy era seduto al buio sulla sedia a dondolo nel suo studio, stava fumando e sorseggiando whiskey. Aveva indosso solo i pantaloni e Ariadne distolse lo sguardo per non avvampare.
“Non avresti dovuto.”
“Mi piaceva e l’ho comprato.”
“Sicuro che non abbia a che fare con me?”
Tommy emerse dall’oscurità, bello come la luna che scopre una parte di sé.
“Ha a che fare con Judith. L’ho comprato perché lo ha disegnato lei.”
“Judith non esiste più. Non è mai esistita.”
“Neanche quella notte a Londra esiste?”
Ariadne non era capace di guardarlo, temeva di accecarsi come quando si guarda troppo il sole.
“Tom …”
“Rispondi.”
“Sì, quella notte a Londra esiste.”
Tommy le sfiorò la spalla con la punta dell’indice e poi si avvicinò fino a far toccare i loro corpi. C’era qualcosa che lo attirava a quella ragazza a cui non riusciva a rinunciare.
“Allora forse non tutto è perduto.”
 
 
Salve a tutti! :)
Come sempre Ariadne e Tommy giocano a fare tira e molla, ora si urlano contro e ora stanno al buio insieme.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 7
*** Minaccia al potere ***


7. MINACCIA AL POTERE

“Il cuore dell’uomo è il suo paradiso o il suo inferno.”
(Jean-Jacques Rousseau)
 
 
Tommy controllò l’orologio appeso al taschino e si rese conto di essere in anticipo. Si era svegliato all’alba come sempre da vent’anni a questa parte, si era preparato e si era rifugiato nelle stalle per abbeverare i cavalli e spazzolarli. Adorava i cavalli sin da bambino, erano silenziosi eppure di grande compagnia; per lui erano amici fedeli. Ogni mattina si ritagliava almeno mezz’ora da passare nelle stalle un po’ per prendersi cura degli animali e un po’ per evadere dalla sua vita. Depose la spazzola e accarezzò il muso del suo cavallo nero prima di rincasare.
“Buongiorno, signor Shelby.” Lo salutò la domestica.
Tommy annuì e ricambiò con un cenno della testa. Quando si chiuse la porta alle spalle, ad attirarlo furono delle sonore risate che provenivano dal soggiorno.
“La foca, Charlie! Fai la foca!” stava dicendo Ariadne.
Charlie e Ariadne erano sdraiati a pancia in giù sul grande tappeto persiano ai piedi del divano, le braccia dietro la schiena e le mani che battevano. Il bambino si fermò quando incontrò le scarpe lucide del padre.
“Papà, guarda, sono una foca!”
“A quanto pare in casa abbiamo un’invasione di foche.”
Ariadne era arrossita nel frattempo, qualcosa nella posizione rigida di Tommy la metteva a disagio. Si alzò e si pulì i pantaloni dalla polvere.
“Scusa, pensavo che fosse un gioco divertente.” Disse lei con un filo di voce.
Da bambina a casa sua aveva giocato poco e niente. Lei e Julian adoravano rincorrersi in giardino e lanciarsi la palla, ma la madre glielo vietava perché temeva che si facessero male. L’unico più libero era Eric perché era più grande e perché andava in giro col padre, ma al suo ritorno doveva sottostare alle regole. Era solo l’ennesimo modo attraverso cui Marianne Evans esercitava il totale controllo sui figli.
“Non devi chiedere scusa. Stavate soltanto giocando. Anzi, mi fa piacere che Charlie abbia trovato una compagna di giochi della sua stessa età.”
Ariadne si mise a ridere per l’allusione alla sua giovane età.
“Almeno non deve giocare con suo padre che è molto anziano.”
“Tommy, sei qui.” esordì Lizzie.
Tommy fece un passo indietro e Ariadne tornò seria, il che insospettì ancora di più Lizzie.
“Ariadne, porta Charlie con te in sala da pranzo per la colazione.” Disse lui.
“Certo.”
La ragazza sorrise, prese il bambino per mano e lasciò i due coniugi da soli. Lizzie lo stava trucidando con quei suoi occhi chiari.
“Che c’è? Mi guardi come se avessi sgozzato qualcuno su questo prezioso tappeto del cazzo.”
“La ragazzina ti piace. Lo capisco da come la guardi.”
“Non dire stronzate, Lizzie.”
Tommy si incamminò verso l’uscita per andare a fare colazione, ma Lizzie lo trattenne per il braccio.
“Te la scopi?”
“Tra me e Ariadne non c’è niente. E anche se me la scopassi a te non dovrebbe interessare!”
“Ah, no? Ti ricordo che sono tua moglie. Non voglio essere lo zimbello di tutti perché Tommy Shelby va a letto con una ventenne!”
Tommy si prese qualche secondo per respirare a fondo oppure sarebbe esploso in un raptus di rabbia.
“Non me frega un cazzo di quello che pensano gli altri. Tommy Shelby fa quello che gli pare.”
“Anche tradire sua moglie?”
La porta di ingresso all’improvviso sbatté forte. Lizzie si affacciò in corridoio e vide che Charlie salutava qualcuno con la mano dalla finestra.
“Che succede?”
“Ariadne è andata via. Ha detto che siamo stati gentili e che ci ringrazia.”
Tommy sospirò e si passò una mano sul viso, quella giornata era decisamente incominciata male.
 
Ariadne si presentò al bancone del Garrison a mezzogiorno. Era domenica e sua madre era andata a messa con Barbara e Agnes, perciò aveva avuto il tempo di tornare a casa per lavarsi e per preparare una valigia. Per fortuna non aveva incrociato i suoi fratelli, il maggiore doveva essere uscito con Lucius e il minore quasi certamente dormiva dopo una bella sbronza.
“Ariadne! Che bello averti qui.”
Margaret le diede un abbraccio e un bacio sulla guancia, era una ragazza molto affettuosa.
“Non so dove altro andare. A casa mia non ci torno e casa di Tommy non è il luogo adatto.”
“Hai dormito da Tommy? Caspita!”
“E sono scappata prima che scoppiasse un litigio furioso fra moglie e marito. Credo di essermi intromessa fin troppo nella vita di Tommy.”
“E’ Tommy che te lo ha permesso. Sai, lui è uno molto chiuso e riservato. Se fa entrare qualcuno nella sua vita è perché lo desidera davvero.” Disse Margaret.
“Me lo ha permesso solo perché sono utile agli affari.”
La campanella della porta risuonò quando nel pub entrò un cliente. Margaret sorrise subito e si sbracciò per farsi notare.
“Venite a sedervi qui, signora Gray.”
Ariadne rimase esterrefatta dalla bellezza della donna che si era accomodata accanto a lei: capelli castani arricciati alle punte, sopracciglia dalla forma perfetta, rossetto rosso e un abito blu notte di pura seta.
“E’ una giornata tremenda oggi. Il parroco ha fatto un’omelia davvero brutta, quell’uomo non mi piace per niente!”
Margaret ridacchiò e si premurò di servire alla donna un bicchiere di whiskey.
“Ariadne, ti presento Polly Gray.”
“Voi siete Polly Gray? Quella Polly Gray?”
“La sola e unica.” Rispose Polly con un sorriso.
Ariadne aveva sentito tante storie su di lei, era una sorta di diva tra le strade di Birmingham. Parlare con lei era come essere al cospetto della regina.
“Io nutro una profonda stima nei vostri confronti, signora Gray.”
“Non sei la prima, tesoro. E tu saresti?”
“Ariadne Evans.”
Polly si bloccò con le labbra sul bordo del bicchiere, le sopracciglia inarcate in una smorfia di incredulità.
“Tu sei la figlia di Marianne, qualche anno fa si pettegolava molto su di te. La ragazzina che fuggì nel cuore della notte.”
“Perché scappavi?” chiese Margaret.
Ariadne puntò gli occhi sulle venature del legno del bancone mentre elaborava una scusa da propinare.
“Ehm … io non sono proprio scappata.”
“E comunque non sono cazzi vostri.” Tuonò Tommy alle loro spalle.
Polly si voltò a guardare il nipote con uno dei sguardi loquaci: lei aveva capito che c’era qualcosa fra Tommy e Ariadne.
“A cuccia, Tommy. Io e la tua socia stavamo solo facendo due chiacchiere.”
Ariadne non poteva sopportare quella tensione, la stessa che si era creata poche ore prima a casa Shelby. Ecco perché si alzò e recuperò la valigia, dopodiché sorrise a Margaret a mo’ di saluto.
“Io vado. Buona giornata.”
“Stai facendo una delle tue cazzate.” Disse Polly.
Tommy vide Ariadne lasciare il Garrison e avvertì qualcosa pungolarlo nella schiena, era una pessima sensazione.
“Tra me e Ariadne non c’è un cazzo.”
La zia bevve piano il suo drink, sembrava divertita dalla reazione fasulla del nipote.
“C’è sempre di mezzo il tuo cazzo, Tommy caro.”
Tommy non replicò, non sapeva mai cosa dire quando Polly lo prendeva contropiede.
 
Ariadne passeggiava fra i vicoli di Small Heath per raggiungere una piccola pensione ai margini della città dove alloggiare. Non era il massimo della comodità, ma era sempre meglio che tornare a casa e sottostare al dispotismo della madre. Stava attraversando la strada quando intravide tra la folla un volto conosciuto: era Lucius che se ne stava appoggiato al muro a fumare. Voleva andare da lui per chiedergli come stesse Julian, ma dovette abbandonare ogni intenzione quando vide Mick King scendere da un’auto di lusso. Si nascose dietro un muretto per osservarli: i due uomini erano amichevoli, tant’è che si strinsero la mano sorridendo, e tra di loro c’era una certa intesa.
“Scusami, ti puoi spostare?”
Ariadne sollevò lo sguardo per capire chi avesse parlato e vide una ragazza che incombeva su di lei.
“Eh?!”
“Ti ho chiesto se puoi spostarti dal muro, devo attaccare un volantino.”
Lentamente Ariadne si staccò dal muro e si sporse per controllare Lucius, però i due uomini erano scomparsi. Forse Eric aveva trovato un modo per pattuire una tregua con gli Scuttlers?
“Sei di qui?” chiese la ragazza, attaccando un foglio alle mattonelle sbeccate.
Aveva i capelli neri come la pece e due piccoli occhi coperti dalla veletta di un cappello viola. Indossava un paio di guanti di pizzo bianco che intorno ai polpastrelli erano consumati e bucati.
“Sono di Birmingham. Io sono Ariadne, piacere.”
“Io sono Betty. Come mai quella valigia? Torni o parti?”
“A dire il vero cerco un posto dove stare. Non voglio tornare a casa mia.”
Betty sorrise compiaciuta e prese Ariadne sottobraccio.
“Puoi venire a stare da noi, se ti va.”
“Da noi?”
“Conosci le suffragette?”
Ariadne aveva sentito parlare di quel movimento femminista a Londra. Lisa le aveva riferito che il gruppo femminile si batteva perché le donne ottenessero il diritto di voto e si batteva anche per altre questioni che riguardavano il lavoro, la maternità etc.
“Ne ho sentito parlare. Tu sei una di loro?”
“Qui a Birmingham siamo in poche, circa una decina, ma siamo un bel gruppetto unito e determinato. Ci incontriamo tutti i giorni al vecchio filatoio in Cumberland Street. Alcune di noi vivono lì dopo essere state cacciate dalla famiglia.” spiegò Betty.
“E ci sarebbe un posto anche per me?”
“C’è sempre posto per una nuova sorella!”
Ariadne si lasciò trascinare dalla presa ferrea di Betty ma, prima di girare l’angolo, diede un’ulteriore occhiata alla strada ma di Lucius e Mick non c’era più alcuna traccia.
 
Tommy si aggiustò gli occhi sul naso mentre era immerso nella lettura dei resoconti economici. Da quando Michael era partito per affari, era lui in prima persona a occuparsi delle finanze della compagnia Shelby. I conti si dividevano fra le attività legali e quelle illegali per cui riciclavano il denaro.
“Cazzo!” disse Arthur.
“Non rompermi le palle mentre faccio i conti.”
“Tommy, stai per avere una rottura di palle gigante.”
Tommy si affacciò alla finestra al fianco del fratello e subito capì le sue parole: Julian Evans.
“Merda.”
L’attimo dopo qualcuno bussò alla porta e i due fratelli trasalirono nonostante sapessero chi fosse l’ospite.
“Signor Shelby, devo parlarvi con urgenza.”
Quando Tommy aprì, il giovane Evans sfoggiò un sorriso di cortesia.
“Se state cercando vostra sorella, sappiate che non ho idea di dove si trovi.”
“Voi lo sapete eccome! Ma sono qui per parlare d’altro.”
Arthur rise sotto i baffi perché quando c’era di mezzo una donna di conseguenza c’era di mezzo anche suo fratello.
“Sono molto impegnato al momento. Fissate un appuntamento.”
Anziché andare via, Julian entrò con irruenza nella stanza e si sedette sulla poltrona di Tommy.
“Mia madre sta cercando un marito per Ariadne.”
Tommy tentò di rimanere impassibile, eppure la sua bocca aveva avuto uno spasmo a quella notizia.
“E io cosa c’entro?”
“Voi mi dovete aiutare a porre fine a questa ricerca. Mia sorella non merita un matrimonio combinato con un lurido uomo di mezza età che vuole solo metterle le mani addosso.”
“Nessuno può impedire a vostra madre una simile ricerca. Ariadne è ormai in età da matrimonio, è giovane e carina, dunque è appetibile.”
Tommy non credeva neanche alle sue stesse parole. Difendere Marianne gli faceva venire il voltastomaco ma aveva fin troppi problemi da risolvere e non poteva aggiungerne uno in più.
“Appetibile? Mia sorella non è un maiale da servire a una cena!” sbraitò Julian.
“Volete che ostacoli vostra madre? E’ una richiesta ridicola.”
Julian rimase in silenzio, non sapeva cosa dire senza sembrare un ragazzino disperato e piagnucolone.
“Non lo so cosa vi sto chiedendo, so solo che vorrei il vostro aiuto in qualche modo.”
“Julian, tornate a casa e lasciate che gli eventi facciano il loro corso. Ostacolare vostra madre è una pessima idea.”
Il ragazzo non disse altro, si sistemò il cappello in testa e uscì dall’edificio con le spalle ingobbite dalla vergogna e il fallimento.
“Il ragazzino ha fegato a venirci a parlare.” Disse Arthur.
Tommy ignorò quel commento, non aveva tempo da perdere dietro alle stupidaggini del fratello.
“Pensiamo alle cose importanti. Dobbiamo mandare degli uomini ai Solomons per le corse di questo finesettimana. Te ne puoi occupare tu?”
Arthur si lisciò i baffi e si riavviò i capelli, era come un toro pronto ad attaccare.
“Ci penso io, fratello.”
 
Margaret ridacchiava mentre Finn le baciava il collo nell’angusto magazzino del Garrison. Si erano appartati con la scusa di fare carico di alcolici.
“Perché non molli tutto e ce ne andiamo?” mormorò Finn al suo orecchio.
“Lo sai che non posso, il mio turno finisce alla chiusura. Questo posto senza di me non va avanti.”
“Anche io senza di te non vado avanti.”
Margaret arrossì, faceva sempre così quando lui le rivolgeva dei complimenti. Si issò sulle punte per baciarlo con passione. Finn si strinse a lei approfondendo quel bacio.
“Finn! Vieni qui!” gridò il barista dalla sala principale.
Il ragazzo sbuffò, certe sere odiava essere uno Shelby.
“Vai.” Disse Margaret con un sorriso.
Finn le stampò un bacio sulle labbra e tornò in sala, mentre lei recuperava le bottiglie necessarie. Margaret posò la cassa sul bancone con uno sforzo, le sue braccia ben tornite non erano d’aiuto con i pesi.
“Buonasera.”
Margaret solo allora si accorse che Finn era immobile al centro della sala, una statua di marmo sul punto di creparsi. Di fronte a lui c’era una donna vestita di nero, alta e snella, lo sguardo vagamente divertito. Era stata lei a parlare. Al suo seguito c’erano un uomo armato dalla faccia lunga e scavata, la sua guardia del corpo e altri tre uomini minacciosi.
“Vi serve qualcosa?” domandò Finn, la voce un poco tremante.
“Sto cercando Tommy. E sto anche cercando mia figlia.”
Osservandola meglio, Margaret riconobbe una somiglianza con Ariadne: le due donne avevano gli stessi occhi color ambra.
“Voi siete Marianne Evans.”
“Che giovanotto perspicace.” Ironizzò Marianne.
“Tommy non è qui.”
“Dunque cosa aspetti a chiamarlo? Non ho tutto il giorno da perdere in questa bettola.”
La tensione di Margaret aumentò quando Polly entrò al Garrison con il suo intercedere sicuro ed elegante.
“Ecco perché sentivo puzza di immondizia.” Disse Polly.
Marianne non si girò, anzi restò ferma e fece un sorriso.
“Polly cara, sei scorbutica come sempre. E’ l’indole di voi zingari.”
“Vi ripeto che Tommy non è qui.” ribadì Finn, spazientito.
“Non vi conviene farmi arrabbiare. Mai svegliare il cane che dorme.” Lo ammonì Marianne.
Polly conosceva Marianne Evans sin da ragazza, un tempo facevano parte della stessa compagnia. I loro mariti erano anche stati soci in affari per un breve periodo, prima che il signor Gray scomparisse. Polly sapeva che inimicarsi Marianne avrebbe causato un disastro dopo l’altro.
“Finn, chiama Tommy alla sede centrale. Digli che abbiamo un’ospite indesiderato.”
Il nipote annuì e andò sul retro per utilizzare l’apparecchio telefonico, l’unico presente all’interno del pub.
“Pronto?”
“Tommy, devi subito venire al Garrison. Guai in vista.”
“Arrivo.”
 
Tommy non fu sorpreso quando vide Marianne seduta al bancone del pub. Immaginava che la visita della donna fosse collegata a quella di Julian.
“Signora Evans, ci sono problemi?”
Gli occhi felini di Marianne si posarono su di lui con una certa perfida malizia.
“Sto cercando Ariadne. Suppongo che voi sappiate dove si trova.”
Il Garrison era vuoto, Finn aveva cacciato tutti i clienti per la privacy, e così Tommy si sedette a debita distanza da lei. Si accese una sigaretta.
“Perché dovrei saperlo?”
“Perché voi sapete sempre dov’è Judith.”
A quel nome la bocca di Tommy si contrasse, un gesto minuscolo che Marianne colse perfettamente.
“Non conosco nessuna Judith e non so dove possa essere Ariadne.”
“Tommy, state commettendo un grosso errore. Fidarsi di mia figlia è come ricevere una pugnalata al cuore.”
Marianne diceva parole piene di risentimento sul conto della figlia, e Tommy ora capiva perché Ariadne gli aveva detto che sua madre la odiava.
“Dipingete Ariadne come se fosse il diavolo in persona.”
“Oh, lo è. Avete notato il colore dei suoi capelli? Rosso come il demonio. Quella ragazza è il male.”
Era ridicola quella descrizione, così in contrato con la vera Ariadne che era una persona genuina e gentile.
“Che cosa vi spinge a odiare tanto vostra figlia?”
Marianne per un secondo fu titubante, poi tornò a mascherare il suo nervosismo con un sorriso.
“Dove si trova Ariadne? Il suo futuro marito l’aspetta.”
Tommy quasi si strozzò con la saliva a quella rivelazione. Anche Julian era arrivato troppo tardi per aiutare la sorella.
“Futuro marito? Di che cazzo stiamo parlando?”
Marianne elargì l’ennesimo sorriso a metà fra un ghigno e una smorfia.
“Stiamo parlando di un matrimonio combinato che io stessa ho sancito per salvare gli affari di Blue Lions. Ariadne sposerà Mick King.”
Tutto fu chiaro come se la luce fosse esplosa nella stanza. Tommy gettò la sigaretta a terra e la schiacciò come avrebbe voluto fare con Marianne.
“Con questo matrimonio vi parate il culo. Mick sposa Ariadne e voi estinguete ogni debito con gli Scuttlers. In questo modo solo noi Peaky Blinders restiamo in guerra con gli Scuttlers.”
“Siete intelligente, Tommy. Sapete quanto me che preservare gli affari di famiglia è importante. Dato che Eric non ha le giuste capacità, tocca a me salvare l’eredità di mio marito.”
“E per celebrare la memoria di un morto siete disposta a vendere vostra figlia?”
“Tanto Ariadne non ha grandi speranze per il futuro, non sa fare niente ed è bruttina. Questo matrimonio per lei sarà una benedizione.”
Tommy si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento, incurante dei graffi incisi sul pavimento. Sorrise anche lui questa volta.
“Avete disturbato l’uomo sbagliato, signora Evans. Tommy Shelby è uno che non perdona le minacce.”
“State firmando la vostra condanna, Tommy. Siete ancora in tempo per tirarvi indietro.”
“Questa non sarebbe la mia prima condanna.”
Marianne serrò le labbra in una linea dura, ormai non c’era verso di appianare le divergenze fra di loro.
“Allora ci rivedremo sul patibolo.”
“Arrivederci, signora Evans.”
 
Polly faceva scorrere l’indice lungo il bordo circolare del bicchiere mentre Tommy faceva un breve ragguaglio sulla chiacchierata poco amichevole con Marianne.
“Cosa cazzo ce ne frega di questo matrimonio?” domandò Arthur, scocciato.
Tommy lo trucidò con lo sguardo perché alle volte il fratello sapeva essere davvero stupido.
“Ce ne frega perché con questo cazzo di matrimonio viene a crearsi una alleanza fra Mick ed Eric, ciò significa che gli Scuttlers e i Blue Lions saranno contro i Peaky Blinders. Non si tratta di Ariadne, si tratta di affari. Marianne ha fatto bene i suoi fottuti calcoli.”
“Quella stronza ha previsto ogni mossa e sta vincendo.” Disse Polly.
“E cosa possiamo fare? Ucciderli tutti?” propose Finn.
Tommy allargò le braccia come se la soluzione fosse palese da un pezzo.
“Ci prendiamo Ariadne.”                                                                
“Come? I Blue Lions si sono appostati qui fuori per spiare chiunque arrivi.” Disse Finn.
Arthur stappò una bottiglia e bevve direttamente poiché quella serata si prevedeva lunga e faticosa.
“Quei bastardi controllano ogni nostra fottuta mossa.”
“Per questo mettiamo i nostri uomini in strada a controllare chi arriva e chi se ne va dal quartiere. Ariadne tornerà qui, ne sono sicuro. Dobbiamo solo aspettare. Arthur, scegli una decina dei nostri e piazzali ad ogni angolo del pub. Finn, tu sta alla porta e cerca di distrarre i Blue Lions nel caso fosse necessario.”
“E noi due?” chiese Polly.
“Noi due beviamo un whiskey e ci fumiamo una sigaretta per ammazzare il tempo.”
Polly accettò la sigaretta da Tommy come segno di fiducia nel suo piano.
 
Ariadne mangiava di buon gusto la cena che Betty aveva servito da poco. Si era sistemata in una piccola cameretta del vecchio filatoio, un letto e un armadio facevano da arredamento. Insieme a lei alloggiava Clary, una delle suffragette che per prima si era unita a Betty.
“Ti piace la zuppa, Ariadne?”
La ragazza annuì e si pulì la bocca col tovagliolo, aveva spazzolato la ciotola intera dopo due giorni di digiuno.
“Era ottima. Scusate la maleducazione, però avevo molta fame.”
Le altre ragazze si misero a ridere mentre continuavano a cenare. Erano sette ragazze, tutte avevano un compito da svolgere che andava dalla cucina alla lavanderia, dalla pulizia del bagno al rifacimento dei letti. Era una macchina ben oliata.
“E’ odore di zuppa quello che sento?”
Dalla scalinata emerse un ragazzo in maniche di camicia, lunghi capelli biondi e occhi blu, spalle larghe e braccia muscolose; sembrava un vichingo. Betty fece roteare gli occhi.
“Fratellino, siediti a mangiare e sta zitto.”
Il ragazzo scorse Ariadne in fondo al tavolo e le fece un cenno con la mano.
“Ciao! Tu sei quella nuova? Io sono Darren, il fratello di Betty.”
“Io sono Ariadne.” Mormorò lei in imbarazzo.
“Darren ci porta la spesa e ci aiuta con il giardino.” Chiosò Clary.
“Siete organizzate molto bene. Vi invidio.”
“Sì, questo è un posto sicuro per noi donne. Puoi restare qui quanto ti pare.”
Dopo cena ognuno si affrettò a svolgere il proprio lavoro, e Ariadne finì per lavare i piatti mentre Darren li asciugava.
“Resterai qui a lungo?” volle sapere il ragazzo.
“Non lo so, non ci ho ancora pensato. Tu abiti qui?”
Darren mise un bicchiere a posto e tornò a strofinare il piatto che la ragazza gli stava porgendo.
“No. Io lavoro come giardiniere per il sindaco e abito nel capanno degli attrezzi della sua villa, è un bel posticino.”
“Quindi più tardi torni in città?”
“Ti serve un passaggio? Non c’è problema.”
“Devo andare a Small Heath.”
Darren inarcò il sopracciglio, era strano che una ragazza perbene come lei frequentasse un quartiere malfamato.
“D’accordo.”
Ariadne gli sorrise riconoscente e si concentrò di nuovo sulle stoviglie.
 
Alle dieci e un quarto di sera il Garrison era gremito di uomini e donne che volevano rilassarsi dopo il lavoro. Tommy e Polly stavano ancora occupando un tavolo, uno di quelli che dava sulla strada in modo da sbirciare ogni passante.
“Judith.” Disse Polly.
Il nipote la guardò con fare stralunato, quasi avesse due teste e una coda animale.
“Che hai detto?”
“Marianne Evans prima ha menzionato una certa Judith. Chi è?”
“Nessuno.”
Polly aveva avvertito il disagio del nipote e perciò rincarò la dose.
“E’ la tua amante?”
“Pol, fatti i cazzi tuoi.”
“Ma io non voglio campare cent’anni.” Ribatté la zia.
“Comunque non sono cazzi tuoi.”
La sfida di sguardi fra di loro si interruppe quando Margaret si avvicinò al tavolo con una ciotola di arachidi.
“Ecco a voi, offre la casa. A quanto pare l’attesa sarà lunga.”
“Grazie, tesoro.” le sorrise Polly.
Tommy allungò una mano per prendere una manciata di frutta secca ma il suo stomaco si chiuse all’istante e abbandonò ogni speranza di mangiare.
“Fanculo! Quella stronza di Marianne Evans ci ha presi per il culo dall’inizio. Ha voluto che la figlia tornasse per accasarla col capo di qualche gang.”
“Sei molto infastidito da questo matrimonio, Tommy. Deduco che ti piaccia la piccola Ariadne.”
Polly ridacchiava mentre mangiucchiava le arachidi e alternava sorsi di alcol.
“Sono preoccupato per gli affari.”
“Certo, come no!”
Tommy aprì la bocca per rispondere ma con la coda dell’occhio vide Finn che gli faceva un cenno col mento dalla cucina.
 
Ariadne si era incantata ad ammirare le luci che sfrecciavano oltre il finestrino del camion malconcio su cui viaggiava. Darren guidava e ogni tanto la guardava di traverso.
“Perché hai la valigia con te? Credevo che restassi al filatoio.”
“Anche io credevo di restare all’inizio, ma forse le cose cambieranno fra poco.”
“Cambieranno per via del posto dove stiamo andando?”
“Già.”
Ariadne non si voleva sbilanciare e rischiare di spifferare tutto ad uno sconosciuto, almeno questo era uno dei pochi consigli utili di suo padre.
“Si tratta di un uomo?”
“Pensa a guidare, Darren.”
Il tragitto proseguì in silenzio, a spezzarlo qualche volta era Darren che fischiettava. Quando imboccarono l’ingresso di Small Heath, Ariadne vide che c’erano fin troppe auto appostate lungo i marciapiedi. Fra queste, attraverso il finestrino, riconobbe la faccia pallida di uno dei Blue Lions. Stavano aspettando proprio lei.
“Svolta a sinistra e fermati.”
Darren eseguì l’ordine fermandosi in prossimità di un vicolo buio e puzzolente.
“Scendi qui? Sei sicura?”
Quello era l’accesso al retro bottega del Garrison, l’unico ingresso che permetteva di entrare senza essere visti dalla strada principale.
“Sono sicura. Grazie per il passaggio, Darren. Buona serata. Salutami tua sorella!”
Ariadne si immerse nel buio e nel fetore dei rifiuti, attenta a non inciampare chissà dove. Trattenne il respiro quando la porticina sul retrò si aprì riversando in strada la luce interna.
“Finn?”
Il ragazzo fece scattare la testa di lato come una tigre che ha appena incastrato la sua preda.
“Vieni! Muoviti, dai!”
Ariadne fu spinta dentro la cucina e per poco non andò a sbattere contro lo spigolo del forno.
“Sei tornata.”
Tommy era appena entrato con le mani in tasca e una strana espressione felice, insolita per uno che dello stoicismo ne aveva fatto un tratto della personalità.
“Che sta succedendo?”
“Tu adesso vieni con me. Ci andiamo a fare una bella passeggiata.”
Ariadne allora capì che non c’era un punto di ritorno. Doveva solo andare avanti e sperare di cavarsela.
 
 
 
Salve a tutti! :)
Ariadne è appena diventata un bottino prezioso, ahia! Chissà che idea ha Tommy.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 8
*** Canto di verità ***


8. CANTO DI VERITA’
 
“Noi siamo all’inferno, e la sola scelta che abbiamo è tra essere dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio.”
(Albert Caraco)
 
Quando Ariadne capì che si trovavano lungo il canale, era troppo tardi per tornare indietro. Era buio e faceva fresco, e soprattutto quella zona era isolata. Tommy camminava davanti a lei e ogni tanto si guardava intorno per assicurarsi che nessuno li seguisse. Era visibilmente agitato, le labbra serrate e la mascella tesa.
“Tom, posso sapere dove andiamo?”
“Cammina.”
Ariadne lo seguì senza fare altre domande, sapeva che non avrebbe ricevuto alcuna risposta soddisfacente. Proseguirono fino al punto attracco dove era ormeggiata barca di Charlie Strong, lo zio degli Shelby.
“Sali.” Disse Tommy in tono autoritario.
La ragazza salì a bordo ed entrò nella cabina che fungeva da riparo. Tommy tornò fuori per staccare l’ormeggio e mettere in moto la barca, e per fortuna che lo zio da bambino lo aveva obbligato a qualche lezione. Ariadne fu sbalzata in avanti quando il mezzo pian piano ondeggiò in acqua, allontanandosi dal canale.
“Tom? Tommy?”
Tommy la raggiunse nella cabina e richiuse la porticina, tanto la barca avrebbe mantenuto la linea retta ancora per qualche chilometro prima che fosse necessario l’intervento al timone. Si tolse la giacca, poi il panciotto e la cravatta, e infine si sollevò le maniche della camicia ai gomiti.
“Dobbiamo parlare. Siediti.”
Ariadne si sedette su una specie di brandina improvvisata, le molle cigolavano sotto il suo peso e la coperta di lana le pizzicava le mani.
È morto qualcuno? Mick ha fatto qualcosa?”
Tommy si accese una sigaretta e ne fumò la metà prima di parlare, era troppo teso per affrontare un discorso senza nicotina.
“Ho fatto due chiacchiere con tua madre e non è stato piacevole.”
“Certo, conosco la sensazione. Che ti ha detto?”
“Tua madre vuole farti sposare con Mick King.”
Ariadne mollò la presa sulla coperta, tutto il suo corpo si era paralizzato. Pensò che Tommy scherzasse, ma la sua espressione dura era la conferma di quelle parole.
“Io … ahm … non …”
“E’ una situazione del cazzo.” Commentò Tommy.
Se prima era arrabbiato, ora che guardava Ariadne provò un forte senso di protezione nei suoi riguardi. Gli occhi ambrati della ragazza erano lucidi e le sue labbra tremavano, indice che stava trattenendo a stento le lacrime. Vederla in quelle condizioni gli provocò una fitta dolorosa al petto.
“Mi dispiace, Ariadne.”
Ariadne si limitò ad annuire, incapace di articolare una frase sensata. Era sconvolta. Arrabbiata. E soprattutto disperata.
“Perché?” mormorò con la voce roca.
“Perché questo matrimonio cancella ogni debito che tuo fratello ha con gli Scuttlers. Inoltre, in questo modo Mick King non farà guerra ai Blue Lions.”
Ariadne scoppiò a piangere. Il fatto che la sua famiglia l’avesse ceduta a Mick per appianare i debiti era un colpo troppo duro da incassare. Più si asciugava le lacrime e più il pianto aumentava, non riusciva a smettere.
“Basta.” Disse Tommy.
“Scusami.”
E intanto continuava a lacrimare, la gola era un nodo che le impediva di parlare. Tommy prese posto accanto a lei e le mise un braccio intorno alle spalle.
“Ariadne, basta. Quei bastardi non meritano le tue lacrime.”
A Tommy si strinse il cuore, vederla così vulnerabile fra le sue braccia era una vista atroce.
“Troveremo una soluzione. Adesso, però, cerca di calmarti.”
Ariadne si accasciò contro il suo petto e pianse ancora, bagnandogli la camicia bianca. Tommy la strinse di più a sé, quasi la stava cullando.
“Shh, dai. Basta.”
La ragazza si costrinse a fare dei respiri profondi per riprendere il controllo, del resto piangersi addosso non avrebbe modificato il corso delle sue sventure. Si asciugò gli occhi meglio che poté e tossì per addolcire la gola secca.
“Hai dell’acqua?” domandò timidamente.
“Qualcosa di meglio.”
Tommy smanettò con la maniglia di un vecchio baule ed estrasse una bottiglia sigillata di rum. La stappò e ne bevve un sorso, esprimendo il suo apprezzamento con un mezzo sorriso.
“Non è acqua.” Mormorò Ariadne ridendo.
È buono. Prova.”
Tommy sghignazzò quando Ariadne, dopo aver bevuto, si contrasse in uno spasmo di disgusto. Si sventolò una mano sulla lingua per placare il bruciore causato dall’alcol.
È orribile! Davvero orribile!”
“Donna dai gusti complicati.” Disse Tommy.
“E’ la prima volta che mi appelli come donna e non come una ragazzina o una bambina.”
Tommy bevve un altro sorso di rum, un altro e poi un altro, fino a quando non arrivò a metà bottiglia.
“E’ quello che sei, una donna.”
Ariadne fece un piccolo sorriso, finalmente lui la stava trattando come una sua pari.
“Ti ritroverai nei guai per avermi portata via. Mia madre e Mick non sono noti per essere persone clementi.”
“Non me ne frega un cazzo di loro. È con te devo sbrigarmela.”
“In che senso?”
Tommy nel frattempo si era scolato la bottiglia intera, eppure non si sentiva neanche brillo. Anni e anni passati a ubriacarsi avevano generato in lui una certa resistenza all’ubriachezza.
“Nel senso che io faccio affari solo con te.”
Ariadne si tolse le scarpe e si accucciò sulla brandina, una delle molle le pungolava il polpaccio.
“Affari, eh? Si tratta sempre e solo di questo.”
“E’ l’unica cosa che ci resta.” Replicò Tommy.
“Non ho nulla da offrirti. Non ho soldi, non ho conoscenze e non ho neanche più la libertà. Che cosa posso darti, Tom?”
“Una storia.”
“Una storia?”
“Sì.”
Tommy si appoggiò al baule che conteneva vecchie bottiglie di alcol, incrociò le caviglie e fumò un’altra sigaretta; ben presto l’angusto spazio si impregnò di odore di tabacco.
“Quale?” volle sapere Ariadne.
“Perché tua madre ti odia tanto?”
L’espressione di Ariadne si tramutò in una maschera di tristezza e angoscia, ora dimostrava più anni della sua età.
“Perché le ho spezzato il cuore. Questa storia non ha il lieto fine.”
“Nessuna storia ce l’ha.” Replicò lui, cacciando il fumo in una spirale bianca.
“Se te lo dico … poi non si torna più indietro. Mi sto fidando ciecamente di te, Thomas.”
Un brivido corse lungo la schiena di Tommy, era curioso e nervoso al tempo stesso.
“Puoi fidarti.”
“Beh, è andata più o meno così. Otto anni fa …”
 
Otto anni prima, Birmingham
Ariadne mangiucchiava un cioccolatino mentre Julian le raccontava, a detta sua, ‘una cosa meravigliosa’. Leccò via il cioccolato dalle dita per evitare che sua madre se ne accorgesse e che per questo la rimproverasse, o che la mettesse in punizione. Sua madre era rigida sugli orari della cena, dopo le venti non era permesso mangiare ancora.
“E quindi, Jules? Cos’è meraviglioso?”
Il fratello minore, un tredicenne troppo alto e troppo magro, con una zazzera di riccioli castani sulla fronte, sorrise con le guance arrossate.
“Ho baciato un ragazzo.”
Ariadne aggrottò la fronte a quella confessione. Non capiva cosa ci fosse di meraviglioso in un bacio.
“Non ci vedo nulla di straordinario.”
Julian sbarrò gli occhi e poi ridacchiò, l’aria imprigionata nei polmoni fu buttata fuori con una breve risata.
“Ho baciato un maschio! Capisci? Un maschio!”
Solo allora Ariadne comprese la meraviglia tanto decantata dal fratello. Un uomo doveva baciare una donna, o almeno così le avevano insegnato i suoi genitori. Ma perché porre limiti all’amore? Perché due persone dello stesso sesso non potevano amarsi come gli altri?
“Oh …. Oh! Oh, Jules! Ti ha visto qualcuno? Chi è? Com’è stato?”
Julian rise per la raffica di curiosità della sorella, era la quindicenne più strana che conoscesse.
“E’ il figlio del giardiniere. No, non ci ha visti nessuno. E sì, è stato bellissimo.”
Ariadne non aveva mai baciato nessuno e quindi non poteva cogliere appieno la gioia del fratello, ma vederlo così contento rendeva contenta anche lei.
I due ragazzini sobbalzarono quando la porta della cucina si spalancò con il solito stridore. Marianne Evans stava sulla soglia, la sua figura era nera contro la luce del corridoio.
“Julian, vieni con me. Tuo padre ti vuole parlare.”
“Vengo anche io.” disse Ariadne, stringendo la mano del fratello.
“No. Viene soltanto Julian. Tu torna a dormire, oppure ti metterò in punizione a vita.”
Marianne afferrò Julian per il braccio e lo strattonò verso lo studio del padre, mentre Ariadne rimase ferma in cucina per qualche altro secondo. Anziché andare in camera sua come le era stato ordinato, decise di origliare la conversazione e si appostò dietro la porta decorata a intarsi dello studio.
“Julian, la domestica mi ha detto una cosa.” Incominciò il padre.
“Cosa?”
“Mi ha detto che ti ha visto baciare il figlio del giardiniere nel capanno degli attrezzi. È vero?”
Julian stava sudando freddo, i riccioli gli si erano appiccicati sulla nuca. Il padre, con le grosse mani a impugnare una penna, lo guardavano con estrema cattiveria.
“Non è vero. È una bugia!”
“E perché stai frignando come una ragazzina? Un vero uomo non si comporta così!”
Marianne sospirò bruscamente, odiava quando il marito era tanto scontroso con i suoi figli.
“Caro, sta calmo. Sono certa che Julian ci spiegherà tutto.”
“Non c’è un cazzo da spiegare! Ho visto come questa checca guarda il figlio del giardiniere con la bava alla bocca!”
Julian saltò sulla sedia per la paura quando il padre gli andò incontro con i denti digrignati, un orco pronto a sbranare la sua povera vittima. Scattò in piedi e indietreggiò, però il padre si avvicinò con poche falcate.
“Philip, basta così. È solo un bambino.” Disse Marianne, anche lei spaventata.
“E’ una bambina! È una fottuta bambinella del cazzo a cui piacciono i maschi!” sputò il marito.
Julian tentò di agguantare la maniglia per scappare via, ma il padre lo afferrò per il colletto del pigiama e lo scaraventò sul pavimento.
“Padre, no! Vi prego! Non lo faccio più! Non lo faccio più!” strillava Julian fra le lacrime.
Il padre, però, non lo stava più a sentire. Aveva raccattato l’attizzatoio e lo puntava verso il ragazzino.
“Ti meriti una lezione, frocio di merda! Ti darò talmente tante botte che ti aggiusterò!”
“No!” gridò Marianne.
Si parò davanti al figlio per difenderlo ma venne gettata di lato dalla mano possente del marito.
“Levati di mezzo, donna!”
Ora il padre aveva alzato il braccio e incombeva su Julian, che si era portato le braccia alle ginocchia e piangeva forte. Lanciò un grido quando la punta dell’attizzatoio lo colpì sulla spalla.
Poi accadde qualcosa che avrebbe segnato il destino della famiglia.
“Sta lontano da lui!”
Ariadne aveva fatto irruzione nello studio, i lunghi capelli rossi si agitavano attorno a lei come serpentelli; somigliava a Medusa, peccato che non potesse pietrificare con lo sguardo.
“Vuoi essere picchiata anche tu, ragazzina? Levati dai coglioni!”
Julian strisciò fino ai piedi della sorella e si aggrappò alla sua gamba in cerca di riparo.
“Aria! Aria, aiutami!”
“Jules, va via!”
Ariadne guardò il fratellino correre in camera sua per nascondersi e poi tornò a guardare il padre, comprendendo bene cosa fare. Si gettò addosso al padre facendolo cadere per terra, si rimise dritta e raccolse l’attizzatoio. Puntò l’arma improvvisata contro il viso del padre.
“Non ti muovere o ti uccido!”
“Ariadne, non farlo!” l’ammonì la madre, nascosta dietro lo scrittoio.
Il padre, invece, rideva di gusto. Rideva come se stesse assistendo ad uno spettacolo circense di grande divertimento. Rideva sempre così prima di alzare le mani sulla moglie e sui figli, picchiandoli fino a lasciare i lividi.
“Fallo! Andiamo, ammazzami! Coraggio, stupida ragazzina!”
La rabbia di Ariadne diventò furia incontrollabile.
“Non mi sfidare, padre!”
“Sei solo una bambinella insulsa che un giorno servirà a pulire il culo del marito!”
Bastarono quelle parole per incendiare l’anima di Ariadne. Sollevò entrambe le braccia e caricò un colpo contro l’uomo. L’attimo dopo l’attizzatoio si conficcò nel cranio del padre, tramortendolo sul pavimento. Il pregiato tappeto persiano era un bagno di sangue.
“Scappa! Va via! Va via!” urlò Marianne in preda al dolore.
E così Ariadne aveva ucciso suo padre a soli quindici anni.
 
“… poche ore dopo sono salita su un treno per Londra di sola andata. Ho frequentato il collegio fino alla maggiore età e sono andata a vivere con una mia zia vedova, ma poco dopo me la sono svignata per vivere da sola. Ho trovato lavoro alla tavola calda e sono finita ad abitare a Camden Town. Mia madre disse a tutti che mio padre aveva sorpreso un ladro in casa. Disse anche che ero stata mandata via durante la notte perché la sua morte mi aveva scossa troppo.”
Per tutto il racconto Tommy era rimasto ad ascoltarla senza nessuna particolare emozione sul volto; aveva ascoltato ogni dettaglio senza lasciar trasparire i suoi pensieri. Aveva consumato la sigaretta, aveva buttato la cicca fuori dall’oblò, e poi era tornato ad ascoltare con le braccia incrociate al petto.
“Suppongo che la tua opinione su di me sia peggiorata.” Disse Ariadne.
Ora si torturava le pellicine del pollice in preda all’ansia.
“Credi che io abbia una brutta opinione su di te?”
“Forse ora ce l’avrai.”
Tommy non disse nulla, abbandonò il rum per terra e risalì in superficie. Ariadne, temendo che lui fosse rimasto schifato dal suo racconto, lo seguì e scoprì che Tommy stava pilotando la barca verso un piccolo porto.
“Vieni qui.” la invitò Tommy.
Ariadne si avvicinò con passi incerti, qualcosa in lei le suggeriva che dopo aver raccontato la sua storia le cose non sarebbero state mai più le stesse.
“Tom, perché non dici niente?”
“E cosa dovrei dire? Anche io ho ucciso, lo sai.”
Tommy non la guardava, si concentrava sul timone per non dover affrontare gli occhioni lucidi della ragazza.
“Ma io ho ucciso mio padre! Mio padre, sangue del mio sangue!”
“Anche io avrei ucciso mio padre se ne avessi avuto l’occasione.”
Ariadne si mise le mani fra i capelli, quella conversazione aveva del surreale. Lei confessava un omicidio e lui non si scomponeva.
“Thomas Shelby, sei un cazzone! Io ti dico che ho ucciso una persona e a te sembra tutto normale!”
Tommy allora la guardò dritto negli occhi, sebbene avesse il terrore di annegare in quel mare di ambra.
“Ti ha mai picchiata?”
“Una volta, perché non gli ho preso un bicchiere dalla credenza.” Rispose Ariadne.
“Ha anche picchiato Eric e Julian e tua madre, per me sono ragioni sufficienti per ammazzare quel bastardo. Era uno stronzo, meritava di morire. Non hai nessuna colpa.”
Ariadne abbassò il mento, stanca di essere scavata dentro dallo sguardo azzurro di Tommy.
“Il disegno che ho realizzato per la mostra e che tu hai comprato … beh, rappresenta quel momento.”
Tommy ricordava bene quel disegno, aveva passato notti intere ad ammirarlo per imprimere nella mente ogni linea. Ora tutto si faceva chiaro: le due figure erano Ariadne e suo padre, colte nel momento dell’assassinio.
“Il tuo inferno personale.”
“Esatto.” confermò Ariadne.
“Non è colpa tua, Ariadne.” Ribadì Tommy, risoluto.
La ragazza annuì, dopodiché trovò un posto dove sistemarsi e si perse ad osservare l’acqua che si increspava sotto la barca.
 
“Ci fermiamo qui per la notte.” Annunciò Tommy.
Scese dalla barca il tempo necessario per l’attracco, poi risalì a bordo per non essere visto dagli abitanti del piccolo borgo cui apparteneva il porticciolo. Un uomo ben vestito e una giovane ragazza avrebbero di certo attirato attenzione indesiderata. Scesero nella cabina per ripararsi dalla brezza notturna, ormai era passata la mezzanotte.
“Hai un piano, Tom?”
Ariadne si gettò a peso morto sulla brandina, la solita molla a solleticarle il polpaccio, mentre Tommy apriva vari stipetti alla ricerca di chissà cosa.
“Più o meno. Dipende dalla tua collaborazione.”
“Sono la pedina fastidiosa da posizionare.” Commentò lei, acida.
“Che sei fastidiosa è vero.”
“Tom …”
Tommy sospirò pesantemente perché ogni volta che lei pronunciava il suo nome con quel tono ripieno di innocenza i battiti del cuore acceleravo d’istinto.
“Che c’è?”
“Mi dispiace per tutto questo … casino. Non sarei mai dovuta tornare a Birmingham.”
“Non è colpa tua. Smettila di condannarti da sola. È colpa di tua madre e di tuo fratello che hanno deciso di mettersi dalla parte di Mick King.”
“Valgo quanto un sacco di patate.”
Quando Tommy si voltò, trovò Ariadne rannicchiata in un angolo con le braccia intorno alle gambe e la testa sulle ginocchia. Non era spaventata, piuttosto sembrava aver perso le speranze. Desiderava scolarsi decine di bottiglie di whiskey per mettere a tacere quella vocina dentro di lui che gli gridava di abbracciare forte la ragazza e consolarla.
“Le cose sono più complicate di così. C’è una montagna di merda in ballo: la sparatoria nel bosco, il patto saltato, nuovi accordi, tua madre che si mette a fare il boss. Siamo braccati su ogni fottuto lato.”
Ariadne picchiettò il palmo della mano sul materasso per fare segno a Tommy di sedersi, e lui obbedì senza remore. L’odore di bergamotto si mescolava al tabacco tanto era la vicinanza.
“Stasera sono venuta al Garrison per riferirti una cosa: ho visto Lucius e Mick che si incontravano in un palazzo sopra l’orafo, a pochi isolati da Small Heath.”
“E’ lì che avranno stipulato il contratto matrimoniale.” Disse Tommy.
“E se invece fossero complici da prima? Abbiamo ipotizzato che Mick abbia organizzato la sparatoria nel bosco per far saltare l’accordo con i Peaky Blinders e con i Blue Lions.”
Tommy si morse l’interno della guancia, sbigottito dalla piega che stava prendendo quel ragionamento.
“Pensi che Lucius e Mick fossero d’accordo per la sparatoria?”
“Può darsi. Riflettiamo: dopo la sparatoria Lucius sparisce per due giorni e poi sbuca dal nulla del tutto illeso, conosce Barry e pochi giorni dopo viene trovato il suo cadavere, e infine lo becco mentre incontra Mick. Non ti sembrano troppe coincidenze?”
Tommy rimuginò sulle parole di Ariadne, ogni pezzo del puzzle sembrava aver trovato la sua giusta collocazione.
“Lucius compra il fucile da Barry e lo lascia in vita perché sono amici, ma Mick decide di uccidere Barry per impedire che dica la verità. A quel punto Lucius non avrebbe potuto fare più nulla, il suo amico era morto e lui poteva solo assecondare Mick.”
“E’ quello che penso anche io.” disse Ariadne.
“Perché diamine Lucius farebbe affari segreti con gli Scuttlers? Eric per lui è come un fratello!”
“Non è ovvio? Lucius sa che Eric sta per morire e sperava di ereditare la carica di capo, però Eric ha scelto me.”
“E’ una fottuta vendetta.” Bisbigliò Tommy, illuminato.
“E mia madre si è resa una complice a sua insaputa.”
“Con il matrimonio tu sei fuori dai giochi e presto l’infezione ucciderà Eric, perciò Lucius avrà il terreno spianato per prendersi i Blue Lions.”
Ariadne ripensò a Eric, al suo sorriso gentile e ai suoi abbracci caldi, e provò una fitta di dolore che le tolse il respiro.
“Mio fratello sta per morire e il suo migliore amico lo ha tradito.”
“Anche mio fratello John è morto, solo che è stata colpa mia per davvero. Ero talmente accecato dal potere che ho perso il controllo della situazione.”
Ariadne si morse le labbra per non emettere un suono di stupore poiché per la prima volta Tommy le rivelava qualcosa della sua vita spontaneamente.
“Che facciamo, Tom?”
“Mi serve tempo per pensarci. All’alba ripartiremo e sul canale ci aspetterà un amico di famiglia che ti ospiterà fino a quando non troverò un modo per risolvere le cose.”
“E’ la seconda volta oggi che pretendi la mia fiducia.”
Tommy fece un mezzo sorriso e si spostò per poterla guardare in faccia. Tese una mano in avanti.
“Ti fidi?”
Ariadne gli strinse la mano senza indugio.
“Mi fido.”
Si contemplarono a vicenda per qualche minuto, in silenzio, le mani ancora legate in una muta promessa. Ariadne deglutì e cercò di ritrarre la mano perché quella stretta era fin troppo calda. Dal canto suo, Tommy rafforzò la presa su di lei e l’attirò a sé. Quel bacio fu inevitabile.
Ariadne era rigida e non stava ricambiando il bacio, così Tommy si bloccò e alzò le mani.
“Non possiamo! Tom, non pos-“
Tommy si scostò il giusto per lanciarle uno dei suoi sguardi ammaliatori.
“Quello che succede su questa barca resta su questa barca.”
Ariadne aveva il fiatone come se avesse corso per ore. Si portò le mani sul cuore e fece dei respiri profondi nel tentativo di calmarsi. Gli occhi di Tommy erano così vicini e così azzurri che lei ormai non stava ragionando, ogni logica sembrava averla abbandonata da un pezzo.
“Magari fosse facile dimenticare certe cose, certe persone.” Sussurrò lei.
Tommy le spostò un riccio ramato dalla guancia con una delicatezza disarmante, in netto contrasto con i suoi consueti modi burberi.
“La vita è fatta di scelte. Fai la tua scelta, Ariadne.”
Ariadne fece la sua scelta. Scelse di lasciarsi andare, per una volta scelse di non rispettare le regole e di godersi qualcosa che voleva senza ripensamenti. Dunque mise una mano sulla nuca di Tommy e lo baciò, dapprima piano e poi con maggiore intensità. La bocca di Tommy reagì subito, ricambiando il bacio con altrettanta passione. La fece stendere sotto di sé, entrambi incuranti della brandina che cigolava ad ogni mossa.
Più in bacio si approfondiva e più i loro corpi si incollavano stretti in un abbraccio caldo. Ariadne rabbrividì quando Tommy si premette ancora contro di lei, poteva sentire i seni schiacciarti sul suo petto. Si separarono solo per riprendere fiato.
“Che cosa ti fa ridere?” domandò Tommy.
La ragazza smise di ridacchiare e fece spallucce.
“Rido perché ci conosciamo da pochi mesi e abbiamo combinato già una marea di guai.”
“Ordinaria amministrazione per me.”
Ariadne rise di nuovo, questa volta si unì a lei anche Tommy.
“Signor Shelby, voi siete un vero fuorilegge!”
Tommy si accorse in quel momento che gli piaceva la risata di Ariadne, era squillante ma era molto piacevole da ascoltare. Scrollò la testa come a voler sradicare quell’assurda riflessione.
“Faccio del mio meglio per essere il peggiore.”
Inspirò a fondo quando Ariadne gli accarezzò la nuca con le unghie, era un gesto intimo che non condivideva con nessuno da tempo ormai. Chiuse gli occhi per godersi quelle carezze.
“Non sei tanto male quando non fai lo stronzo.”
“Quando mai non faccio lo stronzo?”
“Effettivamente hai ragione.” Convenne lei, ridendo.
Tommy d’istinto la baciò mentre rideva, era stato un impulso che non era riuscito a reprimere. Ariadne gli regalò un sorriso dolce prima di baciarlo ancora. Questo fu un bacio lento, un invitante gioco di lingue, e si presero tutto il tempo per dare sfogo al desiderio. Tommy fece scivolare le mani verso il basso per poi lasciarle vagare sotto la camicetta di Ariadne, che trasalì avvertendo le dita fredde e callose sulla pelle. La cabina era semibuia, il silenzio era spezzato solo dai loro ansimi. Tommy dovette fermarsi quando notò un cambiamento nella ragazza, ora si era irrigidita e sembrava triste.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“Oh, no, non sei tu. Stavo pensando a Mick e al matrimonio. Quel viscido non vede l’ora di mettermi le mani addosso. E la mia famiglia glielo concederà senza opporsi.”
“Ariadne, guardami.”
Quando lei sollevò lo sguardo, Tommy quasi ebbe il terrore di affondare in quegli occhi sconsolati. Rotolò giù da lei per disporsi al suo fianco e poggiò la mano sulla sua pancia, i bottoni della camicetta gli pizzicavano il palmo.
“Non permetteremo a Mick di sposarti. Dammi un paio di giorni e ti prometto che usciremo da questo fottuto casino.”
“Lo spero.”
Ariadne si accoccolò contro di lui, la punta del naso che gli sfiorava il collo. Tommy avvolse le braccia intorno a lei e le baciò la testa, spinto da un senso di affetto inaspettato. Non poteva vederli nessuno, pertanto per una notte potevano fingere di essere ancora insieme a Londra.
“Andrà tutto bene.”
 
Poche ore dopo Ariadne si svegliò da sola nella brandina. Dall’oblò sopra di lei spuntavano timidi raggi di luce opaca, doveva essere appena sorta l’alba. Sorrise tra sé al ricordo di aver dormito fra le braccia di Tommy, il suo odore di tabacco e colonia misto al calore emanato dal suo corpo le avevano regalato un sonno sereno. Lasciò il piccolo ambiente per uscire a cercare Tommy, che stava fumando con la testa reclinata a guardare il cielo. Sembrava un uomo qualunque.
“Non pensavo fossi il tipo che guarda il cielo.”
Tommy lentamente posò gli occhi su di lei, ancora assonnata e con i ricci spettinati, e si grattò il mento.
“Fa freddo, copriti.”
Maggio stava volgendo al termine, eppure in acque aperte e all’alba il venticello era freddo e penetrava nei vestiti.
“Mi puoi riscaldare tu.”
 Ariadne, che voleva avere la possibilità di scegliere ancora per un po’, abbracciò Tommy da dietro e gli baciò lo spazio fra le scapole attraverso la stoffa della camicia. Lui rabbrividì, gli venne la pelle d’oca visibile sulle braccia.
“Certo.”
Tommy pochi secondi dopo si rilassò nell’abbraccio, le spalle si ammorbidirono e così anche le sue labbra si piegarono in un sorriso accennato.
“Tra venti minuti saremo a Birmingham. Mi prometti che non farai capricci?”
Ariadne rise contro la sua schiena, facendogli sentire il riverbero lungo la colonna vertebrale.
“Solo se adesso torni con me in cabina. Abbiamo ancora venti minuti da trascorrere insieme.”
Tommy sapeva di essere in trappola, lui si allontanava e lei riusciva a catturarlo sempre. Non sapeva come arrestare quel circolo vizioso. Ariadne lo guardava, gli parlava, lo toccava e lui non ci capiva più niente.
“Andiamo.”
 
Ad un certo punto Ariadne si era ritrovata premuta contro il materasso con Tommy che le baciava il collo. Era in reggiseno, la camicetta giaceva sul sudicio pavimento. Fremette quando Tommy le abbassò una corda per baciarle la spalla, il fiato caldo che si scontrava sulla sua pelle.
“Tom …”
Ariadne avvertiva l’adrenalina scorrere veloce nelle vene.
“Che c’è?”
Tommy aveva le labbra rosse per i baci e le pupille dilatate, e lei pensò che fosse l’uomo più bello che avesse mai visto.
“Queste sono le campane della cattedrale. Siamo arrivati.”
Era vero, le campane suonavano annunciando alla città che erano le sei del mattino. Tommy si alzò e allungò una mano per aiutarla, al che Ariadne accettò con un sorriso. Iniziarono a vestirsi in silenzio, presto sarebbero stati in compagnia.
“Torno di sopra per l’attracco. Tu recupera la tua roba.”
Lei annuì mentre si sistemava i capelli meglio che poteva. Recuperò il cardigan e la valigia, dopodiché raggiunse Tommy.
 
Ariadne in lontananza intravide due uomini che parlavano fra loro nei pressi dei cippi di attracco del canale. Uno era più anziano, lunghi capelli grigi coperti da un cappello nero e una pistola ben visibile sul fianco; l’altro era un giovane ragazzo, molto alto e muscoloso, con i capelli castani e ben pettinati.
“Quello è Aberama Gold e quello è suo figlio Bonnie. Ti ospiteranno a casa loro, un luogo sicuro fuori dalla città. Nessuno sarà in grado di trovarti.” Spiegò Tommy.
“E tu che farai? Mio fratello e Mick ti staranno cercando.”
“Non sono i primi e non saranno gli ultimi a dare la caccia a Tommy Shelby. Tu non ti preoccupare, ci penso io. So come muovermi.”
Ariadne si limitò ad annuire, sebbene qualcosa dentro di lei le diceva che la pace non sarebbe durata a lungo.
Una decina di minuti dopo rimisero i piedi a terra, l’acqua del canale sotto di loro gorgogliava insieme al cinguettio degli uccelli. Sarebbe stata una bella giornata se soltanto non si trovasse accerchiata dalle gang di Birmingham.
“Tommy, è un piacere!” lo salutò Aberama.
“Aberama! Vi presento Ariadne Evans.”
La ragazza alzò la mano in un timido saluto, le gote lievemente arrossate. Il ragazzo alto le sorrise con fare gentile, poi le strinse la mano.
“Io sono Bonnie e questo è mio padre Aberama. Sarai al sicuro con noi.”
“Vi ringrazio per l’aiuto.”
Tommy e Aberama si scambiarono un’occhiata eloquente che mandava un solo messaggio: proteggere la ragazza ad ogni costo.
“Signorina, venite con noi. È meglio andare prima che qualcuno ci veda.” Disse Aberama.
Bonnie prese la sua valigia e avviò verso l’auto, avrebbe guidato lui per impedire che l’autista facesse troppe domande.
“Allora io vado.” Mormorò lei, insicura.
Tommy le diede una pacca sulla spalla, quasi si trattasse di sua sorella, e le fece un cenno con la testa.
“Vai.”
 
 
Salve a tutti! :)
Il rapporto fra Ariadne e Tommy è altalenante, ora si avvicinano e ora si allontanano.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 

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Capitolo 9
*** Nuovi amici ***


9. NUOVI AMICI

“Ho bisogno di angeli. L’inferno mi ha inghiottito per troppi anni. Ma finalmente ho capito questo: ho bruciato centomila vite umane con la forza del mio dolore.”
(Antonin Artaud)
 
Ariadne affondò la faccia nel cuscino con un verso di disperazione. Non aveva chiuso occhio per colpa dei grilli che avevano deciso di fare un concerto che era durato tutta la notte. A questo si erano sommati il nervosismo di non sapere cosa succedeva in città e la preoccupazione per il fatidico matrimonio. Sussultò quando bussarono alla porta.
“Signorina Evans, la colazione è servita. Vi aspettiamo.” Le comunicò Bonnie.
“Arrivo!”
La ragazza si lavò in fretta e indossò i primi vestiti che aveva trovato in valigia, si legò i capelli con il fermaglio e si avvolse uno scialle sulle spalle poiché in campagna faceva più fresco. Quando raggiunse la sala da pranzo, il suo stomaco fece le capriole per l’odore di dolci e tè che si diffondeva nell’aria.
“Buongiorno.”
Bonnie schizzò in piedi e fece una sorta di mezzo inchino, poi le indicò la sedia di velluto imbottita.
“Buongiorno a voi, signorina. Accomodatevi. Fate come foste a casa vostra.”
“Puoi chiamarmi solo Ariadne.”
Il ragazzo sorrise, era gentile e anche assai timido.
“Ti verso del tè, Ariadne?”
“Sì, grazie. E mi potresti passare quel cesto, per favore?”
Ariadne non consumava un pasto decente da due giorni, pertanto si riempì il piatto di panini dolci e di brioche e bevve una tazza piena di tè.
“Hai davvero molta fame.” Rise Bonnie.
La ragazza rise mentre si puliva la bocca con un tovagliolo.
“E’ tutto squisito e io non mangio da due giorni, ne approfitto.”
Fecero colazione in silenzio, ogni tanto si scambiavano qualche sorriso di circostanza ma per il resto continuarono a mangiare senza dirsi nulla. Bonnie allungò il braccio per prendere la caraffa di latte e Ariadne notò che le sue nocche erano abrase, la pelle attorno era spessa e arrossata.
“Sono un pugile.” Spiegò lui, anticipandola.
“Un pugile, tu? Sembri una persona pacifica.”
Bonnie rise mostrando un dente scheggiato, uno dei tanti cimeli dei combattimenti.
“Lo sono. Fare il pugile non significa essere una persona violenta nella vita di tutti i giorni. Picchio sul ring, o quando è necessario difendermi.”
“Ha senso effettivamente. Io dipingo. O meglio, dipingevo.”
Ed infatti le mani di Ariadne erano pulite, non vi erano più le tracce di pittura e carboncino che un tempo le macchiavano la pelle.
“Perché ne parli al passato?”
“Ero iscritta al Chelsea College di Londra, il college d’arte per eccellenza. La mia carriera di studio è finita quando sono tornata a Birmingham.”
Decide di omettere la parte in cui era stata sua madre a porre fine alla sua carriera, era un dettaglio doloroso che preferiva tenere per sé.
“Sai, girano delle storie su di te.” disse Bonnie, grattandosi il mento.
Ariadne deglutì, detestava affrontare quell’argomento. Bevve un sorso di tè per schiarirsi la voce.
“Me ne sono andata perché non ho retto la morte di mio padre. Eravamo molto legati.”
“Capisco. Anche io ero molto legato a mia madre, è stata dura dopo la sua morte.”
“Ti sei sfogato prendendo a pugni la gente.”
Bonnie rise, sembrava molto più giovane quando rideva.
“Diciamo di sì. Hai programmi per oggi?”
Ariadne fece scorrere l’indice lungo il bordo liscio della tazza, era un set di porcellana finissima e decorata con fiori blu.
“Scommetto che Tommy ha posto dei limiti ai miei programmi.”
“Tommy Shelby è uno che detta leggi.”
“Le leggi esistono per essere infrante.” Replicò lei con un sorriso.
Bonnie arrossì, non ci sapeva fare con le ragazze e Ariadne lo metteva piuttosto in soggezione.
“Non puoi uscire dalla proprietà e io devo seguirti dappertutto. Così ha deciso Tommy.”
“Mi seguirai anche in bagno?”
“Oh … ehm … no! Ovviamente no!”
Ariadne ridacchiò per la faccia rossa di Bonnie, aveva capito che si imbarazzava facilmente. si alzò e aggrappò le mani intorno allo schienale della bella sedia imbottita.
“Allora mostrami un po’ questa proprietà!”
 
“E questo è il fienile. Mio padre conserva qui la sua attrezzatura.”
Bonnie aprì la porta e si mise di lato per far passare Ariadne per prima. Lei si aspettava attrezzature quali rastrelli, pale, annaffiatoi e altro materiale da giardinaggio. Invece quel finto fienile ospitava armi di ogni genere, selle per cavalli e quelle che sembravano armi medievali.
“Tuo padre si prepara ad una guerra?”
“Tutti a Birmingham sono sempre preparati per una guerra.”
Ariadne diede un’occhiata alle armi, e si punse anche toccando la superficie di una mazza ferrata. Poi la sua attenzione si focalizzò su una mappa appesa alla parete che raffigurava Birmingham e dintorni. Era dettagliata, con le varie zone identificate dal colore, con i nomi di ogni area. Riuscì a individuare il bosco dove si era tenuta la sparatoria, puntò il dito e si voltò verso Bonnie.
“Conosci questo bosco? Mi sai dire qualcosa?”
“E’ la parte più fitta del bosco, ci sono sentieri sterrati e qualche capanna occupata dai cacciatori durante la stagione della caccia. Perché?”
“E’ in questo esatto punto che è avvenuta la sparatoria. Vedi? Tra questo punto e la strada c’è un sentiero.”
Bonnie scrutò la mappa e annuì, ormai conosceva a memoria quei sentieri grazie al padre.
“Sì, è il sentiero di Jack. Il nome si ispira a Jack lo Squartatore perché spesso è stata ritrovata gente sgozzata. A cosa ti serve saperlo?”
“Hai detto che ci sono le capanne dei cacciatori nei dintorni, giusto? Forse c’è qualche indizio per noi.”
Ariadne aveva assottigliato gli occhi e studiava la mappa con attenzione, quasi fosse il suo dipinto preferito.
“Indizio? Per noi?” fece Bonnie, confuso.
“Indizio sulla sparatoria, su chi ha sparato o qualcos’altro. Io vado lì a vedere!”
“No! Tommy ha detto …”
“Tommy dice una marea di cose e io non devo ascoltarle tutte.”
Bonnie si toccò la fronte, era esasperato dal comportamento ribelle della ragazza. Se suo padre o Tommy avessero scoperto che l’aveva fatta uscire dalla proprietaria, lui avrebbe perso le braccia e le gambe in un colpo solo.
“Ti accompagno io. Però dobbiamo tornare entro mezzogiorno, mio padre è sempre puntuale a pranzo. E soprattutto non deve capire che siamo andati nel bosco.”
Ariadne sorrise raggiante e batté le mani, pronta per quella avventura.
“Andiamo! Dov’è l’auto?”
Questa volta fu Bonnie a sorridere divertito.
“Non possiamo prendere l’auto per andare su quei sentirti stretti e rovinati. Andiamo a cavallo.”
“Ma io odio i cavalli!” si lagnò Ariadne.
 
Julian sorrideva allegro mentre si rivestiva. Aveva passato delle ore piacevoli, prima al pub con gli amici e poi a letto con Rose. La ragazza era la sua nuova fiamma, l’aveva conosciuta un mese fa a una festa e da allora erano diventati inseparabili.
“Vai già via?” chiese lei, la voce impastata dal sonno.
“Devo tornare a casa prima che la strega malvagia si accorga della mia assenza.”
“Tua madre è una vera stronza.”
Julian rise, si abbottonò la camicia e si mise in cerca delle scarpe.
“Lo so.”
Rose guardò il ragazzo piegato ad allacciarsi una scarpa e sorrise tra sé, aveva tra le grinfie uno dei ragazzi più belli e desiderati di tutta l’Inghilterra. Bellissimo, ricco, divertente e un ottimo amante fra le lenzuola. Julian Evans era il sogno proibito di ogni ragazza.
“Stasera ci vediamo? Paul vuole portarci in un nuovo locale, dice che l’alcol è ottimo.”
“Non so se potrò esserci. A casa c’è tutto il casino con mia sorella, non torna da quasi una settimana e sono tutti nervosi. Magari ci vediamo domani.”
Julian si infilò la giacca e si guardò allo specchio per sistemarsi i ricci in modo da sembrare più o meno presentabile. Rose si mise seduta e si strinse le ginocchia al petto, il lenzuolo mostrava le sue lunghe gambe nude.
“Sai dove trovarmi, amore.”
“Amore, eh?” la prese in giro Julian.
Rose rise e gli diede un pungo gioco sul petto, che ovviamente non lo scalfì affatto.
“Non fare l’idiota, Evans. Sparisci!”
Julian si chinò per lasciarle un bacio sulle labbra, dopodiché le diede un bacio sul ginocchio scoperto e le fece l’occhiolino.
“Buona giornata, principessa!”
Scese rapidamente le scale, il buon umore invadeva ogni cellula del suo corpo. Era raro che fosse tanto felice. E per l’appunto, a confermare quella rarità fu un ragazzo appoggiato alla sua auto.
“Julian Evans?”
“Sono io.”
“Tommy Shelby vuole parlarti. Ti aspetta in quell’auto nera all’angolo della strada.”
Julian attraversò la strada in maniera discreta, non era bravo con i sotterfugi in affari. Si era sempre tenuto lontano dalle attività di famiglia, e per fortuna Eric non aveva mai insistito a farlo partecipare. Individuata la macchina, entrò e richiuse la portiera velocemente. Sul sedile accanto a lui c’era Tommy Shelby, una macchia nera di cui solo gli occhi azzurri rilucevano come gemme preziose.
“Signor Shel-“
“Sta zitto e ascoltami. Qualche giorno fa sei venuto da me a chiedermi aiuto per tua sorella e io ti ho detto di no. Dati i recenti sviluppi, ora la risposta è sì.”
Tommy aveva parlato in modo così diretto e risoluto che Julian faceva fatica a recepire ogni parola.
“Recenti sviluppi? Mi sono perso qualcosa?”
L’uomo lo guardò come se fosse il ragazzo più stupido sulla faccia della terra.
“Non lo sai? Tua madre e tuo fratello hanno concesso Ariadne in moglie a Mick King.”
La bocca di Julian si spalancò in una ‘o’ perfetta, era scioccato da quella rivelazione.
“Che schifo! L’hanno venduta a quel maiale!”
“Tua madre ha pensato che un matrimonio avrebbe appianato i vostri debiti con gli Scuttlers, e aveva ragione. Ariadne è un’ottima moneta di scambio, giovane, carina e soprattutto facile da ammaestrare.”
“Ariadne non è mica un animale da compagnia!” replicò Julian, stizzito.
“Lo so bene quanto te. E’ Mick che crede di poterla addomesticare come fosse un fottuto labrador. Ecco perché tu sei qui, per aiutare tua sorella.”
“E come potrei fare? Non ho nessuna risorsa.”
Tommy gli lanciò un’occhiata glaciale che fece rabbrividire Julian di paura. Se Mick King era una bestia feroce, Tommy Shelby agiva nell’ombra e ciò lo rendeva ancora più pericoloso.
“Tu dovrai seguire esattamente le mie istruzioni senza obiettare.”
Julian annuì senza indugiare, quando si trattava di Ariadne non c’era da pensarci due volte. Avrebbe dato la vita per sua sorella.
“Ci sto.”
 
“Smettila di annusarmi!” sbottò Ariadne, di nuovo.
Il cavallo sbuffò fra i suoi capelli come se la stesse deridendo. Non aveva mai avuto un buon rapporto con i cavalli, riteneva che fossero troppo grandi e capaci di captare le tue paure più profonde.
“Fa così perché ti vuole conoscere.” Disse Bonnie.
“Beh, il sentimento non è reciproco.”
Ariadne allontanò il muso del cavallo dai suoi capelli e gli puntò il dito contro come a volerlo avvisare di starle alla larga. Bonnie intanto se la rideva sotto i baffi.
“Che ci facciamo qui? Questo sentiero è vuoto, non ci sono capanne o case.”
“C’è sicuramente qualcosa, è solo che non riusciamo a vederla. Fidati.” Disse Ariadne.
“Cosa speri di trovare?”
“Ancora non lo so. Lo saprò quando lo vedrò.”
Bonnie aggrottò le sopracciglia, quella ragazza alle volte sembrava persa nella sua testa.
“Aspettiamo e speriamo.”
“Osservare e dedurre, questo è il metodo di Sherlock Holmes.”
Ariadne aveva letto e riletto ogni romanzo e ogni racconto sul detective più famoso della letteratura, dunque aveva imparato dal migliore che uno sguardo accurato utile in una indagine.
Bonnie, però, continuava a vedere solo erba e sterpaglia. Un pettirosso se ne stava appollaiato su un ramo a guardare il mondo sottostante con i suoi piccoli occhi curiosi.
“Dovremmo tornare indietro. Qui non c’è niente.”
Ariadne non era d’accordo. Stava fissando due massi che avevano una strana collocazione, insolita per essere di origine naturale.
“Bonnie, hai mai visto due massi perfettamente simmetrici?”
“Può capitare, la natura è bizzarra.”
“E hai mai visto un masso che in natura riporta una croce bianca?”
Allora Bonnie guardò i massi e vide che uno era segnato da una croce bianca fatta col gesso; era un segnale.
“Spostiamo i massi.”
I due si misero ai lati delle grosse rocce e tirarono fino a separarli, facendoli rotolare sul sentiero. Nascosto sotto foglie e rami accatastati, c’era una cassa malandata di legno. Bonnie diede un calcio al lucchetto arrugginito e questo si schiantò al suolo con un debole clangore. Ariadne si sporse per ispezionare l’interno ed emise un fischio.
“Guarda un po’! Sono armi, e per l’esattezza sono le armi che gli Scuttlers hanno preso dal deposito di Barry Grimm.”
“I Peaky Blinders non ce la farebbero in uno scontro a fuoco aperto.” Rifletté Bonnie.
Ariadne sfiorò la superficie di un fucile, forse era lo stesso usato nell’attentato nel bosco.
“La mia ipotesi si rivela sempre più vera.”
“Quale ipotesi?”
“Che a sparare quella notte siano stati gli Scuttlers. Se ci pensi bene, con dopo l’attentato Mick ha subito dato la colpa a noi e a Tommy, eppure Lucius e Tommy sono rimasti feriti.”
“Se fossero stati i Peaky Blinders di sicuro non avrebbero colpito Tommy.” disse Bonnie.
“E se fossero stati i Blue Lions non avrebbero colpito Lucius.” Aggiunse Ariadne.
Il ragazzo si toccava la fronte mentre nel suo cervello le rotelle si mettevano in moto.
“In questo modo gli Scuttlers avrebbero avuto la scusa perfetta per attaccare i Blue Lions e i Peaky Blinders e accaparrarsi tutti i profitti.”
“Mick diventerebbe uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra, e soprattutto il gangster più temuto. Praticamente sarebbe indistruttibile.”
“Cosa pensi di fare? Non possiamo lasciare queste armi qui.”
“Infatti le portiamo con noi. I cavalli ce la possono fare?”
Bonnie accarezzò il muso dei suoi cavalli e sorrise soddisfatto.
“Possono farcela.”
 
Julian tornò a casa intorno alle sei di sera. Dal vialetto poteva scorgere le luci accese in soggiorno, in cucina e nello studio di Eric. Stava succedendo qualcosa. l’ultima volta che quei tre lampadari erano stati in funzione in contemporanea era quando suo padre era morto e la banda si era riunita a casa Evans per rimpiangerlo. Si chiuse la porta alle spalle e agganciò il capello all’attaccapanni, ma non si tolse la giacca per essere pronto a qualsiasi evenienza.
“La pecorella è tornata all’ovile.” Disse Lucius, ridendo.
Era sbucato dal corridoio della cucina con in mano una bottiglia di vino. Doveva essere brillo considerati gli occhi lucidi.
“Questo non è un ovile, è un mattatoio.”
“Fai sempre la ragazzina offesa. Il sesso non ti è d’aiuto?”
Julian si accigliò a quel riferimento perché aveva capito che la sua relazione con Rose non era più segreta, e forse non lo era mai stata.
“Che cazzo vuoi, Lucius? Mammina ti ordina di pedinarmi e tu obbedisci come un cagnolino, sei patetico.”
Lucius sorrise in quel modo crudele che esibiva quando torturava qualcuno.
“Almeno tua madre non mi odia.”
“Ti odierebbe se sapesse che ti sei scopato suo figlio.” replicò Julian, deciso.
“E’ capitato una sola volta ed ero ubriaco! Se lo dici qualcuno …”
“Mi ammazzi, lo so. Sai cosa, Lucius? La morte è niente in confronto all’inferno di questa casa.”
Si allontanarono quando avvertirono la stampella di Eric riecheggiare dal corridoio, e infatti comparve pochi secondi dopo.
“Julian, per caso hai avuto notizie di Ariadne? La stiamo cercando dappertutto.”
“Non so nulla. Probabilmente è fuggita come otto anni fa.”
Detto ciò, Julian si incamminò verso la sua camera con un tremendo nodo allo stomaco perché era preoccupato per la sorella.
 
Aberama esplorava ogni parte di ogni singola arma, a detta sua era un metodo per conoscere le armi del nemico. Dopo che Ariadne e Bonnie erano rincasati, avevano comunicato la scoperta al padrone di casa e lo avevano seguito nel capanno degli attrezzi.
“Questo fucile è stato usato per sparare nel bosco. La polvere da sparo nella canna è abbastanza fresca da essere recente.”
“Questo conferma che sono stati gli Scuttlers a sparare.” Disse Bonnie.
“Deduco di sì, altrimenti questo fucile non farebbe parte della loro scorta.”
Ariadne, però, non stava ascoltando perché la sua mente si stava concentrando su un altro fenomeno: perché Lucius non si era fatto vivo subito? Perché era sparito per due giorni?
“Forse so chi ha sparato. Devo assolutamente parlare con Tommy!”
“Il telefono è in casa. Bonnie, accompagnala.”
Ariadne camminava a passo talmente spedito che addirittura Bonnie faceva fatica a starle dietro. La ragazza respirava col naso, erano respiri pesanti come quelli di chi sta per affrontare un cataclisma.
“Il telefono è nel sottoscala.”
Ariadne si fiondò sull’apparecchio e compose il numero del Garrison, certa che gli Shelby si sarebbero goduti la consueta bevuta serale.
“Qui parla Margaret dal Garrison Pub. Pronto?”
“Sono Ariadne. Devo parlare con Tommy, è urgente.”
Dall’altro capo si avvertì un fruscio, poi qualche parola incomprensibile e infine un respiro.
“Stavolta che hai combinato?” domandò la voce severa di Tommy.
“Lucius ha sparato nel bosco. Lui e Mick non si sono visti soltanto per stipulare il contratto matrimoniale, si sono visti molto prima. Sono alleati da tempo ormai.”
Facendo uno sforzo di memoria, Tommy si accorse che quella notte nel bosco ad un certo punto Lucius era sparito dalla sua visuale ed era apparso soltanto due giorni dopo.
“Lucius prende il fucile da Barry e lo lascia in vita perché è suo amico, ma Mick lo fa uccidere per metterlo a tacere. Fottuti bastardi!”
Ariadne sospirò, la consapevolezza pesava su di lei come un macigno.
“Mick ha usato Barry come capro espiatorio per fare credere alla mia famiglia di aver trovato il colpevole.”
Tommy sbarrò gli occhi, gli frullavano in testa mille spiegazioni logiche.
“Così tua madre avrebbe accettato la sua proposta di matrimonio. Quello stronzo ha fatto di tutto pur di sposarti.”
“Tom …”
La voce di Ariadne era sottile, quasi un soffio, ed carica di paura.
“Troveremo una soluzione, Ariadne.”
“Mi fido di te, Tom.”
 
Julian rovistava fra le cose di Ariadne nel tentativo di trovare i suoi documenti personali, era la sua parte del piano ideato da Tommy. La sua ricerca fu interrotta dal cancello che si apriva lento e singhiozzante come al solito, nessuno aveva mai pensato di aggiustarlo. Scostò la tendina per gettare un occhio sul vialetto e intravide un vecchio camion che parcheggiava davanti la porta di casa. Poco dopo vide Mick King che scendeva in compagnia di Simon, entrambi minacciosi ma divertiti al tempo stesso. Quando li vide entrare in casa, si precipitò giù per le scale e poi in direzione dello studio per origliare la conversazione.
“Avete delle novità?” chiese Eric, la voce esausta.
Mick sorrideva come se avesse vinto la coppa del mondo, per Julian era irritante.
“Abbiamo trovato tua sorella.”
Marianne Evans scattò sulla sedia come una molla, il nome della figlia l’aveva riportata quasi in vita.
“Dove si trova?”
Mick si avvicinò al tavolino di cristallo su cui erano posizionate diverse bottiglie di alcol e si versò un intero bicchiere di grappa. Beveva e osservava i presenti oltre il bordo di vetro.
“Ve lo posso dire in cambio di qualcosa. Eric, cosa mi offri per questa informazione?”
Eric sospirò esasperato, era pallido e sudato; stava molto male. Eppure raddrizzò la schiena per non mostrare nessun segno di cedimento.
“Hai qualche richiesta in particolare?”
“Voglio tutte le tue auto. Sai, tua sorella al nostro matrimonio porta una dote molto piccola. Sono sicuro che le tue macchine potranno in qualche modo sopperire alle mancanze.”
“Va bene.” intervenne Marianne.
Mick chinò il capo a mo’ di ringraziamento e sorrise vittorioso.
“Ho piazzato un uomo a sorvegliare le armi che abbiamo preso dal deposito di Barry Grimm, e poco fa mi ha chiamato dicendo che una ragazza dai capelli rossi ha portato via la cassa nascosta.”
“Dove si trova?” ripeté Marianne, ora era furiosa.
“Nel distretto di Sandwell, di preciso nella tenuta di campagna di Aberama Gold.”
Il viso di Marianne si contorse in una smorfia di disgusto. Da giovane Aberama le aveva fatto la proposta di matrimonio ma lei aveva rifiutato perché allora era solo un campagnolo che possedeva un cospicuo numero di pecore.
“C’è ovviamente lo zampino di quel maledetto di Tommy Shelby. Aberama Gold può essere considerato uno dei Peaky Blinders.”
Julian notò l’espressione scura di Eric, era angosciato dal fatto che sua sorella presto sarebbe finita nelle viscide mani di Mick King. Si era opposto con tutte le forze a quel matrimonio, però sua madre era stata irremovibile e lui alla fine aveva dovuto accettare per non infastidirla.
“Sandwell dista mezz’ora da qui e ce ne voglio almeno una decina per raggiungere la tenuta Gold.”
“Possiamo muoverci anche subito, se lo desideri.” Disse Lucius.
Julian colse uno strano sguardo fra Lucius e Mick, era una sorta di combutta silenziosa dibattuta attraverso gli occhi.
“Ci muoviamo fra quindici minuti, il tempo di preparare le auto e prendere le armi.” disse Eric.
Lucius annuì e con un fischio richiamò i Blue Lions che oziavano in soggiorno. Camminavano all’unisono, braccia possenti e piedi che calzavano grossi stivali; avevano tutto l’aspetto di lupi assetati di sangue fresco.
“E’ la scelta giusta, Eric.” Disse Mick.
Eric non lo guardò, anzi piegò gli angoli della bocca all’ingiù nel dispiacere totale.
“Sì, certo.”
Julian controllò l’ora su pendolo che oscillava in corridoio: erano le sette e un quarto e Lucius si sarebbe mosso a e mezza. Aveva solo quindici minuti per avvisare Tommy. Non sarebbe mai arrivato in tempo al Garrison o a casa Shelby, quindi optò per un alto escamotage. Usando la porticina della cucina, andò in giardino e slegò la bicicletta di Ariadne che era assicurata al tronco di un salice piangente. L’unica opzione praticabile era raggiungere la cabina telefonica più vicina e chiamare Tommy per avvisarlo dell’imminente attacco.
Julian pedalò veloce, sfrecciava nel buio, con i ricci sferzati dal vento. Sentì un lieve bruciore sul collo per via della cravatta sciolta che era caduta mentre correva verso la meta. Poco importava, sua sorella era più importante di una stupida cravatta costosa. Quando svoltò l’angolo, scorse i vetri sporchi di una cabina e puntò in quella direzione. Abbandonò la bicicletta per terra, incurante del sellino che si era spaccato a causa dell’impatto. Dalla giacca estrasse una piccola agenda e digitò il numero del Garrison.
“State chiamando il Garrison Pub. Parla Finn Shelby.”
“Sono Julian Evans. Dite a Tommy che mio fratello e Mick sanno dove si trova Ariadne e che stanno mandando i loro uomini da un certo … Gold! Aberama Gold!”
“Ci pensiamo noi.” disse Finn, dopodiché terminò la chiamata.
 
Le linee si ricorrevano sul foglio a fatica, era come se un gancio tirasse le sue dita impedendole di continuare. Ariadne non riusciva neanche a disegnare. La luna dalla sua stanza si vedeva bene, piena e luminosa, ed era il soggetto perfetto per un disegno. Eppure la sua mano si rifiutava di collaborare. Era troppo agitata perché la sua mente si concentrasse sulla carta bianca.
“Ariadne, posso entrare?” la voce di Bonnie era attutita dalla porta.
“Entra pure.”
Il ragazzo si sedette sul bordo del letto in imbarazzo come sempre, non erano soliti avere ospiti in casa e soprattutto lui non era solito restare da solo con una ragazza.
“Stai bene? Hai mangiato poco a cena.”
Ariadne richiuse il taccuino e lo infilò nella tasca della giacca che giaceva sulla poltrona.
“Ho mille pensieri in testa. C’è qualcosa che mi sfugge.”
“Cosa? A me sembra tutto chiaro: Lucius voleva fregare tuo fratello e si è alleato con gli Scuttlers.”
“Perché? Lucius è il migliore amico di Eric da una vita! Sono come fratelli. Non capisco perché Lucius ci abbia traditi.”
Bonnie fece spallucce, quello era un mondo spudorato che lui conosceva molto bene e aveva imparato le sue regole crudeli.
“Lo ha fatto per il potere. Questa città si regge sulle bande, e non sei nessuno se non fai parte di loro.”
Ariadne trasalì quando Aberama entrò in stanza con il viso arrossato dalla corsa.
“Sta arrivando qualcuno. Billy dal cancello ha visto arrivare una decina di auto.”
Bonnie afferrò la mano di Ariadne e la trascinò al primo piano, seguendo il padre verso la cantina dove tenevano le armi. Mentre Aberama frugava tra il mazzo alla ricerca della giusta chiave, dal salotto si udì la porta-finestra aprirsi e chiudersi.
“Qualcuno è già entrato.” Bisbigliò Bonnie.
Aberama puntò un coltello in aria in attesa che l’intruso si mostrasse.
“Lo sappiamo che sei qui, stronzo!”
Tommy Shelby comparve davanti a loro come uno spettro, avvolto nel suo abito scuro e con gli occhi che rilucevano nella semiluce. Con lui c’era Arthur.
“Siamo qui per salvare il culo alla signorina.” Esordì Arthur.
Tommy notò la mano di Bonnie che stringeva quella di Ariadne e la sua mascella si irrigidì per un istante. Non aveva motivo di essere geloso, eppure aveva voglia di mozzare la mano del ragazzo.
“Eric e Mick hanno mandato i loro uomini a prendere Ariadne. La cassa delle armi era sorvegliata, quindi hanno subito avvisato Mick quando avete commesso la stronzata di andare là.”
“Sei qui da un minuto e già fai il gradasso.” Commentò Ariadne.
Tommy la guardò con fare altezzoso, detestava essere contraddetto davanti agli altri.
“Ascoltami bene, ragazzina: siamo tutti qui perché tu sei un prezioso bottino. Loro ti vogliono per il matrimonio e per chiudere ogni debito, mentre io ti voglio per proteggere i miei affari.”
Ariadne rimase offesa da quel trattamento. Per lui si trattava sempre di affari, anche se in ballo c’erano sentimenti quali amicizia e amore. Lui voleva Ariadne solo come trofeo.
“Poiché sono così preziosa, come intendete portarmi fuori da qui?”
“Passiamo per la cantina.” Disse Aberama.
“C’è una botola che porta fuori. E’ un vecchio condotto della fogna.” Aggiunse Bonnie.
Tommy annuì e Aberama poté aprire la porta della cantina. Il padrone di casa andò per primo, poi a seguire c’erano Bonnie e Arthur.
“Tu vieni con me.” sibilò Tommy.
Agguantò Ariadne per il polso e la spinse dentro in modo da chiudersi la porta alle spalle. La sua presa era talmente salda che la ragazza avvertiva il calore della sua pelle.
“Sei arrabbiato con me, vero?”
“Sono furioso con te. Hai fatto una cazzata e adesso ne paghiamo le conseguenze.”
“Tom, mi dispiace.”
Un brivido scosse Tommy, la dolcezza nella voce di Ariadne mentre pronunciava il suo nome abbreviato era come sale su una ferita.
“Cammina.”
Il gruppo si fermò quando Aberama alzò la testa mentre uno sbuffo di polvere gli cadeva in testa.
“Quei bastardi mi stanno distruggendo casa.”
“Muoviamoci, oppure quelli distruggono anche noi.” disse Arthur.
Bonnie si girò verso Ariadne e le regalò un sorriso gentile.
“Andrà tutto bene.”
“Grazie.” Rispose lei a voce bassa.
Le dita di Tommy si strinsero di più attorno al suo polso e i suoi occhi di ghiaccio stavano osservando quella scena patetica con astio.
“Possiamo andare o devo servivi una fottuta tazza di tè?”
“Tommy, muoviti!” lo richiamò Arthur.
Il fratello diede una spallata all’asse di legno che copriva la botola e poi la scaraventò a terra. Intanto dalle scale provenivano dei rumori e delle voci concitate, i nemici erano sempre più vicini.
“Salite!” ordinò Tommy.
Aberama e Arthur salirono senza problemi, entrambi erano agili dopo tante fughe nel corso degli anni. Ariadne si era tappata il naso per il tanfo della botola, un vecchio residuo dell’ex fogna.
“Ti aiuto a salire?” chiese Bonnie.
“Ce la fa anche da sola.” intervenne Tommy in tono brusco.
Ariadne roteò gli occhi al cielo e scosse la testa, allibita dal comportamento scontroso dell’uomo.
“Grazie, Bonnie, ma ce la faccio. Ora sali tu, vai!”
Bonnie sparì nel buio della botola, e Ariadne diede un’occhiata in cima per controllare l’uscita. Riusciva a vedere solo una piccola porzione di cielo stellato.
“Uscite, ratti di fogna!” gridò una voce roca dalle scale.
Tommy prese la pistola dal fodero e tolse la sicura, pronto a fare fuoco in ogni momento.
“Ariadne, sali adesso!”
“Non ti lascio da solo, anche se sei uno stronzo.”
Ariadne lo tirò per la manica della giacca, portandolo più vicino alla botola.
“Sei una testa dura.” Disse Tommy, un sorrisino sulle labbra.
“Potrei dire lo stesso di te.”
La ragazza si infilò nello spazio angusto e incominciò a salire i pioli, la suola delle scarpe scivolava per via dell’umidità. Tommy saliva dietro di te con la pistola rivolta verso il basso.
“La visuale non è niente male.”
“Smettila di guardarmi il fondoschiena!” sbottò Ariadne.
 Entrambi si appiattirono contro la parete quando un colpo di pistola esplose nella botola. Altri colpi furono sparati per evitare che continuassero a salire. Tommy scorgeva alcuni uomini arrampicarsi su per la botola.
“Continua, Ariadne! Continua a salire!”
Ariadne riprese imperterrita la salita, attenta a sviare i colpi che venivano sparati dalla cantina. A pochi metri dall’uscita le braccia di Bonnie la tirarono fuori e la riportarono con i piedi sull’erba. Bonnie allungò una mano per aiutare anche Tommy.
“Mio padre ha messo in moto un camion. Venite!”
Quando tutti furono a bordo, Aberama ingranò la marcia e sfrecciò nella direzione opposta alle auto piazzate davanti la sua tenuta.
“Dove andiamo?”
“Al canale.” Disse Arthur.
Ariadne era seduta sui sedili posteriori tra Bonnie e Tommy, entrambi avevano il fiatone per le azioni precedenti. Lentamente affiancò la propria mano a quella di Tommy per poi far incastrare le loro dita. Lui non la guardò, ma sbatté le palpebre un paio di volte in un linguaggio silenzioso.
 
 
Salve a tutti! :)
Come sempre Ariadne e Tommy ora bisticciano e ora si tengono per mano.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

 

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Capitolo 10
*** Compromessi infernali ***


10. COMPROMESSI INFERNALI

“Lingue ardenti di fiamma invisibile imprimono il marchio dell’inferno sulla mia anima esausta.”
(H. P. Lovecraft)
 
Ariadne strizzò gli occhi un paio di volte per mantenersi sveglia. Da Sandwell a Birmingham il tragitto era piuttosto breve, ma la vera sfida che aveva allungato i tempi era stata superare gli Scuttlers e i Blue Lions che pattugliavano le strade.
“Tommy, non riusciremo ad arrivare al canale.” Disse Aberama.
“Small Heath è fuori portata perché è sorvegliato.” Aggiunse Arthur.
Tommy lasciò la mano di Ariadne per passare le dita fra i capelli con fare nervoso.
“Quei bastardi conoscono bene i nostri posti.”
“Potremmo andare nella palestra dove mi alleno.” Suggerì Bonnie.
È sicura?”       
Bonnie guardò prima Ariadne e poi Tommy, alla fine annuì.
“Portaci alla palestra.” Disse Tommy.
Il viaggio durò un’altra mezz’ora, ad ogni angolo dovevano fare il possibile per sfuggire ai controlli. Aberama dovette imboccare vicoli stretti, strade buie e isolate, e addirittura fare lo stesso giro due volte.
“Come va?” domandò Bonnie, cortese come sempre.
“Tutto bene.” mentì Ariadne con un mezzo sorriso.
In verità non andava affatto bene. Aveva le gambe intorpidite e le braccia che formicolavano, e inoltre le era venuto un terribile mal di testa.
“Eccoci.” Annunciò Aberama.
Ariadne sospirò di sollievo quando finalmente poté respirare aria fresca. Si trovavano nel quartiere di Digbeth, frequentato dalla malavita e dai disperati in cerca di soldi prestati. Tutti in città sapevano che quello era il quartiere della box, lì si tenevano incontri di pugilato ogni sera e le scommesse puntavano a somme ingenti di denaro.
La palestra era un edificio basso e tozzo, all’esterno era rivestito da semplici mattoni a crudo e le finestre erano dotate di sbarre.  
“Che facciamo ora?” chiese Arthur, le sopracciglia corrugate.
Tommy in lontananza scorse i fari di una macchina che si muoveva verso di loro.
“Non è sicuro stare fuori. Io e Ariadne entriamo, invece voi andate al Garrison.”
“Vi lasciamo da soli?” volle sapere Bonnie.
Tommy gli rivolse un’occhiataccia, una di quelle che avrebbe incenerito l’intera città.
“Vuoi proteggere tu la ragazzina? Avanti, accomodati pure! Sono sicuro che entro mezzanotte sarete entrambi morti su questa fottuta strada.”
Ariadne scosse di nuovo la testa perché Tommy aveva quel modo di imporre la propria posizione in maniera brusca.
“Bonnie, è meglio per voi andare via da qui. Io e Tommy ce la caveremo. Grazie per tutto l’aiuto.”
Il ragazzo abbassò lo sguardo e si morse il labbro, gli dispiaceva andarsene.
“Buona fortuna.”
Mentre Bonnie e Ariadne si scambiavano un breve abbraccio, Tommy si avvicinò all’auto per parlare con Arthur e Aberama.
“Cercate di mettervi in contatto con Julian Evans il prima possibile. Non possiamo aspettare qui per sempre. Abbiamo bisogno di quelle carte prima di domani.”
“Tranquillo, fratello, ci pensiamo noi.” lo rassicurò Arthur.
Tommy con la coda dell’occhio vide Bonnie e Ariadne sciogliere l’abbraccio, e dentro di lui avvertì ancora quella fastidiosa sensazione di bruciore.
“Ariadne, vieni.”
La ragazza salutò tutti con un gesto della mano, dopodiché seguì Tommy verso la palestra. Aberama gli aveva indicato un ingresso secondario sul lato ovest, laddove un cancello malandato chiudeva una vecchia cabina di guardia.
“Pendi di sparare al lucchetto?” chiese lei.
“Se sparo attiriamo l’attenzione, genio.”
Tommy si piegò sulle ginocchia, tirò fuori dal taschino della giacca una minuscola pinza e iniziò ad armeggiare con il lucchetto. Era un bravo scassinatore, suo zio Charlie gli aveva insegnato a forzare qualsiasi tipo di serratura perché diceva che poteva tornare utile in qualsiasi momento.
“Entra.”
Ariadne rimase stupita quando il cancello si spalancò, si infilò dentro e aspettò che Tommy sistemasse il lucchetto per non destare sospetti. Per loro fortuna la porta della cabina era aperta, quindi poterono entrare senza problemi. Anche allora Tommy si adoperò per bloccare la maniglia con un tubo arrugginito.
“Che schifo.” Commentò Ariadne.
La cabina non era molto grande, a stento ci entravano due persone. C’era una scrivania dotata di megafono, una poltrona ormai logora e un frigo spento ospitava bottiglie andate a male. Tutto era ricoperto da una spessa coltre di polvere e l’aria odorava di cenere e di chiuso. Tommy dalla finestrella sopra il frigo controllava la strada per accertarsi che non fossero pedinati.
“Questa in passato era una torretta di guardia perché l’edificio era una delle tante sedi militari di Birmingham. Dopo la guerra i soldati hanno lasciato il posto ed è stato occupato dalla gente che ora fa affari.”
“Interessante.” Disse lei.
Ariadne si guardava attorno spaesata, non voleva toccare niente e allora si portò le braccia al petto.
“Non ce ne frega un cazzo della storia di questo posto. Ci basta solo stare al sicuro per un po’.”
Il volto della ragazza si accese di speranza, sembrava quasi illuminare la stanza.
“Hai trovato una soluzione?”
Tommy non osò guardarla, faceva troppo male riempirla di promesse fasulle.
“Forse. Dipende da come andranno le cose stanotte.”
“Beh, ci sono anche opzioni a cui ho pensato.” Disse Ariadne.
“Sei pericolosa quando pensi.” Replicò lui.
Tommy si accese una sigaretta nella speranza di allentare i nervi, ma era oppresso dai sensi di colpa e dall’ansia.
“Puoi evitare di fare lo stronzo per cinque minuti?”
“No.”
Ariadne sbuffò ma poi ridacchiò, era troppo stanca per fare la finta offesa.
“Stupido Shelby.”
“Non vive a lungo chi mi dà dello stupido.”
Tommy si sedette sulla poltrona senza preoccuparsi della polvere e continuò a fumare mentre osservava la ragazza curiosare qua e là.
“Non mi ucciderai, Tom.”
“Ne sei sicura?”
Ariadne sorrise con malizia.
“Ti piaccio troppo.”
Lui incassò quel colpo in silenzio, riportò gli occhi sulla finestra e arricciò le labbra.
“E’ questo che credi?”
“E’ questo che so.” Lo incalzò la ragazza.
I sensi di colpa tornarono a tormentare Tommy. Avrebbe voluto spaccarsi la testa pur di non sentire quella voce che gli ripeteva che stava commettendo un errore.
“A quali opzioni hai pensato?”
Ariadne rimase delusa da quel cambio di argomento, ma ricordò a se stessa che lui era un uomo sposato e che una ragazzina non avrebbe potuto smuoverlo.
“Potrei tornare a Londra e riprendere l’identità di Judith Leyster. Trovare un altro lavoro come cameriera non sarebbe tanto difficile.”
“Non funzionerebbe. L’identità di Judith è saltata, non hai nessuna copertura. Tua madre e Lucius conoscevano ogni aspetto della tua vita a Londra. Saresti comunque spiata.”
“Oh … non ci avevo pensato.”
Tommy chiuse gli occhi per un istante perché non riusciva a sopportare la tristezza nello sguardo di Ariadne. Era come assistere ad un numero circense dove l’acrobata sulla corda si schianta al suolo.
“Altre opzioni?”
“Potrei scappare in America e nascondermi per il resto della mia vita.”
“Non funzionerebbe neanche questo. Dovresti imbarcati con il tuo nome e la tua famiglia riuscirebbe a trovarti. Altre idee stupide?”
Ariadne aggrottò la fronte e piantò i piedi a terra, sembrava una bambina arrabbiata.
“Non sono brava a ideare piani, va bene? Questa vita non c’entra niente con me! Sono stata ingiustamente tirata in ballo contro la mia volontà. Io volevo solo studiare e vivere una vita tranquilla.”
Tommy si alzò di scatto e si girò di spalle, più la guardava e più stava male. Stava per mettere in gabbia una ragazza giovane, piena di sogni e di speranze, che meritava quella vita che tanto desiderava.
“Mi dispiace.”
Ariadne si addolcì per la tenerezza nella voce di Tommy. Non le aveva mai parlato così.
“Non è colpa tua.”
“E’ colpa mia. Mi odierai per quello che sto per farti.”
In quel momento Ariadne capì che il piano di Tommy doveva prevedere una fine tragica per lei. Si accasciò contro la parete e si strinse nella giacca come a volersi difendere.
“Che cosa hai fatto?”
Un fascio di luce illuminò la finestra per pochi secondi, i quali furono sufficienti per mettere Tommy in allerta.
“Quell’auto ha fatto già due giri intorno al quartiere. Forse è quella che stava dietro di noi.”
Ariadne scostò ciò che restava della tenda e vide l’auto che si muoveva piano fra i palazzi.
“Pensi che ci stiano seguendo?”
“Può darsi. Dobbiamo andarcene da qui. Muoversi a piedi sarà più facile.”
“E dove andiamo?”
Tommy controllò il caricatore della pistola e la puntò contro la porta nell’eventualità che qualcuno gli venisse incontro.
“A due isolati da qui c’è la Chiesa di Saint Anne.”
“Ho notato una scala antincendio quando siamo arrivati. Si trova sul retro dell’edificio, potremmo andare via da lì senza essere visti.” Disse Ariadne.
“Proviamoci. Resta vicino a me.”
Tommy tese la mano e Ariadne la strinse, dopodiché insieme lasciarono la cabina. Era buio e si vedeva poco, solo un misero lampione illuminava a malapena la strada principale. L’auto non c’era, pertanto si mossero velocemente per raggiungere l’altra faccia della palestra e usare la scala antincendio. Tommy strattonò Ariadne giù per le scale, la presa sulla mano della ragazza era così forte che le nocche stavano diventando bianche.
“Di qua.” Sussurrò Ariadne, indicando la guglia della chiesa.
Tommy imboccò un vicolo sudicio e stretto e mantenne la pistola sollevata per qualsiasi evenienza. Superarono i due isolati senza intoppi ma ora la parte difficile era accedere alla chiesa senza fare troppo rumore.
“Tom, la macchina è in fondo alla strada.”
“Non c’è modo di entrare nella chiesa.” Replicò Tommy.
Ariadne diede uno sguardo in giro per trovare un nascondiglio all’ultimo minuto. Nel frattempo i fari della macchina sconosciuta avanzavano nella notte come due occhi gialli che ti fissano in mezzo alle tenebre.
“Non abbiamo tempo!” sbraitò Ariadne.
Tolse la pistola dalle mani di Tommy e usò il calcio dell’arma per colpire la serratura del portone. Colpì il pomello fino a quando non cedette e un’anta si spalancò.
“Impressionante.” Commentò Tommy.
“Muoviti, entra! Sbarra il portone.”
Tommy spinse un banco contro il portone e Ariadne si lasciò cadere sulle scale dell’altare. Le piaceva la fragranza di incenso disseminata nell’aria, l’unica nota positiva di quella nottata.
“Qui dovremmo essere al sic-“
“Parla.” Disse Ariadne, la voce ferma e profonda.
I raggi della luna colpivano le vetrate colorate della chiesa e i colori si riflettevano sul marmo bianco del pavimento. Un raggio attraversava la tunica rossa di un Apostolo riflettendo una pozza rossa simile al sangue.
“Non ti posso dire niente per ora perché non so se il mio piano andrà a buon fine. Lo scopriremo solo quando usciremo da qui. Spera che Arthur riesca a trovare ciò che ti serve.”
Ariadne sospirò, era stanca sia fisicamente che mentalmente. Si portò le ginocchia al petto, rannicchiandosi come quando era bambina e aveva un incubo.
“Mi piaceva essere Judith, sai. Lei era tutto ciò che volevo essere. Lei era migliore di me.”
“Eri sempre tu.” Disse Tommy.
“No. Judith era una bugia. Bellissima e confortevole, ma pur sempre una bugia.”
Tommy occupò un posto sulla prima panca, da lì poteva controllare le finestre laterali e anche il portone.
“A volte le bugie servono.”
“E come fai a capire che è il momento di fermarsi?”
Ariadne non gli sembrava più così giovane, anzi pareva che secoli e secoli pesassero sulle sue spalle.
“Non sempre lo capisci. Io non mi sono fermato da quando ho iniziato.”
“Tu in fondo sei un brav’uomo, è solo che hai fatto le scelte sbagliate.” Disse Ariadne.
Tommy prese a giocare con l’orologio da taschino pur di non guardarla. Gli occhi ambrati di Ariadne gli scavavano dentro e faceva terribilmente male.
“Sono soltanto uno stronzo che ha molti soldi. Non sono un granché.”
“Uno stronzo che sta aiutando una mezza sconosciuta.”
“Una mezza sconosciuta molto fastidiosa.” La schernì Tommy.
Ariadne ridacchiò, poi tornò subito seria.
“Qual è la prossima mossa? Se Arthur non si fa vivo, che facciamo? Non possiamo scappare per sempre.”
“La città è pattugliata dagli Scuttlers e dai Blue Lions, e sarà così fin quando non ci troveranno. Se Arthur non dovesse farsi vivo, dovremmo allontanarci da Birmingham.”
“Come? Il canale e la barca di tuo zio di certo sono sotto sorveglianza.”
Tommy si accese una sigaretta e si passò una mano fra i capelli, era sempre più nervoso col trascorrere delle ore.
“Pensi che quella sia l’unica barca di mio zio?”
“Giusto, tu hai sempre un asso nella manica!” disse Ariadne con un sorriso.
“Tommy Shelby vede e provvede.”
“Non bestemmiare in chiesa.” Lo rimproverò lei in tono scherzoso.
Tommy abbozzò un piccolo sorriso. Si accorse che Ariadne si massaggiava gli occhi arrossati e ogni tanto sbadigliava.
“Dovresti riposare un po’. Puoi sistemarti su una panca.”
Ariadne, però, si sdraiò accanto a lui e poggiò la testa sulle sue gambe.
“Sei comodo, Tom. Sei morbido.”
Tommy la osservò dall’alto e le accarezzò un riccio ramato sfuggito dall’elastico.
“Mmh.”
Ariadne chiuse gli occhi e si addormentò con Tommy che le accarezzava dolcemente i capelli.
 
“Ariadne, svegliati. Sei andata in letargo?”
Ariadne sbadigliò e si stiracchiò come un gatto, aprendo gli occhi gradualmente per abituarsi alla luce.
“Svegliati, dai. Mi stai bloccando la circolazione.” Si lamentò Tommy.
La ragazza si mise seduta e Tommy si alzò per scuotere le gambe atrofizzate.
“Hai dormito un po’? Hai una pessima cera.” Disse la ragazza in uno sbadiglio.
In realtà Tommy aveva sonnecchiato a stento per un’ora, per lui era impossibile riposare mentre il pericolo incombeva come una spada sulla testa. E poi ammirare Ariadne dormire serena era stato di gran lunga più interessante. Quei pensieri lo facevano sentire un adolescente alla prima cotta, e si odiava per questo.
“Ho dormito poco. Sono le cinque e Arthur non si è fatto vedere. Devo chiamarlo per capire il motivo di questo ritardo. Nella sagrestia dovrebbe esserci un apparecchio telefonico.”
Ariadne si lisciò le pieghe della camicetta ormai sgualcita e si aggiustò i capelli in uno chignon.
“Se mi lavo la faccia con l’acqua santa sembra brutto?”
Tommy la fulminò con lo sguardo, però stava facendo il possibile per non ridere.
“Tu hai dei problemi, ragazzina. E comunque puoi usare il bagno della sagrestia.”
Giunti in sagrestia, la ragazza andò dritta in bagno e Tommy chiamò il Garrison.
“Qui parla Margar-“
“Sono Tommy. Dov’è Arthur?”
“E’ nel privè con un ragazzo riccio.” Rispose Margaret.
Tommy socchiuse gli occhi, il ragazzo riccio doveva essere Julian e ciò significava che quella faccenda stava volgendo al termine.
“Riferisci ad Arthur che ci vediamo a Brum.”
“D’accordo.”
Tommy mise giù la cornetta con un ringhio a metà tra la rabbia e l’irritazione.
“Cos’è Brum?” volle sapere Ariadne.
Si era sciacquata la faccia con l’acqua fresca e ora si sentiva più energica, anche se le occhiaie raccontavano notti insonni.
“Brum è la città vecchia, la parte più antica di Birmingham.”
“Come usciamo dalla chiesa? L’auto che ci seguiva ieri può essere ancora qui.”
Tommy ispezionò la strada da una delle finestrelle, non vide e nulla e annuì.
“Ed è per questo che useremo il prete per uscire.”
“Il prete?”
Ariadne si voltò quando sulla soglia della sagrestia comparve il prete, un uomo anziano con i baffi spettinati e la faccia rubiconda.
“Chi siete? Che ci fate qui?”
Tommy inserì la sicura e puntò la pistola contro il prete, che sbiancò alla vista della canna poggiata sulla fronte.
“Ora prendi il tuo fottuto furgoncino e ci porti lontano da qui.”
“Voi chi siete?” ripeté l’uomo in preda al panico.
“E’ un ordine dei Peaky Blinders.”
 
Ariadne borbottò all’ennesima buca che le faceva sbattere la testa contro il tettuccio del furgone. Mentre il prete stava alla guida, lei e Tommy erano confinati nel retro del mezzo che era fatto per contenere una sola persona. Erano schiacciati l’uno contro l’altro tanto che Ariadne poteva sentire il cuore di Tommy battere contro la spalla.
“Non credi di essere stato troppo brusco col prete?”
“No.”
Tommy mosse un braccio e la sua mano finì sulla coscia di Ariadne.
“Sei un dannato stronzo.” Disse lei, ridendo.
Il furgoncino prese l’ennesima buca che fece ribaltare le posizioni, e così Ariadne cadde direttamente addosso a Tommy. Lui grugnì per aver sbattuto la testa.
“Sei pesante.”
“Scusami se non sono leggiadra come una gazzella.”
La ragazza gli premette le mani sul petto facendo leva per rialzarsi. Tommy emise un verso strozzato dal profondo della gola.
“Spostati.”
“Ti ho fatto male? Non ti ho mica rotto le costole?”
Tommy ghignò per l’espressione preoccupata di Ariadne, le si formava una ruga sulla fronte quando era in ansia. Lei provò di nuovo a cambiare posizione e Tommy emise quello che sembrava un gemito.
“Ariadne, togli il ginocchio destro.”
Solo allora Ariadne capì che il suo ginocchio toccava l’inguine di Tommy ogni volta che si muoveva. Rossa in viso per l’imbarazzo, rotolò di lato e si appiattì contro la parete. A salvarla dalla vergogna fu il furgoncino che rallentò fino a fermarsi.
“Siamo arrivati.” Disse il prete, la voce ancora impaurita.
Ariadne si mise carponi per arrivare alla maniglia e uscire, ma lo sguardo di Tommy non era d’aiuto.
“Mi stai fissando ancora.”
“Sei davanti a me, è ovvio che ti sto fissando.”
La ragazza per un pelo non capitolò per terra, fece in tempo ad aggrapparsi alla mano di Arthur tesa verso di lei.
“Cazzo sei, un bisonte?”
“Voi Shelby siete soliti fare cattivi commenti sul peso delle signore?”
“Solo quelle con i capelli rossi.” Disse Tommy dietro di lei.
Brum era un ammasso di ruderi, vetri rotti e edifici crollati. I bidoni della spazzatura riversavano caterve di rifiuti per le strade, la puzza era tremenda.
“Io faccio quattro chiacchiere con il prete, voi andate avanti.” Disse Arthur.
Tommy afferrò Ariadne per il gomito e gentilmente la fece incamminare verso quella che un tempo era stata una banca.
“Ucciderà il prete?”
“Gli darà dei soldi per farlo stare zitto. Nessuno sospetterà che un prete abbia scortato due fuggitivi.”
La ragazza rimuginò su quelle parole.
“Fuggitivi. È questo che siamo?”
“Non per molto.”
I passi successivi furono compiuti in silenzio. La zona era tetra, neanche il cielo azzurro limpido riusciva a rischiarare l’atmosfera. Sembrava uno di quei luoghi loschi in cui Sherlock e Watson finivano per indagare e magari a trovare un cadavere.
“Aspetta.”
Tommy arrestò il passo e fece un giro su se stesso per guardare la ragazza.
“Che c’è? La tua libertà è a meno di un metro.”
“Io voglio baciarti.”
“Ariadne …”
“Sta zitto.”
Ariadne lo afferrò per il bavero della giacca e lo baciò senza indugiare oltre. Voleva provare ancora una volta quel brivido di piacere che provava quando si baciavano. Se la sua vita stava per cambiare, voleva portare con sé quel dolce ricordo. Tommy la strinse forte quasi volesse imprimere fra le proprie dita la forma e la consistenza del suo corpo.
“Prendetevi una stanza!” gridò Arthur, baldanzoso.
Ariadne si staccò e sorrise, ed era così bella che Tommy sentiva dolore fisico solo a starle così vicino.
“Andiamo.”
Quando entrarono nella banca, la puzza era minore ma ogni superficie era coperta da polvere e calcinacci di ogni tipo. I lampadari erano franati e sul pavimento distrutto erano disseminati vecchi pezzi di lucernari.
“Ariadne!”
“Jules!”
Ariadne si fiondò fra le braccia del fratello, affondando la guancia nel suo petto per annusare il familiare odore di casa. Julian col suo metro e ottanta riusciva a circondarla tutta con le braccia.
“Mi sei mancata, Aria. Stai bene?”
“Sto abbastanza bene. E mi sei mancato anche tu!”
“Hai quello che ti ho chiesto?” fece Tommy.
Julian sciolse l’abbraccio e indietreggiò per prelevare una cartellina dalla valigetta che aveva rubato a Eric.
“C’è tutto.”
Tommy lesse rapidamente i fogli, annuiva e assottigliava gli occhi quando leggeva le parti in piccolo.
“Bene, c’è tutto.”
Ariadne si morse le labbra, una strana sensazione le scombussolava lo stomaco.
“Che succede? A che servono quei fogli? E perché serve la mia firma?”
Tommy chiuse gli occhi e si passò l’unghia del pollice sulla fronte, era teso come una corda che presto si sarebbe spezzata.
“La soluzione che ho trovato è un matrimonio. Un altro matrimonio.”
“Un … un matrimonio? Tom, non capisco.”
Ariadne stava iperventilando, era sudata e tremava come una foglia. Julian le mise le mani sulle spalle per calmarla.
“Ssh, Aria. Il piano di Tommy non è malvagio come sembra.”
“Io … io non … non capisco.”
Tommy fece schioccare le ossa del collo come faceva quando si preparava a una lotta.
“Tu sposerai mio cugino Michael.”
“No! No! No!”
“E’ l’unico modo che hai per liberarti di Mick King. Se provi a scappare, ti trovano. Se cambi identità, ti trovano. Se ti rifiuti, a suon di botte ti portano su quel fottuto altare. Cerca di capire!”
Ariadne si tolse di dosso le mani del fratello e si appoggiò ad una colonna mezza franata.
“Sei un egoista! Tu mi vuoi nella tua famiglia perché ti fa comodo avere una Evans dalla tua parte. Un membro dei Blue Lions nei Peaky Blinders per te è un motivo di vanto. Riusciresti a soffiare la moglie a Mick King! Saresti l’idolo delle strade!”
Tommy si mosse in avanti ma Ariadne arretrò fino a mettere una certa distanza fra di loro.
“A te fa comodo diventare parte della famiglia. Io posso darti quello che vuoi. Tutto quello che vuoi. Vuoi tornare a studiare? Va bene. Vuoi una bella casa col giardino e un cane? Va bene. Vuoi un fottutissimo diamante? Va bene! Va bene perché sono Tommy Shelby e posso darti tutto!”
“Io voglio essere libera! Tu mi hai detto che devo scegliere da sola e ora mi togli la liberà di fare una scelta?”
“Non puoi scappare.” Disse Julian.
Ariadne gli rivolse un’occhiataccia, era disgustata anche da lui.
“Tu chiudi la bocca!”
“Aria, ma non capisci? Nostra madre ti troverà ovunque andrai, anche in capo al mondo! Lo sai di cosa è capace.”
“Quindi dovrei rinunciare alla mia vita perché nostra madre è un mostro?”
“Sì.” ammise Julian, affranto.
Tommy intanto si era avvicinato e ora posava la mano sulla spalla di Ariadne.
“Non puoi risolvere questo ostacolo, puoi solo aggirarlo. Se entri nei Peaky Blinders, se diventi una della famiglia, nessuno oserà farti del male. Potremo proteggerti da ogni minaccia.”
“Ho paura, Tom.”
Tommy la prese per mano e ne baciò il dorso, le sue labbra era come fuoco sulla pelle.
“Guardami. Guarda me e non pensare a niente.” Sussurrò lui.
“Tom …”
Ariadne aveva gli occhi umidi, le lacrime si erano raccolte agli angoli degli occhi e combattevano per uscire.
“Michael non ti toccherà. Sarà tuo marito solo a titolo, ma di fatto non dovrete essere coniugi davvero. Sarai libera come vuoi a patto che accetti il cognome di Michael. Tutto qui.”
“Perché mi fai questo?”
Era una bambina in quel momento e lui era l’uomo nero delle favole.
“Lo faccio per te.”
“Lo fai per gli affari.”
Ariadne gli diede uno strattone e tornò accanto a Julian, che aveva gli occhi lucidi come la sorella.
“Aria, mi dispiace. Vorrei ci fosse un altro modo.”
“Dammi una penna.”
Arthur le diede la penna e lei si chinò sul bancone crepato dell’ex banca per firmare. La cartellina conteneva il suo atto di nascita, i suoi documenti, le sue informazioni sanitarie e anche una piccola somma di denaro ceduta a Michael come dote. Scrisse velocemente il suo nome. Si era appena condannata ad una vita di sofferenza.
“Sposerò questo Michael.”
 
Julian se ne stava con la fronte appoggiata al finestrino, con la città che sfrecciava al di là del vetro. Ariadne era seduta al suo fianco, immobile, sembrava una bambola di pezza. Il suo sguardo era smarrito, le mani strette in grembo, e la pelle pallida.
“Aria.” La chiamò dolcemente.
Lei scattò quando Julian tentò di toccarle la guancia.
“Non toccarmi.”
Tommy, seduto davanti accanto ad Arthur che guidava, concentrava l’attenzione sulla sigaretta perché non sopportava la vista di Ariadne.
“L’abbiamo fatto per te.” disse Julian.
“Grazie per avermi venduta ad uno sconosciuto.”
Tommy aveva bisogno della firma di Julian per stipulare il contratto matrimoniale in quanto era maggiorenne ed era il fratello della promessa sposa. Per Ariadne lui l’aveva tradita senza mezzi termini.
“Mi dispiace, non so che altro dire.”
“Allora chiudi quella boccaccia.” Ribatté lei.
Tommy gettò la cicca fuori dal finestrino e respirò l’aria fresca per un istante prima di ingaggiare un altro litigio.
“Ti accompagniamo nella tua nuova casa. Due giorni fa Arthur e Finn hanno comprato una palazzina a tre piani in Victoria Street. Ti piacerà, è una bella zona.”
Ariadne non proferì parola, ma la furia nei suoi occhi la diceva lunga.
“Victoria Street è un bel posto. C’è anche una piccola libreria nei dintorni.” Disse Julian.
“Magari mi cade un libro in testa e mi sveglio da questo incubo.”
Victoria Street si trovava nello stesso distretto di Small Heath, e il Garrison distava solo quindici minuti da quella strada. Tommy ancora una volta voleva imporre il proprio controllo.
“Cerca di collaborare.” La ammonì Tommy.
Ariadne si avvicinò al sedile davanti e parlò al suo orecchio con cattiveria.
“Non sarò docile come speri.”
Il resto del tragitto fu dominato dal silenzio e da qualche sospiro, erano tutti stanchi e amareggiati. Quando si trovarono in Victoria Street, Ariadne individuò subito la palazzina perché era l’unica a tre piani. Tommy prese una boccata d’aria e si accese un’altra sigaretta, eppure tutta quel fumare non lo aiutava per niente.
“Julian recupererà la tua roba, vestiti e altro. A pranzo e a cena Margaret ti porterà da mangiare. Finn e un altro paio di uomini resteranno in strada per piantonare la casa e tenerti al sicuro.”
Ariadne lo sorpassò, nessuna parola e nessuna occhiata, e infilò le chiavi nella toppa. Chiuse la porta prima che Julian o Tommy cercassero di entrare.
“Lasciatela da sola. Deve sbollire la rabbia.” Disse Arthur.
“Io vado a piedi, ho bisogno di schiarirmi le idee.” Disse Julian.
Tommy gli fece un cenno con la testa, montò in auto e si obbligò a non guardare la palazzina. Non poteva reggere l’odio di Ariadne un minuto di più.
 
 
Salve a tutti! :)
Tadaaan, ecco un nuovo matrimonio che peggiorerà le cose!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
Ps. Victoria St. è davvero una strada di Birmingham nei pressi di Small Heath.
La chiesa di Saint Anne esiste davvero a Birmingham nel quartiere di Digbeth.
 

 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


11. EPILOGO

“L’inferno è la sofferenza di non poter più amare.”
(Fëdor Dostoevskij)
 
 
Una settimana dopo
Ariadne fissava la tazzina con sguardo perso. Il tè caldo creava strisce bianche mentre girava il cucchiaino di zucchero. Sospirò. Era stanca, anche se aveva dormito per tutto il giorno. Da quando si era trasferita nella nuova casa, non faceva altro che dormire, mangiare e guardare il sole tramontare alla sera. L’unica distrazione erano il disegno e la pittura. Il terzo piano della palazzina in realtà era una mansarda che lei aveva trasformato nel suo studio artistico. Finn l’aveva aiutata ad arredare lo spazio con una chaise longue di velluto verde adornato da un cuscino cucito a mano dalla sorella di Margaret. Avevano pulito per bene la finestra e ci avevano piazzato davanti un cavalletto e un tavolino per depositare pennelli, tavolozze e qualche straccio per le mani.
Era sempre sola, eccezione fatta per Margaret che le portava la spesa ogni due giorni. Julian le aveva fatto visita, aveva atteso per ore sulle scale, ma lei non gli aveva mai aperto. Tommy, invece, non si era fatto più vedere né sentire. Quei pensieri furono interrotti dal campanello che suonava. Forse era di nuovo Julian, ma poi bussarono direttamente sul legno del portone con veemenza.
“Chi è?”
“Sono Ada Shelby. Hai intenzione di lasciarmi qui fuori?”
“Prego.”
Ariadne con uno sbuffo aprì e vide una donna bellissima che sorrideva soddisfatta.
“Sei tu Ariadne, giusto? Tommy non mi aveva detto che sei così carina.”
“Tommy è uno che non dice molte cose.”
“Touché!” disse Ada con una risata.
“Vuoi qualcosa? Ti posso offrire una tazza di tè, ma non ho il latte.”
Ada si sedette sul divano e allungò le gambe sul tavolino di cristallo.
“Non sono qui per il tè. Sono qui per accompagnarti al porto di Londra.”
“Perché?”
“Perché Michael torna oggi.”
Michael Gray, il suo futuro marito. Ariadne non lo conosceva ancora, non conosceva il suo aspetto e neanche il suo carattere. Sapeva solo che era bravo con i numeri e che per questo era il contabile degli Shelby. Sua madre era Polly, la donna affascinante che aveva conosciuto al Garrison qualche tempo prima.
“Torna oggi? Così presto?”
Ada lesse negli occhi della ragazza paura e tristezza, sentimenti a lei ben noti.
“Tesoro, capisco che per te deve essere difficile. Però sappi che Michael è un tipo apposto, e soprattutto è molto bello!”
“Non mi interessa che sia bello. Voglio solo che sia una persona … decente.”
“Andrà tutto bene. Fidati di me.”
Ariadne non si fidava più. Aveva dato fiducia agli Shelby e loro l’avevano usata contro di lei, imprigionandola in una gabbia d’oro.
“Faccio fatica a fidarmi di voi.”
“Siamo la tua famiglia adesso, devi per forza fidarti.” Disse Ada con un sorriso.
Ariadne incrociò le braccia come a volersi difendere.
“Perché non è venuto Tommy? Scommetto che ha troppa paura di affrontarmi.”
“Tommy ha sempre le sue ragioni per fare quello che fa. Cercare di capirlo è impossibile. Ora va a vestirti, abbiamo tante cose da fare in questa bella giornata di sole!”
 
Ariadne avrebbe voluto vomitare la colazione per l’ansia che la divorava dall’interno. Dopo essere arrivate a Londra, scortate da Finn, lei e Ada avevano fatto un breve giro della città e poi si era dirette al porto. Ora attendevano che la nave in arrivo da New York attraccasse.
“Eccola!” esultò Ada, sventolando la mano.
Pochi minuti dopo Ariadne vide un ragazzo camminare verso di loro con una valigia e un mazzo di fiori. Grazie alle informazioni ricavate da Finn sapeva che Michael aveva venticinque anni compiuti da poco.
Ada lo abbracciò e gli strizzò una guancia a mo’ di scherno.
“Cugino, ti presento la tua fidanzata.”
“Michael Gray, è un vero onore conoscerti.”
Michael allungò la mano con un sorriso bonario e Ariadne la strinse con incertezza. Stava tremando.
“Ariadne Evans.” Riuscì solo a dire.
Doveva ammettere che il suo fidanzato era un bel ragazzo dai capelli castano chiaro e un paio di luminosi occhi chiari.  Indossava un completo grigio troppo severo per la sua giovane età, ma al tempo stesso lo rendeva molto professionale.
“Passeggiamo?” domandò Michael.
Ariadne impiegò qualche secondo a capire che parlasse con lei, quindi si affrettò ad annuire. Bene, il primo incontro col suo futuro marito era un vero disastro.
“Certo.”
“Finn, prendi la mia valigia e portala a casa di Ada. Vi raggiungiamo a piedi.”
Ada e Finn salirono in macchina con aria contenta, era un bene per tutti che la novella coppia andasse d’accordo.
“Ah, miseria! Questi fiori sono per te.” disse Michael, rammaricato.
Ariadne accettò il mazzo di girasoli nella totale confusione, non sapeva come comportarsi e si sentiva troppo impacciata.
“Grazie. Avrei dovuto regalarti qualcosa anche io …?”
“No, no! Ho solo pensato che i fiori fossero un buon modo per spezzare il ghiaccio, ma noto che non sta funzionando.”
Ariadne sospirò e chiuse gli occhi, si sentiva sopraffatta da mille emozioni ed erano tutte negative.
“Scusami. È solo una situazione strana. Molto strana.”
La ragazza trasalì quando Michael le prese la mano per stringerla piano.
“E’ una situazione difficile per entrambi, lo capisco. Il matrimonio non rientrava fra i miei piani, io volevo fare affari in America, insomma avevo altre ambizioni.”
“Ma Tommy detta legge.” Chiosò Ariadne a bassa voce.
“Già. Lui è il boss e noi obbediamo. Se questo matrimonio ti può aiutare a non finire con gli Scuttlers, io sono lieto di aiutarti e di sposarti.”
“Grazie, Michael.”
Michael le accarezzò la guancia, e lo fece come un gesto di pura amicizia.
“Allora sarò il tuo migliore amico in questa follia.”
Ariadne si lasciò andare a una risata, era la prima volta che rideva da tempo.
“E io sarò la tua migliore amica.”
 
Tre giorni dopo
“Ariadne, sei pronta?” domandò Michael dal fondo delle scale.
“Un minuto e arrivo!”
Ariadne si aggiustò un riccio sfuggito dall’acconciatura e si guardò un’ultima volta allo specchio, dopodiché andò di sotto e trovò Michael con la porta aperta.
“Sei bellissima.”
Quella sera festeggiavano il loro fidanzamento. Polly aveva preteso una grande festa perché l’unione fra uno Shelby e una Evans andava celebrata in grande stile.
“Grazie. Anche tu stai molto bene!”
Michael non smise di sorridere mentre attraversavano il vialetto. Sorrideva anche mentre guidava verso il luogo del ricevimento.
 
Polly si era davvero superata nell’allestimento della festa. Il locale scelto per la festa era il Delux, uno dei più rinomati ristoranti della città grazie alla clientela che includeva solo gente ricca e influente. Il parcheggio era pieno di auto e la gente si accalcava all’ingresso tra risatine e sorrisi.
“Non penso di farcela.” Bisbigliò Ariadne.
Era nervosa, tormentava le frange sul vestito, ed era terrorizzata di tutte quelle persone che aspettavano solo lei.
“Ariadne, stai tranquilla. Non ti possono mangiare.”
“A meno che non siano cannibali.”
Entrambi si misero a ridere, la tensione si era un poco dissipata.
“Ci sono io con te. Andiamo?”
“Andiamo.”
Entrarono nel locale a braccetto e sorridenti. Tutti si avvicinarono a loro per i saluti e le congratulazioni, e alcuni di loro facevano battutine tremende sulla vita da sposati. Michael e Ariadne ridevano e sorridevano, stringevano mani e scambiavano convenevoli, ma non si separavano mai l’uno dall’altro.
“Ecco qua la mia coppia preferita!” esclamò Polly a braccia aperte.
Ariadne aveva imparato che Polly, oltre ad essere una bella donna, era anche intelligente e sfacciata, furba e generosa quando ne aveva voglia. Era la madre che non aveva mai avuto.
“Mamma, non mettere Ariadne in imbarazzo.” Disse Michael, divertito.
“Farò la brava, promesso. Michael, va a salutare il signor Lincoln, quello delle tasse.”
Michael si congedò da Ariadne con un bacio sulla guancia e andò a farsi splendido col signor Lincoln, uno dei papabili soci degli Shelby.
“Ti prendo qualcosa da bere, Polly?” chiese Ariadne.
“Cara, tu pensa solo a divertiti stasera. So che non è facile ma puoi farcela. Va al bar e ordina qualcosa di forte! Io vado in giro a fare gli onori di casa.”
Ariadne guardò Polly ancheggiare fra gli invitati nel suo abito nero scintillante; quella donna era una forza della natura.
“Cosa ordinate?” domandò il barman al di là del bancone.
“Un bicchiere di acqua con ghiaccio e due foglie di menta. Grazie.”
C’era una vasta gamma di alcolici che si sarebbe voluta scolare per reggere quella serata, ma sapeva che era imperativo restare lucida e non perdere il controllo.
“Ariadne.”
Voltandosi, incontrò il sorriso gentile di Bonnie Gold. Indossava un completo elegante, nero lucido, con tanto di papillon e capelli pettinati all’indietro.
“Bonnie! Ma che piacere! Barman, un whiskey per il signore.”
Si diedero un rapido abbraccio, poi si sedettero sugli sgabelli del bar a chiacchierare.
“Come stai? È da un po’ che non ci vediamo.”
“Sto bene. Sono stata impegnata molto negli ultimi tempi. Tu e tuo padre?”
Bugiarda, pensò. Non stava né bene e non era neanche stata impegnata. Si era ritrovata rinchiusa nella torre d’avorio che gli Shelby avevano costruito appositamente per lei.
“Noi stiamo bene. Stiamo ristrutturando casa nelle parti distrutte. Potresti venire a trovarci qualche volte.”
Ariadne trangugiò la sua acqua alla menta in un sorso solo, aveva la gola arida e sembrava che le parole faticassero a venire fuori.
“Sì, certo.”
Bonnie si accigliò perché la ragazza che aveva davanti non era l’Ariadne che conosceva. La sua amica era tenace e sorridente, mentre la ragazza di ora era turbata e sempre sulla difensiva.
È terribile quello che ti hanno fatto.”
“Sarebbe stato peggio finire nelle mani di Mick King.” Replicò lei, fredda.
“Meriti di meglio, Ariadne.”
Bonnie cercò di toccarle la mano ma Ariadne si tirò indietro con uno scatto veloce.
“Per ora merito di sopravvivere. Scusami, devo andare alla toilette.”
 
Tommy e Lizzie arrivarono tardi al Delux perché Charlie aveva fatto i capricci prima di addormentarsi. Loro lo avevano cullato fino a quando non era crollato e la domestica lo aveva messo a letto in camera sua. Fuori in giardino Arthur e Aberama stavano fumando in compagnia di altri giovani Peaky Blinders.
“Tommy, è una gran bella festa.” Si complimentò Aberama.
“Polly è la migliore quando si tratta di feste.”
Quando fecero il loro ingresso, Lizzie fu assalita dalle braccia di Ada che la stringevano in un caloroso abbraccio. Gli occhi di Tommy vagarono nella sala in cerca di Ariadne. Vedeva solo parenti, amici e qualche socio d’affari. Poi la vide uscire dal corridoio della toilette e fermarsi ad osservare un quadro appeso dalla parete. Non era un bel dipinto, eppure lei si era fermata solo per distrarsi un attimo.
“Io vado al bar. Ada, occupati di Lizzie.” disse Tommy.
Dal bancone aveva un’ottima visuale di Ariadne, perciò si accomodò e la guardò con la coda dell’occhio. Era bella, una bellezza che gli faceva battere il cuore ma anche perdere i battiti. Indossava un abitino viola a bretelle sottili e lungo fino al ginocchio, ornato da lunghe frange color argento che ondeggiavano ad ogni suo passo. Aveva legato i ricci ribelli in uno chignon ordinato, però c’era sempre il solito riccio sulla tempia destra che sfuggiva dall’acconciatura.
Tommy spostò lo sguardo sul proprio drink, voleva essere leggero come le bollicine che galleggiavano sulla superficie del bicchiere. Invece era pesante per colpa delle sue azioni passate, presenti e di certo anche future. Non era mai stato un brav’uomo e non lo sarebbe mai diventato.
“Continuerai a fissarmi ancora per molto?”
Tommy si irrigidì quando Ariadne si sedette accanto a lui. La fragranza di bergamotto era così intensa che la sentiva riverberare nei polmoni.
“Temo di morire incenerito se mi avvicino a te.”
Ariadne emise una risata strozzata.
“Purtroppo non ho questo dono, altrimenti ne avrei già usufruito.”
Tommy allora sollevò lo sguardo ed ebbe un fremito quando incrociò gli occhi color ambra che aveva imparato ad amare.
“Avrei fatto altre scelte se ne avessi avuto la possibilità.”
“Io ti credo, Tom. Resta il fatto che adesso sono in gabbia.”
Tommy sospirò, era stremato dalla sua stessa mente che gli dava il tormento. L’idea che lei potesse odiarlo gli faceva accapponare la pelle per il disgusto.
“Dimmi quello che vuoi. Dammi un modo per rimediare.”
Ariadne si alzò e gli parlò all’orecchio, facendogli venire i brividi.
“Una volta mi hai detto che dovevo fare le mie scelte. Stasera scelgo di essere Judith per l’ultima volta. Ci vediamo a mezzanotte sulla barca di Charlie Strong. Non fare tardi.”
Tommy sorrise fra sé senza sapere che Lizzie e Michael lo stavano guardando con astio.
 
Tommy portò la mano sulla pistola quando sentì un rumore metallico provenire dall’esterno. Era sulla barca di suo zio, ancora attraccata al canale, e poco prima aveva ispezionato la zona per accertarsi di non essere seguito. In quei giorni non aveva avuto notizie né degli Scuttlers né dei Blue Lions, però lui sapeva bene che erano spariti solo perché stavano architettando qualcosa.
“Tom, sono io.”
Aprì la porticina e Ariadne scese in cabina; indossava un semplice vestito azzurro e portava i capelli sciolti, non portava gli orecchini e sulle labbra restava un vago alone di rossetto.
Tommy si passò la punta della sigaretta sulle labbra per inumidirla e poi l’accese, tossendo subito dopo per via dei suoi fragili polmoni.
“Perché siamo qui? Vuoi chiedermi di tornare a studiare? Sai che posso farlo.”
“Siamo qui per porre fine alla nostra storia.”
“Abbiamo una storia di cui non so nulla?” chiese Tommy con un ghigno.
Ariadne non sorrideva, restava seria come una statua di marmo. Faceva paura.
“Ti ricordi la nostra notte a Londra? Beh, sembrava che fra di noi ci fosse qualcosa.”
Tommy buttò fuori una nuova di fumo, sperava di nascondersi dietro di essa.
“Ma quelli non erano Tommy Shelby e Ariadne Evans. Altri tempi, altre persone, altra città.”
“Anche i sentimenti sono altri?”
“Cosa vuoi che ti dica, Ariadne? Non ho una cazzo di risposta da darti.”
Ariadne gli strappò la sigaretta dalle labbra, la gettò a terra e la spense con la suola della scarpa.
“Dimmi la verità, ecco cosa voglio. Da quella volta i sentimenti sono cambiati?”
“Lo devo dire a Judith o ad Ariadne?”
“Lo devi dire a me.” replicò lei.
Tommy capì che la ragazza volesse essere vista per chi era davvero, senza Judith o Ariadne di mezzo. Voleva che qualcuno la leggesse come si legge un libro che si conosce a memoria.
“I sentimenti sono gli stessi.”
“Allora passa la notte con me.”
Tommy indietreggiò, spinto via dalle sue stesse debolezze che si dibattevano in lui.
“Non possiamo. Questo complicherà solo le cose.”
Ariadne lo agguantò per il polso e gli sollevò il mento con le dita, voleva essere guardata dritto in faccia. Gli occhi sono lo specchio dell’anima, e quelli di Tommy parlavano tanto.
“Hai detto che puoi darmi tutto quello che voglio. E io voglio fare l’amore con te.”
“Lo voglio anche io, lo sai. Però se lo facciamo … ah, cazzo! Sarà un fottuto casino.”
“Una sola notte, Tom. Una soltanto. Poi sarò tutto finito.”
Tommy aveva fatto una marea di errori in vita sua, gli ritornavano indietro come onde e lo affogavano, ma in quel momento compiere quell’azzardo era la cosa che più desiderava. Voleva Ariadne. La voleva da quando l’aveva vista per la prima volta a Londra. Sapere che Ariadne voleva lui, che lo desiderava allo stesso modo, lo aveva fatto sorridere per tutta la sera come un ragazzino.
“Facciamo questa enorme cazzata.”
Ariadne ridacchiò e gli diede un pugno giocoso sul petto.
“Facciamo questa cazzata, signor Shelby.”
Un attimo dopo Tommy la cinse con le braccia, premendola contro di sé. Ariadne gli circondò il collo con le mani per attirarlo, voleva sentirlo più vicino. Lui fece scivolare la mano fra i ricci rossi e la premette sulla nuca per approfondire quel contatto. Man mano sentivano la passione aumentare. Magnifico, pensò la ragazza. Era magnifico il modo in cui si stavano baciando. Ariadne fu sopraffatta dalle vertigini quando sentì la mano di Tommy che dalla nuca scendeva lungo il collo, le accarezzava la spalla, e poi scorreva verso il basso a sfiorarle il seno destro. Quel tocco la mandò su di giri, nessuno l’aveva mai toccata in maniera così intima. Lui era il primo a cui lei aveva scelto di concedersi. Lo voleva ad ogni costo.
“Ariadne.” Disse Tommy, soffiandole il nome sulle labbra.
Avvertiva il doloroso spasimo del desiderio che gli rivoltava l’anima, però voleva fare le cose con calma per non metterle nessuna pressione.
“Sì?”
La ragazza gli sussurrò sulla bocca e lui dovette chiudere gli occhi per mantenere un briciolo di autocontrollo. Quando riportò lo sguardo su di lei, ogni buona intenzione svanì. Lei era troppo bella, lo attirava come una sirena e lui si faceva trascinare in fondo al mare senza opporsi. In quel breve istante seppe che una sola notte non gli sarebbe mai bastata.
“Sei sicura? È la tua prima volta. Vuoi disobbedire a tua madre in questo modo?”
“Io sono sicura. E tu sei sicuro?”
Tommy la baciò di nuovo, questa volta con maggiore bramosia. Affondò le mani fra i suoi ricci e la spinse leggermente contro il tavolino sbilenco attaccato alla parete. Ariadne barcollò indietro, afferrò il bordo di legno e vi si appoggiò. In automatico allargò le gambe per permettere a Tommy si farsi più vicino.
“Sono sicuro come sono sicuro che l’inferno esiste.”
Ariadne rise gettando la testa indietro, al che Tommy ne approfittò per baciarle il collo. Mentre lui continuava a baciarle lo spazio fra collo e spalla, la ragazza gli tolse la giacca e gli abbassò le bretelle dello smoking. Le mani di Tommy intrapresero un nuovo cammino, dai fianchi alla vita e salendo fino a chiudersi a coppa sui seni. Lei sussultò a quella nuova sensazione, era più piacevole di quanto si aspettava. In tutta risposta Tommy le infilò le dita sotto il vestito, accarezzandole la pelle nuda delle gambe. Dalle caviglie risalì alle cosce, tastando ogni centimetro con ardore.
“Tom … aspetta … fermati.”
“Ho sbagliato qualcosa?”
Tommy era preoccupato, le mani ora erano sollevate come in segno di resa. Ariadne non lo aveva mai visto tanto vulnerabile.
“E’ solo che il tavolino è un po’ scomodo …” ammise lei, arrossendo.
In effetti, la schiena iniziava a farle male a causa del legno duro pressato contro il suo corpo.
Tommy sorrise per le gote arrossate della ragazza, dimostrava tutta la sua giovane età in quello sguardo un po’ imbarazzato ma anche meravigliato. Si andò a sedere sulla brandina, che non mancò di cigolare sotto il suo peso, e le fece un cenno con la mano.
“Vieni.”
Quando Ariadne gli fu di fronte, Tommy le avvolse i fianchi con le mani e la guidò verso di sé. La ragazza finì per sedersi a cavalcioni su di lui. Il rossore in viso era peggiorato ora che in quella posizione il suo corpo era incollato a quello di lui.
“Non parli più? Di solito mi infastidisci fino allo sfinimento.”
“Sei davvero uno stronzo, Shelby.” Disse lei, ridendo.
Tommy si accorse che Ariadne si stava rilassando fra le sue braccia, non era più rigida come pochi minuti prima. Approfittò di quella serenità per riprendere a baciarla. Questa volta Ariadne si inarcò contro di lui e gli afferrò il colletto della camicia per baciarlo con passione. Stavano entrambi bruciando, e non sapevano se fossero fiamme nere infernali o celesti fiamme del paradiso. Tommy sorrise fra i baci mentre Ariadne gli sbottonava la camicia, lasciando qualche carezza qua e là. Erano anni che non provava quel brivido di piacere che gli scuoteva le viscere. Era come tornare a respirare dopo una lunga apnea.
“Non durerò molto se continui a toccarmi così.”
Ariadne si staccò con il viso rosso come un pomodoro. Gli diede un pizzico sul braccio per ripicca.
“Ti detesto quando fai così.”
“Quindi mi detesti sempre.”
La ragazza scosse la testa e rise, doveva ammettere che lui l’aveva messa in imbarazzo sin da quando lo aveva incontrato a Londra. D’improvviso tornò seria, spezzando l’atmosfera piacevole.
“Sai, Tom, il problema è proprio questo. Io non ti detesto affatto.”
Quelle parole colpirono Tommy come un proiettile. Il colpo era pulito e sicuro, aveva fatto centro nel suo cuore con mira incredibile.
“Dovresti odiarmi. Sono uno stronzo che non merita il tuo affetto.”
Ariadne si morse le labbra, voleva gridare ed esternare tutti i pensieri che affollavano la sua mente, ma si limitò a fare un sospiro stanco.
“Dopo stanotte potremo odiarci.”
Tommy deglutì, la sua stessa saliva sembrava amara. Cosa sarebbe successo dopo quella notte? L’avrebbe ignorata? L’avrebbe guardata godersi la sua nuova vita con Michael?
“Sì, ci odieremo.” Disse lui, più a se stesso che a lei.
Ariadne si chinò a baciarlo per spazzare via l’angoscia che presto tutto sarebbe finito. Di lì a poco entrambi sarebbero stati sposati, sarebbero diventati cugini e si sarebbero dovuti comportare rispettando il grado di parentela. Dopo quella notte non ci sarebbe stato più spazio per i sentimenti, per le fughe notturne, per i baci segreti. Tutto stava per finire.
Tommy fece sdraiare Ariadne sul materasso, torreggiando su di lei mentre si sfilava la camicia sbottonata. La ragazza d’istinto gli sfiorò l’addome fino a risalire lungo i pettorali per raggiungere le spalle. Lo tirò verso di sé per baciarlo. Non si sarebbe mai stancata di quei baci.
“Mi dispiace.” Sussurrò Tommy.
Ariadne abbozzò un sorriso, aveva gli occhi lucidi, e fece spallucce.
“Hai mantenuto fede alla promessa di trovare una soluzione.”
Tommy stava per dire qualcosa, ma Ariadne lo baciò prima che una manciata di parole peggiorassero le cose. Si slacciò la sottile cinta di cuoio appesa alla vita del vestito e la fece cadere a terra, poi si sistemò meglio sulla brandina per stare più comoda.
“Lo togliamo questo vestito?” domandò Tommy con malizia.
Ariadne annuì e lasciò che lui togliesse via l’abito lentamente, per tutto il tempo non smise di guardarla negli occhi. Ora che quasi tutti i vestiti erano spariti, tornarono a baciarsi. La cabina si riempiva dei loro respiri affannati. Tommy abbassò le bretelle del reggiseno per lasciare altri baci di fuoco. Il profumo di bergamotto quasi lo stordiva ma era una sensazione straordinaria. Ariadne tremò per la bocca di lui che si faceva sempre più audace. Sussultò quando il gancio del reggiseno scattò e l’indumento rovinò a terra. Tommy si piegò a baciarle lo spazio fra i seni, il suo respiro caldo le faceva venire i brividi in tutto il corpo. Portò le mani sulla cintura di Tommy, al che lui la guardò e scrollò la testa.
“Faccio io.”
Ariadne sgranava gli occhi mentre Tommy muoveva le mani per slacciare la cintura, liberare i bottoni e abbassare la cerniera fino ad abbandonare i pantaloni in un angolo della cabina. La luce traballante illuminava il suo corpo, la pelle bianca era segnata da due tatuaggi e qualche vecchia cicatrice. Ariadne pensò che fosse una statua lavorata dal marmo per essere bellissima. Ecco perché distese la mano per toccarlo, tastando la fattezza dei muscoli delle braccia e del petto. Tommy fece un brusco respiro quando le dita leggere della ragazza gli sfiorarono i pettorali.
“Una sola notte.” Mormorò Ariadne.
Tommy si precipitò sulle sue labbra per impedirle di parlare ancora perché, lo sapevano entrambi, ogni parola quella notte era una condanna. I loro ansimi coprivano il ticchettio dell’orologio da taschino, eppure il tempo era reale e scorreva veloce.
“Mi vuoi davvero, Ariadne?”
Ariadne chiuse gli occhi e ripensò a quanto era successo in pochi mesi, alle cose belle e alle cose brutte, e si domandò in quale categoria collocare Tommy. La risposta era semplice: lui era una cosa bella e brutta al tempo stesso, dolce e amaro in una sola tazzina di tè.
“Ti ho sempre voluto, ma questo tu già lo sai.”
Ariadne era stanca di quell’attesa, presto il sole sarebbe sorto e la magia si sarebbe dileguata. Non c’era altro tempo da sprecare. Strinse le dita intorno alle spalle di Tommy per baciarlo con una tale foga che sembrava impossibile manifestare. Lui rimase stupito dalla determinazione delle sue azioni, era una donna sicura di ciò che voleva e lo stava dimostrando. Le mani di Tommy percossero le sue forme dalle braccia ai seni, lungo i fianchi, e agganciò le dita nella stoffa degli slip.
“Tom …”
“Stiamo per fare una cazzata enorme.” Disse Tommy ridendo.
Anche lei si mise a ridere, forse era l’euforia del momento la ragione di tale divertimento.
“Ne abbiamo fatte tante, una in più non sarà poi così grave.”
“Ti fidi di me, Ariadne?”
“Solo per stanotte.”
Finirono di spogliarsi con calma, si guardavano, ridacchiavano, si baciavano. Con uno sguardo capirono che era giunti al punto di non ritorno. Tommy scivolò in lei lentamente e delicatamente, aspettando che fosse lei a dirgli come e cosa fare. Ariadne si era accigliata, la solita ruga dubbiosa si era appena formata sulla sua fronte.
“Qualcosa non va?” volle sapere Tommy.
“Non fa tanto male. Mi aspettavo di peggio.”
Lisa le aveva detto che la sua prima volta era stata piuttosto dolorosa, anche se poi il fastidio era svanito poco dopo. Invece Ariadne si era sentita smarrita quando il fastidio era durato una manciata di minuti, e credeva di aver sbagliato qualcosa.
“Perché Tommy Shelby è un amante con i fiocchi.” Disse lui, serio.
“Ti stai facendo i complimenti da solo? Ridicolo.”
“Starei facendo altro se tu la smettessi di parlare.”
Ariadne si fece rossa per l’imbarazzo, riusciva a parlare anche quando era meno opportuno.
“Scusami. Fai quello … quello che devi fare.”
Tommy alzò gli occhi al cielo, gli pareva di avere a che fare con un grammofono che non smette mai di suonare. Però doveva ammettere che la musica di Ariadne era bella da ascoltare.
“Grazie per la gentile concessione.”
“Sei davvero un imbec …”
Tommy sorrise compiaciuto perché aveva spinto un poco i fianchi e Ariadne aveva spalancato gli occhi per l’ondata di piacere che la pervase.
“Stavi dicendo?”
“Che ti odio.” Sibilò lei fra i denti.
Tommy con cautela provò a spingere e proseguì quando notò che Ariadne non si lamentava. Ben presto le battutine si esaurirono per fare spazio solo ai loro gemiti. Ariadne gli premeva le gambe intorno ai fianchi mentre lui seguiva il ritmo delle spinte. Si diedero un bacio strano, sembrava un addio atroce. Era come se dopo quella notte il mondo sarebbe finito. Un po’ era così, avevano poche ore a disposizione per fare l’amore per la prima e ultima volta insieme.
È reciproco.” Biascicò Tommy nella foga.
Ariadne era intontita dal piacere, stentava a credere di averlo sentito parlare.
“Eh?”
“Anche io ti voglio.”
Tommy si maledì per quella confessione. Non era stato in grado di fermarsi, le parole erano rotolate via dalla sua bocca con estrema facilità. Volere qualcosa che non puoi avere fa male, questo gli aveva ripetuto zia Polly per anni. E ora che voleva Ariadne, e la voleva con tutto se stesso, non poteva averla per nessuna ragione al mondo.
“Ti odio.” Bisbigliò Ariadne, la voce dura come la pietra.
Quella era solo l’ennesima bugia. Non odiava Tommy, non avrebbe mai davvero odiato l’uomo che desiderava. Ma per il bene di tutti era giusto odiarsi, almeno un pizzico, almeno alla luce del sole.
Tommy si sentiva in subbuglio, diviso fra ragione e sentimento: da un lato c’erano i Peaky Blinders con i loro affari sporchi e dall’altro c’era una ragazza che per anni era sfuggita all’inferno della sua famiglia per poi cascarci di nuovo. Ed era colpa sua. L’ho fatto per lei, si ripeteva all’infinito.
“Vorrei che le cose fossero diverse.”
Lo sguardo di Ariadne si addolcì perché in fondo lo capiva. Anche lei era cresciuta in una famiglia di criminali, l’usura e la violenza erano pane quotidiano, e l’unico obiettivo era difendere gli affari. Tommy era cresciuta come lei, fra una scommessa e troppe bottiglie di whiskey, senza una vera famiglia, e la guerra poi aveva disintegrato ogni traccia di bontà in lui. Aveva perso tanto. Aveva perso sua madre, Greta, Grace, e adesso stava perdendo anche Ariadne.
“Lo so, Tom.”
Tommy posò la testa contro la sua spalla, inalando quella fragranza di bergamotto che ormai adorava. Gli sarebbe mancato averla così vicina tanto da annusare il suo profumo. Le lasciò un bacio sulla guancia, quindi le baciò il lobo dell’orecchio e le sussurrò qualcosa. Ariadne si strinse a lui, intontita sia dal piacere sia da quel sussurro. Tommy si spinse in lei ancora e ancora, il piacere oscillava come un pendolo che segnava lo scadere del tempo. Erano baci passionali che si confondevano con i gemiti, erano mani che si toccavano, occhi che comunicavano senza parole.
“Lasciati andare.” Disse Tommy, la voce roca e la vista appannata.
Ariadne si aggrappò a lui quando sentì il piacere invaderla, un benessere immediato si diffuse in tutto il corpo come se i raggi del sole scaldassero la sua pelle. Tommy annaspava, la fronte imperlata di sudore, le mani ancora fra i ricci ramati della ragazza.
Trascorsero all’incirca quindici minuti prima che Tommy si stendesse di schiena con le mani dietro la testa. Ariadne si mise seduta e gli diede le spalle, la coperta logora e striminzita a malapena la copriva. Era felicissima e tristissima al contempo. Era possibile sentirsi così? Salire in paradiso e subito dopo precipitare all’inferno?
“Ariadne.”
Tommy la sfiorò la schiena con la punta delle dita, temeva di irritarla con quei gesti innocenti. Invece la ragazza si girò con un sorriso meditabondo a incresparle le labbra.
È stato indescrivibile. Grazie per questa notte.”
Lui si irrigidì, la mascella contratta in segno di rabbia.
“Grazie, eh? Non è mica una fottuta opera di carità.”
“Tom, non fare così.”
Tommy si infilò alla svelta i pantaloni e recuperò la giacca per prendere una sigaretta, aveva bisogno di sfogare il nervosismo.
“Prego per la scopata.”
Ariadne non immaginava quella reazione. Non si aspettava che lui la prendesse tanto sul personale.
“Ti avevo avvisato che avremmo avuto una notte soltanto.”
“Già.”
La ragazza si avvolse con la coperta e andò da lui, abbracciandolo da dietro per consolarlo.
“Ragiona, per favore.”
“E come cazzo faccio a ragionare dopo stanotte?”
“Avevamo un accordo, vedi di rispettarlo.”
Tommy si allontanò e si accasciò sulla panca dentro cui zio Charlie spesso conservava gli alcolici. Ariadne intanto si stava rivestendo, ogni tanto borbottava mentre cercava qualcosa per terra.
“Lo dirai a Michael?”
“Cosa dovrei dirgli? Scusami se sono sgattaiolata via da casa nostra. Sai, ho fatto l’amore con tuo cugino!”
Tommy non rise, anzi serrò la mascella e strinse le mani a pugno.
“Fa come ti pare.”
Quando Ariadne si fu ricomposta, prese un piccolo oggetto dalla tasca interna del cardigan.
“Questo lo porto sempre con me.”
Tommy vide che l’oggetto in questione era un piccolo cilindro con incisa sopra una rondine: era il gemello che aveva lasciato a Londra sul cuscino. E lei lo aveva tenuto con sé.
“E’ tuo.”
Ariadne rimise il gemello in tasca con un sospiro, sperava che tenendolo vicino avrebbe sentito meno la mancanza di Tommy.
“Devo andare. Ci vediamo domenica a pranzo a casa di Ada.”
“Mmh.”
Tommy non la guardò, continuò a fumare e a serrare le mani. Ariadne gli baciò la guancia un’ultima volta prima di scendere dalla barca.
Nella mente riecheggiavano ancora le parole che Tommy aveva sussurrato: Avrei voluto sposarti io.
 
Quando si chiuse alle spalle la porta di casa, Ariadne fece un respiro profondo. Ora doveva affrontare Michael e le sue domande circa la sua assenza. Aggrottò le sopracciglia quando annusò nell’aria un profumo nuovo, uno che non apparteneva né a lei né a Michael.
“Michael, sei qui?”
Ariadne seguì la scia di profumo fino al soggiorno con un nodo alla gola che faceva fatica ad andare via. Un giovane uomo con la barba folta era seduto sul divano, una tazza di tè fra le mani e le labbra piegate in un sorriso appena accennato.
“Salve, signorina Evans. È un piacere conoscervi di persona.”
“E voi sareste?”
L’uomo si alzò in tutta la sua minacciosa altezza, fece una specie di inchino e allargò il sorriso.
“Il mio nome è Jonah Solomons. Abbiamo parlato al telefono tempo fa.”
Ariadne ricordò la loro conversazione avvenuta qualche settimana prima. Era il membro di Camden Town con cui lei e Tommy si erano alleati per ottenere le armi contro gli Scuttlers.
“Mi ricordo di voi. Siete qui per rivedere il nostro accordo?”
“Sono qui per stipulare un nuovo accordo. Sapete, signorina Evans, c’è un uomo che è rimasto particolarmente colpito dalla vostra intraprendenza.”
Per un attimo Ariadne temette che l’uomo lavorasse per Mick e che fosse lì per rapirla o per ucciderla.
“Un uomo? Chi?”
Jonah sfoggiò un sorriso a trentadue denti.
“Alfie Solomons vuole fare affari con voi, signorina.”
“Alfie Solomons è morto. Tommy lo ha ucciso.”
“Vi assicuro che Alfie è vivo e vegeto. Vuole incontrarvi perché vi ritiene una personalità interessante.”
Facendo due calcoli, Ariadne capì che era giusto cogliere quell’occasione. Forse Alfie le avrebbe impedito di sposare Michael, salvandola da un matrimonio infelice. Forse questo era il momento di prendere in mano le redini della situazione e farsi valere.
Ariadne ormai era salita sul palco ed era pronta per il primo atto.
La tragedia era appena iniziata.
 
 
Salve a tutti! :)
Ecco che i rapporti fra i personaggi si fanno sempre più complicati.
Ariadne è decisa a diventare una gangster. Ce la farà? Lo scoprirete!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie di cuore a tutti per aver seguito la storia.
Alla prossima, un grande bacio.
 
La vostra Lamy__

 

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