La Dodicesima Luna

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




La Dodicesima Luna

Capitolo 1



 
 
«Maestà, i demons hanno varcato il cancello principale e si sono riversati nella città».
Re Leandro non si mosse, continuò a guardare oltre l’enorme vetrata della Cattedrale le sue genti perire sotto i colpi dei nemici, il volto impassibile.
E così il giorno tanto temuto era giunto. Sekhimet aveva mantenuto la parola e inviato schiere di demons per rivendicare ciò che le apparteneva di diritto.
«Maestà, attendiamo ordini».
Leandro si voltò a osservare sua moglie e suo figlio, entrambi in ginocchio dinnanzi l’imponente altare a pregare un dio che non si sarebbe neanche scomodato di ascoltarli.
Teresa teneva gli occhi chiusi e le dita intrecciate con tanta veemenza da sbiancarne le nocche. Sirio era al suo fianco, ma al contrario della madre un occhio era aperto e rivolto verso il padre, in attesa di apprendere la sua decisione.
Tutti sapevano perché i mostri avevano attaccato il Regno dei Re: la profezia della Dodicesima Luna si sarebbe compiuta, ancora e ancora. Fino alla fine dei tempi.
Leandro ricambiò lo sguardo furtivo del figlio, sfiorando mentalmente l’idea di non cedere, di non ubbidire alla legge di Sekhimet.
«Padre», Sirio gli andò incontro come se avesse inteso i suoi pensieri e forse era proprio così. Lo abbracciò forte e il re fece altrettanto. «Padre, non temere. Mi consegnerò ai demons, così la gente smetterà di morire per colpa mia».
L’uomo lo studiò con commozione, chiedendosi quanto coraggio dovesse avere un bambino per pronunciare quelle parole. Più di lui sicuramente, il quale non riusciva a decidersi sebbene fosse suo dovere in qualità di sire. Anche Teresa li raggiunse, mentre un boato fece tremare le pareti della maestosa Chiesa: uno squarcio si era aperto nel cielo scuro, simile a una ferita.
«Arrivano le Arpie», sussurrò Sirio. Oltre le finestre videro svolazzare uccelli con le ali nere, il corpo di donna e la voce gracchiante.
La regina si avvinghiò alle gambe del marito, supplicandolo di non permettere a nessuno di far del male a Sirio.
«È solo un bambino» implorò.
Sua moglie aveva dato alla luce il piccolo Sirio durante la notte della Dodicesima Luna. Fin da subito avevano temuto che lui fosse il Prescelto, la reincarnazione di Mithra - Signore della Luce Eterea -, fratello della divina Sekhimet e morto ammazzato proprio per mano di quest’ultima. Ma un dio non muore mai veramente, così Mithra continuava a reincarnarsi in un corpo mortale, con la speranza di sfuggire alla continua follia omicida di sua sorella. Prima che i poteri del Signore del Sole si risvegliassero completamente, la dea della distruzione e della morte uccideva personalmente il Prescelto. Si narrava che ne bevesse il sangue fresco ed essiccasse la carne per cibarsene ogni qual volta lo desiderava, nei seguenti dodici anni. Fin quando non sarebbe toccato a un nuovo Prescelto perire per mano sua. La profezia della Dodicesima Luna – quando cioè nel cielo oscuro compariva la luna, piena e luminosa, a donare luce e speranza – era difatti un ciclo infinito che durava dalla notte dei tempi.
Re Leandro studiò Sirio: il Prescelto aveva la peculiarità di avere biondi capelli lucenti e una pelle argentea. Lui e sua moglie avevano cresciuto il proprio figlio con la paura costante di quel momento, proteggerlo sarebbe stato impossibile. Eppure non intendeva mollare. Suo figlio, il principe, avrebbe potuto fermare quel folle ciclo infanticida, se solo…
«Leandro, ti prego…». Teresa lo scrutò dal basso verso l’alto, la disperazione le aveva deformato il bel volto nobile. «C’è ancora una possibilità, me lo hai confessato tu. Ti prego…».
«Sire!». Una giovane donna irruppe nella sala, il viso era nascosto sotto un elmo dorato, la sua armatura era macchiata di una materia vischiosa, densa, scura: sangue di demons. Alle sue spalle spiccava la punta di una lancia, anch’essa sporca. «Sire, i demons hanno invaso l’intera città. I sopravvissuti sono barricati nel castello, ma non resisteremo a lungo».
Era una follia!
Cercare di respingere quell’orda mostruosa era pura pazzia e alla fine sarebbero comunque arrivati al loro obiettivo. A cosa serviva versare ancora tutto quel sangue? Tuttavia, anche l’altra idea che stava ormai soppesando da un po’ era sinonimo di dissennatezza, eppure non c’era via d’uscita.
«Portatelo da me!». Leandro si rivolse alla prima guardia entrata lì dentro, quest’ultima sembrò confusa. «VAI!».
All’esclamazione del suo re corse veloce oltre una piccola porticina sulla destra e poi giù, nelle segrete.
«Sire, non credo sia una buona soluzione liberare lo Stregone». La donna in armatura tirò via l’elmo, mostrando due trecce castane ai lati del viso e la fronte coperta da una frangia. Aveva gli occhi verdi e un viso molto giovane, dai lineamenti delicati.
«Cosa dovrei fare, Eleanor? Lasciare che prendano Sirio?». Il re si sedette stancamente sopra una panca, il volto nascosto nelle mani, le spalle scosse da gemiti. La regina lo abbracciò e il principe con lei.
«Padre, madre, lasciate che affronti il mio destino».
A Eleanor si strinse il cuore. Per la prima volta la famiglia reale le parve tremendamente normale. Ciò nonostante era contraria all’ordine appena imposto dal re: chiedere aiuto allo Stregone non doveva neanche essere tra le opzioni. Il primo compito di un imperatore doveva essere innanzitutto pensare al bene comune, perfino lei stessa, quando aveva intrapreso la Sacra Via dell’Esorcista, aveva giurato di anteporre il bene degli altri a quello proprio.
«Maestà. Maestà, ascoltatemi vi prego. Liberare lo Stregone può essere pericoloso, creerebbe maggior subbuglio e non è detto che accetti di combattere al nostro fianco». Eleanor parlò velocemente.
«Padre, Ely ha ragione. I demons arresteranno la loro furia solo quando mi avranno catturato. Lascia che vada».
L’Esorcista osservò quello scricciolo d’uomo, la pelle chiara come la luna, i capelli che parevano luccicare come il sole e ripensò a quando si era arruolata. Lei era solo un’adolescente al tempo, lui un bambino di sei - sette anni che non esitava a sedersi al suo canto vedendola piangere di solitudine o di dolore mentre si fasciava l’ultima ferita, ora al braccio, ora alla coscia. Davvero adesso avrebbe permesso che andasse incontro al suo destino senza neanche provare a difenderlo?
No, piuttosto sarebbe morta per il suo principe.
“Combattere le tenebre” era il Primo Obbligo al quale aveva prestato giuramento durante la Cerimonia di Esorcismo e non ne sarebbe mai venuta meno.

Proprio in quel momento dalla porta che conduceva alle segrete sbucò la guardia di pocanzi. Teneva per le catene una figura vestita di nero, mascherata da un lungo mantello grigio e usurato, il cappuccio calato sul capo. Dietro di lui altre due guardie con le armi sfoderate, pronte a intervenire a ogni minima minaccia da parte dell’individuo.
Il silenzio calò tra i presenti, intanto un’Arpia sbatteva contro la vetrata centrale della Cattedrale, scheggiandola. Nessuno parve farci caso, ognuno rapito letteralmente dalla figura misteriosa apparsa dalle segrete del castello: lo Stregone.
Re Leandro si mosse nella sua direzione, con un cenno della mano ordinò che il cappuccio fosse tirato via, mostrando un uomo di mezza età. La barba incolta ricopriva gran parte del viso; i capelli erano lunghi e scompigliati, tendenti al grigio; più di tutto però erano gli occhi a essere magnetici, spaventosi, disumani. Le iridi bianche tenevano al centro pupille scure e allungate, come quelle di un felino; dannatamente simili a quelle della divina Sekhimet, la madre.
L’Arpia si lanciò di nuovo contro la finestra, una freccia la colpì in pieno petto e questa gracchiò cadendo al suolo. Lo Stregone fece schioccare la lingua al palato:
«Bang!» la voce irridente.
«Stregone, ho un patto da proporti». Leandro sapeva che non c’era più tempo, i demons presto avrebbero sbaragliato le ultime protezioni e sarebbero entrati nella sala. Meglio andare al dunque.
«È tardi anche per uno come me ribaltare la sorti della gara, maestà» l’uomo mimò un inchino.
«Non voglio che tu combatta per noi».
Lo Stregone alzò lo sguardo vitreo verso il re, la fronte corrugata. Non capiva. «Voglio che porti mio figlio in salvo».
«Padre, no!». Sirio corse verso di lui e subito attirò l’attenzione dello Stregone.
«Il Prescelto», sussurrò.
«Esatto Stregone». Leandro lo guardò dritto negli occhi: «Scortalo nel Regno dei Saggi e avrai libera la vita».
«Maestà, non credo che sia-» Eleanor fece un passo avanti, ma il re la fermò con un solo cenno del braccio, senza neanche voltarsi a guardarla.
Oltre l’imponente portone d’ingresso la battaglia imperversava e si faceva più vicina. Urla umane si mischiavano a quelle mostruose, fino a rendere difficoltoso distinguerle. Qualche bambino piangeva, forse inginocchiato accanto al corpo straziato della madre.
«Accetta Stregone e sarai sempre il benvenuto nel nostro Regno» adesso anche la regina Teresa gli si era accostata. «Donne, cibo, soldi. Tutto ciò che desideri sarà tuo».
L’uomo abbozzò un sorriso cinico:
«Regno? Quale regno, mia regina? Voi non ne avete più uno».
La donna pareva aver appreso l’orribile verità solo in quel momento.
«Allora accetti?», lo incalzò il re, non c’era più tempo. Qualcosa di enorme andò a sbattere contro il portone che tuttavia resistette all’urto.
«Ricapitoliamo: io accompagno il moccioso dai super Saggi e poi sono libero?».
«Esatto».
«Affare fatto. Vi stringerei la mano sire, ma sono un po’ impedito al momento». Lo Stregone mostrò i polsi incatenati, il re ordinò che fosse liberato e la guardia eseguì. L’uomo chiuse gli occhi, sentì la magia riprendere a scorrere nel suo corpo, l’avvertì come un’ondata di energia pura, di vitalità. Risollevò le palpebre, le iridi si erano colorate di rosso, segno che il potere era ripreso a scorrere nelle sue vene. Non era più disarmato ed Eleanor rabbrividì. Sentiva che quell’essere era pericoloso quanto i demons che avevano attaccato il Regno, anche di più.
Lo Stregone però parve contrariato dai rigidi bracciali d’oro che ancora teneva ai polsi e che limitavano il suo potere.
«E questi?». Chiese stizzito.
«Ti saranno tolti dopo aver portato a termine l’incarico», spiegò Leandro.
«Ed io dovrei sperare che quattro vecchi mutilati mi liberino? Mi hai preso per un rincoglionito?».
«Eleanor verrà con voi. È un’Esorcista, potrà liberarti personalmente quando riterrà la tua missione compiuta».
«Come? Maestà, io servo qui, il mio compito è proteggervi».
«Adesso il tuo compito è vegliare sul principe».
«Con tutto il rispetto sire, non penso che-».
«Ufficiale Primo Esorcista Eleanor!», tuonò il re. «È un ordine!».
La giovane scattò sull’attenti e a denti stretti esclamò:
«Ai vostri ordini, maestà!».
«Wow! Un moccioso e un soldatino…», lo Stregone scosse il capo, prima che la vetrata centrale andasse in frantumi, lasciando entrare un’Arpia che con gli artigli sguainati scese in picchiata verso Sirio. Lo Stregone mosse appena una mano e una palla di fuoco colpì in pieno la bestia, carbonizzandola.
Eleanor osservò l’uomo terrorizzata: era davvero così temibile come dicevano?
Sirio, al contrario, ne parve ammirato.
«G-grazie» balbettò.
«Sono un po’ fuori allenamento moccioso, vedrai che spettacolo quando avrò ripreso la mano» rispose lui con falsa modestia.
Alla fine anche il portone cedette e cadde sul pavimento simile a una vecchia quercia divelta. Oltre a esso un’orda spaventosa di demons sbavava sui corpi delle vittime: fauci sanguinolente; corpi trucidati. Un essere dalle sembianze di un cane rabbioso rincorse una giovane ragazza, atterrandola con un balzo. Eleanor d’istinto indossò l’elmo e afferrò la lancia sulla schiena, pronta a correre in soccorso della povera malcapitata.
«Eleanor!» la voce del re l’arrestò di colpo. «Ricorda qual è il tuo compito ora».
L’Esorcista rimase impassibile di fronte alla bestia che ormai aveva azzannato la fanciulla, divorandone le membra.
«Oltre le prigioni seguite le fognature, vi porteranno al di fuori del regno; seguite lo sciabordio del fiume Kaos e non vi perderete». Leandro si stava rivolgendo allo Stregone.
«Padre, madre…» Sirio si gettò fra le braccia di Teresa. Quest’ultima lo strinse a sé come non aveva mai fatto, perché sapeva essere l’ultima occasione che aveva. Comunque sarebbe andata, seppur lui si fosse salvato, lei e Leandro non avevano più speranze. Calde lacrime le rigarono il volto, poi l’urlo di Eleanor attirò l’attenzione.
Infine i demons si erano riversati contro di loro, la giovane ne aveva già abbattuti due e si stava accingendo a farne fuori un terzo oltrepassandolo da parte a parte con la punta della sua arma. Re Leandro l’affiancò, la spada sguainata, chiedendole di proteggere Sirio.
«Sapendolo con te sono più tranquillo».
Eleanor abbatté il terzo demons e indietreggiò.
«Buona fortuna, sire».
Lo Stregone era lì in piedi, l’espressione canzonatoria di chi si sta divertendo. Lei gli passò accanto dicendogli di seguirla, ma lui afferrò Sirio per la vita e si buttò oltre la vetrata, alle spalle dell’altare, da dove era entrata la prima Arpia.
«Dannazione!». Eleanor lo seguì.




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo 2

 
 
Eleanor atterrò in un luogo che non riconobbe: la sua città natia - la stessa che aveva giurato di proteggere fino alla morte - non esisteva più. Le case erano state distrutte dalla furia dei demons, qualcuna ancora bruciava di fuoco vivo, altre erano ormai macerie fumanti. I corpi dilaniati dei cittadini giacevano nel loro stesso sangue, quelli dei mostri anche. C’erano demons che si stavano cibando della carne fresca, sopra le teste volavano le Arpie; il cielo - perennemente ricoperto da dense nubi scure - tendeva al rosso, segno che nel Regno di Mithra il Sole stava sorgendo.
Un essere dalle orripilanti fattezze di un canide smise di cibarsi del corpo ormai ridotto all’osso di un cadavere e caricò in direzione della giovane. L’odore di sangue vivo li attraeva sempre come api al miele.
Eleanor gli mozzò la testa prima ancora che il demons avesse il tempo di accorgersene. Il tonfo del corpo sul terreno però provocò una leggera scossa che richiamò l’attenzione delle altre bestie e, com’era prevedibile, l’Esorcista diventò immediatamente il loro obiettivo primario. Affrontarli tutti insieme sarebbe stato un suicidio, inoltre doveva raggiungere il principe Sirio: non avrebbe deluso il suo re.
Rinfoderò l’arma e prese a correre, all’orizzonte le pareva di scorgere le figure del ragazzino e di quell’altro sciacallo.
Chiedere aiuto allo Stregone, che mossa stupida!
«Ely! Dobbiamo aiutarla!». Sirio si agitò, ancora avvinghiato alla presa di lui.
«Se la caverà egregiamente!».
«No!». Il principino si liberò mordendolo sopra il bracciale che sigillava i suoi poteri. «Aiutala! È un ordine!».
«Un che?». L’uomo rise gettando la testa all’indietro, le mani sui fianchi. «Cerchiamo di comprenderci, moccioso: io non prendo ordini da nessuno. Ti porterò dai vecchiardi sulle Sacre Montagne solo per riavere i miei pieni poteri».
«I Saggi non ti libereranno mai, spetterà a Ely farlo». Sirio non abbassò mai lo sguardo.
Più in là la giovane inciampò quando un’Arpia si lanciò in picchiata sfiorando l’elmo che rotolò lontano. Rapidamente lei afferrò la lancia e girandosi sulla schiena trapasso il petto dell’uccellaccio. Quest’ultimo le cadde addosso, morto. Con fatica sgusciò via, ma ormai gli altri demons l’avevano raggiunta: fauci digrignate, artigli affilati sporchi di sangue incrostato e fango fresco, occhi feroci.
«Stregone, ti scongiuro, aiutala!».
L’uomo lo fissò dall’alto, impassibile.
«Lei è un’Esorcista?» chiese.
«Sì, ti prego!».
«Di quelle brave?».
«Bravissima!».
Lo Stregone fece schioccare le dita chiuse a pugno. Anche una semplice Esorcista avrebbe potuto liberarlo da quelle catene; tra l’altro le sue arti erano arrugginite a causa degli anni di prigionia, meglio allenarsi. Con estrema lentezza fece un paio di passi in avanti, attraverso la foschia di nebbia e fumo si poteva vederla combattere.
«In fondo» sbuffò divaricando le gambe, «con questa forma non andrei tanto lontano».
Sirio non comprese le sue parole, né si chiese cosa intendesse. L’avrebbe scoperto a suo discapito. Rimase con il fiato sospeso mentre lo osservava portare le mani verso l’alto, i palmi all’insù, poi palle infuocate caddero simili a piccoli meteoriti, colpendo i demons uno a uno. Anche quelli che cercarono di sfuggirgli.
«Ely!». Sirio corse ad abbracciare la sua amica, ancora frastornata. Lo strinse a sua volta, più per riflesso, poiché l’attenzione era tutta rivolta allo Stregone, il quale li fissava da lontano, i pollici nella cinta dei pantaloni logori, un sorriso di scherno sul volto nascosto dalla barba.
«Non c’è bisogno che mi ringrazi» disse quando lo raggiunsero. «Adesso siamo una squadra».
«Scordatelo! Non sarò mai complice di un mostro come te. Non sei da meno di quei demons che hai ammazzato. Sono qui solo per il principe e perché me l'ha ordinato il re». Fu la risposta rabbiosa di Eleanor.
«No, ti prego, dimmi pure quello che pensi di me, non farti scrupoli». Scherzò lo Stregone incamminandosi. Gli altri due lo seguirono. «Credo che sia inutile chiederti di togliermi questi, vero?». Le mostrò i polsi.
«Vero».
«Alla fine dovrai comunque farlo. Te l’ha ordinato il tuo re, non vorrai disubbidirgli?!».
«Ovviamente no. Un ordine è un ordine» continuò la giovane.
«Non avevo dubbi, soldatino».
Eleanor strinse i pugni, Sirio taceva attaccato al suo fianco.
«Dovresti liberarti di quell’armatura pesante o non resisterai a lungo. Il cammino è tanto» le consigliò l’uomo.
«Sto bene così».
Lo Stregone rise:
«Soldatino».
 
La pianura si estendeva a perdita d’occhio. Attraverso la densa foschia delle nubi s’intravedevano i raggi dorati che tingevano il mondo di arancio.
Dopo la morte del Signore della Luce Eterea la vita sul pianeta a poco a poco si era spenta, morta con il dio Mithra. Sekhimet era riuscita nel suo intento di soggiogare ogni cosa: il cielo si era ricoperto di nuvole opprimenti e il Sole non era più sorto, lasciando il mondo in balia di un’oscurità senza inizio né fine. L’unico posto che poteva ancora godere dei tiepidi raggi solari, del verde dei prati, dei colori dei fiori e dell’azzurro del cielo, era il Regno dei Saggi, custodi del tempio dedicato a Mithra: l’unico luogo al riparo dalla furia cieca di Sekhimet.
I Grandi Saggi, definiti i sacerdoti del Signore del Sole, in realtà erano Esorcisti che avevano deciso di sacrificare la propria vita in onore della divinità della Luce. D’altronde, gli stessi Esorcisti erano i cosiddetti soldati di Mithra che combattevano i demons; uomini e donne dotati di grande forza di volontà, mossi da un animo nobile e altruista.
O perlomeno questo era tutto ciò che Sirio aveva imparato durante le sue lezioni private. Eleanor incarnava perfettamente la sua idea di Esorcista: forte, coraggiosa, dedita al prossimo, generosa, sorridente e gentile con i bisognosi e con i bambini come lui. E carina, che non guastava mai.
Dello Stregone invece non sapeva cosa pensare. Non conosceva la sua storia, sapeva solo che suo padre e gli alti ufficiali Esorcisti lo temevano. Ricordava una lunga conversazione tra il re e uno dei Grandi Saggi, venuto di proposito quando lo Stregone era stato catturato. Il vecchio aveva chiesto a Leandro che fosse tenuto prigioniero nel Regno dei Re, spostarlo fino alle Sacre Montagne sarebbe stato pericoloso. Sirio ricordò suo padre contrariato, temeva che potesse essere una trappola, che lo Stregone si fosse fatto catturare di proposito per stare vicino al Prescelto e rapirlo al momento giusto. Il Saggio aveva ribattuto che si sarebbe occupato personalmente di reprimere i suoi poteri.
Sirio lanciò un’occhiata di sottecchi ai bracciali d’oro ai polsi dello Stregone, sembravano molto rigidi, si chiese se dovesse provare dolore.
«Ehi, aspetta un attimo!» esclamò Eleanor all’improvviso, l’uomo neanche si fermò. «Dove stiamo andando? Questa non è la strada giusta».
«Oltre la collina a nord c’è un villaggio. Abbiamo bisogno di mangiare, riposare e lavarci. Io di un barbiere e tu di abiti più comodi». Spiegò lo Stregone.
«Abbiamo un compito da portare a termine!» gli ricordò la giovane.
«Sì, e non crederai di riuscirci in un giorno, vero?».
Sirio sfiorò la mano di Eleanor.
«Ha ragione. Io ha già fame», ammise vergognandosi.
Lo Stregone aveva avuto ragione: dopo la collina c’era un piccolo villaggio, fatto di case di mattoni e mulini a vento dalle pale rotte. La gente che lo abitava pareva anziana, ma secondo Eleanor non era così vecchia, semplicemente la durezza della vita aveva prosciugato la loro giovinezza.
L’uomo annunciò che si sarebbero incontrati nuovamente davanti alla taverna, consigliò di nuovo all’Esorcista di trovare una sarta e di togliersi di dosso tutta quella latta.
«È oro!» ribatté lei infastidita, lui rise e si allontanò.
«Forse è meglio se ti compri qualcosa di più leggero», disse Sirio, eppure Eleanor aveva già deciso di dargli ascolto perché pensare di affrontare l’intero viaggio con quell’ingombrante imbracatura era da folli.
 
Lo videro arrivare da lontano e lo riconobbero solo dai bracciali ai polsi. Senza la barba a coprirgli il volto era ringiovanito, tanto da farlo sembrare un trentenne; i capelli grigi erano acconciati all’indietro. Il mantello e gli abiti lisi erano stati sostituiti da pantaloni aderenti neri e una casacca con lo scollo a V.
«Bel completino, soldatino», disse avvicinandosi, gli occhi carminio spiccavano ancor più di prima con il viso imberbe.
«Sbrighiamoci» Eleanor entrò nella taverna. Senza l’armatura era come sentirsi inerme, denudata della protezione che non era solo fisica evidentemente. La sarta le aveva consigliato il classico completo da cacciatore, con il pantalone fatto di pelle di demons e il gilet di piume di Arpia. Non le avrebbe fatto da scudo come l’armatura, ovvio, ma almeno le dava un minimo di protezione.
«Fingiamo di essere una famiglia, eviteremo la curiosità della gente». Spiegò lo Stregone calando sul capo di Sirio un berretto di lana. «Copri i capelli o capiranno chi sei». L’Esorcista aiutò il principe a nascondere le sue ciocche dorate, doveva ammettere che quell’uomo non era uno sprovveduto.
La taverna aveva pochi tavoli di legno scheggiato, qualcuno era occupato da qualche viandante. L’attenzione dei pochi presenti ricadde inevitabilmente su quel trio improbabile.
«Evitate occhiate inutili o ci ritroveremo i demons alle calcagna». Lo Stregone bevve un lungo sorso di birra.
«Dici che qualcuno potrebbe richiamarli?» chiese Sirio preoccupato.
«Moccioso, il mondo è pieno di spie di Sekhimet».
«Davvero?». Sirio sgranò gli occhi, non poteva crederci.
«Già. Spie come gli Stregoni», intervenne Eleanor, l’uomo le sorrise sornione.
«Sempre sul pezzo, eh soldatino?!».
Mangiarono e infine lo Stregone li convinse a fittare una camera al piano superiore dove poter passare la notte. Sebbene mancasse ancora qualche ora al tramonto, affermò che il prossimo villaggio distava diverse ore di cammino e ritrovarsi in piena notte nelle Steppe Isolate o nella Foresta degli Incanti non sarebbe stata una cosa molto intelligente. Ancora una volta la giovane Esorcista dovette ammettere che aveva ragione.
La stanza era angusta e austera, ma almeno c’era un bagno privato con tanto di vasca e un catino con acqua pulita. Il letto, unico e matrimoniale, sembrava molto vecchio, così come le coperte consunte che lo ricoprivano. Sui comò laterali si contavano tre candele per parte che lo Stregone accese soffiandovi sopra. Sirio ne rimase affascinato.
«Come fai?», chiese.
L’uomo voltò il palmo verso l’alto e alcune figure infuocate presero a danzare.
«Wooow! Puoi fargli assumere le sembianze che vuoi?».
«Ovviamente, moccioso. Io sono il fuoco!». Si vantò l’uomo, mentre le fiammelle si tramutavano in demons decapitati da una giovane armata di lancia.
«Ma è Ely! Hai visto, sei tu!». Continuò il ragazzino rivolgendosi all’Esorcista.
«Smettila! Il tuo potere non dovrebbe inorgoglirti, figlio di Sekhimet».
Le figure si spensero e Sirio si rattristì, poi domandò:
«In che senso “figlio di Sekhimet”?».
Eleanor e lo Stregone si fissarono negli occhi, infine lui affermò:
«Ci sono mali dai quali non bisogna cercare di guarire, perché sono i soli a proteggerci contro altri più gravi. Questo potere mi ha salvato centinaia di volte e ha già aiutato te, se non sbaglio. Ma comprendo che per un soldatino sia difficile da accettare. Avresti preferito la morte piuttosto».
Eleanor chiuse le mani a pugno, tanto forte da farsi sbiancare le nocche. I lineamenti delicati del viso si contrassero per la rabbia.
«Gli Stregoni sono figli legittimi che Sekhimet vomita fuori una volta l’anno. Ecco perché sono così pericolosi e l’Ordine degli Esorcisti da loro la caccia», spiegò senza smettere di fissare lui negli occhi infuocati, ma rivolgendosi a Sirio.
«Quanto mi divertirò quando arriverà il momento in cui dovrai liberarmi». Di nuovo lo Stregone arricciò le labbra in segno di scherno.
«Potrei decidere di non farlo», lo minacciò lei.
«Sei un soldatino abituato a eseguire gli ordini che ti vengono assegnati, non disubbidiresti mai al tuo caro re».
Sirio avvertì l’aria farsi pesante, lei pareva sull’orlo di una crisi isterica, lo avrebbe ammazzato se non fosse indispensabile alla buona riuscita della missione.
«Meglio riposare», intervenne sfiorando la mano della giovane. «È stata una lunga giornata».
La giovane annunciò che sarebbe rimasta di guardia per tutto il tempo, quindi poteva dormire tranquillo.
«Immagino sia inutile proporti di fare a turno», lo Stregone già si stava sdraiando sul materasso.
«Esatto».
«Meglio così, sono anni che non dormo in un vero letto», sbadigliò rumorosamente intanto che Sirio gli si metteva accanto.
L’Esorcista invece si sedette sul pavimento, la schiena contro la parete proprio ai piedi del letto, in modo che potesse tenere sotto controllo la porta, la finestra, lo Stregone e il principino. Sul pavimento, a portata di mano, la sua fedele lancia.
Oltre le tende ingiallite il buio del giorno cominciava a intensificarsi, la notte stava calando. Uno scampanellio ricordò ai cittadini del villaggio di ritirarsi nelle proprie abitazioni, prima che l’oscurità li avvolgesse completamente e rischiassero di ritrovarsi ancora per le strade, in balia di eventuali demons. Durante le ore notturne, infatti, i mostri erano soliti entrare nei centri abitati a cercare cibo fresco: animali da pascolo, domestici, umani.
L’idea dello Stregone si era rivelata quindi giusta: meglio ripararsi di notte che rischiare di essere attaccati. Lo studiò. Dal suo posto poteva scorgerne il corpo nascosto dalle coperte che si alzavano e abbassano al ritmo regolare del respiro. Sembrava avere pochi anni più di lei, che ne aveva venticinque, eppure sapeva che gli Stregoni potevano vivere secoli interi. Chissà quanti anni avesse realmente, quindi.
Ripensò alle sue parole: ci sono mali dai quali non bisogna cercare di guarire perché sono i soli a proteggerci. Sicuramente era sopravvissuto fino a quel momento grazie al suo potere. All’Accademia aveva imparato che gli Stregoni, figli della divinità della Distruzione e della Morte, venivano letteralmente vomitati dalla madre nel mondo e abbandonati a se stessi. Alcuni morivano di stenti o sbranati dagli stessi demons, pochi sopravvivevano fino ad arrivare all’età adulta. Erano esseri malvagi, cresciuti in cattività, abituati alla guerra e per questo in antichità venivano anche definiti “Signori del Fuoco”.
Eleanor socchiuse gli occhi, mentre ripeteva nella testa le parole che aveva letto: non hanno nome; ogni nuovo nome dona loro nuova vita. Risollevò le palpebre, ciò significava che quando era stato catturato il suo nome era stato cancellato, perciò sarebbe toccato a lei dargliene un altro.
Davvero liberarlo sarebbe stata la scelta giusta?
Aveva raso al suolo un intero villaggio, mietuto chissà quante vittime. Esorcisti erano morti per acciuffarlo. Ricordava ancora la festa che si era tenuta nella sua città il giorno in cui i Saggi avevano neutralizzato il suo potere. Aveva sentito i Primi Ufficiali affermare che fosse uno dei più potenti Stregoni mai affrontati.
Non aveva mai incontrato uno Stregone di persona, nella Cattedrale era stata la prima volta. Aveva letto della peculiarità degli occhi, ne aveva sentito parlare come qualcosa di spaventoso, mostruoso. Erano gli stessi occhi della divinità, dicevano, pieni di ira. Eppure Eleanor non aveva provato paura. Il colore rosso, le pupille allungate parevano ipnotiche, affascinanti, avvolgenti.
Liberarlo, dunque. Dargli un nome. Riportarlo a nuova vita.
L’avrebbe fatto?
Sul serio sarebbe andata contro ogni suo principio pur di eseguire l’ordine di sua maestà Leandro?
«Se continui a fissarmi non riesco a dormire», disse lui d’un tratto rompendo il silenzio e facendola sobbalzare. Era completamente assorta nei suoi pensieri, abbassò lo sguardo a disagio. «Mi pare di poter sentire i tuoi pensieri», aggiunse lui.
«Puoi farlo davvero?», chiese lei allarmata.
Lui si alzò stiracchiandosi, era alto e con il fisico ben piazzato; le si sedette di fronte, le spalle contro il letto e le gambe divaricate, lei prontamente ritirò le sue incrociandole.
«Certo che no! Che credulona». Scosse il capo divertito. «Puoi dormire, se vuoi», aggiunse.
«Sto bene, grazie».
«Come desideri. Allora soldatino, qual è il tuo vero nome?». Le domandò stupendola.
Erano anni che nessuno le chiedeva quale fosse il suo nome. Durante la Cerimonia per diventare ufficialmente un Esorcista ai cadetti veniva assegnato un nuovo nome, uno che richiamasse alla luce, al dio Mithra, cancellando quello che aveva scelto la famiglia, per eliminare anche ogni traccia di oscurità. Tutti la conoscevano in qualità di Eleanor, l’Esorcista, e mai a nessuno era venuto in mente di chiederle come si chiamasse prima: un nome che aveva deciso sua sorella maggiore, poi morta suicida… il motivo per cui aveva deciso di intraprendere la carriera di Soldato di Mithra.
«Non ti riguarda», gli rispose.
«Deve essere noiosa la vita da Esorcista, io mi annoierei a morte».
Eleanor parlò fra i denti:
«È una vita dedita alla giustizia e al bene comune, non mi aspetto che un mostro come te lo comprenda».
«Noiosa, appunto», sbadigliò lo Stregone.
Intanto anche Sirio si era svegliato, accoccolandosi vicino alla ragazza si stropicciò gli occhi ancora assonnato. Il suo incarnato era più pallido del solito.
«Ely è una vera Esorcista. Lavora duramente per diventare un Saggio. Non dire che è noiosa».
Lo Stregone rise buttando la testa all’indietro, manco il bambino avesse pronunciato una battuta esilarante.
«Non mi aspettavo nulla di meno da te, soldatino. Moccioso, sai cosa fanno a chi vuole diventare un mega Saggio?».
Eleanor cercò di arrestare le sue parole, sortendo l’effetto contrario.
«Trasformano il cuore in pietra evitando di provare sentimenti; cuciono le palpebre così che non si possa più vedere chi si ha dinnanzi. Alle donne strappano via il ventre in modo che non possa avere figli o provino piacere carnale. Agli uomini…».
Eleanor afferrò la lancia e gliela puntò alla gola; Sirio era sul punto di piangere.
«Agli uomini…» continuò lui, «lo tagliano. Zac!».
D’istinto il bambino si portò le mani a coppa sul pube, inorridito esclamò:
«Ely non portarmi lì, ti prego! Lo faranno anche a me?».
Un rivolo di sangue prese a correre lungo il collo dello Stregone, proprio dove la punta della lancia premeva.
«Ma no moccioso, tu sei il Prescelto, ti tratteranno come un re. Credo…». L’uomo sfiorò la ferita con le dita sporcandosi le nocche di sangue. «Se hai intenzione di ammazzarmi questo è il momento giusto, altrimenti andrò a fare un bagno caldo».
Eleanor strinse con maggior foga l’impugnatura dell’arma, assottigliò gli occhi verdi, poi mollò la presa e la lancia ricadde sul pavimento con un tonfo sordo. Quindi si alzò e uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
«Donne», sospiro lo Stregone avviandosi nella toilette, «chi le capisce è bravo».
 
La giovane Esorcista rimase per qualche secondo aggrappata alla balaustra di legno grezzo del pianerottolo, paralizzata. Il piano inferiore della taverna brulicava di demons cinghiali e lupi rabbiosi. Dunque alla fine li avevano scovati, dovevano fuggire e subito!
Una delle bestie fiutò la sua presenza, alzò gli occhi iniettati di sangue e la vide. Ringhiò con ferocia scaraventandosi su per le scale, seguito a ruota dagli altri mostri. Eleanor si ridestò e prontamente tornò nella camera, ma quando tentò di richiudere la porta questa fu bloccata da un cinghiale, la cui enorme testa fece capolino nella stanza. Dalle zanne sporgenti colava bava densa e giallastra. Sebbene la ragazza provasse con tutte le sue forze a chiuderlo al di là della stanza, non ci riusciva, lo sentiva spingere per entrare.
«Ely!» Sirio scattò in piedi, spaesato.
«Dannazione! Dov’è quell’idiota quando serve?!».
Poi la giovane sentì la presa allentarsi e la porta richiudersi con uno scatto violento. Chinò la testa e vide il principe al suo fianco, con la lancia dalla punta insanguinata in mano e un’espressione indecifrabile sul volto.
«Gliel’ho ficcata in un occhio. Sono stato io… forte!».
Dal bagno giunse lo Stregone, bagnato e nudo.
«Cos’è successo?».
«Per Mithra, Stregone, sei nudo!». Esclamò Eleanor coprendosi di riflesso gli occhi, infine scoppiò a ridere. «È tutto così assurdo!».
Sirio rise con lei, quando una crepa si formò al centro della porta e fauci orripilanti cercarono di penetrarvi.
«Dobbiamo andarcene, i demons sono arrivati».
«Davvero? Cosa te lo fa pensare?». Lo Stregone intanto si stava rivestendo.
Eleanor neanche badò al suo sarcasmo, prelevò la propria arma dalle mani di Sirio, sostenendo che fosse meglio se la teneva lei, poi si affacciò alla finestra che dava sulla strada principale, invasa da decine di bestie indemoniate. Sospirò sconsolata:
«Accidenti!».
Lo Stregone si avvicinò, vestito ma con i capelli ancora umidi; profumava di pulito:
«Cosa vuoi che siano due demonietti per me!», fece schioccare le dita, ma l’Esorcista dal bagno gli stava già annunciando che sul retro la strada era ancora libera, perciò sarebbero fuggiti da lì. Saltò, seguita a ruota da Sirio e alla fine anche da lui.


 
***

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo 3
 


«Avrei potuto incenerirli con un battito di mani».
Eleanor sbuffò. Da quando erano scappati dalla locanda, evitando la ressa di demons, lo Stregone non faceva che ripeterlo. 
Camminavano ormai da diverse ore, seguendo il corso del fiume Kaos. Di demons neanche l’ombra, per fortuna. La notte si avvicinava e con essa la necessità di trovare un riparo. Alloggiare in una locanda si era rivelata una trappola, era evidente che una spia di Sekhimet aveva riconosciuto il Prescelto e richiamato le bestie.
«Stregone ma tu ce l’hai un nome?». Chiese Sirio. 
«Ce l’avevo. Poi sono stato catturato ed è stato annullato». L’uomo guardò il bambino di sottecchi, probabilmente se fosse riuscito a intenerirlo avrebbe convinto l’Esorcista zelante a liberarlo dai bracciali. «Era molto carino, sai?»
«Davvero? E qual era?».
«Milo».
«Milo?». Ripeté il principe.
«Sì, Milo. Mi era stato dato dalle persone che mi hanno cresciuto».
«I tuoi genitori?».
«Una specie, sì. Erano una coppia anziana che non aveva avuto figli. Mi trovarono nel Bosco Oscuro nei pressi del tempio di Sekhimet e mi portarono a casa con loro. Mi hanno cresciuto come un figlio fino all’età di 16 anni».
«E poi cos’è successo?».
«Poi un giorno lei tornò dal mercato con il viso insanguinato a causa di diversi tagli. Le chiesi cosa fosse accaduto, mi raccontò di essere caduta, ma non le credetti. Andai di persona al villaggio e scoprii che alcune persone l’avevano presa a sassate perché non volevano che si recasse lì, lei che aveva cresciuto un abominio come me».
«E poi?».
«Sei curioso, eh moccioso? Poi mi attaccarono con forconi e pale e fui costretto a difendermi».
Sirio chinò il capo, intristito. Forse si sarebbe aspettato un finale differente.
«Di loro cosa ne è stato?».
«Li ho ammazzati uno a uno».
«Hai ammazzato i tuoi genitori?». La voce del principe tremò appena.
«No, certo che no! Intendevo quelli del villaggio. Dopo sono andato via, ormai sono passati tanti anni, saranno morti anche loro». Lo stregone sospirò. «Erano persone molto buone, non hanno mai badato al fatto che fossi un mostro, come qualcuno sostiene». 
Il riferimento a Eleanor fu esplicito, perciò lei annunciò:
«Se credi di intenerirmi con questa storia ti sbagli di grosso». Quindi affrettò il passo, affermando che bisognava trovare una grotta dove passare la notte.
«Un amore di persona» osservò sarcastico lui.
«La sorella maggiore di Ely si è uccisa dopo che uno Stregone l’aveva violata. La gente diceva che sarebbe nato un demons dalla loro unione e che le avrebbe squartato la pancia venendo al mondo. Dalla paura e dalla vergogna si gettò da un dirupo». Sirio arrossì per aver pronunciato parole da adulto. «O almeno questo è quello che ho sentito dire. Ecco perché lei ha scelto di diventare Esorcista».
Lo stregone non parlò più.
 
Le Sacre Montagne non erano così lontane, di giorno si potevano scorgere le cime innevate svettare a nord. Ancora qualche giorno di cammino spedito e senza intoppi e le avrebbero raggiunte.
Missione compiuta. 
L’esorcista si chiese se i Saggi sapessero del loro arrivo. Una volta aveva chiesto a re Leandro perché mai i grandi Saggi non prendessero con loro il Prescelto dalla nascita, così da proteggerlo fino alla Dodicesima Luna? L’uomo, totalmente preso dal volto angelico di suo figlio addormentato tra candide lenzuola, spiegò che non lo facevano perché, secondo la leggenda, il vero Prescelto sarebbe stato solo uno nel corso dei secoli, l’unico che sarebbe riuscito a raggiungere il Tempio di Mithra incolume sarebbe stato considerato il degno successore del dio in persona. Quando la Dodicesima Luna sarebbe sorta, i poteri della Luce Eterea si sarebbero risvegliati e con essi l’animo e la conoscenza della divinità. Solo allora avrebbe capito come combattere la malvagia sorella e riportare il Sole fra gli uomini.
Si inoltrarono nella Foresta degli Incanti dopo avere attraversato le Steppe Isolate. Il crepuscolo dipinse di un rosso acceso il cielo plumbeo di cui si potevano intravedere pochi squarci fra le fronde cespugliose degli Alberi Sempreterni: piante dai fusti robusti che, nonostante non vedessero il Sole da millenni, esibivano un fogliame rigoglioso.
Eleanor sbirciava le nuvole sopra le loro teste quando erano visibili.
«Si dice che nel Regno della Luce Eterea di notte il cielo si riempi di puntini luminosi», disse lo Stregone all’improvviso.
«Le stelle», rispose lei distrattamente. «Lo so, l’ho letto nei libri».
«Nei tuoi scritti si diceva anche che racchiudessero in sé tutte le anime dei morti?».
«No, queste sono solo sciocche credenze popolari», ribatté la giovane Esorcista.
La Foresta era molto umida e scura, il terreno melmoso ricoperto di muschio; ai piedi degli alberi crescevano funghi enormi e lo Stregone preannunciò che quella sarebbe stata la loro cena.
«Ma non sono velenosi?» chiese Sirio.
«Non tutti, basta saperli riconoscere» l’uomo gli strizzò l’occhio.
«E tu lo sai fare?».
«Ovviamente».
Scovarono il meandro di una grotta e in concomitanza proposero di accamparsi lì. Quando lo Stregone invitò il principe a seguirlo per raccogliere i funghi, Eleanor affermò con forza che non se ne parlava proprio.
«È notte, addentrarsi nella foresta è pericoloso. Inoltre i funghi potrebbero essere velenosi e non abbiamo medicine».
Lo Stregone tuttavia non le diede ascolto e poiché il piccolo Sirio non sembrava volerlo seguire andò da solo, sparendo nella bruma notturna. Tornò qualche tempo dopo, nessuno avrebbe saputo dire quanto: per i due nella grotta era parsa un’eternità. Nonostante non lo avrebbe mai ammesso, alla ragazza era sembrata una vita e il terrore che fosse fuggito, lasciandoli in balia dei mostri, la annichiliva. Cosa avrebbe fatto se li avessero attaccati? Da sola non sarebbe mai riuscita a proteggere il Prescelto, né a raggiungere le Sacre Montagne. Anche Sirio aveva avuto i medesimi pensieri in quei minuti, ma a differenza di Eleanor li esternò quando lo Stregone riapparve.
«Stregone! Sei tornato per fortuna».
Lui parve meravigliato. 
«Credevi fossi scappato? Con i bracciali ancora ai polsi? Non sono così incosciente». Lasciò cadere sul terreno asciutto diversi funghi, di ogni dimensione e colore, aveva raccolto anche alcuni rametti. Quindi chiese al ragazzino di aiutarlo a infilare i funghi come spiedini. Sirio si sedette vicino a lui, imitandolo nei gesti, Eleanor continuò a sostenere che non li avrebbero mangiati. Era particolarmente nervosa: l’ansia provata pocanzi per l’eventuale abbandono e la sensazione di sollievo che poi l’avevano pervasa la infastidivano.
«E a te sono mancato soldatino?». Scherzò lui acuendo il nervosismo di lei, la quale lo fulminò con lo sguardo. Lo Stregone rise al suo solito con la testa all’indietro mentre arrostiva gli spiedini con il suo fuoco. Di fronte allo scetticismo di Sirio ne addentò uno per primo.
«Non sarà una delle cene regali cui eri abituato, ma è commestibile».
Sirio si fece coraggio, la fame era troppa, diede un piccolo morso a un fungo, poi un altro e un altro ancora.
«Buoni!», esclamò porgendo uno stecchino alla ragazza. «Prendi Ely, sono ottimi». 
«No principe, grazie».
«Crede possa avvelenarla», esordì lo stregone con la bocca piena.
«Non lo farà» le fece sapere Sirio con convinzione. «Devi togliergli i bracciali prima» aggiunse, come se quella notizia potesse rinfrancarla.
«Ehi!» obiettò l’uomo. «Così pare che dopo avermi liberato l’ammazzerò!». 
«E non lo farai?» Eleanor lo fissò negli occhi, attese la sua risposta, alla fine lui le porse uno spiedino.
«Mangia, devi tenerti in forza in caso di attacco».
Si fissarono ancora un po’, riluttanti, poi lei afferrò controvoglia i funghi e li mangiò, imbronciata.
«Bleah! Non mi piacciono i funghi», il viso contratto in una smorfia di disgusto. 
«Viziata», bisbigliò lo Stregone divertito.
Sirio sghignazzò.
 
A dispetto della notte precedente Eleanor concesse allo Stregone un turno di guardia, sebbene non si addormentò mai profondamente. Ogni tanto sollevava una palpebra per osservarlo. Lui rimase tutto il tempo con le spalle contro la parete rocciosa all’ingresso della caverna.  Il viso rivolto verso la foresta, giocherellando con un rametto tra le mani. La ragazza si chiese a cosa stesse pensando. Se da qualche parte ci fosse qualcuno che lo aspettava. Magari un altro Stregone o una donna. Scacciò quell’ultimo pensiero, faceva ancora troppo male nonostante fossero ormai trascorsi cinque anni dalla morte di Miriam.
Contro ogni pronostico non furono attaccati da alcuna bestia, eppure per tutta la notte giunsero da lontano guaiti e latrati da far accapponare la pelle. Ripresero il cammino all’alba, sicuramente più riposati e rinfrancati dal fatto che oltre la Foresta degli Incanti avrebbero finalmente adocchiato le Sacre Montagne: il loro obiettivo era visibile, quindi vicino.
Lo stregone era più indietro con Sirio, gli stava spiegando come usare i pugni in combattimento, mimava i gesti, le pose da assumere in attacco o difesa, l’importanza di tenere i piedi ben saldi sul terreno. Erano ormai in prossimità dell’uscita, si poteva sentire di nuovo lo scroscio del fiume Kaos, poi Eleanor si arrestò di colpo, le orecchie tese, gli occhi scattanti. Dietro di lei i due ridacchiavano, lei li ammutolì con voce imperiosa. Sirio si rabbuiò, lo Stregone invece fu subito sull’attenti.
«Che c’è soldatino?».
«Non lo so, ho come la sensazione che qualcuno o qualcosa ci stia inseguendo» affermò senza abbassare la guardia; lentamente sfilò la lancia dalla guaina.
Un frusciare di foglie e rami spezzati li fece voltare sulla destra, qui un uomo alto e vestito di marrone scuro ne fece capolino. Era totalmente calvo, gli occhi rossi con le pupille allungate e un grosso sorriso canzonatorio sul volto. Uno Stregone.
«Devi esserti rammollito proprio tanto se non riesci neanche più a fiutare i tuoi fratelli» esordì con finta allegria.
«Oh Scorpius! Ti chiami ancora così o sei già morto e risorto decine di volte dall’ultima volta?». Lo Stregone si interpose fra lui e i suoi compagni di viaggio, facendo cenno a Sirio di avvicinarsi a Eleanor. Il Prescelto obbedì. L’altro rise in maniera forzata, c’era follia nella sua voce:
«Sempre il solito spiritoso! Sei tu quello morto a quanto vedo», ovviamente si riferiva ai bracciali.
«Questi dici?» lo Stregone ne mostrò uno con sufficienza. «Sono solo per ornamento. Lo sai che sono un tipo alla moda».
Scorpius rise, di nuovo senza autenticità, poi spostò lo sguardo su Eleanor prima e sul ragazzino che si nascondeva dietro di lei poi.
«Un’Esorcista…» sospirò. «Sei caduto proprio in basso fratello».
«Sai com'è, sono tempi difficili per tutti».
Scorpius tornò a guardarlo:
«Nulla di personale, ma la Madre mi ha ordinato di portarle il Prescelto. E di ucciderti: si è molto offesa che uno dei suoi bambini l’abbia tradita». Il tono di Scorpius cominciava ad avere una nota di impazienza.
«Stregone» la voce di Eleanor tremò. Lui lanciò un’occhiata furtiva alle sue spalle: una decina di demons li avevano accerchiati. 
«Sempre in ottima compagnia, eh Scorpius?». Doveva riflettere, doveva prendere tempo per pensare a come uscire indenni da quella situazione. Lui si sarebbe potuto occupare di Scorpius, ma Eleanor da sola non avrebbe mai potuto combattere tutte quelle bestie inferocite. Senza contare il fatto che Sirio andava protetto e perciò le sarebbe stato d’intralcio. 
Un demons ringhiò e fece per scagliarsi contro Eleanor che prontamente lo trapassò con la lancia. Gli altri mostri digrignarono i denti aguzzi, emettendo versi spaventosi. Un altro scattò in avanti alle spalle dell’Esorcista, questa volta una palla di fuoco lo incenerì.
«Spiacente», disse Scorpius rivolto allo Stregone, «sono io il tuo avversario».
Quindi lo attaccò con una serie di pugni tempestivamente parati; Eleanor e il Prescelto furono assaliti dai demons.
La giovane ne ferì di striscio uno, con abilità lasciò roteare l’arma sulla propria testa e ne colpì un secondo, poi accecò un terzo ficcandogli la punta della lancia in un occhio. Non sarebbe resistita a lungo, erano troppi. Per uno che metteva fuori gioco ne arrivavano almeno altri due. Sirio si muoveva alle sue spalle, provando a non esserle di impiccio nei movimenti.
I due Stregoni, intanto, lottavano a suon di arti marziali, adesso Scorpius si stava rimettendo in piedi dopo aver preso un pugno in pieno volto. Lo Stregone ne approfittò e corse in supporto dell’Esorcista, eliminando un paio di demons.
«Dobbiamo fuggire!» esclamò lei in affanno.
«Un genio!». Lui incenerì un mostro dalle sembianze di un canide. «Non possiamo, devi liberarmi o non riusciremo a salvarci» continuò, poi riuscì appena in tempo a ripararsi dietro uno scudo di fuoco prima che la fiammata di Scorpius lo prendesse in pieno.
«Ti ho detto che sono io il tuo avversario!». Ribadì furioso quest’ultimo cominciando a bombardarlo. Lo Stregone non poté fare altro che difendersi, ma quando una delle bestie balzò pronta ad azzannare Sirio, d’istinto abbassò la guardia per colpire il demons; peccato fu preso in pieno stomaco da un calcio che lo scaraventò lontano.
«Stregone!». Urlò il principe, poi si rivolse all’Esorcista. «Devi liberarlo!».
Lei infilzò un mostro, il fiato corto e il viso schizzato dal sangue demoniaco. Non rispose.
Scorpius lanciò uno sguardo all’avversario più in là, era carponi mentre tossiva, pensò di approfittarne e fare fuori quella rompiscatole che stava ritardando la sua vittoria. Eliminò personalmente il demons contro il quale la giovane stava combattendo, gli altri mostri indietreggiarono, spaesati. Le si avvicinò, dominando in altezza e peso, il sorriso di chi sa che il bello stava per cominciare. Sirio si interpose tra lei e Scorpius, le braccia spalancate.
«Non la toccare!».
«Un vero cavaliere», constatò l’uomo, poi con uno schiaffo lo abbatté senza problemi.
«Principe!» esclamò Eleanor, puntando poi la lancia contro il nemico. Tentò di colpirlo ma lui schivò la punta senza scomporsi troppo, tuttavia quando fu lui a cercare di coglierla si accorse che sapeva il fatto suo. Lottarono per un po’, fin quando lei non riuscì a graffiargli una guancia. Scorpius si toccò la ferita e leccò via il suo stesso sangue sui polpastrelli. Arricciò le labbra all’insù:
«Niente male Esorcista». Quindi prese ad attaccarla con maggior vigore e stavolta la ragazza finì supina sul terreno fangoso, boccheggiando. Scorpius calciò lontano la lancia e si chinò sulle ginocchia:
«Non ho nulla contro di te», disse con voce fintamente dispiaciuta prima di afferrarla per la gola. «Capirai però che…».
Una bolla di fuoco lo centrò in pieno, facendolo capitolare. Lo Stregone avanzò fermandosi davanti a Eleanor che rimettendosi in piedi, con una certa fatica, raggiunse Sirio riappropriandosi della sua arma. 
«Sono io il tuo avversario!», tuonò lo Stregone rivolto a Scorpius.
Quest’ultimo se ne stava immobile, la testa china e le ginocchia piegate come se stesse pregando; subitaneo il corpo si deformò, si ampliò e mutò forma. La pelle fu sostituita da carapace, due enormi chele spuntarono al posto della bocca, una coda piegata verso l’interno presentava un pungiglione da cui colava un liquido verdastro.
«È diventato uno scorpione» balbettò Sirio terrorizzato.
I demons che erano rimasti nei dintorni, pronti a cibarsi eventualmente di carne fresca, si dileguarono.
Lo Stregone invocò contro il fratello vere meteore fiammeggianti, eppure il fuoco nulla poteva contro la sua corazza. Scorpius tentò di afferrarlo con le sue chele, nonostante l’imponente mole si muoveva con agilità. Lo Stregone schivò gli attacchi, riuscì a colpirlo tra gli occhi inutilmente, infine una botta di coda lo scaraventò sul terreno, gli parve di sentire la voce del moccioso incoraggiarlo a rialzarsi, intravide il Prescelto abbarbicato a Eleanor.
«Invece di fuggire… che stupidi!» sibilò.
«Ely!?».
L’Esorcista si scrollò di dosso il ragazzino - sebbene lui piangesse come una fontana - corse dallo Stregone e si chinò al suo canto, adagiò i palmi sui bracciali e chiuse gli occhi.
«Eleanor…» sussurrò lui.
La giovane pronunciò una formula in un’antica lingua, risollevò le palpebre di colpo:
«Rinasci Ifrit, Signore del Fuoco». 
Nei bracciali si formò una crepa, poi un’altra ancora, fino a frantumarsi completamente.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Capitolo 4

 
 
Il colore degli occhi dello Stregone mutò ancora, scurendosi. Alle sue spalle Scorpius spalancò le chele pronto ad acciuffare il rivale. Eleanor si riparò la testa con le braccia vedendolo caricare, urlando di fare attenzione. Il colpo non arrivò mai, sentì però un’energica folata di vento e sbirciò cosa stesse accadendo, rimanendo sbalordita: un enorme drago aveva afferrato lo scorpione per la coda e lanciato lontano. Lo Stregone - anzi no, Ifrit, adesso aveva di nuovo un nome - non c’era più. Ciò significava che lui era…
«Ely!». Sirio la raggiunse euforico. «È il drago! Lo Stregone si è trasformato in un drago!».
Adesso la giovane capiva perché era considerato fra i più temibili e ricercati Stregoni, catturarlo non doveva essere stato facile. Il principe saltellava sul posto con un pugno alzato a tifare per lui.
Il drago ormai sembrava avere la meglio sullo scorpione che subì i colpi e le fiammate improvvise. Dopo l’ennesima botta incassata, Scorpius tornò alle sue sembianze umane, riverso nel fango, gli occhi chiusi, il respiro irregolare.
Lo Stregone gli si avvicinò, spalancò le fauci ed emise un lungo urlo di vittoria che fece vibrare gli alberi. Avrebbe potuto ammazzarlo con una sola zampata, eppure non lo fece, si ritrasformò e fissò per un po’ l’altro.
«Ti ucciderò da pari, non si dica in giro che abbia vinto in modo disonesto». Si chinò sulle gambe, ma Scorpius lo afferrò per un polso e aprì gli occhi con un sorriso beffardo sulle labbra:
«È sempre stata questa la tua debolezza: voler strafare». Cambiò forma immobilizzando Ifrit con una zampa sul torace, se si fosse mosso gli avrebbe perforato le carni. Cominciò a premergli sul petto, l’unghia gli si conficcò in profondità tanto da farlo sanguinare; lo Stregone urlò di dolore e rabbia: avrebbe potuto ammazzarlo così facilmente…
La vista cominciava a offuscarsi, l’udito ovattato, perdeva troppo sangue, ne sentiva la schiena zuppa.
«Ehi!». La voce di Eleanor gli giunse da lontanissimo, simile a puntino sfocato la intravide tenere la lancia a mezz’aria, pronta a lanciarla.
«Stupido soldatino» farfugliò, poi inerme vide l’arma volare e cogliere il carapace dello scorpione che, sbigottito dal colpo, allentò la pressione su Ifrit voltandosi indietro. Piano girò su se stesso, puntando verso la giovane e Sirio.
«Ely?!».
«Corri!» esclamò lei, spingendo il ragazzino. «Corri e non fermarti!».
Lo scorpione si lanciò all’attacco muovendo le zampe velocemente. Sirio obbedì all’ordine e fuggì lungo il sentiero che lo avrebbe condotto verso l’uscita della Foresta degli Incanti. Eleanor intuì che l’obiettivo di Scorpius non era lei, ma il Prescelto, perciò gli sbarrò la strada con le braccia spalancate.
Lo stregone si puntellò sui gomiti scuotendo il capo per riprendersi dall’intontimento, si alzò, avanzò, barcollò. Tentò di trasformarsi, ma era troppo debole. Impotente vide lo scorpione muovere la coda in modo così fulmineo che neanche lui sarebbe stato in grado di prevederne l’attacco. Il pungiglione si conficcò nella coscia di Eleanor, la quale urlò per il dolore e ancor di più quando Scorpius si ritirò per gettarsi alle calcagna di Sirio. 
Nella foresta tornò il silenzio.
Lo Stregone raggiunse l’Esorcista sdraiata su un fianco, la giro verso di sé, il corpo era già scosso da brividi, il colorito cominciava a scemare.
«Proteggilo» biascicò, «ti-ti prego».
Sarebbe morta. Il veleno avrebbe attraversato tutto il corpo e tra insopportabili torture sarebbe deceduta. Anzi, avrebbe sperato che succedesse quanto prima.
Da lontano gli giunsero le suppliche del moccioso che chiedeva di essere liberato. Lo Stregone chiuse gli occhi, aspettò che quei gemiti scemassero, quindi afferrò Eleanor e si rimise in piedi con lei tra le braccia. Fece ricorso alle pochissime forze che gli restavano - “la sua riserva” la chiamava ,perché sapeva che in uno scontro lasciarsi un po’ di vitalità per il dopo poteva salvare la vita. Si trasformò e volò oltre gli Alberi Sempreterni, la giovane stretta tra gli artigli. Un paio di volte rischiò di perdere l’equilibrio, la ferita al petto non si era rimarginata completamente, la battaglia era stata violenta. Inoltre, aveva riacquistato i poteri solo da poco. Sorvolò la foresta per chilometri, era davvero molto vasta vista da lassù. Poi, infine, notò del fumo grigio alzarsi tra le fronde degli alberi e realizzò di aver trovato ciò che cercava.
 
Sperò che lei fosse in casa e non in giro a raccogliere erbe medicinali. Atterrò di schiena, si ritrasformò, gli abiti sudici. Il corpo di Eleanor al suo fianco era rigido, il respiro sempre più affannoso, la sollevò di peso e rischiò per un attimo di ruzzolare con lei.
«Una volta sapevi volare». Quella voce femminile alle sue spalle gli fece tirare un sospiro di sollievo. Forse non era tutto perduto.
«Febe». Si voltò, il torace insanguinato e la ragazza fra le braccia con un colorito cinereo. La donna si spostò subito nella piccola abitazione di legno, tenendogli la porta aperta:
«Entra» disse, «stendila sul letto».
Lo stregone obbedì e lasciò il corpo di Eleanor su un vecchio materasso.
«È veleno?». Chiese lei sollevandole le palpebre con le dita. 
«Sì. Scorpius…».
Febe lo guardò come per biasimarlo di chiederle l’impossibile.
«Non puoi non tentare, me lo devi. Almeno per lo sforzo che ho compiuto a portarla fin qui». Accennò un mezzo sorriso, poi Eleanor mugugnò qualcosa:
«Lei lo amava, perciò si è uccisa. Lo amava…».
Febe guardò il vecchio amico, un sopracciglio alzato, in attesa di una spiegazione.
«Parla della sorella: il grande segreto che si porta dentro».
«È già qualcosa che parli» la donna cominciò a pestare con il mortaio un paio di foglie strappate da alcune piante sul davanzale della finestra. «Sei ferito, devi curarti».
«Sto bene».
«Se stai bene allora accendi il camino lì vicino, avrà bisogno di calore».
Lui lo fece e la luce del fuoco avvolse immediatamente l’intera stanza. Quando Febe gli si avvicinò per spalmargli sulla ferita ciò che aveva preparato lo accettò volentieri, ma con una smorfia di disgusto:
«Questa cosa puzza!». Si lagnò.
«Sarà, ma ti salverà il culo».
Ifrit rise, tossendo.
«Puoi raccontarmi cos’è successo mentre preparo l’intruglio per la principessa. A proposito, non credo ti dispiacerà spogliarla».
Lui attese qualche secondo prima di cominciare a liberare Eleanor dai suoi abiti da cacciatore.
«Se fosse conscia, mi avrebbe già ucciso» affermò, quindi coprì il corpo nudo della giovane con una coperta di lana malconcia. Le toccò la fronte: era bollente, sebbene il colorito tendesse al grigio, le labbra violacee.
Febe aveva messo a bollire dell’acqua sul fuoco aizzato pocanzi dallo Stregone stesso, intanto consultava un ricettario scritto a mano - probabilmente da lei in persona - con vecchi fogli ingialliti.
«Sto aspettando» gli disse.
Febe era una donna minuta, con corti capelli scurissimi e una benda sull’occhio sinistro, indossava gonne ampie di tessuto scadente, sempre macchiate di terra e sbobba verdastra. Conosceva a memoria tutte le erbe medicinali, avrebbe saputo preparare una pozione solo sentendone l’odore. Era nota tra la gente come la Guaritrice, si diceva che una volta avesse fatto risorgere un giovane morto solamente facendogli odorare il suo intruglio magico. Qualcuno la temeva perché credevano fosse figlia di Sekhimet, queste persone la definivano Strega, ma molti altri affrontavano viaggi lunghissimi e pericolosissimi per chiederle di salvare questo o quel parente morente. Le donne per lo più si affidavano a lei quando non riuscivano a rimanere incinte o per interrompere una gravidanza indesiderata.
Lo Stregone l’aveva conosciuta anni addietro, quando era stata lei ad aver bisogno di aiuto.
«Re Leandro mi aveva promesso la libertà se avessi accompagnato suo figlio sano e salvo dai Saggi. Lei, Eleanor, è un’Esorcista che avrebbe dovuto vegliare sul moccioso e fare in modo che io mantenessi fede alla parola data».
Alla presenza di termini come “Saggi” ed “Esorcista” Febe si irrigidiva sempre, ma non lo interruppe, iniziando invece a gettare nella pentola alcune foglie macinate.
«Siamo stati attaccati da Scorpius. A nulla sono serviti i miei poteri».
«Il Prescelto dov’è?».
«È stato catturato».
«E tu hai ben pensato di salvare lei e non lui…».
«Ero ferito, non avrei avuto possibilità alcuna».
«È stata lei ad assegnarti il nuovo nome?». Chiese la Guaritrice mescolando con un coppino di legno.
«Sì. Era suo compito farlo, le era stato ordinato da Leandro in persona».
«E lei sa cosa significa? Qualcuno glielo ha detto?». Si udì solo lo scoppiettio della legna nel camino, la donna sospirò: «Immaginavo». Quindi versò la brodaglia scura in una tazza sbeccata, si accomodò sul letto e sollevò il capo di Eleanor cominciando a farla bere.
«Si salverà?». Domando lui.
«Non lo so. Il veleno di Scorpius è potente, subdolo, uccide piano. Ma proprio per questo abbiamo tempo per contrastarlo. La notte sarà fondamentale». Febe si rialzò. «Suderà molto, diventerà fredda come un cadavere, sarà scossa da tremori, vaneggerà, avrà bisogno di calore». Gli posò una mano sulla spalla. «È una fortuna che abbia un Signore del Fuoco dalla sua». Sbadigliò. «Io sono nell’altra stanza se hai bisogno». Così dicendo scomparve oltre una porta sul fondo dell’abitazione.
Ifrit rimase esattamente dov’era per un po’ a osservare il profilo di Eleanor. Ogni tanto questa stringeva le palpebre, si mordeva il labbro, sembrava combattere contro un demone invisibile. Lo Stregone sospirò guardando oltre la finestra, il vento aveva preso a soffiare con vigore. Si accomodò a gambe incrociate sul pavimento, la schiena contro le assi del letto e il camino alla sua destra. Il fuoco stava per spegnersi, perciò lo ravvivò con della legna e un’altra piccola fiammata. Un insetto sbucò da un forellino nel tronco, provò a sfuggire alle fiamme, invano.
Ifrit chiuse gli occhi, pensò a Sirio, a dove si trovasse in quel momento, se fosse già stato portato al cospetto di Sekhimet. Dubitava che Scorpius lo avesse ucciso. La dea lo pretendeva vivo perché quando sarebbe scoccata la Dodicesima Luna i poteri di Mithra si sarebbero risvegliati e lei li avrebbe assorbiti prima di ammazzarlo. Alla fatidica notte mancava ancora qualche giorno, se Eleanor si fosse rimessa in forze avrebbero ancora potuto fare qualcosa per il moccioso.
Cullato dallo scricchiolio dei ceppi che ardevano e dal fischio del vento che riusciva a insediarsi nelle fessure degli infissi si appisolò, un sonno leggero e senza sogni.
 
Fu destato dai lamenti sommessi di Eleanor alle sue spalle. Febe era già accanto a lei, la teneva su un fianco in attesa che passassero le convulsioni. Ifrit si ritrovò il volto della giovane Esorcista rivolto verso il suo, aveva gli occhi spalancati e vitrei. Erano di un bel verde intenso, non ci aveva mai fatto caso.
«Se passa questa» disse Febe, «dovrebbe essere fuori pericolo».
Lo Stregone si mise in piedi, tastò una guancia di Eleanor, poi la fronte.
«È gelata» costatò, allora tenendola avvolta nella coperta la sollevò di peso e la portò davanti al camino, al quale diede un’altra ondata di fuoco per aumentarne il calore. Le asciugò il sudore con un lembo della coperta, gli occhi di lei erano ancora aperti e vuoti, eppure sembravano fissarlo.
«Andiamo soldatino, andiamo». Ifrit la cullò dondolandosi avanti e indietro, seduto per terra con lei fra le braccia. Dopo un po’ i tremori si calmarono e le palpebre lentamente si abbassarono, il respiro parve regolarsi. Solo di tanto in tanto aveva degli attimi in cui il fiato pareva smorzarsi, poi passava.
«Guarda Febe, la crisi è finita, quindi è salva?». Chiese al nulla poiché la donna era tornata nella sua stanza.
 
Quando Eleanor si ridestò rimase qualche istante confusa, non conosceva quel luogo né la coperta che la teneva al caldo. Del fuoco restava solo una minuscola brace sopra un mucchietto di cenere. Eppure si stava bene lì, accoccolata a quell’uomo che tanto aveva temuto e odiato. Allungò due dita per sfiorarne il volto - sentì la barbetta ispida - coi capelli acconciati all’indietro, lunghi fino alla nuca. Lui aprì gli occhi, come se fosse sveglio da sempre. Le sorrise:
«Bentornata soldatino».
Nell’udire quel nomignolo l’espressione serena dell’Esorcista si agitò, tirò via la mano:
«Dov’è il principe?», chiese.
«Va bene soldatino, ti sei appena ripresa da una nottata movimentata, adesso...»
«Sono nuda per Mithra! Perché sono…?». Lanciò un’occhiataccia a Ifrit e tentò di rimettersi in piedi troppo in fretta. La trattenne prima che potesse cadere, ma di nuovo lo allontanò con una mano mentre si teneva su la coperta con l’altra.
«Sei un maiale!». Urlò. «Sei un…» all’improvviso riaffiorano alla mente alcune immagini dell’ultima battaglia. «… un drago», biascicò. «Tu sei un drago. Io ti ho liberato, ti ho chiamato Ifrit e poi sei diventato un drago». Parlava con se stessa più che con qualcuno.
«Siediti», l’accompagnò sul letto dove si accomodò con lei.
«Scorpius. Scorpius mi ha punto. Sirio è fuggito…» alzò lo sguardo, «dimmi che sei riuscito a salvarlo, ti prego».
«Tu eri un affare più urgente».
«Io cosa?». Eleanor scattò in piedi. «Lui è il Prescelto, io non sono nessuno, ho liberato i tuoi poteri affinché proteggessi lui, non me!».
La porta all’ingresso si spalancò ed entrò Febe con nuova legna e uova fresche. Lasciò le prime in un cesto e mise a cucinare le seconde.
«Ce l’hai fatta», disse rivolta a Eleanor. «Ho dei vestiti puliti di là e l’acqua può riscaldartela il tuo fedelissimo compagno». 
L’esorcista si limitò a osservarla.
«Lei è Febe, ti ha salvato letteralmente la vita» raccontò Ifrit.
«Mente». La donna porse alla giovane un piatto con uova strapazzate. «È stato lui a salvarti il culo, portandoti da me ferito e sanguinante».
Eleanor voltò l’attenzione sullo Stregone, sempre più confusa.
«Non le credere, ha un dono per la drammaticità», scherzò lui.
«Quindi vedi di fare poco la schizzinosa, mangia e poi sparite! Ho dei pazienti da visitare».
 
Eleanor rimase chinata con la fronte quasi a toccare le ginocchia, ringraziando Febe per l’aiuto. La donna le disse di avere cura di lui, riferendosi allo Stregone, perché se avesse saputo che lo aveva lasciato a morire gliel’avrebbe fatta pagare, poi le sbatté la porta in faccia.
Ifrit e l’Esorcista si incamminarono verso l’uscita della Foresta degli Incanti, diretti al Regno Oscuro. Secondo lui Sekhimet non avrebbe ucciso Sirio prima della Dodicesima Luna, per questo motivo se avessero tenuto un passo svelto sarebbero riusciti a raggiungere il tempio prima che ciò accadesse.
«Febe è una tua amica?». Gli domandò lei dopo diversi minuti di silenzio.
«No, non ci sono amici nel mio mondo. Solo conoscenti giusti al momento giusto. Si chiama tempismo».
«Io lo definirei opportunismo», ribadì la giovane. I vestiti della Strega le stavano un po’ stretti, lei era più bassa e magra, ma sempre meglio di nulla. Inoltre, senza uno specchio non era riuscita a intrecciarsi i capelli che adesso teneva sciolti e ondulati lungo la schiena.
«Anni fa le salvai la vita e non me l’ha mai perdonato, ma la sua indole non le permette di fare ciò che davvero desidera» narrò Ifrit.
«Cioè?».
«Suicidarsi».
Eleanor si irrigidì a quella parola, succedeva sempre quando qualcosa le ricordava sua sorella Miriam. Lo Stregone la osservò di sottecchi, quindi decise di rincarare la dose:
«Febe era un’Esorcista come te, anche lei desiderava diventare un Saggio. Ha sacrificato il suo cuore divenuto di pietra, il suo ventre è arido e vuoto e le hanno cucito un occhio».
«Ecco perché indossa quella benda» lo interruppe lei, ma Ifrit proseguì:
«Stavano per chiuderle pure l’altro, poi uno dei Saggi la informò che aspettava un bambino quando le avevano strappato via tutto».
Eleanor si arrestò, il viso contratto in una smorfia di repulsione, lui la imitò senza tuttavia interrompere il racconto:
«Ferì i Saggi e fuggì. La trovai sulle rive del fiume Kaos, in prossimità della foce, pronta a gettarsi. Con il sangue ancora incrostato sul viso mi disse: neanche le lacrime riescono a uscire. Mi presi cura di lei, mi odiò per questo. Le consigliai di aiutare gli altri se non riusciva ad ammazzarsi».
Eleanor abbassò lo sguardo, un sorriso amaro le increspava le labbra. Uno Stregone, un essere mostruoso, era riuscito in ciò che lei aveva fallito: aiutare una persona a sopravvivere.
«Io non sono riuscita a salvare Miriam». Confessò. «Mi svelò di essere innamorata di uno Stregone, le risposi che l’avrei ripudiata come sorella: una vergogna simile, una famiglia rispettata come la nostra, non se la meritava. La gente andava dicendo che dentro di lei cresceva un demone che le avrebbe squartato il ventre venendo al mondo e per la paura, la disperazione e la vergogna preferì uccidersi…».
«Sai vero che non poteva essere incinta?».
«Sì, lo so. Voi Stregoni siete sterili». Poiché Ifrit non disse nulla, lei continuo il racconto. «Cercarono di fuggire insieme, ma furono catturati. Lui fu impiccato in pubblica piazza e mentre tutti assistevamo alla sua dipartita, Miriam faceva lo stesso. Il suo corpo fu ritrovato qualche giorno dopo, così malridotto che la riconoscemmo dalla collana scaccia demons che indossava al collo». Eleanor risollevò lo sguardo, un sorriso tirato e le lacrime agli occhi. «Ho scoperto che non tiene lontano neanche una bestia comune, figuriamoci i demoni». L’Esorcista si asciugò distrattamente le guance e si sforzò di sorridere. «Non ho neanche più un’arma» fece notare.
«Hai me».
«Tu non sei un’arma».
Lo Stregone sospirò.
«Non vi insegnano proprio niente all’Accademia? Quando uno Stregone viene rinominato resterà legato a quella persona fin quando lei lo vorrà, o almeno fintanto che sarà in vita».
Eleanor ne aveva sentito parlare invece, e letto molto al riguardo. Sapeva anche che qualcuno nei secoli aveva scambiato quel legame per amore. Fu come rivivere sulla propria pelle il calore provato standogli raggomitolata davanti al camino; la sensazione di benessere che l’aveva pervasa, quel sentirsi al sicuro tra le sue braccia. Tutto era dettato da quel legame? Da quel patto silenzioso?
«Forza soldatino monta, il Prescelto non si salverà da solo».
Lo vide trasformarsi in un drago, bellissimo e spaventoso insieme, gli salì sulla schiena e lasciò che sorvolasse la Foresta degli Incanti, prossima meta il Regno Oscuro.


 
***

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***



Capitolo 5

 
 
Il Bosco Oscuro era in realtà una distesa desolata, con alberi rinsecchiti e un terreno completamente secco. Anche dall’alto si potevano notare scheletri e carcasse di animali morti e demons in decomposizione. Il Tempio di Sekhimet, invece, era una vera fortezza di cemento grigio, composta da quattro torri collegate tra loro da ponti sospesi a un’altezza vertiginosa. Sulla cima di ogni bastione si contavano almeno due custodi di ronda.
Il drago atterrò in prossimità del cancello nero e si ritrasformò in Ifrit. Eleanor fece per avanzare di gran carriera, ma lui la trattenne prima di lanciare una palla infuocata che sfiammò a contatto con la cortina che proteggeva l’intera area. Trovare una breccia non sarebbe stato facile, inoltre furono immediatamente circondati da alcune guardie con addosso una pesante armatura di ferro e il volto coperto da elmi, le spade sguainate contro di loro. Lo Stregone afferrò di nuovo la giovane tenendola per un braccio:
«Sono Ifrit, Signore del Fuoco e figlio della dea», annunciò a gran voce. «Vi porto l’Esorcista Eleanor come pegno di redenzione».
«Che fai?». La giovane cercò di liberarsi, ma la presa si fece più salda.
«Fidati di me, per una volta», le bisbigliò.
Le guardie si consultarono, infine decisero di credergli.
«Dacci la femmina».
«Prima voglio la vostra parola di poter vedere la divinità e beneficiare della sua accoglienza».
«E sia!», rispose una delle sentinelle, avanzando e prendendo in custodia Eleanor. «Prima che la grande dea deciderà di darti in pasto ai demons, potremmo divertirci un po’ insieme» sghignazzò l’uomo accarezzandole la curva del collo con l’impugnatura della spada. Ifrit gli torse il polso fin quasi a spezzarglielo:
«Ricordati: lei è mia», mollò la presa per rivolgersi a tutti gli altri: «Diffondete la voce: nessuno la tocchi prima che lo abbia fatto io!».
Eleanor urlò di lasciarla andare, inveendo contro Ifrit, poi fu trascinata via tra i consensi generali degli uomini:
«Hanno gusti sopraffini gli Stregoni» gracchiò quello che le legò i polsi e le caviglie, mentre la rinchiudeva in una prigione umida che puzzava di piscio. 
La giovane si ritrovò da sola in quella cella, rannicchiata nell’angolo opposto a uno scheletro umano; la mandibola sembrava rivolgerle un perenne ghigno macabro; si udivano gli squittii dei topi. C’era un sottofondo continuo, simile a un gemito, a volte si udivano suppliche, altre urla disumane. Eleanor in quei casi avrebbe voluto tapparsi le orecchie con i palmi, se non avesse avuto entrambi i polsi legati dietro la schiena. Allora chiudeva gli occhi con forza, recitava preghiere rivolte al Signore della Luce, oppure implorava Ifrit di salvarla.
Chiuse gli occhi e sperò che il suo piano avesse un senso. Più volte il dubbio che l’avesse abbandonata al suo destino tentò di mettere radici nel suo cuore e nella sua mente, ma cercò di scacciare quel pensiero, di tenerlo lontano. Non poteva farsi prendere dal panico, mantenere la lucidità anche nei momenti peggiori era una delle prime regole che insegnavano in Accademia: “La Luce deve continuare a splendere dentro di te, soprattutto quando tutto intorno è buio”.
Si chiese dove fosse lo Stregone, se avesse più fortuna di lei.
Non seppe mai quanto tempo trascorse lì dentro, al buio, con la sagoma dello scheletro sul fondo dell’angusta cella e i lamenti nelle orecchie. Solo una volta una guardia entrò per lasciarle una ciotola con del brodo.
«Ho le mani legate idiota, come dovrei mangiare?». Sperò che l’uomo gliele sciogliesse, invece lui si chinò in avanti e le tenne il mento fra le mani:
«Se solo non fossi di proprietà dello Stregone…», si passò la lingua sulle labbra, aveva pochi denti ingialliti. «È da parecchio che non passa una giovane come te da queste parti». Si alzò. «Lecca direttamente dal piatto se non vuoi morire di fame» si avviò all’uscita, «ma se fossi in te preferirei morire di stenti piuttosto che vivere quello che verrà». Rise chiudendosi la porta di ferro alle spalle. Eleanor sentì la chiave fare un doppio giro nella serratura.
Sì, forse sarebbe stato meglio morire di fame.
 
Era mezza assopita quando sentì la voce di Ifrit tuonare nel corridoio della prigione, sollevò piano le palpebre, ancora incerta se lo avesse sognato. Ogni muscolo era intirizzito, lo stomaco brontolava per la fame tremenda, però quando la voce dello Stregone si fece più viva, più reale, ogni pena cessò.
«Dov’è?», lo sentì dire. «È qui dentro? Dammi le chiavi e vai a farti un giro». Adesso era proprio davanti alla sua cella. La guardia di turno cercò di replicare, ma Ifrit non volle sentire ragioni.
«Sparisci, se non vuoi finire carbonizzato».
Ci fu un attimo di silenzio, poi la chiave scattò nella serratura e la porta si aprì piano, cigolando sui cardini. Lo Stregone comparve sull’uscio, aveva abiti nuovi e i capelli puliti; privo di barba gli occhi brillavano al buio.
«Soldatino!». Esclamò felice, si avvicinò liberandole prima i piedi e poi prendendo a tagliare le spesse corde che le tenevano insieme i polsi. Erano molto vicini, lui continuò a parlarle come se non l’avesse lasciata in quella topaia per ore.
«Ah, vedo che hai un nuovo amico, non deve essere di grande compagnia», indicò con un cenno del capo lo scheletro. «Ti sono mancato?».
Appena le mani furono libere Eleanor gli mollò un ceffone in pieno volto, lo schiocco rimbombò contro le pareti vuote. Lui inspirò profondamente e solo in quel momento si accorse che copiose lacrime silenziose le bagnavano il viso, cadendo oltre il collo.
«Va bene, me lo sono meritato, vuoi picchiarmi? Dai…», le prese una mano e si diede un leggero buffetto sulla guancia appena colpita. «Forza, non ti fermerò». Adagiò un palmo sul suo viso umido. «Mi dispiace soldatino. Mi dispiace». Le baciò le labbra con delicatezza. Lei socchiuse gli occhi lasciando che quel contatto spazzasse via la paura di quelle ultime ore. Le sembrò che mai nessuno fosse stato tanto premuroso con lei, neanche la sua famiglia, nessuno nell’Accademia.
«Sirio è ancora vivo, so dove lo tengono, andiamo». Tenendola per mano l’aiutò a rimettersi in piedi. Attese che nelle gambe riprendesse la normale circolazione, poi uscirono dalla prigione.
Era stato il suo primo bacio.
 
Strada facendo le diede da mangiare del cioccolato e le spiegò che Sirio si trovava nella torre a ovest e che loro erano in quella a sud; le consigliò di fingere di essere sua prigioniera nel caso avessero incontrato qualcuno lungo il cammino.
«Ma ti stupirai di notare quante poche guardie ci siano», evidentemente, spiegò, la dea era sicura che mai nessuno si fosse intrufolato nel suo regno.
Eleanor trovò alcune armi abbandonate ai piedi di vecchie armature e si impossessò di una lancia. Con un’arma stretta nelle mani si sentiva molto più al sicuro.
Giunsero nei pressi della torre ovest, anche questa deserta. Salirono una rampa di scale a chiocciola che sembrava non finire mai, ma quando finalmente raggiunsero la sommità trovarono due guardie di piantone davanti a una piccola porta. Ai piedi altrettanti demons dalle sembianze feline. Lo Stregone lanciò subito due palle infuocate contro di loro, mentre Eleanor provvedeva a infilzare le bestie.
Oltre la porticina la stanza era a forma circolare, molto ampia, al centro c’era un unico tavolo di cemento, sporco di sangue vecchio e ormai incrostato. Sopra le loro teste il soffitto era caduto in più punti, si potevano notare le nubi scure. Una scala di pietra conduceva sul tetto.
«Principe», chiamò l’Esorcista, l’apprensione nella voce quando le rispose il silenzio più assoluto. «Sirio!». Il tono si alzò.
«Arrivano», disse lo Stregone invocando una barriera di fuoco per chiudere l’unica entrata possibile. Le guardie ci finirono contro, diventando torce umane.
Eleanor girò intorno all’altare e proprio al lato opposto scovò il corpicino del Prescelto riverso sul pavimento, privo di sensi. Lo sollevò per le spalle, dandogli un paio di buffetti sulle guance. Lo chiamò più volte, poi lentamente lui sollevò le palpebre e accennò un sorriso stentato.
«Sei-sei venuta» farfugliò.
«Certo. Certo che sono venuta a salvarti». Lo strinse contro il petto, come avrebbe fatto una mamma affettuosa.
Poi si udì uno schianto, nelle pareti si formarono alcune crepe prima di cedere del tutto. Un orco enorme ne fece capolino, nella mano destra teneva una grossa clava, il braccio mancino era stato reciso di netto. Dalla bocca colava saliva vischiosa e maleodorante.
Ifrit raggiunse i suoi compagni:
«Dobbiamo andarcene». Notò Sirio perciò sollevò un palmo sorridendo: «Ehi moccioso, ti trovo in formissima».
Il ragazzino ampliò il sorriso e tentò di mettersi in piedi. Eleanor lo sostenne, consigliando di raggiungere le scale.
«Come se fosse facile» aggiunse lo Stregone.
L’orco emanò un urlo agghiacciante, qualche guardia lo punzecchiò con la punta della spada affinché attaccasse gli intrusi, perciò cominciò a menare colpi con la clava a destra e a manca. Ifrit lo prese in pieno volto con un paio di bolle di fuoco, ma ottenne solo l’effetto di accrescere l’ira del gigante.
Si precipitarono su per le scale, finalmente all’aria aperta. Erano molto in alto e non c’erano altre vie di fuga, inoltre lo Stregone portò dietro di sé una scia di sentinelle e demons, e a ogni botta dabbasso dell’orco la torre sussultava.
Sirio si accasciò sulle ginocchia, Eleanor si chinò al suo fianco. Era debole, troppo. Ifrit se ne stava in piedi davanti a loro a combattere senza tregua, aveva già eliminato una decina di nemici, ma ne stavano arrivando altri e da lontano si potevano già udire i versi gracchianti delle Arpie.
«Così non va», costatò l’Esorcista.
«Che lungimiranza, soldatino», ironizzò lui. «Adesso mi dirai anche che siamo in trappola?».
Eleanor studiò l’ambiente circostante. La sommità della torre dominava sull’intero Bosco Oscuro; ormai brulicava di bestie demoniache, di guardia di Sekhimet e le Arpie stavano giungendo da chissà dove. Non avevano scampo, se non che...
«Principe, ce la fai a correre fino al parapetto?».
«Ci-ci posso provare».
«No!», l’Esorcista lo scosse per le braccia e lui parve destarsi da un sogno. «Ce la devi fare!».
«Va bene Ely, ce la faccio».
«Bravo».
Si rimisero in piedi, il cielo nero fu attraversato da un lampo e il volto della dea comparve fra le nubi. Era molto bella, aveva lineamenti felini e gli stessi occhi di Ifrit rilucevano come fuoco vivo. Spalancò la bocca, creando uno squarcio nel cielo da cui spuntarono le Arpie. Il Prescelto si lamentò, come se un coltello lo avesse appena infilzato.
«La testa» disse tenendosela fra le mani, «mi scoppia».
Era la vicinanza con l’oscurità, comprese Eleanor, ecco perché era così provato nel corpo e nell’animo. La sua vitalità andava scemando, come assorbita. Lo Stregone creò uno scudo sopra la loro testa appena prima che due Arpie potessero afferrarli.
«Potresti anche darmi una mano, soldatino».
La giovane invece prese una mano di Sirio nella sua, gli parlò piegandosi sulle ginocchia per guardarlo dritto negli occhi, quegli occhi luminosi e chiarissimi che aveva giurato di proteggere a qualunque costo:
«Sei pronto? Devi solo correre fino alla balaustra, poi penserò io a tutto».
«Va bene».
Mano nella mano scattarono verso sinistra, lasciando Ifrit da solo a tenere a bada il branco inferocito.
«Salta!» gli ordinò Eleanor e il ragazzino saltò senza chiederle nulla, perché di lei si fidava. Il vuoto assoluto si spalancò sotto di loro, il vento fra i capelli, il buio li inghiottì.
«Ifrit!» urlò la giovane.
«Agli ordini, soldatino!».
Lo Stregone lanciò un’ultima meteora contro alcuni demons che indietreggiarono guaendo, poi mutò forma e volò oltre il parapetto, in picchiata.
Quando il Prescelto riaprì gli occhi si ritrovò sulla groppa del drago. Stavano fuggendo dal Regno Oscuro, le Arpie alle calcagna e il volto minaccioso di Sekhimet contro il cielo nero. Alzò lo sguardo su Eleanor, lei teneva il suo dritto davanti a sé, lo notò e gli sorrise con dolcezza.
«Dormi principe, dormi».
E lui dormì.
 
Si svegliò perché qualcosa non andava. Provava sensazioni mai provate fino a quel momento. Un dolce tepore lo avvolgeva fin nelle ossa, profumi nuovi e intensi gli solleticavano il naso. Sollevò piano le palpebre, ma un intensa luce gialla gliele fece richiudere d’istinto.
«Principe», Eleanor lo scosse con delicatezza. «Ci siamo principe, siamo nel Regno di Mithra».
Sirio aprì gli occhi, il cielo oltre il volto dell’Esorcista era di un azzurro splendente, il terreno sopra il quale era disteso morbido e verde, di tanto in tanto spuntavano fiori rossi che aveva visto solo nei libri. Il loro nome era papaveri, se ricordava bene. Una coppia di uccellini si posò sui rami di un albero, cinguettarono, si rincorsero, si beccarono come per baciarsi, poi volano via in armonia.
Davanti a loro si estendeva una vera città, sulle cime delle Sacre Montagne si scorgeva una splendida Cattedrale di marmo bianco, il rosone emanava riverberi di luce e colori. Ai suoi piedi si apriva la capitale del Regno, qui la gente sembrava cordiale, il mercato era un insieme di voci, odori e musica. Le persone non fecero caso ai tre stranieri; un venditore invitò Eleanor a provare i suoi tessuti, un altro porse a Sirio un pezzo di formaggio lavorato con il latte delle sue capre. Era un mondo completamente diverso da quello in cui avevano vissuto finora.
«È così che sarebbe senza Sekhimet?», chiese il principe stordito da tutto ciò.
«Probabile», gli rispose Ifrit.
Scalarono la lunga scalinata che precedeva il Tempio di Mithra. Vista da vicino la costruzione era ancora più maestosa. Due saggi erano immobili all’ingresso, nell’attesa che arrivassero.
«Benvenuto Prescelto», lo accolsero. Indossavano lunghi mantelli grigi, il cappuccio calato sul capo e gli occhi cicatrizzati. Non c’era alcuna intonazione nella voce. Inoltre lì, così in alto, si poteva udire distintamente lo sciabordio di una cascata.
«È la sorgente del fiume Kaos, dove tutto ha inizio», spiegò uno dei due uomini anticipando la domanda del ragazzino, quindi aggiunse: «Vieni».
Sirio si aggrappò a Eleanor:
«Non lasciatemi solo».
«No, certo che no». Lei guardò Ifrit.
«Nel Tempio del Dio possono entrare solo coloro che intendono intraprendere il cammino della Luce, i figli delle tenebre non sono ammessi».
«Tranquillo nonno, non ho nessuna intenzione di fare clausura», affermò lo Stregone.
«Ely…», Sirio l’abbraccio più forte, guardandola con occhi imploranti.
«Io…». La giovane lanciò nuovamente un’occhiata verso Ifrit, avrebbe voluto che lui dicesse qualcosa, che magari la convincesse a fare l’una o l’altra scelta. Invece lo Stregone rimase in perfetto silenzio.
La sua vita era stata spesa dedicandola al cammino della Luce. La sua adolescenza sacrificata all’addestramento, con lo scopo finale di diventare un Saggio, un sacerdote di Mithra. Tutto questo prima che scoprisse anche l’altra faccia della medaglia: Ifrit.
«Ely?». La vocina di Sirio scacciò via ogni dubbio sul da farsi.
«Va bene, verrò con te principe». Il ragazzino sorrise come non faceva da qualche tempo, poi lei si rivolse allo Stregone: «Sei libero, il nostro legame finisce qui».
«Non funziona così» le fece notare lui.
«Invece funziona proprio così», rispose l’Esorcista infastidita dalla sua continua impertinenza.
«Grazie di tutto Stregone», si intromise Sirio.
L’uomo si chinò sulle gambe per scompigliargli i capelli dorati:
«Fai cose buone moccioso» poi tornò in posizione eretta rivolgendosi a Eleanor un’ultima volta: «Mi troverai alla locanda del paese semmai dovessi cambiare idea». Lei non disse altro, semplicemente si fece guidare dal Prescelto oltre i mastodontici portoni d’ingresso della Cattedrale che si spalancarono solo per loro.
 
All’interno la chiesa era ancora più splendida che ammirata da fuori. La luce del sole entrava dalle enormi finestre disposte lungo le navate laterali, la statua del dio troneggiava in fondo a quella centrale; i ritratti appesi alle pareti ritraevano la battaglia contro sua sorella Sekhimet, nonché la vittoria finale del Bene sul Male.
Un terzo Saggio si avvicinò, rivolgendosi alla giovane Esorcista.
«La tua arma», disse.
«Come?».
«Devi posare l’arma, non ti servirà più».
La giovane brandì la lancia e la tenne nella mano libera - Sirio le stringeva ancora l’altra -. Ne osservò la punta insanguinata, era così famigliare tenerla con sé…
Ripensò a tutto quello che aveva passato per arrivare fin lì; all’angoscia provata nella cella prima che Ifrit comparisse sulla soglia della porta; alla battaglia contro Scorpius, alle volte che lo Stregone si era frapposto tra lei e i nemici per proteggerla; alla sensazione di libertà alla quale stava rinunciando. Pensò a sua sorella Miriam, morta per ciò in cui credeva: l’amore. E il fatto che lei non aveva saputo aiutarla.
Tutta quella luce che penetrava dalle finestre e il calore del sole non erano comunque paragonabili al tepore, al benessere che l’aveva pervasa stando abbracciata allo Stregone nel cuore della Foresta degli Incanti. Allora ripensò a Febe, al suo ventre vuoto e il cuore pietrificato che, nonostante tutto, non era capace di ammazzarsi, ma dedicava la sua esistenza facendo ciò in cui era brava: aiutare gli altri.
E lei in cosa era brava?
«Principe». La voce di Eleanor era ferma, pretese che lui la guardasse negli occhi, parlò piano per assicurarsi che capisse ogni parola. «Questo è il tuo destino, tu sei il Prescelto, non hai alternative per ora. Ma io sì. Io posso scegliere chi essere e scelgo la libertà, scelgo la vita».
«Promettimi che tornerai se avessi bisogno di te».
«Te lo prometto: tornerò per combattere ancora insieme».
«E sarò io a proteggerti».
Si strinse a lei, la quale ricambiò senza trattenersi. Fu un saluto privo di pianti, privo di addii, forse perché entrambi sapevano che un giorno avrebbero lottato l’uno al fianco dell’altra per riportare la Luce sul mondo.
Eleanor abbandonò la cattedrale senza indugi, senza mai voltarsi indietro, con la lancia contro la propria schiena
In cosa era brava?
Nell’uccidere demons, ovviamente.

 
 
Epilogo
 
 
La taverna era colma di gente: i tavoli occupati e al bancone uomini dal volto arrossato per il vino si godevano la vista delle donne che ballavano per loro. Anche in quel senso la capitale del Regno del Sole era diversa rispetto ai villaggi o alla città in cui Eleanor era cresciuta. Tutto lì era più disinibito, più fresco e inebriante.
La giovane non ci mise troppo per individuarlo: Ifrit sedeva da solo in fondo al locale. Gli occhi tradivano la sua vera natura, evidentemente nessuno voleva rogne lì dentro, tanto che neanche le donne gli davano retta, sebbene un giovane uomo privo di compagnia potesse essere un buon affare per quella notte.
Il tavolo di legno era imbandito di ogni leccornia, così tante pietanze e bevande che avrebbero sfamato tranquillamente un esercito. Eleanor abbandonò la lancia sulla superficie del piano e si accomodò di fronte a lui, prendendo un chicco d’uva da una delle tante ciotole.
«Nessuno sarebbe in grado di mangiare tutto questo da solo», gli fece notare.
Lo stregone beve un lungo sorso di birra, si pulì con il dorso della mano:
«Infatti, non sono solo», addentò una coscia di pollo e parlò con la bocca piena: «Che vuoi?».
«Prego?».
«Perché sei qui? Mi hai detto che ero libero, ora che vuoi da me?».
«Proporti un lavoro».
«Sentiamo».
«Diventiamo soci in affari: cacciatori di demoni. La gente paga bene per essere liberata dalla piaga dei mostri che mangia il loro bestiame o devasta il proprio raccolto».
Ifrit morse un altro pezzo di carne prima di risponderle:
«Uno Stregone e un’Esorcista: una coppia alquanto insolita».
«Non mi sembri tipo da vergognarti». Eleanor bevve dal suo stesso bicchiere, storcendo il muso. «Questa birra è orrenda».
Lui lasciò la coscia nel piatto, era mangiucchiata a metà, si pulì le mani con il tovagliolo di stoffa e tolse alla giovane il boccale per berci. Soffocò un rutto, poi disse:
«Sono legato a te, non hai bisogno di chiedermi le cose».
«Lo so, ma non mi piace l’idea di obbligarti a fare qualcosa che non vuoi. Smettila di trattarmi come se non provassi dei sentimenti».
Lo stregone rise, gettando la testa all’indietro come il solito:
«Ah davvero, scusami se ho turbato la tua sensibilità. E per chi proveresti questi sentimenti, oltre che per la tua ossessione di combattere l’Oscurità, ovviamente».
«Per te, va bene?!».
Ifrit ritornò serio, uno scintillio attraversò gli occhi felini, scattò in avanti allungandosi sul tavolo, la brocca si rovesciò gocciolando birra ovunque. L’afferrò per la nuca e l’attirò a sé, baciandola con passione.
«Accetto», concluse tenendo ancora le labbra incollate alle sue. «Accetto».
 
La stanza della locanda non era vecchia e sporca come quella in cui avevano alloggiato la prima notte del loro lungo viaggio. Il letto a due piazze li accolse già mezzi nudi, mentre si spogliavano reciprocamente non avevano smesso neanche un attimo di lambirsi le bocche. Sdraiato sopra di lei Ifrit cominciò a sfiorarle il collo con la lingua, l’incavo al di sotto del mento, intanto che le dita le stuzzicavano un seno, le accarezzavano la pelle nuda del bacino.
Eleanor precisamente non sapeva cosa fare. Le sembrava solo di ricevere senza dare. Le sue mani ora si aggrappavano ai suoi capelli lunghi sopra le spalle, ora gli sfioravano la schiena muscolosa e marchiata da profonde cicatrici. La testa vuota, leggera, grazie al piacere che stava provando, poi sentì la biancheria intima scivolare lungo le cosce.
«Non-non sono mai stata con nessuno», farfugliò con quel poco di lucidità che le era rimasta. Lui tornò a baciarle le labbra.
«Ed io non sono mai stato con un’Esorcista».
La giovane cercò di sorridere, sentì la tensione allentarsi, il piacere aumentò, era come se una necessità potente, urgentissima, bruciasse nel basso ventre.
«Siamo pari, allora» aggiunse, sforzandosi di guardarlo negli occhi, quegli stessi occhi che l’avevano attratta fin dal primo momento, così belli, spaventosi e magnetici insieme.
«Già...».
Ifrit la penetrò. Lei sussultò, il respiro si smorzò nel petto, poi si aggrappò letteralmente alla sua schiena, assecondandone i movimenti. Era incredibile come due corpi estranei sapessero muoversi in perfetta sintonia tra loro.
 
Lo Stregone la trovò seduta con la schiena contro il letto e il naso all’insù, rivolta verso il cielo stellato e la luna piena che biancheggiava sopra i tetti delle case.
«La Dodicesima Luna».
Lui prese posto al suo fianco coprendole le spalle con una coperta, quindi rimase a torso nudo con i capelli bagnati pettinati all’indietro.
«Credi che il principe riuscirà a sconfiggere Sekhimet un giorno?».
«Chi può dirlo».
Eleanor adagiò la testa contro la sua spalla, continuando a tenere gli occhi puntati verso le stelle: quei puntini luminosi che si diceva racchiudessero tutte le anime dei morti.
«Fu Miriam a scegliere il mio nome quando nacqui. Mio padre accompagnò mia madre da una levatrice affinché l’aiutasse ad abortire. Non voleva saperne di crescere un altro figlio. Per qualche strano motivo l’aborto non riuscì e allo scadere del nono mese venni al mondo. Mia mamma ha sempre sostenuto che sia stata la musica di Miriam a tenermi in vita. Lei suonava la lira, era molto brava, lo stesso re Leandro richiedeva la sua presenza durante le serate importanti. Ecco perché il mio vero nome è Lira».
«È davvero un bel nome, Lira».
La giovane sorrise con dolcezza, il sonno cominciava a prendere il sopravvento.
«Cosa faremo adesso, Ifrit?».
Lui le lasciò un bacio sui capelli:
«Ci penseremo domani».
Ma lei era già caduta nel mondo dei sogni. I suoi, finalmente.

 
 
fine




 
Ringraziamenti
Non me ne vogliano gli altri utenti che hanno letto e recensito questo mio primo dark fantasy fino all'ultimo capitolo, ma questa storia devo dedicarla a Spettro94. E' doveroso! Senza le letture dei tuoi tanti racconti forse non avrei saputo neanche da dove cominciare. Ovviamente la mia storiella non può essere paragonata alle tue saghe, ma qualcosa ho pur appreso dai tuoi scritti ;)
Grazie quindi e grazie per le recensioni folli :D

Grazie a yonoi - sempre presente! -, ad alessandroago_94 - sempre troppo gentile! e infine (ma solo per numero di apparizione...) grazie a Tubo Belmont - spumeggiante! - .
E grazie a chiunque abbia letto,
Nina^^


 

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