The night we met.

di JennyPotter99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I am not the only travel ***
Capitolo 2: *** Who has not repaid his dept ***
Capitolo 3: *** I’ve been searching for a trail to follow again ***
Capitolo 4: *** Keep friends closer and enemies even closer ***
Capitolo 5: *** And then i can tell myself ***
Capitolo 6: *** What i supposed to do ***
Capitolo 7: *** I had all and then most of you ***
Capitolo 8: *** Not to ride along with you ***
Capitolo 9: *** The two kids ***
Capitolo 10: *** The shot ***
Capitolo 11: *** His eyes ***
Capitolo 12: *** Ephipany ***
Capitolo 13: *** The medium and the vampire ***
Capitolo 14: *** The person that you love more ***
Capitolo 15: *** Haunted by the ghost of you ***
Capitolo 16: *** The lie ***
Capitolo 17: *** The eye ***
Capitolo 18: *** Omul Negru ***
Capitolo 19: *** Were we three? ***
Capitolo 20: *** The queen is dead! ***
Capitolo 21: *** When you haven’t touched me yet ***
Capitolo 22: *** Some and now none of you ***
Capitolo 23: *** Epilogue- Take me back to the night we met part 2 ***



Capitolo 1
*** I am not the only travel ***


Eravamo tre.
Nel nostro piccolo, noi eravamo tre.
Lily, Peter e Roman.
Tre persone legate dal destino.
Forse era vero, forse tutto quello che è successo è successo per portarci a questo.
Ne abbiamo passate tante e se potessi esprimere un solo desiderio, gettando una moneta dentro una fontana o dentro un pozzo, sarebbe di tornare a quella notte.
Sì, ti prego, destino…
Riportami alla notte in cui ci siamo incontrati.
 
3 mesi dopo
 
Erano successe varie cose dall’ultima volta che avevo visto Roman.
In realtà no, dato che lo vedevo tutti i giorni.
Dopo essermene andata dal suo appartamento, ero tornata nel mio, quello vecchio, dove vivevo da sola.
Per mia fortuna però, davanti alla finestra della mia camera da letto, ergeva un grandissimo cartello pubblicitario della Godfrey, con la sua facciona stampata sopra.
Devo ammettere che non lo avevo dimenticato neanche un po', difficilmente non pensavo a lui, soprattutto durante il lavoro che mi dava l’ordine del drago.
Avevo messo su un bel po' di grana: loro mi dicevano chi dovevo uccidere e io lo facevo.
Ero improvvisamente entrata in Terminetor, tranne che gli Upir, se li pugnali al cuore con un paletto di legno, non si alzano più.
Non mi facevano mai andare da sola: in ogni missione mi assegnavano sempre un compagno, però evitavo di farci amicizia, non volevo creare legami.
Avevo imparato che per quel tipo di lavoro servivano fisico, destrezza, cattiveria e soprattutto bisognava mentire.
La maggior parte degli Upir mi piaceva attirarli nei vicoli con una camminata da prostituta e loro ci cascavano sempre.
Erano sparsi per Hemlock Grove, più di quanti credessi.
Divenni una bugia ambulante, nessuno sapeva della mia seconda vita, né Peter, né Destiny.
Peter era ancora molto amico con Roman e sapevo che insieme stessero ancora cercando di rintracciare Miranda e Nadia.
Io no, non volevo usare i miei poteri per quello scopo: avevo già fatto abbastanza danni e quasi ogni giorno mi sentivo in colpa.
Tuttavia, seguivo il caso di Shelley attraverso i telegiornali.
A seguito della morte di Prycilla, non si era mai ripresa mentalmente.
Per il caso del Vargulf, l’avevano assolta per infermità mentale, mentre presto ci sarebbe stata un’udienza per chi l’avrebbe presa con se, se Roman o Olivia.
Mi ero presa la libertà di testimoniare a favore di Olivia.
Non ricordo chi disse quella frase, so solo che faceva al caso mio: tieni vicino gli amici, ma ancor più vicini i nemici.
Dovevo far capire ad Olivia che poteva fidarsi di me.
Ormai ero diventata brava a mentire.
Mi svegliai alle otto, come tutte le mattine.
Legai i capelli e presi un bel respiro.- Buongiorno mondo.-
Aprii la finestra per far circolare l’aria e come tutte le mattine guardai il cartellone.- Buongiorno Roman.-
Probabilmente mi odiava.
Non lo avevo chiamato e questa volta nemmeno lui: dagli sbagli si impara, no?
Ma non potevo fermarmi.
Non potevo rompere la promessa che avevo fatto a Norman.
Tenevo il suo anello come catenina al collo.
La sua morte, che spreco.
Olivia, che egoista.
Aveva supplicato anni per ottenere il suo cuore e alla fine se l’era preso.
Mi feci una doccia e mi preparai per raggiungere il covo dell’ordine.
Non ero affatto sorpresa che fosse il sotterraneo di una chiesa del quartiere.
Con i soldi guadagnati, avevo creato una piccola stanza dei giochi in casa.
Ne ero molto fiera, in effetti.
Un muro con vari scaffali pieni di armi di ogni genere.
I fucili erano i miei preferiti, però non me li facevano usare, dato che emettevano troppo rumore.
L’equipaggiamento per una missione consisteva in due pistole, due paletti di legno e un coltello, con altrettante ricariche.
Preparai lo zaino e mi diressi alla chiesa.
Ovviamente non poteva mancare un’ auto.
Mi ero letteralmente lasciata andare con la scelta, un bellissimo cliché.
Avevo scovato la vecchia auto di Roman ad un’asta d’epoca ed ero l’unica ad aver fatto un’offerta decente.
Amavo quella macchina come lei amava me.
Spensi la sigaretta prima di entrare nella chiesa.
Ad assegnarci le missioni era un vecchio prete di cui non mi era dato sapere il nome.
Quella mattina, ad aspettarmi, trovai lui e una giovane ragazza di colore, forse poco più grande di me.
Aveva un viso familiare.
-Ciao Lily, ti presento Veronica.- mi disse l’uomo.
Lei mi porse la mano per gentilezza.- Piacere.-
La strinsi e notai che il vecchio aveva in mano due vestiti eleganti. -Ci sarà un party in onore dei 15 anni della scomparsa di J.R. Godfrey, a pranzo. Questi sono i pass.- spiegò, passandoci due cartellini con nomi falsi.- E questi i vestiti.-
Perfetto, ci mancava solo un altro tour alla Torre Bianca.
-Spero che non sia un problema per te.-
Non lo era, dato che avevo chiesto espressamente che Roman ed Olivia non venissero toccati.
Degli altri non mi importava.- Assolutamente no.-
Mi diede un vestitino rosa, simile ad una specie di tutù per bambini, era orribile.
Veronica invece aveva un vestito argentato, che arrivava sopra le ginocchia.
-Ti prego, il rosa no.- borbottai con una smorfia.
-Lo prendo io, a me sta bene.- intervenne lei, scambiandoceli.
-Il bersaglio è una donna, si chiama Annie, è un invitata come voi.- spiegò l’uomo, facendoci vedere una foto.
Era una donna molto bella, come qualsiasi vampiro d’altronde, con gli occhi scuri e lunghi capelli ricci e neri.
Non appena il prete se ne andò, io e Veronica ci preparammo.
-Sarà un gioco da ragazzi se ti conoscono lì dentro.- commentò Veronica, tirandomi su la zip del vestito.
Avevo lasciato il posto da segretaria e Trevor era tornato a lavorare per Roman.
-Perché ti ha chiesto se fosse un problema per te?-
-Io e Roman Godfrey abbiamo avuto una specie di relazione, anche se non credo si possa chiamare così.- risposi, indossando le calze ed infilandoci dentro il coltello.
-Wow, che fortuna, è uno schianto.- commentò ridacchiando. -Da quanto non vi vedete?-
Feci una veloce acconciatura con delle mollettine. -Più o meno tre mesi.-
-E tu sei ancora presa?- chiese, mettendosi del rossetto sulle labbra.
Le sue domande iniziarono ad irritarmi.- Perché mi fai tutte queste domande?-
-Non fraintendermi, non mi interessa la tua vita sentimentale, ma a me servono quei soldi e uccidere un po' di quei fottuti Upir…Perciò non voglio che niente interferisca con la missione.- spiegò, abbastanza seria, mi faceva quasi paura.
Indossai un paio di orecchini e la guardai negli occhi.- Sta tranquilla, andrà bene.-
Almeno credo.
Veronica era una perfetta partner, odiava gli Upir quanto li odiavo io.
Ogni volta che ne uccidevo uno, mi immaginavo sempre la faccia di Olivia e diventava tutto più soddisfacente.
Indossati un paio di stivali comodi, usammo una macchina data dall’ordine per raggiungere la festa.
Indossammo i pass ed entrammo insieme a tutti gli altri invitati.
Era una sala che non avevo mai visto: giravano camerieri vestiti di bianco, con bicchieri di champagne.
Su alcuni tavoli rotondi c’era del cibo.
Infine, un piccolo palco con dietro uno schermo che mandava foto di J.R.
Povero J.R.
Dovrei vendicare anche te, in realtà.
Presi un bicchiere dal vassoio e lo alzai verso di lui.- Cin.-
Lo bevvi tutto d’un sorso, quando vidi Olivia parlare con degli uomini.
Mi ribolliva il sangue solo a vederla.
Avrei potuto ucciderla proprio lì, con coltello nascosto nelle calze.
Ma no, lei si meritava di soffrire.
Veronica mi si avvicinò con lo zaino.- Allora, tu che conosci questo posto, dove nascondiamo le armi?- sussurrò, per non farsi sentire.
Mi venne in mente un posto, l’unico abbastanza sicuro e nella quale nessuno guardava mai.
Entrammo nell’ascensore e pigiai il numero del piano dove c’era l’ufficio di Roman.
Al suo interno c’era una cassaforte che non usava mai.
Digitai il codice che, fortunatamente, era ancora quello e ci nascosti una pistola ed un paletto.
Bastava per lei: non sembrava una donna in grado di difendersi.
-Quindi, come mai uccidi Upir per lavoro?- mi domandò Veronica.
Ancora domande.
-Te lo dico se me lo dici anche tu.-
Si morse un labbro e abbassò lo sguardo tristemente.- Mio padre è stato trovato morto in un vicolo buio, dissanguato dal morso in un Upir…-
Oh mio Dio.
Ecco chi mi ricordava.
Stan.
Il nome coincideva, era lei, sua figlia.
-Il giorno dopo mi arrivarono dei soldi anonimi per posta, come se quel bastardo volesse pulirsi le mani.- aggiunse, digrignando i denti. -Non parlavamo da anni, ma era un brav’uomo, non se lo meritava.-
Improvvisamente divenne tutto più pericoloso.
Veronica non sapeva che era stato Roman ad uccidere suo padre, per lo più davanti a me e che io non avevo fatto nulla.
Ma mi faceva paura avercela accanto.
-Stai bene?- mi chiese, vedendomi strana.
Presi un respiro e tentai di essere normale.- Sì, ho solo bisogno di mangiare.-
Tornati alla sala, presi un altro bicchiere di champagne per calmare i nervi e addentai qualcosa.
In quello stesso istante, ecco apparirmi Roman.
Sembrava così cambiato, eppure sempre lo stesso.
Aveva preso l’ennesimo smoking nell’armadio, i capelli gli erano cresciuti e non usava più il gel, tant’è che il ciuffo gli cadeva quasi sull’occhio.
M soprattutto, era sempre molto affascinante.
Stava parlando con una donna.
Cazzo, è lei.
L’Upir che dovevo uccidere, Annie.
-Uh, questo brucia.- commentò Veronica, con la bocca piena di patatine.- Hai la faccia di chi sta per farla a pezzi.-
Davvero?
Non me ne sono accorta.
Rilassai lo sguardo accigliato.
In effetti, un po' mi infastidiva che stessero parlando.
Lei era anche molto più bella di me.
Si conoscevano?
Stavano tipo insieme?
Non ha importanza, devo portare a termine la missione.
Iniziai a pensare a come attirarla lontano da tutte quelle persone.
-Allora, qual è il piano?-
-Io l’attiro di sopra, tu fai il palo, stai attenta che nessuno ci segua.- le sussurrai.
D’un tratto, Roman smise di parlare con lei e si accorse di me.
-Cazzo.-
Feci finta di niente, guardai da un’altra parte, ma lui mi venne in contro.
Non ci potevo parlare, non ora.
Mi mischiai alla folla quando sul palco si accese un riflettore e Olivia fece il suo discorso strappalacrime.
Era davvero una brava attrice: che avesse ucciso J.R. , in quella sala, lo sapevamo solo io e lei.
Una volta allontanato Roman, mi affiancai ad Annie.
-Si dice che lui avesse salvato questa città.- commentai.
Lei si voltò verso di me. -Non lo conoscevo a fondo, ma per meritarsi una donna come Olivia deve aver fatto belle cose.- disse lei, sorseggiando lo champagne. -Ha lasciato tutto al figlio diciottenne, no? Questo posto è suo adesso.-
Era proprio un Upir.
Il suo aspetto era a dir poco magnifico e la sua voce suadente.
-Sì e nelle sue difficoltà cerca di gestirlo da solo.- risposi.
Mi fissò con un ghigno divertito.- Sembri conoscerlo.-
Alzai un sopracciglio.- Da cosa lo dici?-
-Perché ti sta fissando.- mi mormorò.
Notai Roman bere dal bicchiere e guardarmi accigliato, come se fosse arrabbiato e confuso.
-Ero la sua segretaria fino a qualche mese fa, poi mi sono licenziata per un lavoro migliore e credo che non l’abbia presa tanto bene.- spiegai.
-Perciò tu conosci a memoria questo posto? Anche le cose più segrete?-
Ci siamo, ora posso metterti nel sacco.
Mi morsi il labbro come una ragazzina che sta per rivelare uno scoop.- So dove tieni i suoi giocattoli, vuoi vedere?-
-Assolutamente sì!-
Le presi il polso e insieme andammo nell’ufficio di Roman: mi sarebbe bastato aprire la cassaforte e conficcarle il paletto nel cuore.
Un gioco da ragazzi.
-Tu invece come conosci Roman?- le domandai, mentre pigiavo i tastini.
-Oh, ci siamo conosciuti stasera…Sono sua sorella.-
Improvvisamente mi tremò la mano e sbagliai numero.
La cassaforte fece un allarme assordante, che fortunatamente smise subito.
Sua sorella?
Un’altra?
E adesso che faccio?
Non posso ucciderla.
-Non sapevo di una sorella.- continuai, rimanendo calma.
-Già, mia madre mi abbandonò quando era appena nata…Mi portarono via da lei, anzi.-
Avevo sentito quella storia da Olivia, Magdalena, la figlia dello stalliere.
Quindi era vero.
-Ma non dirlo a Roman, ancora non lo sa, voglio essere io a dirglielo.-
-Terrò la bocca chiusa.-
No, non posso ucciderla.
Olivia capirebbe a che gioco sto giocando.
L’ avevo portata in un posto che in pochi sapevano, aprendo una cassaforte di cui solo io e Roman sapevamo la combinazione.
Mi avrebbero scoperta.
Scusa prete, stavolta no.
-Cavolo, devono aver cambiato la combinazione!- mi inventai, alzando le spalle.- Mi spiace.-
-Non ti preoccupare…Piano piano vorrei conoscerlo a fondo, sai, riconciliare la famiglia.- continuò lei.
Non sembrava nemmeno pericolosa, nonostante fosse figlia di Olivia.
-Piacere di averti conosciuta.- disse infine sorridendo e tornando di sotto.
Dopo di lei, entrò Veronica, confusa.- L’hai lasciata andare?!-
Mi poggiai sulla scrivania, prendendo un bel respiro.
E adesso cosa le dico?
-Non era pericolosa.-
-Che cazzo centra?! Sono tutti pericolosi! Sono tutti dei mostri!- esclamò furiosa.
-Non tutti.- affermai, a sangue freddo.
-Lo sapevo che non avevi le palle per questo lavoro.- borbottò, estraendo il coltello che teneva nelle calze.
Ti prego Veronica, non farmelo fare.
Le strinsi il polso.- Se la tocchi con un dito, ti uccido.-
Di scatto, tentò di colpirmi con l’arma, ma io riuscii ad evitarla.
Mi feci indietro e anche io preso il mio coltello.
-Veronica, non voglio farti del male!-
-Io sì!- esclamò, prima di attaccarmi dall’alto.
Io dovevo difendermi a tutti i costi, perciò le conficcai la lama nel fianco, vedendo i suoi occhi spegnersi.
Proprio come avevo visto quelli di Norman.
Ormai la morte non mi faceva più effetto.
Alla fine, che la eviti o cerchi di sfuggirle, arriva sempre.
Il suo corpo si accasciò e la sorressi per non farla cadere, adagiandola delicatamente a terra.
Sapevo che Roman teneva in qualche cassetto uno di quei fazzoletti ricamati con l’iniziale.
Ci arrotolai il coltello e lo infilai velocemente nella cassaforte.
-Sto venendo da te, papà…- bofonchiò Veronica.
Per favore no, non farmi sentire in colpa.
Magari potevo ancora salvarla.
Mi inginocchiai su di lei e le misi le mani sulla ferita.- Tieni premuto qui, chiamo un’ambulanza.-
-No, no…Va bene così.- rispose lei, scuotendo la testa.- Io volevo solo scoprire chi avesse ucciso mio padre…Per vivere in pace.-
-Se te lo dico, potrai mai perdonarmi per tutto questo?-
Annuì appena, tra gli spasmi.
-Roman Godfrey ha ucciso tuo padre ed anche lui ti ha mandato i soldi perché si sentiva in colpa.- raccontai, cercando di non ricordare quell’orribile sera.- Tuo padre mendicava davanti al vecchio caffè dove lavoravo, in centro… Mi diceva sempre belle parole e io non riuscivo a fare a meno di dargli una bevanda calda.-
Sorrise leggermente.- Era proprio da lui.- bofonchiò, stringendomi la mano. -Grazie…- a quel punto, la sua stretta fu più forte e assunse uno sguardo serio.- Uccidili tutti, Lily…Loro non ti devono niente. Uccidili tutti.-
Infine, esalò l’ultimo respiro e gli occhi le si fissarono sul soffitto.
Capivo le sue parole: anche lei voleva vendetta come me.

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Capitolo 2
*** Who has not repaid his dept ***


Le chiusi le palpebre e mi guardai intorno, cercando un posto per nascondere il corpo.
Dietro la scrivania, c’era uno sportello per i cappotti che Roman non usava mai.
Il suo cadavere centrava alla perfezione e Roman non se ne sarebbe mai accorto.
Sarei tornata successivamente, alla chiusura, per sistemare.
Andai in bagno per lavarmi le mani e anche un po' per lavarmi tutto quello che era successo.
Era sorprendente la facilità come affrontavo certe cose.
Mi sentivo davvero più adulta.
Mentre me le insaponavo, sentii un rumore nel bagno alle mie spalle.
Guardai attraverso lo specchio delle scarpe eleganti da uomo e riconobbi i pantaloni.
Ormai era inevitabile che lo incontrassi.
-Lo sai che sei nel bagno delle donne?- commentai, asciugandomele sotto il getto d’aria.
Lui posò uno sguardo accusatorio su di me.- Che ci fai qui?-
Proseguimmo nella sala, dove tutti pian piano se ne stavano andando.
-Credevo fosse una festa.- risposi, bevendo gli ultimi tre bicchieri rimasti di champagne.
Iniziò a girarmi la testa, meglio così, volevo ubriacarmi e dimenticare tutto.
-Sì, ma tu non lavori più qui.- replicò, incrociando le braccia.
Gli mostrai il pass che avevo al collo.- Secondo questo cartellino, sì.-
-Chi cazzo è Clarissa Pots?-
-Probabilmente una cugina di secondo grado del mio bisnonno irlandese.-
Iniziai a sparare risposte a caso senza neanche accorgermene.
Lui sbuffò.- Sei ubriaca, ti riporto a casa.-
Va bene Roman, vieni a casa mia, ti faccio vedere la mia stanza dei giochi.
-Oh, che gentiluomo, va bene, ma andiamo con la mia macchina…Ti piacerà, è un gioiellino, una tua vecchia fiamma.-
Roman fu confuso tutto il tempo del viaggio fino alla macchina.
-Te la ricordi? Lei è innamorata di me, stiamo benissimo insieme, lo sai?- borbottai, spalmandomi sopra il cofano.
Roman alzò le sopracciglia sorpreso.- Wow, dove l’hai trovata?-
-Ad un’ asta d’epoca, poverina, non la voleva nessuno. – raccontai, aprendo lo sportello, ma lui mi fermò.
-Non ci pensare nemmeno, guido io.- ribatté, spingendomi sul lato del passeggero.
Da quel momento in poi, stavo letteralmente andando fuori di testa.
-Lo sai che non ti sta male questo ciuffetto sbarazzino?- aggiunsi, passandogli una mano nei capelli con un sorriso da ebete.
-Ho scoperto che il gel fa cadere i capelli e venire la forfora.- commentò lui, parcheggiando davanti alla mia casa.
Aspetta, come fa a sapere dove abito?
D’accordo, fa niente, non mi importa.
Mi sorresse per entrare in casa e mi lasciai andare sul letto.
Roman andò in cucina come fosse in casa sua e mi sciolse dell’aspirina nel bicchiere.
Sorseggiai un pochino e mi attaccai al suo petto.- Vuoi vedere una cosa figa?-
-Ehm, sì, basta che non sia qualcosa sotto i tuoi vestiti.- balbettò arrossendo.
-Dio, Roman Godfrey, sei davvero un pervertito.- borbottai, prendendogli la mano.- No, voglio farti vedere la mia stanza dei giochi.- spiegai, aprendo la porta. -Ti avverto, potrebbe essere un po' scioccante e mi raccomando, non toccare niente…Potrebbe ucciderti.- continuai, ridacchiando.- Letteralmente.-
Accesi la luce e Roman poté vedere tutte le armi anti Upir posizionate sugli scaffali, in ordine e ben pulite.
Sgranò subito gli occhi.- Ma che cazzo…-
-Ti piace?- domandai, allargando le braccia con un sorriso a trentadue denti.- Ne vado molto fiera.-
-Lily, ma che cazzo ci fai con tutta questa roba?-
-Non posso dirtelo.- affermai, mettendogli un dito sulla bocca.- E’ top secret.- sussurrai, togliendomi le calze e mettendomi sotto le coperte.
Sentii le palpebre che mi calavano per il sonno, anche se erano solo le cinque di pomeriggio.
Alla fine, mi addormentai.
***
Quando mi risvegliai, sapevo benissimo che la testa mi avrebbe fatto talmente male da sembrare di esplodere.
Erano le otto di sera e fuori aveva fatto buio.
Mi passai le dita sugli occhi e mi accorsi di una presenza accanto a me.
Roman stava ancora dormendo profondamente, con la sua faccia da angelo.
Era così bello, più di quanto mi ricordassi.
La foto sul cartellone non rendeva abbastanza.
Mi soffermai a guardarlo e gli accarezzai la guancia con le dita.
Scesi lungo il petto e mi ci adagiai con la testa, sentendo il suo cuore battere lentamente.
-Devo fare delle cose…E non posso immischiarti.- gli sussurrai, sapendo ovviamente che non potesse sentirmi, ma per una volta volevo essere sincera.
Dovevo stargli lontana, almeno per un po'.
Anche se mi risultava impossibile.
-Buongiorno.- bofonchiò, sbadigliando.
-Buonanotte, sono le otto di sera.- commentai, alzando la testa.
Fu in quel momento che notai la sua cintura slacciata e la patta aperta.
-Non abbiamo scopato, vero?- chiesi, schietta.
Lui arricciò il naso.- Neanche se lo volessi, hai l’alito di un camionista.-
-Grazie per avermi riportato a casa.- aggiunsi, abbracciando il cuscino e vedendolo mentre si rivestiva.
-Ho conosciuto una ragazza.- affermò, infilandosi le scarpe.
Cos’è, vuoi farmi ingelosire?
-Buon per te.- gli dissi, cercando di apparire disinteressata.
Non volevo sembrare disperata.
-E’ molto bella ed è interessata veramente a me.-
Alzai le spalle. -Sono tutte interessate a te.-
-Ho bisogno che tu me lo dica, Lily, che me lo dica in faccia senza scappare più, così potrò andare avanti una volta per tutte.- borbottò gesticolando.
Aveva ragione, dovevo farlo.
Dovevo togliermelo di torno.
Mi inginocchiai sul materasso e lo guardai negli occhi.- D’accordo Roman: è finita. Puoi dilettarti con tutte le donne che vuoi, vivi, innamorati di nuovo, fai la tua vita e io farò la mia.-
Era la bugia più difficile che avessi mai detto e capii che lui c’era rimasto davvero male.
-Bene.-
-Bene.-
Prese la giacca e se ne andò, sbattendo la porta.
Preferivo vederlo felice con qualcun altro, che triste e insoddisfatto con me.
Forse questo era il segno che ci tenevo davvero a lui.
***
Le cose sarebbero peggiorate il giorno successivo, quando avrei dovuto testimoniare contro Roman per farmi amica Olivia.
Mi misi una gonna da vecchia, per sembrare di essere tipo in Law and Order.
Quando entrai in macchina però, mi sentii osservata.
C’era un’altra auto, dai vetri oscurati, dall’altra parte del marciapiede.
Non era la prima volta che la vedevo.
Inizialmente credevo che fosse l’ordine che mi teneva d’occhio, però non ne ero più tanto sicura.
Montai in auto e raggiunsi il tribunale.
Appostati fuori c’erano decine di persone con cartelli che insultavano Shelley, definendola un mostro.
Credetemi, c’è di peggio ad Hemlock Grove.
In aula c’erano Olivia e Shelley schierati da una parte e Roman con i suoi avvocati dall’altra.
Durante l’udienza, l’avvocato di Olivia si alzò.
-Signor giudice, chiamiamo a deporre l’ultimo testimone: la signorina Dimitri che ha assistito al cosiddetto omicidio da parte della mia cliente.- esordì l’uomo.
Sia Olivia che Roman erano abbastanza sorpresi di vedermi, nessuno dei due sapeva che sarei venuta.
Mi avvicinai alla destra del giudice e misi la mano sul libricino.- Giuro di dire la verità e nient’altro che la verità.- affermai, sedendomi.
-Signorina Dimitri, ci può dire che cosa successe quella sera?- mi chiese l’avvocato.
-Prove certe dicono che è stato un animale ad uccidere tutte quelle ragazze e avrebbe ucciso anche me se Shelley non si fosse coraggiosamente messa in mezzo.- spiegai.- Shelley Godfrey non ucciderebbe nemmeno una mosca, è una ragazza dolce  e gentile. Tutto ciò che ha visto lo sceriffo Swarn è stata una ragazza uccidere un lupo selvaggio per salvarmi.- raccontai, sorridendo a Shelley.
-E, per quanto riguarda la causa di affidamento che richiedere il signor Godfrey, lei può affermare che saprebbe curarsi di lei?-
Stavo per dire una cosa orribile, ma che sotto sotto era anche la verità: con tutti i problemi che aveva Roman, non poteva occuparsi anche di Shelley.
-Assolutamente no.-
Vidi Roman stringere i pugni, furioso, con il fumo che gli usciva dal naso e dalle orecchie.
Olivia, invece, fece un bel sorriso: proprio quello che volevo.
-Questa è la riprova che l’unica soluzione è quella di affidarla alle cure di sua madre, signorina Godfrey.- esordì il giudice, battendo il martelletto.- L’udienza è tolta.-
Presi la mia borsa e mi avviai all’uscita prima che Roman mi uccidesse per davvero.
Sentii le sue scarpe con il leggero tacco rincorrermi e la sua mano afferrarmi il braccio.
-Ma che cazzo fai?! L’hai lasciata a lei!- esclamò, accigliato.- Non se ne prenderà mai cura, la vuole con se solo per mettere le mani sul suo fondo beneficiario! Non le ha mai voluto bene!-
-Roman, mi hanno detto di dire la verità ed è quello che ho fatto: non riesci a gestire l’azienda, se non tocchi una goccia di sangue diventi isterico e non hai ancora notizie di Nadia, come ti aspetti di poter prenderti cura anche di Shelley?- replicai.
-Questi non sono affari tuoi.- ribatté, serrando i denti.
-Sì, invece, Shelley è mia amica e io le voglio bene. E ti prometto che dal primo momento che varcherà la porta della casa di Olivia, io la terrò d’occhio.-
In realtà, non lo avevo ancora detto a nessuno, ma avevo intenzione di ampliare i miei poteri, anche se poteva essere pericoloso.
Lui si accigliò.- In che modo?-
-Se ci riesco, te lo farò sapere.- affermai, uscendo dall’edificio. Quelle luride persone erano ancora lì.- Andate tutti a fanculo!- gridai, spingendoli via.
Entrai in macchina, riprendendo fiato ed eccola là.
L’auto con i vetri oscurati era ancora lì.

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Capitolo 3
*** I’ve been searching for a trail to follow again ***


Quello stesso pomeriggio, Destiny aveva organizzato a casa sua una festa per il compleanno di Andreas.
Conoscevo la metà della gente che girava per casa: per l’aria c’era un evidente odore di erba e birre sparse ovunque, con musica alta.
I gipsy sì che sanno fare una festa.
-Ciao piccola Lily!- esclamò Andreas, prendendomi in braccio.
-Ciao Andreas, buon compleanno.- gli dissi, baciandogli la guancia.
-Forza, prendi una birra e balla!-
Ridacchiai e mi andai a sedere al tavolo insieme a Peter che mi porse una bottiglia.
Sembrava una cosa seria tra Andreas e Destiny e ne ero felice.
Li vidi ballare insieme come se fossero uno spogliarellista e la sua cliente.
-Sono contenta che non sia più da sola.- commentai, sorseggiando.
-Io non perdo le speranze, prima o poi troveremo anche noi la nostra anima gemella.- aggiunse Peter.
Arricciai il naso.- Non lo so, non credo che faccia per me.-
-Beh, tu ce l’avevi, ma hai mandato tutto a puttane.-
Ah, Peter, se solo sapessi.
Alzai gli occhi al cielo.- Va a fanculo.-
-Lily, non fa che parlare di te, ormai ne ho le palle piene, lo sai?-
Lo guardai sorpresa.- Ma se a me ha detto che ha incontrato un’altra ragazza.-
Lui scosse la testa.- Non me ne ha parlato: lo fa apposta per farti ingelosire, Lily, svegliati!-
Ora come ora non potevo davvero permettermi di giocare ai suoi giochini.
-Ehi, fermi tutti! Vorrei la vostra attenzione!- gridò Andreas, spegnendo la musica.- Ho qualcosa da dire al mio stupendo petalo di fiore.- affermò, prendendo la mano di Destiny.
Lei non sapeva cosa stesse facendo.
-Ti amo, piccola mia. Tu mi rendi felice come il sole d’estate e la neve d’inverno. Come il sorriso di un bambino. Come quando sboccia il primo fiore.- le disse, prima di inginocchiarsi davanti a lei, aprendo una scatolina con all’interno un bell’anello.- Destiny Rumancek, vuoi diventare mia moglie?-
Wow.
Mi sembrava di sentire la voce di Roman, il giorno in cui me ne ero andata da casa sua.
Le parole che mi aveva detto le sapevo quasi a memoria.
Erano state le più belle che avessi mai sentito.
Però credo di avergli spezzato il cuore e non lo biasimavo se era arrabbiato con me.
-Sì!-
Destiny era così emozionata.
Non sapevo che lavoro facesse Andreas e come si fosse permesso quel diamante.
-Ma dove ha trovato i soldi?- domandai.
-Abbiamo fatto un colpo...Io, Andreas e altri del branco.- rispose Peter, accendendosi una sigaretta.- Il mio primo ed ultimo, ad Andreas piace giocare col fuoco: abbiamo rubato un camion pieno di caviale falso per rivenderlo ai croati.-
No, cazzo, quanto li odio.
-Lo sa che i croati sono tipo i nostri nemici naturali?!-
Peter annuì.- Per questo dico che gioca col fuoco.-
Spero davvero che non si scotti.
I croati sanno essere molto pericolosi se sfidati.
Destiny mi mostrò da lontano l’anello e io le feci un occhiolino.
Almeno qualcuno era felice.
***
Dopo cena, uscii dalla casa per andare alla mia auto.
C’era un silenzio tombale, se non fosse per il motore di quella maledetta auto che mi seguiva.
Io facevo due passi e mi seguiva.
Ero stanca, dovevo sapere cosa volesse da me.
Camminai verso un vicolo stretto, dove non avrebbe potuto entrare con la macchina e così sarebbe stato costretto a scendere.
Restai ferma sul muro e lo sentii scendere dalla macchina.
Presi la pistola dalla borsa e, non appena svoltò, gliela puntai contro.
Era un uomo sulla trentina, mulatto, con una giacca di pelle.
-Chi cazzo sei e che cazzo vuoi?-
Ridacchiò e alzò le mani.- Ehi, non c’è bisogno delle armi, sono una persona pacifica.- mi disse, con un sorrisetto.- Prendiamo un caffè?- chiese poi, indicando la caffetteria.
Dovevo assolutamente sapere e così abbassai l’arma, entrando con lui.
Ordinammo dei caffè e ci sedemmo ad un tavolo.
-Roman mi aveva detto che prima o poi mi avresti scoperto.- esordì, alzando le sopracciglia.
Che centra Roman?
Lo guardai sorpresa e confusa.- Roman?-
-Mi ha ingaggiato per seguirti.- spiegò, tirando fuori dal suo zaino varie foto.- Mi chiamo Isaac Ochoa, sono un investigatore privato.-
Non ci potevo credere.
Un investigatore privato?
Controllai le foto: mi aveva seguita in tutti i posti in cui ero andata.
-Perché?-
-Io credo che Roman tenga molto a te, glielo si legge negli occhi, ma a quanto pare non gli è consentito avvicinarsi.- rispose.
Di certo non volevo raccontargli della mia vita privata, anche se ne sapeva già la maggior parte.
Ero davvero infastidita da quel suo gesto e questa volta non mi sarei trattenuta.
Gli avevo chiesto espressamente di non impicciarsi e lui invece aveva ingaggiato quel tipo.
Presi le foto e il mattino dopo mi diressi alla Torre Bianca.
Oltrepassai la scrivania di Trevor senza neanche chiedere il permesso.
-Signorina, dove sta andando?! Non può riceverla, è molto impegnato!- balbettò Trevor.
Ma io lo ignorai.- A fare cosa? A farsi le seghe?- borbottai, entrando bruscamente nel suo ufficio.
Di fatti, non stava facendo proprio nulla.
Tirai la pila di foto sulla sua scrivania, guardandolo male.- Hai messo un cazzo di investigatore a seguirmi?!-
Lui sospirò.- Trevor, fai veramente schifo come agente della sicurezza.-
-Mi spieghi?- ribattei.
-Sì, va bene! Ho ingaggiato un tipo per seguirti, tre mesi fa.- raccontò, alzando le spalle come fosse normale. -L’ho fatto per proteggerti, perché non sapevo che cosa stessi facendo.-
Quando Roman mentiva, aveva una specie di tic alla lingua, si bagnava sempre le labbra.
-Cazzate.- esclamai, scuotendo la testa.- Non riuscivi a sopportare che non avessi più il controllo su di me: per questo si chiama un investigatore privato.-
-Sei fuori strada.- commentò, alzando le sopracciglia e mettendo i piedi sul tavolo.
Mi stava facendo innervosire.
Gli scansai le gambe, avvicinandomi col busto a lui.- Io non sono una delle sciacquette da quattro soldi dalla quale ti fai fare un pompino sul retro di un night club, perciò non trattarmi come tale.-
Percepivo una certa tensione: mi immaginavo che prima o poi ci saremmo azzannati a vicenda.
Lui fece un ghigno divertito.- Hai ragione, le puttane non vanno in chiesa con così tanta dedizione come fai tu.-
Tanto valeva dirglielo, tanto non sarebbe cambiato niente e poi potevo prendere due piccioni con una fava.
-Va bene Roman, vuoi sapere quello che faccio?- gli domandai, per esserne sicura.
-Sì.-
In quel momento, mi accorsi che Trevor ci stava ancora fissando.
-Ti togli dalle palle?-
-S-Sì, scusate, sembrava di stare in una soap opera spagnola.- balbettò, uscendo dall’ufficio.
Prima controllai che se ne fosse andato e poi aprii l’armadio che, come avevo immaginato, Roman non avevo mai aperto.
Il cadavere di Veronica cadde come un sacco di patate.
Roman sobbalzò.- Porca troia! Da quanto cazzo è lì dentro?!-
-Da ieri sera, sta calmo.- risposi, alzando gli occhi al cielo per l’eccessiva reazione.- Allora, dov’è la tua fossa comune?-
***
Sapevo che Roman aveva un posto dove seppelliva i corpi delle persone che aveva ucciso quando ancora non aveva la formula di Pryce.
Perciò caricammo tutto su un furgone dell’azienda e andammo nel bosco, iniziando a scavare.
-Quando Chasseur scoprì chi avesse ucciso i miei genitori, mi offrì di entrare a far parte dell’ordine del drago ed io ho accettato: pagano molto bene e io finalmente posso sfogarmi nell’uccidere qualche Upir.- spiegai, già col fiatone.
-E ti hanno mai chiesto di uccidere me?-
-No, ho chiesto di tenere fuori te e la tua famiglia.- risposi, trascinando il corpo dentro la buca.
Lui si soffermò a guardarmi.- Grazie…E questa chi è?-
Sospirai, ancora mi sentivo in colpa per averla uccisa.
-Ad ogni missione mi assegnano un compagno diverso…Qualcuno che odia gli Upir o ha qualche problema con loro, ecc… Ti ricordi di Veronica?-
Assottigliò gli occhi.- Sì, mi suona familiare…-
-Gli hai ucciso il padre.- borbottai a bassa voce, ma lui mi sentì.
-Oh, la figlia del barbone!-
Annie mi aveva detto di non rivelare a Roman di essere sua sorella, quindi mi inventai una storiella alternativa.
Annuii alla sua esclamazione.- Aveva scoperto tutto e voleva ucciderti alla festa in onore di J.R. Perciò dovresti ringraziarmi che ti ho salvato il culo, ancora.- spiegai, spalando la terra sul cadavere.
-Quindi sai chi ha ucciso i tuoi genitori…Ma non me lo dirai.-
Alzai le spalle.- Magari, un giorno, quando avrò la mia vendetta.-
-Senti, io non voglio impedirtelo, vorrei solo che ci fosse un rapporto decente tra noi due.- commentò, poggiandosi al manico della pala.
In effetti, aveva ragione, non volevo litigare con lui.
-Possiamo provare ad essere amici.-
Roman fece un piccolo sorriso e mi porse la mano.- Amici.-
Io la strinsi.- Amici.-
Che grandissima cazzata.
***
Dio santo, ma perché ho accettato?
Come faccio ad essere amica di un ragazzo della quale sono follemente innamorata.
Sono un’idiota.
Mi sembrava di essere tornata all’inizio, come con Peter.
E ora sono stesa sul letto a pensare che lui probabilmente gira per locali e si porta al letto chissà quante ragazze.
Potrei andare a vedere cosa fa, solo una sbirciatina.
Ma poi sembrerei incoerente, dato che mi sono arrabbiata per via dell’investigatore.
Mi accesi una sigaretta davanti alla finestra e guardai inevitabilmente il suo cartello.
Oh, fottuto cartello.
Va bene, magari vado solo in qualche night club, non mi farò vedere, lo giuro.
Indossai dei leggins neri e un paio di stivali.
Di solito Peter e Roman usavano frequentare bar vicino al centro, in particolare uno abbastanza carino, nella media.
Mi sedetti al bancone, dove c’era un barista rasato, messicano e muscoloso che mi sorrise.- Ciao tesoro, cosa ti preparo?-
-Un Martini con paio di olive, grazie.-
Mi guardai attorno, con discrezione: il locale era pieno e in pista ballava un gruppo di motociclisti con le loro ragazze.
Ce ne era solo uno seduto, molto bello, moro, con gli occhi verdi, che mi aveva già inquadrato.
-Per caso ha visto passare un ragazzo della mia età?- domandai al barista, sorseggiando.
-Tesoro, di qui passano quasi tutti ragazzi della tua età.- replicò, ridacchiando.
-Ehm, è alto un metro e novanta, pallido, capelli biondo sole, sullo scuro, occhi azzurri, tendenti al verde, labbra a cuoricino…-
Lui scoppiò a ridere.- Wow, che descrizione.- commentò, facendomi arrossire: sapevo così tanto di Roman.- Intendi lui?-
Mi indicò il tavolo da bigliardo posto in un angolo del bar, dove Roman, vestito di jeans e una camicetta leggera, stava giocando insieme ad una ragazza bionda, con un vestitino super scollato.
Ma cosa diamine ci vedeva Roman nelle bionde?
Mi voltai per non farmi scoprire.
-Deduco che qualcuno sia arrivato prima di te, bocconcino.- mi disse il barista.
Sospirai e finii il drink.- Me ne fa altri due?-
Mi ci volevano almeno cinque Martini per ubriacarmi e quel ragazzo mi stava ancora guardando.
Ah, che andasse a quel paese.
Deglutii l’oliva e mi buttai in pista, seguendo il ritmo della musica.
Il motociclista si unì subito a me, ballando con me senza neanche presentarmi.
Chi se ne importa, è proprio carino.
Magari Roman cercava di farmi ingelosire, come aveva detto Peter, perciò ricambiai con la stessa moneta.
Diedi le spalle al ragazzo e lui mi afferrò i fianchi, strusciandosi su di me.
Sentii le sue labbra sul mio collo e non era affatto male.
Nel suo angolino, Roman si accorse di me ed entrambi ci guardammo.
Iniziai a stuzzicarlo con un paio di mosse e pareva anche funzionare.
Strinse talmente tanto il bicchiere nella mano che andò in mille pezzi.
Si morse un labbro e afferrò il polso della ragazza, andando sul retro.
-Se devi stuzzicarlo per averlo, non ti merita.- commentò il ragazzo.
Gli sorrisi, dandogli una pacca sulla spalla: aveva capito tutto.- Grazie comunque.-
Pagai i miei drink e mi diressi alla macchina: avevo decisamente bisogno di dormire.
Per raggiungere l’auto dovetti passare per forza per la stradina dove c’era la porta sul retro del locale.
Lui era proprio lì, con quella ragazza inginocchiata per terra con la testa praticamente dentro i suoi pantaloni.
Che cliché: mi veniva da ridere, dato che ne avevamo parlato qualche ora prima.
C’erano solo loro due e il fumo che usciva dalla bocca di Roman per via del freddo.
Perché sono qui?
Perché sto guardando?
Perché mi eccita da morire vedere la sua faccia mentre ansima?
D’un tratto si accorse di me.
Poggiai la tempia sul muro, senza smettere di guardarlo.
Mi fissò negli occhi e i suoi ansimi divennero gemiti.
Non so a cosa stesse pensando: i muscoli della sua faccia si contorsero e fece un verso strozzato, coprendosi poi la bocca.
Il segnale che era tutto finito.
Adesso posso andarmene.
Anche se ho le mutande completamente zuppe.

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Capitolo 4
*** Keep friends closer and enemies even closer ***


La mattina seguente, pensai fosse il giorno migliore per andare a trovare Shelley per la prima volta.
L’appartamento che Olivia aveva preso dopo esser stata letteralmente sfrattata da Roman, si trovava nell’estrema periferia.
Olivia doveva essere davvero infastidita nel vivere là, essendo abituata alla sfarzosità della villa Godfrey.
Quando bussai, mi aprì la porta con un sopracciglio alzato, sull’attenti.
Io dovevo farle capire che era tutto okay.
Alzai le mani sorridendo.- Vengo in pace.-
Si spostò per farmi entrare: l’appartamento era grande quanto quello che aveva prima.
In salone, c’era Shelley con un vestitino bianco da bambina di dieci anni, con davanti una bistecca ancora intera che sembrava si fosse freddata.
-Ciao Shelley, come stai?- le domandai, sedendomi accanto a lei.
Lei si voltò, sorridendomi appena.- Ciao.-
-Non vuole mangiare, né prendere le pillole che le ha prescritto Pryce.- intervenne Olivia, mettendo l’acqua per il tè.
-Non mi piacciono, mi fanno sentire la testa pesante quanto una palla da bowling.- commentò Shelley.
Era davvero messa male, non si era ancora ripresa dalla morte di Prycilla e in più non sapeva nemmeno della morte dello zio.
Nonostante Olivia avesse commesso quegli omicidi, purtroppo non c’erano prove per incolparla.
Ecco perché dovevo prendermi la mia vendetta personale.
Le tagliai un pezzetto di carne, strofinandole la schiena.- Devi metterti in forza, Shelley, altrimenti non possiamo uscire a giocare.-
Lei scosse la testa.- Sono stanca.-
-Va bene, allora faremo un’altra volta, che ne dici?-
Lei fece un cenno con la testa: almeno era una scusa per tornare.
Olivia l’accompagnò in camera ed io versai il tè in due tazze.
-Allora, qual è il tuo piano malvagio per farmi fuori?- mi chiese Olivia, sedendosi al tavolo.
Ridacchiai e le servii la tazza.- Nessun piano malvagio, io voglio che Shelley continui ad avere una madre ed io ad essere sua amica.-
Assottigliò gli occhi.- Ma io ho ucciso i tuoi genitori.-
Mamma, papà, perdonatemi per quello che sto per dire.
-Erano degli idioti se pensavano di poter mettere fine agli Upir.- commentai, mettendole lo zucchero.- E, per quanto riguarda la maledizione, senza di quella non avrei mai conosciuto Roman.-
-State ancora insieme?- chiese, sorseggiando.
Abbassai lo sguardo.- No, ma non siamo nemmeno stati mai insieme, in realtà.-
-E’ un ragazzo tanto bello, quando ingenuo. Ha ingaggiato un investigatore privato per trovare Nadia e dopo tre mesi, ancora nessun risultato.-
Quindi Ochoa indagava anche su Nadia.
-Ovviamente io gli ho dato il triplo, così che possa tenermi aggiornata.-
Ah, quindi faceva anche il doppio gioco, il tipo.
-So che il mese scorso Roman ha fatto perquisire lo studio di Spivak: hanno trovato pelle di rettile o che so io, Pryce ci sta lavorando.- raccontò. -E non mi dirà mai niente se non gli do la spinta necessaria.-
Accavallai le gambe.- Che intendi?-
-Ho mandato due agenti federali alla Torre Bianca per ficcanasare nei suoi affari. Pryce avrà dovuto distruggere tutto.- rispose, con un ghigno divertito.- Avrei tanto voluto vedere la sua faccia.-
Cazzo, avrei dovuto saperlo prima.
Non sapevo cosa intendesse con Distruggere.
Che Johann fosse stato costretto anche a cancellare la macchina che sfamava Roman?
Sarebbe stato un vero disastro.
-Anzi, perché non ci andiamo adesso? Voglio farmi due risate!-
Una scusa per andare a controllare.
Mi finsi entusiasta.- Perché no!-
***
Temevo il peggio: Pryce era pallido e magrolino, di chi non mangiava decentemente da giorni e aveva lo sguardo di un pazzo.
-Allora Pryce, il patto è questo: tu mi tieni aggiornata sulla situazione di mia nipote ed io non ti faccio chiudere.- lo minacciò Olivia, sedendosi alla sua scrivania come fosse la propria.
-Tu non hai idea di che cosa hai fatto.- borbottò Johann.
-Oh Pryce, per l’amor del cielo, non gongolare!- esclamò Olivia, sbuffando. -Siamo in affari, mio caro?-
Pryce non la guardò nemmeno: serrò i denti e, controvoglia, annuì.
Olivia gli sorrise.- Molto bene.- Poi mi si avvicinò.- Vedi, amica mia, questo è l’unico modo per far sì che gli uomini ti ascoltino: che ti sia da insegnamento.- mi disse, prima di uscire dall’ufficio.
Avrei voluto strangolarla lì davanti.
Pryce mi guardò assottigliando gli occhi.- Centri anche tu in questa storia?-
-Assolutamente no, sto solo cercando di capire i suoi piani.-
Mi diressi con lui al piano di sotto, preoccupata.
-Hai distrutto tutto tutto?- gli domandai, tremando.
-Ho dovuto: se gli agenti avessero scoperto quello che facciamo qui dentro, mi darebbero l’ergastolo.- affermò Pryce, estraendo dalla tasca una scatola di pillole.
Anche lui, proprio come Shelley, aveva perso qualcosa.
Aprii la stanza dove c’era la macchina del sangue: era vuota.
-Cazzo.-
-Mi ci vorrà un mese, lavorando giorno e notte, per ottenere altro sangue.- spiegò lui. -Per adesso, Roman dovrà procurarsi il cibo alla vecchia maniera.-
No.
Non potevo permettere che Roman tornasse ad uccidere.
E c’era un solo modo per evitarlo.
***
La sera stessa, suonai il campanello a casa di Roman.
Quando ancora doveva cacciare per procurarsi il sangue, avevo deciso che non lo avrei mai più permesso.
Per guadagnare tempo, infatti, mi ero fatta una trasfusione, riempiendo più o meno quattro sacche di sangue.
Fu sorpreso di vedermi.- Ciao, che ci fai qui?-
-Tua madre ha chiamato degli agenti dell’FBI per minacciare Pryce: gli hanno fatto distruggere tutto.- spiegai, entrando in casa.
Si vedeva che non c’era più alcun maggiordomo, la casa emanava polvere da tutti i muri.
-Brutta stronza!- borbottò lui, passandosi la mano nei capelli.- E adesso come cazzo faccio a nutrirmi?-
Misi la borsa con le sacche di sangue sul tavolo.- Pryce dice che ci vorrà almeno un mese per ricostruire tutto: per adesso, dovrai accontentarti di questo.-
Roman aprì la sacca e si infilò subito il tubicino in bocca.- Wow, è così strano tornare a bere sangue puro e…Buono…Di chi è?-
-Mio.-
Di scatto, Roman lo sputò nel lavandino.- Non voglio bere il tuo sangue!-
-Per ora è l’unica chance che hai se non vuoi tornare ad uccidere barboni.- commentai ridacchiando.- Seguo una dieta equilibrata, non fare complimenti.- continuai, aggiungendo le sacche al frigo.
Salii di sopra per dare un’occhiata alla stanza di Nadia: era tutto messo in ordine e sul davanzale c’era il suo nome scritto con le lettere giocattolo.
Anche se non mi ci ero affezionata tanto, mi mancava quella bimba.
Improvvisamente mi risalirono i sensi di colpa.
-Non abbiamo ancora notizie…Io e Peter stiamo pagando qualcuno per farle cercare, ma niente. Non sappiamo nemmeno cosa cazzo sia quella creatura.- spiegò Roman.
-E’ colpa mia.- borbottai, accarezzando una tutina di lana.
-Colpa tua, perché?-
-Ce l’avevo Roman, ce l’avevo in mano…L’avevo presa.- mormorai sospirando.
Roman mi prese le spalle, guardandomi negli occhi.- Ehi, non è stata colpa tua: sareste precipitate tutte e tre e lui avrebbe preso anche te.-
Aveva ragione e, in quel caso, non avrei potuto aiutarli.
Dovevo smettere di sentirmi in colpa.
Improvvisamente, dal corridoio, sentimmo uno strano rumore, come una specie di ringhio.
Tutto d’un tratto, dal buio uscì qualcuno che si avventò su di noi come un animale affamato.
Roma mi scansò, sbattendomi contro il muro.
Battei la testa e sentii uscire sangue dalla nuca.
L’essere atterrò Roman, puntando dritto al suo stomaco.
Lui cercò di tenerlo lontano, ma sembrava molto forte.
A quel punto, sbucò fuori Annie dal nulla, con un coltello e cercò di ferirlo.
L’essere le diede un calcio e fuggì via: sentii un vetro rompersi.
Roman mi aiutò a rialzarmi.- Stai bene? Scusa, mi dispiace.- mi domandò, tentando di non guardare il sangue fra le mie mani.
-Sì, tutto ok, ma che cazzo era?-
-E’ quello che sto tentando di capire.- intervenne Annie.
-Tu che cazzo ci fai qui?- esclamò Roman.
Annie non rispose e scese di sotto.
Aprì il frigorifero e diede un sorso all’ultima ampolla rimasta della formula di Pryce.
-No, non berla!-
A quanto pareva Roman non sapeva che Annie era un Upir.
Fu infatti molto confuso.- Ma chi sei tu?-
Presi un panno e me lo tamponai sulla ferita.- Roman…Hai già conosciuto Annie?-

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Capitolo 5
*** And then i can tell myself ***


Alla fine, rimasi a dormire sul divano di Roman.
All’apparenza così bello, ma così scomodo.
Sbadigliai e mi mossi troppo, cadendo sul tappeto.
Mi scricchiolarono tutte le ossa.
-Buongiorno.- disse Roman, facendomi sobbalzare.
Sospirai, scrocchiandomi il collo.
-Ti avevo detto che potevi anche dormire sul letto.- continuò, sorseggiando dalla sua tazza di sangue.
-Non ci dormo con te.- borbottai, alzandomi per fare il caffè.
Lui fece un ghigno divertito.- Non ho accennato di dormire insieme a me.-
Sì, hai ragione Roman, solo il mio corpo vorrebbe dormire con te.
-Dov’è Annie?- domandai, per cambiare argomento.
-I bagni dei ricchi sono sempre i migliori.- commentò lei, scendendo dalle scale in accappatoio.
Roman sembrava davvero curioso di conoscerla: la guardava come fosse un alieno, dato che non conosceva altro Upir al di fuori di se stesso.
E invece, caro Roman, non sai quanti ce ne sono.
-Quanto spesso ti nutri?- le chiese.
-Tutte le volte che ho fame.- rispose, alzando le spalle.
-E i cadaveri?-
-Credi davvero che io uccida le persone? Nah, non lo faccio, non più.- spiegò, asciugandosi i capelli con l’asciugamano.- Gli Upir pacifici fanno lavori tranquilli, io, per esempio, sono un infermiera al pronto soccorso.-
Alzai le sopracciglia sorpresa.- Praticamente come dare delle caramelle gratis ad un bambino.-
-I tuoi genitori non ti hanno insegnato niente.-
Figuriamoci, non ce la vedevo affatto Olivia a fargli la lezioncina.
-Sono autodidatta.-
-Roman!?!-
In quel momento, sentimmo entrare la voce di Peter, con in mano una valigia.
-Che ci fai qui?-
-Roman ha acconsentito che venissi a stare qui, per lasciare ad Andreas e Destiny il loro spazio…Che cosa è successo alla finestra?- raccontò, notando poi la donna.- Lei chi è?-
Lei gli sorrise, agitando la mano.- Ciao.-
Peter prese Roman da una parte.- Potresti essere gentile e chiamare un taxi, per una volta?-
Risi sotto i baffi: credeva fosse una escort.
-Non è una prostituta, è una Upir come me.- gli disse Roman. -Non voglio mandarla via, voglio capire cosa centra con tutto questo.-
-Siamo già abbastanza nei casini, vuoi anche fidarti di lei?- replicò Peter.
Roman si morse un labbro.- Ha ragione.- affermò, voltandosi verso di me.- Potresti…Sai…Farle un controllo completo?-
Praticamente voleva che vedessi nel suo passato se fosse una cattiva persona.
Alzai un sopracciglio.- Cosa sono, una specie di macchina a raggi x?-
-Per favore.- insistette Peter.
-D’accordo.- sospirai, andandole in contro.- Ciao, sono una specie di sensitiva e i miei amici lì vorrebbero che io ti leggessi la mano.-
-Sei sicura? Non è molto bello quello che troverai.-
Scrollai le spalle.- Sono abituata.-
Allora chiusi gli occhi e le presi la mano.
Aveva ragione, era davvero la figlia di Olivia, nata anche lei con la camicia.
La vidi in un’ auto, con un uomo che le sorrideva alla guida, un soldato e una bambina seduta dietro.
D’un tratto, la macchina si ribaltò.
La bambina e l’uomo morirono sul colpo, ma lei no.
Doveva esser stato terribile per lei.
Perché, in un mondo razionale e senza creature sovrannaturali, sarebbe morta anche lei.
Invece, era stata costretta a vivere.
Sentii dentro di me la sua immensa tristezza e percepii gli occhi riempirsi di lacrime.
Li aprii e la guardai: mi faceva pena.
-Te lo avevo detto.-
Me li asciugai velocemente.- Lei è a posto.-
In quello stesso momento, sul vetro rotto della finestra, osservai che c’era una goccia di sangue che l’essere aveva lasciato.
Lo staccai e me lo misi in bocca, deglutendolo.
Riuscii a vedere tutto dalla sua prospettiva: prima di venire da Roman, aveva attaccato e ucciso un ragazzo, per strada.
Poi, era giunto qui.
Infine, lo vidi correre verso una camera mortuaria.
La conoscevo, era vicino all’ospedale pubblico.
Sentii il vetro risalirmi in gola e così lo sputai.
Non ero riuscita a vedere solo dal suo punto di vista, ma anche da come si era sentito, proprio come Annie.
Aveva fame, molta fame.
Allo stesso tempo però, pareva stanco, come malato.
-Ha già ucciso un ragazzo.-
-Sì, è quello che ho trovato io.- intervenne Annie.
-Dopo esser scappato da qui è andato alla camera mortuaria in centro, credo che abbia ucciso ancora.- spiegai.
-Dovremmo andare a controllare.- disse Peter.
-Devo sistemare delle cose alla Torre Bianca: io, Lily ed Annie ci vediamo lì.- aggiunse Roman.
***
Nel frattempo, ebbi occasione di tornare da Olivia e Shelley.
-Non so che cosa ci metti dentro questo tè, ma è davvero buono.- commentò Olivia, mettendoci dello zucchero. Successivamente, mi squadrò.- Starai mica cercando di avvelenarmi?-
Ridacchiai.- Assolutamente no, non avrei nessun piacere a rendere Shelley e Roman degli orfani.-
Lei sospirò, storcendo la bocca come seccata.- C’è qualcosa che non va in me, Lily. Non riesco più a bere sangue: il mio corpo lo rigetta come se gli facesse schifo.-
Questo non me lo aspettavo proprio.
-Che ne dice Pryce?-
-Non lo so, non ci sono ancora andata. Odio ammetterlo ma è l’unico che può saperne qualcosa.- borbottò, sorseggiando.- Quell’investigatore è riuscito a trovare qualcosa su Spivak, almeno.-
Olivia tirò fuori una vecchia foto in bianco e nero e una scatola con dentro una medaglia d’oro.
Nella foto c’era un gruppo di scienziati, tra cui Spivak.
-A quanto pare questo tipo è immortale.-
-Ochoa non sospetta qualcosa?- le chiesi.
Lei ridacchiò.- Crede che quello sia il padre di Spivak. E’ carino, il ragazzo, peccato che abbia vent’anni in meno di me.-
Assottigliai gli occhi.- Oh, Olivia, sappiamo entrambi che questo non ti ha mai fermato.-
Fece un ghigno divertito.- Mi piaci, ragazzina.-
Bene, il mio piano stava procedendo alla perfezione.
Finito il tè, ci recammo alla Torre Bianca da Pryce, dove lui la pose a diversi esami.
Non appena la barella entrò nella macchina, sullo schermo apparse l’immagine del suo cervello.
-Questo è decisamente inaspettato.- commentò Johann, alzando le sopracciglia.
Mi avvicinai al computer e vidi una piccola massa rossa dentro il suo cervello.- E’-E’ un tumore?-
-Sì, di circa due millimetri.-
-Cosa? Gli Upir possono sviluppare tumori?- domandai sorpresa.
-E’ la prima volta che mi succede in trent’anni di carriera.-
Olivia non fu abbastanza sconvolta nel sentire Pryce dire quella parola.
-Va bene, allora toglimi questa massa.- gli disse, alzando le spalle.
-Temo di non potere.- rispose lui, segnando un numero su un foglietto.- Questo è un bravo oncologo, dovrai rivolgerti a lui.-
Olivia si zittì, prese il foglietto e se ne andò.
Pryce sorrise improvvisamente.- Bene, la fortuna è dalla nostra: presto ce la toglieremo dai coglioni.- affermò, prendendomi le mani.- Vieni, ti faccio vedere una cosa figa!-
Lo seguii un po' confusa per tutta quella sua felicità, ma magari erano solo tutte quelle pillole che prendeva.
-Ammiro il tuo tentativo di fartela amica per poi pugnalarla alle spalle, io ci provo da vent’anni.- commentò, portandomi nel suo laboratorio.
Non so come avesse fatto a capirlo.
Sdraiato su una barella, c’era un uomo mulatto, dalla barba lunga, che sembrava stesse dormendo.
-E questo chi è?-
Pryce smanettò qualcosa al computer e inserì un casco sulla testa del tipo.- Il fattorino della pizza.-
Forse avevo capito di cosa si trattava.- E’ la stessa cosa che volevi fare con Shelley e Prycilla?-
-Esattamente: tre settimane fa ho archiviato la mia coscienza nel cloud. Vediamo che succede.- affermò, premendo invio.
Improvvisamente, l’uomo si svegliò, guardandosi intorno leggermente spaesato.
-Trasferimento della coscienza riuscito.- esclamò egli, con accento straniero.
Sembrava davvero di sentir parlare Pryce.
-Allora, come ci si sente a stare nel cloud?- gli domandò Pryce.
-Niente, il vuoto. Quanto tempo è passato? Novità su Spivak?-
-Non molte: stiamo ancora analizzando i campioni di pelle squamosa e oggi Olivia ci ha dato nuove prove.- spiegò Johann.
-Perciò non abbiamo assolutamente niente. Dannazione Johann, che cosa hai fatto per tutto questo tempo?!- borbottò l’altro: iniziava a farmi paura.- La soluzione non la trovi nelle tue pasticche, nelle 45 seghe che ti sei fatto in due mesi o nel culo di un uomo.-
Oh, wow, non credevo che Pryce fosse gay.
Il suo tono stava diventando minaccioso.
-Ok, Pryce, magari dovresti spegnerlo.- balbettai.
Il dottore spinse un tasto e l’uomo si accasciò di nuovo sul lettino.
Un’esperienza davvero strana.
-Magari metti nel cloud una coscienza meno arrabbiata.- aggiunsi infine.
***
Prima di raggiungere Annie e Roman, feci una passeggiata con Shelley.
Arrivammo fino al vecchio parco giochi, dove lo scivolo era pieno di neve.
-Lei non parla mai con me dello zio Norman.- esordì Shelley, mentre ci dondolavamo sull’altalena.
Non volevo essere io a dirle che Norman era morto: forse era meglio che continuasse a credere che se ne fosse andato.
-Perché non vuole che tu stia male.- le dissi, accarezzandole la spalla.
Quell’altalena mi ricordava la sera in cui ci ero venuta con Roman: quando ci eravamo conosciuti.
Già, perché noi non ci eravamo conosciuti quando la sua limousine mi aveva investito, ma quella sera, lì, dove lui si era aperto con me.
-Io e tuo fratello siamo venuti qui, sai? Lui mi ha spinto su questa stessa altalena.- raccontai, sorridendo senza accorgermene.
Ad un tratto, notai che Shelley non c’era più.
-Shelley?-
La cercai intorno a me, osservando a terra la tegola di legno dell’altalena.
Improvvisamente, la vidi appesa ad un albero, con la catena al collo.
-Shelley!-
Le corsi in contro, sperando di salvarla.
-No, no, no!-
Tutto d’un tratto, il ramo dell’albero si spezzò: Shelley era troppo pesante.
Il suo corpo mutilato l’aveva appena salvata.
Mi accasciai su di lei, togliendole la catena dal collo.- Piccola, perché?!-
Lei scoppiò a piangere.- Lui non tornerà più, vero?-
A quel punto, non potevo più mentirle e scossi la testa.- No tesoro, mi dispiace tanto.-
La strinsi a me, accarezzandole la nuca.
-Non voglio tornare da lei.- singhiozzò, stringendomi i vestiti.
La capivo: nemmeno io avrei voluto vivere con Olivia.
Allora pensai ad un’unica soluzione.
-Scappa.- le dissi, guardandola negli occhi.- Va via di qui.- continuai, estraendo il cellulare usa e getta dell’ordine: segnai il mio numero e glielo porsi.- Chiamami quando ti serve, a qualsiasi ora, d’accordo?-
Lei mi sorrise.- Grazie.-
Le baciai la nuca.- Ti voglio bene, sta attenta.-
Mi lasciò le mani e corse via: sperai davvero che avesse una vita migliore.
***
A quel punto, presi la macchina e andai alla camera mortuaria, dove Roman ed Annie mi stavano aspettando.
-Sei in ritardo.- commentò Roman, con tono innervosito.
Ci mancava solo lui.
-Fottiti.- mi uscì dalla bocca, mentre entrai.
-Ehi! Ma che cazzo ti prende?!- esclamò, afferrandomi il braccio.
Sbuffai, dimenandomi.- Tua sorella ha appena tentato di uccidersi.-
Roman sgranò gli occhi.- Che cosa?! Avevi detto che l’avresti tenuta d’occhio!-
-Ed è quello che sto facendo!- ribattei, arrabbiata: era solo grazie alla sua famiglia che Shelley si era ridotta in quel modo.- E’ quello che sto facendo, tentando di aiutare!-
-Ha ragione, così non l’aiutiamo.- intervenne Annie.
Roman abbassò lo sguardo.- D’accordo, scusa.-
La proprietaria del posto era stata uccisa, di fatti a terra c’era una pozza di sangue, ma la polizia era già passata ad indagare.
C’era un tavolo operatorio, dietro di esso le celle con i corpi, nell’angolo varie casse di dimensioni diverse e poi un grosso contenitore di metallo con un rubinetto.
Poggiai le dita sul tavolo, chiudendo gli occhi e concentrandomi.
Niente.
Era la prima volta che i miei poteri facevano cilecca.
Di solito erano più forti quando Peter e Roman erano insieme a me.
-Dammi la mano.- dissi a Roman.
Infatti, tornai a vedere di nuovo con la visuale di quell’essere.
Era entrato dalla finestra e aveva attaccato la donna, divorandole gli organi interni.
Mi guardai intorno e curiosai sul contenitore.- Questo che cos’è?-
Annie trovò delle tazze in ferro e aprì il rubinetto, versando il contenuto all’interno.
Poi lo annusò.- E’ sangue.- dedusse, bevendone un sorso e porgendolo a Roman.
-Perché mai dovrebbero tenere il sangue dei corpi lì dentro?- mi chiesi.
Annie aprì la cella frigorifera, togliendo il lenzuolo ad un cadavere e analizzandolo.- Il sangue gli è stato tolto del tutto: non ne avrebbe avuto motivo…Se non che la proprietaria di questo posso fosse un Upir.-
-Perciò questa cosa sta cercando gli Upir.- intervenne Roman.
Sentii la sua mano tremare, ancora stretta alla mia.- Puoi lasciarmi la mano adesso.-
Lui arrossì.- S-Scusa.-
Notai che c’era anche un’altra stanza, dove facevano le funzioni e, di fatti, una delle finestre era rotta.
-Quindi…Qual è esattamente la natura del vostro rapporto?- mi domandò Annie.
-Non ne ho la mia pallida idea.- borbottai: facciamo che eravamo amici.
Amici, cioè, fino a che non mi venisse voglia di saltargli addosso.
-Ci hai visti alla festa in onore di J.R, no?-
-Sì, lui crede che tu ti sia avvicinata perché eri interessata a lui.-
Era sicuramente lei la ragazza di cui Roman mi aveva parlato.
Di certo non la troia del bar.
Annie mi fece un sorrisetto divertito.- Ti sei ingelosita?-
-Un po', dopotutto sei molto bella: è la maledizione dei Godfrey.- commentai, sentendo uno strano rumore nell’ombra.
-Non ha fatto che parlare di te tutta la sera.-
Non feci in tempo a rispondere, che sentii di nuovo quel rumore.
Un ringhio familiare.
-Lo hai sentito?- mi sussurrò Annie.
-Sì…Credo che sia ancora qui…-
Improvvisamente, sentimmo gridare Roman dall’altra stanza.
Tirai fuori la pistola e corremmo da lui: l’essere lo aveva attaccato, era sopra il suo petto.
Sparai di colpi e balzò all’indietro, finalmente morto.
Mi accasciai su Roman, notando che il suo corpo tremava e le sue pupille andavano all’indietro.
Non capivo cosa avesse.
-Che gli sta succedendo?!-
-Ha bisogno di aiuto!-

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Capitolo 6
*** What i supposed to do ***


Io e Annie portammo subito Roman da Pryce, che lo ricoverò.
Fortunatamente non era stato morso e non c’era danni visibili: Pryce disse solo che aveva avuto una piccola commozione cerebrale.
Riposò per un po' in una stanza e decisi di vegliarlo fin che non si fosse svegliato.
-Potresti provare con il bacio del vero amore.- intervenne Annie.
Ridacchiai silenziosamente.- Secondo te chi è? Aurora o Biancaneve?-
-Non saprei.- rispose lei, sorridendo. -In fondo al corridoio c’è una macchinetta delle bevande se vuoi qualcosa. Io vado ad aiutare Pryce.-
Dato che ero riuscita ad abbattere la creatura, Annie aveva deciso di portare anche il corpo, così Pryce lo avrebbe analizzato.
Presi degli spiccioli dal portafoglio di Roman, tanto non se ne sarebbe accorto e andai a prendermi un caffè.
Mentre gettai il bicchiere, lo vidi uscire con la flebo attaccato e il camice.
Sembrava stesse bene.
-Hanno imparato dai loro errori: niente più buco sul culo.- commentò, alzando le spalle.
Arricciai il naso.- Peccato.-
Ci scambiammo uno sguardo ammiccante e poi andammo al laboratorio di Pryce.
La creatura che ci aveva attaccati, si rivelò essere una donna: era praticamente uno scheletro, con poca pelle rimasta attaccata.
Sul bordo dei suoi fianchi, c’erano delle enormi pustole.
Gli occhi le stavano per uscire dalle orbite.
Pryce toccò la sua mandibola.- Mh, apertura della mascella ottimale.- dedusse, usando una pinzetta per staccarle un dente: ne uscì una sostanza appiccicosa. -Veleno.-
Annie lo guardò sorpresa.- Mi stai dicendo che è uno di noi?-
-A quanto pare, sì.-
-Non è possibile: non possiamo morderci a vicenda.-
-A quanto pare qualcuno ha cambiato le regole.-
Upir che uccidono Upir.
Wow, l’ordine del drago avrebbe fallito.
In seguito, Pryce fece un taglio lungo lo stomaco e lo aprì: attaccato ad esso, c’erano decine di masse verdi e piuttosto minacciose.
Somigliavano a quelle che aveva Olivia, ma molto più grandi. -Un tumore.-
-Un tumore bello grande.- aggiunse Roman, disgustato.
Fece la stessa cosa con il cervello.
Anche lì, lungo la materia grigia, c’erano delle tracce di tumore.
-Ha colpito maggiormente la parte della vista e della fame: deduco che questo essere non sapeva cosa facesse, come se fosse il tumore ad agire per conto suo.- spiegò Pryce.
-Che merda.- borbottò Roman, sospirando.
-Per quanto riguarda te…- continuò Johann, puntando una torcia sugli occhi di Roman.- Non fare sforzi per le prossime 24 ore.-
***
Seguimmo ciò che aveva detto Pryce e tornammo a casa, mentre informai anche Peter di quello che era successo per telefono.
Di fatti, entrati nell’appartamento, lo trovammo insieme a Destiny.
-Ehi, stai bene?-
-Sono stato meglio.-
-Puoi chiamarmi un taxi, così torno in hotel?- intervenne Annie.
-Puoi stare qui, la camera di sopra è libera.-
Lei annuì e si andò a sistemare.
In quello stesso istante, qualcuno suonò il campanello.
Era Ochoa, probabilmente con le stesse novità che aveva detto ad Olivia.
Per ora non volevo rivelare il suo doppio gioco: volevo prima studiare la situazione.
Fortunatamente lui non sapeva che io facessi visita ad Olivia, però fu sorpreso di vedermi.- Salve, avete fatto pace?-
-Pare di sì, non c’è più bisogno che la segui.- rispose Roman.- Cos’hai per noi?-
Isaac tirò fuori la stessa foto vecchia che aveva fatto vedere ad Olivia.
-Riconoscete qualcuno?-
Tutti e tre ci concentrammo sulla foto: finsi di esserne incuriosita, per non destare sospetti.
-All’inizio credevo che fosse il padre di Spivak, ma non ho mai visto padre e figlio con i lineamenti perfettamente identici. Io credo che quello sia Spivak.- affermò. -C’è qualcosa che non mi state dicendo?-
Peter fece il vago.- Sarebbe impossibile.-
-Continua su questa strada.- gli disse Roman.
-Non sei riuscita a trovare niente con le sedute?- mi domandò Destiny.
-No…E’ come se Spivak sapesse che sto cercando di guardarlo. Ma, ho pensato ad un’altra cosa…L’occhio.-
-Di cosa stiamo parlando?- chiese Isaac.
-Sono sensitive.- rispose secco Roman.- Che cos’è L’occhio?-
Destiny mi guardò male.- Non ci pensare nemmeno, Lily, l’Occhio è una cosa potentissima, al di fuori della tua portata.-
Ecco perché non te ne ho mai parlato, Destiny.
Odiavo quando mi sottovalutava.
Sbuffai.- Ma ci potrebbe aiutare.-
-Allora saresti pronta a sacrificare ciò che hai di più caro? Perché è questo che l’Occhio ti chiede in cambio.- spiegò lei.
Ora come ora non avevo niente da sacrificare.
Ci fu una forte tensione nella stanza, in cui Isaac ci si trovò in mezzo. -Stiamo parlando tipo di sedute spiritiche e letture dei tarocchi?-
Destiny gli fece un sorrisetto.- Sì, grazie per averlo minimizzato in questo modo.-
Lui alzò gli occhi e si riprese la foto.- Forte, beh, io me ne tiro fuori.-
Prima di uscire dalla porta, però, si voltò verso di me e mi fece un occhiolino.
Cosa avrebbe dovuto significare?
-Davvero sai leggere i tarocchi?-
Roman ne sembrò incuriosito.
-Certo, vuoi che ti leggi le carte, tesoro?-
Lui alzò le spalle.- Non mi dispiacerebbe.-
Destiny aveva giusto il mazzo in borsa: lo mischiò e lo aprì sul tavolo.- Scegli tre carte.-
Roman le si sedette davanti e ne tirò tre fuori dal gruppo.
La prima carta che girò, raffigurava un angelo con una spada, seduto sopra una ruota di legno.
-La fortuna.-
Peter ridacchiò.- Per questo non c’era bisogno delle carte.-
-Non si tratta solo di fortuna monetaria: significa che intorno a te c’è un’aria di positività. Che tutto ciò di cui hai bisogno, è accanto a te.- spiegò Destiny.
Anche io iniziai ad essere curiosa e vidi di nascosto la seconda carta.
Uno scheletro con una falce in groppa ad un cavallo.
Oh.
Storsi la bocca, un po' imbarazzata.
-Girala, avanti.-
La misi accanto sul tavolo.
-La morte.- puntualizzò lei.- Il numero tredici. Beh, non c’è bisogno che vi spieghi questa carta.-  Infine, girò l’ultima e fece un grande sorriso.- Oh, ora sì che ci siamo.-
Sull’ultima carta, c’erano raffigurati un uomo ed una donna, con un cupido sopra la testa.
-Gli amanti: simboleggia il volere una relazione vera nella propria vita, l’estremo bisogno di affetto e di appartenere ad un’altra persona.-
Divenni rossa come un peperone.
-…La tensione sessuale, un amore passionale…-
-Abbiamo capito!- borbottammo io e Roman, all’unisono.
-Perciò: sei pieno di soldi e di donne, ma presto morirai.- intervenne Peter.
Un riassunto perfetto.
***
Prima che Roman facesse un altro pisolino, gli portai una tazza di sangue in camera.
-Tieni, rimettiti un po' in forze.- gli dissi, sedendomi sul letto.
-Non posso credere che sto bevendo il tuo sangue…Ma, allo stesso tempo, sono grato che ti prendi cura di me.- commentò, sorseggiando.- Mi dispiace di averti urlato ieri, so che cerchi di fare del tuo meglio.-
-Con l’Occhio potrei fare cose strabilianti, potrei perfino trovare Nadia se ci riuscissi. Ma, ora come ora, non ho niente di caro da sacrificare...Tipo, che ne so, un gattino che ho da quando sono piccola.-
Lui parve dispiaciuto da quelle parole.- Davvero, non ce l’hai?-
Guardandolo negli occhi, forse capii che probabilmente si stesse riferendo a se stesso.
Non volevo dargli false speranze.
-No, non ce l’ho.- ribattei.
Lui annuì, posando la tazza e togliendosi la maglia.- Ok, faccio una doccia, puzzo di ospedale.-
Percepii che il suo tono era molto infastidito.
-Che cosa ti aspetti?! Che ti divida in pezzettini e che ti offra al diavolo?!- replicai.
-Sì!- esclamò, alzando le spalle.- Voglio dire, no, m-ma…Almeno mi farebbe capire, metaforicamente, che ci tieni a me.-
-Che cosa? Lo sai che ti voglio bene.-
Fece una smorfia di disgusto.- Dio! Ti prego! Non dire quella parola! Si può voler bene ad un animale, ad un amico…!- continuò, fissandomi negli occhi.- Io ti ho guardata negli occhi e ti ho detto che ti amo…Non significa niente per te? Non hai avuto nessuna reazione?-
Stai scherzando, Roman?
Solo vedere il suo petto nudo mi faceva venire l’acquolina in bocca.
-Certo che ha significato…- mormorai, abbassando lo sguardo.
-Che cosa ha significato?-
Che ti amo anche io, emerito idiota.
Ma non posso, non posso dirtelo, non posso dirlo ad alta voce perché allora sarebbe vero.
Sei l’unica persona che io abbia mai veramente amato.
Ed è tutto così fottutamente complicato che non ci capisco più niente.
Vorrei saltarti addosso e ucciderti allo stesso tempo.
Poggiai la fronte sulla sua: anche se il mio cervello non lo voleva, il mio corpo sì. -Mi dispiace se sembra complicato…- gli sussurrai, accarezzandogli la guancia.
Lui fece lo stesso.- Tu baciami e basta.-
Poggiai subito le labbra sulle sue, erano così calde, come se mi stessero aspettando.
Era inevitabile che i nostri corpi si volessero a vicenda.
Però, in quello stesso istante, qualcuno bussò alla porta e mi resi conto dello sbaglio che stavo facendo.
Perché doveva essere così bello e sbagliato allo stesso tempo?
Scossi la testa e mi allontanai per andare ad aprire.
-Scusate, ho interrotto qualcosa?- domandò Annie, notando Roman rimettersi la maglia.
-No, niente.-
Entrò con in mano un foglio dove c’era il disegno di Spivak.- Ho trovato questo…Come fai a sapere dell’Omul Negru?-
Non ne avevo mai sentito parlare.- Il cosa?-
Roman si avvicinò speranzoso.- Vuoi dirmi che sai che cos’è questa creatura?-
-Sì, c’è un mio amico, fuori città, Nate: è un professore, ne sa molto di queste leggende.-
Roman le afferrò i polsi.- Portaci da lui! Ti prego!-

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Capitolo 7
*** I had all and then most of you ***


Sapendo che in giro per Hemlock Grove ci fossero questa specie di Upir-zombie, decisi di andare sempre in giro con delle armi addosso.
Con la sua nuova auto, una Jeep, io, Annie e Roman andammo a casa di questo Nate.
Ovviamente Annie iniziò a fare domande su dove avessimo visto questo essere e Roman, come suo solito, mentì riguardo alla bambina.
-Stai facendo una bella cosa…Accogliendola e prendendoti cura di lei.- commentò Annie.- Tua cugina ne sarebbe felice.-
Annie sembrava molto pacifica: anche il suo modo di parlare era molto pacato, simile a come parlava il prete.
Giungemmo ad una villetta in mezzo alla neve.
-Dovremmo parlare anche con la fidanzata di Nate, Hannah, insegna alla Columbia.- spiegò Annie, dirigendosi verso la porta.- Abita con lui e con gli zii di Nate.-
Lei suonò il campanello e ad aprirci, fu un ragazzo sulla trentina, vestito con un maglione blu e un accenno di barba.
-Oh Annie, quanto tempo!- esclamò, abbracciandola.
-Ciao Nate: loro sono Roman e Lily.-
-Wow, sentite che folata…!- commentò una ragazza mora, che stava apparecchiando la tavola.
Nate sorrise.- Già, ma noi non le faremo del male, vero Megan?-
-Oh no, noi siamo assolutamente pacifici.- intervenne una donna sulla cinquantina, prendendomi le mani con un sorriso.
Ero assolutamente confusa.
-Ho dimenticato di dirtelo, scusa, sono tutti Upir.- mi sussurrò Annie.
Ah.
Dirmelo prima no, eh?
Iniziai a sentirmi un po' a disagio.
-Non sapevo neanche ce ne fossero altri.- aggiunse Roman, sorpreso.
-Il 35% della popolazione di Hemlock Grove è Upir.- disse un altro uomo anziano.
Quelli dovevano essere gli zii di Nate.
Ehm, facciamo il 30%, dopo che ne avevo uccisi un po'.
Nate notò subito la pistola che avevo nei jeans.- Le armi le puoi anche lasciare qui, non ti devi preoccupare.-
Non mi fidavo tanto, ma Roman mi fece un cenno con la testa, come a dire che era tutto ok.
-Va bene…-
Tolsi le due pistole dalla cintura, il coltello nell’elastico dietro del reggiseno, il caricatore nel calzino sinistro, il paletto di legno nel calzino destro e le due mine nelle coppe del reggiseno, lasciando tutto su un davanzale.
Forse avevo esagerato un po'.
Inizialmente mi fissarono tutti stupiti, poi scoppiarono a ridere.
-Mi piace questa ragazza, la prudenza non è mai troppa.- disse Nate, facendoci accomodare su un divano grigio.
-Quindi tu sei il neonato?- chiese l’anziano a Roman. -Come ti sei nutrito inizialmente?-
-Con le prime cose che capitavano, in realtà…- rispose Roman, timidamente.
-Oh, hai cacciato.-
-Barboni, principalmente.- puntualizzai.- Ma poi ha smesso.-
-Beh, abbiamo iniziato tutti così, non devi vergognartene.-
-Cosa prendi da bere, Lily? Abbiamo tutto quello che si può desiderare.- mi domandò Nate.
-Per lei un Martini.- intervenne Roman, al posto mio.
Ci fu un attimo di silenzio, come se avesse detto chissà che.
-Che c’è?-
-State insieme?-
-No, no, no.- ripetemmo insieme più volte.
-Nella nostra comunità è molto raro che un Upir e un’umana si accoppino.- commentò l’anziana.
Oh, beh, troppo tardi.
Ci siamo già accoppiati varie volte.
Mi veniva da ridere.- Oh, non si preoccupi, non succederà mai.-
Anche Roman fece un ghigno divertito.
Nate tornò dalla cucina con il mio Martini e una valigetta.- Sapete che cos’ho qui?-
All’interno della valigetta, c’era una grossa siringa.
Ma è serio?
C’è del sangue lì dentro?
-Rh nullo.-
Tutti spalancarono gli occhi, come se si trattasse del Santo Graal.
-Che cos’è?- domandò Roman, spaesato.
Nate iniziò a spruzzarlo nella bocca degli altri.- E’ il sistema  sanguigno più raro che esista: ce ne sono solo 40 donatori al mondo.-
Le stranezze continuavano.
-C-Credo che io berrò il mio Martini.- balbettai, arrossendo.
Prima di cena, Annie ci portò in cucina, facendoci vedere che dentro una pentola stava bollendo del liquido rosso.
-Budino di sangue.-
Era davvero strano come vivessero questi Upir: magari c’era il nome di uno di loro nella lista dell’ordine, ma io non lo potevo sapere.
Tuttavia, non sembravano pericolosi.
-Volevate parlarmi prima di cena?- esordì Nate.
Roman tirò fuori il disegno dalla tasca.- Annie dice che lo conosci.-
Nate aggrottò le sopracciglia.- Cioè vuoi dirmi che avete questo questa cosa?-
Annuii.- Circa quattro mesi fa.-
-Le leggende dell’Omul Negru sono molto antiche: si diceva che fosse una specie di Upir oscuro, con la forma di un drago… Delle profezie raccontavano che un giorno sarebbe stato abbastanza grande da afferrare tutto il mondo con il suo corpo e distruggerlo…L’Uroboro.- spiegò Nate.
Eccolo di nuovo, L’Uroboro.
Lo sapevamo da tantissimo tempo: lo avevamo visto e sognato.
-Ci siamo Roman…- aggiunsi. -Tutto quello che abbiamo visto ha portato a questo, a Spivak.-
-Credevo che li avessimo sterminati.- aggiunse Nate.
-A quanto pare non tutti.-
-Erano delle creature molto violente: usavano gli organi dei bambini per farci-
Non appena Nate nominò i bambini, Roman si irrigidì.- Chiudi quella cazzo di bocca!- esclamò, dandogli una spallata per andarsene.
Non avevamo nessuna notizia di Nadia, poteva essere possibile che Spivak l’avesse uccisa.
Ma dovevo sperare che non fosse così, per Roman.
Lo seguii in salone, fuori si era fatto buio.- Ehi, vedrai che non è così.- gli dissi, ma lui si guardò attorno stranito. -Che c’è?-
-Dove sono tutti?-
In quello stesso momento, qualcuno suonò il campanello e Nate andò ad aprire.
Sbirciai e vidi una donna: non aveva un bell’aspetto.
La sua pelle era grigia, gli occhi spiritati e le unghie lunghe come artigli.
Somigliava molto all’essere che avevamo dissezionato con Pryce.
-Ciao tesoro.- gli disse, con un inquietante sorriso.
-Hannah?-
Improvvisamente, cercò di attaccarlo, ma lui riuscì a chiudere la porta in tempo.
Nello stesso attimo, entrarono da ogni finestra: erano gli esseri che si cibavano degli Upir.
-Dobbiamo andarcene di qui!- esclamò Annie.
-Seguitemi!-
Nate ci condusse alla porta sul retro, nel bosco, fino ad una stalla.
Mi voltai un attimo indietro, vedendo che non era uno solo, ma un gruppo di cinque.
Entrammo dentro la capanna e sbarrammo la porta con un barile.
-Quelli erano i cugini di Hannah!- balbettò Nate, terrorizzato.
Eravamo circondati e io non avevo con me nemmeno un coltello.
-Ecco perché non si tolgono le armi alla medium!- aggiunsi, frustrata.
-Cosa ne potevo sapere?!-
Sbuffai, notando una piccola finestra in alto.- Upir pacifici un cazzo.- borbottai, salendo sopra un tavolo per guardare meglio.
Il gruppo era appostato davanti alla porta dove eravamo usciti: sopra di essa, c’era una luce di emergenza.
Osservai come ci camminavano attorno, sembrava che gli facesse paura o che non potessero attraversarla.
-Ehi, Roman, vieni a vedere.-
Si arrampicò anche lui e diede un’occhiata.- Sono sensibili alla luce.-
-Magari quando diventano quegli esseri, diventano anche dei vampiri veri e propri.- commentò Annie.
-Bene, quindi dobbiamo solo aspettare che faccia giorno.- intervenne Nate.
Non ci penso proprio a restare dentro quella capanna, al freddo, circondata da vampiri.
Riflettei sul da farsi.
-Beh, loro uccidono solo Upir, giusto? Io sono umana, non mi prenderanno: entro dentro casa e vado a prendere le mie armi.-
-Non ne siamo sicuri, potrebbero uccidere qualsiasi cosa gli capiti davanti.- disse Annie.
-Tu là fuori non ci vai.- esclamò Roman, con tono duro.
Questa sarebbe la situazione ideale per non proteggermi, almeno una volta.
Sospirai, sedendomi su uno sgabello mezzo rotto.- Perfetto, morirò qui di freddo.-
Anche Roman non stava benissimo, dopo la commozione cerebrale e si lasciò andare su una sedia.
Annie gli diede il proprio giacchetto per coprirlo.- Ehi, vedrai che andrà tutto bene.-
-Se non dovesse…Sono io il padre.- affermò lui, tremando.
Annie lo guardò confuso.- Tua cugina…Lo sapeva?-
Lui scosse la testa.- Non era mia cugina, era la mia sorellastra. L’ho soggiogata, senza volerlo…- raccontò, singhiozzando.- Ho scopato con lei e poi è morta…Muore tutto quello che tocco.-
Quella sua frase mi fece capire perché volesse così tanto proteggermi.
Aveva paura che finissi come Letha.
-Per questo mi hai messo un investigatore alle calcagna?- gli domandai.
-Credevo che mi avrebbe fatto stare più tranquillo.-
In quel momento, notai che dentro una scatola c’era una torcia.
Funzionava.
Ce la potevo fare: semmai mi avrebbero inseguito, li avrei accecati con la luce.
Ci dividevano circa 200 metri dalla casa ed io ero molto veloce a correre.
Mi inginocchiai alla sua altezza.- Ehi, so cavarmela, io non morirò, d’accordo? Corro come una cazzo di lepre e se dovessero avvicinarsi, li acceco con la torcia.-
Alzò lo sguardo su di me.- Sarà meglio per te, perché se muori tu, muoio io.-
Mi fece venire i brividi quella frase.
Cazzo Roman, non morirà nessuno dei due, io non lo permetterò.
Gli accarezzai la guancia e poggiai le labbra sulle sue.
-Ehi, credevo non steste insieme.- borbottò Nate.
-Fottiti.- ripetemmo insieme.
-Ti guardo dalla finestra, ok?- mi disse Roman, deciso.
Tolsi il barile dalla porta e l’aprii, notando che nei paraggi non c’era nessuno.
-Questa è l’ultima volta che fai una cosa del genere.- aggiunse Roman.
Misi le mani dietro la schiena e incrociai le dita.- Promesso.-
Lui richiuse la porta e io proseguii lentamente, guardandomi continuamente intorno.
-Okay Lily, tranquilla, si mangiano soltanto gli Upir.- continuavo a ripetermi, sotto voce.- Dovreste fare un giretto a casa di Olivia, che ne dite?-
Mancavano circa 100 metri alla porta, quando Hannah mi si mise davanti.
-Venite tutti! Ne ho trovata una!- gridò.
-Cazzo.-
Ok, magari si mangiano la prima cosa che vedono.
Dato che avevo la strada sbarrata, corsi dall’altra parte, facendo il giro della casa, puntandogli la torcia addosso.
Non bastava per tutti.
-Lily!-
Sentii la voce di Roman alle mie spalle.
-Roman, no, resta lì!- gli urlai.
Non avevo tempo di fare tutto il giro: usai il gomito per rompere una finestra ed entrare.
Corsi verso il mobile con le armi, quando l’anziana mi venne addosso, atterrandomi.
Riuscii a vedere i suoi occhi tutti neri, gli artigli alle mani e la bava che le usciva dalla bocca, tendando di addentarmi.
Le misi le mani sulla faccia, dimenandomi: era fortissima.
Improvvisamente, Roman le spaccò una sedia sulla schiena, facendola accasciare.
Mi aiutò a rialzarmi e presi in fretta le pistole.
Tolsi la sicura e gliene tirai una, proprio mentre il gruppo invase il salone.
Sparammo all’impazzata, ma uno si avvicinò troppo.
Così presi il coltello e glielo tirai come una freccetta, conficcandoglielo nel cranio.
Finiti i proiettili, erano tutti morti, tranne uno che ancora si contorceva.
Afferrai il paletto di legno e mi ci misi sopra: era disgustoso.- Tèigh go hlfreann, stronzo.- esclamai, prima di pugnalarlo dritto nel cuore.
-Che cosa gli hai detto?-
Sorrisi soddisfatta.- L’ho mandato all’inferno in irlandese.-
Avevo talmente tanta adrenalina in corpo, che non mi ero accorta del pezzo di vetro conficcato nel gomito.
Roman me lo tolse lentamente e si strappò parte della maglietta per farci una fasciatura.
Era stato piuttosto eccitante, non avevo ucciso mai così tanti Upir tutti insieme.
-Ora so che posso smetterla di proteggerti.- commentò Roman.
Gli presi i fianchi, rabbrividendo.- E’ un po' il contrario, adesso.-
Lui fece un ghigno e mi baciò, prendendomi il viso tre le mani.
Ormai era inevitabile che succedesse.
E avrei voluto che succedesse ancora e ancora.
Non sapevo cosa significasse amare, ma penso che nessuno potrebbe spiegarlo.
Ma io, per questo ragazzo, sento un brivido lungo la schiena, qualcosa di profondo, duro, ma allo stesso tempo leggero.
Per ora, vorrei che fosse solo nella mia testa.
Per studiarlo, analizzarlo, capire cosa sia.
Quando si fece giorno, io, Roman ed Annie ci fermammo ad un benzinaio per fare benzina.
Roman restò fuori, mentre io ed Annie entrammo a comprare qualcosa da mangiare.
Presi delle patatine e una bottiglia di vodka dal frigo.
Annie mi guardò strana.- Vodka?-
-E’ il suo drink preferito.- puntualizzai, aggiungendolo nel cestino.
La vidi sorridere.- Sai anche qual è il suo piatto preferito?-
-Il fegato, ma di solito non tutti i ristoranti ce l’hanno, quindi in alternativa bistecca al sangue.-
-E’ molto fortunato ad avere te…SI vede che ci tiene tanto.-
Oddio, ero così stanca di sentire quella frase.
Tutti non facevano altro che dirlo.
Sì, lui mi ama, ok?
E’ un crimine?
E’ un crimine essere amati da qualcuno?
-Anche io tengo a lui, Annie.- affermai, annuendo.- Anzi…Io…Lo amo.-
Wow, suonava così bene detto dalle mie labbra.
-Oh…Cazzo, l’ho detto. Mi è uscito così facilmente, n-non pensavo che lo avrei mai detto!- balbettai, tremando.- Io lo amo! Cazzo, l’ho ridetto! Lo amo, davvero, lo amo così tanto..! Per mesi mi sono sforzata di reprimerlo, di ignorarlo e di non dirlo. Sai, ero anche innamorata del mio migliore amico, ma non avrebbe mai funzionato, anche se lui avesse ricambiato, perché io amo Roman. L-lui è bello, ha un sacco di soldi, e-e gli occhi azzurri, quei cazzo di occhi azzurri, e i capelli, Dio…Lui è come una malattia, sono contagiata da Roman Godfrey! E non riesco a pensare a nessun altro, non riesco a- a respirare.-
Lei mi mise una mano sulla spalla.- Questo è molto bello.-
Mi sentivo così libera dopo averlo detto.
Questa non era solo una cosa bella.
Era una cosa meravigliosa.

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Capitolo 8
*** Not to ride along with you ***


Mentre portavamo Annie al suo hotel, facemmo un’altra sosta, dato che Roman non si sentiva bene.
Scese dalla macchina e fece un bel respiro.
Lo affiancai, strofinandogli una mano sulla schiena.
-Mi dispiace di aver messo un investigatore privato a seguirti.- esordì, incrociando le braccia per il freddo.
Sorrisi appena.- Non fa niente, in realtà non mi dispiaceva…Mi faceva capire che pensavi ancora a me.-
Lui voltò leggermente la testa.- Come posso non pensare a te?-
Arrossii come una ragazzina di 15 anni.- Dovresti smetterla di dire queste cose…Se continui a tirarmi a te, io ritornerò da te.-
Si allungò verso la mia guancia e ci lasciò un bacio freddo, che mi fece rabbrividire.- Allora sto andando bene.- sussurrò. Successivamente, fece una smorfia di dolore.- Sto morendo di fame.-
Annie tirò giù il finestrino.- Guido io, andiamo a cercare un po' di sangue.-
-Andiamo a caccia?- domandò Roman.
-No…Derubiamo una banca.-
Quella sua frase mi spaventò.
Si mise alla guida e ci condusse fino ad una banca del sangue.
Ah, quella banca.
Estrasse una borsa dal portabagagli e me la porse.- Non ci sono telecamere, dovete solo stare attenti alla guardia, ma di solito dorme.-
Un momento, perché sta dando la sacca a me?
-Non vuoi andare tu?-
-No, vai tu.- mormorò, facendomi un occhiolino.- Così state un po' da soli.-
Mi morsi un labbro, un po' nervosa: il suo scopo era praticamente farci rimettere insieme e a me mancava davvero poco per saltare addosso a Roman, dopo quello che era successo da Nate.
Sapevo che i miei ormoni femminili non avrebbero resistito per tanto ancora.
Entrammo da una piccola finestrella che dava su una specie di cantina.
Con un balzo, ci ritrovammo in un enorme stanza, dove, appesi al soffitto, c’erano centinaia di sacche di sangue.
Era una miniera d’oro.
-Oh cazzo…-
Roman sgranò gli occhi.- Sono in paradiso.-
Aprii la borsa e iniziai a riempirla: della guardia non ce n’era traccia, fortunatamente.
Roman aprì il tubicino della saga e iniziò a succhiare.
Notai subito che si stesse rinvigorendo.
Si passò la lingua sulle labbra, fissandomi negli occhi.
Oddio no, non mi guardare così.
Si pulì col dorso della mano e poi se la leccò, come a farmelo apposta.
Gli camminai in contro e presi un altro tubo.
Lui aprì la bocca e tirò fuori la lingua, così che potessi versarglielo all’interno, mentre gocciolava sul pavimento.
Mando giù e non si preoccupò di pulirsi, stavolta.
Si tolse la maglietta e la gettò su un tavolino lì vicino.
Si versò il liquido sul petto, come fosse champagne, aspettandosi che io facessi qualcosa.
Mi lasciai letteralmente andare, non mi importava.
Mi inginocchiai davanti a lui e passai la lingua dal suo ombelico fino al collo.
Feci finta che non fosse sangue ferroso, ma un gustoso succo alla fragola.
Di scatto, mi tolse sia la maglietta che il reggiseno, facendo la stessa cosa con me.
Sentivo il sangue caldo che mi scorreva lungo il seno.
Era la cosa più eccitante che avessi mai fatto.
La sua bocca sui miei capezzoli mi fece rabbrividire e non esitai a baciarlo con passione, successivamente.
Ero tutta un fremito e feci intrecciare le nostre lingue sul palato.
Ci svestimmo in pochi secondi e lui mi afferrò per farmi stendere sul tavolo.
Mi allargò le gambe dolcemente e ci si infilò come se fosse finalmente tornato dopo tanto tempo.
Ormai il mio corpo aveva preso la forma del suo, eravamo simili a due pezzi di puzzle che si intrecciano perfettamente.
Strinsi le sue natiche tra le mani per spingerlo più dentro di me, mentre i nostri gemiti riempirono la stanza.
I suoi occhi erano stupendi mentre godevano.
Poi, improvvisamente, vidi un uomo in divisa dall’altra parte della stanza.
-Ehi!- gridò, tirando fuori la pistola.
-Cazzo!-
Saltai giù dal tavolo e mi rivestii velocemente.
Iniziò a sparare contro di me e cercai di proteggermi con il tavolo.
Di tutta risposta, Roman lo attaccò alle spalle, conficcandogli i denti nella carotide.
Ok, beh, non doveva finire così.
Ma tanto, un morto in più o uno di meno, che differenza fa?
Una volta rivestiti, fuggimmo dalla finestra e corremmo verso la Jeep, prima che qualcuno si accorgesse che la guardia era morta.
In realtà, ci venne da ridere: sembrava che avessimo rubato le caramelle in un negozio di dolci.
-Parti, parti!- dissi ad Annie.
Lei ci guardò sconvolta.- Ma che cazzo avete fatto?!-
***
Uscii con la testa fuori dall’acqua, pulendomi gli occhi dal sapone.
La vasca ormai era diventata tutta rossa, sembrava di nuotare in un mare di vino.
-Quella cosa della fobia del sangue…Era una cazzata, vero?-
Dall’altro bordo, Roman aspirò dalla sua sigaretta per poi buttare fumo circolare.
Era da un po' che non lo vedevo fumare.
Ripensando a ciò che era successo, mi venne da ridere.
-Allora, me lo vuoi dire perché sei sparita per tre mesi?- mi chiese.
Forse era il momento di dirglielo, non sapevo come avrebbe reagito.
Scossi la testa, rubandogli la sigaretta.- Non vuoi davvero saperlo.-
Lui venne verso di me, quatto quatto, infilandosi tra le mie gambe.- Ti scoperò per tutta la notte, fin che non sarai abbastanza esausta da dirmelo.- mormorò, con un ghigno divertito.
Ridacchiai appena.- Sarei tentata.- sussurrai, baciandolo a stampo. Presi poi coraggio e lo guardai negli occhi.- Tua madre ha ucciso i miei genitori.-
Si accigliò e tornò all’altro bordo della vasca.- Porca puttana.-
-E anche J.R.- puntualizzai, lasciandolo a bocca aperta.- J.R. e i miei genitori erano in combutta per ucciderla, invece lei ha ucciso loro…Mi dispiace, Roman.-
-Non ci posso credere che abbia rovinato anche la tua vita.- commentò, passandosi una mano nei capelli.
-Nah, non è poi così male.- aggiunsi, alzando le spalle per sdrammatizzare.- Ho un bel po' di soldi, dei buoni amici e faccio delle scopate epiche.-
Roman scoppiò a ridere e mi schizzò, spegnendo la sigaretta.
-Una volta ho disegnato un tuo ritratto…Poi l’ho perso, però.-  Fischiettai, facendo la vaga, ma lui lo notò. -Tu ne sai qualcosa?-
-Quando eri in coma, sono entrata nella tua stanza…Potrei aver preso una cosa o due.- raccontai, grattandomi la guancia timidamente. -Tipo il tuo disegno e…Una delle tue camice.-
-Ecco perché me ne mancava una!-
Mi venne da ridere.- Tieni il conto delle tue camice?-
-Costano centocinquanta dollari l’una, certo che tengo il conto!-
Mi avvicinai maliziosamente, mettendogli le braccia sulle spalle.- E poi sai che ho fatto?-
-Cosa…?-
Glielo sussurrai all’orecchio e lui fece un sorrisetto divertito.- E poi sarei io il pervertito.-
***
Una volta rivestita, controllai il telefono e vidi quattro chiamate perse da Olivia e due da Peter.
Non mi spaventavano tanto quelle di Peter, ma quelle di Olivia.
Decisi di montare in macchina e dirigermi a casa sua, mentre richiamai Peter.
-Lily, scusami, non posso parlare adesso.-
La sua voce sembrava spaventata.- Che è successo?-
-N-Non lo so, credo che i Croati abbiano ucciso quattro dei nostri.- balbettò, preoccupato.
Lo sapevo che la storia del caviale contraffatto era una cazzata: i Croati non perdonano.
Non ci voleva quella situazione, dato che quella stessa sera Destiny avrebbe fatto la festa per il suo addio al nubilato.
-Ti prego, non dire niente a Destiny.-
-Va bene, ma sta attento, ti prego.- risposi. -Ti voglio bene.-
-Anche io, ti aggiorno.- disse infine, prima di attaccare.
Parcheggiai davanti all’appartamento di Olivia e bussai la porta.
Non appena mi aprì, di scatto, mi afferrò per il collo, sbattendomi contro il muro.
-Dov’è Shelley?!- esclamò, stringendo i denti.
Aveva capito che era scappata, dovevo mentire per lei, doveva lasciarla in pace.
-Non lo so.- bofonchiai, sentendo la gola bruciare.
-Era con te prima che sparisse!-
-Siamo andate al parco, poi l’ho riportata a casa, è- è stata l’ultima volta che l’ho vista.-
Mi fissò negli occhi e capì che probabilmente stavo dicendo la verità.
Mi lasciò andare e si sedette al tavolo, sbuffando.
Tossì un po' e in quel momento, guardandomi intorno, notai che tutti i mobili erano spariti.
-Guarda cosa ha fatto! Ha derubato la sua stessa madre!- esclamò, con voce disperata. -Isaac dice di averla vista andare via con un furgone e un tizio, sicuramente un tossico.- raccontò.- Fammi uno di quei tuoi tè, almeno quello me lo hanno lasciato.-
Presi il bollitore e lo riempii d’acqua, per poi sedermi accanto a lei.
Non so se fosse per lo stress, ma osservai una macchia sulla sua fronte.- Che hai fatto alla testa?-
-Non lo so, è comparso stamattina, non riesco a coprirlo nemmeno col fondotinta!-
Sembrava una diciassettenne alla quale era venuto il suo primo brufolo.
-Pryce ha trovato questo disgustoso video sugli esperimenti di Spivak.- aggiunse, tirando sul tavolo un Ipad.
Sinceramente avevo paura di vederlo.
Era un video in bianco e nero, di due topi dentro una gabbia: uno era normale, l’altro sembrava affetto dal virus che avevamo visto sugli Upir.
Ad un certo punto, il topo malato divorò il suo compagno.
Ma non fu questo a spaventarmi.
Qualcosa nel suo cervello da topo, gli disse che era ancora giusto iniziare a divorarsi da solo.
Era orribile.
-Non mi ridurrò in quel modo, sia chiaro.- affermò, accavallando le gambe.- Pryce produrrà un altro di quegli esseri in laboratorio e mi ci nutrirò.-
Ancora mi ribolliva il sangue per quello.
-Per creare un corpo come quello ci vorranno almeno diciotto mesi e non credo che tu abbia tutto questo tempo.- commentai, versandole il tè.
-E allora cosa dovrei fare?!- urlacchiò, con vocina acuta.
In quello stesso istante, qualcuno bussò alla porta.
Olivia si alzò sbuffando.- Non vogliamo comprare niente.-
-Oh, non vendo niente.-
Cazzo, Annie.
Riconobbi la sua voce e mi nascosi subito dietro il muro, non poteva vedermi lì.
-Allora che vuoi?- le chiese Olivia.
-Sono tua figlia.-
Wow Annie, sei veramente diretta.
Lo dirai così anche a Roman?
-Magdalena.-
Sbirciai appena e notai le gambe di Olivia stavano tremando: forse per il tumore o perché era sorpresa di vederla.
-Ascoltami, non è un buon momento, non mi sento molto bene.- balbettò Olivia.
Annie le passò un foglietto.- D’accordo, questo è il hotel dove alloggio: quando vuoi parlare, puoi trovarmi qui.-
Doveva essere uno shock rivedere la figlia che ti era stata portata via chissà quanti anni fa.
Ero davvero curiosa di sapere cosa si sarebbero dette.

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Capitolo 9
*** The two kids ***


Successivamente, andai a casa di Destiny, dove la festa era già iniziata.
C’erano tutte le sue amiche che ballavano e una curiosa torta a forma di pene.
Cercai di comportarmi normalmente, senza farmi uscire dalla bocca il guaio in cui si erano cacciati Andreas e Peter.
-Sei venuta!- gridò, per via della musica alta, abbracciandomi.
-Certo che sono venuta!- ribattei sorridendo.
Destiny tagliò la parte finale della torta, con un sorrisetto.- Le palle le prendo io!- affermò, facendo un piccolo taglio all’inizio.- A te lascio la punta.-
Scoppiai a ridere.- Quale onore.-
Mentre tutte ballavano e si divertivano, sgattaiolai in camera di Destiny, alla ricerca del libro per ottenere l’Occhio.
Magari aveva torto, non serviva per forza sacrificare quello che avevo di più a cuore.
Presi il libro e lo nascosi nella borsa.
-Eccoti!-
Destiny mi fece sobbalzare e feci finta di niente.
-Ho fatto un sogno bellissimo stanotte, vuoi vedere?- mi domandò, entusiasta.
Pareva si fosse fatta tre canne di seguito o forse era solo l’alcool.
-Certo.-
Mi prese le mani ed entrambi chiudemmo gli occhi.
Era una giornata serena, d’estate inoltrata.
Da dentro una casa in legno, tutta bianca, uscirono due splendidi bambini, un maschio ed una femmina.
Una bambina dai lunghi capelli scuri e un bel sorriso.
Un maschio, con i capelli castano chiaro e gli occhi azzurri.
Destiny pensava sicuramente che fossero i suoi figli, che li avrebbe fatti con Andreas e che sarebbe stata felice.
-Non sono stupendi?-
Le annuii, sorridendo.- Lo sono.-
Mi prese il viso tra le mani.- Sai Lily, ho avuto sempre il vizio di sottovalutarti…E invece guardati, sei bellissima e sei così forte…- commentò, mi fece quasi piangere.- Sarai la mia damigella d’onore, vero?-
-Certo.- singhiozzai, abbracciandola.
Vedere i suoi occhi gioiosi mi fece venir voglia di essere felice anche io.
Cazzo, me lo meritavo dopo tutto quello che avevo passato.
Anche io mi meritavo un marito, una famiglia, qualcosa da amare.
Al diavolo tutto il resto, tanto Olivia sarebbe presto passata a miglior vita.
Mi sentivo così bene, così completa.
Tornai all’appartamento di Roman verso l’una ed entrai in camera sua, lasciandomi solo l’intimo addosso.
Lui mi sentì camminare e aprì gli occhi.- Ehi, com’è andata? Ti sei divertita?-
Mi stesi accanto a lui, annuendo.- Destiny ha sognato i suoi futuri figli, ieri notte.-
-Erano belli?- bofonchiò, sbadigliando.
Quando ci pensai meglio però, notai qualcosa di strano.- Sì, anche se il maschio era biondo con gli occhi azzurri…Cosa strana dato che loro due sono entrambi scuri.-
-Norman era moro e io sono biondo, non c’entra niente: dipende dall’albero genealogico.-
Giusta osservazione.
-Non dirmi che ti ha fatto venir voglia di avere dei figli.- continuò.- Non sono proprio un padre modello.-
-Ehi, tu sei un padre magnifico.- affermai, mettendomi la mano sotto la testa.
-Quando Nadia sarà grande, dovrò raccontarle di sua madre e del mostro che è suo padre.- continuò, fissando il soffitto.- Oppure mentirle.-
-Tu non le mentirai e lei ti amerà per quello che sei.- ribattei, voltandogli la testa verso di me. -E io sarò lì con te.-
Lui aggrottò appena le sopracciglia.- Cosa intendi dire?-
Gli accarezzai la guancia, guardandolo negli occhi.- In questi tre mesi ho capito che sono in grado di stare senza di te, ma semplicemente non voglio. Io credo che sia meglio avere qualcuno, avere te…Anche se fa male, anche se è doloroso, anche se l’amore fa schifo come dicevi tu. E se allora deve essere così…Che lo sia, preferisco questo dolore allo stare da sola, allo stare senza di te. Sono pronta ad affrontare quello che ne verrà.-
Roman mi sorrise, togliendomi un capello dal viso.- Ce ne hai messo di tempo, eh?-
Arricciai il naso, arrossendo, prima che lui poggiasse le labbra sulle mie.
Ero estasiata, contenta di essermi liberata di quel peso.
Avrei voluto fare l’amore tutta la notte e tutto il giorno.
Stare sopra di lui mi fece sentire un certo possesso.
Che guardi me, che baci me, che ami me e nessun’altra.
Che sia solo io a sentire i suoi gemiti, che sia solo io quella che deve abbracciare.
E fu così che ci addormentammo, stretti, nudi, l’uno all’altro.
Ma poi, in piena notte, qualcosa mi svegliò.
Uno sparo.
Fortissimo.
Forse di fuori o forse nella mia testa, non mi era chiaro.
Però mi sentii talmente male, come se avesse colpito me.
-Che cazzo è stato?-

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Capitolo 10
*** The shot ***


-Non mi piace per niente questo sogno.- borbottò Roman, mettendosi la cravatta.
-Figurati a me, mi sono sentita quasi morire.- commentai, abbracciando il cuscino.
Lui si morse il labbro nervosamente.- D’accordo, vieni con me alla torre oggi, non ammetto discussioni.- affermò, con tono deciso e puntandomi un dito contro.
Adoravo la sua preoccupazione.
Gli sorrisi appena, alzando le spalle.- Non sto dicendo niente, infatti…-
Annuì, imbarazzato.- Bene.-
Per Roman forse era strano doversi occupare di una persona che non fosse se stesso.
Così, andammo entrambi alla Torre Bianca e a trovare Pryce nel suo laboratorio.
Aveva aggiunto una cosa che non c’era prima: una specie di cella contenitiva che si apriva solo dall’esterno.
-A che serve quella?- domandai, indicandola.
-Oh, niente, qualche giorno fa è successo un piccolo incidente con la creatura, ci avevo lavorato e poi mi sono strofinato gli occhi per sbaglio: il loro veleno è molto potente, sarei potuto morire. Perciò ho deciso che fosse meglio lavorarci lì dentro, al sicuro.- spiegò Pryce.
-Novità su Spivak?- intervenne Roman.
-In base alle prove che abbiamo...-
-Quale prove?-
Cazzo Pryce, tieni chiusa quella bocca.
Se Roman sa che sei alleato anche con Olivia, ti ucciderà.
Gli feci cenno di cambiare discorso, senza farmi vedere da Roman.
-Ehm, volevo dire, in base alle prove che ho trovato io, Spivak è una specie di rettile o anfibio, per questo è riuscito a vivere per tutto questo tempo.-
-Va bene, continua a lavorare su questo.- gli disse Roman, uscendo dal suo ufficio come se si fosse innervosito. -Hai sentito?-
Cercai di fare la vaga, non doveva capire che io centravo qualcosa.- Sentito cosa?-
-Ha esitato, qualcosa non mi quadra. Lo sapevo che non mi dovevo fidare di Ochoa, e Pryce è ancora peggio, è praticamente lo schiavetto di mia madre.-
Ah, wow, ci era arrivato da solo.
-Lo seguirò, oggi, investigherò sull’investigatore.-
-Vengo con te.-
-No, resta qui.-
-Cosa?!-
Voleva per caso tenermi prigioniera?
-Resta qui e cerca di capire da dove veniva quello sparo!- esclamò, prima di entrare in ascensore.
Non ci penso proprio, io non ci resto qui.
In quello stesso istante, mi squillò il telefono.
-Pronto?-
-Ciao Lily.-
Oddio, era Shelley: probabilmente parlava dal mio cellulare usa e getta.
-Tesoro, sei tu! Stai bene? Dove sei?- le chiesi in pensiero: alla fine era tutta mia la responsabilità se era scappata di casa.
Se Olivia l’avesse saputo, mi avrebbe fatta a pezzi.
-Sto bene, sono alle acciaierie Godfrey: qui si è accampata un sacco di gente, lo chiamano il Peto del Gallo.- spiegò, con la sua voce da bambina.- Ti andrebbe di venirmi a trovare?-
Mi fece quasi piangere, era come se le mancassi.- Certo tesoro, vengo subito.-
Una bella scusa per andarmene dalla torre.
Dovevo controllare che fosse incolume e più felice della sua vita con Olivia.
Passai prima al mio appartamento per prenderle un regalo.
Aveva ragione, le acciaierie erano state trasformate in un vero e proprio rifugio per senzatetto.
Sparsi in giro c’erano bidoni con fuochi accesi, tende e anche un piccolo palco pieno di luci.
-Benvenuta al Peto del Gallo!-
Mi si presentò davanti un uomo sulla quarantina, ciuffo anni ’80 e una giacca di pelle marrone con pelliccia.
-Sono Aitor.- si presentò, stringendomi la mano.
-Lily.-
Da dentro una stanza, venne fuori Shelley: aveva un sorriso stampato sulla faccia, le treccine ai capelli e dei nuovi vestiti.
Le corsi subito in contro per abbracciarla.- Ciao Shelley, sei stupenda!-
-Vieni, ti faccio vedere la mia stanza.-
Lei ed Aitor si lanciarono uno sguardo ammiccante prima che lei mi conducesse nella sua camera.
C’era qualcosa fra quei due?
La sua stanza era molto meglio di quella che aveva da Olivia: il materasso era sicuramente quello che avevano rubato dall’appartamento e sul muro c’erano dei graffiti colorati.
-E’ davvero bella Shelley: non so, però, se sia stata una buona idea rubare i mobili a tua madre.- commentai ridacchiando.
Lei abbassò lo sguardo.- Perché sei sua amica?-
Mi sarebbe piaciuto spiegarle tutto, ma non volevo turbarla ulteriormente.- E’…Complicato.- Per cambiare discorso, estrai dalla borsa uno dei miei libri preferiti: Emily Dickinson.- Guarda cosa ti ho portato.-
Shelley mi sorrise.- Emily Dickinson, amo le sue poesie: La speranza è qualcosa con le ali, che dimora nell’anima e canta la melodia senza parole e non si ferma mai.-
Le strinsi la mano.- Vedrai che un giorno metterai anche tu le ali.-
-Qui sto molto bene, sono tutti molto carini con me: sanno cosa vuol dire essere un’emarginata.- spiegò.
Non volevo che si intristisse, così le diedi un pizzicotto.- Perciò…Tu e quel tipo…-
Arrossì di botto.- Mi ha chiesto di andare al cinema con lui, stasera.-
-Oh oh, Shelley ha fatto colpo!-
Ero davvero felice per lei.
-E tu e Roman?-
In realtà era abbastanza strano dirlo ad alta voce.- Ci siamo ufficialmente messi insieme.-
-Lo sapevo!- esclamò ridendo.
Sembravamo due ragazze che spettegolavano.
Shelley volevo trattarla bene, volevo esserci sempre per lei.
L’ultima volta che avevo messo da parte un’amica, era diventata un lupo mannaro assassino e ho dovuto decapitarla.
Mi sembrava stesse bene in quel posto, così le lasciai il libro e uscii.
Mentre andavo alla macchina, sentii di nuovo quella presenza nascosta dietro di me.
Isaac continuava a pedinarmi e iniziava ad essere piuttosto invadente.
***
Salii in macchina e decisi di chiamare Peter e Roman: era ora di venire allo scoperto, tanto Roman lo aveva già capito ed Isaac non mi aveva mai visto con Olivia.
Decisi di attirarlo in una strada desolata, vicino al bosco.
Chiusi forte la portiera, innervosita.- Mi credi così stupida?-
Lui scese dall’auto con un ghigno.- No, in realtà c’è qualcosa in te che mi fa andare fuori di testa: sarà per tutte le volte che ti ho seguita, ma….-
Cristo, avrà avuto quasi dieci anni in più di me.
Quella sua frase però, mi fece pensare e venire i brividi.- Esattamente…In quale altro posto mi hai fotografato?-
-Vuoi sapere se mi sono appostato anche davanti casa tua? Inizialmente no, ma poi non ce l’ho fatta più.-
Quel tizio era un vero e proprio maniaco.
Improvvisamente, mi si avvicinò, prendendomi i fianchi.
Mi faceva schifo solo che mi toccasse.
Lo allontanai con forza, ma lui insistette e allora fui costretta ad estrarre la pistola, puntandogliela alla gola.
Non si spaventò, anzi, continuò a sorridere.- Mi piacciono quelle difficili.-
D’un tratto, apparve Roman, dietro le sue spalle che lo fece voltare.- Davvero? Prova con me.- esclamò, dandogli un pugno che lo atterrò.- Per questo ti avevo detto di restare alla Torre.-
Sbuffai, riponendo l’arma.- L’ho scoperto, avevi ragione! Sta facendo il doppiogioco con tua madre.-
-Come ti paga? Le ho tolto praticamente tutto. Ti paga in natura?- gli chiese.
-Nah, non è il mio tipo.- rispose lui, pulendosi il sangue dal naso.- Sai chi è il mio tipo? Quella bella ragazza con i ricci e le tette grandi.-
Si stava riferendo a Destiny, era disgustoso.
D’un tratto, Peter si avventò su di lui e iniziò a picchiarlo forte senza motivo.
-Peter, no!-
-Peter, che cazzo fai?!-
Io e Roman lo afferrammo per il giubbotto, tirandolo via: aveva una faccia sconvolta, di chi aveva pianto tutta la notte.
-Vuoi ucciderlo per caso?!- ribatté Roman.
Nel frattempo, Isaac ebbe il tempo di alzarsi e scappare via.
-Sei licenziato, stronzo!- gli gridò.
Avevo visto Peter ridotto in quel modo solo alla morte di Letha.
-Peter, che hai?-
Lui tirò su col naso.- Andreas è stato giustiziato ieri sera dai Croati.-
Oh, porca puttana.
Ecco cosa significava quel sogno.
-Non ho avuto scelta…Aveva girato un porno con la ragazza del capo, Milan, per questo loro hanno ucciso i nostri.- singhiozzò.
Non ci potevo credere che Andreas fosse un tale idiota.
Tremando, tirò fuori un foglietto dalla tasca.- Queste sono le indicazioni per trovare il corpo, ma non ho coraggio…-
Peter aveva fatto più che bene, secondo me: non era giusto che per la cazzata di uno solo ci dovessero rimettere tutti.
Pensai solo alla povera Destiny, si stavano per sposare.
Perfino la sua visione sui bambini era sbagliata, allora.
Decidemmo quindi di prendere la macchina di Roman e seguire la mappa.
In una discarica abbandonata e sommersa dalla neve, c’era parcheggiata la macchina di Andreas.
Controllai che non ci fosse nessuno e aprimmo il cofano: il suo cadavere era lì, pallido, con gli occhi aperti.
In un modo o nell’altro, la mia famiglia finiva sempre in quel modo.
Guardai Roman: e se una cosa del genere succedesse a lui?
No, non ci potevo pensare.
Roman non era stupido come Andreas.
-Chiamo Pryce, così ci aiuta a disfarcene.- intervenne lui.
-No…Andreas deve avere un funerale, Destiny deve superarlo.- commentò Peter.
-Se immischiamo anche la polizia, finirai nei guai.-
Roman aveva ragione, dovevamo inventarci qualcos’altro.- Possiamo far sì che sia stato un incidente, tipo una rapina.-
Roman annuì.- La polizia lo trova e così ci sarà un corpo a cui fare il funerale.-
Peter sospirò, assonnato.- Va bene, facciamolo.-
Il buio della sera fu dalla nostra parte: caricammo Andreas per lasciarlo in una strada desolata, dove c’era solo una cabina telefonica e non tanto lontano da un’ alimentari.
Roman si infilò nella cabina e compose il numero.
-Usa una voce diversa.- gli dissi.
-Del tipo?-
-Ehm…Tipo la voce che hai quando stai per avere un orgasmo.-
Alzò le sopracciglia, arrossendo.- V-Va bene.-
Mi avvicinai a Peter che stava chiudendo gli occhi ad Andreas e gli strofinai la schiena.
-Non avevo scelta…- ripeté, con voce spezzata.
-Sì, Peter, hai ragione: non è stata colpa tua.- affermai, stringendolo a me.- Vuoi che ti accompagni da Destiny?-
-No, voglio farlo da solo, è una mia responsabilità.- rispose, dando una pacca a Roman.- Voi avete fatto anche abbastanza, grazie.-
Ci unimmo in cerchio e ci abbracciammo.
Quella era forse la cosa più terribile che avessimo mai fatto.
Però almeno eravamo insieme.
***
Tuttavia, la cosa non mi fece stare affatto tranquilla.
Sapevo che Roman non poteva mettersi nei guai in quel modo, ma avevo comunque paura che gli potesse accadere qualcosa.
Non riuscivo a dormire.
Mi alzai per farmi un tè, quando osservai le sacche di sangue dentro al frigo.
Mi sembrava di averne prese di più.
Oddio e se non gli bastassero?
Le tirai fuori tutte, comprese quelle con dentro il mio sangue e iniziai a fare qualche calcolo.
Verso l’una di notte, Roman notò che non ero al letto e scese in salone.- Che stai facendo? E’ tardissimo.- bofonchiò.
Io ero impegnata con i numeri e non gli risposi.
-Che stai facendo?- ripeté, notando le sacche.
-Ho pensato che se bevi circa mezzo litro di sangue al giorno, per due volte al giorno, moltiplicato per settimana…-
-Hai paura che io muoia di fame?- mi chiese, assottigliando gli occhi.
-S-Stavo facendo solo qualche calcolo…-
Lui sospirò, prendendomi il viso tra le mani.- Lily, andrà tutto bene, ok? Io non morirò di fame e non finirò morto dentro il bagagliaio di un’auto.-
Era incredibile come avesse capito la mia preoccupazione, come se davvero fossimo connessi.
-Hai un sacco di armi, delle doti di combattimento straordinarie…Siamo al sicuro.- affermò, accarezzandomi la guancia con un mezzo sorriso.- Lily, l’unica cosa che può ferirmi, adesso, sei tu.-
-Non potrei mai ferirti…- mormorai, poggiando la fronte sulla sua.
-Lo so.- sussurrò, baciandomi dolcemente.
Rimasi stretta al suo petto per un po', solo allora riuscii a dormire serenamente.

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Capitolo 11
*** His eyes ***


Quando ho detto che io e Destiny avevamo un sacco di vestiti per funerali e matrimoni, non mentivo.
Nella nostra famiglia allargata, solo perché qualche zingara non era riuscita a tenere la vagina dei pantaloni, queste cerimonie erano abbastanza frequenti.
Ma, questa volta, si trattava del funerale di Andreas e Destiny era distrutta, anche se non lo dava a vedere.
La mia idea dello scippo aveva funzionato, la polizia ci aveva creduto, anche se continuava a fare delle domande a Destiny.
Avevano registrato la chiamata al 911, ma non sarebbero mai risaliti a Roman.
C’erano poche persone alla funzione: questo perché quasi metà del branco era stata uccisa e l’altra metà, a detta di Peter, non voleva più avere niente a che fare con Andreas, non dopo il casino che aveva combinato con i Croati.
Di questo Destiny non sapeva niente e non si spiegava il perché i suoi migliori amici non ci fossero.
Andreas riposava dentro una bara di legno, con un bello smoking.
-Gli hanno rubato l’orologio che gli avevo appena comprato.- bofonchiò Destiny, sedendosi sulla panca.
Io e Peter al suo fianco.
-Mi dispiace tanto, Destiny.-
-Vuoi che dica qualche parola?- intervenne Peter.
-Sì, per favore.-
Peter si avvicinò al leggio e accese il microfono.
Non era tanto difficile affrontare la sua morte, io ed Andreas non ci conoscevamo molto.
Ma quanto alla bugia, era la più grande che io avessi mai tenuto dentro.
Anzi, no, probabilmente tutte le bugie dette a Roman, riguardo sua madre, sua sorella, suo padre, di Isaac ecc..
Forse quelle creavano una bugia molto più grande.
Però decisi che non le avrei tenute ancora per molto.
Pryce diceva che ad Olivia sarebbe rimasto poco meno di un mese.
Presto avrebbe iniziato a delirare ed era meglio tenerle lontano tutti gli Upir.
Tuttavia, sapevo che Olivia era andata a trovare Annie all’hotel.
Avrebbero davvero avuto un rapporto madre/ figlia decente?
-Andreas faceva parte della mia famiglia e come ho sempre pensato, lui voleva la felicità di tutti: soprattutto quella di Destiny, che amava molto.- esordì Peter. -Era una brava persona e dovremmo prendere esempio da lui.-
Uno ad uno, in presenti si avvicinarono alla bara per dare l’ultimo saluto ad Andreas, fin che la chiesa non si svuotò.
-Posso rimanere da sola con Lily, per favore?- domandò Destiny.
Peter e Roman mi aspettarono fuori.
Non appena la porta si chiuse, Destiny si strofinò le mani.- Aiutami, avanti, in due siamo più potenti.-
La guardai confusa, mentre lei mi afferrò le mani.- Aiutarti a fare cosa?-
Destiny poggiò la sua sulla mente di Andreas e, improvvisamente, mi apparvero immagini di quella sera.
Due uomini lo stavano picchiando a sangue.
Lui pregava di essere lasciato andare.
E poi, lo sparo.
Sembrava una vera e propria esecuzione.
-Lo hanno davvero rapinato…-
Per fortuna, a Destiny sembrò uno scippo.
Feci un sospiro di sollievo.
-Mi sbagliavo…- mormorò, tirando su col naso.- Dovevo capirlo dai suoi occhi…-
-Dagli occhi di chi?-
Alzò lo sguardo su di me e mi accarezzò la guancia.- Dagli occhi del maschio…I bambini che ho sognato non erano i miei…Erano tuoi.-
Mi si gelò il sangue.
Che cosa voleva dire?
Io?
Incinta?
Oh no…
Forse si sbagliava, magari non erano i miei, ma quelli di qualche sua amica.
Non ero l’unica persona che conosceva con un fidanzato.
Tuttavia, non smettevo di pensarci, nemmeno in macchina.
E se invece avesse ragione?
Ripensai un attimo a ciò che avevamo visto.
Due bambini, sui sei anni, un maschio ed una femmina.
Destiny aveva nominato il maschio.
Lo misi bene a fuoco nella mia mente: era biondo scuro, con gli occhi azzurri.
Gli occhi azzurri.
Nessuno degli amici di Destiny aveva gli occhi azzurri: i licantropi sono sempre stati scuri, tranne Peter.
L’unica ad avere un fidanzato biondo scuro e con gli occhi chiari…ero io.
Mi salì la nausea.
-Fermati.-
-Cosa? Perché?-
-Fermati!-
Roman si fermò su ciglio della strada.- Che ti prende?-
Voltai lo sguardo su di lui: gli occhi erano gli stessi e lo sguardo… come potevo dimenticarlo?
-Dobbiamo fermarci all’alimentare, devo…devo prendere una cosa…-
-Va bene, ma ti comporti in modo strano.-
E se fosse vero?
Cazzo, io non sono in grado di crescere un figlio, figuriamoci due.
E ancora non avevamo trovato Nadia.
Quindi sarebbero tre figli.
Oh porca puttana, sto svenendo.
Roman si fermò davanti al negozio e mi affrettai ad entrare, da sola, per comprare almeno due test di gravidanza: dovevo esserne sicura.
Spalancai la porta dell’appartamento e mi chiusi in bagno, non avevo intenzione di aspettare.
Mi strappai il vestito nero a stenti, non riuscivo a respirare.
Feci pipì su entrambi i test, accasciandomi lungo il muro, in attesa di una risposta.
-Lily, mi dici che ti prende?- mi domandò Roman, bussando.
Mi allungai per aprirgli la porta, sentivo le lacrime scendermi dagli occhi.
-Che succede?- ripeté, sedendosi accanto a me.
-Ti ricordi quando ti ho parlato della visione di Destiny? Dei due bambini?-
-Sì…Probabilmente si era sbagliata.-
Scossi la testa, tirando su col naso.- Le veggenti non si sbagliano mai…- bofonchiai, passandogli il test: erano positivi tutti e due.
Lui divenne più pallido del solito e alzò le sopracciglia.- Porca puttana…-
Mi morsi un labbro, singhiozzando.- Mi dispiace…-
D’un tratto, lo vidi sorridere.- Ti dispiace? E di cosa? Lily è bellissimo!- esclamò entusiasta.
Wow, non mi immaginavo questa sua reazione.
-Potremmo avere una vera famiglia! Troveremo Nadia e poi saremo una vera famiglia! Io, te, Nadia e i gemelli!-
Stai davvero correndo troppo, Roman, non sappiamo nemmeno dove sia Nadia.
E io non so minimamente come si cresce un bambino.
Ero terrorizzata.
Il suo volto si spense.- Non è quello che vuoi?-
Lo vidi deluso e questo mi intristì.
Ma dovevo pensare anche a me.
-Ci devo pensare, mi serve un po' d’aria.- risposi, alzandomi per uscire fuori.
Presi la mia macchina e andai a casa di Olivia, per il nostro appuntamento ricorrente.
Mi sistemai la faccia, per non far capire che avevo pianto.
Quando arrivai al suo piano, notai che la porta era socchiusa.
Confusa, la aprii lentamente.
Non c’era niente di sospetto, solo lei, in cucina, che sembrava stesse parlando da sola.
Pryce aveva ragione, prima o poi Olivia avrebbe delirato.
Iniziai già a vedere i segni della malattia lungo tutto il suo braccio.
-Ciao amichetta, mi sono divertita un sacco oggi, sai?!- esclamò, contenta.
-Davvero?-
-Sì, credo di aver fatto breccia nel cuore di quel sexy investigatore.-
Dovevo o non dovevo dirgli del fatto che Isaac era un vero e proprio maniaco?
Forse è meglio di sì, da brava falsa amica.
-Olivia, credo che sia meglio che tu interrompa i contatti con Isaac: Roman ha scoperto che stava facendo il doppiogioco e poi è un maniaco del cazzo, ha tentato di sedurmi.- spiegai, disgustata.
Lei fece un sorriso malizioso.- Beh, a me piace essere toccata e non sai quanto è bravo con la lingua.-
C’era qualcuno che non cadeva ai piedi di Olivia?
-Come due ragazzini siamo sgattaiolati dentro la vecchia villa, per un pelo il guardiano non ci ha beccato.- raccontò ridacchiando. -Devo trovare in fretta altri soldi da dargli per trovare mia nipote, dopo tutto quello che ho fatto per farla nascere, devo trovarla assolutamente.-
Quell’ultima frase mi incuriosì e stranì.- Tutto quello che hai fatto? Perché? Cos’hai fatto?-
-So che tra Upir non ci si dovrebbe soggiogare, ma non avevo altra scelta, era l’unico modo per continuare la mia stirpe.- spiegò.
Intendeva dire quello che stavo pensando.- Hai obbligato Roman ad andare al letto con Letha?-
-Diciamo che gli ho dato una piccola spintarella, non esageriamo!-
Ora sì che mi viene davvero da vomitare.
-S-Scusa, uso un attimo il bagno.-
Corsi in bagno e rigettai dritto nel water.
Era una cosa abominevole, non ci potevo credere e Roman non sapeva niente, si era incolpato per tutto questo tempo.
Questo era davvero il limite.
Non vedevo l’ora che morisse.
Nel frattempo, però, a terra, notai delle gocce di sangue.
Anzi, era una scia.
La seguii per tutto il corridoio.
C’era un quadro storto e dei vetri a terra, come se ci fosse stato un litigio violento.
Le gocce finivano alla porta del ripostiglio.
Avevo davvero paura ad aprirla, ma presi coraggio.
Gesù Cristo.
E’ Isaac.
Appeso al gancio per i cappotti come un maiale.
Era lì da almeno due giorni.
-Tutto bene, bambina?-
Chiusi velocemente la porta e feci finta di niente.- Sì, credo di aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male.-
-A proposito di bambina: avrai sicuramente sentito quella ragazza che è venuta alla porta. E’ mia figlia, quella più grande, quella che mi portarono via dopo che lo stalliere scappò.-
Mi finsi sorpresa.- Ah, davvero?-
-Ci siamo incontrate ieri, al suo hotel, mi ha raccontato della sua vita…Voglio fare la brava madre, stavolta…Domani mattina andrò a trovarla di nuovo.- spiegò sorridendo.- Oggi non mi serve il tuo tè, sono felicissima!-
Non preoccuparti Olivia, non ne hai più bisogno.

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Capitolo 12
*** Ephipany ***


Quella stessa sera, cercai con tutte le mie forze di dormire.
Roman mi abbracciò da dietro.- Vuoi parlarne?-
Avevo talmente tanti pensieri in testa, mi fumava il cervello.
Dovevo tirare tutto fuori.
Tutte le bugie.
Meritavano tutti di sapere.
Forse Roman mi avrebbe odiato, ma dopotutto, io lo facevo per lui.
Mi voltai a guardarlo.- Se io ti avessi detto una bugia per il tuo bene, tu mi perdoneresti?-
-Non lo so, dipende da quanto è grande la bugia.-
Ormai non importavano le conseguenze.
Dovevo fa sì che si incontrassero tutti e tre.
Lui, Olivia ed Annie.
-E’ da un po' che non vediamo Annie.- commentai.
-Credevo che fossi gelosa di lei.-
-Solo all’inizio, perché ti ronzava intorno…Ma alla fine ci ha dato una mano.-
Lui ci rifletté.- Potremmo andare al suo hotel.-
Sì, è perfetto.
-Ottima idea, domani mattina.-
-Va bene.-
Ora sì che potevo dormire sonni tranquilli.
Domani rivelerò tutto, ogni segreto, ogni bugia.
Domani sarà la loro Epifania.
***
Era una giornata davvero importante per me, quasi una coincidenza.
Erano passati 14 anni esatti dalla morte dei miei genitori.
Non sapevo cosa sarebbe venuto fuori da quella riunione.
Ci pensai mentre eravamo in macchina, guardando fuori i palazzi che passavano velocemente.
Olivia si sarebbe resa conto di quanto avesse sbagliato ad accogliermi in casa sua.
Annie, non so, forse si sarebbe dispiaciuta della malattia della madre.
Roman, beh, Roman si incazzerà di brutto, prima con sua madre e poi con me, per avergli nascosto tutto.
Probabilmente alla fine di questa giornata, sarò tornata single e nel mio appartamento.
A meno che Roman non capisse che lo avevo fatto per il suo bene e anche il mio.
Non appena raggiungemmo la camera col numero giusto, apparve anche Olivia, nel suo solito vestito bianco e rosso, che aveva già bussato alla porta.
-E tu che ci fai qui?- le chiese Roman, stringendo i denti: era da tempo che non si rivedevano.
A quel punto, Annie aprì la porta.
-Roman…-
Olivia fu confusa.- Lo conosci?-
Mi sembrava di trovarmi in una sitcom americana comica, mancavano solo le risate di sottofondo e furono le mie.
Tutti e tre si voltarono a guardarmi con le sopracciglia aggrottate: i loro buffi sguardi mi stavano facendo morire dalle risate.
-Dovreste vedere le vostre facce.- esclamai, asciugandomi qualche lacrima.
-Cos’è uno scherzo?- balbettò Annie.
-Oh no, tesoro, purtroppo è tutto vero.-
-Ma di che stai parlando?- ribatté Roman.
-Mio caro, ti presento Annie: tua sorella maggiore.- gli dissi, entrando dentro la camera.
Era molto pulita, piccolina, con un tavolino, un letto matrimoniale e un bagno.
Non era ricca come Olivia e Roman.
La porta si chiuse e i tre iniziarono a borbottare fra di loro, creando caos.
Sì, era una vera e propria sitcom e io ero la voce narrante che doveva spiegare cosa stesse succedendo.
Alzai gli occhi al cielo.- State zitti!- gridai appena, ottenendo la loro attenzione.- Seduti!-
Come marionette, la famiglia Godfrey si sedette sul letto, con gli occhi su di me.
Io, invece, presi l’unica sedia disponibile e mi sedetti davanti a loro, a cavalcioni su di essa.
-Lasciate che vi spieghi tutto dall’inizio.- esordii.- Roman, che giorno è oggi?-
Roman prese il telefono e lesse lo schermo.- 11 febbraio.-
-11 febbraio…Sono passati 14 anni da quando hai ucciso i miei genitori.- dissi ad Olivia, guardandola dritto negli occhi. Quando la conobbi, erano vivaci, adesso, sembrano due prugne marce.
Lei si grattò la guancia.- Credevo fosse una storia passata.-
-Non lo è e non lo sarà mai. Li hai uccisi perché avevi paura che loro uccidessero te. Non avevi idea di cosa avesse inventato Spivak, perciò hai deciso di uccidere loro e chiunque avesse a che fare con quella storia…Compreso tuo marito.-
-J.R. era un debole, si era fatto ammaliare da quella puttana di tua madre.- commentò Olivia.
Ormai gli insulti su di loro non mi scalfivano più.- Non conosco i motivi di J.R., ma tu hai ucciso tuo marito e hai cresciuto tuo figlio mentendogli per tutta la vita. E ti sorprendi che ti odi?- replica, stringendomi nelle spalle con ovvietà.- Ma non ti sei limitata solo ad ucciderli, vero, Olivia? Sai, ci ho messo tre mesi per capire il tuo malvagio piano e devo dire che Hitler ti invidierebbe se fosse ancora vivo. Non sapevi che cosa avesse in mente Spivak, perciò hai attuato un piano tutto tuo: hai obbligato mia madre a fare quella maledizione su di me, così saresti stata sicura che la tua sporca e maledetta stirpe continuasse.-
Olivia accavallò le gambe.- Quell’idiota non si faceva trovare.-
-Hai tenuto la bocca chiusa fin che non sono entrata in casa tua, 14 anni dopo e sì, Olivia, hai mentito, perché tu mi hai riconosciuta non appena mi hai vista. Hai colto l’occasione che fossi amica di Roman. Credi che io non abbia capito quale fosse il tuo sporco giochetto? Mi hai insultata più volte, dicendomi che ero feccia e che Roman non mi avrebbe mai guardata. Conosci gli adolescenti, sicuramente te ne sarai fottuta chissà quanti: perciò sapevi che più mi allontanavi da lui e più io mi ci sarei buttata contro. Però, sei stata astuta, perché ti sei creata anche un piano di riserva: l’amore è imprevedibile, non sapevi se con Roman avesse funzionato, allora hai soggiogato il tuo stesso figlio e lo hai costretto a stuprare la sua sorellastra, garantendoti un erede.- spiegai, senza neanche prendere fiato.- Letha era umana e sapevi benissimo che se un’umana partorisce un Upir, c’è il 69% di probabilità che muoia dandolo alla luce. Quindi, avevi quello che volevi: un’erede, ma non hai calcolato quello che avrebbe fatto Spivak.-
Trovai una bottiglia d’acqua sul tavolino e bevvi un sorso per schiarirmi la gola.
-Probabilmente credi che sia stata solo fortuna che, nel frattempo, io e Roman ci siamo messi insieme. Tuttavia, ti posso garantire, che io e tuo figlio abbiamo qualcosa che tu non avrai. Non ce l’hai avuta con J.R. e non ce l’avresti avuta neanche con Norman, non dopo che gli hai ucciso la mogliettina. Però non ti biasimo, sai? Sei una donna. Anche io volevo uccidere Annie la prima volta che l’ho vista, ma non l’ho fatto perché mi ha detto subito che era sua sorella.- continuai, mi vennero gli occhi lucidi a parlare di Roman, però tirai indietro le lacrime. -Tu vuoi gli uomini e se gli uomini non vogliono te, cosa fai? Li uccidi.- ridacchiai, guardando Annie.- Anche tuo padre, Annie, mi dispiace.-
Le sue labbra tremarono.- C-Cosa?-
-Ci ho messo davvero tanto a trovarlo, ma alla fine ce l’ho fatta. Io e te abbiamo una cosa in comune: tuo padre aveva il mio stesso cognome, probabilmente è il motivo per cui Olivia mi odia tanto. Si chiamava Dimitri, era un nomade e un giorno fece l’errore di diventare lo stalliere della famiglia di Olivia. I due si innamorano e lei rimane incinta. Dimitri decide di scappare e porta la bella bambina ricca con se…Fin che non scopre che non è poi tanto carina. Scopre la sua vera natura e decide di abbandonarla. Sì, Annie, ho trovato tuo padre: fatto a pezzi da un animale, lei.-
-Bene Lily, hai fatto tutti i tuoi studi e hai scoperto la verità…Cosa pensavi che sarebbe successo? Pensi che usciti di qui io non ti mangerò per cena?- intervenne Olivia, digrignando i denti.
Io le sorrisi, non mi faceva più paura.- Oh no, in realtà ho lasciato il meglio per ultimo.- risposi, estraendo dalla borsa un’ampolla vuota.- Sai cos’è questa?-
Lei sbuffò.- No.-
-Dentro questa fiala c’era il virus che sta facendo impazzire gli Upir…Quello che ha colpito anche te.-
Annie e Roman si guardarono scioccati.
E fu allora che Olivia si rese conto di quello che era successo: la paura che le attraversò gli occhi era una vera e propria goduria per me.
-Il tè…Mi hai avvelenata!- gridò con rabbia.
-Tu hai messo questo virus in circolazione?- mi chiese Roman.
Storsi la bocca.- Beh, in effetti ho fatto un piccolo errore, credevo che avrebbe funzionato solo con lei, non pensavo che fosse una specie di influenza che avrebbe contagiato anche tutti gli altri.-
-E non hai pensato che potrebbe contagiare anche Roman?!-
-Una volta che avrò capito come ampliare i miei poteri, troveremo Nadia e ce ne andremo da questa città di merda.- raccontai, tirando fuori la pistola dalla borsa.- Solo una volta che questa puttana sarà morta.- commentai, estraendo il caricatore e prendendo tra le  dita l’unico proiettile che c’era.- Lo vedi questo? Quando avrai iniziato a delirare e a divorarti da sola, ti sparerò in quella fottuta testa. Hitler ha perso la guerra perché era un cazzo di folle: hai ucciso talmente tante persone. J.K., Norman, Marie, Letha, Ochoa e perfino la Chasseur. Ah, se vuoi uccidere qualcuno, magari non farlo nel posto in cui l’insegna porta il tuo nome.- affermai, alzandomi per riporre la pistola nella borsa.- Tuttavia, devo ammetterlo, il tuo piano ha funzionato: sono incinta.- le dissi, aprendo la porta per andarmene.- Ma tu non rimarrai viva abbastanza per vederli.-
Il vento fresco dell’inverno mi invase la faccia.
Era una sensazione bellissima aver detto tutta la verità.
Mi sentivo benissimo.
Mi veniva quasi da piangere.
E mi aspettai anche la reazione di Roman, ero pronta a tutto.

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Capitolo 13
*** The medium and the vampire ***


Roman non mi parlò per tutto il viaggio in auto.
Me lo aspettavo.
La nausea era passata.
Ancora non ci potevo credere di avere due piccoli fagioli dentro di me.
Che cosa avrei dovuto fare?
Non lo so.
Quando scendemmo dalla macchina, davanti alla casa, trovammo Shelley.
-Shelley!- le corsi in contro per abbracciarla: stava sempre meglio.
Roman sgranò gli occhi, non la vedeva dal giorno del processo.
I due si abbracciarono per svariati minuti e poi, senza farle dire niente, Roman la spinse dentro la camera degli ospiti.
-Non mi importa quello che dice Olivia, tu resti qui e vivremo insieme come un tempo, io e te.- le disse Roman, iniziando ad andare per tutta la casa, cercando lenzuoli per la camera degli ospiti.
-Roman, io sto bene dove sto…-
Roman non sapeva che Shelley si fosse stabilita al Peto del Gallo.
-No invece, Shelley, dobbiamo stare insieme!- replicò lui.
-Non mi puoi comandare come fa la mamma.-
Le presi la mano.- Tranquilla tesoro, non vuole comandarti, è solo un pochino arrabbiato adesso.-
-Tu chiudi quella bocca del cazzo!- intervenne Roman, con tono duro.
Le sorrisi.- Visto? Boccucia di rosa.-
-Quando tutto questo sarà finito, saremo io e te, Shelley.-
Lei lo guardò confusa.- Che intendi dire?-
-Olivia è malata, ha il cancro, non riuscirà ad arrivare a fine mese.- spiegò lui.
Shelley abbassò lo sguardo: non ci potevo credere che dopo tutto quello che le aveva fatto passare, fosse addirittura dispiaciuta per lei.
-Non dirmi che ti dispiace. Shelley, lei ci ha fottuto la vita! Non ti ha mai amata, anzi, ti disprezzava. Era contenta che fossi scomparsa, così non si sarebbe dovuta svegliare tutti i giorni con una figlia così orrenda.-
Bel lavoro, Roman, davvero delle belle parole.
Si accorse subito di quello che aveva detto e le mise le mani sulle spalle.- Sai cosa intendo…Io ti voglio bene.-
-Ero venuta qui per chiederti un consiglio…Tutto questo odio posso averlo anche dalla mamma.- commentò Shelley, prima di andarsene.
Roman non cercò nemmeno di fermarla, perché sapeva che avesse ragione.
-Bel discorso.- intervenni.
-Tu sta zitta! Hai parlato fin troppo oggi!-
Okay Roman, è la seconda volta che mi dai contro, adesso basta.
-Shelley ha ragione, per quanto ti sia difficile ammetterlo. Puoi rompere tutti gli specchi di questa casa, ma dentro di te sai benissimo di essere come lei!- replicai.
-Non sono un assassino!- ribatté, fissandomi negli occhi.
-Allora dimostralo.-
-Da quanto sapevi di Annie? Da quanto sapevi tutta quella roba?- mi chiese, togliendosi nervosamente la giacca.
-Da prima che ci rincontrassimo alla festa di J.R. Per questo mi sono dovuta allontanare da te, Roman, per scoprire la verità, dovevo farlo.- spiegai, mentre lui aprì il frigo per versarsi della vodka.
-Avresti dovuto lasciare che ti aiutassi.-
-No, tu non mi avresti mai aiutato, mi avresti distratto.- commentai, incrociando le braccia.
Bevve un sorso e poi lanciò il bicchiere sul muro, frantumandolo in mille pezzi. -Perciò hai deciso di mentirmi. Per tutto il tempo che ho dormito con te, non avevo idea di chi avevo accanto.-
Sobbalzai, alzando gli occhi al cielo, stava facendo il melodrammatico.- Sono sempre io Roman! Solo che non sono più così debole! Ho dovuto imparare a difendermi e sì, anche ad uccidere. Per giorni ho pensato al bene degli altri, prima il Vargulf, poi Peter, poi Nadia, adesso sono stanca…Tocca a me essere felice!-
-E la felicità la trovi uccidendo quelli della mia razza, suppongo. Allora va bene…- continuò, strappandosi la camicia.- Forza, pugnalami al cuore come sai fare!-
Mi bagnai le labbra, sentivo la gola secchissima.
Gli accarezzai lentamente il petto e notai la piccolissima cicatrice sotto al pettorale. -Ti ricordi quando ti ricucii la ferita? Il giorno in cui scoprimmo che Letha e Peter erano messi insieme?- gli chiesi, continuando a passare la mano su di lui. -Io volevo che tu guardassi…E’ stato il giorno in cui ho capito di essermi innamorata di te, perché dove tutti gli altri vedevano un mostro, io vedevo un bambino impaurito.-
Di scatto, mi prese il viso tra la mano con forza, guardandomi negli occhi.- Ti odio.- singhiozzò, con una lacrima che gli cadde sulla guancia.
Sapevo che non intendeva dire quello.
-Anche io.-
Successivamente, mi avvicinò a se e mi baciò con passione, infilandomi la lingua dentro la bocca a forza.
Lasciò la presa e mi sollevò per i fianchi, mettendomi sopra il tavolo.
Ecco perché non lo volevo tra i piedi durante la mia ricerca.
Perché invece che concentrarmi sull’obiettivo, mi sarei fatta distrarre da lui e probabilmente avremmo fatto sesso in ogni angolo della casa, concedendoci l’uno all’altra senza pudore.
All’inizio fu violento con me, poi si addolcì.
Passò da spinte secche, ad ondulate, stringendomi i capelli tra le dita.
Mi strappò la maglietta, inserendo la bocca in mezzo al mio seno.
Era bello e doloroso allo stesso tempo.
Com’era giusto che fosse.
Ci lasciammo andare ai gemiti, fin che non finimmo sul tappeto, a fissare il soffitto.
-E’ successo anche a me, quella sera. Mentre mi ricucivi capii che eri l’unica ragazza che probabilmente mi avrebbe mai accettato come sono. E mi fa incazzare che fosse tutto un piano di Olivia, questa è la cosa che mi manda fuori di testa.- esordì Roman.
No Roman, noi ci siamo innamorati perché è successo.
-Sì, era un piano di Olivia, ma non poteva sapere se sarebbe accaduto o no.- replicai, voltandomi verso di lui.- Olivia non è cupido. Io e te…Non so come spiegarlo…Siamo io e te.-
Anche lui mi guardò.- Troviamo Nadia e ce ne andiamo di qui?-
Annuii, lasciandogli un bacio sulle labbra. – Andiamo alle Hawaii, ci prendiamo una bella casa sulla spiaggia e vissero tutti felici e contenti.-
Sorrise appena.- Perciò vuoi tenerli?-
Su questo non ero ancora del tutto sicura.
-Ancora non lo so, te lo farò sapere.- risposi.- Un giorno potremmo dirgli: ehi tesori, attenti a dove mettete le mani, mamma e papà ci hanno scopato su quel tavolino.-
Scoppiammo entrambi a ridere: mi faceva strano dire mamma e papà.
In quel preciso istante, suonò il campanello.
Roman si mise i pantaloni e io usai la sua camicia strappata per coprirmi.
Roman aprì la porta ad Annie: non riusciva nemmeno a guardarla.
-Possiamo parlare?- gli domandò.
Lui incrociò le braccia.- Non ho niente da dirti.-
-Sono venuta ad Hemlock Grove per cercare i miei simili, per cercare mia madre, non sapevo che sarebbe successo tutto questo casino…-
Decisi di lasciarli da soli e salii in camera, proprio nello stesso momento che mi squillò il telefono.
Era Destiny.
-Lily, lui è qui, il tipo che ha ucciso Andreas!- sussurrò, tremando. -Ha il suo orologio, è qui al ristorante del centro, vieni presto, ti prego.-
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere.
Non sapevo che cosa volesse fare, ma era troppo pericoloso.
Lei contro il capo dei Croati.
Probabilmente aveva visto il suo viso nella visione.
Mi affrettai a cambiarmi e corsi all’unico ristorante che c’era in centro.
Quando scesi dalla macchina, sentii le sue urla nel parcheggio.
Aveva un coltello in mano, dritto verso Milan.
Peter la stava spingendo indietro, nonostante lei si dimenasse.
Andai in suo aiuto e l’allontanammo insieme.
-Quello è il suo orologio, io lo so!- insistette Destiny.
-E’ un orologio comune, ce lo possono avere tutti!- replicò Peter, col fiatone.
Ma entrambi sapevamo che non era così.
Che quell’uomo aveva davvero ucciso Andreas.
-E’ stato lui, io lo so…- singhiozzò Destiny, stringendosi a me.
Mi ero sbagliata.
Le bugie non erano finite.

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Capitolo 14
*** The person that you love more ***


Io e Peter portammo a casa Destiny e cercammo di farla calmare.
Serviva che pensasse a qualcos’altro, così creai una specie di diversivo.
Le preparai il tè come piaceva a lei.
-Sai avevi ragione…Le medium non si sbagliano mai.- le dissi, con un piccolo sorriso.
-Riguardo cosa?-
-Sono incinta.-
Peter sgranò gli occhi.- Cosa?-
Destiny mi sorrise appena, dopo tanto.- Tesoro, ma è meraviglioso.- commentò, accarezzandomi la guancia. -Forse, dopotutto, mi sbagliavo su Roman.-
-E hai intenzione di tenerli?- mi chiese Peter, sembrava contrario.
Alzai le spalle, insicura.- Non lo so, ci sto pensando.-
A quel punto, il suo viso dispiaciuto mi fece capire che anche io ero dispiaciuta per lei.
Anche dopo tutto quello che mi aveva fatto, io continuavo a volerle bene.
Credo sia nella mia natura, amare le persone che mi fanno male.
E allora capii che non era Roman la persona alla quale tenevo di più, era lei, era Destiny, la mia mamma.
Quella che mi aveva cresciuto quattordici anni, dandomi tutto, anche quando non aveva niente.
In quel momento, controllò l’orologio.- Devo andare alla centrale, vogliono farmi ascoltare la registrazione di una chiamata al 911.-
Probabilmente la chiamata che aveva fatto Roman dalla cabina telefonica: sperai che non riconoscesse la sua voce.
-Ti accompagno a casa…- continuò Peter.
-Posso anche rimanere…Peter, non devi affrontare per forza tutto questo da solo.- replicai, prendendogli la mano.
-Ah, Lily, come farei senza di te?- bofonchiò, baciandomi la fronte.- Ma è una mia responsabilità, tu ci sei già fin troppo dentro. Risolverò tutto, te lo prometto.-
***
La frase di Peter non mi fece comunque stare tranquilla o forse erano gli ormoni.
In mattinata, tornai al Peto del Gallo con un nuovo libro per Shelley.
Ma quando entrai dentro la sua stanza, la trovai a parlare con Annie.
-Ciao Lily, lei è Annie…Mia sorella.- esordì Shelley.
Le sorrisi, mettendomi le mani in tasca.- Sì, lo so, ci conosciamo già.-
-Sapevo che mio padre era un Don Giovanni, ma…- commentò Shelley.
-No, abbiamo la stessa madre. Lei era molto giovane quando ebbe me e fu costretta ad abbandonarmi.- spiegò Annie, osservando la stanza.- Ti piace leggere.-
-Sì, molto.-
-Sai cosa ho notato nella casa di tuo fratello? Che non ci sono libri…E una casa senza libri è come un’anima persa.- continuò Annie. -Sono venuta qui perché ti volevo conoscere prima di andare via.-
Shelley aggrottò le sopracciglia.- Non ti rivedrò più?-
-Prometto che passerò quando posso.-
Era giusto, aveva scoperto la verità sulla sua famiglia e adesso non aveva più niente da fare ad Hemlock Grove.
Vidi Shelley triste, quindi decisi di ravvivare la situazione.- Beh, io invece sono venuta per darti una bella notizia: sono incinta.-
Gli occhi le si illuminarono e mi abbracciò.- Ma è fantastico! Diventerò zia!-
In effetti, il fatto che lo stessi dicendo a tutti, inconsciamente voleva dire che avevo deciso di tenerli.
Lascia il libro a Shelley e con Annie mi avviai all’uscita.
-Quando ho partorito mia figlia è stato il giorno più bello della mia vita…Per mesi mi sono chiesta se sarebbe stata umana o un Upir e l’ho amata lo stesso.- raccontò Annie.
Avevo sempre detto che Annie mi stesse simpatica e della sua storia mi dispiaceva.
-Non l’ho mai raccontato a nessuno prima di te.- mi disse, guardandomi negli occhi.- Sei davvero una bella persona e mi dispiace per quello che ti ha fatto mia madre: so che cosa significa perdere qualcuno.-
-E a me dispiace per tuo padre.-
-Dentro di me, è come se lo sapessi da sempre, ma non volessi accettarlo: insomma, lei non mi aveva mai cercato, nonostante avesse molti soldi.- raccontò, abbassando lo sguardo. -Ma tu puoi fare di meglio, Roman ha bisogno di te per distruggere i suoi demoni interiori.-
Aveva ragione: io avevo bisogno di lui quanto lui di me.
Quindi forse sarebbe andata bene.
Magari avrei potuto affrontare il parto, magari sarebbero stati due umani.
La visione di Destiny era così felice.
E io mi immaginavo di avere una vita felice, dopo aver trovato Nadia.
Noi quattro.
Una vera famiglia.
Volevo essere positiva.
-Voglio essere felice, Annie.- affermai.
Lei mi sorrise, prendendomi il viso tra le mani.- Allora corri a dirglielo.-
Mi vennero i brividi, aveva ragione.
Roman doveva saperlo.
Doveva saperlo che volevo vivere tutta la mia vita con lui.
E poteva essere egoista da parte mia, ma non mi interessava che io sarei invecchiata e invece lui no.
Salii in macchina e guidai fino alla Torre Bianca.
Corsi all’ascensore, evitando la reception che insisteva nel mettermi un badge.
Con le mani che mi tremavano, spinsi il numero del piano sullo schermo.
Superai l’entrata ed entrai direttamente nella sala delle riunioni, dove lui stava parlando agli altri.
Mi guardò stranito e imbarazzato.- Che ci fai qui?-
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai con passione, davanti a tutti.
Non mi interessava, per me c’eravamo solo io e lui.
Il resto non importava.
Mi strinse i fianchi, ricambiando il bacio fino a non avere più fiato.
-Sì.- gli sussurrai, poggiando la fronte sulla sua.
Lui aggrottò le sopracciglia.- Sì per cosa?-
-Voglio tenerli e voglio stare con te, fin che non sarò una decrepita, vecchia e rugosa.- spiegai, guardandolo negli occhi.
A quel punto, lui sorrise e gli brillarono gli occhi.- Davvero?-
-Sì.-
Lo vidi trattenere le lacrime e tirare su col naso.- Sei la cosa più bella che mi sia capitata, Lily.- commentò, baciandomi a stampo più volte.
Poco dopo, osservai i suoi colleghi guardarci male e Pryce fu l’unico ad applaudire.
Oddio, ma che ho fatto?
Arrossi sotto i loro sguardi.
-Ehm, scusate, non volevo interrompere.- balbettai imbarazzata, andandomi a sedere vicino a Pryce.
-Non fa niente, tanto avevamo finito.- continuò Roman, sedendosi vicino a me. -Sarebbe tutto perfetto se mia madre fosse già morta.-
-Non lo è da quando me lo hai chiesto l’ultima volta, cioè ieri.- intervenne Pryce.
In quello stesso momento, Trevor entrò con una valigetta.
Il suo sguardo era strano, come ipnotizzato.
Aprì la valigetta e mise sul tavolo alcune scartoffie.
In quel preciso istante, notai un piccolo fucile d’assalto.
Alzai lo sguardo su di lui: aveva un inquietante sorriso che non gli avevo mai visto.
Lo vidi prenderlo tra le mani e gridai.- Giù!-
Improvvisamente, iniziò a sparare all’impazzata contro tutto il consiglio.
Io, Roman e Pryce ci nascondemmo sotto il tavolo.
Sentii le persone cadere a terra come foglie dall’albero in una giornata ventosa.
Solo quando fu finito il caos, feci capolino fuori insieme a Roman.
Trevor lo puntò dritto verso di lui e lo avrebbe preso se io, da sotto il tavolo, non gli avessi fatto lo sgambetto.
Mi alzai velocemente e con un calcio gli tolsi l’arma.
Scoprii che in tasca aveva un’altra pistola: se la puntò alla tempia e sparò.
Non capivo cosa fosse successo, Trevor non era un assassino.
Pryce gattonò verso il corpo: tutti e tre notammo un verme verde uscirgli dalla tempia.
-Ma che cazzo è?-
-Interessante.- commentò Pryce.
Lui stesso fece prendere il corpo dai suoi colleghi per portarlo in laboratorio.
Io e Roman lo seguimmo.- Che cosa vuoi fare?-
-Dobbiamo mantenerlo in vita per non lasciare che l’essere muoia così da studiarlo e capire cosa sia successo.- spiegò Johann, spingendo la barella in fretta nel suo laboratorio.
Gli segarono il cervello e collegarono vari tubi col sangue per farlo restare attivo.
Mi salì la nausea a vedere quello scempio.
-Non credo che queste siano nausee mattutine.-
-Dannazione, vorrei poter vedere nella sua memoria!- esclamò Pryce.
-Io posso farlo.- intervenni.
-Davvero?-
-Sei sicura? Non sappiamo cosa ci sia nel suo cervello.- disse Roman.
Annuii decisa.- Posso farcela: Destiny dice sempre che con i cadaveri è facile. Non si muovono, non resistono e non ti spezzano il cuore.- Poggiai una mano sulla sua tempia e l’altra la porsi a Roman.- Dammi una mano, così sarò più potente.-
Chiusi gli occhi e mi concentrai.
La prima cosa che vidi fu Trevor che tornava alla sua macchina, nel parcheggio.
Non fece in tempo ad aprire la portiera che una coda squamosa lo afferrò.
-Spivak lo ha rapito.-
Vidi una casa di legno, con neve tutt’intorno.
-Sono in una specie di baita di montagna, sta nevicando.-
Dimmi che posso vedere il nome della via, ti prego.
-Lily, ti sanguina il naso.- mi disse Roman.
Lo sentivo scendermi giù per le labbra, ma non cedetti.
Ero così vicina a vedere il posto.
-Solo un attimo, p-posso vedere dove sono.-
Percepii le gambe tremarmi, mi stavo indebolendo.
-Lily, adesso basta!- esclamò Roman, interrompendo il collegamento.
Mi ressi a lui per non cadere e mi tamponai il sangue con un fazzoletto.- Non sono riuscita a sapere la via: ma è uno baita, sta nevicando, è inverno.-
Pryce sbuffò.- Questo restringe il campo solo a metà del globo.-
Mi morsi il labbro nervosamente.- Mi dispiace.-
Roman mi fece sedere.- Va tutto bene, hai fatto il possibile.-
-Ha ragione, andate a casa, riposatevi.- disse Pryce, estraendo con una pinzetta il verme dal suo cervello.- Io studierò questo coso.-

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Capitolo 15
*** Haunted by the ghost of you ***


Quando uscimmo dalla Torre Bianca, mano per mano, trovammo una volante della polizia ad aspettarci.
Non mi era nuova quella situazione.
Mi si avvicinò un poliziotto paonazzo e con la barba.- La signorina Dimitri?-
In realtà avevo paura a rispondere.- Sì…?-
-Dovrebbe seguirmi alla centrale per una deposizione.-
-Riguardo cosa?- intervenne Roman.
Capii subito che si trattava di Destiny e forse era meglio non peggiorare le cose.
-Non fa niente, vengo con lei.- gli dissi, salendo in macchina.
Io e Roman ci fulminammo con lo sguardo: non sapevo cosa fosse successo, però avevo uno strano presentimento.
Lo stesso poliziotto mi fece entrare in una di quelle sale da interrogatorio tutte grigie, con Destiny che sembrava mi stesse aspettando e un registratore sul tavolo.
-Ciao Lily, siediti, per favore.- mi disse, con tono secco.
Pareva arrabbiata, ma non lo voleva far vedere.
Ero nervosissima.
Mi sedetti accanto a lei: fece cenno al poliziotto di avviare la registrazione.
C’è un uomo a terra, credo che non respiri. Fate presto. Penso che non si risveglierà.
Erano le parole che Roman aveva detto alla polizia e aveva usato una voce rauca per nascondere la sua.
-Conosci questa voce?- mi domandò Destiny.
Scossi la testa, ma non ero affatto credibile.- No, non la conosco.-
Destiny rimise la registrazione da capo.
C’è un uomo a terra, credo che non respiri. Fate presto. Penso che non si risveglierà.
Si fissò a guardarmi, invece io non ci riuscivo.- Te lo richiederò una volta sola, Lily: conosci questa voce?-
Lei lo aveva capito, aveva capito che era di Roman, però voleva la conferma da me perché sospettava che c’entrassi qualcosa.
Anzi, ne era sicura.
Mi veniva da piangere, non ce la facevo più. -Mi dispiace…Non lo so.-
Destiny mi afferrò per la maglietta, trascinandomi fuori dalla centrale di polizia come si prende un ragazzino dalle orecchie.
Mi spinse dentro la sua auto.- Vediamo se Roman è dello stesso pensiero.-
Non sapevo cosa fare, né cosa dire per fermarla.
Mi sentivo solo così in colpa per averle mentito.
-Destiny, ti prego, lui non centra niente!- esclamai, mentre andò con passo duro verso la porta e suonò il campanello.
-E allora smettetela di mentirmi! Tu, Peter, gli amici di Andreas!- ribatté, battendo la mano sulla porta.- Apri questa cazzo di porta Roman!- gridò come una pazza.
Roman venne ad aprire confuso.- Ma che cazzo succede?!-
Destiny entrò di prepotenza.- Sei stato tu a chiamare la polizia, vero?-
Lui incrociò le braccia, facendo il vago.- Non so di cosa tu stia parlando.-
-Davvero? C’è un uomo a terra, credo che non respiri. Fate presto. Penso che non si risveglierà.- ripeté, con voce rauca.- Sei stato tu.-
-Cosa ti ha detto Peter?-
-Niente! Mi sta mentendo come state facendo voi!- urlò, gesticolando.
Ero stanca, era ora di dire la verità.
-Aveva girato un video porno con la fidanzata del capo dei Croati, Milan e lui gliel’ha fatta pagare.- raccontai.
-Siete delle fottute merde, tutti voi.- singhiozzò Destiny.
Roman sbottò.- Va a fanculo tutta questa cazzo di cosa e va a fanculo tu!-
Non mi aspettavo questa sua reazione.
-Sai perché i suoi amici ti hanno mentito? Perché metà di loro sono morti per la stupidità di Andreas!-
-Sei un bugiardo!-
-Tu non mi conosci e non mi conoscerai mai! Lo abbiamo fatto per parargli il culo! Perciò non venire in casa mia con le tue cazzo di scarpe a dirmi quello che posso o non posso fare! Io non centro un cazzo con la morte del tuo fottuto maritino!-
Seguirono attimi in cui entrambi si gridarono contro e io non riuscivo a riconoscerli più.
Si diedero contro come due predatori della savana, urlando e insultandosi a vicenda.
Stavano letteralmente andando fuori di testa e mi stavano spaventando.
-Adesso basta! Vi prego!-
Improvvisamente, Destiny gli diede un pugno sul labbro, facendolo sanguinare.
Roman aveva uno sguardo sadico mentre sputò il sangue a terra.
Non lo avevo mai visto così.
Quello sguardo…Lo avevo visto solo negli occhi di quegli esseri affamati di vampiri, con il virus nelle vene.
Di scatto, Roman ricambiò il pugno e Destiny cadde dritta sul tavolino di vetro con la nuca.
Gridai come una pazza, non capivo perché lo avesse fatto.
Cercai di soccorrerla: il suo corpo aveva gli spasmi e dalla sua testa usciva una marea di sangue.
Doveva essere portata in ospedale, subito.
-P-Prendi la macchina, Roman, ti prego, dobbiamo portarla in ospedale.- balbettai, in preda al panico.
Lui si inginocchiò su di me, rosso in viso.- Ha la testa spappolata Lily, non sopravviverà comunque.- ribatté, con tono calmo.
-E-E allora che facciamo?-
In quell’istante, Roman le prese la testa e con un gesto secco le spezzò il collo, mettendo fine alle sue sofferenze.
Non ci potevo credere, l’aveva uccisa.
Il Roman che conosco io non lo avrebbe mai fatto.
D’un tratto, mi balenò un pensiero nella mente.
No, non è possibile che lo abbia preso anche lui.
Ditemi che non è così.
-Perché lo hai fatto?- mormorai con gli occhi pieni di lacrime.
Osservai le sue labbra tremare nel guardarmi.- Non lo so.-
L’unico modo per esserne certi era portarlo da Pryce.
Adagiai il corpo di Destiny sul divano e lo coprii con un lenzuolo.
Sapevo di non essere abbastanza lucida per guidare, ma dovevo portare Roman alla Torre Bianca e fargli fare delle analisi.
Se avessi avuto ragione, un piccolo tumore avrebbe dovuto essere già presente nel suo cervello.
Ti prego, fa che non sia così.
Per tutto il tempo, Roman mantenne lo sguardo fisso nel vuoto, probabilmente continuando a chiedersi cosa fosse successo.
Gli presi la mano e lo portai da Johann che ancora stava lavorando sul verme.
-Credevo di avervi detto di andare a casa.- esordì sospirando.
-M-Mi serve una tac alla testa, subito.-
Pryce mi guardò stranito, ma ci portò nella stanza con la macchina.
Feci sdraiare Roman, ancora paralizzato, mentre io e Pryce ci fermammo davanti agli schermi.
Chiusi gli occhi e unii le mani.- Ti prego, ti prego, ti prego.-
-Cazzo.-
Quando li riaprii, sullo schermo vidi una massa rossa nel cervello di Roman.
-Mi dispiace tanto, Lily.-
Mi mancò il respiro.
Non volevo crederci.
-Rifallo da capo.- gli ordinai.
-Lily, queste macchine costano milioni di dollari, non sbagliano.- replicò lui.
-Ho detto rifallo!- gridai, scoppiando a piangere.
Pryce mi afferrò le spalle con decisione.- Ha preso il virus, Lily! Non possiamo farci niente!-
Non può essere vero.
Avevo la carta della morte che mi rimbombava nella testa.
Mi lasciai andare lungo il muro, con i singhiozzi che non smettevano.
Le carte avevano ragione, sarebbe presto morto.
Preceduto da una potente agonia.
E la cosa peggiore era che io avevo messo in circolazione quel virus.
Io avevo ucciso Roman Godfrey.

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Capitolo 16
*** The lie ***


Questa non sono io.
Questa non è la persona che Destiny ha cresciuto.
Quanto si può cambiare in amore.
Quanto si può sacrificare per amore.
Roman ha capito tutto e, nonostante ciò, non ce l’ha con me.
Le lacrime erano secche ormai e mi avvicinai al lettino.
-Non so se è per il tumore che ho in testa, ma sembri molto più bella di 5 minuti fa.- commentò, sistemandosi il ciuffo.
Ridacchiai con gli occhi lucidi.- Dovresti odiarmi.-
Lui scosse la testa.- Non potrei mai…Io ti amo.-
Poggiai la fronte sulla sua, tirando su col naso.- Mi dispiace tanto, Roman.-
-Vedrai, troveremo un modo.- mi sussurrò, accarezzandomi la guancia.
-Scusate l’intrusione.- intervenne Johann.- Mi sembra di aver capito che sei incinta. Su questo piano abbiamo anche un ecografo, volete vedere il vostro bambino?-
So cosa stava facendo, voleva distrarci con cose belle per non farci pensare a quelle brutte.
Entrambi sorridemmo.- Sì, mi piacerebbe.-
Johaan mi fece stendere su un lettino e mi applicò un gel freddo sul ventre.
Accese la macchina e mi fece scivolare il rullo su di me.
-Oh, wow, sono due!- esclamò lui.
-Lo sappiamo.- rispondemmo in coro.
Lui ci guardò confusi e stampò l’ecografia. -Beh, per ora sembrano due piccoli fagiolini belli e sani.-
Roman fissò lo schermo con un sorriso a trentadue denti.- E’ meraviglioso.-
Lui sembrava così contento e volevo esserlo anche io, ma tornare alla realtà fu molto difficile.
Il corpo di Destiny era ancora coperto in mezzo al salone.
Avevo dimenticato di aver preso il suo anello di fidanzamento e di essermelo messo al dito.
Non volevo tornare a casa: avrei voluto prendere la macchina di Roman e scappare via con lui, lontano da tutti quei problemi.
-Che cosa facciamo con Peter?- mi chiese, mentre eravamo in ascensore.
Assolutamente no, ci avrebbe messo mezzo secondo ad ucciderlo.
-No, ti ucciderebbe per rabbia, senza calcolare che tu sia il suo migliore amico.- risposi tremando.
Parlando del diavolo…
Usciti dalla Torre Bianca, era come se Peter ci stesse aspettando. -Ciao, avete per caso visto Destiny? Non è tornata a casa.-
Lo ha scoperto ed è preoccupatissimo.
Mi tolsi l’anello velocemente e lo misi in tasca, prima che lo vedesse.
-No, non la vediamo dal giorno del funerale.- gli disse Roman, tranquillo.
È bravo a mentire, forse più di me.
-Ho paura che le sia successo qualcosa…-
Ci pensai su e mi inventai qualcosa su due piedi.- Cazzo, Peter, sei sicuro che non centri Milan? Ha tentato di ucciderlo, ricordi?-
Si passò una mano nei capelli, preoccupato.- Credi che dovremmo interrogarlo o robe simili?-
-Siamo in tre contro uno. Senza contare il fatto che abbiamo un vampiro ed un licantropo dalla nostra: dovrà per forza dirci cosa sa.- spiegai.
Peccato che quell’uomo non sapesse assolutamente niente di Destiny, tuttavia, aveva ucciso parte del branco e doveva pagarla.
Peter sapeva dove viveva: credevo che avesse tipo delle guardie del corpo, dato che era un uomo molto importante e invece niente.
Entrammo da una finestra aperta come niente fosse, attraversando un corridoio pieno di stanze.
Un altro che di soldi ne aveva e chissà guadagnati come.
Lo trovammo in una specie di camerino, pieno di vestiti, scarpe e gioielli.
Non fece in tempo a voltarsi, che Roman gli diede un pugno per stordirlo.
Misi il suo corpo su una sedia e gli legai caviglie e polsi con i lacci delle scarpe.
Non ci mise molto a riprendere conoscenza.
Milan era un ometto cicciottello, con una capigliatura alla Zac Efron in High School Musical.
Cazzo, è andata fuori di moda da almeno dieci anni.
-Che cazzo credete di fare?- borbottò, dimenandosi.
-Dov’è Destiny?- gli domandò Peter.
-E io che cazzo ne so?! Ma chi vi credete di essere, sporche famiglie zingare! Tutti voi! Rumancek, Dimitri e Godfrey! Andate all’inferno!- esclamò, sputandoci contro.
Peter alzò un sopracciglio.- Crede di sapere chi siamo.-
Roman fece un ghigno e gli si avvicinò, fissandolo negli occhi.
La sua mandibola si aprì spropositamene e lo morse alla spalla, staccandogli un pezzo di pelle.
Successivamente, Peter gli mostrò gli occhi argentati.- Ti conviene rispondere adesso.-
-Non so dove sia!- piagnucolò.- L-Luke, il tipo che ho messo a pedinarla dopo che ha cercato di uccidermi, non mi aggiorna da giorni.-
Assottigliai gli occhi.- Hai messo qualcuno a pedinarla?-
Lui mi guardò e rise.- E tu chi saresti? La mascotte del gruppo.-
Aveva davvero una faccia da schiaffi.
Non esitai a dargli un calcio nelle parti basse e lui urlò.
-Non ti conviene fartela nemica, sa il fatto suo.- commentò Peter.
-Dovresti vederla con una pistola in mano.- aggiunse Roman.
-Homunculus coileach saille grànna.- (Brutto omuncolo ciccione del cazzo)
-Non parlo il puttanese.- continuò lui.
Roman si imbestialì e lo morse all’altra spalla, questa volta staccandogli più carne.
In quel momento, notai che sul tavolino c’erano degli orologi, anche quello che aveva rubato ad Andreas, compresi alcuni gioielli.
Senza che Peter mi vedesse, estrassi l’anello e lo misi accanto agli altri.
-Peter, questo non è l’anello di Destiny?- gli dissi.
Peter capì che era proprio quello.- Te lo ripeterò una volta sola…Dov’è lei?-
Milan lo fissò negli occhi, trattenendo il dolore.- Non lo so.-
-Questo è il suo anello! Figlio di puttana!- gridò, iniziando a prenderlo a pugni, stava per ucciderlo.
Io e Roman lo allontanammo, mentre il sangue schizzò sul pavimento.
-Basta così! Ti serve una pausa.- gli dissi, trascinandolo in un’altra stanza.
-Sta mentendo.- balbettò, con le lacrime agli occhi.
-Lo so, ma credo che sia troppo per te…La luna piena è tra pochi giorni.- In quell’istante, mi venne un’idea e guardai Roman: mi toccai gli occhi, come a fargli un cenno di nascosto.- Ci pensiamo io e Roman, adesso.-
Roman annuì lentamente, mi aveva capita.
Rimisi l’anello in tasca, mentre Roman si accucciò su Milan, fissandolo negli occhi.- Stammi a sentire: adesso tu dirai ad alta voce che hai giustiziato Destiny e che l’hai sepolta nel bosco.- gli ordinò.
Nello stesso istante, osservai un segno sulla mano di Roman: erano gli stessi che aveva anche Olivia.
Lo tirai per la maglietta.- La mano, coprila.- gli mormorai.
Lui se ne accorse e la mise in tasca, velocemente.
-Okay, basta!- gridò Milan, col fiatone. -Va bene! L-L’ho giustiziata e…E sepolta nel bosco, non so dove, ora lasciatemi andare.-
Peter, dall’altra stanza, lo sentì.
Gli andò in contro di prepotenza e con la mano piena di artigli, gli tagliò la gola.
Successivamente, scoppiò a piangere.- E’ tutta colpa mia…-
Gli andai in contro, abbracciandolo.- Non è vero, tu hai fatto tutto quello che potevi, ricordatelo sempre.-
-Lei è morta…- singhiozzò, stringendosi a me. -La mia famiglia non c’è più…-
Veniva da piangere anche a me.
Gli presi il viso tra le mani.- No, perché io sono qui e non ti lascerò mai, hai capito?- bofonchiai, tirando su col naso.
Si asciugò il viso, annuendo.- Voglio solo tornare a casa, adesso.-
***
Subito dopo aver accompagnato Peter a casa, io e Roman ci affrettammo a seppellire il corpo di Destiny nel bosco, così che la versione di Milan reggesse.
Scavare nelle mie condizioni fu duro, ma dovevo farcela.
Sapevo che Peter avrebbe cercato il corpo, la notte di luna piena e avrebbe dovuto trovarlo, così da andare avanti con la sua vita.
Ma io riuscirò mai ad andare avanti?
Avevo molte morti sulla coscienza, aspettando il giorno di uccidere Olivia, dovevo pensare che Destiny era solo una delle tante.
Nonostante tutto, la ricorderò per sempre.
Non importa come fosse morta, lei era già parte di me.
Proprio come i miei genitori.
Lei era la persona più importante della mia vita.
Un momento…
Lei era la persona più importante della mia vita!
-Roman…-
-Che c’è?- bofonchiò, ricoprendo la fossa.
-Posso farlo.-
-Fare cosa?-
-Posso avere l’Occhio.-
Nel libro preso da casa di Destiny, si diceva che per avere l’Occhio si dovesse sacrificare la cosa che più si ama al mondo.
Bastava circondarsi di tre candele, con un oggetto appartenuto a quella persona.
L’anello.
Poi, la parte più difficile: si doveva morire.
O almeno, rallentare il cuore.
Molto di più di come avevamo fatto col ghiaccio.
Sì, posso farlo.

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Capitolo 17
*** The eye ***


Roman spostò tutti i mobili del soggiorno, mentre io accesi tre candele, appoggiandole a terra.
Mi sedetti in mezzo al cerchio, con l’anello davanti.
-E ora?- mi chiese.
A lui toccava fare una cosa molto difficile: so che gli chiedevo molto, ma era la nostra unica possibilità.
-Devi mordermi.-
-S-Stai scherzando? Se ti mordo ti ucciderò col veleno!- esclamò, sgranando gli occhi.
-Lo so, è quello il punto. Mi devi iniettare abbastanza veleno da farmi addormentare e poi me lo devi succhiare via.- spiegai, un po' spaventata.
-E c-come faccio a capire quando te lo devo succhiare via?- balbettò, grattandosi nervosamente la testa.
In realtà non lo sapevo.
-Troverò un modo.-
-Non lo so, mi sembra pericoloso.- commentò, torturandosi le mani.
Cercai di motivarlo. -Vuoi trovare Nadia o no?-
Prese un bel respiro e annuì, sedendosi dietro di me.- Questa è una pazzia.-
Mi voltai verso di lui, guardandolo negli occhi.- Mi fido di te.-
Mi accarezzò la guancia, prima di baciarmi.- Va bene, facciamolo.-
Mi scostò i capelli dal collo e, di scatto, addentò i suoi denti nella mia pelle.
Sentii un pizzico, come quando ti infilano l’ago in vena.
Poi, il mio corpo divenne come gelatina e mi si chiusero le palpebre.
Una volta riaperte, mi ritrovai seduta su un tappeto.
La stanza, intorno a me, aveva le pareti d’orate e una finestra.
Mi alzai per andare a vedere e osservai una bambina che giocava con un aquilone colorato, nel prato.
-Amavi gli aquiloni.-
Riconobbi la voce di Destiny alle mie spalle.
Sapevo che l’avrei incontrata, che sarei dovuta venire alle mie colpe.
-Eri una bambina così vivace e testarda. Non mangiavi mai le verdure, non tenevi mai la musica bassa e odiavi andare a scuola.- mi disse, affiancandomi.
Vederla di nuovo faceva uno strano effetto.
-Destiny, mi dispiace tanto…-
Voltò lo sguardo su di me.- A volte per essere felici si devono sacrificare delle cose. Lo so io e lo sapevano anche i tuoi genitori, quando si sono messi tra te ed Olivia, quella notte. Lo sapeva J.R. quando ha tentato di uccidere sua moglie per proteggere i suoi figli. E adesso lo sai anche tu.-
Ero un po' confusa.- Io? Cosa ho fatto di buono, io? Ho lasciato che Roman ti uccidesse senza fare niente. Ho lasciato che Christina divenisse un Vargulf perché ero troppo concentrata su altro. Ho lasciato che l’amore della vita di Peter morisse sotto le mani di Olivia. E adesso ho anche ucciso i ragazzo che amo.-
-Ma hai sempre saputo rimediare: hai sconfitto il Vargulf, hai aiutato Peter a proteggere la figlia di Letha, hai salvato Shelley dalla sua schifosa vita e mi hai resa libera dicendomi la verità su Andreas, quando non eri tenuta a farlo. Lily, tu hai fatto moltissimo in così poco tempo. E ti meriti la felicità.- spiegò Destiny, accarezzandomi la guancia.- Questo è quello che ti aspetta.-
Mi fece cenno di guardare alla finestra.
Il prato si è trasformato in una calda spiaggia, con un mare tranquillo.
Due bambini, un maschio e una femmina, escono da una casetta in legno bianco.
Corrono verso una ragazza, quasi adolescente, bionda e con gli occhi azzurri.
Li abbraccia e poi alza lo sguardo su di me.
Mi rendo conto che sono Nadia e i gemelli.
In seguito, mi vedo voltare lo sguardo verso qualcun altro, ma non riesco a capire chi sia.
Vedo solo i suoi occhi azzurri, quanto il colore dell’acqua.
Roman, fa che sia Roman.
Era un’immagine talmente bella che mi fece versare una lacrima.
-Ce l’hai fatta, Lily.- affermò Destiny, avvicinando le labbra al mio orecchio.- Se riuscirai ad uscirne viva.-
Mi girai verso di lei, però era sparita.
Sentii la testa andarmi a fuoco e le gambe tremare.
Il veleno mi stava entrando in circolo.
-Roman, fermati…- bofonchiai, accasciandomi a terra dal dolore.
Non sentivo più gli arti, riuscivo a muovere solo la bocca.
-Roman…-
Presi un bel respiro e urlai.
-Roman!-
Di scatto, mi si riaprirono gli occhi e Roman mi scosse, con il sangue che gli cadeva dalle labbra.
-Stai bene? Dimmi di sì!- balbettò terrorizzato.
Mi tamponai il collo e capii di non avere più veleno nel corpo, di essere fuori pericolo.- Credo di sì.-
Fece un sospiro di sollievo e mi baciò a stampo più volte.
-Ha funzionato?- mi chiesi.
Lui mi guardò bene.- Non lo so, hai un occhio marrone e l’altro azzurro. E’ normale?-
Mi alzai lentamente, andando a specchiarmi nella stanza degli ospiti.
Wow, era stranissimo: avevo una pupilla marrone e l’altra azzurra, proprio come Pullman.
-C’è solo un modo per scoprirlo.-
Roman prese la copertina di Nadia dalla sua culla e la fece bruciare su un vassoio.
Mi focalizzai sulle fiamme e, in pochi secondi, eccomi apparire qualcosa.
Era una sensazione stupenda, mi sentivo invincibile.
Ecco di nuovo la neve e la baita.
-Avanti, dammi un nome, avanti.-
In quel momento, proprio come se fosse la risposta alla mia domanda, la visuale si concentrò su un cartello all’inizio del quartiere: Erie, a nord della Pennsylvania.
La copertina si consumò e la fiamma si spense.
-Erie!- esclamai, sgranando gli occhi.- Sono ad Erie, l’ho visto!-
Non ci credevo, finalmente l’avevamo trovata.
Roman scoppiò a ridere e mi afferrò il viso.- Ce l’hai fatta!- esclamò, entusiasta, abbracciandomi. -L’abbiamo trovata!-
***
Non appena sapemmo la notizia, non sprecammo nemmeno un secondo per dirlo a Peter.
Finalmente saremmo entrati nel covo di Spivak, anche se ancora non ci era chiaro come lo avremmo ucciso.
L’importante, era trovare Nadia.
-Quel coso ha un’apertura d’ali di almeno due metri, cosa facciamo se ce lo ritroviamo davanti?- chiese Peter, dai posti dietro.
Salii al posto del guidatore, sulla mia macchina e accesi il motore.- Non vi preoccupate, non ci andremo disarmati.- intervenni, dirigendomi verso il mio appartamento.
Roman aveva già visto la mia stanza dei giochi, Peter, invece, ne rimase abbastanza sorpreso.
-Ma che cazzo…-
Roman si grattò il mento.- Non vuoi davvero saperlo.-
Presi delle pistole standard e me le misi nella cintura, mentre a loro diedi due fucili più o meno leggeri: ci volevo andar pesante con quell’Umul Negru.
Mi aveva aiutato ad avere la mia vendetta su Olivia, sì, ma aveva preso Nadia per farci chissà cosa.
Un coltello dentro lo stivale e il laccio nei capelli. -Perfetto, andiamo a caccia di draghi.-

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Capitolo 18
*** Omul Negru ***


Noi tre, in quella macchina d’epoca, era come un déjà-vu.
Solo che stavolta stavo guidando io.
-Mi ricorda i vecchi tempi.- commentò Roman, con un leggero sorriso.
-Già…Sapete, se dovesse andare male, voglio dirvi che vi voglio bene, ci siete sempre stati per me nel momento del bisogno.- continuò Peter.
-Questo non cambierà mai, Peter.- gli dissi, guardandolo dallo specchietto.
Roman storse la bocca.- Okay, ora basta, mi state facendo venire da vomitare.-
Scoppiammo tutti a ridere e decisi di godermi quel momento, nonostante tutto.
Eravamo di nuovo tre contro il mondo.
Vidi Peter abbassare lo sguardo e intristirsi.- Era così fredda quando l’ho trovata…Non sembrava nemmeno lei.- bofonchiò, riferendosi a Destiny.
Roman si voltò verso di lui.- Ti prometto che non appena sarà finita questa storia, le daremo una degna sepoltura. Per adesso, ho bisogno di te. Nadia ha bisogno di te.-
Peter sapeva che aveva ragione e annuì, notando che indossasse i guanti alle mani.- Perché hai i guanti?-
Servivano per non far vedere i segni della malattia.
-Il freddo mi secca le mani.- si inventò.
Giusto pochi attimi dopo, arrivammo ad Erie.
La baita che avevo visto nella visione si vedeva subito: era enorme, fatta di legno, tra le colline e circondata da una cascata d’acqua.
Intorno non c’era nessuno, così diedi un calcio alla porta e la sfondai.
Tutti e tre preparammo le armi in mano e silenziosamente perquisimmo la casa.
C’erano un sacco di cianfrusaglie e un tombale silenzio, fin che non mi vibrò il cellulare.
Riconobbi il numero: era quello del mio cellulare usa e getta, perciò si trattava di Shelley.
Mi misi in un angolino per rispondere.
-Ciao Lily, sono Shelley.-
-Lo so, riconoscerei la tua dolce vocina ovunque.- le dissi.
-Volevo solo dirti che domani sera lascio Hemlock Grove…Con Aitor, ce ne andiamo…In un posto più felice.-
Non la biasimavo, era la stessa cosa che volevamo fare io e Roman.
-Sono molto contenta per te Shelley, io e Roman verremo a salutarti.-
-No, no.- ribatté.- Non dirlo a Roman, né a mia madre, non mi lascerebbero mai andare via, ti prego.-
Roman ne sarebbe stato dispiaciuto, ma rispettai il suo volere.
-D’accordo Shelley, ci sarò, ti voglio bene.-
-Anche io.-
Rimisi il telefono in tasca e seguii i due ragazzi che avevano trovato delle scale che portavano sicuramente in una cantina.
-Qualcosa mi dice che non è una normale cantina.- osservò Roman, percorrendo gli scalini.
Con le armi pronte, ci ritrovammo in una cantina piena di scaffali con prodotti medici e due vasche piene d’acqua verde, come una specie di idromassaggio.
La cosa peggiore era la puzza di morto.
-Cristo.-
Mi tappai il naso, proseguendo a guardare ciò che c’era dentro la vasca: da lì veniva la puzza.
In un angolo, trovai uno di quegli attrezzi per pulire le piscine e lo immersi nell’acqua.
Andai a toccare subito qualcosa di viscido che venne a galla: era un corpo morto, ancora vestito, ma talmente putrido che gli si vedevano le ossa.
-Gesù santo!- sobbalzai all’indietro, lasciando l’oggetto.
Roman si avvicinò a controllare e riconobbe i capelli biondi.- E’ Miranda…-
Ah.
Beh, non mi dispiaceva affatto per lei.
Alzai le sopracciglia, fingendomi dispiaciuta.- Oh, ma quanto mi dispiace. Insegna agli angeli come essere puttane.-
Peter sospirò, lasciandosi andare su una sedia.- Tutte le persone con la quale veniamo in contatto muoiono…Vi siete mai chiesti il perché?-
Roman lo affiancò.- Destiny lo chiamava destino…Diceva che le nostre vite fossero collegate in qualche modo, io le ho creduto.-
Nel frattempo, mi guardai intorno, però di Nadia nessuna traccia.
Invece, notai uno scaffale al muro, con alcune fialette e siringhe.
Non appena mi ci avvicinai, i miei capelli svolazzarono, come se ci fosse del vento, anche se eravamo in una stanza sotterranea.
Riposi la pistola e spinsi via lo scaffale, scoprendo una porta.
-Beh, la parte intelligente del trio ha appena trovato una porta segreta.- esclamai con un sorrisetto soddisfatto.
-Fantastico!-
Prima che potessimo entrare, il telefono di Roman squillò.- Pryce, cos’hai per me?-
-Finalmente, dopo due giorni rinchiuso dentro questa cella, ho capito cosa può uccidere un essere come Spivak.- esordì Pryce.- E’ una creatura fatta principalmente di zolfo e l’unica cosa che lo può neutralizzare è il monossido di azoto.-
-Bene e dove cazzo lo prendo?-
-Ce l’hai già, Roman, è nel tuo veleno: ecco come hanno fatto i tuoi simili a sterminare la sua razza in passato.-
-Quindi può morderlo?- gli chiesi.
-Non sappiamo come si presenterà a voi e dubito che Roman riuscirebbe a farlo se si trasformasse, c’è un altro modo per farlo, ma servono degli strumenti medici.-
Coincidenza, li avevamo.
-Non è un problema.- intervenne Peter.
-Bene, serve una fiala e una siringa: spero che qualcuno di voi abbia la mano ferma.-
Presi la siringa e la porsi a Peter, che fece una smorfia di disgusto.- No, no, non guardare me, odio gli aghi.-
Cazzo, devo per forza farlo io.
Misi la videochiamata e Roman si stese sul tavolo.- Okay Pryce, cosa devo fare?-
-Devi aprire la bocca abbastanza da far avere a Lily una visuale ottimale.-
Roman spalancò la bocca, mentre io presi la siringa, iniziavo ad avere paura.
-Cosa devo fare Pryce?- balbettai, cercando di trovare il coraggio.
-Devi iniettare con l’ago la borsa dove Roman tiene il veleno, che si trova vicino a quella specie di sacca da boxe in fondo alla sua gola.-
Ma mi prende per scema?
-So che cos’è l’ugola, Pryce.- borbottai.- Che succede se mi sbaglio?-
-Perforerai la tromba di Eustachio e Roman diventerà sordo.-
La situazione si era ribaltata: se prima ero io a dipendere da lui, ora era lui a dipendere da me.
Mi sorrise per incoraggiarmi.- Perché ci ritroviamo sempre in queste situazioni?- commentò.- Mi fido di te.-
Presi un bel respiro e inserii l’ago, sentendo un piccolo scoppiettio.- Come capisco se l’ho presa?-
-Se il liquido che ne viene fuori è giallo, ce l’hai fatta, se è rosso…Ehm, preparerò un apparecchio acustico per Roman.-
-Ti prego, fa che sia giallo.- mormorai, tra me e me, tirando su la siringa.
Grazie a Dio è giallo.
-Ce l’ho, ce l’ho!-
-Ottimo lavoro!-
Tolsi la siringa e misi il liquido dentro la fialetta.
-Grazie Pryce, ti richiamo dopo.- gli disse Roman.
-Aspetta! C’è un’altra cosa che ho scoperto…E non ti piacerà.-
-Che intendi?-
-Ha rapito Nadia perché gli servono i suoi ovuli per riprodursi: gli ovuli di un neonato sono quelli più potenti…Sta cercando di ripopolare la sua specie.-
Sperai che non fosse troppo tardi.- Troviamo quella bambina, adesso!-
Proseguimmo quindi dentro la porta dietro lo scaffale, che ci condusse all’interno di una stanza molto più grande.
C’erano altre vasche enormi, dentro cui viaggiavano quelle che parevano piccole razze.
Erano due vasche e sembravano centinaia.
Notai che al centro della piscina, c’era uno scolo che probabilmente dava alle cascate fuori.
-Ed eccoci all’epilogo!-
Non appena sentimmo la sua voce, gli puntammo contro le armi.
Stavolta era normale: un uomo vestito pesante, con la barba bianca, sui cinquant’anni.
All’apparenza sembrava solo un uomo di mezza età, completamente indifeso.
-Voi dovete essere Roman e Peter, Miranda mi ha tanto parlato di voi.- esordì, camminando lentamente verso di noi, guardandomi.- E tu devi essere Lily, la medium…Se non mi sbaglio ti ha chiamata… Piccola lurida puttana? Sì, mi pare di sì.- continuò, ridacchiando.- Che ci fai qui, Lily? I tuoi genitori erano d’accordo con i miei ideali, mi stavano aiutando.-
Stava mentendo.
-Non è vero: loro ti hanno solo chiesto un’arma per ucciderli, non ti hanno mai aiutato a ripopolarti.- replicai, con la mano ferma sulla pistola.
-Mi dispiace per quello che gli è successo.- affermò, mettendomi una mano sulla spalla.
-Sta lontano da lei!- esclamò Roman.
Mi fissò negli occhi, erano quelli di un serpente, il serpente che tutti e tre sognavamo da un anno.
-Sssh.- mormorò l’altro.- Noi possiamo ripulire questo mondo, Lily, farli scomparire tutti. A quanto so, Olivia sta morendo, Nadia sarà cibo per i miei piccoli: la primogenita ha avuto un piccolo incidente d’auto mentre si allontanava dalla città, ne rimane solo uno Lily, puoi farcela, io credo in te.- mi disse, prendendomi il viso tra le mani: cercava quasi di ipnotizzarmi. Lentamente, mi fece voltare la pistola verso Roman.- Devi soltanto…Puntare al suo cuore e strapparglielo dal petto.-
-Lily, che stai facendo?! Fermati!- esclamò Peter, girando il fucile verso di me.
Dal suo discorso, capii che aveva ucciso Annie.
Guardare Roman negli occhi, mi fece ripensare a quello che gli avevo fatto.
Ogni secondo lui moriva sempre di più per colpa mia.
Ma, dopotutto, ero diventata così abile a mentire, che ci cascavano tutti.
-Ti sbagli…- gli dissi, voltandomi verso Spivak.- Lui non è l’ultimo.-
Ce lo aveva abbastanza vicino da colpirlo e così gli sparai dritto in faccia: la pelle sulla sua guancia volò via e potei vedere le squame da rettile al suo posto.
-Peter, versa la fiala!- gli dissi, lanciandogliela.
-No!-
Di scatto, l’uomo mi afferrò al collo da dietro, con le braccia.
Mi dimenai, prima che Roman lo colpisse alla spalla col fucile e lui balzasse all’indietro.
Corse verso un quadro principale e girò una manovella.
Serviva per scolare l’acqua nella cascata, ma era troppo tardi, perché Peter li aveva già uccisi tutti col veleno.
-Stupido di un licantropo! Cosa hai fatto!-
Rimaneva lui soltanto, adesso.
-Ora: tu sei l’ultimo.-
Lui mi guardò con disprezzo.- Perciò sei incinta…- intuì, facendo un ghigno.- Aveva ragione Miranda…Sei un lurida put-
Prima che potesse dire l’ultima parola, Peter gli sparò al cuore, facendolo barcollare all’indietro. -Parli davvero troppo per i miei gusti.-
Infine, Roman lo afferrò e, allargando la mascella smisuratamente, lo morse al collo e lo uccise col veleno.
Trovammo una seconda stanza dove c’era una culla e, per fortuna, la piccola Nadia incolume.
Roman le corse in contro e l’abbracciò.- Ciao, mi sei mancata tantissimo.-
Vederli insieme era una gioia: Roman sarebbe stato un buon padre.
Finalmente era tutto finito, potevamo tornare alla nostra vita.
Questo voleva dire che non avevo altro a cui pensare, se non alla malattia di Roman.

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Capitolo 19
*** Were we three? ***


Finalmente potemmo passare un po' di tempo a riposare.
L’unica cosa che mi dispiaceva era tenere Nadia lontano da Roman: essendo un Upir, avevo paura di quello che poteva succederle.
Io e Peter ce ne occupavamo benissimo da soli.
Una volta addormentata, la misi nella sua culla e la coprii: era un angioletto.
Chiusi la porta ed entrai nella camera mia e di Roman.
Era fisso davanti allo specchio, non riusciva a non guardarsi.
I segni del virus si erano allargati per tutto il petto, fino ad arrivare sotto il collo.
Sembravano delle crepe nella terra, come dopo un terremoto, tutte nere.
-Stai bene?- sussurrai, avvicinandomi.
-No.- rispose, secco.- Finalmente ritrovo mia figlia e non posso nemmeno avvicinarmi.-
Mi morsi un labbro, abbracciandolo da dietro.- Mi dispiace…Vedrai che Pryce troverà una soluzione.-
Lui mi guardò attraverso il riflesso.- E se così non fosse? Inizierò a delirare, non riuscirò più a bere sangue e poi mi divorerò da solo, come quella merda di video.- borbottò, indossando la canottiera.
Non sapevo che dire, potevo solo sperare che Johann facesse qualcosa.
-Ascolta, quando inizierò a dare di matto, devi promettermi una cosa…- continuò, estraendo fuori dalla mia borsa la pistola.
Sapevo cosa intendesse.
Non ti azzardare nemmeno a pensarlo, Roman, non farò mai una cosa del genere.
-Ma sei impazzito?!- replicai, togliendogliela di mano.- Come puoi chiedermi questo?!-
-Non voglio che mi vedi in quel modo.-
-Roman, io ti ho già visto in tutti i modi possibili e immaginabili! Ti ho visto felice, triste, affamato, arrabbiato, ti ho visto uccidere, santo cielo! E a me è andata bene così! Stiamo insieme, siamo una coppia e non intendo lasciarti da solo perché magari ti metti a parlare con la macchina del caffè!- ribattei, guardandolo negli occhi.
Si mise a ridere, scuotendo la testa, sorpreso probabilmente dal modo in cui riuscivo sempre sdrammatizzare le cose.- Quanto cazzo ti amo.-
Mi faceva sempre sorridere sentirglielo dire.
-E poi sei sempre un figo.- commentai infine, baciandolo dolcemente.
Mi prese il viso tra le mani, approfondendo il bacio.
La mia pelle rabbrividì e sentii l’impulso di spogliarlo.
Si tolse la maglietta e si inginocchiò davanti a me, abbassandomi gli slip.
Percorse con la lingua il mio ventre, fino ad arrivare al seno, dopo avermi tolto la maglia.
Mi avvinghiai con le gambe al suo bacino e lui mi portò sul letto.
Non sapevo cosa sarebbe successo in seguito: forse quella sarebbe stata l’ultima volta che avremmo fatto l’amore, perciò decisi di godermela.
***
L’indomani, decisi di lasciare che Roman dormisse e andare con Peter a fare una passeggiata insieme a Nadia.
-E’ incredibile come Roman tratti sempre tutto come fosse normale.- commentò, sedendosi su una panchina del luna park.
Gli porsi lo zucchero filato preso dal chiosco.- Lui vuole solo tornare alla normalità, al lavoro e ad occuparsi di Nadia.-
-Già…Beh, ditemi dove si trova il tasto per mandare via il dolore, allora.- borbottò.
Nonostante ci fossero loro due, mi sentivo così sola ad affrontare la sua malattia.
Non poterlo dire a nessuno era estenuante.
Certe volte mi dicevo di starmene zitta, altre di gridarlo al mondo.
Forse non lo facevo perché io ero la responsabile.
E quei due bambini sarebbero cresciuti senza il loro padre.
Ma io lo avevo visto.
Come quando ero stata nella stanza di Roman e avevo visto i suoi occhi azzurri su di me: erano gli stessi, con me, con i suoi figli, su una bellissima spiaggia.
I medium non sbagliano mai, questa era l’unica cosa che mi faceva sperare.
-Non sei l’unico a soffrire, Peter. Sarà stata tua cugina, ma per me era una madre.- gli dissi, quasi infastidita.
Non mi sarei mai dimenticata quella sera e dentro di me mi ripetevo che Roman lo aveva fatto solo perché non stava bene.
Roman non avrebbe mai fatto del male ad una mosca o, almeno, se non lo voleva.
Ripensarci, mi fece intristire e probabilmente per colpa degli ormoni, scoppiai a piangere.
Peter si sentì subito in colpa.- Cazzo, scusa Lily, hai ragione…-
-No, non è per questo…- singhiozzai, asciugandomi gli occhi.- Roman è malato.-
Mi uscì così, di botto, senza rendermene conto.
Finalmente l’ho detto.
-C-Cosa?-
-C’è un virus che sta colpendo gli Upir, come una specie di cancro e lui l’ha presa.- spiegai, accarezzando la mano della piccola Nadia.
Peter collegò tutto.- Per questo i guanti?-
Annuii.- Ha dei segni su tutto il corpo e presto inizierà a delirare e..e...- balbettai, senza riuscire a smettere.
-Cazzo Lily, perché non me lo avete detto?-
Perché per colpa di quel virus, Roman ha ucciso tua cugina.
-Non lo so…-
Peter si affrettò ad abbracciarmi per consolarmi, quando, improvvisamente, ci scambiammo delle immagini.
Involontariamente, non capii come: non ero ancora esperta dell’Occhio, non sapevo cosa avessi fatto.
Peter mi toccò e riuscì a vedere Roman e Destiny che litigavano pesantemente.
Tentai di dimenarmi, però lui continuò a stringermi, per continuare a vedere.
Dovetti rivivere quella sera in cui Destiny gli diede uno schiaffo e Roman la uccise con un sol gesto.
Mi alzai di scatto dalla panchina, ormai l’aveva visto, non c’era più scampo.
Mi guardò con gli occhi sgranati.- Oh mio Dio..-
***
Mi sentivo come la vittima in ostaggio di una rapina.
Peter mi fece rientrare in casa senza dire una parola.
Roman stava preparando il pranzo.- Ho fatto un’ottima pasta alla puttanesca!- esordì, osservando poi i nostri sguardi: io ero terrorizzata e Peter teso come non mai.- Che è successo?-
-Lily, per favore, porta Nadia in camera.- mi disse Peter, come un ordine.
In quel momento, fu come se Roman avesse captato dai suoi occhi il fatto che Peter sapesse tutto.
Si passò la lingua sul palato e spense il fuoco sotto la pentola. -Come lo hai scoperto?-
Strinsi i pugni, incazzata con me stessa.- Mi dispiace, non so ancora come funzioni, l-lui mi ha toccata e…- balbettai, spaventata.
Avevano l’aria di due persone che si sarebbero picchiate a momenti, non picchiarsi per farsi del male, ma per uccidersi.
Roman mi fece un cenno con la testa.- Portala su.-
-Non ti lascio da solo con lui.- replicai, scuotendo la testa.
-Non ci posso credere che tu abbia potuto tenermelo nascosto.- intervenne Peter, guardandomi con rabbia. -Credevo che fossi la mia migliore amica.-
-E lo sono ancora, Peter!- gli dissi, con gli occhi lucidi.
Non avevo idea di come sarebbe andata a finire quella situazione e mi sentivo troppo debole per fare qualcosa.
-No, perché dal momento in cui hai deciso di parargli il culo, hai scelto lui invece di me.-
-Tu non capisci, è malato!-
-Sì, certo, ci avevo quasi creduto, sai?-
Lui non ci credeva, pensava me lo fossi inventata.
-Roman, fargli vedere i segni.-
Ma Roman rimase immobile.- Se fosse davvero mio amico, non gli servirebbero le prove.-
-E se tu fossi davvero mio amico, non l’avresti mai uccisa.-
-Tu non hai idea di quanto sia fottuta la mia vita.- borbottò Roman, stringendo i denti. -Vuoi la verità?- sussurrò, avvicinandosi a lui.- Mi sono fatto Letha, molto prima di te. L’ho violentata e l’ho soggiogata, facendole credere che fosse stato un angelo.-
Peter ne rimase sconvolto.
Ma perché non gli dice che è stato Olivia ad obbligarlo?
Per quale motivo vuole farsi odiare così?
Sembravamo tornati all’inizio, quando Roman si faceva del male da solo.
-Tu…Miserabile figlio di puttana!- gridò Peter, prendendogli la gola.
-Peter, ti prego, no!-
Più alto di lui, Roman fece la stessa cosa, stringendo la mano alla sua gola.
Annasparono entrambi.
-Smettetela!- intervenni, dividendoli.
-Ha ragione, non sarebbe un combattimento equo.- continuò Peter, puntandogli il dito contro.- Ci vediamo alla prossima luna piena…Guardati le spalle Roman, perché i lupi arriveranno.-
Non volevo che finisse così, una volta erano amici.
-Peter, ti prego, non deve essere per forza così!- Lui mi ignorò e mi chiuse la porta in faccia.- Peter!-
Non sapevo che fare, era andato tutto a puttane.
Mi asciugai gli occhi e presi Nadia in braccio che non smetteva di piangere e la cullai.
-Aveva ragione, uccido sempre tutto quello che tocco.- commentò Roman, battendo il piede a terra nervosamente.
-Non è vero, io sono ancora qui.- mormorai.
-Lo sai bene che finirai come Letha: non puoi partorire due Upir, morirai.- replicò, assottigliando gli occhi.- Perciò, sei vuoi vivere, ti suggerisco di abortire.-
Non avrei mai creduto che mi dicesse una cosa del genere.
Ma magari aveva ragione, magari questa volta mi sbagliavo sul serio.
Nessuna famiglia felice, nessuna spiaggia.
Ci avevo provato con tutta me stessa a far andar bene le cose, ma non ci ero riuscita.
Baciai la testolina di Nadia e la misi nella culla.
Capii che era la cosa giusta da fare, non volevo morire come Letha.
Anche se sarebbe stata un’esistenza nulla senza Roman, io volevo vivere.
Potrebbe essere un gesto egoistico, ma non volevo sentire giudizi, era una mia scelta.
E sapevo che, chiudendomi quella porta alle spalle, quasi niente mi avrebbe fatto cambiare idea.

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Capitolo 20
*** The queen is dead! ***


Non so come ci sono arrivata qui.
Non ricordo nemmeno di esser stata alla reception per farmi mettere il badge.
Eppure, sono qui, davanti l’entrata del laboratorio di Pryce.
Forse è la scelta giusta, non voglio che nessun altro soffra.
Non lo faccio perché morirei dandoli alla luce, ma perché non voglio che crescano senza genitori come è successo a me.
-Ciao Pryce.-
-Ciao tesoro, sei venuta per un’altra controllatina?- mi chiese, mentre trasportava delle bombole d’ossigeno dentro la cella.
-No, voglio che me li togli…- balbettai, stringendomi nelle spalle.
Lui mi guardò confuso.- Cosa?-
-Pryce, voglio abortire. Sai anche tu che non posso partorire un Upir, lo sapevi anche con Letha e lei ci è morta.- spiegai. -Roman sta peggiorando e io non voglio che loro vivano senza genitori.-
-No.- rispose secco.
-Come scusa?-
Scosse la testa e mi prese le mani.- Lily, c’è il 69,9% che tu non sopravviva e ti giuro che farò del mio meglio purché tu sia nell’altro 31%. Io non permetterò che tu muoia.-
I suoi occhi sembravano sinceri e i miei ormoni impazzirono: lo abbracciai, ci credevo in lui, era capace di fare cose straordinarie.
-Pryce, ho trovato il mio corpo!-
Tutto d’un tratto, Olivia entrò dentro il laboratorio con Annie su una sedia a rotelle, sembrava stordita e arrendevole.
Allora Spivak non l’aveva uccisa, aveva qualche segno sul viso e sul collo, ma non era morta.
Alzai lo sguardo da lei alla madre e osservai la sua orribile faccia.
-Porca puttana!- esclamai, balzando all’indietro.
Aveva perso quasi tutti i capelli, le pupille degli occhi erano quasi bianche, aveva delle pustole su tutto il corpo e il colore della pelle nero: era disgustoso.
Oh mio Dio, Roman finirà così?
-Olivia, ti ho già detto che è troppo pericoloso…La tecnologia non è ancora pronta.- ribatté Pryce, non riuscendo a guardarla.
Ma cosa voleva fare?
-L’ultima volta che ci ho provato, il mio me stesso mi ha quasi ucciso: se il corpo non è abbastanza compatibile, morirai comunque!-
Voleva trasferire la sua coscienza dentro il corpo della figlia.
Ma così, semmai avesse funzionato, Annie sarebbe morta.
Mi inginocchiai su Annie.- Annie, non devi farlo per forza.-
Lei mi sorrise leggermente.- Almeno rivedrò la mia bambina.-
Per Annie era stato terribile essere l’unica sopravvissuta dell’incidente stradale.
Di scatto, Olivia mi afferrò i capelli.- E tu non mi fermerai.- borbottò, spingendomi via.- Legala, avanti.-
-Non farò questa cosa Olivia!- replicò Johann.
-Fallo.- gli dissi, stringendogli la spalla.- Va tutto bene, fallo.-
Pryce usò una corda per legarmi alla sedia che c’era alla sua scrivania, con Olivia che lo controllava attentamente.- Mi raccomando, bella stretta, non vogliamo che la puttanella scappi.-
Nel frattempo, pensai ad un modo per fermarla.
Osservai le bombole di ossigeno all’interno della cella.- Se buco le bombole, esplodono, giusto?- gli sussurrai, per non farmi sentire da Olivia.
-Sì, ma dovresti entrare con lei.- rispose Pryce.
-Troppe parole e meno azione!- esclamò Olivia.
-Devo prima mappare la mente di Annie.- continuò il dottore, facendola sdraiare sul lettino e mettendole il casco celebrale.
Era da quando avevo iniziato a cacciare gli Upir che tenevo sempre qualche arma: come il coltello dentro lo stivale o la pistola dentro la borsa.
Quella con un solo proiettile, destinata proprio ad Olivia.
Mentre era distratta, allungai il piede alla mano ed estrassi la lama da dentro il calzino, iniziando a tagliare la corda.
Non sapevo come, ma sembrava che Olivia non si vedesse in quello stato: credeva di essere ancora bella e giovane.
Quando si specchiò sul vetro della porta della cella, però, vide il mio riflesso e si voltò con gli occhi sgranati.
-Ti sei dimenticata una cosa: io sono una zingara.- affermai, dandole un calcio sul petto per farla entrare.- Chiudi, adesso!-
Pryce si affrettò a premere il pulsante sul pc e, un attimo prima che si chiudessero le porte, lanciai il coltello sulla bombola d’ossigeno, bucandola.
Infine, ci fu un enorme esplosione e il suo corpo prese a bruciare.
Sentii le sue urla disperate ed era un bellissimo suono.
Doveva soffrire come avevano sofferto tutte le sue vittime.
-Dovrebbe essere già morta a questo punto.- intervenne Annie. -Il fuoco è uno dei modi per uccidere un Upir.-
-Sì, ma Olivia è un Upir speciale.- commentai, estraendo la pistola.
Pryce fece partire gli estintori all’interno della cella e il fuoco si spense, così da far aprire le porte.
Il corpo di Olivia strisciò, interamente bruciato.
Buffo, proprio come aveva fatto con i miei genitori.
Annaspando, si poggiò al vetro.
Nonostante emanasse una puzza terribile, mi inginocchiai su di lei, mostrandole la pistola.
-Te l’avevo detto che questa era per te.-
Fissò i suoi occhi spettrali su di me.- Atto finale, la morte del cigno…Grazie a tutti.- bofonchiò, cercando di sorridere.
Le puntai la pistola alla tempia.- Slàn a fhàgàil Olivia, sruthàn in infrann.- le sussurrai, prima di sparare.
Il suo corpo sobbalzò e poi si accasciò a terra.
Non avevo mai provato una tale soddisfazione in vita mia.
Lasciai la pistola a terra e mi diressi da Annie.- So che credi che tua figlia ti stia aspettando, ma non è così. Puoi continuare a vivere e fare belle cose.-
-Puoi venire a lavorare qui.- aggiunse Pryce.  -Puoi aiutarmi con la gravidanza di Lily, sono certo che tu sappia qualcosa che io non so.-
Annie mi sorrise.- Mi piacerebbe.-
Ci avevo visto bene fin dall’inizio, Annie non era un Upir cattivo.
-Chiama i giornalisti Pryce, tutta Hemlock Grove deve sapere che la regina è morta.- dissi infine, uscendo dalla torre.
Sentii un vento quasi caldo sul viso, la primavera stava arrivando.
Mi sentivo benissimo.
Sembrava da una vita che stavo combattendo questa battaglia e adesso sapevo di averla vinta.
Come un’idiota, iniziai a saltellare sul marciapiede, esultando.
I passanti probabilmente avranno creduto che fossi pazza.
Qualche attimo dopo, mi arrivò un messaggio da Shelley.
Era un indirizzo che si trovava al confine della città.
Capii allora che stesse partendo con Aitor e la raggiunsi.
-Ciao mammina.- mi salutò, abbracciandomi.
-Deduco che vada tutto bene tra voi due.-
Vidi che avevano un gran bel furgone per viaggiare.
-Sì…Non so spiegarti cosa provo, sono…Felice.- spiegò, arrossendo.
-Sono davvero contenta per te Shelley, te lo meriti.-
Mi poggiò le sue grosse mani sul ventre.- Prometto che mi comprerò un telefono decente, così potrai mandarmi centinaia di foto.-
-E quando cresceranno le racconterò della bellissima e coraggiosa zia Shelley.- continuai, accarezzando le la guancia. -Che è andata contro tutto e tutti e ha messo le ali.-
Di botto, mi diede un altro abbraccio.- Mi mancherai, Lily.-
Le accarezzai la schiena.- Anche tu, tesoro. Suppongo che all’era di Emily Dickinson ci fossero quei saluti strappalacrime con lei che parte e lui insegue il treno.-
-Sarebbe bello se qualcuno lo facesse con me.- commentò, baciandomi la guancia.- Ci sentiamo presto.-
-Ciao, Shelley.-
Mi sarebbe mancata tantissimo: fin dai tempi della scuola lei era l’unica amica che c’era sempre stata.
Quando il furgone partì, su quella strada desolata, ripensai alle sue parole e iniziai a rincorrerlo.
-Metti le ali!- le gridai, arrivando quasi all’altezza dello sportello.
Lei venne fuori dal finestrino, sorridendomi.- Lo farò!-
Quando ormai non avevo più fiato, mi fermai e la salutai con il braccio.
Era momento che anche lei fosse felice.

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Capitolo 21
*** When you haven’t touched me yet ***


Andai al discount per comprare una buona bottiglia di champagne e festeggiare con Roman.
Lo trovai in salone con una pila di fogli sul tavolo.
Non importava il resto, adesso volevo gioire.
-Prepara i bicchieri per festeggiare, caro suddito di Hemlock Grove!- esclamai, alzando in aria la bottiglia.- La regina è morta!-
Mi guardò piuttosto confuso.- Non credo di aver capito…-
Mi avvicinai, poggiando la bottiglia sul tavolo.- Tua madre è passata a miglior vita.-
Sgranò gli occhi, molto sorpreso.- Wow!- esclamò, quasi scioccato, passandosi una mano nei capelli. -Oh mio Dio, finalmente!-
-Perciò, direi di farci un bicchierino.-
Stappai la bottiglia e il tappo volò in aria.
Ne versai un po' nei bicchieri e lo distribuii.
-Allora dobbiamo doppiamente festeggiare: perché sto firmando alcune carte che, quando passerò a miglior vita, ti renderanno la proprietaria della Torre Bianca.-
Quasi non mi strozzai con il liquido.- Che cosa?!-
Ridacchiò per la mia reazione.- Hai sentito bene.- affermò, prendendomi le mani.- Ascolta, so che hai sempre voluto lavorarci: so che volevi un bel lavoro, una casa grande e una famiglia.- continuò, guardandomi negli occhi.- Sono stato davvero uno stronzo a chiederti di abortire e voglio farmi perdonare.-
Mi veniva da piangere, maledetti ormoni.
-Roman…Non ce n’era bisogno…-
Mi prese il telefono e ci smanettò.- Sì invece, e per rendere la cosa ufficiale: ti scarico un applicazione GPS sul telefono, così gli agenti di sicurezza sapranno sempre dove sei.- In seguito, estrasse una piccola bandana.- Ma ora ti devo portare in un bel posto.-
Ancora sorprese?
Fremevo per l’eccitazione.
L’ultima volta mi aveva portato alla SPA per il mio compleanno e avevamo passato una giornata stupenda.
Chissà ora cosa mi aspettava.
-Ti piacciono proprio queste sorprese, eh?- commentai, capendo che mi stava facendo entrare in auto.
Lui non rispose e mi strinse la mano, partendo a tutta velocità.
Passarono pochi minuti prima che si fermasse.
Aprì lo sportello e mi prese in braccio.- Così non rischiamo che cadi.-
Gli diedi una pacca, ridacchiando e capii che avesse aperto una porta.- Roman, dove siamo?-
Mi mise giù con un po' di fatica, probabilmente cominciava ad essere debole.
-Nella tua nuova casa dei sogni.- rispose, togliendomi la benda.
Non ci posso credere, sono alla villa dei Godfrey!
Roman l’aveva fatta ripulire tutta, proprio come la prima volta che ci ero entrata.
Mi stai dicendo che questa è casa nostra, adesso?
Sgranai gli occhi.- Vuoi dire che vivremo qui!?-
-Certo, è mia adesso.-
Saltellai come una ragazzina che sta per andare al concerto del suo cantante preferito.
-Oh mio Dio!- urlacchiai, correndo subito di sopra.
Non ci potevo credere, era tutto nostro.
Iniziai subito a fare mille progetti per quando sarebbero arrivati i gemelli.
-Possiamo dare la stanza di Shelley alle due femmine e…e.. La tua al maschio, mentre noi staremo nella vecchia camera di tua madre, rimoderneremo tutto!- dissi velocemente, impicciandomi un po' anche con le parole.
Roman mi sorrise.- Puoi fare tutto quello che vuoi.-
Ero all’apice della felicità, niente avrebbe potuto rovinare quel momento.
-Grazie, grazie, grazie!- ripetei, saltandogli addosso per baciarlo.
Era tutto ciò che avevo sempre desiderato.
Mi sentii improvvisamente in colpa.
No, non mi merito tutto questo.
Io ti sto uccidendo.
Come posso meritarlo?
Stai morendo per colpa mia.
Mi allontanai lentamente, stringendomi nelle spalle.- Io…Non so se posso accettare.-
Aggrottò le sopracciglia.- Perché no?-
-Roman, riuscivi a malapena a tenermi in braccio…- balbettai, abbassando lo sguardo.
-Lily, devi smetterla di colpevolizzarti.- ribatté, prendendomi il viso tra le mani.- Lily, tu mi dai tutto, anche solo respirando. So che ti senti in dovere di ricambiare e credimi lo fai ogni giorno, solo stando qui, con me. Ti sarà difficile crederlo, ma anche io, come qualsiasi ragazzina, sognavo di avere un amore talmente profondo che lo avrei percepito soltanto guardandolo negli occhi dell’altra persona e per me è così, con te.- spiegò, facendomi rabbrividire per quelle parole.
Sapeva essere davvero romantico.
-Cristo, è tutta la vita che ti aspetto, non lo capisci? Chiamalo come vuoi, chiamalo destino, ma io sono stato fatto per stare con te.- continuò, mettendosi una mano in tasca.- Perciò…Spero che accetterai questo.-
D’un tratto tirò fuori una scatolina in pelle nera e quando l’aprì, ci vidi un bellissimo anello con un enorme diamante blu sopra.
Oh cazzo.
Oh cazzo.
Oh porca puttana!
E’ davvero quello che credo?
-Roman, tu sei pazzo!-
Sbiancai in viso, non avevo mai visto un anello così bello.
Mi sorrise, inginocchiandosi davanti a me.- Vuoi essere mia moglie?-
Era così perfetto, così bello, con i suoi occhi azzurri, i capelli composti, sembrava Dio sceso in terra.
Come facevo a dirgli di no?
-Sì…- bofonchiai, coprendomi la faccia dalla timidezza.- Sì, sì, va bene!-
Si alzò, tutto rosso in viso e mi infilò l’anello.
Stava perfettamente sulla mia mano.
Mi misi in punta di piedi per baciarlo, ero così contenta.
Però, ad entrambi, mancava un pezzo.
Ormai era come un pezzo di noi, un pezzo mancante del puzzle.
Peter.
***
Mentre Roman aveva chiamato qualcuno per aiutarci con il trascolo, io andai in campo nemico per parlare con Peter.
Forse mi avrebbe ascoltato, in onore della nostra vecchia amicizia.
Non doveva per forza esserci uno scontro.
Si era stabilito a casa di Destiny, nella mia camera, tutto da solo.
Bussai alla porta, sperando che non me la chiudesse in faccia.
L’aprì appena e mi guardò serio.- Che vuoi?-
Era ora di assumermi le mie colpe.- Voglio solo parlare Peter, ti prego.-
Ci pensò su un paio di secondi e poi mi fece entrare.- Ho fatto la cioccolata calda.- borbottò, versandola in due tazze.
Mi sedetti al tavolo vicino a lui e notò subito il mio anello.- Wow, è un gran bel pezzo di pietra.-
-Roman mi ha chiesto di sposarlo.- puntualizzai, annuendo.
-Credevo stesse morendo.-
Il suo tono era arrabbiato e disinteressato, non sapevo se sarei riuscita a convincerlo a gettare l’ascia di guerra.
-Infatti è così, Peter, ma lui non te lo dirà mai perché è troppo orgoglioso.- spiegai. -Se te la devi prendere con qualcuno, te la devi prendere con me. Per vendicare i miei genitori ho usato un virus su Olivia che non sapevo avrebbe colpito anche tutti gli altri Upir. Lui non le avrebbe mai fatto del male, Peter.-
Lui abbassò lo sguardo, senza dire niente, come se ci stesse riflettendo.
-E’ il tuo migliore amico e adesso più che mai ha bisogno di te. Abbiamo bisogno di te, io ho bisogno di te, mi manchi.- affermai, stringendogli la mano.
Nessuna reazione.
-Hai detto tu stesso che ti è stato sempre accanto e io sono sicura che lui morirebbe per te: tu non c’eri quando sei sparito da Hemlock Grove, ne era distrutto.- raccontai, mostrandogli il palmo della mano.- Ti ricordi cosa ha detto Destiny? Che noi tre siamo legati dal destino, è una cosa più grande di te e di me, lo sai anche tu.-
Lui evitò di guardarmi.- Magari si è sbagliata.-
Sospirai: ci ho provato.
Peter sa essere davvero testardo, proprio come Roman, proprio come me.
In un modo o nell’altro eravamo simili.
Presi un sorso della cioccolata e poi uscii.
Non sapevo cosa sarebbe successo, ma una cosa era chiara: la luna piena stava arrivando.

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Capitolo 22
*** Some and now none of you ***


 
Una volta stabiliti alla villa, montammo la nuova culla di Nadia e la facemmo stare nella stanza di Shelley.
Roman aveva intenzione di assumere una babysitter, fin che non ci saremmo sistemati per bene.
Sentivo il mio ventre aumentare ogni giorno e ogni giorno mi chiedevo se sarei sopravvissuta, se mai Annie e Pryce sarebbero davvero stati in grado di aiutarmi.
Niente sogni, quella notte.
Non li facevo da un po': forse perché Roman diventava piano piano meno Upir.
Nel sonno, lo sentii tossire pesantemente e mi svegliai.
Non era nel letto accanto a me seguii il rumore in bagno.
Era accovacciato sulla tazza, con la schiena scoperta, tutta piena di segni neri.
Vomitava sangue, pesantemente.
-Va al letto, Lily.- bofonchiò, non volendosi far vedere così da me.
-Sto bene qui.- ribattei, sedendomi dietro di lui, accarezzandogli la schiena.
Fece un piccolo sorriso.- In salute e in malattia?-
Aveva proprio centrato il punto.- Esatto, in salute e in malattia.- mormorai, passandogli una mano nei capelli per farlo rilassare.
Volevo godermi con lui ogni momento, perché non sapevo quando sarebbe giunto quello in cui Roman non sarebbe stato più Roman.
Erano circa le tre quando capii che non era tornato al letto.
Indossai la vestaglia e iniziai a cercarlo per casa.
In salone, sul divano, c’era una ragazza di colore che teneva Nadia.
-Ciao, tu chi sei?- le domandai, confusa.
-Ciao, il signor Godfrey diceva che era un’emergenza, sono Jane, la nuova babysitter.- spiegò, cullando la bambina.
Ma perché non mi aveva detto niente?
-Ti ha detto dove andava?-
-No, solo che dovevo badare a Nadia.-
In quel momento, mi ricordai dell’applicazione che mi aveva scaricato sul telefono: se lui lavorava alla Torre Bianca, allora aveva un GPS.
Lo cercai in fretta e vidi sullo schermo che vagava nel bosco.
Che cosa diamine sta facendo?
Poi, l’illuminazione.
Oh mio Dio, la luna piena.
Spalancai la finestra e vidi che era alta in cielo.
Si stava andando a consegnare ai lupi.
-No ,no ,no, no!-
Mi vestii velocemente e corsi nel bosco, seguendo la sua posizione.
Era buio, non vedevo quasi niente se non fosse stato per i raggi della luna.
-Roman!-
Iniziai a gridare il suo nome, guardandomi intorno.
Ti prego, fa che non sia già morto.
Lo trovai in uno spazio quasi privo di alberi, tra le foglie secche cadute.
Si voltò lentamente verso di me, pallido in viso.- Lily, va a casa.- mi ordinò.
-Roman, ti prego, vieni via.- bofonchiai, avvicinandomi.
Mi fissò intensamente negli occhi.- Va a casa.-
-No.-
-Va a casa.-
-No!-
-Va a casa!- urlò, con il sangue che gli colava dal naso.
Mi infuriai, afferrandogli la maglia.- Non funziona con me! Sei un pazzo se credi che ti lasci qui!- gridai, scuotendolo.
Improvvisamente, si udirono svariati ululati, a qualche chilometro di distanza.
-Non voglio che guardi, vai via di qui, cazzo!- ribatté, spingendomi via con forza.
Sentivo il branco correre verso di noi e non volevo rischiare, per i bambini.
Fui costretta ad allontanarmi, nascondendomi dietro un albero.
-Sono qui, avanti!- gli disse Roman, a gran voce.
Non potevo credere che stesse succedendo.
Non era colpa sua, ma mia, dovevo morire io.
Scoppiai in un mare di lacrime.
Erano vicini, lo capii.
Si voltò un’ultima volta verso di me, con i segni che gli stavano arrivando sotto il mento.
Ma per me, invece, era sempre il ragazzo con cui ero andata al luna park, con la quale avevo fatto l’amore, condiviso i miei sentimenti.
Il ragazzo dell’altalena.
Il ragazzo del luna park.
Il ragazzo della caffetteria.
Il ragazzo che amavo.
Si bagnò le labbra e lessi il suo labiale.- Ti amo.-
In un attimo, cinque enormi lupi si avventarono su di lui come fosse il pasto del giorno.
Chiusi gli occhi e mi voltai dall’altra parte.
Sentivo le loro mascelle chiudersi, i loro versi.
Era terribile.
Fin che, ad un certo punto…
-Fermi! Fermi!-
Vidi Peter apparire dalla parte opposta e scacciarli via.
Il branco se ne andò e rimase solo Roman, pieno di sangue e morsi, in preda agli spasmi.
Corsi verso di loro e cercai di tamponare le ferite.
Roman tossì, guardando Peter.- Sei venuto…Ci hai messo un po'.-
Roman non aveva mai dubitato di Peter.
Lui sapeva che sarebbe arrivato, prima o poi.
Peter annuì, accarezzandogli i capelli con le lacrime agli occhi.- Sei il mio migliore amico.-
Lo avevo davvero convinto.
-Grazie.- gli dissi, sorridendo appena.
-Che cosa facciamo? Lo portiamo da Pryce?- domandò Peter.
-Sì, dobbiamo provarci.- affermai, aiutandolo a trasportarlo in macchina.
Peter guidò più veloce che poteva, mentre io rimasi dietro con Roman, cercando di farlo rimanere sveglio.
Le ferite erano veramente serie, riuscivo a vedergli l’interno dello stomaco, probabilmente sarebbe morto a minuti.
-Che cosa farà Pryce?-
Pensai al fatto che avesse riportato in vita Shelley.- N-non lo so, forse potrebbe fare come ha fatto con Shelley…O…O ultimamente so che ha inventato un modo per trasferire le coscienze, voleva farlo con Shelley, ma serve un corpo compatibile.- spiegai, mentre parcheggiammo davanti alla Torre Bianca.
Pryce lo fece mettere su una barella e lo portò direttamente nel suo laboratorio.
Afferrò una forbice e tagliò la maglia, facendo una smorfia.- Le ferite sono troppo profonde…-
Finalmente Peter poté vedere i segni della malattia e sgranò gli occhi.- Eri malati davvero…-
Mi misi le mani nei capelli, non sapevo che fare.
Riuscivo solo a piangere, incontrollata.
-Ehi…Va bene così.- bofonchiò Roman.
-Va a fanculo!- esclamai, singhiozzando.- Ma che cazzo volevi fare? Stupido, idiota!-
Peter si asciugò una lacrima.- Quella cosa dello scambio di coscienza, si può fare?- intervenne.
-Ci vorrà un po' di tempo, dovrà restare sveglio, ma con quale corpo?- domandò Pryce.
-Il mio.-
Cosa?
Ma è impazzito?
Così morirà.
-Cosa? No! Non ci pensare nemmeno!- replicai, afferrandogli la maglia.
Lui mi guardò negli occhi.- Lily, lo hai detto tu stessa, no? Siamo legati dal destino. Forse è questo che il destino si aspetta da noi.-
Non ci potevo credere che volesse farlo veramente.
-Peter, non capisci, così…-
-…Così io prenderò il suo posto, lo so. Va bene così, io non ho più niente…Non ho più niente da perdere.-
-Hai me…- singhiozzai, prendendogli il viso tra le mani.
-Ma tu hai bisogno più di lui che di me.- ribatté, accarezzandomi la guancia.
Si tolse la giacca e si sdraiò su un lettino vicino a Roman.
Pryce collegò i due caschi celebrali alle loro teste.  -Devo memorizzare la coscienza di Roman, mi serve che stia sveglio per un po'.-
-D’accordo.- aggiunsi, avvicinandomi per stringergli la mano. -Sei sicuro che funzionerà?-
-Tra poco lo sapremmo.-
Roman mi guardò negli occhi, deglutendo il dolore. -P-Pryce, puoi farmi un favore?-
-Quello che posso, Roman.-
-Sposaci.-
Johann arrossì.- Mi piacerebbe molto, Roman, ma non sono un…-
-Fallo e basta.-
Anche se ero rossa per il pianto, mi venne da ridere.
-D’accordo: vuoi tu…Roman Godfrey prendere Lily Dimitri come tua sposa, in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, fin che morte non vi separi?-
Roman si sforzò di parlare, mentre una lacrima gli scese dall’occhio.- Oltre la morte, sì.-
-E vuoi tu, Lily Dimitri, prendere Roman Godfrey come tuo sposo, in ricchezza e in povertà e… Oh, insomma, tutte quelle cazzate lì!-
Risi ancora, accarezzandogli i capelli.- Sì.- risposi, baciandolo delicatamente.
Sentii piagnucolare anche lui. -Perfetto, vi dichiaro da ora marito e moglie.-
Tirai su col naso e poggiai la fronte sulla sua, capendo che piano piano se ne stesse andando.- Mi dispiace di non avertelo mai detto…-
-Cosa?-
-Che ti amo.- bofonchiai, strusciando il dorso della mano sulla sua guancia fredda.- Ti ho amato dal primo momento che ti ho visto, sotto quella cazzo di limousine. Mi hai fatto capire che il mio posto era con te. Ti amo, anche se ho cercato di reprimerlo per tanto tempo.-
D’un tratto, fece una smorfia di dolore, stringendo i denti.
-Ci siamo quasi, solo qualche minuto.- intervenne Pryce.
Cercai un modo per non farlo addormentare e iniziai a canticchiare. -When the night was full of terror…And your eyes were filled with tears…-
Sorriso leggermente, sforzandosi di cantare.- When you had not touched me yet…-
Annuii, con gli occhi lucidi: niente sarebbe stato meglio di finire come era iniziata, con quella canzone.
Quella che avevamo ascoltato al luna park e che lui aveva suonato al pianoforte.
-Take me back to te night we met.- mormorammo entrambi.
Portò la mano sulla mia guancia, guardandomi negli occhi, prima che le sue palpebre si chiudessero lentamente.
Mi accasciai sul suo corpo, mi faceva male la gola per quanto stessi piangendo.
-Ti prego, dimmi che ha funzionato!- esclamò Peter.
-Ci sono, ce l’ho!- intervenne Pryce, facendo brillare il casco sulle loro teste. -Devi solo chiudere gli occhi, Peter…-
Tenni stretta la mano di Roman e afferrai la sua.
-Sai cosa sto immaginando?- mi chiese, sorridendo. -Io e te, sdraiati sull’amaca, a bere birra e a raccontarci di com’è andata l’estate.- raccontò, singhiozzando.- E’ un bel ricordo con cui andarsene.-
Non ti dimenticherò mai, Peter.
-Ti voglio bene.-
-Anche io…Addio, Lily.-
Successivamente chiuse gli occhi e io mi portai le loro mani alla bocca, pregando che funzionasse.
Eravamo in tre.
Nel nostro piccolo, noi eravamo in tre.
Lily, Peter e Roman.
Tre persone legate dal destino.
Forse era vero, forse tutto quello che è successo, è successo per portarci a questo.
Ne abbiamo passate tante e se potessi esprimere un solo desiderio, gettando una moneta dentro una fontana o dentro un pozzo, sarebbe di tornare a quella notte.
Sì, ti prego, destino…
Riportami alla notte in cui ci siamo incontrati.

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Capitolo 23
*** Epilogue- Take me back to the night we met part 2 ***


La sabbia sui piedi è una splendida sensazione.
Ancor di più quando l’acqua tiepida dell’oceano si incontra con me.
Fa caldo qui, ma è un caldo rilassante.
Era proprio come lo immaginavo.
Dal mare, vedo tre figure venire verso di me.
Nadia somiglia sempre di più a Letha, con i suoi lunghi capelli biondi.
La seconda femminuccia ho deciso di chiamarla Juliet, come voleva Letha.
Mi piace che abbia ereditato i miei capelli e la mia temperanza.
Il maschio, invece, tutto suo padre.
Pallido, biondo, con gli occhi azzurri.
Un vero spettacolo.
I gemelli erano nati umani, Nadia era l’unica Upir in famiglia.
Pryce ed Annie mi avevano davvero aiutata.
Pryce è ancora il cuore pulsante della Torre Bianca: io e lui facciamo faville insieme.
Mi spaventava un po' esserne a capo, ma pian piano mi stavo abituando.
Perché non ero sola.
Dal mare esce anche il loro padre.
Magari non come Nadia lo ricorda da piccola, ma è lui, dentro.
Non ha più i capelli biondi, adesso sono neri.
Non è più alto, adesso è quasi quanto me, così non devo mettermi in punta di piedi per baciarlo.
Ma i suoi occhi, i suoi occhi non sono mai cambiati.
Le medium non sbagliano mai.
La mia visione era giusta.
Roman era con me e anche Peter.
Peter non se n’era mai andato veramente.
Sono felice, finalmente.
Ho tutto ciò che volevo.
Forse è merito del destino, o, chissà.
Tuttavia, eravamo in tre.
Anzi, no…
Siamo in tre.

FINE.
Salve a tutti, spero che questa saga vi sia piaciuta! Grazie per chi ha letto :D

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