Racconto di Ventoso

di Tenar80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Benvenuti o bentornati nell'universo steampunk de "L'assedio degli angeli"!
Questa fic fa parte di una serie composta da quattro racconti. Ognuno di loro è indipendente e autoconclusivo, ma, almeno nella mia testa, l'insieme dovrebbe essere più della somma delle parti. 

Non avete letto Racconto di Fiorile e Racconto di Pratile? Male! Correte a farlo! 
Se non avete tempo e/o voglia in realtà non fa niente. Ecco qualche info per orientarvi. Siamo in un mondo steampunk simil vittoriano e più precisamente nella sua capitale del suo più vasto Impero. L'umanità vive sotto la costante minaccia di attacchi da parte degli angeli, creature proveniente da una dimensione adiacente. A combattere gli angeli c'è un corpo militare scelto, le Ali Nere, il cui equipaggiamento, realizzato a partire dai corpi degli angeli uccisi, permette di scontrarsi con i nemici nella loro dimensione. In realtà nessun essere umano sa molto degli angeli, chi siano, cosa vogliano e perché cerchino di distruggere il mondo umano. Alcuni esseri umani nascono con residui di ali o di corna, costoro sono definiti "impuri" e condannati a una vita da schiavi.

Avete già letto Racconto di Fiorile e Racconto di Pratile? Bentornati!
Con questo racconto rimaniamo nella Capitale, ma cambiamo personaggio e cambiano atmosfera. Lasciamo Victoria (anche se farà un'apparizione nel terzo capitolo) per conoscere Jude, un ragazzino che ha la sua stessa tenacia, ma un carattere ben diverso.
Dall'aultimo racconto è passato poco meno di un anno e qualcosa è cambiato all'interno del corpo militare delle Ali Nere...

Buona lettura e un grazie di cuore a tutti coloro che vorranno lasciare un commento!




Racconto di Ventoso

 

    «La Capitale è quel luogo in cui chiunque può diventare qualsiasi cosa abbia sognato di essere».

    Il ragazzo non ha mai letto nulla di tanto assurdo, ma decide comunque di dare una possibilità a quel giornaletto. Gira la pagina mentre addentra una frittella di mela e l’olio gli cola sul mento. Dopo tutto è il suo compleanno, o, meglio, ieri era il suo compleanno, ma ha ancora qualche ora di libertà, cosa che lo giustifica a considerare anche quella mattina un prolungamento dei festeggiamenti. Per essere Ventoso, il clima è passabile e non è così male starsene sdraiato sul prato a leggere improbabili avventure di un orfano destinato a grandi cose. A giudicare dal sogghigno con cui il vicino di suo nonno glielo ha regalato a un certo punto tra le grandi cosa a cui l’orfano è destinato ci deve essere del sesso e Jude spera che quella parte lo ripaghi.

 

    Un’ombra arriva sulla pagina appena prima che l’orfano entri nel bordello.

    – Cosa ci fai nel nostro prato? – chiede una voce maschile.

    Jude alza lo sguardo, perplesso.

    In piedi davanti a lui c’è un ragazzo più o meno della sua età. Ovviamente, lo sono quasi tutti,  è più alto e robusto di quanto sia lui. Appena dietro ce ne sono altri due.

    – Siamo in un parco, mi pare – replica, svogliato.

    Non vuole passare le sue ultime ore di libertà ad azzuffarsi.

    – È il nostro parco. Quelli come te non stanno qui senza permesso – dice con tono definitivo il ragazzo.

    Jude sbatte le palpebre.

    Poi lo sguardo gli cade sul proprio braccio, ancora impegnato a reggere il volumetto e ne considera la camicia. Checché ne dicano quelle storie, la Capitale è il luogo dove, più di ogni altro al mondo, tutti vengono giudicati solo in base al proprio abbigliamento. Jude indossa una camicia rossa stinta, comprata usata su una bancarella, sopra pantaloni da lavoro neri. Un abbigliamento che gli piace più di tanti altri, comodo, perfettamente adatto alla giornata che ha trascorso ieri, nella casa dov’è cresciuto, in uno dei tanti sobborghi operai. Non ha neppure pensato a cambiarsi prima di uscire dall’appartamento di suo nonno, lo avrebbe fatto una volta arrivato a destinazione. Non si è ricordato di cosa indossava quando ha comprato le frittelle di mele. In Ventoso, quando l’inverno è finito ma la primavera ancora non è cominciata, le frittelle di mele sono un lusso. Le migliori le vendono nel parco proprio davanti a uno dei più esclusivi licei della città. Le migliori tra le migliori vengono fritte appena prima della pausa di metà mattina, in modo che i viziati rampolli possano trovarle ben calde. Non è la prima volta che Jude le compra lì, ma di solito non ha il tempo di oziare nel prato e di certo non è vestito in quel modo.

    Sbuffa.

    – Me ne vado, non voglio guai – dice, alzandosi.

    I guai che non vuole non sono loro, ma le conseguenze che gli verrebbero dal pestarli.

    Li sottovaluta, però.

    O, meglio, sottavaluta l’effetto che fa a tre ben nutriti pargoli dell’alta borghesia o della nobiltà un ragazzetto più basso della media, che dimostra meno dei suoi anni, con capelli biondi troppo lunghi a incorniciare un visetto troppo delicato. Uno dei tre allunga un braccio e gli strappa il giornaletto di mano.

    – Devi pagare un pedaggio per essere stato qui – dice, mentre passa il bottino al vicino.

    Quello se lo rigira tra le mani.

    – Interessante, roba piccante!

    – Ridammelo! – fa Jude.

    La sua voce è ancora acuta, infantile. La odia.

    Intanto le sue mani si chiudono. In meno di un minuto potrebbero essere tutti e tre a terra. Dovrebbe dare delle spiegazioni, però.

    – Che cosa succede? 

    Un quarto ragazzo si avvicina.

    È più grande, può avere diciassette anni, ha capelli castano ramato e quel fare tronfio di chi con l’autorità ci è nato. Gli altri tre, però, reagiscono a quel tipo di carisma.

    – Solo un parassita da rimettere in riga – dice il capo della combriccola.

    – Vi ha dato fastidio? – chiede il nuovo venuto.

    Dal tono è evidente che non lo ritiene probabile.

    – Loro hanno dato fastidio a me. Io leggevo – sbuffa Jude.

    A volte, assecondare quel tipo di autorità è la via più facile per togliersi dai guai.

    Al nuovo venuto basta un gesto per farsi ridare il giornaletto.

    È sicuramente un nobile. Almeno figlio di un conte a giudicare da come scattano gli altri tre. Per loro, per la gente comune, quelle cose sono importanti. Per Jude no.

    Il rampollo osserva il giornaletto prima di ridarglielo.

    – Non sei un po’ piccolo per queste cose? – chiede.

    La situazione sta iniziando a rasentare l’assurdo.

    – Ho quindici anni – ringhia Jude.

    Non è da lui perdere tempo a giustificarsi. Eppure, forse, persino lui sente il fascino di quello sguardo castano e fermo. Ha la sicurezza di chi sa qual è il proprio posto nel mondo e che crede che il cielo, per lui, non si infrangerà mai. Che sciocchezza. Nonostante tutto, Jude quasi gli sorride quando riceve il proprio giornaletto e vede i tre ragazzotti allontanarsi.

    – Mi scuso per il miei compagni – dice il nobile, guardandoli tornare verso la scuola. – Io sono Alster. Mi spiace che ti abbiano infastidito.

    – Non lo avrebbero fatto a lungo, ma il tuo intervento ha reso le cose più semplici – ammette Jude.

    Sa che adesso Alster, futuro conte, barone o forse addirittura duca, si sta facendo delle domande. Perché lui non sta reagendo né parlando come dovrebbe fare uno con quegli abiti. Non si mangia le vocali come faceva da bambino, non ha il collo sporco come quasi tutti quelli che hanno a malapena una bacinella con cui sciacquarsi la faccia con acqua fredda, non è intimidito dall’evidente ricchezza dell’altro.

    – Come ti chiami? – chiede Alster.

    Jude ha la tentazione di rispondergli. Chissà, esiste sempre la possibilità, per quanto remota, che prima o poi incontri qualcuno che non lo infastidisca solo respirando. Alster sembra abbastanza sicuro di sé da non temerlo né invidiarlo. Chissà…

    Ma una leggera vibrazione sul petto, in corrispondenza del cuore, spegne sul nascere il pensiero. Jude ha con sé la spilla, ovviamente, anche se la tiene nascosta. Adesso si infila la mano sotto la camicia per tirarla fuori. È un piccolo cerchio d’oro con all’interno due ali nere stilizzate e la goccia di sangue d’angelo che contiene (angelo non è proprio il termine più appropriato, ma va bene, dato che lo usano tutti), la fa vibrare. Non dovrebbe, perché Jude è in licenza fino a mezzogiorno.

    – Cazzo – esclamano quasi in contemporanea i due giovani. 

    Sia i modi che i motivi per cui lo fanno sono diversi.

    Jude stringe la spilla con una mano, il giornaletto nell’altra, si volta e inizia a correre più veloce che può.

 

    Corre.

     Sa esattamente dove si trova. Se non ci sono problemi con l’attraversare le strade, se una macchina a vapore o un raro, nuovissimo bolide a motore quantico non lo investe, ci metterà sette minuti e tredici secondi ad arrivare alla sala tattica del quartier generale. Più quattro minuti e mezzo per prepararsi. Oltre undici minuti per essere pronto all’azione. Per quanto i suoi maestri sostengano che il tempo sia una variabile, nessuno è ancora riuscito a renderlo tale. Vi sono moltissime cose che possono accadere in dieci minuti. Una battaglia può essere vinta o persa in molto meno. Chiunque ci sia allo schermo tattico lo sa, proprio come lui sa che il preavviso medio che riescono ad avere per un attacco è nove minuti. Eppure lo hanno chiamato. Mentre corre, Jude controlla il cielo. Non ribolle. Non ancora. Ventoso tiene fede al suo nome.  Ci sono forti correnti d’aria in quota che mantengono il cielo di un azzurro inusuale per la capitale. Il tipo di cielo di cui ci si illude di potersi fidare.

 

    Entra nel quartier generale senza smettere di correre. Lo stanno aspettando, le porte si aprono e si richiudono al suo passaggio. Arriva in sala tattica senza essersi fermato a prendere fiato.

    Al pannello di controllo c’è Chris e questa non è una buona notizia. Benché all’occorrenza sia ancora operativo, lavora per lo più al pannello perché è il migliore. Sa intuire gli schemi dei nemici persino meglio di quanto facesse Vic. Se ci fosse stato Andre al suo posto, oppure Samir la sua chiamata avrebbe potuto essere eccesso di prudenza o cattiva valutazione. Ma, dato che c’è Chris, è necessità. L’altra cosa che nota all’istante è che su quindici tute, dodici mancano. Una pattuglia da ricognizione è composta da quattro o cinque soldati. Una formazione da battaglia da sei, otto al massimo. È raro che gli angeli attacchino in gruppi da più di tre. Persino la notte della battaglia col Generale Angelico erano soltanto in tre oltre a lui. È una delle millemila cosa che non si sanno sugli angeli. Perché siano sempre così pochi ad attaccare. Se siano pochi in generale, una feroce e arrabbiata popolazione residuale, o se soltanto alcuni di loro si divertano a uccidere gli uomini, come in una sorta di sport. Jude propende per questa seconda ipotesi. Ha la sensazione che l’umanità intera sia solo selvaggina per loro e che tutti i loro sforzi per contrattaccare, anche o forse sopratutto quelli riusciti, alla fine servano solo a divertire i loro avversari. Dopo tutto la caccia alla tigre è la più appassionante perché è la più pericolosa.

    – Sono undici ostili in avvicinamento sopra alla Capitale. Gli altri sono già sù – lo informa Chris.

    Sopra, su, sono termini fuorvianti. La maggior parte della gente crede che salendo con un razzo sopra i cieli della capitale ci si troverebbe nel mondo degli angeli, invece si potrebbe raggiungere al massimo una delle lune. 

    Vi sono infiniti universi e dimensioni, che in parte coesistono, si intersecano, si sfiorano. La semantica non ha abbastanza parole per la fisica moderna. Anche l’immaginazione di Jude riesce a visualizzare le informazioni fino a un certo punto. Immagina la dimensione degli angeli come una sorta ciambella con un buco in mezzo. In quel buco c’è la Terra. In alcuni punti, sopra la Capitale ad esempio, le dimensioni si toccano. Su tutto il multiverso o come si chiama, con a disposizione un’infinita varietà di dimensioni, loro hanno beccato come adiacente quella abitata da creature che li odiano, che possono saltare da una parte all’altra e colpirli anche stando comodi a casa loro. Se c’è davvero una divinità, da qualche parte, al di sopra di tutte le dimensioni e gli universi, pensa Jude, li odia.

    Si spoglia velocemente, senza curarsi di dove lascia i vestiti, né di farsi vedere nudo, proprio nel mezzo della sala tattica.

    Uno dei servitori impuri del Quartier Generale, un quarantenne compunto con le braccia e le mani del tutto ricoperte da piccole piume nere, arriva a porgergli un bicchiere pieno di un denso liquido rosso. Nelle storie dei giornaletti che legge ogni tanto ci sono i vampiri, creature cadaveriche che sopravvivano bevendo il sangue altrui. I soldati delle Ali Nere, invece, sono sempre gli eroi. Nessuno fuori di lì direbbe che le due cose coincidono. Jude come vampiro si sente pessimo, lo odia il sangue degli impuri piumati, sopratutto quando è rafforzato con sangue d’angelo. Meglio quello di una trasfusione, comunque. Più ne ha in corpo e più il resto viene facile, quindi beve, obbligandosi a non vomitare. Ora si tratta solo di vestirsi con un cadavere e convincere gli universi di essere davvero quella creatura.

    Appartenevano davvero a un angelo le ali nere che spuntano dalla tuta nera che Jude si infila con l’aiuto dell’impuro. Il materiale stesso in cui l’indumento è fatto e che va a ricoprigli completamente il corpo è composto per la maggior parte da tessuto organico angelico. Jude non sa e non vuol sapere come venga preparato. Il reparto ingegneria avanzato del Quartier Generale viene chiamato Il mattatoio e questo gli basta. Gli angeli li odiano. Se fosse nato angelo è probabile che, alla luce di quello che gli uomini fanno ai nemici uccisi, approverebbe questo sentimento.

    Cercando di pensarci il meno possibile, il segreto, dicono i veterani, è automatizzare il gesto, Jude si scosta con la mano sinistra i capelli dorati, lunghi fino alle spalle. Con la destra toglie la protezione all’impianto alla base della nuca, poi cerca lo spinotto che esce dalla tuta e lo infila nel proprio corpo. I minuti vasi che percorrono la tuta iniziano a portare il sangue d’angelo al suo corpo. Le ali acquisiscono sensibilità. Jude le distende e le raccoglie mentre i capelli spariscono dentro il cappuccio e poi la maschera gli copre il viso. Ora è un’approssimazione di angelo.

    Jude?

    La voce di George, il colonnello, comandante sul campo, arriva direttamente al suo cervello.

    Non hanno ancora capito il perché. La tuta che indossa, le sue ali, sono diverse, lunghe circa il doppio di quelle che indossa Jude. Solo con quella tuta, con quelle ali, strappate, secondo la leggenda, secoli prima a un generale angelico, si può comunicare con gli altri e forzarne l’entrata e l’uscita dalla dimensione.

    Pronto.

    Trasmette Jude.

    Ti porto su.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Forse, ha pensato Jude la prima volta che ha varcato la porta delle dimensioni, gli angeli li odiano per invidia.

    Non fluttua davvero nel vuoto, in nessun luogo abitabile esiste davvero il vuoto, ma la sensazione è quella. Non c’è nulla. Una distesa, per quel che ne sa sterminata, di un buio che non è propriamente nero, senza un sopra né un sotto. Forse, assomiglia alle profondità oceaniche, dove nessun pesce riesca a vivere.

    Jude si guarda intorno. Si era aspettato di essere catapultato al centro della formazione, nel cuore di una battaglia. Invece no. Non è neppure vicino al margine. 

    Gli angeli, in qualche modo, mantengono visibile il margine congruente delle dimensioni. Osservano la Capitale dell’Impero come gli uomini fanno con i pesci di un acquario. Considerando l’assoluta noia del resto Jude non si sente di biasimarli. Forse, se il suo unico passatempo fosse osservare un acquario ogni tanto gli verrebbe voglia di infastidire i pesci, prenderne uno o due per la cena. Ma non c’è il margine, lì, e neppure ci sono i suoi compagni. Non ci sono neppure punti di riferimento. Jude potrebbe essere ovunque. Perché mai George ha forzato il passaggio per mandarlo lontano da loro?

    Poi intuisce, più che vederlo, un lampo di luce. Poi un altro. Lontano, in basso, o meglio, sotto i suoi piedi. Nonostante l’addestramento, è sempre difficile per una creatura della superficie terrestre ragionare su quattro dimensioni. Non gli era venuto in mente di guardare sotto i propri piedi. Bene, Il nero che non è nero in «basso» sfuma in grigio più chiaro. È laggiù che ci sono esplosioni di luce, che stanno combattendo.

    Se fosse davvero «giù», se ci fosse la gravità ad aiutarlo, Jude scenderebbe in picchiata. Invece deve volare, senza potersi dare una spinta per partire. Le ali della tuta sono forti, ma i muscoli della sua schiena non sono nati per quel lavoro, fendere l’oscurità è faticoso. C’è ossigeno in quell’oscurità. Lo assorbe attraverso la tuta, che poi lo concentra e lo convoglia al respiratore che tiene in bocca. È questo il motivo per cui le sue imprecazioni non si propagano oltre la sua mente.

    George potrebbe parlare alla sua mente. Ma non lo ha fatto. Non lo fa neppure mentre Jude si avvicina. Neppure lui gli trasmette qualcosa. Non lo sanno per certo, ma hanno il sospetto che almeno alcuni angeli possano sentirli, proprio come se stessero urlando.

 

    Adesso capisce perché George non lo ha voluto direttamente con loro.

    Dodici essere umani e una decina di angeli stanno combattendo proprio «sopra» il margine.

    Dall’alto sembra che tutti fluttuino proprio sopra il centro della Capitale.

    Dalla città non li possono vedere. Il margine non è stato (non ancora) infranto. Il gruppo di George sta tenendo occupati gli angeli, impedendo loro di aggredire la città. Ma hanno dovuto raggrupparsi. Gli angeli si muovono nel loro ambiente. Sanno trasformare gli atomi in plasma con il proprio sguardo. Gli uomini no. A confronto dei fluidi, velocissimi movimenti degli angeli, sembrano creature sgraziate, uccelli feriti che si librano in volo a stento.

    George tiene le enormi ali della sua tuta dispiegate. Sono resistenti agli attacchi degli angeli ben più delle altre e le usa come scudo dietro cui i compagni possano nascondersi. Ma dal momento che i nemici li hanno circondati, non c’è modo di proteggerli tutti. Dai movimenti Jude intuisce che almeno uno di loro (Miles?) è ferito. Ben presto dovranno scegliere se salvare la propria vita, rientrando, o salvare la città.

    Il primo dei loro ordini è sempre quello di portare lo scontro fuori dalla capitale, o, almeno, nei quartieri più periferici, ma è ovvio che in questo momento le Ali Nere non hanno alcun controllo. Non hanno mai fronteggiato dieci angeli insieme. È probabile che dieci angeli possano radere al suolo il centro della Capitale.

    Arriveranno rinforzi?

    Oltre al Quartier Generale, l’Impero possiede altri quattro distaccamenti delle Ali Nere, nei punti in cui le dimensioni sono più a contatto. Chris li avrà sicuramente avvisati. Ci vorrà del tempo, però. Al momento è Jude il rinforzo.

    Anche se la sua sensazione è che il proprio volo sia del tutto silenzioso, il ragazzo è quasi sicuro che gli angeli possano sentirlo, ma forse non mentre combattono con un tale accanimento.

    Cerca sempre la testa del serpente, diceva Vic. Asseriva che gli angeli non potevano essere così diversi dagli esseri umani. Se è compatibile la loro biologia devono esserlo anche gli schemi mentali.  Magari sono come le api e i leggendari Generali Angelici se ne stanno lontanissimi, nei loro imperscrutabili alveari, e li controllano a distanza (i poteri della tuta di George potrebbero suggerirlo).  Tuttavia secondo Vic devono avere comunque un capo per ogni manipolo. Quindi Jude resiste alla tentazione di prendere la propria arma e di cercare di colpire il bersaglio migliore. Chi comanda lì?

    Il capo degli angeli protegge o viene protetto dai suoi sottoposti?

    Non importa, direbbe Vic. Cerca una qualsiasi variazione allo schema. Il capo può essere uno solo. Chi si comporta in modo diverso?

    Miles (ora Jude è sicuro che sia lui), viene ferito una seconda volta e scompare.

    Il che è un bene e un male.

    È un bene perché vuol dire che Miles era ancora in grado di azionare il dispositivo per il salto dimensionale. Un male perché in questo modo si è creato un varco. Uno dei raggi di plasma degli angeli supera lo schieramento. Jude è troppo lontano per capire dove vada a colpire, ma è certo che sia nel centro della Capitale.

    Serrare i denti non è una metafora. Gli dolgono i muscoli delle mascelle. Deve allentare la pressione, o romperà il respiratore. Presto anche gli angeli, non solo i loro raggi, riusciranno a passare. Le molecole dei loro corpi si modificano nel passaggio, Jude non conosce abbastanza la fisica per sapere il perché, gli interessa solo il risultato. Loro hanno bisogno di usare armi diverse nelle due dimensioni, gli angeli no. Inoltre, come se questo non bastasse, gli angeli sono più difficili da uccidere nei cieli della Terra.

    George sta facendo fatica a dirigere il gruppo. Dovrebbero contrattaccare, invece pare sfinirsi nel tenere il più possibile al sicuro i suoi. E non è possibile. Per quanto resistenti, anche le sue enormi ali si danneggiano se colpite ripetutamente con raggi di plasma. 

    Jude chiude gli occhi. 

    Non deve guardare loro.

    Non sono amici, non ne ha, ma sono comunque persone che dividono quotidianamente i suoi spazi, hanno un volto e un nome. Finire mutilati o morti fa parte del gioco, no? Solo la metà delle Ali Nere si congeda, dopo appena dieci anni di servizio, con ancora tutti gli arti al loro posto. Lo sapeva. Non dovrebbe far male vederlo mentre accade, no?

    Riapre gli occhi.

    Deve guardare gli angeli.

    Sono disposti a semicerchio, ma si muovono veloci, scambiandosi di posto.

    Uno, tuttavia, rimane sempre più arretrato, protetto. Nonostante i loro movimenti frenetici, Jude è sicuro che sia sempre lo stesso.

    O è ferito, decide, e gli altri lo stanno difendendo, o è il capo.

    Se fosse ferito potrebbe semplicemente andarsene, dato che in apparenza sta solo facendo sprecare energie ai suoi compagni. 

    In ogni caso, si rende conto Jude quando un secondo soldato è costretto ad abbandonare il capo, la situazione delle Ali Nere non può peggiorare. 

    Tanto vale tentare.

    Il difficile è arrivare alle spalle del gruppo, abbastanza vicino da colpire, senza essere percepito.

    Gli angeli sentono i movimenti dell’aria. 

    L’atmosfera è rarefatta. Per i canoni di Jude, non c’è mai nessun movimento quell’aria che non è aria, ma è chiaro che lui ci si muove con la delicatezza del proverbiale elefante nel negozio di cristalleria. Solo Vic riusciva a prendere gli angeli di sorpresa alle spalle. Bene, adesso deve riuscirci lui.

    Uno dei soldati non riesce ad attivare il balzo il maniera consapevole. La tuta è programmata per riportarli «giù» in caso di perdita di conoscenza. La speranza è che lo shock del rientro nell’atmosfera basti a svegliare il soldato e che intanto si sia allontanato dallo scontro. A volte, però, è solo una caduta rovinosa.

    Ormai le Ali Nere non sono più abbastanza per parare gli attacchi degli angeli che, disinteressandosi ai nemici, puntano direttamente a colpire la superficie della Terra.

    Che cosa gli avremo mai fatto per generare tanto odio? Si chiede Jude.

    Non vedono nemmeno se colpiscono, cosa colpiscono. Fanno danni alla cieca, senza curarsi di chi uccidano. Non prendono trofei, non hanno alcun vantaggio visibile. Eppure se sono così simili agli uomini come sosteneva Vic devono pur averlo un motivo. Nessuno può essere così stronzo a gratis. Neppure Jude lo è.

    Non c’è copertura. Non c’è nulla lì.

    Si ipotizza che altrove, dove gli uomini non si sono mai spinti, vi sia qualcosa, strutture, una città magari, un terreno di qualche tipo. Dopo tutto gli angeli non hanno braccia, ma le gambe sì, come gli uccelli devono pur avere qualcosa su cui posarsi, di tanto in tanto. Vicino al Margine, però, non c’è nulla. Solo la capacità di Jude di compenetrarsi con le ombre. La speranza che lo scontro assorba i suoi nemici al punto da renderli ciechi al suo movimento.

 

    È lontano per un colpo preciso.

    Avvicinarsi di più, però significherebbe rendere palese la propria presenza.

    George è ferito. 

    Ha dovuto estendere l’ala per coprire Anton e questo gli ha lasciato scoperta la spalla. È stato preso solo di striscio e la tuta è progettata per sigillarsi di nuovo da sola, almeno entro un certo limite. Jude, però, sa cosa vuol dire. Il sangue cola creando uno strato viscido tra la pelle e la tuta. Al netto del dolore, della debolezza che monta come un’onda, diventa sempre più difficile muoversi, persino respirare.

    Gli angeli stanno allargando il loro semicerchio. Se non arrivano rinforzi finiranno per aggirare i soldati e superare il Margine, penetrando nell’atmosfera. Nessun rifugio può sopravvivere a un attacco mirato di plasma angelico scagliato dall’atmosfera. 

    Jude estrae la sua arma.

    Non crede in dio, ma prega chiunque ci sia all’ascolto, che sia la Divina Sapienza o il Caos Puro non importa, che la mira sia salda. Che il livello energetico sia sufficiente. Che non ci sia suo nonno, là sotto, che non siano i quartieri operai dell’est quelli sopra cui stanno combattendo. Hanno già abbastanza disgrazie lì, anche senza gli angeli.

    Jude preme sul grilletto.

    Gli atomi all’interno della sua arma si disgregano. Sulla terra provocherebbe un’esplosione incontrollata e radiazioni. Qui si concentra in un singolo impulso di plasma. 

    Ha mirato al centro della schiena dell’angelo, benché sappia che sarebbe meglio colpirlo alla testa. In queste condizioni, meglio mirare al bersaglio grosso.  

    Appena prima di essere colpito, l’angelo si volta.

    Jude se ne accorge, cerca di serrare le ali, ma sa che è inutile.

    È assurda la luce pura, concentrata, che attraversa il buio verso di lui.

    Perfora le sue ali chiuse a protezione.

    Invade quasi tutto il suo campo visivo. 

    Luce e buio. Senza alcuna sfumatura.

 

    Chissà com’è sentire la propria testa che esplode? Pensa, mentre per riflesso chiude le dita per attivare il salto.

    Il dolore arriva.

 

    Ecco com’è morire, quindi.

 

    Almeno, pensa Jude, per un giorno ho avuto quindici anni.

    Ho salutato il nonno.

    Che la morte sia questo? Un’eterno cadere?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La testa esplosa dovrebbe far male un istante soltanto. Giusto? Una morte pulita e facile. Definitiva.

    Questo pulsare continuo, con la sensazione di qualcuno che stia rigirando un coltello nell’occhio destro sa più di dannazione eterna.

    Jude avrebbe preferito il nulla. Cazzo. Arriverà mica qualche santo a giudicarlo?

    Si agita. Pessima scelta, il pugnale immaginario penetra un pochino di più.

    Però sente un cuscino sotto la sua testa. Lenzuola a coprirlo. Un vago odore di sudore.

    Si azzarda a provare ad aprire gli occhi. Risponde solo il sinistro.

    È nella sua stanza, al Quartier Generale. Quella vaga macchia d’umidità sul soffitto la rende inconfondibile. Fa per toccarsi l’occhio destro, ma qualcuno lo ferma.

    – Ce l’hai ancora, tranquillo.

    Al lato del letto c’è Vic.

    No, non Vic, non più.

    La Capitale è quel luogo in cui l’abito conta così tanto che per anni nessuno si è accorto che un colonnello delle Ali Nere era una donna.

    Victoria gli sorride nel suo lezioso abito da noiosissima fidanzata di un noiosissimo professore. Ha persino un gioiello al collo e i capelli acconciati in boccoli.

    – Che ci fai qui? – chiede.

    Odia la propria voce, ora la odia di più, flebile, da malato.

    – Mi assicuro che tu stia bene – dice lei.

    Per essere una donna ha una voce roca, come se le avessero grattugiato la gola.

    – Sto bene? – chiede Jude, provocatorio.

    – Starai bene – precisa la donna. – Ti ha preso alla tempia, abbiamo dovuto rasarti un po’ i capelli per medicarti. L’occhio è stato danneggiato dalla luce, ma guarirà. Non avrai neppure una cicatrice da esibire.

    Quindi non si è schiantato al suolo. In effetti, si rende conto Jude, il dolore è tutto concentrato alla testa.

    – Chi mi ha recuperato, tu?

    Non vorrebbe, ma spera, in qualche modo, di essere così importante da aver riportato Vic alle Ali Nere. Lei, però, scuote il capo.

    – Chris. Quando ha capito che la situazione era irrecuperabile ha lasciato il pannello e ha messo la tuta anche lui. Ti ha preso, prima che tu ti schiantassi al suolo. Hai dovuto comunque dormire tre giorni per riprendere conoscenza.

    Tre giorni… Gli sembra assurdo di aver perso per così tanto tempo il contatto con se stesso. Poi ripensa alle parole usate da Vic…Quando ha capito che la situazione era irrecuperabile…

    – Cosa è accaduto? – chiede.

    – La tua intuizione era ottima – sospira Vic. Quando inizia con un complimento non è mai un buon segno. – Ma non hai ucciso il loro capo sul colpo. Sono entrati nell’atmosfera  sopra il centro della Capitale prima che arrivassero i rinforzi dei distaccamenti periferici. Dopo pochi minuti se ne sono andati, come sempre, ma dove hanno colpito neppure i rifugi hanno retto…

    Non il nonno, è tutto quello che pensa Jude. Non si vergogna del suo egoismo e lei gli legge in faccia la domanda.

    – No, hanno preso degli uffici, case eleganti e una scuola… Ma non è questo il punto.

    – No? – chiede Jude, mentre sente l’inquietudine che inizia a serpeggiargli nelle viscere.

    Perché c’è Victoria, Vic, lì con lui? Si è congedata in Nevoso per correre dietro al suo professorino e alla sua stupida normalità. Dove sono gli altri? Chris, George? Il Generale Morozov?

    – George è rimasto ferito – inizia Victoria, con una cautela pericolosa. – Si rimetterà, ma intende congedarsi. Si sente responsabile, credo, ma ha superato i dieci anni di servizio, non possiamo obbligarlo a restare, in presenza di un sostituto…

    In presenza di un sostituto…

    Fino al giorno del proprio congedo, Vic ha addestrato Jude per portare le Grandi Ali…

    Da fuori, portare le Grandi Ali è la cosa migliore a cui un soldato delle Ali Nere possa aspirare. Comporta un grado militare impensabile in relazione all’età e uno stipendio che in pochi anni permette di acquistare una tenuta grande come mezza provincia. Se si arriva vivi al congedo, dieci anni dopo, un titolo nobiliare è quasi garantito. Vic ha creato non pochi imbarazzi, rifiutandolo.

    Jude, però, ha frequentato abbastanza Vic per capirne il prezzo. Fino a che non si addestra un sostituto non si possono chiedere permessi. Per otto anni, prima che George fosse in grado di sostituirla, Vic ha vissuto entro un chilometro dal quartier generale. Un chilometro confortevole, che comprende un ristorante di lusso, un buon pub, uno stabilimento termale e perfino un rinomato bordello, ma pur sempre un chilometro. Per otto anni Vic non ha dovuto ammalarsi, ogni ferita diventava anche un limite per la difesa della Capitale. E poi ci sono le Grandi Ali. Strappate, si dice, a un Generale Angelico centinaia di anni prima. Eppure, il materiale organico di cui sono composte è ancora vivo. E ricorda. A livello meccanico la tuta con le Grandi Ali non è diversa dalle altre, ma ogni volta che Jude ha provato la connessione la sua mente è stata invasa da allucinazioni e il suo corpo lacerato da dolori fantasma che non hanno un motivo organico per esistere. Le Grandi Ali sanno di essere schiave e fanno di tutto per sopraffare chi tenta di dominarle ed è per questo che trovare dei candidati idonei è così difficile.

    – Torna.

    Jude si odia nel momento in cui sente la propria voce pronunciare quella parola.

    È stupido e debole. E questo è un motivo sufficiente per non essere adatto alle Grandi Ali, no?

    Vic lo guarda con i suoi occhi chiarissimi.

    – Ascolta, avevo quattordici anni quando il mio predecessore è morto – dice, piano, con la sua voce roca e dolce. – Non c’era nessun altro, se non fossero stati disperati non avrebbero mai addestrato una ragazza. George aveva iniziato con me, ma allora aveva le convulsioni ogni volta che provava la connessione. Eppure sono sopravvissuta. Siamo sopravvissuti. La tua intuizione era perfetta. Con le Grandi Ali avresti coordinato l’azione e la Capitale non avrebbe avuto danni. Un ragazzino di quelli entrati quest’anno ha il potenziale, tra due o tre anni avrai un sostituto. Adesso sei il meglio che la Capitale può avere. 

    Le labbra di Jude non si aprono più, ma i suoi occhi lo tradiscono ugualmente.

    Vic gli concede un sorriso triste.

    – Sono Victoria, adesso. Insegno ai bambini a suonare il piano… Posso essere Vic, se hai bisogno di un consiglio, ma non posso tornare lassù. Se anche volessi, ho venticinque anni, non ho più l’agilità di una volta. Se ci scontrassimo, probabilmente saresti tu a vincere.

    Jude sbuffa. Per sopportare lo shock del cambio di dimensione e muoversi con agilità nell’atmosfera rarefatta della dimensione angelica servono corpi integri a scattanti. Quella che per gli altri è la maturità per loro è il declino. Tuttavia non ha mai vinto contro Vic. La sua è una stupida fuga. Il problema è che anche Jude fuggirebbe, se potesse, ma non può. 

    – La scuola che è stata colpita, qual’è? – chiede.

    Ha bisogno di sapere per cosa darà tutta la sua libertà e quasi sicuramente una parte del suo corpo, se non la vita.

    – Il liceo della Divina Sapienza.

    Jude sospira. Non riesce a trovare neppure un grammo di tristezza per i tre boriosi privilegiati con cui si è scontrato nel parco. Che siano rimasti sepolti vivi in un rifugio gli pare quasi una forma di giustizia. Poi pensa al quarto.

    – Conosco un ragazzo di quella scuola – dice. – Un nobile… Alster qualcosa.

    Vic annuisce.

    Può raccontare a tutti, anche a se stessa, di esserne fuori, ma Jude capisce che ha fatto come sempre, ha chiesto l’elenco delle vittime. Il ragazzo si chiede se sia anche messa la vecchia uniforme per andare a trovare i feriti.

    Uno dei molti problemi di George, uno dei problemi che avrà Jude, è che non si può essere Vic. Lei, per assurdo, era l’incarnazione perfetta di come si immagina debba essere un ufficiale delle Ali Nere, distante ma gentile, enigmatico ma presente. L’eroe che la Capitale amava sognare.

    – È un lontano parente di Chris – sta intanto rispondendo la donna. – Il futuro barone Neris. È vivo, ma gli hanno dovuto amputare un braccio e forse rimarrà zoppo.

 

*

 

    Più tardi, quando è solo nella stanza, Jude ripensa ad Alster.

    È ricco. Gli impianteranno un braccio meccanico. Il generale Morozov dirige da una vita le Ali Nere con una gamba meccanica. Se è la sinistra avrà una vita quasi normale. Quasi. Gli ci vorrà almeno un anno di riabilitazione e dolore prima di imparare ad usarla. Probabilmente non riuscirà comunque a tirare di scherma o a guidare un’auto, due attività che i nobili adorano. Agli occhi dei suoi compagni avrà perso quell’aura di carisma e di comando. Forse lo guarderanno con compatimento, addirittura derisione. In ogni caso Jude non lo saprà. Il liceo della Divina Sapienza e i quartieri nobiliari stanno al di fuori del chilometro quadrato in cui la sua vita verrà circoscritta. Non potrà mai dirgli che per un istante ha pensato che avrebbero potuto essere amici e che era la prima volta che lo pensava di un ragazzo più o meno della sua età. 

    Non potrà mai sapere se Alster considera il fatto di essere sopravvissuto una benedizione o una maledizione.

    Sul comodino c’è ancora quello stupido giornaletto.     

 

    «La Capitale è quel luogo in cui chiunque può diventare qualsiasi cosa abbia sognato di essere».

    Jude lo prende e lo scaglia con rabbia sul pavimento.



Ed eccoci anche alla fine di Ventoso. Una fic breve breve, giusto un assaggio del carattere di Jude.
Un enorme grazie a chi è arrivato fin qui, a chi ha messo la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate e a chi ha voluto (o vorrà) recensire.
Se ne avrete voglia, con l'anno nuovo ci inoltreremo in Brumaio per conoscere un nuovo personaggio, l'ultimo che manca per terminare i Preludi a L'assedio degli Angeli.
Per tutti quanti un caro augurio di Buon 2021, che sia migliore del 2020 (dai, 2021, non è una grande impresa, ce la puoi fare!).

 

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