Le storie interrotte - in hiatus

di Saeko_san
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Parte 1 - Oneshot: Anya alle prese con stupide storie d'amore ***
Capitolo 2: *** 2. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 1: Che ci faccio qui? ***
Capitolo 3: *** 3. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 2: La piccola sarta dagli occhi a mandorla ***
Capitolo 4: *** 4. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 3: Racconti bianchi, racconti neri ***
Capitolo 5: *** 5. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 4: Inquietudine ***
Capitolo 6: *** 6. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 5: Quando erano insieme ***
Capitolo 7: *** 7. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 6: L'angelo della finestra d'Oriente ***
Capitolo 8: *** 8. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 7: La casa sul Canale ***
Capitolo 9: *** 9. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 8: Motivo d'allarme ***
Capitolo 10: *** 10. Parte 3 - Flashfic: La nave nera dalle vele rosse ***



Capitolo 1
*** 1. Parte 1 - Oneshot: Anya alle prese con stupide storie d'amore ***


A Valentina, che nonostante tutto
continuo a ricordare come un’amica.
 
 
 


 
ESTRAGON: (restored to the horror of his situation.) I was asleep!
(Despairingly.) Why will you never let me sleep?
VLADIMIR: I felt lonely.
ESTRAGON: I had a dream.
VLADIMIR: Don’t tell me!
ESTRAGON: I dreamt that –
VLADIMIR: DONT’T TELL ME!
ESTRAGON: (gesture toward the universe.) This one is enough for you? (Silence.)
It’s not nice of you, Didi. Who am I to tell my private nightmares to if I can’t tell them to you?

VLADIMIR: Let them remain private. You know I can’t bear that.
ESTRAGON: (coldly.) There are times when I wonder if it wouldn’t be better for us to part.
VLADIMIR: You wouldn’t go far.
ESTRAGON: That would be too bad, really too bad. (Pause.) Wouldn’t it, Didi, be really too bad? (Pause.)
When you think of the beauty of the way. (Pause.) And the goodness of the wayfarers. (Pause.)

VLADIMIR: Calm yourself.
 
[Samuel Beckett, Waiting for Godot, Act I, 1954]
 
 
 

 









1. Parte 1 – Oneshot:
Anya alle prese con stupide storie d’amore


 
Anya si sdraiò sulla base marmorea che sorreggeva l’obelisco di Piazza del Popolo, all'ombra del leone di pietra che guardava verso Via del Corso; si mise le braccia dietro la testa a mo’ di cuscino e si voltò a guardare il ragazzo seduto accanto a lei.
Era arrivata presto, prima del previsto, e al loro solito posto d’incontro aveva trovato Valter, con il capo chino su un fumetto e isolato dal mondo.
 
-Anche tu in anticipo, eh?- aveva detto lei alzando la voce, mentre arrivava e si toglieva dalle orecchie le cuffiette dell'mp3 che sparavano musica a tutto volume.
 
Valter aveva dunque alzato la testa e l’aveva salutata sorridendo.
 
-Eh già. Giada non è ancora arrivata, però Andrea mi ha chiamato e mi ha detto che stanno tutti insieme sulla metro e che saranno qui un po’ più tardi del previsto- disse, mentre la ragazza si avvicinava e mollava il suo zaino ai suoi piedi.
 
-Sì, anche Misato mi ha chiamata e ha detto che fa un po’ di ritardo, perché doveva badare alle sorelle-.
 
Così si erano ritrovati sotto l’obelisco ad aspettare e a chiacchierare.
Anya ripensava ogni tanto a come si erano conosciuti qualche mese prima e le veniva un po' da ridere a quel ricordo: tutto era avvenuto perché quell'estate la sua migliore si era trovata a partecipare ad un piccolo contest di fotografia online su un forum, dove era necessario scambiarsi i contatti di facebook tra i partecipanti e, senza nemmeno sapere lei il motivo, la sua amica Misato si era ritrovata appaiata nel suo progetto con Valter, un ragazzo allampanato e alto, iscritto ad un liceo artistico al centro.
Lo scopo del lavoro era ritrarre dei soggetti che significassero qualcosa di importante per i due e lavorare poi alla fotografia da presentare, non c’era perciò mai stato bisogno di incontrarsi dal vivo; Misato aveva fatto vedere le foto di lui ad Anya e quest'ultima alla fine si era ritrovata a pensare a quel ragazzo, infatuandosi per qualche motivo del viso, che pure non aveva caratteristiche così fuori dal comune (se vogliamo escludere gli occhi estremamente chiari e cangianti e i capelli tinti di un blu elettrico quasi disturbante per lo sguardo). 
Così aveva passato l’intera estate precedente a parlarne con Misato, la sua migliore amica appunto, finché un sabato, il primo dopo l’inizio della scuola, lei e Anya avevano deciso di andare - come loro solito - a Piazza del Popolo per poi far le vasche[1] per i negozi del Corso; per uno strano scherzo del destino, avevano intravisto e riconosciuto Valter in compagnia della sua comitiva.
An (così la chiamavano gli amici) era felice di aver almeno appurato che il ragazzo a cui pensava da mesi - dopo averlo visto solamente in fotografia e averne parlato tante volte al telefono con Misato - esistesse davvero e le sarebbe bastato così. Invece la sua amica, per farle una sorpresa, si era avvicinata con noncuranza a quel gruppo di ragazzi, trascinandosi dietro un’imbarazzatissima Anya, e aveva chiesto se qualcuno di loro avesse una sigaretta, visto che le sue le aveva finite (Anya non sapeva che le aveva dimenticate appositamente a casa); uno di loro, un certo Mario, un amico di Valter che tutti in quel momento stavano prendendo in giro per un motivo alle due ragazze sconosciuto, gliene aveva offerta una. Mentre Misato accendeva la sigaretta, aveva alzato lo sguardo su Valter e aveva detto:
 
-Aspetta, ma io ti conosco!-.
 
-Davvero?- aveva fatto lui, sorpreso.
 
-Sì, ti ho tra gli amici di Facebook… aspetta.. tu sei … Valter Centi, vero? Abbiamo partecipato a quel contest di fotografia qualche mese fa!-.
 
-Sì, sono io-.
 
-Io sono Misato Chiari-.
 
Dopo essersi riconosciuti, con la sfrontatezza tipica dei quattordicenni, lei aveva presentato Anya a quella comitiva.
Da quel momento avevano iniziato a vedersi quasi tutti i sabato seguenti, mettendosi d’accordo via facebook; così loro due, che venivano da appena fuori il Grande Raccordo Anulare, avevano fatto amicizia con dei ragazzi di Roma centro.
Ora Anya e Valter si ritrovavano come se fosse la cosa più naturale del mondo a parlare loro due, soli per la prima volta, dopo quattro mesi che si conoscevano, sotto il cielo azzurro e per una volta senza nuvole, nonostante fosse ormai inverno inoltrato, facesse freddo e fossero in attesa dei loro compari.
 


 

[1] L’espressione “fare le vasche” significa passeggiare avanti e indietro per uno stesso luogo, solitamente un viale; poiché Via del Corso a Roma è la cosiddetta “via dei negozi”, “far le vasche” è un modo per dire che si cammina per negozi, solitamente senza entrarvi dentro.
































Note di Saeko:
è la prima volta che mi accingo a pubblicare in questa sezione e soprattutto è la prima volta che provo a creare una raccolta così disomogenea e, per certi versi, credo atipica. Le storie che troverete in questa raccolta (a volte si tratta di one-shot o flashfic, altre volte di vere e proprie long) sono storie che ho ideato negli anni e rimaste al loro stato embrionale, di cui ho molto spesso perso l'interesse, ma non ho mai avuto coraggio di cancellarle. Ho provato negli anni a concluderle, ma arrivata al momento di continuare, non sono mai riuscita a svilupparle, è come se la frase successiva non fosse mai stata capace di venir fuori e fosse quindi rimasta intrappolata nello spazio bianco.
Per alcune di loro c'è un inizio, per tutte manca un finale.
Saranno ovviamente ricorrette e adattate ma non farò più di questo.
Perciò ecco, per quanto possa sembrare strambo, spero di non essere l'unica ad aver provato questa sensazione frustrante e insoddisfacente e beh, spero in qualche modo di avervi attirato.
Grazie a chiunque sia arrivato sin qui a leggere.
A presto.

Saeko's out


 

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Capitolo 2
*** 2. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 1: Che ci faccio qui? ***


2. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 1:
Che ci faccio qui?
 


La sensazione fu come quella che si ha quando si torna da un sogno. Ma cos’era un sogno? Sapeva di saperlo ma non riusciva a spiegarlo, oltre al fatto che non sapesse cosa aveva sognato.
 
Chi sono?
 
Dentro di sé sapeva di essere qualcuno. Non aveva ancora aperto gli occhi, setacciò le sensazioni del suo corpo: uno strano pizzicorio fastidioso sulla schiena le diceva di essere in un posto certamente sconosciuto. Aprì di scatto gli occhi e si mise a sedere, guardandosi intorno: era sdraiata sull’erba - ecco cos’era lo strano sfrigolio sulla schiena -, intorno c’erano degli alberi, a creare una piccola radura. Si toccò il corpo, trovando un piccolo seno sul petto; si passò una mano sulla testa, incontrando una chioma di lunghi e morbidi capelli le scendeva informe sulla schiena.
 
Sono una donna.
 
Questa consapevolezza le portò alla mente un nome: Rora. Le tornò in mente un’immagine: un angelo senza volto su una grande finestra che la chiamava proprio con quel nome: "Rora, Rora, vieni qui, Rora" diceva con voce eterea, poi non ricordava più nulla.
Le piaceva quel nome, ma ora aveva una questione più importante a cui pensare. 
 
Dove mi trovo? pensò. 
 
Quella in cui si trovava doveva essere una piccola radura in mezzo al bosco, tuttavia riusciva ad avvertire in lontananza delle grida e della musica, come se vicino ci fosse una riunione o una festa di un villaggio. Decise che avrebbe seguito quei suoni, per poter capire che cosa le era successo. 
 
E soprattutto per capire chi sono io.
 
Infatti il nome "Rora" non le riportava in mente niente sulla sua vita. Non ricordava nemmeno di aver vissuto qualcosa, precedentemente, avvertiva solo un enorme senso di vuoto. Si alzò in piedi e iniziò ad andare verso gli alberi che vedeva davanti a lei. 
 
Forse passando di qui raggiungo il luogo di provenienza della musica.
 
Passò il primo albero e poi il secondo, e così via. Il sottobosco era un intrico unico di foglie, radici e rami secchi; per un paio di volte rischiò di cadere. Arrivò in un’altra piccola radura, simile a quella in cui si era svegliata. In quel posto la musica era più forte.
D'improvviso qualcosa mise i suoi sensi all'erta: una sensazione sgradevole che però sentiva di aver già avvertito tantissime volte si fece largo nella sua mente, rizzandole i peli sulle braccia e facendole correre dei brividi lungo la schiena; la sua mente poteva rimanere muta ai ricordi, ma il suo corpo non aveva dimenticato: qualcuno era alle sue spalle e si stava avvicinando, perciò quella sensazione era di netto pericolo.
Quando l’omone si trovò alle spalle di Rora, non fece neanche in tempo ad accorgersi di ritrovarsi per terra. Rora, con una mossa veloce, si era voltata e aveva dato una gomitata nel ventre dell’uomo e poi, fulminea, gli aveva fatto uno sgambetto, facendolo cadere. Ma quello si rialzò velocemente e sguainò una piccola sciabola che portava al fianco. Rora schivò i primi due fendenti, poi si accucciò a terra e rotolò sotto le gambe dello sconosciuto, finendogli alle spalle. L’uomo, per quanto grosso, fu veloce a rigirarsi e a menare un altro fendente, in direzione del ventre della ragazza. Rora indietreggiò e cadde, in realtà di proposito. Infatti l’uomo si avvicinò, pronto a tagliarle la testa; in quel momento, proprio quando il suo avversario sentiva di aver già vinto, Rora gli sferrò un calcio nel basso ventre, con forza; infatti, a causa del contraccolpo, fece cadere il nemico oltre la sua piccola figura, facendogli sbattere la testa a terra. Lei si alzò velocemente e si avvicinò: lo immobilizzò e gli premette una mano sul collo, stringendo più che poteva.
 
-Chi sei?- chiese la ragazza. 
 
Anche se dovrei chiederlo a me stessa.
 
-Tu…- disse quello con voce soffocata –Non hai il diritto di chiedermi chi sono-.
-E perché?- chiese Rora.
-Perché…sei…una sporca traditrice-.
-Traditrice?-.
 
Che vuol dire? 
 
-Io?-.
-Sì- rispose quello con voce strozzata.
-Qual è il tuo nome?-.
-Che ti interessa?-, i suoi occhi mandavano lampi d’odio profondo.
-Vorrei saperlo. E vorrei sapere se sai chi sono io-.
-Tu…- l’uomo stava per soffocare. 
 
Il suo volto era paonazzo.
 
-Sei Rora. La traditrice che la Congrega Nera sta cercando…-.
-Che cos’è la Congrega Nera?-.
-Non prendermi in giro!- affermò l’uomo, con gli ultimi respiri che riusciva ad esalare –Chi più di te sa cos’è la Congrega Nera?-.
 
In quel momento il suo aggressore respirò per l’ultima volta, chiudendo gli occhi. Il rossore svanì lentamente dal suo volto. La sua pelle divenne fredda. Rora si alzò e si guardò le mani con cui aveva appena ammazzato un essere vivente.
Non provò nulla, per lei quello era uno sconosciuto che stava per attentare alla sua vita. Alcune cose le dettero da pensare, mentre continuava la sua camminata verso la musica e le grida dei bambini, che nel frattempo si facevano sempre più vicini.
Primo: gli occhi di quell’uomo, che l’avevano odiata e l’accusavano di essere una traditrice di una fantomatica Congrega Nera.
Secondo: il suo corpo aveva reagito al pericolo immediato e aveva lentamente portato via la vita a una persona, cercando pian piano di sapere fatti che potessero riguardarla.
 
Quella era una pedina, dai suoi superiori non veniva trattata sicuramente da essere umano, pensò con freddezza.
 
Non ricordava chi lei fosse, ma aveva iniziato a percepire qualcosa.
Ora oltre al suo nome, ricordava dove aveva imparato a combattere, a muoversi in quel modo fluido, a uccidere: esattamente in quella "Congrega Nera"; la sua mente collegava il suo allenamento fisico e la sua preparazione a quella associazione a cui faceva capo l'uomo che aveva appena ucciso; aveva la sensazione che la Congrega stessa in qualche modo fosse coinvolta nella sua perdita di memoria.
 
E poi perché dovrei essere una traditrice?
 
Questa era una domanda alla quale non seppe rispondersi, non in quel momento, almeno.
Anche perché in quell’istante sbucò in una radura molto grande, la musica che aveva sentito e che l'aveva guidata proveniva da lì. C’era un’enorme fontana al centro della radura, quasi fosse una piazza, e tutt’intorno c’erano dei bancali ricolmi di oggetti e prodotti.
C’erano mamme con dei bambini piccoli in braccio e bambini che correvano per tutta la radura. C’erano alcuni ragazzi che si fermavano alle bancarelle dei dolciumi e prendevano delle strane tortiglie coperte di melassa.
C’erano uomini che stavano mano nella mano con la propria innamorata; contorsionisti che davano spettacolo; si trattava fondamentalmente di una normale piazza piena di persone. L'unico problema stava nel fatto che Rora non capisse perché ci fosse una specie di piazzetta o punto di ritrovo proprio in mezzo al bosco; o almeno pensava di essersi svegliata in mezzo ad un bosco.
 
E se mi fossi svegliata in un parco? E se sì, di quale villaggio? si chiese ansiosa. 
 
Non sapeva perché, ma non si sentiva affatto tranquilla, come se dovesse terminare qualcosa che magari aveva iniziato in un villaggio per poi concludersi in quella radura, con lei svenuta e priva di ricordi.
Il fatto che più la stupì fu che tutte le persone presenti in quel luogo avevano delle armi a portata di mano.
Le signore dietro le bancarelle di vestiti e dolciumi portavano dei bastoni appuntiti o dei pugnali fissati sull’avambraccio. Ce n’era persino una che aveva una balestra con una freccia incoccata appesa proprio allo stipite del bancale presso cui stava seduta.
Le mamme avevano una piccola pistola infilata nella fondina fissata alla cintura della gonna e i loro figli portavano un pugnale di piccolo taglio appeso al collo. I bambini che giocavano avevano anch’essi dei pugnali o delle mezze spade al fianco. I ragazzi che avevano comprato i dolciumi avevano dei piccoli gladii ai fianchi o degli archi con le faretre sulla schiena. Un uomo con la sua innamorata portava un fucile sulle spalle.
 
Molto probabilmente ha il colpo in canna pensò Rora, mentre fissava quell’uomo che si guardava intorno furtivamente, lanciando occhiate protettive alla sua innamorata, che però portava una lunga e affilata spada al fianco.
 
I contorsionisti avevano delle cerbottane e dei fucili. Sulla cinta di una vide attaccate tante piccole bombe nere, lucide e perfettamente rotonde. Uno degli spettatori dello spettacolo aveva due sciabole intrecciate sulla schiena. Un’altra, una giovane donna, portava dei guanti con delle lame attaccate sulle nocche, a mo di artigli.
A Rora tutte quelle armi non parvero una cosa normale.
 
Solo chi attraversa un periodo di guerra può mettere delle armi perfino nelle mani del proprio figlio.
 
Per qualche strano motivo, era sicura che tutti i presenti nella radura sapessero usare le armi che portavano per difesa personale.
 
Ma io sono armata? 
 
Quella muta domanda le fece portare velocemente la mano su un fianco. Sentì la fine impugnatura di un pugnale.
Guardò la sua arma: era piccola ma raffinata. L’elsa era di bronzo e portava un topazio rosa alla sua estremità. Il corpo di un dragone, anch’esso in bronzo, attraversava l’impugnatura, facendo in modo di renderla comoda nella mano di Rora, come se fosse stata fatta appositamente per lei. La lama era perfetta, lucida e tagliente. Rinfoderò il pugnale e si avvicinò alla fontana per specchiarsi.
Alle sue spalle vide due semplici spade intrecciate, come quelle sciabole che aveva visto sulla schiena dell’uomo che assisteva allo spettacolo. Ma qualcosa attirò di più la sua attenzione rispetto alle due nuove armi che si era ritrovata: i suoi capelli, acconciati a doppio taglio, erano lisci, neri, lunghi e con una ciocca colorata di rosa, come il topazio del suo pugnale; e gli occhi, piccoli, a mandorla e verdi.
I contorni del viso erano delicati e affilati. Le labbra erano leggermente piene e sempre tirate fino a formare una linea rossa. Aveva un piccolo neo sulla guancia destra, accanto al naso.
Quell’immagine la lasciò scioccata e le portò alla memoria un ricordo. Il primo vero e proprio che ebbe quando si era svegliata nella radura.
L’angelo che si trovava appollaiato su un’alta finestra piena di luce che chiamava il suo nome.
“Rora” diceva “Ricorda. Ricorda che non sei sola”. Poi non riuscì a riportare più nulla alla mente. Sapeva che quel ricordo conteneva altre cose, ma non riuscì a capire di cosa si trattasse.
 
Penso che sia un sogno. 
 
Quella consapevolezza la fece abbattere ancora di più. Se si trattava di un sogno non ne avrebbe mai ricordato interamente il contenuto.
“I sogni non si ricordano mai interamente perché la mente umana omette i particolari che non ritiene giusto divulgare. Così li rinchiude in un angolo della mente a doppia mandata. E noi non li ricorderemo mai più”.
 
Che cos’è questa frase? si chiese.
 
Ricordava improvvisamente la voce vellutata e mielosa di una donna che le spiegava qualcosa riguardo ai sogni, ma non ne ricordava il volto.
 
Perché?
 
Si sentiva troppo confusa. Chi era veramente lei? Le uniche cose che sapeva di lei erano il suo nome, il suo aspetto, quali armi possedesse, sapeva di sapere combattere e di saper uccidere senza pietà, aveva conosciuto una donna che le aveva insegnato qualcosa in proposito dei sogni e sapeva di aver sognato un angelo che le dava una certezza: non era sola.
Ma tutto questo non bastava. Era incompleta, non sapeva quale fosse il suo vero scopo, sentiva la mancanza di un elemento importante, ma non sapeva di cosa si trattasse.
 
-Ehi, ragazza, che ci fai li?-. 
 
Una voce mielosa e vellutata la riportò alla realtà.
 
Questa voce!
 
Si voltò nella direzione di quel suono smielato che ricordava. Era la stessa voce che le aveva parlato in proposito dei sogni.
Veniva da una bancarella piena di rotoli di stoffe. Dietro c’era una giovane donna con i capelli castani e gli occhi chiari. Ma non riusciva a distinguerne il colore.
 
-Dice a me?- chiese Rora, incerta, indicandosi.
-Sì, dico proprio a te. Vieni qui-.
 





























Note di Saeko:
buonasera a chiunque sia giunto sin qui e beh, eccomi con il primo capitolo della seconda parte di questa raccolta; questo racconto è nato come long fantasy (per chi ha letto qualcos'altro di mio, il suo plot è stato ideato quando avevo circa 15-16 anni, quindi immediatamente dopo la conclusione di "Ombra ai Frari") e inizialmente era intitolata "Sorelle Gemelle"; ad un certo punto decisi di cambiare alcuni tratti fondamentali della trama che quindi mi spinsero a cambiare anche il titolo in "Cronache di anime e congreghe", ma immediatamente dopo persi interesse in tutto questo lavoro che pareva si sarebbe rivelato molto più lungo di altre cose da me scritte. Ne ho perso persino gli appunti e ho fondamentalmente dimenticato tutto della trama, perciò ciò che vedrete qui corretto lascerà probabilmente sorpresa anche me, perché veramente, non ne ricordo nulla, se non questo primo capitolo; sempre per chi ha già letto i primi capitoli di "Ombra ai Frari", è possibile riconoscere il tema della perdita della memoria di uno dei personaggi principali, che è qualcosa che mi affascina e al tempo stesso mi terrorizza.
Spero di avervi incuriositi sin qui e, se riesco, ci vediamo sabato prossimo con il capitolo 2!
Un ringraziamento speciale ad alessandroago_94 Nexys che sono passati a recensire la prima parte della raccolta (in particolare grazie a Nexys che l'ha anche inserita nelle seguite).
Buon fine settimana.

Saeko's out!

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Capitolo 3
*** 3. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 2: La piccola sarta dagli occhi a mandorla ***


3. Parte 2 - Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 2:
La piccola sarta dagli occhi a mandorla
 
 
-Vieni qui- ripeté la sarta.
 
Aveva in mano un ago, rimasto a mezz’aria mentre la chiamava; stava cucendo dei calzari.
Rora si alzò; non si era accorta che, incantata a guardare l’immagine riflessa nello specchio d’acqua della fontana, si era seduta a terra. Si avvicinò dunque alla donna che l'aveva chiamata, osservandone l'espressione enigmatica; le ricordò un’altra parte del sogno dell’angelo: ascoltando la voce mielosa della sarta aveva la stessa sensazione d’ipnosi che sentiva di aver provato nel suo sogno, mentre si avvicinava alla figura angelica ed eterea.
Ora era vicino alla bancarella di stoffe e la donna posò il suo lavoro di cucito. 
Guardandola da vicino, Rora si rese conto che aveva qualcosa di strano: il viso era quello di una donna sulla trentina e il suo corpo era snello, ma era troppo piccolo rispetto alle normali proporzioni per essere veramente umano. Infatti la piccola sarta, per poter arrivare con il volto oltre il bancale ove si trovavano i suoi prodotti, stava seduta su uno sgabello molto alto. Gli occhi della donna erano a mandorla, ma non come i suoi, che erano grandi e spalancati; quelli della piccola sarta erano stretti, come fossero stati due fessure da cui era possibile intravedere le iridi chiare, di un color grigio chiarissimo, che contrastava tantissimo con i suoi capelli castani, la pelle scura e i tratti orientali. Rora sentiva che quella persona non doveva essere completamente umana.
 
Trashiraa. 
 
Vedere gli occhi di quella sarta le aveva portato alla mente quel nome; possibile che quella Trashiraa fosse la donna che le aveva parlato dei sogni?
 
Beh, in fondo ha la stessa voce.
 
-Proprio così, Rora. Sono io. Non ci siamo. Non ci siamo proprio-.
-Conosci il mio nome?- chiese Rora, stupita.
-Certo che lo conosco. Mi sembra di essere ancora la tua insegnante, no?-.
-La mia insegnante?-
-Sì, Rora-. 
 
La voce si era fatta improvvisamente profonda e leggermente carica di risentimento. Una luce chiaroscurale avvolse Trashiraa, le sue gambe diventarono improvvisamente lunghe. Tutte le proporzioni del corpo divennero quelle di una normale donna umana. La sarta passò oltre la bancarella e prese Rora per un braccio.
 
-Tu mi conosci?-.
-Sì, te l’ho appena detto-.
-Vuol dire che puoi dirmi chi sono? Cosa ci faccio qui? Come sono arrivata?-.
-Sì. Però, Rora, ti ho detto mille volte di non ripeterti e di fare una domanda per volta-.
-Davvero? Non me lo ricordo-.
-Ora andiamo in un posto sicuro- disse Trashiraa. 
 
Stava velocemente chiudendo bottega e salutava i venditori e le venditrici che le erano vicini.
Si avviarono verso la parte opposta a quella da dove era arrivata la ragazza.
 
-Ora, Rora- disse Trashiraa mentre camminavano –Cerca di entrare in comunione con te stessa-.
-In che senso?-.
-Nel senso di quello che ho detto. Devo farti recuperare la memoria, ma se prima non collabori con il tuo subconscio non c’è nulla da fare-.
-Sai che ho perso la memoria?-.
-No, non l’hai persa. Semplicemente l’hai rinchiusa, io posso vedere ancora i tuoi ricordi, ma tu no. Non hai ancora imparato a schermare bene la mente. Tutti possono vedere ciò che sei, eccetto te, perché hai schermato la tua mente da te stessa-.
-Cosa?-.
 
Questa donna parla troppo veloce. Non capisco un’acca di ciò che dice.
 
-Ti spiegherò una volta che saremo a casa- disse l'altra, rispondendo al suo pensiero.
 
Rora si guardò intorno, mentre Trashiraa la trascinava. Il bosco nel quale si trovavano era più scuro rispetto a quello intorno alla radura.
Improvvisamente la sarta si nascose dietro un fitto cespuglio. Costrinse anche Rora ad accucciarsi dietro le fronde di una pianta che Rora riconosceva.
 
Questo è il meso, pensò. 
 
Ricordava improvvisamente le parole smielate di Trashiraa che le spiegavano le proprietà del meso.
“Il  meso è una pianta magica. Se ci si nasconde tra i suoi rami nessuno potrà sentire i tuoi pensieri. Se ne mangi una foglia diventi invisibile, ma la tua mente rimane leggibile. Se ne annusi l’odore funge da sonnifero. Se mangi una radice di meso puoi viaggiare con la mente”.
“Che vuol dire viaggiare con la mente?” ricordava di aver chiesto lei.
“Vuol dire che puoi trovarti con la presenza della mente in qualsiasi luogo tu immagini e vedere cosa succede in quel preciso istante, rimanendo però dove sei. Se spalmi il polline dei fiori di meso sulle guance puoi spostare gli oggetti con la mente. Essendo una pianta che vive di magia senza bisogno di essere attivata (quelle che noi chiamiamo Piante Autonome), persino una persona priva di poteri magici come voi possono fare le cose appena citate”.
 
-Trashiraa, ho ric…- iniziò a dire Rora, ma la sarta le posò un dito sulle labbra.
-Shh. Zitta. Siamo in pericolo. Non lasciarti travolgere dai ricordi. Rimani lucida-. 
 
Rora avvertì la stessa sgradevole sensazione che aveva avvertito quando aveva ucciso quell’uomo che l'aveva attaccata nella radura.
Tra le piante del bosco c’era qualcosa. Da dietro un albero spuntò fuori un gruppo di cinque mostri; avevano volti e corpi umani, ma erano completamente deformati dalle armi. Quello che sembrava il capo aveva i muscoli del braccio destro intrecciati con la lama di una spada e la mano sinistra aveva sul dorso la canna di una pistola e un grilletto, sul quale si era spostato l’indice, deformandosi completamente. Sembrava una specie di serpentello bianco intrecciato leggermente al grilletto.
Un altro aveva delle canne di bazooka che spuntavano dalle spalle, ricoperte di pelle; un altro aveva la gamba destra e il braccio sinistro amputati e al loro posto erano stati  posti una spada e una sciabola.
Il quarto era una specie di nano, se paragonato agli altri quattro che gli stavano accanto, che portava un fucile intrecciato con i muscoli addominali e sulla mano destra, in corrispondenza delle nocche, aveva infilati dei grossi chiodi appuntiti.
L’ultimo sembrava un uomo normale, magro e alto e fu quello che colpì Rora più di tutti. Il corpo non era deformato dalle armi, come quelli degli altri suoi compari; aveva gli occhi blu come non ti scordar di me e i capelli biondi; il lato sinistro della testa sembrava esser stato strappato via e rimpiazzato da una specie di piccolo cannone elettronico. Era l’unico a portare una spada al fianco. Gli altri non ne avevano bisogno.
 
-Quelli sono i danchi- sussurrò piano Trashiraa a Rora.
-Danchi?-.
-Servitori della Congrega Nera. Rimani qui- aggiunse poi, alzandosi. 
 
Rora non si era accorta che la donna era tornata piccola e sproporzionata.
 
-Dove vai?-.
-A combatterli. Casa mia è proprio lì accanto a loro-. 
 
Osservò lo sguardo spaventato di Rora e annuì.
 
-Non ti preoccupare. Faccio subito. Tu non uscire per nessuna ragione da qui-.
 
Rora non capiva il motivo per il quale si sentisse spaventata. Avvertiva che Trashiraa li avrebbe sconfitti, ne era quasi certa, ma la presenza del giovane biondo con la spada non la lasciava tranquilla. La piccola sarta prese una foglia di meso e la mangiò. Divento istantaneamente invisibile. Ma Rora intravedeva dei piccoli lineamenti azzurrini che delimitavano il suo corpo.
 
-Riesci a vedermi perché tra me e te c’è un legame forte, quello che abbiamo stretto quando siamo diventate maestra e allieva. La stessa cosa avvertirei io, se tu mangiassi una foglia di meso- disse Trashiraa, anticipando la muta domanda di Rora. 
 
La ragazza vide fluttuare i suoi labili contorni al di fuori del cespuglio dove si erano nascoste e avvicinarsi lentamente al mostro con le spalle a bazooka. La vide scivolare sotto le gambe dell’energumeno passargli un braccio invisibile intorno al collo e stringere. Il mostro continuava ad avanzare con i suoi compagni senza accorgersi di nulla. 
 
Perché non fanno nulla? Trashiraa ormai sta per strangolarne uno.
 
Poi capì che succedeva. La piccola sarta li stava facendo superare il cespuglio di meso, dove lei era nascosta. Quando questo accadde, il suo braccio strinse in un sol colpo il collo del danchi con i bazooka, che cadde a terra, inerme. Il suo corpo divenne polvere argentata e fu solo allora che i suoi compagni si voltarono.
Trashiraa passò velocemente al tizio con la spada e la sciabola al posto di gamba e braccio. Un leggero luccichio balenò nell’aria e Rora avvertì la lama di un piccolo pugnale invisibile trapassare la schiena del nemico. Quando anche quest’ultimo divenne polvere d’argento, il piccolo nano iniziò a sparare con il suo fucile addominale. Sfiorò Trashiraa di striscio. Una piccola goccia di sangue d’oro uscì dal braccio della sarta. 
 
Sangue d’oro? Ma allora che creatura è? si chiese la ragazza.
 
Non riusciva ad identificarla.
La goccia di sangue cadde sul naso del nano, che si sfiorò, incantato dal bagliore dell’oro. Trashiraa ne approfittò per prendere velocemente la testa del nano tra le mani e rigirarla, fino a rompere la colonna vertebrale. Il piccolo danchi svanì come i suoi compagni. Il capo riuscì a prendere Trashiraa per un braccio.
La ferita sanguinante rendeva visibili i suoi movimenti e il danchi era riuscito ad anticiparla. Ma la donna non si perse d’animo: si piegò in massima raccolta sulle piccole gambe e passò sotto quelle del mostro, dando un poderoso calcio alla schiena del suo nemico, che cadde a terra con un tonfo. Trashiraa si alzò con uno scatto fulmineo e piantò il suo pugnale sulla testa di quest’ultimo, che svanì all’istante. In quell’istante un piccolo proiettile la ferì al fianco: proveniva dall’ultimo nemico, il danchi biondo, che le aveva sparato con il piccolo cannoncino che aveva sulla testa. Fortunatamente Trashiraa era invisibile e fulminea, altrimenti la ferita sarebbe stata più grave. Il suo sangue d’oro usciva a fiotti, bagnando il fogliame del fitto sottobosco e rendendo la sarta come un fluttuante puntino d’oro nell’oscurità.
 
-Sei una fata- affermò il biondo. 
 
La sua voce era roca e spenta, in contrasto con il suo viso che, nonostante la deformazione, sembrava forte e bello. Il blu dei suoi occhi sembrò diventare rosso nel momento in cui estraeva la spada.
 
-E tu sei un danchi appena trasformato, vero?- chiese Trashiraa, lasciandosi cadere all’indietro e allontanandosi dalla traiettoria dell’arma del nemico.
 
-No. Sono un danchi particolare, dato che cinquecento anni fa ho bevuto sangue di fata. Era una fata che aveva la tua stessa aura, ma lei avevo avuto il piacere di vederla in volto. In quel momento ero stato trasformato in danchi solo da pochi giorni. Sono riuscito a conservare la parola umana. Ma devo bere di nuovo un po’ di sangue fatato, per poter parlare per altri cinquecento anni-. 
 
Alla conclusione di quella frase, gli occhi di quell'essere erano divenuti rosso carminio.
 
-Quindi tu sei quello che chiamano “il famoso danchi Immortale”?- disse Trashiraa, con una punta di nervosismo.
-Ah, vedo che mi conosci-.
-Sì. Cinquecento anni fa il corpo di mia sorella è stato trovato prosciugato della sua linfa vitale e del suo sangue. Nello stesso momento è comparso un danchi che dicevano potesse parlare molto bene. Ti ho trovato, alla fine-.
-Ah, dunque quella fata era tua sorella? Allora anche il tuo sangue sarà certamente delizioso-.
-Zitto!- gridò Trashiraa, gettandosi in avanti.
 
Fu un errore madornale.
La creatura, che aveva fatto i suoi calcoli sulle proporzioni della sua nemica, ne approfittò per tirare un fendente in direzione della testa della fata. Tuttavia qualcosa bloccò la traiettoria della lama. Il danchi si voltò in tempo per notare un sasso che cadeva; si preparò dunque di nuovo a ferire la sua nemica ma stavolta, tra lei e la sua lama si frappose una ragazza.
Rora.
La ragazza era rimasta a guardare e aveva capito di aver preso la freddezza nell’uccidere dalla sua maestra; però quel maledetto danchi immortale stava decisamente oltrepassando i limiti e aveva visto Trashiraa cedere; sentiva di dover intervenire. Le sue gambe si erano mosse prima di riuscire a formulare un pensiero concreto, aveva sguainato entrambe le spade che portava sulla schiena e aveva usato quella della mano sinistra per fermare il fendente del danchi. Gli occhi del mostro tornarono improvvisamente azzurri e si riempirono di stupore. Rora si muoveva agilmente sulle gambe e faceva ruotare le spalle con estrema destrezza. Sentiva che quella era la cosa più naturale del mondo, per lei. Anche il danchi era veloce, ma non si aspettava che ci fosse qualcun altro oltre alla fata. Mentre combatteva con la ragazza, inciampò. Rora gli squarciò in due il petto, creandogli una profonda ferita all’altezza dello sterno. Questo tuttavia non svanì come avevano fatto i suoi compagni, che alla prima ferita mortale si erano dissolti in polvere d'argento. Invece sorrise mesto, si alzò velocemente e fuggì. La ragazza guardò il sangue che era rimasto sulla lama. Era violaceo.
 
-Cosa hai fatto?- la voce di Trashiraa era un debole tremolio.
-Ti ho salvata-.
-Hai ricordato?-.
-Qualcosa. Ma ho delle domande da farti, Trashiraa. E vorrei delle risposte-.
-E io non te le ho mai negate- disse Trashiraa. 
 
Si alzò in piedi. Sembrava aver recuperato la sua tranquillità e stava man mano ritornando visibile.
 
Una fata? Questa donna? 
 
Quel pensiero stupiva ancora Rora; senza sapere perché, immaginava le fate piccolissime, con le ali e la polvere d’oro sulla pelle.
 
-Comunque, Rora…-.
-Sì?-.
-Che fine ha fatto il rispetto per i propri maestri? Una volta si dava del “lei” alle persone più anziane-.
-Ah, davvero?-.
-Davvero!-. 
 
La piccola sarta, ormai recuperata la completa visibilità del proprio corpo - aveva perso troppo sangue e gli effetti del meso stavano svanendo velocemente - le rivolse un sorriso brillante e i suoi occhi grigi sembrarono accendersi.





































Note di Saeko:
è vero, avevo detto che avrei pubblicato ieri, ma ho avuto ospiti imprevisti a casa e non ho avuto tempo né di riguardare il capitolo né ovviamente di pubblicarlo. Comunque eccomi qui, con un capitolo che entra un po' di più nel mondo che stavo tentando di costruire con questa storia; penso si fosse già notato dal capitolo scorso, ma questa long fantasy ha alcuni elementi cyberpunk che all'epoca della stesura ho voluto inserire perché mi sembravano stranamente innovativi (?). Non so se abbiamo effettivamente senso, ma non ricordando nemmeno dove volessi andare a parare (come dicevo nelle note al precedente capitolo), non aveva senso stravolgere gli elementi già inseriti in questa parte, quindi sarò a scoprirli direttamente con chi mi leggerà.

Un ringraziamento ad alessandroago_94 per il tempo che ha dedicato allo scorso capitolo.

La prossima settimana so già che non pubblicherò di sabato, quindi auspicabilmente ci si dovrebbe vedere domenica! Buon tutto e buon inizio settimana a chiunque sia giunto sin qui.

Saeko's out!
 

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Capitolo 4
*** 4. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 3: Racconti bianchi, racconti neri ***


4. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 3:
Racconti bianchi, racconti neri
 
 
Ho già visto questa casa… nei miei sogni, forse.
 
La casa di Trashiraa aveva un che di familiare, tuttavia Rora non era sicura di poterlo affermare; in fondo non ricordava praticamente nulla di se stessa. Eppure, entrando nella piccola casetta in mezzo al folto del bosco, pensava di ricordare come fosse fatta all’interno e per un certo senso fu così.
Infatti, appena entrata, si trovò davanti alla porta un tavolino con un cesto di rose; v’erano due finestre che illuminavano la casa: una sulla parete della porta e una sulla parete accanto; la cucina era situata a sinistra del tavolo. Le sembrò poco familiare il fatto che accanto ci fosse un’altra porta e una scala. Ipotizzò che dovesse trattarsi delle camere private della fata. Osservò i quadri alle pareti, i grossi arazzi colorati e il piccolo divano addossato alla parete opposta alla finestra; erano cose che aveva già visto.
 
Certo che le hai già viste. Trashiraa è la tua insegnante! si disse poi.
 
-Vuoi del tè?- chiese la fata.
-Tè?-.
-Sì-.
-Che cos’è?-.
 
Rora non riusciva proprio a ricordare casa fosse il tè.
 
-Ricordi cos’è una spada, ma non sai cosa è il tè?- chiese Trashiraa, sorpresa.
-Esatto- rispose Rora, arrossendo imbarazzata.
-Devo dire che la Congrega deve averti manipolata parecchio, eh?-.
 
Rora non seppe come interpretare quella domanda e non rispose. Seguì Trashiraa nella cucina e la vide prendere una brocca di metallo e riempirla d’acqua. Poi mise la mano su un ripiano pieno di cenere, mormorò una parola e si accese un fuocherello giallo. Trashiraa vi mise sopra la brocca con l’acqua.
 
Rigor? pensò Rora, ripetendosi la parola che aveva sentito pronunciare alla piccola sarta.
Vorrà dire “fuoco”? si chiese impaziente.
 
Dopo poco tempo la brocca, diventata ormai rovente, iniziò a fischiare e la ragazza avvertì che l’acqua al suo interno stava bollendo. Trashiraa mormorò un’altra parola che Rora non riuscì ad identificare e un lampo di luce azzurra spense il fuoco. Con un panno la fata alzò il coperchio della brocca e ci lasciò cadere al suo interno delle strane foglioline marroni. Dopo poco l’acqua di cominciò a diventare ambrata e un dolce aroma vagamente speziato invase la stanza.
 
-Questo è il tè!- esclamò la maestra, sorridendo.
-È una cosa molto strana. Ma che ora mi sembra di ricordare… però ricordo anche un aroma di fragole-.
-Ah, è vero. Tu bevevi la tisana alla fragola- convenne Trashiraa.
 
Rora la aiutò a portare il tè sul tavolo, fuori dalla cucina. La fata si sedette e Rora la imitò.
 
-Allora, Rora. Vuoi sapere che cosa ti è successo?-.
-Sì-.
-Da dove cominciamo?-.
-Perché mi trovavo nella radura? E svenuta, per di più? Cosa stavo facendo? E chi era l’uomo che mi ha attaccato? Dove ho imparato a uccidere senza provare alcun sentimento? Con te, per caso? E…-.
-Ehi, buona, buona- la fermò la piccola sarta –Mi pare di averti già detto di andarci piano con le domande. Un enigma per volta, per favore-.
-Sì, d’accordo-.
 
La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani, sentendosi incredibilmente infantile.
 
-Però prima iniziamo dal principio, va bene?-.
-Dal principio?-.
-Tu non ricordi neanche chi sei, no?-.
-Vero-.
-Allora immagino che io debba parlarti di dove ti trovi in questo momento, della guerra, della Congrega Nera e quant’altro, giusto?-.
-Sì, per favore-.
-Allora calma il tuo animo e chiudi gli occhi. Lasciati trasportare dalla mia voce-.
 
Rora eseguì. Attese nel silenzio che la voce di Trashiraa iniziasse a parlare. Era curiosa di capire perché la fata tardasse a iniziare il suo racconto, ma sentiva di non dover aprire gli occhi.
Poi la voce dolce smielata che attendeva arrivò; le sembrò di iniziare a ricordare, man mano che Trashiraa raccontava, partendo dalla storia di come si era creato il luogo in cui si trovava.
 
“Quattromila anni fa il nostro mondo non era ancora stato creato. I quattro elementi fondamentali, l’acqua, l’aria, il fuoco e la terra, avevano vita propria e vagavano per il cosmo. Ai poli di questo cosmo c’erano due essenze opposte: la Luce e il Buio, in eterno conflitto tra loro. Un giorno questo conflitto venne messo momentaneamente da parte: Luce e Buio decisero di unire le loro forze per creare un campo di battaglia più adatto rispetto a quello del cosmo, dove non c’erano altro che stelle luminose e notte profonda. Così raccolsero insieme i quattro elementi e li unirono, intrecciando assieme un filamento di luce e uno di buio. Dall’unione dei quattro elementi nacque Laviro, la nostra amata terra, e dai filamenti di Buio e Luce nacque l’elemento naturale che regola Laviro: la magia. Luce e Buio tornarono a combattere, più ferocemente di prima. Dalle loro battaglie nacquero gli uomini, gli animali, gli esseri mitologici e gli esseri fatati, ovvero le prime quattro specie principali che abitano Laviro. Con l’avanzare del tempo, alcune creature, di ogni specie, si votarono alla Luce o al Buio, al Bene o al Male. Duemila e cento anni fa il Bene ebbe la meglio sul Male. Ma Seicento anni fa nacque una congrega votata al Male e chiamata, appunto, Congrega Nera. Per sconfiggere il Bene, la Congrega creò degli esseri mostruosi, incrociando il DNA di uomini, fate e animali con le armi. Li chiamarono “danchi”, che nel linguaggio antico di Laviro vuol dire “mostro”. Si accorsero che appena trasformati, quelli che potevano, mantenevano l’uso della parola, ma dopo appena tre anni divenivano macchine da guerra senza anima e senza favella. Riempirono, in cento anni, il mondo di Laviro di danchi e alla fine schiacciarono i rappresentanti del Bene. Da allora la Congrega elegge, ogni cento anni, una nuova regina, dotata di poteri magici. Ora, a capo della Congrega Nera, c’è la strega Aelithia. Questa donna ha avuto due figlie gemelle da uno sconosciuto guerriero venuto dal nord di Laviro. Queste due bambine avevano folti capelli neri, una aveva gli occhi verdi e l’altra gli occhi azzurri; una ciocca dei loro capelli era colorata naturalmente con colori che di naturale non sembravano avere nulla: quella della sorella con gli occhi azzurri era viola e quella della sorella con gli occhi verdi era rosa. Ma nonostante questi strani presagi magici, crescendo le bambine non mostrarono mai alcun potere, rimanendo delle semplici umane. Aelithia, scontenta di questo fatto, decise di farle diventare delle guerriere al servizio della Congrega. All’inizio avevano un unico maestro, Landon, che insegnava loro le arti della guerra. Ma quando raggiunsero l’età di 11 anni vennero separate e assegnate a due diversi insegnanti. Una ad un vecchio saggio e una ad una fata.
Il padre delle bambine venne allontanato definitivamente e esiliato da Arvar, la capitale di Laviro”.
 
-Io ho una sorella? E un padre?- fece Rora, sorpresa.
 
Mentre la sua mentore parlava, si stava toccando distrattamente la sua ciocca di capelli colorata.
 
-Sì, ma di questo parleremo dopo-.
-Perché?-.
-Perché quello che ti ho raccontato finora è ciò di cui sono a conoscenza anche i membri della Congrega Nera. Tua madre compresa-.
-Aelithia?-
-Sì. Quelle che racconterò ora sono le cose che avvengono all’oscuro della politica della Congrega e nelle quali siete coinvolte tu e tua sorella. E naturalmente io e il vecchio saggio-.
-E come si chiama, questo vecchio?-.
-Kilik- .
 
“Kilik, il saggio più importante della Congrega Nera, ha settecento anni. Nonostante ciò, è un valoroso e agile combattente. Non si sa quale sia veramente il suo nome ed è stato chiamato Kilik, che nella lingua di Laviro significa “voltafaccia”. Infatti Kilik era al servizio del Bene e divenne un saggio della Congrega Nera, quando quest’ultima vinse sul Bene. Alcuni membri neri non si fidano di lui, ma Aelithia non la pensa allo stesso modo. Infatti Kilik è stato il suo insegnante di armi e di magia, quando aveva la tua stessa età…”.
 
-Un momento, ma allora io quanti anni ho?-.
-La vuoi smettere di interrompermi?- chiese Trashiraa.
-Scusami, ma io vorrei saperlo-.
-Su questo hai ragione. Tu hai sedici anni. E ora chiudi di nuovo gli occhi e lasciami finire la storia-.
-Sì, maestra- aggiunse alla fine senza nemmeno pensare.
 
Il chiamarla “maestra” era un’abitudine che la ragazza aveva sempre avuto, semplicemente non se ne ricordava; Rora chiuse gli occhi e si lasciò di nuovo andare alla voce di Trashiraa, che aveva un tono quasi ipnotico.
 
“Peccato che la regina non avesse messo in conto che il nome di Kilik era veritiero. Egli era sempre stato un servitore del Bene. Sin dalla vincita del Male si era dato segretamente da fare per istituire una congrega votata al Bene, ovvero la cosiddetta Congrega Bianca. Riuscì a convertire al suo ideale alcuni membri della Congrega Nera, prigionieri di guerra e persone esterne ad Arvar. Ultimamente è riuscito a reclutare persino un paio di danchi che hanno ancora un minimo di coscienza. Ed è riuscito inoltre, dopo due anni di insegnamento a una delle gemelle di Aelithia, a convertirla alla causa del bene. Un anno dopo anche la sorella è entrata a far parte della Congrega Bianca. Ma da quando l’altra gemella ha iniziato a fare il doppio gioco, la Congrega Nera, che già sospettava un movimento di opposizione al di fuori di Arvar ha rafforzato i suoi sospetti, perché la ragazza non riesce ancora a schermare i propri pensieri. Si è quindi scoperto che la seconda gemella fa parte della Congrega Bianca ma, fortunatamente, è riuscita a schermare i suoi segreti più importanti sui membri suoi compagni”.
 
-Cosa mi è successo poi?- chiese Rora, aprendo gli occhi, colmi di stupore.
-Sei stata interrogata a lungo, ma la tua mente non ha rivelato nulla. Dopodiché sei stata condannata alla reclusione a tempo indeterminato. Kilik e io ti abbiamo fatta fuggire con la nostra magia ma, a quanto pare, c’era qualcuno che ti seguiva, molto probabilmente l’uomo che hai ucciso. Sentendoti in pericolo ti sei avvicinata alla piazza Secolare di Arvar, in cerca della sottoscritta. Poi, quando stavi per essere catturata, la tua mente ha nascosto completamente ogni tuo ricordo e ti ha fatta svenire. La notte scorsa c’è stato un enorme lampo rosa nel bosco-.
-E perché non siete venuti a controllare?-.
-C’era una barriera che ce lo impediva-.
-E tu perché eri alla piazza Secolare a fare la sarta?-.
-Perché quella è la mia postazione di controllo-.
-Come mai tutte le persone che ho visto in quella piazza avevano un’arma?-.
-Per difendersi dai danchi. Quando non hanno nessun ordine, attaccano la gente-.
 
Rora rimase in silenzio.
 
Ora ho capito un po’ di cose. Mi sembra tutto familiare. Però…
 
-Non ricordo il volto di mia sorella. E neanche quello di mio padre-.
-E quello di tua madre?-.
-No-.
-Ricordi Kilik?-.
 
Rora non ne era sicura. Mentre Trashiraa parlava le pareva che tutto ciò che diceva le fosse tornato alla mente e le pareva di riconoscere come veritiero più o meno tutto quanto. Quando aveva sentito il nome di Kilik, l’aveva associato all’immagine di un vecchio con gli occhi neri e la barba bianca, alto, magro e vestito di viola.
 
Che sia lui?
 
Lo chiese a Trashiraa. La fata annuì.
 
-E di me ti ricordavi?-.
-No. Ma ricordavo la tua voce-.
 
Tacque un attimo, prima di chiedere:
 
-Perché non mi hai detto subito chi ero, in piazza?-.
-Perché era pericoloso. Alcuni dei contorsionisti che c’erano lì sono delle spie della Congrega Nera. Molto probabilmente, appena ti hanno vista, lo hanno comunicato a Rom, che ha inviato i danchi con i quali abbiamo combattuto-.
-Chi è Rom?-.
-È il capo della squadra speciale della Congrega Nera. È il mago che crea i danchi, al momento. Cem, quello che c’era prima di lui, è morto di vecchiaia-.
-Di vecchiaia?-.
-Sì. È stato lui, insieme ad altri membri anziani, a vincere il Bene, seicento anni fa. A quel tempo, Cem aveva già cinquecento anni-.
-Oh-.
 
Incredibile quanto duri la vita delle persone. Sarà per la magia di Laviro? Chissà quanti anni ha Trashiraa…
 
-Ricordi il Gran Segreto della Congrega Bianca?- chiese la fata, interrompendo i suoi pensieri.
-Il Gran Segreto?-.
-Sì. Due mesi fa, quando la Congrega ti ha scoperto, tu eri diventata custode del Gran Segreto. Kilik, che lo teneva nascosto dentro di sé da settecento anni, lo ha passato a te. Quindi ora non ne possiede il ricordo-.
-Che cosa sarebbe il Gran Segreto?-.
-I principi nascosti del Bene. Quando la Congrega Nera divenne il governo autoritario di Laviro, i rappresentanti del Bene decisero di nascondere il segreto della loro dottrina, nascondendola nel corpo di Kilik. Ma ormai il corpo del saggio è vecchio e non riesce a tenere nascosto quel segreto. Per questo lo ha passato a te-.
-Non me lo ricordo-.
 
Quando Rora disse quella frase, vide apparire sul volto di Trashiraa un velo di angoscia.




































Note di Saeko:
il mio impegno di oggi è saltato alla prossima settimana, per cui eccomi qui ad aggiornare questa storia con un po' di anticipo. Devo dire che sono stupita io stessa di questo capitolo, perché non mi ricordavo davvero né di averlo strutturato così né di aver creato un background così colmo di particolari al terzo capitolo. E non mi ricordo sinceramente di cosa avverrà dopo, quindi stay tuned perché la prossima domenica lo scopriremo insieme!
Un grazie a chiunque sia giunto sin qui e a presto.

Saeko's out!

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Capitolo 5
*** 5. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 4: Inquietudine ***


5. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 4:
Inquietudine
 


-Non riesci proprio a ricordartelo?-.
 
La voce di Trashiraa era molto nervosa.
 
-No, mi dispiace-.
 
Trashiraa rimase in silenzio per un attimo, corrucciando appena le sopracciglia; molto probabilmente stava riflettendo sul da farsi. Una piccola ruga preoccupata aveva deformato la pelle della sua fronte liscissima e perfetta.
 
Perché non ricordo le cose più importanti? Mia sorella, mio padre... e ora il Gran Segreto… perché non li ricordo?
 
Ormai Rora era riuscita a riportare alla mente tutto ciò che era successo, tutte le cose che aveva appreso, il principio della sua freddezza nell’uccidere, la pericolosa guerra silenziosa di Laviro, sua madre…
Ma non ricordava quelle tre cose, le più importanti. Un senso di impotenza le pervase l’anima.
 
-Dobbiamo partire. E subito- disse Trashiraa, alzandosi repentinamente dalla sedia.
-Partire? E per dove?-.
-Hai visto quel danchi biondo? Il cosiddetto “Danchi Immortale”?-.
-Sì-.
-Molto probabilmente non è morto, anche se l’hai ferito gravemente. È il più pericoloso perché…-.
-Perché è dotato di parola, giusto?- concluse Rora, ricordando la sua abitudine ad anticipare la sua maestra.
 
Trashiraa fece un debole sorriso.
 
-Sì, esatto. Dobbiamo andarcene di qui. Siamo entrambe in pericolo-.
-Non dobbiamo avvertire Kilik? E mia sorella?-.
-Loro non corrono rischi. Ci eravamo accordati sul fatto che loro non sapessero nulla riguardo la Congrega Bianca, quando ti hanno catturata-.
-Ma dove andremo?- chiese Rora.
 
Possibile che ci sia un posto dove possa recuperare i miei ricordi?
 
-Verso nord. Raggiungeremo la casa di Torov, arriveremo all’antro delle Ninfe e poi recupereremo Mink-.
-Chi è Mink?-.
-Mink è la nostra sentinella a sud. Dobbiamo riunire tutte e quattro le nostre sentinelle, che si trovano ai quattro punti cardinali rispetto ad Arvar-.
-E chi sono queste sentinelle?- mentre Rora faceva questa domanda, vide la piccola sarta iniziare a raccogliere molte cianfrusaglie, vestiti e strane bustine piene di strane polveri.
 
Si sta preparando per il viaggio.
 
-A nord c’è Torov, il vecchio contadino. A est c’è Sina, il capo delle Ninfe dei Boschi, a sud c’è Mink e a ovest c’è Baor, il folletto che custodisce la Frontiera Proibita. Dobbiamo riunirli tutti ad Arvar, così, con l’aiuto di Kilik e tua sorella, riusciremo a spedire per sempre la Congrega Nera nell’Oblio-.
-Oblio?-.
-Certo. Non ricordi neanche questo?-.
-Non mi sembra che abbiamo mai parlato di mandare la Congrega in un posto dal quale non può tornare-.
 
A questa affermazione, Trashiraa la guardò con gli occhi sorpresi.
 
Che c’è? Ho solo detto la verità. Sono sicura che si era parlato di uccidere mia madre e distruggere i danchi, ma non di mandare tutta la Congrega nell’Oblio.
 
-Hai ragione- ammise la fata –Abbiamo deciso questa cosa quando sei stata catturata. Il nostro compito è quello…, mi prendi quella pianta sullo scaffale, per piacere?- chiese.
 
Rora alzò il braccio verso lo scaffale che stava vicino alla finestra e prese una pianta dalle foglie strette e dalle bacche violacee.
 
Il mirto!  ricordò.
 
-… quello di fondare una Congrega Bianca che governi e amministri con giustizia il mondo di Laviro. Ma prima bisogna estirpare per bene il male. Ti ricordi di quando Kilik riuscì ad aprire la porta dell’Oblio?-.
-Da dove si creò il nostro mondo?-.
-Esatto. Stiamo parlando del cosmo, dell’origine di Laviro. Quando sei stata catturata abbiamo deciso di mandare la Congrega al di là di quella porta, continuando a combattere chiunque ne porterà il ricordo. Perché mandare qualcosa al di là dell’Oblio vuol dire che il suo passaggio su questa terra viene quasi completamente cancellato- aggiunse allo sguardo interrogativo di Rora.
-Quindi la nostra prima tappa sarà il nord?-.
 
Anche se le sembrava familiare tutto ciò che Trashiraa le aveva detto, sentiva una gran confusione nei suoi pensieri aggrovigliati, come se un velo le coprisse nuovamente la memoria.

-Sì. La casa del contadino Torov si trova sul Canale di Jamrin, a quarantatré gradi a nord di Arvar. In quel canale scorre la forza dell’elemento dell’acqua-.
-Cosa?-.
 
Rora non ricordava questa cosa.
 
O meglio… me lo aveva accennato, si corresse mentalmente.
 
Anche Trashiraa capì che qualcosa doveva essere spiegato, dato che i pensieri della giovane discepola erano nuovamente una matassa aggrovigliata di ricordi senza arte né parte. Posò le cose che aveva in mano e iniziò nuovamente a parlare.
 
-Ogni punto cardinale rispetto ad Arvar rappresenta uno dei quattro elementi. A quarantatré gradi nord di Arvar c’è il Canale di Jamrin-.
-Aspetta un attimo… nell’antica lingua di Laviro, “Jamrin” non voleva dire “sorgente”?- chiese Rora, ricordando le sue lezioni passate.
-Proprio così. Il canale di Jamrin è il simbolo dell’Acqua. La casa di Torov si trova lì perché, essendo un contadino, ha bisogno di irrigare i campi; inoltre si trova a nord perché lì il clima è più impervio e instabile. L’Acqua è l’elemento più instabile e debole del cosmo-.
 
Detto questo, Trashiraa riprese a fare i bagagli, chiedendo a Rora di aiutarla. La piccola sarta aveva sistemato i suoi tessuti nella sacca rimpicciolendoli, uno ad uno.
La ragazza provò una strana sensazione: si sentiva stranamente tranquilla, nonostante gli avvenimenti delle ultime quattro ore l’avessero scossa. Nonostante ora sapesse abbastanza bene ciò che era accaduto, la sua memoria era comunque reticente, come il ricordo di quella sensazione: sapeva di averla già sentita, però era qualcosa che non sempre, almeno negli ultimi tempi, le era mancata molto. La sensazione era quella di dover fare qualcosa insieme ad altri esseri viventi per un fine comune.
 
Chissà com’è il volto di mia sorella.
 
Se l’era chiesto da quando Trashiraa le aveva raccontato la sua storia, poiché, nonostante fossero gemelle, doveva avere sicuramente particolari diversi che le distinguevano, a partire dagli occhi e dai capelli. Pensava fosse inutile chiedere alla sua maestra di dirle come fosse di aspetto, perché avvertiva che non l’avrebbe comunque ricordata, così sentiva che sarebbe accaduto per suo padre.
Poi, mentre guardava Trashiraa rendere minuscole tutte le valigie che avevano preparato, tanto da farle diventare tascabili, un altro frammento di memoria venne a galla.
Si trattava di nuovo di quell’angelo che le era venuto in sogno e che aveva ricordato da appena sveglia. Questa volta era sceso dalla finestra luminosa ed era arrivato accanto a lei; solo in quel momento Rora si accorse che in quel sogno il pavimento dove camminava era bianco, vuoto, praticamente non c’era. Alzò lo sguardo e vide il volto dell’angelo; quando lo aveva scorto sulla finestra, le era parso che avesse i capelli castani. Ora, invece, si accorgeva che erano nerissimi, con due ciocche colorate ai lati della testa: una rosa, come la sua, e una viola.
L’angelo stava per dirle qualcosa. Vide le sue labbra muoversi, ma non riusciva a ricordare cosa l’angelo cercasse di dirle.
 
-Rora- una voce interruppe il suo sforzo di ricordare –Rora, i bagagli sono pronti. Dobbiamo andare. Molto probabilmente il Danchi Immortale è già arrivato alla Congrega Nera e ha raccontato tutto a Aelithia-.
 
Trashiraa la guardava dal basso con occhi straniti.
 
-Sì, sono pronta- disse Rora, riscuotendosi.
-È tutto a posto?- chiese la piccola sarta.
-Sì, credo di sì-.
 
Trashiraa la fissò un attimo. Dopodiché si voltò, prese la piccola sacca con i bagagli rimpiccioliti e uscì dalla casa. Rora osservò l’interno di quella piccola abitazione, sospirando; era sicura che la maestra avesse visto quella parte del suo sogno, dunque perché non chiedeva spiegazioni o non le diceva cosa fosse quella finestra o chi fosse l’angelo?
 
A volte vorrei poter leggere nei pensieri di Trashiraa, pensò sconsolata.
 
Anche lei uscì e seguì la fata, che si era avviata silenziosa dietro la sua dimora. Direzione: quarantatré gradi a nord di Arvar.
 
***
 
Poco lontano da lì, nel Palazzo della Congrega Nera, un danchi ferito giunse alla corte della regina di Laviro; si trattava del Danchi Immortale. Una donna alta, vestita d’azzurro, in piedi accanto al trono della Grande Sala, si voltò a guardarlo, trafiggendolo con i suoi occhi dorati.
 
-Vostra maestà- disse il danchi, inginocchiandosi  –Regina Aelithia. L’ho trovata-.
 
La donna non rispose. Un ghigno le dipinse il volto in maniera sinistra.
Se poco prima quel volto femminile dai lineamenti affilati era parso quasi malinconico, illuminato da quel sorriso parve diventare diabolico.






























Note di Saeko:
ordunque, buonsalve a chiunque sia giunto sin qui e grazie per avermi letta. Ci stiamo addentrando sempre di più nella trama, ma voglio ricordarvi che non sarà lunga ancora per molto: siamo esattamente a metà di quanto scrissi da ragazza in merito a questo racconto, dunque immagino che a breve sarà finita; vi ricordo che l'intera raccolta è composta da storie che non hanno una fine, che a volte si interrompono a metà di una frase.
Spero comunque sino ad ora di avervi incuriosito e che l'idea vi stia piacendo.
A presto al prossimo weekend e buon inizio settimana.

Saeko's out!

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Capitolo 6
*** 6. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 5: Quando erano insieme ***


6. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 5:
Quando erano insieme
 
 
La luna si era levata alta nel cielo, quella sera, era grande e piena, luminosa e affascinante; Kilik la osservava dall’alto della sua finestra posta nella Torre Est del palazzo di Arvar. Sentì bussare alla porta di mogano che separava la sua piccola stanza arroccata sulla punta della torre dal resto del mondo.
 
-Avanti- disse, senza staccare gli occhi dalla luna.
 
Aveva già avvertito la sua presenza al di là della porta.
 
***
 
Necessitava di conforto, aveva perciò deciso di recarsi da Kilik: il suo maestro era certamente l’unico in grado di tirarla su di morale e di confortarla, in quel momento. Aveva visto il Danchi Immortale tornare, solo e ferito al petto, a palazzo; aveva riconosciuto subito quella ferita, poiché poteva essere stata inferta solamente da una persona, ovvero sua sorella Rora. Conosceva bene l’inclinazione che sua sorella aveva quando brandiva le sue spade e soprattutto quale tipo di ferite tendesse a lasciare; aveva perciò deciso di avvertire subito il vecchio saggio.
Tuttavia, una volta arrivata alla Torre Est del palazzo, davanti alla porta delle stanze di Kilik, si era fermata. Il suo maestro era solito lasciare sempre uno specchio appeso sulla porta della sua stanza; le aveva spiegato che era per ricordare a chiunque entrasse in camera sua di tenere bene a mente chi fosse realmente e dove fosse il proprio vero io. Perciò, una volta giunta davanti a quello specchio, Noa era sobbalzata.
Le era parso di scorgere Rora, invece che se stessa, nonostante fosse bene a conoscenza della presenza dello specchio. Anche se il suo volto era identico a quello della sorella, che aveva la forma del viso, delle labbra, degli occhi, del naso uguale alla sua, i capelli di Noa erano mossi, al contrario di quelli di Rora, che li aveva lisci; anche se erano dello stesso colore nero corvino, le ciocche colorate erano diverse dato che, se quella di Rora era rosa, la sua era viola.
Inoltre gli occhi di Noa erano di un blu scuro, tanto da sembrare zaffiri. Mentre quelli di Rora erano verde chiaro, ricordavano tanto la pietra di giada.
 
Sorella mia, pensò, sfiorando appena la sua immagine riflessa nello specchio.
 
Inspirò profondamente e poi bussò. Una voce bassa e scura le rispose dicendo:
 
-Avanti-.
 
Noa girò il pomello in bronzo, aprì la porta lignea ed entrò. Il vecchio saggio era affacciato all’unica finestra della stanza e guardava fuori, facendo vagare i suoi occhi guizzanti sulle stelle e soffermandosi spesso su un punto. Sapeva che stava fissando la luna che risplendeva nel cielo notturno, dato che tendeva a farlo tutte le sere che poteva; se la sera la luna non c’era faceva vagare lo sguardo sul bosco intorno ad Arvar. Kilik staccò la sguardo dal satellite e fissò i suoi occhi bianchi in quelli di Noa.
 
-So cosa è successo- disse semplicemente.
 
La guerriera abbassò lo sguardo; avrebbe dovuto immaginarselo. Kilik aveva tanti poteri magici, soprattutto quello della percezione, caratteristica alquanto rara tra i maghi umani, e forse aveva avvertito l’arrivo della presenza del danchi.
 
-Noa, devi stare in guardia. Quando il tuo animo è in subbuglio, la tua mente è quasi del tutto leggibile- la riprese il maestro.
-Chiedo scusa-.
 
Una lacrima cadde silenziosa sulla sua guancia; senza nemmeno prevederlo, dopo un leggero fruscio, la folta barba argentea del saggio la sfiorò, mentre due braccia invecchiate dal tempo ma ancora forti come quelle di un ragazzo l’avvolgevano.
 
-Cosa ti affligge?- chiese Kilik.
 
Ho paura che, nel tentativo di ferire il danchi, Rora sia morta.
 
-Questo non può essere possibile. Rora è viva e non era sola-.
 
Davvero?
 
Una punta di sollievo le corse lungo la schiena, mentre alzava lo sguardo speranzoso verso Kilik. La sera prima, quando la sorella era fuggita ed era stata inseguita da Pep, la guardia della sua cella, una grandissima luce aveva avvolto la zona dove si trovava, dopo la quale Kilik non era più riuscito ad avvertire la presenza dei pensieri di Rora.
 
-Sì. I suoi pensieri si sono risvegliati questa mattina- disse.
 
E lei non mi ha detto nulla?
 
Capitava spesso che Noa, travolta dalle emozioni non riuscisse a spiccicare una sola parola e parlasse con Kilik attraverso la mente. Ma questa volta l’aveva fatto apposta, perché si sentiva irritata. Kilik aveva taciuto su una cosa così importante che era stata la causa della sua ansia per tutta la giornata.
 
-Tu non mi hai chiesto nulla- la rimbeccò lui –Sei rimasta in silenzio tutto il tempo. Neanche i tuoi pensieri parlavano, sembravi in trance. Iniziavo a preoccuparmi-.
 
Noa si rabbuiò.
 
-Scusa- disse.
-Che fine ha fatto lo “Scusi, Maestro”?- chiese lui, quasi ridendo.
 
Noa arrossì e non rispose, scuotendo la testa. Kilik era come un padre per lei, ma dargli del lei le ricordava che aveva ancora un padre che era rimasto con lei e sua sorella fino a che non aveva compiuto sei anni e sua madre Aelithia lo aveva allontanato da Arvar.
Ogni volta che pensava al padre lontano da lei, provava odio profondo per Aelithia. La maga non aveva mai dato un segno di voler bene alle sue due figlie, ma un abbraccio, ma una carezza o una parola gentile. Noa sapeva che era perché non avevano poteri magici.
 
-Penso che t’interesserà sapere che Rora si è risvegliata, ma i suoi pensieri sono molto confusi-.
-In che senso?- chiese Noa, interrompendo le sue riflessioni.
-Nel senso che, una volta sveglia, non ricordava più chi era. Ha già incontrato Trashiraa e insieme hanno ferito il danchi-.
-Ma così adesso l’Immortale ha riferito ad Aelithia che Trashiraa era coinvolta nella Congrega Bianca insieme a Rora-.
-Sì, è vero. Ma noi potremo mantenerci tranquillamente nell’anonimato dicendo semplicemente che non eravamo al corrente della combutta di tua sorella e della fata, schermando al meglio le nostre menti-.
 
Noa ormai si era staccata dall’abbraccio paterno di Kilik e si era affacciata alla finestra assieme a lui. Non si sentiva per nulla tranquilla.
 
-Ma non era questo che volevo dirti-.
-E cosa volevi dirmi?-.
-Che incontrando Trashiraa, Rora ha rimembrato chi è e chi sono io. Ma si è dimenticata di avere un padre, una sorella e quale sia il Gran Segreto-.
-Che cosa?!-.
 
La faccia di Noa non poteva essere più sorpresa.
 
-Molto probabilmente, ieri sera, Pep è stato molto vicino al catturarla. Allora la sua mente si è difesa e ha nascosto i suoi ricordi. Però li ha nascosti anche al suo subconscio e ora non riesce più a ritrovarli. La luce di ieri dev’essere stata una reazione alla sua disperata volontà di nascondere la verità agli altri-.
-E ora che succederà?-.
-Lei e Trashiraa sono già in viaggio. Stanno andando a reclutare i guardiani degli elementi. Il piano per la porta dell’Oblio continua come se nulla fosse accaduto-.
-Ma…-.
-Niente “ma”, Noa-.
 
Ma è pericoloso. Rora non ha mai lasciato Arvar.
 
-Lo so. Ma è con Trashiraa. È più al sicuro con lei al di fuori del territorio arvariano-.
 
Questa volta Noa non aveva alcuna intenzione di comunicare i suoi pensieri, ma quelle poche parole di conforto la calmarono, almeno in parte.
 
-Sì, maestro Kilik, ha ragione-.
 
***
 
Nelle celle nord di Arvar, Mewio scortò un prigioniero altolocato, che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe finito in catene. Il Conte Stadt era stato imprigionato perché si credeva che fosse un collegamento importante con la principessa Rora e la sua maestra Trashiraa; probabilmente si pensava anche che il conte avesse avuto un ruolo decisivo nella creazione della Congrega Bianca.
La regina Aelithia lo aveva dichiarato colpevole dopo che, quella mattina, era arrivato a palazzo un danchi ferito. Gli occhi azzurro cielo del conte era tranquilli e sereni per uno che era appena tornato da un interrogatorio silenzioso, condotto dalla stessa regina della Congrega.
Aveva la barba rada, di chi si era rasato da poco, e rossa, come i suoi capelli. Nel palazzo era conosciuto come Conte Rosso, ma da molti era chiamato anche “Carotino” – non in sua presenza ovviamente; nonostante il nomignolo infatti, Stadt aveva il cipiglio di un uomo al quale portare rispetto, poiché egli era stato il primo, cento anni dopo Kilik, a passare dal Bene al Male della Congrega Nera.
Mewio si chiese come un uomo potesse passare dalla parte del Bene a quella del Male senza subire cambiamento alcuno. Lui era arrivato al castello trecento anni prima, e aveva anche assistito alla nascita delle gemelle di Aelithia; il guardiano dell’entrata sud del castello gli aveva raccontato che il Conte Stadt aveva sempre avuto quel carattere solare e tranquillo che aveva persino nel momento in cui veniva recluso.
 
-Conte Stadt, siamo arrivati- disse Mewio, aprendo la cella e spostandosi per far passare il Conte.
 
Benché fosse un detenuto, il giovane carceriere sentiva di dovergli portare rispetto. Il Conte Stadt gli sorrise gioviale ed entrò nella cella, come se stesse andando ad una festa.
Mewio pensò di non aver mai incontrato un tipo altrettanto strano.
 
***
 
Aelithia smise di leggere il libro di magia nera che aveva in grembo, portandosi un’unghia alla bocca, nel tentativo di spezzarla dal nervosismo. Pensò alle due figlie. Una fuggita, con l’accusa di far parte di una Congrega di opposizione alla sua; l’altra che probabilmente era nella stessa situazione, ma già prigioniera nel castello. La regina non riusciva provare compassione né per l’una né per l’altra: Noa e Rora erano come delle estranee per lei. Ricordava di averle accudite amorevolmente, fino a quando non aveva scoperto che non possedevano poteri magici, fatto per lei equivalente ad un affronto di proporzioni cosmiche.
Ora era più tranquilla: Aelithia era consapevole, infatti, che quelle due gemelle insieme – per quanto prive di poteri – avrebbero potuto causarle più guai di dieci persone con il cervello e i poteri di Kilik messi insieme; non si fidava della progenie dell’unico uomo che era stato in grado di sedurla. Se invece fossero state divise, come infine era accaduto, sarebbero entrate in crisi e si sarebbero indebolite.
 
Non desidero di più al mondo. Non voglio che ciò per cui ho lavorato per tutta la vita subisca una rovinosa caduta a causa di quelle due mocciose, pensò.
 
Esatto, non riusciva proprio ad amarle, soprattutto in quel momento; e meno che mai ci sarebbe riuscita se si fossero trovate insieme – c’era un motivo per cui anche i loro due maestri erano assolutamente diversi e si odiavano tra loro.
Posò il libro sullo scaffale della sua immensa libreria. Nessuno, tranne il padre di Noa e Rora, aveva mai visto i suoi libri.
Ricordò con amarezza l’infatuazione che aveva intensamente provato per quell’uomo privo di poteri magici e votato al Bene.






























Note di Saeko:
ci ho messo giorni per revisionare questo capitolo; avrei dovuto pubblicarlo domenica, lo so, ma ho per un attimo avuto una vita persino io, perciò non sono riuscita a revisionarlo per quel giorno. Tuttavia questa settimana ho avuto più tempo e penso di riuscire per sabato o domenica a pubblicare anche il prossimo, dunque stay tuned!
Spero che abbia un senso e che stia piacendo, se dovessero esserci errori, non esitate a farmelo sapere.
Un ringraziamento a Elkie12 per avermi inserita tra gli autori preferiti.
Mi eclisso.

Saeko's out!

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Capitolo 7
*** 7. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 6: L'angelo della finestra d'Oriente ***


7. Parte 2- Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 6:
L’angelo della finestra d’Oriente
 


Il fuoco scoppiettava allegro, per quanto la legna che animava la fiamma fosse scarsa e il focolare risultasse esiguo. Trashiraa aveva detto che, anche se ormai erano riuscite ad allontanarsi abbastanza da Arvar e i folletti dei boschi accendevano sempre dei piccoli fuochi fatui di sera, era più sicuro non eccedere con l’illuminazione.
Quel piccolo focolare che la fata aveva acceso sfregando due pietre focaie serviva a tenere lontani gli animali e per non farsi inghiottire dalle tenebre. Non di certo era utile a scaldare le membra.
Rora rabbrividì. Ricordava che nel mondo di Laviro la notte era sempre molto fredda e che si era allenata spesso in quel buio gelato, esposta alla tramontana che tirava da nord, dove erano attualmente dirette. Ricordava di non aveva mai patito il freddo, di questo era sicurissima; era anche vero che rimanere fermi in quel gelo faceva sentire ogni minima contrazione dei muscoli, ogni minimo lavoro delle sue cellule come se fossero tanti piccoli aghi che attanagliavano i suoi nervi dall’interno.
Trashiraa si era allontanata per parlare con un folletto che avrebbe garantito loro il silenzio sul loro passaggio per quel tratto di foresta.
La ragazza fissò il fuoco con aria assente, riflettendo attentamente su tutto quello che le era successo dal suo risveglio.
 
E su ciò che è accaduto prima che perdessi la memoria.
 
Dopo il racconto di Trashiraa aveva rimembrato ciò che era: ricordava di essere nata ad Arvar e ricordava il volto di sua madre, Aelithia; ricordava che quella donna era bellissima, aveva due profondi occhi d’oro e i capelli rosso fuoco, le sue mani erano affusolate e aveva un portamento regale. Rora aveva un vago ricordo di quando era piccola, quando sua madre la curava, giocava e scherzava con lei, conservando uno sguardo tipico dell’atteggiamento materno, caldo e confortevole; ma una volta scoperta la totale assenza di poteri magici all’interno del suo cuore, l’aveva allontanata e da quel momento le sue iridi d’oro avevano smesso di trasmettere amore, sostituendo il calore con il freddo.
Ma se ricordava perfettamente il volto di sua madre, quello di sua sorella e di suo padre erano inesistenti.
 
Perché? Perché la mia mente mi ha nascosto le cose più importanti?
 
Era certa di ricordare che accanto a lei c’era sempre una presenza essenziale e ricordava che questa presenza era stata divisa da lei quando Aelithia aveva deciso di far addestrare le due figlie e di farle diventare guerriere. Ricordava di aver provato un odio profondo per Kilik seguito poi da un immenso rispetto, quando lui e sua sorella avevano deciso di renderla partecipe al piano per istituire la Congrega Bianca; ricordava anche di essere stata scoperta, proprio mentre aveva un colloquio con la madre, che le aveva sondato la mente mentre parlavano e aveva scoperto una luce bianchissima ad occupare ogni singolo pensiero che la figlia formulava: quella luce era la prova che Rora era dalla parte del Bene.
Sapeva anche che, quando la madre aveva tentato di andare più a fondo nel suo dubbio, lei le aveva chiuso completamente la mente a tutto ciò che sapeva, senza far trasparire i loro intenti o chi facesse parte della Congrega, proteggendo sua sorella, Kilik e Trashiraa; ciò l’aveva però resa colpevole senza possibilità di dubbio.
Era stata imprigionata e interrogata fino alla nausea. Ma, contro ogni sua aspettativa, Rora era riusciva a tenere chiusa la sua mente, anche se il punto luce della sua purezza era visibilissimo a chiunque cercasse di leggerle nel pensiero. Poi, una sera, Trashiraa era venuta a visitarla in cella sotto ordine di Aelithia; le aveva dato da mangiare una foglia di meso, per cui la ragazza era diventata improvvisamente invisibile. Quando Trashiraa era uscita dalla cella Rora l’aveva seguita, ma il suo carceriere, Pep, aveva scoperto subito che la ragazza non era più dietro le sbarre. Essendo figlio di un danchi e di una strega, Pep leggeva nel pensiero. Aveva sondato le menti presenti accanto a lui e aveva scorto il punto luce nella mente della sua prigioniera. Lei e Trashiraa erano fuggite.
Nella fuga, la piccola sarta era caduta. Senza curarsi della fata, Pep si era lanciato all’inseguimento di Rora; ricordava perfettamente di aver sentito il suo carceriere gridare, verso la sua maestra:
 
-Di te mi occuperò dopo!-.
 
Erano arrivati al bosco; per la prima volta da quando l’avevano scoperta, la mente di Rora aveva vacillato. Se Pep le avesse letto nel pensiero, avrebbe scoperto la verità.
In quello stesso momento aveva sentito un enorme boato e aveva avvertito un’enorme luce fuoriuscire dal suo petto. Dopodiché, il nero buio dell’incoscienza l’aveva avvolta, finché non si era risvegliata nella radura e aveva combattuto contro Pep, che probabilmente era stato preso in pieno dal suo potere magico ed era svenuto. Ricordò ancora una volta come aveva ucciso il carceriere. Ora non provava stupore, poiché sapeva benissimo che era una cosa normale per lei: aveva ucciso tanti uomini e creature incantate nel mondo di Laviro, per ordine della madre.
Un fruscio la distolse dai suoi pensieri.
 
Chi è?
 
-Rora, sono io- disse Trashiraa.
 
La piccola sarta spuntò da un cespuglio. Il folletto con cui si era allontanata non c’era.
 
-Che dice Sir Trent?-.
 
Chissà perché i folletti sono conosciuti con il nome di Sir.
 
-Che i folletti dei boschi intorno ad Arvar non diranno nulla riguardo al nostro passaggio. Rimarranno muti come mosche-.
-Bene-.
-Ora vedi di dormire- le disse Trashiraa, con uno sguardo eloquente –Domani ci sveglieremo presto. Abbiamo cinque giorni di cammino, prima di arrivare al Canale di Jamrin-.
 
-D’accordo. Buonanotte allora-.
-Buonanotte-.
 
Rora si coricò con il volto rivolto al cielo, avvolgendosi in una delle coperte che la maestra aveva portato da casa. Le stelle brillavano luminose nella notte e sembravano nasconderle la verità del mondo.
 
Quale sarà il Grande Segreto?
 
Si addormentò contando quei puntini luminosi nel cielo e cercando di ricordare il volto di sua sorella.
 
***
 
Una luce abbagliante la avvolse e si sentì perduta e confusa in quell’abbondanza di luminosità. Non riusciva ad aprire gli occhi e quindi a rendersi conto del mondo circostante, ma sapeva per certo una cosa: era in piedi.
I suoi piedi poggiavano su qualcosa di estremamente liscio. Dopo aver tentato di sbattere ripetutamente le palpebre, riuscì a dischiudere gli occhi; davanti comparve una stanza molto familiare. Il pavimento era bianco e vuoto, dando quasi l’impressione di essere sospesi nel nulla. Le mura della stanza erano altissime e il soffitto, sorretto da colonne senza fine, era invisibile. Su alcune colonne c’erano dipinte delle foglie di alloro verdissime e sulla parete di fronte a lei c’era un’enorme finestra.
Appollaiato a guardare il cielo azzurro, come se fosse in contemplazione, c’era un angelo, dai capelli neri come la pece. Le ali dietro la schiena erano grandi e bianchissime, mentre la veste era azzurra e decorata in broccato. Sembrava non essersi accorto della presenza di Rora.
 
“Ehi tu!” disse la ragazza.
 
Come se stesse rivivendo un deja-vu, l’angelo si voltò lentamente verso di lei e la guardò con occhi sognanti. Poi parve rendersi conto di qualcosa, sorrise amichevole e pronunciò il suo nome:
 
“Rora”, la sua voce era bassissima e leggera “Vieni qui. Rora”.
 
Ho capito!
 
Quello era l’angelo dei suoi sogni. Il primo ricordo che aveva avuto quando si era svegliata dopo esser fuggita dalle carceri di Arvar.
Quasi inconsciamente, dimenticandosi di aver fatto il collegamento mentale, la ragazza mosse un passo. E poi un altro. Quando arrivò a pochi metri dalla parete della finestra, l’angelo si alzò in piedi sulla finestra, spiegò le ali e discese elegantemente accanto a lei. Ora poteva vedere i suoi occhi: erano grandi e scuri, tanto profondi da potercisi perdere.
 
“Chi sei tu?” chiese la ragazza, incantata.
“Come, non mi riconosci?”.
“No”.
 
Rora arrossì.
 
L’ho già visto, ma non so dove.
 
“Allora non posso dirtelo”.
“Perché?”.
 
L’angelo sorrise.
 
“Vieni con me” disse.
 
Le offrì il braccio e lei lo accettò, avvicinandosi a lui. Iniziarono ad incamminarsi per la stanza, rimanendo sempre in vista della grande finestra.
 
“Non posso dirti chi sono a meno che tu non lo capisca” iniziò l’angelo “Perché mi è stato imposto. Chi era qui prima di me mi ha imposto di fare così. Per poter liberare il mio potere devi ricordare o trovare da sola il modo”.
“In che senso il tuo potere?”.
“Lo scoprirai insieme alla mia identità”.
“Ma perché devo liberare il tuo potere?”.
 
L’angelo sembrava parlare troppo speditamente, esattamente come faceva Trashiraa. Ma lui, a dispetto della sua maestra, sembrava non avere alcuna intenzione di fornire alcuna spiegazione in merito.
 
“Non posso dirti nulla, per il momento”.
“Ma senza basi come faccio a scoprire chi sei?”.
 
La ragazza iniziava a spazientirsi. Anche se quell’angelo aveva un’aria così mistica e divina, si comportava in modo esasperante.
 
“Le basi le hai” disse lui, tranquillo.
 
Rora lasciò andare il suo braccio, con fare indispettito.
 
“Dove? Dove le l’ho le basi??”.
“Proprio qui intorno. Ti basterà ricordare le caratteristiche di questo ambiente”.
 
Lei lo guardò diffidente.
 
“E basta?”.
“Sì”.
“Ma se volessi provare a cercarti al di là del mondo dei sogni?”.
“Puoi riferirti a me… vediamo…”.
 
L’angelo si passò una mano sul mento, in segno di ragionamento. Rora notò che aveva un accenno di barba incolta.
 
“…potresti chiamarmi l’angelo della finestra”.
“E se ti chiamassi Angelo della Finestra d’Oriente?”.
“Perché “d’Oriente”?” chiese lui, incuriosito.
 
I suoi occhi scuri scrutavano interrogativi la ragazza.
 
“Beh, perché questo luogo è pieno di luce. E il sole, la fonte principale della luce naturale, nasce ad oriente” concluse.
 
Era da quando si era ritrovata in quel luogo che ci pensava. L’angelo sorrise.
 
“Sì, questa è una buona osservazione”.
 
Se qualcuno li avesse osservati, avrebbe pensato che si trattasse di due bambini che litigavano per un giocattolo. Trovato il giusto accordo, ora si erano rappacificati.
L’Angelo della Finestra d’Oriente alzò il sguardo in alto. Rora fece lo stesso e vide che osservava di nuovo il cielo azzurro oltre la soglia della finestra; la ragazza di volto a guardare il suo volto: aveva un’aria malinconica.
 
“Che succede?” chiese la ragazza.
“Devo andare” disse lui, semplicemente.
 
Le sorrise. Rora abbassò lo sguardo e annuì. Si sentiva leggermente sconfortata. Ora, oltre a dover riunire persone che lei non ricordava di aver conosciuto per gettare la Congrega Nera nell’Oblio, doveva scoprire chi fosse quell’angelo per liberare il suo misterioso potere, senza avere indizi sufficienti per iniziare le ricerche. Una mano dalla pelle liscissima le accarezzò una guancia. Lei si voltò a guardare nuovamente l’angelo. Sembrava che le avesse letto nel pensiero e avesse capito.
 
“Ricordati che non sei sola, Rora” le disse.
 
Poi, con un ultimo sorriso, l’angelo si voltò e spiccò il volo verso la finestra. Le ali bianche spiegate si muovevano aritmicamente, mentre tutto attorno a lei iniziava a diventare di un bianco abbacinante; l’ultimo bagliore d’immagine che Rora vide fu l’angelo che si posava dolcemente sul davanzale della finestra e la sua immagine che si stagliava nitida nello sfondo del cielo azzurro alle sue spalle. Il bianco prese definitivamente il sopravvento e non ci fu più nulla da vedere.
 
***
 
Cornelio Stadt guardò fuori dalla finestrella della sua cella. I suoi occhi azzurri scrutavano le nuvole illuminate d’arancione: era ormai l’alba. Nonostante quel bellissimo spettacolo, quel giorno sarebbe stato grigio e piovoso; si sentiva ancora a disagio, se pensava che alla fine avevano scoperto anche lui, solo perché era un buon amico di Trashiraa. Sapeva che se Aelithia avesse proceduto in quel modo, guardando nella mente di chi era più vicino ai sospettati, sarebbe infine arrivata al Saggio Kilik e anche alla principessa Noa. Doveva mantenere il silenzio, esattamente come aveva fatto la principessa Rora, ma doveva anche comunicare agli altri della Congrega Bianca di chiudere il più possibile, senza far sospettare nulla, i loro pensieri. Ma come? Si passò una mano tra i capelli rossi, che iniziavano a presentare i primi segni della vecchiaia, diventando grigi. In fondo quattrocentosessantadue anni non sono pochi. Come avrebbe potuto comunicare con coloro che facevano parte della Congrega Bianca? Pensò al vecchio guardiano. Lo scartò subito, per due motivi; il primo era che la torre Nord, da dove si vedeva bene tutto il palazzo di Arvar, era troppo lontana. Secondo poi, Stadt non era sicuro di potersi fidare di quel guardiano. Si trovava lì da quando era arrivato il Conte ed era sempre stato devoto al Buio, ma aveva certe tendenze verso il bene. Lui non sapeva nulla della Congrega, ma spesso fungeva da intermediario tra qualche membro bianco e il Saggio Kilik.
Poi pensò al nuovo carceriere. Dalla notte prima, quando Pep si era lanciato alla caccia della principessa Rora, avevano messo a guardia delle carceri quel tipo smunto e scuro di pelle, ovvero Mewio. Avrebbe potuto parlare con lui; sentiva il respiro tipico del sonno leggero farsi sempre più debole, segno che il giovane uomo si stava svegliando. Il sole infatti si era levato, anche se la sua luce quel giorno era fievole. Il Conte Stadt aveva visto giusto: quel giorno avrebbe piovuto.
 
 
























 



Note di Saeko:
ci ho messo una vita ad aggiornare con le correzioni di questo capitolo ed è stata la prima dopo tanto tempo: l'11 ottobre è stato il mio primo anniversario da quando ho ripreso in mano il mio account di EFP, ho cancellato tutto e ho ripreso ad aggiornare con costanza (praticamente quasi sempre due volte a settimana); non pensavo che sarei riuscita ad arrivare sino a questo punto e ho veramente ancora tanto da dire, da correggere e da pubblicare. Tuttavia, mi rendo conto di non aver sempre la stessa forza e la stessa ispirazione di questo ultimo anno - e credo che sia anche normale. Sto facendo due lavori, sto tentando di rientrare in università e ho finalmente ripreso a leggere come facevo anni fa, se possibile anche di più; inoltre sto riprendendo man mano anche a disegnare quindi è veramente difficile mantenere il ritmo anche le pubblicazioni.
Ma il mio progetto non è finito e credo mi accompagnerà ancora per un bel pezzo, sarò semplicemente più lenta nel postare; non che interessi effettivamente a qualcuno ma insomma, lascio quest'informazione qui per i posteri, dato che bazzicherò qui sopra ancora per un po'.
Spero che questo capitolo sia piaciuto a chiunque sia arrivato sin qui e vi ricordo che lo sviluppo di questa storia è stato lasciato agli esordi e che io stessa non ho memoria di dove volessi andare a parare con quanto avevo scritto; se ci sono errori, vi prego di farmelo sapere.
Buonanotte.

Saeko's out!

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Capitolo 8
*** 8. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 7: La casa sul Canale ***


8. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 7:
La casa sul Canale
 


Una goccia. Due. Più di due. Rora e Trashiraa proseguivano a fatica nel bosco bagnato dalla pioggia, mentre sopra di loro, oltre le alte chiome degli alberi, l’acqua cadeva giù fitta, scrosciante e più fastidiosa che mai. Rora aveva tutti i vestiti bagnati; i suoi capelli era zuppi e le si erano appiccicati al viso; la ciocca rosa era svanita tra le altre ciocche scure, come se non esistesse; le sue armi avevano le impugnature scivolose.
 
Se qualcuno ci attaccasse ora, temo che le spade potrebbero scivolarmi di mano.
 
Era un timore che le era venuto da quando la pioggerellina leggera e quasi impercettibile che le aveva accolte al risveglio si era trasformata in una specie di diluvio universale: aveva pensato che se fossero state attaccate, avrebbe dovuto usare il pugnale per avere più presa.
Posò la mano sulla pietra rosa della sua arma.
 
-Di quanto dobbiamo deviare?- chiese impaziente a Trashiraa.
 
Anche la piccola sarta aveva posato la mano sulla sua piccola spada d’oro.
 
-Più o meno di quattro gradi ad ovest, fare il giro della foresta di Fuori e poi tornare sulla nostra strada. Le piogge così forti sono pericolose. Sono i momenti che danchi e creature poco raccomandabili preferiscono per uscire allo scoperto-.
 
Rora lo sapeva. Ricordava che la sua maestra le aveva sempre detto di non uscire nemmeno per una battuta di caccia con la pioggia forte, questo almeno finché Aelithia si fosse trovata viva e vegeta ad Arvar. Creature come i danchi, i lupi neri, le fate oscure e gli orsi rossi adoravano la pioggia come momento di caccia perché copriva la loro posizione a tutti gli esseri che non facessero parte della loro medesima specie.
Aelithia era l’unica in grado di percepirli, in quanto strega regina e appartenente al mondo del Buio. Tutte le creature oscure le portavano rispetto.
Tuttavia fare il giro lungo per poter arrivare alla casa sul Canale di Jamrin era estremamente sconveniente.
 
È una cosa davvero irritante! E questa pioggia non smette, accidenti!
 
In più c’era qualcosa che le dava da pensare, ovvero il sogno sull’angelo. Era in dubbio se dirlo o meno a Trashiraa; non sapeva bene cosa l’Angelo della Finestra d’Oriente rappresentasse e le sue ultime parole le rimbombavano nella mente.
 
“Ricorda. Ricorda che non sei sola”.
 
Si riferiva forse a mia sorella e mio padre? O a Trashiraa e Kilik?
 
Quel dubbio l’assillava da quando si era svegliata.
 
E lo strano compito che mi ha lasciato? Qual è il suo potere racchiuso in me? Perché lo devo scoprire?
 
Queste domande senza risposta le si affollavano nei pensieri, lasciandola senza un solo punto di riferimento a cui appigliarsi. Alzò lo sguardo verso il tetto di foglie e rami sopra la sua testa; la tempesta si era leggermente calmata, non era più battente come prima.
 
Vorrei poter vedere il cielo, anche se è brutto tempo…
 
Uno strano scricchiolio la fece voltare. Anche Trashiraa si voltò assieme a lei. Si fissarono un attimo negli occhi e poi guardarono un punto alle loro spalle. Appena sopra il sottobosco c’era uno strano punto luce. Azzurro.
 
No. È blu scuro.
 
Quel punto luce aveva un che di inquietante. Rora non riusciva a staccarne gli occhi di dosso. Si avvicinava sempre di più, ma rimaneva minuscolo, quasi fosse lontano chilometri. Trashiraa la strattonò e si nascosero in un cespuglio.
 
-È una fata oscura. Se ti vede, siamo nei guai-.
-Perché?-.
 
Non mi hai mai parlato di fate oscure.
 
-Perché le fate oscure si alimentano della linfa vitale degli uomini- la sua voce era poco più che un sussurro –Tra poco avvertirà la mia presenza. Tu rimani qui-.
 
Rora fissò quegli occhi grigio ferro, più stretti del solito.
 
-E non provare ad intervenire- aggiunse, con un tono inquisitorio.
 
La ragazza arrossì e abbassò lo sguardo.
 
-Vieni fuori, fata lucente- disse una voce lugubre e profonda. La fata oscura si era infine accorta della presenza di Trashiraa, dunque la piccola sarta uscì allo scoperto. Rora riuscì a vedere attraverso le foglie dell’arbusto dietro il quale si era nascosta: la luce blu della fata oscura era diventata più grande e vicina. Riuscì a distinguerne le fattezze.
Anche lei era di piccola costituzione, esattamente come la sua maestra, ma la sua pelle era bluastra, i capelli erano nerissimi e gli occhi erano viola, un colore che mal si sposava con l’espressione del viso, estremamente lugubre ed enigmatica. C’era persino qualcosa di diabolico in quegli occhi.
 
-Dimmi fata oscura- disse Trashiraa.
 
La fata era stranamente fredda e tranquilla.
 
Riesce a nascondere bene le sue intenzioni
 
-Che ci facevi in quel cespuglio?- chiese.
 
Gli occhi viola della fata oscura si fecero inquisitori.
 
-Stavo riposando. Sono tre giorni che cammino-.
 
Sa mentire molto bene.
 
Rora invidiò la sua maestra. Lei non sapeva per niente mentire.
 
-Dove stai andando?-.
-A nord-.
-Dove di preciso?-.
-Perché vuoi saperlo?- stavolta fu il tono di voce di Trashiraa a farsi inquisitorio.
-Sto cercando una fata lucente che è fuggita dal castello di Arvar. Per conto della Venerabile Aelithia. Il suo nome è Trashiraa-.
-E pensi che sia io?-.
 
Il silenzio che seguì si fece pesante. La fata oscura rimase interdetta per un attimo e poi chiese:
 
-Come ti chiami?-.
 
-Il diritto delle fate lucenti dice che, quando una fata oscura chiede un nome ad una fata lucente senza una motivazione valida, la fata lucente è autorizzata a chiedere a sua volta il nome della fata oscura prima di rivelare il proprio-.
-Conosco bene il codice delle fate- disse la fata oscura, storcendo le labbra fini e violacee.
 
La luce azzurrina e soffusa che l’avvolgeva sembrò farsi più intensa.
 
Si sta arrabbiando.
 
-E allora dimmi tu il tuo nome-.
-Io sono Mareka- rispose la fata oscura.
 
Al suono del nome di Mareka la luce della fata si fece dapprima viola e poi divenne rossa.
 
-Sei una fata che è stata costretta a passare dalla parte del male- disse Trashiraa.
 
Per la prima volta in vita sua, Rora assisteva ai poteri che le fate avevano nei rapporti con quelle della loro specie. La piccola sarta ne aveva parlato, ma la ragazza non era riuscita a farsi un’idea vera e propria su come funzionassero le strane regole che regolavano il mondo fatato.
 
-Ora dimmi il tuo nome- disse Mareka.
 
La sua voce era diventata di un timbro leggermente più chiaro e sereno, tuttavia sembrava bloccato da qualcosa che lo rendeva roco. Trashiraa la guardò in modo strano. Rora non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo negli attimi seguenti.
 
-Mareka- iniziò la fata lucente –Tu sei una fata del gemellaggio?-.
-Sì-.
 
Gli occhi di Mareka, che si erano mantenuti viola scuro, a dispetto della sua pelle diafana, diventata improvvisamente piena di calore, iniziarono a riempirsi di mute lacrime.
 
Ha una sorella oscura! Rora ricordava una cosa che aveva detto Trashiraa a proposito del gemellaggio delle fate.
 
“Esistono fate che nascono sorelle ma con nature diverse, diventando fate lucenti e fate oscure. Di solito succede quando ci sono momenti di pace temporanea e i due blocchi che tengono in piedi il mondo di Laviro, Bene e Male, si fondono. In questo caso, la fata oscura può essere influenzata dal bene e quella lucente dal male. Quindi  una fata può passare dalla parte del male o del bene. E possono tornare più facilmente ciò che erano prima”.
 
-Tu desideri essere una fata oscura?-.
-Sì-.
-Chi è tua sorella?-.
 
Da interrogata Trashiraa era diventata inquisitrice. Mareka sembrava completamente sottoposta al suo interrogatorio.
 
-Seton-.
 
La fata consigliera di mia madre!
 
-Vuoi rimanere nell’oscurità? Sappi che se così fosse dovremo affrontarci per la vita- gli occhi grigio ferro rimasero fissi e impassibili su quelli viola e tremanti di Mareka.
 
-No- disse infine la fata.
 
Pronunciata questa sillaba il colore rosso fuoco della sua pelle si schiarì completamente fino a diventare bianco latte. Le guance si colorirono. Gli occhi rimasero viola, ma ora erano dotati di calore, lo sguardo lugubre era scomparso e l’espressione diabolica del suo viso dissolta. Mareka si era liberata della corazza dell’oscurità.
 
È tornata ad essere una fata lucente!
 
Non appena Rora formulò questo pensiero la fata cadde a terra svenuta; la ragazza uscì velocemente dal cespuglio per aiutare Trashiraa a soccorrerla. La sua maestra si era infatti abbassata di colpo ad aiutare Mareka.
La piccola sarta si alzò non appena Rora la raggiunse.
 
-Che succede?-.
-L’hanno fatta svenire per localizzarci- disse Trashiraa.
 
Si passò un dito sulle labbra, vi soffiò leggermente e poi passò quel dito sul braccio di Mareka. Una sottilissima polvere d’oro coprì il corpo inerte della fata.
Poi si alzò di scatto, prese Rora per un braccio e la portò via da lì.
 
Ma che succede?
 
-Cosa hai fatto?-.
-Ho fatto in modo che non venisse toccata. Quando si risveglierà non ricorderà di essere stata una fata dell’oscurità e di essere svenuta. E nessuno potrà farle del male per più di cinque giorni. Si chiama “soffio di fata”-.
 
Rora rimase in silenzio, rimuginando su ciò che le aveva detto l’Angelo della Finestra d’Oriente e al fatto che avrebbe voluto sua sorella accanto a lei, peccato che non ne ricordasse praticamente nulla.
 
-Dobbiamo raggiungere il prima possibile il Canale di Jamrin- disse Trashiraa.
 
***
 
Per cinque giorni camminarono senza sosta; si fermarono poche volte e in un paio di occasioni incontrarono i folletti. All’alba del sesto giorno, mentre il sole si alzava, arrivarono in vista del Canale di Jamrin.
Gli occhi della ragazza, stanchi per le poche ore di sonno, si spalancarono nel vedere l’alba: il sole stava sorgendo alla sua destra e la luna tramontava alla sua sinistra; dietro di loro v’era Arvar, davanti a loro v’era uno dei più bei spettacoli che Rora avesse mai visto.
Il Canale di Jamrin e il paesaggio attorno ad esso erano bellissimi: l’acqua invadeva quel territorio, tanto da farlo sembrare un enorme acquitrino; l’aria era fresca e cristallina, tutt’intorno al canale c’erano piccole foreste di mangrovie; su una specie di collina, l’unico punto in quel luogo che non era invaso dall’acqua e al quale si arrivava attraverso un ponte che guadava il canale, c’era un piccola casa. Aveva le mura dipinte di bianco e il tetto era in legno con alcune vecchie tegole rosse sparse qua e là, disposte in maniera incongrua con la coperta lignea. Piccole volute di fumo uscivano dal comignolo di un caminetto. Una rosa si arrampicava sul lato della casa dove v’era la porta, che si affacciava proprio sul canale. I raggi dorati del sole rendevano quel paesaggio incredibilmente bello.
 
Questa dev’essere la casa di Torov.
 
I campi intorno alla casa erano più che irrigati. Erano completamente allagati.
 
Dove sono i campi coltivati? si chiese Rora, ricordando ciò che le aveva detto Trashiraa.
 
-I campi son dietro la casa- disse Trashiraa.
 
La fata aveva lo sguardo basso, stava osservando il terreno ai suoi piedi.
 
-Mi hai letto di nuovo nel pensiero?- chiese Rora.
 
Ricordava infatti che la piccola sarta si divertiva a leggerle i pensieri.
 
-Con te è facile. Non è mica colpa mia se non riesci ancora a oscurare bene la tua mente-.
 
Non aveva un tono scherzoso. Stava riflettendo su qualcosa.
 
-Che succede?- chiese la ragazza
-Torov era uscito. Ed è tornato- disse.
 
Il suono di quelle parole avevano tutto, tranne che sollievo. Cosa che invece Rora provò.
 
Una parte di viaggio è terminata.
 
-Bene! Allora andiamolo a prend…-
-È tornato, certo. Ma ferito-.
 
Rora perse tutto il suo entusiasmo.
 
-Ma è vivo, vero?- chiese.
-Sembrerebbe di sì. Però è in condizioni pietose-.
-Dov’è?-.
-In casa-.
-E allora andiamo da lui!-.
-Il danchi che l’ha ferito è accanto a lui-.
-Come fai a dirlo?-.
-Guarda le tracce sull’acqua. Ti ho insegnato a riconoscere le tracce della magia- disse Trashiraa, indicando il punto che stava osservando.
 
Il sole continuava imperterrito il suo cammino nel cielo, fregandosene di ciò che succedeva sotto di lui. Rora si abbassò a guardare dove la sua maestra le aveva indicato: in un attimo ricordò tutto ciò che la donna le aveva insegnato riguardo alle tracce magiche.
 
“Tutti gli esseri viventi lasciano tracce. Sia magiche che non. Le tracce non magiche sono più facili da riconoscere, come quelle lasciate nei boschi, o nelle stanze… persino gli odori sono una traccia. Ma quelle magiche, anche se sono esistenti, sono nascoste. Per questo bisogna saperle individuare. Sono come dei segni che un’indovina lascia da interpretare. Le più comuni sono quelle che rimangono nell’aria. Appena ti muovi in un campo dove c’è stata una forte presenza magica, la tua testa inizia a diventare pesante. Se la potenza magica era di minore portata, l’aria pizzica la pelle. Molte volte gli umani non ci fanno caso, perché si tratta di pochi secondi. Poi ci sono le tracce magiche lasciate per i boschi, sul terreno. A volte sono facili da individuare, perché brillano di una luce azzurrina. Però ci sono casi in cui le tracce, soprattutto quelle che vengono lasciate da magie che agiscono sulle persone, sulla loro mente, sul loro corpo, sono quasi invisibili, che si mimetizzano con il sottobosco e per scovarle bisognerebbe spargere della polvere di foglie di meso, che rivela le tracce magiche facendole diventare d’oro. Infine ci sono le tracce lasciate nell’acqua. Si riconoscono perché fanno in modo di non riflettere il paesaggio intorno, rendendo tutti opaco”.
 
Ciò che Trashiraa aveva rilevato erano proprio questo. L’acqua di fronte a lei era un miscuglio chiazze opache, miste a sangue; anche se diluito nell’acqua limpida del canale, il rosso e l’odore del sangue erano ben percepibili.
 
-Sei sicura che sia il sangue di Torov?-.
-Sì. Riesco a riconoscere il sangue degli esseri umani, e quello che è sparso qui è sicuramente quello di un essere umano. Le tracce sull’acqua non sono ancora svanite-.
-Ciò vuol dire che il nemico è ancora qui- concluse Rora.
 
“Però le tracce nell’acqua svaniscono dopo due ore. Se sono ancora visibili vuol dire solamente che due possibilità sono da considerare: o che un combattimento è appena finito o che chi le ha lasciate è nei paraggi, tra l’altro solitamente le tracce di questo genere sono lasciate dai danchi”.
 
Rora sguainò molto lentamente le spade che portava sulla schiena. Anche Trashiraa prese la sua arma. I sensi della ragazza erano all’erta.
 
E se fosse il Danchi Immortale?
 
Rora non voleva combattere di nuovo con quell’essere. Aveva un che di diabolico e l’aspetto quasi del tutto umano lo rendeva ancora più inquietante.
Uno spostamento d’aria alle sue spalle. Nel momento stesso un cui Rora e Trashiraa si voltavano, tutti i pensieri e le paure si dissolvevano dalla mente della ragazza. Era diventata una macchina da guerra.
Quello che aveva alle spalle era un normalissimo danchi. La sua testa era completamente deformata dalla canna di una pistola, che spuntava dalla fronte. Le braccia erano sostituite entrambe da due armi: il braccio sinistro era sostituito da una spada a doppio taglio, mentre quello destro da un fucile. Le gambe erano quelle di un normale essere umano ed era a petto nudo. Il danchi sorrideva in modo diabolico, scoprendo una fila di denti d’acciaio.
Prima di battersi, Rora notò uno strano ciondolo al collo della creatura. Le parve avesse la forma di una stella, ma non le importò più di tanto. Partì direttamente all’attacco con un affondo.
Il danchi fu veloce a schivarlo, ma quella della ragazza era una finta. Infatti, non appena il nemico schivò di lato, Trashiraa cercò di trafiggerlo con la sua spada. Ma quella creatura, per quanto grande, era terribilmente veloce. Spostò il peso in avanti, verso Rora.
La ragazza di ritrovò faccia a faccia con quel mostro. La canna della pistola era puntata sulla sua fronte. Rora fu veloce ad abbassarsi e a trafiggere il mostro con una delle sue spade, spingendo la lama fino all’elsa. Tuttavia non successe ciò che si aspettava: il danchi non divenne immediatamente polvere, come si sarebbe aspettata. Il sorriso d’acciaio, che iniziava a riempirsi di sangue rosso e viscoso, gli rimase impresso nella mente.
Un bruciore improvviso al petto le fece mollare la presa sulle spade e portarsi una mano appena sotto il collo. Era lì che sentiva un forte bruciore, come se qualcosa di rovente le stesse bruciando la pelle. Alzò lo sguardo verso il danchi. Ormai era morto; lo si capiva dagli occhi vacui e spenti, la pelle già diafana e il sangue che aveva smesso di sgorgare dalla ferita e dalla bocca.
 
Perché ha perso sangue? Perché non si è polverizzato?
 
Poi notò che il ciondolo a forma di stella che quell’essere portava al collo aveva iniziato a bruciare. La pelle intorno all’oggetto era diventata nera, morta. Era la stessa cosa che pensava fosse accaduta alla sua pelle.
 
Ma allora ho anch’io un ciondolo?
 
Quando formulò questo pensiero il danchi finalmente si polverizzò, esattamente come aveva visto polverizzarsi i precedenti danchi nel bosco di Arvar; il ciondolo a forma di stella rimase sospeso in aria, appena sopra di lei. Sembrava avvicinarsi sempre di più al punto in cui il petto di Rora bruciava. La ragazza guardava stordita quell’oggetto, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Era ipnotizzata. Ma sentì Trashiraa che si riscuoteva e la prendeva per un braccio, trascinandola via. La piccola stella rovente rimase sospesa un attimo ancora, poi s’illuminò di una luce rossastra e svanì.
 
-Che cos’era?- fu la prima cosa che Rora riuscì a dire.
 
La piccola sarta non rispose subito. Il suo sguardo era un misto di vuoto e paura. Costrinse Rora ad alzarsi in piedi.
 
-Muoviti. Dobbiamo trovare Torov e andarcene-.
-Perché?-.
-Quello era il ciondolo di riconoscimento di tua madre. È riuscita a localizzarci con quello-.
-E come ha fatto?-.
-Tu, tua madre, tua sorella e tuo padre avete un segno di riconoscimento che vi accomuna. Un ciondolo che tenete nascosto a tutti. Tu e tua sorella ci avete detto che esiste, anche se non ci avete mostrato i vostri ciondoli. Possibile che non te lo ricordi?- chiese poi.
 
No! Non me lo ricordo! pensò Rora spaventata.
 
Allora era un ciondolo che portava nascosto sotto la sua armatura che le aveva bruciato la pelle. Appena avesse potuto avrebbe dovuto controllare.
Trashiraa la trascinò verso la casa bianca di Torov, spalancò la porta ed entrò. Il contadino era davanti al fuoco. Si stava fasciando una ferita.
 
-Chi è? Come avete fatto ad entrare?- chiese la sua voce.
 
Era burbera e rovinosa.
 
-Torov, pezzo d’idiota, sono io!- gridò Trashiraa.
 
Rora vide la figura dell’uomo che si stagliava sulla luce del caminetto tremare.
 
-Trashiraa?-.
-Sì, Torov, Trashiraa! Perché non hai ucciso quel danchi??-.
-Era ancora vivo?-.
-Sì!-.
-Ero sicuro di averlo ucciso!-.
-Fifone che non sei altro, scommetto che hai ferito il danchi, ma quando quello ha ferito te, tu sei scappato e non l’hai finito! E ora la Congrega Nera ci ha rintracciato di sicuro-.
-E perché avrebbe dovuto?-.
-Perché quel danchi portava con se un cimelio della famiglia di Aelithia! Ecco perché!-.
 
Il contadino rimase in silenzio. Mentre litigava con Trashiraa, le due donne si erano avvicinate a lui. Rora notò la ferita leggerissima che il contadino aveva sul fianco.
 
Deve essere veloce per essere riuscito ad avere solo una ferita così piccola.
 
Ciò che stupì Rora fu l’aspetto di quell’uomo. Ricordava di aver parlato di lui con Trashiraa e Kilik, quando stavano decidendo a chi affidare il controllo del Nord e dell’elemento dell’acqua. L’uomo che le stava davanti aveva gli occhi azzurrissimi, più azzurri del cielo e più limpidi dell’acqua; i capelli erano bianchissimi, a testimoniare la sua anzianità. Eppure il corpo sembrava ancora atletico come quello di un giovane di vent’anni.
 
“Torov è un uomo speciale”, ricordava che Trashiraa aveva esordito così nel presentarlo: “È un mio vecchio amico. Conosce la magia quanto serve, sa combattere e in più ha bevuto sangue di ninfa”.
 
A quest’ultima affermazione sia lei che Kilik l’avevano guardata di traverso.
 
“Gli è stato somministrato dalla madre quando aveva solo cinque anni. Soffriva di una strana malattia. Bevendo sangue di ninfa è guarito, ma ha acquisito degli strani poteri”.
 
Era stato quindi deciso che sarebbe stato il custode del Nord, sul Canale di Jamrin.
La fata spiegò velocemente la situazione all’uomo, che finì in fretta e furia di fasciarsi la ferita e con il movimento di una mano preparò una piccola borsa dove mise i suoi pochi effetti personali, dopodiché fece qualcosa che Rora non si aspettava minimamente: chiuse gli occhi e pronunciò una parola incomprensibile. Una luce bianchissima l’avvolse e quando svanì, Rora si ritrovò davanti due Torov. Solo che il falso contadino aveva gli occhi grigi. Era una copia.
 
Ecco di quali poteri strani parlava Trashiraa.
 
Senza altre parole o preamboli, il contadino uscì dalla casa, seguito da Rora e Trashiraa.
 
-Io mi avvierò verso Arvar. Vi aspetterò al quartiere segreto- disse e poi si passò una mano sul viso.
 
I suoi capelli divennero neri e una barbetta rada si fece strada sulle sue guance. Un neo comparve sotto l’occhio sinistro e sull’orecchio destro apparve un orecchino d’oro. Poi, sul suo collo, si disegnò serpeggiando un tatuaggio a forma di drago.
 
Il simbolo dei negromanti, ricordò Rora.
 
-Così non mi riconosceranno-.
 
Mentre loro si allontanavano verso est, verso l’Antro delle Ninfe, e Torov si incamminava sulla strada che la ragazza e la sua insegnante avevano percorso fino a quel giorno, il finto contadino uscì dalla casa bianca e si avviò verso i campi coltivati sul retro, a svolgere le sue mansioni.
 


































Note di Saeko:
sono tremendamente in ritardo, è praticamente passato un mese e mezzo dalla mia ultima pubblicazione, ma ho avuto diverse problematiche lavorative, familiari e universitarie da sbrogliare e queste mi hanno impedito di concentrarmi su questo capitolo, che è estremamente lungo (parliamo di circa 10 pagine su foglio word). Come sempre, non ricordavo che la mia mente avesse partorito una trama tanto complicata e sono sinceramente stupita di come io abbia sviluppato questa parte di storia ad appena 16 anni. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo concernente questa long (la più lunga della raccolta, devo ammettere) e vi rammento che le storie contenute in questa raccolta sono incompiute perciò non avrete un finale di questo fantasy letto sin'ora.
Me ne dispiaccio, ma neanche correggendolo, sono riuscita a trovare modo di ideare ulteriori sviluppi sin'ora e subito che correggendo il prossimo capitolo le cose cambieranno.
Vi ringrazio per essere arrivati sino a qui (ringrazio tantissimo alessandroago_94 per essere passato a recensire gli scorsi capitoli) e spero di tornare il prima possibile.
Mangiate le verdure.

Saeko's out!

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Capitolo 9
*** 9. Parte 2 - Long: Cronache di anime e congreghe, capitolo 8: Motivo d'allarme ***


9. Parte 2 – Long:
Cronache di anime e congreghe, capitolo 8:
Motivo d’allarme
 

Era notte fonda e una luna brillante faceva cadere i suoi raggi leggeri sul palazzo di Arvar. Una luce minuscola si avvicinò da nord ed entrò nella finestra della torre più alta. Aelithia l’aspettava.
 
Eccola!
 
Il ciondolo luminoso a forma di stella andò a posarsi sulla sua mano; era ancora incandescente, ma la regina di Laviro sopportò il dolore che il calore magico di quell’oggetto le procurava alla pelle, passando immediatamente ad interrogarlo.
 
-Dimmi ciò che hai visto- sussurrò, avvicinando le labbra alla mano.
 
La piccola stella si freddò d’improvviso e la catenina alla quale era appesa diventò d’oro, alzandosi in aria; formò un cerchio perfetto e al suo interno comparve una sottile membrana trasparente, sulla quale iniziarono a formarsi delle immagini. Aelithia riconobbe lo sguardo verde e la ciocca rosa della figlia.
 
Non ha ancora ricordato perfettamente.
 
Aelithia sapeva dove si trovavano, anche se non conosceva le loro intenzioni; il fatto che la figlia non ricordasse tutto e bene le tornava utile.
 
Un vantaggio che posso sfruttare.
 
***
 
Noa fissò il suo ciondolo a forma di luna, che risplendeva di una luce fredda; voleva dire che uno dei quattro ciondoli della sua famiglia era stato attivato.
 
L’ha utilizzato per localizzare Rora.
 
Ci aveva pensato anche lei, però aveva anche pensato che la madre se ne sarebbe accorta, proprio come lei se ne era accorta in quello stesso momento, che avrebbe potuto approfittarne come lei aveva appena fatto. Infatti, grazie alla potenza che accomunava quei ciondoli, era riuscita a vedere ciò che sicuramente aveva visto Aelithia.
 
Ed è una fortuna che nostra madre non si sia accorta di questo potere che ha attribuito ai nostri ciondoli. Chissà quante volte papà ci ha viste…
 
Scosse la testa e scacciò subito il pensiero del padre; il ciondolo le aveva appena rivelato che Rora e Trashiraa erano dirette a est. In tutto questo, la cosa che più la preoccupava era che sua sorella non ricordava tutto ciò che la riguardava, dato che non riusciva nemmeno a capire cosa non ricordasse. Ma se non lo riusciva a capir lei, non poteva farlo neanche sua madre.
 
Starà pensando ad un piano per capire cosa non ricorda, la devo fermare!
 
Noa ormai aveva imparato a entrare nella mente della maga oscura e a capirla. Questo era un prezioso insegnamento che aveva ricevuto dal suo maestro Kilik.
 
Devo dirlo a lui.
 
Si rimise l’amuleto di famiglia al collo. Si legò arco e faretra, le sue armi preferite, alla schiena, fondamentalmente nella stessa posizione in cui Rora portava le due spade incrociate. Si assicurò in vita un pugnale della stessa fattura di quello della sorella, ma con una pietra viola al posto del topazio rosa. Dopodiché uscì e si avviò verso il laboratorio. Anche se Kilik faceva parte della Congrega Nera, era pur sempre un mago; un mago è dedito alla ricerca ed è spesso perso in mezzo ai suoi alambicchi a sperimentare.
 
Dobbiamo far presto, Rora e Trashiraa sono in pericolo!
 
***
 
Mewio guardò la cella vuota, con gli occhi spalancati: non poteva ancora credere a ciò che aveva appena fatto.
Quella mattina il Conte Stadt si era messo a conversare con lui.
 
-Mewio. Mewio. È questo il tuo nome vero?- lo aveva chiamato alle prime luci dell’alba.
 
Lui era ancora mezzo addormentato, ma si era avvicinato alla cella e stropicciandosi gli occhi, aveva chiesto con deferenza (per quanto imprigionato, il Conte era pur sempre una delle personalità più prominenti della Congrega):
 
-Di cosa avete bisogno, signor Conte? Ha fame? Di già? È appena spuntato il sole!-.
-No, Mewio, non ho fame. Piuttosto, devo parlarti di una cosa importante-.
-Di che cosa si tratta?-.
-Da quanto tempo appartieni al Male?-.
-Da tanto, a quando sono nato in pratica. Perché mi fai una domanda così assurda?-.
 
Mewio non riusciva proprio a capire.
 
-Perché potrebbe esistere una vita migliore di quella che fai-.
-In che senso?-.
-Ti piacerebbe essere gratificato moralmente quando lavori?-.
 
Solo in quel momento Mewio aveva iniziato a capire.
 
-Io sono già gratificato- aveva risposto con stizza.
-Ne sei sicuro?-.
 
Mewio non aveva risposto; era stato così Cornelio Stadt aveva iniziato a parlargli della bellezza del Bene, di quella luce di un colore freddo, il bianco, ma che comunicava calore. Gli aveva parlato di un mondo dove non sarebbero più esistiti danchi e monopolizzazioni di alcun genere; Mewio aveva sentito il desiderio di essere avvolto da quella luce. Una sola risposta si profilò nella sua testa alla domanda del Conte:
 
-Vorresti essere finalmente libero?-.
-Sì-.
 
Si era sentito magicamente libero, per davvero; era improvvisamente più leggero e felice. Il mondo, da buio e oscuro come l’aveva sempre conosciuto, era diventato repentinamente luminoso e limpido. Il Conte Stadt gli aveva parlato di un piano in corso per rovesciare la Congrega Nera e, sotto giuramento di non farne parola con nessuno, Mewio l’aveva liberato.
 
-Sarai un nostro infiltrato- gli aveva detto Stadt, prima di andarsene.
 
Ora l’uomo di pelle scura guardava la cella vuota. Si sentiva parte di qualcosa di troppo grande per lui, tuttavia era finalmente, appunto, parte di qualcosa: del mondo, cosa che dentro di sé aveva sempre desiderato. Ora gli apparteneva.
 
***
 
Stadt correva veloce nel bosco, nonostante la sua età ormai non molto vigorosa; anche se era solo un essere umano, i suoi allenamenti di quando aveva l’età che ora avevano le due principesse di Arvar gli erano ancora molto utili, persino più della magia.
Era molto importante aver convertito il carceriere al Bene: era un gran passo in avanti per la lotto contro Aelithia. Se prima Pep non si faceva neanche attirare dalle richieste della Luce, Mewio era stato molto più malleabile e pronto ad ascoltare; molto probabilmente il mondo del Buio non l’aveva trattato come si sarebbe meritato o aspettato.
Doveva raggiungere il consiglio segreto della Congrega Bianca, un gruppo di persone che, avendo abbracciato la causa del Bene, erano state espulse da Arvar oppure erano fuggite dalle carceri. Proprio come lui.
 
***
 
Torov camminava di buon passo, sarebbe arrivato ad Arvar entro cinque o sei giorni. Guardò il cielo terso sopra la sua testa e pensò alla casa sul Canale di Jamrin: erano anni che viveva lì e faceva la guardia per conto della Congrega Bianca, anni che conosceva Trashiraa. Si passò una mano sul tatuaggio da negromante; in tutti quegli anni si era trasformato in negromante solo un’altra volta, ovvero quando stava per essere catturato dalla Congrega Nera.
Era rimasto il negromante Ashin fino al momento in cui Trashiraa l’aveva rintracciato per tornare ad essere quello che era sempre stato: Torov il contadino. Ashin era il nome di suo padre, un negromante che gli aveva lanciato una maledizione che lo aveva fatto ammalare e che aveva costretto sua madre a fargli bere sangue di ninfa; ora si ritrovava di nuovo ad indossare quelle odiate vesti per tornare nel luogo dal quale era fuggito. Questo era certamente uno svolgersi degli eventi che non si sarebbe mai aspettato; si sentiva troppo vecchio per andare avanti, perciò questa sarebbe stata la sua ultima azione e, una volta nata la Congrega Bianca, avrebbe fatto in modo di sparire.
 
***
 
La luce del mattino entrò nella grotta. Aprì lentamente gli occhi e si alzò a sedere. Aveva sognato di nuovo e, con suo sconcerto, era certamente un sogno di cui preoccuparsi. Baor lo guardò di sbieco.
 
-Uar. Che succede?-.
-Le ho sognate di nuovo, Baor. Tutte e tre. Aelithia, Rora e Noa-.
-Che cosa hai sognato stavolta?-.
-Rora e Noa sono divise, tuttavia su entrambe splende la luce. Aelithia invece è al castello. Ed è immersa nell’ombra. I ciondoli splendevano-.
-Anche il tuo splendeva- disse Baor.
 
Il folletto non aggiunse altro.
 
È sempre stato di poche parole.
 
Sì, il folletto della Foresta Proibita non era mai stato un tipo socievole. Però lo aveva aiutato, gli aveva offerto un posto in cui stare da quando era stato bandito da Arvar e lo ascoltava nei momenti di bisogno. Gli era molto grato.
 
I nostri ciondoli hanno brillato, vuol dire che posso vedere che succede.
 
Uar prese il piccolo ciondolo a forma di cerchio che portava al collo. Pronunciò quell’unica formula magica che era in grado di praticare e davanti a lui comparve una sottile membrana dove alcune immagini iniziarono a muoversi.
Una volta finito di osservare si rivolse a Baor.
 
-Devo andare-.
-No. Tu non ti muovi da qui-.
 
Il tono del folletto era basso ma deciso. Uar lo guardò stupito.
 
-Ho visto anch’io quelle immagini- spiegò Baor –E ti dico di aspettare. Presto tua figlia e la fata verranno qui. Quindi aspetta-.
 
Uar capì e decise di seguire il consiglio dell’amico, sospirando e uscendo al di fuori dalla grotta. Il fitto tetto di foglie sopra di lui, ovvero le folte chiome degli alberi della Foresta Proibita, faceva sembrare tutto buio. Non era niente in confronto a quello che ricordava del bosco di Arvar: l’aria qui era fresca e limpida, non opprimente e oscura come quella che aleggiava nei luoghi che circondavano il castello. Uar inspirò profondamente.
 
Rora, ti aspetterò.
 
***
 
Kilik era nel suo laboratorio. Stava cercando di perfezionare una pozione, che ufficialmente serviva a curare le malattie degli organi interni, ma che in realtà era la pozione per aprire le porte dell’Oblio. Mancava un elemento che servisse a tenere quelle porte aperte il tempo necessario a farle oltrepassare ad una strega oscura come Aelithia. Proprio quando aggiunse una goccia di fosfato e sangue di ninfa, le porte del laboratorio si aprirono e comparve Noa.
Aveva un’espressione scapigliata, portava faretra e arco sulla schiena.
 
-Noa, che succede?-.
-Trashiraa e Rora stanno riunendo i guardiani degli Elementi. Rora non ricorda nulla di me, né di nostro padre, né tantomeno del Grande Segreto. L’ha completamente dimenticato. Sfortunatamente anche Aelithia ora sa di tutto questo. Ha richiamato il ciondolo di mia sorella per scoprire la loro posizione-.


































Note di Saeko:
ebbene sì, questa storia si conclude esattamente così. Ricordo perfettamente di aver avuto in pugno, una decina di anni fa, uno sviluppo estremamente complicato e stracolmo di intrecci, come questi primi otto capitoli dovrebbero aver dimostrato, eppure smisi di scriverla e persi il quaderno in cui avevo appuntato le parti principali. A tutt'oggi non riesco a ricordare come avessi intenzione di continuare questo racconto, motivo per cui ho deciso di abbandonarlo completamente; persino ricorreggerlo e renderlo presentabile per una pubblicazione qui su Efp non mi ha portato nemmeno per un momento a capire come proseguire nemmeno dopo le ultime parole che pronuncia Noa alla fine del capitolo, proprio perché non riuscivo a ricordare nemmeno io cosa avessi ideato.
E' frustrante, ma anche incredibilmente interessante, perché lascia aperte tantissime possibilità.
Detto questo, vi ringrazio umilmente per essere giunti sin qui, prima della fine dell'anno tornerò certamente con una flashfic che avevo intenzione di inserire in questa raccolta piuttosto frammentaria.
Vi auguro per il momento un buon Natale, nella speranza che lo stiate trascorrendo (per quanto possibile) nel migliore dei modi.

Saeko's out!

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Capitolo 10
*** 10. Parte 3 - Flashfic: La nave nera dalle vele rosse ***


10. Parte 3 – Flashfic:
La nave nera dalle vele rosse
 
 
Guardai il cielo plumbeo dalla grande finestra dell’aeroporto. Era dello stesso colore del giorno in cui la Mc Callan e il suo capitano, Callisto, mi avevano catturato, in quel maledetto giorno in cui avevo avuto la malsana idea di uscire in canoa con il mare apparentemente calmo ma con il cielo più nero del carbone.
Avevo ancora nelle narici l’odore di quei capelli neri come la notte e della sua pelle scura e fresca come una noce di cocco. Era incredibile come mi fossi innamorato di una donna capitano di una nave pirata – come se il fatto che le navi pirata vecchio stile esistessero nel nuovo millennio già non fosse un fatto straordinario. Immaginai la Mc Callan allontanarsi dalle Mauritius per risalire l’Oceano Indiano fino alle Maldive, come mi aveva detto in quella notte passata in intimità.
 
-Sara…- mormorai.
 
Non avrei mai dimenticato quella donna, ne ero certo. Quando venne chiamato il mio volo, ebbi l’impressione che fosse stato tutto un sogno. Tirai fuori dalla tasca la piccola pietra bianca che Sara mi aveva dato, con sopra inciso il simbolo di un piccolo granchio e di un teschio: un prezioso ricordo del capitano Callisto e della sua ciurma, nonché un simbolo di riconoscimento.
No, non era stato un sogno.
E no, non era certamente finita.



 
/215 parole/


 





















Note di Saeko:
non so bene dove volessi andare a parare con questo frammento, ma era di certo parte di un progetto più grande, che ho ideato tantissimo tempo fa (avevo forse 13-14 anni, non ricordo bene) e di cui ora non mi rimane davvero nulla se non questo finale, forse affrettato, che ho deciso di trasformare in una flashfic. In compenso, per quanto concerne la raccolta, posso dirvi che siamo finalmente giunti a metà, poiché si tratta di venti capitoli precisi precisi; speravo in realtà di concludere assai prima questo progetto, ma non riesco più a pubblicare con la stessa frequenza di qualche mese fa, perciò sono soddisfatta di esserne giunta almeno a metà.
Tornerò con il nuovo anno con una nuova "long" in questa raccolta, certamente più corta rispetto a quella "conclusa" appena prima di questo capitolo.
Con un ringraziamento speciale ad alessandroago_94, vi auguro un buon anno e un buon capodanno, nella speranza che il 2021 vada un po' meglio di questo 2020.
A bien tot!

Saeko's out!

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