Rewind

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Rewind
Capitolo 1
 
 
27 settembre 2010
Aveva inviato le carte quando aveva smesso di sentirsi arrabbiata, per essere sicura di aver preso la decisione giusta. Erano passati diversi mesi che Brienne avrebbe potuto dividere per capitoli. C’era stato quello del pianto, quello della rabbia e poi quello dell’arresa. Era stato durante quest’ultimo che gli aveva inviato le carte da firmare. Fu allora che lui le aveva richiesto di incontrarsi con i rispettivi avvocati. Giusto, aveva pensato all’epoca.

Brienne leggeva le sue copie silenziosamente. I loro due nomi erano pesantemente stampati in cima al documento. Sansa Stark, in veste di suo avvocato, le puntava col dito i punti di suo interesse. Dall’altro lato del lungo tavolo, illuminato dalla luce bianca di metà mattino, Jaime Lannister faceva lo stesso con Sandor Clegane. Jaime si rigirava la sua fede attorno al dito con il pollice mentre ascoltava. Era distratto ed avrebbe voluto guardare sua moglie ancora un’altra volta prima di sollevare la penna e firmare. Clegane gli stava spiegando che fine avrebbe fatto la casa che avevano comprato insieme anni fa, quando il cellulare gli suonò, assordando tutti i presenti con i suoi toni polifonici. Sansa e Brienne alzarono gli occhi quel tanto che bastava per vedere Sandor Clegane abbandonare il suo cliente e rispondere al cellulare.

“Non mi paghi abbastanza Jaime Lannister per stare qui tutto il tempo solo per te.” Gli sbraitò l’avvocato appresso, rispondendo al telefono e prendendo la via della porta.

Brienne sospirò, come fosse un’altra di quelle trovate che avrebbe dovuto sopportare. Ancora per poco. Sansa accavallò le gambe in un gesto teatrale, picchiettando poi la punta della penna sul piano di vetro posto sul lungo tavolo di legno lucido. Aspettava cercando di guardare ovunque ma non la controparte, sbuffando, trattandoli con la sufficienza che meritavano. Brienne incrociò solo le dita e chiuse gli occhi, come se stesse raccogliendo le idee prima di dire la sua.

“Non è colpa mia, d’accordo?” sbottò Jaime, abbandonato contro due donne, davanti alla pila dei documenti che avrebbe messo fine al suo matrimonio definitivamente.

Brienne riaprì gli occhi con lentezza. “Non era questo che stavo per dire.” Spiegò solo.

“Ci prendiamo tutti una pausa.” Disse Sansa invece e si alzò per andarsene. I capelli le ricaddero da una spalla lisci e morbidi, coprendole le guance come se fossero una tenda. Poggiò la mano sulla spalla di Brienne in un gesto protettivo ed affettuoso e poi se ne andò.

Jaime aveva incrociato le braccia e stava aspettando con la testa rivolta al soffitto. Brienne approfittò di quel momento in cui non la guardava per darsela a gambe, lasciando sul tavolo abbandonate una coppia di penne e le due copie del documento di divorzio.
Raggiunse l’atrio di quel grande appartamento adibito a studio legale. Un tappeto rosso circolare ricopriva le mattonelle di marm0 bianco davanti a due divani dello stesso colore. Un tavolino di vetro occupava il centro della stanza, mentre a ridosso dei muri c’erano librerie in vetro, occupate da tomi di libri spessi e vecchi e soprammobili dalle forme astratte in ceramica.  Tutto pareva essere fragilissimo in quel posto, un contrasto tra il fragile ed il pesante, fatto per rompersi, per dare ai nervi. L’unico ambiente normale in cui potersi rifugiare, a Brienne pareva essere il balcone. Ci si rifugiò per respirare aria fresca e guardare fuori. Lo studio si affacciava su di un giardino, cominciò a guardarlo senza vederlo seriamente. L’erba era ben tagliata come un prato inglese, i fiori ben curati, le siepi regolari. Si fissò sulla chioma di un albero che aveva una forma strana, giocò per pochi secondi a trovarci una figura nei suoi contorni, come se fosse una nuvola. Ogni tanto il clacson di qualche auto infastidiva il suo silenzio. Per qualche attimo le parve addirittura di perdersi e dimenticarsi di tutto. Rimaneva solo una cupa sensazione di pesante tristezza.

Dei passi non troppo silenziosi la raggiunsero. Non aveva bisogno di voltarsi per capire chi fosse. Jaime si appoggiò alla ringhiera accanto a lei e guardò fuori sul giardino senza dire una parola. Rimasero fermi, muti per diversi momenti. Era semplice stargli accanto in silenzio. Erano attimi consolatori, quasi di normalità, che davano un vecchio assaggio del passato.

Dopo poco Jaime si voltò a guardarla. Gli occhi erano curiosi, affamati alla ricerca di qualcosa. “Hai qualcosa di diverso.” Fece alla fine. Attese che si girasse per guardarla meglio. “I tuoi capelli sono più lunghi del solito.” Le disse, fissandole gli occhi azzurri.

Brienne alzò il viso verso di lui. Erano soli, su un balcone sotto la luce del sole. Le era mancato ogni giorno. La pelle dorata rifulgeva, gli occhi avevano un’espressione triste, incorniciata da un sorriso spontaneo, ma debole. “Oh.” Esclamò sorpresa, tornando alla realtà. Si toccò i capelli, afferrando le punte che cadevano sulle spalle e coprivano il collo. “Sono solo la prova della mia recente pigrizia.”

“Non ti si addice.” Commentò solo lui. Era strano che parlasse poco. Era strano che non la riempisse di chiacchiere o provasse a farla ridere.

Jaime aveva distolto lo sguardo, mentre lei invece lo cercava curiosa.  “I capelli o la pigrizia?” chiese Brienne intenerita, sperando forse di scorgere un guizzo nei suoi occhi.

Le labbra di Jaime si piegarono, poi cercò di nascondere il sorriso che gli era arrivato alle guance mordendosi le labbra, quasi fosse imbarazzato. “La pigrizia.” Rispose alla fine “I capelli ti stanno bene.” Continuò poi.

“Grazie.” Fece lei, chiudendosi una ciocca in un pugno.

Rimasero in silenzio ancora con le dita incrociate ed i gomiti appoggiati alla ringhiera, fingendosi interessati a guardare fuori. Fu Jaime poi che coraggiosamente strinse prima gli occhi e poi la guardò fisso prima di parlare.  “Cos’è andato storto?” chiese. Fu come se gli fosse caduta una maschera: non era più l’uomo triste ed imbarazzato. Era tornato ad essere quello insistente, incalzante, che cercava spiegazioni, che non s’era ancora arreso al divorzio imminente.

Brienne sospirò. Non si riferiva ai suoi capelli. “Tante cose.” Rispose con gli occhi di nuovo al giardino. Quando si voltò pensò a tutto quello che c’era stato, quello che c’era di sbagliato, cosa le aveva fatto in passato storcere il naso. Non ricordò niente eccetto quella lite furente dell’anno prima. Cominciò per raccontargli, quando le venne in mente la rabbia di Jaime dopo l’abbandono di Clegane nell’altra stanza. “Ad esempio il tuo assurdo vizio di proiettare su di me i difetti della tua ex.”

Jaime si voltò di scatto “Cosa?” chiese confuso, la voce un po’ acuta e sembrava che avesse dimenticato tutto, dove fossero o perché “Questa è la prima volta che lo sento.”

Brienne credeva di aver parlato troppo, di cose di cui non avrebbe dovuto parlare che nella sua mente e che, come scoprì tempo prima anche in quella di lui, erano bandite. “E questa era un’altra ragione: non comunichiamo.” Cercò di dire per cambiare argomento.

“No, io ora voglio sapere cosa intendi.” Le disse lui, come faceva una volta: e no, signorina, riecheggiò nella mente di Brienne, non puoi cavartela così.

D’accordo. Prese un respiro profondo e si disse: perché no? “Beh, prima ad esempio.” Cominciò a spiegare “Credevi che ti avrei ritenuto responsabile per quel coglione del tuo avvocato.”

Jaime la guardò sotto il sole. Già, forse era vero: una vita a sentirsi dire di essere uno stupido ed immediatamente al primo cenno, leggi infondati e duri giudizi sopra ad una maschera di stanchezza. Prima o poi le avrebbe ripetuto che lei era addirittura migliore di quel ricordava. “Io invece gliene sono grato.” rispose “Mi ha dato l’occasione di parlare di nuovo con te.” E sorrise, questa volta per davvero, anche gli occhi raggiunsero la piega della bocca.

Eppure, Jaime era triste e stanco. Brienne si chiese quanto quell’ultimo anno avesse fatto male anche lui. Avrebbe voluto che ci fosse un modo per recuperare. Lo guardò e gli sembrava ancora il vecchio Jaime, quello che aveva cominciato a scoprire sotto la maschera da farfallone che portava i primi tempi.

Una donna li raggiunse. Si fermò dietro di loro e lo chiamò. La segretaria dello studio. “Signor Lannister?” fece quella. Jaime si voltò con fare disinvolto.  Quella teneva due tazze ferme in mano. “Il caffè.” Le allungò lei uno dei due mentre si teneva l’altro ben stretto.

“E per mia moglie?” chiese lui, fingendo di non capire che quella volesse bere un caffè da sola con lui.

La segretaria gli allungò l’altro caffè, che poi lui passò a Brienne.

Era sempre stato così con lui.
“Ed eccone un altro.” Sbuffò Brienne continuando il discorso “Era difficilissimo starti dietro. Sempre circondato da donne, ovunque andassi. Dovevo controllare che fossero tutte meno interessanti di me. Avevo solo questo per controbattere.” Fece in uno sfogo di insicurezza, indicandosi la testa con un dito, poi prese un sorso di caffè per impegnarsi la bocca, mentre si ricordava di tutte quelle volte che aveva cercato di introdurre un argomento difficile, poco alla mano, subito dopo aver visto scherzare con lui una ragazza in minigonna, come se le proprietà intellettive avessero potuto compensare la mancanza di quelle fisiche.

“E lo chiami poco?” fece lui scherzando. Era lo stesso sguardo che aveva quando la consolava: perché dovrei cercarmene un’altra? Avrebbe voluto dirle. In realtà presto avrebbe potuto. Si chiese se avrebbe mai guardato un’altra come ancora guardava lei, se avrebbe mai avuto la forza di innamorarsi ancora. Se si sarebbe mai arreso. “Hai fatto il mio stesso errore.” Cominciò a parlare tamburellando il dito con la fede nunziale sulla tazza, mentre il ticchettio nervoso si perse tra i rumori della mattina. “Hai proiettato tutti gli uomini che hai conosciuto su di me. Non faccio così schifo, sai?”

“Lo so.” Le rimase solo da dire.

“Non ho mai voluto nessuna oltre te.” Rimbeccò lui.

“Lo so.”

“E’ una cosa che non ho mai nemmeno pensato, cavolo.”

Brienne sospirò. “Siamo un casino.”

“Credevo fosse un punto di forza.” Sospirò anche Jaime, guardò fuori il paesaggio e poi di nuovo lei. C’erano tante cose che avrebbe voluto dirle, eppure non sapeva quale fosse la più opportuna o da dove avrebbe dovuto cominciare. “Sono stato da uno strizzacervelli.” Scelse alla fine. Mossa astuta perché ottenne la sua completa attenzione. Brienne si girò completamente, abbandonando definitivamente i giardini fuori. Un punto interrogativo sembrava essersi stampato sulla sua fronte. “Mi ci ha portato Tyrion.”

“Gentile da parte sua.” Ironizzò lei. Jaime abbozzò un sorriso di circostanza “Ed ora come stai?”

“Come uno che sta divorziando.”

Brienne sospirò ancora. Sul suo volto c’era la preoccupazione della donna abituata a prendersi cura di lui. Jaime la vide titubante, avrebbe voluto dirgli altro, le lesse negli occhi, forse persino consolarlo, ma aveva paura di allungare la mano ed allora stringeva la tazza. Per la prima volta in quella giornata le guardò le dita: non indossava più la sua fede. La riga chiara sotto la pelle abbronzata dell’anulare gli pugnalò il petto come se fosse uno spillo. Avrebbe voluto chiederle dove fosse, se l’avesse buttata, cosa stesse facendo in quei giorni, dove vivesse, con chi trascorreva le sue giornate, se ci fosse di nuovo un uomo nella sua vita, se controllava ancora il fornello del gas prima di andare a dormire. Di riprovarci.
“Oh, a proposito. A casa ci sono ancora tutti i regali e l’album di foto. Li vuoi?”

Jaime ci pensò. Quanto gli avrebbe fatto male guardare uno solo di quegli oggetti? “No.” Rispose triste. Ripensò alla foto incorniciata in salotto, quella a fine serata, con le sue dita sporche di panna ed il naso di Brienne pieno di torta e ridevano.  “Come sta tuo padre?” chiese poi per cambiare argomento e distogliere i ricordi. L’aveva scattata lui quella foto.

“Bene.” Rispose subito lei “Si è messo a lavorare a maglia.”

“Che cosa?” fece lui sorpreso.

“Sì, ha iniziato a comprare questi giornali.” Spiegò facendo un gesto con le mani come a minare il movimento dei ferri da lana. “Legge e copia i modelli.”
Jaime sorrise, sia davanti al suo modo pratico di esprimersi, sia pensando al vecchio Selwyn Tarth, seduto su una sedia a dondolo con un gomitolo di lana che si muoveva insieme alle sue dita.

“Hai visto la sciarpa con cui sono venuta?” chiese lei, presa come dall’irresistibile voglia di raccontargli di suo padre, delle sue creazioni o più semplicemente di una parte innocente in cui si era trasformata la sua vita. Jaime si convinse che fosse un buon segno che lei non smettesse di parlare, di raccontare.

“Ah, confeziona sciarpe.” Disse per incoraggiarla ancora e partecipare.

“Beh, per ora.” S’affrettò a rispondere lei, quasi stesse giustificando il padre “Paiono essere più semplici.” Poi parve come ricordarsi di qualcosa e si ammutolì di nuovo.

“Me l’ero dimenticato.” Fece lui senza smettere di guardarla.

“Cosa?”

“È semplice ridere con te.”

Brienne sorrise. “anche per me.”

“E perché lo stiamo facendo allora?”

Tornò l’aria pesante, la stessa che c’era in quella stanza chiusa. Brienne dovette prendere un respiro profondo per ricordarsi di essere capace di respirare. “Jaime.” Cominciò lei come se volesse rimproverarlo.

“Jaime cosa?” fece lui, voltando i palmi al cielo e battendosi le mani poi teatralmente lungo i fianchi. “Non ho trovato una singola ragione per firmare quelle carte,” e fece segno con un dito “a parte che me lo chiedessi tu.”

“Te lo sto chiedendo io.” Rispose lei supplicante.

Jaime la guardò. Non era più la stessa di prima, qualcosa si era rotto di nuovo. Notò allora tanti piccoli dettagli che prima il suo cervello aveva come ignorato: gli spessi contorni neri attorno agli occhi, le rughe meglio disegnate sulla fronte, il colorito pallido mascherato da un velo di trucco mal spalmato, le unghie rovinate prese a morsi, i vestiti che le andavano larghi, le clavicole che spuntavano fuori dal collo della camicetta. “Ok, ok.” Si arrese, di nuovo per la terza volta da quando qualcosa era andato storto.

“Brienne!” chiamò il suo avvocato.

“Arriviamo.” Fece lei voltandosi, abbandonando per sempre la vista di quel giardino.

Jaime osservò persino i suoi movimenti. Erano stanchi, non aveva quella decisione con cui faceva tutte le cose, che aveva ammirato sin dall’inizio. Voleva dirle qualcosa. Forse che sperava solo di non averla rovinata. Fece un gesto brusco, improvviso. Allungò la mano, cercò di parlarle davanti, di fermarla in qualunque modo e finì per sfiorarle il polso, ritraendosi prima ancora di riuscire ad afferrarlo. La sua precipitosità non andava d’accordo con quello che stava provando. “Brienne?” la costrinse a voltarsi. Scoprì che non sapeva cosa dirle. Come si fa a sintetizzare tutti i sentimenti di una persona in poche parole? “Sei stata la donna più importante della mia vita.” Le disse, scegliendo alla fine la cosa più semplice che riuscisse a dire a parole. Vide la gola di lei tremare e gli occhi inumidirsi, sciogliere le spalle ed allontanare lo sguardo. “Volevo solo che tu lo sapessi.”

Se fosse rimasta ancora un altro po’ in quel momento, se non avesse sentito il suono dei tacchi di Sandor Clegane camminare nervosamente nell’altra stanza, gli avrebbe confidato che anche per lei era la stessa cosa, che lo amava ancora da pazzi ma che non riusciva a superarlo. Invece chiuse gli occhi, si lasciò andare alle lacrime, incapace di andare avanti ed indietro.

Sentì la sua figura muoversi e superarla. Lo sentì aprire la porta a vetri dell’altra stanza, quella con lungo tavolo dove la stavano aspettando tutti. Perché lo stava facendo? E se avesse potuto recuperare tutto, o meglio ricominciare d’accapo? Sentì qualcuno allineare i fogli sbattendoli sul tavolo verticalmente, un gesto che aveva fatto anche lei chissà quante volte per amore dell’ordine. Si chiese per un istante quante firme avrebbe dovuto mettere ed allora si riscosse. Asciugò le lacrime col polsino della camicia e poi raggiunse gli altri.

“Tutto bene?” le chiese Sansa, quando si fu seduta al tavolo accanto a lei, come all’inizio della mattinata.

“H-hm.” Fece solo Brienne.

Clegane e Sansa pararono davanti ai rispettivi clienti i contratti ordinati. Punto per punto riguardarono i termini: la casa, il conto corrente, l’assicurazione, la macchina.
Brienne rimase attenta fino a quando non le fu messa una penna in mano ed indicata una riga vuota su cui avrebbe dovuto metterci la firma. Fece scattare la penna due volte prima di rendersi conto che era ancora chiusa. Guardò le carte e si sentì come smarrita. Notò lo sguardo di Jaime su di lei. Seppure arreso, sperava con tutto sé stesso che non lo facesse, che lo perdonasse e tornasse nella loro casa con lui. Il petto le si gonfiò d’aria e la mano destra cominciò a tremolare. La abbassò e la nascose tra le ginocchia. Ingoiò saliva, cercò Sansa con la coda dell’occhio e poi sentì un rumore. Le dita di Jaime si stavano elegantemente muovendo sulla carta. Aveva firmato. Le allungò la sua copia e recuperò quella di lei, ci piazzò sotto un’altra firma e gliela lasciò per poi andare via, facendole l’occhiolino.

Brienne guardò le due copie dei documenti firmate solo da lui e, come riscossa dall’incanto da cui poco prima sul balcone gli aveva supplicato di salvarla, autografò i documenti e chiuse gli occhi. Un brivido le passò lungo le braccia, dietro la schiena, dietro alle palpebre. Com’era facile chiudere un matrimonio? Rimase su quella sedia a piangere con la mano di Sansa che le accarezzava i capelli, fino a quando un’irreale calma le nacque dal petto e le fece muovere i primi passi verso una vita da ricostruire.


 



Angolo dell'autrice
Ehilà. Pensavate di esservi liberati di me, dite la verità!
Mi dispiaccio per l'assenza e torno di botto così con una nuova storia (senza aggiornare la vecchia...). Questa è una storia di 8 capitoli, non molti quindi, però mi è molto cara. La storia va a ritroso, parte dalla fine (il divorzio) per arrivare all'inizio. Volevo un lieto fine anche in una ff più drammatica. 
E quindi ecco qua, fatemi sapere che ne pensate. A presto

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
2 agosto 2020
“Jaime!” chiamava Tyrion a gran voce da fuori la porta. “Jaime! Jaime, andiamo!” tamburellò con le nocche della mano contro il legno mentre chiamava. Questa volta te lo sogni che rimango qui a pregarti di aprire, pensò Tyrion mentre continuava a fare rumore per farsi sentire. Come se non l’avesse già fatto.

Jaime aprì con violenza e stanchezza insieme la porta della stanza che ormai era diventato il suo mondo da qualche mese ormai. La teneva immacolata, pulita, come se non fosse la sua, come se non ci vivesse lui. Sperava ancora che fosse una sistemazione temporanea, che sarebbe tornato a casa sua, quella che aveva acquistato ed arredato con sua moglie, dove c’erano le sue cose. Si era sentito sempre un ospite, fino a quando non aveva cominciato a conoscere la collocazione del latte, dello zucchero, dell’adattatore per le prese elettriche, del sapone per la lavatrice. Allora gli era crollato il mondo addosso ed era solo una questione di tempo prima che quel momento sarebbe arrivato.

“Te lo dovevi aspettare prima o poi.” Fece Tyrion, prendendo in mano i documenti mezzi spiegazzati e cominciando a leggere. “Mi sembrano anche ragionevoli.” Disse dopo aver dato una lettura rapida ai termini del contratto.

“Non mi interessa.” Lo liquidò, facendo su e giù per la stanza, davanti allo stretto corridoio che stava tra il letto e l’armadio. “Sono solo cose.” Protestò, indicando quei fogli di carta dove non si parlava altro che di cose, oggetti: la casa, l’automobile, l’assicurazione. Si sentiva persino offeso dal fatto che sua moglie credesse che gli potessero importare tutte quelle cose o che persino a lei importassero. Che cosa avrebbe dovuto farsene dell’automobile se avesse dovuto rinunciare a lei per averla? Prima o poi avrebbe avuto un’altra casa, un’altra auto, un’altra cucina o un’altra stanza, ma di lei, come faceva ad averne un’altra? Come se non ci avesse già rinunciato. L’aveva fatto, il giorno che era andato via di casa e si era presentato da Tyrion. Anzi no, non all’inizio. All’inizio aveva provato ad assecondarla e poi riconquistarla, e dopo cos’era successo?

“Le tue cose.” Rimbeccò il fratello, toccandosi un anello che gli piaceva rigirarsi intorno al dito, come a sottolineare l’importanza venale delle cose.
Jaime sbuffò.

“Hai detto ragionevoli?” chiese poi come illuminato da un’idea. “Così tanto?” E se in fondo non lo fossero? Se potesse sembrare attaccato alle sue cose?

“Beh, certo, poteva farsi di meglio, ma visto quello che è successo…” considerò Tyrion, rileggendosi velocemente i punti del documento.

“E se ne volessi discutere?”

“Ti servirà un avvocato.” Rispose l’altro prima di capire dove il fratello volesse andare a parare “Oh dei, no. È da sociopatici.”

“Io sarei il sociopatico?” chiese Jaime scettico, levandosi finalmente la maglietta umida di sudore che aveva addosso da almeno una settimana ed avviandosi verso il bagno per darsi una sistemata. Avrebbe dovuto tagliarsi la barba, i capelli, le unghie. L’idea di rivedere Brienne lo metteva in agitazione. Doveva ancora crederlo una persona spregevole, meritevole di tutto quello che gli stesse succedendo, eppure una piccola parte di sé stesso sperava solo di potersi riavvicinare a lei, tenerla nella sua vita, anche se più lontana. Si sentiva esaltato come se avesse trovato l’oasi nel deserto. “Hai ancora il numero di Clegane?” chiese a Tyrion da una stanza all’altra.

“Cosa? Sei pazzo?”

“No.” Rispose subito “Non lo so.” Si corresse e sospirò.
E se lei non avesse voluto mai più rivederlo? Del resto le carte parlavano chiaro: Brienne voleva sciogliere quell’unico legame formale che li teneva legati.

Jaime tornò con i capelli bagnati, un asciugamani in testa ed uno spazzolino da denti in bocca. Afferrò il cellulare, cominciò a cercare tra i numeri di telefono e mentre aspettava tra uno squillo e l’altro si rigirava con il pollice sinistro la fede attorno all’anulare.  
Tyrion quasi sperava che l’avvocato fosse troppo occupato per un caso così poco stimolante e remunerativo come un divorzio. Finì di raccogliere i fogli da terra e la busta gialla in cui erano avvolti. Li allisciò sul materasso, quando notò sopra l’etichetta del mittente un rigo in corsivo, scritto a penna. La grafia era tonda, femminile. La mano che l’aveva scritto aveva calcato con inchiostro blu pesante. Ogni lettera era però ben delineata, scolastica quasi. Diceva “mi dispiace”.
Tyrion sospirò ancora e guardò Jaime parlare a telefono. Per la prima volta dopo mesi gli vide addosso un barlume di speranza. Avrebbe tanto voluto che fosse così.
 
***
 
 
18 luglio 2020
“Posso spedire?”
Brienne guardò la lettera chiusa in una busta.
“Ehi.” La chiamò Sansa Stark per richiamare la sua attenzione. Brienne si scosse come se fosse stata appena svegliata da un sogno “Posso spedire?”

Brienne sospirò. Non lo so, avrebbe voluto rispondere. O ancora più semplicemente, no. Negli ultimi giorni, da quando aveva cominciato a familiarizzare con quelle carte, le erano tornati in mente tutti i bei momenti passati con suo marito. Guardò Sansa come ad invocare il suo aiuto, disperata.

“Pensaci un attimo.” Le chiese Sansa e le prese le mani con fare deciso e premuroso “Non vi vedete più da mesi, non è più possibile recuperare un rapporto dopo così tanto tempo. Tanto vale ricominciare. Approfitta di questo momento, prima che vi cominci a dividere la rabbia. Succederà lo sai.”

L'ha già fatto, avrebbe voluto dire. “Non voglio più sentirmi arrabbiata.” disse invece “Io non sono così.” Balbettò tra le lacrime, pensando a quello che era diventata, a come si era sentita, ai sentimenti che erano maturati e le si erano consolidati dentro.
Da quando tutto era successo aveva imparato ad amare in maniera arrabbiata. Lo odiava eppure non ci credeva. Lo odiava e lo cercava contemporaneamente: un caffè, un giro a casa per riprendere le sue cose, per parlare. Lo odiava quando la cercava troppo dopo avergli chiesto tempo. Lo odiava quando non la cercava affatto e nella sua testa vorticavano mille pensieri. Era arrabbiata e non riusciva a fare a meno di lui, come una sorta di dipendenza da cui voleva uscire, eppure ci cadeva ogni volta. Lo odiava e glielo aveva dimostrato, poi lo vedeva e si calmava, poi lo odiava di nuovo e lo cacciava. Solo la lontananza completa l’aveva aiutata. Ci era voluto un po’ per sentirsi normale di nuovo, sé stessa. Piano piano aveva cominciato a maturare l’idea che stare in quella situazione non fosse giusto per entrambi.

“Allora fallo, volta pagina.” Cercò di incitare l’amica con tono autorevole e delicato. Le mise in mano una penna e la guardò tentennare. “Brienne,” cominciò poi, afferrandole la mano per darle forza. “non è per fare del male a lui che lo fai, ma del bene a te.”

Brienne fece segno di no col capo, non era quello a cui stava pensando. Con un cenno d’assenso Sansa la invitò a parlare ed allora lei si spiegò. “Ho sbagliato tutto.” Si rammaricò “Forse non perdonarlo è la prova che non l’ho mai amato.”

“Un motivo in più per lasciarlo andare allora.”

“Ho paura di sbagliare adesso.” Continuò scoppiando a piangere. Si ricordò di quando le aveva chiesto di sposarlo, prima in piedi per non spaventarla, poi s’era inginocchiato. Aveva avuto paura anche allora, una paura paralizzante, mista alla vergogna: Jaime che le dava una prova così eclatante del suo amore e lei che aveva dei dubbi, davanti a tutta quella gente. Adesso invece Jaime aveva sbagliato in maniera così tangibile ed in lei cominciavano a nascere dubbi. “Sono stata una pessima moglie.” Concluse alla fine.

“Beh, lui non è stato un bravo marito.”

Quando ci si sposa, aveva cominciato a pensare lei, lo si faceva per buone ragioni, per quell’amore che perdona tutto. Era quello che gli aveva promesso il giorno delle nozze, quello che le aveva fatto paura quando l’aveva visto in ginocchio con un anello in mano. E se non l’avesse mai amato a quel modo? Se la rabbia che aveva provato, piuttosto che il perdono, ne fosse testimonianza?
Con in mano le carte del suo divorzio, cominciava a pensare al perdono. Guardò il calendario: 2020. Un anno dopo la tragedia. Ci aveva messo tanto. E se lui avesse già un’altra?
“Posso pensarci ancora un minuto?” chiese stropicciando i fogli tra le dita.

Sul volto di Sansa poteva leggere disapprovazione. “Certo” le rispose nonostante tutto con un sorriso paziente. Raccolse i fogli, li mise dentro una busta gialla da imballaggio e le lasciò una penna.
Il pacchetto era triste ed anonimo. Prese la penna e si mise a scrivere direttamente sopra al mittente: Mi dispiace. Per Jaime Lannister.
 
***
 
6 maggio 2020
“Come ti senti?”
Brienne non voleva rispondere, non era abituata a raccontare al padre come si sentiva. Alzò lo sguardo e vide i tristi occhi blu. Sentì il suo moto d’affetto investirla in pieno, come se avesse capito solo in quel momento, a trent’anni suonati, che suo padre l’amava. Era strano come la fine di una storia la facesse sentire così sola, lontana persino dalla sua famiglia, dalle persone che l’avevano cresciuta.

“Come se stessi affogando.” Rispose solo.
La cosa più strana fu tornare a parlare di sé al singolare: “vengo a trovarti” piuttosto che “veniamo a trovarti”, “torno a casa” piuttosto che “torniamo a casa”, “faccio la spesa”, “cucino a cena”, una quantità di attività che era abituata a fare in due.  Non si era mai resa conto quanto fosse davvero dipendente da lui. Non l’aveva capito finché non se n’era andato.

“È possibile sapere quello che è successo?” chiese il padre con sconforto. Cercò anche di sembrare indaffarato, per non metterla in imbarazzo. Prese la teiera e versò l’acqua calda nelle tazze. Eppure neanche così era giusto. Avrebbe voluto e dovuto guardarla in viso, prenderle le mani, ma nella sua famiglia, suo malgrado, non erano soliti a moti e dimostrazioni importanti di affetto.

Brienne sbuffò.

“Sono tuo padre.” La supplicò lui. Il rumore delle porcellane tintinnò nella stanza, vibrando. Doveva aver capito che la ragione dietro la loro separazione prescindeva dall’affetto che provavano l’una per l’altra. Lo capiva dallo stato in cui sua figlia era crollata. Lei, una donna così forte. Gli voleva bene, lo vedeva, gli voleva ancora molto bene.
Ingenuamente e stupidamente, suo padre credeva che l’amore potesse risolvere tutto.
“D’accordo.” Fece poi, davanti al suo silenzio ed allo sguardo elusivo. Si ricordò di quando Brienne era una bambina: non parlava mai di niente, la scuola era andata sempre “bene” e “ok” stando a quello che rispondeva lei, salvo poi sentirsi dire dagli insegnanti che si era azzuffata coi compagni di classe che la prendevano in giro. Si decise a fare il padre, a fare un discorsetto serio per una volta. “Non dirmi cosa è successo,” cominciò “ma ricordati che con la fede si può perdonare tutto. Le scritture ci insegnano che…”

Brienne alzò gli occhi di scatto. Una frase innocente, sì, certo, ma perché l’aveva detta? Il dubbio cominciò a montarle dentro, insieme all’idea malsana di aver contribuito molto più che in parte alla fine del suo matrimonio. Il mancato perdono che non aveva mai concesso. Quella rabbia che non riusciva a superare, quella cosa che cresceva dentro ogni volta che ne parlava o lo vedeva addirittura. E poi c’era sempre quella voce che le diceva di aver deluso suo padre, di essere stata troppo dura ed insensibile ancora, chiusa. Parole che si era sentita ripetere per tutta la vita. “Cosa ti fa credere che sia io a dovergli perdonare qualcosa? E se fosse colpa mia? Se fossi andata con un altro? Se l’avessi messo dopo la mia carriera?”.
Brienne avrebbe voluto fermarsi, ma ormai era tardi. Attraverso le lacrime vedeva i contorni smussati dell’argenteria disposta in una vetrinetta, la tappezzeria scura e giallognola del salotto. Non distingueva nulla chiaramente, c’era solo una cosa cresceva dentro e le martellava il cervello come un prurito che non avrebbe mai potuto alleviare. “Jaime non ti è mai piaciuto, vero?” disse, sbraitando. “No, no, no, no,” si ripeté, presa da un ragionamento con sé stessa più che con suo padre “sono io a non esserti mai piaciuta!” .

No, non era giusto. Non andava bene, non era così che doveva andare. “Scusa” bofonchiò Brienne prima di scappare via.
Si mise in auto e guidò verso il mare. Raggiunse la spiaggia a grandi passi e rimase là a guardare il tramonto. Non si era neanche accorta del fiume di lacrime che le rigava la faccia. Gli occhi le si sarebbero gonfiati di lì a poco, non avrebbe mai perso quell’aspetto trascurato e acquoso, come se il dolore le gonfiasse il viso e cercasse di sgorgare via verso l’esterno, calmo ma implacabile.

Per un po’ non riuscì neanche a sentire il rumore delle onde, sovrastato da quello dei suoi singhiozzi. Tirò calci nell’acqua, urlò nel vuoto e si tirò i capelli ai lati della testa, dove quel prurito era ancora là. Tirò pugni a terra, seduta a carponi sulla sabbia, facendo volare di volta in volta folate di granelli che le finirono sui vestiti, in bocca e nei capelli.

Quando la rabbia cominciò a scemare e le lacrime si asciugarono, la prese una fredda lucidità. Quello che gli aveva fatto non era giusto. Come lo stava trattando non era giusto. Quello che gli stava succedendo non era giusto.


 


Angolo dell'autrice
So di non essere un'autrice sempre presente. Gli impegni sono molti, soprattutto negli ultimi mesi e quando si ha tempo libero è difficile dire "Prendo il computer e scrivo", ma per una volta l'ho fatto. 
Spero che questa sia una storia che possa piacere. Di sicuro non avrà un lieto fine, ma sicuro un lieto inizio, che è alla fine lol. 
Beh, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto. 

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