Free girl

di Vuli Anso
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il soffitto è azzurro, apparentemente perfetto ***
Capitolo 2: *** senza emettere alcun rumore ***



Capitolo 1
*** Il soffitto è azzurro, apparentemente perfetto ***


Il divano è morbidissimo e grazie al tessuto che lo ricopre è ancora più gradevole. Mentre questo è sotto di me io sono tra i due: le sue labbra sfiorano il mio collo accarezzandolo dolcemente e io sono talmente stanca che mi sto per addormentare, d'altronde è mezzanotte.

Non dico nulla e non faccio nulla, non riesco a provare nulla. Con il viso immobile, serio e pensieroso lascio che lo sguardo si fissi in un punto indefinito del soffitto bianco del salotto. Attorno a noi tutto è fermo e immobile, come il riflesso dei nostri corpi sdraiati sul televisore addosso al muro rosa scuro. Oggi stranamente non si sentono nemmeno le macchine correre per strada, attraverso le due finestre di questa stanza. È strano che, pur essendo molto grande, quando parliamo si senta così poca eco. Il mio braccio sinistro mi circonda la testa mentre la mia mano destra, appoggiata al viso di Matteo, lo sente staccare le labbra dal collo e venire avanti posizionandosi davanti al mio.

"Tutto ok?" Ci guardiamo negli occhi, ma ci conosciamo da cinque anni e mentire oramai per noi è impossibile.

"Non lo so…" effettivamente non sono sicura che quello che ho detto sia vero, che lo pensi davvero, e probabilmente non lo voglio nemmeno sapere. Cerco di non pensare a nulla, anzi, solo a quando lo facevamo la notte, ma mentirsi da soli non fa bene.

"Sicura?" Lo vedo: cerca di scavare nei miei occhi le emozioni più profonde, quelle sepolte dalla sabbia dell'infanzia, ricoperte di macerie di vita buttate volutamente dalla sottoscritta per provare a mascherare il disagio.

"Non lo so..." Spero davvero che non diri fuori argomenti scomodi, forse anche per questo non aggiungo altro. E lui è speciale: sa che quando ripeto la stessa frase sono ferma al punto di partenza, purtroppo, però, sono contemporaneamente travolta da una serie di domande che mi fracassano le idee.

"È un lui... O una lei?" Il fatto che me lo chieda con le labbra ancora umide che si muovono lente su di me, mi fa capire che nemmeno lui è particolarmente interessato sul tema. Questa domanda non me l’aspettavo. Non lo so, giuro, ma non penso che sia nessuno dei due.

Non voglio che sia Matt il problema, non lo è sicuro! Anche se... "Ma sì, dai, è solo un periodo un po' così, non facciamoci caso."

"Sappi che ti conosco fino al midollo, non mi scappa un solo tuo movimento." Cosa... Fa per tornare alla posizione di prima ma poi si blocca rendendosi conto dell’inquietudine che c’è in quello che ha detto. "Voglio dire... Non ti preoccupare perché quando vuoi ci sono, non aver paura di nasconderti."

Questa frase mi tranquillizza di più.

 

Sono passate alcune ore, oramai si vede il sole salire da dietro la siepe che delimita l’orto fuori di casa mia. Le nuvole rosse e rosa creano un contrasto paradisiaco con il cielo azzurro. Le foglie degli alberi, nel loro verde intenso, in contro luce diventano macchie luminose richiamando l’autunno in arrivo.

Matteo è sull’uscio, non esce e non voglio che esca, ma è tardi.

Rimane per qualche minuto fermo di spalle, è estate quindi non mi dà fastidio la porta aperta, ma perché fa così?

Si gira. "Abbiamo perfettamente capito entrambi che sotto sotto qualcosa ci sta." Aggrotto le sopracciglia non riuscendo a capire. Mi prende il viso tra le mani e lo avvicina. Non mi vuole baciare, lo so perché so altrettanto bene quanto sia importare ciò che mi vuole dire. "Tu mi piaci, non posso ancora dire che ti amo perché siamo morosi, e non fidanzati," ecco, una cosa che amo di lui è la concezione dei sentimenti; capisce sempre quando è il caso o meno, sa cosa è giusto o meno e per me è fondamentale peer una relazione stabile. "ma percepisco che tra noi c'è qualcosa che non funziona. Io lo sento poco e ho bisogno di certezze da parte tua." Mi lascia il viso ma rimane vicino al mio corpo. "Ho bisogno di sapere cosa provi, cosa senti e cosa pensi. Poco per volta, ma ne ho bisogno."

Rimango immobile per cercare di mostrargli quello che sento con lo sguardo: le parole non hanno voglia di uscire e io non ho voglia di farle sentire. Non sono brutte, quello solo da un lato, più che altro sono strane e mi fanno paura.

"Ti prego." È l'unica cosa che riesco a dire. Sento che ha capito che quello che ho appena detto non significa nulla di male: non prego lui, ma che i miei sentimenti siano abbastanza forti da non cambiare e che rimangano costanti.

Voglio stare con lui, è speciale, non ho mai incontrato una persona tale, è quasi la mia metà perfetta. Infatti il problema non è lui, e la frase "segui quello che ti dice il tuo cuore" non la voglio prendere alla lettera. Sappiamo entrambi cosa mi sta succedendo e il minuto in cui rimaniamo con la fronte appoggiata sembra un'ora; una lunghissima ora durante la quale la nostra pelle si lacera sentendo i primi sintomi della separazione. Come se il caldo ci incollasse i due corpi fino a crearne solo uno, portandoci a provare fastidio e a separarci.

"Ho paura."

Mi prende la mano. "Quando vuoi sai dove trovarmi." E questa frase è la goccia che fa traboccare il vaso: non avrei mai voluto sentirla. Andava tutto così bene fino a qualche ora fa. Incredibile.

"Vale anche per me." So che ha fatto la cosa giusta e che non intendeva ferirmi, ma il mio cuore mi sta dicendo cose che non ho né il coraggio né la voglia di ascoltare.

Non so quale sia la scelta corretta, ma Matteo ha ragione: abbiamo bisogno di tempo. Non era nulla di serio il nostro rapporto, alla fine.

 

Salgo le scale fino alla mia cameretta e mi butto sul letto. Sono stanca e fiacca, ma i miei occhi si obbligano da soli a rimanere aperti e la mia mente attiva. Non mi preoccupo nemmeno di avere la testa comoda sul cuscino, o di togliermi le ciabatte prima di impolverare le lenzuola pulite. Il mio letto è circondato da una parete alla quale è appoggiato e dall’armadio, solitamente usato per non farmi vedere mentre mi cambio i vestiti. Il soffitto è azzurro, apparentemente perfetto; al centro la plafoniera rotonda è circondata da stelline che la notte si illuminano, avendo raccolto la luce diurna. Ma nemmeno questi piccoli oggettini così allegri riescono a spegnere il vuoto che sento mentre cerco di rispondere alle innumerevoli domande, sepolte dalla sabbia, costringendo il mio sguardo a cercare ogni minima imperfezione nell'azzurro sopra di me.

Nel frattempo la mia mente scava sotto tutti i detriti buttati tra le linee delle mie iridi. Piccoli filamenti sottili fragili e vulnerabili, capaci di spezzarsi al primo tocco. Ogni centimetro è buono per una spiegazione in più, ma queste non sono sufficienti per capire la motivazione di questo mio stato d'animo.

Lo sento che questa non è pazzia. Anche quando in classe ne parlavamo, a nessuno sembrava turbare. Perché non lo stanno vivendo: è complicato passare le giornate con questa perenne fissazione che il tuo istinto verso il sesso maschile stia diminuendo. Ancora più terribile è immaginare quanto la società si dimostri aperta e comprensiva quando poi basta una parola fuori posto e ti vedono in modo diverso, con quello sguardo diffidente e omofobo pieno di disprezzo. Questo è quello che hanno in mente: una ragazza che compie atti sessuali, magari anche osé, con una persona del suo stesso sesso. E magari hanno anche ragione, magari è la mia mentalità quella sbagliata, magari sono io quella sbagliata.

Mentre i miei occhi trovano sempre più punti di imperfezioni, la mia mente ha scavato tutto, fino all'osso.

Però lo sento. Essere lesbiche non è facile, ma nemmeno un problema.

 

In classe sento alcuni sguardi incuriositi guardare nella mia direzione. Dopo ciò che è successo ieri non riesco a guardare in faccia nessuna ragazza, l’unica che proprio non posso eliminare dalla mia vista è Elisabetta, la mia migliore amica, colei che mi ha sempre capita. Per questo non vedo l’ora di potermi confidare e sfogare, anche se provo imbarazzo anche davanti a lei, ho paura che qualcuno di terza o quinta le abbia messo in testa cose non vere o delle cattiverie.

Così, mentre mi faccio spazio nella classe, invasa da ragazzine dagli ormoni schizzati e mono neuroniche che pensano a fare le sciocche, incontro il suo sguardo. Ha degli occhi pazzeschi, ma so che per lei non proverei mai nulla di particolare. Non le darei più attenzioni di quelle che già le riservo.

Quando mi guarda la sia espressione non mi piace e non la riconosco, sinceramente speravo in altro. A questo punto tutto il coraggio di parlarle che avevo raccolto nell'entrata è stato sbriciolato da lei stessa. Come se sapesse già tutto e ne fosse schifata.

Quando mi siedo al mio posto, la sedia è quasi più calda e confortevole dello sguardo di Eli. Lascio cadere i miei occhi di peso verso il banco, con la tentazione ogni tanto di alzarli per vedere come reagisce alle mie azioni, ma bloccati dalla stanchezza improvvisa, dalla tensione che si è infilata tra le cellule della mia pelle e dalla paura.

Preferisco non guardare che avere la terribile certezza del fatto che la mia migliore amica si sia fatta impressionare da queste mie possibili caratteristiche. Perché sono possibili: chiunque potrebbe essere al mio posto ora, e non credo che se avessi incontrato una ragazza omosessuale avrei reagito schifata.

Passo tutte le due ore a guardare i libri, i quaderni e i prof. Tutto il resto e tutti gli altri li ho totalmente eliminati dal mio campo di percezione.

Voglio che sia lei a capire il suo errore perché è lei quella in torto ed esigo che, quando lo avrà capito, faccia il primo passo verso di me, magari chiedendomi scusa. Il tutto senza trattarmi come se fossi un alieno o una persona disabile.

Durante la ricreazione ne approfitto per scaricare l’ansia mangiando qualcosa, ma questa volta si sono finiti la mia merenda preferita, quindi decido di comprare solo un po’ d’acqua. Con la coda dell’occhio vedo gente mai vista prima lanciarmi sguardi attenti, piccole frecce nella mia direzione che scivolano nella loro traiettoria senza mai colpirmi. Probabilmente prima di ieri non sapevano nemmeno della mia esistenza.

Matteo, cavolo, sono sicura che c'entra. "Quando vuoi ci sono." Non mi servi, grazie.

Mi giro dopo aver raccolto la bottiglietta dallo spazio sottostante e trovo Eli che mi fissa. Io non faccio nessuna espressione: non sono arrabbiata, perché non servirebbe a nulla, se lei pensa che sia negativo avere preferenze diverse dalle sue è un suo problema; ma nemmeno felice, pensavo che almeno su di lei, in quanto migliore amica, avrei potuto contare. Quindi dare l’impressione di essere apatica in questo caso serve.

Si avvicina velocemente, quasi come se qualcuno le avesse dato una lieve spinta. "Scusa." I suoi lunghi capelli lisci rossi le cadono lungo il viso coprendolo per metà, ha le mani dentro le tasche, evidente segno di imbarazzo e non si è messa le scarpe arancioni. Tutto ciò mi sembra molto strano. Rimango comunque impassibile. "Scusa per i messaggi" continua lei con un volume di voce relativamente alto. La guardo storta non capendo cosa stia dicendo. "I messaggi che ho mandato alla scuola..." Mi guarda come se fossi stupida.

"Ma di che parli?" Vedo che dalle tasche, assieme alle mani fa uscire il suo telefono. Spero di non aver capito male... Anzi, tutto il contrario, così che possiamo ritornare ad essere amiche del cuore come prima.

"Simone mi ha mandato degli screen-shot di una chat tra te e Luca, il falso di quinta, e mi ha detto che vi eravate messi insieme un mese fa." Quando leggo le foto realizzo quanto sia patetico tutto ciò, che bambini.

"Queste conversazioni non sono vere. Non ne ho mai avuto una del genere con nessuno. Nemmeno con Matteo perché entrambi odiamo le smancerie smielate, e lo sai." La guardo male perché mi aspettavo che mi conoscesse abbastanza, ma sotto sotto sono felice che abbia preso le distanze per un fatto non vero. Così almeno ho una possibilità in più per confessarle il mio reale "problema".

Lei ha sempre odiato Luca, fin da quando si sono lasciati. Era innamorata del suo aspetto, lui era un grande seduttore, sono andati a letto mentre, a sua insaputa lui lo faceva con altre tipe. Quindi era evidentemente – e fortunatamente – preoccupata e delusa da me. Sono solo felice che abbia avuto il coraggio di parlarne, così ha scoperto prima che fosse troppo tardi che era tutta una sciocchezza.

"Piuttosto io ti devo confidare una cosa importante,” mi guardo attorno per cercare di dare meno all’occhio possibile e vedo che ora gli sguardi si sono fatti stupiti in direzione sia mia che di Eli, “ma prima usciamo che dentro sta scuola fa troppo caldo." O forse non è la scuola: troppa ansia.

Il corridoio che porta all’uscita è lungo, ma oggi sembra ancora più infinito: un tunnel d’argento e ferro liscio dentro cui scivolare e che non sai dove ti può portare. I miei passi svelti sfiorano il metallo sottostante cercando di non inciampare tra le mattonelle, stritolando le caviglie per poter rimanere stabile, abbassando lo sguardo per concentrarmi su me stessa. Le luci neon riflettono il loro percorso fino al portone da raggiungere.

*

Appena uscite l’aria calda e umida ci investe il viso rendendo la situazione ancora più soffocante. Le parlo con un po’ di difficoltà ma lei per fortuna riesce sempre a mettermi a mio agio, è una persona assolutamente empatica.

"Capisco benissimo ciò che stai passando, o meglio, posso immaginarlo, ma guarda che non è un problema... Solo ti prego non innamorarti di me o mi tocca friendzonarti!" E scoppiamo entrambe a ridere. Per fortuna che c'è lei a strapparmi il primo sorriso della giornata!

"Grazie mille davvero, sono fortunata ad averti come amica.” Tiro un sospiro di sollievo mentalmente: senza di lei avrei molte più probabilità di cadere in depressione. Solo mi dispiace che sia sempre io quella da supportare – e sopportare -, non riesco a capire come riesca Eli ad avere sempre tutto regolare nella sua vita.

“Spero, di abituarmi in fretta." Giocherello per il nervoso con il mio ciondolo preferito: una chiavetta, ma per me è un simbolo della mia vita e l'oggetto a cui tengo di più.

Me lo aveva regalato mia mamma per la cresima e comunione. "Usala bene, conservala!" Fino a che non mi è arrivato un tumore ed ho iniziato a scrivere e ad ascoltare musica. Non esisteva più nulla se non l'arte e tutto quello che facevo lo salvavo dentro quella chiavetta. Poi ho avuto anche ispirazioni per strumenti musicali. Volevo evadere dal mondo pieno di negatività ed entrare in uno creato interamente da me. Successivamente il periodo della riabilitazione, in cui mi dovevo riabituare a camminare anche senza il mignolo del piede sinistro – perché, per fortuna, non si è espanso lungo tutto l’arto. Ho tanti video di tanti miei testi che non verranno sicuramente mai pubblicati, perché non lo voglio.

Quindi tutt'ora so suonare il pianoforte, il flauto, la chitarra, il tamburo, alcune cose basi del violino e la pianola. Molte volte vado in sala registrazione e creo canzoni totalmente suonate e cantate da me. La maggior parte delle volte uso quasi tutti questi strumenti.

"Bea mi ha riso in faccia quando le ho detto di quella chat. Mi ha risposto «Tanto so perfettamente che le piaccio» con la sua espressione da smorfiosa." So che mentre lo dice, Eli sta cercando di capire come faccia ad attrarmi.

"Incredibile quanto una persona possa montarsi la testa grazie ad un semplice orientamento sessuale diverso… però devo ammettere che mi aspettavo una reazione diversa dalla sua.” Guardo l’ora per non rischiare di fare ritardo per la lezione successiva.

“Marta, credo che dovremmo rientrare.”

 

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Capitolo 2
*** senza emettere alcun rumore ***


Il letto era caldo, il tempore della mattina, con i suoi flebili raggi solari che filtrano tra le fessure dei balconi, accarezza il mio viso facendomi sentire un po’ più viva. Ieri le lenzuola erano ben sistemate, ora sono in disordine mettendo in risalto i movimenti della notte trascorsa.

Poco a poco il mio corpo si fa pesante, sento un peso sopra di me, come se un corpo mi sovrastasse, ma la mia mente ofuscata non mi fa capire molto. Alzo di poco la testa per avere una visuale migliore, ed ecco che la vedo: Beatrice. Ora ricordo tutto, almeno, solo perché siamo qui, ma non altro.

Sul coprimaterasso una chiazza di sangue non troppo grande padroneggia la zona delle mie parti intime, ad ogni piccolo mio movimento sento il mio seno destro titare, poi realizzo che è la sua mano destra a portarlo verso il basso; lei dorme completamente rilassata sopra di me e la sua bocca appollaiata nell’angolo tra la spalla sinistra e il collo e completamente aderente con la mia pelle.

 

Ci mette poco a svegliarsi, girando il capo verso il mio per guardarmi meglio. “Buon giorno!” Si alza ancora di più mettendosi a gattoni. Io, stranamente, mi sento molto più disinvolta di quello che avevo immaginato.”Ti è piaciuto ieri sera?” Le sue parole mi arrivano ovattate, come se stessimo in chiamata. La luce che filtra si fa un po’ più accesa creando raggi attorno al suo corpo e bloccati dalle sue curve un po’ sottili.

Mentre lo chiede il suo viso furbetto mi fa pensare che non ne abbia abbastanza e io non ricordandomi assolutamente nulla le approfitto per stuzzicarla un po’. “In realtà mi ricordo molto poco…” Le prendo il viso con una mano avvicinandola verso di me e con l’altra le accarezzo sotto.

A questo punto lei non mi fa nemmeno finire la frase che si alza di scatto. In un secondo il mio corpo è immobile, ma i miei cinque sensi procedono alla grande. “Che fai?” Cerco di sedermi e dimostrarmi quanto più sedotta possibile, ma adesso mi spaventa.

“Cerco di farti venire in mente cosa è successo ieri.” Mi fa un occhiolino, ma so che non è positivo. Nel frattempo la mia mente non è abbastanza presente da mandare l’impulso alle mie braccia per muoversi.

Un dito lo infila dentro facendomi sentire un po’ più piena di prima, l’altro della stessa mano lo usa per stimolarmi facendo giri attorno all’obiettivo. Mentre sotto si dimostra abbastanza controllata e paziente, sopra con la bocca è più avventata che mai, soffocandomi quasi.

E’ proprio quando inizio a scaldarmi che la porta della camera si apre veloce facendo entrare la figura muscolosa di Matteo. Indossa degli occhiali che non gli ho mai visto addosso e che, pur presa dal momento, riesco a riconoscere: la luce che filtra dalla finestra, arancione di prima mattina, crea un riflesso tondo in un angolo facendo risaltare un puntino lucido.

Solo allora capisco: mi verrebbe voglia di muovermi e scatenarmi, di prenderli a schaiffi e poi denunciarli. Ma il mio corpo non mi ascolta e la mia mente concentrata sul ragazzo che ho davanti sente a malapena ciò che Bea sta facendo.

Un urlo, senza emettere alcun rumore, e tutto si zittisce. Tutto diventa muto di colpo.

 

Entro a scuola con la voglia di vivere pari a zero. Provo a non pensare alla gente marcia che mi circonda e a concentrarmi solo su quello che devo fare. Lo zaino oggi è bello pesante, il che non aiuta affatto. Ho i capelli in testa che sono un disastro e i vestiti mi prudono braccia e gambe. Ogni tanto si vede qualche testa spuntare dalle porte delle aule, uno sguardo curioso, uno divertito - come se si fosse qualcosa di divertente in quella scuola, e un altro furbetto, ma in senso negativo.

"Senti, non provare ad avvicinarti alla mia ragazza." È la principale frase che sento, ma non lo dicono con tono cattivo o prudente, perché tanto sanno che una ragazzina come me non si permetterebbe mai di avvicinarsi ad una ragazzona come quelle loro. Mi guardano come se avessi toccato l'acqua del water.

Mi prudono le mani e non sono mai davvero stata sotto gli occhi di tutti in questo modo, nemmeno ai miei compleanni precedenti perché c’era sempre quella persona che parlava con l’amico o quella che pensava a mangiare. Alle prime affermazioni sento la testa farsi un po’ pesante, ma cerco di non farci caso e continuare a camminare.

Appena svoltata la prima curva all’angolo con le macchinette mi riprometto di andare in bagno a sistemarmi i vestiti per non arrivare in classe con ulteriore difficoltà. Nel frattempo tento di dare una risposta a questi imbecilli:

"Siete noiosi: dite tutti la stessa cosa.” Sussurro sperando che sentano comunque e non mi debba ripetere, anche perché ho paura che la voce mi si blocchi a metà frase. Ancora a due passi dal bagno e: “Le vostre ragazze non mi interessano, tenetevele pure." Io proseguo a passo più svelto fino ad aprire la porta di uno dei gabinetti e chiuderla a chiave sperando di aver beccato quella funzionante. Non mi sono nemmeno girata per vedere la sua reazione, tanto è l’imbarazzo che ho provato.

Non appena ho finito di sistemare la piega della cucitura prendo un bel respiro profondo ed esco sperando che il professore dell’aula dietro al bagno sia arrivato, per risparmiarmi altre inutili lamentele.

Arrivo davanti all'entrata della classe. La prof è già pronta con tutta la cattedra piena di suoi strumenti ordinati impeccabilmente. 

"Ritardo, signorina." Mi chiedo chi ancora dice signorina ad una ragazza come me in quel contesto. Inoltre questo richiamo è totalmente inutile in quanto sono perfettamente puntuale. 

"Anche lei" rispondo con nonchalance mentre mi incammino verso il banco. Mi torturo un po’ le mani per calmare il tremore.

"Cosa sta dicendo?" Mi giro per non guardare più quella faccia da schiaffi. Devo ammettere che non pensavo avesse sentito, e questo un po’ mi spaventa perché non ho voglia che la mia media cali per una frase.

"Non ho detto niente” dico innocuamente, è evidente che non c’è cascata ma già che non abbia risposto una seconda volta mi solleva il morale. Non fa in tempo a guardarmi storto che dietro la porta si piazza un fusto che grida per il corridoio.

Matteo entra dopo di me, sento la sua presenza alle mie spalle e il tempo inizia a rallentare. Sento solo la sua voce e il mio respiro, due elementi che mi portano alla mente troppi ricordi, tutti che vorrei eliminare.

"Finalmente il nostro signore arriva puntuale!" Posso sentire queste parole uscire da una bocca allargata in un sorriso. Non riesco ancora a capire come una professoressa si possa comportare in questo modo con i propri alunni. Mi siedo al mio posto e mi metto le cuffie col bluetooth per non sentire altre cavolate volare come mosche.

Poi la sua presenza inizia a pesare nell’aria, lo sento avvicinarsi a me troppo. Questo pochi secondi, giusto il tempo per dirmi: “Tranquilla, su di me puoi sempre contare.” e solo in quel momento mi rendo conto di quanto sia ingenuo. Davvero crede che io possa stare al suo gioco? Anche dopo anni che lo conosco e che so a che punto potrebbe arrivare? Ma questa volta gliela lascio passare, non sono affatto dell’umore per rispondergli. Sento, però, che la prossima volta esploderò, magari anche controvoglia: non sono tipa da tre chance, una per curare e una per prevenire, alla terza ti attacchi e non ti conviene riprovarci.

Lo fulmino con lo sguardo sperando di trasmettere più paura possibile.

"Non avere paura di me, tanto tu non me ne fai." Alla sua risposta gli tiro un leggero schiaffo sulla guancia, mentre le mie diventano rosse fuoco. 

Lo guardo fisso negli occhi cercando di non farmi venire in mente tutto ciò che vorrei dimenticare. Non so quanto questa mia maschera durerà... Spero solo tanto.

 

Quando torno a casa per mia sorpresa vedo i miei parlarsi. Questo non succede mai: o c'è solo mio padre, o solo mia madre, o litigano... Ora parlano! Lascio lo zaino addosso al muro della stanza per non averlo tra i piedi e sistemo la giacca nell’armadio a specchio sulla destra. Dopo una rampa di scale che collega il primo piano con il piano terra vederli andare d’accordo è abbastanza un sollievo.

"Ciao cara!" Mi sorride mia madre mentre mio padre è concentrato a guardare dentro il frigo.

"Ciao! Che succede?" Spero solo che questa domanda non distrugga l’atmosfera tranquilla.

"Nulla, non stiamo discutendo su nulla..." Avanza, forse mi vede preoccupata. Bel il fato che sia lei a preoccuparsi per me è quasi piacevole, dopo tutto quello che abbiamo passato in famiglia è proprio un sollievo. Ma io sono comunque curiosa e non riesco a trattenermi.

"Appunto... Non state litigando, quale miracolo è piombato in questa casa?" Ridacchio per alleggerire la tensione, quella che - credo - sto provando solo io. Perché ok sollievo e piacere, ma è comunque tanto strano, non vorrei che fosse successo qualcosa di grave. 

"Sai... Abbiamo avuto delle notizie dalla scuola: i voti sono bassissimi e il tuo rendimento è negativo. Poi alcuni fatti sono accaduti..." Si siede davanti a me mentre mio padre guarda il cibo come se nulla fosse, come se non fosse già grasso abbastanza.

"Chi vi ha detto cosa?" Mi irrigidisco. Non pensavo che la loro unione fosse stata creata per un qualcosa che va contro di me, e non lo speravo nemmeno dato quanto già mi sento a disagio per ciò che sta succedendo. Non ti preoccupare, come no!

"Sai il ragazzo gentile con cui ti trovavi poco fa? Ci ha detto una notizia un po' inaspettata su di te." E qui li blocco. Spero tanto che non abbia detto troppe cazzate.

"Matteo? E voi credete a Matteo?" Cerco di mostrarmi calma, tranquilla, disposta al dialogo... E tutte quelle doti che io non ho.

"Si, quel bel ragazzo." Calca la parola bello in un modo fastidioso e irritante. Non la sopporto e non mi ha mai capita davvero, se l’è sempre cavata con qualche parolina magica e alcuni sorrisi da stronza.

"Sentiamo quale strabiliante notizia ha passato quella mente geniale ai miei genitori!" Mi appoggio allo schienale della sedia e incrocio le gambe per prepararmi al discorso emozionante. Alzo poco il viso per tentare di dare un senso di superiorità.

"Beatrice..." La blocco immediatamente. Non mi ci vorrebbero nemmeno due secondi per capire dove dove vuole andare a parare, preferisco che lo faccia in fretta.

"Dritta al punto o non ti lascio spiccicare parola" dico con voce secca.

"Ti piace?" Scommettevo.

Mi irrigidisco ulteriormente sentendo queste parole, allargo le narici e faccio respiri profondi per non farmi andare troppo sangue al cervello. Se sapessero osservarmi vedrebbero dal tremore delle mie mani quanto sono in difficoltà e imbarazzo. 

"Da cosa pensi che mi potrebbe piacere una ragazza?" Per fortuna non mi trema ancora la voce, ma sento che tra poco inizierà a farlo. Ora, però, la questione si fa interessante.

Mi sporgo leggermente guardandola fissa negli occhi sperando di reggere il più possibile. Incredibile, è la seconda volta che mi capita!

"Lui me lo ha detto. Mi ha detto che sei talmente fissata che è meglio tenerti sotto controllo." Sento nella sua voce... Paura? Ma anche un tono allarmato. Come se fosse un problema dell'altro mondo e bisognasse trovare una soluzione immediata.

Questa è tua mamma, Marta, te la presento.

"Spiegatemi per quale ragione, nel lontano caso in cui mi piaccia una ragazza, dovreste tenermi sotto controllo." Spalanco leggermente le braccia dimostrando il fastidio che mi pizzica la lingua.

Ciò che ora mi sta dando un fastidio dell’altro mondo è che devo pure fingere che bea non mi piaccia perché ho una famiglia come questa.

"É una ragazza, rifletti: se la storia dovesse continuare che ne sarà del tuo futuro e della tua famiglia?" Guarda in basso come a voler distogliere lo sguardo dal mio. Ma che razza di discorsi sta tirando fuori?

A questa affermazione sgrano gli occhi. 

"Spiegati meglio." Parlo lentamente cercando di controllarmi il più possibile. Non voglio reagire impulsivamente, magari sto fraintendendo la situazione. Troppo spesso le persone intraprendono male le frasi dette, o magari chi le dice lo fa d'istinto, senza pensarci.

"É semplice, tesoro," mi posa la mano sulla mia, come per darmi conforto, "se ti mettessi con una ragazza avresti problemi ad avere un figlio e il figlio stesso ad integrarsi nella società." Non riesce a finire la frase che mio padre sbatte l'anta del frigo rumorosamente, sbuffando, e si avvicina a noi con passo pesante. La sua trippa sballonzola sopra i piedi tozzi nelle infradito bagnate di sudore.

Mamma che vomito.

"Basta con ste cazzate." Urla con una linea di divertimento alcolico. "Se te ti metti con una ragazza sappi che non cercherò di fare capire a tuo figlio la situazione familiare, sia perché non la capisco nemmeno io, sia perché non é effettivamente normale vedere due mamme con un bimbo. Sono stato chiaro? Se tua madre cambierà idea potrà accudirlo lui o chiamati una babysitter." Sbatte la mano sul tavolo per reggersi, per chinarsi a guardarmi in faccia più da vicino.

Sento gli occhi bruciare, vorrei rispondere indietro, ma a chi? A cosa? Tutto ciò mi pare surreale. Cazzo, mi sono appena lasciata con il ragazzo che credevo dei miei sogni e mi ritrovo davanti una coppia di genitori che pensano a colpevolizzarmi per la mia omosessualità, piuttosto che sostenermi sulle mie preferenze.

Come rapidi flash back sento sulla mia pelle la morbidezza delle labbra carnose che mi accarezzavano poco tempo fa'. Due occhi cristallini che emanavano una luce radiale tanto da fare svenire ogni fanciulla.

Di colpo una miriade di sensi di colpa cadono sul mio petto fino a contorcere lo stomaco e stringere l'intestino, dei brividi mi fanno tremare il corpo. Mio padre rimane chino a fissarmi per poco più di qualche secondo, per poi tornare alla sua adorata Nutella: quella merda liquida di olio e zucchero.

Faccio qualche respiro lentamente per recuperare le forze - almeno di alzarmi, dico, almeno!

"Pensate quello che volete. Fintanto che abiterò sotto il vostro stesso tetto sappiate che non crescerete un vostro clone. Mi avete creata con diritti e doveri. Il mio orientamento sessuale sono cazzi miei." Mi alzo definitivamente dalla sedia prima che le prime lacrime cadano lungo le mie guancie, rinfrescando la temperatura corporea e mischiandosi con il sudore.

La mia bella cameretta: il posto più rilassante del mondo e giuro che nessuno potrà mai entrare se non con il mio consenso. Quando i miei ci provano è il momento in cui conoscono la mia ira.

Questa stanza è il mio covo. È la mia vita, ci sono tutte le tracce del mio passato, i sogni del futuro e i passi del presente, quindi di ogni secondo che passa. La mia camera è una stanza sacra. Essendo non occupata da nessuno oltre che da me, ci sono solo io e la mia storia. Ho diviso le quattro pareti nelle mie passioni: i viaggi, la lettura e le arti in generale, la natura - quindi le piante -  e lo studio, che, seppur non sia proprio una passione, c'è sempre e comunque e mi sembrava giusto lasciargli uno spazio a se.

Ad un certo punto mio padre tira un urlo. "Mar!" Mi alzo di scatto dal letto e vado in cucina da loro. Probabilmente avrà bevuto altro alcool e vorrà darmi la lezione che mi merito per la discussione appena avuta.

"Che ti è saltato in mente?" Grida come un dissennato.

"Così disturbi le vicine, papà!" Lo sgrido cercando di calmarlo, ma faccio di peggio.

"Che me ne importa delle vicine? Ho una figlia lesbica, peggio di così..." Mi grida in faccia. Nella parte in comune con i Rocci sentiamo bussare. "Se non la finite di rompere butto giù il muro!"

Mia mamma gli sta accanto, io sono terrorizzata. Faccio qualche passo indietro anche se mio padre si siede - e in questo caso normalmente cerco di fargli compagnia, ora mi fa solo paura -. Mia madre vedendolo così accasciato si avvicina per tentare di aiutarlo, ma lui la prende per i capelli. Manca davvero poco che le sbatta la testa sul tavolo.

Mentre accade tutto questo corro in camera mia e mi chiudo dentro con il cuore che batte a mille.

Prendo immediatamente in mano il telefono e digito il numero d’emergenza. "Pronto polizia?" Sussurro per non farmi sentire, ma credo che sia troppo tardi.

"Che cosa fai?" Grida mio padre e sento i suoi passi pesanti avvicinarsi alla mia camera.

Quando sento che si ferma alla porta e non fa null’altro, non bussa nemmeno, ho quasi paura che la voglia sfondare.

“Mar?” Questa volta lo sento rilassato e preoccupato. Tanto che mi stupisco delle mie azioni: mi alzo dal letto e gli apro la porta con le lacrime agli occhi, poi mi ributto in fondo sperando di arrivarci prima che sia troppo tardi.

Quando entra rimane fermo immobile. È rilassato con la felpa stirata impeccabile. Sembra quasi triste. Avrei la tentazione di mandarlo fuori, ma è talmente evidente l'emozione preoccupata nel guardarmi che è come se tutto quello che ha fatto fosse solo frutto della mia cruda fantasia.

"Signorina se non risponde la rintraccio!" La voce del poliziotto interrompe il silenzio.

Sono pazza. O forse la mia mente è pazza per colpa mia.

Metto giù il telefono scusandomi con il comandante preoccupato. Guardo mio padre - che stranamente guarda a sua volta il telefono con le sopracciglia incurvate - e, disperata, mi accascio nell'angolo tra le due mura. Mi prendo le ginocchia al petto e cerco di tranquillizzarmi, nel frattempo lui mi viene al fianco e mi cinge le spalle con il suo braccio possente. È precisamente la prima volta che gli permetto di entrare, per fortuna leggo nei suoi occhi che se n'è reso conto: si guarda attorno per vederla un po’ spaesato. Giuro che non ci saranno altre occasioni: ogni mia caratteristica qui dentro è evidente e chiunque la veda viene a conoscenza delle mie gioie, debolezze, paure e angosce. Dei miei lati vulnerabili.

Ho paura, sono terrorizzata. Mio padre è preoccupato per me e conoscendolo penserà cose assurde su sua figlia... Da come ho reagito ad una sua semplice frase ha tutti i motivi per esserlo.

È che la paura delle reazioni sconosciute mi fa impazzire. E probabilmente il disgusto dei miei cari verso un lato di me così inaspettato non esiste, ma la mia mente è talmente impressa di fatti, preoccupazioni e prese per il culo, che s'impedisce da sola di pensare che sia normale.

Le mie riflessioni non mi fanno nemmeno accorgere che mia madre è entrata guardandosi attorno come se stesse scoprendo un nuovo mondo. 

 

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