The Perfect Weapon

di _HalWill_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***
Capitolo 11: *** Chapter 11 ***
Capitolo 12: *** Chapter 12 ***
Capitolo 13: *** Chapter 13 ***
Capitolo 14: *** Chapter 14 ***
Capitolo 15: *** Chapter 15 ***
Capitolo 16: *** Chapter 16 ***
Capitolo 17: *** Chapter 17 ***
Capitolo 18: *** Chapter 18 ***
Capitolo 19: *** Chapter 19 ***
Capitolo 20: *** Chapter 20 ***
Capitolo 21: *** Chapter 21 ***
Capitolo 22: *** Chapter 22 - Fine ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


The Perfect Weapon

Chapter 1


Buio. Tentò di rilassare la mente. Ancora buio. Eppure pensava, vedeva immagini in quel buio. Riaprì gli occhi. Sprofondò la schiena nella poltrona in pelle ed afferrò una sigaretta dal pacchetto poggiato sul minuto tavolinetto alla sua destra, vicino al telefono dell‘albergo. Setacciò il taschino della vestaglia in cerca dell’accendino e, una volta recuperato, si accese il bastoncino, gia stretto tra le labbra sensualmente socchiuse.
Lo ripose sul legno del mobile. Finalmente ispirò lasciando salire leggere strisce di fumo grigiastro. Si passò una mano tra i capelli, scostando la lunga ciocca nera che gli aveva bruscamente interrotto la visuale.
Dietro, la tenda, lasciava trasparire la luce del sole, tiepida e accogliente, che formava opache chiazze sul parquet invece scuro. Le lenzuola si mossero pigramente, scoprendo una folta capigliatura castano scura. I capelli ricci si scostarono ricadendo sul cuscino e mettendo a nudo il viso levigato e assonnato che ora lo guardava svogliatamente.
- Sei sveglio….!? Ti sei già fatto la doccia?
L’uomo non rispose, si limitò a fissarla con sguardo maliziosamente divertito, la mano poggiata al viso, mentre teneva la sigaretta fra le dita, come sovrappensiero.  La donna si mise a sedere indispettita dal non ricevere risposta ne buongiorno, puntellando le braccia sulle lenzuola candide che scivolarono sulla pelle lasciandola sgraziatamente nuda.
- ehi! Sto parlando con te Will!!! Ti sei rincoglionito?!
Volgare, ecco cosa non ricordava. Jane era tremendamente volgare. Dai tempi delle superiori non era cambiata poi tanto. Esattamente come allora, solo più truccata, rifatta e con una capigliatura diversa. Se non l’avesse incontrata la sera prima al Bistrot, non l’avrebbe mai invitata a passare la notte assieme. Era solo perché quella sera gli serviva qualcuna, tutto qui. Non era stato niente male, ma neanche niente di speciale. Nulla, come al solito. E poi si era appena ricordato di tutte le volte che avrebbe voluto infilarle un calzino in bocca, sicuramente più numerose di quelle nelle quali avrebbe voluto parlarci.
Si mosse dalla sua posizione letargica, ritornando alla figura della donna nuda sul letto che lo guardava con un’espressione ebete sul viso.
-Credo che sia ora che tu te ne vada… tuo marito non torna fra tre ore da Vienna?
Si alzò senza scomporsi, lasciando la poltrona. Percorse pochi passi attorno al letto per poi spegnere la sigaretta nel posacenere di cristallo. Si sfilò la vestaglia e la abbandonò sul materasso, di fronte alla riccia che lo osservava con espressione stupita.  Sparì dietro la porta del bagno. Mentre girava la maniglia color oro della doccia, e avvertiva le prime gocce dell’acqua sulla pelle, il rumore dei passi pesanti e sconnessi della donna che blaterava qualcosa che molto probabilmente lo riguardava.
Solo l’acqua calda che lo avvolgeva in vapore e tepore. L’acqua che lava via lo sporco, l’odore. L’acqua che lava via i pensieri di un’altra notte trascorsa.

Un’immensa distesa d’acqua con riflessi di ogni tipo, che tendevano in striature rosso fuoco come lingue di serpente, oppure tenui e rosee come petali sulla superficie screziata. Gli occhi, del colore dell’acqua marina, erano mutati, come la stessa volta celeste che ora si diluiva nella discesa del sole. Quel cielo incendiato, ingresso degli inferi, pareva richiamarlo, attirandolo verso il vetro oltre il proprio riflesso.  Eppure quel suo viso impassibile e limpido appariva, a dire degli altri, a dir poco angelico. Qualcuno aprì la porta alle sue spalle facendolo sussultare appena.
Si voltò scuotendo la bella nuca aurea in uno di quei movimenti unici che lo caratterizzavano. Gli occhi tornarono dello stesso luminoso colore di sempre e si puntarono sulla figura che era appena entrata.
-…generale…
Il giovane fece per chinarsi, ma l’uomo più anziano lo ammonì con un gesto della mano, dirigendosi verso la scrivania.
Il biondo si avvicinò di qualche passo.
- Mi avete fatto chiamare…è accaduto qualcosa di grave?
L’altro si sedette, osservandolo distrattamente. Il volto scavato da rughe profonde e austere, il capo cosparso di folte ciocche brizzolate che lasciavano intravedere a fatica la nuca. Le mani, aspre e grandi si congiunsero sotto il mento del settantenne che aveva assunto un’aria grave, pensierosa.
-Alex…siediti…
Fece come detto. Gli occhi profondi del ragazzo si puntarono in quelli vacui e annacquati del superiore. I tratti duri parvero ammorbidirsi leggermente nell’osservare quella visione meravigliosa.
- Hai gli stessi splendidi occhi di Helena.
Alexander sorrise dolcemente.
-Papà…cosa vuoi dirmi?
Il vecchio corrispose poggiandogli il palmo sulla mano e stringendola.
-Nulla di grave. Non preoccuparti…
Si alzò dirigendosi alla finestra con le mani conserte dietro la schiena. L’altro lo seguì con lo sguardo.
-…è che … ci sono delle nuove notizie. La situazione si è rivelata più complessa di quel che credevamo tutti; ormai è una cosa che io non posso gestire. Per non parlare delle pressioni che mi stanno facendo quelli del laboratorio ricerche.
Il tono divenne più greve , quasi sofferto.
Il giovane raggiunse l’uomo che ora pareva invecchiato di anni, come se quelle parole piano piano gli corrodessero l’animo, gli accorciassero la vita. Si voltò di nuovo perso in quelle gocce lucenti fisse su di lui.
- Ti ho trasferito dove pare sia stato trovato qualcosa. Pochi giorni fa mi è arrivata una comunicazione straordinaria: ci sono buone probabilità, ma puoi accertartene solo tu. E poi lì ultimamente la situazione sta degenerando: i nemici sono aumentati, sembrano non finire mai; il migliore dei nostri comandanti è stato ucciso pochi giorni fa e, come se non bastasse, le truppe risultano indisciplinate e demotivate. Bisogna bloccare il nemico ora, in modo che non conquisti almeno quel fronte, che è il più potente che abbiamo finora: si è spinto troppo all’interno. Sono sicuro che sarai perfettamente in grado di gestire la situazione; sei molto più competente di molti tuoi superiori.
Tornò a fissare il paesaggio.
- John mi ha segnalato un uomo che potrebbe risolvere la tua situazione. Se è quello che stanno cercando devi agire il prima possibile. Seguirà direttamente i tuoi ordini ed i tuoi soltanto. Così sarò più sicuro…
Il biondo scrollò il capo, reclinandolo leggermente ed ammutolendo. Un silenzio intimo, ma che lasciava trasparire ogni parola taciuta. Poggiò delicatamente una mano sulla spalla dell’altro, ma non si mosse. Sapeva che la manifestazione aperta dei sentimenti altrui non era cosa gradita.
- Non vi deluderò…padre…
Detto ciò si voltò con aria dura e responsabile recandosi verso l’uscita. Prima di varcare la soglia si voltò per dare un ultimo sguardo a quell’ uomo anziano che solo scrutava l’infinito e l’incerto fuori dal vetro. Il sole era sparito dietro una nube. Il generale si era portato compostamente le dita al volto massaggiandosi tranquillamente gli occhi che, molto probabilmente, dovevano essere lucidi.
Il giovane sorrise amaramente. Ora doveva dimostrare che lui sarebbe stato in grado, perfettamente in grado.



P.S. E rieccoci! L'attesa non è stata proprio lunghissima. Diciamo che questa ovviamente è l'introduzione: il vero succo della storia verrà fuori molto più avanti. Se vi è piaciuta "Sussurri" allora credo che vi piacerà anche questa, anche se ha una trama un po più complessa ed artificiosa. Spero che riuscirete a capirla anche perchè magari alcune cose non risulteranno chiare a tutti ( io nella mia testa ce l'ho ben delineata, ma a volte dimentico che gli altri non hanno la ben che minima idea di quella che ho in mente...^^°). Comunque i personaggi come avrete ben notato non sono molto diversi da Dorian e Evander (mi piacevano troppo!); sapevo che non avrei potuto abbandonarli del tutto. Questa storia però, come avevo già anticipato è ambientata in un contesto decisamente diverso. E' tutta un'altra cosa e presto ve ne accorgerete.^^ Conto nella vostra attenzione. Baci buon seguito.          _HalWill_

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Chapter 2

-…possibile che tu non riesca a rispettare il dannato regolamento che vige qui come in ogni altro esercito? Hartnett, non tollero questa mancanza di rispetto, lo metto in chiaro! Voglio un comportamento disciplinato, da ogni uomo in questa maledetta fazione, tu compreso! Non puoi fare sempre di testa tua! Chi diamine credi di essere! Solo perché sei un buon soldato, ciò non ti da il diritto di fare quel che diamine ti pare! Sono stanco di ripetertelo: mettiti in riga e subito! Questa è l’ultima volta, Hartnett, l’ultima! Non ci saranno altri avvertimenti, e la pena del tuo disubbidire non sarà semplicemente la radiazione! Sei avvisato.
Si lasciava scivolare addosso quel fiume di parole con aria indifferente, seduto scompostamente sulla sedia, con un braccio poggiato sul poggiaschiena.  
L’uomo di fronte a lui era evidentemente sull’orlo della crisi di nervi, con le vene ben visibili sotto la pelle tesa del collo e sulla fronte ampia e stempiata. Si era alzato a metà della ramanzina ed aveva incominciato a sbattere i palmi sulla scrivania, con forza snaturata. Ed ora era lì a sbraitare per le solite sciocchezze. Non aveva mai ascoltato seriamente ciò che gli veniva detto dagli altri, soprattutto quello che gli veniva gridato contro. L’unica volta che si era girato contro il suo aggressore verbale era stata a causa di quattro parole gettate lì contro la donna che frequentava in quel periodo. Di quel che dicevano di lui non gliene era importato mai nulla.
Il superiore di fronte a lui era ormai violaceo e pareva che la pressione nel suo sangue fosse giunta al limite.
- …e piantala di far finta di non ascoltare! Questa tua sfrontatezza è insopportabile! Continuando con questa condotta, mi costringi a proibirti di prendere parte alle operazioni!
 Ad un tratto, come ridestato da quelle parole, puntò lo sguardo sulla figura che gli si era parata davanti, che si irrigidì immediatamente. Nel vedersi minacciato da quegli occhi tanto audaci.
William si alzò con aria stanca e annoiata, con una punta di irritazione nel viso. Si voltò dando le spalle all’altro che tentò di apostrofargli qualcosa senza successo.
-Non mi interessano le regole di questa combriccola. Non sopporto di dover prendere ordini, ma lo faccio, per quanto mi è possibile. Tuttavia devo avere il mio campo di controllo. Non ho intenzione di barattare la  mia autonomia per mettermi nelle mani di un manipolo di burattinai da strapazzo. Fino ad ora mi sembra di aver portato a compimento tutte le mie missioni ed i ruoli a me affidati… vi conviene tenermi caro. Sono il migliore dei vostri uomini e lo so io quanto voi. Mi pare sufficiente…
Stava per voltarsi intenzionato ad andarsene lasciando l’altro lì su due piedi, quando qualcosa l’interruppe. La porta si spalancò aprendosi su uno spilungone asciutto e spigoloso che avanzò rigidamente all’interno dello studio. Si pose sull’attenti lasciando la via aperta e permettendo agli altri due di vedere il nuovo ospite.
Un giovane avanzò in controluce con fare austero, ma delicatamente famigliare. Gli stivali scuri lasciavano udire appena il rumore dei tacchi bassi, mentre il frusciare del cappotto del tipico blu delle divise, lungo fin poco sopra le ginocchia, fece da sottofondo a quell’entrata silenziosa. Lo sguardo di William fu catturato dagli occhi più splendidi che avesse mai potuto vedere.  Gli occhi meravigliosi di un dio austero e silenzioso. Qualcosa lo scosse proiettandolo e facendolo penetrare, per quello che pareva meno di un attimo, nell’intimità di quella creatura. Quello sguardo sfuggì dalla sua presa senza che potesse fare nulla.
Il ragazzo posò i guanti di pelle bianca sulla scrivania e sfiorando con le dita il paino liscio. Salutò compostamente l’uomo in piedi dietro di essa che intanto aveva assunto un’espressione leggermente stupita e imbarazzata.
Poi l’altro si voltò nuovamente verso il soldato che lo stava ancora scrutando senza un briciolo di discrezione.
- Per farvi alterare in questo modo, deve essere accaduto qualcosa di veramente insostenibile, capitano. Tuttavia il vostro sottoposto non sembra per nulla intimidito…
William azzardò un sorriso beffardo. La creatura gli si rivolse con viso comprensivo, alquanto insolito e raro in un ambiente simile.
- Come vi chiamate…?
- E voi?
L’uomo, finora escluso dalla conversazione, sobbalzò d’indignazione, balzando in avanti e sbraitando con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
- Ma come ti permetti brutto screanzato! Non ti rendi conto di chi hai davanti?! Non permetterti nuovamente di mancar…
Il biondo lo interruppe alzando semplicemente una mano e lasciando che le sue parole calassero fino a sparire.
- Non serve. Il mio nome è Alexander Rose. Sono venuto qui per sostituire il vostro attuale comandante, che a quanto pare non ha saputo dimostrarsi adatto alla situazione. Spero di poter constatare che le voci che circolano su questa base  siano in parte fondate. Ora, potete gentilmente dirmi come vi chiamate?
L’altro sorrise furbescamente.
- Avevo dedotto che eravate uno degli alti ranghi. Ma devo ammettere che l’idea di avere un comandante come voi non mi è passata nemmeno per l’anticamera del cervello. Insomma, non avete proprio l’aspetto di un soldato, e tantomeno quello di un mio superiore…
La pazienza dell’uomo dietro la scrivania era giunta al limite ormai da tempo.
-…tuttavia, credo che dovrò farci il callo…
- Hartnett ora basta, è il colmo! Tu…
Il vecchio capitano fu nuovamente interrotto dalle parole calme e gentili del superiore.
- Spero che anche gli altri uomini la pensino come voi. Temo che non sarebbe affatto piacevole se non mi accettassero come loro superiore.
William si voltò, facendo un breve inchino con un che di ironico. I pochi passi che lo portarono alla porta si interruppero mentre girava la maniglia per andarsene. Si girò diretto al giovane.
- … William…mi chiamo William.
Si squadrarono per un istante, poi il soldato sparì dietro la porta, lasciando un attonito e paonazzo capitano ed un comandante dall‘aria pensosa.
Il silenzio fu rotto dal più anziano.
- Ehm… la prego di perdonare questo increscioso comportamento. E’ uno dei nostri uomini migliori, tuttavia… è molto, molto indisciplinato.
Il biondo fissava la porta con insistenza.
- No, non c’è alcun problema. Credo che la mia permanenza qui sarà alquanto produttiva.


P.S. Uff... il tempo non è molto purtroppo. Non riesco a scrivere come e quanto vorrei. Comunque siamo agli albori. L'introduzione  è stata fatta e lentamente la trama si srotola. Mi hanno fatto piacere i commenti, grazie mille ancora ^^.
Un consiglio: se riuscite ad averla, magari rileggendo i capitoli, mettete la canzone "the perfect weapon" dei Communique (che come si capisce è la colonna sonora della fic). E' la mia preferita, spero piaccia anche a voi. Continuate a leggere e recensire^^ Grazie a tutti.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


Chapter 3

Si sedette posando il vassoio sul tavolo di metallo. Un’energica pacca sulla spalla lo raggiunse, scuotendolo.
- Ehi, Will! Un’altra ramanzina, eh?!
- Piantala Eric.
Il biondo che lo aveva ammonito era gelido e privo di espressione., mentre inforchettava la carne nel proprio piatto con fare esausto. L’altro, sentendosi riprendere, assunse un atteggiamento civettuolo
- Oh, perdonami mia paladina degli oppressi! Eddai! Macchecavolo, non si può mai dire niente qua…
Batté il pugno sulla tavola. Il moro al suo fianco snobbò le moine canzonatorie dell’altro e prese una cucchiaiata di pure di patate, portandosela alla bocca, ma indugiando prima di mangiare.
- Già, come al solito. E’ proprio così: qui non si può dire, ne fare niente che sia diverso dalle solite stronzate. Ma non mi va neanche di perderci fiato; così rischio di diventare come il vecchio Mc Callagan. Mi sembra che i suoi monologhi sulla mia condotta diventino più lunghi di giorno in giorno.
Eric ingurgitò un boccone guardandolo sorpreso.
- Ti hanno beccato un’altra volta?
- Evidentemente non gli importava di non farsi beccare! Di solito se ne strafrega sempre delle regole.
Il biondo si era nuovamente intromesso, sempre con tono rassegnato e stanco.
- Sai come la penso. Le uniche regole che rispetto sono quelle che mi faccio da solo. E di solito servono ad aumentare il divertimento, Mikail.
Eric assunse un’espressione sognatrice.
- ohh… anche io vorrei fregarmene come fai tu, però a me mi beccano sempre! E poi la loro ramanzina è più minacciosa se rivolta a me…
- Perché sanno che sei un cretino, e che non sai rispondere a tono. Prendi sempre tutto per scherzo!
William sorrise nel vedere i due amici imbastire un’agguerrita discussione per uno, ed una noiosa tiritera per l’altro. Ad un tratto il vociferare dei soldati nella camerata calò di tono. Dalla porta della sala erano entrati tre uomini, fra i quali William riconobbe il novellino di poche ore prima. I capelli d’oro rifletterono sotto le luci fioche e diffuse della mensa, lasciando intravedere, anche se da lontano, la splendida acqua marina racchiusa in quelle iridi lucenti.
Un sorrisetto si fece spazio sul volto dell’uomo. I suoi compagni non lo notarono, ma intanto avevano posto fine alla loro conversazione e ne avevano incominciata un’altra, decisamente più tranquilla.
- Ehi, Will!
Si voltò tentando di richiamare la propria attenzione sui due.
- Stamattina Hendersen mi ha detto che quel rimbambito di Bennet è stato sostituito! Voi lo sapevate?!
Mikail sbuffò infastidito.
- Possibile che tu sia sempre l’ultimo a sapere le cose? Credo sia una causa persa.
Il moro lo squadrò interessato.
- Anche io ne so poco. Si tratta del nuovo comandante?
- Si. Ed è logico che tu non sappia le cose se te ne vai in giro a fare baldoria. Comunque in camerata ne parlano tutti. Pare che Bennet sia stato rimpiazzato da un bambinetto appena maggiorenne. Ho sentito Rodriguez che blaterava di un ragazzino ieri pomeriggio. Ha detto che lo ha incontrato nell’angar due giorni fa, di ritorno da un giro di ricognizione. Questo lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto informazioni sulle aree perlustrate. Dicono che sia strano, particolare.
- Io ho sentito che è davvero caruccio! Un biscottino, dalle dicerie…
William gli diede una pacca dietro il collo.
- Piantala finocchio.
Lo sguardo del moro tornò sul biondo dall’altra parte della sala. Si era seduto e parlava amichevolmente con un superiore. Pareva una conversazione fra compagni di scuola: il giovane era seduto compostamente e gesticolava appena con le mani, mentre sorrideva ad occhi stretti nella solita espressione dolce ed innocente; l’altro era in evidente imbarazzo, non abituato a quella famigliarità palese e a quell’innocenza infantile.
- A parte gli scherzi, guarda che ho sentito che è veramente molto, molto grazioso (e io non sono frocio!). Somiglia ad una bambolina di porcellana… o a un angioletto santo… insomma una di quei fregnetti che si appendono all’albero di natale con i fiocchetti e tutto il resto.
- Insomma…un bel giocattolino…
Gli altri due lo guardarono improvvisamente con aria preoccupata.
- Comunque… sento che oggi il nostro giro perlustrativo sarà più divertente del solito! Non vedo l’ora di batterti di nuovo Eric.
- E che diamine! A perché punti sempre me? Non dovremmo essere una squadra? Uffa…
- Sei troppo stupido per capire che ti sta sfottendo. Lascia perdere Eric, sei senza speranze…
William sorrise, alzandosi ed afferrando il proprio vassoio.
- Bhè, io vado… mi faccio un po’ di tiri; è da parecchio che non vado. Ho proprio bisogno di rinfrescarmi la memoria; se non venite, ci vediamo più tardi.
Gli altri due annuirono, continuando il loro pasto.  Il moro li salutò con un cenno della mano e svuotò gli avanzi del pranzo nel bidone, poggiando il vassoio sul bancone. Prima di uscire diede un ultimo sguardo al biondo sorridente dall’altra parte della sala, poi, sorridendo a sua volta, sparì dietro la porta.
Mentre si preparava caricando la propria arma, i pensieri tornarono a ciò che aveva detto Eric. L’immagine del biondino vestito da angioletto natalizio gli balzò alla mente. Sin dal primo momento che lo aveva visto, l’associazione con pizzi e merletti non gli era sembrata affatto fuori luogo. Quei ragazzini belli e puliti, nati fra lenzuola candide e camicie profumate, infiocchettati e riveriti fino alla nausea. Non li aveva mai sopportati, così altezzosi e perfettini, adatti a dar ordini senza neanche sapere come si faccia, come se gli venisse naturale.
Eppure lui gli pareva diverso. Aveva qualcosa di particolare, proprio come aveva detto Rodriguez. Con quel sorrisino gentile e premuroso come quello di una bambina con le sue bambole nuove. Caricò l‘arma, indossando i paraorecchi elettronici. Ora aveva solo voglia di sfogarsi, gettare tutta la propria tensione e la propria stanchezza contro quegli ologrammi inconsistenti. E magari dimostrare a se stesso che sapeva ancora maneggiare una pistola.

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


Chapter 4

Il rumore dei colpi gli raggiunse l’orecchio non appena la porta si aprì nella sala. Tre uomini stavano tirando contro gli ologrammi che gli si paravano di fronte e che scomparivano non appena i sensori avvertivano il colpo. Un altro stava scaricando la propria arma, liberando il posto. Si poggiò alla ringhiera, osservando dall’alto le figure concentrate e quasi immobili.
Vi era un uomo muscoloso e sudato, con i capelli scuri riccioluti, tagliati corti. La mascella pronunciata si riusciva a vedere bene anche se da distante. Poco più in la, un omuncolo basso che faceva fatica a mirare a causa della poca altezza. Il pizzetto chiaro era poco visibile, ma i capelli biondicci e unti erano evidenziati dai riflessi delle luci.Gli scappò un sorriso.  Il suo sguardo tuttavia si posò inevitabilmente su dei tratti conosciuti.
Un moro alto e dal fisico statuario stava ricaricando la pistola. Nonostante indossasse una maglia scura ed i pantaloni larghi della divisa, i lineamenti perfetti erano assolutamente evidenti. I bei capelli corvini rilucevano appena, ma il brillare di quegli occhi di zaffiro lo catturò immediatamente. Prese la mira e ricominciò a tirare. Colpi perfetti, stupefacenti. Fece centro ad ogni sparo.
Alzò un braccio facendo cenno di avvicinarsi al soldato dietro di lui, senza distogliere lo sguardo dall’oggetto di suo interesse.
- Quello è Hartnett vero?
L’interpellato si avvicinò. Seguendo lo sguardo del superiore rintracciò la figura.
- Si. William Hartnett. E’ uno dei nostri migliori uomini, nonostante la sua irriverenza.
L’altro si portò una mano al mento in atteggiamento pensoso.
- Da quel che ho sentito non è molto avvezzo alle regole. Tuttavia le sue abilità sono decantate da parecchi in questa ed in altre stazioni. Potete darmene conferma?
-Sulla sua eccellenza in ambito bellico non c’è che dire. Io stesso l’ho avuto come sottoposto tempo addietro. Ora pilota uno squadrone che è il migliore del campo. Non ci siamo potuti permettere di promuoverlo a livelli superiori… è troppo irrispettoso e indipendente. Fa ciò che vuole quando vuole, ed è raro che segua qualche ordine preciso.
- Capisco.
Pensò per qualche altro secondo. Poi strinse gli occhi.
- Potete dirmi qualcosa in più? Per quale motivo è stato ripreso dal capitano Mc Callagan?
- Credo sia rimasto fuori per la notte nonostante gli fosse stato vietato. E’ rinomato per essere un dongiovanni. Molto probabilmente era fuori con una donna o a far baldoria in qualche locale.
Il ragazzo sorrise.
- Bene… quando avrà terminato il suo addestramento mandatelo da me.
Detto ciò si voltò, sotto lo sguardo stupito dell’altro, uscendo dalla sala.
Giunto in stanza richiuse la porta alle proprie spalle e si sfilò il cappotto lungo. Lasciò i guanti sul piano e si avvicinò alla pila di libri poggiati sulla scrivania. Ne carezzò uno afferrandolo e sfogliandolo, dirigendosi verso la sedia. Si sedette ed iniziò a sfogliare le pagine ingiallite del romanzo, leggendone distrattamente qualche spezzone. Una cosa che lo rilassava in ogni situazione era la lettura. Amava leggere, ed amava quei vecchi scritti usati, ormai sempre più introvabili. Soprattutto romanzi classici, di letteratura antica, oppure rime d’amore. Spesso andava a rintracciare poeti sconosciuti o quasi. Gli piaceva sfogliare la carta ruvida e odorosa, toccare con mano la consistenza pesante di quei tomi antichi. Ora non ne facevano più su carta o comunque erano veramente rari.
Come accadeva spesso, non si accorse del tempo che passava. Il bussare alla porta lo distolse dalle rime erotiche di Michelangelo.
- Prego…?
L’entrata si schiuse lasciando intravedere il moro.
William entrò e la porta si richiuse alle proprie spalle. La stanza era piccola ed illuminata dalla luce che penetrava dalla finestra aperta. L’aria frizzantina del mare invadeva l’ambiente e smuoveva appena le ciocche dorate della creatura che, seduta dietro la scrivania, teneva tra le mani un libro aperto. Il giovane alzò lo sguardo puntando gli occhi acquei contro i suoi.
- Prego sedetevi; non  credevo ci metteste così poco, o forse sono io che non mi rendo conto del tempo che passa.
L’altro afferrò la sedia spostandola e sedendocisi senza tanti complimenti. Il biondo poggiò il libro sul piano, gettando un’occhiata all‘orologio elettronico. L’altro lo osservava attentamente senza alcun timore di essere scoperto, anzi, probabilmente era proprio quello l’intento. Percorse con lo sguardo ogni centimetro di quella pelle levigata e soda, di quel volto che si accorse essere incredibilmente perfetto. Le ciglia scure, nonostante  l’oro dei capelli, si inarcavano lunghe e splendide su quelle iridi marine. Il colore gli pareva quasi innaturale, per quanto rispecchiasse la tinta dei fondali marini, di quel verde tenue e azzurrino, contrastato dalla piccola pupilla scura. Scese i tratti lungo il naso piccolo e dritto, sulle labbra semisocchiuse di un colore vivo e morbido. Poi, al minimo movimento, tornò sulle gote, sugli occhi sottili e su di un piccolo puntino nero poco distante dalla palpebra inferiore.
- Quello è un neo… conoscevo una donna che lo aveva più o meno nello stesso punto…
Il ragazzo si sorprese lievemente da quell’intervento e, sentendosi osservato, chinò lievemente il capo.
L’uomo continuava a guardarlo imperterrito e, quando alzò nuovamente lo sguardo, si ritrovò i suoi occhi puntati nei propri. Un azzurro intenso, che avrebbe fatto impallidire anche il cielo più limpido. Si strinsero provocatoriamente in due fessure.
- … una prostituta…
Si fissarono per qualche istante. D’un tratto una folata di vento più forte delle altre fece sbattere l’alta della finestra che si era ormai spalancata. I due si voltarono interrotti da quel rumore improvviso. Alcuni fogli furono strattonati dal vento e scivolarono sul piano liscio fino a ritrovarsi nell’aria. Prontamente William li afferrò, bloccandone la discesa, mentre il ragazzo era balzato in avanti per evitare lo svolazzarne di altri. Si ritrovarono improvvisamente a pochi centimetri l’uno dall’altro. I volti vicini, i respiri quasi fusi in un unico alito. Il moro rimase immobile, fissando il biondo che invece si ritrasse compostamente.
- Credevo non si usassero più tanto spesso i fogli.
- Grazie. Avete dei buoni riflessi…ed una buona mira.
L’altro si riaccomodò sulla sedia porgendogli i fogli.
- Ah si?! Bene.
- Si, vi ho visto mentre vi allenavate nella sala di tiro.
Si era alzato e stava accostando i vetri della finestra. Poi si voltò guardandolo nuovamente.
- A dire il vero vi ho fatto chiamare per un motivo ben preciso.
Il soldato sorrise beffardamente.
- Già, immaginavo. E’ insolito che voi superiori chiamiate un semplice sottoposto solo per complimentarvi della sua buona mira o che altro.
- Non siate così cinico. A quanto pare dovrò andare subito al sodo. Bene: mi occorre un uomo. Un uomo che sia capace di offrirmi protezione e che possa affiancarmi durante le operazioni.
William sussultò. Non si aspettava quelle ultime parole.
- …operazioni? Credevo che voi ufficiali foste solamente burattini da scrivania…
Il giovane sorrise innocentemente, fingendo di non aver fatto caso alla frecciatina.
- Oh, bhé, credo che per certi superiori l’astensione dalla battaglia sia perdonabile. Dopotutto in gioventù hanno saputo svolgere i loro compiti egregiamente, data la posizione e la carica ottenuta. Per quanto sembri bislacco ai vostri occhi, questo teatrino d’ufficio, è fondamentale per la riuscita degli attacchi in quanto mira ad un’ottica che chi prende parte all’azione ogni giorno non può condividere pienamente. Un occhio esperto e levigato da anni di esperienza vale molto più di un’iride offuscata dal sangue e dalla polvere della battaglia. Comunque sia non starò qui a giustificare ogni singolo individuo ricoperto di onorificenze che a volte, ammetto possono risultare fallaci, ma vi garantisco che la maggior parte dei vostri superiori sono uomini brillanti ed incredibilmente preparati.
Per quanto riguarda me, non avendo l’esperienza e le conoscenze adeguate, mi trovo costretto a partecipare alle azioni direttamente, non che questo mi dia tedio. Anche se credo che tutti preferirebbero indubbiamente sedere ad una scrivania piuttosto che scendere nell’inferno che ogni conflitto comporta.
L’uomo lo osservò lanciandogli un altro sorriso.
- Belle parole, davvero…non sarei stato capace di metter insieme neanche una sola frase di tutto ciò che avete detto. Tuttavia ho capito ciò che volevo sentire e cioè che voi scenderete in campo.
Il biondo sorrise.
- Insomma, che cosa dovrei fare? Solamente proteggervi?
- Si, in sostanza si. Agirete insieme a me quando saremo in battaglia, a meno che io non vi dica di non farlo. In tal caso potrete guidare il vostro squadrone.
Lo sguardo del superiore si fece più intenso.
- …inoltre…prenderete ordini solo da me e da nessun altro.
Ci fu un momento di silenzio. Poi l’altro si alzò dalla sedia rimettendola al proprio posto e ponendosi di fronte all’altro. Il moro era più alto di almeno dieci centimetri.
- Bene. Da oggi in poi apparterrò solamente a voi…
Gli afferrò la mano portandosela alle labbra.
-…mia bella prostituta.
Il ragazzo non si mosse mentre scrutava l’altro che spariva dietro la porta.

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


Chapter 5

Gli pareva troppo semplice. In pochi minuti era riuscito a soggiogare il soldato più irriverente e sregolato dell’intera stazione, ponendolo sotto la sua unica giurisdizione. Quell’uomo dallo sguardo impenetrabile ed infinitamente enigmatico lo aveva osservato e scrutato per tutta la durata della conversazione. Si era sentito come se stesse valutando, riconoscendole, tutte le sue debolezze e le soppesasse tentando di ricavarne ogni possibile profitto.
Avrebbe dovuto sentirsi sollevato una volta trovata la protezione che gli mancava. Eppure non lo era. Anzi, in quel momento si era sentito più nudo ed indifeso di prima, come se, per salvarsi, avesse affidato la propria anima in mano al demonio. Alla fine di tutto probabilmente quel diavolo avrebbe richiesto il suo pagamento in un modo o nell’altro. Ma ormai era comunque tardi. I dadi erano tratti e Hartnett rispondeva ai suoi ordini soltanto. Per ora non avrebbe dovuto temere. Qualsiasi cosa gli si sarebbe parata di fronte, in qualche modo l’avrebbe risolta. Infondo non era così sprovveduto come poteva apparire.
Intanto l’altro era giunto all’hangar e si stava preparando per il volo. I due amici lo raggiunsero già pronti per la partenza.
- Ehi! Dove diavolo eri finito? Sei rimasto a tirare fino ad ora?!
- Bha…lascia perdere. Muoviamoci…
Li guardò entrambi infilandosi il casco.
- A quanto pare questo sarà il nostro ultimo volo assieme.
Senza aspettare risposta si diresse vero il proprio velivolo.
I due lo osservarono stupiti e confusi, ma si affrettarono a prendere posto negli aerei.
Mentre sistemava i comandi ed apriva i contatti radio, udì la voce di Mikail provenire dall’apparecchio metallico, direttamente nelle proprie orecchie.
- Come mai? Non verrai mica trasferito…? Stavolta Mc Callagan deve proprio aver perso le staffe.
- Mc Callagan non c’entra nulla. E poi figurati se quel vecchio mi trasferisce… sono il migliore qui. Gli ordini vengono da più in alto. Non mi sposto, cambio solo padrone…
Un momento di pausa.
- Credevo non avessi padrone.
Il moro sorrise fra se.
- Diciamo solo che sto aspettando l’occasione; un po’ come lo scapolo attende il matrimonio. Se stavolta è quella giusta, potrebbe anche darsi…
Un’altra voce si intromise.
- Parlate di donne?
I due risero.
- Brutto pezzo d’asino…
- Muoviti idiota, si parte!
Interruppe la conversazione chiudendo il collegamento.  Il boato del motore durò solo pochi attimi, per poi divenire silenzioso, quasi inesistente. Gli aerei partirono lasciando l’hangar uno dopo l’altro.
William sistemò la rotta con comandi vocali e si assicurò bene al volante ascoltando le direttive della voce guida, che eseguiva le operazioni automatiche iniziali. Di fronte a lui piccoli schermi mutarono obiettivo uno dopo l’altro, mostrandogli diversi punti dell’aereo per poi tornare a divenire mappe magnetiche, segnalatori di pressione e temperatura e quant’altro. Osservò fuori dal vetro in cerca degli altri due.  Eric lo affiancava a destra, mentre dell’altro velivolo riusciva ad intravedere solamente il muso bianco e appuntito.
Lavorare con loro non era mai stato un peso, anzi gli pareva quasi divertente. Sin dai tempi delle superiori formavano una specie di squadra in tutto: football, Hockey, bravate, uscite e persino nei compiti in classe. Eric lo conosceva da una vita. I loro genitori erano amici di vecchia data e sin da bambini si ritrovavano spesso per giocare insieme (anche se poi l’altro ce le prendeva sempre). Negli anni si accostarono con indifferenza, come se la parola “amici” fosse scontata, come se non c’era bisogno di dirlo, di saperlo, perché infondo lo sapevano già. Mikail invece fece la sua apparizione alle medie. Un biondino silenzioso e scontroso, costretto alla fuga dalla Russia, sua terra natia, dove lo stravolgimento politico ed economico avvenuto verso la fine del XXI secolo aveva provocato, come in altri paesi del resto, l’instaurazione di una forte chiusura verso gli altri continenti. In quegli anni si avvertivano già i primi focolai che avrebbero poi preluso la più grande guerra che il genere umano avesse mai potuto vedere. Quella stessa guerra che ora loro stessi stavano combattendo.
Lo sviluppo tecnologico e scientifico aveva portato ad un punto di rottura per il quale il genere umano era ormai divenuto totalmente dipendente dalle macchine. Le risorse del pianeta, già in crisi da anni, andavano sempre più limitandosi, nonostante i numerosi provvedimenti attuati dal Congresso Intercontinentale del 2084 per la salvaguardia delle risorse e dei beni ambientali, e quelli dell’anno successivo per l’attivazione delle nuove scoperte nell’ambito dell’energia pulita. Difatti, in seguito alla Grande Guerra Globale, all’accaparraggio delle risorse alimentari e minerarie, alla lotta per predominio della scena mondiale, il Pianeta Terra era ridotto ormai a dei nuclei capitalistici e aree di estrema povertà, a padroni e assoggettati. Lo scenario appariva ancor più desolato con l’avanzamento dei deserti e quello delle acque a causa dello scioglimento delle calotte polari. Tutto pareva dover crollare.
Nel 2087, la scoperta di altre forme di vita intelligente nell’universo, avevano aperto all’uomo una nuova era, una nuova possibilità. Gli “alieni” ,così com’erano conosciuti all’inizio, si rivelarono ben presto disposti a porgere la mano a quell’essere che era l’uomo e che rappresentava per loro lo stadio precedente dell’evoluzione. Non erano creature diverse dalla specie umana, se non per delle differenze fisiche non troppo eclatanti. Il mito degli alieni extraterrestri verdi era terminato e lasciava il posto ai compagni “neoterrestri”; perché fu così che venne denominato il nuovo pianeta, NeoTerra. Simile alla Terra per caratteristiche e qualità, vi era differenziato per la numerosa quantità di risorse che invece li vi scarseggiavano. I neoterrestri  erano riusciti a sfruttare ciò che il genere umano non aveva saputo far rendere. Erano più evoluti ed utilizzavano una forma di energia “viva”, che alimentava ogni cosa. In breve tempo furono capaci di raggiungere il pianeta e di prestare i primi soccorsi ai terrestri.
Ma l’ingordigia della creatura umana non si era attenuata neppure dopo l’evoluzione: sia i soccorritori che i soccorsi, cominciarono a nutrire un reciproco interesse, che mano mano diveniva sempre più forte. Se per i neoterrestri la vecchia e trasandata Terra, poteva divenire una colonia dalla quale poter trarre le ultime preziose risorse, per gli uomini il nuovo mondo sarebbe potuto essere un’ottima via di fuga da un pianeta che ormai si avviava alla rovina. Ben presto gli attriti fra le due razze divennero insostenibili. Vi furono sparizioni, rapimenti, attentati e tentativi di sabotaggio da entrambi i lati, fino a giungere a veri e propri atti di ribellione, da parte dei terrestri, contro quelli che ormai erano divenuti non più salvatori, ma “padroni”.  Alcuni esseri umani furono fatti schiavi e condotti sulla NeoTerra a forza, mentre i tumulti ormai scoppiavano come una reazione a catena. La situazione degenerò gradatamente e rapidamente fino a giungere alla guerra vera e propria. E quella guerra, quella lotta alla sopravvivenza di una razza che ormai era consapevole di essere stata superata, di un mondo che ormai era destinato a morire, era l’espressione, l’ultimo lacerante grido di battaglia, quello decisivo.
Ora loro ne facevano parte. Facevano parte di quella cruenta e totale guerra dei mondi, una guerra che Will sapeva, non sarebbe durata ancora a lungo. Il protendersi di un uomo verso la luce dell’uscita dalla sua buia caverna, verso l’esterno, verso l’aria aperta e zeppa di predatori pronti ad ucciderlo. Ma lui avrebbe lottato, combattuto, giocato il tutto e per tutto, pur di restare vivo, pur di restare uomo.


P.S. Uff...salve, che fatica! Con la scuola e le altre cose non ce la faccio a scrivere... però cercherò di agiornare il più regolarmente possibile. Spero che la storia vi piaccia: ora si spiega un po la trama mi sembra^^. La storia forse è un po troppo fantasiosa e astratta, però a me piace. Mi piacerebbe leggere le vostre recensioni perchè vedo che comunque non siete pochi a leggere e vorrei sapere cosa ne pensate. Magari è un po lenta come trama, però si movimenterà, statene certi!  Spero continuiate a leggere... saluti a tutti.

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


Chapter 6

Stare senza far nulla lo rendeva nervoso. Non sarebbe riuscito ad aspettare oltre. Sarebbe andato direttamente dal quella bambolina graziosa e gli avrebbe detto di dargli qualche incarico. Ormai erano due giorni che non si faceva sentire, e le poche volte che lo aveva visto era impegnato a parlare con qualcun altro o portava in giro documenti vari per tutta la base. Non gli importava se era il suo superiore. Aveva  persino incominciato a pensare che lo avessero messo sotto il controllo di quel ragazzino per tenerlo tranquillo. Forse non gli avrebbero dato veramente degli incarichi; lo avrebbero lasciato lì, a vagare senza scopo per i corridoi. Ma infondo sapeva che non erano così idioti da pensare che non avrebbe fatto nulla. Forse speravano di limitare il danno.
Giunse davanti ad una delle tante porte che costellavano ordinatamente il corridoio. Fece per bussare ma si bloccò. Delle voci provenivano da dentro, una bassa e delicata, l’altra profonda e mascolina. Non gli era mai piaciuto il sentire le conversazioni altrui, soprattutto se private, ma in quel caso qualcosa non gli permetteva di muoversi. Avrebbe voluto entrare spalancando la porta, ma non lo fece. Rimase lì, fermo con le mani in tasca, solo, nel corridoio.
- Perché?! Mi avevi fatto una promessa! Ci hai già ripensato…?!
L’ultima frase avrebbe probabilmente voluto suonare intimidatoria, ma invece assunse un tono quasi timoroso. La voce era dura e contrita, ma le parole uscirono spezzate verso la fine.
Non era sicuramente la voce del biondo. Una pausa, un silenzio che sentiva dover essere imbarazzante e carico di tensione.
- Credevo… ero convinto che noi …
Sempre la stessa voce. Si bloccò.
William istintivamente premette il bottone di apertura con il pollice, scoprendosi e fissando la scena che gli si presentava davanti.
Un uomo alto, più o meno della sua stessa età, stava di fronte al giovane che immobile ora, squadrava impassibile il nuovo arrivato. Lo sguardo freddo e vuoto.  William, sentendosi osservato, diede una veloce occhiata all’uomo per poi passare al proprio superiore.
L’altro indietreggiò. Afferrò la giacca sulla sedia e si diresse alla porta. I movimenti lenti e calmi, come se nulla fosse successo. Lo scorrere della porta e rimasero soli.
William puntava imperterrito gli occhi dell’altro, come se volesse, anzi pretendesse una spiegazione. La creatura immobile si limitò a fissarlo ancora per qualche secondo. Solo in quell’istante, in quel perfetto istante si accorse di quanto fosse splendida e silenziosa.
La sua figura lieve e chiara nella luce che passava dalla finestra. Il viso adombrato si lasciava toccare solo da qualche chiazza di luce bianca. I capelli, del colore dell’oro puro erano lisci e sottili, leggermente scomposti su quella fronte levigata. Gli occhi, allagati dal sole brillante, si scioglievano in quel colore chiarissimo e cristallino di acqua marina e le labbra rosee e sensuali erano lievemente socchiuse, come se volesse essere osservato. E quella deliziosa macchiolina sotto le ciglia scure e lunghe ora gli appariva la squisita firma di un Genio che avesse voluto rappresentare la sensualità e la bellezza in persona. Quella figura celeste come un angelo sceso dal paradiso, lo osservava  come se attendesse una sua parola, come se agognasse anche solo l’essere toccato o sfiorato.
Solo in quell’attimo si accorse che la camicia del ragazzo era inspiegabilmente scomposta e addirittura, pareva gli fosse stata strattonata. Mancava un bottone o due e la giacca sgualcita era più aperta del solito. Risalì lo sguardo sul petto del giovane e la sua attenzione si concentrò immediatamente in un punto ben preciso. Il colletto candido lasciava scoperta la pelle liscia e levigata del collo ed un piccolo frammento di spalla.
Quella visione scatenò degli strani effetti nell’uomo. Vedere quella figura, solitamente perfetta e pudica, così scomposta e provocante gli fece rendere conto di quanto il proprio battito cardiaco fosse accelerato negli ultimi secondi. O forse era lui che lo vedeva sotto quell’aspetto così voluttuoso.
Si mosse. Il suo sguardo vagò alla deriva, scosso dal movimento improvviso dell’altro. Si ritrovò a perdersi negli occhi profondi di lui che lo squadrava imperterrito.
- Hartnett… mi stavate cercando…?
Distolse lo sguardo, mettendosi delicatamente una mano sul collo nel tentativo di coprire la pelle morbida. Si diresse alla scrivania sedendosi ed accavallando le gambe, mentre inutilmente cercava di riabbottonare l’indumento stracciato e senza bottoni.
- Vi chiedo di perdonare questo piccolo…incidente. Ho avuto una discussione abbastanza accesa; non mi sarei mai presentato in queste condizioni, perdonatemi ancora.
Lasciò andare la stoffa, abbandonando l’inutile occupazione. William intanto si era ripreso, e si era piazzato di fronte al superiore.
- Comunque … come mai siete qui? Qualcosa non va?
Il soldato riprese le redini della propria mente, costringendola a concentrarsi sul motivo della visita. Il suo tono tornò beffardo e insolente come al solito.
- Mi stavo chiedendo per quanto ancora voi e i vostri bambocci avevate intenzione di tenermi senza far nulla. Sinceramente mi sto stancando: non sono abituato a starmene in disparte e non ho voglia di farlo ancora a lungo.
Il biondo si limitò a fissarlo. Poi tirò un sospiro e si alzò facendo lentamente il giro del tavolo. Si fermò davanti all’altro che intanto si era voltato e lo guardava a sua volta. Un momento di silenzio, immobile.
L’espressione bella e austera del ragazzo, i suoi occhi. Poi le mani che si tesero in avanti, verso il proprio volto: il contatto della pelle calda delle dita. Wiliam ritrasse istintivamente la testa, colpendo duramente le mani dell’altro.
- Ehi!
Alex lo osservava imperterrito, per nulla intimorito. Lo sguardo divenne dolce, come comprensivo.
- Devo solamente capire una cosa…
Gli poggiò nuovamente i polpastrelli sul viso. L’uomo stava per reagire, ma d’improvviso una strana sensazione si impadronì di lui. Si bloccò e le mani del biondo divennero leggere e delicate, come acqua tiepida. Fu come essere sollevati, sospesi in una mare infinito. Si sentiva fluttuare nel vuoto. Poi calore, come essere avvolti da un dolce abbraccio. Il suo corpo riprese consistenza nello stesso momento in cui l’altro tolse le mani.
Riaprì gli occhi, che inconsciamente aveva chiuso durante il contatto, e si ritrovò il viso del giovane a pochi centimetri dal suo. Si perse in quel mare infinito che erano i suoi occhi, in quella distesa dorata dei suoi capelli. Poi le labbra.
- Se siete impaziente di agire allora lo faremo presto…
Poi con voce più dolce, quasi sussurrata.
- Non credevo di trovarti subito.
William si sentiva stranamente confuso, ma rilassato. Non comprese le ultime parole, ma si limitò a rimanere immobile, mentre l’altro usciva dalla propria stanza indossando il soprabito.


P.S. Ok, innanzitutto Grazie, Grazie, Grazie! Grazie davvero a voi che mi state seguendo anche solo da poco ed a voi, come animablu , armony_93 e Mello. Mi a fatto molto piacere ricevere le vostre recensioni e vedere che mi seguite ancora dopo Sussurri ( Dorian e Evander mi mancano un pochino...).
Grazie anche a Dicembre che con le sue recensioni mi ha fatto capire ad esempio alcune cose che le piacerebbe accadessero (e che mi ha corretto ^^°....scusate a volte succede...); ho letto anche qualche titolo e trama delle tue storie: sembrano davvero interessanti, proverò a dargli un'occhiata anche se purtroppo il lavoro mi terrà un po impegnata (soprattutto a "Cremisi" ...mi fa venire in mente un manga che avevo letto di recente e che mi è molto piaciuto). Comunque grazie mille! ...e per ringraziervi REGALO: oggi ben due capitoli  (un po cortini^^) . Grazie ancora.
Continuate a recensire, è di vitale importanza per me.

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


ATTENZIONE! Spero abbiate letto il cap prima: li ho postati lo stesso giorno non vi sbagliate ^^!

Chapter 7

Era nudo, non aveva neanche le mutande, lo sentiva. E poi, tutta quell’acqua. Molto probabilmente aveva tutti i polpastrelli e le dita dei piedi raggrinzite, o forse peggio. Non si ricordava neanche da quanto tempo era lì. Non capiva niente di quello che vedeva. Era solo nel vuoto. In uno spazio immenso, senza limiti da nessuna parte. Il suo corpo era chiaro, chiarissimo e molto, molto leggero. Si sentiva vuoto, fluttuante, come una foglia nel vento. Solo che non c’era vento, non c’era nulla. Poi lentamente quel nulla si scuriva, diventava pesante, respirato. E poi sentiva freddo, l’umidità dell’acqua che gli scendeva addosso. Si accorse solo allora che aveva le palpebre chiuse e che queste erano pesantissime. Provò ad aprirle ma la luce gli ferì gli occhi. Rimase fermo, immobile, col corpo ridotto ad una zavorra inanimata. Ora ricordava. Quella sensazione era simile a quella che aveva provato pochi giorni prima, quando quel ragazzo gli aveva toccato il viso. Ma adesso? Perché era lì?
Lentamente i ricordi si fecero più nitidi. Era stato mandato a chiamare per ordine del suo unico superiore. lo avevano condotto in quella strana stanza, simile ad un laboratorio, ma più vuota. Poi gli avevano parlato di una visita… già, una visita. E poi, poi lo avevano sedato. Si era addormentato ed ora era lì. Chissà che cosa gli avevano fatto.
Riprovò ad aprire gli occhi, per reagire. Ormai aveva ripreso la padronanza di se, riusciva di nuovo a muoversi. La luce ora gli parve meno forte, quasi sopportabile. Delle ombre scure si mossero attorno a lui, gli dicevano qualcosa.
Qualcuno lo sollevò di peso, lo mise a sedere. Un asciugamano ruvido gli fu gettato in spalla. Ora la vista era tornata nitida. Lo aiutarono a rialzarsi e gli infilarono qualcosa.
Afferrò la stoffa sul petto. Un camice. Ancora poco lucido a causa delle droghe che probabilmente gli avevano somministrato, fu condotto attraverso quello che gli pareva uno stretto corridoio. Pochi minuti dopo era su di una sedia, abbandonato, pesante e nel silenzio più totale. Gli avevano fatto bere qualcosa pochi secondi prima e finalmente riusciva a capire cosa gli stesse succedendo attorno. Sbattè più volte le palpebre. Qualcuno gli parlò, la voce dolce e suadente.
- Come vi sentite…?
Il tocco delicato di una mano sulla propria guancia. Il biondo era seduto di fronte a lui, senza giacca, con una maglia bianca leggera e pulita. Quella stanza sapeva di disinfettante o comunque gli ricordava vagamente lo studio di un dentista esageratamente meticoloso. Le pareti erano bianche ed il mobilio era di colori chiari e ovattati. L’unica finestra che c’era aveva le tapparelle abbassate e la luce che illuminava l’ambiente era quella di grosse lampade a soffitto. Si guardò attorno, incontrando il proprio riflesso in una vetrata lontana, dietro la quale c’era un’altra stanza vuota e buia.
- Non preoccupatevi… ho detto di voler restare solo con voi.
William tornò ad osservare il volto del giovane.
- Dove siamo? Cosa mi avete fatto?
Si sentiva la bocca impastata e secca.
L’altro lo osservava con attenzione.
- Qualche giorno fa mi avete detto di essere stanco di stare senza far nulla: bene. Voglio che sappiate che non è un caso che io abbia scelto voi.
Si sistemò sulla sedia, cercando di mantenere uno sguardo rassicurante.
- Voglio dire che… non avrei potuto scegliere una persona qualsiasi. Le analisi che vi hanno fatto sono servite in parte a farci comprendere se siete la persona che stiamo cercando… che sto cercando.
L’uomo lo guardava attonito, senza aprire bocca. Una strana rabbia gli saliva lungo tutto il corpo, ma anche una sensazione diversa, come una inconscia consapevolezza. Gli effetti degli anestetizzanti erano finiti e ora aveva piena coscienza del proprio corpo e della propria mente.
- Cioè, io… vi sono indispensabile…!?
Il tono era sicuro, divertito, audace. Era tornato quello di sempre. Ed ora aveva compreso.
Il viso del biondo si incrinò leggermente sotto quella presunzione, accusando il colpo.
- Immaginavo che non avreste tardato a comprendere la situazione. Purtroppo non posso spiegarvene il motivo ora, ma state sicuro che verrete a conoscenza di tutto a tempo debito.
La voce insicura e timorosa rimase sospesa nell’aria.
Il moro sorrise maliziosamente. Il superiore aveva abbassato leggermente i volto, come per nascondere il proprio sguardo. L’espressione solitamente sicura e austera era scomparsa, lasciando il posto ad un’altra mai vista, così pudica e innocente, come quella di una vergine durante la sua prima notte. William si sentiva un predatore e quella sensazione, quella consapevolezza era quella di sapere di essere lui a tenere le redini del gioco adesso.
Se ora era lì, voleva solamente dire che le analisi avevano rivelato che lui era colui che stavano cercando.
- Mi avevano detto di non dirvi nulla; probabilmente si aspettavano una vostra reazione immediata. Ma mi sembrava più corretto, dato che vi è la possibilità di lavorare assieme.
William si sporse in avanti sulla sedia.
- … la possibilità…? O la certezza? …
Il ragazzo indietreggiò inconsciamente sulla sedia, schiacciandosi contro lo schienale.
- Non… non vi è la sicurezza, ancora.
Gli occhi del moro brillarono, riducendosi poi a due fessure: le guance del biondo erano cosparse di un lieve rossore.
Si rimise composto sulla sedia, cogliendo l’imbarazzo dell’altro. Poi con aria pensosa:
- Perché siamo qui?!
Alex si ricompose, ritornando a rilassarsi e riassumendo lentamente la sua solita espressione dolce e comprensiva.
- Si… io pensavo che avremmo dovuto incominciare a conoscerci, insomma per sapere qualcosa l’uno dell’altro.
L’altro lo fissò. Poi si alzò e si incamminò verso la porta.
- Non è l’ambiente adatto. Voglio i miei vestiti e poi magari ne possiamo parlare.
Il giovane non obbiettò, neanche contro l’irriverenza di quelle parole. Si limitò ad alzarsi ed a condurlo fuori.

Pochi minuti dopo erano fuori, nell’aria tersa del pomeriggio. Il sole alto illuminava la superficie del mare, rimandando riflessi talvolta accecanti. Camminavano sulla spiaggia, poco distanti dalla base. William sorseggiava birra da una lattina ammaccata mentre il biondo lo osservava di tanto in tanto durante il cammino.
- Hai detto di chiamarti Alexander no?
L’altro annuì distratto.
- Da dove vieni? Rose è un cognome che ho già sentito fra gli alti ranghi.
Il giovane sorrise.
- Bhè … il generale Duncan Rose è formalmente mio padre. Mi ha inviato qui perché è stato segnalato che vi era una forte possibilità di aver trovato la risoluzione ai nostri problemi. Poi sinceramente anch’io volevo fare qualcosa. Sapere che stanno tutti combattendo mentre io… insomma, gli avevo già fatto pressioni in precedenza. Voi, perché siete qui? Vi siete arruolato spontaneamente?
Camminava osservando il cielo.
- Non proprio. Il fatto è che voglio essere libero. Non lo faccio solo per gli altri, lo faccio soprattutto per me. Appena finii le superiori avevo già in mente cosa sarei andato a fare. Avevo dei compagni che la pensavano alla stessa maniera e quindi ci siamo arruolati assieme. Comunque non avrei avuto nient’altro da fare. Non sono mai stato portato per i lavori importanti, quelli che voleva farmi fare mio padre. Era un uomo scrupoloso ed esigente. Sapevo che non sarei mai diventato come lui. E poi mi sento molto più utile qui che in qualsiasi altro posto.
Si sedettero su un pezzo di sabbia asciutta. Gli occhi del superiore gli si puntarono addosso.
- Avete molti amici qui?
Posò la lattina fra i granelli dorati dal sole.
- Di persone ne conosco tante. Chi mi ritiene uno sciocco, chi un valoroso testa di rapa, e chi non pensa niente. Di amici veri ne ho ben pochi. Mickail ed Eric lo conosco da parecchio tempo. Ora che ci penso siamo sempre stati insieme. Eric mi è stato appiccicato sin da quando eravamo due marmocchi. Mickail invece è arrivato dopo. Sono gli unici con cui posso passare del tempo senza annoiarmi.
Si voltò ad osservare il ragazzo che lo ascoltava mentre aveva lo sguardo perso nel tramonto in lontananza. I raggi caldi gli doravano il viso ed i capelli, leggermente mossi dalla brezza marina, avevano assunto il colore tenue del sole stesso. Gli occhi gli parvero quasi lucidi, brillare in quel fuoco.
Istintivamente gli sfiorò una guancia con il dorso della mano, ma lo fece solo con la mente, perché la mano a forza rimase bloccata sulla sabbia. Il petto gli bruciò improvvisamente. C’era qualcosa di strano in tutto quello che era successo in quei giorni. Quelle ore gli stavano rapidamente sconvolgendo la vita, e solo ora se ne stava rendendo conto. Quel ragazzino gli faceva provare sensazioni strane, inspiegabili, mai provate prima.
- Tu… non hai nessuno qui?
Si voltò.
- No. E’ la prima volta che vado tanto lontano da solo.
Ritornò a fissare l’orizzonte.
- A dire il vero non ho mai avuto tanti amici. Ci sono delle cose che non me l’hanno permesso.
La sua espressione triste gli si stampò nella mente. Ancora un’altra ondata di emozioni mai sentite.
- Quanti anni hai?
La risposta tardò qualche secondo a venire.
- Venti.
L’altro si raddrizzò alla svelta, come punto. Il viso sorpreso e incuriosito.
- Venti?! Devo dedurre che tu hai qualcosa di speciale…oppure è uno scherzo…
- No… io, è per questo… non sono una persona comune.
William si ricompose.
- E’ per questo che sei qui? E che è successo mentre eravamo nella tua stanza!? Tutto questo ha a che fare con te?!
Gli afferrò un braccio strattonandolo.
- Asp… ah!
L’uomo lo fissava imperterrito, con viso severo e iroso.
- Vi … vi sarà spiegato tutto. Voi… voi non …
Il soldato lasciò la presa.
- Non cosa?
Abbassò lo sguardo.
- … niente…
Si rialzò, stringendosi nelle spalle.
- E’ meglio che io rientri.
Si voltò e prese a camminare. L’altro osservò il biondo allontanarsi. Si rimise in piedi.
- Ehi!
Alex si voltò a quel richiamo improvviso.
- Stasera vieni con me!

P.S. Ecco il capitolo regalo! Grazie ancora e buon proseguimento.
ATTENZIONE! Spero abbiate letto il cap prima: li ho postati lo stesso giorno non vi sbagliate ^^!

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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***


Chapter 8

Nell’aria c’era un forte odore di fumo e le luci soffuse dei neon colorati facevano risaltare solamente alcune parti di quell’ombra confusa. La musica di sottofondo, alta e movimentata era accompagnata dal tintinnare di bicchieri e bottiglie. Ogni tanto qualche sbuffo di fumo, proveniente dalle persone che gli passavano di fianco, lo faceva tossire. Alcune persone stavano giocando attorno ad un tavolo da biliardo, altre raccolte a dei grandi tavoli verdi e tecnologici, giocavano a carte, immersi in impressionanti banchi nebbiosi. Qualcuno gli diede una spallata nel tentativo di uscire dl locale e lui finì contro quella che doveva essere la schiena di qualcun altro.
- Scusi…
Si sentì afferrare il polso. Gli occhi azzurri brillarono nell’oscurità e si puntarono su di lui.
- Stammi vicino! E non accettare niente da nessuno.
Lo strattonò trascinandoselo dietro con poca dolcezza. Non appena ebbero raggiunto un posto abbastanza sgombro, il ragazzo si liberò il braccio dalla presa dell’altro.
- Non mi sembra il luogo più adatto per fare conoscenza… forse dovrei tornare…
- No. Non sei mai stato in posti simili? Avanti,…
Un cameriere si avvicinò con delle bevande. William lo trattenne, dicendogli qualcosa per poi mandarlo via.
- Vieni, siediti.
Lo spinse su una sedia liberatasi da poco, osservandosi intorno. Si allontanò lasciandolo solo al tavolo, che un cameriere stava rapidamente ripulendo. Si voltò guardandosi attorno. Delle donne lo stavano guardando sorridendo. Si voltò, lievemente a disagio. Un uomo dal bancone lo osservava, ma ci fece poco caso, stringendosi nelle spalle.
Il moro tornò accompagnato da due alti uomini. Uno dei due, appena lo vide, storse impercettibilmente il naso. L’altro era impassibile.
- Eric, Mickail, questo è Alexander, il mio superiore.
Il più alto gli tese la mano, stringendola con forza.
- Mickail, molto piacere.
L’altro, quello che aveva fatto la smorfia, si era portato una mano dietro la testa e si grattava la nuca confuso. Bisbigliò qualcosa a William che gli diede una pacca dietro la schiena di rimando. Poi si voltò e si presentò.
- Piacere, Eric. Scusa, è che di solito non usciamo con i superiori, ma a quanto pare sei ok!
Gli fece l’occhiolino, dandogli una vigorosa stretta di mano.
In quel momento un cameriere giunse portando un vassoio colmo. Si poggiò sul tavolo e distribuì distrattamente le ordinazioni. Gli fu schiaffato di fronte un calice colmo di birra schiumosa. Il ragazzo squadrò gli altri tre, fermandosi su William che si era seduto al suo fianco. Anche loro avevano gli stessi bicchieroni.
- Ma… credo sia un po’ troppo per me; non sono abituato…
- Hai tutta la sera per finirlo! Sennò ti aiuto io…
Le ultime parole gliele bisbigliò in modo che solo lui potesse capirle. Intanto Eric si era alzato, col boccale ben saldo in mano, ed aveva dato un colpetto sulla spalla del moro.
- Il tavolo è mezzo vuoto, ci infiliamo?!
L’altro annui e si alzò, trascinandosi dietro Alex ed il boccale.
Pochi minuti dopo erano attorno ad un tavolo con le carte in mano, la birra al fianco ed una sigaretta accesa in bocca. William stava selezionando le proprie puntate davanti a se, quando il biondo, l’unico in piedi, gli si aggrappò alla maglia.
- Che c’è? Sei sicuro di non voler giocare?
L’altro annui guardandosi intorno innervosito, non facendo più caso alla famigliarità con cui gli parlava il subordinato.
- Si, io… non sono abituato a queste cose. E poi stanno arrivando personaggi un po’ insoliti.
- E’ il locale migliore della città; è solo molto “aperto”, non c’è nulla da preoccuparsi. Comunque come preferisci: sarai la mia dea bendata.
Ma l’altro non sentì quell’osservazione perché troppo impegnato a guardarsi attorno.
Tutta quella confusione gli dava fastidio. E poi quell’uomo al bancone aveva preso a guardarlo con più insistenza. Non gli piaceva affatto quel posto: voleva tornare alla base.
- Scala reale!
Il grido di William lo riscosse. Preso dall’euforia gli circondò la vita con le braccia e lo strinse depositandogli un bacio sulla camicia immacolata. Alex arrossì vistosamente, cercando di divincolarsi dalla presa. Il moro lo lasciò andare inconsciamente, per accaparrarsi la vincita. Il ragazzo si voltò imbarazzato. Qualcuno gli disse qualcosa. Una ragazza con una vassoio in mano gli porgeva un bicchiere.
- Questo è per lei. Da quel signore laggiù.
Gli indicò l’uomo che lo stava osservando ormai da ore. Lasciò che la cameriera gli facesse scivolare in mano il calice con del liquido azzurrino decorato con una cannuccia e dello zucchero sul bordo.
L’uomo si alzò e fece per avvicinarsi, con un cocktail in mano anche lui. Era alto e robusto, forse anche troppo muscoloso.  La fronte alta ed i capelli castano scuro, circa sulla quarantina.
- ’Sera.
Alex lo squadrò con aria infastidita e curiosa.
D’improvviso qualcosa gli circondò la vita. Si accorse della presenza dietro le sue spalle.
- Lui è con me. E’ la mia fortuna.
Entrambe le braccia di William si strinsero attorno al suo corpo. L’uomo si allontanò infastidito. Il moro sorrise, avendo ottenuto l’effetto desiderato, sciogliendolo definitivamente dalla presa, mentre l‘altro tentava debolmente di reagire.
- Devo tenerti sott’occhio a quanto pare.
Si voltò verso gli altri due. Alex depositò il bicchiere quasi colmo sul bancone cercando di non dare nell’occhio.
- Io vado. Ci vediamo domattina.
Mikail annuì, mentre l’altro era troppo impegnato a versare la perdita del proprio gioco.
Diede al ragazzo una leggera spintarella con la mano, per farlo andare avanti. Alex sembrava contrariato.
- Io, no! Se volete rimanere… io torno da solo.
William assunse un sorriso divertito.
- Con quello lì che ti ha puntato?! No, meglio di No. E comunque non credo sia l’unico.
Poi con tono canzonatorio.
- Vi avevo detto che avevate il visino di una puttanella…
Ormai erano fuori dal locale. Un sonoro schiaffo colpì il viso del moro. L’espressione del ragazzo, illuminata solo dalla luce del lampione difettoso, era divenuta dura e austera.
In quel momento William non potè far altro che notare quanta bellezza emanava quel viso celestiale anche se semiavvolto dalle tenebre. I capelli scomposti, le labbra sensualmente corrucciate, e poi quel neo, quel minuscolo puntino che era la chiusura perfetta di tutta quella voluttuosità.
La guancia gli bruciava.
- Non permettetevi più. Per stasera la nostra confidenza finisce qui. Ve ne siete approfittato anche troppo.
Fece per andarsene, a l’altro lo segui. Normalmente avrebbe reagito. Non si era mai fatto picchiare da un uomo senza rispondere in qualche modo. Stavolta non lo aveva fatto. Stavolta era diverso. C’era qualcosa di infinitamente nuovo in quel biondino dal volto angelico.
Durante la serata si era dimostrato indifeso, ignorante del mondo esterno e spaventato. Le espressioni di quelle ore non avevano a che fare con il viso dolce e comprensivo del comandante; non presentavano quell’austerità e quell’indifferenza che invece durante il giorno erano di rigore. Quell’immagine si era incrinata ed aveva lasciato uscire un po’ di ciò che realmente era rinchiuso dietro quella maschera.
Aveva trovato qualcosa di molto più divertente con cui giocare. Quel ragazzo dalla personalità fragile e costruita gli martellava nella mente con insistenza.
E lo fece anche per tutto il giorno seguente, e per quello dopo ancora. Non riusciva a toglierselo dalla testa. Si ritrovo persino a starsene seduto nella propria stanza ad aspettare che lo venissero a chiamare. Rivedeva quel viso indifferente avvolto dall’oscurità e dalle luci del locale. Lo rivedeva mentre gli si aggrappava inconsciamente alla maglia, mentre lo picchiava. Si massaggiò la guancia.  
- Accidenti…

P.S. Grazie per le recensioni. Spero che fra i nuovi lettori, chi non abbia letto "sussurri" lo faccia, perchè è la mia prima fanfiction e poi tutto sommato mi sembra uscita bene...Questa è ancora in via di sviluppo. Ora che ci sono le vacanze speravo di poter agiornare più di frequente, ma purtroppo con il lavoro è un po difficile; cercherò però di fare il prima possibile, soprattutto per questa parte iniziale (diciamo che l'introduzione è durata parecchio^^°).  Buona continuazione! E recensite!^^

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***


Chapter 9

Fissava l’uomo il camice che gli stava poggiando una minuscola ventosa senza filo sulla tempia. Pochi minuti prima gli avevano iniettato qualcosa nelle vene ma ancora non gli pareva di sentirne gli effetti. Alzò lo sguardo. Il ragazzo stava  scrutando un piccolo schermo piatto portatile, premendo di tanto in tanto sulla superficie. Indossava solo una maglia bianca sopra i pantaloni che poco più sotto al ginocchio erano interrotti da alti stivali neri. Si voltò verso di lui, accortosi di essere osservato.
- Le analisi non hanno mostrato nessuna attitudine particolare. Ora faremo una prova pratica, per testare la nostra affinità psichica.
Fece un cenno ad uno dell’equipe e gli affidò i documenti magnetici. Poi si avvicinò alla sedia posta poco distante da quella di William e vi si sedette. Erano uno di fronte all’altro, a circa un metro di distanza.
L’uomo sentiva il cuore che aveva accelerato il proprio battito e le vene gonfie di sangue si vedevano più del solito sotto la pelle olivastra. I polsi gli erano stati bloccati con delle cinghie semimetalliche e non riusciva a muovere molto bene le mani. Si accorse dello sguardo del giovane fisso su di lui.
- Ora chiudi gli occhi. Pensa a qualcosa di emozionante, una sensazione forte che hai provato di recente. Io proverò ad agganciarmi a questa.
Non aveva capito il significato delle ultime parole, ma esegui i comandi che gli erano stati impartiti. Vagò nella propria mente in cerca di qualcosa di particolarmente piacevole. In quegli ultimi giorni non ce n’erano state molte di cose eccitanti. Focalizzò un’immagine, poi un’altra, e un’altra ancora. Nella sua mente i pensieri correvano veloci ma vuoti, come tante diapositive sfocate. Poi si bloccò. Un’emozione abbastanza forte. Ricordò ogni frammento di quel giorno. Ogni cosa era al suo posto e stranamente le immagini erano nitide e chiare, non come gli altri ricordi. Era estate ed aspettava il diretto che l’avrebbe portato alla base d’addestramento reclute. Aveva messo da parte tanti di quei soldi pur di comperare il biglietto. Aveva 17 anni o poco più. Il vento gli sbatteva in faccia con forza nonostante la calura e d’un tratto apparve a gran velocità il treno. Afferrava il manicotto e saliva i gradini. Quell’odore di metallo, di moquette… ricordava ogni cosa. Sarebbe stata la sua via di fuga, la sua nuova vita, lontano da tutto e da tutti. Poggiò il pollice destro sul rilevatore di impronte e la barra elastica scomparve lasciandolo passare. Quel semplice gesto era come un biglietto per la libertà. D’un tratto una sensazione diversa, una sensazione strana lo avvolse. La cabina accogliente del treno stava sparendo lentamente. Si scioglieva sotto i propri occhi, come qualcosa di evanescente. Riprese la sensibilità del corpo, come se fosse sveglio, come se stesse in piedi, immerso in un mare d’acqua. Alzò un braccio e lo stese di fronte a se.
Vedeva il proprio fisico, lo sentiva e riusciva a muoversi.  Non aveva nulla addosso, era nel vuoto. Non c’era più niente che lo circondava, solo infinito e bianco. Quella sensazione era simile a quella che aveva provato quando il ragazzo lo aveva toccato in viso, ma amplificata milioni di volte. Si mosse in quel vuoto. Provò a cercare qualcosa all’orizzonte.
Lentamente qualcosa cambiò. Una sagoma leggera appariva lentamente di fronte a lui. Una fitta lo prese alla testa.  
L’ombra assunse dettagli. Il viso sottile, le labbra sensuali e ben definite, le ciglia folte e scure, i capelli color dell’oro e quel puntini, quel minuscolo magnifico neo nero. Il corpo sinuoso e delicato quanto il volto, la pelle chiara e priva di imperfezioni, pareva quasi eterea. Quella magnifica creatura era lì, poco distante da lui, sospesa in quella che ora diventava aria simile ad acqua. Sentiva il proprio corpo essere attraversato da brividi gelidi.
Gli occhi del giovane si aprirono debolmente, lentamente. Quelle distese verdi lo fissavano di nuovo. Era forse la realtà quella che vedeva, che sentiva?
Una mano gli sfiorò una guancia. Lieve, dolce, leggera come il tocco della seta.
- Ha funzionato…come pensavo…
Si tirò indietro. L’espressione del ragazzo divenne sofferente e malinconica.
- No, non respingermi… ora sono dentro di te, nella tua mente.  Non aver paura.
Il viso era tornato dolce e gentile.
- Siamo nella mia mente? Insomma…TU sei nella mia mente???
William si guardò nuovamente attorno.
-Ti avevo detto che ti sarebbe stata spiegata ogni cosa. Ora siamo in una zona della tua testa che non tutti possono utilizzare, o meglio, non in questo modo.
L’uomo tornò a fissarlo.
- E’ una specie di ponte psichico; per adesso stiamo utilizzando per la maggior parte la mia energia per questo contatto, perciò ne senti poco il peso. Siamo esattamente a metà fra la tua mente e la mia.
- Allora tutti quegli esami sono serviti per vedere se io avevo la possibilità di usare questa parte di cervello…? E tu? Anche tu la usi. Quanti altri possono farlo?
D’un tratto l’immagine del giovane divenne più sbiadita, perdendo sempre più consistenza. William avvertì qualcosa scivolargli addosso, il proprio peso svanire, come lavato via. Tutto si oscurava rapidamente. Alex era sparito ormai totalmente. Una sensazione di risucchio, come se le viscere si stessero comprimendo sempre più; il cuore pompava velocemente il sangue, riusciva quasi a sentirne la velocità. Non vedeva più nulla.
Aveva la nausea. La testa gli esplodeva.
Un groviglio inestricabile di pensieri.
La sensazione di vuoto.
Freddo.
Nausea.
Buio.
Spalancò gli occhi. A fatica mise a fuoco l’immagine della stanza. Delle persone lo circondavano. Tra loro riconobbe anche il ragazzo, pallido, sudato e col viso stanco.

Non riusciva a capire cosa era successo, non gli avevano spiegato nulla. Osservava il soffitto della propria stanza senza realmente guardarlo. Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti.
Il biondo fece capolino, richiudendo alle proprie spalle l’entrata.
- Tutto bene?
L’uomo si mise a sedere sollevandosi dal proprio letto.
- Sono venuto a vedere come stavi. Posso sedermi?
Attese qualche istante senza ottenere risposta. Lo sguardo fisso dell’altro su di se. Si sedette sulle lenzuola.
- Quello che è successo… Non ho retto il contatto; è stata colpa mia. L’energia richiesta era molta e ho preferito interrompere.
- Cosa è tutta questa storia? Non voglio aspettare più; ho il diritto di sapere, e voglio delle spiegazioni, ora.
Il giovane annuì abbassando lo sguardo, per poi tornare a guardare il moro.
- Si. E’ giusto. Dunque… come ti stavo dicendo… quello di prima era un “contatto psichico” . Avviene quando due menti riescono a raggiungere lo stesso livello, la stessa onda cerebrale. Quest’onda viene chiamata “onda U” da “unisono”. E’ un’onda particolare, ma non unica.
Trasse un sospiro, come per spiegare meglio.
- Nel mondo, nel nostro mondo, ci sono delle coppie di individui che sono capaci di sfruttare la parte di cervello che permette di raggiungere l’unisono.  Queste coppie sono pochissime, inferiori alla decina. L’”onda U” non è unica perché ogni coppia di persone ha un unisono.
Ogni duo è fisso, non può allacciare la mente con nessun altro, anche se questo è capace anche lui di sfruttare quella parte di mente. Si tratta di individui molto particolari: l’evoluzione della “comune” specie umana. E’ per questo che ancora sono rari. Tuttavia non sono gli antecessori dei Neoterrestri, sono una specie a se stante, forse ancora più potente dei neoterrestri. Non si sono ancora scoperte tutte e sue possibilità.
E’ per questo che se uno dei due viene a mancare, l’altro risulta inutile, incompleto. La sua mente non può essere stimolata da nessun altro e quindi il suo potere rimarrebbe inutilizzato. Un potenziale inservibile. Motivo per cui ci sono ancora meno coppie.
Fece una pausa, scrutando definitivamente l’altro per vedere se la spiegazione era stata recepita senza problemi. Il volto del moro era serio, concentrato, ma non confuso. Pareva conscio di ciò che quelle parole comportavano.
- Quindi… io e te… noi siamo una di queste coppie…giusto?
Il biondo annui.
- Io stavo cercando il mio complementare gia da tempo. Non è difficile rilevare dove si trovano gli E.v. … è questo il nome che è stato dato a queste persone… Difatti queste hanno delle onde cerebrali particolari che ogni tanto sprigionano la loro intensità e sono perciò facilmente rilevabili da dei sistemi sofisticatissimi. Io mi sono spostato parecchie volte ed ho conosciuto tre E.v. che non mi corrispondevano.  Poi è arrivata la segnalazione da qui: gli studiosi di questa base dispongono di un dispositivo ad ampio raggio, come del resto tutte le altre basi, che mi ha permesso di sapere che qui c’era un potenziale E.v. E così ti ho trovato.
William era immobile; aveva recepito tutte quelle informazioni senza aggiungere altro. Il suo volto assunse un’espressione pensosa.
- Ma tutto questo… a cosa serve? Cioè, queste capacità in cosa possono aiutare? E comunque non ho mai sentito parlare di nulla prima d’ora, nessuna ricerca, nessuno studio.
Il giovane tornò ad osservarlo.
- Tutto questo è tenuto segreto. Nessuno deve saperlo, soprattutto i Neoterrestri. Il contatto che si crea fra le menti di due E.v. è una connessione intensa dove l’energia di entrambi confluisce in una dimensione astratta, metafisica, dove solo loro possono esistere. Durante il collegamento però la coppia risulta estremamente vulnerabile; i corpi difatti restano materiali e corruttibili, incapacitati di reagire in quanto la mente è momentaneamente separata dal corpo. In questa dimensione le “essenze” comunicano fra loro e interagiscono nella condizione di “unisono”. Così possono essere “pensati” attacchi contro i nemici, materializzandoli oppure lasciandoli semplice pensiero, ma comunque contundente. L’unisono degli E.v. è un’onda particolare, con un’intensità che se amplificata può essere capace di annullare istantaneamente ogni apparecchiatura e tecnologia Neoterrestre. Pare che possa persino arrivare ad annientare le onde cerebrali aliene, disintegrandole in una frazione di secondo.
L’altro sussultò fissando intensamente il compagno.
Il biondo lo riosservò a sua volta con aria assente, come se i suoi occhi fossero proiettati verso un altro luogo.
- … è un’arma… l’arma perfetta.


P.S. Mmm... dunque, Alex, Alex, Alex... Si, so che è un po enigmatico, ma mi piace perchè così la storia può avere più risvolti. Comunque non credo che ci sia una vera e propria perdita di autorità, ma piuttosto una specie di tentativo di comunicazione. Insomma Alex sta cercando di instaurare una sottospecie di rapporto con William, come avrete capito, soprattutto per la sua "missione"; si è calato nel mondo di Will forse anche un po bruscamente dati gli esiti. Forse a preteso troppo da se stesso ^^. Per quanto riguarda i contatti, vi assicuro che ce ne saranno di migliori. Bhè, allora alla prossima e buona lettura.

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Capitolo 10
*** Chapter 10 ***


Chapter 10

Annusava l’aria che soffiava dal mare, lo sguardo rivolto all’orizzonte. Il mal di testa gli era passato; ormai i polmoni si erano riempiti di quella brezza fresca e pulita. I capelli scuri e lucenti mossi dal vento. Da due settimane aveva incominciato ad esercitare intensamente la propria attività mentale, ma mai aveva provato un dolore così forte. Probabilmente era lo stress accumulato o qualcosa di molto simile. Si era allenato ripetutamente tutte le mattinate, ma la sera usciva a svagarsi con Eric e Mickail, senza però riuscire a trascinarsi dietro il biondino. Quel ragazzo, incorruttibile e delicato come una rosa splendida e  piena di spine aveva preso le distanze da lui dopo quella serata.
Ogni giorno era sempre più nei suoi pensieri. Si era persino costretto a pensarci meno, a ricacciare indietro le immagini. Ma non era servito a nulla.
Era entrato all’improvviso nella sua vita e gli aveva stravolto tutto.  Coi gesti, con le parole, col suo muoversi e le sue abitudini. Il fare austero e delicato. Il profumo della sua pelle, i suoi capelli. Aveva l’odore di una rosa fresca, il tepore caldo e confortevole del sole primaverile. Le labbra ed i suoi occhi. I suoi occhi…
Ecco ci stava pensando di nuovo.
Ci pensava sempre di nuovo.
Un gabbiano stridette nel cielo. Si passò una mano fra i capelli.
Era riuscito ad equilibrare l’”unisono” e a collegarsi con Alex ad un basso consumo di energia, senza stancare se stesso ne l’altro. Si stava lentamente abituando a quelle sensazioni paranormali e a quella sua particolarità. Aveva persino provato a “richiamare” il ragazzo quando a volte gli veniva in mente, senza mai ottenere risposta.  Si era concentrato, aveva rivolto il pensiero all’altro, senza provare nulla di diverso, senza raggiungere il punto di collasso.  Chissà se il biondo aveva sentito qualcosa in quei momenti, chissà se lo aveva pensato.
Lo aveva osservato tante volte, lo aveva scrutato attraverso la folla di superiori che lo circondavano. Anche quando non doveva pensava a quel giovane soldatino, quella piccola testolina imperiosa e dolce al tempo stesso.
Non riusciva a capire cosa stesse succedendo nella sua testa in quei giorni. Amava le donne, ed amava il sesso. Ma lui, lui era diverso da tutto, da uomini, da donne, da sesso… ancora non era arrivato a certi livelli, ma ogni tanto, guardandolo, desiderava toccarlo, sfiorare la sua pelle come quella volta sulla spiaggia, quando provò con il solo pensiero a carezzargli una guancia. Solo questo. Niente più, non oltre il semplice contatto superficiale. Ma si chiedeva fin quando sarebbe durata questa situazione e soprattutto se si sarebbe fermato a questo punto.
Il giovane tuttavia non mostrava particolare interesse nei suoi confronti. Si comportava come con tutti gli altri: gentile, dolce, a volte timido e silenzioso, altre imperioso ed intelligente, maledettamente intelligente. Tuttavia questa sua cultura non lo metteva affatto in imbarazzo, anzi, con lui si sentiva bene, indefinitamente, stranamente bene. Forse era il legame che li univa, il fatto che loro fossero una coppia di E.v. o forse no . Forse solo il fatto di credere di essere indispensabile per qualcuno, sapere che serviva, che per quella creatura in qualche modo era unico.  Così la rendeva un po’ sua, esclusiva, gli apparteneva in parte. Già, in parte. Fino a quanto sarebbe bastato quel “in parte”? Fino a quanto gli sarebbe bastato il solo immaginare di toccarlo, fino a quanto il semplice osservarlo, il semplice sentire la sua voce?
Qualcosa lo distrasse, facendolo trasalire leggermente. Un tonfo, un rumore metallico.
Si voltò. Non vide nessuno. Poi di nuovo. Delle voci sommesse,  parole a denti stretti. Gemiti.
Percorse pochi passi. In una nicchia che veniva a crearsi fra le cabine esterne, quelle che davano sul passaggio principale, qualcuno si muoveva, seminascosto dall’ombra. L’uomo di spalle era alto e robusto. Con un rapido gesto sbattè contro la parete metallica una figura molto più piccola e fragile, producendo lo stesso rumore di prima.
Dei biondi capelli oro rilucerono per una frazione di secondo entrando in un raggio di sole. La testa ciondolò per poi tornare a reggersi sul collo. La creatura era sovrastata dall’imponenza dell’aggressore che continuava a sussurrargli irose parole a denti stretti, stringendolo per il colletto bianco della camicia.
Un moto d’ira prese William. Sentiva il calore invadergli il corpo che scattò inconsciamente in avanti. Afferrò il braccio dell’uomo strattonandolo indietro, per poi sferrargli un pugno diritto in pieno stomaco. Il soldato cadde a terra con le braccia strette attorno alla pancia dolorante. Il moro allora lo riconobbe; era lo stesso che aveva visto quando la prima volta era entrato nel’ufficio di Alex.
- William…
Il giovane gemette alle sue spalle, costringendolo a voltarsi. Tentava di rialzarsi appoggiandosi alla parete con una mano.
- E’ tutto a posto… non preoccuparti.
L’altro intanto si era rimesso in piedi ed osservava rabbiosamente il soldato. William lo riosservò a sua volta. Aveva più o meno la sua stessa corporatura, dei capelli tagliati corti, sul castano scuro e gli occhi scuri anche quelli.
- Tu chi diavolo sei?! Non provare più ad immischiarti in affari che non ti riguardano! E con te finiamo il discorso più tardi.
Il tono minaccioso e aspro.
- Io faccio quello che mi pare, non sto certo a sentire quello che mi dice un idiota che si diverte a minacciare i superiori.
Il castano pareva irritato. Tuttavia non attaccò. Si voltò e si allontanò a passo pesante.
L’attenzione di William tornò sul giovane che gli aveva poggiato una mano sulla spalla e premeva con forza come per intimarlo a non seguirlo.
Il subordinato aiutò il biondo accompagnandolo fino alla propria stanza, la più vicina.
Spalancò la porta e lo fece entrare richiudendo alle proprie spalle.
Il giovane si sedette sul letto. William intanto era appena uscito dal bagno con il kit di prontosoccorso, gli si sedette vicino e aprì la valigetta.
- Ne tieni sempre uno?
- Certo. A dire il vero questo era per le operazioni, ma a quanto pare per ora non devo farne.
Le ultime parole sembrarono una provocazione divertita. Il ragazzo sorrise.
Il moro gli sfiorò una guancia con il palmo. Per qualche secondo si fissarono. Alex si ritrasse istintivamente da quel contatto, come infastidito.
- Ti ha dato un bel pugno, non è vero?
- Si, ma non è niente.
L’uomo non diede peso alle sue ultime parole e gli tamponò la pelle con un po’ di ovatta imbevuta. Il giovane sussultò stringendo i denti.
- Chi era quello? Non mi sembra che dia molto peso al tuo grado.
Alex ammutolì. Per poi strizzare un occhio per il pizzicore del disinfettante.
- Ah…  lascia stare. E’ solo una mia conoscenza, un po’ turbolenta a dirla tutta. Ma nulla di grave.
- Non mi pare. Ti ha sbattuto con poca dolcezza contro quel muro, tanto da farti sanguinare.
- Che..?
Si portò istintivamente una mano al naso. I polpastrelli erano vermigli e lucidi. William gli afferrò la mano sporca, ripulendola con il pezzo d’ovatta. Il contatto con quelle dita, con quelle mani lo sorprese. Aveva immaginato che la sua pelle fosse soffice, morbida e levigata, ma mai fino a quel punto. Si soffermò nel toccare il palmo liscio.
Accortosi di essere squadrato da quei begli occhi verdi, lasciò la presa malamente, ritornando a sistemare il kit.
Gli porse un fazzoletto per fargli ripulire il naso.  
Quella sera, nel letto di una delle sue solite donne, mentre la ragazza si contorceva sotto di lui, il viso di quel giovane gli tornò in mente. Le forme prosperose della donna furono sostituite da quelle candide e pulite di lui. Lo vide lì, inarcato di fronte a se, ansimante nell’estasi dell’amplesso che chiamava il suo nome col viso meraviglioso imperlato di sudore. Per tutto il resto della notte non riuscì a chiudere occhio.

P.S. Questo capitolo è un po cortino, ma rimedierò agiornando il prima possibile^^ Grazie per le recensioni. Neanche io avrei mai pensato di scrivere una fanfiction del genere...non è il mio stile. Però infondo mi piace. Spero piaccia anche a voi. A presto e continuate a commentare.^^

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Capitolo 11
*** Chapter 11 ***


Chapter 11

Sfogliava svogliatamente le pagine del libro cartaceo che aveva davanti. La finestra lasciava entrare appena la lieve brezza marina ed ogni tanto smuoveva i fogli sulla scrivania. Quel pomeriggio non aveva affatto voglia di leggere, cosa che capitava alquanto raramente. Faceva caldo e si era tolto la giacca, poggiandola sullo schienale della sedia. Aveva persino allentato in nodo alla cravatta lasciando qualche bottone aperto. Si passò una mano sulla fronte umida.
D’un tratto una folata di vento fece scivolare dalla scrivania un documento che atterrò poco lontano dalla finestra spalancata.
Si alzò richiudendo il libro. Raccolto il pezzo di carta diede un’occhiata per vedere di cosa si trattasse. Era un frammento dell’archivio di William Hartnett. Rimase in piedi con il foglio in mano osservandolo come se dovesse rivelargli qualcosa.
Tornò a sedersi lasciando andare il documento sul piano della scrivania. Il moro lo aveva colpito sin dal primo loro incontro, con quel temperamento ribelle ma assolutamente impenetrabile. Nonostante a volte sorrideva maliziosamente, quei sorrisi non erano affatto sinceri. Solitamente aveva un’espressione fredda, seria, quasi rabbiosa. Per il resto di lui non sapeva nulla, ma gli pareva già di conoscerlo un po’.
Forse stava solamente riversando tutto il suo stress, i suoi pensieri e le sue preoccupazioni su quell’uomo che per ora gli pareva una possibile via di fuga. Eppure quando le sue mani erano entrate in contatto con lui, quando si era ritrovato a vagare nella sua mente, si era sentito così bene. Era la prima volta che gli succedeva, ed era anche comprensibile dato che per lui esisteva un solo individuo corrispondente, però gli pareva impossibile che esistesse una pace così, e soprattutto una pace della quale nessun altro poteva godere. Solo lui e quello sconosciuto così arrogante e impulsivo.
Quando erano rimasti soli dopo che aveva subito l’aggressione e William l’ aveva interrotta, si era preso cura di lui in modo alquanto imprevedibile. Sapeva già che non bisognava sempre fidarsi delle apparenze, ma questa ne era assolutamente la conferma.
Si sfiorò la punta delle dita. Quando l’altro lo aveva toccato, gli aveva preso il palmo tra le mani, non aveva potuto far altro che fissarlo, immobile. Non aveva detto niente, neanche reagito. In quell’istante aveva avvertito qualcosa di diverso, di ancora nuovo. Come se si aspettasse qualche altra reazione da lui. Si massaggiò la tempia distogliendo l’attenzione dal proprio palmo. La cosa si stava facendo più complessa del previsto.

Era ormai sera quando William lo andò a chiamare. In pochi minuti si erano ritrovati di nuovo a camminare sulla spiaggia deserta. Ad entrambi sembrava così famigliare restare lì con l’altro che ormai pareva divenuto un loro luogo.
Il cielo si era scurito col calare del sole ma ancora qualche striatura rossastra si intravedeva all’orizzonte.
Le onde sciacquettavano sciogliendosi sulla sabbia. Raggiunsero un punto tranquillo e si sedettero.
Il sole era già scomparso da tempo ma ancora non era del tutto buio. Il ragazzo scosse un mucchietto di sabbia lievemente a disagio. Non sapeva neanche per quale motivo.
Il moro si accese una sigaretta lasciando l’accendino fra i granelli infiniti che popolavano la riva.
- Allora…? Come vi sentite?
 Il biondo lo osservò. Un lieve sorriso gli incurvò le labbra.
- Strano che voi mi diate del voi. Cosa vi è successo?
Si tolse la sigaretta dalle labbra aspirando.
- Le altre volte erano casi particolari. Non credevo ci aveste fatto l’abitudine.
Sorrise beffardamente. Ecco di nuovo quel sorriso malizioso. Non era un sorriso allegro, felice. Era solo un modo per prendersi gioco di ciò che lo circonda. Si ritrovò gli occhi dell’altro puntati addosso. Distolse lo sguardo.
Quella formalità alla quale era sempre stato avvezzo, ora gli suonava strana, lontana.
- Credo di preferire che voi mi diate del tu, almeno quando non ci troviamo di fronte ad altri ufficiali.  
- Allora anche voi mi darete del tu?
Il giovane tornò a squadrarlo.
- Si, certamente.
Il moro pareva soddisfatto. Tornò ad ispirare il fumo.
- Perfetto.
Qualcosa attraverso la mente di Alex osservando quel profilo adulto e serio.
- Quanti anni hai?
Lievemente titubante. William si voltò osservandolo sorpreso, per poi tornare con la solita espressione divertita.
- Tu quanti credi che ne abbia?
Il biondo scrollò il capo. Non era mai stato bravo a capire le età delle persone. Probabilmente ne aveva 25 o 23. Ma non disse nulla.
L’altro, non notando accenni di risposta, colse l’attimo per scorrere con lo sguardo sul corpo del ragazzo che intanto aveva abbassato il volto intimidito.
- Ne ho 28, 29 il prossimo mese.
Spense la sigaretta sulla sabbia. Il superiore tornò a guardarlo. Ora che ci faceva caso aveva il viso di un uomo adulto, più di quel che credeva. Non perché avesse rughe o altro, ma per l’espressione. E poi il suo corpo non era affatto quello di un adolescente. Aveva il fisico formato, scolpito, era alto e aveva le spalle larghe. Ma anche le sue mani. Le sue mani gli piacevano molto; grandi e protettive, con le nocche evidenti ma non troppo e le unghie curate.
- Non sono poi tanti…
Il biondo rise divertito.
-Ehi! Ti stai prendendo gioco di me ?
Ma il tono non riuscì minaccioso come avrebbe voluto che fosse. I capelli biondi erano scomposti sulla fronte mentre Alex rideva con un viso assolutamente perfetto e magnifico. Era così vicino, cosi vicino che gli sarebbe bastato alzare la mano per toccarlo, a pochi centimetri da lui, sfiorargli il viso, le labbra. La visione della notte prima riprese possesso di lui mentre il suo braccio faceva inconsciamente ciò che avrebbe voluto fare.
Fu un momento. Le risa del giovane si bloccarono. Il viso splendido immobile, gli occhi cristallini che lo fissavano. Il volto improvvisamente serio e privo di espressione. E la propria mano poggiata sulla sua guancia, quel contatto morbido, come su seta pura e tiepida. Si accorse dell’errore che aveva commesso, del proprio pensiero che si era fatto inconsciamente realtà. Di quel palmo che ora era a contatto con la pelle più delicata e magnifica che avesse mai sfiorato.
Alex fece per alzarsi , ma fu prontamente bloccato dalla presa dell’altro che gli aveva intrappolato il braccio. Ormai il corpo dell’uomo si muoveva senza più comandi, ma del resto non voleva fermarsi.
Lo strattonò sbilanciandolo e gettandoglisi addosso. Gli bloccò le mani sulla sabbia. Fu un turbinio di profumi e sensazioni. L’odore della stoffa candida, del mare, dei capelli oro che si mescolavano con i granelli umidi della spiaggia, e poi un profumo delicato e  inebriante, come di fiori, di boccioli… come di rosa…
Era sopra di lui. Il viso del ragazzo a pochi centimetri dal suo, con la stessa inespressività di pochi attimi prima. E quelle labbra, appena socchiuse, così sensuali. Gli si avvicinò ancora, le loro labbra si sfiorarono appena mentre i respiri accelerati si mescolavano facendone uno unico.
Fu lui ad alzarsi. Si rimise in piedi poco prima che la propria bocca potesse perdersi in quella passione.
Si diresse verso la stazione, senza voltarsi indietro, senza guardare quel giovane steso sulla sabbia, immobile.

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Capitolo 12
*** Chapter 12 ***


Chapter 12

Vedeva un mare d’acqua di fronte a se. Non riusciva a sentire il proprio corpo. Forse non ne aveva uno.
Acqua intorno, davanti, ovunque, solo acqua. Sembrava di stare in una piscina, ma era una sensazione strana. Ma come poteva vedere se non aveva corpo?
Una mano. Bianca, pallida, illuminata dai riflessi della superficie attraversò la sua visuale. Fluttuava in quel nulla, senza peso, senza tempo. Lentamente andava verso il basso, cadeva, scivolava. Il braccio, il petto e poi inesorabilmente tutta la figura era lì, davanti a se. Il corpo pallido scendeva verso il fondo, senza vita, senza calore.
Il viso candido ed i capelli biondi che fluttuavano inconsistenti anche sul volto, sulle ciglia scure, aperte su occhi vitrei, immobili.
Verde. Acqua marina, che contrastava con la trasparenza neutra dell’acqua dolce che lo avvolgeva. Il piccolo neo inconfondibile era l’unica macchia scura su quella seta pura. Le labbra socchiuse; non usciva aria, non vi era respiro. Quella creatura impassibile scivolava lontano da lui, inesorabilmente, irreversibilmente senza vita.
Voleva afferrarlo, voleva prenderlo, voleva toccare la sua pelle, stringere il polso di quella piccola figura inerme. Ma non aveva mani, non aveva braccia, non aveva nulla. Non poteva fare nulla.
Non poteva aiutarlo. Non poteva salvarlo.
Lui non c’era. Non aveva consistenza.
Poteva solo vedere. Non c’era.
Lui non era lì.
L’aveva perduto.
Spalancò gli occhi. Il respiro accelerato, il viso umido. Si mise a sedere, mettendo a fuoco la stanza buia. La fioca luce della luna che penetrava dalla finestra. Si passò la mano tra i capelli, rasserenato di essere tornato alla realtà.
Si voltò alla sua destra. Il corpo della donna addormentata al suo fianco. Si muoveva lentamente sotto le lenzuola. Gli sfiorò i capelli setosi e spettinati. Erano ferschi e asciutti.
Era la realtà. Solo un sogno.

Percorse a grandi passi il corridoio. Non era la prima volta che camminava verso quell’ufficio. Molto probabilmente non sarebbe stata neanche l’ultima.
Era stato convocato pochi minuti prima da un tenente. Il comandante avrebbe dovuto comunicargli gli orari degli allenamenti ed il programma che sarebbe stato svolto quel giorno.
Ma in realtà aveva ben altro in mente. Non lo vedeva da due giorni e quella mattina aveva fatto quello strano sogno. Doveva spiegare, doveva chiarire con quel ragazzo prima che fosse tardi. Ma tardi per cosa? Non riusciva a spiegarselo, ma se lo sentiva. Qualcosa sarebbe successo.  
Persino quella notte era stata strana. Non era riuscito a resistere. Aveva bisogno di averlo. E sapeva di non potere. Aveva vagato per i locali ed era tornato alla base con una donna qualsiasi.
Ma non era stata lei nel letto quella notte, o meglio, non per William.
Bussò ala porta. Niente. Bussò nuovamente non ottenendo risposta.
Squadrò l’interruttore d’apertura. Era verde; non era chiuso dall’interno. Lo premette.
La porta si spalancò lasciandolo entrare, per poi richiudersi silenziosamente.
Il giovane era seduto alla scrivania. Il capo lievemente clinato sulla spalla sinistra, i capelli scomposti sulla fronte levigata.
Dormiva. Con gli occhi chiusi e le ciglia scure che lasciavano intravedere una leggera ombra sulle gote rosee. Le labbra meravigliosamente socchiuse.
Tutta l’ansia svanì improvvisamente.
Non riusciva a capire cosa gli succedesse ogni volta che si soffermava a guadarlo, ma sapeva che doveva in qualche modo reagire. Era venuto per chiarire, non per spiarlo.
Eppure era lì, immobile a pochi passi da lui. Ed ecco che il proprio corpo ricominciava a muoversi senza comando, inconsciamente.
Gli sfiorò una guancia, la pelle morbida, calda. Le ciglia si mossero appena. Le labbra si schiusero sensualmente.
Un improvviso calore lo avvolse. Tirò indietro la mano.
Le palpebre si aprirono lentamente scoprendo le iridi marine. Il biondo parve inizialmente confuso.
- William..? Ah… vi avevo mandato a chiamare…
Il soldato, che  aveva fatto qualche passo indietro e si era seduto sulla sedia di fronte al piano, si schiarì la voce.
- Si, ma prima… avevo bisogno di parlare.
 Alex si mise composto sulla sedia, sistemandosi. I capelli ricaddero compostamente sulla fronte. Gli occhi verdi che presero a fissarlo inespressivamente.
- Non c’è nulla da dire.
Se ti riferisci a ciò che è successo l’altra sera in spiaggia non preoccuparti, posso capire.
L’altro non parve troppo stupito a quella reazione. Del resto si era aspettato un comportamento simile da parte del superiore.
- Tutta questa storia degli Ev e della coppia deve averti confuso.
E’ del tutto comprensibile che tu provi qualcosa di particolare nei miei confronti, del resto siamo dei complementari. Ma proprio per questo è facile cadere in errore; non ho nulla contro di te. Considero la storia chiusa qui.  
William strinse i pugni. Le parole dell’altro stavolta lo avevano colpito, ma di certo non positivamente.
Perché il suo viso era così freddo? Perché era improvvisamente così insensibile?
Le sue certezze, le sue convinzioni di quegli ultimi giorni erano crollate in meno di un secondo.  Credeva di essersi avvicinato a quella creatura delicata ed incomprensibile. Era convinto di essere riuscito a penetrare almeno un poco in quella corazza che lo circondava, di aver raggiunto un po’ della sua essenza.
Ed ecco che veniva respinto, scrollato violentemente dal suo bel sogno felice. Ma perché gli faceva così male? Perché si sentiva così umiliato e arrabbiato? Avrebbe voluto afferrarlo, avrebbe voluto sbatterlo contro la parete, avrebbe voluto… avrebbe voluto tante cose. Ma in quel momento non fece nulla.
- Bene.
Si limitò a rispondere aspramente, stringendo i pugni con forza per l‘ennesima volta.
Tuttavia mantenne la sua espressione indifferente e fredda, come al solito. Era sempre stato bravo a mascherare la delusione, la rabbia, persino la gioia.
- Ti avevo fatto chiamare perché volevo comunicarti che oggi pomeriggio proveremo ad amplificare l’unisono; ormai riusciamo a connetterci abbastanza facilmente. Immagino che per te non ci siano problemi se mantengo l‘addestramento per le due e mezzo.
Cerca di riposarti fino ad allora.
Aveva riassunto la sua espressione dolce e comprensiva, cosa che lo irritava ancora di più. Si alzò con indolenza.
In pochi minuti era fuori, all’aria aperta. Si poggiò alla ringhera.
Cercò di frenare le proprie pulsioni. Provò a calarsi nel pensiero di lui.
Forse era così. Tutta quella storia così all’improvviso, scoprire di essere una specie di strana evoluzione mentale dell’uomo, quel biondo piombato dal nulla, l‘impulso, la guerra.
Osservò l’orizzonte.
Si, molto probabilmente era così. Quello che era accaduto negli ultimi mesi lo aveva scombussolato non poco. Sensazioni nuove, pensieri nuovi, volti nuovi. Fino a poco tempo fa non avrebbe mai pensato che gli sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Il biondino era caduto nella sua vita con gli stessi effetti devastanti di una bomba sulla quotidianità di un  tranquillo villaggio abitato.
Non poteva ancora valutarne le perdite.
Doveva sforzarsi di capire a fondo se stesso, come mai aveva fatto prima. Anche se in realtà gli pareva tutto così chiaro.
Quelle parole così fredde e calcolate non erano bastate, infondo, a far vacillare la propria sicurezza.

Le due settimane che seguirono furono dure. Dopo l’allenamento con l’amplificatore gli diedero due giorni di tregua. Era stata un’esperienza abbastanza dolorosa.
L’amplificatore era una specie di anello che andava messo sulla testa, come un diadema, che a veva la funzione di moltiplicare la potenza dell’impulso mentale di chi lo indossava. Solamente che, essendo in fase sperimentale, ancora l’amplificazione non era molto forte. L’equipe che ci stava lavorando faceva molta fatica a seguire il ritmo degli addestramenti, e di solito utilizzavano Alex come sperimentatore ed elemento di studio.
Ma chissà quante altre volte quel giovane era stato sottoposto a studi. Già solamente per trovarlo. Da quanti anni sapeva di essere un Ev? e suo padre?
Il generale Duncan Rose. Aveva sentito parlare spesso di lui, ma non lo aveva mai visto di persona. I generali di solito non venivano in basi sperdute come quella. Lui sapeva delle capacità del figlio, per quello lo aveva mandato là. Eppure Alex gli pareva così solo, così malinconico a volte. Come se fosse di un altro mondo, come se fosse un angelo caduto perché sportosi troppo dalla sua bella nuvola.
Gli pareva così fuori posto in quell’ambiente sudato, sporco e insanguinato.
I suoi compagni spesso parlavano di lui a pranzo o nella sala di tiro. Li sentiva discutere delle sue missioni, delle operazioni che aveva diretto in quei giorni e di quanta maestria il giovane mostrasse nel pilotare aerei. Lodavano la sua meravigliosa postura, l’attitudine a dare ordini e a dirigere, l’astuzia dei propri progetti.
Erano tutti meravigliati, stupiti di come un ragazzino poco più che adolescente riuscisse a giostrarsi in modo tanto eccellente in un ambiente simile. Era dotato di un’intelligenza superiore alla media, questo lo aveva compreso. I suoi piani erano infallibili, calcolava ogni dettaglio, ogni possibile sfaccettatura di quei progetti, ogni errore e cambiamento. Prevedeva ogni cosa, conosceva  ogni dato, ogni programma, ogni dettaglio tecnico di ogni cosa.
Lui non aveva mai visto questo Alex. Non conosceva questo suo aspetto, questa sua abilità. Non sapeva queste cose.
Gli altri si però. Questo lo rendeva nervoso,  indispettito, geloso.
Quei suoi compagni conoscevano anche loro il biondo, ma a modo loro.
Sentiva dentro di se come la mancanza di qualcosa. Era come se dividesse Alex con gli altri, come se ognuno ne avesse un pezzetto per se. Ma lui che pezzo aveva?
Un pomeriggio, in stanza, gli ritornarono alla mente le parole di uno dei primi discorsi con lui. Sarebbero scesi in battaglia prima o poi; anche lui lo avrebbe visto combattere, uccidere, sporcarsi e macchiarsi del sangue dei nemici. Le immagini dei sogni che lo avevano fatto svegliare tante volte gli balenarono nei pensieri. Scrollò la testa.
Non doveva farsi assorbire troppo. Forse aveva ragione Alexander.
O forse era semplicemente troppo tardi.

P.S. Salve! Dunque, alcuni chiarimenti. Alex è ovviamente un ragazzo particolare. Questa sua abilità celebrale lo rende anche più intelligente della media e perciò molto più adatto a dirigere a scrivania progetti e operazioni che, sotto la sua supervisione risultano decisamente infallibili. Inoltre lui già prende parte alle operazioni, anche se William non è a conoscenza di ciò. Comunque nei prossimi capitoli si vedrà di più questo suo lato militare e credo sia inevitabile che sia un po più debole degli altri; è un adolescente; prima d'ora non ha mai partecipato alla direzione diretta; è sotto la supervisione di suo padre e quindi non può fallire; e viene sottoposto continuamente ad esperimenti che mettono alla prova non solo il suo corpo, ma soprattutto la sua mente.
Ma questa sua fragilità appare solamente con William. Diciamo che lo considera come un punto di sfogo.
In questo capitolo credo comunque ci sia qualche chiarificazione.^^
Per quanto riguarda i gradi: William è un Sergente Maggiore; Alex viene chiamato Comandante, che non è un vero e proprio grado. Sarebbe colui che in una base dirige l'esercito. Il suo grado ufficiale comunque è di Colonnello; Il padre di Alex è un Generale, il grado massimo; gli amici di William, Eric e Mickail, sono rispettivamente Caporale maggiore e Sergente.
Qui c'è uno schemino generale in ordine decrescente. ^^ Comunque grazie per i commenti.
Generale di còrpo d'armata
Generale di divisióne
Generale di brigata
Colonnèllo
Tenènte colonnèllo
Maggióre
Capitàno
Tenènte
Sottotenènte
Maresciallo
Sergènte maggióre
Sergènte
Caporale maggiore
Caporale
Soldato
Per altri chiarimenti chiedete pure.^^


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Capitolo 13
*** Chapter 13 ***


Chapter 13

Picchiava rapidamente i tasti disegnati sul piano piatto del computer. Tornò, toccando lo schermo, su una parola che aveva sbagliato e la cancellò riscrivendola. Rilesse rapidamente quando d’improvviso la porta si aprì, per poi richiudersi automaticamente.
Alzò lo sguardo.
Un uomo alto, castano, lo guardava oltre lo schermo con aria nervosa.
- Chi era quello?
Alex richiuse il compiuter premendo un tasto. Il suo sguardo tornò sull’ospite.
- Un mio sottoposto.
- Ah si? Bene.
Ti ha portato nella sua stanza poi? Oppure siete andati nella tua, eh?
Il biondo non sembrava intimorito dal tono dell’altro che andava alzandosi.
- Cosa sei venuto a fare?
Il soldato si sporse sul piano del tavolo, avvicinandosi al viso del giovane.
- Voglio una risposta Alex, e la voglio adesso!
Si fissarono per qualche istante. Poi si alzò e, girando attorno alla scrivania, si posizionò di fronte all’uomo. Questo lo osservò mentre la rabbia scivolava via dal suo volto ruvido e sbarbato.  
Alzò il braccio, sfiorando la divisa del biondo, per poi scendere sulla stoffa, sui fianchi, dietro la schiena. Lo abbracciò con dolcezza.
- Io ho bisogno di una risposta. Non posso più attendere. Non posso più stare senza saperti mio…
Il comandante si lasciò scaldare da quella presa avvolgente. Il viso immerso nella stoffa della canotta, sotto il mento di lui.
- Non mi hai più scritto da quando sono partito per venire qui. Non una chiamata, non una mail.
Io ti ho scitto; hai letto le mie corrispondenze? Ti sono arrivate? Ti ho pensato tutti i giorni…non puoi neanche immaginare quanto mi sei mancato.
E’ per questo che sono nervoso. Sono sempre nervoso.
La mano del ragazzo premette contro il petto muscoloso dell’altro, sciogliendosi dalla stretta accogliente.
In quel momento la sua mente esplodeva di pensieri. Il volto di William si contrapponeva insistentemente a quello del castano. I suoi occhi azzurri lo scrutavano severi, come se volesse ammonirlo, come a ricordargli le parole che lui stesso quella mattina gli aveva detto.
Forse era stato troppo duro. Forse avrebbe dovuto essere più sensibile nei suoi riguardi, avrebbe dovuto essere più sincero anche per i propri. Qualcosa per il moro la provava di certo; quello che non sapeva  era a che punto. Fino a dove William lo affascinava? E perché? La spiegazione che aveva dato al sottoposto poche ore prima non convinceva neanche se stesso, come poteva aver convinto lui? Che i suoi sentimenti fossero davvero così deboli come lui stesso gli aveva aspramente ribadito? Una cosa era certa, non poteva sapere cosa provasse realmente William nei suoi confronti, ma per quanto riguardava se stesso, si sentiva sin troppo coinvolto.
E l’uomo che ora era gli era di fronte e che gli chiedeva amore? Cosa pensava di lui?
Gli voleva bene, fin troppo. Sin da bambino gli era sempre stato accanto ed aveva vegliato su di lui come un angelo custode. Lo aveva sempre trattato come un principe, un meraviglioso dio. Non gli aveva mai fatto mancare nulla, sin dal primo giorno. Tutte quelle premure, quelle carezze, lo avevano fatto illudere; si era illuso di provare amore per quel giovane grande e forte, per quel compagno sempre attento ad ogni sua esigenza, gentile, dolce, tranquillo.
Gli aveva permesso di avvicinarsi, di tenerlo fra le braccia, persino di baciarlo quando le sue attenzioni erano divenute più intime. Ma poi? Dopo la sua partenza forzata per la base non lo aveva più visto. Aveva ricevuto le sue promesse, i suoi pensieri, ma non aveva mai risposto. Sentiva che tutto ciò che avevano fatto, tutto ciò che si erano detti era sbagliato. Il loro legame era talmente fragile da spezzarsi al primo tentenno.
A fargli venire quei dubbi furono proprio gli occhi di suo padre. Così severi, così freddi e autoritari. Non avrebbe mai voluto deluderlo, non avrebbe mai voluto ferire quel suo genitore così amato, colui che lo aveva strappato dal nulla, dalla mancanza e lo aveva accolto in una famiglia dove potesse essere accudito.
Non aveva ricordi del suo padre naturale, ne voleva averne. Ora quello per lui era il suo vero padre, l’unico, che dopo la morte della madre si era preso cura di lui come di un figlio suo.  Gli aveva dato il suo cognome, la sua istruzione, la sua casa, il suo affetto.
Proprio il ricordo di quel padre lo riscosse.
- Non posso.
L’altro parve contrariato, stupito; allentò l’abbraccio.
- Io non posso farlo. Per mio padre, per me, so che è sbagliato. Non possiamo fare una cosa simile è contro…
Ma fu interrotto bruscamente dall’uomo.
- Contro le regole? Contro cosa? A me non interessa nulla e credevo che anche a te non importasse! Quando eravamo insieme, quando passavamo i pomeriggi abbracciati, a baciarci… per te non è significato nulla? Di cosa hai paura? Che quel vecchio non ti voglia più in casa sua? Che ti abbandoni? Per quel che mi riguarda io ho già chiuso con lui tempo fa, ma credimi con te non potrà fare lo stesso, non potrà mai cacciarti; tu sei il suo figlio prediletto, quello che ha sempre voluto. In ogni caso sarò io a prendermi cura di te… come quando eravamo bambini, come quando ci amavamo…
Quelle ultime parole entrarono a forza nella mente del biondo.
- … tu mi amavi…tu Peter…e mi dispiace…
Si distanziò dal castano, allontanandosi di qualche passo.
Le braccia forti lo raggiunsero nuovamente, circondandolo da dietro la schiena.
- Io non posso farla finita qui. Non posso smettere di provare ciò che sento nei tuoi confronti. Ti aspetterò. So che anche tu provi qualcosa per me, ne sono certo. Non voglio che altri ti tocchino, non lo posso sopportare; neanche quel tuo sottoposto…
Il giovane non rispose. Si lasciò ancora prendere dalla stretta affettuosa di lui, anche se la sua mente vagava, pensando alle braccia di un altro.

Sfogliava la rivista pigiando il tasto sullo schermo. Le immagini di donne si susseguivano sotto i suoi occhi, con le belle forme nude messe in mostra. Qualcuno bussò.  
Il moro si mise a sedere sulle lenzuola, abbandonando la tavoletta sul letto. Si diresse alla porta e premette il tasto di sblocco. Fu sorpreso nel vedere il bel viso del biondo fare capolino oltre lo spiraglio che si apriva rapidamente.
- Salve.
Il tono freddo, scontroso del soldato non intimidì il ragazzo, che continuò ad osservarlo imperterrito.
- Salve. Vorrei parlarvi, posso… entrare?
William rimase immobile per qualche istante indeciso sul da farsi, poi si scostò lasciando libero il passaggio. Il comandante entrò e la porta si richiuse alle proprie spalle. L’uomo premette nuovamente il tasto di blocco, insonorizzando la stanza e chiudendoli dentro.
- Non mi piace che ascoltino gli affari miei.
Rivolto al giovane che si era voltato a guardarlo interrogativamente.
William attraversò la stanza fermandosi per frugare nel piccolo frigo.
- Vuoi una birra? Non ho niente di più raffinato qui.
Alex fece cenno di no con la testa.
L’altro tornò a sedersi sul letto, aprendo la lattina.
- Siediti.
Il biondo si sedette sulle lenzuola, urtando la mano contro lo schermetto abbandonato. L’immagine della donna scomparve lasciandone posto ad un’altra. Arrossì appena, allontanando la mano dall’oggetto.
Al soldato sfuggì un sorrisetto divertito. Afferrò la tavoletta e la spense, poggiandola sulla scrivania.
Si accese distrattamente una sigaretta, osservando ogni singolo movimento dell’altro, che invece tentava di rimanere immobile, come intimorito. Il silenzio era pesante come un macigno, imbarazzante e teso.
Fu il giovane a rompere quella quiete insolita.
- Forse sono stato un po troppo brusco.
Non volevo sminuire i tuoi sentimenti o insinuare che ciò che senti non valga nulla. Per ora la cosa più importante è riuscire ad equilibrare l’intensità dell’unisono. Non possiamo permetterci di pensare a queste cose, non ora.
Io, ho agito troppo impulsivamente, basandomi solo sulla logica senza pensare a come dovessi sentirti veramente. Ti capisco, sono confuso anch’io…
Fu interrotto. William aveva sentito quello che voleva sentire; aveva gettato la sigaretta nel posacenere vicino a se e si era sporto in avanti; il viso a pochi centimetri da quello dell’altro. I respiri che si fondevano.
- Io non sono confuso. So bene ciò che voglio.
Non sapeva cosa sarebbe successo. Ma era certo, lo sentiva, che stavolta non si sarebbe fermato, non sarebbe stato respinto. Percepiva l’insicurezza nelle parole del ragazzo, la sua indecisione, la sua emozione, il suo imbarazzo. Ma imbarazzo per cosa? Forse per qualcosa che sapeva stava per succedere, per qualcosa che infondo voleva succedesse. Forse anche lui si sentiva così come si sentiva lui.
Quella sicurezza lo spinse. Lo spinse a sporsi in avanti poggiando le labbra su quelle dell’altro. Le labbra morbide, delicate, calde. Il biondo non parve reagire. Fu allora che inconsciamente, senza pensare, approfondì il contatto. Il bacio divenne profondo, voluttuoso, passionale. Il moro si intrufolò nella bocca del giovane con violenza lussuriosa.
Il sapore di quella creatura gli parve immensamente delizioso, quasi lo stordiva. Lo spinse indietro, facendolo sdraiare sul letto. Alex si mosse appena, come per respingere il peso del corpo che gli pesava addosso.
Frettolosamente le mani di William andarono alla sua camicia candida, sul petto, mentre il bacio non sembrava voler cessare.
Afferrò la stoffa, cercando di sbottonarla, ma non vi riuscì. Diede uno strattone.
Il rumore di un bottone caduto a terra.
Si staccò dalle labbra di lui, allontanandosi quanto bastava per vederlo in viso. Il ragazzo era immobile, inespressivo, col volto pallido e gli occhi fissi su di lui.
Gli carezzò una guancia fino a giungere alla piccola macchiolina nerastra poco sotto l’occhio. Si chinò e lo baciò di nuovo. Stavolta con più dolcezza, con passione calda e sublime.
Non era la prima volta. Era andato a letto con tante di quelle donne che non sapeva neanche darne una stima approssimativa.
Del resto aveva sempre avuto una vita sregolata e stare in quel campo non gli dava nessuna forma di svago.  Così quando usciva la sera era facile avvicinare qualcuna che ci stava. Era di bell’aspetto, sicuramente molto affascinante (non di certo modesto), alto e misterioso. Così appariva agli occhi delle donne, e molte non avevano mancato di dirglielo. Era sempre stato sotto le attenzioni del mondo femminile. Gli uomini non gli erano mai interessati e non gli interessavano. La sola idea gli aveva sempre fatto ribrezzo.
Aveva assaggiato mille sapori, mille labbra, eppure era diverso.
Non era come le altre volte, lo sentiva. Sapeva che lui era speciale. Sapeva che quel giovane, non solo bello, ma meraviglioso, non era né una donna ne un uomo per lui. Era qualcosa di infinitamente superiore. Il viso d’angelo il corpo perfettamente levigato e proporzionato lo facevano sembrare una qualche creatura celeste, divina.
Anche il suo profumo era sovrannaturale. Qualcosa di indefinibile e perfetto, qualcosa che gli era entrato nei polmoni e che sapeva lo avrebbe presto reso dipendente. O forse lo era già.
I suoi due splendidi occhi lo fissavano imperterriti. Quelle distese d’acqua marina lo avvolsero nel calore dolce che non aveva mai pensato potessero emanare. Il suo sguardo era malinconico, tenero e delicato. Lo osservava come se volesse accarezzarlo solo con il pensiero.
E sentì quella strana sensazione che ormai sentiva spesso con lui. Una pace indefinita, celeste, innaturale. Era sollevato, come abbandonato su di un letto morbidissimo e candido, in una giornata primaverile, con le tende sollevate dalla brezza leggera ed il silenzio più totale. Solo il frusciare delle tende morbide.
L’irrequietezza che lo aveva preso all’inizio si placò d’improvviso.
Il tocco delicato e accennato di una mano gentile gli fece comprendere che quella era la realtà. La carezza delicata e dolce del giovane. Gli aveva sfiorato il viso con le dita. Le sue braccia lo circondarono . Il mento affondò nella spalla del ragazzo ed il suo profumo gli invase i sensi. Voleva solo restare lì, fermo, fra le sue braccia. Anche quello gli sarebbe bastato. Si abbandonò totalmente a quell’abbraccio stringendo a se la vita del biondo ed affondando di più il capo nella stoffa morbida.
Alex lo allontanò appena, fissandolo intensamente con comprensione e timidezza. William si accorse allora che stava tremando. Lo riavvicinò a se. Voleva fargli sentire cosa provava veramente, voleva sentire quello che sentiva per lui.
I suoi occhi erano in quelli di lui e non poteva far altro che pensare a quanto splendido fosse. Le loro labbra si sfiorarono nuovamente. Dapprima il tocco leggero, poi lentamente la fusione del bacio. Il giovane, inizialmente imbarazzato, non si mosse, lasciò che l’altro violasse la propria intimità anche se con delicatezza. Poi si lasciò andare quando la presa dell’uomo divenne più forte, più rassicurante. Tutto ciò che lo frenava svanì all’istante. Si sciolse in quel caldo bacio, a quelle dolci coccole che William gli faceva. Strinse con forza le braccia attorno al corpo del soldato, si aggrappò a quell’abbraccio come l‘unica fonte di salvezza. Non gli importava più di nulla ora.
- E’ questo quello che voglio.
La voce bassa e sensuale di William gli sussurrò vicino all’orecchio. Le guance del biondo si colorirono appena prima che affondasse il capo nella stoffa, fra il collo e la spalla del compagno.
Nulla poteva raggiungerlo. Ne suo padre, ne  Peter, ne nessun altro.


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Capitolo 14
*** Chapter 14 ***


Chapter 14

Correva verso l’hangar senza fermarsi. Le figure attorno a lui si muovevano convulsamente, chi nella sua stessa direzione chi nel verso opposto.  Non capiva nulla ma andava avanti lo stesso.
E pensare che poco prima era sul suo letto, sdraiato. Aveva appena finito gli allenamenti e si stava riposando, dopo essersi fatto una doccia fredda. Era lì ed aspettava l’arrivo dell’altro che gli aveva promesso sarebbe venuto dopo essersi rinfrescato.  
Gli sembrava così strano quello che gli stava accadendo con lui. Non perché non avesse mai avuto una ragazza, ma perché si trattava proprio di lui, di Alex. Non gli pareva vero. Si sentiva euforico, vivo, pieno.
Ogni cosa che lo circondava gli ricordava il ragazzo, inevitabilmente, incomprensibilmente. Era sempre nei suoi pensieri e forse era per quello che voleva sempre più averlo anche fra le proprie mani. Rivedeva il visino delizioso del giovane far capolino dalla porta e sorridergli.
Era silenzioso e posato, riservato e timido. Quella dolcezza infinita l’aveva scoperta solo in quegli ultimi giorni anche se ne aveva ravvisato i segni già dal loro primo incontro.
Era scivolato nella stanza con quel suo corpicino esile ed elegante in ogni sua posa, in ogni suo movimento.
Aveva appena fatto in tempo ad abbracciarlo, mentre si era gettato imbarazzato fra le propie braccia. Lo aveva carezzato ed aveva tutta l’intenzione di rubargli un bacio.
In quell’istante era scattato l’allarme acustico. Le forze nemiche attaccavano in massa e bisognava muoversi. Non fece attempo a riguardarlo che gli sfuggì di mano, sgattaiolando fuori dalla porta.
Ed era lì ora, che correva a perdifiato con  la sirena che gli strillava nelle orecchie e il mormorio e le grida di allerta delle figure che gli scorrevano attorno. Varcò la gigantesca porta metallica e si ritrovò di fronte a due degli aerei. Corse verso il suo armadio e ne estrasse casco e guanti. Mentre se li infilava camminava velocemente verso il proprio velivolo, guardandosi intorno nella confusione caotica.   
Poco lontano il proprio sguardo fu catturato dalla testolina del biondo che lo fece fermare. Era poco distante da lui che si stava infilando il casco mentre parlava con altri due uomini. Avrebbe voluto avvicinarsi, almeno per salutarlo, per dirgli qualcosa, anche la più sciocca, ma non lo fece.
Qualcuno avrebbe potuto vederli. Si limitò ad osservarlo ancora per qualche istante.
Pochi secondi dopo era a bordo ed accendeva i motori. Mentre si sistemava il casco non poteva fare a meno di pensare che era la prima volta che vedeva Alex in azione. Una strana eccitazione lo percorse. Era curioso.
Aveva sentito da altri che aveva già partecipato a delle missioni, ma lui non aveva mai visto il ragazzo in nessuna di quelle circostanze. Finalmente avrebbe anche lui carpito quel suo aspetto finora a lui sconosciuto.
La lieve pressione della partenza, l’affievolirsi del motore. Attraverso i vetri non vi era più l’hangar chiuso, ma il cielo aperto. Uno squadrone da tre era poco lontano, partito da poco.
Qualcosa nelle sue orecchie fischiò.
- Hartnett mi sentite?
La voce lievemente eccitata e preoccupata era inconfondibile.
- Si, vi sento signore.
Il tono era rispettoso ma nascondeva una punta di malizia evidente.
- Ho Rodriguez sulla seconda.
La voce incrinata e lievemente ammonitrice.
Sorrise.
- Sono stati riscontrati attacchi nei settori 3 e 4 anche se più lievi; l’ala nord è sgombra e lo squadrone sette è diretto al settore 12 dove sono concentrate delle forze nemiche anche se in minor numero. Noi attaccheremo al 3 e 4, dove i neoterrestri sono in maggior numero.
Buona fortuna…
La comunicazione si interruppe.
Di lì a poco si sarebbe trovato all’inferno. Da lontano vedeva già i bagliori della battaglia.
Ad un tratto un rumore sordo; un boato e poi un’esplosione. Fu sbalzato in avanti contro i comandi ma le cinghie lo trattennero.
Qualcosa lo aveva colpito.
Rapidamente riafferrò i comandi stringendo i denti. Diede una rapida occhiata prima fuori dai vetri, poi sullo schermo magnetico di fronte a se.
Poco lontano da lui vi era uno che doveva appartenere al proprio squadrone, gli altri invece erano lontani dal raggio di almeno cinque chilometri. Tre velivoli sconosciuti lo accerchiavano, due alle spalle ed uno a destra.
Doveva liberarsi da quella situazione o ci avrebbero messo poco ad eliminarlo.
Trasse a se il volante. L’aereo virò improvvisamente verso l’alto. Si ritrovò sottosopra, nella direzione opposta. Avvertiva il proprio peso gravare sulle cinghie che lo stringevano.  Mantenne la cloche nella stessa posizione. Il velivolo fece un giro completo e si ritrovò di nuovo in posizione diritta, ma stavolta era dietro i nemici.
Vedeva le loro macchine.
Aprì il fuoco.
Ne colpì uno, ma l’altro lo evitò. Il terzo non lo vedeva.
Brutto segno.
Diede una rapidissima occhiata al radar, senza trovare segnale. Qualcosa passò a destra, fuori dal vetro.
Virò bruscamente per la seconda volta aprendosi sulla sinistra.  Schivò i colpi nemici per poco.
Un rumore strano, come confuso, metallico.
- …nett…Hartnett…mi sentite?…
William parve sorpreso al suono di quella voce interrotta dal soffio roco della comunicazione.
- Si, forte e chiaro signore!
- Ne rimangono due, cercate di non sbagliare.
Ce ne è uno alla vostra destra, io penso all’altro!
Quella voce lo aveva riportato alla realtà, lo aveva scosso dallo stordimento che come ogni altra volta gli provocava la battaglia.
Era arrivato Alex e lo aveva risvegliato.

Pochi minuti dopo era nell’hangar. Si tolse il casco e scrollò la testa.
Le forze nemiche avevano improvvisamente ripiegato e si erano ritrovati a volare soli.
Da quel che aveva sentito dalle comunicazioni i danni riportati non erano molti, anche se due velivoli erano stati abbattuti senza però gravi conseguenze ai soldati.
Giunse nello spogliatoio deserto dei piloti ed aprì il proprio armadietto abbozzato. Afferrò l’asciugamano ripiegato sul piccolo scaffale metallico e si asciugò la fronte ed il collo.
Ripensò alla battaglia. Alex era stato magnifico. Non aveva mai visto pilotare a quel modo un aereo. Era come se quel giovane potesse fargli fare qualsiasi cosa. Come se la macchina fosse l’estensione stessa del pilota.
Era stato incredibile. Non aveva mancato neanche un colpo. Aveva abbattuto i nemici con una semplicità impressionante.
Si passò una mano sulla fronte. Ora comprendeva che il ruolo ricoperto dal ragazzo non gli era stato affidato per errore. La sua intelligenza e la sua eccellenza nella tecnica lo rendevano un tutto con l’essenza stessa dell’aeronautica. Conosceva ogni cosa delle proprie macchine e di quelle nemiche. Poteva fare ciò che voleva, gestirle come meglio poteva ed abbatterle con tattica e precisione.
Aveva appena scoperto che quel suo lato freddo e sprezzante, audace e calcolatore gli piaceva.
Si era aperta ai suoi occhi un’altra porta che gli permetteva di penetrare nel mondo di quella creatura complessa e magnifica quale era Alexander.
Nel breve tragitto che lo separava dalla propria camera bevve un’intera bottiglia d’acqua.
Sapeva che gli ci sarebbe voluta un’oretta prima che si sarebbe ripreso del tutto. Sentiva anche un’acuto dolore alla testa. Forse sarebbe dovuto andare in infermeria da Cassidy. No, ci sarebbe andato domattina.
Aprì la porta con la password ed entrò.
La doccia non fece che aumentare il suo mal di testa.
Quando si sdraiò sul letto, con solo l’asciugamano addosso, il dolore era diventato atroce. Non si era mai sentito così male dopo un volo. Tentò di non pensarci, di distrarsi.
L’immagine del ragazzo pareva un buon aiuto. Vedeva il biondo sorridere, come nei film.
Si sentiva un po sciocco.
Lo vide parlare, voltarsi, lo ricordò mentre si allenavano, con l’espressione austera e contemplativa. Rivide il suo volto con l’aria persa di chi è immerso nei pensieri, nell’hangar prima della partenza.
Poi d’improvviso immagini che non avrebbe mai potuto ricordare.
La successione sempre più confusa e veloce. Brevi frammenti che si accavallavano, si sovrapponevano.
Non le aveva mai vissute.
Il rumore sordo di gocce che cadevano a terra. Il dolore tornava a martellargli la testa.
Il viso pallido, con gli occhi vitrei che fissavano il vuoto. Avvertiva delle fitte insistenti.
I capelli bagnati, attaccati al volto.
Una voce che gli parlava. Dapprima un sussurro, poi sempre più alta.
Avvertiva il peso di qel corpo fra le braccia, pesante come un macigno. Alter voci si sovrapponevano.
Un bisbiglio. Il viso del giovane lo guardava sorridente. Da vicino, da molto vicino. Vedeva bene i suoi occhi.
Lacrime. Piangeva. Abbassava lo sguardo.
Si sentì arpionare il braccio da una presa forte.
La testa stava per esplodergli.
Il corpo nudo, morbido sotto le sue mani. Il calore febbrile.
L’ansimare eccitato. Il sudore. Ancora voci. Grida ora.
Si strinse il capo con le mani serrando i denti.
Il respiro spezzato gli rimbombava nella mente. La voce rotta dai singhiozzi, dalla forza dello spasmo.
Mani.
Delle mani che gli sfioravano il viso. Il sangue vermiglio sparso ovunque. Tutto rosso, sporco, appiccicoso. Avvertiva la puzza del sangue. Le lenzuola macchiate.
Qualcosa c’era fra quella sporca seta.
Vide il proprio braccio tirare la stoffa fradicia.
Un corpo candido. Ancora.
In mezzo al sangue.
Il suo viso.
Lacrime rosse gli rigavano il volto.
Bussarono alla porta.
Il dolore si era placato d’improvviso, come smorzato. Si guardò attorno. Le lenzuola erano scombinate e l’asciugamano si era allentato. Era sudato.
Picchiarono nuovamente alla porta.
Si alzò risistemandosi il panno alla vita. Sentiva un nodo che gli stringeva la gola.  
Il visino pulito di Alex comparve dalla fessura.
- Ciao. Posso…?
William annuì confuso.  L’altro scivolò dentro silenziosamente mentre lui tornava a sedersi sul letto.
Il giovane aveva la guance colorite ed i capelli umidi. Gli sembrava più bello del solito.
Lui, un po’ timidamente si avvicinò al materasso e si sedette.  Assunse un’espressione lievemente stupita e preoccupata.
- Stai male? Sei pallido.
L’uomo si passò una mano sul volto, come per cancellare il ricordo degli ultimi minuti trascorsi. Poi porse una mano verso l’altro.
- Vieni qui…
Il biondo arrossì vistosamente e con aria imbarazzata ed innocente si avvicinò. Si sedette fra le gambe del moro e, inizialmente indeciso, si accoccolò fra le sue braccia, come un gattino voglioso di coccole.
Non era la prima volta che si trovavano così vicini e così intimi, ma era come se lo fosse.
- Ho solo un po di mal di testa. Tu stai bene?
Annui, alzando poi lo sguardo per fissarlo intensamente negli occhi.
- Dovresti farti visitare. Aspetta …
Si mise in ginocchio e poggiò la propria fronte contro quella di lui. Inizialmente parve concentrato in quello che stava facendo senza accorgersi di quanto fossero vicini i loro corpi.
William sorrise non potendo fare a meno di notare l’espressione intensa e pensierosa dell’altro.
Poi però il suo sguardo scese in basso. Solo in quell’istante si accorse di quanto fosse esile quel corpicino candido. Non indossava la divisa, ma una semplice t-shirt bianca un po grande per la sua misura, e dei pantaloni da ginnastica anche questi troppo larghi. Tuttavia, nonostante tutta quella stoffa inutile le forme apollinee del giovane erano inconfondibilmente evidenti. Possibile che fosse così perfetto?
Le braccia sottili scendevano lungo il corpo ed una di loro era aggrappata inconsciamente al suo avambraccio.
Tornò a guardare in alto.
Due occhi immensi lo osservavano. Fissi, puntati nei suoi.
Alex si allontanò bruscamente. Si era accorto di dove lo sguardo dell’altro aveva vagato.
Le guance colorite ancor più di prima. Abbassò lo sguardo.
William rimase immobile per qualche istante a squadrarlo, per nulla intimorito dal fatto di essere stato scoperto.
Poi tese la mano afferrando il braccio di lui con attenta delicatezza.
- Alex…hai paura…?
Non si mosse. Immobile, inginocchiato di fronte a lui con il volto basso. Il moro si sporse in avanti, afferrandogli il mento. Avvicinò il proprio viso cercando di scrutare l‘espressione del biondo.
- Non vuoi che io ti guardi? Non ti piace?
Attese qualche istante, ma non ottenne risposta. Sfiorò con le labbra la bocca dell’altro. Poi con la lingua si intrufolò, per poi trarlo a se. Lo premette sul proprio corpo assaporandolo intensamente. Il bacio divenne sempre più forte, sempre più intenso.  Solo quando il ragazzo gemette, allora se ne staccò.
Era finito di nuovo fra le braccia dell’uomo.
- Non mi vuoi parlare?
Il ragazzo si accoccolò nuovamente sul petto di lui. Il viso arrossato, gli occhi lucidi.
- Io non… non ho paura.
William gli diede un leggero bacio sulla fronte.
Quell’angelo era riuscito a cacciar via tutti i brutti pensieri ed ora lo teneva stretto a se, sentendone tutto il fresco calore, la stoffa ruvida sulla pelle ed il profumo intenso dei suoi capelli.
- Un giorno io e te faremo l’amore.

P.S. Hello! Scusate l'attesa ma ero via per le vacanze fino all'altro ieri. Allora, spero vi piaccia anche questo capitolo. Siamo entrati nel vivo della storia! D'ora in poi si spiegeranno più cose. Spero che continuiate a seguirmi fino alla fine.
E vi prego, anche due righe, anche solo una, commentate! Sapere cosa ne pensate mi aiuta ad andare avanti con la storia, anche perchè non ho ancora ben deciso come continuare. Quindi vi prego SCRIVETE. Grazie ^^
A presto.                                                                                                                  _HalWill_

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Capitolo 15
*** Chapter 15 ***


Chapter 15

Qualcosa gli stringeva la testa. Gli premeva e gli bruciava.
Eppure non c’era nulla. Era lì, in mezzo ad un vuoto d’acqua, leggero, inconsistente, ma presente. Aveva coscienza del proprio corpo, lo sentiva, lo vedeva persino. Lo sguardo gli cadde sulla propria mano che penzolava contro il fianco. Si voltò.
Il viso del giovane, appena distinguibile in quella figura esile ed evanescente che aveva di fianco, gli sorrise rassicurante. Gli occhi splendidi lo osservavano sorridenti, dolci, come solo lui sapeva fare. Qualcosa gli sfiorò la mano. Fresche e morbide, lisce come la seta, le dita del giovane gli strinsero il palmo dolcemente.
Le sentiva, erano reali.
- Ancora non ti sembra naturale, vero? E’ normale, sta tranquillo.
Si ripeteva di concentrarsi. Ma non ci riusciva.
In quegli ultimi giorni quei sogni non l’avevano fatto dormire. Gli avevano ossessionato le notti. E poi la stessa presenza del ragazzo lo stava cambiando. Tutto era cambiato, ormai lo sapeva bene. Nonostante non avessero una vera e propria relazione, come se fosse qualcosa di sottointeso, stavano assieme, si scambiavano baci nascosti, silenziosi. Non serviva neppure parlarsi.
Ma era questo che gli faceva male. Il biondo non gli parlava. Non parlava di se, non diceva nulla. Si limitava a farsi abbracciare, baciare, e stringere. Si, perché lo sentiva ogni volta che si abbracciavano, che stavano vicini. Le sue mani si aggrappavano come per sopravvivere, come per resistere a qualcosa.  
Non gli aveva mai detto nulla su questo. Non gli aveva mai chiesto il motivo di quella timidezza celata, di quei silenzi ai quali ormai era abituato, di quei sorrisi dolci e malinconici, di quella intimità segreta e lontana.
Lontano. Era così che lo sentiva ogni giorno di più. Nonostante si avvicinassero, si baciassero, la vicinanza dei loro corpi pareva allontanar i loro cuori le loro menti.
Voleva sapere cosa pensava. Si era sempre chiesto cosa ci fosse dietro quegli sguardi vuoti, persi nel nulla, dietro quegli occhi immensi e irraggiungibili.
Lo guardava, guardava quella figura eterea al suo fianco che tentava di concentrarsi. Osservò la propria mano stretta nella sua. Lo osservava così intensamente senza accorgersi che l’ambiente, il nulla che gli stava attorno iniziò a cambiare.
Alex perse fisicità. Il suo corpo diveniva sempre meno visibile, ma lui non parve accorgersi. Continuava a prestare attenzione all’allenamento.
Ma ora dove era? Tentò di afferrarlo, ma non lo sfiorò neanche.  Intorno a se era tutto buio, confuso.
Delle voci, dei sussurri. La voce di un uomo, che aveva già sentito. Non capiva bene cosa stesse dicendo. Un fruscio indistinto lo disturbava.
Poi in sottofondo la voce cristallina del ragazzo. Era tenue e intimidita.
… non riesco a stare così. E’ difficile concentrarsi con lui vicino. Vorrei che mi parlasse. Sta sempre zitto. Non mi stringe neanche la mano adesso. Forse si sta concentrando. Forse è stanco. Dovrei chiederglielo. Aspetto. No, meglio di No. Me lo direbbe. Non voglio essere ossessivo. …
Pensieri. Uno dietro l’altro, come se stesse leggendo ciò che adesso lo attraversava.
Che potesse leggere i suoi pensieri? Ma dove si trovava e dov’era finito Alex? Perché sentiva solo la sua voce?
Non vedeva neanche il proprio corpo adesso. Era come se stesse ad occhi chiusi. Forse stava dormendo adesso. Forse era un sogno. Quella mattina non si era ancora svegliato e non era andato agli allenamenti. Non capiva cosa stesse succedendo.
Immagini a strani colori, confuse e prive di dettagli. Vide il proprio viso malizioso, come se si stese guardando allo specchio. O meglio come se si guardasse con gli occhi di qualcun altro. Vedeva se stesso muoversi autonomamente. Era come guardarsi attraverso una telecamera. Beveva una birra. Di nuovo la voce.
Magari potremmo fare un’altra passeggiata. Sto così bene. Ma meglio non farci vedere. Se scoprisse. Chissà cosa penserebbe. Non glielo dico. No. Non posso.
Altre voci. Aveva male, ma ormai non sapeva neanche più dove.
Vedeva immagini susseguirsi, voci sovrapposte, tutto ruotava vorticosamente, sempre più veloce, sempre più confusamente.
Fu un istante. Qualcosa che aveva già visto.
Il viso del giovane che si gettava indietro. L’espressione vuota. Poi sparì di nuovo.
Riavvertì il proprio corpo. Qualcosa gli straziava il petto.
Come se lo stessero pugnalando.
Un dolore atroce. Gridava.
Non sapeva se con la voce e con la mente.
Un grido assordante.
Gli esplodeva la testa.
Ancora.
Ad un tratto non sentì più nulla.

Quando si risvegliò si trovava su un letto morbido e bianco. Tutta la stanza attorno a lui era bianca.
Alla sua destra c’era un separè dello stesso colore di tutto il resto.
Mise i piedi a terra e si alzò a fatica. Sentiva dolore da ogni parte. Si aggrappò alla tendina ed aggirò il separè.
Si trovava nell’infermeria. Non c’era nessuno, neanche l’infermiera.
Si guardò attorno. Solo le tendine di un altro letto erano tirate.
Si avvicinò e le scostò.
Il giovane era sdraiato, pallido quasi da avere lo stesso colore delle lenzuola. Il capo era abbandonato sul cuscino, gli occhi chiusi. Aveva un piccolo aghetto infilato nel braccio ed, anche se coperto dal lenzuolo, indossava lo stesso camicione che si era ritrovato addosso lui al suo risveglio. Non si muoveva, era immobile.
Inorridito si accostò rapidamente alle sue labbra. Respirava talmente piano che sarebbe facilmente stato scambiato per morto.
Si rialzò. Si accorse di essere sudato.  
La visione del ragazzo in quelle condizioni lo aveva scombussolato parecchio.
Afferrò la sedia vicino al letto e vi si sedette. Osservava il braccio esile di lui. Ogni volta gli sembrava più piccolo, più indifeso.
Eppure quel viso dall’espressione fiera e austera non accennava a cambiare. In quella delicata creatura si nascondeva in realtà una personalità impenetrabile ed assolutamente forte. A volte però si perdeva. Diveniva timido e dolce. Quel temperamento imperioso e consapevole si scioglieva e si trasformava come se egli stesso le stesse plasmando. Quelle rare volte che erano soli era dolce, indifeso, timido e comprensivo. Era incredibile come mutasse in sua presenza.
Lo sguardo si spostò sul volto atono. Le ciglia lunghe e scure lasciavano intravedere un pallida ombra sulla pelle chiara. Gli sfiorò una guancia col dorso della mano. Era fredda e levigata.
Non riusciva tuttora a capire cosa fosse accaduto.  Tutta quella confusione, le voci. E quelle immagini che non erano sue.
Le palpebre del biondo tremarono. Si mossero spalancandosi su quelle splendide iridi marine. Lo sguardo andò subito verso di se.
-  Will…
Sorrise appena. Puntellò i gomiti sul materasso cercando di mettersi a sedere. L’uomo lo bloccò, spingendolo a sdraiarsi nuovamente.
- No, sta fermo. Resta giù. Sono qui, non c’è bisogno di alzarti.
Alex seguì il consiglio, rimettendosi sotto le lenzuola.
- Come ti senti? Sei così pallido…
- Sto bene, non preoccuparti.
Sorrise di nuovo.  Tese la mano verso il proprio viso. Gli carezzò una guancia.
- Tu stai bene invece? Mi sono preoccupato.
Annui. Gli afferrò la mano e la sfiorò con dolcezza. Il rumore di voci sommesse, la porta che si apriva. L’infermiera entrò seguita da dottori dell’equipe che si occupava di loro due. William lasciò andare la mano del giovane.
- Come vi sentite?
Due di loro si avvicinarono mentre un altro si diresse a sistemare l’ago sul braccio di Alex.
- E’ stato molto rischioso. Dovete cercare di non farlo mai più!
Il moro si alzò innervosito.
- Come facciamo se non sappiamo neanche che diavolo è successo?!
Il più alto dei due gli trattenne un braccio. Si rimise a sedere.
- Difatti siamo qui per spiegare quello che pensiamo sia successo. Molto probabilmente uno di voi due è entrato nelle mente dell’altro forzandola.
- Ma non è quello che facciamo ogni volta?
- No! Di solito entrate entrambi in una zone della vostra attività cerebrale che solo voi in quanto Ev avete sviluppato. Stavolta le tue onde cerebrali si sono amplificate e sono riuscite a penetrare nella mente di Alex; ma non solo in quella parte che cerebralmente è separata dal resto del pensiero, ma anche nel pensiero stesso. Tu hai invaso la sua testa, sei entrato nei suoi pensieri, nel suo cervello.
Le parole dell’uomo andavano a colmare quel vuoto incomprensibile che aveva visto negli ultimi minuti.
Ora capiva cosa fossero quelle immagini che non gli appartenevano, quelle voci sconosciute, quei pensieri sussurrati. Mentre l’altro continuava a parlare, lui tornò ad osservare il giovane. Era stato lui a ferirlo. Lui gli aveva fatto del male, e non poteva perdonarselo.

P.S. Grazie mille per i commenti^^ Al mio ritorno li ho trovati ed ora sono super felice! Grazie ancora!

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Capitolo 16
*** Chapter 16 ***


Chapter 16

Dopo che si fu ripreso iniziò un’intensa settimana di operazioni aeree. Per la maggior parte le svolse assieme ad Alex anche lui ripresosi. Alcuni punti della base erano stati danneggiati irreparabilmente in seguito agli attacchi dei nemici e molti uomini avevano perso la vita. Persino Eric, in seguito ad una missione era stato portato via in barella, rimanendo una settimana intera in infermeria. Intanto l’amplificatore si era perfezionato e pareva essere giunti più o meno all’arrivo. Tuttavia gli allenamenti procedevano sempre più incalzanti ed il tempo per poter stare assieme non era poi molto. Le visioni notturne comparivano raramente nei sogni svegliandolo la notte. Ormai però si svegliava sempre solo nel suo letto. Non vi erano più donne o accompagnatrici. Da quando si era messo seriamente con Alex aveva piantato tutto, anche perché infondo non gli interessavano più al di là della semplice attrazione.
Spesso però sognava del biondo. Lo vedeva al suo fianco, lo sentiva sotto le proprie mani. Sentiva sempre più la necessità di un bisogno fisico da colmare. Ma un bisogno di Alex e di lui soltanto.
Pochi giorni dopo l’incidente agli allenamenti aveva trovato la camera allagata. La doccia si era rotta ed aveva riempito la stanza d’acqua, così era stato costretto a farsi la doccia in comune coi suoi ex camerati. No era più abituato da quando aveva avuto la stanza per se.
Ovviamente la doccia si era conclusa con una zuffa quando aveva scoperto che l’argomento preferito degli amici era il bel comandante. Difatti, entrato in bagno li aveva trovati che scherzavano e facevano moine e gesti su ciò che avrebbero voluto fare ad Alex. Inizialmente aveva fatto finta di nulla, per non dare troppo nell’occhio ed aveva tentato persino di riderci su. Era rimasto meravigliato del successo che il biondo riscuoteva sia fra gli uomini che fra le donne, anche se infondo un po’ se l’aspettava. Sin da quella serata al bar aveva compreso che non solo per lui Alex emanava un fascino ammaliatore. E la cosa peggiore è che nessuno se ne rendeva conto. Normalmente, soprattutto agli uomini più eterosessuali, sarebbe venuto qualche dubbio o comunque qualche ripensamento o confusione. Invece tutti parlavano di lui. Tutti avrebbero volentieri preso quel bel visino perfetto. Ed era nel desiderio comune affondare il naso in quella stoffa profumata, su quella pelle di rosa.
Quei discorsi avevano incominciato a divenire abbastanza pesanti da sopportare, fin quando uno di loro gli chiese se se lo sarebbe sbattuto volentieri. Lì scoppiò la rissa. Si era voltato ed aveva spaccato il naso all’uomo attirandosi addosso l’ira degli amici. Eric e Mickail, ed altri suoi compagni si erano schierati dalla sua parte e ne era venuta fuori una bolgia tremenda. Ne erano usciti tutti dolorati e lui aveva ancora un leggero rossore attorno all’occhio sinistro che però ormai era quasi scomparso. Una cosa era certa, ci avrebbero pensato due volte prima di parlare nuovamente di Alex, e questo gli bastava.

Qualcuno bussò alla porta. Il giovane entrò scivolando nella fessura. Ancora più etereo e splendido del solito.
- Ciao.
- Ciao.
Il suo tono era più malizioso. Sorrise catturando con le braccia la vita del ragazzo non appena fu abbastanza vicino. La luce del sole entrava dalla finestra, ma veniva ogni tanto oscurata dal passaggio di grossi nuvoloni che minacciavano acqua.  Il biondo scrollò la testa ed affondò la testa nel petto dell’altro. Entrambi non indossavano le divise dato che ormai la giornata stava per finire.
Alex osservò distrattamente il vetro.
- Pare che presto pioverà. Peccato, mi sarebbe piaciuto passeggiare un po‘.
William sciolse l’abbraccio per andare a premere il pulsante all’ingresso. Intanto il ragazzo si sedette sul letto.
- Cosa ti va di fare? E’ da parecchio che non stiamo un bel po’ assieme io e te.
Il giovane sorrise, ma non disse nulla. L’altro parve ricordarsi improvvisamente qualcosa.
- Accendi un po’ la tv, dovrebbe esserci la partita oggi!
L’uomo si diresse al piccolo frigobar per estrarne due lattine ed un piatto di plastica avvolto dalla pellicola.
Quando tornò sul letto porse al giovane il piatto ed un cucchiaino, sedendosi a gambe distese.
- Tieni, è avanzata dal compleanno di Rodriguez l’altra sera. So che ti piacciono i dolci.
Il visino del ragazzo assunse una dolce espressione gioiosa mentre scartava il dolce.
- Mmmm… che bello! Grazie..
Un’oretta dopo la torta era finita da un bel pezzo ed il giovane era seduto con le gambe penzoloni dal materasso, che osservava William invece assorto nella parte finale del match televisivo.
Fuori il tempo era peggiorato ed ora la superficie del mare era scossa dall’imperversare della pioggia. All’orizzonte non si vedevano altro che nuvoloni neri.
Lo sguardo del biondo si spostò dalla finestra al viso dell’altro che aveva appena spento la sigaretta nel posacenere sul comodino e sorseggiava l’ultimo sorso della lattina.
Alex si avvicinò timidamente accoccolandosi contro il petto di lui. Il soldato ancora concentrato sullo schermo, gli circondò distrattamente il corpo con il braccio sul quale non era poggiato.
Il ragazzo lo osservava dal basso. Scrutava con attenzione quel profilo serio e pensoso che a volte si contorceva in piccole smorfie per l’andamento della partita. I begli occhi azzurrini brillavano del riflesso del televisore, nonostante l’oscurità nuvolosa che era penetrata nella stanza. Faceva anche più fresco del solito.
Sollevò la testa tanto da raggiungere il mento, depositandogli un bacio gentile.
A quel punto conquistò l’attenzione dell’altro che si voltò verso di lui. Un sorrisetto malizioso si aprì sul suo volto.
- Ehi… vuoi un po’ di coccole?
Il ragazzo gli diede un altro bacio, sfiorandogli le labbra come risposta. Lo sguardo di William si spostò dal visino perfetto al corpo delicato. La T-shirt non lasciava intravedere molto, ma i pantaloncini, lunghi fino alle ginocchia, lasciavano scoperte le gambe sinuose ed i piedini proporzionati. Nonostante il suo fisico lasciasse trapelare virilità, non mancava di fascino inebriante e perfezione assoluta. Era qualcosa di magnifico dalle forme apollinee e soffici, morbide e delicate.
Quel qualcosa, che si era sforzato di reprimere in quei giorni si era risvegliato improvvisamente facendogli dimenticare del tutto la partita.
L’uomo lo prese e lo distese sul materasso sotto di se.  Si inginocchiò a gambe larghe sopra di lui incominciando  a baciarlo sul collo. Le braccia di lui gli si allacciarono timidamente sulle spalle.
I baci divenivano man mano più voraci, mentre il suo istinto prendeva sempre più piede. Raggiunse la bocca e la prese voluttuosamente.
Ad un tratto il ragazzo gemette sussultando appena.
Si separarono col fiato accelerato, che si mescolava in un unico alito. La mano dell’uomo era inconsciamente scivolata sul gluteo del biondo, stringendo appena.  Il ragazzo era arrossito vistosamente. Tuttavia l’espressione del moro era impassibile e decisa.
- Voglio farlo adesso.
Il tono serio e sensuale. Alex distolse lo sguardo timidamente, sciogliendo le braccia dal collo dell’altro e abbandonandole sulle lenzuola. Rimasero immobili per qualche istante.
Poi la mano del giovane afferrò quella di lui che intanto aveva allentato la presa e lo spinse indietro.
William rimase contrariato sul letto mentre si alzava. Era già pronto a fermarlo.
Poi accadde qualcosa di inaspettato.
Il giovane si era voltato e lo guardava impassibile, con lo sguardo lievemente arrossato , ma non timido.
Era lì, di fonte a se. Lentamente si sfilò i vestiti; prima la maglia, poi il resto. Rimase lì, a farsi contemplare, solo con gli slip addosso.
L’uomo era allibito. Non gli era mai capitato di vedere nulla di simile. Gli pareva talmente meraviglioso in quella semplice stanza, candido e perfetto.
- Will…io ti amo.
Percepì tutto l’imbarazzo di quella deliziosa creatura.
Quelle parole uscirono così naturalmente che a lui sobbalzò il cuore. Si fermò senza respiro. La testa gli bruciava ma si sentiva immensamente felice.
- Anch’io. Ti amo.
Gli fece cenno di avvicinarsi allargando protettivamente le braccia.
Il biondo si infilò sotto le lenzuola. Lo raggiunse.
Tuttavia, con la consapevolezza di averlo li, nudo, al proprio fianco, non fece nulla.
Temeva che solamente sfiorandolo sarebbe sfuggito, svanito, come un sogno.
Attendeva un segno. Il segno che gli avrebbe lasciato campo libero in quella terra inesplorata. Ecco, gli aveva sorriso, si fissavano. Ricambiò dolcemente, comprendendo che quello era il momento.
Allungò le braccia sotto la stoffa fino a raggiungere la pelle calda dei fianchi. Era così dolce e morbida.
Lo baciò con passione attirandolo lentamente a se. Si sentiva bruciare.
Alex tornò ad abbracciarlo disperatamente.
William lo baciò ripetutamente, languidamente, scendendo sul collo e su ogni parte che scopriva nuova.
La stoffa che scivolava sulla pelle, le mani che stringevano la carne, la percorrevano, la esploravano.
Sentiva quel delizioso angelo sotto di se, la pressione del proprio corpo su quello dell’altro. Il respiro accelerato ed eccitato dell’uomo sfiorava quella pelle setosa e delicata facendo rabbrividire il ragazzo che lo guardava un po’ con aria smarrita, un po’ con dolcezza.
Si sentiva come un cacciatore in una terra sconosciuta, piena di frutti e ricca di prede. Un paradiso.
Gli sfilò gli slip. Ora il biondo era nudo, sdraiato fra le lenzuola candide, mentre tremava leggermente. William si fermò a contemplare quella indescrivibile bellezza che gli riempiva gli occhi senza poter dire o fare nulla.
Non sapeva da dove cominciare, dove mettere le mani. Non gli era mai successo prima d’ora ed in linea di massima sapeva cosa doveva fare con un maschio, forse anche un po’ per istinto. Ma era proprio lui a disorientarlo.
Le dita tremanti del ragazzo gli si infilarono impacciate sotto la maglia facendola scivolare verso le spalle. Alzò le braccia liberandosi dell’indumento scomodo che li separava. Aiutato dal giovane si liberò anche degli altri.
Alex era in evidente imbarazzo. Il viso arrossato e l’espressione timida lasciavano intravedere anche la paura che si celava dietro quegli occhi che sempre erano stati sicuri.
William si sdraiò nuovamente sopra di lui tentando di non gravare troppo col proprio peso. Avvertì il contatto della propria pelle con quella dell’altro. Il calore che lo aveva preso all’inizio, tornò più vivo che mai a bruciargli il corpo.
L’istinto prese il sopravvento ed incominciò a dirigerlo dolcemente con le proprie mani. L’indecisione iniziale era scomparsa ed ora voleva solo farlo suo. Gli afferrò i fianchi, lo baciò, lo coccolò.
Il biondo si abbandonò alle sue cure esperte incominciando a gemere sotto i tocchi sicuri di lui. Tutto andò così lentamente, così dolcemente. Ad Alex parve di venire assorbito sempre più da un sogno splendido. Quelle sensazioni che mai aveva provato fino ad ora, lo avvolgevano, lo trasportavano, lo cullavano.
Voleva solo offrirsi a lui, dargli tutto se stesso, e mentre le emozioni e le sensazioni prendevano piede dentro di se, inarcò la schiena e si aggrappò al collo dell’altro, aprendosi totalmente a lui. Il resto si trasformo il puro piacere.
I respiri accelerati, il sudore, il calore. Le frasi sussurrate, i muscoli tesi, la schiena inarcata.
Le grida convulse del  ed i gemiti sommessi.  
Le lacrime ed il calore dei loro corpi così vicini.
Le loro labbra fuse assieme e le mani strette fra loro.
Il dolore ed il piacere di un istante come quello di un’eternità.
Una sola mente, un solo corpo, un solo respiro.
Erano soltanto un attimo.

P.S. E finalmente si lavora!!! Ce l'hanno fatta sti due. Bene dai. I prossimi capitoli sono i più duretti da digerire. Spero continuaiate a seguirmi e a commentare! Alla prossima.        _HalWill_

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Capitolo 17
*** Chapter 17 ***


Chapter 17

Non riusciva a prendere sonno. Quello che gli era appena accaduto era stato troppo. Sentiva il cuore esplodergli e aveva una voglia matta di gridare.
Si, voleva gridare di gioia, di bene, di felicità. Tutta la felicità gli era caduta addosso quella sera, quella notte. Tutto ciò che desiderava, ogni cosa, si era realizzata con lui quella notte. Con lui, con Alex.
Si voltò spostando la testa sul cuscino. Il ragazzo era addormentato sul suo braccio che ormai non sentiva più. Ma non gli importava. Quel giovane tesoro si sarebbe potuto portar via anche tutte e due le sue braccia, le gambe o qualsiasi altra cosa se avesse voluto.
Avvertiva la pressione della pelle umida e calda contro il proprio corpo. Guardava quel volto rilassato e stanco.
Si sentiva impazzire. Gli carezzò una guancia e tentò di baciarlo ma si mosse. Gli occhi si aprirono appena . L’uomo sorrise.
- Uha… mi sento tutto appiccicaticcio! Che sensazione orribile!
- “Uha“ ?! E che roba sarebbe?
Risero entrambi. Alex si avvicinò all’altro sollevandosi dal suo braccio.
- Ah… non me lo sento più il braccio!
- Scusa. Mi sono addormentato e….
- Niente, niente.
Gli diede un bacio sulla fronte. Il ragazzo scuoté le lenzuola per farsi aria.
- Fa così caldo adesso!
William sorrise nuovamente avvicinandolo a se e baciandogli la schiena.
- Vieni qui tu…
Le braccia forti lo costrinsero sul materasso mentre ridacchiava.
- Facciamo un altro round ? O anche due se preferisci. La notte è giovane!
Il biondo lo spinse indietro ridendo e schivando giocosamente i suoi baci.
- Dai, restiamo un po’ così…
Gli afferrò la testa e se la poggiò in seno carezzandogliela. L’uomo parve acquietarsi e stare al gioco, lasciando che lui lo coccolasse dolcemente.
- Vorrei rimanere così per sempre Will.
Rimase in silenzio per qualche istante poi, sempre accarezzandogli la testa, con voce bassa e malinconica.
- Mi amerai anche dopo la guerra Will, anche dopo tutto?
Il tono insicuro e dolce. Il moro alzò il capo fissandolo.
- Ehi, che ti salta in testa! Certo che ti amerò! Non crederai di liberarti di me così facilmente. Io ti amerò ancora e ancora fino alla fine di tutto.
Gli baciò il petto con dolcezza. Poi, notando l’espressione insicura di lui, si avvicinò alle sue labbra sfiorandole.
- Quando questa guerra finirà, quando non dovremmo più nasconderci da nessuno ce ne andremo in un posto lontano, solo per me e per te. Un posto dove nessuno ci potrà separare, e che sarà assolutamente splendido. Vivremo assieme nella stessa casa, nella stessa camera, nello stesso letto. E se qualcuno ci vorrà ancora bene allora verrà a trovarci sennò niente!
Il biondo parve convinto e sorrise. Si sporse leggermente in avanti facendogli solo assaggiare le proprie labbra.
- Non mi pare vera tutta la felicità che sto provando; non credevo ne esistesse così tanta. Anche tu sei così felice Will? Non vedo l’ora che arrivi quel giorno, lo aspetterò sempre. Anche se ora sono più felice che mai.
Io sono nato solo per stare con te William, ricordatelo.
Lasciò che l’altro penetrasse fra le sue labbra. Un bacio dolce, rassicurante e sugellatore.
D’improvviso dei tonfi sordi. Qualcuno bussava alla porta. I due balzarono dal letto.
Alex frugò frettolosamente fra le lenzuola in cerca delle proprie mutande. Trovate anche quelle di William gliele lanciò in testa mentre questo intanto si era avvicinato alla porta. Squadrò l’orologio digitale.
- Chi diavolo è alle 4 di notte maledizione!? Forse un'attacco?
Si infilò la biancheria ed i pantaloni osservando il ragazzo che intanto si era rivestito. Gli fece cenno di andare in bagno e mentre l’altro si avviava tolse l’insonorizzazione ed accese la luce.
- …rtnett aprite immediatamente o lo farò io stesso!!! So che siete lì!!!
William rimase immobile. Il biondo si bloccò impietrito.
Un trafficare di rumori sommessi al di là della parete. D’un tratto la porta si spalancò.
Un uomo dai capelli grigi e l’aria severa si fece largo nella stanza seguito da un altro più giovane, castano alto e muscoloso che William riconobbe subito.
Il generale puntò lo sguardo iroso e sorpreso verso il giovane che lo riguardò a sua volta con espressione terrorizzata.
- …p-papà…
Anche il moro si puntò sul Alex. Tremava ed era impallidito.
Il più anziano stringeva i pugni ed i denti contemporaneamente guardandosi attorno, dal letto sfatto, al moro e di nuovo al figlio. Compresa la situazione chinò il viso, tremante di rabbia. Poi l’espressione delusa e rassegnata.
- posso…posso spiegare…io…
La voce flebile e spezzata dall’agitazione del biondo. Tentò di avvicinarsi tendendo la mano ma gli fu respinta con un gesto nervoso. Gli occhi si fecero lucidi e arrossati.
Il generale si voltò tornando alla porta.
- Ti voglio vedere nel mio ufficio. Sistemati.
Poi sparì dietro la porta.
Peter li osservava con rabbia e soddisfazione. Non poteva sopportare di sapere che l’altro si era offerto a quell’uomo preferendolo a lui. Aveva trovato presto il modo di vendicarsi.
- Vi ho visti assieme in spiaggia. Credevi che non me ne sarei accorto Alex? Credevi davvero che non avrei fatto caso a come sei cambiato? Non avevi mai dato confidenza agli altri così facilmente prima d’ora!
Il moro lo squadrò irosamente. Il viso teso e rabbioso, i pugni stretti.
- Ti conviene andartene perché stavolta ti ammazzo!
La voce come un sibilo soffocato.
Il castano si voltò tentando di ignorare le minacce dell’altro. Fece per intimare qualcosa al biondo ma fu bloccato.
- Non ti azzardare a toccarlo con quelle tue luride mani, sono stato chiaro o hai bisogno di passare ai fatti per capirlo?!
Gli afferrò il colletto della maglia strattonandolo.
- Basta. Basta vi prego…
Alex aveva il volto chino, ma le lacrime che scendevano lungo le gote erano più che visibili. William abbandonò la presa squadrando l‘altro con disgusto. Questo indispettito e più arrabbiato di prima si voltò e si diresse a passi pesanti verso la porta accennando un gesto di scherno.
Quando furono nuovamente soli il moro si avvicinò al giovane sfiorandogli un braccio. Lo strinse poi contro di se fermandogli le lacrime sul proprio petto. Le braccia di lui gli si strinsero addosso con fare disperato. Ormai era talmente abituato a quei suoi abbracci malinconici ed intensi.
Non si meravigliò di sentire quanto piccolo fosse il suo corpo perso nella propria stretta, mentre singhiozzava sommessamente, per la prima volta.
- Era tuo padre …
La voce dolce e tenera nel tentare di rassicurarlo. Annuì senza parlare.
- Non volevo deluderlo… non volevo che lui…
Lo strinse con forza come nel tentativo di bloccare i suoi singhiozzi.
- Quello schifoso. Si può sapere che diavolo vuole da te?
Il biondo non reagì.  Poi si distanziò appena, tentando di fermare il pianto. Lo sguardo basso, come se si vergognasse.
- …è mio fratello…
Lo disse con un filo di voce che uscì strozzata.
L’uomo si bloccò come non avendo realizzato le parole che avevano appena raggiunto le sue orecchie. Rimasero uno di fronte all’altro, immobili, senza dire nulla. Le lacrime continuavano a rigare il volto del giovane copiosamente.
- Peter. E’ il mio fratellastro, il figlio naturale del generale. Sin da quando eravamo ragazzini abbiamo sempre avuto un rapporto particolare, anche se all’inizio non mi sopportava.
Fece una pausa.
- Avevamo una relazione prima che partisse per venire qui. Era solo una cosa platonica, o almeno lo era per me. Non credo che per lui fosse stato molto di più. E’ sempre stata una persona materiale. Credo lo abbia fatto per gelosia, per puro possesso.
Si avvicinò all’uomo tendendo un braccio e carezzandogli una guancia. William lasciò che l’altro lo sfiorasse e che gli si avvicinò.
- Perché non me lo hai detto?
Il ragazzo lo osservò con aria malinconica e dispiaciuta.
- Io… non credevo di arrivare fino a questo punto. Ma essere qui con te è la cosa più bella che mi sia mai capitata… anche se  ci saranno dei problemi, anche se dovremmo soffrire; non mi pento affatto di nulla.
Il moro rimase pensieroso. Alex lo abbracciò dolcemente, stringendogli contro.
- Ti amo… ti amo Will.
A quelle parole anche lui gli circondò le spalle con le braccia e lo avvicinò con forza a se.
- Lo so.

P.S. Ed eccoci di nuovo! Salve a tutti! Dopo tanta attesa sono di nuovo qui finalmente. Il mio compiuter si era rotto ed ho dovuto formattarlo tentando di recuperare tutti i dati, e vi assicuro che è stata un'odissea!
Spero sinceramente nei vostri commenti e grazie per aver atteso. =)
Posso assicurarvi che posterò prestissimo!

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Capitolo 18
*** Chapter 18 ***


Chapter 18

Si guardava intorno con insistenza alla ricerca di qualcosa che lo potesse riportare alla sua calma abituale.
No, non c’era neanche lì.
Il suo sguardo vagava sbattendo contro le pareti, le scatole ferrose degli aerei, le persone, ma nessuna di quelle si rivelava essere ciò che cercava. Chi cercava.
Finalmente la luce parve affacciarsi in quella sala oscurata.
Il riflesso della testolina bionda lo colpì negli occhi e lo strappò dall‘indifferenza che provava in quel momento per tutto ciò che lo circondava.
La sua anima inquieta si placò improvvisamente, come tirando un respiro di sollievo, come a liberarlo da un‘angoscia repressa. Erano tre giorni che non lo aveva visto ne sentito. Da quando era sparito quella notte, diretto all’ufficio del padre non aveva più avuto occasione di contattarlo. Era scomparso per quei due maledettissimi ed orribili giorni.
E lui aveva avuto paura. Temeva che quell’arrivo cambiasse le cose,  rovinasse quella quiete apparentemente stabile che era riuscito a crearsi grazie ad Alex; rovinasse ciò che era riuscito a costruire con lui, a fare con lui.
Si alzò dalla sedia impaziente ma conscio che di fronte a tutta quella gente non avrebbe potuto di certo manifestare la sua gioia nel vederlo, ne tautomero sfogare quell‘angoscia che lo aveva angustiato.
Il bel viso del giovane incontrò il suo. Era cinereo, spento, inespressivo.
Il timore di qualcosa di incombente riprese a scintillare in lui. Si ritrovarono uno di fronte all’altro, senza riuscire a dire nulla. Il soldato tentava di catturare lo sguardo del superiore, ma era impossibile; l’altro lo schivava senza lasciargliene l’opportunità. Tentando di farsi poco notare, scivolarono nel piccolo bagno di servizio poco lontano da loro.
- Ehi, dove sei stato tutto questo tempo?
Era la prima domanda che si era fatta largo nella sua mente, seguita poi da molte altre che invece tenne per se.
Il ragazzo fece una smorfia, aprendosi in un sorriso palesemente forzato. Non lo abbracciò, non lo sfiorò neanche.  William avvertì qualcosa dentro di se rivoltarsi.
- Scusami. Io, non… Ho dovuto sistemare delle faccende.
L’uomo tese le mani in avanti afferrandogli i fianchi.
- Tutto bene? L’allenamento lo possiamo rimandare…
Il giovane lo bloccò poggiandogli una mano sul petto.
- No. E’ questo il problema… non possiamo più rimandare. Non abbiamo più tempo.
- Perché?
Esitò un momento, poi lo fissò diritto in volto. Aveva gli occhi lucidi e stanchi.
- L’allenamento ormai è finito; siamo giunti all’amplificazione massima dell’impulso. Ma potrà essere utilizzata una volta sola e soprattutto in presenza di tutte le coppie Ev che ancora esistono. Lo sforzo cerebrale che richiede è troppo per essere sopportato più di una volta.
- Ma cosa c’entra il tempo?
- E’ questo: le forse nemiche dovranno essere concentrate tutte nell’attacco in modo da distruggerle in massa. Sarà la battaglia decisiva. E’ stato lanciato un ultimatum ai Neoterrestri. Scade fra una settimana.
Il tono greve e sommesso. Il volto basso e cupo.
William rimase immobile, scioccato da quelle ultime definitive parole.
La guerra che combattevano da una vita si sarebbe conclusa.
Aveva incominciato a pensare che sarebbe morto in battaglia o comunque che il conflitto si sarebbe protratto fino alla sua vecchiaia.
Ora quella novità che gli scivolava addosso con semplici parole si abbatteva dentro il suo cervello con gli stessi effetti devastanti di uno tsunami su una spiaggia affollata.
Tutto era già stato deciso, tutto programmato, tutto limitato. Avrebbe dovuto mettere in pratica quello per cui si era duramente allenato in quegli ultimi mesi, insieme ad Alex. Erano l’unica speranza di salvezza, l’unica. Ed era gia stato tutto deciso. Indipendentemente da ogni loro desiderio, da ogni loro decisione.
E lui era lì, di fronte a se. Se si sentiva così sconcertato allora come si sarebbe dovuto sentire quella che gli appariva una piccola ed indifesa creatura? Cosa provava in quel momento? Si stupì per l’ennesima volta di quanta forza potesse celarsi in un essere talmente fragile e delicato.
Il diamante. Già, Alex gli ricordava proprio un bel diamante. Un oggetto che appare così fragile e sottile che se intaccato sembra doversi infrangere in mille pezzi. Ed invece no. Non era così.
Era il minerale più resistente e forte, uno dei più duri da scalfire.
Alex era un diamante.
Lo attirò a se stringendolo.  Non disse nulla. Sentiva che non avrebbe dovuto farlo, non ce ne era bisogno. Lo abbracciava dolcemente rassicurandolo con presa salda.
Cercò di calmarlo, di farlo parlare.
- …come è andata con tuo padre?
Il biondo si avvinghiò al corpo di lui, affondando il capo. Lo avvertì tremare, poi sussultare. Sentiva il calore del suo respiro trapassargli la stoffa.
Umido.
Piangeva. Piangeva singhiozzando, col corpo scosso da forti sussulti. Il tutto silenziosamente, ovattato dal proprio corpo, represso da quella pressione insistente. Per la seconda volta.
Si sentiva inutile, inutile e sciocco. Ma sapeva che l’unica cosa che poteva fare in quel momento era restare lì, fermo, in silenzio ed abbracciarlo.

Quando uscirono dal bagno scoprì che Peter era nell‘hangar e stava cercando il ragazzo.
Il generale voleva controllarli e lo aveva mandato per stare accanto ad Alex.
Rimase per tutti gli allenamenti e persino negli spogliatoi. Poi afferrò il giovane per un braccio e lo accompagnò fino alla propria stanza senza lasciarli soli nemmeno un attimo.
Nei giorni seguenti non si riuscivano a vedere quasi mai. Inoltre per tutta la settimana ci fu un’ondata di frenesia in tutta la base, sia per l’arrivo degli Ev, sia per la scadenza prossima dell’ultimatum.
Se ne andava spesso in spiaggia nella speranza di vederlo arrivare, ma nulla. Si ritrovava solo ad osservare tramonti sempre più malinconici. Persino il ricordo di quando avevano fatto l’amore gli pareva lontano e vacuo.
Tutto lo stress e la rabbia di quei giorni si focalizzò su colui che li teneva separati.
Gli sembrava assurdo che non gli importasse di ciò che pensava suo figlio, dei suoi sentimenti. Non riusciva a capire cosa lo rendesse così freddo nei suoi confronti. Ma la cosa che lo turbava di più era il non sapere cosa si fossero detti.
Il biondo aveva pianto. Molto probabilmente gli aveva intimato di farla finita con lui o cose simili. Ma allora perché non reagiva? Il suo carattere era sempre stato forte e deciso, non poteva farsi spaventare per così poco. Eppure sembrava terrorizzato.
Qualcosa si era rotto.
L’unico sguardo che quell’uomo gli aveva rivolto era di disprezzo. Lo stesso disprezzo che gli rivolgeva Peter. In questo quei due erano uguali.
Alex non c’entrava nulla con loro. Non riusciva a capire come potesse appartenere a quel mondo tanto diverso, tanto freddo e crudele. Forse era nato nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Una volta sola riuscirono a trovarsi senza essere visti. Tornava da una perlustrazione più breve del previsto e lo incontrò davanti alla propria stanza.
Era fermo immobile a guardare la porta con aria affranta. Quando il biondo lo vide gli corse incontro senza alcun timore di essere visto, come se non gli importasse più nulla e di nessuno.
William lo aveva trascinato nella propria stanza ed avevano fatto l’amore come mai prima. E poi si erano addormentati. Lo aveva stretto al proprio petto col timore che fuggisse, che sparisse.
Al suo risveglio si era ritrovato a sfiorare un viso gelato di lacrime. Il giovane non aveva risposto alle sue domande, limitandosi ad accoccolarsi contro il petto di lui.
Tutto questo non gli piaceva affatto. Sentiva che qualcosa di terribile e doloroso stava per accadere.  Ma non gli disse nulla. Non voleva turbarlo ulteriormente.

La rabbia esplose il giorno dopo quando seppe da Peter stesso che Alex era stato confinato nella propria stanza fino allo scadere dell‘ultimatum. Evidentemente suo padre e quella serpe del fratello dovevano aver scoperto che erano stati assieme. Il cuore gli balzò in gola e la mente gli si annebbiò dall’ira.
Si diresse con fare assassino verso l’ufficio del generale. Sentiva la testa pulsargli e lo orecchie che gli fischiavano. Gli avrebbe sbattuto in faccia la nuda e cruda realtà dei fatti e gliela avrebbe fatta accettare, volente o nolente.
Non gli importava più di nulla della guerra, degli Ev, di suo padre e di tutto il resto; voleva solo stare con Alex, e sicuramente non sarebbe stato lui a fermarli.
Entrò con violenza nonappena gli fu aperto. A grandi passi si avvicinò alla scrivania  e batté i pugni sul piano.
- Chi diavolo ti credi di essere?! Arrivi e lo costringi a fare ciò che non vuole! Ho sopportato te e quel verme solo perché lui vi rispetta! Ma la mia pazienza ha un limite!
Sappi che non puoi impedirmi di vederlo, ne ora ne mai! E lui è mio; mio chiaro!??
Non sarai tu a fargli cambiare idea!!! Mai!!!
Gli gridò a pochi centimetri dal volto, senza badare al minimo rispetto. Il viso sudato e contratto dalla rabbia, i denti digrignati, i pugni stretti.
L’uomo lo squadrò con indifferenza disgustata non intimorito da quel tono minaccioso e fuori controllo.
- Alexander è mio figlio; tu non vanti alcun diritto su di lui. Sapevo della tua arroganza, mi è stato detto tutto di te. Questa storia finirà molto presto che tu lo voglia o meno. Sei solo un soldato William Hartnett.
Dimenticalo.
L’ultima parola risuonò nella sua mente come lo sparo di una pistola.
- Io non dimentico proprio niente.
Quando la guerra sarà finita ce ne andremo e non potrai fare nulla per fermarci. Saremo lontani da tutto, da te, da quel leccapiedi di tuo figlio e da tutti quanti!
- E’ una sciocchezza! Siete dei pazzi se sperate di poter vivere davvero assieme. Questo tuo sciocco “amore” finirà e ti ritroverai senza niente; lo porterai alla rovina e rovinerai te stesso. Sfrutterai la sua semplicità  finché ti farà comodo e poi lo abbandonerai in mezzo ad una strada.
Conosco quelli come te.
Il tono del generale divenne più duro e privo di espressione.
- Rinunceresti a tutto inutilmente.
- Non mi importa di rinunciare. Non mi serve niente se non posso averlo con lui. L’unica cosa che non voglio perdere è Alexander. E’ l’unica cosa che conta, e questo non cambierà. Non me lo porterete via.
Ormai è troppo tardi. E se nessuno vuole capire allora che pensiate quello che vi pare; io so quello che davvero mi sta a cuore. I vostri consigli inutili non ci sfiorano neanche.
Io amo Alexander, lo amo! E non mi importa di dover rischiare, di dover vivere da solo e senza tutto ciò che ho adesso. Non mi vergogno  di nulla.
Non voglio nient’altro.
L’uomo lo squadrò con durezza. Poi spostò lo sguardo in basso, sulle proprie scarpe lucidate.
- Alexander è una stella cadente, più splendente di qualsiasi altra stella comune; rara, bellissima e breve…
Il tono era greve e solenne.
-Tu sei solo un puntino Hartnett. Un piccolo, minuscolo puntino di pulviscolo nell’universo.
Come puoi pretendere di cambiare il cosmo?


P.S. Bene. Stiamo tirando le fila fino alla fine. La guerra pare avere un possibile termine, ma anche la storia di Alex e William pare avvicinarsi ad una svolta. Spero che riusciate a seguire la trama e la storia ancora per un po. A presto e vi ringrazio infinitamente per i commenti, mi fanno davvero piacere.
_HalWill_

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Capitolo 19
*** Chapter 19 ***


Chapter 19

Pioveva a dirotto, lo aveva fatto per tutta la notte. Era seduto a fumare sotto il grande portale aperto dell’hangar e guardava fuori la pioggia cadere. L’odore dell’umidità e del temporale gli penetrava nei polmoni.
L’ultimatum sarebbe scaduto quella sera stessa.
Il mattino presto aveva conosciuto gli altri Ev. Erano tre coppie, quelle che erano rimaste in tutto il mondo. Due gemelli, un uomo ed una donna e due cinquantenni. Tutti parevano consapevoli di ciò che li aspettava. I loro visi erano scavati, i loro occhi arrossati e stanchi. Parlavano lingue diverse e perciò era difficile che le coppie si capissero. I fratelli, più o meno della sua stessa età,  erano originari della Russia e parlavano poco. L’altra coppia scoprì in seguito che erano due sposi. Lei nata in Italia e lui in Germania si erano conosciuti dieci anni prima e si erano sposati quasi subito. Del resto questo confermava il legame speciale che li legava, come quello che legava lui e Alex.
Le altre due allegre signore sulla cinquantina, erano australiane ed amavano cucinare dolci tipici a tal punto da vincere numerosi premi culinari. A parte questo non sapeva poi molto dei suoi compagni.
Alex non si era visto e questo, oltre il tempo, lo portava ad essere nervoso ed intrattabile, nonché depresso e nauseato. Si sentiva come se mancasse una parte del proprio corpo senza la quale non riusciva ad ingranare la giornata. Chissà se il biondo lo stava pensando.
La pioggia sembrava aumentare e le nuvole ingrossarsi. Se avrebbe continuato così la battaglia non sarebbe stata  certo facilitata.
D’un tratto delle immagini si susseguirono nella sua mente; ancora nuove, ancora più confuse. I suoi occhi tristi, il viso cinereo. Le labbra che si schiudevano come per prendere aria dal nulla. La pioggia.
Non era bagnato. E fumo e sangue.
Stringeva qualcosa fra le proprie mani. La stoffa della sua divisa.
Il sole, ma non era sole, era fuoco incandescente. E lui piangeva.
Tendeva le braccia per asciugargli le lacrime ma non aveva nulla.
Le lacrime scivolavano sulle gote pallide. La mano che cadeva inerme.
Dischiuse gli occhi. Ormai ci era abituato a quegli incubi svegli.
Gettò il mozzicone lontano, sotto l’acqua scrosciante. In fumo svanì in pochi secondi, spento dalla pioggia battente.
Dei passi in lontananza. Qualcuno si avvicinava silenziosamente. Un passo conosciuto. Si fermò.
Sentiva solo il rumore delle gocce che si infrangevano.
- Will…
L’uomo non si voltò. Rimase immobile. Si sentiva bruciare. La rabbia lo tormentava da giorni e doveva esplodere prima o poi.
- Perché non sei venuto prima?
Non udì risposta.
- Non te ne frega niente di noi. Sono andato persino da tuo padre, a parlargli. Lo sai questo?!
Le braccia del giovane gli raggiunsero il collo circondandogli le spalle da dietro. La fronte poggiata contro la sua nuca.
- Sei arrabbiato con me Will?
La voce flebile e tremula. Quelle braccine gli sembravano sempre più sottili.
Non rispose. Rimasero immobili entrambi a guardare la pioggia che cadeva scrosciante. In lontananza un tuono sommesso.
- Mi dispiace tanto…
La voce rotta dalle lacrime che gli affioravano lentamente, silenziosamente agli occhi. Non poteva vederle, ma le sentiva, le sentiva in tutto il loro dolore, in tutta la loro amarezza. E la pioggia che cadeva. Di nuovo.
L’abbraccio si allentò.
- Non verrò con te. Dopo la guerra… non verrò…
I tuoni sempre più vicini. La tempesta che incombeva sopra le loro teste non era nulla in confronto a quella che si stava abbattendo dentro di loro e che stava spazzando via ogni cosa. Distruggeva tutto ciò che era stato, annientava tutte le cose che avevano vissuto e che avevano costruito con fatica. In pochi secondi con infinita semplicità.
Le lacrime erano divenute enormi e pareva non avrebbero smesso mai più. Si sentiva il volto bruciare.
William sorbì quelle parole come una pugnalata dritta al cuore. Si sciolse dalle braccia dell’altro e si alzò facendo pochi passi in avanti. Non si era voltato, non lo aveva ancora guardato in viso.
Sapeva che se lo avesse fatto, lui avrebbe visto quanta debolezza e incertezza c’era in quelle parole che non avrebbe mai pensato di pronunciare. Tutti i pensieri che lo avevano tormentato quei giorni si erano concretizzati in un’unica, solida, disgustosa idea.
- E’ stato tuo padre a convincerti vero? Tutto quello che gli ho detto, le cose che ho pensato e provato, le ho vissute da solo a quanto pare.
Le parole gli raschiavano la gola come non mai. Strinse i pugni.
- Tutto quello che c‘è stato… per te non era niente… l’hai fatto solo per essere sicuro che io seguissi i tuoi progetti e quelli di tuo padre. Ora sarai soddisfatto…porterò questa cosa fino in fondo e poi mi toglierò dai piedi.
L’aveva detto. Sorrise amaramente.
- Sono stato proprio un idiota.
Il ragazzo piangeva a dirotto con viso sconcertato.
- No!, no non è così! Io non…
Il pianto gli spezzava le parole.
Il moro si voltò di scatto, l’ira ben visibile nella sua espressione. Un altro fulmine, poco lontano da loro.
Uno schianto assordante.
- Allora cos’è!? Perché non reagisci?!!! Che cosa vi siete detti, che ti ha detto eh?!!!
Il giovane indietreggiò spaventato.
- No, io…
- Non credi che io abbia il diritto di sapere!!!? Non posso andare avanti così! Avevi detto di amarmi Alex!!!
Indietreggiarono sempre più.
- Perché ?! Non ti importa??!!!
Era sempre più terrorizzato.
- E‘ tutto segreto con te Alex??!!!
Il ragazzo piangeva disperato. Si voltò per non farsi vedere in quello stato cercando di fuggire. Si ritrovò sotto la pioggia battente. Lo scroscio assordante. William lo afferrò per un braccio e lo strattonò facendolo cadere contro il proprio petto. Si sentiva morire.
Era fradicio e avvertiva le gocce sbattergli in faccia. Vedeva il viso di William bagnato con un’espressione mista fra dolore e rabbia. La mano stretta sul proprio polso, come una morsa d’acciaio.
- Adesso vuoi anche scappare?!!!
Piangeva ancora.
- Non te ne frega proprio niente!????
Il giovane esplose.
- Sto morendo Will, io sto morendo!!!!
Il grido straziato. Il fulmine che si schiantò poco distante. Un rombo assordante.
Scivolò fra le sue mani, cadde in ginocchio mentre piangeva  a dirotto, come la pioggia battente. Aveva ancora le mani strette sui suoi polsi.
Parve d’improvviso che il mondo gli stesse cadendo addosso. Tutto si sgretolava, si scioglieva sotto i propri occhi, portato via dalla pioggia. E quella creatura ai suoi piedi che piangeva disperata, inerme, fragile, piccola.
Cadde anche lui sulle ginocchia. Non si sentiva più il corpo. Perse peso improvvisamente.
L’acqua gli scorreva addosso ; aveva la mente vuota, come la sua espressione, come se la pioggia gli avesse lavato via ogni cosa.  
Qualcosa si era rotto.  
Non sentiva bene.  Solo il rumore attutito di ciò che gli accadeva intorno.
Lo scrosciare del temporale ed il lamento del ragazzo gli suonavano nelle orecchie e nella testa.
Si sentì vuoto, nauseato. Tutto quello che aveva detto, tutto quello che non aveva fatto.
Parlava. Alex stava parlando in singhiozzi rotti e sconnessi.
- Non avrei mai voluto… non ci sarà un dopo! Io non ci sarò Will… non volevo dirtelo…non volevo…non potremo mai andarcene… morirò qui… mi dispiace…mi dispiace tanto…
Si chinò in avanti. Voleva stringerlo,abbracciarlo. Era lì, era di fronte a se. Non era come nei suoi incubi.
Poteva toccarlo, poteva abbracciarlo. Lo strinse, lo baciò sul capo. Gli si aggrappò come se dovesse scivolare via da un momento all’altro. Non piangeva, non sentiva nulla. Avvertiva solo lui fra le proprie braccia, contro il propri corpo fradicio. Lo sentiva scosso dai singhiozzi, stretto contro il proprio petto.
- Perdonami… io ti amo… ti amo Will…ti amo…
Le parole spezzate, rotte. Si perdevano nel fragore della pioggia.
L’uomo avvertiva il proprio respiro faticare. La gola era bloccata, le parole non sarebbero uscite. Ma stringeva più che poteva quel corpo a se. Rimasero lì, a terra entrambi. Sotto la pioggia scrosciante che si mescolava alle lacrime amare e copiose.
Tutto il resto non aveva più alcuna importanza.
Erano soli.

P.S. Scusate la lunga attesa, ma lo studio mi uccide in queste ultime settimane e riuscire a scrivere è davvero un miracolo!Spero che continuiate ancora a seguirmi,  e soprattutto a seguire Alex e Will. =)  Dunque, la verità è stata svelata. Alex e William sono nuovamente ad una svolta.
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa pensate possa accadere o comunque eventuali consigli o critiche o qualsiasi cosa. Grazie mille =)

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Capitolo 20
*** Chapter 20 ***


Chapter 20


Lo teneva fra le proprie braccia.
Squadrava l’orologio. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte, allo scadere dell’ultimatum.
Era lì, sdraiato nel proprio letto, col ragazzo stretto nel proprio abbraccio.
Il suo corpo caldo si muoveva a ritmo dell’andamento lento del respiro. Lo aveva avolto nell’asciugamano dopo la doccia e si erano infilati sotto le coperte.
Erano lì, soli. La stanza era silenziosa e buia.
Sentiva il suo profumo, quello dei suoi capelli e della sua pelle, privi di ogni influenza esterna, puri, freschi.
Le forme morbide e calde fra le proprie mani, sotto le proprie dita. Il respiro lento e leggero sul collo.
Era una sensazione impagabile.
Mancavano dieci minuti.
Avvertiva la presa pigra delle sue braccia sui fianchi, sulla schiena. Le gambe mollemente intrecciate nelle sue. Il tepore del suo ventre, del suo petto contro di se.
Il braccio era schiacciato dal peso di lui, ma non gli importava.
Scostò appena la testa sul cuscino: i capelli sottili e chiari gli solleticavano il naso.
Gli occhi socchiusi lo fissavano silenziosi. Splendidi anche nell’oscurità.
Ricordò la prima volta che lo aveva visto.
Quegli occhi sfuggenti e profondi lo avevano attirato sin da subito. E poi quel suo movimento delizioso, le mani delicate, il viso dolce. E quel suo piccolo neo sotto l’occhio.
Quando avevano fatto l’amore lo aveva baciato i quel punto esatto più di una volta. 
Gli era così cara quella macchiolina, come del resto ogni piccola parte di quel corpo tenero e lezioso.
Sette minuti.
Gli era tornata in mente una vecchia canzone che aveva sentito in quel bar poco fuori città.
Allora non conosceva Alex, ma se lo avesse fatto, avrebbe capito che quella musica lo descriveva perfettamente, come se fosse stata un’anticipazione del suo arrivo.
Ripercorse col pensiero i luoghi che li avevano accompagnati in quei mesi splendidi. Quei luoghi comuni che ormai erano divenuti loro.
Il bar dove lo aveva portato la prima volta, dove aveva ricevuto lo schiaffo che gli pareva bruciasse ancora sulla guancia. Lì lo aveva stretto a se per la prima volta.
Cinque minuti.
La spiaggia e le passeggiate. Avevano visto tramonti stupendi, odori, gesti, momenti.
Lì aveva tentato di baciarlo per la prima volta.
Lì era rimasto solo ad aspettarlo.
Quante volte avrebbe voluto prenderlo sulla sabbia e quante volte si era trattenuto.
Il laboratorio di ricerche dove il loro legame mentale li aveva uniti tante volte.
Nelle loro menti era l’unico posto dove nessuno li avrebbe mai potuti vedere ne sentire.
Solo lì potevano veramente andare lontano da tutto e da tutti. Rimanere assieme, l’uno nell’altro.
E poi c’era la sua stanza, dove erano ora.
Qui avevano visto tante cose.
Tre minuti.
Per la prima volta avevano fatto l’amore.
Si erano baciati e si erano amati.
Lo aveva stretto a se ed era divenuto parte del suo corpo oltre che del suo spirito. Si erano uniti in tutto. Assieme erano arrivati a toccare il paradiso… solo in una stanza.
Solo con lui ci era riuscito. Nessun’altra lo aveva portato così in alto.
Anche se non fossero stati  Ev lo avrebbe amato comunque. Si, ne era sicuro.
Prima o poi si sarebbero trovati e  si sarebbero amati. In qualsiasi posto, in qualsiasi tempo.
Sospirò chiudendo gli occhi.
Quante prime volte…
L’ultimatum era scaduto.
Il giovane si mosse appena.  Lo guardava con aria triste. Le dita delicate gli sfiorarono una guancia.
Solo ora si accorse di avere il viso rigato di lacrime.
Tutto quello che era stato dove sarebbe andato?
Nessuno avrebbe ricordato il loro amore oltre lui. Sarebbe rimasto solo con quel ricordo splendido e atroce.
Ogni attimo meraviglioso sarebbe divenuto doloroso e rimpianto.
Il loro amore si sarebbe trasformato in un dolore senza fine.
Quel corpo avrebbe perso il suo calore, la sua vicinanza.
Quel suo viso splendido non lo avrebbe più illuminato, quegli occhi non lo avrebbero più fissato, squadrato, sorriso, implorato, ammonito.
Tutto sarebbe passato, trascorso. Il tempo avrebbe portato via ogni cosa a parte il suo ricordo.
La sua dolcezza, il suo calore, la sua forza, la sua timidezza ed il suo amore. Tutto sarebbe crollato di fronte alla morte. Lo guardò con gli occhi appannati dalle lacrime.
Ora era lì.
Alex era di fronte a lui e lo guardava.
Ma non piangeva.
Si avvicinò ancora di più. Avvertì le sue gambe muoversi e la pressione del suo bacino contro il proprio aumentare. Il giovane gli afferrò una mano e se la portò sul gluteo morbido stringendogli le dita.
Quel calore e quella morbidezza.
- Ancora una volta…
Voglio fare l’amore Will.
William lo fissò sorridendo appena.
Le lacrime si erano asciugate sul proprio viso. Il suo era un sorriso amaro.
Sapeva che quello sarebbe divenuto il più doloroso dei ricordi. Ma ora non aveva importanza. Doveva amare Alex fino in fondo. Lo avrebbe amato fino alla fine.
Si chiese dove l’amore degli uomini andasse a finire dopo la morte. Cosa ne sarebbe stato di quel sentimento tanto forte e fragile al tempo stesso. Ma quel pensiero fu cancellato quasi subito dal ragazzo.
Alex gli chiedeva di ricordarlo vivo.
Sentì qualcosa bruciargli dentro. Il tepore di quella divinità silenziosa non l’aveva ancora abbandonato.
Chiuse con forza le dita sulla pelle morbida.
Riprendeva così rapidamente il sapore della carne, tornava cosciente di quello che gli si stava offrendo. Quella figura esile e dolce ancora sua.
Lasciò scorrere le proprie mani sul copro dell’altro, assaporando con forza ogni frammento di quella creatura. Lo massaggiava e lo baciava in ogni punto, accompagnato dalle dita di lui che lo carezzavano dolcemente fra i capelli e sulla schiena. Lo coccolava e lo viziava.
I lievi gemiti sommessi, divenivano sempre più intensi. Le mani si arpionavano quando le proprie carezze si spingevano oltre il semplice contatto.
Quella voglia incontrollata, selvaggia e maledettamente soddisfacente lo travolse.
Lo prese con passione violenta e dolce al tempo stesso.
Le spinte decise, il respiro affannato.
Il corpo teso sotto di lui, le braccia protese nel vuoto alla ricerca di lui.
Si lasciò abbracciare mentre affondava sempre più in quell’amore dolce.
Il movimento continuo e intenso, il peso del corpo dell’altro. Il ragazzo gridava ora convulsamente di dolore e di piacere.
Rimase dentro di lui mentre gemeva senza trattenersi.
Si era abbandonato a quel piacere senza alcun ripensamento. Avvertiva il proprio copro teso nello sforzo di soddisfarlo e di soddisfare se stesso.  L’ondata di estasi lo avvolse costringendolo ad abbandonarsi in un spasmo di liberazione. Il suo amore lo aveva raggiunto ed erano assieme in quell’istante. Lo avvertì parlare nei singhiozzi e fra i gemiti.
- Anche se… se morissi adesso Will…ti amo…
Lo strinse.
L’amore come ultima risorsa.
Niente sarebbe servito, solo amore.

Si svegliò solo nel letto. Le lenzuola sfatte e scomposte lo coprivano fino all’addome.
La pallida luce entrava a fatica dalla finestra.
Il sole era appena sorto e le goccioline d’acqua sul vetro, rimaste dal temporale della notte, brillavano solitarie e splendide.
Frugò nei cassetti del piccolo mobile vicino al letto in cerca di biancheria pulita dato che la sua era ancora zuppa dalla sera prima.
Trovò degli slip e se li infilò. Un po’ troppo grandi, ma sarebbero andati bene. Nell’armadietto riuscì a rimediare una t-shirt bianca anch’essa decisamente larga. Si risedette sul letto. Nonostante fossero puliti, in quella stoffa sentiva distintamente l’odore di William.
Si strinse nella maglia annusandone il profumo.
La porta alle sue spalle si aprì e si richiuse.
- Ehi? Sei già sveglio?!
Il moro era entrato portando con se l’odore appena percettibile del tabacco. Era uscito per fumare. 
Il ragazzo lo guardò incuriosito, notando che l‘altro non indossava la maglia e teneva fra le braccia un fagottino bianco.
La sua espressione divenne più stupita quando la “cosa” si mosse appena.
- Guarda…
Abbandonò delicatamente il fagotto sul letto. Il biondo si avvicinò.
La stoffa si increspò scoprendo un musetto nero e umidiccio.
- Ohh…
L’espressione del giovane divenne dolce e curiosa, come quella di un bambino. Aiutò il gatto ad uscire dall’involucro e lo osservò scrollarsi di dosso quello che era rimasto della pioggia che la maglia non aveva saputo asciugare.
Lo afferrò con dolcezza e se lo adagiò in grembo.
- Ehi, che piccolino…!
Poi si voltò verso l’uomo.
- Dove l’hai trovato?
- Ero uscito a fumare. L’ho sentito miagolare e mi sono messo a cercare finchè non l’ho trovato. Si era nascosto; credo si fosse spaventato per i fulmini.
Il biondo tornò a coccolare l’animaletto spaurito, che non tardò nell’accettare quelle carezze delicate. Si accoccolò contro il suo addome e rimase acciambellato, ancora tremante.
Il ragazzo sorrideva.
William gli si avvicinò puntellandosi sul materasso e depositandogli un bacio dietro l’orecchio. Gli spostò appena i capelli incominciando  a baciarlo sul collo e sulle spalle semicoperte.
- Sono geloso… voglio anch’io un po’ di coccole….
Il giovane arrossì sorridendo.
- Magari ha fame. Non hai del latte?
- No, solo birra e non credo sia il massimo! Vado a vedere in cucina da Hurley.
Si alzò e si diresse verso la porta. Lo guardò per un altro istante e si voltò, sparendo.
Il giovane lo seguì con lo sguardo, poi tornò all’animaletto.
- Eri tutto solo eh? E’ strano trovare un micetto così carino in un postaccio come questo.
Adesso Will ti ha trovato, non preoccuparti. Ci prenderemo noi cura di te.
Sorrise mentre l’altro col musetto gli mordeva giocosamente la punta di un dito.
- Non aver paura; anche se non sai cosa succederà…Will ti ha salvato…non dovrai più aver paura…
Lo disse più a se stesso che al gattino.
Poi osservò il calendario.
Era l’otto del mese.
- Per ora ti chiamerai  “Acht“.

P.S. Salve e scusate per il ritardo...lo so...è un eternità! Ormai non ci speravo più a postare...
Grazie ancora per i commenti, li ho letti con piacere e proprio per questo cercherò di fare attenzione al finale. Non ho intenzione di scivolare nel banale, mi spiacerebbe troppo.
Spero che continuaiate a seguire la storia, ormai verso la chiusura. Spero inoltre che i prossimi agiornamenti saranno mooolto più veloci >.< Sorry! A presto =) 



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Capitolo 21
*** Chapter 21 ***


Chapter 21

Quella mattina, col suo corpo tiepido, privo di sensi stretto fra le braccia aveva pregato, implorato inconsciamente con ogni parte di se che fosse vivo.  
Continuava a pensarlo mentre osservava il suo volto pulito e pallido.
La morte.
Cosa sarebbe riuscita a strappare da quel genio fragile e forte? Cosa gli sarebbe rimasto del suo “amore“?
In lui si era fatta ormai largo la consapevolezza che il proprio Amore, quel sentimento infondo mai provato, unico, ed incarnato in quella deliziosa forma terrena, se ne sarebbe andato e lo avrebbe fatto senza portarlo con se.
Sarebbe rimasto solo, senza il cuore; gli sarebbe stato strappato dal petto o semplicemente si sarebbe perduto nel tentativo inutile di trovare ciò che lo alimenta e che per lui è divenuto indispensabile.
Infondo a cosa gli sarebbe servito amare ancora? Non gli interessava di farlo. Il fatto che il suo primo, disperato, vero innamoramento avrebbe avuto una fine così repentina e tragica lo aveva disgustato a tal punto da fargli odiare l’Amore. Ma in realtà sapeva che non poteva odiarlo perché il suo Amore era lì, splendido e malinconico, mentre osservava il sole pallido e non poteva far altro che amarlo e amarlo ancora.
Avrebbe infuso in lui tutto ciò che di bello poteva provare. E presto quel Dio forte e impenetrabile se ne sarebbe nuovamente andato, così come era venuto, portando con se tutto ciò che era stato capace di dare. Così, nel tentativo di non farlo fuggire, la sua anima si sarebbe aggrappata disperatamente a lui, non potendo far altro che venir trascinata via anch’essa.
Non sarebbe rimasto nulla. Solo il proprio corpo incapace di essere soddisfatto se non dai semplici vizi materiali.
Lo guardava ancora. Non si sarebbe mai stancato di farlo.
Il viso serio, irraggiungibile e malinconico osservava il vuoto al di là dell’orizzonte, quel vuoto che l’attendeva, lo reclamava insistentemente e che presto lo avrebbe avvolto.
Fu proprio lui, Alex, a rompere quel silenzio assordante.
- E’ tutto così calmo.
Le parole scivolarono pacate e dolci da quelle labbra intense e piene di segreti.
William non rispose.  Preferì rimanere in silenzio.
Parlò di nuovo.
- “Ti amo“.
La creatura si voltò per osservare l‘uomo al suo fianco.
Il viso serio e perfetto, il corpo forte e sodo. Risalì le spalle larghe, il collo definito.
La pelle, lievemente abbronzata, faceva risaltare quella tonicità mascolina, quell’essenza virile. La bocca sensuale, gli occhi sottili e attenti. Quel colore celeste come il cielo più azzurro; le iridi profonde e feline.
I capelli scuri e luminosi gli ricadevano scompostamente in frange morbide sulla fronte.
Gli sfiorò il viso con la mano.
Aveva da tempo compreso il perché di tutte quelle donne, ma non gli aveva mai detto quanto in realtà lo trovasse bello e affascinante.  Gli pareva splendido come solo un sogno può essere.
Tutto il fascino di quell’uomo meravigliosamente seducente era per lui, lo era sempre stato.
- William…
Fra poche ore sarebbe cominciata la battaglia. L‘ultima. E l’avrebbero affrontata assieme, fianco a fianco.
Si guardarono senza dire nulla. Ognuno riflesso negli occhi dell’altro.
- Dimmelo.
Il moro lo guardò.
- Ti amo.
Il tono sommesso, quasi ovattato.
Lentamente, dolcemente Alex lo abbracciò poggiandogli il capo contro il petto. Le braccia di lui lo circondarono. Protettive, forti. Era incredibile come, nonostante la sua freddezza, la sua arroganza, il suo egoismo, potesse essere così tenero, così dolce.
Solo per lui.
L’altro chinò il capo in cerca delle sue labbra, in cerca di rassicurazione. Si sfiorarono, si toccarono.
Era tutto così tranquillo.
Il sapore dolce del bacio.
Il giovane se ne separò, squadrandolo privo di ogni espressione.
A volte sapeva diventare così freddo, così insofferente.
Le mani di William gli strinsero le spalle con forza. Forse troppa. Gli occhi stretti, la mascella serrata e quello sguardo colmo di disperazione e sofferenza.
Uno sguardo che gli occhi del biondo non avevano mai visto sul suo volto, lo sapeva.
Ma in quell’istante non se ne vergognò. Non gli importava.
- Che cosa ne sarà di me?
Anche se cercava di trattenersi la voce gli usciva roca e sforzata.
- Tu te ne andrai, e io!? Come farò?!
Lo scrollava scosso dall’ira.
Le frasi rabbiose e straziate.
Lasciò che le dita allentassero la presa, scivolando lungo il braccio di lui e cadendo penzoloni sui propri fianchi.
- Io ho bisogno di te.
La frase sommessa, quasi sussurrata.
Il viso basso.
L’espressione del biondo mutò. Si trasformò divenendo infinitamente dolce e malinconica. Tese una mano sfiorando un punto vicino alle labbra.
- Era per questo che non volevo lo sapessi.
Ora soffri. Io soffro e mi sento morire anche per te. Soprattutto per te.
Io non ho paura di soffrire Will, perché nonostante tutto questo, sono felice ora. Sono felice come mai prima. Ma se a soffrire sei tu allora non posso far altro che sentirmi morire.
Gli carezzò la guancia avvicinandosi appena.
- So che soffrirai e che starai male. E’ questo che mi fa temere la morte Will. Nient’altro.
Dovrai essere forte. Me lo devi promettere.
Si aggrappò al suo corpo.
Il moro sussultò.
Nonostante ciò che gli aveva appena detto, nonostante la forza e la freddezza che dimostrava  in quel momento, Alex tremava. Tremavano le sue mani, le sue gambe, il suo corpo tutto.
Quel ragazzo aveva paura. Aveva una paura immensa.
E nonostante tutto era lì che cercava di confortarlo e di consolarlo.
Lui era lì a farsi rassicurare da un ragazzino poco più che adolescente consapevole di dover morire di lì a poco.
Si sentiva un idiota. Un bambino capriccioso e sciocco.
Quella creatura aveva afferrato la propria vita, tutto ciò che per lui era importante, e la stava trascinando in salvo. La stava allontanando dai pericoli e dalla pioggia scura che si abbatteva su di lui.
Alex stava cercando di metterlo a riparo.
Cercava di salvare l’unica cosa che ancora gli premeva.
Lui, se stesso, William.
Alex pensava sempre, incessantemente a lui. Non alla morte. Non a quello che gli sarebbe accaduto.
A lui.
Lo strinse con forza a se, contro il proprio petto, sulla propria pelle. Lo avvolse protettivamente con le braccia.
- Ti vivrò fino all’ultimo Alex.
Il ragazzo si strinse affondando la testa nella stoffa.
- Non mi importa di nient’altro adesso Will.
Presto si sarebbero dovuti dividere. Dovevano prepararsi per la guerra.
Il giovane si distanziò carezzando una guancia dell’altro. Sapevano entrambi che dovevano separasi.
Si voltò dirigendosi verso la porta d’entrata. William lo osservò fermarsi per qualche istante , voltarsi e guardarlo.
Gli sorrideva dolcemente.  

Frugava nel cassetto, spostava, cercava, ma non riusciva a trovarla. Eppure era sicuro di averla infilata li in mezzo, da qualche parte. Come poteva essere stato così sbadato da dimenticare?
Il piccolo rettangolino metallico si scontrò contro i suoi polpastrelli proprio mentre ritraeva la mano. Lo afferrò con aria vittoriosa e si mise a sedere sul pavimento.
Il gatto gli balzò su una coscia e tentò di scavalcarla, muovendo la zampina verso il pavimento, senza però scendere. William lo aiutò con la mano e se lo mise in grembo, mentre poggiato con la schiena contro il bordo del letto si rigirava il pezzo metallico fra le dita.
Sfiorò allora il cerchietto verde ed uno piccolo schermo olografico apparve davanti ai propri occhi.
“Cosa stai facendo?” Il visino chiaro del ragazzo gli sorrise. Era sdraiato sul letto. “sto riprendendo, voglio far vedere a tutti la tua bella faccia” “Will, hai bevuto, metti giù quella cosa” rideva ancora, ma più giocosamente. “no, voglio vederti, voglio che mi dici, che me lo dici anche qui” L’inquadratura si mosse avvicinandosi ancora di più a quel viso dolce che continuava a sorridergli. “Will, che cosa? Ti avevo detto che non volevo facessi quella scommessa! Adesso fai fatica a reggerti in piedi” “Dimmelo, sono vicino” Il biondo strizzò gli occhi. “Ti amo Will” Il quadro si mosse di nuovo fra le risatine del ragazzo ed i versi strani di lui che riprendeva, andando ad inquadrare la parete, poi si spense.
Sorrise fra se. Sapeva cosa era successo dopo, era una delle poche cose che ricordava di quella serata. Avevano fatto l’amore.
Aveva perso una scommessa con Eric e si era ubriacato. Il giovane aveva dovuto riportarlo in stanza sotto braccio. Poi si erano sdraiati e lui aveva preso la videocamera ed aveva preso a filmare Alex mentre era sdraiato sul suo letto.
Come era meraviglioso.
Qualcosa era cambiato da quella mattina. Sentiva una strana sensazione. Come se una lieve, fioca luce avesse aperto uno spiraglio nella propria mente. Aveva incominciato a pensare a un'idea che gli ronzava fastidiosamente nella testa, un'idea che vrebbe potuto fare la differenza per tutto ciò che sarebbe venuto.
Ma non sapeva ancora bene come fare, ne se si sarbbe potuto fare.
Ad Alex non l'aveva ancora detto.
Carezzò la testa del micio.
Il movimento fuori si sentiva già da tempo. Gli aerei erano partiti.
Poggiò il rettangolo sul letto e si preparò, vestendosi con la tuta che gli avevano intessuto apposta. Anche quella avrebbe facilitato la diffusione delle loro onde cerebrali, o almeno era quello che gli avevano detto.
Mentre si infilava il metallo in una piccola tasca interna fu sorpreso dall’improvviso scalpiccio nel corridoio. Una voce che riconobbe immediatamente lo fece sobbalzare. Corse verso la porta aprendola e facendone capolino.
- No, io vado di qua, non abbiamo tempo da perdere!
Il moro riconobbe Peter, ma non ebbe tempo di assumere un atteggiamento abbastanza ostile.
- Ehi, che diavolo succede?
L’altro si voltò nella corsa e fu costretto a fermarsi.
-Giusto te cercavo! Dov’è?!
William si sporse ringhiando.
- Ma di che diamine stai parlando?!
L’altro gridò ancor più forte sovrastando il rombo dei bombardamenti che ormai erano incominciati.
- Dov’è Alexander!?

P.S. Un nuovo capitolo e uno degli ultimi. Scusate per l'attesa, ma pare che io abbia avuto il cosiddetto blocco dello scrittore...(esiste..?) vabbè. Spero che il prossimo venga fuori decisamente prima...^^°
In ogni caso, se ci sarà una prossima storia, sarà decisamente più leggera e disimpegnata! Magari divertente se ci riesco...Bhè, alla prossima =)


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Capitolo 22
*** Chapter 22 - Fine ***


Capitolo 22

-Aleeex!!! Alex dove diavolo sei?!
Correva incespicando per la fretta sui propri passi. Era già stato ovunque, in tutti i posti che conosceva ma non l’aveva trovato. Aveva provato persino a richiamarlo con la forza mentale, ma non aveva funzionato.
Il panico saliva mentre il turbinare della battaglia, l’ultima grande battaglia, era ormai sulle loro teste.
Avrebbero già dovuto essere sul ponte, nella loro postazione.
Ma senza Alex non poteva andare, sarebbe stato inutile.
Non sapeva dove si trovava e questo lo faceva impazzire.
Mille pensieri gli annebbiavano la ragione. Poteva essere svenuto o essersi sentito male da qualche parte, mentre era solo, oppure era ferito, o aveva paura o… non capiva più niente.
Si fermò; qualcosa gli attraversò la mente.
-Alex?!
Era strano, era un segnale come quelli che usava lui, uno di quelli per chiamarlo, ma era diverso. Avvertiva qualcosa di strano, di pesante, come se fosse respinto.
Che stesse succedendo qualcosa al biondo?
- Sei tu?!
Gridava da solo nel corridoio ormai vuoto.
Un boato e poi uno schiocco assordante. D’improvviso una forte corrente d’aria lo investì e lo scaraventò contro la parete. Qualcosa doveva essere esploso poco distante.
Si rimise in piedi stringendo i denti per la botta. Doveva trovarlo.
Quello che aveva avvertito poco prima era sparito.
Riprese a correre, ma era come brancolare nel buio. Poi la debole pista tornò.
Prese a seguire il segnale, sempre più velocemente, sempre più goffamente.
Intanto i boati dei bombardamenti incalzavano sempre più stordenti, sempre più vicini.
Uscì sul ponte. Una sferzata di aria lo colpì in viso. Avvertì l’odore forte della cenere e del fumo.
Si voltò.
L’hangar era stato distrutto. Pezzi di lamiere rosse incandescenti, una nube nera che si alzava inquietante nel cielo.
La cenere pioveva dall’alto come pure i piccoli frammenti dell’esplosione.
Rimase a bocca aperta, ma distolse rapidamente lo sguardo.
Una figurina esile e bianca, stretta nella tuta aderente e sagomata era in piedi poco lontano da lui e gli dava le spalle. I suoi capelli oro brillavano della luce rossastra del fuoco che ancora danzava lontano, fra i resti dell’hangar, quasi fossero accesi anch’essi.
- Alex!
Lo chiamò a gran voce, ma non mosse un passo. Era come inchiodato a terra.
Non fece in tempo a sentirsi sollevato. Il giovane si era voltato, sussultando a quel richiamo. Aveva il viso triste, addolorato.
-Will…mi dispiace.
Allora si mosse. Gli si avvicinò e lo strinse forte alle braccia, scuotendolo.
- Ma sei impazzito? Che ci fai qui!? Dobbiamo andare sul ponte, dobbiamo andare con gli altr…
-Non posso venire! Non posso allacciare il legame fra me e te!
Il moro lo lasciò disorientato. Poi lo guardò fisso negli occhi, cercando in quello sguardo qualche risposta che sapeva di dover trovare in fretta.
- Hai paura?…
Gli prese il viso con le mani.
- Hai paura di quello che succederà…?
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui, gli occhi gli brillarono accesi di una strana luce.
- No! Io…Will non posso!
L’uomo lo squadrò senza sapere più cosa fare, cosa dire.
- Credo che… credo che abbiano intercettato il mio segnale…
William avvertì il corpo dell’altro tremare.
- Cosa..io non capisco. Cosa vuoi dire?
- Gli alieni… se io allaccio il collegamento ci trovano e ci ammazzano…oppure…peggio…
Il moro assimilò quelle parole come un pugno allo stomaco.
- …potrebbero rivoltare il nostro potere contro i nostri e usarci come armi…
L’altro scosse la testa, come per capire meglio.
- Ma ne sei sicuro? Insomma…come fai a saperlo?
Il biondo lo squadrò affranto, afferrando con le mani i suoi polsi.
- Credo… loro mi hanno fatto venire sul ponte…mi hanno come… richiamato. Era un segnale forte ma pesante da sopportare, come un interferenza.
William si bloccò. Anche lui aveva avvertito quel segnale, ma all’inizio gli pareva quello di Alex. Che gli alieni lo avessero usato per richiamare anche lui…
Gli strinse il viso.
-Ora vedi di stare buono. Aspettiamo un attimo.
- Non possiamo! Non c’è tempo…e io non so come dobbiamo fare!
- Ehi…ehi. Va tutto bene. Ascolta, ci sono io adesso.
Lo strinse fra le braccia e l’altro gli si aggrappò come se fosse aria per i suoi polmoni.
Il fragore della battaglia si era riavvicinato e la terra tremava a volte sotto i loro piedi.
William cercava di fare ordine nella sua testa.
Se quello che diceva Alex era vero allora connettersi era più che un rischio, ma del resto se non si fossero connessi, le possibilità di vittoria erano nulle. Era come spegnere la centralina di un impianto elettrico.
Gli altri Ev non erano neanche paragonabili ai poteri delle onde psichiche che il biondo possedeva.
Ma se Alexander non avesse utilizzato la sua forza per l’impulso, allora…
Quel pensiero egoista si impadronì di lui. Non sarebbe morto, sarebbero stati insieme per sempre, avrebbero vissuto nella stessa casa, nello stesso letto.
Si distanziò dal ragazzo per guardarlo negli occhi, con lo sguardo pervaso da un bagliore inconsueto.
Ma quegli occhi, gli occhi chiari del giovane, così tristi e in attesa, lo dissuasero.
No…se l’impulso non venisse attuato, allora quella battaglia avrebbe decretato la fine della specie umana. Non ci sarebbe stato un futuro dove vivere. Non ci sarebbe stata nessuna casa, nessun cielo da guardare insieme.
In ambi i casi sarebbe finita.
- Che facciamo Will…?
Era la prima volta che Alex si affidava totalmente a lui. Era la prima volta che non sapeva veramente cosa fare.
La sua voce insicura e fioca gli reclamava l’attenzione.
Lo squadrò ancora e poi gli afferrò la mano.
- Torniamo in laboratorio. Lì sapranno dirci qualcosa.

Continuava a fissarlo da minuti ormai, senza dir nulla.
William era nervoso, come del resto gli altri scienziati, ognuno assorto nei propri pensieri.
- E’ un guaio. A quanto pare ci hanno battuto sul tempo.
Chissà da quanto ci controllano.
Alex deglutì preoccupato a quella sentenza.
Il dottore si mosse dalla posizione immobile che aveva assunto e si poggiò ad una sedia con aria stanca.  
- Non credevo fosse possibile per loro intercettare e interferire con le vostre onde cerebrali.
Poi ritornò silenzioso e pensoso, con le rughe profonde che gli solcavano la fronte. Anche il generale era lì. Era accorso non appena la notizia lo ebbe raggiunto.  
Guardava il figlio con austera severità, mentre non aveva degnato William neanche di uno sguardo, come se non esistesse.  Sembrava una statua di pietra. Un grosso, vecchio, rugoso sasso.
- Possibile che non ci sia una soluzione? Non possiamo starcene qui con le mani i mano! Migliaia di uomini sono lì fuori a morire!!!
Il moro era sbottato senza ritegno, scuotendo tutti nella camerata. I boati dei bombardamenti si facevano sentire anche da li sotto.
- Io non ho intenzione di starmene qui con le mani in mano!
A quel punto Alex si alzò, catturando gli sguardi dei presenti. La voce dell’altro gli aveva dato forza.
- Credo di avere la soluzione.
Il padre lo squadrò incuriosito e timoroso al tempo stesso, mentre il compagno gli lanciò un’occhiata di ammonimento.
Pendevano dalle sue labbra.
- In queste ultime ore, in questi giorni, credo di aver  fatto una scoperta.
Quando io e William ci eravamo perduti l’uno nell’essere dell’altro ho avvertito una sensazione strana, diversa. William ha una dote che ha sviluppato come autodifesa e quindi come mia difesa. Un dono che io non possiedo.  
Nelle coppie di Ev, e ora ne sono certo, il più predisposto sviluppa un potere alternativo, dedito non solo all’auto-conservazione, ma anche alla preservazione del gemello.
William ha delle premonizioni, delle visioni su ciò che mi avverrà. Le ho viste, ho visto alcune cose…
A quelle parole il moro si avventò su di lui.
- No! Cosa hai visto? Dimmi che hai visto?
Perché non mi hai detto niente?!
Gli aveva afferrato le spalle e lo scrollava. Non voleva assolutamente che vedesse quelle cose orribili. Non poteva.
- Will…
Lo fissò ancora per qualche istante.  Poi la presa allentò appena. Intorno si era creato un lieve imbarazzo, mentre il Generale si era avvicinato ai due infastidito. Con un rapido gesto della mano allontanò l’uomo dal figlio.
- Raffredda i bollori. Un simile atteggiamento nei confronti di un tuo sup…
- Generale…vi prego.
Il biondo guardava il superiore con occhi severi e distanti.
- Alex, che stai cercando di dire?
Will lo guardava implorante e confuso.
- Credo…tu abbia forza superiore alla mia.
Il moro continuava a fissarlo, come tutti.
- Non abbiamo ancora perso questa battaglia.
In tutto questo tempo, da quando sono stato accolto nella famiglia del Generale, non ho fatto altro che essere studiato , sottoponendomi a esperimenti che sapevo avrebbero spossato il mio corpo e abbreviato la mia esistenza.
Fece un respiro, rialzando lo sguardo sul suo pubblico.
- Se io faccio da ponte, se sostengo il collegamento, Will potrà rapidamente attuare l’impulso.
Credo che sarò in grado di respingere l’intrusione per un breve ma fondamentale periodo.
- NO!
E’ troppo peso da sopportare! Tu non…!
- WILL! Sappiamo tutti che non sopravvivrò comunque!
Il silenzio schioccò all’improvviso, come uno squarcio.
Nessuno disse nulla.
Erano tutti d’accordo al sacrificio del suo Amore.
Lo erano sempre stati.


Il vento danzava in mulinelli selvaggi nel paesaggio desolato che si estendeva di fronte a loro.
Gli echi della battaglia li sfioravano appena mentre si tenevano per mano nel fioco legame.
Tutto stava per finire.
Il giorno dell’Apocalisse…la nascita di un nuovo mondo…
La mano di Alex era fredda nella sua.
Le parole erano morte tra loro. Non servivano più.
Erano una cosa sola.
Avvertirono una scossetta leggera. Le coppie iniziavano a connettersi.
Nessuno sarebbe venuto a fermare quella pazzia.
Nessun angelo sarebbe sceso a salvare il giovane Isacco sull’altare.
La fine…come poteva essere finito il loro infinito Amore?
Era una contraddizione.
Forse tutti si sbagliavano. Avevano interpretato male le righe di quella commedia scritta in una lingua che presumevano di conoscere.
Nessuno era stato in grado di interpretare il giusto.
William sapeva che Alex l’aveva letto. L’aveva letta quella soluzione ma non l’avrebbe mai dichiarato, perche la menzogna, l’errore superficiale, era il bene per lui.
Era l’errore che avrebbe salvato William, il suo amore.
La morte di uno per la sopravvivenza di un mondo.
Ma il mondo di Alexander non era la Terra. Il mondo di Alexander era William.
Il moro leggeva impassibile quelle righe di cuore, le leggeva e le lasciava lentamente combaciare con le proprie.
E l’angelo scese a fermare Abramo.
La traduzione giusta era un’altra, ora la leggeva anche lui.
Alex sarebbe sopravvissuto. La forza di William sarebbe stata sufficiente per entrambi. Non importava se l’altro non voleva: lui l’avrebbe fatto. Sapeva ora come fare, sapeva ora la soluzione giusta.
Il giovane era in trance. Ormai le coppie Ev superstiti erano connesse tutte. Era il momento.
Il biondo aprì allora il collegamento.
William avvertiva i cambiamenti rapidi del corpo dell’altro come se fosse il proprio.
La temperatura scendeva drasticamente, il cuore accelerava, il respiro annaspava. Lo sforzo era doppio, doveva respingere l’intrusione.
Allora il moro sapeva cosa fare. Sentiva una forza sconosciuta invaderlo, la forza sopita dentro di lui tutti quegli anni, quella superiore a Alex. L’Amore forse…
Era anche lui in trance, ma stavolta sarebbe stato differente.
Quella forza era diversa, era nuova. Era l’arma perfetta per salvare il suo mondo. Ed aveva scoperto la soluzione.
Il suo corpo rispondeva agli stimoli nonostante la catatonia. Alzò un braccio, poi l’altro; aprì gli occhi e si voltò verso Alex.
Il legame c’era ancora lo sapeva., ma riusciva  a muoversi anche con la carne.
Il corpo del biondo ebbe un fremito. Sentiva che qualcosa non andava, ma non poteva interrompere la connessione o sarebbe stato troppo tardi.
Perché William non agiva…?
L’uomo sollevò le mani sul capo del suo splendido amore, ormai pallido da parere trasparente.
La sua voce nella sua testa: Che sta succedendo Will? Perché non mandi l’impulso ora?
Un breve istante.
Afferrò l’anello amplificatore sui suoi capelli d’oro e lo sfilò.
Il rumore ovattato del metallo che sbatteva sul suolo freddo.
Si avvicinò al suo Amore e gli sfiorò le labbra con un candido bacio, stringendolo a se.
Il segnale di Alex si indebolì drasticamente. Il suo corpo sussultò scosso da una convulsione forte.
Il giovane vedeva William etereo nella sua mente, vivido e lucente come mai.
Gli sorrideva.
Ora c’era anche il suo corpo. Si vedeva di fronte all’altro nel nulla più totale. Nel bianco del vuoto.
-Will…che succede ora?
Era confuso.
- Sono il tuo essere, come quella volta.
Qui loro non possono entrare. Il tuo segnale ora è il mio.
Sei nella mia testa.
Alex tacque. Era come se l’altro lo stesse avvolgendo con le suo calde braccia.
- Alex…nessuno lo sa. Tu l’hai letto ed io in te.
Non avere paura. La mia vita è la tua. Lo è sempre stata.
Il tuo sacrificio non è necessario. Io posso salvare il Mondo. Posso salvare te e me.
E’ l’Amore l’arma perfetta.
Il biondo lo guardava con gli occhi vividi fissi nei suoi.
Capiva. Sentiva che la paura svaniva.
- Noi siamo l’Amore Will.
Io sono te e tu sei me; siamo un’unica cosa. Ecco perché siamo più forti.
Pensavo che avresti rischiato e invece sento di essere al sicuro. Perché?
 Il moro sorrise di nuovo. Erano più vicini ora. Lo sfiorava, si toccavano, si stringevano. Riusciva a sentirlo come se non fossero stretti solo nella mente ma anche nel corpo. Si abbandonò fra le sue braccia.
- Io lancerò l’impulso e ti sorreggerò, sorreggerò il tuo segnale, perché ora sono te.
L’Amore ha raddoppiato la mia forza, che in tutti questi anni non è stata sfruttata come la tua e ha potuto svilupparsi.
E’ semplice ma nessuno poteva capirlo. Nessuno può comprendere dove è arrivato il nostro Amore. Perché noi siamo sempre stati un’unica cosa.
Alex avvertiva il proprio corpo ora. Lo sentiva, stretto al suo Mondo.
Il bianco si incominciò a stringere attorno a loro, segno che l’impulso stava per essere lanciato, e brillava, li accecava. Ma Alex era al sicuro nell’abbraccio del suo amore.
E chiuse gli occhi anche nella mente mentre scomparivano nel nulla brillante.


Epilogo.

-Generale!
La recluta si avvicinò trafelata al superiore.
Il Generale Rose prese l’anello metallico che aveva fra le mani.
Squadrò quell’oggetto ormai inutile per qualche secondo ancora. Ne sfiorò la piccola incisione.
W. H.’
- Non è lo stesso che abbiamo ritrovato sulla loro postazione, signore?
Lo affidò al suo sottoposto.  
- E’ l’amplificatore di Hartnett. Puoi portarlo indietro.
Con un gesto della mano ordinò al resto di congedarsi.
Rimase solo, in piedi davanti al portone scardinato di ciò che rimaneva della sala veicoli, con le braccia dietro la schiena.
Il sole era sorto in un’alba limpida e fresca. L’alba della rinascita.
Guardava l’orizzonte, con lo sguardo perso e lontano.
Non c’era rabbia negli occhi come nel cuore. C’era pace e malinconia.
Le carcasse dei velivoli dell’esercito si confondevano con quelle dei nemici in un unico sterminato suolo ferroso.  
Ne vincitori ne vinti. Ma la guerra era finita.
L’impulso aveva disattivato le macchine neoterrestri e il fuoco dell’esercito era stato fermato.
Ora ciò che era rimasto era la distruzione.
Un mondo da ricostruire.
Un’alleanza da risaldare.
Alzò appena lo sguardo sopra le nuvole candide.
Quei due erano lontani ormai.

Sentiva l’aria fresca che gli sferzava addosso ed il rombo della moto.
Gli alberi scorrevano veloci e la terra spariva dietro di se. Le montagne cambiavano rapidamente.
Il sole sorgeva lento dietro la vallata e gli illuminava di tanto in tanto il viso, facendo capolino.
Da quante ore era su quella moto? Non se lo ricordava.
Avrebbe continuato a camminare fino a quando non sarebbe finito il carburante, poi qualcosa avrebbe pensato.
Di tempo ne aveva un’intera vita.
- Svegliati…ehi, è l’alba.
Aveva dovuto parlare forte o la sua voce si sarebbe persa fra il vento e il rumore del motore.
Le braccia si strinsero più forti alla sua vita. Il tepore e il peso del suo corpo sulla propria schiena si affievolirono.
Alex si mosse dietro di lui.
- E’ già giorno…?
Aveva la voce impastata e gli occhi ancora socchiusi, con la guancia contro di lui. Si sfrego il viso contro la propria spalla,  sulla giacca che William gli aveva fatto mettere prima di caricarlo sulla moto.
Non voleva prendesse freddo, aveva detto.
Alzò lo sguardo e si sporse per vedere il profilo dell’altro.
-Come è bello il sole…come sei bello Amore.
Si riappoggiò di nuovo alla schiena di William dopo avergli schioccato un leggero bacio sulla guancia.
L’uomo sorrise, concentrato sulla strada, mentre i raggi gli colpivano il viso.
Il biondo guardava l’orizzonte da dietro le sue spalle, col mento poggiato a lui, stretto alla sua vita.
Presto avrebbero raggiunto i primi paesini, ma il loro viaggio era appena cominciato.
Sorrise stringendo gli occhi e la presa sull’altro.
Andavano verso il sole, lontano da tutto e tutti, verso un piccolo mondo da ricostruire insieme.


*Fine*

P.S.
Scusate se ho fatto aspettare così tanto tutti. Sembra strano ma è finita.
Beh, cioè, Will e Alex vivranno ancora, dovranno ricostruire dalle macerie, sicuramente soffriranno un po, ma vivranno felici e insieme. Credo che sia stata la scelta migliore. C'era troppo affetto per loro...non riuscivo a scrivere un fnale drammatico. Si meritano un po di felicità =)
Ci ho messo parecchio per scrivere l'ultimo capitolo, ma fra gli impegni e l'idea che non veniva è stato il tempo necessario credo. Spero piaccia a tutti.
Vorrei ringraziere ancora tutti quelli che hanno commentato e che hanno anche solo letto la mia storia.
Vi ringrazio di cuore!

Spero di vedervi presto nella mia nuova fic, già in cantiere, che sarà un po più assurda e ironica credo =) 

Magari  il lieto fine è un idea un po scontata, ma del resto almeno nelle fanfic, nei film, nei libri e nei sogni può ancora essere tutto come una bella fiaba.

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