The Perfect Weapon di _HalWill_ (/viewuser.php?uid=36401)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***
Capitolo 11: *** Chapter 11 ***
Capitolo 12: *** Chapter 12 ***
Capitolo 13: *** Chapter 13 ***
Capitolo 14: *** Chapter 14 ***
Capitolo 15: *** Chapter 15 ***
Capitolo 16: *** Chapter 16 ***
Capitolo 17: *** Chapter 17 ***
Capitolo 18: *** Chapter 18 ***
Capitolo 19: *** Chapter 19 ***
Capitolo 20: *** Chapter 20 ***
Capitolo 21: *** Chapter 21 ***
Capitolo 22: *** Chapter 22 - Fine ***
Capitolo 1 *** Chapter 1 ***
The
Perfect Weapon
Chapter 1
Buio. Tentò di rilassare la mente. Ancora buio. Eppure
pensava, vedeva immagini in quel buio. Riaprì gli occhi.
Sprofondò la schiena nella poltrona in pelle ed
afferrò una sigaretta dal pacchetto poggiato sul minuto
tavolinetto alla sua destra, vicino al telefono dell‘albergo.
Setacciò il taschino della vestaglia in cerca
dell’accendino e, una volta recuperato, si accese il
bastoncino, gia stretto tra le labbra sensualmente socchiuse.
Lo ripose sul legno del mobile. Finalmente ispirò lasciando
salire leggere strisce di fumo grigiastro. Si passò una mano
tra i capelli, scostando la lunga ciocca nera che gli aveva bruscamente
interrotto la visuale.
Dietro, la tenda, lasciava trasparire la luce del sole, tiepida e
accogliente, che formava opache chiazze sul parquet invece scuro. Le
lenzuola si mossero pigramente, scoprendo una folta capigliatura
castano scura. I capelli ricci si scostarono ricadendo sul cuscino e
mettendo a nudo il viso levigato e assonnato che ora lo guardava
svogliatamente.
- Sei
sveglio….!? Ti sei già fatto la doccia?
L’uomo non rispose, si limitò a fissarla con
sguardo maliziosamente divertito, la mano poggiata al viso, mentre
teneva la sigaretta fra le dita, come sovrappensiero. La
donna si mise a sedere indispettita dal non ricevere risposta ne
buongiorno, puntellando le braccia sulle lenzuola candide che
scivolarono sulla pelle lasciandola sgraziatamente nuda.
- ehi! Sto parlando con
te Will!!! Ti sei rincoglionito?!
Volgare, ecco cosa non ricordava. Jane era tremendamente volgare. Dai
tempi delle superiori non era cambiata poi tanto. Esattamente come
allora, solo più truccata, rifatta e con una capigliatura
diversa. Se non l’avesse incontrata la sera prima al Bistrot,
non l’avrebbe mai invitata a passare la notte assieme. Era
solo perché quella sera gli serviva qualcuna, tutto qui. Non
era stato niente male, ma neanche niente di speciale. Nulla, come al
solito. E poi si era appena ricordato di tutte le volte che avrebbe
voluto infilarle un calzino in bocca, sicuramente più
numerose di quelle nelle quali avrebbe voluto parlarci.
Si mosse dalla sua posizione letargica, ritornando alla figura della
donna nuda sul letto che lo guardava con un’espressione ebete
sul viso.
-Credo che sia ora che
tu te ne vada… tuo marito non torna fra tre ore da Vienna?
Si alzò senza scomporsi, lasciando la poltrona. Percorse
pochi passi attorno al letto per poi spegnere la sigaretta nel
posacenere di cristallo. Si sfilò la vestaglia e la
abbandonò sul materasso, di fronte alla riccia che lo
osservava con espressione stupita. Sparì dietro la
porta del bagno. Mentre girava la maniglia color oro della doccia, e
avvertiva le prime gocce dell’acqua sulla pelle, il rumore
dei passi pesanti e sconnessi della donna che blaterava qualcosa che
molto probabilmente lo riguardava.
Solo l’acqua calda che lo avvolgeva in vapore e tepore.
L’acqua che lava via lo sporco, l’odore.
L’acqua che lava via i pensieri di un’altra notte
trascorsa.
Un’immensa distesa d’acqua con riflessi di ogni
tipo, che tendevano in striature rosso fuoco come lingue di serpente,
oppure tenui e rosee come petali sulla superficie screziata. Gli occhi,
del colore dell’acqua marina, erano mutati, come la stessa
volta celeste che ora si diluiva nella discesa del sole. Quel cielo
incendiato, ingresso degli inferi, pareva richiamarlo, attirandolo
verso il vetro oltre il proprio riflesso. Eppure quel suo
viso impassibile e limpido appariva, a dire degli altri, a dir poco
angelico. Qualcuno aprì la porta alle sue spalle facendolo
sussultare appena.
Si voltò scuotendo la bella nuca aurea in uno di quei
movimenti unici che lo caratterizzavano. Gli occhi tornarono dello
stesso luminoso colore di sempre e si puntarono sulla figura che era
appena entrata.
-…generale…
Il giovane fece per chinarsi, ma l’uomo più
anziano lo ammonì con un gesto della mano, dirigendosi verso
la scrivania.
Il biondo si avvicinò di qualche passo.
- Mi avete fatto
chiamare…è accaduto qualcosa di grave?
L’altro si sedette, osservandolo distrattamente. Il volto
scavato da rughe profonde e austere, il capo cosparso di folte ciocche
brizzolate che lasciavano intravedere a fatica la nuca. Le mani, aspre
e grandi si congiunsero sotto il mento del settantenne che aveva
assunto un’aria grave, pensierosa.
-Alex…siediti…
Fece come detto. Gli occhi profondi del ragazzo si puntarono in quelli
vacui e annacquati del superiore. I tratti duri parvero ammorbidirsi
leggermente nell’osservare quella visione meravigliosa.
- Hai gli stessi
splendidi occhi di Helena.
Alexander sorrise dolcemente.
-Papà…cosa
vuoi dirmi?
Il vecchio corrispose poggiandogli il palmo sulla mano e stringendola.
-Nulla di grave. Non
preoccuparti…
Si alzò dirigendosi alla finestra con le mani conserte
dietro la schiena. L’altro lo seguì con lo sguardo.
-…è
che … ci sono delle nuove notizie. La situazione si
è rivelata più complessa di quel che credevamo
tutti; ormai è una cosa che io non posso gestire. Per non
parlare delle pressioni che mi stanno facendo quelli del laboratorio
ricerche.
Il tono divenne più greve , quasi sofferto.
Il giovane raggiunse l’uomo che ora pareva invecchiato di
anni, come se quelle parole piano piano gli corrodessero
l’animo, gli accorciassero la vita. Si voltò di
nuovo perso in quelle gocce lucenti fisse su di lui.
- Ti ho trasferito dove
pare sia stato trovato qualcosa. Pochi giorni fa mi è
arrivata una comunicazione straordinaria: ci sono buone
probabilità, ma puoi accertartene solo tu. E poi
lì ultimamente la situazione sta degenerando: i nemici sono
aumentati, sembrano non finire mai; il migliore dei nostri comandanti
è stato ucciso pochi giorni fa e, come se non bastasse, le
truppe risultano indisciplinate e demotivate. Bisogna bloccare il
nemico ora, in modo che non conquisti almeno quel fronte, che
è il più potente che abbiamo finora: si
è spinto troppo all’interno. Sono sicuro che sarai
perfettamente in grado di gestire la situazione; sei molto
più competente di molti tuoi superiori.
Tornò a fissare il paesaggio.
- John mi ha segnalato
un uomo che potrebbe risolvere la tua situazione. Se è
quello che stanno cercando devi agire il prima possibile.
Seguirà direttamente i tuoi ordini ed i tuoi soltanto.
Così sarò più sicuro…
Il biondo scrollò il capo, reclinandolo leggermente ed
ammutolendo. Un silenzio intimo, ma che lasciava trasparire ogni parola
taciuta. Poggiò delicatamente una mano sulla spalla
dell’altro, ma non si mosse. Sapeva che la manifestazione
aperta dei sentimenti altrui non era cosa gradita.
- Non vi
deluderò…padre…
Detto ciò si voltò con aria dura e responsabile
recandosi verso l’uscita. Prima di varcare la soglia si
voltò per dare un ultimo sguardo a quell’ uomo
anziano che solo scrutava l’infinito e l’incerto
fuori dal vetro. Il sole era sparito dietro una nube. Il generale si
era portato compostamente le dita al volto massaggiandosi
tranquillamente gli occhi che, molto probabilmente, dovevano essere
lucidi.
Il giovane sorrise amaramente. Ora doveva dimostrare che lui sarebbe
stato in grado, perfettamente in grado.
P.S. E rieccoci!
L'attesa non è stata proprio lunghissima. Diciamo che questa
ovviamente è l'introduzione: il vero succo della storia
verrà fuori molto più avanti. Se vi è
piaciuta "Sussurri" allora credo che vi piacerà anche
questa, anche se ha una trama un po più complessa ed
artificiosa. Spero che riuscirete a capirla anche perchè
magari alcune cose non risulteranno chiare a tutti ( io nella mia testa
ce l'ho ben delineata, ma a volte dimentico che gli altri non hanno la
ben che minima idea di quella che ho in mente...^^°). Comunque
i personaggi come avrete ben notato non sono molto diversi da Dorian e
Evander (mi piacevano troppo!); sapevo che non avrei potuto
abbandonarli del tutto. Questa storia però, come avevo
già anticipato è ambientata in un contesto
decisamente diverso. E' tutta un'altra cosa e presto ve ne
accorgerete.^^ Conto nella vostra attenzione. Baci buon seguito.
_HalWill_
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Capitolo 2 *** Chapter 2 ***
Chapter
2
-…possibile
che tu non riesca a rispettare il dannato regolamento che vige qui come
in ogni altro esercito? Hartnett, non tollero questa mancanza di
rispetto, lo metto in chiaro! Voglio un comportamento disciplinato, da
ogni uomo in questa maledetta fazione, tu compreso! Non puoi fare
sempre di testa tua! Chi diamine credi di essere! Solo
perché sei un buon soldato, ciò non ti da il
diritto di fare quel che diamine ti pare! Sono stanco di ripetertelo:
mettiti in riga e subito! Questa è l’ultima volta,
Hartnett, l’ultima! Non ci saranno altri avvertimenti, e la
pena del tuo disubbidire non sarà semplicemente la
radiazione! Sei avvisato.
Si lasciava scivolare addosso quel fiume di parole con aria
indifferente, seduto scompostamente sulla sedia, con un braccio
poggiato sul poggiaschiena.
L’uomo di fronte a lui era evidentemente sull’orlo
della crisi di nervi, con le vene ben visibili sotto la pelle tesa del
collo e sulla fronte ampia e stempiata. Si era alzato a metà
della ramanzina ed aveva incominciato a sbattere i palmi sulla
scrivania, con forza snaturata. Ed ora era lì a sbraitare
per le solite sciocchezze. Non aveva mai ascoltato seriamente
ciò che gli veniva detto dagli altri, soprattutto quello che
gli veniva gridato contro. L’unica volta che si era girato
contro il suo aggressore verbale era stata a causa di quattro parole
gettate lì contro la donna che frequentava in quel periodo.
Di quel che dicevano di lui non gliene era importato mai nulla.
Il superiore di fronte a lui era ormai violaceo e pareva che la
pressione nel suo sangue fosse giunta al limite.
- …e piantala
di far finta di non ascoltare! Questa tua sfrontatezza è
insopportabile! Continuando con questa condotta, mi costringi a
proibirti di prendere parte alle operazioni!
Ad un tratto, come ridestato da quelle parole,
puntò lo sguardo sulla figura che gli si era parata davanti,
che si irrigidì immediatamente. Nel vedersi minacciato da
quegli occhi tanto audaci.
William si alzò con aria stanca e annoiata, con una punta di
irritazione nel viso. Si voltò dando le spalle
all’altro che tentò di apostrofargli qualcosa
senza successo.
-Non mi interessano le
regole di questa combriccola. Non sopporto di dover prendere ordini, ma
lo faccio, per quanto mi è possibile. Tuttavia devo avere il
mio campo di controllo. Non ho intenzione di barattare la mia
autonomia per mettermi nelle mani di un manipolo di burattinai da
strapazzo. Fino ad ora mi sembra di aver portato a compimento tutte le
mie missioni ed i ruoli a me affidati… vi conviene tenermi
caro. Sono il migliore dei vostri uomini e lo so io quanto voi. Mi pare
sufficiente…
Stava per voltarsi intenzionato ad andarsene lasciando
l’altro lì su due piedi, quando qualcosa
l’interruppe. La porta si spalancò aprendosi su
uno spilungone asciutto e spigoloso che avanzò rigidamente
all’interno dello studio. Si pose sull’attenti
lasciando la via aperta e permettendo agli altri due di vedere il nuovo
ospite.
Un giovane avanzò in controluce con fare austero, ma
delicatamente famigliare. Gli stivali scuri lasciavano udire appena il
rumore dei tacchi bassi, mentre il frusciare del cappotto del tipico
blu delle divise, lungo fin poco sopra le ginocchia, fece da sottofondo
a quell’entrata silenziosa. Lo sguardo di William fu
catturato dagli occhi più splendidi che avesse mai potuto
vedere. Gli occhi meravigliosi di un dio austero e
silenzioso. Qualcosa lo scosse proiettandolo e facendolo penetrare, per
quello che pareva meno di un attimo, nell’intimità
di quella creatura. Quello sguardo sfuggì dalla sua presa
senza che potesse fare nulla.
Il ragazzo posò i guanti di pelle bianca sulla scrivania e
sfiorando con le dita il paino liscio. Salutò compostamente
l’uomo in piedi dietro di essa che intanto aveva assunto
un’espressione leggermente stupita e imbarazzata.
Poi l’altro si voltò nuovamente verso il soldato
che lo stava ancora scrutando senza un briciolo di discrezione.
- Per farvi alterare in
questo modo, deve essere accaduto qualcosa di veramente insostenibile,
capitano. Tuttavia il vostro sottoposto non sembra per nulla
intimidito…
William azzardò un sorriso beffardo. La creatura gli si
rivolse con viso comprensivo, alquanto insolito e raro in un ambiente
simile.
- Come vi
chiamate…?
- E voi?
L’uomo, finora escluso dalla conversazione,
sobbalzò d’indignazione, balzando in avanti e
sbraitando con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
- Ma come ti permetti
brutto screanzato! Non ti rendi conto di chi hai davanti?! Non
permetterti nuovamente di mancar…
Il biondo lo interruppe alzando semplicemente una mano e lasciando che
le sue parole calassero fino a sparire.
- Non serve. Il mio nome
è Alexander Rose. Sono venuto qui per sostituire il vostro
attuale comandante, che a quanto pare non ha saputo dimostrarsi adatto
alla situazione. Spero di poter constatare che le voci che circolano su
questa base siano in parte fondate. Ora, potete gentilmente
dirmi come vi chiamate?
L’altro sorrise furbescamente.
- Avevo dedotto che
eravate uno degli alti ranghi. Ma devo ammettere che l’idea
di avere un comandante come voi non mi è passata nemmeno per
l’anticamera del cervello. Insomma, non avete proprio
l’aspetto di un soldato, e tantomeno quello di un mio
superiore…
La pazienza dell’uomo dietro la scrivania era giunta al
limite ormai da tempo.
-…tuttavia,
credo che dovrò farci il callo…
- Hartnett ora basta,
è il colmo! Tu…
Il vecchio capitano fu nuovamente interrotto dalle parole calme e
gentili del superiore.
- Spero che anche gli
altri uomini la pensino come voi. Temo che non sarebbe affatto
piacevole se non mi accettassero come loro superiore.
William si voltò, facendo un breve inchino con un che di
ironico. I pochi passi che lo portarono alla porta si interruppero
mentre girava la maniglia per andarsene. Si girò diretto al
giovane.
- …
William…mi chiamo William.
Si squadrarono per un istante, poi il soldato sparì dietro
la porta, lasciando un attonito e paonazzo capitano ed un comandante
dall‘aria pensosa.
Il silenzio fu rotto dal più anziano.
- Ehm… la
prego di perdonare questo increscioso comportamento. E’ uno
dei nostri uomini migliori, tuttavia… è molto,
molto indisciplinato.
Il biondo fissava la porta con insistenza.
- No, non
c’è alcun problema. Credo che la mia permanenza
qui sarà alquanto produttiva.
P.S. Uff... il tempo
non è molto purtroppo. Non riesco a scrivere come e quanto
vorrei. Comunque siamo agli albori. L'introduzione
è stata fatta e lentamente la trama si srotola. Mi
hanno fatto piacere i commenti, grazie mille ancora ^^.
Un
consiglio: se riuscite ad averla, magari rileggendo i capitoli, mettete
la canzone "the
perfect weapon"
dei Communique
(che come si capisce è la colonna sonora della fic). E' la
mia preferita, spero piaccia anche a voi. Continuate a leggere e
recensire^^ Grazie a tutti.
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Capitolo 3 *** Chapter 3 ***
Chapter
3
Si sedette posando il vassoio sul tavolo di metallo.
Un’energica pacca sulla spalla lo raggiunse, scuotendolo.
- Ehi, Will!
Un’altra ramanzina, eh?!
- Piantala Eric.
Il biondo che lo aveva ammonito era gelido e privo di espressione.,
mentre inforchettava la carne nel proprio piatto con fare esausto.
L’altro, sentendosi riprendere, assunse un atteggiamento
civettuolo
- Oh, perdonami mia
paladina degli oppressi! Eddai! Macchecavolo, non si può mai
dire niente qua…
Batté il pugno sulla tavola. Il moro al suo fianco
snobbò le moine canzonatorie dell’altro e prese
una cucchiaiata di pure di patate, portandosela alla bocca, ma
indugiando prima di mangiare.
- Già, come
al solito. E’ proprio così: qui non si
può dire, ne fare niente che sia diverso dalle solite
stronzate. Ma non mi va neanche di perderci fiato; così
rischio di diventare come il vecchio Mc Callagan. Mi sembra che i suoi
monologhi sulla mia condotta diventino più lunghi di giorno
in giorno.
Eric ingurgitò un boccone guardandolo sorpreso.
- Ti hanno beccato
un’altra volta?
- Evidentemente non gli
importava di non farsi beccare! Di solito se ne strafrega sempre delle
regole.
Il biondo si era nuovamente intromesso, sempre con tono rassegnato e
stanco.
- Sai come la penso. Le
uniche regole che rispetto sono quelle che mi faccio da solo. E di
solito servono ad aumentare il divertimento, Mikail.
Eric assunse un’espressione sognatrice.
- ohh… anche
io vorrei fregarmene come fai tu, però a me mi beccano
sempre! E poi la loro ramanzina è più minacciosa
se rivolta a me…
- Perché
sanno che sei un cretino, e che non sai rispondere a tono. Prendi
sempre tutto per scherzo!
William sorrise nel vedere i due amici imbastire
un’agguerrita discussione per uno, ed una noiosa tiritera per
l’altro. Ad un tratto il vociferare dei soldati nella
camerata calò di tono. Dalla porta della sala erano entrati
tre uomini, fra i quali William riconobbe il novellino di poche ore
prima. I capelli d’oro rifletterono sotto le luci fioche e
diffuse della mensa, lasciando intravedere, anche se da lontano, la
splendida acqua marina racchiusa in quelle iridi lucenti.
Un sorrisetto si fece spazio sul volto dell’uomo. I suoi
compagni non lo notarono, ma intanto avevano posto fine alla loro
conversazione e ne avevano incominciata un’altra, decisamente
più tranquilla.
- Ehi, Will!
Si voltò tentando di richiamare la propria attenzione sui
due.
- Stamattina Hendersen
mi ha detto che quel rimbambito di Bennet è stato
sostituito! Voi lo sapevate?!
Mikail sbuffò infastidito.
- Possibile che tu sia
sempre l’ultimo a sapere le cose? Credo sia una causa persa.
Il moro lo squadrò interessato.
- Anche io ne so poco.
Si tratta del nuovo comandante?
- Si. Ed è
logico che tu non sappia le cose se te ne vai in giro a fare baldoria.
Comunque in camerata ne parlano tutti. Pare che Bennet sia stato
rimpiazzato da un bambinetto appena maggiorenne. Ho sentito Rodriguez
che blaterava di un ragazzino ieri pomeriggio. Ha detto che lo ha
incontrato nell’angar due giorni fa, di ritorno da un giro di
ricognizione. Questo lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto
informazioni sulle aree perlustrate. Dicono che sia strano,
particolare.
- Io ho sentito che
è davvero caruccio! Un biscottino, dalle dicerie…
William gli diede una pacca dietro il collo.
- Piantala finocchio.
Lo sguardo del moro tornò sul biondo dall’altra
parte della sala. Si era seduto e parlava amichevolmente con un
superiore. Pareva una conversazione fra compagni di scuola: il giovane
era seduto compostamente e gesticolava appena con le mani, mentre
sorrideva ad occhi stretti nella solita espressione dolce ed innocente;
l’altro era in evidente imbarazzo, non abituato a quella
famigliarità palese e a quell’innocenza infantile.
- A parte gli scherzi,
guarda che ho sentito che è veramente molto, molto grazioso
(e io non sono frocio!). Somiglia ad una bambolina di
porcellana… o a un angioletto santo… insomma una
di quei fregnetti che si appendono all’albero di natale con i
fiocchetti e tutto il resto.
- Insomma…un
bel giocattolino…
Gli altri due lo guardarono improvvisamente con aria preoccupata.
- Comunque…
sento che oggi il nostro giro perlustrativo sarà
più divertente del solito! Non vedo l’ora di
batterti di nuovo Eric.
- E che diamine! A
perché punti sempre me? Non dovremmo essere una squadra?
Uffa…
- Sei troppo stupido per
capire che ti sta sfottendo. Lascia perdere Eric, sei senza
speranze…
William sorrise, alzandosi ed afferrando il proprio vassoio.
- Bhè, io
vado… mi faccio un po’ di tiri; è da
parecchio che non vado. Ho proprio bisogno di rinfrescarmi la memoria;
se non venite, ci vediamo più tardi.
Gli altri due annuirono, continuando il loro pasto. Il moro
li salutò con un cenno della mano e svuotò gli
avanzi del pranzo nel bidone, poggiando il vassoio sul bancone. Prima
di uscire diede un ultimo sguardo al biondo sorridente
dall’altra parte della sala, poi, sorridendo a sua volta,
sparì dietro la porta.
Mentre si preparava caricando la propria arma, i pensieri tornarono a
ciò che aveva detto Eric. L’immagine del biondino
vestito da angioletto natalizio gli balzò alla mente. Sin
dal primo momento che lo aveva visto, l’associazione con
pizzi e merletti non gli era sembrata affatto fuori luogo. Quei
ragazzini belli e puliti, nati fra lenzuola candide e camicie
profumate, infiocchettati e riveriti fino alla nausea. Non li aveva mai
sopportati, così altezzosi e perfettini, adatti a dar ordini
senza neanche sapere come si faccia, come se gli venisse naturale.
Eppure lui gli pareva diverso. Aveva qualcosa di particolare, proprio
come aveva detto Rodriguez. Con quel sorrisino gentile e premuroso come
quello di una bambina con le sue bambole nuove. Caricò
l‘arma, indossando i paraorecchi elettronici. Ora aveva solo
voglia di sfogarsi, gettare tutta la propria tensione e la propria
stanchezza contro quegli ologrammi inconsistenti. E magari dimostrare a
se stesso che sapeva ancora maneggiare una pistola.
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Capitolo 4 *** Chapter 4 ***
Chapter
4
Il rumore dei colpi gli raggiunse l’orecchio non appena la
porta si aprì nella sala. Tre uomini stavano tirando contro
gli ologrammi che gli si paravano di fronte e che scomparivano non
appena i sensori avvertivano il colpo. Un altro stava scaricando la
propria arma, liberando il posto. Si poggiò alla ringhiera,
osservando dall’alto le figure concentrate e quasi immobili.
Vi era un uomo muscoloso e sudato, con i capelli scuri riccioluti,
tagliati corti. La mascella pronunciata si riusciva a vedere bene anche
se da distante. Poco più in la, un omuncolo basso che faceva
fatica a mirare a causa della poca altezza. Il pizzetto chiaro era poco
visibile, ma i capelli biondicci e unti erano evidenziati dai riflessi
delle luci.Gli scappò un sorriso. Il suo sguardo
tuttavia si posò inevitabilmente su dei tratti conosciuti.
Un moro alto e dal fisico statuario stava ricaricando la pistola.
Nonostante indossasse una maglia scura ed i pantaloni larghi della
divisa, i lineamenti perfetti erano assolutamente evidenti. I bei
capelli corvini rilucevano appena, ma il brillare di quegli occhi di
zaffiro lo catturò immediatamente. Prese la mira e
ricominciò a tirare. Colpi perfetti, stupefacenti. Fece
centro ad ogni sparo.
Alzò un braccio facendo cenno di avvicinarsi al soldato
dietro di lui, senza distogliere lo sguardo dall’oggetto di
suo interesse.
- Quello è
Hartnett vero?
L’interpellato si avvicinò. Seguendo lo sguardo
del superiore rintracciò la figura.
- Si. William Hartnett.
E’ uno dei nostri migliori uomini, nonostante la sua
irriverenza.
L’altro si portò una mano al mento in
atteggiamento pensoso.
- Da quel che ho sentito
non è molto avvezzo alle regole. Tuttavia le sue
abilità sono decantate da parecchi in questa ed in altre
stazioni. Potete darmene conferma?
-Sulla sua eccellenza in
ambito bellico non c’è che dire. Io stesso
l’ho avuto come sottoposto tempo addietro. Ora pilota uno
squadrone che è il migliore del campo. Non ci siamo potuti
permettere di promuoverlo a livelli superiori… è
troppo irrispettoso e indipendente. Fa ciò che vuole quando
vuole, ed è raro che segua qualche ordine preciso.
- Capisco.
Pensò per qualche altro secondo. Poi strinse gli occhi.
- Potete dirmi qualcosa
in più? Per quale motivo è stato ripreso dal
capitano Mc Callagan?
- Credo sia rimasto
fuori per la notte nonostante gli fosse stato vietato. E’
rinomato per essere un dongiovanni. Molto probabilmente era fuori con
una donna o a far baldoria in qualche locale.
Il ragazzo sorrise.
- Bene…
quando avrà terminato il suo addestramento mandatelo da me.
Detto ciò si voltò, sotto lo sguardo stupito
dell’altro, uscendo dalla sala.
Giunto in stanza richiuse la porta alle proprie spalle e si
sfilò il cappotto lungo. Lasciò i guanti sul
piano e si avvicinò alla pila di libri poggiati sulla
scrivania. Ne carezzò uno afferrandolo e sfogliandolo,
dirigendosi verso la sedia. Si sedette ed iniziò a sfogliare
le pagine ingiallite del romanzo, leggendone distrattamente qualche
spezzone. Una cosa che lo rilassava in ogni situazione era la lettura.
Amava leggere, ed amava quei vecchi scritti usati, ormai sempre
più introvabili. Soprattutto romanzi classici, di
letteratura antica, oppure rime d’amore. Spesso andava a
rintracciare poeti sconosciuti o quasi. Gli piaceva sfogliare la carta
ruvida e odorosa, toccare con mano la consistenza pesante di quei tomi
antichi. Ora non ne facevano più su carta o comunque erano
veramente rari.
Come accadeva spesso, non si accorse del tempo che passava. Il bussare
alla porta lo distolse dalle rime erotiche di Michelangelo.
- Prego…?
L’entrata si schiuse lasciando intravedere il moro.
William entrò e la porta si richiuse alle proprie spalle. La
stanza era piccola ed illuminata dalla luce che penetrava dalla
finestra aperta. L’aria frizzantina del mare invadeva
l’ambiente e smuoveva appena le ciocche dorate della creatura
che, seduta dietro la scrivania, teneva tra le mani un libro aperto. Il
giovane alzò lo sguardo puntando gli occhi acquei contro i
suoi.
- Prego sedetevi;
non credevo ci metteste così poco, o forse sono io
che non mi rendo conto del tempo che passa.
L’altro afferrò la sedia spostandola e sedendocisi
senza tanti complimenti. Il biondo poggiò il libro sul
piano, gettando un’occhiata all‘orologio
elettronico. L’altro lo osservava attentamente senza alcun
timore di essere scoperto, anzi, probabilmente era proprio quello
l’intento. Percorse con lo sguardo ogni centimetro di quella
pelle levigata e soda, di quel volto che si accorse essere
incredibilmente perfetto. Le ciglia scure, nonostante
l’oro dei capelli, si inarcavano lunghe e splendide su quelle
iridi marine. Il colore gli pareva quasi innaturale, per quanto
rispecchiasse la tinta dei fondali marini, di quel verde tenue e
azzurrino, contrastato dalla piccola pupilla scura. Scese i tratti
lungo il naso piccolo e dritto, sulle labbra semisocchiuse di un colore
vivo e morbido. Poi, al minimo movimento, tornò sulle gote,
sugli occhi sottili e su di un piccolo puntino nero poco distante dalla
palpebra inferiore.
- Quello è
un neo… conoscevo una donna che lo aveva più o
meno nello stesso punto…
Il ragazzo si sorprese lievemente da quell’intervento e,
sentendosi osservato, chinò lievemente il capo.
L’uomo continuava a guardarlo imperterrito e, quando
alzò nuovamente lo sguardo, si ritrovò i suoi
occhi puntati nei propri. Un azzurro intenso, che avrebbe fatto
impallidire anche il cielo più limpido. Si strinsero
provocatoriamente in due fessure.
- … una
prostituta…
Si fissarono per qualche istante. D’un tratto una folata di
vento più forte delle altre fece sbattere l’alta
della finestra che si era ormai spalancata. I due si voltarono
interrotti da quel rumore improvviso. Alcuni fogli furono strattonati
dal vento e scivolarono sul piano liscio fino a ritrovarsi
nell’aria. Prontamente William li afferrò,
bloccandone la discesa, mentre il ragazzo era balzato in avanti per
evitare lo svolazzarne di altri. Si ritrovarono improvvisamente a pochi
centimetri l’uno dall’altro. I volti vicini, i
respiri quasi fusi in un unico alito. Il moro rimase immobile, fissando
il biondo che invece si ritrasse compostamente.
- Credevo non si
usassero più tanto spesso i fogli.
- Grazie. Avete dei
buoni riflessi…ed una buona mira.
L’altro si riaccomodò sulla sedia porgendogli i
fogli.
- Ah si?! Bene.
- Si, vi ho visto mentre
vi allenavate nella sala di tiro.
Si era alzato e stava accostando i vetri della finestra. Poi si
voltò guardandolo nuovamente.
- A dire il vero vi ho
fatto chiamare per un motivo ben preciso.
Il soldato sorrise beffardamente.
- Già,
immaginavo. E’ insolito che voi superiori chiamiate un
semplice sottoposto solo per complimentarvi della sua buona mira o che
altro.
- Non siate
così cinico. A quanto pare dovrò andare subito al
sodo. Bene: mi occorre un uomo. Un uomo che sia capace di offrirmi
protezione e che possa affiancarmi durante le operazioni.
William sussultò. Non si aspettava quelle ultime parole.
- …operazioni?
Credevo che voi ufficiali foste solamente burattini da
scrivania…
Il giovane sorrise innocentemente, fingendo di non aver fatto caso alla
frecciatina.
- Oh, bhé,
credo che per certi superiori l’astensione dalla battaglia
sia perdonabile. Dopotutto in gioventù hanno saputo svolgere
i loro compiti egregiamente, data la posizione e la carica ottenuta.
Per quanto sembri bislacco ai vostri occhi, questo teatrino
d’ufficio, è fondamentale per la riuscita degli
attacchi in quanto mira ad un’ottica che chi prende parte
all’azione ogni giorno non può condividere
pienamente. Un occhio esperto e levigato da anni di esperienza vale
molto più di un’iride offuscata dal sangue e dalla
polvere della battaglia. Comunque sia non starò qui a
giustificare ogni singolo individuo ricoperto di onorificenze che a
volte, ammetto possono risultare fallaci, ma vi garantisco che la
maggior parte dei vostri superiori sono uomini brillanti ed
incredibilmente preparati.
Per quanto riguarda me,
non avendo l’esperienza e le conoscenze adeguate, mi trovo
costretto a partecipare alle azioni direttamente, non che questo mi dia
tedio. Anche se credo che tutti preferirebbero indubbiamente sedere ad
una scrivania piuttosto che scendere nell’inferno che ogni
conflitto comporta.
L’uomo lo osservò lanciandogli un altro sorriso.
- Belle parole,
davvero…non sarei stato capace di metter insieme neanche una
sola frase di tutto ciò che avete detto. Tuttavia ho capito
ciò che volevo sentire e cioè che voi scenderete
in campo.
Il biondo sorrise.
- Insomma, che cosa
dovrei fare? Solamente proteggervi?
- Si, in sostanza si.
Agirete insieme a me quando saremo in battaglia, a meno che io non vi
dica di non farlo. In tal caso potrete guidare il vostro squadrone.
Lo sguardo del superiore si fece più intenso.
-
…inoltre…prenderete ordini solo da me e da nessun
altro.
Ci fu un momento di silenzio. Poi l’altro si alzò
dalla sedia rimettendola al proprio posto e ponendosi di fronte
all’altro. Il moro era più alto di almeno dieci
centimetri.
- Bene. Da oggi in poi
apparterrò solamente a voi…
Gli afferrò la mano portandosela alle labbra.
-…mia bella
prostituta.
Il ragazzo non si mosse mentre scrutava l’altro che spariva
dietro la porta.
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Capitolo 5 *** Chapter 5 ***
Chapter
5
Gli pareva troppo semplice. In pochi minuti era riuscito a soggiogare
il soldato più irriverente e sregolato dell’intera
stazione, ponendolo sotto la sua unica giurisdizione.
Quell’uomo dallo sguardo impenetrabile ed infinitamente
enigmatico lo aveva osservato e scrutato per tutta la durata della
conversazione. Si era sentito come se stesse valutando, riconoscendole,
tutte le sue debolezze e le soppesasse tentando di ricavarne ogni
possibile profitto.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevato una volta trovata la protezione che
gli mancava. Eppure non lo era. Anzi, in quel momento si era sentito
più nudo ed indifeso di prima, come se, per salvarsi, avesse
affidato la propria anima in mano al demonio. Alla fine di tutto
probabilmente quel diavolo avrebbe richiesto il suo pagamento in un
modo o nell’altro. Ma ormai era comunque tardi. I dadi erano
tratti e Hartnett rispondeva ai suoi ordini soltanto. Per ora non
avrebbe dovuto temere. Qualsiasi cosa gli si sarebbe parata di fronte,
in qualche modo l’avrebbe risolta. Infondo non era
così sprovveduto come poteva apparire.
Intanto l’altro era giunto all’hangar e si stava
preparando per il volo. I due amici lo raggiunsero già
pronti per la partenza.
- Ehi! Dove diavolo eri
finito? Sei rimasto a tirare fino ad ora?!
- Bha…lascia
perdere. Muoviamoci…
Li guardò entrambi infilandosi il casco.
- A quanto pare questo
sarà il nostro ultimo volo assieme.
Senza aspettare risposta si diresse vero il proprio velivolo.
I due lo osservarono stupiti e confusi, ma si affrettarono a prendere
posto negli aerei.
Mentre sistemava i comandi ed apriva i contatti radio, udì
la voce di Mikail provenire dall’apparecchio metallico,
direttamente nelle proprie orecchie.
- Come mai? Non verrai
mica trasferito…? Stavolta Mc Callagan deve proprio aver
perso le staffe.
- Mc Callagan non
c’entra nulla. E poi figurati se quel vecchio mi
trasferisce… sono il migliore qui. Gli ordini vengono da
più in alto. Non mi sposto, cambio solo padrone…
Un momento di pausa.
- Credevo non avessi
padrone.
Il moro sorrise fra se.
- Diciamo solo che sto
aspettando l’occasione; un po’ come lo scapolo
attende il matrimonio. Se stavolta è quella giusta, potrebbe
anche darsi…
Un’altra voce si intromise.
- Parlate di donne?
I due risero.
- Brutto pezzo
d’asino…
- Muoviti idiota, si
parte!
Interruppe la conversazione chiudendo il collegamento. Il
boato del motore durò solo pochi attimi, per poi divenire
silenzioso, quasi inesistente. Gli aerei partirono lasciando
l’hangar uno dopo l’altro.
William sistemò la rotta con comandi vocali e si
assicurò bene al volante ascoltando le direttive della voce
guida, che eseguiva le operazioni automatiche iniziali. Di fronte a lui
piccoli schermi mutarono obiettivo uno dopo l’altro,
mostrandogli diversi punti dell’aereo per poi tornare a
divenire mappe magnetiche, segnalatori di pressione e temperatura e
quant’altro. Osservò fuori dal vetro in cerca
degli altri due. Eric lo affiancava a destra, mentre
dell’altro velivolo riusciva ad intravedere solamente il muso
bianco e appuntito.
Lavorare con loro non era mai stato un peso, anzi gli pareva quasi
divertente. Sin dai tempi delle superiori formavano una specie di
squadra in tutto: football, Hockey, bravate, uscite e persino nei
compiti in classe. Eric lo conosceva da una vita. I loro genitori erano
amici di vecchia data e sin da bambini si ritrovavano spesso per
giocare insieme (anche se poi l’altro ce le prendeva sempre).
Negli anni si accostarono con indifferenza, come se la parola
“amici” fosse scontata, come se non c’era
bisogno di dirlo, di saperlo, perché infondo lo sapevano
già. Mikail invece fece la sua apparizione alle medie. Un
biondino silenzioso e scontroso, costretto alla fuga dalla Russia, sua
terra natia, dove lo stravolgimento politico ed economico avvenuto
verso la fine del XXI secolo aveva provocato, come in altri paesi del
resto, l’instaurazione di una forte chiusura verso gli altri
continenti. In quegli anni si avvertivano già i primi
focolai che avrebbero poi preluso la più grande guerra che
il genere umano avesse mai potuto vedere. Quella stessa guerra che ora
loro stessi stavano combattendo.
Lo sviluppo tecnologico e scientifico aveva portato ad un punto di
rottura per il quale il genere umano era ormai divenuto totalmente
dipendente dalle macchine. Le risorse del pianeta, già in
crisi da anni, andavano sempre più limitandosi, nonostante i
numerosi provvedimenti attuati dal Congresso Intercontinentale del 2084
per la salvaguardia delle risorse e dei beni ambientali, e quelli
dell’anno successivo per l’attivazione delle nuove
scoperte nell’ambito dell’energia pulita. Difatti,
in seguito alla Grande Guerra Globale, all’accaparraggio
delle risorse alimentari e minerarie, alla lotta per predominio della
scena mondiale, il Pianeta Terra era ridotto ormai a dei nuclei
capitalistici e aree di estrema povertà, a padroni e
assoggettati. Lo scenario appariva ancor più desolato con
l’avanzamento dei deserti e quello delle acque a causa dello
scioglimento delle calotte polari. Tutto pareva dover crollare.
Nel 2087, la scoperta di altre forme di vita intelligente
nell’universo, avevano aperto all’uomo una nuova
era, una nuova possibilità. Gli “alieni”
,così com’erano conosciuti all’inizio,
si rivelarono ben presto disposti a porgere la mano a
quell’essere che era l’uomo e che rappresentava per
loro lo stadio precedente dell’evoluzione. Non erano creature
diverse dalla specie umana, se non per delle differenze fisiche non
troppo eclatanti. Il mito degli alieni extraterrestri verdi era
terminato e lasciava il posto ai compagni
“neoterrestri”; perché fu
così che venne denominato il nuovo pianeta, NeoTerra. Simile
alla Terra per caratteristiche e qualità, vi era
differenziato per la numerosa quantità di risorse che invece
li vi scarseggiavano. I neoterrestri erano riusciti a
sfruttare ciò che il genere umano non aveva saputo far
rendere. Erano più evoluti ed utilizzavano una forma di
energia “viva”, che alimentava ogni cosa. In breve
tempo furono capaci di raggiungere il pianeta e di prestare i primi
soccorsi ai terrestri.
Ma l’ingordigia della creatura umana non si era attenuata
neppure dopo l’evoluzione: sia i soccorritori che i soccorsi,
cominciarono a nutrire un reciproco interesse, che mano mano diveniva
sempre più forte. Se per i neoterrestri la vecchia e
trasandata Terra, poteva divenire una colonia dalla quale poter trarre
le ultime preziose risorse, per gli uomini il nuovo mondo sarebbe
potuto essere un’ottima via di fuga da un pianeta che ormai
si avviava alla rovina. Ben presto gli attriti fra le due razze
divennero insostenibili. Vi furono sparizioni, rapimenti, attentati e
tentativi di sabotaggio da entrambi i lati, fino a giungere a veri e
propri atti di ribellione, da parte dei terrestri, contro quelli che
ormai erano divenuti non più salvatori, ma
“padroni”. Alcuni esseri umani furono
fatti schiavi e condotti sulla NeoTerra a forza, mentre i tumulti ormai
scoppiavano come una reazione a catena. La situazione
degenerò gradatamente e rapidamente fino a giungere alla
guerra vera e propria. E quella guerra, quella lotta alla sopravvivenza
di una razza che ormai era consapevole di essere stata superata, di un
mondo che ormai era destinato a morire, era l’espressione,
l’ultimo lacerante grido di battaglia, quello decisivo.
Ora loro ne facevano parte. Facevano parte di quella cruenta e totale
guerra dei mondi, una guerra che Will sapeva, non sarebbe durata ancora
a lungo. Il protendersi di un uomo verso la luce dell’uscita
dalla sua buia caverna, verso l’esterno, verso
l’aria aperta e zeppa di predatori pronti ad ucciderlo. Ma
lui avrebbe lottato, combattuto, giocato il tutto e per tutto, pur di
restare vivo, pur di restare uomo.
P.S.
Uff...salve, che fatica! Con la scuola e le altre cose non ce la faccio
a scrivere... però cercherò di agiornare il
più regolarmente possibile. Spero che la storia vi piaccia:
ora si spiega un po la trama mi sembra^^. La storia forse è
un po troppo fantasiosa e astratta, però a me piace. Mi
piacerebbe leggere le vostre recensioni perchè vedo che
comunque non siete pochi a leggere e vorrei sapere cosa ne pensate.
Magari è un po lenta come trama, però si
movimenterà, statene certi! Spero continuiate a
leggere... saluti a tutti.
|
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Capitolo 6 *** Chapter 6 ***
Chapter 6
Stare senza far nulla lo rendeva nervoso. Non sarebbe riuscito ad
aspettare oltre. Sarebbe andato direttamente dal quella bambolina
graziosa e gli avrebbe detto di dargli qualche incarico. Ormai erano
due giorni che non si faceva sentire, e le poche volte che lo aveva
visto era impegnato a parlare con qualcun altro o portava in giro
documenti vari per tutta la base. Non gli importava se era il suo
superiore. Aveva persino incominciato a pensare che lo
avessero messo sotto il controllo di quel ragazzino per tenerlo
tranquillo. Forse non gli avrebbero dato veramente degli incarichi; lo
avrebbero lasciato lì, a vagare senza scopo per i corridoi.
Ma infondo sapeva che non erano così idioti da pensare che
non avrebbe fatto nulla. Forse speravano di limitare il danno.
Giunse davanti ad una delle tante porte che costellavano ordinatamente
il corridoio. Fece per bussare ma si bloccò. Delle voci
provenivano da dentro, una bassa e delicata, l’altra profonda
e mascolina. Non gli era mai piaciuto il sentire le conversazioni
altrui, soprattutto se private, ma in quel caso qualcosa non gli
permetteva di muoversi. Avrebbe voluto entrare spalancando la porta, ma
non lo fece. Rimase lì, fermo con le mani in tasca, solo,
nel corridoio.
- Perché?! Mi
avevi fatto una promessa! Ci hai già ripensato…?!
L’ultima frase avrebbe probabilmente voluto suonare
intimidatoria, ma invece assunse un tono quasi timoroso. La voce era
dura e contrita, ma le parole uscirono spezzate verso la fine.
Non era sicuramente la voce del biondo. Una pausa, un silenzio che
sentiva dover essere imbarazzante e carico di tensione.
- Credevo…
ero convinto che noi …
Sempre la stessa voce. Si bloccò.
William istintivamente premette il bottone di apertura con il pollice,
scoprendosi e fissando la scena che gli si presentava davanti.
Un uomo alto, più o meno della sua stessa età,
stava di fronte al giovane che immobile ora, squadrava impassibile il
nuovo arrivato. Lo sguardo freddo e vuoto. William,
sentendosi osservato, diede una veloce occhiata all’uomo per
poi passare al proprio superiore.
L’altro indietreggiò. Afferrò la giacca
sulla sedia e si diresse alla porta. I movimenti lenti e calmi, come se
nulla fosse successo. Lo scorrere della porta e rimasero soli.
William puntava imperterrito gli occhi dell’altro, come se
volesse, anzi pretendesse una spiegazione. La creatura immobile si
limitò a fissarlo ancora per qualche secondo. Solo in
quell’istante, in quel perfetto istante si accorse di quanto
fosse splendida e silenziosa.
La sua figura lieve e chiara nella luce che passava dalla finestra. Il
viso adombrato si lasciava toccare solo da qualche chiazza di luce
bianca. I capelli, del colore dell’oro puro erano lisci e
sottili, leggermente scomposti su quella fronte levigata. Gli occhi,
allagati dal sole brillante, si scioglievano in quel colore chiarissimo
e cristallino di acqua marina e le labbra rosee e sensuali erano
lievemente socchiuse, come se volesse essere osservato. E quella
deliziosa macchiolina sotto le ciglia scure e lunghe ora gli appariva
la squisita firma di un Genio che avesse voluto rappresentare la
sensualità e la bellezza in persona. Quella figura celeste
come un angelo sceso dal paradiso, lo osservava come se
attendesse una sua parola, come se agognasse anche solo
l’essere toccato o sfiorato.
Solo in quell’attimo si accorse che la camicia del ragazzo
era inspiegabilmente scomposta e addirittura, pareva gli fosse stata
strattonata. Mancava un bottone o due e la giacca sgualcita era
più aperta del solito. Risalì lo sguardo sul
petto del giovane e la sua attenzione si concentrò
immediatamente in un punto ben preciso. Il colletto candido lasciava
scoperta la pelle liscia e levigata del collo ed un piccolo frammento
di spalla.
Quella visione scatenò degli strani effetti
nell’uomo. Vedere quella figura, solitamente perfetta e
pudica, così scomposta e provocante gli fece rendere conto
di quanto il proprio battito cardiaco fosse accelerato negli ultimi
secondi. O forse era lui che lo vedeva sotto quell’aspetto
così voluttuoso.
Si mosse. Il suo sguardo vagò alla deriva, scosso dal
movimento improvviso dell’altro. Si ritrovò a
perdersi negli occhi profondi di lui che lo squadrava imperterrito.
- Hartnett…
mi stavate cercando…?
Distolse lo sguardo, mettendosi delicatamente una mano sul collo nel
tentativo di coprire la pelle morbida. Si diresse alla scrivania
sedendosi ed accavallando le gambe, mentre inutilmente cercava di
riabbottonare l’indumento stracciato e senza bottoni.
- Vi chiedo di perdonare
questo piccolo…incidente. Ho avuto una discussione
abbastanza accesa; non mi sarei mai presentato in queste condizioni,
perdonatemi ancora.
Lasciò andare la stoffa, abbandonando l’inutile
occupazione. William intanto si era ripreso, e si era piazzato di
fronte al superiore.
- Comunque …
come mai siete qui? Qualcosa non va?
Il soldato riprese le redini della propria mente, costringendola a
concentrarsi sul motivo della visita. Il suo tono tornò
beffardo e insolente come al solito.
- Mi stavo chiedendo per
quanto ancora voi e i vostri bambocci avevate intenzione di tenermi
senza far nulla. Sinceramente mi sto stancando: non sono abituato a
starmene in disparte e non ho voglia di farlo ancora a lungo.
Il biondo si limitò a fissarlo. Poi tirò un
sospiro e si alzò facendo lentamente il giro del tavolo. Si
fermò davanti all’altro che intanto si era voltato
e lo guardava a sua volta. Un momento di silenzio, immobile.
L’espressione bella e austera del ragazzo, i suoi occhi. Poi
le mani che si tesero in avanti, verso il proprio volto: il contatto
della pelle calda delle dita. Wiliam ritrasse istintivamente la testa,
colpendo duramente le mani dell’altro.
- Ehi!
Alex lo osservava imperterrito, per nulla intimorito. Lo sguardo
divenne dolce, come comprensivo.
- Devo solamente capire
una cosa…
Gli poggiò nuovamente i polpastrelli sul viso.
L’uomo stava per reagire, ma d’improvviso una
strana sensazione si impadronì di lui. Si bloccò
e le mani del biondo divennero leggere e delicate, come acqua tiepida.
Fu come essere sollevati, sospesi in una mare infinito. Si sentiva
fluttuare nel vuoto. Poi calore, come essere avvolti da un dolce
abbraccio. Il suo corpo riprese consistenza nello stesso momento in cui
l’altro tolse le mani.
Riaprì gli occhi, che inconsciamente aveva chiuso durante il
contatto, e si ritrovò il viso del giovane a pochi
centimetri dal suo. Si perse in quel mare infinito che erano i suoi
occhi, in quella distesa dorata dei suoi capelli. Poi le labbra.
- Se siete impaziente di
agire allora lo faremo presto…
Poi con voce più dolce, quasi sussurrata.
- Non credevo di
trovarti subito.
William si sentiva stranamente confuso, ma rilassato. Non comprese le
ultime parole, ma si limitò a rimanere immobile, mentre
l’altro usciva dalla propria stanza indossando il soprabito.
P.S. Ok,
innanzitutto Grazie, Grazie, Grazie! Grazie davvero a voi che mi state
seguendo anche solo da poco ed a voi, come animablu
, armony_93
e Mello.
Mi a fatto molto piacere ricevere le vostre recensioni e vedere che mi
seguite ancora dopo Sussurri ( Dorian e Evander mi mancano un
pochino...).
Grazie anche a Dicembre
che con le sue recensioni mi ha fatto capire ad esempio alcune cose che
le piacerebbe accadessero (e che mi ha corretto ^^°....scusate
a volte succede...); ho letto anche qualche titolo e trama delle tue
storie: sembrano davvero interessanti, proverò a dargli
un'occhiata anche se purtroppo il lavoro mi terrà un po
impegnata (soprattutto a "Cremisi" ...mi fa venire in mente un manga
che avevo letto di recente e che mi è molto piaciuto). Comunque grazie mille! ...e
per ringraziervi REGALO:
oggi ben due
capitoli (un po cortini^^) . Grazie ancora.
Continuate a
recensire, è di vitale importanza per me.
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Capitolo 7 *** Chapter 7 ***
ATTENZIONE!
Spero abbiate letto il cap
prima: li
ho postati lo stesso giorno non vi sbagliate ^^!
Chapter
7
Era nudo, non aveva neanche le mutande, lo sentiva. E poi, tutta
quell’acqua. Molto probabilmente aveva tutti i polpastrelli e
le dita dei piedi raggrinzite, o forse peggio. Non si ricordava neanche
da quanto tempo era lì. Non capiva niente di quello che
vedeva. Era solo nel vuoto. In uno spazio immenso, senza limiti da
nessuna parte. Il suo corpo era chiaro, chiarissimo e molto, molto
leggero. Si sentiva vuoto, fluttuante, come una foglia nel vento. Solo
che non c’era vento, non c’era nulla. Poi
lentamente quel nulla si scuriva, diventava pesante, respirato. E poi
sentiva freddo, l’umidità dell’acqua che
gli scendeva addosso. Si accorse solo allora che aveva le palpebre
chiuse e che queste erano pesantissime. Provò ad aprirle ma
la luce gli ferì gli occhi. Rimase fermo, immobile, col
corpo ridotto ad una zavorra inanimata. Ora ricordava. Quella
sensazione era simile a quella che aveva provato pochi giorni prima,
quando quel ragazzo gli aveva toccato il viso. Ma adesso?
Perché era lì?
Lentamente i ricordi si fecero più nitidi. Era stato mandato
a chiamare per ordine del suo unico superiore. lo avevano condotto in
quella strana stanza, simile ad un laboratorio, ma più
vuota. Poi gli avevano parlato di una visita…
già, una visita. E poi, poi lo avevano sedato. Si era
addormentato ed ora era lì. Chissà che cosa gli
avevano fatto.
Riprovò ad aprire gli occhi, per reagire. Ormai aveva
ripreso la padronanza di se, riusciva di nuovo a muoversi. La luce ora
gli parve meno forte, quasi sopportabile. Delle ombre scure si mossero
attorno a lui, gli dicevano qualcosa.
Qualcuno lo sollevò di peso, lo mise a sedere. Un
asciugamano ruvido gli fu gettato in spalla. Ora la vista era tornata
nitida. Lo aiutarono a rialzarsi e gli infilarono qualcosa.
Afferrò la stoffa sul petto. Un camice. Ancora poco lucido a
causa delle droghe che probabilmente gli avevano somministrato, fu
condotto attraverso quello che gli pareva uno stretto corridoio. Pochi
minuti dopo era su di una sedia, abbandonato, pesante e nel silenzio
più totale. Gli avevano fatto bere qualcosa pochi secondi
prima e finalmente riusciva a capire cosa gli stesse succedendo
attorno. Sbattè più volte le palpebre. Qualcuno
gli parlò, la voce dolce e suadente.
- Come vi
sentite…?
Il tocco delicato di una mano sulla propria guancia. Il biondo era
seduto di fronte a lui, senza giacca, con una maglia bianca leggera e
pulita. Quella stanza sapeva di disinfettante o comunque gli ricordava
vagamente lo studio di un dentista esageratamente meticoloso. Le pareti
erano bianche ed il mobilio era di colori chiari e ovattati.
L’unica finestra che c’era aveva le tapparelle
abbassate e la luce che illuminava l’ambiente era quella di
grosse lampade a soffitto. Si guardò attorno, incontrando il
proprio riflesso in una vetrata lontana, dietro la quale
c’era un’altra stanza vuota e buia.
- Non
preoccupatevi… ho detto di voler restare solo con voi.
William tornò ad osservare il volto del giovane.
- Dove siamo? Cosa mi
avete fatto?
Si sentiva la bocca impastata e secca.
L’altro lo osservava con attenzione.
- Qualche giorno fa mi
avete detto di essere stanco di stare senza far nulla: bene. Voglio che
sappiate che non è un caso che io abbia scelto voi.
Si sistemò sulla sedia, cercando di mantenere uno sguardo
rassicurante.
- Voglio dire
che… non avrei potuto scegliere una persona qualsiasi. Le
analisi che vi hanno fatto sono servite in parte a farci comprendere se
siete la persona che stiamo cercando… che sto cercando.
L’uomo lo guardava attonito, senza aprire bocca. Una strana
rabbia gli saliva lungo tutto il corpo, ma anche una sensazione
diversa, come una inconscia consapevolezza. Gli effetti degli
anestetizzanti erano finiti e ora aveva piena coscienza del proprio
corpo e della propria mente.
- Cioè,
io… vi sono indispensabile…!?
Il tono era sicuro, divertito, audace. Era tornato quello di sempre. Ed
ora aveva compreso.
Il viso del biondo si incrinò leggermente sotto quella
presunzione, accusando il colpo.
- Immaginavo che non
avreste tardato a comprendere la situazione. Purtroppo non posso
spiegarvene il motivo ora, ma state sicuro che verrete a conoscenza di
tutto a tempo debito.
La voce insicura e timorosa rimase sospesa nell’aria.
Il moro sorrise maliziosamente. Il superiore aveva abbassato
leggermente i volto, come per nascondere il proprio sguardo.
L’espressione solitamente sicura e austera era scomparsa,
lasciando il posto ad un’altra mai vista, così
pudica e innocente, come quella di una vergine durante la sua prima
notte. William si sentiva un predatore e quella sensazione, quella
consapevolezza era quella di sapere di essere lui a tenere le redini
del gioco adesso.
Se ora era lì, voleva solamente dire che le analisi avevano
rivelato che lui era colui che stavano cercando.
- Mi avevano detto di
non dirvi nulla; probabilmente si aspettavano una vostra reazione
immediata. Ma mi sembrava più corretto, dato che vi
è la possibilità di lavorare assieme.
William si sporse in avanti sulla sedia.
- … la
possibilità…? O la certezza? …
Il ragazzo indietreggiò inconsciamente sulla sedia,
schiacciandosi contro lo schienale.
- Non… non vi
è la sicurezza, ancora.
Gli occhi del moro brillarono, riducendosi poi a due fessure: le guance
del biondo erano cosparse di un lieve rossore.
Si rimise composto sulla sedia, cogliendo l’imbarazzo
dell’altro. Poi con aria pensosa:
- Perché
siamo qui?!
Alex si ricompose, ritornando a rilassarsi e riassumendo lentamente la
sua solita espressione dolce e comprensiva.
- Si… io
pensavo che avremmo dovuto incominciare a conoscerci, insomma per
sapere qualcosa l’uno dell’altro.
L’altro lo fissò. Poi si alzò e si
incamminò verso la porta.
- Non è
l’ambiente adatto. Voglio i miei vestiti e poi magari ne
possiamo parlare.
Il giovane non obbiettò, neanche contro
l’irriverenza di quelle parole. Si limitò ad
alzarsi ed a condurlo fuori.
Pochi minuti dopo erano fuori, nell’aria tersa del
pomeriggio. Il sole alto illuminava la superficie del mare, rimandando
riflessi talvolta accecanti. Camminavano sulla spiaggia, poco distanti
dalla base. William sorseggiava birra da una lattina ammaccata mentre
il biondo lo osservava di tanto in tanto durante il cammino.
- Hai detto di chiamarti
Alexander no?
L’altro annuì distratto.
- Da dove vieni? Rose
è un cognome che ho già sentito fra gli alti
ranghi.
Il giovane sorrise.
- Bhè
… il generale Duncan Rose è formalmente mio
padre. Mi ha inviato qui perché è stato segnalato
che vi era una forte possibilità di aver trovato la
risoluzione ai nostri problemi. Poi sinceramente anch’io
volevo fare qualcosa. Sapere che stanno tutti combattendo mentre
io… insomma, gli avevo già fatto pressioni in
precedenza. Voi, perché siete qui? Vi siete arruolato
spontaneamente?
Camminava osservando il cielo.
- Non proprio. Il fatto
è che voglio essere libero. Non lo faccio solo per gli
altri, lo faccio soprattutto per me. Appena finii le superiori avevo
già in mente cosa sarei andato a fare. Avevo dei compagni
che la pensavano alla stessa maniera e quindi ci siamo arruolati
assieme. Comunque non avrei avuto nient’altro da fare. Non
sono mai stato portato per i lavori importanti, quelli che voleva farmi
fare mio padre. Era un uomo scrupoloso ed esigente. Sapevo che non
sarei mai diventato come lui. E poi mi sento molto più utile
qui che in qualsiasi altro posto.
Si sedettero su un pezzo di sabbia asciutta. Gli occhi del superiore
gli si puntarono addosso.
- Avete molti amici qui?
Posò la lattina fra i granelli dorati dal sole.
- Di persone ne conosco
tante. Chi mi ritiene uno sciocco, chi un valoroso testa di rapa, e chi
non pensa niente. Di amici veri ne ho ben pochi. Mickail ed Eric lo
conosco da parecchio tempo. Ora che ci penso siamo sempre stati
insieme. Eric mi è stato appiccicato sin da quando eravamo
due marmocchi. Mickail invece è arrivato dopo. Sono gli
unici con cui posso passare del tempo senza annoiarmi.
Si voltò ad osservare il ragazzo che lo ascoltava mentre
aveva lo sguardo perso nel tramonto in lontananza. I raggi caldi gli
doravano il viso ed i capelli, leggermente mossi dalla brezza marina,
avevano assunto il colore tenue del sole stesso. Gli occhi gli parvero
quasi lucidi, brillare in quel fuoco.
Istintivamente gli sfiorò una guancia con il dorso della
mano, ma lo fece solo con la mente, perché la mano a forza
rimase bloccata sulla sabbia. Il petto gli bruciò
improvvisamente. C’era qualcosa di strano in tutto quello che
era successo in quei giorni. Quelle ore gli stavano rapidamente
sconvolgendo la vita, e solo ora se ne stava rendendo conto. Quel
ragazzino gli faceva provare sensazioni strane, inspiegabili, mai
provate prima.
- Tu… non hai
nessuno qui?
Si voltò.
- No. E’ la
prima volta che vado tanto lontano da solo.
Ritornò a fissare l’orizzonte.
- A dire il vero non ho
mai avuto tanti amici. Ci sono delle cose che non me l’hanno
permesso.
La sua espressione triste gli si stampò nella mente. Ancora
un’altra ondata di emozioni mai sentite.
- Quanti anni hai?
La risposta tardò qualche secondo a venire.
- Venti.
L’altro si raddrizzò alla svelta, come punto. Il
viso sorpreso e incuriosito.
- Venti?! Devo dedurre
che tu hai qualcosa di speciale…oppure è uno
scherzo…
- No… io,
è per questo… non sono una persona comune.
William si ricompose.
- E’ per
questo che sei qui? E che è successo mentre eravamo nella
tua stanza!? Tutto questo ha a che fare con te?!
Gli afferrò un braccio strattonandolo.
- Asp… ah!
L’uomo lo fissava imperterrito, con viso severo e iroso.
- Vi … vi
sarà spiegato tutto. Voi… voi non …
Il soldato lasciò la presa.
- Non cosa?
Abbassò lo sguardo.
- …
niente…
Si rialzò, stringendosi nelle spalle.
- E’ meglio
che io rientri.
Si voltò e prese a camminare. L’altro
osservò il biondo allontanarsi. Si rimise in piedi.
- Ehi!
Alex si voltò a quel richiamo improvviso.
- Stasera vieni con me!
P.S. Ecco il
capitolo regalo! Grazie ancora e buon proseguimento.
ATTENZIONE!
Spero abbiate letto il cap
prima: li
ho postati lo stesso giorno non vi sbagliate
^^!
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Capitolo 8 *** Chapter 8 ***
Chapter
8
Nell’aria c’era un forte odore di fumo e le luci
soffuse dei neon colorati facevano risaltare solamente alcune parti di
quell’ombra confusa. La musica di sottofondo, alta e
movimentata era accompagnata dal tintinnare di bicchieri e bottiglie.
Ogni tanto qualche sbuffo di fumo, proveniente dalle persone che gli
passavano di fianco, lo faceva tossire. Alcune persone stavano giocando
attorno ad un tavolo da biliardo, altre raccolte a dei grandi tavoli
verdi e tecnologici, giocavano a carte, immersi in impressionanti
banchi nebbiosi. Qualcuno gli diede una spallata nel tentativo di
uscire dl locale e lui finì contro quella che doveva essere
la schiena di qualcun altro.
- Scusi…
Si sentì afferrare il polso. Gli occhi azzurri brillarono
nell’oscurità e si puntarono su di lui.
- Stammi vicino! E non
accettare niente da nessuno.
Lo strattonò trascinandoselo dietro con poca dolcezza. Non
appena ebbero raggiunto un posto abbastanza sgombro, il ragazzo si
liberò il braccio dalla presa dell’altro.
- Non mi sembra il luogo
più adatto per fare conoscenza… forse dovrei
tornare…
- No. Non sei mai stato
in posti simili? Avanti,…
Un cameriere si avvicinò con delle bevande. William lo
trattenne, dicendogli qualcosa per poi mandarlo via.
- Vieni, siediti.
Lo spinse su una sedia liberatasi da poco, osservandosi intorno. Si
allontanò lasciandolo solo al tavolo, che un cameriere stava
rapidamente ripulendo. Si voltò guardandosi attorno. Delle
donne lo stavano guardando sorridendo. Si voltò, lievemente
a disagio. Un uomo dal bancone lo osservava, ma ci fece poco caso,
stringendosi nelle spalle.
Il moro tornò accompagnato da due alti uomini. Uno dei due,
appena lo vide, storse impercettibilmente il naso. L’altro
era impassibile.
- Eric, Mickail, questo
è Alexander, il mio superiore.
Il più alto gli tese la mano, stringendola con forza.
- Mickail, molto piacere.
L’altro, quello che aveva fatto la smorfia, si era portato
una mano dietro la testa e si grattava la nuca confuso.
Bisbigliò qualcosa a William che gli diede una pacca dietro
la schiena di rimando. Poi si voltò e si presentò.
- Piacere, Eric. Scusa,
è che di solito non usciamo con i superiori, ma a quanto
pare sei ok!
Gli fece l’occhiolino, dandogli una vigorosa stretta di mano.
In quel momento un cameriere giunse portando un vassoio colmo. Si
poggiò sul tavolo e distribuì distrattamente le
ordinazioni. Gli fu schiaffato di fronte un calice colmo di birra
schiumosa. Il ragazzo squadrò gli altri tre, fermandosi su
William che si era seduto al suo fianco. Anche loro avevano gli stessi
bicchieroni.
- Ma… credo
sia un po’ troppo per me; non sono abituato…
- Hai tutta la sera per
finirlo! Sennò ti aiuto io…
Le ultime parole gliele bisbigliò in modo che solo lui
potesse capirle. Intanto Eric si era alzato, col boccale ben saldo in
mano, ed aveva dato un colpetto sulla spalla del moro.
- Il tavolo è
mezzo vuoto, ci infiliamo?!
L’altro annui e si alzò, trascinandosi dietro Alex
ed il boccale.
Pochi minuti dopo erano attorno ad un tavolo con le carte in mano, la
birra al fianco ed una sigaretta accesa in bocca. William stava
selezionando le proprie puntate davanti a se, quando il biondo,
l’unico in piedi, gli si aggrappò alla maglia.
- Che
c’è? Sei sicuro di non voler giocare?
L’altro annui guardandosi intorno innervosito, non facendo
più caso alla famigliarità con cui gli parlava il
subordinato.
- Si, io… non
sono abituato a queste cose. E poi stanno arrivando personaggi un
po’ insoliti.
- E’ il locale
migliore della città; è solo molto
“aperto”, non c’è nulla da
preoccuparsi. Comunque come preferisci: sarai la mia dea bendata.
Ma l’altro non sentì quell’osservazione
perché troppo impegnato a guardarsi attorno.
Tutta quella confusione gli dava fastidio. E poi quell’uomo
al bancone aveva preso a guardarlo con più insistenza. Non
gli piaceva affatto quel posto: voleva tornare alla base.
- Scala reale!
Il grido di William lo riscosse. Preso dall’euforia gli
circondò la vita con le braccia e lo strinse depositandogli
un bacio sulla camicia immacolata. Alex arrossì
vistosamente, cercando di divincolarsi dalla presa. Il moro lo
lasciò andare inconsciamente, per accaparrarsi la vincita.
Il ragazzo si voltò imbarazzato. Qualcuno gli disse
qualcosa. Una ragazza con una vassoio in mano gli porgeva un bicchiere.
- Questo è
per lei. Da quel signore laggiù.
Gli indicò l’uomo che lo stava osservando ormai da
ore. Lasciò che la cameriera gli facesse scivolare in mano
il calice con del liquido azzurrino decorato con una cannuccia e dello
zucchero sul bordo.
L’uomo si alzò e fece per avvicinarsi, con un
cocktail in mano anche lui. Era alto e robusto, forse anche troppo
muscoloso. La fronte alta ed i capelli castano scuro, circa
sulla quarantina.
- ’Sera.
Alex lo squadrò con aria infastidita e curiosa.
D’improvviso qualcosa gli circondò la vita. Si
accorse della presenza dietro le sue spalle.
- Lui è con
me. E’ la mia fortuna.
Entrambe le braccia di William si strinsero attorno al suo corpo.
L’uomo si allontanò infastidito. Il moro sorrise,
avendo ottenuto l’effetto desiderato, sciogliendolo
definitivamente dalla presa, mentre l‘altro tentava
debolmente di reagire.
- Devo tenerti
sott’occhio a quanto pare.
Si voltò verso gli altri due. Alex depositò il
bicchiere quasi colmo sul bancone cercando di non dare
nell’occhio.
- Io vado. Ci vediamo
domattina.
Mikail annuì, mentre l’altro era troppo impegnato
a versare la perdita del proprio gioco.
Diede al ragazzo una leggera spintarella con la mano, per farlo andare
avanti. Alex sembrava contrariato.
- Io, no! Se volete
rimanere… io torno da solo.
William assunse un sorriso divertito.
- Con quello
lì che ti ha puntato?! No, meglio di No. E comunque non
credo sia l’unico.
Poi con tono canzonatorio.
- Vi avevo detto che
avevate il visino di una puttanella…
Ormai erano fuori dal locale. Un sonoro schiaffo colpì il
viso del moro. L’espressione del ragazzo, illuminata solo
dalla luce del lampione difettoso, era divenuta dura e austera.
In quel momento William non potè far altro che notare quanta
bellezza emanava quel viso celestiale anche se semiavvolto dalle
tenebre. I capelli scomposti, le labbra sensualmente corrucciate, e poi
quel neo, quel minuscolo puntino che era la chiusura perfetta di tutta
quella voluttuosità.
La guancia gli bruciava.
- Non permettetevi
più. Per stasera la nostra confidenza finisce qui. Ve ne
siete approfittato anche troppo.
Fece per andarsene, a l’altro lo segui. Normalmente avrebbe
reagito. Non si era mai fatto picchiare da un uomo senza rispondere in
qualche modo. Stavolta non lo aveva fatto. Stavolta era diverso.
C’era qualcosa di infinitamente nuovo in quel biondino dal
volto angelico.
Durante la serata si era dimostrato indifeso, ignorante del mondo
esterno e spaventato. Le espressioni di quelle ore non avevano a che
fare con il viso dolce e comprensivo del comandante; non presentavano
quell’austerità e quell’indifferenza che
invece durante il giorno erano di rigore. Quell’immagine si
era incrinata ed aveva lasciato uscire un po’ di
ciò che realmente era rinchiuso dietro quella maschera.
Aveva trovato qualcosa di molto più divertente con cui
giocare. Quel ragazzo dalla personalità fragile e costruita
gli martellava nella mente con insistenza.
E lo fece anche per tutto il giorno seguente, e per quello dopo ancora.
Non riusciva a toglierselo dalla testa. Si ritrovo persino a starsene
seduto nella propria stanza ad aspettare che lo venissero a chiamare.
Rivedeva quel viso indifferente avvolto
dall’oscurità e dalle luci del locale. Lo rivedeva
mentre gli si aggrappava inconsciamente alla maglia, mentre lo
picchiava. Si massaggiò la guancia.
- Accidenti…
P.S.
Grazie per le recensioni. Spero che fra i nuovi lettori, chi non abbia
letto "sussurri" lo faccia, perchè è la mia prima
fanfiction e poi tutto sommato mi sembra uscita bene...Questa
è ancora in via di sviluppo. Ora che ci sono le vacanze
speravo di poter agiornare più di frequente, ma purtroppo
con il lavoro è un po difficile; cercherò
però di fare il prima possibile, soprattutto per questa
parte iniziale (diciamo che l'introduzione è durata
parecchio^^°). Buona continuazione! E recensite!^^
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Capitolo 9 *** Chapter 9 ***
Chapter
9
Fissava l’uomo il camice che gli stava poggiando una
minuscola ventosa senza filo sulla tempia. Pochi minuti prima gli
avevano iniettato qualcosa nelle vene ma ancora non gli pareva di
sentirne gli effetti. Alzò lo sguardo. Il ragazzo
stava scrutando un piccolo schermo piatto portatile, premendo
di tanto in tanto sulla superficie. Indossava solo una maglia bianca
sopra i pantaloni che poco più sotto al ginocchio erano
interrotti da alti stivali neri. Si voltò verso di lui,
accortosi di essere osservato.
- Le analisi non hanno
mostrato nessuna attitudine particolare. Ora faremo una prova pratica,
per testare la nostra affinità psichica.
Fece un cenno ad uno dell’equipe e gli affidò i
documenti magnetici. Poi si avvicinò alla sedia posta poco
distante da quella di William e vi si sedette. Erano uno di fronte
all’altro, a circa un metro di distanza.
L’uomo sentiva il cuore che aveva accelerato il proprio
battito e le vene gonfie di sangue si vedevano più del
solito sotto la pelle olivastra. I polsi gli erano stati bloccati con
delle cinghie semimetalliche e non riusciva a muovere molto bene le
mani. Si accorse dello sguardo del giovane fisso su di lui.
- Ora chiudi gli occhi.
Pensa a qualcosa di emozionante, una sensazione forte che hai provato
di recente. Io proverò ad agganciarmi a questa.
Non aveva capito il significato delle ultime parole, ma esegui i
comandi che gli erano stati impartiti. Vagò nella propria
mente in cerca di qualcosa di particolarmente piacevole. In quegli
ultimi giorni non ce n’erano state molte di cose eccitanti.
Focalizzò un’immagine, poi un’altra, e
un’altra ancora. Nella sua mente i pensieri correvano veloci
ma vuoti, come tante diapositive sfocate. Poi si bloccò.
Un’emozione abbastanza forte. Ricordò ogni
frammento di quel giorno. Ogni cosa era al suo posto e stranamente le
immagini erano nitide e chiare, non come gli altri ricordi. Era estate
ed aspettava il diretto che l’avrebbe portato alla base
d’addestramento reclute. Aveva messo da parte tanti di quei
soldi pur di comperare il biglietto. Aveva 17 anni o poco
più. Il vento gli sbatteva in faccia con forza nonostante la
calura e d’un tratto apparve a gran velocità il
treno. Afferrava il manicotto e saliva i gradini. Quell’odore
di metallo, di moquette… ricordava ogni cosa. Sarebbe stata
la sua via di fuga, la sua nuova vita, lontano da tutto e da tutti.
Poggiò il pollice destro sul rilevatore di impronte e la
barra elastica scomparve lasciandolo passare. Quel semplice gesto era
come un biglietto per la libertà. D’un tratto una
sensazione diversa, una sensazione strana lo avvolse. La cabina
accogliente del treno stava sparendo lentamente. Si scioglieva sotto i
propri occhi, come qualcosa di evanescente. Riprese la
sensibilità del corpo, come se fosse sveglio, come se stesse
in piedi, immerso in un mare d’acqua. Alzò un
braccio e lo stese di fronte a se.
Vedeva il proprio fisico, lo sentiva e riusciva a muoversi.
Non aveva nulla addosso, era nel vuoto. Non c’era
più niente che lo circondava, solo infinito e bianco. Quella
sensazione era simile a quella che aveva provato quando il ragazzo lo
aveva toccato in viso, ma amplificata milioni di volte. Si mosse in
quel vuoto. Provò a cercare qualcosa all’orizzonte.
Lentamente qualcosa cambiò. Una sagoma leggera appariva
lentamente di fronte a lui. Una fitta lo prese alla testa.
L’ombra assunse dettagli. Il viso sottile, le labbra sensuali
e ben definite, le ciglia folte e scure, i capelli color
dell’oro e quel puntini, quel minuscolo magnifico neo nero.
Il corpo sinuoso e delicato quanto il volto, la pelle chiara e priva di
imperfezioni, pareva quasi eterea. Quella magnifica creatura era
lì, poco distante da lui, sospesa in quella che ora
diventava aria simile ad acqua. Sentiva il proprio corpo essere
attraversato da brividi gelidi.
Gli occhi del giovane si aprirono debolmente, lentamente. Quelle
distese verdi lo fissavano di nuovo. Era forse la realtà
quella che vedeva, che sentiva?
Una mano gli sfiorò una guancia. Lieve, dolce, leggera come
il tocco della seta.
- Ha
funzionato…come pensavo…
Si tirò indietro. L’espressione del ragazzo
divenne sofferente e malinconica.
- No, non
respingermi… ora sono dentro di te, nella tua
mente. Non aver paura.
Il viso era tornato dolce e gentile.
- Siamo nella mia mente?
Insomma…TU sei nella mia mente???
William si guardò nuovamente attorno.
-Ti avevo detto che ti
sarebbe stata spiegata ogni cosa. Ora siamo in una zona della tua testa
che non tutti possono utilizzare, o meglio, non in questo modo.
L’uomo tornò a fissarlo.
- E’ una
specie di ponte psichico; per adesso stiamo utilizzando per la maggior
parte la mia energia per questo contatto, perciò ne senti
poco il peso. Siamo esattamente a metà fra la tua mente e la
mia.
- Allora tutti quegli
esami sono serviti per vedere se io avevo la possibilità di
usare questa parte di cervello…? E tu? Anche tu la usi.
Quanti altri possono farlo?
D’un tratto l’immagine del giovane divenne
più sbiadita, perdendo sempre più consistenza.
William avvertì qualcosa scivolargli addosso, il proprio
peso svanire, come lavato via. Tutto si oscurava rapidamente. Alex era
sparito ormai totalmente. Una sensazione di risucchio, come se le
viscere si stessero comprimendo sempre più; il cuore pompava
velocemente il sangue, riusciva quasi a sentirne la
velocità. Non vedeva più nulla.
Aveva la nausea. La testa gli esplodeva.
Un groviglio inestricabile di pensieri.
La sensazione di vuoto.
Freddo.
Nausea.
Buio.
Spalancò gli occhi. A fatica mise a fuoco
l’immagine della stanza. Delle persone lo circondavano. Tra
loro riconobbe anche il ragazzo, pallido, sudato e col viso stanco.
Non riusciva a capire cosa era successo, non gli avevano spiegato
nulla. Osservava il soffitto della propria stanza senza realmente
guardarlo. Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti.
Il biondo fece capolino, richiudendo alle proprie spalle
l’entrata.
- Tutto bene?
L’uomo si mise a sedere sollevandosi dal proprio letto.
- Sono venuto a vedere
come stavi. Posso sedermi?
Attese qualche istante senza ottenere risposta. Lo sguardo fisso
dell’altro su di se. Si sedette sulle lenzuola.
- Quello che
è successo… Non ho retto il contatto;
è stata colpa mia. L’energia richiesta era molta e
ho preferito interrompere.
- Cosa è
tutta questa storia? Non voglio aspettare più; ho il diritto
di sapere, e voglio delle spiegazioni, ora.
Il giovane annuì abbassando lo sguardo, per poi tornare a
guardare il moro.
- Si. E’
giusto. Dunque… come ti stavo dicendo… quello di
prima era un “contatto psichico” . Avviene quando
due menti riescono a raggiungere lo stesso livello, la stessa onda
cerebrale. Quest’onda viene chiamata “onda
U” da “unisono”. E’
un’onda particolare, ma non unica.
Trasse un sospiro, come per spiegare meglio.
- Nel mondo, nel nostro
mondo, ci sono delle coppie di individui che sono capaci di sfruttare
la parte di cervello che permette di raggiungere
l’unisono. Queste coppie sono pochissime, inferiori
alla decina. L’”onda U” non è
unica perché ogni coppia di persone ha un unisono.
Ogni duo è fisso, non può allacciare la mente con
nessun altro, anche se questo è capace anche lui di
sfruttare quella parte di mente. Si tratta di individui molto
particolari: l’evoluzione della “comune”
specie umana. E’ per questo che ancora sono rari. Tuttavia
non sono gli antecessori dei Neoterrestri, sono una specie a se stante,
forse ancora più potente dei neoterrestri. Non si sono
ancora scoperte tutte e sue possibilità.
E’ per questo che se uno dei due viene a mancare,
l’altro risulta inutile, incompleto. La sua mente non
può essere stimolata da nessun altro e quindi il suo potere
rimarrebbe inutilizzato. Un potenziale inservibile. Motivo per cui ci
sono ancora meno coppie.
Fece una pausa, scrutando definitivamente l’altro per vedere
se la spiegazione era stata recepita senza problemi. Il volto del moro
era serio, concentrato, ma non confuso. Pareva conscio di
ciò che quelle parole comportavano.
- Quindi… io
e te… noi siamo una di queste coppie…giusto?
Il biondo annui.
- Io stavo cercando il
mio complementare gia da tempo. Non è difficile rilevare
dove si trovano gli E.v. … è questo il nome che
è stato dato a queste persone… Difatti
queste hanno delle onde cerebrali particolari che ogni tanto
sprigionano la loro intensità e sono perciò
facilmente rilevabili da dei sistemi sofisticatissimi. Io mi sono
spostato parecchie volte ed ho conosciuto tre E.v. che non mi
corrispondevano. Poi è arrivata la segnalazione da
qui: gli studiosi di questa base dispongono di un dispositivo ad ampio
raggio, come del resto tutte le altre basi, che mi ha permesso di
sapere che qui c’era un potenziale E.v. E così ti
ho trovato.
William era immobile; aveva recepito tutte quelle informazioni senza
aggiungere altro. Il suo volto assunse un’espressione pensosa.
- Ma tutto
questo… a cosa serve? Cioè, queste
capacità in cosa possono aiutare? E comunque non ho mai
sentito parlare di nulla prima d’ora, nessuna ricerca,
nessuno studio.
Il giovane tornò ad osservarlo.
- Tutto questo
è tenuto segreto. Nessuno deve saperlo, soprattutto i
Neoterrestri. Il contatto che si crea fra le menti di due E.v.
è una connessione intensa dove l’energia di
entrambi confluisce in una dimensione astratta, metafisica, dove solo
loro possono esistere. Durante il collegamento però la coppia
risulta estremamente vulnerabile; i corpi difatti restano materiali e
corruttibili, incapacitati di reagire in quanto la mente è
momentaneamente separata dal corpo. In questa dimensione le
“essenze” comunicano fra loro e interagiscono nella
condizione di “unisono”. Così possono
essere “pensati” attacchi contro i nemici,
materializzandoli oppure lasciandoli semplice pensiero, ma comunque
contundente. L’unisono degli E.v. è
un’onda particolare, con un’intensità
che se amplificata può essere capace di annullare
istantaneamente ogni apparecchiatura e tecnologia Neoterrestre. Pare
che possa persino arrivare ad annientare le onde cerebrali aliene,
disintegrandole in una frazione di secondo.
L’altro sussultò fissando intensamente il compagno.
Il biondo lo riosservò a sua volta con aria assente, come se
i suoi occhi fossero proiettati verso un altro luogo.
- …
è un’arma… l’arma perfetta.
P.S. Mmm...
dunque, Alex, Alex, Alex... Si, so che è un po enigmatico,
ma mi piace perchè così la storia può
avere più risvolti. Comunque non credo che ci sia una vera e
propria perdita di autorità, ma piuttosto una specie di
tentativo di comunicazione. Insomma Alex sta cercando di instaurare una
sottospecie di rapporto con William, come avrete capito, soprattutto
per la sua "missione"; si è calato nel mondo di Will forse
anche un po bruscamente dati gli esiti. Forse a preteso troppo da se
stesso ^^. Per quanto riguarda i contatti, vi assicuro che ce ne
saranno di migliori. Bhè, allora alla prossima e buona
lettura.
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Capitolo 10 *** Chapter 10 ***
Chapter 10
Annusava l’aria che soffiava dal mare, lo sguardo rivolto
all’orizzonte. Il mal di testa gli era passato; ormai i
polmoni si erano riempiti di quella brezza fresca e pulita. I capelli
scuri e lucenti mossi dal vento. Da due settimane aveva incominciato ad
esercitare intensamente la propria attività mentale, ma mai
aveva provato un dolore così forte. Probabilmente era lo
stress accumulato o qualcosa di molto simile. Si era allenato
ripetutamente tutte le mattinate, ma la sera usciva a svagarsi con Eric
e Mickail, senza però riuscire a trascinarsi dietro il
biondino. Quel ragazzo, incorruttibile e delicato come una rosa
splendida e piena di spine aveva preso le distanze da lui
dopo quella serata.
Ogni giorno era sempre più nei suoi pensieri. Si era persino
costretto a pensarci meno, a ricacciare indietro le immagini. Ma non
era servito a nulla.
Era entrato all’improvviso nella sua vita e gli aveva
stravolto tutto. Coi gesti, con le parole, col suo muoversi e
le sue abitudini. Il fare austero e delicato. Il profumo della sua
pelle, i suoi capelli. Aveva l’odore di una rosa fresca, il
tepore caldo e confortevole del sole primaverile. Le labbra ed i suoi
occhi. I suoi occhi…
Ecco ci stava pensando di nuovo.
Ci pensava sempre di nuovo.
Un gabbiano stridette nel cielo. Si passò una mano fra i
capelli.
Era riuscito ad equilibrare l’”unisono” e
a collegarsi con Alex ad un basso consumo di energia, senza stancare se
stesso ne l’altro. Si stava lentamente abituando a quelle
sensazioni paranormali e a quella sua particolarità. Aveva
persino provato a “richiamare” il ragazzo quando a
volte gli veniva in mente, senza mai ottenere risposta. Si
era concentrato, aveva rivolto il pensiero all’altro, senza
provare nulla di diverso, senza raggiungere il punto di
collasso. Chissà se il biondo aveva sentito
qualcosa in quei momenti, chissà se lo aveva pensato.
Lo aveva osservato tante volte, lo aveva scrutato attraverso la folla
di superiori che lo circondavano. Anche quando non doveva pensava a
quel giovane soldatino, quella piccola testolina imperiosa e dolce al
tempo stesso.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo nella sua testa in quei
giorni. Amava le donne, ed amava il sesso. Ma lui, lui era diverso da
tutto, da uomini, da donne, da sesso… ancora non era
arrivato a certi livelli, ma ogni tanto, guardandolo, desiderava
toccarlo, sfiorare la sua pelle come quella volta sulla spiaggia,
quando provò con il solo pensiero a carezzargli una guancia.
Solo questo. Niente più, non oltre il semplice contatto
superficiale. Ma si chiedeva fin quando sarebbe durata questa
situazione e soprattutto se si sarebbe fermato a questo punto.
Il giovane tuttavia non mostrava particolare interesse nei suoi
confronti. Si comportava come con tutti gli altri: gentile, dolce, a
volte timido e silenzioso, altre imperioso ed intelligente,
maledettamente intelligente. Tuttavia questa sua cultura non lo metteva
affatto in imbarazzo, anzi, con lui si sentiva bene, indefinitamente,
stranamente bene. Forse era il legame che li univa, il fatto che loro
fossero una coppia di E.v. o forse no . Forse solo il fatto di credere
di essere indispensabile per qualcuno, sapere che serviva, che per
quella creatura in qualche modo era unico. Così la
rendeva un po’ sua, esclusiva, gli apparteneva in parte.
Già, in parte. Fino a quanto sarebbe bastato quel
“in parte”? Fino a quanto gli sarebbe bastato il
solo immaginare di toccarlo, fino a quanto il semplice osservarlo, il
semplice sentire la sua voce?
Qualcosa lo distrasse, facendolo trasalire leggermente. Un tonfo, un
rumore metallico.
Si voltò. Non vide nessuno. Poi di nuovo. Delle voci
sommesse, parole a denti stretti. Gemiti.
Percorse pochi passi. In una nicchia che veniva a crearsi fra le cabine
esterne, quelle che davano sul passaggio principale, qualcuno si
muoveva, seminascosto dall’ombra. L’uomo di spalle
era alto e robusto. Con un rapido gesto sbattè contro la
parete metallica una figura molto più piccola e fragile,
producendo lo stesso rumore di prima.
Dei biondi capelli oro rilucerono per una frazione di secondo entrando
in un raggio di sole. La testa ciondolò per poi tornare a
reggersi sul collo. La creatura era sovrastata dall’imponenza
dell’aggressore che continuava a sussurrargli irose parole a
denti stretti, stringendolo per il colletto bianco della camicia.
Un moto d’ira prese William. Sentiva il calore invadergli il
corpo che scattò inconsciamente in avanti.
Afferrò il braccio dell’uomo strattonandolo
indietro, per poi sferrargli un pugno diritto in pieno stomaco. Il
soldato cadde a terra con le braccia strette attorno alla pancia
dolorante. Il moro allora lo riconobbe; era lo stesso che aveva visto
quando la prima volta era entrato nel’ufficio di Alex.
- William…
Il giovane gemette alle sue spalle, costringendolo a voltarsi. Tentava
di rialzarsi appoggiandosi alla parete con una mano.
- E’ tutto a
posto… non preoccuparti.
L’altro intanto si era rimesso in piedi ed osservava
rabbiosamente il soldato. William lo riosservò a sua volta.
Aveva più o meno la sua stessa corporatura, dei capelli
tagliati corti, sul castano scuro e gli occhi scuri anche quelli.
- Tu chi diavolo sei?!
Non provare più ad immischiarti in affari che non ti
riguardano! E con te finiamo il discorso più tardi.
Il tono minaccioso e aspro.
- Io faccio quello che
mi pare, non sto certo a sentire quello che mi dice un idiota che si
diverte a minacciare i superiori.
Il castano pareva irritato. Tuttavia non attaccò. Si
voltò e si allontanò a passo pesante.
L’attenzione di William tornò sul giovane che gli
aveva poggiato una mano sulla spalla e premeva con forza come per
intimarlo a non seguirlo.
Il subordinato aiutò il biondo accompagnandolo fino alla
propria stanza, la più vicina.
Spalancò la porta e lo fece entrare richiudendo alle proprie
spalle.
Il giovane si sedette sul letto. William intanto era appena uscito dal
bagno con il kit di prontosoccorso, gli si sedette vicino e
aprì la valigetta.
- Ne tieni sempre uno?
- Certo. A dire il vero
questo era per le operazioni, ma a quanto pare per ora non devo farne.
Le ultime parole sembrarono una provocazione divertita. Il ragazzo
sorrise.
Il moro gli sfiorò una guancia con il palmo. Per qualche
secondo si fissarono. Alex si ritrasse istintivamente da quel contatto,
come infastidito.
- Ti ha dato un bel
pugno, non è vero?
- Si, ma non
è niente.
L’uomo non diede peso alle sue ultime parole e gli
tamponò la pelle con un po’ di ovatta imbevuta. Il
giovane sussultò stringendo i denti.
- Chi era quello? Non mi
sembra che dia molto peso al tuo grado.
Alex ammutolì. Per poi strizzare un occhio per il pizzicore
del disinfettante.
-
Ah… lascia stare. E’ solo una mia
conoscenza, un po’ turbolenta a dirla tutta. Ma nulla di
grave.
- Non mi pare. Ti ha
sbattuto con poca dolcezza contro quel muro, tanto da farti sanguinare.
- Che..?
Si portò istintivamente una mano al naso. I polpastrelli
erano vermigli e lucidi. William gli afferrò la mano sporca,
ripulendola con il pezzo d’ovatta. Il contatto con quelle
dita, con quelle mani lo sorprese. Aveva immaginato che la sua pelle
fosse soffice, morbida e levigata, ma mai fino a quel punto. Si
soffermò nel toccare il palmo liscio.
Accortosi di essere squadrato da quei begli occhi verdi,
lasciò la presa malamente, ritornando a sistemare il kit.
Gli porse un fazzoletto per fargli ripulire il naso.
Quella sera, nel letto di una delle sue solite donne, mentre la ragazza
si contorceva sotto di lui, il viso di quel giovane gli
tornò in mente. Le forme prosperose della donna furono
sostituite da quelle candide e pulite di lui. Lo vide lì,
inarcato di fronte a se, ansimante nell’estasi
dell’amplesso che chiamava il suo nome col viso meraviglioso
imperlato di sudore. Per tutto il resto della notte non
riuscì a chiudere occhio.
P.S.
Questo capitolo è un po cortino, ma rimedierò
agiornando il prima possibile^^ Grazie per le recensioni. Neanche io
avrei mai pensato di scrivere una fanfiction del genere...non
è il mio stile. Però infondo mi piace. Spero
piaccia anche a voi. A presto e continuate a commentare.^^
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Capitolo 11 *** Chapter 11 ***
Chapter 11
Sfogliava svogliatamente le pagine del libro cartaceo che aveva
davanti. La finestra lasciava entrare appena la lieve brezza marina ed
ogni tanto smuoveva i fogli sulla scrivania. Quel pomeriggio non aveva
affatto voglia di leggere, cosa che capitava alquanto raramente. Faceva
caldo e si era tolto la giacca, poggiandola sullo schienale della
sedia. Aveva persino allentato in nodo alla cravatta lasciando qualche
bottone aperto. Si passò una mano sulla fronte umida.
D’un tratto una folata di vento fece scivolare dalla
scrivania un documento che atterrò poco lontano dalla
finestra spalancata.
Si alzò richiudendo il libro. Raccolto il pezzo di carta
diede un’occhiata per vedere di cosa si trattasse. Era un
frammento dell’archivio di William Hartnett. Rimase in piedi
con il foglio in mano osservandolo come se dovesse rivelargli qualcosa.
Tornò a sedersi lasciando andare il documento sul piano
della scrivania. Il moro lo aveva colpito sin dal primo loro incontro,
con quel temperamento ribelle ma assolutamente impenetrabile.
Nonostante a volte sorrideva maliziosamente, quei sorrisi non erano
affatto sinceri. Solitamente aveva un’espressione fredda,
seria, quasi rabbiosa. Per il resto di lui non sapeva nulla, ma gli
pareva già di conoscerlo un po’.
Forse stava solamente riversando tutto il suo stress, i suoi pensieri e
le sue preoccupazioni su quell’uomo che per ora gli pareva
una possibile via di fuga. Eppure quando le sue mani erano entrate in
contatto con lui, quando si era ritrovato a vagare nella sua mente, si
era sentito così bene. Era la prima volta che gli succedeva,
ed era anche comprensibile dato che per lui esisteva un solo individuo
corrispondente, però gli pareva impossibile che esistesse
una pace così, e soprattutto una pace della quale nessun
altro poteva godere. Solo lui e quello sconosciuto così
arrogante e impulsivo.
Quando erano rimasti soli dopo che aveva subito l’aggressione
e William l’ aveva interrotta, si era preso cura di lui in
modo alquanto imprevedibile. Sapeva già che non bisognava
sempre fidarsi delle apparenze, ma questa ne era assolutamente la
conferma.
Si sfiorò la punta delle dita. Quando l’altro lo
aveva toccato, gli aveva preso il palmo tra le mani, non aveva potuto
far altro che fissarlo, immobile. Non aveva detto niente, neanche
reagito. In quell’istante aveva avvertito qualcosa di
diverso, di ancora nuovo. Come se si aspettasse qualche altra reazione
da lui. Si massaggiò la tempia distogliendo
l’attenzione dal proprio palmo. La cosa si stava facendo
più complessa del previsto.
Era ormai sera quando William lo andò a chiamare. In pochi
minuti si erano ritrovati di nuovo a camminare sulla spiaggia deserta.
Ad entrambi sembrava così famigliare restare lì
con l’altro che ormai pareva divenuto un loro luogo.
Il cielo si era scurito col calare del sole ma ancora qualche striatura
rossastra si intravedeva all’orizzonte.
Le onde sciacquettavano sciogliendosi sulla sabbia. Raggiunsero un
punto tranquillo e si sedettero.
Il sole era già scomparso da tempo ma ancora non era del
tutto buio. Il ragazzo scosse un mucchietto di sabbia lievemente a
disagio. Non sapeva neanche per quale motivo.
Il moro si accese una sigaretta lasciando l’accendino fra i
granelli infiniti che popolavano la riva.
- Allora…?
Come vi sentite?
Il biondo lo osservò. Un lieve sorriso gli
incurvò le labbra.
- Strano che voi mi
diate del voi. Cosa vi è successo?
Si tolse la sigaretta dalle labbra aspirando.
- Le altre volte erano
casi particolari. Non credevo ci aveste fatto l’abitudine.
Sorrise beffardamente. Ecco di nuovo quel sorriso malizioso. Non era un
sorriso allegro, felice. Era solo un modo per prendersi gioco di
ciò che lo circonda. Si ritrovò gli occhi
dell’altro puntati addosso. Distolse lo sguardo.
Quella formalità alla quale era sempre stato avvezzo, ora
gli suonava strana, lontana.
- Credo di preferire che
voi mi diate del tu, almeno quando non ci troviamo di fronte ad altri
ufficiali.
- Allora anche voi mi
darete del tu?
Il giovane tornò a squadrarlo.
- Si, certamente.
Il moro pareva soddisfatto. Tornò ad ispirare il fumo.
- Perfetto.
Qualcosa attraverso la mente di Alex osservando quel profilo adulto e
serio.
- Quanti anni hai?
Lievemente titubante. William si voltò osservandolo
sorpreso, per poi tornare con la solita espressione divertita.
- Tu quanti credi che ne
abbia?
Il biondo scrollò il capo. Non era mai stato bravo a capire
le età delle persone. Probabilmente ne aveva 25 o 23. Ma non
disse nulla.
L’altro, non notando accenni di risposta, colse
l’attimo per scorrere con lo sguardo sul corpo del ragazzo
che intanto aveva abbassato il volto intimidito.
- Ne ho 28, 29 il
prossimo mese.
Spense la sigaretta sulla sabbia. Il superiore tornò a
guardarlo. Ora che ci faceva caso aveva il viso di un uomo adulto,
più di quel che credeva. Non perché avesse rughe
o altro, ma per l’espressione. E poi il suo corpo non era
affatto quello di un adolescente. Aveva il fisico formato, scolpito,
era alto e aveva le spalle larghe. Ma anche le sue mani. Le sue mani
gli piacevano molto; grandi e protettive, con le nocche evidenti ma non
troppo e le unghie curate.
- Non sono poi
tanti…
Il biondo rise divertito.
-Ehi! Ti stai prendendo
gioco di me ?
Ma il tono non riuscì minaccioso come avrebbe voluto che
fosse. I capelli biondi erano scomposti sulla fronte mentre Alex rideva
con un viso assolutamente perfetto e magnifico. Era così
vicino, cosi vicino che gli sarebbe bastato alzare la mano per
toccarlo, a pochi centimetri da lui, sfiorargli il viso, le labbra. La
visione della notte prima riprese possesso di lui mentre il suo braccio
faceva inconsciamente ciò che avrebbe voluto fare.
Fu un momento. Le risa del giovane si bloccarono. Il viso splendido
immobile, gli occhi cristallini che lo fissavano. Il volto
improvvisamente serio e privo di espressione. E la propria mano
poggiata sulla sua guancia, quel contatto morbido, come su seta pura e
tiepida. Si accorse dell’errore che aveva commesso, del
proprio pensiero che si era fatto inconsciamente realtà. Di
quel palmo che ora era a contatto con la pelle più delicata
e magnifica che avesse mai sfiorato.
Alex fece per alzarsi , ma fu prontamente bloccato dalla presa
dell’altro che gli aveva intrappolato il braccio. Ormai il
corpo dell’uomo si muoveva senza più comandi, ma
del resto non voleva fermarsi.
Lo strattonò sbilanciandolo e gettandoglisi addosso. Gli
bloccò le mani sulla sabbia. Fu un turbinio di profumi e
sensazioni. L’odore della stoffa candida, del mare, dei
capelli oro che si mescolavano con i granelli umidi della spiaggia, e
poi un profumo delicato e inebriante, come di fiori, di
boccioli… come di rosa…
Era sopra di lui. Il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo, con
la stessa inespressività di pochi attimi prima. E quelle
labbra, appena socchiuse, così sensuali. Gli si
avvicinò ancora, le loro labbra si sfiorarono appena mentre
i respiri accelerati si mescolavano facendone uno unico.
Fu lui ad alzarsi. Si rimise in piedi poco prima che la propria bocca
potesse perdersi in quella passione.
Si diresse verso la stazione, senza voltarsi indietro, senza guardare
quel giovane steso sulla sabbia, immobile.
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Capitolo 12 *** Chapter 12 ***
Chapter 12
Vedeva un mare d’acqua di fronte a se. Non riusciva a sentire
il proprio corpo. Forse non ne aveva uno.
Acqua intorno, davanti, ovunque, solo acqua. Sembrava di stare in una
piscina, ma era una sensazione strana. Ma come poteva vedere se non
aveva corpo?
Una mano. Bianca, pallida, illuminata dai riflessi della superficie
attraversò la sua visuale. Fluttuava in quel nulla, senza
peso, senza tempo. Lentamente andava verso il basso, cadeva, scivolava.
Il braccio, il petto e poi inesorabilmente tutta la figura era
lì, davanti a se. Il corpo pallido scendeva verso il fondo,
senza vita, senza calore.
Il viso candido ed i capelli biondi che fluttuavano inconsistenti anche
sul volto, sulle ciglia scure, aperte su occhi vitrei, immobili.
Verde. Acqua marina, che contrastava con la trasparenza neutra
dell’acqua dolce che lo avvolgeva. Il piccolo neo
inconfondibile era l’unica macchia scura su quella seta pura.
Le labbra socchiuse; non usciva aria, non vi era respiro. Quella
creatura impassibile scivolava lontano da lui, inesorabilmente,
irreversibilmente senza vita.
Voleva afferrarlo, voleva prenderlo, voleva toccare la sua pelle,
stringere il polso di quella piccola figura inerme. Ma non aveva mani,
non aveva braccia, non aveva nulla. Non poteva fare nulla.
Non poteva aiutarlo. Non poteva salvarlo.
Lui non c’era. Non aveva consistenza.
Poteva solo vedere. Non c’era.
Lui non era lì.
L’aveva perduto.
Spalancò gli occhi. Il respiro accelerato, il viso umido. Si
mise a sedere, mettendo a fuoco la stanza buia. La fioca luce della
luna che penetrava dalla finestra. Si passò la mano tra i
capelli, rasserenato di essere tornato alla realtà.
Si voltò alla sua destra. Il corpo della donna addormentata
al suo fianco. Si muoveva lentamente sotto le lenzuola. Gli
sfiorò i capelli setosi e spettinati. Erano ferschi e
asciutti.
Era la realtà. Solo un sogno.
Percorse a grandi passi il corridoio. Non era la prima volta che
camminava verso quell’ufficio. Molto probabilmente non
sarebbe stata neanche l’ultima.
Era stato convocato pochi minuti prima da un tenente. Il comandante
avrebbe dovuto comunicargli gli orari degli allenamenti ed il programma
che sarebbe stato svolto quel giorno.
Ma in realtà aveva ben altro in mente. Non lo vedeva da due
giorni e quella mattina aveva fatto quello strano sogno. Doveva
spiegare, doveva chiarire con quel ragazzo prima che fosse tardi. Ma
tardi per cosa? Non riusciva a spiegarselo, ma se lo sentiva. Qualcosa
sarebbe successo.
Persino quella notte era stata strana. Non era riuscito a resistere.
Aveva bisogno di averlo. E sapeva di non potere. Aveva vagato per i
locali ed era tornato alla base con una donna qualsiasi.
Ma non era stata lei nel letto quella notte, o meglio, non per William.
Bussò ala porta. Niente. Bussò nuovamente non
ottenendo risposta.
Squadrò l’interruttore d’apertura. Era
verde; non era chiuso dall’interno. Lo premette.
La porta si spalancò lasciandolo entrare, per poi
richiudersi silenziosamente.
Il giovane era seduto alla scrivania. Il capo lievemente clinato sulla
spalla sinistra, i capelli scomposti sulla fronte levigata.
Dormiva. Con gli occhi chiusi e le ciglia scure che lasciavano
intravedere una leggera ombra sulle gote rosee. Le labbra
meravigliosamente socchiuse.
Tutta l’ansia svanì improvvisamente.
Non riusciva a capire cosa gli succedesse ogni volta che si soffermava
a guadarlo, ma sapeva che doveva in qualche modo reagire. Era venuto
per chiarire, non per spiarlo.
Eppure era lì, immobile a pochi passi da lui. Ed ecco che il
proprio corpo ricominciava a muoversi senza comando, inconsciamente.
Gli sfiorò una guancia, la pelle morbida, calda. Le ciglia
si mossero appena. Le labbra si schiusero sensualmente.
Un improvviso calore lo avvolse. Tirò indietro la mano.
Le palpebre si aprirono lentamente scoprendo le iridi marine. Il biondo
parve inizialmente confuso.
- William..?
Ah… vi avevo mandato a chiamare…
Il soldato, che aveva fatto qualche passo indietro e si era
seduto sulla sedia di fronte al piano, si schiarì la voce.
- Si, ma
prima… avevo bisogno di parlare.
Alex si mise composto sulla sedia, sistemandosi. I capelli
ricaddero compostamente sulla fronte. Gli occhi verdi che presero a
fissarlo inespressivamente.
- Non
c’è nulla da dire.
Se ti riferisci a
ciò che è successo l’altra sera in
spiaggia non preoccuparti, posso capire.
L’altro non parve troppo stupito a quella reazione. Del resto
si era aspettato un comportamento simile da parte del superiore.
- Tutta questa storia
degli Ev e della coppia deve averti confuso.
E’ del tutto
comprensibile che tu provi qualcosa di particolare nei miei confronti,
del resto siamo dei complementari. Ma proprio per questo è
facile cadere in errore; non ho nulla contro di te. Considero la storia
chiusa qui.
William strinse i pugni. Le parole dell’altro stavolta lo
avevano colpito, ma di certo non positivamente.
Perché il suo viso era così freddo?
Perché era improvvisamente così insensibile?
Le sue certezze, le sue convinzioni di quegli ultimi giorni erano
crollate in meno di un secondo. Credeva di essersi avvicinato
a quella creatura delicata ed incomprensibile. Era convinto di essere
riuscito a penetrare almeno un poco in quella corazza che lo
circondava, di aver raggiunto un po’ della sua essenza.
Ed ecco che veniva respinto, scrollato violentemente dal suo bel sogno
felice. Ma perché gli faceva così male?
Perché si sentiva così umiliato e arrabbiato?
Avrebbe voluto afferrarlo, avrebbe voluto sbatterlo contro la parete,
avrebbe voluto… avrebbe voluto tante cose. Ma in quel
momento non fece nulla.
- Bene.
Si limitò a rispondere aspramente, stringendo i pugni con
forza per l‘ennesima volta.
Tuttavia mantenne la sua espressione indifferente e fredda, come al
solito. Era sempre stato bravo a mascherare la delusione, la rabbia,
persino la gioia.
- Ti avevo fatto
chiamare perché volevo comunicarti che oggi pomeriggio
proveremo ad amplificare l’unisono; ormai riusciamo a
connetterci abbastanza facilmente. Immagino che per te non ci siano
problemi se mantengo l‘addestramento per le due e mezzo.
Cerca di riposarti fino
ad allora.
Aveva riassunto la sua espressione dolce e comprensiva, cosa che lo
irritava ancora di più. Si alzò con indolenza.
In pochi minuti era fuori, all’aria aperta. Si
poggiò alla ringhera.
Cercò di frenare le proprie pulsioni. Provò a
calarsi nel pensiero di lui.
Forse era così. Tutta quella storia così
all’improvviso, scoprire di essere una specie di strana
evoluzione mentale dell’uomo, quel biondo piombato dal nulla,
l‘impulso, la guerra.
Osservò l’orizzonte.
Si, molto probabilmente era così. Quello che era accaduto
negli ultimi mesi lo aveva scombussolato non poco. Sensazioni nuove,
pensieri nuovi, volti nuovi. Fino a poco tempo fa non avrebbe mai
pensato che gli sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Il
biondino era caduto nella sua vita con gli stessi effetti devastanti di
una bomba sulla quotidianità di un tranquillo
villaggio abitato.
Non poteva ancora valutarne le perdite.
Doveva sforzarsi di capire a fondo se stesso, come mai aveva fatto
prima. Anche se in realtà gli pareva tutto così
chiaro.
Quelle parole così fredde e calcolate non erano bastate,
infondo, a far vacillare la propria sicurezza.
Le due settimane che seguirono furono dure. Dopo
l’allenamento con l’amplificatore gli diedero due
giorni di tregua. Era stata un’esperienza abbastanza
dolorosa.
L’amplificatore era una specie di anello che andava messo
sulla testa, come un diadema, che a veva la funzione di moltiplicare la
potenza dell’impulso mentale di chi lo indossava. Solamente
che, essendo in fase sperimentale, ancora l’amplificazione
non era molto forte. L’equipe che ci stava lavorando faceva
molta fatica a seguire il ritmo degli addestramenti, e di solito
utilizzavano Alex come sperimentatore ed elemento di studio.
Ma chissà quante altre volte quel giovane era stato
sottoposto a studi. Già solamente per trovarlo. Da quanti
anni sapeva di essere un Ev? e suo padre?
Il generale Duncan Rose. Aveva sentito parlare spesso di lui, ma non lo
aveva mai visto di persona. I generali di solito non venivano in basi
sperdute come quella. Lui sapeva delle capacità del figlio,
per quello lo aveva mandato là. Eppure Alex gli pareva
così solo, così malinconico a volte. Come se
fosse di un altro mondo, come se fosse un angelo caduto
perché sportosi troppo dalla sua bella nuvola.
Gli pareva così fuori posto in quell’ambiente
sudato, sporco e insanguinato.
I suoi compagni spesso parlavano di lui a pranzo o nella sala di tiro.
Li sentiva discutere delle sue missioni, delle operazioni che aveva
diretto in quei giorni e di quanta maestria il giovane mostrasse nel
pilotare aerei. Lodavano la sua meravigliosa postura,
l’attitudine a dare ordini e a dirigere, l’astuzia
dei propri progetti.
Erano tutti meravigliati, stupiti di come un ragazzino poco
più che adolescente riuscisse a giostrarsi in modo tanto
eccellente in un ambiente simile. Era dotato di
un’intelligenza superiore alla media, questo lo aveva
compreso. I suoi piani erano infallibili, calcolava ogni dettaglio,
ogni possibile sfaccettatura di quei progetti, ogni errore e
cambiamento. Prevedeva ogni cosa, conosceva ogni dato, ogni
programma, ogni dettaglio tecnico di ogni cosa.
Lui non aveva mai visto questo Alex. Non conosceva questo suo aspetto,
questa sua abilità. Non sapeva queste cose.
Gli altri si però. Questo lo rendeva nervoso,
indispettito, geloso.
Quei suoi compagni conoscevano anche loro il biondo, ma a modo loro.
Sentiva dentro di se come la mancanza di qualcosa. Era come se
dividesse Alex con gli altri, come se ognuno ne avesse un pezzetto per
se. Ma lui che pezzo aveva?
Un pomeriggio, in stanza, gli ritornarono alla mente le parole di uno
dei primi discorsi con lui. Sarebbero scesi in battaglia prima o poi;
anche lui lo avrebbe visto combattere, uccidere, sporcarsi e macchiarsi
del sangue dei nemici. Le immagini dei sogni che lo avevano fatto
svegliare tante volte gli balenarono nei pensieri. Scrollò
la testa.
Non doveva farsi assorbire troppo. Forse aveva ragione Alexander.
O forse era semplicemente troppo tardi.
P.S. Salve!
Dunque, alcuni chiarimenti. Alex è ovviamente un ragazzo
particolare. Questa sua abilità celebrale lo rende anche
più intelligente della media e perciò molto
più adatto a dirigere a scrivania progetti e operazioni che,
sotto la sua supervisione risultano decisamente infallibili. Inoltre
lui già prende parte alle operazioni, anche se William non
è a conoscenza di ciò. Comunque nei prossimi
capitoli si vedrà di più questo suo lato militare
e credo sia inevitabile che sia un po più debole degli
altri; è un adolescente; prima d'ora non ha mai partecipato
alla direzione diretta; è sotto la supervisione di suo padre
e quindi non può fallire; e viene sottoposto continuamente
ad esperimenti che mettono alla prova non solo il suo corpo, ma
soprattutto la sua mente.
Ma questa sua
fragilità appare solamente con William. Diciamo che lo
considera come un punto di sfogo.
In questo
capitolo credo comunque ci sia qualche chiarificazione.^^
Per quanto
riguarda i gradi: William è un Sergente Maggiore; Alex viene
chiamato Comandante, che non è un vero e proprio grado.
Sarebbe colui che in una base dirige l'esercito. Il suo grado ufficiale
comunque è di Colonnello; Il padre di Alex è un
Generale, il grado massimo; gli amici di William, Eric e Mickail, sono
rispettivamente Caporale maggiore e Sergente.
Qui
c'è uno schemino generale in ordine decrescente. ^^ Comunque
grazie per i commenti.
Generale di còrpo d'armata |
Generale di divisióne |
Generale di brigata |
Colonnèllo |
Tenènte colonnèllo |
Maggióre |
Capitàno |
Tenènte |
Sottotenènte |
Maresciallo |
Sergènte maggióre |
Sergènte |
Caporale maggiore |
Caporale |
Soldato |
Per altri
chiarimenti chiedete pure.^^
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Capitolo 13 *** Chapter 13 ***
Chapter 13
Picchiava rapidamente i tasti disegnati sul piano piatto del computer.
Tornò, toccando lo schermo, su una parola che aveva
sbagliato e la cancellò riscrivendola. Rilesse rapidamente
quando d’improvviso la porta si aprì, per poi
richiudersi automaticamente.
Alzò lo sguardo.
Un uomo alto, castano, lo guardava oltre lo schermo con aria nervosa.
- Chi era quello?
Alex richiuse il compiuter premendo un tasto. Il suo sguardo
tornò sull’ospite.
- Un mio sottoposto.
- Ah si? Bene.
Ti ha portato nella sua stanza poi? Oppure siete andati nella tua, eh?
Il biondo non sembrava intimorito dal tono dell’altro che
andava alzandosi.
- Cosa sei venuto a
fare?
Il soldato si sporse sul piano del tavolo, avvicinandosi al viso del
giovane.
- Voglio una risposta
Alex, e la voglio adesso!
Si fissarono per qualche istante. Poi si alzò e, girando
attorno alla scrivania, si posizionò di fronte
all’uomo. Questo lo osservò mentre la rabbia
scivolava via dal suo volto ruvido e sbarbato.
Alzò il braccio, sfiorando la divisa del biondo, per poi
scendere sulla stoffa, sui fianchi, dietro la schiena. Lo
abbracciò con dolcezza.
- Io ho bisogno di una
risposta. Non posso più attendere. Non posso più
stare senza saperti mio…
Il comandante si lasciò scaldare da quella presa avvolgente.
Il viso immerso nella stoffa della canotta, sotto il mento di lui.
- Non mi hai
più scritto da quando sono partito per venire qui. Non una
chiamata, non una mail.
Io ti ho scitto; hai
letto le mie corrispondenze? Ti sono arrivate? Ti ho pensato tutti i
giorni…non puoi neanche immaginare quanto mi sei mancato.
E’ per questo
che sono nervoso. Sono sempre nervoso.
La mano del ragazzo premette contro il petto muscoloso
dell’altro, sciogliendosi dalla stretta accogliente.
In quel momento la sua mente esplodeva di pensieri. Il volto di William
si contrapponeva insistentemente a quello del castano. I suoi occhi
azzurri lo scrutavano severi, come se volesse ammonirlo, come a
ricordargli le parole che lui stesso quella mattina gli aveva detto.
Forse era stato troppo duro. Forse avrebbe dovuto essere più
sensibile nei suoi riguardi, avrebbe dovuto essere più
sincero anche per i propri. Qualcosa per il moro la provava di certo;
quello che non sapeva era a che punto. Fino a dove William lo
affascinava? E perché? La spiegazione che aveva dato al
sottoposto poche ore prima non convinceva neanche se stesso, come
poteva aver convinto lui? Che i suoi sentimenti fossero davvero
così deboli come lui stesso gli aveva aspramente ribadito?
Una cosa era certa, non poteva sapere cosa provasse realmente William
nei suoi confronti, ma per quanto riguardava se stesso, si sentiva sin
troppo coinvolto.
E l’uomo che ora era gli era di fronte e che gli chiedeva
amore? Cosa pensava di lui?
Gli voleva bene, fin troppo. Sin da bambino gli era sempre stato
accanto ed aveva vegliato su di lui come un angelo custode. Lo aveva
sempre trattato come un principe, un meraviglioso dio. Non gli aveva
mai fatto mancare nulla, sin dal primo giorno. Tutte quelle premure,
quelle carezze, lo avevano fatto illudere; si era illuso di provare
amore per quel giovane grande e forte, per quel compagno sempre attento
ad ogni sua esigenza, gentile, dolce, tranquillo.
Gli aveva permesso di avvicinarsi, di tenerlo fra le braccia, persino
di baciarlo quando le sue attenzioni erano divenute più
intime. Ma poi? Dopo la sua partenza forzata per la base non lo aveva
più visto. Aveva ricevuto le sue promesse, i suoi pensieri,
ma non aveva mai risposto. Sentiva che tutto ciò che avevano
fatto, tutto ciò che si erano detti era sbagliato. Il loro
legame era talmente fragile da spezzarsi al primo tentenno.
A fargli venire quei dubbi furono proprio gli occhi di suo padre.
Così severi, così freddi e autoritari. Non
avrebbe mai voluto deluderlo, non avrebbe mai voluto ferire quel suo
genitore così amato, colui che lo aveva strappato dal nulla,
dalla mancanza e lo aveva accolto in una famiglia dove potesse essere
accudito.
Non aveva ricordi del suo padre naturale, ne voleva averne. Ora quello
per lui era il suo vero padre, l’unico, che dopo la morte
della madre si era preso cura di lui come di un figlio suo.
Gli aveva dato il suo cognome, la sua istruzione, la sua casa, il suo
affetto.
Proprio il ricordo di quel padre lo riscosse.
- Non posso.
L’altro parve contrariato, stupito; allentò
l’abbraccio.
- Io non posso farlo.
Per mio padre, per me, so che è sbagliato. Non possiamo fare
una cosa simile è contro…
Ma fu interrotto bruscamente dall’uomo.
- Contro le regole?
Contro cosa? A me non interessa nulla e credevo che anche a te non
importasse! Quando eravamo insieme, quando passavamo i pomeriggi
abbracciati, a baciarci… per te non è significato
nulla? Di cosa hai paura? Che quel vecchio non ti voglia più
in casa sua? Che ti abbandoni? Per quel che mi riguarda io ho
già chiuso con lui tempo fa, ma credimi con te non
potrà fare lo stesso, non potrà mai cacciarti; tu
sei il suo figlio prediletto, quello che ha sempre voluto. In ogni caso
sarò io a prendermi cura di te… come quando
eravamo bambini, come quando ci amavamo…
Quelle ultime parole entrarono a forza nella mente del biondo.
- … tu mi
amavi…tu Peter…e mi dispiace…
Si distanziò dal castano, allontanandosi di qualche passo.
Le braccia forti lo raggiunsero nuovamente, circondandolo da dietro la
schiena.
- Io non posso farla
finita qui. Non posso smettere di provare ciò che sento nei
tuoi confronti. Ti aspetterò. So che anche tu provi qualcosa
per me, ne sono certo. Non voglio che altri ti tocchino, non lo posso
sopportare; neanche quel tuo sottoposto…
Il giovane non rispose. Si lasciò ancora prendere dalla
stretta affettuosa di lui, anche se la sua mente vagava, pensando alle
braccia di un altro.
Sfogliava la rivista pigiando il tasto sullo schermo. Le immagini di
donne si susseguivano sotto i suoi occhi, con le belle forme nude messe
in mostra. Qualcuno bussò.
Il moro si mise a sedere sulle lenzuola, abbandonando la tavoletta sul
letto. Si diresse alla porta e premette il tasto di sblocco. Fu
sorpreso nel vedere il bel viso del biondo fare capolino oltre lo
spiraglio che si apriva rapidamente.
- Salve.
Il tono freddo, scontroso del soldato non intimidì il
ragazzo, che continuò ad osservarlo imperterrito.
- Salve. Vorrei
parlarvi, posso… entrare?
William rimase immobile per qualche istante indeciso sul da farsi, poi
si scostò lasciando libero il passaggio. Il comandante
entrò e la porta si richiuse alle proprie spalle.
L’uomo premette nuovamente il tasto di blocco, insonorizzando
la stanza e chiudendoli dentro.
- Non mi piace che
ascoltino gli affari miei.
Rivolto al giovane che si era voltato a guardarlo interrogativamente.
William attraversò la stanza fermandosi per frugare nel
piccolo frigo.
- Vuoi una birra? Non ho
niente di più raffinato qui.
Alex fece cenno di no con la testa.
L’altro tornò a sedersi sul letto, aprendo la
lattina.
- Siediti.
Il biondo si sedette sulle lenzuola, urtando la mano contro lo
schermetto abbandonato. L’immagine della donna scomparve
lasciandone posto ad un’altra. Arrossì appena,
allontanando la mano dall’oggetto.
Al soldato sfuggì un sorrisetto divertito.
Afferrò la tavoletta e la spense, poggiandola sulla
scrivania.
Si accese distrattamente una sigaretta, osservando ogni singolo
movimento dell’altro, che invece tentava di rimanere
immobile, come intimorito. Il silenzio era pesante come un macigno,
imbarazzante e teso.
Fu il giovane a rompere quella quiete insolita.
- Forse sono stato un po
troppo brusco.
Non volevo sminuire i
tuoi sentimenti o insinuare che ciò che senti non valga
nulla. Per ora la cosa più importante è riuscire
ad equilibrare l’intensità dell’unisono.
Non possiamo permetterci di pensare a queste cose, non ora.
Io, ho agito troppo
impulsivamente, basandomi solo sulla logica senza pensare a come
dovessi sentirti veramente. Ti capisco, sono confuso
anch’io…
Fu interrotto. William aveva sentito quello che voleva sentire; aveva
gettato la sigaretta nel posacenere vicino a se e si era sporto in
avanti; il viso a pochi centimetri da quello dell’altro. I
respiri che si fondevano.
- Io non sono confuso.
So bene ciò che voglio.
Non sapeva cosa sarebbe successo. Ma era certo, lo sentiva, che
stavolta non si sarebbe fermato, non sarebbe stato respinto. Percepiva
l’insicurezza nelle parole del ragazzo, la sua indecisione,
la sua emozione, il suo imbarazzo. Ma imbarazzo per cosa? Forse per
qualcosa che sapeva stava per succedere, per qualcosa che infondo
voleva succedesse. Forse anche lui si sentiva così come si
sentiva lui.
Quella sicurezza lo spinse. Lo spinse a sporsi in avanti poggiando le
labbra su quelle dell’altro. Le labbra morbide, delicate,
calde. Il biondo non parve reagire. Fu allora che inconsciamente, senza
pensare, approfondì il contatto. Il bacio divenne profondo,
voluttuoso, passionale. Il moro si intrufolò nella bocca del
giovane con violenza lussuriosa.
Il sapore di quella creatura gli parve immensamente delizioso, quasi lo
stordiva. Lo spinse indietro, facendolo sdraiare sul letto. Alex si
mosse appena, come per respingere il peso del corpo che gli pesava
addosso.
Frettolosamente le mani di William andarono alla sua camicia candida,
sul petto, mentre il bacio non sembrava voler cessare.
Afferrò la stoffa, cercando di sbottonarla, ma non vi
riuscì. Diede uno strattone.
Il rumore di un bottone caduto a terra.
Si staccò dalle labbra di lui, allontanandosi quanto bastava
per vederlo in viso. Il ragazzo era immobile, inespressivo, col volto
pallido e gli occhi fissi su di lui.
Gli carezzò una guancia fino a giungere alla piccola
macchiolina nerastra poco sotto l’occhio. Si chinò
e lo baciò di nuovo. Stavolta con più dolcezza,
con passione calda e sublime.
Non era la prima volta. Era andato a letto con tante di quelle donne
che non sapeva neanche darne una stima approssimativa.
Del resto aveva sempre avuto una vita sregolata e stare in quel campo
non gli dava nessuna forma di svago. Così quando
usciva la sera era facile avvicinare qualcuna che ci stava. Era di
bell’aspetto, sicuramente molto affascinante (non di certo
modesto), alto e misterioso. Così appariva agli occhi delle
donne, e molte non avevano mancato di dirglielo. Era sempre stato sotto
le attenzioni del mondo femminile. Gli uomini non gli erano mai
interessati e non gli interessavano. La sola idea gli aveva sempre
fatto ribrezzo.
Aveva assaggiato mille sapori, mille labbra, eppure era diverso.
Non era come le altre volte, lo sentiva. Sapeva che lui era speciale.
Sapeva che quel giovane, non solo bello, ma meraviglioso, non era
né una donna ne un uomo per lui. Era qualcosa di
infinitamente superiore. Il viso d’angelo il corpo
perfettamente levigato e proporzionato lo facevano sembrare una qualche
creatura celeste, divina.
Anche il suo profumo era sovrannaturale. Qualcosa di indefinibile e
perfetto, qualcosa che gli era entrato nei polmoni e che sapeva lo
avrebbe presto reso dipendente. O forse lo era già.
I suoi due splendidi occhi lo fissavano imperterriti. Quelle distese
d’acqua marina lo avvolsero nel calore dolce che non aveva
mai pensato potessero emanare. Il suo sguardo era malinconico, tenero e
delicato. Lo osservava come se volesse accarezzarlo solo con il
pensiero.
E sentì quella strana sensazione che ormai sentiva spesso
con lui. Una pace indefinita, celeste, innaturale. Era sollevato, come
abbandonato su di un letto morbidissimo e candido, in una giornata
primaverile, con le tende sollevate dalla brezza leggera ed il silenzio
più totale. Solo il frusciare delle tende morbide.
L’irrequietezza che lo aveva preso all’inizio si
placò d’improvviso.
Il tocco delicato e accennato di una mano gentile gli fece comprendere
che quella era la realtà. La carezza delicata e dolce del
giovane. Gli aveva sfiorato il viso con le dita. Le sue braccia lo
circondarono . Il mento affondò nella spalla del ragazzo ed
il suo profumo gli invase i sensi. Voleva solo restare lì,
fermo, fra le sue braccia. Anche quello gli sarebbe bastato. Si
abbandonò totalmente a quell’abbraccio stringendo
a se la vita del biondo ed affondando di più il capo nella
stoffa morbida.
Alex lo allontanò appena, fissandolo intensamente con
comprensione e timidezza. William si accorse allora che stava tremando.
Lo riavvicinò a se. Voleva fargli sentire cosa provava
veramente, voleva sentire quello che sentiva per lui.
I suoi occhi erano in quelli di lui e non poteva far altro che pensare
a quanto splendido fosse. Le loro labbra si sfiorarono nuovamente.
Dapprima il tocco leggero, poi lentamente la fusione del bacio. Il
giovane, inizialmente imbarazzato, non si mosse, lasciò che
l’altro violasse la propria intimità anche se con
delicatezza. Poi si lasciò andare quando la presa
dell’uomo divenne più forte, più
rassicurante. Tutto ciò che lo frenava svanì
all’istante. Si sciolse in quel caldo bacio, a quelle dolci
coccole che William gli faceva. Strinse con forza le braccia attorno al
corpo del soldato, si aggrappò a quell’abbraccio
come l‘unica fonte di salvezza. Non gli importava
più di nulla ora.
- E’ questo
quello che voglio.
La voce bassa e sensuale di William gli sussurrò vicino
all’orecchio. Le guance del biondo si colorirono appena prima
che affondasse il capo nella stoffa, fra il collo e la spalla del
compagno.
Nulla poteva raggiungerlo. Ne suo padre, ne Peter, ne nessun
altro.
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Capitolo 14 *** Chapter 14 ***
Chapter 14
Correva verso l’hangar senza fermarsi. Le figure attorno a
lui si muovevano convulsamente, chi nella sua stessa direzione chi nel
verso opposto. Non capiva nulla ma andava avanti lo stesso.
E pensare che poco prima era sul suo letto, sdraiato. Aveva appena
finito gli allenamenti e si stava riposando, dopo essersi fatto una
doccia fredda. Era lì ed aspettava l’arrivo
dell’altro che gli aveva promesso sarebbe venuto dopo essersi
rinfrescato.
Gli sembrava così strano quello che gli stava accadendo con
lui. Non perché non avesse mai avuto una ragazza, ma
perché si trattava proprio di lui, di Alex. Non gli pareva
vero. Si sentiva euforico, vivo, pieno.
Ogni cosa che lo circondava gli ricordava il ragazzo, inevitabilmente,
incomprensibilmente. Era sempre nei suoi pensieri e forse era per
quello che voleva sempre più averlo anche fra le proprie
mani. Rivedeva il visino delizioso del giovane far capolino dalla porta
e sorridergli.
Era silenzioso e posato, riservato e timido. Quella dolcezza infinita
l’aveva scoperta solo in quegli ultimi giorni anche se ne
aveva ravvisato i segni già dal loro primo incontro.
Era scivolato nella stanza con quel suo corpicino esile ed elegante in
ogni sua posa, in ogni suo movimento.
Aveva appena fatto in tempo ad abbracciarlo, mentre si era gettato
imbarazzato fra le propie braccia. Lo aveva carezzato ed aveva tutta
l’intenzione di rubargli un bacio.
In quell’istante era scattato l’allarme acustico.
Le forze nemiche attaccavano in massa e bisognava muoversi. Non fece
attempo a riguardarlo che gli sfuggì di mano, sgattaiolando
fuori dalla porta.
Ed era lì ora, che correva a perdifiato con la
sirena che gli strillava nelle orecchie e il mormorio e le grida di
allerta delle figure che gli scorrevano attorno. Varcò la
gigantesca porta metallica e si ritrovò di fronte a due
degli aerei. Corse verso il suo armadio e ne estrasse casco e guanti.
Mentre se li infilava camminava velocemente verso il proprio velivolo,
guardandosi intorno nella confusione caotica.
Poco lontano il proprio sguardo fu catturato dalla testolina del biondo
che lo fece fermare. Era poco distante da lui che si stava infilando il
casco mentre parlava con altri due uomini. Avrebbe voluto avvicinarsi,
almeno per salutarlo, per dirgli qualcosa, anche la più
sciocca, ma non lo fece.
Qualcuno avrebbe potuto vederli. Si limitò ad osservarlo
ancora per qualche istante.
Pochi secondi dopo era a bordo ed accendeva i motori. Mentre si
sistemava il casco non poteva fare a meno di pensare che era la prima
volta che vedeva Alex in azione. Una strana eccitazione lo percorse.
Era curioso.
Aveva sentito da altri che aveva già partecipato a delle
missioni, ma lui non aveva mai visto il ragazzo in nessuna di quelle
circostanze. Finalmente avrebbe anche lui carpito quel suo aspetto
finora a lui sconosciuto.
La lieve pressione della partenza, l’affievolirsi del motore.
Attraverso i vetri non vi era più l’hangar chiuso,
ma il cielo aperto. Uno squadrone da tre era poco lontano, partito da
poco.
Qualcosa nelle sue orecchie fischiò.
- Hartnett mi sentite?
La voce lievemente eccitata e preoccupata era inconfondibile.
- Si, vi sento signore.
Il tono era rispettoso ma nascondeva una punta di malizia evidente.
- Ho Rodriguez sulla
seconda.
La voce incrinata e lievemente ammonitrice.
Sorrise.
- Sono stati riscontrati
attacchi nei settori 3 e 4 anche se più lievi;
l’ala nord è sgombra e lo squadrone sette
è diretto al settore 12 dove sono concentrate delle forze
nemiche anche se in minor numero. Noi attaccheremo al 3 e 4, dove i
neoterrestri sono in maggior numero.
Buona fortuna…
La comunicazione si interruppe.
Di lì a poco si sarebbe trovato all’inferno. Da
lontano vedeva già i bagliori della battaglia.
Ad un tratto un rumore sordo; un boato e poi un’esplosione.
Fu sbalzato in avanti contro i comandi ma le cinghie lo trattennero.
Qualcosa lo aveva colpito.
Rapidamente riafferrò i comandi stringendo i denti. Diede
una rapida occhiata prima fuori dai vetri, poi sullo schermo magnetico
di fronte a se.
Poco lontano da lui vi era uno che doveva appartenere al proprio
squadrone, gli altri invece erano lontani dal raggio di almeno cinque
chilometri. Tre velivoli sconosciuti lo accerchiavano, due alle spalle
ed uno a destra.
Doveva liberarsi da quella situazione o ci avrebbero messo poco ad
eliminarlo.
Trasse a se il volante. L’aereo virò
improvvisamente verso l’alto. Si ritrovò
sottosopra, nella direzione opposta. Avvertiva il proprio peso gravare
sulle cinghie che lo stringevano. Mantenne la cloche nella
stessa posizione. Il velivolo fece un giro completo e si
ritrovò di nuovo in posizione diritta, ma stavolta era
dietro i nemici.
Vedeva le loro macchine.
Aprì il fuoco.
Ne colpì uno, ma l’altro lo evitò. Il
terzo non lo vedeva.
Brutto segno.
Diede una rapidissima occhiata al radar, senza trovare segnale.
Qualcosa passò a destra, fuori dal vetro.
Virò bruscamente per la seconda volta aprendosi sulla
sinistra. Schivò i colpi nemici per poco.
Un rumore strano, come confuso, metallico.
-
…nett…Hartnett…mi sentite?…
William parve sorpreso al suono di quella voce interrotta dal soffio
roco della comunicazione.
- Si, forte e chiaro
signore!
- Ne rimangono due,
cercate di non sbagliare.
Ce ne è uno
alla vostra destra, io penso all’altro!
Quella voce lo aveva riportato alla realtà, lo aveva scosso
dallo stordimento che come ogni altra volta gli provocava la battaglia.
Era arrivato Alex e lo aveva risvegliato.
Pochi minuti dopo era nell’hangar. Si tolse il casco e
scrollò la testa.
Le forze nemiche avevano improvvisamente ripiegato e si erano ritrovati
a volare soli.
Da quel che aveva sentito dalle comunicazioni i danni riportati non
erano molti, anche se due velivoli erano stati abbattuti senza
però gravi conseguenze ai soldati.
Giunse nello spogliatoio deserto dei piloti ed aprì il
proprio armadietto abbozzato. Afferrò
l’asciugamano ripiegato sul piccolo scaffale metallico e si
asciugò la fronte ed il collo.
Ripensò alla battaglia. Alex era stato magnifico. Non aveva
mai visto pilotare a quel modo un aereo. Era come se quel giovane
potesse fargli fare qualsiasi cosa. Come se la macchina fosse
l’estensione stessa del pilota.
Era stato incredibile. Non aveva mancato neanche un colpo. Aveva
abbattuto i nemici con una semplicità impressionante.
Si passò una mano sulla fronte. Ora comprendeva che il ruolo
ricoperto dal ragazzo non gli era stato affidato per errore. La sua
intelligenza e la sua eccellenza nella tecnica lo rendevano un tutto
con l’essenza stessa dell’aeronautica. Conosceva
ogni cosa delle proprie macchine e di quelle nemiche. Poteva fare
ciò che voleva, gestirle come meglio poteva ed abbatterle
con tattica e precisione.
Aveva appena scoperto che quel suo lato freddo e sprezzante, audace e
calcolatore gli piaceva.
Si era aperta ai suoi occhi un’altra porta che gli permetteva
di penetrare nel mondo di quella creatura complessa e magnifica quale
era Alexander.
Nel breve tragitto che lo separava dalla propria camera bevve
un’intera bottiglia d’acqua.
Sapeva che gli ci sarebbe voluta un’oretta prima che si
sarebbe ripreso del tutto. Sentiva anche un’acuto dolore alla
testa. Forse sarebbe dovuto andare in infermeria da Cassidy. No, ci
sarebbe andato domattina.
Aprì la porta con la password ed entrò.
La doccia non fece che aumentare il suo mal di testa.
Quando si sdraiò sul letto, con solo l’asciugamano
addosso, il dolore era diventato atroce. Non si era mai sentito
così male dopo un volo. Tentò di non pensarci, di
distrarsi.
L’immagine del ragazzo pareva un buon aiuto. Vedeva il biondo
sorridere, come nei film.
Si sentiva un po sciocco.
Lo vide parlare, voltarsi, lo ricordò mentre si allenavano,
con l’espressione austera e contemplativa. Rivide il suo
volto con l’aria persa di chi è immerso nei
pensieri, nell’hangar prima della partenza.
Poi d’improvviso immagini che non avrebbe mai potuto
ricordare.
La successione sempre più confusa e veloce. Brevi frammenti
che si accavallavano, si sovrapponevano.
Non le aveva mai vissute.
Il rumore sordo di gocce che cadevano a terra. Il dolore tornava a
martellargli la testa.
Il viso pallido, con gli occhi vitrei che fissavano il vuoto. Avvertiva
delle fitte insistenti.
I capelli bagnati, attaccati al volto.
Una voce che gli parlava. Dapprima un sussurro, poi sempre
più alta.
Avvertiva il peso di qel corpo fra le braccia, pesante come un macigno.
Alter voci si sovrapponevano.
Un bisbiglio. Il viso del giovane lo guardava sorridente. Da vicino, da
molto vicino. Vedeva bene i suoi occhi.
Lacrime. Piangeva. Abbassava lo sguardo.
Si sentì arpionare il braccio da una presa forte.
La testa stava per esplodergli.
Il corpo nudo, morbido sotto le sue mani. Il calore febbrile.
L’ansimare eccitato. Il sudore. Ancora voci. Grida ora.
Si strinse il capo con le mani serrando i denti.
Il respiro spezzato gli rimbombava nella mente. La voce rotta dai
singhiozzi, dalla forza dello spasmo.
Mani.
Delle mani che gli sfioravano il viso. Il sangue vermiglio sparso
ovunque. Tutto rosso, sporco, appiccicoso. Avvertiva la puzza del
sangue. Le lenzuola macchiate.
Qualcosa c’era fra quella sporca seta.
Vide il proprio braccio tirare la stoffa fradicia.
Un corpo candido. Ancora.
In mezzo al sangue.
Il suo viso.
Lacrime rosse gli rigavano il volto.
Bussarono alla porta.
Il dolore si era placato d’improvviso, come smorzato. Si
guardò attorno. Le lenzuola erano scombinate e
l’asciugamano si era allentato. Era sudato.
Picchiarono nuovamente alla porta.
Si alzò risistemandosi il panno alla vita. Sentiva un nodo
che gli stringeva la gola.
Il visino pulito di Alex comparve dalla fessura.
- Ciao.
Posso…?
William annuì confuso. L’altro
scivolò dentro silenziosamente mentre lui tornava a sedersi
sul letto.
Il giovane aveva la guance colorite ed i capelli umidi. Gli sembrava
più bello del solito.
Lui, un po’ timidamente si avvicinò al materasso e
si sedette. Assunse un’espressione lievemente
stupita e preoccupata.
- Stai male? Sei pallido.
L’uomo si passò una mano sul volto, come per
cancellare il ricordo degli ultimi minuti trascorsi. Poi porse una mano
verso l’altro.
- Vieni qui…
Il biondo arrossì vistosamente e con aria imbarazzata ed
innocente si avvicinò. Si sedette fra le gambe del moro e,
inizialmente indeciso, si accoccolò fra le sue braccia, come
un gattino voglioso di coccole.
Non era la prima volta che si trovavano così vicini e
così intimi, ma era come se lo fosse.
- Ho solo un po di mal
di testa. Tu stai bene?
Annui, alzando poi lo sguardo per fissarlo intensamente negli occhi.
- Dovresti farti
visitare. Aspetta …
Si mise in ginocchio e poggiò la propria fronte contro
quella di lui. Inizialmente parve concentrato in quello che stava
facendo senza accorgersi di quanto fossero vicini i loro corpi.
William sorrise non potendo fare a meno di notare
l’espressione intensa e pensierosa dell’altro.
Poi però il suo sguardo scese in basso. Solo in
quell’istante si accorse di quanto fosse esile quel corpicino
candido. Non indossava la divisa, ma una semplice t-shirt bianca un po
grande per la sua misura, e dei pantaloni da ginnastica anche questi
troppo larghi. Tuttavia, nonostante tutta quella stoffa inutile le
forme apollinee del giovane erano inconfondibilmente evidenti.
Possibile che fosse così perfetto?
Le braccia sottili scendevano lungo il corpo ed una di loro era
aggrappata inconsciamente al suo avambraccio.
Tornò a guardare in alto.
Due occhi immensi lo osservavano. Fissi, puntati nei suoi.
Alex si allontanò bruscamente. Si era accorto di dove lo
sguardo dell’altro aveva vagato.
Le guance colorite ancor più di prima. Abbassò lo
sguardo.
William rimase immobile per qualche istante a squadrarlo, per nulla
intimorito dal fatto di essere stato scoperto.
Poi tese la mano afferrando il braccio di lui con attenta delicatezza.
- Alex…hai
paura…?
Non si mosse. Immobile, inginocchiato di fronte a lui con il volto
basso. Il moro si sporse in avanti, afferrandogli il mento.
Avvicinò il proprio viso cercando di scrutare
l‘espressione del biondo.
- Non vuoi che io ti
guardi? Non ti piace?
Attese qualche istante, ma non ottenne risposta. Sfiorò con
le labbra la bocca dell’altro. Poi con la lingua si
intrufolò, per poi trarlo a se. Lo premette sul proprio
corpo assaporandolo intensamente. Il bacio divenne sempre
più forte, sempre più intenso. Solo
quando il ragazzo gemette, allora se ne staccò.
Era finito di nuovo fra le braccia dell’uomo.
- Non mi vuoi parlare?
Il ragazzo si accoccolò nuovamente sul petto di lui. Il viso
arrossato, gli occhi lucidi.
- Io non… non
ho paura.
William gli diede un leggero bacio sulla fronte.
Quell’angelo era riuscito a cacciar via tutti i brutti
pensieri ed ora lo teneva stretto a se, sentendone tutto il fresco
calore, la stoffa ruvida sulla pelle ed il profumo intenso dei suoi
capelli.
- Un giorno io e te
faremo l’amore.
P.S. Hello! Scusate
l'attesa ma ero via per le vacanze fino all'altro ieri. Allora, spero
vi piaccia anche questo capitolo. Siamo entrati nel vivo della storia!
D'ora in poi si spiegeranno più cose. Spero che continuiate
a seguirmi fino alla fine.
E vi prego, anche
due righe, anche solo una, commentate! Sapere cosa ne pensate mi aiuta
ad andare avanti con la storia, anche perchè non ho ancora
ben deciso come continuare. Quindi vi prego SCRIVETE. Grazie ^^
A presto.
_HalWill_
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Capitolo 15 *** Chapter 15 ***
Chapter
15
Qualcosa gli stringeva la testa. Gli premeva e gli bruciava.
Eppure non c’era nulla. Era lì, in mezzo ad un
vuoto d’acqua, leggero, inconsistente, ma presente. Aveva
coscienza del proprio corpo, lo sentiva, lo vedeva persino. Lo sguardo
gli cadde sulla propria mano che penzolava contro il fianco. Si
voltò.
Il viso del giovane, appena distinguibile in quella figura esile ed
evanescente che aveva di fianco, gli sorrise rassicurante. Gli occhi
splendidi lo osservavano sorridenti, dolci, come solo lui sapeva fare.
Qualcosa gli sfiorò la mano. Fresche e morbide, lisce come
la seta, le dita del giovane gli strinsero il palmo dolcemente.
Le sentiva, erano reali.
- Ancora non ti sembra
naturale, vero? E’ normale, sta tranquillo.
Si ripeteva di concentrarsi. Ma non ci riusciva.
In quegli ultimi giorni quei sogni non l’avevano fatto
dormire. Gli avevano ossessionato le notti. E poi la stessa presenza
del ragazzo lo stava cambiando. Tutto era cambiato, ormai lo sapeva
bene. Nonostante non avessero una vera e propria relazione, come se
fosse qualcosa di sottointeso, stavano assieme, si scambiavano baci
nascosti, silenziosi. Non serviva neppure parlarsi.
Ma era questo che gli faceva male. Il biondo non gli parlava. Non
parlava di se, non diceva nulla. Si limitava a farsi abbracciare,
baciare, e stringere. Si, perché lo sentiva ogni volta che
si abbracciavano, che stavano vicini. Le sue mani si aggrappavano come
per sopravvivere, come per resistere a qualcosa.
Non gli aveva mai detto nulla su questo. Non gli aveva mai chiesto il
motivo di quella timidezza celata, di quei silenzi ai quali ormai era
abituato, di quei sorrisi dolci e malinconici, di quella
intimità segreta e lontana.
Lontano. Era così che lo sentiva ogni giorno di
più. Nonostante si avvicinassero, si baciassero, la
vicinanza dei loro corpi pareva allontanar i loro cuori le loro menti.
Voleva sapere cosa pensava. Si era sempre chiesto cosa ci fosse dietro
quegli sguardi vuoti, persi nel nulla, dietro quegli occhi immensi e
irraggiungibili.
Lo guardava, guardava quella figura eterea al suo fianco che tentava di
concentrarsi. Osservò la propria mano stretta nella sua. Lo
osservava così intensamente senza accorgersi che
l’ambiente, il nulla che gli stava attorno iniziò
a cambiare.
Alex perse fisicità. Il suo corpo diveniva sempre meno
visibile, ma lui non parve accorgersi. Continuava a prestare attenzione
all’allenamento.
Ma ora dove era? Tentò di afferrarlo, ma non lo
sfiorò neanche. Intorno a se era tutto buio,
confuso.
Delle voci, dei sussurri. La voce di un uomo, che aveva già
sentito. Non capiva bene cosa stesse dicendo. Un fruscio indistinto lo
disturbava.
Poi in sottofondo la voce cristallina del ragazzo. Era tenue e
intimidita.
… non riesco
a stare così. E’ difficile concentrarsi con lui
vicino. Vorrei che mi parlasse. Sta sempre zitto. Non mi stringe
neanche la mano adesso. Forse si sta concentrando. Forse è
stanco. Dovrei chiederglielo. Aspetto. No, meglio di No. Me lo direbbe.
Non voglio essere ossessivo. …
Pensieri. Uno dietro l’altro, come se stesse leggendo
ciò che adesso lo attraversava.
Che potesse leggere i suoi pensieri? Ma dove si trovava e
dov’era finito Alex? Perché sentiva solo la sua
voce?
Non vedeva neanche il proprio corpo adesso. Era come se stesse ad occhi
chiusi. Forse stava dormendo adesso. Forse era un sogno. Quella mattina
non si era ancora svegliato e non era andato agli allenamenti. Non
capiva cosa stesse succedendo.
Immagini a strani colori, confuse e prive di dettagli. Vide il proprio
viso malizioso, come se si stese guardando allo specchio. O meglio come
se si guardasse con gli occhi di qualcun altro. Vedeva se stesso
muoversi autonomamente. Era come guardarsi attraverso una telecamera.
Beveva una birra. Di nuovo la voce.
Magari potremmo fare un’altra passeggiata. Sto
così bene. Ma meglio non farci vedere. Se scoprisse.
Chissà cosa penserebbe. Non glielo dico. No. Non posso.
Altre voci. Aveva male, ma ormai non sapeva neanche più
dove.
Vedeva immagini susseguirsi, voci sovrapposte, tutto ruotava
vorticosamente, sempre più veloce, sempre più
confusamente.
Fu un istante. Qualcosa che aveva già visto.
Il viso del giovane che si gettava indietro. L’espressione
vuota. Poi sparì di nuovo.
Riavvertì il proprio corpo. Qualcosa gli straziava il petto.
Come se lo stessero pugnalando.
Un dolore atroce. Gridava.
Non sapeva se con la voce e con la mente.
Un grido assordante.
Gli esplodeva la testa.
Ancora.
Ad un tratto non sentì più nulla.
Quando si risvegliò si trovava su un letto morbido e bianco.
Tutta la stanza attorno a lui era bianca.
Alla sua destra c’era un separè dello stesso
colore di tutto il resto.
Mise i piedi a terra e si alzò a fatica. Sentiva dolore da
ogni parte. Si aggrappò alla tendina ed aggirò il
separè.
Si trovava nell’infermeria. Non c’era nessuno,
neanche l’infermiera.
Si guardò attorno. Solo le tendine di un altro letto erano
tirate.
Si avvicinò e le scostò.
Il giovane era sdraiato, pallido quasi da avere lo stesso colore delle
lenzuola. Il capo era abbandonato sul cuscino, gli occhi chiusi. Aveva
un piccolo aghetto infilato nel braccio ed, anche se coperto dal
lenzuolo, indossava lo stesso camicione che si era ritrovato addosso
lui al suo risveglio. Non si muoveva, era immobile.
Inorridito si accostò rapidamente alle sue labbra. Respirava
talmente piano che sarebbe facilmente stato scambiato per morto.
Si rialzò. Si accorse di essere sudato.
La visione del ragazzo in quelle condizioni lo aveva scombussolato
parecchio.
Afferrò la sedia vicino al letto e vi si sedette. Osservava
il braccio esile di lui. Ogni volta gli sembrava più
piccolo, più indifeso.
Eppure quel viso dall’espressione fiera e austera non
accennava a cambiare. In quella delicata creatura si nascondeva in
realtà una personalità impenetrabile ed
assolutamente forte. A volte però si perdeva. Diveniva
timido e dolce. Quel temperamento imperioso e consapevole si scioglieva
e si trasformava come se egli stesso le stesse plasmando. Quelle rare
volte che erano soli era dolce, indifeso, timido e comprensivo. Era
incredibile come mutasse in sua presenza.
Lo sguardo si spostò sul volto atono. Le ciglia lunghe e
scure lasciavano intravedere un pallida ombra sulla pelle chiara. Gli
sfiorò una guancia col dorso della mano. Era fredda e
levigata.
Non riusciva tuttora a capire cosa fosse accaduto. Tutta
quella confusione, le voci. E quelle immagini che non erano sue.
Le palpebre del biondo tremarono. Si mossero spalancandosi su quelle
splendide iridi marine. Lo sguardo andò subito verso di se.
-
Will…
Sorrise appena. Puntellò i gomiti sul materasso cercando di
mettersi a sedere. L’uomo lo bloccò, spingendolo a
sdraiarsi nuovamente.
- No, sta fermo. Resta
giù. Sono qui, non c’è bisogno di
alzarti.
Alex seguì il consiglio, rimettendosi sotto le lenzuola.
- Come ti senti? Sei
così pallido…
- Sto bene, non
preoccuparti.
Sorrise di nuovo. Tese la mano verso il proprio viso. Gli
carezzò una guancia.
- Tu stai bene invece?
Mi sono preoccupato.
Annui. Gli afferrò la mano e la sfiorò con
dolcezza. Il rumore di voci sommesse, la porta che si apriva.
L’infermiera entrò seguita da dottori
dell’equipe che si occupava di loro due. William
lasciò andare la mano del giovane.
- Come vi sentite?
Due di loro si avvicinarono mentre un altro si diresse a sistemare
l’ago sul braccio di Alex.
- E’ stato
molto rischioso. Dovete cercare di non farlo mai più!
Il moro si alzò innervosito.
- Come facciamo se non
sappiamo neanche che diavolo è successo?!
Il più alto dei due gli trattenne un braccio. Si rimise a
sedere.
- Difatti siamo qui per
spiegare quello che pensiamo sia successo. Molto probabilmente uno di
voi due è entrato nelle mente dell’altro
forzandola.
- Ma non è
quello che facciamo ogni volta?
- No! Di solito entrate
entrambi in una zone della vostra attività cerebrale che
solo voi in quanto Ev avete sviluppato. Stavolta le tue onde cerebrali
si sono amplificate e sono riuscite a penetrare nella mente di Alex; ma
non solo in quella parte che cerebralmente è separata dal
resto del pensiero, ma anche nel pensiero stesso. Tu hai invaso la sua
testa, sei entrato nei suoi pensieri, nel suo cervello.
Le parole dell’uomo andavano a colmare quel vuoto
incomprensibile che aveva visto negli ultimi minuti.
Ora capiva cosa fossero quelle immagini che non gli appartenevano,
quelle voci sconosciute, quei pensieri sussurrati. Mentre
l’altro continuava a parlare, lui tornò ad
osservare il giovane. Era stato lui a ferirlo. Lui gli aveva fatto del
male, e non poteva perdonarselo.
P.S. Grazie mille
per i commenti^^ Al mio ritorno li ho trovati ed ora sono super felice!
Grazie ancora!
|
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Capitolo 16 *** Chapter 16 ***
Chapter
16
Dopo che si fu ripreso iniziò un’intensa settimana
di operazioni aeree. Per la maggior parte le svolse assieme ad Alex
anche lui ripresosi. Alcuni punti della base erano stati danneggiati
irreparabilmente in seguito agli attacchi dei nemici e molti uomini
avevano perso la vita. Persino Eric, in seguito ad una missione era
stato portato via in barella, rimanendo una settimana intera in
infermeria. Intanto l’amplificatore si era perfezionato e
pareva essere giunti più o meno all’arrivo.
Tuttavia gli allenamenti procedevano sempre più incalzanti
ed il tempo per poter stare assieme non era poi molto. Le visioni
notturne comparivano raramente nei sogni svegliandolo la notte. Ormai
però si svegliava sempre solo nel suo letto. Non vi erano
più donne o accompagnatrici. Da quando si era messo
seriamente con Alex aveva piantato tutto, anche perché
infondo non gli interessavano più al di là della
semplice attrazione.
Spesso però sognava del biondo. Lo vedeva al suo fianco, lo
sentiva sotto le proprie mani. Sentiva sempre più la
necessità di un bisogno fisico da colmare. Ma un bisogno di
Alex e di lui soltanto.
Pochi giorni dopo l’incidente agli allenamenti aveva trovato
la camera allagata. La doccia si era rotta ed aveva riempito la stanza
d’acqua, così era stato costretto a farsi la
doccia in comune coi suoi ex camerati. No era più abituato
da quando aveva avuto la stanza per se.
Ovviamente la doccia si era conclusa con una zuffa quando aveva
scoperto che l’argomento preferito degli amici era il bel
comandante. Difatti, entrato in bagno li aveva trovati che scherzavano
e facevano moine e gesti su ciò che avrebbero voluto fare ad
Alex. Inizialmente aveva fatto finta di nulla, per non dare troppo
nell’occhio ed aveva tentato persino di riderci su. Era
rimasto meravigliato del successo che il biondo riscuoteva sia fra gli
uomini che fra le donne, anche se infondo un po’ se
l’aspettava. Sin da quella serata al bar aveva compreso che
non solo per lui Alex emanava un fascino ammaliatore. E la cosa
peggiore è che nessuno se ne rendeva conto. Normalmente,
soprattutto agli uomini più eterosessuali, sarebbe venuto
qualche dubbio o comunque qualche ripensamento o confusione. Invece
tutti parlavano di lui. Tutti avrebbero volentieri preso quel bel
visino perfetto. Ed era nel desiderio comune affondare il naso in
quella stoffa profumata, su quella pelle di rosa.
Quei discorsi avevano incominciato a divenire abbastanza pesanti da
sopportare, fin quando uno di loro gli chiese se se lo sarebbe sbattuto
volentieri. Lì scoppiò la rissa. Si era voltato
ed aveva spaccato il naso all’uomo attirandosi addosso
l’ira degli amici. Eric e Mickail, ed altri suoi compagni si
erano schierati dalla sua parte e ne era venuta fuori una bolgia
tremenda. Ne erano usciti tutti dolorati e lui aveva ancora un leggero
rossore attorno all’occhio sinistro che però ormai
era quasi scomparso. Una cosa era certa, ci avrebbero pensato due volte
prima di parlare nuovamente di Alex, e questo gli bastava.
Qualcuno bussò alla porta. Il giovane entrò
scivolando nella fessura. Ancora più etereo e splendido del
solito.
- Ciao.
- Ciao.
Il suo tono era più malizioso. Sorrise catturando con le
braccia la vita del ragazzo non appena fu abbastanza vicino. La luce
del sole entrava dalla finestra, ma veniva ogni tanto oscurata dal
passaggio di grossi nuvoloni che minacciavano acqua. Il
biondo scrollò la testa ed affondò la testa nel
petto dell’altro. Entrambi non indossavano le divise dato che
ormai la giornata stava per finire.
Alex osservò distrattamente il vetro.
- Pare che presto
pioverà. Peccato, mi sarebbe piaciuto passeggiare un
po‘.
William sciolse l’abbraccio per andare a premere il pulsante
all’ingresso. Intanto il ragazzo si sedette sul letto.
- Cosa ti va di fare?
E’ da parecchio che non stiamo un bel po’ assieme
io e te.
Il giovane sorrise, ma non disse nulla. L’altro parve
ricordarsi improvvisamente qualcosa.
- Accendi un
po’ la tv, dovrebbe esserci la partita oggi!
L’uomo si diresse al piccolo frigobar per estrarne due
lattine ed un piatto di plastica avvolto dalla pellicola.
Quando tornò sul letto porse al giovane il piatto ed un
cucchiaino, sedendosi a gambe distese.
- Tieni, è
avanzata dal compleanno di Rodriguez l’altra sera. So che ti
piacciono i dolci.
Il visino del ragazzo assunse una dolce espressione gioiosa mentre
scartava il dolce.
- Mmmm… che
bello! Grazie..
Un’oretta dopo la torta era finita da un bel pezzo ed il
giovane era seduto con le gambe penzoloni dal materasso, che osservava
William invece assorto nella parte finale del match televisivo.
Fuori il tempo era peggiorato ed ora la superficie del mare era scossa
dall’imperversare della pioggia. All’orizzonte non
si vedevano altro che nuvoloni neri.
Lo sguardo del biondo si spostò dalla finestra al viso
dell’altro che aveva appena spento la sigaretta nel
posacenere sul comodino e sorseggiava l’ultimo sorso della
lattina.
Alex si avvicinò timidamente accoccolandosi contro il petto
di lui. Il soldato ancora concentrato sullo schermo, gli
circondò distrattamente il corpo con il braccio sul quale
non era poggiato.
Il ragazzo lo osservava dal basso. Scrutava con attenzione quel profilo
serio e pensoso che a volte si contorceva in piccole smorfie per
l’andamento della partita. I begli occhi azzurrini brillavano
del riflesso del televisore, nonostante l’oscurità
nuvolosa che era penetrata nella stanza. Faceva anche più
fresco del solito.
Sollevò la testa tanto da raggiungere il mento,
depositandogli un bacio gentile.
A quel punto conquistò l’attenzione
dell’altro che si voltò verso di lui. Un
sorrisetto malizioso si aprì sul suo volto.
- Ehi… vuoi
un po’ di coccole?
Il ragazzo gli diede un altro bacio, sfiorandogli le labbra come
risposta. Lo sguardo di William si spostò dal visino
perfetto al corpo delicato. La T-shirt non lasciava intravedere molto,
ma i pantaloncini, lunghi fino alle ginocchia, lasciavano scoperte le
gambe sinuose ed i piedini proporzionati. Nonostante il suo fisico
lasciasse trapelare virilità, non mancava di fascino
inebriante e perfezione assoluta. Era qualcosa di magnifico dalle forme
apollinee e soffici, morbide e delicate.
Quel qualcosa, che si era sforzato di reprimere in quei giorni si era
risvegliato improvvisamente facendogli dimenticare del tutto la partita.
L’uomo lo prese e lo distese sul materasso sotto di
se. Si inginocchiò a gambe larghe sopra di lui
incominciando a baciarlo sul collo. Le braccia di lui gli si
allacciarono timidamente sulle spalle.
I baci divenivano man mano più voraci, mentre il suo istinto
prendeva sempre più piede. Raggiunse la bocca e la prese
voluttuosamente.
Ad un tratto il ragazzo gemette sussultando appena.
Si separarono col fiato accelerato, che si mescolava in un unico alito.
La mano dell’uomo era inconsciamente scivolata sul gluteo del
biondo, stringendo appena. Il ragazzo era arrossito
vistosamente. Tuttavia l’espressione del moro era impassibile
e decisa.
- Voglio farlo adesso.
Il tono serio e sensuale. Alex distolse lo sguardo timidamente,
sciogliendo le braccia dal collo dell’altro e abbandonandole
sulle lenzuola. Rimasero immobili per qualche istante.
Poi la mano del giovane afferrò quella di lui che intanto
aveva allentato la presa e lo spinse indietro.
William rimase contrariato sul letto mentre si alzava. Era
già pronto a fermarlo.
Poi accadde qualcosa di inaspettato.
Il giovane si era voltato e lo guardava impassibile, con lo sguardo
lievemente arrossato , ma non timido.
Era lì, di fonte a se. Lentamente si sfilò i
vestiti; prima la maglia, poi il resto. Rimase lì, a farsi
contemplare, solo con gli slip addosso.
L’uomo era allibito. Non gli era mai capitato di vedere nulla
di simile. Gli pareva talmente meraviglioso in quella semplice stanza,
candido e perfetto.
- Will…io ti
amo.
Percepì tutto l’imbarazzo di quella deliziosa
creatura.
Quelle parole uscirono così naturalmente che a lui
sobbalzò il cuore. Si fermò senza respiro. La
testa gli bruciava ma si sentiva immensamente felice.
- Anch’io. Ti
amo.
Gli fece cenno di avvicinarsi allargando protettivamente le braccia.
Il biondo si infilò sotto le lenzuola. Lo raggiunse.
Tuttavia, con la consapevolezza di averlo li, nudo, al proprio fianco,
non fece nulla.
Temeva che solamente sfiorandolo sarebbe sfuggito, svanito, come un
sogno.
Attendeva un segno. Il segno che gli avrebbe lasciato campo libero in
quella terra inesplorata. Ecco, gli aveva sorriso, si fissavano.
Ricambiò dolcemente, comprendendo che quello era il momento.
Allungò le braccia sotto la stoffa fino a raggiungere la
pelle calda dei fianchi. Era così dolce e morbida.
Lo baciò con passione attirandolo lentamente a se. Si
sentiva bruciare.
Alex tornò ad abbracciarlo disperatamente.
William lo baciò ripetutamente, languidamente, scendendo sul
collo e su ogni parte che scopriva nuova.
La stoffa che scivolava sulla pelle, le mani che stringevano la carne,
la percorrevano, la esploravano.
Sentiva quel delizioso angelo sotto di se, la pressione del proprio
corpo su quello dell’altro. Il respiro accelerato ed eccitato
dell’uomo sfiorava quella pelle setosa e delicata facendo
rabbrividire il ragazzo che lo guardava un po’ con aria
smarrita, un po’ con dolcezza.
Si sentiva come un cacciatore in una terra sconosciuta, piena di frutti
e ricca di prede. Un paradiso.
Gli sfilò gli slip. Ora il biondo era nudo, sdraiato fra le
lenzuola candide, mentre tremava leggermente. William si
fermò a contemplare quella indescrivibile bellezza che gli
riempiva gli occhi senza poter dire o fare nulla.
Non sapeva da dove cominciare, dove mettere le mani. Non gli era mai
successo prima d’ora ed in linea di massima sapeva cosa
doveva fare con un maschio, forse anche un po’ per istinto.
Ma era proprio lui a disorientarlo.
Le dita tremanti del ragazzo gli si infilarono impacciate sotto la
maglia facendola scivolare verso le spalle. Alzò le braccia
liberandosi dell’indumento scomodo che li separava. Aiutato
dal giovane si liberò anche degli altri.
Alex era in evidente imbarazzo. Il viso arrossato e
l’espressione timida lasciavano intravedere anche la paura
che si celava dietro quegli occhi che sempre erano stati sicuri.
William si sdraiò nuovamente sopra di lui tentando di non
gravare troppo col proprio peso. Avvertì il contatto della
propria pelle con quella dell’altro. Il calore che lo aveva
preso all’inizio, tornò più vivo che
mai a bruciargli il corpo.
L’istinto prese il sopravvento ed incominciò a
dirigerlo dolcemente con le proprie mani. L’indecisione
iniziale era scomparsa ed ora voleva solo farlo suo. Gli
afferrò i fianchi, lo baciò, lo
coccolò.
Il biondo si abbandonò alle sue cure esperte incominciando a
gemere sotto i tocchi sicuri di lui. Tutto andò
così lentamente, così dolcemente. Ad Alex parve
di venire assorbito sempre più da un sogno splendido. Quelle
sensazioni che mai aveva provato fino ad ora, lo avvolgevano, lo
trasportavano, lo cullavano.
Voleva solo offrirsi a lui, dargli tutto se stesso, e mentre le
emozioni e le sensazioni prendevano piede dentro di se,
inarcò la schiena e si aggrappò al collo
dell’altro, aprendosi totalmente a lui. Il resto si trasformo
il puro piacere.
I respiri accelerati, il sudore, il calore. Le frasi sussurrate, i
muscoli tesi, la schiena inarcata.
Le grida convulse del ed i gemiti sommessi.
Le lacrime ed il calore dei loro corpi così vicini.
Le loro labbra fuse assieme e le mani strette fra loro.
Il dolore ed il piacere di un istante come quello di
un’eternità.
Una sola mente, un solo corpo, un solo respiro.
Erano soltanto un attimo.
P.S. E finalmente
si lavora!!! Ce l'hanno fatta sti due. Bene dai. I prossimi capitoli
sono i più duretti da digerire. Spero continuaiate a
seguirmi e a commentare! Alla prossima.
_HalWill_
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Capitolo 17 *** Chapter 17 ***
Chapter
17
Non riusciva a prendere sonno. Quello che gli era appena accaduto era
stato troppo. Sentiva il cuore esplodergli e aveva una voglia matta di
gridare.
Si, voleva gridare di gioia, di bene, di felicità. Tutta la
felicità gli era caduta addosso quella sera, quella notte.
Tutto ciò che desiderava, ogni cosa, si era realizzata con
lui quella notte. Con lui, con Alex.
Si voltò spostando la testa sul cuscino. Il ragazzo era
addormentato sul suo braccio che ormai non sentiva più. Ma
non gli importava. Quel giovane tesoro si sarebbe potuto portar via
anche tutte e due le sue braccia, le gambe o qualsiasi altra cosa se
avesse voluto.
Avvertiva la pressione della pelle umida e calda contro il proprio
corpo. Guardava quel volto rilassato e stanco.
Si sentiva impazzire. Gli carezzò una guancia e
tentò di baciarlo ma si mosse. Gli occhi si aprirono appena
. L’uomo sorrise.
- Uha… mi
sento tutto appiccicaticcio! Che sensazione orribile!
-
“Uha“ ?! E che roba sarebbe?
Risero entrambi. Alex si avvicinò all’altro
sollevandosi dal suo braccio.
- Ah… non me
lo sento più il braccio!
- Scusa. Mi sono
addormentato e….
- Niente, niente.
Gli diede un bacio sulla fronte. Il ragazzo scuoté le
lenzuola per farsi aria.
- Fa così
caldo adesso!
William sorrise nuovamente avvicinandolo a se e baciandogli la schiena.
- Vieni qui
tu…
Le braccia forti lo costrinsero sul materasso mentre ridacchiava.
- Facciamo un altro
round ? O anche due se preferisci. La notte è giovane!
Il biondo lo spinse indietro ridendo e schivando giocosamente i suoi
baci.
- Dai, restiamo un
po’ così…
Gli afferrò la testa e se la poggiò in seno
carezzandogliela. L’uomo parve acquietarsi e stare al gioco,
lasciando che lui lo coccolasse dolcemente.
- Vorrei rimanere
così per sempre Will.
Rimase in silenzio per qualche istante poi, sempre accarezzandogli la
testa, con voce bassa e malinconica.
- Mi amerai anche dopo
la guerra Will, anche dopo tutto?
Il tono insicuro e dolce. Il moro alzò il capo fissandolo.
- Ehi, che ti salta in
testa! Certo che ti amerò! Non crederai di liberarti di me
così facilmente. Io ti amerò ancora e ancora fino
alla fine di tutto.
Gli baciò il petto con dolcezza. Poi, notando
l’espressione insicura di lui, si avvicinò alle
sue labbra sfiorandole.
- Quando questa guerra
finirà, quando non dovremmo più nasconderci da
nessuno ce ne andremo in un posto lontano, solo per me e per te. Un
posto dove nessuno ci potrà separare, e che sarà
assolutamente splendido. Vivremo assieme nella stessa casa, nella
stessa camera, nello stesso letto. E se qualcuno ci vorrà
ancora bene allora verrà a trovarci sennò niente!
Il biondo parve convinto e sorrise. Si sporse leggermente in avanti
facendogli solo assaggiare le proprie labbra.
- Non mi pare vera tutta
la felicità che sto provando; non credevo ne esistesse
così tanta. Anche tu sei così felice Will? Non
vedo l’ora che arrivi quel giorno, lo aspetterò
sempre. Anche se ora sono più felice che mai.
Io sono nato solo per
stare con te William, ricordatelo.
Lasciò che l’altro penetrasse fra le sue labbra.
Un bacio dolce, rassicurante e sugellatore.
D’improvviso dei tonfi sordi. Qualcuno bussava alla porta. I
due balzarono dal letto.
Alex frugò frettolosamente fra le lenzuola in cerca delle
proprie mutande. Trovate anche quelle di William gliele
lanciò in testa mentre questo intanto si era avvicinato alla
porta. Squadrò l’orologio digitale.
- Chi diavolo
è alle 4 di notte maledizione!? Forse un'attacco?
Si infilò la biancheria ed i pantaloni osservando il ragazzo
che intanto si era rivestito. Gli fece cenno di andare in bagno e
mentre l’altro si avviava tolse l’insonorizzazione
ed accese la luce.
- …rtnett
aprite immediatamente o lo farò io stesso!!! So che siete
lì!!!
William rimase immobile. Il biondo si bloccò impietrito.
Un trafficare di rumori sommessi al di là della parete.
D’un tratto la porta si spalancò.
Un uomo dai capelli grigi e l’aria severa si fece largo nella
stanza seguito da un altro più giovane, castano alto e
muscoloso che William riconobbe subito.
Il generale puntò lo sguardo iroso e sorpreso verso il
giovane che lo riguardò a sua volta con espressione
terrorizzata.
-
…p-papà…
Anche il moro si puntò sul Alex. Tremava ed era impallidito.
Il più anziano stringeva i pugni ed i denti
contemporaneamente guardandosi attorno, dal letto sfatto, al moro e di
nuovo al figlio. Compresa la situazione chinò il viso,
tremante di rabbia. Poi l’espressione delusa e rassegnata.
- posso…posso
spiegare…io…
La voce flebile e spezzata dall’agitazione del biondo.
Tentò di avvicinarsi tendendo la mano ma gli fu respinta con
un gesto nervoso. Gli occhi si fecero lucidi e arrossati.
Il generale si voltò tornando alla porta.
- Ti voglio vedere nel
mio ufficio. Sistemati.
Poi sparì dietro la porta.
Peter li osservava con rabbia e soddisfazione. Non poteva sopportare di
sapere che l’altro si era offerto a quell’uomo
preferendolo a lui. Aveva trovato presto il modo di vendicarsi.
- Vi ho visti assieme in
spiaggia. Credevi che non me ne sarei accorto Alex? Credevi davvero che
non avrei fatto caso a come sei cambiato? Non avevi mai dato confidenza
agli altri così facilmente prima d’ora!
Il moro lo squadrò irosamente. Il viso teso e rabbioso, i
pugni stretti.
- Ti conviene andartene
perché stavolta ti ammazzo!
La voce come un sibilo soffocato.
Il castano si voltò tentando di ignorare le minacce
dell’altro. Fece per intimare qualcosa al biondo ma fu
bloccato.
- Non ti azzardare a
toccarlo con quelle tue luride mani, sono stato chiaro o hai bisogno di
passare ai fatti per capirlo?!
Gli afferrò il colletto della maglia strattonandolo.
- Basta. Basta vi
prego…
Alex aveva il volto chino, ma le lacrime che scendevano lungo le gote
erano più che visibili. William abbandonò la
presa squadrando l‘altro con disgusto. Questo indispettito e
più arrabbiato di prima si voltò e si diresse a
passi pesanti verso la porta accennando un gesto di scherno.
Quando furono nuovamente soli il moro si avvicinò al giovane
sfiorandogli un braccio. Lo strinse poi contro di se fermandogli le
lacrime sul proprio petto. Le braccia di lui gli si strinsero addosso
con fare disperato. Ormai era talmente abituato a quei suoi abbracci
malinconici ed intensi.
Non si meravigliò di sentire quanto piccolo fosse il suo
corpo perso nella propria stretta, mentre singhiozzava sommessamente,
per la prima volta.
- Era tuo padre
…
La voce dolce e tenera nel tentare di rassicurarlo. Annuì
senza parlare.
- Non volevo
deluderlo… non volevo che lui…
Lo strinse con forza come nel tentativo di bloccare i suoi singhiozzi.
- Quello schifoso. Si
può sapere che diavolo vuole da te?
Il biondo non reagì. Poi si distanziò
appena, tentando di fermare il pianto. Lo sguardo basso, come se si
vergognasse.
-
…è mio fratello…
Lo disse con un filo di voce che uscì strozzata.
L’uomo si bloccò come non avendo realizzato le
parole che avevano appena raggiunto le sue orecchie. Rimasero uno di
fronte all’altro, immobili, senza dire nulla. Le lacrime
continuavano a rigare il volto del giovane copiosamente.
- Peter. E’ il
mio fratellastro, il figlio naturale del generale. Sin da quando
eravamo ragazzini abbiamo sempre avuto un rapporto particolare, anche
se all’inizio non mi sopportava.
Fece una pausa.
- Avevamo una relazione
prima che partisse per venire qui. Era solo una cosa platonica, o
almeno lo era per me. Non credo che per lui fosse stato molto di
più. E’ sempre stata una persona materiale. Credo
lo abbia fatto per gelosia, per puro possesso.
Si avvicinò all’uomo tendendo un braccio e
carezzandogli una guancia. William lasciò che
l’altro lo sfiorasse e che gli si avvicinò.
- Perché non
me lo hai detto?
Il ragazzo lo osservò con aria malinconica e dispiaciuta.
- Io… non
credevo di arrivare fino a questo punto. Ma essere qui con te
è la cosa più bella che mi sia mai
capitata… anche se ci saranno dei problemi, anche
se dovremmo soffrire; non mi pento affatto di nulla.
Il moro rimase pensieroso. Alex lo abbracciò dolcemente,
stringendogli contro.
- Ti amo… ti
amo Will.
A quelle parole anche lui gli circondò le spalle con le
braccia e lo avvicinò con forza a se.
- Lo so.
P.S. Ed eccoci di
nuovo! Salve a tutti! Dopo tanta attesa sono di nuovo qui finalmente.
Il mio compiuter si era rotto ed ho dovuto formattarlo tentando di
recuperare tutti i dati, e vi assicuro che è stata
un'odissea!
Spero sinceramente
nei vostri commenti e grazie per aver atteso. =)
Posso assicurarvi
che posterò prestissimo!
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Capitolo 18 *** Chapter 18 ***
Chapter 18
Si guardava intorno con insistenza alla ricerca di qualcosa che lo
potesse riportare alla sua calma abituale.
No, non c’era neanche lì.
Il suo sguardo vagava sbattendo contro le pareti, le scatole ferrose
degli aerei, le persone, ma nessuna di quelle si rivelava essere
ciò che cercava. Chi cercava.
Finalmente la luce parve affacciarsi in quella sala oscurata.
Il riflesso della testolina bionda lo colpì negli occhi e lo
strappò dall‘indifferenza che provava in quel
momento per tutto ciò che lo circondava.
La sua anima inquieta si placò improvvisamente, come tirando
un respiro di sollievo, come a liberarlo da un‘angoscia
repressa. Erano tre giorni che non lo aveva visto ne sentito. Da quando
era sparito quella notte, diretto all’ufficio del padre non
aveva più avuto occasione di contattarlo. Era scomparso per
quei due maledettissimi ed orribili giorni.
E lui aveva avuto paura. Temeva che quell’arrivo cambiasse le
cose, rovinasse quella quiete apparentemente stabile che era
riuscito a crearsi grazie ad Alex; rovinasse ciò che era
riuscito a costruire con lui, a fare con lui.
Si alzò dalla sedia impaziente ma conscio che di fronte a
tutta quella gente non avrebbe potuto di certo manifestare la sua gioia
nel vederlo, ne tautomero sfogare quell‘angoscia che lo aveva
angustiato.
Il bel viso del giovane incontrò il suo. Era cinereo,
spento, inespressivo.
Il timore di qualcosa di incombente riprese a scintillare in lui. Si
ritrovarono uno di fronte all’altro, senza riuscire a dire
nulla. Il soldato tentava di catturare lo sguardo del superiore, ma era
impossibile; l’altro lo schivava senza lasciargliene
l’opportunità. Tentando di farsi poco notare,
scivolarono nel piccolo bagno di servizio poco lontano da loro.
- Ehi, dove sei stato
tutto questo tempo?
Era la prima domanda che si era fatta largo nella sua mente, seguita
poi da molte altre che invece tenne per se.
Il ragazzo fece una smorfia, aprendosi in un sorriso palesemente
forzato. Non lo abbracciò, non lo sfiorò
neanche. William avvertì qualcosa dentro di se
rivoltarsi.
- Scusami. Io,
non… Ho dovuto sistemare delle faccende.
L’uomo tese le mani in avanti afferrandogli i fianchi.
- Tutto bene?
L’allenamento lo possiamo rimandare…
Il giovane lo bloccò poggiandogli una mano sul petto.
- No. E’
questo il problema… non possiamo più rimandare.
Non abbiamo più tempo.
- Perché?
Esitò un momento, poi lo fissò diritto in volto.
Aveva gli occhi lucidi e stanchi.
-
L’allenamento ormai è finito; siamo giunti
all’amplificazione massima dell’impulso. Ma
potrà essere utilizzata una volta sola e soprattutto in
presenza di tutte le coppie Ev che ancora esistono. Lo sforzo cerebrale
che richiede è troppo per essere sopportato più
di una volta.
- Ma cosa
c’entra il tempo?
- E’ questo:
le forse nemiche dovranno essere concentrate tutte
nell’attacco in modo da distruggerle in massa.
Sarà la battaglia decisiva. E’ stato lanciato un
ultimatum ai Neoterrestri. Scade fra una settimana.
Il tono greve e sommesso. Il volto basso e cupo.
William rimase immobile, scioccato da quelle ultime definitive parole.
La guerra che combattevano da una vita si sarebbe conclusa.
Aveva incominciato a pensare che sarebbe morto in battaglia o comunque
che il conflitto si sarebbe protratto fino alla sua vecchiaia.
Ora quella novità che gli scivolava addosso con semplici
parole si abbatteva dentro il suo cervello con gli stessi effetti
devastanti di uno tsunami su una spiaggia affollata.
Tutto era già stato deciso, tutto programmato, tutto
limitato. Avrebbe dovuto mettere in pratica quello per cui si era
duramente allenato in quegli ultimi mesi, insieme ad Alex. Erano
l’unica speranza di salvezza, l’unica. Ed era gia
stato tutto deciso. Indipendentemente da ogni loro desiderio, da ogni
loro decisione.
E lui era lì, di fronte a se. Se si sentiva così
sconcertato allora come si sarebbe dovuto sentire quella che gli
appariva una piccola ed indifesa creatura? Cosa provava in quel
momento? Si stupì per l’ennesima volta di quanta
forza potesse celarsi in un essere talmente fragile e delicato.
Il diamante. Già, Alex gli ricordava proprio un bel
diamante. Un oggetto che appare così fragile e sottile che
se intaccato sembra doversi infrangere in mille pezzi. Ed invece no.
Non era così.
Era il minerale più resistente e forte, uno dei
più duri da scalfire.
Alex era un diamante.
Lo attirò a se stringendolo. Non disse nulla.
Sentiva che non avrebbe dovuto farlo, non ce ne era bisogno. Lo
abbracciava dolcemente rassicurandolo con presa salda.
Cercò di calmarlo, di farlo parlare.
- …come
è andata con tuo padre?
Il biondo si avvinghiò al corpo di lui, affondando il capo.
Lo avvertì tremare, poi sussultare. Sentiva il calore del
suo respiro trapassargli la stoffa.
Umido.
Piangeva. Piangeva singhiozzando, col corpo scosso da forti sussulti.
Il tutto silenziosamente, ovattato dal proprio corpo, represso da
quella pressione insistente. Per la seconda volta.
Si sentiva inutile, inutile e sciocco. Ma sapeva che l’unica
cosa che poteva fare in quel momento era restare lì, fermo,
in silenzio ed abbracciarlo.
Quando uscirono dal bagno scoprì che Peter era
nell‘hangar e stava cercando il ragazzo.
Il generale voleva controllarli e lo aveva mandato per stare accanto ad
Alex.
Rimase per tutti gli allenamenti e persino negli spogliatoi. Poi
afferrò il giovane per un braccio e lo accompagnò
fino alla propria stanza senza lasciarli soli nemmeno un attimo.
Nei giorni seguenti non si riuscivano a vedere quasi mai. Inoltre per
tutta la settimana ci fu un’ondata di frenesia in tutta la
base, sia per l’arrivo degli Ev, sia per la scadenza prossima
dell’ultimatum.
Se ne andava spesso in spiaggia nella speranza di vederlo arrivare, ma
nulla. Si ritrovava solo ad osservare tramonti sempre più
malinconici. Persino il ricordo di quando avevano fatto
l’amore gli pareva lontano e vacuo.
Tutto lo stress e la rabbia di quei giorni si focalizzò su
colui che li teneva separati.
Gli sembrava assurdo che non gli importasse di ciò che
pensava suo figlio, dei suoi sentimenti. Non riusciva a capire cosa lo
rendesse così freddo nei suoi confronti. Ma la cosa che lo
turbava di più era il non sapere cosa si fossero detti.
Il biondo aveva pianto. Molto probabilmente gli aveva intimato di farla
finita con lui o cose simili. Ma allora perché non reagiva?
Il suo carattere era sempre stato forte e deciso, non poteva farsi
spaventare per così poco. Eppure sembrava terrorizzato.
Qualcosa si era rotto.
L’unico sguardo che quell’uomo gli aveva rivolto
era di disprezzo. Lo stesso disprezzo che gli rivolgeva Peter. In
questo quei due erano uguali.
Alex non c’entrava nulla con loro. Non riusciva a capire come
potesse appartenere a quel mondo tanto diverso, tanto freddo e crudele.
Forse era nato nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Una volta sola riuscirono a trovarsi senza essere visti. Tornava da una
perlustrazione più breve del previsto e lo
incontrò davanti alla propria stanza.
Era fermo immobile a guardare la porta con aria affranta. Quando il
biondo lo vide gli corse incontro senza alcun timore di essere visto,
come se non gli importasse più nulla e di nessuno.
William lo aveva trascinato nella propria stanza ed avevano fatto
l’amore come mai prima. E poi si erano addormentati. Lo aveva
stretto al proprio petto col timore che fuggisse, che sparisse.
Al suo risveglio si era ritrovato a sfiorare un viso gelato di lacrime.
Il giovane non aveva risposto alle sue domande, limitandosi ad
accoccolarsi contro il petto di lui.
Tutto questo non gli piaceva affatto. Sentiva che qualcosa di terribile
e doloroso stava per accadere. Ma non gli disse nulla. Non
voleva turbarlo ulteriormente.
La rabbia esplose il giorno dopo quando seppe da Peter stesso che Alex
era stato confinato nella propria stanza fino allo scadere
dell‘ultimatum. Evidentemente suo padre e quella serpe del
fratello dovevano aver scoperto che erano stati assieme. Il cuore gli
balzò in gola e la mente gli si annebbiò
dall’ira.
Si diresse con fare assassino verso l’ufficio del generale.
Sentiva la testa pulsargli e lo orecchie che gli fischiavano. Gli
avrebbe sbattuto in faccia la nuda e cruda realtà dei fatti
e gliela avrebbe fatta accettare, volente o nolente.
Non gli importava più di nulla della guerra, degli Ev, di
suo padre e di tutto il resto; voleva solo stare con Alex, e
sicuramente non sarebbe stato lui a fermarli.
Entrò con violenza nonappena gli fu aperto. A grandi passi
si avvicinò alla scrivania e batté i
pugni sul piano.
- Chi diavolo ti credi
di essere?! Arrivi e lo costringi a fare ciò che non vuole!
Ho sopportato te e quel verme solo perché lui vi rispetta!
Ma la mia pazienza ha un limite!
Sappi che non puoi
impedirmi di vederlo, ne ora ne mai! E lui è mio; mio
chiaro!??
Non sarai tu a fargli
cambiare idea!!! Mai!!!
Gli gridò a pochi centimetri dal volto, senza badare al
minimo rispetto. Il viso sudato e contratto dalla rabbia, i denti
digrignati, i pugni stretti.
L’uomo lo squadrò con indifferenza disgustata non
intimorito da quel tono minaccioso e fuori controllo.
- Alexander è
mio figlio; tu non vanti alcun diritto su di lui. Sapevo della tua
arroganza, mi è stato detto tutto di te. Questa storia
finirà molto presto che tu lo voglia o meno. Sei solo un
soldato William Hartnett.
Dimenticalo.
L’ultima parola risuonò nella sua mente come lo
sparo di una pistola.
- Io non dimentico
proprio niente.
Quando la guerra
sarà finita ce ne andremo e non potrai fare nulla per
fermarci. Saremo lontani da tutto, da te, da quel leccapiedi di tuo
figlio e da tutti quanti!
- E’ una
sciocchezza! Siete dei pazzi se sperate di poter vivere davvero
assieme. Questo tuo sciocco “amore”
finirà e ti ritroverai senza niente; lo porterai alla rovina
e rovinerai te stesso. Sfrutterai la sua
semplicità finché ti farà
comodo e poi lo abbandonerai in mezzo ad una strada.
Conosco quelli come te.
Il tono del generale divenne più duro e privo di espressione.
- Rinunceresti a tutto
inutilmente.
- Non mi importa di
rinunciare. Non mi serve niente se non posso averlo con lui.
L’unica cosa che non voglio perdere è Alexander.
E’ l’unica cosa che conta, e questo non
cambierà. Non me lo porterete via.
Ormai è
troppo tardi. E se nessuno vuole capire allora che pensiate quello che
vi pare; io so quello che davvero mi sta a cuore. I vostri consigli
inutili non ci sfiorano neanche.
Io amo Alexander, lo
amo! E non mi importa di dover rischiare, di dover vivere da solo e
senza tutto ciò che ho adesso. Non mi vergogno di
nulla.
Non voglio
nient’altro.
L’uomo lo squadrò con durezza. Poi
spostò lo sguardo in basso, sulle proprie scarpe lucidate.
- Alexander è
una stella cadente, più splendente di qualsiasi altra stella
comune; rara, bellissima e breve…
Il tono era greve e solenne.
-Tu sei solo un puntino
Hartnett. Un piccolo, minuscolo puntino di pulviscolo
nell’universo.
Come puoi pretendere di
cambiare il cosmo?
P.S. Bene. Stiamo
tirando le fila fino alla fine. La guerra pare avere un possibile
termine, ma anche la storia di Alex e William pare avvicinarsi ad una
svolta. Spero che riusciate a seguire la trama e la storia ancora per
un po. A presto e vi ringrazio infinitamente per i commenti, mi fanno
davvero piacere.
_HalWill_
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Capitolo 19 *** Chapter 19 ***
Chapter
19
Pioveva a dirotto, lo aveva fatto per tutta la notte. Era seduto a
fumare sotto il grande portale aperto dell’hangar e guardava
fuori la pioggia cadere. L’odore
dell’umidità e del temporale gli penetrava nei
polmoni.
L’ultimatum sarebbe scaduto quella sera stessa.
Il mattino presto aveva conosciuto gli altri Ev. Erano tre coppie,
quelle che erano rimaste in tutto il mondo. Due gemelli, un uomo ed una
donna e due cinquantenni. Tutti parevano consapevoli di ciò
che li aspettava. I loro visi erano scavati, i loro occhi arrossati e
stanchi. Parlavano lingue diverse e perciò era difficile che
le coppie si capissero. I fratelli, più o meno della sua
stessa età, erano originari della Russia e
parlavano poco. L’altra coppia scoprì in seguito
che erano due sposi. Lei nata in Italia e lui in Germania si erano
conosciuti dieci anni prima e si erano sposati quasi subito. Del resto
questo confermava il legame speciale che li legava, come quello che
legava lui e Alex.
Le altre due allegre signore sulla cinquantina, erano australiane ed
amavano cucinare dolci tipici a tal punto da vincere numerosi premi
culinari. A parte questo non sapeva poi molto dei suoi compagni.
Alex non si era visto e questo, oltre il tempo, lo portava ad essere
nervoso ed intrattabile, nonché depresso e nauseato. Si
sentiva come se mancasse una parte del proprio corpo senza la quale non
riusciva ad ingranare la giornata. Chissà se il biondo lo
stava pensando.
La pioggia sembrava aumentare e le nuvole ingrossarsi. Se avrebbe
continuato così la battaglia non sarebbe stata
certo facilitata.
D’un tratto delle immagini si susseguirono nella sua mente;
ancora nuove, ancora più confuse. I suoi occhi tristi, il
viso cinereo. Le labbra che si schiudevano come per prendere aria dal
nulla. La pioggia.
Non era bagnato. E fumo e sangue.
Stringeva qualcosa fra le proprie mani. La stoffa della sua divisa.
Il sole, ma non era sole, era fuoco incandescente. E lui piangeva.
Tendeva le braccia per asciugargli le lacrime ma non aveva nulla.
Le lacrime scivolavano sulle gote pallide. La mano che cadeva inerme.
Dischiuse gli occhi. Ormai ci era abituato a quegli incubi svegli.
Gettò il mozzicone lontano, sotto l’acqua
scrosciante. In fumo svanì in pochi secondi, spento dalla
pioggia battente.
Dei passi in lontananza. Qualcuno si avvicinava silenziosamente. Un
passo conosciuto. Si fermò.
Sentiva solo il rumore delle gocce che si infrangevano.
- Will…
L’uomo non si voltò. Rimase immobile. Si sentiva
bruciare. La rabbia lo tormentava da giorni e doveva esplodere prima o
poi.
- Perché non
sei venuto prima?
Non udì risposta.
- Non te ne frega niente
di noi. Sono andato persino da tuo padre, a parlargli. Lo sai questo?!
Le braccia del giovane gli raggiunsero il collo circondandogli le
spalle da dietro. La fronte poggiata contro la sua nuca.
- Sei arrabbiato con me
Will?
La voce flebile e tremula. Quelle braccine gli sembravano sempre
più sottili.
Non rispose. Rimasero immobili entrambi a guardare la pioggia che
cadeva scrosciante. In lontananza un tuono sommesso.
- Mi dispiace
tanto…
La voce rotta dalle lacrime che gli affioravano lentamente,
silenziosamente agli occhi. Non poteva vederle, ma le sentiva, le
sentiva in tutto il loro dolore, in tutta la loro amarezza. E la
pioggia che cadeva. Di nuovo.
L’abbraccio si allentò.
- Non verrò
con te. Dopo la guerra… non verrò…
I tuoni sempre più vicini. La tempesta che incombeva sopra
le loro teste non era nulla in confronto a quella che si stava
abbattendo dentro di loro e che stava spazzando via ogni cosa.
Distruggeva tutto ciò che era stato, annientava tutte le
cose che avevano vissuto e che avevano costruito con fatica. In pochi
secondi con infinita semplicità.
Le lacrime erano divenute enormi e pareva non avrebbero smesso mai
più. Si sentiva il volto bruciare.
William sorbì quelle parole come una pugnalata dritta al
cuore. Si sciolse dalle braccia dell’altro e si
alzò facendo pochi passi in avanti. Non si era voltato, non
lo aveva ancora guardato in viso.
Sapeva che se lo avesse fatto, lui avrebbe visto quanta debolezza e
incertezza c’era in quelle parole che non avrebbe mai pensato
di pronunciare. Tutti i pensieri che lo avevano tormentato quei giorni
si erano concretizzati in un’unica, solida, disgustosa idea.
- E’ stato tuo
padre a convincerti vero? Tutto quello che gli ho detto, le cose che ho
pensato e provato, le ho vissute da solo a quanto pare.
Le parole gli raschiavano la gola come non mai. Strinse i pugni.
- Tutto quello che
c‘è stato… per te non era
niente… l’hai fatto solo per essere sicuro che io
seguissi i tuoi progetti e quelli di tuo padre. Ora sarai
soddisfatto…porterò questa cosa fino in fondo e
poi mi toglierò dai piedi.
L’aveva detto. Sorrise amaramente.
- Sono stato proprio un
idiota.
Il ragazzo piangeva a dirotto con viso sconcertato.
- No!, no non
è così! Io non…
Il pianto gli spezzava le parole.
Il moro si voltò di scatto, l’ira ben visibile
nella sua espressione. Un altro fulmine, poco lontano da loro.
Uno schianto assordante.
- Allora
cos’è!? Perché non reagisci?!!! Che
cosa vi siete detti, che ti ha detto eh?!!!
Il giovane indietreggiò spaventato.
- No, io…
- Non credi che io abbia
il diritto di sapere!!!? Non posso andare avanti così! Avevi
detto di amarmi Alex!!!
Indietreggiarono sempre più.
- Perché ?!
Non ti importa??!!!
Era sempre più terrorizzato.
- E‘ tutto
segreto con te Alex??!!!
Il ragazzo piangeva disperato. Si voltò per non farsi vedere
in quello stato cercando di fuggire. Si ritrovò sotto la
pioggia battente. Lo scroscio assordante. William lo afferrò
per un braccio e lo strattonò facendolo cadere contro il
proprio petto. Si sentiva morire.
Era fradicio e avvertiva le gocce sbattergli in faccia. Vedeva il viso
di William bagnato con un’espressione mista fra dolore e
rabbia. La mano stretta sul proprio polso, come una morsa
d’acciaio.
- Adesso vuoi anche
scappare?!!!
Piangeva ancora.
- Non te ne frega
proprio niente!????
Il giovane esplose.
- Sto morendo Will, io
sto morendo!!!!
Il grido straziato. Il fulmine che si schiantò poco
distante. Un rombo assordante.
Scivolò fra le sue mani, cadde in ginocchio mentre
piangeva a dirotto, come la pioggia battente. Aveva ancora le
mani strette sui suoi polsi.
Parve d’improvviso che il mondo gli stesse cadendo addosso.
Tutto si sgretolava, si scioglieva sotto i propri occhi, portato via
dalla pioggia. E quella creatura ai suoi piedi che piangeva disperata,
inerme, fragile, piccola.
Cadde anche lui sulle ginocchia. Non si sentiva più il
corpo. Perse peso improvvisamente.
L’acqua gli scorreva addosso ; aveva la mente vuota, come la
sua espressione, come se la pioggia gli avesse lavato via ogni cosa.
Qualcosa si era rotto.
Non sentiva bene. Solo il rumore attutito di ciò
che gli accadeva intorno.
Lo scrosciare del temporale ed il lamento del ragazzo gli suonavano
nelle orecchie e nella testa.
Si sentì vuoto, nauseato. Tutto quello che aveva detto,
tutto quello che non aveva fatto.
Parlava. Alex stava parlando in singhiozzi rotti e sconnessi.
- Non avrei mai
voluto… non ci sarà un dopo! Io non ci
sarò Will… non volevo dirtelo…non
volevo…non potremo mai andarcene…
morirò qui… mi dispiace…mi dispiace
tanto…
Si chinò in avanti. Voleva stringerlo,abbracciarlo. Era
lì, era di fronte a se. Non era come nei suoi incubi.
Poteva toccarlo, poteva abbracciarlo. Lo strinse, lo baciò
sul capo. Gli si aggrappò come se dovesse scivolare via da
un momento all’altro. Non piangeva, non sentiva nulla.
Avvertiva solo lui fra le proprie braccia, contro il propri corpo
fradicio. Lo sentiva scosso dai singhiozzi, stretto contro il proprio
petto.
- Perdonami…
io ti amo… ti amo Will…ti amo…
Le parole spezzate, rotte. Si perdevano nel fragore della pioggia.
L’uomo avvertiva il proprio respiro faticare. La gola era
bloccata, le parole non sarebbero uscite. Ma stringeva più
che poteva quel corpo a se. Rimasero lì, a terra entrambi.
Sotto la pioggia scrosciante che si mescolava alle lacrime amare e
copiose.
Tutto il resto non aveva più alcuna importanza.
Erano soli.
P.S. Scusate la
lunga attesa, ma lo studio mi uccide in queste ultime settimane e
riuscire a scrivere è davvero un miracolo!Spero che
continuiate ancora a seguirmi, e soprattutto a seguire Alex e
Will. =) Dunque, la verità è stata
svelata. Alex e William sono nuovamente ad una svolta.
Mi farebbe davvero
piacere sapere cosa pensate possa accadere o comunque eventuali
consigli o critiche o qualsiasi cosa. Grazie mille =)
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Capitolo 20 *** Chapter 20 ***
Chapter
20
Lo teneva fra le proprie braccia.
Squadrava l’orologio. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte,
allo scadere dell’ultimatum.
Era lì, sdraiato nel proprio letto, col ragazzo stretto nel
proprio abbraccio.
Il suo corpo caldo si muoveva a ritmo dell’andamento lento
del respiro. Lo aveva avolto nell’asciugamano dopo la doccia
e si erano infilati sotto le coperte.
Erano lì, soli. La stanza era silenziosa e buia.
Sentiva il suo profumo, quello dei suoi capelli e della sua pelle,
privi di ogni influenza esterna, puri, freschi.
Le forme morbide e calde fra le proprie mani, sotto le proprie dita. Il
respiro lento e leggero sul collo.
Era una sensazione impagabile.
Mancavano dieci minuti.
Avvertiva la presa pigra delle sue braccia sui fianchi, sulla schiena.
Le gambe mollemente intrecciate nelle sue. Il tepore del suo ventre,
del suo petto contro di se.
Il braccio era schiacciato dal peso di lui, ma non gli importava.
Scostò appena la testa sul cuscino: i capelli sottili e
chiari gli solleticavano il naso.
Gli occhi socchiusi lo fissavano silenziosi. Splendidi anche
nell’oscurità.
Ricordò la prima volta che lo aveva visto.
Quegli occhi sfuggenti e profondi lo avevano attirato sin da subito. E
poi quel suo movimento delizioso, le mani delicate, il viso dolce. E
quel suo piccolo neo sotto l’occhio.
Quando avevano fatto l’amore lo aveva baciato i quel punto
esatto più di una volta.
Gli era così cara quella macchiolina, come del resto ogni
piccola parte di quel corpo tenero e lezioso.
Sette minuti.
Gli era tornata in mente una vecchia canzone che aveva sentito in quel
bar poco fuori città.
Allora non conosceva Alex, ma se lo avesse fatto, avrebbe capito che
quella musica lo descriveva perfettamente, come se fosse stata
un’anticipazione del suo arrivo.
Ripercorse col pensiero i luoghi che li avevano accompagnati in quei
mesi splendidi. Quei luoghi comuni che ormai erano divenuti loro.
Il bar dove lo aveva portato la prima volta, dove aveva ricevuto lo
schiaffo che gli pareva bruciasse ancora sulla guancia. Lì
lo aveva stretto a se per la prima volta.
Cinque minuti.
La spiaggia e le passeggiate. Avevano visto tramonti stupendi, odori,
gesti, momenti.
Lì aveva tentato di baciarlo per la prima volta.
Lì era rimasto solo ad aspettarlo.
Quante volte avrebbe voluto prenderlo sulla sabbia e quante volte si
era trattenuto.
Il laboratorio di ricerche dove il loro legame mentale li aveva uniti
tante volte.
Nelle loro menti era l’unico posto dove nessuno li avrebbe
mai potuti vedere ne sentire.
Solo lì potevano veramente andare lontano da tutto e da
tutti. Rimanere assieme, l’uno nell’altro.
E poi c’era la sua stanza, dove erano ora.
Qui avevano visto tante cose.
Tre minuti.
Per la prima volta avevano fatto l’amore.
Si erano baciati e si erano amati.
Lo aveva stretto a se ed era divenuto parte del suo corpo oltre che del
suo spirito. Si erano uniti in tutto. Assieme erano arrivati a toccare
il paradiso… solo in una stanza.
Solo con lui ci era riuscito. Nessun’altra lo aveva portato
così in alto.
Anche se non fossero stati Ev lo avrebbe amato comunque. Si,
ne era sicuro.
Prima o poi si sarebbero trovati e si sarebbero amati. In
qualsiasi posto, in qualsiasi tempo.
Sospirò chiudendo gli occhi.
Quante prime volte…
L’ultimatum era scaduto.
Il giovane si mosse appena. Lo guardava con aria triste. Le
dita delicate gli sfiorarono una guancia.
Solo ora si accorse di avere il viso rigato di lacrime.
Tutto quello che era stato dove sarebbe andato?
Nessuno avrebbe ricordato il loro amore oltre lui. Sarebbe rimasto solo
con quel ricordo splendido e atroce.
Ogni attimo meraviglioso sarebbe divenuto doloroso e rimpianto.
Il loro amore si sarebbe trasformato in un dolore senza fine.
Quel corpo avrebbe perso il suo calore, la sua vicinanza.
Quel suo viso splendido non lo avrebbe più illuminato,
quegli occhi non lo avrebbero più fissato, squadrato,
sorriso, implorato, ammonito.
Tutto sarebbe passato, trascorso. Il tempo avrebbe portato via ogni
cosa a parte il suo ricordo.
La sua dolcezza, il suo calore, la sua forza, la sua timidezza ed il
suo amore. Tutto sarebbe crollato di fronte alla morte. Lo
guardò con gli occhi appannati dalle lacrime.
Ora era lì.
Alex era di fronte a lui e lo guardava.
Ma non piangeva.
Si avvicinò ancora di più. Avvertì le
sue gambe muoversi e la pressione del suo bacino contro il proprio
aumentare. Il giovane gli afferrò una mano e se la
portò sul gluteo morbido stringendogli le dita.
Quel calore e quella morbidezza.
- Ancora una
volta…
Voglio fare
l’amore Will.
William lo fissò sorridendo appena.
Le lacrime si erano asciugate sul proprio viso. Il suo era un sorriso
amaro.
Sapeva che quello sarebbe divenuto il più doloroso dei
ricordi. Ma ora non aveva importanza. Doveva amare Alex fino in fondo.
Lo avrebbe amato fino alla fine.
Si chiese dove l’amore degli uomini andasse a finire dopo la
morte. Cosa ne sarebbe stato di quel sentimento tanto forte e fragile
al tempo stesso. Ma quel pensiero fu cancellato quasi subito dal
ragazzo.
Alex gli chiedeva di ricordarlo vivo.
Sentì qualcosa bruciargli dentro. Il tepore di quella
divinità silenziosa non l’aveva ancora
abbandonato.
Chiuse con forza le dita sulla pelle morbida.
Riprendeva così rapidamente il sapore della carne, tornava
cosciente di quello che gli si stava offrendo. Quella figura esile e
dolce ancora sua.
Lasciò scorrere le proprie mani sul copro
dell’altro, assaporando con forza ogni frammento di quella
creatura. Lo massaggiava e lo baciava in ogni punto, accompagnato dalle
dita di lui che lo carezzavano dolcemente fra i capelli e sulla
schiena. Lo coccolava e lo viziava.
I lievi gemiti sommessi, divenivano sempre più intensi. Le
mani si arpionavano quando le proprie carezze si spingevano oltre il
semplice contatto.
Quella voglia incontrollata, selvaggia e maledettamente soddisfacente
lo travolse.
Lo prese con passione violenta e dolce al tempo stesso.
Le spinte decise, il respiro affannato.
Il corpo teso sotto di lui, le braccia protese nel vuoto alla ricerca
di lui.
Si lasciò abbracciare mentre affondava sempre più
in quell’amore dolce.
Il movimento continuo e intenso, il peso del corpo
dell’altro. Il ragazzo gridava ora convulsamente di dolore e
di piacere.
Rimase dentro di lui mentre gemeva senza trattenersi.
Si era abbandonato a quel piacere senza alcun ripensamento. Avvertiva
il proprio copro teso nello sforzo di soddisfarlo e di soddisfare se
stesso. L’ondata di estasi lo avvolse
costringendolo ad abbandonarsi in un spasmo di liberazione. Il suo
amore lo aveva raggiunto ed erano assieme in quell’istante.
Lo avvertì parlare nei singhiozzi e fra i gemiti.
- Anche se…
se morissi adesso Will…ti amo…
Lo strinse.
L’amore come ultima risorsa.
Niente sarebbe servito, solo amore.
Si svegliò solo nel letto. Le lenzuola sfatte e scomposte lo
coprivano fino all’addome.
La pallida luce entrava a fatica dalla finestra.
Il sole era appena sorto e le goccioline d’acqua sul vetro,
rimaste dal temporale della notte, brillavano solitarie e splendide.
Frugò nei cassetti del piccolo mobile vicino al letto in
cerca di biancheria pulita dato che la sua era ancora zuppa dalla sera
prima.
Trovò degli slip e se li infilò. Un po’
troppo grandi, ma sarebbero andati bene. Nell’armadietto
riuscì a rimediare una t-shirt bianca anch’essa
decisamente larga. Si risedette sul letto. Nonostante fossero puliti,
in quella stoffa sentiva distintamente l’odore di William.
Si strinse nella maglia annusandone il profumo.
La porta alle sue spalle si aprì e si richiuse.
- Ehi? Sei
già sveglio?!
Il moro era entrato portando con se l’odore appena
percettibile del tabacco. Era uscito per fumare.
Il ragazzo lo guardò incuriosito, notando che
l‘altro non indossava la maglia e teneva fra le braccia un
fagottino bianco.
La sua espressione divenne più stupita quando la
“cosa” si mosse appena.
- Guarda…
Abbandonò delicatamente il fagotto sul letto. Il biondo si
avvicinò.
La stoffa si increspò scoprendo un musetto nero e umidiccio.
- Ohh…
L’espressione del giovane divenne dolce e curiosa, come
quella di un bambino. Aiutò il gatto ad uscire
dall’involucro e lo osservò scrollarsi di dosso
quello che era rimasto della pioggia che la maglia non aveva saputo
asciugare.
Lo afferrò con dolcezza e se lo adagiò in grembo.
- Ehi, che
piccolino…!
Poi si voltò verso l’uomo.
- Dove l’hai
trovato?
- Ero uscito a fumare.
L’ho sentito miagolare e mi sono messo a cercare
finchè non l’ho trovato. Si era nascosto; credo si
fosse spaventato per i fulmini.
Il biondo tornò a coccolare l’animaletto spaurito,
che non tardò nell’accettare quelle carezze
delicate. Si accoccolò contro il suo addome e rimase
acciambellato, ancora tremante.
Il ragazzo sorrideva.
William gli si avvicinò puntellandosi sul materasso e
depositandogli un bacio dietro l’orecchio. Gli
spostò appena i capelli incominciando a baciarlo
sul collo e sulle spalle semicoperte.
- Sono
geloso… voglio anch’io un po’ di
coccole….
Il giovane arrossì sorridendo.
- Magari ha fame. Non
hai del latte?
- No, solo birra e non
credo sia il massimo! Vado a vedere in cucina da Hurley.
Si alzò e si diresse verso la porta. Lo guardò
per un altro istante e si voltò, sparendo.
Il giovane lo seguì con lo sguardo, poi tornò
all’animaletto.
- Eri tutto solo eh?
E’ strano trovare un micetto così carino in un
postaccio come questo.
Adesso Will ti ha
trovato, non preoccuparti. Ci prenderemo noi cura di te.
Sorrise mentre l’altro col musetto gli mordeva giocosamente
la punta di un dito.
- Non aver paura; anche
se non sai cosa succederà…Will ti ha
salvato…non dovrai più aver paura…
Lo disse più a se stesso che al gattino.
Poi osservò il calendario.
Era l’otto del mese.
- Per ora ti
chiamerai “Acht“.
P.S.
Salve e scusate per il ritardo...lo so...è un
eternità! Ormai non ci speravo più a postare...
Grazie ancora per i
commenti, li ho letti con piacere e proprio per questo
cercherò di fare attenzione al finale. Non ho intenzione di
scivolare nel banale, mi spiacerebbe troppo.
Spero che
continuaiate a seguire la storia, ormai verso la chiusura. Spero
inoltre che i prossimi agiornamenti saranno mooolto più
veloci >.< Sorry! A presto =)
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Capitolo 21 *** Chapter 21 ***
Chapter 21
Quella mattina, col suo corpo tiepido, privo di sensi stretto fra le
braccia aveva pregato, implorato inconsciamente con ogni parte di se
che fosse vivo.
Continuava a pensarlo mentre osservava il suo volto pulito e pallido.
La morte.
Cosa sarebbe riuscita a strappare da quel genio fragile e forte? Cosa
gli sarebbe rimasto del suo “amore“?
In lui si era fatta ormai largo la consapevolezza che il proprio Amore,
quel sentimento infondo mai provato, unico, ed incarnato in quella
deliziosa forma terrena, se ne sarebbe andato e lo avrebbe fatto senza
portarlo con se.
Sarebbe rimasto solo, senza il cuore; gli sarebbe stato strappato dal
petto o semplicemente si sarebbe perduto nel tentativo inutile di
trovare ciò che lo alimenta e che per lui è
divenuto indispensabile.
Infondo a cosa gli sarebbe servito amare ancora? Non gli interessava di
farlo. Il fatto che il suo primo, disperato, vero innamoramento avrebbe
avuto una fine così repentina e tragica lo aveva disgustato
a tal punto da fargli odiare l’Amore. Ma in realtà
sapeva che non poteva odiarlo perché il suo Amore era
lì, splendido e malinconico, mentre osservava il sole
pallido e non poteva far altro che amarlo e amarlo ancora.
Avrebbe infuso in lui tutto ciò che di bello poteva provare.
E presto quel Dio forte e impenetrabile se ne sarebbe nuovamente
andato, così come era venuto, portando con se tutto
ciò che era stato capace di dare. Così, nel
tentativo di non farlo fuggire, la sua anima si sarebbe aggrappata
disperatamente a lui, non potendo far altro che venir trascinata via
anch’essa.
Non sarebbe rimasto nulla. Solo il proprio corpo incapace di essere
soddisfatto se non dai semplici vizi materiali.
Lo guardava ancora. Non si sarebbe mai stancato di farlo.
Il viso serio, irraggiungibile e malinconico osservava il vuoto al di
là dell’orizzonte, quel vuoto che
l’attendeva, lo reclamava insistentemente e che presto lo
avrebbe avvolto.
Fu proprio lui, Alex, a rompere quel silenzio assordante.
- E’ tutto
così calmo.
Le parole scivolarono pacate e dolci da quelle labbra intense e piene
di segreti.
William non rispose. Preferì rimanere in silenzio.
Parlò di nuovo.
- “Ti
amo“.
La creatura si voltò per osservare l‘uomo al suo
fianco.
Il viso serio e perfetto, il corpo forte e sodo. Risalì le
spalle larghe, il collo definito.
La pelle, lievemente abbronzata, faceva risaltare quella
tonicità mascolina, quell’essenza virile. La bocca
sensuale, gli occhi sottili e attenti. Quel colore celeste come il
cielo più azzurro; le iridi profonde e feline.
I capelli scuri e luminosi gli ricadevano scompostamente in frange
morbide sulla fronte.
Gli sfiorò il viso con la mano.
Aveva da tempo compreso il perché di tutte quelle donne, ma
non gli aveva mai detto quanto in realtà lo trovasse bello e
affascinante. Gli pareva splendido come solo un sogno
può essere.
Tutto il fascino di quell’uomo meravigliosamente seducente
era per lui, lo era sempre stato.
- William…
Fra poche ore sarebbe cominciata la battaglia. L‘ultima. E
l’avrebbero affrontata assieme, fianco a fianco.
Si guardarono senza dire nulla. Ognuno riflesso negli occhi
dell’altro.
- Dimmelo.
Il moro lo guardò.
- Ti amo.
Il tono sommesso, quasi ovattato.
Lentamente, dolcemente Alex lo abbracciò poggiandogli il
capo contro il petto. Le braccia di lui lo circondarono. Protettive,
forti. Era incredibile come, nonostante la sua freddezza, la sua
arroganza, il suo egoismo, potesse essere così tenero,
così dolce.
Solo per lui.
L’altro chinò il capo in cerca delle sue labbra,
in cerca di rassicurazione. Si sfiorarono, si toccarono.
Era tutto così tranquillo.
Il sapore dolce del bacio.
Il giovane se ne separò, squadrandolo privo di ogni
espressione.
A volte sapeva diventare così freddo, così
insofferente.
Le mani di William gli strinsero le spalle con forza. Forse troppa. Gli
occhi stretti, la mascella serrata e quello sguardo colmo di
disperazione e sofferenza.
Uno sguardo che gli occhi del biondo non avevano mai visto sul suo
volto, lo sapeva.
Ma in quell’istante non se ne vergognò. Non gli
importava.
- Che cosa ne
sarà di me?
Anche se cercava di trattenersi la voce gli usciva roca e sforzata.
- Tu te ne andrai, e
io!? Come farò?!
Lo scrollava scosso dall’ira.
Le frasi rabbiose e straziate.
Lasciò che le dita allentassero la presa, scivolando lungo
il braccio di lui e cadendo penzoloni sui propri fianchi.
- Io ho bisogno di te.
La frase sommessa, quasi sussurrata.
Il viso basso.
L’espressione del biondo mutò. Si
trasformò divenendo infinitamente dolce e malinconica. Tese
una mano sfiorando un punto vicino alle labbra.
- Era per questo che non
volevo lo sapessi.
Ora soffri. Io soffro e
mi sento morire anche per te. Soprattutto per te.
Io non ho paura di
soffrire Will, perché nonostante tutto questo, sono felice
ora. Sono felice come mai prima. Ma se a soffrire sei tu allora non
posso far altro che sentirmi morire.
Gli carezzò la guancia avvicinandosi appena.
- So che soffrirai e che
starai male. E’ questo che mi fa temere la morte Will.
Nient’altro.
Dovrai essere forte. Me
lo devi promettere.
Si aggrappò al suo corpo.
Il moro sussultò.
Nonostante ciò che gli aveva appena detto, nonostante la
forza e la freddezza che dimostrava in quel momento, Alex
tremava. Tremavano le sue mani, le sue gambe, il suo corpo tutto.
Quel ragazzo aveva paura. Aveva una paura immensa.
E nonostante tutto era lì che cercava di confortarlo e di
consolarlo.
Lui era lì a farsi rassicurare da un ragazzino poco
più che adolescente consapevole di dover morire di
lì a poco.
Si sentiva un idiota. Un bambino capriccioso e sciocco.
Quella creatura aveva afferrato la propria vita, tutto ciò
che per lui era importante, e la stava trascinando in salvo. La stava
allontanando dai pericoli e dalla pioggia scura che si abbatteva su di
lui.
Alex stava cercando di metterlo a riparo.
Cercava di salvare l’unica cosa che ancora gli premeva.
Lui, se stesso, William.
Alex pensava sempre, incessantemente a lui. Non alla morte. Non a
quello che gli sarebbe accaduto.
A lui.
Lo strinse con forza a se, contro il proprio petto, sulla propria
pelle. Lo avvolse protettivamente con le braccia.
- Ti vivrò
fino all’ultimo Alex.
Il ragazzo si strinse affondando la testa nella stoffa.
- Non mi importa di
nient’altro adesso Will.
Presto si sarebbero dovuti dividere. Dovevano prepararsi per la guerra.
Il giovane si distanziò carezzando una guancia
dell’altro. Sapevano entrambi che dovevano separasi.
Si voltò dirigendosi verso la porta d’entrata.
William lo osservò fermarsi per qualche istante , voltarsi e
guardarlo.
Gli sorrideva dolcemente.
Frugava nel cassetto, spostava, cercava, ma non riusciva a trovarla.
Eppure era sicuro di averla infilata li in mezzo, da qualche parte.
Come poteva essere stato così sbadato da dimenticare?
Il piccolo rettangolino metallico si scontrò contro i suoi
polpastrelli proprio mentre ritraeva la mano. Lo afferrò con
aria vittoriosa e si mise a sedere sul pavimento.
Il gatto gli balzò su una coscia e tentò di
scavalcarla, muovendo la zampina verso il pavimento, senza
però scendere. William lo aiutò con la mano e se
lo mise in grembo, mentre poggiato con la schiena contro il bordo del
letto si rigirava il pezzo metallico fra le dita.
Sfiorò allora il cerchietto verde ed uno piccolo schermo
olografico apparve davanti ai propri occhi.
“Cosa stai facendo?” Il visino chiaro del ragazzo
gli sorrise. Era sdraiato sul letto. “sto riprendendo, voglio
far vedere a tutti la tua bella faccia” “Will, hai
bevuto, metti giù quella cosa” rideva ancora, ma
più giocosamente. “no, voglio vederti, voglio che
mi dici, che me lo dici anche qui” L’inquadratura
si mosse avvicinandosi ancora di più a quel viso dolce che
continuava a sorridergli. “Will, che cosa? Ti avevo detto che
non volevo facessi quella scommessa! Adesso fai fatica a reggerti in
piedi” “Dimmelo, sono vicino” Il biondo
strizzò gli occhi. “Ti amo Will” Il
quadro si mosse di nuovo fra le risatine del ragazzo ed i versi strani
di lui che riprendeva, andando ad inquadrare la parete, poi si spense.
Sorrise fra se. Sapeva cosa era successo dopo, era una delle poche cose
che ricordava di quella serata. Avevano fatto l’amore.
Aveva perso una scommessa con Eric e si era ubriacato. Il giovane aveva
dovuto riportarlo in stanza sotto braccio. Poi si erano sdraiati e lui
aveva preso la videocamera ed aveva preso a filmare Alex mentre era
sdraiato sul suo letto.
Come era meraviglioso.
Qualcosa era cambiato da quella mattina. Sentiva una strana sensazione.
Come se una lieve, fioca luce avesse aperto uno spiraglio nella propria
mente. Aveva incominciato a pensare a un'idea che gli ronzava
fastidiosamente nella testa, un'idea che vrebbe potuto fare la
differenza per tutto ciò che sarebbe venuto.
Ma non sapeva ancora bene come fare, ne se si sarbbe potuto fare.
Ad Alex non l'aveva ancora detto.
Carezzò la testa del micio.
Il movimento fuori si sentiva già da tempo. Gli aerei erano
partiti.
Poggiò il rettangolo sul letto e si preparò,
vestendosi con la tuta che gli avevano intessuto apposta. Anche quella
avrebbe facilitato la diffusione delle loro onde cerebrali, o almeno
era quello che gli avevano detto.
Mentre si infilava il metallo in una piccola tasca interna fu sorpreso
dall’improvviso scalpiccio nel corridoio. Una voce che
riconobbe immediatamente lo fece sobbalzare. Corse verso la porta
aprendola e facendone capolino.
- No, io vado di qua,
non abbiamo tempo da perdere!
Il moro riconobbe Peter, ma non ebbe tempo di assumere un atteggiamento
abbastanza ostile.
- Ehi, che diavolo
succede?
L’altro si voltò nella corsa e fu costretto a
fermarsi.
-Giusto te cercavo!
Dov’è?!
William si sporse ringhiando.
- Ma di che diamine stai
parlando?!
L’altro gridò ancor più forte
sovrastando il rombo dei bombardamenti che ormai erano incominciati.
-
Dov’è Alexander!?
P.S.
Un nuovo capitolo e uno degli ultimi. Scusate per l'attesa, ma pare che
io abbia avuto il cosiddetto blocco dello scrittore...(esiste..?)
vabbè. Spero che il prossimo venga fuori decisamente
prima...^^°
In ogni caso, se
ci sarà una prossima storia, sarà decisamente
più leggera e disimpegnata! Magari divertente se ci
riesco...Bhè, alla prossima =)
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Capitolo 22 *** Chapter 22 - Fine ***
Capitolo
22
-Aleeex!!! Alex dove
diavolo sei?!
Correva incespicando per la fretta sui propri passi. Era già
stato ovunque, in tutti i posti che conosceva ma non l’aveva
trovato. Aveva provato persino a richiamarlo con la forza mentale, ma
non aveva funzionato.
Il panico saliva mentre il turbinare della battaglia,
l’ultima grande battaglia, era ormai sulle loro teste.
Avrebbero già dovuto essere sul ponte, nella loro
postazione.
Ma senza Alex non poteva andare, sarebbe stato inutile.
Non sapeva dove si trovava e questo lo faceva impazzire.
Mille pensieri gli annebbiavano la ragione. Poteva essere svenuto o
essersi sentito male da qualche parte, mentre era solo, oppure era
ferito, o aveva paura o… non capiva più niente.
Si fermò; qualcosa gli attraversò la mente.
-Alex?!
Era strano, era un segnale come quelli che usava lui, uno di quelli per
chiamarlo, ma era diverso. Avvertiva qualcosa di strano, di pesante,
come se fosse respinto.
Che stesse succedendo qualcosa al biondo?
- Sei tu?!
Gridava da solo nel corridoio ormai vuoto.
Un boato e poi uno schiocco assordante. D’improvviso una
forte corrente d’aria lo investì e lo
scaraventò contro la parete. Qualcosa doveva essere esploso
poco distante.
Si rimise in piedi stringendo i denti per la botta. Doveva trovarlo.
Quello che aveva avvertito poco prima era sparito.
Riprese a correre, ma era come brancolare nel buio. Poi la debole pista
tornò.
Prese a seguire il segnale, sempre più velocemente, sempre
più goffamente.
Intanto i boati dei bombardamenti incalzavano sempre più
stordenti, sempre più vicini.
Uscì sul ponte. Una sferzata di aria lo colpì in
viso. Avvertì l’odore forte della cenere e del
fumo.
Si voltò.
L’hangar era stato distrutto. Pezzi di lamiere rosse
incandescenti, una nube nera che si alzava inquietante nel cielo.
La cenere pioveva dall’alto come pure i piccoli frammenti
dell’esplosione.
Rimase a bocca aperta, ma distolse rapidamente lo sguardo.
Una figurina esile e bianca, stretta nella tuta aderente e sagomata era
in piedi poco lontano da lui e gli dava le spalle. I suoi capelli oro
brillavano della luce rossastra del fuoco che ancora danzava lontano,
fra i resti dell’hangar, quasi fossero accesi
anch’essi.
- Alex!
Lo chiamò a gran voce, ma non mosse un passo. Era come
inchiodato a terra.
Non fece in tempo a sentirsi sollevato. Il giovane si era voltato,
sussultando a quel richiamo. Aveva il viso triste, addolorato.
-Will…mi
dispiace.
Allora si mosse. Gli si avvicinò e lo strinse forte alle
braccia, scuotendolo.
- Ma sei impazzito? Che
ci fai qui!? Dobbiamo andare sul ponte, dobbiamo andare con gli
altr…
-Non posso venire! Non
posso allacciare il legame fra me e te!
Il moro lo lasciò disorientato. Poi lo guardò
fisso negli occhi, cercando in quello sguardo qualche risposta che
sapeva di dover trovare in fretta.
- Hai paura?…
Gli prese il viso con le mani.
- Hai paura di quello
che succederà…?
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui, gli occhi gli
brillarono accesi di una strana luce.
- No! Io…Will
non posso!
L’uomo lo squadrò senza sapere più cosa
fare, cosa dire.
- Credo che…
credo che abbiano intercettato il mio segnale…
William avvertì il corpo dell’altro tremare.
- Cosa..io non capisco.
Cosa vuoi dire?
- Gli alieni…
se io allaccio il collegamento ci trovano e ci
ammazzano…oppure…peggio…
Il moro assimilò quelle parole come un pugno allo stomaco.
- …potrebbero
rivoltare il nostro potere contro i nostri e usarci come
armi…
L’altro scosse la testa, come per capire meglio.
- Ma ne sei sicuro?
Insomma…come fai a saperlo?
Il biondo lo squadrò affranto, afferrando con le mani i suoi
polsi.
- Credo… loro
mi hanno fatto venire sul ponte…mi hanno come…
richiamato. Era un segnale forte ma pesante da sopportare, come un
interferenza.
William si bloccò. Anche lui aveva avvertito quel segnale,
ma all’inizio gli pareva quello di Alex. Che gli alieni lo
avessero usato per richiamare anche lui…
Gli strinse il viso.
-Ora vedi di stare
buono. Aspettiamo un attimo.
- Non possiamo! Non
c’è tempo…e io non so come dobbiamo
fare!
- Ehi…ehi. Va
tutto bene. Ascolta, ci sono io adesso.
Lo strinse fra le braccia e l’altro gli si
aggrappò come se fosse aria per i suoi polmoni.
Il fragore della battaglia si era riavvicinato e la terra tremava a
volte sotto i loro piedi.
William cercava di fare ordine nella sua testa.
Se quello che diceva Alex era vero allora connettersi era
più che un rischio, ma del resto se non si fossero connessi,
le possibilità di vittoria erano nulle. Era come spegnere la
centralina di un impianto elettrico.
Gli altri Ev non erano neanche paragonabili ai poteri delle onde
psichiche che il biondo possedeva.
Ma se Alexander non avesse utilizzato la sua forza per
l’impulso, allora…
Quel pensiero egoista si impadronì di lui. Non sarebbe
morto, sarebbero stati insieme per sempre, avrebbero vissuto nella
stessa casa, nello stesso letto.
Si distanziò dal ragazzo per guardarlo negli occhi, con lo
sguardo pervaso da un bagliore inconsueto.
Ma quegli occhi, gli occhi chiari del giovane, così tristi e
in attesa, lo dissuasero.
No…se l’impulso non venisse attuato, allora quella
battaglia avrebbe decretato la fine della specie umana. Non ci sarebbe
stato un futuro dove vivere. Non ci sarebbe stata nessuna casa, nessun
cielo da guardare insieme.
In ambi i casi sarebbe finita.
- Che facciamo
Will…?
Era la prima volta che Alex si affidava totalmente a lui. Era la prima
volta che non sapeva veramente cosa fare.
La sua voce insicura e fioca gli reclamava l’attenzione.
Lo squadrò ancora e poi gli afferrò la mano.
- Torniamo in
laboratorio. Lì sapranno dirci qualcosa.
Continuava a fissarlo da minuti ormai, senza dir nulla.
William era nervoso, come del resto gli altri scienziati, ognuno
assorto nei propri pensieri.
- E’ un guaio.
A quanto pare ci hanno battuto sul tempo.
Chissà da quanto ci controllano.
Alex deglutì preoccupato a quella sentenza.
Il dottore si mosse dalla posizione immobile che aveva assunto e si
poggiò ad una sedia con aria stanca.
- Non credevo fosse
possibile per loro intercettare e interferire con le vostre onde
cerebrali.
Poi ritornò silenzioso e pensoso, con le rughe profonde che
gli solcavano la fronte. Anche il generale era lì. Era
accorso non appena la notizia lo ebbe raggiunto.
Guardava il figlio con austera severità, mentre non aveva
degnato William neanche di uno sguardo, come se non
esistesse. Sembrava una statua di pietra. Un grosso, vecchio,
rugoso sasso.
- Possibile che non ci
sia una soluzione? Non possiamo starcene qui con le mani i mano!
Migliaia di uomini sono lì fuori a morire!!!
Il moro era sbottato senza ritegno, scuotendo tutti nella camerata. I
boati dei bombardamenti si facevano sentire anche da li sotto.
- Io non ho intenzione
di starmene qui con le mani in mano!
A quel punto Alex si alzò, catturando gli sguardi dei
presenti. La voce dell’altro gli aveva dato forza.
- Credo di avere la
soluzione.
Il padre lo squadrò incuriosito e timoroso al tempo stesso,
mentre il compagno gli lanciò un’occhiata di
ammonimento.
Pendevano dalle sue labbra.
- In queste ultime ore,
in questi giorni, credo di aver fatto una scoperta.
Quando io e William ci
eravamo perduti l’uno nell’essere
dell’altro ho avvertito una sensazione strana, diversa.
William ha una dote che ha sviluppato come autodifesa e quindi come mia
difesa. Un dono che io non possiedo.
Nelle coppie di Ev, e
ora ne sono certo, il più predisposto sviluppa un potere
alternativo, dedito non solo all’auto-conservazione, ma anche
alla preservazione del gemello.
William ha delle premonizioni, delle visioni su ciò che mi
avverrà. Le ho viste, ho visto alcune cose…
A quelle parole il moro si avventò su di lui.
- No! Cosa hai visto?
Dimmi che hai visto?
Perché non mi
hai detto niente?!
Gli aveva afferrato le spalle e lo scrollava. Non voleva assolutamente
che vedesse quelle cose orribili. Non poteva.
- Will…
Lo fissò ancora per qualche istante. Poi la presa
allentò appena. Intorno si era creato un lieve imbarazzo,
mentre il Generale si era avvicinato ai due infastidito. Con un rapido
gesto della mano allontanò l’uomo dal figlio.
- Raffredda i bollori.
Un simile atteggiamento nei confronti di un tuo sup…
- Generale…vi
prego.
Il biondo guardava il superiore con occhi severi e distanti.
- Alex, che stai
cercando di dire?
Will lo guardava implorante e confuso.
- Credo…tu
abbia forza superiore alla mia.
Il moro continuava a fissarlo, come tutti.
- Non abbiamo ancora
perso questa battaglia.
In tutto questo tempo,
da quando sono stato accolto nella famiglia del Generale, non ho fatto
altro che essere studiato , sottoponendomi a esperimenti che sapevo
avrebbero spossato il mio corpo e abbreviato la mia esistenza.
Fece un respiro, rialzando lo sguardo sul suo pubblico.
- Se io faccio da ponte,
se sostengo il collegamento, Will potrà rapidamente attuare
l’impulso.
Credo che
sarò in grado di respingere l’intrusione per un
breve ma fondamentale periodo.
- NO!
E’ troppo peso
da sopportare! Tu non…!
- WILL! Sappiamo tutti
che non sopravvivrò comunque!
Il silenzio schioccò all’improvviso, come uno
squarcio.
Nessuno disse nulla.
Erano tutti d’accordo al sacrificio del suo Amore.
Lo erano sempre stati.
Il vento danzava in mulinelli selvaggi nel paesaggio desolato che si
estendeva di fronte a loro.
Gli echi della battaglia li sfioravano appena mentre si tenevano per
mano nel fioco legame.
Tutto stava per finire.
Il giorno dell’Apocalisse…la nascita di un nuovo
mondo…
La mano di Alex era fredda nella sua.
Le parole erano morte tra loro. Non servivano più.
Erano una cosa sola.
Avvertirono una scossetta leggera. Le coppie iniziavano a connettersi.
Nessuno sarebbe venuto a fermare quella pazzia.
Nessun angelo sarebbe sceso a salvare il giovane Isacco
sull’altare.
La fine…come poteva essere finito il loro infinito Amore?
Era una contraddizione.
Forse tutti si sbagliavano. Avevano interpretato male le righe di
quella commedia scritta in una lingua che presumevano di conoscere.
Nessuno era stato in grado di interpretare il giusto.
William sapeva che Alex l’aveva letto. L’aveva
letta quella soluzione ma non l’avrebbe mai dichiarato,
perche la menzogna, l’errore superficiale, era il bene per
lui.
Era l’errore che avrebbe salvato William, il suo amore.
La morte di uno per la sopravvivenza di un mondo.
Ma il mondo di Alexander non era la Terra. Il mondo di Alexander era
William.
Il moro leggeva impassibile quelle righe di cuore, le leggeva e le
lasciava lentamente combaciare con le proprie.
E l’angelo
scese a fermare Abramo.
La traduzione giusta era un’altra, ora la leggeva anche lui.
Alex sarebbe sopravvissuto. La forza di William sarebbe stata
sufficiente per entrambi. Non importava se l’altro non
voleva: lui l’avrebbe fatto. Sapeva ora come fare, sapeva ora
la soluzione giusta.
Il giovane era in trance. Ormai le coppie Ev superstiti erano connesse
tutte. Era il momento.
Il biondo aprì allora il collegamento.
William avvertiva i cambiamenti rapidi del corpo dell’altro
come se fosse il proprio.
La temperatura scendeva drasticamente, il cuore accelerava, il respiro
annaspava. Lo sforzo era doppio, doveva respingere
l’intrusione.
Allora il moro sapeva cosa fare. Sentiva una forza sconosciuta
invaderlo, la forza sopita dentro di lui tutti quegli anni, quella
superiore a Alex. L’Amore forse…
Era anche lui in trance, ma stavolta sarebbe stato differente.
Quella forza era diversa, era nuova. Era l’arma perfetta per
salvare il suo mondo. Ed aveva scoperto la soluzione.
Il suo corpo rispondeva agli stimoli nonostante la catatonia.
Alzò un braccio, poi l’altro; aprì gli
occhi e si voltò verso Alex.
Il legame c’era ancora lo sapeva., ma riusciva a
muoversi anche con la carne.
Il corpo del biondo ebbe un fremito. Sentiva che qualcosa non andava,
ma non poteva interrompere la connessione o sarebbe stato troppo tardi.
Perché William non agiva…?
L’uomo sollevò le mani sul capo del suo splendido
amore, ormai pallido da parere trasparente.
La sua voce nella sua testa: Che
sta succedendo Will? Perché non mandi l’impulso
ora?
Un breve istante.
Afferrò l’anello amplificatore sui suoi capelli
d’oro e lo sfilò.
Il rumore ovattato del metallo che sbatteva sul suolo freddo.
Si avvicinò al suo Amore e gli sfiorò le labbra
con un candido bacio, stringendolo a se.
Il segnale di Alex si indebolì drasticamente. Il suo corpo
sussultò scosso da una convulsione forte.
Il giovane vedeva William etereo nella sua mente, vivido e lucente come
mai.
Gli sorrideva.
Ora c’era anche il suo corpo. Si vedeva di fronte
all’altro nel nulla più totale. Nel bianco del
vuoto.
-Will…che
succede ora?
Era confuso.
- Sono il tuo essere,
come quella volta.
Qui loro non possono
entrare. Il tuo segnale ora è il mio.
Sei nella mia testa.
Alex tacque. Era come se l’altro lo stesse avvolgendo con le
suo calde braccia.
-
Alex…nessuno lo sa. Tu l’hai letto ed io in te.
Non avere paura. La mia
vita è la tua. Lo è sempre stata.
Il tuo sacrificio non
è necessario. Io posso salvare il Mondo. Posso salvare te e
me.
E’
l’Amore l’arma perfetta.
Il biondo lo guardava con gli occhi vividi fissi nei suoi.
Capiva. Sentiva che la paura svaniva.
- Noi siamo
l’Amore Will.
Io sono te e tu sei me;
siamo un’unica cosa. Ecco perché siamo
più forti.
Pensavo che avresti
rischiato e invece sento di essere al sicuro. Perché?
Il moro sorrise di nuovo. Erano più vicini ora. Lo
sfiorava, si toccavano, si stringevano. Riusciva a sentirlo come se non
fossero stretti solo nella mente ma anche nel corpo. Si
abbandonò fra le sue braccia.
- Io lancerò
l’impulso e ti sorreggerò, sorreggerò
il tuo segnale, perché ora sono te.
L’Amore ha
raddoppiato la mia forza, che in tutti questi anni non è
stata sfruttata come la tua e ha potuto svilupparsi.
E’ semplice ma
nessuno poteva capirlo. Nessuno può comprendere dove
è arrivato il nostro Amore. Perché noi siamo
sempre stati un’unica cosa.
Alex avvertiva il proprio corpo ora. Lo sentiva, stretto al suo Mondo.
Il bianco si incominciò a stringere attorno a loro, segno
che l’impulso stava per essere lanciato, e brillava, li
accecava. Ma Alex era al sicuro nell’abbraccio del suo amore.
E chiuse gli occhi anche nella mente mentre scomparivano nel nulla
brillante.
Epilogo.
-Generale!
La recluta si avvicinò trafelata al superiore.
Il Generale Rose prese l’anello metallico che aveva fra le
mani.
Squadrò quell’oggetto ormai inutile per qualche
secondo ancora. Ne sfiorò la piccola incisione.
‘W. H.’
- Non è lo
stesso che abbiamo ritrovato sulla loro postazione, signore?
Lo affidò al suo sottoposto.
- E’
l’amplificatore di Hartnett. Puoi portarlo indietro.
Con un gesto della mano ordinò al resto di congedarsi.
Rimase solo, in piedi davanti al portone scardinato di ciò
che rimaneva della sala veicoli, con le braccia dietro la schiena.
Il sole era sorto in un’alba limpida e fresca.
L’alba della rinascita.
Guardava l’orizzonte, con lo sguardo perso e lontano.
Non c’era rabbia negli occhi come nel cuore. C’era
pace e malinconia.
Le carcasse dei velivoli dell’esercito si confondevano con
quelle dei nemici in un unico sterminato suolo ferroso.
Ne vincitori ne vinti. Ma la guerra era finita.
L’impulso aveva disattivato le macchine neoterrestri e il
fuoco dell’esercito era stato fermato.
Ora ciò che era rimasto era la distruzione.
Un mondo da ricostruire.
Un’alleanza da risaldare.
Alzò appena lo sguardo sopra le nuvole candide.
Quei due erano lontani ormai.
Sentiva l’aria fresca che gli sferzava addosso ed il rombo
della moto.
Gli alberi scorrevano veloci e la terra spariva dietro di se. Le
montagne cambiavano rapidamente.
Il sole sorgeva lento dietro la vallata e gli illuminava di tanto in
tanto il viso, facendo capolino.
Da quante ore era su quella moto? Non se lo ricordava.
Avrebbe continuato a camminare fino a quando non sarebbe finito il
carburante, poi qualcosa avrebbe pensato.
Di tempo ne aveva un’intera vita.
-
Svegliati…ehi, è l’alba.
Aveva dovuto parlare forte o la sua voce si sarebbe persa fra il vento
e il rumore del motore.
Le braccia si strinsero più forti alla sua vita. Il tepore e
il peso del suo corpo sulla propria schiena si affievolirono.
Alex si mosse dietro di lui.
- E’
già giorno…?
Aveva la voce impastata e gli occhi ancora socchiusi, con la guancia
contro di lui. Si sfrego il viso contro la propria spalla,
sulla giacca che William gli aveva fatto mettere prima di caricarlo
sulla moto.
Non voleva prendesse freddo, aveva detto.
Alzò lo sguardo e si sporse per vedere il profilo
dell’altro.
-Come è bello
il sole…come sei bello Amore.
Si riappoggiò di nuovo alla schiena di William dopo avergli
schioccato un leggero bacio sulla guancia.
L’uomo sorrise, concentrato sulla strada, mentre i raggi gli
colpivano il viso.
Il biondo guardava l’orizzonte da dietro le sue spalle, col
mento poggiato a lui, stretto alla sua vita.
Presto avrebbero raggiunto i primi paesini, ma il loro viaggio era
appena cominciato.
Sorrise stringendo gli occhi e la presa sull’altro.
Andavano verso il sole, lontano da tutto e tutti, verso un piccolo
mondo da ricostruire insieme.
*Fine*
P.S.
Scusate se ho fatto
aspettare così tanto tutti. Sembra strano ma è
finita.
Beh,
cioè, Will e Alex vivranno ancora, dovranno ricostruire
dalle macerie, sicuramente soffriranno un po, ma vivranno felici e
insieme. Credo che sia stata la scelta migliore. C'era troppo affetto
per loro...non riuscivo a scrivere un fnale drammatico. Si meritano un
po di felicità =)
Ci ho messo
parecchio per scrivere l'ultimo capitolo, ma fra gli impegni e l'idea
che non veniva è stato il tempo necessario credo. Spero
piaccia a tutti.
Vorrei ringraziere ancora tutti quelli che hanno commentato e che hanno
anche solo letto la mia storia.
Vi ringrazio di cuore!
Spero di vedervi presto nella mia nuova fic, già in
cantiere, che sarà un po più assurda e ironica
credo =)
Magari
il lieto fine è un idea un po scontata, ma del resto almeno
nelle fanfic, nei film, nei libri e nei sogni può ancora
essere tutto come una bella fiaba.
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